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Maggio – Giugno 1942
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Il sommergibile Reginaldo Giuliani sotto attacco aereo
Di fronte alla conclusione favorevolissima delle prime operazioni nelle acque tra le Bahamas e la coste settentrionale del Brasile, nei mesi di febbraio e l’aprile 1942, che aveva portato i sommergibili Da Vinci, Torelli, Morosini, Finzi, Tazzoli e Calvi ad affondare ventuno navi mercantili per 118.697 tsl.,1 Betasom decise di inviare nelle acque americane tutti i sommergibili che gli restavano disponibili. Quel Comando considerò che pur comportando la distanza dagli obiettivi una navigazione di trasferimento lunga e faticosa, tale zona era divenuta la più economica dal punto di vista dell'impiego del sommergibile, perché era possibile conseguirvi ottimi successi con minimi rischi.
Quale settore operativo fu scelto quello brasiliano di Capo San Rocco, e ciò fu fatto sulla base dei concetti esposti a Supermarina, con la relazione n. 374/SRP del 12 agosto 1942 compilata dal capitano di vascello Polacchini, in cui era riportato:
L'attacco al traffico isolato, quando è intenso, è l'impiego dei sommergibili che dà maggiori risultati con rischi minori di quelli a cui si va incontro nella guerra al traffico convogliato sotto scorta; è impiego sempre da preferirsi, specialmente per i nostri sommergibili, date le loro caratteristiche costruttive e la preparazione e l'allenamento del personale.
I lusinghieri risultati conseguiti nella prima missione effettuata dalle nostre unità nella zona delle Americhe ne hanno dato piena conferma.
Occorreva quindi insistere su tale forma di impiego fino a che la situazione si presentasse favorevole, portando la offesa in zone nuove, di sicuro traffico, dove il nemico non avesse ancora organizzato il convogliamento, la sorveglianza e la ricerca dei sommergibili; con le poche unità a disposizione bisognava agire di sorpresa e nella forma più efficace e redditizia.
Si può aggiungere che l'esiguo numero di unità, mentre da un lato imponeva di sfruttarle al massimo al fine di raggiungere i maggiori risultati, dall'altro sconsigliava, fino a che possibile, la guerra al traffico convogliato, sia perché in essa
1 Francesco Mattesini, “Betasom. La guerra negli Oceani (1940-1943)”, Ufficio Storico della Marina Militare, 1a edizione 1993, 2a edizione 2003 (rivisitata e ampliata); Francesco Mattesini, L’attacco dei sommergibili di “Betasom” dalle Isole Bahamas alle coste Brasiliane (Febbraio – Aprile 1942), in Accademia EDU.
è elemento determinante di successo la massa, sia perché le inevitabili perdite conseguenti al maggior rischio avrebbero assottigliato rapidamente il numero delle nostre unità, fino ad annullare praticamente l'efficacia delle nostre armi nell'oceano.
Partendo dai predetti concetti, questo Comando Superiore, nello studio e nella preparazione della missione, prescelse la zona di Capo San Rocco ed isole antistanti, non ancora sfruttata, perché in essa solo fugacemente era apparso il CALVI, mai sommergibili alleati, zona focale di traffico, prevalentemente ancora sotto scarsa sorveglianza nemica.
L’ammiraglio Romolo Polacchini, Comandante della Base atlantica (al centro) e il capitano di fregata Giuseppe Caridi, suo capo di stato maggiore, con l’ambasciatore d’Italia a Berlino Dino Alfieri in visita a Betasom, che saluta romanamente il plotone d’onore del Reggimento San Marco.
In tale zona, di sicuro transito, con i sommergibili opportunamente dislocati, poteva essere intercettato un ampio traffico, interessante le Americhe, l'Europa, l'Africa e più oltre.
Anche l'intero Mar dei Caraibi ed i suoi passi, nonché la zona delle coste occidentali dell'Africa, si presentavano favorevoli; ma il primo teatro fu escluso, perché in esso già da tempo operavano in gran numero i sommergibili alleati e perché le autonomie dei sommergibili pronti alla partenza non erano tali da consentire un efficace e prolungato impiego in quella lontana zona; mentre il secondo, in cui era previsto l'invio di qualche sommergibile alleato, fu tenuto come
riserva per le rotte di ritorno delle nostre unità, o per il caso che la zona di Capo San Rocco si fosse subito dimostrata poco redditizia.
In conclusione, fu il concetto sorpresa l'elemento determinante della zona prescelta, sulla quale già si avevano elementi probativi per la fugace apparizione del CALVI
In accordo con il B.d.U., che si apprestava anch'esso ad inviare nelle acque del Brasile un gruppo di U-boote, Betasom dispose le partenze dei sommergibili Cappellini, Barbarigo, Archimede, Bagnolini e Da Vinci per trasferirli nelle prescelte zone di operazione situate tra Capo San Rocco e le Isole Rocas e Fernando de Noronha e per attuare uno sbarramento in quell'importante nodo di traffico, che venne prolungato verso ponente dai sommergibili tedeschi U-126, U-128 e U-161.
Ancora una volta le unità subacquee italiane furono accuratamente messe nelle migliori condizioni di efficienza, e fermi restando, in linea di massima, i provvedimenti già attuati nelle spedizioni precedenti e che si erano dimostrati soddisfacenti, Betasom studiò e attuò tutte le misure necessarie all'incremento delle autonomie di navigazione e delle possibilità belliche. In particolare, furono aumentate le dotazioni dei viveri, portate con opportuni adattamenti a settantacinque giorni; e, come è dimostrato nella seguente tabella, fu incrementata la quantità di nafta e di oli per le macchine e il munizionamento in siluri e granate.
Particolare cura fu poi posta nel fissare le norme più adatte per migliorare 1'eventuale rifornimento in mare aperto a quei sommergibili che fossero rimasti a corto di nafta, per mezzo di battelli che ne possedevano in quantità esuberante per affrontare la rotta del ritorno, e fu anche migliorato il servizio delle comunicazioni, allo scopo di eliminare gli inconvenienti riscontrati nella precedente spedizione. Furono impartiti ordini ancora più restrittivi per risparmiare il combustibile e per ottimizzare l'impiego dei siluri, consigliando ai comandanti il lancio a coppiola e un più energico uso del cannone per dare alle navi immobilizzate dai siluri il colpo di grazia. Sempre per conseguire un più elevato rendimento operativo fu poi stabilito che i sommergibili dovessero agire anche in stretta collaborazione tra di loro; e infine, ricalcando le istruzioni delle precedenti missioni svolte nelle acque americane, fu ancora una volta deciso di lasciare ai comandanti la maggiore possibile iniziativa che essi dovevano sfruttare nelle zone di agguato per la ricerca delle correnti di traffico.
Poiché, come vedremo, il Da Vinci fu poi dirottato verso l'Africa, soltanto il Barbarigo, il Bagnolini, l'Archimede e il Cappellini raggiunsero le zone assegnate presso Capo San Rocco, trovandovi però a partire dalla metà di maggio una situazione di traffico inaspettatamente sfavorevole rispetto a quanto era stato apprezzato alla partenza. Nell'aprile, l'apparizione del Calvi e i successi riportati da quel sommergibile con l’affondamento di cinque navi mercantili per 29.031 tsl, avevano messo in allarme il dispositivo di vigilanza statunitense, ragion per cui navi di superficie ed aerei americani avevano cominciato ad esercitare in tale zona uno stretto controllo, partendo da basi situate nello stesso territorio del Brasile, nazione che sebbene fosse neutrale era già belligerante di fatto.
In effetti, in base al patto di mutua assistenza panamericana, fin dal 24 aprile 1941 era stata concentrata nelle acque dell'Atlantico meridionale una formazione operativa statunitense (Task Force 23), comandata dall'ammiraglio Jonas Howard Ingram. Essa si componeva dei quattro incrociatori leggeri Memphis, Cincinnati, Omaha e Milwaukee e dei cinque cacciatorpediniere Somers, Jouette, Davis, Winslow e Moffett che, con base nel porto brasiliano di Recife, erano incaricati di sorvegliare il triangolo di mare Trinidad - Capo Verde - Capo San Rocco. Vi era poi una squadriglia di sei idrovolanti «Catalina», concentrata a Natal dall'11 dicembre 1941, e
sempre in territorio brasiliano, gli statunitensi avevano iniziato la costruzione di tre aeroporti e si apprestavano a inviarvi aerei dell'Esercito.
Bordeaux, fine dicembre 1941. Da sinistra i sommergibili Comandante Cappellini e Alpino Bagnolini all’ormeggio nella base atlantica italiana.
Dopo alcuni iniziali attacchi del Cappellini, del Barbarigo e dell'Archimede, che servirono a turbare la tranquillità operativa in zone dove fino ad allora non vi era stata attività subacquea avversaria, la vigilanza del nemico aumentò e il traffico fu deviato dal nodo focale di Capo San Rocco, condizionando con ciò le successive azioni dei sommergibili italiani.
Per la sempre più frequente apparizione di aerei, che disturbarono tutti i sommergibili, e per la constatata mancanza di bersagli, Betasom si convinse verso la fine di maggio a dirottare le unità subacquee verso nuovi settori operativi, per allontanarle dalla zona di vigilanza del nemico e nella speranza di localizzare le nuove rotte del traffico. Il giorno 30, avendo avuto conferma che nell'intero tratto di mare tra Capo San Rocco e le vicine isole la navigazione rimaneva scarsa e che gli attacchi del nemico non accennavano a diminuire, il Comando decise di dirottare verso le zone equatoriali dell'Africa il Da Vinci, che si trovava ancora distante dalle acque brasiliane, e successivamente vi destinò anche il Bagnolini. Quest’ultimo, non avendo trovato alcun traffico nella nuova zona situata a circa 200 miglia ad occidente
di Freetown, nel riprendere la rotta del ritorno ricevette l'ordine di raggiungere, assieme al Cappellini, un settore situato a nord-ovest di Madera, dove risultava esistere un nodo di traffico che in realtà non fu individuato.
Anche i tre sommergibili tedeschi U-126, U-128 e U-161, che avendo incrociato nei pressi dell'Isola San Paolo e lungo le coste del Brasile non avevano trovato alcun bersaglio, ricevettero dal B.d.U. l'ordine di spostarsi nei Caraibi dove invece trovarono un discreto traffico e riuscirono ad affondare tredici navi.
Nella zona brasiliana, dove con un giudizioso risparmio di combustibile l’Archimede poté trattenersi fino a metà giugno, le vittorie dei sommergibili di Betasom risultarono invece molto modeste rispetto a quanto inizialmente sperato, dal momento che poterono essere affondate soltanto quattro navi mercantili per un totale di 24.383 tsl. Tali successi furono però tutti conseguiti in acque molto distanti da quelle inizialmente assegnate nella zona di Capo San Rocco.
Il primo sommergibile che arrivò nelle acque brasiliane fu il Barbarigo. Lo comandava il trentaquattrenne capitano di corvetta Enzo Grossi che, essendo alla sua terza missione in Atlantico, fu protagonista di un episodio che per anni fu fonte di discussione.
Il Barbarigo aveva preso il mare il 25 aprile da La Pallice, dove si era trasferito per prove di fine lavori, con una riserva di spinta portata a valori bassissimi, ai limiti della sicurezza, perché il comandante Grossi, volendo disporre di una maggiore autonomia, aveva aumentato di sua iniziativa il sovraccarico di nafta di altre 17 tonnellate. Fortunatamente, le buone condizioni atmosferiche consentirono una tranquilla navigazione e il sommergibile, dopo aver incontrato un piroscafo che non poté raggiungere per la inferiore velocità, arrivò nella zona operativa di Capo San Rocco il 17 maggio. Nelle prime ore del pomeriggio dell'indomani avvistò il piroscafo brasiliano Commandante Lyra, di 5.052 tsl, che era partito da Recife (Pernambuco) diretto a New Orleans (Luisiana) con un carico di caffè. Ritenendolo nemico, il comandante Grossi lo inseguì e lo attaccò al calar della notte colpendolo con un siluro; e dopo aver dato il tempo all'equipaggio di allontanarsi nelle imbarcazioni di salvataggio, cannoneggiò quella nave e la lasciò in fiamme, convinto che sarebbe ben presto affondata.
