Luigi Cadoma - Carlo Cadorna
Caporetto Risponde Cadorna Le argomentazioni del Generale Luigi Cadorna in risposta alla Commissione d'inchiesta, rivisitate oggi dal nipote Carlo.
Finito di stampare il 25 Marzo 2019 Da Bes media · Via F. Consoli, 5 · Grottaferrata 1· Edizione - Marzo 2019. ISBN 978-88-96480-51-9 @
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Prefazione
PRIMA E DOPO CAPORETTO RISPONDE CARLO CADORNA CON DOCUMENTI di Aldo A. Mola Gli Uomini che fecero la Storia: Giolitti, Cadorna, Diaz
Il 1928 in pochi mesi portò via Armando Diaz (classe 1861), Giovanni Giolitti (1842) e Luigi Cadorna (1850), tre massimi protagonisti della storia d'Italia: lo Statista e i due Comandanti Su.premi dell 1Esercito nella Grande guerra. Diaz non lasciò memorie. Le su.e carte sono state studiate e valorizzate dal generale Luigi Gratton \ orgoglioso di essere stato alfiere del Tricolore al rientro dell'Italia a Trieste nel 1954. Giolitti pubblicò le Memorie della sua vita nel suo 80° compleanno, il 27 ottobre 1922. Nei sei anni seguenti non aggiunse nulla, né rilasciò interviste. Il 16 marzo 1924, però, alla vigilia delle elezioni vinte dal 11 listone nazionale 11 filofascista che candidò Enrico De Nicola a Napoli e Vittorio Emanuele Orlando in Sicilia, egli deplorò la deriva precipitosa dalla democrazia liberale di Azeglio, Cavour e Sella al 11 partito unico", al quale il Paese giunse con l'avallo della Camera dei deputatt pronuba dinnanzi al 11 duce 11 , che ripetutamente la umiliò con parole sferzanti. Dal canto suo Cadorna .non tenne un 11 diario 11 né pubblicò 11 memorie 11 • Tuttavia cent'anni orsono, nel 1919, vergò in silenzio la sua opera fondamentale: La guerra alla fronte italiana fino all I arresto sulla linea della Piave e del Grappa (24 maggio 1915-9 novembre 1917): non "ricordi personali" ma Storia, edificata sulla scorta di atti ufficiali e inoppugnabili. Essa è la 11 biografia11 del1 1Italia dalla Conflagrazione europea (luglio 1914) alla sostituzione di Cadorna con Armando Diaz a capo dell'Esercito italiano (9 novembre 1917). Quando scrisse, il Generale viveva a Firenze, in un villino acquistato per festeggiare il 68° compleanno: una residenza 3
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appartata, modesta, senza riscaldamento. Chi lo visitava nei lunghi mesi del freddo lo trovava alla scrivania 11intabarrato e inguantato", intento a compulsare documenti. Posava la penna e conversava. Limpido, chiaro, tutto 11 fatti 11, dati, luoghi. A volte s'accendeva, alzava la voce, · batteva il pugno sulla scrivania, come gli accadde mentre conversava con Olindo Malagodi che ne descrisse il vivido temperamento2 • Aveva sempre dinnanzi agli occhi le sterminate carte militari 11 della fronte 11 e l"'ordine di battaglia" aggiornato per anni, le 35 divisioni iniziali, via via cresciute di numero e di capacità1 ma sempre periclitanti per carenza di mezzi e per la sorda ostilità serpeggiante malgrado l'attivismo del "fronte interno". In La guerra alla fronte italiana il Generale ampliò quanto aveva dichiarato alla Commissione d'inchiesta "sugli avvenimenti dall'Isonzo al Piave (24 ottobre-9 novembre 1917) 11, titolo pudico della Relazione pubblicata in due volumi nell1estate 1919. Per capire il canone della sua opera occorre ricordare i drammatici mesi vissuti da Cadorna dal giorno stesso dell'arretramento dalla conca di Caporetto alla destra del "fiume Sacro 11 , quando fu rimosso dal comando della macchina militare da lui costruita con determinazione1 grazie all'intelligente collaborazione di militari di alte capacità, di 11militari senza divisa11 e dell'apparato industriale, a cominciare dall1Ansaldo di Genova, che si valse, tra altri, delle competenze scientifiche di Federico Giolitti, figlio dello Statista. Dal dicembre 1917 rappresentante dell'Italia nell'appena costituito Consiglio superiore di guerra interalleato con sede a Versailles (carica accettata con spiTìto di servizio, dopo iniziale riluttanza), il 20 gennaio 1918 Cadorna fu chiamato 11 a disposizione11 della Corrunissione d'inchiesta quasi non potesse essere 11 audito 11 diversamente, come invece avvenne al migliaio di altre persone chiamate a deporre. Qualcosa non gli tornava. Né torna a chi studi il 11 caso11 senza preconcetti. 4
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Il Generale nella tempesta scrive la verità dei "fatti" Tirava vento pessimo. L'antico Comandante Supremo ne colse le prime folate, ma non avvertì la bufera imperversante. Nel luglio 1918 fu drasticamente collocato a disposizione "in sovrannumeroU, con riduzione di rango e assegni. All'estero il provvedimento venne inteso come punizione, "una vera e propria destituzione". "Ma le porcherie e le vessazioni - egli scrisse il 1° agosto al figlio1 Raffaele/ futuro comandante del Corpo Volontari della Libertà - hanno sempre disonorato chi le commette e non chi le subisce 11 • Protestò col presidente del ConsigJio, Vittorio Emanuele Orlando, da anni suo fierissimo nemico, lo stesso che in quei giorni, sotto pressione del generale francese Ferdinand Foch1 incalzava Armando Diaz affinché scatenasse un'offensiva contro l'esercito asburgico e, secondo il vicecomandante Gaetano Giardino, arrivò ad affermare: "Preferisco una sconfitta all'inazione", quasi che il Paese potesse permetterselo. In realtà, un eventuale disastro (la storia insegna che nessuno sa "prima" come finiscano le battaglie né le guerre) avrebbe fatto crollare il regno d 'Italia, senza speranze di riscossa, com'era accaduto in Russia e poi avvenne per la Bulgaria, la Turchia, l'Austria-Ungheria e la Germania. Il 21 novembre 1919 Cadorna aveva già terminato i primi quattro dei dieci capitoli del libro Dalla Bainsizza al Piave. Contava di concluderlo entro l'anno e di mettere subito mano a un secondo tomo Dall'origine alla Bainsizza.3 Non aveva ancora deciso se pubblicarli separatamente o fonderli in un unico volume. Nel frattempo cominciarono a uscire le memorie di altri generali, come le Note di guerra di Luigi Capello, già comandante della II armata, travolta dall'avanzata austro-germanica dell'ottobre 1917, e il memoriale di Luigi Nava, da lui rimosso da comandante della IV Armata. "L'affare di Caporetto - scrisse Cadorna al figlio - è come una pentola che bolle e che ogni tanto
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solleva il coperchio e poi si chiude. Figurati che pandemonio accadrà quando se ne parlerà sul serio" (14 marzo 1919).
Il fallimento del governo Orlando-Sonnino a Versailles Il governo Orla~do-Sonnino era alla resa dei conti. La delegazione italiana alla conferenza di pace di Versailles non fu al1 1altezza del compito, né del11alto prezzo pagato dal Paese per la vittoria fin.ale. Lò ammise Orlando nelle Memorie 4 (lasciate incompiute per motivi fabulosi), in cui polemizzò aspramente ex post con il presidente degli Stati Uniti d 1America, Woodrow Wilson, 11 arbitro di fatto dalla forza irresistibile della sua potenza11 e al tempo stesso succubo di 11una forza occulta", degli jugoslavi e (venne insinuato) delle loro 11attiviste 11 • Fantasie. Non avendo ottenuto Fiume in aggiunta a quanto previsto dal11arrangement con il quale il 26 aprile 1915 il governo SalandraSonnino aveva aderito all1Intesa (senza però entrarvi organicamente: imperdonabile errore strategico di politica diplomatica), la delegazione di Roma lasciò il Congresso di Parigi (11non conferenza di pace 11 ma 11 arbitratd 1, secondo Orlando), nell1indifferenza degli altri partecipanti, che si affrettarono ad approvare lo statuto della Lega delle Nazioni e a fissare i preliminari del diktat contro la Germania, Non le rimase che riprendere la via francigena. Il 23 giugno la Camera rovesciò il governo OrlandoSonnino, pochi giorni prima della firma del Trattato di pace nel Castello di Versailles nel quinto anniversario del m ortale attentato di Sarajevo, motivo scatenante della conflagrazione. Anche il nuovo presidente del Consiglio, Francesco Saverio Nitti, alimentò la canea nei confronti di Cadorna, in vista della pubblicazione della Relazione della commissione d 1inchiesta. Il Generale venne messo nell'oggettiva impossibilità di rispondere pubblicamente con la necessaria efficacia e abbandonato al 11 crucifige 11 di una "piazza" da oltre un anno aizzata e asseta-
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ta del sacrificio di un capro espiatorio. I due volumi di La guerra alla fronte italiana rimasero inediti sino all'aprile del 1921 5 •
Facit indignatio versum Mentre scriveva l'Opus magnum, come fosse due persone in una, con due teste e quattro mani, il generale intraprese l"'altro libro". Il primo era la Storia, il secondo una sorta di lunga "nota a pie' di pagina", centinaia di pagine puntuali e puntute, meticolose e rigorose, carte e documenti alla mano. Man mano che i lavori della Commissione d'inchiesta procedevano, egli sentiva sempre più impellente e doveroso "testimoniare" dinnanzi. all'opinione nazionale e internazionale. Si affidava alla storia che (fu il suo punto di ideale convergenza con Luigi Capello) "è sempre galantuoma" 6• Doveva illuminare i passaggi fondamentali del différend tra la sua opera di Comandante supremo e i governi susseguitisi dalla conflagrazione alla sua rimozione: Salandra-San Giuliano e Salandra-Sonnino sino al 10 giugno 1916, il ministero BoseUi, rovesciato il 25 ottobre 1917, e gli esordi di quello presieduto da Orlando, sempre con Sonnino agli Esteri, anello di congiunzione fra le trame diplomatiche del 1914 e il rovescio del 1919. Neppure Sonnino lasciò "memorie". Ne rimasero il Diario, molto frammentario e lacunoso proprio nei passaggi cruciali, e lettere. Sin dai primi mesi dell'intervento dell'Italia in guerra Governo e Comando Supremo giunsero ai ferri corti su molti versanti sostanziali delle rispettive competenze. Lo aveva anticipato il ministro della Guerra Domenico Grandi quando, consultato proprio Cadorna, il 23 settembre 1914 aveva avvertito Salandra: il governo era l'unico titolato a valutare lo spirito pubblico e le esigenze politiche e a stabilire se 11 il Paese" avrebbe condiviso e assecondato, o no, l'ingresso nella fornace ardente, con tutti i
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rischi derivanti dalla impreparazione dello "strumento bellico". Poiché non era allineato con gli scopi occulti dell'Esecutivo, Grandi venne sostituito con un ministro di fiducia di Salandra. Ad aggravare la tensione, sull'inizio del 1916 intervenne la decisione del governo di intraprendere un'azione militare in Albania per assicurarsene il dominio. Attestarsi a Vallona (come all'epoca si diceva) secondo Salandra e Sonnino significava fare dell'Adriatico il "lago italiano°, come a grandi linee tratteggiato dall'"accordo" (non patto né trattato, a differenza di quanto molti scrissero e ripetono) siglato a Londra il 26 aprile 1915 in vista dell'adesione all'Intesa anglo-franco-russa. Secondo Cadorna l'apertura di quel fronte bellico sulla 11 quinta sponda" era invece del tutto fuorviante: avrebbe distratto mezzi e uomini dall'unico vero campo di battaglia e, in prospettiva, assorbito risorse sempre più ampie, in uno scenario politicomilitare colmo di incognite e di possibili sorprese negative. Lo stesso valeva per le truppe italiane Oltremare, dalla Tripolitania al Mar Rosso. Ve n'era invece urgente e prioritario bisogno sul lunghissimo sinuoso fronte italo-austriaco. L'Italia, egli soleva ripetere, avrebbe riconquistato la Libia sul Carso, ove, diversamente, rischiava di perdere tutto. Anche Londra si disperdeva in imprese azzardate su teatri diversissimi, ma da s.e coli era un impero coloniale planetario. All'opposto, l'Italia doveva invece concentrare tutte le sue risorse per sfondare il fronte austro-ungarico a est, arrivare a Lubìana e Zagabria e aggirare da sud l'impero asburgico, suscitandovi l'insorgenza delle "nazioni senza Stato" o, come poi si disse, dei "popoli oppressi". La sua visione potrebbe essere classificata mazziniana o garibaldina se non fosse che sin dal 1864 anche Vittorio Emanuele II aveva caldeggtato un'iniziativa italiana di quel tenore, per destabilizzare l'Austria. Era, appunto, "un generale del Risorgimento italiano".
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Il "différend11 tra governi allo sbando e il Comandante Supremo
La risposta del governo ai suoi mòniti e, presto, alle sue rimostranze, consegnate anche al carteggio con il titolare degli Esteri, Sonnino, fu quanto di più deludente e assurdo. Lo documenta il verbale della seduta del Consiglio dei ministri del 26 febbraio 19161 firmato da Antonio Salandra e da Salvatore Barzilai, sinora inedito: 11 Presenti tutti i ministri. Si autorizza la pubblicazione di un decreto relativo all'avvio delle azioni militari in Albania, in sostituzione del decreto 1 dicembre 1915 11 • Il governo avocò a sé il comando dell'impresa. Così l'Italia condusse due guerre separate1 una con la regia del Comandante Supremo, un'altra 11 gestita11 direttamente da Roma. Quella d'Albania era pro o contro la Setbia? Gradita o no all'impero di Russia? Rientrava o no nel quadro dell'Intesa? Ad allarmarsene non erano solo gli "slavi" ma anche i greci e, ancor più determinanti, i .francesi e, non solo a strascico, gli inglesi. Quella delibera prospettava comunque due diverse politiche estere, perché (lo aveva insegnato Clausewitz) le armi son o la prosecuzione della diplomazia con altri mezzi. Ma era appunto la politica estera il "ventre molle" del governo italiano. Lo si vide-anche con l'esecutivo Boselli, quando Roma non poté più esimersi dal dichiarare guerra alla Germania, che l'Italia si era impegnata a combattere sin dal 26 aprile 1915. Dopo la austroungarica "spedizione di primavera" (o "punitiva") del maggio 1916 e la controffensiva rapidamente e abilmente allestita da Cadorna, culminata con l'ingresso in Gorizia il 10 agosto, la guerra mutò volto e "ragione sociale": non poteva più essere confinata nel recinto del "sacro egoismo" accampato nel 1915 da Salandra, il cui vero e miope obiettivo era annientare Giolitti 7• La guerra dell'Italia andava inquadrata nell'ambito d i una visione europea, delle alleanze e delle loro prospettive postbelliche, come
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dal Generale scritto e ripetuto sin dal luglio 1914, con lungimiranza superiore a quella dei 11 politici 11 • La tardiva dichiarazione di guerra alla Germania (24/28 agosto 1916)
Solo il 24 agosto 1916, presenti tutti i ministri, il gov.e rno Boselli fece mettere a verbale il passo fatale: udita la relazione del ministro degli Esteri, _esso deliberò "in conformità degli impegni assunti con gli alleati, di proporre a Sua Maestà la dichiarazione di guerra alla Germania, [autorizzando] il Presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri di determinare il momento opportuno per dar seguito alla deliberazione presa".8 Roma doveva però motivare una decisione così gravida di conseguenze. Lo fece con argomenti di basso profilo: gli aiuti militari germanici all'Austria-Ungheria sua alleata, la consegna agli asburgici di militari italiani evasi dai campi di prigionia, la sospensione del pagamento delle pensioni dovute a operai italiani: contenziosi da sottoporre a conunissioni paritetiche, non alle armi. La dichiarazione di guerra venne comunicata alle 13.40 del 27 agosto con efficacia dall1indomani. Lo stesso giorno la Romania scese in campo a fianco dell'Intesa. A quel punto Cadorna chiese a Sonnino di farsi almeno comunicare "i patti interceduti fra gli alleati circa la sorte eventuale dell'impero turco: Costantinopoli, gli Stretti, l'Asia Minore, questioni di primaria importanza per la preparazione della pace, a cui bisogna pure pensare quando non ci sia altra guerra da dichiarare". Sonnino si chiuse a riccio. La politica estera era suo riservato dominio. Di più e di peggio fece Boselli col sostegno del ministro dell'Interno, Orlando. Lungo tutto il 1917 e specialmente dopo la rivoluzione in Russia (marzo), l'ingresso degli USA nella guerra (aprile) e il rischio di un'offensiva austro-germanica, come bene documenta. Carlo Cadorna il Comandante Supremo incalzò il governo IO
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con ben quattro lettere per chiedere il potenziamento del 11fronte interno" e la lotta contro il disfattismo che dal paese contagiava l'Esercito. Non ebbe alcuna risposta. Il 27 marzo e il 28 settembre Cadorna partecipò a due sedute del governo. Della prima non v'è alcuna traccia nei verbali del Consiglio dei ministri; la seconda è riassunta in poche righe, elusive, senza alcun cenno al dibattito. Cadorna non vi è affatto menzionato. Secondo postume "dichiarazioni" di Orlando, il Comandante supremo gli condensò il proprio programma in poche parole a seduta ormai terminata: "Lei pensi ad assicurarmi le retrovie, che ai soldati ci penso io 11 • La vera storia di quei drammatici mesi non si comprende appieno dunque né dalle Memorie di Orlando o dal carteggio di Sonnino né, tanto meno, dall'Inchiesta su Caporetto, ma emerge invece a luce meridiana da La guerra alla fronte italiana e da questo volume pubblicato da Carlo Cadorna, per riaprire il dibattito su pagine fondamentali della storia d 'Italia. La fredda vendetta di Orlando Orlando aveva in serbo due vendette, contro Giolitti e contro Cadorna, ma non ebbe l'animo di consumarle alla luce del sole. Le lasciò nel piatto freddo di 11 memorìe" farcite di capitoli provvisori e di appunti. Si premurò anzitutto dì giustificare la scelta interventistica: "Io credo che l'obbedire alla pressione pubblica sia un elemento inseparabile d eU1istituto parlamentare 11 • Un elogio della "piazza1 ' che non lo qualifica come 11 statista 11 • Ripeté poi più volte di aver subordinato l'accettazione de11a presidenza del Consigli.o alla defenestrazione di Cadorna. Negò che Caporetto fosse stata causata anche dal disfattismo dilagante nel paese e da questo contagiante l'Esercito e giunse a scrivere che la "propaganda sovversiva" di origine socialistica era denunciata dal Generalissimo per 11 una di quelle idee fisse
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che confinano coi domini della psichiatria. Per ciò stesso e per ciò solo, al giudizio vien meno ogni autorità11 •9 Rivendicò infine a proprio merito di aver strappato a Vittorio Emanuele III la 11 esonerazione 11 di Cadorna, le cui 11 capacità tecniche 11 ritenne (non solo nel corso degli eventi ma anche nelle nmemorie") viziate per eccesso o per difetto dal senso di responsabilità e concluse: 11Che valore può avere un Capo, non dirò irresponsabile, ma non adeguatamente responsabile?". Nel silenzio operoso di Firenze Cadorna fu sotto l'assedio del malanimo dei governi che si susseguirono e si macerarono l'un l'altro. Anche il V ministero Giolitti durò appena un anno. Lo Statista fronteggiò e superò emergenze immani di politica estera e interna in un'Europa sotto attacco da parte della Rivoluzione bolscevica. Mentre l'Armata rossa assaliva la Polonia (Stalin era tra i suoi comandanti) nel settembre 1920 in Italia venne organizzata l'occupazione delle fabbriche, che rimane un mito intoccabile per gli apologeti del 11 comunismo11 di Antonio Gramsci, Amadeo Bordiga e del loro all'epoca modesto accolito Palmiro Togliatti. Giolitti spazzò via la Reggenza del Carnaro di Gabriele d'Annunzio, volgente da 'ìpolitica 11 a goliardia, e avviò il risanamento della finanza pubblica con l'abolizione del 11prezzo politico" del pane. Giolitti affrontò la memoria della guerra con l'adunata delle Bandiere il IV novembre 1920 e il progetto del Milite Ignoto al Vittoriano. Era compito suo la revisione del giudizio sull'Inchiesta su Caporetto? Nell'autunno del 1920 promosse i "blocchi" che portarono i moderati a riconquistare tante amn1inistrazioni comunali e provinciali precedentemente dominate da socialisti che, appena insediati, toglievano dalle sale consiliari i ritratti del Re. Nella primavera del 1921, stagione propizia, Cadorna pubblicò La guerra. L"1altro11 libro venne tenuto da parte: era "la riserva11 da mettere in campo quando fosse opportuno. 0
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Quel tempo, però, lui vivente non venne mai. Per quanto paradossale la 11 memoria 11 sulla Grande Guerra rimase lacerata. Le Pagine polemiche del Generale erano 11 inattuali 11 in un paese impossibilitato dalla legge elettorale a darsi una maggioranza parlamentare a supporto di un governo stabile. Lo stesso Giolitti ne prese atto nel giugno 1921, quando il suo ministero venne messo in discussione da un deputato dei molto moderati e altrettanto inconcludenti democratici sociali, che poi per due anni sorressero il governo Mussolini.
Quando Mussolini imped:ì la pubblicazione dell' 11 altro libro" di Cadorna Il secondo libro di Cadorna rimase nel cassetto anche dopo le manifestazioni entusiastiche che ne riportarono l'autore al centro del1 1opinione nazionale. Lo rimase anche quando il sottosegretario del ministero della Pubblica Istruzione, Dario Lupi, massone, promosse i luoghi delle rimembranze per i caduti nella Grande Guerra, replica diffusa dalle città ai più remoti borghi per ricordare i caduti, inclusi quelli "senza croce". Cadorna continuò a limare la "nota aggiuntiva 11 sino al 15 dicembre 1926, quando se ne congedò. Le Lettere famigliari curate dal figlio Raffaele (1967) documentano il proposito coltivato da Cadorna almeno sino al 1926 di dare finalmente alle stampe anche le Pagine polemiche, rilette e limate sino a quando si congedò dal loro manoscritto datando 11 Pallanza, 15 dicembre 1926 11 • Lì ancora una volta mise in guardia dal considerare la Relazione della Commissione d 1inchiesta del 1918- 1919 quale documento veridico. Le sue effettive vicende emergono da quanto ne scrisse il colonnello Fulvio Zugaro'0 e dall'inventario delle carte raccolte nel suo corso.11 13
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Il Generale era pronto a pubblicare, ma Mussolini, informato da Ugo Cavallero al quale egli ne aveva accennato, intervenne su di lui proprio tramite Cavallero, come Cadoma riferì al figlio da Viareggio 1111 dicembre: 110ra ho una grossa grana col mio libro. Cavallero mi scrisse pregandomi di sospendere la pubblicazione sqprattutto perché il Governo considera Sonnino come un rigido tutore degli interessi nazionali e non ama che ne esca sminuito. Io ho risposto che mandavo la sua lettera a Gatti (che ne st av a curando 1' ed izione nel l a collana da. lui diret ta
ma che, allo stato delle cose, non vedevo la possibilità di sospenderlo perché era legato da un contratto scritto e registrato coll'editore e il libro era pronto ad uscire. Cavallero m.i :rispose insistendo e dicendo che di fronte a un interesse superiore, si debbono superare le difficoltà col1 1editore11 12• Cadorna non sapeva che Cavallero era stato iniziato massone in una loggia del Grande Oriente d 1Italia e che durante la Gran de Guerra era transitato in una 11officina.11 della Gran Loggia, in cui 11 m ilitavano 11 anche Vittorio Valletta e altri strateghi della produzione industriale di guerra 13 • per Mondadori , N. d.A. )
Per un bilancio storiografico dell'opera di Luigi Cadorna Orlando pensò di avere la strada sgombra per il forzato silenzio di Cadorna. Sennonché nel 1950 i figli del Generale, Carla e Raffaele, pubblicarono finalmente le Pagine polemiche 14. Il "presidente della Vittoria" fece in tempo ad averne notizia, ma non riuscì a replicare. Lo fecero quanti poi ne dettero alle stampe le citate Memorie, un 11 mobile 11 della guerra settaria contro la storia della Grande Guerra e specialmente a danno della biografia del Comandante Supremo, tuttora da scrivere. Non era stato lui. a tramare per l'assassinio dell'Arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo a Sarajevo il 28 giugno 1914 né a chiedere la propria nomina a Capo dello Stato Maggiore
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dell'Esercito, decisa dal Re in successione ad Alberto Pollio, né a volere l'accordo di Londra. Assolse al compito immane di organizzare lo "strumento militare" del tutto impreparato per affrontare una guerra immaginata dai 11politici11 come breve e di modesto costo. Il governo si procacciò una miseranda apertura di credito all'estero quando già il ministro Grandi aveva scritto che occorreva almeno un miliardo di lire per portare l'esercito a regime minimo adeguato alla guerra. Fu invece lui, Comandante Supremo di piena e continua intesa con il Re, a chiedere all'Esecutivo di mettergli a disposizione quanto occorreva per fronteggiare e vincere quello che nel Bollettino della Vittoria venne poi detto "uno dei più potenti eserciti d el mondo". Lo argomentò nel libro che vide le stampe nel 1950. Settant'anni dopo l'Italia deve fare i conti sine ira et studio con la verità della Storia. Diversamente non recupera la bussola nella sua sempre procellosa navigazione di Stato giunto all'unità appena un secolo addietro, dopo immani sacrifici. Solo l'anno venturo ricorderà il 150° anniversario dell'irruzione dell'esercito italiano in Roma, agli ordini di Raffaele Cadorna, padre del Comandante Supremo: una 11liberazione11 per l1Italia e, a ben vedere, per la Chiesa cattolica apostolica romana. Con questo volume la figura e l'opera di Cadorna vengono consegnate alla storiografia, al di là di ogni disputa contingente.
Aldo A. Mola
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NOTE 1
Luigi Gratton, Armando Diaz. Duca della Vìttona da Caporetto a Vittorio Veneto, Foggia, Bastogi, 2001, con numerosi documenti inediti, anche in fotografia. D.i Gratton v. anche Armando Diaz nell'ultimo anno della Grande Guerra. Tes timonianze e gi.udizi, Rivista Militare, 1994. Su Diaz v. altresì Raffaele Riccio, Armando Diaz. 1l generale e l' uomo, Sarno, Edizioni dell'Ippogrifo,2018. 2
Olindo Malagodi, Conversazioni della guerra. 1914-1918, a cura di Brunello Vigezzi, Milano-Napoli, Ricciai:di, 1960.
" Luigi Cadorna, Lettere famigliari, a cura di Raffaele Cadorna, Milano, Mondadori, 1967, p. 267. 1
Vittorio Emanuele Orlando, Memorie (1915-1919),a cura di Rodolfo Mosca, Milano, Rizzoli, 1960.
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Se ne veda la nuova l'edizione anastatica, Roma, BastogiLibri, 2018, con saggio introduttivo di Aldo A Mola, Luigi Cadorna storico della Grande
Guerra. 6
Come noto, Capello (Intra, Novara, 1859-Roma, 1941), iniziato massone il 15 aprile 1910 n ella loggia "Fides" di Torino (Grande Oriente d tltalia), alto dignitario del Supremo consiglio del Rito scozzese antico é accettato, il 31 ottobre partecipò alla cosiddetta "marcia su Roma, cioè alla sfilata degli squadristi da Piazza del Popolo al Quirinale e alla Stazione Termini con i generali Gus tavo Fara e Sante Ceccherini, massoni 11in sonno". Dopo una prima stagione di fiancheggiamento di Mussolini, che gli affidò anche missioni all'estero, come parte degli affiliati al Grande Oriente Capello passò all'opposizione e venne coinvolto nell'attentato eterodiretto di Tito Zaniboni alla vita di Mussolini. Fu conda1mato al massimo dell.a pena (trent'anni di reclusione, h'e dei quali di segregazione in fortezza) e radiato dall'esercito. Si dichiarò sempre estraneo e attese invano revisione del processo e riabilitazione. 7
Come Orlando ebbe per scopo la demolizione del generale Cadorna, ossessivamente elevato a suo perpetuo "nemico" anche post mortem, cosl Salandra perseguì quella dello statista piemontese. Già nella Storia politica della Grande Guerra Piero Melograni intuì che per molti as petti l'intervento e la partecipa-
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zione dell'Italia al conflitto si risolsero nella lotta per i potere all'interno dello Stato. V. inoltre Luigi Compagna, Italia 1915.In guerra contro Giolitti, Soveria Mam1eUi, Rubbettino, 2015. 8
Verbali dei Consiglio dei Ministri, Archivio Centrale dello Stato. L'autore ringrazia il prof. Aldo G. Ricci, che ne propiziò la consultazione. Curiosamente i Verbali, che pur costitu.:iscono fonte rilevante per la storia d'Italia per gli anni dall'unità alla seconda guerra mondiale non sono oggetto di edizione critica sistematica. Furono pubblicati solo i Verbali dei governi Giolitti (1892-1921) e del ministero Zanardelli (1901-1903), nel quale Giolitti fu ministro dell'Interno. Identica sorte vale per il governo Mussolini, a parte i suoi primi due mesi, pubblicati con quelli dei due governi Facta in AA.VV., Mussolini a pieni voti? Da Facta al Duce. Inediti sulla crisi dell'ottobre 1.922, Torino, Edizioni del Capricorno, 2012. Eppme i Verbali del Consiglio dei minish:i sono documento certo più attendibile dei discussi e sopravvalutati Diari di Galeazzo Ciano. 9
Vittorio Emanuele Orlando, Memorie, cit., p. 183.
'° Colonnello Fulvio Zugaro, Il costo della guerra italiana, Roma, Stabilimento poligrafico per l'amministrazione della guerra, 1921., p. 59 ove si legge: "Studioso e appassionato nei miei più giovani anni della storia militare e di recente chiamato, pur troppo, ad ordinare notevoli per quanto incompleti ed unilaterali documenti della nostra guerra, per trarne -sotto l'assillo di altrui ansiosissima impellente pressione - taluni dati ed elementi di giudizio, posso, nella mia modesta esperienza veder quanto erri chi ricerchi te ragioni di avvenimenti militari, siano essi fausti o infausti, o peggio esclusivamente le ricerchi nell'azione diretta di comando dei supremi reggitori degli eserciti". Alessandro Gionfrida, fnventario del fondo H-4. Commissione d'InchiestaCaporetto, Roma, Stato Maggiore della Dfesa- Ufficio Storico,2015. 11
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Luigi. Cadoma, Lettere famigliari, cit. pp. 305-306.
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Aldo A Mola, Storia della massoneria in Italia dal 1717 al 2018. Tre secoli di un Ordine iniziatico, Milano, Bompiani, 2019 (3" ed.), ad indicem.
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Ed. Garzanti. .
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LUIGI CADORNA: UN GENERALE DEL RISORGIMENTO ITALIANO. di Carlo Cadorna Sul piano storico lo studio della Grande Guerra è particolarmente importante perché nel corso di essa si sono svolti degli avvenimenti che hanno rivoluzionato la storia ed hanno influenzato quanto avvenuto nel periodo successivo ed avviene tuttora. Basti pensare alla rivoluzione bolscevìca che, in Italia, ha condizionato tutta la storia successiva: l'avvento del fascismo, la seconda guerra mondiale, la Resistenza, l'avvento della repubblica, la guerra fredda le cui conseguenze si leggono ancora sui giornali 1 (il debito, i processi, il negazionismo delle foibe e del sabotaggio della Grande Guerra ... ). I sacrifici immensi dei soldati, la straordinaria esperienza unitaria ed alfine la tanto attesa vittoria sono stati negati ed abbandonati nelle mani del .Partito Nazionale.Fascista con colpevole determinazione. 1.
Emanuele Severino, "La vittoria giustifica i mezzi", Corriere della Sera 25/01/2010 : nel 1949 il Parlamento italiano votò Yadesione dell'Italia alla NATO, organizzazione difensiva contro il Patto di Varsavia. Nel 1955 i dirigenti democristiani (Fanfani, Moro) ebbero le prove che l'Unione Sovietica finanziava il PCI: ma anziché dichiararlo .fuori legge si misero d'accordo consentendo ai comunisti di tramare contro la nostra libertà per 40 anni almeno(Google: Relazione ConuJ1issione Parlamentare Mitrokhyn- V. Ilari, "Storia Militare della Prima Repubblica") occupando tutte le sedi istituzionali nelle·quali si determina la "cultura". Fiumi di denaro si sono riversati su giornalisti, scienziati, operatori culturali e politici: i responsabili del governo italiano dal 1995 al '99, "con volontà omissiva in spregio alla più elementare deontologia ed al dovere di fedeltà alla. legge", hanno fatto in modo che i nomi dei 58 più importanti agenti sovietici, di nazionalità italiana, venissero sepolti per sempre. Sono stati commessi i reati previsti dal c.p. ai n° 246,256,257,258,260,261,262,264,280,288,361,328,498. 19
Caporetto, risponde Cadorna
Ogni richiamo ai valori che hanno caratterizzato l'epopea della grande guerra (relazioni dei cappellani militari che quei valori hanno impersonato anche con il sacrificio della vita) sono stati e sono tuttora bollati come vuota retorica. La conseguenza è che siccome tali valori (il rispetto per le istituzioni, il senso del dovere e della responsabilità) sono alla base di un governo efficiente della cosa pubblica, siamo finiti in una fase preagonica vittime di una classe dirigente incapace e corrotta. Per questo motivo ho dedicato gli ultimi anni soprattutto allo studio giuridico, politico ed economico delle cause della guerra e della nostra partecipazione. Potrebbe sembrare che io, in quanto nipote del Generale Cadorna, sia la persona meno indicata per tracciarne un ritratto equilibrato ed il più possibile veritiero; senonchè l' esperienza militare di quattro generazioni che mi è stata trasmessa da mio Padre unitamente alla conoscenza diretta ed approfondita di alcuni testimoni chiave della Grande Guerra (L'addetto militare a Londra, il Presidente dei Combattenti), la conoscenza di Nel 2008, nell'ambito del convegno "Rìleggiamo la Grande Guerra" due importanti storici, uno cattolico ed uno comunista, hanno concordato, alla mia presenza, di negare l'esistenza della propaganda pacifista bolscevica riversandone la responsabilità sul Gen. Cadorna. Ancora oggì non si riesce ad ottenere da Wikipedia che il giudizio storico su Cadoma sia quello riportato dalla relazione della Commissione d'Inchiesta su Caporetto. Nel 2018 il bellissimo film "Rosso Istria" sulla vicenda delle foibe non riesce ad arrivare nelle sale cinematografiche: dopo molte pressioni è stato trasmesso da RAI3, ma nella serata del festival di Sanremo! Questo significa che alcuni dei 58 "trndi.tori della Patria" sono ancora al loro posto di comando! L'autorizzazione data da V.E. Orlando nell'estate 1917 aj soviet leninisti di recarsi a Torino favorì il successo dei comunisti che impedirono sempre la nascita di una sinistra rifom1-ista e realmente democratica (E.Gentile, Rai Storia, 12/08/2018). Il Sen. Andreotti ha sempre giustificato i: accumulo del1' enorme debito italiano con la necessità di impedire che il P.C.I. vincesse le elezioni. 20
Luigi Cadoma: Un Generale del Risorgimento italiano
fatti e problematiche che sono state ignorate o male analizzate dalla ricerca storica mi consentono di proporre argomentazioni razionali ed originali. Inoltre, i membri della famiglia sono tutti ugualì avendo tutti ricevuto la stessa educazione. E' stata ignorata la ricerca dei compiti e delle conseguenti effettive responsabilità del Generale che, fatta salva la costituzione dell'Esercito e la strategia che era di sua esclusiva competenza, aveva essenzialmente un compito direttivo: di conseguenza la Sua opera deve essere valutata esclusivamente sulla base della produzione cartacea; sono state ignorate le conseguenze militari del Patto di Londra e le circostanze nelle quali venne redatto. Sono state ignorate le responsabilità storiche di chi aveva effettivamente il potere di decidere (Potere di origine divina del sovrano che determinò uno Statuto materiale diverso da quello formale, come dimostrato dal confronto con Giolitti del 10 maggio nel corso del quale il Re, per superare l'abilità politica di Giolitti che gli faceva notare che un semplice "Patto" non poteva coinvolgere il governo, fu costretto a violare lo Statuto coinvolgendo la Sua persona) e sono stati valutati i fatti come se, nell'epoca, il diritto individuale avesse un qualche valore in rapporto alla legge. Sono stati offerti ai lettori giudizi in materia militare da parte di persone che non ne sono affatto competenti. Per esempio1 si è spesso confusa la strategia con la tattica (impiego delle forze). La strategia decide l'esito delle guerre ed è una scienza che mette a confronto l'entità delle forze così come sono disposte sul teatro operativo: queste devono essere considerate alla luce della loro qualità e concorrenza, delle predisposizioni logistiche che ne rendono possibile l'assolvimento del compito1 dell'ambiente e del terreno sul quale devono operare, delle opere fisse (fortificazione) che ne esaltano la funzionalità, delle alleanze che ne determinano la concorrenza. Di conseguenza nella ricostruzione di eventi storici che riguardano la guerra, non si può 1
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Caporetto, risponde Cadorna
comprenderli correttamente partendo dal basso della gerarchia militare: bisogna, al contrario, partire sempre dalla strategia che è di competenza del comando supremo. Non si è mai tenuto conto del fatto che dei soldati di leva hanno qualche probabilità di assolvere il compito soltanto se l'hanno provato e riprovato con il nemico rappresentato (spostamenti richiesti all'ultimo momento - non risulta che i comandanti dei C.d' A. impegnati a Caporetto abbiano verificato che i reparti dipendenti avessero provato le contromanovre ordinate dal Gen. Capello; di conseguenza non risulta che siano state effettuate). Che gli unici ufficiali che hanno il potere effettivo di agire sul governo dei soldati sono i comandanti di compagnia (tutti gli altri sono troppo impegnati nei rapporti con i comandi superiori). Che la fanteria è in grado di combattere soltanto se ha un enorme allenamento fisico, incompatibile con una lunga permanenza in trincea. Sono state assunte delle testimonianze poco credibili ed ignorate quelle più probanti (comportamento dei comandanti di reparto a Caporetto: secondo Rommel erano a giocare a carte, secondo loro a combattere strenuamente). La combattività di un reparto in difensiva si giudica dal rapporto tra mortiferiti e prigionieri-sbandati-ritirati. Gli eventi e le persone sono stati giudicati senza contestualizzarli nella realtà dell'epoca (sostanzialmente ottocentesca). I Generali prendono le decisioni sulla base delle informazioni (forze amiche e nemiche), vere o false che siano, di cui dispongono (questo si insegna nelle scuole di guerra). Ad esempio, la verità o meno della propaganda socialista-bolscevica è irrilevante ai fini di un giudizio storico onesto perchè i documenti che la riguardavano erano sul tavolo del Gen. Cadorna. Alcuni storici, con evidente motivazione ideologica e conseguente conflitto d'interesse, hanno falsato i fatti e le responsabilità del generale allo scopo di metterlo in cattiva luce: Rochat 2, 22
Luigi Cadorna: Un Generale del Risorgimento italiano
decimazioni, bollettino, prigionieri di guerra - M. Isnenghi, 24/05/2017 Rai Storia: negazione della propaganda socialista (ma il 12/08/2018 è stato smentito da E. Gentile) - N. Labanca, La Lettura 17/09/2017: "Cadorna doveva disobbedire al Re" - M. Mondini, RAI 3 22/10/2017: "Cadorna responsabile della morte dei prigionieri di Caporetto". Sono stati messi in circolazione spezzoni di documenti falsati allo scopo di dimostrare una presunta scarsa considerazione del generale per la vita dei soldati: al contrario, nelle sue circolari, invita i comandanti d'Armata ad utilizza.re meglio l' artiglieria perché la vita dei soldati "è preziosa"! Infine, nell' attribuzione delle responsabilità bisogna distinguere le colpe (violazioni delle leggi penali) dagli errori (violazione dei regolamenti). Cercherò quindi di attenermi ai fatti quali emergono dai documenti storici che sono, a richiesta, in grado di citare. Osservo infine che è pericoloso criticare il senso del dovere del Gen. Cadorna (dovere di rispettare gli impegni presi dal Re con gli alleati, dovere di mantenere la disciplina), che d'altro canto era preteso da tutto l'esercito (relazioni cappellani militari)1 perché si mette in discussione l'autorità dello Stato. Non esistono diritti senza doveri ed il primo dovere di chi detiene il potere e l'autorità è il senso dello Stato cioè il dovere di perseguire il bene comune. Essi devono adempiere le loro funzioni con disciplina ed onore che significano coerenza ed intimo convincimento della funzione essenziale delle regole. Quando si assume un impegno che è fatto di rispetto di regole e di esercizio di ben definite competenze che si svolgono nel pubblico, occorre essere responsabili dei propri comportamenti e della loro coerenza (da ricordare quando si valuta l'impiego delle riserve). Questi concetti non li ho tratti da un manua2
G. Rochat,"I diritti del soldato", capJI, Feltrinelli, 1978: invito esplicito ai soldati a contestare l'appartenenza dell'Italia alla NATO (reato prevjsto art.266 c.p.) 23
Caporetto, risponde Cadorna
le dell'800 ma dalle riflessioni costituzionali di Norberto Bobbio. All'epoca della grande guerra (John Thayer) essi erano integrati da una consuetudine, risalente alla fine dell'impero romano, secondo la quale i Papi assicuravano ai regnanti il diritto divino ad esercitare l'autorità (encicliche Imm.ortale Dei e Diuturnum di Leone XIII e senso del dovere secondo CadornaN apoleone si fece investire dal Papa - La regina d'Inghilterra è anche il Capo della religione anglicana). Peraltro il Re avrebbe potuto esercitare il potere senza responsabilità (art. 4 Statuto Albertino), che quindi sarebbe ricaduta interamente sul governo, se nell'incontro con Giolitti del 10 maggio 1915 non avesse violato lo Statuto e se avesse curato i rapporti tra il C.S. (al quale aveva concesso di dipendere soltanto da Lui) ed il governo, almeno nei riguardi dei destini d ella popolazione civile ricompresa nella zona di guerra. Nel vecchio Piemonte essi erano radicati nella classe dirigente ed in particolare nello zio e nel padre di Luigi Cadorna che avevano alienato il piccolo patrimonio familiare per potersi dedicare interamente all'interesse delle istituzioni. Lo zio, Carlo Cadorna, famoso giurista, fu determinante nella politica consentendo a Cavour di andare al governo mandando i conservatori all'opposizione: egli impersonò la politica di Cavour per il rinnovamento della scuola considerata giustamente la chiave per la modernizzazione del Piemonte 3 • Il padre, Raffaele1 fu uno dei principali protagonisti delle campagne risorgimentali: nel '49 portò a Radetsky la dichiarazione di guerra; nel '55 fu il vero artefice del successo della spedizione in Crimea4. Nel 1 59 comandava il battaglione bersaglieri alla battaglia di S. Martin.o: avuto ucciso il cavallo, 3
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"Cavour", Rosario Romeo Stor ia d'Italia Mo11dadori, vol. VI, pag. 244
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sguainò la sciabola, ordinò di innestare la baionetta e guidò il reparto all'assalto vittorioso del colle omonimo. Nel '66, al comando di una divisione, intimò senza successo a Cialdini di unirsi a Lamarmora: al termine della campagna inseguì gli austriaci fino all'Isonzo (Ponte di Versa). Nel '70 comandò il corpo di spedizione che entrò in Roma. Il piccolo Luigi fu quindi avviato, fin dall'età di 10 anni, agli istituti militari di formazione: essi gli inculcarono il senso del dovere di anteporre sempre l'interesse delle istituzioni a quello personale. Emerse negli studi classificandosi sempre il primo e mostrando una spiccata predisposizione per la matematica e per il processo logico che ne deriva. Aveva un carattere vivace ma anche assai riservato: questo aspetto gli procurerà non pochi problemi durante la guerra, cond izionando i rapporti interpersonali. Era profondamente religioso ma. anche convinto della necessaria laicità dello stato. Politicamente era un uomo dell'ottocento, legato alla Destra Storica, protagonista del risorgimento. Così come essa, non comprese gli effetti della rivoluzione industriale e le conseguenze politiche che avrebbe avuto nel paese. Avendo conosciuto la figlia Maria, indirettamente ho conosciuto anche Lui: era di un'intelligenza straordinaria e con un giusto equilibrio tra severità ed umanità, emanava un'autorità alla quale anche mio Padre si sottometteva spontaneamente. (VII pa.g. 52) Tutta la sua carriera militare nelYarma di artiglieria ebbe uno svolgimento brillante: fu particolarmente apprezzato proprio dai generali più severi e temuti quali il Pianell ed il Baldissera. Manca nel suo curriculum un'esperienza di guerra così come alla quasi totalità dei quadri che combatterono la grande guerra i cui studi si fermavano all'esperienza ottocentesca del 1870: ecco perché nessun generale previde la superiorità della difesa e l'avvento delle trincee. Ma non si può certo dire che era un teorico" perché aveva .imparato dal Padre a valutare il terreno 11
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e la validità delle opere: come dire il pane quotidiano per un comandante in guerra (lo dico con cognizione di causa perché ero ancora un bambino quando mio Padre, in montagna, mi spiegava la dìfferenza tra una posizione debole ed una forte possibilità, senza essere visti, di controllare il nemico con la vista. e con il tiro). Parlava il francese come l'italiano ed aveva una grande predilezione per la storia militare e per la montagna, sede anche di accurate analisi tattiche. Nel 1908 il Re, su indicazione del Gen. Baldissera ed avendolo già avuto alle Sue dipendenze nel 1898, gli offrì la carica di Capo di S.M.;. ma il generale gli rispose che non gradiva una carica raggiunta in quel modo poco trasparente e che riteneva comunque che il sovrano, non essendo responsabile, non poteva che avere un ruolo esclusivamente formale. Qualcuno ha criticato questo atteggiam.e nto definendolo poco diplomatico: dimentica che nell'epoca la guerra rappresentava appunto il fallimento della diplomazia e che il generale conformava il suo comportamento alla lealtà nei rapporti gerarchici sancita dal regolamento di disciplina militare in vigore (Massimo D'Azeglio). Ma l'improvvisa scomparsa del Gen, Pollio, a guerra europea in vista, convinse il Re a nominare Cadorna, che era il generale più reputato, Capo di S.M. il 27 luglio 1914. Cadorna accettò a condizione di dipendere esclusivamente dal Re (che gli assicurò la piena copertura politica di qui lo sfogo di Ca.doma con A. Gatti 5) , allo scopo di non ripetere gli stessi errori che avevano caratterizzato le prime guerre risorgimentali; accettando la condizione richiesta da Cadorna il Re si è assunto anche delle responsabilità relative alla condotta della guerra dal momento che pretendeva che Cadorna facesse
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"Un italiano a Versailles", Milano, Ceschina, 1958, pag. 73 Diario Gen. Puntoni, Il Mulino, 1993, pag. 357, pag. 96
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precedere i suoi ordini dalla frase "presi gli ordini da S.M. il Re" 6 . Il compito del Capo, sancito dal regolamento di disciplina (1898) con la relativa responsabilità, era quello di preparare l'esercito e la logistica per la guerra, di elaborare la strategia e di controllare l'esecuzione degli ordini (compito direttivo). A maggior chiarimento, il Suo compito non era quello di vincere delle battaglie ma la guerra ed in questi termini ha sempre ragionato, spesso mal compreso dai critici. Si trattava di un compito talmente vasto che è ridicolo pensare che potesse occuparsi d'altro (Silvestri). Ai comandanti dipendenti spettava la responsabilità delle azioni di loro competenza (compito esecutivo): l'addestramento ed impiego tattico delle truppe era compito specifico ed autonomo dei comandi di divisione, sotto il controllo dei C.d 1A. Essi avrebbero quindi dovuto, in accordo con i comandi dipendenti (brigate, reggimenti, battaglioni) individuare le modalità addestrative più idonee per conseguire i risultati previsti dalla normativa in vigore (libretto rosso). Dalle testnnonianze, non risulta che abbiano messo, nella media, particolare impegno in questo loro compito specifico. D'altro canto i quadri erano fortemente deficitari in numero ed in qualità (Giolitti) quando Cadorna assunse il comando; ed erano il tessuto portante di un esercito che, unico tra quelli dei paesi coloniali, era stato battuto dagli africani. Cadorna, in coerenza con la Sua cultura liberale, fu sempre scrupoloso nel rispettare l'autonomia dei dipendenti: questo atteggiamento, profondamente educativo in tempo di pace perché educa alla responsabilità, si rivelerà un grave difetto durante la guerra perché gli errori delle grandi unità dipendenti non potevano essere corretti. Inoltre l'autonomia fu spesso equivocata (Brusati, Capello, Di Robillant) ed utilizzata per eludere gli ordini. Bisogna però rilevare come il fatto di non essersi mai intromesso in questioni che non erano di Sua specifica competenza, previsto dal regolamento di disciplina, mette automati27
Caporetto, risponde Cadoma
caro.ente sotto accusa quegli storici ch e, proprio per quelle questioni, l'hanno criticato. Il governo, pressato da entrambi gli schieramenti, decise alfine di entrare in guerra a fianco della triplice intesa. Questa decisione era giustificata (con il senno del tempo) dalla inaffidabilità (i tedeschi avevano convinto gli austriaci a farci delle false promesse/ e scarsità delle pron1esse austriache, dall'opinione comune che la guerra sarebbe stata breve, dalla scarsa considerazione che si aveva nell'epoca per la vita umana (malgrad o i tanti morti, vent'anni più tardi la maggioranza degli italiani applaudiva Mussolini che annunciava l'entrata in guerra), dalla mancanza di materie prim e che solo la triplice ci poteva fornire (tutti i rifornimenti passavano dallo stretto di Gibilterra) senza le quali avremmo avuto milioni di disoccu pati proprio allo scopp io della rivoluzione bolscevica, dal grande eco delle aspirazioni risorgimentali e dall'appoggio, determinante, del Re. Ma il Gen. Cadorna fu tenuto all'oscuro dei termini dell' accordo che erano, in parte, inaccettabili sul pian o militare perché obbligavano il nostro esercito ad una funzione secondaria (impedire travasi di forze austriache sul fronte del Ren o, ·considerato erroneamente il principale) m a particolarmente dispendiosa. Infatti avrebbe dovuto attaccare gli austriaci, su richiesta d el comando alleato che si verificò ogni volta che i tedeschi attaccavano, allo scopo di tenerli impegnati (inutili battaglie??? Quanti storici sono andati fuori tema!! - le spallate cadorniane alleggerirono il fronte occidentale di 16 divisioni tedesche, inviate su quello orientale a sostituire altrettante divisioni austriache, e determinarono per gli austriaci un logoramento relativamente superiore a quello nostrot su delle posizioni naturalmente forti, in una situazione tattica che favoriva la difesa e con delle forze perennemente insufficienti a 7
M. Brignoli, "Edoardo Greppi: Londra 1914-15, Roma 2000, AUSSME
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determinare un rapporto di forze idoneo (5:1) soprattutto per la carenza di artiglierie e di armi di reparto: infatti nessun esercito trovò una soluzione pratica per superare il trinomio trincea.reticolati-mitragliatrici. Inoltre all'esercito non era lasciato il tempo, né lo avrebbe trovato guerra durante (per la mancanza di istruttori validi e della disponibilità dei soldati - fino a Caporetto), per addestrare i soldati. Dalle battaglie del 1915 Cadorna trasse l'insegnamento che la guerra non sarebbe stata di conquista 1na che sarebbe stata vinta per consunzione del1'avversario: di conseguenza iniziò a risparmiare le forze dosando attentamente il proprio logoramento in relazione a quello degli austriaci che avevano comunque potenzialità inferiori. L'addestramento comportava essenzialmente, oltre al tiro ed al lancio deJle bombe a mano, la capacità di sfruttare il terreno (le buche dei colpi d'artiglieria) per sottrarsi al fuoco avversario ed il coordinamento con il fuoco di copertura delle armi di reparto (mitragliatrici e mortai) e dell'artiglieria. Ne derivarono l' alto numero di perdite (ma pur sempre di molto inferiori a quelle austriache, messe in rapporto alle forze impegnate) e la necessità di una disciplina particolarmente severa senza la quale l'esercito non avrebbe potuto reggere il confronto con quello austriaco che della disciplina aveva una tradizione ben consolidata: infatti, mentre i comandanti di qualità sono riconosciuti come tali dai propri dipendenti per i quali un semplice rimprovero è già una punizione efficace, quelli di scarsa qualità, la maggioranza, hanno bisogno1 per fare rispettare gli ordini, di tutti i mezzi disciplinari e penali previsti dalle leggi. Pertanto, senza le disposizioni disciplinari di Cadorna (che furono mantenute anche da Diaz) l'esercito si sarebbe presto sfasciato per l'enorme pressione fisica e psicologica che la situazione oggettiva imponeva ai soldati (ma questo non ha nulla a che vedere con le presunte decimazioni, di competenza della 29
Caporetto, risponde Cadorna
giustizia militare, pena prevista dal codice militare di guena -votato dal Parlamento- volta a punire i reati più gravi quando non sia possibile individuare i colp evoli per il comportamento omertoso del reparto che costituisce l'esatto contrario dell o spirito di corpo e quindi è particolarmente grave - in Italia non è mai stata applicata la pena della decimazione nello stretto significato giuridico del termine (il 10% del reparto interessato al reato). Peraltro in Italia furono fucilati, con processo, in tutta la guerra 730 soldati (più circa 300 senza processo per eventi di carattere eccezionale): bisogna raffrontare questo numero con le perdite - oltre 600 mila - per comprendere che l'uso della fucilazione ebbe carattere eccezionale ed, in percentuale, fu maggiore nel periodo Diaz. Com unque, le eventuali correzioni potevano e dovevano essere legate al miglioramento dell'azione di comando nei reparti e quindi all'applicazione delle norme, non certo ad una loro attenuazione. (VT pag. 52) Ma il com pito del Gen. Cadorn a non era quello di discutere le decisioni della politica e del Re ma d i obbedire al Re, suo superiore gerarchico ed istituzionale, (che riteneva che il Patto di Londra, fatto sottoscrivere con grande leggerezza ed incompetenza m ilitare, vincolasse la Sua parola) al quale aveva prestato giu ramento d i fedeltà; ed il Re, fino a Caporetto compreso, non ebbe nulla da dire ed approvò sempre l'operato del Generale sostituendolo soltanto perché fu preteso da Orlando e dagli alleati. Egli soleva osservare che i nostri avversari non stavano m eglio (considerazione strategica). D'altro canto la sua formazione risorgimentale gli faceva vedere la guerra come l'occasione per completare l'unità nazionale: riteneva indispensabile che gli imperi centrali perdessero la guerra a scanso di gravi conseguenze per noi e, conseguentemente, riteneva necessario e determinante il nostro aiuto all'Intesa8: questa comprensione dell'importante ruolo che poteva e doveva avere l'Italia nel 30
Luigi Cadorna: Un Generale del Risorgimento italiano
contesto strategico europeo fu uno dei pochissim.i ad averla! Peraltro non sottovalutò mai il problema addestrativo come dimostra l'invenzione nel 1917 9 del corpo degli Arditi che, essendo molto ben addestrati, riuscirono a sfondare le trincee nemiche dove i reparti normali non riuscivano (4 sett. 1917 conquista S. Gabriele). La prima mossa geniale di Cadorna fu qu ella di istituire il cappellano reggimentale (09/ 04/1915): in questo modo legava il mondo cattolico (antinterventista) agli interessi della guerra. Anche e soprattutto grazie all'opera dei cappellani Cadorna riusci a trasformare l'esercito, espressione di un Paese profondamente antimilitarista, nel vero vincitore della grande guerra 10• Essi seppero ascoltare i soldati e convincerli che soltanto con un elevatissimo senso del dovere potevano sopportare la terribile prova alla quale erano chiamati. Il Gen. Cadorna elaborò la strategia secondo le regole classiche che nella storia delle guerre hanno determinato tutte le vittorie: risparmiare le forze (anche attraverso la fortificazione) nei settori non decisivi per concentrarle a massa nel punto più d ebole dell'avversario. Fu quindi fortificato tutto il fronte montano (Svizzera compresa ad evitare che i tedeschi ne violassero la neutralità - linea Cadorna) e concentrate le forze sul fronte friulano che dava accesso al porto di Trieste ed alla piana di Lubiana. Per valutare correttamente le capacità di Cadorna bisogna fare il paragone con i generali francesi che, per tre guerre di seguito (1870-1914-1940), si fecero aggirare dal Belgio. La strategia di Cadorna fu sempre attenta alle alleanze; all'inizio della guerra si accordò con i russi e con i serbi per un attacco simultaneo ali' Austria (Convenzione Militare di Pietrogrado): purtroppo 8
L. Cadoma, "Lettere famigliari, Mondadori, 1967, pag. 102
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Circ. n° 111660 R.S. 26/ 06/1917 Diario Gen. Puntoni, Il Mulino, 1.993, pag. 357, pag. 96
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gli alleati non corrisposero ai patti ed il piano andò incontro ad un sostan ziale fallimento. Naturalmente il presupposto per poter attaccare in Friuli era quello di potere, in qualsiasi mom ento, parare un eventu ale attacco d al Trentino - che sarebbe caduto alle spalle del n ostro schieramento principale- attraverso lo spostam ento delle riserve (per via ferroviaria ed ordinaria). Anche questo argom ento (la strategia) è stato usato impropriamente da molti storici in senso negativo: il concetto strategico d el!' attacco a massa è stato usato per affermare che teneva in p oco conto la vita dei soldati mentre sono due argomenti slegati aven do l'u no carattere strategico e l'altro esclusivamente tattico; viene gen eralm ente ignorato il risparmio delle forze che ne è il presupposto. La linea di resistenza, quella dalla quale n on si può arretrare e con.fine posteriore del teatro op erativo, fu stabilita in corrispondenza del complesso m ontuoso d el Grappa che fu fortificato con le indicazioni personali d i Cadorna e del fiume Piave. E' parad ossale che il governo escludesse la possibilità dell' esercito di mu oversi all'interno del teatro operativo: è come escludere la m obilità di un pugile all' interno del ring. Fu p osta particolare attenzione alla logistica riorganizzando tutta la viabilità stradale e ferroviaria d ell1 arco alpino (200 km. di strade e 300 di mulattiere ma 2000 in totale) ed impiegando diffusam ente le teleferiche. Non potendo agire che in misura molto limitata sull'addestram ento delle truppe Cadorna puntò sullo sviluppo della p otenza di fuoco curando la produzione delle artiglierie che però ebbero sempre il limite della scarsa m obilità e, di conseguenza, della possibilità di portare l'azione offensiva in profondità. Ma questa caratteristica negativa poteva essere sfruttata in difesa concentrando i lavori e le trup pe sulle linee arretrate, al di fuori della gittata utile delle artiglierie n emiche. L'artiglieria, qu ando ben impiegata (aderente alle truppe in attacco -significa che era l'artiglieria, attraverso i suoi 32
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ufficiali osservatori - a dover spostare il tiro in avanti quando i primi fanti giungevano alle trincee austriache - e precisa sui punti di ammassamento in difesa, sottraendo alla gittata di quella avversaria le linee principali), ebbe sempre un ruolo determinante(V)nel decidere l'esito delle battaglie; ma il suo ìmpiego fu sempre condizionato (anche a Caporetto) dalla penuria di munizioni perché il governo aveva deciso che costavano troppo nonché dalla scarsa qualità di molti ufficiali d' artiglieria! Fu dato un impulso straordinario all'industria bellica che, inizialmente fortemente deficitaria, arrivò nel 1917 a superare i nostri avversari. Fu dato particolare impulso alla crescita deff aviazione che dominò sempre i cieli a partire dal 1916 (da 70 a 2000 aerei). L'aviazione ebbe un'importanza determinante nel mettere in crisi il sostegno logistico agli attacchi austriaci del Trentino e della linea Grappa - Piave (bombardamento dei ponti). Il limite nel campo industriale fu sempre quello della separazione dell'esercito dal resto del Paese che avrebbe dovuto supportare la guerra ed invece pensò spesso agli affari propri con la .f ornitura di materiali di qualità scadente. Ma il Re, che aveva la funzione istituzionale di fare da collegamento tra il Comando Supremo ed il governo soprattutto dopo aver conéesso a Cadorna di dipendere soltanto da Lui, fu poco incline ad intromettersi, limitandosi ad assicurare al capo di S.M. la necessaria autorità; tanto che il Gen. Cadorna, sbagliando, prese ad imporre al governo i provvedimenti necessari mettendo in gioco la popolarità che si era conquistato, con il Suo carisma (derivante essenzialmente dalle qualità morali), nell'esercito e nel paese (Memorie cappellano m.ilitare R. Vesan - Diario S. D'Amico). Ma gli storici che spesso hanno criticato l'atteggiamento di Cadorna nei confronti del governo, non si sono mai chiesti quale fu l'atteggiamento del governo nei confronti di Cadorna dal momento che sul piano ordinativo erano alla pari 33
Caporetto, risponde Cadorna
alle dipendenze del Re. Il controllo degli ordini fu una responsabilità che il Gen. Cadorna non seppe, non volle o non potè risolvere (avrebbe potuto nominare un sottocapo operativo ma non era facìle trovare dei collaboratori che avessero la Sua autorità e competenza nella valutazione del terreno ed aveva dieci anni di troppo per il controllo ·di persona): vi era un'indubbia difficoltà, che caratterizzò esclusivamente la Grande Guerra, dovuta alla lunghezza ed alle caratteristiche del fronte (650 km. di trincee) ed agli scarsi mezzi di trasporto (le gambe ed il mulo). Fin che potè si limitò a destituire dal comando (Brusati) i generali che non avevano saputo o voluto adeguarsi alle sue disposizioni anche allo scopo di effettuare una selezione che riteneva necessaria perché gran parte dei generali erano stati selezionati durante la pace ed erano inadatti ad un comando in guerra. Così molti attacchi, pur essendo vietato, furono comandati anche quando le trincee avversarie non erano state distrutte dall'artiglieria, determinando un'alta percentuale di perdite. Lo stesso avvenne con Yordine di tenere la maggior parte dei soldati al sicuro nelle caverne, lasciando ad una piccola rappresentanza il compito di sorveglìare le trincee: anche questa disposizione, che aveva una grande influenza sul benessere dei soldati, venne spesso ignorata. Queste disposiziont unitamente a molte lettere famigliari, contraddicono chi sostiene che il Generale tenesse in poco conto la vita dei soldati. Alcuni storici, utilizzando un ritratto del Gen. A. Gatti, accusano Cadorna di considerare i soldati soltanto dei numeri: dimostrano la loro incompetenza strategica perché Gatti si riferisce proprio al pensiero strategico del Capo: la strategia è una scienza esatta che valuta i rapporti di forza considerando appunto i soldati dei numeri che devono essere moltiplicati per alcuni 'coefficienti (la qualità e la concorrenza delle forze, le, caratteristiche del terre34
Luigi Cadorna: Un Generale del Risorgimento italiano
no e la fortificazione, la logistica e le alleanze). Ma i molti che hanno criticato e criticano le destituzioni sbagliano gravemente: infatti, pur avendo avuto anche delle ricadute negative, erano doverose per non lasciare la vita di migliaia di soldati nelle mani di generali incompetenti ed incapaci 11 • Un altro problema del nostro esercito (che emerse soprattutto nella seconda armata) fu sempre la scarsa propensione degli ufficiali a condividere con i soldati le fatiche, i rischi e le scomodità della guerra (esemplari gli alpini): Cadoma dedicò a questo tema parecchie energie ma con scarsi risultati dal momento che il problema partiva spesso dai più alti in grado. Inoltre poiché fanteria ed artiglieria avevano accademie diverse la cooperazione, descritta nei minimi dettagli nel famoso libretto rosso e nella responsabilità dell'artiglieria, ebbe sempre difficoltà di attuazione: fu il figlio Raffaele, divenuto a sua volta Capo di S.M. nel 1946, ad unificare le accademie. Apprezzava le persone di carattere mentre non concepiva la furbizia ed il compromesso: fu sempre ostile a qualunque forma di raccomandazione negandole anche e soprattutto ai familiari. Mio Padre frequentò l'accademia militare quando il Padre era generale d' armata: si classificò primo agli esami ed il Presidente della commissione lo elogiò perché era uno dei pochi a non essere stato raccomandato. Era incorruttibile ed aveva scarso interesse per il denaro se non per il suo apporto all'indipendenza personale. Non era un ''carrierista" ma riteneva che ciascuno dovesse avere una responsabilità proporzionata alle sue capacità: a mio Padre, nel 1955, democristiani e cmi1unisti offrirono la Presidenza della Repubblica, ma Egli rifiutò l'offerta ritenendola in conflitto con una giusta educazione dei figli. 11
E. Lussu, "Un anno sull'altipiano", Einaudi, 2000. I1 Re era del parere che fossero stati destituiti troppo pochi comandanti (Lettere famigliari, pag. 196).
