STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO UFFICIO STORICO
Luigi Emilio LONGO
L'ATTIVITÀ DEGLI ADDETTI MILITARI ITALIANI ALL'ESTERO FRA LE DUE GUERRE MONDIALI
(1919-1939)
ROMA,
1999
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© Ufficio Storico SME - Roma 1999
PRESENTAZIONE
La storia militare italiana ha generalmente trascurato lo studio critico dell 'attività degli addetti militari accreditati presso legazioni e missioni diplomatche estere. Sebbene la figura dell 'addetto militare sia stata istituita nel 1870, le opere sull'argomento sono scarse e circoscritte alla biografia di singoli personaggi ovvero a determinate aree geografiche. Con il presente volume l'Ufficio Storico intende colmare questa lacuna, trattando per la prima volta in forma organica l'operato degli addetti militari italiani tra le due guerre mondiali, valutandone, soprattutto in termini qualitativi, il riscontro con le realtà locali nelle quali si trovavano ad operare, e la ricaduta che ottenevano i loro rapporti e relazioni sugli organi centrali nazionali che ne erano destinatari. Grazie ad approfondite ricerche svolte dall'autore presso l'Archivio dell'Ufficio Storico, L 'Archivio Centrale dello Stato, L'Archivio Storico-Diplomatico del Ministero degli Ajfari Esteri, è stato possibile raccogliere una copiosa documentazione riguardante l'operato degli addetti militari in 19 nazioni europee, africane ed asiatiche, relative alla raccolta di informazioni sull'organizzazione e preparazione militare dei paesi ospitanti ed all 'assistenza e collegamento con i ministeri tecnico-militari. Per ogni Paese è stato tracciato un sintetico inquadramento circa la sua evoluzione socio-politica negli anni tra il 1919 ed il 1939, tale da costituire una indfapensabile base propedeutica per poter comprendere con maggiore facililà le tematiche rappresentate dagli addetti militari nei loro rapporti. Nelle considerazioni conclusive, inoltre, l'autore mette opportunamente in risalto alcuni mpetti a fattor comune riscontrati nelle relazioni inviate in Patria dai vari addetti, quali ad esempio, la solerzia perseguita nel favorire la penetrazione economica ed industriale italiana nei paesi di pertinenza, oppure la percezione esatta degli aspetti evolutivi più importanti degli strumenti militari dell 'epoca, in particolare quello delle accresciute potenzialità offensive degli aerei da bombardamen·to e dell'imponente sviluppo della motorizzazione e meccanizzazione raggiunto in alcuni Paesi quali il Regno Unito, La Russia e la Germania.
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J\l generale Luigi Emilio Longo va quindi il più sincero ringraziamento dell'Ufficio Storico per questo impegnativo lavoro, da cui si evince il valore e l'importanza dell'opera di intellige nce svolta dagli addetti, spesso tenuta in scarsa considerazione dagli organi informativi centrali in Patria, sia nel campo della descrizione dei molteplici asp('tfi della realtà sociale dei Paesi ospitanti, sia in quello dell'evoluzione delle forze armate straniere nelle loro molteplici cornpone,tti dottrinarie, ordinative e tecniche, con conseguenze spesso 11e~ative tanto sul piano diplomatico che su quello strettamente militore. IL CAPO UFFICIO (Col. a. s.SM Enrico Pino)
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ABBREVIAZIONI E SIGLE
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/\rma Aeronautica Archivio Centrale dello Stato Addetto Aeronautico Addello Militare Addetto Navale aeronautico alpini ammiraglio Africa Orientale A( a)rtiglieria Archivio Storico-Diplomatico del Ministero Affari Esteri Archivio Ufficio Storico Stato Magg iore E sercito Aviazione
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busta brigata-brigadiere battaglionc-hattaglioni Corpo d'Armata, controaerea/i, corrente anno calibro capitano cavalleria controcarro/i Comando confrontare corre nte mese Commissione Militare Alleata di Vigilanza colonnello comme ndatore Comando Supremo eavaJli/vaporc Delegazione Disegno di Legge didascalia Decreto Legislativo Decreto Ministe riale Direzione Ge nerale divisione dottore fascicolo Forze Armate Ferrovie dello Stato firmato
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INTRODUZIONE
I; incarico e la qualifica di «addetto militare» furono istituiti ulli cialmenle in Italia con il Regio Decreto n. 6090 del 29 novemhrL· 1870 relativo alle Legazioni all'estero ed al loro personale, :111chc se già dal 1866 il tenente generale Francesco Giuseppe Ricci ! I) , presidente del Comitato del Corpo di Stato Maggiore, ne :1vèv a ravvisato l'esigenza rappresentandola l'anno successivo al ,"-;cgrclariato Generale dell' Intendenza Guerra. Da un'analisi della rn111plcssa situazione politica internazionale, Ricci sottolineava la 11L·ccssità di poter disporre di informazioni dirette ed affidabili sopt"illtutto sotto l'aspetto militare, colmata sino allora dalla buona volontù di quegli ufficiali che si trovavano temporaneamente all'eslcro per incombenze ufficiose e che utilizzavano allo scopo i Joro pniodi cli riposo sostenendo in proprio anche le relative spese (2). I .' articolo 67 del predetto Decreto sanciva come la destinazione dq; I i addetti militari derivasse da accordi fra i ministeri interessati ( J\ffari Esteri, Guerra e Marina), e stabiliva la dipendenza degli 11 lliciali dal titolare della Legazione per ciò che atteneva ai rapporti rnn le autorità locali, fenno restando il vincolo gerarchico e fun:t.ionalc con i rispettivi dicasteri dai quali solo potevano ricevere istruzioni e con i quali avevano facoltà di corrispondere in materia tecnico-professionale dandone contemporanea comunicazione al capo della rappresentanza diplomatica. Nel corso della prima guerra mondiale e subito dopo il termine di questa, numerosi furono gli ufficiali dell 'Esercito inviati aI1' estero ·con molteplici funzioni di collegamento presso gli alti comandi
( I) Francesco Giuseppe Ricci (1811-1881), marchese, ufticiale di si.alo maggiore dell' esercito piemontese cd esperto di geodetica, deputato nella 3°. e nella 4°. legislatura, prese patte alfa prima gucn-a d 'indipendenza dopo un breve periodo trascorso presso la Sé{'.reteria Generale degli Affari Esteri. Promosso colonnello nel 1856, fu nominato diretlote dell ' ufficio lavori topografici del Corpo di Stato Maggiore; maggior generale nel 1860 e lenente generale nel 1862, divenne presidente del Comitato del Corpo di Stato Magg iore e·successivamcntc membro della Commissione Permanente per la Difesa dello Stato. (2) AUSSME, L3-299/l, promemoria «Dell'oppo1tunità di avere degli attaccati mililari presso le principali Legazioni all'estero specialmente per quanto riguarda le vcn enze in Oriente», datato Torino 16.3.1867, da Comitato del Corpo di Stato Maggiore a Intendenza G ucn-a-Scgrctariato Generale, f.to ten.gen.Ricci.
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dell'Intesa, in seno alle varie strutture create nell'ambito della Conferenza della Pace e quali membri delle diverse commissioni interalleate di controllo. In alcuni casi, in relazione aJJ'importanza che un certo Paese od una certa area potevano rivestire per gli interessi italiani, furono istituite missioni militari a tempo determinato, comandate da un ufficiale generale, aventi le stesse runzioni degli addetti militari e soggette alle stesse norme, anche se fruenti di maggiori prerogative e di una più ampia autonomia nei confronti del nostro rappresentante diplomatico in loco. Dal 1919 al 1921 gli addetti militari, così come le suddette missioni, dipesero dall' «Ufficio Esteri» del Reparto Operazioni del Comando Supremo, poi configurato in Stato Maggiore Regio Esercito; nel corso dello stesso 1921, dopo un breve periodo durante il quale questo Repmto (divenuto ora Ufficio) assrnbì l'Ufficio Esteri, la dipendenza fu attribuita definitivamente all'Ufficio Inlormazioni, sempre in ambito Stato Maggiore Regio Esercito. Nel 1919 ernno contemplate per gli addetti militari 8 sedi principali e 15 secondarie (3), e si stabili nell'intento anche di «recuperare» i genernli al momento accreditati a vario titolo presso le diverse rappresentanze diplomatiche, che l'addetto militare doveva avere il grddo di colonnello di stato maggiÒre e l'addetto militare «aggiunto», previsto per alcune delle sedi più importanti, quello di maggiore o capitano e solo eccezionalmente di tenente colonnello. Dopo una serie di provvedimenti susseguitisi nella prima metà degli anni venti, tendenti a ridurre per motivi di bilancio il numero degli addetti, a chiarire i loro rapp01ti di dipendenza gerarchico-funzionale con i capi delle rappresentanze diplomatiche, a variare Je sedi e ad int:rodun·e l' accreditamento contemporaneo per più Stati e per un'altra lorza armata, la materia fu definitivamente riordinata attraverso numerosi Decreti i più importanti dei quali sarebbero stati il n. 1032 del 24.5.1925 (convertito in Legge n. 562del 18.3.1926) ed iln. 1395 dell'8.7.l937 (4). Nel 1939 un appartenente all'ambiente diplomatico, il Primo Segretario di Legazione Pier Luigi La Terza, dopo un esame delle poche altre sino (3) Le 8 sedi principali erano Londra, Parigi, Washington Vienna, Berlino, Pietrogrado, Costantinopoli, Belgrado; le 15 secondarie erano Berna, Bruxelles, I' Aja, Madrid, Praga, Lisbona, Budapest, Varsavia, Bucarest, Arcangelo, il Cairo, Tokyo, Atene, Sofia, Pechino. Nel prosieguo degli anni e prendendo come riferimento una cadenza quinquennale, le sedi degli adàetti nùl.itari ·subirono una riduzione nei seguenti termini: 12 nel 1924, 16 nel 1929, 17 nel 1934 e 1939 (Ministero Affari Esteri, Amministrazione Centrale, «Amhasciate, Legazioni e Consolati del Regno d' Italia all'Estero», Roma, Tipografia del Ministero, pubblicazione annuale). (4) Gli altri furono i seguenti: RD n. 122 del 3.2.192.1; RDL n. 91 del 22.1.1923 (modificato con RD n. ll45 del 10.5.1923); RD n. 487 dell '8.2.1923; RD n. 941 del 3.6.1926; RD 11. 2410 del 16.12.1929; DM n. 405 dd 3.3.1932; RD n. 594 del 1.5 .1932;
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allora rifX)rtate nella esigua letteratura straniera sull'argomento, fu il primo i11 llalia ad e1aborare per g1i addetti militari una definizione che compendi:isse l'insieme delle loro.attività: «Gli addetti militari si possono definire quegli ufficiali accreditati press<, una misswne diplomatica col triplice scopo di rappresentare le forze ,11111<1/e del loro Paese e di essere il tramite normale e diretto per i rapporti , ·011 i ministeri tecnici rrùlitari dello Stato ove eserr:itarw le wro.fùnzioni; di m({diuvare ed assistere il capo missione nell'esame, la trattazione e la ri.w ,/uzione di tutte le questi.ani di carattere rrùlitare; di studi.are, sorveglian- e seguire l'organizmzione, lo sviluppo e la preparazwne militare del I'<tese ove sono accreditati» (5). ()pportunamente, l'autore rilevava come la denominazione «addetti 111iiitari», usata ne11a sua accezione ristretta per indicare gli ufficiali dell'escn.:ito dislinguendo1i così dagli addetti nava1i ed aeronautici, non fosse in realtà molto congrua ma tale da poter generare confusione. Essa era 1a risultante dell'origine storica di questa nuova figura. Allorché infatti vennero nominati in Europa i primi addetti militari, essi furono degli ufficiali del!'esercito i quali ebbero in seguito anche l'incarico di occuparsi delle questioni navali. Ciò accadeva, ed era un dato fondamentale, fra il 1830 ed il 1840, in un'epoca cioè in cui non soltanto si dava molta più importanza all'esercito ma nella quale, in non pochi Paesi, non esisteva ancora un ministero della marina distaccato da queHo deUa guerra Ne derivò quindi che, dovendosi dare un nome ai nuovi «addetti» per contrapporli agli attachés civili costituenti genericamente tutto il personale diplomatico (ambasciatori e consoli, per il loro ruolo dirigenziale, erano ·a parte) e. tenendo conto de11a loro qualità di ufficiali, si dette ad essi l'appellativo di «militari», che si sarebbe perpetuato sino ad a11ora nonostante che nel 1860 fossero apparsi i primi addetti navali e tra il 1919 ed il 1920 anche gli addeui aeronautici (inizialmente, per quanto riguardava I'Italia, questi ult:irnl erano ufficiali dell'Esercito o della Marina già piloti di velivoli militari o comunque competenti nel ramo, che si appoggiavano ali' addetto cxl al capo 'missione mi1itare o direttamente a1 rappresentante diplomatico)i · RDL n. 1434 del 20.6.1935 (convertito in Legge n. 2458 del 23.12.1935). Si trattava di provvedimenti che, più che sulle norme e sull'attività degli addetti militari, contenevano disposizio ni di carattere amministrativo (sedi, trattamenti economici, congedi, personale subalterno, ecc.). Per l' evoluzione della normativa degli addetti militari (e. navali), ed anche per l'istituzione dei primi «addetti aeronautici» precedente la costituzione dell'Arma Aeronautica come forza armata autonoma, cfr. la sintesi operata da Gionfrida A., «Missioni e addetti militari italiani in Polonia (1919-1923)»~ Roma, USSME, 1996, · pagg. 65-80. (5) Laterza P.L, «Gli Addetti Militari, Navali ed Aeronautici e la loro posizione nel Diritto Internazionale», Napoli, S.A.E.N. , 1939, pag. 9.
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Il compilatore dello studio, nella consapevolezza che non fosse peraltro facile distaccarsi da una tradizione ormai radicata da così tanto tempo, proponeva l'adozione di una soluzione intenncdia, quella cioè di la~iarc agli ufficia1i dell'faercito il titolo di «addetti militari», sostituendo questa denominazione, nei cac~i nei quali si fosse voluto privilegiare la sua accezione generica (designare cioè in questo modo tutti gli ufficiali di temi, di mare e dell'aria accTeditati dai rispettivi ministeri presso la nostre rappresentanze diplomatiche all'estero), con quella di «addetti delle Forze Armate» (6). Un'anticipazione conccttuaJe, se pur parziale, di quella che nel secondo dopoguerra sarebbe stata la figura dell' «addetto per 1a Difesa», con att1ìbuzioni di carattere militare globale aggiungentisi a que11e connesse a11a speci fìca matrice terrestre, navale od aerea. Il terzo degli scopi indicati dall'autore nella sua definizione era certamente quello più interessante, cd in merito è opportuna una precisazione. L'addetto militare, nell'osservare, rilevare e riferire quanto di propria competenza relativamente all'apparato bellico del Paese di accreditamento, od a quant'altro avesse ritenuto meritevole di segnalazione anche oltre l 'aspetto militare, si avvaleva, allora come adesso, cli fonti e procedure ortodosse. Fra queste, accennando solo le pii:1 comuni, i provvedimenti 1ìguardanti in genere le fo17_e armate nonché quegli ordinamenti interni relatjvi a ciascuna di esse, resi noti e molte volte comunicatigli direttamente dagli stessi ambienti; le conversazioni, più o meno ufficiali ovvero personalizzate, rise1vate e confidenziali, con esponenti militari, politici, economici, scientifico-culturali, giornalistici e di tutti gli altri settori di pubblica rilevanza; quelle, aventi le stesse caratteristiche di cui sopra, con i colleghi delle altre nazioni; le visite a comandi, reparti, enti ed infrastrutture e la presenz.a a cerimonie, parate, manovre ed esercitazioni; la rassegna de11a stampa, sia specializzata che generica. Per svolgere questa che, se pur legittima e palese, era pur sempre un'attività informativa, l'addetto militare non aveva pertanto necessità di compiere alcun atto che potesse recare, sia pure lontanamente, le sembianze di una ricerca occulta, demandata istituzionalmente al Servizio Tnfrnmazioni, che avrebbe potuto configurarsi anche come vero e proprio spionaggio, con tutte le implicazioni a livello diplomatico ed eventualmente anche politico internazionale. Inoltre, facendo parte integrante del persona.le di una rappresentanza diplomatica all 'estero, egli veniva sì a godere di tutti i diritti e privilegi di extraterritorialità, ma proprio ciò lo vincolava all'osservanza delle norme di comportamento; tenendo anche conto dell' «attenzione» che ovviamente era riservata ai suoi movimenti. Ma <l'altra parte ancora più appetibile era,, ovviamente, l'acquisizione delle notizie (6) Later7,a P.L, op. cit., pagg. 5- 7,
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piì1 riservate, l'accesso alle quali comportava di necessità un certo grado di un 1bla intraprendenza. Per l'addetto militare, pertanto, la funzione informativa - che superava di g ran lunga per importanza quella ufficiale e rappresentativa: non era un l':Jso, per quanto 1iguanlava l'Italia, la doppia dipendenza degli addetti dal Ministero della Guerra per quest'ultima e dal Servizio Informazioni Militari per la prima - doveva essere tutelata con la massima cura. I ) ':1lln mde, nell'arco di tempo compreso fra il 1919 ed il 1939 le possibilità di acquisizione delle notizie non erano suppo1tate come oggi da un esteso e solisticato contesto tecnologico, ma avevm10 il loro optimum nelle fonti 11111anc, ovvero in quelle documentali che erano però sempre subordinate alle prime essendone queste, comunque, le procacciatrici. Partendo da questa premessa, risultava molto arduo limitare nella realtà la sfera di attività degli addetti militari, il che equivaleva ad uno scontato assentimento a che ciascuno potesse organinarsi in proprio una serie di contatti non ortodossi, eterogenei, attivati e gestiti sulla base di un rapporto personale in merito al quale era logico che la riservatezza fosse la più assoluta, anche nei confron!i della stessa centrale informativa militare in Patria. Ne conseguiva un'attività per la quale un ruolo detenninante era dato dalle caratteristiche psico-attitudinali di cia5cun addetto, dalla motivazione, dalla fantasia e creatività, dallo spirito d'iniziativa, dalla propensione o meno al rischio calcolato, dalla capacità di stabilire e coltivare rapporti interpersonali, anche quelli meno «legittimi», dall'abilità con la quale sapersi ricavare uno spazio di manovra non convenzionale nonostante i limiti derivantigli dal proprio status. Anche di queste componenti, 'oltre che di quelle più ordinarie, la presente rnssegna può essere una proiezione più o meno diretta, attestante un impegno etico e professionale meritevole della giusta attenzione storiografica. Questa panoramica in merito all'attivit.à degli addetti militari italiani nel periodo intercorrente fra le due guerre mondiali non ·ha certamente la pretesa di un'attribuzione di completezza data la parziale reperibilità del relativo carteggio. Né, d'altro canto, abbiamo ritenuto opportuno adottare un· sottotitolo, come è talvolta d'uso in casi similari, del ~P<? «Le fonti archivistiche · dell'Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito», perché se queste risultan9 indubbiamente prevalenti è altrettanto vero che l'estensione dell~ nostra ricerca presso altri organismi (Archivio Centrale dello Stato ed Archivio Storico-Diplomatico del Ministero Affari Esteri) e l'utilizzazione selettiva · della documentazione 1invenuta avrebbero connotato riduttivamente una tale enunciazione. Siamo stati indotti ad occuparci dell' argomento, oltre che dal suo 13
intrinseco interesse, anche dalla mancanza di una trattazione per quanto possibile organica di una tematica per la quale i contributi sino ad ora presentati, di per se stessi non numerosi, riguardano singoli personaggi ovvero determinate aree geostrategiche (7). Abbiamo inteso pertanto procedere ad un esame della produzione degli addetti militari, differenziata in ba'le ai Paesi di accreditamento, della quale è stato possibile trovare elementi sufficienti tra i quali sono stati scelti quelli ritenuti più interessanti e significativi. Sono stati presi in considerazione anche alcuni di quegli elaborati originati dal S.I.M. per la compilazione dei quali si può dare per certo il contributo, totale o paniale, degli addetti. Questi presupposti di necessità e di selezione, quindi, hanno fatto sì che la rassegna riguardi 19 nazioni, riportate nel testo in ordine alfabetico. TI periodo esaminato, compreso fra il 1919 ed il 1939, risulta di notevole importanza sotto l'a,;petto storico-militare, contraddistinto dal confluire delle esperienze del primo dei due grandi conflitti mondiali con le premesse che avrebbero dato luogo al secondo. La maggior parte della documentazione che è stato possibile rinvenire è quella custodita presso l'Archivio delJ'Uffi.cio Storico dello Stato Maggiore Esercito, come è logico che sia dal momento che l'Ufficio è il conservatore istituzionale di tutto il carteggio utliciale riguardante la forza armata terrestre, o meglio di quella parte di esso che Je varie dispersioni, soprattutto quelle connesse alle tumultuose vicende del settembre 1943, hanno consentito di salvaguardare. La perdita, la distruzione e la sottràZi.one di una considerevole parte dei documenti del Ministero della Guerra, dello Stato Maggiore Generale, dello Stato Maggiore Regio Esercito, del Servizio Informazioni Militari e degli altri vari enti e comandi, conseguenti a tali eventi, hanno fatto sì che per quanto attiene all'attività degli addetti militari, di una consistente parte di essa non sia rimasta traccia È il ca'lù, ad esempio, di quella riguardante "voci" pur di rilievo quali gli USA, i Paesi scandinavi, medio-orientali e sudamericani. La Spagna è stata invece intenzionalmente esclusa dalla rassegna dal momento che la quasi totalità della documentazione relativa si riferisce alla guerra civile 1936-1939, ed è stata largamente utilizzata e riportata in un apposito volume sull'argomento al quale pertanto si rimanda.(*) La ricerca è stata condotta ad ampio raggio, dal momento che la «posizione d'archivio» riguardante lo specifico argomento degli addetti militari attie-
(7) Cfr. BiaginiA., «Addetti militari», in «Storia militare d'Italia 1796-1975», Roma, a cura del Comitalo Tecnico della Società di Storia Militare, 1990, pagg. ·15-21. (*) Rovighi A. , Stefani F., "La partecipazione italiana alla gue1Ta civile spagnola" Voi. I (1936-1937), Vol. Il (fine 1937 - 1939) - Roma, USSME, 1996.
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ne, di massima, a carteggio prevalentemente burocratico-amministrativo, mentre il materiale di maggiore rilevanza (monografie, relazioni, rapporti, note informative, sintesi valutative, ccc.) ha collocazioni molteplici connesse a tematiche di vario genere (8). Le altre sedi archiviste presso le quali è stata condotta la ricerca sono state, come già detto, l'Archivio Centrale del1o Stato e l'Archivio Storico-Diplomatico del Ministero Affari Esteri. Presso l'Archivio Centrale dello Stato, nella documentazione l'acente parte dell'archivio della Real Casa è compreso il caiteggio del Primo Aiurante di Campo del Re relativamente agli anni dal 1921 al 1925, del quale fanno parte alcuni fascicoli attinenti agli addetti militari italiani all ' estero (9). Si tratta di un incartamento riguardante aspetti prevalentemente protocollari e di rappresentanza (messaggi di auguri e saluti, udienze reali, visite di presentazione e commiato, discorsi, onoranze funebri di personalità locali, pellegrinaggi a cimiteri militari italiani, cerimonie varie, ecc.), la maggior parte del quale proveniente dagli addetti navali. Argomenti politici e militari figurano solo in poche comunicazioni, inviate ai ministeri della Guerra e della Marina ed estese «per conoscenza» al destinatario in questione ( JO). (8) «Posizioni d'archivio» prese in esame: 029 Addetti Militari; LI O Stato Maggiore R.E. uffici vari; LJ4 Stato Maggiore R.E. cai1cggio sussidiar.io; 113, S.I.M. notiziario stati esteri; F3 carteggio sussidiario I a guen-a mondiale; l3 cai1eggio Comando Supremo e Stato Maggiore Generale; f4 carteggio Comando Sup1·emo e Stato Maggiore Generale; H9 carteggio del Capo del Governo; G33 carteggio Mini stero Guerra - Uff. Coloniale, Stati Esteri; Hl, caiteggio Ministero Oucn-a-OabinellO; G25 studi tecnici; Ll3 carteggio gen. Marras; E8 carteggio Versailles; L3 studi particolari; FI 8 O.M.S. - Gabinetto; 0 22 Scacchiere Orientale (frontiera italiana con l'Austria); G23 Scacchiere Occidentale (fronti era italiana con Francia e Svizzera); 028 Corpo di Stato Maggiore-campi e manovre; M3 documenti FF.AA italiane restituiti dagli U.S.A.; DI cartegg io sussidiario A.O. (guerra italo-etiopica); I-I IO verbali riunioni alti vertici; HS Stato Maggiore R.E classificato «RR»; L8 Libia: diari e memorie; ElO monografie Stati esleri; Eì 1. missioni mililari vai·ie all' estero; G24 Capo di Stato Maggiore: corrispondenza; M7 circolari varì uffici. (9) Posizione XV I, busta 343, fascicolo A-Z «Addetti Militari Italiani». Il ptimo Aiutante di Campo de l Re, nel pedodo oggcllo del presente lavoro, era un generale di corpo d' armala che svolgeva le funzioni di consigliere mii itare del sovrano e si identificava anche con il capo de lla Real Casa Militare, quel complesso di uomini e repa11i addetti al servizio ed alla 1Jrotezione dei sovrani e dei principi reali. li primo Aiutante di Campo era afliancato da 3 ufficiali generali, in genere uno per ciascuna delle tre forze armate, denominati «aiutanti di campo» cd avvicendatisi nei turni di servizio, a loro volta coadiuvali da un numero variabile di ufficiali superiori designati come «ufficiali d'ordì, nanza». Era cousuetudine che gli addetti militari, navali ed aeronautici rimasti in tale carica per oltre un anno fossero proposti. al loro rientm in Ttalia, per la nomina ad «aiutante di campo onorario del Re». (10) I.n pratica essi si limitano a: relazione sulla visita compiuta alla fine di gennaio 192 1 dal col. Enrico Maltese, addetto militare a Bruxelles, in compagnia del ministro della _-difesa nazionale nella zona di occupazione renana del corpo d'annata belga (prot. 184/21
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In seno all'Archivio Storico-Diplomatico del Ministero Affari Esteri, il Fondo Affari Politici (1931-1935) comprende, per soli tre Paesi (Albania, Germania e Giappone), un carteggio riguardante i «rapporti del Regio Addetto Militare». La documentazione più consistente riguarda il Giappone, ed in modo particolare gli anni 1931, 1933, 1935 e 1936, per i quali figurano diverse comunicazioni inviate sia dall'addetto militare che da quello navale ai rispettivi organi di riferimento in Patria, e ritrasmessi in copia dall'ambasciata anche al dicastero degli Affari Esteri in virtù del ruolo di consulenti militari del capo della rappresentanza diplomatica rivestito da tutti gli addetti e della dipendenza che quindi avevano anche nei suoi confronti, oltre che ovviamente verso il dicastero militare di appartenenza (11).
del 15.2.1921, diretto allo Stato Maggiore R. Esercito-Ufficio «E»); rappmto del cap. vasc. Vincenzo Leone, addetto navale, militare ed aeronautico a Tokyo, prot. 122 del 29.4.1925, diretto ai ministri della Guerra e della Marina, circa i bilanci statali e militari dal 1915 al 1924 delle 5 grandi potenze firmatarie nel 1922 del lrallato di Washington per il disarmo navale, fornitigli dal ministero della marina imperiale nipponica cd espressi in yen; resoconto del medesimo ufficiale sulle grandi manovre autunnali dell'esercito giapponese svol· tcsi dal 17 al 24 ollobrc J 925. incentrato su particolari logistici e del cerimoniale, con una sintesi del quadro generale e dello svolgimento cronologico degli eventi ma orientato prevalentemente su dcllagli organizzativi, senza alcuna valutazione di carattere tccnico-opcraLivo (prot. 368 del 26. J0.1925, dircllo a Ministero Guerra-Staio Maggiore Ccntrnlc, Ufficio Situazione); relazione del tcn. col. Amerigo Coppi, addetto militare a Londra, del settembre I 925 e diretta anch'essa allo Stato Maggiore Centrale, con notizie di politica interna britannica e su alcuno aspetti socio-ambientali di alcuni Dominios. (l I) Relativamente ad altri Paesi. in alcuni fascicoli sono contenuti documenti riguardanti argomenti militari di vario genere, verosimilmente anch 'essi ribadenti, come è desumibile dalla stilistica espressiva, quanto inviato dagli addetti ai loro diretti interlocutori in Patria. Per l'Etiopia e la Spagna esiste anche un «Fondo di Guerra», concernente rispettivamente gii anni dai l 935 al 1940 e dal l 936 al 1939 ed a contenuto essenzialmente rcsocontistico analogo al cmtcggio di carattere operativo custodito presso l'archivio USSME. Pure il Fondo Rappresentanze Diplomatiche contiene qualche busta contrassegnata come «Infonnazioni di indole militare». Si tenga presente, comunque, che per i principali documenti ricostmenti l'attività politico-diplomatico-militare e custoditi dalle rappresentanze diplomatiche italiane all'estero, sino a una decina di anni or sono, presso l'Archivio Storico del MAE, ne risultava la disponibilità per un terzo del materiale complessivo (Frabotta M.A., «Le fQnti militari presso l'Archivio Storico-Diplomatico del Ministen:i"Affari; Esteri», in «Le fonti per la storia militare in età contemporanea», Atti del III Semin;irio (Roma, 16-17.XII.1988), Ministero per i Beni culturali ed AmbientaliUfficio Centrale per i Beni Archivistici, Roma, 1993, pag. 169; cfr. anche Biagini A., «Gli archivi' mil.itari per la storia diplomatica», in «Fonti diplomatiche in età moderna e contemporanea», Roma, Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali - Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, 1995, pagg. 185-195). Anche presso il SISMI risulterebbe custodita una serie di documenti prodotti dagli addetti militari, ma la quas i totalità riguarderebbe il periodo della seconda guerra mondiale.
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Capitolo I ALBANIA
1. La genesi dei rapporti italo-albanesi La complessità delle vicende albanesi, già di per sé piulloslli rilevante nell'intricato quadro generale della storia balcanica, è tale anche per quanto attiene agli aspetti più contemporanei riguardanti le relazioni con 1'Ttalia il cui avvio è databile all'inizio de1 Novecento. Ne consegue pertanto 1'opportunità di procedere ad una sintetica ricostruzione dei loro sviluppi, che consenta a11ettore di accedere più agevolmente alla documentazione prodotta dagli addetti militari italiani succedutisi per quello che di essa è stato possibile reperire. I primi rapporti italo-albanesi, sia pure in forma indiretla, possono infatti ricondursi al 1904, circa un anno dopo lo scoppio della crisi macedone. La Macedonia costituiva, fra le vaste terre balcaniche sottoposte al dominio ottomano, quella nella quale popolazioni di verse (eterogeneo prodotlo de11e pregresse invasioni di slavi e hulgari, che a loro volta avevano respinto greci ed illirici sulle coste dell() Jonio e dell'Egeo e nel massiccio montano albanese) si erano confuse in modo quasi inestricabile, ed era divenuta pertanto il pomo della discordia fra serbi, bulgari e greci. In essa, si compendiava buona parte della famosa questione d'Oriente, il problema diplomatico per eccellenza dalla metà dell'Ottocento alla prima guerra mondiale. La violenza dei moti macedoni assunse una tale entità da indurre le principali Potenze ad interessarsi della crisi, assecondando così l'intendimento dei rivoltosi ed aprendo nuove speranze alle popolazioni soggette alla Turchia. Nella realtà, gli eventi balcanici volsero rapidamente a pressoché esclusivo l5èneficio dell' Austria-Ungheria. Francia ed Inghilterra, infatti, si limitarono in pratica agli aspetti umanitari ed assistenziali, la Germania non andò oltre l'assicurazione del proprio appòggio politico al governo di Vienna mentre la Russia era troppo concentrata sul profilarsi di uno scontro in Estremo Oriente con il Giappone;" anche se non tanto da non stipulare con l' AustriaUngheria un accordo segreto (Mi.irzteg, 1903) per una concomitan17
te pressione diplomatica sui turchi. L'Italia, resasi conto che l' intesa di Mtirzteg realizzatasi a propria insaputa l'aveva esclusa dal problema politico baJcanico, protestò e riuscì a stabilire con l'Austria-Ungheria un accordo bilaterale (Abbazia, 1904) in base al quale, se gli avvenimenti avessero portato alla dissoluzione del1' impero ottomano, nessuna delle due nazioni avrebbe avuto la preminenza in Albania. Anche in questo territorio, d'altra parte, la perdurante situazione di disfacimento interno del regime di Costantinopoli non tardò a dar luogo a moti di rivolta tra il 1909 ed il 1911, sostenuti sotto ogni punto di vista dagli attivi comitati degli emigrati albanesi all'estero, e solo apparentemente sedati per lo spazio di pochi mesi, dal momento che lo scoppio della guerra italo-turca fornì l'opportunità per una ribellione di ben più ampie dimensioni, e soprattutto alimentata da una inedita coscienza nazionale, che portarono il 28 dicembre 1912 alla proclamazione dell'indipendenza dell'Albania, riconosciuta poi anche dagli accordi di Londra fumati fra maggio e lu glio del 1913 e ponenti fine alle due guerre balcaniche (1 ). Per quanto riguardava la delimitazione delle frontiere, sancita a Firenze il 17 dicembre 1913, si formò tadtamente una specie di temporanea suddivisione dei compiti f~a Austria-Ungheria cd Italia, nel senso che alla prima premeva di sottrarre Scutari e Durazzo alle aspirazioni slave mentre la seconda era interessata ad impedire l'ellenizzazione dell'Albania meridionale. Ad Atene governo ed opinione pubblica, già ostili nei confronti dell'Italia a causa del!' occupazione delle isole del Dodecanneso dopo la guerra ( I ) Al lennine J el conflitto italo-turco, che aveva evidenziato il decadimento militare dell ' impero ollomano, 4 Slali balcanici (Grecia, Bulgaria, Serhia e Montenegro, ai quali andava aggiunta la Romania che, se pur non belligerante, ri vendicava il possesso dell a Dobrugia che a suo lempo era stata costretta a cedere alla Bulgaria) dichiarando guerra alla Turchia, in piena anarchia per le agitazioni interne di carattere politico-religioso. Si insediarono allora a Londra un Gran Consiglio degli Amhasciatori (Austria-Ungheria, Prancia, Germania, Inghilterra, Italia e Russia), che avrebbe funzionato dal 17.1 2. 19 12, al 15.7. 19 14, eJ una Confe renza della P ace (con i predetti 5 Stati balcanici e la Turchia) i lavori della quale erano seguiti dal primo affinché le conclus ioni, pur nella salvaguardia degli interessi delle parli in causa, non fossero in contrasto con quelli di tutti. Il 13.5.1 913 fu firmato un trattato che, per quanto riguardava l'Albania, ri melteva la delimitazione delle frontiere alle Grandi Potenze, ed il 29.7 successivo (nel frattempo era scoppiala e terminata la 2• guerra balcanica) venne deciso, in sede di Gran Consiglio degli Ambasciatori, che diventasse un principato autonomo sempre sotto la protezione delle stesse Potenze che ne avrebhero designato il principe, identificato poi in Guglielmo di Wied.
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con la Turchia, non potevano tollerare la nostra opposizione alle loro aspirazioni nazionalistiche su11'Epiro, per cui nell'Albania meridiona1e cominciò ad assumere consistenza un movimento di resistenza annata solo formalmente «ignorato» dall'esecutivo e destinato ad essere per diversi anni la causa prima dei disordini anti-italiani. Il principato scaturito da11e intese diplomatiche di Londra ebbe pera1tro vita breve. Dopo dei mesi, 1'incrementarsi delle rivo1te locali portò ad uno stato di vera e propria anarchia conflittuale con l'insediamento a Valona, a Durazzo, a Scutari ed in altre località minori di centri di potere ciascuno autolegittimantesi quale espressione di autorità nazionale. Il precipitare della situazione indusse il governo italiano, il 27 dicembre 1914, ad occupare Valona (2). L'entrata in guerra dell'Italia e la sconfitta dell'esercito serbo, che si era ritirato verso l'Adriatico anche attraverso l'Albania centrosettentrionale, portarono le nostre forze a diretto contatto con i reparti austroungarici giunti in prossimità della baia della città. L'armistizio con la Bulgaria del 29 settembre 1918 e la conseguente ritirata di questi reparti consentirono una veloce e poco contrastata avanzata delle truppe ita1iane verso Durazzo e Scutari, estesa poi nell'interno del paese sino a raggiungere Tirana ed Elbasani (3). Dal punto di vista politico il governo italiano, dopo varie modifiche di orientamento, si espresse ne1 senso di essere favorevole ad uno Stato albanese unificato sotto la propria protezione, ma senza prefiggersi di occupare stabilmente territori, per cui l'occupazione militare non avrebbe dovuto assumere «carattere coloniale». Nel gennaio 1919 si formò a Durazzo un governo provvisorio albanese, che d' altra parte non sarebbe riuscito ad imporsi alle varie (2) Una spedizio ne in Albania era già stata presa in considerazione d al governo italiano sin dal 19 11, per fare da contraltare all'occupazione della Bosni a-Erzegovina da parte dcli ' Austria-Ungheria; la cosa po i non ebbe seguilo a causa dell'insorgere delle guerre balcaniche e per le trattative diplomatiche che ne seguirono. Per la nostra presenza militare nel P aese, cfr. Mo ntanari M., «Le truppe italiane in Albania (anni 1914-1920 e 1939)», R oma, USSME, 1978. (3) La clausola armi stiziale che attribuiva all'Italia Valona con adeguato retroterra fu interpretata in m aniera estensiva, tanto che le nostre truppe - la città era sede del Comando delle Forze Italiane nei Balcani retto dal gen. Piacentini - s i spinsero fin dentro il Montenegro, la cui rapida conquista in funzione anliserba sarebbe stata anche gradita all o scopo di puntellare il trono di re Nicola, suocero di Vìuorio Emanuele lll, che i1 parlamento di Cettig ne aveva deposto per proclamare l' annessione allo Stato jugoslavo. La «piena sovranità» su Valona faceva parte delle clausole previste per l'Italia dag li accordi stipulati a Londra il 26.4.191 5 preludenti al nostro intervento nell a l". guerra mondiale a fianco delle potenze dell' Intesa e dettagliati nel relativo Pa tto.
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bande annate che, sostenute dai serbi e da esponenti locali ad essi collegati, percorrevano le provincie interne. Un anno dopo, un congresso di delegati di tutta 1' albania dichiarò decaduto il predetto governo, ormai di fatto esautorato, e ne costituì uno nuovo con sede a Tirana, respinse inoltre ogni progetto di spartizione del territorio con Grecia e Jugoslavia (ventilato dall 'Italia nella primavera del 1919, dopo la crisi nelle trattative di pace a Versailles, in cambio di appoggi alle proprie rivendicazioni sulla costa libumica ed in Asia Minore), dichiarò di non accettare alcun mandato o protettorato straniero e chiese l'indipendenza completa del Paese nei suoi confini etnografici e naturali. L'atteggiamento incauto e contraddillorio assunto dal governo ilaliano nei confronti della nuova slruttura politica albanese determinò in breve lo scontrò aperto, culminato in aspri combattimenti durante l'estate del 1920 che, in unione ad un forte movimento interno contrario ad un impegno militare del genere, determinarono il 2 agosto la·firma di un accordo a Firenze in base al quale le forze italiane furono ritirate sia da Valona che dalle altre località occupate ad eccezione di un piccolo presidio nell 'isola di Saseno. Sempre nel 1920, il 12 ottobre il governo albanese presentò, attraverso la propria delegazione p resso la Conferenza della Pace, domanda di ammissione alla Società delle Nazioni (4) che fu accettata. L' ammissione era importante, perché consentiva all' Albania di appellarsi al Consiglio della Lega per la definizione delle frontiere ancora in sospeso e per richiedere l'evacuazione dei territori ancora occupati da greci e jugoslavi. (4) La Socielà (o Lega) delle N azioni fu istituita il l O. I. I 920 e cessò praticamente di es iste re il 1.9.1 939 all' inizio delle operazio ni tedesche contro la Poloni a. Membri originari furo no la Franc ia, l'Inghilterra, il Giappone e l' Italia ed i 13 Stati rimasti neutrali durante .la g uerra. Ad essi se ne agg iungevano via via allri in seguito ad ammi ssio ni approvata da 2/3 dei mcmb1i preesistenti , ragg iungendo un m assimo di 55 . Gli Stati Uniti, sebbe ne ne fossero stati gli ideato ri, rimasero fuori sin dall' inizio, la Germani a vi entrò nel 1926 e ne uscì nel 1935 così come il Cìiappo ne menlrc la R ussia, ammessa so lo ne l 1934, ne fu espulsa nel 1939. Scopo fondamentale della Soc ietà e ra d i assicurare il mantenimento della pace internazionale cd il suo ristabilimento, se fosse stata turbata, mediante la vig ilanza e l'interve nto colle tti vo degli Stati membri o peranti trami tè g li organi societari. Questi erano l'Assemblea (che comprendeva le delegazio ni di lutti g li S lati membri), il Consiglio, costituito eia membri permanenti e te'mporanei, il Segretariato e gli organi settoriali speciali7.zàti preposli alle varie questioni soc io-econo mi che. · Prancia cd Inghilterra rivestirono nella Società delle Nazioni un ruolo di costante privileg io e press io ne, sia quali me mbri perma nenti sia perché riusciron o a fare de l Segretariato, concepito inizialmente co me organo tecnico per l' altuazio nc delle deliberazioni assen:iblcari, un influente centro di potere ciel qu ale 1'Ing hiltc1rn mantenne la di re~.ione dal 1920 al 1933 e la Francia dal 1933 al 1940.
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Il 9 novembre 1921 il Consiglio degli Ambasciatori, composto dai rappresentanti dell ' Italia, della Francia, dell'Inghilterra e del Giappone, prese due decisioni fondamentali. La prima riguardava l'indipendenza dell'Albania ed i suoi confini territoriali, con qualche rettifica a favore della Jugoslavia rispetto alle decisioni del . 1913, mentre la seconda riguardava la posizione internazionale del Paese. Partendo dalla premessa che la violazione delle frontiere o de11'indipendenza albanese avrebbe potuto costituire una minaccia per la sicurezza strategica dell'Italia, continuava stabilendo: a) che nel taso in cui l'Albania si fosse trovata nell'impossibilità di conservare la propria integrità territoriale, essa avrebbe potuto indirizzare al Consiglio della Società delle Nazioni una richiesta di intervento esterno; b) che in tale evenienza, i governi dei 4 Paesi deliberanti avrebbero dato istruzioni ai rispettivi rappresentanti in seno al predetto Consiglio societario di raccomandare che il ripristino delle frontiere territoriali de11' Albania fosse affidato all 'ltalia. Frattanto il giovane Stato albanese si trovava di fronte ad enormi problemi in ogni ambito, a cominciare da quello interno sempre perturbato da ricorrenti discordie e rivalità fra diversi gruppi politici la cui fisionomia non era facilmente definibile. Fu in questa precaria situazione che si presentò al proscenio l'uomo forte del momento, Achmed bey Zogolli (5), un notabile deUa regione settentrionale che aveva chiaramente realizzato la possibilità di approfittare del marasma politico e socio-economico vigente per impadronirsi del potere. Per conferire stabilità alla propria gestione, puntò sulla carta del nazionalismo e dell'autoritarismo, uniche leve a suo avviso da utilizzare con successo per tenere uniti gli albanesi. Si trattava in pratica di costruire ex novo uno Stato in un piccolo e povero territorio, privo di risorse e di mezzi di comunicazioni, pe1fino di una moneta ufficiale, ed inoltre costantemente in bilico fra una sommossa ed una rivoluzione a causa delle inestin-
(5) Achmcd bey Zogolli ( 1885-1961 ), educalo a CostaJllinopoli e di impronta mussulmana, partecipò alla Ja guerra mondiale nell'esercito austriaco dopo essersi battuto fra il 1912 ed il 19 14 per l'indipendenza albanese al fianco de! principe· di Wied. Fu ministro degli interni dal 1921 al 1924, anche se del.governo era in effetti il deus fX machina. Costretto a fuggire· in Jugoslavia, ne l dicembre 1924 rientrò in Alhania assumendo il potere e facendosi nolllin are prima presidente della repubblica (febbraio 1925) e poi sovrano (settembre 1928). Dopo l'occupazione italiana del .1939 riparò in Francia, dove rimase per tutta la durata della 2a guerra mondiale venendo poi ullicialmente deposto nel 1946 dal nuovo governo comunista de l Paese.
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guibili faide che dividevano i bey, i principali personaggi locali. Come emerge dal breve profilo biografico, pervenuto abbastanza rapidamente al vertice si trovò a dover scegliere una Potenza alla quale appoggiarsi sotto l'aspetto tanto politico che finanziario, e l'Italia gli sembrò la più idonea anche per il ruolo fondamentale che da molti anni rivestiva per il commercio albanese. Gli accordi economici del marzo 1925 fra i due Paesi, in virtù dei quali vennero costituite una Banca Nazionale ed una Società per lo sviluppo, che avrebbe dovuto operare esclusivamente a cura di imprese italiane, e fu concesso un ingente prestito, aprirono la strada per 1' entrata dell'Albania nell'orbita dell'Italia. Ma un passo ancora più importante in tal senso fu il patto militare, preludio ad un più ·ampio patto di amicizia, stipulato nell'autunno dello stesso anno con un vincolo di segretezza che lasciava al presidente albanese una certa libertà di interpretazione evitandogli di esporsi in maniera diretta alle ritorsioni da parte della Jugoslavia, e consentiva all'Italia di non inasprire i rapporti con questa già turbati per gli aiuti economici all'Albania nonché dalle manifestazioni nazionaliste per la Dalmazia che ali' epoca avevano luogo nel nostro Paese. Il patto di amicizia e di sicurezza di durata quinquennale venne firmato un anno dopo, con il riconoscimento che qualsiasi perturbazione diretta contro lo ,çtatus quo politico, giuridico e territoriale albanese era contrario al reciproco interesse politico, ed integrato a · distanza ancora di un anno (22 novembre 1927) da un vero proprio trattato _di alleanza difensiva che sanzionava ufficialmente l'egemonia italiana sul piccolo Stato balcanico ed esplicitava la scelta antijugoslava maturata da Mussolini. Il 1° settembre 1928 avvenne la proclamazione del regno, sul cui trono salì Zogolli con il nome di re Zog (6). ln questo scenario, la collaborazione da parte dell'Italia assunse uno sviluppo sempre più vasto. Alla fine del 1925 furono concessi all'esercì to albanese i primi ufficiali istruttori, e nell'aprile 1927 venne assegnato alla Legazione d'Italia a Tirana un addetto militare nella persona del col. Alberto Pariani (7), che fu nominato anche '
(6) Il nominativo di Zogolli derivava dal turco Zogoglu, figlio di Zog; il re sottolineava pertanto con il nuovo nome il fatto di essere il capostipite della dinastia. (7) Alberto Pariani (1876-1955), ufficiale degli alpini, partecipò alla 1° guerra mondiale come sottocapo e poi capo di stato maggiore di diversi corpi d'armata; nel 1919 fu capo della sezione militare della delegazione italiana alla conferenza della pace. Addetto Militare e capo della Missione Militare in Albania dal 1927 al 1932. Generale di brigata nel 1929, di divisione nel 1932 e di corpo d'armata nel 1934, nello stesso anno venne
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capo della Missione Militare la cui costituzione si rese necessaria per il complesso lavoro di organizzazione delle forze armate albanesi (8). Presero forma uno stato maggiore, e vari servizi logistici e di suppo1to e ]e unità operative, queste ultime sino al livello di 2 divisioni (con capi di stato maggiore e comandanti di reggimento italiani), e si crearono le varie componenti formative, addestrative, infrastrutturali e fortificatorie. Al di là comunque delle apparenze che deponevano per il sorgere della monarchia con l'appoggio e ]a protezione degli italiani, non vennero meno contrasti latenti tal i da impedire una conveniente chiarezza di rapporti. I1 punto nodale diventò il patto di amicizia e sicurezza quinquennale stipulato nel 1926, al cui rinnovo Zog era decisamente poco propenso ritenendo che il trattato di alleanza difensiva finnato l'anno successivo, basato su un piano di assoluta parità giuridica, lo avesse assorbito vanificandone i] rinnovo; ma, in questo orientamento, non era estraneo un senso di accresciuta diffidenza nei confronti dell'Italia. Al rientro da un breve soggiorno a Vienna dove si era sottoposto ad una serie di accertamenti clinici resi necessari da una diagnosi allarmante di medici di Tirana, peraltro sensibilmente ridimensionata dai co11eghi austriaci, ed ancora scosso per un attentato messo in atto contro di lui da fuoriusciti albanesi appartenenti a fazioni contrarie, trovò infatti non pochi clementi di preoccupazione. Tra questi, il ratto che la Legazione italiana a Tirana, sottovalutando le possibilità di turbatinominalo sottocapo di stalo maggiore dell'esercito; nel 1936 fu promosso generale designato d'armata, assurgendo al duplice incadco di capo di stato maggiore dell'esercito e sottosegretario di stato per la guerra che ricoprfsino al 1939. Collocato nella dserva nel 1942, fu richiamato in servizio nel marzo 1943 e nominalo luogotenente del re in Albania dove rimase sino ai primi di settembre dello stesso anno. Venne ricollocato definitivamente in congedo assoluto nel 1945. Uno sviluppo di carriera induhbiamcntc atipico, trascorso senza mai esercitare un comando di repaito superiore al livello di compagnia se si eccettuano i pochi mesi trascorsi al comando del 6° reggimento alpini a Bressanone, e che probabilmente fu la causa dell'aslrnttezza del suo pensiero militare culminanle, alla fine degli anni Trenta, nella famosa riforma che sancì l'inquadramento delle divisioni di fanteria su 2 reggimenti anziché su 3 riservando loro solo il compito della rottura e della penetrazione e trasferendo al corpo d' armata la responsabilità della manovra. Ne sarebbe conseguito uu aumento nel numero delle divisioni, rese più snelle ma anche più deboli, e la dilatazione del numero dei comandi e delle GG.UU. che avrebbe ancora più accentuato la già intricata complessità dell ' intera organizzazione dell'esercito. (8) Nel dicembre 1930 la Missione Militare italiana comprendeva 163 ufficiali, 42 sottuffi<.:iali e soldati e 2 impiegati civili. Anche la R. Marina fornì un ri stretto numero di ufficiali, sottufficiali e specialisti per l' inquadramento e l'addestramento del personale albanese nelle 3 basi di Durazzo, Valona e Santi Quaranta (cfr. Montanari M., op. cil., pag. 246).
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ve nel Paese conseguenti alla morte od all'inabilità del re, stesse promuovendo contatti con esponenti ostili al sovrano. Che non erano pochi, sia nella classe dei bey per antiche rivalità mai sopite quanto nel folto gruppo di notabili che, già funzionari di alto rango dell'impero ottomano, una volta rientrati nella terra d'origine erano stati declassati in incarichi di scarso prestigio quand'anche non messi in disparte.
2. La situazione in Albania nel 1930
Di questa situazione, aggiornata alla fine del 1930, si faceva interprete il Pariani, promosso generale 1'anno precedente, con un rapporto inviato al Ministero della Guerra: I. «La recente malattia di re Zog ha sparso un certo allarme nel1'amhiente albanese. L'intensità di questo allarme, che per contro non era giustlficato, ha messo in evidenza che la eventuale morte del re sarebbe gravida di conser:uenze per il Paese. È opinione generale che da cosi f?rave avvenimento nascerebbe un vero caos, e ciò perché manca oggi un successore, sia dinastico che di ripiego, capace di tenere, sia pure temporaneamente, la direzione dello Stato. 1 principali avvenimenti perturbatori sarebbero: a) L'immediata resurrezione delle tendenze feudali, oggi assopite per la presenza di un unico e temuto capo, ma che vivono ancora nel.fondo dell'animo di gran parte degli albanesi, dominati più dalle lotte di predominio interno che dalla visione dei prohlemi nazionali. b) L'intervento più fattivo dei fuoriusciti, che rientrerebbero in Albania con un programma rivoluzionario. Lo strano è che mentre tutti gli albanesi disposti a mantenere l'ordine si spaventano alla sola idea che possa venire a mancare il re, nessuno pensa al modo di far fronte ad una simile iattura. Vedono lo spettro, ma si limitano a mostrarsene atterriti. È pertanto evidente_ che da parte nostra occorre essere pronti a fronteggiare una simile eventuale situazione. li. Ho conferito in proposito con il R. Ministro a Tirana marchese di Soragna e, sostanzialmente, si sarebbe stabilito: 1. Scopo da rllf?f?iungere: impedire che per effetto della morte 24
del re si sviluppino gravi disordini che riportino l'Albania ad uno stato caotico o, quanto meno, ridurre al minimo l'entità degli incidenti che potrebbero derivarne. Per raggiungere questo scopo è necessario che nell'imminenza dell'avvenimento, o almeno subito dopo esso, sia designata l'Autorità Centralf"dittatoriale dalla quale tutti dovranno dipendere. Se si lasceranno iniziare discussioni di carattere legalitario parlamentare, sarà inevitabile il ,:apido risorgere di lotte intestine. Inutile soggiungere che tale azione dittatoriale dovrà svolgersi sotto La nostra guida e sorveglianza. 2. Per essere in condizioni di poter svolgere tempestivamente ed efficacemente tale azione occorre: - fissare la situazione interna del Paese (forze e tendenze) e seguirla attentamente; - determinare, in conseguenza. i provvedimenti da attuare per far.fronte ad ogni eventualità. Ili.
SITUAZIONE INTERNA
Si puà così sintetizzare: a) Le autorità - I ministri ed i pn>fetti hanno autorità soprattutto perché sono emanazione personale del re. Indipendentemente da cià, essi godono di un certo prestigio dovuto al fatto che si va .fàcendo strada nella mente dell'albanese la necessità di un'organizzazione statale, con tutta La rete di gerarchie, e si va dando quindi sempre più valore a questi alti esponenti della gerarchia stessa. Ma, come in tutte Le gerarchie, è necessario che vi sia un ·capo che diriga, altrimenti tutto l'ingranaggio stride e si arresta. E poiché qui il complesso delle autorità costituisce un organismo assai debole è necessario, in caso di crisi, di sostenerlo immediatamente con la creazione del nuovo capo per evitare lo sfacelo dell 'organismo stesso». I successivi paragrafi da b) ad e) esaminavano in particolare la situazione delle tre aree geografiche dell'Albania (settentrionale, centrale e meridionale) e quella della frontiera con la Jugoslavia, fornendo per ognuna un dettagliato elenco dei clan e degli esponenti più in vista suddivisi per le djverse località. Per non appesantire il testo, omettiamo quest'ultimo aspetto riportando solo le considerazioni sintetiche che erano le seguenti: l' Albania settentrionale, in maggioranza cattolica, era irrequieta e combattiva, pronta a passare in armi per non subire soprusi da parte della massoneria centrale; l'Albania centrale, in prevalenza mussulmana, appariva più politicante che combattiva, e quindi propensa alle piccole lotte per il predominio dei singoli più che all'azione collettiva; 25
quella meridionale infine, in gran parte ortodossa, risultava più civile ma anche apatica e scarsamente combattiva, incline ad assistere ag1i avvenimenti polemizzando per poi seguire, al momento opportuno, la corrente che sembrava avere più facile sbocco con una tendenza generale alla salvaguardia degli interessi privati. Per quanto riguardava la frontiera con la Jugoslavia, risiedevano oltre confine numerosi esponenti del fuoriuscitismo sempre pronti, con 1'aiuto del Paese limitrofo, a svolgere azione perturbatrice e rivoluzionaria, tutti però estremamente individualisti per cui l'accordo fra loro o non era possibile ovvero, qualora fortunosamente raggiunto per la mediazione di terzi, non avrebbe potuto che essere effimero. La re1azione del gen. Pariani continuava con i1 paragrafo f) relativo alle forze armate: «L'Esercito - IL generale Aranitasi, Comandante della Difesa Nazionale, esplica la sua azione di comando con l'arbitrio e la brutalità e quindi è inviso alla maggior parte dei dipendenti. La sua autorità deriva solamente dalla fiducia eh.e in lui ripone il re, al quale è devoto e fedele. Gli ufficiali superiori non danno, tutti, garanzie di assoluta fedeltà. La presenza del re impone ad essi subordinazione, tranquillità ed un apparente assenteismo dalle situazioni locali: perà il giorno in cui il re venisse a mancare, alcuni di essi (specialmente Hysnj Dema e Fiqri Dino) riprenderebbero a seguire senz'altro le vecchie tendenze personali, determinando una pericolosa scissione nei quadri dell'Es-ercito. Gli ufficiali inferiori e la truppa possono considerarsi elementi tranquilli e subordinati. !11 sostanza, l'Esercito si potrà ritenere, complessivamente, elemento d'ordine e di fiducia fino a quando in esso non si determinino scissioni provocate da interessi personali e locali. I Comandanti di Gruppo, da me interpellati in proposito, mi hanno assicurato che, tolto di mezzo l 'Hysnj Dema e sorvegliato il Fiqri Dino, si sentono di rispondere delle loro truppe. La Gendarmeria - È in completa disorganizzazione e su di essa non può farsi, allo stato attuale, nessun affidamento. Il comandante di essa, maggiore M. Bajraktari, uomo astuto e falso, appartiene alla categoria degli ufficiali superiori politicanti ed è legato ad interessi locali nel Kossovo albanese. La sua azione, più che a creare una gendarmeria nazionale, si è ridotta a reclutare personale à lui devoto. È elemento da sorvegliare attentamente. 26
La Milizia (Premilitare) - È in via di organizzazione. Se riuscirà ad affermarsi prima del verificarsi di gravi avvenimenti, potrà essere considerata elemento d'ordine e di sicuro affidamento. È attualmente comandata dal gen. Leon de Ghjlardi, vero capitano di ventura, senza scrupoli, con animo e mente di rivoluzionario, ma che si può guidare. IV. PROVVEDIMENTI DA ADOTTARE Determinatasi così la situazione in sintesi, è opportuno concretare i provvedimenti che dovrebbero essere attuati, sia in Albania che in Italia, per poter fronteggiare, tempestivamente ed efficacemente, qualsiasi eventualità. A. In Albania ,, La, prima necessità, come ho già accennato è quella di costituire L'Autorità Centrale. Per quanto non vi siano esponenti che si imponf?ono, pure vi è sempre una bandiera da sventolare, quella della "Regina Madre". È una bandiera di scarso valore per sè stessa, ma intorno aLla quale potrebbero essere raccolti gli uomini di maggior energia (Kotta, A1usa, Yuka, ]ella) per dare immediatamente a tutti l'impressione che esiste un 'Autorità Centrale investita di pieni poteri. Tale Autorità dovrebbe, inizialmente, svolgere azione intesa ad assicurarsi la fedeltà delle forze armate ed a consolidare il prestigio e Le funzioni delle autorità periferiche, sostituendo immediatamente i funzionari che si mostrassero infedeli. Per agevolare l'azione di tale Autorità Centrale, che dovrebbe agire secondo nostre direttive, :Sarebbe necessario da parte nostra tenere fin d 'ora, in forma assai cauta e da stabilire caso per caso, contatti con i capi più influenti delle varie wne senza trascurare alcuni capi minori che pure hanno qualche influenza. Questi esponenti dovrebbero essere trasportati nella nostra sfera d 'azione per averli, in caso di morte del re, quali nostri collaboratori nel lavoro da svolgere per un tranquillo trapasso di poteri. La Loro collaborazione dovrebbe essenzialmente consistere nel garantire la tranquillità delle rispettive sfere di influenza. Essi non dovrebbero essere autorizzati o spinti ad ordire intrighi o complotti per azioni comunque intese a far predominare tendenze o partili, ma limitarsi a mantenere l'ordine nelle rispettive wne di influenza ed attendere nostre disposizioni. Costituita l'Autorità Centrale ed assicurato il complesso delle autorità periferiche, si dovrebbe provvedere alla più rigorosa ed inflessibile vigilanza su tutti gli elementi che non diano la certezza di assecondare l'azione 27
del governo, ed essere pronti a mettere il Paese in stato d'assedio al primo indizio di disordini. La maggiore compattezza dell'Esercito dovrà essere assicurata togliendo dalle sue fila, al momento opportuno, gli ufficiali di dubbia .fedeltà e scarso senso di disciplina, sostituendoli con altri di maggior fiducia. In ogni caso i reparti dovranno essere tenuti concentrati per essere impiegati riuniti, con rapidità ed energia, solo in casi estremi ed agli ordini diretti dell'Autorità Centrale. Potrebbe inoltre essere attuata una mobilitazione parziale, per togliere dalla circolazione elementi facilmente influenzabili da turbolenti. Le autorità per{f'eriche avrebbero a loro disposizione la Milizia e quel poco di Gendarmeria che riuscissero a tenere inquadrata». Dopo aver esposto anche una se1ie di misure in tema di propaganda e contropropaganda da prendere nei confronti dell'opinione pubblica albanese, imperniate ovviamente sul controllo della stampa e de1le comunicazioni, e le predisposizioni di massima da adottare in Italia per il concentramento nei porli pugliesi dei reparti di pron(o impiego delle unità destinate a far parte del corpo di spedizione, la relazione così terminava: «La nostra azione dovrebbe, naturalmente, essere svolta con energia ma nello stesso tempo con grande tatto, tenendo conto delle particolari situazioni e della mentalità albanese che vuole salvate ad ogni costo le forme esteriori. Per parte mia faccio ogni .~forzo per trasformare quasi in apostolato l'azione degli u:fliciali italiani qui in missione, richiamandoli spesso ad un tenore di vita severo ed improntato alla necessità di tenersi pronti a fronteggiare, con serenità di mente e di cuore, qualsiasi eventualità. Altra volta abbiamo dovuto ripiegare dall'Albania per adattamento ad un'incerta situazione (oltre che per debolezza politica) e rammento quindi sempre a tutti che non siamo qui per distrarci in una più o meno scomoda guarnigione, ma per essere in grado di fronteggiare situazioni in maniera ri.,pondente alla missione a:flìdataci» (9). Di particolare interesse ri sultava anche il paragrafo «Atteggiamenti particolari verso gli italiani» facente parte di un rapporto inviato poco meno di un anno dopo. Esso era preceduto da una premessa nella quale l'addetto militare sottolineava come il governo albanese cercasse, nella sua quotidiana attività, di non fare cose contrastanti con la politica e gli interessi dell'Italia dando (9) AUSSME, G29-l prot. 80 RP del 27.12.1930, da Add. Mii. Tirana a Ministero Guerra-Gabinetto, Ufficio Coordinamento e p.c. al S.I.M., f.to gen. Pariani.
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però nel contempo aJropinione pubblica mondiale l'impressione che il Paese avesse una propria i~1trinseca vitalità senza essere aggiogato al carro della politica italiana. Tale intento era in effetti un vero gioco di destrezza che, d'altra parte, non avrebbe potuto essere svolto con successo che da.).lomini di qualità superiori alla media, il che certamente non poteva dirsi per una classe dirigente che si dimostrava priva anche di quelle più comuni. Ad ogni modo, pur se si andava sempre più facendo strada fra gli albanesi la convinzione che gli italiani fossero i loro amici più sinceri ed affidabili, non era da credere che la grande maggioranza si dimostrasse a noi favorevole. Il gen.Pariani così si esprimeva: « Vi sono ancora parecchi elementi che ci contrastano il passo; di questi: a) Alcuni conducono un 'attiva propaganda contro di noi, perché sovvenz ionati regolarmente da Nazìoni che non desiderano la nostra affermazione in questo Paese. Essi preoccupano poco, perché agiscono per mestiere e sono pertanto alla mercé del migliore offerente. h) Alcuni sono a noi ostili, perché La nostra penetrazione in Albania procura ad essi una reale perdita jìnanziaria. Sono questi commercianti ed industriali che cercano, invano, di far concorrenza ai nostri commercianti ed industriali. Questi scontenti si potrebbero eliminare, o per lo meno ridurre, associando le due attività. c) Alcuni imprecano contro di noi, perché nelle organizzazioni sottoposte al noslro controllo impediamo che si facciano abusi ed illecite speculazioni. Questi sono, in genere, funzionari dello Stato, ed anche essi non preoccuparw, perché il pop olo è con noi nel condannarli. d) Alcuni diffidano ancora di noi, perché non ritengono ancora scomparso il p ericolo di una nostra occupazione. Sono in p ochi che danno peso a frasi minacciose, sfuggite a qualche italiano in momenti di sconforto o di ira, quale ad esempio: «Suonerà presto l'ora in cui verremo a torcervi il collo". e ) Alcuni si mantengono lontani da noi p erché sperano in un a vvenire migliore della loro Palria; questi sono gli idealisti illusi, i quali credono di arrivare preslo ad una confederaz ione balcanica che as.\·icuri all'Albania una completa autonomia» (10) .
(10) AS-D MA E, Affari Politici, Albania, b.7/193 1, «Militari italiani in Albania» , fascicolo «Rapporti del R. Addetto Militare», rapporto N. 2632 dell' Add. Mii. a Ministero guerra trasmesso da R. Legazione Tirana a MAE con prot. 2340/1038 del 28.9.193 l. Nello si.e sso fascicolo sono contenuti altri rapporti (N. 261 i ~2612-2627-2629) tra-
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3. La crisi nella collaborazione militare Nello stato d'animo descritto, re Zog lasciò decorrere nel 1931 la scadenza del patto di amicizia e sicurezza con 1'Italia senza pertanto rinnovarlo. A Roma allora fu deciso il rimpatrio del gen. Pariani, verosimilmente perché ritenuto responsabile di tale mancato adempimento, che venne sostituito nel 1932 dal colonnello d'artiglieria Riccardo Balocco. Una volta giunto a Tirana, questi si rese conto del come la situazione stesse progressivamente deteriorandosi, con il nostro rappresentante diplomatico in chiave di freddezza con il governo albanese e questo a sua volta, ritenutosi offeso dal richiamo del gen. Pariani ed allarmato per una sospettata intesa italo-jugoslava ai propri danni, irrigidito in un atteggiamento di rancorosa autonomia. Ad aggravare il tutto, l'iniziativa del re di ricusare la legittimità del col. Balocco quale capo della Missione Militare in quanto, rivestendo anche le funzioni di Addetto presso la Legazione, sarebbe stato troppo legato a questa ed alla relativa posizione politica.Nel dare comunicazione di ciò al tcn .co1. Tripiccione, che svolgeva le funzioni di Sottocapo di Stato Maggiore presso il Comando della Difesa Nazionale, lo indicò quale suo unico interlocutore italiano per le questioni militari. Era chiaro l'intendimento governativo di logorare l'immagine e l'opera della nostra Missione Militare e dell'Italia in generale, così come dimostrato dall'adozione di una serie di penalizzazioni fra le quali la sospensione di ogni attribuzione di comando ai nostri istruttori, il divieto di scendere a terra agli equipaggi di una squadra navale italiana giunta a Durazzo e la chiusura improvvisa delle numerose scuole cattoliche da noi sostenute (una misura, quest'ultima, che attirò contro il re il risentimento dell'episcopato cattolico albanese, andato da quel momento ad accrescere la schiera dei già numerosi oppositori di Zog e dei suoi fiduciari). Il deteriorarsi dei rapporti non poté non riverberarsi negativamente, nella seconda metà degli anni Trenta, sul lavoro dei comandanti militari italiani e di conseguenza sulla globale situazione del!' esercito albanese. Ne faceva fede una relazione rimessa nel set-
smessi in pari dat<1, concernenti argomenti burocrati ci e di ordinaria amministrazione, e 2 notiziari politico-militari sulla Jugoslavia compilali sempre dall'Addetto Militare a Tirana e da questi rimessi alla locale Lega7.ione ilaliana (n. 4, · prot. 308 RR. del 26.6.1931, Lto gen. Pariani e n. 6, prot. 4/5 RR. del 20.10.1931 . f.to «per il generale assente» len. col. Manlio Gabrielli).
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tembre 1937 al capo della Missione Militare e Addetto Militare dell'epoca, ten. col. Giovanni D' Antoni, da un ufficiale facente parte della Missione stessa: «Con i precedenti fogli del 25 agosto u.s.e del 20 c.m. ho rappresentato a V.S. il grado di addestramento raggiunto in quest' anno dai reparti dell'Esercito albanese, addestramento rivelatosi assolutamente insufficiente. Se si pone tale fatto in relazione ai seguenti: - mancato addestramento di riservisti; - nessuna attuazione, per quanto riguarda mobilitazione e servizi, delle proposte fondamentali presentate dal sottoscritto a fine gennaio e.a. (sebbene dichiarate approvate dal re nel marza scorso); si può e si deve senza alcun dubbio affermare che l'esercito albanese è oggi completamente a terra. Ma più che indugiarci sulla situazione attuale, interessa vedere quale potrà essere quella di domani. Un esame allento ed obiettivo ci conferma: a) Truppa - proveniente da una popolazione soggetta a forti privazioni ed a gravi malattie, che ne diminuiscono notevolmente la capacità .fisica; - intellettualmente arretrala per atavica compressione delle meningi e tale per molto tempo ancora, a causa della mancanza di scuole e di maestri idonei (percentuale fortissima di ana{fabeti); - moralmente abituata a subire ed a praticare miserie ed ingiustizie, senza una scintilla di a.\pirazioni superiori; - assolutamente priva di senso nazionale e di tradizioni; - si presenta come una massa amorfa e passiva. b) Sottufficiali: una vera desolazione! Non può essere diversamente, se si pensa che gli attuali sottufficiali hanno ricevuto il grado che rivestono per ragioni quasi sempre estranee alla loro capacità professionale. IL sistema viene perpetuato e, quindi, non si possono fare previsioni migliori per L'avvenire. c) Ufficiali. Si possono distinguere in 3 gruppi: 1) quelli che non hanno né capacità pratica né fondamento teorico; 2) quelli che hanno qualche pratica, ma nessun fondamento teorico; 3) quelli che hanno una preparazione teorica, ma nessuna pratica. I primi sono quelli pervenuti ai gradi maggiori per ragioni che 31
nulla hanno a che vedere con la capacità professionale; naturalmente questi ufficiali, henché inetti, non vengono eliminati e ciò ,\JJiega perchéfino ad oggi, malgrado l'esuherante numero di ufficiali in S.P.E., nessuno è stato eliminato per incapacità. l secondi sono quelli che hanno compiuto studi di carattere pratico sotto la guida di ufficiali italiani. Costretti fra quelli che hanno maggiori titoli di studio e quelli che non ne hanno affatto (ma rivestono gradi superiori) costituiscono una massa sfiduciata, inerte, che sta perdendo l'unico pregio: la poca pratica. La terza categoria è data dai cosiddetti «accademisti», che hanno compiuto i loro studi negli istituti militari italiani. Di essi alcuni (ben pochi) hanno qualche capacità; ma i più sono mediocri, perché diventati ufficiali grazie alla estrema indulgenza delle commissioni esaminatrici. Di tale indulgenza ho certezza per gli anni trascorsi quale uJTiciale superiore addetto agli studi, al Comando dei due Istituti di Torino. Cosicché, ritornati in Albania (dove manca loro la possibilità di integrare con la pratica la scarsa dottrina acquisita nelle nostre scuole) ed avversati dagli altri colleghi, si lasciano riprendere (anche per le qualità intrinseche della razza e per L'influenza dell 'ambiente corrotto) dall'inerzia più completa. Mancano assolutamente gli ufficiali che, ad una discreta preparazione ieorica, uniscano una certa competenza pratica. Se a ciò si aggiunge lo scarso conto in cui gli t1.;fj'iciali sono tenuti dalla classe dirigente e la scarsa stima di cui godono presso la popolazione, sarà fa cile capire come la massa dei medesimi sia demoralizzata, senza alcun desiderio di migliorarsi e portata, anzi, a creare le condizioni più propizie per l'indisciplina ed il disordine. Un tale stato di cose lascia intravedere come nel prossimo futuro i nuovi ufficiali saranno decisamente peggiori. Il sottoscritto ha già fatto presente, infatti, che alla formazione dei nuovi quadri mancano, e mancheranno sempre più, gli elementi idonei perché la massa dei giovani ha basi culturali assolutamente deficienti, qualità fisiche mediocri, ed alla vita militare aspirano orm,ai solo individui dalle condizioni sociali più che modeste ( contadini o pastori in gran maggioranza). La vera causa, però, per cui non potremo sperare in un miglioramento dei quadri, sta nel fatto - da me ripetutamente controllato - che i cosiddetti intellettuali albanesi sono soltanto capaci di assimilare la parte formale di una istituzione o di un'organizzazione, ma nulla di più. Del resto, un osservatore non superficiale vede subito che tutto lo Stato albanese è basato su 32
una serie di apparenze e di formalismi con i quali si copre una merce molto avariata. A ciò si aggiunge, per quanto riguarda la formazione degli U:fficiali, l'intervento della Corte e delle maggiori personalità per assicurare l'invio «d'ordine» alle scuole militari italiane di elementi cosiddetti fidati od aventi speciali benemerenze di famiglia, non certo adeg~ate qualità intellettuali o morali. È in.falli convinzione generale che l'Esercito sia costituito da gente che porta una divisa per aver diritto ad una paga; ossia, in definitiva, è un «ospizio di mendicità». In sintesi, l'elemento uomo che offre l'Albania è misero sotto il punto di vista.fisico, intellettuale e spirituale. Se poi rifletto: - che il comandante in capo è inetto quanto presuntuoso, nepotista ed odiato da tutti; - che l'ostruzionismo sistematico.fatto agli ufficiali Or[?anizzatori emana dal re; - che l'amministrazione dei fondi è fatta con poco criterio e con molta disonestà; - devo confermare con sicurissima coscienza - dopo un altro anno di pratica esperiçnza fatta nelle più svariate condizioni - le conclusioni cui sono pervenuto nel rapporto del 4 ottobre 1936, e cioè che mancano le premesse necessarie per compiere opera proJicua nel campo dell'organizzazione militare. Sono convinto che, insistendo nei nostri sterili tentativi, continueremo a perdere non soltanto tempo e denaro ma anche prestigio, perché molti sono fra gli albanesi quelli che, sia pure in malafede, addebitano a nostra incapacità l'attuale situazione dell'Esercito. Ho anche la ferma opinione, che non è solo mia, che i nostri sacr(fìci .finanziari non ci procurano nemmeno la iratitudine degli albanesi, compresi quelli che per lunghi anni ha71no beneficiato della nostra cultura nei nostri istituti militari, i quali ci tollerano come si tollera una vecchia amante danarosa alla quale però la mentalità criminale albanese non esiterebbe a dare il veleno alla prima occasione» (11).
4. L"esigenza A.G."
Sempre nel 1937 una serie di nuovi accordi di carattere essen(11) AUSSME, LI0-64/1 , pro!. 216 del 30.9.1937, da Missione Militare italiana in Albania a Capo Missione, f.to ten. col. Mario Bomhagli.
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ziahnente economico e l'impostazione di un ponderoso programma di opere pubbliche sembrò ristabilire fra Italia ed Albania un'atmosfera di formale distensione, promossa dalla prima onde evitare uno stato di aperta crisi in un momento particolarmente delicato per le trattative internazionali in corso. Ma le conseguen:1.e del fermento ostile che continuava ad aumentare in Albania nei confronti del re ricadevano in una buona parte anche sull'Ilalia, che appariva a tutti come il puntello di Zog e che quanto meno non sembrava capace di imporgli una linea di condotta progressista in linea con i tempi. Questi aveva sentore dell'atmosfera di insicure:a.a che lo circondava, consapevole dell.'acccntuarsi delle trame da parte di una sempre più forte opposizione interna e dei fu oriusciti (che parlavano apertamente di un nuovo sovrano nella persona di un principe italiano), e cercò fra il 1938 e l'inizio del 1939 di migliorare i rapporti con l'Italia suggerendo fra l'altro l'eventuale invio di nostre truppe per allontanare minacce esterne. Era forse un modo per esorcizzare la probabilità di que lla spartizione dell'Albania fra Italia e .Iugoslavia in merito alle cui conversazioni fra i relativi ministri degli Esteri era sufficientemente informato. Cercò di giocare d'anticipo, offren do il proprio concorso militare nell 'eventualità di un' azione itaJiana contro la Jugoslavia: ritenendo il nostro intervento pressoché inevitabile, cercava di rare buon viso a cattivo gioco, sfruttando quello che poteva essere ancora considerato un comodo appoggio al proprio regime e confidando in qualche guadagno territoriale (la regione del Kossovo) a spese dei vicini. La risposta di Roma pervenne sollo forma di un bozza di trattato di alleanza che, in pratica, trasformava l'influenza italiana in Albania in qualcosa di molto simile ad un mandato. La situazione internazionaie, in quegii ultimi due anni, era stato oggetto di repentine dinamiche. L' occupazione dell'Albania da parte italiana, adombrata si n dal 1937 da Ciano (12), era stata ( 12) Galeazzo Ciano (19<n-1944), diplomatico, geru;:ro di Mussolini per averne sposato la primogenita Eclda, dopo una seni;: di incarichi all 'estero divenne nel 1935 solloscgrctario di stato e poi ministro per la slampa e la propaganda Dal giugno 1936 al febbraio 1943 resse il dicastero dt:gli esteri, patrocinando nel 1939 l'occupazione dell' Albania ed assumendo una posizione contrnria all ' intervento in g uc1rn dell'Italia a fianco d ella Germania, pur avendo rivestilo un molo di primo piano nelle trattative che avevano portato pochi mt:si p1ima alla firma del «palio d ' acciaio» con i tedeschi; fu il massimo caldcggiatore presso Mussolini della campagna di Grecia. Rimosso dalla carica e div<::nuto ambasciatore pr<::sso la Sanla Sede, nella seduta del (ìran Consiglio del fascismo dd 25.7.1943 votò a lavorc dell'ordine del giorno Grandi contro il Duce. Rifugiatosi sconsidcrntamenle in Gennania, contando di
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OCCUPAZIONE
OELL' ALBANIA
/\ . / \.,._,....,......_
-.
APRILE
1939
•"-011,cJ"l.
Scala l:l.000.000
CARTINA. N. 1 - Le direttrici del/ ' occupazioni italiana fi"a il 7 ed il 1O aprile 1939 (da Montanari M. , «Le truppe italiane in Albania, anni 1914 -1920 e 1939», Roma,VSSME, /978, pag. 26R)
potersi da lì tra~ferire in Spagna senza tener conto dell'ostilità che da patte tedesca si nutriva nei suoi confronti sia per il suo pregresso atteggiamento germanofobo che per quello assunto il 25 lug lio nei 1iguardi del suocero, dopo 1'8 settembre fu in prntica trattato come un prigioniero ed in questa veste consegnato alle autorità della RSl. Condannato a molte nel processo svoltosi a Verona nel gennaio 1944, non scampò alla rucilazionc nonostante gli sfor7i della moglie Edda per barattmnc la salvezza con la consegna ai tedeschi del famoso «diario», un documento di grande intcrcssc per le vicende ital.iane fra g li ultimi anni Trenta ed i primi anni Quaranta e reso pubblico poi nel dopoguerra.
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riproposta a Mussolini nel 1938 all'indomani dell'annessione tedesca <lell' Austria con l'intento di affermare sia l'autonomia dell'Italia rispetto alla Gennania e sia la presenza di forti interessi italiani nei Balcani. TI capo del governo aveva però rinviato l'esecuzione dc] progetto, preferendo che esso venisse attuato d'intesa con la Jugoslavia, ma in quel primo scorcio del 1939 si trovò nella necessità di dover agire da solo, dopo la caduta del ministro degli esteri jugoslavo Stojadinevic e della relativa politica lìlofascista. Ed il 7 aprile ebbe inizio lo sbarco italiano in Albania, che nello spazio di tre giorni portava a compimento l'occupazione di tutto il territorio (13). Ma a prescindere da quello che sarebbe stata la soluzione finale della questione albanese, lo Stato Maggiore italiano aveva elaborato nell'autunno del 1938 alcune direttive relative ad una «Esigenza A.G.», dove la sigla avrebbe potuto voler indicare, secondo quanto suggerito dal contenuto del documento, le parole «Albania Grecia». L'assunto operativo era l'invio di truppe in Albania per assicurarsi, con il concorso dell'esercito locale: a) il possesso del bacino petrolifero del Devoti (iJ fiume del1a zona centro-meridionale che, decorrendo verso Nord-Est confluendo con l'Osum, formava il Samani sfociante nell'Adriatico), del porto di Valona e della zona interposta attraversata da un oleodotto; b) la padronanza del canale di Otranto e di Corfù, spingendo l'occupazione fino alla zona di Butrinto, la località dell'Egeo settentrionale posta fra la laguna omonima ed il canale di Co1fù nei pressi del confine con la Grecia. Lo scopo dell'impiego del corpo di spedizione era quindi que11o di garantire, in concorso con le forze albanesi preposte ad una difesa ad ollranza, l'integrità del ridotto centrale che dalla zona a Sud di Scutari, facendo perno sui caposaldi fortificati di Mileti e Librash raggiungeva, attraverso Klisura e Tcpeleni, il lago di Butrinto. 11 presupposto strategico considerava la Grecia nemica, la Jugoslavia neutrale (non escludendo però anche l'eventualità di un orientamento favorevole nei confronti della prima) e l'Albania alleata, e che la Grecia, spinta da altre nazioni ostili all'Italia, con improvvisa azione offensiva iniziale avrebbe cercato,di raggiungere l'importante obiettivo economico del bacino petrolifero del Devoli ed il porto di Valona.
(13) Fuggito re Zog, sollo l'egida italiana fu costituito un nuovo governo ed indetta un' Assemblea Costituzionale che il 12 aprile volò per l'offerta della corona d'Albania al re Viuorio Emanuele Ili ed ai suoi successori.
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Il documento era stato inviato dall'Ufficio Operazioni dello Stato Maggiore Esercito all'addetto militare a Tirana, col. Manlio Gabrielli, perché lo esaminasse e facesse conoscere le proprie osservazioni in merito. Queste risultavano fondatamente critiche, denotando da parte sua una visione del problema più aderente alla realtà militare e, soprattutto, politica del momento. Circa la prevista improvvisa azione offensiva iniziale da parte greca, tendente al possesso del porto di Valona e della nostra concessione petrolifera al Devoti, il compilatore affermava che se la Grecia avesse voluto prevenire, con azione improvvisa, le forze albanesi ed italiane nei predeui settori sarebbe stato sufficiente che essa avesse agito con gli effettivi di pace, sollecitamente rinforzali, delle 2 divisioni auestate alla frontiera albanese. Data l'assenza di reparti effettivi e di opere di difesa ncll' Albania meridionale , gli obbiettivi indicati avrehhero potuto essere raggiunti nello spazio di 2-3 giorni; tutta 1' Albania del Sud, grecofila al 75 %, avrcbhe aiutato gli invasori. Per raccogliere nel triangolo Tirana-Elbasan-Durazzo una aliquota delle scarse, male inquadrate e male attrezzate forse albanesi , metterla in condizioni di combattere e portarla nella zona Klisura, Tepeleni, passo del Lagora (Valona) sarebbero occorsi da 3 a 4 giorni. Tale aliquota non sarebbe mai riuscita, di fronte ad una improvvisa azione greca, a prevenire le forze avversarie a Butrinto. Un primo scaglione di forze armate non avrebbe potuto giungere in Albania prima di 2-3 giorni dall 'ordine di attuazione dell ' «Esigen za A.G. », ed avrebbe trovato la zona di Butrinto già occupala, la nostra concessione petrolifera già raggiunta dalle truppe greche e la popolazione dell'Albania meridionale tutta schierata in favore dei greci. Il col. Gabrielli poneva poi il quesito se fosse possibile che la Grecia potesse agire improvvisamente conlro l'Albania senza il sicuro appoggio della Jugoslavia, che aveva sempre accarezzato l' idea di far sparire l'Albania dalla carta geografica annettendosi gran parte del suo territorio. Era quindi da presumere che nello stesso momento in cui la Grecia avesse tentato di occupare l'Albania meridionale, la Jugoslavia avrebbe invaso il restante lerritorio. Operando senza il benestare della Jugoslavia la Grecia avrebbe rischiato di subire, a distanza di soli due giorni dal suo gesto avventato, le ostilità dell'Italia, dell ' Albania e della Jugoslavia, il che sarebbe stato irragionevolmente azzardato. Sarebbe stato pertanto da escludere che l' Albania avesse potuto 37
essere attaccata, in un qualunque momento dalla sola Grecia. L'ipotesi più probabile era invece che l'Albania fosse attaccata dalla sola Jugoslavia o da questa e dalla Grecia contemporaneamente. Per quanto riguardava 1'eventualità di un orientamento favorevole a11a Grecia da parte della Jugoslavia, l'addetto militare riteneva che se si fosse ammesso che a seguito dell'intervento greco potesse ve,ificarsi anche quello jugoslavo, sarebbe stato logico pensare che questo nuovo intervento avrebbe avuto luogo prima dello sbarco de11e forze italiane in Albania. Era quindi da prevedere un'azione rapida anche da parte della Jugoslavia, che avrebbe potuto essere svolta dalle tre divisioni attestate alla frontiera albanese. Anche queste unità avrebbero potuto essere al Devoli, a Tirana cd a Durazzo ne11o spazio di 2-3 giorni. Le scarse, male inquadrale e male attrezzate forze albanesi sarebbero state sicuramente travolte, le fortificazioni di Miloti e Librash abbandonate ed il primo scaglione delle forze italiane anticipato nelle località di sbarco. H compilatore prendeva infine in esame il paragrafo del documento concernente le «prescrizioni», ed in particolare quella in base alla quale il Comando del Corpo d'Armata di Bari avrebbe dovuto studiare la dislocazione iniziale del corpo di spedizione in ten-itorio albanese. Pur ammettendo che le forze albanesi avessero potuto trattenere que11e greche e jugoslave al margine esterno del ridotto centrale fino a]J'an·ivo delle nostre truppe, il che appariva al momento impensabile, egli faceva rilevare l'impossibilità da parte del suddetto Comando di procedere alla pianificazione dello schieramento delle proprie unità tenendo conto di quello albanese, dal momento che questo non era mai stato preso in esame da noi congiuntamente alle autorità locali e nella consapevolezza che, comunque, qualunque decisione a tale riguardo non avrebbe dato, allo stato in atto dei rapporti italo-albanesi, alcuna garanzia di applicazione da parte loro. Ragioni di prudenza avrebbero consigliato quindi di studiare un piano di intervento e di difesa del porto di Valona e d~lla nostra concessione petrolifera, considerando Grecia e Jugoslavia al1eate od a noi ostili e non facendo assegnamento sul1e forze albanesi. Ma se si considerava, come era logico considerare, la possibilità di un attacco contemporaneo ed improvviso greco-jugoslavo contro l'Albania, non si poteva non riconoscere che molto difficile sarebbe stato ottenere, nella situazione del momento, la tempestività del nostro intervento a difesa dei porti albanesi e tanto meno della concessione 38
petrolifera. La tempestività di questo intervento avrebbe potuto essere assicurata solo allorché avessimo dato piena efficienza all'esercito albanese, organizzato validamente a difesa questo Paese ed avessimo potuto fare affidamento sulla sua fedeltà. Che tali condizioni fossero ritenute necessarie dall'ambiente militare responsabile delle eventuali operazioni_ in Albania era provato dal fatto che in ogni progetto di un nostro intervento in quel territorio, a tutela dei nostri interessi minacciati da jugoslavi e greci, si ammetteva che le forze armate albanesi avrebbero concorso alla nostra azione arrestando per alcuni giorni, su una detem1inata linea, gli eserciti invasori. Ma - e qui l'impostazione critica dell'analisi valutativa del col. Gabrielli era chiaramente indirizzata a11 'atteggiamento di Ciano, per non pochi aspetti fluttuante e contraddittorio - la direttiva politica del momento era che non si curasse l'efficienza, né la mobilitazione, né l'eventuale impiego dell'esercito alleato, non si proseguisse l'organizzazione a difesa del territorio albanese e non si favorisse una chiarificazione dei rapporti fra i due Paesi. Di fronte a tale stato di cose, l'addetto militare concludeva che sarebbe stato opportuno dare al comandante del Corpo d'Armata di Bari, nel caso di attuazione dell'esigenza «A.G.», la disposizione di massima di sbarcare con le misure di sicurezza e di agire in modo tale da assicurare al più presto il po.ssesso e la difesa del porto di Valona e della concessione petrolifera, fermo restando che le notizie sulla situazione delle forze albanesi sarebbero stati fornite sul posto (14).
( 14) AUSSME, LI0-64/4, senz:a indicazioni di prot. datato dicembre 1938 (in risposta al documenlo «Esi genza A.G» inviato dallo Stato Maggiore Esercito - Ufficio OPR ali' Addello Militare a Tirana con prot. 7550 S. del 27.10.1938), f.to col. Gabriclli.
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Il ~en. Alberto /'ariani. addello mililare in Albania dal 1927 al 1932 (*)
J\lhania, aprile 1939: carri «veloci» italiani attraversano un abitalo
(*) Tulle k immagini fotografiche riprodotte provengono della fototeca USSME.
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Albania. aprile /939: guerriglieri catturati dalle !ruppe italiane
Tirana, /939: .mld111i albanesi prestano il giuramenlo di fedeltà al Re;:n.o d'Italia
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Capitolo II AUSTRIA
La nascita della repubblica austriaca, il 12 novembre 1918, fu il segno più vistoso della rottura rispetto al passato quale conseguenza immediata della 1a guerra mondiale. La distruzione del vecchio sistema trovata il suo simbolo nella creazione di questo piccolo Stato, espressione e retaggio di un impero sconfitto per conto del quale era sottoposto a misure di disam10 ed al pagamento di riparazioni ma, soprattutto, ad una condizione politica di importanza determinante, la proibizione di unirsi alla Germania. Come sc1ive Di Nolfo, di tutte le «creazioni» volute dai vincitori nel 19 19-1920, questa della repubblica austriaca era forse la più arbitraria e ricca di potenziali conseguenze negative (l). Si creava infatti uno Stato sulla cui vitalità, al momento, nessuno sarebbe stato in grado di azzardare previsioni re,ùisLiche; anzi, i più erano così certi dell'impossibilità della sua sopravvivenza da ritenere che l'unica alternativa valida fosse, se pur proibita, l'annessione alla Gemiania. Eppure, anche se priva di vitalità intrinseca e probabilmente senza una effettiva consapevolezza della reale portata delle decisioni da parte di coloro che le avevano prese, la piccola repubblica veniva a costituire una delle cerniere più importanti di Lutto il sistema di nuovi equilibri che i trattati di pace avevano costruito o tentato di costruire. Infatti, un'Austria indipendente rappresentava il crocevia dove confluivano tutte le potenziali istanze revisionistiche indotte dagli stessi trattati, facendole acquistare un ruolo geopolitico di primo piano per il quale non aveva però la statura e lo spessore. La sua indipendenza salvaguardava l'Italia da un eccesso di pressione ledesca sul confine del Brennero, ed anche da una ripresa dell'influenza globalmente esercitata prima della guerra della Germania nell'area balcanica (discorso che ':,aleva anche per la Francia e l'Inghilterra, pur se in termini più diluiti stante la non contiguità territoriale con l'Au stria), per la quale era d'altro canto scontai.o prevedere che, non appena ripristinata un' adeguata auto( 1) Di Nolfo E ., «Storia delle rela7.io ni internazionali 1918- l 992», Bari, Latcrza, 1994, pag. 56
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nomia politico-militare, avrebbe primariamente ri vo1to i1 proprio interesse alla picco1a nazione 1imitrofa in nome dei tanti legami etnici e storici in comune. In Austria le e1ezioni per la Costituente nel febbraio 1919 dettero la maggioranza relativa ai socialdemocratici Otto Bauer e Karl Renner (2), influenti soprattutto a Vienna, seguiti a corta distanza dai cattolici del partito cristiano-socia1e che avevano un 1argo seguito nelle campagne e che, dopo 1'approvazione della Costituzione nel 1920, assunsero progressivamente la direzione politica del Paese espressa attraverso i governi presieduti da lgnaz Seipel (3) tra il 1922-1924 ed il 1926-1928, con un orientamento nettamente conservatore che dette luogo ed una violenta reazione socialdemocratica culminata nella sanguinosa insurrezione operaia di Vienna nel 1927. La restaurazione de11'ordine fu attuato da Engelbert Dolfuss, giovane uomo politico (era nato nel 1892) di matrice cristiano-sociale e Cance11iere dal 1932 che, contrario all'annessione dell'Austria alla Germania, pose fine alle agitazioni interne socialdemocratiche e comuniste ed alle pressioni nazionalsocialiste esterne ed interne, sciogliendone e mettendone fuori legge le rispettive organizzazioni, aggiornando suo malgrado a tempo indeterminato 1e attività parlamentari e decretando anche limitazioni a11a libertà di stampa e di riunione. Nel febbraio 1934, dopo violenti moti popolari a Vienna ed a Lienz, prolungò una nuova Costituzione che istituiva in pratica uno Stato autoritario, federale e corporativo con assemblee esclusivamente consultive. Dopo aver invano cercato garanzie protettive nei confronti dell' Anschluss (la riunione con la Germania) da parte della maggiori potenze europee, ottenendo però so1o l'adesione dell'Italia, venne ucciso il 25 luglio 1934 da e1ementi nazionalsocialisti austriaci che, assa1tando la Cancelleria durante un tentativo di putsch fallito anche per la reazione di Mussolini, che aveva messo in al1arme 4 divisioni acquartierate fra il Brennero e Tarvisio avvicinando alcuni loro reparti alla frontiera, volevano accelerare i tempi de11a rea1izzazione annessionistica che avrebbe poi avuto luogo nel 1938.
(2) Karl Rcnncr (1870-1950), esponente del partito socialdemocratico austriaco che rappresentò in Parlamento sin dal 1907, autore di diverse opere di carattere economico, eletto nel 1945 alla presidenza della repubblica. (3) Ignaz Scipcl (1876-1932), monsignore, esponente del partito cristiano-sociale au striaco, due volte Cancelliere durante gli anni Venti.
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1. L'occultamento ed il contrabbando di materiale bellico Uno dei problemi più complessi che l'addetto militare italiano a Vienna dovette affrontare negli anni immediatamente successivi alla fine della }a guerra mondiale fu quello degli ingenti materiali bellici esistenti in Austria che, al di fuori della quantità consentita dal trattato di pace per le esigenze dell'esercito di quel Paese, erano divenuti proprietà degli Alleati ed in particolare dell'Italia che ne era t1;butaria per il 70%. L'Austria aveva in effetti sviluppato, nel corso del conflitto, una notevole produzione di armamenti che al termine delle ostilità, data la prossimità con la linea del fronte italiano, avevano potuto essere trasportati al seguito dei resti dell'esercito imperiale nelle province del Tirolo, della Carinzia e della Stiria. I depositi territoriali delle armate operanti dislocati ncl1e circoscrizioni di Innsbruck, Lienz, Graz e soprattutto Vienna erano pertanto provvisti di materiale d'ogni specie, e poiché il controllo esercitato in Ungheria non aveva rivelato che scarse quantità, risultava che, a parte le aliquote rimaste in Cecoslovacchia e nelle zone balcaniche, la maggior parte degli armamenti dell'ex-esercito imperiale non catturato dalle truppe italiane era rimasto all 'atto dell'armistizio entro i confini di quella che era divenuta la repubblica federale austriaca (4 ). La Commissione Militare Interalleata di Controllo (C.M.I.C.) prevista dal trattato di pace entrò in funzione nell'ap1ile 1920, con il compito di provvedere alla totale requisizione di tutti i materiali bellici eccedenti le necessività militari, peraltro ormai ridotte, del1' esercito au striaco. Ma le resistenze poste dal governo locale e soprattutto il prematuro scioglimento della C.M.I.C. nel rebbraio 1921 fecero sì che gran parte dei quantitativi eccedenti rimasero sottratti al controllo e fossero occultati. L'Organo di Liquidazione, piccola struttura che aveva sostituito la Commissione, se riusciva spesso a scoprire questi depositi nascosti di sponeva tuttavia di mezzi limitati, e le operazioni di polizia risultavano molto delicate sotto vari aspetti e per molteplici ragioni ed interessi. L'Austria costituì in quei primi anni post-bellici un vasto arsenale, fonte di pericolo non tanto per un eventuale, improbabile (4) Con il lrallalo di pace di Saint Germai n en Laye del 1O.'>.1919 l 'Austria fu ridotta ad un ottavo dei suoi antichi territori imperiali, priva di sbocchi al mare e con soli 6 milioni di abitanti dei quali quasi 2 concentrati a Vienna.
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impiego da parte di questo Paese ormai privo di ogni velleità quanlo invece per quello che avrebbe potuto essere messo in atto dalle nazioni limilrofe. Era infatti piuttosto palese la connivenza di rappresentanti dei Paesi balcanici con il governo austriaco per mantenere celate alla C.M.l.C. quantità così rilevanti di materiale bellico che poi venivano vendute ai primi, come era dimostrato, ad esempio, dal fatto che gli ufficiali serbi erano assolutamente refrattari a fornire indicazioni dei luoghi dove i materiali erano nascosti prima di aver avuto la promessa che gli stessi sarebbero stati ceduti loro a prezzi minimi. Si verificava, in questa atmosfera di spregiudicato ·· affarismo, il paradosso che proprio uno Stato appartenente alle Potenze alleate cd associate si facesse attivatore in un Paese exnemico di gravi deroghe al tratlalo di pace. Il problema avrebbe dovuto essere affrontato con serietà, laddove lo si fosse effettivamente voluto, in seno alla Conferenza degli Ambasciatori, affinché questo consesso avesse richiamato al rispetto degli accordi internazionali sia i Paesi ai quali gli stessi erano stati imposti e sia quelli che li avevano imposti, che se avevano il dirit.t.o di vederli rispelJali avevano anche il dovere di rispettarli a loro volta. Qualunque fosse la corrente del contrabbando, le conseguenze avrebbero polulo essere mollo gravi, tanto che essa si orientasse verso Germania ed Ungheria, ex-alJeate austriache durante la guerra, non appena gli organi di controllo venissero ritirati o ridotti, quanto verso le nazioni facenti parte della Piccola Intesa (5) sempre presenti e vigili su tutti i mercati di armi per accrescere e perfezionare le dotazioni dei rispetlivi esercili. Come segnalava l'ambasciatore italiano in Francia Romano Avezzana (6), di fronte alle violazioni delle clausole militari del trattato di Saint Germain compiute dall'Au stria la Conferenza degli Ambasciatori non aveva agito con la stes sa energia usata nei confronti della Ge1:mania, dell'Ungheria e della Bulgaria, mostrando una sensibilità più o meno genuina alle gravi condizioni economiche apposte dal governo austriaco quale affidabile paravento per tutti i casi di sottrazione agli obblighi derivanti dalle condizioni del trattato di pace (7). (5) Raggruppamento politico-diplomatico costituito nel lebbraio 1920 da Cecoslovacchja, Romania e Jugoslavia nell'intento ài spa1tirsi i territorì dell'Aus11ia-Ungheria e di impedire qualsiasi tentativo di rivincita o di restaurazione dell'antica monarchia. (6) Camillo Ro mano Avezzana (1867- 1949), d iplo matico, a mbasc iatore a Washing lon dal 191 9 al 1921 ed a Parigi d al 1922 al 1927. (7) AUSS ME, EX- 172/1 , prot.1027/426 d el 2 1. 3. 1923, da ambascialore ilaliano a Parigi a Ecc. Mussol ini mini stro Affari Esteri , Lto Romano Avezzana.
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L'addetto militare italiano a Vienna, all'epoca il ten.col. di cavalleria Giuseppe Franchini Stappo, fu naturalmente coinvolto in prima persona nel problema, rivestendo fra l'altro anche l'incarico di membro della C.M.I.C. Un documento del novembre 1921 confermava l'attivismo serbo-jugoslavo: «Avevo riferito in un precedente promemoria come vi fosse in Austria una Commissione di alti ufficiali e personalità serbe, con incarico di acquisto di materiale bellico. l.Ll R.Legazione d'Italia a Vienna ha avuto per proprio conto con:fèrma della cosa; infatti le è stato comunicato in via riservatissima e da fonte molto seria (un diplomatico non dell'Intesa) che si troverebbero a Vienna il sig. Dimitrievù:h Harrer, alto funzionario del Ministero degli Affari Esteri di Serbia ed alcuni delegati del Ministero della Guerra serba, incaricati di acquistare anni e trasportarle in Serbia. Essi si servirebbero come intermediario di tale Jancovitch, emigrato serbo, il quale spera col rendere utili servigi al suo governo di migliorare la sua situazione personale tutt'altro che buona nel suo Paese. Appena a conoscenza della cosa, ho subito iniziato delle indagini (per mio conto e non dell'Organo di Liquidazione) valendomi della polizia austriaca per rintracciare le abitazioni dei suddetti funzionari serbi, che farò sorvegliare attentamente coi limitati mezzi che ho a disposizione ed assoldando eventualmente per la bisor:na un detective. Si è inoltre presentato giorni fa all'Ufficio artiglieria e materiali bellici un certo ing. Enrico Reif, direttore della Società Donau Garage p er riparazione di automobili, che avrebbe avuto incarico dalla Jugoslavia di provvedere alla costituzione di una fabbrica di automobili a Marburio, che dovrebbe mascherare più che altro la produzione di proiettili di artiglieria. L'ing. Reif ha offerto i suoi servigi per fornire eventualmente a noi delle informazioni su contrabbando di armi e di proiettili dall'Austria che dovrebbero secondo quanto egli afferma - trovare ricetto nella.fabbrica da fondarsi a Marburio. Inoltre er:Li informerebbe anche sull'aumento dei li a,mamenti futuri della Jugoslavia per importazione di armi dalle nazioni limitrofe sottoposte al controllo interalleato» (8). Un successivo rapporto ribadiva quanto già noto, fornendo maggiori dettagli e preéÌsazioni circa le sedi dei depositi occulti e la
(8) AUSSME, E8-82/7, prot. 2488 S.RR. Personale del 15. 11.192 1, daAdd. Mi!. Vienna a gcn. Marictti Capo Scz. lt. C.M.A.V., f.to Franchini Stappo.
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loro consistenza, le modalità di trasporto dei materiali e gli aspetti economici. Ma oltre a ciò, l'interesse del documento era dato anche dalla esplicita segnalazione fatta dal ten. col. Franchini Stappo delle difficoltà di online finanziario nelle quali l'addetto militare si dibatteva e che ne penalizzavano non poco l'attività informativa in un ambito così importante: «Recenti informazioni avute da diversa fonte, che hanno potuto essere controllate nei loro particolari, dimostrano come purtroppo la possibilità da me altre volte prospettata della costituzione, in i\uslria, di un centro di r(fòrnimento di armi e munizioni per la Jugoslavia stia diventando realtà. Da qualche tempo a questa parte degli ,\peculatori locali hanno in/àui intrapreso delle operazioni di contrabbando in notevole misura, riuscendo ad esponare forti quantità di munizioni che, spedite per.ferrovia, vengono ricevute al cortine da apposili incaricati jugoslavi. Cilo Le informazioni ricevute che, malgrado la provenienza da diverse fonti, coincidono nella loro sostanza: ! ) Lla!!a r{!giane di \~1ierter lVeustt.ufl M1iillersdo t1~Gr:)ss A1ittel sarebbero partiti nei decorsi mesi circa 150 vagoni di rnunizioni di fanteria, vale a dire approssimativamente 40 milioni di cartucce che, via Sammering-Graz, avrebbero raggiunto il confine jugoslavo a Spief:feld. Queste munizioni verrebbero fabbricate in un 'officina ( che non mi è stato possibile per ora conoscere) il proprietario della quale provvederehhe a far scortare ogni trasporto da 15-20 comunisti armati, membri del Consiglio di.fabbrica. Le spedizioni, che avverrebbero a circa 20-25 vaf;oni per volta, sono accompagnate da uno speciale buono di consegna nel quale è anche inclusa una dichiarazione del Consiglio di fabbrica con cui viene autorizzato il trasporto, e con cui si invitano i ferrovieri a facilitare in ogni modo la spedizione. Al confine austro-jugoslavo avrebbe luogo La consegna delle munizioni. 2) Nelle ofjìcine di Wollesdorf o nelle vicinanze si troverebbero depositate munizioni d'arlif;lieria da 7,5 cm. e da 15 cm. nella quantità di circa 120 vagoni. Hanno recentemente avuto luogo delle trattative, l'esito delle quali non è a mia conoscenza, con degli u:fliciali iugoslavi residenti in Auslria per L'acquisto di tutto la stock, e furono richiesti in pagamento come premio 3 milioni di franchi svizzeri, che dovrebbero venire ripaftitifra gli operai e gli impiegati dell'c~fficina (agli operai sarebbe assegnato il 95%, af;Li impiegati il 5%). Gli esempi che ho segnalato costituiscono càsì gravi fatti, e potrebbero avere dell~ conseguenze cosi importanti, che sarebbe 48
necessario correre immediatamente ai ripari. Per il momento, allo scopo di impedire altre esportazioni verso la Jugoslavia, ho preso accordi con ·qualche informatore che ritenio fidato, ed attendo appunto in questi giorni maggiori dettagli che mi diano la possibilità di effettuare una sorpresa con sicuro esito, valendomi perciò anche del console italiano di Graz e del governo provinciale della Stiria. Le informazioni per ora ricevute non sono certo sufficienti: nel primo caso, occorre ancora conoscere con precisione l'officina dove le munizioni per fanteria vengono fahhricate, e possedere dei dati di fatto per non dare l'allarme con un infruttuoso, intempestivo tentativo di scoperta. Nel secondo caso, devesi conoscere (ammesso che si tratti dell 'o.ffkina Wollersdorf) in quale delle nwnerosissirni officine e baracche (più di 500) costituenti il complesso della fahhrica sarehhem atLualmente depositate le munizioni: ché un sopralluogo fatto presentemente rimarrehhe certamente senza risultato. Queste necessari.~sime notizie potrebbensi ottenere rapidamente lf!!(dora s i (tvessem confiden ti ben rir.n1merati e disposti rmchr> wl arrischiarsi in imprese pericolose: ma la mancanza assoluta di .fòndi mi costringe a limitarmi ai soliti individui che, contentandosi di poco, poco anche rendono. E d'altra parte non ho ritenuto rivolgermi alla Direzione dell'OrRmw di liquidazione, che ho motivo di supporre agiterehhe passivamente ·in questo .\peciale caso. Gli ufficiali da me dipendenti sono per ora continuamente in contatto con elementi infonnatori, e si tengono pronti ad operare non appena possibile. !fatti segnalali, ripeto, sono, specialmenfe per l 'Jtalia, talmente importanti che, mentre mi onoro renderne edollo codesto Staio Ma,ru~iore, nii permetto proporre ven.xa assewzata a mia disposizione una somma da impiegarsi nel sen1izio informazioni. Con tale mezza, adoperato convenientemente, sarebbe senza dubbio possihile pervenire alle fonti di tutta la faccenda, e colpire nel segno; e se ciò non è stato sinora possihile, lo si deve all'immaluro sciot?limento della C.M.I.C., al conseguente limitatissimo numero di 11:fTiciali disponibili ed all'impossibilità di agire d'iniziativa per la mancanza assoluta di mezzi finanziari» (9). Altre segnalazioni relative alla scoperta di ingenti quantità di
(9) AUSSME. E8-82/7, prnt. 2488 S.RR. Personale del 15.11.192 1, da A<ld. Mil. Vienna a gen. Marietti Capo Sez. lt. CM.A.V, f.to Franchini Stappo.
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materiale bellico pervennero negli anni successivi. Nel corso de] 1923 furono rinvenuli , occultati presso officine ed industrie private, 9.000 fucili e carabine Mauser e Mannlicher, 65.000 baionette, 25.000 sciabole (10) e 42.000 proiettili d'artiglieria di vario calibro pari a circa 350 tonnellate d'acciaio cd a 3 Lonnellate di rame (11). L'addetto militare italiano, nelle sue comunicazioni, metteva in eviden za come le locali gendarmerie fo ssero informate da anni della presenza di questi materiali (al quali erano da aggiungere anche oltre un migliaio fra treppiedi per mitragliatrici e livelle ed alzi per arliglierie di piccolo calibro), il che era significalivo per dimostrare in quale considerazione venissero tenute dagli austriaci le limitazioni imposte dal trattato di pace e la loro stessa legge federal e relativa al disarmo della popolazione civile. Al 1924 è invece ascrivibile un circostanziato rapporto del ten. col. Franchini Stappo in merito all'occultamento di materiali bellici in Carinzia, a proposi Lo dei quali il medesimo aveva avuto notizie precise da una fonte ritenuta attendibile (alla quale, sottolineava l'ufficiale con una punta di amaro sarcasmo, a distanza di due mesi non era staio ancora possibile corrispondere il premio pattuito). TI team ispettivo dell' Organo di Liquidazione si recò neJle località interessate ma dopo aver informato il governo au striaco, come del resto era previsto dagli accordi in vigore, sulle date delle ispezioni e sulle località nelle quali le stesse avrebbero avuto luogo. Il risultato fu che a Klagenfurt,-dove avrebbero dovuto trovarsi 8.000 fucili , 130 mitragliatrici e I 5 milioni di cartucce, vennero rinvenu6 solo qualche decina dei primi e due dcl1e seconde; dalla stessa fonte informativa si venne poi a sapere che il materiale c1andestino era stato trasferito in altra sede, nella massima segretezza, durante la nolle precedente all'ispezione. TI sopralluogo effettuato a Muraumberg, a sua volta, non consentì di trovare i cannoni dati come presenti e portò al rinvenimento di solo poche migliaia dei 2 milioni di cartucce segnalati dall'informatore.Nella stessa zona, invece, nascosti in due fabbricati circondati da un -fitto bosco, furono trovati oltre 8.000 nastri per mitragliatrici, circa 5.000 proiettili d'artiglieria cd
(IO) AUSSME, E8-172/I prot. 655 S.M. del 20.4.192'.l, eia Add. Mii. Vienna a Stato Maggiore Centrale - Uff. 0.P.R., a Dir. Gcn. Art. ed a gcn. Marictti , Capo Sel.ium: Il. CM.A.V., f. to rranchinj Stappo. (Il ) J\LJSSME, E8-172/I, prot. 1741 S.M.C. del 12.12. 1')23, da -Add. Mii. Vienna a Stato Maggiore Ccnlrnlc - Uff. O.P.R., a Dir. Gen. Art. ed a Capo Scz. It. C.M.A.V., f.to Franchini Stappo.
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alcune migliaia di cartucce per fucile, ed era significativo che questa ispezione fosse giunta, contrariamente all'altra e probabilmente per un disguido nel circuito di allertamento omertoso, del tutto imprevista alle autorità locali (12).
2. La seconda metà degli anni Venti Alcune interessanti informative di carattere politico interno furono inviate dall'addetto militare italiano a Vienna nel corso del 1925. L'atmosfera generale era improntata ad un vivere alla giornata, senza slanci e segni di vitalità. Da parte di un osservatore neutrale, l'impressione era che l'Austria dovesse cercare di aiutarsi un po' da sola, come sino ad allora non aveva fallo per mancanza di energia, per mancanza di fede e per l'abitudine ormai invalsa sin dalla caduta dell'impero di attendere lutto dall'estero, agitando via via il timore del bolscevismo, poi quello del disastro economico ed inlìne quello dell'annessione alla Germania (13). Dal punto di vista economico-finanziario e produttivo, nono-stante un buon livello di stabilità della corona, la situazione permaneva irta di difficoltà. La disoccupazione risultava in sensibile aumento: ril'acendosi ai dati riguardanti Vienna, il numero degli operai che godevano del relativo sllssidio alla data dei 1° luglio era di 63.156, aumentato dal 1° agosto a 65.289 e salito il 15 dello stesso mese a 65.789, con un incremento quindi del 3-4% in un mese e mezzo. Gli auspicati crediti dall'estero per gli investimenti e gli sviluppi industriali erano giunti in misura molto limitata, anche perché un grosso ostacolo per l'afflu sso di capitale straniero in Austl"ia era dato dalla politica finanziaria perseguita che penalizzava con ingenti tasse il capitale stesso. La dipendenza <li ratto di quasi tutta l'industria dalle grandi banche e gh alti tassi di interesse che queste ultime contin uavano a pretendere creavano condizioni mollo difficili per la concorrenza, e le barriere di elevate tariffe doganali serrate intorno all'Austria non permettevano né una redditizia esportazione né la possibilità di acquisizione di nuovi mer-
(12) AUSSME, ER-172/1 , prot. 977 S.M.iC. de l 3 1.7.1924 Ja Add. Mii. Vienna a Stato Maggiore Central e - Capo RcparLO O.P.R. , f.to Pranchini Stappo. (13) AUSSME, EX- 162/1 , prot. 2 100 R. del 15.8.1925, daAdd. Mii. Vienna a gen. Marictti , Capo Se,.. IL CM.A.V., fto Frnnchini Stappo.
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cati (14). Tipico di tale situazione era il caso dell'industria automobilistica, una delle principali industrie austriache sia per le sue 9 grandi fabbriche e sia per la loro valida struttura organizzativa e produttiva, che già fiorente nell'ultimo periodo dell'impero era ora ridotta ad una mera e stentata sopravvivenza (15). Il quadro politico presentava anch'esso non poche difficoltà. Oltre al diffu so malcontento per il perdurante controllo al quale il governo austriaco era tuttora sottoposto da parte del Consiglio della Società delle Nazioni, uno degli aspetti più impellenti era costituito dal movimento per l'annessione alla Germania, la propaganda a favore della quale proseguiva in Au stria, gestita in maniera prioritaria dal partito socialdemocratico, con maggiore intento che non nella stessa nazione tedesca. T1 30 agosto si era svolta a Vienna un'importante manifestazione, con la partecipazione di numerosi esponenti di tulli i partiti politici austriaci (ad eccezione di quello comunista, che aveva anzi cercato di turharne lo svolgimento) e di 30 autorevoli parlamentari tedeschi tra i quali lo stesso Presidente del Reichstag, che al termine dell 'adunanza aveva indicato in un 'unione doganale degli Stati Uniti d ' Europa il rimedio ottimale per sanare i tanti problemi di questo continente (16). Nello stesso rapporto informativo l'addello militare italiano riservava un congruo spazio al XN Congresso Sionista tenutosi a Vienna dal 18 al 31 agosto, rennamentc voluto non solo da tutto l'ambiente israelitico ma anche dal parti to socialista nonostante l' op1nione contraria dei nazionalsocialisti e di molti cristianosociali. Preceduto da una serie di incidenti, il congresso si era svolto sollo la protez1one di ingenti forze di polizia, che avevano dovuto respingere con energia la numerose manifestaz ioni ostili antisemite previamente vietate. T1 partito cristiano-sociale aveva mantenuto durante l'effettuazione dei lavori un atteggiamenlo di neutralità,conforme alle direttive del governo che aveva dato formali assicurazioni sia per lo svolgimento del congresso che per la protezione dei partecipanti, ma le organizzazioni cristiano-nazionaliste avevano indetto un'adunanza di massa, riuscita numerosissima,
(14) AUSSME, ES-162/1, prot. 2591 R. del 28.9.1 925, da Add. Mii. Vienna a gen. Marietti, Capo Sez. It. C.M.A.V., f.lo Franehini Stappo; (15) AUSSME, ES-162/1, prol. 21()() R. del 15.8.1925, da Add. Mil. Vienna a gen. Marietti, Capo Scz. It. C.M.A. V., f.lo Franehini Stappo. ( 16) AUSSME, ES-166/8, prol. 2471 R. del 28.9.1925, da Add. Mii. Vienna a gen. Marietti, Capo Sez. It. C.M.A.V., f.to Franehini Stappo.
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contro la «resta della potenza ebrea mondiale», ed a favore della «liberazione del popolo dalla schiavitù giudaica», sostenute in ciò dalla stampa antisemita che affermava unanimamente come il movimento sionista non si preriggeva solamente lo scopo di creare una potenza ebraica in Palestina ma mirava alla totale signoria mondiale. Per quanto atteneva agli aspetti di carattere militare, il colonnello degli alpini Carlo Vecchiarelli, subentrato a Franchini Stappo, inviò nel 1927 un rapporto relativo ad un'informazione pervenutagli da una fonte indicata genericamente come «un servizio alleato» in base alla quale 1'8 luglio 1925 il ministro federale austriaco per gli affari aveva disposto per la costituzione, nell'ambito dello stesso ministero, di 3 Commissioni Speciali per la ristrutturazione del1' esercito austriaco (Bundesheer) distinte in «commissione di riorganizzazione», riguardante l'articolazione per il tempo di pace, «commissione per l'organizzazione tattica», concernente la configurazione per esigenze belliche e «commissione tecnica di guerra» attinente a tale specifica componente e situazione. In seno alle predette commissioni, era prevista la partecipazione di due ufficiali superiori tedeschi. Uno dei primi prodotti di questa collaborazione era stato, nel maggio 1926, la variazione ordinativa cd il rafforzamento dell'artiglieria austriaca. L'organizzazione delrartiglieria stabilita nel 1920 in base al trattalo di pace comportava 3 gruppi da campagna, 3 da montagna ed un reggimento autonomo, ciascuno armato con 30 cannoni per un totale di 90 pezzi; ciascuno dei 6 Gruppi, inoltre, disponeva di 10 bombarde per un totale complessivo di 60 di queste armi. Le nuove disposizioni mutavano la denominazione dei Gruppi in Reggimenti e quello del reggimento autonomo in brigata (su 3 reggimenti per complessive 16 batterie), con corrispondente aumento delle dotazioni in 60 pezzi per i tre reggimenti da campagna, 48 per i tre da montagna e 60 per la brigata autonoma per un totale di ·168 cannoni. Per quanto riguardava le bombarde, alle quali era ora attribuito (per la guerra di posizione) il ruolo sostenuto durante l' ultimo conflitto dal cannone d'accompagnamento per la fanteria, era probabile la riunione delle 60 al momento disponibili in un raggruppamento di batterie. Se si considerava da una parte l'aumento del numero delle bocche da fuoco, che superavano di 78 la dotazione autorizzata, e dall'altra l'aumento del frazionamento delle unità ne conseguiva che la potenza dell'artiglieria austriaca era singolannente accresciuta dal numero dei pezzi, e che questi frazionamenti avrebbero 53
costituito altrettante unità destinale ad essere utilizzate come nuov i nuclei di mobilitazione in caso di guerra. lnollre, proseguiva il commento valutativo dell'addetto militare, non si poteva fare a meno di constatare come il collegamento fra gli stati maggiori tedesco ed auslriaco si accentuasse di giorno in giorno, e come la Germania ne approfittasse per assumere un'inf1uenza dominante ed imporre le proprie direttive. L'analisi dei documenti che corredavano l'informazione rivelava in effetti che tutta l' operazione ristrutturativa dell'eserci to austriaco confermava pienamenle tale assunto, così come il fallo che il diritto di veto nelle riunioni consultive fosse attribuito solo ai due ufficiali tedeschi e che il lavoro delle 3 commissioni speciali avvenisse sotto la supervisione da Berlino di un tenente generale della Reichswehr ( 17). Di nolevole interesse risultò una relazione compi lata d,ù S.l.M. sulla base di notizie fornite dal l'ufficio dell'addetto militare a Vienna. L'argomento erano le Heimatwehren auslriache, organizzazioni nazionaliste con struttura paramilitare, delle quali si dava un quadro esauriente e dettagliato relativo a genesi, finalità, caratteristiche, ordinamento, mezzi ed organizzazione nelle varie province. Allo stato di profondo abbattimento e disorientamento originato in AustJia dopo la disfatta del novembre 191 8, e che pesò per var'ì mesi su tutta la popolazione, era subentrato un lento ma progressivo risveglio dell'antico spirito militare, del sentimento nazionale e di quel senso di ordine e di disciplina da sempre profondamente radicati a livello individuale e collettjvo. Le circostanze ambientali che avevano determinato il sorgere delle predette associazioni potevano essere così indicate: la condivisione generalizzata che l'esercito non si trovasse, in caso di confl itti sia interni che esterni, in grado di tutelare efficacemente gii interessi della nazione, convinzione motivala daJ1' eseguità delle forze regolari concesse all'Austria e dalla limitata fiduci a posta in loro; il proposito di s upplire, senza trasgredire palesemente agli obblighi imposti dal trattato di pace, alle lamentate deficienze dell'esercì to; la necessità di avere una forza pronta per difendersi dal prepotere rappresentato dal partito soci aldemocratico, il qu ale a sua
( 17) AUSSME, E8- 166/8, prot. 247 1 R. del 7.10. 1926, da Add. Mii. Vienna al Capo della Sez. H. C.M.A.V., f. to Vecchiarclli.
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volta disponeva notoriamente di una propria organizzazione annata; i] naturale e tradizionale spirito di organizzazione innato nella razza tedesca, in base al quale anche gli austriaci erano inclini ad associarsi di buon grado ad istituzioni aventi i fini più svariati; la larga disponibilità di personale di inquadramento, ufficiali e graduati dell'ex esercito austro-ungarico, e di armi e di materiale bellico abbandonato dall'esercito in ritirata e non recuperabile dalla Commissione di controllo per il disarmo. Le Heùnatwehren erano sorte fra il 1919 ed il l 920 nel Tirolo e nella Caiinzia come spontanea necessità di difesa contro Je presunte aspirazioni italiane sul Tirolo e contro una temuta invasione jugoslava nella Carinzia meridionale. Esse furono quindi, in un primo tempo, organizzazioni del tutto apolitiche create con il solo scopo di provvedere alla difesa del territorio provinciale da attacchi esterni contro i quali non si ritenevano sufficienti le forze armate regolari del nuovo Stato , non ancora abbastanza strutturato e consolidato. Amano a mano però che le condizioni apolitiche dcJJ'Europa erano andate sistemandosi, che erano venule meno le preoccupazioni per una rivendicazione italiana sul Tirolo e che le frontiere nazionali erano state stabilizzate tanto con l'Austria che con l'Ungheria attraverso i due plebisciti di Klagenfort e di Sopon (18), la necessità di una difesa contro una minaccia esterna apparve meno impellente rispetto a quella rappresentata dal dilagare del partito socialdemocratico e del suo numeroso e ben organizzato apparato militare, lo Schutzhund. Le Heimatwehren finirono pertanto per appoggiare decisamente,
( 18) Il plebiscito di Klagenfurt fu determinalo dalle pretese territoriali sul bacino omonimo avanzate, in base all'incerta distribuzione etnica della zona, dal regno dei ·Serbi, Croati e Sloveni (S.H.S.) mentre il governo austriaco rivendicava a sè la sovranità sulla regione. Dopo che nel maggio 1919 era stato vanificato, mediante un intervento internazionale nel quale ebbero un ruolo predominante le truppe italiane, un tentativo di annessione della Carinzia da parte delle forze serbo-jugoslave, fu decisa l'effettuazione di un plebiscito al quale era interessata una popolazione di circa 125.000 persone con una forte minoranza slovena con tratti dominanti culturali gcnnanici. 11 plebiscito ebbe luogo il 10.10.1921, e si risolse con l'assegnazione definitiva del bacino di Klagenfurt all'Austria. Il plebiscito di Sopon (l'antica Odenhurg) era stato deciso per risolvere il problema dcll ' allribuzione della sovranità del Bungerland, regione posta fra Austria cd Ungheria abitata prevalentemente da popolazione di etnia tcdesnt tranne che nel circondario del capoluogo Sopon, dove non vi era una maggioranza definita. Il pleb iscito si svolse nel dicembre 192 1_ , assegnando la zona all'Ungheria.
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con la forza delle proprie formazioni armate, l'azione dei partiti nazionali sti (cristiano-sociale e pangem1anista) estendendosi successivamente, sempre con ques ta finalità, anche alle altre province austriache lonta ne dai confini minacciati. All'atto della compilazione della relazione, precisava il suo estensore, gli scopi cli queste associazioni erano fondamentalmente due, il primo dei quali, palese, era quello di opporsi, se necessario anche con la forza, all'assunzione del potere da parte dei social-comunisti e, subordinatamente, a fav01ire l'organizzazione sinç!acalc degli aderenti in forma più o meno estesa a seconda che si trattasse di province agricole od industriali. Il secondo scopo era invece occulto, come tale non ape1tarnent.e esplicitato, e concerneva la preparazione e l'organizzazione delle forze e dei mezzi per la difesa contro possibili attacchi esterni; in base a ciò, era più sentito e vissuto nelle province limitrofe ai conf"ini , mentre nelle rimanenti lo scopo politico risult.ava prioritario. Il rapporto prosegui va con una descrizione delle caratteristiche, della struttura ordinativa e de i mezzi de lle Heimatwehren, che nonost:rnte 1e nt~1tivi di omoge!'!eizzaz ione <l,1 parte dell e :.i.utc:-it?i centrali, persistevano a mantenere connotazioni diversificale in funzion e degli interessi particolari vari ahili da provincia a provincia. Tl relatore compendiava come segue alcuni el ementi caratteristici di fondo : la tendenza oltranzista delle J-leima twehren tirolesi e carinzianc: sia le une che le altre, rinsaldale ed agguerrite <laJle vicende superate dall ' epoca della loro costituzione e consapevoli deJla loro forza, non lasciavano occasione per farla pesare nell' ambito della politica interna; il contegno prudente e remissivo, frutto cie l particolare amhiente poi itico, deJle I Jeimatwhren della Bassa ed Alta J\uslri a; la di sponibilità di mezzi, molto ampia nelle province confinanti con la Baviera ed invece piuttosto limitata ne lle rimanenti; la differenza dell' armamento, deJJ'uniforme e de ll'equipaggiamento il quale ultimo tendeva ad avvicinarsi, in genere, a quello patriottico locale od a vecchie tradizioni militari. Sembrava però che negli ullimi tempi si stesse cercando di adottare una divisa unica o, quanto meno, dei distintivi part.icolarì; - la differenza delle denominazioni che variavano sensibilmente nelle varie province: Heimatdiensl nel Vrn:alberg, Heimatweh r od H eimwehr nel Tirolo, Salisburgo, Alta Austria, Stiria, Burgenland, Heimatschutz nella Carinzia, Jleimatsc:·hutz o Selhschutz verhand neJla Bassa Austria. 56
Pur avendo caratteristiche spiccatamente differenti per ciascuna provincia e pur non essendovi un unico comando che ne armonizzasse la preparazione, le Heimatwhren avevano però, in genere, una comune organizzazione di base. Esse risultavano infatti suddivise in Ziige, Ortsgruppen, Bezirke, Gaue, Kreise, con effettivi corrispondenti rispettivamente ad un plotone, una compagnia, un battaglione, un reggimento ed una brigata (di costituzione eventuale). In un piano di mobilitazione generale era previsto che in tutto il territorio si potessero mobilitare 45 Kreise comprendenti complessivamente 180 Gaus, 720 Bezirke, 2880 Orstguppen di forza molto variabile le une dalle altre. Il piano non sarebbe mai stato attuato integralmente ma solo parzialmente nelle province di confine del Tirolo e della Carinzia; per la altre province, che erano quelle più popolate, il quadro deJle unità delle quali era prevista la costituzione era ancora lontano dall'essere completo, sia per la scarsa attività dei capi delle Heimatwehren e sia anche per il limitato interessamento della popolazione. Con un calcolo basato su dati approssimativi, si poteva ritenere che le forze associate delle Heimatwehren austriache ammontassero al momento complessivamente a circa 100.000 uomini, suddivise agli effetti della mobilitazione in tre categorie: categoria A (personale destinato alla difesa immediata del territorio del proprio comune), categoria B (personale destinato alla difesa deJle opere d'arte, linee ferroviarie, ecc. nel territorio della provincia) e categoria C (personale destinato ad essere impiegato nell'interno del territo1;0 nazionale). In caso di operazioni, le forze di cui a1Ja categoria C, utilizzabili cioè per un impiego attivo, non sarebbero ammontate pertanto complessivamente che a 30-35.000 uomini , anche se, avvertiva il compilatore della relazione, la segretezza della quale si circondavano le Heirnatwehren (specie per quanto riguardava la loro preparazione bellica, in rapporto alle limitazioni imposte dal trattato di pace) rendeva molto problematici i calcoli sulla loro reale consistenza numerica. I mezzi dei quali disponevano le associazioni in argomento erano. forniti dai partiti nazionalisti, da enti e privati e, qualche volta, anche delle autorità provinciali e comunali. La quantità di tali mezzi variava in misura notevole da provincia a provincia; così, mentre le Heimatwehren del Tirolo e della Carinzia erano armate, oltreché di fucili, di numerose rrùtragliatrici ed anche di cannoni, le altre province invece, come ad esempio Alta e Bassa Austria, non disponevano che di lirrùtati e non omogenei mezzi per 57
combattere e per vivere. Ogni associato era armato di fucile da guerra che conservava presso di sé o che teneva in depositi nei quali era custodito anche un certo quantitativo di munizioni di riserva, di casse di bombe a mano e di mitragliatrici. Sembrava che negli ultimi anni l'armamento portatile ed il relativo munizionamento, specie nel Tirolo e nel S.alisburghese, avessero subito ancora un notevole incremento per mezzo del contrabbando di armi con la Baviera. Le artiglierie e la relative munizioni venivano anch ' esse celate in appositi magazzini in località periferiche. Il servizio sanitario era organizzato molto embrionalmente usufruendo di personale già specializzato, con il criterio che ogni gruppo potesse disporre dei mezzi necessari senza dover ricorrere ad unità superiori. Il servizio di sgombero e cura per i maggiori raggruppamenti, in caso di guerra, sarebbe stato certamente inserito in quelle già preorganizzato per l'esercito. L'equipaggi amento era quantomai vario. Sarebbe risultato che di recente nel Tirolo e nel Salisburghese erano state fatte spese ingenti per acquistare uniformi e calzature da distrihuire in caso di mobilitazione. Per il vitto e l'alloggio si aveva ragione di ritenere che avrebbero provveduto i varì comuni d'intesa con le autorità militari. Per quanto riguardava il servizio trasporti per via ordinaria, poiché in caso di azione l'impiego normale delle Heùnatwehren era previsto in loco ed ogni componente avrebbe portato con sé tutto il proprio equipaggiamento ed armamenlo, e poiché ai servizi di commissariato, sanitario, ecc. si sarebbe provveduto o collegandoli a quelli dell'esercito od attraverso i comuni, era scontato che, almeno in un primo tempo, il fabbisogno dei mezzi di trasporto fosse molto limitato. Tuttavia la recente mobilitazione delle Heimatwehren aveva dimostralo come anche questo servizio fosse stato pred isposto. Escluse la province dalla Stiria ed Alta e Bassa Austria dove l'impiego dei reparti mobilizzati era avvenuto in loco, nel Tirolo e specie nella Carinzia (regione nella quale da tempo era prevista la requisizione di automezzi e di carri a 4 ruote) si era potuto constatare come il pronto impiego di numerosi autocarri avesse permesso a nuclei mobilitati di essere celermente trasportati ai rispettivi centri di mobilitazione e sui luoghi di impiego. Da notizie attendibili risultava inoltre c he nel Tirolo e nel Salisburghese si stavano costituendo nuclei di personale automobilistico da impiegare per la condotta di automezzi precettati. Oltre alle Heimatwehren propriamente dette, esistevano inoltre in tutte le province le Technische Nothi(fe, associazioni aventi le stesse finalità ma formate da elementi volontari specializzati, ido58
nei cioè a provvedere al funzionamento dei servil',i tecnici ferroviari , postelegrafonici, elettrici, ecc. Esse rappresentavano qualcosa di simile, ma di più perfezionato, delle associazioni volontarie antincendio (Freiwìllige Feuerwehr) ed in molti casi potevano considerarsi un tutto unico con le Heimatwhren . Seguiva un~ dettagliata serie di dati relativi all'organizzazione di queste ultime nelle singole province, con particolare riguardo alla consistenza degli effetti vi mobili tabili, alla loro ripartizione gerarchico-ordinati va, ai nominativi dei capi, ai centri di affluenza per la mobilitazione, alle dotazioni di armi ed alle sedi dei depositi di quelle pesanti. La conclusione valutativa della relazione era che dal punto di vista militare ci si trovasse di fronte ad un complesso di forl',e deputate a condune, in concorso con le forze armate delle Stato, operazioni di guerra non ortodossa all 'interno del territorio nazionale ove questo fosse oggetto di invasione. Ciò valeva in particolare per le 1-feimatwehren del Tirolo e della Carinzia, aree di specifico interesse italiano quali sedi di nostri possibili teatri di operazione. Costituite in prevalenza da ex-mililari dd disciolto esercito austroungarico e da espc11i montanari c provetti tiratori , profondi conoscitori delle zone di confine, animati da sentimenti di profonda ostilità nei confronti dell'Italia e per contro da fo11e attaccamento alla propria tena ed alla propria indipendenza, avrebbero infatti rappresentato un fattore prezioso per l'attuazione di quella guerriglia che era largamente prevista nella dottrina bellica austriaca ( 19).
3. La collaborazione militare Una possibile collaborazione militare fra Italia ed Austria fu l'oggetto di un promemoria inviato nell 'agosto 1935 al S.I.M. dall ' addetto militare italiano, all'epoca il ten. col. Dioni gi Ponza di S. Martino. Esso faceva riferimento ad un colloquio avuto dall' ufficiale con il generale Jansa, rientrato recentemente da Berlino dove aveva ricoperto per circa due anni e mezzo l' incarico di addetto militare austriaco con accreditamento anche per la Svizzera, al momento capo della ncocostituita 3a sezione del ministero della difesa; si trattava di una struttura comprendente gli uffici operazioni, addestramento, inf01ma-
(19) ALJSSM E, Ll0-28, senza indicazione di prot. d atato agoslo 1927, da S.I.M. senza indirizzo di destinatario, f. to ten. col. Calderini.
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zioni e protezione aerea e che in realtà rappresentava quello stato maggiore dell'esercito tuttora formalmente vietato. «ll valore delle dichiarazionifattemi ha tanto più importanza in quando esse mi sono state fatte .~pontaneamente, durante una conversazione avvenuta per espresso desiderio del generale in questione il quale mi dichiarò, alla .fine del colloquio, di aver voluto parlare con me soltanto degli argomenti trattati dei quali non aveva fatto nessun cenno nelle conversazioni avute con tutti gli altri miei colleghi addetti militari È stata una vera apertura, dopo una premessa sobria ma sentita, di viva simpatia ed ammirazione per il nostro Paese e tanto più notevole quando si tenga conto dell'attitudine riservata e defla maniera elusiva fin ora di norma nei rapporti fra gli u:fliciali di ,trado più elevato del ministero della difesa ed il sottoscritto, quando i colloqui si indirizzavano verso argomenti simili. in proposito, il gen. }ansa mi ha dato l'impressione di possedere larghezza e.freschezza di idee non comuni nell'attuale ambiente del m.inistero della dUesa ed un 'attitudine, qui certamente ùzcon-
sueta, a considerare i problemi militari in stretta relazione con i problemi politici più vitali di questo Paese. Più particolarmente ha tenuto a farmi comprendere che intende indirizzare su nuove basi la preparazione militare austriar:a nel campo operativo e sarebbe personalmente proclive al costituirsi. in delerminate ipotesi ed in armonia a quanto è già stato fatto sul terreno politico - di una collaborazione fra gli organi alle sue dipendenze e lo stato maggiore italiano per quanto si riferisce ai problemi militari di comune interesse. Su tale argomento egli si è dichiarato deciso a seguire modalità aliene dal burocratismo tuttora qui imperante in questioni che involgono unicamente le sue responsabilità. Si fratta evidentemente ancora di progetti, dato il breve tempo trascorso dall'assunzione del gen. ]ansa nella nuova carica. Ho ritenuto tuttavia necessario attirare l'attenzione su quanto sopra anche perché, come ho già annunciato, il generale stesso sarà il capo della missione militare austriaca che interverrà alle nostre prossime grandi manovre. Sarebbe, a mio subordinato parere, conveniente approfittare di tale occasione per incoraggiarlo nel suo indirizzo, qualora venisse giudicato conveniente fargli comprendere una nostra adesione ai suoi punti di vista, ben inteso con le necessarie garanzie di reciprocità e specialmente con quella di un sincero ~pirito di collaborazione, da provarsi innanzilutto con un effettivo instaurarsi di 60
m<idalità nuove, .franche, antiburocratiche e prive di quella ten denza ad eludere le responsabilità che è stata finora la caratteristica dei suoi predecessori. Ad ogni modo prego volermi comunicare quale seguito verrà dato a questa presa di contatto, per potermi regolare nei futuri rapporti con la persona di cui trattasi» (20). All'istanza dell'addetto militare avrebbe dato riscontro la decretazione «Stabilire i contatti» da parte di Mussolini, al quale il documento era stato posto in visione (21 ). In un allegato al suddetto promem01ia, Ponza di S. Martino forniva altri particolari in merito al colloquio con Jansa, e soprattutto metteva in evidenza i timori da questi espressigli per le minacce da parte della Germania nei confronti dell'indipendenza austriaca. In proposito, il generale aveva disposto per un rafforzamento difensivo del confine austro-tedesco; non potendo le finanze del Paese sopportare l'onere di vere e proprie fortificazioni, esso sarebbe stato limitato per ora a semplici opere campali (specialmente batte1ie) a sbarramento delle principali comunicazioni adducenti dalla Germania in Austria, che avrebbero avuto essenzialmente una funzione di sostegno alla copertura affidata alle truppe dell'esercito rinforzate dalle milizie provinciali. Non era un progetto di grande affidabilità, sottolineava l'addetto militare italiano, né era pensabile la sua estensione a tutti i settori della frontiera, come ad esempio quello salisburghese nel quale il confine era per un lungo tratto privo di qualsiasi appoggio naturale ed aveva acquistato una particolare importanza dopo la recente apertura della strada del Grossglockner. Andava inoltre considerata la scarsa potenzialità dello strumento bellico austriaco, in attesa che i provvedimenti di riorganizzazione in atto lo avessero portato alla consistenza ed all'efficienza adeguate. Sulla base di tale considerazione, Ponza di S. Martino aveva chiesto al suo interlocutore quale accoglimento avrebbe avuto un'eventuale offerta di appoggio da paite de11 'Jta1ia qualora un'iniziativa offensiva tedesca avesse avuto luogo prima del completo riassetto delle forze militari austriache, e la risposta (chiaramente a titolo personale così come la domanda) era stata che la proposta avrebbe incontralo un' accoglienza decisamente
(20) AUSSME, H3-2/6, prot. 769 S. <lei 7.8.1935, da Add. Mii. Vienna a S.I.M., f.to tcn. col. di S. Marlino. (21) AUSSME, H3-2/6, senza indicazione di prot. del 25.81935, da Vice Capo S.I.M. a Capo Stato Maggiore Esercito, f.to illeggibile.
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ravorevole, in relazione anche all 'atteggiamento assunto l'anno precedente da Mussolini dopo l'uccisione di Do1russ. La collaborazione militare fra Italia ed Austria continuò anche dopo la proclamazione delle sanzioni contrn l'Italia del settembre 1935, in relazione alla campagna etiopica, e la loro ufficiale entrata in vigore il 18 novembre dello stesso anno. T1 governo austriaco assunse un atteggiamento antisanzionista, cercando però ne] contempo di mantenere buoni rapporti con la Società delle Nazioni e quindi di salvare il più possibile le apparenze nelle forniture belliche all'Italia, tenendo anche conto che gli inglesi avevano agenti presso i valichi di frontiera italo-austriaci e nelle località sedi delle principali industrie per cui ogni operazione andava condona nella massima segretezza. 11 governo di Vienna era anche favorevole all'invio di acciai speciali e di altre materie prime quale forma di pagamento in natura, anziché in contanti, dei materiali ricevuti dall'Italia come ad esempio un primo lotto di 15 carri veloci (22). Per le proprie esigenze di messa in efficienza operativa delle sue 8 divisioni nonché dei reparti della «guardia di confine}) l'Austria necessitava in particolare di un migliaio di pezzi d'artiglieria da parte dell'Italia. Oltre a ciò, si richiedevano 150 velivoli, di cui 135 da caccia. Per quanto riguardava i cannoni, l' esigenza immediata era di 320 di essi così suddivisi: 80 da 77/28 con 8000 colpi; 160 da I 00/17 con 24.000 colpi; 60 da 149/12 con 9000 colpi; 20 da 149/17 con 2000 colpi (23). Si richiedeva inoltre all ' Italia la restituzione, anche parzia_le, delle vecchie bocche da fuoco di preda bellica così da poter disporre di un armamento più unif'orme ed organico (24). L' invio delle artiglierie l'u peraltro dilazionato, ed ancora un anno dopo una nota del nuovo addetto militare itali ano a Vienna ten. col. Lui gi Mondini confennava come di esso non si sarebbe potuto parlare fino alla risoluzione della guerra di Spagna (25).
(22) A USSME, H3-2/7, senza ind icazione di prot. datato 25.11.1935, da Capo del S.I.M. a Capo del Governo, senza indicazione di firma. (23) AUSSME, H3-2/5, prot. 7/ 1046 del 25 .5. 1936, da Capo del S.I.M. a eomrn . Pasquale Iannelli - Dir. Gen. Affari Politici MAE, f. to Roatta. (24) AUSSME, H3-2/5, prot. 6835 del 22.5. I 936, da MJ\E - Dir. Gen. Affari Politici a Capo del S.J.M., Lto Iannelli. (25) AUSSME, H3-2/3 prot. 262 S. del 15.7.1937, da J\dd. Mii. Vienna a S.I.M., f.to ten. col. Momlini.
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L'interesse per il materiale bellico italiano si estese, in quella seconda metà degli anni Trenta, al carro medio per il quale si prevedevano le prime consegne ne11'estate del 1938 (26). La validità operativa delle Grandi Unità celeri (27) e motorizzate italiane fu attentamente valutata dagli osservatori austriaci alle grandi manovre svoltesi nel Veneto nel luglio 1937, con riferimento comparativo alla situazione orografica e tattica della dimensione ambientale del loro Paese. Ne avevano tratto la conclusione, per quanto riguardava la divisione motorizzata, che se non si possedeva una rete stradale ricca, con possibilità di raddoppì e di strade molto lunghe tali da consentire agevolmente il doppio transito ed il sorpasso dei veicoli meno veloci, la stessa abbondanza di automezzi avrebbe potuto dar luogo ad ingorg hi cd intasamenti. Richiamandosi alla raltà austriaca, i numerosi fossati che fiancheggiavano molte delle strade avrehbero potuto causare il rovesciamento dei mezzi, ed inoltre impedire la rapida fuoriuscita di strada. Sollo questo aspel:to, la divisione celere risultava più elastica, flessi bile e maggiom1ente adattabile alle condizioni di terreno cd alle situazioni tattiche (28).
(26) Si trattava del primo d ei carri della seri e M, I' M- I I/J9 (torretta brandeggiabile, equipaggio: 3 uo mini, armamento: canno ne da 37/40 in casamatta+ 2 mitragli atrici da 8 mm. in toJTctta, velocità oraria: 32 Km., autonomia: 200 Km., corazzat.ura: rrontale 30 mm. - laterale 14,5 mm. ) di produzione Fiat Ansaldo, che sarebbe stato invece assegnato alla Divisione Corazzata i\riete solo tra 1· inverno e la primavera 1939-1940 per un totale di 7 2 mezzi (cfr. Ceva L., Curami A., «La meccani zzazione dell ' esercito fino al 1943», Roma, USSME, Voi. I, pagg. 230-23 1). (27) Le Grandi UniL.'i. Celeri furono costituite nel 1930 in numero di due (una terza sarebbe stata creala nel 1934) . Non si trattò nel ripristino dell e vecchie unità di cavalleria ma della cost ituzione di un nuovo tipo di Grande Uni!à. fondamentale, caralterizzata dalla capacità di svolgere in proprio, in determinate condizioni di terreno e di tempo, in campo strategico come in quello tattico, una manovra che non fosse solo bas,ita sulla rapiditì1 e sulla sorpresa ma anche su un'adeguata, e pur breve, potenza di fuoco. Tullo ciò in teoria, perché in effetti l'impostazione sarebbe rimasta pi ù sul pi ano delle intenzioni che della realtà, in quanto l'eteroge nei tà dei me7.7.i (cavalli , biciclette, motocidelle, automezzi, carri armati leggeri) e la vulnerabilità dei reparti montati 1iducevano a ben poca cosa la capacità operativa della G.U. Dal canto loro, g li elementi rneccani:t.:tali e corazzali risultavano esigui e ritenuti soltanto utili a concorrere alle azioni delle altre unità e non g iì1 ad essere i protagonisti degli atti tattici. (28) AUSSME, H3- l 1 prot. 3 14 S. del 6.9. 1<)37, da Add. Mii. Vienna a S.LM .• f.to ten. col. Mondini.
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Capitolo III BELGIO
I. Una concezione militare in chiave solo difensiva
Il Belgio fu una delle nazioni che pagò un prezzo tra i più elevati durante la Ia guerra mondiale, occupato sin dall'inizio dai tedeschi per la quasi totalità ad eccezione di una piccola zona verso Ypres, all'estremo limite occidentale, intorno alla quale si protrasse la 1ou.a sino all'autunno 1918. Il governo si era trasferito a Le Havre, in Francia, sin dall'aprile 1915, rientrando in patria solo dopo l'armisti/.io delJ' 11 novembre 1918 che, con il succesivo trattato di pace di Versailles del 29 giugno 1919, attribuì al Belgio il possesso del terrilorio di 7 km2 del Marcsnet, siln nei pressi di Aqnisgrana e neutraliz/al.o dal 1841, e dei piccoli distretti prussiani di Eupcn e Malmedy acquisiti a seguito del plebiscito del 24 luglio 1920. Nell'immediato dopoguerra le difficoltà interne furono molto gravi per la lotta sempre più aspra tra valloni e fiamminghi, per le diatribe fra i partiti politici (cattolici, socialisti e «rexisti», un movimento clerico-destrorso che traeva la propria denominazione dal latino Christus rex), per le ripercussioni dei contrasti internazionali e per la ricorrente minaccia rappresentata dal revanchismo tedesco. L' incmico di addetto militare italiano a Bruxelles fu ricoperto come tale dal col. Enrico Maltese sino al 1924, e da questa data si no al 1935 espletato in accresitamento da parte del titolare dell'omologo ufficio presso l'ambasciata d'Italia a Parigi. Il primo documento reperito, datato 1929, è pertanto ascrivibile al ten. col. Beraudo di Pralormo che all 'epoca si identificava appunto con questi. Si trattava di un'esposizione pa11icolareggiata circa l' organizzazione della difesa del territorio nazionale fatta il 29 marzo dal gen. Galet, capo di stato maggiore dell ' esercito bel ga, dinnanzi alla Commissione Militare Mista composta da rappresentanti dell'esercito e da parlamentari, della quale veniva fornita una sintesi del concetto ispiratore. L'organizzazione difensiva belga faceva parte di un . insieme molto complesso in quanto inserita nel piano d'azione degli eserciti alleati, fondato su una pronta e vi gorosa offensiva, che a grandi linee poteva essere così riassunto: 65
a) concentrazione delle 6 divisioni dell'esercito belga (equivalenti ai corpi d'annata italiani), ammontanti a circa 300.000 uomini, entro il primo giorno lungo la frontiera orientale belga fra Brèc e Aywaille; b) concentramenlo di altre 6 divisioni di riserva, e cioè di altri 300.000 uomini, entro il secondo giorno fra Hasselt e Jemeppe, con schieramento in seconda linea; e) a sinistra dello schieramento belga, si sarebbero disposte entro il terzo giorno truppe britanniche per un totale di 160.000 uomini, in gran parte GG.UU. di cavalleria motorizzata; d) alla destra dei belgi, sarebbero state presenti le truppe francesi, delle quali 600.000 uomini alla fine del secondo giorno ed altri 600.000 alla fine del terzo, saldandosi con gli alleati nella regione Aywaille-Spa-StaveJot. L'azione delle truppe britanniche, in base alla convenzione del 7 luglio 1927, prevedeva il concorso alle operazioni franco-belghe contro la Ruhr attraverso il Limburgo (l) olandese. A questo proposito, sarebbe risultato che già nel 1906 il governo belga avrebbe pensato di attraversare il territorio olandese in caso di necessità, anche se questo si fosse ri l"iulalo di accordare il libero transito. L'azione delle truppe francesi, in base alla convenzione francobelga del 7 settembre 1920, contemplava lo sbocco a Sud dell'Hochwald con una massa fortemente mot01izzata, l'avanzata su Donauworth, il seguire il Danubio verso Regensburg e Ritt. per isolare la Baviera, l'assicurarsi il tranquillo sfruttamento del bacino deLJa Sarre ed infine operare la congiunzione con i cecoslovacchi; contemporaneamente, passare il Reno con una massa costituita di grandi unità di fanteria munite di molti carri armati e puntare su Heidelbe rg e poi, seguendo il Neckar, aprirsi a ventaglio sulla fronte Eger-Waldhausen. Un piano senza dubbio ottimistico questo francese, che contava ad ogni modo sulla possibilità di sorprendere con una rapidissima mobilitazione la Germania ancora in piena fase analoga. Tutto ciò non impediva ai franco-belgi di temere che, con un corpo motorizzato molto celere, i tedeschi potessero eseguire una rapida puntata a meno di 24 ore dall'inizio della mobilitazione, riuscendo a sconvolgere questa irrimediabilmente in quanto le prime lruppe belghe non avrebbero potuto essere in posto che
(I) Il Limburgo è una regione storico-geografica dell'Europa ecntrale polit.icarnente divi sa, allora come ora, fra Paesi Bassi e Belgio dei quali costituisce le omonime provincie. Il Limburgo olandese, posto sulla destra della Mosa, ha come capoluogo Maastricht.
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alla fine del primo giorno. Ne sarebbe risultato che lo stato maggiore francese avrebbe chiesto perentoriamente a quello belga un miglioramento rapido delle condizioni nelle quali si trovava la frontiera del Belgio per quanto atteneva all'organizzazione ferroviaria, stradale, fortificatoria (inondazioni e distruzioni comprese) ed a quella delle guarnigioni e dei campi d'aviazione. Queste migliorie avrebbero dovuto essere ultimate nel periodo dal 1932 al 1935 (2). Informazioni ancora più dettagliate in merito alla situazione militare belga erano contenute in una pubblicazione monografica verosimilmente prodotta dall'addetto militare riferibile al marzo 1931, uno stralcio della quale era stato elaborato dall'ufficio del Capo di Stato Maggiore Generale. I primi dati concernevano gli aspetti finanziari. Il bilancio generale per il 1930 compmtava una spesa di franchi-carta 9.755.411.639, con un aumento di franchi 741 .615.085 nei confronti del bilancio dell'anno precedente. Le spese militari ( franchi-carta 1.188.996.621) rappresentavano circa il 12% delle spese generali, per una forza bilanciata pari a 4000 ufficiali, 62.000 uomini di truppa e 6.300 gendarmi. Di esse, 986.551 .77 l franchi erano destinati alle spese ordinarie, e 202.444.850 a quelle straordinarie. T crediti corrispondenti richiesti per 11 1929 ammontavano globalmente a 846.631.443 franchi, per cui l'aumento di spese complessivo per il 1930 era quindi di 342.365.178, dovuto principalmente ad una maggiore corresponsione di assegni concessi al personale militare e civile cd all'aumentato costo di talune materie prime. Circa il reclutamento della truppa, la nuova legge (7 novembre 1928) si basava sui seguenti criteri: p1incipio d'eguaglianza, ferma ridotta al minimo possibile (compatibile con le esigenze difensive nazionali), reclutamento regionale e costituzione di unità linguistiche. Ncll' anno in corso, per la prima applicazione della legge erano stati costituiti: a) con elementi esclusivamente valloni: l1 reggimenti , 2 battaglioni mitraglieri, 2 batterie di fanteria, il battaglione ciclisti del genio ed il gruppo autoblindomitragliatrici; b) con elementi esclusivamente fiamminghi: 14 reggimenti, 4 battaglioni mitraglicri, 4 batterie di fanteria, il grnppo carri armati, il servizio di repérage d'artiglieria ed il battaglione pontieri del genio. (2) AUSSME, Ll0-42/2, senza indicazioni di prot., destinatario e firma, da Add. Mi!. Parigi datato novernhre 1929.
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Le altre unità avrebbero continuato ad avere reclutamento misto, composte cioè di battaglioni (o gruppi) e compagnie (o batterie) valloni e fiamminghe. In genere, le unità fiamminghe erano dislocate nel Belgio settentrionale e le unità valloni in quello meridionale. Le reclute appartenenti ai distretti ex-tedeschi di Eupen e Ma1mèdi erano state incorporate in unità speciali (una compagnia di fanteria, una batteria d'artiglieria ed una compagnia treno). Fino alla compagnia (inclusa) l'istruzione era impartita nella lingua nativa degli elementi che la componevano (francese, fiammingo e tedesco), mentre nelle unità superiori i cmmmdi e gli ordini venivano sempre dati in francese, dato che essi erano rivolti agli ufficiali che dovevano conoscere entrambe le lingue. li sistema di reclutamento regionale era considerato nelle alte sfere militari come un inconveniente, sia dal punto di vista tecnico (difficoltà nell'assegnazione ai reparti degli clementi specializzati, in quanto i fiamminghi erano in massima parte agricoltori , mentre i valloni erano in genere operai), sia dal punto di vista nazionale (la costituzione di unità prettamente fiamminghe e valloni era considerata dannosa alla omogcncìtà dell'esercito e contraria allo spirito patriottico-unitario). Per quanto riguardava l'ordinamento, l'esercito belga si componeva di 3 corpi d'armata (su 2 divisioni di fanteria ed I reggimento d'artiglieria di corpo d'annata), 1 corpo di cava11eria su 2 divisioni, 6 divisioni di fanteria più gli clementi della riserva generale. Circa l'addestramento, il documento rilevava come l'esercito belga avesse al momento un aspetto ed una mentalità mollo differenti dall'anteguerra. Allora esso era l' espressione di una nazione neutrale per principio; adesso era 1'esponente di un popolo conscio delle responsabilità che g li competevano perché sapeva di essere al primo posto in caso di nuovi conflitti e si preparava coscienziosamente a difendere l' integri Là del territorio nazionale. Questa profonda trasformazione aveva reso possi bile il costituirsi di una dottrina di guerra belga che, pur denotando l' influenza della doltrina francese, teneva nel dovuto conlo anche i particolari coefficienti nazionali (armamento, durata della ferma, caratteristiche del terreno d'operazioni, ecc.). Anche ne11'esercito belga si attribuiva molta importanza al fuoco, tanto nell'offensiva che nella difensiva. Secondo una teoria abbastanza diffusa, la possibilità di manovrare e di infiltrarsi si acquistava soltanto dopo aver dominato le anni dell'avversario. Questo fuoco si otteneva, in genere, con 1e armi automatiche, ma nei riguardi del loro impiego esisteva una marcata differenza fra i 68
L·o11 celti applicati nell'esercì to francese e nell'esercito belga. <J ucst'ultimo, infatti, era più riluttante ad ammettere la praticità del 1irn al di sopra delle proprie truppe e negli intcrva11i, e preferiva di 111assima proiettare in avanti le mitragliatrici pesanti dei battaglioni di r,1nteria decentrandole in buona parte. Questo criterio era imposln, probabilmente, dalla configurazione pianeggiante del terreno l·lic rendeva difficile l'osservazione e riduceva le possibilità di 111ovi111ento sotto l'arco delle traiettorie. Si attribuiva inoltre molta i111portanza all ' educazione morale e si tendeva ad infondere anche 111.: i singoli elementi della squadra il senso della cooperazione e del . . 1n:1proco appoggio. I campi d'istruzione permanentemente organizzati erano quelli d i Be verloo e di Elsenhom, il primo destinato alle esercita:1,ioni d ' insieme ed ai tiri di fanteria ed il secondo riservato ai tiri d' arti!' licri a. Particolarmente grandiosa J'organizzazione del campo di lkvcrloo, che occupava una superficie di 4.500 ettari nella regione denominata «Campine», in prossimità della frontiera olandese. (.J:::~:;t:1 orgn ni 77.nzione rnppresentavn per i! Belg io nnn necess ità
11 11posta da di versi fattori: I ) territorio intensamente coltivato, nel quale le esercitazioni milita ri di grandi unità, eccezion l'alta per le Ardenne, avrebbero prodotto danni ingenti che, anche se risarciti, sarebbero stati mal tollerati dalla popolazione: 2 ) c lima che imponeva alloggiamenli alli ad assicurare un riparo e fficace agli uomini, ai quadrupedi ed al materiale; .\) forma di 8 mes i di buon a parte del contingente, che esigeva un'istruzione fatti va, con buone possibilità di sfruttamento del lempo disponibil e. !! perimetro del campo di Beverloo aveva uno sviluppo di circa .15 km. e racchiudeva gli alloggiamenti, i terreni d' esercitazione, il campo di tiro per armi portatili ed il campo d'aviazione. La capat· ità complessiva del campo di fanteria era di 500 ufficiali e 30.000 uo mini; di solito, però, vi venivano alloggiati contemporaneamente soltanto i 6 reggimenti di un corpo di armata. Dopo una dettagliata descrizione dell'organizzazione infrastrutturale logistica e ricreativa, la monografia continuava con particolari relativi ai terreni d'esercitazione, che erano abbastanza vasti per consentire la manovra di grandi unità contrapposte ma che presentavano l'inconveniente di essere troppo facilmente percorribili in ogni senso. li trasporto delle unità di fanteria a pié d' opera per le esercitazioni taltiche e di Liro era compiuto mediante una rete di 69
decauville. Il sistema risultava molto pratico, perché oltre ad essere meno costoso dei trasporti in autocarro permetteva alle unità che dovevano allontanarsi di parecchi chilometri dagli alloggiamenti di iniziare le esercitazioni senza essere affaticate da una marcia prolungata. Anche il campo di tiro per armi portatili era bene organizzato e dotato di molti mezzi. Le linee di tiro erano concentriche, in modo che i proiettili andavano a perdersi in una zona ristretta ed impercorribile perché paludosa. Per i rucili e moschetti erano in uso bersagli elettro-automatici a settori metallici, che davano piena soddisfazione per la precisione di funzionamento e che facevano risparmiare tempo e personale. La pallottola, urtando uno dei settori del bersaglio, stabiliva un contatto ed allora, su un modello dello stesso bersaglio ma di dimensioni ridotte posto vicino al tiratore, si riproduceva il punto colpito. Un registratore automatico segnava in pari tempo su un cartoncino il risultato del tiro. Interessanti le considerazioni in merito all'organizzazione difensiva, che iniziava con un breve riferimento al conflitto mondiale. Nel 1914 il sistema difensivo del Belgio era costituito dalle testi di ponte di Liegi e Namur e dalla piazzaforte di Anversa, cd era integrato da una rete predisposta di interruzioni stradali e ferroviarie. Tale sistema difensivo aveva influito notevolmente sul corso delle operazioni del primo mese di guerra, permettendo la mobilitazione e la concentrazione dell' esercito belga nel triangolo difensivo di Liegi-Namur-Anversa. Inoltre, la resistenza opposta per 12 giorni dalla piazzaforte di Liegi aveva orientato rapidamente il comando belga sulla manovra tedesca e su11 'entità degli effettivi impiegati. Tale resistenza avrebbe certamente potuto protrarsi più a lungo se i belgi avessero avuto il tempo di organizzare la difesa facendo assegnamento su un adeguato e tempestivo concorso de11e tmppe francesi ed inglesi, mentre invece nessun piano d 'azione comune esisteva allora. La convenzione militare difensiva stipulata nel 1920 con la Francia, secondo la quale g li stati maggiori delle due nazioni si impegnavano a studiare ed a preparnre di comune accordo 1' organizzazione delle forze armate, aveva cercato di rimediare a tale lacuna nel senso che 1'esercito belga avrebbe esercitato quasi una funzione di copertura di quello francese sulla fronte Nord-Est. I francesi avrebbero voluto di recente estendere tale funzione, aumentando in più larga misura le possibilità difensive del territorio belga. Sembrava che vi fossero stati in me1ito scambi di vedute fra i governi dei due Paesi, ma non risultava che fosse stata raggiunta una conclusione. In Belgio esisteva al momento una forte corrente contraria alla stipula di un'alleanza militare vera e propria con la Francia, e si 70
pensava in generale che in caso di nuove guerre si sarebbe dovuto cercare in primo luogo l'appoggio inglese e, solo se le circostanze lo avessero richiesto, anche quello francese. I sostenitori di questa tesi si basavano sulle seguenti considerazioni: a) il Belgio, a parte i pericoli derivantegli dal fatto che uno Stato estero, per quanto alleato, avesse perfetta conoscenza della difesa del Paese, temeva che accordi più impegnativi di quelli esistenti potessero legarlo troppo strettamente alla politica francese, in modo da essere necessariamente trascinato in un nuovo conflitto contro la Germania; b) data la piccolezza del Belgio e 1' esigLùtà del suo esercito, la collaborazione avrebbe finito per divenire subordinazione, e la concezione di un piano generale di opere fortificate alla frontiera sarebbe stata, in ultima analisi, subordinata all'interesse frnncese che era in parte divergente da11e esigenze del Belgio, i cui centri industriali di maggiore importanza non sarebbero stati sufficientemente protetti (3). Nel 1927 era stata nominata una commissione militare presieduta dal generale Borremans, la quale aveva stabililo che l'insieme dell'organizzazione permanente deJla frontiera dcli' Est dovesse limitarsi, per la riva destra della Mosa, ad una testa di ponte solidamente appoggiata al fiume, a monte ed a valle de1Ja città di Liegi. Le opere difensive e permanenti avrebbero dovuto protrarsi lungo la Mosa a valle della città stessa, contornare Maastricht e ramificarsi nella regione di Masseyck. Gli antichi forti di Liegi avrebbero dovuto essere utilizzati sotto delem1inate condizioni, valendosi dell'esperienza dell ' ultima guerra, specie nei riguardi della protezione dei ricoveri contro le artiglierie ed i gas. Intanto, con le somme disponibili si erano rimessi in efficienza, negli anni 19281929, i forti sulla riva destra della Mosa, e nell 'anno in corso sarebbero stati condotti a termine i lavori di riattamento di altre fortificazioni. In particolare, erano stati apportati e previsti notevoli miglioramenti alla corazzatura ed all'armamento con estensione (3) La Francia ed i òn.:oli francofili del Belgio cercavano di confutare tali preoccupazioni insistendo sui seguenti argomenti: a) l'orientamento tedesco dell'avanzata avvolgente sulla destra era ancora in auge; b) la via più breve d'invasione, Colonia-Parigi, passava sul territorio belga attraverso le vallate della Mosa, Sambra ed Oise, ed il sislema ferro viario tedesco era orientato in modo da agevolare le operazioni di radunata verso questo settore, per cui i belgi avrebbe. ro subito come in passalo il primo urto delle annale germaniche; c) una collaborazione così complessa non si improvvisava, ma comportava una preventiva ed accorta pianificazione senza che peraltro questa avesse dovuto dar luogo ad alcuna forma di dipendenza o subordinazione.
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della gittata da11e artiglierie dei forti da 8 a 19 km., ed il sistema fortificatorio sarebbe stato completato con piccole opere destinate ad impedire ogni infiltrazione negli intervalli fra i forti. Lo stato maggiore belga riteneva anche necessario il rafforzamento della Mosa a valle di Liegi, in corrispondenza di Visé e del saliente olandese di Maastricht. Nel settore di Visé sarebbe stato perciò costruito un nuovo forte che probabilmente avrebbe fatto sistema con quelli di Liegi. Inoltre, la regione di frontiera verso il Limburgo olandese fino a Massych sarebbe stata organizzata con opere di fortificazione campale semipermanente e sarebbe stata anche protetta dal canale di costruzione Liegi-Anversa. Esso avrebbe avuto una lunghezza di 35 metri e la sua sponda sinistra sarebbe stata rafforzata da piccoli ricoveri in calcestruzzo per armi automatiche. 11 problema delJa mobilitazione e della copertura partiva dal presupposto che le forze nazionali avrebbero dovuto essere in grado di esercitare, rin dai primi giorni di mobilitazione, uno sforzo iniziale lale da contenere l'urto dell'invasore fino all'intervento degli eserciti alleali. Per la costituzione delle 6 divisioni di fanteria e delle 2 di cavalleria erano previsti i seguenti effettivi: 195.000 uomini circa per le unità permanenti mobilitale (servizi compresi), I 00.000 uomini circa per le unità di riserva, 80.000 per le unità di riserva e 125.000 lavoratori. In totale, circa 500.000 uomini pari al 6.25% della popolazione, con un onere di mobilitazione per 25 classi. L'addello militare, sulla scorta di tutti gli elementi informativi diretti ed indiretti acquisiti, era in grado di ricostruire come segue le fasi della mobilitazione belga: I) Copertura immediata - dal 1° al 4°-6° giorno di mobilitazione. Questa copertura sarebbe stata data dalle guarnigioni di frontiera; la cui forza variava, a seconda dell'epoca, da 17.000 (periodi di forza minima) a 30.000 uomini (periodi di forza massima), che avrebbero dovuto fronteggiare Ja presupposta «irruzione» che i tedeschi avrebbero effettuato improvvisamente, senza dichiarazione di guerra, a mezzo di elementi motorizzati e corazzati appoggiati dall'aviazione. 2) Copertura - dal 4° al 6° giorno di mobilitazione. Nei quattro giorni di mobilitazione, le divisioni dell 'esercito permanente avrebbero dovuto completare sul posto gli organici di guerra e raggiungere poi la località di radunata, assumendo lo schieramento di copertura necessario per parare tempestivamente r ·allaeco improvviso (attaque hrusquée) che sarebbe stato sferrato dai tedeschi, 72
secondo i computi fatti dallo stato maggiore belga, nei primi 4-6 giorni di mobilitazione. 3) Rinforzo della copertura - Avrebbe dovuto essere dato dalle divisioni alleate il cui intervento era previsto dal trattato di Locarno e dall ' accordo franco-belga. Non era però possibile indicare il loro tempo di arrivo sullo scacchiere belga, occorrendo troppi elementi ed ipotesi per un calcolo sia pure approssimativo. 4) Intervento delle divisioni di riserva - Dopo circa 4 settimane dall'inizio della mobilitazione, tale da fronteggiare, in concorso con altre divisioni alleate, l'attacco in massa (attaque massive) ledesco previsto non prima di un mese (4 ). Cinque anni dopo, nell'autunno del 1936, sarebbe stata deliberala la motorizzazione integrale della cavalletia, sanzionando così un progetto che già da tempo era maturato presso lo stato maggiore ed il 111inistero della difesa e che sarebbe stato il punto di partenza per una serie di provvedimenti riguardanti l'impiego dei mezzi a motore. Questi erano considerati in Belgio come mezzi celeri di trasporlo che permettevano di far giungere rapidamente, nel luogo voluto ed atlraverso qualsiasi terreno, uomini ed armi per svolgere una manovra tatli ca cd eventualmente strategica. Era quindi escluso, di massima, l' impiego di mezzi destinati a proteggere col loro blindamento personale incaricato di una determinata missione o di mezzi pesanti da impiegarsi in azioni di urto e di schiacciamento. Facevano solo ecce:r.ione a questo principio le autoblindate, che erano state assegnate alle unità totalmente motorizzate come necessario sostituto delle nùtragliatiici pesanti. Tcarri armati erano pertanto esclusi dal quadro dcli' armamento belga. Anche se in effetti il termine autoblindata era adottato solo per ragioni di opportunità, trattandosi in realtà di un carro leggero completamente cingolato. I criteri che avevano presieduto ad una simile organizzazione erano la conseguenza diretta della già nota concezione in base alla quale i vertici militati del Belgio prevedevano ]'impiego dell'esercito in un eonnitto a1mato, la cui unica eventualità considerabile era sempre quella derivante da un'invasione gem1anica alla quale il Belgio si sarebbe opposto con un'azione difensiva manovrata. Le linee essenziali di questa, sulla scoria delle informazioni acquisite dall'addetto militare secondo quanto questi aveva potuto dedun-e dallo schiera1.nento di pace e delle fortificazioni, erano cos'ì sintetizzabili: (4) AUSSME, 14-5/9, da Ufficio del Capo di Stato Maggiore Generale senza altre indicazioni, presuntivamente riferibile al l 93 I.
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copertura: effettuata lungo tutta la frontiera dalle forze che vi erano dislocate permanentemente e basata sulla difesa attiva delle opere fortificate grandi e piccole, nonché sull'azione ritardatrice derivante dalle interruzioni e dalle distruzioni in corrispondenza dei punti di obbligato passaggio. La copertura belga era ripartita in tre grandi settori: uno centrale, a sbarramento della linea d'invasione Aquisgrana-Liegi-Namur-Charleroi-La Fère, di gran lunga più forte degli altri e protetto dalla doppia cintura dei forti di Liegi; uno di sinistra, a protezione da attacchi giungenti da Nord-Est attraverso il territorio olandese, appoggiato in profondità alle due linee d'acqua costituite dal canale di giunzione Mosa-Escaut e dal grande canale Albert; ed uno infine di destra, a protezione del Lussemburgo belga, appoggiato alla zona boscosa delle Ardenne. radunata: a Est di Bruxelles, fra la Dyle e la Gette, da parte del grosso dell'esercito; azione del corpo di cavalleria: in appoggio della copertura nelle direzioni e su quei tratti di fronte a Nord della linea Mosa-Escaut sulla quale la pressione nemica si fosse rivelata preponderante; manovra del grosso dell'esercito: o minacciando sul fianco destro il nemico, nel caso in cui questo avesse sormontato le difese di Liegi e procedesse per l'asse Mosa-Sambre sur Namur e Charleroi; ovvero ritirandosi progressivamente con successive resistenze, fino a rilhgiarsi dietro la linea dell'Escaut, nel caso in cui il nemico giungendo in forze attraverso il territorio olandese avesse avuto il sopravvento sulla copertura della frontiera Nord. L'assegnazione dei mezzi motorizzati alla cavalleria era stata dunque considerata in funzione della necessità di consentire una maggiore facilità e rapidità di spostamento a quelle forze alle quali era stato richiesto sia di prevenire od arrestare un'inuzione improvvisa del nemico (unità di copertura) quanto di chiudere una falla verificatasi nel dispositivo di copertura (corpo di cavalleria) (5). Non appariva del tutto fuori luogo, comunque, la chiosa apposta dal capo di stato maggiore dell'esercito gen. Pariani in calce al rapporto de11' addetto militare pervenuto attraverso il S.l.M.: «A dire il vero non mi sembra che la motorizzazione ahhia il suo migliore impiego per il ... ripiegamento!» (6).
(5) AUSSME, LI0- 12/11 prol. 3456 del 20.6.1937, da Add. Mii. Bruxelles a S.I.M., f.to ten. col. Duca. (6) AUSSME, Ll0-12/11, prot. Z/11270 del 22.7. 1937, da S.!.M. a Comando Corpo di Stato Maggiore - Uff. Add.to, f.to col. T1ipiccione.
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2. La SAPIEX S.p.A. L'imminenza d.ell'intervento italiano in Etiopia mise in moto, nel 1935, una serie di problemi nei quali gli interessi politici si intrecciavano a quelli commerciali in una commistione per la quale era arduo, in molti casi, sceverare dove finissero gli uni e cominciassero gli altri. L'argomento troverà maggior conferma nei capitoli che seguiranno relativi ad altri Paesi, ma anche nel caso del Belgio è possibile trovarne una traccia significativa attraverso quanto riferito dall'addetto militare italiano. Come in precedenza ricordato, nel 1935 questo incarico era ancora rivestito per accredilamento dall'addetto militare a Parigi, ma dall'anno precedente presso l'ambasciata a Bruxelles risiedeva permanentemente un addetto militare aggiunto nella persona del magg. Giovanni Duca, il quale pertanto aveva seguito direttamente tutta la vicenda di cui al titolo. La ditta F.N. di Herstal, città sulla Mosa alla periferia di Liegi, nota produttrice di materiale bellico di vario genere, risultava essere un'importante fornitrice di armi leggere all'Etiopia (fucili Mauser ca!. 7 ,9 e fucili mitragliatori con relative grandi quantità di munizionamento). Speditrice del materiale, così come di quello proveniente da11a Svezia facente capo anch'esso al porto di Anversa, era una ditta di questa città a capitale e gestione tedesca ed il cui responsabile era ritenuto un agente della Gestapo (7). 11 nostro ambasciatore era stato avvertito dal ministero degli esteri che l' Italia avrebbe acquistato un'intera partita di armi in corso di allestimento (pari a circa 230 tonnellate) a condizione che il governo belga avesse impedito qualsiasi altra esportazione di materiale bellico per 1'Eliopia. Questo aveva lasciato intendere che la ditta si sarebbe mostrata propensa a tale rinuncia qualora lo stesso governo belga l'avesse compensata con ordinaàoni per il proprio esercito, e quello italiano si fosse impegnato anch'esso nello stesso senso (8). Venivano perlanto stabiliti contatti fra le parti, il cui sviluppo era così ricostruito dal magg. Duca: «Un primo colloquio si è svolto ieri 3 I maggio fra il sig . .Toassaert, direttore generale della F.N. assistito dal suo segretario
(7) AUSSME, H3-2/9, prot. 550 dell '8.5.l935 da Add. Mii. Bruxelles a S.I.M., Llo Magg. Duca. (8) AUSSMb, H3-2/9, promemoria senza indicazioni di prot. del Ministero Guerra per il Capo del Governo del 27.5. 1935, f.lo il Sottosegretario di Stato.
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generale sig. Lecocq e la nostra commissione composta dall'avv. Mario Salandra ( è il figlio del ministro Antonio, stabilitosi da molli anni in Belgio e che per essere molto addentro negli ambienti finanziari locali figurava nella circostanza come .fiduciario della R. Ambasciata), dal Magg. Garigioli e dallo scrivente. Aueggiamento iniziale rappresentanti F.N. avverso ogni contatto diretto rappresentanti Italia: di.\posli soltanto tratlare con governo belga. Successivamente intransigenza diminuita, apparsa possibilità concludere, subordinando ulteriori trattative ad incontro Joassaert con ministero esteri helga che avverrà lunedi prossimo. L'atteggiamento del sig. Joassaert, che rientrava allora da un' assenza di 12 giorni per un viaggio in Jugoslavia, apparve da principio nettamente divergente da quanto era stato prospettato alla R. Ambasciata dal ministero degli esteri belga. Ciò nel senso: a) che ministero esteri aveva infonnato che " F.N. ci attendeva" per mettersi d'accordo con noi; viceversa Joassaert dichiarò che egli non intendeva assolutamente - per ovvie ragioni di correttezza cornmerciale intavolarr' trattative pt>r r:>derr. a noi una partita di anni regolarmente ordinata ed in parte pagata dal governo etiopico; b) che minislero esteri aveva prospettato possibilità che noi trattassimo con F.N. ordinazioni altro maleriale per compensare mancato affare con Abissinia; Joassaert dichiarò invece che non vedeva come Italia avrebbe potuto acquistare loro materiali in così larga misura, sia perché prodotti anche da ditte italiane e sia per il nostro attuale regime di contingentamenti. Joassaert fu d 'altra parte molto reciso ed assoluto nel dichiarare che soltanto col governo belga e non con altri egli avrebbe potuto trattare per vendergli la nota partita o per accantonarla; salvo a ricevere, sempre e soltanto dal governo, le compensazJoni del caso sotto forma di altre forniture. L'inizio del colloquio non si presentò quindi agevole; tuttavia, dopo lunga discussione, l'atteggiamento del direttore generale della F.N. divenne gradatamente meno intrans igente. Alla fine egli fece compredere che si sarebbe potuta trovare una base d 'accordo, subordinando però tale possihilità ad una nuova presa di contatto che egli si riprornetteva di avere con il suo ministero degli esteri. Tale contatto avrà luogo lunedì 3 corrente nel porneriggio. Successivo contatto stamane, ministero esteri aJferma impossibilità governo belga di prendere parte diretta nell'affare, confermando d'altra parte sua intenzione premere sulla ditta affinché si accordi con noi nel senso desiderato. Soggiunse, come già promes76
so al R. Ambasciatore, che non concederà più licenze e~portazione (lrmi Etiopia ef che fermerà comunque parfenza nota partita. Rimaste al punto sopra indicato le relazlf_mi con la FN., si è ritenuto necessario fare un nuovo passo presso il ministero degli esteri belga allo scopo soprallulto di chiarire le contraddizioni di cui alle precedenti lettere a) e b ). Stamane 1 ° giugno mi sono i1{fatti recato, accompagnando il primo segretario di questa R. Ambasciata che già aveva trattato la questione presso il sig. Le Tellier, direttore generale al ministero degli esteri, lo stesso che già in precedenza aveva comunicato con i nostri rappresentanti diplomatici sull'argomento. Udito quanto si era svolto col sig. Joassaert, egli ha dichiarato: - che il governo belga non può e non vuole partecipare ad atti di compravendita di armi da parte di altri Stati o di dille private, I rattandosi di attività commerciali cui il governo deve tenersi estraneo; - che il governo belga vuole pertanto favorire i desideri dd!'ltalia ed a tale scopo agevolare le relazioni fra i rappresentanti di questa e quelli della FN.; -- che avrebbe agito in tal senso presso il sig. Joassaert nel prossimo colloquio del 3 corr.; - che comunque il governo belga: a) non concederà più nuove licenze per spedizioni armi e munizioni al! 'Etiopia; h) so.spenderà e, se occorre, ritirerà la licenza già concessa alla F.N. per la nota partita; c) sta studiando, a cura del ministero della difesa, il modo di compensare in parte la F.N. del mancato a.f.Tare abissino, mediante altre forniture che rientrino nel quadro della sua preparazione militare (le note cartucce non possono essere prese dal Belgio perché di calibro diverso da quello qui usato: 7,65 nel Belgio, 7,9 per l'Etiopia); d) attiverà l'azione della dogana per controllare e reprimere l'eventuale contrabbando di materiale bellico ad Anversa. Impressioni complessive: F.N. cerca sfruttare situazione meglio possibile ma già risolta trattare con noi. Governo belga desidera rimanere estraneo limitandosi parte intermediario. Non si può ancora prevedere entità compensi pretesi F.N. Programma: ripresa contatti dopo colloquio Joassaert-·Le Tellier, successivo acquisto nota partita mediante ditta belga nostre mani costituita a tale scopo. 77
Dovremmo quindi dar vita ad una società anonima belia gestita totalmente e sicuramente da noi e che servirebbe ottimamente quale "camera di compensazione"fra l'Italia e la F.N. Un organo consimile, la cui creazione è assai facile, rapida (4-5 giorni) ed economica (non più di 5.000 franchi belgi), in questo Paese in cui la "società anonima" è alla base degli affari, potrebbe servire non soltanto nel presente caso ma anche in altri casi del genere che data l'attuale situazione internazionale - possono presentarsi in avvenire nel Belgio od altrove, ed essere ad ogni modo un'ottima copertura per il S.I.M. La nota partita potrebbe essere acquistata da questa società ed accantonata in deposito adatto nel Belgio stesso, in attesa di alienarla in altro modo ovvero di trasportarla in Italia» (9). La società in questione veniva effettivamente costituita alcuni giorni dopo con la denominazione di SAPIEX: Sociètè Anonyme pour Importations -l!,xportations (10), cd in merito al futuro il parere del S.l.M. era che «sarebbe opportuno mantenerla in vita anche dopo la de_finitiva chiusura dell'affare con la F.N. Essa polrebbe ancora servire, sia nel caso che si presentino consimili circostanze nel Belgio stesso od in allri Paesi, sia come mezzo adatto per seguire l'attività delle fabbriche di armi ed i movimenti di materiale bellico nei Paesi stessi» (11 ). L'intendimento del Servizio era pertanto che essa conservasse tutte le parvenze di società commerciale regolarmente costituita ed operante, e che avesse quindi un certo giro d'affari. A questo scopo, l'addetto militare a Bruxe11es aveva preso contatto con l'ing. Vanni, capo dell'Ufficio Approvvigionamenti delle Ferrovie dcl1o Stato con sede ad E ssen preposto agli acquisti di materie prime, proprio per allargare il suddetto giro (12). È interessante seguire lo sviluppo di questa società in base alla 1icostruzione che di essa forniva nel 1938 Giovanni Duca, nel frattempo promosso ten. col. e divenuto addetto militare a Bruxelles a
(9) AUSSME, I-B-2/9, prot. 605 del 1.6.1 935, da Add . Mil. BruxclJcs a Capo S.I.M., f.to Magg. Duca. (Hl) AUSSME, H3-2/9, promemoria senza indicazione di prot. del S.I.M. per il Sottosegretario di Stato alla Guerra, dat;1to J 3.6.1935 senza indicazione di firma. (11) AUSS M E, H3-29; promemoria senza indicazione di prot. del S. I.M. per il Sottosegretario di Stato alla Guerra, datalo 19.6.1935, senza indicazione di firma. (12) AUSSME, 113-2/9, promemoria senza indicazione di prot. del S.I.M. per il Sottosegretario di Stato alla Guerra, datato 10.9.1 935, senza indicazione di firma.
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pieno titolo. Secondo le direttive ricevute, la SAPIEX aveva iniziato in que11o stesso anno la propria regolare attività commerciale come società belga. Dopo vari tentativi infruttuosi nel campo delle importazioni ed esportazioni delle materie prime e dei prodotti lavorati , aveva orientato la sua azione verso l'esportazione nel Belgio di generi alimentari, con particolare riguardo al settore vinicolo. Assicuratasi in un primo tempo la rappresentanza di una importante casa di vini portoghesi di Oporto, si era diretta subito dopo verso il mercato italiano ritornato attivo dopo la chiusura del periodo sanzionistico e la 1ipresa delle relazioni commerciali italobclghe. ln seguito a ciò la SAPIEX si era assicurata la rappresentanza di alcune fiorenti ditte italiane quali Olio «Sasso» di Oneglia, Formaggi «Magrenzani» di Parma, Conserve «Del Gaizo Santarsiero» di Napoli, Vini «Mirafiori-Gancia» di Canelli, Vini «Corvo» di Capri cd altre minori. Lo sviluppo assunto dalla società aveva portato alla necessità di investire in essa capitali in misura molto superiore a quella del capitolo azionario relativamente limilato (100.000 franchi belgi); d'altra parte non si era voluto lasciarla cadere in masi straniere, dato lo scopo essenziale per il quale era nata, e si era preferito quindi fare fronte agli impegni con fondi di riserya appositamente stanziati e con prestiti ottenuti da persone di assoluta fiducia. Come norme di base ci si era attenuti alle seguenti: dedicarsi allo scambio di prodotti alimentari non deperibili, in modo che le somme impegnate fossero sempre coperte con merce di alienazione facile e sicura; non assumere impegni verso banche locali per non rimanere vincolati dal controllo di queste; valersi per quanto possibile di personale italiano, lasciando a quello belga esclusive funzioni d'ordine e tenendolo completamente all'oscuro delle finalità e delle attività segrete della società; attenersi rigidamente, per tutto quello che concerneva tenuta dei documenti contabili, lavoro del personale, ecc., alle leggi ed alle consuetudini del Belgio, per evitare ogni controllo od accertamento da parte delle locali autorità fiscali. Tale indirizzo, se aveva permesso alla società di funzionare nel campo commerciale senza perdere il proprio carattere di struttura segreta del S.I.M., ne aveva reso difficile il cammino, specie all'inizio, non potendo contare sul credito bancario che nonnalmente era alla base di ogni organismo del genere. D'altra parte le spese iniziali di gestione (aJfitLo, telefono, luce, assegni al personale, 79
corrispondenza, cancelleria, ecc.) avevano dovuto gravare per i primi I O mesi di vita sui fondi a disposizione, per un ammontare totale di 23.200 franchi belgi. Più tardi, a partire da maggio-giugno 1936, la SAPIEX aveva potuto cominciare a fruire dei risultati della propria attività, che era divenuta sempre più complessa con la progressi va assunzione delle predette rappresentanze. Ma nuovi interventi, non più a fondo perduto bensì sotto forma di prestiti, si erano dovuti fare in seguito quando la società si era trovata nella circostanza di dover fare grossi acquisti di merci presso le ditte rappresentate, e di dover pagare gli imp01ti corrispondenti prima naturalmente che le merci stesse fossero totalmente vendute. I suddetti interventi ed i prestiti non erano stati auivati con il solo scopo di mantenere il vita la SAPIEX, ma soprattutto di permetterle di svolgere una attività redclitizia capace non soltanto di conservare il, valore del capitale impiegato ma anche di riassorbire gradualmente le spese sostenute per essa. E in realtà, grazie ai prestiti in questione, la società aveva raggiunto nell'ultimo semestre del 1938 un grado di effettiva floridezza che le aveva permesso di chiudere in pareggio il bilancio 1937 e di disporre di un forte quantitativo di merce in magazzino, pur avendo già venduto sul mercato belga, nel corso dello stesso anno, circa 400.000 franchi di genere importati dall'Italia, con un giro d'affari di oltre un milione. Constatato questo stato di cose, nel 1938 la principale fornitrice della SAPIEX, la ditta «Mirafiori-Gancia» di Canelli, era intervenuta a proporre alla società di aumentarne il capitale ad un milione, con emissione di nuove azioni delle quali la ditta stessa avrebbe detenuto la maggioranza. La proposta risultava vantaggiosa per ambedue gli enti: per la SAPIEX, giacché le permetteva di liquidare i prestiti contratti e di disporre di una riserva di capitali graz ie alla quale poteva estendere la propria attività futura; alla «Mirafiori-Gancia» perché le consentiva di crearsi una base di attività su mercato ancora poco sfruttato, appoggiandosi ad un organismo ormai costituito ed introdotto come la SAP!EX. Rimaneva ora da decidere quale seguito intendesse dare il S.I.M. all'offerta stessa dato che, fino a quel momento, era questo il vero padrone della SAPIEX. A questo proposito, il ten. col. Duca operava una propria valutazione. Premesso che appariva comunque indispensabile alla SAP11'.-X aumentare il proprio capitale sociale per adeguarlo al suo giro d'affari, le soluzioni che si presentavano erano più d'una, ma quella più ri spondente alle esigenze del Servizio sembrava quella di conservare l'attuale pacchetto di azioni e di consentire l'inter80
vento dei capitali della «Mirafiori-Gancia» mediante un accordo riservato con i dirigenti di questa sul diritto che permetteva al S.l.M. di introdurre fra il personale della SAP/l!,X elementi propri, lotalmente o parzialmente a carico del Servizio stesso in relazione al maggiore o minore apporto di lavoro effettivo per conto della società. 1n ultima analisi, secondo l'addetto militare, la soluzione indicata, pur permettendo di recuperare a breve termine buona parte del denaro impiegato e conservando in pari ternpo la proprietà del rimanente, avrebbe consentito di mantenere senza ulteriore spesa una struttura di copertura informativa susceuibile di proficua utilizzazione (13). ·
(13) AUSSME. H3-2/9, relazione senza indicazione di prot, datala 1938, da Add. Mii. Bruxelles a S.I.M., Llo ten. col. Duca.
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Capitolo IV BULGARIA
Il progetto ferroviario tram·halcanico Il carteggio dell'addetto militare italiano a Sofia relativo al periodo in esame, custodito presso l'archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito, è piuttosto ridotto. È stato possibile rinvenire una monografia sulla situa:1.ione politico-militare del Paese datata 1.8.1919 redatta a cura della Missione Militare italiana (facente parte della Commisssione di Controllo Interalleata) al cui Capo potrebbe essere state attribuite, come in alcuni casi similari, anche le funzioni di addetto militare. La Bulgaria, nata come regno indipendente nel 1908, aveva partecipato fra il 1912 ed il 1913 alle guerre balcaniche al termine delle quali aveva dovuto rinunciare alla Dobrugia meridionale ed agli altri territori conquistati. Li aveva ripresi fra il 1915 ed il 19'16, dopo essere intervenuta nella 1a guerra mondiale a fianco degli Imperi Centrali occupando vaste zone della Serbia, Albania e Romania, ma il successivo crollo neJl'ottobre 1918 e la conseguente pace di Neuilly del 27 novembre 19 L9 avevano comportato confini più ristretti di quelli del 1913 (aveva perso una parte della Macedonia, passata alla Jugoslavia, e la Tracia occidentale ceduta alla Grecia, venendo quindi privata dell'accesso al Mar Egeo). Era da una monarchia costituzionale ereditata per linea maschile, rappresentata alla fine della guerra da Boris lll (1 ). Dal 1919 al 1923 fu al governo il partito socialista agrario di Starnbuliskijski (2), poi
(1) Doris TTT (1894-1943), proclamato re il 4.10.1918 all'abdicazione del padre Ferdinando I, sciolse il parlamento nel 1934 sospendendo le garanzie costituzionali ed instaurando una forma di governo autocratico. Allo scoppio della 2" guerra mondiale, pur cercando di mantenere buoni rapporti con l'URSS , si avvicinò se mpre più alla politi ca dcli' Asse. Nel 1941 aderì al Patto Tripartito, annellendo parte del la Macedonia e la Tracia ocòdentale, e consentì alle truppe tedesche di occupare il territorio bulgaro. Il 28.8.1943, di ritorno da un incontro con Hitler, morì improvvisame nte a Sofia. (2) Alexader Stamhuliskijski (1879-1923), giornalista ed uomo politico, ostile alla politica degli Imperi Centrali ne l 191 5, Primo Ministro nel 1919 e firmatario del trattato di Ncuilly.
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sostituito da quello democratico. Dal 1927 il re affermò il proprio potere personale, iniziando un periodo nel quale, anche a seguito del suo matrimonio con Giovanna di Savoia, quartogenita di Vittorio Emanuele TTT, si stabilirono legam i di amicizia con l'Italia. E proprio 1927 è datato l'unico doc umento di effettivo interesse, rappresentato da uno studio inviato nel febbraio di quell'anno al Comando del Corpo di Stato Maggiore dall'addetto militare, ten. col. Umberto Spigo, nel quale il medesimo propugnava l'attuazione di un collegamento rerroviario lransbalcanico. Il compilatore partiva dalla premessa che nell'anteguerra le comunicazioni della penisola balcanica con la rimanente Europa erano state orientate in modo da servire esclusivamente ai fini della politica e dell'economia austro-germanica. Ma attraverso le profonde modil"icazioni prodotte dalla guerra nella preesistente situazione europea, l'Italia aveva visto rapidamente migliorare la propria posizione nel vicino Oriente. Nel contempo, anche l e comunicazioni marittime ed aeree tra la penisola balcanica e quella italiana avevano ricevuto sviluppo ed ordin,nnento c1)nformi ai nosLri nuovi interessi. Le linee di navigazione Trieste-Costantinopoli e Genova-Costantinopoli e la linea aerea Brindisi-AteneCostanlinopoli, con le loro sussidiarie, conferivano om1ai all'Italia il monopolio dei collegamenti più rapidi e meglio organizzati tra il Mar Nero, l 'estrema penisola balcanica e l' Occidente. Non altrettanto, però, poteva dirsi per la rete ferroviaria, che rimanendo orientata come nell'anteguerra nel senso meridiano e cioè da Nord a Sud, continuava a servire gli interessi dell' Europa centrale già potentemente favoriti dalla ecceJlente via d'acqua danubiana. Pertanto il problema cli una transbalcanica italiana, già più volte posto e discusso prima, durante e dopo la guerra, diveniva sempre più impellente in relazione alle nostre presenti e f uture possibilità politico-economiche nel vicino Oriente. Al collegamento ferroviario dell'Italia settentrional e con la Romania, la Bulgaria e la Turchia soddisfaceva abbastanza bene la grande arteria internazionale Milano-Trieste-Sofia-Costantinopoli, con diramazioni su Bucarest c su Salonicco-Atene; ma quella linea, oltre ad essere, specialmente dopo la guerra, in condizioni tecniche molto precarie, presentava l'inconveniente politico di attraversare il territorio jugoslavo in tutta la sua lunghezza. Dal canto loro, le comunicazioni via mare fra J'Ttalia da una parte e le regioni centrali della penisola balcanica dall'altra (Bu lgariaMacedonia), presentavano in tempo di pace van svantaggi di carat84
tcre economico. Tn guerra poi esse si svolgevano attraverso mari minacciati e - quelle dirette in Bulgaria, in Romania e verso la Tracia I.urca - erano alla mercé di chi avesse avuto il possesso degli Stretti. In particolare, nessun diretto collegamento marittimo e terrestre era possibile in tempo di guerra fra l'Italia e la Bulgaria senza il benestare dellla Turchia o del regno S.H.S.; e neppure con la Romani a, a meno di non perve nirvi molto indirettamente attraverso I' A.u;scria e l'Ungheria. Inl'ine era da sottolineare come, lungo i 700 Km. di costa prospicienti la penisola italiana da Spalato a Patrasso, nessuna ferrovia collegasse con l 'Adriatico e con l'Italia la vasta reg ione a ridosso, che rimaneva pertanto commercialmente separala dal nostro Paese. Nel prosieguo della sua esposizione, l'addetto militare richiamava i var1 progetti già posti allo studio, sia per iniziativa italiana che st raniera, per una ferrovia transbalcanica. Omei.leva però di conside rare le varie proposte di una Danubio-Adriatico con stazione capolinea sul litorale S.H.S. perché meno conforme all ' inlercs sc i!,diano, tanto pii' , che essa non avrehhe costituito in sostanza che un dupli cato della linea del 45 ° parnllelo, ossia del la Fiurn eZagahria-Bucaresl. già esistente e più vantaggiosa per l' Italia. R d'altra parte erano noie le difficoltà che incontrava il traffico fra l' Ungheria ed il porto di Fiume, per il solo fallo che la strada ferrai.a Budapest-Fiume correva per un lungo tratto in territorio jugoslavo. Limitava quindi lo studio ad una Lransbalcanica più meridionale, con tesla di linea sulla costa albanese. Rispetto alle aJLre questa feITovia, che si poteva chiamare del 41 ° parall elo, presentava per l'Ttalia i seguenti vantaggi: 1) si svo lgeva in Paes i o direttamente controll ati (Albania) od amici (Macedonia greca o serba); 2) per la sua lontananza da quella, presentava le minori interferen7,e possibili con la già esistente Trieste-Costantinopoli, per ciascuna delle sue linee aveva un proprio hinterland a sè stante ; 3) si attestava al litorale adriatico nel tratto più prossimo al prospiciente territorio ilaliano; 4) soddisfaceva a finalità di alto interesse politico-militare ed economico. Tra i vari progetti di transbalcanica italiana, quelli di elezione risultavano sostan1.ialmentc due, il Brindisi-Valona-Monastir e l ' Otranto-Valona-Monas lir, ed in particolare il primo semhrava preferibile perché: - consentendo il servizio di navi-traghetto, assicurava il perfetto 85
collegamento senza trasbordi fra la rete peninsulare italiana e la rete ferroviaria sudbalcanica, con rilevante vantaggio economico; - faceva capo, per il tratto marittimo, a due efficienti scali già organizzati e soprattutto protetti da difese militari in nostro possesso (piazzaforte di Brindisi e baia di Valona). Comunque, sarebbe spettato ai tecnici navali determinare quale tra i due scali di Brindisi e di Otranto fosse il preferibile mettendo a confronto, oltre ad altri elementi, la si curezza offerta dalla piaizaforte di Brindisi con il vantaggio di un breve e meglio difendibile tragitto marittimo in corrispondenza di Otranto. Senonché anche la Brindisi-Valona-Monastir presentava nel suo ultimo tratto alcuni inconvenienti e pertanto, in luogo dei diversi progeui fi nora messi allo studio, si proponeva per la transbalcanica il percorso BrindisiValona-Còriza-Fiòrina, esso pure con prosecuzione su Salonicco e Costantinopoli da una parte e su Sofia dall'altra. Lo studio del ten. col. Spigo prendeva poi in esame i vantaggi derivanti all ' Italia dalla realizzazione del progetto, dando la precedenza a quelli di carattere militare. La transbalcanica avrebbe creato un collegamento ferroviario breve e diretto tra la penisola italiana e Paesi balcanici per essa a vario titolo importanti quali Albania, Macedonia greca e serba e Bulgaria ed, eventualmente, la Romania ed il Mar Nero. Pertanto, nei riguardi del teatro di guerra balcanico il vantaggio della continuità ferroviaria fra la rete itali ana e quella bul garo-macedone sembrava tanto più rilevan t:e in quanto non esistevano al momento, con quei Paesi, collegamenti terrestri o marittimi indipendenli da altri Stati. Si cakolava che in determinate circostanze la Macedonia antiserba potesse mohilitare da 65 a 70.000 uomini, e circa 500.000 avrebbe potuto mobilitarne la Bulgaria . Nel caso che si fosse dovuto valori zzare questo complesso di forze sarebbe stalo necessario potervi indirizzare un atìlusso di rifornimenti bellici continuo e sicuro, e la sola via che dall'Italia lo consentiva era la tran sbalcanica. Di conseguenza, nell'ampio fronte avvolgente che andava dal monte Tricorno (Alpi Giulie) lungo tutto l'Adriatico fino alla confluenza Danubio-Timok (B ulgaria nord-occidentale), la transbaJcanica avrebbe assolto per l'ala destra italiana un fondamenLale compilo logistico e strategico. Nei riguardi del teatro di guerra micro-asiatico la transbalcanica italina, attraverso l' Albania ed una Grecia amica, puntava direttamente sull a Tracia turca e su Costantinopoli ev itando i rischi marittimi dell'Arcipelago e le difficoltà degli Stretti. La distanza Brindisi-Costantinopoli sarebbe risultata di circa 1.345 Km., ed era 86
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CARTINA N. 2 - Schema del progetto di collegamento ferroviario transhalcanico proposto nel 1927 dall'addetto m ilitare italiano a Sofia.
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anche da sottoJineare che un servizio di navi -traghetto avrcbhe collegato prossimamente, attraverso il Bosforo, la rele ferroviaria halcanica a quella rete asiatica. Ma un altro aspetto della questione semhrava di non minore importanza. Una delle maggiori difficoltà belliche dell'Italia era quella del rifornimento delle materie prime, specie a causa dell'eccesiva lunghezza e poca sicurezza delle nostre linee di comunicazione marittime. Anche tacendo delle varie allre risorse che il mercato balcanico assicurava (cereali, bestiame, legnami, ecc.), esso offriva ad immediata portata una delle materie prime più essenziali ai trasporti cd alle industrie di guerra, il carbone. A Pernik in Bulgaria, a 27 Km. da Sofia, esisteva il più ricco giacimento di combustibili fossili della Balcania, con 4.000 tonnellate di produzione giornaliera ma suscettibile di ancora maggiore sviluppo. Proprio alcune settima ne prima il governo bulgaro aveva fatto regolari proposte per avviare verso l'Jlalia un flusso d' esportazione dall a miniera di Pernik, ampliandone la produzione con direzione, mano d ' opera e finan, .iamcnto parzialmente italiani (comparteci pazione). Già durante una recente crisi mineraria inglese, Milano aveva assorbito un primo quantitativo di questo carbone. fl prodotto mal si presentava poi al trasporto via mare, perché talvolta soggeuo nelle stive all'autocombustione, da cui l'opportunità di ricorrere al trasporto ferroviario. rnoltre, nello stesso Paese esistevano altre miniere di ligniti e di antraciti, al momento poco srruttate propri o per difficoltà di trasporti e di sbocch i; ed alcune di queste si trovavano in valle Struma, ovvero sulla principale diramazione della transbalcan ica. Quanto ad altri minerali , poco lontano da Sofia, ad Elisseina, si trovava la miniera di rame di Plakàlniza, la più organizzata industria estrau.iva della Rulgaria con LOO tonnelJate di produzione al giorno. TI vantaggio di cui sopra, faceva giustamente osservare il capo ufficio operazioni dello Stato Maggiore Esercito nella nota riassuntiva del documento, andava valutato anche nella prospettiva di un conflitto con la Francia nel corso del quale avremmo potuto vedere disimpegnati i nostri rifornimenti dall'Oriente dalla via marittima obbligata del Mediterraneo. Infine, nella contigua Romania si estendevano vasti giacimenti di combustibili liquidi, sempre più indispensabili al nostro naviglio militare e mercantile e per i quali erano appunto in corso trattative fra il governo italiano e quello romeno. ln merito ai vantaggi di ordine economico, il mercato balcanico esportava materie prime ed importava prodotti industriali. L'Italia 88
vi occupava un posto di prim'ordine, contrastato però attivamente e spesso superato dalla concorrenza dell'Europa centrale, favorita dall' orientamento ferroviario in atto e dalla via d'acqua danubiana. I ,a merce italiana raggiungeva facilmente i porti, ma la sua penetrazione nell'interno riusciva lunga e costosa. Per farla giungere ad esempio a Sofia, principale centro delJa Bulgaria, occorreva portarla fino a Burgàs o Varna, sul Mar Nero, e di là inoltrarla per ferrovia. Soria distava circa 500 Km. dal Mar Nero e questo 1500 Km. da Brindisi, mentre sarebbero occorsi 890 Km. in tutto per raggiungere direttamente Soria da Brindisi, che era la piì:, prossima sta;,,ione ferroviaria italiana. ln altri termini, le regioni centrali della penisola halcanica erano geograficamente equidistanti dal basso Adriatico, dal Mar Nero e dall'Egeo, ma tull.i i loro traffici si svolgevano attraverso questi due ultimi mari nonostante fossero più eccentrici, mentre il basso Adriatico ne restava ciel tutto escluso, e ciò unicamente per la mancanza di comunicazioni e cli sbocchi verso Occidente. Ove si fosse considerato che la maggior parte <klle esporla;,,ioni europee nella Ralcania consisteva in merci ricche e poco ingombranti (tessuti, macchine, manufatti in genere), era facile prevedere che la costruzione della transhalcanica avrebbe cor11portato una rivoluzione nell'attuale assetto commerciale a tutto favore dcli' Italia, assicurandole un assoluto privileg.io in lutti i mercati cenlro-halcr..nici. Di riflesso, ciò avrebbe dato nuovo impulso alla auspicala industrializzazione del nostro Mezzogiorno e specialmente deJ triangolo Brindisi-Napoli-Foggia, ivi comprese Taranto e Bari. In definitiva, si poteva affermare che, grazie alla transbalcanica, la Macedonia e la Bulgaria occidentale sarebbero divenute retroterra economico del!' Italia, Non minori , secondo il compilatore dello studio, i vantaggi politici e culturali. Egli partiva dal presu pposto che nella penisola balcanica la lingua e la cultnra italiane, per antica tradizione, avevano occupato il primo posto sino a pochi decenni prima. In seguito avevano perso rapidamente terreno, sostituite dalla cultura e dalla lingua francesi , ed in parte dalla lingua tedesca. Si trattava peraltro di un successo artificioso in quanto ottenuto sopratutto con un'abile organi;,,zazione e con l'attiva propaganda, e come ta le contrastabile, Infatti da qualche anno l'Italia stava tentando la rimonta: con il prosperare dei commerci la lingua aveva comincialo a riapparire, e le leggi immutabili della geograria e dell'economia tendevano a riprendere il sopravvento. Si trattava ora di aiutare questa ripresa, valorizzando l'inestimabile vantaggio della prossimità geografica, 89
Attraverso l'università di Bari l'Italia aveva inteso realizzare un grande centro di irradiazione della propria cultura nel vicino Oriente, nonché un polo d'attrazione della gioventù studiosa balcanica. Questa in realtà, era assetata di cultura occidentale, e le nuove classi dirigenti si fonnavano negli atenei di Francia, d'Italia, dell'Europa centrale e soprattutto della Germania e della Francia. Quasi senza avvedersene, esse assimilavano la mentalità e le idee predominanti in quei Paesi ed assorbivano la loro influenza diventandone ferventi propagandiste ed estimatrici, il che non poteva non avere una ripercussine politica ed economica a vantaggio di queste nazioni e a danno della nostra. Invece, in virtù delle premesse accennate, pochi dei giovani balcanici sarebbero dovuti sfuggire all'influenza del pensiero e della cultura italiani, tanto più che l'Italia del momento poteva offrire loro, nell'ambito della arti, delle lettere e delle scienze quanto, se non più, degli altri Paesi. Ma Bari da sola era lungi dal poter assolvere questo compito. La Puglia, geograficamente tanto vicina alla penisola balcanica, in pratica ne distava quanto la Francia o la Germania o la Cecoslovacchia, per cui a conti fatti lo studente balcanico continuava a preferire Parigi, Berlino, Vienna e Praga. Invece, una volta colmato in corrispondenza della strozzatura di base il lungo fosso adriatico ed una volta congiunta attraverso Sofia con il Mar Nero ed attraverso Salonicco-Costantinopoli con l'Asia Minore, l'Italia sarebbe venuta allora a risultare, tra i paesi occidentali, il più vicino materialmente e spiritualmente. Attraverso le nuove vie di comunicazione il pensiero, la cultura e la tecnologia italiane si sarebbero diffusi nel vicino Oriente, con notevoli ricadute per le nostre industrie e le nostre relazioni commerciali e, ancor più, con un importante incremento del prestigio politico e spirituale dell'intera nazione. Ma, nella valutazione del tcn. col. Spigo, di non pochi vantaggi avrebbero goduto anche i Paesi balcanici interessati. Per quanto riguardava l'Albania, benché situata ad immediato contatto con la civiltà occidentale, questa restava ancora al momento segregata da essa, essendo l'unico Paese d'Europa sprovvisto di ferrovie. La transbalcanica avrebbe immesso l'Albania su1la grande rete ferroviaiia sud-europea, le avrebbe dato uno sbocco all'Egeo e la trasversale di base per la sua futura rete ferroviaria interna. Il tronco ValonaCòriza avrebbe tagliato il territorio albanese quasi a metà distanza fra Nord e Sud, annullato l'ostacolo montano longitudinale che inceppava ogni movimento nel Paese e sarebbe transitato ad una 90
decina di chilometri da Berat e ad una quindicina da Elbasan, primario centro geografico e stradale, nonché a breve distanza da Còriza, di cui avrebbe percorso la fertile pianura cerealifera. In una parola, esso avrebbe vivificato tutta l'Albania centrale e meridionale, costiI ucndo la premessa indispensabile per valorizzare le ricchezze minerarie forestali e agricole di quelle regioni, al momento ancora non sfruttate. Nei riguardi della Jugoslavia la Transbalcanica avrebbe ;dlacciato la rete ferroviaria serba ad una grande arteria del basso t\driatico, le avrebbe dato un secondo scalo commerciale verso Sud, a complemento di quello di Salonicco, e le avrebbe offerto una grande via di penetrazione in Albania con notevoli possibilità economiche. l vantaggi per la Grecia sarebbero consistiti innanzitutto in quello di acquisire una importante forma di comunicazione con l' Albania, uno sbocco commerciale sull'Adriatico nonché un collegamento ferroviario virtualmente continuo con la rete italiana. L' allacciamento ferroviario di Salonicco con Valona ( per una distanza fra i due centri pari a circa 430 Km.) non avrebbe potuto in definitiva che avvantaggiare il traffico dei due porti, in tal modo costituenti sistema, mentre la ferrovia Sofia-Salonicco (Km. 355) avrebbe fatto di quest'ultima città lo scalo naturale di Sofia ed il ricco emporio di tutta la Bulgaria occidentale. Inoltre la Macedonia e la Tracia greche sarebbero state percorse in tutta la loro lunghezza da un'arteria internazionale di grande comunicazione, quale la B1indisi-Costantinopoli, con tutti i vantaggi inerenti. Sotto l'aspetto militare, la Grecia avrebbe visto completata con il tratto FiorinaCòriza la propria linea di an·occamento Fiorina-Doiran in corrispondenza della frontiera jugoslava, ed avrebbe avuto disponibile una ferrovia per un'eventuale penetrazione politico-militare verso l'Albania. Il fatto poi che la ferrovia avrebbe assunto un carattere prevalentemente italiano, avrehhe costituito un indubbio vantaggio politico per la Grecia, interessando direttamente l'Italia al libero f unzionamento di tale arteria e di conseguenza coinvolgendola nell'ostacolare ogni eventuale di scesa jugoslava verso Salonicco. Anche la Bulgaria, infine, avrebbe conseguito notevoli benefici dal momento che la Transbalcanica significava la più breve e rapida congiunzione con il mare libero e con l'occidente, ed in particolare con un Paese amico quale l'Italia, il collegamento con l'Albania al momento inesistente e, soprattutlo, la dfretta presa di contatto con la Macedonia, principale oggetto delle proprie rivendicazioni. In detenninatc eventualità di guerra, e sotto certe condizioni, la transbalcanica avrebbe potuto equivalere per la Bulgaiia alla rottura dell ' accerchiamento 91
militare, non essendo da esc ludere che nel caso di ostilità la Macedonia meridionale, e con essa la ferrovia Sofia-Egeo-Adriatico, potessero venire sottratte al controllo serbo-greco dall ' azione concomitante dei bulgari e dei macedoni. A fro nte dei descritti vantaggi, lo studio dell'addetto militare non trascurava di prendere in esame le obiezioni che ad esso avrebbero potuto essere mosse. Per quelle di carattere finanziario, si ammetteva che considerato solo di per sé l'esercizio dei nuovi tronchi sarebbe 1isultato prohabilmente in un primo tempo passivo. Ma il rendimento delle grandi vie di comunicazione andava valutato con più ampia visione, e cioè in funzione dei vantaggi economici e politici che non solo direttamente ma anche indireu.amenle ne potevano derivare ed in merito ai quali era già stato fatto un appre,,.zamento. Ad ogni modo, andava rilevato che i I.ratti di linea da costruire non avevano eccessivo sviluppo, che le opere d'arte non erano né numerose né lunghe (un ponte di 475 metri di luce sulla Vojussa, e qualche galleria di assai breve sviluppo) e che, a giudizio dei tecnici, la trazione poteva essere molto economicamente ,1li111e n1a1a con l' energia idroelettrica di circa 60.000 H .P. tratta dai laghi di Prespa e di Olu·ida, siti rispettivamente a 857 e 687 rne!Ti di altezza, ricchi bacini nalurali ancora da sfruttare, nonché attrnverso l'energia termoelettrica 1icavata dai vasi i giacimenti di lignite esistenti nella regione. I ,e obiezioni di carattere politicomilitare avrehbero potuto incentrarsi su lle forti opposizioni che da parte del governo _jugoslavo sarebbero slale rivolte nei confronti dei precedenti progetti di transbalcanica implicanti, fòrse perché guidali da una div ersa valutazione politi ca, l' a ura versa me nto della Macedonia passando da Monastir. Tuttavia, riferendosi sempre a que i progetti, Spigo faceva notare come l'allraversamento della frontiera serbo-albanese presentasse vantaggi e svantaggi analoghi e reciproci sia per il sislema Italia-Alhania che per la Jugoslavia. Cosicché, tutto considerato, il rifiuto al lransito in territorio serbo non sarebbe dovuto · apparire la migliore risoluzione per il regno S.H.S., che avrebbe visto la propria rete, ed in particolare Monastir, esclusa da un' importante arteri a internazionale di Lraffico. Più conveniente avrehhe dovuto sembrargli invece aderire al passaggio della linea, non foss'altro che per poterne esercitare il controllo tanto in pace quanto in guerra. Pit1 giustificate sarebbero risullate invece le opposizioni di Belgrado al raccordo con la Bulgaria attraverso il proprio t.etTitorio (Macedonia), in merito al superamento delle quali sarebbe dovula intervenire una politica di intese peraltro diflicilrnente realizzabile tra ·governi balcanici. Di conseguenza, lenuto anche conto di alcune difficoltà tecni92
c he, si riteneva consigliabile evitare il saliente in territorio serbo (circa 60 Km.), e ciò qualunque avesse potuto essere l'atteggiamento del governo S.H.S. Circa le obiezioni di carattere economico, la Grecia e Ja Bulgaria avrebbero potuto trovarsi indotte a temere che la forti.ma economica del nuovo porto di Valona si edificasse a detrimento di Salonicco greca e di Vm11a e Burgàs bulgare. Ma a questo proposito si poteva controbattere: a) che Valona, Salonicco cd i porti bulgmi, pur avendo in comune il retroterra più interno, giacevano in bacini affatto diversi ed operavano in direzioni divergenti (Adriatico, Levante, Mar Nero); h) che dopo superata una prima rase di assestamento, quei var'ì scali avrebbero finito per costituire un sistema armonico e completo, con vantaggio proprio e dell'economia balcanica dalla quale essi traevano alimento; e) che avverandosi in parte l'ipotesi, l'eventuale danno sarebbe stato pur sempre compensato dai numerosi altri benefici già menzionali. E d'altronde ogni progetto di nuove vie di comunicazione aveva sempre sollevato obiezioni del genere, che la realtà si era poi incaricata di s1ncntire, in tlltto od in parte. Per quanto infine riguardava il traffico marittimo italiano in atto con il vicino Oriente, esso avrebbe avuto tutto da guadagnare da una maggiore penetrazione italiana nella penisola balcanica e da.Ilo sviluppo economico di quelle terre, per cui nella nuova feffovia avrebbe trovato non già una concorrente bensì una preziosa alleata. Bisognava infaui ricordare, concludeva giustamente il compilatore, che la penisola balcanica non era un campo già stabilizzato e chiuso e nel quale ogni nuova iniziativa non potesse affermarsi che a detrimento delle preesistenti, ma essa comprendeva invece Paesi ricchi di possibilità tuttora allo stato potenziale. Senza dubbio la nuova arteria avrebbe stornato i1npo1tanti correnti di traffico dai Paesi dell'Europa centrale verso 1'1ta1ia, ma ciò, unitamente all'ulteriore affermarsi dell'attività economica italiana nella Balcania, non avrebbe potuto che avvantaggiare le nostre auuali linee di trasporti marittimi con l'Ori ente. Seguivano le obiezioni di carattere tecnico, relative soprattutto al traghetto del treno attraverso il canale di Otranto che sembrava potesse presentare serie difficolfa, a proposito della quali l'addetto militare contrapponeva una serie di considerazioni basate su riferimenti ed analoghe esperienze europee e non, pregresse ed in allo (3). (3) AUSSME, Cì29- I, senza indicazioni di prol. datato 3.2. 1927, da Add. Mii. Sofia a Comando Corpo Stato Maggiore, r.10 tcn. col. Spigo.
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Capitolo V CECOSLOVACCHIA
1. 1930: Un esercito efficiente La Cecoslovacchia fu uno degli Stati sorti dopo la Ja guerra mondiale dal disfacimento della monarchia austro-ungarica mediante l'unione deJla Boemia, della Moravia, della Slovacchia e della Rutcnia sub-carpatica. Si trattò di uno dei problemi più spinosi aperti dalla sistemazione scaturita dalla Conferenza della Pace di Versailles, quello cioè dell'esistenza di minoranze nazionali all'interno dei va6 Stati, ancora più complesso nell'Europa centroorientale dove l'intreccio di popoli rendeva molto difficile un'applicazione rigorosa del principio di nazionalità e la formazione di strutture statali compatte dal punto di vista etnico. Così nella neocostituita Cecoslovacchia, accanto ai boemi ed agli slovacchi, dovettero coesistere 3 milioni di tedeschi, polacchi ed ucraini. Oltre alle differenze ctno-politiche, alimentate dalle spinte autonomiste degli slovacchi e dalla forte minoranza tedesca dei Sudeti che aspirava al ricongiungimento con la Germania, v'erano poi differenze religiose (la maggioranza dei cechi era protestante, quella degli slovacchi cattolica) e socio-economiche, con una congerie di piccoli partiti ciascuno rappresentante una diversa combinazione di interessi settoriali: il regime parlamentare dipendeva dall'esistenza di condizioni nelle quali il partito più forte, quello degli agrari, cercava di fare qualcosa per accontentare tutti. Nonostante ciò la Cecoslovacchia, con il livello relativamente alto di industrializzazione e con una solida, efficiente e colta borghesia urbana, sembrava il solo Paese dell'Europa centrale nel quale potessero fiorire istituzioni libere e democratiche - espresse al meglio da Thomas Masaryk, fondatore dello Stato e suo primo presidente, e da Edvard Bcncs, ministro degli esteri e successore del primo alla presidenza della repubblica (I) - e che avesse i titoli
( 1) Thomas Masaryk (1850-1937), boemo, uomo politirn ùi impronta liberale, statista ùalle grandi capacità organizzative, cooperò notevolmente alla causa ùdl'indipendenza cecoslovacca; il fi glio Jan, diplomatico di carriera e ministro ùcgli esteri dal 1925 sino
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per agire come fattore di stabilità in un'arca instabile. Ma la sua posizione internazionale era vulnerahile: nonostante l'esercito fosse abbastanza efficiente e dotato di un buon sistema di fortificazioni al confine occidentale, e che 1'eredità austro-ungarica comprendesse una delle più importanti fabbriche d'armi quali la Skoda, le frontiere della Cecoslovacchia non furono mai riconosciute dai suoi vicini. Una controversia con la Polonia per l'area industriale di Teschen impedì fino all'u1timo ai due Paesi di collaborare alla formazione di un valido contrappeso alla Germania; a Sud l'Ungheria non cessò mai di sperme nello smembramento del vicino Stato federale e nel recupero di una Slovacchia irrevocahilmente considerata come parte integrante delle «terre della Corona di S. Stefano»; ed anche con la debole rcpuhhlica austriaca, dipendente dalle miniere ceche per la maggior parte del proprio fabbisogno di combustibile, i rapporti non furono mai molto stretti né cordiali. Solo con Romania e .Jugoslavia, nell'intento di tutelarsi a vicenda, nacquero una serie di accordi che dettero vita nel 1920 alla Piccola Intesa, un'alieanza sorta in funzione anti-asburgica e come risposta alle ambiguità della politica francese nei confronti dei nuovi equilibri balcanici. In merilo alle condizioni dell'apparato militare, esis1e una relazione dell'addetto italiano a Praga, all'epoca il ten. col. Raffaele Cadorna (2), reiativa al i 930 della quale si riportano le considerazioni conclusive. La dottrina di guerra veniva adauata allo speciaie ordinamento dell'esercito cecoslovacco (assenza di comando di corpo d'armala, divisione quaternaria con speciali mezzi e servizi), alle particolari
all 'occupazione tedesca nel 1938, rie nirato dal l' esilio ;1 Londra dopo la 2a guerra mondiale e ripreso il suddcuo incarico, mori in circos1;1111/e tull.ora oscure ( suicidio, omicidio. ratali1~·>) nel 1948 dopo l' avvento de l regime crn 111111ist:1 al quale sembrò, almeno apparenteme nt e, di aver aderito. Edvard 11enes ( I884- 1948), bccrno, uomo politico di n1atricc progressi sta, fu ministro degli esteri d opo la proclamazio ne de lla repuhlica nel 191 8 subentrando a Masaryk quale presidente nel 1935; dopo l'occupazio ne tedesca nel 19 '1. 8, riparò a Londra dove costituì un governo in esilio . Rie ntrato in patria ne l 1945, l'anno successivo fu nuovamente ele tto alla presidenza della repubblica: subì a malincuore l' im posizione di un governo comunista, dimellendosi dalla carica qualche mese dopo. (2) RafTaclc Cadorna (1889-1973), figlio rii Lui gi, comandantt.: supremo nell a I a g uerra mo ndiale; ufficiale di cavalleria, partecipi'> alla guerra italo -turca ccl a quella 19 I SI') I 8, rict>pn.~ndo poi varì incarichi tra i quali, da colonndl o, il comando del reggi me nto «Savoia Cava lleria». Promosso generale di brigata nel 194 1, fu comandante de.Ila scuola di cavalleria di Pine rolo, nel 1943, de lla divisione corazza la «Ariete» e ne l 1944 de l corpo volontari della libe rtà. Ge nerale di divisione nel 1945, ne.Ilo s tesso anno fu no minato capo di staio maggiore dell' esercito, carica retta sino al 1947.