Ricevuto il segnale di soccorso di quel piroscafo, che era stato scambiato dal comandante Grossi per una petroliera di 12.000 tonnellate, il Comando statunitense della Task Force 23 del vice ammiraglio Jonas H. Ingram, inviò nella zona gli incrociatori Omaha e Milwaukee e i cacciatorpediniere Moffett e McDougal, che si trovavano di vigilanza nelle acque a nordest di Capo San Rocco. Il Milwaukee ed il Moffett, giunti per primi nei pressi del Commandante Lyra, ne recuperarono i naufraghi, che si trovavano nelle vicinanze, e dopo averli trasbordati sull'Omaha diressero verso Recife per rifornirsi. I segnali di soccorso del piroscafo, e la sua opera di salvataggio che si prolungò tenace fino al 24 maggio, quando il rimorchiatore Perdigao riuscì a trascinare il Commandante Lyra nel porto di Forteleza (Cearà), contribuirono a turbare la tranquillità operativa in una zona dove fino a allora non vi
era stata attività subacquea e condizionarono le successive azioni dei sommergibili italiani.
Il piroscafo City of Flint, gemello del Comandante Lyra, danneggiato irreparabilmente dal sommergibile Agostino Barbarigo la notte del 18 maggio 1942.
Il Commandante Lyra (capitano di lungo corso Severino Sotero di Olivera), del Lloyd Brasileiro, costruito nel 1919, abbandonato dall’equipaggio con due stive in fiamme e vari compartimenti allagati, pur essendo stato trascinato in porto a Fortelezza percorrendo a rimorchio 200 miglia in sei giorni, per i numerosissimi ed estesi danni subiti fu riparato mel dopoguerra. Quarantuno uomini dell’equipaggio del Commandant Lyrà furono recuperati dalle unità statunitensi dopo l’abbandono del piroscafo, sedici dal cacciatorpediniere Moffett e venticinque dall’incrociatore Milwaukee.
Durante la missione, il 22 maggio il Barbarigo fu attaccato, mitragliato e bombardato, da un aereo B. 25, con personale misto statunitense e brasiliano di base a Fortelezza. Fu questa la prima azione di guerra dell’Aviazione brasiliana nella seconda guerra mondiale, ma le bombe da 100 libbre (45 chili) sganciate contro il sommergibile non gli causarono alcun danno. Il pilota del velivolo, il capitano Alfonso Celso Perreiras Horta, si fece una reputazione affermando, con ottimismo, che dopo l’attacco il sommergibile italiano non era in condizioni di immergersi, essendo stato gravemente danneggiato.
Il Barbarigo, dopo l'attacco aveva continuato nella sua navigazione verso Capo San Rocco. Raggiunto il limite meridionale della sua zona di agguato era tornato a nord e alle 02.45 del 20 maggio, si trovava in latitudine 04°19' sud, longitudine
34°32' ovest, a 52 miglia dall'Isola Rocas. Una delle vedette, il sergente segnalatore Campana, individuò nella notte senza luna con mare da sudest forza quattro, una nave con rotta a sud e dette l'allarme. Il comandante Grossi, che si trovava in quel momento in camera di manovra, salì in torretta assumendo personalmente la manovra di avvicinamento al bersaglio, già iniziata dall'ufficiale in seconda, tenente di vascello Angelo Amendolia, che essendo di guardia, rapidamente aveva approntato al lancio due siluri a prora e due a poppa.
Riconosciuto nella sagoma dell'unità un cacciatorpediniere, Grossi ordinò di accostare per attaccare in superficie quella nave, che presentava il fianco destro e defilava di prora al sommergibile alla velocità di circa 20 nodi. Trascorsero pochi secondi e all'improvviso su segnalazione della seconda vedetta di sinistra, sergente furiere Cammarata, Grossi individuò una grossa sagoma che ritenne appartenere a una corazzata americana della classe «Maryland» o «California», che ritenne inconfondibile per gli alberi a traliccio. Pertanto decise di cambiare subito bersaglio, puntando su questa seconda e più importante nave, presso la quale distingueva la sagoma di un secondo cacciatorpediniere.
Alle 02.50, continuando l'accostata già in atto sulla dritta, e venuto a trovarsi con i lanciasiluri di poppa in punteria alla distanza stimata di soli 650 metri dal bersaglio, il comandante del Barbarigo dette il fuori ai due siluri, i quali furono visti raggiungere la grossa nave che, colpita, si inclinò istantaneamente e apparve in breve sommersa fino alle due torri prodiere di grosso calibro. Da parte delle navi di scorta non si verificò alcuna reazione ed il Barbarigo, dopo aver evitato quello che ritenne fosse un terzo onesistente cacciatorpediniere che era apparso improvvisamente a breve distanza, poté lanciare il segnale di avvistamento e attacco per poi disimpegnarsi in superficie, indisturbato.
Fin qui il racconto del capitano di corvetta Grossi e degli uomini che si trovavano con lui in torretta al momento degli eventi.
Betasom, ricevuta comunicazione dell’avvenuto affondamento, richiese al Barbarigo conferma e maggiori e più precisi particolari sullo svolgimento dell’azione. Avendo il comandante Grossi dato assicurazione di aver colpito a prora con due siluri una corazzata della classe «California», e di averla vista in stato di affondamento, il capitano di vascello Polacchini, ritenendo non esservi più dubbi sulle categoriche affermazioni che giungevano dal Barbarigo, ne dette comunicazione a Roma, al Comando della Squadra Sommergibili. Egli, peraltro, suggerì di vagliare ancora tutti gli elementi necessari e le informazioni che sarebbero giunte dall'estero prima di rendere l'affondamento di pubblico dominio. Ma il Comando Supremo, che si trovò a disporre d’una notizia sensazionale, la diffuse immediatamente sul Bollettino di Guerra.
La manovra d’attacco del sommergibile Barbarigo. Da Betasom. La guerra negli Oceani (19401943).
La notizia fece subito il giro del mondo e si ebbero alterne reazioni. Suscitò in Italia e nei Paesi alleati e simpatizzanti grande entusiasmo ma fu invece accolta con smentite e sarcasmi nel campo avversario. Si cercò allora la verità mettendo in movimento i servizi d’informazione, senza però ottenere, durante la guerra, dati concreti che potessero confermare il presunto successo del Barbarigo. Il capitano di vascello Polacchini, che aveva proposto di concedere al comandante del sommergibile la Medaglia d'Oro, dovette avere dei ragionevoli dubbi su un effettivo affondamento di una corazzata, se nel suo rapporto n. 290/SRP inviato a Maricosom il 22 giugno 1942 scriveva nei riguardi di Grossi:
«L'essere riuscito ad affondare una grossa unità con due soli piccoli siluri deve iscriversi a fortuna». Dubbi pienamente legittimi poiché nell'azione non vennero usati dal Barbarigo i grandi siluri (calibro 533 millimetri) situati a prora ma i più piccoli siluri di poppa (calibro 450 millimetri), adatti per affondare una nave mercantile o unità leggera ma che difficilmente potevano procurare danni mortali ad una nave da battaglia.
Anche nel dopoguerra continuò un’accesa polemica, e da parte degli angloamericani, che ormai non avevano più motivo di negare un loro insuccesso, continuarono a giungere smentite. Non solo negarono fermamente di aver perduto una corazzata, ma sostennero che nessuna altra nave da guerra o mercantile era stata affondata, danneggiata o attaccata nella zona di Capo San Rocco nella notte del 20 maggio. Inoltre fecero sapere che al momento degli eventi nessuna corazzata angloamericana era dislocata nel Sud Atlantico, mentre tutte le navi da battaglia del tipo «Maryland» o «California» si trovavano concentrate nella zona di San Francisco.
Nell'autunno del 1962 la Marina italiana poté avere dalla U.S. Navy copia dei diari di guerra delle unità dtatunitensi che operarono nelle acque in cui fu dislocato il Barbarigo dal 18 al 26 maggio 1942 e, dalla Royal Navy, l'estratto del diario di guerra riguardante l'attacco subito dalla corvetta Petunia per opera dello stesso Barbarigo al largo di Freetown nella notte dal 5 al 6 ottobre 1942 (vedasi volume XII «I sommergibili negli oceani», U.S.M.M., Appendice VI/B, pag. 366 e segg.).
Dalle risultanze di una nuova commissione d'inchiesta (22 dicembre 1962), fu possibile accertare che esattamente all'ora e sul punto di attacco del Barbarigo si incrociavano con la rotta del nostro sommergibile quelle dell'incrociatore Milwaukee e del cacciatorpediniere Moffett, i quali, dopo aver portato aiuto al danneggiato piroscafo brasiliano Commandante Lyra, dirigevano su Recife per rifornirsi. L'attacco del Barbarigo, diretto contro il Milwaukee, pur essendo stato portato da distanza ravvicinata con grande «decisione e risolutezza», fallì perché l'angolo di mira si era dimostrato errato per difetto di stima nella velocità del bersaglio di 10 miglia: 15 nodi stimati dal comandante del sommergibile contro i 25 effettivi dell'incrociatore. I siluri erano passati pertanto distanti dal bersaglio che non si accorse di nulla.
Il Milwaukee era stato scambiato per una corazzata americana probabilmente a causa delle vistose dimensioni dell'incrociatore, e per la particolare sagoma di quella nave, i cui quattro fumaioli apparvero nell'oscurità come componenti di tralicci a cestello. Grossi credé di aver affondato il suo bersaglio poiché il mare agitato, con onde molto lunghe, ed il rapido allontanamento dell'incrociatore dal sommergibile in rotta di disimpegno in tutt'altra direzione, ne falsarono la visuale. Il Milwaukee sparì infatti alla vista degli uomini del Barbarigo in meno di due minuti, mentre le onde del mare lungo incappellandone la prua, ed accentuandone il rollio, dettero l'impressione di un suo rapido sbandamento e di un altrettanto rapido appruamento sull'acqua fino all'altezza della plancia. Allo stato psicologico connesso con il particolare clima dell’azione dovevano forse attribuirsi gli scoppi di siluri e le vampate sul bersaglio, perché in effetti non vennero osservate colonne d'acqua, né fu
avvertito nessuno scuotimento a bordo del sommergibile, come sarebbe stato logico attendersi dopo un'esplosione subacquea. Infine, l'avvistamento di più cacciatorpediniere, in differenti posizioni, fu probabilmente dovuto al fatto che il sommergibile aveva effettuato nel corso dell'attacco una volta tonda e quindi la medesima nave, il Moffett, comparve mano a mano nel settore d'osservazione delle varie vedette.
Le rotte del sommergibile Barbarigo e delle unità statunitensi. Da Betasom. La guerra negli Oceani (1940-1943).
L’incrociatore Milwaukee fu attaccato dal Barbarigo la notte del 20 maggio 1942 al largo di Capo San Rocco, dopo che il sommergibile due giorni prima aveva colpito e reso inutilizzabile per tutta la guerra il piroscafo brasiliano Commandante Lyra.
Il comandante del Barbarigo, capitano di corvetta Enzo Grossi ritenne, con notevole ottimismo, di aver colpito con due siluri da 450 mm una corazzata statunitense del tipo Maryland (nell’immagine) o “Mississippi”, vista affondare. In realtà i siluri passarono distanti dall’obiettivo costituito dall’incrociatore Milwaukee, che non si accorse di nulla.
La commissione d'inchiesta, presieduta dall'Ammiraglio Nicola Murzi (e nella quale come membri partecipavano il contrammiraglio Angelo Longanesi-Cattani e il capitano di vascello Mario Pollina), concluse il suo rapporto specificando:
Il comandante Grossi non poteva affermare recisamente di aver visto affondare una corazzata da lui attaccata e ritenuta Silurata e non poteva avere elementi sufficienti per fare tale affermazione.