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Caporetto, risponde Cadoma
Soppesava attentamente tutte le decisioni anche e soprattutto nelle loro conseguenze: per questo motivo era poco propenso a m odificarle. Gran parte delle critiche sull'impiego delle forze e delle riserve denotano scarsa conoscenza dei problemi militari ed una logica poco rigorosa: sono stati con.fusi come attacchi frontali quelli ·su larga fronte, indispensabile per lasciare ai comandanti d'armata l'iniziativa e la sorpresa nel concentrare il fuoco dell'artiglieria e le riserve nel punto che si rivelava più debole. Il Gen. Cadorna, in quanto responsabile1 aveva il dovere della coerenza con il Suo disegno strategico. Inoltre un buon generale deve sempre dare per scontato che il nemico faccia la cosa più logica (ove non lo facesse sarebbe automaticamente punito dalla sua illogicità): non a caso vi è una perfetta identità tra il comportamento di Cadorna a Caporetto nonché nel Trentino nel 1916 e quello di Rommel in Normandia 12 • Proprio nel '16 dimostrò la Sua agilità mentale iniziando le operazioni per 1a conquista di Gorizia qua!ldo ancora l'attacco austriaco (incoerente con il previsto attacco in Galizia dei russi e mancante di un adeguato supporto logistico: ferrovia del Brennero-Cadorna l'avrebbe raddoppiata! Inoltre il fronte presentava una strozzatura tra il Monte Altissimo ed il Pasubio: gli austriaci non l'hanno conquistata lasciando a Cadorna. la possibilità1 in caso di sbocco nella pianura veneta, di tagliargli il cordone ombelicale dei rifornimenti) non era terminato. In tre giorni è stata spostata un'armata sotto il naso degli austriaci: come si può dire che lo stato maggiore di Cadorna non era efficiente? Agilità men12
Un errore colossale da parte degli alleati, militare perchè hanno sprecato la loro superiorità aerea e navale per sbarcare in un punto non decisivo; politico perché, dopo essere entrati in guerra per garantire la libertà della Polonia, l'hanno regalata a Stalin che non mantenne la promessa di libere elezioni.
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tale che invece mancò agli austriaci sul Piave: quando, nei primi giorni decisivi (a partire dal 14 novembre) perché le posizioni italiane non erano ancora ben consolidate, constatar ono la solidità della posizione dovevano cambiare direzione di atta.eco invece di logorarsi inutilmente per un anno. L'attacco condotto sul saliente di Tolmino non poteva avere effetto decisivo come sarebbe certamente stato un a ttacco dal Trentino (probabilmente i tedeschi hanno scelto Tolmino per la scarsa predisposizione logistica del Trentino): di conseguenza Cadoma non avvicinò le riserve a quella zona, correttamente, perché avrebbe dovuto conservarle per l'eventuale impiego sulla linea del Piave. L'attacco ebbe conseguenze più gravi d el previsto perché lo schieramento delle forze, sulle linee battute dall' artiglieria nemica, era errato e colpevolmente in contrasto con gli ordini del 18 settembre e del 10 ottobre; alcuni reparti che difendevano posizioni chiave si arresero o si ritirarono senza combattere e soprattutto, l' artiglieria non sparò un colpo. Aveva piena coscienza, ma senza alcuna presunzione, delle proprie capacità e conoscenze che gli permettevano di considerare l'andamento della guerra con serenità e sicurezza (''Presuntuoso" per molti critici). Giudicava le persone esclusivamente dai fatti e dai comportamenti 13 ma era inguaribilmente ottimista e portato a concedere fiducia agli altri, sino a prova contraria (il figlio imparò dagli errori del Padre come si vide a Monterosi il 9 settembre '43): per tutti questi motivi, mentre godeva di grande prestigio nell'esercito e nella parte della società che appoggiava la guerra, era inviso a gran parte del ceto politico che, dopo aver eliminato con le elezioni del 1876 la vecchia classe dirigente risorgimentale, si era impadronito del potere esercitandolo in m odo spregiudicato. 13
U. Oietti, "Cose viste", Treves, 1931, pag. 13 37
Caporetto, risponde Cadorna
E gestiva la guerra come un qualcosa di estraneo al paese: furono negati (V.E. Orlando) i fondi per il benessere dei soldati e persino quelli per l'acquisto delle pinze adatte al taglio del filo spinato. Malgrado le molte carenze l'enorme sforzo organizzativo (650 km. di fronte e tre milioni di uomini), il grande sviluppo industriale, la giusta strategia e soprattutto lo straordinario spirito di sacrificio e senso del dovere dei nostri soldati (relazioni Cappellani Militari), per la prima volta i siciliani accanto ai piemontesi, consentÏ all'esercito di assolvere il compito affidatogli: infatti nell'estate del '17 l'Austria era esausta, anche per non aver approfittato della debolezza italiana e russa nell' estate del '15, e l'Intesa stava per vincere la guerra. Nel frattempo giunsero sul tavolo di lavoro di Cadorna numerose segnalazioni, da parte delle armate dipendenti, di reati contro la disciplina militare che corrispondevano esattamente a quanto previsto dai rapporti dei CC sulla propaganda bolscevica: Cadorna scrisse quattro lettere al Presidente del Consiglio che denunciavano la debolezza del governo sfociata nell'autorizzazione concessa ai Soviet lerÚnisti di partecipare alla manifestazione di Torino1 e che non ebbero risposta. Ritengo che la situazione richiedesse una risposta organizzativa da parte del Comando Supremo: poteva essere la nomina del Duca d'Aosta a Sottocapo operativo con l'incarico specifico di sovraintendere al governo del personale nelle armate, con particolare riferimento alla IL .M a l'uscita della Russia dalla guerra, conseguenza del1' affermazione della rivoluzione bolscevica (finanziata dai tedeschi), cambiò completamente la situazione strategica: i tedeschi recuperarono molte forze che, dopo un periodo di addestramento alle nuove tecniche d'infiltrazione, furono rivolte contro l'Italia allo scopo di alleggerire la situazione austriaca. Il Gen. Cadorna era conscio di non avere le forze sufficienti per contrastare un attacco contemporaneo dall'Isonzo e dal 38
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Trentino: l'unica soluzione, dal momento che gli alleati erano restii a mettere i loro reparti alle dipenden ze italiane, era quella di accorciare il fronte di 230 km. ritirandosi sulla linea del Grappa - Piave ·14 • Ma evidenti ragioni politiche rendevano questa decisione riservatissima e ne consigliavano l'adozione durante l'inverno: ne fu comunque informato il Re che approvò (nella seconda guerra nessun generale spiegò a Mussolini che, per attaccare in Africa ed in Grecia bisognava prima assumere il controllo del Mediterraneo). Bisogna precisare che Cadorna aveva ricevuto incarico fin dal 1912 dal suo predecessore Pollio di studiare la linea difensiva del Piave. Rispetto agli studi precedentemente fatti, quello di Cadorna si differenziava nettamente perché, per la prima volta, veniva data importanza preminente al M. Grappa: perciò costituisce un grave errore storico da parte di molti studiosi quello di parlare sempre e soltanto del Piave allo scopo di sminuire l'acume strategico di Cadorna. Ordinò quindi di passare prontamente dallo schieramento offensivo (tutto avanti) ad uno di difesa ad oltranza (scaglionamento in profondità). Ma questo ordine non venne eseguito dalla seconda armata (il Comandante Capello valutò le sue forze pari a quelle nemiche mentre erano molto inferiori soprattutto nella qualità), quella che era stata 14
T. Bertè/Gen. Meozzi, "CapoJ'etto: sconfitta o vittoTìa?", Rossato, 2002 E. Cernigoi, Rivista di Cavalleria, n° 4/ 2016 - Testimonianza Gen. Dal Fabbro, Comune di Milano, archivio storfo contemporanea, cartella 548,1: tale documento dimostra che Cadoma aveva previsto la possibilità di uno sfondamento a Tolmino ed adottato le contromosse strategiche idonee a controbatterlo; lo studio che Il Gen. Cadoma effettuò a partire dal 1912 , per ordine del Gen. Pallio, della linea del Piave si differenzia sostanzialmente da quelli effettuati dai suoi predecessori (Cosenz) ed in modo completamente innovativo .individua nel Monte Grappa la posizione più importante: i fatti gli daranno ragione! - Ordine di trasferimento ospedali. m ilitari dietro il Mincio, AUSSME.
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Caporetto, risponde Cadoma
protagonista delle ultime offensive, mentre sarebbe stato proprio per essa maggiormente necessario: infatti proprio i reparti protagonisti della battaglia avevano subito molte perdite nelle offensive precedenti che era.no state rimpiazzate raschiando gli scarti degli scaglioni di leva precedenti. Questa situazione era aggravata dalla circostanza che i comandanti di reparto a contatto con la truppa erano in m assima parte giovanissimi di complemento e con essa facevano comunella. Quindi una ragione di più per schierare questi reparti in una posizione forte (linea di difesa ad oltranza e d'armata che era fuori dalla portata delle artiglierie tedesche) sulla quale concentrare i lavori difensivi ed il controllo sulla truppa fosse più agevole (IV). Ed iniziò un dialogo tra sordi avente come protagonisti il Gen. Cadorna ed ìl Gen. Capello che, ironia della sorte, erano compaesani, ma divisi da una profonda diversità: da un lato la concretezza di Cadorna, conscio di disporre di uno strumento con gravi carenze nell'inquadramento e nell'addestramento, dall'altra l'incoerenza del Capello che coltivava visioni manovriere alla Rommel pur conoscendo lo stato delle sue truppe. Questo avvenne perché vi era tra i due un rapporto gerarchico (che avrebbe dovuto essere franco e leale) falsato: da u na parte l'abitudine (sostenuta dalla presunzione di avere una maggiore competenza strategica) ,c1-r•&·4ì a fare di testa propria con il sostegno, deleterio, della politica (già nell'ultima battaglia sulla Bainsizza il Capello aveva raddoppiato gli obiettivi che Cadorna gli aveva assegnato in proporzione dell'entità delle sue forze: di conseguenza l'attacco non potè essere abbastanza incisivo per mancanza di alimentazione), dall'altra il carattere chiuso di Cadorna che avrebbe dovuto e potuto pretendere dal sottoposto l'aggiornamento quotidiano della posizione delle forze a sua disposizione. Probabilmente, dal momento che il Gen. Capello non poteva 40
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oggettivamente essere messo in discussione, sarebbe stata l 1occasione giusta per dividere in due la II Armata, troppo grande da comandare (900 mila uomini) per un generale con scarsa competenza strategica come Capello, ed affidare il settore nord, interessato all'attacco, ad un generale più efficiente, anche sul piano fisico. Cadorna, che nel frattempo era andato (non in "vacanza" com.e hanno sostenuto alcuni critici superficiali e privi di buon gusto) 15 a Vicenza per sincerarsi dell'efficienza delle difese sul fronte trentino (perché sbucava alle spalle dello schieramento italiano) e del Monte Grappa in quanto linea di resistenza prescelta, doveva aver percepito qualcosa perché per la prima volta tenne un atteggiamento diplomatico nei confronti del dipendente (probabilmente fu la Sua riservatezza a determinare questo atteggiamento): ma era ben al corrente che il Gen. Capello era appoggiato da politici influenti (Bissolati) per I1 eventuale sostituzione del gen. Cadorna. E poiché se ad un eventuale controllo fosse risultato inadempiente avrebbe dovuto sollevarlo dall'incarico, Cadorna voÌeva presumibilmente evitare di compiere un passo che avrebbe sollevato una quantità di polemiche ed essendo di natura essenzialmente strategica, non sarebbe stato probabilmente compreso come era già avvenuto con la destituzione di Brusati. Inoltre Capello (anche se a posteriori emerge la Sua incoerenza: voleva attaccare ma poi richiese altre forze al Gen. Cadorha ed aveva commesso un grave errore tattico, quello di dividere la responsabilità del fronte di attacco prevedibile e previsto tra due corpi d'armata) aveva dato buona prova di sé e le posizioni da difendere erano particolarmente forti, almeno sul piano del terreno. JS
A. Monticone, Introduzione XLII, Caporetto di A. Gatti, Il. Mulino, 1964.
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Il Sen. Agnelli, che nel corso della campagna d'Africa aveva partecipato a delle riunioni con Rommel, mi disse che era una "leggenda". 41
Caporetto, risponde Cadorna
Ma due cose Cadorna non poteva sapere né immaginare: la presenza tra le truppe tedesche del Ten. Rommel, dopo Annibale uno dei più grandi capitani della storia militare 16, al comando di un reparto perfettamente allenato e di alto livello culturale ed addestrativo (alcmù storici, allo scopo di sminuire Yapporto tedesco, hanno . rimarcato che Rommel era soltanto tenente senza sapere che sono proprio gli ufficiali subalterni ed i sottufficiali a guidare i ~oldati in combattimento), ed il mancato intervento dell'artiglieria forte di ben 420 pezzi di grosso e medio calibro concentrati sulla conca di Caporetto (causato probabilmente oltre che dalla penuria di munizioni perché il governo aveva deciso che "costavano troppd', da un piano non riuscito, geniale ma ad altissimo rischio perché incoerente con i rapporti di forza effettivi, da parte del Gen. Badoglio: infatti, lo schieramento delle forze sulla riva dx dell'Isonzo - una sola compagnia della Brig. Napoli - e l'ordine dato da Badoglio al Col. Cannoniere di ignorare le disposizioni di Cadorna - confermate da Capello nella conferenza del 23 - per il fuoco di contropreparazione automatico inducono a pensare che volesse attirare i tedeschi in una trappola micidiale - il concetto d'azione del comandante si esprime attraverso la disposizione e distribuzione delle forze: quindi, dalla disposizione delle forze una persona competente può risalire al concetto d'azione / Vi è inoltre una testimonianza del Gen. Cavacioc'chi che inchioda il Gen. Badoglio).
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Documento Scalarini, AUSSME; doc. ACS-MDI/DGPS-DAGR, serie A5G/Prima Guerra Mondiale, busta 1, Ministero Interno, Ufficio centrale Investigazioni, prot. 45, Roma 19/09/1917, "La propaganda socialista"; lettera del Duca d'Aosta al gen. Cadorna del 26/10/1917; S. D'Amico, "Dia:rio di Guerra" pag. 201,202; V Pignoloni, "I cappellani militari nella G.G." S. Paolo 2014, pag. 809, 831, 889 ; L. Capello, "Caporetto perché?", Einaudi, 1967; Relazione della Commissione d'Inchiesta, paragrafi da 524 a 546. 42
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Questi elementi unitamente a numerose altre circostanze sfortunate ma tutte riconducibili ad uno schieramento errato, determinarono la rottura del fronte nei pressi d ell'abitato di Caporetto. Dopo un breve quanto inu tile tentativo di resistenza perché gran parte delle truppe della seconda arm ata erano inquadrate da giovani ufficiali di complemento inaffidabili perché imbevuti di propaganda bolscevica17 contro la guerra, finanziata dai tedeschi ( "se buttate le armi la guerra è finita'' ), Cadoma ordinò la ritirata al Piave sulla linea di resistenza. Per quanto già pianificata fin dalla primavera (esecutore il Col. Cavallero, futuro M.llo d'Italia) la ritirata era di difficile esecuzione perché le strade ed i ponti sul Tagliamento erano ingombri della popolazione di Udine che fuggiva (per la quale il ministro dell'interno -riguardava Yopera dei prefetti- non aveva neanche previsto un piano di evacuazione: il problema era stato posto da Cadorna al primo ministro Boselli che però l'aveva liquidato come improponibile) ts e di una grande quantità (250 mila) di sbandati (disertori) della seconda armata che avevano abbandonato le armi ritenendo che la guerra sarebbe finita. Ma il valore dei reparti superstiti, ed in particolare della brigata Bologna che difese eroicamente il ponte di Pinz ano e di quella di Cavalleria che si sacrificò a Pozzuolo del Friuli permettendo alla terza armata di attraversare intatta i ponti sul Tagliamento, salvò la situazione che i primi giorni poteva sembrare compromessa. A questo risultato non è certamente estraneo un bollettino emesso il 28 ottobre dal Comando Supremo m a preparato ed approvato da tre ministri. In esso il Comando Supremo metteva a confronto il grande valore di molti reparti con la mancata resistenza di altri che si erano consegnati al 18
La Commissione d'Inchiesta, pag. 542 della relazione, ammette la responsabilità del governo per non aver dato disposizioni in materia.
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nemico (Brig. Salerno, Caltanisetta, Puglie, Roma, Foggia, Alessandria, Napoli). Quindi un proclama giusto sul piano militare (doverosa azione di comando in presenza di 300 mila sbandati, "felici perché la guerra era finita" come da testimonianza del ministro Bissolati che era presente alla stesura d el bollettino, e dai rapporti dei carabinieri, anche messa in relazione con la grande autorità morale che Cadorna esercitava) perché valse a suscitare l'orgoglio e Yamor proprio dei reparti rimasti (Silvestri 11 Caporetto 11), ma penoso sul piano politico perché metteva a nudo i nostri panni sporchi peraltro contenuti nelle informazioni che il C.S. riceveva dal comando della II armata19 . Molti storici hanno addebitato la responsabilità del bollettino al Gen. Cadorna che se l'è assunta.1:< Senonchè occorre rilevare che soltanto l'aspetto militare era di competenza del Ca.doma: quello politico invece era di competenza dei tre ministri (in particolare di quello della Guerra) che l'avevano imposto al Generale e che non potevano non sapere che avrebbe causato la destituzione dello stesso Cadorn a (VIII). Il quale invece non si era mai occupato di questioni politiche con le quali aveva scarsa affinità e dimestich ezza ("ingenuo" secondo A. Gatti). Appare quindi evidente che qualcuno molto in alto, appena saputo della rottura del fronte, abbia organizzato una trappola per liberarsi della presenza scomoda del Gen. Cadorna. A supportare questa tesi vi è il comportamento del Re che il giorno dopo inviò al Gen. Cadorna una lettera di approvazione e sostegno, ma undici anni dopo inviò i carabinieri ai funerali del generale per riprendersela. Nei giorni più bui della sconfitta Luigi Cadorna mostrò appie-
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L. CapeJJ.o, "Caporetto perché?", Einaudi, 1967, cap. 2°, pag. 119,1/ pag.189. 44
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no le Sue grandissime qualità morali: così testimoniò il Gen. Di Giorgio, futuro ministro della guerra, "Alta, illibata coscienza, al coraggio personale fisico accoppiava l'altra specie di coraggio che in un Comandante è ancora più necessaria e più difficile, il coraggio della responsabilità. L'impressione che mi fece quando mi presentai a Udine la sera del 26 ottobre fu profonda e confortante. Nel disastro che fin da allora si presentava in tutta la sua immensità, si sentiva vedendolo che c'era ancora, fra tanta tempesta, un n occhiero, un vero nocchiero al timone; riceveva, una dopo l'altra, imperturbabile, le notizie catastrofiche della seconda armata, dettava i suoi ordini sicuro, esaminava sereno le nuove situazioni ed i nuovi problemi". In ogni caso la ritirata ebbe pieno successo perché la linea di resistenza potè essere interamente presidiata d a truppe disciplinate ed in piena efficienza (III e IV armata alle quali fu data giustamente la precedenza nella scelta degli itinerari e dei ponti - incompetenti gli storici che hanno addebitato a Cadorna il sacrificio della Brig. Bologna). Contro di essa gli eserciti dell'Alleanza si accanirono inutilmente per un anno facendoci vincere la guerra (europea). I motivi sono due: il valore difensivo della linea (che metteva in difficoltà logistica gli austriaci) perché scelta a ragion veduta (era la migliore per lui e la peggiore per gli austrotedeschi) dal gen. Cadorna che curò personalmente anche l'esecuzione degli apprestamenti difensivi ("Senza di essi la linea non avrebbe potuto resistere" Giudizio tecnico Gen. Dal Fabbro) dopo avervi fatto costruire una strada per portarvi le artiglierie, due teleferiche ed i contenitori e le condotte per l'acqua da bere per il sostegno logistico e la nuova coscienza dei nostri soldati finalmente accortisi dell'inganno insito nella propaganda pacifista: loro avevano gettato le armi sottoponendosi al pubblico ludibrio (furono insultati dalla popolazione di Udine) ma gli austriaci non avevano fatto altrettanto e, di conseguenza, la guerra non era affatto finita. 45
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Non più quella di combattere per uno scopo di difficile comprensione ma per fermare un nemico baldanzoso che minacciava le loro case. Inoltre il grande accorciamento del fronte permise un notevole ricambio per il benessere dei soldati. Il gen. Cadorna fu sostituito dal Gen. Armando Diaz perché era inviso al governo ed anche ai generali alleati perché non si faceva condizionare da colleghi che riteneva, giustamente (Liddel Hart), inferiori. Cadorna fu inviato a rappresentare l'Italia nel consiglio interalleato di Versailles il cui compito era quello di arrivare ad un'unità di direzione sul fronte occidentale. E fu un grande successo pur tra generali alleati che l'avevano duramente avversato: infatti fu la competenza strategica di Cadorn a n. IIpag.49 a trovare una soluzione che metteva tutti d'accordo: nel1' archivio del generale ne sono conservate le testimonianze con manifestazioni di grande stima. Un grande successo per l'Italia, di fatto arbitra tra le grandi nazioni: ma poco dopo questo capitale fu gettato al vento con l'allontanamento di Cadorna. Dopo la guerra Cadorna fu giudicato e condannato, esclusivamente per l'azione di comando salvaguardando le qualità morali e professionali, da una commissione d'inchiesta governativa n.W-p•&-47 le cui conclusioni denotano nei generali che la componevano una competenza strategica nemmeno lontanamente paragonabile a quella del Gen. Cadorna (" delle nullità" secondo il Gen. Krauss) e sono reticenti sull'operato del Gen. Badoglio, non tanto per le pagine tagliate, quanto per la evidente omissione d'indagine. Comunque, la Relazione della Commissione costituisce ancora oggi, per l'immenso lavoro d'indagine svolto (oltre mille testimoni ascoltati), il principale documento storico su quegli avvenimenti. Il Gen. Cadorna si chiuse in un silenzio totale e si dedicò alla redazione di due importanti libri: uno, intitolato al Padre, dedi46
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cato alle campagne risorgimentali; un secondo, " La guerra alla fronte italiana" dedicato alla conduzione della guerra e che viene ripubblicato in questi giorni a cura dell' Ass.S.S.G. Giolitti. Gli era stato ridotto lo stipendio e viveva in una modesta villetta alla periferia di Firenze: alcuni amici, andati a trovarlo, lo videro con il cappotto indossato per difendersi dal freddo. Ma nell'anniversario della vittoria, nel 1923, i combattenti reduci lo prelevarono di là e lo portarono in trionfo nel centro di Firenze. Da quell'anno fu un moto continuo finchè una sottoscrizione nazionale gli regalò una villa a Pallanza (con dedica di D'Annunzio) che gli permise di tornare ad abitare nella cittadina dei Suoi avi e nella quale, ancora oggi, sono conservati tutti i cimeli ed i documenti della famiglia. L'anno successivo il presidente dei combattenti reduci, l'On. Carlo Delcroix, grande mutilato di guerra, pretese da Mussolini, capo del governo, la riabilitazione di Cadorna. In una cerimonia svoltasi a Padova gli fu consegnato il bastone di Maresciallo d'Italia unitamente al Gen. Diaz. Dopo la Sua morte, avvenuta nel '28, gli fu dedicato un mausoleo maestoso, opera dell'architetto Piacentini, situato proprio in riva al Suo lago Maggiore e dove tutt'ora riposa. L'affetto e la gratitudine tangibile dei combattenti restò viva per molti anni ancora: negli anni '50 ne ho conosciuti tantissimi che, in occasione della ricorrenza del 4 novembre, accorrevano numerosi a Pallanza per onorare la memoria del loro Comandante, simbolo di tutti i loro sacrifici. Mostravano ancora l'orgoglio di aver appartenuto ad un grande Esercito! Col. Carlo Cadorna
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Note 1-
Ma nel '23 il Gen. Capello disse ad Ardengo Soffici (testimonianza Gen. A Lumbroso, "La leggenda e la storia", Tipografia sociale, Genova, 1924, pag.9) "Nessuno di noi arriva nemmeno alle ginocchia di questo grande vecchio".
11 -
Se non si comprende la strategia, non si può comprendere il comportamento di Cadorna innanzitutto perché per la comprensione di qualsiasi argomento bisogna sempre partire dal generale per arrivare al particolare e non certo viceversa: pensate ad una persona con la quale dovete litigare e forse anche battervi. Per prima cosa dovrete valutare chi dei due è più forte. Se è lui i casi sono due: o rinunciate a litigare o cercate di aumentare la vostra forza. Per esempio munendovi di una corazza, dotandovi di un'arma, assicurandovi un'ottima alimentazione che vi assicuri una forma perfetta, cercando un terreno di scontro dove voi siete in alto e lui in basso, cercandovi un alleato che attacchi il vostro nemico di dietro menh·e voi lo attaccate davanti. Pensate alla seconda guerra mondiale: i tedeschi, dopo pochi mesi erano i padroni d 'Europa con un esercito imbattibile ed un'aviazione fortissima: potevano vivere di rendita ed invece hanno sperperato la loro supremazia. Prima hanno consentito agli inglesi di riportare in patria il loro esercito: se l'avessero fatto prigioniero esso avrebbe potuto costituire per i tedeschi un'assicurazione sulla vita. Poi hanno sprecato e distrutto l'aviazione nell'attacco diretto all'Inghilterra: avrebbero potuto trasferirla in Sicilia é.Libia: in una settimana, in concorso con la flotta italiana, avrebbero potuto conquistare il controllo del mediterraneo (Gibilterra, Malta, Creta) ed interdire agli inglesi l'uso del canale di Suez. Poi hanno fatto l'inutile guerra in Africa ed infine l'attacco alla Russia con la quale prima era stato fatto un ottimo accordo per la spartizione della Polonia. Ma non hanno imparato niente!!! Infatti ora vanno sul suolo americano a fare concorrenza ai padroni del mondo: poi si lamentano se Trump gli mette i dazi.... Non è certo un caso che la strategia enunciata da Trump sia esattamente quella che ha vinto la Il guerra mondiale, elaborata dal Sig. Hopkins per conto di Roosvelt. Tornando alla Grande Guerra, faccio notare che quando un giudice deve valutare un caso complesso, nomina un consulente tecnico d'ufficio: perchè invece gli storici emettono sentenze su argomenti che non conoscono (la strategia non la conoscono nemmeno tanti generali) senza la
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consulenza di un esperto? Con quale conoscenza ed esperienza viene criticata la circolare "Attacco frontale ed ammaestramento tattico" che era di competenza dei comandi dal battaglione alla divisione? C'è uno che ha scritto Il Capo (colui che tutti riconoscono come tale - definizione di Ciu En Lai) ed ha detto che era "mediocre": è una tale contraddizione in termini che si commenta da sè! Cadoma ha definito correttamente un teatro d'operazioni dal fronte al Grappa: ma dai suoi critici non gli viene consentito di muoversi all'indietro del fronte se non attraverso "una disfatta": è come se ad un pugile si impedisce di muoversi nel ring. Senza mobilità delle gambe, perde! Hanno perfino criticato la grande vittoria del '16 dicendo che non aveva creduto all'attacco austriaco: certo, è stato un attacco male organizzato perchè mancava di sostegno logistico (ferrovia ad un solo binario e strozzatura tra M. Altissimo e M. Pasubio) e contemporaneo ad un'offensiva russa. Lo stesso a Caporetto: hanno attaccato soltanto da Tolmino pur sapendo che era stata quasi completata la linea del Grappa: non hanno considerato che dopo l'attacco si sarebbero venuti a trovare in una situazione dei rapporti di forze ben peggiore. In sintesi, vince chi non perde mai di vista la situazione dei rapporti di forze. m - CONCLUSIONE DELLA COMMISSIONE D'INCHIESTA Il Generale Cadoma L'alto ingegno e le preclare qualità di energia del generale Cadorna sono state riconosciute da molti testimoni; e la Commissione stessa, nelle relazioni verbali e scritte avute con lui, nonostante i difetti che obiettivamente si andranno notando, anche colla scorta delle testimonianze raccolte, si è convinta di trovarsi innanzi ad una elevata personalità. La Commissione dichiara altresì che nessun testimonio, neppure fra quelli di cui il generale Cadorna ha richiesta l'assunzione perchè lo avevano in Parlamento vivacemente attaccato, ha portato contro di lui accuse che possano comunque intaccare la sua onorabilità di uomo, di cittadino e di soldato. [...J Ritiene che il generale Cadorna subendo egli medesimo, senza pure accorgersene, la ripercussione del carattere sopraffacente e delle qualità suggestive del generale Capello, non abbia convenientemente misurato il pericolo e il danno che derivavano dai metodi di governo degli uomini seguiti dal Capello medesimo ed abbia dato preminente importanza alle qualità tecniche di lui.
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iv - IL GENERALE CAPELLO A CAPORETTO Il 18 settembre, quando ricevette dal C.S. l'ordine per la difesa ad oltranza, oltre a chiedere chiarimenti per sciogliere eventuali dubbi, avrebbe dovuto individuare sul terreno le probabili vie di provenienza del nemico e decidere con quali forze ed azioni sbarrarle. Le vie di probabile provenienza erano due, da Plezzo e da Tolmino, risalendo l'Isonzo: ma queste vie si univano in corrispondenza dell'abitato di Caporetto e, di conseguenza, era opportuno e necessario affidarne la difesa ad un unico Corpo d'Armata, eventualmente rinforzandolo. Ma è noto che il Gen. Capello ha suddiviso il fronte da difendere tra il IV ed il XXVII CA.: poichè non è credibile che un generale così intelligente e così esperto come Capello possa aver commesso incoscientemente un errore così grave non resta che una possibile spiegazione. Il Gen. Capello quando tra il 18 settembre ed il 19 ottobre parlava di una controffensiva che presupponeva l'arresto del nemico durante il primo tempo, era evidentemente non sincero, forse neppure con se stesso, e stava pensando ad una vera e propria offensiva che vedeva l'attore princìpale nel Gen. Badoglio molto stimato da Capello: a supportare questa tesi vi è lo schieramento delle riserve e dell'artiglieria, accentrate nelle mani di Badoglio con il compito dj bloccare il nemico e di attaccarlo sul fianco. Nella mente di Capello l'idea dell'attacco nacque per un'errata valutazione strategica, contraria a quella di Cadorna, secondo la quale le sue forze erano di pari entità di quelle nemiche che si riprometteva di sorprendere: alla base di questa errata valutazione vi fu l'atteggiamento incerto dei servizi d'informazione e l'incomprensione strategica indicata da Cadoma nell'C?,rdine del 18/09: il disimpegno della Russia dalla guerra. Ma a metà ottobre anche Capello si rese conto di aver sbagliato ed iniziò a chiedere rinforzi che Cadorna non gli poteva dare dal momento che la sua valutazione strategica era all'esatto opposto. Visto che non poteva ottenere rinforzi consistenti ed era troppo tardi per poter rivedere lo schieramento ed i lavori di campagna che avrebbero anche messo in evidenza la sua gravissima disobbedienza, si diede malato ma di una malattia che gli consentiva di riprendere servizio come accertato dalla Commissione d'Inchiesta. In conclusione, quanto avvenuto a Caporetto è da addebitarsi in prima istanza al gen. Capello per disobbedienza aggravata dal tentativo di sminuire l'autorità del suo superiore con l'accusa di incoerenza ed in seconda a Cadorna per non averlo controllato per iJ tramite di un sottocapo operativo.
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v - L'impiego corretto deU: artiglieria poneva dei problemi di comando e controllo non facili da risolvere nel conciliare l'esigenza dell'impiego a massa (accentramento) con quella dell'aderenza alla fanteria (decentramento). Il principale merito del Gen. Capello fu proprio quello di aver saputo risolproblema. vere, nelle battaglie offensive, questo . . Il Papa Roncalli, S. Giovaruù XXIII ha dichiarato: '' L'anno di volontariato è stato epoca di spirituale arricchimento, a cui si aggiunge Yopera costruttiva della disciplina militare, che forma i caratteri, plasma le volontà educandole alla rinunzia, al dominio di sé, a)f obbedienza". VI -
vn - E' stata prima la Madre Superiora e poi la Preside dell'istituto Adoration di Torino che ebbe larga parte nella formazione della classe dirigente torinese. Era I.a copia del padre (Lettere Famigliari, pag. 25). . d'1 mam'festamente 1"nfond ata l a tesi. ehe il governo fosse aIl' o- E' • qum scuro dei contenuti del bollettino, dal momento che alcuni suoi rapprese.ntanti erano presenti alla sua compilazione e l'hanno approvato. In particolare erano presenti i mini.stri Giardino (Della Guerra) Dall'Olio (Armamenti) e Bissolati (rapporti con C.S.) AUSSME, H4, deposizione Carlo Porro del 19/03/1918. VIII
IX - E' paradossale che alcuni storici, pur non avendo conosciuto O personalmente il Generale, lo accusino di aver voluto scaricare le Sue O responsabilità sui "soldati". Infatti nel bollettino si parla di reparti ed è O casomai sui loro comandanti che si è riversata la riprovazione del Generale. e Inoltre, la Commissione d'inchiesta su Caporetto, avendo avuto modo di C conoscere di persona il Generale, e pur prevenuta contro di esso, ha escluso O che Egli avesse voluto esercitare un tale scarico di responsabilità.
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Le note nelle pagine successive saranno distinte da quelle dell'Autore originario del testo, con la sigla [R.C.] per quelle che riguardano Raffaele Cadorna e [C.C.] per quelle scritte da Carlo Cadoma.
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PREMESSA Se si trattasse soltanto di coloro i quali, per spirito partigiano o per rancore personale ringhiano ed abbaiano alle mie calcagna, non mi sarei certamente preso il disturbo di scrivere questo libro. Di costoro non è il caso di occuparsi. Avrei continuato a seguire il consiglio di Raimondo Montecuccoli il quale, discorrendo delle calunnie e delle mormorazioni cui è esposto il capitano, dice: «Non deve il generale farne conto»; e in altro luogo: «Non deve curarsi de' cicalecci del volgo». Ma, nel caso mio, si tratta di ben altro. In seguito ai biasimi di una Commissione d'inchiesta, presieduta da un generale d'esercito, incaricata di indagare sulle cause del disastro di Caporetto e nominata da chi avrebbe dovuto da quella stessa Commissione essere giudicato, ed era il principale interessato alla mia condanna, io venivo qualificato come il principale responsabile del disastro di Caporetto, e come misura punitiva mi si collocava a riposo d'autorità, o in altre più chiare parole, io venivo cacciato dall'esercito. Alla maggior parte delle accuse di carattere militare-tecnico ho implicitamente risposto nel mio libro "La guerra alla fronte italiana" con la veridica esposizione dei fatti. Ma non potevo rispondere in quel libro, neppure implicitamente, alle accuse di carattere militare-morale, che sono le più importanti, e per me le più odiose, come quelle dalle quali si è voluto quasi esclusivamente far derivare lo stato d'animo delle truppe che fu la precipua causa del disastro. Ho pertanto, di fronte a quella condanna ufficiale, più ancora che il diritto, il dovere di esporre fatti e ragioni in opposizione alle affermazioni della Commissione d'inchiesta. Lo debbo al mio buon nome, che nessuna interessata malevolenza riuscirà mai ad offuscare. Lo debbo soprattutto al Paese, il quale mi con57
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feriva il grande onore di guidare l'esercito nella guerra suprema del suo Risorgimento e che ha diritto di conoscere qual fondamento abbiano le affermazioni della Commissione d'inchiesta. Né mi lascerò trattenere da questo proposito da pretese ragioni di inopportunità di questa pubblicazione, le quali darebbero comodamente causa vinta ai calunniatori, soffocando la voce della difesa e della giustizia. Questa ha pur diritto di essere ascoltata quando non ne derivi danno agli interessi del Paese, e io non vedo in che essi potrebbero essere danneggiati. Ho taciuto durante tanti anni perché il difficile periodo che l'Italia stava attraversando mi consigliava il silenzio. Continuerò a tacere per tutta la mia vita perché rifuggo dalle polemiche personali. Ma lascio esplicito incarico a mio figlio Raffaele di pubblicare il presente volume dopo la mia morte perché intendo che la verità sia francamente affermata e da tutte le persone oneste riconosciuta. Taluno potrebbe osservare che la mia nomina a Maresciallo d'Italia avvenuta il 4 novembre 1924 equivale ad un implicito riconoscimento morale delle iniquità della Commissione d'inchiesta e, distruggendone gli effetti, rende inutile la mia replica. Ed è vero. Senonché la relazione della Commissione d'inchiesta è un documento ufficiale, e come tale può essere invocato dallo storico futuro. Perciò a fianco del medesimo io reputo necessario che vi sia la mia risposta. Non mancano difatti, specialmente àll'estero, persone le quali, in perfetta buona fede, hanno creduto di citare la relazione della Commissione d'inchiesta attribuendole la massima autorità di documento ufficiale. Ne darò un esempio convincente. Il generale tedesco Krafft von Dellmensingen, il quale comandò con distinzione il Corpo Alpino tedesco (Deutschen Alpenkorps) e fu poi Capo di Stato Maggiore della XIV Armata tedesca nella battaglia di Caporetto, ha pubblicato una importante opera in due volumi intitolata "Der Durchbruch arn Isonzo" (Lo sfondamento all'Isonzo). A pag. 161 del volume I qualifica la relazio58
Premessa
ne della Commissione d'inchiesta come documento di grande importanza storica (ein einzigartiges geschichtliches Dokument) e soggiunge che in esso le cause della nostra disfatta sono chiarite con rara sincerità! (mit einer seltener Aufrichtigkeit Klargelegt). E su questa base, insieme a molti elogi, mi rivolge le stesse critiche che mi sono state fatte dalla Commissione d'inchiesta. Posso perciò io tollerare che la relazione di questa serva ancora di testo a coloro che mi vogliono in buona fede giudicare? La mia risposta alla Commissione d'inchiesta formerà oggetto della prima parte di questo volume. Nella seconda parte risponderò brevemente ai libri dei generali Capello e Nava, poiché, tenuto conto dell'autorità che loro deriva dall'aver ricoperto una carica così elevata quale è quella di comandante di Armata in guerra, non reputo di poter lasciare senza risposta i loro attacchi. Di tutti i non pochi altri, non mi curo.
LUIGI CADORNA Pallanza, 15 dicembre 1926.
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PARTE PRIMA RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA PER CAPO RETTO
CAPITOLO I OSSERVAZIONI GENERALI
Con R. D. 12 gennaio 1918 veniva istih1ita una Commissione d 1inchiesta «allo scopo di indagare e riferire sulle cause e le eventuali responsabilità degli avvenimenti militari che hanno determinato il ripiegamento del nostro esercito sul Piave, nonché sul modo come il ripiegamento stesso è avvenuto». Nel1 1agosto del 1.919 la Commissione presentava al Governo la sua relazione. Questa sollevò polemiche molto aspre, il cui carattere principale fu questo: che essa fu incondizionatamente approvata dai disfattisti di ogni specie, quegli stessi che; prima di Caporetto, mi avevano fatto segno a continui attacchi che si erano infranti contro un'opinione pubblica a me allora favorevole. Invece, per parte di molti giornali interventisti si manifestarono critiche molto vivaci sull'operato della Commissione. Delle ampie lodi dei primi questa non sarà stata davvero lusingata, come non sarà stata paga di aver dato alla luce un documento del quale ha fatto tesoro il disfattismo italiano per proseguire nella sua opera abominevole, tentando di inoculare nel Paese il senso della disfatta dopo di aver fatto di tutto per provocarla. Difatti, anche a chi superficialmente scorre la relazione, chiaro appare il continuo sforzo per diminuire l'importanza ed i risultati della prima parte della guerra che fu indubbiamente la più difficile e la più aspra, e perciò la più gloriosa, allo scopo di 61
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accrescere il valore della seconda parte; senza tener conto del fatto storico indiscutibile che la grandiosa vittoria finale non fu cosa per sé stante, sbocciata improvvisamente per il felice concorso di circostanze del momento, ma fu invece l'integrazione di tre anni e mezzo di guerra, che prostrarono l'avversario, come emerge anche dalle dichiarazioni degli stessi generali nemici; e senza neanche ricordare che la possibilità della vittoria finale emerse dal modo con cui fu effettuata la ritirata al Piave e la sistemazione dell'esercito sul fiume: modo che la Commissione è costretta a lodare altamente ed incondizionatamente. Quale la ragione di questa tendenza? La Commissione era stata nominata da quello stesso on. Orlando (salito alla presidenza del Consiglio) il quale, come ministro dell'Interno del precedente gabinetto Boselli, aveva concesso la più larga tolleranza alla propaganda disfattista che fu la causa principale della depressione degli animi e della indisciplina nell'esercito. Pesava perciò sull'on. Orlando una gravissima responsabilità, della quale egli non poteva alleggerirsi se non facendo risultare da un'inchiesta che il disastro era dovuto, almeno in gran parte, a cause militari, tecniche e morali. E l'on. Orlando, che avrebbe dovuto essere un giudicabile, nominava la Commissione che avrebbe dovuto giudicare anche lui! Basta rilevare questo fatto per togliere qualsiasi valore all'opera della Commissione d'inchiesta. Le cose che dico non sono una novità: sono state dette e ripetute da parecchi fra i più autorevoli giornali. Si aggiunga che dei sette membri della Commissione cinque provenivano dall'ambiente parlamentare, il quale, dopo Caporetto - e non solo allora - si era dimostrato in non piccola parte a me ostilissimo, tanto nelle sedute segrete quanto n elle pubbliche, senza possedere nessuna cognizione dei fatti che, ciò 62
Osservazioni generali
malgrado, venivano giudicati e condannati! Si noti ancora che la Commissione compiva il suo lavoro e presentava la relazione mentre l 1on. Orlando era capo del Governo e rappresentava l 1Italia a Parigi nelle laboriose trattative di pace, cioè mentre gli interessi del Paese richiedevano che fosse mantenuto ben alto il suo prestigio. Si tenga conto di tutto ciò e si dica se non è sorprendente che le rispettabili persone che componevano la Commissione abbiano creduto di accettare e di condurre a termine il loro mandato in tali circostanze! 1 Confesso che, per parte mia, avrei fatto molto bene a rifiutare l1opera di una Commissione che agiva in simili condizioni e a protestare. Circa la competenza della Commissione osservo che, dovendo il suo lavoro di indagine avere in gran parte per oggetto questioni tecnico-militari, avrebbero dovuto in essa prevalere gli elementi tecnici. Invece non ve n 1erano che due, cioè il presidente, generale Caneva, e il generale Ragni. Preponderavano numericamente i cinque avvocati, i quali, naturalmente, per le questioni tecniche dovevano rimettersi ai due generali. Perciò una Commissione che avrebbe dovuto essere tecnica per- corrispondere al suo mandato non ebbe altri lumi ed altra guida in materia tecnica all'infuori di quella dei due predetti generali, dei quali l1uno, il generale Ragni, era stato esonerato dal comando di un Corpo d 1Armata appena un mese dopo l'inizio delle ostilità, e l'altro non aveva preso parte alcuna a questa guerra, (nella quale non gli era stato affidato alcun incarico): guerra così differente dalle altre che io solevo dire che, all'infuori dei principi costanti in tutti i tempi, era d 1uopo bruciare i libri sui quali Debbo fare un'eccezione per rammiraglio Canevaro, il quale, un mese dopo la sua nomina a membro della Commissione, visto di che si trattava, si dimetteva.
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avevamo studiato e rifarci daccapo una nuova esperienza! Ma all'infuori della competenza tecnica sono soprattutto i metodi seguiti dalla Commissione che tolgono valore ai suoi verdetti. Essa è addivenuta a formulare accuse di capitale importanza senza avermi interrogato. Anche il generale Capello ha più volte protestato sui giornali per accuse che non gli furono contestate. E il generale Bongiovanni, nel suo opuscolo "Il Comando del VII Corpo d'Armata nella battaglia di Caporetto", così scrive a ragione a pag. 38: Pur senza comminare pene, la Commissione d'inchiesta ha, negli effetti, fanzionato come un tribunale, anzi come un tribunale senz' appello: eppure essa - con procedura che non ha riscontro presso nessun paese retto da liberi ordinamenti - ha trascurato il primo di tutti i diritti, quello di difesa. I suoi propositi di inspirarsi ai superiori concetti. di verità e di giusti.zia e di precorrere il giudizio della storia come la presunzione di inconfatabilità perdono ogni valore di fronte alla procedura arbitraria che essa ha seguito nell'istruire il dibatti.to e nel rendere le sue sentenze. Per quanto mi riguarda, quando fu pubblicata la relazione della Commissione ho inviato al Governo la protesta che credo opportuno di riprodurre: Vill ar Pellice, 2 settembre 1919 A S.E. il ministro della Guerra ROMA
Sintetizzando quanto l a Commissione d ' inchiesta scrive a pag. 10 , 44, 56 e 470 del 2° volume della sua relazione, appare che essa mi accusa di incredulità , fino all'ulti64
Osservazioni generali
mo giorno, nell'offensiva austriaca del Trentino, che ebbe inizio il 15 maggio 1916, e, in conseguenza di tale incredul ità, di imprevidenza ne l le disposizioni di rette a parare il col po nemico - accusa quest'ultima che , se f osse fondata, p i ù che un e rrore costituirebbe una vera colpa. - Perciò l a Cormnissione bias ima il president e del Consiglio del tempo, on. Salandra, di non avermi esonerato dal comando fin dal giugno 1916. Simili accuse di incredulità e di imprevidenza nelle operazioni del Trentino mi erano state rivolte nel maggio 1918 dalla Cormnissione per l'esame dei generali ed ufficiali superiori esonerati , pres ieduta dal generale Mazza, quando ebbe ad esaminare la situazione del generale Roberto Brusati; esame che fu fatto col solo intervento dell'interessato e dei testimoni da lui prodotti , e senza ch'io f ossi menomamente interrogato ! I l verbale relativo a tale esame contenendo l a proposta di annul lamento del decreto di col l ocamento a riposo de l generale Brusati - proposta la cui attuazione richiedeva l'approvazione del Consiglio dei ministri - dovet te essere t r asmesso all'on. Orlando, allora presidente del Consiglio, il quale giustamente reputò di non poter trattare l'argomento in Consiglio dei ministri senza richiedermi di quel parere che la Commissione d'inchiesta, presieduta dal generale Mazza, aveva giudicato superfluo! Tale verbale conteneva pure apprezzamenti sul mio operato, i quali, se fosse ro stati fondati, sarebbero stati lesivi del mio onore di comandante. Perciò io trasmisi i l 7 giugno 1918 all'on. Orlando una breve ma documentata e molto indignata memoria, dimostrando interament e dest ituita di fondamento l'accusa di imprevidenza che la Commissione mi aveva rivolto sconfinando dal suo mandato. Gli argomenti da me addotti dovettero essere ben convincenti se l'on. Orlando - non certamente per far cosa a me gradita -s'indusse a non dar cor so al provvedimento proposto dalla Commissione! Ma, relativamente ai metodi da questa prescelti, v'ha di 65
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più . Il generale Porro era stato chi amato a far parte della suddetta Comrnissione quale membro consul t ivo, a ffinché l'ant ico Comando Supremo, - in odi o a l quale la Commissione era stata istitui t a - vi avesse voce . Ebbene , il generale Porro non venne una sola volta chiamato nel suo seno, e t utte le proposte di reintegrazione di ufficiali esonerati furono fatte senza che l ' antico Comando Supremo avesse avuto modo di illustrare a viva voce la ragione degl i esoneri, e col l a s ola t estimonianza dei documenti degli uff iciali interessati e dei t estimoni da ess i prodotti! Ed ora la Corrunissione d'inchiesta ha creduto di seguire il medesimo sistema e r ipete le stesse accuse f attemi dalla Commissione degli esonerati senz ' avermi anch ' essa menomamente interrogato, mentre mi sarebbe s tato assai fa cile di dimostrare in modo inconfutabile che le accuse mossemi non hanno fondamento alcuno . Anzi debbo dire che fino alla pubbli cazione del l a r elazione io ho ignorato che di tale importante argomento nella Commissione si fosse discusso! Ma quello delle operazioni mili tari del Trentino non è i l solo caso in cui la Commiss i one d 'inchiesta ha ri tenuto superflua la mia t estimonianza . Ve n ' ha un altro di capitale importanza , quello cioè del regime di sciplinare e penale dell ' eser cito durante l a guerra . E se si r iflette che questo regime volle la Corrmissi one elevare a indice principale del malgoverno degli uomi ni , e questo al la sua vo lta a l l a tent ata dimostrazione che la causa principale del disastro è dovuta a ragioni morali , anziché disf attiste, non v ' ha chi non veda di quale gravità sia il non avermi i nterrogato, mentre avrei avuto t ante considerazioni da esporre , e ment re si sono spalancat i i bat tenti a lle più malevole molt eplici testimonianze ! Contro questi metodi d i indagine, i qual i viol ano l a giustizia nei più s acri diritti della difesa, consenta l ' E.V. che io Le r ivolga un ' alta parola di protesta. Sarò grato all 'E.V. se vorrà compiacersi di comunicare la
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presente a S. E. il presidente del Consigl i o avvert e ndo che la memoria da me trasmessa a l l'on. Or l a ndo deve trovars i nell'archivio della pr esi denza del Consiglio. Il tenente gener ale L. CADORNA
Questa lettera non ebbe alcuna risposta! Circa i metodi impiegati dalla Commissione nelle sue indagini, molte ed autorevoli critiche sono state fatte sui giornali dell'epoca, che io, per amore di brevità, non starò a ripetere. Mi limiterò a rilevare un fatto molto caratteristico, quello cioè che delle numerosissime persone delle quali la Commissione cita la testimonianza a me contraria, essa stessa è costretta a negare la fondatezza della maggior parte delle affermazioni; il che è manifesta prova della malevolenza da molti dimostratami dopo la mia caduta dal Comando: è I1eterna storia del leggendario calcio dell'asino! Tale fenomeno pare che avrebbe dovuto porre in guardia la Commissione contro le testimonianze relative ai siluramenti ed al regime disciplinare e penale nell'esercito. Ma in questo caso la Commissione nominata dall'on. Orlando doveva tentar di dimostrare «il malgoverno degli uomini» in omaggio alla tesi prestabilita: perciò tutte le testimonianze diventarono degnissime di fede; anche quelle interessate dei silurati. Poiché è da notare che la Commissione non fa il nome dei testimoni; quindi, chi legge non è in grado di stabilire il valore morale delle testimonianze. Inoltre, chiunque potendo far domanda di essere ascoltato dalla Commissione, è naturale che sentissero maggior impulso a testimoniare coloro che avevano un rancore da sfogare, di quegli altri che solo erano mossi da disinteressato amore di verità. Non è quindi da stupire se le malevole testimonianze superarono le benevole. Che dire poi di quei testimoni che nel creduto segreto della Commissione hanno commesso la viltà di produrre alcune mie 67
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lettere private? E che pensare della Commissione, la quale, invece di stigmatizzare, come meritava, questa viltà, pubblica nella relazione dei brani di quelle mie lettere (pag. 9 e 14), come se non fosse risaputo che brani staccati dal complesso significato di uno scritto e dalle particolari circostanze in cui questo fu concepito assumono tutt'altro significato? E che pensare, infine, della Commissione quando in mancanza di precisi argomenti di accusa contro generali che per tanti titoli si resero benemeriti, anche se non riuscirono a sottrarsi agli inevitabili errori degli uomini, dà corpo contro di loro ad insinuazioni che gravemente ne offendono il decoro (pagina 278) ed anche l'onore (pag. 300) pur dichiarando che il fatto addebitato «non è però documentato così ampiamente da potersi ritenere inconfutabile» ?! E sempre riferendomi ai metodi seguiti dalla Commissione d'inchiesta trascrivo l'ultima parte di un articolo che l'autorevole rivista 11 La vita italiana" del 15 settembre 1919 ha pubblicato sulla relazione della Commissione stessa, dove è posto in rilievo l'interrogatorio tendenzioso fatto ad alcuni testimoni. A questo riguardo debbo notare che anche il generale Capello, nel ricorso al Consiglio di Stato contro il suo collocamento a riposo, espone che «mentre al ricorrente non si dava il mezzo di una efficace difesa nel suo interesse e nell'interesse superiore della giustizia e della verità, ai membri della Commissione era consentito rivolgere, con metodi di oscuri tempi, domande insidiose ai testimoni. Ad alcuni di essi, i cui nomi saranno indicati a suo tempo, venivano formulate domande con la preventiva indicazione delle risposte che si dovevano fornire, e si contestava la pressione morale con l'avvertimento al teste che le risposte richieste erano già state date in precedenza e nel senso richiesto da autorevoli personaggi». Di tale grave fatto egli fornisce un esempio nel suo libro "Per la verità". Ecco ora la fine dell'articolo de 11 La vita italiana 11 : 68
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... Ma la prova evidente che la Cormnissione aveva la sua tesi alla quale ha voluto ad ogni costo asservire l' i nchiesta è costituita da questo interrogatorio fatto dalla Cormnissione orlandiana ad a l cuni testimoni. Leggete, o lettori , queste domande tenendo presenti le affermazioni che vi si contengono; rileggete poi l e conclusioni a cui è pervenuta la Cormnissione, e vi convinceret e che i membri dell'areopago orlandiano sapevano già dove volevano arrivare. I - Quali le r isulta fossero le impressioni che i militari nel le loro corrispondenze o nell e loro venute in famiglia, in occasione dell e licenze, port avano c i rca la guerra? Era i n loro un senso di stanchezza? Da quali cause essi lo dicevano, o si poteva intui re che fosse originato, oltre naturalmente all'avversione di molti ai pericoli e ai disagi? Le consta che molti accennassero a i sacrifici di sangue non corrispondenti ai risultati ottenuti , al governo disciplinare con cui erano retti , alla poca fiducia nei loro superiori, di cui vedevano la continua esonerazione, alla poca conoscenza dei compagni degli altri corpi ed armi, con i quali continuamente si mutavano aggruppamenti? I I - Per contro quali le risultano fossero i sentimenti che, sia per mezzo della corrispondenza sia nel periodo in cui i militari si trovavano in licenza , venivano i nspirat i dai parenti e dai conoscenti ai soldati combattenti? E' stato r i petuto che, tornando all'esercìto dal paese, mol ti soldati erano per così dire «avvelenati» e per parecchio tempo avevano lo spirito affievolito. Dato che V. S. riconosca fondata una tale affermazione, vuol dire alla Commissione quali erano gli elementi che il Paese contribuiva a forma r e , quali in particolare r itiene siano state l e impressioni ne i soldati dell e cogni69
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zioni delle d i f f i coltà alimentari i n c ui molte delle proprie famiglie si trovavano, le impressioni della r ivoluzione russa , le impressioni della nota del Papa ecc . ?