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circostanze di terreno, all'entità ed allo spirito delle proprie forze e delle probabili forze avversarie. In particolare, tali adattamenti si estrinsecavano in una accentuata economia delle forze; nell 'estensione a 4-6 Km. (in terreno nonnale) del fronte di attacco assegnabile ad una divisione; nella esclusione, salvo casi eccezionalissimi, dell'attacco senza che fosse assicurato l'intervento della massa di artiglieria disponibile e, pertanto, nel frazionamento in profondità dell'attacco stesso per assicurare in qualunque fase la cooperazione di tale massa; nell'attribuzione al comando superiore del compilo di rissare, nei propri ordini di operazione, elementi che in genere venivano lasciati all'iniziativa dei comandi in sottordine. La regolamentazione, per quanto riguardava le istruzioni tecniche, era ripresa in parte da quella francese, ispirala in altra parte a quella tedesca ed infine frutto anche di compilazione originale. Le istruzioni tecniche risultavano numerose e compilate con molta cura e minuziosità. Il documento prendeva poi in esmne la situazione del personale. Per quanto riguardava gli uffici al i, ncll' alta gcrarch ia dc11' esercito erano piuttosto scarse le personalità che davano l'impressione di essere di levatura adeguata alla carica coperta, cd il corso della carriera verso i gradi elevati era ancora sensibilmente determinato dalla considerazione che un soggetto godeva negli ambienti politici più influenti. Lo stato maggiore aveva in corso il completamento di buoni elementi, di reclutamento regolare e rigoroso, ma ve ne erano tuttavia molti di preparazione inadeguata agli alti compiti ai quali dovevano adempiere. La grande massa degli ufficiali in servizio permanente delle armi e dei servizi aveva ormai cultura professional e, pratica del servi zio e spirito di disciplina molto buoni, anche se la !oro situazione sociale ed il loro morale non sembravano abbastanza elevati pur se in via di miglioramento. La classe degli ufficiali era piuttosto numerosa, ed il reclutamento fra l'elemento ceco-moravo non trovava difficoltà. Gli ufficiali si mantenevano, di massima, estranei alla politica e non esercitavano sugli ambienti politi ci alcuna pressione . I quadri del momento erano ormai molto prossimi a quelli previsti dalla sistemazione degli organici. Degli ufficiali della riserva, solo quelli delle classi più giovani mostravano un interessamento abbastanza spiccato per i problemi militari ed attaccamento al loro ruolo professionale, ed in questo senso si rilevava addirittura un incremento. Anche la loro istruzione tecnica poteva giudicarsi soddisfacente. Tl corpo dei sottufficiali di carriera aveva gli organici completi 97
per quanto concerneva i posti di maresciallo (8.816), ed era invece molto carente per quanto concerneva i graduati cosiddetti «di lungo servizio», il cui fabbisogno era calcolato in almeno 8.000 uomini; il numero di questi ultimi non raggiungeva il 50% del suddetto fabbisogno, malgrado le condizioni di avanzamento fossero molto favorevoli e nonostante la propaganda fatta dall'amministrazione militare per attrarre aspiranti. Tra i cittadini di cultura appena superiore alla elementare, quelli di nazionalità ceca non sentivano attrattive per la carriera militare, se non proprio in caso di fallimento nell'impiego privato; essi tuttavia erano quelli che fornivano la grande maggioranza dei sottufficiali di carriera. Gli slovacchi non erano di temperamento tale da sottomettersi spontaneamente ad un lungo servizio lontano dalla loro ten-a; i cittadini di nazionalità tedesca non amavano abbastanza il servizio in un esercito nel quale la lingua ufficiale, per essere ammessi alla rafferma , non fosse la loro; quelli di nazionalità ungherese ritenevano di avere numerosi motivi per non proseguire la militanza al di là del tempo indi spensahile; que1li di altre nazionalità, infine pensavano solo eccezionalmente alla carriera militare. L'elemento sottufficiali, in genere, era intelligente ma di capacità ed allitudine militare non spiccate. l sottufficiali di leva inoltre non avevano l' autorità corrispondente a gradi e mansioni, specialmente in ragione della brevità del loro servil',ÌO e della rapidità del!' avanzamento. Circa la truppa, in media poteva considersi molto valida dal punto di vista della prestanza e resistenza fisica, disciplina, intelligenza, istruzione individuale e tecnica. Quanto alla solidità morale ed alla fedeltà alla bandiera in caso di guerra, era opportuno mantenere ancora la debita riserva in relazione alle caratteristiche psichiche della popola7,ione ceco-morava e del l'incognita degli atteggiamenti delle masse dell ' una o dell 'allra nazionalità in caso di divergenze interne o con Paesi limitrofi. L'ordinamento dell ' esercito appari va adeguato alla situazione speciale del Paese ed a11e sue for,..,e; una palese deficienza era stata da poco colmata con la costituzione di due nuovi reggimenti d' aviazione, dei quali uno da bombardamento. Altra deficienza lamentala e riconosciuta era quella delle formazioni controacrcc, di carri armati, di autoblindo e di ciclisti, per sanare la quale erano in corso opportuni provvedimenti. L'armamento, l'equipaggiamento ed i vari mezzi tecnici risultavano qualitativamente spesso di primissimo ordine, mentre non avevano raggiunto ·1e qualità fissate dagli organici, cosa che si sperava di ottenere con l'acceleramento 98
dato nel 1929 al ritmo deJle forniture ed il cui programma era originariamente da completare entro il 1927. La dotazione più avanzata era quella dei moschetti Mauser, poiché oltre che per la distribuzione alle truppe in servizio ve ne erano circa 200.000 per le riserve. La dotazione di mitragliatrici pesanti Schwarzlose raggiungeva la cifra di 2000 circa. Le autoblindo moderne ammontavano in totale ad una cinquantina. I carri d'assalto erano ancora i 6 vecchi esemplari Renault leggeri, ma era tuttora in fase di studio un nuovo tipo il cui chassis doveva servire anche per un trattore d'artiglieria. Le dotazioni di questa erano complete presso i corpi anche per le loro unità-quadro. I pezzi da campagna erano ancora modelli concretati dalla Skoda durante la guerra con modificazioni per il calibro atte a prolungarne la gittata, mentre i medi calibri erano in parte di nuovo tipo .. Il complesso dei pezzi esistenti poteva valutarsi in 800 circa per quelli di piccolo calibro, cd in 450 circa per quelli di medio e grosso calibro, cifre nelle quali non erano comprese le artiglierie controaere. Andava tenuto presente che il rallentamento nel ritmo delle forniture rispetto al prevedibile era stato causalo dal f ali.o che nel 1929 erano stati negati ali' amministrazione militare i fondi segreti che nei vati' anni precedenti avevano rinsanguata la cifra delle assegnazioni di bilancio. Inoltre la sostituzione delle vecchie dotazione con materiali più moderni non veniva affrontata con decisione, per il fatto che l'amministra;r,ione militare faceva grande as·segnamento sulla potenzialità dell'industria bellica del Paese per il rapido approntamento dei fabbisogni di materiali moderni. Si prefcri va pertanto spendere grandi somme per perseguire e giungere alle più recenti espressioni della tecnica, per valutare modelli di materiali sperimentali e predisporre per il rapido alleslimenlo dei più recenti e perfezionati di essi anziché procedere ogni anno ad un parziale rinnovo delle dotazioni (3).
2. Le ripercussioni militari e politiche del conflitto italo-etiopico Il conflitto italo-etiopico svoltosi fra il 1935 ed il 1936 fu naturalmente seguito anche in Cecoslovacchia con la adeguata atten-
(3) /\USSME, H3-48n, senza indicazione di prot. datata 1930, da Add. Mii. Praga senza indicazioni di destinatario e di firma.
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zione, sia negli ambienti militari come in quelli giornalistici, ed è opportuno proporre all'attenzione del lettore alcune testimonianze in proposito scelte fra que11e più significative che pervenivano attraverso 1' addetto mi1itare. Per quanto riguardava la prima fonte, questi aveva inviato nel marzo 1936 la seguente nota: «Il generale Syrovy, ispettore generale del 'esercito, che ho avuto occasione di incontrare ieri sera alla Legazione di Francia, mi ha espresso le sue .felicitazioni per La recenle vittoriosa seconda battaglia del Temhien. Mi ha dichiarato di seguire con molto interesse le operazioni in Africa Orientale e di avere grande ammirazione per l'esercito italiano. Ha aggiunto infine che si augura che le nostre vittorie possano .facilitare la soluzione del conflitto, in quanto ritiene sommamente interessante per la Cecoslovacchia che il nostro Paese possa far sentire tutta la sua influenza sulle questioni internazionali in corso di discussione. Ha concluso infine che, con lui, «tous le militaires» augurano la vittoria delle nostre anni. Benché le parole del gen. Syrovy siano da ritenersi l'espressione di un sentimento personale e non abbiamo alcuna portata ufliciale date le circostanze nelle quali vennero pronunciate, ritengo tuttavia di darne comunicazione a codesto Ministero anche perché, per la prima volta dopo l'inizio del conJlitto, si è pronunciato così chiaramente in nostro favore. Anche il gen. Blaha, capo della cancelleria militare del presidente della repubblica, visto giorni or sono, ha avuto parole di ammirazione e di augurio per il nostro esercito. In complesso, la corrente di interesse suscitava dalle nostre operazioni nell'esercito cecoslovacco fin dal!' inizio di esse si può dire che sia andata aumentando di mano in mano che è stata comprovata dai fatti la superiorità assoluta deL/a nostra organizzazione e della nostra preparazwne. A parte l'interesse che ogni ufficiale intelligente ha di seguire dal lato tecnico-militare quanto l'esercito nostro sta facendo in Africa Orientale, la maggior parte der:li u:fficiali cecoslovaccchi e .,pecie quelli che occupano posti di re.\JHmsahilità e di comando si rendono conto del valore che l 'esercito italiano, alleato alla Francia ed alla Piccola Intesa, potrebbe rappresentare per la Cecoslovacchia in caso di conflitto con la Germania» (4 ).
(4) AUSSME, Dl -133/1, prol. 166 R. del 3.3. 1936, da Add. Mii. Praga a S.I.M., f.to tcn. col. Alberto Roda.
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Per quanto concerneva invece le fonti della stampa locale, la selezione operata dall'addetto militare italiano riguardava due diversi aspetti, uno di carattere più specificamente militare e l'altro di contenuto politico. TI primo era tratto da un articolo comparso il 17 maggio 1936 su un quotidiano prnghese dal titolo «Gli insegnamenti militari della spedizione abissina», nel quale l'autore affermava con una punta di ironico compiacimento come, anche in questo conflitto, le previsioni degli esperti militari non si fossero avverate. I fatti avevano ampiamente dimostrato come le sorti della guerra non erano state decise dalle grandi pioggie, dalla situazione economica dell'Italia, dalle sanzioni, dalle stesse armi impiegate non esclusa l'aviazione, ma dalle strade. Soprattutto su di esse, infatti, sulla loro rapida costruzione in un territorio inospitale e di ardua praticabilità, l'Italia aveva puntato allo scopo di farvi passare sopra quei mezzi motorizzati così indispensabili al movimento degli uomini e dei 1ifornimenti. Questa, concludeva l'articolista, doveva considersi un'esperienza estremamente preziosa, della quale gli eserciti europei avrebbero fatto bene a far tesoro, perché le prossime guerre avrebbero visto dimensionati i compiti della fanteria rispetto a quelli del genio e delle sue specialità (5). L'aspetto politico era ancora più interessante, come già anticipato dal titolo («Quando finiranno le disgraziate sanzioni?») di un altro articolo apparso anch'esso su un autorevole giornale di Praga in data 7 giugno dello stesso anno, circa un mese dopo la conclusione del conflitto italo-etiopico. Si trattava di un'analisi realista e senza perifrasi, che il successivo evolvere della situazione internazionale avrebbe dimostrato, in particolare per l'Italia, molto vicina al vero. L'articoli sta partiva dall a situazione politica della Cecoslovacchia per estendere poi il discorso all'intera Europa: «Noi sappiamo di avere una posizione geografica addiriuura fatale e per questo abbiamo il diritto di chiedere che la nostra situazione non sia ancor più aggravata partecipando ad una politica che per noi non ha alcun valore, ,na che minaccia terribilmente il nostro avvenire. Alludo naturalmente alla disgraziata politica delle sanzioni, che può chiamarsi davvero fatale per le conseguenze che sinora ha avuto. Essa ha permesso alla Germania difort(lìcarsi al Reno, ciò che costituisce la più grave minaccia per noi, impedendo alla Francia di venire tempestivamente in nostro aiuto
(5) AUSSME, Dl-133/1, prot. 244/4 del 19.5.1 936, da Add. Mii. Praga a S.I.M., f. to tcn. col. Roda.
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e permellendo alla Germania di gettare tutte le sue forze contro di noi e contro altri Stati orientali». Seguiva una dura critica nei confronti dcli' Inghilterra, considerata come l'inspiratrice dalla politica sanzionistica la cui prassi andava rilevandosi sempre più incongma. Compito della Società delle Nazioni non era tanto il punire l'aggressore quanto l'impedire la guerra di aggressione, cosa che nel caso del conflitto italo-etiopico non era avvenuta essendo mancata nei Paesi membri sia la volontà di mettere in atto provvedimenti militari che quella di punire l'Italia per difendere l'Abissinia schiavista. Il che, soprattutto da parte dei piccoli Stati, aveva una sua logica dal momento che la strullura societaria, così delegittimata nella sua stessa ragione di essere, cessava di essere l'espressione della necessità di tutelare tutto e tutti, anche l'indipendenza di uno Stato schiavista come l'Etiopia che non avrebbe mai dovuto far parte dell'istituzione. Solo se l'universalità dell'accordo di fosse basata sui patti regionali, se i Paesi membri della Società delle Nazioni non fossero costretti ad intervenire anche nei casi nei quali i loro interessi non enmo affatto in gioco, la Società avrebbe potuto divrntarr un se1io strumento di difesa contro ogni reale violazione della pace. E forse, aggiungeva furni dai denti l'articolista, la coscienza delle potenze coloniali avrebbe potuto essere Lranquilizzala ricordando che mentre esse si erano impossessate delle colonie con relativa facilità, l'Italia per la conquista dell'Etiopia aveva dovuto andare incontro a grandissimi sacrifici. Del resto era chiaro che Mussolini non aveva l'intenzione nè di allentare alla Società delle Nazioni nè di umiliare l'lnghilteITa. La sua splendida villoria gli poteva permettere di andare per la propria strada anche se tutti gli altri Paesi non avessero riconosciuto per il momento il suo impero etiopico. L'Italia si accontentava della certezza che nessuno le avrebbe potuto togliere l'Etiopia. Il buon senso avrehbe alla rine forse prevalso, auspicava l'autore, anche sulle passioni anlifascisle, e probabilmente neanche la Francia del sig. Blum (6) avrebbe desiderato che l'Italia si mettesse sulla via di Berlino:
«Spingere l'Italia, mantenendo la fatale politica sanzionistica, ad avvicinarsi alla Germania sarebbe per noi fare la politica del suicidio. E siccome quanti non vogliono dare l 'Europa in balia del pangermanesimo devono preoccuparsi anche del nostro Stato, nessuno potrebbe protestare se noi prendessimo eneriicarnente I ' ini(6) Leon Blum ( I 872- l950), uomo politico francese di origine israelita, capo del partito socialista, presidente ciel consi glio dal 1936 al 1937 e, per un breve periodo, nel 1938.
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ziativa per l'abolizione delle sanzioni. Noi per primi dovremmo proporre tale abolizione perché più di ogni altro noi siamo minacciati da una guerra d'aggressione in Europa, e perché abbiamo il dovere di impedire che il piùforle avversario del nuovo pangermanesimo sia ~pinto, a causa delle sanzioni, a fare una politica contrastante con i suoi più vitali interessi. La Cecoslovacchia non deve assistere impassibile e passivamente a questi sviluppi della situazione che, se le sanzioni dovessero essere mantenute, polrehhero crearci i massimi pericoli, costringendo l'Italia ad accontentarsi di un compromesso con la Germania sulla questione austriaca; nell 'interesse della pace mondiale e della nostra stessa sicurezza noi dobbiamo energicamente ed immediatamente chiedere l'abolizione delle sanz ioni, che non hanno alcuna iiust~f"icaz ione neppure per la Società delle Nazioni visto che La guerra è finila. Se qualcuno vuole strappare all'Italia il frutto della sua vittoria, la fàccia a proprio rischio e pericolo e non minacciando la libertà e l 'indipendenza degli Stati e delle nazioni che hanno interessi con l 'Abissinia» (7).
Ohice cecoslovacco della seconda metà degli anni Venti
(7) AUSSM E, Dl-1 33/1 , prot. 272/4 del! ' 11.6.1936, da Add. Mii. Praga a S.I.M., f.to ten. co l. Roda.
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Il gen. Carlo Vecchiarelli, addeuo mililare in Cecoslovacchia ( 1919/924) ed in Austria ( /926- /928)
Bratislava, /923: cerimonia funebre per il rientro in patria delle salme di militari cecoslovacchi caduti sul fronte italiano nella prima guer-m mondiale
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Capitolo VI CINA
Gli scontri cino-giapponesi di Shangai (28.1-12.3.1932)
Negli anni fra i due conflitti mondiali, la carica di addetto militare presso la Regia Legazione italiana in Cina fu oggetto di attribuzioni varie. Nella prima melà degli anni Venti ru devoluta come incarico aggiuntivo all'addetto militare in Giappone, come avvenne per il colonnello Eugenio Beaud; fra il 1926 ed il 1931 fu in parte non assegnata cd in parte demandata agli addetti navali sempre in Giappone, quali il cap. vasc. Vincenzo Leone cd il cap. fregata Filippo Vanzini, ed agli ufficiali della Regia Marina comandanti del relativo distaccamento in Cina (1) nonché del reparto di guardia alla nostra rappresentanza dip lomatica a Pechino e svoigenti anche le mansioni, come avvenne dal 1929 per i tenenti di vascello Marco Calamai e Pietro Torre, di addetti navali e militari; dal 1932 la carica fu nuovamente delegata all' addetto militare in Giappone, il ten. col. Enrico Frattini (2) sino al 1934 cd il pari (I) Tra il 1898 ed il 1900, a seguito del conseguimento da parte delle maggiori potenze europee di alcune «concessioni», piccole aree territoriali con compiti di natura diplo matica ma con prevalenti finalità di espansione commerciale, culnirale e religiosa, era scoppiata in Cina una violenta sommossa nazio nalista con forte impronta xenofoba capeggiata dalla setta dei «Boxcrs». Nella primavera del 1900 le nazioni europee organizzarono una spedizione militare in soccorso dei connazionali asseragliati nel quartiere delle Legazioni a Pechino, e l'Italia vi pa11ecipò con reparti dell"Esercito che andarono ad unirsi agli equipaggi di alcune delle navi che la Marina aveva già fatto entrare in azione, circa 120 uomini tra i quali, alla fine dei combattimenti nel novembre 1900, si contarono 19 caduti. Rimpatriati gradualmente i reparti dell'Esercito, il compito di tutelare la presenza e gli interessi italiani in Estremo Oriente, concentrati nella Concessione di Tien Tsin, rimase affidato alla Marina che lo svolse ininterrottamente, tranne il periodo della Ia guerra mo ndiale, con contingenti delle proprie forze da sbarco a livello di battaglione fino all'8 settembre 1943. (2) Enrico Frattini ( 189 1-1980), utficiale del Geni o, combattente di entrambe le g uerre mondiali , ricoprì numerosi incari chi anche all'estero (parlava correttamente numerose lingue, tra le quali il giapponese ed il russo). Promosso generale ne l 1940, il suo no me è parti colarmente legato alla Divis ione Paracaduti sti «Folgore» della qual e assun se il comando il 1.3.1942, allorché era ancora in fase di costituzio ne, e che mantenne per tutto il glo rioso ciclo operativo in Egitto culminato nella hauaglia di El Alamein. Nei primi ann i del dopoguerra, divenuto generale di C.A., rivestì importanti cariche presso organiz7.azioni internazi onal i e co ncluse la carriera nella prima metà degli anni Cinquanta quale comandante delle forze terrestri alleate del Sud-Europa.
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grado Guglielmo Scalise sino al 1937; dal 1° settembre dello stesso anno, infine, fu istituito a Shangai l'ufficio dell'addetto militare presso la Regia Legazione italiana in Cina del quale nel 1939, anno tenninale del periodo pertinente al nostro lavoro, era ancora titolare il ten. col. Omero Principini. La documentazione reperita presso l'archivio dell'Ufficio Storico delle Stato Maggiore Esercito è purtroppo estremamente scarsa, e l'unico «pezzo» di rilievo è dato da una monografia di 220 pagine (3) compilata dal ten. col. Frattini relativamente allo scontro milita.re cinogiapponese, un'ennesima fase della conflittualità protraentesi fra i due Paesi sin dagli ultimi anni del secolo precedente, svoltosi nella zona di Shangai fra gennaio e marzo 1932. L' interesse del documento, compilato «a caldo» poco dopo la fine delle ostilità, è tale da attenuare il rammarico per il solo suo reperimento in quanto, a parte il resoconto deuagliato - nella dinamica cronologica e nell 'esposizione dei piani operativi, degli ordini di battaglia e dei rapporli di (orza - di un avvenimento bellico sicuramente poco conosciuto, contiene una se1ie di analisi e valutazioni circa l'addestramento, l' impiego e l' efficienzo dell'esercito giapponese ed anche delle truppe cinesi in ordine alla loro condotta delle operazioni. L'ultima delle quattro paiti nelle quali risulta suddiviso il lavoro è riservata all'impiego tattico dell'aviazione giapponese (Frattini a Tokyo era anche accreditato quale addetto aeronautico, ed in quanto tale ed essendo anche ufficiale del Genio era particolarmente attento a questo argomento di carattere tecnico). Le forze giapponesi si erano istallate nella zona di Pechino fin quando il corpo di spedizione internazionale aveva domato la sanguinosa rivolta dei Boxers nel 1900. L'anno successivo, la Cina aveva firmato un protocollo con il qual e si permetteva ad alcune potenze straniere di occupare i punti-chiave in prossimità di Pechino per il mantenimento delle libere comunicazioni fra la capitale ed il mare, sul quale il più importante sbocco era rappresentato dalla città di Shangai con il suo immenso po1to. Un accordo stipulato nel 193 l rra Cina e Giappone, e contrnfirmato dai rappresentanti delle grandi potenze europee e dagli USA, aveva stabilito di creare intorno alla città una zona demilitarizzata, larga dai 20 ai 30 Km., nella quale era vietata la presenza di truppe regolari cinesi. 11 servizio d 'ordine doveva essere affidato.ad uno speciale corpo
(]) Al JSSME, U - 184, monografia prodotta dall'Uffic io Add. Mii. a Tokio, senza indicazione di prot., data ( ma riferibile al 1932) e destinatario, f.to ten. col. Frattini.
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di polizia sprovvisto, in ogni caso, di armamenti leggeri e pesanti di carattere speci ricamente bellico (mitragliatrici, artiglierie, carri armati, ecc.). Amùogamenle alle altre nazioni presenti, il Giappone manteneva nell'area internazionale di Shangai, oltre a qualche unità navale, un presidio permanente di truppe rappresentate da reparti da sbarco della marina imperiale. Tali forze avevano essenzialmente il compito di proteggere la numerosa colonia giapponese (circa 30.000 elementi accentrati nei sobborghi di Yangtzepoo e Hong Kew, la «piccola Tokyo») nonché i cospicui interessi commerciali nazionali. 11 piano di difesa della zona internazionale prevedeva anche l'impiego delle truppe giapponesi, acquartierate in una moderna e solida caserma tipo fo1iilizio a circa un chilometro a Nord di Hong Kew, a11e quali era demandata l'eventuale occupazione del settore prospicien te il riume Whangpoo, costituito dai predetti sobborghi di Yangtzepoo e Hong Kew (4 ). Dopo l'occupazione della Manciuria (5) il boicottaggio antigiapponese, già da tempo in atto eia parte cinese, si era ulteriormente intensi!'icato ed aveva duramente colpito gli interessi commerciali e finanziari della colonia nipponica di Shangai. Le modalità ostruzionistiche adottate erano molto dure (ingenti quantità di mezzi venivano sequestrale, contralti stipulati non erano più onorati dai commercianti cinesi, non avevano luogo nuove contrattazioni, Je manifatture di cotone confezionate nei locali stabilimenti giapponesi giacevano invendute, le compagnie di navigazione giapponesi vedevano diminuire di continuo iJ volume del loro traffico). Il boicottaggio aveva direttamente penalizzato la comunità nipponica nei suoi interessi vitali , determinando oltre al disagio economico anche una profonda irritazione contro le autorità cinesi che non si dimostravano in nessun modo disposte a mettere fine alle attività delle associazioni antigiapponesi.
(4) AUSSME, U - 184, prot. 99 d el 10. 11.1 937, da Add. Mii. Cina a S.I.M., f.to tcn. col. Principini . (5) La Manciuria, territorio del Nord-Est asiatico di oltre 800.000 kmq., era staia definitivamente occupata nell' autunno del 1931 dal Giappone, che già dal 1905 era militarmente prcscn~ le nella zona meridionale con truppe preposte alla protezione degli interessi economici nazionali (scavi minerarì, co ltivazio ni agrico le e la relati va rete di collegamenti ferroviari). L'occupazione toiale era stata prntata a termine su iniziativa di alcuni ufficiali appartenenti iùlo stato maggiore delle suddette forze, con l'appoggio in patria di altri giovani uffiçiati riuniti in un'orga ni7.7.azione segreta (Sakurakai = «Società del ciliegio.,,) con intenti rifonnistico~espansionistici e propositi golpisti, che avevano posto il governo di fronte al fatto compiuto <lctcrnùnandone pernllro solo una formale e blanda reazione, espressione di una non escrndibìle connivenza (cli:. Toland J., «I }eclissi del Sol Levante», Milano, Mondadori , 1971, pagg. 18-22).
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In tali condizioni materiali ed emotive, e poiché la popolazione giapponese viveva in stretto contatto con quella cinese, il più piccolo avvenimento poteva essere sufficiente per provocare una crisi. Il 18 gennaio 1932 alcuni operai cinesi aggredivano 5 preti buddisti giapponesi. I preti rimanevano feriti abbastanza gravemente ed uno di essi moriva qualche giorno dopo. Questo episodio suscitava viva indignazione fra i giapponesi, già esacerbati a causa del boicottaggio, ed essi decidevano di vendicarsi. Nel pomeriggio del 20 un gruppo di giapponesi, appartenenti ad una associazione giovanile patriottica, dava fuoco alla fabbrica nella quale erano impiegati gli operai aggressori. L'intervento della polizia del Settlement internazionale provocava uno scontro sanguinoso nel quale morivano un poliziotto ed un giapponese e ne restavano feriti altri due per parte. Questi episodi, attestanti la tensione di rapporti esistente fra l'elemento cinese e quello giapponese, provocavano vive proteste dapprima da parte delle autorità giapponesi e poi da parte di quelle cinesi. T1 console generale del giappone sig. Murai, dopo le prime rimostranze verbali, presentava il 20 gennaio un ultimatum al governatore cinese nel quale chiedeva che fossero fatte le scuse per l'aggressione dei preti buddisti, che i feritori fossero arrestati e condannati, le vittime indennizzate, le associazioni che capitanavano il hoigottaggio disciolte ed ogni forma di attività antigiapponese soppressa. La più importante di queste richieste era naturalmente l'ultima, poiché la sua accettazione da parte delle autorità cinesi avrebbe messo fine all' efficace arma di lotta che il boicottaggio offriva, mentre il respingerla sarebbe stato causa di seri provvedimenti da parte dei giapponesi. Il solo fatto che tale richiesta fosse stata presentata conferiva subito un carattere di gravità eccezionale alla situazione locale. Le richieste, già evidentemente presentate sotto l'egida del comando navale giapponese, venivano il giorno seguente decisamente appoggiate dal suo titolare ammiraglio Shiozawa il quale dichiarava che, ove esse non fossero state accolte, era determinato a prendere adeguate misure per proteggere i diritti e gli interessi dell' Impero. Nell'ultimo non veniva indicato alcun termine per l'accettazione e ciò perché i giapponesi, ritenenendo certo un rifiuto, non facevano urgenza per la risposta dovendo attendere per un'azione militare l'arrivo di rinforzi. Il giorno 25, prevedendosi che entro i1 28 le forze militari sarebbero state sufficienti per agire, il console Murai notificava al governatore che se1iza fissare una data definitiva egli si attendeva una risposta preliminare per lo stes108
so 28. Il giorno 27, poi, precisava che entro 1e 18.00 del 28 avrebbe dovuto essere data una risposta soddisfacente alle sue istanze, senza di che sarebbero state prese 1e misure ritenute necessarie. In campo cinese regnava grande incertezza. L'acconsentire all'ultima condizione significava privare la Cina della sua arma più efficace nella lotta contro il Giappone, attirarsi l' odio degli elementi nazionalisti che avrebbero senza dubbio accusato i1 governatore di tradimento, e dare origine ad una serie di incidenti data 1' ostilità che quella richiesta incontrava fra 1a popolazione cinese. D'altra parte, le conseguenze di un rifiuto erano incalco1abi1i e di certo gravissime. Appesantendosi la situazione, il corpo conso1are decideva la mattina del 27 di porre le Concessioni Internazionali e que11a francese in stato di difesa per impedire l'invasione da parte di truppe cinesi sbandate o di elementi comunque pericolosi. Una riunione de1 comitato di difesa aveva luogo sotto la presidenza de1 generale inglese Fleming, e ad essa 1'Tta1ia era rappresentata dal Comandante Superiore Navale in Estremo Oriente cap. vasc. Bacci. Tutto intanto f'aceva prevedere che il governatore cinese, gen. Wu Tieh Chen, avrebbe accettato il giorno seguente le condizione de11'ultimatum. Le associazioni de1 boicottaggio antigiappoense venivano da lui disciolte mediante un'ordinanza in data 26 aprile nella quale, pur riconoscendone lo scopo patriottico, venivano deprecati gh eccessi e gli abusi commessi. Il 28 alle 14.00 il governatore consegnava personalmente al console generale Murai la risposta all'ultimatum con l'accettazione completa delle 4 richieste. Si reputò pertanto durante que1 pomeriggio che le cause di un conflitto fossero eliminate, e tale opinione venne rafforzata dalle dichiarazioni fatte al corpo consolare dal sig. Murai, i1 quale trovava la risposta cinese soddisfacente cd aggiungeva che se le promesse in essa contenute fossero state lealmente mantenute la situazione si sarebbe chiarita rapidamente. Come misura di precauzione, ad ogni modo, veniva deciso di proclamare alle 16 di quel pomeriggio 1o stato d'assedio nelle Concessioni, sia perché era possibile che i giapponesi agissero ugualmente e sia perché erano anche prevedibili sommosse fra la popolazione cinese contro la decisione presa dal governatore. Tullo proseguì tranquillamente sino alla sera del 28, quando improvvisamente verso 1e 23.00 l'amm. Shiozawa, dopo aver lanciato un proc1ama nel quale invitava le truppe cinesi a ritirarsi ad Ovest della zona della ferrovia (che rappresentava la linea di difesa assegnata ai giapponesi, lontana dall'unica strada percorribile e che pertanto le prime non avrebbero potuto sgombrare nel solo ter109
mine di un'ora), faceva immediatamente eseguire dai suoi marinai uno spostamento verso ed oltre la ferrovia stessa che avrebbe determinato la reazione a fuoco dei cinesi dando luogo ad un conflitto che si sarebbe protratto fino ai primi di marzo. Nel proclama l'ammiraglio giustificava la propria azione con la necessità di proteggere la vita e gli averi dei connazionali residenti in quel sobborgo ed esposti a qualunque possibile atto di ostilità da parte dei soldati cinesi. Non v'era dubbio che la posizione dei cittadini giapponesi dimoranti in quel settore in numero di circa 7.000 fosse lull'altrn che scevra di pericoli, ma l'azione dell'ammiraglio giapponese, dopo che il sig. Murai si era dichiarato soddisfatto della risposta cinese, giungeva improvvisa ed inaspettata. Si poteva affermare con certezza che l'ultimatum era stato presentato con la convinzione e la speranza che la quarta richiesta non sarehhe stata accettata e quando, contro ogni aspettativa, i cinesi avevano acconsenti Lo a sciogliere le assodazioni del boicottaggio, si era voluto che l'azione, già decisa in precedenza, avesse egualmente luogo. Stahili to come da parte gia pponese vi fosse s:tat,:i la prei:-1sn volontà di provocare ed effettuare un'azione militare contro Shangai, la maggior parte degli osservatori aveva inteso vedere nell'ape11ura dello stato di conniu.ualità un ben definito programma governativo per aprirsi , con una temporanea occupazione militare, una propria via di penetrazione nel più grande emporio della Cina a fianco delle altre Concessioni straniere. La val utal',ione del len. col. Frattini, che nei giorni dello scoppio della crisi si trnvava a Tokyo nel suo ufficio di addetto militare presso la Legazione italiana in loco, era invece che il governo rosse stato trascinato dagli avvenimenti e che li avallasse per pura necessità formale, e se pure aveva dimostralo assoluta fe1111ezza nei riguardi dell'ulteriore sviluppo dell'azione purtuttavia aveva lasciato chiaramente trapelare come rosse realmente contrariato dell'apertura dell'incidente. Allorché l'azione militare era sfociata in un primo ed in un secondo insuccesso, personaggi governati vi responsabili avevano apertamente affermato che si era trattato di una follia voluta e commessa dalla marina per il desiderio di fare qualcosa, con il che si addehitava esplicitamente ad un determinato ambiente la responsabilità dell'inizio del conflitto. Da fonti personali in seno all'alto comando navale, Frattini aveva confidem.ialmente appreso come l'amm. Shiozawa fosse stato lasciato libero di agire dal proprio ministero se e quando avesse ritenuto che la marina, probabilmente gelosa per le vicende tutte terrestri della Manciuria dalle quali si era tro-
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vata giocoforza esclusa, avrebbe potuto ottenere con poca spesa e con le sue forze la propria parte di gloria nella lotta contro la Cina. L'ammiraglio, avevano precisato gli informatori, si era illuso che le circostanze fossero propizie, che l'accettazione delle famose richieste da parte cinese fosse indice di chiara impotenza ed aveva voluto che le forze onnai predisposte venissero comunque impiegate. E proprio il rifiuto opposto sino all'ultimo dallo stesso Shiozawa circa l'utilizzazione di unità del1'esercito sembrava confermare questo assunto. L'azione militare, iniziava con eccessiva leggerezza e con la convinzione che in Shangai si sarebbero prodotti avvenimenti analoghi a quelli di Mukden (6) e che avrebbero permesso di raccogliere faòli allori, era passata attraverso tutta una serie di errori di calcolo che avevano costretto a successive soste nelle operazioni per la necessità di provvedere ogni volta a nuovi più vasti preparativi. Le operazioni si erano svolte in quattro fasi nettamente distinte: nella prima, il comando navale, avuta libertà di azione dal suo ministero, provocava il conflillo nella fiducia di potere con il colpo di mano assicurare all'Impero un pegno per la cessazione della propaganda antinipponica e del boicottaggio; caduto in un grave errore di apprezzamento della situazione, aveva subito uno scacco completo; neJla seconda, lo stesso comando navale, fatti ampi preparativi, sperava di ottenere con la forza ciò che non aveva potuto ottenere con la sorpresa; cadeva però in un errore di valutazione circa le possibilità di resistenza nemica e doveva rinunciare alla speranza di poter far compiere l'impresa alla marina; nella terza, l'esercito aveva assunto la direzione delle operazioni ma, cadendo in un errore di apprezzamento del nemico e del terreno e conseguentemente in un errore di valutazione dei mezzi occorrenti, aveva subito esso pure uno scacco; nella quarta, sparso ormai il sangue necessario per apprezzare al loro giusto valore le possibilità cli resistenza nemiche, era stato organizzato un corpo di spedizione con mezzi che avevano permesso di dare alle operazioni uno sviluppo più ampio tale da assicurare l' immediato successo.
(6) Mukden era la localilii della Manciuria, sede del comando dell'armata giapponese del Kuangtung, che nel settembre 1931 era stata l'epicentro per l' occupazione militare di tuUa la regione.
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La seconda parte della monografia concerneva l'azione militare messa in atto da ambo le parti. Per quanto riguardava i giapponesi, Frattini faceva rilevare come il loro scopo non fosse stato quello di dare battaglia alle truppe cinesi cdi distruggerle ma solo quello di allontanarle dall'area de11a città, evitando quanto più possibile scontri cruenti e ricorrendo ad un movimento aggirante. I giapponesi in questo disegno facevano proprio il concetto adottato normalmente dai generali cinesi nelle guerre civili: creare una minaccia alle spalle dell'avversario, ma lasciare una via ape1ta per ritirarsi, e ciò sia perché quando truppe cinesi avessero iniziato la ritirata nessun comandante sarebbe più riuscito ad arrestarle, e sia ancora perché chiudendogliela completamente esse sarebbero divenute capaci di resistenze accanitissime, specialmente quando vi fosse poca speranza di salvezza per i prigionieri. Nel corso del conflitto, durato 43 giorni ed i particolari del quale erano dettagliatamente rievocati dal compilatore, i giapponesi avevano impiegalo 55.000 uomini più 5.000 lavoratori disarmati addetti allla ricostruzione delle strade ed allo scavo delle trincee. Le truppe erano inquadrate in 3 divisioni ed una brigata mista, per un totale di 47 battaglioni (compresi quelli da sbarco de11a marina), 2 reparti di carri armati ed autoblindo, 4 squadroni di cavalleria, 55 batterie per un totale di 238 cannoni, 17 compagnie genio e collegamenti. La marina era intervenuta con 9 incrociatori, 25 cacciatorpedinieri, 11 cannoniere, 2 navi portaerei cd una nave trasporto idrovolanti. La partecipazione dell'arconautica era valutabile intorno ai 130 velivoli, compresa l'aviazione navale. Sui cinesi si avevano dati meno precisi, comunque le cifre più attendibili deponevano per un'utilizzazione fra i 50.000 cd i 60.000 uomini. Le perdite dei giapponesi erano valutabili sui l .500 caduti c 4.500 reriti più un centinaio di prigionieri, mentre quelle cinesi corrispondevano a 4.063 caduti ed a 9.482 feriti ai quali erano da aggiungere circa 300 prigionieri e qualche migliaio di disertori. Da rilevare come pochissimi fossero stati i feriti fatti prigionieri, tanto da una patte come dall'altra, in quanto l'estrema carenza dei mezzi sanitari aveva fatto s'ì che i feriti abbandonati sul campo venissero tutti UCCJS1.
Ancora più intercssanli risultavano notizie e considerazioni circa l'efficienza, l'addestramento e l'impiego dei reparti giapponesi e la condotta delle operazioni da parte delle truppe cinesi costituenti, con gli specchi riassuntivi sulle forze e· sulle fom1azioni organiche nipponiche, la terza parte del documento. I battaglioni 112
da sbarco non erano apparsi come reparti molto omogenei, dal momento che in Giappone all'epoca venivano impiegati a tale scopo marinai tratti dagli equipaggi delle navi e dalle basi a terra; di conseguenza la forza dei battaglioni, il numero e la consistenza delle loro compagnie, il totale delle armi automatiche in dotazione variavano da un reparto all'allro in relazione al numero di uomini che era possibile sbarcare dalle varie unità navali o trarre dalle diverse basi, e ciò allo scopo di mantenere il più possibile in uno stesso battaglione gli uomini provenienti da una stessa nave o da una stessa base. Erano truppe di bell'aspetto, molto disciplinate, di spirito elevato, pronte a sacrificarsi, ottime per un severo compito di polizia ma poco addestrate per l'impiego a terra come fanteria. Questa lacuna, emersa allorché avevano dovuto affrontare dure esperienze di guerra di trincea, si era palesata tanto nell'impiego dei piccoli reparti quanto in quello dell'intero gruppo di battaglioni, la cui azione non era mai apparsa logicamente coordinata con quella dell'artiglieria. La fanteria aveva offerto una positiva impressione. L'aspello fisico dei soldati era apparso ottimo e la disciplina perfetta, rigidi e fieri se inquadrati e sempre allegri e contenti fuori servizio. L'equipaggiamento dei reparti, dalle uniformi alle armi, sembrava tutto perfettamente nuovo, come appena uscito dalle fabbriche o dai magazzini. I soldati portavano l'elmetto, ma non avevano in distribuzione le maschere antigas; gli ufficiali indossavano un'uniforme che non si poteva quasi distinguere da quella dei soldati, ma portavano la sciabola e la pistola che permeU.eva di riconoscerli a distanza, rendendo possibile ai cinesi di mirare ad essi in modo specifico. I giapponesi avevano constatato questo grave inconveniente, ma con tutto ciò la sciabola non sarebbe stata dismessa perché in Giappone essa aveva un'importanza particolare in relazione alle tradizioni dei samurai. Lo spirito che animava ufficiali e soldati non avrebbe potuto essere migliore: sprezzanti della vita e del pericolo, dovevano essere frenali più che incitati dai comandanti di grado più elevato. La fanteria era passata di colpo, come già nei mesi precedenti in Manciuria, all'esclusivo impiego di formazioni molto sollili. Fino a lullo l'anno precedente, nell'addestramento l'impiego a massa era stato preferito da tutti i comandanti di reparto, e l'istruzione per l'impiego razionale dei fucilieri e dei mitraglieri era stata impartita per deferenza agli ordini ma non con convinzione. Ora invece le squadre di fucilieri, distese a destra ed a sinistra di una mitragliatrice, si portavano avanti a sbalzi per grup113
pi di 2-3 uomini che traevano vantaggio dal terreno per coprirsi se questo lo consentiva, ovvero si procuravano subito con l'attrezzo dello scavo (del quale tutti erano dotati) un piccolo riparo. Con tutto ciò i giapponesi avevano constatato con grande meraviglia che, nonostante le formazioni sottdi, davanti ai reticolati intatti o di fronte alle mitragliatrici in azione, anche il coraggio indomito non era sufficiente ad avanzare. Le meraviglie che facevano a questo riguardo parecchi ufficiali davano l'impressione che essi ritenessero la loro razza invulnerabile. Si trattava di quell'orgoglio fierissimo e di queI1a particolare mentalità che portava molti ufficiali giapponesi a pensare che in numerose occasioni della grande guerra, nelle quali gli eserciti europei si erano arrestati, i giapponesi l'avrebbero spuntata. Un capitano di collegamento aveva detto al ten. col. Frattini queste testuali parole: «Noi dobbiamo cambiare molte cose nel nostro regolamento perché, è inutile farsi illusioni, il coragg io è necessario ma non hasta più, e dove ci sono le mitragliatrici che sparano anche noi non possiamo proprio andare avanti». Ed un colonne11o di fanteria aveva ribadito: «La guerra mondiale è ormai lontana, d'altra parte noi l 'ahhiamo vista ma non comhattuta, e l 'idea che il fante coraggioso possa aprirsi la sua strada è un'idea naturale per i militari e che prende facilmente il sopravvento; ma questa esperienza ci ha rinfrescato le idee ed aperto gli occhi». Questo era un fatto che li aveva sconcertati molto, perché il punto sul quale avevano la certezza di essere superiori a tutti i soldati del mondo era l'impiego della baionetta, ed ora si erano accorti che quando i reticolati non erano stati abbattuti e le mitragliatrici funzionavano anche la loro baionetta non bastava, al pari di quelle europee. Una delle ragioni per cui disprez/,avano maggiormente i cinesi era appunto il fatto che questi si tenevano al coperto e sparavano invece di prestarsi al corpo a corpo; riconoscevano però che i cinesi avevano ricavato dalle continue guerre ci vili un'esperienza preziosa che loro non avevano, e dopo queste operazioni senti vano di dover dare anch'essi al fuoco un'importanza molto diversa da quella che gli avevano attribuito sino ad ora. L'in segnamento capitale, secondo il parere espresso da un altro colonnello di fanteria ali' addetto militare italiano, era che una sistemazione difensiva, anche preparata d'urgenza in poche ore, con un ce1io numero di anni automatiche ed anche se tenuta da soldati scadenti, non poteva essere presa dalla fanteria con i soli suoi mezzi ma richiedeva l'organizzazione razionale dell'attacco con una potente preparazio.114
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CAR71NA N. 3 - Cina Orienfale: il riquadro delimita l'area dei cumbaitimenti cino-giapponesi nelia zona di Shangai (28.1-12.3.1932)
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ne di fuoco. Questo era stato un insegnamento di importanza capitale per il Giappone, aveva aggiunto l'ufficiale, perché ne consegui va come la Cina salisse di parecchi punti nella scala dei valori che dovevano essere presi in considerazione nei piani d'operazione e nella futura preparazione militare. I carri armati erano stati inviati nella speranza di poterne trarre grande vantaggio di fronte ad un avversario che presumibilmente non li aveva mai visti. Si era pensato che i carri avrebbero fatto tutto, e che la fanteria avrebbe potuto seguirli evitando sacrifici. Il terreno aveva costituito a questo riguardo una grande sorpresa, perché aveva arrestato le macchine togliendo così ai giapponesi l'arma sulla quale in questa circostanza avevano fatto il maggiore assegnamento. I carri si erano dimostrati molto sensibili alle difficoltà del terreno: fossi naturali o scavati dai cinesi nei tratti favorevoli al movimento li avevamo arrestati subito, e così pure grossi tronchi disposti attraverso le strade. Pare fossero state impiegate mine, come affermato dai cinesi e confermato dai giapponesi. I carri avventuratisi fra le case venivano danneggiati da bombe a mano lanciate da breve distanza. Un altro sistema impiegato dai cinesi contro i carri sernhrava fosse stato il concentramento del fuoco di mitragliatrici contro le feritoie, e tra gli equipaggi si erano avuti molti feriti. Un impiego più ampio avevano avuto i carri nelle zone occupate dopo un'avanzata per eliminare i tiratori isolati, che procuravano notevole disturbo. Per tale compito il genio provvedeva alla costruzione di passaggi sui canali, che venivano preparati in modo molto primitivo collocando sul fondo, fino a riempirlo, grossi tronchi d'albero, non trasversalmente ma parallelamente al canale stesso, soluzione abbastanza agevole perché si trattava di acqua stagnante o quasi . L'impiego della cavalleria nella zona d'operazioni era stato escluso a priori, cosa che starebbe a dimostrare come le condizioni del terreno fossero note; il movimento dei cavalli era realmente impossibile come quello dei carri, perché su molti canali inguadabili non esistevano che esili passerelle per pedoni. Lo squadrone di cavalleria che ciascuna divisione aveva tenuto in organico era stato quindi impiegato nei servizi di collegamento ed anche di guardia ai comandi. A1trettanto interessanti erano le considerazioni effettuate dal!' addetto militare italiano circa le truppe cinesi e la loro condotta delle operazioni. Le truppe cinesi erano risultate molto scadenti sotto tutti i punti di vista e non potevano, nemmeno lòntanamente, essere poste a confronto con quelle giapponesi. La massa dei sol116
dati era tratta dai coolies delle città, reclutati per una paga irrisoria che spesso non veniva corrisposta per mesi e mesi; mancava inoltre in essi ogni nozione di patria ed ogni barlume di spirito militare. Nelle trincee, in vicinanza dei villaggi, i soldati avevano materassi, piccoli mobili ed oggetti di tutti i generi rubati nelle case in quanto il saccheggio era per loro una prassi normale. In luogo del1' elmetto, tutti gli uomini avevano un grande cappello di paglia parasole. Sotto l'uniforme quasi tutti portavano il pigiama blu nazionale, cosa che permetteva loro, quando le circostanze lo consigliavano, di gettare armi ed unifonne per ridivenire coolies e sparire fra la popolazione civile senza che nessuno potesse mai più ripescarli nel caos immenso che regnava nel Paese. Fra gli ufficiali, nella lotta contro i giapponesi si erano visti sprazzi di patriottismo e di spirito di sacrificio, ma nell'insieme erano apparsi anch'essi molto scadenti per tono morale ed addestramento. In questo conflitto i cinesj avevano avuto la grande fortuna di combattere in un terreno eccezionalmente favorevole per la difesa e su di esso, sfruttando l'esperienza fatta nelle guerre civili, avevano potuto allestire rapidamente predisposizioni difensive che, se pur di carattere un po' rudimentale, avevano una certa efficienza. In seguito, quando i giapponesi le avevano attaccate con mezzi insufficienti per averne ragione, i cinesi si erano alquanto imbaldanziti per aver potuto resistere, e fra le truppe si era diffuso un certo senso di fiducia in loro stesse che le aveva sostenute non poco negli attacchi successivi. Le linee cinesi erano tenute con poche truppe, in genere i reparti ponevano nelle trincee un terzo della forza mentre un terzo era indietro pronto ad entrare in azione in caso di attacco nemico, ed un altro terzo infine era in riposo. La difesa cinese era quasi esclusivamente passiva; qualche contrattacco era stato tentato ma con risultato assolutamente nullo. Dentro alle trincee e dietro ai reticolati, i soldati si difendevano come meglio potevano e sapevano perché lo spirito di conservazione suggeriva loro che la salvezza stava nel migliore impiego delle armi, ma quando si trattava di uscire dalle trincee per impiegare la baionetta in un'azione che richiedeva aJto spirito combattivo la cosa era ben diversa. Il corpo a corpo era un'azione che i cinesi non volevano affrontare; essi temevano molto gli attacchi notturni giapponesi perché questi finivano quasi sempre a11a baionetta. Nei contrattacchi non finivano mai al corpo a corpo: giunti a 50 metri dalle posizioni giapponesi, emettevano grandi urla, si arrestavano, scaricavano le armi e poi si ritiravano. Elementi molto buoni erano 117
risultati i volontari, soprattutto se studenti, che sembrava avessero dato non poche prove di vero e proprio eroismo; erano però troppo pochi. Deficienze gravissime da parte dei cinesi erano poi apparse nei comandi più e]cvati. T generali se ne stavano tutti bene al sicuro, lontano dai pericoli, trastullandosi con le loro concubine in appartamenti privati nel comprensorio internazionale o nella concessione francese. Ncll ' impiego delle grandi unità sembrava poi che fosse successo il caos, un frammischiamento enorme fra le divisioni causato da due motivi, in primo luogo dal fatto che esse erano arrivate successivamente nella zona d'operazioni ed in secondo dalla tendenza che avevano i cinesi a tenere le for:1,e molto scaglionate in prol'ondità. l generali cinesi non disponevano cli riserve addestrate per rimpiazzare i vuoti, per cui le unità venivano ricostituite solo ad operazioni ultimate. In tale situazione essi mantenevano sempre gran parte delle forze indietro, e spesso di molto, per il timore tii vedere qualcuna delle loro grandi unità completamente distru tta; sorgend o la necessità di far afTluire d'urgenza rinforzi alle prime lince, prendevano ciò che avevano più a portata di mano senza badare a questioni organiche. In complesso, i cinesi avevano cornhatJuto senza un piano concreto d'operazioni e senza alcuna idea di manovra, tenendo spesso molte forze inoperose mentre pochi battaglioni sostenevano tutto l'urto giapponese. In tutte le operazioni cinesi era sempre necessario tener conto delle questioni politiche interne anche di fronte ad un invasore straniero, e considerare la necessità che avevano per esempio i cantonesi di fronte ai nanchinesi di salvare le loro forze e di non fare ulteriori sacrifici, visto che ormai la resistenza sarebbe stata inutile e che i giapponesi erano ben decisi ad andare fino in fondo a qualunque costo. Come è già stato detto all'inizio, la quarta parte della monografia era riservata dal ten. col. Frattini all'impiego tattico dell'avia:1,ione giapponese, sia perché a Tokyo era accreditalo ,mche come addetto aeronautico e sia perché la propria appartenenza all'Arma del Genio lo rendeva specificatamente interessato a questo settore. Sembrava che il numero complessivo di velivoli dei quali avevano potuto disporre i giapponesi nella zona di Shangai fosse giunto ad un massimo di 130, compresa l'aviazione navale, un'ottantina di aerei o poco più inviati con una nave trasporto idrovolanti, con due navi portaerei e con altri mezzi alla foce del Yangtze Kiang, là dove un altro fiume, lo Huang He, lo univa al poào di Shangai. Oltre a questo, un numero imprecisato di idrovolanti (pare una 118
decina) era giunto con navi trasporto ordinarie sulle quali gli aerei erano stato sistemati in modo provvisorio. Esistevano poi nella zona altri velivoli in dotazione ad alcune navi da guerra, ma aventi compiti particolari inerenti al servizio della nave alla quale appartenevano per cui, sebbene qualcuno di essi avesse in qualche caso partecipato alle operazioni, degli stessi non sembrava si dovesse tener conto nel computo delle forze in esame, ed ad ogni modo si trattava di poche unità. Quanto al numero in relazione a ciascuna specialità, sembrava si fossero avuti 56 aerei da bombardamento leggeri e pesanti e 28 da combattimento (preposti tanto alla caccia quanto alla ricognizione) da parte della marina, mentre l'esercito aveva concorso con 2 squadriglie da ricognizione con 18 velivoli in totale cd una squadriglia da caccia con J 2 aerei. Circa il comando, tutta J'aviazione dell'esercito era agli ordini di un comando dell'aviazione dipendente dal comandante in capo del corpo di spedizione; tutta l'aviazione della marina era posta agli ordini di un analogo comando dell'aviazione dipendente dal comandante in capo delle forze navali, anche quando le unità da sbarco erano passate alle dipendenze del comandante del corpo di spedizione e la marina non aveva avuto più alcun compito operativo per la mancanza dj una flotta avversaria; qualche unità da ricognizione veniva assegnata ad una divisione in casi speciali e solo per determinate operazioni; tutte le azioni di bombardamento erano dirette dal comandante in capo del corpo di spedizione o da] comandante della squadra navale, e solo azioni di caccia richieste da circostanze improvvise venivano lasciate all'iniziativa dei due comandi aeronautici. L'esperienza tratta dai vari comandi suggeriva essere preferibile, per elasticità di impiego, l'assegnazione alle divisioni di qualche unità dell'aviazione da ricognizione; essere conveniente tenere riunite le unità da bombardamento agli ordini del comando in capo; non potersi trarre conclusioni circa il decentramento degli aerei da caccia per la mancanza di un'offesa aerea avversaria; essere poco opportuno, e possibiJc fonte di inconvenienti , il dualismo fra le due aviazioni, che in un'azione congiunta non faceva che aumentiu-e gli anelli della catena dei comandi e le difficoltà per la cooperazione. Per quanto riguardava le forze aeree cinesi, si potevano valutare in 20-25 aeroplani; si trattava però di piccoli aerei da ricognizione e da caccia, non da bombardamento, ed era anche lecito pensare che fossero macchine superate. Circa l'attività, non vi era nulla da dire perché la stessa si era limitata a 3-4 piccoli episodi di scarsa 119
importanza. L'aviazione cinese non aveva fatto altro, forse era stata inoperosa per i seguenti moti vi: anzitutto non disponeva di velivoli da bombardamento e non pote va quindi partecipare ad operazioni offensive di qualche importanza contro il dispositivo militare dell'avversario; in secondo luogo, non sentiva il bisogno di un servizio continuo di ricognizione per avere notizie sui giapponesi dal momento . che tutta la popolazione nella zona era impiegata in atttività di spionaggio; infine, essere le sue macchine in gran prute vecchie e non poter nutrire grandi speranze di supremal'.ia nei duelli con i giapponesi. Questi si erano invece preoccupati non poco dell'offesa aerea, non tanto per l'efficienza dell'aviazione avversaria quanto per la grande vulnerabilità che essi presentavano nella zona di sbarco. Avevano perciò provveduto tempestivamente all ' organizzazione della difesa controaerea con le armi delle navi dislocate sul grande fiume ed installando a terra cannoni contraerei e mitragliatrici. I primi cannoni contraerei, inviati dall 'esercito senza personale, erano stati dati per l'impiego alle truppe da sbarco della marina, che non li avevano mai visti e che certo non sarebbero stai.e molto esperte nell'impiegarli ove ne fosse so110 il bisogno. Comunque, durante tutte le operazioni la difesa contraerea giapponese non aveva avuto occasione di sparare neppure un colpo. Da parte loro, i cinesi non avevano preso disposizion i particolari per la difesa controaerea altro che in due località nelle quali avevano sede i due comandi di armata e di settore. Tali disposil'.ioni, peraltro, consistevano solo nell'assegnazione di un certo numero di mitragliatrici Oerlikon da 20 mm. a11e località predelle, ed appunto da una di tali armi era slalo abbattuto l' unico aereo da bombardamento perduto dai giapponesi per offesa nenùca. Presso nessuna unità vigeva una norma per disciplinare il tiro antiaereo; normalmente la comparsa di un velivolo provocava un uragano di fuoco, perché il tiro contro di esso veniva eseguito senza alcuna regola e procedura da tutti coloro che avevano un ' arma portatile a di sposizione. Per ciò che concerneva i compiti assegnati all 'aviazione giapponese e l'attività operativa sviluppata, il documento del ten. col. Frattini li riassumeva come segue: hombardamento, ricognizione, osservazione del tiro dell 'artiglieria in casi speciali, azioni di fuoco contro bersagli terrestri, qualche sporadica missione di caccia. L'attività degli aerei da bombarda120
mento era stata veramente rilevante, e si poteva senza dubbio affermare che era stato questo l'impiego principale deJl' aviazione. In tutte le operazioni effettuate dalle truppe da sbarco o dalle unità dell'esercito, gli aerei da bombardamento avevano portato il loro concorso agendo in stretta cooperazione con le altre armi; oltre a ciò avevano condotto azioni offensive autonome contro aerodromi, ferrovie, comandi, strade, rortificazioni. Il massimo numero di aerei da bombardamento impiegato contemporaneamente contro obiettivi diversi sembrava fosse stato di una trentina; il massimo impiegato contemporaneamente contro lo stesso obbiettivo era stato di 18. Compredendo i velivoli di scorta, si erano avuti come punta massima 46 aerei simultaneamente in azione contro obiettivi diversi, e 24 diretti contro un solo obbiettivo. Nelle azioni di bombardamento gli aerei si erano tenuti alle quote fra i 200 ed i 600 metri, a seconda della presenza o meno di mitragliatrici nemiche e della dimensione delle bombe lanciate. A giud icare dalle rnsc d i tiro rilevabili negli aerodromi bomb~roati, era da ritenersi che si fossero tenuti alle quote più basse, perché le rose di tiro avevano inquadrato hangars ed altre costruzioni con vera precisione. Durante le ripetute missioni di bombardamento di una solida fortezza, poiché non si riusciva a ncutraJizzarne i cannoni, gli equipaggi erano scesi ad operare a1\a quota di 150 mt. con bombe da 30 kg. e di 250-300 mt. con bombe di maggior calibro per cercare di colpire le bocche d a fuoco. Un'altra ragione per allenersi alla suddetta norma era anche costituita dall a neces sità di sfruttare al meglio le bombe le cui dotazioni erano piuttosto scarse. Un particolare interessante nel bombardamento di obiettivi hmghi e stretti (linee ferroviarie, ponti, strade) era quello che l'aereo non seguiva una rotta né parallela né normale all'obbiettivo stesso ma inclinato di 15-20 gradi rispetto ad esso, ritornandovi ripetutamente descrivendo sull ' obbiettivo una sinusoide. La spiegazione tecnica data da Frallini circa la scelta di tale direttrice era che, poiché alle quote più basse la rosa di tiro risultava allungata nella direzione di moto del velivolo e stretta, mentre alle quote più alte si accorciava e si allargava venendo ad avere l'asse maggiore nel senso trasversale alla direzione di moto dell' aereo, era plausibile che, mantenendosi gli aeroplani ad una quota fra i 150 ed i 600 metri , la direttrice di movimento migliore per il tiro non fosse 121
né quella normale al bersaglio né quel1a parallela ad esso ma più precisamente una direttrice inclinata di 15-20 gradi. Gli obiettivi assegnati all'aviazione da bombardamento, secondo il prog ramma stabilito dal com ando in capo, sarebbero stati: campi di aviazione; comunicazioni ferroviarie (impianti di stazione, binari , ponti); centri <li resistenza di speciale importanza (abitati nei quali fossero annidati tiratori isolati ed organizzazioni difensive campali); ponti sulle rotabili stradali; sedi di comandi, quando fosse stato possibile individu arle. L'eventualità di poter bombardare depositi , magazzini, colonne di rifornimenti , non era stata neppure prevista data l' o rganizzazione particolare delle truppe cines i che non offriva obi ett ivi del genere che in casi veramente eccezionali. Ai campi d'aviazione avversari era stata data in teoria l' importanza maggiore perché, per quanto l' aviazione cinese fosse scarsa, essa avrebbe potuto recare danni gravissimi qualora avesse avuto la possibilità di effettuare qualche incursione contro 1c numerose na vi ancorate nelle :1cquc cinesi, o contro il campo d' aviazione dove erano concentrati in pochissimo spazio molti velivoli , od ancora sulle banchine dove ven ivano accumulate allo scoperto grandi quanli l.à di materiali di tutti i generi. TI bombardamento degli aerodromi (4 in tutto ) era stato esegui to con metodi diversi secondo la distanza alla quale essi si trovav ano. Quelli più vicini erano stati bo m bardali co n incurs ioni success ive eseguile co n pochi aerei, da 3 a 6, non sempre scortati da caccia; quelli più lontani erano stati attaccati con un numero molto maggiore di velivoli allo scopo di ou.enere la distruzione compl eta delle installazioni e degli aeroplani a terrn c on umi sola incursione. In genere erano state per i giapponesi azioni di carattere sporti vo: i cinesi non avevano a rm i antiaeree di nessun genere a difesa degl i aeroporti, e solo in due casi avevano cercato di contrastare l'azio ne nemica con velivoli da caccia dando luogo a duelli aerei. Il bombardamento degli impianti ferroviari era stato effettuato con un numero d i ae rei variabile da 2 a 4, senza scorta. Per quanto riguardava le incursioni su centri abitati divenuti caposaldi di resistenza, esse erano state condotte in modo efficace con bombe esplosi ve ed incendiarie ; in queste azioni no n erano stati pochi i coJpi fortunati caduti in pieno su reparti ammassati all'interno di edifici. 122
Per quanto concerneva invece il bornhardamento su predisposizioni difensive campali , effettuate per sopperire alla deficienza delle artiglierie, l'efficacia era risultata molto ridotta. Le difese cinesi nei punti più importanti erano costituite da trattj di trincee o da postazioni per mitraglialrici coperte con tavolato e sacchi a te1rn; il bersaglio era troppo piccolo per l'aviazione, l'efficacia del.le bombe che cadevano nei pressi delJe tri ncce era in sostanza nu Ila sulle trincee stesse e l'avia:r.ionc non poteva coprire il terreno con un numero sufficiente di proiettili come avrebbe potuto fare l' artiglieria. In sostanza, ndle organizzazioni campali bombardate dall'aviazione la fanteria cinese aveva resistito a prezzo di poche perdite, e le località stesse, quando erano state occupate, erano cadute per .l ' impiego di altri mezzi. Del resto questo non era avvenuto solo in questi casi, perché anche nei bombardamenti eseguiti contro centri abitati la completa distruzione operata e gli incendi non erano valsi a permettere alle fanterie giapponesi di avanzare celermente ccl in sicurezza. Qualche arma nascosta fra ruderi e macerie, o protetta da sacchi a terrn o rirnpianata doro il homb,:u-damenlo. era stata infatti sufficiente per rermarc l'attacco, e l' aviazione era assolutamente impotente contro bersagli del genere. J ponti sulle comunicazioni stradali erano slati bombardali in parecchi casi, ma non risultava che fossero stati colpiti. Si era sempre trattato <li ponti molto piccoli che costituivano bersagli estremamente difficili. Data la scarsezza delle slrade per la presenza di numerosi canali e corsi d 'acqua, questi ponti per quanto piccoli erano però obiettivi di grande importanza, e questo spiegava come fossero stati ripetuti tenLativi per distruggere anche strullure di 6- 1O melri di ampiezza. Alcuni di questi ponti di strutti poi dai cinesi nella ritirai.a avevano costretto le compagnie del geni o giapponese ad un lavoro molto intenso che tuttavia non era valso ad evitare un ritardo nell' inseguimento. Circa le sedi dei comandi, gli obiettivi non erano stati mai conseguiti, per quanto alcuni rosscro stati individuati con precisione dal servizio informazioni. Ed era inoltre proprio jntorno ai comandi che i cinesi avevano collocato le loro migliori armi cont.roaercc. Le ricognizioni erano state svolte in modo molto attivo. Tutte le zone che interessavano erano slate fotografate ripetutamente, e le ricognizioni venivano spinte anche su aree lontane per un lavoro di verifica su quanto veniva riferito dagli inforn1atori. In genere tutte le azioni di bombardamento erano state precedule da accurate ricognizioni , tantoché la comparsa di aerei adibiti a tali compiti era sovente intesa dai cinesi come il preavviso per una prossima incur123
sione. Tutte le ricognizioni venivano effettuate con 2 o 3 aerei. I cinesi si sottraevano facilmente all'osservazione aerea perché nelle loro retrovie non vi erano, o quasi, carreggi o colonne di rifornimento o magazzini. I rifornimenti abbastanza semplici erano effettuati da coolies e questi, come tutto il personale dell'esercito, aveva ordine di fermarsi, di nascondersi nelle case, nei fossi e fra gli alberi quando comparivano aeroplani; tale ordine, trovando un valido appoggio nel naturale senso di paura che gli aerei incutevano subito dopo le loro prime azioni, veniva eseguito scrupolosamente. ln sostanza i giapponesi, pur sorvegliando attivamente le zone nemiche, non avevano potuto rilevare gran che sui movimenti dell'avversario, per quanto si trattasse di terreno piano, coltivato a campo c prato, non molto alberato. Durante 35 giorni di operazioni avevano potuto rilevare due soli agglomerati nemici che potessero rappresentare un bersaglio di qualche importanza per un'azione di bombardamento delle artiglierie o degli aerei. Avevano invece rilevato i lavori di fortificazione campale, ma anche su questo punto avevano incontrato difficoltà non indifferenti per la presenza dell e tombe cinesi, ossia di cumuli di terra fra i quali era difficile discernere quelli che mascheravano una mitragliatrice. Dal punto di vista tecnico, le riprese fotografiche non avevano mai prodotto immagini nitide, probabilmente per la particolare atmosfera sempre più o meno caliginosa di Shangai. NeIJe ricognizioni gli aerei si tenevano alti , fra i 1.000 ed i 2.000 metri, dovendo volare su zone nelle quali vi erano mitragliatrici. I giapponesi asserivano che un terzo dei loro aerei era stato colpito da pallottole di armi portatili, ma che il tiro aveva quasi invariabilmente colpito la parte posteriore della fusoliera e la coda. Nessun velivolo da ricognizione era stato abbattuto dal tiro da terra; fra gli equipaggi della ricognizione sembrava vi fossero stati solo due feriti da armi contraeree. L'attività aerea finalizzata all'osservazione del tiro dell'artiglieria era stata piuttosto ridotta, e ciò soprattutto per la mancanza di obiettivi adeguati. Nei casi nei quali tale impiego aveva avuto modo di realizzarsi, l'aereo trasmetteva i dati a mezzo radio ed adottando un cifrario, il che comportava un inevitabile rallentamento delle comunicazioni. Gli aerei giapponesi avevano tentato molto spesso azioni di mitragliamento contro trincee, portatori di rifornimenti, automezzi in transito e qualsiasi altro elemento che potevano individuare. In tali azioni, sembrava che gli aerei fossero stati impiegati poco efficacemente. I cinesi asserivano che il mitragliamento dall ' aria non aveva inflitto alcuna perdita perché i velivoli si tenevano a quote 124
troppo elevate. Era presumibile che questo corrispondesse alla realtà, dato che i giapponesi stessi ammettevano che il fuoco cinese li aveva costretti ad eseguire le azioni di mitragliamento da almeno 300 metri di quota, e che non erano contemplate le azioni in picchiata rasenti al suolo tipiche delle aeronautiche europee. Molto scarse erano state le missioni di caccia, e comunque sempre rappresentate da attacchi po1tati dai giapponesi contro i campi di aviazione avversari e non come protezione da azioni offensive condotte dai cinesi. Un compito particolare del quale invece parlavano i giapponesi sarebbe stato quello di procurare un passaggio alla fanteria attraverso canali infossati bombardandone le sponde, in modo da farle franare bilateralmente e bloccare così il canale stesso in uno o più punti. Sotto l'aspetto dei materiali, i giapponesi asserivano che avevano inviato a Shangai i velivoli più antiquati che avevano in patria, perché avevano voluto risparmiare le macchine migliori dato che sapevano come 1'avversario non sarebbe stato in grado di opporre resistenza all'offesa aerea con mezzi analoghi. In realtà gli aeroplani della marina erano quelli in dotazione a11e navi, per cui l'affermazione doveva essere riferita solo agli aerei dell'esercito, ed inoltre non rispondeva completamente al vero rappresentando probabilmente l'intento di nascondere agli osservatori stranieri che non possedevano velivoli (soprattutto da bombardamento) di livello superiore. Il munizionamento impiegato comprendeva bombe da 30, 50, 100 e 250 kg. Nel bombardamento degli abitati era stata inoltre usata una bomba incendiaria di grande efficacia, la cui composizione era stata oggetto di molte indagini da parte di tutti gli addetti militari stranieri, rimaste però ancora infruttuose. Poteva darsi che la natura delle costruzioni colpite avesse avuto molta parte nel far risaltare l'efficacia della bomba, ma indubbiamente si trattava di una mjscela incendiaria studiata molto bene. Alcuni avevano anche adombrato che fossero stati sganciati prima serbatoi di liquido infiammabile e di seguito bombe incendiarie. In ultima analisi, l'aviazione giapponese era stata l' arma che aveva inflitto alla Cina le maggiori perdite materiali. Di tali perdite, solo una porzione estremamente piccola era dovuta a danni subiti da opere di carattere od importanza militari (armi, aerodromi, materiali cd impianti ferroviari, fortificazioni), mentre tutto il rimanente era il frutto della distruzione di edifici pubblici e privati e di fabbriche ed impianti che non avevano alcun rapporto con la difesa nazionale. I danni subiti ne11a regione da enti non militari 125
erano valutabiU fra i 7 e gli 8 miliardi di lire it,ùiane, e di questo ammontare almeno 1'80% era attribuibile all'aviazione. Nei confronti delle perdite umane, quelle inflitte ai militari cinesi erano calcolahili intorno al 10% del totale; per i civili, la stima che Frallini traeva dalle diverse fonti utilizzate lo portava a dare una cifra da 2000 a 3000. Inoltre, l'attivilà aerea giapponese aveva avuto un ampio impatto psicologico, suscitando panico e l'esodo precipitoso di parecchie rnigl iaia di persone con tutte le implicazioni negati ve anche sul piano delle operazioni e del controllo militare delle zone interessate. Riguardo alle perdite subite dall'aviazione giapponese, i velivoli abbattuti a seguito di offesa nemica erano stati 3; ad essi andavano aggiunli 2 aerei precipitati per errore umano cd altri 4-5 andati distrult.i per incidenti in volo, per un totale di 7 membri dell'equipaggio deceduti e 2 feriti. ln sostanza, un mese circa di attività operativa aveva comportato le menomazione (per contrapposizione avversaria, incidenti ed usura) di 1/4 degli aeroplani, poco più di una trentina. Al termine del suo capillare lavoro, l'addetto militare italiano formulava un giudi zio globalmente positivo circa l'attività dell'aeronautica nipponica, un concorso sicuramente importante alJo sviluppo delle open:u,ioni pur non misconoscendo come esso fosse stalo facilitalo dall'inconsistenza del fattore aereo della controparte. Ma ì'au.ività deli ' aviazione giapponese aveva soprattutlo risposto in pieno ai propositi primari della leadership militare, e navale in particolare, cli irnpa11ire alla Cina una severa lezione intimidatricc in chiave chiararnenle douhetiana (7), premessa per quel presupposto di suprema:1,ia panasiatica a più ampio respiro che sarebbe stato portalo avanti nel prosieguo degli anni Trenta e sino ai primi anni Quaranta.
(7) Giulio Douhet ( 1869-1930), ufficiale d' artiglieria, elaboratore nell'immediato primo dopog uerra di una dottrina della g uemt aerea che si insetiva in un vasta concezione dei problemi bellici e delle isLiLuzioni militari. Nell 'enunciazionc ideativa di Douhet, il dominio dell 'aria (tale era anche il titolo della sua opera più nota) non era la meta finale della guerra aerea ma snh.anto il mezzo per poter poi raggiungere dall'alto, con il lmmbardamentn, il vero obiettivo strategico sino allora 1isparmiato dal concentrarsi della violenza bellica lungo le frontiere terrestri, cioè i gangli vitali della vita. nazionale e della produzione ed il morale della popolazione civile, ormai direua protagoni sta e vero soggeUo (aUivo e passivo) di una gucmt divenuta a questo punto «integrale».
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Capitolo VII
ETIOPIA
1. TI riformismo di un «tiranno illuminato»
L'inleresse dell'Italia nei confronli dell'Etiopia si inserisce in un contesto diplomatico e militare che aveva avuto inizio negli ult.imi anni del XIX secolo c che pertanto, neg]i anni Trenta di quello successivo, era in atto da alcuni decenni. Dopo la sconriua di Adua del 1896 cd il precedente di Dogali di nove anni prima( 1), il governo ilaliano aveva ripetutamenle cercato di farsi riconoscere dalla comunità internazionale una sorta di diritto di tutela nei confronti del territorio abissino, e nel 1906 questo riconoscimento era stato sancito in modo parziale dal trattato stipulato con la Francia e l' Inghilterra che definiva le rispettive aree di interesse politico ed economico sul territorio etiopico. Comunque, stante la precarietà di un accordo già di per sé abbastanza vago e per di più contratto con due potenze che, a prescindere dalle firme sui trattali, avevano sempre gestito i propri interessi in termini di assoluta spregiudicatezza, nel 1923 Mussolini aveva caldeggiato l'ammissione dell'Etiopia a!ia Società delle Nazioni, con lutti i diritti ma anche gli obblighi conseguenti, così da porre questo Paese al riparo da ambizioni altrui. Il 2 agosto 1928 questa politica di appoggio, che Mussolini sperava ancora di trasformare in tutela, era stata san:t,ionata dalla stipula a Roma di un trattato di amicizia politica e commerciale con durata ventennale del quale l'altro firmatario era Ras Tafari (2), all'epoca reggente del trono
(I) Ad Adua, il 1.3. 1896. il corpo di specli7.ione italiano al comando del gen. 13araiieri subì una pesante sconfitta ad opera delle soverchianti !"orze etiopiche, con perdile valutabili intorno al 469h per g li ufliciali e ad ollre il 38% per i soldati. /\. Dogali, passo eritreo fra Massaua e Saati situato in una stretta gola sulla via per Asmara. il 16.1.1887 una colonna guidata dal ten. col. Oe Cristoforis, accorsa in aiulo del piccolo presidio di Saati assalito dagli abissini, fu accerchiata e distrutta dopo un aspro combauirnento perdendo 420 uomini su 500. (2) Tafari (1891-1975), figlio di Ras Makonncn, governatore dcll'Harrar e cugino di Men elik Il, J"u nominato ras e principe reggente il 27.9.1916 e successivamente elevutn al rango di Negus il 7. 10.1928. li 2. 11.1930 diventò Negus Neghcsti (/?e dei Re, titolo del l'imperatore d'Etiopia; il capo di un regno sottoposto era semplicemente Negu)) con il nome di l-layla Sellase ( Pos.w:nza della Trinità ), trascrizione esaua rispetto a quella più comunemente nota di Hailé-Sclassié.
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etiopico, bisognoso di sostegno nella rivalità che opponeva ]a propria leadership a quella degli altri ras. Uomo di notevole fiuto politico, di acuta capacità di analisi e di una corretta e sottile intuizione della nuova posizione del suo Paese in relazione al mondo esterno, aveva effettuato nc1 1924 un lungo giro nc11e principali capitali europee (Parigi, Londra, Berlino, Roma) traendo, dai contatti avuti con i massimi esponenti degli ambienti politici ed economico-finanziari, la netta sensazione de1 come l'Etiopia fosse riguardata come un territorio arretrato, 1ibero per caso, indipendente solo perché le grandi potenze erano gelose l'una de11'altra e si sorvegliavano a vicenda. Ne aveva dedotto anche che ogni forma di indipendenza avrebbe potuto sopravvivere solo con il suppporto delle armi, il che significava o una struttura industriale capace di !'abbricarle ovvero la possihi1ità di una loro libera importazione. E l'Etiopia non disponeva né de11'una né dell'altra. È verosimile supporre che questo contatto con l'Europa gli avesse consentito una corretta intuizione della reale situazione del proprio Paese, e che cioè hen poche avrebbero potuto essere le. possibilità di garantirne a lungo ]'autonomia, al momento possibile solo grazie al1'instabi1e equilibrio delle grandi potenze ed alla realtà storica di quel primo conflitto mondiale che, «distraendole», aveva differito di una decina d'anni il pericolo. Per fronteggiarlo, Ras Tafari adottò due procedure, l'ammissione alla Società de1le Nazioni, so11ecitata proprio dalJ' Italia, e la 1;cerca di un accordo con quest' u1tima. Ma il trattato di amicizia stipulato nel 1928 non di1eguava l ' ambiguità connessa, tanto per l'Italia quanto per l'Etiopia, alle rispettive posizioni su lle sponde del Mar Rosso. Noi, infatti , avremmo costituito una minaccia potenziale ma vitale per que1 Paese, e saremmo stati a nostra volta oggetto di potenziale aggressione a carico dei nostri possedimenti eritrei e soma1i. T1 che aveva una sua logica, dal momento che l'Etiopia non avrebbe mai potuto procedere verso una glohal e evo1uzione socio-economica sino a che fosse stata alle mercé di potenze europee impegnate a privarla, soprattutto, de11e anni indispensabili alla difesa; di conseguenza, a medio o lungo termine, sarehhe stata indubbiamente costrelta a procurarsi uno shocco a1 mare attaccando chi avrebbe potuto contenderglie1o, specie allorché questo, come s'è detto in precedenza, fosse stato militarmente (e seriamente) impegnato su11a grande scacchiera europea. Per pervenire a ciò, doveva pertanto crescere ed irrobustirsi, ma in maniera progressiva, tale da non attirare diffidenze ed allarmi prematuri. 128
Quanto sopra considerato trovava conferma in un rapporto informativo trasmesso al S.l.M. alla fine del 1930 dall'addetto militare italiano ad.Addis Aheba: «Da quando sono giunto in Abissinia, pur nell'impossibilità di avere dati anche approssimativi, mi sono formato la convinzione che il numero di armi che risultava disponibile in Etiopia in base ai dati che sapevo conosciuti in Eritrea, in Somalia ed alla Sezione Coloniale dell'U.fJìcio Operazioni di codesto Comando, fosse inferiore di molto alla realtà. Data l'importanza delL'arwJmento ho subito cercato di raccogliere dati. Ma tale lavoro è troppo difficile e soprattutto troppo lungo. Ritengo perciò opportuno di non a.~petlare sino ad avere un quadro completo in ar[;omento e di comunicare invece i dati man mano che posso raccoglierne un determinato gruppo. Ai dati che qui di seguito fornisco, faccio precedere alcune considerazioni o chiarimenti di indole generale, che valgono a dare più esatta l'idea dell'<}fettivo valore di queste armi e di queste munizioni. Armi ed armati: si calcola che la popolazione rfp// 'Ahissinù1 superi i I O milioni di a hitanli. Dato: chP qw~sto gente è per molte cause meno longeva e che pertanto la proporzione dei vecchi non più atti alle armi è minore che da noi; che un uonw a 15-16 anni già è un cmnbattente; la diversa proporzione di numero - rispello alla nostra - fra i due sessi; si può affermare che circa il 25% della popolazione sia di uomini atti alle armi. Ciò sign(ficherebbe 2 milioni e mezza. Tralascio qui il calcolo - molto complicato ed importante e che farò in altro rapporto quando avrò potuto raccogliere i dati relativi - di quale forza di comballenli sia possibile ali ' Etiopia riunire effettivamente in campo contro L'Eritrea o La Somalia, del tempo necessario a radunarla, delle epoche, dell'influenza che avrehhe la necessità di e.flèttuare le se,nine ed i raccolti in un Paese come questo. Mi limito per ora a trattare delle armi e degli armati. L 'ambizione massima di ogni indigeno è di possedere un fucile; chi può, anche senza essere un capo e lfoporre di una riserva cli armi, possiede più di un fucile. Pertanto, parlando di armati, occorre tener conto che vi sono soldati, gente assoldata dai var'i capi più o meno importanti ed in servizio diciamo così permanente, i quali sono annali dai capi stessi; e vi sono i paesani possessori di armi. Circa i soldati, il loro numero anche approssimativo mi sfugge. Sto raccogliendo dati. Ma l'estensione del Paese, la niancanza di comunicaz ioni e l'essere tali soldati a servizio personale ed incontrollato dei capi e sottocapi anche lontanissimi, fanno sì che un 129
computo completo sia cosa lunf?a e d(fficile, come ho detto già per le armi. Mi sono però organizzato in modo da poter riuscire anche in questo, con il dovuto tempo. Circa i paesani, il vedere la quantità di gente che va in giro armata di fucile fa subito ritenere che i facili esistenti giungano a c(fra molto considerevole, pur tenendo conto delle popolazioni sottomesse, di razza inferiore, che sono in genere disarmate o quasi. Oltre alle armi in distribuzione ai soldati di mestiere ed in possesso ai paesani, vi sono le armi tenute nei depositi del governo centrale e quelle che ritengo abbiano in riserva, non distribuite, i varf Ras. I depositi centrali del governo sono tre: uno ad Addis Abeba, nel ghebbì (3) imperiale, uno a Coromaso (sulla via da Addis Abeba a Dessié) ed uno ad Harrar. Inoltre nella capitale v'é un altro deposito nel ghebbì Makonnen, che è proprietà privata del Negus. Il controllo dei dati che avrò potuto raccogliere sulle provincie non potrò farlo che personalmente quando sarò in grado di eseguire i viaggi in carovana dei quali ho già accennato in altra occasione. Ed è anche per questo che ho detto che il lavoro, oltre che dUficile, sarà lungo. Ma i dati parziali che di seguito comunicherò, mostrano già come non sia esagerato ritenere che in Etiopia esista un numero di fucili che supera forse i due milioni e certamente di molto il milione. Ritengo necessario dimostrare subito con un breve computo che tale cffra non è esagerata ma inferiore alla realtà». Dopo una dettagliata esposizione re1ativa ai diversi contingenti di «so1dati» ed a11a loro dislocazione, l'addetto militare calcolava un totale di circa 480.000 fucili distribuiti ad essi dal governo e dai capi. Aggiungendovi i fucih immagazzinati nei menzionati depositi governativi, che l'ufficiale stimava intorno ad un milione, si raggiungeva i1 numero di circa un milione e mezzo; tenendo altresì conto dell'ingente massa di armi in possesso dei privati, la cifra di due milioni da lui adombrata si rilevava addirittura in difetto. La maggior patte dei fucili era certamente di vecchio modello, e probabi1mente una parte di essi non pii:, in condizione di garantire un buon funzionamento, ma non mancavano anche mode1li di tipo recente delle marche più diffuse. Per quanto riguardava le mitragliatrici, queJle pesanti (tutte in mano al governo ed ai Ras) si potevano calcolare in qualche centinaio, mentre quelle leggere si avvicinavano al migliaio. Un punto
(3) Residenza di capi e no~abili etiopici.
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debole era rappresentato dalle munizioni, piuttosto scarse, valutabili in media da 1.00 a 200 per fucile. Ad ogni modo anche per esse, come per alcuni tipi di armi, sopperiva la fiorente attività del contrahhando con provenienza da varì Paesi e con scalo terminale a Gibuti. TI rapporto si concludeva con una precisa descrizione numerica e qualitativa delle armi e munizioni presenti nel ghebbì privato del Negus ed in quello imperiale (4). Un quadro interessante su11a situazione interna dell'Etiopia costituiva l'oggetto di una relazione inviata da] ten. col. Ruggero nel luglio del 1931, della quale riproduciamo alcuni stralci:
«Negli ultimi miei rapporti sulla situazione, rappresentavo l'aumentare del malcontento contro il Negus e come questi fosse obbligato a barcamenarsi in compromessi. Benché qui corressero molte voci addirittura catastrcifiche, mi sono ben guardato dal raccoglierle; qui le sorprese sono sempre da aspettarsi anche quando meno sembrano possibili, e per contro una situazione tesa, imbrogliata e dUTicile, che altrove dovrebbe sboccare in avvenimenti gravi e risolutivi, qui può continuare a trascinarsi inde.finitivamente. Da quelle mie ultime relazioni la situazione si è andata evolvendo con una certa rapidità. l) Situazione interna: il malconlento conlro il Negus era dapprima andato crescendo in modo non lieve. La grave situazione economica contribuiva al malcontento. D'altra parte i ras, che soli potrebbero provocare avvenimenti, erano, come sono tuttora, in forzata villeggiatura alla capitale nelle mani del Negus. Questi è troppo astuto per non saper superare le dUTicoltà più gravi. In ogni suo minimo atto di governo si può riscontrare il perseguimento di uno scopo lontano attraverso un programma e per una linea che, per quanto lentamente, è seguita senza deviazioni ed esitazioni. Tale scopo è l'accentramento definitivo del potere nelle sue mani, trasformando l'Etiopia da impero feudale in Stato unitario a carattere moderno. Così, mentre i ras sono tenuti ad !\ddis Aheha, si è potuto notare un certo lavoro di disgregazione in alcune provincie (particolarmente, per ora, nella parte del Tigrè soggetta a Ras Sejum). L'anarchia interna nelle province è evidentemente diminuzione di forza dei ras. In pari tempo la riscossione delle dogane, che prima
(4) AUSSME, Dl - 115/1, prot. 35 del 31/12/1930, da Add. Mii. Addis Adeba a S.I.M., f.to ten. col. Ruggero.
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era eseguita dal potere centrale solo in Addis Abeba e Dire Daua; è stata estesa per parie del potere centrale stesso a tutto l'Impero. Ciò consente, oltre al vantaggio pecuniario, di sguinzagliare nei territori dei varf capi emissari fidati del Negus, in veste ufficiale. L'applicazione di tale decreto non è facile; siamo appena ai primi tentativi di eseguirla e già si notano forti opposizioni e d(fjìcoltà; ma con il tempo la cosa riuscirà e, ad ogni modo, tale questione potrà servire al Nef!,US di pretesto per intervenire contro i capi e sottocapi ostruzionisti e cioè nei territori varf feudatarf [. .. ]. Ora poi si è avuta la sorpresa, inaspettata, della concessione di una Costituzione. la firma solenne del decreto relativo è avvenuta il 16 corrente. Il Corpo Diplomatico assisteva, ha sentito i discorsi; ma della Costituzione, cioè di cosa essa sia, non si sa ancora nulla. Certo è che nei discorsi u:flìciali del Nef?US e def!,li altri è stato detto di rinunzie da parte del Sovrano, di abolizione di privilegi, di legge eguale per tutti, di volontà del popolo, ecc. Ma finora dal decreto che annunzia La Costiluzione appare solo una cosa: l'ereditorietrì dd potere oll'ottuale dinastia e l'unJfìcazùme dello Stato nelle mani del Sovrano. E tale decreto è stato solennemente contro.fùmato dai vescovi, dai ras e da tutti i dignitari e capi minori. Non è il caso di pronunciarsi fino a quando la Costituzione non sarà nota e, meglio ancora, non sarà applicata. Può darsi che il tutto sia anche una manovra per il rinnovo dell'appartenenza dell'Etiopia alla Società delle Nazioni, che dovrebbe aver luogo a settembre p. v. Certo è perr) che la cosa rqf.f'orza già di colpo l'Imperatore, ridandogli le simpatie dell'incipiente e selvatico nazionalismo abissino. E, tolti di mezzo praticamente i ras, villeggianti forzati quì alla capitale, ammansito il clero ed arnmessa almeno sul territorio giuridico - legale l 'abolizione del feudalesimo, non resta che la massa amorfa ed abulica che non conta. lì,ttto quanto precede conferma ciò che dicevo nel mio rapporto del 12 agosto dello scorso anno, e che cioè era da prevedersi che l 'Imperatore avrebbe tentato di poter ridurre ancora i residui del feudalesimo e di accentrare tutto il potere nelle sue mani, cercando così di realizzare i suoi progetti progressisti e riformatori. 2) Relazioni cori l'estero, contegno verso i bianchi: le esagerate manifestazioni fatte dalle varie potenze con-l'invio delle delegazioni all'incoronazione presieduta da Principi Reali, Marescialli, ecc. avevano già montato la testa a questa gente dandole la convinzione di essere a pari del bianco, se non superiore. Un primo risultato era stato il peggiorato contegno della massa verso i hianchi. 132
Qualche non lieve incidente di questi due ultimi mesi che qui espon{!,o darà un'idea di come stiano ora le cose[. .. ]». Seguiva infatti la descrizione di una serie di episodi a carico dei rappresentanti diplomatici dei vari Paesi nei quali i medesimi, senza distinzione alcuna di nazionalità (e quindi comprese anche la Francia e I'Tnghillerra), erano stati svillaneggiati non solo da gente comune ma anche da personale di guardia alle Legazioni e, in qualche caso, addirittura da esponenti governativi etiopici. Per quanto riguardava l'atteggiamento politico delle varie nazioni che avevano in Addis Adeba una rappresentanza diplomatica, questo era così riassunto: «Gli Stati Uniti continuano la loro opera che ho già definito filoabissina; l'Inghilterra finge disinteresse. E forse ha ragione, poiché è meno dannoso il disinteressamento che l'interessamento impolente. Il Belgio non ha interessi e tira avanti tranquillo. La Francia è irritatissima. La sua politica .filoetiopica ed antieuropea si è mostrata come .fàtta in pure perdita. Il ministro De Reffye è {}a:rtif(J da.
Lluc 1nesi, non na.\·conden,tlrJ (1llr> stcs,,.;n ,-,.,/~gus il sun
disappunto. L'incaricato d'l{ffàri Lachèze non nasconde il suo risentimento. Parlando con me più volte si è .~fogato dicendo che questa gente conta sulle nostre rivalità e Le .~frutta; che occorrerebbe invece accordarsi; che è ora di liquidare la faccenda. Avendogli io obiettato non bastare che lui ragioni così, finché non ragioneranno del pari a Parigi ed a Roma ed altrove, mi ha risposto che crede che a Parigi cominciano a capire[. .. ]». La relazione si concludeva con un giudizio decisamente lusinghiero in merito alla personalità dell'imperatore ed alla lungimiranza della sua azione politica e sociale, che si correlava con una valutazione allarmistica circa 1a globale potenzialit}1 che l'Etiopi a avrehhe potuto esprimere a breve-medio termine: «Non è il caso di fare il processo al passato. Quando l'allora Ras Tafari Lavorava con il suo caratteristico metodo lento e lungimirante per impadronirsi del potere, noi lo abbiamo aiutato e si può dire che siamo stati quelli che gli abbiamo dato di poter riuscire. Era nostro interesse - per quanto la riconoscenza non sia nierce comune in Abissinia - aiutare quel tale che doveva diventare padrone del Paese, nella speranza dei vantaE?!?i che avremmo potuto trarne. Ma è forse stato un errore aiutare proprio il più asfuto, il più capace, il più volitivo, il più insincero, l'unico uomo che si elevasse in modo indiscutibile sulla massa i,:;norante e meschina. Chiunque altro, riuscito, avrehhe tenuto il Paese allo 133
stato in cui s1 trovava, limitandosi a raccogliere denaro ed a condannare a morte. Ancora per anni ed anni avremmo dovuto aspettare con pazienza l'occasione ed il momento buono per toglier di mezzo l'anacronismo di questo Stato indipendente. Il Tafari invece, oggi Negus Ne1;hesti Hailé-Selassié, si libera del! 'influenza diretta di chi la ha aiutato (noi prima, ed all'ultimo momento la Francia), si rafforza personalmente, indebolisce i capi feudali per unificare il Paese; getta negli occhi al mondo ed alla Società delle Nazioni la polvere di una pseudo-Costituzione per restare ancora intangibile come Paese che ha il diritto di farsi pretendere civile. E continuando ancora il suo lavoro farà sì che, quando il momento favorevole per noi potrà presentarsi, sarà l'occasione che ci mancherà e che, ad ogni modo, ci troveremo di fronte un popolo di 10 milioni che potrà metter su non più un esercito di guerrieri-nati ma male armati e combattenti primitivi e selvaggi, bensì un esercito di tipo moderno, organizzato ed addestrato, provvisto di tutti i mezzi che oggi non ha. E tale esercito avrà dietro di sé una nadone - che ogf{i non esiste - con la forza delle su.e leggi, del su.o sentimento e della sua coesione. E, in caso di nostra guerra in Europa, avremo qui tale pericolo addosso alle nostre Colonie. Di qui va gente a studiare in Europa. Qui si impiantano scuole. Ritengo che - a parte le possibili sorprese che qui sono sempre da a.~pettarsi - questi mesi che stanno per venire saranno decisivi per la storia dell'Abissinia e per la nostra possibilità di prendere ciò che di questo Paese - così ricco sotto ogni riiuardo e così.favorevole alla vita del bianco - ci spetta. Tra poco dovremo fare i conti con una nazione che potrebbe allora opporci una forza materiale migliorata dall'organizzaz ione. Occorrerebbe essere d'accordo, naturalmente, con l'Inihilterra e specialmente con la Francia. Ma questa, nella sua rappresentanza qui, oii i vede le cose in questo stesso modo. Forse non le vedrebbe più così domani, quando le si fosse smorzato il risentimento eh.e ora è vivo per il fallimento della sua politica. E allora, domani, potrebbe tornare a pensare eh.e il vantaggio che le verrebbe dalla parte che spetta a lei, spartendo questo Paese, non la compenserebbe del danno che le verrebbe dal vantaggio nostro di ciò che .,pelta a noi. Ciò che precede è quello che io penso. Il R 0 Ministro, al quale ho dato comunicazione di questo rapporto, mi autorizza a dire che approva quanto espongo» (5). (5) AUSSME, Dl-115/ l , prot. 32 R.mo del 20n/1931, da Add. Mii. Addis Adcba a SJ.M., Llo ten. col. Ruggero.
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Erano considerazioni, specie quelle su Hailé-Selassié, che 1' addetto nùlitare italiano aveva occasione di confermare poco meno di un anno dopo in un «notiziario politico» inviato al nùnistero della Guerra: «Ma e' è gente che, benché qui da molti anni, conserva per giudi-
care gli avvenimenti abissini il suo angolo visivo di europeo. Qui le possibilità di sviluppo degli avvenimenti sono sempre infinite e più vaste di quanto non sarebbero da noi. Ancor più che in Europa, però, la gente aspetta un inizio di decisione per gettarsi da una parte o dall'altra; ed è facile che, prima di arrivare ad un deterrninato grado di forza viva degli avvenimenti, tutto sbollisca, non riuscendo a vincere la forza d'inerzia: OlLre La ormai nota superiorità morale indiscussa e schiacciante del Negus, oltre la sua abilità felina, oltre la forza (inestimabile per chi è lontano da qui) che gli danno le sue armi e specialmente i suoi pochi aeroplani, è forse bene contare anche sulla sua grande.fortuna, che indiscutibilmente Lo ha sempre assistito attraverso ormai 12 anni di difficoltà, di lotte e di pericoli. 01oti il suo potere, già così stabilito e definitivo, è immensamente consolidato. In relazione a quanto esponevo nelle conclusioni dei miei rapporti precedenti, aggiungo che possiamo augurarci che alla scomparsa di Hailé-Selassié l'Abissinia, per quanto possa avere ancora progredito, ritorni al suo stato logico e naturale che è quello di dieci o vent'anni fa» (6). Informazioni di carattere invece più specificamente militare erano quelle trasmesse sempre nel 1932 al Comando del Corpo Truppe Coloniali della Somalia in risposta ad una richiesta da parte di questo. Gli elementi fomiti facevano riferimento, in particolare, ad alcuni recenti eventi relativi a concentramenti di forze ed a scontri verificatisi nel corso di quella conflittualità fra i varì ras sempre in atto, ed anche a qualche episodio di ribellione nei confronti dell' imperatore. Gli armati abissini, riferiva il compilatore, si muovevano, stazionavano e combattevano presso a poco come al tempo di Adua, sempre con al seguito servi, schiavi, conducenti e donne in un rapporto più o meno di un «famiglio» ogni 12 «militi». La cosa era spiegabile con il fatto che l'esercito abissino, o qualunque frazione di esso venisse riunita, era privo di qualsiasi ordinamento organico ed in particolare dell' organizzazione dei servizi. Questi però, se pur ridotti al minimo indispensabile come la preparazio-
(6) AUSSME, Dl-11.5/2, prot. .5 3 S. del 20/6/1932, da Add. Mii. Addis Adeha a Ministero Guerra - Gabinetto, f.to te n. col. Ruggero.
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ne individuale del cibo e la cura dei muletti da trasporto, dovevano comunque funzionare, e se il semplice soldato od il contadino mobilitato vi provvedevano per conto proprio, il capo nelle sue varie tipologie e variazioni gerarchiche ed anche colui che a vario titolo potesse considerarsi «signore» avrebbe potuto disporre per quelle incombenze, o solo per piantare la propria tenda, di almeno un paio di persone. Se era povero, si serviva di un soldato dei suoi, se era molto ricco portava seco tutta la sua gente che aveva anche modi di m·mare almeno in parte. il numero di tali persone poteva considerarsi di molto inferiore rispetto a 30-40 anni prima, e questo non perché gli abissini si. preoccupassero di riduffe il disordine che ne conseguiva ma perché la quantità di am1i ora posseduta era tale che quella stessa gente, ad eccezione dei vari schiavi di razza inferiore e delle donne, poteva essere annata e fatta combattere. La massa degli uomini era ripartita in grandi frazioni, queste a loro volta in frazioni minori e così via , ma tale 1ipartizionc non rispondeva ad alcun criterio organico bensì alle suddivisioni fra la gente dipendente dai varì notabili, capi, sottocapi, capi nùnori ed alle 1ipartizioni di territorio ç di località. Solto l'aspetto tattico, la condott,1 ne! combattimento era imperniata sulla massa nella carallerist.ica e tradizionale formazione a croce od a losanga, che attaccava facendo leva sul suo stesso peso; era pur vero che gli abissini ricavavano l'aggiramento e l'avvolgimento ed erano abili nell'impostazione e nella conduzione della battaglia, ma ciò valeva per l'impiego delle frazioni maggi01i nelle quali si suddivideva la massa unica che prendeva parte all' azione, non per quello delle frazioni minori. Durante le marce, simili alle antiche migrazio!Ù dei popoli, non era prevista alcuna formazione. La gente si allm·gava e si restringeva secondo quanto consentivano la pista e la carovaneria; una piccola avanguardia procedeva a distanza variabile. Nelle soste si adollava il vecchio, tradizionale sistema. Il capo, che viaggiava con la sua gente personale, faceva piantare la propria tenda in un posto visibile ed intorno a quella si accampavano i suoi mmati. In base ad un ordine già previsto, che era sempre lo stesso ad ogni sosta, le frazioni della massa ponevano il campo - rispetto alla direzione di marcia - avanti, indietro, a destra ed a sinistra della località scella dal capo. Ma ciò avveniva senza una parvenza d'ordine e soprattutto senza cercare di allargarsi sul terreno. Sia in movimento che in stazionamento, non erano contemplate procedure di copertura e di difesa contro attacchi aerei (7). (7) AUSSME, Dl-11 5/1, prot. 12 S. del 5/3/ 1932, da Add . Mil. Addis Adcba a Comando R. Corpo Truppe Coloniali della Somalia, f.to tcn. col. Ruggero.
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AltTe notizie di carattere militare costituivano r oggetto di una monografia compilata dal S.l.M. sulla base, anche e soprattutto, degli elementi informativi inviati dall'addetto militare, datata 1934 e quindi ancora più vicina all'inizio della nostrn campagna etiopica nell'anno successivo. La preparazione militare etiopica perseguiva due scopi: a) rendere il governo centrale sempre più forte in confronto ai varì ras, non tutti ancora completamente ligi all'imperatore (i principali dissidenti erano Ras Cassà, governatore del Gondar, Ras Sejum, governatore del Tigré occidentale ed il principe ereditario Merdazmao Asfauossen, governatore delJo Uollo); b) premunirsi contro un'eventuale aggressione special mente da parte dell'Italia (fatta apparire, dal1a stampa estera, come prossima) e, nello stesso tempo, mettersi in grado di poter attaccare l'Eritrea e la Somalia italiana nel caso che l'H,ùia fosse coinvolta in un con fli Uo sul continente europeo. L'ordinamento militare etiopico si basava sul principio della «nazione armata» (8), adattato alla speciale costituzione politica del Paese ed alla mentalità abissina. Il popolo abissino era guerriero per sua natura, ed ogni individuo armato di fucile diventava un combattente che non si distingueva dalla popolazione indigena né per uniforme né per disciplina od addestramento. L'individuo isolato raramente era coraggioso; nella massa il coraggio derivava da un fenomeno di esaltazione collettiva, che si produceva quando vi fosse stata la convinzione che il nemico risultasse più debole oppure che i presagi divini promettessero la vittoria. In sostanza, la massa difettava di resistenza morale e l'abissino non sapeva difendersi a pié fermo; se attaccato, però, attaccava a sua volta. L'esercito abissino, il cui capo supremo era l'imperatore, risultava costituito dalle truppe regolari imperiali, dalle truppe irregolari imperiali, dalle truppe irregolari provinciali, dall'aviazione (in embrione) e dalle forze di polizia. Le truppe regolari imperiali,
(8) Concetto e tc1minc coniati nel 1880 dal generale tedesco von der Goltz per definire il principio dell'esercito nazionale (le cui premesse strutturali erano state poste in Prussia dalle riforme militari di Federico Guglielmo e di Federico Il) inteso, in uno con lo Stato, quale f01ma etica ed organizzativa della nazione. Questo modulo si incentrava sulla tdpartizione fra esercito pennanente a larga intelaiatura, con fe rme tendenzialmente brevi per addestrare il maggior numero possibile di uomini, milizia mobile per completare le unità pennanenti e soprattutto formare molte unità di prima linea, e mili7.ia territoriale, il tutto con reclutamento a carattere regionale per facilitare la mohilitazione.
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istruite dalla missione di assistenza militare belga insediata stabilmente da alcuni anni, dipendevano direttamente dall'imperatore come sua proprielà privata ed erano dislocate ad Addis Abeba. Erano permanentemente organizzate in reparti, detti della «Guardia Imperiale», con armamento unificato e di tipo moderno. Ammontavano complessivamente a 5.000 uomini e comprendevano: 3 battaglioni su 3 compagnie fucilieri ( ogni compagnia 282 uomini e 12 [ucili mitragliatori più una compagnia mitragliatrici su 6 armi Hotchkiss); un reparto lanciabombe (6 lanciabombe StokesBrandt); uno squadrone di cavalleria (4 plotoni da 100 uomini); una batteria someggiata (1 pezzo Schneider da 75 mm. più 3 cannoni Oerlikon da 20 mm.); un plotone radiotelegrafisti; un drappello di sanità. Le truppe irregolari imperiali erano costituite dai contingenti permanenti dei va6 distretti dello Scioa, direttamente dipendenti dall'imperatore, e dai contingenti delle province affidate al ministero della guerra. Erano variamente ordinate ed armate, costituite da clementi volontari (tra i quali abbondavano gli exascari dei nostri battaglioni er itrei misti della Libi a), avevano una coesione ed un'efficienza bellica non trascurabile e raggiungevano un totale (non controllato) di circa 50.000 uomini, dei quali 56.000 erano dislocati normalmente ad Addis Abeba. La maggior parte di tali truppe, complelate con quelle mohilitabili nella regione, erano affidate in guerra al comando del ministro della guerra «Primo Fitaurari dell'Impero» BmTÙ Menelik (9). Le lruppe irregolari provinciali erano piccoli eserciti direttamente dipendenti, in pace ed in guerra, dal capo delle singole circoscrizioni amministrati ve e che sfoggi vano quasi completamente, per il momento, al controllo del governo centrale. Erano variamente ordinate cd armate con fucili in gran pmte di vecchio tipo. Ammontavano approssimativamente a circa 300.000 uomini. Si esperimentava però, in alcune regioni del Sud-Est etiopico ed in altre province, l' organizzazione e l'istruzione regolare di nuclei di queste truppe con ufficiali della missione militare belga e con ufficiali indigeni licenziati dalla scuola militare francese di SL Cyr. Dai ri sultati che da tale esperimento si sarebbero ottenuti avrebbe potuto trarsi un orienta-
(9) «Primo Fitaurari dell'Impero» era la più alta carica militare etiopica, corrispondente all ' incirca a «Ge nerali ssimo». Nella nomenclatura gerarchica tatti ca, il fita urari era invece il comandante dell'avanguardia; il comandante dell' ala destra era il ca1-:nasmac, quello dell 'ala sinistra il grasrnac, quello della retroguardia l'asmac. Tutti erano agli ordini del comandante in capo della formazione operativa, ras o degiac a seconda dei casi.
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mento per inquadrare regolarmente queste Lruppe irrego1ari provinciali, come particolarmente auspicato dall'imperatore. Tutte lepredette forze, ad eccezione de1la Guardia e dei nuclei irregolari dislocati nei vari presidi esistenti all'interno e lungo il confine eritreo e somalo, risultavano costituiti da gruppi di armati senza disciplina, senza uniforme, non addestrati e disseminati nelle varie provincie alle dipendenze dei rispettivi capi. L'aviazione, che dipendeva direttamente dall'imperatore, era al momento costi tui la da 13 aerei, dei quali soltanto 8 efficienti, e disponeva di 8 piloti, due dei quali bianchi (un francese ed un tedesco) e 4 meccanici, dei quali due erano bianchi e di nazionalità tedesca. Le l'orze di polizia erano costituite da circa 3.000 zabeinà (specie di gendarmi), in servizio per 1o più ne11a capitale ed adibiti anche alla sorveglianza e difesa della ferrovia Addis Abeba-Gibuti Negli ultimi tempi era stato dato grande impulso ,ùla preparazione militare del territorio, specie per quanto riguardava le comunicazioni stradali verso le frontiere eritrea e somala, lo spianamento di ca.n1pi per ]'attcrrnggio di neroplani e !a cc,stituzÌ<)ne ,!i
magazzini di derrate scaglionati lungo le linee di operazioni verso l'Eritrea. Nulla era invece stato previsto per la mobilitazione. Lo stesso governo etiopico sembrava avere un'idea molto approssimativa dei conti1igenti che ogni circoscrizione po1itico-militare avrebbe potuto fornire, e nessuna idea del tempo occorrente ,ù vari contingent.i per mobilitarsi e portarsi in una eventuale zona di radunata. li bando per la mobilitazione sarebbe stato trasmesso telefonicamente alle varie circoscrizioni; Jà dove il telefono fosse intem)tto, avrebbe potuto essere inviato un aeroplano. Occorreva tener presente, però, che le noti:r.ie fra gli indigeni si propalavano con una rapidità impensabile . Indetta !a mo bilitazione, si sarebbero avute in un primo tempo la radunate parziali degli armati in ogni circoscrizione e, in una seconda fase, la marcia e la raccolta dei varì contingenti circoscrizionali verso le zone di radunala generale ove la massa sarebbe pervenuta dopo essersi formata durante il percorso. La popolazione ammontava a circa 11 milioni di abitanti così suddivisi per approssimazione: Arnara 3.900.000, Galla 4.900.000, Sidamo 600.000, negri 400-600.000, dancali 500.000, somali 500.000. Gli armati che l'Etiopia avrebbe potuto mobilitare, desunti dai dati demografici, avrehhero raggiunto la cifra orientativa di circa 600.000 uomini suddivisi per circosc1izioni politicomilitari. Non era comunque possibile prevedere qu anti armati l'Etiopia avrebbe raccolto in caso di conflitto con l'Italia e come 139
avrebbe frazionato la massa degli uomini mobilitati. L'istinto, la mentalità e la costante tradizione abissina volevano che si andasse a battaglia con tutte le forze, comunque e dovunque disponibili, completamente riunite; ma non era da escludere che potesse avere influenza sulla decisione del capo la situazione interna del momento, quella internazionale ed il consiglio interessato di esperti europei. La situazione interna del momento, ed in particolare la rivalità fra i capi, avrehhe potuto rendere disponibile per l'azione soltanto patte delle truppe mobilitate; quella internazionale avrebbe potuto indurre a lasciare gli armati dell'Ovest e Sud-Ovest nelle proprie circoscrizioni per far fronte ad eventuali attacchi provenienti dal Kenya e dal Sudan anglo-egiziano (era inf"alt.i da prevedere che l'Inghilterra, d'intesa con l'Italia, avrebbe occupato le regioni ad Ovest dell'Etiopia alle quali aspirava); il consiglio interessato di esperti europei, infine, avrehhe potuto portare alla divisione della massa in tre frazioni, una maggiore alla frontiera eritrea, una minore a quella della Somalia italiana ed una terza al centro per condurre !a n1anovTa.. 1! dacurnent~ rip!1rtava !nn!tre., 2. t!to!a nrie!1tativc di riferimento, i dati circa la quantità degli armati che sarebbe stato possibile rar confluire ai conf"ini eritreo e somalo con i relativi tempi di mobilitazione e radunata, suscettibili questi ultimi di ridu zione se la rete delle comunicazioni camionabili, la disponibilità dei mezzi di trasporto e la potenzialità dei magazzini di granaglie e dei deposili munizioni fossero state in qualche modi migliorate. Dopo aver dassunto schematicamente le probabili direttrici del piano offensivo etiopico contro l'Eritrea, cli probabile ispirazione francese e tendente a l"ar cadere per aggiramento le nostre posi;,,ioni difensive confinarie, la monog rafia riportava i quantitativi di materiale bellico dei quali l' Etiopia risultava essere in possesso: 200 cannoni rigidi in bronzo da montagna; 15-35 cannoni Oerlikon da 20 mm ., contraerei ed antic,uTo, con dotazione di 4250 colpi cadauno; 6 lanciabombc Stokes-Brnndt, co n dotazione di I 000 colpi cadauno; 240-280 mitragliatrici pesanti; 750-950 mitragliatrici leggere; 7 carri armati del tipo F iat 3000; 130 autocarri di fabbricazione americana ùa 1-2 tonnellate; 7 autocarri armati con m_itragliatrici; circa 650.000 fucili di vecchio tipo, con 30-40 milioni di cartucce: all ' atto della mobilitazione, era previ sto che ogni arm alo (circa 500.000) ne disponesse di almeno 250; 140
circa 65.000 fucili moderni, con 100 milioni di cartucce; all'atto della mohilitazione, ad ogni combattente ne sarebbero state distribuite non meno dì 150. Molto interessante era la successiva esposizione circa la condotta tanica delle operazioni di combattimento, che integravano con maggiori particolmità quelle fornite direttamente dall'addetto militare nel 1932. Un aspetto importante era rappresentato dalla riunione delle forze , che avveniva sempre prima della battaglia, trattandosi di una nom1a tradizionale dell'esercito etiopico che traeva origine da necessità organiche ed ambientali. In tutte le campagne di questo esercito, infatti, preoccupazione costante del capo era stata quella della raccolta degli armali in :1.ona opportuna prima di iniziare le operazioni. Ed invero, con una massa così eterogenea nella quale l'interesse e l 'ambizione dei capi poteva dar luogo ad improvvise e gravi defezioni, sarebbe stato mollo pericoloso contare sulJa possibilità di formare la stessa m assa sul campo di battaglia, lanlo più che scarsezza di collegamenti di difficoltà ncll'aziosentire la riunione delle forze nello spazio e ne1 tempo voiuti. Ma soprattutto questa tradizionale abitudine si riteneva fosse una naturale conseguenza delle condizioni di ambiente al momento ancora esistenti in etiopica. Ed infatti l'organi,-,zazione !'eudale, non ancora del tutto scomparsa malgrado la Costituzione recentemente concessa, con la conseguente concezione politica individualista dei vari capi, non consentiva la manovra delle truppe lontano dal campo dì battaglia, poiché il capo destinato con il suo gruppo di armati ad eseguir~ una mossa decisiva tale da determinare l'esito vittorioso della baUaglia avrebbe potuto emergere nel quadro genera1c degli avvenimenti sino a! punto di oscurare la figura dello stesso imperatore, con conseguente pericolo per il prestigio e la potenza di quest' ultimo. Era dunque un fattore eminentemente psicologico che aveva arrestato qualsiasi evoluzione nell'arte militare etiopica. Si poteva dunque ritenere che in un conflitto contro l ' impero etiopico avremmo trovalo sempre le forze riunite. Le grandi distanze e le difficoltà logistiche avrebbero impedito quasi sempre di poter attaccare i vari' scaglioni prima della loro radunata, a meno che un' organiu.azione perfetta, sussidiata da un efficiente servizio info1n1azioni, non avesse consent.it.o di altaccan: subilo decisamei,tc ccl a fondo e di penetrare in profondità per scompaginare i vau raggruppamenti in via di formazione. Naturalmente, per compiere operazioni così ardite occorreva disp01Te di mezzi rilevanti. 141
Formata la massa, l'esercito etiopico muoveva alla battaglia articolato nelle tradizionali 4 masse disposte in modo tale da dare alla formazione il nolo assetto «a losanga» od «a croce greca». Una volta spinta la massa in una direzione, era difficile per i capi il richiamarla e dirigerla verso altri obiettivi. Ciò si doveva alla mancanza di articolazione organica, alla mancanza dei collegamenti ed alla natura stessa degli abissini. La formazione così adottata portava sempre a combattimenti sull'avanguardia, che rendevano la sorpresa quanto mai difficj)e e problematica. L'avanguardia agganciava il nemico cd iniziava il combattimento, le ali a loro volta avanzavano e, spiegandosi, venivano con la loro massa soverchiante ad avviluppare il nemico e talvolta ad aggirarlo. Con un comandante abile e ardito, l'aggiramento dell'avversario poteva essere completato con l'impiego della retroguardia. Quando il combattimento stava per incominciare si bai.levano i tamburi di guerra, ed i loro portatori (negarit) o seguivano il comandante o stavano sulle alture vicino al campo di battaglia. Non erano impiegati tanto per incoraggiare i con1ballenl.i, quai1to per c.hiainare a raccolta gli arn:1atj che eventual-
mente si fossero allontanati e gli abitanti dei paesi vicini che fossero ancora indecisi se prendere parte o meno alla battaglia. Quando il combattimento si svolgeva solo all'arma bianca, i neiarit erano necessari per indicare anche il luogo nel quale essa avveniva; ora il crepitio dei fucili e delle mitragliatrici ed il rombo del cannone rendevano inutile il ruolo dei tamburi, ma venivano impiegati egual mente per mantenere l'antica consuet1.1dine. TI comandante impaitiva ai suoi sottordini direttive di massima che lasciavano molto spazio alla loro iniziativa. I capi indicavano ai rispettivi sottocapi la posizione da occupare, e questi si lanciavano poi disordinatamente all'attacco senza farsi arrestare dagli ostacoli del terreno e senza utilizzare gli appigli che il terreno stesso poteva presentare. «Se il miglior soldato fosse quello che sa rendersi indipendente dalla natura del terreno su cui aiisce, l'abissino sarebbe certo il rni,?lior soldato al mondo », commentava testualmente il compilatore. Egli serrava sollo alla posizione nemica senza aJcuna preoccupazione per gli effetti del ruoco avversario, puntava male e sparava con parsimonia per non consumare munizioni. Se prevedeva propizio l'esito del combattimento, poneva nella lolla Lutto l'impegno, l'astuzia ed il coraggio dei quali era capace fino alla temerarietà, spinto in cib della speranza del bottino, della brama di farsi grande, dal desiderio dell'aureola di valoroso. Ma se prevedeva sicuro l'insuccesso, non avverti va minima-
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mente il dovere o l'impegno di rimanere al proprio posto, e preferiva rispanniarsi per un'eventua1e rivincita. Terminato il combattimento, di rado aveva luogo l'inseguimento; generalmente i vincitori saccheggiavano il campo nemico, spogliavano i caduti e, quasi sempre, compivano atti di inaudita ferocia sui vinti. I prigionieri fatti sul campo, se consegnati al capo, rimanevano come sua propietà insieme con le rispettive armi ed ogni avere. A fronte di queste informazioni di carattere tattico, scarse erano invece quelle che la monografia era in grado di [ornire circa l'impiego delle varie anni e specialità dell'esercito etiopico, dal momento che non ne esistevano di organicamente costituite. La quasi totalità delle forze era infatti rappresentata dagli armati di fucile, considerabili pertanto come fanti. Per l'impiego delle mitragliatrici, venivano largamente utilizzati i nostri ex-ascari tra i quali si trovavano ottimi mitraglieri, anche se queste armi risuhavano adoperate senza alcun criterio tattico. Circa l'artiglie1ia, sembrava che al momento non vi fossero clementi capaci di impiegare di essa unità sia pure elementaii, per cui continuava a venire utilizzata a pezzi isolati, alle hrevi distanze e con puntamento diretto, senza rispondere a nessuna particolare procedura operativa (10).
2. Vigilia di guerra Per quanto riguarda la guerra italo-etiopica svoltasi fra il 1935 ed il 1936, la maggior parte dell'ampia documentazione costituente il «Carteggio sussidiario A .O.I.» custodita presso l'archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito concerne lo svolgimento delle operazioni, comprese alcune sintesi elaborate dall'addetto militare riguardanti però sempre prevalentemente gli aspetti operativi ed in quanto tali già più o meno estesamente uti lizzate nelle varie pubblicazioni sulla campagna in questione, così come le numerose comunicazioni della stessa ronte relative alle forniture di armi e materiali. Di maggiore interesse, pertanto, sono <la ritenere quei «notiziari>> (fra quelli che è stato possibile reperire) inviati, con periodicità mensile o bimensile prima dello scoppio del conflitto, dal rappresentante militare presso la nostra Legazione
(10) AUSSME, H3-36/2, monografia del S.l.M. su «La preparazione militare etiopica», datata aprile 1934, senza indicazioni cli prot., destinatario e firma.
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al S.T.M. ed ali' Altò Commissariato per l'Africa Orientale ed estesi anche agli organi informativi del Ministero delle Colonie e del Governatorato della Somalia. Nell'impossibilità di riportare i contenuti di tutti , sia pure riassumendoli nella loro scansione cronologica, ed anche nell'intento di non appesantire oltre misura il presente lavoro, si è ritenuto oppo11uno fare riferimento a quello relativo ai mesi di giugno e luglio 1935, il più vicino al 3 ottobre dello stesso anno, data di inizio delle ostilità. A parte gli argomenti di politica estera, rientranti in un vasto ambito le cui dinamiche si sviluppavano ovviamente in Europa molto più che in loco, l'interesse del documento, era incentrato, così come per quelli che l' avevano preceduto, sugli aggiornamenti in merito alla situazione interna dell'Etiopia e sullo stato di approntamento alla guerra. Se era vero quanto fatto rilevare nel precedente «notiziario» di aprile, e che cioé in caso di conflitto quasi tutta la popolazione, per senso di italofobia o più genericamente di xenofobia, si sarebbe mossa contro di noi, era altrettanto '/ero che ne~ n1esi success!, i i! tono ·psico-mora.!e colletti,,c se_ !nbrava presentare segni di deterioramento: «La grande massa della popolazione, che non seRuè le .fluttuazioni della politica estera, e che soltanto intuisce che nulla ha da sperare in un c011;flitto con un' Ttalia forte e decisa e che nulla, invece, avrebbe da perdere in una nostra occupazione, sente già fortemente il peso delle tassazioni e delle contribuzioni corrisposte per la preparazione bellica e si dimostra palesemente indifferente se non addirittura avversa alla guara. Le notizie che pervengono dalle varie jHovince segnalano concordemente che il malcontento verso il governo centrale e l 'impopolarità dell'Imperatore si estende dalla popola zione, che in realtà conia nulla o quasi, ai inolli capi i quali non mancano di rivelare, quando si presenta l'occasione favorevole, questo loro stato d'animo. Soprattutto si accentua l 'insofferenza, verso i dominatori arnara-scioani, dei capi e della massa dei popoli agricoli, costituita dai Galla, Guraghe, Uollamo, Sidarno, negroidi nilotici, ecc. superanti di quali.·he milione la massa stessa dei dominatori. Anche dal Goggiam giungono notizie c'!ie cor~fèrmano come la situazione di quella provincia appaia tuttora poco stahile ( resistenza agli ordini del govematore · Ras Jmerù, sintomi di ribellione, brigantaggio che tende sempre più a diffondersi e che rende poco sicure le coritunica~ zioni). Sew1i di briiantaggio sono altresì segnalaii nellù zona di Debra Tabor, nell'Endertà, nel Gheraltà, nello Sciré. Dalla zana di 1
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Dessié giungono notizie analoghe sullo spirito bellico. Mentre nelle manifestazioni ujj-iciali si professano sentimenti guerrieri, lo spirito puhlico resta gravemente indeciso per le notizie allarmistiche che giungono dall'Eritrea e da Assab. Da Harrar è confermato che lo spirito puhhlico, per quanto non possa liberarmente manifestarsi per i noti sistemi intimidatori applicati da quelle autorità etiopiche, non è molto elevato. Le popolazioni locali, fra le quali gli elementi "amara" costituiscono un 'infima minoranza e sono considerati come stranieri ed intrusi, sono generalmente pessimiste e contrarie all'eventualità della guerra che, ancora non iniziata,fa già sentire i suoi funesti segni precursori sotto forma di privazioni materiali, aggravi finanziari e dure ves.wizioni. La disciplina fra le truppe in prevalenza "amara" Lascia 1nolto a desiderare e si sono già verdicali jàlli di sangue, furti ed altri reati. Le notizie dei nostri armamenti e della nostra decisiva volontà di liquidare le questioni con l'Etiopia esercitano sulle popolazioni effetto indubbiamente deprimente, provocando incertezza e sgomento. Più (:he sulle proprie forze, si conta sugli aiuti stranieri; basta che le speranze su questi aiuti si affievoliscano, che il morale di queste popolazioni credule ed impressionabili tende ad abbassarsi notevolmente. Un sintomo sign{f'icativo è questo: tutti i piccoli incidenti di frontiera che si sono ver~ficati in quest'ultimo scorcio di tempo sono stati qui divulgati in modo così esagerato da essere trmformati in grandi battaglie nelle quali, di fronte ad esigue perdite nostre, gli etiopici accusavano migliaia e migliaia cli perdite per effetto della nostra aviazione, dei carri arrnati e dei gas a.~fissianti. Ciò sta a provare che l'animo delle popolazioni non è,.fìn d'ora, eccessivarnente elevato. Né è valso per ora l'opera personale dell'Imperatore, l 'intensa propaganda patriollica, i discorsi, i proclami, l'azione svolta dai nazionalisti spinti e dal clero copto». A proposito dell 'imperalore, nel precedente «notiziario» J'addetto militare col. Mario Calderini (11) aveva sottolinealo come que-
(11) li norne del col. Mario Caldeiini, che e ra stato anche vic(>Capo del ·s.l.M. e che sarebbe caduto in combattimento proptio durante la campagna d'Etiopia venendo decorato con la medagli a d' oro al v.m., sarebbe stato attribuito nèl 1939 ali' «Ufficio Offensivo» del S.I.M. e mantenuto anche nel 1943, subito dopo gli eventi armistiziali, quando la stessa stmttura sarebbe divc nltta Sezione dell'Ufficio Informazioni e Collegamento che, in seno al Reparto Operazioni del Comando Supremo, aveva preso il posto del S.1.M. Lo stesso iter seguirono l' «Ufficio difensivo» e queilo «Situazione», tramutali in Sezioni che continuarono ad essere designate con i nominativi di altre due medaglie d'oro al v.m. alla memoria della eampagnad' Etiopia, lispcttivamentc il cap. (eambinieri) Antonio Bonsignore ed il ten. col. Gianfranco z~1retti.
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sti si prodigasse per appianare ogni difficoltà interna. Convocava capi e sottocapi, preti, notabili cd esponenti politici, faceva improvvise apparizioni fra le truppe e nelle regioni più vicine, ispezionava lavori, concedeva cariche ed onori, compiva gesti di generosità, pronunciava discorsi vibranti di patriottismo e spirito guerriero; ciò nonostante, il suo prestigio e popolarità non sembravano incrementarsi, ed il popolo non lo amava così come non lo amavano i capi, tra i quali non pochi erano gli aspiranti alla sua successione. L'esposizione cosi proseguiva: «È difficile prevedere, specie nell'attuale incerto momento politico, quali potranno essere le effettive conseguenze militari di questo stato d 'animo indubbiamente d([/uso. Ma è da prevedersi che esso potrà manifestarsi decisarnente a noi favorevole se la nostra propaganda politica potrà avvalersi dell 'ejj'etto morale di una prima grande battaglia che segni per gli etiopici una indubbia, sanguinosa sconfilla. Questa, ritenf?o, deve essere la necessaria, indispensabile premessa alla nostra futura azione politico-militare». Relativamente allo stato di approntamento alla guerra, il compilatore metteva in evidenza come gli ultimi due mesi avessero fatto rilevare un sensibile impulso. Mentre, da una parte, si era cercato in tutti i modi di aumcntere l'efficienza bellica dell'esercito e del Paese con l'acquisto di materiali dal1'estero (anni e munizioni, aeroplani, automezzi, materiali radio ed antigas, equipaggiamenti, provviste ingenti di carburanti, ecc.), dall'altra si erano spinti celermente innanzi, occultamente, tutti i provvedimenti (compresa la requisizione dei quadrupedi) atti ad assicurare un' efficace copertura delle fronti ere, specie quella eritrea, ed a rendere più sollecita ed ordinata la mobilitazione generale. In particolare, era stata decretata la cosi detta mobilitazione dei vi veri ( «preparate i vi veri» era l'avviso precedente sempre di almeno un mese l'ordine di attivare gli armati) e si erano smistate tra i vati capi le armi e le munizioni. Erano state effettuate in quasi tutte le provincie mobilitazioni parziali, e comunque la mobilitazione generale, già in parte in atto, secondo la valutazione del col. Calderini avrehbe potuto essere completata in un tempo inferiore a quello previsto. Dal punto di vista operativo, dopo aver premesso che le varie ipotesi che si andavano formulando circa i piani etiopici erano discordanti e spesso anche contrastanti, e che per l'esercito abissino, ancora struttura1mente rudimentale, mancavano quegli el ementi di studio acquisibili per gli eserciti europei (analisi 'della dottrina militare, della rete ferroviaria e stradale, de11a potenzialità logisti146
che, ecc.), l'addetto militare riteneva comunque di poter giungere alle seguenti previsioni: - lo scacchiere principalc sarebbe stato considerato quello eritreo, e verso questo sarebbe stata di conseguenza concentrata la massa delle forze e dei mezzi; si prevedevano, in relazione a quella che sarehhe stata l' azione militare italiana, un a o pii:, hattaglie difensivo-controffensive su posizioni predisposte successivamente retrostanti alla linea di confine. Nel caso in cui non fosse stata possibile la resistenza in massa, si pensava all'organizza:1.ione di una guerriglia su vasta scala. Azioni concomitanti sarebbero state condolte sullo scacchiere somalo e, in via subordinata, su quello dancalo; sarebbe stata costituita una forza centrale di 20-25.000 uomini sceJti (compresa la «Guardia Imperiale»), fortemente armati, adibita anche alla protezione del Negus il qual e avrebbe assunto la direzione superiore delle operazioni oltre, probahilmcnte, a quella del settore principale (fronte Nord) così da sanare la rivalità fr:1 i capi anche per que!':ìle designazioni e !asciando loro il comando delle rispettive truppe; - si sarebbe cercai.o di adottare schieramenti e formazioni tali che, attraverso il frazionamento della massa nel campo strategico e la rarefazione dei reparti in quello tattico, valessero a ridurre il più possibile la vulnerabilità ai nostri mezzi d ' offesa (aviazione, artiglieria, mitragliatrici, gas) ; si riteneva che, non potendoci arrestare e respingere daJle prime posizioni , sarebbe stato conveniente attirarc i nell' interno, in un territorio difficile cd ostile, aJlontanandoci gradualmente daJle nostre hasi logistiche; si prevedeva, sulla base de lle informazioni pervenute circa lo stato della preparazione log istica italiana ed in relazione alle particolari condi:1.ioni climatiche, che le operazion i decisive non avrebbero potuto avere inizio che nel mese di ottobre. A proposito di notizie, in Etiopia si conosceva be ne l'efficienza dei nostri apprestamenti difensivi in Eritrea ed in Somalia e si era anche altrettanto informati sul flu sso di uomini e mezzi dall'Italia. Le fonti informative erano rappresentate da eritrei fuoriusciti , in colJegamento con loro fiduciari residenti in Asmara ovvero ad Aden per le notizie relative alla Somalia. Ma una atti vità informativa a favore etiopico era presumibilmente dovuta anche alla presenza delle diverse missioni militari di assistenza, fra le quali primeggiavano quella bel ga e que lla s vedese. L'opera della prima, 147
molto inten sa, era stata negli ultimi mesi rivolta alla ricostituzione dei re parti, ridotti dopo gli ultimi invi i di regolari verso le frontiere, ed al perfezionamcnto della loro istrut'.ione soprattutto sulle armi della fanteria (m itragliatrici, lanciabom be, cannoncini) ; l'addestramento aveva luogo ad Addis Adeba e dintorni ma anche in aJtrc località quali Dcssiè ed Harrar. La missione svedese c urava in partico lare l'istruzione di al t ievi ufficiali. E ra segnalata anche la presenza di ufficiali tedeschi so li.o la copertura di funzionari de lla loro Legazione. Naturalmente, oltre agli slranieri con una fun zione palese presso l'esercito ed i ministeri, erano presenti in numero sempre crescente altri militari con generic he mansioni <<d i collegamento», giornalisti (o sedicenti tali ), profess ionisti, tecn ici , operai cd avventurieri di ogni nazionalità, lutti personaggi eser:.:itanti più o meno direllamente attività in form ativa a nti - italiana, che s i sarebbe estremamente acce ntuata qualora nazioni quali gli S tati Uniti e l'Ing hilterra avessero pe rmesso ufficialmente, prima o dopo l'inizio del conflitto, l' in vio di volo ntari a ravore dell'ELi opiH . A prn_rPsitn rlr.llrr 1~ 1)lh!bornzi0nc ~tr:miet:-~ ccn q!!e~ ~t:: P::e~;e, essa sarehhe divenuta naturalmente ancora più intensa durante la guerra, e si trova cornpediata in un elenco riferentesi al I O aprile l 936, a circa un mese e mcz7.o d all a fine de i con riitto, riportalo nell' Allegalo 1. Per quanto rigu ardava le voci ricorrenli circa un attacco simultaneo su i du e fronti da parte etiopica, all ' inizio o durante la stagione delle piogge, così da giocare d'anticipo su un' analoga iniziativa italiana e confidando di non trovarci ancora sufficientemente preparati all a difesa (ragioni alle q ual i si aggiungeva quella della diftì coltà di tenere riunito un numero già notevole di armati che vivevano all e spalle di una popolazio ne immi serit::i cd :ing1_)~c:i<1ta), il col. Calderini avanzava una valutazione negativa ri badente quanto già espresso nel «notiziario» p recedente:
«È mia convinzione che, se non interverranno in Europa fatti nuovi di eccezionale importanza, l'Etiopia non attaccherà. Ritengo che questa, convinta ormai dell'inevitabilità di un\cori/litto armato, non cederà di un punto alle nosl.re richieste, trincerandosi in un atteggiamento di intransigente legalità; anche perché, altrimenti, la posizione dell'imperatore sarebbe inesorabilmellte compromessa. Ma sono ferniamente convinto che per attaccare l 'Etiopia auenderà di essere attaccata. Ho creduto tuttavia di segnalare le insistenti vocz e gli indizi di attacco per l'inizio e per il periodo delle grandi piogge, anche 148
perché sulla volontà del governo centrale, assai debolmente sentila alla periferia, potrebbe prevalere quella di alcuni capi di cor~fine particolarmente accesi. Ciò farehhe evidentemente il nostro gioco, ma potrebbe condurre a conseguenze per ora difficilmente calcolahili. Il quadro di notizie di carattere prettamente militare comprendeva una sin tesi dei compiti che a quel momento risultavano affidati alle forze etiopiche sui fronti eritreo, somalo e dancalo ed era completato da una elencazione quantitativa e topografica dei vari depositi di anni, munizioni, altro materiale bellico, viveri e carburanti; da una descrizione mim1/,iosa dei lavori in corso alla rete telefonica, telegrafica e radiotelegrafica, con precisazioni sullo sviluppo delle linee e del l'addestramento di specialisti radiotelegrafisti presso 1' apposita sc uola istituita da circa un anno in Addis Adeha; da una accurata esposizione dei lavori stradali, specie nello scacchiere eri treo, anche se ostacolati dalle piogge che rendevano le strade quas i tulle impercorribili persino ai quadrupedi; da una lista dettao~' l iat}l dei,li ._, 1d tim i ::irrivi di armi. munizio ni e materiale bellico vario, specificante la data, la ditta produttrice, ìì genere e la quan tità della merce cd il tonnellaggio corrispondente. Venivano fornite notizie anche sul!' aviazione etiopica, pressoché inconsistente, e riguardavano gli arrivi di una decina di velivoli dalla Gerrnan ia, dal Giappone e dall'Inghilterra, tutti di vecchio modell o, una parte dei quali giungeva frazionata in più pezzi contenuli in appositi cassoni. Erano anche segnalati gli arruolamenti volonlari dall' estero di piloti e specialisti, vanificati nella maggior parte dalle carenze deJle macchine, ed i lavori di allestimento e riattamento dei campi d'aviaz ione nonché le predisposizioni per la difesa contraerea di Addis Adcba. Net documento erano anche inserite note biografiche re]alive all'establishment governati vo etiopico, corredato dalle relati ve funzioni, nomine e promozioni ( 12). ,
(12) AUSSME, Dl - 133/2, prot. 1568 S . de l 25/7/1 935, da Add. Mii. 1'\ddis Adeba a S. I.M. ed Ali:, Commissariato per I' A.O ., Lto col. Calderini.
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t..'!iopia, 1936: lavori di costruzioni stradali
Il col. Mario Calderini, g ià vice-capo del S.I.M. e addetto 1nilitare in f:tiopia ( 19341935) do ve cadde poi in con1battùnento nel 1936, 1nedag/ia d'om al v.m. alla memoria
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Capitolo VIII FRANCIA
1. Versailles ed il contenzioso adriatico e balcanico Come è noto, poco più di due mesi dopo la fine della prima guerra mondiale, il 12 gennaio 1919 ebbe inizio a Versailles la Conferenza della Pace alla quale parteciparono 27 fra le nazioni alleate ed associate. Sin dall'inizio dei lavori, però l'egoismo egemonico franco-inglese ed il reciproco clima di diffidenza regnante fra tutti i membri minarono la credibilità della vagheggiata teoria della «sicurezza collettiva» elaborata dal presidente americano Wilson (1) con i suoi famosi 14 punti; di essi, quello sul principio di nazionalità e di autodeterminazione dei popoli rappresentava il fi ore all' occhiello di un 'impostazione mentale su base quacchera e missionaria, traducentesi in una visione politica nella quale 1'esigenza moralistica era rigidamente e piuttosto utopisticamente anteposta alla ragion di Stato. Sull'Europa lacerala, una metà della quale non era riuscita ad avere la meglio sull'altra, si profilava infatti oleograficamentc l'immagine benefattrice degli Stati Uniti d' America che, differenziandosi quali «associati» militari dagli altri alleati , pretendevano di proporsi come velleitari sacerdoti ed arbitri di una nuova etica internazionale fondata su un surretti zio spirito democratico. Già meno di tre mesi dopo, la Conferenza 1ischiò la rottura in sede di definizione dei confini ori entali itali ani. La morte di Francesco Giu seppe (2), avvenuta a Schoenbri.inn il 21 novembre 1916, aveva inferto un duro colpo alla coesione delle popola;,,ioni
(1) Thomas Woodrow Wilson ( 1856-1924), professore di diritto e rettore dell'uni versità di Princcton, presidente degli USA per due mandati dal 19 13 al 192 1. fau tore dcl1' intervento americano nella la guem1 mondiale ed ideatore della Società delle Nazioni. (2) Francesco Giuseppe I (1830- 19 16), pe nultimo imperai ore d ' Austria, fi glio dell' Arciduca Carlo Francesco e di Sofi a di naviera, salito al trono il 2. 12.1 848 , fratell o maggiore di Massimilian o, imperatore del Mess ico ed ivi fu cilato nel 1867, zio di Francesco Fe rdinando suo erede alla corona au stroungaric a ucc iso a Saraj evo il 28.6 .1 9 14, episodio che determinò la guerrll alla Serhi a innescando il primo conflitto mondi ale.
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della monarchia austroungarica. Tra i cechi, i polacchi, gli sloveni ed i croati erano so11e organizzazioni politiche dalle quali andavano costituendosi i cosiddetti Consigli Nazionali, strutture che se pur prive di ogni veste giuridica erano divenute organismi di tutto riguardo dai quali l ' autorità governativa non p oteva comunque presc indere. Il l O ottobre 1918, ali 'apertura del parlamento austriaco, i rappresentanti di tutte le nazionalità recero affermazioni di indipendenza nazionale, per cui il nuovo imperatore Carlo finì con l'aderire all ' idea della trasformazione de l.l' impero in una federazione di Stati nazionali , senza peraltro riuscire ad avere ragione dell ' irriducibile pregiudiziale dei magiari, irremovibili ne lle loro pretese di conservare l'integrità dei Paesi delia Corona e la sovranità sui popoli che ne facevano parte. Per pacificare e rendersi amici i croati, si pensava quindi di unire alla Croazia storica la Dalmazia e di assicurare a questa corona il possesso della Bosnia, sia pure nella forma di un corpus separatum. I croati, dal canto loro, se aspiravano all'aggregazione di 4uei Paesi nonché della Slovenia appartenente all'Austria. a uspi ca v::ino però ()rrn ai un o Stato indipendente dalla monarchia austrongarica; non pochi, inoltre (cd il loro numero andava crescendo man mano che le condizioni dell'Austria venivano aggravandosi), pensavano all'unione, possibilmente federa6va, con il regno deJla Serbia, il cui teni torio si stava sgomberando in seguito al cro1lo della Bulgaria che il 29 sette mbre 19 18 aveva firmato l'armisli:1.io di Salon icco. Ed in effetti anche i serbi avevano iniziato la guerra con il proposito di dare forma, con Croazia e Slovenia al momento provincie austri ache, ad una nazione slava quale si sarebbe poi configurata nella futura Jugoslavia, ed in tal senso erano i più interessati alla sorte delJ'lstria e della Dalmazia, anch' esse provincie territorialmente cd etnicamenle slave. La proclamazione, avvenuta 11 I O dicembre, di un regno jugoslavo (3) di circa 12 milioni di abitanti venne a creare una situazione completamente impreved ibile nel 1915, allorché
(3) Il nuovo Stato «jugoslavo» avrehhe preso corpo il I. 12. 1<) 18 come U nione degli Slav i del Sud per l'annessione all a Serbia dell a Slovenia, della Croazia e della BosniaErzegov ina, to lte all'impero au stro-unga ri co, e per I' ii1globa mento del reg no del Moritenegro. L'Unione degli Slavi del Sud divenuta nel l 9 19 il regno dei Serhi , Croali e Sloven i (s igla inte rn az io nale: S.H.S.) e denominata uffic ialmente Jugos lavia dal 6.1 . 1929, assunse suhito un'impronta centrali stica, di oppress ione··verso le etni e non serbe e di conn·appos izi one con gli Stati conf'immli ritenuti colpevoli di ostacolare il proprio progetto.
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era stato negoziato il Patto di Londra (4). T1 nuovo Stato pretendeva per sé Fiume, la Dalmazia cd il Friuli-Venezia Giulia fino a Trieste e Gorizia comprese, trovando un valido patrono per gran parte di queste richieste in Wilson e, se pur in termini formalmente meno palesi, nelle stesse Francia ed Inghilterra. 11 ministro degli esteri italiano Sonnino (5), non essendo riuscito ad impedire la fondazione dell'unità jugoslava, cercò ora di impedire che al nuovo Stato fosse concesso il ricoscimento delle altre nazioni, per cui mantenne il blocco economico destinato a spezzare 1'economia jugoslava e seguitò ad aiutare attivamente il deposto re Nicola del Montenegro (6) - suocero, fra l'altro, di Vittorio Emanuele [TI per favorire il separatismo in seno allo Stato jugoslavo. D'altra parte, la formale richiesta della Delega:t.ione italiana (Patto di Londra più Fiume) era espressione di un massimalismo di impossibile realizzazione ed anche miope, perché l'Italia mostrava di essere interessata esclusivamente al problema dell'eredità territoriale dell'impero austroungarico perdendo di vista le altre questioni che ::i.vrehhero potuto essere considerate in un legame organico (quelle delle riparazioni, delle colonie, dei Balcani, dell'Asia Minore, ecc:). Tale impostazione mise in imbarazzo francesi ed inglesi che,
(4) Il patto di Londra fu un accordo segreto slìpulato il 26.4. 1() 15 quale risultante delle Imitative fra I' llalia e le polenze dell ' Intesa seguite alla nostra dichiarazione d i neutralità ciel 2.8.1914, all'atto dello scoppio d el l " conflitLo mondiale. Gli arlicoli 4 e 5 stabilivano le delimitazioni confinarie orientali assicurando ali 'Italia il Trentino, il Tirolo cisalpino con la sua delimitazione ciel Rrennero, Tri este, Gori zia e Gradisca, tutta l' Istria sino al Quarnaro con le isole di Cherso e Lus~ino, la parte ccnlrale dell a costa dalmata e qu,1si h1Ue le isole a Nord di C urzola e Melcda non escluse queste ultime. Per Fiume era stata in vece prevista l'assegnazione alla Croaz ia, per far si che in questa reg io ne, della quale non si prevedeva all 'epoca l'unione con la Serbia, rimanesse aperlo uno sbocco nel!' Adriatico, e ciò tanto nel quadro cli un ridimensionato ma non eslinto impero as burgico quanto in quello di una possibile unione con un ' Ungheria sepa rata dall ' Austria. Proprio la questione di Fiume meueva a ruoco l'anacronismo del Patto cli I,ondra a causa del qual e, infatti , me ntre mollissimi slav i (oltre un milione) sarebbero s tat i ann ess i all ' Italia contro la loro volontà, così non sarebbe stato per i fiumani che in vece a larga maggioranza lo volevano. (5) Sidney Sonnino (1847-1924), presidente del consiglio nel 1906 e nel 1909-1 910, ministro degli esteri dal 5 .1.1 9 14, durante tutta la guerra e nell'immediato dopoguerra (23.6. I1) 19), portò a termine le tratlalive con l'Austria e poi con le polenze cieli' Intesa per l' intervento de ll'Italia nel primo conrtitlo mondiale. (6) Nicola Petrovic (1841 - 192 1), tito lare del principato del Montenegro dal 1861 e proclamato re ne l 19 1O, guidò il Paese nella I" guerra mondiale conlro l'Austria e fu il primo a prendere le armi in aiuto della Serbia. Dopo l' invasione del Montenegro da patte degli austro-bulgari nel 191 6 e l'incorporazione nel regno jugoslavo alla fine della guerra, andò in esilio in ~rancia rifiutandos i di riconoscere la legalità del nuovo regime.
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se intendevano rispettare il Patto di Londra, non volevano d'altra parte entrare troppo in contrasto con l'America che rappresentava l'unica possibilità di risanamento delle rispettive economie, non meno disastrate di quella italiana. Gli Stati Uniti escludevano la cessione al1'llalia della costa dalmata, di Fiume e di huona paite dell'Istria, nella quale fissarono la frontiera con la Jugoslavia con quella che sarebbe divenuta nota come «linea ainericana» o «linea Wilson». Il massimo che il presidente americano era disposto a concedere era una frontiera ]ungo la linea di displuvio della penisola istriana, soluzione che aveva appunto il merito ai suoi occhi di tenere separata Fiume daH ' llalia; e nel contempo non annetteva neanche la minima importanza al Patto di Londra, dal momento che gli Stati Uniti non lo avevano sottoscritto e che pertanto non solo disconosceva ma, per quanto di lui s'è accennato in precedenza, decisamente avversava. E fu proprio a Wilson che, a11o scopo di risolvere le controversie fra le nostre e le loro richieste, gli jugoslavi proposero di rivolgersi per un arbitrato. Fu una mossa quanto mai abile, che faceva de] presidente degli Stati Uniti il «protettore» della Jugoslavia, alla quale non corrispose una contromossa da parte italiana; anzi, i nostri rappresentanti la favorirono assumendo un atteggiamento di rigido rifiuto che trasfonnò quello italo-jugoslavo in uno scontro italo-americano, sfociato il 23 aprile 1919 in un inopportuno e grossolano appello rivolto da Wilson direttamente al popolo italiano nel quale lo invitava alla moderazione ed al rispetto dei diritti delle altre nazionalità. Il giorno successivo Orlando (7) e Sonnino abbandonarono la Conferenza della Pace, infilandosi così in un cul de sac dal quale sarebbero usciti un paio di settimane dopo nella forma meno brillante, rientrando a Versailles alla stregua di fastidiosi postulanti ed in una condizione di isolamento che avrebbe ]asciato loro scarso margine di manovra. In merito agli avvenimenti occorsi in questo periodo, l'addetto militare italiano a Parigi inviò una comunicazione (proprio i1 giorno precedente al ritorno di Orlando e Sonnino a11a Conferenza) che traeva origini da informazioni ricev ute presso i circoli francesi autorizzati. In essa, si sottolineava come l'onere del lavoro di
(7) Vittorio Emanuele Orlando (1860-1952), docente di diritto costituzionak, uomo politico di matrice liberale, già ministro della Pubblica Istruzione e della giustizia, fu presidente del cons igli.o dal 30.10.1917 al 23.6.1919. Si ritirò dalla vita politica attiva nel 1926.
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mediazione e di riavvicinamento presso il nostro governo fosse spettato alJ 'ambasciatore francese a Roma Camille Barrère, che aveva soprattutlo cercato di rappresentare nella forma più indolore alcuni orientamenti di Clemenceau (8) circa la spinosa questione di Fiume, che si sarebbe potuto accordare all'Italia dopo un «ce1to» periodo la cui durata avrebbe dovuto essere cmmnisurata al tempo necessario per la costruzione di un porto speciale per la Jugoslavia. Tra i passi di Barrérc e la disponibilità all'accettazione, e quindi al rientro a Versailles, da parte del governo di Roma erano peraltro intercorse da part.e dell 'Tntesa altre notificazioni all'Italia dal tono certamente più pressante, così riassunte da parte del nostro rappresentante militare: «Fu su suggerimento di Wilson ed a già cosa fatta che Barrère ci notificò (è certo almeno che l'ordine partì da Parigi) la convocazione dei plenipotenziari austriaci, con l'ammonimento che si sarebbe proceduto nei loro con.fronti anche senza di noi. Ci si fece sapere che Wilson aveva intenzione di partire il I O giugno, avendo per La prima melà del mese prossimo convocato il Con1<resso, onde per quella data la necessità che tutto sia finito. Probabilmente in un secondo tempo, quanto meno in un tempo diverso dalla not{ficazione precedente, ci si comunicò che tutta una serie di modificazioni del trattato di pace era stata concretala in nostra assenza, mod(ficazioni attinenti alle clausole finanziarie, all'assegnazione della .flotta tedesca, ai rapporti fra la Germania e l'Austria tedesca. La comunicazione aggiungeva che gli alleati comprendevano benissimo che tali modificazioni interessavano in sommo grado anche l'Italia, ma che questo loro riconoscimento della necessità di avere il consenso dell'Italia doveva cedere dinnanzi alla necessità di carattere assolutamente urgente di concludere la pace con la Gemiania e con L'Austria; onde, passato un certo lermine che ci veniva assegnato perché noi potessimo far sentire La nostra opinione e che sembra sia stato successivamente spostato, Le mod(ficazioni stesse sarebbero divenute definitive e irrevocabili. Queste comunicazioni non avrebbero tuttavia avuto troppo fòrte presa sul Gabinetto di Roma. Il passo definitivo, quello che avrebbe in realtà determinato la situazione attuale, sarebbe stato fatto sabato sera o domenica a Roma,con la comunicazione di quella (8) George Clemcnccau (1841-1929), uomo politico fran cese, presidente del consiglio nel 1906, riprese la direzione dell ' esecutivo nel 1917. Detto il Ti.gre per l'intransigenza e veemenza proverbiali, fu il principale estensore del Trattato di Versailles.
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specie di ultimatum che la Delexazione tedesca aveva il giorno stesso diretto agli Alleati perché affrettassero la comunicazione del trattato e la conclusione delle trattative di pace. Temettero tuttavia i Triumviri di essersi spinti troppo oltre in questo crescendo di comunicazioni quando la comunicazione del R. Ambasciatore, annunciante il ritorno dei delegati italiani, rese inutile ogni ulteriore deliberazione. Questa la versione .francese degli avvenimenti, da noi attinta a fonte autorizzata. È indubitato che fino alla comunicazione del R. Ambasciatore annunciante il ritorno degli on.li Orlando e Sonnino, le alte sfere vivevano in apprensione grandissima, prova ne sia la conferenza di ieri mattina dei Triumviri. Si giungeva.fino a temere che l'Italia formulasse un messaggio pubblico p er protestare contro l'eventualità di una pace separata. Ieri sera la stampa francese è stata sollecitata ad esprimere all'Italia la riconoscenza del governo francese pe r aver sollevato gli alleati dall'incubo che li opprimeva ed avere ciò fatto in modo cosi nobilmente disinteressato, senza pretendere in precedenza alcuna promessa imveRnativa. Si manifestava l'avviso che anche Wilson avrebbe finito per cedere dal suo atteggiamento di assoluta intransigenza, se l' Italia avesse insistito nelle sue concessioni in Dalmazia» (9). Ma la valutazione della stampa francese peccava di ottimismo. L' irremovibilità di Wiison divenne infatti ancora più accentuata e, a fronte delle richieste di Orlando di uno statuto di città libera per Fiume con almeno una striscia di territorio che la legasse all'Ttalia, oppose la creazione di uno stato libero sotto il controllo della Lega delle Nazioni, con funzioni di «cuscinetto» (nel cui contesto Fiume avrehbe costituito un corpus separatum) ad Est della frontiera italiana, senza alcun cordone ombelicale e che, data la preponderanza slava, sareobe stata inevit.abiimcnte una dipendenza di Belgrado. Un'altra nota dell'addetto militare, una settimana dopo la precedente, risultava oltremodo significativa circa l'azione «distraente» di Wilson nei riguardi dell 'influenza italiana nell'area adriatica balcanica: «Americano incaricato d'importante ufficio nella Delegazione statunitense per la pace ha detto quanto segue a persona di questo ufficio, con la quale è legato da amicizia da tempo: "Nelle trattati-
(9) AlJSSME, E8-22/A, prol. 4891/A del 6.5.1919, daAdd . Mii. Parigi a vari destinatari pol itico-diplomatici e militari, senza indicazione di firma.
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ve ulteriori dell'Italia bisowia part;re da un dato fatto dal quale non è possibile astrarre, e cioè il problema Wilson rir;uardante La questione di Fiume. Mai Wilson recederà da quanto ha ivi dichiarato, posso assicurarvelo nel modo più assoluto. È quindi necessario che consideriate cmne acquisito questo caposaldo, senza che corriate rischio di sprecare tempo ed energia. Il presidente Wilson vedrebbe con molto piacere la risoluzione dell'incidente morale con l'Italia, ch'egli considera quale episodio in un problema più vasto. t,"gli cioè è persuaso che il suo proclama è stata soltanto la causa occasionale che ha reso man(festa una situazione già creatasi e delineatasi per altre ragioni indipendenti dall'intervento americano. Wilson è persuaso che gli interessi italiani non sono né nell'Adriatico né nei Balcani ma molto al di là, cioè nell'Asia Minore. All'Ttalia infatti necessita avere carbone e territori ove diriiere convenientemente la sua emigrazione. Ciò non è possibile nei Balcani. Da ciò il divario fra le vere necessità dell'Italia e la politif'a artifiòafo del governo italiano. Wilson crede percit) che la soluzione sarebbe stata facilitata se gli attuali nostri delegati si fossero dimessi da tali e non fossero più tornati a Pariii. Ettli infatti si rende benissimo conto che essi sono ormai legati dall'attegxiamenlo preso e dalla propaganda fatta nel Paese. Quindi necessità di cambiare gli uomini, giacché Wilson è convinto che in 15 giorni l'opinione pubblica italiana potrebbe essere riavviata sul retto cammino. Ad oini modo se l'Italia volesse.fare il gran gesto spontaneo di rinunciare al dmninio di Fiume proponendo la sua autonomia, nonché quella delle altre città dalmate italiane e La neutralizzazione dell'Adriatico, essa - che toglierehbe u>sÌ il movente di prossime guerre - verrebbe lariamente compensata in Asia Minore con un mandato che si potrebbe estendere a tutta L'Anatolia. E questo ve lo posso dire in modo sicuro. Se l'Italia entrasse in questa via ed avesse quindi i compensi su indicati, a cosa gli servirebbe ormai il possesso del Dodecanneso? Vedete quindi che verrebbero eliminate le questioni juioslava e greca, sommamente pericolose per la pace del mondo. Aggiungo che l'avvenire di Trieste è in ogni modo assicurato, giacché Wilson ritiene che l'Austria tedesca debba cadere sollo l 'ù4luenza italiana costituendo così l'hinterland triestino, ed anzi Wilson ha avuto occasione di manffestare la sua meraviglia nel veder così poco attiva la politica italiana in J\ ustria ". 157
Questo il sunto delle dichiarazioni del personaggio americano, venuto apposta per farle, e che si r(feriscono per quanto possano valere e ad ogni utile effetto. Detto personaggio poi ha lamentato che vi .fòsse troppo pochi contatti personali fra gli abitanti dell'Edouard VII e del Crillon (*), contatti che servirebbero a facilitare gli scambi di idee, divenuti ora impossibili per l'irascibilità dei pochi italiani che ancora consentono a parlare con degli americani. Gli italiani che per caso vengono al Crillon sono intrasigenti e non ammettono alcuna discussione. Non è con tali mezzi che si può sperare di convincere gli interlocutori. E l'accennato personaggio ricordò, in appoggio di questa sua ipotesi, una visita al Crillon del console r.:enerale Piacentini, il quale a differenza degli altri accondiscese a discutere e si mostrò cosi persuasivo che, subito dopo la sua partenza, venne compilato un rapporto in favore della tesi italiana pro-Fiume e trasmesso direttamente al presidente Wilson. Cià dimostra che, volendo, si potrebbe trasformare il modo di vedere di gran parte degli americani della Delegazione[. .. J» (10). L'ostilità ormai chiaramente manifestata da Wilson e Clemenceau nei confronti dell' ltalia continuò ad essere messa in rilievo nelle analisi dell'addetto militare a Parigi. In particolare, veniva sottolineata l'astiosità di Clernenceau che accusava gli ambienti itali:mi di aver fomentato la campagna di stampa promossa contro di lui da molti giornali francesi e che· in ce1ti momenti era si.ala tale da compromettere la solidità del suo governo. Le fonti confidenziali delle quali disponeva l'ufficiale gli consentivano peraltro di rilevare come la politica di pace di Clemenceau fosse giudicata piuttosto severamente nei circoli autorevoli della capitale francese anche se, essendo ancora considerato dalla massa come l'artefice principale della vittoria, non risultasse opportuno attaccarlo direttamente. D'altro canto non pochi accreditati esponenti del giornalismo francese, impegnali nella fronda contro il personaggio, si erano a loro volta lamentati in modo particolare della prosa sferzante de «ll Corriere della Sera» che avrebbe reso più difficile la loro azione favorevole ali' Italia. A questo proposito, essi operavano una netta distinzione fra Clemenceau e la Francia, e si dicevano convinti che
(*) Nominativi degli alberghi presso i quali alloggiavano rispellivamcntc le rappresentanze diplomatiche ilaliana e statunitense. . (I O) AUSSME, ES-22/A, prot. 5023/A del 12.5.1919, da Add. Mii. Parigi a vari destinatari politico-diplomatici e militali, senza indicazione di firma.
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solo una poliljca di amicizia con l'Italia avrebbe potuto essere veramente utile a1 loro Paese; ma sempre a loro dire, un sommario e superficiale accostamento identificativo fra i due termini li avrebbe forzatamente costretti ad essere solidali con la linea del premier. Anche 1'animosità di Wilson sarebbe stata alimentata da una componente personale, nel senso che anch'egli accusava in particolare Orlando di aver consentito che la stampa italiana lo coprisse dei più volgari insulti; ma, aggiungeva l'addetto militare, l'aver richiamato l'attenzione del presidente americano sugli articoli più violenti e 1'avergli esibito le più feroci vjgnette umoristiche contro di lui era da attribuirsi alla zelante sottigliezza degli jugoslavi che non esitavano a combatterci anche con simili armi (11). Ma al di là delle dispute e delle polemiche a livello politicodiplomatico, in quello stesso periodo un problema all'ordine del giorno fu rappresentato dalla minaccia di una probabile ribellione slava lungo la linea d'armistizio all'atto delle decisioni della Conferenza della Pace, qualunque ne fossero stati gli esiti, con coinvolgimento di tutta l'area balcanica. Una comunicazione «riservatissima» trasmessa dall'Ufficio Informazioni dello Stato Maggiore Marina alle massime autorità politiche militari ed agli addetti navali a Washington, Londra, Parigi ed Atene aveva reso noto come i delegati jugoslavi alla Conferenza della Pace si considerassero in una situazione di guerra con l'Italia e che non avrebbero ratificato alcun trattato di pace se le clausole di questo avessero avuto per base il Patto di Londra. Gli sloveni si proponevano di intraprendere subito una campagna terroristjca nei territori occupati dagli italiani in Venezia Giulia (nelle caverne del Carso erano occultati notevoli quantitativi di armi e munizioni), e fra i probabili obiettivi venivano indicali la conduttura idrica e le centrali elettriche di Trieste contro la quale, inoltre, era previsto un attacco improvviso attraverso il quale pervenire sino all' Isonzo. Infine, concludeva l'informativa, qualora agli italiani fosse riuscito di mantenere il possesso delle coste, le zone interne sarebbero però rimaste sempre in mani jugoslave e sarebbero d.i venute teatro di una continua guerriglia come in Tripolitania (12).
( 11) AUSSME, E8-22/A, prot. 5069/A del 21.5.1919, da Add. Mii. Parigi a vari destinatari politico-diplomatici e militari , senza indicazione di firma. (12) AUSSME, E3-I6, prot. 221 del 16.3.1919, da Ufficio del Capo Stato Maggiore Marina (Ufficio Informazioni) a massime autorità politiche e militari, senza indicazione di firma.
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Dal canto suo, la Sezione Militare del1a Delega:òone Italiana alla Conferenza della Pace aveva messo in rilievo il concorso offerto da Francia, Inghilterra e Stati Uniti per l'organizzazione delle forze annale greche e serbe, anche in vista della loro mobilitazione della probabile alleanza fra i due Paesi. Per quanto riguardava la Grecia, dalla metà di aprile del 1919 era stala segnalata la presenza di un ispettore francese per trattare la cessione all'esercito locale del materiale bellico esistente nei Balcani, già appartenuto all'Armata d'Oriente ovvero temporaneamente assegnato alle unità greche, cioè cannoni da 120, materiale automobilistico e d'aviazione, munizioni e macchinari div~rsi, per un valore complessivo di 50 milioni. E comunque, indipendentemente da questi 1ifomimenti, le tre potenze alleate avevano pe1iodicamente fornito alla Grecia i fondi necessmi per il mantenimento del l'esercito. Per quanto concerneva la Jugoslavia, il supporto dei governi alleati cd associati sarebbe stato ancora maggiore. La Francia, oltre a mantenere presso l'esercito serbo varie missioni tecniche, avrchhe promesso a quel Paese la cessione del materiale d'artiglieria da 155 a.ll' atto della pa1ienza àeìle proprie unità delia penisola haicanica. I congedandi francesi dell'armata d'Oriente partivano disarmati, in quanto arnu e munizioni venivano concentrate a Belgrado e cedute a quel governo. Le autorità militari francesi in Montenegro avevano per-messo che i serbi violassero i patti d'armistizio e che asportassero paitc del inateriaie bel] ico catturato agì i austriaci e conccntraLO a Cattaro, nonché 800 cannoni caUurati ai Buigari cd ai tedeschi. A Belgrado era stato annunciato ufficialmente che gli Stati Uniti avevano ceduto alla Serbia a prezzo irrisorio un terzo dei materiali d'ogni specie traspo1tati in Francia; si trattava cli migliaia di vagoni e locomotive, di camion, di equipaggiamenti, di interi magazzini di sussistenza e di enormi quantità di materiale sanitario oltre a notevoli quantitativi di materiaii d'aitro genere, sempre dì specifico in teresse militare, sbarcati a Salonicco ( I3). Dieci giorni dopo tale informativa, veni va altresì segnalato lo spostamento verso la nostra frontiera delle artigl ierie cedute dai rrancesi ai serbi cd ora rimesse in efficienza, cd il transito per Zagabria di numerosi treni carichi di trnppe cd artiglierie serbe, tutte di.rette verso la nostra linea d'armistizio, valutahih ad almeno due divisioni ed a circa 200 pezzi di vario calibro (14).
( 13) AUSSME, ES-82, da Delegai.ione Ilalì ana per la Pace - Sezione Militare in data 23.5. 1919, senza indicazione di prot. e destinatario, f.to gen. 1:3rancaccio. (14) AUSSME, E8-82, da Delegazione Italiana per la Pace - Se1ione Militare in data 3.6. 1919, senza indicazio ne di proL e destinatario, f.to gen. Brancaccio.
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La minaccia di un probabile conflitto nei Balcani fu ribadita da una nota nella quale erano rappresentate, sotto lo specifico aspetto militare, le soluzioni più idonee agli interessi italiani; al di fuori della data - Parigi, 12 aprile 1919 - non figurano altri elementi identificativi, ma stante il contenuto e la stilistica espositiva è plausibilmente attribuibile all'ufficio dell'addetto militare: «Pervengono notizie varie che segnalano tendenze serbo-greche contrarie all'Italia e che attribuiscono ai due governi (\pecialmente al primo) propositi che possono giungere fino ad un conflitto. Si rende quindi necessario di esaminare per tale probabile caso quale azione ci possa convenire nel campo politico-militare balcanico. Un possibile conflitto tra Serbia ed Italia risveglierebbe il desiderio di riscossa della Bulgaria la quale potrebbe portare un concorso più o meno importante a seconda dell'appoggio che le può essere fornito. Altri popoli che si metterebbero contro ai serbigreci potrebbero essere gli albanesi, i montenegrini ed i croati. I primi sarehhero in grado anche di fornire concorso militare non spregevole, mentre gli altri potrebbero creare ai serbi preoccupazioni mediante sommosse ed anche azioni di [?ruppi irregolari armati. BULGARIA - La preparazione italiana deve avere di mira: - rapida riorganizzazione dell'esercito bulgaro; - costituzione di una base navale sulle coste bulgare; - impedimento di una improvvisa invasione serbo-greca del territorio bulgaro. Per il primo punto le autorità militari italiane attualmente in Bulr:aria possono assumere tutte le informazioni e concretare tulle le proposte necessarie. Per il secondo conviene prendere in esame la convenienza della scelta in Egeo e nel Mar Nero tenendo presente per quest'ultimo caso la possibile chiusura degli Stretti. Per il terzo sarebbe necessaria una dislocazione delle unità italiane attualmente in Bulgaria (15) tale da poter trattenere una prima mossa tendente ad entrare in territorio bulgaro per dar tempo alle truppe locali di accorrere. Si rende di conseguenza necessario ( 15) Esse erano costituite dalle brigate Cagliari ed Ivrea, inquadrate nella 35a Divisione presente nei Oalcani sin dal 1916. Subito dopo la resa della Bulgaria ed il successivo cedimento dell'esercito tedesco, austroungarico e turco, erano state entrambe dislocate nella parte occidentale del Paese intorno a Sofia; successivamente, la sola Ivrea fu inviala nella zona Nord per occupare con piccoli distaccamenti il territorio fra Vadim, Lom e Vraca, mentre la Cagliari rimase nella zona di Sofia con il comando divisionale.
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prendere sin da ora decisioni di massima per poter dare direttive convenienti ai Comandi italiani in Bulgaria, anche per evitare che il gen. Franchet d'Esperey (16) su istigazioni serba non dia alle Regie Truppe una dislocazione diversa da quella che a noi conviene. ALBANIA - La preparezione italiana deve avere di mira: - la formazione di unità albanesi armate; - il risveglio del sentimento nazionale quale incentivo alla lotta. Per il primo punto basterà sollecitare il Comando italiano a dare maggiore impulso alla formazione delle milizie. Per il secondo è assolutamente necessario accordare soddisfazioni ali'amor proprio nazionale. Le misure da prevedersi sono due: concessione dell'uso della bandiera nazionale dovunque, compresa Valona assetto amministrativo più conforme ai desideri del Governo Provvisorio ed impegni solenni per l'essenza statale futura. Per quest'ultimo punto si fa presente che da ogni parte giungono lagnanze contro il disordine amministrativo attuale che viene stigmatizzato da persone troppo serie per non attirare attenzione e considerazione. CROAZIA E MONTENEGRO - L'azione da sviluppare in quei Paesi non può trovar base che in accordi con i partiti contrari all'attuale regime. È noto che tale campo si presta favorevolmente. L'azione militare potrebbe essere studiata sotto forma di intervento di truppe volontarie miste, slave, albanesi ed italiane. Infine, non è da passare sotto silenzio che UNGHERIA ed AUSTRIA tedesca potrebbero pure essere tentate di valersi delle circostanze e del momenlo per agire contro la Serbia, ma tale intervento pare sia da evitare per le ripercussioni che potrebbero aversi in Boemia, Romania e Polonia dando luogo ad implicazioni che non sono da desiderare» (17). Sempre alla tarda primavera del 1919 risale un' interessante relazione circa la situazione interna in Francia e le sue ricadute sull'affidabilità dell'apparato militare, redatta in termini descrittivo-valutativi dal nostro addetto e che si riporta testualmente: «La situazione interna in Francia è stazionaria, gli scioperi non
(16) Louis Franchet d'Esperey (1856-1942), Maresciallo di Francia, specialista di guerra coloniale particolarmente distintosi nel Marocco e nel Tonchino, membro del!' Accademia di Francia, comandante del!' Année d'Orient nell'.ultimo periodo della 1a guerra mondiale e dell' immediato dopoguerra. (17) AUSSME, E8- 51, «Note circa probabile conflitto nei Balcani».
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accennano ancora a finire. Gli incidenti non noti o meno noti di ieri sono quelli di Saint-Denis e di Issy-les-Moulineaux. A SaintDenis gli scioperanti metallurgici hanno issato la bandiera rossa sul Municipio al irido di "Viva Lenin". Una forte colonna voleva dirigersi su Parigi, ma fu affrontata dagli agenti e vi fu qualche ferito. A Issy-les-Moulineaux circa 2.000 dimostranti hanno invaso e saccheggiato l'aerodromo militare, determinando l'intervento della truppa. L'aspetto, o meglio la trepidazione degli animi è grande: questa sera la Confederazione dei ferrovieri deciderà quale atteggiamento assumere di fronte alla situazione. Da questa decisione dipenderà in gran parte il corso degli ulteriori avvenimenti. Si hanno fondate ::,peranze sulla saggezza dei dirigenti confederali, ma si teme anche che i loro sforzi possano essere resi vani da un inconsulto, avventato movimento delle masse aderenti. Difatti la caratteristica principale degli scioperi odierni, quella cioè che li d(fferenzia in modo particolarissimo dai precedenti, è costituita dal fatto che Le masse non obbediscono più ai loro dirigenti, sui quali pertanto l'azione f?OVenwtiva non può più fare un giusto assegnamento. Lo sciopero è deciso all'improvviso; non consultati e spesso nolenti i capi dei sindacati, con le masse che sembrano pervase dall'ubriachezza dello sciopero cui si abbando. . nano con gzowsa incoscienza. Nessuna notizia nuova sul contegno delle truppe che continuano ad essere impiegate, pur con molta parsimonia, nei servizi d'ordine. Sull'incidente d( Tolone non è stato possibile avere maggiori particolari, mentre per quello di Tolosa si è potuto sapere che fu un 'intera divisione di fanteria, uscita dalle caserme, a .~filare per strada con la bandiera rossa protestando contro il ritardo nella smobilitazione e contro presunte angherie di servizio (esercitazioni e manovre) delle quali i soldati, specie i più anziani, si dicevano vittime. Furono mandati loro incontro i dragoni, e nella carica si ehhe qualche ferito. Quando le truppe rientrarono negli alloggi, furono arringate da un colonello che tenne un discorso patriottico rievocando lo spettro del nemico tuttora presente a Versailles, e che promise che nessuno sarebbe stato punito per i fatti avvenuti e che le esercitazioni sarebbero state soppresse. Il grave problema, che era noto anche prima che questi incidenti lo ponessero maggiormente in luce come questo Ufficio ebbe cura di segnalare in uno dei primissimi "notiziari ", rimane tuttavia insoluto e pieno di minacce per l'avvenire. I sommi capi delle Stato Maggiore francese ne sono preoccupati, anche perché non 163
risulterebbe un particolare impegno nel tenere elevato lo spirito delle truppe da parte di non pochi generali. Il problema è complesso; i dati per la sua soluzione riposano essenzialmente nelle condizioni sociali del Paese e L'interpretazione illuminata, anche geniale, degli ordinamenti militari oggi esistenti non potrà mai costituire un rimedio organico e duraturo al male che in quelle condizioni ha le sue radici. Potrà servire al massimo a circoscriverlo con il concorso di determinante circostanze di tempo e di Luogo. Ci consta che le alte 4ere militari francesi sono entrate nel!' ordine di idee seguente: prendendo come base le condizioni sociali della Francia quali oggi si presentano e tenendo di conseguenza presente che qui l'elemento rurale è conservatore per eccellenza dato lo sviluppo della piccola proprietà, è stata ventilata l'idea di orientare prevalentemente verso tale elemento la coscrizione ed allontanare dai quadri quella parte infùla dell'elemento operaio che fosse necessario ammettervi un un primo tempo. È il sistema, in altri termini. che qui è conosciuto sotto il nome de l'armée de paysans» (18). 2. Gli anni Venti: aspetti militari e politici Negli anni immediatamente successivi alla prima guena mondiale, la Francia continuò ad adottare nei confronti della Germania la politica di estrema durezza già messa in atto durante la Conferenza della Pace. Clemenceau, il presidente del consiglio che era stato sindaco di Montmartre nel 1870 e conservava vivo il ricordo di quelJ'altra invasione tedesca; Poincaré (19), il presidenle della repubblica, avvocato lorenese legato da stretti vincoli famigliari alla provincia annessa dalla Ge1mania nel 1870; e Foch (20),
(18) AUSSME, E8- 22/A, prot. 5145/A del 6.6.1919, da Add. Mii. Parigi a vari desLinatari politicio-diplomatici e militari, senza indicazione di firma. (19) Raymond Poincaré (1860-1934) fu presidente della repubblica dal 18.2.1913 al 18.2.1920 e più volte presidente del consiglio (1912-1913; l 921-1924; 1926- 1929). (20) Ferdinando Foc.:h (1851 -1929), Maresciallo di Francia, insegnante alla Ecole dc guerre che poi diresse dal I 907 al 1911. Comandante d'armala allo scoppio della prima gucua mondiale, si distinse.: ncll'aucstarc la corsa al mare dei tedeschi , nelle offensive dell'Artois (1915) e sulla Somme (1916). Nel maggio del 1917 assunsse la carica di comandante supremo, e l' 11.11.1918 concluse l'armi stizio di Compiègnc con la Ge1mania.
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il comandante capo, consapevole di come fosse stato esiguo il margine grazie al quale i francesi erano riusciti a sopravvivere ed avevano infine respinto l'offensiva tedesca del 1918: tutti erano decisi in vario modo a stipulare una pace che, qualunque altro effetto avesse, garanlisse la sicurezza della Francia mantenendo debole il più possibile la Germania sul piano militare, territoriale ed economico. Anche perché, nonostante il temporaneo abbattimento, la Germania sconfitta risultava comunque sempre più forte della Francia, vittoriosa sì ma solo apparentemente. A fronte deJ solo recupero dell'Alsazia-Lorena, infatti, e della spartizione dei possedimenti coloniali tedeschi ancora da definire, la guerra era costata alla Francia quasi 1 milione e 1/2 di caduti, 4 milioni e 1/2 cli feriti e 210 miliardi di franchi oro oltre agli ingentissimi danni agricoli, industriali cd immobiliari. La predetta politica di durezza era dettata, oltre che dalla timorosa prefigurazione di un'eventuale terza invasione, anche da un esacerbato spi1ito di vendetta, stati d'animo che portarono Poincaré, divenulo nuovamente presidente del con:,iglio, a disporre nel gennaio 1923 1'occupazione della Ruhr, non tenendo conto del]' atteggiamento contrario delle altre grandi potenze ed in particolare deJl' Inghilterra. La Francia, che non poteva contare su una difesa naturale come quella de!Je isole britanniche e che fra le cinque potenze vittoriose era l'unica a restare in contatto fisico con la Germania, conservò pertanto alla fine del conflitto la coscrizione obbligatoria vigente sin daJla rivoluzione del 1789. Il criterio della nazione in armi costituì però più un'affermazione di principio che 11011 una realtà concreta, anche in relazione alla necessità di contenere al massimo le spese militari e di limitare il più possibile la durata de11a fenna, portata a 36 mesi nel 1913 e ridotta nel 1923 a 18 e poi a 12 nel 1928, per cui si rese necessario procedere ad un sistema di sinergie mililari che offrisse le adeguate garanzie di sicurezza. Di tale orientamento si fece interprete l'addetto militare italiano attraverso le seguenti considerazione espresse nel 1923: «Dalle notizie che ho potuto raccogliere in questi ultimi giorni negli ambienti militari francesi, mi risulta che dopo i recenti sviluppi della crisi per le riparazioni, i quali hanno messo ancora in maggiore evidenza la grande divergenza dei punti di vista francese, britannico ed italiano per rfapetto all'imposizione dell'esecuzione integrale del Trattato di Versailles con mezzi di coercizione militare, la Francia sempre più propende a dfaporre la sua situazione militare in modo da poter contare sull'appoggio militare 165
immediato oltreché del Belgio e della Polonia (con cui esiste già alleanza .formale) anche della Cecoslovacchia. E se possibile, in un secondo Lempo, anche della Romania e della .Iugoslavia. Si verrebhe cioè accentuando sempre più il programma di intesa con i "nuovi Stati amici dell'Europa centrale ed orientale", che la Francia ha cominciato a sviluppare appena il trattato di Versailles ha mostrato i suoi lati deboli ed appena le alleanze e le intese della s:uerra si sono infiacchite e non sono state sostituite dai famosi patti di garanzie. Infatti si può dire che da tre anni a questa parte la Francia non ha cessato di prodigare i suoi consigli ed i suoi aiuti militari a questi Stati, che hanno anche ricevuto importanti crediti onde provvedere al loro rafforzamento. Le qualità di comando e di organizzazione dello Stato Maggiore francese sono eminenti, e se non verranno lesinati i mezzi finanziari è certo che queste nuove alleanze polranno portare un nolevole contrihuto all '<Jfi.cienza dell'esercito francese, che merita attualmente grande considerazione non solo per la sua forza numerica ma soprattutto per la curata e completa organizzazione e per le qualità culturali e
di comando dei suoi capi più elevati e dei quadri in generale. Si ha qui ora la sensazione netta che la maggiore attenzione è volta alla Cecoslovacchia con la quale, evidentemente, si cerca di concludere un accordo militare se pure non lo si è già concluso (21). La sua posizione geografica nel quadro strategico di un conjlitto con la Germania la rende un prezioso complemento all'aiuto già assicurato da Belgio e Polonia. Lo Stato Maggiore francese non teme per quest'ultima il pericolo ntsso, perché esclude che l'esercito rosso possa intervenire in aiuto d'una Germania nazionalistica. Va notato che mentre La Francia tiene la Renania e La Ruhrfacilmente, la Polonia e la Cecoslovacchia potrehbero recare un turhamento nelle regioni industriali della Slesia e della Sassonia paralizzando così tutte le sorgenti principali dell'armamento germanico. Da quanto si sente dire in queste sfere militari la Francia avrebbe abbandonato positivamente l'idea di qualsiasi sanzione militare rappresentata da nuove occupazioni e da spedizioni più o meno (21) L'accenno all'accordo mililare con la Cecoslovaèchia si riferiva alle lrallalive in corso fra questa e la Francia, formalizzalesi nella convenzione del 25. 1.1924 e complelata poi il 16.10.1925 da un impegno di aiuto armalo. Tale forma di alleanza fu l 'espressione di una linea polilico-diplomalica francese che faceva perno sull' appoggio alla Piccola Intesa nell'alleanza conclusa il 10.6.1926 con la Romania e nel trallalo del 1927 con la Jugoslavia (cfr. Renouvin P., «Storia politica del mondo», Roma, Unedi, 1975, voi. 7° Le crisi del sec. XX dal 1914 al 1929 -pagg. 255-257).
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profonde nell'interno della Germania, sul cui rendimento pratico si è oggi totalmente scettici; si considererebbe soltanto in caso estremo della guerra quando una gravissima minaccia le incombesse da parte della Germania. Tutte le predisposizioni che attualmente si cercano di prendere per completare le già notevoli garanzie che le danno le occupazioni esistenti dovrebbero entrare in gioco solo per un atto risolutivo: la guerra; e guerra, si dichiara qui, voluta da un colpo di testa tedesco. Bisogna perà anche tener presente che questi capi militari, ben conoscendo le qualità di carattere e la cultura professionale del generale van Seeckt, non credono che vi possa essere timore di un tal colpo di testa in un avvenire vicino. Il colpo di testa potrà accadere quando la Germania si sentirà meno impreparata» (22). In effetti, a parte il proprio esercito di copertura alle frontiere la Francia, che anche in quei primi anni Venti continuava ad essere considerala come la nazione dolala delle forze terrestri più potenti a livello mondiale, non disponeva in realtà dietro alle forze che presidiavano le linee difensive confinarie che di poco più di una milizia territoriale. Di ciò, peraltro, lo stato maggiore francese era pienamente consapevole, così come della necessità di munirsi di truppe addestrate ed organizzate che avrebbero dovuto intervenire, grazie alla loro mobilità, con un'azione controffensiva da considerarsi come il secondo tempo, quello veramente risolutivo, della battaglia d'arresto la cui prima fase sarebbe stata messa in atto dalle unità di copertura integrate in un sistema di forificazioni permanenti quali si sarebbero realizzate nella linea Maginot. In fatto di pensiero e di dottrina militari non mancarono nel periodo in questione gli innovatori ed i progressisti, tra i quali il generale Estienne, direttore degli studi sull'impiego dei carri armati dal 1920 al 1926 ed ispiratore del progetto di divisione blindata elaborato nel 1926 dal colonnello Doumenc (23 ). La dottrina ufficiale di impiego delle forze fu ispirata all'azione offensiva, alla tattica del1' attacco per infiltrazione e della difesa elastica secondo concezioni moderne e procedimenti nuovi. I capi politici e militari finirono però in pratica con il mettere in essere un'organizzazione militare aderente più agli schemi tradizionali che non ai requisiti dell'evo-
(22) AUSSME, El 1-108, prol. 1478 RR. del 30.1 J.1 923, da Add. Mii. Parigi a Stato Maggiore Centrale - Capo Reparto OPR, f.to ten. ml. Martìn-Franklin. (23) Cfr. Rampsadcr E.G., «Le général Esticnnc , "pérc dcs chars"», Pari s, Lavuarzcllc, 1980.
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luzione prodottasi nelle armi e nei mezzi disponibili. Gli aspetti di questa complessa, e per molti aspetti convenzionale e contraddittoria, fase ristrutturativa dell'apparato militare francese furono a più riprese messi in evidenza dall'addetto militare italiano. All'inizio del 1923 fu elaborato un progetto di legge a cura dcll'on. Fabry, relatore generale della commissione dell ' esercito stesso; si trattava di uno studio dal quale erano esdusi i principi dell'organizzazione del Paese per la guena, demandati ad una legge speciale a cura del Consiglio Superiore della Difesa Nazionale. Lo studio comprendeva quattro parti, la prima delle quali conteneva considerazioni solo sommarie sull'organizzazione del Paese per il tempo di guerra e formulava i principi generali dell' organizzazione dell'esercito: preparazione dal tempo di pace, unità di direzione, coordinamento dei diversi organi di esecuzione, decentramento nell'esecuzione, ecc. La seconda parte trattava del1' organizzazione militare propriamente detta, ed in quattro capitoli l'estensore esaminava successivamente il concetto generale della condotta della guerra, l'organizzazione della divisione, del corpo d'armata, delle riserve, dell'aviazione, dell'esercito di copertura e la questione del comando. La terza e quarta parte, infine, prendevano in considerazione i singoli articoli del progetto di legge e dettagliavano la nuova organizzazione territoriale (divisione, corpo d'armata, regione di mobilitazione) nonché le disposizioni particolati che avrebbero regolato il funzionamento dell'esercito nazionale in caso di conflitto. TI concetto generale della condotta della guerra si basava sul mantenimento in tempo di pace di un esercito di copertura fortemente inquadrato, con grossi organici, ben istruito, in grado di operare con rapidi ssima capacità in territorio nemico per prendervi piede nel modo piì::1 solido. Questo concetto doveva rispettare la libertà d'azione del comando responsabile, in quanto esso doveva rimanere padrone di modificare, secondo le circostanze ed i mezzi a sua disposizione, 1'estensione e la portata di tale presa di possesso. In ogni caso, occorreva: a) rendere impossibile qualsiasi violazione delle frontiere, ed in pait icolare il passaggio del Reno, barriera di sicurezza che il trattato di pace concedeva alla Francia sotto determinate condizioni per almeno 15 anni; b) preparare una base d'azione il più possibile favorevole all'esercito nazionale, che la mobilitazione generale del Paese avrebbe consentito di mettere in armi, sotto la protezione dcli' esercito di copertura la cui missione sarebbe stata quella di assicurare che tali misure avrebbero di 169
molto ostacolato la mobilitazione e r entrata in azione delle forze avversarie. All' attuazione di questo concetto generale erano destinate 32 divisioni (ciascuna su 3 reggimenti) e le riserve generali d'artiglieria, di aviazione, di carri da combattimento, ecc. del tempo di pace, tutte a forti organici in modo da garantire una rapida mobilitazione ed un' altrettanto rapida entrata in azione. L' ammontare delle divisioni a 32 (portabile a 100 sul «piede di guerra») era stato stabilito dal governo d'intesa con il Consiglio Superiore della Difesa Nazionale, in base alla situazione politica e geografica del momento e vagliando tutti gli elementi di giudizio disponibili. Il progello prevedeva poi una distinzione netta fra il comando delle truppe e quello territoriale delle regioni. La vecchia divisione del territorio in ripartizione di regioni era conservala, per non sovvertire senza necessità l'ordine di cose esistenti, ma il parere della commissione dell'esercito era che i limiti delle regioni non dovevano essere mantenuti che in forma provvisoria, dovendosi per il futuro cercare di adattargli meglio non solo alle esigenze di ordine puramente militare ma anche a quelle di carattere economico ed amministrativo, con riferimento all'intima connessione manifestatasi così chiaramente durante la guerra. 11 totale delle regioni di mobilitazione era fissalo a 20, delle quali una per il centro di Parigi, il cui comandante conservava il titolo di «governatore militare» a differenza dei comandanti delle regioni di Lione, Metz e Strasburgo. TI numero dei corpi d'armata era stabilito in 16,3 sul Reno e 13 all'interno, più il corpo d'armata coloniale; i loro comandanti avrebbero avuto alle dirette dipendenze i comandanti delle regioni, delle divisioni e delle truppe non divisionali. Nel progetto di legge erano anche inserite le attribuzioni dei membri del Consiglio Superiore della Guerra, incaricati fin dal tempo di pace della preparazione del comando delle armate e dei gruppi di armate, e del vice-presidente di questo che veniva desi gnato quale comandante in capo delle armate francesi in tempo di guerra e che avrebbe esercitato la direzione generale delle operazioni su tutti i fronti (24). La stessa commissione dell'esercito lamentava un'eccessiva prohferazione di alte cariche militari in tempo di pace, che certa-
(24 ) AUSSME, 029-27, prot. 159 del 10.2.1 923, da Add. Mii. Parigi a Stato Maggiore Centrale - Ufficio OPR, f.to ten . col. Marlin-Franklin.
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mente non rispondevano all'interesse generale dell'istituzione e dell'erario ma piuttosto a considerazioni secondarie di carriera e personali, individuando nel grado di generale di divisione il massimo del livello gerarchico. D'altra parte, l'esperienza bellica maturata fra il 1914 ed il 1918 aveva riconosciuto nella divisione l'unità tipica per la battaglia, e nel suo comandante l'elemento esecutivo più determinante. In effetti, per costituire un corpo d'armata, un ' armata od un gruppo d'armate era sufficiente un ordine che ponesse sotto una stessa autorità, per una certa operazione, un numero variabile di divisioni, con il che questi raggruppamenti sarebbero stati caratterizzati da una vita operativa effimera, circoscritta alla missione da compiere; ogni divisione, invece, traeva la propria validità dall'affiatamento costante fra le diverse componenti costitutive e fra queste ed il comandante dell'unità, ed il tutto era realizzabile soltanto attraverso la metodica collaborazione del tempo di pace (25). Approvato definitivamente dalle due Camere il testo della nuova legge di reclutamento per l'esercito francese, i dati essenziali relativi alla sua struttura furono così riassunti dall ' addelto militare italiano ten.co1. Martin - Franklin: «L'effettivo di pace dell'esercito francese è previsto in 659.000 uomini, ripartiti come segue agli effetti del reclutamento: 460.000 francesi - 91.000 indigeni nordafricani - 98.000 indigeni coloniali - 10.000 stranieri. Totale 659.000 uomini dei quali 203.000 nei teatri di operazioni esterni. Rimangono quindi nella melropoli 456.000 uomini, ripartiti come segue fra le differenti armi e servizi: 49.000 assegnati ai servizi generali, agli stabilimenti ed alle scuole militari, ecc.; 163.000 costituenti gli elementi non raggruppati in divisioni e le riseve generali delle differenti armi e servizi; 244.000 raggruppati nelle 32 divisioni costituenti l'organico dell'esercito. Le divisioni sono di tre tipi: bianca ad effettivo normale, bianca ad effettivo rinforzato, mista (un reggimento di razza bianca e due d'indigeni). La fanteria comprende la metà circa degli effettivi totali di una divisione. I reggimenti di.fanteria comprendono un organico di: 1.600 uomini quelli normali, 2.200 quelli rinforzati, 2.500 (di cui 500 di razza bianca) quelli indigeni. I 244.000 uomini della metropoli sono a loro volta ripartiti come
(25) AUSSME, G29-27, prot. 152 dell ' 8.2.1923, da Add. Mii. Parigi a Stato Maggiore Centrale - UHicio OPR, f.to ten. col. Martin-Franklìn.
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segue: 140.000 in 20 divisioni ad e:f.lèttivo rinforzato, 80.000 in 9 divisoni miste. I due ultimi raggruppamenti (24.000 ed 80.000) rappresentano l'effettivo totale al quale può essere portata l'armata del Reno senza ricorrere alle divisioni dell'interno. Queste ultime costituiscono una riserva di 140.000 uomini dei quali un terzo, la ferma essendo di 18 mesi, non è perfettamente istruito; sono quindi 95.000 uomini dei quali può disporre in ogni momento il Comando francese, in circostanze eccezionali, senza bisogno di ricorrere ai richiami di congedati» (26). Ancora più interessante la relazione in merito all'orientamento degli studi dello stato maggiore francese, rivolto essenzialmente alla Germania. Si partiva infatti dal concetto che, a prescindere dalle potenze che avrebbero gestito la guerra futura e dei gruppi di alleanze che si sarebbero venuti a formare, il Reno avrebbe continuato a costituire per la Francia, come per il passato, il fronte principale. Questo presupposto comportava la necessità per lo stato maggiore francese, pur senza perdere di vista il quadro generale al quale avrebbe dovuto riferirsi la preparazione nulitare della nazione nonché gli altri elementi di fatto della politica mondiale ed i complessi aspetti della tecnica moderna, di affrontare e risolvere innanzitutto il problema tedesco. La situazione della Francia rispetto alla Gennania era completamente cambiala in confronto al 1914, dal momento che non era più la frontiera francese ad essere intaccata ma quella tedesca, dopo che non era più l'esercito tedesco ad essersi schierato sulla linea Metz-Strasburgo ma era quello francese ad essersi stabilito sulla riva destrn del Reno. Per almeno 15 anni, in base al trattato di pace, il fiume avrebbe costituito la frontiera della Francia, e se anche prima di tale epoca si fos sero dovuti abbandonare i settori di Colonia e di Coblenza, lo stato maggiore francese si sarebbe mantenuto in misura di rioccuparli al primo allarme, anche non tenendo conto del fatto che, comunque, finché non fossero state soddisfatte le condizioni fissale, la Francia avrebbe conservato il diritto di rimanere sul Reno. ln base alla considerazione che la Francia poteva fare tutti i suoi preparati vi di mobilitazione in forma palese e - disponendo di un materiale be llic o con sidere vole - anti c ipando quelli di un a
(26) AU SSME. G29 - 27 , prol. 849 del 10.7.1')2 3, da Add . Mii. Pari gi a Stato Maggiore Centrale - Capo Reparto OPR, f. to ten. col. Marlin-Franklin.
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Gennania privata di una parte del proprio territorio, delle risorse umane e di quelle industriali corrispondenti, il concetto informatore per la condotta della guerra era il seguente: mantenimento durante il tempo di pace di un esercito di frontiera fortemente inquadrato ed istruito capace di agire immediatamente, con una mobilitazione rapida, nel territorio nemico per stabilirvisi nelJa maniera più sicura. Tale concetto di base doveva peraltro salvaguardare la libertà del Comando responsabile delle operazioni, al quale doveva competere 1' autonomia di modificare, secondo le circostanze ed in conformità con i mezzi a sua disposizione, l'estensione e la portata dell'occupazione di territorio nemico. In ogni caso - e qui il documento ribadiva quanto già espresso nel progetto di legge Fabry sintetiziato in precedenza - l'intendimento era di: a) rendere impossibile qualsivoglia violazione della propria rrontiera, ed in particolare qualsiasi passaggio della barriera di sicurezza rappresentata dal Reno; b) predisporre una base d'azione per l'esercito nazionale, la più favorevole possibile in funzione di quello strumento militare che la mobilitazione generale avrebbe consentito di avere; questa, a sua volta, sarebbe stata tanto più possibile ed efficace in relazione al tempo ed allo spazio necessari garantiti al Paese dall'esercito di frontiera. Dal concetto di base discendevano i requisiti specifici delle forze del tempo di pace: adegualo addestramento e funzionalità normale, mobilitazione rapida delle unità di combattimento, attitudine a11 'entrata in azione immediata. 11 grosso dell'esercito era rappresentato dalla massa di fanteria, che doveva essere: provvista di un valido armamento a tiro rapido e di mezzi d'accompagnamento idonei a distruggere Je varie forme di resistenza avversana; sostenuta e protetta da una potente artiglieria di vario calibro; supportata da truppe del genio delle diverse specialità; coperta e sostenuta da una cavalleria ben dotata in mezzi di fuoco; integrata dall'intervento delle forze aeree attraverso una ben articolata cooperazione; collegata mediante un ' efficiente rete di comunicazioni e trasmissioni; rifornita attraverso un'organizzazione di trasporti, che garantisse il necessario alleggerimento dell ' inutile. Sulla scorta delle esperienze maturate attraverso il conflitto 173
mondiale, il perfezionamento dello stmmento militare datato 1918 era visto in un'armonica combinazione dell'elemento uomo con l'armamento basata su un largo impiego della mitragliatrice, del carro di combattimento, de11'artiglieria e dell'aviazione. In merito ad alcuni di questi temi, l'ufficio dell'addetto militare italiano aveva prodotto alcune informative menzionate in questa su11 'orientamento degli studi dello stato maggiore francese della quale stiamo riferendo, ma delle quali purtroppo non è stata rinvenuta traccia nel carteggio esistente presso l'archivio de11'Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito; di particolare interesse sarebbe risultata ad esempio la relazione del generale Herr sulle conclusioni della Commissione Centrale d'Artiglieria circa gli insegnamenti ricavati dalla guerra 1914-1918, un documento classificato «segretissimo» che il nostro addetto militare era riuscito a procurarsi con notevole difficoltà e per il quale dichiarava di non essere in grado di ripetere il tentativo. Gli studi dello stato maggiore francese prendevano altresì in esame la questione della parte che avrebbero potuto avere in futuro le immense risorse dell'impero coloniale, del quale l'ultima guerra aveva sottolineato l'intima unione con il territorio metropolitano. Certamente non si poteva sperare che tutte le colonie francesi disperse sulla superficie del globo avessero potuto concorrere in egual misura allo sforzo bellico della nazione; l'utilizzazione delle risorse dell 'Tndocina e del Madagascar, ad esempio, non poteva essere previ sta con sicurezza, mentre più programmabile era quella relativa ali' Africa del Nord ed a quella occidentale, sempre che fosse mantenuto con qudle aree un contatto stretto e permanente, dal che ne derivava come il collegamento tra la Francia e 1' Aftica del Nord attraverso il Mediterraneo venisse ad assumere, agli effetti militari, un'importanza altrettanto essenziale di quella delle linee strategiche di comunicazione che dal territorio nazonale convergevano verso le frontiere. Per il tempo di pace, inoltre, si contava di poter superare di molto il contributo in risorse umane che le colonie avevano fornito nell ' ultimo conflitto: 845.000 uomini, dei quali 535.000 nei ranghi dell'esercito e 310.000 come lavoratori (27). Altre due note informative riguardavano. la costituzione di una
(27 ) A USSME, G29-27. prot. 9 85 dell' 11.8.1923, da Add . .Mii. Parigi a Stato Maggiore Centrale - Capo Reparto OPR, f.t.o len. col. Martin-Franklin.
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nuova specialità, i «cacciatori mitraglieri», articolata inizialmente su 13 battaglioni da ripartirsi fra i corpi d'annata della frontiera Nord-Est da Calais a Belfort; lo scopo era quello di permettere di tenere un largo fronte con poche forze onde poter concentrare le maggiori là dove si intendeva aprire la strada ad un risultato decisivo, il che avrebbe reso particolarmente utile l'impiego di questi reparti nella guerra di montagna. Ma il testo del primo dei due rapporti era soprattutto riservato alla costituzione di 5 nuovi reggimenti di carri da combattimento, dei quali erano precisati i numeri ordinativi, le sedi ed i nomi dei comandanti, che ne portava il totale a 17 per i carri leggeri integrati da un altro reggimento per quelli pesanti. Si richiamava inoltre l'attenzione sul fatto che fosse in fase di studio e di sperimentazione l'applicazione ai carri del cingolo elastico tipo Kegresse-Hinstin, che avrebbe conferito ai mezzi una notevole autonomia derivante dall'aumentata velocità ed adattabilità alle varie tipologie di terreno, dalla possibilità di trasferirsi su strada senza bisogno dell'apposito carro da trasporto e dalla maggiore silenziosità di movimento (28). Ancora più specificamente dedicato ai carri d'assalto era il secondo rapporto, una sintesi circa la loro evoluzione in tema di organizzazione, materiali e tendenze in atto: «Situazione alla fine della guerra:La Francia si è trovata in possesso di: I) carri leggeri Renault in numero di 4.000 con i quali erano formati 9 reggimenti a 2 battaglioni; 2) carri pesanti inglesi Mark V (100) con i quali era.formato i reggimento a 3 battaglioni. Inoltre era allo studio un carro pesante di rottura da sostituire al Mar/e V inglese che non aveva dato soddi.\fazione. Situazione attuale e studi circa il materiale: 1) Esiste sempre il carro armato leggero Renault, carro di accompagnamento, che costituisce l'armamento dei 17 reggimenti di carri leggeri già costituiti alla data di oggi. Se ne vorrebbe aumentare la protezione a 25 mm. e perciò anche la potenza del motore, ma si incontrano difficoltà per ottenere il raffreddamento di un motore potente in uno spazio così ristretto. 2) Esiste sempre il carro pesante Mark V inglese, che non si
(28) AUSSME G29-27, prot. 160 del 10.2.1923, da Add. Mii. Parigi a Stato Maggiore Centrale - Ufficio OPR, f.to ten. col. Martin-Franklin.
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pensa di modifù:are perché sarà radicalmente sostituito dal nuovo carro pesante di rottura in esperimento al quale accennavo nel mio rapporto dell '11 aprile 1920. 3) Sarà messo in esperimento segretissimo quanto prima al campo di Chalons un nuovo carro pesante di rottura costruito dal cantiere della Seina a Tolone. Esso è denominato il carro tipo 2C. Pesa 70 tonnellate. Cora:u.atura 30 mm. Armato di cannone da 155 e mitragliatrici. 1 capo carro e 11 uomini di equipaggio. 2 motori Chenu accoppiati da 250 H.P. ognuno (per ora 2 Mercedes da 175 H.P. che danno 15 km. all'ora), con i quali si raggiungeranno i 2025 km. orari. Un franchissement (capacità di traversare fossi a pareti ripide, trincee) di 5 metri. Si tratta di un incrociatore terrestre, ed infatti la costruzione è stata affidata ad un cantiere navale per la pratica di concentrare mezzi potenti in spazio ristretto. · 4) È inoltre allo studio, per conto del Ministero della Guerra, presso la Casa Renault un carro semi-pesante di accompagnamento sul tipo generico del Renault leggero attualmente in serviz io. Ma esso dovrà avere ma,?giore protezione ( almeno 25 mm. di corazzatura), portare un cannone da 75 ed un equipaggio di 3 uomini. Si deve quindi studiare anche un motore più. potente, e si vuole che possibilmente sia anche un motore che vada con carburanti nazionali o coloniali. Si cercherà anche di ottenere un maggior franchissemcnt ed una velocità di almeno 12 km. all'ora (ossia 2 vote e 1/2 l'attuale). Avrà un peso di 15-20 tonnellate. Organizzazione delle unità in pace: Per l'inizio del 1924 sarà attuata la nuova orxanizzazione che comprenderà Le seguenti unità, per ora ancora armate con i materiali esistenti (Renault Leggero e Mark V): 22 reggimenti carri leggeri a 2 battaglioni~ 1 battaglione carri Leggeri autonomo - 1 reggimento carri pesanti a 3 battaglioni. Vi sono attualmente nei carri circa l.000 i~flìciali e 20.000 uomini di truppa. Tendenze attuali: Le tendenze fran cesi si r(feriscono alle previsioni di guerra europea (Germania) e perciò sono effettivamente diverse da quelle inglesi che si ispirano alle necessità delle guerriglie coloniali. Si propende verso i carri pesanti perché si vuole mezzo potente e solida protezione per portare il cannone avanti con lo scopo di distruggere a colpo sicuro l 'ostacolo che si opporrà all'avanzata. Si prevede che in una guerra.futura con la Germania si troveranno linee dffensive potenti da .\fondare dietro gli elementi di copertura. 176
Si sa anche che la Germania dal canto suo studia un carro pesante di rottura (40 tonnellate) oltre un carro di accompagnamento semi-pesante. Ad ogni modo si ritiene che occorra per l'avvenire: un carro pesante di rottura molto potente - un carro semi-pesante di accompagnamento. Circa l'assegnamento dei carri in guerra si ritiene che essi non dovranno essere assegnati in modo organico alle grandi unità, ma dovranno costituire delle riserve da assegnare a queste secondo i loro compiti. Se una grande unità ha mandato df(ensivo non ha bisogno di carri» (29). In effetti, nel peiiodo immediatamente successivo al primo conflitto mondiale, l'esercito dotato del maggior numero di carri era quello francese. Le sue prime unità carriste, su mezzi privi di torrette dotati di cannoni da 75 mm. e di 2 mitragliatrici, deJ peso di 13,5 tonnel1ate e con equipaggio di 7 uomini, furono considerate come artillerie d'assaut (artiglieria mobile d'assalto), e solo succesivamenle furono prodotti carri più piccoli e con armamento più leggero da impiegarsi a stretto contatto con la fanteria della quale, nel 1920, divennero parte integrante. La guerra ebbe tem1ine prima che fosse stato possibile attuare sia il progetto inglese cli profonde penetrazioni da realiz:1,arsi con schiere successi ve munite di carri agili e veloci, e sia una nuova tecnica d 'assalto frontale elaborata dallo stato maggiore francese. Questa prevedeva l'impiego di poderosi carri da 68 tonnellate per la rottura del fronte ed il successivo dilagare della fanteria supportata dai carri leggeri Renault. La caratteristica più innovativa di questi ultimi era la toretta girevole sui 360°, armata con cannone da 37 mm. ed una mitragliatrice; pesavano 6,5 tonnellate, disponevano di 2 uomini di equipaggio, di un'autonomia di 40-50 km. e di velocità mass ima pari a circa 8 km. Per oltre un decennio, avrebbero costituito in pratica l'intero parco mezzi delle forze corazzare francesi, venendo introdotti o riprodotti nella maggior parte degli eserciti di altre nazioni (fra le quali anche l' Italia) in relazione tanto alla rispondenza agli orientamenti tattici in auge quanto al costo contenuto. Dopo la guerra, la possibilità dell'impiego dei carri pesanti di rottura venne peraltro messa in disparte, per cui anche del mastodontico super-ca1To 2C, del quale riferiva il nostro addetto militare in guisa di un vero e
(29) AUSSME, G29-27, prot. 624 RR. del 20.5.1923, da Add , Mii. Parigi a Stato Maggiore Centra le - Ufficio OPR, f.lo lcn. col. Martìn-Franklin.
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proprio «incrociatore teITestre», sarebbero stati prodotti non più di una decina di esemplari. Solo dopo qualche anno riprese quota il concetto dell'offensiva da condurre con carri più potenti, peraltro non più designati riduttivamente con la qualifica «di rottura» ma denominati chars de manoeuvre d'ensamble, la cui entrata in azione sarebbe dovuta avvenire lungo l'asse dello sforzo pricipale precedendo l'impiego dei carri leggeri d'accompagnamento della fanteria (30). · Sempre nel 1923 fu redatta una nota circa la situazione politicomilitare del Belgio - nazione presso la quale l'addetto militare italiano in Francia era anche accreditato - sintetizzata in uno stato di disagio morale dovuto al fatto che i quadri dell'esercito non trovavano rispondenza alle loro aspettative da parte degli ambienti parlamentari, in massima parte cattolici e socialisti, tendenzialmente ostili a ciò che definivano globalmente come «la caserma». I militari in genere, e soprattutto le più alte autorità responsabili francesi nonché l'addetto militare francese generale Seros che svolgeva di fallo le funzioni di vero e proprio ispettore dell'alleato esercito belga, non avrebbero nascosto più di tanto la loro notevole preoccupazione per tali orientamenti politici che avrebbero potuto vanificare anche abbastanza presto gli sforzi dei militari e far ripiombare il Paese in uno stato di debolezza certamente non compatibile con la posizione politica assunta a fianco della Francia. Posizione che, aggiungeva il compilatore, risultava già messa in crisi dai violenti attacchi della stampa cattolica, fiamminga e socialista, radicalmente avversi ad una situazione di succubanza nei confronti della più potente alleata. La nota era integrata dal resoconto di alcune esercitazioni alle quali il nostro rappresentante militare aveva assistito presso il campo di addestramento di Beverloo. Ern questa una struttura destinata alla fanteria, mentre per l'artiglieria e la cavalleria era riservato il campo ex-tedesco di Enselborn. Beverloo era stato istituito quale centro addestrativo unico e permanente sin dal 1835, allorché il re Leopoldo (31) aveva intrapreso la riorganizzazione dell'esercito belga nei primi anni dell'indipendenza. Già migliorato da patte dei tedeschi, che durante la guerra se ne erano serviti per l'istruzione delle reclute destinate al fronte
(30) Cfr. Donnari A., «Il carro armalo. Stotia, dottrina, impiego», Roma, USSME, 1995. (31) Leopoldo I di Sassonia-Coburgo, primo re del Belgio dal 1831 al l865 dopo la proclamazione dell'indipendenza nel 1830 che aveva affrancato il Belgio dal Regno dei Paesi Bassi sotto la dinastia olandese degli Orange.
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occidentale, era stato poi ulteriormente messo a punto; al momento era strutturato su 8 grandi edifici con buon supporto logistico, e disponeva di un poligono dotato di 15 linee di tiro con bersag1i automatici elettrici Bremer. Le esercitazioni di insieme effettuate dalle divisioni di fanteria si svolgevano in aderenza ai concetti operativi seguiti dallo stato maggiore francese. Più che di manovre, si sarebbe potuto parlare per ciascuna divisione di «sedute addestrative» mirate soprattutto al funzionamento de11a catena di comando e trasmissioni. La dottrina di impiego si ispirava alla maggior semplicità possibile, in genere un'avanzata con azione preponderante su un fianco, curando partico1annente il sincronismo dell'appoggio da parte dell'artiglieria; sotto quest'ultimo aspetto, il giudizio de11o scrivente non risultava troppo lusinghiero (32). Ali' atteggiamento deg1i ambienti francesi e belgi nei riguardi dell'Italia fu dedicata una comunicazione del nuovo addetto mi1itare, col. Guglielmo Nasi , nome reso poi famoso dalle cronache della seconda guerra mondiale nel corso della qua1e, comandante dei due scacchieri Est ed Ovest dell' A.O.I., avrebbe diretto le operazioni che portarono alla conquista della Somalia britannica ed avrebbe ammainato per ultimo, il 27 novembre 1941, la bandiera italiana ne11'Impero guidando l'estrema resistenza nel ridotto di Gondar (33). «Per quanto, dato il hreve tempo da che mi trovo all'estero, il mio circolo di relazioni sia ancora ristretto, pure ritengo opportuno segnalare alcune impressioni raccolte e che hanno particolare valore in questo fortunato momento della vita del nostro Paese. Francia - Gli ambienti militari strettamente ufficiali, e cioè quelli del 2° ufficio dello Stato Ma1;giore Generale con i quali ho contatti di servizio, sono, ed è lof?ico, molto riservati ed in genere di poche parole. Viceversa altri u:.fficiali (superiori) in attività di servizio ed in congedo ,um mancano nwi di fare allusione, con sentimento di invidia se non di ammirazione, al momento presente del nostro Paese, ai nostri successi quotidiani politici, morali e _finanziari, alla situazione di particolare considerazione che gode l'esercito presso il governo ed il popolo italia-
(32) AUSSME, G29-27, prot. 862 del 13.7.1923, da Add. Mii. Pari gi a Stato Maggiore Centnile - Capo del Reparto OPR, f.to ten. col. Martin Franklin. (33) Guglielmo Nasi (1879-197 1), genera le d' armala proveniente dall 'Arma di Artiglieria, sena tore del Regno, decorato di tutte le «Croci» dell'Ordine Militare di Savoia e di 4 medaglie d'argento al v.m. , promosso colonnello, generale di brigata e di corpo d'armata per «meriti eccezionali» e di divis ione per «merito di guerra», comandante del R. Corpo Truppe Coloniali della Cirenaica e della Libia, governatore dcll 'Harrar e dello Scioa e vice-governatore dcll'A.0.1.
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no, mentre la Francia è travagliata dalla demagoRia e dal parlamentarisnw. L'ambiente civile poi (evidentemente quello apolitico, o dei partiti centrali e di destra), in nwdo ancora più e,\plicito e senza riserve, ha espressioni di ammirazione sconfinata per il governo forte ed alluminato che regge l'Italia, ha la precisa sensazione del nostro 1mJVimento ascensionale in Oftni campo, au~pica all'unione delle razze latine. Belgio ~ Sono stato invitato al pranzo di corpo che lo Stato Maggiore Generale tiene ogni anno il 27 novembre in occasione del genetliaco di S.M. il Re dei Belgi. Erano presenti il colonnello addetto militare francese ed il maggiore addetto militare degli Stati Uniti d'America. Da parte del capo dello Stato Maggiore Generale, gen. Maglinse e dei due Sottocapi generali Termonia e Panhuys ho avuto man(festazioni di considerazione e simpatia che vanno oltre alle pure j(>rme di cortesia; Senza riserve e condizioni mi hanno espresso i lom sentimeritidi ammirazione sconfinata verso il nostro Pàese, che sentono prendere ogni giorno un posto maggiore nel m;mdo ed a cui è riservàto un sicuro e grande avvenire. Non hanno mancato di .fare ev,Licite allusioni al momento che attraversa la Francia; al carattere deifrancesi, con i quali non si può simpatizzare per le arie di supeiiòrità, sempre mort{ficanti per gli altri, che assumono in ogni circostanza; alla reciproca incomprensione con gli inglesi per la loro rnentaiità del tutto diversa da quella latina. A proposito dell'occupazione dei paesi renani, il gen. Termonia che vi fu a lungo diceva che è assurdo ed impolitico da parte dei francesi il volerla hiaiuenere per 15 anni. L'odio dei tedeschi contro i francesi ed i belgi è Ògni giàrno alimentato da questa occupazione, ed ha matiifèsiàzi(Jn.Ì .di.e non si vedevano neanche durante la g uerra. Particolare dimostfazFo.nedi ammmirazione e simpatia per il nostro Paese ho avuto dagli ufficiali degli Stati Uniti e dall 'addetto militare cecoslovacco gene_rale Klechanda. Supe(fluo aggiungere che il nome del ?_residente .del Consiglio S.E. Mussolini non è solo popolare negli ambienti m.ilitari francesi e belgi ma è assurto al valore di una bandiera» (34). Nel carteggio conservato presso l'archivio dell'Ufficio Storico dello Stalo Maggiore Esercito relativo alle pratiche trasmesse ai v~rì uffici dello Stato Maggiore Regio Esercito da parte dell e ambasciate italiane, per quanto attiene a quella in Francia sono (34) AUSSME, LI0-41/1 , prot.797 del 30.ll.1925, da Add. Mii. Parigi a Stato Maggiore Esercito ·- Capo del 1° Rep., [lo col. Nasi.
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presenti alcuni documenti che, se pur non recanti la specifica intestazione dell'ufficio dell'addetto militare e privi di altra sigla o firma di identificazione, sono molto presumibilmente riferibili all'attività informativo-valutativa prodotta dal titolare dell'ufficio o comunque frutto del concorso diretto o indirello di questi. Una prima tematica affrontata era quella del tono morale dell'esercito francese. Il compilatore ribadiva, richiamandosi ad una sua precedente nota, come questo fosse molto depresso, in modo particolare fra i quadri degli ufficia1i inferiori, per le disagiate condizioni economiche e per le lotte dei partiti politici che su di esse speculavano, senza contare che il lungo ritardo nella riorganizzazione dell'ordinamento militare aumentava lo stato di incertezza per il futuro. Di recente erano stati resi noti i punti essenziali di due lettere pregresse che confermavano pienamente tale situazione. La prima lettera era diretta dal ministro della guerra Poinlevé al presidente del consiglio Poincaré per chiedere nuovi crediti a favore degli stipendi degli ufficiali, mentre nella seconda il maresciallo Pétain (35) esponeva alla commissione parlamentare dell'esercito il vero stato d'animo dei militari. Della lettera in questione, nella quale si esprimeva viva preoccupazione e si richiedevano provvedimenti d'urgenza, non era stata pubblicata la paite più grave: in essa si par1ava della costituzione segreta di sindacati di ufficiali e sottufficiali, di ribellioni della trnppa contro il vitto scadente, della precarietà degli equipaggiamenti e delle scorte, delle manifestazioni di opposizione contro le campagne in Marocco ed in Siria (la lettera era datata novembre 1924). Lo scritto di Pétain, affermava il compilatore, era sempre più di attualità, in quanto la situazione non era mutata, ed anzi la generale irritazione risultava in aumento. Gli uffi~ ciali che trovavano da sistemarsi altrove lasciavano il servizio, e le dimissioni sarebbero state ancora più numerose se non vi fossero state difficoltà nel reperimento di impieghi civili (36). (35) H enri Philippe Pétain ( 1856- 1951), Maresciallo di Prancia, protagonista della battaglia di Yerdun durante la 1° guerra mondiale nel corso della quale, dal maggio 1917, divenne comandante in capo delle forze francesi in sostituzione del generale Nivclle. Nel 1934 ebbe il primo incarico politico quale ministro della guerra, cui seguirono nel 1939 quello di ambasciatore a Madrid e nel 1940 quello di vice-presidente del consiglio. Nel giugno dello stesso anno ru capo del governo che firmò l'arrnislizio con la Germania. Successivamente assunse il titolo di capo dello Stato trasferendone la capitale a Vichy, nella zona non occupata dai tedeschi ; nel novemhre 1942 delegò la propria firma a Pierre Laval. Condannato a mo rte per alto tradimento e connive nza con il nemico ìl 15.8.1945, la sentenza fu poi co1.nrnutala nella detenzione perpetua. (36) AUSSME, I J0-4J/2, senza intestazione, indicazione di prot. e di finna.
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Di notevole interesse, per le valuzioni di ordine politico e militare contenute ed il patticolare riferimento al ruolo preminente svolto dalla massoneria francese, un altro documento: «L'attività della massoneria .francese si è notevolmente intensificata da tre mesi a questa parte, .,pecie dopo lo scacco dell'ultimo Gabinetto Herriol (37) e l'andata al potere di Poincarè. La massoneria.francese cerca larghi risultati in politica estera che controbilancino i cattivi risultati ottenuti in tema di politica interna. All'estero la massoneria esercita la sua azione sopratutto per il raggiungimento di due obiellivi: I) fiaccare il .fascismo e la sua politica estera; 2) costituzione (sia pure in un tempo lontano) degli Stati Uniti d'Europa. Questi nei due ultimi couvents del Grande Oriente di Rue Cadet. Per gli Stati Uniti d'Europa la massoneria francese esercita la sua pressione sulla Società delle Nazioni e su tutte le iniziative collaterali (Istituto per la Cooperazione lntelletuale, Congressi per la Pace, Convessi della Stampa, ecc.). Ma questa parte dell'attività massonica interessa forse meno l'Italia di quanto in/eressi la campagna contro il fascismo e la politica estera del/ 'Italia stessa. La lolla in questo campo è veramente condotta a fondo, ed è tanto più pericolosa in quanto è favorita in tutti i modi dal Quaj d'Orsay, anche durante la permanenza al potere di Poincarè. Il Quaj d'Orsay è irritatissimo per l'azione politica e diplornatica italiana nei Balcani. I vari lra!Lati conclusi dall'On. Mussolini con la Jugoslavia, con la Grecia e con la Romania, i buoni rapporti con la Russia, Le simpatie per l'Italia dell'attuale f{Overno albanese, un certo mistero sulla linea di condotta del ministro cecoslovacco Benés sono considerati dal Quaj d'Orsay come affermazioni sicure della crescente autorità dell'Italia nei Balcani. Quindi il sig. Berthelot (38), da qualche mese, si è prefisso lo scopo di intralciare il più possibile la nostra attività a Belgrado e nelle altre capitali. Una parola d'ordine passata ai giornali dal Quaj d'Orsay e da/La massoneria ha avuto il risultato di far pubblicare notizie e commenti falsi e tendenziosi sui Balcani e sulle mire dell'Italia.
(37) Edouard HeJTiot (1872-1957), uomo politico francese di matrice radicale, ministro dei rifornimenti nel 1916 durante la fase critica per la Francia invasa dai tedeschi, presidente del consiglio nel 1924 e nel 193 1- .l 932, fu uno dei promotori della Società delle Nazioni. Sindaco di Lione per mezzo secolo, nel 1946 fu nominato Accademico di Francia per i suoi notevoli meriti di saggista storico. (38) Philippe Berthelot, segretario generale del Qult,j d'Orsay.
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Ma l'azione diplomatica non è ritenuta sufficiente. Per imbrogliare le carte occorreva mettere in linea tutti i mezz i. Così a Belgrado è stato organizzato il Congresso Internazionale della Massoneria, mentre agenti di tutte le categorie favoriscono le correnti politiche locali contrarie ali 'Italia. Gli agitatori croati, albanesi, macedoni, bulgari e greci sono accolti di buon grado a Pargi, e le fila dell'agitazione contro il governo albanese fanno capo alla massoneria francese. Il via vai di personaggi dalla penisola balcanica è continuo. La stampa ne dà implicitamente notizia quando pubblica commenti evidentemente ispirati tutti alla stessa .fònte. Il fatto è che tutta questa gente cerca denaro; la massoneria .fà quello che può, ma non è in grado di fornire grossissime somme. Essa cerca di mantenere la sua influenza inviando nei Balcani qualche personalità francese che dia il tono. Il fulcro dei Balcani è Belgrado, e là i francesi cercano di battere l 'ltalia. Re Alessandro (39) è stato a Parigi una quindicina di giorni e, si assicura, ha avuto co!Loquio con personalità francesi specialmente militari; dopo la Conferenza di Ginevra è venuto a Parigi il ministro Nincic (40) per .firmare il trattato franco-jugoslavo le cui conversazioni sono durate molti mesi. Il contegno di Nincic, dicono i francesi, è equivoco: egli tenta di tenersi su due staffe, Roma e Parigi, ma propende piuttosto per Roma. Comunque il trattato franco -jugoslavo non ha una portata maggiore di quello italo~jugoslavo. La clausola dell 'alleanza militare, che ai francesi sta molto a cuore e che doveva completare l'alleanza tra la Francia, la Polonia e la Cecoslovacchia non è stata inclusa. È stato detto a chi scrive: Nincic ha più paura dell'Italia che della. Francia; con la Francia la Jugoslavia si dovrebbe impegnare contro un attacco della Germania, del che l'Italia potrebbe profittare contro la Francia e contro La Juioslavia, per cui conviene a Belgrado non urtare la suscettibilità dell'Italia. Ma il grande disegno che il Quaj d'Orsay persegue con tenacia è ld ricostituzione di un blocco danubiano, il quale rallenterebbe la campagna per l'unione dell'Austria alla Germania e nel contempo obbligherebbe l'Italia a togliere lo sguardo dal Mediterra-
(39) Alessandro I (1888- 1934), fi g li o di re Pietro Karagjorgevjevic di Serbia, reg gente dal 1918 alla morte del padre e nominato 1° Re dei Serbi-Croati-Sloveni il 16.8. 1921, venne ucciso a Marsiglia da un estremista croato il 9.10.1934. (40) Moncilo Nincic, uomo di Stato serbo propug natore di una politica di amicizia e collaborazione con l'Italia.
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neo per il maggior pericolo di un Impero austro-ungarico ricostituito sotto altra forma. Per questo, le annunciate trattative per un riavvicinamento dell'Ungheria alla Jugoslavia non hanno sollevato opposizione. Se la Confederazione danubiana non potesse formarsi secondo il disegno francese, il Qua} d'Orsay non sarebbe alieno dal favorire la richiesta della Germania di annettersi l'Austria. In un modo o nell'altro, si dice, tutta la politica di espansione dell'Italia nei Balcani sarebbe compromessa. Naturalmente la Francia, quando concretasse l'uno o l'altro di questi disegni, non solo otterrebbe un f?rande successo nei Balcani, dove la sua influenza è piuttosto scossa, ma inflif~gerehhe un grande colpo al fascismo. E ciò, alle ~fere dirigenti del Quaj d'Orday, importa ancor più dei risultati diplomatici» (41 ) . Il problema dell'infiltrazione propagandistica sovietica in Francia costituiva l'oggetto di un altro scritto, nel quale si eviden1.iavano le gravi preoccupazioni del governo francese circa la diffusione del comunismo fra le popolazioni indigene delle colonie cd in merito all'azione disgregatrice nei confronti del]' esercito. Quest'ultima, soprattutto, si rilevava quanto mai intensa e fertile di risultati. I soldati richiamati in servizio per un breve periodo di istmzione si abbandonavano a van alt.i di ribellione, che venivano tenuti gelosamente nascosti; il compilatore accennava, fra gli altri, al grave episodio avvenuto a Bourges, nella caserma del 135° reggimento d'a11iglieria, dove 400 richiamati avevano tenuto testa per quasi 5 ore ai loro superiori i quali esitavano d'altra parte, per sedare il tumulto, a richiedere l'intervento di truppe di altre armi temendone l'unione con i ribelli. L'attività di spionaggio bolscevica era di fTusa pressoché in tutti gli uffici governativi, godendo i comunisti di moltissimi aderenti Ira gli impiegati di ogni categoria così come fra gli operai degli stabilimenti. Notevole l'imbarazzo del governo, la cui azione risultava tuttavia impacciata da considerazioni di carattere interno, e soprattutto dall e imminenti elezioni politiche, dal momento che si temeva di fare il gioco elettorale dei comunisti prendendo provvedimenti di prevenzione-repressione (42). Anche il celebre trasvolatore oceanico Charles Lindbergh offrì lo spunto per una catTellata sui rapporti franco-americani. Dopo la famosa traversata solitaria dcli' Atlantico del 20 maggio 1927, il (41) AUSSMR, U0-41/2, senza intestazione, indiea,.ione di prot. e di firma. (42) AUSSME, LI0-41/2, senza intestazione, indiovione di prot. e di firma.