Proseguendo nella sua navigazione, e prima di riprendere la rotta per Bordeaux, che raggiunse il 16 giugno ricevendo accoglienze entusiastiche, il Barbarigo si spostò per ordine del Comando verso sudest allontanandosi dalla zona di Capo San Rocco, allo scopo di sottrarsi alla vigilanza del nemico che in quella zona focale appariva pericolosamente aumentata. Il 28 maggio, su segnalazione trasmessa da Betasom relativa alla scoperta di un piroscafo da parte del sommergibile Bagnolini, il Barbarigo assunse rotta di ricerca, avvistò il nemico nelle prime ore dell'indomani, lo inseguì fino a notte, e poiché si trovava in zona dove l'azione era proibita, chiese al Comando, ed ottenne l'autorizzazione di poter attaccare. L'azione ebbe successo e si concluse con l'affondamento del piroscafo britannico Charlbury, di 4.836 tsl, unità dispersa del convoglio “ON.93” in viaggio da Cardif e Belfast a Buenos Aires con 8.518 tonnellate di carbone, conseguito con un siluro a segno dopo una serie di lanci falliti e una decisa ed efficace azione d’artiglieria. Dell’equipaggio dello Charbury (capitano William Laidler), affondato a nord-est di Recife, in lat. 06°22’S, long. 29°44’W, decedettero due uomini. Altri quarantuno uomini, trentacinque dell’equipaggio e cinque cannonieri, si salvarono, essendo stati recuperati dall’incrociatore statunitense Omaha e sbarcati a Recife il 1° giugno.
Il vecchio piroscafo britannico Charbury, che fu silurato e affondato dal sommergibile Barbarigo a nord-est delle coste brasiliane di Recife il 29 maggio 1942.
Il sommergibile Barbarigo con l’equipaggio schierato e in torretta i simboli della vittoria ripreso mentre dirige per Bordeaux percorrendo La Gironda.
L’attracco del Barbarigo a Bordeaux al termine della missione nelle acque brasiliane. Sotto i simboli delle vittorie reali e presunte e l’aspetto soddisfatto dell’equipaggio, vi è la scritta “Chi teme la morte non è degno di vivere”.
Il capitano di corvetta Enzo Grossi, alla destra di Benito Mussolini, e l’equipaggio del sommergibile Barbarigo ricevuti dal Duce a Palazzo Venezia.
Vediamo quali furono i movimenti degli altri tre sommergibili che in quello stesso periodo operarono nelle acque brasiliane.
Il Bagnolini (tenente di vascello Mario Tei), fin dal suo arrivo nella zona di operazioni a nordest di Capo San Rocco, avvistò in continuazione aerei e cacciatorpediniere. Il sommergibile, che incrociò nel settore assegnato fra il 20 e il 27 maggio, fu più volte sottoposto a ricerca e caccia sistematica da parte di unità sottili, senza subire danni.
In seguito all'attività del nemico, ricevette l'ordine di spostarsi in una zona più tranquilla a nordest di Pernambuco, e qui nella notte sul 28 attaccò una petroliera di nazionalità sconosciuta, tipo «Canadolite», di 11.309 tsl, e ritenne di averla colpita con uno dei quattro siluri lanciati. Ricevuto il 30 maggio l'ordine di spostarsi nelle acque africane, a 200 miglia a occidente di Freetown, non vi riscontrò alcun traffico.
Il sommergibile Alpino Bagnolini in partenza da Bordeaux per una missione al largo delle coste del Brasile.
Il Cappellini (tenente di vascello Marco Revedin) salpò da Bordeaux in non perfette condizioni di efficienza a causa di una avaria all'asse dell'elica di sinistra che, rimasto danneggiato da una bomba nella precedente missione, per l'urgenza non riparato completamente, faceva acqua e scaldava. Al pari degli altri sommergibili, a bordo era stato stivato di tutto e persino in camera di manovra vi erano viveri. Durante i cinquantaquattro giorni in cui il battello rimase in mare il personale fu sottoposto a disagi di ogni genere conseguenti alle difficili condizioni ambientali. Ai disagi della vita di bordo si aggiunsero avarie abbastanza gravi dovute a una, movimentata attività bellica.
Già l’11 maggio il sommergibile aveva incontrato un convoglio a ponente delle Isole Canarie e scoperto era stato sottoposto a caccia da parte di due unità della scorta che lo inseguirono per diverse ore procurandogli danni fra cui l'inutilizzazione dei due periscopi e della bussola. Nondimeno, eseguite nei giorni seguenti sommarie riparazioni allo scafo, che essendo stato lesionato in più punti impediva l'immersione, il Cappellini riuscì a proseguire nella sua rotta. Raggiunte le acque brasiliane, il 19 maggio, a 600 miglia a nord di Natal, affondò col siluro la motonave svedese Tisnaren, di 5.747 tsl, unità dispersa del convoglio «OS.27», esercitante il commercio per il nemico, nonostante i distinti di neutralità. I quaranta uomini dell’equipaggio sopravvissero.
La motonave svedese Tisnaren che fu affondata il 19 maggio 1942 dal sommergibile Comandante Cappellini presso le coste settentrionali brasiliane.
Dopo aver raggiunto la zona di agguato assegnata, a nordest di Capo San Rocco, ed avervi incrociato fino al 26 maggio, riscontrandovi una intensa attività aeronavale e nessun traffico mercantile, per sopraggiunte perdite di nafta, il sommergibile venne costretto a riprendere la rotta del ritorno prima del previsto. Nella notte del 31 maggio, dopo un lungo inseguimento reso difficile dal mare grosso e dalla ridotta visibilità dovuta a piovaschi, attaccò la grossa e modernissima petroliera militare britannica Dinsdale, di 8.214 tsl. La nave si dimostrò molto resistente e il comandante Revedin, per averne ragione, fu costretto a consumare ben sei siluri, prima di vederla sparire dalla superficie del mare.
Della Dinsdale, che completata l’11 aprile del 1942 era al suo viaggio inaugurale al comando dal capitano Gunnar Runsten e che affondò a nord-est di Pernambuco, in lat. 00°45’N, long. 29°50’W, decedettero cinque dei quaranta uomini dell’equipaggio. La petroliera era partita in zavorra il 22 aprile da Belfast con il convoglio OS.26 per poi arrivare il 9 maggio a Freetown, da dove riprese il mare il giorno 21 diretta a Trinidad per fare il carico di benzina per aerei da trasportare in Sud Africa, a Port Elizabeth. Dell’equipaggio della petroliera andarono perduti cinque uomini, mentre o superstiti furono cinquantadue, otto dei quali raggiunsero furono raccolti da una nave e portati a New York, e gli altri quarantaquattro, con il comandante Runsten, furono recuperati il 15 giugno dal piroscafo spagnolo Monte Orduna e sbarcati a Las Palmas, nelle Isole Canarie, per poi essere trasportati a Cadice con il piroscafo spagnolo Ciudad de Valencia.
Giugno 1942. Il rientro a Bordeauix dalla missione nelle acque brasiliane del sommergibile Cappellini.
Anche l'Archimede (tenente di vascello Gianfranco Gazzana-Priaroggia) fu protagonista di una navigazione assai movimentata. Entrato nella sua zona di agguato, a nordovest di Capo San Rocco, nell'imminenza dell'alba del 23 maggio avvistò fra piovaschi e foschia alcune sagome che si trovavano in vicinanza di un piroscafo in fiamme. Il sommergibile, con pronta e decisa manovra, si avvicinò in immersione e lanciò due siluri contro quella che appariva la nave più consistente, stimata dal comandante Gazzana per un incrociatore pesante americano della classe «Pensacola». Nella successiva fase di disimpegno furono uditi, dopo 58 secondi dal lancio, due scoppi intervallati, che vennero considerati come la prova di aver colpito il bersaglio.
La realtà fu diversa: l'Archimede attaccò, probabilmente l'incrociatore Milwaukee che, dopo essersi rifornito a Recife, aveva nuovamente raggiunto il danneggiato piroscafo brasiliano Commandante Lyra, presso il quale proseguiva l’opera di salvataggio. Il Milwaukee, per la seconda volta nello spazio di tre giorni, venne mancato dai siluri, e il cacciatorpediniere Moffett, che lo accompagnava, contrattaccò e per alcune ore dette caccia all'Archimede lanciando bombe di profondità che procurarono danni allo scafo del sommergibile.
Il cacciatorpediniere statunitense Moffett che attaccò il sommergibile Archimede procurandogli danni allo scafo che però non gli impedirono di proseguire la sua missione.
Il tenente di vascello Gianfranco Gazzana Priraroggia Comandante del sommergibile Archimede.
Il sommergibile Archimede.
In seguito a perdite di nafta, che rendevano difficile l'immersione, Betasom ordinò al sommergibile di spostarsi al largo della costa, a circa 250 miglia a nord di Jericoaquara, nello stato brasiliano di Cearà, per operare sulle rotte di traffico Capo San Rocco-Nord America. Avendo in tale zona riscontrato soltanto modesto traffico di navi neutrali, il comandante Gazzana ricevette da Betasom l'ordine di spostarsi ancora più a nord, fino a mantenersi all'incirca all'altezza della Foce del Rio delle Amazzoni, e qui, il 16 giugno, riuscì a conseguire il successo affondando il piroscafo panamense Cardina (capitano Einar Falnes), di 5.586 tsl, costruito a Seattle nel 1919, e diretto da Buenos Aires a New York, via Trinidad, con un carico di 7.000 tonnellate di semi di lino alla rinfusa.
Attaccato alle 12.30 a circa 500 miglia a nord-est di Salinas (Brasile), e colpito da un siluro sul fianco sinistro, nella stiva n. 5, il Cardina fu abbandonato dall’equipaggio, ma quando apparve che il piroscafo non stava affondando, l'equipaggio tornò a bordo e dopo alcune riparazioni riuscì a riavviare i motori. Ma poiché i motori si fermarono, verso le 17:30 l'equipaggio abbandonò di nuovo la nave. L’Archimede, che era rimasto nella zona, lanciò un altro siluro che raggiunse il pioroscafo sul fianco sinistro, aprendo una grossa falla, dopo di che aprì il fuoco con il cannone da 100 mm colpendo il Cardina con tre colpi per poi vederlo affondare. Del piroscafo sopravvisse l’intero equipaggio di trentaquattro uomini che, con quattro scialuppe di salvataggio, con una lunghissima navigazionem, il 22 giugno raggiunsero tranquillamente Salinas.
Il giorno seguente, quando aveva già iniziato il ritorno per raggiunto limite di autonomia, l'Archimede avvistò il piroscafo statunitense Columbian (capitano Edwin
E. Johnson) ex Santa Clara, di 4.964 tsl, costruito nel 1913, e con sessantanove uomini d’equipaggio, inclusi diciassette della Guardia Costiera. Il comandante Gazzana lo attaccò con lancio intervallato di due siluri che vennero evitati, e si vide poi costretto a desistere dall'inseguimento trovandosi a corto di nafta, ma anche perché il Columbiam aveva reagito con le sue armi sparando sul sommergibile con il cannone sistemato a poppa e con le mitragliere Oerlikon. Fu perduta una magnifica preda poiché il Columbian, in rotta da New York a Bassora, nel Golfo Persico, trasportava un prezioso carico di merci varie e materiali bellici destinato all'Unione Sovietica. Nel duello a fuoco il piroscafo, che era armato con un cannone da 4 pèollici e due mitragliere da 20 mm Oerlikon, riportò danni lungo tutto lo scafo per schegge di cannone e proiettili di mitragliera da 13,2 mm sparati dall’Archimede ed ebbe distrutta, per proiettili incendiari, una imbarcazione di salvataggio. Non vi furono danni agli uomini dell’equipaggio.
Due immagini, del 1918-1919, del piroscafo statunitense Santa Clara, poi Columbian, che fu attaccato dal sommergibile Archimede. La nave riportò soltanto danni di schegge e di proiettili di mitragliatrici.
Al contrario delle sfavorevoli situazioni incontrate nelle acque brasiliane, dove i battelli italiani trovarono scarsità di traffico e un notevole aumento della vigilanza nemica, il Da Vinci, comandato dal capitano di corvetta Luigi Longanesi-Cattani, riscontrò ottime possibilità d'impiego nella zona dell'Africa occidentale. Partito da La Pallice il 9 maggio, per raggiungere la zona inizialmente assegnata presso Porto Natal-Pernambuco, il giorno 30 – essendo apparso evidente che nelle acque brasiliane non esistevano più le favorevoli condizioni per operare – ricevette l'ordine di spostarsi in una zona dell'Africa, situata a sud di Capo Palmas, per poi spingersi, qualora l'autonomia l'avesse consentito, verso Accra, nel Golfo di Guinea2 .