Non sembrano queste domande le conclusioni della relazione? E per arrivare a queste conclusioni, per salvare cioè l 1on. Orlando, la Commissione ha dovuto far risalire la responsabilità principalmente ai militari; ha dovuto distruggere due anni e mezzo di guerra gloriosa; ha dovuto abbassare la gloria di undici battaglie; h a dovuto mentire spudoratamente affermando di avere esteso l'esame a tutta la guerra, mentre noi possiamo affermare che ciò non è vero. Ma se la Commissione, nominata dall1on. Orlando e che presentò la relazione ancora imperando l 1on. Orlando, crede di essersi sgravata della propria responsabilità dopo un ringraziamento del mandante s 1illude. La sua opera passerà alla storia come l'esempio più lurido di degenerazione parlamentare e dirà ai posteri quanto basso era il livello dei costumi imperanti in Italia negli anni di grazia in cui l'Italia compiva le sue unità. Ma perché mi affanno io a dimostrare l'iniquità dei metodi seguiti dalla Commissione, quando il più efficace giudizio sull'opera della medesima lo ha dato il colonnello Fulvio Zugaro, che ne era il segretario? Il quale in un suo libro sul costo della guerra, pubblicato nel 1921, scriveva le seguenti gravissime parole:
Studioso appassionato nei più gi.ovani anni della storia militare e di recente chiamato, purtroppo, ad ordinare notevoli per quanto incompleti e unilaterali documenti della nostra guerra, per trarne - sotto l' assillo d'altrui ansiosissima impellente pressione - taluni dati ed elementi di gi.udizio, posso, nella mia modesta esperienza, vedere quanto erri chi ricerchi le ragi.oni di avvenimenti militari, siano essi 11
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fausti o infausti1 nei fattori tattici e strategici immediatamente precedenti1 o peggio esclusivamente le ricerchi nell'azione diretta di comando dei supremi reggitori degli eserciti". Dopo queste parole del suo segretario1 non sembra che alla Commissione occorrano altre condanne. Ma nasce spontanea la domanda: chi ha assillato la Commissione colla sua ansiosissima impellente pressione? Il colonnello Zugaro non fa nomi1 ma basta esaminare chi aveva il massimo interesse e la potestĂ per esercitare tale pressione1 perchĂŠ il nome si presenti spontaneo! E che dire della Commissione che tali pressioni si adattava a subire?
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CAPITOLO II IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZION E DELLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
Scrive la relazione al principio delle sue conclusioni (pagina 551 n. 593): gl i avvenimenti dell ' ott obre- novembre 1917 , che condussero l ' esercito italiano a ripiegare da oltre I sonzo fin diet ro il Piave, presentarono caratteri di una s confitta milita re ; e le cause determinanti di natur a militare , sia tecniche che morali, predominarono sicuramente su quegli altri fattori estranei a l l a milizia, dalla cui influenza - che la presente relazione dimostrò esagerata - t aluno aveva voluto dedurre che gli avvenimenti fossero da attribuirsi prevalentemente a cagioni politiche . La sconfi tta , oltreché da cause l ocali ed occasionali , derivò altresì dal concorso di complessi fattori sempre di ordine militare, da tempo agenti s ull ' es ercito, ai quali contingenze eccezionali diedero modo di espl icare una efficacissima azione depressiva degli spiriti e dissolvente dell ' azione dell ' esercito stesso . Questo concetto è ribadito più volte nel corso delle conclusioni. Esso ne costituisce il nocciolo, il punto fondamentale e mira ad escludere le responsabilità dell'on. Orlando. E' talmente manifesta la preoccupazione di non svelare il suo scopo, che in tutto il corso della voluminosa relazione non una sola volta l'on. Orlando vi è nominato e vi si trova un solo appunto, nelle conclusioni, «al Gabinetto presieduto dall'on. Boselli»: di non aver esplicato nella debita misura la sua alta azione di vigilanza e di controllo sulle condizioni morali dell'esercito e di non aver congruamente «provveduto». Non un accenno di biasimo per 73
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avere con una nefasta politica interna largamente concorso a peggiorare quelle condizioni morali. Queste, secondo la Commissione, sono state create dal malgoverno che degli uomini hanno fatto il Comando Supremo e il comandante della II Armata; perciò la Commissione non si stanca di rincarare la dose ogni qual volta si presenta una questione di ordine morale. A questo riguardo mi piace di riferire quanto ha scritto un giornale neutrale, l'autorevole 11Joumal de Genève11 nel numero del 21 agosto 1919, appena apparse le conclusioni della Commissione d'inchiesta: 11 Peu à peu, et quoique ils eussent combattu jusqu I alors glorieusement dans des actions très sanglantes, les soldats auraient acquis la conviction de la stérilité de leurs efforts. La brusque attaque ennemie les auraient trouvés préts à la défaite. J' ai mis mes verbes au conditionnel parce qu'avant de les mettre l'indicati/ et de faire siennes les conclusione de la Commission il faudrait pouvoir controler les témoignages sur lesquels elle s'est fondée. On nous dit bien qu'ils proviennent, entr'autres, de 21 sénateurs et de 35 députés et que 127 lettres, dont neuf signataires ont été entendus, ont dénoncé des faits spéciaux. Il n'en demeure pas moins que la thèse d'une armée de plusieurs centaines de mille hommes démoralisée par ses seuls chefs et devenant leur innocente vittime, puisque battue sans autres causes, laisse supposer un état de choses militairement trop exceptionnel pour étre enregis tré autrement qu ' à titre provisoir et sans réserve d'un examen plus complet que ne l'autorisent des résumés d'agences télégraphiques et des extraits de journaux". Come si scorge da quanto precede, le conclusioni della Commissione sono apparse a primo aspetto straordinarie ad uno dei più autorevoli giornali europei, neutrale e perciò disinteressato. Ma esso non conosceva i movimenti che avevano guidato la Commissione; e non pensò che se questa avesse esposto chiaramente la verità dei fatti avrebbe dovuto censurare l'azio74
Il punto fondamentale - Commissione d'inchiesta
ne di taluni partiti, e questi alzano la voce e talvolta si rivoltano, mentre i generali tacciono, o se parlano lo fanno per loro difesa senza eccitare le passioni di parte. Ma a me che scrivo per la storia sarà concesso di esporre gli elementi dei quali questa dovrà tener conto per ristabilire la verità in tanti modi conculcata. Con tutto ciò non intendo dire che cause militari del disastro non ci siano state e che non abbiano avuto sensibile influenza sulla rotta iniziale. Di alcune di esse, specialmente di quelle riflettenti il XXVII Corpo d'Armata, io non sono venuto a conoscenza che molto più tardi, cioè un anno dopo la fine della guerra, attraverso gli scritti polemici dei generali Capello e Cavaciocchi. Di queste cause militari ragionerò a fondo altrove. Dico però e sostengo che queste cause militari non sarebbero state per sè stesse decisive se lo spirito delle truppe non fosse stato avvelenato da un'infame propaganda lasciata liberamente esplicare dal Governo. Sono infiniti i casi in cui la resistenza delle truppe ha dato tempo di rimediare agli errori dei capi (basti per tutti il classico esempio del III Corpo prussiano alla battaglia di Vionville il 16 agosto 1870); e nel nostro caso una lunga resistenza era possibilissima su posizioni formidabili per natura e per arte. Tra le critiche che la Commissione mi ha rivolto, poche e di secondaria importanza sono quelle di ordine militare-tecnico, tranne quella relativa agli avvenimenti del Trentino del 1916, dei quali discorrerò diffusamente nel capitolo IV e che non ha rapporto alcuno con gli avvenimenti dell1ottobre 1917. Importanti invece sono quelle di ordine militare-morale: ma qui ci troviamo in un campo molto elastico, nel quale predominano i fattori imponderabili, come in quello dell'azione morale del Governo; esso si presta perciò all'ingrandimento e al rimpicciolimento delle responsabilità secondo le volontarie ed involontarie tendenze di chi è chiamato a giudicare. 75
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Inoltre la Commissione ha meditatamente trascurato la connessione esistente tra le responsabilità militari e morali d el Coman do Supremo e le responsabilità politiche del Governo: le une riguardanti l'esercito dei combattenti, le altre l'esercito dei depositi ed il Paese. Nell'impossibilità adunque di rivolgermi appunti gravi di carattere militare-tecnico, in un campo cioè di fatti positivi e precisi, è nel campo morale che si è tentato di colpirmi e di scagionare il Governo. Incomincerò perciò in qu esto capitolo a discorrere della responsabilità di quest'ultimo, ed esaminerò nei seguenti ad una ad una tutte le critiche che mi sono state mosse. Ma per ben valutare la responsabilità del Governo mi è necessario esaminare tutto il complesso problema delle cause m orali del fenomeno di Caporetto. Il disastro di Caporetto, al quale siamo andati incontro proprio quando si stava per raccogliere i frutti faticosamente seminati in 29 mesi di guerra,1 ha avuto conseguenze gravissime ed assai più ne avrebbe avute se la ritirata d ell1esercito non fosse stata, colla prontezza che il caso richiedeva, ordinata e se non fosse stata condotta in modo da arrivare sulla predisposta linea del 1
ll 26 luglio 1919 il ministro Erzberger comunicava al Parlamento germanico in Weimar una lettera che il gran Cancelliere conte Czemin aveva indirizzata all'imperatore Carlo I il 13 aprile 1917, dalla quale tolgo le seguenti parole: "E ' assolutamente chiaro che la nostra potenza militare si avvicina alla fine. Cause principali: la deficienza di munizioni, la completa stanchezza del materiale umano, e soprattutto la disposizione del popolo che non può sopportare i sacrifici della guerra. Forse riusciremo a resistere nei prossimi mesi ed a mantenerci efficacemente su.Ila difensiva; ma so perfettamente che una nuova campagna invernale è da escludere. In altre parole so che alla fine dell'estate od in autunno si deve finire a qualunque prezzo ...
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Piave in condizioni da potervi resistere. Il Paese è stato gettato dal disastro sull'orlo dell'estrema rovina. I frutti faticosamente conquistati in una guerra combattuta nelle più sfavorevoli condizioni di terreno e con grande penuria di mezzi tecnici, nei primi due anni, sono andati in gran parte miseramente perduti. Più di due province sono state calpestate dall'invasore e devastate e gli abitanti sono stati vittime delle più brutali torture materiali e morali. Magazzini e materiali di ogni specie sono andati perduti per un valore di parecchi miliardi. La storia ha bene il diritto di definire chi sono stati i colpevoli di tanta rovina; e chi è accusato di avervi contribuito con la propria opera h a il dovere, verso se stesso e verso il Paese, di difendersi, così come ha l'obbligo verso la storia, di fornire gli elementi per la valutazione dei tragici fatti di cui è stato ora per ora partecipe. Fra le cause morali del fenomeno di Caporetto ve ne sono di remote e di prossime. Le cause remote si possono rintracciare in tutto ciò che ho scritto nel capitolo I del libro 11 La guerra alla fronte italiana" ed io non starò a ripetermi. Esse si riepilogano in due: la indisciplina del Paese e la debolezza del Governo, molto scaduto perciò di autorità e di prestigio. Ho però la ferma convinzione che anche la Germania sia allo stremo delle sue forze, la qual cosa gli uomini politici tedeschi non negano... Io ritengo che sia imminente un'offensiva anglo-francese e probabilmente italiana; però credo e spero che riusciremo a fermare tale attacco. Non appena saremo riusciti a ciò Oa cosa può avvenire fra due o tre mesi) noi dovremo, prima che l'America abbia capovolto la sihiazione militare a nostro danno, fare proposte di pace ben dettagliate, senza aver scmpoli di compiere eventualmente grandi e gravi sacrifici". Questa lettera dimostra ad evidenza che, se il Paese avesse dimostrato costanza e tenacia ne1la resistenza, sarebbe ben presto caduto il frutto maturo. Gli avvenimenti di Caporetto servirono invece a galvanizzare la resistenza nemica e, senza di essi, la guerra - che si voleva far finire - av rebbe avuto quasi certamente termine un anno prima. 77
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Le due cause erano poi tra loro concatenate con reciproca azione di causa e di effetto, poiché la debolezza del Governo incoraggiava lo spirito di rivolta e questo vieppiù intimidiva il Governo, il quale, non essendo sufficientemente appoggiato dalla p arte sana, perché amante del quieto vivere, dell'opinione pubblica, si trovava pressoché disarmato di fronte agli audaci partiti sovversivi. In queste condizioni morali l'Italia è stata sorpresa dalla guerra europea come da un fulmine a ciel sereno. Il Governo presieduto dall'on. Salandra ha allora molto saggiamente agito dichiarando la neutralità, che, del resto, rispondeva rigorosamente alla lettera e allo spirito del trattato del 1902 colla Francia, come ha mostrato la recente pubblicazione del testo dello stesso trattato. Fino a questo punto l'accordo in Italia fu pressoché completo. Ho detto pressoché completo perché non mancarono i partigiani della nostra immediata entrata in azione a fianco degli Imperi Centrali. Ma l'accordo si ruppe quando si incominciò a discutere sulla convenienza della nostra partecipazione al conflitto, la quale, in seguito alla dichiarazione di neutralità, non avrebbe più potuto aver luogo che a fianco degli Stati dell'Intesa, oltre che per le ragioni storiche e ideali della guerra, collo scopo di rivendicare le provincie irredente e i nostri confini naturali. Gli spiriti più illuminati e più sereni pensavano che, data la posizione geografica dell'Italia tra due gruppi di contendenti, essa non avrebbe potuto mantenere a lungo la sua neutralità; tanto meno poi le sarebbe convenuto di contrattarla con gli Imperi Centrali facendosi cedere una parte delle provincie irredente: la qual cosa l'avrebbe posta in cattiva luce presso l'Intesa se questa avesse vinto la guerra, potendo essa in tal caso rinfacciare all'Italia di aver guadagnato senza fatica sua e mediante il sangue altrui delle provincie. Se poi avessero vinto gli Imperi Centrali, come sarebbe stato più probabile, avrebbero questi potuto non dare il promesso, o pretenderne la restituzione col 78
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pretesto che si era approfittato dell1imbarazzo loro per carpire il non dovuto; seguendo in ciò la massima esposta dal Machiavelli nel cap. XLII del Libro Terzo del Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio: «Le promesse fatte per forza non si debbono osservare.» E gli uomini di Stato degli Imperi Centrali non erano sicuramente più scrupolosi del segretario fiorentino! Ma questi spiriti illuminati e sereni erano, come sempre, una minoranza. E così non la pensavano gli altri che non lo erano e coloro che per ragioni varie avevano interesse ad impedire la guerra cogli Imperi Centrali, o che avversavano la guerra in genere, specialmente in quel momento in cui l'Italia appena usciva dalla guerra di Libia. Da tutto ciò nacque un dissidio1 il quale non costituì certamente la preparazione più opportuna degli animi per fortificare la resistenza del Paese nell'ardua prova che lo attendeva; essendo ovvio che tutti gli spiriti dubbiosi e pavidi, non venendo trascinati da una concorde corrente, fossero naturalmente portati a collegarsi con coloro che la guerra avversavano. E fu gran disgrazia che questo dissidio dovesse acuirsi proprio alla vigilia della nostra dichiarazione di guerra, in conseguenza dell'in2 fausto intervento dell'on. Giolitti il quale per poco non rovesciò il Ministero che già aveva contratto impegni colle potenze dell'Intesa e non mandò all'aria ogni cosa! Il colpo fu, fortuna2
L'intervento dell' on. Giolitti spinse i francesi, nella tema che l'Italia non mantenesse i patti siglati a Londra, a pubblicare sui giornali il 15 maggio iJ testo dell'accordo: di conseguenza, la sorpresa sulla quale l'esercito contava nell'entrare in guerra il 24 maggio, venne meno con gravi conseguenze militari. I rapporti tra Cadorna e Giolitti furono sempre difficili soprattutto perché le rispettive attività nelle quali eccellevano entrambi, la politica e la strategia, erano agli antipodi: infatti, la politica è l'arte del possibile che richiede il compromesso mentre la strategia è la scienza dei rapporti di forza che richiede soprattutto coerenza matematica. Ma erano entrambi fedeli servitori dello Stato e della monarchia e grandi professionisti. [C.C.]
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tamente, sventato, ma il male fu grandissimo per la disunione degli animi che si acuì e che continuò durante la guerra, quando si richiedeva per parte di ciascuno rinuncia completa alle proprie precedenti opinioni e concordanza di sforzi per raggiungere la vittoria. Tali cause furono aggravate dal lungo sforzo richiesto da una guerra terribile e sanguinosa, che sembrava interminabile e stancava le energie della Nazione, dall'aggravio finanziario prodotto dall'aumento vertiginoso delle spese, dalle gravissime perdite incontrate nella guerra. Nel 1917, dopo due anni, serpeggiava nel Paese un profondo malcontento, del quale approfittavano i disfattisti per addebitare l'inutilità dello sforzo ed i sacrifici che ne conseguivano a coloro che avevano provocato la guerra. In conseguenza di ciò, tra il 23 ed il 27 agosto di quell'anno torbidi sanguinosi scoppiavano a Torino con carattere di protesta contro la guerra. Tale stato di cose veniva sfruttato dai disfattisti p er compiere presso l'esercito un1infame propaganda incitante i soldati alla resa delle armi ed alla diserzione - propaganda alla quale il Governo non poneva alcun ostacolo malgrado le energiche proteste del Comando Supremo, come si dirà tra poco. Ne conseguì un abbassamento nello spirito combattivo, prima altissimo, dell'esercito manifestatosi con numerose diserzioni e con non infrequenti atti di indisciplina, prodotti specialmente fra le truppe di complemento, le quali portavano dal Paese il cattivo spirito diffondendolo fino alle prime linee. Chi sta a capo di un grande esercito, quali sono gli eserciti moderni, non può indurre lo stato morale del soldato che dalle manifestazioni esteriori che si producono, e non può averne notizia esatta che attraverso la gerarchia, non essendo possibile di averne diretta cognizione, sia pure colle frequenti ma necessariamente fugaci visite che io facevo lungo la estesissima fronte. Pure, per i sintomi esteriori di cui ho precedentemente 80
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discorso e per i contatti che cercavo fossero per quanto possibile frequenti colle autorità dipendenti, specialmente coi comandi di armata, ebbi, nel 1917, l'esatta sensazione dell'anormalità della situazione morale dell'esercito e delle sue cause. E soprattutto compresi che tale situazione morale non era che il riflesso di quella del Paese. Circa l'influenza dello spirito del Paese sull'esercito, io avevo antiche convinzioni. In un mio scritto pubblicato fin dal dicembre 1898 sulla rivista "Armi e Progresso" si leggono le seguenti parole: «Ma intanto la più elementare prudenza consiglia di tutelare, anzi di rafforzare quella istituzione che sola può salvare la Patria nel giorno del pericolo, finché pericolo vi può essere. E siccome in essa la forza materiale è cosa morta se va disgiunta dalla forza morale che le deve infondere la vita, e su questa (data la costituzione degli eserciti odierni) ha influenza grandissima lo spirito pubblico della nazione da cui emana l'esercito, consegue che fa opera criminosa chi per fini di partito si adopera a vilipendere l'esercito e a indebolire la considerazione in cui il medesimo deve dal Paese esser tenuto.» Se ciò era vero nel tempo in cui scrivevo, lo è maggiormente ora, quando la nazione versa rapidamente nell'esercito in guerra, dopo un'istruzione affrettata, tutti i suoi elementi atti alle armi. Perciò la propaganda disfattista fatta nel Paese e dal Paese non poteva che trovare un'eco immediata nelle file dell'esercito. Anche il generale von Falkenhayn, al principio del capitolo VIII del suo libro "Il Comando Supremo dell'esercito germanico (1914-1916)", mette in rilievo l'influsso dello spirito del Paese su quello dell'esercito. Dopo di aver detto che alla fine del 1915 i tedeschi erano stati costretti a limitarsi a mantenere la linea conquistata, soggiunge: «Ci si era brillantemente riusciti grazie all'ammirabile resistenza delle truppe germaniche, resistenza che non ha l'eguale nel passato e che l'avrà difficilmente nell'avvenire. La potente corrente di forza morale che affluiva all'esercito in guerra, poiché l'entusiasmo animava allora la maggior 81
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parte della nazione, ha avuto, a produrre tale effetto, la parte decisiva.» Lo stesso fenomeno si è prodotto da noi nelle giornate del Piave del novembre 1917, con questo di ancor più caratteristico, del passaggio repentino dell'esercito dallo stato di profonda depressione morale a quello della più ferma deliberazione di resistenza ad oltranza all'unisono con identica m etamorfosi nello spirito del Paese. Anche il generale Ludendorff, nel I capitolo del suo libro 11 1 miei ricordi di guerra", scrive: « ... E sempre la Patria soccorse con nuove energie, rinsanguò, rianimò, rinnovellò; sempre ebbe cura di mantenere viva la fiducia, alto lo spirito combattivo, di allontanare il dubbio, lo scoramento, elementi sicuri di sconfitta. E, come tale pericolo aumentava col prolungarsi della guerra, sempre più alacremente p rovvedemmo a scongiurarlo, incitando esercito e m arina ad affermarsi degnamente sfruttando fino all'estremo limite le energie individuali e collettive della p opolazione, riunendole, fondendole, indissolubilmente. Alla Nazione n on avrebbe potuto essere imposto compito più arduo. Essa non solo costituiva la base di tutta la nostra forza; doveva essere anche la pura, chiara, inesausta fonte di vita dei combattenti. Nazione ed esercito: due forze da mantenere ad ogni costo valide e fuse. La combattività delle truppe era in diretto rapporto colla combattività della popolazione. E questa, p ertanto, venne sottoposta ad un regime di lavoro e di vita che in altra epoca sarebbe apparso in applicabile e folle. Il Governo ed i poteri responsabili assunsero questo compito e con rigida fermezza procurarono di assolverlo.» Proprio l'opposto di quanto accadde tra noi, mentre l'onorevole Orlando, ministro dell'Interno, governava il Paese. Ad impedire od almeno ad attenuare la rip ercussion e dello spirito del Paese sull'esercito io non avevo che due mezzi diretti a mia disposizione, cioè il rigore ed i m ezzi educativi e morali.
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Mezzo indiretto era poi quello di agire sul Governo per ottenere che esso esplicasse la sua azione energica sul Paese, allo scopo di tenerne alto il morale ed impedire l1opera nefasta della propaganda disfattista. Questo mezzo indiretto era della più alta importanza. Difatti, se il Governo fosse venuto meno al suo compito di tutela alle spalle dei combattenti, non v 1ha chi non veda che sarebbe rimasta compromessa l 1efficacia dei due mezzi diretti di cui poteva disporre il Comando Supremo. Per il fatto che l1azione educativa che fa appello ai sentimenti più elevati del1 1uomo, quali il dovere, il patriottismo, l 1onore militare, ha scarso effetto in chi da lungo tempo sia stato assoggettato ai disagi ed ai pericoli della guerra se, contemporaneamente, facendo leva sugli istinti più bassi ma più sensibili dell'uomo incolto, lo si può impunemente incitare alla diserzione ed al gettito delle armi, lasciandogli credere che con tali mezzi ·si fa finire la guerra. Paralizzata così l1efficacia dell1azione educativa, non rimane che il rigore, il quale dovrebbe essere tanto maggiore quanto più gli altri mezzi diventano infruttuosi; ma anch esso ha dei limiti, oltrepassati i quali perde di efficacia, ed anzi, data la natura sensibile del nostro soldato, può ottenere l1effetto opposto a quello a cui si mira. Ecco dunque chiare le ragioni per cui il Comando Supremo avrebbe finito per trovarsi disarmato (come si trovò poi di fatto) se gli fosse venuta meno la volonterosa ed energica collaborazione del Governo. Ecco perché esso si rivolse al Governo colla insistenza e colla energia d ella quale darò tra poco le prove; ma invano, perché fu soltanto dopo Cap oretto, quando il disastro gli ebbe aperto gli occhi, che esso si risolse ad efficacemente intervenire. Il primo mezzo, quello del rigore, fu applicato con energia, nel modo e nella misura che le circostanze richiedevano. Ma esso riesce inefficace se scompagnato dal11educazion e e dai mezzi morali atti a tenere alto il morale del soldato. A questo fine non si trascurò nessun mezzo. Vennero a più riprese emanati ordini 1
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e circolari riflettenti le misure di prevenzione, di sorveglianza, di repressione e di educazione; di queste parlerò nel capitolo III quando tratterò del regime disciplinare. Acce1U1erò ora alle principali misure preventive prese in zona di guerra per mettere un freno alla propaganda disfattista e per tenere alto il morale delle truppe. Mediante le più severe misure di vigilanza si poté nel marzo 1917 accertare l 1esistenza di una vasta rete di propaganda sovversiva che da parecchi centri del Paese irradiava verso l 1esercito. In seguito a tali accertamenti vennero deferiti al tribunale militare del XXIV Corpo d 1Armata oltre cinquanta individui, fra i quali parecchi borghesi appartenenti a circoli sovversivi de1I1intemo del Paese. Il ministro Bissolati si fece dare dal sottocapo di Stato Maggiore una memoria riassuntiva del processo per informarne il Governo (il cosiddetto processo di Pradamano). Fin dal principio della guerra vennero successivamente esclusi dalla zona di guerra i giornali nei quali apparivano articoli deprimenti per lo spirito delle truppe. 3 Il numero di questi giornali era, nell'ottobre 1917, di circa 30. In questa esclusione il Comando Supremo seguì criteri larghi ed assolutamente apolitici: fra i giornali esclusi ve ne erano di tutti i partiti. Del resto, non sarà fuori luogo a questo riguardo l 1osservare che il Comando Supremo, mentre non cedette alle pressioni dell'on. 3
Riguardo allo spirito delle buppe debbo osservare che a pag. 451 la relazione della Commissione d'inchiesta parla di "elementi debilitanti pressoché comuni a tutti i popoli e a tutti gli eserciti". Questo giudizio può giovare alla tesi della Commissione, ma esso è lontano dal vero. Oltre alle cause comuni, il fenomeno fu in Italia particolarmente aggravato dalla indisciplina del Paese, dalla discordia dei partiti e dal non avere il Paese sentito la guerra, nella quale era entrato di sua libera elezione, e non per propria difesa come la Francia.-
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Barzilai, allora ministro, per la riammissione dell'Avanti! in zona di guerra, sospese il giornale cattolico Corriere del Friuli di Udine e puni coll1internamento il direttore dello stesso e l'autore di un articolo in esso comparso nel quale si interpretava la nota pontificia dell'agosto in modo deprimente per lo spirito dei soldati. Da parte del Governo, invece, non furono prese misure repressive contro i giornali esclusi dalla zona di guerra, cosicché essi riuscivano a penetrare ugualmente fra le truppe, per mezzo dei soldati provenienti dall'interno del Paese. Credo opportuno a questo riguardo ricordare che fin dal 29 luglio 1914, due soli giorni dopo che io avevo assunto l'ufficio di capo di Stato Maggiore dell'esercito, tra i provvedimenti proposti d'urgenza al Ministero vi era anche questo: << VII - Urge preparare l'opinione pubblica per mezzo della stampa all'eventualità di una guerra, ed a guerra dichiarata è della massima importanza imbavagliare la stampa sovversiva ed assicurare ad ogni costo la tranquillità del .Paese.» Si è poi visto come ciò sia stato fatto, e quali conseguenze abbia portato il non aver dato attuazione alla mia richiesta, che i fatti hanno dimostrato anche troppo giustificata! Contro questi pericoli per la compagine morale dei combattenti il Comando Supremo esercitò costante vigilanza, specialmente per mezzo del11arma dei carabinieri, facendo eseguire di frequente inchieste ed indagini. In questo ordine di provvedimenti fece pure eseguire indagini, per mezzo del vescovo da campo, presso gli ospedali, per assicurarsi che nelle funzioni religiose non si recitassero preghiere inneggianti alla pace, ma che in esse predominasse sempre l'invocazione a Dio per la vittoria delle nostre armi. In analogia a quest1ultimo criterio, il Comando Supremo diede sviluppo a tutte le forme possibili di propaganda ed a quelle istituzioni che valessero a distrarre il soldato, proporzionatamente ai propri mezzi, poiché il Governo non gli diede mai né 85
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appoggi morali, né contributi finanziari. Esso pensò invece, nel 1916, a ridurre la razione pane del soldato (suscitando in esso grave malcontento) da 750 a 600 grammi, prima che fosse razionato il Paese, mentre l'economia nei consurrù avrebbe dovuto incominciare dal Paese e non dal soldato che combatteva, esponeva la vita, ed andava soggetto a tutti i disagi della guerra. Dopo Caporetto, il Governo si decise a curare in ogni modo il morale e il benessere del soldato. Ma io non incontrai che ostacoli. Uno dei più efficaci mezzi per la buona propaganda fu quello delle «Case del Soldato» (delle quali si rese benemerito il rev. don Minozzi che dovette superare molte difficoltà presso il Ministero della Guerra per poterle istituire). Esse nell'ottobre del 1917 avevano raggiunto il numero di quasi 200 ed erano state spinte sino al rovescio delle prime linee. Ivi si distribuivano libri e giornali, si tenevano riunioni e rappresentazioni cinematografiche, nonché conferenze di propaganda patriottica. Fra queste si erano iniziate, nella primavera del 1917, con ottimi risultati, le conferenze dei prigionieri restituiti dall'Austria, ma il Ministero della Guerra ne ordinò la sospensione, giudicando l'impiego di tali prigionieri in zona di guerra contrario agli usi e alle convenzioni internazionali; e ciò avveniva mentre gli Imperi Centrali adoperavano i prigionieri perfino nella costruzione delle trincee di prima linea! Nell'autunno del 1916 il sottocapo, generale Porro, aveva progettato la compilazione di un libro di propaganda sulla guerra, da distribuirsi ad ogni soldato partente in licenza invernale, in modo che tale libro potesse automaticamente diffondersi per tutto il Paese, portando ovunque la parola eccitatrice per la resistenza e per la lotta. Non avendo il presidente del Consiglio, dal quale la propaganda allora dipendeva, concesso i fondi necessari, l'idea non poté essere attuata. Per la stessa ragione non fu possibile dare esecuzione al progetto di pubblicazione di un «Giornale per il solda86
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to» che era stato studiato nei suoi particolari. Né sarebbe stato possibile organizzare i teatri per il soldato senza il disinteressato concorso di molti artisti lirici e drammatici e il generoso contributo finanziario della Società degli autori di Milano. Mercè tali aiuti vennero nell'estate del 1917 organizzati, dietro alla fronte della II e della III Armata, sette teatri che diedero complessivamente 150 rappresentazioni. Dopo di avere esposto l1azione morale diretta del Comando Supremo dell'esercito discorrerò ora di quella indiretta, manifestatasi col rivolgersi al Paese e al Governo. La mia carica non mi consentiva diretti rapporti col Paese e non avevo perciò veste per rivolgermi al medesimo. Approfittavo però dell'occasione in cui dovevo rispondere a lettere o a telegrammi inviatimi da persone di rango elevato o da sodalizi, per introdurre qualche parola adatta a sollevare il depresso spirito del Paese.4 Alcune di tali risposte, pubblicate dai giornali, ebbero eco grandissima, e ne darò qualche esempio. Il 27 marzo 1917 i giornali pubblicavano una mia intervista coll'on. Barzilai, la quale fu generalmente trovata molto opportuna, anche dal Governo. In essa sono particolarmente da notare le seguenti mie parole: «Perché l'esercito resista fino all'ultimo deve resistere il Paese, del
quale l'esercito, con una straordinaria sensibilità, percepisce tutte le vibrazioni. Dite al Paese che fughi tutte le preoccupazioni pavide, che senta la disciplina dell'ora, che pensi alla grandezza dei fini per i quali combatte: abbia fede ed avrà la vittoria.» Ad un telegramma di felicitazioni per i recenti successi sul Carso inviatomi dall'on. Pirolini a nome del Comitato d'azione 4
Tale depressione mi veniva rappresentata da molte parti. Fin dal 27 dicembre 1916 il ministro della Guerra mi scriveva che le condizioni morali d 'Italia non gli sembravano più, per lo meno in quel momento, quelle dell'inizio della guerra. E' naturale perciò che fin d'allora io mi dovessi molto preoccupare del cattivo influsso che avrebbero portato nell'esercito gli uomini di complemento ed i reduci di licenza.
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per la resistenza interna, da Milano, così rispondevo il 26 m aggio 1917: "Grazie. Nella vittoria ho creduto sempre e senza esitazione. Essa è e sarà il premio del popolo italiano che, nella lunga prova, contro tutte le previsioni dei suoi nemici interni ed esterni, ha creduto con eguale fede". Questo telegramma irritò i socialisti ufficiali della Camera che mi accusarono di far della politica perché avevo parlato di nemici interni. Io avrei fatto della politica se avessi detto che i nemici interni erano i socialisti od i giolittiani od altri. Ma io mi sono limitato a parlare genericamente di nemici interni, i quali indubbiamente esistevano; perciò chi si risentiva si poneva da sé in questa categoria. Ad un telegramma inviatomi dai partiti interventisti milanesi riuniti in assemblea coi senatori e deputati lombardi inviavo il 15 settembre la seguente risposta: «Nessuna promessa poteva giungere ai combattenti più incitatrice di questa, venuta dal cuore di Milano: che tutto il popolo è pronto a una infrangibile resistenza. Siamo in un I ora decisiva. Ancora una volta ripeto: ogni viltà conviene che qui sia morta. Non solo sulla prima linea ogni debolezza sarebbe tradimento. Si armi ciascuno, soldato o cittadino, della suprema volontà di vincere, e avremo la vittoriJJ. Si fondano tutte le classi e tutti i partiti che sinceramente amano la Patria in un solo impeto di orgoglio e di fede, per ripetere, come nelle memorabili giornate del 1915, al nemico che ascolta in agguato: L'Italia non conosce che la via dell'onore.» Questo telegramma ebbe l'onore di essere pubblicato a lettere cubitali sulle cantonate di molte città d 'Italia! Ma purtroppo, in quel m omento, altro che ad una infrangibile resistenza pensavano molti! Altro che ad armarsi della suprema volontà di vincere! Basta il fatto di aver sentito il bisogno di costituire dei partiti interventisti, per dimostrare quanto poca concordia vi fosse! Il mio telegramma era un incitamento ed uno squillo di allarme. 88
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Poco più di un mese dopo, il fenomeno di Caporetto lasciò in forse se l'Italia non sarebbe rimasta atterrata e ripiombata per due secoli nelle antiche sventure! Queste mie manifestazioni pubbliche dimostrano all'evidenza come da molto tempo io mi preoccupassi dello stato morale del Paese e delle sue ripercussioni sull'esercito. Ma altre manifestazioni venivano fatte direttamente dal Comando Supremo al Governo. Fin dalla primavera del 1917 il generale Porro, sottocapo di Stato Maggiore dell'esercito, aveva prospettato al minjstro della Guerra l'impressionante aggravarsi del fenomeno della diserzione e suggeriva i mezzi per attenuarlo. Del resto, il Comando stesso, per mezzo dell'ufficio informazioni, teneva periodicamente al corrente tanto il Ministero dell'Interno quanto quello della Guerra circa lo spirito delle truppe mediante un notiziario compilato con dati desunti dalle corrispondenze censurate e dalle informazioni dei propri agenti. Ho precedentemente dimostrato che io nel Governo incontravo molti ostacoli e non ne ricevevo alcun aiuto allo scopo di prevenzione e di propaganda. Ma le mie preoccupazioni aumentavano ogni giorno nel constatare che non solo non si attuava una politica interna positiva tendente a rinsaldare la resistenza del Paese e per naturale conseguenza dell'esercito, ma se ne praticava una compiutamente negativa, lasciando libero corso alla propaganda disfattista. Le difficoltà interne erano realmente gravi. Ma il ministro dell'Interno, on. Orlando, invece di dedurre da queste difficoltà la necessità di una ferrea energia per dominare la situazione e paralizzare l'azione degli elementi più pericolosi, cercava di aggirare gli ostacoli con una politica fiacca ed accomodante, pienamente conforme alla sua natura, la quale non aveva altro risultato che di incoraggiare l'azione infame dei nemici della Patria in armi. Nei primissimi giorni del giugno 1917, durante la controffensiva austriaca sferratasi in quei giorni, si erano verificati, fra le 89
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truppe che erano state attaccate ai piedi del1 Hennada, alcuni fatti deplorevoli che era lecito attribuire al1 1azione disfattista che si andava largamente esercitando. Scrissi allora al presidente del Consiglio la seguente lettera,5 in data 6 giugno 1917 n. 2627: Da qualche giorno il nemico rinnova, viol enti tentativi, i nsistendo con un 'azione controffensiva sulla fronte del Carso, con l a quale - valendosi di t ruppe trasportate dalla fronte russa - ha potuto raggiungere non indifferenti risultati nella parte meridionale, dove noi eravamo riusciti a portarci ad immediato contatto delle difese dell'Hermada. Ma assai più che l'abbandono di talune quote preoccupa altamente il numero di prigionieri che il nemico ha potuto catturarci, nella giornata specialmente del 4 giugno, e che il bollettino di guerra austriaco del 5 corrente fa ammontare a 6500. Dalle i nformazioni che finora ho avuto dal Comando dell a III Armata r i sulterebbe che l a massima part e dei catturati appartiene a tre reggimenti di fanteria, composti i n gran prevalenza di siciliani, i qual i sarebbero caduti nelle mani del nemico, non per l e fa tali vicende del combattimento, ~a avreb1
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Le quattro lettere che seguono furono p~r la prima volta pubblicate nella relazione della Commissione d 1inchiesta, e, stante la loro importanza, credo opportuno di riprodurle. A queste lettere fanno perfetto riscontro la lettera del generale Nivelle del 28 febbraio 1917 e quella del generale Pétain del successivo 29 maggio. Delle medesime discorre Léon Daudet nel libro : Le poignard dans le dos (pag. 222-223). Egli dice: "Le rapport du général Nivelle, que vous connaissez, est extrémement explicite. Il a un caractère réellement prophétique; il nous montre le point de <lépart du mal, et il indique la fgon dont les choses risquent de se passer... Le général Pétain revient à la charge, et il le fair avec une formule qui eclaire la situation de lueurs étranges, lorsque l'on sait'ce que vous savez. Il dit que la racine du mal est à l'intérieur. Il aurait été bien plus dans la complète vérité s'il avait écri l'intérieur avec un grand i, au lieu de l'écrire avec un petit i." 90
Il punto fondamentale - Commissione d'inchiesta
bero invece defezionato . Tale è l ' informazione che io ho avuto e che deve essere ancora scrupolosament e controllata, ma che assume particolare cara ttere di estrema gravità e che debbo subito segnalare al Governo con riserva di ulteriori accertamenti . Se l ' informazione corrisponde a verità, le defez i oni non potrebbero essere che nuovo frutto della propaganda contro la guerra che si svolge in Sicilia e che ha ridotto l 'isola ad un covo pericoloso di ren itenti e di disertori, i quali, secondo le segnalazioni del Ministero della Guerra , superano i 20 . 000 . Ma non soltanto la Sicilia è fornita di velenosa propaganda contro la guerra e contro il dovere militare ; anche altrove (in Toscana , nell ' Emilia, in Romagna , nella stessa Lombar dia ) si seminano con arte malvagia le teorie antipatriott iche, e nelle truppe di complemento che giungono dal Paese , come nei mi litari che ritornano dalla licenza , si manifestano gravi s intomi di i ndisciplina che hanno richiesto le più energiche misure di repressione perché il male non dilaghi . Si è perci ò dovuto ricorrere a f ucilazioni immediate, su vasta s cala, e rinunziare alle forme del procedimento penale, perché occorre troncare i l male dalle sue radici finché si può sperare di arrivare in tempo . Così si procede in zona di guerra con inesorabile severità, ma debbo prevenire che se i s i ntomi ora rilevati e repressi dovessero permanere , o peggio si estendessero, sarò costretto a dete rminare estremi provvediment i e ricorrere alla «decimazione» dei r eparti infetti dal contagio, r i mettendo i n vigore un supremo atto di repressione, che inconsciamente si volle togliere dal codice penale militare , ma che è a rma necessaria , oggi più che mai, i n mano del Comando, data l 'improvvisazione, su larga scala, delle truppe e il veleno che esse attingono dai contatt i col Paese . 91
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Poiché è i nutil e che io dica e pr ovi all 'E. V. che l 'indisciplina che minaccia di corrompere l a compagine dell 'esercito nostro deriva e dipende dalla t olleranza con cui si lasci ano impunemente dif fonder e nel Pae se le più perverse teorie da parte dei nemici interni ; mentre siamo in guerra il regime disciplinare all'int erno non è rispondente alle esigenze del momento, ed i mezzi di repressione attuati in zona di guerra sono sterili se non trovano r ispondenza e tut ela in un'azione analogamente ener gica, svolta con fermezza e costanza nel r esto del territori o dell o Stat o . Dico ciò soltanto per ché cost ret tovi dalle prementi e superiori esigenze della guerra (non già perdesiderio di int romettermi in questioni di pol iti ca interna che non mi competono), e per ché , come responsabile dell ' andamento della guerra, ho il dovere di segna l a re al Gover no le conseguenze che una debole condot ta della politica i nte rna avrà i neluttabilmente s ulle sorti della nostra guerra . Ho già avuto a ltre precedenti occasioni di accennare esplicitamente a ciò nelle mie precedenti comunicazioni al Gover no; vi r itorno oggi, perché quant o avvi ene in quest i giorni i n alcuni reparti del le nos tre truppe è di così minacciosa gravità che io mancherei a l primo dei miei doveri se non manif esta ssi con rude franchezza , e con la convinzione di servire onoratamente ed onestament e gli i nteres si del Paese e de l la monarchia, quello che io ritengo ess ere la causa precipua del male e l'uni co rimedio possibile . Due giorni dopo mi perveniva un rapporto di un agente del servizio d 'inforrnazioni del Comando Supremo, al quale un noto sovversivo aveva riv elato il lavorio di propaganda che il partito a cui apparteneva stava facendo. Spedivo subito tale rappor92
Il punto fondamentale - Commissione d'inchiesta
to al presidente del Consiglio, accompagnandolo colla seguente lettera (dell 18 giugno, n. 2803) che ha l'accento di chi sente il pericolo e l'urgenza dei provvedimenti da prendere: Pe rsona che si ha ra gi one di ri tenere di fiducia , addetta al serviz io informazioni , riferisce , in d ata 6 g iugno quan t o è trasc rit to n el 1' anne sso f oglio 6 • Pur s enza da re caratt ere d i asso lut a attendi b ilità a tutto ciò che è detto nel foglio che al l ego , t uttavi a c redo opportuno da rne comuni ca zion e alla E . V. perché serve d i comp lement o e di v al ida conferma a qua nto ebbi a scrivere nel mi o fogl io in data 6 corrent e (n . 2767 G . M.), su l l ' ope r a n e fast a che il partito sociali sta sta c ompiendo a danno dell ' esercì to e de lla pa tria in gu erra, e per insi stere s ulla ne cessi t à che ta le ope ra non s ia lascia ta s vol ge re indi st urba ta , ma ve nga invece so ff ocat a da ll ' az i one energica d e i pubblici poteri. Il Governo, in t e mpi ecce zionali come quelli che at traversi amo, ha certame nte mezz i e ccez i ona l i 6
Il foglio allegato diceva: Ho avuto in questi giorni un lungo colloquio con S... e l'ho condotto sull'argomento della propaganda socialista-pacifista nell'esercito e nel Paese. La direzione del partito, mi ha detto, è scissa in due frazioni. « Alcuni avrebbero voluto - per il 1 maggio - promuovere un movimento rivoluzionario; altri - la maggioranza - si sono dimostrati e si dimostrano propensi ad attendere momenti più propizi, quando la guerra sarà finita ed il Governo non disporrà di un forte nerbo di truppe sotto le armi. I soldati siciliani, sardi e calabresi - mi ha detto S... - sono monarchici per la pelle; essi sparerebbero contro di noi socialisti con la medesima facilità e con la medesima voluttà con la quale sparano sugli austriaci, e noi dobbiamo quindi fare fra loro un'opera di persuasione e di propaganda, cercando di attirarli nella nostra orbita. «Intanto abbiamo cominciato a mandare dei propagandisti nel Mezzogiorno d'Italia; al fronte sono state diramate in gran copia circolari ad hoc agli 93
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d i d ife sa a sua d i spo si z io ne pe r p r eve ni r e l' o pera di propaga nda social i st a - p a ci fi s t a ; e s e l a p r e venzione s i dimos t rasse ins uf fi c i en te e f os s e o ra ta r div a , non r e ste r ebbe che rico r re r e ine so r ab i lmente alla r ep ressione , a ttuat a s e nz a r ise rva e c on t ut t a la forz a e il rigor e che i supremi inte re ss i del Pa ese richiedono . I l Comando Sup r emo provvede qui , in zona di guerra , a s peg ne re con rimedi ra di c ali i t e nt at ivi e l e manif e stazioni di ca r atte r e anti p a t r i o t t ico e s ovversivo , ordinando ai c omandi dipendenti che i militari trovat i i n possesso d i cir col ar i e di manife st i i ncita nt i a lla diserzi one e al la d e fe zi one sia no senza esi ta z i one co l p i ti da lle più sev e re s a nzioni ma o c co r re che l'op era pe r s eguita n e l l'inte r no del Paese dai sociali s ti (i nomi di p a re c c hi de i p i ù pe r icol osi a g ita to ri s ono sulle b occ he di tutti) si a t r onc at a s en z ' a l tro r i ta r do d a e ne r g i che ed imme di a t e mis ur e alle so r genti ste sse da cui e mana , in mod o c he no n po s sa ul t eri orment e progredire una propaganda c he minaccia , organizzati, i quali hanno il compito di istruire le nuove reclute del socialismo e di condurle alla nostra fede. Noi - ha soggiunto S ... - siamo convinti di avere con noi al momento opportuno tutti gli anarchici ed i repubblica1ù sedicenti interventisti, perché, se dissentiamo nella scelta dei mezzi, le nos tre idealità finali collimano perfettamente. Se i dirigenti tipo D., M. e P. non ci seguiranno, tanto meglio. I gregari sono stati nutriti di idee rivoluzionarie e li getteranno a mare per scendere in lizza al nostro fianco. Così dividerà la nostra ideaUtà la borghesia media, che la guerra ha fortemente dissestata. I ferrovieri aderenti al sindacato sono i primi collaboratori nostri. Essi portano al fronte le nostre parole di incitamento e di speranza. Noi siamo sicuri, dato il generale malcontento, che sciopereranno compatti al nostro primo appello. S. ha continuato a lungo, magnificando il lavoro che uno speciale comitato 94
Il punto fondamentale - Commissione d'inchiesta
con segni palesi e con scopi confessati, di distruggere nell'ese rcito e nel Paese i piu vitali sentimenti di patria, di disciplina e dell'onore mi li tare. Questo io debbo invocare dal Governo ad evi tare che sempre piu gravi diventino le minacce che alle spalle dei combattenti ordiscono i nemici interni, altrettanto, se non più temib i li di quel li che abbiamo di fronte. E' mio dovere di far conoscere al Governo la estrema gravità della situazione int erna per i riflessi immediati che ha s u ll'an imo e sui p roposi ti dei soldati al fronte e la urgente necessità di fronteggiarla con ogni mezzo e sen za titubanze. Grave colpa sarebbe (del la quale io i nt endo con ogni mezzo di al l ontana r e da me la respo nsab i lità) se l a propaganda socialista-pacifist a non fosse adeguatamente e sollecitamente combattuta e resa impotente.
Pochi giorni dopo ricevevo un rapporto del capo del reparto disciplina, avanzamento e giustizia militare dal quale risultava il continuo aggravarsi dei reati che avevano rapporto colla disciplina militare. Ne mandai tosto copia, con lettera del 13 7 giugno n. 2827 , al presidente del Consiglio che ora trascrivo:
composto di M., S., A, S., e A sta svolgendo per formare in tutti i più piccoli centri sezioni socialiste femminili, e mi ha assicurato che ça ira. E' certo intanto che circolari incitanti alla diserzione ed alla resa pullulano al fronte; molti ne hanno preso visione; con un lavoro paziente si potrà riuscire a conoscere la fonte. Di tali circolari parlano i feriti negli ospedali, la voce si diffonde ed il danno che ne deriva è enorme. 7
La relazione della Commissione d 'inchiesta scrive erroneamente 13 luglio.
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A seguito delle mie precedenti lettere aventi per oggetto le condizioni morali de lle t ruppe in rapporto alla propaganda esercitata dai partiti avversi alla guerra, ho il pregio di inviare alla E. V. copia di un brano del rapporto del reparto disciplina, avanzamento e giust izia militare del Comando Supremo sui processi penal i espletati dai tribunali di guerra e speciali dal 1° al 31 maggio u . s . Dal medesimo V. E. rileverà come nel mese scorso siano state pronunziate tre sentenze di condanna alla fucilazione e ciò senza tener conto dei numerosi casi nei quali, per necessario immedi ato esempio, si è dovuto addivenire alla fucilazione . Ques ta nuova dolor osa constata zione mi obbliga ad esprimere ancora e con piena chiarezza le ragioni per cui già due volte ho cercato di richiamare l' attenzione del Governo sui sintomi di un crescente spirito di rivolta fra le truppe. Anzitutto , ment re l 'assoluta necessità di tener sal da l a compagine morale dell ' esercito mi obbliga a reprimer e con mezzi estremi ogni att o di i ndisciplina , sono convinto che spesso, più che coscientemente colpevoli , i soldati ultimamente condannat i all a pena capitale erano degli i llus i, sobillati da una propaganda sovversiva, le cui fila sono da rint racciarsi nel Paese, e che i veri responsabili sono al sicuro , impuni ti. Ripugna alla mia cosci enza il pensiero di dover essere obbligato a continuare r epressioni esteriori che non toccano i 0 veri responsabili e lasciano intatta la radice del male . Per questo ho creduto mio dovere di chiedere l ' attiva collaborazione del Governo, che può e deve trovare i sobillat ori nascosti e le origini di un movimento di cui nell ' esercito s i rivelano i segni indubbi . 8
Mentre al fronte si doveva ricorrere alle più estreme sanzioni, i colpevoli dei gravi fatti di Torino dell'agosto 1917 v enivano condannati a pochi anni dì reclusione e poco dopo amnistiati!
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Il punto fondamentale - Commissione d'inchiesta
Faccio i nol tre osservare all 'E. V. che la repressione esteriore, moltiplicandosi fino a raggiungere proporzioni impressionanti, perde della sua efficacia di esempio e potrebbe a un dat o momento avere effetti contrari a quelli voluti , mentre, continuandosi nel s istema f inora seguito di estrema tolleranza delle cause vere, il male potrebbe assumere proporzi oni tali di fronte alle quali potrebbero rendersi impotenti le più estreme misure repressi ve. Sono queste le gravi considerazioni che mi inducono ad insistere presso V. E. perché il Gover no voglia prendere in esame quest o problema in cui gli inter ess i dell'esercito e quelli del Paese sono troppo strettamente collegati, perché esso possa essere risolto da un lato solo . Prego perciò V. E. di volermi dire con cort ese sollecitudine quale criterio intenda adottare il Gove rno in proposito, a norma della mia condotta.
Alle precedenti tre lettere inviate a breve distanza l'una dall'altra, il 6, 1'8 e il 13 giugno, il presidente del Consiglio non credette di dover dare risposta. Il Governo intanto procedeva imperturbabile nella sua via, e poco dopo, cioè dal 22 al 25 agosto, come primo e grave avvertimento, accadevano i moti di Torino che si dovettero reprimere con sensibile spargimento di sangue! Né si può tacere che in quella medesima estate il Governo lasciava liberamente circolare in Italia i rappresentanti del soviet di Pietrogrado 9 (giunti a Roma il 5 agosto), espulsi dalla stessa Francia, accolti trionfalmente ed accompagnati dai nostri soviettisti. Ma non basta. Il 12 agosto il Lazzari, segretario del partito socialista, mandava una circolare a 300 sindaci socialisti 9
I soviet leninisti ebbero a Torino un successo incredibile tra gli operai, soprattutto della Fiat: ben 30 mila aderirono e costituirono Ja base del costituendo partito comunista italiano. [C.C.]
Caporetto, risponde Cadoma
relativa alle deliberazioni della direzione del partito socialista nella sua ultima riunione di Firenze. In questa riunione era stata costituita una «frazione intransigente rivoluzionaria» con l'incarico di eccitare gli operai alla violenza, le popolazioni agricole alla rivolta, e di distruggere così la combattività degli Italiani come si era fatto in Russia. La circolare del Lazzari faceva una questione di onore (dove mai va a ficcarsi l'onore!) dell'adempim ento della tesi «prima dell'inverno la pace» secondo la famosa frase lanciata dall'on. Treves alla Camera: «Non più un altro inverno in trincea», e costituiva un atto gravissimo che il ministro Orlando lasciava passare senza provvedimento alcuno! Queste furono le risposte pratiche alle mie tre lettere. Tutti questi fatti impensierirono l'opinione pubblica e indussero, in mezzo allo sdegno generale, a reclamare un'opera energica dal Governo, e specialmente dal Ministero dell'Interno, accusato di estrema debolezza.