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viaggio trionfale dell'aviatore attraverso l'Europa era stato interrotto da un brusco ordine partito da Washington durante la sua permanenza a Parigi per un rientro immediato negli Stati Uniti. Secondo la valutazione dell'estensore del rapporto, il provvedimento sarebbe stato motivato dalle eccessive manifestazioni di riguardo usate dai francesi nei confronti di Lindbergh che avevano messo in sospetto gli americani, avendo essi ben compreso come le disposizioni impartite alla stampa locale di «montare» l'entusiasmo dell'opinione pubblica, inizialmente indifferente se non addirittura ostile nei riguardi del personaggio, mirassero a forzare la mano al governo statunitense in merito alla questone dei debiti francesi, al coinvolgimento nella politica europea, alla questione degli armamenti navali. Alcune delle manifestazioni attivate a Parigi avevano raggiunto addirittura lo scopo opposto a quello prefisso: la bandiera americana issata sul Quaj d'Orsay, il picchetto d'onore di militari francesi con il vessillo dcll'aereonautica passalo in rassegna da Lindbergh, il presidente del consiglio municipale della città recatosi in forma ufficiale all'ambasciata degli Stati Uniti per accompagnare l'aviatore all'Hotel dc Ville, gli onori a livello regale a lui tributati da governo, autorità e privati avevano insospettito ed irritato gli americani, irrigidendoli nella decisione di non lasciarsi forzare la mano in alcun modo dai sentimentalismi a danno della condotta politica e finanziaria prefissata. In ultima analisi, avevano temuto che il proseguimento del viaggio trionfale di Lindbergh attraverso l 'Europa, specie del Nord - la tappa successiva sarebbe stata Berlino - finisse per creare un'atmosfera che , potesse condizionarli a /'are concessioni (43). Un argomento nel quale le notizie di carattere politico e militare venivano presentate in un omogeneo contesto con carattere di complementarità fu quello della regione Savoia-Delfinato, la zona alpina compresa fra il lago di Ginevra e la valle della Durance, neJlo spazio tra la frontiera franco-italiana e l'area industriale LioneVienne, Terra già fedele a Casa Savoia, gli oltre sei lustri trascorsi dall'ultimo distacco dal regno sabaudo e l'assorbimento dell 'idea repubblicana ne avevano modificato mentalità e propensione determinando negli abitanti, a tutti i livelli di censo e di cultura, un radicato sentimento di appartenenza alla Francia e di inclinazione prioritaria verso il benessere economico. Tali presupposti, unitamente
(43) AUSSME, LI0-41/2, senza intestazione. indiçazione di prot. e di firma,
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ad una sotti]e e ben orchestrata campagna di stampa, avevano di recente ribaltato l'atteggiamento di simpatia e di rispetto tradizionalmente manifestato nei confronti dell'lta1ia, supportato dal confluire dalla parte migliore della nostra emigrazione, in una posizione di netta ostilità. Negli ultimi mesi del 1926, infatti, i quotidiani locali tanto di informazione politica che economico-finanziaria avevano iniziato a mettere in guardia l'opinione pubblica contro «l'invasore ita1iano», denunciando colpi di mano delle camice nere sul Moncenisio (trascurando disinvoltamente i due metri di neve che vi regnavano al momento) e sulla stazione di Modanc, la presenza sulle Alpi di grandi concentramenti di armi e di armati con lo slogan «Ics canons italiens sont braqués sur nos valleés», ed invocando quindi dal governo l'invio di truppe per rinforzare le deboli guarnigioni di frontiera. 11 tono allarmistico era riservato anche agli aspetti socio-economici, mettendo in guardia dal pericolo di impiegare presso industrie e privati mano d'opera italiana, definito come il «noveau danger» per il quale si sarebbero contrapposte le misure restrittive di prossima promulgazione da parte del governo. Un ruolo importante aveva assunto il fenomeno della naturalizzazione, alimentato nei riguardi degli strati sociali meno elevati dell ' etnia italiana attraverso facilitazioni per la concessione di terre in Tunisia ed Algeria, ovvero la retribuzione di allettanti stipendi da parte di amministrazioni statali l'accesso alle quali era subordinato appunto all' essere naturalizzati. Il fenomeno risultava altresì deplorevole sotto l'aspetto politico, perché molti fuoriusciti italiani ai quali era stato rifiutato il passaporto dal consolato avrebbero potuto rientrare in patria, dopo la naturalizzazione, muniti di passaporto francese e con la conseguente immunità. Dal punto di vista militare, il documento non metteva in evidenza alcun movimento di truppe nei settori fortificati della Savoia, Isère ed Alte Alpi. Le guarnigioni risultavano immutate, né erano state rinforzate le unità alpine di stanza, i cui reparti erano dislocati nelle rispetti ve sedi di accantonamento eccezione fatta per piccoli distaccamenti d'alta quota con carattere addestrativo. Variazioni migliorative erano invece segnalate per quanto riguardava la rete stradale e le opere fortificate; alcune di queste ultime, come il forte Sappey a Modane, la ridotta della Turrez al ·Moncenisio ed altre della piazzaforte di Briancon erano state poste da qualche mese in stato di difesa accentrandovi viveri e munizioni per fanteria ed artiglieria da montagna. Per quanto concerneva il servizio informazioni, alla direzione del Centro di Chambery era preposto il comandan186
te Mangin, ma in re1tà chi teneva le vere fila di tutta l' organizzazione era il commissario Marchetti, addetto alla stazione di Modane, uomo descritto come di vasta intelligenza e di astuzia non comune. Eg1i accentrava le notizie che le varie fonti gli facevano pervenire dall'Italia e le manipolava per trasmetter1e poi alla prefettura di Chambery della quale poteva definirsi l'elemento di punta. Alle sue dipendenze, i commissari Tommasi a Modane, Rossi ad Aix !es Bains e Paoli a Chambéry, tutti di origine corsa, che par1avano perfettamente l'italiano e che frequentemente si recavano in Jt.alia per viaggi anche di lunga durata, riunendosi poi settimanalmente presso la prefettura di Chambéry. La loro allività non si esplicava solo nel!' ambito de11e informazioni politiche e mi1itari ma anche nella propaganda per le natura1izzazioni. Disponevano di notevoli mezzi finanziari con i quali potevano retribuire, sotto forma di un fisso mensile più il rimborso spese, la fitta rete di informatori per 1a maggior parte italiani od ex - italiani l'identità dei quali era diligentemente protetta e come tale di difficile acquisizione (44). Sempre al periodo relativo ngli anni Venti vanno ascritte alcune notizie fornite dall'addetto milit.are italiano in merito ad una missione argentina in viaggio atttraverso l'Europa per l'acquisto di ingenti quantità di materiali bellici. Le decisioni su11'assegnazione delle commesse sarebbe stata guidata anzitutto da considerazioni politiche, con esclusione quindi de11a Francia stante il ruolo assunto di protettrice del Brasile. Restavano quindi in competizione Inghilterra ed Italia: ragioni pratiche avrebbero dovuto indurre a concedere la preferenza a quest'u1tima, in funzione di materia1i più semplici nell'uso e basati su misure decima1i, mentre considerazioni di ordine economico avrebbero potuto privi1egiare l'Inghilterra in relazione ai suoi vasti interessi in Argentina. Ma se 1'Ita1ia avesse proposto buone condizioni di pagamento e garanzie per i pezzi di ricambio, avrebbe avuto buone possibilità di successo, specie per determinati materiali quali quelli per l'artiglieria da montagna, mitrag1iatrici e velivoli. Sotto questo aspetto, ad esempio, bisognava dare l'adeguata valutazione ali' ottima impressione suscita a Buenos Aires il 25 maggio 1924, durante la rivista militare ceJebrativa della festa nazionale, da11o sfilamento di un carro d' assalto Fiat 3000 e di una motomitragliatrice Fiat 24; per quest'ultima arma, due giorni dopo c'erano state prove di tiro nel
(44) AUSSME, LI0-41/2, senza intestazione, indicazione di prot. e di firma, datala febbraio 1927.
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poligono della scuola militare che avevano conrermato le sue positive caratte1istiche. La missione militare argentina, capeggiata dal generale Maglione, al momento a Parigi in attesa di recarsi a Londra e poi in Italia, era stata oppo1tunamente contattata dall' addetto militare italiano ten.col. Maitin-Franklin che, pur tenendo conto che la missione si limitava ad un'attività di studio ed orientamento esaminando materiali e visitando scuole, campi e stabilimenti senza procedere ancora ad acquisti, aveva orientato la propria condotta in modo da agevolare al meglio le trattative con l'industria italiana. Non si trattava di un compito facile, anche perché la situazione presentava aspetti poco chiai·i per quel che riguardava gli argentini . Già da circa sei mesi, infatti, risiedeva a Torino il generale Quiros, che almeno sino al momento delJa partenza ricopriva la carica di capo di stato maggiore dell'esercito; le fonti ufficiali lo davano per definitivamente congedato, ma d'altra parte non risultava essere stato sostituito, ed informazioni riservate deponevano nel senso che egli si trovava in Eurnpa per guidare nell'ombra l'opera della missione, pronto a riassumere in seguito il pregresso incarico. T,a scelta di Torino derivava dall'essere nativa di quella città la propria consorte, conosciuta all'epoca nella quale il generale aveva frequenlato la scuola dì guerra italiana (45).
3. Prima e dopo la guerra italo-etiopica L'impegno militare della Francia ed il suo pertinace atteggiamento ostile nei riguardi dell'Italia trovò conferma anche all'inil".io degli anni Trenta attraverso quanto comunicato agli organi centrali da paite dell'addetto militare a Parigi lì"attasi di due rapporti dell'ottobre 1930 senza alcuna diretta indicazione del compilatore e del destinatario; enlrambi sono però molto verosimilmente identificabili dal fatto di far paite della documentazione in arrivo al S.l.M., dalla chiara esposizione in prima persona e dal riferimento a particolari tali da attribuirli attendibilmente all'addetto militare (all'epoca iJ ten. col. Emanuele Beraudo di Pralormo). L'imp01tanza delle informazioni contenute ne avevano determinato l'invio in visione al ministro della Guerra generale Gazzera, come risulta da una chiosa in corrispondenza del margine superiore sinistro del primo foglio.
(45) AUSSM E, F3- l 6/I , prot.878 RR. del 18.6.1924, da Add. Mii. Parigi a Stato Maggiore Centrale - Capo Reparto OPR. f.to ten. col. Martin-Franklin.
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Il primo dei due rapporti, intitolato «La preparazione alla guerra», esordiva in questi termini: «Da qualunque parte si consideri la situazione francese, essa ha i caratteri di una sistematica ed esasperata preparazione alla guerra. Noi stessi ci domandiamo a quale sentimento essa risponda veramente, se soltanto alla paura della rivincita tedesca e della crescente potenza italiana, oppure all'antico imperialismo jì·ancese che agisce, sia pure come subcosciente, nelle .\jere ufficiali ed in mezzo alla piccola borghesia. Sorw di ieri le disposizioni da,te dal ministro Maginot (46) per allivare con qualunque mezzo ed a qualunque costo i lavori di difesa sul fronte italiano; sono di ieri le istruzioni date a tutti i Comandi perché, nelle esercitazioni tattiche e strategiche, non si perda mai di vista la possibilità di un conflitto con la vicina dell'Est. Non passa giorno che non si escogiti qualche cosa di nuovo nel campo degli apprestamenti bellici[. ..}. Particolari cure si danno alla.flotta, specialmente dal giorno in cui si è compreso che il govemo italiano non intende compiere nessuna abdicazJone, né rassegnarsi ad un'inferiorità ruivale [. .. ]». Dopo una serie di considerazioni sulle posizioni assunte dai diversi schieramenti politici interni in merito ali' intensificazione degli armamenti e degli apprestamenti di fortificazioni alle frontiere, venivano presi in esame i rapporti franco-jugoslavi: «Naturalmente i francesi nelle loro conversazioni fanno molto sentire e pesare il.fatto dell'alleanza che li lega alla Jugoslavia, il cui esercito - così ha dichiarato il Maresciallo Franchet d'E.\perey - in caso di un conJlitto con l'Italia porterebbe un elemento decisivo. Continuano pertanto intense, senza tregua, Le .forniture di armi alla Jugoslavia ed i finanziam enti alle sue officine. Recentemente sono siate date non meno di 125 tanks, e ne saranno inviate ancora 50 di un nuovo tipo. È noto che la Jugoslavia sta facendo, con febbrile attività, strade e ferrovie tulle di carattere e natura militari in direzione della frontiera italiana. Ora sta lavorando con due regr;imenti del Genio e numerosissimi lavoratori civili nella zana del Tricorno che viene tutta .fortificata (47); altrettanto avviene (46) André Maginot (1877-1932), uomo politi co francese, mini stro della guerra dal 1922 al 1924 e dal 1928 al 1932; in quanto tale, fece approvare la legge per la costmz ione del compl esso di fortificazione sull a rrontiera orientale denominalo appunto «linea Maginol». (47) li Tricorno è la più alta cima (2863 mt. ) delle Alpi Giulie in Slovenia, a sud-est di Tarvisio; dal versante Ovest nasce l'Isonm, da quello Sud la Sa va. Morburgo (o Maribor) è una ciUà della Slovenia sul fiume Drava.
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verso la frontiera austriaca (zana di Marburgo) e verso la frontiera ungherese. I mezzi finanziari per queste grandi imprese sono dati dalla Francia, e ciò si spiega con la convinzione francese che fra Italia, Austria ed Ungheria esistono accordi segreti che permetteranno all'Italia di mandare truppe contro la Jugoslavia anche attraverso il territorio austriaco». In effetti, duranle la riunione dei capi di stato maggiore del 28 luglio 1927, Mussolini dette il via ad una «preparazione bellica sistematica» da ultimare in un quinquennio; si passava così da una pianificazione contingente ad una di lungo periodo, in base aJla quale si intendeva predisporre l'impiego deJle forze armate per gli impegni militari del futuro, a cominciare da quello conlro la Jugoslavia per il quale era già in vigore dal maggio dello stesso anno un apposito piano che prevedeva due ipotesi di guerra a seconda dell'atteggiamento più o meno benevolo assunto da Francia ed Austria. Un piano offensivo contro la Jugoslavia era strettamente legato alla rapidità d'azione, necessaria non solo sul piano mililare quanto ancor più su quello politico, perché solo la velocità di attuazione dei presupposti operativi sarebbe stata in grado di influenzare le altre componenti danubiane ad abhandonare una posizione di attesa e ad inibire di conseguenza l'attività di quelle nazioni, in primo luogo la Francia, interessate a creare diffficoltà alla politica internazionale dell'Italia. A tale concezione furono ispirati gli aggiomamenli e le direttive particolari successivamente elaborate, con un'attenzione specifica pure all'ipotesi di una condotta delle operazioni su due fronti neJla previsione di una doppia guerra anche contro la Francia nel caso di un'alleanza di quesla con la Jugoslavia, così come la crisi delle relazioni francoitaliane (ed il contemporaneo incremento di quelle franco-jugoslave) tra la fine degli anni Venti ed i primi anni Trenta autorizzavano a presagire. Nei confronli della Francia, le operazioni avrebbero avuto luogo assumendo un atteggiamento strategico che mirava ad obbligare il nemico a guerra stabilizzata su posizioni da noi scelte e rafforzate in territorio italiano e, dove possibile e conveniente, in territorio francese (48). Tornando al rapporto in esame, il compilatore entrava poi nel merito di alcune inforrnazioni confidenziali acquisite direttamente:
(48) Cfr. Minniti F., «L' ipotesi più sfavorevole. Una pianificazione operativa italiana fra strategia militare e politica estera (1927-1933)», in: «Rivista Storica Italiana», 3/1995.
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« Vengo ora alla parte forse più interessante. Mi permetto cioè di segnalare alcuni dati di fatto che non sono certamente di pubblico dominio e che credo possano avere un reale valore, in quanto si tratta di informazioni da me assunte e di osservazioni fatte in ambienti tecnici vicini alla Scuola di Guerra di Parigi. Nella dislocazione delle sue forze militari e nella creazione delle varie guarnigioni, il governo francese ha seguito in apparenza un criterio di equa distribuzione numerica e qualitativa. Ma a chi guardi attentamente e con una certa esperienza questo quadro di forze, apparirà evidentissimo che è stato fatto con la ma[?gior cura di costituire vicino alla frontiera italiana ed alla frontiera tedesca dei nuclei facilmente rajforzabili in caso di mobilitazione. Sono stato informato così da fonte assolutamente autorevole ed in linea strettamente cor~fidenziale che alcuni reggimenti sono considerati dallo Stato Maggiore "reggimenti cellule" - questo è il nome che venne dato loro (49) - e che essi costituiscono qualche cosa di diverso e di più delicato di quelli che noi chiamiamo centri di mobilitazione. Sembra infatti che non solo siano stati prescelti per il comando di queste unità grandi e piccole gli ufficiali che sono ritenuti i migliori dell 'ese_rcilo di linea, ma che si compia anche una vera e propria selezione persino degli uomini di truppa, secondo le note e Le i~formazioni mandate da ogni comando, trasferendo subito in altri corpi gli uomini sospetti di poca disciplina o di tendenze sovversive». Concludevano il rapporto alcune interessanti valutazioni di carattere politico riferite tanto alla situazione in atto quanto alle possibili implicazioni che ne sarebbero potute derivare: «E vengo alla conclusione. La intensa preparazione militare non può essere considerata con ottimismo, perché non è soltanto un atteggiamento difensivo e precauzionale da parte di un popolo impaurito. La Francia è nella posizione di un individuo che si va a poco a poco eccitando con le proprie parole; viene un momento in cui perde il controllo dei propri atti e viene meno il gioco dei suoi poteri inibitori. La Francia sta in questo momento giovandosi di
(49) Nel rapporlo erano anche specificati i numeri ordinalivi dei reparti e le rispettive sedi di dislocazione, a decorrere dal 1° ottobre 1930: Antibo: 9° e 10° btg. di Chasseurs Alpins - Chambery: 13° blg. di Chasseurs e Scuola Infermieri - Mentone: 35" btg. di Chasscurs - Modane: 1a btg. del 99° rgt. di fanteria - Nizza: 22a btg. di Chasseurs, 141 ° rgt. fanteria, 94° rgt. artiglieria da montagna, 157° rgt. artiglieria a piedi. Due città Besançon nella Doubs e Digione nella Cote d'Or - erano siate inoltre prescelte come nuclei di concentramento in caso di mobilitazione generale.
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tutti i mezzi per lusingare gli ex-combattenti, ed è interessante notare qui, en passant, che molli ex-combattenti italiani in Francia fraternizzano con s:li ex-comhallenli francesi i quali hanno avuto istruzioni dal governo di trattare bene gli italiani e di attirarli a sè. Nulla insomma viene trascurato, ed è certo che se dall'Oriente europeo partisse la scintilla di una provocazione, la Francia con tutta probabilità si muoverebbe subito accanto alla Jugoslavia. Mi fa impressione che molli uomini politici e capi militari francesi fanno un ragionamento pericoloso quando parlano confidenzialmente e dicono: noi siamo assolutamente certi che la Germania o l'Italia, oppure tutte e due queste potenze insieme, presto o tardi ci aggrediranno. Per il momento esse sono meno forti di noi, mentre noi siamo fortissimi. Giacché un urlo deve avvenire, è forse meglio avvenga adesso, mentre la Germania non è ancora pronta. Mi si assicura che Poincaré, del quale si crede non lontano il ritorno al potere, ragiona in questo modo, che è estremamente pericoloso per la pace europea ed urta stranamente con le tendenze locarniste e ginevrine di Briand (50). Si aggiunga che la Francia crede fermamente ad una possibile intesa segreta italo-germanica e .forse russa, e si comprenderà facilmente come non vi sia da meravigliarsi di nulla, in terna di sorprese politiche. Queste sono1 crudemente e:.poste, le speranze e le illusioni francesi». Il secondo rapporto atteneva specificamente ai «preparativi militari»: «Tutto quello che è stato scritto sinora in merito alla preparazione militare francese è assolutamente irteriore alla realtà. Basta visitare la Francia con occhio attento, e con una certa esperienza, p er scoprirne il vero volto che è in questo momento totalmente militare e guerresco. Per questo esame sono molto più interessanti le città di provincia che Parigi. È soltanto in queste città, a Besançon, a Tolosa, a Chamhery che si può avere un 'idea precisa dello ~forw
(50) Il trattato di Locarno era stato firmalo nell'ouobre 1925. In forza di esso, Gran Bretagna ed Italia avrebbero garantito le frontiere del Belgio e della Francia contro un attacco tedesco e quelle della Germania contro un attacco francese, venendo così incontro almeno parzialmente a quella che, dalla decadenza del patto di garanzia del 1919, era stata la principale richiesta di Parigi e, nello stesso tempo, assicurando in parte la Germania contro la ripetizione di un episodio come l"occupazione della Ruhr. Il trattato di Locarno era stato stipulalo 6 mesi dopo la nomina di Aristide Brian, (1862-1932, socialista, che un anno dopo sarebbe stato insignito del premio Nobel per la pace con lo statista tedesco Strescmann) già presidente del consiglio succeduto a Clemenceau, a ministro degli esteri francese.
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compiuto dal Ministro della Guerra e dallo Stato Maggiore francesi per preparare un'organizzazione veramente formidabile. le grandi manovre sono state fatte per dare un certo addestramento alle truppe, ma le ,nanovre vere e proprie sono quelle che si vanno facendo continuamente nelle officine destinate alla produzione di materiale bellico e nelle industrie che lavorano tutte, e continuamente, per la guerra. Lo Stato Maggiore ha un'enorme.fiducia nell'impiego delle tanks, che sono sempre più numerose, più forti e più potenti, dei veri e propri incrociatori terrestri. Esse sono state provate sul fronte italiano, con risultati buoni in qualche caso ed assai modesti in qualche altro. Il materiale usato è buono. ma si sono verificate delle lacune bizzarre: ad esempio, in tulle le nuove tanks erano fatte molto male le saldature dei serbatoi di benzina, cosicché questi si aprivano e si sconnettevano agli urti ed alle scosse. L'8° Corpo d'i\mwta di Digione ha svolto importanti manovre nella regione di Sens Troyes, nelle quali sono state provate nuove tanb· che nel linf;uar:r:io dei tecnici sono designate col nome di tous terrains. Si tratta di ma('('hine basse, più veloci delle solite, munite di corazzatura più leggera ma hen studiata, che permette la Loro utilizzazione in terreni dove le più grosse non potrebbero muoversi[.. .]. Altrettanto larga e febbrile è la costruzione e la preparazione delle mitragliatrici, specialmente di quelle pesanti a lunia iittata, per le quali i tecnici dell'esercito studiano continui miglioramenti e continue modificazioni. Procede intensissimo lo studio del problema dei gas asfissianti, sia per la produzione degli stessi, alla quale lavorano molti stabilimenti posti nelle città sulla costa atlantica, sia per la difesa contro gli stessi[. ..]. Quanto riferito dal1'estensorc del rapporto era, in sostanza, la conrerma di quanto un altro addetto militare italiano, que11o accreditato presso l'ambasciata in Polonia, aveva espresso alcuni mesi prima in merito alla dottrina di guerra francese. L'ufficiale, col. Mario Roatta, aveva analizzato la sinossi del corso di Etat Major et tactique genérale della Scuola di Guerra tilevando come i concetti ed i metodi per l'impiego tattico delle truppe fossero molto più speditivi che nelle «istruzioni» in vigore. Affrontato l'argomento con il colonnello francese P1ioux, direttore degli studi presso la scuola di guerra polacca, questi gli aveva risposto che, in effetti, era negli intendimenti del proprio stato maggiore di accrescere l'autonomia (nel tempo, nello spazio e nell'impiego delle truppe e dei mezzi) dei comandanti in sottordine durante la fase offensiva così da orientarli ad una sempre maggiore attitudine alla guerra di movimento, mentre per la fase 193
difensiva 1'impostazione era quelJa di aumentare l'estensione dei fronti e diminuire la rigidità delle disposizioni di pertinenza dei singoli comandi, a profitto della libertà d'azione dei corrispondenti comandi inferiori. Le ragioni alla base di questo nuovo orientamento andavano ricercate ne11 'esistenza di una fronte fortificata permanente e di una copertura tali da permettere di resistere all'urto avversario, senza bisogno di impiegare e di cristallizzare sulla fronte stessa le truppe di campagna, nella conseguente piena disponibihtà di queste truppe per operazioni offensive in campo aperto, ed infine nella prossima adozione di un armamento di fanteria che avrebbe valorizzato enormemente 1'azione di piccoli gruppi nonché di un'ottima arma d'accompagnamento, con conseguente possibilità per la fanteria di disimpegnarsi in larga misura da quelle rigide disposizioni che miravano ad assicurarle l'appoggio de11'artiglieria (51). Lo stato maggiore francese, proseguiva poi il rapporto dell'addetto militare a Parigi, se nutriva grande fiducia negli apprestamenti tecnici e materia1i per la guerra, non ne riponeva altrettanta per quanto concerneva lo spirito delle truppe, ed anzi era preoccupato per la grande diffusione in seno a11 'esercito di manifestini comunisti ed antimilitaristi che avevano determinato, in particolare presso le truppe senegalesi e marocchine, episodi di grave indisciplina. TI rapporto terminava con alcune interessanti considerazioni circa 1a crisi in atto nell'aeronautica militare francese, dovuta non tanto al personale, descritto come molto valido sia sotto l'aspetto umano che professionale, quanto al materiale di vo1o, la cui precaria efficienza sarebbe stata connessa ad un vasto intreccio di illeciti rapporti economici fra alti funzionari del ministero dell'Aria e la maggior parte delle industrie produttrici (52). Alla stessa posizione archivistica relativa al carteggio del S.I.M. appartiene un documento contenente informazioni alla cui elaborazione contribuì molto verosimilmente anche l'ufficio dell'addetto militare italiano, come è desumibile dalla rilevanza strategica e tattica delle informazioni stesse, dalla valutazione estremamente professionale che ne conseguiva nonché dalle fonti di acquisizione ad alto livello in seno all'ambiente mi1itare francese possibili solo a chi, in quel contesto, godesse degli adeguati contatti. Nel marzo 1933 i1 Maresciallo Franchet d'Esprerey aveva iniziato
(51) AUSSME, H3-63/5, da Add. Mii. Nav. ed Aeron. Varsavia, prot 52. RR. del 6.4.1930, a Comando del Corpo di Stato Maggiore, f.to col. Roatta.. (52) AUSSME, H3 -63/5, senza indicazione di prot., destinatario e firma, datati ottobre 1930.
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un viaggio ispettivo nell'Africa del Nord - poi interrotto in seguito ad un incidente automobilistico - il cui scopo primario sarebbe stato quello di sovrintendere allo sviluppo da dare alle operazioni contro la Tripolitania nell'eventualità di un conflitto con l'Italia. Il piano offensivo era stato delineato l'anno precedente dallo Stato Maggiore Generale, e successivamente dettagliato da parte del Comando Superiore della Tunisia e del Comando del XIX Corpo d'Armata d'Algeria. Il piano prevedeva una serie di operazioni contro il territorio tripolino allo scopo di richiamarvi ed immobilizzarvi il maggior numero possibile di truppe italiane, obbligando così quello stato maggiore a subire un diversivo (in relazione alle notevoli difficoltà di una decisiva azione offensiva sul fronte italiano, stante le a5perità del terreno) le cui conseguenze si sarebbero fatte sentire nel teatro di gue1rn principale. Lo schema di base del progetto operativo era stato esaminato nel corso di tre riunioni svoltesi a Parigi fra l'autunno 1932 ed il febbraio 1933. Ad esse, oltre al Maresciallo Franchet d'Esperey, avevano preso parte l'ispettore generale dell'esercito Marescia11o Weygand, il Maresciallo Lyautey (membro del consiglio superiore della guerra), j] generale Gamelin (capo di stato maggiore dell'esercito e membro del consiglio superiore della gue1rn), il generale Georges (ispettore generale delle trnppe del Nord Africa e membro del consiglio superiore della guerra), il generale Claudel (ispettore generale delle truppe coloniali, membro del consiglio superiore della guerra e presidente del comitato consultivo della difesa delle colonie), il generale Bineau (primo sottocapo di stato maggiore dell'esercito e membro del consiglio superiore delle ferrovie) ed il generale Beinot (comandante superiore delle trnppe coloniali nella metropoli) (53).
(53) Maxime Weygand ( 1867-1965), ufficiale di cavalleria, dopo aver partecipalo alla la guerra mondiale quale capo di stato maggiore del comando delle fori:e interalleate in Fram:ia, fu nel 1920 in Polonia quale consigliere militare, fra il 1923 cd il 1924 comandante in capo delle truppe francesi nel Levante e nel 1930 capo di stato maggiore dcli' esercito. All' inizio della 2° guerra mondiale fu nominato comandante supremo del Medio Oriente. Il crollo del fronte nella primavera del 1940 comportò la sua designazione al comando supremo in sostituzione di Gamelin. Fu quindi ministro della difesa nazionale nel governo presieduto da Pétain e poi, dal settembre 1940 al novembre 1941, comandante supremo in Africa. Deportato in Germania nel 1942, dopo la guc1Ta subì un processo per tradimento per il quale fu pienamente prosciolto. Louis Uberto Lyauley (1854-1934), Maresciallo cd Accademico di Francia, esperto colonialista, fu di stanza in Marocco dal 191 2 al 1925 tranne che per il periodo della guelTa mondiale. Mauricc Gustave Gamelio (1872- 1958), ufficiale di fanteria, generale comandante di divisione nel 1916, nel periodo fra le due guerre ricoprì diversi incarichi al vertice dell'e-
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Interessante il rilievo che il piano sarebbe stato accettato da11o stato maggiore francese per ragioni di «quieto vivere» nei confronti delle «frenesie coloniali» de] Maresciallo Frnnchet d'Esperey e nonostante l'aperta opposizione del Maresciallo Lyautey e del generale Weygand. Le decisioni scaturite da questi incontri erano così riassumibili: il gen. Georges avrebbe assunto il comando di tutte le truppe dislocate nell'Africa del Nord (Tunisia, Algeria e Marocco); il comando delle forze destinate alle operazioni si sarebbe trasferito a Sfax, e le operazioni stesse si sarebbero estese dal mare a Gadames, con obiettivo diretto e principale Tripoli, alla cui occupazione si sarebbe dovuti pervenire entro 3 giorni dall'inizio delle ostilità; l'ulteriore sviluppo delle operazioni sarebbe stato subordinato alle decisioni del comando superiore dell'esercito francese; le operazioni di terra sarebbero state sostenute da consistenti forze navali. Le truppe destinate alle operazioni sulla frontiera tripolina sarebbero stae forn1te per la maggior parte dal XIX Corpo d'Armata d'Algeria (54) ed, in misura minore, dai contingenti della Tunisia e del Marocco. All'atto de11a mobilitazione, le divisioni territoriali d'Algeria (3) e Tunisia (1) avrebbero dato origine, ciascuna, ad una divisione di previsto eventuale pronto impiego oltremare, assorbenti i 2/3 del personale già sotto le armi. Ognuna delle stesse divisioni territoriali, inoltre, avrebbe provveduto a
scrcito, tra i quali quello di capo di stato maggiore nel 193 1 e di vice-presidente del consiglio superiore della guerra nel 1935. Nel 1938 divenne capo di stato maggiore della difesa nazionale ed un anno dopo, allo scoppio della 2• guerra mondiale, comandante in capo delle forze di terra, venendo sollevato dall'incarico il 19.5.1940 a seguito del crollo del fronte dopo l' offensiva tedesca, evento per il quale fu anche sottoposto a procedimento penale. Dcponato in Germania dal 1943 al 1945. Alphonsc Joseph Georges (1875-195 1), ufficiale di fanteria, durante la Ja guerra mondiale fece pane dello stato maggiore del gen. Foch ed all'inizio della 2• divenne comandante in capo del settore Nord-Est. Dopo la sconfitta, riparò in Nord Africa dove nel 1943 si unl al gen. Giraud, fecendo pane per qualche tempo del comitato francese di liberazione nazionale. (54) In particolare, vi sarebbero state destinate: 1a brigata fanteria (appartenenza: divisione di Algeri, sede: Algeri, reparti: 9° rgt. zuavi, 5°- rgt. tirailleurs algerini , 13" rgt. tirailleurs senegalesi) - 4• bri gata fanteria (appartenenza: divisione di Orano, sede: Tlemcen, reparti: 1° rgt. legione straniera, 6° rgt. tirailleurs algerini) - 1a brigata cavalleria (appanenenza: divisione di Algeri, sede: Algeri , reparti: 5 ° rgt. cacciatori dAfrica, 1° rgt. spahi s) - 3• brigata cavalleria (appartenenza: divis ione di Costantina, sede: Batna, reparti: 3° rgt. cacciatori d'Afri ca, 3° rgt. spahis) - 65" rgt. mtiglieria (appartenenza: divisione di Algeri, sede: Algeri) - 32a bgt. genio (non indivisionato, sede: 1-lussein-Dey).
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costituire uno o due divisioni formate prevalentemente di riservisti e destinate, di massima, alla difesa locale. In Marocco, si sarebbero mobilitate una divisione del primo tipo e tre o quattro del secondo. La mobilitazione tanto dell'uno quanto dell'altro tipo si sarebbe svolta in contemporanea e sarebbe stata contenuta nello spazio di 2-5 giorni. Per quanto atteneva alle 4 brigate di cavalleria comprese dall'ordinamento di pace nelle divisioni territoriali di Algeria e Tunisia, pur mancando elementi di certezza era prevedibile che, riunite a due a due, avrehhero fornito 2 divisioni di cavalleria impiegabili in Nord Africa come altrove (55). Sono generalmente note, nelle loro linee essenziali, le modalità attraverso le quali si giunse al conflitto armato italo-etiopico. Ne] momento in cui la vicenda si manifestò sullo scernuio internazionale, la posizione politico-diplomatica italiana si configurava, in aderenza a quella anglo-francese, quale tentativo di contenimento della pressione esercitata dalla Gemmnia soprattutto nei confronti dell'Austria. Durante il convegno svoltosi a Stresa dall' 11 al 14 aprile 1935 fra Italia, Francia ed Ing hilterra per discutere del revanchismo tedesco, la questione etiopica era già sul tappeto da oltre 4 mesi, cd il ministro degli esteri francese Lavai (56) era stato a Roma nel gennaio precedente per cercare di conservare, mediante concessioni in Africa, la col1aborazione italiana sullo scacchiere europeo; ed in questo senso pressocché analogo, anche se più difficoltoso e meno esplicito, era l'atteggiamento inglese. Una frase della dichiarazone comune elaborata a Stresa al Lermine dei lavori, nella quale si affermava come le tre potenze fossero completamente d'accordo nell'opporsi a qual siasi ripudio dei trattati che avesse potuto mettere in pericolo la pace, fu modificata, su richiesta di Mussolini, con la specificazione « ... la pace dell'Europa». Non era una variante da poco, in quanto equivaleva ad un'implicita via lihera per l'azione italiana in Africa Orientale.
(55) AUSS ME, H3-35, prol. 2/5267 dcli' I 1.7.1 933, da S .I.M. a Ufficio Capo Stato Maggiore Generale, r.10 col. di S .M. Capo del S.I.M. Sogno. (56) Pien e Lavai ( 1883-1 945), uomo politico di matrice socialista, cominciò a ricoprire incarichi governativi dal 1925, divenendo in varie riprese mini stro dei lavori pubblici, della giustizia, dd lavoro, degli affari esteri e delle colonie . Fu presidente del consigli o dal 3.1.1931 al 16.2.1 932 c dal giugno 1935 al gennaio 1936. In politica estera, fu fautore di un riavvicinamento all 'Itali a atto a bilanciare il dinamis mo tedesco. Sostenitore dell'inopportunità di intervento nella 2a gue1rn mondi ale, nel giugno 1940 fu nominalo da Pétain vice-presidente del consiglio e, nell'aprile 1942, pres idente del consiglio del governo di Vichy. Accusato di collaborazioni smo con i tedeschi, fu fucilalo nelle carceri di Fresnes il 15.1 0. 1945.
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Del resto, la questione etiopica non era stata «inventata» né a UalUal, il piccolo fortino italiano sperduto nel deserto somalo sede del famoso incidente del dicembre 1934 che funse solo da detonatore (57), né a Stresa, ma traeva origine da tutta una serie di precedenti tanto remoti quanto prossimi. Attraverso un sintetico esame solo dei secondi, è probabile che nulla sarebbe accaduto per ancora alcuni anni se il 25 luglio 1934 il Cancelliere austriaco Dolfuss non fosse stato ucciso da un gruppo di congiurati nazionalsocialisti. Mussolini, come è noto, ordinò che 4 divisioni al confine Nord-orientale fossero messe in allarme e che alcuni repaiti si attestassero sulla linea di confine (58). Nella concezione di Lavai, il rafforzamento dei legami franco-italiani avrebbe dovuto bilanciare il minaccioso dinamismo della Germania, che anche dopo il fallito putsch di Vienna perseguiva con determinazione la riconquista di posizioni di forza e prestigio. Mussolini, dal proprio canto, voleva la «luce verde» per l'Etiopia. Per entrambi i contraenti, quindi, il nodo austriaco era sullo sfondo, e Lavai sperava che, liquidata la faccenda coloniale, l'Italia avrebbe riconcentrato le sue forze alla frontiera sellentrionale. Per quanto riguardava l'Inghilterra, il governo presieduto da Mac Donald (59) era troppo sensibile all'opinione pubblica (ed in pmticolare all'opposizione laburista) per poter accettare senza alcuna remora i progetti di Mussoliiù e, nello stesso tempo, troppo irresoluto per tentare di bloccarli con un atteggiamento di ferma ostilità, anche se non gli sfuggivano i dschi potenziali derivanti da un'Italia che attraverso il possesso dell'Etiopia usciva da un molo europeo settentrionale per assumerne uno di più ampio respiro e minacciante gli interessi inglesi oltremare. In accordo con la lucida analisi operata da De Felice (60), la genesi e l'evoluzione della vicenda etiopica vanno interpretate sulla base di due considerazioni di fondo. La prima è che Mussolini aveva attivato 1'operazione non solo sicuro che Francia ed Inghilterra fossero
(57) Cfr. Pedriali. F., «L'incidente di Ual-Ual», in: «Rivista Storica», 9/1994, pagg. 52-62. (58) Non è mai stato possibile accerlare se si trattò di una pura e semplice «dimostrazione», messa in atto con unità minori assemblate senza un critelio organico, ovvero di una più congrua mobilitazione di uomini .e mezzi. La prima ipotesi è da ritenersi la più probabile, anche se occorre rilevare come nel successivo 1935 si svolsero in Alto Adige manovre militari molto consistenti che impegnarono un notevole numero di divisioni. (59) Giacomo Ramsay Mac Donald (1866-1937), uomo politico di matrice laburista, nolo per aver avversato l'intervento britannico nell a 1a guerra mondiale, primo ministro nel 1924, 1929-1931 e 1931-1935. (60) De Felice R., «Mussolini il Duce», Torino, Einaudi, 1974, pagg. 601 -602.
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troppo interessate alla so1idarietà ita1iana sul continente europeo per opporsi ad una soluzione della questione etiopica conforme ai deside:. ri di Roma (tanto più che le stesse nazioni, da anni, avevano più o meno esplicitamente riconosciuto i prevalenti interessi italiani in Etiopia, riconoscendo anche come inevitabile che l'Italia, prima o poi, rea1izzasse concretamente ta1e ipoteca), ma anche convinto de1le necessità di agire in accordo con esse. TI progressivo e netto discostarsi della vicenda etiopica dallo schema entro il quale era stata concepita e l'espandersi delle polemiche che sarebbero intercorse fra Italia, Francia e soprattutto Inghilterra non infirmò il progetto di base de1la nostra strategia politica, basata sul rischio calcolato di procedere manu militari nonostante l'opposizione de1la società delle Nazioni, cioè in pratica dell'Inghilterra e, in misura decisamente minore, della Francia, e di continuare a guardare in prospettiva ad una sinergia politico-diplomatica con entrambe. La seconda considerazione attiene al fatto che persino dopo la conquista italiana dell'Etiopia, e nonostante che questa si fosse realizzata in forma molto diversa da come inizialmente concepita ed in particolare con grave pregiudizio dei rapporti fra le tre nazioni europee, il governo italiano non avrebbe cessato di guardare per parecchio tempo al ristabi1imento degli stessi, tale da far sì che all'Italia non fosse preclusa Ja possibi1ità di riprendere il discorso con Londra e Parigi al punto in cui esso era giunto all'inizio del 1935. Che questo fosse in linea anche con gli organi esecutivi delle due capitali è confermato dalle dichiarazioni rilasciate dal segretario genera1e del Quaj d'Orsay Alexis Légcr alla fine di maggio 1936, e de11e qua1i si faceva portavoce anche l'addetto mi1itare italiano. Il nostro decisionismo in Etiopia rendeva ormai superate le misure sanzionistiche, la cui revoca era peraltro legata (anche per ovvie questioni di «immagine») ad un impegno di collaborazione da parte dell' Italia con Francia cd Inghilterra (61). D ' altro canto, va anche considerato come la politica ginevrina delle sanzioni si rive1ò in pratica non altro che un'operazione di facciata. Se è vero, infatti, che il 18 novembre 1935 entrarono in vigore le sanzioni economico-finanziarie nei confronti dell'Italia, approvate dall' Assemblea della Società delle Nazioni due mesi prima con una procedura contrastante con i precedenti di moderazione seguiti dalla stessa Società in conflitti ancora più gravi quale ad esempio que11o cino-giapponese, è a1trettanto vero che furono (61) AUSSME, 01-133, prot. 287/S del 6.6. 1936, da Add. Mii. Parigi a Capo del S.I.M., f.to gen. Barbasetti di Prun.
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proprio gli Stati più accanitamente «sanzionisti» a far sapere che non avrebbero disdegnato di intrattenere rapporti commerciali sottobanco con l'Italia. Anche perché si faceva affidamento sul fatto che ]e difficoltà economiche avrebbero «ammorbidito» quest'ultima, così come la sconfitta avrebbe avuto lo stesso effetto nei riguardi dell'Etiopia, ed inoltre gli stati maggiori francese ed inglese ed anche quello tedesco ritenevano che agli italiani, per addivenire alla conquista del territorio avversario, sarebbero occorse almeno due campagne invernali. Da parte francese pervennero quindi ammiccamenti ed assicurazioni che gli approvvigionamenti di petrolio non avrebbero subito intralci, mentre Citroen e Renault offrirono forti quantitativi di autocarri a condizioni di pagamento che, dato il momento, erano di particolare favore: 25% all'ordinazione, 25% alla consegna ed il restante 50% a 6 mesi. Altre industrie francesi, a sanzioni già in atto, attraverso triangolazioni con società svizzere di comodo, consegnarono 250 motori aeronautici Gnòme e Rhone ed un grosso quantitativo di lanciabombe Brandt. Nel marzo 1936, il Belgio avrebbe venduto all'Italia 800.000 tonnellate di carbone, la Cecoslovacchia migliaia di scarpe e l'Austria e la Svizzera decine di milioni di cartucce per fucili e mitragliatrice. Gli Stati Uniti, a loro volta, fornirono migliaia di autocarri Ford, Dodge, Studehaker, ChevroLet , centinaia di trattori Caterpillar e migliaia di muli. Le forniture, naturalmente, 1iguardavano pure l'Etiopia, ed anche per il trasferimento di questi materiali erano state messe in opera apposite strutture commerciali sotto varie configurazioni. Emblematica, in questo senso, la comunicazione inviata dall'addetto militare in base alla quale sarebbe stata in funzione, tra la Spagna e la Costa Azzurra, un'organizzazione avente lo scopo di trasportare in Africa armi e munizioni destinate all'Etiopia. Il centro di tale attività si sarebbe trovato a Barcellona: uno o più emissari avrebbero avuto l'incarico di aquistare o noleggiare nella Costa Azzura yachts e bastimenti di altro genere aventi carattere turistico . Questi mezzi, condotti a Barcellona, sarebbero stati caricati di materiale bellico c poi indirizzati in Africa (62). Sulla scorta di quanto considerato, particolarmente interessante ed approptiata risultava la valutazione operata dall'addetto militare italiano a Parigi a metà settembre 1935: (62) AUSSME, Dl -120, prot. 672/s del 28.8.1935, da Add. Mii. Parigi a Ministero Gucrra-S.I.M., f.to ten. col. Arturo Kcllncr.
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«L'alteggiamento francese di fronte al conflilfo italo - etiopico si può, forse, riassumere così: Azione di governo sostanzialmente favorevole ali'Italia, ma inevitabilmente legata alle strettoie della politica interna, ed ai compromessi internazionali - Netta simpatia negli ambienti militari che dimostrano di nutrire pienafiducia nelL'efficienza delle forze armate italiane, e contano sul peso delle anni italiane, per contenere il pericolo dell'espansione tedesca Subdola manovra degli ambienti radico-m.assonici; aperta avversione all'Italia negli ambienti social-comunisti. Prescindendo da ogni questione di interessi materiali, e di ir~fluenza nell'Africa Orientale e trascurando talune rnan(festazioni di idealismi puritani, bisogna riconoscere che in Francia come in Inghilterra, come altrove, si fa la guerra al fascismo e al suo più alto esponente: il Duce. Contro siffatta azione, che dovrebbe far ricadere sul nostro Paese responsabilità immediate e future, si elevano molti onesti repubblicani di Francia pur idealmente attaccati a vieti principi, e a formule sorpassate (63). TI governo francese ha svolto attiva opera di mediazione tra /'Jtalia da una parte, l'aeropago della Società delle Nazioni dall'altra e si è mantenulo in istrello continuo confatto col governo britannico, che ha ispirato la recente politica di Ginevra. Alla fine dello scorso luglio, la Francia risentiva ancora tutta l'amarezza derivante dal patto navale anglo-tedesco (64); il patto, (63) In quel periodo a cavallo fra la 1a e la za metà degli anni Trenta l'orientamento favorevole al fascismo era comune a molti ambienti, non solo in Francia ma anche nel resto dell'Europa e negli Stati Uniti , soprattutto nei circol i intellettuali. Era un atteggiamento che, per un verso, esplicitava e radicalizzava ciò che in altri ambienti era latente e confuso e, per un a1tro verso, influenzava in qualche misura un certo tipo di pubblicistica politica ed un certo giornalismo «d' opinione» che erano poi quelli che, in effetti, più influenzavano a loro volta l' opinione pubblica media. Le motivazioni erano molteplici, quella anticomunista, quella etico-esistenziale, quell a i<lco-culturalc, quella anti-borghcse, quella anticapitalistica, ma la suggestione maggiore trovava fondamento in due considerazioni. La prima era che il fascismo sapesse cosa voleva e, pur con i suoi limiti, costitui sse una risposta valida, anche se imperfetta, alla crisi della società occidentale; la seconda, c he fosse particolarmente concreto cd efficentc, mentre altre forme di regimi sembravano non esserlo più (quelli di stampo liberal-democratico) ovvero, come quello comunista, si dimostravano troppo sopraffattori o comtmquc estranei alla tradizione occidentale (cfr. Hamilton A., «L'illusione fascista. Gli intellettuali ed il fascismo: 19191945», Milano, Mursia, 1972). (64) Questo accordo nava1e, concluso nel giugno 1935 in aperto contrasto con quanto stabilito a Stresa poco tempo prima, rappresentava una tipica espressione di quella visione particolaristica che animava la politica estera inglese all'inizio della seconda metà deg li anni T renta e de lla sua tendenza a reali zzare un app easement con Berlino. L' aspirazione hritanni ea era quella di porsi come arbitra de lla situazione europea, e di
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che incide il trattato di Versailles e ne mina le fondamenta, costituiva ( e costituisce tuttora) negli ambienti militari francesi prova indubbia che l'esercito, nel caso di un conflitto europeo, dovrà contare sulle forze latine e sulla collaborazione balcanica, più che su quella anglo-sassone. Sembra, tuttavia, che la politica francese, da luglio ad oggi, si sia dovuta piegare sempre più alle esigenze britanniche: lo provano le tappe travagliate delle riunioni diplomatiche. Il conflitto italo etiopico viene esaminato dal Consiglio della S.D.N. il 31 luglio, e il 1 ° agosto gli .~forzi di Lavai provocavano la conferenza tripartita tra Italia, Francia e Gran Bretagna che ha luogo a Parigi tra il 16 e il JR agosto. La conferenza fallisce L' intento. Nella stampa di quei giorni ho trovato commenti, come quelli che qui trascrivo. "L'Angleterre, pour faire front aux visées italiennes en Afrique Orientale, s'est fortement établie sur !es traités et sur le pacte de la S.D.N. Elle avait été moins rigourese tout au long des violation multiples commises par l'Allemagne à l'égard d'hommes". E altrove: "Il ne faut pas plus demanderà la France, nécessairement jìdèle à la S.D.N., de sacrifier l'amitié italienne et le concours des division du Rrenner, si l'on n 'est pas décidé soi-mème à débarquer à Calais, comme autrefois, en cas de besoin ". E ancora: "C'est le moment, oujamais, d'envisager la situation internationale dans son ensemhle. Quoi qu 'on fasse, celle situation est dominée par le réarmement et l'état d'esprit de l'Allemagne". Mentre, prima delle nuove riunioni di Ginevra, iniziate il 4 settembre, in Inghilterra si parla di sanzioni contro l'Italia, il Governo francese ci ha dato tangibili prove di amicizia, facilitando spedizioni di materiali da noi desiderati. Ciò non va dimentica-
attuare una politica che fosse di contenimento della Germania (con il supporto dell'Italia c della Francia) ma nel conte mpo anche di accordo con essa, in modo da tener fuori dall'Europa l'URSS e da non essere eccessivamente coinvolta sul co ntinente dalla Francia che avrebbe voluto fare del Reno la frontiera orientale dell'Inghilterra. Il patto navale anglo-tedesco suscih'i pertanto in Francia le reazioni cd i timori più vivi, e contribuì non poco ad indurre Parigi a non scontentare Mussolini e addirittura ad affrettare la conclusione, no nostante la questione etiopica, degli accordi militari con l'Italia. (Cfr. De Felice R., «Mussolini il Duce. Gli anni del consenso 1929-1936», To rino, Einaudi , 1974, pagg. 650-651 ).
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to. E sempre nell'imminenza delle sedute di Ginevra, la notizia di un accordo tra l'Etiopia e un consorzio anglo americano, rappresentato dal faccendiere Rickett, per lo .\f'ruttamento del sottosuolo abissino, è accolto dai commenti satirici della stampa francese: "Pétrole ou idéal? ". Si viene finalmente, alle riunioni del consiglio, poi dell'assemblea della S.D.N. Nell'ambiente di Ginevra, l'azione politica .francese si piega; si piega dopo il discorso di Sir Samuel Hoare dell' 11 settembre, e si adatta alle pressioni ant~fasciste. Lavai non può lasciarsi sfuggire il timone di Ginevra, che altrimenti sarehhe afferrato dall 'Inghilterra. D'altra parte, la stampa autorizzata ripete che l'amicizia dell 'Italia è non meno preziosa alla Francia di quella dell'Inghilterra e che, perciò può essere ancora trovata una soluzione di compromesso. A malincuore, gli ambienti militari sostengono ora che, tra Londra e Roma, la Francia deve svolgere opera conciliante, ma da ultimo rimanere neutrale: "en développant chaque jour davantage sa force militairc qui, une j(Jis de plus, l'événement l'a prouvé, reste l'ultima ratio aux heures graves". (Editoriale della FM. del 13 corr.) [. .. ] [. .. J il conflitto italo etiopico non ha fatto trascurare l'azione francese, a favore di un patto danubiano, o del!' Europa Centrale, che costituisca una remora alla politica tedesca. Si vuol dimostrare che, in tale azione, la collaborazione franco-italiana è intima e cordiale. Ho più volte ripetuto come gli ambienti militari vedevano con particolare soddfafazione il miglioramento nelle relazioni italo jugoslave. Per contro, g li a,nbienti politici, e sopra tutto gli ambienti militari, sono assai sensibili a qualsiasi atto, che dimostri una pur minima adesione italiana alla politica hitleriana. Gli uomini che hanno in Francia ['alta responsabilità di comando sulle forze armate, prevedono che in un avvenire, più o meno lontano, La Francia dovrà inevitabilmente far.fronte ad una minaccia tedesca. Alleanze, intese militari, sono rivolte ad assicurare un argine a tale minaccia». Dello stesso documento informativo facevano parte alcune considerazioni sul notevole peso politicO assunto, nel quadro delJe relazioni fra i governi di Roma e di Parigi, dalla visita compiuta in Francia dal capo di stato maggiore generale Badoglio che aveva inoltre giovato ai rapporti fra gli organi militari delle due nazioni. 203
In questo contesto, il Capo di Stato Maggiore Generale francese Gamelin, dopo aver accompagnato il collega italiano alle ultime fasi esercitative di unità motorizzate, lo aveva condotto in visita alle opere fortificate della frontiera Nord-Orientale. Scopo del sopralluogo era quello di offrire all'ospite un'idea complessiva del terreno di confine e degli intendimenti seguiti nella costruzione della linea Ma1:inot. L'opera, che all'atto pratico, fra il maggio cd il giugno del 1940, si sarebbe dimostrata un ben fragile ostacolo di fronte all'azione di aggiramento e superamento delle annate tedesche, era stata valutata in Francia come l'espressione del rendimento più ottimale ottenuto con una meccanizzazione molto spinta delle infrastrutture ed una messa a punto meticolosa delle loro installazioni. Con orgoglioso trionfalismo si citavano alcuni dati: rimozione a cielo scoperto di 700.000 metri cubi cli terrazzamenti; esecuzione di 200.000 metri cubi di terrazzamenti sotteranei e di 130.000 metri cubi di muratura, effettuazione di 50.000 metri cubi di colate di calceslrnzzo; escavazione di g,ùlerie sotteranee con sviluppo paragonabile alla lunghezza della metropolitana di Parigi; impiego di acciaio per i soli curazzamenti per un peso superiore di ben 6 volte quello della torre Eiffel; costruzione di rete stradale e ferrovia per il solo uso dell'opera corrispondente a quella di omologhe strutture estendentesi parallelamente da Parigi a Calais; allestimento di linee telefoniche sufficienti a collegare, con un fascio spesso, le due estremità della Francia tra Calais e Nizza (65). L'itinerario, necessa1iamente incompleto stante 1a brevità del tempo a disposizione e la lunghezza dell'intero fronte dei lavori, era iniziato nella regione di Thionville con l'esame particolareggiato de11e opere del Grosbois e di Ronchanvillers, continuato attraverso il settore di Boulay per un giro nella «zona degli stagni» prospiciente al territorio de11a Sarre, proseguito poi sino a Bitche per un esame complessivo delle difese dello Hochwald e chiuso infine con un'ispezione de11e difese del ponte di Seltz e con uno sguardo alle opere 1ungo il Reno.Del sopralluogo, l'addetto militare forniva un resoconto del quale si riportano alcuni degli stralci più interessanti: «Tipi di opere e difese accessorie. Le fortificazioni si possono distinguere in tre categorie: a) una prima categoria comprende i complessi di opere, costrui-
(65) AUSSME, H3-63, me moria informativa senza indica7.ioni identificative facente parte del carteggio del S.I.M. relativo ai «Notiziari Stati Esteri».
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ti su alture o appigli tattici di capitale importanza. Si tratta di grandi città sotterranee, organi:u.ate per la vita, come bastimenti, con ingressi in località ben coperte, che portano ~ mediante Lunghe gallerie, percorse da trenini elettrici - a casamatte, o, meglio, a istallazioni distinte per pezzi di artiglieria, per pezzi anticarro, oppure per armi automatiche. Il complesso di!)1Jone di posti di comando e di osservatori; di alloggiamenti per la truppa, di depositi di munizioni, di centrali elettriche, di elevatori, e cosi via. Le indicazioni, che fornisco più sotto nei riguardi di alcune opere, offrono una pallida idea della mole di tali immani fortezze. h) Una seconda categoria è costituita dalle opere isolate, di molto minore importanza, con ingressi che danno immediato accesso ai vani delle installazioni per l'armamento. Dette «casamatte» sono, naturalmente, di mole e di tipo assai differenti a seconda delle esigenze del terreno e dei criteri tattici che hanno infonnalo la loro coslruzione. e) Infine, essenzialmente in quest'ultimo anno, da mano d'opera militare sono stale costruite piccole opere. intermedie.fra quelle dapprima studiate e realizzate, per completarne la d~fesa. Esse, in genere, ricoverano un paio di mitragliatrici e talvolla un pezzo anticarro. È ovvio che l'armamento di opere, che rispondono a criteri e ad esif{enze lanlo diverse, è vario: dalla mitragliatrice si arriva all 'obice da I 35. (Non calibri superiori. Lo schieramento delle artiglierie è stato accuratamente studiato, all'infiwri delle opere, per consentire elasticità e possibilità di manovra di materiali e di fuoco). Le installazioni sono anch'esse molteplici; Le milragliatrici usufruiscono diferitoie, protette da lastre metalliche, e di "cloches", ossia di cupole corazzate fisse, appena affioranti sul terreno. I pezzi di arlif{lieria tirano, di massima, da cupole scomparenti vere e proprie; i pezzi anticarro da feritoie. Ciò che colpisce, in una visita alla fronte, è lo !)forzo compiuto per inlef?rare le opere di una rete continua di difese passive: fascie di reticolati, molto basse, e fascie di difese anticarro. L'ostacolo sfnttta, naturalmente, gli accidenti del terreno, i corsi d'acqua, ecc.; corre, si può dire quasi continuo, lungo tutta la frontiera o, meglio, fa sistema con l'andamento complessivo delle opere fortificate. Questo è il lavoro compiuto qu.a si per intero quest'anno, dopo il marw 1935, e da quando il generale Gamelin ha ritenuto di dover attuare i provvedimenli predisposti in caso tensione politica. Ho avuto occasione di segnalare che, per la difesa anticarro, si era adottato il sistema di fascie, costituite da tronchi di rotaie soli205
damente infissi nel terreno. Le fascie comprendono in genere sei righe di rotaie, su una pn?fondità media di sei metri; la costruzione della difesa risulta abbastanza rapida, con l 'ausilio di un ordinario battipali maneggiato a braccia. Detta difesa non è costruita per poche centinaia di metri, nelle zone più sensibili, e di più facile accesso; essa corre ormai per chilometri e chilometri, lungo tutto il confine, davanti a tutte le opere, là dove il terreno non sia boscoso o l'ostacolo anticarro non sia rappresentato da un corso d'acqua o dalle poche trincee all'uopo costruite. Lavoro grandioso anch'esso, e di evidente elevato costo nel suo insieme f .. .}. / ... ] Il costo delle opere. Ho raccolto qualche dato indicativo, sul conto dei differenti tipi di opere. I sistemi d(fensivi, complesso di opere con galleria, ecc. tipo Rochanvillers o Hochwald, rappresentano una spesa che supera i 100 milioni per complesso. Le gallerie sono costate 6.000 franchi al metro; 12.000 fr.. al metro dove sono più larghe, e.f<Jrmano incroci. Una casamatta corrisponde ad una spesa da 1 a 2 milioni, a :,;ecunda del numero delle cupole e del relativo armamento. Il hlockhouse, costruito con mano d'opera militare, vale dai 20 ai 60 mila franchi: si pu(), all'ingrosso, calcolare una .~pesa di 20.000 Jr: per arma installata. Da uno studio del deputato Rucart, membro della commissione militare della Camera, che ha visitalo recentemente i lavori d~/ènsivi, tragio i seguenti dati ( che meritano controllo) sul costo complessivo delle fortificazioni di frontiera, armamento e munizionamento compresi. Anno 1930 circa milioni 450 Anno 1931 circa milioni 900 Anno 1932 = oltre milioni i.000 Anno 1933 oltre milioni 1.000 circa milioni 670 Anno 1934 Anno 1935 (Lavori in corso). Il deputato ritiene che, se si computano le spese relative ai primi sondaggi e progetti, e quelle inerenti all'acquisto dei terreni su cui sorgono le fortificazioni, la Francia ha speso per le sue fort(ficazioni, jinora, 5 miliardi e 117 milioni di franchi» (66).
(66) AUSSMR, 1-13-35, prol. 1880 del 18.9.1935, «Notiziario settimanale - parte l"» daAdd. Mii. Parigi a Ministero Guerra - S.I.M., f.to ten. col. Kcllner.
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Il rapporlo dell'addetto militare conteneva anche un aggiornamento circa la struttura organica dell'esercito francese, con la sua articolazione in 18 Regioni Militari e l 04 «Suddivisioni di Regione» (i comandanli di alcuni gruppi di suddivisioni comandavano al tempo stesso Regioni Fortificate oppure Settori Fortificati o Difensivi) e l'assegnazione di truppe specializ;,,ale nei più imporlanli Sellori Difensivi. Le Regioni Fortificate andavano considerate come GG.UU. a sè stanti, scisse in Settori, con truppe specializzate proprie. 25 erano le divisioni di fanteria di stanza sul territorio nazionale (20 melropolilane, 3 coloniali e 2 nordafricane), ad alcune delle quali erano stati di recente assegnati reggimenti di carri armati. Le divisioni di cavalleria erano 5, comprendenti organicamente 2 brigale (4 reggimenli) ed unità molorizzale costituite da un gruppo di autoblindo e da un battaglione di dragoni autoportanti; la 4a divisione aveva assunto la denominazione di léière motorisée. I carri armati erano ordinati su IO reggimenti, 4 dei quali assegnati a divisioni di fanteria. L'artiglieria comprendeva 69 reggimenti delle varie specialità, mentre 11 erano i reggimenti del genio. Il conflitto italo-etiopico fu oggetto di un'altra interessante informazione relativa all'attività condotta a Parigi da agenti tedeschi per arruolare personale straniero da inquadrare in una costituenda «Legione Africana» destinata ad operare con l'esercito etiopico. Fra le fonti fiduciarie delle quali disponeva l'addetto militare italiano l'igurava un giornalista americano il quale, nell'aprile 1935, gli aveva riferito che un suo connazionale, la cui moglie era di origine tedesca, gli ave va raccontato che un vicino di casa anch'egli tedesco gli aveva fatto una proposta di arruolamento per una «Legione Africana» che sarebbe stata in fase di allestimento a favore dell'Etiopia. Il giornalista americano, attivato dall'addetto militare, riusciva tramite il connazionale ad entrare in conlallo con l' arruo]atore. Questi si era qualificato come il rappresentante di un «gruppo potente» interessato al progetto di cui sopra, e dopo qualche giorno aveva messo in contatto l'americano, dietro sua richiesta, con il proprio «capo» che aveva fornito dati conoscitivi più particolareggiati. La Legione avrebbe dovuto comprendere circa I 00.000 uomini, inquadrata da un migliaio di elementi militam1ente più esperti con prel'erenza per inglesi, tedeschi, americani, russi e svedesi . Si cercavano soprattutto ex ufficiali e sottufficiali specializzati (artiglieri, mitraglieri, genieri, aviatori), e si prevedeva di poter costituire 2-3 reggimenti di artiglieria. T1 comando dell'unità sarebbe stato tedesco. Si calcolava di poter disporre quanto prima 207
di un contingente iniziale di 30.000 uomini ben addestrati, che sarebbero stati fatti partire a scaglioni da Londra e da Gibilterra. Le condizioni proposte agli arruolati erano le seguenti: partenza immmediata, 300 dollari mensili al personale arruolato come sottufficiale, 400 ai tenenti, 600 ai capitani, 750 ai maggiori, 900 ai tenenti colonellì. Versamento anticipato di sei mesi di stipendio presso una banca con la clausola, però che la somma non potesse essere toccata altro che al termine del semestre, salvo eventuali piccoli prelevamenti da stabilirsi nel contratto uno schema del quale, nella traduzione italiana dal l'originale in lingua inglese, è riprodotto nell' Allegato 2. Al giornalista americano, che aveva dimostrato la propria qualifica dì ex-tenente d'artiglieiia durante la guerra mondiale, sarebbe stato offerto il grado di capitano~ giunto sul posto, avrebbe avuto due mesi di tempo per addestrare il suo reparto con il concorso di interpreti. La valutazione dell'addetto militare italiano era che, effettivamente, l'Etiopia mirasse a costituire una Legione Africana sotto l'egida tedesca, anche se in proporzioni molto minori di quanto non si volesse far credere. Probabilmente, non erano estranee anche operazioni propagandistiche indirette. La fonte dell'informazione, infatti, aveva giustamente messo in rilievo come i suoi interlocutori non avessero mosso obiezioni al.la proposta da lui avanzata di scrivere ad amici negli Stati Uniti in merito all'argomento, pur se entrambi sapevano perfettamente di avere a che fare con un giornalista di professione. 11 che coincideva con un altro riscontro, e che cioè erano stati individuati sempre a Parigi elementi danesi che operavano per promuovere articoli a favore dell' Etiopia (67). L'orientamento favorevole dell'ambiente rrùlitare francese nei confronti di quello italiano quale espressione di fiducia e speranza contro la minaccia dell'espansioni smo tedesco, continuò ad allignare anche dopo l'esito della campagna d'Etiopia in contrasto con l'atteggiamento ostile del governo di fronte popolare (68), nel qua-
(67) AUSSME, Dl-224, prot. 424/S del 13.4.1935, da Add. Mii. Parigi a Ministe~o Guerra-S.I.M., f.to ten. col. Kcllner. (68) Il «Fronte Popolare» fu un' iniziativa assunta nel 1934 dal movimento comunista internazionale per l'unione di comunisti, socialisti cd altre forze politiche contro il fascismo ed il nazionalsocialismo. In Francia, ndlc ele zioni del maggio 1936, il Fronte Popolare ottenne una villoria schiacciante, ed il socialista Leon Blum formò un governo con i radicali e con l'appoggio esterno dei comunisti rimanendo in carica sino al giugno 1937; tornò al governo pt:r un breve periodo, dal marzo all'aprile 1938. dopodiché continuò a capeggiare la sezione francese dell' lnlernazionale Operai a.
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dro dell'impostazione sempre più ideologica assunta a livello internazionale dalla guerra civile spagnola. Ne è esempio un breve ma significativo resoconto, redatto nel marzo I 938 dal nostro addetto militare aggiunto per il suo diretto superiore: «Iersera, 4 corrente, mi son recato come da ordine di V.S. al ballo "Gala de l'Armée française" organizzato al Circolo delle Forze armate. Il Generale Niessel ex membro del Consiglio Superiore delfo Guerra, l'Ambasciatore Noulens e l'Ammiraglio Durand- Viel, accademico di Francia, erano presenti. Pubblico scelto: per la gran parte ufficiali in congedo, molti in servizio attivo, giornalisti. Atmo.~fera di patriottismo, due volte pubblico sull'attenti cantò la Marsigliese. Durante il hallo molte persone mi avvicùiarono per dirmi la loro simpatia per l'Italia e per il Duce, il loro profondo cordoglio per la morte di D'Annunzio e per stigmatizzare la politica del governo di fronte popolare nei riguardi del nostro Paese. Alla fine della cena, in ri.\posta al saluto porto dal generale Niessel ai rappresentanti del Corpo Diplcimatico, il Gen. Clichitch, addetto militare jugoslavo, ringrazià ed inneggiò alla Francia ed "all'invincibile esercito francese''. Il pubblìco in piedi applaudì, ed il grido di "Vive l'ftalie, vive Mussolini" fu l'unico che si mescolò agli applausi. La gran parte dei presenti alzò il calice al mio indirizzo inneggiando al Duce ed al riavvicinamento franco-italiano. Molte voci di: "Monsieur l'attaché milita ire, ditesle à votre ambassadeur, çà c 'est la vrai France, ça c 'est la vrai France ". Quando Lasciai la sala, le manifestazioni si rinnovarono con maggiore intensità. Moltissimi salutavano romanamente. L'atmosfera vibrava di tanta italianità che mi pareva da un momento all 'altro di sentire intonare "Giovinezza"» (69)! Il carteggio sull'attività dell'ufficio dell'addetto militare italiano a Parigi nella seconda metà degli anni Trenta custodito presso l' archivio dell ' Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito, riferentesi ovviamente a quello di un certo interesse in chiave militare e politica, risulta quantitativamente piuttosto ridotto; purtuttavia alcuni fra i pochi documenti rinvenuti appaiono qualitativamente degni di attenzione. È il caso, ad esempio, di un resoconto del 1937 inerente la rivista militare in occasione della festa nazionale
(69) AUSSME, H3-15, senza indicazione dì prot. del. 5.3. l938, da Add. Mii. Agg.to a R 0 Add. Mii. gen. Visconti Prasca, f.lo magg. Ulisse Rosati.
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del 14 luglio. espressione del globale risalto informativo attribuibile anche ad eventi apparentemente marginali. In esso, infatti, l'attenta osservazione del gen. Barbasetti di Prun coglieva alcuni aspetti significativi della corale partecipazione emotiva degli spettatori e della mancanza, rispetto agli anni precedenti, di manifestazioni di contestazione politica social-eomunista. Di ancora maggiore interesse un promemoria riguardante un modello di elicottero. In quest'ultimo documento, l'addetto militare riferiva come l' ambasciata italiana fosse stata contattala da Marcel Hanriot, figlio del famoso costruttore di aereoplani, al momento ancora cointeressato nella propria ditta nazionalizzata, la Société Nationale de Constructions Aéronatiques du Centre ed amministratore delegato del Centro Studi ed Esperienze ad essa affiancato. Dopo un lungo preambolo sull'assoluto disinteresse mostrato dal Ministero dell'Aria francese per qualsiasi invenzione ed innovazione, l'Hanriot riferiva al funzionario preposto a riceverlo di una sua realizzazione, «l'eliplano ad ali battenti, rotativo.-sostentatrici e propulsive» (70), il cui prototipo era stato presentato al Salone dell' Alia dell'Esposizione di Parigi del 1937 dopo essere stato sottoposto a prove nella galleria sperimentale aerodinamica di Issy Ics Moulinex. Insofferente delle pastoie burocratiche francesi ed avendo constatato l'impossibilità pratica di sperimentare un esemplare più grande nella galleria aerodinamica di Vincennes, era addivenuto alla decisione di proporre la macchina al governo italiano per continuare negli esperimenti, dichiarandosi disposto a recarsi in Italia per presiedere alla costruzione del primo prototipo a grandezza naturale. Dai calcoli teorici il mezzo in questione, dotato di un motore di 200 hp, avrebbe dovuto volare alle velocità di 400 km. orari, e riunire le caratteristiche di decollo, atterraggio e manegevolezza di un normale aeroplano, di un giroplano (71) e di un elicottero oltre che offrire, per l'impiego bellico, un bersaglio molto minore al tiro avversario. TI modello definitivo avrebbe dovuto avere 4 eliche, in tandem accoppiate, a rotazione inversa nella stessa coppia, mosse dal medesimo motore sia con trasmissione meccanica ad alberi e corone dentate sia, preferibilmente, con trasmissione idraulica siste-
(70) Elicoplano: aereumobilc a sostentazione mediante rotore elicoidale e propulsione ad elica. (71) Giroplano: velivolo tra l'aereoplano e l'elicoltcro, a cellula girante od elica di sostentamento che sostituisce la velatura portante.
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ma THAV (Transmission hydraulique à rapport variable) - SAUSSARD, sistema che avrebbe potuto essere applicato anche ai normali aerophmi plurimotori per riunire nella cellula centrale tutti i motori, con evidenti vantaggi per il profilo aerodinamico e la velocità del velivolo. II primo prototipo avrebbe potuto, in via transitoria e per i collaudi iniziali, essere munito di supe1fici po11anti fisse (ali) inserite fra i montanti di sostegno delle due coppie di eliche rotative, propulsive e sostentatrici, e pertanto con un'apparenza di monoplano a 4 eliche e con ali a forte angolazione (il primo prototipo schematico, provato nella galleria di Issy Ics Molineaux, per semplificazione aveva le due ali-eliche rotanti nello stesso senso). 11 principio aerodinamico di base dell'apparecchio era il seguente: le eliche tripali erano a passo variabile, pala per pala, in modo che ogni pala nel primo terzo della sua rotazione si disponesse perpendicolarmente all'asse di rotazione, funzionando quindi da superficie portante come un'ala battente; nel secondo terzo della rotazione assumesse l'incidenza tralll"Ìce di una normale elica propulsoria; nell'ultimo terzo della rotazione si disponesse «a bandiera», con runzione aerodinamica nulla, ed al solo scopo di equilibrio meccanico; ogni elica essendo tripala, ad ogni momento delfa rotazione vi era una pala po1tante, una Lrnttrice ed una equilibratrice; nel prototipo definitivo la velocità di rotazione delle eliche era prevista in 120 giri al minuto. Le informazioni verbali erano con-edate dalla consegna di una documentazione composta da un rapporto tecnico segreto del Centro Esperienze di lssy Ics Moulieux in data 30 novembre 1936, da una riproduzione alla scala l/40 del prototipo eventuale per i collaudi pratici di volo e dallo schema del sistema di trasmissione idraulica THAV-SAUSSARD (72). All'ottobre 1939 è ascrivibile una trattazione monografica inerente la difesa contro operazioni condotte da truppe paracadutiste ed aviotrasportate. Pur non essendo contrassegnata dall'intestazione dell'urricio dell'addetto militare bensì da quella del S.I.M., essa è molto presumibilmente riferibile, in massima parte, all'attività del primo nell'ambito dell' acquisizione informativa attraverso le cosiddette «fonti palesi», trattandosi della traduzione di un articolo
(72) AUSSME, H3-15 , prot. 50 de l 22.1.1938, da Add. Mii. Pari gi a Ministero Guc1Ta, Comando Corpo ùi Stato Maggiore-S.I.M., f.lo gcn. Visconti Prasca.
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pubblicato sulla Revue d'Infanterie, un periodico specializzato e come tale soggetto all'attenzione specifica dell'addetto militare negli adempimenti del quale, così come per tutti i colleghi accreditati all'estero, rientrava appunto, allora come oggi, quello di operare una accurata rassegna della pubblicistica locale avendo ad essa il primo e più immediato accesso. L'argomento era di estremo interesse ed attualità, in quanto proprio da pochi anni si era cominciato a prendere in esame la possibilità offensiva di aviolanci in massa, per i quali v'era stata in proposito un'efficace dimostrazione da parte deJl'Armata Rossa durante le grandi manovre in Ucraina nel 1934-1935, e ad iniziare dal 1936 avevano iniziato ad interessarsi del problema proprio la Francia, con il supporto di istruttori brevettati in Russia, e la Germania che aveva seguito anch'essa con grande attenzione gli esperimenti sovietici. Anche gli aspetti del trasporto aereo di consistenti aliquote di truppe destinate ad operare dopo l'atterraggio dei velivoli erano in fase di sviluppo, in relazione alla concomitante evoluzione della componente aeronautica, lasciando intravedere vasti orizzonti ed ampie possibilità di impiego. L'articolo pubblicalo sull'autorevole rivista militare francese, dopo aver messo in evidenza una caratteristica comune fra paracadutisti e truppe aviotrasportate, e cioè quella di costituire una «fanteria dell'aria» che utilizzava l'aereo come mezzo di trasporto e che combatteva a terra dopo essere stata aerotrasportata, sottolineava come la modalità con la quale gli uni e le altre raggiungevano il suolo dava luogo ad una differenza ne11e loro possibilità operative: i primi, infatti, potevano prendere terra in tutte le circostanze in dipendenza del fatto che abbandonavano i velivoli durante il volo, mentre le unità aviotrasportate non potevano raggiungere i loro obiettivi se non al verificarsi di determinate condizioni. Seguiva un'analitica disamina dei compiti che potevano essere assolti dalle due categorie, al termine della quale venivano esposti i principi ed i procedimenti atti alla difesa contro tale nuova insidia, differenziando gli aspetti relativi alla difesa aerea da quelli concernenti la difesa terrestre ed operando un'ulteriore suddivisione, per quest'ultima, tra «difesa fissa» e «difesa mobile» (73).
(73) AUSSME, H3-35, senza indicazione di prot., datata Roma, ottohre 1939, Ministero della Guerra, Comando del Corpo di Stato Maggiore - S.I.M., senza indicazione di destinatario e di firma.
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Un sensibile contributo doveva essere stato fornito dall'ufficio de]l' addetto militare anche ai fini della compilazione di uno «Studio di offensiva francese a]la frontiera alpina», prodotto ne] 1939 dall'Ufficio Operazioni I dello Stato Maggiore Esercito sulla base di una documentazione operativa francese fornita dal S.T.M. alla cui acquisizione non era certamente 1imasto estraneo il nostro rappresentante militare a Parigi. Lo studio era di grande importanza in quanto si trattava del primo documento del genere giunto in possesso dello Stato Maggiore italiano, e rilevava il piano della manovra offensiva che i francesi intendevano sviluppare contro di noi. Questa, nella loro valutazione, avrebbe potuto essere tentata solo qualora si fossero realizzate adeguate condizioni generali e particolari. Fra le prime, l' immobilizzazione di una parte considerevo]e delle forze tedesche nell'Europa centrale, il rispetto della neutralità della Svizzera e del Belgio da parte di Italia e Germania e l'assunzione di un atteggiamenlo nettamente difensivo a1 fronte Nord-Est. In ultima analisi, l' offensiva sulle Alpi era da considerarsi come un'operazione richiedente molto tempo, prolungata libertà d'azione e la messa in opera di una forte superiorità di mezzi; d'altra parte, considerando che alle altre frontiere francesi stavano sorgendo poderosi sistemi difensivi, l' offensiva nelle Alpi si imponeva come la meno onerosa e la sola possibile. TI piano trovava un presupposto in una memoria compilata nel 1937 sul sistema difensivo italiano alla frontiera alpina, che concludeva per una protezione debole e variabile da un settore ad un altro ed alle cui carenze si suppliva con la dispersione sul terreno degli organi di fuoco, nonché per una globale scarsezza di dotazioni. Il progetto offensivo francese era stato oggetto di una serie di considerazioni attraverso le quali i presupposti operativi della contropa1tc erano sottoposti ad un'analisi critica che concludeva per un'impostazione piuttosto ottimistica circa Jo sviluppo della battaglia, in netto contrasto con il valore attribuito dallo stato maggiore francese a11e sistemazioni difensive italiane e con le possibilità delle forze prese in esame per l'azione offensiva a confronto con quelle accreditate ai clifensori (74).
(74) AUSSME, H3-61, senza indicazione di prot., datata 1939, da Stato Maggiore R. Esercito - Uff. Opr. I, senza indicazione di destinatario e firma.
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Trattore comz.z.alo Renault li.E. per trasporto muniz.ioui in sperimentazione presso f'eserci/u fraru:e.w:
Il gen. Guglielmo Na s i, wldello militare in Francia dal 1924 al 1928
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Canv leiiew.fiuncese Renauft mod. 1935 muniw di cannone da 37 mm.
Il col. Emanuele Beraudo di Pralormo. addetto militare in Francia ( 1928-1933)
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Pmtolipo ji-ancese mod. Lorraine di trasporto blindato per truppe
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Capitolo IX LA GERMANIA
1. Una pace preludio di guerra In senso strettamente tecnico, quella di Versailles fu una Conferenza nella quale vennero predisposti alcuni trattati dei quali uno solo, in effetti, ne portò il nome, que11o l'innato il 28 giugno 1919 fra le nazioni dell'Tntesa e la Germania (1), che d'altra parte costituiva il nemico più importante e le cui spoglie attraevano con maggiore immediatezza i vincitori, reali od apparenti che fossero . Se per gli Stati vinti, infatti, si profilava la strada della disgregazione politica e socio-economica, aggravata da11e richieste di riparazioni economiche fuori di ogni logica possibilità di esaudimento, quelli dell'intesa si trovavano a dover gestire una vittoria più formale che sostanziale avendo intrapreso la guerra con intendimenti diversi, e cominciavano a presentare al proprio interno gli stessi sintomi di sfaldamento sociale e di crisi economica. Per quanto riguardava la Germania, sul piano storico Versailles la umiliò senza poterle togliere quell'energia intcllettuaJe e militare, la vis durans di Tacito, che ne faceva in modo naturale la prima nazione d'Europa. Anzi, gliela accentuò, dal momento che, smembrando una struttura imperiale articolata su varie sovranità, assicurò al Reich sconfitto quell'unitario anelito revanchista che forse neanche un Bismarck (2) vittorioso sarehhe riuscito ad attivare. (I) Gli altri trattati di pace con i diversi Stali belligeranti furono i seguenti: di Saint Gennain con l'Austria ( 10.9. I 919), del Trianon con l' Ungheria (4.6. 1920), di Neuilly con la Bulgaria (27. 11.191 9), di Scvres con la Turchia (10.8.1920). Quest' ultimo non divenne mai operante e fu sostituito dal traltato di Losanna del 1923. I tedeschi erano soliti riferirsi al gruppo originario dei trallali con il termine spregiativo di Vorortsvertriige («trallati di periferia», dalle località nelle quali ern avvenuta la loro finna). (2) Oltone Bismarck ( 181 8-1 898), statista, il maggior artefice dell'unità gcnnanica e delle basi della potenza prussiana. Svolse la propria allività politica per oltre 40 anni e sollo 4 monarchi (Federico Guglielmo IV, Guglielmo I, Federico lii e Guglielmo II), ricoprendo incarichi diplomatici e di governo cd imponendo la supremazia della Pmssia sugli altri Stati germanici. Il suo talento politico lo portò, dopo la vittoriosa guerra contro la Francia del 1870 e la successiva annessione dell'Alsazia-Lorena, alla proclamazione dell'impero Germanico del quale fu nominalo Gran Cancelliere. Avviò anche la Germania ad una politica navale e coloniale, e nel 1882 patrocinò la creazione della Triplice Alleanza con l'Austria e l'Italia.
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Il principio dell'autodeterminazione, così generosamente appl icato in favore degli slavi, non ebbe corso quando si trattò dei tedeschi. L'Austria, zattera alla deriva nel naufragio delle dinastie, procl amò nel proprio parlamento l'unione alla Germania alla quale però i vincitori si opposero. L' Ungheria fu smembrata, 3/5 del suo territorio e 2/3 della popolazione distribuiti fra Jugoslavia, Romania e Cecoslovacchia. Quest'ultima, il più recente parto della diplomazia francese, vide aggiungersi ai 7 milioni di boemi, non sufficienti a garantire una minaccia stabile nei confronti della Germania, 2 milioni di slovacchi (slavi sì, ma totalmente stranieri ai céchi) più 450.000 ruteni ed oltre 3 milioni di tedeschi. Da parte della Francia, non paga del recupero dell'Alsazia-Lorena, l'appetito sempre nutrito per i territori della riva sinistra del Reno l' aveva indotta a promuovere in Renania lo sviluppo di un movimento separatista tale da rendere possibile la creazione di uno Statocuscinetto fra essa e la Germania; una volta costretta a cedere sotto le pressioni anglo-americane, la Francia subì con riluttanza quello che riteneva un insoddisfacente compromesso, in base al quale In Renania rimaneva tedesca ma le due rive del Reno sarebbero state permanentemente smilitarizzate in modo che la Germania non avesse il diritto di stanziarvi truppe o costruirvi fortificazioni, mentre la Francia aveva il privilegio di sfruttare le ricche miniere di carbone del bacino della Saar per un periodo di 15 anni, trascorso il quale questa regione (amministrata nel frattempo da un organismo particolare e provvisorio in nome della Lega delle Nazioni) avrebbe deciso circa il proprio futuro in base ad un plebiscito popolare, il che avvenne infatti nel 1935 con il ritorno della regione sotto la sovranità tedesca. La creazione di uno Stato repubblicano polacco con funzione antitedesca ed antirussa , mentre condusse quest'ultimo Paese a dòver accettare (con la pace di Riga del 1921 facente seguito alla sconfitta nella guerra contro la Polonia dell' anno precedente) una linea di confine spostata di molto verso Est che inglobava nel nuovo Stato forti minoranze ucraine e bielorusse, costrinse anche la Germania a cedere la Posnania, l'Alta Slesia ed il cosiddetto «corridoio» di Danzica, ritagliato nella Prussia orientale per assicurare ai polacchi uno sbocco sul Mar Baltico a Gdynia, nei pressi de11a stessa Danzica creata «città libera» senza tener conto che, se nelle campagne circostanti v'era una maggioranza (anche se non assoluta) di polacchi, l'agglomerato urbano era invece di popolazione e cultura prevalentemente tedesca. Ricreare uno Stato polac218
co entro confini vitali era impossibile senza lasciare una minoranza tedesca dalla parte sbagliala della frontiera e senza inserire un cuneo geografico fra territori indiscutibilmente germanici. La soluzione di Danzica «città libera» sotto g1i auspici della Società de11e Nazioni, inoltre, scontentò congiuntamente tedeschi e polacchi ed aJTecò danno alla stessa Danzica, in quanto la Po1onia dette impulso al porto di Gdynia su11'altro lato del golfo sottraendole così buona parte del traffico commerciale. Ma soprattullo 1a questione del «corridoio» innescò un risentimento nell'animo dei tedeschi che il trascorrere del tempo avrebbe reso sempre più profondo. La nascita di uno Stato sovrano polacco, così come quella di nuove compagini statali sorle nell'Europa centrale e balcanica daJla dissoluzione dell'impero asburgico (per non poche delle quali lo sviluppo o la trasformazione erano antecedenti alla Conferenza di Versailles), avrebbe dovuto cosliluire per la Francia una sorta di sbarramento orientale tale da garantire 1a sua artificiale supremazia europea nei confronti di una Germania dalla quale, nel confronto alla pari, era stata battuta due volte in mezzo secolo (a Lipsia nel 1813 ed a Sédan nel 1870). Un'altra delle cause che alimentarono lo spirito revanchista tedesco fu certamente rappresentato dal problema delle «riparazioni» di guerra, i cui riflessi mora1i erano non meno ampi ed importanti di quelh finanziari. Sul fatto che la Germania dovesse in qualche modo risarcire i danni provocati in Be1gio ed in Francia non v'era chi non fosse disposto a riconoscerlo, ivi compreso il ministro degli esteri tedesco Rathenau (3); il problema nasceva sull'ammontare del risarcimento, e che non venne stabi1ito in sede di Conferenza ma lasciato da definire nelle lunghe trattative susseguenti conc1usesi nel 1921 con una cifra ingentissima (si parfa, in alcune fonti, di 212 miliardi di franchi-oro), tale da mettere i1 Paese in condizioni di indebitamento perenne cedendo indefinitamente tutto ciò che aveva e produceva. 'In aggiunta, e qui venivano fuori 1e implicazioni mora1i , per fornire una base giuridica alla
(3) Walther Rathenau ( 1868-1922), ebreo, ingegnere elettronico, industriale e finanziere, presidente dell' AEG, teorico sociale, direttore dell' «Ufficio per le materie prime di guerra» durante il 1° conflitto mondiale, nel 1921 ministro della ricostrnzione e poi degli esteri nella repubblica di Weimar, firmatario l'anno successivo con la Russia del traltalo di Rapallo su base economica. Fu ucciso a Berlino il 24.6.1922 da estremisti nazionalisti, in odio a quella che rilenevano una politica tendente a consegnare la Gennania ai bolscevichi.
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C'ARTTNA N. 5 - La Prussia Orientale. Nel riquadro, Danzica e la sua baia (da Atlante Internazionale TC.l. , edizione J'J27)
richiesta di riparazioni, si inserì nel trattato di pace la famosa clausola sulla «colpa della guerra» in forza della quale i tedeschi furono obbligati a riconoscere cd a sottoscrivere che della sola Germania era stata la responsabilità di aver scatenato il conflitto, e ad ammettere che le perdite ed i danni per i quali si esigevano le riparazioni economiche erano l'effetto di una guerra «imposta» dalla Germania. Non solo la clausola non operava distinzioni fra il 220
governo del Kaiser e quello della nuova repubblica, sul quale veniva disinvoltamente addossata ogni responsabilità del precedessore, ma costituiva l'insinuante ed arbitrario assunto che sulla Germania dovesse pesare un'onta dalla quale i suoi avversari venivano a risultare implicitamente affrancati. Si tenga conto, in aggiunta, che durante le trattative fra i vincitori e vinti la delegazione di questi ultimi fu praticamente tenuta agli arresti domiciliari, senza alcuna possibilità di discutere le condizioni di pace con i rappresentanti della controparte ma al massimo solo commentarle per iscritto. Questo fu uno degli aspetti, insieme alla richiesta della consegna di quasi un migliaio cli persone (aJcune delle quali considerate unanimamente eroi nazionali) da sottoporre a giudizio come «criminali di guerra» (4), che fornì alla maggioranza dei tedeschi un valido e solido argomento per vedere in quel trattato di pace solo un Diktat imposto con il sopruso, identificando nella Francia la massima responsabile di tale prassi fraudolenta. Clemenceau, che ne era stato il principale patrocinatore, non sì rendeva conto di tenere così a battesimo quell'anelito di rivalsa soprattutto mora1e che avrebbe trovato nel movimento nazionalsocialista hitleriano l'interprete più immediato e benaccetto. La seconda guerra mondiale era così inscritta nelle conseguenze della prima. Oswald Spengler ru tra i pochi, e ce1tamcntc il primo, a comprendere come da allora in poi Oriente ed Occidente sarebbero stati i soli termini provvisti di un contenuto storico, ed il concetto di guerra civile europea fu presente ai suoi occhi mentre scriveva ll tramonto dell'Occidente: l'umiliazione e la distrnzione dell'impero tedesco, con tutto il grande patrimonio culturale, umanistico, artistico e scientifico che aveva connotato l'età moderna, avrebbero portato l'Europa alla perdita del proprio spazio storico durato 900 anni ed avrebbero segnato l'inizio del suo decadimento (5).
(4) La prima lista fu resa nota ìl 3.2.1920, e comprendeva quasi tutti i maggiori esponenti della vita politica e militare tedesca durante la guerra. Pra essi, il principe ereditario e due suoi fratelli , 2 cx-cancellieri, 4 l'edmarescialli (tra i quali von Hindenhurg) e 5 generali (fra i quali Ludcndorfl), il grande ammiraglio von TiqJitz ed un altro ammiraglio, centinaia di ufficiali e sollufficiali di tulli i gradi (Cfr. Wheeler-Bennet J.W., «La nemesi del potere», Milano, Fcltrinclli, 1957, pag. 87). (5) Oswald Spcnglcr (1880-1936), filosofo della storia, autore dc «Il tramonto dell"Occidcntc», sua opera fondamentale pubblicata in 47 edizioni fra il 1918 ed il 1922 nella quale sosteneva l'esistenza di una pluralità di ci viltà che nascono, evolvono e muoiono attraverso vari stadi di sviluppo. Affermava in particolare la «missione storica» del popolo tedesco per esercitare sul mondo on:idcntalc la propria funzione unificatrice ed instauratrice di un nuovo «impero», l'ultimo stadio ddla Zivilisation occidentale sino
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2. L'avvio della repubblica di Weimar Un periodo complesso, questo del rinnovamento politico ed istituzionale della Gennania, e tale da far ritenere opportuna una sintesi in grado di rendere più agevole la lettura delle informazioni delle nostre fonti militari. La nuova forma repubblicana dello Stato tedesco, proclamata il 9 novembre 1918 dopo l'abdicazione dcli' imperatore Guglielmo TI e denominata poi «di Weimar» dalla capitale della Turingia dove si tennero nel gennaio successivo le elezioni per l'Assemblea Costituente, non ebbe sin dall'inizio vita facile. Contemporaneamente alla sua proclamazione, a somiglianza di quanto era accaduto in Russia un anno prima, erano sorti e moltiplicati nei centri urbani e nelle fabbriche i «Consigli» di operai e di soldati che furono per qualche settimana i veri detentori del potere, sia per la paralisi del vecchio apparato statale e sia per il non intervento dei capi militari impegnati nella smobilitazione delle truppe. La principale forza politica del momento era rappresentata dal partito socialdemocratico (SPD), il più organizzato partito del Reich già prima della guerra, dal quale però era stata espulsa sin dal 1917 una corrente minoritaria che aveva preso posizione per una pace fondata sull'autodeterminazione dei popoli e sull'arbitrato internazionale, e che aveva dato vita al partito socialdemocratico indipendente (USPD). Ad esso aveva aderito anche la Spartakushund («Lega di Spartaco»), un movimento che perseguiva un programma rivoluzionario ed internazionalista e che si sarebbe poi costituito in partito comunista tedesco. Mentre i socialdemocratici erano favorevoli ad una rapida normalizzazione che ponesse fine all'attività dei Consigli, la frazione indipendentista e gli «spartachisti» miravano a fare degli stessi i veri detentori di un potere proletario e socialrivoluzionario. Lo scontro fra le due parti non tardò a radicalizzarsi ed a trasformarsi in una lotta annata, culminata nella seconda decade di gennai o 1919 in un' i ilsurrezione attivata dalla Lega di Spartaco, che ebbe peraltro scarso seguito fra le masse operaie ed anche per questo fu rapidamente soffocata con
a quando anch'esso non fosse stato distrutto da nuovi popoli «vergini» capaci di esprimere una nuova Kultur. Spengler, nella sua concezione ciclica della storia universale, operava infaui una netta distinzione fa Kultur («civiltà») e Zivilisation («civilizzazione»), in base alla quale quest'ultima si realizzava quando un ciclo superava il proprio apice ed entrava, quindi, nella fase di decadenza.
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l'impiego, da parte dei dirigenti dell' SPD al governo, di unità regolari dell'esercito e di «Corpi Franchi» (6). Durante la repressione, estesasi poi rapidamente a tutta la Germania, furono uccisi i due esponenti spartachisti Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht (7). Le elezioni per la Costituente svoltesi a Weimar pochi giorni dopo videro un largo successo dei socialdemocratici «storici» (37 ,9%) nei confronti di quelli indipendentisti (7,6%) senza che però la sinistra di orientamento socialista ottenesse la maggioranza assoluta; per governare, fu quindi costretta a cercare l'appoggio di altre forze politiche, il Centro (il tradizionale partito cattolico interclassista, diffuso specie tra i ceti medi rurali delle zone meridionali, 19,7%) ed il Pat1ito Democratico (18,6%) una nuova formazione di matrice laica e liberal-democratica. In virtù dell'accordo di queste tre formazioni fu possibile nominare presidente provvisorio della repubblica il socialdemocratico Ebert (8) ed un suo compagno di partito, Scheidemann (9), quale cancelliere e capo di un governo di coalizione. La destra era rappresentata dal partito nazionale popolare tedesco (DNVP, I 0,3% ), punto di riferimento dei gruppi conservatori industriali ed agrari, e dal partito popolare tedesco (DVP, 4,4%), erede dei naziona1iberali e con una forte componente monarchica, il cui leader era Gustav Stresemann (10).
(6) I Freikorps (o Freiwillingenkorps) erano «corpi franchi» formati da volontari nazionalisti m1imati da una profonda avversione verso il comunismo, sorti dalle ceneri della sconfitta del 1918 per difendere l'integrità nazionale contro i tentativi insurrezionaJi dei «rossi» e per salvaguardare i confini orientali della Germania. Vi erano confluiti ufficiali e sottufficiali di carriera, studenti, giovani insofferenti della vita borghese, uomini di varia estrazione sociale emarginali ed esclusi dal gioco delle classi. (7) Rosa Luxemburg ( 1870- 19 19), nativa della Polonia russa, propagandista del.la s inistra rivoluzionaria e. fondatrice con Licbknecht della «Lega di Spartaco»; Karl Liebknecht (1871-1919), figlio di Wilhelm (uno dei fondatori dell ' SPD), deputato soc ialista al Reichstag, condannalo per allo tradimento nel 1916. (8) Friedrich Eberl (1871 -1925), uomo politico socialdemocratico, ultimo cancelli ere della Germania imperiale, presidente dell'Assemblea Nazionale del febbraio 1919 al marzo 1920 e primo presidente della repubblica tedesca dal marzo 1920 al febbraio 1925. (9) Philip Scheidemann (1856-1939), uomo politico socialdemocratico, primo cancelli ere della repubblica di Weimar dal 13.12.1919 al giugno dello stesso anno, allorché il suo gabinetto si dimise in segno di protesta per le condizioni di pace imposte dagli alleati. Fece parte del Reichstag sino al 1930; poi, proscritto dai nazional socialisti nel 1933, si rifugiò in Danimarca. ( 1O) Gustav Stresemann (1878-I 929), statista tedesco di impronta lil1erale, cancelliere nel 1923 e poi ministro degli esteri. Favorì un ' intesa con Stati Uniti, Francia ed Inghilterra, patrocinò il patto di Locarno, avviò l'ingresso della Germania nella Società delle Nazioni e lo sgombero della Romania. Nel 1929 fu insignito del premio Nobel per la pace con lo stalisla francese Aristide Briand.
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La costituzione di Weimar, secondo 1'analisi di Della Peruta, costituiva l'esempio più rivelanle di quei testi costituzionali «razionalizzati» che cercavano di dare un assetto scientifico alle istituzioni dei nuovi Stati usciti dal conflitto o di quelli rifondati , come la Germania e l'Austria. In quanto tale, essa fu il risultato non tanto della tradizione politica socialdemocralica quanto della cultura giuridica liberaldemocratica e cattolica. Solto il profilo più immediatamente politico, la Coslituzione in questione appariva anche come il prodotto di un compromesso fra le forze prevalenti ncll 'Assemblea Costituente ed i grandi corpi separati dello Stato quali la burocrazia, la grande proprietà industriale ed agraria e l' esercito. Ma, al di là della perfezione dei suoi meccanismi giuridici, la costituzione promulgata a Weimar 1' 11 agosto 1919 non aveva salde radici nel contesto sociale dal momento che , eccezion fatta per la convinta adesione del partito socialdemocratico, la maggior parte delle altre formazioni politiche ne aveva accettato i contenuti democratici non tanto per reale convinzione quanto per opportunità, come momentanea alternativa al bolscevismo. Appropriato, in questo senso, l'appellativo storiografico di «una repubblica senza repubblicani» attribuito alla repubblica di Weimar (11 ). Nel 1919 operava a Bcr1ino una Missione Militare italiana, nel quadro della multiforme attività della Conferenza della Pace che aveva comportato l'invio a11'estero di numerosi ufficiali con le funzioni di addetti militari, di coJlegamento presso gli alti comandi delle forze armale dell'Intesa e di rappresentanti dell'Italia nelle varie commissioni interalleate di controllo. Le missioni militari erano inviate a tempo determinato per esigenze straordinarie di politica estera, avevano istituzionalmente le stesse funzioni degli addetti militari laddove questi non erano previsti ed erano regolamentate da11e stesse norme, pur godendo di ampie prerogative e di una maggiore autonomia nei confronti del rappresentante diplomatico previamente concordata fra i dicasteri degli esteri e de11a guern1. La Missione Militare italiana a Berlino era diretta del brigadiere generalc(l 2)
( 11) Della Pernta F., «Storia del Novecento», Firenze, Le Monnier, 199 1, pagg. 78-79. ( 12) I gradi di generale allora in vigore nell'esercito erano i seguenti, in senso ascendente: brigadiere generale, maggior generale, te nente generale e generale d ' armata. L'ordin amento Bonomi del 20.4.1920 li avrehhe distinti come segue: generale di brigata, generale di divisione, generale di corpo d'armata. Restò immutato il grado di generale d' esercito, spettante a che avesse comandato un'armata i.n guerra, che sarebbe stato sostituito nel 1925 da quello di Maresciallo d'Italia.
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Roberto Bencivenga (ufficiale d'artiglieria, già comandante delle brigate Casale ed Aosta durante la guerra, critico militare ed efficace scrittore autore, tra il 1930 ed il 1932, dei 5 volumi del Saggio critico sulla nostra guerra), ed una sua relazione datata 31 marzo 1919, custodita presso l'archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito, contiene interessanti notizie di caratter militare ed ancor più politico, frutto dei rapporti rimessi al Capo Missione dai varì ufficiali inviati in diverse città della Germania o, come nel caso Monaco di Baviera, ivi residenti. Essa può essere considerata emblematica del1' attività informativa svolta dalla Missione. Un primo rapporto, redatto dallo stesso Bencivenga, era riferito alle questioni politico-sociali. Dopo aver premesso che, sino ad allora, i problemi sociali, economici e nazionali erano restati circoscritti a loro stessi, quasi come macchia di colore in un quadro nel quale assai tenue era il disegno, ora invece si stava determinando nel Paese uno stato di cose per il quale questione economica, questione sociale e questione nazionale tendevano ad orientarsi verso un ordine di idee comune la cui conseguenza pratica sarebbe stata quella di stringere amicizia, se non addirittura alleanza, con la Russia, estendendo anzi questa amicizia od alleanza nell'ambito slavo così da formare un blocco tedesco-slavo contro latini cd anglosassoni. «Per ora è bene avvertire che si tratta di sintomi più che di fenomeni reali; ma per chi conosce il modo con il quale sorge e matura il pensiero in questa gente alemanna, anche i sintomi delle nuove correnti di pensiero non debbono essere trascurati. Tanto più che questo orientamento di idee fa capo ad un'idea principale e cioè quella di una grande Germania, o per lo meno di una Germania né calpestata né mutilata, idea attorno alla quale, sia pure con qualche leggera variante, sono uniti tutti i partiti ( f?li indipendenti, ad esempio, si sono schierati apertamente contro la cessione di Danzica). Una parte almeno del popolo tedesco si era dapprima illusa che, avvenuta La rivoluzione, gli alleati non avrebbero imposto quelle gravi condizioni di pace che avrebbero imposto invece al vecchio regime militarista; caduta questa illusione e cominciata una grande propaganda di stampa e di governo, in molte classi sta sorgendo un sentimento di odio contro l'Intesa che, insieme ad altri fattori, produce l'assopimento attuale delle manifestazioni sociali e per contrasto esalta il sentimento nazionale, la tendenza a salvare quanto è possibile dell'impero e l'idea, se L'opportunità si presentasse, di annullare anche gli e.ffetti della vittoria dell'Intesa. Il sentimento nazionale, che sarebbe rimasto platonico e limita225
to qualora non avesse avuto la visione di qualcosa su cui appof?giarsi per il raggiungimento di un risultato pratico, deve invece lo sviluppo e rigoglio attuale al fatto che questa visione si sta ormai delineando; e tale visione, per quanto ancora vaga, è costituita dalla possibilità di agire contro l'Intesa, allo stesso modo del!' Ungheria, ossia d'accordo con i russi». L'accenno all'Ungheria era in riferimento alla situazione verificatasi in quel Paese dopo la fine della guerra. Anche in esso nel novembre 1918 era stata proclamata la repubblica, e la sua superfice era stata diminuita ad 1/3 di quella della Translaitania (13) in quanto le potenze vincitrici si erano mostrate inclini a favorire le pretese degli Stati confinanti vecchi e nuovi. L'Ungheria fu infatti · costretta a cedere la Transilvania a11a Romania, la Slovacchia e parte della Rutenia alla nuova repubblica della Cecoslovacchia (comprendente anche la Boemia, la Slovacchia ed i Sudeti) e la Croazia e la Slavonia al regno di Jugoslavia, costituito dall' aggregazione al vecchio Stato serbo sia del Montenegro che dei territori ex-austriaci della Croazia, della Bosnia-Erzegovina, della Dalmazia e della Carniola. La conseguenza negativa di una siffatta situazione fu che 3 milioni di magiari passarono sotto il dominio di altri Paesi. Nel 1919, pertanto, aveva preso vita in Ungheria una repubblica modellata sull'esperienza sovietica guidata dai comunisti di Béla Kun (14) e dai socialdemocratici unificatasi in un solo partito, che aveva nazionalizzato le industrie cd avviato una radicale riforma agraria espropiando i latifondisti. ConcJudevano il documento alcune notizie di carattere militare. Si stavano attuando i primi provvedimenti per costituire le brigate mi ste della Reichswerhr (15), ed il contegno dei soldati ed il modo presentarsi
(13) Vecchio nome con il quale , dal corso della Leitha (affluente di destra del Danubio dividente per un breve lrallo l'Austria dairUngheria), si designavano i paesi della corona d'Ungheria, situali ad Est di tale fiume, per di stinguerli da quelli dell'ex corona d' Austria situati ad Ovest (Cislaitania). (14) Bèla Kun (1886-1939), ebreo ungherese, capeggiò con Alessandro Garbai il movimento rivoluzionario che il 22.3.1919 instaurò per alcuni mes i in Ungheria un regime comunista. Dopo la conlrovoluzionc guidata dal· capo del partilo monarchico amm. Horty e sostenuta dall'esercito romeno, riparò in Russia dove svolse un' intensa attività propagandistica nei Paesi dell'Europa centrale. Venne poi accusato di cospirazione contro Stalin e fucilato. (15) Reù:hswehr, letteralmente e tecnicamente, indicava le fon:e armale del Rcich comprendenti sia l'esercilO che la marina, mentre per il solo e sercito si parlava di Reichheer; nel linguaggio corrente, comunque, sia verbale che serino, il primo dei due termini sarebbe stato sempre adoperato anche per riferirsi alla sola forza armata tc1Testre.
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dei reparti presentava indubbi segni di miglioramento. Il governo si mostrava deciso nello sbarazzarsi di elementi militarmente infidi: di recente aveva stabilito che la norma di espellere dalle caserme quei soldati smobjlitati che rimanevano volontariamente privi di lavoro pur potendolo trovare fosse estesa anche a quelli di loro che facevano parte dei Consigli militari. Un altro fatto citato ad esempio del risveglio patriottico e militare era che gli studenti dell'università di Erlangen avevano dichiarato chiusa, con il consenso dei professori, la ]oro sede e si erano arruolati per combattere il bolscevismo, richiedendo al governo analogo provvedimento per tutte le università e l'arruolamento in massa degli studenti. Si dava altresì notizia della presentazioni ali ' Assemblea Nazionale di Weimar di un progetto di legge per la costituzione di una Reichsmarine provvisoria, riproduzione esatta per la forza armata navale di quello che era il progetto di legge per la Reichswehr; quale capo dell'ammiragliato, era stato designato il contrammiraglio von Trotha ( 16), del quale si forniva un profilo professionale (1 7).
Al rapporto era inoltre allegato uno specifico resoconto sull'organizzazione del sistema dei Consigli, sulla loro nascita ed evoluzione e sulle tendenze che si manifestavano al momento, un'analisi importante perché permetteva di valutare l'entità delle forze dei partiti estremisti. Per quanto concerneva la loro origine, Bencivenga affermava come fosse difficile stabilirne le esatte modalità: «Alcuni li dicono frutto dei ricordi della prima rivoluzione russa del 1905, ricordi messi in valore dalla rivoluzione del 1917. Altri invece ritengono che essi siano un 'imitazione delle corporazioni operaie preesistenti in Germania, nelle quali però il proletariato, sin dal primo momento della rivoluzione tedesca, non volle ammettere le rappresentanze degli interessi borghesi, dei proprietari e degli imprenditori. Ciò che sembra stabilito da rapporti della polizia tedesca, è che fin dalla primavera del 1917 in alcuni reparti di truppe ed in alcu-
(16) Adolf von Trotha, ammiraglio tedesco, capo di stato maggiore della flotta d'alto mare nella I a guerra mondiale e capo del Comando della marina (Ma rin.eleitung ) nel primo periodo della repubblica di Weimar; fra la fine degli anni Venti e l'inizio degli anni Trenta fu presidente delle Associazioni Giovanili Tedesche . (17) AUSSME, F3-205/4, prot. 64 del 31.3.1919, da Miss. Mii. lt. Berlino a Comando Supremo, Ministero Esteri e Deleg. lt. Pace, fio. gen. Bencivenga.
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ne fabbriche erano già stati designati individui che dovevano essere i consiglieri dei futuri Consigli di soldati ed operai. Come pure risulta, da varie fònti che appunto in tale epoca si stava già svolgendo un'intesa propaganda socialista che procedeva, a mezza di individui scelti, a "lavorare" i reparti di truppe e le corporazioni delle fabbriche proseguendo successivamente, a scopo raggiunto, in altri reparti ed in altre corporazioni. Ed all'inizio della rivoluzione di novembre, reparti di truppe e riunioni di operai di fabbriche ed industrie elessero od inviarono i loro rappresentanti in Consigli di reparti, di fabbriche e di industrie, e questi Consigli, che potrebbero essere definiti Consigli elementari, inviarono delegati nei Consigli delle città. In media, fu inviato un delegato per Of?ni 1.000 operai; le industrie che ne comprendevano meno, si riunirono per avere il loro delegato. Ed ogni città ebbe il proprio Consiglio. Questi, dapprima, furono di soldati ed operai; poi, in Baviera ed in qualche cittadina prussiana, furono rappresentati anche i contadini; ora, senza che vi sia nulla di orf?anicamente stabilito, per e_ffetto del congedamento i soldati sono quasi scomparsi nelle riunioni dei Consigli, e rimangono invece a far parte dei Consigli Militari dei reparti con.funzioni circoscritte a tale ambito» (18) . Alla relazione del Capo Missione facevano seguito i rapporti degli altri ufficiali. 11 primo di essi era stato compilato dal cap. Santo Marzorati, distaccato in forma permanente a Monaco di Baviera, ed offriva uno spaccato piuttosto rea1istico della situazione socio-economica locale. Particolarmente critica risultava la situazione a1imentare, avviata verso una vera e propria denutrizione, a proposito della quale il compilatore riferiva di aver partecipalo, naturalmente sotto mentite spoglie, alla distribuzione de1 pasto agli operai presso una cucina municipale dove, per 50 pfennig, veniva data una brodag1ia di patate con qualche fagiolo estremamente repellente a1 gusto. Sotto l'aspetto politico, a livello locale era in atto una notevole confusione di poteri ed un continuo avvicendarsi di nuovi personaggi negli uffici e nei ministeri, con attribuzione delle cariche il più de11e volte a persone incompetenti, prive di senso civico e di scrupoli e scelte su base clientelare. A livello generale, il ma1contento contro le nazioni dell'Intesa si accentuava ogni giorno di più, specialmente verso la Francia nei
( 18) Allegato n. 1 al foglio di cui alla nota 17.
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cui confronti si poteva parlare di vero e proprio odio. In ogni ceto e presso ogni classe, era viva la tensione nell'attesa di conoscere 1e condizioni di pace, de11e quali si deplorava energicamente i1 ritardo, ed era pa1pabile un diffuso sentimento di predisposizione alla reazione presentendone la loro probabi1e durezza: si parlava apertamente di provocare un'insurrezione popolare armata, non con l'intento di prendere una rivincita a11a quale nessuno pensava ma con lo scopo di dar 1uogo ad una forma di guerra popolare foriera di disordine e ta1e da far propagare il bolscevismo soprattutto in Francia. In ciò si trovavano d'accordo borghesia e c1asse operaia, ed i1 cap. Marzorati citava la frase di un operaio alla fine di una riunione nella quale egli era riuscito ad infiltrarsi: «60 milioni di
uomini non si soffocano: meglio bolscevichi che schiavi e spregevoli a noi slessi». Sotto questo punto di vista, una partico1are attenzione era rivolta ai contemporanei avvenimenti in Ungheria. Di contro, si dava per certo come si fosse costituito a Monaco ed in altre zone della Baviera un vero e proprio esercito di circa 3.000 ufficiali ed oltre 6.000 studenti, ben fomiti di armi e munizioni, che non risu1tava effettuassero esercitazioni trattandosi di elementi in gran parte reduci dal fronte o tuttora sotto le armi. IJ contingente era a disposizione di un movimento controrivoluzionario, che riscuteva la massima adesione soprattutto nelle campagne, i1 cui scopo non sarebbe stato quello di riportare al potere il passato regime, ormai scomparso, ma di abbattere quello attuale, definito «dei pazzi», per dar vita ad un governo energico che instaurasse finalmente l'ordine e la disciplina (19). Un altro rapporto era quel1o redatto dal tenente Malusardi, inviato come osservatore a Dresda. TI clima politico di questa città sembrava meno incline a tendenze rivoluzionarie, mentre sia da parte della stampa che presso l'opinione pubblica era in allo un risveglio della coscienza nazionale e dell'antico spirito patriottico germanico. Per quanto iiguardava la parte militare, 1'osservatore iibadiva i segni di miglioramento già messi in evidenza dal gen. Bencivenga, aggiungendo che la disciplina e 1' ordine manifestati dalle truppe di stanza a Dresda erano ancora maggioii di quelli di Berlino. Non si vedeva in giro nessun militare, smobilitato o no, che si abbassasse a compiere i più umili servizi, e solo pochi gruppi di smobilitati prestavano la loro opera a carattere permanente come lavoranti nelle stazioni ed in qual-
(19) Allegato n. 2 al foglio di cui alla nota 17.
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che stabilimento. Nelle caserme si notava un regolare svolgimento dei vari servizi, ed in particolare il cambio della guardia era compiuto con la ben nota rigidezza formale germanica, Gli edifici militari, que1li pubblici di maggior rilievo, ponti, stazioni ed altri punti sensibili erano vigilati permanentemente da corpi di guardia, mentre grossi pattuglioni percorrevano la città non appena vi fosse sentore di qualche turbamento deI1'ordine pubblico. Gli ufficiali, un discreto numero dei qtJali aveva ricominciato a prestare servizio, si mostravano frequentemente in pubblico in uniforme, sia per la strada come nei locali pubblici, a teatro od a qualche hal1o. Non erano affatto malvisti e, sebbene ancora lontani dal]' aver riacquistato l'antico rispetto, erano per lo più trattati con deferenza; se pur poche volte ancora fatti segno al saluto degli inferiori, si rilevava già da parte di questi, specie in servizio, un notevole senso di rispetto e di obbedienza. Il morale delle truppe era abbastanza buono, soprattutto in virtù della discreta paga ricevuta e delle migliori condizioni di vitto e di vestiario nei confronti della popolazione civile. Ad ogni modo, anche a Dresda era in atto una trasformazione nel senso che andavano sciogliendosi le vecchie unità e si formavano reparti di volontari, al che non era estranea l'azione propagandistica svolta attraverso i giornali, i manifesti e le proiezioni cinematografiche. La necessità di disporre di un buon numero di truppe ben organizzate ed affidabili era sentita tanto dalJe autorità quanto dalla maggioranza de11a pubblica opinione, e tale esigenza andava sempre più facendosi strada nella coscienza stessa dei soldati; questo sentimento, concludeva il compilatore, se era principalmente dovuto all'apprensione per il pericolo bolscevico e la minaccia alle frontiere, non escludeva però che contribuisse ad accrescere notevolmente la coesione degli spiriti ed a ridestare l'eco del patriottismo germanico (20). La situazione politica nella parte centrale del Granducato di Essen veniva descritta, dal cap. Arrigo Pedrazzi inviato quale osservatore ne11' Assia, come formata da due correnti nettamente distinte. Una era quella operaia, favorevole di massima alle nazioni de11 ' lntesa, che faceva risalire per gran parte la durezza delle condizioni prospettate alla Germania al fatto che il pregresso regime tedesco era stato altrettanto duro nelle condizioni imposte alla Romania ed a11a Russia. L'altra era quella aristocratico-borghese, alla quale aderivano quasi tutti gli studenti, a tinta fortemente naiionalista ed in gran parte monarchiça, piena di rancore contro (20) Allegati n. 3 e 5 al foglio di çui alla nota 17.
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l'Intesa; mo1ti dei suoi aderenti si dicevano convinti che mai la Germania avrebbe firmato una pace disastrosa, e che piuttosto si sarebbe lasciata invadere . Grande sensibilità anche intorno aI1a questione dei possedimenti co1oniali (21), tenuta viva dag1i inteUetuali, la cui eventua1e sottrazione avrebbe determinato una protesta collettiva a11a Conferenza della Pace per la qua1e era già stata allestita una 1ista semiriservata di sottoscrizione (22).
3. La Reichswehr
n trattato di pace imposto alla Germania fu pesante, e data la globale impostazione non avrebbe potuto essere altrimenti anche per quanto riguardava 1e c1ausole di carattere militare, in base alle quali l' esercito tedesco non avrebbe potuto superare 1'organico di 100.000 uomini , non avrebbe potuto disporre di uno stato maggiore genera1e, sarebbe stata abolita la coscrizione, non sarebbe stato possibile l'impiego di aerei, cani armati e sommergibili, artiglieria pesante ed aggressivi chimici. Due mesi dopo 1a firma del trattato, il gen. Bencivenga aveva fornito alcune notizie su taluni aspetti de11a situazione militare tedesca che erano state oggetto di una sintesi da parte dell'Ufficio «E» del Reparto Operazioni del Comando Supremo: «La Germania si decide ad operare nel vecchio, superstite organismo dell'esercito alcune riduzioni e tra!}formazioni intese ad osservare formalmente il trattato di pace, contravvenendone però talora allo spirito. Lo scioglimento di molti ed importanti organi è in corso di esecuzione per ordine del Ministero della Guerra, ma vitalissime rimangono le vecchie tradizioni dell'esercito a mantenere le quali si adopera.no attivamente le società formate da ufficiali ed i partiti di destra. Al 1° ottobre il grande Stato Maggiore avrà cessato di esistere quale autorità suprema dell'antico esercito (21) I territori coloniali tedeschi furono poi in effetti spartiti, facendo talora ricorso all'istituto del mandato, tra l'Inghilterra (che ottenne l'Africa Orientale tedesca e si divise con la Francia il Togo ed il Camerun), l'Unione Sudafricana (alla quale andò l'Aftica Sud-Occidentale tedesca) ed il Belgio (che Iicevette il Ruanda-Urundi). Nel Pacifico ed in Estremo Oriente, il Giappone prese le isole Marshall, le Marianne e le Carolinc nonché la Concessione di Kiaochow in Cina, mentre l'isola di Samoa passò alla Nuova Zelanda e la parte tedesca della Nuova Guinea fu assegnata ali' Australia. Dalla divisione dell'ex impero coloniale tedesco restò invece esclusa l'Italia (Della Perula F., op. cit., pag. 36). (22) Allegato n. 4 al foglio di cui alla nota 17.
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germanico. Alcuni dei suoi reparti saranno disciolti (operazioni e stampa), altri invece saranno incorporati nelle amministrazioni civili (eserciti esteri, informazioni, ferrovie, topografico, ecc.), tendendo così ad eludere lo ,\pirito del trattato di pace. Da alcuni indizi sembra certo che il governo si propone di addivenire alla riduzione della Reichswehr. Da un discorso del Ministero della Guerra risulterebbe che l'esercito ha attualmente una forza complessiva di 400.000 uomini dei quali la metà alla frontiera orientale e metà all'interno. Tale forza, secondo gli intendimenti del governo, dovrà essere ridotta per il 1° ottobre a 250.000 uomini. Il gen. Bengivenga nota però che la c(fra citata di 400.000 uomini rappresenta probabilmente le sole forze della parte combattente dell'esercito. Sarebbero quindi esclusi dal computo gli enti territoriali e quelli in scioglimento del vecchio esercito, Le milizie organicamente costituite (Einwohnerwehr, Volkswehr) ed i reparti adibiti a servizi di pubblica sicurezza. Il gen. Bencivenga ritiene altresì che la concessione di mantenere sotto le armi la forza di 200.000 uomini sia inadeguata ai bisogni dell'ord;ne enterno. La Germania ha attualmente sotto le armi circa 34.000 ufficiali dei quali solo 4000 dovranno far parte della Reichswehr; gli altri 30.000 dovranno essere congedati e ben 10.000 di essi non hanno diritto a pensione. L'organo di stampa ufficioso del governo ha iniziato una campagna di stampa per dimostrare come un esercito volontario non è in armonia con i principi democratici, i quali impongono la costituzione di un esercito basato sulla coscrizione. Ciò appare sintomatico[. .. ]» (23). A Weimar l'Assemblea Costituente aveva dato alla Germania, oltre che un Rcich centralizzato, anche un esercito il quale, pur ridotto di numero, possedeva un'organizzazione ed un sistema di controllo più unificato di quel che non fossero stati nel Kaiserheer (esercito - heer - del Kaiser). Infatti, con la scomparsa della Baviera, della Sassonia e del Wiirtemberg come regni semiautonomi nell'ambito dell'impero, erano scomparsi anche i rispettivi ministri della guerra, stati maggiori e grandi unità. Per la prima volta nella sua storia, 1' esercito tedesco era organizzato su base unitaria permanente, diversa dall'organizzazione ad hoc realizzata ai tempi (23) AUSSME, F3-205/5, senza indicazione di prot. del 26.8.1919, da Comando Supremo, Reperto OPR-Uff. «E» a Ministero Guerra e Reparto 0.S. del Comando Supremo, f.to col. Grossi.
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dell'impero per scopi be11ici. La Reichswehr (difesa - wehr - del Reich) prese vita ufficialmente nell'autunno de1 1919. La legge per la sua organizzazione provvisoria era stata presentata all'Assemblea il precedente 25 febbraio, oggetto di severe critiche da parte di tutti i settori ma 1a cui approvazione fu grandemente facilitata da1 corso degli avvenimenti: il 2 marzo, infatti, si verificò a Ber1ino una sollevazione spartachista energicamente repressa da1 ministro della difesa Noske (24) con l'ausilio dei Corpi Franchi, che il 6 gennaio erano stati legalizzati dal governo presieduto da Ebert. Lo schema organizzativo fondamentale del nuovo esercito era stato elaborato da un gruppo di giovani ufficia1i dello stato maggiore generale sotto la direzione del generale Groner (25) ed il coordinamento del suo aiutante di campo maggiore Schleicher (26) e, cosa ancora più importante, erano già stati concepiti il carattere ed il tono della stmttura militare e del suo corpo ufficiali. È significativo, comunque, che già il 28 novembre 1918, ancor prima del ritorno in Germania deJl'esercito combattente, era stata riservatamente costituita l'Unione degli ufficiali tedeschi (Deutscher Ojfiziersbund) con lo scopo dichiarato di «mantenere intatta la vecchia classe dirigente, forza indispensabile per la rinascita della nazione e garanzia per I' educazione dei giovani», mentre a distanza di pochi giorni, il 16 dicembre, era sorta l'Associazione Nazionale degli ufficiali tede-
(24) Guslav Noskc (1868-1946), uomo politico socialdemocratico, esperto di problemi militari, ministro della difesa dal dicembre 1919 al marzo 1920, poi presidente della provinc ia di Hannover sino al 1933. Venne imprigionato dopo essere stato coinvolto nel complotto contro Hitler del luglio! 944. (25) Wilhelm GrOncr (I 867-193 9), di orig ine sveva, entrato a 18 anni nell'esercito tedesco del quale divenne ben presto un hrillanle ufficiale di stato maggiore. Durante tutta la carriera, fu in competizione con Ludendorff, che prevalse su di lui nella carica di capo del seUore operativo dello stato maggiore generale alla quale erano entrambi candidati in vi,tù dell' apparlcncnza alla casta militare. Gli successe nell'ottobre 1918. Ministro della di fesa daJ 1928 al J 932. (26) Kurl. von Schlcichcr (1882-1934 ), discendente di un'antica famiglia brandemburghese, fu il «cervello politico» dell'esercito tedesco nella fase della sua riorganiz7.azione contribuendo a realizzarne le più occulte ini ziative. Ebbe una parte importante, ad esempio, nella creazione dei Corpi Franchi e nei contatti segreti con lo stato maggiore msso. Fu collaboratore di primo piano del comandante in capo dell'esercito von Seeckt e del ministro della difesa GrOncr al quale successe nel 1932. Per pochi mesi fu anche cancelliere del. Reich, predecessore di Hitler che gli subentrò nella carica all' inizio del 1933. Venne uçc.:iso nel giugno 1934 nel quadro dell' eliminazione programmata dai nazionalsocialisti dei capi delle SA (Sturmabteilung: reparti d' assalto), le loro stesse formazioni paramilitari entrale ormai in contrapposizione con la linea politica del partito e con le. quali Schleichcr, nella sua condotta sempre incline all' intrigo cd al «dietro le quinte», si era pericolosamente compromesso.
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schi (Nationalverband Deutscher Offiziere) con l'intento programmatico di formare un' «orgal)izzazione politicamente combattiva ed una "truppa d'assalto" su una piattaforma monarchica e germaniconazionale militante». E due settimane dopo, al termine della sfilata che i reparti reduci dal fronte avevano compiuto lungo il viale dell'Unter den Linden con i loro stendardi e le loro bande musicali, Ebert li aveva salutati definendoli voi che tornate invitti dal campo di battaglia (27). In effetti, la composizione ed i quadri direttivi del nuovo esercito costituivano forse il più grosso tra i problemi che si presentavano alla giovane repubblica di Weimar nel suo sforzo per affermarsi. Se l'esercito fosse stato portato, attraverso il ministero della difesa, sotto il controllo del gabinetto e del Reichstag e se il corpo degli ufficiali fosse stato emendato dalle sue tendenze monarchiche e dalla propria organizzazione di casta, allora davvero la repubblica avrebbe avuto maggiori possibilità di affermarsi e consolidarsi. Però, così come dunmte il conflitto Hinderburg e Ludendorff (28) avevano tenuto nell'ombra i ministri della guerra, che non erano poi che dei generali a loro subordinali, avvenne egualmente che i capi della Reichswehr riuscirono ad imporsi sul ministro della di resa Noskc, tenendo a bada gli intenti di quanti, a livello politico ed in minima parte anche nell' ambito militare stesso, vedevano il rischio di restituire l'esercito ai generali della tradizione imperiale ed insistevano perché Noske democratizzasse i quadri direttivi. Ma Noske era affascinato dal militarismo quasi come lo erano i generali. Credeva fermamente, nietzscianamente, nella necessità di usare 1a forza, deciso a difendere la nuova repubblica ricorrendo sino allo spargimento di sangue e ad opporsi implacabilmente all'anarchia ed al disordine, mai così accuratamente camuffati come dietro gli slogans demagogici della democraòa e della fratellanza. Era piuttosto
(27) Whcclcr-Bcnnctt J.W., «La nemesi del potere», Milano, Pelttinelli, 1957, pag. 44. (28) Paul Ludwig von Beneckdorff umi Hindenburg ( 1847-1934), Maresciallo tedesco, partecipò alle guerre del 1866 e del 1870; generale nel 1906 e ritiratosi dal serv izio nel 1911, fu richiamato nel 1914 e conseguì a Tannenbèrg sui russi una delle più grandi vittorie tattiche della storia militare. Capo di stato maggiore generale nel 1916. Nel 1925 successe ad Ebcrt quale 2° presidente della repubblica, e fu rieletto nel 1932; nel 1933 attribuì il governo ad Hitler nominandolo cancelliere. Erich Ludcndorff ( I 865- 1937), genera le tedesco, capo di stato rnaggiore di Hindcnburg, fu protagonista con questi delle baUaglie di Taunenberg, dei Laghi Masuri e di Lodz, e risultò vittorioso in altre grandi operazioni offensive nel 1918 sulla Soinrne, nelle Fiandre e sulla Marna.
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strana questa impostazione, per un socialista, ma va tenuto conto che Noske, come tanti suoi compagni, nutriva un curioso complesso di odio-amore nei confronti delle alte sfere militari, e pur affettando di censurare lo stato maggiore nondimeno erano segretamente lusingati quando ne ricevevano qualche riconoscimento. Tra il ministro della difesa e g1i alti vertici delle forze armate si svilupparono pertanto rapporti reciproci che, nei mesi che seguirono, erano destinati ad assumere la massima importanza per il futuro della repubblica tedesca. A ciò aggiungasi che i lavoratori tedeschi, che costituivano il nerbo della socialdemocrazia, erano stanchi di cose militari ed erano ben propensi a lasciarle ai professionisti, per cui non dettero alcun appoggio a quegli esponenti politici del loro partito che cercavano di ottenere la partecipazione popolare nella riorganizzazione della Reichswehr. T] corpo degli ufficiali risorse pertanto sotto la repubblica con il proprio aspetto e la propria composizione sostanzialmente immutata. Fra i tanti problemi che i partiti delia coalizione di Weimar dovettero affrontare, prioritario fu quello del trattato di pace di Versailles, accettato solo dai socialdemocratici e dal Centro ma non dal partito democratico che uscì dal governo. La durezza del Diktat fu il movente per una serie di ritorsioni contro le sinistre da parte delle destre nazionaliste che portarono, fra il 1919 ed il 1922, ali' eliminazione fisica di centinaia di personalità fra le quali Erzberger (29), che aveva firmato il trattato di pace, e di Rathenau, che come ministro degli esteri aveva sostenuto una linea di compromesso sulla questione delle riparazioni. Tn seno all'esercito, l'opposizione al trattato di pace fu di natura politica, tradizionalistica ed economica. L'abbandono di intere province nelle mani degli odiati e disprezzati polacchi era il fatto che incideva più profondamente sull'orgoglio militare e nazionale. La cessione di territori che Federico i1 Grande (30) aveva conquistato con la forza, come la Slesia, od in virtù di accordi come la Posnania e
(29) Mathias Erzberger (1875-1921), uomo politico bavarese, deputato sin dal 1903 del partito del Centro del quale divenne dopo una decina di anni il leader. Direttore della propaganda durante la 1° guerra mondiale, nel 191 7 fu tra i fautod della dsoluzionc adottata dal Reiehstag per una pace senza aMessioni , posizione che gli attirò il 1isentimcnto dei nazionalisti dell'estrema destra. Fu segretario di Stato, ed in tale veste capeggiò la commissione d'armi stizio a Compiegne, e ministro senza portafoglio e vicc-canccllicrc nei vari governi che si susseguirono. Aiutò con successo la Germania a tirarsi fu01i dalla prima crisi economica post-bellica. (30) Federico li (1712-1786), re di Prussia dal 1740 al 1786, ne fondò la potenza militare conquistando la Slesia ed occupando, nel primo smembramento della POionia,
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Ja Prussia occidentale, era assolutamente intollerabile per i membri della casta militare. Oltre a considerare i polacchi una razza inferiore, ne temevano l'estendersi delle aspirazioni annessionistiche a difendersi dalle quali la Germania, con le limitate forze armate consentitele, avrebbe avuto serie difficoltà. Al momento della firma, l'esercito disponeva di 400.000 uomini, compresi gli ufficiali: entro tre mesi dall'entrata in vigore del trattato, tale cifra avrebbe dovuto ridursi a 200.000 e, al massimo entro il 31 marzo 1920, avrebbe dovuto essere raggiunta la cifra stabilita di 100.000. In pratica, questo significava che quasi 1/4 di milione di uomini doveva essere rispedito a casa, in un momento nel quale la depressione economica aveva già provocato un sensibile aumento della disocupazione; fra questi, non pochi erano gli ufficiali, anche in seguito all'abolizione dello stato maggiore, per cui la Reichswehr poteva disporre di posti per un ufficiale ogni sei rapportandosi al vecchio esercito regolare. Fra i 4.000 ufficiali che, con i 96.000 sottufficiali ed uomini di truppa, costituivano la nuova struttura dell'esercito tedesco, i gradi superiori erano così distribuiti: 3 generali di corpo d'armata (Genera[), 14 tenenti generali (Generalleutnant), 25 maggiori generali (Generalmajor) e 105 colonnelli (Oberst). La indipendenza dei generali del ministero della difesa e dal suo titolare, un civile sino al 1928, era simbolizzata dalla esiguità del gruppo dei collaboratori riuniti in un solo ufficio di «aiutante», mentre il grosso del lavoro del dicastero era svolto dagli uffici dei comandanti del1' esercito e della marina che costituivano i rispettivi, veri quartieri generali ed erano designati come Comando dell'Esercito (Heeresleitung) e Comando della Marina (Marinesleitung). Da rilevare che durante la repubblica di Weimar i vertici delle due forze armate non ebbero la qualifica di Comandante in Capo (Oherfehlshaber) ma quello meno appariscente di capo (Chef), per cui il comandante dell 'es ercito era chiamato Chef d e r Heeresleitung (Chef HL). Nell ' Heeresleitung la componente di gran lunga più importante era il Truppenamt (Ufficio Truppe), che sostituiva in pratica lo stato maggiore generale (con tutti i relativi uffici 'operazioni, addestramento, informazioni e tutte le altre branche facenti solitamente parte integrante di una si1Tatta struttura) proibito dal trattato di pace, ma le cui funzioni continuavano ad
tutto il territorio elnicamenlc tedesco ad eccezione di Danzica e Thom. Singolare figura di illurnù1ista, professò il deismo, la morale utilitari sti ca e lo scetticismo in contrapposizione alJ ' immorlalilà ùcll' anima; fu anche autore di testi storici e giuridici.
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CARTINA N. 6 - ta suddivisione territvriule dei 7 Wehrkreise tedeschi nel 1933 (da Carrelli B., «l generali di Hitler», Milano, Riz.zoli, 1991, pag. 38)
essere .svolte appunto dall'Ufficio Truppe e dagli ufficiali addeui ai comandi di gruppo e dai territori militari (31). 11 capo del Truppenamt era consideralo il diretto successore dello scomparso
(31) La Germania fu divisa in 7 territori militari (Wehrkreise), corrispondenti alle 7 divi sioni di fanteria consentite. Erano numerati cd i loro comandi avevano sede a Kocnigsbcrg (I), Stellino (Il), Berlino (III), Drcsda (IV), Stoccarda (V), Muensl.e r (IV) e Monaco (VII). Le 3 divisioni di cavalleria mantenute in vita dal trattato di pace erano di stanza e Francoforte sull'Oder, Breslau e Kasscl, ma non avevano giurisdizione territoriale. Ciascun Wehrkreise era comandalo da un lenente generale che era anche il capo della divi sione di stanza nel territorio. I comandi di Wehrkreise erano i centri regionali dell'amministrazione militare, e si occupavano di reclutamento, addestramento, pensioni, ccc. In conformità al trattato, che limitava l'esercito a due comandi di corpo, i Wehrkreise della
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capo dello stato maggiore generale, solo che nella Reichswehr post-bellica egli non era più il comandante in capo ma il capo di stato maggiore de] generale che comandava l'esercito, il Chef HL. Se lo stato maggiore generale scomparve nella denominazione, e certamente diminuì anche l'autorità dell'organo che ne faceva in pratica le veci, il suo prestigio non venne mai meno. Rimasero la tradizione e lo spirito che l'avevano sempre animato, e suoi membri continuarono a portare le bande rosse e ad essere scelti dalla crema del corpo degli ufficiali. AJlorché nel 1935 Hitler avrebbe denunciato le clausole militari del trattato di Versailles, il capo del Truppenamt del momento gen. Beck (32) dovette ripristinare solo il vecchio nome del suo ufficio, perché tutto il resto era stato perfettamente conservato. Come è possibile evincere da quando esposto, il gen. Groner ed i suoi giovani collaboratori affrontarono con grande pazienza, abilità e lungimiranza i problemi, a prima vista insomontabili, di fronte ai quali l'esercito tedesco era stato posto dalla sconfitta e dalle penalizzazioni di Versailles. Allorché i tempi fossero stati maturi, dal Truppenamr avrebbe potuto rinascere lo stato maggiore generale, i Wehrkreise si sarebbero trasformati in corpi cd i Gruppenkommando nei comandi di gruppi d 'armate: le fondamenta organizzalive per il futuro sviluppo erano gettate nel migliore dei modi. Nessuna dote di genialità pianificatrice avrebbe potuto compensare la carenza di personale e di mezzi, certo, e la situazione in quella fase di avvio della ricostruzione della Reichswehr poteva apparire senza dubbio scoraggiante anche per il più operoso dei capi militari. Ma non mancavano la fermezza di propositi, la determinazione, l'intelligenza, 1' energia, la capacità intuitiva e la fede , e queste qualità si trovarono concentrate ne11a personalità del generale
Germania orientale con le relative divisioni furono subordinati ad un comando di G ruppo (Gruppenkmnmando 1) con sede a Rerlino, e quelli dcll' Ovesl (Gruppenkommando 2) a Kassel. I due rispettivi comandanti erano direltamcntc souoposli al Chef HL (cfr. Tclford T., «La spada e la svastica», Ilari, Da Vinci ed., 1954, pag. 26). (32) Ludwig Bcck (1880-1944), ufficiale d'artiglieria, durante la la gue1rn mondiale presto prestò servizio come uffici ale di stato maggiore presso GG.UU., distinguendosi verso la fine del conflitto per aver predisposto la ritirata di 90 di visioni in circostanze molto difficili. Nella repubblica di Weimar, passò lunghi periodi presso gli organi centrali, ricoprendo vari incarichi ed elaborando un manuale di Lallica che sarehhe divenuto una delle più note pubblicazioni militari tedesche. Fu capo di staio maggiore dell 'esercito dal 1935 al 1938; alla fine di quest'anno, dissentendo daJla politica militare del Fiihrcr. chiese il collocamento in congedo. Implicato nel fallito complollo contro Hitler del luglio 1944, si suicidò.
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Hans von Seeckt (33), l'ultimo nella serje dei grandi nomi del corpo degli ufficiali tedeschi paragonabile a que11o di uno Scharnhorst e di uno Gneisenau (34). Seeckt fu il generale tedesco che esercitò la maggiore inOuenza sull'andamento della 2a guerra mondiale, pur essendo morto tre anni prima che questa cominciasse e qundo era già a riposo da dieci anni, in quanto la maggior parte dei brillanti risultati ottenuti dalla Wehrmacht specie nella fase iniziale del connilto fu da ascriversi al modo con il quale Seeckt aveva plasmato la Reichswehr. Egli dette a questa un vangelo di mobilità, fondato sul concetto che un esercito di truppe scelte che si muove e colpisce rapidamente può assicurarsi una superiorità incomparabile su un esercito di massa all'antica. I principi di base da lui formulati erano i seguenti: a) disporre sin dall' inizio delle ostilità di una massa d'urto capace di uno sforzo offensivo immediato e considerevole; valore mililare e superiorità tecnica dovevano compensarne l'inferiorità numerica; b) organizzare l'economia e l'industria della nazione per ottenere il massimo rendimento a favore dell'esercito mobilitato. Stabilito che il denominatore comune dei suoi principi era il proposito di ridare alla Germania un formidabile strumento militare, proprio il dimensionamento dei quadri e l'acuta concorrenza che ne era derivata lo pose in condizioni di fare della Reichswehr una vera élite professionale. Ogni membro dell'esercito era addestrato in modo da essere, in caso di guerra, all'altezza del gradino immediatamente più alto. L'intero corpo degli ufficiali doveva pro-
(33) Hans von Seeckt ( 1866-1936), di nobile fami glia originaria della Pomerania, partcòpò alla fa guerra mondiale su diversi fronti come capo di scato maggiore di amiale. Dopo la sconfitta, si unl a Hindcnburg ed a Groner che dal 19 I 9 lo incaricarono di organizzare la ritirata delle GG.UU. tedesche dalla Russia Bianca e dall'Ucraina e di prolegge-rc le frontiere del Reich dalle incursioni dei polacchi e dei bolscevichi, compili che assolse al meglio lanciando addirittura una controffensiva che po1tò alla rioccupazione di Riga. F u poi membro della Delegazione alla Conferenza della Pace e presidente della Commissione preparatoria dell'esercito di pace. Comandanle in capo della Reichswehr dal 1920 kÙ 1926, fu costretto a dimettersi a seguito di contrasti con Hindenburg dopo l'elezione di questi aJla presidenza della repubblica. Dal 1930 al 1932 fu deputato del partito popolare, e dal 1932 al 1935 consigliere militare del governo cinese. (34) Gernrd J.D. von Scharnhorst (1755-1813), generale prussiano, nato da una f,mùglia dell'aristocrazia fondiaria degli Junker, autore con Gneisenau della riforn1a dell'ordinamento militare pmss iano. Augusl. Wilhelm von Gneisenau (1760-1831), Maresciallo di Prnssia, figlio di un gene-raie sassone, creatore con Schamhorst dello stato maggiore prussiano e del nuovo corpo degli ufficiali; ebbe una pmte decisiva nella ballaglia di Waterloo contro Napoleone.
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durre comandanti ad un livello non inferiore al battag]ione; i giovanissimi avrebbero comandato la compagnia. T migliori dei sottufficiali avrebbero svolto le funzione deg]i ufficiali inferiori, ed i graduati sarebbero divenuti sottufficia1i. Fece sì che la chiusura della Scuola di Guerra (Kriegsakademie) non inficiasse la preparazione deg1i ufficiali destinati al servizio di stato maggiore, trasferendo in pratica l'istituto ai diversi Wehrkreise cd affidandone la direzione coordinata al Truppenamt di Berlino (35). Seeckt prese anche iniziative per eludere le restrizioni imposte dal trattato di pace circa la consistenza numerica dell'esercito, pur mantenendo sempre l'accento sulla qualità. Un certo numero di formazioni non ortodosse cd illegali, la cosiddetta Reichswehr nera, fu ad esempio mantenuta in forma occulta nei Wehrkreise confinanti con la Polonia, ed il ten. col. Bock (36), all'epoca capo di stato maggiore del TTT Wehrkreise, svolse un ruolo di primo piano nel controllare e dirigere tali reparti e nel sottrarli al controllo degli Alleati. A ciò erano da aggiungere le attività di carattere formativo ed addestrativo svolte da circoli ed associazioni sportive la cui denominazione societaria non era altro che una formula di copertura. Tipico, a questo proposito, il caso delle Rotvereinen (Società di equitazione), che nel 1927 erano presenti in tutta la Germania in numero di 2.000 con 50.000 soci e divennero 2.500 nel 1930 con 70.000 aderenti. Questi, nella maggior parte, erano giovani dai 17 ai 22 anni ai quali veniva impartita un'istruzione di caratlere prettamente militare attraverso corsi variabili dai 3 ai 4 mesi. Le Rotvereinen, che godevano di sovvenzioni da parte dello Stato, delle Provincie e dei Comuni nonché del supporto della Reichswehr per quanto
(35) Ad ini ziare dal 1920 ed in ciascun Welzrkreise, gli ufficiali aspiranti al servizio di staio maggiore venivano sottoposti ad esami, in base all 'esito dei quali circa 70 di loro (IO per Weh.rkreise) erano scelti ogni anno per un corso biennale di stato maggiore sotto la direzione del comandante del Wehrkreise. Mediamente, una quindicina di ufficiali completavano il corso, al termine del quale erano deslinati al ministero della difesa a Berlino per la frequenza di un terzo anno. Dopo un ulleriore periodo di prova presso un ufficio, i prescelti erano ammessi a far paite dello stai.o maggiore cd a fregiarsi delle ambite bande rosse sui pantaloni (cfr. Telford T., op. cii., pag. 32). (36) Fcdor von Bock (1880-1945), Feldmaresciallo, proveniente da una famiglia di militari, partecipò alla I a e alla 2• guerra mondiale; in quest'ultima fu al comando di gruppi d'annate in Polonia, sul fronte occidentale e su quello orientale, dove nel dicembre 1941 giunse a 30 miglia da Mosca. Nel novembre 1942, contravvenendo agli ordini di Hitler. iniziò la ritirata sul fronte di ·Stalingrado, episodio che lo costrinse alle dimissioni. Ritiratosi a vita privata, morì vittima di un bombardamento aereo insieme alla moglie ed alla figlia.
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riguardava cavalli ed istruttori, avevano due finalità : preparare i quadri inferiori per le armi a cavallo, ed in particolare per la cavalleria e per il treno d'artiglieria; assicurare alla Reichswehr il fabbisogno di cavalli da sella in caso di mobilitazione, fallore che avrebbe potuto farle difetto qualora l' allevamenlo di tale tipo di equini non avesse trovato uno sbocco adeguato (37). Durante la permanenza di Seeckt al comando dell 'esercito fu scoraggiata la parlecipazione militare alle avventure politiche, del che si ebbe prova durante i putsch di Kapp nel 1920 a Berlino e di Hitler nel I 923 a Monaco (38). Impedire fratture nell'esercito e salvaguardarne l'unità fu la linea direttrice fontamentale della sua opera di riorganizzazione della Reichswehr. Ciò non escluse, peraltro, che l'esercito non assumesse una posizione politica. Seeckl cercò di controllare quei settori della vita politica che avevano attinenza con l'esercito e di attirare nella sua scia, senza distinzioni di parte, i cancellieri ed i ministri che apparivano e scomparivano a brevi intervalli. La Reichswehr era una realtà «politica» di prima grandezza, né avrebbe potuto essere altrimenti, e Seeckt fu quindi sempre inserito nel gioco politico, sia negli affari interni che in quelli esteri; con acume e perseveranza, egli riuscì ad installare negli esponenti di rilievo di tutti i partiti la convinzio-
(37) AUSSME, E8-212/1 I, prot. 521 del 22.4.1930, da Add. Mii. Patigi a Ministero Gucrn1 e p.c. a Comando Corpo di Stato Maggiore e Uff. Add. Mii. Berlino, f.to tcn. col. Bcraudo di Pralormo. (38) Wolfang Kapp ( 1858-1922) era un uomo poli tico tedesco esponente dello sciovini smo più estremista. Nel marzo 1920 s i unì al gen. Walther von Uitwitz (1859-1942), il più anziano fra i quadri della Reichswehr e comandante del G ruppenkomm.ando I . a sua volta espressione del più accentuato nazionali smo monarchico e reazio nario, per attuare un colpo di Stato che po1tasse a una dittatura militare. Con l'ausili o di alcuni reparti dei Corpi Franchi , marciarono su Berlino occupando per 4 giorni il palazzo della Cancelleria e gli edifici del governo, rifugiatosi a Stoccarda. Un massiccio sciopero generale proclamato dalle organizzazioni sindacali mise in crisi il progeuo golpista, determinandone il fallimento e costringendo i due massimi di rigenti a riparare all ' estero. Sccckt, richiesto da Noske di intervenire co n le truppe in difesa del governo, si astenne affermando che la R eichswehr no n avrebbe sparato contro la Reichsweh1; e fino a che le sorti dell'iniziativa di Kapp e Liitwitz fu rono ince1te si rifiutò di impiegare l'esercito contro i ribelli. Più pericoloso fu i I p ulsd1 tentato nel novembre 1923 a Monaco da A dolf Hitler ( 1889-1 945), capo dell'NSDAP (Na1ùm 11l-S0zialistiche Deutsche A rbeiter Partei = P artito nazionalsociali sta de i lavoratori tedeschi ) nato nel gennai o 192 1 come estensione de l DAl-' ( Deulscfre J\rbeiler Parlei), in unione ad esponenti politici e militati bavaresi e con l' appoggio di Ludendorff. I golpisti riuscirono ad impadronirsi della città cd a costituire un governo provvisorio, ma furono poi dispersi con la forza dalla polizia. Anche in questa circostanza, Seeckt tenne la Reichswehr fu ori da un coinvolgimento che avrebbe potuto determinare una frattura all ' interno minacciandone l'unità e la coesione.
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ne che l'esistenza della repubblica risiedeva nel favore o quanto meno nella tolleranza della Reichswehr. La politica di Seeckt fu antipolacca e, con una tradizione che era solo apparente, filorussa. Il fatto che il corpo degli ufficiali fosse interamente anticomunista non costituì ostacolo al proprio orientamento verso la Russia, una grande potenza che non aveva interesse a sostenere le risultanze di Versailles e della quale egli cercò l'alleanza dal momento che l'obbiettivo principale dell'esercito era proprio quello di far naufragare quel trattato. 11 suo avvicinamento alla Russia gli avrebbe fornito l'opportunità di iniziare immediatamente quel processo di riarmo clandestino per il cui compimento non trascurò nessuna energia, nessuna occasione e nessuna lattica. Al riparo del segreto più stretto, Sccckt portò avanti il progetto con la tacita approvazione dei cancellieri che si succedettero e con il sostegno dei fondi segreti del tesoro del Reich. Fu fondala una società dall'innocente nome «Compagnia per la creazione di iniziative industriali» con sedi a Berlino ed a Monaco e più nota, dalle sue iniziali tedesche, come GEFU (Gesellschaft zur Forderung Gerwerblicher Unternehmungen), e sotto tale copertura (ed altre similari) furono portate a termine notevoli realizzazioni. Vennero aperte scuole per l' addestramento di piloti e carristi, cd un gran numero di ufficiali tedeschi affluì in Russia per addestrarsi all'impiego di quei sistemi d 'arma proibiti dal trattalo di pace. Fu anche elaborato un piano per la produzione di aeroplani Junkers in una fabbrica nei pressi di Mosca e per la costruzione di uno stabilimento per la costrnzione di fosgene cd altri gas tossici a Trotsk nella provincia di Samara, progetti poi non portati a termine. Tl prim o quinquennio di comando di Seeckt gli procurò un immenso prestigio nel Paese , e quando Ebert morì improvvisamente nel febbraio 1925 egli fu addirittura un candidalo alla presidenza della repubblica. Nominato invece Hindenburg, divenne operante l'accezione costituzionale del presidente quale comandante supremo delle forze armale, e Seeckt, che durante la guerra aveva avuto qualche divergenza con Hindcnburg e non era stato certo fra i suoi favoriti, fu inevitabilmente messo nell' ombra e costretto a rassegnare le dimissioni nell'ottobre 1926. A prescindere dai motivi più o meno occasionali che determinarono la decisione, la ragione vera andava ricercata nel conflitto fra il sistema democratico parlamentere ed una personalità, quella di Seeckt, ad esso intimamente estranea; l'allontanamento di Seeckt era dunque l'espressione del contrasto insanabile fra un rappresentante della vecchia Germania, 24 2
con una connotazione militarmente prioritaria, e la concezione repubblicana e parlamentare del potere civile.
4. Nasce la Wehrmacht L'evoluzione del quadro politico tedesco fra gli anni Venti e Trenta è ampiamente noto, e se ne fa pertanto un breve cenno riepilogativo solo quale anello di congiunzione con la nascita del nuovo apparato militare. La già menzionata ascesa delle forze conservatrici, stimolata anche da avvenimenti come l'occupazione della Ruhr da parte francese (39), trovò una chiara conferma nelle prime elezioni presidenziali svoltesi nel I 935 dopo la morte di Ebert che videro la vittoria del candidato delle destre Hindenburg, con il quale fu posto a capo della repubblica un monarchico fra i più convinti. Nei primi anni di pace le difficoltà politiche della Germania furono complicate da quelle economiche. L'inflazione, iniziata durante la guerra, si aggravò per il peso delle riparazioni e raggiunse dimensioni drammatiche nel 1923. Si rese quindi indispensabile una decisa azione di risanamento finanziario e monetario messa in atto dal governo presieduto da Stresemann che consentì di ristabilire la situazione; la Germania poté allora contare su un forte afflusso di capitali stranieri, specialmene americani, che fra il 1925 ed il 1929 contribuirono ad imprimere alla sua economia uno slancio senza precedenti. Stresemann agevolò questa ripresa anche dopo aver lasciato il cancellierato ed essere divenuto ministro degli esteri, e fu merito della sua abile azione diplomatica aver eliminato gran parte delle restrizioni imposte al Paese dal trattato di Versailles riducendo altresì il peso delle riparazioni. Per quanto concerneva le spese militari, dall'inizio del Piano Dawes nel 1924 fino alla punta massima della prosperità del 1928, il bilancio della Reichswehr crebbe da 490 a 827 milioni di marchi, con una valutazione del marco rispetto alla lira pari a L. 4,60. Poi, a causa della depressione economica, diminuì leggermente, ma nel 1932 era di nuovo alla (39) L'occupazione ebbe inizio nel gennaio 1923 sotto forma di garanzia per quanto contemplato dal trattato di pace, considerato che dopo 4 anni dalla sua firma la Germania non appariva in grado di pagare le riparazioni di guerra, ed assunse carattere sempre più duro a mano a mano che la resistenza passiva messa in atto dai tedeschi diventava più efficace. A dirimere la questione intervennero gli Stati Uniti con il Piano D11wes (dal nome del finanziere che lo aveva predisposto), in vi1tù del quale lo sgombero della regione fu ultimato nel luglio 1925.
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cifra di 766 milioni. Il dato è confermato, per estrapolazione, da quanto riferito dall'Ufficio del Capo di Slato Maggiore Generale in base a notizie pervenute dal1' addetto militare italiano a Berlino: «Bilancio militare. Nel 1929 le spese militari, compresa la marina, sono state circa di 700 milioni di marchi (marco = L. 4.60), ossia circa 7% del bilancio f:enerale. Rispetto al 1928 vi è una diminuzione di 29 milioni di marchi. Sono particolarmente alti gli acquisti per la rinnovazione del materiale. Con le somme stanziate possono essere acquistati: - 54.827.f~cili i~ve~e. 1ei 10.025 ] (rinnovabili - 3.890 mttrailia.tnct.mvece delle 241 annualmente in base - 330 bombarde invece delle 14 ai trattati) -464 cannoni invece dei 14 Si calcola perciò che negli ultimi cinque anni, nei quali gli stanziamenti per l'acquisto di materiali si sono mantenuti stazionari, la Germania abbia potuto costruire: - 300.000.fè1eili - 20.000 mitragliatrici - 2.500 bombarde -2.000 cannoni Gravano su altri bilanci, ma hanno attinenza con la preparazione militare gli stanziamenti: per l'aviazione (53 milioni di marchi); per l'automobilismo; per l'ufficio chimico-tecnico» (40). Oltre alle spese militari dirette, infatti, il ministero della difesa pesava anche sui bilanci di altri ministeri, come quello dell'interno per l'equipaggiamento militare delle f"or.1.e di polizia statali e quello dei trasporti per lo sviluppo dell'aviazione militare, nei quali i piani di riarmo erano camuffati sotto innocenti «voci» riferentesi a spese di carattere civile e pacifico. Sembra che il loro ammontare, nel periodo 1924-1932, raggiungesse qualcosa come 219 milioni di marchi (41 ). La depressione economica del 1929 segnò la fine del breve periodo di equilibrio ed inasprì le contraddizioni sociali e politiche che pervennero all'acme nel 1932. Il ritiro dei capitali americani (40) AUSSME, LI0-11/1 , senza indicazione di prot. del I 6.10.1930, da Ufficio Capo Staio Maggiore Generale «promemoria» per Capo di Stato Maggiore Generale, f.to il tcn. col. SM Capo Ufficio (nominativo illeggibile). (41) Knight-Pattcrson W.M., «Gcrmany from Dcfeat to Conquest», Londra, 1945, pagg. 404-407.
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ed il calo degli investimenti interni tedeschi, delineatosi già nel 1927, determinarono una brusca flessione della produzione industriale aggravata anche dalla ripresa dell'inflazione, per cui migliaia di aziende furono costrette a cessare l'attività e si arrivò ad una cifra di disoccupati intorno ai 6 milioni. La crisi conseguente a tale situazione, particolarmente accentuata presso i ceti medi, dette luogo ad uno sconvolgimento elettorale durante le consultazioni del 1930 che, accanto alla buona tenuta del Centro, videro un notevole calo dei socialdemocratici e la frantumazione delle formazioni liberal-borghesi; l'evento più significativo fu comunque rappresentato dall'incremento dei movimenti estremisti, comunisti e nazionalsocialisti, i quali ultimi salirono dal 2,6 al 18,3% divenendo la seconda forza elettorale della nazione. I1 rafforzamento dell'NSDAP trovò ulteriore conferma nelle elezioni presidenziali del marzo 1932 ed ancor più in quelle per il Reichstag del luglio successivo, che videro il partito capeggiato da Hitler raccogliere il 37,4% dei suffragi ed assumere il primo posto nel parlamento. Questa posizione, avallata dall'appoggio del mondo economico-imprenditoriale e di quello militare, e la contemporanea mancanza di un'alternativa politica dotata di una valida base parlamentare e sociale, come dimostrato da11e brevi esperienze di Papen (42) e Schleicher nell'arco di 7 mesi, indussero Hindemburg a conferire ad Hitler l'incarico di Cancelliere nel gennaio 1933. Sotto l'aspetto militare, si realizzavano così le premesse per la creazione della Wehrmacht (43) quale processo evolutivo di trasfonnazione della Reichswehr (44).
(42) Franz von Papcn (1879-1969), ufficiale di cavalleria, dopo la I• guerra mondiale abbandonò la carriera militare iniziando quella politica nelle fil e del Centro. Cancelliere dal giugno al novembre 1932, e vice-cancelliere con Hitler per conto del quale aveva condotto l'intermediazione con Himlenburg che portò questi a nominare cancelliere il capo nazionalsocialista. Fu poi ambasciatore a Vi enna nel 1934, e dall'anno successivo ad Ankara sino alla fine della 2• guerra mondiale. Venne sottoposto a giudizio al processo di Norimberga ed assolto. (43) Dalle parole Wehr (difesa) e Macht (forz.a), equivalente al complesso delle forze armate tedesche costituite dall'esercito (Ileer), dalla marina (Kriegsmarine), dall'aereonaulica (/,ujìwaffe) e dalla Wqffen SS (Schutz, protezione - Staffel, reparto). La SS, nata nel l 925 come fonnazionc paramilitare dell'NSDAP con compiti di protezione di Hiùer e degli altri esponenti del partito, entrò a far parte nel 1939 del neocostituito Ufficio Centrale pe r la Sicurezza del Rcich; a parte questa funzione politica, creò anche reparti militari comhattenti - Wa:ffen che durante la 211 guerra mondiale avrebbero operato sui vari fronti articolati in GG.UU. sino anche a livello di Armata. Come per la Reichswehr, nel linguaggio corrente anche per la Wehrmacht il termine sarebbe stato spesso adoperato per riferirsi al Ia sol a forza armata tcJTcstre. (44) Dopo l'uscita di scena di Sceckt e sino alla ereaòone della Wehrmacht nel 1935,
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Nei confronti dell'esercito, Hitler nutriva un sentimento ambivalente. Aveva un rispetto profondo per la Reichswehr, che rivestiva un ruolo prioritario nei suoi progetti di rilancio nazionale, in una concezione molto realistica dei compiti pertinenti a11o strumento militare: «Gli eserciti non esistono per preparare la pace, essi esistono per il loro trionfante impiego bellico; è impossibile costruire un esercito e dargli il senso della propria importanza se alla base della sua esistenza non vi è la preparazione per la hattaf.;lia», aveva scritto nel 1930 su un periodico di partito (45). Nel contempo, però, temeva che i generali, una volta avuti a disposizione uomini ed armi, li avrebbero impiegali per sostituire il regime che glieli aveva forniti con una giunta militare o con una restaurazione monarchica, ovvero avrebbero addirittura giocato d'anticipo trainando la Ge1mania in guerra precedendo le sue valutazioni politiche. Doveva inoltre tenere l'esercito dalla propria parte anche per ragioni di sopravvivenza politica, dal momento che gli uomini delle SA, sempre più delusi nelle loro aspettative rivoluzionarie, si dimostravano sempre meno tetragoni nella devozione a lui e sempre più inclini alla scontro frontale (46). A questa minaccia, i capi dell'esercito avevano opposto un fronte saldamente unito: non erano contrari ad impiegare le SA come riserva di uomini alla quale attingere nel corso dell'espansione de)1' esercito, ma non avevano la minima intenzione di tollerare che le formazioni paramilitari del partito nazionalsocialista «giocassero ai
le alte cariche militari (a parte quelle navali) videro i seguenti avvicendamenti: Ministro della Di;fesa: sino al 1928, Otto Cìessler (nato nel 1875, avvocato bavarese, membro del partito democratico, già in carica dal 1920); dal 1928 al 1932, gcn. Wilhclm Groner; dal 1.932 al 1933, gen. Kurt von Schleicher; dal 1933 al 1935, gcn. Wcrncr von Blornberg ( 1878-1946, capo del Truppenamt dal 1926 al 1929, avrebbe proseguito sino al 1938 con la nuova dizione di ministro della guerra). Capo dell'esercito (Chef HL): dal 1926 al 1930, gen. Wilhelm Heyc (già capo del Truppenamt dal 1920 al 1926); dal 1930 al 1934, gen. Kurl von Hammcrstcin - Equord (1878-1943 , già capo del Truppenamt dal 1929 al 1930); dal 1934 (in carica fino al 1938), gen. Werner von Fritsch. Capo del Tmppenamt: dal 1926 al 1929, gen. Werner von Blombcrg; dal 1929 al 1930, gen. Kurt von Hammerstein-Equord; dal 1930 al ·1933, gen. Wilhclm Adam; dal 1933 al 1935, gen. Ludwig Beck. (Wheeler-Bennett J.W., op. cii., pagg. 783-784). (45) National-S0zu1listiche Monatshefte, n. 3/ 1930, pag. 1O1. (46) Il capo di stato maggiore delle SA, Ernst Rohm, sosteneva che tutte le rivoluzioni destinate al successo e basate su pa11icolari ideologie dovevano disporre di propri esercili rivoluzionari. Pct1anto, doveva sorgere in Germania una guardia pretoriana scelta, volontaria, selezionata in base ad esclusive considerazioni di ideologia politica ed accanto ad essa, ma in posizione secondaria, un esercitnarruolato con la coscrizione di massa.
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soldati» o di consentire che le istanze rivoluzionarie del loro capo dì stato maggiore intralciassero i piani di riarmo preparati con tanta cura. Il 12 aprile 1934 Hitler ed il ministro de11a difesa gen. von Blomberg (47), nel segreto e nell'isolamento di una nave da guerra navigante sul Baltico, giunsero ad un accordo di importanza storica. Blomberg assicurò il proprio appoggio a Hitler per succedere ad Hinderburg alla morte di questi (che si prevedeva ormai prossima e che sarebbe infatti avvenuta pochi mesi dopo) e promise di far valere la sua in11uenza in seno alle forze armate per ottenere anche la loro adesione, ed in cambio Hitler si impegnò a porre fine una volta per tutte alle pretese di Rohrn ed a riconoscere l' egenomia della Reichswehr in tutte le questioni di carattere militare. La «notte dei lunghi coltelli», il 30 giugno, mise il suggello concreto all'accordo da parte del Cancelliere, mentre da parte della Reichswehr vi fu l'approvazione ufficiale, nel corso della seduta straordinaria del governo del 3 luglio, alla promulgazione del decreto che dichiarava l'eliminazione degli esponenti delle SA misure resesi necessarie «per 1a legittima difesa dello Stato». Hindenburg morì il l. agosto 1934, e nello stesso giorno Hitler emanò un decreto che sanciva la fusione tra le funzioni di presidente del Reich (e quindi di comandante supremo delle forze ann ate) e quelle di cance11iere, assumendole entrambi con il titolo di Fiihrer und Reichskanzler. Il giorno dopo ricevette il giuramento di fedeltà del gen. von Blomberg, del gcn. von Fritsch (48) e dell ' ammiraglio Raeder (49), capi delle forze armate dello Stato, mentre in tutta la Germania le truppe delle
(47) Werner von Blombcrg (1878-1 946), Peldmaresc iallo, capo del Truppenamt dal 1926 al 1929, comandante de l Wehrkreis I dal l92'J al 1933, capo della Delegazio ne milita re tedesca alla Conferenza sul disarmo di Ginevra dal 1932 al 1933, ministro della difesa dal 1933 al 1935 e dell a guerra sino al 1938, quanto fu costretto alle dimissioni per un incauto matrimo nio giudicato «inopportuno». Deceduto nella pri gio ne di Norimberga il 14 marzo 1946. Entrambi i due fi gli erano caduti in combattimento sul fronte m sso. (48) Werner von Fritsch (1880-1939), generale d'armata, uffi ciale di stato maggiore durante la ]a guerra mo ndiale, direttore delle opera,..ioni del Truppen amt nel 1926- 1928, comandante del Wehrkreis Ili, capo dell 'esercito dal 1934 al 1938. Contrario alla politicizza7,io ne de ll'esercito e come tale inviso all'apparato del partito, fu oggetto di c:ùunnic personali per le quali fu costretto alle di missioni; scagionato da una speciale comnùssione d' inchi esta, no n venne però reintegralo nell 'incarico. Allo scoppi o dell a 2a guerra mondiale, chiese ed ottenne il comando dì un reggimento d'artiglieria, e cadde ucciso da un cecchino sul fro nte di Varsavia . (49) Erich von Reader (1876- 1960), GramleAmmiraglio nella ] a g uerra mondiale fu capo dì stato maggiore della squadra incrociatori da ballaglia tedeschi. fra il 1922 ed il 1924, quale contrammiraglio, fu ispettore e responsabile dell' addestramento della M arina,
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guarnigioni si schierarono nei cortili delle casenne per rendere analogo giuramento alla presenza dei loro ufficiali. Non fu la copia pura e semplice del giuramento alla Cosliluzione, ma un giuramento di fedeltà personale ad Hitler (50). Questi nell'assumere la doppia carica di Fiihrer e di Cancelliere, affermò esplicitamente che per tutte le problematiche concernenti l'esercito avrebbe delegato la propria autorità al ministro della difesa il quale avrebbe agito in veste di suo rappresentante negli affari militari, così come Rudolf Hess (51) sarebbe stato suo vicereggente nei confronti del partito. L'esercito, così come le altre forze armate, sfruttò pienamente iJ momento favorevole, impegnandosi a tutto campo in queH'operazione di riarmo per il quale le dichiarazioni di Hitler consentivano la massima libertà d'azione in cambio di una non interferenza nell'ambito politico. li riarmo tedesco, infatti, era giunto ad un punto in cui non era più necessario nè possibile tenerlo segreto. Tuttavia, per quanto riguardava le grandi potenze, anche dopo l'uscita della Germania nell'ottobre 1933 dalla Conferenza di Ginevra per il disarmo (52) era stata
del cui comando divenne capo (Chef ML) nel 1928. Dopo l'ascesa al potere di 1-Iiùer, ebbe un ruolo decisivo nel riarmo navale della Germania, e nel 1935 divenne comandanle in capo della Kriegsmarine. Promosso Grande Ammiraglio il 1.4.1939, sovrintese personalmente alle operazioni navali della 2a guerra mondiale fino al 1943 quando, dissentendo dalla decisione di Hitler di privilegiare la llolla subacquea a scapito di quella di superficie, dette le dimissioni, conservando la carica puramente onorifica di ammiraglio ispettore. Processato a Norimberga e condannato all'ergastolo, fu liberato nel 1955. (50) «Giuro dinnanzi a Dio di obbedire incondizionatamente ad Adolf Hitler, Fuhrer del Rcich e del popolo tedesco, comandante supremo della Wehrmacht, e impegno la mia parola di soldato che osserverò sempre questo giuramento, anche a rischio della vi1a». (51) Rudolf Hess (I 894-1987), esponente del partito nazionalsocialista sin dalla sua costituzione, protagonista del fallito putsch di Monaco nel novembre 1923 e della politica hitleriana degli anni Trenta. Allo scoppio della 2a gucmt mondiale fu designato dal Fiihrer come suo secondo eventuale successore dopo GOring. Nel maggio 1941 si paracadu1ò in una zona dcll'InghilLerra dopo un volo solitario su un aereo militare, ed alle autorità britanniche si presentò come portatore di un progello di pace con la Germania su una eomum: base antisovietica. Il gesto fu sconfessato da Hitler come manifestazione di follia, secondo quanto dallo stesso Hess suggerilogli in una leuera riservata scritta prima del decol.lo. Condannato all'ergastolo al processo di Norimberga, fu rinchiuso nel carcere di Spandau dove dal 1966 rimase l'unico prigioniero, sorvegliato da uù imponente apparato di sicurezza interalleato, e dove morì il 17 agosto 1987 in circostanze e con modalità rimaste oscure. (52) In esecuzione dell'art. 8 del palio costitutivo della Lega delle Nazioni, che faceva obbligo agli Stati memhri di «ridurre gli armamenti nazionali al limite compalibile con la sicurezza dello Stato e con l'azione comune intesa ad assicurare l'adempimenlu degli obblighi internazionali», si riunì a Ginevra nel 1932 la Conferenza mondiale per il disanno, la cui convocazione aveva richiesto quasi un decennio di preparazione. Le difficoltà obiettive del tema, collegato ad una sede complessa e delicata di molleplici fatturi
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tenuta in piedi la finzione che le restrizioni imposte dalla quinta parte del trattato di Versailles fossero sempre in vigore o per lo meno non fossero state formalmente denunciate. Si avvicinava ormai il momento di fare quest'ultimo passo, scegliendo un'occasione che fornisse da spunto per ufficializzare che la Germania era uno Stato completamente armato. Nella prima settimana di marzo del 1935 il governo francese approvò un progetto di legge che estendeva il periodo della ferma militare da 18 a 24 mesi. Hitler, facendo in modo che l'annuncio coincidesse con il giorno nel quale il programma governativo francese diveniva legge, promulgò il 16 marzo un breve decreto che, in aperta sfida alle potenze occidentali, faceva cadere gli ultimi veli che celavano la realtà del riarmo tedesco. In esso si sanciva che il servizio nella Wehrmacht era basato sulla coscrizione obbligatoria e che l'esercito tedesco, in tempo di pace, avrebbe compreso 12 corpi d'armata e 36 divisioni. Al decreto del 16 marzo fece seguito il 21 maggio la legge sulla Wehrmacht, in base al quale il Fiihrer e Cancelliere del Reich ne era il comandante supremo agli ordini del quale agi va iJ ministro della guerra (non più della di fesa) Feldmaresciallo von Blomberg quale effettivo comandante in capo. Ciascuna delle tre forze armate aveva a sua volta un proprio comandante in capo, rispettivamente il gen. von Fritsch, l'ammiraglio Raeder ed i] colonello generale Goring (53) per la neo-costituita Luftwaffe, ed un proprio stato maggiore generale. II gen. Beck, capo del Truppenamt, fu il primo capo di stato maggiore generale dell'esercito. Si realizzo così un'unità di comando di gran lunga superiore a quella che fosse mai esistita nell'esercito impedi vario genere (culturale, so<.:iale, economico-finanziario, geostratcgico, di definizione del concetto di sicurezza e della quantità e qualità degli armamenli terrestri, navali ed aerei per garantirla, di comparazione fra i potenziali bellici, di grado dello sviluppo tecnico e scientifico, ccc.) furono aggravate durante la riunione da una allrellanto difficoltosa molteplicità di remore di carallere politico e procedurale frapposte dai vari Paesi. (53) Hermann Goring (1893- 1946), Feldmaresciallo, asso dell ' aviazione tedesca durante la Ja guerra mondiale con 36 vittorie personali, esponente di punla del movimento nazionalsocialista e protagonista del fallito putsch del novembre 1923. Deputato al Reichstag dal 1928 e presidente dello stesso nel 1932, ministro dell'aviazione nel 1933, ebbe parte attiva nella «notte dei lunghi coltelli». Nel 1937 dette vita alla Reichswerke Hermann Goring, che assorbì innumerevoli industrie tedesche di ogni tipo assicurandogli notevoli ricchezze; dedicò ad ogni modo la maggior parte della propria attività allo sviluppo della Luftwaffe che portò a grandi livelli di efficienza. Allo scoppio della 2a guerra mondiale fu designato uffi cialmente da Hitler quale suo eventuale successore. Condannato a morte al processo di Norimberga, sfuggì all'esecuzione suicidandosi con un capsula di cianuro.
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rialc: prima del 1918, infatti, il comando supremo delle armate tedesche agli ordini del Kaiser era stato esercitato dal capo dello stato maggiore generale il quale però era del tutto indipendente dal ministro della guerra, mentre ora invece il comando supremo di tutte le armi era concentrato nelle mani di von Blomberg che rivestiva anche la carica di ministro della guerra, e sopra al quale vi era solo il Fiihrer (54). Sotto la gestione di B1omberg, i funzionari militari del ministero della guerra furono notevolmente aumentati, in special modo mediante l'istituzione di una piccola divisione per i piani operativi sotto Ja direzione del col. Alfred Jodl (55), che portò inevitabilmente ad attriti fra il ministero e la sezione per i piani operativi dello stato maggiore generale dell'esercito. In teoria, il ministero della guerra avrebbe dovuto coordinare l'attività delle tre branche della Wehrmacht, ma ciò era reso impossibile dal fatto che Raeder e Goring mantenevano un atteggiamento molto indipendente. Raeder insisteva nel trattare gli affari navali direttamente con Hitler, per evitare di ricevere ordini da Blomherg nel timore che ciò avrebbe potuto penalizzare la marina nella distribuzione dei fondi rispetto ali' esercito, mentre Goring era subordinato a Blombcrg nella sua funzione di comandante della Luftwaffe ma ricopriva una carica equipollente quale ministro dell' aeronautica. In effetti, la funzione coordinatrice ministe1iale era ostacolata dal fatto che l'esercito era di gran lunga la più importante delle tre bnmche, con conseguente gelosa salvaguardia della propria indi-
(54) Dal l 935 al 1939 lc alte cariche militari, a pa11e marina ed aereonautica, si sarehbcro avviccndte come segue: Ministro della Guerra: dal 1935 al 1938, Feldmaresciallo We rner von Blomherg; d al 1938 ( in carica sino al 1945). Adolf Hitler. Comandante Supremo della Wehrmacht (OKW-OberKomando der Wehrmacht): dal 1938 d ata di costituzione (in carica sino al 1945), Feldmaresciallo Wilhclm Keitel. Comandante in Capo dell'esercito: dal 1935 al 1938, gen. Werner von Fritsch; dal 1938 (in emica sino al 194 1), Feldmaresciallo Walter von Brauchitsch. Capo di Stato Maggiore dell'esercito (OKH-Oberko,nmando des Heeres): dal 1935 al 1938, gcn . Ludwig Bcck; dal 1938 (in cai·ica sino al 1942), gen. Franz Halder (WheelerBcnnct J .W., op. cit. , pagg.783-784). (55) Alfrcd Jodl (1890-1946), ufficiale d ' artig lieria, esercitò funzioni di stato maggiore nel Truppenamt della Reichswehr; nel 1935 entrò a far parte de l Wehrmachtamt («Ufficio delle forze armate» nell'ambito del mini stero d ella g uerra) quale capo del reparto difesa nazionale; promosso generale nel 1938, dal 1939 al 1945 fu capo dell'uffi cio operazioni dcll 'OKW (Oberkommando der Wehrnuicht = Comando Supremo delle forze armate tedesche). Condannato a moite al processo di Norimberga, fu g iustiziato il 16.10.1946.
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pendenza da parte delle altre due forze armate, e nel contempo lo stesso ministero della guerra veniva ad essere un secondo alto comando dell'esercito che si sovrapponeva al comando supremo di questo minacciandone le prerogative. Fino al 1938 Fritsch e Beck furono in grado di difenderne l'autonomia, anche perché i quadri dell'OKH rimanevano ben più numerosi ed articolati di quelli del ministero della guerra. Dopo che nel marzo 1935 il Truppenamt si trasfonnò in Generalstab, le sue 4 ripartizioni furono riordinate e ricevettero nuove denominazioni. Alle dirette dipendenze del capo di stato maggiore generale furono posti 2 Oberquartiermeistern (0.Qu.), ciascuno dei quali sovrintendeva a varie sezioni. L'O.Qu. I era un posto-chiave, con competen1/.a per le operazioni, i trasporti ed i servizi logistici; alle dipendenze dell'O.Qu. II (e, dal 1937, di un altro O.Qu. denominato III e sotto dalla scissione del II) erano altre sezioni che curavano l'addestramento, le informazioni, varie problematiche tecniche ed altre questioni di vario genere. Sempre alle direlte dipendenze del capo di stato maggiore generale presero forma altre 4 sezioni dell' OKH, svolgenti un gran numero di funzioni amministrative, ordinative, logistiche e di reclutamento nonché quelle concernenti il personale, ma la più importante era certamente l' Heereswaffenamt, che si occupava di tutti i problemi concernenti la progettazione e la produzione degli armamenti. La rilevanza, poi, assunta dai mezzi corazzati e motorizzati nel processo di riarmo portò alla creazione nel 1934 del Kommando der Parzertruppen, del quale il primo titolare fu il gen. Oswald Lutz, già ispettore delle forze motorizzate dal 1931, che fu anche il primo ad essere elevato al grado di Generai der Panzertruppen. Dal punto di vista formativo, sempre nel 1935, dopo la denuncia del trattato di Versailles, fu annunciata la riapertura della Scuola di Guerra, la vecchia Kriegsakademie che era stata segretamente ricostruita il l agosto dell'anno precedente per adempiere alla propria funzione di preparare i futuri ufficiali di stato maggiore. Contemporaneamente, fu· creata a Berlino la nuova Wehrmachtakademie, un piccolo, selezionato istituto alle dipendenze del ministero della guerra per I' approccìo ali' alta strategia ed al coordinamento interforze di un ristretto numero di ufficiali di grado intermedio (6 dell'esercito, 2 della marina e 2 dell'aeronautica) prescelti con particolare cura. Sotto la predetta organizzazione centrale, l'esercito si sviluppò rapidamente. All'atto del passaggio della Reich.~wehr alla Wehrmacht il processo di trasformazione dei 7 Wehrkreise da comandi di divisio251
ne a comandi di corpo d'mmata, iniziato subito dopo l'ascesa al potere di Hitler, era virtualmente completato, e nell'ambito di ciascuno di essi agivano 3 divisioni dove prima ve ne era stata una sola. Erano stati costituiti 2 nuovi Wehrkreise: le 3 divisioni di cavalleria della vecchia Reichswehr furono abolite, ed una di esse divenne il Wehrkreise Vlll a Breslavia, mentre il IX venne costituito a Kassel. La annunciata meta di 12 corpi d'armata e 36 divisioni fu raggiunta rapidamente. Nel 1935 fu creato ad Amburgo il Wehrkreise X, e nella tarda primavera dell'anno successivo fu resa nota la costituzione del Wehrkreise XI ad Hannover e del XII a Wiesbaden, nella Renania rimilitarizzata (56). Questo moltiplicarsi di Wehrkreise richiese la formazione nel I 935 di un terzo Gruppenkommando (Comando di gruppo d'am1ata) a Dresda sotto la guida del gen. von Bock, che m1dò ad aggiungersi agli altri due comandanti di gruppi d'armale, Rundstedt e Leeb (57), per formare la triade dei più elevati comandanti di GG.UU., gli Heeifuehrer, de11'esercito tedesco. Nel 1937 divenne evidente che il raggiunto traguardo dei 12 corpi d'annata su 36 divisioni non era un obbiettivo definitivo. Nella primavera dello stesso anno nacque a Norimberga il Wehr-
(56) La rioccupazione delle zone smilitari zzate della Renania, in virtù dell'abrogazione formale del lrallato e.ii Locarno da parte della Germania, ebbe luogo il 7 marzo 1936 con l'ingresso di 3 battaglioni tedeschi ad Aquisgrana, Trcviri e Saarbriickcn. (57) Gerd von Runc.istedt (1875-1953) , nato da famiglia dell ' aristocrazia prussiana, Feldmaresciallo, partecipò alla l" guerra mondiale come capo dì stato maggiore di GG.UU. e fu uno degli artefici della ricostruzione dell'esercito tedesco nel quale cercò di rivalutare l'importanza della fantc1ia a fronte dei mezzi cornzzati che, contrariamente alle più moderne forme di pensiero militare in auge negli anni Trenta anche in Germania, considerava no n più di un 'arma ausiliaria. Nel 1938, d opo essersi opposto ai siluramenti di Blomherg e Fritsch, dette le dimissioni ritirandosi a vita privata. Richiamalo in servizio da Hitler allo scoppio della 2n g uerra mond iale, partecipò alle campagne contro la Polonia e la Francia al comando di un gruppo di armate ed a quella contro la Russia quale comandante del fro nle meridional e, presentando nuovamente le dimissioni alla fine del 1941 non condividendo g b orientamenti dì Hitler sulla condotta successiva delle operazioni. Fu richiamato in servizio nel 1942 quale comandante del fro nte occidentale; rimosso dopo lo sbarco all ealo ìn Normandia , tornò alla ribalta nell'autunn o 1944 per g uidare la controffe nsiva nelle Ardenne. Condannato per crimini di g uerra, 1imasc detenuto per 4 anni. Wilhelm Riller von Leeb (1 876-1956), Feldmaresciallo, partecipò come uffi ciale d'artiglieria all a guerra contro ì Boxers in Cina cc.i al I O conflitto mondiale. Stretto collaboratore di von Seeckt. durante la repubblica dì Weimar, elaborò nel 1934 i progetti per il vallo occidental e, e nel 1939 venne no minato comandante del gruppo d' annate schierato lungo il confine occidentale dal Lussemburgo al confine svizzero. Pu protagonista dello sfondamento della linea Maginot nel 1940, e nel 1941 divenne comandante del g ruppo d'armate Nord sul fronte russo; l'anno successivo, essendo sorto un insanabile contrasto con il comando supremo, chiese e.ii essere messo a riposo. Comparve come testimone al processo di Norimberga, sostenendo l' estraneità di molti comand anti tedeschi ai progetti di Hitler.
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kreise XIII, ma già poco dopo furono messi allo studio i piani per ]a costituzione, avvenuta fra il 1937 ed il 1938, di 4 nuovi comandi di corpo d'armata senza giurisdizione territ01iale nei quali sarebbero state raggruppate le nuove divisioni corazzate e motorizzate. Agli inizi del 1938 prese vita il ComandoSuprcmo della Wehrmacht (OKW = Oherkommando der Wehrmacht), e per quanto riguardava l'esercito i] nuovo capo di stato maggiore gen . Halder (58) ne allargò la struttura in 12 sezioni alle dipendenze di 5 Oberquartiermeistern. Venne abolito l'ispettorato della cavalleria, e si ebbe la designazione del gen. Guderian (59) quale Chef der Schnellen Truppen (Capo delle truppe celeri). Allorché cominciarono a profilarsi le prime avvisaglie di guerra, si accrebbe 1'1rnportanza dell'Allgemeine Heeresamt (Uf'ficio Generale dell'esercito) che controllava le unità della 1iserva e gli ispettorati.
5. La normativa tattica tedesca nel 1934 Per il periodo relativo a1Ia Reichsi,vehr, la documentazione di un
(58) Franz Haldcr ( 1884-1972), bavarese, ufficiale d 'aitigl ieri a, percorse una rapida caffiera segnalandosi come brillante ufficiale di stato maggiore. Promosso maggior generale nel 1934, fu per alcuni anni capo del settore addestramento presso lo stato maggiore dell'esercito, del quale divenne capo nel 1938 subentrando a Beck. Mantenne l'incaiico, enlrando spesso in contrasto con gli orientamenti operativi di Hitler, sino al settembre 1942, allorché l'arenarsi della grande offensiva estiva sul fronte msso, del cui progetto era stato l'ideatore, ed il profilarsi del disastro di Stalingrado ne determinarono la rimozione. Dopo l'attentato a Hitler del 20.7.1944, fu arrestato e tenuto in campo di concentrain ento sino al termine del conflitto. Successivamente, dal 1948 al 1951, fu capo del gmppo di collegamento storico della specifica brai1ca dell'esercito degli Stati Uniti, cd alla fine di tale mandato venne insignito del Meritorious Civilian Service Award, la più alta ricompensa civile americana per servizi resi al lo Stato. (59) Hcinz Gudcrian (1888-1954 ), prussiano, ufficiale radiotelegrafista e segnalatore durnntc la l a guc1rn mondiale, fu assegnato nel 1918 allo stato maggiore generale. Nel 1922 gli fu affidato il compito di studiare le possibilità di impiego delle trnppe motorizzate, e per esso si dedicò ad una serie di studi teorici e sperimentali tali da renderlo un espe1to tra i più competenti n el settore della guerra meccanizzata e dei carri armati in pa1ticolare, dei quali sosteneva (condividendo le teorie degli ing lesi Hohart e Liddel Ha1t) la primaiia funzione di massa compatta di sfondamento. Generale nel 1938, ne llo stesso anno venne posto al comando del XVI corpo d 'ai-n1ata e nominato capo delle truppe celeri. Alla testa di GG.UU. corazzate condusse brillanti operazioni durante le campagne di Polonia, di Francia e di Russia, dove alla fine del 1941 riuscì a portarsi con le sue avanguardie a 40 mig li a da Mosca; dopo la mancata conquista della capitale sovietica, fu esonerato dal servizio insieme a molti altri generali. Richiamato il I O marzo 1943 come ispettore generale delle forze corazzate, dette nuovo impulso alla produzione dei carri armati. Dopo l'attentato a Hitler del 20.7.1944 fu nominato capo di stato magg iore dell'esercito, incarico che resse s ino al 28.3.1945 allorché, a seguito di un diverbio con il Ftihrer, fu nuovamente destituito.
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certo interesse proveniente daJI' ufficio dell'addetto militare a Berlino e reperibile presso l'archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito è limitata ad una sola relazione (60). Essa attiene peraltro ad un argomento di notevole importanza, trattandosi di una sintesi critica della pubblicazione ufficiale Truppenfiihrung (impiego delle truppe) edita nel 1.934 dal Comando dell'esercito, che sostituiva la precedente Fiirrung und Gefacht der verbundenen Waffen (impiego e combattimento delle truppe in cooperazione) in vigore dal 192L Del documento, che costituiva il recente codice tattico dell'esercito tedesco, risultava pubblicato un primo volume (di un secondo, riguardante l'arma aerea, i mezzi motorizzati ed i carri armati, gli aggressivi chimici ed rifornimenti, era data prossima l'uscita) comprendente 300 pagine suddivise in 13 capitoli. Nel trasmettere la pubb1icazione, l'addetto militare ten. col. Giuseppe Mancinelli faceva presente come la stessa fosse classificata «segreta», tanto da non essere distribuita ai singoli ufficiali ma diramata solo ai comandi, rimettendone una copia agli addetti militari italiano ed ungherese, per cui il nostro rappresentante raccomandava che non si venisse meno a tale trattamento di favore con il divulgare il contenuto del documento mediante indiscrezioni, esami comparativi, studi di carattere vario su riviste militari o quant'altro.
(60) Era staia preceduta circa un anno prima da una nota informativa in merito alle impressioni e valutazioni ricavate dal nostro rappresentante nel corso di una conversazione informale con il gen. Stojokovis, addetto militare ungherese che rientrava in patria dopo 7 anni di pennanenza in Germania durante i quali aveva stabilito stretti rapporti personali con esponenti delle forze armate tedesche di ogni grado, tali da rendere sicuramente attendibili le risullanze in suo possesso. Queste erano così riassumibili: in caso di improvvisa mobilitazione, la Germania sarebbe stata in grado di raddoppiare le proprie unità in circa 1-2 settimane e di triplicarle dopo altre 4 (anche se i relativi materiali sarebbero stati disponibili soltanto in parte); a questo esercito di campagna, si sarebbe aggiunta una «milizia confinaria» (Gren Schutz) su base volontaria, già organizzata al confine polacco, in fase di organizzazione su quello cecoslovacco e pressoché assente su quello francese; in regime di mobilita7.ione industriale e di non limitata attività addestrativa, alla Germania sarebbe occon;o più di un anno per poter mettere in campo un esercito di circa 3 milioni di uomini . (AS-D MAE, Affari Politici, Germania, b.18/1133, fascicolo «Rappo1ti del R" Addeuo Militare», proL 335 del 2.5.1933 da Add. Mil. Berlino a Ministero Guerra, Gabinetto - Uff. Coordinamento ed a Comando Corpo Stato Maggiore - S.I.M. f.to ten. col. Mancinelli, e 0 trasmesso da R Ambasciata Berlino a MAE con prot. A39 del 5.5.1933). Nello stesso fascicolo sono contenuti un'altra relazione dal titolo «Esame particolareggialo del programma di armamento in via di esecuzione presso l'esercito gennanico», di carattere eminentemente tecnico, inviata al Ministero della Guerra e trasmessa anch'essa dalla R Ambasciata al MAE con prot. 6150/2198 del 5.12.1933, cd altri rapporti relativi ad esercitazioni di rcpaiti. 0
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11 riepi1ogo della publicazione era così formulato: «L'esame sintetico del Truppenftihrung .mggerisce le seguenti osservazioni: a) 11 metodo Dalla lettura del volume, si comprende come le soluzioni schematiche dei vari problemi tattici ed operativi non attecchiscano nell'esercito tedesco; infatti il regolamento, a d(fferenza di quello francese, non segue La traccia della successione nel tempo delle varie fasi che si sviluppano partendo da una determinata ipotesi iniziale. Al contrario, i vari argomenti vengono trattati con piena indipendenza l'uno dall'altro; a proposito di ognuno si e.\pongono le influenze delle diverse variabili (terreno, situazioni ed intenzioni del nemico, disponibilità di forze, condizioni climatologiche) sul rendimento dei vari mez.z.i ed armi. Non ne risulta una indicazione precisa al comandante responsabile, e questi, nel caso concreto, non disporrà, per decidere, di una soluzione completa a cui fare r(ferimento. A Htolo d'esempio, i prohlemi dell'avvicinamento sono trattati nel capitolo "sicurezza", in quanto i provvedimenti da prendere tendono ad ottere che la progressione in avanti si realizzi col minimo effetto della reazione nemica. Ma dell'avvicinamento si parla pure due capitoli dopo a proposito dell'attacco in quanto r~flette le esigenze di un schieramento <dfensivo e di una messa in tensione delle forze per l'attacco. Al comandante non si fanno suggerimenti; lo si mette soltanto di fronte alle prevedibili conseguenze che, sotto gli aspetti più diversi, le sue decisioni potranno provocare. b) La concezione della lotta Malgrado questo, non è da credere che la necessaria disciplina delle intelligenze ne risulti sacr~fìcata. Gli orientamenti della dottrina emergono inavvertitamente dalla lettura complessiva e tali orientamenti sembrano perfettamente proporzionati ai problemi operativi concreti della Germania in relazione al terreno dei suoi prevedibili teatri d'operazione ed al disquilibrio di forze rispetto ai presunti avversari. Alla d(fensiva viene data eguale importanza che alla o_ffensiva. Persino la ritirata è trattata in modo particolare e senza attribuirne alcun carattere moralmente depressivo; viene definita come l'atto tendente a sottrarre la truppa alla continuazione della lotta per riprenderla altrove in condizioni più favorevoli. Si insiste molto sulla mancanza di appoggi d'ala e sul combattimento non inquadrato, sul passaggio immediato dall'attacco alla 255
difesa e viceversa e sul combattimento temporeggiante. Si crede al combauimento d'incontro. Veramente largo e importante è il contributo del "Truppenfuhrung" allo studio delle cqnseguenze derivanti nello sviluppo dei vari atti tattici dalla presentd dell'arma aerea e dei mezzi meccanizzati (un pò meno, anche dell'arma chimica). Traspare la consapevolezza delle proprie deficienze ma anche la orgogliosa conf1denza di poter affrontare con successo, mediante uno strumento moralmente solidissimo, le difficoltà che ne derivaranno. La nuova istruzione, rispetto alla precedente, è tenuta in termini alquanto più generici: più ampia enunciazione dei principi, minore ricerca del dettaglio e di norme di esecuzione. Secondo critiche che ho inteso esprimere da ufficiali tedeschi (precisamente da insegnanti di tattica della scuola militare di Dresda), l'opera sarebbe tenuta in termini eccesivamente elevati, così da costituire una guida soltanto per i comandanti di grande unità. 1l comandante inferiore difficilmente vi potrà trovare elementi che Lo illuminino nelle normali contingenze della sua attività. Debbo aggiungere che, a mio avviso, tale critica è assolutamente fuori di posto e che anzi, forse, in qualche parte si potrebbe ancora toEJLiere vantaggiosamente qualche particolare. Altra critica mossa da t.1:0iciali tedeschi: si avverte che la istruzione è stata scriua e concertata da artiglieri. In questo momento infatti, situazione assolutamente nuova nell'esercito germanico, sono artiglieri, d'origine, il ministro v. Blombe-rg, il suo collaboratore generale v. Reichenau, il Capo della Direzione dell'Esercito, tenente generale Beck Quest'ultimo è il compilatore dell'istruzione; non sono forse in grado di giudicare serenamente in questa critica, essendo io stesso arli,?liere: è mia impressione tuttavia che in genere i compilatori abbiano improntata tutta l'opera alla necessità di assicurare allafanteria l'aiuto che le compete per il raggiungimento del successo. Consci tuttavia delle necessità proprie dell 'artiglieria, cui non si contravviene senw diminuire l'efficacia di quest'arma, hanno talvolta dovuto subordinare l'azione della fanteria a quella dell'artiglieria non già per cieca preferenza verso quest'ultima, ma appunto per una oculata e bene intesa volontà di offrire alla fanteria il massimo della collaborazione (61). (61) A questo punto compariva una chiosa del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, gen. Alberto Bonzani: «Si, ma attenti a non legare la fanteria alla volala dei pezzi, perché purtroppo di artiglieria ce n' è sempre poca».
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I. - Nella prefazione, dettala dall'ex-Capo del Comando dell 'esercito, generale von Hammerstein, è detto che l'istruzione suppone forze, armamento ed equipaggiamento di un esercito non vincolato a Limitazioni, lasciando agli esecutori di introdurre le eventuali modificazioni che risultassero "dalle condizioni di pace, da prescrizioni legali e da trattati internazionali". Tale premessa non è sostanzialmente diversa da quella apposta dal generale van Seeckt all'istruzione del 1921. Ivi peraltro era fatto cenno alla situazione attuale dell'esercito tedesco, ben diversa da quella supposta per un "esercito moderno ". La premessa, comunque, consente di parlare con tutta libertà, nel corso della trattazione, dell'impiego di mezzi e di formazioni proibiti dal trattato di Versailles o da accordi internazionali, quali sarebbero aggressivi chimici, aviazione, carri armati, etc. L'introduzione costituisce un breve compendio di norme spirituali e morali per l'esercizio del comando. È una parte completamente nuova, nonostante il perfezionarsi ed il tecnicizzarsi dei mezzi; l'importanza dell'individuo è anzi accresciuta dalla neces sità di combaltere separati. Il valore bellico (somma di doti spirituali e di grado di addestramento) può compensare la inferiorità numerica. II. - L'organizzazione dell'esercito in guerra prevede: Gruppi di esercito (eventuali) composti di più armate. Armate, composte di un certo numero di divisioni di fanteria, riunite in corpi d'annata, e di truppe d'armata. Cavalleria d'esercito composta di divisioni di cavalleria eventualmente riunite in corpi di cava11eria ed assegnate alle armate e ai gruppi di esercito; Arma aerea comprendente aviazione ( esplorazione, caccia, bombardamento) e riparti contraerei. L'aviazione è assegnata normalmente alle grandi unità superiori, eccezionamente alle divisioni. Riserva generale. Non appare in modo chiaro come debba considerarsi l'arma aerea, se autonoma o facente parte dell'esercito. Sembra tuttavia che si tratti di un 'arma indipendente, le cui unità vengono poste a disposizione dell'esercito, che le impiega. La divisione è l 'unità tattica e logistica fondamentale. Il corpo d 'armata non ha infatti, come servizi, che gli elementi per le proprie truppe suppletive. La divisione viene praticamente suddivisa per l'impiego in unità miste inferiori, di costituzione variabile in base all'impiego. 257
Nella divisione di fanteria non esiste il comandante di fanteria. Nella divisione di cavalleria esiste la brigata di cavalleria. TTT. - Nelle norme generali di condotta sono stabilite due forme offensive: attacco a fondo e attacco con obiettivo limitato e due forme difensive: difesa e resistenza temporeggiante. lvi si ribadisce il criterio della superiorità qualitativa come parziale compenso alla inferiorità materiale. Vi è un primo accenno ad un importante principio, più largamente sviluppato nei successivi capitoli: la manovra delle munizioni come mezzo estremo della condotta del combattimento. Fin dall'inizio il concetto estremo d'azione deve essere sviluppato nella ripartizione delle truppe e nella ripartizione delle munizioni. Il complesso della trattazione considera un tipo di guerra di movimento che non appare tanto contrapporsi alla guerra di posizùme, quanto derivare per evoluzione di questa. Le unità tattiche godono di una certa articolazione e libertà di movimento; la coordinazione fra unità adiacenti non deve mai irrigidirsi in interdipendenza. Lo spirito oj}ènsivo viene giustamente posto in valore, ma viene contemporaneamente frenato perché non degeneri: ardire consapevole e ponderato, non attacco a testa bassa. Gli ordini verbali costituiscono la regola del reggimento, epossono trovare applicazione (ordini brevi e semplici) anche nelle unità superiori. Questa norma, che accelera gr_andemente la distribuzione degli ordini, corrisponde alla pratica dell'esercito tedesco ed è resa possibile da un accurato, specifico addestramento». Seguiva la descrizione dei capitoli relativi all 'esposizione (strategica, tattica, di combattimento) ed a11a sicurezza (in stazionamento ed in marcia), al combattimento in condizioni speciali (oscurità, nebbia, montagna, boschi, strettoie, guadi, ecc.) nonché alcune considerazioni in tema d 'attacco che vedevano affermato il principio di fissare fronta1mente il nemico attaccandone l'intero fronte e cercando di mettere in atto una manovra avvolgente, il che costituiva una non irri1evante evoluzione rispetto a quanto prescritto nell'edizione precedente, e che cioè l'attacco fronta1e dovesse essere tentato solo quando l'avvolgimento fosse risultato impossibile (62).
(62) AUSSME, LI0-11/1, prot. 398 del 5.6.1934, da Add.Mil. Berlino a Comando Corpo di Stato Maggiore, f.to ten. col. Mancinclli.
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A questo primo volume del Truppenfiihrung sarebbero state apportate, nel maggio 1938, alcune sostanziali varianti relative a11a «resistenza temporeggiante» che ne definivano meglio il concetto accrescendone in pari tempo la portala, discostandola da un tipo di azione dimostrativa per avvicinarsi maggiormente a quello di azione difensiva vera e propria pur continuando a differenziarsi da questa nello scopo e ne11 ' organizzazione. Mentre prima era detto che questa forma d'azione doveva mirare a trattenere il nemico, infliggendogli le maggiori perdite, «senza che il difensore si esponesse ad un combattimento», ora l'espressione era mutata in "senza che si giunga ad una decisione de1 combattimento". Il nuovo concetto appariva più impegnativo del precedente per il difensore. Questi avrebbe affrontato anche «combattimenti seri» ( come del resto sembrava inevitabile per poter «infliggere al nemico la maggiori perdite»); avrebbe avuto solo cura di non lasciarsi impegnare fino all'ultimo, riservandosi la possibilità di interrompere 1'azione e di ripiegare (63). 6. La campagna d'Etiopia La campagna d'Etiopia del 1935-1936 fu oggetto di una serie di comunicazioni. Una fra le prime in ordine cronologico riguardava una valutazione circa l'atteggiamento della Germania nei confronti dell'operazione: «I. - Si è molto parlato di forniture tedesche all'Abissinia. In realtà non sono state mai provate (mentre più o meno sono state accertate le forniture def.:li altri Paesi che le hanno veramente falle), ed ultimamente si è avuto l'esplicito e spontaneo impegno del governo del Reich a non f arne. 2. - Lo stesso vale per l'invio di istruttori militari, il che non implica che qualche elemento isolato non possa essere riuscito a portarsi in Abissinia ed a mettersi a dfaposizione di quell'esercito. 3. - Se la Germania ha una esatta comprensione del proprio tornaconto politico, vede certamente con piacere un conflitto italoabissino che indebolisca un suo antagonista. Nessun megalomane può pensare perà che tale conflitto le consenta la realizzazione di
(63) AUSSME, L13-42/3, prot. 1450 del 29.8.1938, da Add. Mil. Berlino a S.I.M., f.to il R 0 Addetto Militare.
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tutte le sue aspirazioni, dall'Alto Adige alla Russia. Qualche programma di realizwzione, ma certamente più modesto, potrebbe se mai sorgere fra qualche anno, se l'impresa etiopica dovesse impegnarci troppo a lungo e troppo a.fondo. Si può tutt'al più ammettere che, se mai La Germania giungesse a convincersi che la Francia non marcerebbe se non fosse attaccata alle sue frontiere, la Germania stessa tenterebbe di approfittare della nostra presunta assenza per risolvere la questione austriaca. Occorre però aggiungere che ciò risulta in via esclusivamente speculativa non confortata, per ora almeno, da sintomi e tanto meno da prove» (64). Un paio di mesi dopo, però, una comunicazione interna del S.l.M. conteneva informazioni in contrasto con le precedenti: «Durante il mese di luglio u.s. sono partiti da Bremen per l'Egitto 146 tedeschi (ufficiali di complemento, tecnici, piloti, ecc.) che si recavano volontari in Abissinia per il Sudan insieme a numerosi inglesi per arruolarsi nell'esercito abissino. Essi hanno ottenuto uno speciale permesso dai ministeri dell'interno e della guerra del Reich. Del loro redutamento si occupa una comm;sione a capo della quale si trovavano un tedesco (tale Jacobsen), un belga ed un inglese, tutti al servizio dell'Abissinia. La predetta commissione si incarica pure di far pervenire in Abissinia le forti ordinazioni di materiale bellico fatte dal governo abissino alle ditte Mauser, Siemens, Krupp, Rhein Metal, ecc.» (65). Interessante anche il contenuto di altre due informative del ten. col. Mancinelli. La prima, senza indicazioni leggibili di data ma riferibile, attraverso il contesto, al mese di ottobre o novembre del 1935, concerneva le impressioni tedesche nei riguardi del conflitto abissino: «Lll grande adunata del 2 ottobre prima, il fermo discorso del Capo del Governo ed infine l'energico inizio delle ostilità in A. O. hanno prodotto in Germania profonda impressione. Nella stampa si è immediatamente rilevato tale favorevole mutamento, sopratutto nel senso di un minor credito all'azione inglese ed una minore ospitalità alla propaganda proveniente da Londra. Si sta creando la sensazione che contro l'Italia si è coalizzato soprattutto l'antifascismo, che è contemporaneamente àntinazismo, e sembra stia
(64) AUSSME, H3-39/2, prot. 730 del 16.7.1935, daAdd. Mii. Berlino a S.I.M., f.to ten. col. Mancinelli. (65) AUSSME, H3-39/2, prot. 1118 dell' 11.9.1935, da S .I.M. - 2a Sezione a S.I.M., f.to ten. col. Luigi Mondi.ni.
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per formarsi uno stato d'animo di solidarietà contro un nemico che è comune [. . .]. L'ammirazione che questo popolo ha per la forza ed il suo impiego, in un ambiente scevro di pacifismo, societarismo e parlamentarismo, influirà certamente a rendere gradatamente sempre migliori le relazioni spirituali fra i due Paesi. Lo stato maggiore tedesco ha seguito con molta attenzione la fase di preparazione, e segue ora con altrettanto interesse gli avvenimenti (ho già segnalato che chiederà di inviare un osservatore). Lo scetticismo che aveva in principio, in considerazione della scarsa capacità logistica del porto e delle vie di sgombero di Massaua, sembra essere ora completamente scomparso, e pare che oggi conti su un brillante sviluppo delle nostre operazioni. Evidentemente si ha molta fiducia nei generali del corpo di spedizione, particolare, questo, che merita di essere rilevato perché, come è noto, il leitmotiv dei giudizi sull'esercito italiano è sempre stato: buoni soldati, cauivi condottieri. Lo stato maggiore tedesco guarda con molto pessimismo alla futura azione dell'Inghilterra nei nostri riguardi, ritenendo impossibile che Londra possa rassegnarsi ad una perdita di prestigio. Giudica la situazione del gabinetto tale da consenlirgli di prendere tranquillamente ogni decisione, anche di guerra, senza preoccupazioni di carattere interno. Tanto più, si pensa, che una guerra con l'Italia impegnerebbe soltanto la flotta e non comporterebbe sacrifici di prestazioni personali alle quali il cittadino inglese è particolarmente riluttante» (66). La seconda riportava i giudizi di due ufficia1i inglesi espressi ad Addis Abeba: « Da fonte fiduciaria attendibile. Secondo una recente notizia da Addis Abeba due giovani ufficiali di stato maggiore inglesi in attesa di recarsi al fronte meridionale, in una riunione di europei si sarebbero espressi molto liberamente destando la sorpresa degli ascoltatori. Questi avevano dapprima espresso La loro preoccupazione per le armi moderne che giungono continuamente e vengono distribuite senza criterio fra la popolazione. Se l'Abissinia perderà la guerra, sorgerà un terribile odio contro i bianchi. Allora quelle armi costituiranno un gravissimo pericolo per gli europei. Se l'Abissinia vincerà, chi disarmerà gli abissini per ricostruire la sicurezza ?
(66) AUSSME, H3-39/2, prot. 1264 senza indicazione di data, da Add. Mii. Berlino a S.I.M., f.to ten. col. Mancinelli.
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Gli ufficiali hanno parlato con &,prezzo dei diplomatici che complicano tutto. I militari risolverebbero rapidamente la questione abissina. L'importanza per l'Inghilterra del lago Tana è stata molto esagerata. Una Abissinia italiana non costituirebbe nessun pericolo per le comunicazioni con l'India. L'Inihilterra possiede Suez e l'Italia è vulnerabile nel Mediterraneo. Poiché Francia ed Inihilterra hanno mancato di investire lavoro e denaro in Abissinia, mentre l'Italia è pronta a farlo, si lasci pure all'Italia ciò che vuole. Un 'Italia occupata in Africa turberà meno la tranquillità europea. In Libia l'Italia ha dimostrato la sua grande capacità coloniale. L'Abissinia, per la sua incapacità ad abolire la schiavitù e ad impedire le razzie ai confini, dovrebbe essere posta sotto la tutela della S.D.N. che dovrebbe affidarne il mandato all'Italia» (67). Nel 1936 l'evoluzione rapidamente positiva per l'Italia delle operazioni in Africa Orientale comportò reazioni, a livello politicodiplomatico e degli organi di stampa, che l'addetto militare aveva cura di rappresentare: «La serie di vittorie annunciate dai nostri bollettini hanno prodotto prqfonda impressione in Germania, dove più o meno si era pervenuti alla convinzione che non saremmo mai riusciti a battere in campo aperto le forze abissine addossate alle nostre linee del Ttgrai. Il ricono.w:imento della stampa, se pure con qualche tentativo di riduzione (qualche residuo di dubbio che le cose possano essere meno fàvorevoli di quanto appaia dalla rappresentazione italiana, un certo pudore di sconfessare di colpo precedenti teorie, forse anche qualche pò di gelosia di un Pae.se che ritiene di avere il monopolio e la ricetta dell'arte di vincere le battaglie), è generale. Con rincrescimento ho constatato che il ministro della guerra e lo stato maggiore tedesco si sono astenuti dall'inviarmi ufficialmente i rallegramenti che mi sarei atteso. Individualmente, molti ufficiali si sono rallegrati con me, ma soltanto occasionalmente, incontrandomi. Evidentemente esistono tuttora serie preoccupazioni di non eccedere in atti di simpatia verso di noi. Particolarmente cordiali e sign(fìcative sono state le parole rivoltemi dal gen. von Seekt: «Mi rallegro tanto più sentitamente in quanto la battaglia che avete vinto è militarmente molto bella». Anche il gen. Von Hammerstein mi ha espresso <:on parole molto cordiali i suoi sentimenti, che sono indubbiamente molto amichevoli nei nostri riguardi. Il Kaiser ha ammirato particolarmente la resistenza dei (67) AUSSME, H3-39/5, prot. 1771 del 18.12.1935, da Add. Mii. Berlino a S.I.M., f.to ten. col. Mancinelli.
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nervi di Mussolini che ha saputo attendere, senza imporre limiti di tempo al comandante supremo. L' atleggiamento di simpatia verso L'Italia e di ostilità verso l'Inghilterra è comune a tutta la famiglia imperiale. Degli addetti militare qui accreditati, soltanto l'ungherese si è ufficialmente rallegrato per le vittorie italiane» (68). Per quanto concerneva in particolare l'atteggiamento assunto dalla stampa, il ten. col. Mancinelli faceva riferimento ad uno degli organi più autorevoli, il Frankjìirter Zeìtung. II giornale aveva sino allora affidato i propri commenti sulla campagna d'Etiopia ad un critico militare che si era caratterizzato per un palese atteggiamento anti-italiano e di supina acquiescenza a11e notizie di origine anglo-abissina. Si trattava di un soggetto chiaramente prezzolato in tal senso ma altrettanto disponibile per qualsivoglia attività di segno opposto, come era dimostrato dall'aver più volte offerto le proprie prestazioni allo stesso addetto militare italiano che era infine riuscito ad estrometterlo dal giornale, cos'ì come in precedenza era riuscito a farlo allontanare da un altro autorevole quotidiano, Berliner Tageblatt. Verso la fine di marzo era subentrato un successivo commentatore che innanzitutto prendeva in considerazione, al contrario del precedente, le notizie contenute nei comunicati ufficiali italiani, e sulla base anche se non esclusivamente di queste formulava le proprie considerazioni. Il cambiamento di tendenza, sosteneva il ten. col. Mancinelli, non poteva ovviamente essere troppo brusco per non disorientare i lettori, ed a prova di ciò accludeva il primo articolo del nuovo esperto militare che, pur inserendo ancora argomentazioni piuttosto critiche nei confronti dell'Italia, rappresentava secondo la propria valutazione un anello di congiunzione con l' impostazione del predecessore, premessa indispensabile per l'evoluzione favorevole nei giudizi verso di noi (69). Che tale evoluzione fosse realmente in atto era dimostrato da un secondo articolo trasmesso una settimana dopo, nel quale la presa di distanza dall'atteggiamento del critico precedente era ancora più palese (70).
7. Il periodo Marras Dal 1° ottobre 1936 al ten. col. Mancinelli subentrò il col. Efisio (68) AUSSME, Dl-133/1, prot. 331 del 5.3.1936, daAdd. Mil. Berlino a S.I.M., f.to ten. col. Mancinelli. (69) AUSSME, Dl-133/1, prot. 487 del 4.4.1936, da Add.Mil. Berlino senza indirnzione di destinatario, f.to ten. col. Mancinelli. (70) AUSSME, Dl- 133/1, prot. 491/bis del 10.4.1936, da Add.Mil. Berlino a S.I.M., f.to ten. col. Mancinelli.
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Marras, che avrebbe ricoperto l'incarico di addetto militare a Ber1ino sino all'S settembre 1943, tranne un breve periodo di 5 mesi da luglio a novembre del 1939 durante il quale l'ufficio fu retto dal gen. Mario Roatta (71 ), poi richiamato in Italia in quanto nominato Sottocapo di Stato Maggiore dell'Esercito mentre Marras, promosso generale di brigata il 1° luglio I 937, ricoprì la carica di comandante dell'artiglieria del corpo d' armata di Roma e poi quella di capo di stato maggiore della 5a Armata in Libia. Sull'attività del gen. Marras (generale di divisione dal l O luglio 1940 e di corpo d'armata del 1° gennaio 1943) quale rappresentante mm tare italiano presso 1'ambasciata in Germania è stato scritto uno specifico volume (72) del quale più dei 2/3 sono, giustamente, riservati al periodo della seconda guerra mondiale, quello più denso di avvenimenti e nel quale i rapporti italo-tedeschi erano di molto incrementati dal comune impegno bellico (73). La parte iniziale, riguardante gli anni dal 1937 al 1939, fa riferimento ai rapporti inviati da Marras in merito al riarmo tedesco ed agli avvicendamenti agli alti vertici militari - <<incidenti» Blomberg e Fritsch, nomina di Keitel (74) a comandante supremo della Wehrmacht -
(71) Mario Roatta (1887-1968), ufficiale di stato maggiore durante lata guerra mondiale proveniente dal!' Arma di fanteria, comhattè sul fronte italiano e francese guadagnando 3 medaglie d'argento. Nel grado di colonnello fu addetto militare a Varsavia, Riga, làllin ed Helsinki e successivamente capo del S.1.M. Promosso generale nel 1936, l'anno dopo fu capo della missione miliiare in Spagna, reggendo anche il comando del corpo di spedizione italiano a fianco delle forze franchiste. Sottocapo di Stato Maggiore dell'esercito dal 1939 al 1941 e poi Capo sino al 1942, comandante della 23 armala in Croazia e della 6a in Sicilia, e nuovamente Capo di Stato Maggiore dell'esercito sino al 18.11.1943. (72) Pelagalli S., «Il generale Efisio Marras Addetto Militare a Berlino (1936- 1943)», Roma, USSME, 1994. (73) l documenti originali inviati da Marras al S.I.M. furono distrutti, come gran parte del carteggio custodito presso gli archivi del Ministero della Guerra, dopo 1'8.9. l 943, ma a pa1tire da un certo momento (valutabile fra il 1940 ed il 1941) l'interessato provvide, per quelli di maggiore importanza, a fame una copia che fu poi affidata nell 'estate del 1943 ad un ufficiale che rientrava in Ilalia e che ne curò la custodia sino al termine della guerra. La raccolta di questa documentaz.ione fu donata dallo stesso Marras nel 1973 all'USSME, dove si trova collocata nella posizione cÌ'archivio Ll3 (Cfr. Pelagalli S., «Le rela7.ioni militari italo-germaniche dalle carte del gen. Marras Addetto Militare a Berlino, giugno 1940-settembre 1943», in «Storia Contemporanea», febbraio 1990). (74) Wilhelm von Keitel (1883-1946), Feldmaresciallo, ufficiale di stato maggiore durante la 1a guerra mondiale, dal 1926 al 1933 capo del reparto organizzazione del Truppenamt, generale nel 1933 e sino al 1938 capo del Wehrmachtamt al ministero dell a guerra . Dal 1938 al 1945 fu capo dcll'OKW. Condannato a morte al processo di Norimberga e giustiziato il 16.10.1946.
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alla struttura ed al funzionamento della Kriegsakademie, al1'annessione dell'Austria e dei Sudeti ed all'occupazione della Cecoslovacchia, al contenzioso con la Polonia ed agli altri problemi internazionali. Ad esso pertanto si rimanda per la trattazione di questi temi ed anche per evitare superflue iterazioni, riservandoci di approfondire ne] presente lavoro la riproduzione e l'analisi di alcuni documenti non menzionati nel predetto volume ovvero di quel1i che, pur presi in considerazione, presentano aspetti suscettibili di più specifica attenzione. Fra questi, l'ordinamento militare tedesco nel 1939. Quest'ultimo argomento fu oggetto di una voluminosa monografia di oltre 400 pagine nel1a quale erano fornite dettagliatamente le strutture ordinative dell'esercito dai comandi di GG.UU. sino a livelli inferiori quali, a seconda delle specialità, il battaglione o addirittura la compagnia. La Germania, affermava il compilatore, poteva disporre in qualsiasi momento di un poderoso nerbo di GG.UU. attive, un complesso di circa 50 divisioni che per la loro costituzione organica di pace, quasi identica a quella di guerra, erano sempre immediatamente mobilitabili a pronte all'impiego. La ferma di 2 anni consentiva di mantenere ad un livello pressocché costante la forza di queste GG.UU., soUraendola alle fluttuazioni derivanti dai periodi di forza massima e di forza minima, e permetteva inoltre un accurato addestramento reso ancor più proficuo daJJa preparazione militare che il soldato riceveva nei 6 mesi precedenti di Arbetsdienst (servizio del lavoro obbligatorio). Tutto il materiale di cui l'esercito disponeva era di tipo moderno. Caserme, scuole e stabilimenti militari, campi di istruzione e di sperimentazione non solo rispondevano largamente alle esigenze di vita e di addestramento dei reparti in tempo di pace ma erano in grado di far fronte anche a particolari esigenze operative e logistiche de] tempo di guerra. Il tradizionale spirito militare del Paese, congiunto ali' educazione politica che il governo nazionalsocialista si sforzava di diffondere nelle masse, facevano sì che al problema della potenza militare potessero essere dedicati i maggiori sforzi come al fattore primo ed indispensabi]e per il trionfo e la grandezza del nuovo Reich. Sacrifici di ogni genere erano perciò imposti al Paese per potenz:iare sempre più l'organismo militare, ed il Paese rispondeva displinatamente, adattandosi alla necessità assoluta di dare il massimo possibile per il raggiungimento di questo scopo. T1 primo dubbio che al momento l'organismo militare tedesco suscitava era quello delle riserve. Era difficile poter determinare 265
con relativa precisione che cosa l'esercito fosse in grado di fare in questo campo per portare nella lotta, al tergo delle GG.UU. attive, la massa del popolo in armi. Al1o stato attuale delle cose, sembrava potersi affermare che per deficienza di riserve istruite e forse, anche più, per carenza di armi e materiali di riserva, la Germania non potesse ancora fare assegnamento che su una parte del materiale umano di cui disponeva, aliquota comunque non proporzionata alla massa delle GG.UU. attive. Altre deficienze di importanza meno evidente ma pur sempre piuttosto sensibile erano costituite dalle carenze quantitative e qualitative di alcuni materiali (carri armati, automezzi da combattimento «ovunque», mezzi di trasporto per alcune speciali unità delle trasmissioni, ecc.) e da mancanze soprattutto quantitative in alcune categorie dei quadri ufficiali. Il lavoro febbrile intrapreso nel 1933 non accennava ad affievolirsi anche dopo gli ultimi successi internazionali ottenuti dalla Germania, e procedeva anzi più intenso che mai nell'esercito e nel Paese. Mentre si acceleravano i lavori di fortificazione alla frontiera occidentale e si sovrintendeva al riordinamento militare nei territori ex-austriaco e sudetico, si provvedeva a dare un'istruzione militare, sia pure abbreviata, soprattutto a quelle classi che nel dopoguerra erano sruggite in pieno al servizio di leva, e si spingeva al massimo la produzione industriale di materiali belJici di ogni specie. Se pur l'apparato militare tedesco in atto non poteva dirsi del tutto completo, affermava l'addetto militare, non c'era dubbio che le lacune che esso presentava erano destinate a farsi sempre meno sensibili e che, con il ritmo di ricostruzione impresso, non sarebbe occorso più gran tempo perché il nuovo esercito raggiungesse il livello di potenza che aveva potuto vantare nel 1914, ma con masse superiori e con armamento ed attrezzature tecniche più moderne e cospicue. Alla data di compilazione del rapporto, 24 giugno 1939, l'esercito tedesco comprendeva: 6 Comandi di Gruppo d'Esercito: 1° Berlino, 2° Francoforte sul Meno, 3° Dresda, 4° Lipsia, 5° Vienna, 6° Hannover; 18 Comandi di corpo d'armata, dei quali XIV e XV di truppe motorizzate, XVT di truppe corazzate, XVTI e XVIII dell'exesercito austriaco; 51 Divisioni, delle quali 35 di fanteria (comprese 2 ex-austriache), 3 da montagna (comprese due ex-austriache), 4 di fanteria motorizzata, 4 leggere (motomeccanizzate, compresa una austriaca), 5 corazzate; 1 brigata di cavalleria; reparti di frontiera imprecisati raggruppati sotto un comando di 266
corpo d'armata di frontiera e comandi di zona (75). Forza alle anni: circa·900.000 uomini, dei quali 200.000 a ferma superiore a quella norma1e. Spese per l'esercito nell'esercizio 1937-1938: dai 6 ai 7 miliardi di marchi (cifra presunta). Ampio spazio era anche destinato all'organizzazione dei servizi, alle forze di polizia cd alle formazioni militari del partito nazionalsocialista, nonché alla ripat1izione anagrafica ed addestrati va delle riserve. Di partico1are interesse la parte relativa al reclutamento degli uffici,ùi in servizio permanente, 1a cui va1utazione era così formulata: «L'ufficiale tedesco, in genere, è assai bene addestrato al pratico impiego del proprio reparto ed all'assolvimento delle funzioni quotidiane inerenti al proprio grado. Per quanto possieda cultura generale e pn?(essionale non molto estese e sia in f?enere poco propenso a dedicarsi allo studio per accrescerle, è sempre pronto a portare avanti il proprio reparto con buoni risultati. Soprattutto, l'ufficiale tedesco possiede in m.odo spiccato spirito militare, decisione, tenacia, fiducia nei capi ed una sicurezz a di sé che non di rado confina con la presunzione. Egli è ciecamente convinto della superiorità assoluta propria, del proprio esercito, dei propri sistemi rispetto a quelli di altri Paesi, tanto che spesso non degna neppure di interessarsi a ciò che dçi altri si pratica. Questa presunzione trova valido appoggio nella solidità dell'organisrno militare, nella ricchezza di mezzi di cui dispone, nella metodica organizzazione di ogni attività, nel regolare funzionamento di ogni ingranaggio, nel prestigio di cui il militare gode difronte a popolazione ed autorità civili. Tutto ciò esalta l'ufficiale tedesco e lo eleva.
(75) Da altre fonti risulterebbe come in quello stesso periodo fossero slale mobilitale 15 divisioni di riservisti e 2 di truppe regolari, definite della «seconda ondata» mentre quell e de i tempo di pace furono denominate di «piima ondata». Nell'agosto successivo, nell ' imminenza della g uerra, sarebbero state chiamate alle armi altre 22 divisioni di truppe anziane, costituite principalmente da uomini al di sopra dei 35 anni ed indicale come «terza ondata»; infine, poco p1ima dello scoppio del conllitlo, sarebbe staia allcslila una «quarta ondata» fonnata da un complesso di 14 divisioni, cd un'altra divisione corazzala sarehbe stata approntata all'ultimo momento. Sarebbe stata inoltre presente una divisione SS motorizzata. Ne consegue come un apprezzamento della forza lolalc dcll'cscrcilo tedesco alla rine di agosto 1939 portasse il totale a 106 divisioni, circa il doppio della consistenza del tempo di pace. Va però anche considerato come la forza effettiva di un esercito vada cal colata, in pratica, solo in base al numero di unità effettivamente disponibili cd all'impiego che di esse può essere efficacemente fatto per attaccare o per controbattere un'azione offensiva avversaria. Quando scoppiò la 2a guc1n mondiale, buona parte delle divisioni della terza e quarta «ondata» vennero impiegate per la difesa statica sul fronte occidentale, ed alcune di esse erano scaglionate lungo i confini del Belgio e dell'Olanda separate dal resto dell'esercito realmente operativo (cfr. Taylor Telford, op. cit., pagg. 280/28 1).
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Egli disimpegna il suo servizio serenamente, le sue relazioni con superiori, colleghi ed inferiori sono improntate alla massima correttezza di modi e di linguaggio e ad una cortesia forse un pò fredda e protocollare ma sempre eguale a sé stessa. Rarissimi i casi di comandanti di qualsiasi grado che anche nei momenti più critici perdano la calma e trascendano a gesti o parole di eccitazione o d'ira: ciascuno esamina freddamente la situazione ed adotla i provvedimenti che ritiene necessari, aspettando con calma che le di.~posizioni emanate abbiano il loro corso. Nel complesso, l'ufficiale tedesco conosce praticamente bene il proprio esercito, per quanto di cultura generale e militare inferiore a quella dell'ufficiale italiano / .. .f. Del pari interessanti le valutazioni sui sottufficiali: «Il sottufficiale tedesco, ottimo sotto ogni punto di vista, costituisce la spina dorsale del!' esercito. b) disciplinato, svelto, ben addestrato, pratico del servizio, porta all'ufficiale un reale, validissimo aiuto e non di rado lo sostituisce degnamente per cultura, per comportamento in servizio e fuori servizio e per l'importanza de}?li incarichi che ricopre con capacità e prestigio. c) Il sottufficiale è perfettamente conscio dell'importanza delle sue funzioni per la vita ed il buon andamento dei reparti, e le assolve con energia, con amor proprio, con spirito d'iniziativa, mostrando di meritare la piena.fiducia dell'ufficiale. d) Il nucleo più solido e più preparato di sottufficiali è costituito da quelli provenienti dal vecchio esercito di professione imposto alla Germania dai trattati di pace. Questi elementi, anziani di grado e ricchi di esperienza, sono effettivam ente sceltissimi ed hanno costituito il nucleo base per la creazione dei quadri suttujjìciali occorrenti all'esercito ricostituito dopo il 1933. Per quanto questi ultimi elementi non siano più così scelti come i primi ed anche in questo campo si lamentino gli inconvenienti derivanti dalla preparazione affrettata e dai criteri di valutazione meno severi imposti dal bisogno, la massa dei sottufficiali costituisce pur sempre un complesso di giovani comandanti in sottordine e di istruttori capaci ed energici che dedicano ogni loro attività al reparto ed assolvono con successo funzioni di vice-uffìciali» (76). Seguivano altre dettagliate informazioni sull' istmzione pre- e
(76) AUSSME, LI343/l I, monog rafia sull 'ordinamento militare tedesco, senza indicazioni di prot. e di destinatario del 24.6.1939, f.to gen. Marras, pagg. 364-365 e 384-385.