Dopo alcuni avvistamenti che però non consentirono lo svolgimento di attacchi, trovandosi nel pomeriggio del 2 giugno a sud-ovest di Freetown, il Da Vinci ottenne un primo successo affondando il veliero panamense Reina Marie Stewart (capitano Paul F. Radeboldt), di 1.087 tsl, costruito nel 1919 negli Stati Uniti, e appartenente all’Armatore Shepard SS Co. Di Boston. Il veliero, a fanali spenti, fu affondato dal Da Vinci mentre, da Lourenco Marques (Mozambico), dirigeva per New York con un carico di legnami pregiati per usi vari.
Il veliero panamense Reina Marie Stewart che fu affondato dal sommergibile Da Vinci il 2 giugno 1942.
2 Nell'aprile del 1942, mentre le nostre unità si preparavano a portarsi nelle acque brasiliane, Betasom era stato incaricato da Maricosom di preparare un’operazione speciale da assegnare al sommergibile Da Vinci. Questi, nel caso che il Brasile, nazione non belligerante, fosse entrato in guerra, doveva penetrare nel porto di Rio de Janeiro per attaccarvi, di sorpresa, le navi da guerra alla fonda. L'operazione non ebbe attuazione poiché il 4 maggio, poco prima della partenza del sommergibile, questa fu rimandata a data da stabilirsi e successivamente annullata.
Gli undici uomini dell’equipaggio si salvarono allontanandosi su una scialuppa, e mentre dirigevano verso le coste dell’Africa furono recuperati dal piroscafo britannico Afghanistan che il 24 giugno li sbarcò a Città del Capo.
Dopo aver vanamente inseguito un piroscafo navigante ad alta velocità, il 7 giugno il Da Vinci avvistò la motonave britannica Chile (capitano N.E. Bom), di 6.956 tsl, costruita nel 1915 e poi rimodernata. La motonave, con un carico di 2.500 tonnellate di ghisa, 6.302 tonnellate di arachidi e 800 tonnellate di semi di cotone, era partita da Calcutta diretto a Mersey, via Città del Capo e Freetown. Il sommergibile, attaccando nel corso della serata, l’affondò colpendola al centro con due siluri, a 350 miglia a sud-ovest di Monrovia. La motonave, in realtà danese dal 1940 al servizio della Gran Bretagna, aveva un equipaggio di quarantaquattro uomini, dei quali cinque decedettero, mentre gli altri trentanove, incluso un cannoniere, furono salvati dal trawler britannico Spaniard e portati a Freetown.
Nelle due immagini la motonave britannica Chile, sopra nel 1938. Fu affondata il 7 giugno 1942 dal sommergibile Da Vinci a 350 miglia a sud ovest di Monrovia.
Incoraggiato dai successi conseguiti, e ritenendo di trovarsi in una zona percorsa da una corrente di intenso traffico isolato tra Freetown e New York, il comandante Longanesi decise di mantenere l’agguato a sudovest di Capo Palmas. In questa zona, a 600 miglia dalle coste della Guinea, al termine di un tenace
inseguimento iniziato alle 20.24 del 10 giugno e concluso l’indomani, poté incendiare e affondare con l’impiego dei siluri e del cannone la motonave da carico olandese Alioth, di 5.483 tsl, unità dispersa del convoglio “OS.29”, partita da Birkenhead e diretta nel Medio Oriente, a Bassora, via Table Bay (Città del Capo). Della nave, in servizio dal 1937, e che trasportava merci militari, mine terrestri, bombe e munizioni, e parti di ricambio per bombardieri bimotori Avro Anson, si salvò l’intero equipaggio di quarantaquattro uomini. Su due scialuppe essi raggiunsero la costa di Capo Sierra Leone dopo dieci giorni di tormentata navigazione a causa delle avverse condizioni atmosferiche, con vento fortissimo e scariche di pioggia. Furono poi raccolti rifocillati a bordo della portaerei di scorta britannica Archer, incontrata mentre stava dirigendo verso il porto di Fr7eetown.
Il mattino del 13, spostandosi verso sud-ovest, e trovandosi a 600 miglia a sudovest di Freetown, con un fortunato lancio a ventaglio di grande distanza effettuato con i quattro lanciasiluri di poppa, il Da Vinci arrestò, e poi finì con il cannone, il piroscafo armato britannico Clan Macquarrie (capitano Ronald Douglas), di 6.471 tsl, costruito nel 1913, partito da Durban e, via Città del Capo, diretto in zavorra a New York con a bordo ottantanove uomini, compresi sei cannonieri. Il comandante della nave e sessanta superstiti furono raccolti dal piroscafo francese Desirade e sbarcati a Città del Capo. Altri ventotto uomini dell’equipaggio del Clan Macquarrie furono salvati dalla cisterna norvegese Glarona e portati a Porto of Spain (Trinidad) il 29 giugno. Decedette invece, sulla scialuppa, l’ingegnere di macchina Callister.
Due immagini del piroscafo britannico Clan Macquarrie la quarta nave mercantile affondata nella missione dal sommergibile Da Vinci a ovest della zona di Freetown – Capo Palmas.
Esaurita la dotazione di siluri, e presa la via del ritorno con ancora esuberanza di combustibile, il sommergibile ricevette da Betasom l'ordine di portarsi a circa 550 miglia a nordovest dalle Isole del Capo Verde per passare 11 tonnellate di nafta al
Finzi che si trovava in rotta per il Mare dei Caraibi. Il 21 giugno, conclusa felicemente anche questa operazione, il Da Vinci proseguì per Bordeaux, dove entrò trionfalmente il 1° luglio, al termine di una missione di cinquantadue giorni e con all'attivo l'affondamento di quattro navi per 19.997 tsl.3
1° luglio 1942. Il sommergibile Leonardo da Vinci (capitano di corvetta Luigi Longanesi Cattani), che nel corso di una missione svolta nelle acque di Freetown aveva affondato quattro navi mercantili per 19.997 tsl, al rientro alla base di Bordeaux accolto dal comandante di Betasom, capitano di vascello Romolo Polacchini.
Riguardo alle favorevoli condizioni trovate nella zona di Capo Palmas il comandante Longanesi fece le seguenti osservazioni:
3 Fu questa l'ultima missione in Atlantico del comandante Longanesi Cattani; ufficiale abile ed esperto, imbarcato fin dall'inizio della guerra sui sommergibili, era stato sottoposto durante tutto questo tempo ad un intenso logorio fisico. Sbarcato d'autorità per concedergli il meritato riposo, lasciò il Da Vinci con all'attivo l'affondamento di otto navi per 34.439 tonnellate, cifra che gli farà ottenere il quatto posto nella graduatoria fra gli affondatori italiani. Decorato con quattro medaglie d'Argento e due di Bronzo al Valore Militare, nel dopoguerra, con il grado di Ammiraglio, ha ricoperto incarichi di alta responsabilità, fino alla carica di Comandante in Capo del Dipartimento Marittimo dell'Alto Tirreno. È deceduto a Roma nel 1991.
Ritengo che il cambiamento radicale della zona di agguato, dopo che nella prima zona prevista erano stati rilevati dal nemico diversi sommergibili, sia stato il principale fattore del buon esito della missione, poiché ha nuovamente realizzato la sorpresa sul traffico nemico. Indipendentemente dal fondamentale fattore della sorpresa, la contemporanea presenza anche di pochi sommergibili nei punti più disparati e più lontani, obbliga il nemico ad una dispersione di scorta e di elementi di sorveglianza, stabilendo ovunque condizioni che permettono di operare con successo.
La situazione favorevole trovata dal Da Vinci presso Capo Palmas – agevolata indubbiamente dal fatto che dal marzo del 1942 tale zona era stata disertata dagli Uboote – non fu purtroppo riscontrata presso le coste brasiliane. Per tale motivo i risultati complessivi conseguiti dai sommergibili italiani della seconda spedizione nelle acque americane, pur assommando a otto navi affondate per 44.383 tsl ed una nave danneggiata irreparabilmente, furono assai inferiori al previsto. In particolare confrontando tali risultati con quelli assai superiori conseguiti in precedenza nell'area Bahamas-Antille, e per il fatto che la metà degli affondamenti erano stati ottenuti da una sola unità subacquea, il Da Vinci, in una zona ben lontana dal principale obiettivo brasiliano.
La causa principale dei mancati successi era probabilmente da ricercare nella mancata realizzazione della sorpresa nella zona focale di Capo San Rocco, causata dalla prontezza con la quale gli statunitensi avevano fatto entrare in azione nelle acque brasiliane il loro dispositivo di difesa, e dalla pronta deviazione del traffico lontano dalle coste. Infatti, in contrasto con ogni previsione iniziale fatta da Betasom, i sommergibili che dal 20 al 27 maggio operarono presso Capo San Rocco fecero soltanto due avvistamenti di navi mercantili, e sempre sotto scorta, mentre invece si ebbero oltre trenta avvistamenti di aerei e navi leggere di superficie, che in ben dodici casi attuarono attacchi con lanci di bombe.
Una delle cause dell'incremento dell'attività antisommergibile del nemico nella zona di Capo San Rocco era dovuta all'ambiguità della politica del Brasile, che mentre si dichiarava neutrale era già belligerante di fatto. Infatti, dopo aver accettato basi aeree e navali statunitensi nel suo territorio, dopo aver inasprito i rapporti politici e rotto le relazioni diplomatiche con le potenze dell'Asse, alla fine di maggio il governo di Rio de Janeiro aveva preso le gravi decisioni di armare le sue navi mercantili e di ordinare ai suoi aerei di attaccare senza preavviso i sommergibili in vicinanza della costa. Questo portò ad una rappresaglia della Germania che ordinò ai propri U-boote di attaccare tutte le navi battenti bandiera brasiliana. Diretta conseguenza fu l'affondamento di ben sei unità mercantili brasiliane ad opera dell'U507 (capitano di corvetta Harro Schacht), penetrato in acque territoriali presso Bahia, e la successiva entrata in guerra del Brasile contro la Germania e l'Italia. Tutto questo avveniva nell'agosto, ma già in precedenza, davanti agli scarsi risultati ottenuti al
largo di Capo San Rocco, Betasom aveva convenuto con l'Ammiraglio Dönitz di cambiare zona d'operazione.
LA TERZA SPEDIZIONE NELLE ACQUE AMERICANE
Il motivo per il quale furono prescelte per i sommergibili di Betasom le zone operative ubicate presso le Piccole Antille e nei Caraibi meridionali, si basava sulle valutazioni che il comandante Polacchini portò a conoscenza di Supermarina con la sua relazione n. 014427 del 25 novembre 1942, in cui sostenne:
«Le notizie raccolte sull'andamento del traffico nemico, al momento della partenza delle unità per missione, confermavano ancora l'esistenza di un intenso traffico isolato nel Mar dei Caraibi, con zone di addensamento nella parte meridionale da e per i passi di Trinidad e il Canale di Panama.
In particolare si distinguevano due importanti correnti: l'una fra Panama e Trinidad, diretta per il parallelo e l'altra fra il Canale di Yucatan e Trinidad lungo le coste meridionali delle Grandi Antille.
Risultava pure esistere la solita corrente di traffico diretta per NW-SE fra i porti del Sud America (Capo San Rocco) e quelli degli Stati Uniti.
Fu pertanto deciso di destinare le cinque unità pronte all'impiego: CALVI
FINZI - TAZZOLI - MOROSINI - GIULIANI, ad operare sulle coste americane, le prime tre, per la loro maggiore autonomia nell'interno del Mare dei Caraibi, le altre due a Nord delle Bahama-Antille lungo la direttrice della corrente di traffico fra Nord e Sud America e quella inversa.
Le previsioni sull'esito della nuova missione si presentavano lusinghiere, come per le precedenti».