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A Milano il 13 settembre scesero in piazza cortei di 200.000 persone e a Roma di 150.000 il 10 settembre, il 14 a Parma, e cosi in molti altri luoghi, e si votarono ordini del giorno invocanti la prevenzione e la repressione con tutti i m ezzi della oscura propaganda contro la guerra nazionale. Il 24 settembre, poi, aveva luogo a Milano un convegno interventista nel quale si votava il seguente ordine del giorno: «Il convegno constata l'incapacità del Governo Boselli di risolvere i problemi della guerra e d'intonare la vita della nazione alla grandezza dell'azione militare e della politica estera, animando il Paese per la grande prova; delibera di reclamare il radicale mutamento della politica interna e la costituzione di un vero Governo di guerra, e si impegna a proseguire con tutti i m ezzi la più viva agitazione p erché l'indirizzo politico della nazione sia improntato alle necessità dell'ora presente; dichiara di separare la propria responsabilità e di riservarsi la più ampia libertà d'azione verso e contro tutti gli 98
Il punto fondamentale - Commissione d'inchiesta
istituti che risultino inferiori al compito storico dell'Italia nella grande guerra mondiale.» A questo punto il Governo aveva lasciato arrivare le cose alla vigilia di Caporetto! Ma esso non capiva o fingeva di non capire e, posponendo le necessità impellenti della guerra alle considerazioni di ordine parlamentare, seguiva imperturbabilmente la via che doveva condurre alla catastrofe, assecondando l'azione dei sovversivi! E la Commissione d'inchiesta, preoccupata di assolvere la tesi d ifensiva del Governo che le era stata assegnata, trovava che i fattori estranei alla milizia erano di ordine affatto secondario nella determinazione del disastro. Si è fatto poi un merito all'on. Orlando, salito dopo Caporetto alla presidenza del Consiglio, di avere inculcato al Paese il resistere, resistere, resistere. Pur riconoscendo il radicale cambiamento della sua linea di condotta in questo periodo, debbo p erò ricordare che il sentimento della resistenza ad ogni costo già l'avevo inspirato io all'esercito col mio ordine del giorno del 7 novembre 1917 (e per mezzo dell'esercito alla nazione). Ed inoltre che, mutato lo spirito pubblico dopo Caporetto e già deciso il Paese alla estrema difesa, era facile all1on. Orlando - trascinato e non trascinante - di predicare la resistenza. Ma è n el precedente periodo, quando lo spirito pubblico andò soggetto ad un vero collasso, che il Governo avrebbe dovu to energicamente agire colle parole e coi fatti, ed invece la sua azione fu totalmente negativa! Molti in Italia dissero, meravigliandosene, che io non avevo conosciuto quale era lo spirito del soldato. Tutto ciò che ho ripetuto finora dimostra qual fondamento avesse questa meraviglia! Altri si domandarono invece (com'è difficile accontentare tutti) come mai, conoscendo io gli umori che serpeggiavano fra le truppe, mi sia avventurato il 18 agosto nella grande offensiva della Bainsizza. Le ragioni che hanno reso necessaria questa offensiva sono state esaurientemente esposte nel capitolo IX del mio libro: "La guerra alla fronte italiana". Intanto si 99
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manifestavano altri gravi fatti di indisciplina, fra i quali, nel mese di luglio, quello gravissimo della Brigata Catanzaro (che pur si era molto distinta nelle precedenti azioni guerresche) la quale si mise in aperta rivolta che durò per molte ore di una notte e che si dovette domare facendo anche intervenire alcuni squadroni di cavalleria e delle automitragliatrici. Mi decisi pertanto a scrivere una quarta lettera al presidente d el Consiglio lettera che ha il n. 4067 e la data del 18 agosto - giorno iniziale della offensiva della Bainsizza. Eccola: "Più volte , in ques ti ultimi mesi , io ho dovuto s egnalar e al l ' attenzione dell ' E. V. e del R. Governo fatti e sintomi dimostr anti l ' affi evolirs i della dis cipli na f ra l e t ruppe , l ' accrescersi de l fe nomeno del la diserzione , il moltiplicars i dei reat i più gravi e le s evere sanzi oni penali che s i erano dovute applicare . Ma ogni vol ta ho dovuto concludere con l ' esplicita affermazione che l ' opera di vigila nza, di prevenzione e di r epressione svolgentes i in zona di gue rra sarebbe sta ta i ndubbiamente sterile e inadeguata al bisogno, ove non s i t rovasse contempor aneamente ri spondenza in un ' azione analogamente energica attuata con f e rme zza e con costanza nell'inte r no del Regno . Particolarmente coi fogli n . 2767 G. M. - n. 2803 G. M. - e n . 2827 G. M. del 6, 8 e 13 giugno invocavo che il Governo provvedesse s enza ulte riore ritardo a troncare con energiche ed immediate misure l'opera nefasta e sempre più pale se dei partiti sovversivi, ai quali si concede di proseguire impunemente i n una propaganda orale e s critta che mi naccia d i dis trugge re nel Paes e , e di conseguenza nell 'esercito, i s acr osanti s entimenti di patria, di discipli na e dell' onore militare . Ho invano, f inora , atteso una r i sposta al le mie s ollecit azioni, e, quello che è più grave, nessun indizio è apparso che r i veli da pa rte del Governo i l proposi to di un ' azione ferma e risoluta, diretta a combattere con mez zi 100
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efficaci la propaganda minacciosa per l a effic ienza dell ' esercito che si svolge, nel Paese . La questione da me posta nei f ogli sopra r icordati è di estrema gravità, e non la si risolve certamente col non r ispondere alle insistenti sollecitazioni del Comando Supremo e col non affrontarla decisamente : il male peggiora con un crescendo che è pieno di oscuri pericoli . Il r eat o di diserzione all ' interno assume vastissime proporzioni, tant o che, senti to i l parere del vi ceavvocato gener ale milita re e su proposta di S . E. il capo del r eparto giusti zia e disci plina , ho dovuto emanare un bando in data 14 corrente (che unisco in copia) col quale viene estesa la pena di morte, previa degrada zione, ai militari che si rendono colpevoli di diserzione anche quando il reato non avvenga «in p resenza del nemico» . Nell a notte sul 16 luglio scoppiava, impressionante per le circostanze di fa tto che l ' accompagnarono, una rivolta fra le truppe della Brigata Catanzaro poche ore prima che partisse dal luogo di sosta verso le prime l inee . La rivolta è stata sanguinos ament e r epressa con l a fuci lazione s ommari a di 28 militari e con la denunzia di altri 123 al tribunale di guerr a. Recentissimamente (non accenno che ai fa tti pi ù gravi) nella imminenza di operazioni offensive dell a più alta importanza militare e nazionale, numeros i reati , specialmente di diserzione con passaggio al nemico, sono venuti a dimostrare come la effi cienza delle truppe s ia minacciata ; l a sera del 14 corrente disertarono al nemico due militari del 116° f anteria; la sera del 15 corrente un s ottotenente e 37 militari (tra cui 6 s ottuf ficiali, 5 caporali maggiori e caporali) del 206° reggimento fanteria, previ o concerto fra loro , si erano allontanati dalle nostre l i nee ed hanno fatto volontario passaggio al nemico; nello stesso giorno, pres so una compagnia del 22 8° f anteria avvennero gravi di s ordi ni con 101
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sparo di fucilate in ari a (un tribunal e straordinario ha condannato alla f ucila zione quattro militari colpevoli) ; ier i 17 agos to, 17 milit ari , tra cui 2 sergenti , del 117° f anteria s ono passati al nemico . Non mi occorrono altre parole per dimostrare quanto il mal e s ia peggiorato e come giorni tristi ssimi c i attendono se non verranno rimosse le cause di tanto male . E le cause - come è constatat o a nche dalla presenza, in grande maggior anza , di «complementi» da poco giunti dal Paese al fronte fra i colpevoli dei r eati commessi - s ono ce rtamente queste : l'influsso deprimente che dal Paese giunge e si propaga nell ' eserci t o ; la to lleranza che è largita ai sovve rs ivi di ogni specie ed ha i suoi frutti nelle truppe; talché queste , nella imminenza di una grande offensiva , non sono quali dovrebbero essere , perché r i sentono tutte le torbide influenze che agitano le masse cittadine e r urali . Nelle grandi guerre sempre, ma specialmente nelle guer re moderne l azione del Governo nei r igua rdi della politica interna ha effetti decisivi ed immediati sullo sp irito del le truppe. La f ormidabile capacità of fensiva e di f ensiva che tuttora sostiene gli eserciti degli Imperi Centrali è frutto della f erma e risoluta politica interna dei rispett ivi Governi, come lo sfacelo degli eserciti della Russia è conseguenza dell ' assen za di un Governo fort e e capace; or a io debbo dire che il Governo italiano sta facendo una pol itica i nterna rovinosa per la disciplina e per i l morale dell ' esercito, contro la quale è mio str etto dovere di protestare con tutte le forze dell 'animo/(. I
Anche a questa lettera non fu data alcuna risposta! Ma due settimane dopo, cioé il 1° settembre, l'on. Boselli, venuto a Udine, dopo di avermi intrattenuto su altri argomenti, accennando alle lettere mi diceva queste testuali parole, delle 102
Il punto fondamentale - Commissione d'inchiesta
quali assicuro l'esattezza, avendole scritte appena l'on . Boselli mi lasciò: «Lei ha un bel dire che vuole la risposta alle sue lettere. Ma
come posso io risponderle se Orlando vuol fare a modo suo?» I commenti sono superflui. Senonché nella tornata della Camera dei deputati del 12 settembre 1919, discutendosi l'inchiesta per Caporetto, l'on. Boselli, rispondendo alle critiche fatte al Governo da lui presieduto dall'on. generale Di Giorgio, si dimostrava pienamente solidale coll'on. Orlando nella politica interna attuata in quel tempo, e lasciava intendere che il mio intervento al Consiglio dei ministri del 28 settembre di quell'anno avesse avuto per scopo di discutere di politica interna e di dare risposta verbale alle mie lettere. Difatti l'on. Boselli così si esprimeva: «Da quel giorno (13 giu-
gno, data della mia terza lettera) più volte invitai, o direttamente, o per mezzo dell on. Bissolati, o per mezzo del ministro della Guerra, il generale Cadorna a venire a Roma per conferire; ond'è che le sue lettere ebbero questa forma di risposta che era riguardosa verso di lui e la più utile allo scopo cui si mirava ... Il generale Cadorna intervenne poi in un Consiglio di ministri... » I
Ora tutto ciò è profondamente inesatto. Se io fossi stato chiamato a Roma per discutere di politica interna in Consiglio dei ministri, non mi ci sarei recato, perché a me spettava bensì di far presente al Governo le conseguenze che una cattiva p olitica interna aveva sulla disciplina e sul morale delle truppe, ma la sua attuazione implicava la esclusiva responsabilità del Governo. Se di questa responsabilità io mi fossi ingerito, mi sarebbe stata rivolta con ragione l'accusa di aver voluto invadere le attribuzioni del Governo, accusa che mi fu invece lanciata a torto. La verità è invece questa: io mi recai a Roma coll'esclusivo intento di esporre al Governo la situazione militare del momento. Difatti parlai più di due ore su questo argomento dinanzi a venti ministri, e di p olitica interna non si sarebbe discorso affatto se alla fine della mia esposizione, a pro103
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posito delle condizioni morali delle truppe, io non avessi fatto qualche allusione alla politica interna. Allora l'on. Orlando manifestò le sue idee in un esposto del quale parla l'on. Boselli nel suo discorso d el 12 settembre 1919 alla Camera. Io non replicai. L'on. Boselli volle interpretare il mio silenzio nel senso che chi tace acconsen te. L'interpretazione è del tutto errata: se io ho taciuto è perché non volevo e non dovevo discutere, per le ragioni che ho dette. Di quanto h o ora riferito vi sono venti testimoni, perché il Consiglio dei ministri era al completo, salvo il ministro Ruffini assente. Chi avesse poi desiderio di conoscere che cosa disse il ministro Orlando in quel discorso, in difesa della sua politica interna, non ha che da leggere quanto la Commissione d'inchiesta scrive nel II volume della sua relazione nel capitolo «Cause estranee alla milizia» circa l'influenza del disfattismo sullo spirito delle truppe, poicl~é essa h a fatto integralmente sue le teorie dell'on. Orlando, conformemente alla tesi che le era stata imposta e che essa si era adattata a subire! Per trattare a fondo il problema de «Le cause morali di Caporetto» dovrei ripetere le magistrali considerazioni che il Corriere della sera nel numero del 3 settembre 1919 ha scritte nell'articolo che porta il titolo soprindicato. Io rimando il lettore al suddetto articolo e ne riprodurrò, per la brevità, solo la parte seconda e conclusiva. Mi limiterò ad aggiungere alcune osservazioni. Leggendo nel II volume della Commissione d 'inchiesta il lungo capitolo «Cause estranee alla milizia» sono stato principalmente colpito dal fatto che la Commissione espone in gran copia atti e testimonianze; ma mentre queste d ovrebbero logicamente condurre alla conclusione che lo stato morale del Paese e il disfattismo hanno avvelenato lo spirito dell'esercito, essa addiviene invece alla conclusione opposta, ossia che i suddetti elementi hanno agito come 104
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fattori secondari e che il principale fu il «malgoverno degli uomini». Nel seguente capitolo vedremo quanto ci sia di vero in ciò. Ma per mettere in luce l'entità dei due primi elementi, il capitolo «Cause estranee alla milizia» fornisce abbondanti elementi. E sono soprattutto da notare i seguenti: 1° - Quanto la Commissione espone circa la stanchezza, la debolezza, i fattori politici e sociali e la propaganda pacifista e disfattista. Come negare che tali fattori abbiano avuto, nel loro complesso, influenze decisive nel determinare uno stato d'animo che dal Paese si è ripercosso nell'esercito, inquinandone man mano lo spirito che, al principio della guerra, si era dimostrato ottimo? La Commissione considera che tutto ciò abbia avuto influenza secondaria, ma essa stessa è così poco persuasa di quanto afferma che nell'ultimo e conclusivo periodo delle «Conclusioni» (pag. 558) si contraddice nettamente. Se, difatti, la vittoria si può solo raggiungere, come essa dice, quando tacciono i dissensi interni e vi è il fervore di un popolo disposto ad ogni sacrificio, come non si può non attribuire al11assenza di un tale stato d'animo la causa principale di un disastro? Implicitamente si ammette che prima di Caporetto mancavano l'unione ed il fervore di popolo e ciò, naturalmente, a causa di quei fattori morali e politici che dianzi erano considerati come cause solo concomitanti! 2° - Quanto è esposto da pag. 484 a 487 circa lo scandaloso contegno di molti di coloro che caddero prigionieri di guerra durante il disastro; e sono specialmente notevoli le considerazioni esposte da un colonnello ex prigioniero, a pagina 486-487, tendenti a dimostrare che «la propaganda neutralista e più ancora il boicottaggio morale della guerra promosso dai socialisti ufficiali avevano determinato uno sgretolamento morale non solo nelle truppe, ma negli stessi ufficiali, non risparmiando neppure ufficiali di grado ele105
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vato e perfino comandanti di corpo (fra i prigionieri)». Il colonnello conclude notando che con sua grande meraviglia ha dovuto constatare che buona parte degli ufficiali prigionieri non aveva preso parte alla guerra che negli ultimi giorni prima della cattura, od aveva preso parte ad essa per minor tempo e solo per quel tanto da assicurarsi la carriera; molti provenivano dalle colonie, molti dai comandi territoriali ed altri dagli ospedali e dai convalescenziari. La Commissione non vorrà dunque affermare che il loro spirito sia stato guastato dal «malgoverno degli uomini» fatto dal Comando Supremo! Ma la Commissione conclude con grande disinvoltura: «Dai brani riportati escono in complesso lumeggiate - di fosca luce purtroppo - le condizioni d 1animo di molti fra coloro che caddero prigionieri piuttosto che emergano ripetesi - specifiche riprove che tali condizioni derivassero dalla propaganda disfattista e non dai molteplici fattori depressivi, ovvero da cause inerenti al governo degli uomini!» Tanta è la forza del partito preso! Noto infine - ed è cosa importante - che, sebbene abbondino le affermazioni scandalose nella bocca dei prigionieri, nessuno dice di avere abbandonato le armi a cagione del malgoverno degli uomini. 3 ° - Le due deposizioni rese da «un generale che fu ministro della Guerra» e che sono riferite a pag. 487-488 e a pag. 517-518 della relazione. Esse sono di un1evidenza palmare ed esprimono perfettamente il mio pensiero. In sintesi esso risulta dal seguente periodo (pag. 488): «Il grado di influenza, e cioè di responsabilità, che la propaganda disfattista ebbe nel disastro va dunque giudicato, e lo giudico, dal grado di fertilità del terreno sul quale consciamente lavorava a coltivare la disfatta.» E nel descrivere gli elementi che avevano fertilizzato il terreno, il generale n on accenna affatto al malgoverno degli uomini. Perciò egli soggiunge (pag. 489): «Ed ecco perché io ritenni sempre che la propaganda disfattista fosse esiziale e perciò da impedire con ogni mezzo per la salute della ](Xj
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Patria. Ed ecco perché io ritenni, e ritengo oggi, che la propaganda disfattista abbia avuto effetto preminente e forse decisivo nel disastro di Caporetto.» E a pag. 518: «Ma ero invece parimenti convinto che impedirla si poteva; e che, impedendola1 non sarebbe certamente mutato il sentimento ma se ne sarebbero evitate la esacerbazione e la maggiore diffusione, e lo si sarebbe reso meglio e più facilmente governabile con la disciplina della guerra, ai fini della guerra. Ciò che era essenziale e1 in mancanza di meglio, sufficiente. E la misura, non so se a mio avviso necessaria ed efficace, non poteva essere che una: troncare il male alle radici ed ai centri di ramificazione e mettere a tacere i propagandisti ed i disfattisti, quali che fossero e ovunque o comunque parlassero e scrivessero. O questo, per la salute della Patria, o correre l alea delle supreme conseguenze... Della misura di troncare il disfattismo alle radici, che a mio avviso, ripeto, era la sola idonea, non fu fatto, come è ben noto, alcun uso né tempestivo né adeguato.» E 1 proprio così. La Commissione, riflettendo, come sempre, il pensiero dell 1on. Orlando, sembra credere che io, ricorrendo ad un sistema di violenta coercizione, intendessi che si dovesse terrorizzare il Paese e dichiara preferibile il sistema della benevola convinzione (pag. 470). Io non credo affatto che fosse invece necessario un regime di terrore, anzi l'avrei giudicato dannoso. Sarebbe stato sufficiente, io credo, arrestare qualche centinaio di caporioni e di propagandisti, liberarne il bel Paese trasportandoli sulle coste dell'Eritrea o della Somalia, e sopprimere i giornali e giornalucolt avvelenatori dello spirito pubblico, che pullulavano e che il Governo lasciava liberamente pullulare in ogni angolo d'Italia. Bastava seguire l'indirizzo accennato dal generale già ministro della Guerra, (il generale, poi maresciallo, Giardino), ed infondere nel Paese il senso della energia del Governo. Così ha fatto in Francia Clémenceau, il quale non è ricorso ad alcun terrore; il Paese ha sentito che una mano ferma lo guidava, ha riacquistato fiducia e i disfattisti sono stati ridotti al1 1impotenza. 1
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Da noi, invece, durante la guerra, il Paese ha avuto costantemente il senso della debolezza del Governo, più preoccupato dei fini parlamentari che delle necessità della guerra, ed i disfattisti hanno potuto tutto osare impunemente. Ho detto che bastava infondere nel Paese il senso dell'energia del Governo. Come nelle rivolte, quando una minoranza di facinorosi si impone alla maggioranza amante dell'ordine e del quieto vivere, e questa si ribella alla tirannia dei pochi se si sente appoggiata dall'autorità; la stessa cosa sarebbe avvenuta per il disfattismo se il Governo avesse fatto sentire la sua azione, come ne aveva il dovere. Ma la verità è questa: che il Governo, incapace di energia per mantenere l'ordine nel Paese, si affidava a tale scopo al partito estremo ed era poi costretto a ricambiarlo tollerando la sua opera disfattista! Del resto, dopo Caporetto, l'intuito del Paese subito comprese che la causa principale del disastro era dovuta ai disfattisti, come ne aveva avuto la certezza il Comando Supremo, anche prima di Caporetto, cogli elementi che possedeva: le quattro lettere al presidente del Consiglio lo dimostrano. Se le cause fossero da addebitarsi al malgoverno degli uomini fatto dal Comando Supremo, come pretende la Commissione, al punto di produrre una grande catastrofe, esse non avrebbero atteso trenta mesi a manifestarsi. I mezzi coercitivi vennero adoperati man mano che si resero necessari col progredire degli effetti del disfattismo; guai se non fossero stati adoperati: la catastrofe si sarebbe in tal caso prodotta prima. Questa è la verità che la Commissione inverte, affermando che tali mezzi furono causa e non effetto della demoralizzazione delle truppe. Che il male venisse dal Paese è provato dal fatto che i peggiori atti di indisciplina furono commessi dai complementi e dai reduci di licenza, tantoché, essendosi manifestati atti di ribellione durante il viaggio, si dovette ordinare che fossero fatti viaggiare senz'armi. Sono unanimi le testimonianze da me provoca108
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te nel dichiarare che i soldati che andavano in licenza ritornavano al fronte collo spirito profondamente mutato, anche quelli delle armi - come l 1artiglieria - che meno dovevano risentire la stanchezza della guerra. Basterebbe questo fatto a dimostrare come l 1avvelenamento venisse dal Paese. Erano questi reduci di licenza ed i complementi che portavano I1infezione al fronte,1° alla quale contribuiva molto la propaganda che veniva fatta direttamente nei modi che la Commissione descrive. Ciò rendeva necessario il rigore. Ma la Commissione asserisce che applicando il rigore non aveva più efficacia la propaganda delle idee sane. Oh, allora, come si risolveva il problema? E a proposito delle attribuzioni del Governo ne1I1interno del Paese, giustamente ha detto il deputato generale Di Giorgio nel magnifico suo discorso del 12 settembre 1919 alla Camera dei deputati, discutendosi I1inchiesta per Caporetto, discorso che meriterebbe di essere riprodotto: 10
Tra le molte testimonianze hanno particolare valore quelle dei medici e dei cappellani che negli ospedali avevano ottima occasione di studiare la psicologia del soldato. Mi limiterò a riferire il seguente brano di una lettera che un distinto ufficiale superiore medico - non da me richiesto - mi scriveva il 4 novembre 1919: «Ho vissuto per un anno intero come capo ufficio di sanità della... divisione... dedicando tutta l'opera mia alla cura del soldato ed all'esatta conoscenza dei suoi bisogni; ne ho studiato, come sempre, intimamente la psicologia, ho percorso palmo per palmo tutto il tenitorio della mia zona dalle trincee di prima linea alle retrovie. E posso quindi parlare con piena cognizione di causa e di terreno. Venni via dalla divisione alla fine del...; ma, oltreché i lavori di difesa erano in continua e crescente efficienza fino da allora, la natura del terreno (Val Kamenka, Val Duole, Val Cigini, ecc.) era tale che assolutamente il nemico non poteva salire se non aiutato a venir su... La Commissione d'inchiesta è stata più che parziale, unilaterale e volutamente guidata da preconcetti. Ha confuso gli effetti con le cause, e questo forma il giuoco dei disfattisti e dei nemici della pab·ia. «Stanchezza non fu quella che provocò Caporetto! Fu l'esplosione dell'avvelenamento dell'animo dei nostri soldati, avvelenamento che ve1ùva praticato, curato (ed 109
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La Commissione, che attribuisce all'egocentrismo del generale Cadorna tutta la responsabilità del malgoverno degli uomini, si è almeno informata quale fu il governo che degli uomini si fece nell'interno del Paese, dove viveva un esercito più numeroso di quello che combatteva in zona di operazioni? Si informò quale era l'ambiente dei depositi, dei distretti, dei luoghi di convalescenza e di cura, degli infiniti distaccamenti, di tutti i bosdù e boschetti della penisola e delle isole, e quale industre lavoro si facesse per invelenire, sfrttare, volgere contro le spalle dei combattenti gli umori del preteso malgoverno che si faceva n ella zona della guerra? Portò la sua attenzione, sia pure fugace, sul modo come funzionò il reparto ricompense, disciplina, avanzamento, giustizia del Comando Supremo? Sul modo come funzionarono i comandi territoriali? Si informò quale fu l'opera dei prefetti e dei municipi nell'assistenza delle famiglie dei richiamati, delle vedove, degli orfani, dei mutilati? Misurò la influenza che questi importanti fattori ebbero nel malgoverno e nel in massima parte autorizzato dallo stesso sistema di governo) n ella zona territoriale principalmente, dove l'aria era mefitica dal punto di vista morale. Fin dall'ottobre 1917 io pensai e dissi che il vero responsabile di questa sciagura nazionale era il Governo. Le divisioni erano n ette nel Paese: di là si combatteva e si moriva, di qua si faceva gazzarra e si sabotava la guerra. Giunto qui nell'agosto 1917, so bene quale lotta dovevo sostenere nei miei vari ospedali per evitare e combattere le mene pacifiste che insidiosamente si propagavano, e cacciate dalla finestra rientravano per la porta più baldanzose! Il militare che veniva in licenza restava già male impressionato per quanto accadeva nel Paese, nelle grandi città specialmente, dove non si riuscì mai a disboscare quelli che dovevano invece andare a compiere il loro dovere cittadino! Quale conferenza fu mai fatta in Italia per rappresentare tutta la grandiosità delle varie battaglie vinte, specialmente di quella spettacolosa epica della Bainsizza? Nessuno, credo, ne ha mai compreso l'importanza ... » Innumerevoli sono, del resto, i documenti venuti alla luce su libri e giornali comprovanti quale grande contributo abbia portato il disfattismo per avvelenare l'animo del soldato. 1IO
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dilagare del disfattismo? Per finire ora di discorrere dei riflessi che il disfattismo ebbe al fronte, desidero aggiungere alle testimonianze citate dalla Commissione quella di tre personaggi che furono ministri proprio nel Gabinetto presieduto dall 1on. Orlando. Il primo, l'on. Bissolati, arrivato al fronte il 28 ottobre 1917, si recava sulle retrovie della II Armata per constatare e studiare il fenomeno. Il 13 dicembre egli scriveva poi una lettera al capitano Tommaso Gallarati Scotti, mio ufficiale d 1ordinanza, nella quale è da rilevare la seguente frase: "Pensai, sostenni e sostengo che in ogni modo non debbano tacersi le cause del disastro, che rilevano le loro origini dalla propaganda disfattista che avvelenò le masse dei soldati e li indusse al gettito delle armi e alla diserzione dai posti di combattimento". Il secondo, l on. Crespt mi diceva nel gennaio 1918 a Versailles che egli aveva previsto Caporetto fin dal febbraio precedente, perché trovandosi egli a contatto colle masse operaie ne aveva conosciuto i sentimenti. Il terzo, l 1on. Girardini, in una lettera diretta nei primi giorni di novembre 1919 ai suoi antichi elettori del collegio di Udine, scriveva queste parole molto esplicite: <<:·· Quali che siano gli errori militari, noi sappiamo donde Caporetto venne. Un milione di Italiani viventi al fronte non permettono alla storia di mentire. Caporetto venne dalle varie regioni d 1Italia dove si diffondevano lo scoramento e la diserzione. Lo spettro di Caporetto crebbe sotto i nostri occhi, corse per lunghi mesi le nostre contrade, preannunciò per le nostre campagne la sua parte di disonore e di rovina, andò al fronte, donde si abbatté sulle nostre teste innocenti.» Ma invece, «in complesso e riassumendo, la Commissione ritiene che i vari fattori sociali e politici fin qui esaminati non abbiano di per se stessi potuto avere, né abbiano avuto sensibile attitudine a perturbare lo spirito delle truppe e a facilitare il disastro. I detti fattori non sarebbero stati da soli sufficienti a determinare il gravissimo evento se ben altri, prima considerati, non avessero sul detto spirito profondamente agito». (pagine 471-472). 1
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Capite? I detti fattori non hanno avuto neppure sensibile attitudine a perturbare lo spirito delle truppe! E' sempre il medesimo ritornello! E la Commissione si arrampica continuamente sui vetri per dimostrare che la causa del disastro stava nel malgoverno degli uomini; e ciò fa allo scopo di coprire le responsabilità dell'on. Orlando. Ciò risulta poi in modo evidentissimo nel «Parere sul disfattismo» (pag. 519 e seguenti), del quale non sto a combattere ad una ad una le affermazioni, perché andrei troppo in lungo e la risposta risulta, del resto, da quanto precede. Altre considerazioni avrei voluto esporre, sull'argomento che si considera; ma esse sono così bene sviluppate nella seconda parte dell'articolo del Corriere della sera del 3 settembre 1919, del quale ho fatto cenno, che non posso far di meglio che riprodurla integralmente: "La r eal tà è che un esercito mobilitato è popolo in armi , popolo c on l e sue vi rtù , i suoi difetti, unito a l Paese con tutti i vincoli della vita prebellica, i n una i dentit à di pensiero, di sentimento e di inter essi col Paese, e che per conoscere che cosa questo esercito intimamente sia sotto al la uniforme e alla disciplina basta guardare che cosa è il popolo rimasto a casa. Che cosa foss e di sfiduciato, di diso~ientato, di sperduto i l popolo i taliano in quel periodo preparatore del disastro è fac i le ricordar e. Senza una guida, incerto sull'avvenir e, sospinto fra opposte correnti, influenzato da ogni idea che passava, all armato da previsioni sinistre ed esaltato da fugaci speranze, abituato a sentir denigrare la guerra per cui soffriva, a sentir derider e l a pat ria per cui palpi tava , non soffriva più e non palpitava più . Esso era preda di lente decomposizioni morali , vedeva accolti trionfalmente i rappr es e nt ant i del Soviet che c i ave va t raditi, udiva porta112
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r e al Parlamento dal socialismo ufficiale l'ordine perentorio di finire la guerra, col famoso: «Non un altro inverno i n trincea»; sentiva il Papa deplorare l e «inutili stragi»; vedeva sollevarsi strani moti rivoluzionari, e pensava se non dovesse rassegnarsi a rinunziare per sempre ai suoi sogni più ardentemente carezzati pur di arrivare ad una soluzione, come un uomo stanco rinunzia a proseguire un'ascesa troppo dura verso una vetta luminosa e lontana per accasciarsi umiliat o nell 'ombra . L'esercito pure era così. Il t orto del general e Cadorna è stato quello di vedere soltanto la truppa, la quale manifestava con più evidenza e sincer ità il suo stato di spirito, e di non accorgersi di quello che avveniva al di sopra, dove pure degli animi si distaccavano dalla guerra, passi vamente, quasi inconsapevolmente, pensandovi meno o non pensandovi più. Ma pure non vedendo t utto vedeva giusto. Le sue quatt ro l ettere al Governo, che non ebbero risposta, sono gridi di allarme, che salgono all'ultimo ad un tono di angoscia - l'angoscia di un uomo come Cadorna. «Il male peggiora con un crescendo che è pieno di oscuri pericoli» egli scriveva nell'ultima missiva, il 18 agosto. «Non mi occorrono altre parole per dimostrare quanto il male sia peggiorato e come giorni tristissimi ci attendano se non verranno rimosse le cause di tanto male.» Ma egli non poteva essere ascoltato. Per ascoltarlo bisognava avere la fede. Per reagire efficacemente contro la sfiducia del Paese, per far arrivare all'esercito stanco un nuovo soffio vivificatore di r inata volontà popolare e di riaccesa speranza bisognava non avere sfiducia, b isognava avere quella speranza e quella volontà. Le aveva il Governo? Credeva il Governo così fortemente alla vittoria da gettarsi con t utte l e fo rze verso il suo raggiungimento tagl iando dietro di sè i ponti della ritirata, cioè 113
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i contatti, gli accomodamenti, le transazioni, gli accordi con gli avversari del la vittoria che bisognava combattere? No, il Governo non credeva e non poteva perciò rinunz iare a patteggiamenti con i partiti che la sconfitta avrebbe potuto rendere padroni. Quali singolari analogie ha presentato la nostra guerra con quella france se nei suoi a l lacciamenti con la politica! Se la Commissione d' i nchiesta avesse osservato quanto è avvenuto negli altri Paesi, avrebbe forse port at o giudizi ben più completi sulle nostre questioni. Anche in Francia si è avuto nel 1917 il periodo culminante dello scoraggiamento: ammutinamenti e repressioni al fronte, sfiducia nel Paese, propaganda disfattista nell e truppe e ne l popolo, gli Zimmerwaldiani imperversano, il «Bonnet Rouge» trionfa, i l ministro dell'Interno Malvy persegue una politica di tolleranza e di accordi verso il pacifismo social ista, l'opinione pubblica si salva nella sua gener a l ità perché sorretta da intenso patriottismo, ma è deviata, accasciata, allarmata , il Governo è in contrasto col Gran Quartier Generale del l ' esercito, la Francia sembra prepararsi a passare sotto le forche caudine di una pace qualunque di transazione pur di uscire dall'incubo ... E' il nostro quadro. Ma la Franci a ha avuto Clémenceau, e il suo programmq «tutto per la vittor ia» ha galvanizzato Paese ed esercito. Egli ha colpito da tut te l e parti dove vedeva un'ombra contro i l suo programma inesorabile. Il suo programma doveva essere il nostro; ma noi non avevamo un Clémenceau al potere. Quando la relazione esamina l'azione del nostro Governo e riporta le accuse nwnerose di «autorevoli uomini politici» sulla politica interna, dannosa «per la tol leranza dimostrata verso i nemici interni e la poca energia verso i pacifist i e disfattisti», dimostrando «la mancanza di quella fermezza 114
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che era necessaria per i nfondere nel l'esercit o la energia e la f ede ne l l a vittoria», essa, tenendo conto dell'importanza delle fra zioni neut ral i ste, giustifica questa condotta con l a necessit à di «esercitare quell'opera di concordia e di coesione altrove a utomaticamente compiuta dall'aggressione nemica», opera che non l e sembra potesse esercitare che con i l «sistema della convinzione». Il che verr ebbe a dire che i l Governo ha bene agito permettendo la esplicazione di un accanito e pernicioso lavorio di discordie e di opposizione alla guer ra, essendo questo, pare , il modo migliore di a rriva r e alla necessaria concordia favorevol e alla guerra. Il Governo è sempre i nnocente; così i nnocente che la Commissione «non sa capaci tarsi» come mai esso non si sia accorto che la colpa di t utt o e ra del Comando Supremo, e accorgendosene, sia pure t ardi, non abbia provveduto e abbia usato invece «una prudenza e un opportunismo eccessi vi , troppo i n contrasto colla rude parol a del generale Cadorna». Ecco la sola colpa del Governo, e «ancora una volta la Commissione ritrova qui un effett o del la ripugnanza o della incapacità del Governo di assumere di fronte al generale Cadorna un atteggiamento ben deciso, i l che avrebbe dovuto presupporre la determi naz ione di giungere, occorrendo, fino al s uo esonero dal comando». Il demoralizzatore dell 'ese rcito è dunque Cadorna! E' nel governo della truppa che bisogna t rovare la origine principale del male morale: questo è il punto al quale l a Commissione vuol sempre giungere , attraverso le contraddizioni più patenti. Essa raccoglie i ntorno al r egime disciplina r e nell'esercito autorevoli testimonianze che l amentano egualmente l'eccessiva indulgenza e l'eccessiva severità, che avrebbero volta a vol ta dominato a seconda dei momenti e delle circostanze : «cooperò al disastro la 115
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tolleranza eccessi va di fronte alle gravi mancanze di disciplina», osserva un generale. Si sarebbe passati da un eccesso all'altro , dalla dolcezza alla inesorabilità. La Commissione, come spirito, ripr ova l a severità e biasima il regime seguito dal Comando; c i ò che non le i mpedisce di fa re sul t erribile regi me aust r iaco questa stupefacente osservazione: «La discipl i na del nemico, profondamente più coe rcitiva della nostra, deve, a parere della Cormnissione, i n molte circostanze esser riuscita meno pesante, sia perc hé armonica col principio di autorità dominante ne lla vi ta pubbl ica e privata degli Imper i Cent rali , s ia specialment e perché applicata con r egime che vi faceva adattare ed abit uar e gli individui senza eccessivo e conti nuato sforzo». I sistemi dell' Aust ria erano dunque migliori! Trova, è vero, la Commissione che «l a scala delle misur e escogitate per cementare la coesione degli eserc i t i in guer ra è be nsì lunga, e va dall 'estrema bontà alla più t erribil e coartazione», ma ne deduce che «devesi scegliere, verso un estremo o verso l 'altro, un più limitato t ratto». ,Non proporzionare c i oè i mezzi alle necessità e al momento, non ess e r e verso i soldati, c ome dice Cadorna, un padre, un frate l lo oppur e un giudice i nesorabile secondo i casi , ma giudice o f ratello. , Sorprendenti teor ie! Sar ebbe stato i nteressante stabilire un confronto fra i l regime penale del nostro esercì to e quello degl i altri eserciti in guerra, vedere se la media e la gravità delle condanne e de lle repressioni sia stata maggiore sul nostro fronte . Ma, a parte questo, se t ale severità di r epressione è r i tenuta una origine di demoralizzazione, come si spiega la r esurrezione moral e dell'ese r c ito sul Piave, accompagnata da una anal oga severità che porta l e condanne capit ali nel 1918 alla media raggiunta nel 1916? Non vigeva forse ancora una severità i nesorabile, 116
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per cui durante le azioni, sotto al nuovo Comando Supremo, si spostavano mitragliatr ici sulle vie del possibile reflusso, precauzione inutile perché le truppe furono sempre meravigliose , ma che dimostra quanto i l sistema della semplice persuasione non fosse ritenuto sufficiente? Perché poi la Commissione non ha classificat o le condanne capitali per armata? La relazione fa un cont rapposto fra la II e la III Armata per dimostrare i differenti risulta ti ottenuti dal cattivo governo dell 'una e dal buon governo dell'alt ra . La III Armata forniva certo un esempio di buon governo, la bontà e la severità la reggevano giustamente, ma la misura di questa severità è data dalle condanne capital i, che non sappiamo se non fossero s uperiori a quelle della seconda. I n ogni caso è sulla fronte del la I I I Armata che avvennero quei primi fatt i gravissimi di resa al nemico che spinsero Cadorna a rivol gere al Governo il primo monito . Questo s ignifica che il male veniva da fuori, che il migliore governo degli uomini non poteva impedirlo, e che la sua origine non è dove la Commissione vuole unicamente trovarlo. Ed ancora, con quale ferocia di r egime si spiega i l tarlo morale di ufficiali e di comandi? E i l deleterio stato d'animo dei complementi che arrivano in quel periodo dal Paese, e che erano considerati come un pericoloso veicolo di demoralizzazione per le truppe? E la trasformazione di soldati «permissionari» che partivano dal fronte buoni combattenti e tornavano dalla licenza contaminati dal disfattismo? Come la severità del regime disciplinare e penale, e in genere il malgoverno degli uomini, anche gli sproporz ionati sacrifici di sangue sono indicati dalla relazione come formidabile ragione primaria di demoralizzazione. Gravi f urono i sacrifici e grandi furono le sofferenze; ma se la fanteria ha perduto i l 10 per cento di morti, l'artigl ieria ha perdut o 117
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l 'uno per cento: ebbene, gli artiglieri, in genere, a Capor ett o, si condussero forse meglio dei f anti, pure non avendo sopportato che un decimo del loro sacrificio di sangue? E, per contro, quali brigate si batterono bene, e difesero la ritirata, e raggiunsero in ordine e in disciplina le nuove linee? Furorio precisamente quelle brigate che più avevano dato di sangue e di dolore., soltanto erano ben condotte . Cioè, non era mancata loro la solidità morale di chi guida e conforta, quella solidità essenziale che può sostenere tutto, forse, anche se fermentasse ro in basso germi dissol utori del sentimento, ma la cui deficienza fa inevi tabi lmente crollar tutto, anche se i n basso la virtù persiste . Se della demoralizzazione l e cause maggiori fosse r o veramente state la stanchezza, la sofferenza, i sacr ifici di sangue, le repressioni, la demoralizzazione, avrebbe dovuto aumentare sul Piave dove le t r uppe in ritirata gi ungevano più stanche, più decimate che mai, fra i nenarrabili stenti, in mezzo a mil le orrori, affamate, in un regime di repr essione sommaria, quando cioè l e cause indicate salivano al colmo della loro potenza . Invece la demoralizzazione s vanì , ritor nò l'anima delle battaglie. Pe rché, dice la Commi ssione, l' esercito sentì l a «viviss ima reazione del Paese». Ecco dunque da dove vengono le influenze buone e cattive, che fanno combattere eroicamente un esercito prostrato, affranto, disorgani zzato, quasi senz'armi, e che fanno i nvece crollare un esercito formidabil e di mezzi, di masse, di posizioni! Caporetto è stato un fenomeno morale. E' provato, è indiscutibil e. Ma bisogna guardarlo nelle sue proporzioni. Nell'esercito esso ha avut o le sue manifestazioni, più o meno intense in tutto l'organismo. Non si riduce ad uno stato d'animo di soldati. Se la Commissione vuole osservarlo nella sola t r uppa è pe rché fuor i della truppa i l fenomeno 118
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sarebbe inesplicabile con le ragioni che la Commissione vuole addurre, e bisognerebbe allora arrendersi all'evidenza di responsabilità che si vogliono eludere, le più gravi: quell e del Governo che non ha governato, ed ha l asciato i partiti della disfatta operare l iberamente sotto la sua benevolenza. Dal timore di quelle responsabilità, in fondo, l'inchiesta è nata. Non è i l bisogno di illuminare con minuziose indagini una sconfitta che l'ha fatta sorgere. Essa è stata provocata dall'aver Cadorna posato nettamente la questione del le r esponsabilità governative col suo telegramma del 27 ottobre al presidente del Consiglio, al quale, dopo averlo informato della resa senza combattimento di dieci reggimenti ad Auzza, diceva: «Così 1 'esercì to cade non sotto i colpi del nemico esterno ma sotto i colpi del nemico interno, per combattere il quale ho inviato al Governo quattro lettere che non hanno avuto risposta». E l'inchiesta rivel a appunto il difetto delle sue origini; essa non considera che un antagonismo; vede da una parte il Governo e dall'altra Cadorna, t utt o essa volge e r i duce in ragioni di uno e in torti dell'altro, facendone due emuli, uno tutto di ragioni, uno tutto di torti . Se dopo Caporetto mutarono profondamente le cose nell'eser cito fu perché erano mutate nel Paese. I l presidente del Consiglio, Orlando, trovò parole di fermez za e di fierezza che il ministro dell'Interno Orlando non aveva mai sognato di aver e. I l Governo non negò più niente al Comando Supremo, accettò tutte le sue proposte, diede fondi per una sana propaganda, provvide alle famigl ie dei richiamati, provvide all'assicurazione dei combattenti, concesse largamente ogni mezzo. Alla r i nnovata coscienza del popolo corrispose nell'esercito un'anima nuova di guerra. L'esper ienza del disastro fu sfruttata tecnicamente e trovò alacrità convinte e tenaci di applicazione. 119
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Il restringersi del la fronte attiva e il fatto che l e mutate condizioni de l la nostra fronte non imponevano pi ù logoranti azioni offensive permi ser o di concedere al le t ruppe lunghi r iposi e di migliorare così le lor o condizioni di vita. I l disfattismo int i mor ito t aceva. I l timore delle responsabil ità t rasformava · in pat riot i anche i più accesi nemici dell ' idea di patria. La catastrofe, con la sua minaccia di i nvasioni e di rovina, aveva spaventato gli avversari dell a guerra , come nessun Governo aveva fat to. Il cuore della nazione si r isol levava, non più turba to da contrasti e da denigrazioni. La forza di questa uni tà fu così grande che la fede rinacque nel momento più tenebroso del la guerra europea. La fede di vincere è la forza per vincere; essa crea la vol ontà, la capacità, le devozioni, gli entusiasmi. Così vi ncemmo. Ma Caporetto non sar ebbe avvenuto se i partiti contrari alla guerra avessero sentito il dovere di non anteporre i loro livori partigi ani alla fortuna della Patria, se il Governo avesse avuto la fede e la virtù che il momento esigeva per guidare fermamente l a Nazione verso i suoi destini. La Nazione ha finito per avviarvisi da sola, guidata dal dolore". Volendo ora riassumere le principali cause morali che condussero a Caporetto, accennerò le seguenti:
1° - Il Paese non sentiva la guerra. Il soldato che conduceva una durissima vita in trincea, venendo in licenza, trovava per lo più nelle città il poco edificante spettacolo dei suoi concittadini intenti a divertirs( e ciò non poteva non demoralizzarlo. 2° - La propaganda sovversiva, tollerata dal Governo, produceva direttamente al fronte, o per riflesso di quella parte del Paese che ne era infetta, i suoi lenti effetti pestifert avvelenando lo spirito delle truppe. 3° - La grande quantità di imboscati che le truppe di comple120
Il punto fondamentale - Commissione d'inchiesta
mento in partenza per il fronte o i soldati in licenza vedevano e dai quali venivano anche burlati per la vita dura che conducevano al fronte. 4° - L'avere lautamente pagato gli esonerati dal servizio, militari addetti alle industrie, i quali erano al riparo da ogni pericolo, contribuì pure largamente a demoralizzare il soldato. A togliere le tre ultime cause avrebbe dovuto provvedere il Governo; e invece esso non provvide con sufficiente energia, o non provvide affatto. I complementi e i reduci di licenza erano poi naturali agenti della demoralizzazione delle truppe, oltre alla diretta propaganda che veniva fatta al fronte. Senza andare a rintracciare altre cause, come per la sua tesi particolare ha voluto fare la Commissione d 'inchiesta, non sembra forse che quelle ora enumerate fossero, a lungo andare, sufficienti a deprimere lo spirito delle truppe e a produrre le deplorevoli conseguenze che si sono viste? La potenza del disfattismo - e la necessità di porvi riparo con salda azione di Governo - si è, del resto, appieno manifestata nei due anni posteriori alla guerra. Ad un osservatore superficiale in questo funesto periodo sarebbe potuto apparire che l'Italia, la quale non era stata fortunata nelle sue precedenti guerre, dopo essere uscita trionfalmente dalla più grandiosa guerra di tutti i tempi, sentisse la nostalgia della disfatta! Nel precedente articolo del Corriere della Sera si accenna alle singolari analogie che la nostra guerra ha presentato con quella francese nei suoi allacciamenti colla politica, e si osserva che se la Commissione d'inchiesta avesse notato quanto è avvenuto negli altri Paesi, avrebbe portato forse giudizi ben più completi sulle nostre questioni. Cercherò di supplire io a tale lacuna, per quanto gli scarsi elementi di fatto che sono a mia disposizione me lo consentono, e mi varrò del libro già una volta citato "Le poignard dans le dos" di Léon Daudet, il quale fu il principale 121
Caporetto, risponde Cadorna
accusatore del mirùstro d ell'Interno Malvy, deferito, come ognun sa, all'Alta Corte di giustizia e condannato all'esilio. In molte cose le analogie tra ciò che è accaduto da noi e in Francia - sia pure con differenze puramente formali -colpiscono; p erciò quel libro dovrebbe esser letto da tutti coloro che studiano le cause del fenomeno di Caporetto. E ciò facilmente si comprende: dalle stesse cause dovevano ingenerarsi gli stessi effetti. Data la persuasione di non potere aver ragione, colla sola forza, degli eserciti di Francia, Inghilterra, Italia e Russia: " Ils ont alors procédé (i t edeschi) vis à vis de ces pays par ce moyen qu'ils appellent euxmémes : la dissociation i ntérieure ... Ce moyen consiste à pre ndre dans les pays a vec lesquels i ls sont en guerre des agents qui étaient en r elation d'affai res industrielles ou comme rciales avec l es dit s pays, a insi que les élements poli tique s qui euxmémes pouvaient ignorer les tendences de l ' Empire a llemand ava nt 1914 . Le pr océdé c onsiste à reprendre ces éléments , à l es regrouper par le moyen de chantage, à les remettre en mouvement, de t elle sorte que, par la banque, par l a presse, par l a parole c landes tine, i l s e produise dans l es pays visés par l ' Al lemagne une es pè ce d' a ffa iss ement du moral e t qu ' il s'y produis e c e que l ' on appelle si j ustement des va gues de défaitisme . L ' Allemagne a c omplètement réussi à ce point de vue pour la Russie . Elle a f ailli r é us sir pour l'Italie ; e lle a é choué dans les conditions que vous savez , mais enfin elle a faill i r éussir pour l a France (pagg. 185-186 del volume succitato)". In Italia il terreno era particolarmente fertile per le ragioni che ho dianzi accennato e per l'opera di disgregamento che i sovversivi andavano facendo da anni per minare la compagine morale del Paese. Tra Francia e Italia vi fu questa differenza: che in Francia gli ammutinamenti militari del maggio-giugno 1917 furono preparati da tradimento vero e proprio per parte di persone che facevano capo al Bonnet Rouge e ad altri simili 122
Il punto fondamentale - Commissione d'inchiesta
organi. In Italia, invece, più che di ammutinamenti, si è trattato di «sciopero militare», come l'ha definito l'allora ministro Bissolati venuto al fronte a studiare il fenomeno, basato sul disgregamento prodotto nello spirito del Paese: i tedeschi, pur nell'identità dello scopo, erano abbastanza abili per adattare i mezzi alle condizioni particolari di ciascun Paese! Da quanto precede emerge molto chiaramente che non è nell'esercito che si deve ricercare l'origine del male. Ma questa argomentazione è troppo comoda per i colpevoli perché non abbiano a servirsene. E difatti anche in Francia accadde la stessa cosa: «C'est alors que Le1Jmarie, devenu sur ces entrefaites - o honte - directeur de la Sureté Générale, supprime les relations mensuelles entre le Grand Quartier Général et celleci et déclare que c'est le front qui a troublé l'arrière» (pag. 259 dello stesso volume). E' questo uno dei principali argomenti addotti dall'on. Orlando. Ma chi parla in questo modo calunnia l'esercito, poiché questo non è stato causa, ma vittima della infezione che esisteva nella parte meno sana del Paese. Tra questo e quello vi era innegabilmente, - e non poteva non esserci - una ripercussione reciproca, come da causa ad effetto, dei sentimenti e della stanchezza che questa aveva prodotto. Ma chi tenga conto della condizione originaria degli spiriti nel Paese allo scoppio della guerra non può non essere persuaso che il fenomeno deprimente è partito dal medesimo: l'esercito, del resto, - e tanto più un esercito moderno, che è in notevole parte improvvisato - ha, come già più volte dissi, una sensibilità speciale per risentire tutti gli influssi, buoni o cattivi, che provengono dal Paese; perciò è arte importantissima di governo mantenere alto lo spirito di questo e far di tutto, sia colla persuasione, sia coll'intimidazione verso coloro che non son disposti a lasciarsi persuadere, perché non venga traviato. Di ciò profondamente convinto, ancor pochi giorni prima della nostra dichiarazione di guerra, osservavo all'on. presidente del 123
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Consiglio di allora che ciò che soprattutto importava durante la guerra era di mantenere il Paese in perfetto ordine, essendo cosa vana ripromettersi un felice esito delle operazioni militari se dietro le spalle dei combattenti tranquillità e concordia vengono a mancare. Meritano pure di essere rilevate le seguenti parole scritte a pag. 88 del medesimo libro: "Au moment où la guerre a éclatée , il y avait en France , dans les milieux politiques, i ndustri els , financie rs, mondains, j ournalistiques et de théa tre , un millier de personnalités acquises de pied en cap à l 'Allemagne , travaillant pour l'All emagne, s ubventionnées par l ' Allemagne, souhaitant la grandeur de l' Allemagne, l'augmentation du pr e stige allemand" . Chi potrebbe dire che in Italia ce ne fossero m eno? Anche in Francia, come da noi, si è voluto attribuire il diminuito spirito dell'esercito a cause di ordine affatto secondario. Ecco come risponde Léon Daudet a pag. 253 del suo volume: "Sans doute il est possible que l es rnutineries militaires aient pri s dans une certai ne mesure , ma is t rès faible , quelques prétextes d'ordre militaire : désillusion de l 'offensive de Champagne en avril, r etard dans les permissions . Mais ces motifs ne sont qu'occasionels, et i ls n' auraient jamais à eux seuls produit l ' explosion constatée. Cette atmosphère é té exploitée par les meneurs qui ont eu le talent de mas quer ains i ce qu' avait d ' abominable leur entrepri se antipatriotique". In Italia, tra le cause di malcontento si è pure accennato alla non completa riuscita dell'offensiva della Bainsizza (che pure aveva dato risultati di gran lunga superiori a quelli dell'offensiva francese in Champagne del1 1aprile) e ad altre cause di secondaria importanza. Queste possono bensì aver servito a fertilizzare il terreno sul quale la propaganda sovversiva doveva gettare i suoi semi, ma non mai ad essere per se stesse cause determinan124
Il punto fondamentale - Commissione d' inchiesta
ti di un fenomeno di tanta gravità che per poco non ha condotto il Paese ad estrema rovina. Léon Daudet, dop o aver accenna-
to a confessioni impressionanti fatte da diversi disgraziati soldati che avevano preso l'iniziativa della ribellione, cosi continua: "Ces chefs de f i l e ont donc euxmémes obéi à des direc tions émanant d ' i ndividualit és dont l ' action é tait concertée et que l' on deva it rechercher parmi les propagandistes de l ' intérieur, bien connus d ' ail l eurs e t signa lés quotidi ennement dans la pres s e ; et l e ministre de l ' i ntérieur , Malvy, avait incontestablement le devoir de prendre à leur égard toutes les mesures édictées par la l oi". Tal quale come da noi! Quanto all'influenza che la lunghezza della guerra avrebbe avuto sugli ammutinamenti del maggiogiugno 1917 il signor Léon Daudet riferisce a pag. 216-217 le seguenti parole da lui pronunciate il 19 luglio 1918 durante la sua deposizione all'Alta Corte di giustizia; esse non potrebbero meglio adattarsi al caso nostro: "Lorsque M. Malvy, au cours de son intérrogatoi re, est venu soutenir que les mutineries militaires é taient le fa i t de la l ongue ur de l a guerre , des f atigues excessives , du manque de pe nnissions e t autres bali ve rnes du méme ordre, je peux lui répondre que c 'est parfait ement le cont r aire de l a vérité . Nous sommes à un point de l a gue rre beaucoup plus avancé qu 'au moment des mutineries militaires . Nos a rmées , sous l ' habile direction de leurs chefs , l es géné r aux Foch et Pétain, ne nous donnent pas précisement l ' impress i on d ' étre déprimées et f atiguées par le manque de pennissions , et les derniers cornmuniqués font bonne just i ce de cette all égati on". E finalmente , a proposito dell 'influen za che l ' energia del Governo ha s ul lo spirito pubbl i co , Léon Daudet 125
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scrive a pagina 86-87 : "Or, il est à remarquer que l'esprit public n'a jamais é té en France aussi bon, pendant la guerre, que sous le cabinet Clémenceau, c est à dire qu à partir du moment où l ' on s est décidé à poursuivre et à chatier l es espions et les traitres . La masse sentait confus ément qu ' i l y avait dans les sphères politiques quelque chose qui ne marchait pas, qui s I opposait à l ' act ion militaire, qui l 'entravait et la rendait inefficace" . I
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Non altrimenti accadeva presso di noi, colla differenza che in Italia l'azione energica del Governo è costantemente mancata, e perciò si sono venute accumulando le cause della catastrofe fino al suo scoppio. Tale energia di governo appariva tanto più necessaria inquantoché l'Italia non era stata costretta alla guerra, come la Francia, dalla provocazione nemica; essa vi era entrata di sua libera elezione, ma senza quell'unione sacra degli animi che sarebbe stata necessaria per trionfare di tutti gli ostacoli. Il Paese in generale, ad eccezione di una minoranza intellettuale, non ha sentito la guerra, come l'ha poi sentita quando, avvenuta la catastrofe, si è svegliato ad un tratto sull'orlo dell'abisso, ed è balzato in piedi deciso alla più estrema difesa. In questa situazione, il disfattismo - al quale hanno contribuito tutti gli elementi torbidi ed egoistici - ha avuto buon giuoco. Per queste ragioni, e per tutte quelle che ho esposte nel capitolo I, Caporetto era, per così dire, allo stato potenziale fin dal giorno in cui entrammo in guerra. Solo un'illuminata azione di governo, coordinata con quella del Comando Supremo, avrebbe potuto impedire che si passasse dalla potenzialità all'atto. Mancarono invece al Governo - preoccupato da considerazioni di altra natura - la volontà e l'energia necessarie per assolvere tale doveroso compito che doveva essere per lui il più importante e la cui trascuratezza rese vani i mezzi di cui il Comando Supremo poteva disporre e dei quali effettivamente 126
Il punto fondamentale - Commissione d'inchiesta
si servì. L'on. Orlando, per quanto dotato di spirito agile e sottile e consumato nell'arte di esporre i sofismi con parvenza di verità rivestendoli di forbita ed estetica parola, non riuscirà mai a dimostrare alle persone fomite di semplice buon senso e di retto giudizio che un'energica azione di governo, sciolta da opportunismi e da alchimie parlamentari, quali i tempi e le circostanze richiedevano, non avrebbe paralizzato i germi velenosi e non ne avrebbe almeno di molto attenuato la virulenza.11 In conclusione, che vi siano state cause morali del disastro di Caporetto da addebitarsi al Paese ed al Governo, nessuno lo può negare. Delle responsabilità di queste cause morali e delle ripercussioni che esse hanno avuto, l'opinione pubblica ha giudicato, nella tragica e immediata percezione degli avvenimenti, con una sincerità che interessi particolari, di partiti o di persone, hanno poi cercato di travisare: a ciò si deve se dopo Caporetto si manifestò una reazione per negare il caporettismo, quasicché lo avessi creato io! Del preciso grado di ripercussione che il disfattismo di una parte del Paese ha avuto sul cedimento morale di alcuni reparti non si può giudicare senza possedere tutti gli elementi che la Commissione d inchiesta ha conosciuto e quelli che potranno ulteriormente venire alla luce. Perciò solo la storia potrà pronunziare il supremo giudizio, facendo emergere a fianco delle ombre gli eroismi lampeggianti in un'ora di tenebre. 1
Non posso porre termine a questo capitolo senza trascrivere il seguente articolo del giornale Il Secolo, di Milano, del 31 maggio 1917, articolo molto sintomatico per la conclusione che 11
Lo stesso on. Orlando ne ha convenuto. Ecco quanto mi scriveva un ministro in data 13 settembre 1917: "Stamane si è risolta la situazione. La necessità di dare alla politica interna un indirizzo che corrisponda alle esigenze straordinarie del momento è stata riconosciuta ... e ne ha convenuto il ministro dell'Interno". Ma troppo tardi. Eravamo a quaranta giorni da Caporetto! 127
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lascia intendere ed ancor più per il carattere ultrademocratico del giornale in cui fu pubblicato, dal quale, m eno che da qualunque altro, ci si poteva attendere di veder patrocinata una dittatura militare. Ma questo appunto dà la misura del grado a cui la debolezza del Governo aveva condotto le cose e come fosse fortemente sentita la necessità di una mano energica alla testa del Paese, come alla testa dell'esercito. Nel giorno seguente io giunsi a Roma e subito m i recai a visitare l 1onorevole Boselli, presidente del Consiglio dei ministri, il quale tosto mi domandò se avevo letto l1articolo del Secolo, ed in quel m entre egli mi guardava con estrema diffidenza come per indagare se realmente io covassi aspirazioni dittatoriali ed avessi con tale scopo inspirato io l'articolo. E1 naturale caratteristica delle persone deboli di essere sospettose e io ebbi un bel daffare per dissipare i suoi timori, ad alimentare i quali proprio n ulla avevo fatto, pur essendo convinto che un tale debolissimo Governo era l1assoluta negazione di ciò che si richiedeva per condurre a buon fine la guerra. E ora riproduco l'articolo che porta il seguente titolo: Il Governo della guerra. "Le parole dette dall ' on . Bos elli i n r isposta ai rappresentant i dei sodalizi milanes i a ndat i a r accomandargli una più oculata ed energica a zione di Governo sono di quel le che l a cortesia e il buon volere suggeriscono di sol i t o a chi s entendosi in qual c he imbarazzo cerca di uscirne senza troppe compr omissioni. E' natura le che i promotori del . colloquio non si mostrino soddisfatti , ma era a nche difficile immaginare c he l 1 on . Bos ell i doves se dire di più . Non pot eva certamente anmette re che il Minis tero da lui pr esieduto s ia accusato con r agione di debole zza , d 1 i nettitudine o di parzial i tà . Per tutto ciò che può essere rendiconto ed es ame dell ' opera f i n qui esplica ta dai poteri pubblici a difesa della disciplina nazionale, contro i nemici palesi
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Il punto fondamentale - Commissione d'inchiesta
ed occulti della guerra, come anche pe r l a discussione di un eventuale mutamento di indiriz zo, ha dichiarato di voler r i feri rs i al giudizio del Parlamento ; e la dichiarazione è costituzionalmente ineccepibile. Entro i confini del dibattito parlamentare si esercitano e si esauriscono i doveri della responsabilità ministeriale. Non pot r ebbero uscirne senza dar l uogo al sospetto che si tenti di sovrapporre la politica dei comitati alla funzione s tatutaria delle due Camer e in cui deve ritenersi l egalmente espressa la volontà del Paese. Vero è che una delle due Camer e è di origine elettiva e l'altra interamente di nomina regia; ma, come abbiamo avuto occasione di osservare fin dal principio di quest'interessante polemica, Governo e Parlamento sono termini inseparabi l i di un medesimo problema, a risolvere i l quale non basta per ora nè la volontà di un presi dente del Consiglio, per quanto abile e ben i ntenzionato , nè l'agitazione, per quanto legittima, dei gruppi interventist i malcontenti di un Ministero. Potrebbe benissimo il Re, in un dato momento, valersi delle s ue alte prerogative e convocare un'assemblea costituente che desse mano a un'opportuna riforma delle i stituzioni. L'i0ea non è in contrasto alla tradizione monarchica dello Stato. La convocazione di una costituente fu posta come condizione esplicita al pat to di annessione della Lombardia durante la guer ra del '48, e questo patto f u richiamato i n vigore nel '59 ritenendosi superflua la formalità di un nuovo plebiscito. Da una costituente sarebbe possibil e sperare una nuova definizione dei rapporti tra Governo e governati, la ri forma del Senato, che è l 'unico di nomina regia esistente in Europa, la demoliz ione dell'accentramento armninistrativo, la risurrezione delle provincie, l 'abolizione di parecchie università parassitarie e di molte inutil i larve d'autorità prefet t izia : 129
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tutte cose che erano una volta nei vot i anche dei più moderati tra i liberali italiani. E può dar si che la guerra, la quale nel suo tragico processo di distruzione riesce a fecondare molt i germi di libertà e di rinnovamento, ci conduca anche a questo. Ma frattanto bisogna contentarsi del Parl amento quale è; s t rumento non di coraggiose rivendi cazioni democratiche, ma di acquie scenze oppor tunistiche e di abili dissimulazioni. Che esso non aiut i, come dovrebbe, la lotta c ontro i tedeschi di dentro e di f uori , è cosa orma i risaputa. L'interventi smo non era ne l suo programma; l'adesione a l la guerr a costit uisce la sua gl oria apparente, ma anche la sua ambascia segreta. Onde emerge sempre più chia r a la verit à che più volte abbiamo avuto ragi one di r i cor dare: esser difficile, in una simi le at mosfera, f ar vivere e respirare un governo più coerente ed energico di que llo presente, a l la cui formazione concor ser o gl i e lement i migliori dei partiti c he professano il cult o dell e i dealit à nazionali . Gli organi dei qual i quest o Mini stero è costretto a servirsi, nell 'alta e bassa gerarchia burocratica, sono, quasi tutti i net ti a compr ende re gl i scopi eccezionali a c ui dovrebbero prestar s i nel tempo del la guerra; l imitazioni, preoccupazioni, transazioni esso si crede obbliga~o di imporsi ad ogni momento e anche senza ragione; negligenze e debolezze gl i si possono giustamente imputare, dalle quali il complice favo re della censura non riesce certamente ad assolverlo; ma con tutto c i ò non si riesce a concepire che nella sua dissoluzione consista i l migl ior modo di porre rimedio ai mali lamentat i. Per fort una l a guerr a si svolge in forme autonome, da Udine ai confini della patria, dovunque si rivela la vigorosa disciplina del l'esercito combattente, che non ha bisogno di incitamenti est erior i per compier e tutt o il s uo dovere. I bol let tini di Cadorna reca130
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no ogni giorno notizia di azioni vittoriose. Un'alta mente, una salda volontà, una r igida amministrazione presiedono alle operazioni, che si susseguono con la previdente e res istente tenacia di un piano destinato ad infalli bil e esecuzione . Ogni giorno un poco l'Aust ria è costretta a cedere terreno l à dove esercitava da tempo i l suo impero di usurpazione e di arbitri o; e con l 'Austria sono pr ogressivamente sconfitti i suoi favoreggiatori. Questo risultato ammirabil e è dovuto alla generosa abnegazione della nazione e alla fede inflessibile del comandante che non dubitò mai nella vittoria. Al generale Cadorna fu affidato un esercito quasi sprovvisto di artiglieria con l' i ncarico di sbarrare i valichi delle Alpi e di resistere a qualsiasi minaccia nemica. Questo compito egli ha accettato e lo ha assolto degnamente. Anche _quando altri dubitava e t emeva , egli chiudeva in se stesso superbamente la convinzione della vittoria. Ed ha vinto. Ha organizzato l'esercito, ha aperto le vie del l'invasione, ha preparato i mezzi per l'offensiva, infondendo la sua gran f ede nella coscienza dell'esercito e del popolo . I cannoni che 1 'anno scorso avevano spar ato gli ultimi colpi contr_o gli Austriaci in fuga sugli Altipiani si avviavano per suo ordine a sparare sopra la port a di Gorizia ritenuta invincibile . E ora egli si diri ge sicuramente s ul la via di Trieste. Onoriamo Cadorna. E sopra l e tristez ze impotenti del la politica par lamentare ricordiamo che a Udine esiste un governo a cui si obbedisce vol entieri perche ha mostrat o di meritare la fiducia della nazione".