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post-militare e sull'addestramento del contingente di leva, dei sottufficia1i e dei graduali. Alla struttura ed al funzionamento della Kriegsakademie il volume di Pelagalli dedica un apposito capitolo, che fa riferimento ad uno specifico documento del carteggio Marras, ]a dettag1iata relazione compilata dal cap. Rodolfo Fasano, primo ufficiale italiano frequentatore dei corsi della scuola e trasmessa agli organi centrali da11' addetto mi1itare. Altrettanto interessante risulta comunque un'altra relazione dello stesso Fasano, rimessa al gen. Marras ed anch'essa inviata a Roma, relativa ad esercitazioni alle quali l'interessato aveva presenziato nel 1937, svolte da parte di alcuni reggimenti quali il 6° carristi, il 67° fanteria, il 9° cavalleria, il 3° fanteria motorizzata ed il 35° artiglieria, presso gli ultimi due dei quali aveva anche prestato servizio per una decina di giorni. Gli aspetti più notevoli delJ'elaborato riguardavano le considerazioni in tema di forze corazzate, che utilizzavano più eventi nel paragrafo ad esse specificamente dedicato, e le osservazioni circa la dottrina tattico-operativa in rapporto a quella italiana che vengono riportate nell'Allegalo 3. A parte gli aspetti già citati, riteniamo opportuno esporre l' attività di Marras fra il 1936 cd il 1939, sulla scorta della documentazione reperita e ad integrazione di quella utilizzala da Pelaga11i nel suo volume, secondo un criterio cronologico. Per quanto riguarda il 1936, Marras inviò ai primi di dicembre al S.I.M. un fonogramma piuttosto importante in quanto i11uminava sugli orientamenti dei ve1tici politico-militari tedeschi in merito all'atteggiamento da assumere nei confronti della guerra civile spagnola iniziatasi il 16 luglio dello stesso anno. Alla fine di questo mese l'Italia - il cui intervento in Spagna è ormai accertato essere stato determinato da ragioni non tanto ideologiche quanto di ordine politico-strategico tradizionale - aveva aderito, sia pure con ri1 uttan za, a11e proposte ino1trate da11a Francia anche all ' Inghilterra ed alla Germania (oltre ad altri Paesi) per l' adozione di regole comuni di non intcrfcnza nelle questioni interne spagno1e. Hitler inviò allora a Roma, in missione speciale presso Mussolini, il principe Filippo d'Assia, genero di Vittorio Emanuele Ili per averne sposato la figlia Mafalda, per prnporre una collaborazione più stretta possibile nella vicenda iberica e per rassicurare l'Italia che la Germania non aveva aspirazioni politiche, e tanto meno territoriali, nel Mediterraneo ma solo l'interesse a che il bolscevismo non si instaurasse in que1 Paese per diffon269
L'ESPANSIONE DIUA GUIMANIA 1131-1131
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11'111.ANCIA
CARTJNA N. 7 - Le annessioni su base politica e militare da parte della Germaniafra il 1936 ed il 1939 (da Calvocoressi P. , Wint G., "Storia della 2 ° guerra mondiale", Milano, Rizzo/i, 1980, pag. 12)
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dersi poi in altri. La visita sortì l'effetto che il 1° settembre una missione militare italiana ed una tedesca fossero distaccate presso il generale Franco (77) con compiti di assistenza e consulenza ad . . amp10 ragg10. Come mette in evidenza De Felice, la documentazione oggi disponibile lascia intravedere che se il gruppo dirigente berlinese era assai cauto e diviso sulle prospettive ed i limiti dell ' impegno tedesco in Spagna, quasi tutti (ed in particolare i capi dell 'esercito ed i diplomatici) erano comunque decisi a dare alla coJlaborazione con gli italiani un carattere largamente strumentale ed il meno impegnativo possibile. Ciò che ai più interessava era sia sfruttare al massimo l'appoggio a Franco per assicurarsi durature basi eco~ nomiche nel Paese ed usare la Spagna come un poligono bellico sperimentale, e sia impegnarvisi militarmente e, nei limiti del realizzabile, anche politicamente il meno possibile in modo diretto, in maniera da cercare di salvare al meglio «l'immagine» internazionale della Germania e di non pregiudicare i loro tentativi di accordo con Londra; ma, al tempo stesso, facendo di tutto per impegnarvi al massimo l'Italia e così compromettere le possibilità di un riavvicinamento italo-inglese. Da qui la loro tendenza a sollecitare l'impegno italiano, lasciando capire di essere disposti a farlo a loro volta su un piano di parità e talvolta impegnandosi addirittura a farlo, per poi tirarsi quasi sempre indietro o, almeno, ridimensionare la loro partecipazione effettiva (78). Comunque, il 18 dicembre Italia e Germania riconobbero il governo franchista, ed il 6 dicembre Mussolini presiedette a Roma una riunione alla quale presero parte Ciano, i tre sottosegretari militari, il capo del S.I.M. e per i
(77) Francisco Ilahamo nte l-1ranco (I 892-1975), galiziano, ufficiale di fanteria con lungo servizio colonial e in Marocco dove fu tra i fondatori dell a Legio ne Straniera spagnola della quale divenne comandante nel 1923. Dopo essersi distinto nella guerra del Rif, fu promosso generale nel 1926, di venendo così a 34 anni il più giovane uffic iale europeo in quel grado. Capo di stato maggiore dell' esercito dal I')33 al 1936, nel luglio di quell 'anno g uidò la ribellio ne militare contro il governo delle sinistre, capeggiando per tre anni la g uerra civile con la carica di generalissimo e capo del governo nazionale. S i dedicò poi alla ricostruzione dell a Spagna, che aveva tenuto fuori dalla 2a guerra mo ndiale, instaurando un regime auto ritario. Nel 1947 ripristinò ufficialmente la mo narchia, mantenendo però la reggenza a vita; il 14.12.1966 fece approvare la nuo va Costituzione, e nel 1969 designò come proprio successore Juan Carlo di Borbone con il titolo di re di Spagna. (78) Dc Felice R., «Mu ssolini il Duce», Il (Lo stato totalitario, 1936-1940), lòrino, Einaudi, 198 1, pag. 371.
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tedeschi l' ammiraglio Canaris (79), durante la quale quest'ultimo non sollecitò alcun invio di truppe italiane e si preoccupò soprattutto di lasciar intendere che la Germania non aveva intenzione di impegnarsi a fondo come l'Italia. Era la conferma di quanto due giorni prima l'addetto militare italiano a Berlino aveva comunicato al S.l.M.: «Incaricato affari Magistrati ha avuto ieri mattina colloquio con Goring per conoscere suo apprezzamento situazione Spagna. Goring espressa opinione che presenza operazioni est pregiudizio nazionalisti et perciò non est favorevole interessi italo-tedeschi. Ha aggiunto che potrebbe venire preso in considerazione invio diecimila volontari tedeschi tratti da SS et diecimila volontari italiani tratti da camice nere, tutti in unifòrme .\pagnola ma sotto comandanti italo-tedeschi o quanto meno meno con stati maggiori italo-tedeschi. Successivamente mattin.a ta stessa Magistrati avuta informazione da Roma che settimana prossima deve tenersi riunione nostre autorità militari presieduta personalmente da Duce, nella quale sarebbe desiderato intervento rappresentanti militari tedeschi che parlino italiano. Magistrati che aveva già fissato colloquio con Goring mi ha incaricato informare Canaris della riunione. Questi mi ha espresso suhito desiderio intervenirvi come capo rappresentanti militari ma si est preoccupato che Goring prendesse in mano questione et inviasse soltanto ufficiali aviazione. Ne ha perciò parlato a Keitel e questi, col quale ho poi conferito, mi ha informato che nomina rappresentanti militari est competenza Maresciallo Blomberg il quale ha deciso inviare Roma Canaris come capo delegazione con altri due 11!Jiciali non precisati. Magistrati ha avuto stamane secondo previsto colloquio con Giiring il quale ha dato conferma invio detta delegazione et ha informato che sono stati inviati in Spagna seimila uomini per organizzazione controaerea. Ha anche informato che situazione Spagna è stata esaminata in consiglio ministri ieri. Goring est favorevole intervento larvato italo-tedesco su più vasta scala, dal quale (79) Wilhelm Canaris (1887-1945), ammiraglio, comandante di sommergibili c responsabile di attività «intelligence» durante la la guerra mondiale, continuò in questa attività anche negli anni Venti e Trenta. Nel 1935 divenne ufficialmente capo dell'Abwehr; sigla dell'Ufficio Informazioni Estero e Difesa. dipendente direttamente dall'OKW Fin dal 1939 Canaris cominciò ad allinearsi su posizioni contrarie ad Hitler, che lo portarono progressivamente a varie forme di collaborazione, anche durante la guerra, con stmtture similari di altri Paesi, compresi quelli nemici della Germania. Allorché nel febbraio 1944 Hitler decise di unificare i servizi segreti in un unico organismo alle dipendenze delle SS, Canaris venne messo da pa1te. Pa1tecipò, restando dietro le quinte, alla congiura del 20 luglio 1944; scoperto, venne giustiziato poche settimane prima della fine delle ostilità.
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con ottimismo rùpondente ·suo temperamento si ripromette cospicui successi. Blomberg et ambienti esercito et marina giudicano invece che convenga agire con prudenza per non provocare complicazioni, avvenendo Le quali la Germania si troverebbe addosso tutto esercito russo. Hitler ritiene che anziché proseguire con Russia gara invio rinforzi in Spagna estendendo campo operazioni et aumentando perdite converrebbe ostacolare movimenti russi alle origini, ad esempio, mediante azione diplomatica tendente vietare passaggio Mediterraneo navi sovietiche con armi et munizioni. Egli pensa che tale azione da svolgere in sede da studiare (Comitato non intervento, governo inglese?) dovrebbe essere svolta da Italia appo,::,::iandosi suoi riconosciuti interessi mediterranei, mentre intervento Germania in questo senso rinforzerebbe prevenzioni che si hanno in questo momento circa realtà intenzioni pacifi,che tedesche. Personalmente riten,::o che Stato Maggiore tedesco et con esso Hitler vogliano allualmente evitare 1:rosse complicazioni che co,::lierebbero forze armate tedesche in fase incompiuto sviluppo. In sostanza da parte tedesca sussiste contrasto tendenze tra Giking e stato maggiore forze armate (et con questo Hitler), mentre d'altra parte potrebbe manifestarsi desiderio non lasciarsi sopravvanzare da Italia nei riguardi futura influenza su Spagna nazionalista. Per quanto forse già noto, comunico che direzione di quanto riguarda invii di armi, materiali et personale in Spa[:na est qui devoluto a generale aviazione Wilberg et che comando elementi tedeschi (esercito, marina, aviazione) in Spagna est tenuto da generale aviazione Sperrle» (80). Al 1937 appartengono tre documenti che forniscono un altro importante contributo su aspetti specificamente militari. Il primo è un promemoria a cura dell' Ufficio Addestramento del Comando del Corpo di Stato Maggiore concernente l'organizzazione del servizio chimico dell'esercito tedesco, denominato Neheltruppen (Reparti Nebbiogeni) per ragioni di copertura, frutto di una relazione dell'addetto militare a Berlino nella quale si precisavano alcuni degli clementi costitutivi fondamentali: grandi laboratori di Spandau, campo di istruzione di Munster ed un deposito in costruzione per 3000 tonnellate di iprite; organico delle truppe chimiche (3 gruppi, dei quali uno d'addestramento e 2 assegnati al IV e X corpo d'armata); materiali in dotazione: fosgen e ed iprite, lancia-
(80) AUSSME, F 18-1/33, prot. 1536 <lei 2.12.1 936, <la A<ld. Mii. Berlino a S.I.M. , f to col. Marras.
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bombe da 105 (gittata 3200 mt., cadenza 15 colpi al minuto), cartocci da 6 Kg. ad esplosione elettrica, autocarri irroratori (81). Il secondo è la sintesi molto chiara ed essenziale del manuale di istruzione tascabile di circa 150 pagine sull'impiego del1 'artiglieria, nel quale erano esposti i principi fondamentali del punto di vista organizzativo, tecnico, operativo ed intercooperativo con fanteria e mezzi corazzati e del quale si riproduce il sommario del contenuto così come figurava esposto all'inizio del documento: «L'artiglieria, come già praticato nella iuerra mondiale, viene di massima impiegata nel quadro della divisione, la quale soltanto dfapone di un vero e proprio comandante d'artiglieria. Il corpo d'armata dispone di un consulente tecnico rappresentato dal comandante dell'artiglieria di C. d'A. I comandi superiori hanno uno stato maggiore d'artiglieria. Particolare sviluppo hanno l'esplorazione, la ricognizione e l'osservazione d'artiglieria. Un plotone della batteria osservatori di vampa marcia normalmenfe con l'avanguardia. Un gruppo artiglieria leggera viene assegnato di massima all'avanguardia della colonna principale; frequentemente batterie cannoni da 105 marciano con l'avanguardia. Artigliere del grosso marciano verso la testa. Di massima ogni colonna di reggimento fanteria dispone di un gruppo artiglieria leggera. Artiglieria entra in azione di buon 'ora, alle maggiori distanze anche nella d(fensiva. Per l'appoggio veniono generalmente designati gruppi artiglieria per ogni reggimento di fanteria. Designazione per battaglioni è eccezionale. Nella difensiva largo impiego tiri da «posizioni vaganti» e di pezzi isolati, nella fase preliminare, per agire al più tardi possibile da posizioni definitive. Collegamenti sempre dall'indietro all'avanti. Particolare sviluppo della cooperazione con i carri e dell 'azione contro i carri. Di massima ordini brevi e successivi in relazione sviluppo situazione. (81) AUSSME, LB-12/2, prot. 17344 (promemoria da un relazione dell'Addetto Militare a Berlino) del 18. 12. 1937, da Com.do Corpo Stato Maggiore - Uff. Addestramento senza indicazione di destinatario, f.10 illcgibilc.
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Particolare sviluppo delle indicazioni circa gli elementi che possono venire considerati negli ordini. Note predominanti: prevenire l'artiglieria avversaria, af?ire a massa e di sorpresa, intervento anche a grandi distanze, stretta cooperazione con la fanteria svincolata dai piccoli obiettivi, largo sviluppo e sollecito impieio dei reparti d'osservazione e topografici» (82).
Il terzo documento, infine, è la relazione sulle manovre delle forze armate tedesche svoltesi tra il 20 ed il 26 settembre nel Meclemburgo e nella Pomerania. Vj avevano partecipato 8 divisioni di fanteria, delle quali 2 di Landwehr, una divisione ed altre formazioni corazzate, notevoli forze aeree tra le quali 18 gruppi da bombardamento ed una forte aliquota delle forze navali. Complessivamente, il contingente dell'esercito poteva valutarsi in circa 100.000 uomini. Nelle linee generali, queste manovre avevano voluto rappresentare le a:1.ioni iniziali di una guerra nella quale uno dei due partiti, dopo aver svolto un'azione difensiva per proteggere la radunata, portava successivamente l'offensiva nel territorio nemico. Le forze aeree avevano effettualo azioni autonome di bombardamento sui grandi obiettivi industriali e militari, e sviluppato un notevole concorso diretto con l'esercito nel campo tattico. L'azione de11e forze navali era stata diretta soprattutto a rappresentare il contrasto dei partiti opposti per il dominio del Baltico e la protezione delle comunicazioni da parte di uno dei due belligeranti, con particolare riguardo ad un trasporto di truppe proveniente dalla Prussia orientale e diretto verso un porto amico. Per l'entità delle forze che vi avevano partecipato, per l'importanza dei preparativi, per il fatto che per la prima volta erano state eseguite manovre combinate de11e tre forze armate, queste esercitazioni erano state senza dubbio le più importanti svoltesi dopo la guerra, cd avevano assunto particolare risalto per effetto della visita di Mussolini e delle missioni militari italiane, ungheresi ed inglesi; in qualche modo, su scala forse anche più vasta, avevano fatto rivivere le manovre imperiali dell'anteguerra.Nell'Allegato 4 si riproducono nella loro interezza i paragrafi concernenti le osservazioni e considerazioni conclusive del nostro addetto militare. Un'altra relazione sulle esercitazioni de11' 11 a e 21 a Divisione, (82) AUSSME, L 13-42/2, «Istruzione tedesca sull ' impiego dell'aitiglieria», bozze di stampa, pubblicazione H. Dv. 200/5 Ausbildungs vorschrifijiir die Artillerie - Hl'ji 5. Die Fuhrung der Artillerie, editore Miltlcr und Sohn, Berlino, 1937.
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svo1tesi circa un anno dopo ne11a Prussia orienta1e, avrebbe confermato come non fossero emersi nuovi aspetti della dottrina tattica tedesca, i cui elementi di fondo continuavano ad essere la ricerca costante della manovra, il largo sviluppo del fuoco e la decisione e la determinazione nell'esecuzione di ogni atto tattico. L'unica integrazione degna di rilievo appariva 1a costituzione di uno Schwerpunkt (centro di gravità) i1 qua1e definiva in gran parte i1 concetto d'azione. In corrispondenza di esso venivano ristrette le fronti e fatte gravitare artiglieria e riserve. Praticamente tale centro di gravità dell' azione era determinato talvolta aprioristicamente in base a criteri topografici, cd era una concezione che era applicata anche nella difensiva. Il centro di gravità poteva venire cambiato nel corso de1J' azione procedendo ad un rimaneggiamenlo de11e co1onne d'allacco per il quale veniva, di massima, utilizzata la notte; contando sulla facile percorribilità tipica, in genere, de1 te1Teno germanico, da questo cambiamento doveva derivare una sorpresa per il nemico (83). 8. Un biennio cruciale
Il 1938 ed il 1939 furono due anni particolarmente decisivi sul piano politico. Hitler, che aveva restituito alla Germania un valido strumento bellico, ritenne al principio del 1938 che i tempi fossero ormai maturi per una politica più decisamente espansionistica, della quale aveva reso edotti i massimi vertici militari nel corso di una riunione segreta svoltasi il 5 novembre dell'anno precedente. Gli obiettivi indicati come prioritari furono l'Austria e la Cecoslovacchia, anche se con la rassicurazione per le alte sfere dell'esercito (che, aH'atto dell'occupazione della Renania 18 mesi prima, avevano considerato con profonda inqujetudine la possibilità di una reazione francese) che non si sarebbe rischiata una guerra prima del completamento di una adeguata potenzialità bellica. La valutazione politica di Hitler nei confronti di quello che avrebbe potuto essere l'atteggiamento reattivo delle potenze occidentali era senza dubbio realistica. La Francia del Fronte Popolare appariva infatti debole e divisa, ed in Tnghi1lerra era divenuto capo de1
(83) AUSSME, LJ0-76/6, prot. 7118141 del 2. 12. 1938 (trasmissione re)a7,ione gen. Marras su esercitazioni divisionali del seuembre 1938), da S.I.M. a Sottocapo S tato Maggiore per OPR, Llo col. Tripiccione.
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governo Chamberlain (84), fautore de11' appeasement e quindi disponibile alle trattative con Berlino ed alle ampie concessioni nell'Europa centrale~ influivano sull'atteggiamento inglese anche le tensioni che il Paese doveva fronteggiare in zone nevralgiche come il Medio Oriente e 1' Tndia, animate da fermenti indipendentisti, e tali da favorire ad ogni costo la pace in Europa onde contenere questo iniziale processo disgregativo dell'impero. Va inoltre considerato che nell'atteggiamento conciliativo de11e due nazioni, oltre al dominante sentimento pacifista dell'opinione pubblica, giocava un ruolo importante il timore del bolscevismo nei confronti del quale la Germania nazionalsocialista era vista come una valida espressione di garanzia. In realtà, gli eventi si susseguivano più rapidamente di quanto Hitler non avesse previsto, e pochi mesi dopo, nel marm del 1938, si rese possibile l'annessione dell'Austria, realizzata incruentemente sul piano politico-diplomatico attraverso un plebiscito approvato dagli austriaci con il 97 % di voti favorevoli alla riunificazione alla Germania. Il problema cecoslovacco fu affrontato qualche tempo dopo, anch'esso attraverso un'azione politica facente perno sull'enunciazione, il 24 aprile a Karsbad, delle rivendicazioni di Konrad Henlein, il capo del Sudeten Deutsche Parlei che rappresentava dal 1935 il 70% degli oltre 3 milioni di tedeschi sudeti (85), miranti ad una riforma legislativa dello Stato cecoslovacco a favore delle minoranze germaniche. Le crescenti istanze separatiste di queste fece assumere alla crisi ceca, nel corso dell'estate, una dimensione internazionale, dal momento che la Francia sembrò propensa a farsi paladina dell'integrità della Cecoslovacchia ed anche l' Unione Sovietica sembrò disposta ad appoggiare militarmente un intervento francese anche se con non pochi tentennamenti, adducendo la necessità di un'autorizzazione preventiva deJla Romania per il passaggio delle proprie tmppe in applicazione di un patto contratto nel 1935, intento (84) Arthur Nevill e Chamherlain ( lll69-1 940), uomo politico di cstraziom: conservatrice, entrò alla Camera dei Comuni nel 19 18 e nel governo nel 1923 quale ministro dell a sanità e poi co rne Cancelliere de llo Scacchiere, inemi chi che avrebbe ricoperto in forma alterna sino al 1937, allorché di venne Primo Ministro. Mante nne tale carica s ino al 10.5.1940, quando il cattivo andamento delle operazioni belliche in Norvegia lo costrinse a dare le dimissi oni cedendo le redini del governo a Winston Churchill. (85) La zona dei Sudeti derivava tale de nominazione dai monti omonimi, che costituivano il lato No.rd-Est de l quadr ilatero hoemo fra il percorso su periore del! 'Elba e dell'Oder, adiacente a l confine con la Germania. Nel pdmo semestre dd 1938, i tedeschi dei Sudeti rappresenta vano il 20% dell a popolazione della Cecoslovacchia, cd in alcuni distn:Lti periferici ne costituivano la quasi totalità.
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comtmque vanificato dal rifiuto dell'Inghilterra di assumere impegni precisi sulla questione. Il 29 cd il 30 settembre si svolse a Monaco di Baviera, con la mediazione di Mussolini interessato ad evitare una guerra europea alla quale l'Italia non era né economicamente né militam1ente preparata, un confronto a quallro (llalia, Germania, Francia ed Inghilterra) con esclusione sia della Cecoslovacchia che dell'URSS. Le conclusioni dell'incontro furono l'annessione immediata dei Sudeti in cambio dell'impegno che le nuove frontiere della Cecoslovacchia sarebbero state internazionalmente garantite. Hitler lasciò trnscorrere 6 mesi, favorendo l'attività revanehista dei nazionalisti slovacchi (che si univano alle rivendicazioni confinarie di polacchi ed ungheresi) alla quale seguì, il 14 marzo 1939, la nascita di uno Stato slovacco autonomo ed il giorno successivo, con l'ingresso a Praga della Wehrmachl, quello del Protettorato di Boemia e Moravia, entrambi sotto l'egida tedesca, mentre g li ungheresi occupavano la Rutenia sub-carpatica. L'addetto militare italiano a Berli no, ovviamente, seguì gli avvenimenti facendone oggetto di note informative e rapporti. Per quanto riguarda l'annessione dell'Austria, da segnalare una relazione del 14 marzo, due giorni dopo l'ingresso delle forze annate tedesche. Marras prendeva in esame soprattutto gli aspetti militari dopo aver premesso, dimostrando una induhhia chiarezza di idee, che una disamina della situazione politica era superflua dal momento che, da parte tedesca, era sintetizzabile nella persuasione che nessuno .si sarebbe mosso in favore del]' Austria, ammesso e non conces~o che da quella parte lo si fosse voluto. Le operazioni erano state .già predisposte da lungo tempo, ed i movimenti delle truppe erano-iniziati nella notte dcli' 11 così che al mattino del 12 un primo concentramento di forze era già presente sul confine austro-tedesco mentre contemporaneamente misure precauzionali erano state messe in atto sulle altre frontiere. Avevano partecipato alla penetrazione in territorio austriaco oltre I 00.000 uomini facenti parte parte del VII corpo d 'armata di Monaco e del Xlll di Norimberga più la 2a divisione corazzata, naturalmente appoggiati da reparti di artiglieria, servizi vari' e forze di sicurezza. Per quanto riguardava il Tirolo, Tnnsbruck era stata raggiunta dal 98° reggimento cacciatori da montagna, così come pure da parte di truppe alpine era stata effettuata la marcia nella regione di Salisburgo. A Vienna, i primi contingenti militrui arrivati erano stati quelli della Luftwaffe, rappresentati dal reggimento Hermann Giiring 278
aviotrasportato, giunti all'aeroporto di Aspern nelle prime ore del pomeriggio del 12 marzo; nel tardo pomeriggio erano sfilate per le vie della città le prime truppe motorizzate, e nel corso de1la notte sul 13 era arrivato il grosso della 2a divisione corazzata che aveva percorso quasi 300 km. in circa 24 ore. Nella giornata del 13 era cominciata anche l'affluenza di truppe per via ferroviaria (86). Interessanti le valutazioni finali della relazione: «[. .. ] 7° - Ho già accennato al visibile orgoglio di questi ambienti militari per i risultati raggiunti. Questo orgoglio si basa anche sulla coscienza dell'aumento di potenza e di prestigio che la Germania trae dall'assorbimento dell'Austria. Da una parte è da considerare il consolidamento interno della lendenza estremista che si è a_ffermata con La crisi del 4febbraio e che ha messo rapidamente al suo attivo un così grande successo. Come pure è da considerare che, nel campo interno, questi risultati hanno fatto dimenticare completamente all'esercito l'allontanamento di alcuni capi che godevano di molto prestigio (87). D'altra parte sono da considerare la pressione e l'influenza crescenti che la Germania ingrandita e potentemente armata esercita sui piccoli Stati con essa confinanti. Questa influenza crescente assicura alla Germania il controllo del bacino danubiano e le apre La via verso la penisola balcanica. 8° - La situazione attuale dell'apparecchio militare germanico, tuttora in crisi di sviluppo, rende ancora la Germania impropria a sostenere una guerra mondiale, ma le condizioni interne della Francia e della Russia hanno escluso l'eventualità di un intervento. 9° - I risultati ragr:iunti confermeranno la Germania hitleriana nella sua linea politico-militare. Sviluppare al massimo gli armamenti per profittare con la minaccia della violenza, di ogni possibile occasione. Nuovi obiettivi che si presentano a scadenza più o meno breve: Cecoslovacchia, corridoio polacco, Memel. 10° - Nei nostri riguardi, la lettera del Fuhrer - che i giornali tedeschi non hanno pubblicata - contiene una assicurazione esplicita per L'Alto Adige. Sul valore effettivo di tale dichiarazione non (86) Da uno studio eseguito presso la Krieisakademie risullava che il numero dei treni occorrenti per il trasporto di una divisione di fanteria era 64, dei yuali 40 per le truppe a piedi cd ippotrainate (treno composto di 53 clementi) e 24 per i reparti motorizzati, con treni di 49 clementi (AUSSME, L 13-42/15, pro!. 889 del 30.5.1938, da Add. Mil. · Berlino a S.I.M.). (87) Il rife1imento era alla rimozione di von Blombcrg e von Fritsch dalle rispettive cariche di ministro della guc1rn e di comandante in capo dell 'esercito.
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conviene fare molto assegnamento. È caratteristico della mentalità dei tedeschi di torcere con cavilli e sofismi le situazioni e di creare in sé stessi una particolare psicosi che li porta ad attribuire agli avversari l'inosservanza degli accordi. Non si dimentichi che nella Feldherrnhalle, la grande loggia degli eroi, di Monaco, figura tra t.:li scudi dedicati alle terre irredenti anche quello del Sud-Tiro/. 11° - Esce fuori dal quadro di queste considerazioni esaminare la nuova situazione militare creatasi ai nostri confini e delle di.\posizioni che essa richiede. Per mia parte ritent.:o solo necessario metlere in evidenza che caratteristica dell'azione militare tedesca è quella dell'azione fulminea, basata sull'impiego improvviso delle unità tenute permanentemente su piede prossimo a quello di guerra e su radunate rapidissime con mezzi motorizzati. A tali procedimenti è necessario opporre una copertura permanente con unità di e_f.fettivi molto solidi e bene appoggiate a un conveniente sistema difensivo, che costituisca anche base per l'azione offensiva» (88). Il problema cecoslovacco fu oggetto di una nota nella seconda decade di settembre del 1938 nella quale il gen. Marras dava ancora una volt:a prova di una sottile capacità analitico-valutativa. I procedimenti adottati da parte tedesca nella gestione della crisi cecoslovacca, affermava, avevano forti analogie con quelli già applicati nella questione austriaca: un'intensa propaganda aveva attivato l'agitazione nei Sudeti, le cause di incidenti erano state eliminate od assorbite e tutta la massa gennanica oltre confine era stata inquadrala ed organizzata. Soprattutto la propaganda era stata coronata da una serie crescente di «episodi» che avevano attirato J'altenzione mondiale e portato la crisi ad uno stato acuto, richiedendo una soluzione urgente e creando le basi per un possibile intervento militare. I risultati ottenuti dalla Gerrnmùa, indipendentemente dai particolari degli accordi non ancora noli, si palesavano subito come di grande portata, ed il compilatore li riassumeva come segue: enorme perdita di prestigio derivante alla Francia ed all ' Inghilterra, in modo particolare alla prima, la cui alleanza si è rivelata priva di fondamento ; pratica eliminazione della Cecoslovacchia; crescente prestigio acquistato nel Sud-Est europeo;
(88) AUSSME. L 13-47/2, prot. 439 del 14.3.1938. da Add. Mii.Berlino a S.I.M., f.to gen. Marras.
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incremento di potenza derivante dall'aumento de11a popolazione e dall'annessione di una zona ricca di materie prime e di impianti industriali; ulteriori sviluppi che si aprivano alla politica tedesca. Con lungimiranza confermata poi dagli avvenimenti che sarebbero seguiti, Marras asseriva che peraltro i risultati ottenuti, tuttora non precisati nei particolari, se forse oltrepassavano nelJa ]oro speditezza le stesse speranze tedesche iniziali, non rappresentavano certamente la soluzione completa che poteva essere costituita soltanto dall'annessione del quadrilatero boemo. Sarebbe stata solo una pericolosa illusione, ammoniva, ritenere che la c1isi fosse superata, e l'attuazione stessa degli accordi, al momento noti solo genericamente, avrebbe potuto presentare nuove difficoltà foriere di altre occasioni per la Germania di alzare le richieste. Di fronte alJa possibilità di obiettivi più ampi, non era da escludere che la Germania intendesse attivare lo strumento militare per ottenere un successo rapido e completo, idoneo non solo a risolvere una volta per tutte il problema cecoslovacco ma anche a dare al mondo una misura tm1gibile dello strumento stesso. Ed era facile prevedere, concJudeva, che dopo la soluzione del problema cecoslovacco la politica tedesca sarebbe passata a quella degli altri problemi pendenti - «corridoio» polacco, Schleswig (89), Danzica, Memel (90) - in attesa della futura più ampia espansione di una Germania che, allontanante l'immagine del 1918, aveva ormai l'aspetto e la sostanza di una grande nazione vincitrice (91).
9. La questione cecoslovacca Poco meno di un mese dopo, ]'addetto militare italiano redasse una relazione articolata su due parti, la prima delle quali era un riassunto sull'attività politico-militare dell'estate J938, polarizzata intorno alla questione dei Sudeti della quale la Germania era riuscita ad ottenere la soluzione in tempi accelerati ed a proprio van-
(89) Lo Schleswig-Holstcin era una provincia ballica comprendente ambedue i ducati omonimi, tolti alla Danimarca dopo la guerra contro Prussia ed Austria del 1864; lo Schleswig settentrionale era stato riunito alla Danimarca, rimasta neutrale durante la 1a guerra mondiale, nel 1920 attraverso un plebiscito. (90) Nome di un «distretto» ai confini orientali fra la Prussia e la Lituania, assegnato nel 1923 a quest'ultima ed annesso dalla Germania il 21.3.1939. (91) AUSSME, L13-47/3, prot. 1599 del 22.9.1938, <la A<l<l. Mii. Berlino a S.I.M., f.to gen. Marras.
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taggio, rinnovando sotto altra forma l'azione di forza che pochi mesi prima aveva condotto all'annessione dell'Austria. La seconda parte era costituita da un resoconto dei preparativi militari e dello svolgimento delle operazioni di occupazione del territorio sudetico. Del primo dei due elaborati, prescindendo dalla ricostruzione cronologica di avvenimenti ormai ben noti, dal punto di vista storico merita di essere riprodotta la parte conclusiva: «f ... ] L'occupazione dei Sudeti rappresenta, a seguito dell'annessione dell'Austria ed a meno di 8 mesi dal discorso pronunciato al Reichstag nel febbraio scorso, una magnifica realizzazione: la liberazione dei dieci milioni di tedeschi ai quali il Fiihrer fece chiaro cenno in quel discorso. La nuova occupazione ha portato al Reich, oltre che una massa di 3.600.000 abitanti, un territorio di oltre 28.000 kmq. ricco di risorse minerarie e di impianti industriali e turistici. Computando anche l'Austria, il Reich ha aumentato la sua popolazione di IO milioni e la sua superficie di circa 140.000 kmq., e si presenta oggi con una massa di circa 80 milioni di abitanti, al centro dell'Europa, su un territorio di 583.000 kmq. Se lo stato maggiore dell'esercito polè all'inizio della preparazione numifestare qualche dubbio circa lo svolgimento dell'azione politica e nutrire la preoccupazione di trovarsi impegnalo prematuramente ed in una non buona situazione generale in un grande conflitto, è certo d'altra parte che esso aveva preparato con molta cura le operazioni contro la Cecoslovacchia e si riteneva sicuro di un rapido successo. Può così ~piegarsi come la soluzione derivante dagli accordi di Monaco abbia sul momento, in alcuni elementi militari ed anche in qualcuno politico, lasciato un senso transitorio di parziale delusione. Una campagna fulminea e vittoriosa avrebbe costituito una solenne affermazione dell'esercito del terzo Reich ed assicurato a questo un aumento di prestigio considerevole. Occorre anche tener conto, per spiegare questo senso di delusione, che una soluzione con le armi avrebbe consentito di raggiungere un risultato più ampio, addivenendo ad esempio all'annessione di tutto il quadrilatero boemo fino alla linea Mi:ihr-Ostrau-Presburgo. Comunque, oltre ali' aumento di territorio, di risorse e di popolazione, l'occupazione dei Sudeti ha portato alla Germania un nuovo aumento di prestigio e di influenza e dato nuove, più ampie possibilità alla politica di e.\pansione e di egemonia. Primo effetto: la Cecoslovacchia è entrata nell'orbita tedesca, e la Lituania ha assunto un nuovo atteggiamento appoggiandosi alla Germania. E nei dirigenti si è rafforzato il convincimento che occorra intensi282
jzcare gli armamenti e serrare i tempi per sfruttare nella maggior misura possibile la crisi delle potenze occidentali. Si parla dell'Ucraina, si accenna ad un 'influenza economica che assicuri ai rifornimenti tedeschi le risorse a1varie e petrol(fere della Romania, si pensa alle minoranze tedesche negli Stati baltici. La dichiarazione franco-tedesca sembra accentuare per il momento tale senso di soddi~fazione, perché si vuol vedere in essa il tacito riconoscimento deJìnitivo del diritto della Germania all'espansione verso Oriente. Si guarda con d(ffidenza verso la Polonia, e si considera che il Sud-Est europeo sia ormai entralo nel campo di influenza germanico. L'ampiezza e la rapidità dei risultati ottenuti rendono più vaste le aspirazioni e più vivo il desiderio di sollecite realizzazioni. In questo stato d'animo, i dirigenti tedeschi guardano fiduciosi verso il nuovo anno» (92). Il secondo elaborato è pressocché completamente riportato nel volume di Pelagalli, al quale pertanto si rimanda per i particolari di
dettaglio (93). Da esso si apprendeva che le predisposizioni preliminari avevano riguardato essenzialmente la protezione de11a rrontiera occidentale, il riordinamento militare del te1Tito1io austriaco, la preparazione delJe GG.UU. <li riserva e la graduale mohilitazione occulta dell'esercito. Le forze destinate ad operare contro la Cecoslovacchia erano state raggruppate in 5 armate, la cui forza complessiva era valutata da Marras in 35 divisioni, una cifra ce1tamente esuberante ma per la quale andava tenuto conto che alcune erano presumibilmente incomplete e che l'intento dello stato maggiore tedesco era quello di compiere una manifestazione di forza quale dimostrazione, a beneficio dei tedeschi dei Sudeti innanzitutto ed anche nei confronti dell' opinione pubblica mondiale, della capacità dell'esercito germanico di superare rapidamente ogni eventuale tentativo <li resistenza. Importante era stato anche l' impiego delle forze aeree, circa 3.500 velivoli predisposti a fronte dei soli 500 poi effettivamente impiegati, ai quali andava aggiunto il dispositivo al completo delle artiglierie controaeree e della difesa aerea anch'esso dipendente dalla Luftwaffe. Era stata anche approntata una divisione ad organici ridotti destinata alraviosbarco nelle retrovie con il concorso di un battaglione paracadutisti. Anche le SS e la polizia erano state impiegate ma, a differenza di (92) AUSSME, LB-47/3, senza indicazione di prot. datata ottobre 1938, da Add. Mii. Berlino senza indicazione di destinatario, f.lo il R 0 Add. Mii.. (93) Pelagalli S., op. cit., pagg. 35-40.
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quanto era avvenuto durante l'ingresso in Austria allorché avevano agito autonomamente, poste alle dipendenze dell'esercito, e solo dopo l'occupazione erano tornate alla normale dipendenza ed ai rispettivi compiti istituzionali. A queste formazioni regolari era da aggiungere il cosiddetto Freikorps (corpo volontario dei Sudeti costituito da Henlein negli ultimi giorni di settembre); tale corpo, composto da cx-fuoriusciti e non ben controllato, aveva esplicato la propria azione in modo non ortodosso e talvolta autonomo. Di massima i suoi nuclei agivano sul davanti delle truppe di occupazione, installandosi abusivamente nella zona neutra, oppure si infiltravano negli intervalli fra le armate per anticipare o estendere l'occupazione. Erano essi ad aver commesso i maggiori soprusi e dato occasione agli incidenti verificatisi. L'elemento che maggiormente aveva colpito osservatori e civili erano stati 1' ordine e la disciplina di marcia osservati delle truppe tedesche durante le operazioni di occupazione. La marcia delle numerose colonne, comprese anche quelle de11e molte truppe motorizzate, si era compiuta senza alcun intoppo e con la massima regolarità anche nelle zone montane e nonostante la presenza di numerosi carreggi, quadrupedi ed autoveicoli di requisizione. Ciò in contrasto con quanto si era verificato durante l'occupazione dell'Austria, nella quale numerosi ingorghi ed imprevidenze varie avevano rallentato notevolmente alcuni movimenti e provocato un visibile disordine in alcune colonne. Doveva pertanto ritenersi che la lezione di quell'operazione non fosse andata perduta, e che accurate predisposizioni fossero state prese e severe norme impartite per evitare il ripetersi di quegli inconvenienti. Nella concezione tedesca, in caso di resistenza della Cecoslovacchia le operazioni avrebbero dovuto essere condotte con estrema violenza e con grnnde rapidità, in modo che, di fronte alla celerità del successo, le potenze occidentali rinunciassero ad un intervento e, in ogni caso, in modo da svincolare al più presto buona parte delle forze disponibili. Marras riferiva come un ufficiale ceco gli avesse espresso, con amarezza, che con il loro buon esercito e le loro valide fortificazioni avrebbero dovuto combattere contro la Germania o schierarsi al suo fianco, mentre così la politica aveva determinato la peggiore de]]e soluzioni, quella di cedere senza combattere. L'addetto militare italiano a Berlino terminava così il suo resoconto: «[... ] Ho già accennato in altro punlo che l'aver potuto occupare senza combattere il territorio sudetico è probabilmente tornato
sgradito anche a qualche militare tedesco. L'esercito del terza 284
Reich avrebbe potuto cogliere senza eccessivi sforzi una vittoria che avrebbe illuminato con la sua aureola le nuove tradizioni. Questa aureola è mancata, ma agli occhi dell'osservatore attento lo sforzo compiuto dall'esercito e più in generale dall'organizzazione militare tedesca ha dato al mondo una prova di capacità e di potenza indiscutibili, e ha dimostrato che tale apparecchio militare è uno strumento poderoso al servizio di una politica risoluta ed avveduta. Lo strumento militare è stato e sarà ancora la base principale dell'azione politica tedesca» (94). Dalla documentazione reperita presso l'archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito fa parte un altro scritto, di poco successivo alla relazione precedente ed anch'esso relativo all'occupazione del territorio dei Sudeti. Trattasi di un rapporto che, pur non provenendo direttamente dal gen. Marras, era comunque prodotto dall'ufficio delJ'addetto militare in quanto redatto dal ten. col. Damiano Badini, addetto militare aggiunto. L'ufficiale, dietro ordine di Marras e per disposizioni del Comitato degli Ambasciatori di Berlino, aveva trascorso alcuni giorni (da11'1 al 12 ottobre 1938) in missione presso i comandi delle armate tedesche incaricate di procedere a11' occupazione delle 4 zone nelle quali era stato operativamente suddiviso il territorio sudetico. Le sue funzioni, attraversando le zone occupate e da occupare, era quella di portarsi ogni giorno ne11a zona neutra prestabilita fra le prime linee germaniche e quelle ceche per verificare che le operaziorù di occupazione e di sgombero avvenissero in conformità alle decisioni prese dal Comitato degli Ambasciatori; di dirimere possibilmente sul posto eventuali piccoli contrasti fra le due parti; riferire quotidianamente a Berlino quanto di importante o di interessante gli era dato di rivelare. Aveva avuto come compagni di viaggio, con compiti analoghi ai propri, il capitano delle Anni Navali Giuseppe Gramaglia, addetto navale aggiunto, ed il maggiore Krong, addetto militare aggiunto presso 1' ambasciata inglese a Berlino. Riportiamo testualmente i brarù più interessanti e significativi, alternanti notizie militari a notazioni ambientali, stralciandoli dall'ampia esposizione del compilatore, così da non diluirne la colorita freschezza descrittiva: «Senza entrare in particolari che ho giornalmente segnalati al R 0 Addetto Militare, r(ferisco solo le conclusioni generiche che,
(94) AUSSME. L 13-47/3, senza indicazione di prot. datata ottohre 1938, da Add. Mii. Berlino senza indicazione di destinatario, f.to il R Add. Mil. 0
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salvo dellagli, valgano per tutte le zane visitate. Ogni corpo d'armata era, anziché su 3, su 2 sole divisioni; ogni divisione su 2 reggimenti di fanteria (anziché su 3); ogni reggimento su 2 battaglioni (anziché su 3). I restanti reparti erano ancora nei luoghi di raccolta per rimanere occultati, per organizzarsi e per costituire le unità di riserva detestinate ad a1.:ire solo in caso di guerra. Le colonne marciavano nel seguente ordine (motociclisti armati di fucile e con carrozzino ed una mitragliatrice leggera; avanti a tutti, un motociclo con carrozzino con due uomini armati di fucile ed un sottufficiale con.fucile mitragliatore destinato, insieme ad un pezzo anticarro e relativo personale, allo sbarramento avanzato delle principali vie di comunicazione alla fine di ogni giornata; varie autoblindo) se1:uiti da una compagnia pionieri; una compagnia carri armati; una compagnia anticarro; un battaglione di fanteria; un gruppo artiglieria da campagna; da ultimo, a distanza ed in genere in marcia solo dopo il calar della sera, tutta o parte di una colonna rUòrnimenti divisionale su 1 O sezioni per il trasporto viveri, combustibili, ecc. 1àle colonna era composta di grossi autocarri requisti, con o senza rimorchio, e personale richiamato piuttosto anziano (40-50 anni); in servizio attivo, solo una parte dei quadri ed i soaufjiciali. Gli uJfìciali mi hanno assicurato che tutto procedeva bene, che il morale era alto e che la truppa si doleva soltanto di dover fare una marcia ordinaria, con musica in testa e senza menar le mani. Le truppe mi sono apparse disciplinate e ricche di ogni mezzo bellico. Il traffico era regolato da numeroso personale militare vestito in uniforme verde-1:rigia con un bracciale giallo portante in nero la scritta Feld Gendarmerie. Come è noto, tale specialità è costituita solo in caso di guerra con il personale di classi giovani richiamato dal congedo. Nella zona di operazioni, ma solo nel vecchio territorio germanico, ho visto numerosi reparti dell'Arbeitsdienst con la consueta un(forme ma forniti di un bracciale giallo con la dicitura Wehrmacht-Dienst. Passati, come mi è stato detto, a completa disposizione delle autorità militari, erano stati adibiti in questi ultimi tempi alla costruzione di strade militari adducenti al confine, ed alla sistemazione di alcuni sedicenti ed improvvisati "campi di esercitazione"; ad operazioni ultimate e ad avvenuto trapasso del potere alle autorità civili saranno fatti rientrare alle loro dipendenze normali. Ho notato che tutti i militari, gli automezzi ed i carreggi partivano già dal vecchio territorio 286
germanico ahhondantemente infiorati, con un artifizio analogo forse, nelle intenzioni e nei risultati, agli scaccini delle chiese che iniziano la questua col piattello già fornito di sonante moneta di grosso taglio! Comunque, nelle città occupate L'accoglienza alle truppe germaniche era veramente trionfale e .~pontanea, per quanto obbedisse a precisi ordini che, come ho verificato, venivano quotidianamente trasmessi a mezza telefono (i cechi hanno lasciato le linee intatte) dalle autorità del partito sudetico già in zana occupata a quelle del territorio da occupare il ,?iorno dopo. Larga distribuzione di bandierine nazionalsocialiste alla folla occupante i marciapiedi, trattenuta da membri del Freikorps, festoni ai portoni ed alle finestre, ritratti del Fiihrer e di Henlein. Nella piazza principale di ogni paese importante era eretto un palco per le autorità e, ai piedi di esso, le varie categorie dei cosiddetti "martiri della causa": Freikorps in abito civile od in un~forme di N.S.K.K. (95) armati la maggior parte di fucili per il tiro ridotto; membri del Direttorio con bracciale a croce uncinata e bordi .filettati in oro; ex internati politici riconoscibili dalla lunga e incolta barba, dal!'aspetto denutrito e patibolare; personale offertosi volontario per azioni di sabotaggio, in caso di guerra, nel territorio sudetico, in borghese ma contraddistinto da un grande quadrato di tela rossa con al centro un disco giallo che copriva il petto e la schiena (erano, quelli, i più agitati, che si spostavano continuamente per scegliere la posizione migliore per mettersi in vista; non sembravano gente del luogo, ed il mio pensiero si è subito portato alla nostra zona dell 'Alto Adige ed altrove, e mi sono chiesto se, provvista o no di analogo segno di riconoscimento, possa anche li esistere analoga pericolosa istituzione!)[. .. ]. [ ... ] Nonostante la brevità del tempo accordato, l'evacuazione ceca mi è sembrato fosse avvenuta tempestivamente e con ordine. Lunghe colonne di carri e di autocarri di ogni portata (la massima parte antiquati) effettuano il trasporto di masserizie (in massima parte famiglie di piccoli impiegati o gendarmi cechi). Gli anziani seguono a piedi in silenzio e con gli occhi umidi di pianto, ma con dignità. Sulle linee avanzate ceche· i gendarmi, mentre qualche chilometro più indietro sostano, nei paesi, reparti di fanteria o delle
(95) Nazionalsozialistiches Kraftfahrkorps.
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altre anni. I soldati si presentano bene, ma sono anch'essi pieni di mestizia, sebbene qualcuno porti dei fiori all'occhiello o sul berretto. Marciano ordinati con i loro t1:fficiali che, salvo poche eccezioni, mi sono sembrati intelligenti e molto corretti. Hanno poche parole di deplorazione per quanto è avvenuto, ma portano tutti i segni dell'avvilimento e della preoccupazione. Non ho avuto da essi alcuna dichiarazione importante e solo un capitano di gendarmeria, appena qualificatomi come italiano, mi ha detto: "le potenze occidentali si sono comportate con noi come col Negus. Dopo averlo incitato alla resistenza, lo hanno abbandonato vilmente, consentendo ali' Italia di occupare l'Abissinia. Altrettanto hanno fatto con noi, permettendo alla Germania di occupare il nostro Paese. In quanto all'Ilalia, non abbiamo nessun risentimento per lei, ma stia attenta agli 80 milioni di tedeschi ed ai suoi confini del Brennero". Le forze ceche mi sono sembrate numerose e ben equipaggiate, ma non ho mai incontrato nessun reparto motorizzato,salvo colonne di automezzi requisiti che eseguivano il trasporto di arredamenti, di comandi e di uffici e di qualche reparto di gendarmeria e di truppa già di presidio nelle grandi città (ad es. Karlsbad) occupate dai tedeschi[. .. ]. [. .. ] Nessuno degli ufficiali cechi interrogati mi ha dichiarato che sarebbe stato più conveniente per il Loro Paese battersi contro i tedeschi, anziché cedere alle minacce germaniche ed ai consigli di Londra e Parigi, ma tutti mi hanno assicurato che le condizioni attuali della Cecoslovacchia erano molto peggiori di quelle che avrebbero avute dopo una guerra perduta[. .. ]. [. .. ] Ho molto ammirato il comportamento e la disciplina di marcia delle divisioni corazzate e motorizzate germaniche, che si presentano come una massa ricchissima di mezzi di fuoco per l'urto e per lo sfondamento: non sembrano più essere le stesse unità che ho avuto occasione di vedere durante l'occupazione dell'Austria, quando gli automezzi marciavano come e dove potevano, lasciandone una forte percentuale impiantata nei fossati delle strade. Sempre più numerosi i carri da I 8-20 tonn. armati con un cannone da 75 mm. e con 3 mitragliatrici, la cui assegnazione ai reparti ha avuto inizio ai primi del corrente anno [... ]. [... ] La 30a divisione fanteria costituiva, invece, nella Slesia morava il primo esperimento di autotrm.porto di grande unità. Ho veduto personalmente un centinaio di grossi autocarri (la maggior 288
parte delle aziende statali, quali la società autostrade e le Poste) quasi tutti con rimorchio, che rientravano vuoti dopo aver scaricato Le truppe. In un paese occupato ho potuto vedere un grosso autocarro con rimorchio e, su quest'ultimo, caricati di traverso 8 cavalli da sella con bardature. Mi è stato detto che la divisione era giunta solo due giorni prima da Liibeck (sua sede normale) e che per il suo trasporto (artiglierie comprese) erano stati necessari circa 2.000 autocarri[. .. ]. [ ... J Il mattino del! '8 ottobre ho assistito, nella zane di Engelsberg, all'atterraggio su campo ristretto (poteva trattarsi, forse, di un "campo di fortuna" ceco) di una cinquantina di aerei germanici, mentre circa altrettanti volavano sopra la stessa zona, probabimente in attesa del loro turno per atterrare. Con belle evoluzioni gli aerei toccavano terra e poi parcavano in file serrate. Non ho potuto vedere, causa la soverchia distanza, quanti fossero gli occupanti di ogni singolo apparecchio. Sulla strada che percorrevo anch'io (circa 400 m. lonlana dal campo), una lunghissima colonna di gmssi autocarri dell'aviazione, quasi tutti contenenti combustibili e, qualcuno, munizioni, sostava in attesa di e.ffettuare gli indispensabili rifornimenti. A quanto mi è stato detto (ma non ho potuto controllare tale voce) il comando dell'Aviazione aveva progettato, in caso di azione reale, lo sbarco a tergo delle prime linee ceche di 500 paracadutisti i quali avrebbero avuto il compito di permettere il successivo atterraggio di circa una divisione col compito di marciare verso nord, prendere l'avversario tra due fuochi e accelerare così l'occupazione del territorio. Mi è stato assicurato che il maresciallo Goring voleva effettuare tale sbarco, nonostante le c ircostanze .fossero completament e mutate, ma che poi si era giunti a persuaderlo di limitarlo al solo atterraggio degli apparecchi, per non correre inutili rischi e per non far conoscere agli estranei il nuovo mezzo progettato per realizzare la sorpresa [. . .]. Considerazioni riassuntive Due visioni mi hanno soprattutto impressionato durante i 12 giorni passati nel territorio sudetico ed in quello rimasto ceco: lo spettacolo di forza dato dalle truppe e dai mezzi dell'invasore e quello di desolazione che presentano i cechi, sia militari che civili. Pur avendo rinunciato, dato che non si trattava più di un'azione 289
bellica, alll'impiego totale delle forze preparate per l'invasione, l'Alto comando militare germanico, per trarre tutti i possibili.frutti da una marcia fatta con effettivi e mezzi simili a quelli di guerra, ha voluto giustamente ricorrere ad un largo impiego di forze, ciò soprattutto per addestramento dei comandi di grande e piccola unità, degli Stati Maggiori, dei Servizi. Dovizie di mezzi superiori, senza possibilità di confronto a quelli della passata guerra, preponderanza assoluta di quelli a motore, rarefazione impressionante del fante che marcia a piedi (salvo che · nella divisione da montagna). Non discuto se l'eccessiva motorizzazione possa essere - .\pecialmente in certi terreni - più di danno che di vantaggio. Tanto più che non è neppure da escludersi che, in caso di guerra e di mobilitazione generale, gli stessi mezzi ora in dotazione ai reparti permanenti dell'esercito germanico debbano essere ridotti per dotarne quelli di nuova costituzione. (Secondo alcuni, in Germania ogni battaglione di fanteria, o reparto corri.~pondente delle altre armi, ha una bandiera o stendardo perché destinato, in casD di guerra, a triplicarsi divenendo reggimt':1.to; ogni reggimento, a sua volta, diverrebbe divisione!). L'importanza delle forze impiegate, la loro disciplina, la sicu-
rezza con cui in ogni circostanza agivano ufficiali, sottufficiali e semplici soldati, la dovizia dei mezzi di ogni specie, anche di quelli comodi ma non del tutto indi.\pensabili (non è affatto trascurabile, secondo me, nemmeno il piccolo particolare della larga distribuzione, quasi su ogni automezza, di.filo d'acciaio per reticolati speditivi, capaci anche di arrestare la marcia dei carri armati e neppure il forte numero di lampadine tascabili a 3 colori di cui buona parte dei sottufficiali e dei graduati è fornita e che sono di utilissimo impiego durante !t.1 no!!e) mi hanno colpito, per quanto abbia continuamente seguito, in questi ultimi tre anni, tulio il lavorio per ingigantire e perfezionare l 'apparato bellico tedesco. La disciplina di marcia, il comportamento della massa e dei singoli, lo svolgimento delle operazioni per l'occupazione delle linee e il collocamento degli avamposti, tutto mi è sembrato procedere in maniera impeccabile. Ogni cosa fatta senza ~forzo, frutto non di improvvisazione, ma di un addestramento continuo, semplice. Non si sentono urla, né comandi concitati: tutto è predisposto e Of:nuno sa quello che deve.fare. Si aborre dal difficile e dal complicato. Faccio dei semplici cenni, appena adatti a dare un'idea della poderosa macchina militare che la Germania ha "montato" in quest'occasione e che ho veduta in movimento. E penso che gli 290
amici della Germania devano tener conto di tutto ciò, quanto e forse più dei suoi probabili nemici! Dopo tale spettacolo di.forza e le predfaposizioni prese e il tipo di attacco predisposto, non mi sento più di mettere in dubbio che le forze di Hitler avrebbero avuto, in pochi giorni, ragione di quelle cecoslovacche. (Tanto più tenendo conto del fatto che le fortificazioni ceche prossime ai é:onfini in parte erano appena ultimate ed in gran parte in corso di costruzione o non ancora armate). È ormai noto da te'mpo, ma mi è stato sul posto confermato da ufficiali di S.M. tedeschi, che il piano germanico si basava su un attacco.frontale, condotto in gran parte con unità corazzate, motorizzate e da montagna che, dalla zona H,<f Passau, doveva puntare rapidamente su Praga, mentre, alle ali, forze altrettanto imponenti, appoggiate da una numerosissima aviazione da bornbardamento, avrebbero dovuto penetrare in Cecoslovacchia dalla Slesia e, a sud, dalla regione Unz- Vienna per circondare tutta la regione boema, separarla dalla Slovacchia e dalla J?utenia, impedire che giungesse qualsiasi soccorso dall'est all'avversario preso nella morsa e destinato allo stritolamento. Durata presumibile delle operazioni per eliminare ogni resistenza cecoslovacca: dai 4 ai 7 giorni. La brevità dell'attacco, mi è stato dichiarato ripetutamente, avrebbe fatto si che Inghilterra e Francia non avrebbero avuto il tempo nemmeno di dichiarare la guerra alla Germania prima dell'annientamento totale della piccola e turbolenta repubblica: avvenuto questo, non ne avrebbero, pmhabilmente, più avuto il pretesto né la voglia! Avrebbero i Cecoslovacchi presentata una onorevole resistenza all 'invasore? Sulla base di quanto ho potuto dedurre dai colloqui e dal comporlarnento dei numerosi u:f]iciali e sottujjiciali cechi che ho avuto modo di incontrare, e tenuto conto del comportamento dei reparti di fanteria, di gendarmeria e di artiglieria che ho visti in sosta ed in marcia di ripiegamento, ritengo che la Cecoslovacchia avrebbe certo iniziata la lotta per la sua difesa, ma che sarebbe stata subito travolta. Gli ujj-"iciali mi sono sembrati colti. militarmente preparati e spiritualrnente decisi, ma non rni è sernbrato avessero tutti i mezzi idonei per affrontare una lotta così impari! Tanto più che la massa dei soldati cechi mi è apparsa disciplinata, ma quasi tutta composta di contadini poco intelligenti e troppo rassegnati. Che dire, poi, di un esercito che si batte ai confini, avendo alle spalle oltre 3 milioni di avversari decisi ad ostacolare in ogni 291
modo ogni possibilità di difesa? E la posizione e l'armamento di ogni forte ceco, conosciuti pe,f'ettamente dai comandi germanici, per mezw dei Sudetici addetti ai lavori o che avevano seguito giorno per giorno le costruzioni militari? Sono vissuto in questi giorni a contatto con vari ufficiali inglesi inviati in Cecoslovacchia, provenienti da Londra e da Berlino, quali osservatori. Mi ha colpito il loro pr<~/ondo rammarico per quanto era accaduto e per la nuova umiliazione che il loro Paese era stato costretto a sopportare, ma, più di ogni altra cosa, la loro condotta umile e quasi servile nei rapporti con gli ufficiali e con le autorità militari germaniche. Riguardo alle future pretese tedesche, questo addetto militare aggiunto inglese mi ha confessato che, al più tardi nella primavera, la Germania pretenderà la restituzione delle colonie e che l'Inghilterra è già disposta a cedere quelle sulla costa occidentale, ma non, forse, quelle dell'ex Africa orientale tedesca, perché minaccerebbero le sue vie di comunicazione. Specialmente dopo aver parlato, in ERer, con alcuni corrispondenti di grandi agenzie giornalistiche in,?lesi ed americane, lo stesso ufficiale era ossessionato dall'idea che il Gabinetto Chamberlain stesse per cadere, travolto dall'indignazione suscitata in Inghilterra per essersi lasciato "giocare" da Hitler e da Mussolini. Non metteva in dubbio che, in tal caso, il potere sarebbe stato assunto da Churchill e da Eden: possibilità che sembrava atterrirlo {... /. [. .. ] In fondo, come ho avuto occasione di ver(ficare specialmente in quest'ultimo anno, i militari tedeschi, ora che si sentono forti, hanno ripreso quasi tutto l'orgoglio del vecchio ex esercito imperiale. Pensano di non aver più bisogno di nessuno e non dico disprezzano, ma sembrano tenere poco conto del valore e della forza dell'esercito italiano. Durante la recente crisi, gli u:fficiali di questo ministero, con i quali avevo quasi quotidiani contatti, mi hanno sempre detto che, in caso di conflitto, avrebbero ''.fatto da sé", che pensavano che l 'Italia sarebbe rimasta neutrale e che, solo in caso di intervento fran cese, entrambi i Paesi dell'Asse avrebbero avuto un nemico in comune[... ] » (96). Sulla successiva azione di eliminazione della Cecoslovacchia quale Stato indipendente ed autonomo e sui suoi sviluppi internazio-
(96) AUSSME, M3-3 , senza indicazion e di prot. dell ' 8.1 I .1938, da S.LM. a SollosegreLario alla Guerra, Lto illeggibile.
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na1i, il gen. Marras inviò a Roma una serie di notizie e valutazioni. Fra le prime, degne di attenzione quelle sulle procedure adottate dai tedeschi per addivenire ai propd scopi. La Germania, informava l'addetto militare, si era avvalsa di una massa di agenti e propagandisti, gli stessi che avevano a suo tempo organizzato le agitazioni nel territorio dei Sudeti. Un buon numero di tali operatori «intelligence", ottimi conoscitori della lingua cece e slovacca, erano stati inviati in Cecoslovacchia subito dopo la Conferenza di Monaco per esercitarvi la propaganda divisiva intesa a staccare la Slovacchia da Praga e ad alimentare la resistenza delle minoranze ceche. Questo procedimento di preventiva disgregazione interna era stato caratteristico dall'azione tedesca in Austria, nei Sudeti ed in Cecoslovacchia, e poteva darsi per certo che fosse ormai stato codificato come prassi operativa abituale (sul ruolo e sull'organizzazione dell'attività di propaganda in Germania, Marras aveva inviato circa un anno prima un rapporto riprodotto nell'Allegato 5). Durante l'occupazione, le formazioni militari erano state accompagnate da numerosi reparti di polizia e delle SS che avevano assunto subilo la direzione dell'ordine pubblico e delle misure di sicurezza. Come applicazione immediata della creazione del Protettorato di Boemia e Moravia, le autorità tedesche si erano subito impadronite degli archivi del ministero degli esteri e di quelli militari, ed altrettanto avrebbero fatto le rappresentanze tedesche all'estero per i documenti delle omologhe organizzazioni cecoslovacche. L'occupazione della Boemia e deHa Moravia aveva inoltre consentito all'esercito tedesco di impadronirsi della maggior parte degli ottimi materiali di armamento ed equipaggiamento delle forze armate cecoslovacche, comprese le dotazioni di mobilitazione, per la maggior parte accentrate proprio nella regione boema e morava. Fra i materiali così catturati, i tedeschi guardavano con particolare compiacimento a quclii che armavano le opere fortificate, e che con grande fatica le truppe ceche erano riuscite ad asportare prima dell' occupazione tedesca dei Sudeti nell'autunno precedente (97). 10. Il problema polacco Le ripercussioni e gli sviluppi della situazione derivante dal
(97) AUSSME, L 13-47/3, senza indicazione di prot. del 19.3.1939, da Add. Mii. Berlino a S.I.M, f.to il R0 Add. Mii.
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colpo di mano germanico sulla Cecoslovacchia non si erano fatte attendere: con l'occupazione della Boemia e della Moravia e con la tutela imposta alla Slovacchia, la Germania aveva spinto notevolmente in avanti verso Sud-Est le proprie basi ed aumentato considerevolmente la sua influenza nel bacino balcanico e nella regione polacco-baltica, mentre in pari tempo ne risultavano rinforzate le tendenze espansionistiche. La nuova situazione geografico-militare e l'incremento di prestigio e di forza ottenuto dalla Germania avevano messo il Reich in condil'.ione di esercitare una maggiore pressione sulla Polonia e sull'Ungheria e di far sentire meglio la propria influenza sulla Romania e sulla Jugoslavia, che vedeva anche crescere la minaccia di un irredentismo tedesco appoggiato al separatismo croato. La Romania, dal suo canto, con la conclusione di un recente trattato sembrava ormai essersi messa sotto la tutela economica della Germania, la quale tramite la concessione di impianti portuali si poneva in condizione di poter intervenire nel Mar Nero. L'Ungheria, se da una parte aveva ollenuto dalla Germania ii congiungimento con ìa Poionia, daii'altra vedeva crescere la pressione tedesca e compromessa ! ' istanza irredentista sulla Romania, per cui era portata a considerare che i risultati sino ad ora ottenuti avrebbero potuto essere praticamente annullati il giorno in cui la Germania si fosse aperta la via verso l'Ucraina attraverso ìa Polonia. Ed in effetti, proseguiva Marras nella sua valutazione, al momento il problema delle relazioni tedesco-polacche era quello che richiamava la maggior attenzione, centrato su Danzica e sul «corridoio» polacco. Se la città era di fatto già completamente in mano tedesca, e pertanto un ritorno al Reich non avrehbe mutato sensibilmente lo stato delle cose, ben diversa era la situazione del «corridoio». Si poteva infatti suppon-e che la Germania, in un primo tempo, organizzasse un rapido e forte ammassamento di forze alla frontiera polacca proponendo al governo di Varsavia di risolvere incruentemente la questione, così come era stato fatto con la Lituania per Memel, e presso alcuni ambienti della Wehrmacht si nutriva qualche speranza in una soluzione del genere. Ma ciò contrastava con l'opinione dell 'addetto militare polacco a Berlino, che aveva data per certa a Marras un'opposizione armata del suo Paese. La Polonia era infatti ben consapevole che la cessione del «corridoio» avrebbe condotto fatalmente a breve scadenza a quella della Posnania ed allo sviluppo del movimento ucraino. D'altro canto, 294
andava tenuto presente che ]a Germania, di fronte ad un aueggiamento deciso della Polonia, avrebbe potuto essere indotta a segnare il passo ed a rimandare la partita, per evitare nella situazione attuale l'innesco di un grande conflitto europeo. Dal quadro così delineato, concludeva Marras, apparivano tutte le difficoltà in atto della Polonia, la quale constatava l'inconsistenza del patto di amicizia contratto con la Germania, percepiva la minaccia di questa e nello stesso tempo esitava a lasciarsi impegnare da Francia ed Inghilterra in un nuovo accordo che avrebbe potuto far precipitare la crisi (98). Il che in effetti avvenne alla fine di marzo del 1939 proprio in relazione allo stabilirsi, da parte anglo-francese, di una garanzia militare alla Polonia estesa,nell'arco di due settimane, alla Romania, alla Grecia ed alla Turchia cui fecero seguito trattative con Ja Russia per allargare il fronte antitedesco, condotte peraltro da ambo le parti con scarso e solo apparente impegno ed in un clima di reciproca diffidenza. Le due potenze occidentali, fra l'altro, non si mostrarono disposte ad estendere la garanzia fornita alla Polonia anche alle tre repubbliche baltiche, potenziali trampolini di lancio per un'invasione della Russia da parte della WehrmachL. Né Polonia e Romania acconsentirono a lasciar transitare le truppe sovietiche sul loro territorio in caso di un attacco tedesco dal momento che, come ebbe a dichiarare in quell'occasione un membro dei governo polacco, «con i tedes~hi rischiamo di perdere la nostra libertà, con i russi la nostra anima» (99). In quelle stesse settimane l'URSS era impegnata a supportare militarmente la repubblica popolare di Mongolia attaccata in maggio dai giapponesi, e nel timore di dover sostenere una gueITa su due fronti aveva avviato negoziati anche con la Germania, a sua vQlta incline ad evitare un conflitto che la impegnasse contemporaneamente tanto ad Ovest quanto ad Est e comunque interessata a compiere un passo suscettibile di impedire un rapprochemenl fra Russia, Inghilterra e Francia. Alla metà di agosto il Crem1ino, ormai convinto che le trattative con Londra e Parigi non sarebbero approdate a nulla, ne assecondò l'intenzione incrementando i contatti con Berlino, ed il 23 dello stesso mese i1 mondo stupito apprese che a Mosca era stato firmato tra URSS e Germania un patto decennale di non aggressione, la cui parte più interessante era però
(98) AUSSME, L 13~47/3, proL 674 del 25.9.1939, da Add. Mii. Berlino a S. I.M. (99) Della Peruta F., up. cil., pag. 2 15.
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costituita da una clausola segreta aggiuntiva che stabiliva le rispettive zone di influenza, lungo una linea delimitata dai fiumi Narew, Vistola e San, in caso di spartizione della Polonia e dei Paesi baltici. Uno dei capoversi, inoltre, affermava testualmente: «Soltanto in base ai futuri sviluppi politici sarà possibile decidere definitivamente se gli interessi delle due parti rendono desiderabile il mantenimento di uno stato polacco indipendente: in tale caso si vedrà come debbano essere delimitate ]e frontiere» (I 00). La documentazione Marras include un resoconto sulla visita effettuata ai primi di giugno del 1939 alle fortificazioni tedesche della frontiera occidentale, che per l'interesse della specifica concezione difensiva si ritiene utile riportare nelJ 'Allegato 6. Fu una deJle sue ultime comunicazioni prima deJla sostituzione con il gen. Roatta (peraltro limitata a soli 5 mesi, come già ricordato nelle pagine precedenti), avvenuta il 1° luglio, al quale toccò in sorte di seguire da Berlino l'andamento della campagna contro la Polonia, iniziatasi il 1° settembre con l'annessione di Danzica da parte tedesca e la penetrazione nel territorio polacco e che sanciva così l'inizio della seconda guerra mondiale, in me1ito alla quale inviò due dettagliate relazioni (101). L'addetto militare italiano a Berlino era anche accreditato per Svezia, Danimarca, Finlandia e Lituania, cd in questa veste redasse nel 1938 una breve nota informativa sull'apparato militare deg1 i Stati baltici. Di questi, solo Estonia e Lettonia erano legate da un patto di assistenza stipulato nel 1923 e rinforzato nel 1934, mentre nessun accordo di tipo militare esisteva fra la Lituania e gli altri due Stati. L' Estonia, con una popolazione di I, I milione, aveva un esercito di circa 17.000 uomini; la Lettonia, con 2 milioni di abitanti, ne aveva alle armi 25.000; la Lituania, infine, disponeva di 20.000 soldati su una popolazione di 2.4 milioni. Armamento ed uniformi di tutti e tre gli eserciti si ispiravano ai modelli francesi ed inglesi. L'attenzione era rivolta prevalentemente alla guerra di movimento, privilegiando però le unità leggere e mobili. Non esisteva un'industria bellica.Soltanto l'Estonia e la Lettonia avevano una piccola difesa costiera, comprese alcune formazioni di artiglieria; era in programma un ampliamento ed un rimodernamento. Tutti i tre Stati baltici dedicavano molta attenzione allo sviluppo dell 'aereonautica, sia a scopi ( I00) Shirer W.L., «Storia del Terzo Reich», Torino, Einaudi, 1963, pag. 586. (101) AUSSME, G29-14, prot. 422/A dell'8. I0.1939 e prot. 443/A del 15.1.0.1939 da Add. Mii. Berlino a S.I.M., f.ti gcn. Roatta.
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CA RTIN;\ N. 8 - Gli Stati Baltici: Eestirnaa ( Estonia), Latvija ( Lettonia), Lietuva (Lituania) - da Atlante Internazionale T.C.J., edizione 1927
civili che militari. Si cominciava a costruire qwùche velivolo ed erano in approntamento scuole di pilotaggio. Si dedicava anche auenzione al problema della protezione aerea. Particolare menzione meritavano le formazioni volontarie la cui origine risaliva al 1918. In Lettonia ed Estonia, dopo l'introduzione del servizio volontario avvenuta nel 1934, queste formazioni avevano assunto carattere militare più accenluato ed il loro armamento comprendeva artiglieria, carri armati ed anche aviazione (per le forze costiere). Questi reparti dipendevano in genere dall'esercito, tanto in 297
Lettonia quanto in Estonia, ed annoveravano circa 30.000 uomini per ciascuno dei due Stati; questi disponevano anche di forze ausiliarie femminili ammontanti rispettivamente a I 0.000 e 5.000 dementi. In Lituania 1' «Unione Tiratori» era slata da qualche tempo incorporata ufficialmenle nell'esercito ed aveva assunto un ordinamento militare. Essa disponeva anche di un reggimento di polizia ben addestrato, detto «reggimento dragoni». Complessivamente l' «Unione Tiratori» lituana contava su circa 12.000 uomini (102). Ancora più interessante la relazione redatta da Marras in merito alle manovre invernali di reparti finlandesi svoltesi nei primi di marzo del 1939, circa sei mesi prima dell'attacco russo contro quella nazione nel settore della Carclia. Da esse l'addetto militare italiano aveva tratto un'impressione oltremodo positiva del piccolo esercito finnico, valutazione che avrebbe trovato conferma durante la campagna contro la Russia, allorché la Finlandia si sarebbe trovata praticamente sola a fronteggiare una controparte che la sovrastava sotto ogni aspet:lo (103). Nonostante un armamento di vecchio ti_ p o, quasi csclnsiv:nnente di prrlvenicnza russa, le tloti caratteriali degli uomini, l'equipaggiamento pm1icolarrnente studiato ed appropriato alle esigenze di una guerra invernale e l'impiego ottimale degli sci dato il loro uso generalizzato nella popolazione conferivano ai reparti una specifica mobilità. Le mitragliatrici pesanti erano sistematte su piccole slitte basse a l'orma d'imbarcazione, molto stabili e quindi di facile trascinamento aUraverso i boschi, peraltro facilmente percorrihili perché costituiti da conifere e betulle d'alto fu sto e privi di sottobosco. Le artiglierie, le cui unità
( 102) AUSSME, LI3-47/3, proL 128/L de l 10.11.1938, da Add. Mil.I3erlino a S.I.M., f.to il R" Addetto Militare. (103) Da Lutla l'Europa e dagli S tati Uniti pi ovvero su improvvisati uffici di reclulamento dec ine di migliaia di richieste di arruolamento, ma la situazione inLe rnaz ionale impedì alla maggior parte dei richiedenti di poter arrivare a destinazione. l governi politicamente più solidali con la F inlandia , come l'Italia e l' Unghc1ia, erano infatti all eati con la (ìerniania la quale in quel momento era legala all 'URSS dal pallo di non aggressione stipulato nell'agosto precedente; nonostante le svastiche azzurre dipinle sulle carlinghe degli aerei finlandesi e malgrado la «nordicità» di que l popolo , Hitler impedì og ni tran sito di uomini e materiali sul suolo tedesco. In pratica solo dai Paesi· limitrol'i la Finlandia 'J)Olé ricevere vo lontari (10.000 svedesi, il g ruppo più consistente) in numero apprezzabile, mentre dal resto del mondo aITivarono (spesso Lardi) con mezzi propri pochi avventurosi. Dei 5.000 volontari ital iani che avevano fatto richiesta di essere inviati in Finlandia, solo un'es igua rappresentanza (da 7 a 10 elementi) riuscirono a prestare serv izio nell 'esercito linlandese (cfr. Dc A nna L., «Il ruolo dell'Ita lia nella guerra di Fin\atidia 19191940», ecli7.ioni Università di Turku, 1996, pagg. 90-92).
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comprendevano anch'esse un buon numero di scialori, disponevano di particolari slille lrainabili sia da quadrupedi in pariglia che da quadrupedi disposli di punta (per muovere su carrarecce e strade forestali ristrette); queste slitte erano munite di un freno contro slittamenti laterali, formato da una lamiera longitudinale a coltello manovrabile con un pedale. Esistevano anche carrozzelle-slilla rimorchiate da motociclette. Molto efficace il conlribulo logistic.:o assicurato dalla Lota, una grande organizzazione volontaria femminile, soslenuta da sovvenzioni statali ed offerte private, in grado di assicurare a basso costo mense e posti di ristoro cd un servizio di soccorso sanitario ( ! 04).
11. Le forze corazzate Gli studi e l'addestramento sui mezzi corazzati furono progressivamente ripresi in Germania alcuni anni dopo la fine della prima guerra rnond!2le, ricerrendcl a<l artifici e ripieghi per e!udere
le clausole del trattato di pace che vietavano l'uso di carri armali e di automezzi cingolati, ma l'impulso più notevole si ebbe nei primi anni Trenta, dopo la creazione dell'Ispettorato delle truppe motorizzate nel 1931 e del Comando delle truppe corazzate nel 1934. Nell'estate del 1932 furono compiute alcune esercitazioni nel corso delle quali venne sperimentato l 'impicgo di un gruppo di carri in cooperazione con un reggimento di fanleria, e sempre nello stesso anno furono impiegati per la prima volta alcuni gruppi esploranti motorizzati ed un ballag]ione motoclisti. Nel periodo iniziale deJla costituzione dei reparti corazzati lo stato maggiore tedesco, dopo aver preso in attento esame gli orientamenti inglesi, francesi e russi, stabilì di astenersi, in attesa di un'esperienza propria, alle direttive contenute nella regolamentazione inglese del 1927 (riecheggiante i concetti di «indipendenza» dei carri già emersi nell'ultimo periodo della prima guerra mondiale) che lasciava la necessaria libertà per i futuri sviluppi i quali invece sembravano preclusi dalla normativa francese troppo legata, ali' epoca, ad un rigido collegamento dell'azione dei carri con quell a della fanteria. Il «regolamento per i carri armali» di matrice britan-
(104) AUSSME, L 13-42/3, prot. 69/F del 16.3.1919, da Add. Mil. Berlino a S.I.M. f.to il R 0 Addetto Militare.
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nica affermava infatti che «dal momenlo in cui si avanza il carro armato è temporanemente l'arma di combattimento principale. Pertanto la tempestiva concomitanza di azioni in un attacco, fatto con carri armati e fanteria - anche per quanto ha tratto con 1' avanzata della fanteria e con il fuoco d'accompagnamento dell' artiglieria - deve essere regolata sulla base dell'attacco portato dai carri armati. La mobilità dei carri deve essere sfruttata a pieno». Ciò sia per quanto riguardava la scelta degli obiettivi, ed anche per 1iferimento al compito della distribuzione del tempo occorrente per l 'atLacco. T1 regolamento tedesco concordava in pieno con tali norme, e stabiliva infatti: "Il comandante delle truppe fa coincidere l' azione del combattimento dei carri armali con 1'azione concomitante delle altre armi. Il combattimento delle altre anni deve uniformarsi all'attacco dei carri armati" » (Truppenfuhrung, 1° , pag. 240). Il regolamento inglese specificava ancora: «Il concetto che i carri armali debbano durevolmente agire a stretto contatto con la cavalleria e la fante1ia è ormai sorpassalo; i carri armati sono anni che devono npprofitt:-i re de! !:1 huon :1 occasione. Essi faranno sentire la loro azione nel modo più utile al momento, nei posti voluti e con quei metodi di combattimento più consoni alle caratteristiche loro proprie» . E più avanti: «11 lavoro fatto di conserva deve essere reciproco, e rivolto ad un comune scopo. La direzione della loro avanzata dovrà essere prescelta in base all'impiego tattico che se ne può fare, e non nel senso della direzione d'attacco della fanteria». Il regolamento tedesco si esprimeva a questo riguardo in modo analogo: «Determinante (per la direttrice d' attacco) dovrà essere il terreno. Uno stretto contatto con la fanteria priverà i carri armati del vantaggio dato dalla loro velocità, e farà sì che in determinati casi essi diventeranno vittime della reazione ne mica » (Truppenfuhrung, 1 °, pag. 139). Di questa Lendenza si era fatto efficace interprete il generale Guderian, che nel 1936 era al comando della 2° Panzerdivision, attraverso una pubblicazione monografica (105) giudicata fra le più importanti e fondamentali sull ' argomento e della quale si riportanno nell'All egato 7 le p agine relati ve alle cons iderazioni finali. L'istitu,.ion e il 1° luglio 1934 del Comando Truppe Corazzate (Oberkom mando der Panzertruppen) dette un notevole incremento
( 105) Gudcrian H., «Le unità carrisle e la loro cooperazione con le altre armi», Berlino, editrice Mittlcr e Sohn, ollobre .I 936.
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al1o sviluppo delle stesse, e nell'autunno del 1935 vennero eseguite grandi esercitazioni sperimentali e furono costituite 3 divisioni corazzate; nelJ'aprile 1937 fu creato un Gruppenkommando equivalente ad un comando d'armata, affidato al generale von Brauchitsch (106), con il compito di sovrintendere all'addestramento ed all'impiego delle predette 3 divisioni corazzate ed alle 4 motorizzate formate successivamente. Nel gennaio 1938 Marras inviò a Roma una memoria sulla costituzione e l'impiego delle unità corazzate nella quale forniva su1Ja situazione in atto un quadro abbastanza ampio, tenendo conto della riservatezza con la quale i tedeschi trattavano il tema. Particolare rilievo era dato ai criteri di impiego dei carri, tenendo conto che la loro velocità era valutabile intorno ai 20 km. orari durante il giorno ed ai 12-16 di notte mentre la velocità media nel corso dell'azione, in condizioni favorevoli di terreno e di tempo, oscillava intorno ai 15 km. «[... ] L'unità corauata muove dalla posizione di attesa in modo da oltrepassare le linee avanzate all'ora stabilita. Muovendo dalla zona di attesa, assume formazione di spiegamento per prendere la fronte e la profondità necessaria in vista del combattimento; durante tale movimento i reparti minori mantengono peraltro la formazione di marcia per utiliuare le comunicazioni esistenti, per evitare un addensamento nei punti di passaggio obbligati, per evitare danni ai collegamenti e per poter più facilmente e senza disturbo oltrepassare i reparti de!Le altre armi già in posizione. Naturalmente occorre distrarre l'attenzione del nemico mediante attacchi dimostrativi, cortine di fuoco, fuoco d'artiglieria ed az ioni aeree. Prima di sboccare dalle proprie linee viene utilizzata l'ultima copertura del terreno per p assare dalla formazione di spiegamento alla formazione di combattimento. Il movimento dei carri si svolge allora, utilizzando le coperture del terreno, a grandi velocità nei tratti scoperti, finché giunge il momento di aprire il fuoco. Per eseguire il fuoco occorre rallentare
(I 06) Walter von Brauchitsch, (1 88 1-1948), Pddrnarescialln, g ià uffic iale di stato maggiore di GG.UU. durante la ta guerra mondiale, fece una rapida carriera in perfetta linea con le tradizioni militari prussiane delle quali era un prodotto, e fu un esponente di primo piano nella ricostruzione dello strumento bellico tedesco. Comandante di GG.UU. negli anni Trenta, fu comandante in capo dcll 'escrcilo dal 1938 al 1941. In tal veste, diresse hrillantemente le campagne di Polonia, di Francia e dei Balcani. Nel novemhre 1941 sostenne, contro il parere di Hitler, l'opporl unilà cli non tentare l'attacco a Mosca ma di attestarsi su una linea fortificata per svernare. Esonerato dal comando e posto in congedo, alla fine della gnerra fu tratto in aiTcsto dagli alleati e morì nell'ospedale militare inglese di Amburgo.
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e, se la situazione lo consente, si può anche fermare il carro. li fuoco è ora elemenlo essenziale per il successo. Perciò i sinr:oli scaitioni ed in particolare il primo devono avere una/òrte capacità di jiwco. Occorre impedire che le armi anticarro abbiano buon gioco contro formazioni troppo deboli. l,o ~fondamento su ampia fronte e con inlenso fuoco spezza anche l'organizzazione anticarro e permette di avvolgere i tronconi con movimento laterale. l,e formazioni di combattimento hanno per i carri una particolare ùnportanza, in quanto esse devono essere tali da assicurare la migliore ejjù;w:ia delle armi, evitare reciproci disturbi dei carri, consentire il reciproco appogiio ed adallarsi facilmente al terreno. Il plotone (da 3 a 5 carri per le unità medie e pesanti, da 5 a 7 carri per le unità leggere) può assumere la forrnazione "in linea" od "a cuneo" con 50 rn. circa di intervallo fra carro e carro. li cmnandante del plotone sta al centro od in testa. Come formazione di marcia si impiega la colonna ( un carro dietro l'altro), e sul campo di battaglia anche la colonna doppia. Le compagnie si articolan() p er l'attacco su più ondnte (Wellen), i gruppi (battl!g[ioni) su più linee (Linien) e le unità più elevate su più scaglioni (Treffen). 1 comandanti marciano in testa per viii/are i reparti e far valere la propria azione personale. Le compagnie leggere di prima linea ricevono spesso in rinforzo plotoni di carri medi (armati di cannone) con compito di immediato appoggio. Oini scaglione e, nell'interno dello scaglione, i singoli reparti ricevono un compito ben definito, caratterizzato da un obiettivo designato, sempre che sia possibile, sul terreno. Distanze e formazioni delle linee e de;?li scaglioni arretrati vengono determinati in base alla situazione -ed al terreno. È importante che le distanze non siano troppo grandi perché le unità retrostanti siano in grado di appogr:iare tempestivamente le unità antistanti, ma sempre tali da impedire che un arresto improvviso delle formazioni antistanti porti ad un addensamento costituendo ulile obiettivo per l'artiglieria e l'aviazione nemiche. Fronte normale del battaglione carri: 800-1.200 m. I carri passano ali' azione a fuoco non appena a conveniente distanza. Il fuoco può essere eseguito da.fermo (se possibile) ed in movimento. Si ritiene che il fuoco da carri in movimento sia e_fficace al di sotto di 1.000 m. per i cannoni. 1 carri agiscono anche mediante schiacciamento suili ostacoli, sui ricoveri e sulle organizzazioni nemiche in genere. Fuoco ed azione di schiacciamento concorrono a determinare l'effetto morale dei carri: questo fu 302
mollo grande durante la guerra mondiale, perché mancavano le armi anticarro. È anche da tener presente l'azione dei carri contro carri. Qualcuno ritiene che tale azione potrà essere frequente, perché un attacco riuscito di carri richiamerà certamente contro di sé i carri avversari, cosi che il risultato definitivo potrà dipendere dall'esito della lottafra i carri. Cooperazione dei carri con le altre armi: I carri cooperano con le altre armi ed in particolare con la fanteria. Essi possono paralizzare il nemico, possono produrre una falla nell'organizzazione dffensiva avversaria ma non possono sostituire l'azione della fanteria, e questa è La miglior prova che lafunzione di quest'arma rimane sempre fondamentale. La fanteria deve eliminare i centri di resistenza che i carri non hanno potuto vedere o sopprimere. Per tale azione la fanteria ha bisogno del concorso immediato dei carri, e perciò di massima sarà necessario destinarvi un'aliquota conveniente di essi. I carri possono precedere la fanteria, muovere insieme con essa o seguirla a seconda dei casi: - precedono la fanteria se l'attaccante deve, prima di raggiungere le posizioni nemiche, superare tratti di terreno estesi e scoperti; - accompagnano la fanteria se il nemico è a stretto contatto; - seguono la fanteria se vi sono ostacoli (fiumi, sharramenti, campi di mine) che impediscono il loro immediato impiego. In base al terreno si può determinare se i carri debbono attaccare nella stessa direzione della fanteria ovvvero in altra direzione concorrente. Se i carri debbono oltrepassare le formazioni della fanteria, occorre che queste siano tali da facilitare il superamento e che si adottino disposizioni atte ad agevolare il riconoscimento della propria.fanteria, specie se l'attacco si svolge al crepuscolo o col concorso di cortine fumogene. Affinché la fanteria sia in grado di seguire i carri è necessario che essa sia particolarmente addestrata ed alleggerita nell 'equipaggiamento. Risultati più pronti ed efficaci si oftengono naturalmente mediante l 'impiego di fanteria autoportata (preferihilmente su autoveicoli protetti)[. .. ]. L... / in base a quanto precede ritengo poler concludere: Carri armati si avviano presso esercito tedesco verso forte sviluppo. Indipendentemente da nuovi armamenti, programma in corso prevede complessivamente circa 50 hauaglioni da portare in secondo tempo a 75 circa. istituzione di un particolare comando superiore (Gruppenkommando) assicura vigoroso impulso e unità di direzione. Truppe corazzate sono in parte orianizzate in divisioni e brigate autonome ed in parte assegnate ai corpi d 'armata. Divisioni 303
motorizzate forniscono massa per sfruttamento del successo. Materiali, rappresentati finora in prevalenza da carri leggeri, sono in via di perfezionamento e di sviluppo. Criteri impiego non sembrano ancora ben precisati nè assimilati dalla massa dei quadri. Tendenza dare prevalenza impiego unità corazzate per azioni a largo raggio si manifesta presso alcuni elementi, nu1 viene contrastata. Addestramento viene praticarnente orientato verso le varie possibilità di impiego. Concetto dell'impiego a massa conforte scaglionamento in pn!fòndità sembra ormai 0:ffèrmato» (I 07). Ma un quadro ancora più aggiornato fu quello inviato da Marras nel contesto della già menzionata monografia sull'ordinamento miìitare tedesco, importante anche perché redatta alta fine di giugno del 1939, a poco più di due mesi quindi dalJ'inizio dcl1a seconda guerra mondiale. Nel paragrafo riservato alle formazioni corazzate, dopo un rapido cenno sulla divisione di fanteria motorizzata, il rappo1to prendeva in esame la divisione corazzata, con la creazione della quale si era mirato ad avere una grande unità capace sia di assolvere compiti autonomi sia di agire con aliquote proprie in appoggio dirello alla fanteria. Per la p1ima esigenza, la divisione disponeva non soltanto di carri armati ma anche di fanterie auloportate, di artiglieria motorizzata, di elementi esploranti motorizzati e di altri reparti e servizi . In complesso, una massa considerevole di armi protette da corazza, supportata da elementi non corazzati ma molto mobili e facilmente manovrabili, per la quale il vero aspetto innovatore era, molto sinteticamente, che l'intero ritmo dell'azione veniva adeguato alla velocità dei carri posti sotto un unico comando e non alla lenta progressione dei fucilieri. I concetti fondamentali d'impiego consistevano nello sfruttare la celerità ed il grande raggio d'azione della divisione per farla intervenire rapidamente e di sorpresa anche su punti iontani dei teatro operativo laddove il suo impiego potesse essere più redditizio (fianchi e tergo dell 'avversario, linee di comunicazione), e nell'utilizzarla a massa e di sorpresa su terreno favorevole al movimento ed al combattimento. 11 nerbo della divisione era costituito dalla brigata corazzata (su 2 reggimenti carri ciascuno su 2 battaglioni, in complesso circa 500 mezzi dei quali 3/4 leggeri cd I /4 medi), mentre Ja brigata motorizzata (su un reggimento cacciatori motorizzati ed un battaglio-
(107) AUSSME, LI 6-42/7, senza indicazione di prol. e ùi destinatario datata gennaio 1938, da Add. Mil. Berlino, f.to il R Addetto Mii.ilare. 0
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ne motomitraglieri) aveva rispetto ad essa compiti accessori: protezione della prima mentre questa si disponeva sulle posizioni di partenza per l'attacco, salvaguardia dei fianchi ed azioni concomitanti, mantenimento delle posizioni occupate. L'artiglieria divisionale, aiticolata su 2 gruppi obici leggeri da 105 motorizzati, trovava difficoltà ad operare in stretta cooperazione con la brigata cora:1,zata essendo più vincolata alla strada di quanto non lo fosse il carro aimato, per cui spesso il suo intervento poteva risultare tardivo. 11 battaglione pionieri aveva come compito essenziale l'intervento a favore della b1igata corazzata nel superamento di ostacoli naturali e/o artificiali, ed avrebbe pertanto dovuto essere strutturato in modo da poterla seguire immediatamente disponendo della stessa corazzatura, velocità e mobilità in terreno vario, cosa ancora non attuata. Al momento della compilazione del rapporto, le truppe corazzare tedesche disponevano di 5 divisioni corazzate delle quali 3 riunite nel XVI corpo d'armata corazzato. Esisteva inoltre un numero non precisalo di reggimenti carri, in corso di progressivo completamento, con i quali si sarebbe voluto pervenire ali'assegnazionc di un reggimento, e successivamente di una brigata corazzata, per ogni corpo d' annata. Per quanto concerneva la componente tecnica, dei due tipi di carri armati disponibili quello «leggero» (armato con due mitragliatrici cal. 7 ,9 oppure con una mitragliatrice cal. 7,9 più una mitragliera cal. 20) era piuttosto scadente: una notevole aliquota apparteneva ancora al tipo più antiquato, con la torretta fissa e le 4 ruote portanti, ed inoltre erano frequenti gli inconvenienti all'apparato motore ed ai cingoli che , in ogni esercito, immobilizzavano dal 10 al 20% dei mezzi. Quelli «medi», armali con cannoni da 37 e da 75, erano di tipo e costruzione più moderna ma non erano ancora stati distribuiti ai reparti nella quantità prevista dalle tabelle organiche; la visibilità dall ' interno, inoltre, era piuttosto limitata e la temperatura-ambiente molto elevata arrivando sino a 50°-55°. Gli autocarri da combattimento della brigata motorizzata, destinati al trasporto delle compagnie fucilieri, montavano ruote gommate e possedevano pertanto limitate possibilità di marcia in terreno vaiio né, mancando di corazzatura, erano in grado di offrire protezione al personale. La dottrina di impiego non era chiaramente definita, proseguiva la relazione, ed al momento si manifestava piuttosto marcata la differenza fra le due concezioni di fondo, quella che concepiva i carri come un'arma ausiliaria della fanteria, pur non escludendo un impiego di unità complesse di carri per compiti autonomi, e quella che sosteneva 305
la necessità di un impiego autonomo, a massa, di grandi complessi corazzati, tenendo anche conto che la prima concezione era resa praticamente inattuabile dal contrasto fra la possibilità di movimento della fanteria e quella di un movimento molto più veloce da parte dei carri armati, elemento quest'ultimo che rappresentava poi per gli stessi una modalità essenziale per sottrarsi all'offesa avversaria. Della prima erano naturalmente faut01i gli ufficiali di fanteria e quelli di grado più elevalo in genere, mentre la seconda era caldeggiata dai comandanti dei reparti corazzati che guardavano con riluttanza all'assegnazione organica dei carri alle divisioni cd ai corpi d'armata vedendola come una pericolosa dispersione. Le maggiori autorià militari, a loro volta, osteggiavano la moderna dottrina che voleva fare del cano armato l'indiscusso strumento offensivo del prossimo futuro, portando a sostegno di ciò la considerazione che solo un attacco di formazioni corazzate di molto grande entità avrebbe potuto aver ragione di una difesa che, se avesse potuto disprnTe di sole 24 ore per organizzarsi dehitamente con mezzi anticarro (specie da 37) e mine, avrebbe avuto molte probabilità di vanificare ogni attacco di carri che non fosse condotto con la predella esuberanza di mezzi. Nella loro visione, pertanto, la fanteria poteva e doveva fare a meno anche del carro. L'addestramento non poteva, di conseguenza, non essere penalizzato da questa oscillazione concettuale, il che si riverberava soprattutto nella mancanza di una specifica regolamentazione di specialità e nella carente preparazione sinergica con la fanteria. Da quanto sopra esposto, il compilatore del rapporto concludeva che allo stato attuale delle cose le unità corazzate tedesche non sembravano ancora all'altezza dei compiti che avrebbero potuto essere chiamate ad assolvere (108). Questa valutazione di Marras, pur basata su dati reali, era destinata ad essere ampiamente smentita meno di I O settimane dopo la dala di slesura deìia monograria (24 giugno 1939). Destava in ogni caso stupore la rapidità con la quale era stato posto riparo alle manchevolezze di materiale e soprattutto di dottrina d' impiego, tanto da far assumere alle GG.UU. corazzate il ruolo di protagoniste nella guerra-lampo (Blitzkrieg). In proposito, non potevano formularsi che due ipotesi, e cioè che i tedeschi fossero stati tanto ecce/,ionale da sopperire in così breve tempo alle varie lac une, ovvero che gli avversari si fossero 'rivelati così deboli da rendere le stesse ininfluenti.
( 108) Cfr. documento di cui all a nota 76.
306
![
gen. Giuseppe M(ln rine!li, addcttn militare in Germa11ù1 ( 1930-/936), ritrattn durante
la seconda guerra mondiale in Africa Sdlenlrionale quando era capo dello slalo mag-
giore ilaliano di collegamento con l'armala corazzata italo-tedesca
Obice da 75 perfanteria della Wehrmacht
307
Il gen. Efisio Marra.,·. subentrato al gen. Mancine/ii
quale addetto militare in Germania
Berlino, maggio 1937: Efisio Marras, ancora nel grado di colon.nello, insieme ad Hitler e ad un generale di divisione italiano non meglio identificato
308
Mitragliera controaerea tedesca in dotazione negli anni Trerrla
Hannover, 8.7. 1939: visita in Germania del Sottosegretario alla Guerra e Capo di Stato Maggiore dell'Esercito gen. !'ariani. Da sinistro: /en. col. Pedoni, gen. Marras, gen. Volk, gen. Pariani, ten. col. Re
309
Minibiciclelta in uso nella Wehrmachl
3 10
Capitolo X GIAPPONE
La partecipazione del Giappone alla prima guerra mondiale a fianco delle nazioni dell' Intesa contro la Germania aprì nuovi campi alle sue ambizioni espansionistiche, rafforzandone anche il peso internazionale. l giapponesi si impadronirono imrnantinente di una buona prute dei territori e delle concessioni tedesche in Cina e nel Pacifico (Shan-Tung, isole Marianne, Caroline e Marshall), e nel 1915 imposero un ultimatum alla Cina che mirava a ridurla alle condizioni di una dipendenza nipponica. In sede di Conferenza della Pace del 1919, Tokyo conservò i vantaggi così acquisiti e vide sancito il proprio ruolo di poten:,.a mondiale, posizione che trovò conferma con il trattato di Washington del 1922 che attribuì di fatto al Giappone la superio1ità navale nel Pacifico occidentale (1). Fu così definito per certo numero di anni il nuovo assetto del Pacifico, e soprattutto venne delineata la cornice entro la quale l' espansionismo giapponese poteva forse essere controllato e la Cina poteva ricostituirsi come soggetto rinnovato ed autonomo della vita asiatica; ma le determinazioni adot-
'
(] ) Il lrallato per il disam10 navale fu firmato nell'ambito di una più ampia Con feren za svoltas.i a Washington dal 12. 11 . 192 1 al 6 .2. 1922, con la partecipazione di rappresentanti di Stati Uniti, Jugoslavia, Francia, Italia, Giappone, Belgio, Olanda e Portogallo per di scutere le questioni dell' Estremo Oriente e del Pacifico allo scopo di pervenire ad un' intesa collettiva tale da assicurare con mezzi pacifici l' eliminazione della guerra e degli armamenii navali. Ne scaturirono una serie di accordi, tra i quali il patto del Pacifico o «delle 4 potenze», che vincolava Stati Uniti, Inghilterra, Francia e; G iappone alla tutela dello status quo cd alla consultazione tanto per risolvt:re eventuali controversie quanto per ri spondere ad eventuali minacce, ed il trattato dcllle 9 potenze ( le precedenti 8 partecipant i più la Cina) o «della polla aperta», che impegnava i firmatari al rispetto della sovranità e dell ' integrità territori ale d ella Cina ed alla rinuncia - da cui quest'ultima deno minazione - a chiedere speciali privi legi nei rappo1ti commerciali con essa, cd infine il trattato per il disarmo navale. 'Questo venne fi rmato il 5 febbraio 1922 da Stari Uniti, Gran hretagna, Prancia, Giappone ed Italia. Prevedeva reali misure lim itative, poichè disponeva che per dieci anni le patii contraenti avrebbero sospeso la c;ostrnzione di corazzate ed incrociatori da battagl ia . Prevedeva inoltre la distruzione di naviglio in corso di costmzione o già c;ostmito in mod o da far sì che il rnpporto esistente in termini di tonnellaggio rispettasse la seguente propor7.io ne: Stati Uniti e (ìran Bretag na 5, G iappone 3, Italia e Francia 1,75. Stabiliva infine u na serie di limitazioni per la stazza e gli armamenti d elle navi da hattag lia, mentre non stabiliva nulla per quanto riguardava i sommergibil i essendo venuto me no un accordo in merito.
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tate erano tutte troppo elastiche cd ambigue per arginare davvero un'azione risoluta quando una delle parti in causa (in altre parole, il Giappone) avesse voluto acquisire un molo dominante. Nel dopoguerra il Giappone si avviò verso una profonda trasformazione politica ed una grande crescita econorrùca.L'oligarchia militarista che aveva sino allora governato il Paese ccdetle il posto ad un esecutivo civile, espressione di partiti che avevano una base parlamentare e che dal 1925 affrontavano il voto in base al suffragio elettorale maschile, anche se in effetti la vita politica seguitò ad essere contraddistinta da una forma di potere oligarchico e semiautocratico, incentrato sulla venerazione per l' imperatore e sull' influenza della burocrazia, delle forze armate e dei gruppi monopolistici; questi ultimi avevano il controllo della stampa e dei due maggiori partiti, entrambi di orientamento conservatore (2). Sotto l ' aspetto economico, si accelerarono la modernizzazione e la produttività del! ' industria, ed il rapido tasso di crescita della produzi one industriale contribuì ad inserire più strettamente il Paese nel circuito dei traffici mondiali . Più difficili restarono le condizioni dcli' }1gricoltura, perché le aziende contadine (nel1c quali lavorava circa la metà del1a popolazione attiva) erano di dimensioni molto piccole e davano redditi spesso insufficienti alla sopravvi venza dei coloni e degli affittuari'; la produzione delle derrate, e specie del riso, divenne inoHre sempre più inadeguata di fronte ai bisogni di una popolazione in rapido aumento - da 46 milioni nel 1903 a 64 nel 1930 - alla qual e si erano per di più chiusi gli sbocchi dell'emigrazione nelle Americhe ed in Australia. Nel complesso, il Giappone presentava tutte le contraddizioni della crescita prorompente e della modernizzazione non regolamentata. Quando sopravvenne la crisi economica del 1929 esso ne fu colpito, anche se solo per breve tempo e marginalmente, fra il 1930 cd il 1931 a causa degli effetti conseguenti alle mi sure prote1.ionistiche adottate sul mercato mondiale rispetto ad un sistema economico orientato in chiave di esporta7.ione. Le ripercussioni di queste, la crescente pressione demografica e l'acuirsi della carenza di materie prime agevolarono le pressioni
(2) Uno dei due partiti era il Seykai, legato agli interessi della grande industria e della proprieLà terriera grande e piccola, fautore di una politica estera imperialistica da sv iluppare prim:ipalmente nella Cina seUenttionale, in Manciuria ed in Mongolia; l' alo-o era il Minseito , di tendem:a più liberale, legato agli interessi del mondo degli affari e del commercio e pcrLanto promotore di una politica di espansione commerciale.
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dei gruppi dominanli per riaccendere le mai sospite mire circa l'acquisizione di sbocchi e fonti di approvvigionamenlo nel conlinente asiatico, dove il Giappone si era già installato in Corea e deleneva zone di influenza in Manciuria. Nel settembre 1931 le truppe giapponese invasero questa regione, che apparteneva formalmente alla Cina e della quale il 18 febbraio dell'anno successivo fu proclamata I' indipendenr,a sotto forma dello Stato del Manciukuò, la cui reggenza fu affidata ali' ex -imperatore cinese Hatian-Tun g (detto Pu Yi) deposto nel 1912, incoronato imperatore il 1° marzo 1934 con il nuovo nome di Keng Tue. Fra Giappone e Manciukuò fustipulato un trattato di alleanza, che ribadì la dipendenza del secondo dal primo. L'espansionismo nipponico porlò poi all'occupazione di alcuni centri delle 5 provincie settentrionali della Cina, comportando solo una condanna simbolica da parte della Società delle Nazioni utilizzata dal Giappone per uscirne (marzo 1933) e denunciare gli accordi di Washington del 1922. Per quanto attiene a11'altività dell ' addetto militare italiano a Tokyo relativamente ai primi anni Trenta, nell'archivio storicodiplomatico de] ministero degli affari esteri è custodia una documentazione costituita da una serie di relazioni mensili inviate al ministero della guerra, e parimenti trasmesse dalla nostra ambasciata al competente dicastero, fra ii 1931 ed il 1933. Esse comprendevano notizie di politica interna ed estera e, per la parte militare, concernenti argomenti vari fra i quali primeggiavano resoconti di visite a reparti e di esercitazioni, provvedimenti ordinativi, variazioni di dettaglio tecnico su delerminate armi , aspetti burocratici-amministrativi. Di particolare interesse, fra le altre, alcune notazioni emerse dalle manovre invernali della 7a divisione di fanteria e riguardanti l'atteggiamento degli ufficiali, assolutamente non disponibili ad aggiornarsi sulle esperienze della 1a guerra mondiale; essi, affermava il ten. col. Frattini, non si rendevano conto della potenzialità delle armi moderne, inclini solo all'esaltazione del coraggio e del disprezzo del pericolo, elementi di fondo dei loro regolamenti (3). Una relazione del novembre 1933 riguardava in particolare l'esercito del Manciukuò, .costituito per il mantenimento dell'integrità territoriale del nuovo Stato e per la tutela (3) AS-DMAE, Affari Politici, Giappone, fascicolo «Rapporti R Addetto Militare», b. 1/1931, relazione mese giugno da Add. Mii. a Ministero Guerra e trasmessa da Ambasciata Tokyo a MAE con prot. 646/311 RR del 21.8.1931 , f.to Maroni. 0
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RUSSIA
RUSSIA
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CARTINA N. 9 - Lo staio del Manciukuà e la sua collocazione nello ,vcuc:chiere asiatico nord-orientale (da Sella P., «Da Madame Butte,jly a Hiroshima», in «L'Uomo /,ibero», n. 42/1997)
dell'ordine interno. Si trattava di 120.000 uomini suddivisi in varì raggruppamenti provinciali al comando dei quali, in ciascuna provincia, era destinato un generale con relativo stato maggiore. 01tre a questi, v'erano poi reparti autonomi nella capitale e nella zona montana deH'Hingan, suddivisa in 3 distretti. L'ordinamento e 1' armamento 1icalcavano in pieno l'organizzazione caotica delle truppe cinesi, espressione del capriccio di ciascun comandante. Gli istruttori giapponesi riferivano che le truppe erano inaffidabili sotto ogni punto di vista, mentre gli ufficiali erano intelligenti e potenzialmente capaci ma, provenendo dalle organizzazioni cinesi, avevano radicale in ]oro tutte le pecche originarie dei com,mdanti di quell'esercito (4). Di particolare interesse, perché emblematico di una certa impostazione socio-politica, era il commento alle (4) AS-D MAE, Affari Politici, Gillppone, fascicolo «Rapporti R" Addetto Militare», b. 4/ 1933, prot. 1250 del1'8.l 2.1933 da Add. Mii. a SJ.M. e trasmesso da ambasciata Tokyo a MAE con prot. 1210/640 del 15.12.1933.
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grandi manovre svoltesi nell'autunno sempre del 19'.B nella regione di Fukui, scelta perché aveva avuto il maggior numero di caduti negli scontri con i cinesi a Shanghai nei primi mesi dell'anno precedente. Scopo primario delle manovre, come in altre occasione, era quello propagandistico, tale da offrire uno spettacolo alla popolazione: le truppe dovevano muovere in modo da incontrarsi in terreni che per la loro configurazione naturale permettevano agli astanti di vedere le unità in azione, per cui ogni concezione operativa era subordinata all'esigenza di fondo che il «combattimento» avesse luogo in una pianura piatta, possibilmente circondata da un anfiteatro di colline che consentisse alla folla di godersi lo spettacolo. Ogni aspetto di carattere strategico e tattico era pertanto completamento misconosciuto (5). La ripresa della politica espansionistica dette nuovo vigore ai gruppi ultranazionalisti, forti soprattutto fra gli ufficiali , decisi a liquidare le forme parlamentari ed il sistema dei partiti. Il tentativo più serio di impadronirsi del potere dal basso fu cffctuato il 26 febbraio 1936, alìorché un migìiaio di soìàati guidati da un gruppo cli cadetti occupò il centro dì Tokyo cd uccise var'ì uomini politici. Il golpe fallì per il mancato accordo dei congiurati con gli altri quadri dell'esercito, ma proprio la sua energica repressione avrebbe consentito alla casta militare di imporre progressivamente negli anni successivi la propria egernunia. L'affennarsi di quesia poriò nel I 93ì aìla guerra con tro la Cina, della quale nel giro di pochi mesi furono occupate le coste cd altre zone vitali senza che peraltro si 1iuscisse a porre fine ad un conflitto che si sarebbe protratto sino alla fine della seconda guerra mondiale.
1. ii Jchoi, una finestra suiìa Mongoiia
L' occupa:r.ione della Manciuria, anche dopo la sua configurazione quale Stato del Manciukuò, 11011 ru esente da problemi di carattere operativo riguardanti in particolare la provincia del Jehol, compresa nella Mongolia centrale a fonna di un uovo il cui fondo riposa sulla parte orientale della Grande Muraglia, confinante a
(5) AS -D MAE, Affari politici, Giappone, fascicolo «Rapporti R 0 Addcllo Mililare», b. 4/1933, prot. 1225 del 20.11.1 933 da Add. Mii. a S.I.M. e trasmesso da Ambasciala Tokyo a MAE con prot. 1210/640 del 15.1 2.1933.
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Nord con la Mongolia propriamente detta e ad Est con la Manciuria; il confine Ovest è costituito dalla catena principale delle montagne del Fiume Giallo. In merito al Jehol l'addetto militare italiano a Tokyo aveva inviato nel 1933 una relazione relativa alle operazioni condotte dai giapponesi ed alle contromisure difensive cinesi, entrando nel dettaglio dell'organizzazione delle rispettive forze; le pagine del documento inerenti a questi aspetti non sono state rinvenute, al contrario di quelle iniziali concernenti le caratteristiche del territorio ed alcune considerazioni di carattere politico ed ambientale riguardanti la Cina. Nella sua porzione più grande, il Jehol raggiungeva la lunghezza di 500 miglia e la larghezza di 300, ed era paragonabile aJla Corea; la popolazione, costituita da mongoli e cinesi, ammontava a poco più di un milione di unità, concentrate in 2-3 città, in alcune oasi ed in pochi villaggi. Una terra di grande contrasti, dove si alternavano gigantesche montagne, strette valli, aride pianure, fe11ili oasi, freddo intenso e sorgenti calde, che era stata nell'antichità il parco estivo degli imperatori Manciù. Il terreno, montuoso su tutto il territorio della provincia, era abbastanza agevole ad Est e diveniva sempre più tormentato man mano che si procedeva verso Ovest; però, escludendo la parte più occidentale della regione, si poteva dire che fino al meridiano di Cengteh il Paese era percorso da un numero relativamente discreto di strade, non poche delle quali permettevano, sebbene con qualche difficoltà, anche il movimento di automezzi. Le ferrovie non erano ancora penetrate nell'interno della regione. Dalla città di Cengteh, chiamata pure Jehol, posta nelJe oasi del Sud, basse chiatte venivano spinte o tirate attraverso le rapide, su per le curve ed i gorghi, sino al fiume Luan sfociante nel golfo del Chili. Gli abitanti dei paesi erano molto poveri: i contadini non allevavano pecore per paura di essere derubali dai militari, ma solo capre che facevano pascolare lontano, nell' interno dei monti, mentre nelle oasi venivano coltivati i cereali più elementari ed il papavero. Pochi potenti capi mongoli vivevano nel Nord; la maggioranza della popolazione era costituita da una forte razza cinese immigrata vi da vari secoli, gente della stessa solida fibra dei manciù. Il resto della popolazione era rappresentato dai servili discendenti dei manciù e dagli schiavi cinesi, che un tempo erano tenuti nei palazzi che gli imperatori manciù avevano fabbricato nei dintorni della città di Chengteh. Vi erano nuclei di contrabbandieri, cacciatori di pelli e pellice, trafficanti e rivenditori di gioielli. A11a fine di febbraio 1933, un anno dopo la promulgazione del 316
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CARTINA N. 10 · Lu provincia del Jehol. Ai COt!fini occidentali dello Shingan sono evidenziate con tratteggio anche lu regione dello Chahr e le zane della Mongolia interna che nei primi anni Trenta si trovuvuno sotto la giurisdizione militare dell'Armata cinese del Kwantung (da Sella P. , «Da Madame Butterjly a Hiroshima», in «L'Uomo Libero», n. 4211997)
nuovo Stato, i giapponesi avevano proceduto all'occupazione della provincia del Jehol sulla base delle seguenti motivazioni: esigenza immediata di eliminazione della base pricipale di alimentazione del banditismo prima del ritorno delle buona stagione, che ne avrebbe favorito la ripresa in tutte le altre province al momento tranquille; necessità di allontanare dal ten-itorio del Manciukuò tutte le truppe regolari cinesi per confermare di fronte alla Cina ed al mondo quando affermato circa i confini del nuovo Stato; opportunità di occupare questa provincia dalla quale era più 317
facile esercitare la pressione sul governo cinese, e costituirvi allo stesso tempo una base indispensabile per una eventuale rutura espansione in Mongolia. Per quanto riguardava gli aspetti di carattere socio-politico, l'addetto militare riferiva che mentre neJl'opinionc pubblica giapponese non vi era una sola voce discorde dal momento che il problema dell'occupazione del Jehol rientrava nella questione del Manciukuò, ritenuta vitale per la nazione, in Cina l'atteggiamento delle massime autorità appariva notevolmente diverso: «Da parte cinese la questione del Jehol ha parimenti assunto un carattere spiccato di questione nazionale, ma mentre in Giappone i ROVernanti ed i capi miliLari quando parlano al popolo hanno la volontà pronta perfar seguire alle parole l'azione e sono pronti ad agire, in Cina governanti e capi militari sollevano L'opinione pubblica .\perando in un aiuto da parte del mondo che li ascolta, ,na per conto lorv sono pronti ad agire solo secondo il loro interesse personale. in tale situazione essi ii/udono con ie loro dichiarazioni il Paese nel modo più vergognoso, consumando freddamente ai suoi danni i Lradimenti più ignobili. Un membro del governo, il ministro delle fhwnze, si reca a Pechino e poi nel Jehol per indicare al inondo che la questione relativa a questa provincia è una questione nazionale e che l'attacco contro di essa incontrerà la resistenza di tutta la Cina, ma queste parole, che aumentano le illusioni, sono il solo sforzo compiuto dal governo centrale il quale non esercita alcun atto positivo di controllo su quanto effettuano le autorità militari del Nord. Il governo sa che la provincia sarà prima o dopo occupata dall'avversario, sa che se si interessasse direttamente della difesa perderehhe uomini e presfigio e non dà che parole; le illusioni che queste parole suscitano avranno conseguenze gravi solo per i capi direttamente responsabili della difesa e che saranno inevitabilmente battuti, ma non per il governo. ll maresciallo Changhsuehliang invia nel Jelwl le truppe più scadenti ed infide e tiene quelle migliori attorno a sè per averle pronle, non contro i giapponesi, ma contro i generali limitrofi. Tl comandante del gruppo di brigate inviate nel Jehol non si muove da Pechino e non prende mai il suo posto, e le brigate stesse attendono invano notizie, direttive, ordini. Lo stesso maresciallo Changhsuehliang, .fra il giorno 3 e il giorno 4, quando la capitale del Jehol sta per essere presa, passa tutta }18
la nolte a giocare a poker nel suo palazza di Pechino. Il governalore Tangyulin accetta evidenlemente il denaro giapponese e si ritira in perfetto ordine senza sacr[ficare neppure un soldato tenendo così le sue truppe pronte per le eventuali lotte interne e per la difesa dei suoi averi. Mentre il Jehol viene preso, i ministri si preoccupano molto di più delle agilazioni nazionaliste degli studenti, e lo dicono apertamente, che non dell 'arrivo dei giapponesi alla Grande Murailia. Tutti parlano e scrivono di difesa ad oltranza, di resistenza fino all'ultimo uomo, ma tutti vorrebbero che questo sacrfficio fosse compiuto da un altro e così ciascuno pensa ai fatti suoi e nessuno alla Cina» (6). Tn una comunicazione di una settimana dopo, l'addetto militare riferiva delle diverse valutazioni attribuite alle operazioni giapponesi nel Jeho1 da parte degli addetti militare americano, inglese e francese, interessanti perché espressione della differente capacità, da parte degli ultimi due, di porsi di fronte al problema in termini di freddo pragmatismo a! contratio invece delle considerazioni formulate dal primo, improntale ad un demagogico ed aslraLtto riferimento agli eventuali richiami delJa Società delle Nazioni e sul contemporaneo misconoscimento della risoluta determinazione giapponese di proseguire nel raggiungimento degli obiettivi espansionistici prefissati (7). 2. L'Italia in Africa Orientale: la posizione di Tokyo Nei mesi precedenti il conllitto italo-etiopico il nostro rappresentante militare a Tokyo aveva inviato una serie di notizie circa l'atteggiamento giapponese al riguardo (8), che avrebbero poi trovato una configurazione riassuntiva nella relazione trasmessa il 3
(6) AUSSME, L3-184, prot. 991 del 17.4. 1933, da Add. Mii. Tokyo aS.I.M., f.to tcn . col. Frattinì. (7) AUSSME, U-184, prot. 172 del 25.4.1933, da Add. Mii. Tokyo a S.I.M., f.to ten. col. Fraltini. (8) AUSSME, Dl-224/3, prot. 172 del 16.5. 1935, da Add. Mii. Tokyo a S.1.M., f, lo ten. col. Scalise; AUSSME, H3-39/4, prot. 232 del 10.7.1935, prot. 297 del 29.8. 1935, prot. 315-3 16 del 20.9. 1935, da Add. Mii. Tokyo a S.l.M., f.to ten. col. Scalise; AS-0 MAE, Affari Politici, Giappone, fascicolo «Rapporti R0 Addello Militare», b. 11/ 1935, prot. 251 del 24.7.1935, da Add. Mii. Tokyo a S.I.M. Lto te n. col. Scalise (nella stessa busta sono contenuti altri rapporti concernenti principalmente le forniture di materiali bellici giapponesi all'Etiopia e l'acquisto da parte dei minisl.eri militari nipponici di tecnologie aeronautiche italiane).
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ottobre 1935, lo stesso giorno di inizio delle operazioni in Africa Orientale. A questo proposito, il compilatore aveva cura di precisare, al termine dell'esposizione, che il documento sarebbe pervenuto al S.I.M. non prima di un mese, e dato il precipitare degli avvenimenti non avrebbe avuto il valore che avrebbe potuto avere se fosse giunto a destinazione molto prima, anche se le notizie di carattere urgente (alcune delle quali venivano richiamate nel testo) erano sempre state spedite a mezzo telegramma. La prima parte della relazione riguardava l'orientamento dell'opinione pubblica ed il contegno degli organi responsabili giapponesi nei confronti della questione italo-etiopica: «Durante il mese di settembre il pubblico giapponese ha in prevalenza persistito nel suo atteggiamento di simpatia per l'Etiopia, senza manifestazioni di aperta ostilità verso di noi. Come ho accennato nei miei precedenti rapporti, varie ragioni hanno contribuito a determinare tale atteggiamento e soprattutto: a) un senso d(ffuso di simpatia per un Paese ritenuto dehole che sta per essere sopraffattn da unofortP; b) il fatto che il Giappone tende a proclamarsi paladino delle razze di colore, contro l'imperialismo della razza bianca; c) la nostra politica in Cina, che pur essendo basata su interessi meno vistosi di quelli dell 'Jnghilterra, dell'America e della Germania ha sempre suscitato in Giappone una certa contrarietà, specie fra i militari; d) il risentimento per il linguaggio tenuto recenlemente dalla nostra stampa nei riguardi di questo Paese; e) il timore che l'eventuale occupazione dell'Abissinia per parte dell'Italia possa chiudere al Giappone le porte di un mercato sul quale erano.fondate buone speranze. Tutte queste ragioni sono state largamente .\fruttate dalla propaganda svolta a favore dell'Etiopia da sedicenti associazioni nazionaliste, dirette da individui sovvenzionati dall'Abissinia o mossi da interessi personali. E tale propaganda ha trovato un grande ausilio nella nota grafomania dei giapponesi e nell'avidità del pubblico nipponico di notizie nuove e sensazionali ( il Giappone, come è noto, è il Paese del mondo in cui si stampa di più e dove tutti leggono con interesse giornali, opuscoli, ecc.). Per cui, in questi ultimi tempi, la stampa non ha fatto altro che occuparsi della questione italo-etiopica, ed è stata fra l'altro pubblicata una quantità notevole di opuscoli, scritti da professori, militari, giornalisti, ecc., che sono stati largamente distribuiti al pubblico 320
anche nelle puù lontane province. Di tali opuscoli sto facendo una raccolta, pensando che potrà essere utile un giorno avere una documentazione dell'atteggiamento giapponese in questo momento storico così importante per il nostro Paese. Due opuscoli hanno richiamato particolarmente la mia attenzione perché scritti da due ufficiali, uno del comandante Ikeda, già addetto navale a Roma ed ora addetto allo stato maggiore della marina imperiale, e l'altro del cap. Shigeyasu, fino a pochi mesi fa addetto militare aggiunto a Roma ed ora facente parte dello stato ma{?giore dell'esercito. Entrambi gli scritti contengono espressioni offensive per l'Italia che mi hanno indotto, con il collega della Marina, a richiamare su di esse l'attenzione dei nostri rispellivi ministeri. Alcuni industriali che hanno degli interessi in Abissinia e spererebbero di vederli sviluppare ancora di più, hanno contribuito a dare incremento alla propaganda filo-etiopica con mezzi finanziar'ì. È opportuno in.fine aggiungere che la questione di cui trattasi non ha interessato solo la stampa ma anche altre forme di attività come ad esempio il cinema; molto spesso si è assistito a proiezione riguardanti i due Paesi in con,f[itto ed in particolare le loro j<Jrze armate, osservate in silenzio per quanlo ri{?uardava le nostre mentre quelle etiopiche erano non poche volte accompagnate da segni di ilarità, e solo di rado vi è stata qualche battuta di mano da parte di qualche simpatizzante. Intanto, tre elementi nuovi sono entrati ultimamente in gioco, e questa volta a nostro favore: 1) L'eccentuarsi della tensione italo-inglese. 2) Un certo senso di stanchezza e di disinteresse da parte del grosso pubblico verso la propaganda filo-etiopica, che a mio avviso ha già esaurito buona parte della sua forza. 3) È venuto apparendo sempre più chiaro il nostro punto di vista. Il primo elemento ha influito soprattutto sull'atteggiamento degli organi re.wonsahili, mentre gli altri due hanno operato sul[' opinione pubblica. Il governo giapponese ed i militari, che la politica diriwmo dietro le quinte con mano forte e decisa, hanno fino ad ora tenuto un contegno molto riservato e tranquillo, pronti ad approfittare di ogni occasione che potesse facilitare l'attuazione della loro politica imperialista di espansione. Fino a quando la questione italo-etiopica ebbe l'aspetto di una semplice impresa coloniale dell'Italia, le idee non erano molto chiare e sembravano dominate dalla preoccupazione di salvaguardare i pochi interessi giapponesi esistenli nella lontana terra abissina e quelli maggiori 321
che si .~perava di poter costituire. Ma quando la questione cominciò ad assumere più ampie proporzioni e l'attrito italo-etiopico fu soverchiato da quello italo-inglese, le idee si fecero più chiare e speranze di grandi possibilità sorsero rapidamente. L'Inghilterra, che nonostante la cosiddetta tradizionale amicizia alla quale ben pochi credono, è qui considerata ed è la più forte e pericolosa rivale del Giappone, s'incamminava verso un conflitto di cui nessuno poteva, nè può OfUti, prevedere le proporzioni, ed avrebbe potuto ricevere un fiero colpo al suo prestigio ed alla sua potenza che le avrebbe impedito di opporsi ejfìcacemente all'attuazione del programma sempre più ampio che i giapponesi intendono attuare in Oriente e che sembra abbia proporzioni vastissùne. Non è più la Cina del Nord e la Mongolia soltanto che ne formano l'oggetto, ma anche la Cina del Sud - come proprio in questi giorni si va delineando - e forse anche le colonie olandesi ed altro ancora. l'ansietà sempre crescente circa gli sviluppi della crisi, che gli ambienti militari e navali lasciano intravedere, e soprattutto il desiderio di conoscere se e quanto noi iniziererno effettivamente le operazioni, sono molto eloquenti. Probabilmente gli organi responsabili giapponesi attendono lo scoppio di un conflitto per svelare il loro atteggiamento. Ed io credo che in tal caso il Giappone penserebbe anzitutto a lavorare per suo conto in Oriente, avendo le mani libere o quasi, e che aiuterebbe noi soltanto se ed in quanto tale aiuto varrehbe a frappo rre sempre maggiori difficoltà all'Inghilterra». Dopo aver esposto le iniziative da lui assunte, di concerto con il nostro ambasciatore cd anche in proprio, al fine di chiarire agl i ambienti militari, diplomatici, industriali e giornalistici il punto di vista italiano sulla questione etiopica ed utilizzando pure gli clementi simpatizzanti per la nostra causa, 1' addetto militare proseguiva trattando l'argomento degli eventuali rifornimenti all'Italia dal Giappone e di questi all'Etiopia: «Il 18 settembre mi recai dall'aiutante di campo del ministro della guerra, col. Ushjima, avente fun zioni di capo-gabinetto e, premesso che agivo di mia iniziativa, gli chiesi in via confidenziale se il ministero della guerra vedeva la possibilità che in caso di chiusura del canale di Suez l'Italia si rifornisse in Giappone. Il col. Ushjima, che in un primo tempo mi aveva detto che personalmente vedeva tale possibilità, in un secondo incontro, dopo aver sentito ciò che ne pensava il ministro della guerra, mi .fece capire che le autorità militari non desideravano assumere al riguardo alcun 322
impegno e che il loro alleggiamento sarebbe stato dettato dalle circostanze e de.finito in base allo svolgersi degli avvenimenti. Nei giorni scorsi è apparsa sui giornali la notizia che la ditta Mitsui ha r(f'iutato di vendere una partita di birra per le truppe italiane dell'Africa Orientale. In seguito ad indagini svolte al riguardo, è risultato che il r(fiulo alla vendita non era stato determinato da ragioni politiche, come i giornali avevano fallo capire, ma dal m.ancato accordo sull'entità del prezzo d'acquisto. I grandi gruppi industriali giapponesi devono aver preso in esame La convenienza o meno di aderire alle eventuali richieste di acquislo di materiali da parte dell'Italia, ma non sembra che abbiano preso delle decisioni. Credo però che al mornento opportuno essi non avrebbero dijjìcoltà a vendere a noi - qualora le autorità competenti non si opponessero - visto che , a quanto mi risulta, essi vendono ai russi il cemento che serve per la costruzione delle fortificazioni sovietiche alla frontiera mancese. Intanto parecchi commercianti ed industriali di non grande importanza si sono presentati alla R 0 Ambasciata ed a me (dfrendo in vendita delle merci che potrehhero essere di nostro interesse. Mi sono così pervenute o.ft'erte di scatolette di salmone, di olio luhrfficante per armi, di benzina, di automez2i, di solfato di molibdeno e persino di corazze. Per quanto riguarda l'invio di materiali bellici dal Giappone in Etiopia, ho già risposto ai vart telegra,nmi ricevuti da codesto Servizio. È estremamente difficile assumere notizie precise su tale materia, niancando quasi del tutto in Kohe ed in Osaka, da dove generalmente partono le merci, elementi informativi sui quali fare assegnamento. Comunque, a conferma di quanto ho già comunicato altre volte, informo che non risulta che materiali in quantità notevole siano stati spediti, al di fuori di qualche partita di ferro spinoso, di tessuti kaki e di scarpe di gomma che sarehhero swti spediti in ''charter" a mezzo di pimscqft sollo bandiera non Riapponese. I pagamenti sarebbero stati effettuati, con polvere d'oro delle miniere etiopiche, alla grande ditta Mitsui-Bussan che agirebbe quale intermediaria; servendosi per le spedizioni anche dei piroscafi stranieri (danesi e svedesi specialmente) che fanno ritorno in Europa dopo aver scaricato qui sale, zolfo, granturco, ecc.» (9). Pur se non pertinente al conflitto italo-etiopico, ma solo per
(9) AUSSME, H339/4, prot. 324 del 3 . .10.1935, da Add. Mii. Tokyo a S.LM., f.to ten. col. Scalise.
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un motivo di correlazione cronologica, si fa menzione in questo paragrafo anche di una comunicazione successiva di circa sci mesi a11a precedente (aprile 1936) in quanto contenente un'interessante valutazione sull'esercito giapponese, acquisita dal nostro addetto militare anche attraverso conversazioni confidenziali con gli addetti militari tedesco e russo. Se lo spirito militare appariva sempre elevato, gli ufficiali giapponesi presentavano gravi deficienze. Professionalmente erano alquanto scadenti; all'addestramento provvedevano gli ufficiali inferiori - soltanto di rado i comandanti di battaglione - più di propria iniziativa che sulla base di istruzioni ricevute dall'alto, e ne conseguiva che essi acquistassero molto prestigio tra i reparti e potessero esercitarvi un 'influenza talvolta controproducente ai fini della disciplina. Particolare cura si andava dedicando negli ultimi tempi alle esercitazioni di piccoli reparti motorizzati, ciò che poteva essere utile ai fini delle azioni contro i mongoli ed i russi ai confini mancesi o contro i cinesi. Gravi deficienze esistevano nei materiali: l'artiglieria era vecchia ed inadeguata, e non sembrava vi fosse per ora alcuna possibilità di renderla migliore; le armi della fanteria erano discrete, ma non pareva fosse stato ancora risolto in modo soddisfacente il problema delle armi d'accompagnamento (il mortaio da trincea cal. 65, di recente distribuito alle truppe, avrebbe rivelato gravi inconvenienti nei riguardi della mobilità e della precisione di tiro per cui si sarebbe già pensato di sostituirlo); la motorizzazione era ancora allo stadio iniziale, ed occorreva denaro e tempo per darle il necessario sviluppo. L'aviazione era in condizioni deplorevoli, come era riconosciuto apertamente dagli stessi giapponesi, sia per il deficiente addestramento e per la scarsa attitudine dei piloti, sia per la qualità e quantità dei materiali (nel mese di marzo ben 17 velivoli, dell'esercito e della marina, erano andati perduti in seguito ad incidenti di vario genere, con la morte di 11 piloti) (10). 3. Le prospettive tecnico-industriali
Terminata la guerra italo-etiopica, l'addetto militare affrontò il problema della vendita al Giappone di materiali bellici e licenze di
(10) AS-D MAE, Affari Politici, Giappone, fascicolo, «Rapporti R Addello Militare», b. 14/1936, prot. 98. del 15.4.1936, da Add. Mii. Tokyo a Ministero Aeronautica - Gabinetto, S.l.A., f.to len. col. Scalise. 0
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fabbricazione da parte delle nostre industrie. In una comunicazione del 6 agosto 1936 l'ufficiale, dopo aver evidenziato la mancanza di un'efficace partecipazione italiana al lavoro condotto dai Paesi industrialmente più progrediti per l'ottenimento di commesse belliche a favore delle forze armate nipponiche, riferiva come fino allora i giapponesi, in fatto di produzioni di materiali da guerra, si fossero sempre sforzati di mantenere la massima indipendenza possibile, ben conoscendo il pericolo verso il quale sarebbe andato incontro in caso di conflitto armato un grande Paese che fosse fortemente tributario dell'estero in ciò che gli era più indispensabile per vivere e combattere. E poiché le invenzioni giapponesi, malgrado le notizie sensazionali che di tanto in tanto apparivano sulla stampa mondiale, praticamente non esistevano, essi avevano sino allora risolto il problema copiando od acquistando licenze di fabbricazione e costruendo poi in proprio. I facsimili, però, non erano mai riusciti bene ed anche il lavoro eseguito sulla base delle licenze acquisite era risultato abitualmente imperfetto, soprattutto per deficienza di capacità da parte dei tecnici e degli specialisti locali. Soltanto la partecìpazione al lavoro di personale straniero competente avrebbe potuto assicurare risultati soddisfacenti. Tullo ciò i militari lo avevano cominciato a comprendere, come dimostravano i recenti accordi (in parte palesi, in parte segreti) conclusi con la Germania e la conseguente venuta in Giappone di numerosi tecnici tedeschi che erano stati preposti a taluni rami dell'industria, ed in particolare a quelli riguardanti il settore chimico. Sembrava perciò possibile che i giapponesi potessero essere indotti ad attuare tale forma di collaborazione anche con altri Paesi dai quali non fossero divisi da ragioni politiche. Intanto, consapevoli della insuffienza dei loro armamenti, conseguenza dell'aver iniziato tardi, dopo la guerra mondiale, la loro preparazione militare e dell' aver speso incongruamente i cospicui fondi ottenuti annualmente, i vertici militari avevano tracciato negli ultimi tempi un nuovo programma per colmare le deficienze esistenti e mettere l'esercito in condizioni tali da poter sostenere validamente la politica di espansione del Paese. Per l' attuazione di tale programma si richiedevano somme ingenti che andavano da 3 miliardi di yen, corrispondenti a più di 1O miliardi di lire, a 10 miliardi della stessa moneta da spendere in un periodo non ancora stabilito ma che variava tra i 6 ed i 12 anni. L'entità delle somme richieste serviva comunque a dimostrare che i militari non si facevano illusioni sui risultati finora conseguiti e che riscontravano nell'esercito gravi deficienze di arma325
mento e di preparazione. I1 Paese, però, non avrebbe potuto rispondere in pieno alle esigenze di questo, al quale d'altronde avrebbe dovuto dare in ogni caso almeno i fondi occorrenti per far fronte alle necessità più impellenti. Ciò considerato, e ritenendo l'altra parte che l'industria italiana aveva in molti campi la possibilità di rispondere bene alle esigenze giapponesi, e che inoltre, dopo la vittoriosa f"ine della campagna etiopica, le avrebbero potuto essere utili degli sbocchi all'estero per mantenere in efficienza la propria attrezzatura e la capacità di produzione, negli ultimi tempi il nostro addetto militare len. col. Guglielmo Scalise (accreditato anche come addetto aeronautico), si era attivamento adoperato ,11 fine di sensibilizzare gli ambienti militari circa l'opportunità di servirsi dell'industria italiana a preferem,a di quella degli allri Paesi, ed aveva potuto così ottenere che i dirigenti di taluni gruppi finanziari esaminassero a fondo la questione e si mettessero d'accordo circa l'opportunità di promuovere una collaborazione italo-giapponese in tal senso. Ma allorchè i contatti sembravano essersi ben sviluppati e suscettibili di concrete re:1Ezzazioni, le trattative in corso fr1 q1..1esti rappresentanti economici ed i vertici militari avevano subito un arresto, del quale il compilatore forniva la spiegazione. Uno <lei problemi più gravi che lo stato maggiore giappponese si stava sforzando di risolvere - specialmente dopo le minacce di sanzioni riguardanti i petroli fatte all'Italia durante la campagna etiopica - era quello de1 combustibile liquido necessario all'esercito ed ali' aviazione in tempo di guerra. E poiché il Paese non disponeva cli fonti di benzina, si era pensato di produrla utilizzando le materie prime delle quali sarebbe stato sicuro il possesso in caso di guerra e di ricorrere anche ad altri tipi di carburante. Erano stati perciò acquistati in Germania due brevetti, uno per la liquefazione del carbon fossile ed uno per 1' estrazione di alcool da ribre vegetali e da anrido, per l'applicazione dei quali era prevista la costruzione di grandi stabilimenti in Manciuria (dove esistevano larghi giacimenti di carbon fossile), in omaggio al principio affermato dallo stato maggiore giapponese in base al quale, per limitare gli inconvenienti derivanti in caso di guerra dal fatto di essere le linee di comunicazione marittime esistenti tra la madre patria cd il continente lunghe ed esposte alle offese del nemico, si tendeva a costituire in Corea ed in Manciuria le basi necessarie per alimentare le forze combattenti. Dopo aver risolto, o creduto di aver risolto, il problema del combustibile liquido, lo stato maggiore giapponese aveva sentito però il bisogno di procurarsi dei motori tali da poter impiegare per 326
essi miscele aventi una percentuale molto elevata di alcool. A tal fine gli organi competenti e gli industriali che lavoravano per le for:t.e armate, vista l'impossibilità dell'industria nazionale di far fronte a tale esigenza, avevano iniziato una ricerca nei vari Paesi stranieri senza però riuscire ancora a trovare nulla di concretamente interessante. Tanto i militari quanto gli industriali, però, si erano formati il convincimento che l 'Italia, povera di benzina e seriamente minacciata nei propri rifornimenti dall'estero in caso di guerra, aveva conseguito in tale campo i maggiori progressi; Avendo però chiesto al riguardo notizie all'addetto militare a Roma ed avendo questi risposto che in Italia si adoperavano miscele con un massimo del 20% di alcool, le speranze nutrite erano sensibilmente scemate. TI nostro addetto militare, durante i colloqui avuti con ufficiali ed industriali, non aveva comunque mancato di rappresentare come probabilmente fosse ancora troppo presto per sperare che l'industria mondiale potesse produrre motori capaci di utilizzare esclusivamente aJcool o miscele con percentuale alti ssima di questo, e che ad ogni modo non sembrava opportuno far dipendere la buona riuscita di una collaborazione su vasta scala esclusivamente dalla possibilità o meno da parte dell'industria italiana di fornire motori del tipo anzidetto. La situazione era pertanto rimasta pressoché stazionaria, nè era possibile prevedere quali svilu~pi avrebbe potuto assumere. Nel frattempo, al nostro addetto militare era stata più volte prospettata l'opportunità di far giungere in Giappone una missione di tecnicì e di industriali italiani, analoga a quella tedesca arrivata nella primavera precedente, sempre che si fosse riusciti a preparare il terreno per un'intesa sicura. Era stato anche avanzato il desiderio di concludere gli affari sulla base dell'acquisto di licen ze di fabb1icazione e della collaborazione di tecnici e specialisti italiani per l'applicazione delle stesse. Tn chiusura del suo rapporto, il ten. col. Scalise informava circa il fatto che i predetti gruppi finanziari stavano per costituire un «Ente Nazionale», controllato dal governo, con capitali dei gruppi stessi, del governo di Corea e del ministero della guerra, il quale avrebbe voluto in tal modo assicurarsi il controllo diretto dell'attività dell'Ente. La partecipazione ad esso di una ditta di proprietà di uno dei più importanti gruppi finanziari del Giappone, produttrice soprattutto di materiali aeronautici, avrebbe consentito di iniziare subito il lavoro appoggiandosi sulle fabbriche già esistenti di proprietà del gruppo stesso. L' «Ente Nazionale» avrebbe dovuto avere una parte molto importante nell'attuazione del nuovo pro327
gramma di armamenti previsto dallo stato maggiore (11 ). Il nostro addetto militare continuò a perorare 1a causa della collaborazione tecnico-industriale fra Italia e Giappone facendone oggetto, su incarico del ministero degli affari esteri, di un progetto le cui linee essenziali, esposte allo stesso dicastero, erano le seguenti: «Il progetto considererebbe nella vendita di licenze di.fabbricazione italiane al Giappone, nell'invio di nostro personale tecnico e specializzato in quel Paese e nella costruzione di fabbriche per lo sfruttamento dei brevelli slessi in Corea, nel Manciukuò e nel Giappone propriamente detto. I capitali e le maestranze sarebbero giapponesi. Tutto ciò dovrebbe servire per rimediare al più presto alle gravi deficienze di materiali da guerra, ed in modo speciale di quelli riguardanti l'aviazione ed i mezzi meccanizzati di cui il Giappone ha estremo bisogno. il progetto anzidetto, naturalmente, è suscettibile di varianti che potranno essere apportale durante Le trallative, qualora le Superiori Autorità competenti ritenessero opportuno di iniziarle. Prima eh 'io partissi da Tokyo (per fruire in Patria di una licenza di convalescenza - n.d.r.) il nostro R 0 Ambasciatore mi affidò l'incarico di e:,;porre ed illustrare a voce a codesto R0 Ministero quanto era stato fatto e di continuare qui il lavoro, al fine di giungere ad un risultato concreto, dopo averne avuta autorizzazione da codesto R 0 Ministero. Ciò io ho fatto nei giorni scorsi, e una volta autorizzato ho preso contatto con l'addetto militare e con l'ambasciatore del Giappone a Roma. Ho trovato qui un entusiasmo ancora maggiore di quello che avevo lasciato a Tokyo presso gli ambienti militari ed industriali. Ho avuto l'impressione che si vada proprio incontro ai desideri dei giapponesi, i quali si ripromettono forse di allargare in se1:uito i limiti dell'accordo basato per ora su una collaborazione tecnico-industriale. Giunte le cose a questo punto, qualora le Superiori Autorità competenti ritenessero utile iniziare delle trattative per addivenire all'attuaz ione del progetto, a mio avviso si potrebbe: 1) inviare una missione economica in Giappone per esaminare in dettaglio i bisogni di quel Paese e stabilire sul posto in qual modo e con quali mezzi la nostra industria polrebbe sopperire ai bisogni stessi. Ritengo indfapensabile l'invio di una missione sia per concludere rapidamente - visto che i bisogni giapponesi sono urgenti ed un nostro ritardo potrebbe dar modo alle industrie di altri Paesi, che (11) AUSSME, H3-5/A-3, prot. 230 <lei 6.8.1936, <la Add. Mii. Tokyo a Minislero Aeronautica - S.I.A. e p.c. a Ministero Guerra - S.I.M., Lto l.en. col. Scalise.
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pure hanno degli amici fra i militari e Rii industriali giapponesi, di accaparrarsi la parte migliore della collaborazione che noi desideriamo - sia per concentrare gli sforzi, affidandoli ad un solo organo, piuttosto che Lasciarli alle iniziative personali che, ad esempio, potrebbero svolgere i rappresentanti delle nostre maggiori industrie; La missione economica dovrebbe, a mio avviso, essere composta essenzialmente di qualche membro del "Commissariato Generale Fabbricazioni di Guerra" e di un ufficiale di ciascuno dei ministeri militari del quale però non dovrebbe essere nota la vera qualità per non destare troppi sospetti all'estero. 2) Prima di provvedere all'invio di tale missione sarebbe necessario che l'ambasciatore del Giappone a Roma avesse dal suo governo l'assicurazione che il lavoro della nostra missione non correrebbe il rischio di restare senza risultati pratici, e ciò soprattutto in vista degli ostacoli che certamente gli altri Paesi interessati cercheranno di creare. 3) Per attenuare i smpetti alt' estero, la nostra missione potrebbe compiere delle visite anche in altri Paesi dell'Oriente, ciò che del resto sarebbe di grande utilità, e recarsi infine in Giappone per svolgervi la sua attività essenziale. Ritengo mio dovere portare a conoscenza di codesto R Ministero una impressione ricevuta sia durante i contatti avuti in Giappone sia in quelli avuti qui con varie personalità. Mi è parso che da parte giapponese esista il timore che la nostra missione andando a Tokyo possa ritornare senza aver concluso nulla di concreto, mentre eguale tim.ore esiste forse an1.:he da parte rwstra. Non nascondo che lavorare nel senso sopra indicato in Giappone presenti notevoli dffficoltà, sia per le molteplici forze - molte delle quali sono dovute alle interferenze straniere e soprattutto a quelle inglesi ed americane - che agiscono in senso contrario, sia per la dffficoltà di trattare con i giapponesi con i quali, per riuscire, è necessario tener conto di alcune peculi.arità del loro carattere che pur sembrando a noi di secondaria importanza hanno invece un peso notevole ai fini della buona e sollecita riuscita del progetto. In quanto ai sospetti che a mio avviso esistorw in questo momento dalle due parti, ritengo che sarà facile dissiparli in vista degli interessi comuni che consigliano di addivenire ad un accord.o» (12). 0
Lo sviluppo delle relazioni tecnico-industriali fra l'Italia ed
(12) AUSSME, Ll3-17/C-5, senza indicazione di prot. del 5.3.1937, a Minislero Guerra - Ufficio R" Add. Mii. Tokyo a Ministero Affari Esteri, f.to ten. col. Scalise.
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il Giappone subì un jucremento in relazione all'adesione della prima al Patto Anticomintern (I 3) avvenuta il 6 novembre I 937. Ne dava testimonianza una informativa del nostro addetto militare di poco successiva nella quale, dopo aver messo in evidenza sul piano politico il contrasto fra il malcontento espresso in vari ambienti giapponesi nei confronti dell'analogo accordo firmato l'anno precedente con la Germania e la soddisfazione manifestata invece a livello generale per quello concluso ora con l'Italia, il compilatore riferiva come la prima conseguenza del Patto si fosse avuta in campo economico attraverso l'ordinazione in Italia da parte del ministero della guerra di 72 velivoli da bombardamento BR20, e l'incoraggiamento deJlo stesso ministero ai gruppi finanziari interessati perchè si costituisse una società per la collaborazione tecnico-industriale fra i due Paesi. Anche il governo satellite del Manciukò aveva stabilito di iniziare trattative con la Fiat per l'acquisto di 1.000 autocarri. Nella valutazione dell'addetto militare, comunque, il conseguimento di ulteriori vantaggi, a prescindere dai buoni rapporti in ambito politico e d::ù grado di simpatia sempre maggiore nei nostri riguardi da parte dell'opinione pubblica giapponese, era strettamente dipendente dalla preparazione di vali-:di quadri per il futuro. Fino a quel momento, le industrie italiane erano state pressoché assenti sui mercati nipponici, mentre gli altri Paesi vi avevano rappresentanze cospicue che si trovavano sul posto da molti anni e che conoscevano a fondo le abitudini, la lingua, i pregi ed i difetti di quel popolo. Sarebbe stato pertanto di grande utilità l'invio in Giappone di rappresentanti delle nostre maggiori ditte, e specialmente di quelle produttrici di materiali bel lici, anche in vista delle grandi possibilità che si profilavano a seguito dell ' occupazione giapponese nel Nord della Cina, regione ne1la qual e, secondo quanto fonti autorevoli del ministero della guerra e dello stato maggiore avevano più volte dichiaralo al
(13) Il Pallo Anli cominlern ( nome abbrevialo della terza interna zional e comuni sta , fondala nel J9 l 9 e sciolta ufficialmente nel 1944) era una convenzione rirrnala il 25. 11.1 936 a Berlino in base alla quale Germania e Giappone si impegnavano a combattere le allività sovversive e le minacce alla pace dell 'Internazionale Comunista. Con la successiva adesione dcll'llalia del 6.11.1 937 si crearono le premesse per il futu ro Pallo Tripartito, l'alleanza conclusa sempre a Berlino il 27.11.1940 fra le Ire nazioni, che si impegnavano al pieno appoggio reciproco in caso di auacco ad una di esse da parlc di un Paese non ancora belligerante. Altri aderenti al Pallo Anticomintcrn furono il Manciukù, l'Ungheria, la Spagna e poi la Bulgari a, la Romania, la Slovacchia. la Danimarca, la Croazia, la Finlandia e la Cina.
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nostro rappresentante militare, era gradita una collaborazione riservata solo all'Italia, alla Germania ed agli Stati Uniti. Per il personale destinato al territorio nazionale, sarebbe stato preferibile non inviare elementi che fossero già stati in Cina e che in quanto tali sarebbero risultati invisi ai giapponesi, pregiudiziale anche questa esplicitamente posta dal ministero della guerra (14).
(14) AUSSME, L13-I7/C-4, prot. 426 del 9.11.1937, daAdd. Mil. Tokyo a S.J.M., f.lo len. col. Scalise.
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Tokyo, 1.1.1932: i 1nembri del nuovo governo giapponese presieduto da Jasuyoshi /nukai
Il {?en . Enrico f'rallini, addetto militare in Giappone (19 3 0-1934 ) e comwzdante della Divisione « Folgore» in Africa Settenlrionale durante la seconda guerra mondiale, in un 'immagine della prima melà degli anni Cinquanta quale comandante delle For ze Terre stri Alleate del Sud Europa
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Roma, 1939: il nuovo ambasciatore del Maru:iukuà /,a Chn1 Pang (il secondo da destra) poco prima di recarsi al Quirinale per 1m:sentare la credenziali
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Capitolo XI GRECIA
1. La situazione politica e militare nel 1919 Nel quadro della mancata ricostmzione del sistema europeo e delle illusioni della stabilizzazione, in particolare di quella relativa all'area balcanica, configuratasi a Versailles .in sede di Conferenza della Pace, la Grecia occupò una posizione relativamente marginale legata più all'Inghilterra che alla Francia e, di conseguenza, partecipe più della politica inerente al Mediterraneo orientale che alle vicende balcaniche. La f'ine del primo grande conflitto mondiale e la dissoluzione dell'impero ottomano che ne era seguita consentirono alla Grecia, quale compenso per il suo intervento in guerra a fianco dell'Intesa nel luglio 1917, l'attribuzione della Tracia orientale, di tutte le isole dell'Egeo già turche (tranne il Dodecanneso occupato dall'Italia) e notevoli concessioni in Asia Minore, tra le quali un mandato per l'occupaz.ione di Smirne che ebbe luogo il 14.5 .1919. Un'immagine efficace, pur nella sua sinteticità, della posizione politica e militare greca dopo meno di un anno dalla fine della grande guerra fu fornita dall ' addetto militare italiano ad Atene colonnello Mario Caracciolo. M entre dappertutto si smobilitava, scriveva l'ufficiale, in Grecia si lavorava a nuove forme di riorganizzazione militare, il che aveva una suo logica dal momento che solo con la spedizione in Asia Minore l'esercito aveva cominciato a fare qualcosa di autonomo, anche se con J'assistenza e la supervisione di una missione militare francese. Pur se non era ancora chiaro verso quale soluzione definitiva di onlinamento si foss e orientati, sembrava accertata la prevista costituzione di 6 corpi d'armata di 2 divisioni ciascuno. Alla fine di agosto 1919, la forza dell'esercito greco ammontava a 290.780 uomini, compresi glielementi non mobilitati, quelli dei presidi e dei depositi. L'armamento e l'equipaggiamenlo della fanleria, scarso in passalo, risultava ora relativamente abbondante grazie alle cessioni francesi , così come i cannoni di piccolo calibro da campagna e da montagna, anche se l'organizzazione dell'artiglieria di medio calibro e di quella pesan335
te campale era ancora lontana da un livello di sufficienza quantitativa e qualitativa. Particolare rilievo veniva dato dal col. Caracciolo alla disciplina cd allo spirito delle truppe, definiti entrambi come carenti. Anche i più ferventi sostenitori del governo presieduto da Venizelos (1) si erano adattati di malavoglia ad essere chiamati alle armi, e meno ancora si sentivano disposti a combattere. Proprio ora che la guerra in Europa era finita, era troppo per i greci doverla ricominciare, e soprattutto in quell'Asia Minore la cui dimensione ambientale era gravida di paure; da qui irrequietezza, diserzioni - ogni classe di leva presentava da 2 a 3.000 renitenti - e provvedimenti repressivi che alimentavano il dissenso, così come anche il fitto sottobosco di raccomandazioni ed interventi politici per la concessione fraudolenta di licenze a tempo indeterminato e di esoneri. A parziale giustificazione di tutto ciò, da parte di fonti militari autorevoli si affermava che la truppa non vedeva lo scopo della mobilitazione, ma 1'addello militare italiano riteneva invece che il motivo del malcontento risiedesse proprio nel fatto che «vedeva lo scopo» e ne derivasse il timore di dover sostenere in Tracia - della quale si profilava come ormai prossima la cessione alla Grecia, per la quale l'interesse per queUa ragione era ancora maggiore che per l'Asia Minore, sia per la sua vicinanza sia perché contribuiva ad allontanare il pericolo bulgaro - una lotta non meno sanguinosa di quella che si profilava nelle zone anatoliche dove da qualche mese era iniziata la penetrazione militare. Anche per togliere l'esercito da questo momento di pericolosa stasi, il comando supremo greco faceva continue ed energiche pressioni per avanzare in Tracia ancor prima delle deliberazioni europee, cd aveva predisposto il relativo piano d' operazioni . Un aspetto che peraltro avrebbe dovuto indurre al1a cautela era costituito, secondo la valutazione del col. Caracciolo, dalla scarsa affidabilità umana e profes sionale dei quadri ufficiali, dei quali quelli subalterni erano (l) Eleuteri o Venizclos (1864-1936), giurista cd esponente politico di matrice liberale, contribuì all 'annessione di Creta ed assicurò alla Grecia i vantaggi che derivano all"annessione di creta ed assicurò alla Grecia i vantaggi che deri varono dalle due guc1Tc balcaniche del 19 12 e 19 13. Venuto in di ssidio con la monarchia eontnui a all 'intervento nella l• guerra mondiale, riuscì a far prevalere il proprio punto di vista contribuendo all'abdicazione del re Costanti no I. All a fin e del conflitto, propugnò con vigore alla Conferenza della Pace gli interessi della Grecia, riuscendo a procacciarle i notevoli benefici territoriali ai danni della Turchia. Dopo un periodo di allontanamento dalla vita politica coincidente con l' avvento al trono di Giorgio li, ritornò al governo nel 1924 con la proclamazione delle repubblica e vi restò, salvo brevi periodi. sino al 1935, allorché il ritorno di G iorgio II lo costrinse ad esili are in Francia.
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incapaci ed ignoranti mentre fra quelli superiori molti erano intimamente monarchici e quasi tutti recalcitranti di fronte a nuove avventure. Le descritte condizioni mora1i de11'esercito greco erano d'altra parte in linea con la situazione politica interna, anche per 1a quale il compi1atore forniva alcuni interessanti elementi infmmativi: . «La situazione interna non è mai stata così incerta. Mi consta che gli ambienti francesi ne sono preoccupati. lo stesso ho sentito dagli addetti navale e militare francesi previsioni fosche per il partito venizelista. L'addetto militare francese mi diceva che Venizelos non avrehhe potuto sostenersi, se non fosse ricorso a qualcuno del partito monarchico dove solamente si trovavano elementi capaci di governare, il che porterebbe a credere che anche negli ambienti francesi si vede la necessità di ricorrere a quel partito che pure .fino a ieri dicevano esigua minoranza. Anche la nostra Legazione è in questo ordine di idee, valutando che la posizione di Venizelos è scossa e che nessuno può garantire che egli sia ancora al potere fra qualche tempo. Le cause di questo acuirsi di malcontento, oltre che nel prolungarsi delle trattative di pace e quindi delle mobilitazione, è nel d{ffondersi delle notizie sulle d(f{tcoltà ognora più gravi incontrate in Asia Minore e nella paura di non avere la forza di tenerla. Si teme che la sua occupazione richiederà per decine d'anni molte.forze, col timore che lo Stato greco non sia in grado di assoggellarsi a queste spese e con il conseguente obbligo di dover ricorrere ancora allo straniero. E il partito monarchico ipotizza che questo straniero sarà l'Inghilterra, che interverrà alla fine per tenersi Smirne, in un modo o nell'altro, e i greci non avranno.fatto altro che spargere il loro sangue per il vantaggio inf?lese. Osservazioni non del tutto prive di fondamento e che, appunto per questo, hanno sempre più presa nel popolo. Questo complesso di cose, l'irrequietezza dell'anima greca non fatta per le Lunghe e pazienti attese, l'incapacità dei ministri ed infine il persistente amore popolare per re Costantino (2), tutto concorre all 'attuale situazione difficile. Infine
(2) Re Costantino I, successo al padre Giorgio I allorché queslj fu assassinato il 18.3. 1911, era stato costretto all'abdicazione insieme al primogenito il 12.6.1917 sia da pressioni esterne che dall'azione svolta dal primo mini stro Venizelos, fautore dell'inlervento in guerra al contrario del sovrano. Dopo la morte del secondogenito Alessandro, succedogli sul trono, avvenuta il 25.10.1920 ed un breve periodo di reggenza da parlt: ddl 'ammiraglio Conduriotis, fu richiamato a seguito del plebiscito del 5 dicembre dello stesso anno che, su un totale di votanti di l.01 3.724, re gistrò 909.064 voti a lui favorevoli contro 104.660 contrari. !:esito negativo delle campagne contro i turchi lo costrinse, il 27.9.1922, ad una nuova abdicazione in favore del figlio Giorgio II cd a prendere la vitt dcll't:silio.
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i primi movimenti operai, per quanto ancora lievi, mettono alla situazione una nota assolutamente nuova e caratteristica. Ciò spiega le preoccupazioni governative ed i conciliaboli di alti personaggi dà quali ho avuto modo di essere informato, e che potrebbero avere conferma in una domanda fatta proprio in quei giorni dall'incaricato d 'afjàri francese a quello italiano, se cioè i.francesi sono amati in Grecia. Naturalmente l'esercilo non pur) non risentire di questo stato di cose, che queslo ufficio segue con l a massima attenzione. Ho avanzalo il sospetto che almeno in parte tale agitazione sia .fittizia e voluta da Venizelos per impressionare la Co11ferenza di Parigi circa l'assegnazione della Tracia, senza della quale egli cadrebbe e tornerebbe in Grecia il tedescofilo Costantino. Tale sospetto, che mi viene dal conoscere ormai i metodi greci, sarebbe avvalorato da un odierno articolo defl' "Athine" secondo cui alcuni giornali fanno una falsa opposizione con denaro di Venizelos. Per quanto riguarda la situazione finanziaria, nelle previsioni pel bilancio 1919-1920 è calcolato che il debito puhhlù:o viene aggravato di lh: 500.000 per spese di guerra attuali. Per far fronte a questi impegni, il governo conta, 14fìcialmente, sul rimaneg[?iamento delle imposte, sui benefici di guerra, sull'ammissione di Buoni del tesoro ( che Jinora ha dato circa i 50 milioni di dracme), ecc. In realtà ha tiralo avanti sino ad ora con le sovvenzioni alleate, con anlicipi delle banche e con emissione di carta moneta. Ora il governo tratta con l'America un prestito di 150 rnilioni di dollari per acquisto di merci sul mercato americano. Il prestito dovrebbe essere congegnalo in modo che, mentre favorisca l'introduzione di merci americane che vanno invadendo questi mercati, metta a dfaposizione del f;OVerno greco la somma equivalente. Infatti i commercianti iret:i non dovrebbero pagare le merci all 'America ma versarne il valore alla Banca Nazionale greca che lo terrebbe in deposito. Inutile dire che opportune trattative f ra banca e governo finiranno per mettere a disposizione di quest'ultimo gli 800 milioni di dracme equivalenti a/L 'incirca ai 150 milioni di dollari. Nello stesso tempo pare che il Canada abbia con.sentito ad un prestito di 50 o 100 milioni in oggetti di vestiario ed equipaggiamento. Cosicché per l 'esercito non si avrebbe altra .\pesa che per le paghe ed il vitto. Il generale Bonnier, intendente generalefrancese (e greco) mi assicurava che lo Stato greco spende circa 2 milioni al giorno per l 'esercito. Credo di dove r portare la cifra a circa 2 milioni e mezzo. 338
Relativamente alle relazioni con l'Italia, i greci hanno capito subito, o l'ha capito per loro il SÌf::. Venizelos, il vantaggio che potevano trarre specie in Asia Minore dall'amicizia italiana, anzi dalla ostentazione di questa amicizia. La serie di circolari, ministeriali e non, raccomandanti ai soldati l 'qffetto per l'Italia, le prediche nello stesso senso.fatte in chiesa dal clero, l'atteggiamento dei giornali, le dichiarazioni arnpollose dei circoli ufficiali, tutto cià è talmente esageralo che wi porta a diffidare dei weci più di quando ci colmavano di ingiurie. Le notizie dell'impressione che sui turchi fa questo accordo italo-greco conferma i miei sospellh> (3).
2. La campagna contro i turchi (1919-1922) Lo sbarco delle truppe greche a Smirne il 14 maggio 1919 fu l'inizio di una serie di violenze e massacri ai danni della popolazione locale, protrattisi anche nelle successive fasi delle lunga campagna quale espressione dell'atavico odio fra le dne etn ie. La guerrn fra grccj e turchi continuò sino al 1922, ed in mer1 lo ad essa 1'addeao militare ita1iano ad Atene, col. Fernando Perrone di S. Mmtino, invi ò nel 1924 una esauriente relazione di grande interesse, aJlora come ora, stante Ja scarsa documentazione sull'argomento. La relazione era il frutto di un'attenta analisi di rapporti ufficiali greci e turchi per i quali , pere), il rappresentante militare italiano aveva effettuato una opportuna tara tenendo conto, per i primi, delle ampie omissioni dei fatti più negativi e, per i secondi, dell'eccesso di esaltazione trionfalistica dello spirito nazionale e combattivo. Ancora piì:1 val idi, ai fini dell'attendibilità del proprio elaborato, erano da considerarsi le inchi este condotte dal col. Perronc sui luoghi stessi delle operazioni ed i colloqui confiden1.1ah e riservati avuti con esponenti mil itari delle due pait i . Il documento iniziava con un dettagliato resoconto della penetrazione greca verso il Nord dell'Anatolia con l'ausilio delle 5 divisioni sbarcate a più riprese rra la metà di maggio e luglio, poste sotto il comando del generale Paraskevopoulos, e svoltasi senza incontrare un'apprezzabile resistenza. Dopo aver occupalo Bursa, importante centro situato sull'altopiano ad una quarantina di chilometri dal
(3) AUSSME, ES -77/19, prol. 2384 R. daialo sellembre 19J<), da Add. Mii. Atene a Comando Supremo - Ufficio OPR e Ministero Gl!crra - Divisione StatiJ Maggiore, f.to col. Caracciolo.
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Mar di Marmara, in agosto i greci avevano portato a 7 il numero delle proprie divisioni ed esteso la loro azione fino a pervenire ad Oussak, a circa 300 km. da Smirne, impadronendosi così di un tratto piuttosto esteso delle linea ferroviaria collegante la parte meridionale delle regione con l' altopiano a Nord. I turchi /'ino allora non disponevano di forze regolari, cd anche que11e irregolari comandate da ufficiali del vecchio esercito c da capihanda erano molto scarse ed incapaci di fare altro che non fosse il razziare e tirare qualche colpo di fucile prima di ritirarsi, quel tanto che bastava a dare ai greci la sensazione di condurre una guerra cd il pretesto per effettuare dure rappresaglie. Tutto ciò sino a che non comparve nella zona Mustafà Kemal (4), il più brillante fra i generali del disciollo esercito turco, che prese in mano la situazione abolendo le unità in-egolari e dando vita ad un esercito su base organicamente ortodossa. Osteggiato e delegittimato dal governo di Costantinopoli sotto l'influenza britannica, istituì un nuovo governo turco in una città della Cappadocia (Sivas, l'antica Sehastea) e cominciò una serie di operazioni contro le forze greche di carattere sin difensivo che offensivo che si svolsero fra il 1920 cd il 1922. TI 20 dicembre 1920 rientrò ad Atene il re Costantino, plebiscitariamente riacclamato sovrano. Ne conseguì un tale rinnovamento dei quadri dell'esercito, per il quale tutti i comandanti delle grandi e medie unità furono progressivai~1ente sostituiti da quegli ufficiali fedeli al sovrano che durante la prima guerra mondiale avevano presentato le dimissioni per sottolineare il loro dissenso dalla linea politica di Venizelos. Questi ufficiali, sotto l'aspetto tecnico-professionale, non erano all'altezza dei predecessori, che durante il conflitto erano stati con gli eserciti alleati in Macedonia ed in Russia ed avevano acquisito un'esperienza bellica che mancava
(4) Mustatà Kemal AlaHirk (1880-1938), militare di carriera, perseguilalo per le sue idee progressiste guidò nel 1909 una marcia armata su Costantinopoli che assicurò il potere ai progressisti turchi di Enver. Prese pa1te poi alla guerra in Tripolitania contro I' ltalia, a quella bakanica ed al primo conflitto mondiale, raggiungendo il grado di comandante d'armala. La sco nfitta militare e politica della Turchia stimolò in lui un ardente spirito nazionalistico che lo portò a proclamare la necessi tà di una guerra d'indipendenza contro la Grecia, inserita in forza dei trattati di pace nel cuore dei domini turchi dcll' Asia Minore. Raccolta l' entusiaslica adesione delle provincie as iatiche e riorganizzato un esercito regolare, tra il 1920 ed il 1922 conseguì una seri e di vittorie che liberarono definitivamente l'An atolia dai greci. Il 29.10. 1923 fu eletto presidente della nuova repubblica turca, con capilale ad Ank1m1, ed iniziò un grande progranuna riformista per occidentalizzare il Paese ed affrancarlo dalle secolari tradizioni di servilismo politico e religioso.
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invece ai primi. Al comando in capo, il gen. Paraskevopoulos fu sostituito dal gen. Papoulas. Il primo provvedimento militare di re Costantino fu di rinforzare il fronte dell'Asia Minore, attraverso la mobilitazione di altre 6 classi che portò la consistenza dell'esercito greco in quell'area a 115.000 uomini, suddivisi in due corpi d' armata, uno preposto al settore di Bursa con 4 divisioni ed una brigata di cavalleria e l'altro schierato con 3 divisioni nella zona compresa da Smirne ad Oussak. Non era contemplata alcuna forma di riserva strategica. Il J 9 gennaio 1921 ebbe luogo la prima battaglia di Inn Ennu. I greci tentarono un attacco su Eskisheir, nodo ferroviario di primaria importanza, centro organizzativo dell'esercito turco ed il solo arsenale di costn11.ione e riparazione delle diverse componenti delle armi. l turchi vennero in possesso di informazioni (il segreto delle operazioni non era mai stato curato scrupolosamente dai greci), e predisposero una linea di d ifesa ad oltranza. I ,e truppe elleniche, che per la prima volta si trovavano di fronte l' esercito regolare kemalista, avanzarono su tre colonne cd attaccarono con molto slancio e valore; i turchi resistellero a loro volta tenacemente, ma la sera del 10 la loro situazione era divenuta insostenibile malgrado i rinforzi giunti nel pome1;ggio da Angora (5). Se i primi avessero potuto disporre di due o tre reggimenti di cavalleria e qualche batteria ippotrainata da mettere in azione nelle retrovie e sul rovescio dei secondi, impedendo loro l' afflusso dei rinforzi e dei rifornimenti, il piccolo esercito kemalista avrebbe subito la disfatta, con gravi ripercussioni sulla organizzazione futura. Rimasti senza munizioni, pur essendosi impadroniti di importanti posizioni avversarie i greci furono infine costrelli a ritirarsi, disturbati da alcuni squadroni di cavalleria che i turchi lanciarono all' inseguimento. Le perdite dei greci furono notevoli, quelle dei turchi ancora più gravi, ma il ratto di aver resistito per due giorni ed aver visto i nemici costretti al ripiegamento ebbe su di essi un enorme effetto morale. Dopo la prima battaglia di Inn Ennu, i turchi non aumentarono di molto le loro unità ma le accrebbero notevolmente nel numero degli effettivi. Le forze al comando di l smet Pascià ammontavano a 5 divisioni di fanteria su 3 reggimenti di 2.000 uomini ciascuno ed a 2 divisioni di cavalleria, ognuna su 3 reggimenti costituiti ciascuno su 4 squadroni per un totale di 600 sciabole per ogni reggi-
(5) L' anticaAncyra, poi divenuta Ankara.
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_J CAR.TINA N lJ - Ln Turchia Occidentale con l'Anatolia, teatro della campagna greco-turra dal 1919 al 1922 (da Atlante Internazionale Curr.io, edizione 1970)
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mento. Ogni divisione disponeva di 2 gruppi di artiglieria da campagna o da montagna su 3 o 4 batterie con 3 pezzi in media cadauna. Il 23 marzo 1921 il gen. Papoulas sferrò la sua offensiva da due basi di partenza distanti fra loro circa 300 km., dando inizio alle seconda battaglia di Tnn Ennu. Lo stato maggiore greco, in base ad un 'errata valutazione delle forze nemiche, non le giudicava capaci di manovra e riteneva di poterle battere separatamente sia nel settore Nord che in quello meridionale. Il gen. Papoulas si proponeva di operare a Nord con tre divisioni di fanteria e la brigata di cavalleria da Bursa verso Bileyk , Bozojuk, lnn Ennu , prendere Eskishcir, impadronirsi di Afiourn-Karahisart da Oussak con il gruppo meridionale e quindi rimontare verso Nord a Kutaja da dove lo stesso gruppo avrebbe preso collegamento con quello settentrionale. Mustafà Kcmal cd lsmet Pascià, perfettamente a giorno delle intenzioni di Papoul a s, decidevano di abbandonare Afiuom e Kutaja al nemico, e quincli portare tutte le loro forze ad lnn Ennu per difendere Eskishcir, cercare di battere i greci a Nord e quindi ri,10lgersi a Sud contro il 1° Corpo che avrebbe occ upato Afioum. Davanti alle forze provenienti da Oussak, Tsmet Pascià lasciò una divisione di cavalleria ed un reggimento di fanteria. Afioum cominciò ad essere evacuata il 24 marzo a mezzo di tutti i convogli ferroviari che si poterono formare. Refet Pascià aveva il comando della divisione di cavalleria che sorvegliava Afioum. I turchi avevano guastato e reso inutilizzabile la ferrovia Oussa-Afioum, molto accidentata, con 22 gallerie e 3 grandi viadotti ed interrnmpihi1e con grande facilità. Durante tutta l'avaiv.ata greca su Afioum Refet Pascià, al comando della (tivisione di cavalleria che sorvegliava Ja città, attaccò il nemico anche con gli altri reparti di copertura ritardandone la marcia. I greci occuparono Afioum-Karahisarl il 27 marzo senza colpo ferire, esercitando durante l'avanzata la solita brutalità contro le popolazioni. Intanto lsmct Pascià aveva operato la concentrazione delle sue 5 divisioni fra Bozojuk e Tnn Ennu. Le sue predisposizioni difensive erano moJto solide (durante tre mesi erano stati fatti lavori di fortificazione campale) ed in più aveva tenuto al proprio comando diretto una divisione di cavalleria ed una divisione di fanteria. I greci occuparono senza difficoltà alcune località, ma a Bozojuk cominciarono a trovare la prima tenace resistenza. Per quattro gi orni continui attaccarono le solide posizioni dei turchi fra Bozojuk e Jnn E nnu : la cavalleria greca tentò di attaccare l'ala sinistra dell' avversario, ma fu respinta dalla strenua difesa dei hlf343
chi. Alla fine della battaglia, le perdite dei greci non furono meno di 4.000 uomini. Il 1° aprile il gcn. Papoulas, dopo reiterati e vigorosi attacchi sempre respinti, dovette rinunciare all'offensiva per le grandi perdite subite e venne costretto al1a ritirata. Questa fu coperta dalla 2° divisione che rimase isolata dal grosso delle forze del III 0 corpo e, attaccata dalla divisione di cavalleria kemalista e sottoposta al fuoco d'artiglieria dei reparti inseguenti, subì perdite molto ingenti. Dopo aver battuto il gruppo greco settentrionale lsmet Pascià, lasciate poche truppe di copertura ad Inn Ennu, iniziò il movimento della sua am1ata verso Sud. T greci compresero subito che la posizione di Afioum diventava assolutamente insostenibile e che anche essa si doveva evacuare, e così ritornarono dopo un grave insuccesso sulle posizioni di partenza. Dagli insuccessi subiti, i greci avevano comunque tratto una scarsa esperienza. Il governo continuava ad illudere l'opinione pubblica annunciando vittorie immaginarie, trasformando piccoli combattimenti di retroguardia in battaglie di annientamento contro i turchi. I generali greci non volevano ammettere il quotidiano accrescersi delle forze di Kemal, l'abilità dei generali turchi e quanto le grandi distanze rappresentassero una difficoltà insormontabile per un esercito di una diecina di divisioni (290 km. da Smirne ad Oussak, 450 da Smirne ad Afioum, 713 da Smirne ad Eskisheir, 975 da Smirne ad Angora; dalla base di Bursa, Eskishcir distava 313 km. ed Angora 577). Per conquistare un grande territorio lontano dalle basi di rifornimento di centinaia di chilometri s'imponeva una preparazion e seria, una successività di occupazione metodiche e bene assicurate con campi trincerati e con buoni presidi, ed infine un' azione politica la quale assicurasse al Paese la tranquillità e l'ordine. Tutto questo i greci trascuravano di fare, vanificando anche i larghi aiuti ricevuti dagli inglesi. Battere l'esercito di Kemal nel vasto altopiano anatolico, su te1Teno da lui perfettamente conosciuto, era cosa quasi impossibile. Bisognava che Kemal aspettasse immobile il beneplacito della manovra greca, e si lasciasse prendere in trappola; ma Kemal aveva dimostrato delle qualità eccezionali, non solo di comandante e di organizzatore ma anche di stratega, ed era poco probabile che egli rinunciasse al grande vantaggio che i greci gli concedevano di dare battaglia a distanze enonni dalle basi del loro esercito. A Kemal e ad l smct Pascià bastava manovrare per evitare accerchiamenti, ritirarsi sempre finché al ne1nico mancassero i rifornimenti di vettovaglie e di munizioni, e solo allora contro truppe stanche cd in condizioni difficili avrebbero preso la controf344
fensiva. E fu proprio nella campagna svoltasi dal giugno al settembre 1921 che i greci, con l'imprevidenza dei propri uomini politici e comandanti militari, sarebbero corsi incontro al disastro. Il governo di Atene, forse anche per suggerimento del re Costantino, decise la formazione di uno stato maggiore che in Atene avrebbe dovuto studiare la situazione militare e preparare un piano di operazioni per ottenere una buona volta la fine della guerra. Il gen. Papoulas con 1' esercito d'Asia avrebbe dovuto eseguire le direttive concertate ad Atene. Questo stato maggiore generale fu presieduto dal gen. Dusmanis che nominò suo sottocapo il gen. Senofonte Stratigos, mentre il gen. Exadactilos, capo dello stato maggiore in carica, ru membro aggiunto per tutto quello che concerneva i servizi logistici. Questi generali erano uomini di buona cultura militare, avevano fatto studi superiori alle scuole di guerra tedesca e francese e passavano per essere maestri nell'arte della guerra, per cui guardavano con una certa sufficienza il generalissimo Papoulas, che certo non brillava per soverchia dottrina ma quanto meno, essendo stato presente alle difficoltà reali del teatro di guerra, godeva di una certa esperienza e del necessario realismo circa le difficoltà per poter ottenere una vittoria su un avversario così attivo e mobile. Lo stesso generale Grarnat, capo della missione militare francese, non celava la sua impressione sulla esiguità delle forze greche per compiere con successo un'azione offensiva a così grandi distanze. Dal neo-costituito Consiglio di guerra fu preparato, dopo minuziosi studi, un piano di operazioni che fu sottoposto all'alta approvazione del re Costantino. Esso escludeva l'opportunità di attaccare il nemico con attacchi frontali, che avrebbero cagionato gravi perdite e per i quali si giudicava necessario l'impiego di mezzi maggiori, e prospettava quindi la necessità di una manovra di avvolgimento delle posizioni nemiche. Edotto dalle tristi esperienze delle due battaglie di Inn Ennu, lo stato maggiore decise di concentrare le sue forze (8 divisioni articolate su 2 corpi d'armata) nel settore Sud fra Oussak: e Touloubounar. Nella regione di Bursa erano stanziate altre 3 divisioni costituenti un corpo d'armata al comando de] gen. Polimenacos. Il piano operativo prevedeva che le 8 divisioni della zona meridionale avrebbero avanzato su un fronte di circa 40 km., e con manovra aggirante si sarebbe impadronite successivamente di Afiuom, Kutaja ed Eskisheir mentre il corpo d' armata di Polimenacos, evitando Ja strada passante per Inn Ennu e procedendo invece per valichi impervi, sarebbe sceso su Kutaja prendendo collegamento 345
con i due corpi d'armata del Sud. Questa volta lsmet Pascià si sarebbe trovato contrapposto tatticamente a forze preponderanti. Accettare battaglia in campo aperto avrebbe significato per lui giocare una carta mo1to pericolosa: l'esercito kemalista, se fosse rimasto ad aspettare a pié fermo 1' attacco nemico ad Afioum o ad Eskisheir, avrebbe corso il pericolo di essere attanagliato, e d' altra parte il nemico era ben approvvigionato, dotato di molte bocche da fuoco ed abbondantemente provvisto di munizioni. Le truppe greche erano confo1tatc da un'entusiastica propaganda, dalla presenza del re Costantino ed avevano un'assoluta convinzione della prop1ia superiorità nei riguardi dei turchi. Tsmet Pascià, presi anche ordin i da Kema1, decise che si sarebbe ceduto terreno, opponendosi all'avanzata con qualche repaito di copertura; ed in ogni caso, di non dare battaglia che Est di Eskisheir, a protezione immediata della linea di comunicazione Eskisheir-Angora. I greci, eseguendo scrupolosamente la manovra prefissata, occuparono senza colpo ferite Afioum il 13 luglio; il 16 circondarono K utaja dove i reparti di copertura turchi opposero UI!a resistenza forte e ta1e da produrre perdi te sensibili al nemico. Il generale Polimenacos, evitate 1e gole di lnn Ennu, raggiunse la strada di Kutaja ed il l 7 luglio 11 divisioni greche si trovarono schierate sopra un fronte di 100 chilometri da Eskisheir a Seidi Gazi, a cavallo della strada di Angora. Pochi repaiti furono lasciati a guardia delle retrovie, ad Afioum e ad Oussak. Ismet Pascià aveva nel frattempo schierato su buone posizioni in faccia allo schieramento greco 14 divisioni di fanteria e 2 di cavalleria. Per impedire ai greci un'ulteriore avanzata, il 21 luglio Ismet sferrò un 'offensiva, e con 7 divisioni tentò di sfondare il centro dell'am1ata greca che egli supponeva essere tuUora in crisi di manovra. I greci, che a vevano cnmpiutn lutto il loro schieramento, sostennero molto bene l'attacco del nemico, imponendo ai turchi perdite notevoli. lsmet allora, verso sera, dette l'ordi ne di sospendere le operazioni offensive e di assumere uno schieramento arretrato. L'esercito greco, con questa importante azione di guerra, aveva conquistato un vasto territorio ad assunto il controllo di importanti lince di comunicazione. Ma nonostante ciò la si tuazione dei greci non era così favorevole come poteva apparire ad una prima apparenza. Se a battaglia finita i greci si trnvavano ne11a ricca pianura di Eskisheir percorsa da due fi umi paralleli, il Poursak ed il Sangarion, con il possesso di un'area fertilissima dalla quale trarre quasi tutte Jc risorse occorrenti per l'esercito (grano, legumi, bestiame e foraggi) e di una 346
grande linea ferroviaria congiungente da una parte a Costantinopoli e da un'altra a Smirne, per contro si trovavano anche nel cuore de11' Anatolia, ove occorreva guardarsi dai raids e dal brigantaggio nazionalista, e con l'esercito di Kemal quasi intatto, ammontante a 14 divisioni di fanteria e 2 di cavalleria ormai riunite sull'altipiano dietro il fiume Sangario (ostacolo serio, non guadabile, un fossato naturale di grande importanza militare per la difesa di Angora) e con sulla sinistra, verso Sud, il deserto di sale dove un esercito diffilmenle avrehhe potuto avventurarsi. Per questo, per quanto lo stato maggiore ellenico si sforzasse di magnificare la portata dei successi ottenuti, purtuttavia percepiva la precarietà delle proprie occupazioni territoriali fino a che l'esercito di Kemal non fosse stato debellato. Si prefisse quindi di continuare lo sforzo con tutte le sue forze su Angora per impadronirsi di Kemal e del suo governo. Ma pii:1 lontano si portavano le operazioni e più le divisioni greche si assottigliavano di uomini mentre quelle di Kemal erano sempre in aumento. Egli disponeva di l4 divisioni che on113.ì en111 n rn1}1!-:Ì miri nP-i lnrn effettivi alk clivisioni rrreche. ed aveva inoltre una grande superiorità di cavaJleria. I greci non sembravano quindi in grado di attuare una manovra avanzata ed avvolgente. Se poi per evitare accerchiamenti Kema1 avesse abbandonato Angora, la partita non poteva ancora considerarsi vittoriosa per i greci, poichè egli avrebbe portato le sue divisioni a Sivas. A Kutaja nei primi giorni di agosto vi fu un consiglio di guerra presieduto da re Costantino al quale presero parte il ministrn della guerra Theotochis, il generalissimo Papou]as, il generale Dusmanis, il generale Stratigos, il generale Pallis ed i comandanti di corpo d'armata. In questa sede fu deliberato di riprendere l'offensiva ed impadronirsi di Angora. Ebbe così luogo la battaglia del Sangario. La relazione compilata a posteriori dallo stato maggiore greco, che faceva parte della serie di documenti che l'addetto militare jtaliano aveva sottoposto ad attenta analisi, riferiva come, considerato che l'attacco lungo la strada fe1Tala per Angora presentava troppe difficoltà tecniche per essere tentato, era sembralo opportuno optare anche questa volta per una manovra di aggiramento dell' ala sinistra avversaria, pur non misconoscendo le difficoltà che sarebbero sorte dall'allungamento delle linee di opera;,.ioni. II concetto che aveva ispiralo gli strateghi ellenici, commentava il col. Perrone, era il frutto semplicemente della non confessata consapevole;,.za della propria debolezza. In presenza di buone fortificazioni campali turche che erano state rilevate sulla direttrice Eskisheir.l
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Angora, essi ritennero di non poterle superare di viva forza e quindi, supponendo che Ismet Pascià non avesse provveduto per una difesa a Sud, pensarono di agire attaccando di sorpresa aggirando il nemico a sua insaputa. Anche in questo caso, non si era tenuto conto della scarsa tutela del segreto e della contemporanea efficienza informativa dei turchi, che avevano infi1trato spie in ogni dove per cui Kemal era sempre aggiornato di tutti i progetti e le intenzioni del nemico. Infatti, dopo l'arretramento operato in luglio, Ismet Pascià aveva apprestato a difesa le posizioni non solo ad Ovest ma anche a Sud di Angora, configurando un fronte difensivo che si svolgeva lungo una linea di circa 120 km. seguendo il corso dei fiumi Gueonk e Sangario, utilizzando ogni appiglio tattico, le co11ine ed contrafforti dell'altopiano. T generali greci decisero dunque un largo movimento aggirante, che non era giustificato dalla natura e dalla difficoltà del terreno e dalla penuria d'acqua; andava anche considerato che l'ala destra avrebbe dovuto percorrere 190 km. Ad avviso dell'addetto militare italiano, un'azione a Nord sarebbe risu1t:ata più opportuna sia per la minor distanza da coprire sia per una più agevole struttura del terreno, ed inoltre avrebbe potuto tagliare in due l'armata turca. Quest'u1tima, il 21 luglio, era stata notevolmente rinforzata, reintegrando le perdite con una leva di massa attuata quasi senza distinzione di età, ed Ismet Pascià disponeva ora di 16 divisioni di fanteria e 5 di cavalleria. lsmet Pascià, presi accordi con Mustafà Kemal, decise di porre a difesa delle linee fortificate 7 divisioni disposte in gruppi di combattimento in modo da contrastare il terreno all'attaccante e da tenere in riserva altre 7 divisioni di fanteria e le 5 divisioni di cavalleria. Voleva ottenere che i greci consumassero le loro munizioni. Due divisioni di cavalleria dovevano agire autonomamente nelle retrovie ed attaccare le colonne di rifornimerito e le salmerie. Una volta assicuratosi dello stato di fatica e di demoralizzazione dei greci, avrebbe lanciate le sue riserve. Il movimento ebbe inizio da parte dei greci il 14 agosto. Essi attaccarono a più riprese, con grande valore e molte perdite, sino ai primi di settembre dopodiché, logorati dagli sforzi sostenuti e da11e difficoltà dei rifornimenti stante la distanza dalle basi, cominciarono gradatamente a ritirarsi sulle posizioni di partenza. lsmet Pascià e Mustafà Kemal non seppero prendere in questa battaglia una decisa controffensiva ed afferrare la vittoria che loro si presentava. Per quanto la lotta fosse stata aspra e faticosa lsmet Pascià, se aveva fatto sapiente impiego delle sue forze, doveva avere ancora 348
disponibili come riserva almento 3 divisioni di fanteria e 2 di cavalleria. Con esse i turchi avrebbero facilmente ripreso Eskisheir ed Afioum e così, tagliando le comunicazioni ai greci, avrebbero inflitto al nemico un disastro. Questo non avvenne, forse dipese dal fatto che Ismet non conosceva abbastanza chiaramente la situazione del nemico, forse per una soverchia preoccupazione di coprire Angora, oppure per la scarsità dei suoi mezzi di trasporto o per il difficile passaggio del fiume. Ismet ordinò una controffensiva sul 1° corpo d'armata greco, ma essa fu molto debole. La battaglia del Sangario fu quindi per i turchi una battaglia unicamente difensiva. L'azione controffensiva, contrariamente a quanto essi successivamente pretesero, mancò quasi del tutto. I greci furono vinti dalle difficoltà logistiche, perché la lunghezza delle loro linee di comunicazione impediva i rifornimenti. D'altra parte si era già alla metà di settembre e sull'altopiano le pioggie erano imminenti, ed esse avrebbero reso impercorribili le piste situate in fondovalle. Malgrado che la controffensiva kemalista fosse mancata, i greci nei loro ripetuti attacchi contro le posizioni turche avevano subito perdite durissime. L'illusione di poter impadronirsi di Kemal ed anche annientarne l'esercito fu constatata vana, ed i sacrifici fatti nelle avanzate di agosto e settembre rimasero senza risultato. Le perdite greche non furono meno di 5000 uomini, conteggiando fra questi anche dispersi. Dopo la battaglia, l'esercito greco assunse un ampio schieramento per tenere il grande territorio occupato; la linea del fronte partiva da Bursa per estendersi, attraverso Eskisheir ed Afioum, sino a Tavril per uno sviluppo verso Sud-Est che superava i 650 chilometri. Questo fronte, presidato da 9 divisioni per un totale, compresi i servizi di retrovia ed ausiliari, di soli 117.000 uomini, non disponeva di un'adeguata sistemazione difensiva: le divisioni dovevano coprire settori che superavano spesso i 60 km., non esistevano riserve e collegamenti sicuri né laterali né in profondità, non erano state approntate difese campali ma solo file di reticolati facimente superabili sia dalla cavalleria lanciata al galoppo che dalla stessa fanteria. Poichè lo stato maggiore greco era ormai convinto di non poter prevalere sull'esercito kemalista con una nuova offensiva, l'estensione della linea di occupazione non poteva quindi essere determinata da alcuna valida ragione di carattere militare, dal momento che la stessa linea non veniva considerata come possibile base di partenza per una nuova avanzata. Sarebbe risultato pertanto più opportuno arretrare adeguatamente lo schieramento, agevolando la 349
difesa, la manovra cd i rifornimenti ed ostacolando nel contempo le potenzialità offensive dei turchi. li tono morale delJ'esercito greco, intanto, andava continuamente affievolendosi, e non v'era più nessuno, tanto tra gli ufficiali che fra la truppa, che non fosse convinto dell'impossibilità di una fine della guerra se non per via diplomatica. Nei combattimenti della fine di settembre del 1921 intere unità del 1° c01vo d'armata si erano ammutinate rifiutandosi di andare al fuoco . Molti militari, ufficiali e soldati, erano sul fronte d'Asia da tre anni consecutivi, senza rivedere le proprie famiglie, e coloro che rientravano dalla licenza in patria riferivano della totale indifferenza per l'esercito che soffriva in Asia e delle condi:r.ioni agitate del Paese. Il comando supremo, dal suo canto, non aveva provveduto a sistemare convenientemente i reparti sulla linea del fronte, erano stati predisposti scarsi baraccamenti ed abhondavano invece i ricoveri di circostanza ricavati nelle rocce dell'altipiano, e quindi umidi e malsani. L'equipaggiamento degli uomini era quantitavamente e qualitati vamente insufficiente. Il rancio fornito ai soldati era scarso, il più delle vo!te irnmangiahil e, !a carne veniva distribuita una sola volta alla settimana, e per mancanza di moneta o per altra ragione i! soldo veniva raramente corrisposto aHa tru ppa. Ne! complesso, per rutto il 1922 il soldato ru talmente lrascurato, mal rifornito e male equipaggiato che era da stupire come ancora rimanesse general mente docile al volere dei capì, anche se verso il mese di agosto avevano cominciato a manifestarsi i primi casi di diserzione, dapprima isolati e poi per gruppi di 10-20 uomini . La vigilanza era sempre meno attenta, e buona parte degli ufficiali lasciava le posizioni per trovare un più comodo alloggio in qualche villaggio. Per contro l'esercito kemalista, sull'onda dei successi difensivi dei combattimenti di lnn Ennu e del Sangari o, si esaltava nella piena fiducia di un immancabile successo cd ogni giorno migliorava le proprie condizioni materiali con l'arrivo di nuove armi. L'armata turca era ormai bene inquadrata, munita di buone artiglie1ie, addestrata in continue manovre in vista della grande offensiva, ed era pe1fettamente fornita di ogni mezzo moderno di collegamento nonché abbondantemente provvista di munizioni e di mezzi di trasporto. Sulla lina del fronte, disponeva di l 6 divisioni di fanteria e di 5 di cavalleria. Dopo le operazioni del Sangario, l'esercito turco si era appropriato di tutta J' a1tiglieria dell'esercito francese che abbandonava la Cilicia e l'aveva poi trasportata per ferrovia a Konia, centro nevralgico del suo schieramento. Inoltre i kemalisti trasferirono dal Caucaso le munizio350
ni e le a11iglierie prese agli armeni, che ancora vi pennanevano (6). Le GG.UU. avevano i loro effettivi quasi al completo, ed i loro stati maggiori funzionavano con regolarità ed efficacia. Ogni divisione era composta da 3 reggimenti di fanteria su 3 battaglioni, più 2 gruppi d'artiglieria da campagna o da montagna su tre batterie armate ciascunà di quattro pezzi. Le divisioni di cavalleria erano costituite da 2 brigate su 2 reggimenti, ciascuno dei quali articolato su 4 squadroni, più un gruppo di artiglieria ippotrainata. Alla fine di agosto del 1922, le forze kemaliste ammontavano a 12 divisioni di fanteria più 4 di cavalleria, mentre altre 4 di fanteria ed 1 di cavalleria costituivano la riserva strategica, il tutto per un totale di circa 130.000 uomini effetti-vamente combattenti. La relazione del col. Perrone proseguiva con una dettagliata esposizione della dislocazione delle GG.UU. greche e turche e con un minuzioso resoconto dell'ultima fase delle operazioni fra i due eserciti. Il 26 agosto 1922, mentre lo stato maggiore ellenico continuava a crogiolarsi in un clima di apatica tranquillità del lutto ignaro dei preparativi offensivi dell'avversario, ebbe inizio l'attacco turco con direzione da Ovest verso Est che raggiunse gli obiettivi prefissati alla sera del giorno successivo. Il 28, pertanto, comincia-
(6) ln sede di Conferenza della Pace, il problema dell'impero ouomano era stato affidato a! lrallalo di Scvrcs del I 0.8.1920, in base al quale l'impero stesso veniva ridullo alla penisola anatolica ed a quanto di esso restava in Europa. Questo sulla carta, poiché infatti mentre la Tracia orientale fu assegnata alla Grecia con tutte le isole (I.nume il Dodecanneso occupalo dall'Italia), la fascia di territorio prossima agli Stretti in Europa, così come una fascia analoga su l territorio asiatico, venne smilitarizzata e posla sotto il controllo di una commissione interna7.ìona]e. Ma anche le regioni asiatiche dell ' impero vennero pesantemente frammentate: Smirne e la sua zona fu affidata alla Grecia, con riserva di un plebiscito da svolgersi entro 5 anni , l'Armenia divenne indipendente ed il Kurdistan autonomo, l'Anatolia meridionale ru assegnata alla Francia ed all'I talia come sfera d' influenza in base ad un accordo a tre con l'Inghilterra stipulato contcslualrnente al traUato di Scvres (già nell'aprile del 191') la nostra 33• Divisione aveva preso tena sulle coste occidentali dell'Anatolia per assumere il controllo del territorio sulla base degli accordi interalleati, e fu dislocata fra Adania, Alicarnasso e Konia venendo infine rimpatriata nel maggio 1922). L' impero ottomano fu altresì coslreuo a rinunciare ad ogni diritto su Egillo, Libia, Sudan e Dodecanneso, mentre per quanto riguardava la cosiddetta «Mezzaluna frrlile », cioè l' intera arca che andava dal Mediterraneo orientale alla Mesopotamia, Pranc ia cd Inghilterra si accordarono hilatcralrnente per suddividersela in due «mandati», allribucndo alla ptima Siria e Lihano cd alla seconda l'lrak e tulta la Pal estina (cioè le !erre ad oriente e ad occidente del Giordano). Il trattato di Scvres, che !' Assemblea Nazionale kernalista insediata ad Ankara si era rifiutala di ratificare, non fu mai applicalo e sarebbe stalo sostituito da quello di Losanna del 24.7. 1923 in hase al quale la Turchia avrebbe recuperato i propri confin i europei del 191 4 (con re ttific he minori a favore della Bulgaria) ed ottenuto il controllo delle isole prossime agli Strclti.
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rono pure gli attacchi in direzione Ovest, anch'essi coronati da successo nella stessa giornata. Le truppe greche de] settore Sud, frammentate e disperse anche per la carente azione di comando e collegamento ai vari livelli (il comandante supremo, gen. Hadjianesti, si trovava a Smirne, a 450 km. dal fronte, e per tale comportamento sarebbe stato fucilato tre mesi dopo ad Atene), dettero luogo ad una vera e propria rotta durante la quale commisero violenze e barbarie ai danni della popolazione civile. Anche per questo, una volta costretti dalla pressione turca a concentrarsi nella stretta valle di Toulouhunard, i loro resti furono sottoposti ad un vero e proprio eccidio da parte di circa 100 cannoni kemalisti disposti a semicerchio sulle alture circostanti. Non vi furono prigionieri, ed i morti greci furono lasciati insepolti ai corvi ed agli sciacalli. L'avanzata turca proseguì indisturbata su Smirne, dove il 9 settembre 1922 Mustafà Kemal entrò da trionfatore. Nel settore Nord, le unità greche riuscirono invece a sganciarsi nella gran maggioranza, a raggiungere il Mar di Marmara e ad imbarcarsi per la Grecia. Le perdite subite dai greci, tra morti e dispersi, furono valutate a circa 46.000 uomini; più di 10.000 morirono in prigionia, mentre dei 17 .000 prigionieri restituiti dai turchi in pessime condizioni la maggior parte presentava tracce di gravi maltrattamenti. I kemalisti dichiaravano 2000 morti ed 8000 feriti (7). La guerra fu concJusa con la firma, l' 11 ottobre 1922, dell'armistizio di Mudanya che apriva la strada ad un nuovo negoziato per la stipula di un trattato di pace, quello di Losanna, sottoscritto circa nove mesi dopo. Esso, per parte turca, sarebbe stato filmato dai rappresentanti della nuova repubblica nata sulle ceneri di quell'impero ottomano dichiarato decaduto il 2 novembre 1922, con la nullità di tutti gJi atti del governo del sultano a decorrere dal 16 marzo 1920. La relazione dell 'addetto militare ad Atene si concludeva con una serie di considerazioni generali sulla campagna greco-turca e di elementi informativo-valutativi in merito all'esercito turco i cui componenti erano giudicati poco adatti ad organizzarsi modernamente, idonei ad approntare una difesa ed a tenere valorosamente una posizione ma con poca attitudine alla manovra, facili allo scoraggiamento e con effettiva coscienza della propria inferiorità nei confronti dei popoli occidentali.
(7) AUSSME, G33-35/3, proL 1573 RR del 18.9.1924, da Add. Mii. Atene a Stato Maggiore Centrale - Capo Reparto OPR, Lto col. Perrone.
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3. Il progetto italiano di occupazione della Cilicia Il 4 gennaio 1927 il col. Perrone inviò a Mussolini un promemoria circa l'opportunità di un'occupazione italiana della Cilicia, accompagnato dalla seguente lettera: « Eccellenza, il 18 settembre ebbi l'onore di essere ricevuto, nella mia qualità di Addetto Militare in Grecia, dall'Eccellenza Vostra. Ebbi allora occasione di scambiare con V.E. alcune idee fondamentali relativamente ad un 'azione dell'Italia in Asia Minore. Ritengo ora necessario ritornare sull'argomento ed e.,porre a V.E. nel modo più succinto le mie opinioni le quali sono assai diverse da quelle espresse allora. Conosco l'Asia Minore e lo studio di quella regione è la mia preoccupazione costante. È solamente colà che l 'lalia potrà trovare la sua necessaria espansione. Ed appunto perché la conosco che sono venuto a convincermi che per conquistarla occorre agire in modo del tutto diverso da quello previsto .finora, sia da noi che dai turchi. Non è la regione di Smirne né di Aidin che si deve occupare primieramente, ma bensì la Cilicia. Questo io dico nel mio brevissimo promemoria. E se si procederà nel modo che io ho previsto, l'impresa riesce facilissima, poco dispendiosa e senza pericolo nè di insuccesso nè di prolungata campagna. Ho scrillo allo Stato Maggiore un rapporto sull'argomento, ma memore di quanto parlai con V.E. ritengo mio dovere di e.\porre il mio preciso e meditato concetto in proposito». Il promemoria era pressochè identico a quello inviato dallo stesso col. Perrone allo Stato Maggiore dell'Esercito una decina di giorni prima, giunto contemporaneamente ad una relazione sul medesimo argomento mandata da un certo generale Torcom, sedicente capo di una Legione Armena con base ad Atene (ma della quale, al momento, sembrava essere l'unico componente) e già noto anche al Ministero degli Affari Esteri come elemento di scarsa affidabilità, anch'esso patrocinante un intervento italiano in Cilicia in chiave ovviamente favorevole alla questione armena. Nella propria esposizione, ]'addetto militare italiano metteva in evidenza alcuni elementi morfologici della regione costituenti presupposti favorevoli per l'occupazione della stessa. La Cilicia, corrispondente alla parte Sud-Orientale della penisola anatolica con una superfice di circa 75.000 kmq. e scarsamente popolata, fertilissima in 353
grano, cotone e canna da zucchero, rappresentava un crocevia verso la Siria e J' Arabia. La porzione principale era formata dalla pianura, solcata da tre fiumi e tutta percorribile durante la buona stagione. Le frontiere lerrestri venivano descritte come formidabili, costituite da alte montagne che la isolavano dalle altre regioni anatoliche e che sbarravano nettamente tutte le provenienze da Nord-Esl in funzione di una possibile controffensiva turca. Ad Ovest c'era la catena del Taurus, preceduta da quella dell'anti-Taurus, linea montuosa a larga base culminante nell'Ala Dagh la cui vetta si avvicinava ai 4.000 m., con un unico valico trasitabile denominato «Le porte della Cilicia», una profonda gola in corrispondenza del corso superiore del fiume Cidno; altre propaggini de11a catena del Taurus scorrevano verso Nord, con un valico a 1900 mt. denominato «La soglia di Kars», un tratto a mala pena carreggiabile, immettente nelle regioni kurde ribelli al regime kemalista. La frontiera Est era costituita dalla catena montuosa dcli' Amanus, impercorribile, declinante in direzione NordEst e separante la Cilicia dalla povera zona turca di Aintab e dalla Siria dalle quali pertanto non si dovevano temere nùnaccc. La frontiera meridionale era costituita dal mare e per buona parte dal golfo di Alessandrctta. Riguardo all'importanza politica dcli' occupazione della Cilici a, il col. Perrone affermava come questa avrebbe assunto entro poche settimane un assetto definitivo, dal momento che i turchi non avrebbero avuto modo di riprenderla e difenderla; a fronteggiare un loro eventuale tentativo controffensivo, sarebbero state sufficienti 7 divisioni di fanteria e qualche reggimento di cavalleria. «Mentre che la regione di Smirne sarebbe una voragine che divora materiali e uomini, e che per la sua immensità imporrebbe di ottenere con le armi l'annientamento dell'esercito nemico, nella Cilicia invece l'esercito italiano si troverebbe presto al sicuro in una naturale forte zza. L'occupazione della Cilù:ia provocherà immediatamente la rivolta del Kurdistan ove il regime kemalista è estremamente odiato. La popolazione armena che ha costituito nel passato il 30% della popolazione della Cilicia e che ora è dispersa nell'Oriente, abbeverata da un odio secolare contro il turco, sarebbe nostro valido ausiliare in ogni nostra azione di guerra e da essa si potrebbe assai presto raccof?liere un ottimo contingente di non meno di 50. 000 uomini. Si può ritenere che nei riguardi della Francia e dell 'lnf?hilterra l'occupazione della Cilicia potrebbe essere vista favorevolmente perchè darebbe sicurezza alla Siria ed allo Stato del Libano (man354
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CARTINA N. 12 - La Cilicia, delimitata nel riquadra (da Nuuvu Atlante Mondiale De Agostini, edizione 1971)
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dati francesi) ed al regno dell'Iraq (mandato inglese). La Siria stessa per quanto sterile ed irrequieta riaquisterehhe valore. Attraverso la Cilicia passano le vie dell'Arabia. Aleppo e Mersina possono presto diventare importanti empori di commercio e così Alessandretta attualmente occupata dai .francesi. La base di Aiax puà essere trasformata in formidabile base navale». Per quanto riguardava i vantaggi militari dell'operazione, l'esposizione dell'addetto militare italiano così proseguiva: «Sarebbe facile agire di sorpresa sbarcando a Mersina e ad Aiax ed invadere da mare la Cilicia. l turchi sono talmente ossessionati dall'eventualità di una nostra occupazione di Smirne che con un 'azione dimostrativa insistente sarà .fàcile attirare colà l'esercito turco e quindi sbarcare una prima divisione alpina ed impadronirsi nei primi giorni delle Porte di Cilicia e della Soglia di Kars. Fare quindi una assoluta pulizia nel Paese. È certo che ai primi successi, solidamente assicurati, non potrebbero seguire insuccessi. L'insurrezione curda sarebbe immediata, e la Turchia dopo la perdita della Cilicia non avrebbe modo di combatterla. Per ogni azione controffensiva l'esercito turco si troverà in una condizione di grande inferiorità strategica. Non potrà certo fare affidamento sulle regioni orientali di Sivas e di Kaisery, e così non avrebbe altra possibilità di azioni che lungo la direttrice ferroviaria da Konia verso le Porte di Cilicia. Si pensi che la base di r~fornimento dell'esercito turco contro la Cilicia sarebbero necessariamente le regioni settentrionali dell'Anatolia, i porti del Mar Nero e di Cospoli, ad oltre 500 km. dalle operazioni. La situazione del governo di Angora diverrebbe presto insostenibile, ed è pertanto possibile che la Turchia verrebbe assai presto ad un accomodamento pur di evitare guai maggiori. Ma in ogni evenienza l' ltalia avrebbe assai presto il possesso sicuro di una vasta, magnifica e redditizia regione». Il promemoria si concludeva con una sintesi delle ricadute positive che sarebbero derivate all'Italia dall'iniziativa: «Poche operazioni in regione di oltremare si presentano così fattibili come l'occupazione della Cilicia. L'azione per sorpresa è eseguibile. Data la sua struttura l'occupazione della Cilicia non richiede molte forze, ma di per sè costituisce una fortezza che puà essere tenuta indefinitivamente con forze relativamente esigue. Data la scarsa popolazione e la fertilità delle terre, la Cilicia può in pochi anni ricevere una grossa immi,?razione italiana. La Turchia sarebbe per l'occupazione della Cilicia, più che per 356
ogni altra, rapidamente costretta ad accordarsi con l'Italia per porre tennine ad uno stato di guerra che avrebbe disastrose ripercussioni nell'elemento turco» (8). Dopo qualche mese lo Stato Maggiore Generale, al quale molto presumibilmente il promemoria era slato trasmesso per competenza tanto da parte del Capo del Governo quanto dallo Stato Maggiore Esercito con le chiose ed i pareri relativi, compilò una nota di commento per il proprio capo, gen. Badoglio (9), come è possibile evincere dalla sigla posta in calce dal medesimo. La nota faceva riferimento anche alla relazione del citato gen. Torcom, ponendo in evidenza come gli argomenti da questi addotti in favore dell'azione italiana in Cilicia non concordassero con alcune delle considerazioni espresse dal col. Perrone. In particolare, la differente impostazione concettuale risiedeva: - nell'apprezzamento dell'eventuale contegno delle Potenze interessate, in quanto affermava che qualche difficoltà sarebbe sorta da parte della Francia "qui en matiére d'affaires étrangéres, a pris de plus en plus l'habitude de raisonner par sentiment de jalousie plutòt qu'avec sang froid et faisant bien ses intérets"; - nel suggerimento dell'eventuale condotta delle operazioni, poiché egli presupponeva l'annientamento dell'esercito turco mediante una decisiva battaglia campale, successiva all'occupazione della Cilicia, che secondo i suoi «calcoli» sarebbe avvenuta nel quadrilatero AngoraKonia-Cesarea-Sivas (cioè, genericamente, nell'interno dcll' Anatolia) entro i primi sei mesi a decorrere dalla nostra mobilitazione. Sulla base di tali elementi, la nota proseguiva con una serie di considerazioni critiche nei confronti di quanto rappresentato dal1' addetto militare italiano ad Atene: «Pare che circa il primo punlo il gen. Torcom, assistito dall'intuito della sua razza, gente d'affari e non di guerra, si possa accostare al vero assai più del Perrone, troppo ottimista a tal riguardo; (8) AUSSME, I 4-J/J, senza indicazione di prot. del 4.1.1927, da Add. Mil. Atene a S.E. Mussolini, f.lo col. Perrone. (9) Pielru Badoglio (1871-1956), ufficiale d'artiglieria, partecipò alla campagna in Eritrea, alla guerra italo-turca ed al primo con1Iitlo mondiale, nel quale entrò con il grado di ten. cui. e ne uscì con quello di len. gen. dopo aver ricoperto van incarichi di comando e funzioni di slatu maggiore corrispondenti sino a quelle di Sottocapo, dopo Caporetto, nonostante il suo comportamento in quella circostanza come comandante del XXVII C.A. avesse presentato molte ombre. Dal dicembre 1919 al febbraio .1921 fu Capo di Stato Maggiore dell'esercito; dopo circa 2 anni trascorsi in Brasile come ambasciatore, nel 1925 fu nominalo capo di Stato Maggiore Genernle, incarico che avrebbe mantenuto sino al 1940 in abbinamento con altre cariche quali Governatore della Cirenaica (1929-1933) e Comandante Superiore in A.O. (1935-1936). Presidente del Consiglio dal 25.7.1943 all' 8.6.1944.
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quanto al secondo aspetto, a parte i calcoli stravaganti di tempi e distanze, esso costituisce in Linea teorica militare la necessaria co,iseguenza logica della premessa, cioè l'occupazione della Cilicia. Non si può infatti concepire tale occupazione come fine a sè stessa, in quanto lo sbarco di nostre truppe in quella regione determinerebbe una situazione che bisognerebbe liquidare, e per far cià non vi sarebbe che un mezza: liquidare l'esercito turco. Ora la Cilicia non rappresenta certo un buon punto di partenza per un attacco. Tale regione non è, come parrebbe dal rapporto Perrone, una pianura separata dalle adiacenti per mezzo di una cerchia di catene montane; ma è, specialmente rispetto all'Anatolia, l'orlo di spiaggia ri.spetto all'orlo di un altipiano che la domina: una specie di pozza nel quale è più facile al difensore di scendere che non sia per l'attaccante il risalire da esso. Inoltre non è molto sicuro che la nostra eventuale occupazione della Cilicia avrebbe immediate ripercussioni nel Kurdistan: fra le due regioni v'è di mezzo la Cappadocia, e Le comunicazioni sono scarse (meno perà di quanto accenna l'addetto militare). lunf{he e malagevoli. Quanto all'ejficacia del concorso armeno non è il caso di farvi assegnamento, essendo tale popolo notoriamente imbelle: i 50.000 armati, quand'anche si riuscisse a metterli insieme come spera il col. Perrone, non varrebbero 500 turchi. Ed infine pare assai difficile far operare d'accordo armeni e curdi, separati da un tenace odio di razza: basti ricordare con quale zelo, ai tempi della Turchia imperiale, i curdi si prestavano ad essere gli esecutori, pressochè unid, dei periodià massacri degli armeni. ln ogni modo, per attaccare l'esercito turco: I) dovremmo impegnare tutte Le nostre forze, se vogliamo assicurarri il completo successo: senza tale sicurezza ci esporremmo a eventualità che per ragioni materiali e di prestigio nazionale occorre escludere; 2) dovremmo valicare il Tauro e l'Anti-Tauro, e per questo costruire le strade che ora mancano, ossia mettere in preventivo un tempo assai maggiore dei sei mesi previsti dal gen Torcom; 3) dovremmo eseguire trasporti marittimi di un 'imponenza forse non mai vista, che assorbirebbe buona parte della nostra flotta mercantile e tutta la nostra flotta militare, il che presuppone la certezza che tutti gli altri Stati mediterranei e continentali si disinteressassero di noi per qualche anno. Ed anche accettando il programma minimo proposto dal col Perrone, è da osservare: a) Per avere 7 divisioni in Cilicia occorrehbe almeno un mese, e tale 358
trasporto assumerebbe pur sempre proporzioni grandiose; valgono quindi Le osservazioni fatte più sopra, ed è in ogni nwdo da escludere la possibilità della sorpresa che è a base del pùmo dell'addetto ad Atene. b) T due valichi delle Porte Cilicie e di Kars distano dalla località di sbarco dai 100 ai 200 km. in linea d'aria; oltre a questi, altri ve ne sono che dovrebbero essere occupati poichè le provenienze da Marasc sono altrettanto pericolose quanto quelle da Konia; L'orlo montagnoso che domina la Cilicia, per costituire protezione, dovrebbe essere guardato, ed ha più di 500 km. di sviluppo. Le 7 divisioni preventivate potrebbero quindi essere insufficienti anche per un atteggiamento di pura difensiva passiva. c) Dalla interessantissima relazione del viaggio di ricognizione nel Kurdistan, compiuto nel dicembre 1926 dal nostro R° Console a Mersina, emerge che in quella regione più che una sollevazione vera e propia di carattere politico regna il brigantaggio allo stato endemico. È quindi probabile che in caso di un nostro sbarco in Cilicia i turchi fra i due mali sceglierebbero il minore, e cioè abbandonerebbero temporaneamente alla loro sorte, ossia ai Ladroni, i contadini del Diarberkr per rivolgere contro di noi, via Aintab-Marasc, le forze relativamente notevoli che ora sono concentrate in quella zona. In conclusione, come osserva il Capo del Governo, uno sbarco in Ci licia pare razionale nel solo caso in cui si possa fare sicuramente astrazione dalla resistenza di truppe regolari, e cioè nel caso di un crollo del kemalismo. L'operazione andrebbe allora condotta con truppe assai meno numerose che non 7 divisioni, ed in concorso con altri sbarchi effettuati a Smirne od altre regioni, allo scopo sia di creare fatti compiuti locali sia di porci in grado di sfruttare quelle più ampie possibilità che ora è vano cercare prevedere, poiché solo la situazione contingente di quel momento futuro può indicarle. Verificandosi tali possibilità, non si può dire fin da ora a quali delle operazioni ora dette sarebbe da dare carattere dimostrativo ed a quali carattere decisivo; converrà premere da più parti per penetrare per quella via dove si incontrerà resistenza minore» (10). Nonostante le esplicite riserve formulate nei confronti del suo progetto, il col.Perrone continuò a sostenerlo ed a riproporlo, inviando qualche mese dopo allo Stato Maggiore Regio Esercito una nuova monografia. Essa, trasmessa all'ufficio del Capo di Stato Maggiore Generale, fu oggetto di una disamina critica ancora più dettagliata della precedente (IO) AUSSME, 14-1/1, Ufficio del Capo di Stato Maggiore Generale, datato 8.3.1927 · senza indicazione di prot., destinatario e firma.
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nena quale, dopo aver riportato ne11e loro linee essenziali le considerazioni addotte del compilatore, le stesse venivano contestate tanto per quanto riguardava l'impostazione concettuale operativa quanto anche per ciò che atteneva a11e valutazioni geografiche, socio-ambientali ed economiche, contrapponendo loro una serie di contro-argomentazioni estremamente minuziose sia sotto 1'aspetto militare che sotto quello politico. TI documento, di notevole interesse anche per il tono decisamente «fuori dei denti» che lo caratterizzava, culminante in un brusco invito per l'addetto militare ad Atene ad astenersi dall'occuparsi di questioni che rientrano nella competenza dell'addetto a Costantinopoli e che ad ogni modo richiedono la visione completa di situazioni complesse che smw a lui sfuggite ( 11), è riprodotto ne11' Allegato 8.
4. L'ultimo scorcio di pace Dopo la proclamazione della repubblica nel 1924, in Grecia il governo fu presieduto sino al 1935, lranne brevi periodi, da Venizelos tornato al potere, e nel 1927 fu perfezionata la Costituzione. Cominciò allora una fase di apparenle tranquillità durante la quale venne stipulato un patto di amicizia con l'Italia (1928) cd uno con la Turchia (1930), alla quale fecero però seguito nuovi dissidi culminati con la cruenta rivoluzione in Macedonia ed a Creta che, se pur domata, indebolì la repubblica. Il 10 ottobre 1935 un colpo di stato guidato dal gen. Condylis portò all'abrogazione della Costituzione repubblicana da parte dell'Assemblea Nazionale, ed il 25 novembre dello stessso anno re Giorgio Il (12) ri enlrò festosamente ad Atene. Il sovrano, il 4 agosto 1936, sciolse la Camera e sospese la Costiluzione, procedendo ad una riorganizzazione sociale e politica del Paese e nominando Primo Ministro il gen. Metaxas (13), che si adoperò perché si tenesse ad Atene dal 15 a] 18 febbraio 193 7 la 5a Conferenza dell'Intesa Balcanica. Questa era un patto di mutua con-
(11) AUSSME, I 4-1/1, Uffic io del Capo di Stato Magg iore Generale, datato 27.6.1 927, senza indicazione di prol., destinatario e firma. (1 2) Re Giorgio Il (1890-1947), figlio primogenito di Costantino I, seguì il padre in esilio in Inghilterra nel 1917 e con lui rientrò in Grecia alla fine del 1920, succedendogli nel 1922 e regnando sino al dicembre 1923. Dopo il decennio repubblicano, fu richiamato sul trono nel 1935 e vi rimase fino al 1941, riparando poi a Londra dopo l'occupazione italo-tedesca. Rientrò in patria nel 1946 in virtù di un referendum istituzionale che gli avvalse il 68% dei voti. (1 3) .loanni s Metaxas (1874-1941), uomo politico e generale che una rapida carriera
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sultazione e difesa promosso il 9 febbraio 1934 dalla Turchia e sottoscritto da Grecia, Jugoslavia e Romania che faceva seguito ad un trattato di amicizia fra le prime due nazioni, attivato nel 1930 da Kema1 Pascià con l'intento di normalizzare i rapporti greco-turchi ancora scossi dopo la guerra del 1919-1922. 1n effetti, i due Paesi avevano interessi comuni nel Medite1rnneo orientale e la necessità di tutelarsi rispetto all'Unione Sovietica ed alla politica espansionistica italiana cd anche tedesca nei Balcani. Entrambi erano appoggiati in ciò dall'InghiltcITa, per la quale rappresentavano due punti di forza nel sistema britannico mediorientale, mentre lo stesso non poteva dirsi per la F rancia, i cui rapporti con la Turchia erano pesantemente condizionali dalle diatribe per il confine tra la Siria e la stessa Turchia e dalla questione di Alessandretta. È in questo quadro che acquista interesse il rapporto sugli intendimenti operativi dello stato maggiore greco nei riguardi di Albania, Jugoslavia e Bulgaria inviato nel marzo 1938 dal!' addetto militare italiano ad Istanbul col. Gabriele Boglione, accreditato anche presso la Legazione italiana ad Atene. Nel documento il compilatore metteva in evidenza come l' Intesa Balcanica, pur discutibile nella sua efficacia, influiva indubbiamente sulla politica militare greca condizionandone le predisposizioni difensive che, nell'ipotesi non escludibile di un attacco jugoslavo al quale si sarebbe certamente associato il concorso bulgaro, non sarebbero state sufficienti nonostante il preved ibile supporto turco contro i bulgari, il che avrebbe costretto la Grecia a11'abbandono de11a Tracia orientale e probabilmente di gran parte della Macedonia. Seguiva l'esposizione della situazione geotopografica delle frontiere e delle potenzialità di difesa per ciascuna di esse (albanese, jugoslava e bulgara), con un sintetico ma preciso ragguaglio circa l'ordine di bauaglia delle divisioni, i lavori di fortificazione e lo stato delle comunicazioni stradali e ferroviarie (14). 11 rapporto è rip01tato nel!' Allegato 9. Nel corso del 1939 si assisté, da parte de11a Grecia, a numerose manifestazioni di reiterata amici zia nei confronti dell'Italia alcune delle quali trovarono espressione in articoli di stampa più accredimilitare, dopo gli studi seguiti i11 Germania, portò nel 1915 alla carica di capo di stato maggiore dell 'esercito greco. r edde collaboratore di n : Costantino I e Giorgio Il, c di conseguem.a avversario di Venizelos, rimase a capo del governo s ino all a morte, dedicandosi fra l'altro dal 1938 alla crea:lionc sulle frontiere sellentrionali di una linea difensiva che prese il suo nome. (14) AUSSME, LI0-64/3, prol. 342 del 24.3. 1938, da Add. Mi i. in Grecia a S.I. M. f.to col. Buglione.
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tati. Nella rassegna che di essi operava l'ufficio dell'addetto militare, tra i più significativi risultavano quelli apparsi tra il 25 ed il 27 febbraio sull'autorevole quotidiano governativo Etnos, portavoce ufficiale degli orientamenti politici del gabinetto Metaxas. Il fulcro delle argomentazioni dei due articoli, una specie di rassegna monotematica in due puntate, era un riconoscimento di quanto il regime fascista aveva fatto nel campo morale, intellettuale e materiale per potenziare una nazione industrialmente e finanziariamente povera. Un discorso dai toni attendibilmente laudativi, privo di piaggerie o di valutazioni per eccesso, tranne per alcune considerazioni sulla reale effiòenza dell'apparato militare per il quale, ad ogni modo, esplicite riserve erano avanzate circa la qualità dei materiali, in particolare per quanto riguardava i carri armati la cui vulnerabilità, a fattor comune d'altra parte per tutta la categoria dei cani «leggeri», era stata evidenziata dalle operazioni in Spagna. L'organizzazione relativa alla mobilitazione era giudicata molto soddisfacente, anche se le venivano attribuite due lacune, insufficienza di materiali per l'armamento dei 5 milioni di riservisti e scarsezza di mezzi di trasporto. L'Italia, secondo l'estensore degli articoli, disponeva di 185.000 km. di strade e 23.000 km. di feffovie; nel 1937 gli automobili ammontavano a 411.000 dei quali 106.000 camioncini, il materiale ferroviario comprendeva 5.900 locomotive, 7.500 vagoni passeggeri e 126.000 vagoni merci. Pur non esistendo dubbi sull'organizzazione dei trasporti, sembrava tuttavia che i mezzi fossero insufficenti per le necessità di una mobilitazione generale. Un'altra riserva era formulala in merito al reale spirito combattivo delle 120-130 divisioni che venivano date come mobilitabili (15), partendo dal presupposto delle numerose sconfitte subite dal]' esercito italiano nel corso della sua storia. In effetti , sosteneva l'articohsta ammorbidendo il torio delle proprie affermazioni, non era tanto una questione di spirito quanto di mancanza di organizzazione, di metodo, di disciplina e di rigorosa
(15) Una valutazione certamente per eccesso, te nendo conto che alla data dell'entrata in gucn-a il 10.6.1940 l'esercito italiano avrebbe potuto di sporre di 75 divisioni mobilitate - 45 di fanteria, 5 alpine, 12 autotrasportabili di cui 9 tipo «Africa Seuenlrionale», 2 motorizzate, 3 corazzate, 3 celeri, 2 libiche e 3 della MVSN - delle quali solo 19 raggiungevano il 100% del personale, 34 il 75% e 20 il 60%. La forza effettiva di 1.634.950 uomini risullava inferiore di circa 300.000 unità rispetto a quella organica dei repa1ti mobilitati. Notevoli anche le deficienze dei materiali. (Cfr. «L'esercito italiano fra la ]a e la 2• guerra mondiale», Roma, USSME, 1954; Montanari M., «L'esercito italiano alla vigilia della 2a guem1 mondiale», Roma, USSME, 1982; Stefani F. , «La storia della dottrina e degli ordinamenti dell 'esercito italiano», Roma, USSME, 1985, voi. II, torno I).