Ancora una volta furono attuate le norme già sperimentate riguardo alle istruzioni impartite ai comandanti e all'aumento delle quotazioni e delle autonomie e ciò portò i sommergibili a disporre della quantità di armi, nafta e viveri esposta nella seguente tabella (p. 34):
Dal momento che il Morosini non poteva operare molto a lungo, possedendo, rispetto agli altri sommergibili, un sovraccarico di nafta molto inferiore, ne fu previsto un rifornimento in mare da parte del Finzi la cui dotazione di combustibile fu aumentata, rispetto, alle altre unità della sua classe, di 16 tonnellate.
Sebbene ancora una volta le previsioni sull'esito delle operazioni apparissero alla partenza lusinghiere, non appena i sommergibili cominciarono a giungere nelle zone di agguato assegnate vi trovarono mancanza di traffico ed un notevole aumento della sorveglianza nemica. Dopo i massicci attacchi degli U-boote, gli americani si erano decisi a correre ai ripari, disciplinando il traffico isolato e organizzando il convogliamento lungo le coste, ed una più attiva protezione mediante servizio di vigilanza e caccia ai sommergibili che, ormai in gran numero, stazionavano nelle acque dell' America Centrale4 .
Il Torelli (tenente di vascello Augusto Migliorini), che assieme al Morosini era partito da La Pallice nel pomeriggio del 2 giugno per raggiungere una zona di agguato situata a nord-est delle Isole Bahamas, nelle prime ore del giorno 4 stava navigando in pieno Golfo di Guascogna quando venne illuminato e attaccato di sorpresa da un aereo che lo aveva scoperto nella più completa oscurità. Si trattava del primo attacco «a notte buia» di un bombardiere della RAF mediante l'ausilio del proiettore «Leight-Light», così chiamato dal nome dell'ufficiale britannico che lo aveva inventato. Il velivolo, un bimotore Wellington appartenente al 172° Squadron, con pilota il maggiore Jeaff H. Greswell, dopo aver localizzato col radar di ricerca navale ASV il sommergibile vi diresse sopra e appena fu abbastanza vicino accese il forte proiettore piazzato in una delle ali che illuminò il bersaglio; avendolo riconosciuto lo attaccò a volo radente. Il Torelli, mitragliato e centrato con precisione da una salva di bombe al torpex di 300 bibbre (140 chili) esplosa sotto lo scafo, riportò gravi danni e un incendio nei locali prodieri che, facendo aumentare la temperatura, costrinse il comandante Migliorini ad allagare il deposito munizioni. Essendo stato costretto a riprendere la rotta del ritorno, portandosi per maggiore sicurezza sotto la costa spagnola, il sommergibile incappò in un banco di nebbia e, poiché aveva le bussole in avaria, malgrado navigasse con precauzione, finì in secca presso Capo Penas.
Disincagliato nella notte, con l'aiuto di due rimorchiatori spagnoli, il Torelli venne condotto nel porticciolo di Aviles dove, riparate alla meglio le principali avarie, rimase il tempo strettamente necessario per non venire internato. Ripresa la rotta per la Francia, il mattino del 7 giugno fu ancora attaccato per due volte da altrettanti idrovolanti «Sunderland» del 10° Squadron, e nella impossibilità di immergersi si difese validamente in superficie. Aprendo intenso fuoco con le quattro mitragliere, il sommergibile danneggiò entrambi i velivoli attaccanti, che pertanto non poterono lanciare con precisione le bombe. Nondimeno, avendo riportato nuovi danni per colpi caduti nelle vicinanze, il Torelli fu costretto a rinunciare al primitivo progetto di raggiungere un porto francese e, navigando faticosamente, riparò a Santander dove per impedire l'affondamento venne portato in secca. Nuovamente disincagliato e condotto in bacino fu sottoposto ad un periodo di lavori che si prolungò per ventiquattro giorni.
Trinidad, U-134, U-166, U-171, U-509 nel Golfo del Messico, U-571, U-437, U-84, U-173, U154, U-129, Morosini, Giuliani, Finzi e Tazzoli intorno alle Antille.
Il sommergibile Torelli, dopo l’attacco aereo, arenato su un basso fondale dellarada di Santander fortemente sbandato. Wellington Mark XIV del 172° Squadron della R.A.F. in fase di rifornimento. Fu un aereo di questo tipo che attaccò e danneggio il sommergibile Torelli.
Mentre tra le diplomazie di Roma e di Madrid si svolgevano intense consultazioni per trovare una soluzione, onde evitare l'internamento del Torelli, il sommergibile ricevette istruzioni di tenersi pronto a partire non appena si fosse presentata l'occasione favorevole. Ma per far questo occorreva non dare sospetti sull'efficienza del sommergibile, e la situazione venne risolta abilmente dal comandante Migliorini il quale, richiedendo alcune tonnellate di nafta da utilizzare per le prove di macchina, dette alle autorità spagnole l'impressione che il Torelli non possedesse il carburante necessario per spingersi al largo. Così, il 14 luglio, uscendo dal bacino al termine dei lavori e approfittando di un’allentata vigilanza, il sommergibile riuscì a liberarsi tagliando i cavi dei rimorchiatori che lo stavano trainando, e una volta uscito dal porto prese la rotta per Bordeaux che raggiunse felicemente l'indomani.
Ma se l'avventura del Torelli ebbe una fine lieta, a non altrettanta fortuna andò incontro il Calvi, il cui comando, in sostituzione del capitano di corvetta Emilio Olivieri ammalato, era stato eccezionalmente richiesto per quella missione dall'anziano capitano di fregata Primo Longobardo, già comandante del sommergibile durante le prime missioni oceaniche. Nel gennaio 1941, operando ad nord-ovest della Scozia, aveva affondato quattro navi mercantili per 17.998 tsl.
Il Calvi, partito il 2 luglio da La Pallice per trasferirsi in una zona assegnata a levante delle Piccole Antille, nel tardo pomeriggio del giorno 14 si trovava ancora ad
occidente delle Azzorre allorquando Betasom gli segnalò la presenza di un convoglio, diretto a nord a 8 nodi, e gli ordinò di intercettarlo e attaccarlo soltanto se la situazione tattica fosse stata decisamente favorevole al sommergibile. Si trattava del convoglio SL.115 che trovandosi in rotta da Freetown al Regno Unito sotto la protezione degli sloop britannici Londonderry, Lulworth, Bideford e Hastings, era stato avvistato dal sommergibile tedesco U-130 (tenente di vascello Ernst Kals) a circa 400 miglia a ponente dell'Isola Palma delle Canarie.
Il Calvi, che rispetto alla posizione segnalata si trovava a settentrione, con le macchine a tutta forza diresse per intercettare il convoglio, lo raggiunse la sera del 15 luglio, ma ancor prima di avvistarlo venne inquadrato dal radar della Londonderry, che fungeva da nave capo scorta, e che ordinò alla Lulworth di intercettarlo. Quest'ultima, l'ex guardiacoste statunitense Chelan, al comando del capitano di corvetta Clive Gwinner, dapprima individuò l'U-130 e subito dopo avvistò, all'orizzonte il nostro sommergibile, il quale accortosi con un certo ritardo della minaccia si immerse portandosi a 90 metri di quota.
La nave britannica si portò rapidamente sul posto, e facendo l'ascolto sull'Asdic iniziò l'attacco con una prima scarica di bombe di profondità regolate fra i 15 e i 40 metri, e successivamente con una seconda scarica regolata fra i 50 e i 100 metri. Il Calvi si portò allora a quota più profonda, ma poco dopo la Lulworth eseguì un secondo e più preciso attacco e il sommergibile riportò gravi danni e vie d'acqua alla scafo, da appesantirlo e farlo precipitare fino ad una quota di circa 200 metri. Quando la nave scorta, sempre regolando l'ascolto sull'Asdic, al suo terzo attacco inquadrò il Calvi con un altro preciso grappolo di bombe, al sommergibile non restò altro scampo che venire in superficie, accolto dal fuoco dell'unità nemica che vedendolo emergere iniziò subito il tiro con il cannone di prora.
Fortemente sbandato, a causa dell'allagamento di un doppiofondo poppiero, menomato anche dalle condizioni del mare agitato, che spazzavano la coperta cosparsa di nafta fuoriuscita dai depositi lesionati dalle bombe, il Calvi tentò di allontanarsi navigando a tutta forza con i motori termici, difendendosi col cannone poppiero e con le mitragliere della torretta dal violento e particolarmente preciso ed efficace fuoco della Lulworth, che lo teneva a distanza ravvicinata sotto la luce del proiettore e dei bengala. Il sommergibile si trovò subito in una situazione critica, che il comandante Longobardo tentò di capovolgere lanciando due siluri, ma la Lulworth, che ne era il bersaglio, avvistate le scie delle armi le evitò abilmente passando loro in mezzo.
A questo punto la nave britannica cominciò a stringere le distanze, e per ben tre volte il comandante Longobardo fu costretto a contro-manovrare per evitare altrettanti tentativi di speronamento che l'unità nemica portò con decisione ad alta velocità. Nondimeno il terzo tentativo della Lulworth, pur mancando in pieno l'impatto, portò a un certo successo poiché il Calvi ebbe investita l'elica di dritta e si arrestò bruscamente restando bersaglio immobile. Era la fine: l'intenso fuoco, che le armi automatiche della Lulworth scaricarono sul battello da poche decine di metri, ebbe un effetto micidiale e in pochi minuti il ponte del sommergibile fu coperto di morti e di feriti.
Nonostante gli episodi di splendido valore, come quelli del sottotenente di vascello Villa e del secondo capo cannoniere Marchion, che da soli continuarono a sparare con il pezzo di prora attorno al quale tutti i serventi erano caduti, Longobardo si rese conto che la situazione era ormai senza scampo. Allora, nell'intento di salvare il maggior numero dei suoi uomini, ordinò a quanti si trovavano nell'interno del sommergibile di salire in coperta e, contemporaneamente, al personale di macchina di autoaffondare il battello allo scopo di evitarne la cattura. Furono i suoi ultimi ordini poiché, subito dopo, cadde lui stesso colpito a morte da una scarica di mitragliera, assieme all'ufficiale di rotta sottotenente di vascello Guido Bozzi.
Mentre il direttore di macchina, capitano del Genio Navale Aristide Russo, si incaricava dell'autoaffondamento, mediante l'apertura degli sfoghi d'acqua, l'ufficiale in seconda, sottotenente di vascello Gennaro Maffettone, continuò con eroico
esempio ad incitare gli uomini alla resistenza e a dirigere il fuoco del pezzo di poppa fino a quando, colpito a morte, con una spalla ed il relativo braccio asportati, scomparve in mare trascinato da una grossa ondata. Caduti con l'ufficiale in seconda tutti i serventi del cannone, il Calvi era ormai un relitto in fiamme, poiché in torretta, a causa dell'esplosione di una bombola d’ossigeno e di una di acetilene, si era sviluppato un forte incendio che invano il secondo capo silurista Bini aveva tentato di spengere con l'estintore.
Al centro il capitano di fregata Primo Longobardo, parla con il pilota dell’idrovolante, presente anche un ufficiale della Marina tedesca. Il comandante Longobardo morì a bordo del Calvi, che fu attaccato e affondato il 15 luglio 1942 dallo sloop britannico Lulworth a occidente delle Isole Azzorre.
Nel frattempo la Lulworth cessò il fuoco e si portò sul fianco sinistro del sommergibile sul quale accese nuovamente il proiettore. Mentre una voce, amplificata dall'altoparlante di bordo gridava in perfetto italiano «Nessuno si muova, rimanete a galla se volete essere salvati», la nave britannica mise in mare una imbarcazione sulla quale presero posto un tenente di vascello, di nome North, e un marinaio, i quali salirono a bordo del sommergibile, e fecero uso delle armi uccidendo uno degli uomini che si trovavano sulla torretta, con l'evidente scopo di intimidire il resto dell'equipaggio e di penetrare nell'interno del Calvi per catturarlo o impadronirsi dei documenti segreti. A questo punto, mentre erano già stati eseguiti gli
ultimi ordini del comandante Longobardo, e i superstiti guidati dal direttore di macchina, il capitano Russo poi deceduto, impedivano ai britannici di scendere nell'interno del battello, il secondo capo silurista Pietro Bini, con grave rischio personale riuscì ad accelerare l'autoaffondamento aprendo un tubo di lancio e permettendo all'acqua di penetrare nel sommergibile con forza inarrestabile.