A conclusione di questo capitolo e certo di esprimere una grande verità storica, io posso altamente proclamare che, se siamo 131
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giunti al disastro da me preveduto, la principale colpa spetta ad un Governo imbelle, incapace di tenere a freno i sovversivi e i disfattisti di ogni colore che per i loro interessi e per i loro fini partigiani infamemente speculavano sulle sventure della patria. E per contro la storia dovrà ugualmente riconoscere che nella non impreveduta ma improvvisa situazione che il disastro ha determinato non ho perduto la testa, come a quasi tutti accade (e c1era di che) ed ho condotto in salvo l'esercito dietro il Piave e sul Grappa, terribilmente scosso, naturalmente, ma ancora in grado di opporre al nemico imbaldanzito ed incalzante quella mirabile difesa che pochi giorni dopo ha effettuato e che rimarrà fulgido esempio nei secoli della virtù latina. 12
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L'on. Gasparotto riportando a pag. 174 delle sue Rapsodie (Diario di un fante) il colloquio avuto con il generale Cadorna alle ore 9 di mattina del 7 novembre 1917, scrive : La patria sarà salva sul Piave. Lo dirò in un ordine del giorno che pubblicherò domattina. Qui, sul Piave, potremo trovare la v.ia dell'onore. Ho già ordinato la difesa su questa linea; dal Grappa al mare le truppe sono già schierate; sopra si sta provvedendo.
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CAPITOLO III CRITICHE DI ORDINE MILITARE-MORALE
Nelle conclusioni della relazione della Commissione d 1inchiesta (pag. 555), fissando le maggiori responsabilità personali in ordine alle cause militari di carattere morale, la Commissione ha ritenuto che debba farsi carico: al generale Cadorna - di non aver ben governato i quadri, compiendo una esagerata eliminazione degli ufficiali superiori e generali, ispirando spesso misure inopportunamente coercitive e producendo per conseguenza perturbamenti nel1 1animo degli ufficiali senza raggiungere d'altra parte quell'adeguato miglioramento tecnico che potesse giustificare il sacrificio morale; di non aver giustamente curato la economia delle energie fisiche e morali della truppa; specialmente tollerando irredditizi sacrifici di sangue e spingendo a troppo frequenti deroghe dalla regolare procedura penale militare; di non aver finalmente dato la doverosa importanza alla coesione organica. Tratterò pertanto successivamente del governo dei quadri, del governo della truppa, degli irredditizi sacrifici di sangue e della coesione organica.
1 - Il governo dei quadri. La Commissione esamina il governo dei quadri sotto il triplice aspetto degli avanzamenti, delle onorificenze e ricompense e delle esonerazioni dal comando. Io la seguirò nello stesso ordine. Avanzamenti- Molte sono le critiche che la Commissione espone, e non c'e da farne le meraviglie. Un generale che fu anche ministro della Guerra ha giustamente detto che «tutte le scelte sono state in ogni tempo e in ogni luogo antipatiche alla massa, 133
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dalla quale sono sempre usciti più o meno generali i giudizi e le proteste che proclamavano ingiuste, o non abbastanza giustificate, o effetti di favoritismo, le singole applicazioni; ed è umano ed inevitabile». Nessuna cosa, infatti, è più difficile della materia degli avanzamenti, nella quale per eliminare un inconveniente se ne crea spesso un altro, e tutti coloro che sono danneggiati e non possono abbracciare il quadro generale del problema gridano all 1ingiustizia. Gli inconvenienti sono inevitabili, specialmente in tempo di guerra, che ha condotto ad un enorme allargamento dei quadri e conseguentemente a numerosissime promozioni. Non io dunque dirò che inconvenienti non vi siano stati. Ma la Commissione stessa dopo di aver esposte le critiche soggiunge (pag. 319): Tutto ciò vale a dimostrare come i difetti prima enumerati dai testimoni circa gli avanzamenti costituiscano, se mai, uno soltanto dei fattori di turbamento della gerarchia. E ritiene la Commissione che non costituiscano affatto uno dei fattori più importanti. Sotto tal punto di vista deve la Commissione lodare il Comando Supremo che si fece assertore delle promozioni, muovendo dal concetto che se molti sacrifici egli imponeva agli ufficiali e se gravi responsabilità egli loro attribuiva, doveva pur dare per giustizia a quegli ufficiali, che le perdite e le necessità di creazione di nuove unità facevano elevare alle cariche superiori, il corrispondente grado. E la Commissione deve riconoscere' che il Comando Supremo - il quale come si vedrà in seguito procedette troppo facilmente alle eliminazioni dal comando - fu giusto tutore degli ufficiali di fronte al Ministero, il quale era preoccupato specialmente dell'aumento degli organici e dell'impiego futuro, in tempo di pace, dei quadri esuberanti. Poichè adunque la Commissione non trova argomenti di critiche serie, io passo oltre. Osservo però, circa il sistema di far promuovere gli ufficiali della mia segreteria non appena un collega di loro meno anziano ottenesse la promozione, sia pure per 134
Critiche di ordine militare-morale
merito di guerra - sistema che la Commissione disapprova osservo dunque che si trattava di ufficiali scelti fra i più distinti dello Stato Maggiore; che, come tali, resero importantissimi servizi nella segreteria che, in sostanza, costituiva l'ufficio operazioni; che era necessario mantenerli a lungo al loro posto per non rompere la tradizione del Comando, la qual cosa sarebbe stata dannosissima al buon funzionamento del medesimo; e che se io avessi permesso che fossero scavalcati nell'avanzamento, avrebbero avuto il pieno diritto di far domanda di essere trasferiti ai corpi di truppa, per legittimo desiderio di maggiori soddisfazioni; nè io avrei potuto trattenerli. Debbo soggiungere, ad onor del vero, che essi meritarono pienamente i vantaggi conseguiti e che furono conservati dal nuovo Comando, il quale conferì, anzi, a taluno di essi, un'altra promozione per merito di guerra. 1 La Commissione critica infine il sistema dell'esperimento di comando e delle retrocessioni. Gli inconvenienti di tale sistema, che la Commissione enumera, in senso assoluto, sono innegabili. Ma in questa, come in tutte le cose contingenti, ciò che si deve considerare è il relativo. Ora tale sistema fu introdotto per evitare un altro maggiore inconveniente, quello cioè di aumentare ancora i siluramenti che la Commissione critica poi acerbamente. L'esperienza aveva dimostrato che gli ufficiali destinati a sostituire i silurati spesso non valevano di più, e talvolta valevano di meno, e perciò venivano essi stessi dopo breve tempo silurati, facendo crescere il numero di questi a dismisura. Come si poteva rimuovere questo gravissimo inconveniente? In due modi, esigendo cioè maggior rigore nell'accertamento dell'idoneità all'avanzamento (di ciò parlerò in seguito) ed introducen1
Si può aggiungere che gli ufficiali della segreteria raggiunsero poi, nel periodo compreso fra le due guerre, tutte le più alte cariche dell'esercito. Segno evidente che erano stati bene scelti [R.C.]
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do il sistema dell'esperimento nella nuova carica. Se l'ufficiale non faceva buona prova entro due mesi, faceva ritorno alla carica precedente. La Commissione biasima tale sistema, ma essa biasima ancor più gli eccessivi siluramenti. Dunque, come si risolveva il problema? Non vi sarebbe stata allora altra soluzione che conservare nella carica i non idonei; ·ma io lascio considerare con quale vantaggio delle operazioni e del morale dei quadri e della truppa! Ciò che io dico è tanto vero che il biasimato sistema non fu soppresso dal nuovo Comando e che durante la difesa della linea del Piave del giugno 1918 si vide perfino uno dei più intelligenti e colti generali dell'esercito retrocedere dal comando di un'armata a quello di un corpo d'armata. 2 Onorificenze e ricompense Anche su questo argomento, naturalmente, numerose sono state le critiche e sfido io ad accontentare tutti! Ma la Commissione stessa ne fa giustizia con queste parole (pag . 323324): "La Commissione non esita a riconoscere c he i nconvenienti , fra cui i l ritardo nella concessione e qualche sperequazione, si s ono ve rificati nella distribuzione delle ricompense ; ma deve altresì notare come molt i inconvenienti s iano insiti nella inevitabile di versità di valutazione dei comandanti e nella peculia re varietà del l e circostanze in cui gli atti di val ore pot e rono compiers i, come nel differente peso dato all' elemento direttivo ed a quel lo esecutivo di ogni azione . Sta di fatto che , con alcune circolari del r epar t o discipl i na , avanzament i e giustizia, il Comando 2
Il generale Pennella. [R.C.]
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Supr emo si pr eoccupò degli inconvenienti, avviso ai mezzi di porvi riparo e pr ovvide alla concessione immediata sul campo di molte medaglie al va lore ... In complesso la Commissione, r ichiamandosi al giudizio espresso nel precedente capitolo s ugl i avanzamenti e sui danni generali che le funzioni della gerarchia ricevevano e pr oducevano dal contendere fra superiori ed inferiori di responsabilità e di mer i t i, non riscontra in tutto quanto s opra si è detto circa la concessione del le ricompense part icolari di gravità tali da poter affermare che essa abbia esercit ato una not evole influenza sul moral e delle truppe, e quindi non ritiene nemmeno che possa annoverarsi fra le cause indirette del disastro." 3 Escluse adunque osservazioni di rilievo circa gli avanzamenti, le ricompense e le onorificenze, a dimostrare il malgoverno dei quadri non rimangono che i siluramenti. E su questo argomento la Commissione veramente si accanisce. Io dovrò pertanto estendermi maggiormente nelle mie osservazioni. Le esonerazioni dal comando La Commissione dedica ben venti pagine ai cosidetti ·siluramenti e conclude a pag. 343-345 con un acerbissimo biasimo al mio indirizzo, affermando che «le esonerazioni rappresentano per la Commissione l'indice più sicuro del malgoverno dei quadri». Val dunque la pena di soffermarci quanto è necessario su questo argomento. Incomincio intanto coll'osservare che è del tutto falso quanto la Commissione afferma in principio del suo biasimo: « Vide (il generale Cadorna) soltanto i vantaggi del sistema, e poichè i danni egli stesso non presentì, altri non seppe o non volle 3
Oggi chi porta una medaglia al valore conquistata sull'Isonzo o sugli Altipiani ne va molto fiero forse per contrasto coi sistemi di larghezza usati nelle campagne successive. [R.C.] 137
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e se avesse voluto, del resto ben poco sarebbe giovato - farglieli scorgere. ecc.». La mia preoccupazione fu invece sempre grande per i danni, specialmente d 1indole morale, che la moltiplicazione degli esoneri arrecava, come autorevolissimi ed altissimi personaggi potrebbero testimoniare. Ma anche in questo caso, come già ho osservato discorrendo degli esperimenti di comando, non si tratta di vedere da un lato solo il male assoluto, ma di scegliere tra i diversi mali il minore. E qui entra in giuoco una questione di apprezzamento. Per me il male maggiore è di avere unità mal comandate, perchè questo non solo arreca male gravissimo materiale, in quanto i cattivi comandanti fanno fallire le operazioni meglio concepite, ma costituisce altresì un grande danno morale perchè essi scuotono la fiducia delle truppe nel successo: nessuna cosa deprime maggiormente il morale del1 1ufficiale e del soldato quanto il sapersi condotti ad inutile sacrificio da capi inetti. A fronte di questo danno, tutti gli altri enumerati dalla Commissione, anche se non lievi in senso assoluto, hanno poco valore. A prova di ciò soggiungo che in seguito agli avvenimenti del Trentino nel 1916 ordinai al generale Pecori Giraldi, comandante della I Armata, di eseguire un1inchiesta per determinare le cause e le responsabilità del cedimento avvenuto nei primi giorni del1 1offensiva austriaca. Dalla minuta e coscienziosa inchiesta condotta dal generale risulta che una delle cause principali dei primi insuccessi fu l1insufficienza di parecchi comandanti in sott'ordine; ond1è che io dovetti emanare la seguente circolare in data 11 maggio 1917 ai comandanti di Armata e di corpo d 1Armata: "S. E. il generale Pecor i Gi raldi, comandante della I Armata, ha condotto a termine in questi giorni la sua relazione sulla inchiesta circa gli avvenimenti militari del maggi o 1916 nel Trentino e sugli
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Altipiani. E' un lavoro poderoso, acuto, di ligente e coscienzioso che S. E. il generale Pecori ha compiuto per mio ordine , e le conclusi oni del l ' inchiesta daranno materia a molte pr oficue considerazioni e ad opportuni ammaestr amenti . Mi riservo di fare successive comunicazioni sull'argomento; ma non voglio indugiare a segnalare una del le più important i conclusioni ricavate dall ' inchiesta , quella che il grande s uccesso iniziale della offensiva nemica è specialmente derivato dalla insufficienza dimostrata da parecchi degli uf ficiali che avevano comando i n quella regione : ins ufficienza professi onale ma soprattutt o defi cienza di carattere . Emerge con tutta evidenza dalla relazione che se al comando delle grandi unità impegnate nell' inizio dell ' offensiva vi fossero stat i generali verament e degni e meritevoli del comando loro affidato, essi avr ebbero saputo adeguatamente fronteggiare gli avvenimenti, i qual i non avrebbero s ubito pres o quell ' andamento così grave che - per poco - non mise in serissimo pe ricolo l' esito finale del la nostra guerra . Questa constatazione io ho voluto segnalare subit o perchè dimostra e conferma il dovere assoluto c he tutti noi abbiamo di esercitare una sel ezione rigorosa per designare (o conservare al loro posto) i comandanti delle grandi unità; selezione che deve unicamente essere inspirata - al disopra di ogni considerazione o r iguardo di car attere pers onale - dalla gravità del momento presente, con la chiara coscienza de lle responsabilità che ciascuno di noi ass ume di fronte a l Paes e . Le mie recenti circolari in materia di giudizi sull ' idoneità all'avanzamento degl i uffi ciali genera li sono tutte inspirate a tale conce tto che qui ribadisco ancora una volta, e che ricordo come moni to solenne per t utti". II capo di S. M. dell 'esercito L. CADORNA 139
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L'esperimento del Trentino non era, del resto, che la conferma dei dolorosi ammaestramenti delle guerre del Risorgimento. A Custoza non si era perduta la battaglia per I1insufficienza della maggior parte dei capi? Lo stesso fatto non si era verificato nel 1848 e nel 1849? Che cosa si sarebbe detto di me se avessi trascurato queste lezioni? Poco prima che io emanassi la circolare ora riferita, cioè negli ultimi giorni di marzo 1917, avemmo alla nostra fronte la visita del generale Robertson, capo di Stato Maggiore dell'esercito inglese, il quale al suo ritorno a Londra mi inviava una lettera in data 5 aprile, nella quale, d opo alcune frasi lusinghiere per il nostro esercito e per ciò che aveva veduto durante la sua visita, soggiungeva: "Ciò che forse più mi ha colpito è stata la difficoltà del terreno sul quale combatte il vostro esercito e la conseguente necessità di avere comandanti ener gici ed anche fisicamente forti, capaci di sovr intendere alle oper azioni dei l oro comandi con quel vigore che è richiesto dalle esigenti condizioni della guerra moderna . So che in pace il regolamento italiano sull ' avanzamento è largamente basato sull' anz ianità di servi zio, 4 col risultato c he i comandanti più anziani sono probabi lmente alqua nto vecchi per la loro posizione . Lo stesso sistema prevaleva nel nostro esercito prima della guerra, come pure nell ' esercito francese, ma entrambi abbiamo trovato necessario di cambiare l 'ordinaria routine di pace e di selezionare gli uffi ciali comandanti di Armate, di corpi d ' Armata e di altre unità senza riguardo alla loro anzianità, adoperando solo quel li che hanno tutte le qualità fis iche e mentali per sopportare i gravi doveri che devono sopportare i 4
Non è il regolamento, nè la legge, ma la pratica consuetudine che ha sempre favorito l'anzianità, malgrado la legge, che sanciva invece il principio della scelta dal grado di colonnello in su. 140
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comandanti i n questa guerra . Credo che a nche voi avrete la possibilità di scegliere i comandant i s u questa base e non sarete l e gati dal la s olit a r outine di pace, come s ono sicuro che nessuno sa meglio di voi in qual grado l 'effic ienza c ombatti va del l e truppe dipende dalla pers onal e sovrint endenza ed energia stimolatrice data ad esse dai loro coma ndanti"
E 1 proprio cosi; e di ciò ero profondamente persuaso. Ma per aver tentato di applicare da noi i medesimi principi, quante e quali recriminazioni! E si noti che nel febbraio 1917, quando il capo di Stato Maggiore dell 1esercito inglese ricevette queste impressioni alla nostra fronte, una larga selezione era già stata fatta! Presso gli eserciti alleati una grande selezione fu fatta, pari alla nostra. Desumo, per esempio, dal volume del Mermeix, Joffre Premiere crise du commandement, che dal 25 agosto al 31 ottobre 1914 furono silurati in Francia 10 comandanti di corpo d 1Armata su 20 e 4 comandanti di Armata, tra i quali u omini di grande valore come Lanrezac, Maud1hui e Sarrail, siluramenti cioè in proporzioni tali che da noi non si sono mai verificati in cosi breve tem po. Eppure in Francia nessuno ha mai p ensato ad ordinare inchieste o ad istituire commissioni per il recupero dei silurati. Anzi, questi furono saggiamente confinati a Limoges (donde il nomignolo di limogès) affinchè non spargessero nel Paese il veleno delle loro critiche; veleno che in Italia fu sparso a piene mani, compiendosi vera opera di disfattismo. Vi furono, ad onor del vero, parecchie nobili eccezioni, ma il contegno di molti degli esonerati costituitisi perfino in «Fascio ufficiali silurati» fu tale da giustificare pienamente il loro siluramento. Queste cose furono rilevate ed aspramente commentate da parecchi autorevoli organi del giornalismo. Dallo specchio contenuto a pag. 327 della relazione risulta che 141
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dei 206 generali e brigadieri esaminati dalla Commissione degli esonerati questa ha dato parere favorevole a ben 95 (senza chiamare una sola volta nel suo seno il generale Porro che pur ne doveva far parte come membro consultivo, affinchè l'antico Comando Supremo avesse voce nella Commissione), ma è molto significativo il fatto che il nuovo Comando Supremo non abbia creduto di riammetterne che 13 nell'esercito mobilitato, come ha dichiarato il presidente del Consiglio, on. Nitti, alla Camera dei deputati ii 13 settembre 1919. Ed è pure caratteristico il fatto che la Commissione d'inchiesta abbia ascoltato tanti testimoni interessati, i quali per il pubblico son rimasti anonimi, e che la Commissione stessa sia stata costretta a notare che "vennero dinanzi la Commissione a deplorare il sistema certi signori generali che non ebbero davvero fama di moderazione nell'applicarlo, quando il generale Cadorna era in auge". Non faccio commenti! II numero totale dei silurati (807 tra generali e ufficiali superiori) è certamente ingentissimo. Un deputato, in un discorso pronunciato il 9 settembre 1919 alla Camera, discutendosi l'inchiesta di Caporetto, disse queste parole: «Il regime Cadorna, con l'esonerazione di 807 ufficiali, ci ha condotto a Caporetto; il regime Diaz, con l'esonerazione di 176 ufficiali, ci ha condotto alla vittoria. » Meravigliosa sentenza! Quel signor deputato - diventato poi anche ministro - ha soltanto dimenticato di aggiungere che il regime Cadorna ebbe la durata di due anni e mezzo, mentre il regime Diaz non durò che un anno. Facendo la proporzione, i 176 silurati in un anno dal regime Diaz corrispondono a 440 per due anni e mezzo, ossia il 55 per cento del regime Cadorna. Si è tanto detto che i siluramenti durante il mio regime furono eccessivi (e la Commissione d'inchiesta giunge nientemeno ad affermare che essi furono una delle cause principali di Caporetto!) che si sarebbe creduto che nel regime successivo, tanto lodato dalla Commissione per 142
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il buon governo degli uomini, i siluramenti stessi fossero scomparsi. Ed invece si viene a scoprire che essi furono il 55% di quelli del regime precedente, cifra tanto più significativa quando si tenga conto di due fatti:
1) che dopo le grandi eliminazioni, fatte durante il regime Cadoma per le ragioni che esporrò tra poco, il regime Diaz avrebbe dovuto trovare pochissimi elementi meritevoli di esser tolti dai comandi; se, adunque, ne ha trovati ancor molti, questa è prova evidente che sotto il regime precedente non si era ancora eliminato l'eliminabile; 2) che durante il regime Diaz solo la prima e la seconda battaglia del Piave possono aver dato luogo a serie eliminazioni, non potendo, certo, ciò essere avvenuto a Vittorio Veneto, battaglia breve e trionfale. Anche la seconda battaglia del Piave non durò che una settimana. Ora i siluramenti avevano luogo, per lo più come è naturale - durante le battaglie; e dovevano risultare tanto più numerosi quanto erano più lunghe, e furono lunghissime sotto il regime Cadorna, che corrisponde alla massima resistenza del nemico. Si persuada adunque l'on. deputato che quel 55% è moltissimo, senza disconoscere che possa esser stato necessario, tenuto conto di ciò che ho detto: 5 che la sconfitta e la vittoria dipendono da ben altre cause, e che le sue parole non sono che la prova della leggerezza - a dir poco - con cui si lanciano certe affermazioni, sia pure a base di cifre, e sia pure in Parlamento! Le eliminazioni del regime Diaz sono adunque la prova mate5
Cosi stando le cose, vien fatto di domandare: perchè fu nominata una Commissione per inquisire soltanto sui siluramenti del mio periodo, mentre di quelli del periodo successivo nessuno si occupò, neppure quando, la guerra essendo finita, non vì era più nessuna ragione che consigliasse a limitare l'esame? Evidentemente ciò fu fatto soltanto in odio mio! 143
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matica della necessità in cui si è trovato il regime Cadorna di sgombrare su vasta scala i quadri superiori di elementi non idonei. Ma quale è la causa del loro ingentissimo numero? Vi sono cause generiche, comuni a tutti gli eserciti, e cause specifiche per il nostro, ma tutte cause determinanti in vario grado di una impreparazione agli alti comandi, di una insufficienza professionale che era doveroso ed urgente risanare. In tutti gli eserciti solo la severa esperienza della guerra può fornire la prova effettiva della capacità. A parte le lacune professionali che non sempre possono essere rivelate dalle prove brevi ed infrequenti del tempo di pace, solo la rude realtà del combattimento mette a nudo le doti e le manchevolezze del carattere. Ed il carattere è, non occorre dirlo, fondamento ed essenza delle più elette virtù militari, quando si comprendono in queste il culto del dovere, il coraggio della responsabilità, la imperturbabilità nelle situazioni gravi, lo sprezzo del pericolo, l 1ascendente sulle truppe ecc. Era quindi nella normalità che la guerra - ed una difficile guerra come quella che fu combattuta - smascherasse con la ferrea logica della realtà i mediocri e li travolgesse, facesse primeggiare i migliori e li ponesse in valore: dura lex, sed lex! Inoltre, nel nostro esercito, da tempo i giudizi d 1avanzamento erano improntati ad una malintesa indulgenza,6 talchè molti incapaci, anche attraverso a vicende non sempre lodevoli, avevano potuto raggiungere altissimi gradi, grazie alla nefasta longanimità cui erano proclivi le commissioni giudicatrici. Il bisogno di una maggiore severità fu maggiormente sentito negli ultimi anni che precedettero la guerra. A questo fine la Commissione centrale di avanzamento fu costituita coi soli 6
La questione è di cronica attualità. L'indulgenza è in parte imputabile alle rovinose condizioni economiche che conseguono ad un giudizio di inidoneità. [R.C]
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comandanti d'Armata; funzionò per la prima volta nel 1912 e pronunziò effettivamente giudizi più oculati e severi. Ma fu sterile tentativo, perche l'anno dopo quasi tutti gli esclusi furono dichiarati idonei, sebbene un verdetto sfavorevole avesse menomato gravemente il loro prestigio! Nè valse la mia opposizione in seno alla Commissione ad evitare questo improvviso ritorno all'antica indulgenza. Lo stesso atteggiamento di indulgente acquiescenza ad antichi giudizi, rimasti quasi tradizionalmente immutati di anno in anno, dovetti più volte rilevare anche durante la guerra, il che aveva per logica conseguenza di aumentare il numero dei siluramenti. Non ho mancato di reagire contro questa inerzia morale, sostanziata di scarso carattere, di ingiustificata benevolenza e più ancora di pavidità, richiamando le autorità giudicatrici alla stretta osservanza della lettera e dello spirito della legge d'avanzamento. Fu cosi che la rigorosa applicazione dell'assolutamente distinto, richiesto dall'art. 12 della legge d'avanzamento, se da un lato richiese il provvedimento degli incarichi (e perciò degli esperimenti) di comando, dall'altro portò ai più elevati comandi coloro che davano più sicuro affidamento di esserne degni. Di ciò beneficiò il regime successivo al mio, che ebbe così generali veramente degni della grande vittoria finale. In conclusione, gli esoneri dal comando, toccando tanti e cosi gravi interessi personali, non potevano non avere molta ripercussione; ma sono fatti che bisogna considerare da tutti i lati e con criteri di relatività, vagliando le opposte esigenze, facendo prevalere le essenziali su quelle di minore importanza e scegliendo in definitiva fra i mali inevitabili il minore. Nel caso concreto nessuna transazione era lecita, nessun dubbio giustificato: ogni considerazione doveva essere secondaria di fronte al sicuro irreparabile danno di conservare al comando ufficiali legittimamente dichiarati impari alle gravi responsabilità dell'ora. 145
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Essendo indiscutibile il principio sopra enunciato, la difficoltà stava nel1 1applicazione, e non si può certamente escludere che errori siano stati commessi, trattandosi di un1opera che si svolse simultaneamente all1incalzare degli avvenimenti guerreschi. Il Comando Supremo, pure inculcando la necessità di una severa selezione dei quadri, ha fatto nell1applicazione opera moderatrice. Non sono pochi coloro che, proposti per l1esonero, vennero da me trasferiti ad altri comandi; ma debbo dire che quasi tutti costoro dovettero poi essere definitivamente esonerati. Sono del sottocapo di Stato Maggiore (generale Porro) le disposizioni perchè gli ufficiali tolti dai comandi nei combattimenti non venissero senz1altro esonerati, ma fossero posti a disposizione del Comando Supremo finchè questo non decidesse sulla base dei regolari documenti di esonero. Inoltre, il sottocapo emanava il 7 agosto 1917 una circolare che disciplinava tutta la materia degli esoneri. Queste misure avevano per effetto di indurre le autorità proponenti ad agire con ponderazione nelle loro proposte e di dar modo al Comando Supremo di controllare la fondatezza delle proposte. La Commissione riconosce a pag. 340 che, secondo le disposizioni del Comando Supremo, alle proposte di esonero dovevano essere uniti rapporti informativi sui precedenti dell 1ufficiale, e quando questi erano insufficienti si doveva richiamare il libretto personale dal Ministero. Questi documenti erano personalmènte esaminati dal generale Porro. Tutto ciò prova che si agiva colla necessaria ponderazione e coscienziosità. Ma più di questo il Comando Supremo non poteva fare. Lo disse con efficaci parole «un autorevole generale» che fu anche ministro della Guerra, (pag. 341-342 della relazione): "Ma in pratica il Comando Supremo rarissimamente esonera di sua iniziat i va : di massima decide su pro7
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Io ne ho esonerato soltanto una decina.
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poste di comandi minori. Ora quando un comandante scrive e f irma che un suo dipendente è i ncapace di comandare in guerra, e cioè ne teme conseguenze funeste, e i comandanti gerarchici appoggiano, io mi chi edo, pur se mancano gravi fatti concreti e pure essendo contrari a l sistema, che si può fare . Se l o si l ascia al comando, oltre all'attrito inevitabile che si crea tra proponente e proposto con pregiudizio del servizio si assume senza conoscenza dirett a ogni responsabilità f utura, si prepara un alibi per qual unque disgraziato avvenimento, s i scompi gliano le responsabilità gerarchiche ecc. Cambi arlo di dipendenza, non equivale in sostanza a regalarlo ad un altro dicendogli o tacendogli che è presunto inetto? In pochi casi questo si può fare con sufficiente coscienza rispetto agli interessi della guerra". La Commissione dichiara «di essere rimasta seriamente impressionata dalla quasi unanimità delle testimonianze circa i danni delle esonerazioni». Sfido io! Era proprio questo l 1argomento sul quale convergevano gli interessi particolari e le vendette personali! E non ha la .Commissione stessa confessato, come ho dianzi riferito, che <<Vennero pure dinanzi alla Commissione a deplorare il sistema certi signori generali che non ebbero davvero fama di moderazione nell1 applicarlo quando il generale Cadorna era in auge?» Non doveva la Commissione tener conto di questi rancori e di queste viltà, e doveva invece assegnare alle testimonianze il giusto peso. Ecco come il Corriere della Sera del 3 settembre 1919 giustamente commenta: "Non ci sentiamo rassicurati scrutando certe correnti di opinioni che ne111inchiesta fanno fascio in questa o quella direzione, come il blocco compatto e formidabile di accuse che addita quale una delle cause fondamentali di Caporetto proprio gli 147
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esoneri dal comando. La Commissione confessa «di essere rimasta seriamente impressionata dalla quasi unanimità delle testimonianze circa i danni delle esonerazioni". Di fronte a questo fosco quadro che tanto giova alla tesi che la Commissione, nominata dall'on. Orlando, si è proposta, essa non si è domandata che cosa sarebbe avvenuto se gli esoneri non avessero avuto luogo e se le truppe fossero state condotte da capi insufficienti o inetti. Eppure avevamo l'esperienza del Trentino, ove l'insuccesso dei primi giorni era dovuto in buona parte alle deficienze dei comandanti! Poichè, ripeto, è qui la questione, che è tutta di relatività: scegliere tra i diversi mali il minore, ed agire senza titubanze nel senso che è apparso il migliore. Per tutte le ragioni enumerate, e sia pure «con coraggio degno di miglior causa» (pag. 343 della relazione), io nuovamente dichiaro che nelle particolari condizioni in cui trovai i quadri, ben diverse da quelle in cui le lasciai al nuovo Comando (il quale ciononostante procedette a larghe eliminazioni), io non potevo agire diversamente. La colpa deve farsi risalire a coloro che durante un lungo periodo di anni, perpetuando un sistema di colpevoli indulgenze al quale io mai partecipai, portarono alla testa della gerarchia tanti elementi che non avrebbero mai dovuto pervenirvi.8 Auguriamoci almeno che la dura esperienza giovi per l'avvenire. Ma io ne dubito fortemente.
2 - II governo della truppa. Esaminerò successivamente il regime disciplinare ed il regime penale. 8
Vedasi quanto scrive a più riprese il generale Capello nelle sue "Note di guerra", dell'incapacità, dell'apatia di molti comandanti, del loro nessun interesse per l'istruzione ed il benessere della truppa ai loro ordini. 148
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Regime disciplinare. A pag. 347 della relazione la Commissione con molto semplicismo mette di fronte due sistemi disciplinari, quello cioè del regolamento di disciplina, il quale - secondo il suo giudizio «mira ad una disciplina di convinzione perfettamente adattantesi all'indole del popolo italiano», e quello a cui s'ispirava u na mia circolare la quale «invece palesava l'intento del generale Cadorna di fondare specialmente sulla coercizione il governo della gente che doveva condurre, o per lo meno mirava a porre sotto gli occhi di tutti in maggiore evidenza il substrato di coercizione che esiste, più o meno dissimulato, in tutte le gradazioni di disciplina militare». Ora, tutto ciò è profondamente errato. Sarebbe cosa troppo comoda se si potesse amministrare la disciplina con una ricetta costante che servisse per tutti i casi! Allora la disciplina non sarebbe - come è - difficilissima da amministrare! Ed è difficilissima perchè l'arte consiste appunto nell'applicare i due sistemi, della convinzione (incominciando da questo) e della coercizione, nel modo, n el tempo e nella, misura adatti a conseguire l'effetto voluto. Se cosi non fosse, il regolamento di disciplina, il quale secondo la Commissione si inspira al sistema · della convinzione, farebbe a meno delle sanzioni disciplinari, le quali appartengono al sistema della coercizione e sono pur necessarie per coloro che non si lasciano convincere; e sarebbe superfluo il codice penale militare. Dacchè esistono eserciti, quando mai non è stata riconosciuta la necessità di una ferrea disciplina? Non tutti vanno lietamente incontro alla morte col solo impulso dei sentimenti elevati. Dunque si deve bensì incominciare dalla persuasione, ma quando questa non basta bisogna necessariamente ricorrere alla severità ed alla coercizione. E per inspirare il sentimento d i una severa disciplina occorre esigere l'osservanza delle forme, che a molti sembrano pedanterie, e non sono, poichè, come dice 149
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Dante: "Dietro ai sensi la ragione ha corte l'ali". Fu per questa ragione che il grande Federico introdusse nell 1esercito prussiano il Parade Schritt, durato fino ai giorni nostri, passo che in noi latini suscita il riso, ma che, data la mentalità teutonica, molto giovò a mantenere viva nella truppa la rigidità della forma, attraverso la quale si inspirava il concetto di una severa disciplina. A questi principi io cercai di informare la mia azione disciplinare nei molti comandi che ho retto. E se è vero - come è verissimo -- che l'animo di un comandante si rivela più particolarmente nel comando di un reggimento, per il quotidiano contatto che si ha cogli ufficiali e colla truppa, vi sono oggi ancor molti, anche negli alti gradi, i quali possono testimoniare se tali principi io non applicassi nel comando del 10° reggimento bersaglieri che ebbi la fortuna di reggere per quattro anni. Ne furono prova (e fu questa una delle maggiori soddisfazioni della mia carriera) le dimostrazioni di affetto che mi furono prodigate quando ebbi il dolore di abbandonare il reggimento, e le accoglienze che sempre ebbi di poi in qualunque reparto di bersaglieri mi incontrassi, sebbene la mia vita bersaglieresca non avesse avuto inizio che col grado di colonnello. Tutto ciò non dimostra, mi pare, che io fossi quel Nerone o quell'Ezzelino da Romano che la Commissione lascia quasi trasparire io fossi! Ma io non potevo trasportare nel comando di un esercito di due milioni di soldati in guerra (e quale guerra!) i metodi personali applicati in pace nel comando di un reggimento. L'educazione del soldato doveva essere opera dei comandi minori sotto la guida dei maggiori comandi. Il Comando Supremo non poteva dare che direttive generali, le quali non mancarono, come si dirà tra poco. E poi, come sarebbe stato possibile sottoporre ad una cultura intensiva di educazione militare le enormi masse ineducate che provenivano dal Paese? E con quali educatori, poichè molti dei migliori ufficiali 150
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caddero nei primi mesi della guerra, e si dovettero improvvisare ufficiali a diecine di migliaia in breve tempo, e perciò necessariamente inesperti? In tale condizione non rimaneva che far intendere la necessità della disciplina mediante una relativa severità; la quale cosa senza dubbio assai meno efficace della lenta educazione del tempo di pace, ma la sola possibile in quelle circostanze. Non mi soffermerò sulla necessità di una severa disciplina, tanto la cosa è evidente e risaputa: varia soltanto la forma dell'applicazione secondo l'indole dei popoli dai quali gli eserciti derivano. La storia narra di molti eserciti che si sfasciarono per scarsa disciplina, mentre quelli in cui la disciplina era salda-. mente mantenuta conservarono salda la loro compagine anche in seguito alle disfatte. Il maresciallo Davoust, il vincitore di Auerstadt e di Eckmiihl, era celebre per la severità colla quale manteneva la disciplina. Ebbene, l'inflessibile comandante del III Corpo nelle guerre napoleoniche fu il solo che ritrasse in ordine il suo corpo d 1Armata attraverso le peripezie della ritirata di Russia. Nel caso nostro era anche d'uopo tener conto delle particolari condizioni della disciplina dell'esercito nel momento in cui · scoppiò la guerra. L'applicazione eccessiva della disciplina di convinzione aveva prodotto i frutti che ho descritto nel capitolo I del libro "La guerra alla fronte italiana". Eravamo ben lontani dai tempi in cui generali come il generale Pianell (e non fu certamente il solo tra i maggiori capi che ebbe l'esercito italiano) insieme alla convinzione ricorrevano ad una grande severità quando ciò era necessario. Era poi recente l'esempio della guerra di Libia nella quale, essendo governatore il presidente della Commissione d'inchiesta, la disciplina di convinzione aveva condotto dei reparti ad ammutinarsi per imporre il congedamento di certe classi ... ed il congedamento fu concesso! Era perciò necessario reagire contro sistemi di eccessiva 151
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e nefasta indulgenza i quali avrebbero compromesso la saldezza di un esercito che doveva raggiungere i due milioni e mezzo di soldati. Ecco la ragione delle severe misure prese e della circolare del 19 maggio 1915 che la relazione riporta a pag. 346 e che io ho riferita nel capitolo II dell 1accennato libro, a pag. 59. In essa nulla vi è di eccessivamente severo. I frutti della sua applicazione furono ottimi. Perfino sulle retrovie, dove la sorveglianza essendo sempre minore, il disordine è maggiore, dopo pochi giorni dall 1entrata in guerra, coll 1azione di alcuni ispettori di retrovia e colla sorveglianza che io stesso esercitavo nelle mie frequenti gite, accompagnata da alcuni severi esempi, l' ordine divenne in pochi giorni perfetto e fu ammirato da tutti coloro - italiani e stranieri - che si recarono al fronte. Ad esempio della pretesa eccessiva severità adoperata, la relazione a pag. 347 cita una mia seconda circolare del 28 settembre 1915, a riguardo della quale, senza entrare in spiacevoli particolari, voglio limitarmi a dire che se io dovetti salire fino a quel tono, si è perchè ciò si era reso necessario. Ma la Commissione, incalzata dalla necessità della sua tesi, quella cioè di dimostrare il «malgoverno degli uomini>>, trascrive interamente le anzidette due circolari dichiarando a pagina 348 che esse formano «il caposaldo della concezione che il generale Cadoma, con costanza corrispondente alla fermezza ed al1 1energia del suo carattere, mantenne ed applicò nelle varie esplicazioni del governo degli uomini»; e con molta disinvoltura sorvola sulle altre circolari di carattere morale ed educativo, lasciando cosi credere che dell'educazione e del morale del soldato il generale Cadoma non si curasse affatto. Debbo perciò colmare io questa grave lacuna con alcune citazioni, cercando tuttavia di esserne il più parco possibile. Per esempio, in una circolare del 17 giugno 1916 trovo queste parole:
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I. - Pr eparazione morale dei combattenti . La preparazione morale dei combattenti è il f ondamento del buon s uccesso. L' uomo che non sia stat o mor alment e preparat o non s i get ta con cuore saldo cont r o i l nemico, attraverso la zona int ensamente battuta dai s uoi fuochi, nè rimane senza s f orzo sot to le violente raffiche di art iglieri a: l'ist i nto di conserva zione, se non dominato, può prevalere sul timore delle pene comminat e ai pusillanimi. E' indispensabil e quindi che al c i eco impul so si sovrapponga il sentimento del dovere , f ort e ed incr ollabile, che sorregga e trascini l 1 animo del soldato, anche nei momenti del maggior per icol o. Tali erano i miei concetti. Non pare dunque che io intendessi spingere le truppe all'attacco colle sole mitragliatrici alle spalle, sebbene anche queste fossero necessarie in extremis, se lo scopo si doveva ad ogni costo raggiungere! Poco oltre, nella stessa circolare sta scritto quanto segue: III. Tali pri ncipi siano inspirati all a t r uppa dagli ufficiali t utti, col la parola e col l I esemp i o, i n particolar modo dai comandanti di compagnia, che dei loro dipendenti devono possedere inter a l 'affezione ed i llimit ata l a fiduc i a. I I comandante di compagnia vi va con i suoi soldati e parli lor o ogni giorno, a l campo ed i n trincea, nei pe riodi di riposo e durante le soste dell'az i one. Il tempo non manca: bast a volere. Non occorr e essere parlator i : l e parole disadorne sono le più convincenti . La retori ca non serve: occorre l a f ede! S { facci a vibrare l 'anima del soldato, che è generosa e faci lmente accessibi le alle parole animate dal cal or e de l la convinzione. Si faccia int ende r e la sublime bontà della causa di questa guerra, necessaria per la vita della nostr a Patria, di fronte ad un nemico che martirizzò i padri 153
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nostri, insidiò i l nostro sviluppo di nazione e che, pur temendoci, finge ora di spregiarci. Si met ta i n r ilievo la nostra superiorità intel lettuale, la nostra i nnata prestanza f isica, la generosità e lo slancio dell'animo nostro; si dica come tali doti abbiano faci l mente ragione del pesante e rigido metodismo del nemico, purchè il soldato d'It alia conservi salda l a sua naturale audacia. Si ecciti il sentimento di f raterna cooperazione e di cameratismo, affermando l a necess i tà del volontario sacrificio i ndividual e per il raggiungimento dello scopo comune. Si ricordi come la vittoria _nasca solo dalla somma di questi nobili sacrifici. Ognuno sia sicuro che il compagno opera come lui, che i r eparti vicini si comporteranno come il proprio. Si abbia cosi fiducia incrollabile in sè e negli altri.
Neppure questi periodi pare siano informati alla disciplina coercitiva! Giuseppe Prezzolini, che ha vissuto la guerra, nel suo bel libro "Tutta la guerra - Antologia del popolo italiano", ha riportata per intero la suddetta circolare, facendola precedere da alcune parole, delle quali riferisco le seguenti: Circolari Cadorna. Venivano lette a gran rapporto, tutti gli ufficiali presenti, e ci portavano sempre una pa-rola di fede, e nozioni di vera guerra. Oggi vediamo tutto sotto un'altra luce. Anche il capo. La luce di Caporetto. Eppure quelle parole di fede non si potranno cancellare. Non è lecito in questo momento giudizio, non è possibile su queste pagine discussione. Ma testimonianza si. Testimonianza: creò un esercito che non esisteva. Testimonianza: crede nella guerra. Non sono molti, tra coloro che accusano, che hanno avuto fede. Anzi, è proprio questa fede che accusano.
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La Commissione che ha tenuto conto di tante testimonianze non dà valore a queste alquanto diverse e assai più disinteressate, non conoscendo io personalmente l 1autore di esse. Ma, a confermare che se da un lato si applicavano i mezzi di rigore nella misura necessaria, da1I1altro lato non si trascuravano i mezzi morali che miravano a rendere superfluo il rigore, trascriverò ancora la seguente circolare: N. 3224 G.M. Addì, 20 lugl io 1917 A S.A.R. ed alle 1 1 . EE. i comandanti di Armat a A S. E. Il comandante dell a zona Carnia Oggetto : Spirito e disciplina delle truppe. Gravi recenti fatti di indi sciplina si sono verificati negli ul t imi tempi fra le truppe. Una volta di più è stato necessario ricorrere a una sommaria e ferrea sanzione, che non amrµette esitazioni di fronte ai supremi interessi dell'esercito e della nazione. Oggi però non basta sopprimere i colpevoli per mantenere sana e salva la compagine dell'esercì to. La fucilazione è una dolorosa necessità, ma rappresenta solo un lato - i l negativo - di tutte le misure complesse che devono essere prese per rialzare e rafforzare lo spirito dei combattenti. Chi punisce colla morte si domandi sempre, in coscienza, se t utto è stato fatto, per parte sua, per migliorare moralmente e materialmente le condizioni dei suoi soldati, se, oltre a r eprimere, egli ha saputo prevenire, se egli è stato a continuo contatto con l'animo delle truppe per comprenderne le aspirazioni, i bisogni, l e depressioni, il bene ed il male; se, in una parola, egli senta di dominare veramente le forze vive che gli sono affidate, con quella scienza del cuor e umano senza la quale nessuno mai è stato condottiero. Non sempre i comandanti hanno sentito l' obbligo morale, che è anche una necess i tà pratica, di conquistare un 155
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ascendente personale sulle truppe e di saperlo adoperare . Eppure quotidiani esempi dimostrano quanto può l ' autorità , quando è sentita come missione. Dove le truppe parevano talora depresse, stanche ed inquinate da spirito di indisciplina e da teorie sovver sive, è bastato un uomo di fede e di volont à per infondere in esse un ' anima nuova , per mutarne, anche in pochi giorni, il carattere col letti vo , e per ridonare ad esse l 'efficienza bellica, infiacchita . E' una constatazione che deve essere di grave ammonimento per t utti . La guerra è lunga, metodica, l ogorante in quanto tende a meccanizzare anche il combattente . E' necessario reagire contro il pericol o della depressione di t utti i valori essenziali umani del soldato, senza i qual i non si combatte e non si vince . Sia questa una delle maggiori preoccupazioni dei comandanti di Armata, e da essi penetri ai comandanti dipendenti , fino al battaglione e alla compagnia . Sia la loro suprema ambizione di essere degli animatori di uomini , dei suscitatori di virtù guerriera . Che ogni comandante di grande unità senta il dovere di imprimere ad essa un carattere , di formare personalmente lo spirito degli uffici al i . Che nessuno sia un assente o un ignoto per le truppe . Che ovunque nelle prime linee come nelle retrovie la volontà vigorosa dei capi sia presente e ope rante . Nulla sia tralasciato, dalla ri compensa al valore - meglio curata che non lo sia oggi - ad un riposo che non essendo ozio sia veramente ristoratore ; dalla ginnastica al gi oco; dalla licenza al sano divertimento : perché i l soldato comprenda che vi è in alto chi si preoccupa di l ui , che egli non è abbandonato a tutte le correnti, che egli è un uomo trattato con comprens ione umana. Pugno di ferro , disciplina inflessibile, si; ma ogni comandante senta di fronte al la naz ione l ' augusta e sacra responsabi lità di tenere ne l le sue mani la vit a di migliaia di italiani , che saranno un giorno testimoni di 156
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f r onte alla storia e devono domani riportare nel Paese lo spirito del l'esercito rinnovato. Il capo di Stato Maggi ore dell'eserci to L. CADORNA
Ho detto che la Commissione ha sorvolato sulle circolari di carattere morale. Ed invero essa si limita a dire a pag. 350 che
«partivano bensì dal Comando Supremo nobili parole inspirate ai più elevati sentimenti, incitamenti alla cooperazione ed alla fermezza, ma l'applicazione per contro, specialmente da parte dei molti comandanti intermedi, assai discordava dai proclamati principi ... » E che poteva fare il Comando Supremo più che proclamare dei principi ed inculcarne la diffusione in tutto l'esercito? Non si dimentichi che in un eserdto di due milioni di combattenti il · Comando Supremo non può essere che un organo direttivo, tanto in tattica quanto in ogni altro campo, e che l'esecuzione è di spettanza delle autorità dipendenti. In conclusione: «Che vi fosse persistente contrasto fra la tendenza
coercitiva del generale Cadoma e le tradizi.oni persuasive del{a nostra gerarchia e della nostra gente» (pag. 356 della relazione), proprio no!