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stmttura tecnico-militare, qualità che peraltro sembravano essere state acquisite o migliorate nell'ultimo venlennio così come era stato dimostrato dalla campagna d'Eliopia, che se non aveva comportato un particolare impegno sul piano strategico e tattico era stata pur sempre un valido banco di prova per lo stato maggiore italiano e per l'apparato da esso gestito. Un cmmnento era anche dedicato allo sviluppo dell'aeronautica e della marina. Per quest'ultima, veniva rilevato come l'Italia, da potenza «adriatica» quale era anteguerra, occupata quasi esclusivamente alla neutralizzazione della marina austriaca, fosse divenuta ora potenza «panmediterranea». Tale sviluppo era ancora più degno di considerazione se si teneva conto della scarsità dei mezzi economici del Paese e particolarmente della situazione nella quale si trovava la marina da guerra quando aveva avuto inizio la sua ricostruzione. Infatti, quando il fascismo era andato al potere, aveva ereditato una flotta in fase di invecchiamento che anugginiva senza gloria in arsenali depauperati e che Mussolini aveva rinnovato radicalmente, dando incremento alle costruzioni navali tanto da portare la flotta italiana, per il suo complessivo dislocamento, al 5° posto nel mondo ed al 2° nell'Europa conlinentale. La valutazione del potenziale bellico italiano era anche, giustamente, correlala alle possibilità economiche e, a parte i dati numerici esposti per i quali andrebbe elTeuualo un riscontro specifico, conteneva considerazioni e condusioni piuttosto aderenti alla realtà: «Se le forze armate dell'Italia si sono adeguatamente sviluppate, quale è, però, la loro hase economica? Com'è stato già detto l 'Italia è povera in materie prime e la sua ricchezza agricola non può considerarsi abbondante. La sua capacità industriale è, inoltre, piuttosto limitata, perciò è costretta a tendere ad una guerra di rapida soluzione. Cià, perà, non può dipendere da un solo belligerante: del resto, è noto, che le guerre contemporanee sono, generalmente, di lunga durata. Considerato ciò il grado di resistenza italiana ha un valore essenziale. Il regime fascista ha fatto grandi sforzi nel campo autarchico. Esso, perr), non ha la struttura tecnico-scient(fìca della Germania e non ha quindi le possibilità per sfruttare al massimo grado il sottosuolo nazionale. Perciò l'Italia ha bisogno di e.ffettuare acquisti notevoli di materie prime all'estero, quantunque le sue necessità, a cagione del suo movimento economico relativamente medio, siano minori delle altre grandi potenze. La produzione del minerale di ferro, ad es., non supera 1 milione di tonn. mentre quella del carbon fossile non supera i 10-12 milioni. L'economia italiana lotta 363
continuamente, sotto l'impulso e le direttive statali, per emanciparsi dall'estero. Ora, grazie all'intenso sfruttamento delle forze idroelettriche delle Alpi ( è la prima fra tutti gli Stati europei con una forza di 16 milioni di HP) ha sostituito in gran parte il carbone nero con quello bianco. Sforzi analoghi sta svolgendo in ogni campo. Malgrado ciò, nel 1937 ha dovuto importare: 1.305.000 t. di petrolio, 260 mila tonn. di benzina, 746 mila tonn. di minerale di ferro, 8.500.000 tonn. di carbonfossile, 166.000 tonn. di cotone. È stata ugualmente costretta ad importare, malgrado la frugalità dei suoi abitanti, il 10% dei suoi viveri compresi 1.698.000 tonn. di frumento. Ne consegue che L'industria italiana, non disponendo di grandi mercati consumatori, ha per .forza di cose una potenzialità media. Malgrado che la sua produzione sia in continuo aumento, in questi ultimi anni, non ha potuto superare nel 1937 Le 900.000 tonn. di ferro.fuso (ghisa) e 2.200.000 tonn. di acciaio. Nel 1936 produsse: materiali in ferro e acciaio per tonn. l. 700.000 e 48.000 automobili. Tale situazione costituisce evidentemente un punto sfavorevole per la guerra, che s'aggrava di più dala la media potenzialità di cambio del Paese che non gli consente di fare grandi acquisti diretti sui mercati. Durante il periodo delle sanzioni le facili previsioni sulla durata della campagna etiopica, fatte dagli osservatori esteri, furono smentite, e la resistenza italiana si dimostrà più grande di quella calcolata. Ugualmente oggi, che sembra siano state fatte grandi riserve di combustibili e minerali - per L'aumento dei quali urta contro grandi difficoltà tecniche e di cambio - probabilmente l'Italia è già in grado di fare una guerra molto più lunga di quanto calcolino i suoi eventuali avversari, sia pure con forze ridotte. Facciamo ora il censimento dei mezzi militari italiani: l'Italia, con la sua marina da guerra costituisce evidentemente un fattore notevole. Può minacciare efficacemente le comunicazioni del Mediterraneo: in forza dei suoi possedimenti nell'Oceano lndiano può portare la sua minaccia anche alle arterie di tale oceano; se la Spagna le darà basi anche nell'Atlantico diventerà allora una potenza navale mondiale. Il suo esercito può pesare anche sulla bilancia delle forze terrestri europee. A parte la pressione che può esercitare sulle Alpi, ha una forte Leva in Libia con la quale può scuotere i dorsi dei suoi eventuali avversari, malgrado che l'attività di tale leva dipenda dalla sua capacità di dominare assolutamente la sezione meridio364
nale del Mediterraneo centrale e di assicurare le comunicazioni tra Madre Patria e Libia. Anche l'Etiopia costituisce un efficiente diversivo militare. Infine l'aviazione, numerosa e di buona qualità, completa adeguatamente il rendimento di questa macchina militare. Gli svantaggi militari dell'Italia sono certamente grandi; la sua scarsità economica e produttiva, la sua dipendenza dall'estero, le sue coste estese e aperte, le quali offrono un facile bersaglio ai colpi nemici, il concentramento della sua industria nella valle del Po. ln ogni caso l'ltalia odierna è almeno 2-3 volte più forte e temibile nel!'equilibrio europeo di quanto fosse prima della guerra. La rivelazione della sua forza e della sua vitalità durante gli ultimi anni è stata una viva sorpresa per tutti, particolarmente per le popolazioni dell'Europa occidentale. In una Lunga teoria di anni postbellici, queste hanno ignorato il fattore italiano. Giudicando le cose dal prisma delle apparenze capitalistiche, non immaginavano che questo povero Paese potesse raggiungere un così alto grado di rendimento; sommersi nella loro beata prosperità, rimasero costantemente attaccati ad un curioso ottimismo, non comprendendo che nuove dottrine e relazioni produttive cominciavano ad apparire all'orizzonte economico e che nuove forze venivano a gravare sull'equilibrio mondiale» (16). Un altro aspetto interessante cli quel 1939, l'ultimo scorcio di pace tanto per l'Italia che per la Grecia che meno di un anno dopo si sarebbero trovate ad essere l'un l'altra contrapposte sulle aspre montagne albanesi, fu rappresentato dalle forniture di materiale bellico dalla prima alla seconda. Tn aprile il nostro addetto militare ten.col. Luigi Mondini aveva rappresentato al Ministero della Guerra le esigenze prospettategli da un autorevole rappresentante de1l'esercito ellenico, e che potevano essere così riassunte: cannoni da 149/40 obici da 75 da montagna; - cannoni da 75 da campagna; - carri armati medi di peso intorno alle 1O tonn. (ed in ogni caso non superiore alle 11); carri armati da 6 tonn. (aventi ciascuno un cannone ed una mitragliatrice); mitragliatrici antiaeree ed anticarro da 20 mm.; (16) AUSSME, H3-23, senza indicazione di prot. del 10.3.1939, da S.I.M. (proveniente da Add. Mii. Atene) a Sottosegretariato Guerra, firma illegibile.
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- mezzi di trasmissione R. T. Inoltre, l'ufficiale aveva sottolineato che la Grecia non era legata ad alcuna industria straniera, ed anzi l'industria bellica jLaliana aveva buone possibilità di essere favorila essendo molto apprezzata. Condizione assolula di preferenza erano i prezzi, e soprattutto le facilitazioni di pagamento. La propaganda industriale di altre nazioni si sforzava di battere la nostra concorrenza affermando che l'Italia non avrebbe potuto consegnare regolarmente, perché la sua industria era assorbita completamente o quasi dalle necessità delle proprie forze annate. Occorreva pertanto che l'azione della nostra industria per assicurarsi delle forniture fosse il più possibile sollecita, in considerazione che il momento era pat1icolaimente favorevole e che una perdita di tempo avrebbe rischiato di mandare a monte tutta la laborisa opera di preparazione svolta sino a quel momento (17). Circa otto mesi dopo il ten. col. Mondini invitò un'altra nota sul1'argomento, nella quale metteva in evidenza le tattiche concoffenziali frat1co-britanniche ed anche tedesche e la opportunità da patte italiana di dare priorifa, anche in queste vicende commerciali, all'aspetto politico ed alle possibilità di penetrazione nell'esercito greco: «In questi ultimi tempi si sono raddoppiati gli .sforzi dei rappresentanti di ditte francesi e britanniche, probabilmente (per non dire sicuramente) rincalzati dalle rfapettive Le[?azioni, per ottenere che il governo ellenico non concluda contralti per l'acquisto di materiale bellico della Francia e della Gran Bretagna. Uno degli scopi può darsi sia quello di impedire le esportazioni tedesche, ma uno dei risultati è certamente quello di intralciare le trattative che conducono le nostre ditte. La tattica seguita è quella di prometLere forniture di ogni genere e facilitazioni di pagamento. Le promesse con ogni probabilità non verranno mantenute, ma intanto il possibile acquirente, cullandosi nella speranza di ottenere più a buon prezzo e con migliori condizioni di consegna e di pagamento, quello che noi offriamo, nicchia, guada[?na ovverosia perde tempo e contratti che sembrano alla vigilia della conclusione non arrivano a fine. La stessa tattica seguono d'altra parte, i tedeschi, i quali non intendono assolutamente perdere la J<Jrte posizione conquistata in questo mercato. Un esempio tipico è dato dalla questione relativa all'acquisto di locomotive: eravamo partiti enormemente favoriti e ci si poteva ritenere sicuri di collocare almeno una dcci( 17) AUSSME, H3-23, prot. 27295 dell ' 11.4.1939, da Ministero Guerra - (ìahinetto a Gruppo Italiano Annamenli, f.Lo Sori ce.
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na di locomotive usate: ma le ditte tedesche hanno offerto materiale nuovo a prezzo Leggermente superiore a quello del materiale usato o.ff'erto da noi e di circa il 35% inferiore a quello nostro per materiale nuovo. La preferenza è andata, naturalmente, ai tedeschi; salvo che all'atto di definire il contratto sono sorte dffficoltà che hanno risospinto l'affare in alto mare. Adesso sono in corso trattative per L'acquisto di aerei: il governo greco, compreso il suo più alto rappresentante è decisamente orientato verso la nostra industria e vuole favorirci; ma ecco che sorgono voci che Francia e Inghilterra consegneranno quanto promesso in passato, accordando notevoli facilitazioni di paiamento. Anche per quanto riguarda le mitraf?liere antiaeree da 20 mm. vengono effettuati tentativi per impedire la nostra eventuale fornitura e qualcuno si dice in grado di poter affermare che l'Italia non accetterà le condizioni di pagamento offerte dalla Grecia. A me pare, che in questo momento di particolare estrema delicatezza, oltre alle considerazioni di carattere strettamente commerciale dovrebbero avere peso e valore considerazioni di carattere politico. Ritengo che molto ci avvantaggerebbe, sotto parecchi punti di vista, il poter effettuare una fornitura, che ci permetterebbe di mettere piede nell'esercito, o almeno di compiere un primo passo. Questa gente che è naia ed è cresciuta "mercante" non deve vedere anche noi come mercanti, per i quali non c'è altro argomento che quello della moneta sonante, m.a deve vedere in noi la grande Potenza, la quale pur di aiutare un piccolo Paese, adesso considerato amico, è disposta e può compiere qualche sacr{/ìcio (tanto più se questo sacrificio non è rappresentato che da un lef?J::ero ritardo di una quo/a parte del pagamento). E nel jàuo spec(fìco, mi r(fèrisco alla suaccennata fornitura di mitragliere da 20 m/m, la cui richiesta mi venne rivolta personalmente d.a questo Capo di S.M. Gen. e le cui condizioni di pagamento sono quali m11i la Grecia ha finora offerto o effettuato. Una risposta negativa da p arte nostra riten go danneiie rebbe fortemente il nostro nascente prestigio. Ad ogni modo pregherei volermi far avere una risposta quantopiù presto è possibile p er poter rispondere alle sollecitazioni che cortesemente mi vengono fatte dalla controparte» (18).
(18) AUSSME, H3-23, prot. 11 47 del 20. 12. 1939, da Add. Mii. Atene a Ministero Guerra - Gabinetto, f.to tcn. col. M ondini.
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Il gen. Mario Caracciolo, addelto n1ilitare in Grecia subilo dopo la prima guerra numdiale
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Capitolo XII INGHILTERRA
1. Il primo dopoguerra
Nel 1917, in sede di contatti italo-franco-inglesi miranti a sviluppare gli accordi del Pauo di Londra del 1915, fu assicurata a11'Tta1ia una congrua partecipazione allo smembramento dell'impero ollomano che però, al termine della prima guerra mondiale, fu occupato quasi esclusivamente dalle truppe britanniche le quaJi inoltre, con due divisioni, presidiavano anche la regione del Caucaso immedialamente a Nord del confine turco fra il Mar Nero ed il Mar Caspio. Il piano di ripartizione formulato da parte del Consiglio Supremo di Guerra a Parigi il 5 febbraio 1919 dietro istanza italiana, non approvato peraltro dal nostro rapprest.:nlanle generale Nicolis di Robilant (1 ), in quanto giudicato pena1izzante rispetto a quanto concordato due anni prima, suddivideva il territorio già autonomo in 4 zone alle quali, con palese e sottile artificio, era stata aggiunta la Transcaucasia che con 1' ex impero ottomano non aveva nulla a che vedere. Nel disegno degli altri tre rappresentanti militari, infatti, il prestigio italiano poteva venire soddisfatto dall'occupazione di questa regione già appartenente alla Russia e, dopo la rivoluzione, suddivisa in piccole repubbliche indipendenti (Annenia, Azerbaigian, Daghestan e Georgia). Allettato dalla prospettiva dello sfruttamento della ricchezza mineraria della zona, in particolare carbone e petrolio, il presidente del consiglio Orlando aderì a metà marzo all'offerta di Lloyd George di sostituire le truppe inglesi di stanza in Georgia e nell'Azerbaigian. D'intesa pertanto con i comandi britannici fu deciso l'invio preliminare di una missione militare per lo studio sul posto della situazione composta (1) Mario Nicolis Robilant, conte di (1850~193]), appartenente ad una nobile famiglia piemontese di anliche tradizioni militari, quale comanòanle della 4• Armata legò il proprio nome alla difesa dd massiccio del Grappa ncll ' aultmno 1917, determinante per la tenuta òcll'inlero schieramento italiano sul Piave dopo lo sfondamento di Caporctto. Nel 1918 fu chiamalo a far parte del Consiglio Superiore Interalleato a Parigi. Cornandanle dell'8a Armata nel 1919, fu il solo fra gli alti vertici militari intenzionato ad opporsi con la forza all'ini ziativa di D'A nnunzio su Fiume.
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da 17 ufficiali guidati dal col. Melchion-e Gabba, che il 28 aprile 1919 salpò da Taranto diretta a Batum, capitale della Georgia. Nel frattempo, il Comando Supremo cominciò a raccogliere nella zona a Sud del lago di Garda i reparti destinati all'occupazione nell'ordine di un intero corpo d'armata, il XII, che all'alto del proprio completo approntamento contava 32.000 uomini, 5.500 quadrupedi, 66 bocche da fuoco e 170 automezzi (2). Non erano comunque mancate nell'amhiente mifoare perplessità e timori circa l'esito della spedizione, sia sul piano tecnico che su quello politico. A livello governativo, invece, si spingeva perché l' iniziativa avesse corso; a farla definitivamente cancellare fu determinante la caduta nel giugno del gabinetto Orlando, ché i] subentrante Nitti non ebbe esitazioni in proposito. La missione militare capeggiata dal col. Gabba aveva ad ogni modo fatto un buon lavoro di analisi e valutazione della situazione locale, producendo interessanti relazioni e monografie di contenuto politico, socio-ambientale ed economicocommerciale delle quali è conservata traccia presso l'archivio de11' Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito (collocazione Ell) .
È verosimile che l'impresa promossa da Orlando e Sonnino fosse priva di reale senso politico, pur non assurgendo alla rappresentazione esageratamente catastrofica che ne avrebbe dato Nitti nelle memorie scritte 30 anni dopo, il più grave pericolo che abbia corso l'Italia nei nostri tempi (3). È probabile comunque che, vista in una prospettiva interna;1,ionale più ampia, la cosa avrebbe potuto anche avere una sua ragion d'essere, come è dimostrato dalla seguente nota inviata a Roma del gen. Pcrclli, addetto militare presso l'ambasciata italiana a Londra: «Ieri, avendo offerto una colazione ad alcuni ufficiali dell'Ufficio informazioni del War Offi ce, incluso il generale capo interinale dell'Ufficio stesso, ho avuto con essi una lunga e.familiare conversazione. Riporto qui di seguito miscellaneamente ed obiellivamente alcuni giudizi e informazioni che ho raccolto in tale occasione e tali e
(2) Cfr. Gallinari V., «L'esercito italiano nel primo dopoguerra 1918-1920», Roma, USSME, 1980, pagg. 103- !07. (3) Nitti F.S., «Rivelazioni», Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1948, pag. 528. Francesco Saverio Nitti ( 1868-1953), lucano, docente universitario di scienza delle finanze ed autore di varie opere anche di carallerc storico, deputato dal 1904 e nel 1911 ministro dcli' industria e commercio nel gabincllo Giolitti. Presidente del Consiglio tra il 1919 ed il 1920. Senatore cli diriuo nel 1947.
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quali sono stati comunicati. Essi sono stati formulati dai miei commen.mli in presenza gli uni degli altri, e probabilmente rappresentano l'opinione corrente dì quell'Ufficio Informazioni che è quello che compila i hollettini i4ficiali e riservati di informazioni su!La opinione ufficiale inglese, rfapecchiandoneforse a sua volta il modo di pensare. Gli inglesi sono meravigliati per la nostra eventuale rinuncia all'occupazione del Caucaso. Si considera questo come un errore fondamentale più grave ancora di quello che commettemmo quando rifiutammo di partecipare con essi all'occupazione dell'Egitto. La regione del Caucaso è ricca di tnaterie prime, incluso il carbone il cui rifornimento è per l'Italia condizione di vita o di morte. Qualunque sacri;ficio di denaro sarehhe trascurabile di fronte al vantaf?gio economico che ci verrebbe dall'occupazione. Non è probabile che si debba poi, a breve scadenza, restituire il Caucaso alla Russia perchè non c'è popolazione che odi tanto i russi quanto i georgiani, e perchè gli italiani hanno dimostralo di avere speciali attitudini per accallivarsi le simpatie delle popolazioni dei Paesi che occupano. In Inghilterra si comincia ad essere preoccupati poichè per la deficienza della produzione del carbone non se ne potrà esportare all'estero ( e ciò si riferisce in forte misura ali' Italia); tutte le materie che venivano importate dall'estero e che godevano del vantaggio di usufruire per il trasporto del ritorno dei piroscaJì trasportatori di carbone, saliranno.fortemente di prezw» (4). È possibile, sulla base di quest'ultima considerazione e tenendo nel debito conto il noto progmatisrno b1itannico, ipotizzare che ali ' origine della propensione inglese nei con fronti dell'occupazione italiana del Caucaso vi fosse proprio questa avvisaglia cli c,isi nel fabbisogno energetico, per sopperire alla quale sarebbe risultato quanto mai tranquillizzante il nostrn mandato su quella regione. Quanto riprodotto è il primo documento del nostro rappresentante militare a Londra che, in ordine cronologico relati vamente al periodo di interesse, apre l'esame del relativo cmteggio prodotto da quell'ufficio. Sempre al 1919 cd allo stesso mese di giugno si riferiscono due <<notiziari» nei quali il compilatore forniva alcuni «spaccati» dello scenario socio-politico e militare inglese. Un quadro sintetico della situazione generale dell'Inghilterra era dato dallo stralcio di un
(4) AUSSME, E8-91/IO, sen,:a indicazione di prot. datato giugno 1919, da Add. Mii. Londra a Comando Supremo - Ufficio OPR e Delegazione It. per la Pace - Sezione Militare, f.lo gcn. Perelli.
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articolo dell' Observer con il quale il nostro addetto militare riteneva di poter pienamente concordare: «Tre milioni di uomini sono stati congedati. Hanno veduto uomini e città. Il loro carattere ed il loro spirito sono stati temperati da prolungati combattimenti sotto i massimi .,j'orzi. Sono stati tirati fuori dal loro vecchio ambiente in mezzo al quale avrebbero proseguito nella via tracciata dalla tradizione. Essi hanno imparato a conoscere se stessi e gli altri sotto nuove circostanze. Hanno acquistato nuovi gusti, nuovi desideri, nuove necessità e la loro mente è soggetta a nuove idee. La massa operaia è in fermento. il sistema industriale sta subendo un prolungato processo di riconversione da uno stato di guerra ad uno di pace. Centinaia di migliaia di persone sono impossibilitate a trovare occupazione e sono mantenute da sussidi governativi. Il pubblico è assalito da alti prezzi ed esasperalo dal problema degli alloggi. L'Irlanda è in principio di ribellione soggiogata da occupazione militare. La polizia, che è l'organo di sostegno dell'ordine pubblico, è essa stessa a_ffetta dal disordine che regna. L'esercito grida per ottenere la smobilitazione e, secondo comunicati ufficiali della Camera, i sintomi che erano causa di tante ansie nel gennaio scorso sono di nuovo in evidenza in India, in Egitto ed a Salonicco. Il parlamento s'indugia sotto un sempre ammassato peso di legislazione ed amministrazione». Un accenno 1iguardava ancora il problema dell'occupazione italiana del Caucaso, in merito alla quale il gen. Pcrelli riferiva di un colloquio confidenziale avuto con il gen. Kirks, vicecapo del reparto operazioni del War Office, secondo il quale se era probabile che l'Italia avrebbe dovuto restituire dopo qualche anno quella regione alla Russia era altrettanto vero che nel frattempo avrebbe potuto annodare stabili e proficue relaz ioni commerciali. Suggeriva inoltre di organizzare milizie locali, inquadrate da ufficiali e sottufficiali italiani, che oltre ad economizzare forze sarebbero servite a procacciarsi i favori de11a popolazione ed a farle credere che si affidava ad esse la difesa dell' ordine e la sicurezza dei singoli e della collettività. Sempre nell'ambito dei rapporti italo-britannici, era interessante quanto l'ufficiale scriveva circa la rilevanza che presso l'opinione pubblica locale assumeva la vicenda di Caporetto quale immagine emblematicamente univoca del nostro Paese: «Nei miei precedenti notiziari da Londra ho indicato come la ~
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mentalità inglese nei riguardi delle cose nostre sia caratterizzata essenzialmente dalla non conoscenza: una cosa sola è ben nota agli inglesi, Caporetto. l motivi per quali quel triste episodio è così esclusivamente ed esageratamente impresso nella grandissima maggioranza di questa gente non è qui il caso di analizzare. Stà il fatto che giornali, riviste e pubblicazioni, pur avendo l 'aria di riconoscere ed illustrare il risveglio italiano dopo quell'avvenimento, hanno dato ad esso un rilievo eccessivo. Stà di fatto che non c'è ufficiale inglese ·con cui uno ha occasione di parlare, non c'è famiglia inglese a cui uno è presentato che, tanto per attaccare discorso e credendo di mostrare un grande interessamento per noi, non si creda in dovere di accennare a Caporetto. Sembra quasi che sia l'unica parola italiana che sia loro facile di pronunciare. Astraendo per ora dalla assoluta necessità per noi di intraprendere in questo Paese. una campagna di valorizzazione ( se non vogliamo chiamarla di propaganda) per lo meno militare sulla quale spero di poter presentare in avvenire idee concrete, è mia convinzione che intanto su questa importante question e di Caporello occorra e sia urgente reagire. E secondo me il mi[?lior modo di reagire, facendosi in pari tempo apprezzare, è di passare alla controffensiva mettendo comparativamente in pari luce ed evidenza l 'entità del noto disastro della Ja Annata inglese sulla Somme nonché le circostanze militarmente deplorevoli in cui questo si ver(ficò. Qualche articolo in tal senso, fatto intelligentemente e con garbo e pubblicato a titolo di studio storico in qualcuno dei giornali italiani più letti ed apprezzati avrebbe più effetto ed efficacia di qualsiasi altra pubblicazione di propaganda in nostro .favore la quale, anche se letta, non servirebbe a smuovere di un millimetro la convinzione inglese ormai acquisita». Ma un interesse ancora maggiore rivestiva, a nostro avviso, la sintesi compiuta dal gen. Perelli in merito alla figura del ministro della guerra Winston Churchill (5), svolta attraverso l'attenta anali(5) Winston Churchill ( 1874-1965), dopo una parentesi giovanile quale u1tìciale di cavalleria e giornalista, si dedicò alla politica alliva nelle file del partito conservatore. Durante la Ia guerra mondiale fu Primo Lord dell'Ammiragliato, ministro delle munizioni e segretario alla guerra ed all'aviazione. Cancelliere dello Scacchiere fra il 1924 ed il 1929, rimase poi estraneo alla politi<.:a per un decennio dedicandosi alla letteratura storica. Allo scoppio della 2" guerra mondiale fu nuovamente Primo Lord dell'Ammiragliato e dal maggio 1940 capo del governo, incarico rello sino al luglio 1945 e rivestito ancora dal 195 1 al 1955.
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si di alcuni articoli scritti di recente dal personaggio e riflettenti, con estrema chiarezza e realismo, le proprie posizioni politiche. L'addetto militare forniva innanzitutto di Churchill questo icastico profilo: « Winston Churchill ha delle qualità molto dinaniiche. Dato il suo assorbimento nei tremendi problemi militari della presente carica, per alcuni egli è parso essere estraneo agli altri problemi della politica nazionale, ma la profonda concentrazione è uno dei segreti del suo rendimento; egli ha grande facoltà di rapida soluzione delle questioni. Nella Camera dei Comuni di ora ha fatto un 'impressione delle più rimarchevoli, ed in verità ha riacquistato tutto il terreno che aveva perso in passato. È divertente vedere i suoi avversari ed attaccanti che indielreJ?,?iano come bambini dal fuoco che li ha bruciati». Dopo aveT premesso come, trattando di politica estera ingkse, egli non menzionasse mai l'Italia «ignorandola» completamente, Pcrclli si intratten eva diffusam ente sugl i ultimi arti co li aventi come tema gli armamenti inglesi dopo la guerra ed il futuro delle finanze britanniche. Innanzitutto, Churchill propugnava la necessità di una direzione unica per tutti i problemi riguardanti la difesa del Paese, istituendo un apposito ente che comprendesse esercito, marina ed aeronautica. 11 fulcro del suo pensiero militare era che l'entità delle forze che l'Inghilterra avrebbe avuto in futuro sarebbe dipesa dalla politica estera messa~in atto, alla base della quale egli vedeva l' amicizia con gli Stati Uniti così da eliminare ogni antagonismo navale e condividere con essi la supremazia mondiale sui mari. Da parte ing]csc-;-ad ogni modo, tale primato avrebbe dovuto essere mantenuto ad onta di ogni possibile concorrenza proveniente da qualsivoglia altra nazione che avesse perseguito un potenziamento navale, anche se il live1lo costruttivo e tecnologico britannico nc1 settore, con le annesse capacità di aggiornamento e sviluppo, era tale da consentire di affrontare il problema con margini di ponderata tempestività. Per quanto riguardava l'esercito, prima della guerra 1914-1918 era stato impiegato per il solo servizio di polizia e sicurezza nelle colonie e nelle zone di sfruttamento carbonifero, con un numero di battaglioni ai quali ne corrispondevano altrettanti in patria per il necessario ricambio degli altri; ed erano stati proprio essi, allo scoppio della prima guerra mondiale, a costituire la base delle sei divisioni che avevano formato la prima spedizione in Francia nel 1914. 374
«Prima della guerra, quindi - puntualizzava Churchill con disinvolto e spregiudicato verismo - eravamo precisamente in quella posizione nella quale cerchiamo oggi di porre la Germania od alla quale vorremmo vedere ora ridolle tutte le potenze d'Europa gradatamente, tenuto conto delle loro speciali circostanze» . Né era possibile declinare le responsabilità dell ' esercizio delJa sovranità sulle colonie e quindi orientarsi verso una riduzione delle forze che erano sempre state necessarie a questo fine, e che avrebbero invece visto una ulteriore ragjone di incremento nei mandati che sarebbero stati affidati all ' Inghilterra dalla Società delle Nazioni. Ne conseguiva come l'esercito, pur rimanendo entro le debite proporzioni, avrebbe richiesto spese maggiori, anche e soprattutto perché i quadri avrebbero dovuto essere meglio pagati in modo tale da consentire di aspirare al rango di ufficiale a tutti quei giovani di talento e di vere attitudini militari e non solo a quelli che godessero di rendite prop1ic. L' aumento del bilancio per le necessità belliche si sarebbe reso necessario an<.:he per i crescenti costi di materiali sempre più innovativi e complessi. Si rendeva altresì opportuno ricostituire le vecchie divisioni territoriali anteguerra, che certamente per i prossimi dieci anni sarebbero state più efficienti perché composte da anziani ed addestrati veterani e dotate dell'abbondante armamento ed equipaggiamento residuato dal conflitto, ma per le quali, se avessero dovuto essere poi alimentate con il sistema dell'arruolamento volontario - struttura portante della mentalità britannica, visto anche come barriera protettiva contro l' «inconcepibile» coscrizione obbligatoria continentale - sarebbero state indispensabili ulteriori spese. La necessità di salvaguardare la supremazia anche in ambito aeronautico derivava, secondo Ch urchill, dal fatto che una volta perdutala sarebbe stato impossibile riconquistarla al momento del bisogno, e comportava il poter disporre di macchine e piloti da imporsi a qualunque altra forza aerea attaccante: «Il [?iorno che perdessimo il nostro primato aeronautico, avremmo anche eventualmente perduto il vantaggio di essere un 'isola, dal che ogni potenza nemica potrebbe trarne facile profitto». Una concezione lungimirante e profelica, che avrebbe avuto un esauriente riscontro vent'anni dopo nel corso della battaglia aerea tra la Roya l Air Force e la Luftwaffe nei cieli inglesi. TI ministro della gueITa britannico, come s'è detto, aveva affrontato anche aspetti finanziari di fondo in quanto fattori determinanti per la politica estera e di conseguenza per lo strumento bellico. Pure di 375
questo articolo l'addetto militare italiano operava una chiara cd esauriente analisi. Il problema del debito di guen-a era affrontato nelle due diverse forme , quello nazionale e queJlo verso gli Stati Unili, individuando quest'ultimo come quello di più preoccupante natura. Durante la guerra I'Inghilte1rn aveva contratto con gli Stati Uniti un prestito di 1.000 milioni di sterline, inviando inoltre forti quantità di oro a New York; in seguito, il cambio con gli USA era peggiorato di circa 100 milioni l'anno. Un generoso accordo fra gli alleati sarebbe stato quello che avesse indotto quest'ultima nazione ad annullare il debito di guerra dell'Inghilterra nei suoi confronti, consentendole di annullare a sua volta una corrispondente parte del debito contralto verso di essa da patte della Francia, della Russia e dell'Italia. Ancora migliore sarebbe stato il principio, irraggiungibile nella realtà pratica, di riconoscere per tutti gli alleati la parità dei sacrifici compiuti stabilendo un equilibrio fra il denaro speso e le perdite ed i danni sofferti, cosicché tutti sopportassero in misura relativa il grave onere. Ed invece di recente proprio negli Stati Uniti molte ditte avevano cominciato a darsi da fare per sfnlttarc al meglio il mercato tedesco, che prima della guerra era stato per gli inglesi il migliore sbocco commerciale all'estero, ed anche la Francia aveva seguito rapidamente l'esempio americano. Meno preoccupante era per Churchill il debito di gue1Ta nazionale, ammontante a 6.000 nùJioni di sterline, che a suo avviso non avrebbe imbarazzato più di tanto la ricchezza del Paese anche se avrebbbe potuto in alcuni casi modificare quella individuale. L'Inghilterra aveva aumentato di quella cifra i propri conti ma non aveva, in relazione, saputo creare nulla di produttivo da cui ricevere l'interesse (circa 30 milioni l'anno). Considerando infatti come un tutt' uno gli affari individuali degli inglesi, con quei 6.000 milioni di sterline era stato diluito il tesoro nazionale cd in compenso era stato ridotto il valore di qualunque altro titolo e forma di proprietà. «In sostanza, il burro disponibile è sempre lo stesso, ma deve essere spalmato sopra una quantità maggiore di pane»: questa la sbrigativa ma efficace sintesi di Churchill. Da ciò il raddoppio dei prezzi e delle paghe; sulla carta, quindi, le rendite nazionali erano di gran lunga aumentate, e da questo incremento venivano ricavate le tasse per pagare il predetto interesse. Ma comunque, affermava l'articolista, una nazione di gente intraprendente, lavoratrice e parsimoniosa non avrebbe mai potuto essere danneggiata dal peso di un debito nazionale verso sé stessa. Era chiaro, concludeva, che tutti questi problemi finanziari, con implicazioni non solo sulla bilancia commerciale ma anche sulla 376
politica estera e su quella militare, non avrebbero potuto essere affrontati e risolti da strutture a carattere privato tendenti al reciproco sfruttamento, ma solo da enti che non si combattessero a vicenda ma che fronteggiassero invece gli eventi con un indirizzo sinergico tale da condurre la spesa pubblica in una posizione rassicurante (6). All'aprile del 1920 è ascrivibile una monografia concernente l'esercito inglese nella prima guerra mondiale, un capitolo de11a quale è stato reperito senza che peraltro fosse possibile identificarne la fonte se non nella firma del compilatore, colonnello d'artiglieria Gloria. Il capitolo in questione costituiva la quinta parte di un lavoro del quale le precedenti quattro riguardavano premesse e generalità, provvedimenti per il reclutamento, notizie sull'istruzione, cenni su alcune formazioni organiche caratteristiche. Trattasi di un documento attribuibile con ogni probabilità al Servizio Informazioni del Comando Supremo e da questi elaborato, come in altri casi già menzionati, sulla scorta delle notizie pervenute dall'ufficio dell'addetto militare, e per questo, in aggiunta all'interesse del suo contenuto, ne inseriamo nella presente rassegna la componente reperita. Di essa, intitolata «Alcune note sullo spirito militare inglese in relazione alle caratteristiche della nazione», le prime quattro pagine erano riservate ad un compendio socio-psicologico dell'ambiente inglese tenendo conto di alcune sue caratteristiche più note (tradizionalismo, tendenza alla stabilità, sentimento nazionale, culto della forma), mentre in quelle successive l'esposizione riguardava i riflessi che queste avevano avuto nell'esercito durante la prima guerra mondiale (integrate da alcuni dati statistici desunti da pubblicazioni ufficiali britannichet queste ultime sono riprodotte integralmente nell'Allegato 10 (7).
2. Lo sviluppo della meccanizzazione Sul concetto di fondo che aveva ispirato le direttive contenute nella «Regolamentazione per i carri armati» emanata in Inghilterra
(6) AUSSME, El 1-107/2, senza indicazioni di prot. datati rispettivamente 1 e 18 giugno 1919, da Add. Mil. Londra a Comando Supremo - Ufficio OPR e Delegazione H. per la Pace - Sezione Militare, f.to gen. Perelli. (7) AUSSME, G25-20, monografia «Cenni sulla formazione, ordinamento e spirito dell'esercito britannico nella Grande Guerra», datata 1920 senza altre indicazioni, Lto col. m1. Gloria.
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nel 1927, e cioè l'indipendenza dei carri in fase offensiva e la loro prioritaria autonomia, pur nella concomitanza operativa, nei confronti della fanteria, si è già fatto cenno nel paragrafo relativo a11e forze corazzate tedesche. Tn effetti, l'TnghilteJTa aveva tenuto a battesimo le tendenze innovatrici riguardo aJI'impiego del carro armato, questo nuovo mezzo di lotta apparso nel settembre 1916 durante l'offensiva britannica sulla Somme, che erano state propugnate subito dopo dai generali Swinton e Fuller (8), ai quali si era associato in Francia il gen. Estienne, e che avevano avuto la loro sperimentazione pratica nell'anno successivo, e precisamente nel novembre 1917 allorché a Cambrai vennero impiegati in massa non meno di 4 70 carri che ebbero per la prima volta il ruolo di protagonosti della battaglia attraverso uno spettacolare sfondamento delle difese (non sfruttato per la mancanza di mezzi idonei a proseguire l'azione e di una adeguata dottrina tattica) destinato a ripetersi poi ad Amiens e, da parte francese, a Soissons. Anche dopo la fine del conflitto, sebbene il Royal Tank Corps fosse ridotto a soli 4 battaglioni, questo concetto di autonomia fu salvaguardato per merito dello stesso Fuller e dei generali Hobart, Lindsay, Broad e Martel nonché del giovane capitano Liddel Hart (9). Nella concezione l'impiego dei carri doveva conispondere a (8) James Frederick Charles Fuller ( 1878-1923), pioniere e stratega dell'arma corazzata, partecipò nel 1899 alla guerra del Sud Africa e dal 1915 :ù 1918 alla la guerra mondiale in Francia dove, quale ufficiale addetto alle operazioni del Royal Tank Corps programmò nel novembre 1917 a Cambrai il primo grande attacco in massa di carri. Dopo il collocamento in congedo, scrisse numerose opere di storia militare e soprattutto di tattica, esercitando una notevole influenza sul pensit:ro di un ' intera generazione di ufficiali europei. (9) Percy C.S. Hobarl, sir, nato nel 1886, grande esperto di m ezzi corazzati e sostenitore di un loro impiego non tradizionale nella guerra moderna che g li sarehbe costato il ritiro daiia vita miiitarc nel 1940 a seguito degli aspri scontri sull ' argomento con i generali Wavel\ e Wilsun. li Blitzkrieg tedesco fu la miglior controprova delle sue teorie, per cui fu richiamalo in ser vizio cd incari cato di presidiare all'addestram ento di tutte le unità carri e di dar vita ai m ezzi corazzati speciali in vista dello sbarco in Normandia nel 1944. Giffanl Le Quense Ma11el, s ir. nato nel 1889, dal 1936 «direttore assistente della meccanizzazione» presso l'Ufficio di Guen-a e dal 1940 comandante del Royal Armored Corps; nel 1943 fu capo della missione militare britannica a Mosca, ed in tale veste ehhe una larga parte nella pianificazione del grande scontro fra corazzati russi e tedesc hi svoltosi a Kursk nel luglio d ello stesso anno e conclusosi con il successo dei primi. Basi! Henry Liddcll Hart, sir (1885- 1970), fu ufficiale di fanteria nella la guerra mondiale e rimase in servizio sino al 1927 raggiungendo il grado di capitano. Dopo il 1919 andò progres sivamente formulando le proprie teorie sull'impiego de lla fanteria e delle !ruppe corazzale nella guerra moderna, una cooperazio ne ne lla quale anche una parte della prima avrebbe dovuto essere trasportata da veicoli blindati e c ingolati lasciando però alle seconde un ruolo autonomo e non sussidiario. Autore di oltre 30 opere di doUrina e storia militare, è considerato uno dei più qualificati studiosi in tali settori.
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quello delle fom1azioni navali e, come ricorda Donnari, l'immagine di una «nave terrestre» esercitò inizialmente una notevole influenza su tutta la dottrina carrista inglese (I O). Questa concezione evolutiva, però, comportò che al grande impegno nell'incremento della mobilità dei reparti non corrispondesse analoga attenzione per la potenza del loro armamento, per cui la tipologia di unità coraz,r,ate che ne de1ivò poteva sì ereditare il compito che era già stato della cavalleria tradizionale ma non era in grado di intervenire da sola e con efficacia in molte fasi del combattimento. Per quanto riguardava infine le caratteristiche dei mezzi, mettendo a fiutto le esperienze derivate dal conflitto le industrie meccaniche più progredite avevano prodotto propulsori con potenze supe1iori ai 100 HP, nuovi sistenn di trasmissione-stem1tura, cingoli a maglie corte e sospensioni a molle elicoidali, innovazioni che comportavano certamente miglior maneggevolezza e più alte velocità. Tali miglioramenti trovarono in buona parte realizzazione nel carro medio Vtcke rs M K-1, prodotto a paitire dal 1923 e rimasto a configurare sino a gran parte degli anni Trenta, in circa 160 macchine, 1'esemplare tipico di carro medio. Traeva origine da un precedente mode11o del 1921. un carro che era stato il primo di produzione britannica ad essere dotato di torretta a cupola e ruotante sui 360°, più veloce di ogni altro carro in servizio, dal potente armamento costituito da un cannone da 47 nun. Il vivace dibattito tecnico-concettuale protrattosi per tutti gli anni Venti, contraddistinto da un gamma di posizioni estendentesi daU' estremismo all-tanks di Fuller ed altri sino alla negazione di qualsiasi autonomia ed indipendenza dei carri sostenuta dai vertici militari più conservatori passando per un ventaglio di posizioni intermedie, si arrestò intorno al 1928 su quella di Liddel Hait basata sulla cooperazione fra carri ed un'apposita fanteria trasportata da veicoli blindati e cingolati, i cosidetti «marines dei carri armati». Nel frattempo, qualche aspetto delle manovre del 1925-1926 aveva indotto alla costituzione di una <<forza meccanizzata sperimentale» che dal 1927 iniziò ad operare annualmente nella piana di Salisbury, venendo aggettivata come «corazzata» nel 1928 ed assumendo fisionomia pennanente di "brigata corazzata" dal 1931. A quell'anno è riferibile una relazione dell'addetto militare a Londra ten. col. Infante (Il), titolare di quell'in(10) Donnari A., «li .:arro armalo: storia, dottrina, impiego», Roma, USSME, 1')95, pag. 18. ( 11 ) Adolfo Infante (1891-197 l), ufficiale d'artiglieria, comandante di batte,ia durante la I• guerra mondiale, da ten. col. addello militare a Londra e da generale d.i b1igata a Washington; durante la 2• guc1Ta mondiale fece parte del Comando Superiore della Libia e comandò le Divisioni Ariete in Africa Settentrionale e Pinerolo in Grecia.
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carico dal 1928 al 1932 e come tale testimone diretto dell'evoluzione inglese verso la meccanizzazione. Una parte del documento riguardava una serie di considerazioni scaturite da esercitazioni durante le quali erano stati largamente impiegati i reparti meccanizzati in tutte le loro componenti: battaglioni carri armati medi e leggeri, compagnie mitragliatrici montate su Carden Lloyd, squadroni mitraglieri, artiglieria autotrainata cd autoportata. Ne esponiamo alcuni stralci: «[. .. ] Nonostante il terreno di manovra si presentasse quasi ovunque piatto, tuttavia L'azione dei mezzi meccanizzati si è potuta svolgere in prevalenza al riparo dalla vista, sfruttando abilmente le ondulazioni del terreno e le poche zane boschive, delle quali i reparti approfittavano per riordinarsi e nascondersi. Quando il terreno era assolutamente pianeggiante, opportune cortine .fumogene, prodotte da qualche carro armato avanzato munito di bombole speciali, coprivano in pochi istanti L'intero campo di battaglia, velando alla vista del d((ensore tutto lo schieramento e l'avanzata dell' attaccante. La migliore protezione dei mezzi veniva però assicurata dal loro stesso numero e dalla loro velocità. Ali'avanzarsi veloce di centinaia di piccoli carri armati mitrar:Lieri, appoggiati da carri armati medi e leggeri, apparivano subito le condizioni di decisa inferiorità dei reparti di.fanteria ed artiglieria[... /. [. .. ] l mezzi anti-tank distribuiti alla fanteria si sono dimostrati in genere insufficienti; L'arma stessa (il cannoncino svizzero Oerlikon) per il suo peso e le sue caratteristiche non si è dimostrato il pezzo più indicato. Si è ricorso anche all'impiego di piccole bombe che venivano rapidamente disseminate davanti alle posizioni della difesa, e che scoppiando sotto la pressione del carro armato avrebbero dovuto danneggiarne i cingoli; queste piccole bomhe non hanno risposto sufficientemente allo scopo, e ad ogni modo si sono dimostrate pericolose per la difesa stessa. In linea generale la maggiore difficoltà dell'impiego dei carri armati e dei mezzi meccanizzati risiede sempre nell'azione di comando. Difficile il coller:amento con il comando del battaglione carri armati; più d~fjicile ancora quello fra il comando del battaglione ed i comandi di compagnia e fra questi ed i comandi di plotone. Per mantenere il collegamento durante l'azione si sono usate piccole stazioni radiotelefoniche sistemate nel carro armato del comando di battaglione ed in quelli dei comandi di compagnia. Sembra che i risultati siano stati soddisfacenti. Ma certo il problema dei collegamenti rimane uno dei più gravi per l 'impiego dei carri armati. 380
Per facilitare l'impiego dei carri armati si è anche, in via di esperimento, mod(ficato uno dei battaglioni costituendolo su due compagnie carri armati medi (32 carri Vickers in totale) e su una compagnia carri armati leggeri (32 Carden Lloyd). Questi ultimi, più piccoli, più rapidi e più manovrabili, avevano il compito di avanzare sulla fronte di schieramento dei carri Vickers per prendere contatto col nemico e definire le posizioni. L'impiego abbinato dei due tipi di carro sembra abbia dato buoni risultati. [. .. } Per quanto riguarda La brif?ata sperimentale di .fanteria, il battaglione carri armati leggeri, talvolta in unione con qualche compagnia mitragliatrici meccanizzata, ha permesso una azione rapida e decisiva. Si riconosce nel carro armato leggero (quando sarà definito col suo cannoncino anti-tank) l'unico mezzo e.lfìcace del quale la fanteria potrà disporre per difendersi dagli attacchi dei carri armati medi. Anche le compagnie mitragliatrici su Carden Lloyd assegnate ai battaglioni di fanteria hanno dato ottimi risultati permettendo di accompagnare materialmente l'avanzata dei plotoni .fucilieri molto meglio che non le mitragliatrici someggiate o carreggiate. Poco pratica invece, ed inf?ombrante, si è dimostrata la sezione cannoncini anti-tank rimorchiata dai Carden Lloyd». Meno positive risultavano le valutazioni di Infante circa la meccanizzazione dell'artiglieria da campagna, problema che non poteva ancora ritenersi risolto in modo soddisfacente tanto per la componente autotrainata che per quella autoportata, ed infatti proseguivano con alacrità gli studi per creare un carro armato artigliere sufficientemente leggero e manovrabile così da potersi recare dove andava al momento 1'artiglieria da campagna. Nell'insieme delle esercitazioni, gli elementi meccanizzati si erano comunque dimostrati utilissimi per rinforzare l'azione delle altre armi in tutte le fasi del combattimento. La celerità con la quale essi potevano intervenire nell'azione riduceva quasi a zero il tempo disponibile alla difesa per sistemarsi. Segnalato il nemico, l'attacco avrebbe potuto sferrarsi immediato, potente, anche se fosse stato necessario fare intervenire carri armati leggeri dislocati 15-20 km. indietro. Le esercitazioni avevano così avuto uno speciale carattere di rapidità e brevità che, anche sotto questo punto di vista, richiamava alla mente la guerra marittima ed i brevi e violenti combattimenti che la caratterizzavano. La relazione dell'addetto militare proseguiva con alcune interessanti informazioni di carattere ordinativo e dottrinario tratte da una pubblicazione militare ufficiale. Nei primi mesi del 1929, infatti, il 381
Consiglio dell'esercito aveva approvato la pubblicazione del manuale sulla meccanizzazione intitolalo Mechanized and Armoured Formations, nel quale si cercava di codificare i risultati degli studi e delle esperienze fatti negli ultimi anni in Inghilterra. Il manuale, strettamente riservato agli ufficiali di tali reparti, rappresentava un notevole contributo alla soluzione dei problemi organici e tattici derivanti dell'adozione dei mezzi meccanizzati. Il problema della meccanizzazione dell'esercito veniva infatti studiato in tutta la sua vastità. Si riconosceva le necessità di dotare largamente le truppe di rnez:r,i corazzati, ma nello stesso tempo si faceva osservare come il rapido progresso e l' evoluzione del materiale consigliassero di essere molto prudenti prima di dotare l'esercito di mezzi che avrebbero potuto essere superati dopo pochissimo tempo. Il manuale era diviso in due parli, un tecnica nella quale si esaminavano i tipi di mezzi corazzati e non al momento in uso, ed una tattica nella quale si esponevano le formazioni più convenienti ed i criteri di impiego delle unità meccanizzate, 1ibadendo il concetto generale vigente e cioè quello della massima elasticità organica per poter aderire perfettamente e prontamente alle molteplici esigenze del vasto impero britannico. Come grande unità di manovra veniva indicata la brigala, per la quale si prevedevano due tipi fondamentali: a) brigate mobili, comprendenti la brigata di cavalleria e la brigata leggera corazzata; b) brigate di combattimento, comprendenti la brigata di fanteria e la h1i gata media corazzata. La brigata di cavalleria sarebbe stata costituita da tre reggimenti di cavalleria e da una batteria meccanizzata di ohici da 37 pollici (94 mm.). Sarebbe stata impiegata per i compiti normali di esplorazione e ricognizione lontana in quei terreni nei quali gli automezzi non avrebbero potuto muoversi agevolmente. La brigata leggera corazzata avrebbe compreso: 2-3 battaglioni di carri armati leggeri, una batteria di carri d'a1tiglieria, una batteria corazzata antiaerea, un reggimento autoblindomitragliatrici (eventualmente); sarebbe stata stata destinata, indipendentemente od in cooperazione, con la cavalleria nell'esplorazione lontana. La brigata di fanteria sarebbe stata costituita (se le esperienze in corso avessero dato risultati favorevoli) da: 3 battaglioni di fanteria, un battaglione di carri armati leggeri, una batteria di carri armati lanciabombe; sarebbe stata soprattutto impiegata per coprire e facilitare l'avanzata delle brigate corazzate medie. 382
La brigata corazzata media sarebbe stata formata da: un battag1ione di carri armati medi, 2 battaglioni di carri armati leggeri, 2 batterie di carri armati d'artiglieria, una batteria corazzata an tiaerea; avrebbe costituito il più potente elemento offensivo. Due o più brigate di cavalleria con due o più brigate leggere corazzate avrebbero potuto essere riunite insieme e formare una divisione mobile. Così pure brigate di fanteria, con l'aggiunta di artiglieria, cavalleria, mezzi motorizzati e meccanizzati, avrebbero continuato a costituire una divisione di fanteria. ln particolari, favorevoli condizioni di terreno si prevedeva anche l'impiego autonomo di divisioni corazzate, costituite da brigate leggere e medie. Per quanto riguardava le caratteristiche generali delle formazioni corazzate, il manuale affermava che le formazioni meccanizzate presentavano questi vantaggi su quelle normali: 1) grande mobilità nel campo tattico per la maggiore protezione; 2) conseguenti maggiori possibilità di manovra per il comando; 3) grande mobilità nel campo strategico per la maggiore velocità e resistenza dei mezzi; 4) minore vulnerabilità agli attacchi aerei ed a gas; 5) grande ascendente morale su truppe non fomite di mezzi meccamc1. Per contro, esse presentavano i seguenti inconvenienti: a) grande dipendenza dai rifornimenti e quindi necessità di essere sempre legate ad una base; b) grande sensibi1ità al terreno e quindi maggiori difficoltà d' impiego; c) necessità di personale tecnico specializzato; d) forti spese di impianto. Inoltre, per quanto riguardava l'impiego, si doveva tener presente: le varie necessità tattiche imponevano vari tipi di automezzi corazzati; soprattutto appariva prioritario poter disporre, accanto al carro medio, di un carro leggero per la ricognizione e la protezione ravvicinata; - le grandi unità dovevano essere omogenee: gli automezzi corazzati cioè, pur rispondendo alle diverse necessità, dovevano avere velocità, raggio d'azione, mobilità in terreno accidentato e caratteristiche tecniche in genere tali da poter agire insieme in ogni occasione; tranne i casi favorevoli, conveniva impiegare le uni Là meccanizzate insieme con reparti di fanteria o di cavalleria; solo eccezio383
nalmente una grande unità meccanizzata avrebbe potuto agire completamente isolata. Le conclusioni dell'addetto militare erano le seguenti: «Il problema della meccanizzazione si presenta già poderoso e grave per le sue vaste ripercussioni sia nel campo militare sia nel campo tecnico. Nel campo organico la meccanizzazione impone eserciti più piccoli e ferme più lunghe. Dato infatti il costo elevato dei mez;z,i meccanici non sarà possibile, anche alle nazioni più ricche, mantenere eserciti a vasta intelaiatura; mentre l'impiego di questi nuovi mezzi, tatticamente e soprattutto tecnicamente, richiede una truppa con cultura pnifessionale molto elevata, raggiungibile soltanto dopo molti anni di servizio. Nel campo tattico, i mezzi meccanizzati conducono ad azioni rapidissime: l'intera figura della batta,::lia terrestre viene ad essere profondamente modificata, avvicinandosi a quella della battaRlia navale. Comandanti e stati maggiori dovranno risolvere le situazioni tattiche con eccezionale prontezza: una forza meccanizzata nemica segnalata a 100-150 km. di distanza potrà in.fatti attaccare dopo 3 o 4 ore al massimo e, pur sapendone la provenienza, non sarà facile stabilire la direzione dell'attacco data L'estrema manovrabilità dei nuovi mezzi. Nel campo strategico, l'intera condotta della guerra, dfaponendo di un piccolo esercito poderosamente armato e perfettamente addestrato, potrà aspirare all'arte classica delle manovre napoletmiche. Nel campo tecnico, infine, dovrà essere particolarmente studiato il problema industriale per costruire e tenere in efficienza i mez;z,i meccanici, mantenendoli al corrente con gli ultimi perfezionamenti scientifici, e per consentire al proprio Paese lo sfruttamento eventuale di olii sintetici o di petroli nazionali per i propri automezzi. Un complesso di questioni e di nuovi problemi veramente grandiosi che, quantunque possano apparire far parte di un futuro ancora lontano, vengono in Inghilterra studiati, analizzati ed affrontati praticamente» (12). Le considerazioni del ten. col. Infante erano l'espressione di un'impostazione avanzata, modernista, del pensiero militare italiano che all'epoca non contava molti esponenti al di fuori del
(12) AUSSME, 14-66/5, senza indicazione di prot. datata 1931 daAdd. Mii. Londra a S.I.M., f.to ten. col. Infante.
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generale Grazioli (13) con le idee del quale in tema di meccanizzazione egli era pienamente aderente; ne avrebbe dato aperta esplicitazione qualche anno dopo attraverso un importante saggio nel quale affermava la necessità di creare anche nel nostro Paese forze corazzate da impiegare unitariamente, con reclutamento, ordinamenti e compiti del tutto specifici. La riprova di come avesse elaborato le osservazioni dalla sua esperienza inglese era data dal suggerimento di affidare il trasporto delle armi di reparto, delle munizioni di prima linea e dei servizi ad un piccolo trattore corazzato a cingoli che riecheggiasse il carrier britannico, e quello di costruire carri speciali (comando, collegamento, artiglieri, antiaerei, gassogeni, ecc.) utilizzando gli stessi chassis dei can-i da combattimento (14). 3. La problematica italo-abissina
Le modalità politico-diplomatiche di fondo attraverso le quali si giunse nel 1935 al conflitto italo-etiopico sono state già esposte nel capitolo relativo alla Francia, e ad esso pertanto si rimanda. Qui ricordiamo invece come, sotto l'aspetto precipuamente militare, fu a metà aprile del 1934 che Mussolini ordinò al ministero della guerra di apprestare i mezzi difensivi e soprattutto quelli logistici (strade, baraccamenti, rifornimenti idrici, ecc.) idonei a fronteggiare in Africa Orientale qualsiasi esigenza. Prese vita così il «Progetto A.O.», che mentre prescriveva in una prima fase una difesa manovrata, in seguito prevedeva un 'azione controffensiva da sferrarsi dall ' Eritrea. Ciò comportava l'invio oltremare di un corpo di spedi zione, naturalmente tenendo nel debito conto gli
(13) Prancesco Saverio Grazioli ( 1869-195 1) prese parte come maggiore alla guerra italo-turca e ricoprì per due an ni l' incarico di capo dell ' ufficio politico-militare del Governatorato della Tripolitania. Rimpatriato nel 1915, pa1tecipò alla la gueJTa mondiale iniziandola nel grado di ten. col. e terminandola in quello di gen. C.A., legando il proprio nome soprnllullo al C.A.d' Assalto del quale fu il comandante e che riuniva in sé la maggior parte di quei reparti di arditi alla cui costituzione aveva tanto contribuito. Fu poi comandante del Corpo d'occupazione interalleato a Fiume, opponendosi all'azione filoslava della Francia, direllore generale delle scuole militari, sottocapo di stato maggiore generale dal 1925 al J927, comandante dell'armala di Bologna sino al 1938, data del collocamento in congedo. Artista ed umani sta di buon livello, fu particolarmente dedito agli studi storici lasciandone traccia in numerose opere di pregio. (14) Infante A., «Nuovi orizzonti della guerra terrestre. Contributo allo studio della motorizzazione e meccanizzazione in Italia», in «Rivista di artiglieria e genio», giugno 1934.
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accordi politici con funzione stabilizzante in atto con Francia ed Inghilterra e l'indifferenza della Germania tuttora concentrata sulla propria riorganizzazione interna. Ma nonostante gli accordi di Stresa e l'interesse soprattutto dell'Inghilterra a perseverare che ne era derivata, allorché questa si rese conto dell'intendimento italiano di risolvere la questione abissina in modo utile assunse un atteggiamento sempre meno conciliante in aderenza all'analoga intransigenza manifestata da Mussolini. Mentre i primi contingenti italiani sbarcavano in Africa Orientale tra l'inverno e la primavera del 1935, la situazione sembrò degenerare in settembre quando una forte squadra navale inglese fece il suo ingresso nel Meditemmeo. In realtà, non si trattò che di una manifestazione di facciata, perché l'Inghilterra, pur essendo la più decisa fra le grandi potenze ad avversare l'iniziativa espansionistica italiana, non era intenzionata ad andare oltre, al punto che i suoi comandanti in capo nell'aerea mediterranea e medio-orientale furono messi sull'avviso che, qualora l'Italia avesse messo in atto qualche atto ostile premonitore di guerra, essi avrebbero dovuto affrontare la prima fase dalle ostilità con quanto disponibile in loco. Ciò corrispondeva, d'altra parte, al carente stato di efficienza bellica della flotta britannica e del quale Mussolini era perfettamente al corrente tanto da indurlo ad accettare il rischio calcolato cd a proseguire alla realizzazione della conquista etiopica, valutando congruamente che l'Inghilterra non avrebbe avuto alcun interesse a spingere le cose alle estreme conseguenze (15). Come afferma Di Nolfo, proprio questo insieme di situazioni diplomatiche nelle quali si inseriva l'azione di Mussolini stava a dimostrare come il programmato attacco all'Etiopia, lungi dall'essere un'impresa avventuristica di un dittatore esagitato, non fosse che un gesto ponderalo che faceva leva sulla volontà di pace internazionale e sul consenso praticamente acquisito, anche se in modo indiretto, per ottenere un grande successo di prestigio. Sebbene a parole i membri della Società delle Nazioni mostrassero il più ortodosso rifiuto verso l'iniziativa italiana, in realtà ciò avveniva paradossalmente solo e proprio perché l'Etiopia era, anche grazie all'Italia, un Paese membro de11a stessa Società. Non fosse stata in questa condizione, l'azione italiana avrebbe determinato implica-
(15) Cfr. Montanari M., «Il progetto A.O. cd i suoi sviluppi», in: «Studi storico-militari 1987», USSME, 1988, pagg. 705-732.
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zioni ben diverse da quelle alle quali dette luogo e che si dimostrarono in effetli piuttosto modeste nella sostanza sebbene reboanti nella [orma. In altri tennini, ribadisce lo stesso autore, l' aggressione italiana non era considerata come un atto brutalmente contrario alle regole del diritto internazionale ma come una reazione eccessiva rispetto ad un caso discutibile (16). Pertanto, se essa comportò subito dopo l'emanazione delle sanzioni economiche, da queste furono escluse non poche materie prime di valenza strategica fra le quali, di primaria importanza, il petrolio, che da solo avrebbe potuto provocare, attraverso la chiusura del canale di Suez alle relative forniture, il blocco dell'azione italiana. Un tentativo quindi, quello della Società delle Nazioni messo in alto per frenarla od interromperla, compiuto senza convinzione; alla base di tale modo di agire convenzionale v'era anche un'altra ragione, un presupposto oggettivo che è opportuno mettere in evidenza con buona pace dei pudibondi dogmi anticolonialisti. Sino a quel momento, inrau.i, nessuna potenza coloniale aveva restituito o dichiaralo di voler restituire l'indipenden:1,a ai pmp1i r,opoli soggetti. Un volume non certo tacciabile di italofilia scritto nel 1936 dal francese La Pradelle, membro designato dal governo eliopico dalla Commissione di conciliazione ed arbitrato istituita dopo i fatti di Ual-Ual, iniziava con la seguente affermazione: «L'Afrique est un continent dominé par les Européens. Ses pouples soni soumrnis à des minorités de colom· blancs ou iovernés par'desfonctionnaries de race bianche» (17). Del complesso quadro dei rapporti italo-inglesi sviluppantisi nello scenario della questione etiopica si faceva interprete il nostro addetto militare a Londra attraverso una serie di rapporti dei quali riportiamo alcuni stralci: «{... J Dall'ulteriore svoliimento degli avvenimenti si può trarre l'impressione che l'atteggiamento della Gran Bretagna di fronte alla vertenza Italo-Etiopica non abbia subito modift.eazioni dalla linea rigida di condotta tracciata intesa a prevenire in or;ni modo un conflitto armato attraverso la Ler;a delle Nazioni la cui situazione viene ritenuta oini iiorno precaria. L'unico nuovo fattore sopraggiunto è rappresentato dal fatto che l'opinione pubblica, pur mantenedosi solidale coll'indirizzo del Governo, comincia ora
(16) Di Nolfo E., «Storia delle relazioni internazionali 1918-1922», Bari, Laterza, 1995,pagg. 196-197. ( 17) La Pradelle (de), A., «Le con nit halo -Ethiopicn », Paris, 1936, citato da Pignatelli L., «La guerra dei sette mesi », Milano, Longanesi, 1965, pagg. 27-28.
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a riconoscere con maggiore larghezza di vedute, La necessità di affrontare il vero problema alle sue origini, di cui l'attuale conflitto è ritenuta sola una delle conseguenze, e cioè quello di prendere in considerazione una migliore perequazione delle risorse economiche e naturali esistenti nel mondo, fra le potenze meno fàvorite. Sintomatico u tale riguardo è l'accenno fatto nel discorso dell' Il corrente a Ginevra da Samuel Hoare, nei relativi commenti e nelle dichiarazioni del capo dell'opposizione laburista riportate in seguito. Negli ambienti militari non ho notato una sensibile ripercussione degli attuali dibattiti di Ginevra [. ..]. [. .. ] In complesso non appaiono indizi di predisposizione atte a far supporre preparativi di partenza di unità di rinforzo oltremare se si eccellua nella zona del Northern Command, dove vari indizi fanno supporre che qualche unità della Sa Divisione abbia ricevuto istruzioni segrete di tenersi pronta. IL temporaneo allarme destato per la partenza di rinforzi per Afalta sembra dissipato, come pure un surrr.,<:sivn allarme destato dalle voci corse di misteriosi spostamenti di naviglio da guerra al completo di rifornimenti e di munizioni per far fronte a lunghi periodi di crociera. Le esercitazioni di campagna procedono col loro ritmo normale senza varianti come da programma compilato nella scorsa primavera. Le unità già segnalate e destinate ai nonna/i cambi in guarnigioni d'oltremare procedono nei loro preparativi normali data l'imminente partenza per alcuni di essi/ ... /. [... ] Il corrispondente del Times dopo aver riportato l'ordine della mobilitazione scrive che il proclama alla nazione ha creato dovunque in Italia l'impressione più profonda. Durante 13 anni di .fàscismo - egli aggiunge - si sono avute man~festazioni spettacolose, ma nulla che eguagliasse questa grandiosa adunata del 2 ottobre alla quale prenderanno parte i O milioni di italiani. «L'incertezza sulla data degli avvenimenti, l'ora drammatica nella quale esso si svolgerà, l'ignoranza sui suoi scopi precisi, accrescono l 'emozione e L'aspettativa. Chi può dubitare che questa mobilitazione all'aperto di un intero popolo, al suono delle campane e dei tamburi, eserciti un grande fascino? Essa ricorda l' antica democrazia, Le assemblee dei Comuni, la "congregatio universi populi". Il corrisp. ricorda che anche all'epoca dei Comuni la data dell'Arengo era lasciata incerta, e dipinge la prossima grande adunata delle forze .fasciste come un dialogo fra il Capo ed il 388
popolo. Dopo di aver riportato gli articoli del Giornale d'Italia, del Lavoro Fascista, e della Tribuna, il corrisp. conclude:«dagli articoli e dai commenti è jacile desumere lo scopo di questa storica adunata nazionale e il carattere che avranno le sue decisioni. Ad ogni m.odo una cosa è certa, che, cioè, il «jìat» che echer;gerà dalle Alpi all'Etna sarà unanime e spontaneo» (18). [ ... } Da conversazioni udite fra Ufficiali inglesi l'invio truppe in Libia ha seriamente preoccupato come una m.inaccia verso l'Egitto la cui difesa è ritenuta notoriamente insufficiente. Si ritiene che forze Italiane considerevoli moventi dalla Cirenaica verso il Canale di Suez rappresenlerehbero una seria minaccia alle comunicazioni imperiali Britanniche, tali da far pensare molto a quegli uomini di Stato c·h e vogliono assumersi la responsabilità di applicare sanzioni all'Italia f ... / (19). [. .. ] La supposta propaganda falla in Egitto e nel mondo arabo in r;enere contro gli interessi britannici, le misure precauzionali adollale dall'Italia nel Mediterraneo, la propaganda della slampa ("On larvate minacce ai possedimenti inglesi nello stesso mare, la dislocazione di una divisione meccanizzata al confine EritreaSudan, il successivo invio di forze in Cirenaica a minaccia dell'Egitto, la nostra allivilà nel Dodecanneso, ecc., il tutto ha valso non solo a convalidare tale attef?f?iamento antibritannico ma anche a far sorgere il timore che si volesse attentare agli interessi dell'Inghilterra nel Mediterraneo ed in Africa. L'Inghilterra, seriamente allarmata della sua posizione in Egitto, considerato come la chiave del Mediterraneo ed il ponte il passaggio fra l 'Europa ed il suo impero, ha J.:radualmente trasformato la questione abissina in questione molto più importante per i suoi interessi vitali e particolarmente in questione egiziana. È noto come da trattati l'Egitto non possa avere un esercito e come possa quindi trovarsi nella impossibilità di difendersi qualora attaccato; di qui il timore che l'Egitto potesse chiedere all 'Inghilterra il permesso di costituire un esercito che sotto la parvenza di difendere il proprio Paese direttamente, ed indirettamente l'Inghilterra, potesse servire a riacquistare la propria completa indipendenza con l'appoggio diretto od indiretto dell'Italia.
(18) A USSME, H3-39/5, prot. 489 dell' I 1.9.1935, da Add. Mii. Londra a S.l.M., f.to col. Mondadori. (19) AUSS ME, l·B-39/5, prot. 509 del 23.9.1935, da Add. Mii. Londra a S.1.M., Lto col. Mondadori.
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A calmare le apprensioni dell'Egitto ne è venuto di conseguenza l'invio delleforze navali nel Mediterraneo. Il rallentamento della tensione avvenuto in questo ultimissimi giorni è dovuto alle reiterate dichiarazioni dei due Governi Italiano ed Inglese intese ad assicurare che tutte le misure precauzionali adottate non avevano alcun carattere di minaccia e tanto meno aggressivo. Non è facile fare prognostici su quale potrà essere la soluzione di tale stato di cose, però da numerose conversazioni avute con persone di nota serietà nell'amhiente militare e giornalistico e da vari sintomi coincidenti, ho potuto farmi l'opinione che l'Inghilterra, una volta rassicurata sulla minaccia ai suoi interessi, cercherebbe di salvare il suo prestigio difronte al mondo, accontendandosi, ben inteso anche qualora si possa raggiungere il consenso unanime presso la L.N., di insign?fìcanti sanzioni di carattere economico tali da non minacciare un turbamento in Europa» f ... } (20). Il problema delle insoddisfacenti relazioni anglo-egiziane costituiv~ !'oggetto di un ;:.dtro rapporto inviato circa un mese dopo: «Il governo inglese cerca di reagire contro il d(ffitso staio di irrequietezza cercando di convincere l'opinione pubblica nazionale che malgrado tutto il popolo egiziano è decisamente a favore della Gran Bretagna, e che la propaganda italiana svolta da tempo ed intensUìcata ora in quel Paese non ha ottenuto nessun risultato positivo. L 'Eg itto non intende affatto divenire una parte dell'Impero Romano ma l'unica sua aspirazione risiede nella sua indipendenza ed è convinto che esso può ottenerla in grado niolto maggiore nelle attuali condizioni da parte della Gran Bretagna di quanto non possa ollene rla dalL 'Italia. Con tutto cù) importanti sitomi di malcontento vanno t~flìorando in Egitto, sintomi ammessi anche dalla stessa stampa inglese. Il recente aumento delle forze inglesi di guarnigione in Egitto, il trasferimento della base navale del Mediterraneo in Alessandria hanno creato la sensaz ione che l'Inghilterra stia prendendo sempre più piede in Eiillo senza curarsi di consultare direttamente o indirettamente la volontà del popolo Egiziano L... }. [. .. ] Ciò che porta del risentimento nel popolo Egiziano è il
(20) AUSSME, H3-39/5, prol. 524 del 26.9.1935, da Add. Mil. Londra a S.1.M., f.to col. Mondadori.
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fatto che esso non venne mai consultato e venga ostensibilmente trattato tuttora come uno Stato vassallo della Gran Bretagna. Mentre esso s'illudeva che il protettorato britannico fosse finito, oggi constata come esistono tuttora tracce sostanziali che dimostrano chiaramente come esso ancora sopravviva. Non appena lo spettro della guerra è di nuovo sorto recentemente e le Autorità Britanniche cominciarono a prendere le prime misure precauzionali contro eventuali attacchi, il popolo egiziano si è accorto immediatamente quanto poco progresso si fosse verificato dalla situazione del 1914 in cui il Comando Militare Inglese aveva dichiarato la legge marziale e tanto gli Egiziani con le loro proprietà vennero assoggettati ad obblighifòrzati ed a requisizioni. Nel complesso si ha la sensazione che il popolo e,?iziano sia molto insoddisfatto della politica del proprio Governo nelle relazioni colla Gran Bretagna» (21). Un altro rapporto era stato redatto alla fine di novembre del 1935, a guerra già in corso, e corrispondeva a quella fase di essa nella quale le operazioni stavano vivendo una stasi. Alla rapida penetrazione italiana che aveva portato in poco più di un mese a11a conquista di Adua, Adigrat e Maca11é, infatti, era seguito un periodo di organizzazione ed assestamento ne11a vasta regione occupata e di completamento degli effettivi e dei mezzi, preludente alla imminente presa di contatto con l'esercito etiopico anch'esso ormai completamente radunato e prossimo al graduale spostamento verso Nord. Il nostro addetto militare forniva una sintesi dell'atteggiamento dell'opinione pubblica inglese circa il conflitto, una commistione simultanea di rispetto, spavalderia e malcelato timore nei confronti dell'Italia: «Da ulteriori contatti avuti in vari ambienti con persone di ceto e classi diverse ho potuto f armi un'idea di quale sia l 'opinione pubblica della maggioranza nel momento attuale. Premetto che con qualunque persona io parli la prima frase convenzionale che mi è rivolta è quella di simpatia per il nostro Paese; continuando però la conversazione sulla questione scabrosa della nostra azione in A. O., viene immediatamente alla luce come tale simpatia equivalga a un senso di considerazione per chi essendo stretto alla
(21) AUSSME, H3-39/6, prot. 685 dell' 1..11. 1935, da Add. Mii. Londra a S.I.M., f.l o col. Mondadori.
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gola e sul punto di .w~ff<Jcare non vuol decidersi a chiedere grazia ed arrendersi. In altri termini, è convinzione generale che presto o tardi la resa deve sopraggiungere difronte all'intransigenza assoluta di questo Paese disposto a dare cinicamente successivi giri alla vite delle sanzioni economiche fino ad obbligare a desistere dall'impresa in A.O. La questione delle sanzioni - Con chiunque si parli, incluse persone del ceto popolare ed operaio, si rivela un senso di meraviglia per la resistenza, ritenuta follia, del nostro Paese contro una pressione esercitata dal mondo intero. Le attuali sanzioni non vengono ritenute sufficienti ad affrettare la fine, per cui da tutti è espressa senza reticenza La necessità di procedere a sanzioni di carattere più energico quali quelle del/' embarf?o sul petrolio e altre materie indispensabili a mantenere in e_ff'icenza il nostro esercito in Etiopia. Solo raramente si rivela qualche sintomo che rilevi la coscienza della gravità di un passo del genere che potrebbe portare a serie rnn •·e"l{E-'n7o. l') , ..., ,.,-,,,ma ~1· ~-~ "
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nell'ambito e sotto l'usbergo della Lega delle Nazioni, e che quindi una eventuale grave reazione avverrebbe da parte di uno Stato contro 52 coalizzaLifra loro. Facendo astrazione dalle frasi di cortesia personale che non possono trarre in inganno, non ho finora trovato una sola persona sinceramente convinta della iniquiLà dell 'applicazione delle sanzioni. Si ammirano tacitamente la coesione del nostro popolo, il profondo sentimento di patriottica solidarietà, lo spirito di sacrff'icio che lo anima, ma non si Lransige sulla necessità ineluttabile delle sanzioni per por fine all'attuale situazione. Da tempo nessuno più parla di blocco o di chiusura del Canale, mezzi ritenuti pericolosi ed inutili data la certezza di riuscire allo stesso scopo colla pressione economica rinforzata gradualmente e calcolata con freddo cinismo. Sulla possibilità di un con:flillo con questo Paese ho l 'impressione che nessuno vi pensi, tale è la sicurezza sulle misure difensive adottate nel Mediterraneo e la convinzione che l'Italia sarà privata, proprio nel momento del bisogno, dei mezzi necessari per far funzionare il suo strumento più potente considerato qui l'aviazione. Tutti poi sono scettici a questo proposito, ritenendo impossibile che si possa pensare ad un suicidio deliberalo ricorrendo ad un danno maggiore per evitarne uno minore. La questione militare - Mentre in un primo tempo mi venivano 392
espresse frasi di compiacimento per l'andamento brillante delle nostre operazioni in Etiopia, dopo l'attuale sosta si presta fede come a vangelo a tutti i comunicati provenienti da corrispondenti di Addis-Adeba, Harrar e Gibuti. Si sta facendo nuovarnenle slrada la convinzione delle difficoltà insormontabili della nostra impresa militare, né si presta fede ai comunicati ufficiali provenienti da Asmara e da Mogadiscio. La nostra situazione militare comincia ad essere dipinta come un vero rovescio. Non più tardi di ieri mi è stato domandato da un ufficiale quali misure avremmo adottato in Somalia per la d(fesa di Mogadiscio minacciata ormai dalle truppe di Ras Destà penetrate nella nostra Colonia. Evidentemente in tutto ciò è da notarsi la malafede per una propaganda intensiva tendenle a svalutare ogni nostra azione, ed incoraggiare l'opinione pubblica sulla necessità di persistere nella pressione economica per qffrettare il tracollo.finale. In questi giorni si parla dijjitsamente di misteriosi movimenti di truppe in Italia e del sospeso congedo di /()().()()() uomini. Non potendo precisare la portata di ciò, vengono date varie interpretazioni. Vi è chi ritiene che i movimenti di truppe dei. quali si parla riguardino solo la Libia, colla possibilità che reparti armati vengano avviati verso laJi-ontiera egiziana; altri ritengono possa trattarsi di spostamenlo lungo le frontiere settentrionali dell'llalia e particolarmente alla frontiera francese. Tutti sono d'accordo nel considerare tutto ciò come un monito sulla gravità con la quale il governo italiano considera il progetto di embargo sul petrolio e su altre materie indispensabili alla vita della nazione e dell'esercito, e come una manovra per intimidire l'opinione pubblica dei Paesi sanzionisti fendente ad evitare l'applicaz ione delle più gravi sanzioni minacciate» (22). L'ultimo rapporto riportato nella presente rassegna era datato 8 maggio J936, tre giorni dopo l'annunciata conclusione ufficiale della campagna da parte di Mussolini, ed il suo interesse risiedeva proprio nella raccolta «a caldo» delle prime reazioni degli ambienti britannici. Di esse, l'addetto militare riusciva a cogliere un aspetto di primaria importanza in una prospettiva geopolitica di più ampio respiro, e cioè la seria preoccupazione dell'Inghilterra (condivisa
(22) AUSSME, H3-39/5 prot. 795 del 29.11.1935, da Add. M.il. Londra a S.I .M , f.to col. Monùaùori.
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dalla Francia) per un'Italia destinata ad un ruolo di protagonista ne11'area mediterranea ed africana: «La strepitosa vittoria italiana che ha permesso una rapida soluzione al conflitto Italo-Abissino è finalmente ammessa, sia pure a malincuore, in tutti gli ambienti che non nascondono però la loro amara disillusione nel vedere cadere l'una dopo l'altra tutte le previsioni pessimistiche tanto au.~picate. Perfino rallegramenti mi sono giunti da persone di vari ambienti unitamente alla constatazione del fallimento della politica Britannica nei nostri riguardi. L'attitudine del War Office per quanto improntata ad un senso di sollievo per vedere giungere finalmente una soluzione, sia pure non quella desiderata, ed improntata tuttora alla massima cordialità, rimane alquanto riservata con una sfumatura di preoccupazione circa il futuro, come ho potuto rilevare da conversazioni avute con qualche ufficiale in occasione della mia vita visita di dovere al nuovo Capo di S.M. Imperiale Ten. Gen. Deverell. Le preoccupazioni prevalenti chiaramente apparse dalle domande rivoltemi, sono dovute alla incognita delle intenzioni del!' Italia sulla futura organizzazione militare dell'Etiopia colla inesauribile sorgente di truppe indigene eh'essa può rappresentare ed in vista della situazione stratef(ica di un così vasto Paese perfettamente orf(anizzato, affacciantesi al Mar Rosso ed al Golfo di Aden in punti di vitale importanza sulle comunicazioni imperiali verso l'Oriente. Anche qualche giornale ha avanzato qualche accenno, attribuendolo a preoccupazione Francese, sulle possibilità di trasferire nell'Africa del Nord un potente esercito di 200.000 Etiopi, venendo in tal modo a rompere l'equilibrio militare coloniale. In altri ambienti si sono mostrati preoccupati degli interessi Britannici in Etiopia e per quanto io abbia ricordato le ripetute assicurazioni date in proposito dal nostro Capo del Governo, il dubbio rimane tuttora. Negli ambienti popolari è subentrato un senso di sfiducia nel Governo, riconosciuto da tutti incapace di risolvere le questioni internazionali, e lo si accusa palesemente di avere ridotto il prestiRio del Paese dopo il fiasco colossale subito. In altri ambienti si continua imperterriti la linea di condotta finora seguita cercando di dimostrare come per quanto risolta con successo la questione militare, rimanga pur tuttavia all'Italia un compito colossale quale quello della pacificazione del Paese, della 394
sua organizzazione e soprattutto del suo sfruttamento; tutto ciò è ritenuto superiore alla capacità finanziaria del nostro Paese. Da ciò si deduce che la partita non è ancora completamente perduta e che l'ultima parola non è ancora detta sul risultato dell'avventura. Nell'ambiente Francese di qui, l'atteggiamento nei confronti della nostra impresa, favorevole fin tanto che essa si mostrava di lunga ed ardua attuazione, a successo compiuto ho riportato l'impressione che si sia andato un po' raffreddando al sorgere di preoccupazioni sull'avvenire degli interessi di quel Paese in Etiopia ed, in analogia a quelle Inglesi, sulle possibilità future di un predominante esercito coloniale ltaliano [. .. ]. / ... / il fronte sanzionista inglese si va sgretolando inesorabilmente ritenendosi da tutti assurdo l'ulteriore mantenimento delle sanzioni. In conclusione, di massima L'opinione pubblica ha accettato, sia pure con amarezza, il fatto militare compiuto ed è ora evidentemente preoccupata nel seguire l'atteggiamenlo che il ioverno assumerà di fronte ai molteplici problemi, in parte sopraccennali, ed inteso a rendere sia meno amara la pillola e sia a parare ogni eventuale nuovo colpo futuro che possa essere inferto agli interessi imperiali britannici. Si ammette infine esplicitamente nelle alte .,fere U;/ficiali che, mancato un atto energico (leggi guerra) da parte dell'Inghilterra fin dall'inizio della divergenza con l'Italia, reso impossibile per l'indecisione del governo e La insi~fjìciente preparazione bellica, non rimane ora che accettare il fallo compiuto correndo ai ripari per salvare la Lega mediante la sua r{!òrma. Circa la questione del Mediterraneo, a parte alcuni articoli di scrittori navali che mettono in rilievo l'aumentato pericolo e rninaccia da parte di un'Italia potente in quel mare, e l'insistenza con cui si parla della necessità di prendere in serio esame la sostituzione della rotta del Capo a quella malsicura di Suez, negli ambienti dell'Ammirai/iato si conserva la massima rise-rvatezza, dovuta in gran parte alle ripercussioni che l'indicazione attuale del governo viene ad avere per conseguenza anche sui var"i dicasteri militari» (23).
(23) AUSSME, DI-133/1, prot. 472 dcll'S.5.1936, da Add. Mii. Londra a S.I.M., f.to col. Mondadori.
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Il ge11. Adolfo lnfànte, addetto militare in Inghilterra ( 1928-1932) e negli Stati Uniti ( 1939)
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Capitolo XIII JUGOSLAVIA
1. 1930: l'ipotesi di un conflitto con l'Italia
Nel capitolo riguardante la Francia si è già avuto modo di ricordare come la fine della prima guerra mondiale avesse visto nascere l'Unione degli Slavi, della Croazia e della Bosnia-Erzegovina, sottratte all'ex impero austro-ungarico, ed aJl'inglobamento del regno del Montenegro. L'Unione, divenuta nel 1919 Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, sarebbe stata poi ufficialmente denominata Jugoslavia a decorrere dal 6 gennaio 1929. Se i vari trattati di Versailles, Saint-Germain, Neuilly ne] 1919, del Trianon e di Rapallo nel 1920 e di 'Roma nel 1924 fissarono i confini con Austria, Ungheria, Bulgaria, Italia, Albania e Grecia, lasciarono peraltro insoluto il problema interno, quello cioè di conciliare fra loro genti diverse non solo per nazionalità e lingua ma anche per religione (cattolici, grecoscisrnatici, protestanti, mussulmani). La stabilità governativa e la coesione politica erano altresì rese difficili dalle tensioni sociali fra proletariato agricolo e borghesia urbana; e quando, nel 1928, il leader del partito contadino Stefano Radic (l) venne assassinato, la situazione di stallo socio-politica e di impotenza del sistema parlamentare apparve completa. Subentrò una dittatura militare, avallata dal re Alessandro I (2), ed il regno fu diviso in 9 province o banati senza alcun riferimento a]Ja tradizione storica. Un episodio rilevanle <leHa tensione politica fu la condanna a morte del re decretata da un gruppo di croati e di altri
(J) Stefano Radic (1871-1928), uomo politico croato, ferito mortalmente il 20.6.1928 dal deputato radicale serbo Rezic durante una seduta alla Camera e deceduto 1'8 agosto successivo; nella stessa circostanza venne ucciso il fratello minore Paolo (1890-1928), anch'egli rappresentante parlamentare. (2) Alessandro I (1888-1934), figlio di re Pietro Karagjorgjevic di Serbia e di Zurka Liubitza di Montenegro, durante la ta guerra mondiale fo reggente dal 1918 sino alla morte del padre. Fu proclamato primo re dei Serbo-Croati-Sloveni il 16.8.1921, e circa un anno dopo sposò Maria di Romania dalla quale ebbe due figli, il principe ereditario Pietro ed il secondogenito Tomislavo.
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fuorusciti nel corso di una riunione tenuta in Belgio nell'eslate del 1934, e poi effettivamente eseguita a Marsiglia da un macedone il 9 ottobre dello stesso anno durante una visita ufficiale in Francia. Nonostante qualche accenno di ritorno al costituzionalismo compiuto dal successore, il princjpe Paolo Karagjorgevic che aveva assunto la reggenza stante la minore età dell'erede al trono Pjetro, le tensioni interne non cessarono e si sarebbero protratte sino al la seconda guerra mondiale. Dal punto di vista internazionale, all' inizio degli anni Trenta la Jugoslavia continuava a rappresentare, così come era stato dalla fine della ptima guerra mondjale, una pedina della politica francese nell'Europa orient,ùe. In caso di conflitto con l'Italia, sembrava certo che la Francia avrebbe concorso con non meno di 14 divisioni di fanteria e 2 di cavalleria e che avrebbe fornito alla Jugoslavia il materiale bellico occorrente alle forze mobilitabili dell'esercito e dell'aeronaulica, nonché il personale tecnico per intensificare la produzione bellica. Si sarebbe riservala il diritto di utilizzare le Bocche di Cattaro, mentre la Jugoslavia si sarebbe impegnata a porre in stato di difesa Spalato, Ragusa, Antivari e Dulcigno. Per quanto riguardava i criteri generali delle eventuali operazioni belliche contro l'Italia, mentre sino alla metà circa degli anni venti era previsto che le forze jugoslave avrebbero assunto schieramento difensivo sul meridiano di Ltija (Littai) immediatamente ad est di Lubiana, affidando a poche lruppe di copertura una prima difesa a scopo temporeggiante sulla linea di conrine, il più recente piano di operazioni prevedeva invece una tenace e prolungata difesa sull'immediata zona di confine, con il sussidio di apprestamenti difensivi organizzati in terreno montano e coperto, dove non avrebbe potuto esplicarsi la superiorità dell'artiglieria e dell'aviazione italiana. Lo stato maggiore jugoslavo considerava i'eventualità che l'Italia potesse tentare una manovra aggirante a Nord attraverso la Dalmazia e la Bosnia, ma in tutti i casi riteneva di poterla tempestivamente cd efficacemente fronteggiare. Non era escluso che, in de terminate situazioni favorevoli, la Jugoslavia potesse agire offensivamente in direzione di Trieste e di Gorizia (3). Quanto sopra esposto era integrato dalle informazioni trasmesse
(3) AUSSME, !4~64/4, senza indicazione di prol. Del 28. 1.1930, da Ufficio Capo Stato Maggiore Generale promemmia per Capo Stato Maggiore Generale, senza indicazione di firma.
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dall'addetto militare italiano a Belgrado, col. Visconti Prasca (4), basate sulle valutazioni dei vertici delle forze annate jugoslave: «Ho l'onore di trasmettere a codesto Stato Maggiore le annesse considerazioni politico-militari dell'Alto Comando e dell'ambiente militare jugoslavo per il caso di conflitto con l'Italia. Esse vennero raccolte da persona che ha estese relazioni con il predetto ambiente e contatti con personalità direttive dell'Alto Comando. Da tali informazioni e da altre concorrenti, emerge l'opinione preponderante dello Stato Maggiore del come sulla barriera delle Alpi Giulie l'esercito jugoslavo possa sostenere vittoriosamente l'urto del nostro esercito, qualora detta barriera sia saturata in tempo da un "minimum" di .forze. Superato il periodo di crisi assai breve che, in talune circostanze potrebbe permettere all'esercito italiano di far valere la sua superiorità di forze, lo Stato Maggiore S.H.S. ritiene che la fronte slovena-croata ad ovest ed a est di Luhiana debba considerarsi come intransitahile e che quindi la guerra su quella zona si trascinerebbe a lungo e pertanto, anche se localizzata all'inizio, non escluderebbe la possibilità di nuove complicazioni che ohhligherebberu l 'Italia a dividere il suo sforzo su altre fronti ed a rallentare la pressione su quello jugoslavo. La possibilità di una puntata offensiva dell'esercito jugoslavo in territorio italiano, per quanto considerata come di assai d(tficile attuazione, è stata presa in esame sulla direttrice di PostumiaTrieste. Lo stato maggiore jugoslavo ha fatto eseguire ricognizioni di alti ufficiali, anche di recente, nel marza e nell'aprile u.s., nel settore dalmata bosniaco, per riesaminare le contromisure da adottarsi difronte ad un possibile sbarco di truppe italiane in Dalmaz ia. L'Alto Comando jugoslavo, a tale proposito, mette in correlazione due circostanze: 1) La necessità assoluta per l'Italia di difendere Zara e quella meno assoluta, ma quasi inevitabile, di occupare la Dalmazia. 2) La difficoltà di sfondare il.fronte croato.
(4) Sebastiano Visconti Prasca ( l 881-1961 ), ufficiale di fanteria, partecipò alla guerra italo-turca ed al I conl1iUo mondiale, ricoprendo poi incarichi di stato maggiore e comandando la Brigala Cosseria. Pervenuto al grado di generale C.A., il 5.6.1940 fu nominato Comandante Superiore dell 'Albania, ed in tale veste condusse le iniziali operazioni sul fronle greco dal 28. 1O al 9.11.1940, allorché per il loro negativo svolgimento fu sostituito dal gen. Ubaldo Soddu e posto in congedo un mese dopo. Nell'immediato dopoguerra pubblicò un libro, /Jo aggredito la Grecia. nel quale cercò di attenuare le proprie responsabilità. O
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Le due prime circostanze obbligherebbero l'Italia a sbarcare un notevole contingente di truppe nella regione di Zara-Spalato. Queste truppe costituirebbero una testa di sbarco, in potenza, per una azione eventuale italiana attraverso la Bosnia, qualora la situazione al fronte croato sloveno non accennasse a risolversi. Ad ogni modo, la Dalmazia seltentrionale data la sua forma pianeggiante, è l'unica zona del litorale adriatico jugoslavo, che si presti per la costituzione di una grande base per le successive operazioni verso l'interno. Lo Stato Maggiore jugoslavo ritiene che L'Italia non si limiterebbe a tentare l'occupazione della Dalmazia, zona ricca di porti, ma scarsa di risorse e che dovrebbe occupare la Rosnia, regione abbondante di materie prime di ogni genere e di un lealismo jugoslavo non molto sicuro (l'ambiente militare jugoslavo ritiene che Dalmazia, Rosnia e Erzegovina costituiscano una unità economica indivisibile). Riesce interessante, circa l'argomento in questione, la notizia che lo stesso ambiente militare jugoslavo ritiene probabile che la proclamazione di un ioverno autonomo bosniaco, da parte dell'Italia, potrebbe avere per conseguenza l'attrazione della Bosnia nel/' orbita della nostra politica» (5). A quanto sopra, che già di per sé costituiva una sintesi dell'orientamento generale delle massime gerarchie militari jugoslave, erano allegate le più dettagliate argomentazioni sulle quali si fondavano le ipotesi e le valutazioni strategiche, riprodotte nell' Allegato 11. Il problema di un conflitto italo-jugoslavo era l'oggetto di un altro documento riferibile al 1929, ultimo anno di permanenza a Belgrado di Visconti Prasca, cd anch 'esso riportante le opinioni espresse àa ufficiaìi àeìio stato maggiore e dai docenti ed aii ievi della scuola di guerra jugoslava. In base ad esse, prevaleva lo stesso assunto relativo ad una guerra fra Italia e Francia sulle Alpi, e cioè che la zona di operazion i alla frontiera italo-jugoslava non avrebbe consentito di pervenire ad un risultato decisivo dal momento che non sarebbe stato possibile l 'irnpiego di grandi masse né la manovra. Le caratteristiche della zona di frontiera avrebbero consentito all'esercito jugoslavo una difesa energica e
(5) AUSSME, M3-37/2, pro!. 8622 del 15.5.1 928, da Add. Mii. Belgrado a Comando Stato M.iggiore, Lto col. Visconti Prasni.
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prolungata, sul genere di quella che l'Austria aveva opposlo ali 'Italia durante la guerra mondiale. L'esercito jugoslavo era abbasçanza forte per soslenere durante parecchi mesi il logorio di u01nini e di materiali che avrebbero richieslo le operazioni nella zona di frontiera. Lo stato maggiore riteneva che in Europa una gueITa non potesse locali:1.zarsi a lungo: perciò la Jugoslavia, resistendo per un certo tempo, avrebbe provocato il concorso armato di altre potenze e l'intervento diplomatico che avrebbe fatto cessare le ostilità. In un caso o nell'altro, ciò sarebbe equivalso ad un risultato vittorioso per la Jugoslavia poiché l'offensiva italiana non avrebbe avuto esito decisivo. Lo stato maggiore jugoslavo riteneva che in Ilalia si facessero le medesime considerazioni nei riguardi della riuscita delle operazioni nella zona di frontiera, e che perciò l'Italia, valendosi della propria incontrastala superiorità navale nell'Adriatico, avrebbe cercato di aggirare la barriera montana con un'operazione laterale nella zona rivierasca croata o dalmata settentrionale puntando in direzione della Sava ed avendo per obiettivo finale Brod. Ad ogni modo. sia con un attacco di l'ronle partenclo rlalla frontiera terrestre che con un attacco di fianco partendo dalla costa, o con attacchi combinati contemporaneamente sulle due direttrici, 1' obiettivo delle forze italiane sarebbe stato sempre la pianura della Sava. Raggiunto tale obiettivo, la situazione de11 'esercito jugoslavo alla frontiera italiana sarebbe diventata estremamente critica e rorse disastrosa. La dislocazione di un' minata in Bosnia sarebbe stata quindi predisposta per fronteggiare l'aggiramenlo dello schieramento jugoslavo alla frontiera slovena. Speciale considerazione veniva attribuita dallo stato maggiore jugoslavo alla stretta di Brod, formata dalle alture del Pauk, dalla Sava e dal1e paludi a Sud di tale fiume, quale posizione di sbarramento delle offese avversarie provenienti da Est e da Sud. Era inoltre opinione dello stesso slalo maggiore che un'avanzata italiana attraverso la Bosnia sarebbe stata coperta sul fianco destro da uno sbarco in forze a Ragusa, sulla cosla dalmata, con successiva penetrazione verso Sarajevo. La possibilità delle operazioni jugoslave era legata specialmente aJla neutralità dell'Unghe1ia, motivo per cui il governo considerava la questione dei rapporti con questa nazione come d'importanza capitale, e sarebbe stato disposto a fare ogni sacrificio e concessione per assicurarsene la neutralità. Lo stato maggiore jugoslavo riteneva altresì che la preparazione italiana fosse diretta a_sviluppare rapidamente fin dall'inizio un potente sforzo che producesse la rottura e l'aggiramento del fronte 401
e tendesse la mano agli ungheresi. Qualora tale piano italiano avesse avuto risultati favorevoli, le sorti della campagna sarebbero risultate già compromesse sia per le ripercussioni interne e sia perché il successivo, prevedibile intervento diplomatico e militare di terzi a favore della Jugoslavia avrebbe potuto rivelarsi tardivo di fronte alle forze italiane disimpegnate. In ultima analisi, ogni sforzo jugoslavo avrebbe dovuto tendere a rafforzare, con ogni mezzo e fin dal primo momento, la copertura alla frontiera e ad organizzarvi un'azione difensiva energica di efficienza crescente in corrispondenza allo sforzo italiano. Le difficoltà del terreno, la possibilità di saturare la zona di frontiera con le forze disponibili (l .300.000 uomini), l'abilità nel]' organizzare la mobilitazione occulta e nel tenerla segreta, la capacità di impiegare molte forze in tempi brevi con un minimo di organizzazione facevano ritenere allo stato maggiore jugoslavo che l'offensiva italiana si sarebbe logorata in sterili sforzi fino all' avverarsi di nuovi eventi, politici o militari, a proprio favore (6).
2. 1930: la struttura dell'esercito A prescindere dall'ipotesi di un conflitto con l'Italia, risultavano comunque di particolare interesse le informazioni circa la situazione dell'esercito jugoslavo fomite dall'addetto militare italiano. Un compendio di esse era l'oggetto di un promemoria compilato nel 1930 per il Capo di Stato Maggiore Generale dal titolare del relativo ufficio, che da circa un anno era quel ten. col. Efisio Marras già menzionato, nel grado di colonnello e poi di generale di brigata, quale addetto militare a Berlino nella seconda metà degli anni Trenta. Per quanto la completa attuazione del vasto programma militare non fosse stata ancora raggiunta, riferiva il compilatore, era indubbio che l'organizzazione militare jugoslava fosse molto progredita in ogni ramo della propria incessante attività, ricorrendo largamente all'estero per l'acquisto di materiali, sviluppando la sua industria bellica, costruendo numerosi edifici per uso militare, istituendo nuove scuole e stabilimenti, dando impulso a11 'addestramento
(6) AUSSME, M3-37/l, documento «Opinioni dello slalo maggiore e degli ambienti militari jugoslavi su alcune questioni militari e poliliche», riferibile al 1929, senza allre indicazioni.
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de11e truppe nonché all'attuazione di molti altri provvedimenti di carattere organico e logistico. Questa intensa di organizzazione non si manifestava in modo uniforme in tutto 1' organismo militare, ma progrediva per ordine di importanza dei suoi elementi costitutivi ed a seconda delle differenti c.:ondizioni locali, tanto da presentare un quadro di tonalità diverse entro il quale le unità non erano di eguale forze e composizione organica ed egualmente provviste di materiali. Questa mancanza di omogeneità non era l'ultima causa che rendeva difficile la conoscenza e r interpretazione di quanto si svolgeva nel campo militare jugoslavo. Ad ogni modo, anche in base al nuovo ordinamento promulgato il 23 settembre 1929, era possibile rilevare una differenza notevole rispetto agli altri eserciti europei caratterizzata soprattutto dal maggior contributo di uomini, materiali, risorse finanziarie e prestazioni d'opera al quale erano soggetti i cittadini jugoslavi per accrescere al massimo l'efficienza bellica del proprio paese. L'esercito jugoslavo, malgrado gli ordinamenti che avevano seguito il proclama serbizzatorc del 1919, si era conservato e si conservava essenzialmente serho: la solida inquadratura imposta dai serbi lo aveva forgiato a loro somiglianza ed essi vi avevano infuso la loro singolare mentalità guerriera, megalomane ed espansionistica. Gli uomini di governo, in particolar modo quelli dell'ambiente militare, avevano dato prove di risolutezza e di essere privi di scopi costituzionali, allo stesso modo che applicavano con assoluta severità ed intransigenza le leggi ed i regolamenti riguardanti l'ordinamento e la preparazione delle forze armate. Non si esagerava affermando che l'esercito jugoslavo era costantemente mantenuto come spiritualmente mobilitato. Lo stato maggiore sembrava essere dotato di buone capacità, comprendendo i migliori elementi della Serbia, sele:r.ionati e di notevole rendimento, ed il frutto del loro lavoro si palesava nella risoluzione del programma militare, concepito con organicità di vedute ed attuato con indubbia pralicità. Per contro, il rigido criterio seguito dallo stato maggiore di immettere nei propri quadri solo i migliori ufficiali rendeva il loro reclutamento alquanto difficoltato; al momento, il loro numero oscillava intorno a 130 elementi, un totale piuttosto esiguo che penalizzava la formazione di nuove GG.UU.
Nei vari uffici dell'ente risultavano impiegati molti ex ufficiali russi, che avevano apportato un contributo di modemilà e di larghezza di vedute. Non esisteva una dottrina militare che emanasse direttamente dalle peculiari caratteristiche del popolo jugoslavo, 403
così diverso dal latino. La scarsa produzione letteraria faceva sì che pochi fossero i testi militari jugoslavi, malgrado la Francia avesse aperto le porte di tutte le scuole e specialmente la scuola di guerra. Tuttavia, forse per un fenomeno di suggestione ambientale, lo stato maggiore era persuaso che l'esercito jugoslavo, oltre a detenere un primato in fatto di efficienza bellica, applicasse metodi di guerra e possedesse capacità nel campo tattico e strategico pari ai migliori eserciti europei. Per quanto concerneva la dottrina tattica, i principì generali della regolamentazione dell'esercito jugoslavo tendevano a mettere in evidenza i vantaggi del combattimento offensivo, unico mezzo per conseguire la vittoria. Lo spirito aggressivo doveva essere sviluppato al massimo grado; le truppe dovevano essere addestrate a passare, nel corso di un medesimo combattimento, da11' attacco alla difesa e viceversa. La manovra, intesa come impiego coordinato delle forze per raggiungere uno scopo determinato, doveva presentare sempre carattere offensivo, e tendere a strappare al nemico l'iniziativa. A questo principio andava riferito anche quello della economia delle forze: distribu:1.ione tale di mezzi da essere forti nei punti dove si voleva ottenere un risultato decisivo, e meno forti - ed anthe deboli per qualche tempo - nei settori dove si intendeva solo opporre resistenza agli sforzi nemici. La sorpresa e la decisione compensavano largamente la superiorità numerica e, se tale superiorità invece esisteva, ne aumentavano di molto il valore. La forza morale dell'esercito era considerata il requisito più importante per il conseguimento della vittoria. Lo spirito d'iniziativa doveva essere coltivato ed elevato fino all'abitudine, e l'assunzione volontaria della responsabilità doveva costituire dote precipua di un buon comandante. L'inattività sul campo di battaglia era giudicata non solo un errore, ma una colpa. Nel combattimento era stretto dovere darsi aiuto vicendevole, non perdendo però di vista il proprio compito. L'obiettivo generale del combattimento doveva essere conosciuto da tutti fino all'ultimo soldato; ciascuno doveva poi, naturalmente, essere pienamente edotto circa i1 compito che lo riguardava direttamente. Non dovevano essere nascoste ai dipendenti le difficoltà ed i pericoli del combattimento, partendo dal presupposto che un pericolo conosciuto e previsto avrebhe prodotto· effetti morali minori di un pericolo non preveduto. Nella mentalità del comando ad impronta serba, il concetto dell'occupazione territoriale nella difesa e nell'offesa aveva sempre 404
primeggiato su quello delle necessità tattiche o strategiche e del concetto operativo. Tale tendenza derivava forse dal carattere delle prime insu1Tezioni serbe contro i turchi di un secolo prima, allorché le operazioni deg1i insorti avevano avuto come scopo principale quello di preservare il territorio dall'invasione turca e dalle rappresaglie contro le popolazioni. U concetto della difesa dei 1imiti territoriali era quindi fermamente insito nello spirito de1la popolazione balcanica. L'idea della patria, nelle masse rurali che formavano la grande maggioranza delle popolazioni serbe, si confondeva con quella del «campo» (polije ). Questo spiegava la tendenza in molte campagne serbe di voler tutto «coprire». Così era stato fatto nel 1914, e I'insuccesso austriaco, oltre che alla superiorità numerica dei serbi, era attribuibile al fatto che soltanto parte delle truppe austriache avevano preso patte alla prima battaglia. La tendenza alla copertura «a cordone» era apparsa ancora maggiore nel 1915, in occasione del1' offensiva austro-tedesco-bulgara: le forze serbe erano quasi pari nel numero a quelle dei loro avversari, ma la disposizione <<a cordone» le aveva reso deboli dappertutto. L'organizzazione in atto dell'esercito jugoslavo, comunque, stava a dimostrare che quelle tendenze esistevano ancora, e la ripartizione dell'esercito in 5 armate (per quanto imposta dalle numerose frontiere con diversi Stati) verso le 5 fronti di guerra presumibili portava in sé i germi della disseminazione. Nelle guerre condotte dai serbi l'impiego delle forze non aveva rivelato un concetto coordinatore d'insieme, diretto a mantenere la libertà di manovra, ma piuttosto la preoccupazione di colmare i vuoti, rinforzare i punti deboli, svolgere delle azioni controlTensive locali che talvolta si erano trasfom1ate «naturalmente» in un'offensiva generale. Tale sistema aveva ottenuto ottimi risultati nel dicembre 1915 ed aveva condotto a11a disastrosa ritirata verso l'Albania. In particolare, secondo le vedute dell'alto comando, nel caso di un conflitto con 1'Italia il compito temporeggiante dell'esercito, la breve estensione della frontiera italo-jugoslava che avrebbe potuto essere saturata di forze, e le difficili caratteristi che topografiche del teatro d 'operazione avrebbero favorito l'impiego dei sistemi tradizionali serbi di difesa «a cordone» con riserve locali. Nel prendere in esame le caratteristiche delle varie armi, la valutazione del compilatore suJla scorta delle informazioni trasmesse dall 'addetto militare riconosceva nella fanteria la componente più solida e meglio preparata dell'esercito. Le qualità primitive proprie 405
della maggior parte dei soldati ne facevano senza dubbio un valido strumento di guerra dotato di slancio, coesione e disciplina. La propaganda di esaltazione del proprio valore faceva sì che essa credesse pienamente in sé stessa e tenesse in poco conto tutti i potenziali avversari. Si trattava di una massa ben allenata a sopportare disagi, sforzi fisici e fatiche , anche con scarso nutrimento. Naturalmente addestrata alla guerriglia, curava in modo particolare il lancio delle bombe a mano, mezzo di lotta tenuto in grande considerazione date le specifiche possibilità offerte dalle operazioni in zone boschi ve. Sul piano tattico, la fanteria jugoslava risultava efficacemente addestrata sino a livello di battaglione, mentre si rivelava meno manovriera in raggruppamenti superiori. Per quanto riguardava l'artiglieria, il lavoro di riordinamento non risultava ancora completato, pure se erano stati fatti notevoli progressi e si procedeva con continuità all'acquisto di bocche da fuoco. Le maggiori deficienze si riscontravano nelle artiglierie d' armata: le unità di pace avevano costituito l'intelaiatura prevista ed era stato formato il personale idoneo per il loro fun zionamento, ma carente era la situazione qualitativa più che numerica del materiale, sehbene si fosse fatto un notevole passo avanti con l'importazione di bocche di fuoco dalla Francia e dalla fabbrica Skoda. Il riordinamento del)' artiglieria pesante avrebbe contrassegnato l'ultima fase della riorganizzazione dell 'esercito jugoslavo, che aveva voluto dedicare le proprie attenzioni immediate alla fanteria e poi alle artiglierie leggere. L'artiglieria divisionale era invece quella che aveva compiuto i maggiori progressi, specie per quanto riguardava l'impiego tecnico, e nella quale il materiale eterogeneo ed obsoleto era stato nella quasi totalità riparato e sostituito. Ancora non rispondente alle esigenze dell'esercito era invece la situazione del genio. TI personale tecnico era insufficiente, e nei 18 mesi di ferma non poteva adeguatamente formarsi. Il materiale, per la quasi totalità, doveva essere acquistato all'estero; quello esistente, proveniva in gran parte dal disciolto esercito austriaco e dall'armata francese d'oriente, ed era in cattivo stato d'uso. Difettavano i materiali di collegamento (telegrafici e radiotelegrafici), da ponte e da mina. La Jugoslavia, però, consapevole dell'importanza di queste specialità, aveva immesso nei quadri inferiori ufficiali tecnici degli eserciti cx austriaco e russo, ed inviava all'estero personale civile e militare per specializzarsi ed acquistare materiale. Scarsa era l'importanza attribuita invece dallo stato maggiore ai can-i armati (presenti al 406
momento in numero di circa 60, tra leggeri e pesanti), per le caratteristiche del terreno delle zone di confine le quali, ad eccezione della Vojvodina, sarebbero state giudicate incompatibili con il loro impiego. L'azione della cavalleria era sostanzialmente vista in funzione esplorante, e riguardata con scarsa attenzione anche perché il reclutamento dei quadri era necessariamente limitato alle minoranze ungheresi, le sole che possedessero tradizioni, attitudini e dimestichezza ippiche. Ancora più interessanti erano da ritenersi comunque le considerazioni pervenute attraverso l'addetto militare circa gli aspetti qualitativi del personale, che riportiamo pertanto testualmente: «Gli ufficiali La maggioranza degli ufficiali è serba (per i 3/5), e quasi totalmente serbi sono i quadri più elevati e lo stato maggiore. L'uffìcialità serha rispecchia le abitudini della classe dei contadini, dalla quale proviene, e di questa presenta tutte le qualità ed i difetti. Di aspetto marziale, l'1~ffù:iale serbo porta con orgoglio l'uniforme. Di carallere chiuso, generalmente presuntuoso, spavaldo; frequenta poco i ritrovi pubblici; vive tutto compresso nel servizio, al quale attende volentieri. Gode di ascendente sugli inferiori, sa mantenere la disciplina della truppa dalla quale è generalmente benvoluto ma soprattutto temuto. La cultura degli ufficiali è ad un livello piuttosto basso perché, malgrado ogni sforzo, assai difficilmente si risolvono a studiare ed a mod{ficare le proprie idee ed i propri metodi. Il serho, sprovvisto - come sono in genere tutti gli slavi del sud - del senso critico, si accontenta dell'applicazione delle formule contenute nei manuali. La pigrizia intellettuale, oltre a crescere in genere con l'età, è aggravata dall'abitudine smodata del bere, che è propria di tutta la razza. Si nota però che L'ubriachezza non intacca il prestigio di fronte agli inferiori ed alla popolazione, essendo essa considerata con benevolenza. Al riguardo è opportuno osservare come lo stato maggiore jugoslavo tenti di combattere alacremente l'apatia intellettuale degli ufficiali, dando grande impulso alle scuole, ai corsi di pe,fezionamento, diffondendo tra l'altro gratuitamente in seno all'esercito la rivista Ratnik. Di contro agli ufficiali serbi, che presentano le caratteristiche suaccennate, esiste l'ufficialità proveniente dai vari eserciti vinti. Gli ex austriaci (sloveni e croati), sono in genere colti, di fine 407
educazione, di larihe vedute, relegati però, in buona parte, net quadri inferiori, specie tecnici; quelli dell'ex esercito russo, del pari, sono elementi di nolevole valore; mediocri, invece, quei pochissimi provenienli dall'esercito montenegrino. Fra le due categorie di ufficiali (serhi ed i provenienti dagli allri eserciti) esistono antagonismi dovuti alla loro varia precedente appartenenza statale È bene però ossen;are che questo staio di tensione, in caso di guerra, hen lungi dal generare in aperto conflitto, si appianerebbe, giacché col moltiplicarsi dei reparti e dei servizi tutti potrebbero avere un posto conveniente. Comunque, il contingente non serho va gradatarnente diminuendo. Anche oggi la maggior parte degli ufficiali dell'accademia militare sono serhi. Dal punto di vista morale, i quadri di riserva risentono di influenze politiche proprie della regione cui appartengono. I croati sono sorvegliali e guardati con qualche sospetto dalle autorità militari serhe, ma finora non risultano casi di aperta ostilità di tali elementi verso il regime. Nel complesso, dal lato pnfessionale, i comandanti di reparto delle armi cornbattenti sono buoni, specialmente fùw al grado di comandante di reggimento di fanteria, di batteria d'arliglieria, di squadrone di cavalleria; gli u:ffìciali delle specialità tecniche, provenienti dall'esercito serho, hanno scarso valore; capaci quelli che provengono dai disciolti eserciti. L'alta ufficialità presenta delle caratteristiche assai particolari. È costituita da un complesso di 1,~fficiali che in poco più di un decennio ha cmnhattuto tre guerre, e puà ritenersi selezionata, per quanto le promozioni risentano sovente dell'influenza politica. Estesa è la parentela fra di essi; questa circostanza è ritenuta come favorevole per un maggiore affiatamento dei comandanti nel campo fallico. l generali jugoslavi, ad eccezione di pochi, sono ancora di età relativamente giovane. Non si può Loro negare una esperienza di guerra, ma circoscritta alle speciali condizioni in cui si svolsero le loro campagne. Nei riguardi delle qualità fun zionali appare sensibile il distacco tra molti ufficiali generali, provenienti dall'antico esercito serbo, ed i nuovi irfficiali dal grado di maggiore a quello di generale di brigata, specialmente tra quelli di stato rrtaf?giore. Nella massima parte dei primi si nota una mentalità arretrata e sotto certi aspetti 408
irriducibile; parecchi dei secondi potrebbero figurare invece in qualsiasi esercito moderno. Lei cordialità dei rapportifra gli uni e gli altri corregge in parte tale divario e mette la tecnica acquisita dai nuovi a servizio dell'esperienza dei vecchi. La deficienz,a dei mezzi d'artiglieria (specie di medio e grosso calibro) e tecnici, coi quali combatterono le passate guerre, non ha loro permesso di assimilare in breve tempo le moderne dottrine tattiche. Essi ritengono che il proprio terreno (per quattro quinti coperto da fitto bosco, con poche strade) non consenta un largo impiego di tali mezzi. Le battaglie sostenute dall'esercito serbo furono in gene re d~fensive e controffensive e vi presero parte poche divisioni. Conoscitori informano che quando i generali serbi dovettero manovrare, cù) avvenne in modo slegato; quando nell'esercizio del loro comando dovettero qffrontare atti di iniziativa personale, si mostrarono spesso perplessi e indecisi. Per la maggior parte non sono provvisti di vasta cultura generale ed hanno cultura militare antiquata. Sono però buoni condottieri di uomini al loro comando diretto e valomsi sole.lati. Indubbiamente, L'ascensione rapida ai gradi superiori di molti elementi non dotati di necessaria preparazione tecnica non è stata scevra d'inconvenienti, ma questi sembrano compensati dal grande zelo col quale tutti attendono alle proprie mansioni. Tmilitari di truppa Nonostante che l'opera di fusione proceda nell'esercito jugoslavo con buoni risultati, l'elemento uomo non presenta ancora una spiccata un(formità di aspetto: un tipo di soldato jugoslavo al momento non esiste; bensì esistono soldati serbi nella misura di quattro decimi, croati in quella di quattro decimi, sloveni di un decimo e di altre nazionalità per un decimo. L'ingrandimento dello Stato ha così notevolmente mutata la fisionomia dell'esercito serho che ancora del tempo dovrà trascorrere prima di poter parlare di un unico tipo di combattente jugoslavo: diversità di cultura, di lingua, di indole, di coscienza nazionale d{/ferenziano le varie stirpi, per quanto l'educazione militare loro impartita, facendo leva sul sentimento di razza e l'avversione verso lo straniero da tutti profondamente sentita, riesca ad ottenere una effettiva coesione spirituale fra elementi - allo stato attuale - così poco affini. La rnassa dei soldati appartiene al ceto dei contadini. La vita primitiva dell'elemento contadino, in povere capanne sparse in impervie montagne, prive di ogni conforto, mal riscalda409
te, nelle quali quasi ignote sono le norme igieniche e le cure assistenziali, seleziona queste popolazioni agguerrendole nella lotta contro i disagi e riduce al minimo le esigenze.fisiche e morali. Il soldato jugoslavo perciò sopporta a Lungo La penuria di viveri, e si adatta a qualità scadenti di cibo. Dal punto di vista morale esso presenta una caratteristica particolare: l'assenza di sensibilità. l sentimenti d'amor famis:liare lo lasciano freddo; gli elevati sensi di altruismo e di umanità sono quasi tenuti in dispregio, quali indici di debolezza. È più portato all'odio, alla brutalità, alla violenza. Nello stesso tempo è disciplinato, remissivo, e riconosce, per atavismo, l'autorilà di qualsiasi grado; ma la disciplina non è intesa come una meditata rinuncia alla propria individualità per ragioni d'ordine superiore: è cieca espressione d'istinto. ll quadro morale del soldato jugoslavo è nel suo complesso dissimile da quello del combattenle occidentale. Però ,se moralmente è inferiore, le sue primitive qualità sono, in caso di guerra, un buon ausilio alla lotta. Il livello intellettuale del 65% della truppa è assai basso: intelligenza poco sveglia; la maggior parte analfabeti. Quindi per il soldato jugoslavo dovrebbe essere non facile l'impie,:o di mezzi e di procedimenti tattici moderni, peraltro,il suo istinto guerriero modifica alquanto le suddette qualità negative. Malgrado il suo modesto grado di cultura, il soldato jugoslavo è un ottimo fante; buono nell'impiego dell'artiglierie; meno atto per le specialità tecniche. Sul valore combattivo del soldato serbo, che caratterizza l'esercito jugoslavo, la storia delle passate guerre ci fa rilevare: nel combattimento si lancia all'assalto; è tenace nella difesa; ,\fida coraggiosamente il fuoco di fucileria, delle mitraf?liatrici; si è mostrato invece molto sensibile al fuoco delle artiglierie, specie di quelle pesanti. Nella villoria si esalta, nella sconfitta perde ogni risorsa di attività ed è accessibile al panico. L 'istruzione dei graduati, sia teorica che pratica, è molto curata. Ad essi vengono affidate le ordinarie operazioni di caserma. Per il loro ascendente sulla truppa e per le qualità professionali possedute, sono in grado di sostituire gli ufficiali subalterni anche nel comando tattico di reparto» (7). (7) AUSSME, I 4-64/4, senza indicazione di proL del 29.10.1 930, da Ufficio del Capo di Stato Maggiore Generale promemoria (ed allegati) per Capo Stato Maggiore Generale, f.to ten. col. Efi sio Marras.
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Il gen. Sehasliano Visconti ru!dt:llo :ni!ita rc in. Juxoslavia ( 1925-1930, periodo al quale si r(ferisce l'inmwgine) ed in Francia ( 1937-1939) Prf.I SC tJ.
Jugm-lavia, settembre 1937: l'addetto militare italiano, ten. col. Arturo Kellner. insieme ad ujjìcialijugoslavi durante le grandi manovre dell'esen.:ito nella rexione della Kupa
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Jugoslavia, settembre 1937: reparti ciclisti durante le stesse manovre
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Capitolo XIV POLONIA
1. Subito dopo la prima guerra mondiale In una storia di per sé già abbastanza complessa come quella della Polonia, il periodo immediatamente successivo alla prima guerra mondiale è certamente [ra i più intricati e neccessita quindi di un riepilogo sia pur breve. AJ termine del conflitto la Polonia, dopo i vari smembramenti subiti nel corso della propria storia a favore, alternativamente, di Russia, Austria e Prussia, riconquistò l'indipendenza e si dette un nuovo ordinamento dello St.ato attraverso la proclamazione della repubblica. Jòsef Klemes Pilsudski (1 ), l'alfiere dell'autonomia polacca, e lgnacy Padere\vski (2), pianista di fama internazionale, ne furono gli esponenti principali, il primo quale capo dello Stato ed il secondo come capo dei due governi di coalizione che si succedettero sino al dicembre 1919 (3). Il 23 giugno de11o stesso anno fu firmato il Trattato di Versailles con il quale venivano definivamenle stabilite le frontiere occiden-
(1) Jòsef Klernens Pilsudski (I 867-1935), agitatore socialista negli anni giovanili, fu tra i più accesi propugnatori della liberazione della Polonia da qualsiasi dominazione straniera, divenendo il capo di una struttura paramilitare sorta in seno al Partilo Socialista Polacco (P.P.S.). Alla tesla <li questa e di altre formazioni similari di volontari, le «legioni polacche», si hatté contro la Russia durante la T gucn-:1 mondiale. Dopo il crollo russo e l'invasione germanica Pilsudski, divenuto generale, non accettò la parziale autonomia politica concessa alla Polonia cx-mssa dagli austro-tedeschi, rifiutandosi di far prestare alle sue truppe il giuramento di obbedien7.a al comando gcm1anico. Arrestalo e !Ìnchiuso in fortezza, ne uscì due giorni prima dell'armistizio sul fronte francese . Nel febbraio I 919 la Costituente gli demandò le fu117,ioni di capo dello Stato. Come tale, assunto il comando dell'esercito polacco ed il grado unico di Maresciallo, diresse le operazioni contro le truppe bolsceviche. Nel 1922, dissentendo dai principi della Costituzione, lasciò il potere che riprese poi, pur non assumendo la veste ufficiale di capo dello Stato, dal 1926 alla morte. (2) lgnacy Paderewski (1860- 1941 ), pianista, compositore, trascorse gli anni della I a guerra mondiale negli Stati Uniti dove fu attivo cd autorevole propagandista della causa polacca nei vari circoli governativi e culturali. (3) Per la situazione polacca fra il 1918 cd il 1919, cfr. anche la relazione «Notizie militari e politiche sulla Polonia» datata 20.6.1919 (AUSSME, Bl, Diario del Comitato Militare Alleato di Versailles - Sezione Italiana, allegati, periodo 1-30 giugno 1919, voi. 4, 154/A). 0
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lali della Polonia senza peraltro accoglierne tutte le rivendicazioni, anche per l'atteggiamento dell 'Inghilterra che non intendeva indebolire la Germania ritenendola un utile contrappeso europeo alla Francia ed un sicuro baluardo contro la Russia sovietica. L'Alta Slesia, regione ricchissima di carbone ed una fra le più industrializzale d'Europa, ed i due territori della Masuria e della Wannia conf'inanti con la Prussia, vennero lasciati in sospeso, rimettendo la decisione se appartenere alla Germania od alla Polonia agli abitanti locali attraverso un plebiscito popolare. Danzica, l'importante sbocco marittimo sul Baltico, fu considerala come «cillà libera» con il famoso corridoio che divideva la Germania in due parti, sollo il controllo deJla Società delle Nazioni, legata da un'unione doganale alla Polonia e con accesso al mare mercé un tratto di costa di una settantina di chilometri. Fu imposta altresì alla Polonia, la cui popolazione ammontava a circa 27 milioni di abitanti, la tutela delle varie e folte minoranze nazionali rappresentate, accanto al 67% dei polacchi, da ucraini (14% ), ebrei (8,5% ), lituani (4,7%), hielorussi (3,5%) e tedeschi (2,5%), sen7.a che peraltro analoga garanzia fosse prevista per la numerosa comunità polacca residente in Prussia. Fra i territori rivendicati dalla Polonia, già appartenenti all'Austria- Ungheria, c'erano la Galizia orientale, per la quale il Supremo Consiglio interalleato concesse un'annessione venticinquennale alla quale avrebbe fatto seguito un plebiscito, ed il territorio di Cicszyn, disputato alla Cecoslovacchia, per il quale anche fu sancita una risoluzione attraverso il medesimo meccanismo consultivo popolare. Se i confini occidentali della nuova repubblica erano ormai stabiliti, restavano indefiniti quelli con la Russia sovietica. Con questa si entrò ben presto in stato di guerra, durante la quale i polacchi ebbero inizialmente la meglio ed occuparono Vilna (4), capitale della Lituania e città natale di Pilsudski, e numerose zone della Bielorussia e dell'Ucraina. Nei riguardi del1' annessione dei territori orientali, vi erano in Polonia due orientamenti diversi: il primo, che rifletteva il pensiero di Pilsudski, guardava alla costituzione di una confederazione di Stati siti ad Est dei confini nazionali (Lituania, Bielorussia ed Ucraina) che sarebbe servita ad isolare la Russia, mentre il secondo mirava soltanto ad una semplice annessione territoriale.
(4) La c ittà era variamenle im.lirnla, a seconda della lingua, come Vilnius (lituana), Vil'no (russa), Wilno (polacca) e Wilna (tedesca).
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LA BALCANI A DOPO LA
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~ Creta CARTINA N. 13 - Gli Stati Balcanici all'inizio de[?li anni Venti (da Montanari M., «Le truppe italiane in Albania, anni 1914-1939», Ronza, USSME, 1978)
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Fra la tarda primavera e l'estate del 1920 le truppe dell'Armata Rossa iniziarono una serie di azioni controffensive nel settore Nord del fronte che le p01tarono a pochi chilometri da Varsavia e Leopoli. Ma la reazione polacca non fu da meno, sviluppandosi attraverso una poderosa offensiva che costrinse i russi ad una precipitosa ritirata. Il 12 ottobre fu firmato un armistizio, perfezionato cinque mesi dopo nella città léttone di Riga da un Lrattato di pace in base al quale la Polonia acquisì un'estesa zona territoriale ad oriente abitata da bielorussi ad ucraini. Ma ad operazioni belliche ancora in corso, e proprio durante la pressione esercitata dall' Atmata Rossa nell'estate del 1920, ebbero svolgimento i plebisciti per la Masuria e la Warmia, conclusisi entrambi con un pronunciamento pressocché totale per la Germania; e sempre nello stesso pe1iodo, la Conferenza degli Ambasciatori ricorse ad un arbitrato internazionale e tracciò il confine nel territorio di Cieszyn in termini nettamente favorevoli alla Cecoslovacchia. Tre giorni prima della stipula dell'armistizio, inoltre, le truppe polacche avevano provveduto a riconquistare Vilna, persa nel luglio precedente, e tutta la Lituania centrale, che sarehhe stata definitivamente annessa alla Polonia nel 1922. Per quanto riguardava l'Alta Slesia, il 20 marzo 1921, due giorni dopo la fama del trattato di pace, si svolse il previsto plebiscito popolare sotto il controllo cli Inghi1Lem1, Francia ed Italia attraverso i rispettivi contingenti militari inviati con funzioni di polizia internazionale. Il risultato fu favorevole alla Germania per 245.000 voti su un totale di quasi 1.200.000 votanti. La popolazione polacca, per sventare una decisione ad essa contraria da parte delle potenze dell'Intesa, insorse contro i tedeschi assumendo, dopo durissimi scontri, il controllo di tutta la zona industriale. A seg uito dell'intervento degli Stati garanti , si addivenne ad un armistizio e la qu estione fu sottoposta alla Società delle Nazioni la quale, con un arbitrato internazionale che teneva conto del riscontro plebiscitario, assegnò I/3 del territorio e precisamente la zona sud-orientale alla Polonia, mentre quella nordorientale fu destinata alla Germania. Fino al 1939, all'inizio della seconda g uerra mondiale, quelli riportati sarebbero stati i confini polacchi tanto ad Est quanto ad Ovest.
2. I rapporti con l'Italia Per quanto riguardava più specificamente la posizione assunta 416
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CARTINA N. 14 - Sinte.vì grafica della campagna russo-polacca del 1920 (da Fuller ./.F.C., «Le battaglie decisive del mondo occidentale», Roma, USSME, 1988, vol. III, pag. 331)
dall 'Italia nei riguardi della Polonia prima e dopo la guerra mondiale, negli anni immediatamente precedenti il problema della sua indipendenza ebbe nel nostro Paese una certa risonanza per merito dell' attività propagandistica di apposti comitati, costituiti sia da polacchi residenti in Italia che da cittadini italiani, svolta nei confronti dell'opinione pubblica e dei circoli politici. Se nella prima fase della guerra il governo italiano evitò di assumere posizioni 417
ufficiali a favore dell'autonomia polacca, come allo di riguardo verso la Russia zarista della quale l' Italia era alleata, alla caduta di questo regime nel 1917 appoggiò le rivendicazioni indipendentiste della Polonia e riconobbe l' uffo.:ialilà rappresentativa del Comitato Nazionale Polacco che aveva sede a Parigi. Tl governo italiano riconobbe inollre definitivamente, al termine del conflitto, la nascita della nuova repubblica. Nel quadro delle trattative diplomatiche intercorse durante la Conferenza della Pace di Versailles, l'orientamento francese mirò ad inquadrare la Polonia nel pi·oprio sistema di alleanze orientali in funzione anLigerrnanica, sostitutivo della pregressa alleanza militare con la Russia zarista. In quella Conferenza, come è noto, la posizione delle tre principali potenze alleate (Stati Uniti, Ingill:erra, Francia) fu nettamente ostile ali 'Italia, e ciò valse in modo particolare per la Francia; nonostante tale atteggiamento, comunque, e sebbene i contrasti italo-francesi tendessero ad acuirsi, la Delegazione italiana ed i suoi rappresentanti in seno alle due principali Commissioni relative alla Polonia (5) continuarono a mostrarsi favorevoli nei riguardi dclfa repubblica polacca, anche se non poche riserve erano espresse circa la questione del «corridoio» di Danzica perché ritenuta potenziale attivatrice di conflittualità fra Polonia e Germania e, ancor più, perché la prospettiva di autonomia per la città baltica che ne conseguiva avrehhe potuto innescare anche quella di Fiume, che al momento era al centro di un complesso contenzioso. Inoltre, allorché nel giugno 1919 Nitti sostituì Orlando al governo, l'impronta prioritariamente economico-finanziaria del nuovo presidente del consiglio, che ne penalizzava la globale percettività politica, lo portò ad assumere una posizione relativamente critica verso il nuovo Stato polacco. Egli vedeva infatti la ricostruzione economica dell'Italia come collegata tanto alla Russia, smisurato serbatoio di materie prime, quanto alla Gem1ania, Paese tecnologicamente all'avanguardia, una sinergia nel cui contesto non sembrava esservi spazio per la Polonia alla quale
(5) Commissione sugli affari polacchi e Missione Interalleata in Polonia; nella prima l' Italia era rappresentata dal marc hese Piero Tornasi della Ton-eUa, mentre nella seconda disponeva di un rappresentante civile, l'ambasciatore G. Carlo Montagna, e di uno militare, il gcn. Giovanni Rornei-Longhena. La Missione Interalleata era deputata allo studio du tutte le questioni (pol itiche, militari, socio-economiche) polacche da sottoporre poi al Consiglio Supremo della Conferenza della Pace, nonché a far cessare le ostilità che i polacchi avevano in corso con i cecoslovacchi per il possesso del ducato di 'J'eschen, con i tedeschi per la Posnania e la Slesia e con gli ucraini per la Galizia orientale, per il che furono costituite le rispettive sottocommi ssioni di Tcschcn, Posen e Leopoli.
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quindi, pur non contestandone l'ident.ità come nazione, rifiutava di accreditare un molo-chiave di pericolosi equilibri militari. Su tale orientamento poteva aver avuto una certa influenza anche il parere negativo espresso dal capo di stato maggiore dell'esercito gen. Diaz (6) circa il concorso italiano per la costituzione di un esercito polacco. In un telegramma del 6 marzo 1919 direi.lo, al.traverso l'ufficio operazioni del Comando Supremo, al gen. Cavallero (7) nella sua qualità di presidente della sezione Militare della Delegazione italiana alla Conferenza della Pace (8), così affermava: <<Poiché tulio lascia prevedere che Francia ahhia incarico organizzare dello esercito esso assumerehhe carattere di dipendenza e non
potrebbe manifestarsi che in misura molto limitata. Dato che in Boemia ove nostro concorso militare era assolutamente preponderan-
(6) Armando Diaz ( 1861-1928), ulliciale d 'artiglieria, nel grado di capitano fu per molli anni addetto alla segreteria del Capo di Stato Maggiore, p1ima con Saletta e poi con Poilio. Prese parte da colonnello alla guerra italo-lllrca, comandando LIII regg imento di fanteri a, rientrando infine allo Stato Maggiore come caoo della scgrclcria dì Cadorna. Generale nel i914, all'inizio della prima guerra mondiale divenne capo del reparto OPR del Comando Supremo, assumendo nel 191 (1 il comando della 4(1° Divisione e venendo promosso tcn. gcn. Fu poi comandanlc del XXIII C.A., e dopo CaporcUo sost:i1uì Cadorna nella carica di Capo di Swto Maggiore dell'Esercito. Ministro della Guerra dal 1922 al 1924, in questo ultimo mmo l"u nominalo Duca della Vittoria e Maresciallo d ' llalia. (7) Ugn Cavallero ( 1880- 1943 ), ufficiale di fanteria, prese parte alla guerra italo turca ccl al primo conflino mondiale trascorso presso il Comando Supremo dove, da colonnello e poi da maggiore generale, ebbe una parte di primo piano in seno all'UITicio Opera,.io11i del quale dive11ne il capo, sovrintendendo alla pianil'icazione delle decisive bauag\ie del Piave e di Vittorio Veneto. Dopo il periodo di Versailles, lasciò il servizio per divenire direttore cenlrnle alla Pirelli. Rientralo nel 1925, fu rromirrato Souosegretario alla Guerra, avendo una parie di primo piano nell 'ela boraz ione del nuovo ordinamento dell' eserci lo del 1926. A seguilo di contrasti con fladoglio, lasciò nuovamente la vita militare per assumere la presiden,a dell'Ansaldo. Richiamalo in servizio nel 1937 e proillu~~o generale di C .A., dal l 938 al 1939 fu Coruandank Superiore in A.O. ~ Gc:nerak d'annata nel novembre 1940, dopo LITI mese subentrò a Badoglio quale Capo di Stato Magg iore Generale assumendo anche il comando delle truppe cl' Albania che tenne sino al termine della campagna di Grecia. Maresciallo d 'Italia il 1.7. 1942, fu sollevato dall'incarico nel gennaio 1943. Nei giorni successivi all 'armistizio venne rinvenuto cadavere nei locali del Q.G. tedesco in Ilalia (presso il quale era stato convocalo per l'eventuale assunzione di un comando nel quadro di una collaborazione con le forze armate germani che), vitlirna di circostanLe - suicidio? uccisione? - mai completamente chiarite. (8) La Sezione Militare della Delegazione italiana alla Conl'erenza della Pace aveva il compilo di tenere coslanlemenle informalo sui lavori della Conferenza il Comando Supremo e, dopo il 19 19, lo Slalo Maggiore dcli' Esercito. Si collegavano alla Sezione i numerosi rappresentanti militari italiani membri delle varie commiss ioni interalleate, i quali inviavano ad essa i loro rapporti informali vi che venivano ritrasmessi dalla Sezione allo Stato Maggiore Esercito. La Sezione svolgeva anche le funzioni di Sezione italiana del Comitato Militare alleato di Versailles e di Delef{azione Militare italiana della
Conunissione permanente consultiva della Società delle Nazioni.
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te cominciano a prevalere altre influenze militari e che in Romania ove nostro consorso fu con ripetuta insistenza chiesto è ora svalutato sino a non volere più nostri ufficiali, qualunque simile situazione, come in Polonia, è assolutamente da evitare. Esprimo quindi parere contrario nostro intervento. Informo che presidente consiglio col quale ho conferito condivide pienamente tali vedute. Prego comunicare generale Cavallero in risposta suo telegramma» (9). Ne11'atteggiamento di Nitti non andava neanche esclusa l'influenza esei-citata dalle considerazioni espresse dallo stesso Cavallero in merito alla definizione delle frontiere polacche. In un promemoria anch'esso del marzo 1919 il compilatore evidenziava come vi fosse la tendenza, da parte della Polonia, a ricostruire nel suo complesso l'antico regno apportando a1cune rettifiche nei riguardi delle nazionalltà confinanti in modo da accostarsi il più possibile alla soluzione storico-etnografica, espandendosi verso Occidente, rispetto all'antico regno, e cedendo invece terreno ad Oriente. A proposito delle rivendicazioni polacche, venivano esposte le ragioni a sostegno (fra le quali queHa, di natura prettamente economica, relativa al possesso del porto di Danzica e dell'intero corso della Vistola) e quelle contrarie, mettendo l'accento suJla p1iorità di una sollecita risoluzione del contenzioso confinario con Gennania e Cecoslovacchia (10). Sugli aspetti più psicosociali del Paese si soffermavano invece le relazioni compilate da due ufficiali superiori italiani che vi avevano soggiornato per qualche tempo nel mentre facevano parte, molto probabilmente, della Missione Militare italiana d'armistizio-a Vienna. In entrambe erano rilevabili alcune considerazioni a fattor comune, tra le quali la marcata, intransigente avversione nei riguardi della numerosa componente israelitica della popolazione che, molto laboriosa ed alacre, gestiva la quasi totalità delle attività commerciali del Paese; considerati germanofili ed attivatori della propaganda bolscevica, gli ebrei erano riguardati come veri e propri nemici e venivano fatti oggetto di manifestazioni di ostilità a vari livelli (11 ).
(9) AUSSME, E ll-128/1, da Comando Supremo, prot. 15560 del 6.3.1919, a Ufficio OPR stesso ente, f.to Diaz. (10) AUSSME, Ell -128/5, da Delegazione lt. per la Pace - Sezione Militare, n. di protocollo illeggibile del 12.3.1919 a Comando Supremo, f.to gcn. Cavç11lero. (11) AUSSME, El 1-128/1, relazione diretta alla Missione Militare italiana d"armistizio, senza indicazione di prol. datata Vienna, 26.7.1919, f.ta magg. Buglìone di Monale; AUSSME, Ell-128/1. senza indicazione di prot. del 30.7.1919, da Missione Militare italiana d' armistizio, f.to magg. Foà.
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A rafforzare il proprio punto di vista, il gen. Diaz, in una lettera indirìzata da Parigi al presidente del consiglio ed estesa al ministro degli esteri, ribadiva in chiusura come «per raggiungere lo scopo per la parte militare non occorre a noi sviluppare un'azione così accentuata come quella francese, né di gelosa vigilanza quale quella britannica, ma basterebbe dare degli aiuti in materiali ed in ritorno dei prigionieri come si sta facendo, e soprattutto attivare ancor più Le buone disposizioni d'animo di cui ora godiamo, dando quelle facilitazioni che ci sono possibili nei vari campi d attività. A tale scopo reputo sufficiente avere sul posto un Addetto Militare con le funzioni di collegamento. Ma per fare ciò occorre che vi sia una rappresentanza diplomatica cui appoggiare sia questo ufficiale sia gli altri enti che l'interesse del nostro Paese può suggerire di inviare» (12). Ali' inizio di ottobre del 1919 l'Italia inviò il suo primo rappresentante diplomatico in Polonia ne11a persona del ministro plenipotenziario di 2a classe Francesco Tommasini, che avrebbe protratto sino al 19.12.1923 la propria missione. Questa assunse sin dall 'inizio un orientamento favorevole alla Polonia ed alla leadership di Pilsudski, e fu basata su due presupposti, il primo dei quali implicanti una politica antiasburgiea tesa ad evitare la rinascita di tale pericoloso potentato ed il secondo fondato su un'analoga opposizione alla ricostruzione di una Russia imperiale, minaccia primaria per l'indipendenza polacca ma non trascurabile neanche per l' Italia per il suo ruolo di sostegno nei confronti dei settori meridionali dello slavismo. Dopo un periodo di raffreddamento, dovuto ali' atteggiamento non favorevole alla Polonia assunto nel 1920 dalla maggioranza degli ambienti politici e dell'opinione pubblica italiana durante la guerra contro la Russia, i rapporti fra le due nazioni tornarono ad essere improntati ad un clima di cordialità che trovò una tangibile applicazione in due importanti accordi firmati il 23 agosto del 1921, l'uno riguardante il pagamento di materiale bellico ceduto dall'Italia nel 1919 e l'altro definente una base preliminare per relazioni commerciali bilaterali, ed in una vera e propria convenzione economica stipulata il 12 maggio 1922. Ebbe seguito una proficua collaborazione industriale fra i due Paesi, della quale per l'Italia beneficiarono in
(12) AUSSME, Ell -128/1, da Delegazione Italiana per la Pace - Sezione Militare, prot. 4041 Sp. del 10.4.1919, a Presidente Consiglio e p.c. a Ministro Esteri, f.to Diaz.
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particolare l'Ansaldo, la Breda e la Spa attraverso la fornilura di materiale rotabile ed aeronautico, nonostante l'azione ostacolante della Francia che, in forza di pregressi accordi bilaterali, godeva di una prelazione sulle forniture militari alla Polonia.
3. L'addetto militare italiano a Varsavia fra il 1919 ed il 1922 Per ciò che attiene in modo specifico alle attività di carattere militare svolte dall'Italia in Polonia, un primo intervento si ehbe nella primavera del 19 l 9 attraverso l'attiva partecipazione alla costituzione in Francia dell'armata polacca al comando del generale 1-Ialler, già comandante di una delle «legioni» che nell'inverno 1914- 19 J5 si era battuta contro i russi nei Carpazi, inviando reparti formati con oltre 32.000 prigionieri di guerra austriaci di nazionalità polacca dopo averli concentrati in appositi campi di radunala nel Canavese e nel Casertano. Un ,ùtro intervento indiretto fu quel lo operato dal generale Scgrc, capo della missione militare italiana armistiziale con sede a Vienna, che nel febbraio sempre del 19 l 9 inviò in Polonia il primo convoglio ferroviario con materiale bellico nazionale cd anche catturato all'esercito austriaco, al quale ne seguirono altri per un ammontare che sino aJ febbraio 1920 superò i 30 milioni di Jire. I treni italiani, una volta scaricati, tornavano indietro carichi di legname, carbone e petrolio. Nella primavera 1919 un ufficiale alle dipendenze di Segre, il capitano Accame, si recò in varie zone delJa Polonia per un sopralluogo conoscitivoinformativo al termine del quale compilò un'interessante relazione trasmessa poi dall'ufficio operazioni del Comando Supremo alla Sezione Militare della Delegazione italiana alla Conferenza della Pace. Essa toccava una serie di argomenti, quali il conflitto polacco-ucraino, varie problematiche sociali e soprattutto gli aspetti relativi alle possibilità di penetrazione commerciale ed industriale da parte dell'Ttalia con ricadute sia civili che militari , e si chiudeva con la deprecazione della nostra assenza da uno scenario così foriero di possibilità e con la seguente raccomandazione di inviare al più presto possiblc rappresentanti diplomatici e militari. L'interesse del documento induce a riportarlo interamente nell 'Allegato 12. Le risultanze della predetta relazione concordavano con quelle del maggiore Stabile, all'epoca rappresentante italiano nella Missione Interalleata in Polonia, che infatti consigliò anch'egli il 422
sollecito invio di un· addetto militare a Varsavia. Ad alto livello, la cosa era già stata peraltro suggerita un paio di mesi prima dal sottocapo di stato maggiore dell' esercito generale Badoglio e fatta propria da Diaz nel brano conclusivo della lettera inviata ad Orlando e sopra riprodotto; e cinque giorni dopo il presidente del consiglio espresse il proprio parere favorevole per l'attuazione della proposta. Nel giugno 1919 il ministro degli esleri Sonnino, sollecitato dai vertici militari, aggiunse il proprio benestare per l'invio a Varsavia di un ufficiale che avrebbe preceduto la rappresentanza diplomatica vera e propria, ed il 19 luglio dello stesso anno è la data sotto Ht quale ebbe inizio l'attività dell'addetto militare italiano a Varsavia. Sull'operato degli addetti militari italiani in Polonia sino al 1923, ricoprenti a pieno titolo tale qualifica anche se designati con quella più elevata di «capo missione», è stato edito nel 1996 dall'Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito un volume (13) nel quale i molteplici aspetti di tale attività vengono esaminati in dettaglio, con un particolare impostazione storico-archivistica connessa alla specifi ca qualific<1 in tal se nso dell'autore che gli ha consentito, oltre all'esposizione rievocativa, anche un lavoro di riordino del carteggio relativo all'argomento custod ito presso l'archivio dello stesso Ufficio. Del volume, al quale si rimanda per gli approfondimenti, ci siamo pertanto avvalsi come preziosa traccia mientativa per una ricostruzione sintetica, in parte già effettuata nelle pagine precedenti, sulla quale inserire - in aderenza all ' obiettivo del presente lavoro - l'analisi di quella documentazione non presa in esame per esteso. 11 primo titolare dell'ufficio dell'addetto militare a Varsavia fu il colonnello d'artiglieria Umbertino Franchino, che all'atto della nomina era capo di stato maggiore della Divisione Territoriale di Bologna. Il nuovo incarico prevedeva 1'espletamento delle mansioni tipiche di ogni addeuo militare, come raccogliere informazioni sulla situazione politico-militare del Paese di assegnazione (e, neJ caso in questione, anche di quelli limitrofi quali la Rus sia, l' Ucraina ed i Paesi Baltici) e patrocinare, nei limiti delle proprie attribuzioni, lo stabilirsi di buone relazioni politiche ed economiche; in più, il Franchino avrebbe dovuto supervisionare i trasporti ferroviari di materiale bellico provenienti dall'Italia. La mancanza
(13) Gionfrida A. , «Missioni e addetti militari in Pol on ia ( 19 19-1923)», Roma, USSME. 1996.
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però di una rappresentanza diplomatica nazionale mise l'addetto militare in condizioni di non poter disporre degli strumenti idonei a svolgere al meglio le proprie mansioni, trovandosi a dover fronteggiare senza alcun supporto la presenza ben più efficace degli addetti militari delle due principali potenze alleate europee, Inghilterra e Francia, tutti con il grado di generale e convenientemente inseriti nell 'ambito delle rispettive ambasciate. Da rilev~tre che il 26 agosto 1919 giunse a Varsavia anche una missione dipendente daHa Direzione Generale Aeronautica del ministero dei trasporti, capeggiata dal capitano Attilio Giuliani, già pilota aviatore durante la guerra, affiancato dall'istruttore di pilotaggio tenente Giuseppe Retinò e da vario personale tecnico, con i] compito di agevolare la penetrazione dell'industria italiana del settore e di vendere alla Polonia, nel contempo, parte del materiale aeronautico nazionale divenuto esuberante con la fine della guerra. La missione fu rimpatriata il 1° giugno 1920. Il col. Franchino fu sostituito nel novembre 1919 dal generale Giovanni Rornei-Longhena, che venne inviato a Varsavia come capo di una missione militare per essere sullo stesso piano dei francesi e degli inglesi i cui addetti militari in Polonia erano due generali che svolgevano tale funzione, però, con il rango di capi di missioni militari, più elevato e quindi più consono al grado rivestito. Insediatosi nella carica il 27 novembre 1919, Romei-Longhena l'avrebbe ricoperta esattamente per tre anni, sino al 28 novembre 1923 (14). Il generale era un ufficiale di cavalleria che aveva trascorso gran parte della propria carriera nell 'Europa orientale. Distaccato a disposizione del ministero degli esteri, fra il 1904 ed il 1909 aveva vissuto una stimolante esperienza in Turchia, svolgendo una cospicua attività informativa ed elaborando approfondite analisi della complessa situazione di quel Paese durante la rivoluzione dei «Giovani Turchi» (15). Dal 1916 al 1918 aveva soggiornato in Russia quale capo della missione militare itaJiana presso il gran
(14) Sulla missione capeggiata da Romei-Longhena cfr. anche: Biagini A., «Il problema ùdla Slesia e la Missione militare in Polonia. Fonti e problemi », in «Studi StoricoMilitari 1991 », Roma, USSSME, 1993, pagg. 259-276; Biagini A., «Il generale Giovanni Romei-Longhcna», in «Memorie Storico-Militari 1983», Roma, USSME, 1984. (15) I «Giovani Turchi» era la denominazione di un movimento nazionalista e xenofobo caratterizzato da esu·ema intransigenza, che postulava l'eliminazione di ogni influenza straniera dai territori dell'impero ottomano. Era sorto nel 1908 quale manifestazione reattiva dopo l'annessione della Bosnia-Erzegovina da parte cieli' Au stria, che aveva rinfocolato il naz.ionali~mo s lavo preoccupando di conseguenza la Turchia.
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quaiiier generale zarista, mettendo in evidenza anche in questo incarico particolari doti di osservazione e valutaziòne. Testimone diretto degli eventi rivoluzionari del 1917, ne aveva rilevato le negative implicazioni,oltre che di carattere interno, anche dal punto di vista dello sviluppo della guerra europea in atto, con ri nessi più o meno diretti sulla situazione militare italiana. Nel febbraio 1919 era stato nominato rappresentante militare italiano nella Missione Interalleata in Polonia e, una volta rientrato a Parigi due mesi dopo con l'intera Missione, era stato trattenuto presso la Conferenza della Pace quale esperto militare. TI nominativo ·di R omei-Longhena era stato segnalato dal ministro della guerra gen. Albrkci a Diaz nell'agosto 1919, facendo seguito ad una richiesta avanzata in tal senso dal ministro plenipotenziario Tommasini, che come s' è già visto era stato inviato a Varsavia quale incaricato d'affari ai primi di ottobre dello stesso anno. Tra i ministeri della guerra e degli esteri erano stati precisati i rapporti che avrebbero dovuto intercorrere fra i capi delle rispe ttive rappresentanze diplomatica e militare, in base ai quali la seconda avrebbe esplicato in piena autonomia i propri tecnici informandone comunque la prima e rimanendo subordinata a11'autorità del capo di questa, unico responsabile dell'azione politica svolta in Polonia da ogni rappresentante italiano. TI gen. Romci-Longhena fu accompagnato a Varsavia dal maggiore dei bersaglieri Giuseppe Stabile, che era già stato alle sue dipendenze nel periodo della Missione interalleata in Polonia, preposto alla Sottocommissione di Leopoli. Durante questa seconda permanenza, di simpegnò le funzioni dii capo di stato maggiore della missione militare italiana, mentre quelle di aiutante maggiore in prima furono attribuite al capitano di cavalleria Mauro Paolozzi e quelle di aiutante magg iore in seconda al ten ente Ignazio Mangano. Nel giugno 1920 fu assegn ato alla missione anche il capitano di cavalleria Giuseppe Parvopassu, pilota aviatore che, come si vedrà in appresso, avrebbe svolto le funzioni di addetto aeronautico. Completavano la missione 21 fra sottufficiali ed uomini di truppa, portandone cos1 1' organico ad un totale di 26 elementi, ai quali andavano aggiunti anèhe altri tre ufficiali già presenti in Polonia nel quadro delle varie strutture di controllo create dalla Conferenza della Pace. Uno dei primi rapporti di Romei-Longhena risale al dicembre 1919, ed è un interessante resoconto in fonnativo circa la situazione interna della Russia. Quello di raccogliere notizie su questo Paese, oltre che sulla situazione politico-militare dell 'Europa orientale, era 425
uno dei compiti attribuiti alla missione militare italiana in Polonia, e nella fattispecie veniva adempiuto utilizzando le testimonianze di alcuni cittadini italiani allontanatisi dalla Russia nonché quella di ex-diplomatici e di ex-comandanti di alto rango già collaboratori di Denikin e di Kerenskij (16). I primi; rappresentanti di un ' azienda piemontese di legnami e residenti nel Paese sin dal I913, avevano riferito come, nelle zone da loro abitate e poi attraversate per raggiungere la Polonia, il nuovo corso politico aveva fatto sì che tutte le principali cariche burocratico-amministrative rossero tenute da ebrei e che per i contadini ai quali erano stati dati in proprietà terreni, foreste e pascoli tale possesso fosse solo fittizio, in quanto le autorità civili e l'Armata Rossa ritiravano loro i ptodotti della terra, il bestiame e spesso anche il vestiario. Di conseguenza, i contadini avevano cessato di coltivare i terreni e, per sottrarsi alle continue vessazioni ed all'arruolamento forzato , si riunivano in gruppi rifugiandosi nei boschi e vivendo di caccia e saccheggi. Le l'errovie avevano cessato quasi completamente di funzionare per mancanza di combustibile, e per la stessa ragione le industrie erano completamente paralizzate. Le condizioni economiche risultavano quindi molto difficili per i prezzi proibitivi dei generi di prima necessità; la moneta cartacea circolante era abbondan ti ssima, ma avevano valore solo i rubli del vecchio regime zarista in quanto nessuno voleva accettare la nuova valuta bolscevica. Era in circola:1.ione molto oro, ma esclusivamente nelle mani degli ebrei. Riguardo all'Armata Rossa, il rapporto di Romei riferiva come, oltre agli clementi russi, essa fosse coslituita da ex prigionieri tedeschi, austriaci, ungheresi ed anche da alcuni italiani, i quali avrebbero richiesto di essere anuolati per aver modo di tirare avanti ma di attendere solo il momento propizio per disertare. I soldati erano per lo più privi di uniforme, ed il loro vettovagliamento avveniva a
(16) Anton I. Dcnikin, generale russo che nell'estate 1918, durante la gucm1 civile iniziata nel Pac~c nella primavera precedente (dopo la pace di Brest-Litowsk che aveva imposto al governo sovietico la rinuncia agli Stati baltici, alla Finlandia. alla Polonia orientale cd all'Ucraina) sollo l'impulso delle spinte centrifug he delle vmic nazionalità e dei movinicnti controrivoluzionari, si mise a capo di un 'armata «bianca» operante in Ucraina e nella Russia meridionale; Alexandcr F. Kcrcnskij , avvocato, capo dell'ala destra de i socialisti rivoluzionari e vice-presidente del «Soviet» (Consig lio) sorto il 12.3 .1917 dall'agitazione operaia di Pietrogrado che segnò la nascila del movime nto bolscevico in Russia. Nel maggio dello stesso anno fu ministro dell a guerra nel secondo ministero di coalizione. e nel luglio successivo presiedette il terzo, cercando invano, nei primi giorni della rivoluzione d'ottobre , di riprendere il controllo della situazione di fronte ali' insurrezi one o rmai dilagante.
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mezzo requisizioni e saccheggi. Negli ultimi tempi era stata indetta la mobilitazione degli adolescenti dai 13 ai 16 anni ma, dato che nessuno si presentava spontaneamente, reparti de.li' esercito rosso circondavano i paesi e reclutavano gli interessati con la forza, incendiando le abitazioni di coloro che si erano già rifugiati nelle foreste. L'Armata Rossa era inquadrata in parte da ufficiali russi, ma soprattutto da individui che nella loro qualità di capi rivoluzionari si erano fatti nominare ufficia li dagli stessi soldati; spesso però avveniva che, a breve scadenza, fossero destituiti dalle medesime truppe e t,ù volta anche fucilati (17). Nel febbraio 1920 Romc:i-Longhena riferiva su quanto emerso da una lunga conversazione avuta con il generale Hcnris, capo della missione militare l"rancese, al rientro di questi da un viaggio a Parigi dal quale aveva tratto l'impressione che le Potenze dcll 'Intesa non si rendessero adeguatamente conto della difficile si tuazione nella quale si trovava la Polonia, soprattutto in merito ai pericoli che la ripresa delle rel azioni con la Russia avrehhe potuto s~11~pr~rt:-!re f~c(';ndn dc! popol8 po!acco u:-; bc.r:;,lglio prioritario per ia propaganda bo lscevica. Romei-Longhena concordava con le vahltazionj del suo omologo aggiungendo come, a parte g1i aiuti materiali, fosse indispensabile fornire alla Polonia un valido sostegno morale non dandole la sensazione cli essere abbandonata ed isolata. Seguivano poi alcune considerazioni sull'esercito polacco: «[. .. ] L'esercito polacco si è formato nelle condizioni più critiche , cioè mentre era obbligato a combattere. Tale stato di cose ha reso lenta e d?!fìcile l'opera di riorganizzazione e difusione che mi è stata C?ffida!a, opera che non poteva svo[f;ersi che sulle poche unità che restavano in riserva, le quali dopo brevissimo tempo erano anch'esse chiamate in linea per le impellenti necessità d'una guerra combattuta su variefi-onti. Nonostante tali dUficoltà si è potuto applicare nell'esercito polacco un reiolamento tecnico il quale, se ha carattere provvisorio perché i regolamenti definitivi risultanti dall'esperienza della guerra non possono ancora essere compilati, serve intanto a dare un'unità di indirizzo all'azione fallica delle singole armi. Si è compiuta la fusione amministrativa, parificando il trattamento economico degli ufficiali e dei soldati che prima era disparatissimo a
(17) AUSSME, Ell-57/7, prot. 187 del dicembre 1919, da Missione Militare It. Polonia a Comando del Corpo di Stato Maggiore, f.to gcn. Romei.
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seconda della provenienza delle varie unità che hanno costituito l'attuale esercito polacco. Si sta ora unificando la legislazione delle pensioni. È allo studio un regolamento per l'avanzamento, che però dovrebbe essere preceduto da una revisione dei gradi. La scuola di guerra, di cui ora si è compiuto il primo corso, ha dato risultati soddisfacenti nonostante le necessità di mantenere lontani dalle truppe combattenti il minor numero possibile di ufficiali. A fianco degli insegnanti francesi, abbiamo posto ufficiali polacchi scelti fra coloro che danno maggiore affidamento di poterli pòi sostituire nell'insegnamento. ll soldato polacco è sobrio, disciplinato ed animato da patriottismo; in complesso, un buon soldato. Deficienti sono per ora i quadri. I migliori ufficiali sono quelli provenienti dall'esercito tedesco; ma sono pochi e non occupano gradi elevati, perché è stata costante cura della Germania fare in niodo che gli ufficiali di origine polacca non potessero raggiungere alti iradi. Buoni sono pure gli ufficiali provenienti dall'esercito austriaco; ma un falso amor proprio, · che è loro tradizionale, li rende restii ad accettare regolamenti e principi che non siano quelli del loro ex-esercito. I più numerosi sono gli ufficiali provenienti dall'esercito russo, ma valgono poco. Meno buona è la situazione per quanto riguarda i sottufficiali. Giova ricordare che anche in tali condizioni l'esercito polacco ha lenuto lesta al nemico su varie fronti, ed è passato anche ad una fortunata offensiva. In principio mancava tutto, ed il soldato era e:,,posto a vere sofferenze, specie quando sono sopravvenuti i primi freddi autunnali. Eppure è rimasto disciplinato e non si è lasciato sedurre daifalsi miraggi bolscevichi. Gli aiuti del/ 'Intesa, fra cui importantissimo l'invio di artiglieria dall'Italia, hanno permesso di superare la crisi. Ora le condizioni sono migliorate, ma vi sono necessità alle quali urge provvedere in vista delle prossime operazioni primaverili, e metto in prima linea le munizioni, i mezzi di traino e le calzature. Né vanno dimenticato i mezzi sanitari. Il tifo esantematico fa straie e decima le unità più che gli scontri a fuoco. L'esercito polacco, anche sollo tale aspetto, si trova in condiz ioni critiche perché sulla frontiera orientale, .~pecie verso il Sud, è in contatto con popolazioni infette dalle più temibili epidemie quali appunto il tifo, il colera e la peste» (18). ( 18) AUSSME, Ell-57/2 1, pro(. 183 clell' 11.2.1920, eia Missione Militare lt. Polonia a Stato Maggiore R0 Esercito e Sezione Mil. lt. Conferenza Pace, f.to gen. Romei.
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Un altro interessante colloquio era quello avuto da RomeiLonghena con il generale Sosnkowski a proposito della vittoriosa offensiva polacca in Ucraina nel 1920. Sosnkowski era un personaggio di primo piano, avendo assunto di fatto a Varsavia le funzioni del capo dello Stato Pilsudski mentre questi dirigeva le operazioni militari nel Dnieper. Come nel dialogo precedente con il gen. Henris, anche in questo riecheggiava ancora più intensa la sensazione di una scarsa sensibilità da parte dell' Europa occidentale nei riguardi della situazione polacca, che nelle parole di Sosnkowski assumeva il tono di un vero e proprio risentimento: «L'Europa occidentale dovrebbe essere molto riconoscente alla Polonia per la fortunatà offensiva intrapresa che aveva ricacciato verso Oriente il pericolo bolscevico. Essa invece continuava anche ora a rifiutarle oini aiuto, come lo ha rifiutato quando eravamo seriamente minacciati dall'offensiva nemica. Si direbbe che in Occidente si desidera il dilagare del bolscevismo. Una delle nostre più gravi dffficoltà tecniche proviene dalla varietà di armamento della fanteria, che ci ohhliga a provvedere sei tipi diverse di cartucce. Per rimediare a tale inconveniente abbiamo chiesto ali' Intesa di cederci parte dei fucili e delle munizioni che la Germania deve consegnarle. L'Inghilterra si oppone assolutamente; preferisce che siano dL'ìtrutte anziché ne approfitti la Polonia pét UliÒ .\·copà che interessa tutta l'Europa. Non passerà molto c:l~e. l'lnt~sa, especialmente l'Inghilterra, comprenderà di aver errato' ~ifiittaridoci pgni concorso.nella lotta contro il bolscevismo. Noi p erdevamo la cosa più pràiosa, il sangue dei nostri figli, e ci esponevamo a/pericolo maggiore, quello di vedere invaso ii nostro suolo dalle orde bolsceviche. Ali 'Intesa non chiedevamo che l'appoggio morale ed il concorso finanziario. E l'uno e l'altro ci sono stati negati. L'appoggio morale, più che in nostro favore, sembra ora protendere verso i nostri nemici. E tutto questo per inseguire il miraggio di un ipotetico benejicio economico. L'Intesa crede di trovare in Russia un immenso granaio che fornirà subito. e senza parsimonia viveri alle sue popolazioni e minerali alle sue industrie. Ma qui sta l'errore. Sono apprezzamenti, codesti, di gente che non conosce la Russia. Noi che la conosciamo, sappiamo quanto sia d(tficile .~fruttare le sue ricchezze agricole e minerarie, a causa delle enormi distanze, delle vastissime estensioni, della povertà della rete stradale e dei mezzi di trasporto. Tali difficoltà sono ora centuplicate dalla profondissima disorganizzazione del regime bolscevico. Aggiungasi che l'esportazione di grani e di 429
minerali, ossia di quanto può servire a ravvivare la vita economica ed industriale degli Stati borghesi d'Occidente, è contraria ai canoni fondamentali del bolscevismo; sarà perciò ostacolata in tutti i modi dal governo di Mosca, nonostante le promesse che ora sta facendo nel!'intento che le frontiere delle nazioni del!' Intesa siano più facilmente aperte alla sua propaganda [. .. ]. L... } Ad ogni modo noi proseguiamo la nostra via, sicuri di rendere un grande servigio a tutti i popoli civili. Anche senza l'aiuto dell'Intesa abbiamo sbara{?liato le armate dei Soviet e siamo giunti dove volevamo giungere. Lenin e Trotzky proclamano ora la guerra santa contro la Polonia, e ritra,~f'ormano le armate del lavoro in armate com.battenti per inviarle contro di noi. Tali minacce non ci preoccupano. Sappiamo quanto la Russia bolscevica può fare ed attendiamo fidenti. Quanto ho detto è una confidenza tull'qlj'auo personale che affido a Voi, che so arnica del nostro Paese» ( 19). Nella tarda primavera del 1920 si svolse a Varsavia una Conrercnza tra finlandesi, lettoni, polacchi e romeni onde prendere accordi per iniziare lrallaliw~ di pace con il governo di Mo-:ca. Nonostante il rigoroso riserbo mantenuto dai delegati dei quattro Paesi , Romei riuscì a stabi lire un contatto confidenziale con il diplomatico finlandese Gyllenbogel, incaricato d'affari in Polonia; questi aveva militato per 14 anni nell'esercito russo quale ufficiale, ed aveva avuto frequenti rapporti con Romei quando il medesimo, fra il 1916 cd il 1918, si trovava presso il quartier generale zarista. Sulla base di tale pregressa l"requenlazione e del clima di cordialità che 1'aveva caratterizzata, il finlandese si lasciò andare ad una serie di interessanti considerazioni riguardanti l'orientamento politico del proprio Paese. Dopo aver premesso che se fino al dicembre 1919 l'Intesa aveva spi nto gli Stati baltici, la Finlandia, la Polonia e la Romania alla resistenza contro la Russia bolscevica, poi dal marzo del 1920 aveva cominciato a consigliare J'avvio di trattati ve di pace; ma questa, per quanto almeno riguardava la Finlandia, non avrebbe potuto essere che una pace «giusta», dal momento che nulla avrebbe preteso che non rispondesse a questo criterio. La Finlandia avrebbe potuto occupare facilmente Pietrogrado e la Carclia, ma non lo aveva fatto perché non intendeva essere più tardi accusata dalla R uss ia di averle preso con la forza
( 19) A.U SSME, El 1-57/6 , prnL g4(1 ris. del 10.5.1920. da Missione Militare It. Polonia a St;i tc> Maggiore R" Esercito e Sezione M ii. Il. Conferenza Pace, f.to gcn. Ro mei.
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ciò che essa non poteva allora difendere. La Finlandia desiderava invece che la Carelia manifestasse con un plebiscito la propria volontà, che non poteva d'altro canto essere dubbia. Né bastava che la Russia riconoscesse l'indipendenza della Finlandia, al momento asserita solo da una dichiarazione di Kerenskij affermante una completa autonomia, ma occorreva soprattutto che il governo di Mosca si impegnasse ,ù più assoluto rispetto dei suoi ordinamenti interni astenendosi da ogni propaganda sovvertitrice. Se si studiava attentamente il bolscevismo, aveva aggiunto Gyllembogel, risultava come esso non avesse allignato che nei territori prettamente russi, dal momento che le popolazioni che non erano tali avevano saputo, ed in un tempo relativamente breve, scuotere il giogo bolscevico e trovare una fomrn propria di governo. Se i popoli prettamente russi non sapevano fare altrettanto, concludeva il diplomatico finlandese, voleva dire che il bolscevismo era la forma di governo per loro più conveniente, una forma autocratica personificata tanto dallo zar come da Lenin (20). Il primo febbraio 1921 il capo dello Stato Maresciallo Pilsudski si recò a Parigi, su invito del governo francese che intendeva legare a sé, con un vantaggioso accordo politico, militare ed economico, hl giovane repubblica polacca. L'avvenimento andava rilevato non solo per la sua importanza intrinseca ma anche per la parte formale, ben diversa da quanto era solito rarsi nello scambio di visite fra capi di Stato .. Per quanto concerneva la portata intrinseca dell'avvenimento va ricordato come trn il governo di Parigi cd il Maresciallo regnasse da tempo un sordo dissidio. L'invito rivolto dalla Francia al capo dello Stato polacco stava a dimostrare il radicale cambiamento di contegno le cui lontane origini andavano ricercate nella visita del gen. Weygand in Polonia durante l 'offensiva bolscevica deli' estate i 920. Per effettuare ii suo viaggio da Varsavia a Parigi iì Maresciallo Pilsudski prescelse la via Posen-Berlino, nonostante le vive insistenze del governo francese perché egli transitasse per Praga. Era significativo tanto il rifiuto del capo di Stato polacco di transitare per Praga, qual e sintomo di rapporti tuttora tesi tra Polonia e Cecoslovacchia per la queslione di Teschen, quanto l' insistenza del governo rrancese, come espressione dell'auspicato riavvicinamento fra i due nuovi Stati slavi in funzione delle note mire egemoniche della Francia. Gli ambienti politici e g iorn alistici (20) Al/SSME, E l 1-57125. prot. e data illcgibili, da Miss ione Militare lt. Polonia a Slato Maggiore R0 Esercito e Sezione M ii. It. Conferenza Pace, f.to gcn. Romei .
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polacchi, dal canto loro, speravano che attraverso la visita si potessero realizzare completamente le aspirazioni del proprio Paese. Romei-Longhena inviò alcuni rapporti sui diversi punti di vista sotto i quali i più autorevoli circoli polacchi avevano seguito il viaggio, differenziando con sintetica efficacia le varie posizioni. I partiti di destra, contrari al Capo deJlo Stato, avevano guardato con compiacimento all'alleanza politico-militare con la Francia ma avevano cercato in tutti i modi di far sì che 1' esponente di tale alleanza a Parigi non fosse Pilsudski ma qualche personalità della loro arca tipo il Maresciallo della Dieta (21) Wojcilch Trampczynski, probabile concorrente di Pilsudski alla presidenza della repubblica. I partiti di centro-destra, favorevoli invece al capo dello Stato, avevano guardato con compiacimento all'alleanza politico-militare con la Francia, cercando di attribuire però alla cosa un carattere di esclusività, con un orientamento quindi poco incline verso l'Inghilterra c l'Italia, e ciò in contrasto ali' auspicio di buona parte dei più competenti protagonisti della vita politica affinché la visita di Pilsudski si estendesse sino a Londra ed a Roma. l partiti della sinistra moderata avevano anch 'essi plaudilo all'alleanza con la Francia la cui prima conseguenza, però, avrebbe dovuto essere l'assegnazione dell'Alta Slesia alla Polonia. Il partito socialista, infine, pur essendo favorevole al capo dello Stato, osteggiava con solidi argomenti politicomilitari la predetta alleanza, sostenendo che comuque avrebbe dovuto essere salvaguardata la reciprocità degli obblighi e dei dirilti fra i due Paesi contraenti (22). La settimana parigina di Pilsudski gettò le basi, come previsto, di accordi militari ed economici per completare i quali si erano trattenuti a Parigi i ministri polacchi della guerra degli esteri, generale Sosnkowski e principe Sapieha nonché il capo di stato maggiore generale Roswadowski. In base ad alcune notizie conri<lenziali che Romei-Longhena aveva abilmente attinto da quest'ultimo, se la convenzione militare tra Francia e Polonia era stata definitivamente concordata era pur vero che in alcuni punti, però, l'ac-
(2 1) La Dieta era l'assemblea costituente composta dai rappresentanti delle varie formazioni politiche, l' autorità sovrana e legislativa della nazione delle cui decisioni negli affari civili e militari il capo dello Stato era l'esecutore supremo, così come la designazione da parte sua del governo avveniva in base ad un accordo con la Dieta skssa. (22 ) AUSSME, Ell-1 26/2, senza indi cazione di proL. datato 18.2 .1 92 1, da S tato Maggiore R" Esercito - Rep. OPR, Uff. "E" senza indicazione del destinatario, f.Lo col. Gross i.
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cordo avrebbe corso il rischio di non poter essere raggiunto perché Pilsudski desiderava avere dalla Francia garanzie concrete e precise per il caso che la Russia avesse ricominciato la guerra contro la Polonia, mentre per contro la Francia, che su tale argomento si era mantenuta piuttosto sul vago, aveva a sua volta insistito perché la Polonia assumesse impegni ben definiti in caso di guerra contro la Germania. Solo la remissività del nùnistro della guerra Sosnkowski, sempre a detta di Roswadowski, avrebbe alla fine fatto prevalere il punto di vista francese, con notevole contrarietà da parte di Pilsudski. Un'altra notizia comunicata da Romei, assunta da fonte informativa diversa dalla precedente ma sempre nell'ambito delle alte sfere militari polacche, era che la predetta convenzione avrebhe f"atto obbligo alla Polonia di inviare verso la frontiera tedesca altre 4 divisioni in aggiunta alle 10 già ivi dislocate; ad essa seguiva la precisazione, da parte dell'addetto militare italiano, che la forza in atto delle divisioni polacche riferita all'armamento era di 6.200 fucili e 40 cannoni, dei quali 32 da campagna e 8 di medio calibro. Pur non conoscendosi ancora le condizioni definitive della convenzione, sembrava che la stessa avesse carattere permamente difensivo e che la Francia riconoscesse come frontiere orientali della Polonia quelle stabilite nei preliminari di pace finnati a Riga; era un fatto importante, sottolineava Romei, perché stava a dimostrare che, qualora tali frontiere non fossero state più riconosciute dal governo di Mosca, la Francia avrebbe dovuto impegnarsi a farle rispettare (23). Il generale Roswadowski continuò a rivelarsi una fonte di notizie preziosa perché da lui Romei-Longhena riuscì a sapere, prima che fosse resa nota, dell'alleanza polacco-romena, connotata da un carattere difensivo sotto l'aspetto politico ma offensivo sotto quelio miìitare, neì senso che in previsione di un attacco rnsso Polonia e Romania avrebbero preso l'iniziativa delle operazioni. La convenzione militare avrebbe imposto alla Romania, in caso di guerra contro la Russia, di schierare 14 di visioni. La Romania contava molto, per il completamento dell'armamento del proprio esercito, sull ' invio di materiali da parte de1J'Italia, soprattutto per quanto riguardava il parco artiglierie; secondo Roswadowski, anche la Polonia sarebbe stata interessata a11' acquisto degli stessi (23) AUSS ME. El 1- 126/2, senza indicazioni di prot. dat alo 8.3.1921, da Stato .Maggiore R 0 Esercito - Rcp. OPR, Uff. "E" senza indicazioue·del destinatario, f.to col. Grossi.
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materia]i dato che avrebbero potuto essere faci]mente instradati attraverso la Romania. L' a11eanza polacco-romena fu confermata anche dall'addetto militare it,ùiano a Bucarest, che informò inoltre come essa fosse suhordinata, da parte della Polonia, al riconoscimento del definitivo assetto delle sue frontiere orientali sia in base a delibera da parte del Consiglio Superiore Interalleato (24) ovvero in virtt1 degli accordi di Riga. Sembrava che la Romania, dal proprio canto fosse alquanto riluttante a stringere con la Polonia un'alleanza vera e propria nel timore che la stessa potesse essere interpretata come una provocazione del governo di Mosca, avesse voluto includere nella convenzione la clausola condizionale, come libera opzione ma anche dietro i suggerimenti della Francia la quale, pur impiegando tutta la propria influenza in favore della conclusione dell'alleanza, non avrebbe tralasci ato di ammonire separatamente la Romania a prendere precauzioni analoghe a quelle adottate dalla stessa Francia ncll 'accordo stipulato con la Polonia. L'addetto militare italiano a Bucarest chiuse la propria informativa adombrando la possibilità che questa prima alleanza sarebbe stata seguita da altre, con carallere t1lfensivo, che Romania e Polonia avrebbero avuto inten zione di concludere con Cecoslovacchia e Jugoslavia a11o scopo di garantirsi i rispettivi territori contro qualsiasi aggressione. ln realtà, un 'alleanza fra Romania, Cecoslovacchia e Jugoslavia era già in atto sotto la denominazjone di «Piccola Intesa»; che ad essa avrebbe aderito anche la Polonia non sembrava molto probabile, dato il dissidio con la Cecoslovacchhia per il territo,io del ducato di Teschen e le simpati e polacche per l' Ungheria, nazione contro la quale la Piccola Tntesa era precipuamente diretta . Quest'ultima considerazione faceva parte del commento del capo ufficio "E" del reparto operazioni dello Stalo Maggiore dell'Esercito, dcstinataiio dei rappo11i pervenuti da Varsavia e da Bucarest, il quale aggiungeva come fosse opportuno ricordare, ad ogni modo, che gli sforzi della Francia tendevano sempre a forma-
(24) Il Consiglio Supremo di Guam Interalleato, costituito ai primi di novembre del 1917, rappresentò il pri 1110 passo verso il comando unico delle truppe alleate nel corso del primo conflitto mondiale. Lo formarono i primi 111inist1i degli Stati belligeranti assistili da un Com it ato Mii.i lare composto dai general i Foch µer la Francia, Wilson per l'Inghiltctrn e Cadorna per l'Italia. A quest'ultimo ~uccesscro poi i generali (ìi ardino, Di Robilant, Cavallero (inlerinalmentc, perché contemporaneamente anche presidente della Sezione Militare delln Delegazione italìana al la Confrrcnza della Pace) e Mnrieui. La rappresentanza ital iana ru sciolta .il 6.9.1919.
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re un'alleanza boemo-jugoslava-romena-polacca sollo la propria egida e con fini puramente anli-tedeschi ed anti-bolscevichi (25). I primi mesi del 1921 videro l'invio, da parte dell'addetto militare ital iano, di una nutrita serie di notizie riguardanti i va6 aspetti della realtà polacca, con una particolare attenzione per quelli di carattere politico che, giustamente date le circostanze, 1isultavano ancora più importanti di quelli strettamente militari. Riguardo a questi, una notizia di rilievo era quella 1ife1ita aJ mese di gennaio e concernente la configurazione ternaria delle divisioni di fanteria, previste per un numero totale di 30, e quella delle divisioni di cavalleria su 1 brigate di 2 reggimenti ciascu na mentre l'inquadramento delle brigate autonome era su 3 reggimenti. Chiari ed esaurienti, i ra pporti elaborati da Romei-Longhena mettevano a fuoco le diverse vicende cercando di fornire, accanto all'essenza dei fatti, anche un'interpretazione valutativa opportunamente contenuta così da non urtare eventuali suscettibilità eia parte degli organi di Stato Maggiore destinatari delle informazioni e chiamati a loro vol ta a v:d 11H1r1~. Un t:'-1::tborato, t rfl gli alt!i, da ritenersi c,_)me rnppF~sentativo di tale modalità espositiva era quello riassuntivo del bimestre marzo-aprile contenente notizie su cvcnt1 di notevole rilievo quali l'approvazione della Costituzione, la del'inizione degli accordi franco-polacchi sul piano politico, militare ed economico, il contenuto del trattato di pace franco-polacco stipulato a Riga e le proteste per ìa viola;,,ione dei patti in esso sottoscritti subito innescatesi l'ra i due Paesi, l'attività ufficiosa in Polonia clcl]c missioni diplomatiche russe anti-bolscevichc, il contenzioso polacco-lituano per Vilna e 1'effettuazione del plebiscito per l' Alta Slesia. Un altro documento molto interessante è il resoconto del colloquio avuto da Romei-Longhena con il generale Sikorski, nuovo capo di stato maggi ore dell'esercito polacco dal 15 aprile 1921 (26). Come aveva l'atto osservare Romei in un rapporto di tre scttirnane
(2:5) A USSME, Ell- .126/2, senza indicazione di prot. d atato 23.3.1921, da Stato Magg iore R" Esercilo - Rcp. OPR - Uff. "E", senza indicazione di destinatario f.to col. Grossi. (26) Wl.ad ys law S ikorski ( 188 l - J 943), stude n te in ingegneria ali ' u niversità di Leopoli , iniziù la propria al.l ività p olitico-militare mil itando nella struttura paramil itare sorta in se110 al ParliLo Socialista Polacco dcJJa quale era a capo Pilsudski, e du rante la 1a guerra mondiale comballé nell e «legioni» al comando di qu esti. Allorché Sikorsk i diresse il Dipartimento di Guerra del Comitato N:,tzionalc Supremo ( nel quale erano rappresentati lulli i parlì li polacchi in tenitorio asburgico e le loro formazioni mili tari), sorse con Pilsudski un aspro contrasto p olitico nel quale non erano p eraltro estranee anrhe ragioni
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prima (27), la carica di capo di stato maggiore era stata rimessa in vigore per supplire in parte alle carenze derivanti dall'abolizione del Comando in Capo che, in seguito all'approvazione della Costituzione, non era più demandato al capo dello Stato. Inoltre, si era voluto porre alle dipendenze del ministro della guerra generale Sosnkowski, oberato di lavoro, un uomo la cui energia e capacità organizzativa avessero dato affidamento per la sollecita ricostituzione dell'esercito, e ciò anche per compensare la scarsa efficacia manitestata dal vice-ministro generale Michaelis. Un'altra ragione connessa alla nomina di Sikorski era rappresentata dell'opportunità, in previsione della probabile elezione di Pilsudski a presidente della repubblica, di ricoprire tutte le alte cariche militari con ufficiali che provenivano dalle «legioni», ed in quanto tali affidabili nei riguardi di Pil sudski, a prescindere dai pregressi screzi personali intercorsi fra questi e Sikorski. Romei-Longhena, a proposito della nomina di quest'ultimo a capo di stato maggiore, adombrava anche un'altra ragione, e che cioè essa fosse dovuta pure a un certo mutamento di indirizzo politico assunto dal ministro della guerra in carica il quale, già militante nei partiti di sinistra, pareva tendesse ad appoggiarsi da un po' di tempo a quelli di destra come comprovava la sua acquiscenza alla politica francese. A sorvegliare e moderare tale orientamento sarebbe stata utile la presenza di Sikorski, di sicura matrice democratica e poco favorevole nei. confronti della Francia. 11 colloquio fra Sikorski eRofuei-Longhena ebhe htògo pochi giorni dopo 1' assunzione della nuova carica da parte del primo, ed il resocontò
personali. Promosso generale, divenne comandante d' armata quando nel 1920 l' incal7.ante offensiva bo lscevica indu sse il C omando Supre mo polacw a liberarsi dei vecchi generali cd a porre i più gio vani all a testa delle GCì.UU. C apo di stato maggiore fra il 11)21 ed il 1922, resse un 1)roprio go verno nel 1922 e 1923 e fu ministro della guerra dal 1924 a.1 J925. Al momento dell a g uerra con la Gennani a, il 1.9.1939, gli venne rifiutato il co mando de lla città di Varsavia; si recò allora a Parig i, e dopo h1 sconfitta del suo Paese, divenne primo mini stro del governo provvisorio polacco in esilio a Londra e comandante in capo de lle fo rze armale. Nel 1941 fu il fi rm atari o della dichi arazione di coll aborazione comune russo-polacca che pose fomialmente fine al cunOiLLo fra le due nazio ni. Cercò di ricostituire un esercito polacco per combattere a fi anco degli alleati, così come aveva .i niziato a fare l'armata del gen. Anders ne ll'area medio-orientale cd in A.S .; c iò lo portò a ricercare la so11e di 8.000 ufliciali che nel 1939 erano stati trattenuti nei campi di concentramento ne lla m na di Smolcnsk e ad alzare il sipario sull 'uccisionc d i molti di loro nella foresta di Katy n. M orì il 4.7.1 94'.l a seguito di un incidente aereo sull 'aeropo rto di Gi bilterra in circostanze rimaste mi steriose. (27) A USSME, E ll -125/2, prot. 7 0 Ri s. del 1.4. 1921, da M iss io ne Militare It. Polo nia a Mini stero Guerra - Divisione Stato Maggiore R 0 Esercito, f.to gen. Romei.
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fornitone del secondo si articolava secondo la fonnula di un'inlervista, basala su precise domande tematiche alle quali seguivano risposte in aderenza ed espresse in forma estesa e chiarificatrice. Gli argomenti trattati erano naturalmente di carattere militare, riguardanti la nuova organizzazione dell'esercito nei suoi aspetti ordinativi, intellettivi e morali riferiti soprattutto agli ufficiali, e lo sviluppo da atlribuire all'arma di cavalleria che, da sempre, costituiva il «fiore all'occhiello» della dollrina lattica polacca (28). Di natura invece specificamente politica erano i rapporti riguardanti due congressi tenutisi a Varsavia ed a Leopoli rispettivamente nel giugno e nel novembre 1921. Il primo di essi vide riuniti i rappresentanti delle associazioni antibolsceviche di Pietrogrado,. della Russia settentrionale, della Russia bianca, de11 'Ucraina, di Odessa, della Crimea, dei Cosacchi del Don, del Volga e degli Urali e di altre aree minori. Al congresso presenziarono un ufficiale della missione militare francese, che aveva favorito in tutti i sensi la realizzazione dell'iniziativa, un rappresentante del Maresciallo Pilsudski cd un delegato dello stato maggiore polacco, l'addetto militare lituano ed, in incognito, il magg. Stabile per conto della missione militare italiana. 11 congresso fu una vigorosa affermazione di vitalità del partito di ispirazione socialdemocratica capeggiato da Boris Sawinkow. Questi, di estrazione socialrivoluzionaria e con una pregressa fama di ex~terr.orista, già ministro della guerra nel governo di Kerenskij, coagulava le tendenze democratiche del popolo ed in particolare dei contadini russi. Egli, escludendo qualsiasi idea di restaurazione su base monarchica, si faceva propugnatore di un programma democratico-riformista che intendeva adeguare la propria azione alle deliberazioni di un'assemblea costituente, ricostruire la piccola proprietà privata, riconoscere le nazioni sorte dallo sfacelo dell'impero ed escludere qualsiasi apporto di armi ed armati stranieri in questo processo di rinascita del Paese. Ciò determinava, inevitabilmente, una impossibilità quasi assoluta di accordo con i comandanti delle varie formazioni militari antibolsceviche ma, tutt'al più, una possibilità di collaborazione personale dei singoli componenti che si dimostrassero disposti ad accettare interamente 1' orientamento democratico e non fossero legati ad interessi stranieri. Era altresì data per scontata una separazione
(28) AUSSME, Ell - 125/2, prot. 85 Ris. del 20.4. 1921, da Missione Militare It; Polonia a Ministero Guerra ~Divisione Stato Maggiore R Esercito, f.to gen. Romei. 0
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assoluta dai furniusciti che aspirassero ad un ritorno all'antico puro e semplice e, per quanto concerneva la politica estera, inconciliabilità della Russia con la Germania e necessità invece di allacciare rapporti con gli Stati limitrofi sortì dalla dissolu/,ione dell'impero e con gli antichi alleati. Il programma descritto, sottolineava RomeiLonghena, aveva riscosso ampi consensi, e ad esso erano dovuti i recenti moti anti-bolscevichi, che se il governo dei Soviet aveva potuto reprimere facilmente per l'intempestività del momento nel quale erano stati attivati e per la mancanza di un adeguato coordinamento, erano d'allro canto serviti ad incrinare non di poco l'autorità dei commissari politici dei Soviet ed a far nascere fra le masse la consapevolezza della possibilità di una controrivoluzione. Era inoltre un programma che escludeva molti dei principali errori che avevano frustrato i precedenti tentativi pseudoriformisti, nei quali i contadini russi avevano visto solo il pericolo di un ritorno alìe antiche condià.mi di distribuzione delle tasse e per i quali le popolazioni allogene avevano dovuto temere per le conquistate autonomie (29). Il secondo rappmto riguardava la scoperta di un congresso clandestino comunista a Lcopoli e le reazioni che ne erano derivate nell'opinione pubblica. La riunione risultò preparata da lunga data, e vi avevano partecipato delegati delle organizzazioni comuniste di varie città polacche fra i quali si annoveravano professionisti, lavoratori, studenti universitari e molti rimpatriati dagli Stati Uniti. Il congresso era stato tenuto in una cattedrale rutcna, sotto la direzione di organizzatori comunisti russi; ai partecipanti era stato prescritto di non uscire dalla cattedrale per tutta la durata dei lavori, ed a tale scopo erano stati riforniti di viveri e degli indispensabili supporti logistici. Nell'opinione puhhlica, l'avvenimento suscitò notevole impressione, e presso i circoli più qualificati ed informati fu la confenna della vasta azione di propaganda che la Russia bolscevica andava svolgendo in Lutte le nazioni e particolarmente in Polonia, dove gli agenti preposti a tale compito trovavano forte appoggio e larga assistenza finanziaria presso la locale Legazione sovietica. Romei-Loghena effettuò in proposito un'accurata analisi della stampa di varia matrice politica, della quale sintetizzò le prese di posizione più significative. Lo stesso organo del partito
(29) AUSSME, El l -126/3. senza indicazione di prot. datato luglio 192 1, da Stato 0 Maggiore R Esercito - Ufficio OPR senza indicazione di desti natario, f.to tcn. co l. l-'entimalli.
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socialista estremista così si esprimeva a proposito della attività di infiltrazione comunista: «Noi ci troviamo cli.fronte ad un lavoro costante, abile, premeditalo ed al quale i mezzi non mancheranno mai. È così che lavorano i comunisti oltre le frontiere della Russia. Più il sistemq bolscevico minaccia di fallire nella sua pratica applicazione all'interno, più i bolscevichi tentano di inlensUicare il loro lavoro all'estero. Ciò concerne in primo luogo la Polonia, che ha per i bolscevichi un 'importanza parlicolare perché costituisce per essi una specie di ponte verso la Germania e l'Occidente. È dunque nel nostro Paese che si concentrano tutti i mezzi d'azione dei quali i soviet dùpongono. Sarebbe bene che i nostri dirigenti meditassero le teorie del comunismo e provvedessero per un'azione che dovrebbe opporsi a tali metodi raffi.nati e più pericolosi perché estremamente astuti. È giu~ta l'ora di abbandonare l'apatia e soprattutto l'incurabile ingenuità nel giudicare le varie orf?anizzazioni. Noi dobbiamo opporre ai ripetuti tentativi del bolscevismo un'organizzazione forte e soprattutto cosciente dei suoi scopi». Una parte dell'opinione pubblica polacca aveva visto nel congresso comunista una qualche relazione con le condizioni politiche della Galizia orientale e l'espressione di una manifestazione di nazionalismo estremista da parte di yuei ruleni che miravano alla completa autonomia di quella regione, al di ruori di qualsiasi influenza polacca, anche se per attuarla si fosse dovuto ricorrere al comunismo. L'organo di stampa conservatore aveva avanzato il dubbio che anche il metropolita ruteno, Arcivescovo Szeptycki, proteggesse il movimento .comunista, ed aveva attaccato nel contempo lo stesso Vaticano che sarebbe stato proclive alla cessione della Galizia agli ucraini, e non risparmiando nemmeno la Cecoslovacchia le cui mene antipolacche avrebbero trovato conferma nell' intervento di un rappresentante ecco al congresso comunista ucraino. Un altro brano, frutto della rassegna stampa operata da Romei-Longhena, proveniva da un quotidiano della corrente moderata: «Nel lavoro di ricostruzione della nostra vila politica noi non possiamo permellere che il cattivo seme di un comunismo nazionalista si pianti nel nostro terrilorio. Noi abbiamo sufficientemente progredito nell'evoluzione della nostra polilica per mettere fine una huona volta a queste congiure nell'interno dello Staio ed a questi congressi diretti contro i nostri interessi. I tentativi degli enerJ?umeni nazionalisti desiderosi di risolvere la questione della 439
Galizia con il denaro tedesco e con i diamanti bolscevichi, costituiscono un atto politico con il quale la maggioranza_ della popolazione ucraina certamente non può essere solidale. Un accordo polacco-ucràino potrà avvenire presto o tardi, ma prima di tutto occorre che l'ordine e la tranquiLlità siano instaurati nel Paese e che qualsiasi lavoro subdolo, diretto contro gli interessi nazionali, cessi al più presto» (30). Sempre di carattere politico fu un'informativa inviata dall'addetto militare italiano verso la metà di novembre del 1921, che ragguagliava in merito ad un grave dissidio sorto fra il capo dello Stato e la Dieta per la questione de11 'annessione di Vilna e che, se non composto, avrebbe potuto provocare, con la caduta di Pilsudski e del governo in carica, pe1icolose comp1icazioni per la politica interna ed anche estera della Polonia. L'esposizione dei fatti operata da Romei-Longhena costituiva sia un'utile sintesi dei precedenti storici della vicenda e sia uno spaccato indicativo della massima istituzione assemblare polacca (31 ). L'organizzazione militare in relazione alla politica estera della nazione costituì l'oggetto di un'altra relazione di Rornei-Longhena datata 30 gennaio 1922. II generale, riferendosi :1-Jla seduta del consiglio dei ministri che si era svolta a Varsavia in quello stesso giorno, informava che il ministro della guerra gen. Sosnkowoski aveva aggiornato il consiglio stesso sullo stato di difesa delle diverse frontiere e che il gen. Sikorski, capo di stato maggiore dell'esercito, aveva preso in esame i fondamenti della politica estera della Polonia in relazione alle necessità nazionali. Entrambe le esposizio. ni avevano messo in risalto il carattere pacifico della politica del Paese, sottolineando come fosse assolutamente indispensabile che tutti gli atti governativi in tema di affari esteri fossero condotti con lo stesso orientamento, senza alcuna eccezione. Gli organi di stampa di maggiore diffusione, in chiave di comunicazione ufficiosa, avevano anche aggiunto che il consiglio dei ministri aveva adottato numerose mozioni risultanti dalle suddette esposizioni e presentate di comune accordo dai due settori, fra le quali in primo luogo Ja necessità di rendere sempre più stretta l'alJeanza con la Francia. Tale comunicazione ufficiosa aveva provocato non poche preoccu-
(30) AUSSME, E l 1-126/1 , proL 253 Ris. del 9.11.1921, da Missione Militare lt. Polonia a Staio Maggiore R" Esercito, Lto gcn. Romei. (3 1) AUSSME, El 1-1 26/1 , prol. 262 Ris. del 17.11.192 1, da Missione Militare lt. Polonia a Slalo Maggiore R" Esercilo, f. to gcn. Romei.
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pazioni negli ambienti diplomatici e militari di Varsavia, anche perché la forma stessa del comunicato si prestava alle più varie supposizioni. Il ministro degli esteri Kostanty Skirmunt, al quale i rappresentanti delle nazioni alleate avevano chiesto chiarimenti in proposito, si era sforzato di spiegare come quanto esposto da Sosnkoski e Sikorski non fosse stato provocato da una ragione particolare ma rappresentasse soltanto un aspetto della normale discussione in tema di bilancio militare. Il chiarimento doveva risultare tutt'altro che persuasivo, e Romei-Longhena, creata un'occasione per un incontro con Sikorski, gli aveva chiesto esplicitamente il motivo che aveva dato luogo alJa comunicazione ufficiosa attraverso la stampa. La risposta del capo di stato maggiore dell'esercito polacco, rornita in via confidenziale e riservatissima, era stata che la forte riduzione nel prestito finanziario chiesto dalla Polonia alla Francia nell'ambito delle trattative per la stipula di una convenzione militare aveva reso necessario, oltre che di ridimensionare i progetti in fatto di organici delle forze armate, di ottenere dalla Francia garanzie più esplicite e sicure sulla sua cooperazione militare qualora la Polonia fosse stata attaccata dalla Germania. Questo intento lo aveva necessariamente costretto a rappresentare senza remore la situazione di reale efficienza bellica polacca, le condizioni nelle quali la Polonia si sarebbe trovata se avesse dovuto difendersi da sola contro un attacco tedesco, e la conseguente necessità di approntare un adeguato aumento al bilancio militare. Le congetture provocate dall'accennata comunicazione ufficiosa apparivano, secondo Romei-Longhena, d'altra parte tanto più giustificate poiché in quei giorni le relazioni fra la Polonia e la Francia si erano alquanto rannuvolate. La stampa polacca, ad eccezione degli organi del partito democratico nazionale ligi in tutto e per tutto alla Francia, faceva rilevare che, mentre il trattato di alleanza tra le due nazioni non era ancora stato firmato, la Polonia era rimasta turbata da tre fatti dolorosi: la delimitazione delle frontiere della Galizia orientale contenuta nel trattato di Sevres (32); il consenso dato da Briand (33), a suggello delle conversazioni del nuovo presidente del consiglio
(32) Trattato di pace fra la Turchia e le Potenze dell'Intesa firmato il 10.8.1920, successivamente modificato con il Trattato di Losanna del 24.7.1923. (33) Aristide Briand (1862-1932), uomo politico francese di matrice socialista, più volte ministro degli interni, degli esteri e presidente del consiglio. Premio Nobel per la pace nel 1926 insieme con lo statista tedesco Gustav Strescmann.
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Poincaré con Lloyd George (34) e lord Curzon (35), ad un progetto di accordo difensivo tra Francia ed Inghilterra contro la Germania nel quale non si faceva menzione della Polonia; il mancato accenno alr alleanza franco-polacca nel discorso programmatico di Poincaré. Né erano valse a fugare malumori e preoccupazioni le assicurazioni dell'ambasciatore francese a Varsavia, diffuse attraverso un comunicato ufficiale del ministero degli esteri polacco (36). Un bilancio deJla situazione generale russa nei p1imi mesi del 1922 non poteva non confermare la mancata espansione della ·rivoluzione nei maggiori Paesi capitalistici dell'Europa occidentale, che era stata nelle speranze del gruppo dirigente bolscevico e considerata come una condizione indispensabile per la sopravvivenza della rivoluzione dell'ottobre 1917. Infatti, la sconfitta dei tentativi insurrezionali e delle esperienze «sovietiste» in Germania ed in U nghcria nel corso del 19 I 9 ed il declino nel 1920- 1921 dei movimenti di massa nei Paesi europei dimostrarono presto che la Russia sovietica sarebbe rimasta isolata, e che lo sviluppo del processo rivoluzionario era molto meno rettilineo ed assai più lento di quello che si era pensato. l ,a p::ice di Riga firmata il 18 marzo 1921, inoltre, aveva fatto sì che attraverso gl i Stati baltici, la F inlandia, la Polonia, la Romania, l'Unghe1ia, la Cecoslovacchia e la Turchia, rette da governi anticomunisti, si venisse a cosliluire un «cordone sanitario» intorno alla Russia che avrebbe dovuto impedire o comunque fortemente ostacolare la propagazione della rivoluzione. Nonostante ciò, per quanto 1i g uardava specificamente la Polonia, agli inizi del 1922 non soltanto le sfere ufficiali ma anche l'opinione pubblica continuavano a manifestare preoccupazione per l'atteggiamento assunto dalla Russia. Secondo la valutazione di Romei-Longhena, gli elementi che sostenevano tale stato d'animo allarmistico erano rappresentati dai discorsi e proclami profelizzanti una prossima guerra diretti da Trotzky (37) ali' esercito bolscevico, i provvedimenti adottati dal
(34) George David Lloyd ( 1863- 1945) , uo m o politico in glese di matrice liberal e, e bb e pari e pn:dominante n e lla I n g u erra m ondia le propu g n ando l' int e rvento dcli' lngh ilt.ena, e poi quale Cancellière dell o Scacchiere e minis tro de lla guerra. Negli ultimi anni T renta fu un d eciso oppositore della politica di Charnbcrlain. (35) George C urzon (1 859- 1925), uomo p olitico ing lese di origine irlandese, viceré del le Indie dal 1898 al 1905 e mi nistfo della guerra e degli esteri fra il 19 I9 ed iI 1924. (36) AUSSME, Eil-5811, prot. 5 Ris. Pers. de l 30.1.1()22, da Missio ne Militare lt. Polo nia a Stato Maggiore R" Esercito, f.to gcn. R omei. (37) Lev Dav idovic Bron stein, dello Trotzky ( 1879-1 940), ri voluzionario russo di famiglia ebraica, attivissimo collaboratore di Lenin, negoz.iò la pace di Brest-Litowsk del 1918, organizzò l 'esercito e la !lolla so vietica e cu rò lo sviluppo delle comunicazioni. Dopo la m o rte di Lenin, del qua le sembrava essere il successore più probabile, venne ad
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comando russo ed i concentramenti di truppe (speciahnente cavalleria) sulla rrontiera occidentale, ed infine la nota inviata dal Commissario agli esteri Cicerin (38) al governo polacco, giudicata da più parti come un abile espediente del governo di Mosca per poter giustificare in seguito un'eventuale aggressione contro la Polonia. Nella nota, consegnata il 14 marzo 1922, era scritto che la Polonia trasgrediva all' articolo 5 de1 trattato di Riga perché pem1etteva ad organizzazioni nemiche della Russia di costituirsi sul suolo polacco, che quindi rappresentava la base dalla quale le varie bande armate di matrice baltica partivano per condurre le loro incursioni, costituendo così una costante minaccia pr il governo bolscevico. Specificava inoltre che, poiché le predette bande erano organizzate ed armate con supporti polacchi, il governo di Mosca avrebbe considerato in avvenire tali formazioni come facenti paite del!' esercito regolare della Polonia, comportandosi di conseguenza. Una settimana dopo aveva luogo a Varsavia una riunione ad alto livello presso il presidente della Dieta, alla quale avevano partecipato il presidente del consiglio, i minislli degli esteri e della guerra, il capo di slat.o maggiore dell'esercito ed i rappresentanti dei sei maggiori partiti dc1la Dieta. Al termine, era stata stilata una risposta al governo russo nella qm1Je, dopo aver espresso stupore per iJ tenore assolutamente ingiustificato della nota, si contestava a propria volta il destinatario di non aver ancora interamente adempiuto ai disposti dei trattato di Riga. Oltre a riferire quanto sopra, Rornei-Longhena operava una personale valutazione in base alla quale i preparativi militari del governo di Mosca su11a frontiera occidentale, effettivamente accettati, potevano essere 1'espressione di una minaccia per influenzare le decisioni che sarebbero scaturite dalla Conferenza di Genova (39) nonché contro il recente accordo politico concluso a Varsavia fra 1a Polonia e gli un dissidio sempre più aspro con Stalin che ne determinò nel 1927 l'espulsione dal partie nel 1929 l'allontaname nto dall'Unione Sovietica. Continuò dall'esilio la propria opposizione alla gestione slalinista, e morì assassinalo nel Messico ad opera di un sicario. (38) Giorgio C icerin (1879-1936), esp one nte bolscevico, dal 191 8 al 1930 Commissario per gli est.eri dell'U.R.S.S. (39) La Conferenza di Genova, svoltasi il 15.5.1922 cd alla quale parteciparono numerose nazioni , portò alla l'inna di un palio di non aggressione fra Russia e Polonia che non avrebbe fatto venir meno, peraltro, l'attcgg iamcnlo sempre polcnzialmenle minaccioso da parte della prima. Per quanto riguardava l'Italia, si addivenne in quella sede ad una vera e propria convenzione commerciale con la Polonia. Sulla posizione delle due na7.ioni dopo la Conl'erenza, Romei-Longhcna inviò allo Stato Maggiore Esercito una rela7.ione che è riport.ata in Appendice (documento n. 26, pagg. 259-261) del citalo volume di Alessandro Gionfrida «Mi ssioni e Addetti Militari in Polonia (19191923)», Roma, USSME, 1996. lo
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Stati baltici che avrebbe potuto precludere alla Russia l'accesso al Mar Baltico. Inoltre, aggiungeva Romei, poteva anche essere la proiezione di un recondito disegno di Trotzky per disporre di un esercito sufficientemente forte da imporre alla Russia la propria volontà qualora, come sembrava comprovato da numerose ed attendibili fonti, i giorni di Lenin fossero ormai contati a causa della malattia che l'aveva colpito (40). Per quanto riguardava gli aspetti di dettaglio dei suddetti preparativi militari, l'addetto italiano, al quale anche il suo omologo inglese col. Carton aveva espresso la preoccupazione del proprio governo, allegava una relazione compilata dallo stato maggiore polacco, e distribuita in forma riservata alle alte autorità dello Stato, ed un elenco delle unità dell'esercito rnsso la cui elaborazione costituiva il prodotto del comune impegno inl"onnativo del personale della missione militare italiana. Il documento derivava da un controllo comparativo incrociato di vari fonti: quelle ufficiali dello stato maggiore polacco, quelle ufficiose, provenienti dalle altre missioni e dagli addetti militari stranieri in Polonia, quelle confidenziali, attinte alle organizzazioni antibolsceviche russe ed ucraine, ed infine quelle occulte derivanti da rapporti lìduciari personali. Attraverso l'analisi delle informazioni in suo possesso, RomeiLonghena riteneva di poter affennare come non vi fosse dubbio che le forze russe dislocate su11a frontiera polacco-romena fossero aumentate di circa il 25%, cd in particolare risultava accertato l'aumento di 2 divisioni di fanteria e 3 di cavalleria sulla frontiera occidentale-settentrionale, lo spostamento di una divisione di cavalleria dall'interno verso la frontiera occidentale-meridionale e il concentramento di una massa di artiglieria in una regione (Vìaznja) dove esistevano alloggiamenti adatti e la cui ubicazione pennetteva di fruire di una linea ferroviaria sviluppantesi verso le aree di schieramento. Si poteva pertanto desumere che le unità di fanteria giungenti nella suddetta regione per via ordinaria e senza servizi sufficienti avrebbero potuto trovare nella (40) Vladimiro ll'ic Ulianov, detto Lenin (1870-1 924) , mass imo propagandista del pensiero marxista ed esponente bolscevico di primo piano della Russia dei Soviet. Nel 1903 fondò a Londra il partito massimalista o bolscevi<.:0, e nel 1905 par1ecipò al moto rivoluzionario russo soffocato dallo Zar. Rifugiatosi in Svizzera, alla fine del 1916 passò in Germania e di qui di nuovo in Russia, dove svolse un'efficace propaganda per la cessazione della guen-a «capitalista ed imperialista» coadiuvato validamente da Trotzky. Dall'autunno 1917 diresse la rivoluzione destinata ad instaurare il regime comunista, trasferendo la capitale da Pietrog rado a Mosca. Colpito una prima volta da paralisi nella primavera del 1922 e poi ancora nel marzo del 1923, morì il 21.1.1924. Dopo grandiosi funerali, il suo corpo imbalsamato venne esposto in un mausoleo sulla Piazza Rossa di Mosca, ed in suo onore Pietrogrado fu ribattezzata Leningrado.
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zona di radunata reparti di artiglieria a loro assegnati dalla configurazione di guerra. Non v'era dubbio, secondo Romei-Longhena, che da alcuni mesi il governo russo (ed in particolare Trotzky) fosse impegnato al massimo nella riorganizzazione dell'esercito, ed i provvedimenti adottati venivano distinti dal relatore secondo due caratteristiche differenti, la «normalità» e l' «eccezionalità». Potevano essere considerati normali quelli relativi alle installazioni di fabbriche di armi e munizioni, all'iscrizione di tutti gli elementi delle classi di leva, al completamento dei quadri ed alla loro istruzione; dovevano essere qualificati come eccezionali gli affrettati lavori degli stati maggiori per dotare le unità dei piani di mobilitazione e l'adattamento delle vie ferroviarie e di comunicazione facenti capo ad una determinata regione. Il rapporto terminava con Je seguenti parole: «in conclusione, gli elementi positivi che possono far ritenere veritieri gli intendimenti bellicosi del governo russo non sono molti, e non ancora tali da far credere per ora ad operazioni in grande stile. Si sarebbe perciò più proclivi ad ammettere che si tratti di manovre, più o meno subdole, per influire sulla Cor{ferenza di Genova e per dare un minaccioso avvertimento agli Stati che hanno sottoscritto l'accordo di Varsavia. Il capo di stato maggiore, generale Sikorski, non esclude però la possibilità che dal bleuff si possa passare all'attuazione di qualche progetto offensivo sia per necessità interne, determinate dalla gravissima carestia che tormenta la popolazione russa, sia per riaprire la questione di Wilno, assicurandosi così l'unione con la Lituania e di là con la Germania. Circa il primo caso, ho fatto osservare al gen. Sikorski come la carestia e la disorganizzazione di un Paese non siano certamente fattori favorevoli per spingerlo ad intraprendere un'operazione guerresca; e che se disordini scoppiassero nell'interno della Russia causati dalla fame, sarebbe più logico ed utile servirsi del!' esercito per soffocare la rivolta anziché farlo marciare oltre la frontiera polacca. Per la questione di Wilno, la supposizione appare più possibile, tanto più che è difficile conoscere il lavoro che svolge la Germania sia a Kowno (41) che a Mosca» (42).
(41) Kowno era la denominazione in polacco (in russo Kovno, in tedesco Km1en) di quella che dal 1920 era divenuta la capitale della Lituani a indipendente, e che oggi risponde al nome di Kaunas. (42) AUSSME, Ell-58/6, prot. 44/1 Ris. del 21.3.1922, da Missione Militare It. Polonia a Stato Maggiore R Esercito, f.to gen. Romei. 0
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Tra le informative di Romei-Longhcna relative al 1922, di particolare interesse erano quelle inviate negli ultimi due mesi del1' anno, riguardanti un piano segreto concepito in comune fra Pilsudski ed i capi del partilo nazionalosta slovacco per distaccare la Slovacchia dalla Boemia (43) ed unirle in forma federativa alla Polonia o, in seconda ipotesi, all'Ungheria. Il generale RomeiLonghena era stato messo a parte di questa notizia senza duhhio rilevante da un rappresentante diplomatico a Varsavia di una nazione neutrale, di grande affidabilità, che a sua volta era stato informato della cosa da un'alta personalità polacca a lui legata da antica e solida amicizia e che avrebbe partecipato all'ultima riunione segreta fra il Maresciallo Pilsudski e gli esponenti nazionalisti slovacchi. Sembrava che lo stesso Pilsudski avesse promesso, se necessario, il concorso armato della Polonia. L'evento sarebbe stato visto di huon grado dal governo romeno, perché avrebbe dato alla Romania ed alla Polonia un lungo tratto di frontiera comune sbarrando alla Boemia il cammino verso la Russia, nonché da quello ungherese , favorcvoie ad ogni ipolesi di indebolimento della repubblica cecoslovacca (44). L'informativa di RomeiLonghena che seguiva di quaranta giorni la precedente forniva un pa11icolare che riguardava l'Italia, nel senso che all'ultima seduta segreta per stabilire le definitive disposizioni del piano avrebbe partecipalo anche l'esponente polacco che era stato poco tempo prima inviato a Roma per conoscere, in via del tutto confidenziale, quale sarebbe stato l'atteggiamento del governo italiano nel caso fosse stata data esecuzione al progetto, inlenlo che non avrebbe peraltro avuto esito (45) .
(43) La Cecoslovacchia era uno degli Stati sorti dalla disg rega7.ione della monarchia auslro-un gari ca ne l 1918 mediante l'unione della Roc rnia, de ll a Moravia, della Slovacchia e della Rutenia suhcarpatica, cioè di territori popolati da lecleschi, cechi, polacchi. moravi, slovacchi magiari (u ng heresi) e rul eni. I .a Cecoslovacchia come Stato cessò di esistere per l'occupaz ione d a parle della Wehrmacht della Boemia e della Moravia che divennero un protetto rato tedesco, mentre la Rutenia subcarpatica veniva ceduta all ' Ungheria, entrata anch'essa nella sfera di influen7.a germanica. La Boemia, in particolare, prima del 191 X era stata una provincia dell ' impero auslro-ungarico abitata da slavi cechi i quali , con g li slovacch i, contribuirono al suo disfacimento comballendolo sul fronte ital iano. (44) AUSSME, E l 1-58/22, prot 42 Ris. Pers. del 31.10.1922, da Missione Militare Il. Polonia a Stato Maggiore R" Esercito, Lto gen. Romei. (45) AUSSME, E l l-58/22, prot. 56 Ris. Pers. del 10.1 2. 1922, da Missione Militare lt. Polonia a Stato Maggiore R0 Esercito, Llo gen. Romei.
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4. La questione dell'Alta Slesia Come è già stato accennato all'inizio del capitolo, al termine del primo conflitto mondiale il progetto caldeggiato dalla Francia, di altribuire l'intero territorio dell ' Alta Slesia alla Polonia quale mezzo per soffocare economicamente la Germania, fu contestato decisamente dall'Inghiltena, la quale non gradiva l'espansionismo e l'egemonia francesi in Europa. La Slesia, regione ricca di miniere carbonifere e ad elevato livello di industrializzazione, dopo la perdita della Ruhr rappresentava per la Germania l'unica soluzione possibile per adempiere al pagamento delle riparazioni di guerra e pertanto divenne un elemenlo importante per quell' in lento di sostenere la ripresa economica tedesca che costituiva presupposto fondamentale della politica estera inglese rivolta allo scenario europeo. L'oggettiva difficoltà di tracciare una linea di confine fra Germania e Polonia indusse pertanto il Consiglio Supremo di Versailles, nel giugno 1919, ad accogliere parzialmenle una nota tedesca relaliva a11a «germanicità» della regione (46) e a demandare l' opzione di appartenenza all'una od all'altra delle due nazioni ad un plebiscito popolare da parte degli abitanti locali. A questo proposito è significativo rjcordare che uno studio della Camera di Commercio della Reggenza di Oppeln in data 15 novembre 1915 d iretto al governo tedesco, quando le strepitose vittorie degl i Imperi Centrali contro la Russia facevano prevedere prossima la fine della guerra cd una probabile spartizione della Polonia rnssa a favore della Germania e dell'Austria, prendeva in esame le relazioni economiche, industrial i ed agric ole esistenti all'epoca fra la Polonia russa e l'Alta Slesia e dimostrava non solo la necessità per la Germania di assicurarsi l'annessione o quanto meno l'incontrastato predominio economico di quest'ultima, ma anche la convenienza per la Polonia di essere intimamente legata all'Alta Slesia per il reciproco sviluppo industriale ed agricolo (47).
(46) In effetti, era indubitabile l'influenza eserc itatavi dalla Prussia fin dal J 740. Ceduta nel 1335 dal regno di Polonia alla Boemia e da questa ali' Auslria, la Slesia era divenuta pru ssiana in virtù della politica di conqui sta di Pederico II che, all'aUo del primo smembramento della Polonia, aveva occupato tutto il territorio etnicamente tedesco meno Danzica e Thorn. (47) AUSSME, Ell-125/1, senza indicaiione di proL datato ll.5.l 92l, da Stato Maggiore R 0 Esercito - Rep. OPR, Uff. "E" senza indicazione di destinatario, f.lo col. Grossi.
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L' 11 febbraio 1920 fu pertanto costituita la Commissione Interalleata e Plebiscitaria per 1' Alta Slesia, presieduta dal generale francese Le Rond e composta dal generale Alberto De Marinis per L'Italia e dal colonnello Percival per l'Inghilterra. Le tre suddette rappresentanze furono supportate da un contingente militare composto da truppe dei rispettivi eserciti con mansioni di polizia internazionale. L'assenza di una politica comune fra gli alleati (Italia ed Inghilterra su posizioni filotedesche, la Francia chiaramente filopolacca) non consentì, ad ogni modo, un'azione mediatrice di alcun tipo che contrastasse i primi focolai di vera e propria guerriglia scoppiati fra polacchi e tedeschi (questi, nell'agosto del 1920, tentarono di occupare la regione), tenendo anche conto che il compito del contingente interalleato, reso già particolarmente impegnativo dal controllo delle frontiere e dal mantenimento dell'ordine pubblico, fu aggravato dal contemporaneo svolgimento della guerra russo-polacca e dal minacciato intervento cecoslovacco (48). I risultati del plebiscito popolare, effettualo i 1 20 gennaio 1921 da parte di l.187 .452 votanti , furono favorevoli alla Gennania con 716.046 voti contro i 471.406 a pro della Polonia, con una differenza quindi di 244.640 voti (49). Nel complesso, la Germania ebbe dalla sua 94 fra grandi e piccoli centri e la Polonia 462 piccoli comuni. Come già ricordato, temendo un accordo fra Inghilterra ed Italia favorevole alla Germania, la popolazione polacca insorse fra il 2 e il 3 maggio contro quella tedesca
(48) Il concorso italiano al contingente militare interalleato entrato in scena il 25.2.1920 fu assicurato inizialmente dal 135° rgt. fanteria Campania su 4 btg.ni, con un gruppo di aitiglieria autoportata ed aliquote delle altre Armi e dei servizi, un complesso di circa 2.500 uomini ai quali fu ailidato il presidio di Oppcnl (Opale) e di quattro località minori. Esso fu rinforzato l' anno successivo, dopo l'insurrezione organizzata della popolazione polacca, da 2 btg. ni del 32° rgl. fanteria Sierra, un btg. della Brigata Granatieri ed uno della Brigata Sicilia, e si dispose anche nelle località di Cosci, Ratibor, Gleiwitz e Grosstrehlitz. Coinvolti in veri e propri episodi bellici e fatti segno e cruenti attentati, i reparti italiani subirono, nel periodo della loro permanenza dal 25.2.1920 al 9.7.1922, la perdita di una ventina di caduti ed alcune decine di feriti. (Gallinari V. , «L'esercito italiano nel primo dopoguerra 1918-1920», Roma, USSME, 1980, pag.158; per il numero dei caduti, minimamente contrastante fra le varie fonti, cfr. anche Gionfrida A., op. cit., pagg. 62-63, e Biagini A. , Nuti L., «Note sulla partecipazione italiana a corpi di spedizione internazionali», in «Studi Storico-Militari 1994», Roma, USSME, 1996, pag. 517). (49) Biagini A., «Il problema della Slesia e la Missione Militare in Polonia. Fonti e problemi», in «Studi Storico-Militari 1991», Roma, USSME, 1993, pag. 269; lo stesso autore, in un altro lavoro in coli.ne con Nuti L. (vedasi nota precedente) ripotta dati leggermente differenti: 707.605 voli per la Germania, 479.359 per la Polonia, con una percentuale a favore della prima pari al 59,6%.
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impadronendosi a seguito di agguerriti scontri di tutta la zona industriale, e solo l'intervento degli Stati garanti consentì di pervenire ad una sorta di armistizio. La questione ru quindi portata alla Società deJJe Nazioni che mise in atto un arbitrato internazionale sulla base dei risultati plebiscitari, assegnando alla Polonia 1/3 del territorio, e precisamente la zona sud-orientale, mentre quelle nord-occidentale fu attribuita alla Germania, verdetto che sarebbe di venuto esecutivo il 21 ottobre 1921. La soluzione sollevò notevoi i proteste da parte tedesca, perché forti minoranze dell'una come dell'altra etnia venivano estromesse dal territorio nazionale, ed ancor più perché nel territorio a maggioranza etnicamente polacca si trovavano le miniere più ricche e le industrie più produttive. In merito alla situazione di grave tensione nella regione dell'Alta Slesia fra la tarda primavera e l'estate del 1919 un realistico rapporto ru quello inviato nell'agosto dello stesso anno dal ten. col. Tissi, che faceva parte della Sottocommissione di Teschen in seno alla Missione Interalleata in Polonia. alla Sezione Militare italiana alla Conferenza della Pace ed agli uffici deg1i addetti militari a Praga cd a Varsavia; in quest'ultima sede, come è già stato precisato, l'ufficio era stato attivato dal luglio precedente con il col. Franchino quale titolare. Il compilatore del rapporto basava la propria esposizione dei fatti su conversazioni avute con elementi tedeschi e polacchi, questi ultimi in gran parte fuggiaschi dall'Alta Slesia che si stavano concentrando in alcune localilà di frontiera della Slesia orienLale. Se poteva risultare vero che la maggioranza de1la popolazione in AJta Slesia (65-70%) era polacca, specie nei centri operai, le fonti tedesche insistevano nell'affermare che anche fra i polacchi non ancora germanizzati una gran parte era a favore di una annessione alla Germania: avrebbero concorso a ciò il ricordo dell' ordinata amminjsLrazione prussiana e l'incc11ezza economica del nuovo Stato polacco. Ed in effetti, proseguiva il ten. col. Tissi, anche il governo di Varsavia temeva l'esito di un pronunciamento popolare, tanto da rendere impazienti le autorità militari nel caldeggiare un' invasione della regione; nel frattempo, si fornivano armi e munizioni alla propria gente coordinandone segretamente l'atti vità altraverso qualche ufficiale dello stato maggiore. Dal canto loro, gli allogeni tedeschi procedevano ad una serie di feroci violenze, arresti, persecuzioni e minacce. Testimoni oculari avevano riferito come, con la scusa di cercare armi, si commettevano furti di ogni genere, che i tedeschi venivano manifestamente favoriti nella distri449
buzione dei viveri, che con minacce si obbligava a finnare petizioni contro la riunione alla Polonia, che si negava ai polacchi la libertà di associazione anche per motivi di svago o culturali,che si arrestavano e si allontanavano i capi polacchi alcuni dei quali sarebbero stati fucilati, il tutto secondo un piano strategico mirante a preparare le migliori condizioni in vista del plebiscito (50). La successiva documentazione di particolare interesse prodotta a cura del gen. Romei-Loghena e custodita presso l'archivio del1'Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito attiene al mese di maggio 1921, periodo di massima turbolenza contrassegnato dall'insurrezione della popolazione polacca contro le risultanze emerse dal plebiscito popolare e dai violenti scontri che ne seguirono con la controparte tedesca. Bande armate costituite da migliaia di elementi attaccarono, nella notte fra il 2 ed il 3, edifici pubblici e distaccamenti di truppe nei circondari industriali orientali confinanti con la Polonia ed in quelli di Pless e Rybnik, mentre la polizia plebiscitaria polacca faceva causa comune con gli insorti. Le modalità dell'attacco, improvviso e simultaneo, comprovarono un' organizzazione ed una predisposizione accurate. Negli scontri a fuoco a Rybnik ed a Pless con le truppe del contingente italiano, queste ultime ebbero a subire una quindicina di feriti dei quali alcuni gravi, e fra essi due ufficiali (51 ). Romei-Longhena ru ricevuto il giorno 4 dal gen. Sikorski, che espresse la propri a disapprovazione circa l'insurrezione in Alta Slesia scoppiata contro il volere del governo polacco, ed aggiunse anche che questo, se pur deciso a non desiderare una guerra contro la Germania, era obbligato a prendere le misure militari indispensabili contrn una possibile aggressione nemica. Ne derivava che finché le truppe interalleate fossero rimaste in Alta Slesia, quelle polacche non avrebbero occupato la regione, mentre invece un eventuale disimpegno e ritiro de11e prime avrebbero costretto il governo polacco a cedere a11a pressione dell'opinione pubblica ed a sostituirsi inevitabilmente ad esse (52). In un altro messaggio del 6 l'addetto militare italiano informò come il governo di Varsavia, (50) AUSSME, El 1-62 bis/I, prot. 224 del 27.8.1919, da Commissione Interalleata di Tcschen - Delegazione italiana ali' Attaché Militare Italiano a Varsavia, f.to col. Tissi. (51) AUSSMF., Ell - 125/L prot. 1835 del 3.5.1921, da Commissione Interalleata Plebiscitaria Alta Slesia a Stato Maggiore R" Esercito - Rcp. OI'R, Uff. «E», f.to gcn. Dc Marinis. (52) AUSSME, Ell-125/1, prot. 103 Ris. del 4.5.192 1, da Missione Militare It. Polonia a Stato Maggiore R O Esercito, f.to gen. Romei.
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se pur aveva proibito l'arruolamento di volontari per l'Alta Slesia già iniziato in parecchi rioni cittadini, non sembrava in grado· di dominare i partiti politici ed i circoli militari che intendevano proseguire la lotta e pervenire all'occupazione della regione. Vacua ed insufficiente era risultata una nota verbale consegnata agli ambasciatori di Inghilterra, Francia ed Italia dal vice-ministro degli esteri polacco. Da parte della stampa locale, i commenti verso l'Italia apparivano tendenziosi ed ostili (53). Molto più dettagliata ed esaustiva la relazione che RomeiLonghena inviò il 10 maggio. In essa il generale informava dei passi diplomatici effettuati dal governo polacco tendenti a scagionarlo da quanto era accaduto in Alta Slesia, che peraltro non potevano alterare la realtà dei fatti. L'azione preparatoria insurrezionale messa in atto da Wojciech Korfanty, l'esponente nazional-democratico di origine slesiana che era stato l'alfiere dell'intera operazione, aveva avuto infatti l'approvazione ed il sostegno governativi, ed a conferma di ciò Romei-Longhena elencava una serie di notizie provenienlegli da fonti attendibili, quali l'infiltrazione in Alta Slesia prima del plebiscito di militari polacchi preposti ad inquadrare c rafforzare le bande armate già predisposte da Kmfanty, la cessazione solo simulata degli arruolamenti di volontari ed il raggmppamenlo delle forze militari polacche sulla frontiera. La valutazione espressa da RomeiLonghena sulla globalità della politica polacca era piuttosto severa, nel senso che la paragonava al comportamento isteroide di un fanciullo viziato che strilla e tira calci al primo rifiuto che viene opposto alle sue richieste. A ciò seguiva una critica nei confronti delle potenze alleate, colpevoli di aver bandito eccessivamente la capricciosità del giovane Stato al suo originarsi, e soprattutto per quanto riguardava la questione dell'Alta Slesia nei riguardi della Francia, che aveva auivato sin dall'inizio una politica di penetrazione tesa a fare della Polonia una colonia francese, cercando di inasprire le relazioni con l'Italia che era l'unica nazione in grado di contrastare tale obiettivo. E l'Italia aveva pagato in termini di non poche vite umane, durante i moti insurrezionali, lo scotto di questa subdola ed infida azione. Seguiva un'accurata rassegna stampa riportante i commenti degli organi delle varie formazioni politiche locali (54).