Nel frattempo l'U-130, che trovandosi nelle vicinanze aveva osservato il tenace combattimento del Calvi, nel generoso tentativo di portargli aiuto serrò le distanze e lanciò un siluro contro la Lulworth, la quale, abbandonata immediatamente la sua imbarcazione nei pressi del sommergibile italiano in affondamento, aprì il fuoco sull'U-boote, lo costrinse ad immergersi con la massima rapidità e per alcune ore lo sottopose a caccia.
Alle 02.20 del 16 luglio il Calvi si inabissava scivolando di poppa, mentre una forte esplosione interna ne squarciava lo scafo. Con il sommergibile si persero quarantatre uomini dell'equipaggio e l'ufficiale britannico, il tenente di vascello
North5. Poco dopo sopraggiunsero nella zona le altre navi di scorta britanniche, gli sloop Londonderry, Hastings e Bideford, e fu quest'ultimo che raccolse i trentacinque superstiti del sommergibile italiano, i quali si tenevano a galla raccolti nell'oscurità intorno al natante lasciato dalla Lulworth. Successivamente due dei tre ufficiali che si erano salvati vennero trasferiti sul Londonderry per essere interrogati dal comandante del gruppo di scorta britannico capitano di fregata John Stanley Dalison
Vi fu a questo punto un episodio commovente: quando Dalison apprese dal guardiamarina Enrico Burgio che il comandante Longobardo guidava il sommergibile affondato da una sua nave, mostrò ai due attoniti ufficiali italiani un portasigarette d'argento, nell'interno del quale lessero incisa la frase: «Con molta amicizia, Shangai 26-12-29». L'amareggiato comandante britannico precisò che quello era un regalo proprio di Longobardo, da lui conosciuto in Cina prima della guerra, cui era legato da profonda amicizia. A quel tempo Dalison era imbarcato sull'incrociatore Berwick e Longobardo sulla cannoniera Sebastiano Caboto.
Alla memoria del capitano di fregata Longobardo e a quella del sottotenente di vascello Maffettone venne concessa la Medaglia d'Oro al Valore Militare. Al capitano del Genio Navale Russo e al 2° capo silurista Bini la Medaglia d'Argento al Valore Militare. La stessa decorazione, su proposta di Betasom, venne assegnata al tenente di vascello Ernst Kals, comandante dell'U-130, la cui generosa manovra nel portare aiuto al Calvi venne particolarmente apprezzata6
5 Le ipotesi che l'esplosione verificatasi sul Calvi al momento dell'affondamento fosse dovuta allo scoppio del siluro lanciato dall'U-130, o ad una bomba di profondità rimasta impigliata sullo scafo del sommergibile durante la caccia, non hanno trovato attendibile conferma.
6 Il tenente di vascello Kals era salpato dal porto francese di Lorient per la sua quarta missione bellica al comando dell'U-130, il 4 luglio con destinazione la zona di Freetown. Rientrò alla base il 12 settembre con all'attivo l'affondamento di sette navi per 51.528 tonnellate, fra le quali la grande petroliera britannica Tankexpress. Egli ricevette per radio la notizia di essere stato insignito dell'alta onorificenza della «Ritterkreuz, la Croce di Cavaliere dell'Ordine della Croce di Ferro, assegnata ad ogni comandante di sommergibile che avesse superato il totale delle 100.000 tonnellate di naviglio affondato.
Il sommergibile tedesco U-130, del tenente di vascello Ernst Kals, al rientro alla base da una vittoriosa missione. Il suo intervento per aiutare il sommergibile Calvi attaccato dallo sloop Lulworth fu particolarmente apprezzato a Betasom.
Anche il Morosini (tenente di vascello Francesco d'Alessandro) non fu fortunato. Il sommergibile, che, a causa delle limitata autonomia, nella rotta di andata avrebbe dovuto usufruire di un rifornimento da parte del Finzi, fu costretto a rimandare l'appuntamento a causa delle cattive condizioni del mare. Raggiunta la zona assegnata a circa 600 miglia a nordest di Portorico, nella notte del 30 giugno affondò affondò con i siluri e le artiglierie la motonave olandese Tysa, di 5.327, costruita nel 1938, partita il 6 giugno da Città del Capo e diretta negli Stati Uniti, a Baltimora. Tutti i quarantatre uomini dell’equipaggio della Tysa furono salvati. Successivamente, il sommergibile italiano attaccò, senza esito, una unità di modeste dimensioni probabilmente camuffata ed armata, che per un certo tempo seguì il sommergibile senza peraltro intraprendere azioni offensive.
Dopo essersi finalmente incontrato con il Finzi, al quale il 27 luglio cedette olio di macchina ricevendone in cambio 25 tonnellate di nafta e razioni di viveri, il Morosini rimase nella zona di agguato ancora per quattro giorni. Intrapresa la rotta del ritorno, ed entrato nel Golfo di Biscaglia, comunicò per l'ultima volta con la base 1'8 agosto, due giorni prima del previsto arrivo a Le Verdon. Non lasciò alcuna traccia che facesse conoscere la causa della sua perdita, con i cinquantotto uomini d'equipaggio, forse dovuta all'attacco di un aereo o a mine vaganti. L’ipotesi più probabile, recentemente presa in considerazione, è che il Motosini sia stato affondato
dalle sei bombe sganciate di un velivolo Catalina del 202° Squadron, che attacco un sommergibile in emersione il 7 agosto 1942 in lat. 45°57’N, long. 14°23’W.
La motonave olandese Tysa, affondata dal sommergibile Francesco Morosini il 30 giugno 1942, a 600 miglia a nord est di Portorico. Fu anche l’ultima nave a essere affondata dai sommergibili di Betasom nelle acque dell’America centrale, dal momento che la loro successiva attività con ottimi successi avvenne nel Sud Atlantico.
Il sommergibile Morosini che per scarse sconosciute non rientro dalla missione.
Avendo constatato che le operazioni dei sommergibili italiani nelle zone delle Antille e dei Caraibi si stavano risolvendo in un pieno fallimento, Betasom alla metà di luglio decise alcuni spostamenti nella speranza di trovare per le sue unità settori operativi più favorevoli. Poiché il Tazzoli aveva segnalato di aver trovato nella zona dei Caraibi condizioni atmosferiche sfavorevoli, il Comando gli comunicò di spostarsi, qualora il cattivo tempo avesse continuato a persistere, a levante di Trinidad, mentre al Finzi, che a sua volta aveva trovato condizioni altrettanto sfavorevoli, venne ordinato di raggiungere il Golfo del Messico. Mentre quest'ultimo non poté eseguire lo spostamento per un eccessivo consumo d'olio e, assunta la rotta del ritorno, passò parte della sua esuberanza di nafta al Morosini e al Giuliani, il Tazzoli, che era stato mitragliato a più riprese presso Portorico e Santo Domingo, e che aveva avvistato soltanto navi scortate da un gran numero di aerei, ricevette l'ordine di dirigersi verso le coste dell'Africa Occidentale, in direzione delle Isole di Capo Verde. Qui sussisteva ancora un traffico che dava ragionevoli speranze di successo, cosicché la stessa manovra fu ordinata al Giuliani, che ugualmente non aveva trovato bersagli nella zona delle Antille, a levante dell'Isola Guadalupa. Come vedremo, tale spostamento, risultato molto indovinato, fu eseguito con ottimi risultati dal solo Giuliani, ma anche il Tazzoli, che si attardò nell'inseguimento di varie unità incontrate a levante di Trinidad, ottenne dei successi.
Il sommergibile Giuseppe Finzi che nel corso della missione fu impiegato per rifornire di nafta il Morosini e Giuliani. L’immagine è del 18 aprile 1943, al rientro da una missione nel Golfo di Guinea, conclusa con l’affondamento di due piroscafi.
Il capitano di corvetta Carlo Fecia di Cossato, comandante del Tazzoli, che appena fuori dal Mare dei Caraibi aveva tentato inutilmente di attaccare una petroliera molto veloce, colse il suo primo successo il 1° agosto, dopo quarantotto giorni di snervante permanenza in mare, avvistò il piroscafo da carico greco Kastor
(ex Parana), di 5.497 tsl, nave del 1921, in rotta da Table Bay a Trinidad, e affondandolo a 98 miglia ad est di Tabaco al termine di una rapida manovra diurna seguita da appostamento e attacco in immersione. Su trentacinque uomini dell’equipaggio del piroscafo quattro decedettero, e gli altri trentuno si salvaro.
Successivamente, dopo aver lanciato senza esito quattro siluri contro un piroscafo, ed aver richiesto di sostare a circa 220 miglia a sudest di Trinidad, in acque che apparivano percorse da un discreto traffico, il mattino del 6 il Tazzoli avvistò la
petroliera norvegese Havsten (capitano Gjert Olsen), di 6.161 tsl, e poiché la stessa sembrava comportarsi in modo piuttosto sospetto, l'attaccò dopo aver manovrato con cautela: la nave venne mancata da due siluri; quindi raggiunta dalla successiva coppiola, restò a galla per un certo tempo apparentemente indenne, poi affondò bruscamente di poppa senza lasciare alla superficie del mare scialuppe di naufraghi o esseri umani. A bordo del Tazzoli nessuno avrebbe potuto immaginare che la Havsten era già stata attaccata nella notte del 4 agosto dal sommergibile germanico U-160 (tenente di vascello Georg Lassen), il quale, dopo averla silurata e cannoneggiata, si era allontanato con la vana convinzione che sarebbe colata a picco. In realtà al momento dell'incontro con il Tazzoli la petroliera, che era stata abbandonata dall'equipaggio, si trovava ancora perfettamente galleggiante.
La petroliera norvegese Havsten che fu silurata e cannoneggiata dal sommergibile tedesco U160 e silurata e affondata dal sommergibile Tazzoli. Era stata requisita dai britannici e trasformata in nave ausiliaria di rifornimento.
7 La Havsten, costruita nel 1930, era stata requisita dall’Ammiragliato britannico nel 1942, era salpata il 24 luglio da Freetown con destinazione Trinidad. Nell’attacco con il cannone, dopo il siluramento, da parte dell’U-160 due uomini dell’Havsten, tra cui l’ingegnere di macchina, rimasero uccisi. Il sommergibile tedesco prese a bordo il comandante capitano Gjert Olsen e l’operatore alla radio Jack Holt, portandoli prigionieri in Francia. Altri 30 uomini dell’equipaggio si salvarono prendendo posto sulle imbarcazioni di salvataggio, convinti che la nave stesse affondando di poppa. Furono raccolti ventisei ore dopo dalla petroliera argentina Juncal, che la sera del 12 agosto li porto presso il porto di Pernambuco, località brasiliana che poi i naufraghi raggiunsero con le loro scialuppe.
Il comandante del sommergibile Tazzoli, capitano di corvetta Carlo Fecia di Cossato. Alla sua sinistra il tenente di vascello Gianfranco Gazzana Priaroggia, all’epoca della foto (novembre 1942) comandante del sommergibile Leonardo Da Vinci.
Atlantico Meridionale, dicembre 1941. Il sommergibile Tazzoli prende a bordo dal sommergibile tedesco U-68 una parte dei naufraghi dell’incrociatore ausiliario Atlantis affondato dall’incrociatore britannico Devonshire. Da questa immagine si può osservare la sagoma assunta dal sommergibile italiano dopo la modifica alla torretta.
Al termine di quell'azione il sommergibile avvistò la piccola motonave norvegese Brenas, cominciò ad inseguirla ma, al momento di concludere la manovra
di attacco, un battello tedesco, l'U-108 (capitano di corvetta Klaus Scholtz), gli soffiò la preda precedendolo inaspettatamente al lancio. Rimasto a corto di viveri e al limite dell'autonomia, il Tazzoli prese la rotta del ritorno con all'attivo l'affondamento di due navi per 11.658 tsl. Erano successi non eccezionali se paragonati a quelli precedenti del comandante Fecia di Cossato, ma ricompensavano sufficientemente una missione di settantuno, giorni nel corso della quale erano state percorse 10.358 miglia
Il sommergibile tedesco U-108 che affondò la motonave Brenas, sottraendola al sommergibile Tazzoli che la stava inseguendo.