Regime penale. Nel discorrere del regime penale mi occuperò soltanto degli appunti che a me furono fatti dalla Commissione, non degli abusi che possono essere stati commessi da autorità subordinate nelle esecuzioni sommarie, come ad esempio, i fatti ricordati dalla relazione, ove è diffusamente descritto un caso terrificante - se vero - sulla semplice deposizione di un aiutante di campo anonimo, e senza neppure esporre - come sarebbe stato doveroso - che cosa disse a sua discolpa il generale che avrebbe ordinato quella esecuzione. Il chiasso che fu fatto, 157
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anche in Parlamento, intorno a questo caso, e il silenzio in cui fu poi sepolto inducono a credere che quei fatti fossero raccolti leggermente dalla Commissione e che non vi fosse nulla di vero, o per lo meno che fossero stati molto esagerati. Passando alla definizione delle responsabilità «la Commissione ritiene che quelle generiche debbano anzitutto far capo al generale Cadorna·per l'indirizzo impresso, ed in linea subordinata al generale Porro, il quale doveva più adeguatamente interpretare la portata e le cause dei fenomeni la cui esistenza e misura gli venivano segnalate dal reparto giustizia e disciplina. Il generale Cadorna ed a suo immediato seguito, naturalmente, il generale Porro manifestarono la tendenza a ricercare le cause principali di tali fenomeni in influenze esterne ed extra militari (propaganda sovversiva, disfattista e pacifista, azione delle famiglie, imboscamento, ecc.). E furono perciò tratti a non avvisare mai interamente, in giusta misura, a quei rimedi (rafforzamento della funzione gerarchica, propaganda, trattamento, coesione, ecc.) che, agendo dappresso e direttamente sulla truppa, potevano efficacemente controbattere sia gli effetti delle cause esterne sia quelli - secondo la Commissione - preminenti dei fattori interni militari della delinquenza». Ecco adunque che riappare l'ombra dell'on. Orlando che s'era dipartita! E la conseguente necessità di attenuare le cause · disfattiste e di dar risalto a quelle militari-morali. Ma su questo argomento mi sono già troppo diffuso nel precedente capitolo, perche senta il bisogno di ritornarvi sopra. In questo biasimo non può essere artificialmente coinvolto il generale Porro, il quale non ha per nulla influito a farmi meno adeguatamente interpretare la portata e la causa di quei fenomeni, le quali portata e causa risultavano all'evidenza da tutto il complesso delle informazioni che pervenivano al Comando Supremo, che era meglio, di ogni altro, in grado di valutarne il significato. 158
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Il cattivo indirizzo che sarebbe stato da me impresso non è con precisione formulato, ma, come risulta dall'insieme del capitolo, consisterebbe soprattutto nel numero eccessivo delle fucilazioni e delle esecuzioni sommarie, i quali provvedimenti farebbero parte di quel sistema di coercizione, di eccessivo rigore che la Commissione continuamente mi rimprovera. Mi rattrista assai di dover trattare un così doloroso argomento, ed anche nell'esercizio del mio comando mi sarebbe stato ben più facile e gradito collocarmi sul terreno della mitezza preferita dalla Commissione, cara ad ogni cuore ben nato. Ma chi ha la responsabilità della condotta delle grandi masse armate non sempre può seguire gli impulsi del suo cuore, e deve invece obbedire alle ferree necessità della disciplina e del dovere. Incominciamo adunque dalle fucilazioni. Il grafico (tavola 29) contenuto a pag. 370 della relazione indica le condanne a morte pronunziate dai tribunali militari. Quelle eseguite sono in totale 729. Suddividendo queste cifre per annate, vediamo che i fucilati furono 66 nel 1915, 167 nel 1916, 359 nel 1917, 137 nel 1918. Prima osservazione: una curva che sale con un alto vertice nel 1917, l'anno peggiore per lo spirito pubblico nel Paese, l'anno delle mie quattro lettere al presidente del Consiglio. Seconda osservazione: una cifra di 137 nel 1918, ma per soli dieci mesi, sotto il nuovo comando, cioè all'incirca equivalente a quella di 167 del 1916 che corrisponde a tutto l'anno. Terza osservazione: dopo l'arresto sul Piave vi è una rapida discesa in corrispondenza col notevole miglioramento dello spirito pubblico e della molto meno logorante guerra difensiva subentrata. La relazione non fa alcun paragone colle condanne eseguite in altri eserciti, la qual cosa sarebbe pur stata importante. Ha supplito a questa grave lacuna l'on. Luciani, il quale il 9 settembre 1919 riferì alla Camera dei deputati che le condanne capitali eseguite in Francia furono 1627, ossia assai più del doppio di quelle 159
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eseguite da noi, in un esercito pari all'incirca, o di poco superiore in forza, al nostro. Secondo l'on. Luciani le esecuzioni sommarie ascesero da noi a 114 9 durante la guerra. Siamo adunque molto lontani da quelle decimazioni su vasta scala che lascerebbe supporre il fosco quadro dipinto dalla Commissione. In Francia soltanto nella ritirata della Marna, ed in un solo corpo d 1armata, il 18°, le fucilazioni furono 270 e durante la ritirata del Grand Couronne di Nancy, nell 1agosto 1914, reggimenti interi del 15° Corpo furono decimati (è sempre l'on. Luciani che lo dice); infine, dopo la fallita offensiva del 1917 del generalissimo Nivelle, molte altre fucilazioni furono sommariamente eseguite. Bastano questi pochi dati per provare quanto maggiore rigore sia stato usato in Francia che da noi. Eppure nessuno ha mai pensato di accusare i generalissimi di quel paese di aver demoralizzato il soldato e di aver provocato in esso una reazione, predisponendolo ad una catastrofe, come da noi, per molto meno, ha fatto la Commissione! Sommando le condanne regolarmente eseguite in Italia colle esecuzioni sommarie si ha una cifra totale di 1029 esecuzioni. Considerata la cifra in senso assoluto, è certamente notevole. Ma si tenga conto che essa corrisponde a 43 mesi di guerra e ad una forza media di oltre un milione e mezzo di uomini. Se si fa il confronto colla campagna del T866, nella quale la forza totale fu di circa 300.000 uomini, compresi i volontari di Garibaldi, e la durata della guerra fu di 33 giorni (dal giorno della dichiarazione di guerra, 21 giugno, al giorno della sospensione d 1armi 24 luglio), si ha questo risultato, che le 843 esecuzioni del periodo 1915-1918 corrispondono a meno di 4 del 1866! A nessuno sembrerà elevata questa cifra. Sarebbe interessante conoscere 9
Un apposito convegno di studi ha accertato che furono circa 300. [CC.]
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quante condanne furono eseguite nel 1866. Rammento quanto mi riferl il generale Pianell, cioè che quando assunse il comando del I Corpo nella sera del 24 giugno dovette far fucilare parecchi soldati i quali sparavano fucilate negli accampamenti. Ma il rigore non fu inutile: in breve ora il generale Pianell poteva dichiarare al Comando Supremo che il I Corpo (il quale era stato il più scompigliato dalla battaglia) era pronto a riprendere l'offensiva. Tali sono l'azione e l'influsso dei veri uomini di guerra, ugualmente alieni dalle ferocie e dalle blandizie, ma risoluti ed energici quanto la dolorosa necessità richiede. Nei primi tempi della guerra i tribunali militari giudicavano con eccezionale mitezza. Non è questa una mia fantasia come la Commissione sembra opinare colle parole (pag. 366): "E si deve credere che prima l'asserita mitezza corrispondesse a realtà e non fosse semplicemente una impressione del generale Cadorna ..." Questa mitezza non era che la continuazione della mitezza diventata consuetudinaria nel tempo di pace, quando i tribunali militari assolvevano o condannavano a pene assai lievi, ed anche nei consigli di disciplina erano frequentissime le immeritate assoluzioni. Si aggiunga che la sola cosa che il soldato temeva era la condanna a morte, e le altre pene, anche gravi, poco paventava, e anzi finiva per gradire se valevano ad allontanarlo dalla trincea, convinto d'altra parte che alla fine della guerra sarebbe intervenuta l'amnistia. Tale credenza era giustificata dall'abuso che in passato si era fatto delle amnistie - abuso che, sopprimendo il timore della pena, aveva tolto autorità alla legge; e fu pienamente giustificata poi dal fatto quando, dopo la guerra, si concedette amnistia così ampia da estenderla vergognosamente ai disertori - e perfino a quelli disertati al nemico! - con grave offesa dei veri combattenti! 10 Date queste circostanze, non era doveroso per parte mia l'invio 161
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della circolare N. 10261 del 22 marzo 1916 (reparto giustizia), riferita a pag. 366 della relazione, circolare che alla Commissione, nella sua serafica mansuetudine, sembra troppo severa e «di una importanza particolare per stabilire in quale senso si sviluppasse l'impulso del generale Cadorna nel regime penale»? Passando ora a discorrere delle esecuzioni sommarie, dirò che due soli documenti esistono, da me firmati, a tal riguardo. II primo documento si riferisce alla difesa dell'altipiano di Asiago durante l'offensiva austriaca dal Trentino. II 21 maggio 1916 la nostra difesa era stata sopraffatta. In seguito a ciò, sia per il panico sopravvenuto nelle truppe, sia per deficienze di comandi, posizioni di capitale importanza, come quella del contrafforte delle Portule, erano state abbandonate senza difesa. Il panico minacciava di propagarsi alle truppe sopravve-
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I fenomeni morbosi, nell'esercito, che poi culminarono nei mesi precedenti Caporetto, hanno origini remote, e già si manifestavano quando il malgoverno degli uonùni - se ci fosse stato - non avrebbe ancora avuto il tempo di far sentire i suoi tristi effetti. Fin dal 14 gennaio 1916 io scrivevo al presidente del Consiglio ringraziandolo di avermi dato comunicazione di una lettera scritta al ministro della Guerra per rilevare la necessità di indagini diligenti e severe dirette ad accertare quali influenze di ordine politico avessero contribuito a suscitare certi disordini avvenuti a Sacile, e convenivo pienamente con lui nel giudicare l'importanza che rivestiva l'ipotesi della esistenza di sobillatori nei paesi di provenienza dei militari colpevoli. Ma nei riguardi della constatata indifferenza dei condannati alla lettura della grave sentenza che li riguardava, io soggiungevo che il loro contegno non mi stupiva, essendo troppo radicata nei soldati e nel Paese la convinzione che, a guerra finita, il governo avrebbe elargito ampie amnistie; di guisa che le condanne all'ergastolo ed alla reclusione militate più non intimorivano i male intenzionati i quali, anzi, preferivano di incorrere in una condanna, pur di non affrontare i rischi della guerra, certi com'erano di non scontare tutta la pena, perchè sarebbe intervenuta l'amnistia a liberarli. Perciò, concludevo, in tempo di guerra soltanto le condanne capitali avevano influenza intimidatrice. 162
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nienti, nel qual caso sarebbe andato perduto tutto l'altipiano, con conseguenze di gravissima portata strategica. Si trattava di determinare una reazione nell'animo delle truppe, così colla minaccia di provvedimenti severissimi, come facendo appello ai suoi sentimenti generosi, ed eccitando l'emulazione coi valorosi commilitoni dei settori laterali. Scrissi perciò il 26 maggio la seguente lettera al generale Lequio, comandante delle truppe dell'altipiano, lettera che feci stampare e distribuire a tutti i comandi fino a quello di compagnia: "Ment r e sul resto del fronte le t ruppe s i comportavano ovunque valoros amente , in ques ti gi orni, per parte di alcune unità del settore di Asiago, s ono accaduti invece de i fa tti oltremodo vergognosi, indegni di un esercito che abbia il culto dell' onor militare . Posizioni di capi tale impor tanza e di facile di fesa sono s tate cedute a pochi nemici senza alcuna resis t enza . L' E.V . prenda l e p iù e ner giche e severe misure : faccia f ucilare, s e occorre, immediat amente e senza alcun procedi mento, i col pevoli di così enormi s candali a qualunque grado appar t engano . Faccia appello altresì ai sentimenti di patriottismo e di onor mi l i tar e delle truppe e dica l oro che sull ' alt i p iano di As iago si s alvano l ' I talia e l ' onore de l l' esercito . L' a ltipiano di As iago , for t e per buoni s s ime pos i zioni già organi zzat e a di fes a, va mantenuto a qua lunque pre zzo . Si de ve r esistere o morir e s ul posto" . I I capo di Stato Maggiore dell ' e sercito L . CADORNA
Nel minacciare di severe sanzioni i pusillanimi sapevo altresì che non avrei fatto appello invano ai sentimenti generosi delle truppe, come non fu vano l'analogo appello lanciato nell'anno seguente alle truppe che sul Piave dovevano arrestare l'invasio163
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ne nemica. Sulla nuova linea improvvisata sul1 altopiano s infranse l 1offensiva nemica contro il valore delle nostre truppe, tra le quali doveva rifulgere l'eroismo della brigata Liguria condotta dal valoroso generale Papa, che trovava poi nel1 1anno seguente gloriosa morte sull'altopiano della Bainsizza. II generale Ludendorff dice nelle sue memorie che fin dalla fine di maggio l 1offensiva austriaca era fallita. Il secondo documento ha la data del 1° novembre 1916, ed è la seguente circolare telegrafica diretta ai Comandi di armata e del XII Corpo (Carnia): 1
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"Presso il primo battaglione 7 5 ° fanteria, nella sera del 30 ottobre, si sono verificati casi gravissimi di indisciplina trascesi fino al lancio di sassi contro i l comandante del reggimento. Il Comandante XI Corpo con azione energica e pronta , di cui gli do ampia ed incondizionata lode, ordinava che due soldati, estratti a sorte tra quelli maggiormente indiziati come colpevoli, fossero passati per le armi . La fucilazione avvenne nel pomeriggio del giorno 31. Ieri ancora gravi fatti analoghi avvennero presso i l 6° reggimento bersaglieri e vennero immediatamente repressi con la fucilazione di sei soldati per ordine dello stesso comandante del l'XI Corpo d'Armata. Mentre segnalo ed approvo la gi usta severità del comandante del l'XI Corpo, ricordo che non vi è altro mezzo idoneo per reprimere reati colletti vi che quel l o di fuci lare immediatamente i maggiori colpevoli, e allorchè l 'accertamento delle identità personali dei r esponsabili non è possibile, r imane a i comandanti il diritto ed i l dovere di estrarre a sorte tra gli indiziati alcuni militari e punirli con la pena di morte. A codesto dovere nessuno , che sia conscio del la necessità di una ferrea disciplina in guerra, può sottrarsi , e io
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ne faccio obbligo assoluto e indeclinabile a tutti i comandant i. Come mis ura s ussidiaria di repressione ordino che, quando si verificano reati contro la disciplina , debba senz 'altro essere sospesa concessione licenza i nvernale a tutti indistintamente i componenti del batt agl ione o reparto equivalente , presso cui avvennero i reati . Il presente ordi ne dev'essere partecipato a tutte le truppe dipendenti. Accusare ricevuta" . Generale CADORNA
Da questa circolare chiaro appare il mio pensiero: 1° - Intendevo coprire, colla mia, la grave responsabilità del comandante l'XI Corpo in un caso nel quale, a mio giudizio, egli aveva rettamente agito in ragione delle ferree necessità della disciplina. 2° - Ordinavo a tutti di fare altrettanto in simili casi. 3° - Ordinavo pure d i dare partecipazione di quest'ordine a tutte le truppe; e ciò costituiva una doverosa misura preventiva, come era stata una misura preventiva la comunicazione alle truppe della precedentemente riprodotta lettera al generale Lequio. 4° - Finalmente determinavo i casi in cui si doveva applicare l'esecuzione sommaria, cioè: quando si trattava di reati collettivi; quando l'esempio doveva essere immediato; solo nel caso in cui non fosse possibile l'identificazione dei colpevoli si doveva ricorrere all'estrazione a sorte fra gli indiziati. Osservo inoltre che i tribunali militari condannano soltanto quando vi sono le prove. Ora, in molti casi di ammutinamento e di rivolta, specialmente se si manifestano di notte, le prove individuali mancano. Eppure sono questi i reati militari che maggiormente importa colpire con fulminea celerità, perché, se 165
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non sono colpiti a tempo, il malo esempio si propaga come la polvere di una miccia. Che fare? Non ci sono che due vie: o lasciarli impuniti o colpire qualcuno fra i più indiziati. Tra queste due vie non v'è dubbio sulla scelta, se si vuole impedire che l'indisciplina dilaghi. Si pensi che ne sarebbe della disciplina di un reparto se per la difficoltà di identificare i colpevoli si lasciasse impunito un reato che trascende fino al lancio di sassi contro il comandante del reggimento! Sono metodi inflessibili e sommari, per quanto dolorosi, ma che hanno il suffragio dei secoli, sebbene non siano inseparabili da errori, che non si potranno bandire che quando spariranno le guerre; ma finchè queste ci saranno, la ferrea necessità m anterrà in vigore questi metodi, come li ha mantenuti in tutti gli eserciti che parteciparono alla grande guerra. I Romani, i quali furono i creatori del giure, proclamaron o altresì la sentenza: Salus patriae suprema lex esto, suprema, perciò superiore al giure, e furono essi che per i primi applicarono la decimazione, dalla quale noi siamo rimasti infinitamente lontani! Perciò le misure n ecessarie in simili casi d ovrebbero essere esplicitamente sanzionate dal codice penale militare. Un comandante degno di questo nome non rifuggirà mai dall'assumersi le responsabilità che le necessità dell'ora richiedono; ma è ingiusta cosa che per essersi saputo assumere questa responsabilità egli debba poi essere esposto alle facili critiche di commissioni irresponsabili, nonchè al ludibrio delle folle ignare delle dure necessità della guerra od a quello dei politicanti e dei mestatori che agiscono per i loro fini p artigiani! Il comandante di un esercito deve essere armato di tutte le facoltà necessarie al mantenimento d ella disciplina in ogni caso. E ciò è tanto più necessario nei grandi eserciti m oderni che sono un 1accolta improvvisata di grandi masse, in buona parte ineducate ai sentimenti militari, anzi educate dai partiti sovversivi ai sentimenti antimilitaristi; nè vi è il tempo di rieducarle. )(,6
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Quelli che ho esposto sono i miei concetti circa le esecuzioni sommarie. Che se poi, per parte di taluno dei miei dipendenti, si fosse trasceso nel modo che la Commissione ha indicato nella sua relazione, e tali fatti non fossero stati portati a mia conoscenza, la responsabilità non può essere mia. Ai casi ch e ho enumerato e che rendono necessarie le esecuzioni sommarie si deve aggiungere quello che si verifica durante le rotte, quando nel disordine che ne consegue accadono gravi atti di indisciplina ed i tribunali militari non possono funzionare. Fu questo il caso della nostra ritirata dall'Isonzo al Piave. Dice la Commissione a pag. 234 della relazione: «Un generale, noto per la sua energi.a, venne chiamato a mantenere la disciplina ed a regolare il movimento delle retrovie; le ferree misure da esso adottate valsero ad impedire che lo sbandamento dilagasse nell'interno del Paese e che si rinnovassero gli atti di saccheggio qua e là verificatisi.» Sia adunque lode al generale Graziani che in quelle d olorose circostanze si rese veramente benemerito, e vada la dovuta lode anche alla Commissione la quale - pure a costo di contraddirsi - riconosce che vi son dei casi nei quali la pronta e massi.ma energia è necessaria! Dopo avere accennato ai gravi atti di indisciplina commessi ed alle fucilazioni eseguite, cosi conclude la · Commissione: <<Questi energici provvedimenti portarono ottimi risultati, ristabilendo il diritto di proprietà.» Cosi va bene, e ora siamo proprio in perfetto accordo! Poichè, finalmente, la Commissione considera l'argomento delle fucilazioni come uno dei maggiori indici del «malgoverno degli uomini», e biasima costantemente il malgoverno della II Armata, mentre loda, a giusta ragione, il buongoverno di altre armate, debbo pur dire che se essa avesse pubblicato la statistica delle fucilazioni suddivisa per armate sarebbe emerso che non è nella II Armata - fatta la proporzione della sua forza che il numero delle fucilazioni fu maggiore. Credo di avere ampiamente dimostrato quanto poco attendibi167
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li siano le accuse che la Commissione d'inchiesta mi fa circa il malgoverno degli uomini. Ma le leggende, una volta create e messe in circolazione, gettano profonde radici ed hanno vita lunga. E così, ancor dieci anni dopo la fine della guerra, nella commemorazione funebre del maresciallo Diaz, pronunziata alla Camera dei deputati dal capo del Governo il 1° marzo 1928, noi leggiamo queste parole: «Rianimatore e riorganizzatore delle forze, fu Diaz spirito profondamente religioso; spirito umano tra uomini, comprese che i soldati non erano soltanto dei piastrini di riconoscimento, ma delle anime; comprese che il morale, invece di essere considerato come una fredda, quasi catechistica esercitazione meramente formale, doveva costituire la preoccupazione costante, la cura assidua di tutti i capi». II m aresciallo Diaz comprese ... ciò che, naturalmente, il suo predecessore non aveva compreso! Non altrimenti suonano quelle parole. Non rrù soffermo sulla opportunità di aver colto l'occasione dell'elogio ad un morto per m enare una immeritata sferzata ad un vivo. Dico soltanto che è cosa veramente meravigliosa che il maresciallo Diaz, avendo assunto il comando dell'esercito il 9 novembre 1917, ed essendo il giorno successivo incominciato l'attacco nemico e la conseguente infrangibile resistenza del Piave, è cosa meravigliosa, dico, che egli sia riuscito a trasformare in una sola notte un esercito di piastrini di riconoscimento in un esercito di anime combàttive capaci della più fiera resistenza! E cosa non meno prodigiosa è quella che queste masse di piastrini di riconoscimento, invece di lapidarmi come meritavo, mi abbiano, dopo la fine della guerra, entusiasticamente acclamato, e perfino portato in trionfo (come meglio dirò a suo tempo) in tutti i luoghi d'Italia dove mi recassi, e che siano state esse ad imporre moralmente al Governo la riparazione che rrù era dovuta e che mi fu finalmente data ben due anni dopo il suo avvento al potere con la mia nomina a maresciallo d 'Italia.
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3. - Gli irredditizi sacrifici di sangue. La Commissione mi accusa di aver tollerato gli irredditizi sacrifici di sangue. Io non ho tollerato nulla, anzi, tutto ho fatto per impedirli: la mia circolare pubblicata a pagg. 438-439 della relazione è una delle tante prove di ciò che affermo. Molte altre del genere se ne trovano negli archivi. Su questo argomento dei sacrifici di sangue molto mi sono diffuso nei capitoli dal IV al IX del mio libro "La guerra alla fronte italiana"; perciò sarò breve, limitandomi a riassumere ciò che in quei capitoli ho ampiamente svolto. Le gravi perdite del 1915, in proporzione della forza che aveva l'esercito (vedansi le tavole 32 e 33 a pagg. 431 e 438 della relazione), sono essenzialmente dovute al fatto che mentre noi dovevamo necessariamente far guerra offensiva, scarseggiavano i mezzi necessari (specialmente in artiglierie pesanti) per condurla a fondo contro un esercito solido e tenace che di mezzi tecnici era assai più largamente dotato, che disponeva di formidabili posizioni difensive ben fortificate e che di questo nuovo sistema di guerra già aveva l'esperienza. Le gravi perdite sono però anche dipese da cattiva condotta tecnica delle truppe, per inesperienza di comandanti e perchè molti di questi all'avveduta condotta non erano preparati. E' tuttavia vero che taluna azione offensiva del 1915 avrebbe potuto essere accorciata; ma erano continue le informazioni dei comandi dipendenti e dei prigionieri nemici, secondo le quali il nemico era prossimo al cedimento e, persistendo noi ne1I1attacco, avrebbe ceduto. Anche il Comando Supremo doveva farsi una propria esperienza sui nuovi sistemi di guerra. E' facile giudicare a posteriori, ma la verità è che questa oscura fase nella evoluzione della dottrina di guerra l'hanno subita tutti, anche i francesi, e nessuno pensa a crocifiggere i loro capi militari. Anche essi, nel 1915, - e pure avendo l'esperienza del 1914 - hanno ordinato offensive sterili di risultati. Certo, quel169
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la nostra dell'autunno 1915 avrebbe potuto essere arrestata prima, tenuto conto dell?t insufficienza del nostro apparecchio offensivo. Ma che avrebbe detto il presidente del Consiglio del tempo, il quale male accolse in dicembre la notizia della sospensione delle operazioni, come ho esposto nel capitolo IV del libro succitato? Che avrebbe detto il Paese nel quale era cosi viva l'aspirazione al possesso almeno dì Gorizia? Eppure doveva ammonire l'esperienza dì quei sanguinosi cinquanta giorni di battaglia! Eppure dovevan persuadere alla sospensione il logoramento delle truppe e l'incrudire della stagione invernale! Ma l'esperienza n on andò p erduta, e fui proprio io ad ordinare la sospensione delle operazioni offensive in tutti quei casi in cui mi persuasi che il nostro logoramento sarebbe stato sproporzionato ai vantaggi, e quando molti comandi si ostinavano a persuadermi che, persistendo, si sarebbe ottenuto il risultato voluto. Cito, ad esempio, le operazioni controffensive sull'altopiano di Asiago nel giugno 1916 11 , l'attacco di M. Cimone in Val d'Astico, le operazioni ad oriente di Gorizia e le tre spallate sul Carso del 1916; l'attacco sull'altopiano di Asiago nel giugno 1917, l'attacco del Carso e del Monte S. Gabriele d ell'agosto 1917. L'esperienza aveva dimostrato che i m aggiori risultati, in relazione al nostro logoramento, si ottenevano nei primi due o tre giorni, e in seguito le perdite aumentavano in misura superiore ai vantaggi ottenuti. Diedi pertanto le più esplicite dispo-
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Con lettera del 21 giugno 1916 scrivevo al comandante della I Armata che potevo mettere a sua disposizione cinque divisioni per le operazioni controffensive che avevo ordinate sull'altipiano di Asiago, e soggiungevo: "Faccio presente però a V. E. che ove queste forze non dovessero servire che a trascinare un'offensiva logorante e sterile di risultati, riproducendo una situazione simile a quella che, per forza d'altre circostanze, si è stabilita sul Carso, io preferirei rinunciare senz'altro al loro impiego su questo fronte e provvedere impiegarle in altra direzione". Questa nuova direzione fu poi quella di Gorizia. 170
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sizioni perchè le azioni offensive fossero troncate appena appariva che le perdite erano sproporzionate ai risultati. Perciò l 1accusarmi ora di aver tollerato gli infecondi sacrifici di sangue è la cosa più ingiusta che immaginar si possa, e contro di essa io energicamente protesto. Probabilmente l1accusa è partita da taluno di coloro che avevano insistito per la continuazione degli attacchi, come altri (pag. 342 della relazione) mi biasimavano dei siluramenti dopo aver essi stessi ampiamente silurato quando io ero in auge! E che dire del generale Capello il quale, a pag. 125 del vol. II delle sue "Note di guerra", mi accusa «di non condurre mai a fondo nessuna azione»? O che per condurle a fondo dovevo persistere nell1infruttuoso logoramento anche quando la nostra avanzata determinava una necessaria sosta per portare innanzi lo schieramento di artiglieria, per riordinare le truppe, per provvedere ai servizi logistici ecc ... ? Allora si che si sarebbero visti crescere a dismisura gli irredditizi sacrifici di sangue! Ma questa del generale Capello era una concezione giusta nelle antiche guerre fino al 1870, non in quella che noi abbiamo combattuto! Le perdite furono oltremodo gravi in proporzione alle forze impegnate, nel maggio-giugno 1917; ma ciò in gran parte dipese - come dissi nel capitolo VIII del mio libro - da cattiva condotta tattica delle truppe: tant1e vero ciò, che mi senti in obbligo di tenere delle conferenze ai comandanti di corpo d 1armata delle due armate della fronte Giulia; e l'effetto fu che le perdite dell'agosto-settembre (operazioni della Bainsizza e del Carso) diminuirono sensibilmente in proporzione delle forze impegnate. Le perdite del 1918 furono le più scarse perchè, fino alla battaglia di Vittorio Veneto, non vi furono operazioni offensive e la sola battaglia difensiva, quella del giugno sul Piave, non durò che una settimana. In complesso la cifra totale di 378.010 morti durante tutta la 171
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guerra, data dalla tavola 32 della relazione, se è ingentissima in senso assoluto, è piccola relativamente al numero dei morti degli eserciti francese ed inglese. Secondo quanto fu pubblicato dai giornali, in Francia esso fu di 1.307.000 (di soli francesi senza tener conto dei coloniali) e in Inghilterra di 772.000. Come ho già detto, la forza dell'esercito italiano non doveva essere molto inferiore a quella dell1esercito francese, se si tien conto da un lato che la popolazione della Francia era leggermente superiore a quella dell'Italia e dall'altro del notevole continuo aumento della popolazione in Italia, il che ha per conseguenza che le classi giovani sono più numerose delle corrispondenti francesi. Si tenga pur conto che la Francia entrò in guerra nove mesi prima di noi, ma rimane pur sempre una enorme differenza a nostro vantaggio. E cosi pure rispetto all'Inghilterra, dovendosi tener conto che questa nazione n el 1915 non potè portare in linea che sei divisioni. Tale per noi favorevole risultato è certamente da ascriversi in parte alle disposizioni da me date per sospendere gli attacchi quando non erano più redditizi. Si addiviene cosi proprio alla conclusione opposta a quella cui la Commissione - colla scorta delle solite malevole testimonianze - è pervenuta. Del resto la stessa Commissione ammette ciò che ho scritto, poichè a pag. 60 della relazione essa scrive: "Ed ancora la Commissione arrunette che, nella concezione e nella esecuzione di parziali piccole o~erazioni , non poteva il Comando Supremo particolarmente i ngerirsi , mentre è provato che non di rado le sue dirett ive fu rono sorpassate e il generale Cadorna . stesso intervenne per far sospendere azioni sanguinose e scaramucce irredditizie che i dipendenti avrebbero proseguito (attacco di M. Cimone in Val d'Astice, attacco di M. S. Gabriele , ecc)" .
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E' pertanto sorprendente che, dopo aver scritto queste parole, la Commissione - con una delle sue abituali contraddizioni - mi rimproveri di aver «tollerato irredditizi sacrifici di sangue» ! E si noti, tollerato, non provocato. L'odiosa accusa di aver tollerato irredditizi sacrifici di sangue è apertamente smentita dalla mia circolare n. 750 G. M. del 20 settembre 1916 (una delle tante sull'impiego tattico delle truppe) la quale ha per oggetto: "Alcuni importanti ammaestramenti di esperienza". Di essa mi limito a riferire i seguenti brani che più particolarmente si riferiscono alla condotta delle truppe ed al loro massimo possibile risparmio nel combattimento: "Le azioni svoltesi in questi ultimi tempi nei vari tratti della nostra fronte confermano taluni sempl i ci ma preziosi insegnamenti : i n parte diretti, in quanto la buona applicazione fattane ne ha dimostr ato la sicura e fficacia ; i n parte indi retti , in quanto alla mancat a od imperfetta loro applicazione pratica ha visibilmente corrisposto in ciascun caso i l mancato od i mperfet to raggiungimento dell'obiettivo . Tali insegnamenti credo opportuno portare colla più assoluta obiettività a conoscenza di tutti i comandanti, perchè questi ne tengano il massimo conto nella condotta delle operazioni future . A) - Un primo importante accertamento di ordine generale , che trova e loquente confe.rma anche nelle ultime operazioni degli altri scacchieri europei, interessa la durata delle riprese offensive per rapporto ai risultati . In massima ogni attacco - preparato con molta cura e perizia, e largamente alimentato con tutti i mezz i occorrenti - porta in tempo relativamente assai breve, anche tal volta di primo impeto, ad un risultato soddisfacente od addiritt ura grande ; dopo di che l'equilibrio delle forze
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opposte si ristabilisce rapidament e , ed i successivi conati per ampliare il successo riescono sterili o quasi , sviluppandosi perciò i n condizi oni di svantaggioso r apporto fra il dispendio dei mezzi ed i risultati (quando pur non danno luogo ad arretramenti ). Nel primo giorno, insorruna , si ha generalmente i l massimo risultato con le minime perdit e ; dopo di che il rapporto tende a capovolgersi rapidament e . Occorre dunque saper cogliere senza ritardo quel punto critico, ed a tal punto saper fermare senza esi tazione l e operazioni offensive , per consolidate rapidamente i vantaggi conseguiti, e quindi r icominciare la metodica e completa preparazione di un nuovo sbalzo. Questo sistema offre, fra gli a ltri, il gra ndissi mo vantaggio della maggiore possibile conse rvazione dei mezzi per gli s forzi successivi ; esso inoltre mant iene integra quella grande forza morale che deri va dal veder corr i spondere ad ogni ripresa nostra azione un sicuro vantaggio, sia pure di lieve entità ; laddove il s istema dell ' insi stere ad oltranza - i n condizioni s empre meno buone - contro obietti vo non potutosi raggiungere di primo impeto dà luogo ad un progressi vo smorzamento di energia e di f i ducia, spiegab ilissimo da l punto di vista umano, e militarmente a ssai dannoso . B) - I l tratto di fronte da attaccare .. . C) - Nel tratto da attaccare l 'annientamento delle difese nemiche dev 'essere pieno ed assoluto . Non si deve attaccare se non si siano prima raccolti e predisposti con cautela (in misura s icuramente efficiente , meglio s e sovrabbondante) gli strumenti destinati ad operare di sorpresa la simultanea e comple ta distruzione dell'ostacolo su tutta l a fronte d ' irr uzione . Al calcolo di questi mezzi (essenzialmente bombarde) deve darsi importanza grandissima . . . 174
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. Nella distruzione dei trinceramenti e reticolati alla quale concor rono con le bombarde anche le a l tre artiglierie - secondo i noti criteri - lo scopo da raggiungere è questo: che al momento della irruzione delle fanterie nella linea nemica non costituiscano eccezione i varchi praticati bensì i t ratti rimast i intatt i ... " In una successiva circolare n. 750 bis del 17 ottobre 1916 avente per oggetto: «Altri ammaestramenti di esperienza» si leggono le seguenti parole: "In sostanza si deve tendere a l lo s f ruttamento massimo dei risultati dell'azione distruggitrice delle art iglierie, col minimo possibile di perdite. Le fant erie sono di giorno i n giorno più preziose, soprat t utto per le crescenti difficoltà di recl utarne i quadri; esse rappresent ano un'ener gia che deve essere spesa con giudizio". Per ottenere questo sfruttamento massimo dei risultati dell'azione dell'artiglieria col minimo di perdite sarebbe stato necessario sopperire alla insufficienza tecnica delle truppe e di molti comandanti con un'istruzione intensiva delle truppe in riposo. Ma, oltrechè queste erano poche, tenuto conto della grande estensione del fronte, che ne assorbiva la maggior parte, debbo rilevare che furono aspramente criticati gli ordini dati per l' istruzione delle truppe in riposo, quasi che essi mirassero a produrre un inutile esaurimento.12 La ritirata al Piave accrebbe notevolmente la possibilità di tene12
Questo dimostra l'inettitudine dei comandi di compagnia: infatti, un buon istruttore non ha difficoltà a far comprendere ai soldati che l'addestramento gli salva la vita. [C.C.) 175
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re le truppe in riposo, e perciò di svilupparne l 1istruzione. La fronte viva, fra il lago di Garda ed il mare, fu ridotta da 470 chilometri a 230 circa, e, tenuto conto delle truppe disponibili, si ebbe, prima di Caporetto, una divisione ogni 6,8 chilometri, e dopo Caporetto una divisione ogni 4,5 chilometri. Non v 1ha chi non veda quale grande vantaggio tale fatto abbia rappresentato per l1istruzione delle truppe e per la conseguente diminuzione nei sacrifici di sangue. Terminerò ora di discorrere degli irredditizi sacrifici di sangue, riferendo le seguenti sagge parole tolte dall 1articolo «La inchiesta su Caporetto e I1Inghilterra» pubblicato sul Corriere della Sera del 6 settembre 1919:
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"La condotta della guerra inglese sul fronte occidentale presenta punti di rassomigl ianza coll e cruenti operazioni svoltesi sul nostro fronte . Anche gli Inglesi non erano pronti a f ronteggiare il nemico . Non e rano pronti nell 'agosto 1914, e non lo erano un anno più tardi, non già perchè mancassero di uomini, ma perche non s ' improvvisa in un anno l'immenso armamento del quale i nemici , avendo meditato per anni l'aggressione contro I' Eur opa, erano stati i soli a prevedere l a necessità . Tutt i ricordano che l' eserci to inglese non e ntrò in campo , come un fat tore formidabile, che nel l a estate del 1916 , colla battagl i a della Sormne; ma l ' insufficienza di mezzi non aveva i mpedito, prima al generale French, poi al generale Haig, di sacrificare centinaia di migliaia di uomini in sanguinose offensive contro posizioni la cui conquista non avrebbe in ogni caso modificato sostanzialmente la situazione militare . Bisognava logorare il nemico, bisognava impedirgli di approfi ttare della sua superi orità per concentrare il gr osso delle sue for ze in un dato s ettore del la fronte e sfracellare con impeto irresistibile le difese degli alleati . 176
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Ma nessuno pensò al lora e nessuno crede oggi che l ' eroica ostinazione con cui gli Inglesi si accanirono per mesi contro Loos, contro Lens, contro Paeschandaele, puntando con di sperata tenacia su Messi nese su Lille, su Cambrai e s u Bapaume, profondendo fiumane di sangue in attacchi contro difese che pa r evano ed erano allora inespugnabili, sia stat o uno sforzo sterile o un del ittuoso spreco di vite. Occorreva, non solo agguerri re l e proprie f orze, ma anche scemare le forze del nemi co pe r impedirgli di conservare sino alla fine l'immenso vantaggio con cui aveva iniziato la guerra".
4. - La coesione organica. Chi non sa che la coesione organica è una delle maggiori sorgenti di forza dei reparti? Chi ne era più di me convinto? Ne è prova la circolare del 17 giugno 1916, della quale ho già citato qualche brano e che fu integralmente inserita nella già citata Antologia del popolo italiano di Giuseppe Prezzolini Tutta la guerra. Ecco quanto in essa è scritto: II - Coesione dei reparti. 1° - Sul campo di battaglia solo i vincoli _organic i e disciplinari costringono il soldato, anche se di cuore vacillante, a compiere t utto lo sforzo morale e materiale di cui è capace. Da un anno si combatte in trincea. La vita di trincea, però, se affratella gli individui, tende a rallentare i vincoli disciplinari e ad affievolire l a coesione dei reparti. Si ridia dunque vigore alla disciplina, nella sua essenza fondamentale ed i n tutte le sue manifestazioni est eriori (vestiari o, obbligo del saluto, sfi lamenti i n ordine chiuso, ecc.). 2° Anche nei reparti maggiori sono sorgente di for za collettiva lo spirito di corpo, le tradizioni 177
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comuni, l'aff iatamento fra le varie unità, fra i comandant i di vario grado. Di fronte al nemico è più che mai necessario che ogni unità, piccola o grande, operi agli ordini del suo capo naturale. 3° - I raggruppamenti tattici occasionali, formati con unità · tratt e da reggimenti vari, o da brigate di verse, ecc., siano un'eccezione, non la regola. Le dipendenze sul campo di battaglia sono sorgente di coesione, e quindi di forza, solamente se coincidono coi t r adizionali vincoli organici e disciplinari. La divisione del fronte in settori, ammessa nella difens i va, riesce e f ficace sol tanto quando a ciascun settore corrispondono uni tà organiche sottoposte al proprio comandante.
Queste le mie idee, le convinzioni da lunga data. Ma la Commissione che mi biasima per la scarsa coesione organica dell'esercito può avere pensato che - come il padre Zappatapredicavo bene e razzolavo male: giudizio anche questo che merita qualche considerazione. Anzitutto il brano che ho scritto dimostra quanto mi stessero a cuore le questioni morali, contrariamente a ciò che la Commissione ad ogni passo afferma per suffragare la sua tesi, cioè che in me le questioni tecni<She avessero il sopravvento sulle morali. E, dato il mio temperamento, che mi porta a passare decisamente dal concetto alla pratica attuazione, è da arguire che se non sono riuscito ad attuare interamente ciò che pensavo si è perchè ho incontrato difficoltà insormontabili. E la Commissione, a pagg. 428-429 della relazione, espone queste difficoltà e se ne rende conto, pur dopo avere ascoltato, come al solito, innumerevoli critici, i quali, invece di considerare il complesso poliedro delle questioni, non ne scorgono che una faccia.
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Per esempio, sulla inscindibile unità organica della divisione, per ottenere la quale ho emanato molti ordini, la mia volontà si è sempre infranta contro le considerazioni che i comandanti di armata mi esponevano e che erano, in verità, di molto peso: sono quelle che sono pure esposte dalla Commissione a pag. 425, ed alle medesime io ho dovuto arrendermi. Quando il fronte fra il lago di Garda e il mare fu, in seguito alla ritirata, disgraziatamente ridotta a meno di metà, mentre le forze non erano ridotte che di un quinto (comprendendo anche le divisioni alleate), molte cose diventarono più facili: aumentarono notevolmente le riserve, donde la maggiore facilità di impartire efficaci istruzioni, di rendere più frequenti i turni di riposo, ed anche di mantenere l 1unità organica delle divisioni, perchè l 1artiglieria, in proporzione dello sviluppo del fronte, era più numerosa, e perciò si poteva senza danno ritirare quella delle divisioni che si arretravano, ed inoltre perchè sul terreno piatto ed uniforme della riva del Piave, che si poteva rapidamente riconoscere, non occorreva più mantenere continuamente i medesimi comandi; nè ivi vi furono, sino alla fine della guerra, lunghe e logoranti azioni offensive che costringessero a frequenti cambi delle truppe combattenti in prima linea, senza · possibilità di ritirare le artiglierie dal fronte. Malgrado questi vantaggi, son certo di essere nel vero affermando che, anche nel secondo periodo della guerra, non sempre furono adoperate le divisioni organicamente. Le condizioni furono, sotto tanti aspetti, così diverse nel primo e nel secondo periodo della guerra che è assurdo fare continuamente i confronti dei quali la Commissione si compiace. Malgrado la semplificazione che la ritirata al Piave aveva prodotto, le difficoltà rimasero tali che in una conferenza tenuta dal sottocapo di Stato Maggiore dell 1esercito (generale Badoglio) presso il Comando della I Armata il 28 settembre 1918, egli disse che, per quanto si fosse fatto per eliminare gli inconve179
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nienti di cui sopra, si era ancora lontani dal1 1avere le truppe, i comandi e i servizi nelle condizioni volute. Occorreva pertanto che tutti persistessero con opera tenace ad eliminare gli inconvenienti che ancora si verificavano nei quadri, nei reparti e nei servizi, ed a facilitare l'attuazione dei provvedimenti organici atti a completare tale lavoro di riorganizzazione e di preparazione. Dunque, se tali erano le condizioni quand'era trascorso quasi un anno dal giorno in cui abbandonai il Comando, non è a stupire che fossero peggiori quando l'esercito occupava un fronte doppio ed era spesso impegnato in lunghe e logoranti azioni offensive. Uno dei più importanti fattori della coesione organica è l 1affiatamento, e perciò la stabilità dei quadri e degli uomini di truppa, e per conseguenza il ritorno ai loro reparti quando cessano le cause che li hanno fatti allontanare (ferite, malattie, ecc.). Ma diverse cause impedirono la stabilità dei quadri: le ingenti perdite che tosto si dovevano ripianare ed il continuo ingrandimento del11esercito negli anni 1916 e 1917 col conseguente notevole numero di promozioni, oltre alla creazione dei corpi speciali quali i bombardieri ed i mitraglieri; poichè, durante tutto il tempo in cui ressi la carica di capo di Stato Maggiore, mentre si combatteva si lavorò ad ampliare e ad organizzare l'esercito. Di queste due cause, la prima diminuì' notevolmente nel 1918 e la seconda venne del tutto a mancare, donde una naturale molto maggiore stabilità nei quadri, senza merito di nessuno. Quanto alle truppe, chi non vede che sarebbero stati utilissimi il mantenimento del filo di congiunzione tra i reggimenti ed i loro depositi, il costante reclutamento dei reggimenti dai propri depositi, ed il ritorno ai propri reggimenti dei feriti, ammalati, ecc.? Ma era ciò possibile? Anzitutto, vi fu grande sperequazione nelle perdite dei vari reggimenti, e la rigida applicazione di tale sistema avrebbe condotto ad aggravare in eccessiva misura
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alcune regioni, in confronto con altre, nel tributo di sangue. In secondo luogo, per il buon funzionamento delle truppe di complemento si dovettero costituire i battaglioni di marcia, e questi non si potevano tener legati ai reggimenti, ma dovevano gravitare su quelle fronti dove, svolgendosi la battaglia, si rendeva necessario il ripianamento delle perdite. Come avrei potuto sottrarmi a queste ferree necessità? Nel 1918, non essendovi stata che una sola battaglia importante, quella del Piave - ed anche questa di breve durata - anche tale causa di perturbamento della coesione organica diminuì notevolmente. Poichè la Commissione continuamente insistette nei confronti fra i due periodi, precedente e susseguente al novembre 1917, sono stato costretto, mio malgrado, ad occuparmene anch'io, per mettere in evidenza le capitali differenze, a danno del prim o; e ciò, ben inteso, senza alcuna intenzione di attenuare i meriti del nuovo Comando, ma soltanto con quella di mettere in luce le difficoltà contro le quali dovevo dibattermi - difficoltà delle quali la Commissione non ha tenuto alcun conto. Spero di aver dimostrato che i presu nti errori nel governo degli uomini avevano radici e ragioni ben più profonde di quelle dai più grossolanamente pensate o ad artificio ingrandite. E con ciò sono ben lungi dal pensare che errori non possono essere stati commessi, essendo essi inseparabili dalle opere umane, e specialmente in cosa di cosi difficile maneggio quale quello di così grandi masse armate. Dico soltanto che, quali che siano stati tali errori, essi furono ben lontani dall'assumere la gravità che la Commissione ha voluto in essi riconoscere per poter attribuire loro il disastro. Non posso, finalmente, chiudere questo capitolo dedicato al governo degli uomini senza riferire le seguenti parole dette dal generale Badoglio, (allora capo di Stato Maggiore dell'esercito) 181
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in una intervista, e pubblicate dal giornale Il Tempo del 4 novembre 1920, il giorno in cui si celebrava in Roma la festa della vittoria. Alla domanda: «E del generale Cadorna a Caporetto ?» cosi rispose il generale Badoglio:
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"Ella comprende come su tale questione io debba mantenere il più grande riserbo. Ma una cosa sento il dovere di dire, che da Caporetto al Piave la figura del generale Cadorna è quella di un gigante morale. Pensi che cosa significa comandare un esercito in parte del quale i vincoli organici sono allentati, ove mancano i mezzi di comunicazione, ove la ritirata delle truppe è quasi impedita dall'esodo degli abitanti, ove le perdite di materiale tolgono la possibilità di resistenze diverse ... E dire a questo esercito in un certo momento: A lt! Fronte al nemico! Qui si salva l'Italia! Questo fece il generale Cadorna sul Piave. Ed è la dimostrazione più eloquente dell'imperio che il generale esercitava su se stesso e sulle truppe". Questo disse nel giorno solenne consacrato alla vittoria il legittimo rappresentante dell'esercito. Ora io domando: come sarebbe stato possibile che in un così grave frangente, quando tutto concorreva ad allentare i vincoli organici, io avessi potuto esercitare un qualsiasi imperio sulle truppe se ne avessi fatto quel malgoverno che la Commissione d 'inchiesta pretende e che, secondo lei, sarebbe stata la causa principale del disastro? E ancora: se fosse vero che mediante il malgoverno degli uomini io fui la causa principale del disastro di Caporetto; se fosse stato vero ch'io fui quel Nerone che la Commissione d'inchiesta vuol lasciar credere che fossi, i combattenti avrebbero dovuto odiarmi mortalmente. E allora come si spiega che nelle spontanee ed entusiastiche dimostrazioni cui son fatto segno ormai ovunque mi reco (scrivo queste parole alla fine del 1922),13 sono 182
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proprio i combattenti quelli che maggiormente mi festeggiano? Dirò di più: il 6 novembre 1917, proprio mentre interminabili torme di sbandati coprivano tutte le strade della regione veneta, si trasferiva il Comando Supremo da Treviso a Padova, ed io feci questo tragitto in automobile accompagnato dal solo generale Giardino. Eravamo senza scorta e senz'armi (e a che avrebbero servito le armi in quelle contingenze?). Passammo attraverso una lunghissima colonna di sbandati. Qual migliore occasione per ingiuriarmi impunemente, e peggio! Ebbene, non una voce, men che rispettosa, parti da quella turba! Come si concilia questo fatto colle stolte accuse rivoltemi dalla Commissione d'inchiesta?
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Lascio queste parole tali quali le scrissi alla fine del 1922; ma debbo ora aggiungere (maggio 1926) che le dimostrazioni degli ex combattenti non solo nel seguito non diminuirono, ma ingrandirono sempre più, e furono quelle che maggiormente mi commossero e più mi soddisfecero, perchè distruggevano la stolta e maligna accusa del malgoverno degli uomini. 183
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CAPITOLO IV CRITICHE DI ORDINE MILITARE-TECNICO
Nelle sue «Conclusioni» la Commissione d 1inchiesta enumera, a pag. 556 della relazione, le critiche di carattere strettamente militare: al generale Cadorna: per non avere adeguatamente curato la disponibilità di riserve strategiche organicamente costituite, la costruzione, il coordinamento e il mantenimento di talune linee difensive, lo studio preventivo di un eventuale ripiegamento, il collegamento della II Armata colla zona Carnia e l'opportuno scaglionamento a distanza dalle prime linee dei magazzini e dei depositi. Tali critiche dovrebbero bensì essere aggravate per la inadeguata valutazione degli avvenimenti del Trentino, i quali potevano e dovevano suggerire utili ammaestramenti; ma si deve tuttavia tener conto che l1esame dell 1opera del generale Cadorna è stato esteso all1intero periodo della guerra, e che a lui si devono pur riconoscere benemerenze per quanto concerne l1apparecchio militare, nonchè il merito di avere strategicamente ben guidato l 1esercito nel difficilissimo ripiegamento dal11Isonzo al Piave. Debbo anzitutto constatare che nessuna critica vien qui fatta ai concetti d 1ordine strategico e alle disposizioni date per la difesa della linea dell'Isonzo nell'ottobre 1917. Per quanto concerne la ritirata al Piave la relazione contiene anzi parole d'alto elogio, quali le seguenti a pag. 80: Ne1I1insieme perciò la Commissione riconosce che i criteri generali con i quali venne dal Comando Supremo diretto il ripiegamento dall'Isonzo al Piave corrisposero alle necessità della tragica situazione ed alle esigenze che nelle varie fasi vennero per via di fulminee sconfortanti notizie delineandosi. Nella concezione delle direttive la Commissione vede un merito del gene184
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rale Cadorna, il quale, nel subitaneo crollo della nostra fortuna militare, mantenne serenità di spirito pari alla gravità dell'ora, intravide lucidamente gli effetti delle singole mosse del nemico, concepì con perizia strategica ed attuò con fermezza e rapidità le dolorose misure che ormai la situazione esigeva per condurre in salvo l'esercito. Le critiche fattemi si riferiscono tutte a punti di ordine secondario e che non sono stati cause determinanti del disastro. Quella poi relativa al Trentino non vi ha nulla a che fare e richiederà per parte mia un ampio sviluppo. Esaminerò ora queste critiche una ad una. 1. - Le riserve strategiche. Non mancarono, come al solito, molte critiche alla scarsità delle riserve, essendo stato perfino affermato (pag. 62 della relazione) «che la scarsità di riserve sia stata difetto pressochè costante della condotta della nostra guerra fino al 1917 e che culminò nella necessità di costituire la V Armata con elementi rapidamente sottratti alla fronte Giulia all'epoca dell'offensiva austriaca del Trentino». Tali affermazioni non hanno fondamento. Nei primi tempi della guerra lasciai 7 divisioni in riserva strategica organicamente costituita (ossia un quinto della forza totale), dislocate tra il lago di Garda e Bassano. Nel 1916 vi erano pure 7 divisioni (X e XIV Corpo e 27a Divisione) in riserva strategica sul Tagliamento, le quali furono subito trasportate sulla fronte Trentina, e se fu necessario costituire in seguito la V Armata con elementi in gran parte rapidamente sottratti alla fronte Giulia, ciò fu dovuto all'improvviso aggravarsi della situazione sull'altipiano di Asiago al di la di ogni legittima previsione. Si noti poi che non tutte le unità della V Armata provenivano dalla fronte Giulia, poichè alcune erano di nuova costituzione e provenivano dall'Albania o dalla Libia. Dello scaglionamento delle riser185
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ve e del loro impiego nel 1917, specialmente nella grande operazione dell 1agosto, ho discorso nei relativi capitoli del mio libro: La guerra alla fronte italiana. Non mi soffermo a lungo su queste critiche, poichè la Commissione si è convinta (pag. 64): «che le riserve del Comando Supremo fossero per quantità sufficienti ad affrontare, anche in lotta di lunga lena, l 1urto nemico». Però la Commissione tosto soggiunge che «il complesso delle altre ragioni sopra accennate non vale a scuotere nella Commissione la convinzione che le conseguenze dell1offensiva austro-germanica alla fronte Giulia sarebbero state attenuate se quelle forze fossero state stabilmente raggruppate in grandi unità e quindi dotate di coesione organica e capaci di svolgere un compito autonomo quale avrebbe potuto essere la difesa di una linea retrostante od una azione controffensiva». I 114 battaglioni della riserva a disposizione del Comando Supremo il 24 ottobre 1917 erano ripartiti in divisioni, taluna, vero, scarsa ed anche priva di artiglieria, perchè nella deficienza totale di artiglierie leggere era stato giudicato pericoloso sottrarne altre al fronte. 1 La Commissione avrebbe voluto che queste divisioni fossero state costituite in corpi d 1armata, e questi in una armata di riserva, come fu la IX nel 1918 che essa cita ad esempio. Ora io non faccio confronti con quanto fu effettuato in circostanze diverse nel 1918, e mi limito a considerare il caso concreto del1 1ottobre 1917. E dico che se la riserva generale fosse stata costituita in una armata organica, non sarebbe stata disio1
Quanto dico è confermato dal fatto che il 24 ottobre 1917 sulla fronte dal Rombon al S. Gabriele incluso, noi avevamo bensì in totale 2199 pezzi (contro i 2485 austro-tedeschi, ma solo 967 pezzi di piccolo calibro contro i 1910 campali nemici (pag. 200 della relazione).