(53) A USSME, El 1-125/1, prot 106 <lei 6.5.1921 , da Mi ssione Militare IL Polonia a Stalo Maggiore R0 Esercito - Rep. OPR, Uff. «E». f.to gen. Romei. (54) AUSSME, Ell -125/5, proL 116 Ris. del 10.5.192 1, da Mi ssione Militare It Polonia a Stato Maggiore R 0 Esercito, f.to gcn. Romei.
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L'aggravarsi de11a situazione venne reso efficacemente da Romei-Longhena in un messaggio del 15 maggio: «Capo Stato Maggiore esercito polacco mi h.a avvisato riservatissimamente che telegrammi giuntigli stamane danno per certo imminente attacco in Alta Slesia di reparti regolari tedeschi dissimulati sotto altre vestimenta stop. Notizia potrehhe essere stata alterata da questo Stato Maggiore per legittimare provvedimenti mobilitazione che stanno parzialmente effettuandosi stop. Confermo chiamata con precetto personale militari recentemente inviati congedo illimitato stop. Gran parte materiale bellico ogni specie è avviato frontiera tedesca stop. Con ordine promulgato ieri sono sospese licenze tutti militari stop. Generale Niessel ha fatto annunciare che parte per solito giro ispezione centri istruzione mentre risultami che recasi i.~pezionare truppe dislocate frontiera tedesca dove vengono inviati ufficiali francesi stop. Discorso pronunciato da Loyd George ha fatto enorme impressione ed è acerbamente commentato dalla stampa stop. Governo polacco dimostrasi sempre più incapace dominare avvenimenti et risolvere grave situazione stop.» (55). La situazione descritta era tale da far ritenere sempre più probabile 1'estendersi dei conflitti. Questi potevano essere evitati solo se autorità polacche fossero riuscite ad ottenere un solJecito disarmo delle loro formazioni armate e se il governo di Berlino, a sua volta, avesse arrestato 1'affluenza delle omologhe formazioni tedesche che avrebbero ammassato nei distretti occidentali e settentrionali del]' A1ta Slesia da 20.000 a 25.000 uomini, in parte provenienti dalle province gennaniche, ben addestrati e determinati (56). Dopo i conflitti a fuoco nel corso dei quali si erano avute numerose perdite fra le truppe del contingente italiano, il Maresciallo Pilsudskì inviò a Vittorio Emanuele 111 un telegramma nel quale esprimeva, a nome di tutta la Polonia, rammarico e cordoglio per quanto avvenuto. Copia della risposta del sovrano fu trasmessa dal suo Primo Aiutante di Campo al gen. Rornei-Longhena, che chiese subito udienza al capo dello Stato polacco. Dell'incontro, l'addetto militare italiano dette il seguente resoconto:
(55) AUSSME, Ell -125/1, prot. 124 Ris. del 15.5.1921, da Missione Militare It. Polonia a Stato Maggiore R 0 Esercito, f.to gcn. Romei. (56) AUSSME, Ell-125/1 , prot. 1903 del 19.5.1921 , da Commissione lnleralleata e Plebiscitm-ia per l ' Alla Slesia a Ministero Guerra - Divisione Stato Maggiore, f.to gcn. De Mminis.
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«Il Maresciallo si è mostrato veramente grato per le parole che Sua Maestà ha voluto indirizzargli e mi ha incaricato di far pervenire all'Augusto Sovrano l'espressione della sua profonda riconoscenza. Poi mi ha parlato così: "Ed ora discorriamo un pò non come personaggi ufficiali ma unicamente come soldati; per conseguenza quanto le dirò deve restare soltanto fra lei e me. Io ho disapprovato parecchie volte nel Consiglio dei Ministri l'opera che Ko1Janty svolgeva in Alta Slesia; ma siccome egli, come ella ben sa, è uno dei miei più accaniti avversari politici, le mie parole venivano considerate quasi come vendetta personale e ad esse si è dato poco peso. Le dirò lealmente che, come soldato, comprendo l 'attitudine del Comandante le truppe italiane: Lui aveva una consegna e l'ha fatta eseguire, al suo posto io non avrei potuto fare diversamente. Creda che queste mie parole sono sincere, ma il Capo di uno Stato non puà dire tutto quello che realmente pensa. Percià le raccomando di tenere per lei soltanto le mie confidenze". Pildzuski rni ha poi domandato se l'impressione prodotta nel popolo italiano dalla notizia dei militari italiani morti e feriti in Alta Slesia, fosse stata veramente generale e prq/onda carne i telegrammi, giunti specialmente dalla Germania, avevano annuniciato; e se ritenevo che nell'avvenire la generosità del popolo nostro avrebbe potuto attutire e far dimenticare un tale risentimento. Ho rfaposto che non vi era dubbio che l'impressione risentita in tutta Italia dai dolorosi avvenimenti, era intensa e profondissima, tanto più che il nostro Paese, che aveva fornito alla Polonia tante prove di leale amicizia e di disinteressato appoggio, non si a.wettava un simile contraccambio. "Il nostro popolo - ha esclamato allora Pilzudski - è giovane ed inesperto e si lascia trascinare facilmente a moti impulsivi. Comprendo il vostro risentimento, ma spero che quando si potranno stringere più intime relazioni fra i due Paesi, e soprattutto fra i due popoli, questi ricominceranno ad amarsi. Sono appunto tali relazioni popolari che occorre stabilire. Sinora l'Italia è stata visitata soltanto dagli appartenenti alle nostre classi ricche e privilegiate, le quali non possono sviluppare una vera intesa morale fra due Nazioni. Tale intesa dev 'essere soprallutlo basata sugli ~pontanei s entimenti del popolo. Ed ora lasciamo questo doloroso argomento e, da buoni soldati, ricreamoci parlando di cose militari". Ed il Maresciallo Pilzudski cominciò con foga e passione il racconto dei suoi ricordi e delle sue osservazioni sulla grande guerra europea, racconti che riescono sempre interessanti perché ricchi di 453
episodi che ben pochi conoscono e di cui Egli, per le diverse posizioni in cui si è trovato, è stato spettatore e spesse volte attore. E così ha parlato di seguito per circa un 'ora. In quest'uomo, che gli avvenimenti del suo Paese hanno portato ad occuparsi di tutti Rii intrighi ambiziosi della politica interna e delle scabrose d~/ficoltà di quella esterna, permane e primeggia sempre lo spirito del soldato e dell'uomo di azione. Quando parla delle operazioni militari che Egli ha compiuto con le sue legioni, oppure del Comando Supremo che ha esercitato durante la campagna contro i bolscevichi, il Maresciallo Pildzuski appare ben diverso da Pildzuski Capo dello Stato polacco. Ricordo che ef.?li mi ha detto, quando ci siamo recati a Tarnopoli per consef.?nare al 53° Reggimento di fanteria polacco la bandiera offerta dalle donne d'Italia: "1ìttti gli U;{fìciali insistono perché io ponga la mia candidatura alla carica di Presidente della Repubblica; ma non so ancora se potrò accondiscendere, perché la mia unica e grande ambizione è di restare a Capo dell'Esercito ". Ed avendogli io fatto osservare che come Presidente della Repubblica avrebbe consen1ato, in tempo di pace, anche il Comando Supremo dell 'Esercito, mentre se venisse eletto presidente un suo avversario politico, questi ed i partiti che sono a lui opposti avrebbero potuto togliergli il comando dell'Esercito, egli, fattosi improvvisamente oscuro in volto, esclamò confòrza: "In tal caso si accorgerebbero chi è Pildzuski". Secondo il desiderio espresso dal Capo dello Stato, prego V.E. di riguardare questo mio rapporto come confidenziale» (57). Verso la metà di giugno la conflittualità in Alta Slesia, a seguito di un più deciso intervento da parte delle potenze garanti, sembrò avviata ad una remissione. Ma contemporaneamente ali' ordine dato agli insorti daHa Commissione Interalleata di abbandonare i territ01i da loro occupati, i tedeschi, in opposizione alla promessa fatta alla stessa Commissione, continuarono ad attaccare i polacchi in alcune località del settore meridionale. Romei-Longhena, nel trasmettere questi aggiornamenti, informava anche che la linea di combattimento tedesca era formata dai Freikorps, formazioni di volontari costituite in battaglioni e reggimenti e riunite in gruppi e brigate a loro volta dipendenti dai comandi più elevati dei settori settentrionale e meridionale . l volontari provenivano da ogni parte della Ge1mania, pochissimi erano quelli locali i quali in genere erano (57) AUSSME, Ell-1 25/5, prot. 45 Ris. Pers. dd 22.5.1921 , da Missione Militare Il. Polonia a gcn. Cittadini 1° Aiutante di Campo di S.M.il Re, f.to gen. Romei.
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arruolati nel Selstschutz (Corpo di autodifesa) o nell'APO (Corpo di polizia. plebiscitaria). Ogni Freikorps disponeva in Germania di un proprio «ufficio notizie», con il quale tutti i volontari erano in collegamento diretto e che fungeva anche da centro di riferimento. Le informazioni trasmesse da Romei-Longhena in merito a queste formazioni erano le stesse fomite dallo stato maggiore polacco ai comandi delle GG.UU. dipendenti , così come la consistenza e la dislocazione delle forze tedesche alla data del 15 giugno 1921 (58).
5. L'attività di carattere aeronautico Si è già fatto cenno nelle pagine precedenti dell'invio a Varsavia nell'estate del 1919, circa 40 giorni dopo l'apertura dell ' ufficio dell'addetto militare italiano nella persona del col. Franchino, di una missione dipendente dalla Direzione Generale Aeronautica del ministero dei trasporti guidata dal cap. Giuliani con lo scopo di acquisire ordinazioni, da parte deH' aviazi one militare polacca, di materiale areonautico considerato alienabile dall 'Italia dopo la fine della guerra. La missione fu fatta rientrare il 1° giugno 1920, ed il riassunto della sua attività ru oggetto di una relazione rimessa da Giuliani a Romei-Longhena (59); le funzioni del primo passarono al capitano di cavalleria e pilota aviatore Giuseppe Parvopassu, che divenne pe1tanto il responsabile del settore aeronautico per conto della missione militare capeggiata dal secondo e poi, dopo che dal luglio successivo la predetta Direzione Generale Aeronautica cessò di esistere, assunse la carica di addetto aeronautico, come tale dipendente direttamente dall' Ispettorato d'Aeronautica Militare del Ministero della G uerra (60).
(58) AU SSME, EJl-1 25/1, prol. 155 Ris. del 28.6.1921 , da Missione Militare lt. Polonia a Stato Maggiore R 0 Esercito, f.to gcn. Romei. (59) Gionfrid a A. , op. cil., don1mcnto n. 8, pagg. 23 1-232. (60) Dopo la fine della la guerra mondiale l'importanza assunta in campo militare dall'aviazione e la specificità dei problemi ad essa connessi detenninarono la designazione, nell' ambi to delle rappresentanze militari accreditate all' estero, di una pa1ticolare figura di ufficiale al quale fu allribuita la qualifica di «addetto aeronautico». Nel 1919 gli addetti aeron autici fu rono pos ti alle dipendenze della Direz ione G ene ral e Aeronautica del Ministero dei Trasporli e, dopo il trasferimento di questa presso il Ministero dell'Industria, Commercio e Lavoro nel luglio "I 920, passarono a quelle dell' Ispettorato dell ' Aeronautica Militare del Ministero della Guerra. Dopo la costituzione della Regia Aeronautica quale forza armata autonoma (28.3. 1923), le funzioni di addetto aeronautico sarebbero state riservale ad ufficiali del ruolo naviganti della nuova Arma.
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Durante 1e operazioni belliche dell'estate 1920, anch'egli fu impiegato da Romei-Longhena, come gli altri ufficiali aviatori che non voleva lasciare inutilizzati, quale osservatore e destinato presso il comando polacco del fronte Nord, incarico svolto con spiccata capacità di rivelamento critico della quale costituiva testimonianza un rapporto inviato al capo missione dal fronte della Lituania centrale in cui si davano notizie circa l'occupazione di Yilna da patte del gen. Zeligowski e su vari aspetti della situazione politica e militare. Fra questi, alcuni abbastanza singolari riferentisi al clero lituano. Esso si opponeva in tutti i modi al clero polacco, esprimendo una posizione di autonomia nazionalista molto radicale. Questo sentimento sciovinista appariva così forte da spingere i preti lituani ad associarsi anche al bolscevismo pur di danneggiare i polacchi. Molti di essi, durante il regime bolscevico, non solo non si erano opposti alle rucilazioni e sevizie alle quali erano stati sottoposti i polacchi, ma affermavano esplicitamente çhe, per quanti i comunisti ne uccidessero, erano sempre pochi i polacchi che morivano. Molti preti lituani si ahhanclornivano a gozzoviglie insieme ai bolscevichi, e qualcuno aveva anche contratto matrimonio. Pareva vi fosse una tendenza nel clero lituano per rormare, alla stregua di quello cecoslovacco, una chiesa nazionale indipendente dal Vaticano; questo avrebbe potuto anche spiegare il perché quest' ultimo lo sostenesse e cercasse di fare delle concessioni per prevenire un distacco (61). Già nel gennaio dello stesso 1920 lo Stato Maggiore dell'Esercito aveva emanato le direttive per gli addetti militari ed i capi missione all'estero in merito alla tipologia delle informazioni nei Paesi di pertinenza. Essa concerneva: a) Organizzazione ed efficenza dell'aeronautica militare in pace ed in guerra; organizzazione e funzionamento degli enti, reparti, servizi e campi <l'aviazione esistenti; b) reclutamento ed istruzione del personale navigante e speci,ùizzato; istruzione premilitare; e) esercitazioni e manovre dell'aeronautica militare, e servizi disimpegnati in tempo di pace; d) criteri adottati circa l' istruzione ed allenamento del personale aeronautico in congedo;
(61) AUSSME, E l 1-57/2, senza i ndi cazionc di prot. in data 2.11.1920, da cap. Parvopassu a Capo Missione Militare IL Polonia, f.to cap. Parvopassu.
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e) servizi e funzioni commerciali affidati a reparti e personale mililare; J) concorso dcli' aeronautica civile alle esercitazioni aeronautiche ed all ' efficenza dell'aeronautica in guerra; g) predisposizioni e criteri per 1a mobilitazione dell'aeronautica; h) tipi di materiali e di armamenti aeronautici in uso ed in studio; i) vincoli posti all'aeronautica civile per l'adattamento dei suoi materiali ad uso bel1ico; I) mezzi in uso ed in studio ed organizzazione della difesa controarea (62). A questa raceva seguito, circa un mese dopo, una seconda attivazione tesa ad orientare 1a ricerca informativa nello· specifico settore della difesa aerea: I) se esiste un organo centrale incaricalo della direzione dell ' organizzazione della difesa aerea dello Stato, come è costituito, quali sono le sue attribuzioni; 2) se e quali organi provvedono allo studio ed attuazione della <.lifesa aerea presSf) le (:Ìrcoscrizioni territoriali; loro costit=..,zione e funzionamento; J) mezzi impiegati per la difesa aerea: - sistemazione del servizio per la scoperta e segnalazione di aerei nemici, diurna e notturna; trasmissione de11e notizie relative; - me:/,Zi ·di controffesa terrestre: artiglierie (se mobili o fisse, calibri, loro armamento) ed altre anni (mitragliatrici, ccc.); - mezzi di scoperta di aerei (acustici, proiettori, ecc.), 1oro ordinamento e criteii d'impiego; 4) protezione da11e offese aeree per 1e località abitate, segnalazioni di a1larme (mezzi impiegati), ricoveri, misure generali di sicurezza e soccorsi; 5) raccolta di pubblicazioni sui vari argomenti (islrnzioni, disposizioni di massima); 6) scuole di addestramento per il personale da adibirsi ai vari mezzi di difesa aerea: numero, località di sede, ordinamento, mezzi dei quali dispongono, organi per lo studio e progresso tecnico dei mezzi da adibirsi alla difesa aerea (63). (62) AUSSME, El 1-62/10, proL 665 del 22.1.1920, da Comando Supremo - Rep. OPR ad Addetti Militari italiani e Missioni Militari varie sedi, f.to gcn. Scipioni.
(63) AUSME, El 1-62/1 O, proL 2023 del 26.2. 1920, da Slato Maggiore R Esercito Rep. OPR Uff. «E» ad Addetti Militari italiani e Missioni Militari varie sedi, f.to gen. Vaccari. 0
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Una terza richiesla sarebbe stata inviata nel marzo 1921, con particolare riferimento ai seguenti argomenti: a) organizzazione in genere attuata in tempo di pace ed organizzazione prevista per il tempo di guerra; b) impiego di mezzi aerei nella difesa (se previsto solo di giorno o anche di notte e, in questo caso, particolari circa le modalità); e) metodi di tiro anliaereo, sistemi di puntamento, strumenti e materiali impiegati; d) ostruzioni aeree per difesa di località; e) mascheramento; f) bersagli impiegati nelle esercitazioni reali di tiro (64). Per quanto riguardava in particolare la Polonia, non si trattava di un compito agevole trattandosi di un Paese, come specificava il cap. Parvopassu, «in cui vi sono apparecchi, piloti, campi, nel quale si vola, ma che non ha la più elementare idea di quello che sia aviazione e nel quale le comunicazioni sono dijjìcili e lunghe. Nonostante quello che hanno potuto insegnare gli ufficiali francesi messi come consiglieri tecnici in ogni reparto, l'aviazione è rimasta qui in condizioni ancora infantili. Raro è il caso di un apparecchio che parte provvisto di bussola, e molti partono senza strumenti di bordo e senza carte. Ciò spiega perché spesso si effettuano per ferrovia trasporti di apparecchi per distanze di 200 km. Inoltre, essendo la Polonia in gran parte un enorme campo piano dove è estremamente facile atterrare, i piloti sentono in minor misura il bisogno degli aiuti che possono venire da terra e dagli strumenti» (65). Ad ogni modo, una risposta abbastanza esauriente ai predetti quesiti informativi fu fornita circa un anno dopo da RomeiLonghena con una relazione specifica (66). Sempre nel gennaio 1920, Romei-Longhena aveva segnalato alla Direzione Génerale Aeronautica del Ministero dei Trasporti come uno degli ostacoli più gravi alla penetrazione aviatoria italia-
(64) AUSSME. Ell-62/6, prol. illeggibile del marzo 1921 , da Stato Magg iore R" Esercito - Rep. OPR, Uff. «E» ad Addelli Mililari italiani e Missioni Militari varie sedi, f.to gen. Gaggia. (65) AUSSME, Ell-6;U7, prot. 31 dell' J 1.4.192 1, da Missione Militare IL Polonia Aviazione a Comando Superiore d'Aeronautica Ministero Guerra - Direzione Servizi Civili, f.to cap. Parvopassu. (66) AUSSME, Ell-62/6, prot. 30/AV del 13.5.1921, da Missione Militare lt. Polonia a Stato Maggiore R 0 Esercito, f.to cap. Parvopassu.
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na jn Polonia fosse costituito dal ritardo nell'invio e nella consegna del materiale per la fornitura del quale l'Italia aveva assunto formali impegni. Egli si riferiva ai 15 velivoli da ricognizione, I da caccia, 1 da bombardamento e 6 idrovolanti per la marina cd altre componenti aeronautiche che facevano parte di un'ordinazione da parte de11'aviazione militare polacca ottenuta grazie ai buoni uffici del cap. Giuliani. Se a fine febbraio era giunto in Polonia un primo blocco di 15 velivoli Balilla, nella successiva primavera non era ancora pervenuto il restante materiale nonché gli aerei di fabbricazione privata per i quali alcune ditte italiane si erano impegnate e la cui consegna era stata stabilita non oltre un mese dal1a stipula contrattuale, per cui le autorità polacche si erano rivolte alla Francia ed all'Inghilterra per ottenere quanto di necessità. In una comunicazione del maggio diretta sempre allo stesso ente, l'addetto militare italiano faceva presente come questa forma di concorrenza commerciale fosse abilmente orchestrata, specie da parte dcl1a Francia, con il mettere in evidenza agli occhi dei committenti l' impossibilità de11'Tta1ia di procedere a11e forniture dati gli scioperi ed i disordini interni ( 67). Nel maggio J 920 era giunto a Varsavia proveniente da Parigi un ve1ivo1o Potez munito di motore Loreine Dietrich da 300 HP, a tre posti, che aveva compiuto un volo sperimentale facendo scalo a Strasburgo ed a Praga. Il cap. Parvopassu aveva notificato alla Direzione Generale Aeronautica come la società franco-romena di navigazine aerea, incoraggiata dai buoni risultati sino allora ottenuti dal1e linee aeree francesi su11e rotte Parigi-Londra e ParigiBarcellona-Tangeri-Casablanca, aveva avuto dai governi francese, cecoslovacco e polacco la concessione per gestire la linea ParigiPraga-Varsavia. Nonostante la crisi militare polacca della primavera-estate dello stesso anno, anche il progetto per la nuova linea Parigi-StrasburgoPraga era condotto a buon fine, essendo in grado di produrre tre viaggi settimanali, mentre per la metà di ottobre era prevista l' entrata in funzione del tratto Praga-Varsavia. Qualche riserva, naturalmente, andava fatta relativamente alle locali condizioni mete.e reologiche, che avrebbero creato dei problemi da novembre a marzo per un volo la cui durata non era inferiore alle 9 ore. Sulla
(67) AUSSME, Ell-62/1 , prot. 828 Av. del maggio 1920, da Missione Militare lt. Polonia a Ministero Trasporti - Direzione Generale Aeronautica, f.to gen. Romei .
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nuova linea ogni aeroscalo sarebbe stato dotato del necessario numero di velivoli e piloti, per un totale di 12 aerei del tipo menzionato, in grado di trasportare da 2 a 3 passeggeri in cabina chiusa e 500 kg. di bagaglio. Era anche già pronto un contratto fra la società ed i ministeri degli esteri delle tre nazioni per il trasporto settimanale di 600 kg. di posta. La stessa società aveva in programma l'apertura, a breve termine, di una linea Parigi-ViennaBucarest. Il cap. Parvopassu concludeva così la sua informativa: «È doloroso per il sottoscritto constatare come, se fossero giunti gli apparecchi italiani contrattati dalla Polonia, le linee che si eserciranno prossimamente in Polonia e le molte che si potranno esercire in seguito avrebbero potuto assai facilmente essere concesse a società italiane od anche polacche ma con materiale italiano. E sarebbe stato quindi facile al solloscritto, ai suoi piloti ed ai polacchi, piloti di Al e di SVA, di dimostrare che gli apparecchi italiani non sono secondi a nessun altro apparecchio» (68). Romci-Longhena sovrintese anche alle trattative fra il governo polacco e la diu.a Ansaldo per la fornitura cli snn velivoli attraverso l'installazione in Polonia di una fabbrica nazionale di aeroplani da costruirsi con materiali e tecnologie italiani. Il «Progetto Ansaldo», riferibile al gennaio-febbraio 1920, prevedeva infatti l'invio in Polonia dei motori, dalle patti metalliche cd in legno semilavorate e già esistenti nei magazzini aeronautici italiani ed il loro completamento in loco, nonché il completo montaggio dei velivoli nell'arco di 15 mesi a decorrere dalla stipula del contratto. In tale periodo, avrebbe soggiornato in Polonia un adeguato gruppo di tecnici e specialisti in grado di assicurare il pieno svolgimento del programma e di mettere la fabbrica in condizioni di funzionare autonomamente allo scadere del predetto arco di tempo, s enza altri aiuti stran i eri ma unicamente con pe r so nale polacco.Relativamente alla costnu,ione dei 500 velivoli, l'Ansaldo richiedeva un prezzo modico cadauno variabile fra le 40.000 e le 45.000 lire italiane comprensivo delle spese di avviamento della fabbrica, dei trasporti, dell' addestramento degli operai, dell ' ammortamento dell' impianto, e che era possihil e contenere in quei termini approfittando dei prez:r.i di fa vore ai quali la Direzione Generale Aeronauti ca era disposta a cedere i materiali. Nel documento dell'Ansaldo si faceva anche m enzione della concorrenza (6 8) A USSME, E l 1-62/34, prol. 891 del 9 .1 0. 1920, da Missione Militare lt. Po lonia Av iazione a Ministero Guerra ~ Ispcllorato General e d ' Aeronautica, f.to cap. Parvopassu.
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inglese, e precisamente deJla ditta Handley Page, la cui offerta era quella di dar vita ad una società polacca sotto la propria direzione con un impegno di produzione annua di circa 700 aeroplani, dei tipi prescelti dall'aviazione polacca, per un periodo di 7 anni. Il prezzo non era precisato, ma si specificava come sempre in quel periodo la ditta inglese stava proponendo in Polonia i suoi velivoli ad un prezzo di l0.000 lire sterline cadauno. Era evidente lo scopo che la ditta inglese si prefiggeva, cioè il completo monopolio delle costruzioni aeronautiche in Polonia e per un arco di tempo sufficientemente lungo da impedire il sorgere di altre iniziative (69). Il problema dell'impegno delle altre due maggiori potenze, Francia ed Tnghi1terra, per far prevalere le rispettive potenzialità industriali ed economiche nelle forniture aeronautiche alla Polonia venne affrontato da Romei-Longhena in un altro rapporto inviato alla Direzione Generale Aeronautica nell'aprile 1920. In esso si faceva il punto, a que11a data, sui velivoli già pervenuti e di prossimo arrivo nonché su quelli in corso di ordinazione. Per quanto riguardava la Francia, la commissione governativa polacca ivi recatasi per il collaudo di accettazione del materiale aeronautico aveva contaslato che molti apparati motori erano in cattive condizioni, per cui fu deciso di acquistare un numero di velivoli inferiore a quello previsto e con una diminuzione del prezzo convenuto, il che aveva portato il totale a 130 e senza che venisse ordinato alcun pezzo di ricambio. L'lnghilte1rn, che per ragione promozionali aveva regalato alla. Polonia30 vecchi aeroplani privi di parti di ricambio, si era vista ordinare 75 aérei da caccia. Per dò che concerneva l'Italia, i velivoli pervenuti ed in corso di invio in Polonia erano 15 Al, 60 SVA, 6 M9 più 50 ordinati alla Ditta Ansaldo mediante un contratto stipulalo con l'appoggio della Missione Militare italiana. Si trattava quindi in totale di 131 aeromobili con le rispettive parti di ricambio. Il rappo1to di Rornei-Longhena si chiudeva con queste considerazioni: «Se vi è un Paese dove ['aeronautica italiana può trovare un ambiente fav orevole alla sua penetrazione è certamente la Polonia, sia per Le reali simpatie che qua gode il nostro Paese, sia per il minore aggravio finanziario che offre il nostro cambio in confronto con la moneta di Francia, di Inghilterra e di America, sia infine, e soprattutto, perché i nostri apparecchi si sono dimo-
(69) AUSSME, Ell-62/4, annesso al verbale di riunione del 10.2.1920, da Missìone Militare It. Polonia a Ministero Traspotti - Direzione Generale Aeronautica, f.to gen. Romei.
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strati nettamente superiori a quelli degli altri Paesi e di costo minore. Aggiungo anche che il R Ministro comm. Tommasini, ha prestato e presta tutto il suo efficacissimo ed energico appoggio presso le autorità politiche polacche perché l'aeronautica italiana abbia quà il posto che Le è dovuto, e perché trionfi di tutte Le pressioni che Inghilterra e Francia, questa ultima specialmente, esercitano a mezzo dei loro rappresentanti politici e militari per far accettare apparecchi, piloti a scuole proprie. Perché dunque l'aeronautica italiana non ha avuto qua, finora, tutto lo sviluppo che avrebbe potuto avere? Perché, mentre Francia ed Inghilterra, fin dall'inizio, basata la loro penetrazione aeronautica sopra un 'azione nettamente u/{iciale, svolta dalle loro Legazioni presso le autorità politiche e dalle loro missioni militari presso le autorità militari, l'Italia - che per parecchio tempo non ebbe a Varsavia né rappresentante diplomatico né rappresentante militare - tenlò i primi passi timidamente, in forma tutt'affatto privata ed incerta e con una doppia azione che, invece di essere cooperante portava quasi ad una dannosa concorrenza e generava confusione nei giudizi del Governo Polacco. Intendo parlare dell'azione svolta dal Capitano Giuliani per L'aviazione di Stato, e di quella del ten. Mainardi (70) per la Casa Ansaldo. Così avvenne che il Ministero della Guerra polacco ricevette e dagli uni e dagli altri offerte per gli slessi apparecchi con differenze di prezw sensibilissime. Invece le penetrazioni francese ed inglese, così per l'industria aeronautica di Stato che per quella privata, furono fin dal/' inizio . disciplinate dalle autorità diplomatiche e militari, in modo che le due industrie, anziché farsi concorrenza, armonizzarono i loro sforzi e si porsero un vicendevole ed efficace appoggio. È quanto occorre avvenga anche per la nostra penetrazione. Occorre, cioè, che le due industrie si presentino quì già perfettamente d'accordo sulle offerte e sui prezzi; e questa è azione che deve svolgersi in Italia. Occorre che quì i rappresentanti dell'una e dell'altra industria abbiano una guida ed un sostegno ufficiale nella Legazione 0
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(70) Il ten. Mainardi, pilota aviatore, era giunto a Varsavia nell'agosto 1919 ai comandi di un apparecchio SVA insieme con un analogo velivolo pilotato dal lcn. Ancillotti; i due utticiali erano portatori di un messaggio di Nitti per il capo del governo polacco Paderewski relativo ,ùla costituzione di una scuola di 11ilotaggio. Mainardi era poi rimasto a Varsavia per svolgere opera di propaganda per l' industr ia aeronautica italiana e per fornire assistenza alla Ditta Ansaldo.
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diplomatica e nella Missione Militare. Epperciò gli ufficiali inviati in Polonia per la penetrazione aeronautica, pur conservando la più larga autonomia per tutto quanto ha carattere tecnico, dovrebbero far parte, come sezione, della Missione Militare e, quando questa sarà richiamata in Italia, della nostra Legazione» (71). Il tema della penetrazione aeronautica in Polonia costituì I' oggetto di un'altra comunicazione di Romei-Longhena, diretta allo Stato Maggiore dell'Esercito. Tn essa, il generale affermava come fosse necessario riconoscere che l'opera di esclusivo accaparramento della Francia fosse stata avvantaggiata dal mancato arrivo in Polonia del materiale aviatorio italiano durante la campagna polacco-russo del1' estate precedente, che aveva determinato allora una seria crisi all'aviazione militare polacca. L'assidua opera di propaganda svolta dalla Missione Militare con l'efficace appoggio del ministro Tommasini, la reale bontà del materiale italiano, il valore di alcuni piloti americani arruolati nell'esercito polacco ed alla cui squadriglia la Missione aveva fatto assegnare i soli 15 aerei italiani giunti, avevano fatto sì che la situazione italiana nell'ambito della penetrazione aeronautica si fosse alquanto stabilita presentando segni di miglioramento, specie dopo che i piloti polacchi avevano potuto fare il confronto con il materiale francese. L'apporto dato dalla nostra Missione Militare era ribadito nel prosieguo del documento: «La Ditta Ansaldo ha presentato diverse offerte che sono state ostacolate con tutti i mezzi dai consiglieri francesi: perà l'interessamento di questa Missione e le relazioni personali dei suoi componenti coi capi dell'aviazione polacca hanno ottenuto che l'Ansaldo concludesse un contratto per la vendita di 70 S. V.A. e di 16 Al, pagabili in buoni del tesoro polacchi. Questi apparecchi, dopo infinite traversie, cominciano ora a giungere a Cracovia. Un mese fa la ditta Ansaldo ha offerto altri 50 apparecchi Al. Per l'accettazione di tali forniture vi sono enormi difficoltà di pagamento e la Francia ha posto un veto reciso, contro il quale sta lottando questa Missione con tutte le sue influenze. Per ora si è ottenuto che l'ordinazione, ,sebbene non attribuita a ditte italiane, non sia stata peraltro attribuita ad altra nazione. Altra ragione di aspra e subdola lotta da parte delle autorità francesi 'è causata dall'offerta italiana di installare una fabbrica di
(71) AUSSME, Ell-62/9, prot. 801 del 22.4.1920, da Missione Militare IL Polonia a Ministero Trasporti - Direzione Generale Aeronautica, f.to gen. Romei.
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aeroplani con materiale, direzione tecnica e compartecipazione di capitale italiani. Questa Missione ha dovuto ricorrere a tutti gli espedienti per evitare che la questione venisse giudicata a completo vantaggio della Francia, che si è imposta con le «Fabbriche riunite francesi». Attualmente si è ottenuta la decisione cli installare due grandi op(/ici dei quali uno, si spera, verrà attrihuito a ditte italiane. Accennavo nella mia relazione del J::ennaio alla proposta del Comm. Lauro, rappresentante cli industrie italiane, che ha offerto al governo polacco apparecchi italiani al prezza di lire 30.000 l'uno, consegnati a Danzica. Il contratto, per il quale era intervenuto il veto.francese, è stato ripresentato con l'appoggio di questa Missione e si sono avute assicurazioni che esso sarà almeno in parte, preso in considerazione. Attualmente la marina polacca ha richiesto a questa Missione se è possibile inviare tre suoi ufficiali in Italia. Uno di essi avrehhe il compito di studiare l'organizzazione delle squadriJ?lie idrovolanti italiane, J?ÌÌ altri due, Rià piloti di idrovolanti, dovrebbero impratichirsi nel pilotaggio degli idrovolanti italiani. Ho comunicato tale richiesla al Ministero della Guerra, Ispettorato Generale d'Aeronautica ed al Ministero della Marina, Direzione Aviazione. Nonostante l'accanita opposizione della Francia, sempre più il maieriale italiano e la valentia tecnica dei nostri aviatori sono apprezzati in questi amhienti militari. Perciò, se oltre l'opera dei rappresentanti militari e diplomatici che si trovano in Polonia, interverrà anche quella del potere centrale e l'ardita iniziativa delle ditte italiane, un largo campo si potrà quà ancora aprire per l'industria aviatoria del noslro Paese» (72). Ed in effetti, oltre alla Polonia, le possibilità del mercato italiano aeronautico s1 estesero l'anno successivo anche ad altri Paesi limitrofi, come è dimostrato dal contratto stipulato dall'Ansaldo nell'agosto 1922 con il governo lettone per la vendita di 4 velivoli SVA 1O, di 4 Al e di altro materiale costituito da parti di ricambio e motori. Alla fine di quello stesso anno il cap. Parvopassu, dietro richiesta del gen. Romci-Longhena, compilò un promemoria diretto al Comando Superiore d'Aeronautica presso il Ministero della Guerra riguardante l'utilità dell'istituzione della carica di Addetto
(72) AUSSME, El 1-62/3, prot. 10 Ris. del 1.2.1921 , da Missione Militare It. Polonia a Stato Maggiore R0 Esercito, f.to gcn. Romei.
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Aeronautico presso la Legazione d'Italia a Varsavia con carattere permanente. 11 documento costituiva un consuntivo dell'attività promozionale svolta in campo aeronautico dalle rappresentanze diplomatiche e militari italiane, e fornjva inoltre una serie di suggerimenti e prospettive circa le attribuzioni che avrebbero dovuto essere demandate ali ' addetto aeronautico permanente del quale si caldeggiava l'istituzione (73).
6. Dal «dopo Romei» alla «finis Poloniae» Nel gennaio 1923 la Missione Militare italiana in Polonia rientrò in Patria, compreso il cap. Parvopassu senza che fosse stata istituita la carica da lui proposta, a proposito della quale era pervenuta a Romei - Longhena una comunicazione del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito generale Vaccari: «Nel ringraziare la S. V. per le due comunicazioni circa lo stato attuale delle relazioni fra le industrie italiane e polacche in fatto di materiali aeronautici, mi faccio premura parteciparLe che, pur riconoscendo l'utilità di una attiva ed attenta sorveglianza sul posto, ho dovuto rinunciare a dar corso alla proposta relativa alla permanenza del capitano Parvopassu a Varsavia, dopo la partenza di codesta Missione, perché appunto in questi giorni, per indemgahili esigenze di economia, questo Minislero ha dovuto sopprimere alcune sedi di Addetti Militari ed Aeronautici fra quelle già esistenti. I compiti ai quali La S. V. accenna nel pro.~pettare l'opportunità della presenza di un nostro Addetto Aeronautico a Varsavia saranno pertanto compresi fra quelli che dovrà svolgere l'Addelto Militare già designato per codesta sede» (74). Il rientro della Missione fu determinato daìì ' aver RomeiLonghena fatto presente allo Stato Maggiore Esercito le difficoltà economiche nelle quali si sarebbero venuti a trovare i componenti della stessa a seguito della circolare ministeriale che aveva disposto la notevole riduzione degli assegni per i militari in servizio all'estero. Ne era conseguita la decisione, da parte del Ministero
(73) AUSSME, Ell-62/14, allegato al prut. 54/Av. dell ' ll.11.1922, da Missione Militare \t. Polonia - Aviazione a Ministero Guerra - Comando Superiore d'Aeronautica, Lto cap. Parvopassu. · (74) AUSSME, Ell-60/9, prot. 9805 ùel 17.11.1922, da Stato Maggiore R 0 Esercito Uff. OPR a Capo Missione Militare It. Polonia, f.10 gen. Vaccari.
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della Guerra, di non prolungare la permanenza a Varsavia della Missione anche in relazione alla fine dell 'emergenza creata dal conflitto russo-polacco. Romei-Longhena espresse il proprio parere negativo al rientro in Italia delJ'organismo da lui capeggiato in una lettera personale al capo di stato maggiore dcli ' esercito della quale riportiamo i paragrafi centrali, nei quali il generale esponeva i motivi tecnici e morali che erano alla base del proprio punto di vista e che costituiva anche una sorta di consuntivo del lavoro svolto. « [. .. ] Espongo dapprima le ragioni tecniche. A) Primo scopo che ha determinato l'invio di Missioni Militari dell'Intesa in Polonia, è stato quello di seguire la coslituzione di questo giovane Stato, costituzione che si è svolta e si svolge fra vicende guerresche ed avvenimenti politici che hanno grande importanza non solo per la Polonia, ma per tutta l 'Europa, potendo determinare gravi complicazioni. l principali fra tali avvenimenti politici sono tre: 1) L'Alta Slesia, questione ormai riso/la, ma che sarà compiuta soltanto quando le truppe dell'Intesa avranno sgomberato i territori assegnati ai due Stati, e tali territori saranno occupati dalle rispettive forze militari, sènza che .fra queste avvengano scontri; 2) La, questione di Wilno, in piena crisi di risoluzione. Come Vostra Eccellenza avrà rilevato dai rapp&rti che ho successivamente inviato, e da queÌLo che mando con questo stesso corriere, la risoluzione della questione appare più che mai complicata, sia perché la Lituania di Kowno non riconosce la decisione della Dieta di Wilno per L'unione alla Polonia e minaccia di annullarla con la forza, sia perché i delegati di Wilno non hanno accettato il trattato d'unione preparato dal Governo polacco, che non è stato così firmato né da una parte né dall'altra. Fatto questo assolutamente inaspettato, e che dimostra come dietro i due Stati Lavorino importanti fattori stranieri. 3) La questione della Galizia Orientale, che non è stata ancora affrontata ma che Lo sarà, pare, subito dopo la conferenza di Genova. La questione è difficile e grave. Quel .fertilissimo territorio è preteso da tre contendenti: lo stato polacco, La repubblica sovietista dell ' Ucraina, e la cosidetta nazione rutena. Ognuno accampa i suoi diritti o territoriali, o politici, o etnici; ma contemporaneamente si prepara ad assicurarsi con la forza quanto può essere negato al presunto diritto. E dietro ai contendenti stanno le potenze europee: L'Inghilterra, favorevole alla creazione di uno 466
stato ruteno che serva da cuscinetto fra la Polonia e la Russia; la Francia, contraria a tale progetto e partigiana dell'unione pura e semplice della Galizia Orientale allo Stato polacco. Questa Missione conosce ormai le tre questioni fino dai primordi e le ha seguite nei loro successivi sviluppi. lo le ho studiate con la Missione Noulens quando.fui qui per la prima volta nell'inverno del 1919, e le ho trattate poi alla conferenza della pace a Parigi, quando la Missione Noulens fu chiamata colà. Sembrami perciò che l'incarico affidato alla mia Missione sarà compiuto, t: lo scopo del suo invio in Polonia raf?giunto, quando le tre suaccennate questioni saranno definitivamente risolte. B) Secondo scopo affidato alla Missione Militare è di seguire L'organizzazione del neonato esercito polacco, per valutarne la capacità tecnica e morale e classificarlo nel suo giusto valore fra i fattori militari della nuova Europa. Valutazione tanto più importante, inquantoché l 'esercito polacco si può considerare come un grande distaccamento di quello francese, poslo ad oriente della Germania. Come ho già comunicato coi miei precedenti rapporti, e come Vostra Eccellenza rileverà da un complesso lavoro che la Missione sta ultimando e che a giorni avrò l'onore d'inviarLe, l'organizzazione definitiva dell'esercito polacco sarà compiuta durante il 1922. Le grandi linee sono già state fissate; ma le singole sistemazioni sono ancora in corso di discussione dinanzi al Consiglio dell'Esercito. La Missione Militare ha seguito tale organizzazione sin dal suo inizio. 1 legami personali che uniscono me ed i miei ufficiali con quelli dello Stato Maggiore polacco, permettono di conoscere non solo i cambiamenti che vengono man mano introdotti nell'organizzazione dell 'esercito, ma anche il carattere tecnico e politico delle discussioni che li hanno determinati. Mi sia permesso di aggiungere che la confidente amicizia che mi lega al Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, Generale Sikorski, mi ha dato la possibilità di conoscere e riferire sopra fatti ed argomenti di carattere riservatissimo, il che Vostra Eccellenza avrà potuto rilevare da parecchi miei rapporti riservati-personali. Sembrami quindi che anche dal lato strettamente militare, il mandato della mia missione in Polonia non sia ancora ultimato. C) Altro compito, e non meno importante dei precedenti, affidato alla Missione Militare è di osservare e riferire, per quanto possibile, sul misterioso vicino d 'oriente: la Russia bolscevica. E dai 467
non pochi rapporti che sulla Russia dei Soviet ho avuto l'onore d 'inviare a ¼,stra Eccellenza, sembrami si possa dedurre che la Missione ha trovato i mezzi per gettare il suo sguardo anche sull'ex impero moscovita. Tali mezzi, sono rappresentati dalle conoscenze russe che io ho ritrovato a ¼1.rsavia, dove dimostrano appunto per mantenersi in contatto con il loro Paese p el tramite di segreti emissari. Citerò fra tali conoscenze soltanto Le due più importanti: Sazonow, e.x ministro degli esteri negli ultimi anni dell'impero, che ho conosciuto a Pietrogrado e col quale ho tratlato durante la confe renza interalleata del febbraio 1917, ora esponente del partito russo-liberale-costituzionale; Sawinkow, l'ex famoso terrorista, col quale ho avuto molti rapporti quand'era ministro della Guerra nel Governo di Kerenski, e che.orq rappresenta le tendenze democratiche del popolo e soprattutto dei contadini russi. Egli ha numerose file segrete siese in tutte le .organizzazioni della Russia:· politiche, ·militari, ope"r"àie ed agrarie..È Ìin\,ornp chefarà ancora parlare di sé. La Rus.,·ia bblstévica "è ).:ertamente ora entrata in un neriodn di evoluzione, <.'he potrà chiliramente manifestarsi dopo la conferenza di Genova. La nostra Missione, che è l'unica militare italiana in contatto con tale Stato, ha dunque già aperte le vie per constatare e seguire tale evoluzione nei suoi vari a!>petti: politico, sociale, econornù:o, rnilitare / ... ]. Va ricordato. come Romei..:Longhena, chc:av-eya ~eguito diretla. mènte il conllllfo russo~pòfacco attraverso ì suoi ·ufficiali i·n viati al fronte come osservatori, anche durante la grande.offensiva sovietica dell 'est.ate 1920 che aveva portalo i russi alle porte di Varsavia, aveva sempre puntato su una ripresa dell 'esercito polacco che coincideva con una personale, cauta valutazione della tani.o conclamata effici enza dj quello bolscevico. Ed in effetti già 4 mesi prima. come segnalato da Biag4ni, Romci-Longhena aveva ribadito l' impossibilità di una vitt.oria mssa in terra polacca perché l'escrcit.o - a parte le carenze strutturali ed organizzative - era a suo giudizio comandato da ufficiali che ragionavano ancora in termini di numero di fucili e di uomin i, mentre non avevano intuito l'importanza di alcune nuove anni come l'aeronautica (la quale avrebbe avuto una parte rilevante nel successo polacco). Essi soprattutto non riusc ivano a valutare la for.1,a delle motivazioni morali dell'esercito di Pilsudski: mentre i soldati russi erano rimasti ne11 'esercito per garantirsi una sopravvivenza materiale durante quegli anni di terribile carestia, quelli polacchi , al contrario, erano fortemente motivati e sostenuti .
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dalla consapevolezza di combattere per la propria indipendenza. L'intcrpretazi.one di Romei - il quale, peraltro, non considerava un ulteriore e ben valido argomento, quello cioè del profondo desiderio di rjvalsa che animava il popolo polaco, fondamentalmente antirusso - trovava conferma nella pratica con il successo riportato dal gen. Pilsudski. Questi suscitava la sua approvazione per quanto riguardava il piano operativo adottato, ma era criticato da Romei per la linea politica seguita che, in sostanza, intendeva dar luogo ad un'area di piccoli Stati (Lituania centrale, Rutenia bianca, Ucraina) legati alla Polonia in chiave federativa (75). Romei-Longhena, d'altro canto, non condivideva le idee socialiste di Pilsudski e guardava con preoccupazione al pericolo di una trasformazione in senso dittatoriale del sistema politico polacco. La lettera al capo di stato maggiore dell' esercito così: proseguiva: «Accennerò infine alle ragioni morali che consigliano di d{fterire il richiamo della nostra Missione. Sono quelle stesse che ho f;ÌCÌ esposto nel mio foglio del i 8 novembre 1920: Scrivevo allora.: "ll richiamo della Missione Militare Italiana, menlre continuano a rimanere quà quelle delle altre nazioni, acquisterebbe un significato politico o almeno potrebbe essere interpretato come tale. Vi è quà i ' impressione che l'Italia tenda a disinteressarsi della Polonia, impressione che è 4ruttala da coloro che cercano di accaparrare al loro Paese l 'esclusività degii interessi economici polacchi. Il richiamo della Missione Italiana rqf{orzerebbe taif:! impressione e darebhe buon gioco ai nostr.i competitori, dànnegiando così il nostro interesse ed il nostro prestigio". lo non posso ora che ripetere le stesse parole. Limitandomi a parlare delle Missioni delle grandi polenz.e, debbo far presente che perrn.ane sempre quà, oltre la Miss ione _fi-ancese, anche quella inglese, cioè la Missione di una potenz.a che certo non si è dimostrata amica della Polonia. Maggior impressione farebbe perciò il richiamo della Missione italiana, appartenente ad una naz fone che, per tradizione e sentimento di popolo, è quà considerata come amica. E la mia modesta opinione è che noi abbiamo interesse a non distruggere tale convincimento» (76). Oltre a quanto messo in evidenza da Romei-Longhena sul piano
(75) Biag ini A., op. c ii. , pag. 266. (76) A USSME, E I J-63/2, sem.a indicazione di prot. del 5.3.1 922, da Capo Miss ione Militare lt. Polonia a Capo Staio Maggiore R" Esercito, f.to gcn. Romei.
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dell'attività di osservazione e valutazione politica ed informativa, andava accreditato alla Missione Militare italiana anche il notevole lavoro svolto per migliorare i rapporti commerciali italo-polacchi, cercando di favorire le ditte italiane in una possibile affermazione sul mercato locale, anche se realisticamente non era ipotizzabile, dal punto di vista economico, una concon.-enza a Paesi dalla struttura industriale consolidata quali Francia, Inghilterra e Stati Uniti. Nel concludere l'esposizione sul duplice ruolo svolto dal gen. Romei-Longhena quale capo della missione militare italiana e addetto militare, riteniamo opportuno riportare il testo di una circolare riservata che egli aveva diramato nel marzo l 920 a tutti gli ufficiali italiani presenti a qual siasi titolo in Polonia. Si trattava di un richiamo di carattere disciplinare che traeva origine da un «incidente» non meglio precisato del quale erano stati protagonisti nostri ufficiali residenti a Cracovia (77), attraverso il quale traspari va il significato altamente dignitoso che egli dava a] fatto di rappresentare l' Italia all'estero e la severa determinazione con la quale esigeva che tutti gli ufficiali adeguassero a tale impostazione il proprio comportamento pubblico e privato: «Nel f ebbraio scorso un incidente occorso ad ufficiali italiani residenti a Cracovia ha dato luogo ad un commento tutt'altro che benevolo apparso su un giornale di quella ciuà. Avendo accertato che i fatti narrati dal Riornale erano in parte svisati, fw provveduto a far pubblicare una smentita ufficiale la quale però, come osserva giustamente S.E. il Ministro della Guerra a cui ho fatto rapporto dell'accaduto, "non riesce e.f]icacemente a cancellare le poco buone impressioni che tali incidenti, sempre incresciosi, producono". La condotta dell'ufficfole italiano all'estero deve essere talmente di,:nitosa da impedire anche alla stampa male intenzionata il pretesto a qualunque commento. E perciò, in ottemperanza agli ordini ricevuti da S.E. il Ministro della Guerra, informo tuui i
(77) A Cracovia si trovarono per un ce1to periodo il cap. Venturi ed i tenenti Filoferro, Ballabio, Guerrieri, Giacalone e Vitale, preposti dalla Direzione Trasporti dd Ministero della Guerra all ' instradamento, all'inoltro ed allo scarico dei treni militari provenienti dall'Italia. A Orderbcrg era distact:ato il s. ten. Cutolo, addeuo al controllo dei !reni italiani che traspo1tavano i prigionieri di guerra austroungarici di nazionalità rulena. Alu·i ufficiali (tcn. col. Tonini e ten. Signorini) erano di stanza a Poscn in seno alla Comissione Interalleata per la delimitazione dei confini germano-polacchi, altri ancora a Varsavia (cap. Pallavici no e tcn. Sucherl assegnati all a Legazione italiana, oltre agli ufficiali piloti aviatori cap. Giuliani, tenenti Retinò, Ancillotti e Mainardi inviati dal Ministero dei Trasporti (cfr. Iliagini A., op. cil., pag. 262 e Gionfrida A., op. cit., pagg. 80-100).
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Signori Ufficiali che si trovano in Polonia che senza attendere l'esito di ulteriori investigazioni, dfaporrò per il loro immediato rimpatrio qualora offrissero il destro a giornali di qualsiasi partito di scrivere articoli poco benevoli sul loro conto. Renderò inoltre responsabili gli Ufficiali più elevati in grado distaccati nelle varie città e località polacche della condotta di tulli i militari italiani che ivi si trovano. Delego ai predetti Ufficiali tutta l'autorità e tutte le attribuzioni fissate dai nostri regolamenti per i Comandanti di Corpo e di Presidio. Naturalmente l'autorità e la sorveglianza di tali Ufficiali non dovrà limitarsi ai soli militari che permangono nelle località di loro competenzza ma anche a tutti quelli che, per qualsiasi ragione, siano colà temporaneamente e di passaggio. Di qualunque avvenimento dovrò essere immediatamente informato. Quanto ho detto per gli ufficiali, deve estendersi a tutti i graduati di truppa, carabinieri e soldati» (78). 11 29 novembre 1922 era giunto a Varsavia il nuovo addetto militare, colonneJlo Giuseppe Tvaldi, della cui attività è stata rintracciata solo una relazione del maggio 1924 alla tensione in atto fra Polonia e Lituania: «ln questi ultimi tempi le man~festazioni nazionaliste lituane sono andate intens({icandosi, sempre allo scopo di rivendicare il territorio di Wilno alla Lituania. La propaganda verbale assai vivace è stata accompagnata da azioni di bande armate che in vari punti hanno sconfinato in Polonia, compiendovi atti di brigantaggio ed uccidendo alcuni uomini della polizia di Stato. Il governo polacco si attende, quasi con sicurezza, un colpo di mano su Wilno, che la Lituania si preparerebbe a compiere, sembra nella occasione di una manifestazione religiosa nel giorno della Pentecoste. A parte l'epoca, è indubbio che qui si ritiene che lo stato di tensione al quale si è giunti in senso generale, e l'irrequietudine che regna alla frontiera di Wilno, in modo particolare, non possono durare e, per qualche verso, un 'azione lituana è considerata quasi provvidenziale, perché fornirebbe il destro per un 'azione decisiva che toglierebbe per un pezza alla Lituania ogni velleità di ricominciare. Con questo non si deve intendere che La Polonia abbia l'inten(78) AUSSME, Ell-62/11, «circolare riservata» senza indicazione di prol. del 28.3.1920, da Capo Missione Militare It. Polonia a ufficiali dipendenti o comunyue presenti nel Paese, f.to gen. Romei.
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zione di occupare la Lituania. Le disposizioni prese e gli ordini impartiti alle autorità militari Locali sono improntati alla massima prudenza e moderazione, onde evitare qualsiasi ragione di apparire provocatrice e imperialista. La situazione è così considerala nelle sfere militari: La Lituania potrebbe intraprendere un 'azione militare al più con 2 divisioni e 44 pezzi, che rappresenta tutto ciò che ella possiede in fatto di artiglieria. Il soccorso russo e quello tedesco non è escluso. Ma si ritiene che tanto la Russia, quanto la Germania non forniranno un appog,?io diretto. La prima per non compromettere le trattative in corso e quelle a compimento con alcune Potenze Occidentali; la seconda perché non ha truppe regolari da mettere a disposizione delia /,ituania. Ma tanto la Russia q uanto la Germania, la aiuteranno con bande armate, tfffù:iosamente ignorate o sconfessate, ma sostenute ed armate dai rispellivi governi; da parte tedesca, sarebbe quasi certo l 'intervento dei reparti delle numerose associazioni .\portive militarizzate patriottiche, che pullulano neLLa Prussia Orientr1le. T,o Germania potrebbe altresì forni re materiale bellico e rUOrnimenti di vario f{enere. Da parte polacca non si è proceduto ad alcun concenlramento di truppe nella regione di Wilno ed a nessun rinforzo dei corpi ivi residenti, per non.fornire pretesto ad accuse di provocazioni. /,e autorità militari sono certe che le truppe dislocate rnlà, sono più che sufficienti ad arrestare qualsiasi tentativo lituano. Sarà, od è già stata rinforzata solo la Polizia di Stato. il f{enerale Rydz Smigly, Ispettore d'annata a Wiln o, è stato investito di poteri straordinari, e precisamente ha avuto il comando effettivo di tutte l e truppe del suo Ispettorato (Circoscrizioni di cmpo d'armata Il] /Wilno}) e IX (Brsesc nad Rugiem), mentre è noto che in tempo di pace gli ispettori non hanno comando effettivo di truppe, ma solo fun zioni ispettive e di studio, nonché di supervisione della Polizia di Stato locale. Egli ha ricevuto, insieme ad ampie facoltà per quanto rif;uarda l'impiego delle truppe, l'ordine di arrestare e colpire colla massima energia e con tutti i mezzi a sua dfaposizione, ogni tentativo di sconfinamento del nemico. Ma nello stesso tempo F;Li è stato rigorosamente .ordinato di non oltrepassare con le sue truppe, nell'esecuzione di tale compito, per nessun motivo la frontiera. Il Governo polacco ha fatto appello a quelli della Francia, del! 'Inghilterra e dell 'Jtalia affinché vogliano rappresentare alla Lituania tutto il pericolo della sua condotta politica rispetto alla 472
Polonia e persuaderla a desistere da sirnili tentativi che possono avere assai gravi ripercussioni per la pace europea» (79). Negli anni che seguirono, le risorse naturali, il concorso di capitale straniero, lo sbocco al mare con il porto di Gdynia (il secondo del Paese, nel golfo di Danzica) e l'operosità popolare dettero alla Polonia un certo grado di prosperità. Sollo l'aspetto politico, non entrò a far patte della Piccola Intesa e concluse un Concordato con la Santa Sede (10.2. -1925); per effetto riflesso del Patto di Locarno (80), che contraiiamente alle speranze polacche non garantiva sufficientemente il confine occidentale, nel maggio 1926 si determinò una rivolta militare promossa dal Mai·esciallo Pilsudski che depose il governo ed il presidente della repubblica Wojcickhowski. Nel 1935 entrò in vigore una nuova Costituzione di tipo democratico-autoritario (conducted democracy ), alla quale fece seguito un periodo di laboriosa e tranquilla attività, e nel 1937 sembrò che la differenza di vedute con la Germania a proposito delle minoranze si avviasse ad un definitivo chiarimento. L'amicizia con l'Italia condusse alla formale adesione ali' Asse Rorna-Bcr1ino, ma tale allineamento subì un'incrinatura nell'aprile 1939 allorché la Polonia accettò dall'Inghilterra una forma di «garanzia bilaterale» che traeva fondamento dall'essere il punto di vista polacco inconciliabile con quello della Germania, rerrna nel proposito di riannettersi Danzica cd il relativo «corridoio». I rapporti fra le due nazioni si irrigidirono ulteriormente dopo l'annuncio del patto russo-germanico dell' agosto 1939, cui la Polonia rispose con la mobilitazione. 11 l settembre dello stesso anno, come è noto, iniziò la penetrazione delle truppe tedesche nel territorio polacco (seguita il 17 da quella delle truppe sovietiche) che segnò l'ini:t.io della seconda guerra mondiale, ed il 23 la Germania annunciò la fine delle operazioni contro la Polonia. Una relazione riassuntiva della breve campagna fu inviata dal l'addetto militare italiano a Varsavia, ten. col. Giuseppe Roero di Costanze, un paio di giorni dopo la fine del1a stessa. È un documento interessante, ed in quanto tale riprodotto nell 'Allegato 13, per l'analisi dell'impostazione strategico-tattica e della condotta O
(79) AUSSME, El 1-108/5, prot. 539 del 21.5.1924, da Add. Mii. Polonia a Slato Maggiore Ce ntrale - Capo Rep. OPR, f.to col. Ivaldi. (80) Il Patto di Locarno fu stipulato nell ' ottobre 1925 sollo gli auspici della Società delle Nazioni. In hase ad esso InghiltcJTa cd Italia garantirono congiuntamente l' impegno assunto dalla Germania, dalla Francia e dal Belg io di rispettare rec iprocamente i rispettivi conl"ini. Inoltre, la Germania firmò accordi di arbitralo con Polonia, Cecoslovacchia, Belgio e Francia e quest' ultima patti di mutua assistenza con Polonia e Cecoslovacchia.
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ROMANIA
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CARTINA N. 15 - Quadro riassuntivo della p enetrazione in Polonia da parte di Germania e Russia nel .vettembre 1939 (da Calvocoressi P., Wint G., «Storia della 2a guerra mondiale», Milano, Rizwli, 1980, pag. 60)
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operativa da parte polacca e per quella del piano offensivo tedesco. Ne] primo esame, il compilatore metteva innanzitutto in evidenza le cause che erano state a11a base de11a disfatta po]acca, fra ]e quali individuava una concezione assolutamente errata della guerra moderna che traeva origine dallo spirito romantico-cavalleresco proprio de] popolo po1acco; ciò ]o aveva portato a trascurare la corretta visiòne della realtà, con conseguente sottovalutazione del1' avversario e sopravvalutazione delle proprie potenzialità, errori per i qua1i un ruo]o determinante era certamente da attribuire al cattivo funzionamento del servizio informazioni. Un'altra carenza sarebbe stata quella di non aver tenuto nel debito conto gli aspetti morfologici del territorio polacco, che rappresentava un grosso saliente incuneato in que11o tedesco con i] che, considerando il dato esperienziale del valore eminentemente offensivo dei salienti, si imponeva come ineluttabile la necessità di abbandonare paite de] territorio stesso per ritirarsi su posizioni più idonee ad operazioni difensive. Nella seconda analisi, quella relativa a] piano offensivo tedesco, esso veniva esaminato nei suoi presupposti di fondo contrapponendolo a quello offensivo-difensivo polacco e rilevando come proprio questo connubbio concettuale, che non sarebbe mai stato pertinente all'esercito de11a Po]onia, avesse rappresentato un'altra delle cause determinanti della sua rapida disgregazione. Una critica era anche mossa al predetto piano nel senso di non aver tenuto conto che, con esso, si veniva a creare uno schieramento artificioso con effettivi troppo debo1i, stante ]a disparità numerica e tecnica delle forze contrapposte, rispetto a linee di fronte molto estese e con l'aggravante della mancanza pressoché tota]e di una 1iserva strategica. A queste carenze andavano aggiunte quelle della conduzione operativa da parte dell'a1to comando polacco, alle quali se ne associavano non poche di carattere ]ogistico. L'analisi del piano offensivo tedesco era altresì completata dall'esame dei fattori che avevano consentito un così rapido successo, fra i quali veniva annoverato il largo e congruo impiego delle forze aeree e di quelle blindo-motorizzate; delle quali era soprattutto messa in evidenza la tattica di aggiramento a ventaglio. Se la ricostruzione degli eventi e la loro disamina critica rispondevano indubbiamente alla realtà, così come confermato dalle successive fonti storiografiche e considerando, a favore del1' addetto militare italiano, che la sua relazione era stata compilata immediatamente dopo i fatti e quindi «a caldo» e sulla base di elementi informativi necessariamente incompleti, non poteva invece 475
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non lasciare perplessi il brano conclusivo della relazione stessa che, denunciando una anacronistica mancanza di professionale ed aggiornata lungimiranza, così si esprimeva: «E.\posti così gli inseinamenti che ho creduto di poter ricavare da un esame sommario degli avvenimenti, una sola considerazione mi resta a fare. Si è voluto scorgere in questa campagna il sorgere di un nuovo tipo di guerra. w. verità è - a mio modesto parere che nulla è cambiato e che per ora non si hanno a prevedere altre forme di guerra che quelle classiche: cioè la forma stabilizzata ove la strategia si r(fuiia in trincea, e quella manovrata che quasi sempre si alterna a quella precedente. Nell'uno e nell'altro caso, a condizioni uguali o pressoché uguali, si combatterà ancora nella forma classica con le modalità piccole e grandi concesse dalle armi nuove e dai nuovi mezzi in uso. Unico fattore veramente gravido di sorprese, l'aviazione, il giorno in cui il criterio militare non sia più trattenuto dal criterio umanitario poiché l'arma aerea, d'ambo le parti, sia lasciata scatenare ad oltranza. Ma fino a quel giorno le battaglie di masse, di autentiche masse composte dalle classiche armi, segneranno ancora il ritmo delle operazioni e la sorte degli evenli». Del tutto appropriata, quindi, risultava la chiosa di commento, ironica e severa al tempo steso, posta dal non meglio identificabile lettore del documento (Capo del S.I.M.? Capo di Stato Maggiore?) in calce allo stesso: «Com 'è difficile il mestiere del precursore! Al ten. col. sfugge in pieno il peso delle GG. UU. corazzate» (81 ).
(81) AUSSME, G29-14, prot. 716 del 25.9.1939, daAdd. Mii. Polonia a Comando del Corpo di Stato Maggiore - S.l.M., Llo len. col. Rocro Di Cortanze.
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IL gen. Giovanni Romei-Lnnghena, addello mili/are in l'olnnia dal /9/9 al /922, rilmllo ai primi del 1900, duran/e un periodo di serviz io Jruscor,..,·o in Turchia, nell'u -
ni;forme di r~fficiale dei Lancieri della Guardia del Sultano
Il gen. Mario Roatta, addetto militare in Polonia ( /927-1931 ), in Germania (luglio-novembre 1939) e capo del S.I. M. fra il 1934 ed il 1936, in unafòto all'epoca della guerra civile spagnola
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Capitolo XV ROMANIA
1. Un esercito contadino e franco-dipendente
La Romania, entrata in guerra contro gli Imperi Centrali nell'agosto 1916 e nonostante fosse stata messa fuori combattimento dopo soli tre mesi, alla caduta dell'impero austro-ungarico era uscita quasi raddoppiata in seguito all'annessione della Transilvania e di parte del Banato (1 ), nazionalmente ungheresi, del1a Bucovina e della Bessarabia, appartenenti alla Russia, e della Dobrugia meridionale già in possesso della Bulgaria. Così avvantaggiata dai trattati di pace del 19 J9, era entrata a far parte del sistema di Stati strettamente vincolati alla politica conservatrice della Società delle Nazioni, costituendo nel 1920 insieme a Cecoslovacchia e Jugoslavia la Piccola Intesa. Proprio questo argomento costituiva l'oggetto di una nota informativa inviata nel 1924 dal]' addetto militare italiano a Bucarest, riferentesi ad un convegno tenutosi a Praga nell'autunno del1'anno precedente che aveva avuto lo scopo di coordinare le varie convenzioni militari già in atto e separatamente concluse fra Romania, Cecoslovacchia e Jugoslavia. Era infatti stata concretata una convenzione unica che contemplava l'ipotesi di una guerra difensiva contro l'Ungheria e la Bulgaria, unite o separate, stabiliva l'obbligo di reciproco aiuto delle parti contraenti e fissava il rispettivo contributo militare nei suoi termini precisi di forma e di tempo. In questa convenzione unica sarebbe stata anche presa in considerazione l' ev en tu ali tà di un attacco della Russia contro la Romania. Riconfermata per quella eventualità la concessione di libero transito allraverso i territori jugoslavo e cecoslovacco di materiale bellico destinato alla Romania, sarebbe stata in più inc1usa la clausola che la Jugoslavia e la Cecoslovacchia avrebbero dovuto procedere ad una immediata mobilitazione parziale sia per tenere a hada con
(I) Grande regione storica dell'Europa danuhiana estesa Ira i liumi Mures, Tibiseo, Danubio e le Alpi transilvaniche, abitata da ungheresi, romeni e jugoslavi.
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tale provvedimento preventivo l'Ungheria e la Bulgaria, sia per essere in grado di agire decisamente contro di esse qualora avessero voluto approfittare della circostanza favorevole per aprire le ostilità contro la Romania. Il principio del comando unico sarebbe stato approvato con unanime consenso, ma la designazione del comandante e la determinazione dello stato maggiore sarebbero state rinviate al momento del bisogno. La proposta dell'unificazione dell'armamento sarebbe invece irrimediabilmente caduta per la ferma opposizione (dettata verosimilmente da difficoltà economiche) della Jugoslavia e della Romania (2). Le tendenze assolutiste che avevano preso corso in Europa nel ventennio fra le due guerre mondiali, con particolare riguardo alle regioni centro-cnientali e balcaniche, detenninando regimi autoritari di tipo tradizionale che si appoggiavano sulle vecchie classi dominanti e sul sostegno dell'esercito, si erano frattanto sviluppate anche in Romania nella quale, dopo una sorta di «dittatura mascherata» esercitata fra il 1922 ed il 1927 da Joncl Batrianu, capo del partito liberal-nazionale, dal 1930 il potere sarehhe stato gestito autocraticamente dal re Caro! TI (3). Nei riguardi dell'Italia, asseriva una relazione proveniente dal nostro addetto militare nel 1931, il suddetto partito aveva dimostrato sempre scarsa simpatia. I suoi capi, completamente devoti alla causa, seguivano una politica pressoché ostile nei nostri riguardi. Tutti gli affari di interesse italiano erano politicamente ostacolati. Dopo la morte di Jonel Batrianu, il fratello Vintila aveva lasciato intravedere l'intenzione di dissipare le ombre di diffidenza esistenti nei rapporti italo-romeni; senonché la violenta campagna condoua dalla stampa, spesso in forme tutt'altro che riguardose, il nostro patto d'amicizia con l'Ungheria e le sue inevitahili ripercussioni, erano state tulle cause che avevano contrihuito a smorzare molto i buoni propositi e ad impedire che questi pervenissero a qualche migliore risultato. Con l'avvento al potere del governo in (2) AUSSME, E 11-108/5, prol. JJ dcll'll.1.1924, da Add. Mii. Bucarest a Stato Maggiore Centrale - Rep.OPR, f.to col. Baffigi. (3) Carol il (1893-1953), fi glio di Ferdinando I di Hohenzollern e della regina Maria, sposò nel 1921 Elena di Grecia dalla quale si separò nel 1928 per unirsi a Magda Lupescu, moglie di un colmmello dell'esercito, rinunciando ai diritti ereditari a favore del tiglio Michele (che data l'età infantile fu a<.sistito da un consiglio di reggenza). Richiamato sul trono dal partito nazionale dei contadini romeni nel 1930, regnò avvalendosi spregiudi catamente del movimento nazionalista ed antisemita delle "Guardie di Ferro" ma eliminandone poi i capi nel 1938, anno nel quale promulgò una nuova Costituzione aut01itaiia. Nel settembre 1940, a seguito dell' isolamento politico e del caos economico nei quali la Romania si era ormai venula a trovare, fu costretto a chiamare al governo il gcn. Jon Antonescu, che ne pretese però l'abdicazione a favore del fig lio Michele ed obbligandolo a prendere la via dell'esilio in Portogallo.
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carica non si era prodotto alcun notevole mutamento ne11e condizioni di spirito dei circoli politici e dell'opinione pubblica romena verso I 'Ttalia, quantunque il capo del governo avesse espresso nei nostri riguardi sentimenti ed apprezzamenti che dimostravano una sua personale simpatia. La stampa in genere aveva serbato e serbava tuttora un atteggiamento riservato che voleva sembrare indifferente, ma che tradiva in fondo il segreto rancore per l'amicizia dell'Italia verso l'Ungheria e per i successi della politica estera italiana nell'oriente europeo. Lo stato di spirito dei circoli politici a nostro riguardo poteva definirsi in un periodo di stasi, prodotto dall ' atteggiamento indeciso del governo preoccupato di mantenere invariati i buoni rapporti con la Francia sui quali essenzialmente basava i suoi crediti all'estero. Non era quindi il caso di contare sopra un radicale cambiamento della Romania nel quadro delle sue alleanze ed amicizie del momento, così come era impossibile cohnare l'abisso che la divideva con l'Ungheria o troncare i suoi stretti vincoli con la Francia, con la Piccola Intesa e èon la Polonia. In quanto all'opinione dei circoli militari romeni nei confronti dell'Italia essi, pur subendo logicamente l' influenza di quelli politici, s'ispiravano per il passato ad una cordiale simpatia soprattutto a motivo del grande ascendente che il generale Avarescu, amico dell'Italia, godeva nell'esercito. Al momento però, dopo la conclusione del patto italo-ungherese e le nostre dichiarazioni in favore della revisione dei trattati, l'esercito dimostrava per l'Italia una diffidenza che non riusciva sempre a dissimulare. Sempre nei circoli militari, poi, ]'ammirazione per la Francia era ancora più generalizzata; l'esercito romeno era stato riorganizzato da una missione militare francese, la regolamentazione romena era in gran parte la traduzione fedele di quella francese; molti ufficiali romeni frequentavano le scuole militari francesi, dai corsi della scuola di guerra ai corsi d'informazione per generali; frequenti e continui gli scambi di visite di ufficiali generali dei due Paesi; ahbondante materiale francese era in dotazione ne11 'esercito romeno; nulla di veramente importante riflettente le forze armate romene veniva deciso senza 1' approvazione della Francia, alla quale la Romania sarebbe stata legata anche da una convenzione militare segreta. La relazione continuava con un'analisi della situazione dell'esercito romeno. Il bilancio militare per l'esercizio 1930 ammontava a lei 9.092.700.000 con un aumento di lei 1.162.200.000 su quello dell'anno precedente . Tale cifra rappresentava circa il 24% del bilancio generale dello Stato (37.450.000.000), ma comunque 483
non era certamente tale da soddisfare ai bisogni reali deJle forze armate e dell'esercito in particolare, la cui forza bilanciata non oltrepassava in genere i 125.000 uomini, oltre 14.000 ufficiali e 13.000 raffennati. Per quanto riguardava l'armamento, l'esercito romeno si era trovato ad avere alla fine della guerra mondiale un'ingente quantità di materiale in parte catturato al nemico, in parte lasciato nel Paese dai russi all'epoca della loro ritirata, in gran parte buono ma più o meno usato e soprattutto assai difforme per tipologia. Con tale mate1iale la Romania aveva armato il suo esercito: alle armi a piedi erano stati distTibuiti 5 tipi di fucili, 4 tipi di mitragliatrici nonché 2 tipi di fucile mitragliatore; alle armi a cavallo 2 tipi di carabina; all'artiglieria un numero vario di tipi e calibri di bocche da fuoco, talune con abbondante ed altre con deficiente quantitativo di vecchie munizioni. Tale varietà esisteva anche al momento. E poiché le ristrettezze del bilancio statale non avevano ancora consentito l'unificazione dell ' armamento, si erano prese disposizioni affinché almeno i diversi corpi d'armata fossero armati in modo uniforme. L'organizzazione delle scuole militari era discreta, ma il metodo d'insegnamento lasciava alquanto a desiderare, e ciò dipendeva soprattutto dal corpo degli insegnanti che non sembrava ancora completamente formato cd orientalo ed in parte anche dalle direttive date dall'autorità superiori, troppo preoccupate di conciliare le esigenze dell'istruzione con gli scarsi mezzi a disposizione per tale scopo. Anche la Scuola di Guerra di Bucarest, un tempo centro di cultura militare apprezzabile, a cagione del fanatismo per la Francia imperante in tulti gli ambienti militari, con il suo metodo e con la dotLrina tenacemente professata aveva finito per divenire una copia mal riuscita dc11a Scuola di Guerra francese. Gli istituti per i sottufficiaìi si limitavano all'insegnamento professionale strettamente necessario. Con l'abolizione della vecchia scuola sottufficiali di Bistrica si era distrutto un centro di tradizioni gloriose, che in tempi non remoti aveva dimostrato di corrispondere pienamente alla missione di fonnare ottimi sottufficiali forniti di buona cultura sia professionale che generale. L'istruzione del soldato era discretamente curata nella parte formale, senonché, per ristrettezza di bilancio, le esercitazioni di campagna ed i tiri erano stati ridotti ad un minimo che non poteva neppure rappresentare l'indispensabile. È poi da rilevare come fino al 1929 le esercitazioni annuali non fossero mai uscite dallo stretto ambito della divisione, ed anche queste si fossero sempre ridotte a modeste proporzioni. La 484
truppa in congedo o non vi aveva partecipato o era stata richiamata in numero assai limitato. Passando a trattare degli aspetti qualitativi de11'e1emento umano, il contingente di truppa, ottimo nell'anteguerra, non poteva più dirsi tale al momento a causa della composizione etnica del regno, che aveya trasformato l'esercito in un agglomerato di uomini di nazionalità diversa, con evidenti ripercussioni sulla propria compagine morale e disciplinare. L'unico elemento su cui l'esercito poteva fare sicuro affidamento era il contadino romeno del vecchio regno, sobrio, semplice di costumi, amante della terra che lavorava cd interessalo forse più di prima a difendere il Paese, essendo egli stesso divenuto piccolo proprietario per effetto della grande rifom1a agraria votata durante la guerra. Di costituzione robusta, resistçnte alle fatiche, patriota e religioso, il contadino romeno era ossequiente e sottomesso per atavismo alla dura, quasi brutale disciplina che, malgrado i regolamenti, imperava tuttora ne11 'esercito; talvolta disertava, mai però si ribelJava, e poteva considerarsi ancora un elemento militarmente molto valido anche perché refrattario a qualsiasi tentativo di propaganda sovversiva. T sottufficiali non sembravano all'altezza del compito che loro competeva, in parte a cagione del criterio con il quale venivano reclutati (quasi esclusivamente dalla popolazione rurale) ed in parte per la scarsa preparazione che ricevevano ne11e relative scuole militari. Il sottufficiale romeno sapeva però farsi obbedire dai suoi sottoposti, anche perché non rifuggiva, all'occasione, da metodi correttivi molto energici. Per quanto riguardava gli ufficiali, 1'ammissione nell 'esercito romeno di numerosi ufficiali dei disciolti eserciti austro-ungarico (Transilvania) e msso (Bessarabia) aveva introdotto nei quadri un elemento pressoché negativo. Costoro, sl"iduciati, disillusi e malcontenti per la poca cordialità e per la diffidenza con cui erano stati accolti nell'ambiente militare, avevano finito per adattarsi a servire la nuova patria senza amore e senza fede. Dei rimanenti ufficiali, cioè quelli appartenenti alle province del vecchio regno e che costituivano naturalmente la maggioranza, non si poteva dire al momento che rappresentassero una categoria selezionata come veniva affermato ne11' anteguerra. Il conllitto mondiale, impedendo un severo filtro, aveva agevolato l'accesso nel corpo degli ufficiali a numerosi elementi che avevano contribuito notevolmente ad abbassarne il livello intellettuale e morale. Le promozioni di intere classi di sottufficiali di carriera avevano fatto sorgere una nuova categoria di ufficiali inferiori troppo in contrasto per vitalità inte11ettiva e capacità con que11a uscita dalle 485
scuole, mentre le numerose promozioni a ufficiali superiori avvenute per forza di cose senza un'accurata selezione avevano influito sul potenziale complessivo degli alti gradi. D'altra parte, la febbre postbellica del facile profitto, della ricchezza e del lusso aveva inquinato in modo preoccupante il corpo degli ufficiali allontanandolo da quella linea di condotta ispirata a sani principi morali che costituiva la base disciplinare di ogni esercito. Se negli alti comandi si trovavano ufficiali generali di valore, che avevano dato buona prova nell'ultima guerra, era pur vero che molti di essi dovevano però l'alta posizione raggiunta ad indebite ingerenze politiche. Chiudevano la relazione dell'addetto militare alcuni cenni sulle forze mobilitabili, sia pure limitati dalle scarse notizie delle quali in proposito era possibile disporre. Le risorse demografiche romene ai fini della mobilitazione, dato il rendimento medio di una classe (120.000 uomini) e tenuto debito conto dei coefficienti di riduzione, potevano calcolarsi approssimativamente a circa 2.500.000 uomini. La Romania però, per ragioni inerenti essenzialmente a deficienza di materiali e alla difficoltà di impiego dei militari richiamati appartenenti a11e nuove province sui cui sentimenti di attaccamento e di fedeltà non poteva farsi molto affidamento, contava di poter mobilitare non più di un milione di uomin i. Con tale contingente sarebbero stati mobilitati l'esercito, i graniciari (guardie di confine), la gendarmeria, l'aeronautica e la marina. Nelle sue grandi linee l'esercito romeno mobilitato avrebbe dovuto avere la seguente configurazione: 9 corpi d'armata su 3 divisioni, 28 divisioni di fanteria delle quali 21 di prima linea e 7 di riserva, 1 corpo d'armata di cacciatori da montagna su 3 divisioni. Il periodo di tempo entro il quale la mobilitazione dei reparti avrebbe dovuto compiersi era il seguente: a) per le truppe di copertura alla frontiera: 4 ore ; b) per la cavalleria: 48 ore; e) per la fanteria, artiglieria, genio: 5 giorni; d) per i servizi e per il treno blindato: 7 giorni (4).
2. La penetrazione industriale italiana La necessità di adeguare i materiali beli ici alle necessità dell' e-
(4) AUSSME, I 4-1/2, senza alcuna indicazione di riferimento, datata 5.1.1931.
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sercito indusse re Caro], nella seconda metà degli anni Trenta, ad accelerare le procedure affinché si addivenisse in breve termine alla risoluzione del problema. Ciò aveva avuto come immediata ripercussione una grande attività, tanto da parte degli organi governativi quanto da parte degli offerenti di forniture, appoggiati dalle autorità rappresentanti i rispettivi Paesi. Verso la fine del 1935 la questione finanziaria si presentava per l' Italia in condizioni speciali e particolarmente favorevoli. Al momento, per l'eccedenza delle esportazioni daJla Romania sulle importazioni dal nostro Paese, si trovava bloccata presso la Banca d'Italia una disponibilità di oltre 33 milioni di lire italiane in attesa di forniture di merci nostrane, e gli esportatori romeni insistevano per ottenere il pagmnenlo in lei per merci già fornite. L'andamento degli scambi italo-romeni proseguiva con ritmo crescente, nel senso che lo sbilanciamento avrebbe continuato ad aumentare sempre a favore della Romania qualora non fosse intervenuta una forte esportazione di merci dall'Italia. I competenti organi romeni avevano presentato al governo una proposta consistente nello stornare claJla compensazione una parte della disponibilità esistente , bloccandola a disposizione del ministero degli annamenti, per materiali bellici da acquistarsi in Italia. Questo ministero, con i fondi disponibili e con i crediti che la Banca Nazionale di Romania era disposta ad accordargJi, poteva coprire il controvalore in lei delle lire italiane che sarebbero state bloccate, e cos1 avrebbero potuto essere liquidati immediatamente i crediti degli esportatori romeni. La proposta aveva interessato vivamente tanto la Banca Nazionale quanto il ministero degli armamenti. La questione restrizioni per sanzioni economiche era stata anche esaminata, e non avrebbe dovuto costituire una difficoltà insormontabile (5). In una nota di 20 giorni dopo, l'addetto militare ribadiva che all'esercito romeno occorreva tutto, tranne ]'artiglierie e le armi automatiche ordinate aJla Cecoslovacchia ed i lanciabombe e gli aeroplani ordinati in Francia ed i Polonia. Molti materiali d'armamento la Romania cercava di costruirseli in patria acquistando licenze di fabbricazione all'estero, ma l'industria bellica locale era ben lontana dal poter soddisfare alle esigenze delle forze armate. I
(5) AUSSME, H3-3/A, prot. 915 del 16.10.1935, da Add. Mii. Bucarest a S.I.M., f.10 ten. col. Guglielmo Della Po11a.
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materiali che più facilmente sarebbero stati acquistabili da parte del governo romeno erano i seguenti: trattori per trasporto munizioni d'artiglieria (400); carri armati (500); navi mercantili; aeroplani da bombardamento; maschere antigas; materiale vario d'artiglieria; materiale da collegamento (specie radio). Sarehbero stato già sufficiente concludere un affare commerciale per uno dei materiali segnalati. Per quanto riguardava il provvedimento sanzionistico, applicato dalla Romania quasi integralmente, se le sanzioni vietavano l'importazione di merce italiana in Romania non potevano però vietare di stipulare contratti a scadenze determinate. Sarehbe stata questione, anche secondo l'orientamento romeno, di mettersi <l' accordo sull'epoca deJle consegne con quel governo, ,mche in relazione alla possibilità in atto di produzione industriale ed alla prevedibile durata delle sanzioni che gli stessi romeni prevedevano brevissima (6). Nel 1936 il Primo Ministro Tatarescu aveva chiaramente prospettato la situazione e le possibilità che avrebbe potuto avere l'industria italiana per la fornitura dei materiali occorrenti alla motorizzazione di quell'esercito. Esse, nel1e linee generali, sarebbero state le seguenti: a) la questione delle lire bloccate avrebbe potuto essere risolta a mezzo di nuovi accordi commerciali concretizzabili a hreve lernune; b) la questione dell'assegnazione della fornitura non era tanto in rapporto alla qualità o tipo del materi,tle quanto alle cond_iz;ioni di pagamento; e) la questione di capitale importanza era comunque quella della parziale fabbricazione in :Paese. Data l' urgenza del materiale, veniva consentito che un terzo della fornitura fosse di autoveicoli completamente fabbricati ali' estero, ma per i rimanenti due terzi si desiderava la graduale fabbri cazione in Paese, partendo dal montaggio in primo tempo per raggiungere poi, per quanto possibile, l'intera fabbricazione locale. La limitata entità della fornitura non avrebbe consentito, però, l'am(6) AUSSME, H3-3/A, prot. 998 del 6.11.1935, da Add. Mii. Bucarest a S.I.M. f.to len. col. Della Porla.
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rnortamento degli impianti se non con un forte aumento del prezzo di costo. Il governo romeno sarebbe stato disposto ad accettare questo sovrapprezzo, avendo in programma l'utilizzazione degli impianti allestiti per la fabbricazione di chassis industriali secondo un tipo unico adatto per la Romania. Una proposta che avesse risposto a questi desiderata avrebbe avuto senz'altro la preferenza su altre offerte analoghe per le quali il fattore politico avrebbe esercitato la debita influenza. Dato l'interesse per l'industria italiana di tutta la questione, l'addetto militare invitava i competenti organi nazionali a voler interessare la Fiat che certamente avrebbe potuto fornire quel quantitativo (1/3) stabilito come importazione da]l' estero così come anche piani, cessione brevetti, assistenza tecnica, avviamento, contro un quid da stabilirsi, nonché le componenti separate da montarsi in loco (7). Due mesi dopo un alto esponente dell'ispettorato generale del ministero degli armamenti romeno, nel corso di una conversazione informale, aveva notificato al nostro rappresentante militare come per il con-ente esercizio finanziario fossero disponibili 5 miliardi per il_ rinnovo dei materiali per l'esercito, mentre 2,5 miliardi sarebbero stati stanziati per gli esercizi successi vi. Secondo l' orientamento politico del Paese, aveva aggiunto il dirigente, gli acquisti avrebbero dovuto essere fatti prioritariamente in Francia, ma ciò risultava impossibile perché le ditte fornitrici di quella nazione continuavano a dirsi non in grado di effettuare le consegne a causa dei persistenti scioperi delle maestranze. Ciò escludeva ulteriori ordinazioni, lasciando ampi spazi per le industrie italiane, anche in relazioni al veto posto dal re alle proposte pur vantaggiose avanzate dalla Germania (8). Ma fu nel 1938 che le forniture italiane alla Romania ebbero a registrare un notevole incremento, anche in virtù di una più razionale organizzazione del nostro apparato industriale. Su iniziativa del ministero Scambi e Valute, infatti, erano stati costituiti il GITAR (Gruppo italiano Armamenti), che consociava l'Ansaldo, la Rre~la, la Fiat, la Odero-Terni-Orlando, ed il CEM, un consorzio dei produttori di esplosivi e munizioni; altre trattative, inoltre, venivano gestite dalla S.A.R.R.T. (Società
(7) AUSSME, H3-3/A, prot. 3206 del 6.10.1936, da Add. Mil. Bucarest a S.I.M., Llo ten. col. Della Porta. (8) A.USSME, 113-3/A prot. 3461 del 5.11.1936, da Add. Mil. Bucarest a S.I .M. f.to len. col. Della Po11a.
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Anonima Romena Rappresentanze Italiane) quale intermediaria di varie ditte italiane e romene (9). L'addetto militare a Bucarest, sin dalla fine degli anni Venti, era accreditato anche quale addetto aeronaulico. Soprattutto in tale veste, pertanto, il titolare dell'incarico aveva inviato a Roma una nola circa la concorrenza commerciale tedesca in Romania con specifico riferimento alle commesse di materiale aviatorio, un documento interessante anche nella forma perché denunciava senza mezzi termini l'assenza di una concreta e lempesli va azione di penetrazione italiana, tanto a livello slalale quanto privato, e sollecitava di conseguenza un tempestivo ed efficace intervento: «In questi tre anni ho sempre ritenuto mio preciso dovere ser:uire attentamente le possibilità di vendere il nostro materiale aeronautico sul mercato romeno. La. recente crisi internazionale, che ha avuto non piccole ripercussioni, ha aperto gli occhi al Sovrano ed ai ministri competenti sulle necessità di riparare al più presto agli errori commessi nel passato, quando cioè, credendo all'ir{fallibilità della S.d.N. ed alla potenza francese, non si riteneva possibile una guerra. Oggi la Romania, che crede più di ieri ad un cor~flitto armato, vuole armarsi al più presto. E se per quanto rir:uarda l'esercito pur) nutrire ancora qualche speranza nella produzione delle fabbriche boeme e francesi, per quanto riguarda l'aviazione guarda con grande interesse alle fahbriche italiane. Ma vi guarda non per risolvere una questione di forniture per cento motori o venti apparecchi ma per risolvere in modo totalitario il problema aviatorio. Come è noto la Romania è "a terra" in fatto d'aviazione: l'unica fabbrica ( che meriti tale nome) è la I.A.R. di Brasov, ma o per incapacità o per mancanza di organizzazione o per disonestà tale jàbbrica non ha dato fino ad oggi i risultati che i dirigenti si attendevano. Ne è prova la recente questione della fornitura motori che la Romania cerca, al più presto, di acquistare dall'estero. La Germania, che segue con ~rande interesse il mercato romeno, subito dopo la recente crisi internazionale ha inviato, oltre il suo addetto aeronautico di sede a Varsavia, una vera valanga di industriali per trattare non la questione di questa o quella fornitura ma la compar.tçc ipazione dell'industria aeronautica tedesca con
(9) AUSSME, H3 - l6/D1 4, senza indicazione di prot. del 13,4. 1938. da G.l.T./\.R. a Ministero Guena - Gahinello, Llo Riccardi.
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quella romena. Le proposte fatte a Bucarest sono vantaggiosissime, gli industriali sono arrendevolissimi a qualsiasi richiesta romena, i pagamenti sono a lunghe scadenze mentre i termini di consegna dei materiali lo sono a brevissime. ll lavoro svolto in quest'ultima settimana è veramente attivo e preoccupante, ed i contatti presi con la I.A.R. sono strettissimi e continui. lo non conosco, né devo conoscere, se vi siano accordi fra i due governi di Roma e di Berlino nei riguardi del lavoro commerciale da svolgere sul mercato di Bucarest: debbo però fare una constatazione, e cioè che all'intenso lavoro svolto da parte tedesca corrisponde un completo assenteismo da parie noslra. E di questo gli stessi romeni, che non vorrebbero affatto cadere sotto il gioco tedesco e che riconoscono la nostra superiorità aeronautica, si lamentano. Né la Legazione né io possiamo e dobbiamo metterci a lottare con gli industriali tedeschi; sono le industrie italiane, con i loro rappresentanti, che dovrebbero essere qui presenti per neutralizzare questa invasione teutonica, assolutisla e quindi assai preoccupante, sul mercato aviatorio romeno. Se noi vogliamo qui fare qualche cosa, occorre agire subito, senza perdere un giorno, agendo possibilmente prima nel campo politico e poi in quello aeronautico. E quando dico "campo politico" intendo dire che occorre agire sulla persona del Sovrano che è l'unico il quale decide ed al quale tutti obbediscono. Ma, ripeto, se noi abbiamo qualche interesse nel settore aeronautico romeno, occorre agire domani, perché dopodomani potrebbe già essere troppo tardi» (10). Lo «svegliarino» suonato dal nostro rappresentante militare doveva rivelarsi efficace, perché dopo una ventina di giorni era arrivata da Bucarest una missione economico-militare composta da delegati di vari enti (Aeronautica, Marina, i due Consorzi per gJi annamenti terrestri, gli esplosivi e le munizioni). Ne era conseguito un vasto programma di forniture in tutti i settori, che per quanto riguardava l'esercito concerneva, oltre a tutta la gamma dei materiali d'equipaggiamento, carri armati da 6 a 11 tonnellate (nonostante alcune riserve sull'insufficienza dello spessore del blindaggio), cannoni da 150, mortai da 210, cannoni anticarro da 47, cannoni antiaerei da 75/46, mitragliatrici e.a. da 37
( 10) AUSSME, H3-16 /Dl0, pro!. 1381/A del 14.10.1918, da Add. Mii. ed A er. Bucarest a Minislero Aeronautica - Gabinetto e p.c. al S.I.M., f.to ten. col. Della Porta.
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autotrainate nonché goniometri, telemetri e binocoli . Con le forniture aeronautiche e navali, l'ammontare finanziario dell'affare si aggirava sui due miliardi di lei; il problema era rappresentato dai tempi di consegna, richiesti dai romeni in termini molto ravvicinati, e dalle rateazioni di pagamento. La Germania, in tal senso, aveva offerto pagam~nti addirittura in I O anni, il che obbligava l'Italia, secondo la valutazione dell'addetto militare, a mantenersi non al di sotto dei 6-8 anni tenendo anche conto, ai fini dell' accettazione delle nostre condizioni, della loro stretta correlazione con l'ottemperanza dei tempi di consegna (11 ).
3. Una autonomia solo parziale Sull'ultimo anno precedente l'inizio della seconda guerra mondiale, limite distale dell'arco di tempo _pertinente a questo lavoro, sono disponibili una serie di informazioni desumibili dai «Notiziari mensili degli Stati Esteri» elaborali dal S.T.M. sulla scorta delle notizie acquisite dalle sue varie fonti tra le quali, come abbiamo già avuto modo di sottolineare nelle pagine precedenti, quella degli Addetti Militari rappresentava una delle più ragguardevoli ed attendibili. Anche per la Romania, pertanto, riassumiamo alcuni fra gli elementi maggiormente interessanti di questa documentazione alla cui produzione aveva sicuramente contribuito in larga misura il nostro rappresentante militare a Bucarest. La politica accentratrice adottata da re Carol, oltre a consentire alla Romania di superare la grave crisi interna culminata alla fine del 1938 con l'eliminazione dei capi del movimento legionario nazionalisla Guardie di Ferro e la promulgazione d'una nuova Costituzione su base autoritaria, le aveva anche _permesso di attraversare relativamente indenne la crisi internazionale dello stesso anno mantenendo l' integrità territoriale e l'indipendenza politica. Per quanto riguardava l'intangihili là delle proprie frontiere, l' intransigenza era assoluta. La Romania intendeva premunirsi contro la possibilità di raui compiuti nella Russia sub-carpatica e pensava, pertanto, di invitare le grandi potenze firmatarie degli accordi di
(11) AUSSME, H3-16iD33 , prot. 6370 del 6.11.1938, daAdd. Mii. Bucarest a S.l.M. e Ministero Aeronautica - Gabinetto. f.to tcn. col. Della Porta; prot. 6384 de l 9.1 1.1938, da medesimo millcntc a S .I.M.
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Monaco a garantire le attuali frontiere della Cecoslovacchia allo scopo di impedire eventuali tentati vi di violazione. Inoltre, non accettando il principio dell'autodecisione dei popoli, la Romania intendeva stabilire per le proprie minoranze un regime di convivenza tale da impedire il perjcoloso sviluppo di un irredentismo magiaro. Diverso era il discorso per l'autonomia economica, anche perché le difficoltà del Paese continuavano ad essere notevoli mancando una cooperazione efficace nei settori più importanti dell'attività nazionale, e risultava pertanto difficile a11a Romania poter resistere alle sollecitazioni della Germania miranti a sviluppare al massimo i rapporti commerciali, in una prospettiva di tutela economica che - come gli avvenimenti degli anni successivi avrebbero dimostrato - andava probabilmente ben oltre tale intento. Dopo lunghi negoziati era stato firmato a Bucarest, il 23 marzo 1939, un accordo commerciale con la Germania che, tenendo conto delle vaste possibilità di sviluppo dell'economia romena, avrebbe dovuto costituire la base di un aumento degli scambi fra i due Paesi. Con l'accordo così rinnato, era prevista l'attuazione di un piano quinquennale mediante il quale la Germania, mettendo a disposizione della Romania capitali e macchinari , si proponeva di sviluppare nel campo agricolo, minerario ed industriale le grandi possibilità di sfruttamento del suo territorio. Nel settore agricolo, si sarebbe tenuto conto de11o sviluppo della produzione dei foraggi, cercali, piante tessili e dell'economia boschiva. Nel campo industriale il piano prevedeva: forniture di macchine e di installazioni per le imprese minerarie (sfruttamento delle piriti nena Dobrugia, di minerali di cromo nel Banato, di manganese nella regione di Domai); creazione di un'industria dell'alluminio e sfruttamento dei giacimenti di bauxite; migliore sfruttamento delle zone petrolifere; creazione di zone franche per la costruzione di imprese industriali e commerciali, magazzini generali, impianti per trasporti destinati alla navigazione tedesca; fornitura di materiali da guerra e di equipaggiamento per l'esercito, la marina e l'aeronautica; impianto di imprese di pubblica utilità. Gli accordi sarebbero entrati in vigore un mese dopo la ratifica, da attuarsi a Berlino entro brevissimo tempo, ed avrebbero avuto la durata di 5 anni; in seguito, qualora non fossero stati denunciati da una delle parti almeno un anno prima della scadenza, avrebbero 493
continuato ad avere vigore per un tempo indeterminato. La Germania avrebbe poi garantito alla Romania che le fabbriche cecoslovacche avrebbero proseguito nella consegna di tutto il materiale bellico ad esse ordinato. Inghilterra e Francia non potevano non preoccuparsi seriamente di questa penetrazione tedesca, così come confermavano la recente elevazione a ·rango d'ambasciata della legazione francese e la disposizione del governo inglese perché l'addetto militare già a Varsavia ed accreditato anche per la Romania risiedesse ora a Bucarest. Si adoperavano inoltre per stipulare a loro volta accordi economici. La Francia, per 1' aumento di scambi fra i due Paesi e l'adozione di misure atte a garantire l'utilizzazione di tutti i contingenti accordati da essa alla Romania, nonché per la cessione di petrolio da parte della Romania in pagamento di materiale bellico ricevuto; l'Tnghiltena, per la concessione di un prestito di 5 milioni di sterline alla Romania, in conto vincolato, con 1'obbligo da parte di quest'ultima di acquistare armi e macchine agricole e da parte inglese dell'importazione di 200.000 to.nnellale di grano. TI carattere degli accordi conclusi con Francia ed Inghilterra da una parte e con la Germania dall'altra appariva ben diverso. I primi infatti si risolvevano in aiuti finanziari e scambi di merci: essi erano l'espressione di quella politica commerciale che da tempo aveva portato l'Inghilterra ad essere fortemente interessata nelle finanze romene, tanto da potersi calcolare che la quota di partecipazione inglese al debito pubblico romeno raggiungesse circa i 2/5 della cifra totale. Gli accordi con la Germania, invece, potevano essere considerati veri piani di collaborazione, poiché oltre l'apporto di capitali prevedevano anche lavoro in comune e l'opera di tecnici ed organizzatori tedeschi in Romania . Sembrava inoltre che l'influenza degli accordi tedeschi, oltre che nel campo industriale, fosse notevole pure in quello agricolo, giungendo in seguito a far considerare anche l'opportunità di orientare la produzione romena alle necessità tedesche. Per quanto riguasdava gli aspetti militasi, alla fine del 1938 risultava che la Romania sarebbe stata in grado di mobilitase circa 1.500.000 uomini (ufficiali 50.000, truppa 1.360.000) con i quali si sarebbe costituito: a) Esercito attivo: I comando supremo; 1 comando gruppo di annate; 4 asmate; 494
12 corpi d'annata; 33 divisioni di fanteria; 2 divisioni cacciatori da montagna; 5 divisioni di cava11eria; b) Formazioni di marcia, formazioni di riserva e f01mazioni territoriali. Qua1ora il programma di riarmo intensificato negli ultimi tempi per espresso volere del re Carni non avesse subito ra11entamenti, la Romania contava di poter mobilitare entro iJ 1941 40 divisioni attive. Per la mobilitazione di queste unità era previsto il seguente a1mamento: - fanteria: mitragliatrici 22.530, fucili mitragliatori 15.139, cannoni d'accompagnamento 800, lanciabombe 120, carri armati 76; artiglieria: divisionale (cannoni 1528, obici 900), di corpo d'armata (cannoni 158, obici 158), d'armata (cannoni'96, obici 96). Il materiale in distribuzione era però in gran parte antiquato e di provenienze diverse. Si stava procedendo intensamente all'unificazione dei tipi e dei calibri, ma la scarsa polenzia1ilà industriale del Paese lo obbligava, come si è visto, a dover ricorrere in larga misura a11'industria straniera (i1 che valeva ancora di più per l'aeronautica, che poteva contare complessivamente su circa 700 velivo1i). 11 materiale umano era vaJutabile come numeroso (su 21 classi gli idonei a1 servizio di guerra ammontavano a circa 2 milioni) e qualitativamente buono, anche se le forti minoranze, circa il 30% della popolazione, costituivano elemento di debolezza; v'era specialmente da dubitare, in caso di conflitto, del comportamento degli elementi ungheresi e bulgari. I quadri difettavano di preparazione tecnica, pur se qualche miglioramento era in atto a seguito dei recenti provvedimenti (epurazione, ringiovanimento, maggiore severità ne1 reclutamento) voluti da re Carol. Nel giugno 1939 era stata creata la Guardia Nazionale de1 partito unitario rom eno «Fronte della rinascita nazionaJe». La nuova istituzione, che costituiva la forza armata di stampo politico, aveva lo scopo di: far rispettare e propagare 1a dourina politica del partito; cooperare con le organizzazioni esistenti per meglio preparare la popolazione alle necessità della difesa del territorio; cooperare, in tempo di guerra, con gli organi militari per i servizi territoriali e di sicurezza. A capo dell'organizzazione era stato posto un generale di divisione proveniente dal servizio attivo, coadiuvato da uno stato mag495
giore, dal quale dipendevano l'organizzazione, il reclutamento e l'addestramento dei quadri e l'ufficio propaganda. Era prevista la costituzione di centri d'istruzione per la preparazione dei comandanti, i quali sarebbero stati tutti scelti fra gli ufficiali in servizio attivo ed in congedo dell'esercito. La Guardia Nazionale, quantunque armata, non avrebbe potuto in nessun caso assumere attribuzioni istituzionali affidate a11 'esercito o ad altri organismi dello Stato (12).
(12) AUSSME, 1 4-1/2, «Notiziario mensile Stati Esteri», stralcio a cura dell'Ufficio del Capo di Stato Maggiore Generale in data 24. I. l 939-20.2. 1939 - marzo 1939 15.7.1939-4.8.1939.
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Capitolo XVI SVIZZERA
1. Il quinquennio successivo al primo conflitto
Le relazioni politiche ed economiche fra Italia e Svizzera, assumendo come loro inizio temporale la parte centrale del secolo XIX corrispondente per la prima alla costituzione unitaria del Regno (1861) e, per la seconda, alla trasformazione della repubblica elvetica da una Confederazione di Stati in uno Stato Federale (1848), furono sempre improntate, pur nelle inevitabili occasioni di contrasto, ad un'atmosfera di buon vicinato. È invece sotto l'aspetto militare che non vennero mai meno reciproche di ITerenze e timori. Da parte italiana, si guardò sempre con giustificata preoccupazione alle molteplici possibilità di violazione esterna della inveterata neutralità svizzera, con conseguente possibilità di attraversamento di quel territorio da parte di potenze quali la Francia, Germania cd Austria per iniziative offensive ai nostri danni; da parte elvetica, non vennero mai meno. gli altrettanto giustificati timori per penetrazioni italiane verso il Canton Ticino Come riferito da Rovighi nello specifico volume sul tema (1), gli avvenimenti della prima guerra mondiale ebbero ripercussioni piut tosto complesse sul prosieguo dei rapporti fra Italia e Svizzera. Quest'ultima rafforzò la propria convinzione circa la necessità di mantenere la più assoluta neutralità nei conflitti fra i Paesi confinanti, soprattutto per evitare ogni lacerazione interna, e di garantirla con una decisa capacità di intervento militare. Per quanto concerneva l'Italia, maturò una certa qual maggiore considerazione quale potenza di tutto rispetto, nei confronti della quale non erano pensabili mire espansionistiche o velleità di rettificazione di frontiera (negli anni antecedenti la prima guerra mondiale erano stati invece elaborati progetti offensivi in tal senso, volti a rettifiche confinarie miranti a salvaguardare il sali~te ticinese attraverso l'acquisizione della Val d'Ossola e della Valtellina). D'altra parte, nel quadro del contrasto (I) Rovighi A, «Un secolo di relazioni militari fra llalia e Svizzera 1861 -1961», Roina, USSME, 1987, pagg. 165-176.
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tra Francia e Gennania che la fine della guerra aveva solo sopito ma non risolto, era interesse della Confederazione, anche in funzione delle ripercussioni interne fra le popolazioni svizzere di lingua corrispondente, veder garantito l'equilibrio europeo e quello proprio da paite di altri Paesi e di altre forze di pressione politica. A quest'ultimo proposito è senza dubbio interessante l'informativa inviata nel maggio 1919 da11'addetto militare italiano a Berna riguardante la presenza di correnti rivoluzionarie ncll 'esercito svizzero: «Sin dal 30 luJ?lio u.s. segnalavo a codesto Comando sintomi varf di correnti rivoluzionarie nell'esercito svi:a,ero, e più specialmente la formazione delle leghe dei soldati. Contro di esse a nulla valse l'ordinanza emessa ai primi di Luglio dal f.?enerale Wille, e le leghe dei soldati tendettero anzi a diffondersi sempre di più ed a rafforzarsi, alcune con aperto carattere socialista rivoluzionario, altre sotto l'injtda apparenza di una politica neutralità. E mentre le seconde si limitavano a porre nel loro programma l'opposizione all'uso dell'eserdto nelle competizioni di classe (come fu deliberato in un loro congresso autunnale a Zurigo), le prime arrivarono a fare non solo attiva prvpaKanda per il rffiuto di prestare se1vizio nel caso di uno sciopero f.?enerale, ma addirittura a predicare il rifiuto della difesa nazionale sino a che lo Stato fosse costituito su hasi borihesi ed a preconi:a,are la trasformazione dell'esercito in uno strumento della dillatura del proletariato. Questo programma è esplicito in certe »Istruzioni segrete sull 'organizzazione delle leghe socialdemocratiche dei soldati sviz.zeri», ed appare nell'attiva propaganda rivoluzionaria che dal principio dell 'anno in poi si è svoltafehhrilmente tra le file dei militari di truppa. Fu perciò che il Consiglio Federale, preoccupato delle conseguenze di tale programma, in un decreto del 4 Marza sancisce la proibizione delle l,eghe dei soldati, già proibite olio mesi prima ma invano dal Generale Wille. 1 primi articoli di tale decreto dicono: "Art. 1. Sono proibite le associazioni e le organizzazioni (consigli cli soldati e creazioni analoghe), lo scopo e l'attività delle quali tende a minare la disciplina militare. Art. 2. Chi entra in una simile associazione od organizzazione o continua ad esserne membro, o agisce in tale qualità: Chi incita a creare simili associazioni od organizzazioni, o partecipa alle loro deliberazioni, o accoilie o segue le loro istruzioni, sarà punito di prigione sino a due anni". Quale e quanta possa essere l'efficacia di tali disposizioni, dopo 498
un primo naturale ed evidente effetto, dipende da circostanze ancora imprevedibili. Ma che la propaganda rivoluzionaria, con o senza l'aiuto delle leghe dei soldati, abbia dato i suoi frutti mostrano casi non infrequenti, e talora non lievi, di rifiuto di obbedienza fra i quali il più clamoroso fu quello che avvenne il 15 aprile a San Gallo nell'81 Batg. Fant. Come si rivela dall'inchiesta in ses:uito pubblicata, un'intera compagnia, al momento di essere smobilitata, si dichiarò solidale con alcuni compagni trattenuti in arresto e, dopo essersi ripetutamente rifiutata di obbedire agli ordini del suo Comandante, fu dovuta ridurre ali'obbedienza e disarmare con la forza senza però che vi fosse spargimento di sangue. Altri casi, assai rari, ma tuttavia sign{f'icativi, mostrano che la corrente rivoluzionaria è penetrata anche fra gli uJ]iciali. Cito fra tutti il caso del Capitano Laujler, arrestato e processato per propaganda bolscevica. Questi fatti che ho creduto di dover segnalare come sintomi non trascurabili di correnti rivoluzionarie nell'esercito non permettono però senz'altro di concludere che la.forte compagine ne sia certamente minata, e eh'ella non possa vittoriosamente resistere alla palese ed occulta opera di disgregazione» (2). Nell'ambito interno della Svizzera tendeva a verificarsi anche una migliore situazione della popolazione svizzero-italiana nel confronto con le altre due maggiori comunità francese e tedesca: risultava infatti conveniente che i contrasti fra queste ultime potessero essere attutiti ed equilibrati da componenti politiche estranee. Di conseguenza, negli anni successivi al primo conflitto mondiale il governo federale dette avvio ad una politica di maggiore considerazione degli interessi culturali ed economici della Svizzera italiana e dei Grigioni, e ciò anche nell'intento di arrestare o contenere nel Canton Ticino quelle manifestazioni di malcontento ed insofferenza che , presso qualche minoranza, assumevano tonalità irredentistiche o comunque di aspirazione a maggiori legami con l'Italia oltre che di conservazione dell'italianità della regione . La predetta minoranza era anche animata da sentimenti di ammirazione per i successi interni ed esterni dell'Italia fascista e di contrapposizione alle correnti
(2) AUSSME, E8 , senza indicazione di prot. del 1.5. 191 9, da Add. Mil. Berna a Comando Supremo ~ Uff. OPR, f.to «l'addetto militare» (allegalo al foglio 43/C del 10.5.1919 dell'Addetto Militare a Parigi diretto a Delegazione Italiana Conferenza Pace Sezione Militare, a Mini s tero Guerra, a Comando Supremo ed a Capo Servizio Informazioni).
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politiche socialcornuniste, nonché di rivalsa per le vere o presunte umiliazioni subite nei confronti delle altre due comunità predominanti nella Confederazione. Dal canto suo il nostro Paese, nel quadro di una più ampia prospettiva europea e nel suo contrapporsi alla Francia cd alla politica di questa a sostegno della Piccola Intesa, sviluppava una condotta che gli faceva assumere primariamente un ruolo tutelatorio dell'Austria e dall'Ungheria e nel contempo contrario ad un'espansione te1Titorialc tedesca. In questa scelta del mantenimento di un'interposizione di altri Stati fra Tta]ia e Germania, il primo interesse nei confronti della Svizzera era quello della salvaguardia della Confederazione, il cui dissolvimento avrehhe comportato una più ampia estensione dei confini con la Germania e la Francia che era comunque da evitare anche se ne fosse conseguita l'annessione del Canton Ticino. Oltre a ciò, un secondo interesse era rappresentato dal cercare di preservare quanto di italiano era insito nelle regioni a Sud delle Alpi; in territorio elvetico, infatti, la crescente valenza politico-economica della comunità tedesca era un dato incontrovertibile, contrastato solo parzialmente da una certa qual reattività di quella francese ed italiana (per quest'ul tima, nelle forme delle quali si è accennato sopra). Sotto il profilo mihtare, negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale le relazioni fra Italia e Svizzera tendevano ad essere piuttosto indifferenti: l'esercito italiano vendeva a quello .elvetico rnateria]e helJico eccedente le proprie esigenze, e nel 1923 si ebbe anche la soppressione dell'ufficio dell'addetto militare a Berna, retto dal ten. col. Francesco Brag;i, che dopo essere stato gestito in accreditamento da parte dell'addetto militare a· Parigi sarebbe stato ri ape1to nel 1927 avendo come titolare il ten. col. Natale Pentimalli. Una delle ullime comunicazioni del ten. coL Braga aveva come oggetto proprio la situazione nel Ticino, e forniva clementi informativi che sembravano peraltro contrastare l'immagine di amicale intesa professata da parte elvetica: «A sef?uito di quanto ebbi a comunicare con foglio del 14 maggio 1921 circa l'esistenza di un'organizzazione segreta.fra i~ff'iciali svizzeri, mi onoro comunicare Il seguenti ulteriori notizie, che traduco integralmente, giuntemi dalla ,•;tessa.fonte: "Prima della guerra fu tradizione presso lo stato maggiore f?enerale svizzero di vedere continuamente un pericolo da parte dell'ltalia. Numerose esercitazioni di stato maggiore si tenevano nel Ticino. Gli ufficiali comandati a questi corsi ricevettero sovente l'ordine di portare con loro gli abiti civili per esef?uÌre ricogni500
zioni in Italia in qualità di turisti. Gli ufficiali superiori, capi dello stato maf?f?iore o capi di sezioni, corne Keller, Egli, de Vatteville, Bridler, von Sprecher, ebbero cura di orientare l'opinione contro gli italiani in generale e contro l'esercito in particolare. Le più piccole manifestazioni in Italia furono interpretate nel senso peggiore. Nella Svizzera italiana e francese si protestò sempre contro queste tendenze, ma senza {?rande successo. Attualmente il capo dello stato maggiore generale riprende per suo conto i procedimenti de i suoi predecessori. Egli ha fallo riconoscere tutto il Ticino per le istallazioni delle teleferiche e de!Le artiglierie. Ha dato L'ordine di occuparsi specialmente del!' Italia e di studiare a fondo tu!to il.fronte Sud della Svizzera, ed in proposiLo un corso di stato maggiore ed uno strategico si terranno in maggio-giugno in gran parte del Ticino. Vi saranno convocati molti u_Lficiali di tutte le armi, compresi pionieri, telegrafisti e radiotelegrafisti. Gli amici dell'Italia protestano contro questa mania, che ragghmge la provocazione. precisamente nel momento in cui S.E. il Presidente del Consiglio Mussolini dà tante prove della sua henevolenza verso la Svizzera. 1 particolari saranno dati più tardi, ma non è impossibile che sia iniziata una campagna a mezzo della stampa se Le cose prendessero Le proporzioni che disgraziatamente si temono» (3). · 2. Lo strumento militare nella prima metà degli anni Trenta Sempre in base al criterio di esposizione cronologica al quale si ispira la presente rassegna, il successivo carteggio reperito è ascrivibile al 1932 e comprende,per quell'anno, due reJazioni elaborate dal S.I.M. sulla scorta di rapporti e documenti inviati dall'addetto militare. La prima riguardava tre esercitazioni svoltesi con i quadri di 3 brigate, rientranti nell'ambito di quelle previste dall'ordinamento militare in vigore ed aventi svolgimento ogni 4 anni presso le singol e brigate, con partecipazione di tutti i capitani comandanti di unità delle varie anni e dei livelli gerarchici superiori. Si tratta -va quindi di vere e proprie manovre con i quadri, denominate Cours Tactiques, nelle quali venivano studiate particolari operazio(3) AUSSME, Cì29-5, prot. 158 RR dd 2.4 . .1<>23, da Add.Mil. Berna a Stato Maggiore Centrale - UJT. OPR, f.to te n_col. Braga.
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ni di guerra. La loro periodicità a larghi intervalli di tempo imponeva che lo studio operativo fosse sviluppato su casi previsti come concreti e realmente aderenti a1la dottrina di guerra in vigore, il che rendeva la relativa documentazione estremamente riservata e quindi ancora piLt apprezzabile il fatto che l'addetto militai-e fosse riuscito a venirne in possesso. Secondo la valutazione operativa del medesimo, era possibile trarre alcune deduzioni di fondo: a) la politica militare svizzera faceva realmente affidamento sull'apporto di aiuti da parte di un terzo Stato contro un eventuale mvasore; b) la difesa, cd essa soltanto, era assolutamente alla base della dott1ina di guerra; c) la brigata <li fanteria era in realtà un ' unità mista alla quale, in òpcrazioni belliche, sarebbero state assegnate artiglierie cd ek.menti del genio e dei servizi; d).La :celerità della mobilitazione costituiva un presupposto di base di pi:ìòdtaria importanza; e) la çopcrtura dei confini competeva non solo ai haltaglioni di Landsturm ma anche ad una patte delle truppe della Landwehr, quelle che avevano i loro centri di mobilitazione più prossimi ai tratti di frontiera da presidiare (4). La relazione comprendeva anche alcuni dettagli sull' addestramento presso la scuola reclute, con particolare riguardo al tiro individuale, che sono riportati ncll' Allegato 14 (5). La seconda relazione era redatta in base a du e documenti, PrescripLions sur la mohilisation de l 'Armèe Suisse e Ordre de Bataille de l'Armèe Suisse la cui rilevanza era insita negli stessi titoli. Attraverso il loro esame, era possibile ricavare dati sufficientemente precisi sulla mobilitazione dell 'esercito svizzero, sia per quanto riguardava organizzazione ed csecu,.ione dell a stessa (primo documento), sia per quanto concerneva il numero dell e (4) Le unità di Landsturm erano quelle destinate a i servizi territoriali ed alla rnpcrtura ini 7.iale delle fTontiere, e comprendevano gli uomini dal 40° al 48° anno di e1.11; quelle della l .andwher erano destinale alla costituzione dell' esercito di campagna, e comprendevano gli uomini sino al 40° anno di età. Nerbo cruciale dell 'esercito di campagna, del quale costituivano una particolare categoria, enmo i reparti dettj Élite. /\ndava infine considerala a parte la categoria Hi(fdienst (Servizi Complementmi), che raccoglieva lutto il personale inabile al serviòo di prima linea ma tuttavia idoneo all'assolvimento di compiti speciali in caso di guerra (lavoratori , protezione e difesa controaerea, formazioni sanitarie ausiliarie, ecc.). . (5) AUSSME, 113-3 1/6, p rot . 1944 del 19.4. 1932, da Comando Corpo Stato MAggiorc - Uff. OPR a stesso Comando - Uff. Add.to, f.to col. Tellcre.
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unità, i tempi e la successione nella loro costituzione e le località di radunata dei singoli elementi che le componevano (secondo docurµento ). Era noto come l'esercito svizzero non fosse permanentemente costituito, e la sua formazione di guerra non differisse da quelJa complessiva di pace. L'organizzazione ed il reclutamento, spiccatamente territoriali, conferivano alla mobilitazione un carattere di massima celerità che escludeva però provvedimenti di mobilitazione occulta. La formazione delle unità previste dall' Ordre de Bataille assorbiva tutto il personale avente obblighi di servizio militare fino al 48° di età. L'esercito di campagna comprendeva: 3 corpi d'armata, ciascuno su due divisioni; le truppe d'armata, ovvero: • 6 brigate di Landwehr (dalla J9a alla 24a); • 6 compagnie mitragliatrici trainate: • 3 brigate di cavalleria; • 4 reggimenti di cavalleria; • 6 battaglioni genio zappatori; • 3 hattaglioni genio pontieri; • 1 battaglione minatori; • I battaglione radiotelegrafisti; • 4 compagnie telegrafisti; • I compagnia motociclisti; • truppe d 'aviazione; • truppe sanità; • tmppe sussistenza. Le fortificazioni di S. Maurizio e del Gottardo disponevano di proprie guarnigioni. Le prime comprendevano: I reggimento di fanteria da montagna (40°); 2 gruppi di artiglieria da fortezza; 1 reggimento di artiglieria autotrainata; 2 compagnie telegrafisti da montagna; I compagnia zappatori da montagna. Quelle del Gottardo erano costituite da: - 2 reggimenti di fanteria da montagna ( 47° e 52°); 2 gruppi mitraglieri; 3 gruppi di artiglieria da fortezza; 3 reggimenti di artiglieria autotrainata; 5 compagnie telegrafisti da montagna; 1 compagnia zappatori da montagna; 2 compagnie fotoelettricisti da montagna. 503
Il Landsturm comprendeva: 70 battaglioni di fanteria; 60 compagnie mitraglieri (più 6 distaccamenti); - 15 compagnie dragoni (più 15 distaccamenti); 12 compagnie treno (più 15 distaccamenti); 18 compagnie salmeristi (più 12 distaccamenti). Per quanto riguardava il procedimento della mobilitazione, questa era decisa dal Consiglio Federale con apposito decreto, in base al quale lo stato maggiore generale diramava a tutti i comandi ed ai Cantoni il telegramma di mobiJitazione che fissava il primo giorno per l'inizio delle operazioni relative. Generalmente, il primo giorno era quello che aveva inizio 48 ore dopo l'invio del telegramma, ma l'intervallo poteva essere anche di sole 24 ore. La mobilitazione dell' esercito poteva essere generale e parziale. ln caso di «pericolo di guerra», prima di procedere cioè ad una vera e propria mobilitazi one, il Consigl io Federale poteva emanare il decreto di Mise de piquet che attraverso lo Stato Maggiore veniva telcgraficmnente comunicato a tutte le autorità interessate. Sia in questo ultimo caso d1e per vera e propria mobilitazione, gli organi incaricati di questa raggiungevano immediatamente i loro posti . Tali organi, esclusivamente esecutivi, erano i seguenti: i «comandanti di Piazza» per la mobilitazione del personale sulle «Piazze di Riunione», e gli «intendenti di arsenale» per i magazzini di mobilitazione; gli «ufficiali di fornitura cavalli», assistiti da apposita «commissione di stima», per la mobilitazione dei quadrupedi e la loro requisizione; le «commissioni di stima», che si riunivano nelle differenli piazze per la mobilitazione e requisizione dei cicli, delle vetture, dei finimenti; le «commissioni sanitarie», ollre ai medici aggiunti ai comandanti di Piazza per le visite sanitarie. Il personale suddetlo riceveva, insieme con l' incarico di mobilitazione, tutte le indicazioni occorrenti per raggiungere immediatamente la propria destinazione non appena diramato il telegramma dello stato maggiore generale. Mentre in caso di mise de piquet i riservisti restavano presso le loro case senza allontanarsi però dal proprio paese, in fase di mobilitazione vera e propria si iniziavano, al giorno fissato, le operazioni di raccolta dei riservisti stessi e dei materiali nonché quelli inerenti alla costituzione delle unità. Per assicurare una prima copertura alle frontiere, nei due giorni 504
che normalmente intercorrevano fra 1' emanazione del telegramma di mobilitazione e 1'afnusso dei riservisti nelle «Piazze cli riunione» il Consiglio Federale poteva ordinare, oltre all'immediata mobilitazione della fanteria del Landsturm, quella delle guarnigioni delle fortificazioni. Vi provvedevano i Cantoni per il Landsturm ed i comandi delle fortificazioni per le guarnigioni. l Comuni, non appena diramato il telegramma di mobilitazione, predisponevano immediatamente l'affissione di due manifesti di chiamata, uno per il personale delle GG.UU, ed eventualmente delle guarnigioni delle fortezze, se queste ultime non fossero state già mobilitate con la fanteria del Landsturm, e uno per la chiamata delle truppe non indivisionate della Landwehr e delle truppe speci,ùi del Landsturm (artiglieria, cavalleria, genio). Provvedevano altresì all'affissione dell'orario dei treni per trasporto richiamati, reso noto anche nelle stazioni ferroviarie. I riservisti, che dal proprio libretto personale conoscevano già il nome ed il numero dell'unità di appartenenza, la località, il giorno di mobilitazione e l'ora di presentazione, atlluivano nelle «Piazze di riunione>> dove si formavano k varie
unità. l quadrupedi erano condotti nelle «piazze di stima» per via ordinaria. La presentazione dei riservisti per la costituzione delle GG.UU. aveva luogo in 3 giorni consecutivi, a partire dal primo giorno stabilito per la mobilitazione. Poiché era calcolato che ogni unità potesse compiere la mobilitazione sulla «piazza di riunione» nello spazio di 24-30 ore, ne conseguiva che la mobilitazione delle GG. UU. dovesse, teoricamente, ritenersi ultimata alla sera del 4 ° giorno (6° a partire dell' emanazione del telegramma di mobilitazione). Una volta efreuuata quest' ullima, le unità non subito impiegate venivano raccolte in Stationnements aprés mobilisalion da raggiungere a piedi o in ferrovia, secondo ordini inviati dallo stato maggiore ai comandi delle «Piazze di Riunione» all'inizio della mobilitazione stessa. Per quanto riguardava in pa1ticolarc la copertura della frontiera Sud, in base ai compiti assegnati al Landsturm le unità (ti fanteria che si mobilitavano nel territorio di frontiera erano quelle dei Cantoni Vallese, Ticino e Grigioni. Escludendo, logicamente, i 4 distaccamenti che si formavano nelle vallate prospicienti al confine francese ed un battaglione prospiciente a quello austriaco, avrebbero potuto essere impiegati 7 battaglioni su 20 compagnie, 12 distaccamenti e circa 3 compagnie di mitraglieri. Queste truppe del Landsturm avrebbero potuto essere pronte per l'impiego 24-30 ore dopo l'emanazione del telegramma di mobilitazione, e sareb505
bero state eventualmente appoggiate dalle guarnigioni delle fortificazioni. A rinforzare la copertura data dalle suddette truppe del Landsturm, erano poi destinate apposite unità radunabili il primo giorno di mobilitazione, con le «Piazze di riunione» in prossimità della frontiera; tali truppe non avrebbero potuto essere pronte che alla sera del secondo giorno di mobilitazione (4° dall'emanazione del telegramma dello stato maggiore generale). Dall'esame delle «Piazze di riunione» delle 4 divisioni attestate alla nostra frontiera, si rilevava come le truppe che potevano essere impiegate nella copertura assommavano a 11 battaglioni su 41 compagnie, 11 compagnie mitraglieri e 3 gruppi di artiglieria di montagna. In complesso, fatta eccezione per le truppe delle guarnigioni dcl1e fortezze, la Svizzera avrebbe impiegato 18 battaglioni (61 compagnie) di fanteria, 16 compagnie di mitraglieri (circa 160 armi), 12 distaccamenti di Lcmdsturm (ciascuno c01Tispondentc, al1'incirca, ad una compagnia) e 3 gruppi di mtiglieria da montagna (6). Il tema dell'addestramento era ripreso nel 1935 attraverso uno studio sulla relativa organizzazione prodotto sempre dal S.1.M. sulla base delle informazioni pervenute dall ' addetto militare. In esso si affermava, in sede di considerazioni riassuntive, che se la Svizzera aveva dato per prima l'esempio di un'organizzazione tipo «nazione militare», nella quale erano fin dalle origini contemplati e sviluppati i tre stadi della preparazione del cittadino alle armi (premilitare, addestramento nell'esercito cd istruzione fuori servizio), al momento tale primato ideale tendeva a sparire, perché la concezione e la prassi elvetiche, specie nel campo pre- c post-militare, risultavano superate dalle analoghe ma più complete ed integrali applicazioni introdotte da altri Stati fra i quali l'Italia. Ciò era tanto più importante in quanto l'istruzione militare fuori servizio avrebbe dovuto estendersi maggiormente là dove più brevi erano i periodi della ferma. Analoga critica di inadeguatezza poteva essere mossa circa la complessiva durata degli obblighi di servizio del cittadino, rimasti immutati con il volgere degli anni, anche se qui entrava in gioco il fattore politico degli interessi limitati della Svizzera. La nuova legge che sarebbe entrata in vigore 1'anno successivo avrebbe prolungato la durata della scuola reclute e del servizio del-
(6) AUSSME, H3-3 l/6, prol. 2/2478 del 13.5.1932, da, S.I.M. a Comando Corpo Stato Maggiore - Uff. OPR, f.to col. Sogno.
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l'ufficiale di Milizia (complemento) presso la truppa, specie nei gradi inferiori della gerarchia. Esso segnava perciò un netto riconoscimento della supremazia acquisita dall ' addestramento in cooperazione (fuoco e movimento, importanza del fuoco manovrato) rispetto al vetusto concetto della superiorità del tiratore singolo, ed anche un pratico orientamento verso una più positiva preparazione dei quadri. L'evoluzione nel campo addestrativo generale seguiva a rimorchio i criteri già da tempo applicati dalle grandi potenze, mentre la più estesa preparazione dell'ufficiale di Milizia (complemento) riconfermava una supremazia già in atto, perché in nessun esercito del tipo permanente tanta cura era riservata e tanto servizio era richiesto agli ufficiali di complemento o della riserva quanto in quello elvetico. Si poteva anche affermare che la predella preparazione evolveva nel senso della capacità pratica, piuttosto che in quella del perfezionamento spirituale e culturale. Era la concezione tedesca del «potere>> in contrapposto a quella latina del «sapere e potere». Analogo riconoscimento non meritavano invece i principi che regolavano la preparazione del sottufficiale. I corsi di formazione apparivano troppo brevi e così pure i periodi di comando; essi non pennellevano di sviluppare adeguatamente la persona1i tà del sollufficiale stesso, la cui importanza di educatore e comandante, invece, tendeva dovunque a crescere. T1 sistema dei periodici richiami delle diverse classi, dopo il servizio da recluta, era una misura ben congegnata e vantaggiosa specie per la mobilitazione e per l'uniformità addestrativa dei riservisti. Miglior risultato si sarebbe peraltro ottenuto, anche per la capacità di comando dei gradi più elevati dell a gerarchia, se i richiami fossero stati più lunghi ed avessero consentito più istruzione d'insieme. In ultima analisi la nuova legge sull'addestramento, accanto ad indubbi benefici, non avrebbe eliminato alcune carenze; tra queste, la scarsa attitudine degli ufficiali al comando di formazioni complesse, che trovava tuttora alimento nelle erronea credenza che, anche senza un servizio continuativo e severe prove, un ufficiale di complemento potesse trasformarsi in un buon comandante di grande unità (7). Allo stesso anno era datata una nota informativa dell'addetto militare ten . col. Euclide Fantoni relativa all'organizzazione svizzera della guerriglia quale rinforzo della copertura: (7) AUSSME, LI0-11/2, prot. 2/5414 del 12.6. I 935, da S.I.M. a Ministero Guen-a Uff. Add.to ed Ispettorato Fanteria, f.to col. Angioj.
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«Dopo la redazione della mia relazione annuale sono venuto a sapere che lo stato maggiore sta organizzando la guerriglia a ririforzo della copertura per il caso di "attaque brusquée". l,a preparazione è già in corso presso la 2° divisione ed al fronte Nord: arguisco anche contro di noi. Criteri informatori: la copertura comprenderà in generale sbarramenti fortijkati di frontiera sulle linee cli possibile invasione, con truppe Landsturm, guardie di frontiera ed altre posizionate su e al difuori di essi. Le truppe di frontiera sono reclutate fra validi elementi locali, mobilitate per precetto personale od anche d'iniziativa in caso allarme, lirnilalamente alle zone di più facile invasione (zone stradali), coi seguenti compiti: agire di sorpresa contro truppe di reparti motorizzati, ogni volta che queste escono dai loro automezzi; colpire a tradimento quanti possibile e specialmente gli ufficiali; provvedere a particolari distruzioni. Non sono riuscito a conoscere la composizione e ./<Hz.a di ogni pattuglia. Armamento ed equipaggiamento come il soldato regolare; munizionamento occultato in appositi depositi, con annessi depositi di viveri (evitato il r4òrnirnento dalla popolazione). Per garantire munizionamento, è fatto loro obbligo di impossessarsi di quello dei nemici uccisi. Ogni pattuglia deve sciogliersi allorquando le munizioni sono esaurite ed ogni uomo presta uno speciale giuramento al momento stesso della sua incorporaz ione nelle pattuglie ( giuramento già avvenuto alla 2° divisione). Jn complesso, tali palluglie vengono create proprio per far fronte ad una invasione improvvisa ed il loro mandato deve espletarsi nei quattro-sei giorni di crisi della mobilitazione generale. Lo S.M., pur considerando impossibile l'attaque brusquée si prepara dunque a farvi fronte anche in questo modo. Personalmente il mezzo sembrami insu:!Jiciente, ma i colonnelli de Diesbach e BoreL, patrocinatori ed organizzatori di questa .~peciale copertura, sono pienamente convinti che essa sia destinata a creare grandi impacci e ritardi ad un eventuale invasore» (8).
(8) AUSSME, 1-13-31/.12, 2/230 del 14.1.1 935, da S.I.M. a Comando Corpo Stato Magg iore - Ul'licio OPR, Llo col. Calderini.
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3. 1938-1939: una neutralità assoluta ma vigile La globale cordialità delle relazioni italo-svizzere a livello governativo, alla quale non corrispondeva analoga intensità a livello delle rispettive opinioni ·pubbliche, ed in particolare l'atteggiamento amichevole delle autorità elvetiche nei confronti dell'Italia ebbe a manifestarsi pienamente in occasione del connitto con l'Etiopia, per il quale la Svizzera si astenne dall'aderire alle sanzioni economiche stabilite dalla Società delle Nazioni decretando solo un embargo sulle armi per le due paiti in causa. Attivo fautore di tale politica fu il Consigliere al Dipartimento degli Affari Esteri Giuseppe Motta, già presidente della Confederazione nel 1915, esponente del partito conservatore, ticinese e come tale convinto ed alacre assertore della matrice italiana della sua regione. In questa veste, aveva sempre guardato con simpatia ed ammirazione ai progressi compiuti dall'Italia dopo l'avvento al governo di Mussolini e, nei suoi contaU.i con lui, aveva contribuito con sincera partecipazione al mantenimento di positivi rapporti fra le due nazioni (9). All'orientamento favorevole del governo elvetico non corrispondeva peraltro analogo atteggiamento da parte di alcune componenti politiche, tenendo anche conto delle vaste possibilità di manovra del fuoriuscitismo italiano che aveva in Francia e nella stessa Svizzera i propri centri. Di tale situazione si faceva porlavoce l'addetto militare attraverso varie informative una delle quali, a circa 3 mesi dall'inizio delle operazioni in Africa Orientale, così si esprimeva: «Seguito precedenti rapporti del 14 maf{gio u.s. e del 9 c.m. continuo a riferire stato d'animo svizzero confronti nostro conflitto con Abissinia. Governo resta henevoio. On. Motta, ministro esteri, d(fende nostro alleggiamento contro dubbi qualche collega pessimista; ma, nel complesso, tutti consiglieri federali sono d'accordo nel rù:onoscere che unico interesse svizz.ero è conservarsi amicizia italiana. Stanno in relazione a ciò Le apprensioni che lo stesso governo nutre ora nei riguardi eventuali possibili forniture armi munizioni Abissinia. Appariscente intiepidimento notasi invece nel!' opinione puhhlù:a e nella stampa, salvo eccezioni fra i t:iomali Svizzera romanda ed uno
(9) Rovighi A., op. cit., pag. 166.
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solo Svizzera tedesca, la Neue Ziircher Zeitung. Vi influiscono, anzitutto, la continua campagna denigratoria ed ostile giornali inglesi, 5palleigiati dagli elementi societari ginevrini, poi la sensazione di secondo tempo che Italia è ben decisa a .far guerra se occorre. Fino ai primi di questo mese era infatti assai diffusa la credenza che nostro graduale invio di truppe costituisse soltanto una manovra politica; svanita questa speranza è morto anche l'ottimismo. L'imbelle e miope pacifista di quì ha quindi buon gioco nel rappresentare l'Italia come assetata di conquista e di prestigio. Ed è così che la National Zcitung ed il Bung, già moderatamente favorevoli, sono ritornati ai vecchi amori con tutti i fogli denigratori. Il primo è giunto a dire che l'Italia deve la conquista di Tripoli a serbi, bulgari e greci che ai primi tempi della Libia hanno fatto guerra alla Turchia, ed il secondo che il nostro r(fiuto di adire a Ginevra denuncia intenzioni bellicose. Evoluzione attuale spirito pubblico elvetico indica che sue simpatie caso guerra andrebbero Abissinia, ma nessun timore sembra esistere circa possibilità voltafaccia del governo» (10). Un secondo rapporto che abbiamo prescelto fra gli altri esaminati come indicativo de11a situazione in atto vista dal rappresentante militare italiano a Berna è successivo di 2 mesi, e ne riportiamo la parte finale: «/ ... / L'Associazione svizzera per la S.d.N., nella quale predomina l'elemento massonico, ha tenuto apposita riunione, in cui si è infiorata a parole l'Italia per conchiudere con un ordine del giorno di completa solidarietà al Patto societario. Un deputato socialista, certo Hauser, istigato anche dal gruppo parlamentare democratico per la S.d.N., ha interpellato il governo sulla politica di fronte al conflitto italo-abissino. Prudentemente il presidente della Confederazione ha riunito presso di sé i capi delle frazioni parlamentari ed ha Loro chiarito che il governo spera in un regolamento pacifico che eviterebbe l'applicazione di certe clausole del Patto S.d.N. , ma che lo stesso segue con estrema attenzione gli avvenimenti e non mancherà di pronunciarsi al momento in cui fosse necessario. Come si vede, una formula che non compromette e che lascia al governo mani libere per continuare nella sua ragionevole politica. Tutto sommato, posso concludere che situazione internazionale (10) AUSSME, H3-39/19, prot. 382 del 27.7.1935, da Add. Mii. Berna a S.I.M., f.to ten. col. Perrone.
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ha prodotto anche qui un nervosismo artatamente alimentato dalla coalizione antiitaliana ed antifascista, ma che il !?(JVerno continua a mantenere un atteggiamento corretto, mentre Lo stesso on. Molla ha fatto sapere alla nostra rappresentanza politica che egli è contrario anche alla semplice idea delle sanzioni. La Svizzera non ha infalli ragione alcuna per dipartirsi da un contegno assolutamente neutrale, che è del resto nel suo interesse; ciò nonostante, vanno segnalati gli armeggii di quanti con una leggerezza veramente infantile giungono fino a prevedere una mobilitazione in relazione ad un conflitto che né riguarda, né potrebbe comunque minacciare questo piccolo Stato» (11 ). ln seguii.o, di fronte al protrarsi di tensioni internazionali conseguenti alla guerra civile spagnola e nella prospettiva di ulteriori azioni da parte della Società delle Nazioni nei confronti tanto della Germania, uscitane nell'ottobre 1933, quanto del l'Italia che avrebbe cessato di fame parte nel dicembre 1937, la Svizzera precisò di non poter assolutamente aderire a provvedimenti sanzionistici. di qualsivoglia natura, dichiarando altrcsì il proprio ritorno ad una posizione di neutralità assoluta. Anche successivamente, pur durante le minacce di crisi europea fra il 1938 ed il 1939, Motta continuò a favorire una politica di amichevole collaborazione con l'Italia, anche nell'intento di assicurare al proprio Paese possibilità di traffici commerciali attraverso gli scali portuali della Liguria cd incrementare comunque gli scambi economici fra le due nazioni. Dopo l'ascesa al potere di Hitler si erano accentuate le preoccupazioni di ambienti poliLici e militari svizzeri ostili sia alla formula fascista e nazionalsocialista che alle prospettive di un espansionismo irredentista, piuttosto verbale que11o italiano ma certamente più realistico quello Ledesco specie dopo l'annessione dell'Austria. Tah preoccupazioni indussero in quegli stessi anni ad attuare provvedimenti di raffor/.amento dell'apparato militare e ad intensificare le predisposi:t.ioni difensive a11e frontiere, con particolare riguardo nei confronti della Germania ma anche in quelli dell' Italia. La condizione in atto dell'esercito svizzero era compendiata dall'esposizione orale dal nostro addetto militare nel corso di una riunione con altri 13 colleghi in servizio presso altrettante ambasciate in Europa tenutasi a Roma, alla presenza del capo di stato maggiore dell'eser-
(11) AUSSME, H3-39/19; prot. 554 dd 27.9.1935, da Add. Mii. Bem a a S.I.M., f.lo tcn. col. Perrone.
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cito gen. Pariani, tra il 27 ed il 29 giugno 1938. Il quadro che ne derivava era que11o di un esercito articolato in 3 corpi d'armata su 3 divisioni di fanteria ed 1 brigatà da montagna autonoma. La divisione comprendeva 3 reggimenti più uno d'artiglieria su 9 batterie ed un gruppo di medi calibri su 2 batterie; disponeva di 500 armi automatiche, 60 cannoni da fanteria e 44 pezzi d'artiglieria. La forte preponderanza delle armi automatiche sulle bocche da fuoco era giustificata dal concetto di una guerra difensiva in forma stabilizzata, senza azione di manovra che sarebbe stata di competenza del corpo d'armata. In caso di mobilitazione, la Svizzera poteva contare su 400.000 uomini (circa 1/10 della popolazione) ripartiti in tre grandi categorie: esercito di campagna (12 GG.UU.), truppe di copertura (100 battaglioni) e truppe territoriali (100 battaglioni), per un totale approssimativo di 300 battaglioni. L'armamento risultava piuttosto carente soprattutto nelle artiglierie. Si tendeva a disporre di un materiale da 75 moderno e del 105 Bofors al posto del 120. Per 1'artiglieria da montagna era stato adottato il 75 Bqfors, mentre la pesante campale era armata con il 120. Anche l'addestramento, secondo la valutazione dell'addetto militare, non sarebbe risultato adeguato, perché il soldato, dopo i tre mesi della scuola reclute, andava in congedo transitando nella Landwehr rimanendovi dal 21 ° al 35° anno, periodo nel quale frequentava 8 corsi di tre settimane ciascuno. Ne conseguivano 160 giorni di servizio e di istruzione, piuttosto scarsi in relazione al largo impiego di mmi automatiche al quale era chiamato il soldato svizzero. Per ciò che riguardava l'alto comando, in tempo di pace non era previsto. Il dipa1timento federale aveva al vertice un elemento politico che gestiva tutta l'attività dell'esercito senza essere però un organo di comando. Il capo del dipartimento aveva a propria disposizione 14 servizi, fra i quali era compreso quello dello stato maggiore generale assimilato però alla stessa stregua del servizio sanitario e veterinario. Lo stato maggiore non esercitava influenza alcuna né sull'addestramento né sull'impiego, ed anche quando, come era previsto, i servizi sarebbero stati raggruppali e ridotti ad 8, non vi sarebbe mai stato un ente che avesse autorità assoluta sull'esercito. L'alto comando sarebbe stato nominato al momento della guerra da11'assemhlea nazionale, anche se era in corso la tendenza a farlo eleggere dal consiglio federale allo scopo di guadagnare tempo e renderlo anche meno influenzabile dalle pressioni politiche. Comunque, aggiungeva l'addetto ten. col. Fantoni, sarebbe stato eletto sempre troppo tardi e non gli sarebbe rimasto altro che accet512
tare la situazione imposta dal nemico (12). Al termine dell'esposizione il rappresentante militare italiano a Bema, in risposta ad una speci rica domanda del gen. Pariani, affermava come tutta la fronti'era svizzera fosse da considerarsi eguale per effetto della neutralità, e di conseguenza si potesse prevedere che la manovra si sarebbe basata solo sullo spostamento delle unità dai fronti meno impegnati a quelli attivi. A questo proposito, erano abbastanza prevedibili legami operati vi con la Francia: ed infatti proprio in quell'anno il dipartimento federale aveva stipulato accordi segreti con lo stato maggiore francese per un intervento su richiesta della Confederazione in caso di attacco tedesco. Tutta la dottrina tattica svizzera, del resto, si richiamava a que11a francese e la costituzione del battaglione era del tutto identica a quella di questo Paese ( 13). Il secondo aspetto, queJJo delle predisposizioni per la fortificazione delle frontiere, era oggetto nello stesso 1938 di una specifica relazione del ten. col. Fantoni. Essa iniziava con alcune considerazioni di carattere finanziario, in base a11e quali la Svizzera avrebbe speso nel giro di pochi anni, in crediti straordinari per il rafforzamento dell'esercito (compresi i crediti previsti nel progetto di decreto per il rafforzamento della di resa nazionale e la lotta contro la disoccupazione), oltre 600 milioni di franchi pari a circa 3 miliardi di lire italiane. Tale cifra, per un piccolo Paese di poco più di 4 milioni di abitanti, era certamente ragguardevole e rappresentava un grande sforzo in periodo di crisi economica, specie se si confrontava la situazione in atto con que11a di dieci anni prima, quando con grande stento il diparlimento militare federale era riuscito a varare un bilancio ordinario di 80-90 milioni annui e l'esercito era stato costretto ad attingere in parte ai depositi di riserva e di mobilitazione. Circa un sesto della predetta somma di 600
( 12) Si trattava, in sostanza, della conferma del gi udizio emesso un anno prima dal generale Federico Romero, capo della missione militare italiana che aveva presenzialo alle grandi manovre dell'esercito svizzero. Quesli aveva infatti parlato di nolcvoli limitazioni all'impiego tattico da parte dei quadri di ogni grado e, ancor più, nell'orienlamenlo mentale e professionale dei comandanti che risultavano poco preparali alle molteplici esigenze di una guerra moderna, anche perché gli ottimi ufficiali del servizio permanente effettivo erano troppo pochi per modificare tale situazione Aussme, H3-3l/6, prot. 14608 del 16.10.19}7, da Comando Corpo Stato Maggiore - Uff. Add.to a stesso Comando Uff. OPR I, f.to col. Carlo Tucci). (13) 11 resoconto stenografico dell 'esposizione orale dell'addello militare italiano in SviZ7.era è custodito presso l'archivio dell'USSME nella collocazione LI0-8, e riprodotto nel citato volume di Alberto Rovighi all'allegato n. 82, pagg. 513-515.
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milioni di rranchi sarebbe stato assorbito dalle sistemazioni difensive alle frontiere, delle quali si era cominciato a parlare nel 1934 allorché fu deciso di ricostituire il disciolto «Ufficio delle fortificazioni». Il primo credito per la fortificazione delle frontiere risaliva infatti al dicembre di quell 'anno cd ammontava a 6 milioni di franchi; esso era stato quasi interamente assorbito dagli studi e lavori tecnici preparatori. Nel 1936, del prestito pubblico di 235 milioni di franchi lanciato per il rafforzamento della difesa nazionale, una prima somma di 25 milioni era stata subito destinata alla costruzione delle opere di forti lìcazione alle frontiere. 11 progetto di costruzioni presentato nel frattempo dallo stato maggiore prevedeva però un tot,ùe di spese di 69 milioni di franchi che la commissione di difesa nazionale, dopo un minuzioso esame, aveva ritenuto opportuno ridurre a 52 milioni. Dedotte le somme che erano state già concesse (6 + 25 milioni) il parlamento metteva quindi a disposizione del dipartimento militare altri 21 milioni di franchi, prelevandoli sul maggior gettito di 100 milioni circa che aveva procuralo il prestito per la difesa nazionale. Ma per raggiungere il completamento della sistemazione difensiva prevista per le frontiere Nord, Ovest e Sud, la somma in primo tempo richiesta di 69 milioni era stata poi riconosciuta non suscettibile di riduzioni; inoltre, ad essa si sarebbe dovuta ora aggiungere una somma supplementare di 6 milioni per aumentato costo dei materiali occorrenti. Infine, data la modificazione intervenuta nel marzo sempre del 1938 sulla situazione de11e frontiere per effetto dell'unione dell'Austria a11a Germania, si rendeva al momento necessario estendere le misure protettive anche al confine orientale, il che avrebbe richiesto una spe sa preventivata di 16 milioni. Sarebbero occorsi, pertanto, ancora 39 milioni, che erano stati considerati nella richiesta dei 400 fatta dal Consiglio federale per procurare possibilità di lavoro al fine di ridurre la di soccupazione. Nel complesso, quindi, si trattava sino aJlora di 91 milioni di franchi fra spesi e da spendere per le fortificazioni di frontiera, corrispondenti a circa mezzo miliardo di lire italiane. Gli studi iniziati nel 1935 per procedere a questa sistemazione erano stati basati sul concetto di porre il Paese in grado di contenere un attacco improvviso per il periodo di tempo necessario a compiere la mobilitazione e la radunata dell'esercito di campagna. Tali studi erano stati condotti in annonia con quelli della riorganizzazione delle truppe, i quali prevedevano già la costituzione di apposite unità di copertura che nello svolgimento del loro compito avrebbero dovuto 514
appoggiarsi sulle predette sistemazioni difensive. Il criterio direttivo fissato per la costruzione delle nuove fortificazioni veniva fondato sul supposto che la violazione del territorio elvetico da parte di uno Stato confinante non avrebbe mai potuto essere linea sé stessa; obiettivo di tale azione strategica sarebbe stato, invece, ce1tamente quello di facilitare alla potenza violatrice l'attacco di sorpresa che essa avrebbe ulterionnente portato contro l'altra potenza, pure confinante con la Svizzera, nella parte più vulnerabile del proprio territorio. Di conseguenza, l'estensione e la capacità di resistenza delle nuove opere destinate a coprire le frontiere non dovevano essere considerate nel senso di costituire un vero e proprio sistema difensivo, opportunamente scaglionato in profondità e del tipo e della solidità di una linea Maginot, ma esse dovevano costituire semplicemente un appoggio alle truppe della copertura incaricate di ostacolare il passaggio all' eventuale invasore per i 4-5 giorni 1itenuti necessari al compimento della mobilitazione e della radunata dell'esercito di campagna. D'altra parte, essendo ovvio che la resistenza opposta della Svizzera all'invasione del territorio da parte di una qualsiasi delle grandi potenze confinanti, per quanto attiva, non avrebbe potuto essere che di durata limitala, la sua funzione avrebbe dovuto necessariamente ridursi a quella di ritardare la marcia dell'eventuale assalitore, per togliere a questi il vantaggio della sorpresa che gli sarebbe stata indispensabile per svolgere rapidamente ed efficacemente il proprio piano d'attacco contro la potenza avversaria e per dare a quest'ultima il tempo di premunirsi e, nel suo stesso interesse, di accorrere a sostegno delle forze svizzere impegnate. Pertanto, tenendo largamente conto del terreno di frontiera dove esso costituiva già di per sé ostacolo naturale tale da escludere un'improvvisa invasione, era stato deciso di erigere ostacoli pa'>sivi ed interdire con il fuoco di piccole opere difensive le vie di accesso che dall'esterno conducevano all'interno del Paese e che meglio si fossero prestate ad essere utilizzate per il rapido movimento di unità corazzale e motorizzate. I lavori relativi erano stati iniziali alla fine del 1936 e, in ordine di tempo, si era proceduto anzitutto alla costruzione degli ostacoli passivi su tutte le vie di comunicazione predisponendo sbarramenti anticarro e mine per interruzioni stradali. Tali costruzioni erano state effettuate prima alla frontiera Nord e successivamente alla frontiera occidentale ed a quella Sud; la frontiera Nord era infatti considerata la più esposta, e tutti i 16 ponti sul Reno erano stati sistemati difensivamente pur riconoscendo che solo 11 di questi erano in condizioni di sopportare il passaggio di automezzi pesanti. 515
A seguito di questa prima sistemazione difensiva, che dalla linea di confine si estendeva verso l'interno con profondità variabile essendo gli sbarramenti disposti in modo successivo e più o meno numerosi a seconda delle vie di invasione (sulla comunicazione del Gottardo tra Chiasso e Monte Ceneri ne apparivano 9, mentre su quella Neuchàtel-Pontarlier ne esisteva uno soltanto), si era proceduto alla costruzione di fortini per armi automatiche e cannoni di piccolo calibro; anche per la costruzione di queste opere si era iniziato dalla frontiera Nord. La relazione proseguiva con una descrizione dei criteri topografici relativi alle predisposizioni difensive lungo la frontiera occidentale. Per quanto riguardava quelle della frontiera Sud, di specifico interesse per l'Italia, le nuove fortificazioni erano quelle del Ticino in con-ispondenza del Passo di S. Germano e quelle del monte Sobrio, fra le valli Blenio e Leventina. Esse andavano ad aggiungersi a quelle di più remota data di Saint Maurice (complesso di opere che chiudevano la valle del Rodano dalle provenienze sia dall'Italia che dalla Francia) ed a quelle specificamente preposte alle provenienze dall 'Ttalia, del Gottardo-Monte Ceneri, del Sempione-Goud, del1o Spluga, di Bcllinzona (integranti quelle del Gottardo, quasi al centro del Canton Ticino a sbarramento dei tre fasci di comunicazioni stradali e ferroviarie correnti lungo le due sponde del Lago Maggiore e la direttrice Como-LuganoBellinzona). Ne1 territorio dei Grigioni, nel quale gli ostacoli montani erano stati fino allora considerati una sufficiente protezione, si stava ora provvedendo alla sistemazione difensiva dell'Engadina con la costruzione di forti di sbarramento sulle vie che dalla valle dell' Inn si dirigevano all' interno del Paese e precisamente al Fliiela Pass, all' Albula Pass, allo J-i.ilier Pass ed al Maloja (14). 4. La copertura delle frontiere nell'imminenza della seconda guerra mondiale Ali' argomento della copertura delle frontiere, del quale è già stata in precedenza rilevata l'importanza attribuitagli dalla dottrina bellica svizzera, era riservato l'ultimo documento di pertinenza di questa rassegna, redatto un mese prima dell'inizio della seconda guerra rnon-
(14) AUSSME, H3-82/2, prot. 877 del 28.11.1938, da Add. Mii. Berna a S.1.M., Llo col. Panioni.
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diale. Si trattava di una vera e propria monografia sul tema, aggiornata in base ai dati raccolti durante l'attuazione dei relativi provvedimenti messi in atto alla fine di marzo dello stesso 1939 in seguito all'occupazione della Cecoslovacchia da parte de11a Germania. Il colonnelto Tancredi Bianchi, subentrato nel dicembre 1938 al colonnello Fantoni, ribadiva sinteticamente gli scopi e le caratteristiche della copertura delle frontiere. Lo scopo era naturalmente quello di opporre la necessaria resistenza all'attaccante per consentire alle unità dell'esercito di campagna di mobilitarsi, radunarsi e trasferirsi dove la situazione lo avesse richiesto. Tale azione era svolta dalle truppe assegnate alla copertura appoggiandosi alle sistemazioni difensive costruite ed in continuo aumento lungo le fascie di frontiera. GJi elementi che facevano parte del sistema erano così suddivisi: a) di impiego normale: unità permanenti (compagnie volontari per la copertura delle frontiere); unità di frontiera (brigate, reggimenti, battaglioni); unità dell'esercito di campagna (alcune compagnie ciclisti, motociclisti, motorizzate, qualche reparto di artiglieria); unità territoriali (alcuni reggimenti e battaglioni); b) di impiego eventuale (riserve mobili): - unità celeri (3 brigate leggere); - unità territoriali (alcuni reggimenti e battaglioni). Concorrevano inoltre alla copertura gli appartenenti al corpo delle guardie di frontiera (doganieri). Le compagnie volontari per la copertura delle frontiere erano reparti formati da personale volontario con fenna di un anno dal1a quale però ciascun militare poteva prosciogliersi a domanda in· qualunque momento. Si trattava per lo più di disoccupati che non appena avessero trovato lavoro domandavano il proscioglimento dalla ferma. Si trattava, disciplinarmente e moralmente, di elementi in genere scadenti : quasi tutti i processi presso i tribunali militari riguardavano personale di queste compagnie per reati di insubordinazione, abbandono di posto, ubriachezza e violenze in servizio e fuori servizio, ecc. La forza di ciascuna compagnia era di 6 ufficiali, 15 sottufficiali, 180 uomini di truppa; l'armamento era rappresentato da moschetto e bombe a mano. Le compagnie erano al momento 14, con centro d'istruzione e comando a Biilach. Date le difficoltà di reclutamento e le aumentate necessità di servizio, le compagnie erano state di recente rinforzate con personale volontario ad ingaggio variabile da individuo a individuo ma sempre di 517
poche settimane, per cui si poteva ritenere che in atto avessero una consistenza da 1 e 1/2 a 2 volte quella normale. Compiti di tali reparti erano la custodia e la guardia delle opere fortificate e, in caso di allarme, l'allestimento degli sbarramenti e delle interruzioni stradali nonché l'attuazione della prima resistenza. Le unità di frontiera erano costituite da ballaglioni, reggjmenti e brigate delle quali facevano parte tutti gli elementi di Élite, Landwehr e Landsturm residenti nella zona e nelle immediate vicinanze di impiego dell'unità stessa. In alcuni settori non esistevano brigate di frontiera, ma i loro compiti venivano assolti dalle brigate di montagna. In ciascuna brigata di frontiera o da montagna lo scheletro dell'organizzazione di copertura era costituito da11e cosiddette «unità di base». Si trattava di normalj battaglioni e reggimenti di Élite (e Landwehr di 1° bando) i quali avevano una doppia veste: quando erano impiegati come unità di base della copertura scomparivano come unità organiche ed erano ripartiti in nuclei attorno ai quali, con il concorso di uomini della Landwehr e del Landsturm, si costituivano i battaglioni di copertura; nel caso viceversa che, in relazione alla situazione, una data frontiera non risultasse minacciata e non si rendesse quindi necessaria la messa in opera o la permanenza in posto dell'organizzazione di protezione, i battaglioni base riprendevano la loro veste di unità organica dell'esercì to di campagna (formazione con elementi di sola Élite o Landwehr di 1° bando) e, mentre gli uomini de11a Landwehr di 2° bando e del Landsturm rientravano al centro di mobilitazione per essere utilizzati in altri compiti, i battaglioni tornavano a far parte della grande unità di campagna nel cui territorio si trovavano, la quale diveniva riserva dell'esercito. L'armamento era costituito da moschetti, fucili mitragliatori, mitragliatrici, bombe a mano, cannoncini per fanteria, lanciabombe. Non risultava vi fossero unità d'artiglieria, salvo alcune eccezioni, assegnate in permanenza alle unità dj frontiera. Gli appartenenti ai battaglioni di frontiera avevano avuto di recente in consegna personale 60 cartucce ciascuno, e sembrava che fosse intenzione delle autorità militari di dotare il personale in congedo anche di un èerto numero di fucili mitragliatori. Le mitragliatrici pesanti dei reparti sarebbero state in parte già dislocate in adatte località ed in consegna, con il munizionamento, ai capi sezione (specie di capi villaggio militari). In complesso erano state costituite 9 brigate di frontiera, numerate da 1 a 9; avevano funzione di cope1tura anche le brigate da montagna 10°, 11 ° e 12° (e l'addetto militare riporta518
va anche i nominativi dei rispettivi comandanti). Esistevano 28 reggimenti, con numerazione da 41 ° a 68°, ed un numero di battaglioni non esattamente conosciuto ma che si presumeva fosse di circa 80 (effettivamente individuati erano stati 60, mentre per un'altra ventina non si disponeva di dati del tutto sicuri). Le unità di frontiera non avevano uniforme particolare: indossavano quella normale della fanteria con mostreggiature verdi, e solo gli appartenenti ai battaglioni base portavano una striscetta rossa sotto il numero del reparto sulla spalla sinistra. Ciascun militare delle unità di frontiera aveva incollata nel proprio libretto di servizio una striscia di carta rossa sulla quale era indicata la località dove doveva recarsi in caso di allarme. Per il personale dei «distaccamenti d'allarme» (nuclei mobilitabili in anticipo sul resto dei rispettivi reparti, dei quali costituivano quasi un'avanguardia che aveva il compito di rinforzare la prima difesa fatta dalle truppe volontarie) era fatto obbligo di raggiungere entro due ore dall'ordine il proprio posto valendosi di qualunque mezzo di trasporto utile, se necessario anche requisendolo. Per quanto concernava le unità dell'esercito di campagna destinate alla copertura, le 9 brigate di frontiera avevano ciascuna assegnata l compagnia ciclisti, I compagnia motornitraglieri, 1 compagnia motorizzata di cannoni per fanteria. La 9a brigata aveva in più una compagnia motociclisti ed un gruppo motorizzato cannoni. Ciascuna delle 3 brigate da montagna disponeva di un gruppo artiglieria da montagna, e la 12° anche di un gruppo di cannoni moto1izzati. Infine, per avere disponibilità di un maggior numero di battaglioni di frontiera nei fronti ritenuti più importanti, era previsto l'impiego di un certo numero di unità territoriali in zone tatticamente tranquille (Lago Lemano, Lago di Costanza) e di altre come riserve più o meno centrali per i vari fronti (zone Friburgo-Bema, Soletta-Olten, Zurigo-Lucerna-Schwyz). In complesso, si trattava di 9 reggimenti e 33 battaglioni, in parte irregimentati ed in parte autonomi. I suddetti battaglioni erano costituiti su 3 compagnie fucilieri ed 1 compagnia mitragliatrici, cd il personale era quello anziano della Landwehr di 2° bando e del Landsturm. Le unità territoriali in questione erano mobilitabili entro 24 ore dall'ordine. Per quanto concerneva le unità di impiego eventuale (riserve mobili), venivano considerate tali le 3 brigate leggere, ciascuna costituita da 2 reggimenti ognuno dei quali articolato su 3 squadroni di cavalleria ed 1 battaglione ciclisti, 3 compagnie motorizzate mitragliatrici, l distaccamento carri d'assalto, e con in dotazione cannoni per fante519
ria e fucili mitragliatori. Con alcuni reggimenti e battaglioni territoriali, concorrevano inoltre ai compiti di copertura gli appartenenti al corpo delle guardie di frontiera (doganieri), un organismo preposto ai compiti doganali ma che riceveva anche una regolare istruzione militare; con la propria forza di circa 3.500 uomini ripartiti fra i varì posti di frontiera, aveva il compito di concorrere con il personale delle compagnie volontarie nella primissima resistenza. La forza complessiva assegnata alla copertura era valutabile dal1' addelto militare come segue: truppe di frontiera: circa 80.000 uomini - truppe territoriali: circa 32.000 uomini - brigate leggere di riserva: circa 8.000 uomini per un totale generale di circa 120.000 uomini. Per quanto atteneva all'addestramento, le disposizioni di legge in vigore prevedevano lo svolgimento di speciali corsi per truppe di frontiera della durata di 6 giorni (aumentati a 13 per 1'anno 1939). Le chiamate a tali corsi'avvenivano mediante speciali manifesti di colore rosso nei quali erano indicate solo le epoche di svolgimento mentre, per le località di presentazione del personale, si rimandava alle indicazioni poste per ciascun individuo sul Livret de service. Per i battaglioni base, invece, le indicazioni relative alle epoche di chiamata, coincidenti naturalmente come inizio con queJle deJle brigate di frontiera di cui facevano parte, erano incluse nel normale bollettino annuale dei corsi di richiamo ed aggiornamento, ed anche per i loro componenti era omessa la località di presentazione per la quale faceva riferimento alle istruzioni del livret de service. Le modalità di mobilitazione delle truppe erano già state accennate in precedenza, ma in proposito il documento dell ' addetto militare italiano forniva ulteriori precisazioni. Ciascun uomo conosceva la località dove doveva recarsi in caso di alle11amento, indicata nel talloncino rosso incoJJato sul libretto di servizio, ed una parte dei militari la raggiungeva direttamente con grande facilità e rapidità, trattandosi di elementi per la maggior parte residenti nelle immediate vicinanze quando non addirittura nena località stessa. Anche il restante personale deJle brigate di frontiera sembrava che in parte, in alcune zone, raggiungesse direttamente, senza passare per le «piazze di riunione», alcune località situate centralmente rispetto alle zone di impiego, là dove i capi sezione conservavano mitragliatrici e munizionamento. Nelle «piazze di riunione» si sarebbe presentata la restante parte dei battaglioni di frontiera e le unità leggere. Il col. Bianchi valutava come non vi fosse, meno che per i «distaccamenti d'allaime», una 520
regola fissa eguale per tutte le varie zone e come le modalità di presentazione dovessero variare in relazione alle particolari condizioni di ciascuna di esse: così, per quanto riguardava la zona di frontiera verso l'Italia, sembrava che le presentazioni fossero più accentrate (e cioè avvenissero per la massa delle truppe nelle «piazze di riunione») che non nelle zone delle frontiere Ovest e Nord. ln sintesi, si poteva 1itenere che J'attuazione di provvedimenti di copertura avvenisse per tempi successivi, ciascun elemento costituendo protezione per la mobilitazione dell'elemento che lo seguiva nel tempo. Così l' accorrere del personale dei «distaccamenti d'allarme» avrebbe dovuto svolgersi sotto la protezione del personale delle compagnie volontari e dei doganieri; questi ed i «distaccamenti d'allarme» avrebbero protetto la mobilitazione delle brigate di frontiera; sotto la protezione di queste, appoggiate alle fortificazioni, sarebbe dovuta avvenire la mobilitazione dell'esercito di campagna. Si poteva calcolare che i «distaccamenti d'allarme» avrebbero potuto essere al loro posto entro 2-3 ore dall'ordine (dato per telefono, telegrafo, suono di campana, ecc.); le trnppc delle brigate di frontiera e quelle territoriali assegnate alla difesa entro 4 -10 ore; i reparti leggeri entro 10-12 ore; le unità terri(oriali di riserva entro 18-24 ore. La monografia proseguiva con una dettagliata localizzazione topografica dell'organizzazione di copertura, associata alla corrispondente riprutizione delle forze ed alle rispettive delimitazioni di settore. La situazione delle forze assegnate alla copertura per ciascuna frontiera era 1iassunta, nelle sue linee generali, nel seguente specchio: Frontiera
Francese
Tedesca
Unità
10.B.M. 1. R.Fr.
2. e 3. B.Fr. 4. (parte) B.l'r. 4. (parte) B.Fr. 5. B.Fr. 6. 13.rr_ 7 e 8. B.Fr. 12. (parte) B.M.
Italiano
12. {parte) 13.M. 9. 13.l'r. Distacc. Gottardo 11. B.M. (dislacc. Oberwallis) I O. (parte) B.M.
Truppe copertura T,: territ. Totali Regg. Ballaglioni Battaglioni accer- proba- accer- pmbalati bili lati bili J 3 2 4 2 3 5 Bt . Frt. 27 (37 5 9 6 '.l g Terr. 10 I J 1 I 2 I 7 2 7 I Bt . Frt. 34 (53 3 8 4 g Terr. 19 5 8 7 6
Note
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2 [
a)dicni2 dcll'cs. di Cilll1p.1gna; l'rt. 22 l"e2' Ball.mlgr. Btg. Es. cam. 2 (28 da montagna Terr. 4
4 2
LEOEN DA - B.M: Brigala da montagna - B.F r.: Brigala di frontiera . Es. cam.: esercito di campagna - mtgr.: milraglieri - ten-.: territoriali - distacc: distaccamento.
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La conclusione alla quale perveniva l'addetto militare italiano a Bema era che si trattava di una copertura organizzata quantitativamente in misura sufficiente, che raggiungeva la propria efficienza entro pochissime ore e che sviluppava la sua azione ben sorretta dalle numerose piccole opere per artiglierie leggere e mitragliatrici (generalmente dislocate in maniera opportuna) e dagli ancora più numerosi sbarramenti ed interruzioni slrada]j. L'organizzazione presentava anche il vantaggio, dato che gran parte degli uomini accorreva direttamente ai posti di impiego, di non subire l'influenza e il danno di una eventuale azione aerea portata contro le «piazze di riunione», cos'ì che si poteva ritenere che mentre un'azione del genere avrebbe rappresenlalo un grosso pericolo per la mobilitazione delle unità dell'esercito di campagna non avrebbe probabilmente comportato eccessivo intralcio alla messa in efficienza della copertura. Questa, secondo la valutazione del col. Bianchi, presentava un punto debole, un periodo di crisi, e precisamente quello della difesa contro un attacco di sorpresa durante le p1ime 3-4 ore: l'ufficiale non riteneva che il solo personale delle compagnie pemrnnenti (tutt'altro che scelto, come era stato in precedenza soUolinealo) ed i doganieri avrebbero potulo contenere_ una spinta poderosa per il tempo necessario a far accorrere le truppe di frontiera,. Si avvertiva, in ultima analisi, la mancanza di reparti permanenti di sufficiente consistenza, ed era probabile che proprio questa considerazione avesse indotto lo stato maggiore ad effelluare gli sludi in corso per l'aumento del personale delle compagnie volontari. In definitiva, concludeva il documenlo l'ipolesi che se l'organizzazione della copertura fosse riuscita a superare specie se avesse avuto luogo la prevista modifica quantitativa e qualitativa nelle compagnie permanenti - le prime 3-4 ore di crisi, tutto il sistema avrebbe potuto opporre forme di resistenze tali da non essere sottovalutate da parte di un attaccante che avesse interesse alla celerità di penetrazione ( t 5).
(15) AUSSME, G28-5, pro[. 700 del 1.8.1939, da Add. Mii. 13erna a S.I.M., Lto col. Bianchi.
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Capitolo XVII
TURCHIA
1. Il nuovo esercito kemalista
L'asselto della Turchia dopo la prima guerra mondiale è già stato riassunto nel capitolo riguardante la Grecia, in sede di ricostruzione del conflitto fra le due nazioni svoltosi fra il 1919 ed il 1922, e così pure un sintetico profilo di Kemal Atati.irk, «padre della patria» della nuova repubblica turca, è stato ln1cciato nella nota 4) dello stesso capitolo. T1 trattato di Losanna del 1923, che in virtù della vittoria della Turchia ai danni della Grecia rinegoziò le precedenti condizioni penalizzanti di quello di Sévres del 1920, espresse la nuova realtà de i rapporti di forza determinatisi nell'area ed il rovesciamento imposto dalla politica dei Paesi occidentali dalla fine della guerra civile russa. Sotto l'aspetto territoriale, la nuova Turchia recuperò i confini europei del 1914, con rettifiche di minor conto a favore della Bulgaria ed ottenne il controllo delle isole prossime agli Stretti. Poté conservare l'intera An atolia, la Tracia, l'Armenia ed il Kurdistan; l'arcipelago del Dodecanneso fu definitivamente assegnato aJJ ' ltalia (che lo occupava a titolo provvisorio dall' epoca della guerra italo-turca del 1911), e Cipro fu confermata colonia inglese. La definizione della frontiera con i mandati venne rinviata ad accordi successivi, e solo nel 1926 il vilayet di Mosu! sarebbe stato assegnato al territorio del futuro stato irakeno. La situazione che ne derivò è messa a fuoco, nelle sue linee essenziali, dalla sintesi di Di Nolfo che pone in evidenza come in cambio di tutto questo la Turchia ottenne: di non pagare riparazioni; di veder finire il regime delle «capitolazioni» (che dal Cinquecento aveva limitato la potestà giuri sdizionale dell'impero ottomano nel caso di controversie riguardanti cittadini dei maggiori Paesi europei); di recuperare una piena sovranità sugli Stretti, salvo le limitazioni previste nella speciale com>enzionc per il regime di navigazione, sottoscritta contemporaneamente al trattato di Losanna, nella quale si prevedeva la smilitari;,.zazione della regione e la libertà di passaggio per le navi commerciali e per un certo tipo di piccolo naviglio di guer523
ra in tempo di pace. Tn tempo di guerra la disciplina era stabilita sulla base della partecipazione turca al conflitto o meno: nel caso di neutralità turca, la navigazione sarebbe stata completamente libera; nel caso la Turchia fosse parte belligerante, era consentito il passaggio di navi neutrali ma con limitazioni di quantità e tonnellaggio. Queste clausole risentivano ovviamente e della posizione ancora relativamente debole de11a Turchia e del deside1io occidentale di avere libero accesso al Mar Nero nel caso di un connitto con l'Unione Sovietica (1). L'elezione di Mustafà Kemal Atattirk a presidente della repu bblica turca il 29 ottobre 1923 segnò l'inizio di una serie di riforme organiche tese ad occidentalizzare progressivamente e metodicamente il popolo. Kemal, che aveva sino allora messo in evidenza le proprie eccezionali doti di coraggio, energia ed organizzazione nell'ambito prevalentemente militare, implacabile nei confronti del nemico cd inesorabile nella vendetta, manifestò nel nuovo ruolo non comuni qualità di uomo politico e di statista. Molto intelligenle e perspicace, era caraU.eri:t,Zato da una volontà indomabile che neppure l'inclinazione all'alcool e ad ogni sorta di piaceri e vizi era in grado di inficiare; ottimo oratore ed argomentatore, esercitava ùn vero e proprio ascendente seduU.ivo sui propri dipendenti e collaboratori, dai quali sapeva trarre il meglio delle rispettive capacità. Le principali riforme alle quali dette mano furono la separazione del potere politico da quello religioso, la legge per la sicurezza nazionale, l' introduzione della scrittura dei caratteri latini, l'abolizione del califfato, della poligamia, del fez, del turbante e del velo per le donne, la promulgazione dei codici penale e civile, la soppressione delle confraternite religiose, Jo sviluppo dell'economia attraverso il varo dei piani pluriennali. Un progetto di vasta portata, realizzato nel volgere di pochi anni anche se, forse .proprio per questo, i suoi presupposti modernisti e laicizzanti non furono mai completamente assimilati dalle grandi masse popolari, rimaste intimamente estranee ad un'evolu:t.ione occidentalistica troppo contrastante con i valori tradizionali della dottrina e della cultura islamiche. Anche dal punto di vista militare, Kemal Atattirk iniziò un'epoca di ammodernamento delle forze annate del suo Paese. L'addetto
(1) Di Nolfo E., «Storia delle relazioni internazionali 1918-1922», Bari, Laterza, 1995, pag. 82.
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militare italiano in Turchia ne ebbe conferma nel 1924 nel corso di un colloquio con il Maresciallo Mustafà Fevzi Pascià, capo di stato maggiore dell'esercito, che lo ragguagliò sulla elaborazione dei nuovi regolamenti tattici che dovevano sostituire quelli tuttora in uso ricalcanti le procedure operati ve tedesche antecedenti la prima guerra mondiale. Lo stato maggiore turco stava studiando i regolamenti tattici di tutte le nazioni che avevano preso parte al conflitto, riservando una particolare attenzione alla cavalleria che per quel Paese rivestiva un'importanza molto maggiore che non per altri ben forniti di strade, automezzi e ferrovie. In Turchia, affermava Fezvi Pascià, era l'unica arma che poteva spostarsi rapidamente ed accorrere in poco tempo là dove ve ne fosse stata necessità, ed una probante dimostrazione si era avuta durante il recente conflitto con la Grecia, allorché questa specialità che non aveva potuto essere impiegata massivamente sui· teatri della guerra europea si era dimostrata la sola che, in grandi gruppi e contro truppe lontane dalle loro basi, potesse impedire stabilmente i collegamenti e concorrere molto efficacemente nelle manovre accerchianti . Da qui _l 'intendimento del capo di stato maggiore turco di inviare una missione di ufficiali presso la Scuola di Cavalleria italiana a Pinerolo per studiare organizzazione, programmi e metodi (2). Al nuovo ordinamento militare della Turchia era riservata una monografia di circa 200 pagine prodoua nel 1934 dall'addetto militare italiano, all'epoca il ten. col. Alberto Mannerini. Si trattava di un analitico studio diviso in tre parti, «notizie generali» comprendenti richiami di geografia generale e militare e notizie sul1' assetto politico-amministrativo e sulla situazione polilica interna ed estera, «ordinamento militare» riguardante la struttura degli organi centrali connessi a11e varie l'orze armate, i bilanci di queste ed i loro elementi costituti vi (reclutamento, anni, corpi e servizi, GG.lJU., circoscrizioni territoriali, componenti didattico-addestrativc, dottrina tattica, forze di polizia e corpi paramilitari), «preparazione militare», riguardante l'organizzazione difensiva del territorio e la mobilitazione. Nell' impossibilità di prendere in esame le singoli voci o di riportare integralmente in allegato un documento
(2) A USSME, E 11-18/5 , prot. 39 del I0.2. I 924, da Actd. Mil. Turchia a Staio Maggiore Centrale - Repa,to OPR, Lt.o ten. col. Vitelli. Una ricostmzione delle vice nde storiche de1l'Impero Ottomano e della fonm1zionc della moderna Turchia è contenuta nel volume di Maria Gabriell a Pasqualini Il Levante, il Vicino e il Medio Oriente. in corso di pubblicazione presso l' USSME.
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di tale consistenza, si ritiene opportuno stralciarne quegli aspetti ritenuti maggiormente meritevoli di esposizione. Nel quadro della situazione politica estera, il paragrafo riguardante i rapporti con l'Italia sottolineava come questi, assumenti un carattere amichevole in virtù di un trattato di amicizia sottoscritto nel 1928 e rinnovato nel 1932, si fossero di recente alquanto appesantiti. Avrebbe concorso a ciò soprattutto la stipula del «Patto a quattro» (3), dando luogo al disappunto della Turchia motivato dal1' apprensione di vedere con questo sorgere il concerto europeo, con tutti i danni e le umiliazioni che essa aveva subito nel passato; dal timore di un accordo italo-francese per il Mediterraneo con conseguente ripartizione di sfere d'influenza di cui l'occidentale alla Francia e l'orientale all'Italia; dall'eventualità della costituzione di un direttorio capace di prendere risoluzioni riflettenti gli interessi di potenze secondarie; dalla reazione, infine, di mal riposto prestigio nazionale per non essersi sentita chiamare a partecipare ad un simile accordo. Altra causa di malumore era stata la mancata conclusione dell'accordo commerciale negoziato nella primavera 1933 e non approvato a Roma. Secondo la valutazione de11'addetto era un fatto, però, che se i rapporti italo-turchi avrebbero potuto continuare ad essere fondati su basi di amichevoli intese, essi mancavano dell'essenziale substrato per essere intimi e solidi di fronte a qualsiasi evenienza: la Turchia neutrale, statica, antircvisionista, si sarebbe allontanata fatalmente dall'Italia il giorno in cui questa fosse passata a decisive risoluzioni di problemi nazionali che avessero implicato per la Turchia l'abbandono della sua neutralità ed una decisa presa di posizione a fianco dell' Italia. Tutt'al più non ci si sarebbe potuto ragionevolmente attendere che una neutralità anche nei nostri riguardi, più o meno benevola a seconda delle nazioni o degli interessi con i quali ci saremmo trovati in contrasto. La politica revisionista e dinamica dell'Italia era seguita con diffidenza per paura di complica-
(3) li «Patto a quattro» era il prodotto di un progeuo mussoliniano leso a promuovere un accordo fra Italia, Germania, i"'rancia e Gran Bretagna tendente, in pratica, a dar vita ad una sorta di direttorio europeo per la revisione pacil'ica dei lrallali di pace. Il Patto avrebbe dovuto diventare una specie di gabbia giuridica in virtù della quale il potenziale eversivo del revisionismo tedesco avrebbe dovuto essere razionalizzalo ed i due antagonisti, Francia e Germania, sarebbero stati controllali dall ' Tnghillen-a e dal1'Il;1lia, non più nel ruolo di garanti come nel 1925 a Locarno ma in veste di contrappesi rispello alla gradualità dei cambiamenti. Firmato il 15.7.1933, il Patto non divenne realtà operante perché il governo francese, dopo l'uscita della Germania dalla Società delle Nazioni nell'ottobre successivo, si rifiutò di ratificarlo.
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zioni e addirittura per il timore che essa potesse portare ad azioni dirette contro territori turchi. Era sempre, infine, il fattore revisionista che dava ombra nella politica balcanica dell'Italia e, più precisamente, nei riguardi della Bulgaria, fulcro capitale per 1' assillante prohlema della sicurezza del settore più sensibile degli Stretti. L'azione dell'Italia per la progettata conclusione di un patto triparti lo bulgaro-greco-turco era stata certamente gradita; ma dopo l'insuccesso di questo tentativo e la resistenza della Bulgaria ad accedere al recente patto turco-greco-jugoslavo-romeno, si guardava con diffidenza all'Italia nella tema che il suo appoggio rafforzasse nella Bulgaria le mire revisionistiche per la Tracia e lo sbocco in Egeo. La seconda patte della monografia poneva 1' accento sul fatto che per quanto il principio della neutralità, il gioco dell'equilibrio e ]a rinuncia ad ogni aspirazione territoriale esterna fossero alla hase della politica turca, ciò non impediva al governo di considerare che tale linea di condotta riduceva ma non eliminava totalmente l'eventualità che la Turchia potesse trovarsi esposta ad un'altrui aggressione o quanto meno essere coinvolta in un conflitto. Di qui l'opera di preparazione militare che tendeva a portare al massimo grado la propria efficienza bellica cd il perfezionamento delle forze annate per garantire l' integrità del territorio. Nel procedere alla sua politica di armamenti, la Turchia si trovava di fronte a particolari difficoltà che derivavano: 1) dalla presenza della frattura Dardanelli-Marmara-Bosforo, elemento separatorio territoriale sottoposto al regime di demilita1izzazione ed internazionalizzazione; 2) dalle ristrettezze d'ordine finanziario e dallo stato di servitC1 verso l'industria straniera che limitavano il proprio potenziale bellico; 3) dalla vastità del territorio nazionale e dalla scarsezza della popolazione; 4) dal fallo che le forze armate dovevano rispondere anche ad esigenze di politica interna. Dall'esame dell'azione sino al1ora svolta dalla Turchia nell'assetto delle rorze militari, si poteva dedurre come essa si fondasse sui seguenti criteri essenziali: a) organizzazione militare improntata a carattere prevalentemente difensivo; b) concentramento di sforzi in determinate branche, e cioè in quelle più indispensahilmente connesse con le necessità della difesa nazionale. Così, come nel quadro generale dell'attività dello 527
Stato si aveva la preminenza delle esigenze militari su quelle civilì, nel campo militare si aveva la prevalenza dell'esercito sul1e altre forze armate, il che non andava però considerato come difetto di visione dell'importanza del concorso aereo e marittimo ma essenzialmente come necessità imposta sia dal1'ordine di urgenza dell'assetto delle forze militari nazionali, sia dalle difficoltà di ordine tecnico-finanziario che presentava l'organizzazione dell'aviazione e della marina; c) unificazione deWamministrazione e dell'alto comando mediante la creazione di un unico ministero e di un unico stato maggiore per tutte le forze atmatc; d) orientamento dell'organizzazione militare in senso europeo allo scopo di trarre il maggior giovamento possibile dall'industria e dalla dottrina occidentale, con ricorso a specialisti stranieri (tedeschi per l'esercito e la marina, francesi ed americani per 1' aeronautica) ed invio ali ' estero di ufficiali delle varie forze armate; e) sviluppo delle attrezzature, del tecnicismo e della specializzazione che avevano operato: nel campo delle forniture di guerra, specie per ciò che riguardava l'acquisto di artiglierie, mezzi meccanizzati e motorizzati e di colleganiento, naviglio da gue1Ta, materiale aeronautico; nel campo dell ' industrializzazione del Paese, per lo sviluppo di un'industria nazionale; nella massima utilizzazione delle risorse disponibili per le necessità di mobilitazione. La parte relativa ai bilanci delle forze armate prendeva in considerazione gH strumenti previsti per il ministero della difesa nazionale, suddivisi in tre bilanci separati per l'esercito, l'aeronautica e la marina, per le direzioni generali delle fabbriche militari e del servizio cartografico (organi autonomi centrali alle dipendenze del ministero della di resa nazionale destinati a soddisfare le esigenze delle diverse forze annate), per la gendarmeria, la pubblica sicureziaed il corpo delle guardie doganali aventi organin.azione con prevalente carattere milìtare. L'ammontare delle spese previste nell'esercizio 1933-1934 per le amministrazioni sopra accennate era rappresentato dalla somma di lire turche 56.581.111 che al cambio in corso, pari a L. 9,20 circa, corrispondeva a 520 milìoni di lire italiane. La ripartizione di tale somma fra le varie amministrazioni era quella risultante dal seguente specchio: 528
Spese
Ammii1fa·trut,ioni
-
Filrze di terra l'orze dell ' aria Forze di mare Direzione generale delle fabbriche militari Direzione generale del servizio cmtografico Gei1danneria Pubblica sicurezza fiuardie doganali Totale
Percentuali di ~pes(l riferiti al bilancio gener.
32.383.649 943.000 3.765.560
19,04 % 0,55 % 2.21 %
2.955.000
1,73%
603.505 8.679.379 4.101.500 3.149.527 56.581. l I 1
0,35 % 5, 12 % 2,41 % 185 % 33,26 %
Oltre agli stanziamenti predetti, andava tenuto conto: a) nei riguardi dell'esercito, di uno stanziamento straordinario quinquennale previsto ne11a misura di circa 100 milioni di lire turche a partire dall'esercizio 1934-1935; b) nei riguardi dell'aeronautica, dei fondi raccolti dalla «Lega per I' aeronautica» che sarebbero ammontati ad una cifra media annuale di 7-8 milioni di lire turche, e che venivano utiliz:t.ali per acquisto di nuovi velivoli, pagamento dell'indennità agii specialisti stranieri e per altre eventuali necessità dell'aeronautica; c) nei riguardi del1a marina da guerra, dello stanziamento straordinario derivante da una legge che autorizzava i ministri delle finanze e della difesa nazionale a contrarre impegni, fino alla concorrenza di 25 milioni di lire turche, per l'acquisto di mate~ riali, doks, fabbriche ed officine entro un periodo di I O anni a partire dal 1925 ed a condizione che l'ammontare della quota annua non superasse i 3 milioni di lire turche. Per quanto riguardava l'utilizzazione dei foncii per ciascuno dei bilanci delle forze di ten-a, dell' aria e dì mare nell' esercizio finanziario I 933-1934, valevano i dati risultanti dallo specchio che segue: Spese
di terra
Competenze, indennità e gratificazioni Immob ili e loro utilizzaz ione Combusti bi le Razioni viveri Razioni foraggio Vestiario, equipaggiamento e bardature Mezz.i bellici e tecnici e spese per fo1tifie azioni Materiale sauitatio e veterinar.io e cure ali' interno e ali' estero Viaggi, trasporli ed automobili (esclusi ì viaggi all' estero) Scuole, Sport, addestramento e invio di personale per studio all'estero Specialisti. stranieri Altre spese (puhblicaz. eonispond. giusti zia, commis., debiti ecè. Tot,ùi
For ze annate dell 'aria
di mare
13.657.097 :B5.798 l.475.91 6 7.248.309 l.9 18.440 4.090.000 1.499.000
596.302 19.200 40.000 130.000 5.000 35.200
1.471.282 14.620 600.200 408.300 2.700 123.115 932.000
218.155
5.000
12. 100
1.557.074
80.100
63.720
195.000 80.000
14.000
49.076 48.500
108.85 1 32.383.640
18.1 98 943.000
39.947 3.765.560
-
-
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In merito ai dati precedenti, aggiungeva l'addetto militare, era da tener presente che le cil"re dei bilanci in questione avevano, in parte, un semplice valore di indicazione teorica per la frequenza di stomi che venivano operati ed utilizzati per dare incremento all'acquisto di materiale bellico. Inoltre bisognava tener conto delle spese di carattere militare a carico dei bilanci dei ministeri dei lavori pubblici, dell'agricoltura, dell'igiene ed assistenza sociale, spese variabili di anno in anno e che avevano assorbito talvolta, globalmente, dal IO al 15% del bilancio generale. Dall'esame dei fondi stanziati in bilancio per l'acquisto di razioni il ten. col. Mannerini desumeva che esse dovessero corrispondere, per le forze di terra, di mare e dell'aria, rispettivamente ad una forza bilanciata di 110.000, 5.000 e 3.000 uomini circa. Gli aspetti concernenti la dottrina tall.ica iniziavano con la premessa che la cultura militare turca, mancando di tradizioni originali, risentiva molto di quella occidentale, ed in taluni casi era costituita da elementi semplicemente copiati dall'esléro, in particolare dalla Germania. 11 motivo fondamentale al quale si ispirava la concezione della dottrina turca era la valorizzazione massima dell'elemento uomo, inteso come strumento primo della lotta e mezzo offensivo per eccellenza. Tale postulato trovava la propria ragione nella scarsa potenzialità industriale e finanziaria del Paese; eminentemente agricolo e povero, e nella limit.ala attitudine dell'elemento turco all'impiego di me:1,zi che presupponessero basi di conoscenze tecniche, onde la necessità di sopperire a questa inferiorità mediante un'adeguata utilizzazione del rattore demografico armonizzata con lo sfruttamento degli elementi naturali (terreno, notte, condi:tfoni metereologiche, ecc.). Il concetto offensivo dominava nettamente: la realizzazione era imperniata soprattutto sulla manovra rapidamente concepita ed attuata, sulla sorpresa, sullo slancio, sulla volontà di imporre la propria iniziativa. La forma offensiva più redditizia era considerata quella che tendeva all'avvolgimento contemporaneo delle ali, tagliando all'avversario la possibilità di ritirata; l'azione frontale era ammessa solo in via subordinata, quando non fosse possibile quella avvolgente. La difensiva era considerata come atteggiamento transitorio nel solo caso di preponderanza delle forze avversarie, o quando si dovesse realizzare una possibilità offensiva in un determinato momento ed in un punto più opportuno. La concezione generale della condotta delle operazioni era prevalentemente orientata verso la battaglia d'incontro su terreno libero. Oltre questa ipotesi fondamentalmente, era previsto il caso che 530
l'urto avvenisse su posizioni appena rafforzate con sistemazione campale, come pure l'ipotesi della stabilizzazione delle fronti. In ciascuna delle ipotesi considerate, la tendenza era di conservare alla lotta il carattere manovrato; unica differenziazione era nei procedimenti inerenti alla fase preliminare di preparazione che si cercava di contenere in tempi ristretti. Sopra ogni altra considerazione, stava comunque la costante volontà offensiva, lo slancio, lo spirito di sacrificio, elementi questi ritenuti risolutivi ed atti a compensare la deficienza di mezzi. Tale concezione, in parte conseguenza dell'esperienza de11a passata guerra per l'indipendenza, non escludeva l'importanza del fattore materiale, per il quale era previsto l'impiego di mezzi che però, al momento, o non esistevano od erano insufficienti (carri d'assalto, aviazione, artiglierie di medio calibro, collegamenti, aggressivi chimici, ecc.). Al riguardo occorreva ancora tener presente che, in genere, nella valutazione alquanto ortodossa dei risultati conseguiti nelle pregresse campagne turche, si faceva troppa astrazione dalla direzione e dall'aiuto tedesco avuti durante la guerra mondiale e dalla scarsa combattività dell'esercito greco nella campagna per l'indipendenza; come pure era da tenere anche conto della diminuita capacità quantitativa e qualitativa demografica dell'odierna nazione turca rispetto a quella dell'impero sultanale. Tullavia, secondo la valutazione del compilatore, in rapporto alla fisionomia di questi teatri di operazione ed alla entità e specie dei probabili belligeranti, tendenze dottrinarie del genere potevano avere tuttora largo campo di applicazione, specie nella penisola anatolica genericamente considerata, poiché in essa la mobilità di manovra dell ' esercito turco era agevolata sia dalla sconfinata ampie:1.za del territorio nazionale, sia dalle difficoltà di penetrazione che vi avrebbe incontralo l'attaccante. La tendenza accennata avrebbe potuto tuttavia trovare impedimenti e limitazioni in altre detem1inate regioni della Turchia, come ad esempio quelle del Tauro e dell'oriente anatolico dove le operazioni sarebbero si.ate verosimilmente condizionate d,ùla lentezza e dalle particolari difficoltà dell'aspro terreno di montagna; ovvero in Tracia, dove un arretramento del fronte avrebbe potuto portare alla stabilizzazione di esso sulla.linea montuosa verso Nord-Ovest; od, infine, entro il perimetro delle piazzeforti in genere. Per quanlo riguardava le possibilità di impiego delle forze armate le stesse, complessivamente considerate e pur difettando tuttora di preparazione dottrinaria, di mezzi tecnici e di servizi, avevano compiuto considerevoli progressi specie per ciò che concerneva l'inqua531
dramento, la disciplina e l'addestramento in genere del personale, anche se quest'ultimo aspetto dell'addestramento risultava ancora carente per ciò che concerneva le armi tecniche, l'aeronautica e la marina. Comunque, tenuto conto che gli elementi negativi rilevabili nell'organizzazione militare turca potevano risultare attenuati sia dal carattere di facilità della guerra difensiva, specie sul vasto te1ritorio anatolico, sia dal prevalere della manovra di aliquote in campo libero sulla manovra di masse in spazio obbligato, sia dalla possibilità di risolvere con relativa facilità i problemi logistici dati i limitati bisogni del soldato turco, si poteva ritenere che l'esercito, sebbene non paragonabile alle organizzazioni militari europee, fosse tale da poter dare le migliori garanzie per l'integrità del territorio nazionale. Per quanto riguardava invece la marina e l'aeronautica, esse rappresentavano ancora complessi molto modesti per efficienza, in grado di dare solo un limitato concorso alle forze di terra. Tuttavia era da tener presente che nell'ipotesi di una lotta prolungala, specie contro un avversario che disponesse largamente di mezzi, 1a capacità di resistenza dell'apparato militare turco, per mancanza di un adeguato potenziale bellico, sarebbe rimasta subordinata alla condizione di ricevere il necessmio aiuto. Questo aiuto, già altre volte ricevuto dagli imperi centrali (guerra mondiale) e trovato poi presso i sovietici ed altre potenze (guerra dell'indipendenza), lo si sarehhe avuto, col mutarsi della situazione; da parte di queil'associato che avrebbe offerto di più chiedendo di meno. In altri termini, la Turchia avrebbe cercato, in caso di pericolo, il concorso del più sicuro e del più potente. La valutazione dell'addetto militare italiano concludeva affermando come la ravvisata necessità del concorso si sarebbe accentuata sensibilmente ove si fosse considerata 1'eventualità di un impiego di forze turche su teatri di operazioni extra-nazionali. Deficienze tradizionali nell'organizzazione logistica, insufficiente prepara,ione tecnica degli stati maggiori, mancanza o quasi di artigl ierie pesanti mobili cd in genere di mezzi tecnici moderni, e pi ù ancora la limitata attit:udine all'impiego degli stessi, avrebbero necessariamente imposto integrazioni di personale direttivo e tecnico e di mezzi". Ma occorreva anche tener presente che, specie nei confronti dell'ausilio direttivo, non sarebbero mancale serie resistenze per l'innato orgoglio e la tradizionale di/Tjdem;a turca, al momento ancora più marcati che nel passato (4).
(4) AUSSME, G29-l 1, senza indicazione di prot. del 1.3.1934, da Add. Mii. Ankara a · S.I.M. , f.to tcn. col. Mannerini.
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Le stesse conclusioni erano ribadite un anno dopo, in forma più sintetica, dal medesimo ufficiale in un rapporto relativo ad un'esercitazione tattica alla quale aveva assistito con gli altri addett.i militari: «[.... ] L'Esercito turco ha compiuto e va compiendo uno sforza apprezzabile sia nel campo pnfessionale quanto in quello organico. Come ho dettagliatamente e motivatamente riferito in altri documenti, Lacune di carattere vario esistono per difetto di cultura e di mezzi; tutfavia l'organismo si presenta solido e vitale per virtù di razza, di tradizioni, di cure e di sacrifici di ogni ienere che la nazione dedica a questa istituzione, vera pietra angolare del Paese capace di difenderne l'integrità» (5).
2. Il ruolo della Turchia nel 1935-1936 L'anno 1935 fu caratterizzato a livello di politica estera, così come anche in questa rassegna si è avuto modo in più occasioni di segnalare nei capitoli riguardanti alcuni Paesi, dall'attenzione internazionale per la questione iLalo-ctiopica. Sotto questo aspetto, un contributo di indubbio interesse risulta quello offerto dall'addetto militare italiano in Turchia che, come il lettore potrà rilevare nell'esposizione testuale del documento relativo, conteneva anche alcune osservazioni circa l'atteggiamento dell' Unione Sovietica: «f ... } In questi ambienti si ha la netta sensazione che l'attuale e.fjù:ienza della preparazione militare dell'Italia ha fondamentalmente scosso la situaz ione, finora ritenuta preminente, dell'Inghilterra nel Mediterraneo. Né i punti strateiici tenuti ed organizzati clall' Inghilterra, né r:li elementi cli difesa che potrebbe concentrare e fa r agire in Mediterraneo a protezione delle sue basi ed a rtaranzia del suo traffico, senza compromettere la sicurezza degli altri scacchieri, potrebbero tener fronte validamente contro l'azione della marina e dell'aeronautica italiane. Questo oggi si riconosce e si dice con un senso cli palese stupore e di preoccupazione allo stesso tempo. La forza e la potenza inglese erano anche qui un »luogo comune», e quando per la questione abissina e per l'atteggiamento dell'Inghilterra al riguardo si è dovuti
(5) AUSSME, Ll0-1 2/J l , senza indicazi oni di pro!. dell '8.5.1935, da Add. Mii. Ankara a S.l.M., Lto len. col. Mannerini.
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arrivare ad esaminare con criteri e metodi realistici la situazione si è giunti a constatare, naturalmente con molta sorpresa, che il contegno fermo e deciso dell'Italia nei confronti dell'Inghilterra non era un »hluff», come prima si era voluto credere e dire, ma che poggiava su basi concrete e solide delle sua potenza militare. Questo cambiamento d'opinioni è stato piuttosto tardo, ma gli eJf'etti si sono mostrati con una certa rapidità. Il tono aspro del[' attacco contro l'Italia per la sua azione verso l'Ahissinia, lo scherno per il suo atteggiamento di contrasto con il »mito» della potente Inghilterra sono cessati per dare luogo ad una accentuata riservatezza di giudizi ed alle preoccupazioni per eventuali complicazioni internazionali alle quali può portare un' aggravarsi della tensione dei rapporti italo-inglesi. Preoccupazioni per complicazioni internazionali: in questo si riassume la situazione dal punto di vista di questo governo. Ora che l'orizzonte politico europeo è oscuro più che mai, è naturale che queste preoccupazioni si facciano più vive. Nei riguardi più particolari dell'Italia, se da una parte si è in qualche modo rassicurati che i suoi impegni in J\hissinia la distolgano, per molto tempo almeno, dalle sue pretese mire sul territorio anatolico che costituiscono l'assillo di questi organi responsahili, da un'altra parte si teme che quando avrà risolto secondo le sue vedute la questione abissina, essa ra:fTorzi considerevolmente la sua posizione internazionale e sia portata in un secondo tempo alla revisione, pure secondo le sue vedute, della situazione europea. Conw prima conseguenza di ciò: direttive di p rudenza nei giudizi verso l'azione italiana (istruzioni alla stampa e ispirazione di articoli), atteggiamento di benevola neutralità e promesse di azione conforme ai desideri italiani a Ginevra da parte di questo ministero degli esteri. Occorre però aggiungere che questo atleJ?iiamento della forchia è anche il rifl,esso, come qui si rileva, della linea di condotta del!' URSS nei riguardi della questione italo-abissina e specialmente del vivo interesse con cui essa segue la nuova situazione creatasi in Mediterraneo per la rottura, a favore dell'Italia, dell'equilihrio delle forze. E che l'URSS si interessi a ciò, e veda con un certo compiacimento delinearsi una possibile supremazia italiana in M editerraneo, si .\piega quando si tenga conto di questi principali elementi: necessità vitale per l'URSS di assicurarsi i traffici Mar Nero-Stretti-Mediterraneo-Mar Rosso-Estremo Oriente; posizione antitetica della politica inglese e sovietica in Asia; necessità di assicurare attraverso il M editerraneo il collegamento strategico 534
con la Francia. In proposito giova riferirsi alle gravi ripercussioni che ebbe per gli alleati l'errore di aver fatto assegnamento sulla Russia per schiacciare gli imperi Centrali, senza però disporre della libertà della via marittima di collegamento, stroncata in un suo punto sensibile e cioè ai Dardanelli. Questi elementi sono sufficienti a chiarire Le ragioni per le quali l'URSS sia particolarmente interessata sull'affermarsi del fattore italiano nel Mediterraneo e ad un rafforzamento della situazione dell'Italia in Mar Rosso. E le preferenze per il fattore italiano sono giustffìcate dal fatto che esso, almeno per ora, non segue politica contrastante in Asia, campo sul quale si concentrano le aspirazioni d'espansione dell'URSS» (6) . Ma le cose, in cinque mesi, erano andate alquanto modificandosi. L'atteggiamento della Turchia in un eventuale conllitto nel Mediterraneo era il tema sviluppato dal ten. col. Mannerini nel febbraio 1936, e partiva dalla premessa delle mene inglesi per predisporre i mezzi e gli appoggi sui quali poter contare in Turchia nell'eventualità di un conflitto nel Mediterraneo. Data la posizione strategica dell'Inghilterra nel settore orientale di questo, pur in rapporto alla relativa efficienza delle sue basi di Malta, di Egitto e di Palestina nonché la funzione che potevano assumere in questo settore le basi italiane del Dodecanneso, era evidente l'interesse britannico nei riguardi della Turchia. Questo interesse, essenzialmente di carattere mariti.imo ed aereo, tendeva allo sfruttamento della base di Smirne e della cosla egea in genere che, con le sue naturali caratteristiche, si prestava anche ad una efficace neutralizzazione delJe minacce che potevano provenirle dai nostri possedimenti nell'Egeo. Ma l'utilizzazione dell'apporto turco richiedeva molte e notevoli predisposi:,,,ioni, giacché la Turchia non aveva mezzi sufficienti ed era l'Inghiit.erra a doverli offrire. Da qui la presenza <li ufficiali inglesi dell'aeronautica, l'accreditamento di un addetto navale, le ricognizioni sulla costa egea di un ufficiale britannico d'artiglieria, rappresentante della ditta Vickers Armstrong, e le conversazioni del ministro degli esteri turco con esponenti dell'industria inglese. Ciò autorizzava a 1itenere probabile la fornitura di. aeroplani e la concessione di artiglierie per la difesa antiaerea e costiera fra le quali anche qualche bocca da fuoco di grande poten-
(6) AUSSME, H3-39/4, prol. del 4.9.1935, daAdd. Mii. Ankara a S.1.M., f.to tcn. col. Manncrini.
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za per agire contro le isole italiane, giusto un intendimento vagheggiato anche se ritenuto finora non realizzabile per deficienza di mezzi idonei. In ordine a questa attività, il governo turco non aveva ritenuto di dover smentire il passaggio all'esame pratico delle misure militaii in accordo con gli inglesi, e l'aveva giustificato come conseguenza naturale delle predisposizioni per un'eventuale esecuzione delle clausole di cui al terzo capoverso dell 'articolo 16 del Covenant (7). La relazione dell'addetto militare così proseguiva: «{.... } Tuttavia ritengo che alla base di tutta la questione vi sia ancora del gioco abilmente sfruttato, secondo il mio modo di vedere, dalle due parti, Inghilterra e nf.rchia. La prima studia e predi,,pone la sua preparazione limitando le richieste per non dover sottostare a controrichieste che l'impegnino troppo e per il presente e per l'avvenire. Studia quindi, con apparenza preliminare e teorica ma effettiva negli scopi, Le possibilità di appoggi per' la marina e l'aviazione nel quadro dei necessari pmyvedimenti connessi agli impegni del Covenant, ai quali la Turchia non potrebbe sottrarsi secondo le disposizioni del predetto articolo 16. La Turchia dal canto suo acconsente a questi studi e si predispone di.fàtto ad aderirvi pel caso di complicazioni e.ffettive, ma tende al soddis.fàcimento degli interessi materiali ed immediati che per essa si profileranno dai/i sviluppi della situazione. Non v 'ha dubbio che dal punto di vista politico oggi la Turchia, con abili manovre, sia passata completamente nel campo a noi avverso. Ho più volte indicato quali possano ritenersi le ragioni che hanno indotto la Turchia a questo passo (garanzia nel Mediterraneo, concomitanza di vedute dell'URSS, patto balcanico e suoi addentellati con la Piccola Intesa, vantaggi finanziari immediati, ecc.). L'attività del suo ministro degli esteri Aras è sotto il diretto, incessante controllo dell'ambasciatore dell'URSS ad Ankara Karakan, che segue materialmente il ministro turco in tutti i suoi viaggi, a Parigi ed attraverso i Balcani, e giunto con lui ad Istanbul giorni or sono vi soggiorna tuttora perché lo A ras è ancora in questa città in attesa di riprendere il cammino per Belgrado per presiedere il Consiglio dell'Intesa Balcanica. Questo controllo, come ho già segnalato, può anche essere indice che l'URSS ha interesse che gli impegni della
(7) Covenant: espressione inglese per indicare il Patto delle Società delle Nazioni del 1919. L'arlirnlo 16 era quello relativo alla procedura di sanzioni contro uno Stato aggressore.
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Turchia con l'Inghilterra non oltrepassino certi limiti graditi e segnati dall'URSS. Ed è perciò possibile che questi impegni accettati nel campo diplomatico ed entrati in fase di attuazione pratica, possano essere domani anche limitati o sconfessati con maggiore o minore disinvoltura a seconda degli eventi e degli interessi turchi>>. Dopo una maliziosa osservazione sul fatto che, comunque, la situazione politica del momento non dovesse preoccupare più di tanto i vertici politici locali, dal momento che alcune sere ptima il presidente de]Ja repubblica e tutti i ministri, riuniti in un grande albergo di Istanbul, vi avevano gozzovigliato fino a!Je prime ore del mattino in compagnie di donne di malaffare, il ten. col. Mannerini così concludeva: «[. .. ] Riajfermo ancora una volta che occorre formulare ogni riserva sulle dichiarazioni di questo ROverno di doversi considerare gli impegni militari che va assumendo come teorici e comunque estranei a mire offensive contro il Dodecanneso. Per nostro conto occorre viKilare con molta attenzione, tenendo presente che non saranno !{li impeini più o meno solenni presi nell'ambito diplomatico, e ne abbiamo delle prove, che potranno far dipartire la Turchia dal più importante dei capisaldi della sua politica, cioè quello di evitare di trovarsi direttamente immischiata in conflitti armati fino al momento in cui non vi sia, in modo certo, da profittarne. Cornunque è anche certo che l'Italia, jìnché perdura e non sarà definitiva l'attuale situazione politica internazionale nella quale la Turchia si trova strettamente legata all'URSS ed all'Inghilterra, non potrà mai sperare di averla dalla sua parte <lf'ettivamente e non a parole» (8). 3. Le forniture militari: aspetti e procedure
Al ten. col. Mannerini subentrò il 15 ottobre 1936 il ten. col. Gabriele Boglione, del quale siamo in grado di riportare la parte finale , relativa alla situazione e possibilità italiane, di una informativa circa le forniture militari alla Turchia, interessante soprattutto per gli aspetti di intermediaz ione legati all ' ambiente locale.
(8) AUSSME, G29-l l/1 3, prot. 182 del 27.2.1936, da Add. Mii. Turchia a S.l.M., f.Lo ten. col. M annerini.
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L'addetto militare considerava come, fra i mo1ti fattori che intervenivano a livello di concorrenza, essenziali fossero il prezzo ed i termini di consegna, dato per scontato come equivalente il fattore qualità. A quanto a lui risultava, i prezzi italiani erano fra i più convenienti ma non alt1·ettanto le modalità di pagamento; infatti, mentre gli altri arrivavano come prassi a scadenze di 10 anni, le nostre ditte non volevano ahitualmente oltrepassare i 4-5. Era una questione importantissima, di carattere prettamente commerciale, che esorbitava dalla competenza dell'ufficiale il quale richiamava invece l'attenzione sulla data di consegna, che era ugualmente un elemento di primo piano sul quale far leva. Ciò era dovuto, oltre che al desiderio dei turchi di pagare lentamente ma di ricevere rapidamente, alla necessità (per essi reale) di sistemare al più presto il loro armamento che al momento era ancora in gran parte scarso, non omogeneo ed antiquato. Ma oltre a ciò vi era da esaminare un altro lato della questione che, non trascurabile altrove, era in Turchia di primaria importanza, quel complesso cioè di elementi che costituivano le modalità delle trattative. Era da premettere che la nostra azione nell'ambito delle forniture militari veniva in linea di principio favorita dai rapporti politici e commerciali in atto, anche se ostacolata da di ffidenze sorte negli u1timi anni, non completamente scomparse e che pesavano soprattutto sulle questioni di carattere militare nonché dal parere che non convenisse impegnarsi con l'Italia la cui politica avrebbe potuto esporla ad entrare in un conflitto armato da un momento all'altro; risultava perciò tanto più necessario evitare inconvenienti già verificatisi in passato, prima di parlare dei quali, però, bisogna aver ben presente la caratteristica socio-ambientale del Paese: «[. .. ] In materia di forniture militari si deve tener presente che occorrono qui percentuali a cominciare, molto spesso, dal ministro interessato. Ciò spiega la necessità di un intermediario, a percentuale tanto alta da consentirgli di fame parte a chi di dovere. E .\piega anche la segretezza con cui viene circondato il programma di acquisti per evitare, essenzialmente, le troppo numerose offerte e consef?uenti trattative dirette. Ora l'inevitabile lavorio sotterraneo ha presentato e presenta vasto campo d'azione a numerosi mestatori che, specie da lontano, possono essere facilmente confusi con uomini di buona reputazione. Così è successo· che troppi, e non sempre soltanto di questi ultimi, siano stati coloro che hanno cercato di mettersi in rapporto con autorità locali a nome di ditte 538
nostre. Oltre ciò, non raro è stato il caso di due o più aziende nostre in concorrenza per la stessa ,~fferta. li primo inconveniente ci scredita e, come conseguenza, aumenta la d(ffidenza verso di noi (mi è stato riferito che al ministero della d(/esa si è detto che noi non cerchiamo di fare affari, ma piuttosto di avere informazioni), mentre il secondo ci pone in inferiorità per lottare contro la concorrenza straniera. Per eliminare gli inconvenienti e per indirizzare la nostra azione nel modo più efficace, ritengo che si dovrebbe accentrare, in primo tempo, l'azione. Pochi buoni agenti dovrebbero essere scelti sul posto, su informazioni dell'ambasciata, consolato od enti locali (banche, camera di commercio, ecc.). Detti agenti comunicherebbero con orf?ani centrali - so dell'esistenza di 2 consorzi, quello degli armamenti e quello aeronautico, ma non conosco i loro poteri - ai quali dovrebbe spettare di definire sia le forniture alle quali concorrere, sia le ditte da designare. Così impostata l'azione, sarebbe ind(fferente l'ulteriore modalità delle trattative da farsi, tramite l citati aienti sul posto, vuoi dai consorzi vuoi dalle ditte» (9).
(9) AUSSME, I-B-11 , prot. 538 del 29.12.1939, da Add. Mil. Turchia a S.l.M., f.to ten. col. Boglione.
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Capitolo XVIII UNGHERIA
1. Un'amicizia con qualche riserva Dopo la prima guerra mondjale anche l'Ungheria, dove nel novembre 1918 era stata proclamata la repubblica, vide diminuita la propria superficie ad I/3 di quella della Transleitania (t) a seguito della notevole condiscendenza mostrata dalle potenze vincitrici nei confronti degli Stati confinanti vecchi e nuovi. L' Ungheria, la nazione territ:01ialmente più penalizzata fra quelle uscite sconfitte, dovette infatti cedere la Transilvania e la regione di Tcmcsvar alla Romania, la Slovacchia e patte della Rutenia alla Cecoslovacchia oltre alla Croazia ed alla Slavonia (2), con la nefasta conseguenza che tre milioni di magiari passarono sotto il dominio di altri Paesi. Sin dall'inizio della nuova configurazione repubblicana fu costituito un governo formato in maggioranza dai partiti conservatori e diretto dal conte Karolyi (3) che durò sino al marzo 1919, sostituita per i successivi quattro mesi da una repubblica detta «dei Consigli», modellata sull'esperienza sovietica e guidata dai comunisti e dai socialdemocratici unificatisi in un solo partito, tra i quali la personalità di maggior spicco era Bela Kun, amico di Lenin ed appena tornato da Mosca. Questi, impadronitosi del potere, impose un regime di terrore rivoluzionario, proclamò la dittatura del proletariato, avviò una nazionalizzazione delJe aziende industriali ed una radicale riforma agraria espropriando i latifondisti. Si trattò
( 1) Antico nome con il quale <lai corso del Lcitha, affluente di destra del Danubio, si designavano i Paesi della corona d'Ungheria situ ati ad Est del predetto fiume per disting uerli da quelli dell'ex corona d'Austria situati ad Ovest e costituenti convenzionalmente la Cisleitan ia. (2) Regione della Jugoslavia settentrionale denominata anche Schiavonia. posta fra i corsi inferiori della Sava e della Drava cd il Danubio. (3) Miche! Karolyi (1875-1 955), primo presidente della repubblica ungherese nel novembre 191 8, dopo l'avvento del governo rivoluzionario di Bela Kun riparò in esilio. Rientralo, fu presidente del consiglio fra il 1931 cd il 1932. Nel 1941 fondò a Londra un movimento per una «nuova Ungheria democratica», e nel 1947. tornato in patria, venne nominato ambasciatore a Parigi della nuova repubblica popolare, riprendendo la via dell'esilio due anni dopo in seguilo al consolidamento dell 'impronta comunista del regime.
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peraltro di una esperienza effimera, che non ebbe che un modesto seguito in un Paese privo di un movimento socialista realmente esteso, tuttora permeato dell'atmosfera socio-ambientale del regno asburgico e nel quale probabilmente la durezza del trattato di pace del Trianon svolgeva un ruolo reattivo di coesione nazionale. Già in agosto le forze controrivoluzionarie interne, capeggiate da1l'ammiraglio Horthy (4) e sostenute dal1a Romania, riuscirono ad abbattere il governo comunista instaurando una fase di repressione altrettanto cruenta. L'ammiraglio, alla fine di marzo del 1920 venne eletto a capo di una reggenza prevista come provvisoria nelle more di un'auspicata restaurazione monarchica alla quale erano interessati tanto Carlo I, l'ultimo imperatore d'Austria-Ungheria salito al trono il 21 novembre 1916 alla morte di Francesco Giuseppe e recatosi in esilio dopo aver abdicato 1'8 novembre 1918, quanto la Francia, che vedeva in essa una funzione anticomunista c quindi di tutela dei propri interessi nell'arca centro-europea e balcanica (anche se, per quanto 1iguardava i Paesi di quest'ultima zona, ciò li rendeva timorosi di non poter contare in futuro sull'appoggio francese e per contro attribuiva più credibilità all'Italia quale tutrice dei nuovi equilibri balcanici). Ma Horthy cominciò progressivamente a gestire in termini autoritari e semi-dittatoriali la propria leadership, e dopo il consolidamento della situazione economica e di quella interna, mise in atto a partire dal 1926 una politica decisamente revisionista del trattato del Trianon, appoggiata dall'Italia, e di netto antagonismo verso gli Stati della Piccola Intesa. La linea del Primo Ministro ungherese Bethlen (5) finì per confluire con quella
(4) Mikolos Nicolas Horthy de Nagybanya ( 1868-1957), ufficiale della marina austroungarica delle cui l"orze navali divenne comandante supremo il 1.3. 1918. Dopo aver gui dato la reazione anticomunista nel 1919, il 30.3."1920 fu eletto Reggente d'Ungheria opponendosi ai tentali vi di restaurazione rnonarchica di Carlo d'Asburgo. Nel 193 1 trasfonnò il proprio governo in un regi me autorilario, e grazie all'appoggio della Germania e dell'Italia ottenne fra il 1938 ed il 1940 nolevoli concessioni LeITiloriali a spese dell a C ecoslovacchia, della Romania e della Jug oslavia. Dopo aver aderilo al Patto Tripa1tito, dal 1941 condusse il Paese in guerra contro la Russia con la quale firmò nel 1944 un armistizio che causò la reazione tedesca, determinandone la cattura e l'isolamento in un campo di concentramento dal quale venne poi libcrnto nel 1945 dopo l'arrivo delle tmppe angloamericane. Trascorse il successivo decennio in esilio in Portogallo. (5) lstvan Belhlen (1874-1947), patrizio e uomo politico, nel 1921 fu incaricato di formare un governo che resse ininterrottamenle per 10 anni, durante il quale riuscì a far ammettere l'Ungheria alla Società della Nazioni. Ritiratosi dalla politica, dopo essere sfuggito nel 1944 all'arresto da parte dei tedeschi, venne catturato l' anno successivo dai sovietici e condotto in Russia dove finì i suoi giorni.
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mussoliniana, caratterizzata dalla ricerca di un punto d'appoggio nell'Europa Centrale dopo i successi ottenuti attraverso l'Albania nel1a regione balcanica; l'Ungheria, più della Romania, venne considerata da11a diplomazia italiana come un efficace strumento di contrasto dell'egemonia francese nell'area danubiana, di quella slava nell'Europa centrale e balcanica e di garanzia nei confronti di eventuali iniziative tedesche. 11 5 aprile 1927 un trattato di amicizia ed un patto segreto di consultazione fra Italia ed Ungheria sancirono tale intesa che, dopo una breve pausa di affievolimento fra l'agosto del 1931 ed il settembre 1932 in coincidenza con il ministero Karolyi, riprese vigore con l'ascesa al governo del generale Gombos (6). La caratterizzazione positiva nelle relazioni it,ùo-magiare trovava conl"erma in una relazione del 1930 del nostro addetto militare relativa alla situazione militare da1l'Ungheria, che non trascurava però di mettere in evidenza anche alcuni aspetti in negativo: «I rapporti con l'Italia traggono motivo, oltre che da tradizioni storico-culturali, dal.fatto che tra i due Paesi non esistono contrasti di interessi i quali, anzi. spesso collimano. L'Ungheriafunge per noi da potenza equilibratrice nell'Europa danubiana e balcanica. La stampa e L'opinione pubblica ungheresi approfittano di ogni occasione per dimostrare il grande valore che annettono all'amicizia con l'Italia, giacché è convinzione dUfusa che l'Italia possa dare all'Ungheria un valido appoggio per la realizzazione delle sue aspirazioni. Le relazioni militari - che per effetto dell'educazione dello stato mag,?iore ungherese alla scuola di Vienna e delle sue tradizioni german<~file erano rimaste notevolmente arretrate rispetto a quelle politiche ( anche perché non avevano potuto avere sviluppo parallelo con queste, data la permanenza in Ungheria della commissione di controllo) - sono notevolmente migliorate. Di tale miglioramento sono sintomi indubbi lo studio della lingua italiana nelle scuole di reclutamento e in diversi importanti presidi, lo studio delle nostre istituzioni ed industrie belliche, una sensazione di
(6) Gyla Gumbos (1886-1936), esponente nazional ista, fu uno dei capi del movimento contrurivuluziunariu che aveva fronteggiato nel 1919 il regime comuni sta di Bela Kun. Acceso antisemita, ammiratore di Mussolini , fu uno degli ispiratori degli accordi militati con l'llalia inclusi nel trallalo di amici7.ia del 1927. Divenuto Primo Ministro nel 1932, seguì la linea politica già tracciala da Bellùen e favorì un'intesa economica molto stretta fra l'Italia. l'Ungheria e l'Austria.