Ma più di ogni altro sommergibile italiano si distinse il Giuliani (capitano di fregata Giovanni Bruno), un battello che fino a quel momento non aveva ottenuto alcun successo, essendo stato per lungo tempo impiegato per compiti addestrativi alla Scuola tattica tedesca di Gotenhafen, nel Baltico8. Il 24 luglio, mentre si trovava ancora distante dal punto di agguato assegnato a levante dell'Isola Abaco, nelle Bahamas, il Giuliani attaccò una grossa motonave e ritenne di averla colpita con un siluro. Successivamente, essendo stato rifornito dal Finzi con 50 tonnellate di nafta a levante dell'Isola Guadalupa, e venuto a trovarsi in una zona di scarso traffico e in condizioni atmosferiche sfavorevoli, ricevette da Betasom l'ordine di dirigere verso l'Arcipelago di Capo Verde. Fu nel corso di tale spostamento che il sommergibile capitò in un settore attraversato da un discreto traffico, al centro dello spazio di mare fra Trinidad e Freetown, e in soli quattro giorni ebbe la ventura di affondare tre navi mercantili per 16.103 tonnellate.
Imbarco di siluri sul Giuliani durante la permanenza alla Scuola di Gotenhafen.
La prima vittima, la motonave britannica Medon (capitano Alexander Pope), di 5.444 tsl, partita in zavorra dalle isole Mauritius diretta a New York via Table Bay e Trinidad, venne avvistata nella notte del 10 agosto in una zona dove l’
attacco era proibito, ragion per cui fu necessario richiedere al Comando l’autorizzazione per agire. Giunta poco prima dell’alba la risposta affermativa, il Giuliani lanciò due siluri e la motonave fu colpita a poppa da uno di essi, nella stiva numero cinque che si allagò immediatamente, mentre l’altro siluro non esplose. Gravemente colpita la Medon fu abbandonata dall’equipaggio, a nord-est di Parà, e fu finito a cannonate dal sommergibile. I sessantaquattro uomini dell’equipaggio, su quattro scialuppe di salvataggio, furono salvati da piroscafi di passaggio in quella zona; i più fortunati dopo sette-otto giorni dall’affondamento della loro nave dal piroscafo norvegese Tamerlane e dal panamense Rosemount, e gli altri dopo trentacinque-trentasei giorni dal piroscafo norvegese Luso e dal britannico Reedpool.
Il Reedpool fu però affondato il 20 settembre dall’U-515 a 150 miglia da Georgetown (Guiana britannica), ma fortunatamente i suoi trentaquattro uomini dell’equipaggio e sedici sopravvissuti della Medon, compreso il direttore di macchina George Edge, furono raccolti il giorno successivo dalla goletta britannica Millie M. Masher.
Dopo aver concluso l’affondamento del Medon il Giuliani incontrò una nave dalla linea bassa e snella, che essendo stata ritenuta una nave civetta fu lasciata proseguire indisturbata.
Nelle due immagini, la motonave britannica Medon affondata il 10 agosto 1942 dal sommergibile Giuliani a nord est dello Stato di Parà (Brasile).
Il pomeriggio del 13 agosto, sempre trovandosi in zona di attacco proibita e sempre con autorizzazione di Betasom richiesta dal capitano di fregata Bruno, il sommergibile attaccò il piroscafo da carico statunitense California, di 5.441 tsl, e dopo averlo mancato con una coppiola lanciata in immersione, venuto in superficie lo immobilizzò con il cannone e lo finì col siluro.
Il California, al comando del capitano Gregory Johnson era partito da Bombey con trentotto uomini d’equipaggio e un carico costituita da 7.000 tonnellate di manganese, balle di juta e tappeti persiani,ed era diretto a New York, con scalo a Table Bay (Città del Capo) e Trinidad. L’equipaggio si salvo quasi interamente, tranne il capo ingegnere, morto d’insolazione su una delle imbarcazioni di salvataggio. Un’altra imbarcazione restò in mare per ben trentadue giorni prima di essere avvistata dal piroscafo portoghese Talismano, che portò i diciotto naufraghi che vi si trovavano a Takoradi. Il 4 settembre una delle imbarcazioni fu avvicinata da un sommergibile tedesco, del quale un ufficiale, salito a bordo della scialuppa, offrì agli uomini che vi si trovavano pane integrale, acqua, rum e tabacco, e dopo aver controllato il funzionamento della bussola si offri di dare un rimorchio, che fu orgogliosamente rifiutato.
Proseguendo nella sua missione, il Giuliani avvistò il mattino del 14 agosto il piroscafo da carico britannico Sylvia de Larrinaga (capitano Alfred Grant), di 5.218 tsl, che il sommergibile silurò al termine di un tenace inseguimento diurno seguito da appostamento e lancio in immersione. Il Sylvia de Larrinaga, costruito nel 1925, era partito da Durban per raggiungere New York, via Città del Capo e Baltimore, con un carico, come zavorra, di 2.000 tonnellate di minerale di manganese. Silurato, affondò a sud-ovest delle Isole di Capo Verde.
Nonostante la rapidità dell’affondamento, in soli quattro minuti, i morti tra il personale di bordo, che includeva dieci cannonieri, furono soltanto tre. Tra i superstiti, salvati dal piroscafo britannico Port Jacson, diretto a Liverpool, e dai piroscafi italiani Arcola e Taigete, vi erano diciannove uomini che erano stati raccolti in mare dopo l’affondamento della loro nave, la petroliera Vineira, silurata dal sommergibile tedesco U 109 (tenente di vascello Heinrich Bleichrodt) tre giorni prima, l’11 agosto. Prima di essere salvati, una delle due scialuppe di salvataggio del Sylvia de Larrnaga, con venticinque occupanti, restò in mare tredici giorni. L’altra, con diciannove uomini, ben ventinove giorni.
Ripresa la rotta del ritorno e giunto al mattino del 1° settembre a sole 180 miglia dalla foce della Gironda, il Giuliani venne attaccato di sorpresa e a volo radente da un velivolo Sunderland del 10° Squadron australiano (capitano pilota Samuel Richard Creswick Wood); fin dal primo passaggio il comandante Bruno venne colpito gravemente alla gola da un proiettile di mitragliera. Mentre il secondo ufficiale, tenente di vascello Aredio Galzigna, assumeva il comando, il sommergibile venne impegnato da altri due Sunderland australiani degli Squadron 10° e 461° e trovandosi nella impossibilità di immergersi si difese a lungo con la manovra e con il fuoco del cannone e delle quattro mitragliere. Sventati tutti gli attacchi e colpito gravemente il velivolo «A» del 461° Squadron, che fu costretto ad allontanarsi lasciandosi dietro una lunga scia di fumo nero, per eseguire un atterraggio di fortuna presso la costa spagnola, il Giuliani approfittando di un momento favorevole riuscì ad immergersi9 .
9 Il mattino del l° settembre, su richiesta di Betasom, i tedeschi inviarono in aiuto al Giuliani i dragamine della 4a Divisione M-83, M-156 e M-206, e formazioni di aerei da ricognizione «Ju.88» e da caccia, i quali però non riuscirono a rintracciare il sommergibile che si era immerso.
Ma il sommergibile essendo a corto di acqua e di energia, non poté rimanere sott'acqua molto a lungo. Tornato in superficie, nelle prime ore del pomeriggio del 2 settembre fu nuovamente attaccato a volo radente, questa volta da un bimotore Wellington del 304° Squadron, con equipaggio polacco. L'aereo, con pilota il sottotenente Kucharski, sbucato all'improvviso da una nube, sganciò quattro bombe di profondità che caddero vicine al sommergibile ed esplosero con effetti disastrosi sotto il suo scafo. Le concussioni che ne seguirono furono talmente violente che il Giuliani sobbalzò e gli uomini che si trovavano in coperta furono sbalzati in aria e parte scaraventati in mare. Vi furono due morti e vari contusi, e si verificarono gravi danni allo scafo, con infiltrazioni e avarie estese alle macchine del sommergibile, che si arrestò sbandato, privo di energia elettrica e perdendo copiosamente nafta dai depositi lesionati.
Il Giuliani, che avendo tutto l'armamento fuori uso non era più in grado di difendersi, per una mezz'ora restò alla mercé del bimotore che continuò ad eseguire passaggi a bassa quota, mitragliando. Quando finalmente il velivolo si allontanò, le condizioni del sommergibile erano disastrose e occorsero più di due ore di alacri riparazioni per poter rimettere in moto le macchine. In questa situazione, il tenente di vascello Galzigna si vide costretto a puntare sulla vicina costa spagnola per rifugiarsi a Santander, e poiché anche le bussole si erano guastate, eseguì la manovra orientandosi di giorno con il sole e di notte con le stelle.
Quando Betasom conobbe che il Giuliani era entrato a Santander inviò d'urgenza tre ufficiali: il capitano di corvetta Giovenale Anfossi, per stabilire con le autorità spagnole eventuali operazioni d'uscita del sommergibile prima del suo probabile internamento; il maggiore del Genio Navale Giulio Fenu, per valutare la gravità delle avarie e la possibilità di navigabilità; il tenente di vascello Gianfranco Gazzana-Priaroggia, per assumere, eventualmente, il comando dell'unità. Una rapida
visita di Fenu confermò la possibilità per il Giuliani di navigare in superficie dopo alcune sommarie riparazioni in bacino. Purtroppo, le discussioni con le autorità spagnole, per quanto cordiali, andarono per le lunghe e quando il sommergibile ebbe il permesso di entrare in bacino era ormai trascorso tempo prezioso per evitarne l'internamento. Nondimeno, nonostante le pressioni esercitate sul Governo di Madrid dall'Ambasciata britannica, i lavori di riparazione procedettero speditamente e allorquando il sommergibile fu in grado di disporre di un minimo di efficienza, Betasom, con il tacito consenso delle autorità spagnole, ne stabilì la partenza per le ore 16.00 dell'8 novembre. Il tutto si svolse nel migliore dei modi: il giorno stabilito il tenente di vascello Galzigna dette l'ordine di salpare e l'indomani, scortato da aerei tedeschi, il Giuliani entrava felicemente a Le Verdon10 .
Nella sua relazione n. 014427 inviata a Supermarina e a Maricosom in data 25 novembre 1942, il capitano di vascello Polacchini, specificava quanto segue:
10 Il fatto che il Giuliani, contrariamente alle norme del diritto internazionale, avesse potuto usufruire di un lungo periodo di tempo per le riparazioni, e successivamente di un tacito consenso per lasciare il porto, irritò il Governo britannico alla cui Ambasciata a Madrid gli spagnoli avevano dato le assicurazioni più ampie sull'internamento del sommergibile italiano.
«La terza missione nelle acque americane non ha dato i risultati che era logico sperare: sono state affondate solo 6 navi mercantili per complessive 36.848 tonnellate [in realtà 33.088 tonnellate - N.d.A.].
Le ragioni dello scarso tonnellaggio affondato vanno ricercate in gran parte nella rarefazione del traffico isolato ed anche in qualche buona occasione perduta. Ma soprattutto ha sfavorevolmente inciso nel risultato complessivo la ridotta missione del FINZI e la perdita del CALVI nel trasferimento di andata».
Il Comandante di Betasom metteva inoltre in risalto come il convogliamento avesse ormai preso pieno sviluppo a levante delle Isole Antille e Bahamas e all'interno del Mare dei Caraibi, e portò a conoscenza degli Alti Comandi che si era contemporaneamente verificato un notevole aumento della vigilanza aeronavale nemica, soprattutto presso i passaggi esistenti lungo tutta la catena di isole tra la Florida e Trinidad. In tale situazione, riferì Polacchini, «anche i sommergibili alleati hanno avuto, nello stesso periodo, scarsi risultati», ed in particolare quelli «che hanno operato a nord-ovest di Capo San Rocco verso Trinidad non hanno avvistato alcuna nave».