Alla luce degli ultimi studi, i pezzi austro-tedeschi risultano in realtà, quasi 3000. [C.C.] 186
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cata differentemente da quello che fu, perchè la sua dislocazione fu suggerita dalle considerazioni già ampiamente svolte nel capitolo X del mio libro: La guerra alla fronte italiana, le quali si riassumono nella necessità di far fronte non solo al1 1attacco contro la fronte Plezzo-Tolmino, ma anche a quello possibile nella regione goriziana e sul Carso. Nè l'impiego sarebbe stato diverso da quello che fu, perchè nel subitaneo crollo della fronte tra Plezzo e Tolmino, nel1 1improvviso spalancarsi di così vasta breccia, nessuno avrebbe potuto pensare a riunire la supposta armata - la qual cosa avrebbe richiesto tempo - e ad adoperarla in una grande azione controffensiva contro un nemico vittorioso, che si era intanto impossessato di posizioni formidabili. In quella difficile situazione null 1altro sì poteva fare che cercar di tamponare la breccia per trattenere il nemico e dar tempo di guarnire la linea del Tagliamento con una parte delle forze della riserva. E1 appunto ciò che fu fatto. Le forze della riserva che operavano nella zona della II Armata dovevano necessariamente passare agli ordini di questa, ed il comando del1 1armata di riserva, se ci fosse stato, sarebbe diventato superfluo. Ora io non credo che si dovessero creare dei comandi non necessari, tanto più colla difficoltà in cui eravamo di trovarne il personale. La Commissione dice che l 1armata di riserva avrebbe potuto essere impiegata «a svolgere un compito autonomo quale avrebbe potuto essere la difesa di una linea retrostante». Questa non poteva essere che la linea del Tagliamento; ma già dissi poc 1anzi che una notevole parte della riserva la si dovette impegnare per tamponare la breccia, allo scopo di trattenere il nemico, il quale, altrimenti, sarebbe giunto rapidamente al Tagliamento mettendo in gravissimo pericolo la III Armata. Perciò l'armata di riserva non avrebbe potuto mai avere il compito autonomo di difesa del Tagliamento. Su questa linea si stavano ritirando la II e la III Armata, e l 1ar187
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mata di riserva - se ci fosse stata - avrebbe dovuto necessariamente scindersi fra quelle due; ma è evidente che prima occorreva provvedere al11arginatura, il che si tentò di fare. La funzione delle riserve in questa guerra è sempre stata quella di tamponare le brecce della difensiva o di alimentare l'offensiva, sia rafforzando le truppe che si fossero aperte un varco, per dilagare al di là, sia dando il cambio alle unità logorate dalla battaglia. Così la riserva del maggio-giugno 1915 fu portata dalla fronte Trentina alla fronte Giulia per alimentare l'offensiva. Quella del maggio 1916 fu trasportata sulla fronte Trentina per chiudere la breccia ivi apertasi. La V Armata, quando nel giugno 1916 svanì l'eventualità di doverla adoperare contro il nemico che fosse sboccato in pianura, fu adoperata ad alimentare l'offensiva sugli altipiani ed a sostituire le unità logore. La stessa cosa avvenne nelle battaglie offensive del 1917. Perfino la IX Armata, citata ad esempio dalla Commissione, pur costituendo essa nel giugno 1918 riserva strategica, non venne impiegata in azione autonoma, ma funzionò come serbatoio delle armate sfondate (VIII e III), e ad esse cedette, una dopo l'altra, le sue divisioni, fino a rimanere costituita di due divisioni residue. Non altrimenti il maresciallo Ludendorff nell'autunno 1918 impiegò la sua armata di riserva, cercando di tamponare i tratti sfondati, ma non la impiegò in azione autonoma. Nè risulta che il maresciallo Foch abbia adoperato nel 1918 armate autonome di riserva quando i tedeschi si incunearono nelle linee franco-inglesi verso Amiens e Chateau Thierry. Tale è il carattere della guerra moderna, colle sue enormi fronti di combattimento, che rendono impossibile o quasi l'impiego autonomo delle riserve strategich e. Ma di questa guerra nessuno dei membri della Commissione aveva fatto personale esperienza; si comprende perciò come essa abbia potuto addivenire a differente conclusione! 188
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2. - Le linee difensive. La relazione, dopo aver esposto le solite e inevitabili critiche dei testimoni, viene alla conclusione (pag. 88) che «astraendo dalla concezione ed ubicazione e considerando solo lo stato di efficienza delle linee, la Commissione ritiene lievi e talvolta perfino trascurabili i difetti rilevati in alcuni tratti delle difese, le quali, in complesso, presentavano buone condizioni di resistenza; e deve ben far notare come ogni maggiore sforzo per migliorarle avrebbe, per converso, ulteriormente affaticato ed esaurito le truppe.» Posso perciò dispensarmi, per brevità, dal discutere questo punto. Ma, poco dopo, a proposito del disarmo della linea del Tagliamento, la Commissione, pur giustificando il disarmo stesso, fatto nel 1915 per la deficienza di artiglierie di medio calibro al principio della guerra, soggiunge (pag. 92) che «la riorganizzazione della linea del Tagliamento, coi criteri suggeriti dall 1esperienza di guerra, sarebbe stata nel 1917, allorchè i mezzi non più difettavano, una consigliabile misura prudenziale, specie dopo che nel 1916 la eventualità di un ripiegamento della fronte Giulia si era seriamente presentata.» Su questo punto mi debbo alquanto soffermare perchè evidentemente ad esso si riferisce la critica sulle linee difensive. Ed osservo:
1° - Che se nel 1917 i mezzi non difettavano in senso assoluto, erano scarsi in senso relativo, ossia in rapporto alle grandi operazioni offensive che si stavano eseguendo: tant1e vero che gli Alleati, per infondere maggior vigore alle nostre operazioni offensive, ci inviarono in quel1 1anno 200 pezzi, e noi sperammo sempre che ne avrebbero inviati altri: di ciò ho ampiamente discusso nei capitoli VIII e IX del libro: La guerra alla fronte italiana. Non dunque mentre si ricevevano 200 pezzi dagli Alleati, per un determinato scopo, io potevo farne ritirare altrettanti dei nostri dalla fronte per riarmare la linea del Tagliamento, soltan189
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to come misura precauzionale per un caso che in quel tempo sembrava lontano da ogni possibilità. 2° - Le vastissime teste di ponte, costruite per proteggere la radunata del1 1esercito e per dare appoggio a grandi manovre controffensive, e composte ciascuna di poche batterie, erano meno adatte a coprire una ritirata. A questo scopo meglio valevano teste di ponte di minor svilu ppo in vicinanza dei ponti ed armate di numerose artiglierie da campagna che avrebbero efficacemente spazzato tutto il terreno circostante; poichè in questo caso si trattava di batter truppe e non di abbattere ostacoli per i quali si richiedono i medi calibri. Io non intendo discutere il modo col quale fu organizzata prima della guerra la linea del Tagliamento; nè se meglio sarebbe stato costruire altra linea più avanzata che coprisse anche la città di Udine. Dico soltanto che la linea esistente aveva scopo di appoggio alla manovra, come lo provano la grande ampiezza delle teste di ponte e l 1andamento a tenaglia della cornplessiva fronte per poter operare contro i fianchi del nemico. Che poi queste fortificazioni, sebbene appena costruite, mal corrispondessero ai bisogni della guerra moderna, lo dimostra anche il fatto che, dopo la ritirata al Piave, il Comando Supremo succeduto al" mio non volle più riarmare le fortificazioni del campo trincerato di Mestre che era stato d a me disarmato; così la protezione di Venezia rimase unicamente affidata alla linea del Piave. 3°- Nella p enuria dei lavoratori, che mai non bastarono neppure per le prime linee, anche p erchè una ingentissima quantità di operai fu assorbita dal vasto sistema fortificatorio costruito al confine svizzero, io pensavo che le piccole teste di ponte necessarie a coprire la ritirata potevano essere costruite durante la difesa della linea dell1Isonzo, e non doveva mancare a ciò il ]~
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tempo, tenuto conto della forza naturale delle posizioni della fronte isontina, delle successive linee difensive organizzate e dei rapporti di forza tra il nemico e noi. Gli avvenimenti si svolsero invece con una rapidità che io non potevo, anzi non dovevo prevedere, perchè se un generale dovesse mettere in equazione anche le eccezionalissime circostanze che si sono prodotte nel1 1ottobre 1917, nulla più gli sarebbe possibile e qualunque piano sarebbe basato sul vuoto. 2 Fu costruita la sola testa di ponte di Ragogna perché, il terreno essendo ivi roccioso, i lavori non potevano essere ivi improvvisati; come pure furono costruiti trinceramenti sulla destra del Tagliamento in corrispondenza dei ponti. Tutto ciò prova che alla eventuale difesa di questa linea non si era mancato di pensare; come si pensò in tempo al campo trincerato di Treviso ed ai lavori del Piave-Sile e del M. Grappa: lavori che la Commissione loda (pag. 94-95) e senza dei quali la linea del Piave sarebbe inevitabilmente caduta nel novembre 1917, determinando una situazione oltremodo grave. Per tutte le ragioni accennate, concludo che le fortificazioni del Tagliamento non si dovevano riarmare e che sulla linea di que2
A pag. 133 della relazione, quando si tratta di scusare il generale Badoglio per la mancata organizzazione della difesa all'estrema sinistra del XXVII Corpo d'Armata tra M. Plezia e l'Isonzo, la Commi<,sione scrive che, salvo il caso di profetica visione dell'avvenire, la soluzione sopra ricordata di addensare maggiori forze della Napoli a guardia della Valle Isonzo sarebbe apparsa come un eccesso di impiego di forze su prime linee, a danno dello scaglionamento in profondità; ecc ... Anche a me sia concesso di invocare la mancata profetica visione dell'avvenire, come attenuante almeno, in questo caso e in altri che sono stati oggetto delle critiche della Commissione, e nei quali ciò che è accaduto non poteva e non doveva essere previsto; mentre neJ caso contemplato dalla Commissione si trattava soltanto, per parte del comandante del XXVII Corpo, di dare esecuzione ad un esplicito ordine del comandante dell'Armata; ordine necessario per stabilire la continuità dell'occupazione lungo il fronte, in uno dei tratti più accessibili di questo. 191
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sto fiume si fece quanto le circostanze del momento suggerivano ed i mezzi consentivano. Nel fatto poi, la Commissione riconosce a pag. 238 che «concordi furono i referti circa la limitata forza dei nuclei nemici entrati in azione alla testata sinistra dei ponti.» A che cosa dunque avrebbero servito contro quei nuclei le scarse artiglierie di medio calibro delle grandi teste di ponte permanenti? Riferendosi ai lavori difensivi del massiccio del Grappa, la relazione a pag. 23 dice essere stato da taluno (fra cui un comandante di armata) asserito che «gli studi erano stati compiuti per una fronte rivolta ad occidente, e cioè per ostacolare un1avanzata dal Trentino, nell'ipotesi che noi fossimo padroni del terreno ad oriente del Brenta. Tale asserzione non ha fondamento3• Che si sia data la precedenza ai lavori rivolti verso il Trentino, collegandoli attraverso il Brenta coll'altipiano di Asiago, tra Col Moschin e Col d 1Astiago, in modo da imbottigliare il nemico nel profondo solco del Brenta, quando fosse riuscito a scendervi dalla parte settentrionale del11altipiano di Asiago, è verissimo; ed è anche naturale, dato che nel momento in cui i lavori furono iniziati era meno probabile un attacco sul fronte orientale. Ma che a questa non si sia pensato, è cosa smentita dai fatti. Come avrei potuto pensare alle fortificazioni di Treviso e a quelle del Sile e del Piave, senza saldarle al M. Grappa? Ricordo gli studi eseguiti per fortificazioni sul Montello, e tra il Montello e il M. Tomba, e come nella primavera del 1917 mi recassi io stesso a riconoscere la linea del Piave tra il Montello e il M. Tomba e nel11autun3
Testimonianza Gen. Dal Fabbro, Comune di Milano, Storia contemporanea, cartella 548,1: "Questa posizione deve essere resa imprendibile da tutte le diJ'ezioni: se dovesse succedere qualcosa lassù (Tolmino) è qui che verrò a piantarmi con l'esercito". - "Senza i lavori voluti dalla previdente genialità del Grande Capo, la linea non avrebbe potuto resistere all'attacco austrotedesco". [C.C.J 192
Critiche di ordi."'le militare-tecnico
no la conca di Alano. Perciò quello che fu asserito alla Commissione da malevoli testimoni non ha fondamento alcuno. 3. - Studio di un eventuale ripiegamento. La relazione, dopo aver rilevato a pag. 236 che tra le cause d ell'ingorgo delle comunicazioni nella ritirata al Tagliamento vi è quella della sproporzione tra la massa in movimento e il numero limitato di itinerari indipendenti, osserva che «la limitazione degli itinerari indipendenti derivò soprattutto dalla deficienza dei passaggi esistenti sul Tagliamento; e la Commissione ritiene che u na m aggiore previdenza avrebbe dovuto il Comando Supremo esplicare sia nella preparazione e dislocazione di abbondante m ateriale per il gettamen to di ponti e per il ripristino dei passaggi in caso di interruzione, sia particolarmente nell'adattamento dei ponti ferroviari al transito di colonne a piedi, sia soprattutto nella costruzione di tronchi stradali o anche di semplici piste indipendenti tra le rotabili che confluivano a Codroipo ed ai ponti, la dove appunto si verificò il massimo ingorgo. Ripeto: molte disposizioni sarebbero state prese al momento del bisogno, e non sarebbe m ancato il tempo di attuarle se il disastro non avesse assunto proporzioni e forma che erano e dovevano essere imprevedibili. E1 superfluo parlare di abbondante materiale da ponte da riunirsi presso le rive del fiume mentre la piena impedì il gettamento, che avevo ordinato, di due nuovi ponti e ne asportò altri due. Si aggiunga che si fecero saltare prematuramente i tre ponti di Codroipo, e con questi sono sette i p onti che sono venuti a mancare degli undici di cui si doveva disporre. Se tali infauste circostanze - che anche la Commissione attribuisce a forza maggiore - non fossero sopravvenute ad aggravare di tanto la già difficile situazione, ognun vede in quali migliori '1 93
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condizioni si sarebbe svolta la ritirata attraverso il Tagliamento. L'adattamento dei ponti ferroviari al transito delle colonne a piedi non poteva, evidentemente, esser fatto in precedenza perchè i trasporti ferroviari si effettuarono fino all'ultimo. Quanto ai tronchi stradali indipendenti tra le rotabili che confluivano a Codroipo e ai ponti, è verissimo che sarebbero stati molto utili. Ma, anche senza tener conto del fatto che, in seguito alla distruzione dei ponti, tali tronchi stradali non avrebbero servito, si deve notare che tutta la pianura sulla sinistra del Tagliamento, dallo sbocco di questo fiume nel piano fino oltre Codroipo, è priva d'ostacoli, è in gran parte prativa, praticabile in ogni senso a tutte le armi, anche in formazioni ammassate; perciò le rotabili potevano essere riservate ai carreggi ed alle artiglierie pesanti, e le truppe potevano essere condotte attraverso la campagna. Del resto, pur facendo queste critiche, così conclude la Cornmissione a pag. 236, riducendo essa stessa a ben poca l'importanza delle critiche stesse: «Conferma pertanto qui la Commissione che il disordine del ripiegamento si sarebbe potuto solamente attenuare alquanto, ma difficilmente eliminare, come quello le cui origini stavano nel disgregamento materiale e morale creato dalla subitanea disfatta e come quello che è fatale, inseparabile conseguenza di ogni rotta.» 4. - Collegamento fra II Armata e zona Carnia. Le osservazioni che la Commissione espone a pag. 66 e 67 sul collegamento fra II Armata e zona Carnia sarebbero di gran valore se il Comando Supremo avesse dovuto prevedere il rapidissimo sfondamento di successive linee difensive, talune delle quali veramente formidabili. Siamo sempre alla solita questione fondamentale: poteva e doveva il Comando Supremo prevedere tal fatto e su di esso regolare le sue disposizioni? Ma, in qualunque schieramento difensivo, se non si fa assegna194
Critiche di ordine militare-tecnico
mento su un minimo di resistenza delle sue varie parti, nessuna concezione è attuabile: nè l'accorrere di riserve per tamponare una falla, n è l'impiego d elle riserve a scopo controffensivo! Nel caso concreto la rottura avvenne in Val d 'Uccea, sul punto di congiunzione tra la II Armata e la zona Carnia. Ma prima di effettuare la rottura il nemico dovette superare: 1° - la posizione avanzata di Plezzo, forte nella parte elevata, debole nel fondo valle, ma colla difficoltà per il nemico di dover sboccare a portata di cannone dalle anguste valli dell'Isonzo e della Koritenza; 2° - la formidabile stretta di Saga, munita di triplice linea fortificata, ed appoggiata alle impervie rupi del gruppo del Canin ed all'elevato e dirupato contrafforte del Polonik; 3° - la stretta di Val d'Uccea, appoggiata alle rupi del M. Baba ed al fortissimo M. Stol, per il quale passava la terza linea di difesa. Orbene prima del m ezzogiorno del 24 ottobre cedeva la prima linea di difesa. Alla sera era già caduta la seconda per effetto di aggiramento, avendo il nemico risalito la valle dell'Isonzo da Tolmino a Caporetto, e quivi essendo giunto alle ore 16 dopo aver superato tutte le linee di difesa. II giorno 25 cadeva la formidabile posizione di M. Stol, senza che il nemico avesse avuto tempo di portare innanzi artiglierie per abbatterla. Il 26 cadeva anche il M. Maggiore determinando la ritirata dell'esercito al Tagliamento. La Commissione n on tiene in alcun conto ciò e «ritiene (pag. 67) che fosse fallace il convincimento del Comando Supremo di poter essere in tempo a rafforzare il punto di giunzione fra la II Arm ata e la zona Carnia inviandovi le truppe quando il p ericolo di una rottura si delineasse: i fatti dimostrarono che, per quanto inviati a precipizio, tali rinforzi non giunsero in tempo.» 195
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Sfido io a farli giungere in tempo quando gli avvenimenti precipitarono con imprevedibile rapidita! Ma doveva il Comando Supremo, nella previsione di fatti inverosimili, immobilizzare delle divisioni nel triangolo montuoso e scarsissimo di comunicazioni Plezzo-Tarcento-Moggio, accennato dalla Commissione, privandosene in altre parti del fronte, dove le naturali previsioni le facevano ritenere piu utili? E' tutta qui la complessa questione; ma la Commissione, contemplandola in modo affatto unilaterale, esprime un giudizio che non ha alcun serio fondamento: essa mi rimprovera evidentemente la mancata "profetica visione dell'avvenire" ! 5. - Scaglionamento dei magazzini e dei depositi. Dopo la solita esposizione delle «molte e vivaci critiche» (pag. 252) la Commissione scrive quanto segue a pag. 255:
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"La Commissione ritiene che le giustificazioni ora accenna te non siano sufficienti ad escludere che l' addensamento dei r ifornimenti verso le prime linee avrebbe pot uto essere i n molti casi att enuat o se nei comandi e nelle inte ndenze non vi fosse stata l' eccessiva preoccupazione di parare a tutte le eveni enze ; s e da parte dei s ingoli uffi ciali preposti ai vari servizi v i f osse stata minore preoccupazione per l e r esponsabilità c he loro potevano deri vare dal non tenersi conti nuamente in grado di corrispondere con dovizia a qualsias i richiesta dei coma ndi ; e s e infine, fra le varie evenie nze, fosse maggiormente stata contemplata quella , da deprecars i ma non da escluders i - almeno per parte degli organi più e levati - di un ripiegamento . La stabilizzazione delle operazioni e l a di ff icoltà dei tras port i non possono eliminare tale rilievo, ove s i cons ideri che la eccess iva spinta dei rifor nimenti verso le prime l i nee t ogl ie agli organi ret rosta nt i l a funz ione 1%
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regolatrice e compensat rice l oro devoluta e dà luogo a dispersione o inutilizzazione di material i, quando pure non costringe più t a rdi a spostamenti inutil i ed assai diffici l i di materiali da un settore all'al tro . Ciò premesso in linea generale, l a Corrnnissi one non ritiene tut t avia che, data la estensione della zona perdut a, uno scaglionamento di me zzi , anche stabilito in assai maggiore profondità, avrebbe rispa rmiato i n mis ura notevol e l e perdite: esso - r i tiene la Commissi one - avrebbe agevolato, durante il ripiegamento, i rifornimenti i n qualche caso e nei limiti cons entit i dall 'es trema di f fi colt à dell e comunicazioni , ma non avrebbe garantito in modo sicuro un tempestivo sgombero : ques to sar ebbe stat o ugualmente compromess o dalla rapidissima avanzata del nemico , che fece mancare il tempo anche ad enti abbastanza arretr ati . Risulta da quanto precede che: 1° - la Corrunissione non ritiene che, nel fatto, l'addensamento dei magazzini verso le prime linee abbia portato danni n otevoli; 2° - che la Commissione non rivolge a me esplicite critiche, come si potrebbe dedurre dalle «Conclusioni»; ma rimane quella implicita di aver tollerato che altri stabilisse uno stato di cose che la Commissione disapprova. Io debbo pertanto aggiungere qualche maggiore spiegazione a quelle che i controcritici hanno fornito e che sono riferite a pagg. 253-254 della relazione. Mi atterrò alle linee generali perchè, non possedendo documenti, non sono in grado di entrare in particolari circa la dislocazione dei magazzini al 24 ottobre 1917. Tuttavia si può in via generale osservare: è canone logistico ele197
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mentare che tutte le questioni di rifornimenti si risolvono contemperando armonicamente magazzini e trasporti; ed altresì risaputo che i due sistemi sono, l'uno rispetto all'altro, a compensazione, nel senso cioè che quanto maggior sviluppo possono assumere i trasporti, tanto più limitati e lontani possono essere gli impianti dei magazzini. Orbene, in concreto si può asserire che per le armate dell'Isonzo treni e autocarri hanno sempre lavorato a pieno carico, attraverso ripieghi di ogni genere e mercè la perfetta esperienza professionale degli ufficiali preposti ai trasporti. Solo con queste previdenze - e sono incontestabili - e con gli stabilimenti dislocati a non grande distanza dal fronte, è stato possibile soddisfare all'ingente fabbisogno logistico della II e della III Armata. Se gli stabilimenti fossero stati lontani, secondo le vedute della Commissione, alla maggior distanza avrebbero dovuto sovvenire i trasporti con uno sforzo maggiore, ossia assolutamente impari alla potenzialità della rete ferroviaria e d ei mezzi automobilistici disponibili. E' inutile oggi discutere sull'entità di quel fabbisogno logistico, ossia se esso fosse, o pur non, contenuto in ragionevoli limiti: esso corrispondeva alle richieste dei corpi d'armata, e come tale rappresentava un'effettiva ed incontrollabile necessità, alla quale bisognava provvedere. D'altra parte, quando si consideri che in due anni e mezzo di guerra sulla fronte Giulia ha pulsato gran parte della vita dell'esercito operante, si comprende come anche l'attività logistica abbia dovuto essere considerevolissima e come il corrispondente organismo abbia ricevuto sviluppo, in certo modo, ipertrofico. In ogni modo, riandando agli avvenimenti, si rileva che nel 1915 e in parte nel 1916 gli stabilimenti d'intendenza erano proiettati piuttosto avanti, proiezione necessaria per alimentare le indeclinabili esigenze dell'apparecchio offensivo. Nella seconda metà del 1916 e nel 1917 le intendenze d'armata e l'intendenza generale, reagendo contro la costante tend enza 198
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dei corpi d'armata di aver tutto sottomano - tendenza che si traduceva in pratica nella costituzione di depositi di corpo d'armata - valendosi delle migliorate condizioni d ella rete ferroviaria e dei cresciuti mezzi automobilistici, riuscirono ad attuare un maggior scaglionamento in profondità dei servizi, tanto che nell'estate del 1917 l'assetto logistico rappresentava - circa lo scaglionamento - la soluzione limite al di là della quale non era possibile andare senza porre i servizi in crisi e lasciare in sofferenza le richieste delle armate operanti. A riprova di questo asserto non c'e che da accertare se in quel periodo si sia verificato un insufficiente sfruttamento ferroviario o siano stati tenuti autocarri inutilizzati. Nel fatto n on risultò che l'intendenza generale av esse mai invitato le intendenze d'armata ad arretrare maggiormente gli stabilimenti; e si spiega, dato che l1intendenza generale non ignorava l'inopportunità del provvedimento che avrebbe compromesso la funzionalità logistica delI1esercito. Bastano questi pochi cenni per provare che n on era possibile collocare i magazzini in posizioni più arretrate. Del resto, per metterli al sicuro da qualsiasi eventualità si sarebbero dovuti dislocare dietro il Po ed il Mincio. Ed io d omando: i nostri magazzini, prima di Vittorio Veneto, pur quando il fronte si era tanto arretrato, erano forse scaglionati dietro il Po ed il Mincio? Ed i magazzini germanici, mentre la fronte era stabilizzata nel territorio francese, si trovavano forse dietro il Reno? Sul nostro bollettino di guerra n. 1262 del 1 ° novembre 1918, dopo Vittorio Veneto, sta scritto: «il bottino è immenso; il suo valore potrà essere valutato in miliardi». Non pare quindi che n eppure gli Austriaci abbiano pensato a dislocare i loro magazzini dietro le Alpi! E neanche sarebbe bastato!
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6. - Avvenimenti nel Trentino nel 1916. Esaurita cosi la trattazione delle critiche di secondaria importanza, passo a quella di assai maggior rilievo relativa agli avvenimenti d el Trentino del 1916. Nel capitolo I ho riferito la protesta da me inviata al Governo per le critiche che la Commissione di inchiesta mi rivolse su questo e su altri argomenti, senza neppure avermi interrogato. In quella protesta si parla di una memoria da me inviata il 7 giugno 1918 al1 1on. Orlando, allora presid ente del Consiglio dei ministri, in risposta al comunicatomi verbale della Commissione dei generali ed ufficiali superiori esonerati, la quale proponeva l 1annullamento del decreto col quale era stato collocato a riposo il generale Roberto Brusati. Giudico ora opportuno pubblicare integralmente parte di questa mia m emoria, la quale, insieme a ciò che ho scritto nel capitolo V del libro La guerra alla fronte italiana, porta molta luce sugli avvenimenti del Trentino ed espone p articolari che non potevano trovar p osto in quello stesso capitolo V. Non posso pubblicare anche il verbale della Commissione Mazza, al quale la memoria risponde, perché esso mi fu inviato in via personale con obbligo di restituzione; m a dal contesto della mia risposta e da qualche nota che vi ho aggiunto, il lettore può comprendere ciò che in qu el verbale è detto.
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Roma, 7 giugno 1918 A Sua Eccellenza il pr of . V. E. Orlando Pr esidente del Consigl io dei ministr i Note sul verbale redatto dalla Commissione ministeria le consultiva di r evi s ione riguardante S . E. il tenente generale cav . Roberto Brusat i . 4
Questo concetto fondam entale è ampiamente illustrato e documentato nel capitolo V del mio libro: La guerra alla fronte italiana. 200
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II - Operazioni de l la I Armata durante il primo anno di guer ra. Concordo che il generale Brusat i abbia ne i primi mesi della guerra port ato con f ortunate operazioni la nostra occupazione i n t erritorio nemico. Con questa condotta egli non fece che attuare le mi e dire tt i ve del 15 aprile 1915 confermate dal mio t elegramma del 22 maggio cont enente l e istruzioni del l 'ultima ora; dirett ive ed istruzioni che miravano a portare t ut t o l ' esercit o di l à della frontiera ne l l ' intento di restr i ngere l a f ronte verso il Trent i no ed occuparvi f orti posizioni dif ensive atte ad economizzare forze e a meglio coprire le spalle del l'esercito operante sul fronte Giuli a. E di questi primi successi non ho mancat o infatt i di tributargl i lode. Il mandato della I Armat a era strategicament e difensivo; offensivo solo nell 'ambito tattico ma subordinatamente alla condizione che l'attività offens iva mirasse ad un reale migliorament o della s i t uazione difensiva. 4 Di quest'ultima condi zione che era fondamentale, non tenne mai conto il generale Br usati nell'ulteriore svil uppo delle operazioni. Questo fu i l suo e r rore origi nario ed è bene stabili rlo subito. Egl i, mal rassegnandos i al compito puramente di f ensivo - compito che a torto gi udicava t roppo modest o, - tentò sempre di spingersi avant i alla ricerca di facili ed i nsigni f icanti successi , fine a se s tessi, e del tutto in disarmonia con la missione strat egi ca assegnata al l'Armata. Conseguenza di tale s ua err ata concezione f u che l' att acco austriaco ne l 1916 si dovette sostener e non sulle l inee che il buon criteri o tattico e fortifi cat orio s uggeriva come le più idonee alla difesa, ma su posizioni pi ù avanzate di assai minor valore di fensivo, a cui avevano condotto gl i steril i progressi locali dell a I Armat a 201
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e per l e organizzazioni del le quali erano stati dispersi In3.teriali e mano d'opera sottratti ad altri lavor i più importanti e p i ù urgenti. Questo s i verificò soprattutto in Val Lagarina ed in Val Sugana; e se l o stesso non accadde sul l'altipiano dei Sette Comuni fu perchè le fortificazioni nemiche dell'al tipiano di . Lavarone arrestarono definitivamente le i nfruttuose avanzate parziali dell I Armata; ma lo schieramento delle a rtiglierie vi rimase con caratteristiche offensive, causando la perdita del la quasi totalità di esse e sottraendole alla difesa delle linee arretrate, fra le quali la fortissima posizione delle Portule. III - SisteTBzione difensiva della zona alla I Amata. I mezzi furono scarsi alla I Armata come lo furono ovunque in quel primo anno di guerra in cui i l nost ro apparecchio militare era ben lungi dal grado di effici enza che raggiunse negli anni successivi. D'al tra parte il gen . Brusati, comandante di una armata, non era, nè poteva essere, giudice competente dei bisogni delle altre. Il suo apprezzamento quindi pecca di unilater alità; solo il Comando Supremo era in grado di giudicar e con giusto c riter io di relatività dei bisogni delle armate e di r ipartire fra di esse i mezzi, proporzionatamente agli scopi. 5 Il generale Brusati è però responsabile di aver impiegato mal e i mezzi messi a sua disposizione, tanto pi ù in quanto la scarsezza di essi avrebbe dovuto consigliargli un'amministrazione oculata e del l e più parsimoniose; ma, ripeto, la inconsiderata t endenza a proiettare la propria fronte più 5
Il comandante della I Armata si era lagnato che i mezzi a sua disposizione erano scarsi e che erano andati soggetti ad una continua diminuzione da parte del Comando Supremo, nel primo anno di guerra, benchè il Comando d'Arrnata chiedesse con insistenza che fossero aumentati. 202
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innanzi di qua nto i l compito strategico assegnatogli richiedesse e le caratteristiche del terreno consigliassero lo indusse a spendere ed a trascurare quelle r e t rostant i che pur segnavano i cardini della difesa. Cosi i n Val Sugana diede l argo sviluppo alla estesa e debole linea Armentera-Salubio, mentre lasciò assai scarsamente munita quella retrostante di Tesino di gran l unga più f orte. Su quest'ultima, alla fine di aprile, io, ispezionando l a zona, or dinai di spingere a l acremente i lavori e di pr edispor vi la difesa ad oltranza, ment re a l la l i nea Armenter a-Salubio assegnai puramente la funz i one di dife- . sa avanzata. Analogamente i n Val Lagarina si lavorò molto sul le inf elicissime posizioni del solco Loppio-Mor i e di Castel Dante , a faci le portata dei cannoni nemici del Biaena e del Fi nocchi o, e non f u fortificata la retrostante posizione del Zugna , uno dei pilastri , ove - come not o - s i i mperniò e s i svolse la difesa della valle. Vi sono nell ' archivio del Comando Supr emo alcune mie lettere con osservazioni molto severe, frutt o del l a mia visi ta al fronte del la I Armata eseguita negli ul timi giorni di aprile e nei primi di maggi o 1916. Questa visita attesta come io mi preoccupassi del la offensiva austriaca pur r i tenendola , per le ragioni che spiegherò in segui to, poco probabil e . Aggiungo che fin dall'll giugno 1915 io rivolsi l a mia attenzione alla difesa di seconda linea del l'altopiano di Asiago ed ordinai la costruzione di una linea che dalla Bocchetta di Portule, svolgendosi per il contrafforte di sinistra dell'Assa, andasse ad appoggiarsi al forte di punta Corbin. 6 Di questa linea non esistevano nel maggio 1916, ossia a quasi un anno di distanza dal momento i n cui era stata or dinata , che pochi e brevi elementi a cavallo del l e strade. 7 203
Caporetto, risponde Cadoma
Anche questa omissione, che ebbe gravissime ripercussioni nelle vicende della battaglia, fu causata dall'aver dispersi i mezzi lavorativi sulle prime linee, su fronti che per l'instabilità loro non consentivano un solido e definitivo assetto fortificatorio . La r e lazione sull' i nchiesta c he, i n seguito a mio ordine, il generale Pecori-Giraldi condusse sugli avvenimenti del maggio-giugno 1916 contiene al riguardo osservazioni e conclusioni di grande interesse. Mi consta che il gen. Brusati non era abbastanza attivo, percorreva poco il fronte e per lunghi periodi non si moveva da Verona, sua sede di Comando. Circa la sua az i one personale in questo campo molto può dire il gen. Zoppi che aveva giurisdizione di comando nel settore dal Lago di Garda alla Val Sugana; le dichiarazioni che fece a me allorchè il gen. Brusati lasc iò l'Armata in seguito all'esonero, e che egli certo oggi ricorda, potrebbero fornire al riguardo elementi di gi udizio della maggior importanza . IV - Scarsità dei mezzi posti a disposizione del Comando della I Armata Le esplicite dichiarazioni dei generali circa la che la scarsità dei mezzi dichiarazioni 6
A pag. 83 della relazione la Commissione d'inchiesta dice : " ... e linee che per i lavori eseguiti si sarebbero ritenute inespugnabili come quelle delle Portule" . La Commissione era bene informata e questa è un'altra prova della leggerezza con cui la Commissione giudicava e condannava, senza avermi interrogato. La linea delle Portule è quasi inespugnabile per natura, ma non lo era nei lavori eseguiti, perchè non ce n'era quasi. Non c'e che andare a vedere per convincersene. 7
In realtà constatai in seguito che erano stati eseguiti lavori difensivi in misura alquanto superiore di quella ora accennata; ma essi erano ben lungi da corrispondere allo scopo. 204
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Commissione cita a sostegno delle sue argomentazioni - sono del t utto fuori proposito. Ed invero io non feci carico al gen. Brusati di aver fortificato poco il fronte della I Armata, ma sibbene di averla f ortificata male, ossia impiegando male, senza alcun criterio difensivo , i mezzi che gl i erano stati assegnati, organiz zando l i nee di nessun valore, votate, per r agioni di distanza, a faci l e di s t r uzione per opera del l 'artiglieria nemica, e trascurando invece la travatura maestra della difesa e cioè l ' organizzazione delle posizioni ove l'Armata avrebbe dovuto resistere ad oltranza ed assolvere i l suo compito strategi co fondamentale di fronte ad un attacco nemico. Non s i tratta quindi - ed è quest o punto da precisare una volta per sempre - dell'entità dei lavori compiuti, nel qual caso solo sarebbe valida attenuante la scarsità dei mezzi, ma della specie dei lavori compiuti. E il fatto stesso che si s i a lavorato dimostra all'evidenza che i mezzi non fecero difetto. Le dichiarazioni quindi dei general i Carbone, Angelozzi, Angeli, a cui la Commissione si appoggia, sonò estranee alla questione, non scagionano in alcun modo il gen. Brusati delle speci fiche responsabilità imputategl i, nè, tanto meno, giustificano l'asserzione che egli avesse «procurato di attuar e un'adeguata sistemazione di fensiva del terreno», asserzione che la Commissione fa arbit rariamente e che risulta in aperto contrasto coi f atti specifici e incontestabili da me citati. V - Scarsità delle truppe . Nè maggior valore ha l ' e lenco dei reparti sottratti alla I Armata. Nei primi mesi di guerra lasciai molte truppe nello scacchiere trentino per compensare i l maggior sviluppo della fronte e la mancan za di f ortificazioni. Man mano che l'infl uenza di queste due cause diminuì va, proporzionatamente dovevano di mi205
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nui re le truppe che, i n ossequio al canone fondamentale dell'arte della guerra, bisognava concentrare sulla f ronte Giul i a, ove si compiva i l massimo sforzo. Nello stesso ordine di idee, avvalorato anche da considerazioni di diversa natura, ma non di minor i mpor tanza, come quell e di non r ichi edere prevalent emente ad a lcune regioni d'Italia il più sanguinoso tributo di sangue, disposi perchè alcune unità r eclutate special mente nelle provincie meridionali e che erano state assai provate sul Carso f assero i nviate, nei primi mesi del 1916, a riposar e ed organizzarsi sulla fronte trentina, ove non vi era ancora minaccia nemica . Nè certo mancò il tempo a queste truppe di ricostituirs i e di orientarsi nella nuova zona, come ne è prova 1 ' ottimo contegno tenuto durante l 'offensiva da alcune brigate car siche che - ricordo fra le altre la brigata Cagliari - scrisser o bellissime pagine di valore e di fermezza . Al gene r a le Brusati , che , vedendo i l problema dell a guerra solo da un punto di vista assa i ristretto, non tral asci ò di fa rmi pervenire i suoi lagni, rispos i sempre che, finchè i l Trentino non era mi nacciato, si dovevano radunare fo rze e mezzi sul la fronte Giulia, allora front e offensiva e quindi fronte principale. Ricordo , anzi, di avergli spiegato nel l 'autunno del 1915, i n una lettera di direttive, che merito preci puo della I Armata doveva esser quello di assolvere il suo mandato strategico il più economicamente possibile, lasciando la massima disponibili t à di truppe e di a rtiglierie al l e armate operanti sull' Isonzo . Nella stessa let t era l o rassicuravo che sullo scacchiere trentino avrei t rasportato una massa di manovra non appena lo scacchiere stesso fosse per assumere - per volontà nemica - funzione e caratteristic he di fronte principale.e Ma una concezione semplice ed elementare come que2<:6
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sta non fu mai compresa dal generale Brusat i , che dimost rò, allora ed in seguito, assoluta impreparazione ad abbracciare il quadro strategico delle operazioni. VI - Resistenza delle linee difensive. La prima linea dell'altopiano dei Sette Comuni resistette effettivamente dal 15 al 21 maggio9, ma è necessario tener conto della circostanza che essa non f u attaccata i n forze e a fondo che i l 21 maggio, giorno in cui cedette. D'altra parte, tale temporanea resistenza era il meno che si potesse attendere da una zona forti f i cata contro la quale si eserci tava una non intensa pressione nemica. E, ripeto, era l'unica zona organizzata a detrimento di quelle retrostanti , naturalmente più fort i e capaci di assicurare l'inviolabilità del fronte. La citazione quindi non mi sembra affatto probatoria. Nè maggiormente lo è, per la tesi sostenuta dalla Commissione, l'altra citazione rela t iva alla Val Sugana. Quivi la difesa f u fortissima perchè fo rtissimo era il terreno e perchè si svolse sulle linee da me ordinate alla fine di aprile e secondo l e direttive da me impart ite al generale Etna. Quanto alla lettera del generale Camicia, essa è cosi imprecisa e vaga che non può essere presa in nessuna considerazione. Non è certo con f rasi generiche e sensazionali che si possono discutere questioni di tanta i mportanza. Circa gli apprezzamenti
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Tutti i precedenti concetti sono ampiamente illustrati e documentati nel capitolo V del mio accennato libro. 9
Era stata citata tale resistenza a prova dei lavori fatti sulla prima linea dell'Altopiano di Asiago. 207
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che egli attribuisce al generale Zoppi , mi limito a constatare che sono in assoluta contraddizione con le dichiarazioni che lo stesso generale ebbe a farmi nel maggio 1916.
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VI I - L' inc r edulità del gene ral e Cadorna intorno ad una s eria offensiva nemica ne l Trentino . E' del t utto destituito di fondamento che io, fin da quando erano in corso i preparativi per la nostra entrata in guer ra, non cr edessi alla probabilità di un 'offensiva austriaca per i l Trentino. Per attribuirmi tale incredulità bisognerebbe ammettere che io i gnorassi che la fronte trentina e ra l a più minacciosa per noi . Lasci o a V. E. di giudicare se ciò sia verosimile. Di i mprobabilità ho parlato in una l ett era diretta ne l maggio 1915 al gene rale Brusati; 10 ma, si noti, di improbabilità che i l nemico accumulasse forze notevolmente superiori contro la I Armata. E que sto giudizio si appoggiava alle vi ce nde militari in cui allora era impegnata l 'Austria sulla fronte orientale. E passando dal campo degli apprezzamenti a quello dei fatti, r i cordo che contrasta e smentisce l'ipotesi della «mia incredulità» l' aver io lasciato nello schieramento iniziale dell'esercito sulla fronte Tridentina ben 7 Divi s ioni in riserva (XII I ' 10
Ecco la lettera, che è del 2 maggio 1915: Caro Brusati, .. .. 3° l'assoluta improbabilità che il nemico accumuli forze notevolmente superiori in un'azione offensiva divergente contro di te. Che se, nel primo tempo, finchè non si sviluppi l'azione della IV Armata, questo caso si verificasse, io volerei in tuo soccorso, disponendo nel triangolo Lonato-Padova-Sacile di ben otto divisioni Tuo aff.mo L. Cadorna Evidentemente quell'assoluta improbabilità si riferiva al momento in cui scrivevo. E, ciò malgrado, prevedevo il possibile caso di un attacco nemico ed avvertivo che sarei volato in soccorso della I Armata con ben otto divisioni. Quali deduzioni false si son volute tirare da questa semplice lettera privata!
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e XIV Corpo presso il lago di Garda e 16° Divisione a Bassano). Riconosco i nvece che nel l'aprile e nel principio di maggio del 1916, guidato dal principio, fondamentale dell'arte della guerra, di attribuire al nemico divisamenti l ogici e razionali e non propositi s t ol ti e fa llaci , non credevo ad un'offensiva austriaca per il Trentino. Come potevo credere i nfatt i che, nell'imminenza della grande offensiva del generale Brussilof - nota a noi ed al nemico, - il Comando austriaco avrebbe sguarnì to, oltre ogni l imi te di sicurezza, il fronte orientale per concentrare contro di noi una massa offensiva che , malgrado ogni sforzo, sarebbe risultata inadeguata ad obiettivi strategici? E non c'e bisogno di ricorda re che i fatti hanno pi enamente giustificato il mio apprezzament o, dato che l'Austria toccò in Volinia una sconfitta senza precedenti e che i n Italia la «spedizione puniti va», mal concepita per evidente sproporzione fra scopi e mezzi e peggio attuata, conçlusse ad uno scacco in cui fu anche travolto il generale Dankl, cui l 'operazione era stata affidata. E, in ogni modo, il credere o non credere è quest ione che potrà essere discussa in sede dottrinaria, ma non può i n alcuna maniera formare oggetto - come la Commissione fa al capo VII - di un capo d'accusa, soprattutto quando il non credere non mi ha menomamente distolto dal provvedere i n t utto e per tutto come se c redessi. E questo feci perchè la mia i ncredulità non invadeva il campo pratico del le possibilità (fra le quali sono da includere gli e rrori del nemico ), ma rimaneva circoscritta a quello assai più astratto delle probabilità. I nfatti, fin dagli ultimi di marzo, ai primi s intomi concreti di concentramento di t ruppe nemiche verso i l Trentino, io mandavo da Londra 209
Caporetto, risponde Cadoma
istruzioni t e l egrafiche al generale Brusati circa i l contegno della difesa in alcune valli, nell'eventualità di attacco nemico. I n seguito, a partire dai primi di aprile e durante i l mese, delineandosi maggiormente le probabilità offensive, io, di mia iniziativa, cioè senza che i l generale Brusati ne facesse richiesta, presi i seguenti principali provvedimenti : a) invio alla I Armata di tre brigate di nuova formazione (Taro, Jonio, Lambro); b ) trasporto dal front e Giul i a a quello Tridenti no della 9° e 10° Divisione; c) costituzione presso Marostica di un raggruppament o alpino di 10 battaglioni (di cui 3 soli da trarsi dal la I Armata) e di 6 batt eri e da montagna11 ;
n Io scrivevo a memoria e sono incorso in inesattezze. Più esattamente, la fronte tridentina fu rinforzata con 82 battaglioni, dei quali 24 furono richiesti dal generale Brusati e 58 inviati di mia iniziativa, come ho dimosh·ato nel capitolo V del libro : La guerra alla fronte italiana. Sono sufficienti questi dati di fatto per dimostrare la completa malafede di certi autori, i quali, mossi da rancore personale, hanno su questo e su moltissimi altri argomenti interamente falsatoÌa verità. E cosi nel caso dell'attacco del Trentino, allo scopo di voler trovare ad ogni costo una imprevidenza da parte mia che non esiste, si disse : 1° che quando si tratta di azione che può ripercuotersi su tutto lo schieramento dell'esercito tutti i provvedimenti per farvi fronte sono di competenza del Comando Supremo, il quale non può trincerarsi dietro un'affermazione del comandante dell'armata; 2° che non mi ero costituito una riserva generale; 3° che nell'imminenza dell'attacco io pensavo a dividere le forze attaccando sull'Isonzo. Relativamente alla prima osservazione dirò che essa è giustissima. E difatti io mi sono cosi poco basato sulle dichiarazioni del comandante dell'armata (vedi la nota alla pagina seguente) che non mi accontentai di aderire alla sua richiesta di 24 battaglioni, ma ne aggiunsi di mia iniziativa alb'i 58, corrispondenti a circa cinque divisioni.
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d) radunata del X e XIV Corpo e 27° Divisione presso il Tagliamento pronti a d essere t rasportat i in Trentino al primo cenno; e) assegnazione alla I Armata di un nucleo di 18 batterie di medi o calibro, mobili e potenti, e costituzione di un secondo nucleo di 10 batterie, con eguali caratter istiche, da inviarsi in un secondo tempo; f) istruzioni all'intendente generale, in data 18 aprile, per i provvedimenti di sua spettanza i n vista di operazioni nemiche nella regione Val Lagarina, Alti piani, Valsugana; operazioni che io segnalavo all'intendente medesimo come assai probabili. E il generale Brusati con let tera degl i ultimi di april e o dei primi di maggio mi dichiarava che, in
Se neppure queste truppe si dimostrarono sufficienti ad impedire gli scacchi dei primi giorni, lo si deve attribuire alle cause da me enumerate a pag. 236240 del vol. I del mio libro" La guerra alla fronte italiana", cause che nessuno ha potuto smentire. La seconda affermazione è falsa. La riserva generale era costituita dalle sette . divisioni che si trovavano sul Tagliamento e che costituivano riserva anche per il fronte dell'Isonzo. Tale riserva fu immediatamente trasportata sul fronte Trentino al delinearsi dei primi insuccessi. Essa non aveva nulla a che fare con la V Armata, la cui costituzione fu deliberata il 20 maggio per le ragioni che sono ampiamente esposte nel capitolo V della suddetta mia opera. Quanto alla terza affermazione, essa è pure falsa. Ho bensì continuato a dare, anche durante l'offensiva austriaca, le disposizioni per la ripresa offensiva sull'Isonzo, da effettuarsi appena le circostanze l'avessero consentito, e ciò dimostra appunto la certezza in me di respingere l'offensiva nemica; ma non poteva venirmi in mente di effettuare l'offensiva sull'Isonzo dopo aver trasportato verso il Trentino 82 battaglioni e tutte le artiglierie disponibili, avendo lasciato sulla fronte Giulia le sole artiglierie necessarie alla sua difesa. Tutto ciò risulta ampiamente dalla mia pubblicazione più volte citata, e ci vuole una forte dose di malafede per asserire il contrario. 211
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seguito a quest i provvedimenti, egli si sentiva i n grado di fronteggiare qualsiasi event ualità.12 Ed infatti mercè l'attuazione dei pr ovvedimenti stessi a l la data del 20 maggio si ebbero in Trentino, dal Garda al l a Val sugana, contro 188 bat tagl ioni nemici (compresi gl i Standesschutzen ed i territorial i) 250 battaglioni nost ri. Concludendo, bastano i fatt i da me citati, basta l a dichiarazione del generale Brusati, per f a r crollare tutto l ' edificio defensionale che la Commissione ha cercato di creare sull a cosiddett a «mi a i ncredulità» e delle pr esunt e, e non solamente presunte, inadeguate provvidenze del Comando Supremo in vist a dell'offensiva austriaca. VIII - Comandanti e truppe durante l'offensiva. Premetto c he t utto quanto è detto in questo capitolo, non solo è estraneo a ll'oper a del generale Brusati , che già aveva l asciato il comando, ma altresì esorbita dalla competenza della Commissione che evidentement e non è stata convocata dal Ministero per inquisire sugli avvenimenti di guerra del ma ggio-giugno 1916. Tuttavia rilevo: La insufficiente resist e nza di
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lo scrivevo a memoria non avendo i documenti. Debbo ora rettificare : la lettera del comandante della I Armata è invece del 6 aprile, e le precise parole sono riferite nel capitolo V del citato mio libro (pag. 194, Vol. I). E le ripeto : "Le nuove riseive peI l'inteIO V Corpo d'Armata, costituite, ecc permettono di considerare con piena fiducia, nell'interesse generale delle operazioni, anche il caso a noi più sfavorevole, quello cioè in cui l'avversario, continuando a riunire forze e mezzi sugli altipiani, tentasse di sfondare la nostra linea in questo tratto, sussidiato da azioni concorrenti per le valli Lagarina e Sugana». Il generale Brusati. non poteva essere più preciso. Questo egli scriveva fin dal 6 aprile, e dopo d'allora il Comando Supremo prese altri provvedimenti. Ed ora si ripete ancora che ho peccato di imprevidenza per non aver aderito alle richieste del generale Brusati!
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taluni reparti non può farsi risalire, come la Commissione stima, alla «minacciosa situazione determinatasi all'improvviso di fronte al poderoso e travolgente attacco nemico, cui non si era a tempo ed adeguatamente provveduto, al Comando Supremo, col mettere a dispos izione de lla I Armata forze adatte e sufficienti per respingere vittoriosamente un'offensiva così ben preparata.» E' ragionamento alquanto tortuoso e, quel che è p1u, poco fondato, perchè, come sopra ho detto, la I Armata era stata rinforzata ed a giudizio del lo stesso generale Brusati in misura s ufficient e. D'altro canto, l'essersi alcune truppe battute assai bene, altre meno bene, altre ancora non essersi battute affatto, come al Col Santo abbandonato senza combattere13 , non è certo dovuto al «travolgente attacco nemico», nè a mancati provvedimenti del Comando Supremo, fattori l'uno e l 'altro, che, i n ogni modo, avrebbero dovuto influire nello stesso senso su tutto il fronte. Il «tumultuario gettito» nella battaglia di t r uppe affluenti all'altopiano di Asiago è dipeso dal rapi do ed imprevedibile sfondamento delle seconde e terze linee, la cui organizzazione, - come più volte ho detto - il generale Brusati, erroneamente attratto dalle prime linee, aveva del t utto trascurato. Soggiungo che, in simili casi, gli arrivi di truppe non possono essere che tumultuari, se con ciò s'intende indicare la pressante urgenza di trasporti e quindi i disordinati arrivi. E tumultuari furono certo gli spostamenti di truppe francesi, che pure hanno valso a chiudere la grave fa l la apertasi nel marzo di quest'anno sulla Sorrane. Ma, tumultuario o non, questo gett ito di nuove forze 13
Il Col Santo era occupato da alcuni battaglioni di milizia territoriale. 213
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ha salvato una situazione di estrema gravità, arrestando e respingendo l'invasore e rendendo possibile la nostra controffensiva del giugno. E l'aver ristabilito una s ituaz i one così compromessa, malgrado l'inevitabile tumultuarietà dell'intervento di nuove forz e e il conseguente cambiamento dei capi, pare che dovrebbe essere ascritto a merito e non a demerito di chi, portando il peso di una grande responsabilità, non perdette un minuto e ricorse in quei frangenti a mezzi della maggiore energia. Tutte cose del rest o che trovarono pieno ed unanime riconoscimento i n coloro che in quei memorandi avveniment i sono stati testimoni ed attori, o che anche da lontano li hanno vissuti e compresi. Ed all a Commissione che, investendosi di poteri arbitrari e priva dei necessari elementi di giudizio, muove critica a l mio operato, io, nell a mia fi era coscienza di solda t o, rispondo che la pronta radunata di una fo rte armata di ri serva nell a pianura vicentina, effettuatasi come l e esigenze dell a battagli a i mponevano, in piccola parte per autocarri e per l a maggior par te con ben studi ato moviment o logistico ordinario e ferroviario, f u una de l l e più riuscite manovr e del l a guerra. E per tale f u da tutti riconosciuta in I tal ia e all'estero. IX - Esonero del generale Brusat i e suo collocamento a riposo d'autorità. La Commissione mi attribuisce divergenze di vedute rispetto al generale Brusati, delle cui «incomode insistenze» avrei cercato liberarmi proponendo l 'esonero a S. M. il Re. Nulla di più infondato e di meno vero di ciò; e ne è prova il fatto che le cosidette insistenze - se possono chiamarsi insistenze gli apprezzamenti del comandante sulla situazione dell'armata - erano ces214
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sate al solo annunzio delle misure in parte da me attuate in parte solo predisposte, misure delle quali il generale Brusati si era dichiarato soddisfatt o . Il provvedimento di esonero porta invece la data del l'8 maggio e fu preso i n seguito alla visita al fronte della I Armata da me compiuta fra gli ultimi di aprile e i primi di maggio . Quella visita , oltre ad avermi dato occasione di constatare l a mancata comprensione da parte del generale Brusat i del mandato strategico assegnato all 'Armata ed i molti gravi errori che egli aveva commesso nell ' organizzazione difensiva del f ronte , mi aveva fat to persuaso che la sua azione di comando, che era stata cosi manchevole i n passato e che anche in quei giorni si informava ad un sistematico decentramento e ad una persistente rinunzia ad ogni intervento personale e diretto , non dava nessun affi damento di poter fronteggiare gli avvenimenti che si stavano pr eparando. Basta ricordare che tutta l'estesissima zona dal l ago di Garda all a Va lle Sugana - suddivisa da valli e da contra ffort i in individualità t opografiche ben distinte - il generale Brusati aveva affidato al generale Zoppi comandante i l V Corpo d 'Armata, nell 'esclusivo scopo di avere alla sua diretta dipendenza due soli comandi, quello del III, a occidente del lago di Garda, e quello del V ad oriente . Conseguenza di questa riparti zione semplicista e sorranaria del fronte fu che il comandante del settore Val Lagarina , che risiedeva ad Ala, invece di f ar capo a Verona al Comando dell' Armata, dal quale in origine dipendeva direttamente, doveva , per conferire col generale Zoppi , suo s uperiore inrnediato, tra sferirsi con lungo viaggio a Thiene. Perciò f ra l e provvidenze da me prese in vista della possibile offensiva nemica vi f u anche quella di staccare il 215
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settore Val Lagarina dal V Corpo d'Armata per rimetterlo alla di r etta dipendenza del Comando dell 'Armat a e di costituire un Comando di corpo d'Armat a in Val Sugana agli or dini del gener ale Etna, pure alla diretta di pendenza del Comando dell'Armata. Ebbene il gener ale Brusati ebbe la inconsideratezza di veni re a propormi di mettere anche i l Corpo d'armat a Et na al l e dipendenze del genera le Zoppi, sott o il pr e t esto che quest i aveva buona conosc enza del la zona! Non ho potuto esimermi dal chi edere al gener ale Brusati come i ntendesse la f unzione del comandante d i armat a, se anche all'azione diretta verso i comandi del corpo d'Armata egli rinunziava! Chiedo a V. E. quale fiducia, dopo questo complesso di fatti e di circostanze, potevo io conservare in l ui? Pref eri i piuttosto di affrontare ed addossarmi le gravi preoccupazioni di un cambiamento di comando alla vigil ia dell'offensiva nemi ca, e molto ebbi a lodarmene. Aggiungo che la sua sostituzione incontrò favore anche nell 'Armata, pr esso la quale il generale Brusati godeva di assai modesto prestigio. Quanto alla r i chiest a di collocamento a riposo, l a Commissi one la giudi ca «provocata dal pr oposito di rive rsare su di lui l a responsabilità dei gravi f atti che , contro le previ sioni del Comando Supremo, si svolgevano nello scacchiere t r identino.» Quest e parole, che racchiudono un' insinuazione part i giana e malevol a, io sdegnosamente respingo. Nessuno, propri o nessuno, può t r ova r e in t utt a la mia ca r r ier a, e durante la guerra in ispeci e, un fatto solo nel quale io non abbia assunto i ntera l a r esponsabi l i t à che mi compet eva. 14 Ricor do, ed esistono i document i negl i archivi de lla presidenza del Consiglio, che nei giorni più gravi dell 'off ensiva austriaca S. E. Salandra mi pr opose un convegno a Padova cui sarebber o dovuti interve216
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nire alcuni ministri e i comandanti di armata . Si t r attava, evidentemente , più che di un convegno, di un vero Consiglio di guerra e mi sarebbe stato facile, accettandolo, di dividere con alt ri le alte responsabilità del momento . Ma in tutta la campagna io non ho mai riunito un Cons iglio di guerra , e mi sarebbe par s o di offendere me stesso s e l ' aves si subito in quella circostanza . Risposi , pertanto, telegraficamente, che mi doleva di non poter accogliere la proposta ; che i Consi gli di guerra non servivano che a spartire le responsabilità ed indurre in tentennamenti, quando i nvece l'incalzare degli avveni menti esigeva fu lminee decis i oni; che f i nchè avevo l ' onore di possedere la fiducia cli S. M. il Re e del Governo la responsabilità era mia e l ' as sumevo piena e comp leta; che se tal e fiducia foss e comunque menomata, pregavo di sostituirmi di urgenza . 15 Ora io chiedo , a tute la del mio patrimonio morale , se questo linguaggio poteva essere tenut o dalla 14
Questo fatto è ampiamente confermato in molti luoghi della stessa relazione della Commissione d'inchiesta. Dal discorso del generale Di Giorgio del 12 settembre 1919 alla Camera dei deputati, discutendosi l'inchiesta per Caporetto, tolgo queste parole: quest'uomo che con eroico disinteresse si accolla tutte le responsabilità, ed anche quelle che non gli spettano; che affronta tutti i rancori, che semina attorno a sè, senza misurarli, gli odi, lo sguardo sempre intento alla sua missione, l'anima sempre tesa verso la v ittoria, con una volontà così inflessibile che nessuna avversità, che nessuna difficoltà fa tentennare...
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Di questo telegramma ho discorso nel capitolo V (pag. 228 vol. I) del già più volte citato mio libro. N on ho mai, durante la guerra, tenuto ne ammesso che si tenesse un ConsigUo di guerra. La responsabilità essendo mia, io solo dovevo comandare con piena libertà d'azione. Non cosi si fece dopo la mia sostituzione nel Comando ed allora diventarono frequenti le riunioni di generaU con l'intervento dell'on. Orlando, capo del Governo, e di altri minis tri. Ricordo quanto mi disse l'on. Orlando in un giorno della seconda quindicina di novembre a Roma, cioè che era stato s tabilito al fronte un sistema che io non avrei accettato. 217
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st essa pe rsona che i n quei medesimi giorni avrebbe cercato - secondo i l giudi zio del la Commissione - di addossare pavidamente ad altr i la responsabilità pr opria! I motivi del collocamento a riposo de l gener ale Brusat i sono quell imanifestamente r i sultanti dalla mi a lett er a del 21 maggio che il Consi glio dei ministri - certo dopo un ponderat o esame - ha accolto. Il ricercarne alt r i, tanto più se lesivi della mia personalità, è cosa del tutto arbitrari a ed indegna . Per queste ragioni non posso che deplorare vivamente il giudi zio contenuto nell e frasi che ho riportate, gi udi zio a cui la Commissione - come V. E. acutamente ha ril evato - è giunta con una procedura delle più unilateral i e perfino prescindendo dagli schiarimenti che, qualora richiest o, avrebbe potuto fornire il general e Porro, il quale originariamente era stat o nominato membro consultivo dell a Commissione medesima, appunto perché i l Comando Supr emo vi fosse, all'occorr enza, rappresentato.