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maggiore franchezza nelle relazioni fra le autorità militari ungheresi e quelle italiane. Malgrado tutto questo non bisogna però pensare che l'amicizia ungherese verso l'Italia sia una dedizione assoluta e completa. Il carattere dell'ungherese, presuntuoso e diffidente, l'orientamento germano.filo, l'educazione della casta militare e della burocrazia, la guerra e il disastro post-bellico di cui noi fummo gli artefici principali, la conoscenza dell'Italia basata per molti su di un folklore di vecchia maniera, sono tutti elementi negativi a nostro riguardo. I partiti d'opposizione, democratici e socialisti, sia per le teorie contrarie al fascismo, sia perché irrfluenzati dalla massoneria, sia perché contrarf alla politica del conte Bethlen svolgono in genere, per quanto superficialmente, una subdola campagna non in nostro favore. Ma anche fra gli uomini di governo che contornano il conte Rethlen, e nella burocrazia di cui si serve, vi sono non pochi elementi che, pur dimostrandosi in apparenza italofili, non lo sono t~ff'atto, o lo sono molto tiepidamente. In sintesi, si può asserire che l'amicizia unftherese, voluta dal conte Bethlen e dai più influenti uomini del governo, è largamente condivisa dall'opinione pubblica ma, per azione di uomini in sottordine, è d(lfidente ed influenzata spesso da intemperanze sgradevoli e non ha sempre quella sincerità. e dedizione che sembrerebbero dovute ali 'unica grande potenza vincitrice che ha dato il suo notevole appoggio ad un piccolo Stato vinto, circondato da nemici. Considerata però la posizione del conte Bethlen ed il fatto che anche una crisi non potrebbe portare al potere che uomini della sua cerchia e del partito unico di governo, l'Italia può contare a lunf?o su di un orientamento generale a lei favorevole ». 2. L'apparato bellico nel 1930 L'oggetto della relazione, come s'è detto, era la situazione militare dell'Ungheria, a proposito della quale forniva alcuni dati così riassumibili. Il bilancio del ministero della difesa nazionale per l'esercizio 1929-1930 era stabilito in 150.747.000 pengo (il pengo corrispondeva a circa lire italiane 3,35), esclusa la polizia di Stato, la gendarmeria e la guardia fluviale, per un bilancio nazionale generale pari a 1.428.671.400 pengo. Su 27 voci, le spese del ministero della difesa nazionale occupavano il quarto posto, ed esse rappresentavano grossolanamente 1/IO delle spese totali. Le spese previste in 544
bilancìo per l'esercizio con-ente avevano subito un incremento di 17.910.950 pengo rispetto all'anno precedente. La rorza bilanciata per l'esercizio 1929-1930 era la seguente: ufficiali 1. 780, sottufficia1i e graduati di truppa 15.338, soldati 17.917 per un totale di 35.035 uomini, cioè il massimo previsto dal trattato del Tri anon. Gli effettivi delle altre forze armate erano così distribuiti: gendarmeria 1J .700 uomini (588 ufficiali, 4848 sottufficiali e 6264 uomini di truppa), polizia I 2.000, guardie di frontiera 6.000, guardia di finanza 3.000, polizia fluviale 1.000 per un totale di 68.735 elementi. L'esercito ungherese risultava costituito da 7 brigate miste (ciascuna di esse era composta da 2 reggimenti di fanteria, l battaglione ciclisti, 1 squadrone di cavalleria, 1 gruppo di artiglier ia, 1 compagnia collegamenti, I sezione treno, I sezione automobilisti), 2 brigate di cavalleria, I gruppo artiglieria a cavallo, 3 batterie indipendenti, 3 battaglioni del genio (autonomi), l gruppo autoblimlomitrngliatrici, sezioni riunite di pontieri e fotoeleuricisti. 11 totale delle forze inquadrate ed autonome era il seguente: 42 baHaglioni di fanteria, 7 battar,lioni ciclisti, l'.) squadroni di cavalleria (ussari). 26 batterie d'artiglie1ia, 7 ballerie d'artiglieria da trincea (bombarde), 3 battaglioni de! genio, 7 compagnie di collegamento, 3 sezioni di autoblindomitragliatrici, 7 sezioni automobilistiche. Per quanto riguardava l'artiglieria, questa risultava disporre complessivamente di 28 cannoni da montagna someggiati (75 mm.), 28 cannoni da campagna ippotrainati (80 mm.), 4 cannoni da campagna a cavallo (80 mm.), 28 obici da campagna ippotrainati (100 mm.), 4 obici da campagna a cavallo (100 mm.), 8 cannoni contraerei da 80 mm., 4 obici da 100 autotrainati. In totale 104 bocche da fuoco e 24 bombarde da 140 mm. Per quanto riguardava la regolamentazione, essa rimontava agli anni 1925-1927, e teneva conto dell'esperienza di guerra e dei criteri aggiornati di impiego delle varie armi. Ispirate almeno in parte alla regolamentazione tedesca, le norme tattiche ungheresi prevedevano l'impiego di unità e mezzi moderni anche se di essi non poteva essere dotato l'esercito di pace. Il regolamento sul combattimento della fanteria contemplava formazioni tattiche elastiche e conferiva molla autonomia alle squadre nei plotoni ed ai plotoni nella compagnia. Si prevedeva che l'Ungheria avrebbe potuto mobilitare in un primo tempo 16.000 ufficiali, 330.000 uomini di truppa e 90.000 cavalli, sufficienti alla costituzione di 7 divisioni di fanteria ternarie raggruppate in 3 corpi d'armata, 1 divisione di cavalleria su 4 reggimenti, truppe varie non indivisionate (assegnate ai comandi di corpo d'armata ed al Comando supremo), reparti di complemen545
to e servizi. Tali forze sarebbero state completate dai corpi speciali il cui impiego era previsto in caso di guerra (guardie di frontiera, guardia fluviaJc, gendarmeria e polizia). Per il futuro, sembrava che lo stato maggiore ungherese si ripromettesse di aumentare il numero delle unità mobilitabili sia dell'esercito che dell'aeronautica. Tale programma avrebbe previsto la mobilitazione di altre 7 divisioni di fanteria ed 1 di cavalleria, nonché il raddoppio delle forze aeree. Non era possibile poter realizzare questo programma a causa della mancanza del materiale bellico occorrente. La fanteria ungherese disponeva del seguente amrnmento: fucile Mannlicher mod. I 895, cal. 8 mm.; mitragliatrice Schwzarlose (mod. 1918-1919), caì. 8 mm. con nastro di 400 cartucce; cannoncino da 37 mm.; mortaio da trincea da 90 mm. (tipo antiquato), bomba a mano M.L./28 di costruzione ungherese. Tutto questo armamento era in via di trasformazione, e poiché la questione implicava alcune condizioni del trattato di pace, essa aveva carattere di grande riservatezza. Comunque, sarebbe risultato in proposito che lutti i fncili ;wrchhP.m dov1110 P:<.:<.:Pn". rnqit1.1iti ,~on mos,: he!ti e che sarebbe stata allo studio l'adozione di un fucile automatico Frommer, che sarebbero stati speiimentati diversi tipi di mitragliatrici leggere (Kiraly, Mauser, Frommer) senza che pen\ al momento, fosse stata decisa l'adozione di una di esse, non escludendosi anche l'impiego di un tipo Breda, e che sarebbe stato allo studio l'adozione della cartuccia Mauscr calihro 7,92 mm. previa trasformazione o sostituzione delle attuali armi p01iatili calibro 8 mm. Riguardo all'acr:onautica, se possedeva al momento un relativamente abbondante numero di piloti, osservatori e specialisti era però in condizioni primordiali in fatto di velivoli. Essa avrebbe potuto assicurare la cost.ituzione di 2-3 squadriglie, ma con aerei di differenti tipi e di scarsa efficienza bellica. Era in corso di attuazione un programma che avrebbe consentito di mobilitare in 24 ore 8 squadriglie della quali 2 da caccia, 4 da ricognizione e 2 da combattimento (7). NelJo stesso 1930 era iniziata fra Italia ed Ungheria una collaborazione militare che, ollre alle componenti operative ed alla cessione di materiali da parte della prima, riguardava anche aspetti tecnici al fine di realizzare at.tivi e vasti scambi nel campo degli studi e delle esperienze. Intendimento finaJc era di giungere ad una larga unificazione di tipi di materiale bellico per rendere possibile una più vasta collaho(7) AUSSME, I 4-5/1 O, senza altre indica:lioni che la data (1930), riferibile all'addetto militare ed aeronautico a Budapest ten. col. G. Ballista Oxilia.
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razione militare dei due Paesi in caso di guerra, con il miglior sfruttamento delJe rispettive risorse naturali ed industriali. Era stata costituita a tale scopo in Italia una commissione di collaborazione «U»- coordinatrice di tutti i lavori nel loro complesso, e varie sottocommissioni di tecnici (artiglieria, materiali del genio, collegamenti, materiale automobilistico, chimico, ecc.) che scambiavano visite con i colleghi ungheresi ed eseguivano esperienze su materiali in studio presso i due eserciti. In questo lavoro di collaborazione l'Ungheria aveva offerto considerevole apporto attraverso l'opera dell'istituto tecnico militare (I.T.M.) di Budapest, nel quale era concentrata tutta l'attività di studi ed esperienze di quell'esercito (8). 3. L'atteggiamento sull'intervento italiano in Etiopia Nei confronti dell'imminente intervento italiano in Etiopia del 1935, 1'atteggiamento dei vari ambienti ungheresi, pur globalmente a noi favorevole, non andava esente da alcune remore e preoccupazioni delle quali si faceva portavoce i· a<ldclto militare:
«La questione abissina suscita grande interesse in Ungheria, non soltanto per l'irnportanza che essa riveste nelLa politica europea e mondiale ma .\pecialmente per le ripercussioni che può avere sulle questioni danubiane. La stampa riporta ogni giorno ampie notizie di fonte italiana, francese ed inglese, sulle trattative diplomatiche in corso e sui preparativi militari italiani, con tono generalmente molto amichevole per l 'Italia. Meno frequ enti sono articoli editoriali, alcuni dei quali tendono ad ajfermare decisamente il nostro buon diritto all'espansione in Africa, altri invece ad orientare l'opinione pubblica sulla situazione p(;l itica, geo f.; ra,f·ica ed econoniica dell 'Abissinia e sulle prevedibili difficoltà di un'azione militare in quel Paese in relazione alle speciali condizioni di terreno e di clima. Si ha peraltro l'impressione che gli organi del! 'opinione pubblica, pur dimostrandosi favorevoli alla nostra impresa, non si sbilancino nell'esame dei singoli aspetti di essa, forse anche per il fatto che nel Paese difettano competenti di questioni coloniali. Potrebbe anche darsi che a ciò contribuisca il dissidio anglo-italiano nel senso che non si vuol fare cosa poco grata all'Inghilterra (8) AUSSME, H3~2/6, senza indicazione di prot. del 10.9.1935, da S.I.M. a Soltocapo di Stato Maggiore Generale, senza indicazione di firma.
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che, almenò platonicamente come si è anche visto nell'ultimo discorso del ministro degli esteri inglese, ha l'aria di appoggiare le pretese revisionistiche ungheresi. Nei complesso si può affermare che il Paese vede con simpatia l'impresa italiana. Alcune decine di volontari si sono presentati alla Regia Legazione di Budapest chiedendo di essere arruolati nelle truppe italiane partenti per l'A .O.. Unica manifestazione ostile all'Italia si è avuta in seno al Parlamento da parte di deputati socialisti i quali hanno accennato ad alcuni pretesi incidenti che sarebbero avvenuti all'atto della partenza delle nostre truppe per !'A.O. e ad ingenti perdite di uomini che l'Italia avrebbe avuto prima ancora di iniziare la guerra. Negli ambienti militari si esprime sicura .fiducia in una vittoriosa affermazione dell'Italia. Si nutre però l'apprensione che, nel caso in cui il conflitto debba risolversi con le armi, l'Ttalia possa essere portata ad impegnare in Africa troppe forze e a distogliere molta della propria attenzione dalle questioni europee. A spiegare tale stato d'animo si adduce che al pericolo deila Piccola Intesa si è aggiunto in questi ultimi tempi quello ancora maggiore della Russia sovietica, la quale -dopo l'accordo con la Cecoslovacchia -puà intervenire con le sue forze aeree, e forse anche con quelle terrestri se la Romania consentirà loro il passaggio, nello scacchiere danubiano a danno dell'Ungheria. In pmticolare si teme che, in caso di complicazioni militari in Abissinia, la Jugoslavia, meno preoccupata dalla parte dell'Italia, pos.\·a accentuare, sorretta dalla Francia, la sua pressione verso l'Ungheria. Nessuna preoccupazione viene invece dimostrata per l'eventualità di un 'azione della Germania in Austria. Tutto sommato, questi organi dirigenti si augurano che l'Italia possa ottenere per via pacifica il riconoscimento dei suoi diritti, convinti che l'azione del nostro Paese in Europa non possa che essere vantaggiosa per le aspirazioni ungheresi» (9), 11 28 settembre dello stesso anno, quindi a meno di una settimana da11 ' inizio delle ostilità, 1' addetto militare italiano trasmetteva una notizia il cui interesse può risultare elevato anche oggi, non foss'altro per quel tassello di conferma di uno scenario già noto ma ulteriormente ·precisabile per non pochi aspetti. Il nostro rappresentante militare riferiva di essere stato convocato in mattinata dal (9) AUSSME, H3-30/19, prot. 2/8563 del 2.8.1935, da S.I.M. - 2• Sezione a stesso Ente - Sezione A.O. (contenente stralcio di rapporto inviato con prot. 678 del 15.7.1935 dall'addetto militare a Budapest), f.to ten. col. Umberto Broccoli.
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capo di stato maggiore dell'esercito ungherese che lo aveva messo al corrente che, da fonte molto attendibile, risultava che l'ammiragliato inglese aveva fatto presente al proprio governo di procedere con cautela nell'adozione di sanzioni contro l'Italia poiché egli non si senti va molto sicuro nei confronti delle forze marittime ed aeree delle quali si poteva disporre al momento. Una notizia molto riservata, che l'ungherese lo incaricava di trasmettere al gen. Pariani raccomandandogli di adottare le massime procedure di sicurezza possibili. Con l'occasione, l'addetto appo1tava una variazione in merito alla valutazione espressa con la nota del luglio precedente circa l'atteggiamento degli ambienti militari locali: «[. ... ] Mentre fino a qualche tempo fa si manifestava l'apprensione che l'Italia impegnasse in A.O. troppe forze distogliendo la sua attenzione dallo scacchiere europeo, ho ora invece l'impressione che questo stato maggiore tema che l'Italia non spinga a fòndo la propria azione militare contro l'Abissinia, tanto che alcuni componenti di esso, che ho incontrato in questi ultimi giorni, hanno accennato alle conseguenze che in tal caso potrehhero derivare al nostro prestigio di grande potenza» (1 O). 4. Propaganda militare filoitaliana Il successivo inserimento dell ' Ungheria nell'area di influenza italo-tedesca, che sarebbe sfociata nel 1940 nel l'adesione al Patto Tripartito, già avanzato nell'ambito culturale ed economico, ebbe modo di manifestarsi con ancora maggiore immediatezza in quello militare, come era attestato da quanto riferito dall' addetto militare nel 1939. Egli aveva 1icevuto la visita del colonnello capo del 5° ufficio dello stato maggiore ungherese, quello preposto alle questioni di competenza specifica del capo di stato maggiore ed in particolare a tutto ciò che si riferiva alla propaganda. L' ufliciale era venuto a caldeggiare un progetto, già approvato dal ministero della difesa nazionale e dal capo di stato maggiore, consistente nello svolgimento di una estesa propaganda a mezzo stampa sull'esercito italiano intesa a fame conoscere a tutta la nazione (non solo quindi agli ambienti militari) l'organizzazione e l'efficienza. Vista l'estensione di tale azione a tutta l'opinione pubblica, si intendeva avvalersi non di periodici mili(10) AUSSME, H3-39/5, prot. 914 del 28.9.1935, da Add. Mil. Budapest a S.I.M.Capo Servizio, f.to tcn. col. Enrico Mattioli.
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tari ma dei più diffusi quotidiani nazionali, i quali avrebbero pubblicato una serie di articoli corredati da fotografie. TI colonnello ungherese aveva prospettato l'opportunità che fosse lo stato maggiore italiano a preparare gli ai1icoli, per i quali aveva compilato un elenco di possibili argomenti da sottoporre allo stesso stato maggiore, che avrebbe potuto naturalmente sopprimerne o modificarne alcuni ovvero aggiungerne altri 1itenuti idonei. I temi proposti erano i seguenti: l. Lo sviluppo dell'esercito fino alla guerra mondiale; avvenimenti notevoli (con particolare riferimento alle guerre d'indipendenza). 2. L'esercito durante la grande guerra. 3. Sviluppo nel dopoguerra sino ai giorni attuali. 4. Principali attività del dopoguerra. 5. Organizzazione generale dell'esercito attuale (solo a grandi lince). 6. Le varie Armi. 7. Educazione degli allievi ufficiali. 8. I principi delle leggi concernenti la difesa nazionale. Il servizio militare ohbligatorio. 9. Preparazione militare e istruzione postmilitare. 1O. Organizzazione della protezione antiaerea civile. Il. Ricordo delle battaglie comuni dell'esercito italiano e delle truppe ungheresi. l 2. Vita ncll' esercito italiano. Sarebbe stata facoltà italiana di dare ad ogni tema Jo sviluppo che si fosse ritenuto più opportuno, compatibilmente con le esigenze della riservatezza, il che valeva anche per le riproduzioni fotografiche. La traduzione in ungherese degli articoli sarebbe stata sottoposta prima della pubblicazione al controllo ed alla revisione da parte dell 'addetto militare italiano. Gli articoli non sarebbero stati contraddistinti da nessuna firma, al massimo solo da uno pseudonimo o da una sigla. 11 nostro rappresentante militare aveva inoltrato al S.T.M. la richiesta con parere del tutto favorevole e con la raccomandazione che, in caso d'accoglimento, gli elaborati gli fossero inviati in successione abbastanza rapida, perché, essendo da pubblicare nella stampa quotidiana con la sequenza di almeno uno alla settimana, se troppo distanziati il loro effetto avrebbe potuto perdere molto della propria efficacia (11).
(l I) AUSSME, H3-25, prot. 236 del 28.2.1939, da Add. Mii. Budapest a S.I.M., f.lo tcn. col. A. Garigioli.
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i\utoblindo di progfftazione inglese rn dota zione all'esercito ungherese alla fine degli anni Venti e Trenta
Kaposvùr (Ungheria), JJ.11 .1939: cerimonia della consegna della bandiera ad un reggimento un1,herese alla presenza di un generale italiano; sullo sfondo, il primo ujjìt:iale da sinistra è l 'addello militare col. Garigioli
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.firma per la presa in consegna del vessillo
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Capitolo XVIII U.R.S.S.
1. Dalla rivoluzione alla ricostruzione L'U.R.S.S. (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) nacque, come è nolo, dalla deliberazione congiuntamente firmata il 30 dicembre 1922 dai delegati di 4 repuhhlichc sovietiche (Russia, Russia Bianca, Ucraina e Transcaucasia) alle quali si sarebbero aggiunte, fra il 1924 ed il 1929, le repubbliche dell'Uzbekistan, del Tagikistan e del Turkmenistan e nel 1936 quelle dell'Armenia, dell' Arzerhaigian, elci Kazakistan e del Kirghizistan. La costituzione dell'URSS, ratificala nel gennaio del 1924, diede vita non ad una federazione di Stati pienamente a utonorni 1na ad un'unione multinazi onale di repubbliche, ciascuna dotata di una propria Costituzione, che riservava peri) all'Unione pieni poteri in tema di relazioni internazionali, difesa, pianificazione economica e rinanziaria e traspo11i. Era il tentativo di avviare a soluzione il grosso problema delle minoranze nazionali e linguistiche, circa un centinaio, molto consistenti tenendo conto che i veri e propri russi, includendovi anche gli ucraini, erano poco più del 60% della popolazione dell'antico impero zarista ( 1). Ma già da quasi due anni i] problema di fondo, prioritario anche rispetto a quello politico, era costituito dal collasso economico che aveva messo in pericolo il potere conquistato dai bolscevichi nell'oti.obre 19 i 7. fai un iaìe rischio a vcva inùuito Lt.;ni11, suiia base ùi quei pragmatismo che era una delle caratteristiche della sua personalità, a far adottare dal X 0 congresso del partilo comunista nel marzo 1921 una «nuova politica economica» (da allora contraddistinta dalla sigla NEP - Novaja Ecorwmiceskaja Politika) che poneva virtualmente fine al cosiddetto comunismo di guerra, un sistema di gestione
(I) I _a questione sarehhe stata ri solta con la concessione alle popolazioni non russe di differenti gradi di autonomia a livello di Stato, inclusa la libertà di usare la propria ling ua ne lle scuole e negli uffici puhhlici, anche se in pratica si trattava di un 'autonomia più formale che sostanziale dato lo streLLo controllo esercitato dal partito comunista su aspetti essenziali dell ' attività politica ed amministrativa.
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socio-economico verticistico e militarizzato sorlo con le precipue finalità di difesa del processo rivoluzionario (2). Il nuovo corso impresso dalla NEP interessò inizialmente il settore agricolo (quello della riconciliazione fra il potere ed il mondo contadino era infatti l'obiettivo primario), estendendosi poi anche a quello industriale, ma tuttavia questa forma di «capitalismo di Stato» secondo la definizione di Lenin non costituì un ritorno al capi Lalismo privalo (3). Alla fine del 1926, nonostante alcune serie difficoltà intercorse, i nuovi orienlamenti in tema di politica economica sembrarono aver raggiunto l'obiettivo primo della sopravvivenza del Paese. Ma anche se la NEP aveva consenlilo all'URSS di uscire dalla prostrazione nelle quale l'aveva condotta la guerra civile, pem1anevano tuttavia condizioni globali di povertà ed arretratezza, con una forte prevalenza della popolazione rurale cd un'agricoltura insufficiente basata su circa 25 milioni di nuclei familiari contaditù che coltivavano la terra con mezzi primjtivi, a livello individuale e senza un programma coordinato. Il processo di industrializzazione, dal proprio canlo, era ancora allo stato di progetto, e solo a partire dal 1927 Stalin (4) ed il gruppo dirigente che lo appoggiava decisero di punta-
(2) l provvedimenti attraverso i quali si espresse il «comunismo di guerra» 11011 furono tanto la razionale applicazione di un prestabilito progrnmma quanto la risposta frammentaria e disorganica di un potere aJle prese con una serie di problemi di vera e propria sopravvivenza elementare. Tra il 1918 cd il 1920, infatti, la Russia ru sconvolta 11011 solo dalle devastazioni causate dalla lotta fra i bolscevichi e le amiate «bianche» controrivoluzionarie ma anche dalla fame, dal freddo e da micidiali epidemie (drammatica quella di tifo petecchiale) che, nel periodo citato, causarono più di 8 milioni di morti. (3) Lo Stato conservò infatti il monopolio dell 'economia nei settori bancario, del com mercio estero e di quasi tutta l'industria di fabbrica e della produzione di energia, do ve fu assegnato un ruolo centrale a!rclcttricità e vennero inolu·e rnanlenuti i meccanismi di pianifcazione e controll o. Ne l 1923 le imprese privale e le cooperative erano il 97% de l numero totale delle aziende, ma quelle nazionalizzale (il rimanente 3%) occupavano il 60'fo degli operai, con una produzione che superava di mollo quella del settore non statale. (4) Josif Vi sarionovic Djugashvil (i 879-1953) detto «Stalin» (= acciaio; il sopran nome gli ru dato da Lenin), georgiano, figlio di un calzolaio, militò nel movimento socialdemocratico e per 18 anni si dedicò alla vita politi ca clandestina subendo a varie riprese arresti e deprntazioni in Siberia. Nel 1905 prese contatto con Lenin, e qualche anno dopo entrò nel comitato centrale bolsce vico. Nel 1917, allo scoppio della rivoluzione, assunse la direzione del giornale Pravda, del quale nel 191 2 era stato tra i fondatori, e fece parte del primo governo rivoluzionario o Consiglio dei Commissari del Popolo. Alla morte di Lenin ne l 1924, prevalse sul rivale Trotzky nella lotta per l'assunzione del potere, che mantenne di spoticamente eliminando, fra il 1934 cd il 1938 attraverso una serie di inesorabili «purghe», tutta la vecchia g uardia bol scevica e restando arbitro della vita politica dell 'URSS sino alla morte.
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re senza ulteriori indugi sulla creazione di una bao;e industriale che permettesse all'URSS di colmare almeno parzialmente la distanza che la separava dalle nazioni più progredite e di dare corso alla propria evoluzione economica. Nacque così, tra il 1927 ed il 1928, l'elaborazione del primo piano quinqueru1ale di sviluppo dell'economia nazionale, che si proponeva di trasformare il Paese da agricolo ad industriale attraverso il coordinamento dei provvedimenti concernenti produzione, distribuzione del reddito, investimenti e consumi. Ma su questa decisione innuì anche un motivo di politica estera, la necessità cioè di dotare in tempi brevi l'URSS di un apparato militare in grado di garantirne la sopravvivenza in caso di una guerra globale o circoscritta. Sotto questo profilo, risulta interessante una memoria riassuntiva sulla situazione militare sovietica compilata nel 1929 a cura dell'ufficio del capo di stato maggiore generale (5) sulla scorta deg1i elementi informativi trasmessi dal S.I.M. al quale erano stati a loro vo1ta forniti dall'ufficio dell'addetto militare italiano a Mosca, all'epoca il ten. col. Aldo De Fen-ari. Una prima notizia riguardava l'aspetto finanziario. A fronte di un bilancio generale dello Stato preventivato, per l'esercizio 1929-1930, in 11.390.000.000 rubli (al cambio con la lira italiana, 1 rublo: L. 9.80) con un aumento di 3.456.000.000 rubli rispetto all'esercizio precedente, le somme assegnate al Commissariato della Guerra e della Marina erano previste in 995.000.000 rubli, corrispondenti cioè all'8,73% del bilancio generale con un incremento di 154.258.000 rubli nei confronti del precedente stanziamento. In realtà, però, il bilancio militare risultava di molto superiore, raggiungendo la somma totale di 1.159.766.000 rubli e venendo così a corrispondere al 10.18% di quello generale. Andava però considerato che poiché quest'uìtimo era aumentato, rispetlo aìi 'esercizio finanziario precedente, in proporzione ben maggiore (44,8%), il bilancio militare, che nell'esercizio 1928-1929 ne costituiva il 12,58%, aveva subito una riduzione del 2,40%. Le somme dichiarate come ufficialmente devolute alle spese militari non rappresentavano il limite di ciò che nell'URSS si spendeva per l' appa-
(5) La carica di capo di stato maggiore generale fu introdotta con la legge n. 866 dell ' 8.6.1925. Era riservata ad un Maresciallo d' Italia o ad un Generale d'Esercito (massimo grado della gerarchia terrestre) alle dirette dipendenze del presidente del consiglio, ed assorbiva in sé anche quella di capo di stato maggiore dell'esercito (ricostituito come tale nel 192'.l dopo essere divenuto nel 1921 stato maggiore centrale).
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rato bellico, poiché da patte di ciascun Commissariato nel corso dell'esercizio finanziario venivano devoluti fondi, di entità imprecisata ma certamente cospicua, per scopi direttamente riferiti a111a preparazione militare del Paese. La forza bilanciata era normalmente indicata in 562.000 uomini, ma la forza effettiva dell'esercito variava notevolmente durante l'anno sino a raggiungere in primavera, quando ]a classe territoriale più giovane perveniva al compimento dei tre mesi del primo anno di servizio, un totale di circa 800.000 uomini. Dopo il congedarnento della predetta classe, venivano di norma richiamate alle armi per un periodo di 30 giorni le aJtrè quattro classi territoriali, il che faceva salire la forza complessiva dell'esercito, per il periodo anzidetto, a circa 1.200.000 clementi. In tutte le suddette cifre non andavano naturalmente compresi gli effettivi delle truppe con «destinazione speciale», valutabili in 150.000 uomini. Per quanto riguardava le tendenze generali dell'organizzazione militare sovietica, il documento le riassumeva come segue: a) tendenza generale ad abolire tutto ciò che era stata conseguenza immediata della rivoluzione (abolizione dei commissari politici, adozione del comando unico, sistemazione dei quadri); h) tenden;,,a alla «territoriali1.za1.ione» dell'esercito, per la quale le grandi unità al momento esistenti sarebbero state sostituite da unità cosidette di milizia, formate da soli quadri, cui sarebbero affluiti elementi regionali per saltuari periodi di istruzione; c) tendenza alla costituzione di rep,u-ti regionali. Si voleva cioè che ogni repubblica ed o gni provincia autonoma dell'URSS avesse un particolare e propio esercito costituito quasi interamente da elementi della provincia o repubblica interessata ed educato secondo la lingua ed i costumi nazionali; d) tendenza ad estendere l'ohbligo del servizio mili tare agli abitanti di alcune regioni , che sia per lo stato della loro cultura rudi mentale sia per il proprio carattere nomade, anche al tempo dello zar non erano stati ritenuti idonei a servire nell'esercito; e) tendenza, infine, a perfezionare l 'organismo mili tare si a dal punto di vista organico che da quello dell'addestramento e del1' armamento. L' ordinamento dell ' esercito russo era il seguente : 9 comandi di zona mi litare, 2 1 corpi d'armata, 4 corpi di cavalleria per un totale di 12 divisioni e 9 brigate, 70 d ivisi oni cl i fanteria distinte, cotnc quelle di cavalleria, in «rego lari» (26) , «territoriali » (39) e miste (5) e delle quali l 9 erano aul onome. Ogni corpo di ca valleria 556
disponeva di una forza media di pace pari a 12.500 ~avalli, 13.500 uomini, 6 obici da 114 mm. e 9 autoblindomitrag]iatrici. Ne]le divisioni di fanteria regolari gli effettivi di pace variavano a seconda che si trattasse di divisioni rinforzate o non: avevano effettivi rinforzati, raggiungenti i 6817 uomini, quelle di frontiera, mentre le altre erano ad effettivi ridotti pari a 5300 unità. Le divisioni territoriali, normalmente con i soli quadri, raggiungevano nei periodi di forza massima la consistenza di guerra , circa 14.000 uomini. Nel complesso, si poteva ritenere che le unità regolari, e così pure quelle territoriali dislocate in zona di frontiera, avessero ormai l'armamento al completo o quasi, mentre le altre unità territoriali avrebbero avuto ancora un armamento ridotto (pur essendo composto di armi degli stessi tipi in dotazione alle unità di frontiera), e cioè, approssimativamente: batterie reggimentali su due pezzi, battaglioni con circa 8-1O mitragliat1ici pesanti e 6-7 leggere e senza artiglieria di battaglione. Per quanto riguardava l'artiglieria, l'armamento dei reggimenti divisionali e dei gruppi a cavallo si poteva ritenere ormai al completo. Negli ultimi tempi sarebbero stati costruiti i pezzi necessari, anche se sarebbe mancata tuttora una riserva di mobilitazione. Circa le artiglierie pesanti campali, quasi tutti i corpi d'armata sembravano ormai disporre di un reggimento. Anche questa produzione sarebbe stata perciò avviata: risultava però che essa, al momento, fosse soltanto sufficiente a mantenere a numero i pezzi esistenti, ossia a fornire i pezzi destinati a sostituire quelli che, per eccessivo logorio, dovevano gradualmente essere posti fuori servizio. Nei riguardi delle artiglierie pesanti, nulla era possibile affermare, essendo troppo vaghe le notizie relative. Sembrava però che la loro produzione incontrasse ancora grandi difficoltà. Circa i carri armati, si aveva notizia dell' esistenza di reggimenti su 2-3 compagnie e di 2 battaglioni autonomi con un totale di 108 carri di vario tipo. I pesanti erano inglesi del tipo B. Ricardo (peso: 14 lonn.,:velocità oraria: Km. 7,5; armamento: 2 cannoni Hotchkiss + 2 mitràgliatrici Maxirn; equipaggio: 8 uomini), i leggeri anch'essi inglesi del .tipo S. Taylor (peso: 13 tonn. ; velocità oraria: Km. 14; armamento: 3 mitragliatrici; equipaggio: 3 uomini), rrancesi tipo Renault (1" cannone da 37 mm. +· 1 mitragliatrice Hotchkiss) e di fabbricazione nazionale tipo M. R. (peso: 7 tonn.; vc1,ocità oraria: km . 6- 12; armamento: cannone da 37 Hotchkiss o I mitragliatrice Max im). Erano segnalati inoltre 14 gruppi autonomi di <;tUtoblin<late, ciascuno su 9 mezzi, per i quali era allo studio l'assegnazione ad 557
ogni unità autonoma di cavalleria. Le cattive condizioni di viabi]ilà e la scarsa efficienza dell'industria sovietica non consentivano un'estesa motorizzazione de1l'esercito; sino al quel momento risultavano quasi completamente motorizzale la riserva di artiglieria del comando supremo e circa 1/3 dei reggimenti di artiglieria di corpo d'armata. Durante le manovre, ad ogni modo venivano continuamente compiuti esperimenti di trasporto truppe su autocarri; fra questi il tipo più conveniente, data la carenza di strade di una certa solidità e lo scarso numero di ponti idonei al transito di carichi rilevanti, 1isultava quel1o da 1,5 tonnellate. Le manovre dell'esercito sovietico nel 1929 avevano messo in evidenza la prestanza e la resistenza fisica della fanteria, la solida disciplina di tutte le truppe, la tendenza degli uomini e dei repmti minori a raggrupparsi eccessivamente anche nelle zone più battute dal fuoco avversario e l'inadeguato scaglionamento in profondità delle truppe operanti. I reparti costituiti con elementi regolari o con forti percentuali di tali elementi (cavalleria, aviazione, reparti speciali) avevano dato prova di un miglior addestramento rispetto alle unità territoriali (la cui istituzione non sembrava corrispondere al grosso onere finanziario che comportava), per quanto avessero anch'essi ancora da colmare non poche lacune. I quadri di comando a livello medio ed inferiore avevano dimostrato di possedere, in genere, una buona preparazione teorica ma di non aver ancora acquisita una adeguata capacità tattica sul terreno, mentre gli ufficiali di stato maggiore avevano palesato scarsa iniziativa. Il quadro professionale dei comandanti di GG.UU. era apparso migliorato, pur non essendo ancora esente da numerose manchevolezze riguardanti soprattutto la prontezza decisionale, la precisione degli ordini ed il razionale impiego dei mezzi (specie d'artiglieria) in determinate circostanze. Deficitaria la situazione dei collegamenti fra fanteria ed artiglieria. Tutti i regolamenti in vigore ai tempi dello zar erano stati già sostituiti con altrettanti pressoché identici nella sostanza ma cambiati nella forma. Nella compilazione di nuovi testi risultavano omessi gli articoli relativi alla religione, agli onori una volta dovuti a speciali categorie di ufficiali, alle punizioni più gravi, ecc. L'istruzione e le norme per la condotta delle truppe e per il combattimento si basavano molto sti-ettamente su quelli tedeschi. Se ne differenziavano però sostanzialmente per l'importanza che i russi davano alla politica nei riguardi dell'istruzione e condotta delle truppe, come dimostralo da un 'asserzione nella prefazione del «Regolamento provvisorio per il servizio in campagna», edizione 1925: «I capi militari e politici debbono operare mano con mano». 558
L'importanza della politica nella condotta del combattimenlo era così grande che, ad esempio, per la scella del centro di gravità dell'attacco le considerazioni di quella natura dovevano avere il posto principale. 11 commissario politico doveva stabilire, tanto nella guerra di movimento che in quella di posizione, in quale sellare del fronte nemico si trovassero le truppe il cui stato morale affievolisse il loro valore combattivo, oppure quali fossero politicamente labili. Una speciale importanza aveva inoltre l'influen;,,a dei commissari politici prima del combattimento; essi, fra l'altro, dovevano indottrinare la truppa circa le necessità politiche dell'attacco. Le istruzioni erano in genere piuttosto schematiche, e si scostavano da quelle tedesche per i molti particolari che contenevano, il che era spiegabile tenendo presente la tendenza del popolo russo alla schematizzazione ed il basso livello intellettivo e conoscitivo della massa dell'esercito che imponeva la diffusione di molti dettagli .. La dottrina militare sovietica poteva essere così compediata: «Per ottenere il successo occorre agire con la massa delle forze nel punto decisivo, mediante una risoluta azjone offensiva rapidamente decisa dal comandante e prontamente attuata dalle tmppe~ alla difensiva (sempre manovrata) si deve ricorrere eccezionalmente, nei punti in cui sia necessario, e soltanto per la durata minima indispensabile; lo studio dello spirito delle truppe e delle popolazioni avversarie deve essere accurato e continuo, costituendo un fattore della massima importanza sia per la scelta del punto dell'attacco principale sia per lo sviluppo della propaganda rivoluzionaria». Nell'offensiva la divisione di fanteria, con i suoi mezzi d'artiglieria, poteva organizzare la rottura delle posizioni nemiche (senza reticolati) su una fronte dell'ampiezza sino a 2 km., ed il reggimento di fanteria assegnato al raggruppamento d'attacco agiva nom1almente in una zona ampia da 1 a 2 km. In presenza di reticolati, era prolungata la preparazione d 'artiglieria e veniva ristretto il fronte dell'attacco principale della divisione o del reggimento. Il corpo d'armata, per la rottura del fronte nemico, doveva generalmente costituire il suo gruppo d ' attacco in modo che tra gli analoghi gruppi delle divisioni non rimanessero intervalli, oppure che questi non fo ssero superiori al mezzo chilometro. L'ampiezza della zona del gruppo d'attacco del corpo d'armata era di 4-6 km. Nella difensiva l'ampiezza media delle zone di difesa variava dm 3 ai 4 km. per il reggimento, dagli 8 ai. 12 km. per la divisione, dai 24 ai 30 km. per il corpo d'armata. 559
Nulla di positivo era noto, proseguiva il documento, circa i concetti operativi sovietici in caso di guerra; al riguardo era possibile formulare soltanto qualche ipotesi, sulla base di pochi elementi di una certa attendibilità. dei quali si era in possesso. Tenendo conto dei presupposti delle manovre compiuti negli anni precedenti dall'esercito sovietico sulle frontiere occidentali (comprese le manovre del 1928 in Ucraina), si poteva desumere che, nel caso si fosse avverata l'ipotesi più probabile di una guerra tra l'URSS da un lato e la Polonia e la Romania dall'altro, il comando supremo russo si sarebbe proposto in un primo tempo di agire offensivamente contro la Romania, tenersi sul1a difensiva sul fronte della Polonia, e rnantenersi sulla difensiva sul fronti del Baltico (nel caso che altri stati baltici fossero intervenuti contro l'URSS) e nel Mar Nero. II primo atto offensivo sovietico avrebbe potuto essere il ten tativo di occupazione, nelle prime ore di ostilità., della Bukovina, ossia della zona nella quale si sviluppava il confine tra la P.olonia e la Romania (circa un centinaio di chilometri in linea d'aria), allo scopo di separare i due Paesi alleati interrompendo l'unica grande linea ferroviaria di arroccamento diretta LembergCemowitz. Contemporaneamente l'esercito russo avrebbe puntato all'invasione della Bessarabia, per ragioni politiche oltreché militari . Le operazioni contro la Romania sarebbero state condotte con 1a massima energia, in modo da iiquidare ai più presto, o aimeno porre in condizioni precarie, il nemico meridionaie, per poter quindi rivolgere senz'altro quasi tutte le forze contro la Polonia. La flolla del Mar Nero avrebbe potuto essere impiegata per il blocco delle coste romene e per la protezione del fianco e delle retrovie dell'esercito impegnato su l fronte romeno. La scelta di quest'ultimo teatro di guerra per le operazioni offensive iniziali avrebbe potuto essere suggerita anche dalla convenienza, per i sovietici, di agire all'inizio contro l'avversario meno temibile per ottenere subito qualche successo atto a rafforzare il m orale delle truppe rosse ed a consolidarne la compagine, oltrerché a suscitare l' entu siasmo delle popolazioni con la riconquista della l!essarabia. A prescindere comunque dalle concezioni operative, un dato importante era quello del!' abbondante produzione di gas da combattimento della quale l'URSS avrebbe potuto disporre per condurre attacchi aereo-chimici, le cui procedure venivano accuratamente sperimentate durante le manovre avendo come obiettivi alcuni fra i più grandi centri abitati. Mette conto riportare testualmente una parte delle considerazio560
ni conclusive suJl'organisrno militare sovietico posle al termine della relazione: «f ... / L'intensa attività svolta dal governo e daKli or:::ani militari ed il concorso prestato dalle orJ?anizzazioni ausiliarie hanno indubbiamente migliorato l'efficienza complessiva dell'esercito russo; pur tuttavia sono ancora numerose le lacune dell'organismo militare sovietico. ll fattore politico ha continuato ad essere La base dell'organizzazione e dell'educazione rnilitare. Si insegna al soldato che l'esercito russo è "l'arma della dittatura del proletariato", ossia la d(fesa vivente del regime contro tutti i nernici. 11 concetto della »causa» che è venuto a sostituire l'idee di patria deve perciò rendere il soldato capace della maf:f:ÙJre abnegazione e di ogni eroismo. Si comprende quindi quanto siano curate l'organizzazione e l'educazione politica del 'esercito, sia per irnpedire il contagio delle correnti di opposizione e del malcontento delle campagne, sia per aumentare nei reparti l'inJZuenza del partito al quale si cerca di attrarre soprallullo gli eletnenti operai considerati come i piùfedeli al regime. IL continuo peggioramento delle condizioni di vita della maggfr>ranza della popolaàone (causato, principalmente, dall'applica zione forzata del piano quinqttennale dell'economia nazionale) ha naturalmente fatto crescere il malconiento contro il regime, .~pec:ie nelle campagne, favorendo la dUfusione delle idee dell'opposizione di destra. È evidente che se il malcontento contro la linea politica seguita dal partito si c~ffèrmasse nell'esercito, che deve essere la difesa vivente del regime, verrebbe a mancare a quest'ultimo la sua hase più solida, ed è perciò Lo:::ico che le più rigorose rnisure siano state adottale per scongiurare il pericolo. '/ali misure hanno riJ?uardato i più vari aspetti: revisione accurata dell'apparato politico fra le truppe; controllo minuzioso della provenienza sociale di tutti i militari, con l'espulsione dal!' esercito di tutti gli elementi "dubbi" o "socialmente estranei"; verUica di tutti i militari iscritti al partito, con un'inchiesta particolare sull'allività e le tendenze di ciascuno di essi (inchiesta conclusasi con numerose esclusioni); azione diretta a far entrare nel partito specialmente gli elementi di origine operaia, favoriti anche nell'ammissione alle scuole reJ?J?imentali ed alle scuole militari; massimo rigore nel controllo dei cilladini chiamati alle anni per impedire ù1filtrazioni di »elementi non lavoratori» nei reparti; ,naggiore cura nell'educazione politica delle truppe; incremento all '»autocritica»; richie561
sia di maggiore allività di partito ai "giovani comunisti" alle armi; azione tendente a far sì che i militari contadini si facciano propagandisti delle idee del partito nelle campagne; ecc. La disciplina è sempre mantenuta nel modo più ferreo, e qualsiasi man?festazione non per:fellamenle ortodossa è repressa fin dal primo indizio. Tuttavia negli ultimi mesi non sono mancate alcune "sorprese": ad esempio, dopo che la tendenza di destra è stata tante volte definita come il maggior pericolo per l'esercito, è stato recentetnente scoperto che in qualche reggimento militari comunisti, isolati od in gruppo, compivano da tempo la propaganda di tali idee. Sono inoltre ancora frequenti i casi di antisemitismo fra le truppe, nonostante che tali manifestazioni abbiano ricevuto la qualifica di "controrivoluzionarie". Sembra perciò probabile che malgrado tutte le misure prese lo spirito della massa, costituita per la maggior parie di contadini, risenta ancora dello staio d'animo delle campagne, sopratullo a causa del peggioramento della situazione economica a tutti manifesto. Anche l'affiatamento fra i comandanti ed i gregari non sembra aver fatto progressi, nonostante che l'autorità militare si preoccupi
di ciò da tempo e cerchi in ogni modo di far mutare tale stato di cose. I soldati russi danno l'impressione della disciplina passiva, dell'adattamento ad uno stato di cose ritenuto inevitabile. Fra la truppa ed il personale di comando non esiste molto affiatamento, la stessa dura disciplina impedisce che il soldato, fuori servizio, veda nel comandante soltanto il "compagno" come vorrebbero le teorie comuniste, mafa sì che egli ricordi sempre di trovarsi di fronte al superiore, più temuto che amato. L "'autocritica " non ha certamente contribuito a far migliorare tale stato di cose» (6). 2. La seconda metà degli anni 1renta Un a]tro documento di specifico interesse militare era rappresentalo da] «Regolamento di campagna provvisorio dell'URSS» emanato nel 1936 e trasmesso l'anno successivo, attraverso i soliti canali (S.I.M., Stato Maggiore OPR e Add.to), dall'ufficio dell' ad-
(6) AUSSME, I 4~1/3, senza indicazione di prot. datata 1929, da Ufficio del Capo di Stato Maggiore Generale senza indicazione di dcstinataiio e di firma.
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detto militare a Mosca (7). Il rego1amento, un misto di norme per il combattimento ed il servizio in guerra, non aveva un preciso riscontro con gli omologhi italiani, né vi si desumeva chiaramente quale fosse lo spirito della dottrina bellica russa ma solo alcune norme di impiego di unità e reparti. È riportato, nella versione riassunti va dei paragrafi principali, ne11' A1legato 15. Esso era altresì corredato da una concisa monografia su1le norme di impiego dei carri armati, anch'essa riprodotta nell'allegato 16, e da una nota concernente le modalità dell'azione controcarro da parte dell'artiglieria. Le fasi di questa azione erano così suddivise: /a Fase: azione di interdizione, da svolgersi secondo le nonne genera1i re1ative a questa specie di azione, con l'impiego di granate dirompenti con spoletta ritardata. 2a Pase: azione di protezione da parte di tutta 1' artig1ieria divisionale. - Preparazione: I) Studio ddle probabili direzioni di avanzata dei carri e ripartizione fra le batterie di ogni settore. Ogni batteria aveva così una direzione della quale era responsabile. 2) Ogni batteria preparava uno sbarramento di 50 metri di fronte in punti determinali della direzione assegnatale (punti che potevano essere indicati da ostacoli naturali od artificiali). 3) Aggiustamento del tiro su queste barriere, srruttando punti di riferimento visibili. - Esecuzione: I) Quando si scorgevano i carri (o si aveva notizia dell'attacco), bisognava aggiustare il tiro rapidamente sopra i punti di riferimento e calco1are i dati di trasporto per ogni barriera. 2) Calcolare il momento in cui aprire i1 ruoco su11a posizione futt1ra dell 'obiettivo (tenere in generale presente una velocità media di 12 km. per ora-200 metri al minuto) tenendo conto della durata della traiettoria. 3) Al giungere dei carri nei diversi punti di passaggio previsti, apertura de1 fuoco ed effettuazione de1lo sbarramento. 4) All'uscita dei carri de11o sbarramento, effettuarne un altro e così successivamente.
(7) AUSSME, LlO -1 2/1. senza indicazione di prot. del 26.8.1937, da Comando del Corpo di Stato Maggiore-ut'f. Add.to a Sottosegretario di Stato per la Guerra, f.lo illeggihile.
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5) Impiego della granata dirompente con spoletta ritardata.
Ja Fase: Tiro diretto con pezzi anticarro - Preparazione: 1) Studio della postazione per ogni pei'.zo, ricordando che da essa si doveva vedere fino a I km. e che doveva essere possibilmente defilata alla vista ed all'osservazione aerea. 2) Co11ocazione dei pezzi in postazione durante ]a notte e ]oro mascheramento al meglio possibile. 3) Studio del terreno antistante ai pezzi e sua suddivisione in due settori, ri ssandone i limiti laterali e di gittata; conoscenza della posizione della propria fanteria e stima della distanza di diversi punti scaglionati in profondità. 4) Elaborazione per ogni pezzo di una specie di schizzo dove fossero approssimativamente disegnati i limiti di settore, i punti di riferimento, lapòsiiione della propria fanteria e la zona battuta dal pezzo.· Esecuzione: 1) Ali'apparire dei carri ·il capo pezzo ne designava uno al puntatore (preforìbi!inentc, se possibile, quello del comandante) e dava contemporaneamente la distanza dedotta dallo schizzo e lo spostamento corrispondente al punto di entrata in uno dei settori previsti. Oi'dfoa va po i di caricare ed aspe ttava, per dare il comando di fuoco, che il carro entrasse nel sellore. 2) il puntatore esegu iva il puntamento diretto sopra la base del cam), tenendo contò d ell a di rezione di marcia; se questa era quella della batteria, doveva pu ntare direttamente su l centro de!Ia base per una distanza eguale a mezzo c~U"ro; se l'angolo era maggiore df.30°, un carro avanti . 3) L ' osserv4zionc del tiro era di competenza: del capo pezzo, il quale còrreggeva: a) in giltala, còn sbalzi di 100 mt. (ìn ak:une .occasioni, secondo la velocità; gli sb~ilzi potevano essere di 50 o 200 mL ); b) in dfrczionèi se la direzione di marcia era quella verso la batte1:ia\s{correggeva solo se la deviazione .era maggiore di un carrò èd in senso contrario alla marcia di questo ; la correzione ari1bo j casi si rac(\va sulla graduazione di direzione. In tùtti gli ,.iltri casi (deviazione avanti al carro o dietro od a meno di u1{c;Ùrro) .il capo pezzo non apportava 11csstma correzione, 1imitandosi a trasmettere al puntatore il risultato della sua osserva. zione perché questi gli correggesse il puntamen to. 4) Quandoil carro giungeva ad una distanza fissa per ogni tipo di
in
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carro (quella la cui lraiettoria aveva un'ordinata eguale all'altezza del carro, generalmente 2 mt.), distanza che doveva essere annotata sullo scudo, non si correggeva in gittala, ]irrutandosi il capo pezzo a trasmettere 1'osservazione al puntatore che varia va il punto di mira mezzo carro più in alto o più in basso. 5) Distrutto un carro si passava ad un altro con le stesse regole. 4a Fase: Tiro a puntamento dirello con ogni tipo di materiale - Preparazione: Bisognava cercare che tutte le batterie avessero davanti un campo libero di circa· 800 rnelri e, mancando questo, tenessero pronto un secondo schieramento vicino che soddisfasse a questa condizione. Ogni batteria si sarebbe dotata di: un osservatorio speciale controcarri per avvistare l'arrivo di questi, ed il comandante avrebbe segnalato ad ogni pezzo un carro ed avrebbe dato l'ordine di aperlura del fuoco. Le batterie dovevano seguire le stesse norme che erano state dettate per i pezzi anticarro. Dovevano impiegare la carica massima ed aprire il fuoco aJle seguenti distanze: calibri dal 75 al 105 = 1,5 km.; calihri fino ::il 70 = 1 km Anch,-". in q11csln caso, impiego della granata (tirompente con spoletta ritardata~ Per quanto riguardava l'addestramento del personale delle ballerie anticarro, le disposizioni tendevano a preparare progressivamente i capi pezzo, i puntatori ed il resto del personale ad eseguire le seguenti operazioni: stima delle distanze; compilazione di uno schizzo-pianta del pezzo (fino a realizzarli in 10'); scelta della postazione del pezzo; mascheramento; puntamento continuo sopra una sagoma di carro trascinala mediante un trattore od un mulo; tiro sopra una sagoma in marcia con un fuci le appoggiato sopra la generatrice superiore del cannone; tiro reale col cannone sopra la sagoma, previa autorizzazione del comando. Un ' altra nota, sempre a corredo del documento menzionato, riguardava i reparti motomeccanizzati , termine con il qual e nell' URS S si designavano i reparti carri propriarnenle detti, quelli cli autobìindo e que ll i ne11 a cui compo si zione entravano anch e. unità di fanteria autoportata. Si avevano q uindj unità carri (mg-· gruppate in brigate e reggimenti), unità complesse rnotorneccanizzatc cd unità carri in assegnai.ione organica alle CC.UU . di fante~ 56.5
ria e cavalleria. Le prime erano costituite prevalentemente (e con tutta probabi1ità esclusivamente) da carri armati con qualche batteria di autocannoni e mitragliatrici controaerei, ed erano destinate a costituire sul campo di battaglia masse d'urto per l'offesa ed il contrattacco. Potevano essere assegnate eventualmente alle armate ed ai corpi d'armata per compiti speciali. Le seconde erano rappresentate dai corpi motomeccanizzati, vere e proprie grandi unità che disponevano di una massa di fanteria cd erano perciò idonee ad assolvere compiti tattici. Le unità carri in rinforzo alle divisioni di fanteria erano costituite da battaglioni di soli carri, e formavano masse di manovra nelle mani del comandante la divisione. Unità maggiori, a livello di reggimenti, erano quelle assegnate alle divisioni di cavalleria; esse comprendevano un reparto esplorante (battaglione autob1indo e carri leggeri anfibi), battag1ioni carri e, con tutta probabilità, una compagnia o battaglione di fanteria autoportata. Le formazioni di tutte le unità carri non erano note, e risultava che fossero tuttora in corso di esperimento. L'ordinamento delle unità fondamentali era comunque il seguente: battaglione su 3 compagnie, compagnia su 3 p1otoni, plotone su 5 carri leggeri e 3 medi. Il battaglione da ricognizione sembrava fosse costituito da una compagnia autob1indo, una o due compagnie carri leggeri (anfibi, tankettc o tipo Vickers), una batteria di autoeannoni da 76, qualche autocarro con mitragliatrici antiaeree, un reparto co11egamenti ed un reparto zappatori autotrasportato. Il battaglione di fanteria autotrasportato era denominato fucilie1i-mitraglieri ed aveva una forza all'incirca di 500 uomini con una cospicua dotazione di mitragliatrici pesanti, leggere e rucili automatici, una batteria cannoni e qualche autocarro con mitragliatrici antiaeree. Non si avevano notizie attendibili suìla consistenza delle truppe tecniche e sull' organico del reggimento di artiglieria, sulla presenza di una batteria nella formazione delle brigate carri e su quella di un battaglione fucilicrimitraglieri nelle stesse unità. I battaglioni fucilieri avevano una dotazione di armi automatiche molto superiore a quella del battaglione di fanteria normale. Nell ' esercito sovietico, proseguiva la nota, tutte le artiglierie pesanti erano motorizzate. TI tipo di trattore adoU.ato per il loro traino dal 1936 e denominato Comintern (8) era un veicolo della struttura norma1e di un autocarro, mosso esclusiva-
(8) Termine che indicava l'Internazionale Cornunisl.a.
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mente da un sistema cingolato, con carrozzeria anch'essa a normale cassone di autocarro ove gli uomini, 12, erano sistemati con ripieghi. 11 mezzo era poco rumoroso e dotato di una discreta velocità. Come trattore di artiglieria aveva il grave inconveniente di disporre soltanto del cingolo come organo di movimento, di essere molto alto e quindi facile a squilibrarsi e di non sembrare troppo adatto a superare ostacoli anche di piccole dimensioni in terreno vario. Il lrattore in queslione era impiegalo anche per il traino delle arliglierie antiaeree. Le artiglierie di corpo d'annata e quelle divisionali erano invece prevalentemente ippotrainate, così come quelle rcggimenlali e di battaglione che però potevano anche essere trainate da un trattore leggero. Si trattava di un piccolo veicolo cingolato, lungo circa 3 metri, largo ed alto 1,50, con equipaggio di 6 uomini seduti tre per parte, schiena contro schiena, laleralmenle alla direzione di marcia; il complesso, molto basso e maneggevole, era un derivato del noto Carden Lloyd. Nell'ambi lo sempre specificamente lecnico rientravano alcune fra le più interessanti comunicazioni info1mative inviate dall'addetto militare nel corso del 1938. In ordine cronologico, la prima di esse riguardava i criteri della difesa anticarro presso l'esercito sovietico quali erano desumibili di un articolo redatto dal generale Rikhard, che aveva comandato una brigata repubblicana durante la guerra di Spagna tuttora in corso. Fra i diversi mezzi e procedimenti da impiegarsi erano menzionate le trincee a tracciato spezzato, costruite a salienti e con decorso rientrante, nei confronti delle quali il carro armato perdeva la maggior parte della propria efficacia dovendosi avvicinare a breve distanza (non più di 10-30 mt.) per ollenere dalla sua azione di fuoco un riscontro efficace, esponendo però così il fianco alla reazione dei difensori. Questa tipologia di trincea, inoltre, era anche valida contro l'azione delle granate e delle bombe, la cui esplosione poteva essere pagante solo ad una distanza_di 4-5 metri contro i 30-40 entro i quali si manifestava l'efficacia dello scoppio in una trincea ad andamento lineare. A1trettan lo validi erano giudicati i posti anticarro avanzati, collocati a circa 150 met.Ii davanti alle trincee e composti da 2-3 tiratori scelti ciascuno dei quali era dotato di bottiglie di benzina e di granate a mano, alla cui protezione nella fase di ripiegamento, da effettuarsi lungo itinerari preventivamente stabiliti, era predisposta una mitràg_lìatrice leggera lungo il fronte di ogni compagnia. Questi posti, efficacemente mascherati cd addestrati ad una rigorosa ossetvanza clelle disposizioni impartite, dovevano lasciare avvi567
cinare il nemico senza svelarsi sino ad una distanza variabile dai 200 ai 300 metri, aprendo successivamente il fuoco con i moschetti mirando al serbatoio di benzina dei carri e passando, in caso di mancala loro combustione, al lancio delle bottiglie incendiarie contro il motore che, essendo molto riscaldato, risultava facilmente infiammabile. Questa modalità di offesa poteva essere utilmente integrata dal lancio di mazzi di granate a mano legate insieme, dai quali sporgeva solo l'impugnatura della granata mediana liberata dell'anello di sicurezza e la cui esplosione, una volta scagliato il mazzo sotto i cingoli del carro avanzante, provocava quella di tutte le altre. Un alternativo, opportuno criterio èra quello di sistemare le posizioni difensive nelle zone nelle quali i carri trovavano ostacoli naturali alla loro manovrabilità (laghi, boschi, fiumi, canal i, fossi, linee ferroviarie, ccc.), ovvero di aJlestire 9stacoli artificiali quali scarpate mollo ripide, trappole ben mascherate, mine a pressione ed a corrente elettrica, pali di ferro infissi nel terreno, rotoli di filo di ferro e di acciaio da stendere per terra per l'avvolgimento ai cingoli (9). La seconda infonnati va concerneva l'organ izzazione controacrea della quale veniva specificato, in particolare, il servizio di avvistamento distinto nelle seguenti forme: Servizio di avvistamento in generale: era organizzato per l'intero giro di orizzonte e comprendeva: una rete di avvistatoli e, dove necessario, anche degli avvistatori aerei; centri di raccolta notizie; trasmissione delle notizie degli avvistalori ai centri di raccolta e segnalazione del pericolo aereo alle I.ruppe ed ai servizi; segnali generali di al1arrne aereo ed organizzazione di un rapido ricevimeulo G ripclizione dei segnaii mcàesimi; rete di collegamento e segnalazioni. Nelle truppe il servizio di avvistamento era effettuato: dai normali organi del servizio di ricognizione e sicurezza; da speciali pattuglie di 3-5 uomini; dagli osservatori e dai posti di comando dei reparti di artiglieria antiaerea, fotoelettrici, delle postazioni di mitragliatrici antiaeree ed anche dagli osservatori e posti comando delle rimanenti truppe; (9) AUSSME, Ll 0-12/1 , prot. Z/5793 del 16.4.1938, da S.I.M. a Stato Maggiore Uff. Add.to e ad Ispettorati Panleria e Motori zzazione, fJo col. Tripiccionc.
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dagli aerei del serv1z10 antiaereo e da altri appositamente comandati. Vi prendevano inoltre parte gli organi del servizio delle truppe ed i posti di collegamento ed osservazione con gli aerei (di reggimento, divisione e corpo d'armata). Per annunciare alle truppe l'allarme aereo erano previsti due segnali: a) «ricognizione aerea», quando si avvistavano uno o due aereoplani; b) «pericolo aereo», quando si avvistavano tre o più velivoli, di notte in ogni caso e quando si avvistavano singoli aerei che si abbassavano di quota. Per le segnalazioni di a11arme, che dovevano essere effettuate ininterrottamente per uno o due minuti, si impiegavano antenne indicanti, sirene, campane, ecc. La direzione del servizio di avvistamento faceva capo agli stati maggiori dei comandi che la effettuavano (reggimento, divisione, corpo d'armata) ed erano considemento. Servizio di avvistamento delle truppe in stazione: Il servizio periferico era assicurato da11e truppe <li sicurezza e quello interno dal grosso delle rimanenti. I posti di avvistamento periferici erano interva11ati da 6 a 10 km. a seconda della visibilità. Le truppe di altre unità dislocate nelle retrovie si garantivano con il servizio di avvistamento dei reparti antistanti, con un proprio servizio distribuito attorno alla zona da esse occupata e con un servizio di avvistamento immediatamente vicino ai punti di stazione. Servizio di avvistamento in marcia: Era organizzato con il criterio di proteggere le truppe in marcia da tntte le provenienze. Tposti <li avvistamento erano ripartiti in mobili o fissi a seconda della situazione. l posti fissi assolvevano il loro servizio fino al momento in cui le truppe avessero oltrepassato un limite o punto stabilito in precedenza o secondo un determinato orario. Oltre ai posti di avvistamento, còncorrevano al servizio le truppe di sicurezza e le truppe delle colonne in marcia che distaccavano speciali pattuglie con osservatori a cavallo o su automobili da inviarsi sui più vicini punti adatti ali' osservazione per ogni compagnia, squadrone o balleria. Ogni pattuglia marciava al seguito del reparto e doveva eseguire ininterrotta osservazione sul giro d'orizzonte. Gli osservatori aerei veni vano inviati in quella direzione dove 569
era richiesta l'organizzazione del servizio mobile e dove ern difficile mantenere il collegamento dei posti a terra. Particolare attenzione doveva essere rivolta all'organizzazione dei centri di raccolta delle notizie, cioè la possibilità di ricevere ininterrottamente gli avvisi dei posti di avvistamento e di trasmellere i segnali di allarme alle truppe in marcia. I centri di raccolta disponevano di stazioni per comunicare con gli aerei, ed ogni colonna almeno due stazioni dovevano essere sempre in ascolto. Servizio di avvista,nento in comhaLtùnenlo: Il servizio di avvistamento durante il comhattimento era effettualo dall'aviazione, da speciali posti di avvistamento organizzati da ogni compagnia, squadrone o halteria, dai repart.i di collegmnento ed osservazione con gli aerei (di reggimento, divisione o corpo d'armata),dagli osservatori dell'artiglieria o mitraglieri antiaerei. I gruppi di aerei nemici che si dirigevano verso le retrovie dovevano essere immediatamente segnalati alle unità di 2" scaglione e successivi ed ai servi:ti I posti di avvistamento dell'ai1iglieria antiaerea comunicavano le 1nm nsserv}17,Ìnni }li r'.rnmmrli cli r0r110 (l':H"tnflf R o di rlivi'.s!0!l(': ( !()) _
L'incremento in allo da qualche tempo nell'Annata Rossa circa la valutazione dell'importanza del fuoco quale fattore risolutivo sul campo di battaglia costituiva l'oggetto di una terza comunicazione. In essa si evidenziava come la questione riguardasse sopraltullo l'artiglieria, nei confronti della quale si assisteva ad una vera e propria attivazione propagandistica con un'impostazione quasi reclamistica: cartelloni murali per le strade invitavano i giovani ad iscriversi alle scuole di reclutamento per l'arma, e la stampa, militare e non, riservava alla stessa pagine intere abbondantemente illustrate. Si riteneva che tale campagna mirasse ad accrescere ancor più il prestigio dei nuovi modelli di bocche da fuoco delle quali erano già stati definiti i prototipi. Un'altra motivazione, espressa da fonti attendibili in quanto profonde conoscitrici della siluaz.ione interna dell' apparato militare sovietico, sarebbe stata quella che proprio nell'ambito dell'artiglieria aveva infierito l'epurazione staliniana rendendola pertanto molto bisognevole di un rinsanguamento dei quadri (11 ). L'importanza del fuoco non escludeva, ovviamente, anche la
(10) AlJSSME, LI0-1 2/L, proL 5278 del 19.4.1938, da Stato Maggiore - Ufficio del Sottocapo OPR a Stato Maggiore-Ufficio del Sollonipo per la Difesa TctTitorialc, f.to Soddu. ( 11 ) AUSSME, LI 0-12/1, proL Z/6554 dcli' I 1.5. 1938, da S.I.M. a Stato Maggiore Uff. Add.to, Lt.o col. Tripin:ionc.
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fanteria e la cavalleria, ed a ciò era ispirato il nuovo regolamento sulla «preparazione al fuoco» che, nell'edizione 1937, innovava i precedenti emanati nel 1932 e nel 1935. Gli scopi pratici da perseguire in questa preparazione erano: istruire i tiratori, i mitraglieri ed i lancia-granate a colpire con precisione i bersagli in relazione alla situazione di impiego ed in armonia alle proprietà dell'arma; istruire i comandanti nell'organizzazione del fuoco per dirigerlo abilmente e per saperne sfruttare tempestivamente i 1isultati nel combattimento; istruire i singoli reparti nel coordinamento del fuoco con la manovra; organizzare l'integrazione del fuoco dei vari mezzi sia nell'interno del reparto sia con quello delle unità viciniori, anche tenendo conto di quanto predisposto per il rafforzamento delle posi z10n 1. Un'ottima preparazione al fuoco non veniva naturalmente di per sé stessa. Soltanto l'esercizio sistematico operato di giorno in giorno avrebbe consentito al tiratore di raggiungere la capacità di eseguire un buon lavoro. La pratica del tiro richiedeva speciali istruzioni svolte in adatte condizioni di poligono, in varie situazioni tattiche, in diversi stati di capacità fisica cd inoltre attraverso le gare di tiro. 11 nuovo regolamento recentemente approvato dal Commissario alla difesa conteneva le massime da seguire nell'istruzione al tiro e le procedure secondo le quali organizzare l'addestramento di un efficace tiratore. Fissava inoltre un concreto programma di preparazione al fuoco basato sul graduale e consequenziale passaggio dalle esercitazioni semplici a quelle più complesse. Preminente importanza si attribuiva al tiro individuale di guerra, al tiro dei comandanti cd alle esercitazioni tattiche con tiri di combattimento. Le esercitazioni al tiro individuale consistevano in compiti di carattere tattico e di problemi di fuoco; prima di essere affrontati in campo reale, i militari veni vano orientati con istruzioni eseguite con le cassette di sabbia, con i poligoni in miniatura e con esercitazioni di tiro con cartucce di piccolo calibro e da esercita;,,ìone. Se in questi addestramenti preliminari il soldato si dimostrava non idoneo dal lato tattico, egli non aveva «diritto» di prendere parte alle esercitazioni a fuoco. 11 controllo dell'applicazione dei soldati al terreno e della loro capacità a mascherarsi doveva essere compiuto dal comandante o da uno speciale osservatorio dotato di periscopio impiantato in luogo protetto. Il regolamento faceva divieto 571
di effettuare esercitazioni di tiro con armi che non fossero nelle normali condizioni di impiego (specie per quanto concerneva appostamenti di mitragliatrici) e di eseguire in una stessa esercitazione più di una lezione. Tutto il personale di cava1leria doveva essere istruito a tirare non solo contro bersagli terrestri ed aerei ma anche trovandosi a bordo dei mezzi motocingolati come pure in sella, adoperando moschetti, pistole e granate a mano. Il regolamento indicava speciali esercitazioni e suggeriva norme per l'esecuzione di tiri con reparti di cavalleria. Il personale comandante inferiore prendeva parte alle esercitazioni di tiro insieme ai propri reparti. Tutti gli ufficiali, ad ogni modo (comandante di reggimento compreso) erano obbligati a saper adoperare personalmente le armi in dotazione ai reparti ( 12). La regolamentazione sovietica sulla difesa contro gli aggressivi chimici, per quanto concerneva le conoscenze dell'argomento da parte delle truppe, era basata su una serie di nozioni e nonne molto elementari ed alquanto scontate; mette conto, ad ogni modo, soffermarsi sulla parte finale delle istruzioni in quanto dimostrativa di indottrinamento po litico i cui criteri ispiratori prescindevano da ogni argomentazione tecnica per assumere un aspett.o meramente propagandistico immesso forzosamente in quella generica e sommaria enunciazione: «[... I Ma la difesa eseguita soltanto col respingere gli attacchi chimici del nemico non è sufficiente. Occorre respingere gli attacchi nemici che saranno effettuati con un'arma nuova, con la stessa arma. Occorre imparare ad impiegare l'arma chimica, poiché non può presupporsi una guerra senza l'impiego di tale arma. Per questo occorre in primo luogo organizzare l'arma chimica e successivamente averla bene àotata per poter sostenere un combattimento chimico. Solo un 'industria chimica ben attrezzata potrà approvvigionare tale arma. L'industria chimica non opprimerà gli operai. La,felicità dell'operaio e l'amministrazione contadina fioriranno. Non saremo spinti a comprare coloranti o altri preparati chimici costosi all'estero. La nostra industria chimica li fabbricherà tutti. (12) AUSSME, Ll0-1 2/1, prot. Z/6975 del 12.5.1938, da S.l.M. a Stato Maggiore Uff. Add.lo, f.to ten. col. Broccoli.
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Il contadino riceverà concimi chimici preziosi per la concimazione del terreno e con questa la raccolta sarà aumentata. La stessa industria ci produr.rà grandi quantità di gas vari, che saranno impiegati per la distruzione degli insetti nella campagna. Ecco perché l'operaio e il contadino hanno anch'essi bisogno dell'industria chimica ben attrezzata, alla stessa stregua dell'esercito e dell'intero paese. ln che cosa un soldato del!' esercito potrà riuscire utile ad un contadino? In primo Luogo occorre che egli insegni al contadino del suo comune il modo d'impieKo dei concimi e dei gas per la distruzione deili insetti. Egli mostrerà il loro vantaigio e mediante questo produrrà l'aumento della domanda di prodotti dell'industria chimica. Infine, a causa dell'aumentata domanda sarà aumentata la produzione e sarà aiutalo, con tale metodo, il contadino e l'operaio a .fort(ficarsi» ( 13). Nel 1939 il Maresciallo Voroscilov (14) fece un bilancio dei provvedimenti mi li tari adottati in Unione Sovietica nell'ultimo quinquiennio, che potevano così riassumersi: costituzione del Consiglio Superiore Militare su 11 membri sotto la presidenza di Stalin; istituzione del servizio militare obbligatorio, con ferma prolungata la cui durata era variabile in funzione delle diverse armi e specialità; incremento della potenza di fuoco del corpo d'annata, con capacità di rovesciamento sul nemico di 79 tonnellate <li proiettili al minuto a fronte delle 61 di un corpo <l'armata francese e delle 59 di uno tedesco; aumento degli effettivi della divisione di fanteria da 13.000 a 18.000 uomini. La sua costituzione, alla fine del 1938, era così articolata: (13) AUSSME, LI0-12/1 , prot. Z/7974 del 31.5. 1938, da S.T.M. a Sottocapo Stato Maggiore OPR e a Direzione Servizio Chimico Militare, f.to col. Tripiccione. (14) Kliment Efremovic Voroscilov ( 1881 -1969), ucraino, figlio di un ferroviere, partecipò sin da giovanissimo alla vita politica e nel 1921 entrò a far parte del Comitato Centrale del partito comunista. Fu successivamente comandante mibtare della regione di Mosca, membro del Politburo e dal 1925 Commissario del popolo alla dif'esa ed agli affari navali, carica che conservò sino al 1940. Allo scoppio della 2a g11eTTa mondiale divenne comandante del seU.ore setlenlrionalc, sostituito da Zukov dopo non essere riuscilo a bloccare l'avanzata tedesca su Leningrado e quindi destinato al comando delle forze sovietiche dell'Estremo Oriente. Nel 1953 fu nominato presidente del Presidium del Soviet Supremo.
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3 reggimenti di fanteria; 1 reggimento di artiglieria divisionale, in genere ippotrainato, con 3 gruppi bicalibri su 3-4 batterie con mezzi da 7,62 e 122 mm.; lo scopo di questa struttura organica, diversa da que11a di tutti gli altri eserciti, era probabilmente quello di dare ad ogni comandante di gruppo una gamma di traiettorie idonee a garantire un efficace intervento quale che fosse la configurazione del terreno; - 1 battaglione da 1icognizione, su l compagnia autoblindo + 1 carri leggeri+ 1 di autocannoni; - 1 battaglione collegamenti+ I nucleo aereo su 3 velivoli (sempre per il co11egamento) + 1 compagnia zappatori. La caratteristica più rilevante della divisione sovietica era la grande potenza di fuoco dovuta alle 6 batterie d'accompagnamento ed alla decina di batterie divisionali, normalmente rinforzate da un gruppo di cannoni di medio calibro organicamente assegnato al corpo d'armata. Quest' ultimo, in base al recente aumento degli effettivi, veniva a disporre di circa 60.000 uomini non comprendendo i reparti cani, le artiglierie ed i servizi. - Raddoppio delle unità di cava11eri a ( da l7 divisioni a 31 ), con miglioramento del loro annamento ed equipaggiamento; - aumento del numero dei carri armati e delle artiglierie in genere, soprattutto quelle controcarro e contraerei che negli ultimi due anni avrebbero goduto di un incremento del 28%; - sviluppo della componente formativa, con 63 scuole per la preparazione dei quadri inferiori e 14 accademie per la formazione dei comandanti e la specializzazione del personale tecnico; notevole impulso all'arma aerea, soprattutto per la specialità bombardamento che sarebbe stata in grado di trasportare simultaneamente 4000 tonnellate di bombe. Sulle dichiarazioni del capo delle fon•.e armate sovi eti che, secondo la valutazione dell' addetto militare, andavano formulate ampie riserve. TI problema militare, anche se ben avviato sotto l'aspetto quantitativo, presentava infatti al momento ancora notevoli carenze nella qualità dei materiali e profonde lacune tecniche e morali nel personale. L'epurazione staliniana, colpendo particolarmente i capi, aveva distrutto quasi per intero 1'alto comando, e l'immissione di personale del ruolo politico, se aveva rafforzato la fedeltà al partito, aveva anche portato ai gradi elevati elementi giovani ed impreparati. Il modesto livello culturale dei quadri, pertan574
to, permaneva e non consentiva agli stessi di allontanarsi dallo schematismo, p01tandoli alla meccanica applicazione di quanto avevano imparato e rendendoli pigri nell'assunzione di responsabilità e decisioni nell'ambito dell'impiego operativo. Analoghe riserve potevano fomrnlarsi per le previ sioni estremamente ottimistiche espresse da Voroscilov in merito al programma di riarmo navale sovietico. Questo, iniziato nel 1930 con la costru;r,ione di sommergibili e proseguito nel 1935 con quella di incrociatori, aveva ricevuto nel 1939 un notevole impulso per porre la flotta, costituita essenzialmente da navi ereditate dalla vecchia marina zarista e successivamente rimodernate, in grado di competere con 1e altre nazioni e per creare una componente oceanica all'altezza. Benché il programma non fosse noto nei dettagli, era da ritenersi che il recente piano riguardante il potenziamento delle forze navali prevedesse per la fine del 1940 la costruzione di 4 navi portaerei, 4 coran,ate da 22.000 tonnellate, 12 incrociatori da 18.000 e 10.000 tonnellate, 50 son1rncrgibili di vario tonne!1aggio (portando così la ilt}l.la subacquea ad oirre i 50 haneiii) ed 8 navi posamine. ii suddetto programma, 1iferiva l'infom1ativa del S.l.M. sulla base delle notizie fornite dall'addetto militare, avrehhe trovalo certamente non poche difficoltà a svilupparsi data la situazione di crisi del Paese, cd era duhhio che le nuove costruzi(,ni avrehhero p<>lut{} essere real-izzate nei li11riti di te1npo previsti mancando ancora ai cantieri navali sovietici l'attrezzatura necessaria e le maestranze specializzale. Ancora più grave però, come per le forze terrestri, era la questione dei quadri, perché l'epurazione aveva spazzato via i 3/4 dell'alta gerarchia marinara e le navi erano in gran parte affidate ad ufficiali di dubbia preparazione. Si sperava di poter reclutare i numerosi quadri occorrenti alla nascente marina sov1et1ca con corsi acceìierati, ma era però eviàente che taie massa avrebbe avuto ben scarso valore professionale lenendo conto che il corpo insegnanti, anch'esso improvvisato, non offriva a1cuna seria garanzia. Si doveva perciò concludere che, nonostante gli sforzi del governo, la marina sovietica aveva per il momento, ed avrebhe avuto ancora per un pezzo, solamente possibilità difensive e che sarebbe occorso molto tempo prima che essa fosse in misura di passare all'attacco «per battere il nemico entro le sue basi», secondo le affennazioni piuttosto teoriche del Commissario agli affari navali (15).
(15) AUSSME. l 4-1/3. senza indicazione di protocollo datati 22.2.1.939 e aprile 1939, da S.I.M. a Ufficio Capo Stato Maggiore Generale.
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SoFietica, accompa;;na in Fisila al Cremlino il gen. Grazioli, capo della n1issione rnili!are italiana alle ;;rmuU manovre dell'esercito russo
Carro armato sovietico T35
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Roma, /937: i componenti di alcune missioni militari straniere w:compagnali dai ri,peltivi adderri militari in /111/iu
Kaunas (Lituania), marzo 1938: ili addetti mi/ilari accreditati presso la repubblica baltica
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Kaunas (Utuania), marza 1938: gli addetti militari rendono onwggio al mon.umtmto ai caduti lituani
Roma, dicembre 1939: un gruppo di addelli militari stranieri. li secondo ufficiale italiano da destra è il gen. Giacomo Carboni, da poco meno di un mese capo del S. I.M.
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Capitolo XX CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Giunti al tem1ine della nostra rassegna, ne conseguono una serie di riflessioni attraverso le quali è possibile evidenziare alcuni aspetti di fondo dell'attività degli addetti militari italiani fra le due guerre mondiali, valutandone soprattutto in termini qualitativi il riscontro con la realtà locale nella quale si trovavano ad operare e la ricaduta sugli organi centrali nazionali destinatari della loro produzione. Un primo elemento che emerge a fattor comune è rappresentato dalla alacre attenzione con la quale tutti gli ufficiali seguirono le correnti, più o meno occulte, del traffico di anni fra le varie nazioni, sia negli anni immediatamente dopo la prima guerra mondiale quanto in quelli successivi, controllandone giacenze, consistenze, provenienze, destinazioni, eventuali intermediazioni e «triangola:1.ioni», implicazioni finanziarie; il discorso vale anche per le forniture belliche ufficiali e per le molteplici sfaccettature di vario genere sussistenti anche dietro queste categorie ortodosse. Il problema assunse una rilevanza particolare verso la metà degli anni Trenta, allorché il conflitto italo-etiopico rappresentò un terreno di coltura ideale sul piano internazionale nel quale il più spesso la componente mercantile, ad onta de11e prese di posizioni sanzionistiche, faceva premio su quella ideologica, politica e diplomatica utilizzate sovente come utile schermo. A proposito delJo stesso conflitto, di grande interesse risulta quanto riferito dai nostri rappresentanti in merito all ' atteggiamento dei vari circoli stranieri influenti (governativi, militari, giornalistici) nei confronti de11'iniziativa italiana in Africa Orientale, una testimonianza diretta che fa ammenda di una certa storiografia nazionale a senso unico in chiave pregiudizialmente ed esclusivamente denigratoria. Un altro aspetto a fattor comune è la solerzia con la quale gli addetti militari seguirono la nostra penetrazione economica ed industriale nei Paesi di pertinenza, in non pochi casi facendosene addirittura promotori attraverso un'energica sensibilizzazione nei confronti degli organismi decisionali in Patria alla cui burocratica neghittosità erano, talvolta, da attribuirsi determinate assenze il cui protrarsi si 579
sarebbe rivelato oltremodo penalizzante. Tale efficace attivismo era tanto più rimarchevole quando si consideri che, all'epoca, l'iter formativo de11'ufficiale, anche di quello abilitato al servizio di stato maggiore e quindi potenziale candidato a11'incarico di addetto militare, non prevedeva una specifica preparazione su] tema. L'analisi della documentazione reperita consente di mettere in risalto altri aspetti variabili da caso a caso e da accreditare pertanto ai singoli protagonisti. Senza appesantire il testo con eccessivi riferimenti all' uno od all'altro elemento de] carteggio e lasciando al lettore il piacere di operare una scelta attribuendo ]oro un personale grado di interesse, va tuttavia sottolineata la completezza di certe informazioni quali ad esempio, nelJ 'ambito strettamente tecnico-mi li tare, la struttura organizzativa delle Heimatwehren austriache negli anni Venti e l'ordinamento de1la Wehrmacht nella seconda metà degli anni Trenta; ovvero, ne] quadro dei resoconti di avvenimenti, quelli relativi alle guerre greco-turca e russo-polacca tra il 1919 ed il 1922, agli scontri fra truppe cinesi e giapponesi a Shangai nel I 932 ed ali' occupazione dei Sudeti nel 1938, dove alle descrizione degli eventi si associavano preziosi spunti valutativi. Ma di interesse ancora più particolare risultano, a nostro avviso, le considerazioni di ordine politico e socio-ambientale che caratterizzavano argomenti quali le variegate realtà della Grecia nel 1919, della Polonia nei primi anni Venti, della repubblica di Weimar, quella albanese ed etiopica degli anni Trenta e la sofferta questione dell'Alta Slesia fra il 1920 ed il 1921. Anche in questi casi, i compilatori delle varie relazioni informative dimostravano una viva capacità di osservazione associata ad una non comune sensibilità percettiva nei confronti di situazioni ed ambienti complessi rilevando, di essi, elementi significativi e contrassegnati da una specifica valenza psicosociale. La motivazione che ci ha indotti aHa presente ricerca, oltre naturalmente a quella di lasciare traccia documentata di un'attività meritevole di un'attenzione storiograficamente maggiore di quanto non abbia sinora avuto, è stata anche quella di procedere ad una valutazione del suo aver colto o meno gli aspetti evolutivi più importanti dello strumento militare nel periodo fra le due guerre mondiali. A tale proposito si può affermare che, ad eccezione della componente aerea che ebbe uno sviluppo di grande rilevanza e fu oggetto di perfezionamenti così rimarchevoli da farne l'elementoguida delle nuove concezioni strategiche e tattiche sia della guerra terrestre che di quella navale, il progresso nelle armi e negli equi580
paggiamenti si mantenne ovunque in ritardo rispetto al contemporaneo progredire della scienza e delle sue applicazioni tecnologiche. AJl'infuori de11a Germania e dell'Unione Sovietica, ed in parte anche del Giappone, le altre grandi potenze rimasero molto indietro sotto l'aspetto di una concreta efficienza bellica. In Francia, Inghilterra ed in Italia l'appagamento per la soluzione vittoriosa del primo conflitto, il «misoneismo» proprio degli stati maggiori, i1 fiducioso conservatorismo circa la validità di procedure e tattiche già sperimentate e 1a convinzione di un lungo futuro di pace non stimolarono l'evoluzione dottrinaria ed ordinativa, ostacolando addirittura l'adozione di nuove concezioni che, germog1iate fuori della Germania e dell'Unione Sovietica, due Paesi fra i più penalizzati dalle conseguenze della guerra, avrebbero trovato proprio in essi accoglimento ed attuazione. Per quanto riguardava 1'1talia, ci sembra significativo quanto affermato nella parte iniziale de11e Norme generali per l'impiego delle Grandi Unità del 1928, la prima regolamentazione strategica e tattica di base promulgata nel dopoguerra: «Queste norme sono state redatte tenendo conto dell'esperienza dell'ultima guerra, alla quale si è ricorso anche per non ripetere, nei metodi tattici, taluni indirizzi ed abitudini proprie della guerra stabilizzata ma inadatti alla guerra di movimento. Un 'istruzione di carattere tattico non è né immutabile né universale. Essa vale .fino a quando perdurano i mezzi e le possibilità tecniche in base ai quali essa fu concepita. Tuttavia, anche se apparissero mezzi epossibilità tecniche nuove, occorrerà procedere cauti prima di mutare radicalmente principi e metodi: primo, perché non sempre nuovi ritrovati provano poi in pratica di avere gli effetti determinanti che sogliono prmpettarsi al loro apparire; secondo, perché la mutazione dei metodi impone quasi sempre modificazioni organiche profonde, la cui applicazione generale non è di solito né facile né pronta e che sono perciò, finché possibile, da evitare» ( 1). Nei riguardi delle forze di terra, l'aspetto innovativo fu storicamente rappresentato dallo sviluppo della motorizzazione e della meccanizzazione (2). Negli anni Venti, l'approccio a questo pro-
(1) «Norme generali per l'impiego delle GG.UU. », Minislero della Guerra, Roma, Provveditorato Generale dello Stalo, Libreria, 1928, «Premessa», par.fu IV. (2) La differenza fra i due lermini è insila nel fatto che il concetto di motorizzazione si riferisce a mezzi preposti al solo trasporto di uomini e materiali, ad andatura veloce su strada e ridotta su terreno vario, destinati rispellivamenle a comballere e ad essere adope-
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blema si poneva in Italia in termini molto diversi da quelli delle principali nazioni per due motivi fondamentali: le caratteristiche montane del possibile teatro d' operazioni nel quale l'esercito sarebbe stato chiamato ad agire (che rimaneva, come sempre, solo quello alpino), e la necessità di risorse energetiche nazionali. Ad ogni modo, ancora al1'inizio degli anni Trenta nessun esercito pensava alla motorizzazione integrale, ed il traino animale delle artiglierie era ancora in auge ovunque, anche in Germania dove già da allora prevaleva la prospettiva della guerra di movimento, ritenuta non solo desiderabile ma possibile. E sempre in Germania, nello stesso periodo, si metteva l'accento sui limiti del trasporto a motore, che diversamente dal traino animale non consentiva ancora ai mezzi l'uscita di strada o lo sfruttamento di rotabili in cattive condizioni, per cui alla Germania non sarebbe convenuto motorizzare completamente i trasporti. Il grado di motorizzazione era in relazione al1e caratteristiche dei probabili teatri d'operazione, ed in funzione delle pesanti difficoltà che essi avrebbero opposto all'impiego degli automezzi nonché delle possibilità offerte dall'industria nella produzione di mezzi di traspo110 idonei. Comunque, come messo in evidenza da Botti, molto più pericolosa degli orientamenti riduttivi sulla motorizzazione era la tendenza a far fronte alle nuove esigenze della guerra di movimento con il semplice e semplicistico «alleggerimento» delle unità dal livello di divisione in giù (cioè: con meno dotazione logistiche e meno mezzi di fuoco e di trasporto), tendenza che fin da allora ebbe in Italia più che altrove immeritato successo per il prevalere di speci-
rati in maniera tradi zionale e senza che i veicoli siano più necessari lino al momento di un succc.s.sivo trasporto; i11 quello ùi meu:ani zzazionc, invece, sono compresi quei mezzi ai quali demandare compiti di combattimento t:he, attraverso la mobiliti1 e l'armamento dei mezzi stessi, ne sfrutlino la potenzialità dell'apparato motore tanto su strada quanto all'infuori di essa, e ciò sia per quanto attiene alla t:apacità traente che per quanto concerne velocità e forza d' urlo. Sotto questo aspetto, rientrano nei mezzi rnet:rnnizzati non solo i carri armati, le autoblindo, i cingolati da wmbattimento e le arliglieric semoventi ma anche i veicoli menu t:omplessi concepiti per il trasporto (autocarri, autovetture, mulociclctte) purché però portino armi o personale armato in grado di condurre un'azione di combattimento rimanendo a bordo. La contrapposizione fra i due orientamenti è stato certamente uno dei problemi più dibattuti nelle varie nazioni nel primo dopoguerra, le rni risultanze apphcalive avrebbero avuto il loro banco di prova nel corso del secondo conflitto mondiale. (Cfr. Gloria C., «La mect:anizzazione degli eserciti nei piincipali Stati», in «Rivista di Artiglieria e Genio», aprile-maggio 1930; Pugnani A., «Storia della motorizzazione militare italiana», Torino, Ruggero e Tortia, 1951; Ceva L., Curami A., «La meccanizzazione dell'esercito italiano dalle origini fino al 1943», voi. I (Narrazione), Roma, USSME, 1989.
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fici aspetti nazionali. Ne derivava un concetto di «sottomotorizzazione» dovuto non tanto a scarsa considerazione per il problema, ma ad una sua impostazione inadeguata ed a breve respiro favorita, oltre che dalla scarsità di risorse, da altri molteplici fattori: prospettiva strategica troppo vincolata alla guerra nelle Alpi; tendenza a fare troppo assegnamento sulla mobilitazione anche per gli autoveicoli e persino per i trattori dell'artiglieria da campagna,nonostante i cattivi risultati della mobilitazione del 1915; sottovalutazione delle possibilità dell'automezzo e della rete stradale in montagna; errata valutazione delle reali esigenze logistiche del livello di divisione, che rendevano indispensabili anche volani di munizioni e di mezzi di trasporto, come del resto la guerra di posizione aveva richiesto ed ancor più avrebbe richiesto la guerra di movimento (3). A complicare le cose, fra il 1931 cd il 1933 era nato il grosso equivoco dei Celeri. Esso traeva origine da un a11icolo del gen. Grazio li nel quale 1' autore, dopo aver preso posizione contro la guerra di logoramento, sottolineava i grandi progressi dell'arma aerea e sosteneva la necessità della meccanizzazione e della costituzione di Grandi Unità Celeri con relativo modulo aeroportato (4). 11 lavoro era realmente innovativo (tale da suscitare la vivace reazione del Capo di Stato Maggiore Generale, Badoglio, e degli esponentichiave del suo clan, i generali Gazzera e Bonzani (5), rispettivamente Ministro della Guerra e Capo di Stato Maggiore dell'Eserci-
(3) Botti F., «La logistica dell'esercito italiano 183 1-1981», voi. III, Roma, USSME, 1994, pagg. 14 1-142. (4) Grazioli F.S., «Dalla gue rra alla pace. MeuiLazioni di un comballenle», in «I ,a Nuova Antologia», 1.7.1931. (5) Pietro Gaaera ( 1879-1953 ), generale d' armata, uffi ciale d' artiglieria, partecipò alla guerra italo-turca ed al primo conflitto mondiale prestando servizio negli stati maggiod di GG.UU. e presso il Comando Supremo. Fu uno dei firmatari dell'armistizio di Villa Giusti. Nel dopog uerra comandò la Scuola di Guerra e la Divisione di Genova. Sottosegretario di Stato per la Guerra nel 1928 e ministro dello stesso dicastero dal 1929 al 1933; dopo la conquista dell'Etiopia, venne nominato Governatore del Galla e Sidamo, paltccipando con le truppe al suo comando alle ultime operazioni bclfa:hc in quel settore terminate nel g iugno 194l. Alberto Bonzani (1872-1935), generale designato comandante d'armata, ufficiale d'artiglieria, prese alla campagna d' Africa del 1895-1896 ed alla prima guerra mondiale, espletando vari incarichi di stato maggiore sino al 1920. Dal 192 1 al 1923 ru comandante della Divisione di Torino, e fra il 1925 ed il 1926 Segretario di Stato per l'Aeronautica. Dopo aver comandalo la Divisione di Cuneo ed il Corpo d' Annata di Alessandria, dal 1929 al 1934 ricoprì la carica di Capo di Stato Maggiore dell'Esercito.
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to, dal momento che Grazioli configurava le Grandi Unità Celeri in modo ben diverso dalle Truppe Celeri istituite nel 1928 con la fusione di bersaglieri ciclisti e cavalleria e concretizzatesi poi con la costituzione, nei primi mesi del 1930, di due divisioni con questa denominazione. In teoria, si era trattato di un nuovo tipo di Grande Unità fondamentale caratterizzata dalla capacità di svolgere in proprio, in determinate condizioni di terreno e di tempo, in campo strategico ed in quello tattico, una manovra che non fosse solo basata sulla rapidità e sulla sorpresa ma anche su un'adeguata (sia pur breve nel tempo) potenza di fuoco. Tutto ciò in teoria, s'è detto, perché in effetti l'impostazione doveva rimanere più sul piano delle intenzioni che della realtà in quanto l'eterogeneità dei mezzi cavalli, biciclette, motociclette, automezzi, carri armati leggeri - e la vulnerabilità dei reparti montati riducevano a ben poca cosa la capacità operativa della Grande Unità. L'ibridismo compositivo ostacolava la stretta cooperazione fra i vmi repai1i in quanto quelli montati, dotati di spiccata mobilità tattica ma di modesta potenza di fuoco, possedevano una certa attitudine dell'esplorazione cd all'impiego su terreno vario ma non ali' azione di forza e, soprattullo, erano estremamente vulnerabili; le componenti cicliste, motocicliste ed autoportate e così pure le artiglierie celeri, sebbene dotate di soddisfacente velocità di traslazione e di buona potenza di fuoco, erano legate alla strada ed agivano con procedimenti simili a quelli delle unità operanti nell'ambito delle divisioni di frontiera; gli elementi meccanizzati e corazzati, dal canto loro, pur se caratterizzati da adeguata velocità e protezione, erano d'altra parte troppo esigui e ritenuti soltanto utili a concorrere al1e azioni delle altre unità e non già ad essere i protagonisti degli atti tattici. Ma nel divisamento di Grazi oli l'aggettivazione di «celeri» si riferiva non ai coktaiì avena-benzina di cui sopra ma a quelle unità meccanizzate e corazzate delle quali già da qualche anno si andava discutendo. Dopo le inizia1i resistenze, inevitabili data l'impostazione alpina che prevaleva in ambito Stato Maggiore fondata sulla nota espressione del chiudere la porta di casa, le tesi di Grazioli trovarono negli anni successivi un terreno più disponibile ad un loro accoglimento, o quanto meno ad un dibattito meno sbrigativo, anche se l'impiego dei mezzi meccanizzati e corazzati continuava ad essere visto in una dimensione piuttosto riduttiva. Il più aderente alle idee di Grazioli si rivelò quel ten. col. Infante che abbiamo visto, nel periodo trascorso quale addetto militare a Londra, attento osservatore dell'evoluzione della meccanizzazione alla cui causa 584
fu subito favorevole pur non nascondendosi i molteplici problemi a
vario livello che essa avrebbe comportato, così come avrebbe allestato nel citato saggio del 1934. In esso l'autore, il cui intervento costituiva l'esplicitazione dettagliata dell'ampio disegno concepito in termini generali da Grazioli, affermava senza mezzi termini come per opporsi ad un nuovo mezzo bellico fosse necessario possedere uno strumento analogo, e come non rispondessero al vero le obiezioni circa il terreno d'impiego in quanto «le grandi battaglie della storia non si sono mai risolte nelle zone impervie delle Alpi, ed una grande potenza come l'Italia ha oggi più che mai hisogno, per la sua posizione ed i suoi impegni internazionali, di avere sempre presente un nucleo di forze, celeri e potenli, essenzialmente costituito da reparti corazzati, meccanizzati e motorizzati non solo in grado di rinforzare immediatamente La nostra copertura ma di agire anche rapidamente in altri teatri d'operazione, europei e coloniali» (6). Un'arma corazzata autonoma, in altre parole, non dissimile dall'arma aerea pensata da Douhel e concretizzata da Ralho (7): un'i dea valida, avveniristica, anche se destinata a non dare frutti dal momento che nello stesso I 934 la .specialità carrista, creata nel 1927 nel quadro dell'ordinamento Mussolini del l'anno precedente (Legge n. 396 dell' 11 marzo 1926, che fra l'altro ristabiliva il Corpo di Stato Maggiore), veniva trasformata in specialità della fanteria assumendo appunto la denominazione di fanteria carrista. Nel lavoro di Infante, peraltro, il ruolo delJ'aviazione non era delineato con altrettanta efficacia: anche a lui, come del resto a De Gaulle (8) nel suo famoso libro Vers l'Armée de métier sempre del (6) Infante A ., «N uovi o rizzonti della guerra terrestre. Contributo allo stu dio della motorizzazione e meccaninazionc in Italia», in «R ivista di Artiglieria e Genio», giugno 1934, pag. 907. (7) Italo Balbo ( 18%-1 940), Maresciallo dell'Aria, prese parte alla prima guerra mondiale come ufficiale degli alpini e fu uno degli esponenti di punta del fascismo delle origini. Divenuto Sottosegretario per I' Aeronaulica nel 1926, da allora si dedicò interamente allo svilupo ed all'organizzazione dell'arma aerea, c tra il 1928 ed il 1933 ideò e diresse crociere aeree mediterranee e transatlantiche che ebbero, spec ie queste ultime, vasta risonanza mondi ale. Ministro dell'Aeronautica dal 1929 al 1933, nel 1934 fu nominalo Governatore della Libia, assumendone, allo scoppio della seconda guerra mondiale, anche il comando superiore di tutte le forze annate. Morì abbattutto inci dentalmente nel ciclo di Tobruch dalla contraerea italiana al termine di un'incursione aerea nemica. (8) Charles André De Gaulle (1890-1970), generale cd uomo politico francese, prese parte come ufficiale di fanteri a alla prima guerra mondiale, e nel dopoguem1 ricoprì vati incarichi di stato maggiore in uno stretto rapporto fiduciari o con il Maresciallo Pétain che si sarebbe interrotto verso la metà degli anni Trenta, dopo l'enunciazione della propria
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1934 e messo all'indice l'anno successivo dallo stato maggiore francese, sfuggiva l'importanza dei dettagli della cooperazione diretta carri armati-aerei sulla quale invece in Inghilterra si insisteva fin dal 1928, avendo come portavoce il gen. Hobart, e che costituiva la nota dominante di tutte le dimostrazioni ed esercitazioni dei mezzi meccanizzati. E d'altra parte l'Inghilterra faceva parte con l'Unione Sovietica delle due nazioni che all'inizio degli anni Trenta si erano orientate sulla costituzione di Grandi Unità corazzate e sulla complementarità operativa fra queste ed il mezzo aereo. Si era messo rapidamente in scia l'esercito tedesco, che proprio nel 1934 forzava 1'andatura verso la maggiore disponibilità possibile di GG.UU. corazzate, meccanizzate o quanto meno motmizzate, abbinandole all' aviazione d'assalto. Sempre in merito all'articolo-saggio di Infante, esso veniva penalizzato dal fatto di vedere la luce nel momento meno opportuno per una di samina serena ed un dibattito produttivo. Erano infatti all'orizzonte le due campagne d 'Etiopia e di Spagna, che da un lato avrebbero visti privilegiati i loro aspetti politici e quelli militari di ordine generale a scapito dei problemi tecnici particolari e dall'altro, con i loro scenari operativi, non avrebbero consentito ai mezzi corazzati di estrinsecare tutta la loro potenzialità; anzi, sotto questo aspetto, si sarebbero rivelate controproducenti. Nonostante ciò, le idee esposte da Infante non dovevano passare del tutto inosservate nei confronti dei futuri indirizzi costruttivi,con specifico riferimento al carro M] 1-39 ed all'autoblindo AB40 (9). Ma sopratteoria profetizzante una fu tura guerra di movimento incentrata sull'impiego dei mezzi corazzati , contrastante con l' impostazione dottrinaria dell o stato maggiore francese tuttora fo ndata sulla guerra di posizio ne e sull'impenetrabilità della linea M ag inot. Nel giug no 1940, nominalo generale dopo essersi distinto alla testa di una divisione carri sta, all'atto dell'armistiz io con la Germ ani a riparò a Londra costituendo un contingente di volontari della Francia Libera che prese pm1e alle o perazioni belliche su vari fronti a fi anco degli angloamericani. Nel dopoguerra iniziò un'alli vitì1 politica che, tra fasi alterne, ne determinò nel 1958 l' elezio ne a preside nte della repubblica, carica che mante nne 1Jer un decennio reali/.zando i presupposti di una politica che contrastava l'unione europea, la prevalenza americana in ambito Nato e che persegui va la liquidazione del problema al gerino. Sconfitto nell 'aprile 1969 in u11 referendum sulla ri fo1111a del senato, abbando nò definiti vamente la politica auiva dedicandosi ai prediletti studi stori ci ed alla stesura de lle me mo rie. (9) 11 carro M l l-39 era u11 cam, medio prodotto dall'Ansaldo Fossati a partire dal 19.1 9 e nato come mezzo d'appoggio per la fanteri a. Peso equipaggiato: 11 tonn.; dime nsio ni : mt. 4,85x2, 18x2,25; motore Spa diescl 12 cilindri, HP 11 0-1 25; velocità massima su strada: 32 km/h; autonomia su strad a: 2 10km.; armamento: cannone da 37/40 in casamata + 2 mitragliatrici da 8 mm. in torretta; corazzatura massima: 30 mrn. ; equipaggio: 3. Dopo le prime operazio ni belliche in Africa Settentri onale, il carro si sarebbe ri velato
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tulto avrebbero trovalo una proiezione nelle Direttive per l'impiego delle Grandi Unità emanate nel giugno 1935 nelle quali, a proposito dei mezzi corazzati, si affermava che i carri armati non andavano considerati solo come mezzo di lotta, operanti intercalati e seguiti da fanti e da celeri, ma nel senso di una massa che sorprendeva, sfondava e passava oltre. Un orientamento nel quale era ravvisabile la concezione tutt'altro che «provinciale» del gen. Paiiani, al momento Sottocapo di Stato Maggiore dell'Esercito, per il quale le nuove unità corazzate avrebbero dovuto essere idonee soprattutto (e non anche) all'impiego al di fuori del territorio nazionale e delle Alpi, in colonia e nei teatri europei privi di grandi ostacoli montani. Ad essa, purtroppo, non si sarebbe associata da parte dello stesso Pari ani un'analoga lungimiranza sulle caratteristiche tecniche dei carri e sui compiti e sui criteri di utilizzazione delle unità corazzate. Né la sua visione strategica, indubbiamente chiara e preveggenle, avrebbe mai potuto contare su un adeguato strumento operativo in grado di mettere in pratica quella «guerra di rapido corso» che costituiva l'essenza della sua dottrina tattica, basata in sintesi sulla manovra rapida penetrando attraverso i punti deboli dell'avversario. Una penalizzazione della quale era egli stesso per una buona parte responsabile, dal momento che la sua riforma ordinativa del 1938, pur presentando almeno in teoria qualche positiva innovazione, ru contrassegnata da un marcato divario fra l'enunciazione teorica e la realizzazione pratica (10).
deficitario nella sospensione, nella velocitì1 e nel rapporto potenza/peso, e l'infe li ce sistemazione dell' armamento principale nello scafo e la scarsa protezioni: ne dclerminarono ben presto l'inaffidabilità o perativa. Anche il prolotipo dell'autoblindo AB40 venne collaudato nel corso del 1939. Si trattava di un autotelaio Spa sul quale l'A nsaldo costrnì uno scafo blindalo. Peso equipaggiato: 6,480 tonn. ; dimensioni: mt. 5x 1,')3; molorc a benzina di 6 cilindri in linea, ci lindrata 4994 m:l., potenza 80 CV; veloc ità massima su strada: 75 km./h; autonomia;: 400 km. su strada e 15 ore fuori strada; corazzatura: 8,5 mm. all o scafo e 18 mm. in torretta; equipaggio: 4. L'armamento era costituito da una coppia di mitragliatric i ca!. 8 mm. in torreLta girevole+ una terza in casamatta nella parte posteri ore dello scafo (in una successiva rielabo razione le 2 mitragliatrici vennero sostituite con un cannoncino da 20 mm. ). ( Hl) C fr. Ferrari D., «Da l la di visione ternaria alla binaria: un a pagi na di storia dell'Esercito Italiano», in «Memorie Storico-Militari 1982», Roma, USSME; Bertinaria P.L., «l' Esercito llaliano dal 191 8 al 1940: dottrina d'impiego ed ordinamenti », in «Studi Storico -Militari 1986», Roma, USSME; Fcrrari D., « Per uno studio della politica militare del gen. Alberto Pariani», in «Studi Stori co-Militari 1988», Roma, USSME; Botti r., «I general i italiani cd il problema dei corazzati: la riunione teu uta dal gcn. Pariani il 23 e 24 novembre 1937 sul carro armato ed i suoi riflessi », in «Studi Storico-Militari 19')3», Roma, USSME.
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Ed il 30 ottobre 1938 venne diffusa la circolare 9000 La dottrina tattica nelle realizzazioni dell'anno XV! che rendeva ufficiale la scelta a favore della meccanizzazione nel quadro della guerra di rapido corso, e contemporaneamente fu pubblicato il manuale sull'Impiego delle unità carriste. Questo concepiva le divisioni corazzate come elementi di manovra essenzialmente incentrati sui carri, da impiegare preferibilmente contro il fianco del nemico; j carri, anche quelli assegnati in rinforzo alle unità di fanteria e non riuniti in divisioni corazzate, dovevano essere usati a massa, naturalmente con la debita differenziazione di compiti e di impiego. Venne anche attuato il concentramento delle forze motorizzate e meccanizzate nell'Armata del Po, dalla quale dipendevano il Corpo d'Armata Celere (su 3 Divisioni) ed il Corpo d'Armata Corazzato, composto da 2 Divisioni Corazzate e da 2 Motorizzate. Un ordinamento che, almeno sulla carta, poneva l'Italia all 'avanguardia nel settore della meccanizzazione, perché in quel momento soltanto l'Unione Sovietica disponeva di corpi organizzati, di entità tuttavia inferiore a quella dei nostri corpi d'armata. La stessa Panzerdivision (PzD) tedesca mod. J938, che sarebbe stata l' artefice del Blitzkrief.: 1939-1941, era, come abbiamo visto dettagliatamente esposto nei rapporti del gen. Marras, un'unità diversa, complessa, nel cui quadro operavano armonicamente carri armati, fucilieri portati, artiglieri, pionieri e reparti esploranti, ed il cui compito essenziale non era lo sfondamento del fronte (affidato generalmente alla fanteria) ma la penetrazione in profondità per frantumare il dispositivo avversario, paraJizzarlo ed isolarne le Grandi Unità. Un compito, in ultima analisi, analogo a quello che, oltre 40 anni dopo, avrebbe caratterizzato le GG.UU. corazzate e meccanizzate a livello superdivisionale dell'Armata Rossa, note in codice Nato come OMG (Operational Maneuver Groups). ln una sua relazione sulla campagna tedesco-polacca redatta nell'ottobre 1939 il gen. Roatta, che come s'é visto aveva temporaneamente sostituito il gen. Marras nell'incarico di addetto militare a Berlino dal luglio al novembre dello stesso anno, così aveva confermato: «f ... ] Le divisioni corazzate non sono state usate in Polonia in compiti di «rottura» ma essenzialmente per manovrare negli intervalli del.fronte avversario e per .~fruttare il successo in profondità. l reparti di carri, tranne un caso sporadico, non hanno mai attaccato un fronte fortificato. E nel!' ambito delle GG. UU. i reparti carristi non sono mai stati considerati come una cosa a sé, bensì come una parte delle GG. UU. di appartenenza agente pertanto in stretta con588
comitanza col resto di queste. In altre parole, non si è mai affidato ai reparti carristi un compito «X», di breve ra,?gio e durata, ma un compito vasto e di lunga durata inglobato in quello complessivo della loro divisione. Ne risulta che in Polonia le GG. UU. corazzate e le,?gere tedesche sono state impiegate come delle divisioni comuni, motorizzate, ed aventi una parle delle proprie fanterie ed artiglierie in veicoli cingolati e corazzati[. .. ]» (11 ). E sette mesi dopo, in un rapporto relativo alle recenti operazioni in Belgio cd in Olanda ed alla penetrazione tedesca in atto in Francia, il gen. Marras si esprimeva in questi termini: «f ... ] Si puà ritenere che alla base dei procedimenti tedeschi sia stata la preoccupazione della rapidità, e questa è stata assicurata dalla potenza del!'armamento e dalla pronta disponibilità di abbondanti materiali. Corsi d'acqua e linee arianizzate vengono sorpassati ed attaccando su tutta la.fronte. Mezzi di lraghetto pneumatici sono ad immediata dùposizione e consenlono il guado su punti molteplici impedendo un'azione concentrata al nemico. Così è dell'aviazione, dei pionieri, delle artiglierie.LI> scopo è quello di ,~fondare al pù), presto in qualche punto. Nella breccia si infilano rapidamenle unità e, dilagando a ventaglio, allargano le rotture e procedono rapidamente innanzi. Ciò avviene particolarmente con le unità corazzate, che si dimostrano lo strumento più idoneo per tale rapidità[... ]» (12). 11 principio dell'impiego a massa dei carri da parte tedesca avrebbe perallro dovuto subire qua1che adattamento nella seconda parte delle operazioni contro la Francia, in relazione al1a nuova tattica difensiva dai francesi. Questi, infatti, nella difesa della linea della Somme, sarebbero ricorsi al procedimento di lasciare avanzare i carri tedeschi senza resistenza per poi attaccare da posizioni coperte le unità di fanteria che seguivano le formazioni corazzate. Per adattarsi alle esigenze di questa nuova situazione, i tedeschi. avrebbero a loro volta adottato una nuova tattica, mantenendo i criteri fondamentali d'impiego a massa e di avanzata decisa ma assicurando nella fase iniziale delJa battaglia offensiva conveniente appoggio a1le unità di fanteria. Rilevante anche la stretta cooperazione realizzata fra carri ed artiglieria e l'impiego col primo sca-
(1 1) AUSSME, 029- 14, prot. 443/A del 15.10.1939, da Add.Mil. Berlino a S.I.M., f.to gen. Roalla. (]2)AUSSME, I 4-3/7, prot. 744/A del 29.5. 1940, daAdd. Mii. Berlino a S.I.M., f.to gen. Marras.
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glione di carri di gruppi d'assalto di fanteria, particolarmente adatti per eliminare ostacoli e resistenze parziali. Anche da questi pur brevi riferimenti, emerge come nelle operazioni terrestri della fase iniziale della seconda guerra mondiale i risultati tattici e strategici non dovevano essere determinati né dal numero delle divisioni né dalla comparsa di armi nuove né dalla qualità dei materiali. Nessun'arma che non fosse già conosciuta era stata impiegata, e nelle pianure francesi i carri armati della Wehrmacht erano meno numerosi e meno potenti di quelli avversari, secondo le affermazioni di alcuni dei più autorevoli esponenti della controparte (13). Nell'intervallo fra le due guerre, lo stato maggiore tedesco aveva curato in primo luogo l'azione offensiva, privilegiando di conseguenza - nell'elaborazione dottrinaria ed operativa e nell'impostazione addestrati va - i criteri di massa, di potenza, di sorpresa e di velocità. Dal punto di vista strategico, non aveva apportato nulla di particolarmente inedito, ma interpretando nel modo giusto le caraU.eristiche della guerra moderna aveva fatto proprio il concetto dell'estrema mobilità, dedicando il massimo impegno allo sviluppo di un'organizzazione e di una tattica che utilizzassero al meglio le prestazioni dei mezzi corazzati e degli aerei subordinandole ai principi di potenza e di velocità, con il che si sarebbe potuto agire di sorpresa su11' avversario mettendolo ruori combattimento prima che avesse potuto pervenire alle stesse procedure. Questa, molto in sintesi, la dottrina della «guerra-lampo», alla quale la Germania era consapevole di dover ricorrere in un quadro epocale ad alta industrializzazione che l'avrebbe vista indubbiamente svantaggiata in un confronto a lungo termine con potenziali industriali ed economici di molto superiori. Soprattutto l'impiego del carro armato si sarehhe dimostrato decisivo in maniera immediata, ed attraverso di esso il gen. Guderian avrebbe avuto modo di vedere convalidate le proprie teorie. La sconfitta finale alla quale sarebbe poi andato incontro l'esercito tedesco sarebbe derivata, in parte, da errori di carattere politico e strategico ed, ancor più, dall'adeguamento da parte alleata alle tecniche della Wehrmacht in virtù di un potenziale bellico praticamente i11imitato. Tornando all'ambito italiano, ciò che più nocque al1'impiego
( 13) Montgomery B. L., «Storia delle guene», Milano, Rizzoli, 1970, pag. 532; Liddcl Hart B.H., «Storia militare della seconda guerra mondiale», Milano, Mondadori, 197 1, pag. 91 ; cfr. anche Pi gnato N., «Ascesa e crepuscolo dell 'arma corazzata germanica». in «Storia Militare», 53/1998, pagg. 34-46.
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delJe unità carriste nella fase iniziale della guerra non furono tanto le manchevolezze della dottrina e le stesse modeste caratteristiche dei caITi quanto la mancata generalizzazione della mentalità carrista. La grande maggioranza dei comandanti delle Grandi Unità poco o nu11a sapeva dei carri armati; molti ufficiali di stato maggiore usciti dalla Scuola di Guerra, che continuava a mettere a fuoco il problema della guerra di movimento sul binomio ranteriaartiglieria, avevano scarsa dimestichezza con l'impiego delle unità carriste; la quasi totalità dei quadri delle varie Armi, più che nelle esercitazioni in cooperazione, aveva visto i carri armati solo durante le parate. Facevano naturalmente eccezione gli ufficiali delle specialità cruTista e celere, ai quali non facevano difetto né il mordente né la preparazione tattica e tecnica, ma che rappresentavano una minoranza non sempre compresa e sostenuta dagli stessi superiori, spesso meno competenti in materia; e d'altro canto una nuova mentalità tallica non si improvvisa, ma è il prodotto di una maturazione morale, intellettiva e professionale protratta ed approfondita. A tutto ciò si sarehbe aggiunto, anche durante le fasi successive della guerra, il protrarsi di un altro punto critico della nostra configurazione meccanizzata, e cioè la inadeguatezza tecnologica e numerica dei mezzi. Continuava infatti a man ifestarsi la tendenza verso macchine leggere e veloci, adatte quindi a terre1ù difficili, e ad organici delle mùtà corazzate anch'essi molto leggeri, con conseguente grave mancanza di competitività rispetto alle soluzioni tedesche ed inglesi. Non solo, ma si rinnovava un altro equivoco. Nel 1936, al termine della campagna d'Etiopia che era risultata più breve del previsto, erano rimasti disponihili circa un migliaio di carri veloci 33 e 35, proprio mentre stavano fonnandosi in Italia le prime unità motorizzate e corazzate i cui carri di tipo medio erano ancora in fase di sperimentazione. Si era stabilito pertanto di assegnare ai reparti i carri veloci come mezzi corazzati leggeri , passando sopra allo scopo principale per il quale questi mezzi erano stati progettati e costruiti (14). Con questo provvedi-
( 14) Il carro veloce fu classifi cato nelle sp ecifiche ufficiali ptima come «carro veloce C. V. 33/35/38» e poi come «carro leggero L. 3-33/35/38». Prodotto in numero di esemplari v icino alle 2000 unilìt, nel corso di diversi anni subì alcune leggere migliorie con minime varianti sulla cellula b ase. Entrato in produzione nel 1933, e d opo aver avuto anche un buon successo quanlo ad esportazioni aJl'estero, vi rimase fino al 1938 ed in servizio operativo sino all'immediato ùopogucmt quando alcuni esemplari furono utilizzali dal 1icostituito Esercito italiano e dal Corpo delle Guardie di P.S. Prodotto dalla Ansaldo Fossati di Genova Sestri con o rgani meccanici di costruzione
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mento era stata praticamente sanzionata l'erronea credenza che i1 carro veloce fosse ormai il nostro carro armato leggero, mentre era stato concepito e realizzato per un diverso impiego. Si sarebbe perciò dovuto attendere 1a produzione dei carri medi, senza i quali ed i pesanti il significato deJle Grandi Unità corazzate avrebbe perso ogni valore, per poter disporre di mezzi da combattimento in grado di poter sostenere il confronto con mezzi simi1ari stranieri su quei terreni pianeggianti cd aperti che costituivano i] campo d'elezione per l'impiego in massa dei carri armati. Si può in definitiva sostenere che, per la filosofia del materiale e de11'ordinamento italiani, non è mai esistita la prospettiva dello scontro in terreno libero e ad elevato indice di scorrimento. L'addebito da farsi allo Stato Maggiore in fatto di materiali è il ritardo nella programmazione dei cani armati, ma un ritardo concettuale prima ancora che tecnico e finanziario, la conseguenza dell'attaccamento ad un dottrinarismo superato e di un difetto di concezione nell'impostare l'impiego di un mezzo che sarebbe diventato. neJla seconda guerra mondiale, l'elemento determinante della battaglia offensiva e di quella difensiva presso tutti gli eserciti. Nei confronti della nostra arretratezza concettuale, e di que11a tecnologica e costruttiva, si sarebbe cercato a guerra già in corso di impegnare una gara ad inseguimento dei progressi compiuti dagli altri nella quale saremmo stati destinati a trovarci subito irrimediabilmente distanziati, dal momento che ogni tipo di carro entrava in servizio quando era già superato. E durante un conflitto di tali
Fiat, era il frutto delle esperienze caldeggiate dall 'Ispettorato per la Motorizzazione per dotare il Regio Esercito di un carro armalo di limitate dimensioni, capace di operare sulle carrarecce di montagna, con possibili tà di effettuare spostamenti veloci su strada senza necessità di carreUo di trasporto. Le sue capacità intrinseche lo rendevano in pratica idoneo solo per cornpiti di ricognizione . Peso ct1uipaggiato: 3 tonn.; dimensioni: mt. l,40x3, 15x 1,28; motore a benzina di 4 cilindri in linea, cilindrata 2746, potenza 43 HP; velocità massima su strada 42 km./h; autonomia: 135 km. su strada e 5-6 ore fuori strada; coraz7.atura: 13,5 mm. anleriore-postcriorc, 8,5 mm. laterale; pendenza superabil e: 46%; equipaggio: 2. L'armamento, che inizialmente era limitato ad una mitragliatrice Fiat 14 mod. aviazione cal. 6,5 mm., consisteva in 2 mitragliatrici gemellate cal. 8 mm. (Fiat 35 o Breda 38). Per quanto attiene all'impiego dei carri armati in Africa Orientale, cfr. Petrilli P., «La guerra d'Etiopia e le prime operazioni italiane di corazzati», in «Studi Storico- Militari 1988», Roma, USSME e Pugnani A., «La motorizzazione dell'Esercito e la conqui sta dell'Etiopia», Roma, edizioni della rivista «Trasporti e Lavori Pubblici», 1936. Per un quadro più generale, cfr. Pafi E. , Falcssi C., Fiore G., «Corazzati italiani 1939-1945», Roma, D ' Anna, 1968; Bcnussi G., «Carri armati e autoblindo del Regio Esercito», Milano, Intergest, 1972, Pignato N. , «Corazzati 1939-1945», Parma, Albertelli , 1974.
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dimensioni risultava estremamente arduo riparare agli errori tecnici commessi in tempo di pace, a meno di possedere un'industria pesante di struttura e potenza fuori dell'ordinario. D'altro canto, l'apparato industriale italiano non rispose mai pienamente alle indicazioni degli organi tecnici, privilegiando la costruzione di tipi di mezzi per i quali erano già in runzione gli impianti, onnai ammortizzati del tutto od in parte. Gli industriali non furono sufficientemente forti per dominare il fascismo, ma sufficientemente influenti per contrastarne alcuni progetti. Se si prende in considerazione ciò che avenne effettivamente anziché quello che sarebbe potuto avvenire, l'unione al fascismo rappresentò una speculazione vantaggiosa per gli industriali: la loro risorsa piL1 importante nei rapporti con il regime consisteva nel fatto che essi sapevano esattamente ciò che volevano, mentre questo perseguiva troppe mete, spesso non ben definite e contraddittorie. Si consideri che, per quanto riguardava i carri pesanLi, solo nel 1940 sarebbe stato progettato un carro da 26 tonnellate annato con un cannone da 75/34 ed una mitragliatrice da 8 mm., che però sarehhe staio aprrontato solo al piincipio del 1942 e l::1 cui produzione in serie avrebbe avuto inizio addirittura nell'estate 1943, senza che peraltro dei primi esemplari costruiti si potessero giovare le nostre unità dal momento che i mezzi, nelle giornate del settembre dello stesso anno, sarebbero stati catturati dai tedeschi e da questi impiegati nei combattimenti del primo semestre 1944 sul fronte di Anzio e Nettuno. E non era tanto una questione di materie prime, come si è sempre continualo a sostenere con quella ac1itica pe11inacia che rappresenta una delle pecche più rimarchevoli di buona parte della storiografia, caratterizzata dal mettersi in scia, vuoi per pregiudiziali politico-ideologiche vuoi per opportunismo contingente vuoi infine per semplice neghittosità, a presupposti che una volta messi in circolo vengono poi dati per scontati e, pedissequamente ribaditi, risultano tetragoni ad ogni tentativo cli revisionismo anche documentato. Nel 1939, ad esempio, la produzione di ghisa aveva raggiunto e superato il milione di tonnellate e quella di acciaio i 2.300.000, mentre il volume della produzione metallurgica, dal minimo di 980.000 al quale era caduto nel 1932, era salito nello stesso 1939 a 2.780.000 (15). Dati isolati, certo, che rapp011ati ad una guerra dalle caratteristiche di quella combattuta nella prima (15) Romeo R., «Breve storia della grande industria italiana», Bologna, Cappelli, 1961, pagg. 133-134; dr. anche Banca d'Italia (a cura della), «L'economia italiana nel sessennio 193 1-1936», parle II, vol. II, pagg. 1268-1 269 e 11 75-1182. Roma. 1938; Catalano F.,
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metà degli anni Quaranta sarebbero risultati sempre inferiori alla bisogna, ma comunque rivelatori di una dimensione meno catastrosfica di quella costantemente rappresentata. Jn proposito, la testimonianza più autorevole ed attendibile, sol che la si voglia tenere nel debito conto, è quella del generale Carlo Favagrossa (16), Sottosegretario per le fabbricazioni di guerra, che in un appunto stilato i primi di gennaio 1942 per il Capo di Stato Maggiore Generale affermava testualmente: «[. .. ] Uno dei luoghi comuni più diffusi è la nostra povertà in .fàtto di materie prime [. .. /» e dopo aver portato alcuni esempi su base statistica a supporto di questa asserzione, così concludeva: «Questi dati di fatto e queste considerazioni autorizz.ano a concludere che l'Italia è in grado di soddisfare pienamente le sue esigenze belliche. Occorre soltanto metodo e coordinazione nelle singole intraprese industriali» ( 17). Un 'affermazione verosimilmente eccessiva, che veniva peraltro a bilanciare quella volutamente riduttiva espressa dal medesimo al Duce una settimana prima secondo la quale la deficienza di materie prime non avrebbe consentito neanche di sfruttare in pieno gli impianti di primo programma, ma che per sua postuma ammissione voleva solo presentare un quadro pessimistico tale da frenare le iniziative belliche mussoliniane (18). E non si dimentichi, infine, un altro dato importante, e che cioè dopo gli eventi del settembre 1943 i tedeschi rinvennero nei magazzini industriali italiani scorte dì rame e di altri metalli strategici in quantità incredibilmente superiore alle previsioni; quelle di molibdeno, ad esempio, elemento fondamentale per la produzione di acciai speciali
«L'economia italiana di guerra», Milano, Istituto Nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, 1969; Minniti E , « L'industria italiana fra le due guerre (1915-1945)», in: «Annali dell'economia italiana», quaderno n. 2, Milano, IPSOA, 1984; Ceva L., Curami A., «L'industria bellica negli anni Trenta», Milano, Franco Angeli, 1992; Segreto L., «Marte e Mcrnuio. Industria bellica e sviluppo economico in Italia 1861-1940», Milano, Franco Angeli Srotia, 1997; Zarnagni V. (a cura di), «Come perdere la g uerra e vincere la pace. L'economia italiana Ira gucm1 e dopoguerra 1938-1947», Bologna, Il Mulino, 1997. ( 16) Carlo favagrossa (1888- 1970) ullicialc d'artiglieria, prese parte alla guerra italo-tun.:a ed al primo contliUo mondiale, e durant.e la guem1 di Spag na fu capo di stato maggiore del contingente italiano. Nel 1939 fu nominalo presidente della mobilitazione civile e commissa1io gcncràle per i combustibili liquidi, carburanti e lubrificanti; l' anno successivo divenne sollosegrctatio per le fabbricazioni di guerra e dal 6.2.1943 ministro della produzione bellica. (17) Cavallero U., «Comando Supremo. Diario 1940-1943», Bologna, Cappelli, 1948. (18) Favagrossa C., «Perché perdenuno la guerra», Milano, Rizzoli, 1946, pag. 166.
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quando utilizzato sotto forma di leghe, risu1tarono in valore assoluto più e1evate rispetto a tutte quelle europee messe insieme (19). Non è improprio, sulla scorta delle informazioni a tutti accessibili e sol che, ripetiamo, si voglia attribuire loro la doverosa attenzione storiografica, par1are di vero e proprio sabotaggio industriale. Le materie prime strategiche ricevute per la produzione di anni e munizioni, mezzi corazzati, velivoli, artiglieria, ccc. non erano uti1i zzate nella loro totalità oppure erano adoperate in percentuali molto inferi ori rispetto a quanto stabilito dai capitolati fissati dai requisiti tecnico-contrattuali. Il complesso industriale italiano, in ultima analisi, 1icorse a tutta una serie di espedienti con l'unico scopo di tutelare i propri esc1usivi interessi anche contro quelli della nazione in guerra; mentre alla llne po1itici e generali sarebbero stati travolti, gli esponenti industriali si sarebbero inseriti con successo, nel dopoguerra, in un contesto internazionale che avrebbe garantito loro un ulteriore salto di qualità (20). L' inter1ocutore primo dell' attività degli addetti militari ita1iani all'estero fu il Servizio Informazioni, riorganizzato sempre nell' ambito del Comando Supremo dopo circa due anni dalla fine della prima guerra mondiale e, dal 15 ottobre 1925 , ristrutturato nella nuova configurazione di Servizio Informazioni Militari (S.I.M.) nel quale furono unificati e coordinati i servizi infor mativi delle tre forze armate. Esso, posto inizialmente alle dipendenze del Capo di Stato Maggiore Generale con un organo tecnico di ricerca per ogni
(1 9) Sarti R., «Fascismo e grande industria 19 19-1940», Mil ano, Moizzi, 1'>77, pagg. 167-1 69; Baroni P., «La fahhri ca della sconfi tta», Roma, Setti mo Sigilio, 1997, pagg. 707 1. Cfr. anche Mìnniti F., «Il prohl ema degli armamenti ne lla preparazione mi lii.are italiana dal 1935 al 1943», in: «Storia Contemporanea», 1/1978 e «Le materie prime nell a preparazio ne bellica dell ' Itali a ( 1935-1 943)», in «Stori a Contemporanea », 1-2/1986. Si tenga conto, poi, del gran numero di mezzi e materiali bellici catturali dai tedeschi dopo l'armistizio nei nostri depositi militari , tra i quali 970 carri armati , 300 autoblindo e 123.000 metri cuhì dì carhurante. Grandi quantità di questo sarebbero state anche presenti nelle cisterne dell a Regia Marina di slocate nelle regioni del Sud occupate dagli angloamericani, il che confuterebbe un altro presupposto storiograficamente dato per scontato, e cioè la penuria della nafta quale causa prima dell ' inerzia operati va della llolla da battagli a; da quali l"icate fonti dirette, ri sulte rehhe che ancora verso la metil degl.i anni Cinquanta la Marina Militare avrebbe utilizzato le rimanenze delle predette scort e. (20) Cfr. Melograni P., «Gli industriali e Mussolini. Rapporti fra Confindustria e fascismo dal 19 19 al 1929», Milano, Longanesi, 1972; Minniti F., «Aspetto urgani z.zali vo nel controllo sulla produzione bellica in Ital ia 1929-1 943», in: «Storia Contemporanea», 4/1975; Muri G., «Il capitali smo industriale in Italia», Roma, Editori Riuniti, 1977.
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forza armata alle dipendenze del rispettivo Capo di Stato Maggiore, avrebbe assunto dal 1927 una doppia dipendenza gerarchica, dal Capo di Stato Maggiore dell'Esercito (e, per delega di questi, da] Sottocapo) per la parte informativa tecnico-militare, e dal Ministro della Guerra (e per conto di questi dal Sottosegretario di Stato) per la componente politico-militare oltreché per gli aspetti organizzativi, amministrativi e del personale. Questa doppia dipendenza gerarchica fu una non lieve difficoltà fra le altre che avrebbero caratterizzato la funzionalità deJ Servizio. Per essa, la fonte più autorevole è rappresentata dal generale Cesare Amé (21), che ne ha lasciato traccia in un volume pubblicato negli anni Cinquanta ed in un promemoria riassuntivo fornito al giornalista Carlo De Risio per la stesura di un libro sull ' intelligence italiana edito alla fine degli anni Settanta (22). In base alla propria esperienza maturata attraverso una carriera pressÒcdié -totalmente vissuta negli organismi informativi sino a raggiungerne i massimi vertici, risulta che se è vero che durante il lungo periodo di raccoglimento e sperimentazione dedicato, fra il 1920 ed il 1940, al potenziamento della complessa organizzazione questa :impiegò senza risparmio energia e vitalità per fronteggiare le moltèplici esigenze, è altrettanto vero che a tale opera difficile e complessa non corrisposero il necessario appoggio e la adeguata comprensione da parte degli organi superiori. Fu molto dannosa, soprattutto, la cronica instabilità e l'improvvisazione dei capi. Nel volgere di poco più di 20 anni si susseguirono 10 Capi Servizio, per lo più disorientati e impreparati a dirigere una peculiare e variegata_attiyità del genere essendo anche privi di quel-
(21) Cesare Anié (1892-1983); .ufficiale di fanteria, era stato impegnato nell'aui vità informativa sin <li_gfovane.aliorché prestava servii.io presso rufficio «I» del XXXIII Corpo d' Armata nell'autuntio .ciel 1917. Dal 1920 al 1939 fu capo del Centro di Turino deLServizio Informazioni è, con Finc<1rico di copertura di funzionario dell 'ENIT (Ente Nazionale Itali ano per il Turismo)/ di qùclli di Vienna, Budapest e Bucarest, estendendo Ia·propria azione ii tutta-1' arèà dànubiaao-balcanica. Nel gennaio 1940 assunse, nel grado di colonnello, la ç;i.rica di .Vice-Capo del S.l.M., e dal 9.10 dello stesso anno quella di Capo, che mantcnn~ si.no al ·t8·,8:l943 dopo essere stato promosso generale di brigata l'anno precedente·. , · .: · . . · (22) Amé C., «Guerra segreta· in Ìtalia». Roma, Casini, 1954; D e Risio C., «Generali, servizi segreti e fascismo», Milano, Mondadori, 1978 (in Appendice IV, pagg. 253-260, è riportato il promemoria «Il Servizio Informazioni Militari nel periodo fra le due guerre mondiali»). Cfr. anche «il Servizio Informazioni Militari italiano della sua costituzione alla fine della 2° guerra mondiale» , Stato Maggiore Difesa-Sifar, Roma, 1957; Viviani A. , «Sev izi. Segreti italiani 1815- 1985 », Roma, ADN-Kro nos Libri , 1985, voi.I; Giambarlolomci A., «I servizi segreti militari italiani», in «Rivista Militare», 3/1983, pagg. 57-71.
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la specifica esperienza che è sostegno e guida di ogni volontà realizzatrice. Soltanto uno di essi mantenne la carica per cinque anni (il col. Attilio Vigevano, dal 1921 al 1926), mentre gli altri durarono in media meno di due anni ciascuno, un tempo decisamente insufficiente per tracciare direttive e promuovere apprezzabili iniziative. Si verificarono pertanto, inevitabilmente, dispersioni di sforzi e di mezzi, con la tendenza al prevalere di una mentalità burocratica in chiara opposizione alla spregiudicata immediatezza che avrebbe dovuto connotare un contesto del genere, conseguendone una discontinuità nei presupposti di base che invece avrebbero dovuto essere tanto più solidi quanto più fluttuanti avessero dovuto manifestarsi gli orientamenti della nostra politica militare. Se alcuni degli eventi maturati in quel periodo (la riconquista della Libia, la campagna etiopica, quella in Spagna, le varie tensioni europee degli anni Trenta) estesero l'area di intervento del Servizio stimolandone la reattività e l'alacrità, esso peraltro non sarebbe mai pervenuto ad un livello di organizzazione idoneo a far fronte alle gravi necessità sempre più incombenti. Ne1l'organizzazione generale di 1icerca, il settore mediterraneo appariva debolmente illuminato e quello balcanico-danubiano completamente opaco; pochi i Centri all'estero, con.agenti per lo più individuati e destinati a sicura perdita, e scarsi i mezzi di collegamento per corrispondere con elementi nei vari Paesi (23). In complesso, afferma Arné, l'apparato mancava di spazio, a fronte di una situazione che invece richiedeva ampia visione in relazione a necessità sempre più estese. Nell ' imminenza della seconda guerra mondiale, il Servizio non aveva ancora trovato in seno a]]o Stato Maggiore Generale quell' atmosfera di comprensione, fiducia e considerazione che avrebbero dovuto costitujre le premesse spirituali ed intellettive per una fruttuosa collaborazione, il che si proiettava anche a livello periferico nei confronti degli organi informativi presso gli stati maggiori delle Grandi Unità operative. Quanto sopra era d'altra parte la conseguenza di tutta una serie
(23) Nel giugno 1940, all'atto della nostra entrata in guerra, tali Centri erano sollanlo 5, portati poi a l l in settembre ed a 28 in dicembre; a maggio del 1941 il loro numero era salito a 42, con una rete che copriva l'Europa, il bacino mediterraneo. la costa atlanti<.:a, il medio Oriente e l'Oceano Indiano (De Risio, op. cit., pag. 18). Un indubbio adeguamento operativo. la cui effettiva validità avrebbe però sempre presentato non poche lacune proprio in relazione al loro allestimento necessariamente frettoloso, effettuato a guerra già in corso e privo quindi della indispensabile azione di preparazione ed inserimento nelle aree di interesse.
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di fattori dei quali due, però, rivestivano un 'importanza detenninante; l'impreparazione informativa, di carattere tecnico ma soprattutto di natura intellettuale, e la carenza di personale adeguatamente preparato, strettamente discendente dalla prima. I1 concetto che la conoscenza del nemico o comunque di un potenziale avversario ovvero ancora di un Paese al momento alleato o neutrale potesse costituire un presupposto di base tale da condizionare disegni operativi, piani d'azione, orientamenti politici ed economici ed atteggiamenti diplomatici non aveva mai avuto, tra gli ufficiali italiani, una reale valenza culturale. La nozione che informazioni ed operazioni costituissero, in chiave metodologica intellettuale e tecnico-applicati va, elementi interdipendenti ed inscindibili era rimasta sempre sempre allo stadio di astratto concetto scolastico. Finalità, organizzazione, metodi e soprattutto essenza «offensiva» dell'azione informati va non erano argomenti trattali nelle nostre scuole di reclutamento e di perfezionamento, e nemmeno presso quel massimo istituto rappresentato dalla Scuola di Guerra, dove l'esigenza informativa non andava al di là di un hreve cenno convenzionale da inserire routinariamente nella stesura didattica degli ordini di operazioni. In altre parole, l'ufficiale italiano, compreso quello destinato al servizio di stato maggiore, non era mai stato educato a sentire, secondo la felice espressione di Amé, «l'orrore del vuoto informativo». Durante la carriera, questa patticolare esigenza e la relativa attività rimaneva per lo più estranea all'abito professionale dell'ufficiale di qualsiasi grado, limitandosi a qualche parziale e fugace manifestazione destinata a passare ed a non lasciare tracce durevoli. Non può quindi suscitare meraviglia che del Servizio Informazioni e della sua funzione, in mancanza di chiare nozioni, ciascuno fosse indotto a formarsi una concezione soggettiva, solitamente superficiale e talora incongrua, non aderente alla realtà, dal che ne traeva inevitabilmente quella mancanza di comprensione, fiducia e considerazione tanto a livello centrale che periferico della quale s'è già fatto cenno. Così come non poteva non discenderne la carenza di personale adeguatamente preparato. Da noi, afferma sempre il gen. Amé, non esistevano scuole di formazione per gli elementi da impiegare nel Servizio Informazioni. Venivano effettuati solo alcuni corsi annuali, di carattere operativo ed a livello elementare, per preparare un piccolo numero di ufficiali per le esigenze di mobilitazione degli organi informativi delle Grandi Unità combattenti, mentre nulla era fatto per la qualificazione del personale destinato all'organo centrale. 598
Una grande lacuna, tenendo conto che un servizio di infonnazioni militari non si riduce ad un'agenzia di raccolta, schedatura e smistamento di notizie, senz'anima, senza passione e senza una solida base intellettuale. Analisi, sintesi e rappresentazioni di situazioni non sono il risultato della somma aritmetica od algebrica delle informazioni pervenute, ma traggono valore e significato dalla sensibilità e dall'intuizione degli elementi direttivi che le elaborano. Da quanto esposto, l'atiivilà degli addetti militari italiani nel periodo intercorrente fra le due guerre mondiali viene ad assumere, in base alle testimonianze documentali 1iportate, un valore ed un significato di tutto rispetto. Essa infatti dette luogo ad un flusso informativo senza dubbio ragguardevole, tanto sul piano dei molteplici aspetti della realtà psicosociale di rispettiva pertinenza quanto su quello dell'evoluzione del1o strumento bellico nelle sue componenti dottrinarie, ordinative e tecniche, sia pure nei termini relativamente ristretti che questa presentò globalmente. L'aggettivo «ragguardevole», nella sua accezione primaria di «meritevole di particolare considerazione», ha tanto più ragion d'essere quando si consideri la menzionata mancanza, per questi ufficiali, di una specifica preparazione ad un compito di intelligence la cui essenza intellettuale, e quindi formativo-applicativa, era sostanzialmente misconosciuta e negletta. Ufliciali, inoltre, che non costituivano nemmeno il frutto di una selezione attitudinale sia pure sommaria, limitata invece per una buona percentuale di casi all'appartenenza ad un ca<;ato patrizio, privilegiato in quanto garanzia di rispondenza a quegli adempimenli di rappresentanza che sembravano essere alla ba<;e dcli' incarico. A parte coloro, e ve ne saranno certamente stati, che si adeguarono a tale orientamento (sia per effettiva capacità di fare altrimenti, sia per iner.1:ia), gli altri si adoperarono alacremente per acquisire notizie e dati e, per quanto possibile, svilupparli in vere e proprie informazioni valutative utilizzate molte volte integralmente nei propri elaborati dall 'organo centrale. Si tenga conto, per apprezzare maggiormente l'attività in queslione, che stante il ruolo dei protagonisti si trattava necessariamente di una 1icerca palese e non occulta, con tutte le limitazioni e le cautele che ne seguivano, specie in quelle aree ed in quei periodi dove si aveva tutto l'interesse, nei confronti dell' Italia, a far nascere incidenti diplomatici e dove pertanto era necessario guardarsi sc,upolosamente da provocazioni e Lranelli d'ogni genere. Una ricerca infmmativa, inoltre, in pochi casi messa in atto su iniziativa personale, sulla scmta di una creatività o di una solerzia individuali che compensavano la mancanza di chiare attivazioni in proposito. E d'altro canto, sul piano informativo militare a liveJlo orga599
nizzzativo centrale, non avrebbe potuto essere altrimenti. Per le ragioni delle qua1i s'è detto in precedenza, la seconda guerra mondiale avrebbe messo impi etosamente in luce come dal punto di vista concettuale non fossero stati compiuti progressi realmenle sensibili rispetto alla prima e perfino ri spetto alle guerre coloniali. L' Tlalia,nel ventennio intercorrente fra i due conflitti mondiali e precisamente negli anni Trenta, aveva inleressi che si estendevano dalla Cina alla Tripolitania, dall'Egeo ali ' Albania, dall ' Eritrea alla Somalia, ma il suo apparato militare era privo di una centrale intelligence degna di questo nome. L'Italia era assmta al rango di grande potenza, ma dietro questa immagine, presunta o reale che fosse, la direzione politica e l'alta dirigenza militare continuavano a navigare a vista. In particolare il pensiero mililare rimase ristretto entro un provincialismo che gli impedì di spaziare oltre l'orizzonte delimitato dai confini nazionali, e ciò nonostante l'esplicita tendenza espansionistica di un sistema politico con il quale quello militare avrebbe dovuto operare in stretta sintonia. Questa disarmonia aveva una sua logica, sia pure in negativo, quando si consideri il rapporto su base di compromesso stabilitosi fra l'apparato militare cd il capo del governo e risalente sin dai primi tempi della sua ascesa al potere. Mussolini garantiva agli alti comandi il pieno controllo delle proprie strutture, senza ingcren,.e né rilievi, in cambio del sostegno ad una politica di prestigio che avallasse la ricerca ed il conseguimento di un ' adeguata collocazione internazionale. I generali non gli creavano problemi di so1ta, lui li faceva ruotare nelle alte cariche e nel governo senza mai chiedere loro più di quanto potessero dare, alimentandone il ruolo di superburocrati con le stellette. La condotta di Mussolini verso le forze annate era quindi riconducibile alla logica di una mcdia;,,.1one personale che si svolgeva sempre nei limiti concessi dai singoli gruppi di potere militari (in primo luogo quello badogliano, predominante), nessuno dei quali ammelleva intrusioni del capo del governo, e tanto meno di altri, nella propria sfera. L'autorità effettiva del Duce si esercitava solo nelle situazioni fluide, allorché eventi molto particolari tendevano a sconvolgere l'equilibrio dei predetti poteri, ma anche in questi casi non ne conseguiva un accentramento egemonico da parte sua quanto invece una nuova forma di equilibrio statico fra i diversi clan. Dai loro uffici presso le Regie Ambasci ate e Legazioni, gli addetti militari italiani fecero quanto era nelle possibilità di ciascuno di loro per fornire un contributo infonnativo, in non pochi casi 600
ben oltre il proprio potenziale intellettuale ed espressivo ovvero, in altri, sfruttando al meglio una personale base culturale superiore alla media. Venne meno, di questa produzione ricca di dettagli e di particolari di grande interesse, non tanto la doverosa atlenzione da parte degli organi analitico-valutativi quanto la successiva adeguata utilizzazione, coordinata e sinergica, da parte dei supremi vertici direttivi. Le carenze e le anomalie che sono state esposte fecero si, infatti, che venisse sempre a mancare, nel periodo fra le due guerre, un centro di elaborazione intelletluale delle varie ipotesi di conflitto veramente all'altezza dei tempi. Non vi nessuno, ai massimi livelli militari, che avesse sentito l'impegno ed avesse avuto la capacità di intuire e codificare le curve degli avvenimenti possibili, indicando e prescrivendo per ciascuna di esse i mezzi e le decisioni da adottare. Sul piano intelligence si persistette nel!' assenza di una pianificazione mirata e lungimirante, nella sovrapposizione continua di successive inaziomùità, nello sfasamento fra possibilità ed obiettivi, il tutto in un'atmosfera di improvvisazione contingente e di superficialità, espressione di una carenza culturale trasfondentesi principalmente nell'inconscia tendenza a perpetuare il «vuoto informativo» senza percepirne I' «orrore».
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ALLEGATI
ALLEGATO
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MINISTERO DELLA GUERRA S.I.M. Oggetto - ETIOPIA: SITUAZIONE POLITICO-MILITARE AL 1°.4.1936 Omissis CAPO IV BIANCHI AL SERVIZIO DELL'ETIOPIA
1) Francesi Sono al servizio dell'Etiopia con compiti militari i seguenti ufficiali della riserva: - maggiore Carlo Duriaux; capitano P. Degony; - tenente M . Gencves; - tenente L. Bon; arruolati per servizi di polizia nel mese di settembre 1935. Tn seguito è stato ingaggiato e destinato a Giggiga con analogo incarico il: - maggiore Enrico Gramain; pure della riserva. Il consigliere del Negus per l'aviazione è l'aviatore francese Drouillct, attualmente in Francia con l'incarico di acquistare aeroplani, coadiuvato da altri connazionali in qualità di tecnici e di meccanici. È irrilevante il numero degli elementi francesi a servizio de11 'Etiopia per scopi vari e per la fornitura delle armi.
2) Tedeschi Sono al servizio dell'Etiopia con compiti militari: - capitano pilota Lodovico W. Weber; - tenente pilota W. Bemper; facenti parte dell'aviazione etiopica. (*)AUSSME, 01-133/7.
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Inoltre i seguenti specialisti: Veidhort Theophil; Deuner O scar; Feldmann Robert; incaricati della manutem·.ione e montaggio dei cannoni antiaerei. Molti agenti tedeschi, sotto varie coperture, sono abilmente di slocati in Etiopia; l'opera di alcuni di essi sarehbc rivolta più a favore della Madre Patria che dell 'Etiopia. Alcuni esperti di mineralogia, fra i quali H. Thomas e Herbert Masser, dedicano la loro attività alle ricerche del sottosuolo etiopico. Fra gli agenti tedeschi operanti a favore dell 'Etiopia sono in particolare da segnalare: il maggiore Oestreicher, che s'occupa personalmente di forniture di materiale bellico e pare anche di istruzione dei reparti militari etiopici; il giornalista Schusser c he s'occupa egual mente di forniture militari e si ritiene sia legato a l servizio informazioni militare tedesco; - i' ingegnere Hans1.;n Fe<l~rico che svolge la sua attività nel contrabbando di armi. Negli ambienti della Corte imperiale elementi tedeschi prevalgono per autorità ed innuenza: fra questi i meticci Hall particolarmente fedeli al Negus, e la signora Herzel, confidente dell ' imperatrice Mcnen. 3) Belgi
Sono al servizio dell'Etiopia con compiti militari i seguenti ufficiali della riserva: - maggiore Van den Eynde, con funzioni di organizzatore dcl1a guardia imperiale; - capitano Motte, comandante i regolari di Dessiè; - tenente Witmer, incaricato della censura ; - tenente de Norman; - tenente Herion; - tenente Van Fleteren; tenente Dubois. Questi ullimi dislocati da parte ad Barrar e parte a Giggi ga come consiglieri del dcgiac Nasihù. TI capo della mi ss ione col. Reul, il cap. Vi seur, il cap. d e Fraipont, il ten. Frère ed il ten. Berard hanno lasciato l'Etiopia. Si ritiene che anche gli ufficiali sopra indicati seguiranno l'esempio. 606
4) Svedesi
Sono al servizio dell'Etiopia con compiti militari i seguenti ufficiali, appaitenenti alJa missione militare svedese e dimcssisi dal1' esercito svedese per prestare servizio in Etiopia: capitano Tamm; tenente Hcumann; tenente Thorhurn; Lenente Bouveng. Essi continuano a dedicare la loro attività all'istruzione degli ufficiai i abissini. 5) Inglesi
È in servizio dell'Etiopia con compiti militari il pilota Hugh Oloff, facente parte dell'aviazione etiopica. Sono al servizio dell'Etiopia con funzioni di consiglieri tecnici dei capi etiopici i seguenti ufficiali: colonnello Sandf'ord, presso il fitaurari Zeudiè a Magi; tenente WiHrnson che, secondo alcune voci non controllate, sarebbe perito nel Cercer in seguito ad incidenti scoppiati fra quegli armati abissini. Risulterebbe inoltre la presenza di 7 ufficiali inglesi nella regione di Harrar con compiti imprecisati ed in frequente contatto col degiac Nasibù. L'attività degli addetti militari presso la Legazione Britannica in Addis Abeba, è sospetta, per la loro partecipazione ai consigli tenuti dal Negus su lla condotta di guerra: colonnelJo Holt, al fronte nord; - colonnello Taylor, al fronte sud. 11 col. Holt però in vista della calliva piega degli avvenimenti ha chiesto il rimpatrio per ragioni di salute, cosa che il ministro Eden «rammaricandosi per la forzata interruzione del suo apprezzato lavoro», si è affrettato ad accordare, certo contento di poter cos'ì sottrarre il consigliere militare inglese dal Negus all'eventuale responsabilità degli insuccessi. E al servizio dell'Etiopia l' ingegnere Nethercoat quale tecnico della radiotelegrafia e crittografia. Tra gli elementi di nazionalità inglese che hanno funzioni eminenti nell'amministrazione etiopica e che si occupano di forniture di materiale bellico, è da seg nalare il Presidente della Banca 607
d'Etiopia, Collier, che si dimostra particolarmente attivo nell'assicurare ali' esercito etiopico armi e munizioni di fabbricazione inglese; ed il meticcio canadese Y.S. Samuel.
6) Svizzeri
Sono al servizio dell'Etiopia con compiti militari i seguenti ufficiali: capitano Witt.ling, con incarico dell'organizzaz,ione della difesa del ponte di Auasch, sulla ferrovia Gibuti-Addis Abeba; pilota Santindlcr Hoschinerich; - pilota Hansen Federico, facente parte dell'aviazione etiopica. Sono inoltre al servizio dell'Etiopia, sotto la direzione del Capo Tecnico Franz Bergcr, e per la manutenzione dei cannoncini Ocrlikon, 15 tecnici fra i quali si contano vari ufficiali, come ad esempio: tenente Hans Frey; tenente Fehlmann; Lenente Scilcr. Qualche elemento svizzero è tra i consiglieri politici del Negus. Da segnalare l'Auberson, che gode di particolare fiducia, e che attualmente trovasi in Europa, forse con incarichi riservati. Infine l'ing. Bickel è incaricato della costruzione di fortificazioni e di piste camionabili d'uso militare.
7) Greci
Sono al servizio dell'Etiopia con compili militari i seguenti ufficiali: comandante Mussa Saba Cavanilis, che era a capo di una colonna abissina di ras Desta Damtou, fuggita precipitosamente da Malca Murri al primo apparire dei nostri reparti marcianti in direzione di Neghelli; - capitano Kehiadocos, che riveste attualmente le funzioni di aiutante di campo del generale turco Wehib Pascià nell'Ogaden; capitano pilota Antonos Verdas, facente parte dell'aviazione etiopica, coadiuvalo dal meccanico Kozibaris Axilevis. Sono inoltre al servizio dell'Etiopia con funzioni sanitarie i seguenti ufficiali medici: 608
colonnello Giorgio Arghiropoulos, incaricato della direzione dei servizi sanitari; Vassilikiotis, dislocato a Bale-Ginner; Dassios, dislocato a Dessiè; cd altri presso le forze etiopiche sul fronte nord e sud. Tra i trafficanti d'armi prevalgono per numero e per importanza gli elementi greci; fra essi il dottor Zervos, che gode la fiducia del Negus e che riveste le funzioni di Ministro di Grecia ad Addis Abeba, e tale Dracopoulos, presentemente in Grecia, che mantiene, per conto dello Zervos, relazioni di affari estese in ogni paese, a favore de11'Etiopia. 8) Turchi
È al servizio dell'Etiopia con funzioni di consigliere militare sul fronte Ogaden il generale Wehib Pascià coadiuvato da altri 5 ufficiali dell'esercito turco, tra i quali il colonne11o Tahir Bey. 9) Austriaci
Sono al servizio dell'Etiopia con funzioni di ufficiali di polizia: dott. Otto Begush; - dott. Rudolph Brunner; ex commissari de11a Federazione di Polizia di Vienna. Sono inoltre al servizio dell'Etiopia con funzioni imprecisate: - barone von Niedrichs; - dottor B. Schopper; ing. A. Remp1er. 10) Russi Sono al servizio dell'Etiopia con compiti militari i seguenti ufficiali: colonnello Kanavaloff; magg. pilota Miska Babitsceff, facente parte dell'aviazione etiopica. 11) Americani È al servizio dell'Etiopia, con compiti militari: - il pilota Jacobs, facente parte dell' aviazione etiopica. 609
Sono inoltre al servizio dell' Etiopia con funzioni di consiglieri del Negus: il noto J. Colson; dott. Herbert Spencer, consulente in materia di diritto internazionale. Missioni sanitarie
Dietro iniziativa della Croce Rossa internazionale, molti paesi hanno inviato in Etiopia ambulanze e sanitari, di cui è detto nel capitolo 1° del comma E ove si tratta del servizio sanitario.
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ALLEGATO 2 (*) LEGIONE AFRICANA UFFICIO DI RECLUTAMENTO
1) Io sottoscritto dichiaro che mi impegno di servire nella Legione Africana per un periodo non inferiore a sei mesi dalla data del contratto; dichiaro che obbedirò a tutti gli ordini che mi verranno impartiti dai miei superiori della Legione, e che eserciterò con fedeltà e diligenza il comando affidatomi. 2) Presterò servizio col grado di ............... ne11a Legione, e condurrò il ............ (designazione del riparto, ad es. compagnia) .......................... dove mi sarà ordinato, e contro qualsiasi nemico che mi sarà indicato. 3) Mi rendo conto che se dovessi violare questo giuramento, prestato in qualità di ufficiale al servizio di Sua Maestà ............. . imperatore di Etiopia, potrei incorrere nelle sanzioni di un tribunale militare, compresa la pena di morte.
4) Accetto di essere a completa disposizione de11a Legione, e dei miei superiori nella stessa, a partire dalla <lata del presente contratto di arruolamento. 5) li presente contratto potrà essere prolungato per altri sei mesi, dopo il suo termine, qualora la Legione lo ritenesse necessario, e qualora la Legione adempia ai suoi obblighi contrattuali nei miei riguardi. 6) In qualità di ............... (grado) ........... nella Legione, mi sarà corrisposta la somma di ............ al mese, ammontante ad un totale di . ..... . .... .per sei mesi. Quest'ultima somma sarà versata a mio nome, aJla ......... Banca ....... ., e sarà vincolata fino al termine del mio servizio. Durante il servizio, sarò tuttavia autorizzato di prelevare ................... per mese, somma che sarà versata a me, oppure secondo i miei ordini, da11a Banca presso cui è istituito il conto vincolato. 7) Se io dovessi cadere ucciso nell'adempimento del mio dovere, dichiaro qui che il Governo Etiopico non è obbligato a corrispondere una indennità ai miei credi, in quanto mi rendo conto che assumo il servizio, e le conseguenze che ne possono derivare, di mia piena libera volontà. In caso tuttavia di morte, o di inabilità
(*) AUSSME, DI -224.
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permanente, la Banca sopra citata è tenuta a versare 1'intiero ammontare presso di essa vincolato ai beneficiari che io indicherò alla Banca, quando verrà istituito i] vincolo. 8) In qualità di ......... . . . ... ne11a Legione Africana, dovrò ricevere, oltre g1i assegni sopra distinti, le uniformi, i mezzi di trasporto, a11oggio e vitto, corrispondenti a quelli normalmente corrisposti ag1i ufficiali coloniali; detta concessione ha inizio da11a data del presente contratto. Firmato il. . . . . . . . . . . . . . . Accettato il .......... . .. ... . .
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ALLEGATO
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OSSERVAZIONI CIRCA LA DOTTRINA TATTICO-OPERATIVA TEDESCA IN RAPPORTO ALLA NOSTRA (estratto dalla relazione del cap. Rodolfo Fasano su un ciclo addestrativo svolto nel 1937 presso alcuni reparti tedeschi)
Omissis La dottrina tattico-operativa tedesca è decisamente orientata alla guerra di movimento. 11 combattimento di incontro, la ricerca e l'attacco de11'ala avversaria, il prolungamento del proprio fronte mediante unità di seconda schiera contro il pericolo di avvolgimenti, lo spostamento di rincalzi e di riserve, il passaggio <lall' offensiva alla difensiva, la rottura del contatto costituiscono normalità e non di rado si susseguono in ordine serrato, come successivi episodi della stessa azione. La manovra è presupposta in ogni atto offensivo e difensivo, in ogni reparto, dalla divisione alla squadra. Costituisce il mezzo più efficace per assolvere il compito, qualunque esso sia, per uscire nel modo migliore da qualsiasi situazione, anche la più difficile. Non c'è spirito offensivo ad oltranza; c'è la tenacia nel tendere allo scopo, e la volontà di non lasciarsi sopraffare dall'avversario anche nelle situazioni meno favorevoli. Il combattimento di incontro è il più frequentemente considerato e studiato. La divisione di fanteria inizia e compie l'avvicinamento in formazione sempre eguale, quasi schematica: costituisce cioè tre «gruppi di marcia», ciascuno formato da un reggimento di fanteria rinforzato da un gruppo leggero divisionale, da una compagnia genio e da elementi minori. Più indietro, procedente a sbalzi da nodo a nodo dell'asse dei collegamenti, un quarto Marschgruppe comprende tutti gli elementi motorizzati divisionali non assegnati agli altri tre (automezzi del comando, parte del gruppo anticarro divisionale, gruppo osservatori d' artiglieria, autocarreggio). Con questa formazione la divisione avanza,
(*) AUSSME, Ll3-45/S.
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su una o più strade, preceduta dal proprio reparto esplorante e dallo scaglÌone di sicurezza distaccato dal gruppo o dai gruppi di marcia che sono in testa. L'artiglieria pesante ippotrainata è ripartita fra lo scaglione di sicurezza ed uno dei gruppi di marcia. Soltanto quando le notizie sul nemico si fanno più precise e l'avanzata incontra resistenze via via più considerevoli, questa schematica formazione incomincia a rompersi, e attraverso successivi spostamenti di reparti , si delinea lo schieramento per l'attacco. T grnppi di artiglieria più arretrati sono chiamati avanti e prendono, in tutto od in parte, posizione ove più probabile si prospetti la necessità del loro appoggio; i reggimenti di primo scaglione ricevono un iniziale orientamento sulle probabili direzioni di attacco da seguire e sulla posizione di partenza (Rereitstellung) da occupare; dallo scaglione motorizzato (4° Marschengruppe) sono proiettati avanti gli elementi il cui impiego si delinei necessario. Di solito si mira a passare, senza soluzione di continuità, dal1' avvicinamento all'attacco. Deciso questo, il movimento in avanti non deve subire soste. Se le forze nemiche non sono considerevoli è lo scaglione di sicurezza che attacca, appoggiato dalle artiglierie che già hanno preso una posizione, e l'avanzata procede. Se ciò non è possibile, sono i reggimenti di primo scaglione, già orientati, che raggiungono la Bereitstellung e partono all'attacco. T gruppi già chiamali avanti, appoggiano. Una fase di «organizzazione del1' attacco» vera e propria non viene presa in considerazione se non in casi particolari. Di solito si ritiene che giungendo a stretto contatto con l'avversario in forze, la divisione abbia già non soltanto definito 1'azione da svolgere ma abbia anche ultimato, o pressoché ultimato, il suo schieramento d ' attacco attraverso i successivi provvedimenti adottali durante lo sviluppo dell'avvicinamento. Si tratta quasi sempre, più che altro, della confem1a di un dispositivo che, nelle linee essenziali, si è già venuto formando, e di una maggiore precisazione di compiti per l'artiglieria. La sosta sulla Bereitstellung non è mai lunga: il tempo necessario ai reggimenti per perfezionare la formazione già in precedenza abbozzata. Per quanto riguarda l'azione dell ' arliglieria prima e durante l'attacco, ho potuto conslalare che non è forse intesa come da noi. Di «prepàrazione» non ho mai sentito parlare; non uno dei temi di tattica svolti durante l'anno ha consideralo un tempo qualsiasi destinato alla preparazione. Essa ha sempre coinciso con l'appoggio sugli obiettivi di primo piano. L' appoggio - assai più che dalle intese preventive e dalle richieste della fanteria - è stato sempre 614
visto assicurato sopratlutto dal concentramento della massa di fuoco, spesso di tutte le artiglierie divisionali, su quel tratto di fronte che di volta in volta presentava le maggiori resistenze. I gruppi particolannente incaricati di svolgere l'appoggio nell' uno e nell'altro settore sono sempre stati designati; ma in realtà il lavoro di settore non è mai durato a lungo. Davanti al reggimento che stentava a proseguire, si è sempre scatenato, subito, il tiro violentissimo di tutti i gruppi disponibili, immediatamente sfruttato da11a fanteria attaccante. Nel combattimento difensivo la divisione assume uno schieramento che differisce notevolmente dal nostro. La lotta ad oltranza si svolge nella posizione di resistenza ma lo schieramento iniziale è assai profondo ed una notevole parte delle forze (specie artiglieria) è proiettata avanti a11a posizione stessa, per battere e logorare il nemico mentre si avvicina. Ogni qual volta la situazione lo consenta, il Gruppo Esplorante divisionale viene spinto il più lontano possibile (talvolta 15-20 km. avanti alla linea di resistenza) per segnalare al più presto l' avvicinarsi del nemico e ritardarne 1'esplorazione. A 5-6 km. avanti alla linea di resistenza viene occupata una posizione avanzata ( vorgeschobene Stellung) alla quale sono destinati reparti mobili e dotati di molti mezzi di fuoco ( compagnie ciclisti, compagnie mitraglieri, compagnie anticarro, batterie divisionali leggere). · La posizione è protetta da forti aliquote di artiglieria divisionale (talvolta 2 gruppi leggeri e parte del gruppo pesante) schierate immediatamente al tergo de11a retrostante linea di sicurezza. La posizione deve creare così un valido tempo d'arresto nell'avvicinamento del nemico; sottoporlo a notevoli perdite; costringerlo ad un prematuro schieramento d'attacco. Seguono poi, la linea di sicurezza e la posizione di resistenza con compili analoghi ai nostri. Col progredire del nemico, ciascuno degli elementi avanzati della sistemazione difensiva sostiene quello antistante che si sta ritirando combattendo (Aufnahme); l'artiglieria, con rapidi cambiamenti di postazione, passa dallo schieramento avanzato a quello normale; tutto ripiega - sempre combattendo - sulla posizione di resistenza, ove la lotta si svilupperà attraverso il fuoco organizzato ed una serie di contrattacchi e contrassalti ininterrottamente condotti. La resistenza in posto è quindi preceduta da una fase di resistenza ritardatrice molto marcata, che richiede una quantità di azioni preventive di fuoco e di movimento, sviluppantisi con intensità sempre crescente dalla linea degli elementi più avanzati fino alla 615
linea di resistenza; azioni coordinate fra loro da un compito di reciproco appoggio e miranti nel loro complesso ad indebolire e disorganizzare l'avversario prima che la lotta decisiva abbia inizio. La protezione di artiglieria riposa essenzialmente su una ben organizzata rete di osservazione e sul rapido, diretto intervento del fuoco sugli obiettivi che di volta in volta appaiono più pericolosi. La regolamentazione prevede un «piano di fuoco» nel quale sono precisati: i tratti per il Notfeuer (sbarramento automatico dei tratti più sensibili della difesa), le zone per le Zusammejfassung (concentramenti di forze su posizioni che potranno essere successivamente occupate dal nemico), i Zielpunkte (punti di riferimento), i «settori di tiro e di osservazione» di ciascuna batteria. Ma nell' effettivo sviluppo dell'azione, ho sempre visto considerare l'artiglieria come agente di iniziativa, e con la massima rapidità, sugli obiettivi che essa stessa era in grado di rilevare dai propri osservatorì sul campo di battaglia. Tn ·sostanza, sia in offensiva che in difensiva, l'artiglieria ha sempre agito con maggiore libertà di quanto non sia previsto da noi; più che soddisfare richieste di fuoco della fanteria, è direttamente intervenuta ove le appariva necessario, seguendo attentamente gli sviluppi dell'azione. Molto spesso considerato è il caso dell' Hinhaltender Widerstand (combattimento temporeggiante), mirante ad impedire all'avversario l'esecuzione di un'azione minacciosa contro la quale non sia temporaneamente possibile opporsi in forze, ovvero mirante a guadagnare tempo per l'organizzazione a difesa di una posizione. Spesso una grande unità, operante di fronte ad un nemico preponderante, si dispone saldamente a difesa su un tratto ristretto del fronte minacciato o, contro il pericolo di avvolgimento del fianco, destina un nucleo relativamente esiguo di forze con il compito di opporre Hinhaltender Widerstand per il tempo necessario a consentire l'arrivo di rinforzi o ad attuare anche altro provvedimento. L'Hinhaltluder Widerstand viene condotto su più linee successive di difesa sulle quali il difensore resiste senza però lasciarsi impegnare a fondo. Larga parte dell'organizzazione di questa forma di combattimento è riservata al Genio, che deve creare davanti a11e successive linee di difesa e sul terreno fra esse interposto sbarramenti di ogni genere, sopraltullo contro i carri armati. Anche assai frequente è la costituzione di unità miste destinate allo sbarramento di una linea per garantire il fianco della grande unità operante. Questo si verifica per unità di ala o nei casi in cui, fra unità laterali, vi siano determinati vuoti considerevoli. Una divisione di ala in attacco concentra le proprie forze nella direzione prescelta, ma per 616
premunirsi da sorprese sul fianco scoperto crea uno sbarramento (mjtrag1iatrici pesanti, pezzi anticarro, protezioni artificiali che dispone su una linea idonea a garantir1e i1 fianco. Infine è notevole la frequenza con cui vengono presi in esame casi di unità d'ala e di fronti discontinue, sia per sé che per 1'avversario. Nell'interno stesso della divisione accade di frequente che un reggimento di fanteria debba occuparsi dei fianchi o provvedere a co1mare in qualche modo i vuoti che si sono creati fra esso e i reggimenti laterali. De1 pari frequenti sono i casi che consentono un attacco diretto contro il fianco nemico o che prospettano minacce contro il fianco proprio. Si direbbe che le autorità mi1itari se ne preoccupino molto e che, considerandoli di evento frequente in guerra, provvedano a renderne familiare agli ufficiali ed alla truppa la trattazione in pace. Ciò è da porsi, probabilmente, in relazione alle concezioni strategiche dei capi, ed in pa11e è forse anche da attribuirsi al sopravvivere di a1cune de1la concezioni che hanno informato la dottrina operativa tedesca all'epoca de1 piccolo esercito di professione. Comunque è certo che la dottrina tattico operativa attuale presuppone guerra molto manovrala, grande mobilità e capacità manovriera da parte delle unità di ogni livello. Su1la base di questi presupposti è decisamente orientato l'addestramento dei reparti.
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ALLl<:GATO
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LE MANOVRE DELLE FORZE ARMATE TEDESCHE (20-26 settembre 1937) Omissis Osservazioni e considerazioni
Da quanto osservato direttamente e da co11oqui e notizie varie si possono dedurre le seguenti osservazioni e considerazioni:
Impiego delle tre forze armate
I problemi vari che sono stati tanto discussi in passato e ancora vengono discussi circa la funzione relativa de11e tre forze armate nella guerra moderna, sembrano in Germania trovare una soluzione di equilibrio discosta da alcune tendenze estremiste manifestatesi in passato all'estero. La tendenza ora prevalente sembra diretta essenzialmente ad assicurare la cooperazione delle tre forze armate, venendo in definitiva alla conclusione che, nei riguardi della Germania, i] successo sarà sempre segnato dalla fanteria, la cui avanzata dovrà essere direttamente o indirettamente appoggiata da tutti gli altri mezzi tecnici. Ciò non esclude naturalmente che l'aviazione abbia obiettivi propri, i quali sono stati anche frequentemente assegnati in queste manovre; ma al momento del bisogno le forze terrestri e quelle navali hanno avuto nel campo tattico diretto appoggio di notevoli forze aeree. Tale conclusione pare anche qui suggerita da quanto è stato largamente praticato da noi nella guerra d'Abissinia, e da quanto si è verificato in Spagna. Quanto alla marina, tra i compiti ad essa affidati in queste manovre non figurava il concorso alle operazioni di sbarco in tenitorio nemico; sembra invece che abbia acqQistato impo1tanza pre-
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valente il problema generale della protezione delle comunicazioni nel Baltico, e in particolare quello della protezione di un convoglio di truppe. Entrambi i problemi sembra abbiano naturale corrispondenza con i compiti reali che avrebbe la marina tedesca in caso di guerra, ma il secondo compito potrebbe dare indizio che il problema del trasferimento di truppe dalla o alla Prussia Orientale abbia nella concezione tedesca un'importanza superiore a quella che a prima vista potrebbe ritenersi. Se da queste condizioni generali si passa all'esame dei problemi dell'impostazione generale di queste esercitazioni combinate, non si può non rilevare come tale impostazione abbia risentito alquanto dell'eccessivo desiderio di voler tutto considerare in queste manovre, introducendo nel presupposto un pizzico di ogni ingrediente, senza tener conto deJ fatto che la preparazione degli Stati Maggiori e in particolare quella dei comandanti più elevati, è probabilmente ancora inadeguata, nonostante la buona intelaiatura organica fornita dall'ordinamento del Wehnnachtamt (Stato Maggiore delle forze armate con attribuzioni esecutive) e dalla Scuola di Guerra delle forze armate.
Dottrina tattica 1) Il supposto dell'esercitazione presentava, per quanto riguarda le forze terrestri, il caso di un partito inizialmente prevalente, il quale preveniva il nemico tuttora in fase di radunata. Per entrambi i partiti era considerato l'intendimento di passare al più presto a operazioni decisive. Questo supposto era evidentemente tale da poter mettere in azione le forze motorizzate e meccanizzate per saggiarne le possibilità d'impiego in un terreno generalmente favorevole per tali formazioni. Sta di fatto peraltro che nello svolgimento delle manovre non si è avuta alcuna brillante azione quale poteva attendersi, e le esercitazioni stesse non si sono distaccate dal quadro schema di due partiti opposti i quali finiscono per sostenere un incontro finale in una zona più o meno prestabilita. In particolar modo non sembra che il C.A. rosso abbia saputo utilizzare la superiorità iniziale e la djsponibilità di una divisione corazzata per ottenere un successo di importanza duratura. L' azione della divisione corazzata sull'ala destra, della quale si è parlato nel primo giorno di manovra, è rimasta praticamente sterile di risultato. 619
Queste considerazioni naturalmente non tanto hanno importanza per esaminare lo svolgimento de11e operazioni, il quale nelle manovre è regolato in modo che non sempre può essere conforme alla realtà, ma più che altro per mettere in evidenza l'orientamento mentale dei quadri più elevati, alieni nella generalità da soluzioni che si discostino dalla comune concezione. 2) Elementi che hanno colpito nello svolgimento delle manovre sono stati la tendenza a proiettare tutte le G.U. in prima schiera, tenendo alla mano poi riserve generalmente non organicamente costituite, e lo scarso rispetto dei vincoli organici delle divisioni, la cui costituzione è stata più volte cambiata, trasferendo reggimenti fanteria da una divisione all'altra. Tale tendenza, che è contraria alla nostra concezione, può peraltro presentare in Germania minori inconvenienti per il fatto di una ben radicata unità di procedimenti e della compattezza che assumono i reparti per il naturale spirito di disciplina della popolazione. L'inconveniente della limitazione delle riserve è sembrato aggravato dal fatto del loro frequente spezzettamento. In definitiva sembra non sia tenuta abbastanza in conto la necessità di tenere adeguate riserve opportunamente riunite per costituirne un solido elemento di manovra. Le divisioni si sono presentate nella consueta formazione ternaria; ogni divisione disponeva di 3-5 gruppi di artiglieria. È da rilevare la presenza di 2 divisioni Landwehr, una per ciascun partito. Tali divisioni, che sembra abbiano sostituito le antiche divisioni Grenzschutz, erano formate nella manovre da 2 reggimenti di Landwehr e da 1 reggimento attivo. È caratteristico il fatto che, mentre ufficialmente è stato dichiarato che le divisioni Landwehr si ritengono idonee all'inizio della guerra soltanto a compiti difensivi, entrambe le divisioni figuranti in queste esercitazioni sono state impiegate per compiti offensivi insieme con le unità attive. Non tutti i reggimenti fanteria erano su 3 hattaglioni, due di essi, ad esempio, sono stati completati con i battaglioni del reggimento d'istruzione di Doberilz. La maggior parte delle unità di fanteria appariva armata ancora delle mitragliatrici vecchio modello e priva di lanciagranate e mortai; ho veduto una batteria di cannoni per fanteria, che di sponeva anche di due Minenwerfer medi di vecchio modello. Buona parte delle artiglierie divisionali aveva in dotazione obici da 105 vecchio modello. 3) La fanteria si presentava bene addestrata a utilizzare il te1Te620
no; non si è avuta la possibilità di osservare in modo esauriente le modalità dell'attacco e de1la difesa, alla quale peraltro la mancanza di accompagnamento a tiro curvo avrebbe tolto uno degli elementi essenziali. Tn qualche caso sono state osservate formazioni alquanto dense per i rincalzi e l'esecuzione di movimenti laterali non sempre opportuni. Nessuna osservazione si è avuto modo di fare circa il funzionamento dell'esplorazione. Le dotazioni di artiglieria delle divisioni sono in parte, come noto, ancora incomplete: nell'insieme pertanto i quantitativi di artiglieria impiegati in queste manovre sono sembrati alquanto scarsi. Di massima le azioni offensive, a quanto mi è stato riferito, sono state eseguite dopo breve preparazione di artiglieria, e talvolta senza; obiettivi normali deJle artiglierie prima dell'attacco delle fanterie: l'artiglieria nemica, le comunicazioni e le zone di raccolta delle riserve. La concezione d'impiego delle artiglierie non è sembrata, nei pochi casi esaminati, ispirata a particolari idee di manovra, e non sempre è sembrato che per gli schieramenti dell'artiglieria si traesse molto partito dalle condizioni del terreno e dalla situazione. Si conferma l'idea che l'artiglieria tedesca, tanto nel campo tecnico quanto in quello tattico, non sia ancora all'altezza di altre artiglierie. Da constatare tuttavia il fatto che l'artiglieria tedesca sembra ormai svincolata dai piccoli obiettivi del campo di battaglia per concentrare la sua azione su obiettivi importanti. Concetto sul quale si insiste è quello dell'immediatezza di intervento, assicurato mediante aggiustamento con osservazione diretta e, se appena possibile, con l'ausilio della carta al 25.000, rapidamente riprodotta con i mezzi in dotazione alle divisioni. Ogni divisione dispone nel gruppo osservatori di un impianto autocarreggiato per la riproduzione di carte. Tale impianto consente, a quanto è stato affermato, la riproduzione di circa 200/300 · esemplari di 4 tavolette in due ore. Come nelle altre manovre, anche in questa circostanza la fanteria ha compiuto lunghe marce. Alcuni reparti hanno compiuto in 3 giorni una media di 60 km. al giorno, senza zaino. 4) Nell'addestramento dei pionieri occupa una gran parte la rapida costruzione di sbarramenti, e in particolare di sbarramenti contro i carri armati, attuati in prevalenza mediante campi di mine e abbattute di alberi. · 621
5) Nell'ultima giomala di manovra è stalo eseguito un attacco a massa con carri. Nel complesso 7 hallaglioni disposti su 3 schiere, 2 battaglioni affiancati in prima, 2 affiancati in seconda, e 3 battaglioni in terza schiera. Nel complesso 900 carri, sulla fronte di circa 2 112 km. e altrettanti di profondità. Tali carri, tutti del tipo leggero, rappresenlavano in parte autocarri medi. Lo svolgimento di questo attacco è stato osservato in parte e da lontano. Ho rilevato un certo addensamento e soprattutto in un certo mornenlo una sosta alquanto prolungata in terreno scoperto, la quale avrebbe all'atto pratico causato una notevole perdita. Da rilevare l'attacco eseguito dalla brigata corazzata il giorno 23 settembre, dopo il lramonto, in regione nuova rapidamente esplorata con un aereo dal comandante la brigata. 6) Largarnenle sviluppato e d9talo di mezzi il servizio giudici di campo. Presso ogni partito funzionava una direzione giudici di · campo, la quale aveva alla dipendenza dei gruppi di giudici di campo ripartiti per settori e giudici di campo presso le truppe. Ogni gruppo di giudici di campo disponeva di un plotone di trasrnission i e di numerosi mezzi di collegamento. Il servizio giudici di campo funziona senza discussione anche in casi nei quali i giudizi espressi possono sembrare affrettati e non rispondenti alla realtà. Viene ritenulo essenziale che i giudici di campo decidano prontamente, indicando la percentuale delle perdite, e che le truppe si abituino ad accettare senz'altro queste decis1orn. 7) Risulterebbe che i servizi hanno funzionato in modo molto soddisfacente. Al riguardo furono interessale anche le autorità civili e in particolar modo l'organo per l'alimentazione. li pane è stato distribuito da t:ergo perché mancavano i forni da campo. Particolare sviluppo ha avuto il servizio rifornimento carhuranti. Per i trasporti delle truppe e materiali vari sono stati necessari 400 treni, pur tenendo conto dei numerosi reparti motorizzati che sono stati trasferiti per via ordinaria. Da rilevare il trasporto di due reggimenti di fanteria per fe1Tovia da un' ala all ' altra dello schieramento rosso per un tratto di una cinquantina di km. Le truppe trasportate dalla Prussia Orientale sembrano essersi limitate al 1° reggimenlo fanteria, a un gruppo artiglieria e a formazioni minori, tutti su [ormazione ridotta. La disciplina strad,ùe è stata osservala in modo soddi sfacente, nonostante il forte numero di automezzi impiegati nelle manovre. 622
Vi ha contribuito certamente anche la disponibilità di una rete stradale abbastanza ricca. Un certo intasamento pare essersi verificato nell'ultimo giorno di manovra, allorquando sulle più grandi comunicazioni vennero a trovarsi affiancate due e, come la stampa afferma, anche tre e quattro colonne, occupando tutta la larghezza della strada, compresa la cosiddetta pista estiva. Tale intasamento sarebbe stato prontamente regolato e risolto dall'intervento della gendarmeria da campo. 8) Richiamo ancora una volta l'attenzione sull'apparecchio da ricognizione Fieseler Storch, che fu adibito durante le manovre e che sembra prestarsi in particolar modo per la ricognizione al di sopra delle proprie linee e per i collegamenti. Tale aeroplano, come già annunziato, può ottenere la velocità minima di circa 45 km. e può atterrare facilmente in breve spazio e su ten-eno in pendenza. 9) Notevoli, come di consueto, i provvedimenti presi per evitare lo spionaggio e per disciplinare gli spettatori. In tutta la zona delle esercitazioni era sbarralo l'accesso agli estranei non muniti di speciale autorizzazione. I visitatori autorizzati o abitanti della zona dovevano ogni giorno raccogliersi in determinati punti, dai quali partivano accompagnati da un ufficiale e inquadrali in testa e in coda con automezzi militari. Così scortati, gli spettatori segui vano itinerari detenninati e sostavano in punti prestabiliti, ricevendo le spiegazioni occorrenti dall'ufficiale accompagnatore. l 0) Le formazioni tedesche, per quanto in via di alleggerimento, si presentano tuttora molto pesanti per abbondanza di carreggio e ·di automezzi, e prive di elasticità nella ripartizione dei mezzi di trasporto per l'eccessiva specializzazione dei mezzi. Le missioni militari sono state tenute lontane nel giorno 25, durante il quale si effettuava il ripiegamento generale del X. C.A. rosso sulle nuove posizioni. Sembra che in tale circostanza si sia verificato qualche intasamento, e qualche difficoltà. L'inconveniente è riconosciuto dal comando tedesco, il quale ha sempre in vista un ulteriore alleggerimento delle formazioni, ma incontra qualche ostacolo nell'attuazione. Conclusione
In sintesi: a) Manovre accuratamente preparate e ben dirette, ma forse
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troppo estese, in relazione allo stadio attuale della dottrina militare tedesca. Si è voluto forse fare troppo e saggiare tutti gli elementi. In altre parole: per quanto riguarda l'esercito, tali manovre sono sembrate più una giusta posizione di esercitazioni di divisione o di Corpo d'Annata, anziché vere esercitazioni d'armata. E per quanto riguarda l'impiego coordinato delle forze armate, le concezioni operative tedesche non sono forse abbastanza maturate per potere ricavare dalle esercitazioni in questione, sia attraverso l'esame del loro svolgimento, insegnamenti sostanziali. b) Esercito e aviazione sono in primo piano, e per l'aviazione, sviluppo dell'artiglieria contraerea e della protezione aerea vanno di pari passo con lo sviluppo dei mezzi aerei. Ciò in considerazione de11 a vulnerabilità della Germania all'offesa aerea. L'aeronautica orientata verso una stretta cooperazione con le forze armate di superficie e verso il rispetto dell'unità di comando. La marina è certamente quella più indietro nei suoi apprestamenti, rispetto alle altre due forze armate. Essa coslituirà probabilmente per lungo tempo ancora un elemento di debolezza nel1'efficienza militare complessiva della Germania. c) L' esercito è tuttora in fase di accrescimento, ma è già strumento abbastanza solido per mezzi di armamento, addestramento, disciplina. I sottufficiali ne costituiscono i quadri nùgliori, gli ufficiali difettano ancora, per numero e per preparazione professionale. Gli Stati Maggiori sono ancora alquanto scarsi e forse non completamente addestrati. I comandanti, specie di grado elevato, sono giovani ed energici. Nella massa della truppa e dei quadri difettano ancora l' entusiasmo, come del resto nelle masse popolari tedesche, e ciò in gran parte per naturale temperamento della razza; ma la forza principale dell'esercito sta' e starà ancora nella tenacia e nella solidità della truppa, e nell 'educazione dei quadri all'energia, alla decisione, alla semplicità dei procedimenti.· La concezione militare tedesca non tanto fa assegnamento sull'abilità dei singoli, quanto sulle qualità combattive, ossia nell'elemento fondamentale per l'attuazione di ogni concetto operativo. La fanteria tedesca è alla testa in tale indirizzo.
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ALLEGATO
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Berlino, 27 gennaio 1938 / XVI Nr. 160
OGGETTO: Organizzazione propaganda in Germania ( Rifcr. Z/1208 del 24 coor.)
AL MINISTERO DELLA GUERRA Comando del Corpo di S.M.-S.l.M. ROMA
Il servizio de11a propaganda fa capo in Germania all'apposito ministero (Reichsministerium ftir Volksaufklarung und Propaganda) il quale, per quanto riguarda l' azione all'estero e per quanto riguarda gli interessi militari, si tiene in contatto con gli appositi organi del Ministero Esteri e <ld Ministero Guerra. Presso il Ministero della propaganda esiste apposito reparto e precisamente: Abteilung Il (L' Abteilung I si occupa delle questioni legali, amministrative e del personale) - Propaganda in genere. Compito di questo reparto sono: - dare unità di indirizzo nello svolgimento della propaganda; - dare direttive e attuare quanto si riferisce all'azione politica riguardante i seguenti argomenti: politica interna, estera, militare, sociale, economica, agraria, coloniale, demografica, sanità pubblica, politica riguardante le zone di frontiera e le minoranze, politica dei traffici e delle comunicazioni, gioventù e studi, esposizioni e fiere, lotta antisemita, assistenza invernale, comitato nazionale per il turismo. Mezzi di propaganda: esposizioni, riunioni , manifesti, pubblicazioni, fotografie, dispositivi, attuazioni di grandi manifestazioni, disposizioni di carattere artistico e tecnico per le cerimonie nazionali, riunioni sportive di carattere internazionale, sviluppo de11e esercitazioni fisiche all'interno. Questo reparto è robustamente costituito, in quanto dispone di
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numerosi referenti per le varie questioni. Complessivamente risultano circa 24 referenti, oltre il capo divisione direttore del reparto. Oltre tale reparto che si occupa delle questioni di propaganda in genere, esistono poi appositi reparti relativi a particolari mezzi di propaganda e precisamente: Abteilung III - radiotrasmissioni - il quale si occupa, oltre che deJJa parte generale, dell'organizzazione, dell'amministrazione e de11a vigilanza di carattere politico e culturale sulle radiotrasmissioni. I servizi di radiotrasmissione sono affidati in Germania alla Reichsrundfunkgesellschaft, <li carattere statale, la quale dispone di 11 stazioni radiotrasmittenti principali, di un impianto onde corte dotato di 2 trasmettitori ed infine di 16 trasmettitori regionali in «relais» con le stazioni principali (vedasi elenco annesso). Questo reparto si occupa anche di quanto riguarda la televisione. Abteilunf? IV - si occupa de11a stampa, e in particolare della stampa nazionale - estera - agenzie di informazioni - servizio fotografico - servizio informazioni fotografiche - raccolta della stampa - servizio conferenze in Germania e all'estero. A questo reparto fa capo il Sindacato nazionale della stampa tedesca. Abteilung V - si occupa della parte cinematografica, in particolare della legislazione - censura - servizio cinematografico all'interno e all'estero - industria - tecnica. Abteilung VI - si occupa del teatro. Abteilung VII - si occupa dell'estero e in particolare della lotta contro le menzogne politiche all'estero; della propaganda all'estero e dello sviluppo delle relazioni con gli altri stati. Altri reparti si occupano di tutte le pubblicazioni in genere, come pure delle arti figurative e della musica. Come si vede, il Ministero della Propaganda è un organismo molto complesso, nel quale si può dire che nessun ramo di attività che diretlamente o indirettamente interessi la propaganda, viene trascurato. Anche per la personalità del Dr. Goebbels che dirige questo dicastero, si può dire che la sua azione penetra in tutti i rami della vita nazionale. È da mettere in rilievo che non esiste la censura preventiva della stampa, ma che essa, per la intonazione generale del governo nazionalsocialista, per la disciplina che governa tutti i suoi organi, viene praticamente a essere esercitata anche in modo preventivo, e rarissimi sono i casi in cui si debba procedere a un sequestro di giornali. Nei pochi casi in cui tale fatto si presenta, nasce il dubbio 626
se non si tratti di qua1che notizia o commento che ad arte si voglia diffondere, senza impegnare la responsabilità governativa. Aggiungo che attraverso il Sindacato della stampa questa azione preventiva si può svolgere regolarmente disciplinando l'azione dei giornal( Acquista particolare importanza per la parte che riguarda la pro. paganda all'estero, soprattutto agli effetti della sua organizzazione in tempo di guerra, il VII reparto, il quale ha come speciale compito appunto quello di regolare tale azione di propaganda al di fuori della Germania. Come già indicato nelle attribuzioni di questo reparto, i suoi compito sono di carattere molto esteso, in quanto riguardano da una parte la cosiddetta «Autklarung» ossia la propaganda diretta a illuminare e orientare l'opinione pubblica all'estero e dall'altra parte si occupano delle relazioni con l'estero e dell'azione di contropropaganda come difesa contro l'azione avversaria. 11 Ministero della stampa e propaganda non dispone soltanto di organi centrali, ma anche di organi periferici i quali fanno capo alle cosiddette Landesstellen (uffici regionali). Esistono 31 uffici regionali, quali risultano da11' allegato annesso. Presso il Ministero della guerra esistono nel Wermachtamt, ossia nello Stato Maggiore comune alle tre forze armate, un Ufficio Esteri (Abt. Ausland) e un Ufficio Interni (Abt. lnland). Entrambi gli uffici si tengono in contatlo con gli altri Ministeri e in particolare con quelli degli esteri, dell'interno e della propaganda, per tutto quanto riguarda la stampa. Quanto viene pubblicato o in qualunque modo costituisce oggetto della propaganda strani era, viene rilevato nell ' Ufficio Esteri e segnalato per sollecitare gli opportuni provvedimenti di contropropaganda. Analogamente per quanto ri guarda la propaganda interna, per ia quaie esisle ncll'Abt. Tnland una sezione stampa. È da presumere che questi due organi debbano acquistare in tempo di guerra un particolare sviluppo e soprattutto una particolare influenza per quanto riguarda lo svolgimento della propaganda e . della contropropaganda all' interno e all 'estero. Presso i comandi di corpo d' armata mi risulterebbe che esistono ufficiali referenti per la stampa, incaricati di tenere il collegame nto con l'opinione pubblica nelle circoscrizioni ri spettive, in base alle direttive dell' organo ministeriale. Per quanto riguarda l'esercito, occorre anche rilevare l'esistenza presso i comandi di grandi unità e presso i reparti di appositi uffi627
ciali incaricati dell'assistenza ai militari (Fursorgeoffiziere). Tale assistenza si esercita soprattutto per quanto riguarda il collocamento a servizio compiuto, i sussidi alle famiglie ecc., cosicché questi uffici, i quali hanno già una importante funzione nel tempo di pace, indubbiamente verrebbero sviluppati in tempo di guerra e avrebbero una importante funzione nel compito dell'assistenza ai militari, e ai fini della resistenza interna. Presso il Ministero Esteri esiste un ufficio incaricato degli affari della stampa, in particolare del collegamento con la stampa straniera attraverso le rappresentanze diplomatiche a Ber1ino e attraverso i rappresentati autorizzati della stampa estera. Tale ufficio è affidato a un ministro plenipotenziario. Suo organo si può considerare il periodico Deutsche politische diplomatische Korrespondenz, sul quale sono pubblicate generalmente notizie e comunicati di carattere ufficioso. Altro elemento importante, per quanto non confessalo, dalla propaganda ali ' estero è indubbiamente la cosiddetta «Auslandsorganisation» ( organizzazione dei tedeschi all ' estero) affidala ad un apposito sottosegretario di Stato (Bohle) e incorporata nello scorso anno nel ministero degli esteri. A tale organizzazione fanno capo le varie sezioni e gli organi gerarchici superiori funzionanti all'estero, con lo scopo di raccogliere, vigilare e inquadrare nello spirito nazionalsocialista i cittadini tedeschi residenti all'estero. Esplicitamente si dichiara che tale organo non si occupa assolutamente della propaganda e che essa non raccoglie altro che i cittadini del Reich. Tuttavia è lecito supporre che essa non manchi di svolgere, sia pure attraverso la semplice esaltazione della funzione della Germania e attraverso l' affermazione dell'autorità del Reich sui propri cittadini· residenti all'estero e del prestigio tedesco, un'azione di propaga11da anche allo scopo di mantenere vivo il sentimento di nazionalità nei cittadini di razza tedesca, sudditi di altri Stati, e di esercitare su di essi un effetto di attrazione. È facile vedere come in caso di guerra tale organizzazione offra, negli Stati neutrali notevoli possibilità per la propaganda attraverso gli elementi tedeschi ad essa ascritti. È stato affermato in Inghilterra e in America che tale organizzazione dei Tedeschi all'estero viene a mascherare in certo modo un' organizzazione informativa. Tale notizia è stata energicamente respinta dal Governo tedesco, in particolare dal sottosegretario Bohle, ma è facile intuire come, dato il sentimento patriottico della popolazione tedesca e il particolare spontaneo orientamento infor628
mativo, questa organizzazione si presti naturalmente ad essere utilizzata anche ai fini informativi, patticolarmente in caso di guerra. Occorre infine aggiungere che tutte le aziende industriali e commerciali, agenzie viaggi e navigazione, e le loro rappresentanze all'estero contribuiscono direttamente o indirettamente all'azione di propaganda. Ciò avviene in particolar modo, in tempo di pace, per le organizzazioni turistiche, le quali contribuiscono notevolmente alla propaganda nazionalistica, in quanto richiamano con insistenza l'attenzione del pubblico sui paesi stranieri abitati da popolazioni tedesche e sulle ex colonie tedesche, mettendo in evidenza in ogni modo il carattere germanico e facilitando la visita e la conoscenza di tali regioni, in modo da mantenere desto, attraverso tale conoscenza in ceti più o meno estesi della popolazione, ma sempre influenti, il sentimento di rivendicazione. Tutta questa complessa azione viene coordinata anche dalle rappresentanze diplomatiche all'estero, tra le quali le più importanti dispongono di un addetto stampa. In sintesi si può affermare che attraverso la robusta e complessa costituzione del Ministero della propaganda e attraverso l'assistenza di organi apposti presso il ministero della guerra e degli esteri, il Governo tedesco disponga in tempo di pace di una valida organizzazione, capace di assicurare convenientemente 1' azione di propaganda e di contrnpropaganda all'interno e all'estero, assicurando anche gli interessi militari. Non si è a conoscenza di particolari organi previsti per il tempo di guerra, ma si ha motivo di ritenere che l'organizzazione di pace non richieda grandi mutamenti per il caso di guerra, in quanto essa possiede già. tutti gli elementi occorrenti Evidentemente dovrà essere completata e resa più robusta in caso di mobilitazione, particolarmente per l'azione all'estero e per quanto riguarda le truppe operanti. Non è da perdere di vista che le varie organizzazioni di assistenza sociale prestano e presteranno, in caso di guerra, un valido contributo per quanto riguarda la resistenza interna, mentre per quanto riguarda le forze operanti, non è dubbio che gli organi esistenti in tempo di pace potranno essere rapidamente completati o sviluppati. Nell' unito grafico sono rappresentati schematicamente gli organi e le relazioni reciproche del servizio propaganda. IL R: ADDETTO MILITARE
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ALLEGATO
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REGIA AMBASCIATA D'ITALJA
BERLINO
Berlino, 8 giugno 1939 -XVTT
L'Addetto Militare N.127213
OGGETTO: Visita alle fortificazioni tedesche de11a frontiera occidentale AL MINISTERO DELLA GUERRA Comando del Corpo di S.M.-S.I.M. ROMA Per disposizione particolare del generale v. Brauchitsch ho potuto compiere una visila alle fortificazioni tedesche della frontiera occidentale. Accompagnato da ufficiali dei comandi di truppe di fronliera ho percorso in due giorni: - il tratto di frontiera col Lussemburgo che va da I1Te1 (zona di Echtemach) lungo la Saar sino alla confluenza con la Mosella; - tutto il settore fra Mosella e Reno, indicato col nome di SaarSfalz, considerato come il più imporlante di tutta la fronte. Ho poi compiuto, non accompagnato, alcune brevi puntate in altri setlori e particolarmente in quello di Aquisgrana, sul Reno tra Karlsruhe e Kehl, nella Foresta Nera e alla frontiera svizzera, in modo da avere qualche idea anche sui rimanente della frontiera. La visita, per quanto rapida, mi ha consentito di avere una visione generale della organizzazione e di prendere conoscenza dei tipi principali di opere impiegate nella sistemazione della difensiva. Su quanto ho veduto riferisco a parte in modo paiticolareggiato, con rapporto che unisco a una memoria riassuntiva sull'apparecchio militare tedesco. Qui di seguito metto in evidenza gli elementi principali che caratterizzano 1'organizzazione difensiva nel settore da me visitato.
(*) AUSSME, G29-14.
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1) L'organizzazione comprende due grandi fasce, delle quali
quella anteriore costituisce il vero e proprio sistema difensivo completamente organizzato ai fini terrestri, mentre quello retrostante costituisce una fascia di difesa contraerei (Luftverteidigungszone) ossia contiene le installazioni occonenti per schierare prontamente una massa d'artiglieria contraerei destinata a costituire, in concorso con l'aviazione da caccia, un forte ostacolo alle incursioni aeree nemiche. Tale zona contiene numerosi elementi e in particolare reticolati, ostacoli anticarro, ricoveri alla prova, co11egamcnti, utilizzabili 111 caso di necessità anche per 1'azione terrestre. Nulla ho potuto visitare in tale zona. Ciascuna delle due zone ha una profondità di IO a 20 km.; le due zone sono a una distanza di 30 - 40 km. l'una dall'altra. 2) La fascia (o zona secondo la denominazione tedesca) anteriore si svolge quasi ovunque a immediata prossimità del confine tra la regione di Nesel e il confine svizzero, in corrispondenza del quale forma un fianco difensivo di consistenza varia, fino a Sciaffusa. Questa fascia è costituita nella sua parte essenziale da un complesso numeroso di opere e di ostacoli scaglionati su una profondità da 2 a 5 km. In alcuni settori la fascia è costituita su due linee difensive distanti tra loro da 5 a 12 km. 3) Gli elementi principali che hanno presieduto al tracciato sono i seguenti: - ridurre al minimo il territorio lasciato al di fuori del sistema difensivo; praticamente il margine anteriore della zona fortificata passa a immediata prossimità del confine salvo dove, come sulla Saar, si è ritenuto conveniente appoggiarsi all'ostacolo fluviale e in corrispondenza di salienti ritratti verso il nemico; - assicurare il fiancheggiamento; - utilizzare al massimo le linee naturali di ostacolo contro i carri;
- assicurare nel modo migliore l'osservazione per l'artiglieria. 4) L'organizzazione fortificata è costituita in prevalenza da piccole opere, talvolta disposte molto fittamente sul terreno. Il tipo più frequente è quello di opera per due mitragliatrici in casamatta, avente dimensioni approssimative di 15 x 10 m. Tali opere possono avere azione f rontalc, obliqua o laterale a seconda della ubicazione. 631
Esistono anche mitragliatrici in torrette corazzate, con numero vario di feritoie; le torrette sono sistemate generalmente in pun6 dominanti dai quali occorra svolgere azione su ampi settori. Le grandi opere risultano da un complesso di piccole opere collegate da gallerie sotterranee e comprendenti anche torrette osservatorio , lanciagran ate automatici, la nc iafiamme, come pure magazzini, macchinari, ecc. 5) Nel complesso la organizzazione difensiva si presenta come uno schieramento difensivo campale, nel quale i singoli elementi di combattimento siano sistemati in locali aUa. prova. 6) Massima importanza è stata data alla difesa anticarro; perciò sono numerose Je piccole opere per pezzi anticarro; sono stati impiegati a questo scopo anche cannoni da 75 e cannoni contraerei <la 88. Grande sviluppo è stato anche dato agli ostacoli anticano disposti su più fasce dovunque manchi una sicura linea naturale di ostacolo. 7) Per le artiglierie sono di massima preparate postazioni provvedute di ricoveri, riservette e posti di comando al1a prova, di osservatori in torrette e <li collegamenti. Esistono, anche in posii',ioni avanzate, aitiglierie in casamatta per azione anticarro e compiti di protezione. Sono previste altresì artiglierie da I05 in c upola girevole. 8) Le opere assicurano la protezione contro colpi ripetuti di calibro fino a 220 mm. e contro colpi singol i fino al calibro di 305 mm. Le strutture in cemento armato hanno frontalmente e sul cielo uno spessore di m. 3,50-4. Le torrette di acciaio hanno lo spessore di 250 a 300 mm. 9) Le opere consentono buone condizioni per il soggiorno anche prolungato, ma concetto fondamentale è quello della difesa attiva. T1 presidio deve tenersi pronto ad uscire dall 'opera non appena lo svolgimento dell' azione lo renda necessario. Nuclei di contrassalto sono preveduti per le opere di qualche sviluppo. 10) L'organizzazione difensiva è tale, sopra tutto per la semplicità dc1le opere, da potervi schierare qualsiasi grande unità normale, senza che sia richiesto, salvo per le opere complesse, personale particolarmente specializzato. ' Comp.lessivainentc ho avuto l'impressione di un 'organizzazione ancora più robusta, in alcuni settori, di quanto ritenevo in precedenza, ma occorre tener conto che il settore da me visitato è quello più importante. Nella zona di Aquisgrana ad es. ho osservato una organizzazione meno robusta ai due margini della conca nella quale è situata la città. 632
In corrispondenza di Sciaffusa ho osservato soltanto due opere a cavallo della rotabi1e,, ma a1tri ]avori sembrano in corso. In akuni estesi settori vi è una vera profusione di opere: le piccole opere sono dislocate a 100-150 m. d'intervallo e a 150-200 m. di profondità su linee numerose; gruppi di opere per cannoni anticarro sono dislocati anche a 40-50 m. l'uno dall'altro. In alcuni tratti - secondo quanto mi è stato detto - il nemico dovrebbe superare fino a una ventina di opere in profondità. Si presenta perciò la domanda se questa organizzazione non porti a una dispersione eccessiva dei reparti e non renda diffici1e 1a condotta del combattimento. Il Generale Halder capo di S.M. dell'esercito, col quale ho avuto occasione di par1are, mi ha dichiarato spontaneamente che il sistema adottato basato sulla semp1icità di piccole opere è stato imposto dalla urgenza de11a situazione. Se lo Stato Maggiore tedesco avesse avuto davanti a sé un certo numero di anni di sicura pace, avrebbe adottato un sistema diverso, con maggiore sviluppo di opere più consistenti anche di tipi diverso. Ha aggiunto il Generale Halder che l'organizzazione attuale richiede certamente un impiego di forze maggiori rispetto a quelle che sarebbero state sufficienti con altro sistema, ma è questo un tributo pagato alla urgenza dei tempi. La sistemazione difensiva può considerarsi già in efficienza, ma molti lavori sono ancora in corso, così che la piena efficienza non sarà raggiunta che tra qualche tempo (un anno all'incirca, per quanto può giudicarsi in modo molto sommario). Si aggiunge che nuove opere vengono a mano a mano inserite nel primitivo programma, a misura che lo studio più accurato del terreno ne palesa la necessità. Riassumendo, l'organizzazione difensiva tedesca aJla frontiera occidentale appare imponente per robustezza e per abbondanza di mezzi e tale, per la sua struttura e per la concezione manovriera che presiede al suo impiego, da assicurare le più ampie possibilità di resistenza e di garantire una grande libertà di manovra nella condotta generale delle operazioni. Questa visita è stata del più alto interesse e molto istruttiva. Non ho mancato di esprimere al gen. von Brauchitsch ed al gen. Halder i più vivi ringraziamenti. Il R O Addetto Militare f.to E. Marras
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Allegato 7 (*)
Heinz Guderian LE UNITA' CARRISTE E LA LORO COOPERAZIONE CON LE ALTRE ARMI
Omissis CONSIDERAZIONI
L'esame del problema della cooperazione delle truppe carriste con le altre armi non può dare risultati conclusivi, dato che è tutt'ora in corso l'evoluzione delle unità carriste, delle loro armi complementari, e delle anni anticarro, loro antagoniste; e dato ancora che non è per niente da prevedersi una prossima conclusione di questa evoluzione in corso. Pur tuttavia, vogliamo tirare le conseguenze che si possono ricavare in base a quanto risulta dall'evoluzione, fin d'ora raggiunta. Pur tuttavia non si possono ulteriormente attendere le future esperienze di guerra, sulle quali appoggiarsi. Fin da oggi sussiste una serie di basi, dalle quali si possono ricavare, già fin dal tempo di pace, considerazioni circa la costituzione, la formazione, l'addestramento, e l'impiego delle truppe carriste. E queste basi sono: 1) il m ateriale; quale oggi esso è, cd il suo rendimento; 2) le possibilità di sua adozione, date le esigenze di ciascun Stato; 3) la possibilità dell'adozione considerata, specialmente tenendo conto dei rifornimenti di carburante; 4) l'efficacia dei carri armati e dei pezzi anticarro su11a base delle esperienze di tiro; 5) la possibilità di comando, in base alle esperienze di manovra; ed in conseguenza; 6) le formazioni di guerra; 7) l'armamento in atto presso i presunti avversari. Le diverse potenze militari - nei riguardi delle rispettive truppe
( *) AUSSME, L3-1 83.
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carriste - battono strade divergenti. Pur tuttavia dalla guerra in poi, è evidente l'adozione di una grossolana idea adottata dalla evoluzione loro, e che si può riassumere nelle seguenti constatazioni: 1) è fuori discussione l'importanza dell'aviazione, che viene ammessa anche da quelli che non concordano con le vedute del gen. ital. Douhet. Le azioni dell'aviazione hanno però bisogno di un compagno che agisca sul terreno, e che sia in grado di completare, ed assicurare, le loro azioni di esplorazione e di combattimento. Tanto meglio quanto più veloce, capace di combattere, e forte sarà questo compagno; 2) l'impulso, la mobilità e la velocità delle armi, fino ad ora usate, non sono più sufficienti a portare l'attacco contro il nemico con celerità e profondità, al punto da non dare - ad esso nemico tempo sufficiente per adottare appropriate contrnmisure. La forza di reazione delle armi da fuoco moderne da una parte, e dall'altra la rapidità con la quale possono venire convogliati i rincalzi motorizzati subito soli.o il tratto di linea minacciata, impediscono di poter decisamente ricavare i frutti dei successi conseguiti con le diverse anni fin ad ora a disposizione. Una volta che il difensore disponga i rincalzi motorizzati, anche l'attaccante abbisognerà di ror;,,e motorizzale, e viceversa; 3) la capacità di resistenza delle armi di precedente data non basta più per respingere il previsto attacco di forti unità carriste avversarie. Ed anche un'abbondante dotazione di armi adibite alla reazione, non inobustirà la resistenza al punto di poter rendere vani gli attacchi a massa di unità carriste, fatti di sorpresa. Quindi occorrono unità carristc; 4) comunque, data la crescente potenza della reazione è necessario anche per le truppe carriste, l'impiego contemporaneo di tutte le forze riunite per poter conseguire un successo definitivo. E l'attacco delle unità carriste, che deve avere effetti decisivi, dovrà essere effetlualo su ampia fronte, allo scopo di impedire al nemico di agire a sua volta sul fianco del centro dell'attacco. Ed esso attacco deve venire effettuato anche in profondità per poter assicurare i suoi fianchi, e per avere quella sufficiente forza propulsiva che porti ali' attacco nel cuor del dispositivo nemico e rovesci i fianchi di questo, una volta messi a dura prova. Attacchi che ricerchino una soluzione definitiva, dovranno avere ampiezza maggiore di quanto possa essere cope1ta da una brigata. Nel 1917 a Cambrai vennero impiegate tre brigate su tre battaglioni ciascuna, su di un'ampiezza di 20 km., senza però avere 1a profondità voluta; nel 635
1918, a Soisson, agirono I6 battaglioni su due nuclei, dei quali 12 in primo scaglione, distesi su un'ampiezza di fronte di circa 20 km.; nel 1918 ad Amiens, combatterono 14 battaglioni anglo francesi dei quali 2 riuniti al corpo d'armata di cavalleria in secondo scaglione, su un'ampiezza di circa 18 km .. Le ampiezze d 'attacco, adottate nell ' ultimo anno della guerra, oggi - per azioni di battaglia a carattere risolutivo - non sono che delle ampiezze minime, dato che bisogna tener conto di una reazione più notevole, operata dalle armi a proiettile dirompente e delJe unità carriste avversarie. Le battaglie dell ' avvenire - rispetto all'entità di truppe carriste impiegate nel 1918 - vedranno l'aumento di dette forze portate al quadrato. 5) L'attacco carrista dovrà essere portato con la massima rapidità per poter conseguire il profitto di sfruttare la sorpresa, di arrivare nel profondo del dispositivo nemico, di impedire ai rincalzi il contrattacco, e di portare il successo dal campo tattico in quello strategico. Rapidità, pertanto, dovrà essere la prima esigenza da richiedere alle truppe carriste. «Perciò, quanto più saranno rapidi gli attacchi, tanto meno gente verranno a costare; dovete cercare di liquidare in breve tempo una battaglia comportandovi - per modo di dire in modo da rubare al tempo l'occasione di privarvi di molti uomini ; e, quando il soldato si vedrà guidato da voialtri in questo modo, egli avrà fiducia in voi, e si esporrà con gioia ai pericoli» (Federico Il il Grande). Dato che una rapida esecuzione dell'attacco carrista è d'importanza capitale, ne consegue che le armi complementari delle unità carriste dovranno procedere, per lo meno, alla stessa loro velocità. Le armi complementari, destinate ad agire di conserva con le truppe carriste, devono formare - ed a ragione - una durevole moderna unità unica in tulte le armi. Con ciò, non si vuole affermare che le armate, al completo, debbano venire motorizzate. Deve però essere ben accentuato il fatto che le truppe carriste, senza celeri armi complementari, non risponderanno più allo scopo e non potranno dare il massimo del loro rendimento; 6) nella grigia «preistoria», gli eserciti erano costituiti di lenti fanti e di unità celeri, composte di carri falcati, di elefanti da guerra o di cavalleria; la proporzione tra le diverse specialità si trovava a dover tener conto dei concetti del capo, delle capacità di rendimento delle diverse armi d'allora, e degli scopi militari aventi un detenninato fine. Ai tempi della irresoluta, quasi statica guerra di posizione, di necessità ci si doveva accontentare di forze soltanto relativamente mobili. Questa epoca, era di regola, l'espressione 636
de11a decadenza dell'arte militare. Nessuno tendeva a questa; nessuno la prevedeva. Quindi non si può fare riferimento ad essa; sennonché, i grandi condottieri hanno avuto sempre di mira una guerra risolutiva e, come tale, mobile; ed a11o scopo, si adoperavano ad usare una proporzione di forze tali da favorire l'impiego deJle loro truppe celeri rispetto a quelle più lente. Alessandro, all'inizio de11a sua guerra contro la Persia, aveva 32.000 uomini appiedati e 5.000 cavalieri; Annibale, a Canne, disponeva di 42.000 uomini appiedati e 10.000 cavalieri; Federico il Grande, a Rosabach, comandava 25 battaglioni e 45 squadroni. Da questi pochi dati risulta che i più grandi condottieri della storia disponevano di unità mobili per 1/4 - 1/6 deJla loro forza complessiva. Ed anche oggi le celeri unità potranno ottenere un successo definitivo solamente quando saranno sufficientemente forti rispetto al totale dell'esercito. Già in lspagna Annibale affidò al devoto fratello Asdrubale l'addestramento ed il comando della massa delJa sua cava11eria; Federico il Grande mise 39 dei 45 squadroni a disposizione del geniale comando di uno Seydlitz, che fin dal tempo di pace aveva dato il massimo impulso all'addestramento della cava11eria prussiana ed al cui nome sono legate le più grandi e più gloriose azioni. Si sono dimostrati quasi sempre scarsamente utili le improvvisazioni di truppe celeri e dei comandi rispettivi; esempio classico è dato a questo riguardo - come già in altra parte è stato segnalato - dal1' organizzazione della nostra cavalleria, improvvisata nel 1914. Unicamente una direzione, a carattere unitario e con tutte le derivanti responsabi1ità, iniziata fin dal tempo di pace, come ugualmente una delle unità celeri già esistenti e delle future unità maggiori, potranno in avvenire dare i frutti voluti anche nelle formazioni più moderne adottate. Ma per i comandanti delle truppe celeri ha anche oggi pieno valore la drastica parola di Federico TI il Grande: «Siate adunque attivi ed infaticabili, e liberatevi di tutto quanto appesantisca il corpo e lo spirito». Ulteriori concetti si svilupperanno, ma a lor dispetto avrà successo solamente quel concetto che consenta di lavorare per l' avvenire. E l'avvenire giudicherà con mitezza chi avrà cercato di fare, non chi avrà lasciato fare agli altri.
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ALLEGATO
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Ufficio di S.E. il Capo di S.M. Generale
Roma, 27 giugno 1927, anno V Note circa la «MONOGRAFIA SULLA CILICIA» dell'addetto militare italiano ad Atene
Lo scorso anno il Colonnello Perronc, addetto militare italiano ad Atene, facendo suo un progetto sollopostogli dall'avventuriero armeno, sedicente generale Torcom, presentò contemporaneamente allo Stato Maggiore R. Esercito, a quest'Ufficio e al Capo del Governo un disegno di operazioni per l'occupazione della CiJicia. li Capo del Governo significò, che a tale occupazione, non si doveva pensare se non come ad una della eventualità da considerare nel caso di un eroi lo del Kemalismo, per trarre profitto dalla situazione che potrebbe allora deternunarsi nell'Oriente europeo. Questo Ufficio, per la parte tecnica, rilevò che il disegno non avrebbe potuto, in ogni caso, avere nemmeno un principio di attuazione perché basato su una interpretazione del terreno non rispondente alla realtà, su una disponibilità di forze navali e terres tri dalla quale siamo molto lontani, (specialmente se teniamo conto delle esigenze della nostra sicurezza rispetto a teatri di guerra più probabili e più importanti) su di una rapidità di operazioni (trasporti, sbarchi, marcie) che non è ne11e possibilità umane, su di una valutazione del nemico non corrispondente a quanto è noto, per concorde parere di tulle le fonti di infonnazione, su concetti strategici e tattici personali del Colonnello Pe1Tone. Ora il Col. Perrone ritorna sull'argomento. Si fa subito osservare, come del resto, ebbe occasione di rilevare altre volte anche I 'Ufficio Operazioni dello Stato Maggiore del R. Esercito, che il pensiero dell'addetto militare ad Atene si inquadra, forse, in una probabile latente aspirazione dell'ambiente politicomilitare greco: è da notare, ad ogni modo, come da più parti, comunque interessate, si cerchi, in questi u1timi mesi, di attirare la nostra attenzione sulla Cilicia. (*) AUSSME, I 4-1/I.
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Ne11a nuova monografia, i1 Co1. Perrone, non si ispira più a1 Torcom, ma attinge ad altre fonti e, cioè, agli scritti di due ufficiali francesi che presero parte all'effimera occupazione della Cilicia. (1919-21) e a11'opusco1o di certo Archak Solakian che deve essere uno dei soliti armeni che pullulano ai margini delle Conferenze internazionali. Ora, le considerazioni del generale Normand e del Col. Grandecourt, giustissime se riferite alla situazione francese de1 1919-21, possono essere non accettabili se applicate integralmente alla situazione in cui verremmo a trovarci qualora effettuassimo una spedizione in Ci1icia. Quanto al Solakian non pare sia scrittore così autorevole da meritare di essere esclusivamente consultato, quando, sulla questione anatolica, esiste una ricca bibliografia di scritti ufficia1i e scientifici inglesi, francesi e tedeschi e americani. (per averne un'idea basta gettare un'occhiata sul cenno bibliografico annesso alla pregevo1e opera americana «Modem Turkey» di Elliot Grin Nears nel 1924, nella quale il Solakian non è nemmeno citato). E non solo il Col. Perrone ha trascurato la critica de11e fonti, ma si è valso delle medesime alquanto tumultuariamente, cosicché la sua Monografia (64 pagine) risulta inorganica, con frequenti ripetizioni e numerose contraddizioni riflettenti troppo fede1mente 1a diversità delle opinioni dei vari autori. Prima di passare alla critica oggettiva e particolareggiata della Monografia ci sembra, perciò, opportuno esaminare la fonte e fare alcune considerazioni su di essa. Il concetto operativo che informa il progetto si può così riassumere: 1) Lo sbarco in Cilicia dovrebbe essere fine a se stesso: nessun obiettivo ci proporremmo oltre il Tauro; ci di sinteresseremmo completamente dell'esercito nemico, fidando sulla protezione assoluta de11e difficoltà naturali del terreno. 2) Forza del corpo di spedizione: sette divisioni, tre delle quali dovrebbero precedere in primo scaglione e due divisioni di cavalleria. 3) Lo sbarco di queste divisioni dovrebbe avvenire di sorpresa, mentre le altre forze simulerebbero un'azione contro Smirne e Scalanova. 4) Occupata così ]a linea di protezione, si dovrebbe spazzare con le forze mobili le truppe turche di occupazione della Cilicia, sbarcare il rimanente del corpo di spedizione, nonché reparti libici 639
ed eritrei, impiantare, agli estremi confini, dei «campi t1incerati», «attuare su vasta scala l'impiego di automobili blindate e di treni blindati». Pare allo scrivente che la semplice esposizione di tali concetti dispensi da molti commenti. Anzitutto lo studio del terreno è desunto esclusivamente dalla carta del Kiepert, che è ottima per indagini storiche, specialmente del periodo classico, ma lascia alquanto a desiderare come orografia perché rappresenta più un'impressione artistica che un rilievo vero e propno. Inoltre il Col. Perrone deve essersi limitato a consultare il foglio di Adana e Mersina, e perciò gli è mancata la visione di insieme della regione, per avventurarsi in considerazioni strategiche. Se egli avesse avuto presente la conformazione generale della penisola an·atolica che costituisce un grande altipiano il cui orlo rialzato scoscende sul mare, allontanandosene appunto là dove le alluvioni del Seium e del Giaurn hanno creato la pianura di Adana, non parlerebbe della Cilicia come di una regione separata da pianure interne per mezzo di un'alta barriera montana. E, difatti, per raggiungere dall'interno la costa, la situazione di chi debba scendere semplicemente un gradino, per quanto elevato e scosceso, è ben diversa da quella di colui che debba valicare una catena montuosa. La Monografia contiene, inoltre, molte inesattezze per quanto concerne l'orientamento generale del rilievo, le quote, la denominazione della catena ecc. In alcuni punti dimostra di ritenere che le Porte Cilicie siano un colle, mentre sono una gola montana assai più a valle del colle, che ha una quota superiore per circa 300 m. In un passaggio, poi, parla di «resti delle antiche porte», quasi questa gola fosse mai stata chiusa da un uscio a due battenti, e, più in là, accenna all'eternità di quel passaggio, come se tutti i passaggi naturali non fossero altrettanto durevoli quanto il periodo geologico, durante il quale sussistono, tra il fenomeno orogenico che li ha creati e quello che li sopprimerà. Più grave è l'interpretazione che il Col. Perrone dà alla rete stradale, soffermandosi su talune comunicazioni che non hanno proseguimento, e trascurandone molte altre più importanti sia per sé stesse considerate sia perché si riallacciano alle grandi arterie che collegano i centri dell'Anatolia fra loro e con le regioni limitrofe. Uno studio più attento delle strade avrebbe potuto convincerlo 640
dell'inesattezza dell'affermazione dell'isolamento della Cilicia, che comunica all'interno e con le regioni armene, curde e siriache, per mezzo di strade assai più numerose di quelle menzionate nella monografia. L'affermata accessibilità dal mare è invece smentita da quanto l'Addetto stesso riferisce circa le condizioni delle coste, lungo le quali imperversa il mal tempo in 10 mesi dell'anno e, cioè, da Luglio a Maggio, mentre l'unico approdo è quello di Mersina, utilizzabile solo per piccoli piroscafi (pag. 28). Anche per ciò che riguarda il clima le conclusioni che si devono dedurre da quanto 1' Addetto stesso espone (pag. 17) risultano sfavorevoli in estate sulla montagna. Ben 12 pagine (48-60) sono dedicate alla situazione generale della Turchia, e non sarebbe qui il luogo di parlarne se non contenessero una svalutazione dell'esercito turco ed un sopravvalutazione dell'esercito greco che non paiono accettabili. Fra l'altro - a riprova delle sue asserzioni - egli adduce il fatto che per mobilitare sette divisioni all 'epoca della ribellione curda, la Turchia impiegò circa un mese. Non so se il Col. Perrone abbia idea del tempo che, in quel periodo, sarebbe occorso a noi per mobilitare un egual numero di unità. Nel calcolo poi delle forze che ci troveremmo di fronte, egli confonde sempre la circoscrizione territoriale delle grandi unità con le grandi unità da mobilitare. Il fatto che in Cilicia vi è solo la sede di una divisione e, a Konia, un comando di corpo d' armata, non significa che dobbiamo fare i conti soltanto con tali elementi. Egli non considera che il trasporto di sette nostre divisioni non potrebbe avvenire di sorpresa perché esigerebbe un tempo che, sommato a quello occorrente per lo sbarco, in condizioni così difficili come quelle offerte dalle coste Cilicie (bisognerebbe, fra 1' altro, costruire dei pontili per mettere a terra i materiali) darebbe agio al nemico di mobilitare tutlo il mobilitabile e concentrarlo contro di noi. Ancora: il concetto (pag. 31) di una testa di sbarco, oltre la quale è impossibile proseguire, è inaccettabile, perché una testa di sbarco non può essere fine a se stessa. Così pure la qualifica (pag. 32) di fortezza a una regione (la Cilicia) che deriva la sua forza unicamente dal pregio passivo di essere inaccessibile (e non lo è) dall' esterno, non pare opportuna: se noi, a nostra volta non possiamo uscirne, per muovere verso obiettivi decisivi, è più una prigione o una trappola che una fortezza. 641
Se dall'esame particolareggiato qui appena abbozzato (vedasi nel foglio annesso le principali osservazioni che partitamente si potrebbero fare) si passa a considerare il documento nel suo insieme ben più importanti obiezioni sono da sollevare. La «Monografia» è divisa in due parti: la prima prevalentemente geografico - politico - economica; la seconda, nel concetto del1' autore, prevalentemente militare. Nell' intera monografia si dà, però, molto sviluppo ad affermazioni sull'eccezionale fertilità e ricchezza potenziali della Cilicia in tutti i rami dell'economia: nell 'oggetto di tali affermazioni dovrebbe consistere il valore intrinseco dell ' obiettivo di conquista. Ciò esula dai termini strellamentc militari e perciò lo scrivente si limita in proposito ad osservare che le speranze d'un rendimento eccezionale della regione dovrebbero essere scrupolosamente vagliale. Da secoli, in realtà, la Cilicia non rappresenta un empo1io agricolo, commerciale ed industriale di cui sia universalmente nota la grande importanza: non vi si svilupparono ferrovie (quella di Baghdad l'attraversa per facilità di tracciato più che per esigenze di scambi), non vi sorsero grandi porti, non vi si raffittì la popolazione, non suscitò gli appetiti di potenze coloniali. Per valorizzare le presupposte latenti ricchezze della regione occorrerebbe costruire strade, ponti, disciplinare i grandi fiumi, eseguire bonifiche ecc. impiegare insomma, ingenti capitali e notevole tempo. Ad ogni modo, auualmente sul posto non si troverebbero risorse sufficienti a far vivere un corpo di spedizione di qualche entità, comunicazioni adatte al movimento di truppe e servizi secondo le nostre esigenze, condizioni climatiche favorevoli. La parte militare della Monografia basa principalmente sui seguenti presupposti: 1) accessibilità della barriera montana Tauro-Amanus (che circonda la pianura Cilicica) limitata a pochissimi passi; 2) sorpresa ottenuta col segreto, colla rapidità delle operazioni e con dimostrazioni di sbarco in altre zone dell' Anatolia; 3) eventuale cooperazione dell'esercito greco che, previ accordi, potrebbe operare in Tracia e nella regione di Smirne; 4) intervento greco, subordinato però ad un contegno tranquill~nte da parte della Jugoslavia; 5) concorso indiretto della rivolta del Kurdistan; 6) scarsezza delle forze turche normalmente dislocate in Cilicia, 642
le quali d'altra parte «non potrebbero fare altro che ripiegare verso l'interno» ( l) al manifestarsi del nostro sbarco; 7) scarsa adattabilità delle forze turche al rapido spostamento e concentramento; · 8) poca coesione materiale e morale dell'esercito turco; 9) l'occupazione della Cilicia è più conveniente e più facile di quella cieli' Anatolia occidentale (Smirne): - perché sarebbe «sconcertante» per lo S.M. turco che ritiene la nostra azione orientata suJla zona di Smirne (sorpresa); - perché non andremmo contro 1e aspirazioni elleniche (Smirne) e quindi sarebbe probabile il concorso della Grecia; - perché i turchi dovrebbero in conseguenza far fronte in due direzioni; - perché agendo nella zona di Smirne, che non è «chiusa» da una catena di monti come la Cilicia, saremmo portati a perseguire lo scopo di battere l'esercito turco, mentre in Cilicia potremmo evil.ire ciò asserragliandoci dietro la barriera montana opportunamente sistemata a difesa; · - perché infine la Turchia, «che ve1Tebbe a trovarsi in una posizione di grandissima inferiorità per intraprendere operazioni di guerra in «Cilicia», non penserebbe ad una successiva rivincita per ritoglierci la regione conquistata. I O) Lo sbarco dovrebbe essere fatto nei mesi di maggio o giugno, rapidamente e col massimo delle forze consentito dalla disponibilità di piroscafi. In un primo tempo «dovrebbero sbarcare» «almeno» forze pari a tre divisioni e cioè: I divisione e 1 raggruppamento alpino nella zona di Mersina; I divisione tra Karatasch e Ayaz. ln brevissimo tempo queste prime tre divisioni dovrebbero prender terra: due andrebbero non si sa dove, alla terza (che dovrebbe essere una «divisione alpina») sarebbe assegnato il compito di sbarrare la strada delle Porte Cilicie. Per adempiere questo compito essa non dovrebbe portarsi al colle davanti alla stretta, o allo sbocco della medesima, e nemmeno a cavallo della strada, ma dovrebbe distendersi ad Occidente della medesima, a mezza costa, in un terreno rotto e boscoso lungo la linea di oltre 40 km., segnata da capisaldi che corrispondono a ruderi di antichi castelli (rispondenti a situazioni locali di guerre (1) Le frasi racchiuse tra virgolellc («»)sono testuali dell'autore della monografia.