Dopo aver affermato che l'unica corrente di traffico ancora particolarmente favorevole era stata riscontrata tra Trinidad e Freetown, dove il Tazzoli e il Giuliani avevano avuto occasioni che adeguatamente seppero sfruttare, il Comandante di Betasom arrivò alle seguenti conclusioni:
«Si può concludere che la guerra al traffico isolato deve essere portata in zone non ancora sfruttate, le più lontane possibili. Ma per poter organizzare operazioni lontane sono indispensabili rifornimenti in mare, che non possono essere fatti altro che da sommergibili rifornitori. È una necessità sulla quale si insiste da molto tempo e che bisognerebbe fosse soddisfatta nel modo migliore».
Già in precedenza, analizzando con il rapporto 374/SRP del 18 agosto 1942 l'attività della precedente spedizione nelle acque di Capo San Rocco, il comandante Polacchini aveva affermato:
«Occorre rilevare come la guerra al traffico in Atlantico che, con l'entrata nel conflitto dell'America, ha dato nuove possibilità ai nostri sommergibili impiegati ai limiti delle loro autonomie con sovraccarichi eccezionali, stia ora assumendo le caratteristiche ultime della guerra al traffico inglese. L'America va rapidamente organizzando il traffico, nella maggior parte convogliandolo con scorta e proteggendolo sempre più attivamente con servizi di vigilanza e di caccia ai sommergibili.
di successo si possano avere lungo le coste occidentali dell'Africa sulle rotte di provenienza da Capo di Buona Speranza ed inverse. Occorre però spingere le nostre unità quanto è più possibile verso il Sud in scacchieri sempre più lontani, dove è indispensabile anche la collaborazione di sommergibili rifornitori che abbiano dotazioni tali da rispondere allo scopo».
La seguente tabella analizza i risultati conseguiti dai sommergibili di Betasom nella loro terza spedizione nelle acque dell'America centrale:
Conclusione e bilancio dell’attività dei sommergibili dell’Asse nella zona americana tra il Gennaio e l’agosto 1942
Agli scarsi risultati conseguiti dai sommergibili di Betasom nel periodo tra il giugno e l'agosto del 1942, non per demerito di comandanti ed equipaggi ma per la mancanza di traffico incontrato nelle zone operative, fece riscontro la perdita del Calvi e del Morosini e il danneggiamento del Torelli e del Giuliani. Le cause di tali malaugurati eventi erano da ricercare nelle nuove tattiche di ricerca e attacco contro i sommergibili sviluppate dal Coastal Command (Comando Costiero), che era stato posto fin dall'aprile 1941 alle dirette dipendenze dell'Ammiragliato britannico.
Nel giugno 1942, il Coastal Command aveva un organico di quarantadue squadroni, suddivisi in quattro gruppi: il 15° dislocato nell'Irlanda del Nord, il 16° nell'Inghilterra orientale, il 18° nell'Inghilterra settentrionale e nella Scozia, e il 19° concentrato nell'Inghilterra sudoccidentale. In totale erano disponibili seicentottantuno apparecchi, gran parte dei quali vennero destinati ad incrementare l'offensiva aerea contro i sommergibili nel Nord Atlantico, ed in particolare nel Golfo di Biscaglia, che era la sola possibile zona di transito che potevano percorrere le unità
È probabile che maggiori possibilità
subacquee di base nei porti della Francia occidentale, realizzando due enormi ventagli di velivoli che si estendevano da Gibilterra fino alla Manica11 .
La cartina che segue, di Antonio Mattesini, padre dell’Autore, da una eloquente dimostrazione di quanto sforzo venisse fatto dai velivoli britannici, di giorno e di notte per attaccare ed affondare i sommergibili tedeschi e italiani che per rientrare nelle basi della Francia erano costretti ad attraversare quel vasto tratto di mare.
11 Dei seicentottantuno velivoli del Coastal Command, cinquantaquattro erano idrovolanti a grande autonomia, quattrocentonovanta aerei da ricognizione generale e caccia a grande raggio, centotrentasette adibiti a compiti fotografici, meteorologici e di recupero in mare dei piloti abbattuti o costretti ad ammarare per danni.
L'ammiraglio Karl Dönitz, Comandante dei sommergibili tedeschi (B.d.U.) si preoccupò moltissimo dell'aumentata attività aerea del nemico nel Golfo di Biscaglia e in particolare fu impressionato dal metodo di attacco portato dai velivoli della R.A.F., che di notte o in giornate di scarsa visibilità dirigevano contro i sommergibili, dimostrando di conoscerne ugualmente la posizione. Da ciò si convinse che gli aerei britannici dovevano usare apparecchi di radiolocalizzazione, che però non erano sconosciuti anche ai tedeschi, avendoli anch’essi sui loro velivoli.
All'inizio dell'estate, dopo aver spinto gli U-boote sempre più in profondità nel Mare dei Caraibi e nel Golfo del Messico, e avendo constatato quanto ormai fosse difficile trovare il naviglio da attaccare in zone fortemente sorvegliate dall'aviazione nemica e scortate prevalentemente da unità leggere, l'ammiraglio Dönitz si convinse che non era ormai più redditizio continuare a ricercare il traffico in acque tanto lontane e pericolose. Lo dimostrava pienamente la perdita di tre sommergibili verificatasi nello spazio di pochi giorni.
Pertanto, il 27 luglio il B.d.U. ordinò che i sommergibili venissero nuovamente riuniti in gruppi al centro del Nord Atlantico, per riprendere gli attacchi sulle rotte dei convogli tra il Regno Unito e il continente americano.
Tuttavia, disponendo in agosto di centoquaranta U-boote operativi, cinquanta dei quali si trovavano nelle zone di agguato e altri venti in rotta di trasferimento, l'ammiraglio Dönitz decise di non trascurare del tutto le spedizioni in acque lontane.
Pertanto, oltre a costituire contro i convogli rastrelli di ricerca mediante l'impiego di una trentina di unità, la maggior parte degli U-boote con grande autonomia, appoggiati dai sommergibili rifornitori, furono concentrati nelle due zone che apparivano assai favorevoli; una situata al largo di Trinidad e presso la foce dell'Orinoco, e l'altra lungo la costa occidentale dell'Africa con particolare gravitazione nella zona di Freetown.
Le operazioni degli U-boote nell'emisfero occidentale, iniziate nel gennaio 1942, si chiudevano nell'agosto con un bilancio particolarmente favorevole, costituito dall'affondamento di ben cinquecentootto navi mercantili per un totale di 2.576.500 tsl, a cui fece riscontro la perdita di trenta sommergibili tedeschi, che rappresentava il 4% delle unità impiegate e 1/5 di quelle costruite12 .
Anche l'attività dei sommergibili di Betasom fu in definitiva confortata da buoni risultati, poiché nelle diciassette missioni espletate in tre spedizioni furono affondate trentacinque navi mercantili per un totale di 202.929 tsl. Di esse undici petroliere e venti piroscafi da carico per 182.932 tsl vennero colate a picco nelle acque dell'America Centrale e del Brasile, e gli altri quattro piroscafi da carico per 19.997 tsl nella zona africana di Capo Palmas.
Delle tre spedizioni, la prima, svolta tra le Isole Bahamas e Capo San Rocco nel periodo compreso fra le metà di febbraio e la metà di aprile, fu quella che dette i risultati maggiori. I sei sommergibili impiegati (Da Vinci, Torelli, Finzi, Morosini, Tazzoli e Calvi) trovarono una situazione di traffico isolato particolarmente favorevole e un'assoluta mancanza di vigilanza. Potendo spingere a fondo gli inseguimenti e gli attacchi, essi conseguirono un rendimento operativo molto elevato costituito dall'affondamento di ventuno navi per 125.108 tsl, ottenuto quasi sempre con azioni notturne in superficie e intenso impiego del cannone in ausilio ai siluri.
I cinque sommergibili della seconda spedizione (Barbarigo, Bagnolini, Cappellini, Archimede e Da Vinci), che operarono nelle acque brasiliane tra la metà di maggio e la metà di giugno, riscontrarono fin dall'inizio un aumento della sorveglianza nella zona focale al largo di Capo San Rocco e un primo tentativo di riorganizzazione del traffico isolato. Conseguentemente ebbero difficoltà nel trovare e attaccare le navi mercantili e fu pertanto necessario sparpagliarli al largo delle coste continentali, dove il Da Vinci trovò una corrente di traffico e riuscì ad affondare quattro navi. Ciò rappresentava la stessa quantità di successi conseguiti dagli altri quattro sommergibili nelle acque brasiliane. Complessivamente furono pertanto colate a picco otto navi per 44.383 tsl, ed un'altra, di 5.052 tsl, fu silurata e danneggiata.
I sei sommergibili della terza e ultima spedizione (Torelli, Morosini, Finzi, Tazzoli, Giuliani e Calvi), impiegati tra la fine di giugno e la metà di agosto nella
12 La missione più fruttuosa fu conseguita dall'U-158 (tenente di vascello Rostin) che, operando tra le Isole Bahamas e il Golfo del Messico, affondò dodici navi per 62.536 tsl. Il sommergibile però non poté concludere la sua vittoriosa crociera poiché durante la rotta del rientro alla base venne affondato il 30 giugno, al largo delle Bermuda, dalle bombe sganciate da un aereo statunitense della Squadriglia «VP-74».
zona delle Antille e nei Caraibi meridionali, trovarono che la protezione del traffico e l'organizzazione di ricerca antisom aveva ormai raggiunto la piena efficienza. Conseguentemente essi furono spesso costretti ad impegnarsi in azioni diurne in immersione. e i risultati conseguiti risultarono in definitiva modesti perché limitati all'affondamento di sei navi per 33.088 tsl.
Riepilogando, nel periodo febbraio-agosto 1942 il rendimento complessivo delle unità subacquee di Betasom raggiunse indubbiamente un discreto livello, dal momento che, come si può constatare in dettaglio nella tabella seguente, su undici sommergibili impiegati nelle tre spedizioni ben dieci riuscirono' a conseguire affondamenti, anche di natura sostanziosa da parte del Tazzoli, del Calvi, del Morosini e del Da Vinci. Inoltre, nel corso delle singole missioni due sommergibili (Tazzoli e Calvi) superarono le 29.000 tsl di naviglio affondato, tre (Morosini, Finzi e Da Vinci) le 20.000 tsl, e altri due (Torelli e Giuliani) le 16.000 tsl. Soltanto il Bagnolini non ottenne alcun successo. Sommergibile N.
I successi conseguiti dai sommergibili italiani nell'emisfero occidentale, mitigando le delusioni riportate nelle precedenti operazioni svolte contro i convogli nel Nord Atlantico, furono accolti a Bordeaux con notevole soddisfazione. Essi rappresentavano l'espressione del raggiungimento di un buon livello operativo e portarono beneficio anche dal punto di vista del morale, negli equipaggi e in tutto il personale della base.
Lo stesso Comandante in Capo della Marina germanica volle esprimere di persona a Betasom il senso della sua soddisfazione. Infatti, nel corso di una visita in Francia, il grande ammiraglio Erich Raeder si recò il 6 maggio a Bordeaux per
ispezionarvi le installazioni militari della Marina tedesca. nell'occasione espresse il desiderio di compiere una breve visita alla base italiana.
Il grande ammiraglio Erich Raeder durante una visita ad una base di sommergibili tedeschi in Francia nel 1942.
Ricevuto all'entrata del recinto dei bacini dal capitano di vascello Polacchini e dagli Ufficiali del Comando, il grande ammiraglio Raeder passò in rivista un picchetto armato e l'equipaggio del sommergibili Calvi. Dopo aver visitato alcune officine della base, salì a bordo del sommergibile Da Vinci, che si apprestava a partire per la sua seconda missione nelle acque americane.
Al termine della breve visita, il comandante Polacchini fu invitato ad una colazione preparata per l'illustre ospite dal locale comandante tedesco, ammiraglio Menche.
Fu in tale occasione che Raeder espresse al Comandante di Betasom «la sua ammirazione per i nostri sommergibili» e per il modo con cui essi «brillantemente avevano condotto a termine la loro missione sotto le coste d'America».