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medioevali), e non appoggiata alle estremità ad alcun ostacolo naturale o altra difesa attiva o passiva. In compenso di queste deficienze, si assegnerebbe a11 'aviazione il compito di «bloccare la ferrovia» che provenendo da Konia passa a oriente della linea occupata. Spazzata la pianura delle forze regolari l'occupazione dovrà estendersi al nord su Hadjin, «che deve essere fortificata», a E. su Marmurè (Mamoura) (dove deve costituirsi un altro «campo trincerato») e possibilmente a N.E. su Marasch. Appoggiato a tutti questi «campi trincerati» il servizio di polizia nell ' interno della zona occupata deve essere svolto da reparti di cavalleria leggera, da reparti libici ed eritrei, e da un «largo impiego di treni blindati e di automobili blindate». «In conclusione, per occupare e tenere definitivamente in guerra la Cilicia si può far calcolo che occorrano complessivamente 7 divisioni di fanteria e 2 di cavalleria». Per sintetizzare: nel complesso della monografia non si dà peso alrazione mi litare occorrente per occupare la C iiicia ma si delinea-
no soltanto i provvedimenti ritenuti necessari e sufficienti per mantenervisi con un'organizzazione difensiva dopo aver occupato la regione in virtù di una sicura ritirata delle forze turche e si esprime palesemente il concetto che sia da scartarsi l'idea di cercare l'esercito turco per batterlo. Sembra, anzi, che una delle ragioni principali per le quali è caldeggiata l'operazione in Cilicia, sia proprio quella che in tale regione - chiusa da una barriera montana presunta inaccessibile - ci si possa mantenere difensivamente senza sentire il bisogno di sboccare oltre per battere l'esercito nemico. D'accordo con l' Ufficio Operazioni dello S.M. del R. Esercito, lo scrivente non può condividere le idee del compilatore de11a «Monografia» ed osserva quanto segue: Nella zona montana che delimita da due lati la pianura triangolare Cilicica bisogna distinguere la catena del Tauro (lato occidentale) dai rilievi che costituiscono l'altro lato. In realtà la catena del Tauro è elevata ma non risulterebbe essere quella «insuperabile barriera» di cui alla Monografia; all'incirca nella parte mediana presenta una larga depressione costituita dalle Porte di Cilicia (1.300 m.) dalla quale passano la ferrovia di Baghdad e la rotabile Adana - Cesarea, località quest'ultima dove affluiscono le comunicazioni provenienti dai centri interni dell'Anatolia. 644
Inoltre, dove si uniscono i due lati montani, s'apre la soglia di Kars, corridoio di comunicazione tra Sivas e la pianura Cilicica; questa soglia può dirsi equidistante dal mare e da Sivas. Specialmente, poi, il lato orientale, in massima parte costituito dall' Amanus, non sembra davvero «un'inaccessibile catena montana». Essa è spezzata dalla grande vallata del fiume Giauin (Djaihun) che l'attraversa completamente; più a sud è scavalcata da una rotabile, attraversata dalla ferrovia di Bagdad, percorsa da numerose comunicazioni mulattiere. Occorre notare che, a quanto pare dalla carta, essa ha della quote che non superano in genere i 1.300 - 1.600 m. nei tratti più elevati e risulterebbe ben percmTibile anche in cresta. In complesso, quindi, la corona montana della Cilicia non è quella impervia zona d'ostacolo rappresentata nella "Monografia" a meno che il concetto di ostacolo sia riferito alla sua deficiente rete stradale. Ma in questo caso bisogna notare che mentre ciò rappresenterebbe un ostacolo per le nostre unità, non altret_tanto sarebbe, per ovvie ragioni, per le truppe turche. Per impedire, quindi. che il nemico s'infiltii atti·averso tale cerchia montana, necessità che anche la Monografia prospetta, non sarà sufficiente presidiare i passi più importanti, ma occorrerà guardare, sia pur con modalità diverse da tratto a tratto, tutta la cerchia stessa: ed essa ha uno sviluppo planimetricamente superiore ai 500 km. Il segreto e la rapidità delle operazioni per una spedizione a così grande distanza dalla madre patria possono intendersi soltanto in senso relativo, specie se le operazioni dovessero essere concertate con altre potenze, in particolare con la Grecia. D'altra parte il nostro orientamento politico (stato delJe nostre relazioni dirette con la Turchia e con le diverse potenze di Europa) difficilmente potrà non indicare al governo turco che la nostra spedizione abbia di mira 1' Anatolia. Il seguente computo s01mnario dei tempi occorrenti per organizzare, trasportare e sbarcare il nostro corpo di spedizione in Olicia, concon-e a dimostrare la impossibilità di dare alle operazioni quella segretezza e quelle rapidità che, secondo il compilatore della monografia, dovrebbero essere gli elementi di base del successo iniziale. Per mobilitare 8 divisioni (2), concentrarle ai porti di imbarco, e
(2) Si considerano 8 divisioni perché, come è stato calcolato dalla R. Marina in un recente studio sull'Anatolia, è il mass imo numero di divisioni che ~ unitamente alle truppe e servizi delle unità superiori è possibile trasportare in una sola volta impiegando lutto
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al tempo stesso riunire il naviglio da trasporto e adattarlo per lunga navigazione occorrerà qualche settimana; a titolo d'esempio 20 giorni, ai quali occorrerà aggiungere almeno 3 giorni per il caricamento, se si fruisce di diversi porti d'imbarco, e circa 10 giorni per la traversata. Occorrerebbero dunque circa 33 giorni per presentarsi con i primi scaglioni alle località di sbarco in Cilicia. Per sbarcare, come primo scaglione, almeno le tre divisioni previste dalla monografia sulla costa cilicica sprovvista di impianti portuali capaci occorrerà munirsi di adatti mezzi di sbarco e, anche considerando nulla la reazione del nemico, occorreranno quanto meno 8-12 giorni, dopo di che bisognerebbe riunire le forze (sbarcate su una fronte di sbarco di circa 120 km.) e farle avanzare alla linea ferroviaria Mersina - Missis e disporle ivi su una fronte di circa 80 km. per coprire le operazioni di sbarco dei successivi scaglioni; sempre a seconda delle località di sbarco, altri 5 giorni. Riassumendo: prima di poter muovere verso l'interno dalla prima linea di attestamento (linea fe1Toviaria), supponendo lo sbarco incontrastato, occorrerebbero dall'inizio della mobilitazione circa SO giorni; questa cifra, teorica e ristretta di per sé stessa, è da intendersi aumentala in ragione della reazione, non considerata, del l'avversario. Si è già accennato alla impossibilità di ottenere la sorpresa assoluta; possiamo quindi ritenere probabile che l'inizio della mobilitazione turca coincida all'incirca con quella del nostro corpo di spedizione. Pur essendo orientato verso una nostra azione nella zona di Smirne, lo Stato Maggiore turco non trascurerà gli altri tratti del litorale che possono essere soggetti a nostri sbarchi e provvederà a rafforzarne la difesa; tuttavia ammettiamo che nell'incertezza sulle nostre intenzioni, esso mobiliti le 18 divisioni lasciandole nelle loro zone di pace. Me è iecito supporre che taìe incertezza cessi dai momento in cui i convogli destinati in Cilicia sorpassano il meridiano di Rodi, ad una distanza cioè d'oltre 700 miglia dalla località di sbarco (3 giornate di navigazione) e cioè 15-20 giorni prima di aver messo a terra le unità e 25 prima di raggiungere - se lo sbarco è incontrastato - l'accennata linea ferroviaria.
il naviglio nazionale. Per eve ntuali nuovi scaglioni occorre che il navi glio ritorni in patria, ricarichi e rifaccia la traversata (10 + 3 + lO + 6 giorni per lo sbarco); dopo cioè 29 giorni potremmo avere altre 8 divisioni (senza considerare il tempo occorrente per il consolidamento della hase, durante il quale non sarebbe pmdente allontanare il naviglio dalle località di sbarco).
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Pur supponendo che il nemico non contrasti lo sbarco (eventualità poco probabile dato che la Cilicia è presidiata fin dal tempo di pace da un'intera divisione di fanteria) sembra lecito ammettere che in oltre 20 giorni il nemico abbia il tempo di far affluire altre truppe (specialmente delle divisioni di Mezre, di Karput e di Angora) nella regione minacciata, almeno ai varchi delle montagne che la limitano per difendere, in unione alle truppe normalmente dislocate in Cilicia, i varchi stessi; tale condotta del nemico è presumibile, perché come accenna la Monografia «quando si è padroni dei passi per cui bastano poche forze - si tiene la Cilicia». Ammesse queste stesse condizioni di fatto, che si riferiscono all'ipotesi più favorevole, cioè che il nemico non disturbi le operazioni di sbarco e non contrasti la nostra avanzata nella pianura, l'occupazione dei paesi richiederebbe un complesso d' operazioni metodiche e in forze, per le quali sarebbe per noi grave intralcio la deficienza di rotabili per il traffico logistico che, col clima Jocale, assumerebbe una mole tanto più grave quanto maggiore sarà la forza che occorrerà impiegare. In sostanza l'ufficio scrivente ritiene che l'occupazione della Cilicia consisterebbe non in una rapida marcia indisturbata o quasi verso la cerchia montana, ma in operazioni attive contro una frazione dell'esercito turco successivamente rinforzata, operazioni che in definitiva potrebbero risolversi nella guerra alla Turchia. In conclusione, lo scrivente ritiene che l'inquadramento generale del problema resterebbe quello prospettato dall'Ufficio Operazioni nella recente memoria sull'Anatolia per l'occupazione della zona di Smirne, ma aggravato dalla distanza della zona di sbarco, dalla natura del terreno di essa, dalla deficienza di coqmnicazioni e di risorse, dalle condizioni climatiche avverse, dalle difficoltà, infine, in cui ci troveremmo se la situazione, come è probabile, impedisse la necessità di battere l'esercito nemico. E anche qualora riuscissimo ad occupare i passi, indisturbati o quasi, e l' idea di affrontare in pieno l'avversario per affrettare la soluzione del conflitto venisse esclusa, quanto tempo dovrebbe durare l'atteggiamento difensivo nostro che richiederebbe uno sforzo gravoso data la vastità della regione, la sua lontananza dalla madre patria e la vicinanza, invece, dell'esercito avversario non battuto? Anche. nella stessa monografia «le necessità difensive» si presentano molto onerose (forze segnalate occorrenti: 9 divisioni) pur non tenendo conto della costituzione dei «campi trincerati» proposti e dell'impiego di automobili blindate e di treni blindati che, 647
anche se qualora se ne disponesse con una certa larghezza, non sembrano adatti ad una regione priva di buone strade e provvista di una so1a 1inea ferroviaria (3). La monografia considera inoltre l'aiuto greco che permetterebbe a noi di conseguire lo scopo più facilmente e con minori forze dato che l'esercito turco dovrebbe far fronte in due direzioni. A questo proposito basta ricordare che nel 1921 i francesi furono obbligati dai turchi ad evacuare 1a Ci1icia mentre questi u1timi erano impegnati con i greci appunto nella zona di Smirne; e in quell ' epoca lo Stato e l'esercito turco erano in condizioni di efficienza assai inferiori a quelle di oggi. L'intervento greco, osserva il compilatore della monografia, sarebbe natura1mente subordinato a un pieno affidamento su11a condottajugos1ava nei confronti greci; a11'Ufficio scrivente sembra che ciò non basterebbe: affinché noi affrontassimo un'impresa del genere occorrerebbe che fossimo sicuri della neutralità benevola delle grandi potenze in genere e in particolare di una situazione pohtica tranquilla alle nostre frontiere, cosa di cui per ora non è il caso di parlare. Non si può, però, a questo proposito non accennare alle voci di recenti intese tra la Turchia e la Jugoslavia, per iniziativa di quest'ultima, in relazione alla recente tensione dei rapporti coll'Italia, alla ostentata turcofilia della Francia, al convegno di Odessa, col quale pare che la Turchia si sia assicurata l'aiuto morale e materiale della Russia in caso di aggressione da parte dell' Inghilterra e dcll' Italia. Ad ogni modo, se si vuole trascurare la realtà per mettere il problema soltanto nei termini ideali entro i quali non sarebbe imprudente pensare a una spedizione in Anatolia ( cioè ammettendo la neutralità benevola delle grandi potenze - essenzialmente della Francia che ha lasciato a malincuore la Cilicia - una situazione sicura da parte della Jugoslavia ecc. ed infine la cooperazione greca), perché noi dovremmo rinunciare, a parità di sforzo, a prender possesso dell'Anatolia occidentale per occupare la Cilicia? Perché, cioè, rinunziare ad una regione più vicina all'Italia con un porto bene attrezzato come quello di Smirne, con una rete stradale e ferroviaria abbastanza sviluppata, con un clima meno sfavorevo-
(3) Che del resto non sia molto facile il tenere una regione su cui possono verificarsi delle rivendicazioni si può vedere nelle tendenze, che recentemente si sono manifestate in Inghilterra, di rinunciare al mandato sulla Mesopota mia le cui spese militari di occupazione sono ritenute molto gravose per quella ricca nazione.
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le, con maggiori risorse, che presenta migliori condizioni per le operazioni militari, per occupare una zona più lontana e tutta da organizzare? A parità di aspirazioni su Smirne della Grecia e dell 'Italia, quest'ultima rinunzierebbe alle proprie per assicurarsi la cooperazione della Grecia alla quale dovrebbe forse essere anche grata dell' aiuto! Nel caso, non potrebbe alla Grecia essere offerta l'operazione in Cilicia? Lo scrivente non ritiene, infine, di condividere gli apprezzamenti contenuti nella monografia circa le condizioni di efficienza materiali e morali dell'esercito turco, sulla cui impreparazione e disorganizzazione basa, si direbbe essenzialmente, il successo della prima occupazione. Anche l'Addetto Militare italiano in Turchia, è, in proposito, di parere contrario a quello del compilatore della monografia. Concludendo, le idee espresse da11 'Addetto Militare ad Atene sono, a parere dell'Ufficio scrivente, improntate essenzialmente a quello che dovrehhe essere, a suo avviso, il modo di «tenere difensivamente» la regione; lo sforzo per impadronirsene è valutato molto al di sotto della presumibile realtà, tanto da essere quasi nullo dal punto di vista operativo. Ciò non sembra rispondere alla situazione di fatto e pertanto lo scrivente ritiene che la monografia di cui trattasi non possa costituire un elemento positivo di studi; non si può, infatti affrontare un'operazione del genere suUa base di postulati troppo rosei (4); e sarebbe forse opportuno invitare l'Addetto Militare ad Atene ad astenersi da11'occuparsi di questioni che rientrano nella competenza dell'Addetto a Costantinopoli e che ad ogni modo richiedono la visione completa di situazioni complesse che sono a lui sfuggite. Lo scrivente ritiene un' eventuale spedizione in Anatolia, aprescindere dalla zona prescelta per l'occupazione, un'operazione che richiede, almeno potenzialmente, lo sforzo militare totale delJa Nazione, specialmente dal lato logistico: essa quindi dovrebbe rispondere a interessi di grandissima importanza. La sua attuazione pratica dovrebbe essere considerata solo nel caso di una situazione politica estremamente favorevole e di speciali condizioni di decadenza dell'organismo militare turco; in queste (4) È opportuno anche ricordare che l'Addetto Militare a Costanlinopoli ha di recente espresso parere nettamente contrario nei riguardi dell'intero progetto di una nostra eventuale spedizione in Cilicia.
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condizioni, poi, l'obiettivo dovrebbe essere sempre la regione occidentale anatolica che oltre ad essere economicamente più progredita (strade, ferrovie, porto di Smirne) è notevolmente più vicina a11 'Italia e una volta conquistata potrebbe anche formare col Dodecanneso un complesso politico e militare di pronto rendimento.
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ALLEGATO
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LEGAZIONE D'ITALIA IN GRECIA Ufficio dell'Addetto Militare N. 342 ùi protocollo
Istanbul addì 24 marzo 1938 - XVI
OGGETTO: Intendimenti operativi dello Stato Maggiore greco verso Albania, Jugoslavia, Bulgaria AL COMANDO DEL CORPO DI STATO MAGGIORE - S.1.M. ROMA Riferimento foglio Z/2656 del 20 febbraio u.s.
Elementi considerati: - Situazione politica greca in rapporto tre Stati confinanti che interessano; - Siluazione geografico-topografica greca verso gli stessi; - Ordinamento di pace e possibilità di mobilitazione; - Disponibilità di forze su varie frontiere, tenuto conto esigenze altre regioni territorio nazionale; - Comunicazioni; - Lavori fortificazione, con particolare riguardo ad impulso dato ultimi tempi in varie zone. L'Intesa Balcanica inlluisce indubbiamente sulla politica militare greca. Anche se la sua efficacia è molto discutibile, anche se la Grecia non ignora le note aspirazioni jugoslave su Salonicco, rimane tuttavia il fatto che essa è vincolata nelle sue predisposizioni militari dall'esistenza del patto. Inoltre occorre considerare, d'altra parte, che qualora la Grecia dovesse mettere in previsione un attàcco jugoslavo, sarebbe costretta a portare notevoli cambiamenti nel suo programma di difesa del territorio nazionale. In questo caso l'azione sarebbe certamente duplice, jugoslava e bulgara. Ora, anche ammesso per certo in questa nuova situazione il concorso turco contro i bulgari, - cosa discutibile dato che la Turchia verrebbe di
(* ) AUSSME, L 10-64/3.
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fatto a trovarsi inevitabilmente in guerra non solo contro la Bulgaria ma anche contro la Jugoslavia - e la conseguente possibilità per i greci di distogliere una parte delle loro forze dalla Tracia orientale, il peso jugoslavo sarebbe tale che difficilmente la Grecia potrebbe reggerlo. Data la sproporzione delle forze si può affermare, anche senza voler scendere a precisazioni, che per impedire lo sbocco jugoslavo a Salonicco occorrerebbe alla Grecia un aiuto così poderoso che, essa non può sperare, né dai turchi né da altri (I). È molto probabile che in questa situazione la Grecia si vedrebbe costretta a scegliere fra i molti mali il minore. Nel mio rapporto n° 566 del 1° dicembre u.s., ho riferito che prima del regime Metaxas, e, quindi, degli accordi greco-turchi, lo Stato Maggiore greco aveva in progetto, in caso d'attacco bulgaro, l'abbandono della Tracia orientale e la difesa, prima sul Nestos e poi sullo Struma. Nella nuova situazione è probabile che all'abbandono della Tracia si aggiungerebbe quello in gran parte della Macedonia. Con quanto ho esposto ho cercato di spiegare quella che è di fatto la situazione attuale militare greca sulle tre frontiere terrestri che interessano, situazione nettamente antibulgara, anche se, oltre beninteso un preponderante addensamento in Tracia, presenta notevoli forze anche in Macedonia. Queste, come risulterà meglio in seguito considerando, oltre la dislocazione e le altre predisposizioni militari, sono da ritenere anche esse più orientate verso la Tracia, che verso la frontiera jugoslava. Che, del resto, una parte delle forze destinate in Tracia sia dislocata anche in Macedonia è più che razionale. Tale situazione ha naturalmente come presu pposto base, oltre l'atteggiamento benevolo jugoslavo, l'alleanza turca. Che, infatti, se così non fosse, non sarebbe logicamente ammissibile l'attuale addensamento di forze e di mezzi in Tracia. Le regioni di frontiera, sotto il punto di vista geo - topografico in relazione alle possibilità di difesa, presentano:
(1) Ritengo inutili e superflue su questo argomento considenvioni, che, d'altronde allargherebbero troppo i termini del problema. Mi limito a rappresentllre, per dare ragione della mia ipotesi, che, secondo me, un 'aòone jugoslava nel senso indicato non potrebbe avvenire che con o contro l'Asse Roma-Ilerlino. Nel primo caso, mi pare che non sarebbero certo Inghilterra o Prancia e tanto meno l'U.R.S.S. a impegnarsi pro Grecia nella ,.ona di Salonicco. Lo stesso credo possa affermarsi della Tun.:hia - senza fare pronostici sul suo ruturo atteggiamento - tanto nel IO che nel 2" caso, volendo ammellere come possibile an che il 2". E circa quest'ullirno poi, per quanto riguarda Italia e Gerrnania, mi sembra sufficiente la comunanza di confini che esse hanno verso il nord con la Jugoslavia, per fare scartare l'evenlualilit di una qualsiasi loro azione dal sud.
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Verso l'Albania; terreno montagnoso, aspro, povero di risorse e poverissimo di comunicazioni, con una catena montana, il Pindo, che separa nettamente l'Epiro dalle altre regioni orientali. Verso la Jugoslavia; terreno di penetrazione, da nord a sud, facile, specie in settore orientale. Distanza breve, in quest'ultimo, fra frontiera a mare (circ<;t 60-70 km.), percorsa da vie di facilitazione rappresentate essenzialmente dai corsi del Vardar e del Monglenica. Verso la Bulgaria; regione quanto mai infelice per la Grecia, costituita tra frontiera e mare da un lungo corridoio nel senso parallelo, di larghezza media sui 50-60 km., con una strozzatura (circa 25 km.) all'altezza di Komotini e un successivo saliente all'estremità orientale. Dal crinale montano, su cui corre la frontiera, si scende al mare senza altri ostacoli naturali, su un terreno, in genere, di facile percorribilità. Due grandi vie di penetrazione attraversano il confine ad occidente: le valli dello Struma e del Nestos; le altre, all'estremo est, rappresentale da affluenti della Maritza; fra le prime e le seconde, altre ancora costituite da passi che incidono nel crinale di confine, fra i quali importante, per posizione e facilità di passaggio (circa soli 700 m. di quota) quello di Tokatdzik a nord di Komotini. Ho già riferito, indicandone le ragioni, che l'intelaiatura di pace dell'esercito greco non potrà essere aumentata in caso di guerra, specialmente in 1° tempo. Successivamente potranno costituirsi le note nuove 6 divisioni presupposte, ma, col materiale oggi esistente in Paese, esse saranno pressoché prive di artiglieria. In ogni modo, inizialmente saranno mobilitate le 14 D.F. esistenti (compresa la 14a in formazione) e 1 D.C.. Di esse, 4 di fanteria sono da considerare prevedibilmente immobilizzate in territorio: le 2 delle isole (la 5a e la 13a), la 2a ad Atene e 4a in Peloponneso. Rimangono disponibili 10 D.F. e 1 D.C. le cui possibilità normali di immediato impiego sulle varie fronti prese in esame sono qui di seguito indicate, insieme con altri provvedimenti militari, e cioè lavori fortificatori e comunicazioni. È evidente però che ulteriori spostamenti verso il teatro di operazioni, nel caso di un solo avversario, sono da prevedere. Come pure è da prevedere, con la successiva mobilitazione di tutte o parte delle 6 supposte divisioni, un ulteriore apporto all'esercito operante, apporto costituito in parte da qualcuna delle 4 divisioni inizialmente lasciate in territorio e sostituite poi con quelle <li nuova formazione, e in parte da qualcuna di queste ultime. Da tener presente, a questo riguardo, che, 653
nonostante la deficienza di comunicazioni e di mezzi di trasporto, non sono da escludere, per le particolari condizioni dell'Egeo e per le notevo1i disponibilità de1la marina mercanti1e greca, trasporti via mare.
Frontiera albanese Disponibilità di.forze - I D .F. autonoma, l'8a (lanina), che dispone di 2 rgt. fanteria, due btg. autonomi, un rgt. arliglieria da montagna. In caso di mobilitazione disporrà prevedibilmente di 4 rgt. fanteria (uno dei quali a Corfù) e di un rgt. artiglieria ad organici rinforzati. Tali ipotesi deriva dal fatto che i btg. autonomi diventano rgt. all'atto della mobilitazione e che si ha notizia di accantonamento in Epiro di materiali di artiglieria superiori al fabbisogno normale di un rgl. di artiglieria. - I D.F., la 9a (Kozani) del 11 C.d' A. che, per la sua dislocazione, può concorrere ad azioni verso la frontiera albanese nord 01ientale (2). - 2 battaglioni guardia-frontiera; I a sud (Florina), l a nord (Kastoria) (potranno prevedibi1menle diventare 3, data 1a probabile costituzione di un altro btg. presso 1'8° settore di frontiera) . - Eventuale, l D.F., la 3a (Patrasso), la sola, per quanto dello in seguito sulle comunicazioni, che possa concorrere all'azione dell'8a divisione. - Comunicazioni - Scarse e difficili in lullo l'Epiro. Unica rotabi1e atta al transito di una certa importanza la: Missolungi-ArtaJanina-confine albanese, con la diramazione per Prcvesa, e la Gumenitza-Janina non ancora ultimata. 11 collegamenlo allrnverso la catena del Pindo, che isola l'Epiro dalle altre regioni orientali, potrà essere effettuato quando sarà costruita la rotabile Janina Melsovo-Kalibaki, da tempo iniziata. Presso il confine si ha notizia di costruzione di qualche tronco di rotabile e di riattamento di qualche mulattiera, in senso parallelo
(2) Occorre tener presente che la frontiera albanese consta di 2 settori nettamente separati dalla catena del Pindo. Ad occidente dal Pindo si scende allo Ionio, ad oriente sul golfo di Salonicco. Questo spiega come la 9a divi sione appartenga al Il corpo d'armala e faccia piuttosto sistema con le unità della Macedonia.
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alla frontiera, destinati quindi a collegare sedi di reparti di confine o piccole opere di fortificazione. Tale particolare situazione di isolamento geografico dà ragione della costituzione della divisione autonoma ad organici rinforzati, destinata ad agire pressoché isolata, salvo il citato eventuale concorso della 3a divisione, dalle altre unità. - Lavori di fort(ficazione - Consistono essenzialmente in reticolati, tratti da trincee in cemento, ricoveri interrati per piccoli reparti, postazioni per armi automatiche e per artiglierie di p.c. Opere tutte atte a sbarrare accesso o a contenere pressioni avversarie. Lavori, in complesso, di non grande entità, condotti con pochi mezzi, a ritmo normale. Frontiera jugoslava Disponibilità di forze
- 1 D.F., la 9a (Kozani) del II C.A.; - 1 D.F., la 10a (Verria) del TIC.A.; - 1 D.F., la 1a (Larissa) de] TIC.A.; - 1 D.F., la lla (Salonicco) del III C.A.; - 1 D.C. (Salonicco); - 2 battaglioni guardia-frontiera (1 a Florian e 1 a Arta). La Ua D. ( Salonicco) e la l()a (Verria) sono però da considerare destinate più a] settore tracico (cui del resto appartiene già di fatto la 6a D. de] Ili C.A., anch'esso di sede a Salonicco) che a quello macedone. Lo stesso si può dire della divisione di cavalleria, che sembra destinata a spostare parte o tutte le sue unità fra Macedonia e Tracia. La 1a divisione (Larissa ) è in una posizione centrale, con possibilità di facile spostamento su qualsiasi fronte. Comunicazioni
La regione è principalmente servita dalla rotabile KozaniFlorina-confine jugoslavo-Monastir e dalla Salonicco-TopsinGuergueli-Valle del Vardar. Arroccamento principale la rotabile Topsin-Edessa-Banitza. Altre rotabili di carattere secondario colle· gano in vario senso centri abitati. La regione è servita inoltre da11a ferrovia internazionale AteneSalonicco-Skoplje e della ferrovia locale che congiunge la linea precedente con Edessa-Florina e si estende oltre frontiera.
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In prossimità della frontiera non risultano in atto lavori stradali di carattere miJitare: tutta la rete stradale già esistente è però in corso di completo o parziale riattamento. · ·
Lavori di fort(ficaz.ione Non si hanno notizie di lavori tranne che nena zona del lago Doiran: tali lavori sembra però facciano più che altro sistema con quelli verso Ja vicina frontiera bulgara, di cui si parlerà in seguito. Non è tuttavia da escludere che qualche cosa si voglia fare in un futuro prossimo: corrono voci al riguardo, ma finora non confermate da fatti. I solo lavori, per ora, in atto concernono costruzioni o riattamento di nuove casenne, magazzini ecc.
Frontiera bulgara Di.~ponibilità di forze Si possono considerare tutte le forze del III e IV corpo d'armata come destinate ad agire ed impiegabili immediatamente verso ]a frontiera bulgara (in complesso 6 divisioni). - 1 D.F., la I2a, (Komotini) del IV C.A.; - 1 D.F., la 14a, (Xanti) deJ IV C.A.; - 1 D.F., la 7a, (Drama) del TV C.A.; - 1 D.F., la 6a, (Serres) del III C.A. - 1 D.F., la lla (Salonicco) del III C.A. - l D.F., la 10a (Verria) del III C.A. Ciascuna di dette divisioni potrà mobilitarsi su due aut. tre reggimenti di fanteria e su un rgt. artiglieria da montagna. È da tener conto però che provvedimenti di carattere organico (ampliamento di unità esistenti, formazione di nuove unità) e varianti alla dislocazione delle forze riguardano quasi esclusivamente Macedonia e Tracia. - 7 battaglioni guarda-frontiera (1 a Siderocastro, 1 a Kilkis, 1 a Drama;.2 a Komotini e 2 a Didimotiko). Inoltre, hanno possibilità di azione in Tracia, come già accennato, la divisione di cavalleria di Salonicco e la 1a D.F. di Larissa
Comunicazioni Lavori sono in corso di esecuzione per riattare e creare una rete stradale che consenta m.o vimenti in ogni senso. Nei pressi del confine si migliorano e costruiscono specialmente mulattiere. Di parti656
co]are significato le rotabili progettate o in costruzione, che dalla frontiera turca della Maritza si spingono nella Tracia greca: rotabili che dovrebbero consentire l'afflusso di truppe turche in quella regione, in ausilio alle truppe greche. È noto anche l'intendimento dello Stato Maggiore greco di predisporre numerose interruzioni stradali a mezzo di mine da far brillare in tutte le maggiori opere d'arte (ponti). La regione è servita dalla ferrovia Salonicco-Drama-Alexandropoli-Phition: il suo tracciato, però, corre in alcuni punti talmente vicino al confine bulgaro da far ritenere problematico il suo esercizio in caso di ostilità; è perciò che vengono creati aJlacciarp.enti sussidiari, come la Cisegi-Anghistà col suo progettato allacè1amento Salonicco.
a
Lavori di fortificazione In quella zona nena quale è già stato possibile fare accertamenti (Doiran - fiume Nestos) hanno precipuo compito di sbarrare le màggiori vie di accesso (St:ruma e Nestos) con opere fortificate di carattere permanente; negli altri punti tendono a contenere le pressioni avversarie (reticolati multipli, nin·teramenti su più ordini, postazioni per artiglierie di p.c. e per mitragliattici, ricoveri blindati ecc.). Si ha ragione di ritenere che le stesse caratteristiche si debbano riscontrare anche nella zona più ad oriente, di cui finora non si hanno notizie accertate. Dall'esame di tutti gli elementi che ho esposto derivano le seguenti conclusioni: - che la Grecia ha intendimenti difensivi su tutte le frontiere; - che le sue maggiori preoccupazioni sono verso la Bulgaria; - che seguono, ma a notevole distanza, quelle verso l'Albania. La Grecia tiene evidentemente conto di questo settore della natura del terreno di confine, nonché sulla possibilità del suo vicino, anche se non esclude, come sembra, che se questo attaccasse lo farebbe perché aiutato dall'esterno; - che verso la Jugoslavia, la Grecia, volente o nolente, deve astenersi da apprestamenti difensivi appariscenti che, d'altra parte, consitlèra probabiln'tente superflui. Il Colonnello R. Addetto Militare: F/to G. Boglione
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ALLEGATO
10 (*)
CENNI SULLA FORMAZIONE, ORDINAMENTO E SPIRITO DELL'ESERCITO BRITANNICO NELLA GRANDE GUERRA
Omissis V PARTE ALCUNE NOTE SULLO SPIRITO MILITARE INGLESE IN RELAZIONE ALLE CARATTERISTICHE DELLA NAZIONE
Omissis Le caratteristiche nazionali riflesse nell'esercito inglese nella prima guerra mondiale I tratti caratteristici nazionali spiegano come la Nazione poté improvvisare un esercito e spiegano le qualità e lo spirito cli quel1' esercito. Il giorno in cui il governo proclamò la necessità di accorrere in Francia per la difesa di un diritto calpestato ed anche per difendere l'impero dal minacciato predominio tedesco, la Nazione rispose unanime all'appeno ed i soldati, in maggioranza volontari, non ebbero bisogno di sentire risvegliato il loro patriottismo, né ma:i ebbe gran presa nel paese e quindi neU'esercito, la propaganda di chi con ideologie pacifiste cercava di affievolire lo spirito combattivo e la volontà di resistenza della massa. Tale propaganda fu tenuta sotto varie forme anche in Inghilterra ma trovò poco appoggio nella stampa e fu combattuta da una reazione spontanea, soprattutto ne11e classi dirigenti, più che da provvedimenti governativi. Inoltre l'Inglese non è amante della guerra e delle battaglie di nessuna specie, anzi ha un fondo pacifico, ma una volta che le necessità della vita lo hanno costretto ad iniziare una lotta è vano sperare di vincerlo se non si riesce addirittura ad annientarlo.
(*) AUSSME, G25-20.
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Tenace fino all'assurdo, trova un aiuto al suo carattere ostinato nel1' abitudine psicologica contratta nelle lotte sporti ve.
Le caratteristiche tradizionali ed educative che ho descritto portano poi nell'esercito una tendenza naturale all'ordine, alla precisione, al rispetto per i capi e per i regolamenti, in una parola a11a disciplina intesa nel miglior senso. Jl soldato inglese ebbe dunque spirito nazionale, fortissimo spirito di corpo e più ancora spirito di cameratismo per cui nel momento del pericolo reputava vergognoso abbandonare i compagni ed i capi. Meno intelligente, meno versatile, meno adattabile del nostr-o, aveva bisogno di una istruzione più formale, di una disciplina più rigida nelle forme, anche perché tutta l'educazione deJla gioventù inglese non è basata sulla dolcezza ed indulgenza e conserva invece una certa durezza. L'azione di comando è resa facile alla forza che ha tuttora il principio di autorità e l'ordinamento gerarchico delle classi ed anche dal fatto che nella vita civile chi ha il potere lo esercita con inflessibile rigidità senza compassione e senza management. Perciò le abitudini sociali della nazione non avrebbero reso possibile un trattamento scortese o rigorismi inutili ed irritanti Ciascuno è geloso di conservare intatta la propria dignità e tutta la sfera dei propri diritti. Fuori servizio e in ciò che non riguarda il servizio il soldato vuole essere trattato come nella vita civile. Questo fatto congiunto alla sicurezza di poter contare sulla vera disciplina degli animi, spiega come mai, mentre in servizio le forme sono più rigide e dure che da noi, fuori servizio esse sono molte meno curate, fin quasi ad essere trascurate. Abituati a leggere molti giornali che discutono di tutto, i soldati non tollerano disposizioni che sembrino violare l'equità e il principio del fair-play. Quando si ebbero disposizioni di tale genere accaddero arrunutinamenti anche gravi che di solito venivano risolti senza misure disciplinari troppo gravi e soprattutto spiegando ben chiaramente agli uomini il perché degli ordini. Avvezzi ad un tenore di vita assai più comodo del nostro, i soldati ing1esi hanno bisogni assai maggiori in fatto di vitto e alloggio. Per la minore svegliatezza e agilità mal si adattano a ripieghi di ogni genere, ai cambiamenti di attribuzione, alla varietà di lavori, che il nostro soldato accetta tranquillamente e lietamente. Di questo dovette tener conto l'ordinamento militare, sia per la 659
truppa che per gli ufficiali, il che produsse da un lato maggior stabilità organica, ma dall 'altro rese necessario. un personale molto più numeroso per la necessità di dare a ciascuno pochi incarichi ben nettamente definiti. · Ciò è un riflesso della vita civile; anche per questo le classi inferiori da tempo avevano ottenuto orari assai più comodi dei nostri con paghe maggiori e coh rigorosa divisione delle attribuzioni. La truppa è più ordinata e, almeno esteriormente, più pulita della nostra. Mai barbe lunghe e capelli incolti, perché mai li vedete per le strade di Londra neanche nelle classi inferiori . Vestiario e affardellamento sempre puliti e in ordine e questo forse non tanto per la larghezza dei mezzi disponibili, quanto per il bisogno generale dell'ordine, della nettezza, della bella presenza. Gli accampamenti sono ben curati e soprattutto si ha grande cura delle amù e del materiale. Metalli lucidi, cuoi ben puliti ed ingrassati sempre. Anche in ciò si vede l'amore per l'apparenza poiché p.e. i cavalh sono indubbiamente pitt lucidi e meglio toelcttati dei nostri ma talvolta meno ben governati. Uno dei probkmi fondamentali da risolvere per le supreme autorità militari inglesi era quello di affiatare, amalgamare la New Army, il nuovo esercito improvvisato, con la Regular Army, esercito professionale. Per quanto riguarda l a truppa la cosa fu abbastanza facile mediante il graduale rifacimento delle unità originali. Per gli ufficiali non fu altrettanto semplice, dato lo spirito di casta che indubbiamente esisterà ed esiste ancora nell' Ufficialità permanente. A mantenere una certa distanza tra le due specie di ufficiali, concorse anche il fatto che dapprincipio le unità originarie poterono in patte essere rifornite con Ufficiali permanenti provenienti dal.le scuole militari mentre gli ufficiali temporanei formarono la massa dei quadri delle nuove Divisioni. Tuttavia non vi è mai stato un vero dissenso ed io stesso ho visto Ufficiali temporanei preposti a Ufficiali permanenti o frammisti nei comandi senza che ciò desse luogo ad attriti o malumori.
Gli Ufficiali Circa le qualità degli ufficiali, il vero pregio, anche di quelli improvvisati, stava nelle qualità morali e di carattere. li redutarnento fatto, specialmente nel primo anno, nelle classi sociali dove si mantiene pii:t vivo lo spirito della vecchia Inghilterra conuibuì a facilitare 1'opera di educazione militare. Infatti le solite qualità 660
che, come ho detto, formarono la vera forza della nazione, erano più sviluppate appunto nelle classi più educate che fornirono il primo grosso contingente di nuovi ufficiali. Gli altri Ufficiali per cura dei Capi e per loro tendenza cercarono di mettersi al livello dei colleghi più anziani e più autorevoli per cultura e posizione sociale. Tutta l'educa:1.ione dei nuovi suhaltcrni fu intesa prima di tutto a fare del cadetto un gentleman, cercando di sviluppare in lui i sentimenti che dovrebbero essere caratteristici dei gentlemen: il sentimento dell'onore, quello della responsabilità, una certa cavalleresca generosità e il sentimento del Capo che non è padrone ma duce, gu ida, sostegno, dei suoi uomini. In pari tempo si cercò anche di abituare i giovani ufficiali alle forme esteriori, al tenore di vita delle classi superiori in modo che ad aumentare il prestigio del grado contribuisse l' ascendente naturale che nella vita ordinaria inglese conserva le classi alte sul popolo. In complesso il corpo dei nuovi ufficiali risultò animato di soli do spirito militare e supplì con le doti di volontà e di carattere alla deficienza di cultura e di intelligenza. L' Ufficiale .inglese è un po' meno del nostro a diretto contatto col soldato perché molta parte del lavoro giornali ero minuto è . lasciato ai sottufficiali educati anch'essi al senso di responsabilità. Egli però non si isola dai suoi uomini né li tratta con alterigia. 11 tratto è lo stesso che si ri scontra nelle relazioni della vita civile e cioè rigido, senza concessioni nella sostanza, ma molto tranquillo e urbano nella forma. D'altra patte gli Ufficiali senza scendere a famigliarità ed indulgenze, né sostituirsi ali' opera dei sottufficiali, si interessano dei loro uomini più per l'educazione e l'abitudine della vita civile che per puro dovere militare, e ciò serve a stabilire un senso di solidarietà che facilita il mantenimento della disciplina nei momenti più gravi. Lo spirito dei contingenti dei Dominions
P er quanto riguarda i co ntin ge nti forni ti dai Dominions (Canadà, Australia, Sud Africa) è da ricordare che la partecipazione di quelle colonie alla guerra è stata quasi volontaria almeno in quanto che non esisteva un impegno preventivo, defin ito, circa la misura dell' aiuto da farsi alla Madre Patria, cd anche per il fatto che sarebbe mancata all' Inghilterra la possibilità di imporre uno sforzo maggiore di quello votato dai Parlamentari delle Colonie. Tuttavia il concorso fu generale specialmente per parte del 66 1
Canadà e delJ' Australia che avevano adottato il servizio obbligatorio prima dell'Inghilten-a. Nel Sud Africa vi fu un Lentativo di ribellione ma fu causato forse più da lotte di partiti locali che da vera aspirazione anti-inglese. Le forze <li ogni colonia furono organizzate a similitudine di quelle inglesi, ma in grande uniLà autonome, dipendenti solo per l'impiego dal Comando Inglese. Esse avevano amministrazione propria e ampia lihertà di applicare leggi e regolamento speciali. Ogni Dominions aveva in Inghilterra una specie di base con depositi, ospedali, magazzini , ecc. Naturalmente i regolamenti militari, l'armamento, equipaggiamento, ecc., furono copiati da quelli inglesi. Gli Ufficiali, improvvisati ancora più rapidamente che in Inghilterra, presentavano una maggiore diversità di tipi per cultura, istruzione ed educazione. Essi, pur professandosi affezionati alla madre patria, dimosLravano una spiccata coscienza dell 'autonomia del proprio Paese quasi come in una Nazione. Il soldato dei Dominions presentava un po' i caratteri dell 'avventuriero. Ottime qualità, fisiche, valore in battaglia, ma insofferenza <li freni ruori servizio e costumi assai liberi. Nel complesso tra le forze inglesi e quelle coloniali regnò uno spirito di leale e volenterosa cooperazione, ma non si può negare che vi è stato qualche attrito e qualche malumore specialmente dove unità minori dei Dominions si trovavano frammiste alle Unità Inglesi.
Conclusione Lo scoppio della grande guen-a colse I' lnghilterra impreparata militarmente nel modo più grave. Il Governo decise di gettare il Paese n ella lotta e l'intera Nazione comprese o intuì i motivi della decisione e seguì con entusiasmo i suoi reggi Lori senza che un partito osasse puhblicamente o sottovoce sostenere argomenti in contrario. lni:.r.iata ]a lotta, mancò nei Governanti, nel Parlamento e nel Paese salvo poche eccezioni, una visione non dirò esatta, ma approssimativamente giusta dell ' immensità dello sforzo occorrente. Questo, in Inghilterra come in Francia ed in Italia, venne apprezzato solo dopo mesi e anni di guerra. Non solo, ma anche nei programmi fatti in base alle modeste previsioni dei primi mesi 662
mancò in gran parte agli Inglesi la visione organica deH'insicme. Nelle risoluzione di quasi tutti i problemi connessi co11a guerra si provvedette per improvvisazioni empiriche, per adattamenti graduali successivi di forme tradizionali vecchie a necessità nuove. Errori furono commessi e su vasta scala. Errori di condotta politica della guerra, errori di organizzazione delJ'Esercito, dei suoi elementi e del suo Alto Comando, errori di impiego strategico e tattico delle forze ed errori di natura tecnica nella creazione di armi, munizioni, materiali bellici e vari. Ma in mezzo a tanti errori ad alle clamorose proteste della stampa e dell'intera nazione, non fu mai perduto di vista lo scopo supremo, mai abbandonato un momento il proposito fermissimo di vincere ad ogni costo. I rovesci dei Dardanelli, come quelli del 1918 in Francia, non fecero che rendere più ostinata questa volontà. Se qualche uomo o partito politico osò sfruttare le sventure de11a Patria per sminuire le forze di resistenza della Nazione, e per crearsi nel mal contento popolare un facile piedistallo, dovette mascherare con molta accuratezza la manovra e ben poco seguito trovò nel Paese. Quali siano state le cause della vittoria degli alleati sugli Imperi Centrali non è qui il caso di indagare, ma una di esse fu senza dubbio la tenacia inglese. L'Impero britannico non avrebbe in qualunque caso abbandonata la lotta se non quando fosse veramente, letteralmente schiacciato dal nemico. La forza grande della Nazione è stata fino ad oggi ]o spirito nazionale altissimo, compatto, profondamente sentito da tutti ed insieme la fermezza tenace del carattere, la volontà inflessibile fino all'assurdo, unita ad un senso di disciplina frutto della tradizionale educazione pubblica e privata. Aprile 1920 F/to Gloria
UOMINI IMPIEGATI IN GUERRA A) Volontari arruolati del 1° Agosto 19.1 4 = 25 Agosto 1914 = 15 Settembre 1914 = 15 Novembre 1915 =Luglio 1916 = Maggio
1914 nel Regno Unito: 100.000 circa (oltre i Tenitoriali) 500.000 circa (ollre i Tenitoriali) 700.000 circa (oltre i Territoriali) 2.100.000 circa (oltre i Te1Titoriali) poco più ùi 4 milioni
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B) Totale uomini impiegali nella guerra del Regno Unito: Regno Unito 5.704.416 Canadà 604.886 Australia 416.809 Nuova Zelanda 220.099 Sud Africa 136.070 I .40.1.350 India Altre Colonie 134.857 TOTALE 8.654.467 C) Morti
Dispersi P,igion.
85 1.11 7 di cui 140.3 12 di cui 2.067 .442 di cui
662.083 della Gran Bretagna 140.31 2 della Gran Bretagna J.664.786 della Gran Bretagna
D) Fol7.a totale presente alk anni J' I I Nov. 1918: poco meno di 4 milioni.
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ALLEGATO
11 (*)
CONSIDERAZIONI POLITICO-MILITARI DELL'ALTO COMANDO E DELL'AMBIENTE MILITARE S.H.S. PER IL CASO DI CONFLITTO TRA L'ITALIA E LA JUGOSLAVIA I LE FORZE E IL TERRENO - LA VALUTAZIONE MORALE EFFETTIVA E PROPAGANDISTICA DELL'ESERCITO ITALIANO
In una eventuale guerra tra l'Italia e lo Stato S.H.S, nel tener conto delle forze reciproche e delJa loro sproporzione numerica bisogna stabilire di qua..11to ta1e sproporzione valga a variare la situazione dovuta alla configurazione del terreno di contatto fra i due belligeranti in complesso favorevole all'azione difensiva jugoslava. Ai suddetti criteri di valutazione di elementi di valore relativamente intrinseco si aggiunge una successiva valutazione propria a questi ambienti politico-militari, ed è quella derivante dallo speciale apprezzamento aprioristico sull'efficienza morale e bellica del1' esercito italiano. Nelle masse popolari e nelle truppe viene preziosamente ed energicamente coltivato il pregiudizio che le qualità guerriere del soldato jugoslavo, e specialmente quelle del soldato serbo e bosniaco, siano di tanto superiori a quelle del soldato italiano che la questione del numero venga a perdere parte della sua importanza. Senza condividere completamente tale opinione, tuttavia, una parte considerevole dell'ambiente dirigente militare, in misura più o meno grande a seconda del proprio livello culturale e mentale, tende a sottovalutare le qualità morali dell'esercito italiano. Persona degna di fede, ha riportato a tale proposito che il vecchio Vojvoda (Maresciallo) Bojovic, avrebbe ultimamente, dichiarato: « Vi sono tre popoli che non hanno diritto di possedere un esercito: gli Italiani, i Greci e i Rumeni». Tuttavia, a malgrado della voluta propaganda denigratrice del(*) AUSSME, M3-37/2.
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l'esercito ita]iano, 1' A1to Comando è in complesso persuaso che un conflitto con l'Italia non può considerarsi a11a stregua di una guerra relativamente facile se localizzata contro le piccole nazioni confinanti, specie dopo che nei riguardi dell'Italia il Fascismo ha trasformato ed csa]tata ]a psicologia del popolo italiano. TT
CONDOTTA DELLA GUERRA Presso 1' Alto Comando si ritiene che la Jugoslavia per ottenere un successo politico ne] caso di un conflitto con l'Italia dovrebbe proporsi lo scopo di condurre una «guerra indecisa» che provochi l'intervento armato o diplomatico di altri Stati. Lo Stato Maggiore fa conto che nel periodo di sei mesi o di un anno tutto al più, tali eventi si avvererebbero. E ritiene che gli apprestamenti militari, condotti sopra un ritmo sempre più intensivo, valorizzati dal terreno e dalle qualità combattive del soldato consentirebbero alla Jugoslavia di sostenere a lungo la lotta senza giungere a una decisione, in attesa di complicazioni esterne. Hl L'IMPIEGO DELLE FORZE E IL TERRENO La frontiera italo-jugoslava, mentre presenta una linea di contatto poco estesa, è, nel suo rovescio jugoslavo, profonda, aspra e coperta, circostanza che tenendo conto delle qualità morali dell'esercito jugoslavo danno a questo affidamento di poter condurre una guerra di «usura», di «consumo» come è avvenuto nel conflitto mondiale. La ristrettezza della frontiera e la sua conformazione topografica consentirebbero alla Jugoslavia di collocarvi per la difesa una frazione non troppo considerevole del proprio esercito. La resistenza potrebbe, pertanto, essere alimentata per un lungo periodo di tempo. Le stesse circostanze topografiche e geografiche, impedendo all'Italia d'impiegare molte forze, non le consentirebbero di fare valere la propria superiorità numerica. IV AGGIRAMENTO IMMEDIATO DELLO SCHIERAMENTO JUGOSLAVO ALLA FRONTIERA ITALIANA La possibilità di un aggiramento dell'ala destra dello schiera666
mento jugoslavo, attraverso il territorio austriaco, viene presa seriamente in considerazione dallo stato maggiore jugoslavo. Tuttavia, pur tenendo conto di tale possibilità e avviando probabilmente su tale argomento conversazioni e forse accordi col governo austriaco, lo stato maggiore jugoslavo non è unanime circa un rendimento adeguato e sicuro per l'esercito italiano nel tentativo di tale manovra. A parte le ripercussioni politiche che potrebbero riuscire dannose all'Italia, un'azione aggirante in quella zona alpestre si svolgerebbe lentamente e quindi ad essa mancherebbe l'elemento principale di successo: la sorpresa. Inoltre, i serbi avendo preveduto tale eventualità e disponendo di grosse riserve, vigilerebbero con ogni attenzione e parerebbero. L'aggiramento a Nord, come si è detto, porterebbe il fronte jugoslavo a estendersi corrispondemente a quella manovra italiana. In quanto all'aggiramento dell'ala sinistra jugoslava (sud) sul litorale croato (1), esso avrebbe maggiore probabilità di essere redditizio (almeno teoricamente), grazie alla superiorità della flotta italiana. Tuttavia la possibilità della sorpresa verrebbe ridotta considerevolmente dalle di ffico1tà congenite alle operazioni di sbarco. Come per il caso dell'aggiramento dal Nord, i serbi vigilerebbero e si ritengono sicuri di poter paralizzare un tentativo del genere. Inoltre la zona litoranea ove le operazioni di sbarco per 1'aggiramento della fronte potrebbero essere eseguite, è assai ristretta (Fiume Senj) e può dirsi che faccia corpo con lo schieramento stesso dell'esercito jugoslavo. Per le ragioni suddette, se l'azione italiana, si limitasse alla zona di frontiera sloveno-croata, quell' azione dovrebbe essere per forza frontale e porterebbe alla guerra «d'usura» au.\ pù;ata dallo Stato Maggiore jugoslavo. V
AGGIRAMENTO LARGO DELLO SCHIERAMENTO JUGOSLAVO ALLA FRONTIERA ITALIANA (DALLADALMAZIA) Se l'Italia non vuol vedersi inchiodata, fin dall'inizio, in una guerra lunga e senza risultati essa deve far valere la sua superiorità numerica con sbarchi in grande stile, lontani dall'immediato schieramento jugo-
(1) Fiume Scnj.
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slavo, ma che abbiano una diretta influenza sul tergo cli detto schieramento per provocarne il crollo completo portando l'invasione italiana fino al cuore della Jugoslavia - e per lo meno - fino a Belgrado. Lo sbarco e l'invasione dovrebbero iniziarsi da1la Dalmazia, attraverso la Bosnia Erzegovina, puntando sulla Sava, verso Brod, uno dei più importanti nodi stradali, ferroviari, fluviali dello stato S.H.S. L' Italia potrebbe anche limitarsi all'occupazione della Dalmazia, ma ciò avrebbe un'importanza soltanto politica per stabilire un fatto compiuto. VI ESAME GENERICO DELL'EVENTUALE TEATRO D'OPERAZTONI ITALO-JUGOSLAVO COMPRENDENTE ANCHE TL SETIORE DALMATO-BOSNlACO 11 teatro di guerra italo-jugoslavo è dominato da due si stemi montani poco adatti per le grandi operazioni militari. Essi sono al Nord le Karavanche, le Alpi Giulie e le loro diramazioni e aJ Sud il Carso dinarico-illirico. 11 Carso ha inizio in vicinanza della frontiera italo-jugoslava, dall'Istria e si estende N.0.-S.E. fino in Albania, iisalendo attraverso il Sangiaccato di Novi Bazar fino alla Bosnia meridionale. La catena del Carso divide il teatro d' operazioni in due settori : a) Settore orientale-occidentale il cui asse è costituito dalla Sava - motivo per cui i serbi lo denominano teatro d'operazioni de1la Sava. b) Settore occidentale - o marittimo - o carsico. 11 settore marittimo può a sua volta considerarsi diviso in due sotto settori; I) da Buccari fino all'estremità storico-am mini strativa Nord · della Dalmazia - tratto in cui la catena carsica si eleva ripida sul mare costituendo una barriera tra la Croazia, la Slovenia e la Dalmazia; 2) dal limite della Dalmazia all'Albania.
VH QUALCHE CARATTERISTICA SULLA CATENA CÀRSICA ALLA FRONTIERA ITALO-JUGOSLAVA Sulla fronliera italo-jugoslava, la catena carsica è meno profonda e presenta qualche apertura. Le due principali aperture sono: 668
1) QueHa nella zona ove vengono a contatto le Alpi Giulie e la catena carsica. Tale apertura corrisponde alla direzione di TolminoLubiana. L'apertura dal punto di vista operativo si presta maggiormente per l'invasione della Jugoslavia che non dell'Italia. Essa ha una lunghezza di quasi 40 km. e si prolunga fino alla pianura di Lubiana. 2) Quella in corrispondenza di Postumia. Essa è meno vasta (circa 10 km. di larghezza). Però detta apertura va allargandosi verso l'Italia e aprirebbe all'esercito jugoslavo la via di Trieste.
Secondo questa direttrice lo stato maggiore jugoslavo presumerebbe di poter fare una puntata offensiva (qualora la situazione lo pennettesse) nell'intento di giungere all'Istria orientale maggiormente popolata di slavi, che non quella occidentale. Questa operazione, qualora potesse affermarsi, avrebbe per iscopo di irnpossessarsi di un pegno territoriale da mantenere fino alla liquidazione europea della guerra. Ciò in analogia a quanto l'Italia potrebbe fare per la Dalmazia e le isole. A parte ogni considerazione politica, lo stato maggiore jugoslavo osserva però che una ulteriore avanzala in Tlalia troverebbe neì 1' orientamento dei nostri fiumi una serie di ostacoli successivi, mentre qualora l'esercito italiano riuscisse a sfondare o ad aggirare la barriera sloveno-croata, esso avrebbe libertà di manovra fino a Belgrado. Forse in ragione della scarsa efficien za dell'esercito S.H.S. di alJora ( 1922) Costantino Timotievic), presidente interinale del consiglio dei ministri, diceva che in caso di guerra con 1'Italia il nemico verrebbe battuto davanti a Belgrado. Da allora le circostanze di armamento della Jugoslavia sono assai m utate ed è unanime ora la deci sione di difendersi sulla frontiera italo-jugoslava. VITI TRATTI PIU' IMPORTANTI DEL LA FRONTIERA ITALO-JUGOSLAVA RISPETTO ALLE OPERAZIONI L'Alto Comando jugoslavo ritiene che l' azi one principal e avverrebbe nel tratto approssimativamente medio dello schieramento, corrispondente alle due aperture già menzionate (all'incirca sul meridiano di Buccari). Il tratto meridionale presenta anche grandi difficoltà topografi669
che. È indubbjo però che lo sfondamento dell'ala meridionale dello schieramento jugoslavo, in caso di successo darebbe all'Italia dei grandissimi risultati poiché le truppe italiane giungerebbero a Karlovac (provincia Karlovac) e aggirerebbero Zagabria, punto principale d'appoggio della manovra S.H.S. Ma sono evjdenti le difficoltà di una tale manovra, che dovrebbe iniziarsi da Fiume sotto l'osservazione e nel raggio di azione de1lo schieramento jugoslavo e che potrebbe essere arrestala con un semplice prolungamento della fronte S.H.S. Poiché l'azione frontale si urterebbe ad ostacoli difficilmente superabili e quelle aggiranti hanno poca probabilità di riuscita, Jo stato maggiore jugoslavo ritiene che le nostre forze non potrebbero riuscire a sfondare lo schieramento croato e sloveno alla frontiera italiana e a giungere alla pianura della Sava ove gli ostacoli naturali non valgono più a controbilanciare la differenza numerica e tecnica. Negli ambi enti militari jugoslavi si ritiene che tale risultato potrebbe essere tentato dagli italiani mediante un aggiramento iargo passando per la Dalmazia e la Bosnin Erzegovina. Come si è detto, a ovest di Buccari, la catena del Carso giunge fino al litorale adriatico e presentandosi come una muraglia impervia e impraticabile. Come tale, essa continua sino al limite Nord amministrativo -storico della Dalmazia. Invece il litorale dalmata da11a parte del mare è completamente aperto e permelle di sbarcare in condizioni topografiche soddisfacenti. lvi la catena del Carso dinarico sj allontana daJla sponda e si incurva verso la Bosnia. TI ciglio di questa catena rappresenta il limite divisorio fra la Dalmazia e la Bosnia. Più a Sud la catena carsica si spinge nuovamente verso il mare e difende gli accessi della costa. IX VARIE CARAITERlSTICHE DELLA ZONA DI PENETRAZIONE DALMATO-BOSNIACA La zona di penetrazione può considerarsi come ripartita in tre: a) Da Zara a Makarska - questo settore ha un ampiezza di 180200 km. b) Da Makarska a Cavtat (Ragusa vecchia). (Il tratto più adatto per gli sbarchi è quello di Ragusa). c) Da Ragusa vecchia alla Bojana. 670
Le comunicazioni del primo settore portano alla vallata
dell'Una, affluente della Sava che sbocca in questo fiume a Est di Sisak. Le comunicazioni de] secondo settore portano a11e vallate della Vrbas e della Bosnia attraverso il corso della Narenta. Le comunicazioni del terzo settore non vengono considerate nel caso di un' azione verso l a Sa va poich é esse adducono alla Moratscha e al Drina e quindi al Sangiaccato e alla Metchia. Secondo l' opinione degli ambienti militari serbi, il settore <li penetrazione più favorevole per l'Italia è il primo: Zara Makarska - nel tratto Zara-Spalato. Attraversata la zona dalmata l'avversario troverebbe l'aspra catena clinarica, ma è assai differente incontrarla a 2550 km. dalla costa che affrontarla quando essa strnpiomba sul mare. X L'AVANZATA DALLA DALMAZIAATTRAVERSO LA BOSNIA VERSO LA SAVA COME LA RITERREBBERO EFFETTIVAlvlENTE I SERBI SULLA SCORTA DI RISULTATI DI MANOVRE COI QUADRI E SULLA CARTA La catena carsica dista da Zara e Spalato circa 25 km. e da Sebenico circa 50 km. (direzione Knin). La traversata del1a ragione carsica rappresenta un percorso di 50-60 km. , e sbocca: - da Zara su Bihac - da Sebenico su Kljuc -da Spalato su Bugojno. Quei punti di sbocco si trovano al limite della regione carsica. Da Kljuc e da Bugojno trovansi Banja Luka (40 km.) e Maglaj (55 km.) al limite della regione montana boscosa della Bosnia centrale dove ha inizio la regione piana e agricola della Bosnia settentrionale che costeggia la Sava. La regione piana ha invece più prossimo inizio a Bihac sulla direzione Zara - Sava. Le distanze: - Sebenico-Spalato, - Knjn-Sinj, - Kljuc-Bugojno, - Banja Luka-Magl~j. si aggirano tutte sui 60 km. Da Bunja Luka la Sava dista di 40 km. e da Brod di 60. Da Maglaj a Brod (strada ferroviaria Sarajevo-Brod) la distanza è pure di 60 km. 671
La penetrazione dalla costa adriatica alla Sava potrebbe svolgersi come segue: 1) Concentramento delle truppe italiane ai piedi della catena carsico-dinarica lungo il limite dalmato-bosniaco per superare delta catena mediante il combattimento. 2) Lotta per la traversata della regione carsica e arrivo delle teste delle colonne a Bihac, Kljuc, Bugonjo. 3) Traversata della Bosnia centrale con arrivo delle colonne a Banja Luka (valle della Vrbas) e a Maglaj (valle della Bosnia). Contemporaneamente la colonna partita da Zara agirebbe di fianco rispetto alle altre colonne. La difesa serba verrebbe eseguita su11e caratteristiche parallele della Bosnia Erzegovina. L'avanzata italiana verso la Sava potrebbe essere completata con l'occupazione di Sarajevo eseguita o da un distaccamento della colonna orientale che punta su Bugojno (60) o da una colonna che iniziando il movimento da Maraska, attaccherebbe la catena carsica di lmotski. L'occupazione di Sarajevo servirebbe anche di copertura contro minacce nemiche sul fianco, provenienti dalla Bosnia meridionale o dalla Serbia. A Sarajevo, la difesa delle provenienze da11a Serbia e dal Montenegro verrebbe eseguita facilmente utilizzando quanto di fortificazioni, a tale scopo, costrussero in passato gli austriaci. L'occupazione di Sarajevo menerebbe gli italiani in 1vado di costituire un governo liberatore bosniaco-erzegovino, disposizione che contribuirebbe a pacificare la regione e ad attirarla nell'orbita della politica italiana. XI
ALCUNI CARATTERI LOGISTICI E GEOGRAFICI DELLA BOSNIA La Bosnia centrale è una regione montana e boscosa che non ha via di comunicazioni trasversali (da Est a Ovest). Le alture si presentano a terrazze arrotondate intervallate da burroni. Il letto dei corsi d'acqua è in genere a pareti scoscese. Il volume delle acque è assai variabile. Le piogge sono abbondanti e rendono il terreno impraticabile. Le foreste divengono paludose all'epoca delle piogge. Alle altitudini elevate esse sono quasi intransitabili e ricordano le foreste vergini. Il momento più propizio delle operazioni militari 672
è nei mesi di giugno, luglio, agosto. Però in quel periodo le condizioni sanilarie sono poco buone - migliori a tale riguardo esse sono nei mesi di settembre e ottobre. 1 fiumi sono generalmente guadabili. Fanno eccezione la Una tra Bihac e la Sava. Nel resto del suo percorso la Una è in generale guadabile. La Vrhas è di rado guadabile per la rapidità della corrente. Molto capriccioso è il regi me della Bosnia. La Bosnia settentrionale si presenta come una pianura leggermente ondulata - molto coltivata. Avvicinandosi alla Sava diventa in molti tralti paludosa. l corsi d'acqua rappresentano ostacoli per l'avanzata poiché sono fortemente incassati e ricchi d'acqua. Il terreno è fangoso e ha tendenza a diventare paiudoso al tempo deiie piogge. Durante le piogge il movimento si limita alle sole strade artificiali che hanno una larghezza da 4 a .5 metri e sono ancora in stato passabile. La Sava che costituisce il limite tra la Bosnia e la Croazia è un ostacolo irrilevante, oltre che per il suo volume di acqua, anche per le caratteristjche paludose del suo percorso. L'irruzione italiana attraverso la zona dalmata - bosniaca è ritenuta decisiva, se coronata da successo, per il crollo del fronte sloveno-croato. Tuttavia lo stato maggiore S.H.S. valuta le grandi difficoltà tattico-logistiche che dovrebbero affrontare le truppe italiane per alluare quella operazione. in quella /.ona il terreno si presta bene alla guerriglia nella quale i serbi si rilengono maestri . Dal punto di vista delle comunicazioni j serhi, se fanno riserva sul valore morale dell'esercito italiano, ne valutano la capacità tecnica (forse oltre le possibilità della tecnica stessa). Riten gono che la questione della costruzione di nuove strade verrebbe rapidamente risolta dagli italiani. T serbi parlano ancora con ammirazione della organizzazione stradale (e di quella dei servizi) Jeile truppe itaiiane ai fronte di Saìonicco.
Xli lL MASSICCIO DEL PAPUK Giunti a Brod sulla Sava gli italiani non avrebbero superato tutte le difficoltà. A Nord di Brod si stende il Massiccio del Papuk e Brod è situato sull'asse centrale del massiccio stesso. ll massiccio si sviluppa parallelamente alla Sava, a distanza media da essa di circa 10 km. Esso ha una larghezza di 90-100 km. e una larghezza di circa 50 km. Ha forme collinose e alpestri, è assai boscoso. 673
Il «Papuk» può determinare un'azione ritardatrice sull'avanzamento delle truppe italiane giunte alla Sava attraverso la Dalmazia e la Bosnia Erzegovina. Prima di aver occupato il Papuk gli italiani non sarebbero sicuri, né di provocare il crollo della fronte S.H.S. in Slovenia né di continuare l'avanzata su Belgrado. I serbi fanno assegnamento sulla funzione ritardatrice che potrebbe svilupparsi nel massiccio del Papuk. Anche in vista di tale fum.ione nel piano generale del riordinamento ferroviario venne progettata la costruzione di una buona linea ferroviaria che allacci Belgrado con Zagabria passando a Nord del Papuk, nella zona larga circa 20 km. tra la Drava e la frontiera ungherese. Questa linea permetterebbe di tenere il collegamento con la Cronte sloveno-croata, salvo naturalmente la complicazione di un intervento ungherese che l'avanzata italiana allraverso la Dalmazia e la Bosnia potrebbe provocare. Ad ogni modo, per quanto i serbi ammettano la possibilità di una avanzala italiana attraverso la Bosnia, essi ne considerano l'esecuzione come irta di tante difficoltà da non preoccuparsene seriamente, e quindi, prima del Trai.lato di Tirana essi potevano contare su una percentuale, assai alta di probabilità, di aver a combattere nella sola zona di frontiera Giulia al coperto di una barriera montana ch'essi ritenevano difficilmente superabile dal nemico. La guerra si sarebbe svolta nel modo più favorevole all'atteggiamento politico jugoslavo: arresto degli italiani sulla linea di frontiera fino all'intervento di terzi. Il fatto che lo Stato S.H.S. avesse potuto a lungo bilanciare la forza dell'Italia sarebbe già stato di per sé stesso un successo morale grandissimo. Nei riguardi della frontiera croato - slovena e del litorale adriatico lo studio dello stato maggiore jugoslavo è di prepararne la llifesa dal primo momento di un eventuale urto, o anche in vista di una tensione politica. Le forze dedicate a tale scopo (regolari ed irregolari) debbono essere in grado, per quantità e tempestività di di slocazione, di parare un possibile sfondamento nemico durante il periodo critico della minore forza e le conseguenze di un urto i laliano rapido e potente. Lo schieramento S.H.S. alla frontiera slovena dovrebbe poter giungere rapidamente ad una saturazione tale della frontiera da garantirne l'intransitabilità. Lo stato maggiore jugoslavo ritiene di poter essere già attualmente in condizioni di far Fronte a quella eventualità. Perciò escluso lo sfondamento sulla fronte Giulia, giudicata improbabile la 674
marcia da Zara su Ogulin e su Brod, la Jugoslavia si riteneva aJ sicuro dietro la grande fascia della muraglia carsica, quando il Trattato di Tirana, spalancando una nuova e vasta porta sulla via più vitale della Serbia, venne a gettare lullo il Paese in uno stato di comprensibile apprensione. XIII ALTRA IPOTESI JUGOSLAVA: L'AVANZATA ITALIANA DALLA DALMAZIA VERSO NORD: DIRETTRICE ZARA, OGULIN, SISAK PER LE VALLI DELLA LlKA E DELL'UNA Nelle manovre coi quadri, compiute dallo stato maggiore e dagli alhcvi della Scuola di Guerra, è stata anche studiata l'ipotesi di un'azione italiana, che partendo dalla già detta base di ZaraSpalato, invece di dirigersi a Nord Est: verso Brod, e di forzare normalmente il Carso dinarico, nella direttrice della sua massima estcns1<Jne quando avesse superata 1a prin1a catena del Velel1il, avanzasse verso Nor<l dirigendosi verso ia Croazia mcridionaie attraverso le v,ùlate della Lika e dell'Una. La prima vallata, che fece parte degli antichi confini austriaci, è provvista di una buona rete stradale e di discrete risorse idriche. La natura carska circnstantc la vallata della Lika è meno aspra che nella Bosnia Erzegovina. Uscite dalla zona carsica le truppe italiane si troverebbero in un terreno propizio per la manovra e potrebbero raggiungere la Croazia e la Sava a Glina e a Sisak in due o tre tappe (60 km.). Sisak trovasi a soli 50 km. di distanza dal limite della zona carsica e la Drava, (frontiera ungherese) a soli 80 km. Le lruppe itaiiane giunle neiìa zona a t-;ud di Zagabria e del Papuk si va1TebbeTO della ferrovia della Lika, che da Spalato porta a Ogulin. XIV BASE DI OPERAZIONI S.H.S. ALLA FRONTIERA ITALO-JUGOSLAVAFlNCHE' RIMANE ESCLUSA UN'AZIONE ITALIANA PARTENTE DALLA DALMAZIA In tal caso, la base di operazione jugoslava si stenderebbe a semicerchio per i seguenti punti: Drava (frontiera auslriaca), Cilli , Zagabria, Karlovac (Karlstadt), Ogulin, Senj (Zengg). 675
xv BASE DI OPERAZIONI S.H.S. IN CASO DI AVANZATA ITALIANA VERSO L'INTERNO In tale caso, la base di operazioni jugoslava passerebbe per i fronti seguenti: Drava (frontiera austriaca), Cilli, Zagabria, Banjia Luka (pronuncia Bagna Luka), Sarajevo, Plevlje, Kolasin, frontiera albanese. XVI QUALCHE CONSIDERAZIONE SULLA D1SPON1BILITA' DELLE FORZE S.H.S. L'esercito jugoslavo potrebbe disporre attualmente e subito di 1.200.000 uomini di prima linea. Si ricordi che la Serbia nel 1915, con una popolazione di 5 milioni di abitanti, mise in campo 500.000 uomini. in tempo di pace i'esercito dispone di 56 reggimenti dì fanteria che possono costituire 18 divisioni , raggruppate in 6 armate. All'auo della mobilitazione avverrebbe la formazione immediata dei reggimenti «his» per ognuno di quelli esistenti. Si avrebbe pertanto la possibilità di costituire da 20 a 24 divisioni di prima linea oitre a 6 di seconda linea e a riparli di terza linea non indivisionali. Si noli che nella guerra del passato, anche le truppe di 2a e 3" linea, impiegate di norma per servi:1,io di retrovie e all'interno del Paese, quando occorse entrarono anch'esse in combattimento. La forza med ia di ognuna delle sei armate ascenderebbe a circa 200. 000. In caso di guerra fra l' Italia e lo Stato S.H.S.: 1) Un'annata verrebbe subito di slocala sul fronte croato-sloveno. 2) Un'armata costituirebbe la riserva del fronte croato-sloveno. 3) Un'armata si terrebbe in Bosnia per rinforzare il fronte sloveno o parare una minaccia dalla Dalmazia. 4) Un'armata occuperebbe il Papuk e osserverebbe l'Ungheria. 5) - 6) Due armate osserverebbero o agirebbero verso la Bulgaria e l'Albania. Tre arn1ate sarebbero quindi in complesso destinate aJ fronte italiano. Tale ripartizione delle forze è imposta dal carattere di «usura» che lo stato maggiore jugoslavo, in vista delle sue finalità politicomii itari, vorrebbe dare alla guerra, ,ùmeno in primo tempo, carattere che impone una forte disponibilità di riserve per far fronte al «consumo» cd alla manovra. 676
ALLEGATO
12 (*)
REGIO ESERCITO ITALIANO COMANDO SUPREMO MISSIONE MILITARE ITALIANA D'ARMISTIZIO OGGETTO: Le condizioni della Polonia e la nostra futura penetrazione commerciale e militare in quella regione. Vienna, Aprile 1919
l ,a Polonia attraversa attualmente un periodo di crisi scrio e di non facile soluzione. Sorta sulle rovine dell'ex Impero austro ungarico e dalla sconfitta germanica, ha, i primi di novembre, dichiarato la sua unione e la sua formazione in Stato libero ed indipendenle. T1 nuovo Stato polacco si costituisce con la Galizia, la Polonia russa, e la regione di Posen. portando le sue aspirazioni ad annettersi Danzica. Sin dai prim i giorni però si manifestava !a volontà dei ruteni (chiamali poi ucraini, e che sono i polacchi di religione greco-ortodossa costituenti !'80 per cento della popolazione della Galizia orientale sino al Fiume San) di volersi staccare della Polonia e riunire colla piccola Ucraina alla grande Ucraina. Motivo reaie di tale distacco è la speranza che con il separsi dalla Polonia gli ucraini avrebbero ottenuto dal nuovo Governo la spartizione gratuita fra i contadini dei grandi feudi dei signori polacchi. I Ruteni o ucraini , organizzati da Ufficiali austriaci e soccorsi da emissari ebrei, si sono costituiti un Esercito o meglio, specie d'Esercito, e si battono ora su l fronte gali ziano e della Volinia contn) i polacchi. L' Austria, e sopratutto la Germania, hanno l'interesse a far si che non si costituisca una Polonia forte e facilitare perciò il rifornimento di munizioni e anni agli ucraini. La guerra ucraino-polacca più che una questione nazionale è in fondo un conflitto del lavoro contro il capitale. Ciò che in Italia e Francia è avvenuto in molti anni gradualmente e quasi naturalmente avvi ene ora violentemente in Polonia. La massa di contadini, resasi con la guerra cosciente della sua forza, vuole ora imporre ai grandi lat.ifondisti la divisione delle loro terre. e ') AUSSME, El 1- 108/4.
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Se si pensa che vi sono, come i principi Radzwill, signori che hanno sino a 100.000 mila ettari di terreno, e si paragona a tal fatto quanlo è avvenuto in Italia, Francia ed anche Austria-tedesca ove i grandi latifondisti sono spariti per lasciare svilùppo alle piccole proprietà, si capisce come il fenomeno che ora si verifica in Polonia sia un portato dei tempi e della evoluzione delle masse che, prima o poi, dovrà pure avere attuazione. Il nuovo Governo repubblicano polacco presieduto dal Signor Paderewski pare accolga l'idea della spartizione dei grandi leudi, e i ricchi signori polacchi nella tema che ostacolando tale progetto possano avere il bolscevismo si adattano, malgrado essi, ad accogliere la grande riforma agraria. Lo Stato compra i grandi feudi e li divide, rivendendoli fra i contadini. La certezza ormai nella massa dei contadini (alla Dieta Polacca essi hanno fortissima maggioranza) che la legge agraria passerà e che essi potranno possedere e sl"ruU.are a loro agio la terra fa sì che si armino contro i bolscevichi e che tengano sul fronte un esercito per combattere l'armata bolscevica. Ecco in brevi p,,ro!e c0t!'!e SO!!O sor!c ~ri. P!1~e!lic! le due gue!·!·e contro gli ucraini e contro i bolscevichi. Purtroppo la guerra logora la Polonia; il fronte assorbe le poche misere risorse rimaste nel Paese, ed il Governo polacco, non ricco, è costretto a far debiti per mantenere l'esercito. La Polonia si è rivolta all'Intesa per averne aiuto e questa ha risposto mandando a Varsavia la grande Missione Interalleata presieduta da S.E. Noulens perché studi sul posto la questione polacca e richieda gli aiuti di cui la Polonia ha bisogno. La Missione dopo circa due mesi di permanenza a Varsavia nulla ha concluso, nulla ha ottenuto. È do1oroso sentire le vive espressioni che membri influenti del Governo polacco hanno verso l'opera de1la Missione. Sta di fatto che lasciare iffiso1ta ed abbandonata 1a questione polacca è di grande giovamento alla Germania. Questa spera infatti che continuando 1a Polonia a esaurire le sue risorse, a stancare il Paese ne11a guerra, essa non si trovi più in grado di arrestare i bo1scevichi e che essa stessa possa ho1scevizzarsi. La Germania otterebbe da tal fatto due enormi vantaggi: se salisse al potere un nuovo governo polacco bolscevico questo non otterrebbe più l'appoggio dell' Intesa, non reclamerebbe le terre polacche tedesche e metterebbe i tedeschi a diretto contatto coi bolscevichi. La Gennania, forte pur ora de11a sua capacità d'organizzazione e sicura in fondo della disciplina del suo popolo vorrebbe poter essere essa ad arrestare il pericolo bolscevico o almeno a presentarsi 678
all'Intesa quale salvatrice dell'Europa meridionale dal bolscevismo. Con tali argomenti spererebbe la Germania ottenere dall'intesa quell'aiuto di mezzi, quelle migliori condizioni e quell'assetto politico nel quale, malgrado tutto, essa spera. L'America ha compreso in tal modo la situazione polacca. Per rinforzare la situazione interna polacca l'America si è preoccupata infatti di ottenere in ogni modo l'armistizio ucraino-polacco; ed è così che Wilson ha dato ordine al suo Generale rappresentante della Commissione Interalleata di trattare cogli ucraini. Fallito il primo tentativo del Generale francese Bertelcmy, il Generale americano ne ha tentato un secondo il 12 marzo a Perzemyis e, fallito anche questo, ne tenta in questi giorni un terzo a Leopoli. Da quanto ho avuto agio di constatare nel campo ucraino, sono convinto che si può con gli ucraini giungere a trattative cd ottenere una conveniente soluzione della guerra. Chi dirige e fa combattere l'esercito ruteno-ucraino sono gli cbri (capitalisti) e i numerosi Ufficiali austriaci che unicamente costituiscono gli Stati Maggiori. Gli uni e gli altri ranno ciò unicamente per interesse. Cessata la guerra e concessi ai ruteni quei miglioramenti sociali economici ai quali aspirano, concessa a loro non gratis ma in vendita la proprietà terriera che vogliono, potrebbe la Polonia avere la pace, rafforzare il paese, costituirsi un esercito, sviluppare il commercio. Non mi dilungo ulteriormente sulle questioni polacche e dico subito di quel che l'Italia, di quanto l ' Italia potrebbe fare in Polonia, sia nel campo commerciale come in quelJo militare. Penetrazione commerciale - La Polonia, ricca esportatrice di biade, frumento , petrolio, manca in modo assoluto delle industrie metallurgiche, dell'industria della gomma e di quella per l'estrazione del carbone, dei quali ha enormi giacimenti. Mancano del tutto i cotoni, le sete, canape, vini, frutte secche, agrumi. Nel momento attuale la Polonia non può esportaTe né biade, né frumento, di cui ha mancanza per le grandi requisizioni austro-tedesche; può invece fornire tutto il legname che si vuole, legname che, a differenza di quello austriaco, è atto alle costruzioni marine e costituiva il 90% del materiale adoperato nei grandi cantieri tedeschi. Detto legname sarebbe dunque prezioso per l'Italia che lo acquista ora a prezzi fenomenali, in America e da dove non può, che con enormi difficoltà, esportarlo. Ricchi proprietari di foreste di pini sono disposti ad offrire qualunque quantitativo del miglior legname a prezzi veramente irrisori 679
se si paragonano ai prezzi che noi paghiamo in America. Per la via Vistola-Danzica l'esportazione non sarebbe difficile né assai costosa. Industriali di Przmysl offrono centinaia di vagoni di legno a circa 200 Corone il metro quadrato. In Italia dello materiale non si trova o costa carissimo cd è enormemente necessario per la ricostruzione dei paesi distrutti. Il trasporto via Budapest-Fiume o via Vistola-Danzica non presenta insormontabili difficollà. Per quanto riguarda l'esportazione del petrolio, essendo i più grandi giacimenti nel teritorio ora occupato dagli ucraini non ho dati precisi, dati che attendo dal direttore degli Stabilimenti Petroliferi polacchi. Sò peraltro che grandi depositi di petrolio sono pronti all'esportazione. Circa il carbone la Polonia ha cnom1i giacimenti insfruttati in Galizia nella regione fra Cracovia e Tarnow, e conta sulle grandi miniere della Slesia, reione che spera avere dall'Intesa. 11 carbone della Gali;1.ia per quanto ottimo, non è mai stato sfruttato dall'Austria sia perché essa aveva a sufficienza del carbone boemo, sia per il veto sempre posto dalla Gennania aiio sfruttamento di nuove miniere che avrebbero creato diminuzione di prezzi e quindi crisi nella grande industria carbonifera tedesca. Oggi la Polonia non ha i mezzi per sfruttare i giacimenti galiziani. Conta sulla produzione già benissim o avviata dalla Slesia per averne più che a sufficienza, sia per i suoi bisogni (limitati ai LeJToviari, non avendo grandi industrie) sia per esportarne. l giacimenti galiziani sono in gran parte di capitalisti carboniferi tedeschi che li comprarono appunto per evitarne lo srrullamento. Accennato brevemente ai maggiori prodotti di esportazione polacca passo a clire delle esportazioni che a noi converrebbe fare in Polonia. Nel momento attuale qualunque prodotto, sia viveri, sia manufatti, sia meccanico (auto-trattrici-aratri-macchine agricole) potrebbe essere esportato con il più lauto guadagno. Ciò fanno e si preparano a fare grandiosamente Francia, Inghilterra, America; l'Italia solo è assente, completamente assente. Tralascio in ogni modo di dire sulle nostre espo1iazioni temporanee, quelle cioé che adesso converrebbero enormemente ma che per molti articoli non potrebbero sostenere poi la concorrenza del Paese o di quelli vicini, e accenno soltanto al vasto campo che l'esportazione nostra potrebbe sviluppare in Polonia sia adesso che dopo. Ho visto e seguito il lavoro che le Missioni Militari, Francesi, Inglesi ed Americane fanno in Polonia per affermare il commercio dei propri Paesi. I francesi acquistano (giovandosi del cambio) depositi e giaci680
menti petroliferi e preparano l'esportazione di sete, cotoni, gomme e auto. Gli inglesi comprano, in concorrenza ai francesi, petrolio e cercano esportare un pò di tutto pur di guadagnare affermandosi soprattutto colle macchine agricole. Gli americani fanno enormi affari colle lane, cotoni, macchine agricole, viveri e poi, fatto strano, cercano acquistare grandi boschi. dico fatto strano, perché l'America, ricca dei migliori legnami, non ha hisogno davvero del legname di Polonia. Ma il fatto si spiega. L'America fornisce quasi unicamente i legnami marini per l'Italia e Francia; e la tema che il legname polacco porti a ribassi, induce, a somiglianza di quanto hanno fatto i tedeschi per i carhoni, ad acquistare non per sfruttare, ma per evitare la concorrenza. L'Italia, come ho detto, è assente da ogni cosa. Ciò non vuol dire che non possa riprendersi e giungere, se agirà presto, a dare sviluppo anche in Polonia al suo commercio. Mentre non ha a temere concorrenza per dei suoi prodotti, purtroppo poveri, quali vini, olii, agru mi e frutta secca, deve però stare attenta a non lasciarsi pigliar l!\
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sete. infatti mentre ìa Francia e inghiltena insistono perché sia conferrnato il hlocco della seta verso i Paesi nemici (a tal riguardo la Polonia è ancora nemica), ciò con grave danno per l' ilalia, accettano, la Francia soprattutto, grandi ordinazioni di seta. Con ciò cerca la Francia prevenire noialtri, ed affermare i suoi prodotti lionesi. A tale stato di fatto bisogna reagire, reagire subito, reagire bene. L'industria della seta è da noi di capitale importanza; 4 anni di guerra ne hanno impedito in gran parte l'esportazione, grandi deposi ti attendono la vendita, occorre superare la crisi e tenerne alti i prezzi; ciò non ci potrà fare che esportando. Non si perda quindi un mercato così inmortante come la Polonia e si nnnmo s:rli occh1 su • • o quel che in proposito avviene in Boemia e Austria. Sarehhe un brutto colpo per il commercio della seta in Italia non trovare più libero un mercato di così redditizia esportazione. Per la canapa il bisogno è, in Polonia come in Boemia ed Austria, enorme. Non ve ne è più una tonnellata. In Italia ve ne sono forti depositi nel Ferrarese, Ravennate, Case1tano e altri siti. Tutti aspettano di poter esportare anche per far fronte alle necessità finanziarie del nuovo raccolto . L'America ne ha avuto già forti ordinazioni. Si stia attenti anche per quanto avviene circa il mercato di questo nostro prodotto. L'industria della gomma ha fatto in ltalia grandi progressi. Dovremmo molto espo1iare se vorremo tenere in att.ivitJ le fabbri681
che e continuare a pagare buoni salari agli operai. In Polonia e Boemia potremo esportare molto adesso e poi. Bisogna però fare attenzione a tempo alla conc01Tenza inglese ed americana. Per quel che riflette l'esportazione dei prodotti della metallurgica e meccanica entriamo in un campo di speciale importanza per noi. L'Italia si è creata con la guerra officine imponenti, maestranze numerose e brave, tecnici di valore ed ha impegnato nell'industria metallurgica e meccanica capitali che rappresentano buona parte della fortuna nazionale. Occorre quindi alimentare la produzione per avere il reddito corrispondente al capitale impiegato e per poter anche qui continuare a dare lavoro e laute paghe alle molte e molte migliaia di operai in esse impiegate. Occorre quindi esportare e esportare molto e perciò bisogna afferrare subito i mercati ove l'esportazione potrà compiersi in miglimi condizioni. La Polonia è uno dei mercati ove l'cspo1tazionc potrà compiersi in migliori condizioni. La Polonia è uno dei mercati che potrà p ermetterci esportazioni assai vantaggiose . ..A:...vren10, è vera, la forte co.nc()rrenza gerrnan1ca e hnerna rna, con
un' accorta poli tica che srruui l'odio polacco verso tutto quello che è tedesco e boemo, e con una saggia regola Fra il dare incremento
al l' esportazione nostra in Polonia e sviluppare quell a polacca in Ttalia, si potrà avere ragione della produzione boemo-tedesca. Del resto si potrebbe in proposito lavorare in altro campo e in un modo al quale per ora nessuno si è accinto. E in proposito ho un'idea mia. Le nostre gran di industrie Fiat, Ansaldo, Pi relli potre bbero impiantare in Polonia, nell a Gali zia specialmente, stabilime nti loro. Hanno macchinari a sufficienza per poter esportare, Ingegneri rii primo ordine, mano d'opera molto intelligente e che tutti c'invidiano. La Polonja, come ho detto, non ha una sola grande industria in metalli e gomme. La diffidenza sia russa c he austriaca sulla fedeltà polacca ha impedito sempre alla Polonia di crearsi industrie di guerra. L'Italia troverebbe in Polonia le maggiori faci lita:1.ioni se si acci ngesse.a impiantarvi le industrie a cu i ho accennato. La simpatia che tutti hanno per noi favorirebbe ]a nostra emigrazione e i capitali necessari agli impianti, ov e occorressero, verrebbero immediatamente trovati. Costruzioni di ferrovie, materiale ferroviari o sia da traino che da trasporto, mezzi per trazione meccanica, macch ine agricole, rimorchiatori flu vial i, ogni prodotto insomma della industria meccanica occorre e manca in modo assoluto. Non sfugge certo all'attenzione di nessuno il grande vantaggio 682
che noi avremmo nell'affermarci seriamenle in Polonia con industrie che sono di capitale impo11anza nell'economia di un Paese e che tanto influiscono, una volta affermatisi, sulla politica del Paese stesso. A ciò deve aggiungersi il vantaggio che si farebbe emigrare quella parte di mano d'opera che più abbonda, pii:1 pretende, e che è in Italia di pii:t djfficile governo. L'esercito polacco che sorge ha hisogno di anni, munizioni, cannoni, mezzi tecnici di ogni genere. Il Generale Rosvadowschi, come il Conte Sgarbek, membro influentissimo del Governo, mi dicevano che preferirebbero rivolgersi all'Italia piuttosto che ad altri, per ottenere quanto loro occorre. Son certo che se la nostra industria, che sul posto troverebbe carbone e petrolio in abbondanza, stabilisse filiali in Polonia potrebbe quì magnificamente affennarsi e potrebbe pensare a sfrnttare poi I' cnom1e campo commerciale che presentano la Grande Ucraina e la Russia. Sarebbero le più vicine ai nuovi grandiosi mercati, a quei mercati verso i quali America e Francia pensano esportare i loro prodotti. La Russia dei resto per moiti anni poco potrà produrre e di molto avrà bisogno. Ma troppo avrei a dir ancora su quanto commercialmente potrebbe farsi in Polonia, tralascio il resto e concludo. La crisi più che all'Halia vittoriosa resti ora a superare è la crisi finanziaria. Se si vorrà che le masse di operai siano calme e non scioperino o boìscevichizzino, occorre dar loro iavuru e danaro. Né l'uno né l'altro potrà l'ilaiia dare se non prepara sin d'ora una esportazione grandiosa e che le consenta lauti guadagni necessari per sopperire al costo delle materie prime per noi assai l"orte. Bisogna trovare quindi per l'Italia mercati ricchi di denaro e privi di merci; Ja Polonia è se1w,a duhbio uno di tali mercati. Mandi il governo, e mandi subito, ricchi industriali a fare un viaggio laggiù, non li l'accia accompagnare da uno che pensi a balii e pranzi ma da uno che pensi al Paese e che lavori. La Fiat, l'Ansaldo, Pirelli, Florjo, Fellrinelli, le Seterie e altri, potranno concludere grandi affari. Si imponga d'altra parte alla Boemia di smettere l'ostruzionismo ferroviario, o meglio, il blocco ferroviario della Polonia. Può far comodo alla Boemia, mentre riempie il suo mercato di merci, impedire al1a Polonia le comunicazioni ferroviarie (e quindi esportazioni e importazioni) per obbligarla poi ad acquistare prodotti presso di essa. Ma tal fatto non conviene all'Italia perché le merci che arnuiscono e affluiranno, almeno per ora, in Boemia sono in gran parte francesi. Occorre crearsi suhito la base di espot1azione e 683
poi parlar chiaro alla Boemia: i treni nostri di merci debbono aver libero transito per la Polonia. Inglesi ed americani mi hanno insegnato come si fà in proposito. Quando si vuole si ottiene. Ma si lavori, si lavori presto e si lavori bene. Passo ora ad accennare alla nostra Penetrazione Militare in Polonia. L'esercito polacco sorto con quel poco che rimaneva delle truppe galiziane già facenti parle dell'esercito austriaco, con quelle della Polonia russa già deJl'esercito russo e con le poche migliaia di soldali della Posnania, appena messosi insieme si è trovato impegnato in guerra. Alla grave crisi ha fatto fronte con enormi sacrifici e con slancio d'animo, col potente effetto verso la Polonia libera e risorta. L'esercito polacco che ho potuto vedere sia in costituzione nelle retrovie, come sul fronle in combattimento, è formato in massima parte da elementi volontari ed intelligenti. Manca però di tutto. Non ha il numero necessario di fucili, pochissime le munizioni da fucile, pochi i cannoni e in cattive condizioni, i mezzi tecnici mancano quasi del tutto, i telegrafi e telefoni sono più che insufficienti, gli autoc,mi si riducono in tutto a poche decine, gli aereoplani sono una trentina al massimo. In tali condizioni di fatto l'esercito può combattere solo sulle posizioni attuali e contro un nemico debole quale è ora l'Ucraina, ma l'esercito polacco non è capace di passare ad una seria offensiva. La richiesta di aiuto che il Generaìissimo Pilsudski ha rivolto all 'Intesa è rimasta inascoltata, e la solo offerta di mezzi che la Polonia abbia avuto è dovuta all ' iniziativa della Commissione per l'armistizio. La Francia cerca affermarsi nell 'esercito polacco. Ha a Varsavia un Generale che è addetto al Capo di Stato Maggiore dell 'esercito e si prepara a fare invadere i Comandi con i suoi Ufficiali di S.M. La cosa è fatta in maniera da non <lare nell'occhio anche per evitare possibili rec]ami dell'Ucraina con la quale, per questioni commerciali (vedi acquisto petrolio), vuole rimanere in buoni rapporti. La Francia esalta il suo materiale d'artiglieria, le sue mitragliatrici, i suoi mezzi di trasporto, prepara insomma alle proprie industrie belliche il lavoro per qualche anno. Fortunatamente per noi i francesi non simpatizzano né incontrano molto; una gran cmTente dell'esercito a cui fa Capo il Generale Rosvadowschì, preferirebbe trattare coll'Italia c favorirebbe una nostra penetrazione nell'Armata. Ciò dipende anche dalle diverse cmTenti politiche dell'esercito; i repubblicani (tutti gli ex legionari) vorrebbero far capo a11a Francia; e i dinastici (la parte nobile e colta della Galizia e della Polonia russa) all'Italia. La nostra com684
pleta assenza sino a poco fa dal territorio polacco non ha permesso a questa tendenza di trovare l'appoggio nell'Italia. È certo però che, se ad una nostra attività in Polonia corrisponderà il Governo con il concedere quanto si chiede, si potrà avere in breve grandi risultati. La Polonia sarà per il futuro di grande importanza e sarà ben utile il lavoro che noi faremo in quel Paese. A Varsavia dovrebbe andare un nostro addetto militare che avesse il grado, il prestigio e l'aut01ità per ottenere in favore dell ' Italia tutti quei vantaggi morali e materiali cui tende invece il lavoro della Francia. L'esercito polacco raggiungerà presto la cifra di 200.000 uomini e in breve tempo quella di 500.000 circa. Il lavoro da fare è dunque di qualche importanza, ma occorrerebbe mettersi all'opera anche qui e non aspettare, come sempre, a giungere per ultimi.
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ALLEGATO
13 (*)
R. AMBASCIATA D'ITALIA IN POLONIA L'Addetto militare
N. 716 di prot.
Varsavia, 25.9.1939/XVII
OGGETTO: Relazione riassuntiva sulla campagna polaccotedesca AL MINISTERO DELLA GUERRÀ Comando del Corpo di Stato Maggiore-S.I.M. ROMA La campagna polacco-tedesca è virlualmente finita. Per quanto fosse nota la superiorità delle forze tedesche, la rul1nincità con la quale si giunse in breve volger di gio111i a quest'epilogo ha sorpreso gii stessi esperti miìitari. Nessun elemento positivo poteva lasciar presumere una così schiacciante disfatta di un esercito fin quì concordemente considerato solido per qualità morali e sostan:1,iali. È quindi interessante indagare le cause di quesl<) rovesci(), sia pure soltanto alla luce delle notizie che per ora si posseggono ed esaminare, contemporaneamente, le ragioni alle quali è dovuto il successo tedesco. Varie cause, a prescindere da quelle di carattere politico, hanno concorso alla disfatta polacca, le une di indol e spirituale, le altre di natura militare. E cioè: - si ebbe, innanzitutto, una concezione assolutamente errala delle caratteristiche di una guerra iììodcrna. Lo spiriti) r\..ì_i11.aiìt.ico cavalleresco proprio del popolo polacco gli ha fatto lrascurare la visione esatta della realtà. Si è ritenuto che il valore militare dei suoi soldati fo sse elemento sufficiente e decisivo per la vittoria, e si precipitò verso la guerra con la certezza di combatterla con le stesse modalità con le quali già si era sconfitto nel 1920 l'esercito bolscevico; - per effetto di questa mentalità, si è sottovalutata l'efficienza del!' esercito avversario e, nella presunzione che la Germania
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sarebbe stata costretta a compiere un duplice schieramento sulla fronte orientale ed occidentale, si è persino creduto di poter condurre una guerra offensiva. A creare questa errata convinzione ha certamente concorso il cattivo funzionamento del servizio infom1azioni, poiché è inconcepibile ammettere una così grossolana concezione e valutazione da parte di uno Stato Maggiore se le informazioni raccolte degli appositi organi dipendenti avessero avuto esattamente la realtà della situazione. Ciò spiega il perché il ministro della guerra polacco abbia potuto, ancora nel marzo scorso, affermare in una conversazione con l'ambasciatore di Francia a Varsavia alla quale mi trovavo presente, che la situazione dell'esercito polacco non aveva nulla ad invidiare a quella dell'esercito tedesco e che, anzi, le sue riserve di ufficiali e truppe erano più numerose e meglio istruite <li quelle tedesche; - altro errore di impostazione fu quello di non aver voluto sacrificare una parte delle frontiere della Polonia e di non aver compreso che la strategia era invece dominata dalla geografia. Chi esamini la configurazione del territorio polacco constata che esso rappresenta un immenso saliente (vertice della Posnania) entro il territorio del Reich, prolungato a Noni dalla Prussia orientale ed a Sud dalla Slovacchia. Orbene, l'esperienza ha per lo più dimostrato che i salienti, in generale, hanno valore eminentemente offensivo; nella difensiva sono pressoché negativi. È quello che lo Stato Maggiore polacco non ha invece compreso, neanche per la parte più esposta del territorio, cioè la Posnania e la Pomerania. È ben vero che l'alto comando polacco aveva concepito - come ho sopra accennato e come ho a suo tempo riferito - un piano aggressivo verso la Prussia orientale; ma doveva pur riflettere che gli eventuali successi di un così ardito progetto non potevano essere che effimeri, perché la storia ha insegnalo che la manovra per lince interne ha spesso assicurato alcune brillanti vittorie ma, di fronte ad un avversario più !"orte, assai di rado la vittoria finale. Pertanto, date le caratteristiche del saliente, si presentava in tutta la sua evidenza la necessità di abbandonare parte del territorio e certamente la Pomerania e la Posnania, per ridursi su posizioni che avessero per intanto consentito massima esplicazione di potenza difensiva. 11 che in un terreno prevalentemente piallo e debolmente fortificato come la Polonia avrebbe potuto verificarsi soltanto dietro la linea dei suoi maggiori fiumi; - altro errore fu quello di aver indetta la mobilitazione generale 687
troppo tardi cd almeno una setlimana dopo che la Germania aveva ultimato la sua. Nel marzo scorso la Polonia aveva richiamato alle armi una parte dei riservisti. Erano state così completate le unità di guerra e si erano formati i quadri di quelle di riserva. Con la mobilitazione generale, avvenuta due giorni soltanto prima dell'inizio delle ostilità, dovevano essere costituite le unità di secondo tempo. Accadde invece che per la violenta opera distruttiva compiuta dal!' aviazione tedesca sulle comunicazioni ferroviarie venne ad essere bloccalo completamente tutto il traffico, cosicché i riservisti non hanno potuto raggiungere i loro centri di mobilitazione. La situazione fu resa più critica per il tardivo sfollamento dai centri minacciati della popolazione civile, evacuazione che aveva richiesto l'impiego di una parte notevole delle ferrovie; - errore capitale ru poi quello di aver concepito un piano di battaglia offensivo-difensivo che non era nelle possibilità dell' esercito polacco di eseguire. Per convincersene basti esaminare il piano tedesco e contrapporl o a quello polacco. In riassunto. il piano tedesco consisteva nel puntare da SudOvcst, da J\Jord-Ovest e da !'lord su Varsavia nel triplice inten{ii-
mento di: - accerchiare le grandi un ità polacche dislocate sulla sinistra della Vistola; - occupare il territorio di Danzica ristabilendo comunicazioni trn la Germania e la Prussia orientale; - occupare la Slesia; - cadere sulla capitale. Realizzati questi obiettivi, il piano tedesco era diretto a battere le forze polacche che fossero riuscite a passare la Vistola, con un più grande aggiramento per il Bug da Nord c per il San da Sud. Per l'attuazione di questo grandioso piano erano stati costituiti due gruppi d'armate: - il gruppo Sud (generale von Rundstedt) composto di 3 armai.e doveva: - con l'annata centrale (generale Reichenau) avanzare in direzione Nord-Est da Kreuzburg per penetrare nell'ansa della Vistola; - con l'armata di destra (generale List) agire in direzione Est dalla Slesia superiore allo scopo di rissare colà le unità polacche e, possibilmente, taghare loro la ritirata verso oriente con un distaccamento proveniente dalla Slovacchia; - con l'armata di sinistra (general e Blaskowitz) avanzare gradualmente da Breslavia su Varsavia ed assicurare il fianco destro 688
dell'armata centrale da eventuali minacce provenienti dalle divisioni polacche della Posnania; - il gruppo Nord (generale von I3ock) composto di due armate doveva: - con l' armata del generale Kluge ri stabilire nel più breve tempo possibi le le comunicazioni con la Pru ssia orientale; forzare il passaggio della Vistola fra I3romberg e Grudziadz e cercare di riunirsi all'ala Nord del gruppo Sud con l'aiuto di un distaccamento proveniènte dalla Prussia orientale e diretto verso Grudziadz; - con l' annata del generale Kucklcr agire in direzione del N arew e del Bug, all'Est della Vistola e così isolare Varsavia dalla parte orientale. L' arma aerea, al comando del Maresciallo Giiring, era divisa in due annate, comandate dai ge nerali Kesserling e Lohr. TI parallelo di Varsavia suddivideva i rispettivi territori di operazioni. Manovra concepita, come si vede, a largo raggio e facilitala dalle multiformi circostanze alle quali accennerò. Tutte le predette armate risulta siano si.ate dotate, in maggiore o minor misura, di imponenti mezzi motorizz ati e meccanizzati; que lla operante da Kreu7.burg sarebbe stata quasi esclusivamente formata di tali mezzi. ln totale i tedeschi, da quanto sembra, avrebbero a vuto a disposi;.r. ione 50 di visioni di fanteria, 12 di visioni motori;.r.;.r,ate e meccaniz;.r,ate, 5 divisioni di eavaUeria, circa 1800 aeroplani. Ho in dettaglio precedentemente riferito sulle for;.r,e messe in campo dall'esercito polacco ed esaminato l ' ordine di battaglia concepito dall' Alto Comando, che così riassumo: - offensiva in Pru ssia orientale per assicurare lo shocco al mare e per cercare di eliminare un fronte; - difensiva tenacissima in Pomerania per ass icurare il fianco sinistro delle unità operanti in Prussia orientale; - parziale ripiegamento in Posnania per eliminare una par te di questo saliente; - difensiva ad oltranza in S.l esia per conservare il possesso dei centri di rifornimento della zona e di quelli della regione industriale centrale. A questi fini e rano state costituite e raccolte 3 armate: - la prima verso il fronte Pomerania-Prussia orientale; - la seconda verso la Posnania; - la terza in S lesia. In totale la Polonia, all'ini;.r,io delle operazioni, non avendo potuto completare la mohilitazione, disponeva soltanto di 34-36 divi689
sioni , 7-8 brigate _di difesa nazionale, 15 hri gate di cavalleria, 2 hrigate motori;1,z;ate, circa 7-800 aeroplani di linea. Basti questo raffronto pe r constatare che la situazione della Polonia risultava compromessa fin dall' inizio delle operazioni, non soltanto per l' inferiorità numerica e tecnica degli eserciti contrapposti ma per il piano di battaglia concepito dal Comando polacco che veniva a creare uno schieramento artificioso, con effettivi trnppo deboli rispetto alle fronti estesissime. Il che, unii.o al fatto della quasi mancanza di una riserva strategica, ha straordinariamente favorito tutte le manovre tedesche di accerchiamento, realizzate dall ' impiego in profondità dei suoi mezzi blindati , da quelle minori ed iniziali a quella strategica finale sulla destra della Vistola; - altro errore ru quello cli aver tardivamente valutato la manovra tedesca di accerchiamento da Sud-Ovest e da Nord-Ovest contro le divisioni della Pomerania e della Posnania. T1 disegno operativo concertato fra il 4 e 5 settembre dallo Stai.o Maggiore polacco, d'intesa con i capi delle missioni francese ed inglese, era quello di sbarrar e la strada di Varsavia ed impegnare il più a lungo possihile l'esercito tedesco dinnanzi alla capitale, per dare tempo ali ' Alto Comando polacco di far ripiegare le altre grandi unità dietro la Vistola e di organizzare una forte linea di resi stenza lungo il corso del grande fi urne. Nei dintorni di Varsavia erano state a questo scopo concentrate numerose altre truppe le quali, a momenlo opportuno, avrebbero dovuto avanzare e facilitare la manovra di ripiegamento delle predette divisioni. La velocità di penetrazione delle divisioni hl indate tedesche isolò queste unità nell a zona di Bzura (regione KutnoLodz). Allorché il comando polacco comprese le mosse tedesche era ormai troppo tardi , e ne derivò la battaglia di Kutno durata oltre un a settiman a e che già fin d' ora viene considerala per ampiezza la più importante di tutta la guerra. Ben 1O volte le truppe polacche con strenui attacchi tentarono di rompere, or qua or là, il cerchi o per aprirs i un varco verso Varsavia. Tutti gli attacchi magnificamente condotti riuscirono però vani . La battaglia costò ai polacchi ol tre 100.000 prigionieri e perdite sanguinosissime. Ciò avrebhe potuto essere evitato, pur non mutando forse l' esito finale della campagna, con un diverso schieramento o con un immediato ripiegamento. Mentre ciò avveniva, le divisioni polacche fronte alla Prussia orientale erano premute sul Narew e sul Bug e quelle di Slesia 690
erano costrette a ripiegare verso Ovest per non essere aggirate dalle minacce provenienti dalla Slovacchia. In questa critica situazione l'Alto Comando polacco non fu certamente all'altezza degli eventi. Fin dai primi giorni di operazioni si ebbe netta l'impressione della deficiente azione direttiva e coordinatrice del comando supremo. Mentre le grandi unità agivano così separatamente e per iniziativa dei rispetti vi capi, l'alto comando non riuscì a<l opporre alla manovra tedesca una contromanovra polacca e subì gli eventi. ln soli J 5 giorni esso era stato costretto a spostare cinque volte la sua sede (Varsavia-Brzosc-Wlodzimiers-Kolomya-Kuti), continuamente inseguito dai bombardamenti aerei tedeschi, non avendo previsto a tempo l'eventuaiità di un ripiegamento cd organizzato sin dal tempo di pace ricoveri antiaerei che consen6ssero possibi1ità di funzionamento; - altre cause di insufficienza vanno ricercale, da ultimo, nel campo logistico e cioè: - il servizio di vettovagliamento affidato esclusivamente a piccolo carreggio di requisizione si rilevò, per la sua lentezza e J'jngombro dei mezzi, vulnerabilissirno, coskcllé esso s1 trovò paralizzato nei suoi movimenti e rirornimcnti (si racconta che alcune truppe rimasero anche 36 ore senza pane); - il servizio sanitario, per insufficiente dotazione di autoambulanze, fu scavalcato del rapido ritmo delle operazioni e si dimostrò impreparato a lrovarc soluzioni di ripiego; - il servizio collegamenti fu ben presto ridotto alla radio. E, non essendo state perfettamente armonizzate sin dal tempo di pace le varie stazioni , divenne difficile il collegamento fra grandi e minori unità e tra queste ed il Comando Supremo; - il servizio distribuzione carburanti, data la modesta motorizzazione del Paese, fu reso estremarnenic aìearorio per ùeficicuza di depositi ed irnperretta ubicazione; - situazioni tutte dovute ad impreparazione ma sulJe quali pesò tragicamente l'azione distruUiva dell 'aviazione ed il rapidissimo corso delle opera:r,ioni. Ho esaminato fin qui le cause di taluni maggiori errori dai polacchi; completo l'indagine esaminando gli elementi che hanno consentito ,ù tedeschi un così rapido successo. Il p1incipale fattore della vittoria deve certamente cercarsi nello stragrande numero di mezzi tecnici messi in linea dell' esercito e dall'aeronautica. Fra essi il largo spiegamento di forze aeree rappresenta uno degli aspetti più interessanti di questa campagna. ln confronto dei 700691
800 apparecchi polacchi di linea risulterebbe che la Germania ne avesse a disposizione circa 1800, dei quali circa 1000 da bombardamento. A questa superiorità numerica deve aggiungersi la d asse degli apparecchi tedeschi che, specialmente per i tipi da caccia e da ricognizione, non reggeva co nfro nto co n quella polacca . Sembra addirittura che si siano invertite le pregiudiziali tecn iche e che l'aviazione tedesca da bombardamento sia risultata superiore in velocità ai caccia polacchi. Questa situazione ha concesso all 'areonautica tedesca la possibilità di conquistare ben presto il dominio dell'aria con le conscgt1enti note ripercussioni tattiche e strategiche sull ' ulteriore sviluppo ùeil e opera:1,ioni militari. In particolare l' azione aerea spiegata fin dalle prime ore del 1° settembre ha avuto tre caratteristiche forme di attività miranti ai seguenti obiettivi: - interrompere le comunicazioni ferroviarie, telegrafiche, telefoni che civili e militari nei punti più importanti del territorio polacco; fatto che, a prescindere dcli' effetto morale, ha avuto come diretta ripercussione l 'inizio di una disgregazione inierna alla quale le autorità impreparate non hanno saputo pon-e adeguato riparo; - colpire l'aviazione avversaria sia distruggendo gli apparecchi , sia bombardando i campi d'aviazione cd i centri di produ7:ione aeronautica, il che ha paralizzato anche quella parte dell ' aviazione che non era stata irreparabilmente colpita per l'impossibiiità d i eseguire le necessarie 1iparazioni: - collaborare con l'esercito, sia inibendo l'attività aerea avversaria, sia martellando le unità polacche terrestri con continue incursioni sul fronte ed a tergo. Non va pure taciuta, per la verità, l'azione terroriz:1,ante diretta manifestamente contro la popolazione civile; azione della quale mi sono trovai.o vari(.; voile spettatore, e per ia mo<laiità con le quali si è svolta presu mo rientrasse nei fini previs ti dal Comando Superiore aeronautico. Non si posseggono finora eleme nti per lumeggiai:e compiutam ente gli aspetti della guerra aerea. Però risulta che l' aviazione da bombardamento fu quella esplicante la più efficace azione. La caccia ha invece concorso in minima parte, essenzialmente perché date le limitatissime squadriglie polacche da bombardamento (sconsideratamente riunite in 4 soli aerodromi) sono venute a mancare le occasioni di poter agire. Per contro la caccia polacca ha avuto larghe possibilità di azione, e ne ha approfittato combattendo strenuamente. Ben 400 vittorie aeree le sarebbero attribuite. 692
Riassumendo, non v'ha dubbio che la supremazia numerica e qualitativa degli apparecchi tedeschi e l'ottimo impiego hanno potentemente contribuito a rendere vana ogni possibile resistenza polacca. Oltre l'aviazione, i mezzi blindati e motorizzati sono certamente quelli che hanno impresso a11e operazioni terrestri il loro rapido ritmo risolutivo. Il che, effettivamente, ha potuto avvenire per la coincidenza di multiformi circostanze e cioè: - per 1' estensione delle rronti e le favorevoli condizioni del terreno, quasi privo di ostacoli naturali ed artificiali. Si aggiunga che per la siccità alcuni corsi d'acqua erano di ventati guadabili; -per gli esigui effettivi polacchi in relazione a questa estensione; - per la insufficienza di armi anticarro, di arligiieria antiaerea e di medio e grosso calibro; - per la intervenuta disgregazione del Comando Superiore; - per le condizioni climatiche che hanno favorito la perconihilità del terreno a questi mezzi, il che in Polonia non avrebbe potuto avvenire durante il periodo di pioggia. Certo si è che ì' aito comando tedesco, come riconobbe anche la missione francese, si è servito nel campo strategico e tattico (li y_uesli mezzi con vera maestria. I tedeschi hanno in questa circostanza adattato ai nuovi mezzi la tradizionale loro dottrina bellica di aggiramento per le ali. Si è assistito ad una vera e propria corsa di divisioni blindate e motorizzate che hanno eseguito una seiie di puntate in profondità e che hanno portato la disorgani,r,zazionc neHe reb·ovie, prima ancora di realizzare gli effetti tattici e strategici dell'aggiramento. Queste divisioni, senza preoccuparsi di salvaguardare il fianco ed il tergo (a Lcopoli una colonna blindata attaccò la città, avendo le truppe motorizzate al seguito distanti ancora oltre 100 km.), ebbero come direttiva la prescrizione di non insistere in auacehi frontali contro località fortificate o contro aggìomerati suscettibili sia di frenare o di ridurre l'efficienza del loro materiale. Non appena queste circostanze si venivano a verificare, era la manovra a ventaglio ad intervenire e l 'ostacolo era aggirato. Tipico il caso della piazzaforte di Przmsyl che ebbe tanta notorietà durante la guerra mondiale. TI comando tedesco ha pertanto attuato un piano geniale ed audace . Audace perché le manovre di avvolg imento possono riuscire pericolose , lasciando le colonne marcianti esposte sui fianchi e sulle retrovie ed offrendo al difensore la possibilità di contromanovre per linee interne. Ma tale era la certezza su11e possibilità degli strapotenti mezzi a disposizione, che l'alto comando tedesco non ha affatto dubitato di allargare enormemente il fron te 693
impegnandosi, per esempio, a fondo nena lontana Galizia, quando ancora gran parte della Posnania era da assoggettare e si combatteva duramente sulla sinistra della Vistola. Se l'esercito polacco fosse stato invece tecnicamente meglio attrezzato e più presto mobilitato e se avesse avuto possibilità di rapidi spostamenti, avrebbe potuto impedire queste audaci operazioni. Sarebbe stato per lo meno possibile un ripiegamento strategico sulla destra della Vistola, e la brillante controffensiva tentata dall'esercito del Sud, sotto il comando del valoroso generale Sosnkowski, avrebbe potuto riservare qualche sorpresa se l'offensiva russa non fosse intervenuta a dare all'esercito polacco il colpo di grazia. Ed ora nel concìuàere bisogna riconoscere che una geniaie manovra, una grande superio1ità di mezzi, un migliore addestramento, una compattezza morale e materiale ammirevoli hanno assicurato all 'esercito del Reich la vittoria. Va però nel contempo resa giustizia all' esercito polacco che ha mantenuto intatto fino all'ultimo cd oltre il suo spirito, e che avrebbe certamente potuto dar prove manovriere brillanti se una n1igliorc condotta delle operazioni e corrispondenti mezzi bciiici avessero fomiLo le possibiiità. La disparità Lklh..: fùr.t:e in gioco fanno vieppiù rifulgere l'eroismo del sacrificio. L'ombra del Maresciallo Smigly-Rydz, comandante in capo dell'esercito polacco, non offuscherà questo purissimo valore. Es_posti cosl gli insegnan1e11ti che hr} cre(1uto di poter ricavare da un esame sommario degli avvenimenti, una sola considerazione mi resta a fare. Si è voluto scorgere in questa campagna il sorgere di un nuovo tipo di guerra. La verità è - a mio modesto parere - che nulla è cambiato e che per ora non si hanno a prevedere altre forme di guerra che quelle classiche: cioè la forma stabilizzata ove la strategia si rifugia in trincea e quella manovrata che quasi sempre si alterna a quella iJrccedcntc. J'~cll'unc, e nell'alt1-o casù, a condi:1,iou..i uguali o pressoché uguali, si combatterà ancora nena forma classi ca con le modalità piccole e grandi concesse dalle armi nuove e dai nuovi mezzi in uso. Unico fattore veramente gravido di sorprese, l'aviazione, il giorno in cui il criterio militare non sia più trattenuto dal criterio umanitario poiché l'arma aerea, d'ambo le parti, sia lasciata scatenare ad oltranza. Ma fino a quel giorno le battaglie di masse, di autentiche masse composte dalle classiche armi, segneranno ancora il ritmo delle operazioni e la sorte degli eventi. TIR. Addetto Militare F/to Ten. Col. Cav. G. Roero di Cortanze
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ALLEGATO
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MINISTRO DELLA GUERRA COMANDO DEL CORPO DI STATO MAGGIORE UFFICIO OPERAZIONI Roma, lì 19.4.1932
N. 1944 di prot.llo
OGGETTO: Relazione Regio Addetto Militare Berna All 'Ufficio Add.to SEDE
Omissis ISTRUZION E PRESSO LA S CUOLA RECLUTE DELL' ESERC ITO SVIZZERO, CON PAl{flCOLARE RIGUAR DO AL TIRO JNDI VIL>UALE
Criterio base è quello di utili zzare intensamente il tempo che è limitato - 65 giorni per la fanteria-. Già fin dalla prima settimana, gli individui vengono specializzati nelle differenti fun:t.ioni , a seconda de1Je loro attitudini e della loro intelligenza; limitando l'ist:ruzione comune di assieme a quanto è strettamente indispensahile - un ' ora di ginnastica al mattino, un'ora di «drill» special mente dedicata all 'insegnamento del famoso passo dell' oca ed ai movimenti in ordine chiuso, una mezz' ora di regolamenti . All ' inizio della seconda settimana comincia l'addestrame nto individuale aJ tiro cd al puntame nto per le armi automatiche, come dirò tra poco. A partire dallà quarta settimana cominciano le istruzioni tattiche: movimenti della squadra e successivamente del plotone in formazioni aperte, tiri di combattimento. Negli ultimi 1O giorni, la scuola reclute cambia di sede trasferendosi per lo più in zone di media mo ntagna, dove viene effettuato un campo mobile, durante il quale è particolarmente curata la preparazione aJle marce e l'addestramento d'assieme del plotone e della compagnia, facendo loro esegu ire particolari esercitazioni tattiche, talora a partiti contrappo-
(*)AUSSME, H3-31/6.
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sli. In genere, tali esercitazioni dimostrano che la preparazione non è completa: i piccoli reparti non sanno manovre ed avvalersi opportunamente del terreno; gli individui appalesano, invece, una ben spiccata tendenza ad ammucchiarsi là dove uno si ferma. Le marce sono graduate con lunghezza: tappe medie di. 20km. all'inizio, per giungere sino ai 40 negli ultimi giorni, compresi a volte dislivelli da salit:a e discesa assai sensibili. La truppa resiste bene, quantunque sia carica di tutto l ' equipaggiamento individuale. Nel giudicare dohhiamo tener presente che la scuola reclute non ha qui la pretesa di fare un soldato completo; esso lo sarà dopo i primi corsi di ripetizione che avrà compiuto nell ' interno delle unità organiche di pace e di guerra. Per il tiro indi vi duale, le reclute dispongono di 190 cartucce per ciasc una; però non è prescritto che tali cartucce siano effettivamente sparate da ogni soldato. Vige anzi il criterio opposto; chi si rivela buon tiratore cederà parte delle sue cartucce al tiratore mediocre o cattivo. Così, l'istruzione viene dedicata specialmente a chi ne ha hisor,no . Prima di iniziare le lezioni di tiro, ogni soldato riceve due libretti: il primo contiene una descrizione dei bersagli regolamentari e diversi foglietti sui quali tali bersagli sono disegnati; inoltre, speciali specchi sui quali vengono segnati i risultati individuali dei tiri preparatori, di quelli di prova, e di quelli di cornhattimenlo. Dati analoghi a quelli contenuti nel libretto ora descritto sono riprodot:ti in apposito documento che resta a disposizione del comando della scuola e sul quale esso ,segna i risultati dei tiri del singolo soldato. Infine, ogni militare riceve un particolare libretto di tiro, libretto che, analogamente a quello di servizio, lo accompagnerà duranle la vita. Su tale lihrctto sono segnali tutti i risull.ati dei tiri individuali che egli avrà compiuto come recluta, come anziano e dopo il servizionrilitare. L'insieme di tale documentazione dà al soldalo il mezzo di seguire i suoi progressi ed alle autorità militari quello di poter sempre controllare la capacità al tiro del singolo cittadino. Praticamente l'istruzione si svolge come di seguito: - all'atto di ricevere il proprio rucile, che non l'abbandonerà più per lulla la vita militare, la recluta viene avvertita dal proprio comandantedi sezione dei difetti dell'arma al tiro (se tende a portare il centro della rosa destra, a sinistra, in allo od in basso). Ciò è possibile, perché ogni am1a viene prima accuratamente provata; 696
- le le1/.ioni di tiro hanno luogo sin dall'inizio in poligoni aperti, per dare al soldato la sensazione dello spazio. Le reclute si presentano al tiro due a due; una funzione da segretario e segna i punti avvalendosi del libretto. Prima di ogni colpo, il tiratore dice al compagno dove dirige la mira ed il compagno fa un segno sul quadretto riproducente il bersaglio; a colpo tirato quest'ultimo segna il punto realmente colpito. J1 tiratore si rende conto dell'errore compiuto; - fin dal primo tiro la recluta spara a distanza di 300 metri; effettua poi alcune le1/.ioni complementari a 400 e 500 metri; - dopo un certo numero di lezioni si passa a tiri di prova per classificare i tiratori: sono àichiarati buoni quelli che ottengono come minimo punti 14 - quattro colpi in un cerchio di un metro di diametro, due in un cerchio avente diametro di 60 cm. - Costoro non effettueranno altri tiri all'infuori di quelli di combattimento e le loro cartucce sono cedute ai tiratori che non hanno raggiunto la medi a. Per formare i puntatori alle armi automa tiche s i scelgono i mighon al tuciie e si fa ioro ini ziare ii pun lu111t;11i,u ct1 ii LÌ1v vv,i esse a distanza molto ravvicinate - 15-20 metri, in modo da abituarli ad un puntamento veramente di preci sione - ber sagli appositi con dischetti neri di piccola dimensione disposti irregolarmente. L'istrutto re chiama saltuariamente i! puntamento ed il tiro ai <lifrcrcnti dischelti. In prosieguo di tempo gli esercizi di puntamento diretto e di tiro vengono effettuati a distanze superiori, fino a raggiungere i 500 metri. Da quanto ho esposto risulta come l'istruzione al tjro sia qui particolannente curata. Il tempo occorrente è lungo, ma non se ne perde per raggiungere i poligoni che sono ~empre 3 due passi dalle sedi delle scuole reclute. Anche per i tiri di combattimento è ovunque assai sernplise allestire poligoni provvisori.
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ALLEGATO
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RIASSUNTO DEI PRINCIPALI PARAGRAFI DEL «REGOLAMENTO DI CAMPAGNA PROVVISORIO DELL'U.R.S.S. - EDIZ. 1936»
Generalità L'armata rossa è destinata a difendere 1e frontiere <lell 'Unione Sovietica ed a garantire 1a inviolabilità <le1 territorio russo; essa deve opporre tutte le sue forze e tutti i suoi mezzi all'aggressore, ricercando la battaglia decisiva, per annientarlo. Il successo finale deve essere garantito dalla stretta cooperazione di tutte le amù. La fanteria, am1a decisiva della battagìia, appoggiata dal fuoco dell'artigJieria e sostenuta dall'azione dei carri, realizza la manovra e l'urto, essenza della sua azione. La cavalleria, per la sua mobilità e per 1a sua forza <l'urlo, è in grado di condurre da sola qua1siasi azione tattica. In cooperazione con le a1Lre armi, è particolarmente idonea a manovrare, con azioni a largo raggio, sui fianchi, sul tergo de1 nemico e nell'inseguimento. Le unità motorneccanizate, garanlite dall'appoggio dell'artiglieria, sono idonee a combattere anche da sole, oltre che in cooperazione di altre armi. I compiti dell'aviazione sono: l'assalto, 1a caccia, il bombardamento, la ricognizione, il collegamento. I paracadutisti e le truppe di aviosbarco costituiscono un mezzo efficace per disorganizzare le retrovie del nemico. I compiti assegnati alle truppe de1 genio ed alle fortificazioni, l'intervento della flotta in azioni combinate con l'esercito, l'uso di tutti i mezzi tecnici di lotta, l'organizzazione e il funzionamento dei servizi completano il quadro generàle de11'impiego delle varie armi, specialità e servizi nel combattimento, nel quale l'iniziativa dei comandanti di tutti i ranghi, l'aggressivià e la 1icerca della sorpresa, sono messi in valore, come elementi di base, per il conseguimento della vittmia finale. (*) A USSME, Ll0-12/1.
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lrasferimcnti delle truppe Marce Effettuate prevalenteme nte di notte o in condj :,,ioni d.i scarsa visibilità (nebbia). Si suddividono in: - marce aJ nemico; - marce in 1itirata. Si compiono per colonne jndipenden6, composte dalle diverse armi, scaglionate in: - colonne di reggimento, intervallate di I chilometro; - colonne di battaglione, intervallate di 500 metli. Velocità di marcia: - di una uni tà di fanteria: 4 km. all ' ora; 5 con equipaggiamento ddotto; - di reparti minori , fino al battaglione, con equipaggiamento alleggerito: 8 km. all ' ora, per un ora sola; - della cavalleria: km. 7 ,5 ali ' ora (su strada o su terreno fa vorevnk.):
- dei ciclisti: IO km. all' ora; - dei reparti motorizzali ;: da 15 a 25 km. all'ora; - delle unità meccanizza.I.e: da 12 a 20 km. all'ora. Durai.a normale della marcia di una grande unità: 8 ore (32 km.); Marcia forzata: I 0-12 ore e più; - piccoli alt: di I O minu ti dopo 50' di marcia; - grandj alt: della durata di 1,5-3 ore. - Movimento di una divis ione di fanteria (o cavalleria), possibilmente, su due strade; - Movimento reparti a traino: per colonne indipendenti. Se i reparti devono seguire la colonna generale avan zano a sbalzi, fra gli intervalli. Organizzazione della protezione controaerei e contro carri , durante la marcia. - Velocità di marc ia in notte lunare: uguale a quella di giorno (4 km.);
- Velocità di marcia in notte senza luna: diminuisce di 1/4 da quella normale. Servizio di Esplorazione e Sicurezza Esplorazione aerea è assolta dall' «otriad» (raggruppamento) di e.a. Ogni apparecchio può assolvere compiti dì osservazione e di ricognizione entro i seguenti limiti:
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- nella zona di schieramento della propria unità, per un tratto di 10-12 chilometri; - nella ricognizione in profondità, in una fascia larga 5-1O km. e profonda 100 km.; Quota di volo: 1.000 m. Nella ricognizione in profondità: 1.500 m. Nelle direzioni più importanti, l'esplorazione aerea deve essere rinforzata dalla caccia. L'impiego della squadriglia di collegamento divisionale («sviem» - 3 apparecchi), per la ricognizione, è di carattere eccezionale. E.,ploraz.ione terrestre (rinforzata da elementi motomeccanizzati e dall ' arligl ieria). a) Cavalleria: effettua l'esplorazione a mezzo degli elementi del servizio di sicurezza e di speciali reparti da ricognizione, composti di cavalleria e di elementi motomeccanizzati. b) Reparti motomeccanizzati: effettuano l'esplorazione con elementi del servizio di sicurezza e con speciali reparti motomcccann~~1'7•d; I I I i
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- La brigata motomeccanizzata impiega normaìmenle ìa cmnpagnia da ricognizione. Questa, quanto è rinforzata da carri, fanteria autotrasportata ed aviazione, puù allontanarsi dal grosso della brigata di 25-35 km. - TJ battaglione carri impiega nell'esplorazione un plotone o delle punte (2 o 3 macchine) di combattimento. c) Fanteria: l'esplorazione vicina e l'esploral'.ione lontana veng<rno effettuate dal battaglione da ricognizione divisionale (R.B.) nel settar divisionale. Nell'esplorazione lontana l'R.B. si spinge fino a 25-30 km. dal ovrnssn - - ·- - . e òist . ;:icca rnrntc (2 o 1 antoh!indo) fi no a distanza di tiro delle proprie arti glierie pesanti, e pattuglie mobili, al comando di ufficiali che si spingono, in autocarro, al di là delle punte. (L'R.B. è costituito da fanteria autotrasportala, da cavalleria e mezzi motomeccanizzati). Sicurezza: in marcia è costituita da: a) avanguadia: 1/3 fanteria colonna - reparti carri - I/2 artiglieria della colonna - elementi genio - eventualmente cavalleria. Marcia a 3-4 km. dal grosso. · b) reparti fiancheggianti nella marcia al nemico: da 1 compagnia a 1 battaglione, a 2-3 km. dalla colonna. e) Retroguardia: nella composil'.ione entrano artigliere a lunga gittata - elementi anticarro - genio. Distanza variabile, non inferio~
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re a 4 km . dal grosso. d) Sicurezza immediata: pattuglie in tutte le direzion i. Nelle soste, la truppa si sistema: - in centri abitati (alloggiame nti); - fuori dai centri abitati (bivacchi); - sistema misto (alloggi-bivacchi). La divisione di fanteria si protegge: a) Se distante dal nemico di 2 tappe o meno; con reparti di sicurezza (forza variabile da I compagnia a 1 battaglione, con artiglieria anticarro-autoh1indo e cavalleria) in terreno accessibile da tutte le parti ; con avamposti staccati (forza da J plotone a 1 compagnia con mitragliatrici e pezzi anticarro) in terreni percorrihil i soltanto in date direzion i. b) Se distante dal nemico piLt di 2 tappe, con avamposti isolati (costituzione come sopra). c) Per la sicurezza immediata in tutte le dire1,ioni, con pattuglie di sicurezza distaccale dal grosso (squadre di fu cilieri). - Distanza del sistema di sicure1.za dai grosso, tale da garantirlo dal tiro dell ' artiglieria p.c., da attacco di carri - da pcrme11 e re schieramento. In ogni caso, variabile da 3 a 5 km .; - Front.e di un baltaglione in servi7.io di sicureva: 5 km.; - Fronte di una compagnia in serv izio di si curezza: 3 km.
Generalità sulla condotta della battaglia Le I.ruppe operano: a) in formazione di marcia (uno o pi ù colonne con la ri spelliva sicurezza); b) in l"ormazione di combatti mento che comprende «un gruppo d'urto» e un «vuppo d'incatenamento» (scaglionati in pro fondità); c) la ri serva si costitui sce in caso di necessità. Nel combattimento cdfensivo: - Il Rruppo d'u rto (massa principale delle forze e dei mezzi disponibili) agisce nella direi.ione principale; schiera i suoi reggimenti in un solo scaglione - fronte vari abile secondo le forze e la situazione . Il reggimento attacca su due o tre scaglion i. - I compiti vengono assegnati contemporaneamente ai primi, secondi e terzi scaglioni. Nello sviluppo dell'azione i secondi scaglioni devono appoggiare l'azione dei primi, di loro iniziativa. 70 1
Ai primi scaglioni vengono indicati obiettivi di attacco; agli altri, solamente direttrici. - IL gruppo d'incatenamento, con attacchi parziali, deve agganciare il nemico nella <.fu-ezione secondaria e impedirgli di concentrare le forze contro il gruppo d'urto. Nel combattimento difensivo: - Il gruppo d'urto deve annientare il nemico con contrattacchi. - U gruppo d'incatenamento, agendo col fuoco e con l'azione dei carri, deve ostacolare 1'attacco nemico e nel caso questo ri uscisse a rompere la prima difesa, deve preparare il contrattacco del gruppo d'urto, con azioni di fuoco c contrattacchi parziali. I carri di appoggio, nonnalmente, nell'attacco, dipendono dai comandanti dei reparti di ranteria con i quali agiscono; nella difensiva, dipendono direttamente dal comandante della divisione, per contrattacchi. L'artiglieria, per l'impiego, si suddivide in: a) raggruppamenti di appoggio inunediato, formati dall 'artiglieria divisionale e di rinforzo (gruppi e hatterie generalmente assei~m1ti }l rl:':ggimenti - hatt,1glioni - co!npag!!ie del grt!ppo d'urt~1); b) raggruppamenti di azione lontana (aitiglieria di c. d'a.), per controbatteria, interdizione lontana, azione contraerea; e) di distruzione (a1tiglieria di grande potenza). L'aviazione d'assalto: - ostacola la marcia del nemico nell'avvicinamento con mitragliamento e bombardamento; - appoggia le proprie truppe, attaccando ininterrottamente il nemico, nelle varie rasi della battaglia. - Coll egamenti stabiliti dall'indietro ali' avanti e da destra asini stra. Fra reparti di armi diverse, dalle armi speciali alla fanteria cd alla cavalleria. - Collegamenti radio messi in atto solamente dopo l'inizio della battaglia.
Combattimento d'incontro La battaglia d'incontro deve mirare essenzialmente alla separazione delle forze nemiche, per batterle separatamente. L'accerchiamento e l'annientamento del nemico si ottengono: a) con l'azione dcli' avia;,,ione di ·assalto sulle colonne in marcia (mitragliamenti - bombardamento e irroramenti con aggressivi chimici. Obiettivo più importante, l'artiglieria): 702
b) con attacchi sui rovesci e sui fianchi eseguiti da unità motomeccanizzate e di cavalleria. T1 comandante di una grande unità destina all'auacco principale la massa delle sue forze e, con attacchi di aviazione, trattiene il nemico e ne 1itarda il movimento nelle rimanenti direzioni. La divisione attacca normalmente su due o tre colonne. Artiglieria, preponderante verso la testa delle colonne. In relazione alla situazione, può essere assegnata all'avanguardia fino a metà artiglieria della colonna (compresa artiglieria a grande gittata) e la maggior parte delle truppe del genio. Il battaglione da ricognizione (R.B.) ha anche il compito di occupare e mantenere fino all'arrivo dcll' avanguardia, punti de1 terreno aventi importanza tattica.
L'attacco A) Marcia ed attacco contro nemico in posizione
L'avanguardia deve: - superare cd annientare tutte le di [ese nemiche antistanti alla posizione di resistenza; - riconoscere l'andamento di quest'ultima; - assicurare lo schieramento del grosso. All ' avanguardia dev'essere assegnata molta artiglieria (possibilmente due gruppi per battaglione). Tratti vulnerabili della difesa nemica: i punti di giunzione ed i fianchi scoperti. Il nemico deve essere attaccato contemporancmente su l fronte (con una parte deììe forze cà un 'improvvisa azione ùi arligìieria) c sul fianco. L' aggiramento del fi anco nemico viene eseguito dai carri di azione lontana, seguiti dai grossi. Le bri gate motomcccanizzate e le divisioni di cavalleria si impiegano sul fianco esterno del movimento avvolgente. Nell'allacco contro nemico che ha appena assunto atteggiamento difensivo, il battaglione di primo scaglione del gruppo di attacco, deve essere appoggiato da un gruppo di artiglieria e una compagnia carri, oppure da 2 gru ppi di artiglieria. - Fronte di attacco del battaglione: circa 600 rn.; se il battagljone ha un maggior rinforzo di artiglieria e di cani, il rronte può essere portato a 1000 m. 703
- Fronte del gruppo di attacco di una divisione: 2000-2500 m.; se il gruppo di attacco è 1inforzato da un reggimento di fante1ia e da un battaglione carri, il fronte di attacco può essere portato a 3000-3500 m. - Settore di attacco dcll' intera divisione: il doppio della fronte del gruppo di attacco. Il battaglione carri del gruppo di azione lontana attacca a intervarn e distanze ristretti. L'ampiezza del suo fronte varia dai 300 ai 1000 metri. - Al gruppo d'urto devono essere assegnati non meno di due reggimenti. Il gruppo d'urto auacca su un solo scaglione. T1 reggimento attacca su 2 scaglioni, eccezionalmente su 3. - 11 secondo scaglione, nello sviluppo del combattimento, non sostituisce, ma rinforza il primo e po1ta l'attacco decisivo, avanzando sul fianco del l O scaglione. Artiglieria e carri appoggiano e sostengono l'azione della fanteria nell'attacco. l carri avanzano sotto le traiettorie delle artiglierie, avvicinandosi alla linea degli scoppi per neutralizzare l'azione dei centri di l'uoco ed assicurare alla propria fanteria l'assalto alla baionetta. L::1. preparazio!1e di m·tigEeria (dispone!1do di 30-35 pezzi per
ogni km. di fronte, oltre le ar6glìerie di grande gittata e 2 battaglioni carri per ogni divisione) può avere la durata di 1 ora e mezza. Può essere prolungata fino a 3 ore cd anche più , se il nemico è robustamente raff'orzato. In condizioni favorevoli può essere effettuata una prep,rrazione di 15'. - L'attiglieria divisionale appoggia l'avanzata dei carri con sbarramenti mobili. Ogni gmppo batte un tratto di fronte di 300-400 metri. Le unità cani non possono essere frazionate oltre il plotone (4 catTi). li segnale per l'attacco è normalmente dato dall'avanzata dei carri d'appoggio. Mancando i carri, il segnale è dato dal comandante del bat1-~n1;nnP b" ·,,a ....... ., ~
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I comandanti di fanteria devono mantenersi ininterrottamente a contatto con le pattu[?lie di artiglieria. B) Attacco da una posizione a imrnedialo contatto col nemico
Si richiama, generalmente, alle nonne contenute nel titolo precedente. Si rileva la prescrizione che i carri devono raggiungere la posizione di parten:za di notte, immediatamente prima de11'altacco, e devono usare tutti gli accorgimenti possibili per dissimulare il rumore dei motori. C) Attacco contro una posizione organizzata Si riferisce al.le prescrizioni per l'attacco in genere, 1icordando che dovrà 704
~,
essere impiegata una maggiore quantità di artiglieria, batterie di grnnde potenza, carri medi e pesanti, aviazione da bombardamento, ccc. ecc.
Difesa L' organizzazione della difesa è informata ai seguenti criteri: a) sconfiggere la fanteria nemica, dinanzi alla prima linea; b) impedire ai carri nemici di penetrare in profondità, distruggendoli con le armi anticarro; c) separare i carri dalla fanteria che li accompagna; d) distruggere i carri che siano riusciti a penetrare nel dispositivo della difesa, con azioni di artiglieria e con attacchi di carri; e) in caso di penetrazione in profondità di fanteria nemica con carri, disorganizzarla col fuoco e batterla con contrattacchi. L'organizzazione a difesa, predisposta fuori dal contatto del nemico, generalmente comprende: a) Una zona di ostacoli; presidiata da reparti avanzati di fanteria con artiglieria. Sua costituzione decisa dal Comandante di Corpo d'Armata e dal Comandante di Divisione; suo andamento non parallelo alla posizione di resistenza. Distanza del limite anteriore della zona di ostacoli, dal margine anteriore della posizione di resistenza; circa 12 km.; b) Una zona di sicurezza immediata; margine anteriore della linea di sicurezza da 1 a 3 km. dalla linea di resistenza; c) Una posizione di resistenza; (comprende il gruppo d'urto della divisione); d) Una zona di d(fesa di retrovie; alla distanza di circa 12-15 km. dalla posizione di resistenza. Un'organizzazione a difesa è ripartita in zona di difesa di Corpo d'Annata e di Divisione, settori di reggimento e soltosetlori di battaglione. - La divisione di fanteria occupa una zona di difesa di 8-12 km. nel senso frontale e di 4-6 km. in profondità; - Il reggimento occupa un settore di 3-5 km. nel senso frontale, e 2,5-3 km. in profondità; - Il battaglione occupa 1-2,5 km. nel senso frontale e 1,5-2 km. in profondità. L'andamento del limite anteriore della posizione di resistenza viene indicato dal Comandante del Corpo d'Armata. - Nell'interno della posizione di resistenza si costituiscono capisaldi anticarro, occupati dai gruppi d'urto, a copertura delle posizioni di artiglieria e dei posti di comando. 705
- T capisaldi anticarro devono essere preferibilmente a perimetro chiuso e gli intervalli devono essere battuti dai fuochi incrociati dei pezzi anticarro, a puntamento diretto. - TI sottosettore di battag1ione deve organizzarsi a difesa sull 'intero giro d'orizzonte (difesa circolare anticarro). Stretta cooperazione fra artiglieria e fanteria, come nell'attacco. Per fronte divisionale ampio più di 8 km., o per fronte più ristretto, ma molto rotto, i raggruppamenti di appoggio dipendono normalmente dai reggimenti di fanteria. Le posizioni delle batterie devono consentfre il tiro anticaITo, a puntamento diretto, a 800 metri di distanza. Contro carri che attaccano la posi zione di resistenza, intervengono tutte le artiglierie del settore attaccalo e dei settori laterali. Quando i carri entrano sotto l'azione dei pezzi di azione vicina, la massa delle artiglierie rivolge il proprio fuoco conlro la fanteria avversaria. Una riserva rnohile di pezzi anticarro è a di sposiz ione del comandante della divisione. In caso di d((esa su larga fronte. Non si organizz.a una completa zona di difesa, ma si apprestano i punti di maggiore importanza. L'elemento fondamentale della difesa su larga fronte è costituito da capisaldi di battaglione che devono trattenere il nemico col fu oco · fino al sopraggiungere dei gruppi d'urto schierati all'indietro. La difesa mobile. Viene effettuata a mezzo di combattimenti difensivi non sviluppati a fondo, disimpegnandosi dal nemico e rafforzandosi su nu ove posizioni. L'artiglieria viene decentrata ai reggimenti e in parte ai battaglioni.
Difesa Contraerei delle truppe (P.V.O.)
Organizzata essenziaJmente con: a) rete di posti a terra di osservazione aerea (circa 2 km. di intervallo fra i posti); b) artiglieria - mitrag1i atrici e fuci1i e .a.; c) apparecchi da caccia. - Un gruppo di artiglieria e.a. di medio calibro (]) può proteg-
(1) L' mtiglieria e.a. è considerata: di piccolo calibro fino a 47 nuu.; di medio calibro 76 mm.; di grosso calibro 100 mm.
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gere una colon na in marcia per uno sviluppo di circa 18 km., 8 dei quali sono battuti con sovrapposizione dei fuochi, e può proleggcre anche 2 colonne quando i rispettivi assi di marcia non distino più di 4-6 chilometri. - Un gruppo può proteggere una stretta della profondità di 5 km. Tn combaLLimcnto ed in stazione, un gruppo contraerei può difendere una zona del diametro di 8-11 km., senza sovrapposizione de11e corone battute, e una zona di 5-7 km. di raggio , con sovrapposizione di fuochi. L'artiglieria e.a. <li piccolo calibro si impiega, in marcia, per difendere la colonna più importanle dc11a divisione. Avanza, intervallala daJ la colonna, a scaglioni di sezioni. Le mitragliatrici contraeree marciano con la colonna. Nell'attacco, il compito fondamentale dei mezzi e.a. è di garantire lo schieramento della massa d' allacco dei carri e dell'arliglicria. Schieramento: avanzato il più possibile, per immpedirc l'osservazione del tiro di artiglie1ia da parle degli aerei nemici e per evitare cambiamenti di posizione durante le prime fasi del successo. Nella difesa, schieramento informato ai criteri: - di impedire l'osserva;.,.ionc aerea delle prime lince; - di sottrarsi aJl'assaJto dei carri, occupando posizioni non raggiungibili da questi e che si prestano alla di fesa anticarro. Difcsa Anticarro delle truppe La difesa anticarro prevede: a) un sistema di osservazione e segnalazione; b) un 'adatta dist1ibuzione dei mezzi anticarro lungo Je colonne, in marcia e l'organizzazione dei fuochi anticarro, in combattimento e in stazione; e) la contromanovra dei propri carri; d) speciali misure pr ri parare il nerbo delle forze degli attacchi dei carri, sfruttando ostacoli naturali ed artificiali. Il reparto motomeccanizzato del battaglione da ricognizione (R.B.) divisionale e gli aereoplani della divisione spingono, con tempestivi attacchi, i carri nemici sotto l'azione della prop1ia difesa anticarro. Operazioni Notturne La notte dovrà sempre essere sfruttata per: 707
a) l'avvicinamento c l'occupazione delle posizioni di partenza per l'attacco; b) 1'attacco di punti singolari della difesa nemica; c) il contrattacco su posizioni appena occupate dal nemico; d) azioni di sorpresa e colpi di mano per prendere prigionieri e per deprimere il morale dell'avversario. Gli spostamenti di truppe e servizi dovranno essere effettuati preferibilmente di notte. Operazioni in Alta Montagna La fanteria è la più adatta per operare in montagna; nelle zone più difficili agiscono i reparti da montagna. Artiglieria, generalmente decentrata; carri (ove il terreno ne consenta l'impiego) fino al battaglione; aviazione impiegata per azioni di homhardamento, osservazione del tiro, collegamenti e trasporti. Velocità di marcia delle colonne, su rotabili con pendenza fino a 20°: da 2 a 4 km. all'ora. Per pendenze maggiori si considerano 300350 m. <li dislivello a11'ora. Durata delle marce, non oltre 10 ore. Frazionamento delle colonne in scaglioni di compagnie - artiglieria suddivisa fra le compagnie (per baueria ed anche per pezzi isolati). Distanze fra scaglioni: 10-15 minuti. Alt or:ui di 10 minuti. Dopo 6-7 ore di marcia: grand' alt. La difesa è basata sull'occupazione delle vie provenienti dalla fronte nemica e delle alture donùnanti; sulla costruzione di ostacoli lungo le vie di accesso e sulla organizzazione del fuoco.
Operazioni Invernali Le marce d'inverno non devono superare le 6-7 ore. Soste fatte in luoghi abitati, in boschi, oppure in zone protette dal vento e fornite di combustibile. L'esplorazione è effettuata da sciatori, cavalleria, carri e autovetture «ovunque» ; la sicurezza, preferibilmente da sciatori . L'attacco in inverno, con molta neve, si sviluppa normalmente lungo le strade. T gruppi d' allacco, comprendenti fanteria con sci, carri e artiglieria devono mirare ad attaccare il nemico sul fianco e . . SUI rovesci. Tendere all 'occupazione di centri abitati ed organizzarli a difesa. 708
Combattimento nei boschi La marcia deve essere garantita da: - un forte reparto esplorante che <leve occupare l'orlo opposto del bosco; - ricognizioni delle strade; - un forte servizio di sicurezza in tutte le direzioni. L'avanguardia si inoltra nel bosco non prima che l'esplorazione abbia occupato gli sbocchi opposti del bosco; il grosso, quando le avanguardie stiano per uscirne. Attacco di importanti zone boscose, organizzato con concentramenti di fuoco di aitiglieria sul margine del bosco e con attacchi di fanteria possibilmente appoggiati da caITi. È previsto, in talune situazioni, l' incendio delle zone boscose fortemente presidiate dal nemico. Difesa del bosco informata ai seguenti criteri: a) sistemazione a difesa di porzioni del hosco (difesa circolare); b) sviluppato sistema di zone di ostacoli passivi; c) contrattacchi decisivi; d) linea di resistenza spinta oltre del bosco o arretrata per una certa profondità nel bosco; e) artiglieria decentrala.
Autotrasporti di truppa Previsti normalmente per: - un battaglione di fanteria e un gruppo di aitiglieria, per distanze non inferiori a 15-20 km.; - un reggimento di fanteria, per non meno di una tappa; - una divisione di fanteria, per non meno di una tappa. Battaglione e reggimento <li fanteria autotrasportati al completo; divisione di fanteria, senza i carreggi, né servizi. Distai1za più conveniente per il trasporto di una divisione di fanteria: 200-400 km. Velocità di marcia dell'autocolonna: - di giorno: 15-20 km. orari; - <li notte, con fari accesi, alquanto minore. Macchine occorrenti per il trasporto di: - un battaglione di fanteria e una batteria reggimentale: 100-200 macchine da una tonnellata e mezza; 709
- un gruppo di artiglieria: 180 macchine da tre tonnellate; - un reggimento di fanteria: 700 macchine da una tonnellata e mezza. Tempi per i carichi: - un battaglione di fanteria: di giorno, da 40 a 60'; - un gruppo d'artiglieria: di giorno, 1 ora-I ora e mezza; - di notte: i tempi aumentano di 15'. Disciplina di marcia: - distanza fra le singole macchine, in marcia: 25-50 metri; - distanza fra battaglioni: 3-5 km. Fermate di 10- 15 minuti ogni due ore. Per marce di ollre 120-130 km.: grand' alt di 2 ore-2 ore e mezza. Tempi di scarico: - per un battaglione di fanteria: di giorno 15-20'; - per un gruppo di artiglieria: di giorno 30-40'; - di notte: i tempi aumentano di 15'.
Lavoro politico per assicurare l'attività operativa delle truppe li lavoro politico è informato ai criteri di: - elevare lo spirito militare della truppa; - mantenere salda la compagine dell'esercito e viva la fede verso il regime; - suscitare l'amor di patria; - sviluppare l'audacia, l'iniziativa, l'abnegazione e l'impeto guernero; - ferma disciplina. Il lavoro politico è esplicalo dagli organi poli6ci. T lavoratori politici sono responsabili dei servizi interni di caserma e devono interessarsi di tutti i bisogni dei militari (vitto, alloggiamento, equipaggiamento ed igiene). Essi devono curare lo spirito ed il morale della truppa (distribuzione della posta, giornali, pacchi e doni). T lavoratori politici devono altresì prendere tulle le misure contro lo spionaggio e gli allentati ed assicurare le buone relazioni con la popolazione locale. Sono anche date norme per la custodia e la sicurezza dei prigio111en.
710
ALLEGATO 16 (*)
U.R.S.S. NORME PER L'IMPIEGO DEI CARRI ARMATI, DESUNTE DAL «REGOLAMENTO PROVVISORIO DI CAMPAGNA 1936»
Generalità Impiego dei carri
La hattaglia offensiva e difensiva è imperniata sull'azione dei carri. Nell'offensiva è ad essi riservato l'appoggio maggiore dell'artiglieria, in quanto è l'azione dei carri che consente l'avanzata della fanteria o il crollo della fronte nemica (azione in profondità dei carri). Nc1la difensiva, lo schieramento generale, le posizioni di artiglieria, e i vari elementi particolari devono essere scelti in zone non raggiungibili e facilmente difendihili dai carri. Tuttavia, il carro, pur essendo considerato come il dominatore della battaglia, è sempre designato solamente quale mezzo di appoggio della fanteria; è caratteristica, a questo proposito, l'affermazione: «La fanteria deve sempre ricordarsi che il più importante pericolo per essa è rappresentato dalla fanteria che accompagna i carri». Nella battaglia difensiva, il comandante della di visione tiene riunito il suo battaglione carri, che impiega principalmente contro i . . carn avversan. Il battaglione da ricognizione (R.B.) ha un reparto di carri anfibi. (Vedi riassunto Regolamento provvisorio campagna pag. 3). I comandanti di divisione e di reggimento devono avere una riserva mobile di pezzi anticarro per impiegarli sulla direzione più pericolosa. I carri posseggono una grande mobilità, fuoco potente ed enorme forza d'urto. Il rendimento ·di un mezzo così prezioso dipende dalle condizioni tecniche del materiale, dalle condizioni fisiche degli equipaggi e dai rifornimenti. Nell'attacco, artiglieria e carri assicurano l'avanzata delle fante-
(*) AUSSME, LI0-12/1.
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rie sopprimendo i mezzi di fuoco dell'avversario. Quando l'artiglieria e i carri agiscono assieme, l'artiglieria, in primo luogo, deve distruggere i mezzi anticatTo; i carri devono ridurre al silenzio le mitragliatrici dell'avversario. I carri, oltre all'appoggio immediato della fanteria, devono effettuare l'azione di rottura in profondità, per annientare le riserve del nemico, le sue artiglierie, i comandi e parchi e cercare di cadere sulle vie di ritirata. Nell'attacco i carri devono essere impiegati a massa.
Nell'esplorazione e nella sicurezza La brigata motomeccanizzata impiega normalmente, nell'esplorazione, una compagnia da ricognizione, talvolta rinforzata da carri speciali con pezzi e da fanteria autoportata. Il battaglione carri distacca un plotone o delle punte, (di 2 o 3 «macchine di combattimento»). La compagnia da ricognizione, rinfor1:ata da artiglieria, carri (1 o 2 plotoni) e fanteria si muove con la velocità media di l 0-15 km. a11' ora. Nella sicurezza l'avanguardia è rinforzata da carri. Se il nemico è già schierato, i reparti carri sono avviati sul fianco.
Nell'offensiva Generalità
Il battaglione carri divisionale appoggia l'avanzata della fanteria. I carri di assegnazione eventuale sono dati in rinforzo ai carri di appoggio, oppure possono costituire un gruppo di carri d'azione lontana, per la rottura in profondità. Di regola i carri di appoggio, nell'attacco, dipendono dei comandanti dei reparti di fanteria con i quali agiscono, e nella difensiva, dipendono direttamente dal comandante della divisione per contrattacchi. I can-.i di azione lontana dipendono dai comandanti di Corpo d' A. I carri, generalmente, attaccano ripartiti i più scaglioni. Tra i reparti carri sono consentite, per la trasmissione dei comandi fra carri durante il combattimento, le radiocomunicazioni in chiaro. Nella battaglia d 'incontro
Le unità carri sono impiegate contro il grosso della colonna 712
nemica che il comandante decide di attaccare per prima. Obiettivi delle unità carri sono la fanteria e 1' artiglieria nemica. Nell'attacco A secondo della situazione, si può avere l'attacco contro nemico già sistemato a difesa; attacco di una posizione a immediato contatto con il nemico; attacco contro una posizione organizzata; attacco con passaggio di corso d'acqua. I. Attacco contro nemico organizzato
Mentre la fanteria attacca sul fronte, i carri di azione lontana manovrano per attaccare il nemico sui rovesci e sui fianchi ed avanzare sulle vie di ritirata. Al loro seguito avanzano i grossi. Le brigate meccanizzate si impiegano sul fianco esterno del movimento avvolgente. Nell'attacco contro il nemico che ha appena assunto atteggiamento difensivo, il battaglione di fanteria deve essere appoggiato da un gruppo di artiglieria e una compagnia carri, oppure da due gruppi di artiglieria. L'ampiezza del fronte di attacco del battaglione è di circa 600 m., se però vi è maggiore rinforzo di carri detta fronte può essere portata a 1.000 metri. La fronte di attacco della divisione è di 2000-2500 m.; se rinforzata da un reggimento di artiglieria o da un battaglione carri, raggiunge i 3000-3500 m. L'importanza decisiva dei carri di azione lontana, nella rottura, richiede che il loro impiego risponda strettamente alle reali condi . zioni della situazione. I gruppi di carri di azione lontana hanno il compito di irrompere nelle retrovie dei grossi della difesa, di.sperdere riserve e comandi, annientare la massa di artiglieria e tagliare la via di ritirata ai grossi. Nella maggior parte dei casi occorre prevedere che l'attacco dei carri d'azione lontana sia immediatamente seguito dalla fanteria, seguita a sua volta dai carri d' appoggio, per allargare la falla prodotta dai carri di azione lontana e sfruttare il successo. L'attacco della fanteria con i carri di appoggio deve avvenire contemporaneamente su tutto il fronte. 11 battaglione carri del gruppo di azione lontana, protetto sul fronte e sui fianchi dal ruoco di artiglieria, attacca normalmente a intervalli e distanze ristretti. L'ampiezza del suo fronte, in relazio713
ne alle condizioni del terreno e alla presenza di artiglieria, può variare dai 300 ai 500 m. Per garantire l'avanzata del gruppo d'urto dai contrattacchi nemici, il comandante di reggimento deve impiegare i carri assegnati e le artiglierie di reggimento e di battaglione. L'artiglieria e i carri devono assicurare alla fante1ia l'assalto alla baionetta. I carri, appoggiati dal fuoco di artiglieria, avanzano sui centri di fuoco avversari per neutralizzarli cd aprire la strada a1la fanteria. Essi devono essere sostenuti dal fuoco di artiglieria contro i pezzi anticarro nemici, anche con 1' impiego di qualche proietto fumogeno. Un proficuo accompagnamento dei carri di azione lontana si effettua con sbarramenti mobili per tutta la profondità della difesa anticarro nemica. l carri in appoggio al battaglione di fanteria cooperano con l'artiglieria ne1la neutralizzazione dei pezzi anticarro nemici. A tale scopo i comandanti di compagnia carri stabiliscono apposite intese con quelli dei gruppi di artiglieria per le richieste relative a spostamenti e intensificazione del tiro. L'artiglieria di battaglione e di reggimento, e specialmente i lanciabombe, Je mitragliatrici pesanti e quelle leggere devono sempre appoggiare l'attacco dei carri. Alcuni pezzi isolati, tratti da11'artiglieria reggimentale o di battaglione, vengono assegnati per appoggiare i carri durante la loro azione attraverso le posizioni avversarie più avanzate agendo direttamente contro i pezzi anticarro nemici. Un appoggio immediato ai carri può essere altresì prestato da carri con artiglieria, avanzanti a sbalzi su posizioni coperte e prestabilite. l carri d'appoggio spianano alla fanteria la via per l'avanzata. Stretto, ininterrotto collegamento fra comandanti compagnia carri e comandanti gruppi artiglieria. Le unità carri non possono essere frazionate oltre il plotone. 11 segnale per lanciare le fanterie a11'attacco è normalmente costituito dall'avanzata dei carri di appoggio sulle prime posizioni nemiche. Mancando i carri, il segnale è dato dal comandante del battaglione a mezzo di artifizi non appena 1' artiglieria abbia a11ungato il tiro. L'eventuale arresto dei carri non deve rallentare l'avanzata della fanteria. Le truppe attaccanti e i carri devono, senza arrestarsi, percorrere tutta la profondità dello schieramento avversario fino al suo totale annientamento e all'occupazione delle posizioni di artiglieria. 7]4
2. Attacco di una posizione e immediato contatto con il nemico I carri devono raggiungere la posizione di partenza di notte, immediatamente prima dell'attacco e devono usare tutti gli accorgimenti possibili per dissimulare il rumore dei motori. 3. Attacco contro una posizione organizzata
Devono essere adoperati carri medi e pesanti.
4. Attacco con passaggio di corso d'acqua Sollo la protezione del fuoco di artiglieria si lanciano per primi sulla sponda opposta i carri anfibi e alcuni reparti di fanteria. Segue l'avanguardia (l" scaglione, costituito da fanteria, carri di appoggio, artiglieria di btg. e di regg.).
Nena difensiva Anche nella difensiva come nell'offensiva, viene data una grande importanza ai carri. Sono norme generali: a) non permettere al nemico di penetrare coi carri in profondità; b) in caso di uno sfondamento di carri, distruggerli con i mezzi anticarro, sforzandosi di separarli dalla fanteria che li accompagna; c) distruggere i carri spintisi in profondità con l'artiglieria e con attacchi di carri; d) in caso di penetrazione in profondità di fanteria con carri, disorganizzarla col fuoco e batterla con contrattacchi. Schematicamente un'organizzazione a difesa comprende: - una zona di ostacoli di carattere fortificatorio-chimico; - una zona di sicurezza immediata; - la posizione di resistenza~ - una zona di difesa di retrovia. Nella posizione di resistenza trovano posto i gruppi d'urto, dei quali fanno parte i carri delle varie unità e quelli eventualmente assegnati. In questa posizione vengono costituiti capisaldi anticarro, occupati dai gruppi d'urto (quindi anche carri) a copertura delle posizioni di artiglieria e dei posti di comando. l centri anticarro sono stabiliti dai comandanti di divisione, i 715
quali organizzano anche il gruppo d'urto. Durante lo svolgimento della battaglia difensiva, i carri della difesa sono prevalentemente impiegati contro i carri nemici. In caso di dUesa su larga fronte l'elemento fondamentale della difesa è costituito dai capisaldi di battaglione, i quali devono respingere il nemico col fuoco o trattenerlo fino al sopraggiungere del gruppo d'urto. La difesa mobile viene effettuata a mezzo di combattimenti difensivi non sviluppati a fondo. Nella ritirata i carri vengono impiegati sul fianco e sul rovescio delle colonne nemiche avanzanti.
Operazioni invernali L'esplorazione viene effettuata da sciatori, dalla cavalleria e dai can-i. Il combattimento si sviluppa normalmente lungo le strade. I gruppi di attacco, dei quali fanno parte i carri, debbono attaccare il nemico sul fianco e sul rovescio. Se lo spessore della neve non supera i trenta centimetri, i carri prendono parte ali' attacco generale. Per l'inseguimento vengono impiegati reparti sciatori. Si assicurano la loro velocità di manovra e la considerazione delle forze, facendoli trainare o da cavalli, o da carri armati.
Operazioni in condizioni speciali 1. Operazioni in alta montagna
I carri, ove il terreno lo consenta, sono impiegati per reparti fino al battaglione. Nella marcia i carri muovono a scaglioni isolati. 2. Combattimento nei boschi Per 1'attacco di impo1tanti zone boscòse si organizzano concentramenti di fuoco di artiglieria sul margine del bosco e attacchi di fanteria, talvolta appoggiati da carri. 3. Combattimenti neLle steppe desertiche Vengono impiegate le am,i senza limitazioni di sorta. Nell ' attacco, trattenendo frontalmente il nemico, i carri unita716
mente a reparti mobili eseguono lo sforw principale sul fianco e contemporaneamente sul rovescio. Nella difesa i gruppi d'urto, sostenuti da artiglieria, carri e aviazione, contrattaccano il nemico. Trasferimento delle unità carriste l. Marce
La velocità media di un'unità carrista si aggira sui 15-25 km. all'ora. Vengono assegnati appositi itinerari indipendenti.
2. Servizio di sicurezza All'avanguardia e alla retroguardia si assegna un reparto carri. I reparti fiancheggianti non hanno carri.
717
APPENDICE
A - QUADRO RIEPILOGATIVO DEGLI ADDETTI ITALIANI ACCREDITATI PRESSO LE NAZIONI E NEL PERIODO IN ESAME (*)
ALBANIA 1927-1932: col. ftr. (St. Magg.) Alberto Pariani. 1932-1934: col. art. (St. Magg.) Riccardo Balocco. 1934-1938: Len. col. (St. Magg.) Giovanni D' Antoni-( 0 ) per il 1934. 1938-1939: col. ftr. Manlio Gabrielli.
AUSTRIA 1919-1920: cap. ftr. Paolo Cortese, ten. ftr. Francesco Idone («Ufficiali addetti» alla Legazione d'Italia a Vienna). 1921-1926: ten. col. cav. (s. St. Magg.) Giuseppe Franchini Stappo. 1926-1928: col. alp. 1928-1932: ten. col. 1932-1936: ten. col. 1937-1938: ten. col.
(St. Magg.) Carlo Vecchiarelli ( 0 ) .
(St. Magg.) Umberto Fabbri (0 ). (St. Magg.) Dionigi Ponza di S. Martino.
(St. Magg.) Luigi Mondini.
BELGIO 1919-1924: col. (St. Magg.) Enrico Maltese. I 924-1935: incarico espletato per accreditamento contemporaneo dell'addetto militare a Parigi. 1936-1938: magg. (St. Magg.) Giovanni Duca. 1938-1939: ten. col. (St. Magg.) Aldo Bonelli.
N.B.: Il grado è 4uello ri veslilo all"assunzione Jeil"incarico - (") J\ccredilalo anche quale Addetto Aeronautico - ("") Accreditato anche quale Addetto Navale. (*) Fonti utilizzate:
-
-
MAE, Amministrazione Centrale, «A mhasciate, Legazioni e Consolati del Regno d' Italia all'Estero», Roma, Tipografia MAE, anni vari. MAE, Direzione Generale degli Affari Generali - Ufficio Puhhlicazioni e Raccolte Amministrative, «Annuario Diplomatico del Reg no d' Italia», anni varT. «Annuario Militare del Regno d' Ita lia», Roma, Provved itorato Generale (poi Istituto Poligrafico) dello Stato - Libreria, voi. I, anni vari. «A nnuario Ul"llciale delle For7.e Armate del Regno d 'Italia», Roma, Provveditorato Generale (poi lstilulo Polig ralico) dello Stato - Libreria, voi. I, Regio Esercito, anni vari. Comando del Corpo di Stato maggiore - S.I.M., « Elenco dei RR. Addetti Militari, Navali ed Aeronautici all'Eslero», Roma, 15.2. 1930 - 1.2. 193 1 - 15.6.1931 - 1.1.1932 (AUSSME, G29-l/16).
721
BULGARIA 1919-1925: col. (St. Magg.) Gilbert de Winckels. 1925-1927: ten. col. art. (St. Magg.) Umberto Spigo. 1927-1928: col. rtr. (s. St. Magg.) Camillo Caleffi ( 0 ) . 1928-1931: ten.col. ftr. (s. St. Magg.) Francesco Cocconi (0 ). 1931-1936: ten. col. (St. Magg.) Achille De Bottini di S. Agnese ( 1936-1939: ten.col. (St. Magg.) Tullio Sovera (0 ) . 1939: ten. col. (St. Magg.) Giacomo Sicardi (
0 ).
0
).
CECOSLOVACCHIA 1919-1924: col. alp. (St. Magg.) Carlo Vecchiare11i. 1925-1927: col. art. (St. Magg.) Francesco Bertini. 1927-1929: magg. art. Marco Pennaroli-( nel 1928. 1929-1932: ten. col. cav. Raffaele Cadoma. 1932-1937: ten. col. (St. Magg.) Alberto Roda. 1937-1938: ten. col. (s. St. Magg.) Corrado Valfré di Bonzo. 1938-1939: ten. col. ftr. (St. Magg.) Luigi Ronfanti. 0
)
CINA 1919-1925: incarico espletato come «aggiuntivo» da11'addetto militare a Tokyo. 1926-1931: incarico in parte assegnato ed in parte demandato all'addetto militare a Tokyo ed al comandante del Distaccamento R.M. a Pechino. 1932-1937: incarico espletato per accreditamento contemporaneo da11 'addetto militare a Tokyo. 1937-1939: ten. col. (St. Magg.) Omero Principini-(0 ) dal 1938.
ETIOPIA 1919-1924: ten. cav. Pasquale Camicia, «ufficial_e addetto» alla Legazione d'Italia ad Addis Adeba. 1924-1929: mancano dati attendibili. 1930-1934: ten. col. ftr. Vittorio Ruggero. 1934-1935: col. (St. Magg.) Mario Cal<lerini. FRANCIA 1919-1924: ten. col. (St. magg.) Giorgio Martin-Franklin. 1924-1928: ten.col. art. (s. St. Magg.) Guglielmo Nasi. J928-1933: ten. col. cav. Emanuele Beraudo di Pralormo. 1933-1936: ten. col. (St. Magg.) Arturo Kellner. 1936-1937: col. (St. Magg.) Carlo Barbasetti di Prun. 1937-1939: gen. div. Sebastiano Visconti Prasca. 722
GERMANIA 1919-1921: cap. gran. Remo Sacchetti ( 00 ) ; cap. art. Cesare Tumedei e tcn. art. Giovanni Anselmi, «ufficiali addetti». 1922: ten. art. Giovanni Anselmi (0 ) ( 00 ). 1923-1925: magg. genio Giulio Pier (0 ) . 1926-1930: col. art. (St. Magg.) Camillo Rossi. 1930-1936: ten. col. (St. Magg.) Giuseppe Mancinelli. 1936-luglio 1939: col. (St. Magg.) Efisio Marras. luglio-novembre 1939: gen. brig. Maiio Roatta. GIAPPONE J919-1925 : col. (St. Magg.) Eugenio Bea ud. 1925-1927: cap. vasc. Vincenzo Leone (addetto navale accredilato anche quale addetto militare ed aeronautico). 1927-1930: cap. freg. Filippo Vanzini (addetto navale accreditato anche quale addetto militare ed aeronautico). 1930-1934: ten. col. (St. Magg.) Enrico Frauini-( 0 ) ( 0 0 ) nel 1931, 0 ( ) nel 1932. 1932-1939: magg. (St. Magg.) Guglielmo Scalisc-( 0 ) fino al 1938. 1939: tcn. col. (St. Magg.) Guido Bertoni. GRECIA 1919-1920: col. (St. Magg.) Mario Caracciolo. 1921- 1926: col. frt. (s. St. Magg.) Ferdinando Perrone di S.Martino; cap. ftr. Ettore Carossini e cap. ftr. Paolo de Simone, «ufficiali addetti». · 1926-1932: ten. col. (St. Magg.) Luigi Trionfi. 1932-1934: ten. col. (St. Magg.) Emilio Coronati ( 0 ) . 1934-1935: cap. vasc. Alfredo Crespi (addetto navale accreditato anche quale addetto militare ed aeronautico). 1935-1936: cap. freg. Sebasliano Morin (addetto navale accreditato anche quale addetto militai·e ed aeronautico). 1936-1938: incarico espletato per accrcditamenlo contemporaneo dall' addetto militare ad Ankara. 1938-1939: tcn. col. (St. Magg.) Luigi Mondini. INGHILTERRA 1919-1920: gen. bri g. Pcrelli. 1920-1923: col. (SL Magg.) Gino Riggi. 1923-1928: ten. col. art. (s. St. Magg.) Amerigo Coppi. 1928- 1932: ten. col. art. (s. St. Magg.) Adolfo Infante.
723
1933-1937: ten. col. ftr. Umberto Mondadori. 1937-1939: ten. col. art. (St. Magg.) Cesare Ruggeri Laderchi. JUGOSLAVIA 1919-1921: cap. ftr. Renato Bova, «ufficiale addetto». 1921-1923: ten. col. (St. Magg.) Vittorio Filippi di Boldissero. 1923-1925: mancano dati attendibili. 1925-1930: ten. col. ftr. (s.St. Magg.) Sebastiano Visconti Prasca dal l 927 al 1929. 1930-1932: ten. col. (St. Magg.) Edoardo Amari di S. Adriano. 1932-1935: ten. col. (St. Magg.) Antonio Franceschini ( 1936-1938: ten. col. (St. Magg.) Arturo Kellner ( 0 ) . 1938-1939: col. art. (St. Magg.) Emilio Coronati. 1939: ten. col. ftr. (St. Magg.) Luigi Ronfanti. 0
(
)
0
).
POLONIA 1919: col. art. Umbertino Franchino. 1919-1922: gcn. brig. Giovanni Romei-Longhena. 1922-1927: col. art. (s. St. Magg.) Giuseppe Ivaldi. 1927-1931: col. ftr. (SL Magg.) Mario Roatta. 1931-1932: ten. col. genio Dante Pacifici (0 ) ( 00 ). 1932-1936: ten. col. (St. Magg.) Mario Marazzini (0 ) ( 00 ). 1937-1939: ten. col. cav. Giuseppe Roero di Cortanze ( 0 ) ( 00 ) . ROMANIA 1919-1921: gen. brig. Luciano Ferigo. 1922-1927: col. (St. Magg.) Enrico Baffigi. 1927-1931: col. ftr. (s. St. Magg.) Luigi Mercalli 1931-1934: ten. col. art. Mario Zanotti - ( dal 1933. 1935-1939: magg. (St.Magg.) Guglielmo Della Porta Rodiani Carrara ( 0 ) . 1939: col. cav. Giuseppe Cosentini. 0
)
SVIZZERA 1919-1923: col. (St. Magg.) Francesco Braga. 1923- 1927: incarico espletato per accreditamento contemporaneo dall'addetto militare a Parigi. 1927-1931: ten. col. art. (s. St. Magg.) Natale Pentimalli. 1931-1935: ten. col. (St. Magg.) Adolfo Perrone. 1935-1938: tcn. col. (St. Magg.) Euclide Fantoni. 1938-1939: col. art. (St. Magg.) Tancredi Bianchi. 724
TURCHIA 1919-1921: col. (St. Magg.) Umberto Vitale. 1922-1925: ten. col. Vitelli. 1925-1931: magg. ftr. (s. St. Magg.) Manlio Capizzi. 1932-1936: ten. col. (St. Magg.) Alberto Mannerini. 1936-1939: ten. col. art. (s. St. Magg.) Gabriele Boglione - ( 1938. 1939: ten. col. (St. Magg.) Edmondo Zavattari (0 ) .
0 )
UNGHERIA 1919: ten. ftr. Omero Formentini, «ufficiale addetto». 1920-1927: mancano dati attendibili. 1927-193 I: ten. col. art. (s. St. Magg.) Giovan Battista Oxilia ( 1932-1938: ten. col. (St. magg.) Enrico Mattioli. 1938-1939: ten. col. (St. Magg.) Arnaldo Garigioli.
dal
0
URSS 1927-1929: 1929-1932: 1933-1938: 1938-1939:
).
col. art. Carlo Bergera. ten. col. (St. Magg.) Aldo De Ferrari. ten. co1. (St. Magg.) Guido Piacenza ( 0 ) (° 0 ). ten. col. (St. Magg.) Corrado Valfré di Bonzo (0 ) (° 0 ) .
B - SITUAZIONE DEGLI ADDETTI MILITARI ITALIANI AL 31.12.1939 (*) BELGIO: ten. col. (St. Magg.) Aldo Bonelli - in carica dal 2.11.1938 accreditato anche per l'Olanda. BULGARIA: ten. col. (St. Magg.) Giacomo Sicardi -in carica dal 15.8.1939 (
0 ).
CINA: ten. col. (St. Magg.) Omero Principini- in carica dal 1.9.1937 (0 ) .
(*) Fonti utilizzate:
-
«Annuario Uffic iale delle Forze Armate del Regno d'Italia», Roma, Istituto Poligrafico dello Stato - Libreria, voi. I, Regio Esercito, parte l, 1940 - anno XVIII. Ministero della Guerra - S.l.M., «RR. Addetti Militari e Missioni Militari all'Estero», Roma, 1.1.1 940 (AUSSME, HJ-82/8).
725
FRANCIA: col. (St. Magg.) Carlo Tucci - in carica dal 15.12.1939. magg. ftr. Oreste Silli - in carica dal 1.4.1939 - addetto militare aggiunto. GERMANIA: gen. brig. Erisio Marras - in carica dal 20.11.1939 - accreditato anche per Lituania, Danimarca, Svezia e Finlandia; ten. col. art. Domenico Badini - in carica dal 20.7 . 1937 - addetto militare aggiunto; cap. ftr. Mario Rossi - in carica dal 25.8.1939 - addetto militare aggiunto ai soli effetti diplomatici. GIAPPONE: ten. col. (St. Magg.) Guido Bertoni - in carica dal 1.6.1939 accreditato anche per il Manciukuò. GRECIA: ten. col. (St. Magg.) Luigi Mondini - in carica dal 21.8.1938. INGHILTERRA: col. att. (St. Magg.) Cesare Ruggeri Laderchi - in carica dal 1.3.1937. JUGOSLAVIA: col. ftr. (St. Magg.) Luigi Bonfanti - in carica dal 1.9.1939; cap. ftr. Renato Angelini - in carica da] 15.6.1938 - con funzioni di addetto militare aggiunto. POLONIA: ten. col. cav. Giuseppe Roero di Cortanze - in carica dal 1.10.1 937 accreditato anche per Estonia e Lettonia e quale ( 0 ) ( 00) . ROMANIA: col. cav. Giuseppe Cosentini - in carica dal 1.3.1939 - (
0 ).
SVIZZERA: col. art. (St. Magg.) Tancredi Bianchi - in carica dal 1.12.1938 TANGERI: ten. col. ftr. Aroldo Vinciguerra - in carica dal 1.2.1939 - addetto al Consol ato Generale per il controllo della demiJitarizzazione della zona internazionale. 726
TURCHIA: ten. col. (St. Magg.) Edmondo Zavattari - in carica dal 1.11.1939 accreditato anche per l'Iran e quale ( per la sola Turchia. 0
)
UNGHERIA: col. art. (St. Magg.) Corrado Valfré di Bonzo - in carica dal 10.12.1938 - ( 0 ) ( 0 0 ). Addetti Aeronautici accreditati per il R O Esercito
BRASILE: gen. hrig. aerea Ulisse Longo - in carica da] 1.7.1939 - accreditato anche per tutti i Paesi dell'America Latina. PERU': col. A.A. Carlo Tempesti - in carica dal 15.9.1939 - addeuo aeronautico aggiunto accreditato quale addetto militare aggiunto. PORTOGALLO: ten. col. A.A. Francesco Ferrarin -in carica dal 15.12.1937. USA: col. A.A. Vincenzo Coppola - in carica dal 1.1.1935.
727
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735
INDICE DELLE CARTINE E DEGLI scmzzl
N. 1
N. 2
N. 3
Le direttrici deH 'occupazione italiana dell'Albania fra il 7 ed il W aprile 1939.
pag.
35
Schema del progetto dì collegamento ferroviario transbalcanico proposto nel 1927 dall'addetto militare italiano a Sofia.
"
87
" ,,
115
Cina Orientale: il riquadro delimita l'area dei
combattimenti cino-giapponesi nella zona di Shangai (28.1-12.3.1932). N. 4
La situazione deglì Stati europei nel 1923.
N. 5
La Prussia Orientale. Nel riquadro Danzica e la sua baia.
N. 6
N. 7 N. 8 N. 9
167
220
La suddivisione territoriale dei 7 Wehrkreise tedeschi nel l 933.
"
237
Le annessioni su base politica e militare da parte della Gennania fra il 1936 cd il 1939.
"
270
Gli Stati Baltici: Eestimaa (Estonia); Latvija (Lettonia), Lìetuva (Lituania).
,,
Lo Stato del Manciukuò e la sua collocazione nello scacchiere asiatico nord- orientale.
297 314
,·,
N.rn
La provincia del Jehol.
N. 11
La Turchia Ocçidentale con l'Anatolia, teatro della campagna greco-turca dal 1919 al 1922.
"
342
N. 12
La Cilicia, delimitata nel riquadro.
"
355
N. 13
Gli Stati Balcanici all'inizio degli anni Venti.
,;
415
N. 14
Sintesi grafica della campagna russo-polacca del 1920.
"
417
Quadro riassuntivo della penetrazione in Polonia da parte di Germania e Russia nel settembre 1939.
"
474
N. 15
317
737
N. 16 N. 17
738
Schizzo allegato alla re1azione dell'addetto militare a Berlino dell'S.10.1939. Schizzo allegato alla relazione de11 'addetto militare a Ber1ino de11'8.10. l 939.
pag. 476 "
477
INDICE DEI NOMI DI PERSONA
ACCAME, cap., 422 ADAM, WTLHELM, 246 n. ALBRICCI, Alberico, 425 ALESSANDRO I, re di Grecia, 337 n. ALESSANDRO I, re di Jugoslavia, 183 e n.,397 e n. ALESSANDRO MAGNO, imperatore di Grecia, 637 AMART di S. ADRIANO, Edoardo, 724 AME', Cesare, 596 e n., 597, 598 ANGILLOTII, ten., 462 n., 470 n. ANDERS, Wladislaw, 436 n. ANGIOJ, col., 507 n. ANNIBALE, gen. cartaginese, 637 ANSELMI, Giovanni, 723 ANTONESCU, Jon, 482 n. ARANTTAST, gen. albanese, 26 ARAS, diplomatico turco, 536 ARGHIROPOULOS, Giorgio, 609 ASDRUBALE, condottiero cartaginese, 637 ASSIA (d'), principe Filippo, 269 AUBERSON, consigliere svizzero del Negus, 608 AVARESCU, gen. romeno, 483 AXILEVIS, Kozibaris, 608
BABITSCEFF, Miska, 609 BACCI, cap. vasc., 109 BADINI, Damiano, 285, 726 BADOGLIO, Pietro, 203,357 e n., 419 n., 423,583 BAFFIGI, Enrico, 482 n., 724 BAJRAKTARI, M., 26 BALBO, Italo, 585 e n. BALLABIO, ten., 470 n. BALOCCO, Riccardo, 30,721 BARATIERI, Oreste, 127 n.
739
BARBASETTI di PRUN, Carlo, 199 n,, 210, 722 BARONI, Piero, 595 n. BARRÈRE, Camille, 155 BATRIANU, Jonel, 482 BATRIANU, Vintila, 482 BAUER, Otto, 44 BEAUD, Eugenio, I 05, 723 BECK, Ludwig, 238 e n., 246 n., 249, 250 n., 251, 253 n., 256 BEGUSH, Otto, 609 . BEINOT, gen. francese, 195 BEMPER, W., 605 BENCIVENGA, Roberto, 225,227 n., 229,231,232 BENÈS, Edward, 95, 96 n., 182 BENUSSI, G., 592 n. BERARD, ten. belga, 606 BERAUDO di PRALORMO, Emanuele, 65, 188, 215 did., 241 n.,722 BERGER, Franz, 608 BERGERA, Carlo, 725 8ERTELEMY, gen. francese, 679 BERTHELOT, Philipe, 182 e n. BERTINARIA, Pier Luigi, 587 n. BERTINI, Francesco, 722 BERTONI, Guido, 723, 726 BETHLEN, Istvan, 542 e n., 543 n., 544 BIAGINI, Antonello, 14 n., 16 n., 424 n., 448 n., 468,469 n., 470 n. BIANCHI, Tancredi, 517,520,521 n., 724, 726 BICKEL, ing. svizzero, 608 BINEAU, gen. francese, 195 BISMARCK, Ottone, 217 e n. BLAHA, gen. cecoslovacco, 100 BLASKOWITZ, gen. tedesco, 688 BLOMBERG (von), Werner, 246 n. , 247 e n., 249, 250 e n., 252 n,, 256, 264, 272, 273, 279 n, BLUM, Leon, 102 n., 208 n. BOCK (von), Fedor, 240 e n., 252,689 BOGLIONE, Gabriele, 361 e n., 537, 539 n., 657, 725 BOHLE, uomo politico tedesco, 628 B0JOV1C, gen. jugoslavo, 665 BOMBAGLI, Mario, 33 n. BON, L., 605 BONELLI, Aldo, 721, 725
740
BONFANTI, Luigi, 722, 724, 726 BONNIER, gen. francese, 338 BONOMI, Ivanoe, 224 n. BONSIGNORE, Antonio, 145 n. BONZANI, Alberto, 256 n., 583 e n. · BORBONE (di), Juan Carlos, 271 n. · BOREL, col. francese, 508 BORIS III, re di Bulgaria, 83 e n. BORREMANS, gen. belga, 71 · BOTTI, Ferruccio, 582, 583 e n., 587 n. · BOUVENG, ten. svedese, 607 BOVA, Rentato, 724 BRAGA, Francesco, 500,501 n., 724 BRANCACCIO, gen., 160 n. BRAUCHITSCH (von), Walther, 250 n., 301 e n., 630 BRIAND, Aristide, 192 e n., 223 n., 441 e n. BRIDLER, ufficiale svizzero, 501 BROAD, gen. inglese, 378 BROCCOLI, Umberto, 548 n., 572 n. BRUCK (von der), Moe11er, 606 BRUNNER, Randolph, 609 BUGLIONE di MONALE, magg., 420 n. BURRÙ MENELIK, notabile etiopico, 138
CADORNA, Luigi, 96 n., 419 n., 434 n. CADORNA, Raffaele, 96 e n., 722 CALAMAI, Marco, 105 CALDERINI, Mario, 59 n., 145 e n., 146, 149 n., 150 did., 508 n., 722 CALEFFI, Camillo, 722 CALVOCORESSI, Peter, 167 did., 270 did., 474 did. CAMICIA, Pasquale, 722 CANARIS, Wilhelm, 272 e n. CAPIZZI, Manlio, 725 CARACCIOLO, Mario, 335, 336, 339 n., 368 did, 723 CARBONI, Giacomo, 578 did. CARLO 1, imperatore d'Austria, 152,542 e n. CARLO FRANCESCO, arciduca d'Austria, 151 n. CAROL II, re di Romania, 482 e n., 487, 492,495 CAROSSINI, Ettore, 723 741
CARTON, col. inglese, 444 CASSÀ (Ras), notabile etiopico, 137 CATALANO, F., 593 n. CAVALLERO, Ugo, 419 e n. , 420 e n., 434 n., 594 n. CAVANILIS, Mussa Saba, 608 CEVA, Lucio, 63 n., 582 n., 594 n. CHAMBERLAIN, Arthur Neville, 277 e n., 292, 442 n. CHANGHSUEHLIANG, gen. cinese, 318 CHURCHILL, Winston, 277 n., 292,373 e n.,, 374,375,376 CIANO, Galeazzo, 34 e n., 39, 271 · CICERIN, Giorgio, 443 n. CITTADINI, Arturo, 454 CLAUDEL, gen. francese, 195 CLEMENCEAU, George, 156 e n., 158, 164, 192 n., 221 CLICHITCH, gen. jugoslavo, 209 COCCONI, Fernando, 722 COLLIER, dirigente bancario inglese, 608 COLSON, J., 610 CONDURIOTIS, amm. greco, 337 n. CONDYLIS, gen. greco, 360 COPPI, Amerigo, 16 n., 723 COPPOLA, Vincenzo, 727 CORRELLI, Bamett, 237 did. CORONATI, Emilio, 723, 724 CORTESE, Paolo, 721 COSENTINI, Giuseppe, 724, 726 COSTANTINO I, re di Grecia, 336 n. , 337 e n., 338, 340, 345, 346, 347, 360 n., 361 n. CRESPI, Alfredo, 723 CURAMI, Andrea, 63 n., 582 n., 594 n. CUTOLO, s. ten., 470 n. CURZON, George, 442 e n.
D ' ANNUNZIO, Gabriele, 209, 369 n. D 'ANTONI, Giovanni, 31, 721 DASSIOS, uff. greco, 609 PAWES, funzionario americano, 243 e n. DE ANNA, Luigi, 298 n. DE BOTTINI di S. AGNESE, Achille, 722
742
DE CRTSTOFORTS, Tommaso, 127 n. DE FELICE, Renzo, 198 e n., 202 n., 271 e n. DE FERRAR!, Aldo, 555, 725 DE GAULLE, Charles, 585 e n. DEGONY, P. , 605 DELLA PERUTA, F. ,224 e n., 231 n., 295 n. DELLA PORTA, Guglielmo, 487 n., 488 n., 491 n., 492 n., 724 DEMA, Hysnj, 26 DE MARINIS, Alberto, 448, 450 n., 452 n. DENIKIN, Anton J., 426 e n. DE REFFYE, diplomatico francese, 133 DE RISIO, Carlo, 596 e n., 597 n. DE SIMONE, Paolo, 723 DESTÀ DAMTOU, notabile etiopico, 393,608 DEUNER, Oscar, 606 DEVERREL, gen. inglese, 394 DIAZ, Armando, 419 e n., 420 n., 421 e n., 423,425 DJESBACH (de), col. francese, 508 DI NOLFO, Ennio, 43 e n., 386, 387 n., 523, 524 n. DOHUET, Giulio, 126 n., 585,635 DOLFUSS, Engelbert, 44, 198 DONNARI, Anselmo, 178 n., 379 e n. DOUMEC, col. francese, 168 DRACOPOULOS, affarista greco, 609 DROUILLET, aviatore francese, 605 DUBOIS, ten. belga, 606 DUCA, Giovanni, 74 n., 75 e n., 78 e n., 80, 81 n., 721 DURAND-VIEL, amm. francese, 209 DURIAX, Carlo, 605 DUSMANIS, gen. greco, 345, 347
EBERT, Friedrich, 223 e n., 233, 234 e n., 242, 243 EDEN, Anthony, 292, 607 EGLI, ufficiale svizzero EIFFEL, Alessandro Gustavo, 204 ELENA, principessa di Grecia, 482 n. ENVER PASCIÀ, uomo politico turco, 340 n. ERZBERGER, Mathias, 235 e n. ESTIENNE, gen. francese, 168 n ., 378 743
EXADACTILOS, gen. greco, 345
FABBRI, Umberto, 721 FABRY, uomo politico francese, 169, 173 FALESSl, C. , 592 n. FANTONI, Euclide, 507, 513, 516 n., 517, 724 FASANO, Rodolfo, 269, 613 FAVAGROSSA, Carlo, 594 e n. FEDERICO Il, re dì Prussia, 137 n., 235 e n., 447 n., 636, 637 FEDERICO III, re di Prussia, 217 n. FEDERICOGUGLIELMO, imperatore tedesco, 137 n., 217 n. FEHLMANN, ten. svizzero, 608 FELDMANN, Robert, 606 FERDINANDO I di Hoenzollern, re di Romania, 482 n. FERTGO, Luciano, 724 FERRAR!, Dorello, 587 n. FERRARIN, Francesco, 727 FEVZl, Mustafà, 525 FIER, Giulio, 723 FILIPPI di BOLDISSERO, Vittorio, 724 FILOFERRO, ten. , 470 n. FIORE, G. , 592 n. FIORI, Dino, 26 FLEMING, ing. inglese, 109 FOÀ, magg. , 420 n. FOCH, Ferdinando, 164 n., 196 n., 434 n. FORMENTJNI, Omero, 725 FRABOTTA, Maria Antonietta, 16 n. FRAIPONT, cap. belga, 606 FRANCESCHINI, Anttonio, 724 FRANCESCO FERDINANDO, principe ereditario d'Austria, 151 n. FRANCESCO GIUSEPPE, 151 n., 542 FRANCHET d'ESPEREY, Louis, 162 e n., 189, 194, 195, 196 FRANCHINI STAPPO, Giuseppe, 47 e n., 48, 49 n., 50 n., -51 n., 52 n., 53, 721 FRANCHINO, Umbertino, 423, 424, 449, 455, 724 FRANCO, Francisco Bahamonte, 271 e n. FRATIINI, Emico, 105 e n., 106 e n., 110, 112, 114, 118, 120, , 121, 126, 31:3, 319 n., 332 did. , 723
744
FRÈRE, ten. belga, 606 FREY, Hans, 608 FRITSCH (von), Werner, 246 n., 247 e n., 249,250 n., 251,252 n., 264,279 n. FULLER, James F. C., 378 e n., 379,417 did.
GABBA, Melchiorre, 370 GABRIELLT, Manlio, 30 n., 37, 39 e n., 721 GALET, gen. belga, 65 GALLINARI, Vincenzo, 370 n., 448 n. GAMELIN, Maurice Gustave, 195 e n., 204, 205 GARBAI, Alessandro, 226 n. GARIGIOLI, Arnaldo, 76,550 n., 551 did., 725 GAZZERA, Pietro, 188, 583 e n. GENEVES, M. , 605 GEORGES, Alphonse Joseph, 195, 196 e n. GESSLER, Otto, 246 n. GHJLARDI, (de), Le,on, 27 GIACALONE, ten. , 470 n. GIAMBARTOLOMEI, Aldo, 596 n. GIARDINO, Gaetano, 434 n. GIOLITTI, Giovanni, 370 n. GIONFRIDA, Alessandro, 423 n., 443 n., 448 n., 455 n., 470 n. GIORGIO I, re di Grecia, 337 n. GIORGIO li, re di Grecia, 336 n., 337 n., 360 e n., 361 n. GIOVANNA, principessa di Savoia, 84 GIRAUD, gen. francese, 196 n. GIULIANI, Attilio, 424, 455, 459, 462, 470 n. GLORIA, col. , 377 e n., 582 n.,. 663 GNEISENAU (von), August Wilhelm, 239 e n. GOEBBELS, Joseph, 626 GOGGIA, gen. , 458 n. GOLTZ (von der), gen. tedesco, 137 n. GOMBOS, Gyla, 543 e n. GORING, Hermann, 248 n., 249 e n., 250, 272, 273, 278, 289, 689 GRAMAGLIA, Giuseppe, 285 GRAMAIN, Enrico, 605 GRAMAT, gen. francese \ GRANDECOURT, gen. francese, 639 745
GRANDI, Dino, 34 n. GRAZIOLI, Francesco Saverio, 385 e n., 576 did., 583 e n., 584, 585 GRONER, WiJhelm, 233 e n., 238, 239 n., 246 n. GROSSI, col., 232 n., 432 n., 433 n., 435 n., 447 n. GUDERIAN, Heinz, 253 e n., 300 e n., 590, 634 GUERRIERI, ten. , 470 n. GUGLIELMO I, re di Prussia, 217 n. GUGLIELMO II, re di Prussia, 217 n., 222 GYLLEMBOGEL, diplomatico finlandese, 430, 431
HADJANESTI, gen. greco,'352 HADLER, Franz, 250 n., 253 e n., 633 HALL, consigliere tedesco de] Negus, 606 HALLER, gen. polacco, 467 HAMILTON, A., 201 n. HAMMERSTEIN-EQUORD (von), Kurt, 246 n., 257,262 HANRLOT, Marcel, 210 HÀNSEN, Federico, 606, 608 HARRER, Dimitrievich, 47 HAUSER, uomo politico svizzero, 510 HAYLA SELLASE (HAILÉ-SELASSIÉ), nominativo regale di Ras Tafari, imperatore (Negus Ncghesti) d' Etiopia vedasi TAFARI (Ras) HENLEIN, Konrad, 277,284,287 HENRIS, gen. francese, 427,429 HÉRION, ten. belga, 606 HERR, gen. francese, 174 HERRIOT, Edouard, 182 e n. HERZEL, consigliera de11' Imperatrice etiopica, 606 HESS, Rudolf, 248 e n. HEUMANN, ten . svedese, 607 HEYE, Wilhe1m, 246 HINDENBURG (von), Paul Ludwig, 221 n., 234 e n., 239 n., 242, 243, 245 e n., 247 HITLER, Adolf, 83 n., 233 n., 234 n., 238 e n., 240 n., 241 e n., 245 e n., 246, 247, 248 e n., 249 e n., 250 e n., 252 e n., 253 n., 269, 272 n., 273, 276, 277, 291 , 292, 301 n., 308 did. HOARE, Samuel, 203, 388 746
HOBART, Percy C. S. , 253 n., 378 e n., 586 HOLT, col. inglese, 607 HORTHY, Miklos Nicolas, 226 n., 542 e n.
IANNELLI, Pasquale, 62 n. IDONE, Francesco, 721 IKEDA, ufficiale di marina giapponese, 321 INFANTE, Adolfo, 379 e n., 384 e n., 385 n., 396 did., 584, 585 n., 723 INUKAT, Tasuyoshi, 332 did. ISMET PASCIÀ, gen. turco, 341, 343,344,346,348, 349 IVALDI, Giuseppe, 471,473 n., 724 JACOBS, aviatore americano, 609 JACOBSEN, reclutatore tedesco, 260 JANCOVITCH, faccendiere serbo, 47 JANSA, gen. austriaco, 59, 60, 61 JELLA, politico albanese, 27 JOASSAERT, dirigente industriale belga, 76, 77 JODL, Alfred, 250 e n. JMERÙ (Ras), notabile etiopico, 144
KANAVALOFF, col. russo, 609 KAPP, Wolfang,241 e n. KARAGJORGJEVIC, Paolo, reggente al trono di Jugoslavia, 398 KARAGJORGJEVIC, Pietro, re di Serbia, 397 n. KARAKAN, diplomatico russo KAROLYI, Michel, 541 e n., 543 KEHIADOCOS, cap. greco, 608 KEITEL (von), Wilhelm,250 n., 264 e n., 272 KELLER, ufficiale svizzzero, 501 KELLNER, Arturo, 200 n., 206 n., 411 did., 722, 724 KEMAL, Mustafà (Atattirk), 340 e n., 343, 344, 346, 347, 348, 349,352,361,523,524 KENG THE (Haiian-Tung), imperatore del Manciukuò, 313 KERENSKIJ, Alexander F., 426 e n., 431,437,468 KESSERLING, Albert, 689 KIEPERT, cartografo tedesco, 640 KIRKS, gen. inglese, 372 747
KLECHANDA, gen, cecoslovacco, 180 KLUGE ( von), Giinther, 689 KNIGHT-PATIERSON, W. M. , 244 n. KORFANTY, Wojciech, 451,453 KOTIA, politico albanese, 27 KRONG, magg. inglese, 285 KUCKLER (von), George, 689 KUN, Bela, 226 e n., 541 e n., 543 n.
LA CHEN, Pang, 333 did. LACHÉZE, diplomatico francese, 133 LAPRADELLE (de), A., 387 e n. LA TERZA, Pier Luigi, 1O, 11 n. LAUFLER, Vincenzo, 499 LAURO, rappresentante industriale, 464 LAVAL, Pierre, 181 n., 197 e n., 198,202,203 LECOCQ, esponente industriale belga, 76 LEEB (von), Wilhelm Ritter, 252 e n. LEGER, Alexis, 199 LENIN, Vladimiro Il' ic Ulianov, 163,430,431,442 n., 444 e n., 541,553,554 e n. LEONE, Vincenzo, 105~ 723 LEOPOLDO I, re del Belgio, 178 e n. LEROND, gen. francese, 448 LE TELLIER, alto funzionario belga, 77 LIDDELL HART, Basil Henry, 253 n., 378 e n., 379, 590 n. LIEBKNECHT, Karl, 223 e n. LIEBKNECHT, Wilhelrn, 223 n. LINDBERG, Charles, 184, 185 LINDSAY, gen. inglese, 378 LIST (von), Siegrnund Wilhelm, 688 LIUBITZA, George David, 369, 442 e n., 452 LLOYD, George David, 369,442 e n., 452 LOHR, gen. tedesco, 689 LONGO, Ulisse, 727 LUDENDORFF, Erich, 221 n., 233 n., 234 e n., 241 n. LUPESCU, Magda, 482 n. LUTZ, Oswald, 251 LUTWITZ (von), Walther, 241 n. 748
LUXEMBURG, Rosa, 223 e n. LYAUTEY, Louis Uberto, 195 e n., 196
MAC DONALO, Giacomo Ramsay, 198 e n. MAFALDA, principessa di Savoia, 269 MAGINOT, André, 168, 189 e n., 204,252 n., 515,586 n. MAGISTRATI, Massimo, 272 MAGLTNSE, gen. belga, 180 MAGLIONE, gen. argentino, 188 MAINARDI, ten. , 462 e n., 470 n. MAKONNEN (Ras), notabile etiopico, 127 n., 130 MALTESE, Enrico, 15 n., 65, 721 MALUSARDI, ten. , 229 MANCTNELLI, Giuseppe, 254 e n., 258 n., 260 e n., 261 n., 262 n., 264 e n., 307 did., 308 did., 723 MANGANO, Ignazio, 425 MANGIN, ufficiale francese, 187 MANNERINI, A1berto, 525, 530, 532 n., 533 n., 535 e n., 537 e n., 725 MARAZZINI, Mario, 724 MARCHETTI, funzionario francese, 187 MARIA, regina di Romania, 397 n., 482 n. MARTETTI, generale, 47 n.; 49 n., 50 n., 51 n., 52 n., 434 n. MARONI, funzionario d'ambasciata, 313 n. MARRAS; Efisio, 263, 264 e n., 268 n., 269, 273 n., 278, 280 e n., 281 e n., 283, 284, 285, 293, 294, 295, 296, 301, 304, 306, 306, 308 did., 309 dìd., 402, 410 n., 588, 589 e n., 633, 723, 726 MARTEL, Giffard L. Q. , 378 e n. MARTIN-FRANKLIN , Giorgio, 168 n., 170 n., 171 e n., 172 n., 174 n., 175 n., 177 n., 179 n., 188 e n., 722 MARZORATl, Santo, 228, 229 MASSER, Herbert, 606 MASARYK, Thomas, 95 e n., 96 n. MASSIMILIANO d' ASBURGO (Ferdinando Carlo), imperatore del Messico, J51 n. MATTIOLI, Enrico, 549 n., 725 MELOGRANI, P. , 595 n. MENELJK II, imperatore d'Etiopia, 127 n. 749
MENEN, imperatrice etipica, 606 MERCALLI, Luigi, 724 MERDAZMAO ASFAUOSSEN, principe ereditario etiopico, 137 ' METAXAS, Joannis, 360 e n ., 362,652 MICHAELIS, gen. polacco, 436 MICHELE, re di Romania, 482 n; MINNITI, F. , 190 n., 594 n., 595 n. MONDADORI, Umberto, 389 n., 390 n., 39"1 n., 393 n., 724 MONDINI, Luigi, 62 e n. , 63 n., 260 n., 365, 366, 367 n., 721 MONTAGNA, G. Carlo, 418 MONTANARI, Mario, 19 n., 23 n., 35 did, 362 n., 386 n., 395 n., 415 did MONTGOMERY, Bemard Law, 590 n. MORI, G. ,595 n. MORIN, Sebastiano, 723 MOTIA, Giuseppe, 509,511 MOTTE, cap. belga, 606 MURAI, console giapponese, 108, 109, 110 MUSA, politico albanese, 27 MUSSOLINI, Benito, 22, 34 n ., 36, 44, 46 n., 61, 62, 102, 127, 180, 182, 190, 197, 198 e n. , 202 n., 209, 263, 269, 271 , 278 , 292, 353, 363, 385, 386, 393, 501, 509, 543 n., 585, 595 n., 600 MUSSOLINI, Edda, 34 n., 35 n.
n:
NAPOLEONE I;Buonaparte, 239 n. NASI, Guglielmo, 179 e n., 180 n., 214 did., 722 NASIBÙ, notabile etiopico, 606, 607 NEARS, Elliol Grin, 639 NETHERCOAT, ing. inglese, 607 NICOLA, re del Montenegro, 19 n., 153 e n. NICOLIS di ROBILANT, Mario, 369 e n.,434 n. . NIEDRICHS (von), nobile austriaco, 609 NTESSEL, gcn. francese, 209 NIESSEL, gen. polacco, 452 NINCIC, Mancilo, 183 e n. NITTI, Francesco Saverio, 370 e n., 418, 420 NIVELLE, Roberto, 181 n. NORMAN (de), ten. belga, 606 NORMANO, gen. francese, 639
750
NOSKE, Gustav, 233 e n., 234, 241 n. NOULENS, diplomatico francese, 209,467 NUTI, L. , 448 n.
OESTREICHER, Vittorio Emanuele, 606 OLOFF, Hugh, 607 ORLANDO, Vittorio Emanuele;154, 156, 159, 369,370,418,423 OXILIA, G. Battista, 546 n., 725
PACIFICI, Dante, 724 PADEREWSKT, Tgnacy, 413 e n., 678 PAPI, E. ·, 592 n. PALLAVICINI, cap., 470 n. PALLTS, gen. greco, 347 PANHUIS, gen. belga, 180 PAOLI, funzionario francese, 187 PAOLOZZI, Mauro, 425 PAPEN (von), Fraanz, 245 e n. PAPOULAS, gen. greco, 341, 343, 344,345,347 PARASKEVOPOULOS, gen. greco, 339, 341 PARIANI, Alberto, 22 n., 24, 26, 28 n., 29, 30 e n., 40 did., 309 did., 512,513,587 e n., 721 PARVOPASSU, Giuseppe, 425, 455, 456 n., 458 e n., 459, 460 e n., 464, 465 e n. PASQUALINI, Maria Gabriella, 525 n. PEDRAZZI, Affigo, 230 PEDONI, ten. col. , 309 did. PEDRIALI, F., 198 n. PELAGALLI, Sergio, 264 n., 269,283 e n. PENNAROLI, Marco, 722 PENTIMALLT, Natale, 438 n., 500, 724 PERCIVAL, col. inglese, 448 PERELLI, gen., 370,371 n., 372,374,377 n., 723 PERRONE, Adolfo, 510 n., 511 n., 638,639,640,641, 724 PERRONE di S. MARTINO, Fernando, 339, 347, 351, 352 n., 353, 354, 357 e n., 358, 359,723 751
PÉTAIN, Henry Philippe, 181 e n., 195 n., 197 n., 585 n. PETRILLI, P. , 592 n. PIACENTINI, Settimio, 19 n., 158 PIACENZA, Guido, 576 did., 725 PIETRO, principe ereditario del regno S.H.S., 397 n., 398' PIETRO KARAGJORGEVJEYIC, re deUa Serbia, 183 n., 398 ·PIGNATELLT, Luigi, 387 n. PIGNATO, Nicola, 590 n., 592 n. PILSUDSKI,JòsefKlemens, 413 e n., 414,421,429,431,432, 433, 435 n., 436, 437, 440, 446, 452,453,454,468,469,473,684 POINCARÉ, Raymond, 164 e n., 165, 181, 182, 192, 442 POINLEVÉ, minisstro francese, 181 POLTMENAKOS, gen. greco, 345, 346 POLLIO, Alberto, 419 n. PONZA di S. MARTINO, Dionigi, 59, 61 e n., 721 PRINCIPINI, Omero, 106, 107 n., 722,725 PRIOUX, col. francese, 605 PUGNANI, Alberto, 582 n., 592 n.
RADIC, Paolo, 397 n. RADIC, Stefano, 397 e n. RAEDER (von), Erich,. 247 e 11., 249, 250 RAMPSADER, E. G. , 168 n. RATHENAU, Walther, 219 e n., 235 RE, ten. col. , 309 did. REICHENAU (von), Walther, 256, 688 REIF, Enrico, 47 REFET PASCIÀ, gen. turco, 343 REMPLER, A. ,609 RENNER, Karl, 44 e n. RENOUVIN, P. , 166 n. RETINÒ, Giuseppe, 424, 470 n. REUL, col. belga, 606 RICCARDI, dirigente industriale, 490 n. RICCI, Francesco Giuseppe, 9 e n. RICKETT, faccendiere americano, 203 RIGGI, Gino, 723 RIKHARD, gen. russo, 567 752
ROATTA, Mario, 193, 194 n., 264 e n., 296 e n ., 479 did., 588, 589 n., 723, 724 RODA, Alberto, 100 n., 101 n., 103 n., 722 ROERO di CORTANZE, Giuseppe, 473, 478 n., 694 ROHM, Ernst, 246 n., 247 ROMANO AVEZZANA, Camillo, 46 e n. ROMEI-LONGHENA, Giovanni, 418 n., 424 e n., 425, 426, 427 e n., 428, 429, 430 e n., 431 n., 432, 433, 435, 436 e n., 437 n., 438, 439, 440 e n., 441, 442 e n., 443 e n., 444, 445 e n., 446 e n., 450 e n., 451 e n., 452 e n., 454 e n., 455 e n., 456, 458, 459 n., 460, 461 e n., 463 e n., 464 e n., 465, 466, 468, 469, 470, 471 n., 479 did., 724 ROMEO, Rosario, 593 n. ROMERO, Federico, 513 n. ROSATI, Ulisse, 209 n. ROSSI, funzionario francese, 187 ROSSI, Camillo, 723 ROSSI, Mruio, 726 ROSVADOWSKI, gen. polacco, 432, 433, 683, 684 ROVIGHI, Alberto, 14 n., 497 e n., 509 n., 513 o. RUCART, deputato francese, 206 RUGGERl LADERCHI, Cesare, 724,726 RUGGERO, Vittorio, 13 I e n., 134, 135 n., 136 n., 722 RUNSTEDT (von), Gerd, 252 e n., 688
SACCHETTI, Remo, 723 SALANDRA, Antonio, 76 SALANDRA, Mario, 76 SALETTA, Tancredi, 419 n. SAMUEL, Y. S. , 608 SANDFORD, col. inglese, 607 SANTINDLER, Hoscinerich, 608 SAPIEHA, principe polacco, 432 SARTI, R. , 595 n. 753
SAZONOW, uomo politico russo, 431 SAWINCHOW, Boris, 437,468 SCALISE, Guglielmo, 106, 319 e n., 323 n., 324 n., 326, 327, 328 n., 329 n., 331 n., 723 SCHARNHORST (von), Gerard J. D. , 239 e n. SCHETDEMANN, Philip, 223 e n . SCHLEICHER (von), Kurt, 233 e n., 245, 246 n. SCIPIONI, Scipione, 457 n. SEECKT (von), Hans, 239 e n., 240,241 e n., 242,252 n., 262 SEGRE, gen., 422 SEGRETO, L., 594 n. SETLER, ten. svizzero, 608 SETPEL, Ignaz, 44 e n. SEJUM (Ras), notabile etiopico, 131, 137 SELLA, Piero, 314 did., 317 did. SEROS, gen. francese, 178 SEYDLTZ, gen. tedesco, 637 SGARBEK, uomo politico polacco, 683 SHIGEYASU, cap. giapponese, 321 SHIOZAWA, amm. giapponese, 108, 109, 110, 111 SHIRER, W. L. ,296 n. SKIRMUNT, Kostanty, 441 SIGNORINI, tcn. , 470 n. SIKORSKI. Wladyslaw, 435 e n., 436, 440, 441, 445, 450, 467 SILLI, Oreste, 726 SMIGLY-RYDZ, gen. polacco, 472, 694 SODDU, Ubaldo, 399 n., 570 n. SOFIA di BAVIERA, arciduchessa d'Austria, 151 n. SOGNO, col. , 197 n., 506 n. SOLAKIAN, Archak, 639 SONNINO, Sidney, 153 e n., 154, 156, 370, 423 SORAGNA (di), marchese, 24 SORICE, Antonio, 366 n. SOSNKOWSKI, gen. polacco, 429, 432, 436, 440, 441 , 694 SOVERA, Tullio, 722 SPENCER, Herbert, 610 , . SPENGLER, Oswald,221 e n., 222 n. SPERRLE, Hugo, 606 SPIGO, Umberto, 84, 86, 90, 93 n., 722 SPRECHER (von), ufficiale svizzero, 501 STABILE, Giuseppe, 422,425,437 754
SBULJSKIJSKI, Alexander, 83 e n. STALIN, Josif Yisarionovic Djugeshvil, 226 n., 443 n., 554 e n., 573 STOJADINEVIC, politico jugoslavo, 36 STEFANI, Filippo, 14 n., 362 n. STRATIGOS, Senofonte, 347 STRESEMANN, Gustav, 192 n., 223 e n., 243,441 n. SUCHERT, ten. , 470 n. SWINTON, gcn. inglese, 378 SYROVY, gen. cecoslovacco, 100 SZEPTYCKI, arcivescovo ruteno, 439
TACITO, Cornelio, 217 TAFARI (Ras), imperatore d' Etiopia (Negus Neghesti) con il nome di Hayla Sellase (Hailé-Selassié), "I 27 e n., 128, 133, 134, 135 TAHIR, col. turco, 609 TAMM,cap. svedcse,607 TANGYULIN, governatore cinese, 319 TATARESCU, uomo politico romeno, 488 TAYLOR, col. inglese, 607 TELFORD, T. ,238 n., 240 n., 267 n. TELLERE, ten. col. ,502 n. TEMPESTI, Car1o, 727 TERMONIA, gen. belga, 180 THEOTOCHIS, ministro greco, 347 THOMAS, H. , 606 THORBURN, tcn. svedese, 607 TTMOTIEVIC, Costantino, 669 TTRPITZ (von), Alfred, 221 n . TISST, ten. col. , 449,450 n. TOLAND, J. ,107 n. TOMASI TORRETTA (marchese della), Pio, 418 n. TOMISLAVO, principe del regno S.H.S. TOMMASI, funzionario francese, 187 TOMMASINI, Franceso, 421,425, 462 TONINT, ten. col., 470 n. TORCOM, gen. armeno, 353,357,638 TORRE, Pietro, 105 TRAMPCZYNSKI, Wojcilch, 432
755
TRIONFI, Luigi, 723 TRIPICCIONE, col. , 30, 74 n., 568 n., 570 n. TROTHA (von), Adolf, 227 n. TR01ZKI (Lev Davidovic Bronstein), 430,442 e n., 444 e n., 445, 554 n. TUCCI, Carlo, 513 n., 726 TUMEDEI, Cesare, 723
USHJTMA, coL giapponese, 322
VACCARI, Giuseppe, 457 n., 465 e n. VALFRÉ di BONZO, Carmelo, 722,725,727 VAN den EYNDE, magg. belga, 606 · VAN FLETEREN, ten. belga, 606 VANNI, dirigente FF.SS. , 78 VANZTNI, Filippo, 105, 723 VASSILIKIOTIS, ufficiale greco, 609 VATTEVILLE (de), ufficiale svizzero, 501 VECCHIARELLI, Carlo, 53, 54 n., l 04 did., 721, 722 VEIDHORT, Eleuterio, 336 e n., 337 e n., 338, 339, 340, 360, 361 n. VENTURI, cap. , 470 VERDAS, Antonos, 608 VIGEVANO, Attilio, 597 VINCIGUERRA, Aroldo, 726 VISEUR, cap. belga, 606 VISCONTI PRASCA, Sebastiano, 209 n., 211 n.,. 399 e n., 400 e Il., 411 did., 722, 724 VITALE, ten. , 470 n. VITALE, Umberto, 725 VITELLI, ten. col., 525 n., 725 VITTORIO EMANUELE III, 19 n., 36 n., 84, 153, 269, 452 VIVIANI, Ambrogio, 596 n. VOLK, gen. tedesco, 309 did. VOROSCILOV, Klimenti Efremovic, 573 e n., 575
WAWELL, Archibald Percivéil, 378 n. 756
WEBER, Ludovico, 605 WEHIB, gen.turco, 608, 609 WEYGAND, Maxime, 195 e n., 196,431 WHELER-BENNET, J. W., 221 n., 234 n., 246 n., 250 n. WIED (di), Guglielmo, 18 n., 21 n. WILBERG, generale della Luftwaffe, 273 WILLE, gen. svizzero, 498 WTLLMSON, ten. inglese, 607 WILSON, gen. inglese, 378 n., 436 n. WILSON, Thomas Woodrow, "I 51 n., 153, 154, 155, 156, 157, 158,159, 679 WINCKELS (de), Gilbert, 722 WINT, Guy, 167 did., 270 did., 474 did. WITMER, ten. belga, 606 WIITLING, cap. svizzero, 608 WOJCTCKOWSKI, uomo politico polacco, 473 WU TIEH CHEN, governatore cinese, 109
YUMA, uomo politico albanese, 27
ZAMAGNI, V. , 594 n. ZANOTTI, Mario, 724 ZAVATfART, Edmondo, 725, 727 ZELIGOWSKI, gen. polacco, 456 ZERVOS, diplomatico greco, 609 ZEUDIÉ, notabile etiopico, 607 ZOGOLLI (ZOGU), Achemed, 21 e n., 22 n., 23, 24, 30, 34, 36 n. ZUKOV, Georgy Kostantinovic, 573 n. ZURETTI, Gian Franco, 145 n.
757
INDICE.GENERALE
pag.
3
Abbreviazioni e sigle
"
5
Introduzione ...... ........ .
"
9
Cap. I -Albania......... . .. ..... .......... ..... .. .. ... La genesi dei rapporti italo-albanesi ..... .. .... ... ....... .. La situazione in Albania nel 1930.. .. ..... ............ . La crisi nella collaborazione militare ........ .. .. ......... ... . .... ............ .... .. .. L' «Esigenza A.G.». ..
" ,, ,,
17 17 24 30 33
Presentazione .... .
" ,,
Cap. Il - Austria .. . .... .. .. .. . .. ... .... . . .. - L'occultamento ed il contrabbando di materiale bel. .................. . lico............ .. La seconda metà degli anni Venti .... .. ...... . . La co11aborazione militare ............. ........ ... .
"
,,"
45 51 59
Cap. ID - Belgio .. .. .. .. .. .. ... .. ............ .... .... . Una concezione militare in chiave solo difensiva ... . - La Sapiex S.p.a. . ................... ... . .............. .
" " "
65 65 75
Cap. IV - Bulgaria ................ .'. ... .. . - Il progetto ferroviario trans balcanico ..
"
83 83
,,
"
,,
43
"
95 95
"
99
Cap. VI - Cina .... ........................................... ....... ..................... - Gli scontri cino-giapponesi di Shangai (28.112.3.1932)...... .... .. .............. .
"
105
"
105
Cap. VII - Etiopia .. .. .............. ...... .. I1 riformismo di un «tiranno i11uminato»...... ... ...... . . - Vigilia di guerra......... ... ..... ..... . ............. ....... ..... .
" " "
127 127 143
Cap. V - Cecoslovacchia.. . .. .. .. .. .. .. ... .. .. .. . . . .. .... ...... . 1930: un esercito efficiente .. ... .. .. .. .. .. .. .. .. .. . .. - Le ripercussioni militari e politiche del conflitto italo-etiopico ....... ...... ...... .... . ... .. . ............... .... ..
759
• pag. Cap. VIII - Francia ... .... .. ... .. ....... ............ .... . Versai11es ed il contenzioso adriatico e balcanico .. .. Gli anni Venti: aspetti militari e politici ... .. .... .. ..... .. Prima e dopo la guerra italo-etiopica .... .. .............. . " Cap. IX - Germania .... ............ ........ ......... .. ... ..... ...... - Una pace preludio di guerra .. . ........ .. ..... .... - L'avvio della repubblica di Weimar ..... .................. .. - La Reichswehr .... .... ... ... ..... ... .... .... .... .... ....... . - Nasce la Wehrmacht .. ...... .. .. ... .. .. ... ... .... .. - La normativa tattica tedesca nel 1934 ... .............. .. ... - La campagna d'Etiopia .. ...... .. ... .. .. ...... .... Il periodo Marras ...... ........ . Un biennio cruciale ... .. .. .. . - La questione cecoslovacca .. ........ ...... ..... .. .... ........ .... .. .. .... . Il problema polacco. ... . .. .. . .. ...... ... .. - Le forze corazzate ... .. . .... .......... .... .. ...... .. .... .. ....
Cap. X - Giappone .. .. . .. .... ... ..... ...... ....... .. .. Il Jehol, una finestra sulla Mongolia ... .. .......... ... . L' Italia in Africa Orientale: la posizione di Tokyo .. . Le prospettive tecnico-industriali.. .... . ... .. .. .... .
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" " " " ,,
"
151 151 164 188
217 217
222 231 243 253 259 263 276 281 293 299 311 315 319
324
"
335 335 339 353 360
Cap. XII - Inghilterra... .. ........ ........ .. ........ ........ .... ... - Il primo dopoguerra.... .... ... . . .. ... .... .. .. .. ...... .. ......... .... - Lo sviluppo della meccanizzazione.. ............... ...... . - La problematica italo-abissina .. . .. ...... .... .... ... .. .. ......
" " "
369 369 377 385
çap. XIII - Jugoslavia .. ....... ....... .. .... .. .. ... ... .... .... . 1930: l'ipotesi di un conflitto con l'Italia ... .... ..... .. - 1930: la struttura dell'esercito.. ... ... ...... .. .... .... .... .. .
" " "
397 397 402
Cap. XIV - Polonia ... ......... ... ........ .................. .. ... .. .. . Subito dopo la. I guerra mondiale.... .. .... .. . ... .. ...... - l rapporti con l'Italia .... ..... ... ...... . . ... ................... .
" " ,,
413 413
Cap. XI - Grecia . ......... ..... .. .. . .... ..... ... - La situazione politica e militare nel 1919 .. ... ....... .. - La campagna contro i turchi... ... .... . . ... .. .. ... ... . Il progetto italiano di occupazione della Cilicia. ... ...... ... ..... . - L' ultimo scorcio di pace ..... ..
0
760
" ,,
416
- L'addetto militare italiano a Varsavia fra il 1919 ed il 1922........ ...... .. .... ... .... . ... .. .... .... .... .. ... ... ... .. .. pag. ",, La questione del l'Alta Slesia .. ............ .... ... .. L'attività di carattere aeronautico .. .... ..... .. .... .. ... .. .. . Dal «dopo Romei» alla «finis Poloniae».. .... ....... .... . " Cap. XV - Romania .. ... ........ ...... ....... .... ..... ....... .. .... Un esercito contadino e franco-dipendente . ........... . - La penetrazione industriale italiana..... ........ ... - Un'autonomia solo parziale . . ... .. .. .. .........
" " ,,
"
Cap. XVI - Svizzera.. .. ..... ...... .... ....... .. ... ......... ..... .. " Il quinquennio successivo al 1° conflitto mondiale " Lo strumento militare nella prima metà degli annj Trenta. ... ........ ... .... ... . ........ . " 1930-1939: una neutralità assoluta ma vigile ... ...... . - La copertura delle frontiere ne11 'imminenza della 2a guerra mondiale.. .. ...... .... ... .
..
Cap. XVII - Turchia... .... ..... .......... ... . Il nuovo esercito kemalista... . ....... ... ... .. 11 ruolo mediterraneo della Turchia nel 1935-1936 Le forniture militari: aspetti e procedure ..... ... . Cap. XVIII - Ungheria ......... ..... .. ..... ..... ... ..... .. ....... . Un' amicizia con qualche riserva .... .... ... ........ ......... .. L'apparato bellico nel 1930 .. L'atteggiamento sull'intervento italiano in Etiopia Propaganda militare filoitaliana .. .... .. .... ...... ... .. .... .. .
"
" "
422
447 455 465
481 481 486 492 497 497 501 509 516
523 523
"
533 537
" " " "
541 544 547
"
549
"
541
Cap. XIX - URSS .... .. ... ..... ....... ...... ..... .. ... ... ..... ...... . Dalla rivoluzione alla ricostruzione .. ..... .... .. .. ..... ... . - La seconda metà degli anni Trenta. ... .. ..... .... .. .... . .
'' "
553 553 562
Cap. XX - Considerazioni conclusive.. . ...... .. ........... .
"
579
Allegati ... ........ ............... .. .. .... ... ... .. ..... ...... ..... .... .. ..... . " l. Elenco nominati vo di personale straniero militare ,, e civile al servizio dell' Etiopia (1936) .. ... .
603 605
2. Schema di contratto per l'arruolamento mercenario in una «Legione Africana» organizzata dai tedeschi a favore dell'Etiopia (l 935) . . . . .. ....... .. "
611 761
3. Osservazioni circa la dottrina tattico-operativa tedesca in rapporto a quella italiana... ... . . . ... pag.
613
4. Relazione su1Ie manovre 1937 delle forze armate tedesche . .. .... .... ... .. . . . .. ... .. .... ... .. ... . .. .. .. .. .. ... . " 5. L'organizzazione della propaganda in Germania ... "
625
6. Rappmto sulle fortificazioni tedesche alla frontiera occidentale (1939) . ... ....... ...... . ..... ..... . .... ... . ... "
630
7. Considerazioni finali della monografia del gen. Guderian suJla cooperazione delle unità carristc con le altre armi ....... ..... ...... ........ ........ . ........... .... . "
634
8. Commento dell'Ufficio del Capo di Stato Maggiore Generale circa un progetto dell' Addello Militare italiano ad Atene per l'occupazione della ,, Cilicia (1927) .............. ..... ................. . ... . .
638
9. Rapporto sugli intendimenti operativi de11o Stato Maggiore greco nei riguardi di Albanià, Jugoslavia e Bulgaria ( 1938). .. ... .. ... ... .. .... .. ..... .... .
651
IO. Cenni sulla formazione, ordinamento e spirito del" 1' esercito britannico nella prima guerra mondiale 11 . Considerazioni politico-militari dell'Alto Comando jugoslavo per l'eventualità di un conflit,, to con l'Italia (1928). . ... .... ....... .... . ..... ........... ..... .
618
658
665
12. Relazione su11a situazione generale della Polonia e sulle prospellive di una penetrazione commerciale ed industriale italiana (1919) . ..... .. .... .... .. ....... ..... .. "
677
13. Relazione riassuntiva sulla campagna tedesco,, polacca del 1939............... ... ......... .... ... ..... ........ .
686
14. Note sull'istruzione al tiro individuale presso la ,, Scuola Reclute dell'esercito svizzero... .... ......... .
695
15. Versione riassuntiva dei principali paragrafi del «Regolamento di campagna provvisorio del- · l'URSS - edizione 1936» .. ... ... ....... ... ... .......... ... .... "
698
16. Norme per l' impiego dei carri armati dell' esercito russo tratta dal «Regolamento di campagna provvisorio 1936».... ............... ...... .... .... ....... ...... ..... .... . "
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762
Appendice
pag.
A. Quadro riepilogalivo degli addetti militari italiani accreditati presso le nazioni e nel periodo in esame "
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721
B. Situ az ion e deg li addetti mi1itari itali ani al 31.12.1939..... ..... ........ .. ..... .. ..
······· ··· ··· ··· ···
Bibliografia ....... ......... .
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725
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729
Indice delle cartine e degli schizzi ....
737
Indice dei nomi di persona ..... .. ... ..
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739
Indice generale ..
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