Era questa la maggior prova di stima che egli mi potesse dare, e io mi limitai a rispondere: ma certamente! Tale sistema di intromissione degli uomini politici nelle operazioni militari non diede nel caso nostro risultati fatali perchè dopo il nostro arresto al Piave la guerra cessò di essere dinamica c~me era stata prima e diventò statica e soprattutto perchè l'esercito austro-ungarico era maturo per il crollo, maturità prodotta soprattutto dai 30 precedenti mesi di guerra offensiva, come risulta anche dalla lettera del barone Czernin pubblicata nel capitolo 11. Ma , per queste ragioni, non si son viste questa volta le pessime conseguenze di un tal sistema, non si creda di dedurne di poterlo ripetere un'altra volta impunemente, perchè le conseguenze potrebbero essere terribili, come tutta la storia dimostra. L'unico consiglio di guerra che Cadoma accettò fu quello del 28 ottobre 1917 al Comando Supremo, nel corso del quale i ministri Bissolati e Giardino gli imposero di fatto il famoso bollettino tanto discusso: questo dimostra che Cadorna aveva pienamente ragione! [C.C.] 218
Critiche di ordine militare-tecnico
Infine, quanto al modo con cui fu data pubblicità al provvedimento del collocamento a riposo, me ne rammarico molto, come assai mi dolgo delle t risti conseguenze che esso ha avuto. A parte l e deficienze di ordine militare (che ha dimostrato), ritengo i l generale Brusati persona retta e degna di ogni r ispetto, e io, che gli ero legato da più che cinquantenne consuetudine di amicizia, fui il primo ad addolorarmi del provvedimento che l o colpiva. Ma chi può impedire , in questi casi, l 'ignobile scatenarsi delle più vili calunnie? V. E. sa che io stesso ne ho fatto recente esperienza, quando fui esposto ai più bassi attacchi denigratori nello stesso Parlamento . E pertanto non desidero nulla di meglio che il Governo - ferme r estando le sanzioni puni tive che consapevolmente ha decretato a carico del generale Brusati per i l suo operato anteriore all'offensiva austriaca - t rovi il modo di compiere, sia pure a tanta distanza dagli avvenimenti , un qualunque a tto che valga a difendere il generale Brusati contro la malevola e cal unniosa campagna che lo ha colpito nella sua onorabilità . Conclusione. La conclusione, al pari della premessa - ove già prima di esaminare la questione si qualifica il provvedimento riflettente il generale Brusati "eccezionalmente rigoroso", - attesta in modo palese come la Commissione abbia condotto tutta l a indagine con uno spirito preconcett o e uni laterale, anzi chè con quella ill uminata valutazione dei fa tti e quella assoluta obiettività di giudizio che in simi li casi non debbono mancare. Dal canto mio , mi limito a rilevare che la Cormnissione , mentre non ha dimostrato che gli addebiti specifici fatti al generale Brusati, quali l' i nadempienza del mandato stra219
Caporetto, risponde Cadoma
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tegico, la e r rata sistemazione di fens iva - insis to: e r r a ta, non scarsa , - la rinunzia all 'azione di comando , e r ano insussi stenti, s i è avve nt ur ata in i l lazioni a ltre ttanto a rbitrarie quanto i nf ondate s u quel la che sarebbe s tata la resi stenza de l l ' Armata se i l generale Brusati aves se conservato il comando1 6. Tutto c io giustif ica i l dubbio c he l a Commis sione anzichè esaminare , come er a suo obbligo, la c ondotta del genera le Brusa t i dur ante l ' es ercizio del suo comando , e c i oè f ino all ' 8 maggio , e conferma re gli addebit i mossigli o scagiona rlo , non s i s ia i nvece prefi ssa di porr e in stato d 'accus a i l Comando Supremo , estende ndo di suo arbitrio e s enza nessuna compete nza i s uoi pot e ri fino ad i nquis ire sugli avve nimenti svolti si nel Trentino nel maggiogiugno 191 6. 17 Mi s ia inf ine consentito di rileva re come la Commiss ione , con questa as sol uta i ncomprensione c he non sarà certo s fuggita all ' alto s enno giuridico di V. E., si s ia most r ata impari al mandato affi dat ole de l Gover no . Ge nerale L. CADORNA
I fatti e le circostanze esposti in questa memoria, nonch è nel capitolo V d el citato mio libro, la Commissione d'inchiesta non si curò di indagare limitandosi a sentenziare sulla fede della Commissione Mazza. Ma tutte queste cose ben conosceva il
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Dice la Com.missione che la prima resistenza contro l'urto nemico sarebbe stata più efficace e certamente meglio coordinata agli scopi da raggiungere, se fosse rimasto a1 comando dell'Armata il generale Brusati in un momento in cui la completa conoscenza del terreno, della situazione e delle truppe avrebbe costituito un buon coefficiente per una buona e vigorosa difesa. Non lo credo affatto. II generale Pecori-Giraldi, successore del generale Brusati, ha corrisposto nel modo migliore al difficile compito. 220
Critiche di ordine militare-tecnico
ministro della Guerra generale Albricci, essendo egli stato capo di Stato Maggiore della I Armata, prima col generale Brusati in precedenza dell 1attacco austriaco, poi col generale PecoriGiraldi durante il medesimo attacco. Eppure egli non esita ad apporre la sua firma al decreto che annullava il collocamento a riposo del generale Brusati, nello stesso tempo in cui collocava me a riposo: tanto gli opportunismi e le convenienze parlamentari hanno il sopravvento sulle superiori ragioni della giustizia! Era quello stesso ministro che aveva offuscato le recenti glorie conquistate sui campi di Francia firmando l 1obbrobrioso decreto di amnistia per i disertori, perfino per quelli passati al nemico! Fu questa la maggior vergogna di governo dell1Italia vittoriosa, vergogna che il Paese subì senza che una subitanea reazione divampasse: tanta fu la potenza del disfattismo, accresciutosi insidiosamente alle mie spalle durante la guerra, per nefasta azione di partiti e per viltà di governo, minando la compagine dell 1esercito, e divampato più violento che mai nel dopoguerra! Debbo ancora rilevare alcuni punti della relazione della Commissione, i quali non possono essere lasciati passare immuni da osservazioni. Dice la Commissione a pag. 10: 9. - ... il generale Cadorna l 1 idea di errare non ebbe forse mai; peccarono gli avvenimenti e perciò il nemico quando operarono in modo di ve r so dalle sue 17
La Commissione era presieduta dal generale Mazza, già comandante di corpo d'armata, il quale da nove anni aveva lasciato il servizio attivo per raggiunto limite d'età; ed era composta del generale Barattieri di S. Pietro, esonerato dal comando di un corpo d'annata alla vigilia della guerra, e del generale Bonazzi già comandante del genio all'esercito mobilitato, ed al quale la Commissione d'inchiesta dedica parole che non sono certamente Lusinghiere a pag. 85 della sua relazione. Ora è lecito domandare con quale diritto e con quale autorità tale Commissione si erigeva a giudice del Comando Supremo senza averne ricevuto il mandato! 221
Caporetto, risponde Cadorna
previsioni. Al lorchè l'esito del l e oper azioni non f u quale egli si ripr ometteva, egli ne cercò l e ragioni - e la Commissione crede cercasse i n buona f e de - sempre altrove, pi ù spesso nell'opera dei subor dinati, talvolta nell' azione del Governo, raramente nelle forze del nemico, mai nei difetti, e negli e rrori propr i . 10. - Tale i nte r pr eta zione dell 'azione di comando del generale Cadorna soccorre specialmente nei riguardi degli avvenimenti del Trentino, fra le cui cause il general e Cadorna non ammise la imprevidenza pr opria, imprevidenza che apparve, per contro, evidente al governo del tempo ed a mol t i uomini politici.
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La prima parte di questa citazione non è che un complesso di affermazioni, le quali, insieme a tante altre, dimostrano la malevolenza che ispirava la Commissione verso di me, ma che non sono confutabili essendo generiche e non accennandosi a nessun fatto particolare, salvo poi quello del Trentino, in ordine al quale il capitolo V del mio libro La guerra alla fronte italiana e la memoria precedentemente trascritta dicono quale valore abbia l'accusa, assunta proprio per dimostrare «specialmente» la verità delle prime generiche affermazioni! Quanto all'essere apparsa evidente la mia imprevidenza all'on. Salandra ed a molti uomini politici, io domando: èhe cosa ne sapevano l'on. Salandra e i molti uomini politici del preciso svolgersi degli avvenimenti e delle cause degli insuccessi dei primi giorni, quando, dopo trascorsi più di tre anni, perfino la Commissione d'inchiesta dà manifesta prova di non esserne informata? E se anche li avessero conosciuti, quale competenza avevano per giudicarne, trattandosi di fatti esclusivamente militari? Ne mai l'on. Salandra mi diede segno di dubitare della mia preveggenza.
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Critiche di ordine militare-tecnico
Dice subito dopo la relazione in quella stessa pag. 10 nella quale - come nella successiva pag. 11 - la m alevolenza spira da ogni riga: I l proposito di esonerare dal comando il generale Cadorna per la menomata fiducia in lui e per l a di poi dimostrata (sic) sua imprevidenza fu evidente nel presidente del Consiglio Salandra, il quale ottenne pur e, a l riguardo, mandato di fiducia dal Consiglio dei ministri, il 30 maggio 1916; ma egli non f ece poi immediatamente seguire al proposito la decisione, forse per non avere una c risi di comando, ecc ... Peccato davvero che l'on. Salandra non abbia dato esecuzione al suo proposito! Eppure io gliene avevo offerto il destro col mio telegramma del 25 maggio (cinque soli giorni prima del mandato del Consiglio dei ministri) riferito nel capitolo V (pagg. 22829 del vol. I) del mio precedente libro "La guerra alla fronte italiana", nel quale, dopo di essermi rifiutato ad un proposto Consiglio di guerra ed aver detto che la responsabilità era tutta mia finchè avevo l1onore di godere della fiducia di S. M. il Re e del Governo, e che l'assumevo interamente, soggiungevo: «Se questa fiducia fosse venuta meno, prego sostituirmi colla massima urgenza.» Perchè il Governo non prese senz'altro atto della mia offerta? E perchè, non avendo creduto di farlo, si è poi venuti a tacciarmi d'imprevidenza senza poterla dimostrare? L'on. Salandra nè mi esonerò dal comando, nè mi invitò a dargli quelle spiegazioni che facilmente avrei potuto fornirgli: preferì invece, pochi giorni dopo, di fare alla Camera un «chiaro accenno critico all'opera del generale Cadorna» (pag 10 della relazione) e subito cadde dal potere! 18 A pag. 44 la relazione si diffonde a discorrere della mia incredulità nell'offensiva austriaca. Di questo argomento ho ampiamente discorso e non vi ritornerei se in fondo alla stessa pagina 223
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Caporetto, risponde Cadoma
44 non si trovassero scritte queste parole: Tutto ciò è s embrato opportuno ricordar e con qual c he di f f usione, anche perchè nel precedente dell'of fensiva del Trentino taluno ha voluto riscont rare , per quanto si riferis ce a lla incredul i t à sugli i ntendimenti offensivi del nemico e alla persistenza di un errore di valutaz ione del nemico che dat ava dall ' inizio della guerra, notevoli analogie con quanto si verifi cò per l'offe ns iva austro-germanica dell ' ottobre 1917 . In realtà non vi è alcuna analogia tra l'uno e l'altro caso. Nel 1916 non vi fu nessun errore di valutazione del nemico, poichè le sue forze erano stimate a 18 divisioni, quali realmente furono: lo dice anche la relazione a pag. 44. Quanto alle sue intenzioni, il Comando Supremo, come ho ripetutamente detto, attribuì al n emico - come doveva - le intenzioni più logiche, pur ·,s Ecco le parole pronunziate dall'on. Salandra nella seduta del 10 giugno 1916 della Camera dei deputati: " Tali sfavorevoli condizioni resero possibili i primi innegabili successi dell'offensiva nemica. Giova tuttavia virilmente riconoscere che difese meglio preparate l'avrebbero, se non altro, arrestato più a lungo e più lungi dai margini della zona montana. (Vive approvazioni. Vivi e prolungati commenti. Interruzioni e rumori all'estrema sinistra). A pag. 126 del suo libro I discorsi della guerra, nella nota 2 al discorso del 10 giugno, l'on . Salandra dimostra, colla scorta del mio libro La guerra alla fronte italiana (pag. 182-183, pag. 184, pag. 187), la verità della sua affermazione, e si dichiara poi incompetente a giudicare " a quale autorità militare sia da imp utare, in tutto o in parte, la responsabilità di tali avvenimenti" . E difatti la sua affermazione è verissima. Ma è appunto per avere nel suo discorso evitato di dire a chi spettava la responsabilità che la Camera interpreta le sue parole come un attacco al Comando Supremo. E ciò era tanto naturale che la Commissione d'inchiesta definì quelle parole " chiaro accenno critico all'opera del generale Cadorna". Consegue che se tale non era l'intenzione dell'on . Salandra egli avrebbe fatto bene a non pronunciare quelle parole, le quali, se dirette a me, erano mal fondate, come dimostrai nel mio libro. 224
Critiche di ordine militare-tecnico
prendendo le misure necessarie a far fronte «anche al caso a noi più sfavorevole», come il generale Brusati stesso ha ampiamente riconosciuto nella sua lettera del 6 aprile. Neppure nel 1917 vi fu errore di valutazione sulle forze nemiche. 19 Circa le sue intenzioni offensive generiche vi era cosi poco dubbio che fin dal 18 settembre io sospendevo le operazioni offensive anche in vista di un prossimo attacco nemico. (Vedasi il mio ordine nel capitolo IX del mio libro La guerra alla fronte italiana a pagg. 112-113 del voi. II). Quanto alla direzione d'attacco, essa risultava in modo certo dalle informazioni avute dai disertori; ma il Comando Supremo non poteva escludere che l'attacco potesse estendersi al settore goriziano ed al Carso, e perciò era doveroso che tenesse conto anche di questa possibilità nella dislocazione delle riserve. Pertanto, per poter trovare una analogia tra i due casi ci vuol proprio una forte dose di buona volontà! 20 Ed ancora a proposito della mia incredulità a pag. 56 si trova scritto: Ma, per contro, con prove e testimonianze degne della massima considerazione, è stato dimostrato come assai più giustificata e corrispondente a realtà fosse la preoccupazione del comandante della I Armata che non la persistente incredulità del capo di Stato Maggiore, e "come la situazione strategica e tattica e la sistemazione difensiva conseguissero da operazioni approvate e lodate dal Comando Supremo, e risultassero da precisi referti periodici di cui il Comando stesso aveva preso atto senza muovere osservazioni". 19
Scrive la stessa relazione della Commissione d'inchiesta a pag. 45: Da ciò sembra potersi desumere che sull'offensiva nemica non siano mancate utili tempestive notizie: quelle avute invero comproverebbero che il servizio informazioni funzionava in modo soddisfacente. 20
In realtà vi fu un'analogia dovuta all'insufficiente controllo esercitato dal Gen. Cadorna sulla II armata nel '17: le nostre linee di difesa principali erano sotto il fuoco delle artiglierie avversarie, esattamente come nel '16 in Trentino. [C.C.] 225
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Caporetto, risponde Cadoma
Non mi occuperò della prima parte di questo brano avendone già ampiamente discorso. Mi riferisco perciò soltanto alle parole in corsivo. Anzitutto, se pure fossero state approvate operazioni strategiche e tattiche che erano in contrasto colle istruzioni originarie date al comandante della I Armata, non rimarrebbe soppresso il fatto che questi tali istruzioni non ha eseguite: e che non le abbia eseguite, l'ho dimostrato nel capitolo V del citato mio libro. Ma aveva modo il Comando Supremo di controllare efficacemente il comandante della I Armata?21 Esso stava lontano, ad Udine, aveva e doveva avere fiducia nel comandante d'Armata - senza di che l'avrebbe mutato - e non poteva avere esatta conoscenza del terreno come l'aveva il Comando d'Armata; perciò esso doveva necessariamente giudicare in base ai suoi riferimenti ed alle sue assicurazioni. La più bella prova di quanto dico consiste nel fatto che, allorquando negli ultimi giorni di aprile e nei primi di maggio del 1916 potei percorrere il fronte della I Armata,22 ordinai i mutamenti e i lavori che sono accennati nel succitato capitolo V, dei quali il semplice esame della carta non aveva potuto suggerirmi la necessità: mutamenti e lavori che hanno salvato i due pilastri laterali della fronte tridentina, quelli cioè di Val Lagarina e di Val Sugana. A pag 470 si leggono queste parole: Una grande riscossa (nello spirito pubblico), nessuno può negarlo, fu determinata dal disastro dell 1ottobre, col'tragico arrivo del nemico sul Piave. E' pertanto logico ritenere che una forte vibrazione 21
L'avrebbe potuto controllare per il tramite di un Sottocapo operativo (certo non facile da trovare con adeguata competenza). [C.C.]
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Tale ricognizione non mi fu possibile compierla prima perchè durante l'autunno del 1915 dovetti continuamente occuparmi delle operazioni sul fronte Giulia; poi sopravvenne l'inverno che coprì d 'un alto strato di neve la regione montana, neve che persisteva nei luoghi più elevati quando percorsi quella zona alla fine di aprile del 1916. 226
Critiche di ordine militare-tecnico
nello spirito pubblico si sarebbe prodotta qualora, bene in precedenza, il Paese fosse stato nettamente illuminato sulla reale portata e gravità degli avvenimenti del Trentino, sul pericolo terribile corso e su quel che permanentemente incombeva. Ma per conseguire tali risultati occorreva dire meglio la verità; svalorizzare la troppo asserita e molto discutibile vittoriosa nostra offensiva del giugno 1916, e giungere senza esitazioni fino alla esonerazione del generale Cadorna. Si esaminò già perchè la decisione dell'esonerazione non fu dal Gabinetto Boselli affrontata e la Commissione qui non fa che nuovamente constatare il danno della mancata risoluzione. Non mi occuperò della mia esonerazione, sulla quale la Commissione ritorna con particolare insistenza. Mi limito ad osservare che, pur di ottenere la mia esonerazione, la Commissione non avrebbe esitato a svalutare la vittoria, giudicando che la svalutazione della vittoria avrebbe risanato lo spirito pubblico nel 1916 ed impedito le manifestazioni disfattiste del 1917! E pensare che io avevo sempre ingenuamente creduto che la vittoria valesse a rialzare lo spirito p ubblico depresso, e fu questa una delle ragioni che mi indussero all'offensiva della Bainsizza! (vedasi il capitolo IX del mio libro). Ma la Commissione mi insegna che se si fosse inoculato a tempo nel Paese il senso della disfatta, se ne sarebbero risanati tutti i mali. E cosi sia! E' vero che la Commissione si affretta a definire troppo asserita e molto discutibile la nostra vittoriosa controffensiva del 1916. Ma qui mi duole di dover constatare che la smania svalorizzatrice della vittoria e di chi l'ha ottenuta ha fatto velo al chiaro intelletto dei signori commissari, fino al punto di non far comprendere ad essi che la controffensiva d el giugno 1916 non può essere considerata isolatamente, ma deve essere inquadrata negli avvenimenti che l'hanno preceduta ed in quelli che l'hanno seguita. Cosi considerati, con sguardo sintetico, quegli avvenimenti consistono di una sola e grande manovra strategi-
Caporetto, risponde Cadorna
ca, suddivisa in tre atti strettamente collegati. Il primo comprende la difensiva contro l'attacco austriaco del Trentino e la fulminea riunione della V Armata nella pianura vicentina. Il secondo è rappresentato dalla denigrata nostra azione controffensiva, la quale fu interrotta solo quando mi persuasi che il logoramento delle truppe sarebbe stato superiore ai risultati conseguiti e che maggiori frutti si sarebbero colti sull'Isonzo. Il terzo atto fu il rapidissimo trasporto di una parte dell'esercito verso l'Isonzo e la conseguente vittoria di Gorizia; la quale fu la più grande che si potesse ottenere in quel periodo di massima resistenza del nemico e di guerra di posizione, e solo fu resa possibile dalla sorpresa e questa, a sua volta, dalla credenza, inspirata nel nemico dalle precedenti operazioni, che il grosso delle nostre forze fosse ormai incatenato sulla fronte tridentina. Dunque, la vittoria la si è trovata a Gorizia, non nella controffensiva degli Altipiani, dove pure si erano raggiunti non spregevoli risultati mediante un'avanzata che ci fece riacquistare importanti posizioni e maggiore profondità al nostro sistema difensivo, come risulta dalla tavola 9 della relazione. E ciò senza tener conto del fatto che la nostra resistenza sul fronte tridentino, e la successiva controffensiva, che ha ivi fissato le forze nemiche, richiamandone anzi alcune che già si erano allontanate, rese possibili le grandi vittorie' del generale Brussilof in Galizia. La vittoria di Gorizia ebbe anche sensibile ripercussione su tutto il teatro di guerra europeo, come dichiarò il generale Von Falkenhayn colle parole citate a pag. 293 del vol. I del mio libro "La guerra alla fronte italiana". Ed osservo infine che, se la controffensiva non raggiunse grandi risultati materiali, la Commissione non doveva almeno disconoscere che essa aveva esercitato grande influenza morale nel dimostrare al Paese ed al nemico che l'offensiva austriaca ci aveva tutt'altro che fiaccati.
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CAPITOLO V RELAZIONI COL GOVERNO
In questo capitolo discorrerò delle mie relazioni col Governo, non solo durante la guerra, ma, giacchè sono su questo argomento, anche negli anni successivi. Si avrà cosi un quadro completo della mia situazione di fronte all 1Italia ufficiale, rappresentata, n el tempo in cui si svolsero gli avvenimenti, da uomini dei più svariati partiti, ma animati verso di me da un medesimo sentimento ostile. La relazione della Commissione d'inchiesta dedica le prime otto pagine del volume II alle relazioni tra Governo e Comando Supremo. In queste pagine si trovano molte cose inesatte o insussistenti, che io non ho potuto smentire o chiarire non essendo stato su di esse, al solito, interrogato. Premetto una franca dichiarazione. Nessuno era più di me convinto della necessità che in così gravi frangenti Governo e Comando Supremo procedessero in perfetto accordo. Ma se questo desiderio doveva spesso consigliare di · transigere sulle questioni di poca importanza, nessuna transazione era possibile sulle questioni che io giudicavo capitali per il felice svolgimento delle operazioni. Presentandosi tali casi, io ero ben deciso ad abbattere gli ostacoli che mi si parassero dinanzi o a dimettermi dalla carica. Questa io non l'avevo ambita, la rifiutai anzi, quando mi fu offerta, e mi fu pressochè imposta; due volte presentai le dimissioni, parecchie volte dichiarai che le avrei presentate se non avessi ottenuto ciò che reputavo necessario. 1 1
Oggi, dopo la guerra 1940-45, si usa imputare ai capi responsabili di non avere assunto, di fronte al Governo, lo stesso energico atteggiamento! [R.C.] 229
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A meglio illustrare quanto dissi, mi limiterò ad un solo esempio. Nel gennaio 1916, malgrado le mie obiezioni, giudicando io dannosa la dispersione delle nostre scarse forze su teatri di guerra secondari, già erano state inviate, per volontà del Governo, e con successive spedizioni, tre divisioni a Valona. II 22 di quel mese fui invitato ad intervenire ad un piccolo Consiglio di ministri, al quale parteciparono, oltre al presidente, i ministri degli Esteri, del Tesoro, della Guerra, e della Marina. Io non avevo alcuna ingerenza sulle cose di Albania, perchè il Corpo di occupazione era stato posto alla dipendenza del Ministero della Guerra, senza però che io ne muovessi doglianze, come erroneamente dice la relazione a pag. 8; però, volendo inviare altre forze in quella regione, il Governo doveva necessariamente richiederle al Comando Supremo. Orbene, oltre alle ingenti forze che già si trovavano a Valona, il Governo avrebbe voluto che se ne inviassero altre a Durazzo per avviarle nell'interno dell'Albania, allo scopo di avere poi dei pegni da far valere alla conclusione della pace. Oltrechè io ritenevo pericolosissimo allontanarsi dalla costa, esponendosi in quel difficile terreno privo di comunicazioni a chissà quali incognite, col pericolo di dover poi inviare altre forze a sostenere l 1onore della bandiera, ero convinto che il miglior pegno per la pace fosse la vittoria, la quale ci avrebbe consentito di imporre le condizioni volute anche per i territori non materialmente occupati; e le maggiori probabilità di vittoria si avevano mantenendo le forze riunite sul teatro di guerra principale, e non disperdendole su teatri affatto secondari. Io mi opposi dunque energicamente, e ne nacque una discussione assai vivace, nella quale da nessun ministro io fui sostenuto (essendo tutti evidentemente d'accordo per costringermi a capitolare); ed io dovetti alla fine dichiarare che se mi fossi esposto a perdere una battaglia nel Veneto, per avere acconsentito a disperdere le forze sui teatri secondari, avrei meritato di essere 230
Relazioni col Governo
fucilato. E se la mia p ersona era d 1imbarazzo al1 1attuazione degli intendimenti del Governo, non c'era che da sostituirmi! 2 Perche, anche questa volta, non si colse la palla al balzo, per esonerarmi dalla carica? Poichè è almeno da quest1epoca che data il desiderio del Gabinetto Salandra di esonerarmi - desiderio che maturò poi nel maggio successivo. Se io avessi acconsentito alla volontà del Governo, ci saremmo trovati quattro mesi dopo, quando gli austriaci tentarono l'invasione dal Trentino, con alcune divisioni in meno, e le conseguenze avrebbero potuto essere gravissime; perciò, colla mia opposizione, credo di aver reso un grande servizio al Paese. Il fatto ha poi provato quanto io avessi ragione: la grande vittoria finale costituì p er noi il miglior pegno, p erche ci consenti di raggiungere gli scopi della guerra, anche in quei territori che non erano stati materialmente occupati. Chi possedeva maggiori pegni degli Imperi centrali, in Francia, in Italia, in Russia, in Serbia, in Romania? Eppure la disfatta li costrinse a ceder questi, ed altri ancora! II Governo volle poi, malgrado il mio parere contrario, occupare Durazzo per via di terra, colla brigata Savona, ed espose questa ad un disastro che, se non fu maggiore, lo si dovette all 1abilità del generale Ferrere che riuscì ad imbarcare quella brigata sia pure a costo di gravi perdite. Io avevo dunque piena ragione di oppormi, ma la mia opposizione ha certamente valso a costituirmi la fama di persona poco arrendevole e poco disposta ad andare d 1accordo col Governo. Del resto non era cosa facile andar d Iaccordo con i Governi, in generale debolissimi, non appoggiati da una maggioranza e per contro dominati dalle influenze parlamentari, le quali con-
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Vedasi il mio libro: Altre pagine sulla grande guerra (Mondadori, Milano, 1925, pag. 146-149).
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tinuamente, dai primi mesi della guerra, congiurarono contro di me per farmi sbalzare dal comando, e vi sarebbero facilmente riuscite se non fossi stato costantemente difeso da chi aveva la possibilità di difendermi/ assicurando così la necessaria continuità del comando; che, per quanto si riferisce alla mia persona, tutte le congiure e tutte le ostilità che si svolgevano alle mie spalle e che io non ignoravo mi lasciarono sempre del tutto indifferente. Solevo soltanto dire alle persone di mia fiducia che finchè le cose della guerra fossero andate bene, nessuno avrebbe osato toccarmi, ma che al primo guaio che mi fosse toccato avrei avuto tutto il mondo addosso. E così fu, ed allora, senza alcuna mia sorpresa, ebbi a sperimentare tutta la estensione della viltà umana, ed andai soggetto agli attacchi più ignobili, alle calunnie più vergognose. Vi fu un deputato socialista, l 1on. Giacomo Ferri, innalzato due anni dopo da Giovanni Giolitti agli onori del laticlavio, il quale nella seduta del 22 dicembre 1917 ebbe la spudoratezza di dire alla Camera che io ero partito da Udine giorni prima di Caporetto e che «avevo ordinato una fuga», mentre io avevo lasciato per ultimo Udine, alle 15,30 del 27 ottobre, 20 sole ore prima dell'occupazione di questa città da parte delle truppe tedesche. E questa ed altre simili cose si dicevano alla presenza dell'on. Orlando e degli altri memBri del Governo senza che da nessuno di loro partisse una parola di protesta! Ho parlato poc'anzi delle influenze parlamentari massoniche che si esercitavano sul Governo, dominandolo. Ne darò un solo esempio. Il generale Pecori-Giraldi distintissimo generale ma inviso alla massoneria in grazia dei suoi sentimenti religiosi, durante la guerra di Libia nella quale reggeva il comando di 3
Il Re, ali' accettazione della carica da parte del Gen. Cadorna, gli promise la copertura politica. [C.C.] 232
Relazioni col Governo
una divisione, e trovandosi a capo del Governo Giovanni Giolitti, veniva esonerato dal comando e collocato a riposo, per influenze massonico-parlamentari capitanate dal deputato siciliano De Felice-Giuffrida. Scoppiata la grande guerra, il generale Pecori-Giraldi fu richiamato in servizio attivo al comando di una divisione e poco dopo gli fu affidato il comando di un corpo d 1armata. Da questo alla vigilia del1 1offensiva austriaca del Trentino del maggio 1916, in grazia degli ottimi servizi resi, passò al comando della I Armata, che egli resse, durante le operazioni del maggio-giugno 1916, con molta intelligenza e capacità. Perciò a suo meritato premio io proposi al1 1on. Boselli, capo del Governo, che con apposito decreto-legge egli fosse richiamato nei ranghi dell'esercito attivo. Tale proposta fu accettata, ma non vedendola attuata nei sei mesi successivi telegrafai il 20 dicembre 1916 all'on. Boselli per sapere quando l'avrebbe tradotta in atto. Egli mi rispose telegraficamente che la proposta era stata presentata alla Camera, ma aveva suscitato tale opposizione da comprometterne l'esito. E soggiungeva: « Vi sono deputati (e seppi poi che era il solo De Felice-Giuffrida) che hanno avvertito che rispetto a tale provvedimento si accingono ad accendere alla Camera la più viva discussione.» Sdegnato di tanta debolezza, risposi immediatamente col seguente telegramma: «Deploro profondamente che davanti alla minaccia e alla intimidazione di pochi deputati settari e faziosi debba mancare o ritardare un provvedimento di cui il Governo ha ammesso l'equità e l'urgenza. Sento vivissimo sconforto nel constatare che in tempo di guerra il Comando Su.premo dell esercito è impotente a far ottenere giustizia a due valorosi e benemeriti generali. 4 Ricordo che nello scorso maggio, quando Governo e Parlamento tremavano davan1
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La proposta di richiamo in servizio attivo era stata fatta anche per il generale Ricci Armani, comandante della 37a Divisione in Val Lagarina. 233
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ti al pericolo dell invasione, i generali Pecari e Ricci affrontarono serenamente, con tutte le forze del cuore e della mente, le più gravi responsabilità, e domando alla E. V. con quale animo e fiducia il Comando Supremo potrà richiedere ai due generali di rinnovare e molfrplicare contro la imminente minaccia nemica le prove date, quando io debba confessare che per ragioni di politica parlamentare essi non possono sperare giustizia: del resto, a Camera chiusa, il Governo può provvedere con un decreto di legge». I
In seguito a questo telegramma il presidente del Consiglio faceva deliberare dal Consiglio dei ministri il richiamo in servizio dei due generali. Ma a tal punto io dovevo giungere per ottenere una deliberazione di stretta giustizia: ad una paura, quella dei deputati, dovevo opporre una paura maggiore: quella del capo di Stato Maggiore! E tali Governi aveva l'Italia nel periodo più tragico della sua storia! Ed io avrei dovuto adattarmi alle deliberazioni più ingiuste di tali Governi per non incorrere nel1' accusa di non andar d'accordo con essi! Nessuno dei governi d'Italia del tempo della guerra fu all'altezza della sua missione; di gran lunga il migliore fu il primo, per il suo patriottismo e per le sue buone intenzioni. Ma anch'esso irretito dalle pressioni e dalle influenze parlamentari ed incapace di scuoterle e di governare come l'ora grave richiedeva, come seppe fare Clémenceau in Francia. Tali Governi meritavano di essere spazzati via per essere sostituiti con u'n regime più confacente alle necessità della grave ora che si stava attraversando. Premesso quanto ho detto per chiarire il mio pensiero ed i miei propositi passo a rilevare le inesattezze della relazione. E' scritto a pag. 8: "Le ripercussioni politiche gravissime, che gli avvenimenti militari sono sempre capaci di determinare, avrebbero dovuto imporre al generale Cadorna una maggiore cordialità di intesa 234
Relazioni col Governo
col Governo; però, si mostrò sempre assai geloso dei suoi poteri e talvolta persino sospettoso di ogni parola del Governo che, pure in forma assai riguardosa, potesse contenere un'osservazione o un consiglio; fu accennato che egli fosse restio a fornire dati (quelli, per esempio, sulle perdite) per cui non era dubbia la legittimità della richiesta". Rispondo: io ho sempre dimostrato cordialità a chi me l'ha dimostrata, e lo possono attestare i numerosi ministri che son venuti al Comando Supremo. Quanto alla gelosia dei miei poteri, non vi è dubbio che non avrei subito l'intromissione del Governo nella condotta delle operazioni militari, perchè tutta la storia dimostra quanto fatale sia tale ingerenza politica: basti per tutti l'esempio del 1870, quando la ragion politica spinse l'esercito del maresciallo Mac Mahon al disastro di Sedan! Ma non ci fu nessun fatto importante che potesse suscitare questa gelosia, poichè è verissimo ciò che la Commissione afferma, cioè che il Governo si è astenuto dal11esercitare ingerenza nella condotta della guerra. Circa poi all'essere io sospettoso di ogni parola del Governo che suonasse osservazione o consiglio, rispondo invitando ad uscire dalle generalità cui non si può replicare, ed a provare l1asserzione con fatti concreti. L'affermazione che io fossi restio a fornir dati, perfino sulle perdite, è una assurda invenzione. Quale motivo avrei avuto per rifiutarmi? E quale piccolezza sarebbe stata, se mi fossi rifiutato? A pag. 9 la Commissione ritiene "che le sue preoccupazioni (le mie) di congiure ai suoi danni furono eccessive... " Ma a pag. 11, contraddicendosi, la Commissione dice: «E dopo la conquista di Gorizia non fu più luogo a formale discussione nei riguardi dell 1esonero; ma la fiducia del Governo nel capo di Stato Maggiore non potè essere interamente scevra di preoccupazioni, anche perchè non pochi autorevoli parlamentari, per cognizione propria e facendosi eco di notizie avute, non mancavano di far rilevare quelli che loro apparivano essere errori 235
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di condotta della guerra, e particolarmente il poco buon governo degli uomzm». Questi tentativi di demolizione nascosti continuarono durante tutta la guerra, e io ne ero perfettamente informato, sebbene non mi toccassero affatto le preoccupazioni che la Commissione suppone; poichè, come ho già detto, io andavo diritto per la strada che mi sembrava la più vantaggiosa al Paese senza curarmi della mia posizione. Se fossi stato assillato da preoccupazioni personali, ben diversamente mi sarei regolato! Perciò la volgare osservazione riportata a pag. 14 che io mi fossi lagnato di non essere stato nominato generale d 'esercito è del tutto falsa e fuori proposito; e lascio giudicare con qual senso di opportunità essa sia stata introdotta nella relazione da chi 5 a tal grado pervenne senza essere andato incontro alla decima parte delle responsabilità che hanno gravato sulle mie spalle! Nessuno potrà addurre mai alcuna prova di ciò, mentre ve ne sono molte in contrario nelle dimissioni ripetutamente date o minacciate. Io ero benissimo informato dei parlamentari che si facevano eco a Roma dei pettegolezzi che raccoglievano nei quartieri generali e delle numerose critiche che si udivano, e sentenziavano poi sugli errori di condotta della guerra che loro apparivano anche per mancanza di cognizione propria e che colla loro competenza giudicavano! Quanto al poco buon governo degli uomini, se è vero che il Governo ne fu informato da non pochi autorevoli parlamentari (e avrebbe dovuto saperlo da ben altre fonti), avrebbe dovuto dirmelo, ed invece io non ne fui mai informato. Perchè allora il Governo, che di tali informazioni disponeva, anzichè cercar di migliorare la situazione morale e materiale delle truppe, giunse fino alla riduzione della razione del pane prima di aver razionato il Paese, e mi negò perfino nel 1917 i 5
Si riferisce al Presidente della Commissione, Gen. Caneva [C.C.]
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Relazioni col Governo
mezzi finanziari occorrenti alla propaganda e ad altri scopi morali, come dissi nel capitolo Il? Tali ingerenze parlamentari nella condotta e nelle cose della guerra non ebbero luogo soltanto da noi, e ciò è n aturale: alle medesime cause corrispondono gli stessi effetti. Ciò che è accaduto in Francia lo possiamo conoscere da due pubblicazioni, molto istruttive, per i confronti con i casi nostri, del Mermeix: Joffre - La première crise du commandement e Nivelle et Painlevè: La deuxième crise du commandement. In esse sono esposti particolari del massimo interesse circa l'azione del parlamentarismo in tempo di guerra e sarebbe cosa del pari interessante se analoga pubblicazione fosse fatta in Italia. Mi limiterò ad un cenno molto sommario di quelle due pubblicazioni, alle quali rimando il lettore. Risulta dunque che le congiure parlamentari contro il generalissimo francese incominciarono come presso di noi, poco dopo lo scoppio della guerra, ma Joffre è rimasto invulnerabile fino all'ottobre del 1915 essendo coperto e difeso dal ministro della Guerra Millerand, carattere forte e tenace, il quale avendo piena fiducia in lui crede che sarebbe ingiustizia ed errore il sostituirlo e dichiara che per arrivare al generale bisogna prima abbattere il ministro. Dal principio del 1915 in poi (come accadde anche da noi) dei militari si permettono di inviare clandestinamente a membri influenti del Parlamento delle memorie nelle quali si critica e si accusa il Comando Supremo. Il generale Gallieni, succeduto nel11ottobre 1915 al Millerand nel Ministero della Guerra, si fa l'eco di tali critiche presso il generale Joffre; ma l'alto carattere di quest' ultimo reagisce ed egli risponde il 18 dicembre 1915 con una fierissima lettera, la cui conclusione merita di essere riprodotta: "En def i n itive, j I e stime que rien ne j us ti fie l es craint es que vous e xprime z au nom du gouver neme nt '137
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dans votre dépeche du 16 décembre . Mais puisque ces craintes sont f ondèes sur des comptesrendus vous signalant des defect uos ites dans l a mise en etat de defense, j e vous demande de me communiquer ces comptesrendus et de me designer leurs auteurs . Je ne puis admettre, en effet , que des milit aires placés sous mes ordres fassent parvenir au gouvernement par d 'autres voies que la voie hierarchique des plaintes ou des reclamations au sujet de l 'execution de mes ordres . I l ne me convient pas davantage de me defendre contre des imputations vagues dont j ' ignore la source . Le seul fait que le gouvernement accueille des comunications de ce genre provenant , soit de parlamentaires mobilisés, soit directement ou indirectement d ' officiers servant sur le front , est de nature a jeter un trouble profond dans l'esprit de discipline de l ' armée . Les militaires qui écrivent savent que le gouvernement fai t état de leurs correspondences vis-a-vis de leurs chefs . L'autoritè de ceuxci est atteinte; le moral de tous souffre de ce discredit . Je ne saurais me preter à la continuation de cet état de choses . J ' ai besoin de la conf i ance entière du gouvernement. S ' il me 1' accorde il ne peut ni encourager ni tolerer des pratiques qui diminuent l ' autorité morale de mon commandement, et faute de laquelle je ne pourrai plus continuerà en assumer la responsabilité" . 6 Ecco a quali conseguenze sulla disciplina conducono le intromissioni parlamentari quando un capo coscienzioso e risoluto non vi si oppone, pur suscitando con la sua opposizione inimicizie che, accumulandosi, provocheranno poi la sua caduta! Nell'ottobre 1915 al Ministero Viviani succede il Ministero Briand del quale faceva parte il generale Gallieni «La ques tion Joffre , sur laquelle s' etait usè 238
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Millerand, se posait donc devant Briand des les premiers jours de son Ministere . Briand, aussi plastique et sinueux que Millerand etait compact et massif , la t raita à sa manière , qui consiste à ne pas i rriter les oppositions par des attitudes hautaines , mais a les dissoudre momentanément par des concessions d' apparences, et par l ' esperance qu ' il fait concevoi r d ' autres sati sfactions dans l e plus proche avenir. Le grand séducteur d ' assemblees ne prend pas des airs de dominateur . Courtoisement, doucement, il expose son opinion et l ' opinion contraire . Certes, ce qu 'on lui s uggere n ' est pas i nacceptable ; il ne sera i t pas loin luimeme de 1 'accepter et il explique toutes les raisons qu ' il aurait de se rallier a l' avis de ses contradicteurs . Mais ... car il y a touj ours un «mais», plusieurs «mais» . . . , les choses ne sont passi simples , elles sont compl exes . A' en considérer un certain aspect, tel parti s ' impose . . . ma is i l y a d ' autres aspects . . . et i l les décrit, dont la vue est propre à inspirer d ' autres déterminations ... Un jour viendra, sans doute, ou le parti qu'il repugne a adopter auj ourd ' hui sera probablement le seul parti à prendre ..Mais il f aut attendre" (pagine 69 e 71 del volume: Joffre).
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Fatti analoghi accaddero anche da noi. Un colonnello di Stato Maggiore (Bencivenga, C.C.), incoraggiato da membri del Governo, mandò ad essi un memoriale contenente un'aspra critica al Comando Supremo per la condotta delle operazioni. Sorpreso, processato e condannato ad un anno di reclusione militare, gli veniva poi annullata la pena dal Tribunale supremo di Guerra e Marina perchè "non fu spinto a compiere l'azione contestatagli da motivi personali o sotto altri pretesti riprovevoli, ma unicamente dall'amor di Patria, dal timore, cioè, che il modo di condotta della guerra non ne mettesse in pericolo la esistenza". 239
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Con queste arti sapienti Briand «maitrise moins les oppositions qu 'il ne les énerve; il ne resout pas les difficultès, il les ajoume dans l'attente» e, convinto della convenienza di conservare }offre al Comando Supremo, riesce, con tali arti, a tacitare le opposizioni per più di un anno. Ma le sue predilezioni pel vincitore della Marna non arrivano fino al punto di sostenerlo ad ogni costo sacrificandogli il potere. Le opposizioni parlamentari aumentavano e minacciavano di sommergere il Ministero se questo non fosse addivenuto ad un cambiamento nel Comando Supremo. Molti capi d'accusa furono formulati contro Joffre e, dice il Mermeix a pag. 366 del Joffre: «Beaucoup de ces gr iefs art iculés cont re Jof fre paraitront au l ecteur de poids minime. I ts créèrent pourtant a l a fin une opinion parlamentaire si de favorable au conunandant en chef que s es plus fidèles s erviteur s durent se r ésigner à l e sacri fie r .» Si pensò al l ora a sostituire i l generale Joffre col gener ale Nivelle nel comando dell ' ese rcito francese sul suolo di Francia , i nnal za ndo il gene rale Joffre alla carica di comandante di tutti gli eserciti francesi - carica p iù onorifica che r eale . «Joffre ne se preta pas a l' a rrangement . Il persistait à r efuser toute r educti on de s es attributions actives . Des amis furent employés auprés de lui pour l 'emmener à se r ésigner ; on le nommerai t marechal de
Rimane perciò inteso che in una futura guerra qualunque ufficiale o caporale, appellandosi all'amor di Patria e a questa sentenza, potrà impunemente inviare, senza violare la disciplina, dei memoriali al Governo contro il Comando Supremo! Sono cose incredibili! E io domando com'è possibile reggere un Comando Supremo quando prevalgono tali teorie nella suprema magistratura militare e quando m embri del Governo sono i primi a congiurare contro chi ha la responsabilità delle operazioni, e ciò in accordo coi suoi dipendenti!
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Relazioni col Governo
France, il resterait commandant en chef de t outes les armèes. Butè, le general repondait qu'il voulait rester ce qu ' i l etait ou n 'et re plus r ien . Qu'on l e relevat et il s'en i r ait dans son vi l lage . Mais il fallait le releve r.» (pag. 253 del volume Joffre).
Ma Briand seppe ricorrere a tutte le sue arti; fece intervenire i ministri che si erano mostrati partigiani del generale Joffre, e perfino il presidente della Repubblica. Ciononostante nulla si ottenne da Joffre, il quale sempre ripeteva "toglietemi il comando". Finalmente il 3 dicembre 1916 Joffre cedette e all'indomani Briand potè annunziare alla Camera riunita in comitato segreto che Joffre rientrerebbe a Parigi, che le armate del Nord-Est e di Macedonia da lui dipenderebbero, che sarebbe nominato un nuovo comandante con poteri più ristretti. E cosi la Camera fu soddisfatta. Ma non furono soddisfatte le esigenze del buon funzionamento del Comando. Il generale Nivelle, designato al comando del fronte Nord-Est, «au moment de dire: oui, il eprouva une hesitation. Il posa comme condition qu 1il jouirait de route l 1independance qu 1avait eue }offre. Cette pretention legitime etait bien difficilement conciliable avec les exigences de Joffre, qui avait bien consenti a quitter le quartier generai des armees du NordEst, mais qui avait demandè et a qui on avait promis de lui conserver dans sa realitè le commandement en chef de toutes les armées» (pag. 257 del Joffre). Ecco a quali conseguenze conducono le · indebite intromissioni parlamentari nel Comando! Finalmente, mediante la condiscendenza del generale Nivelle e la sua deferenza verso il generale }offre, si stabilì un modus vivendi tollerabile, ma non scevro di pericoli. Poco dopo la nomina del generale Nivelle al Comando
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Caporetto, risponde Cadoma
Supremo, al Ministero Briand succedeva il Ministero Ribot, col signor Painlevè ministro della Guerra. Questi non era favorevole al generale Nivelle e gli preferiva il generale Pètain. Il volume Nivelle et Painlevè contiene tutta la storia dei rapporti tra il generalissimo ed il ministro della Guerra, storia fatta di intromissioni governative nell'azione del Comando e di conseguente esautoramento di quest'ultimo, e che termina con la sostituzione del generale Nivelle col generale Pètain. Scrive il Mermeix a pag. 142 del Nivelle et Painlevè: «La politique - sans qu' il l' e ut solli citèe - n' avait pas etè t out a fait ètrangere a l'elevation du general, lui fit payer sa faveur en l ui prodiguant ses avani es, pendant l es cinq mois qu'il fut au pos t e des s upremes responsabil i tès. Autori t é ébranlée par la forte personnalité du minis tre de la Guerre, sous les ordres du quel i l se trouva placé, autorité discutée par ses subordonnés qui voyaient au dessus du pouvoir du general en chef le pouvoi r d' un ministre dont on ne pouvait pas eroire qu'i l s'effacerait; empiètement sur les attributions du commandement en chef après le depart de Lyautey et de Briand par des ministres dont l'un au moins avai t l'esprit plein de preventions contr e Nivelle; préférence donnée ouvertement a celui des l ieutenants qui, sur l' invit~tion du ministre, avait critiqué les plans de son chef; refus de donner des sanctions aux fautes contre l a discipline que denoncait le commandant en chef; exigence au contrai re d'une misure de rigueur contre un general que Nivelle luimeme avait trouvé sans repr oche; défai llance des ministres sous l'averse de calomnies dont les mercenaires de l'Allemagne et leurs tristes dupes avaient assemblé les nuages, avant meme que la bataille ne fut engagée; ordre de suspendre son offensive, ce qui etait une mise en demeure d'avoir a s'avouer vai ncu, alors qu'il ne l'etait pas, parce 242
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que l es minist res n' osaient pas affr onter la tempet e des indignations f actices qui emplissaient les couloi rs de l e urs grondements : telles fu r ent les misères du cormnandement de Nivelle . Le généra l connut dans l 'extreme grandeur militair e les extremes s ervitudes que la politique i nfli ge à ceux qui ne sont pas des s iens et dont elle fai t a l ' occasi on ses i nstruments . «Nivelle, ·vai ncu non par l' Allema nd mais par l es manoeuvres et l es défa illances de l'arrière, alor s qu ' i l n ' y avait plus qu 'un e ffort a fai re pour qu ' il f ut vainqueur sur le front, lai ssa a son successeur un i nst rument faussé .. . » .
Ce n'è abbastanza, mi pare, per comprendere quanto io avessi ragion e di non tollerare nessuna intromissione politica nell'esercito, se pure ciò mi esponeva ad avversioni e ad inimicizie, le quali avrebbero approfittato del primo insuccesso per scagliarsi contro! Risulta infine ampiamente, dai due volumi accennati, come il parlamentarismo, sotto forma di commissioni di controllo od in altro modo, s'intromettesse nel funzionamento dell'esercito e, per ragioni soltanto politiche, imponesse la conservazione di capi che erano stati esonerati dal comando (Sarrail) o impedisse l'innalzamento di altri capi che erano molto stimati nell'esercito (de Castelnau). Era necessario che la mano energica del signor Clémenceau afferrasse il potere perche l'andamento delle cose mutasse e la fiducia rinascesse. A pag. 12 la relazione dice: "Dopo i contrasti col ministro Zupelli che si acuirono dal principio della guerra in poi, non sempre senza colpa di talun ufficio di quel nuovo grande Ministero che si era formato in Udine, notevolmente appesantendo il Comando Supremo - contrasti fra i quali predominò quello sopraccennato relativo all'Albania, - il generale 243
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Cadorna scrisse al presidente del Consiglio dichiarando indispensabile che il ministro della Guerra fosse sostituito, altrimenti gli sarebbe stato impossibile di conservare la carica di capo di Stato Maggiore. Immediatamente tale ingerenza anticostituzionale fu respinta; ma più tardi il ministro Zupelli dovette dimettersi perchè l'esercizio del suo mandato in confronto del Comando Supremo era divenuto impossibile, tanto più che un'accanita campagna giornalistica, che si ritenne inspirata da detto Comando, era ormai svolta contro di lui. Se la Commissione mi avesse fatto l'onore di interrogarmi, non avrebbe affastellato tante inesattezze; ma, come al solito, ha sentenziato giudicando superfluo il mio intervento! Con mia lettera del 27 febbraio 1916 al presidente del Consiglio (on. Salandra), dopo di aver deplorato con amare parole il recente disastro di Durazzo, la principale colpa del quale spettava al ministro della Guerra, alla cui dipendenza era stato posto il Corpo di occupazione di Albania, e dopo di aver ripetuto le lagnanze più volte fatte sull'opera del suddetto ministro/ in relazione ai bisogni della guerra, soggiungevo che, considerando la enorme responsabilità che pesava sulle mie spalle, in seguito agli avvenimenti recenti di Durazzo, io sentivo il dovere di dichiarare che tra il ministro della Guerra e me era maturata una incompatibilità assoluta, perché lo ritenevo scaduto dal prestigio e dall'autorità che I1 àlt9 ufficio imponeva. Perciò io prospettavo alla considerazione del presidente del Consiglio la necessità in cui mi trovavo di poter fare assegnamento - se non immediatamente , in epoca assai prossima - sulla presenza al Ministero della Guerra di persona dalla quale io mi sapessi con sicurezza costantemente sorretto, e che, a quanto il
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Circa il modo com'io ero coadiuvato, vedasi quanto ho riferito nel capitolo IV del mio libro "La guerra alla fronte italiana". 244
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Comando Supremo richiedeva, rispondesse collo slancio e coll1attività imposti dalle circostanze del momento. Se, ciò malgrado - io soggiungevo - il presidente del Consiglio non credesse di confortare col proprio autorevole consenso il giudizio che io traevo dagli avvenimenti di Durazzo, non mi rimarrebbe che pregare lo stesso presidente di ottenermi da S. M. il Re l1esonerazione dalla carica che occupavo. L1on. Salandra saliva allora sulla sua cattedra di diritto costituzionale e mi insegnava che, secondo lo statuto fondamentale del Regno, al Re solo spettava la nomina e la revoca dei suoi ministri, e, secondo la consuetudine che era oramai norma del nostro Governo costituzionale, spettava unicamente al presidente del Consiglio la proposta e quindi la responsabilità di tali atti di Governo. Anche la Commissione d 1inchiesta mi accusa di ingerenza anticostituzionale. Ma, senza intenzione alcuna di invadere attribuzioni che non mi spettavano, io avevo pure il diritto di dichiarare che, rimanendo al Governo un dato ministro della Guerra, ne1I1interesse precipuo del buon andamento delle operazioni militari, non avrei potuto conservare la mia carica! Ed io che, in cosi gravi momenti, assai più mi preoccupavo della sostanza delle cose che delle formule costituzionali e che avevo cercato di rispettare queste rappresentando al presidente del Consiglio responsabile le necessità d ella grave ora nella forma il più possibile corretta, tosto, cioè il 1° marzo, rassegnai le dimissioni dalla carica di capo di Stato Maggiore, le quali mi si indusse poi a ritirare. Ecco, adunque, una seconda buona occasione perduta per sostituirmi nel Comando! E il 25 del successivo maggio il Governo doveva pur perdere la terza, come raccontai nel precedente capitolo. Ma, io domando, perche non sostituirmi allora? Era per me di gran lunga preferibile I1esonerazione al tollerare qualsiasi deviazione dalla linea di condotta che a me sembrava la più conveniente nell1interesse del Paese. Ma, poco dopo, il generale Zupelli veniva sostituito dal generale Morrone al 245
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Ministero della Guerra per la semplice ragione che la sua persona e la mia erano diventate incompatibili nel lavoro comune, non già perche gli si fosse scatenata «una accanita campagna giornalistica» tanto meno poi ispirata dal Comando Supremo. Io smentisco recisamente tale notizia, per quanto sia stata data da «un'altissima personalità politica» (vedasi la nota 2 a pag. 12 della relazione). Chi mi conosce sa che le cose le dico apertamente (e l'ho dimostrato anche in questa circostanza), e non ho sentito il bisogno di ricorrere, per ottenere il mio scopo, a subdole campagne giornalistiche. Ne allora, ne mai! Osservo ancora che a Udine non si era affatto formato «un nuovo grande ministero». Il Comando Supremo, nel primo anno di guerra, era composto di 158 ufficiali, 8 comprendendovi i numerosi uffici che corrispondevano a funzioni necessarie nel complicato organismo di un grande esercito moderno; poi il numero degli ufficiali diminuì sensibilmente. Il Comando Supremo essendo stabile, non risentiva nessun inconveniente della sua pesantezza, e quando io mi spostavo conducevo con me un piccolissimo Stato Maggiore, a segno che al tempo delle operazioni del Trentino passai quasi tre mesi a Vicenza con tre soli ufficiali di Stato Maggiore e quattro altri ufficiali; perciò questo piccolo quartier generale, che disponeva di automobili e di un treno speciale, era mobilissimo, e tale mobilità sfruttai largamente; mentre }I generale Porro presiedeva agli uffici del gran quartiere generale a Udine. Soggiungo infine che, succeduto il ministro Morrone al Ministero della Guerra, ed a questo il ministro Giardino nel 1917, con· entrambi mantenni rapporti cordialissimi e da entrambi mi sentii efficacemente coadiuvato nel rispondere alle 8
DaU'interessante volume del Mermeix : Joffre - Première crise du commandement, tolgo le seguenti parole a pag. 364: il y eut plus de 250 of.ficiers d'etat major a Chantilly. C'etait plus qu'un ministère, c'etaìt presque un gouvernement. 246
Relazioni col Governo
necessità dell'esercito che venivan loro rappresentate, «per quanto - come dice la Commissione a pag. 12 - non mancasse la materia di discussione e non tutte le richieste del Comando Supremo potessero essere esaudite». Lo si sa: la materia di discussione non manca mai e l'essenziale era che fossero esaudite le richieste sostanziali: io non ho mai preteso altro! Soggiunge però tosto la Commissione, a pag. 13: «Al ministro Morrone, che si dimise..., ma che, secondo un ufficiale in grado di essere ben informato, "aveva perduto le simpatie del Capo per il fatto di trovarsi nel Gabinetto Boselli", successe il generale Giardino "particolarmente indicato al presidente del Consiglio dal Comando Supremo".» Osservo al riguardo: 1. - è assolutamente falso - ed anche inverosimile - che io abbia perduto le simpatie per il ministro Morrone, col quale ebbi sempre rapporti cordialissimi, per il solo fatto di trovarsi a far parte del Gabinetto Boselli, per il quale io non potevo avere ragioni particolari di antipatia. Io non avevo l'abitudine di regolare le mie azioni sulle simpatie e sulle antipatie - e il dare ospitalità a questa specie di argomenti non fa onore alla serietà della relazione. 2. - Io non mi sono mai permesso di indicare dei ministri al presidente del Consiglio se non ne venivo richiesto. Se l'avessi fatto, sarebbe stata giudicata - questa volta a ragione - «un'ingerenza anticostituzionale». A pag. 270 della relazione si legge: Un esempio tipico (del mio così detto egocentrismo): nella situazione in cui il Paese si trovò dopo la grande rotta, non seppe il generale Cadorna vedere la necessità in cui il Governo era di esonerarlo, e nelle modalità con cui il Governo credette con estrema cautela assicurare la continuità ed il prestigio del Comando, prima di richiamarlo a render conto del suo operato, vide solo uno sleale procedimento a suo riguardo. 247
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L'ultima parte di questo brano riflette i rapporti tra il Governo e me, e perciò la sua trattazione trova luogo in questo capitolo. Io ho l'obbligo di dimostrare che la slealtà non è stata una mia fantasia passeggera e che per parte del Governo dell'on. Orlando fu invece una realtà costante. La dimostrazione non potrà esser breve, ma varrà anche a lumeggiare la psicologia di uomini che la storia ha il diritto e il dovere di giudicare. Debbo però prima rettificare quanto la Commissione ha scritto nella prima parte del brano succitato. Prima della rotta io avevo sempre dichiarato, nelle intime conversazioni, che al primo insuccesso avrei avuto tutto il mondo addosso: tanto bene io conoscevo ciò che si macchinava negli ambienti politici! La esonerazione non poteva perciò giungermi inaspettata. Ne son prova le parole che io telegrafavo all'on. Orlando in risposta al secondo dei telegrammi da lui inviatomi il 30 ottobre 1917, il giorno stesso in cui egli assunse il potere (Vedasi nel capitolo XI del mio libro La guerra alla fronte italiana, pagina 225): «Io mi sento tranquillo e forte come chi sa di aver fatto tutto il suo dovere, e non teme la sorte avversa.» Dunque, quelle parole che hanno sapor di forte asperità la Commissione se le poteva risparmiare! Scrivendo quel brano la Commissione ha pure dimenticato che dopo la mia esonerazione e prima di «chiamarmi a render conto del mio operato» il Governo' mi affidava l'importantissima missione di rappresentante dell'Italia presso il Consiglio di guerra interalleato di Versailles, e con quali espressioni di fiducia egli m'imponesse tale mandato, che io ero dapprima ben deciso a declinare, si vedrà tra poco. Risulta dal precedente capitolo la continua minaccia di esonerazione dal comando che incombeva su di me nel primo anno della guerra, senza che il Governo desse mai attuazione a tale provvedimento, pur quando io offrissi le dimissioni, o le minacciassi. Quando il Governo non ha fiducia nel capo di Stato 248
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Maggiore ha il dovere di sostituirlo senz'altro. Ma, finchè tale fiducia conserva, ha pure il dovere di assicurare la tranquillità del suo animo difendendolo dalle insidie che gli sono tese. Ed invece io sono stato conservato nella carica mentre mi si minava, e pur manifestandomi, fino all'ultimo a parole, fiducia. Ciò può in molti modi essere dimostrato. Il 30 giugno 1917, meno di quattro mesi prima di Caporetto, il presidente del Consiglio on. Boselli pronunciava le seguenti parole alla Camera dei deputati: "Non è qui il momento di trattare il delicato argomento del modo come sono regolati legislativamente i rapporti tra il Comando Supremo e il Governo. Questo io posso dire: che le relazioni tra il Governo ed il Comando Supremo procedono nei migliori termini. E questo io debbo soggiungere, o signori, che il Governo sente ed assume tutta la responsabilità che gli spetta, perchè il Governo che sceglie il supremo comandante o lo mantiene nel suo comando ha la responsabilità dell'opera di lui. (Applausi - Approvazioni). Ed il Paese può essere certo che da questa Camera non uscì proposito alcuno che, al disopra di particolari apprezzamenti, possa valere a scuotere quella fiducia che il Paese intero ha nel generale Cadoma, uomo di valore, fermo nella condotta della · guerra, fermo nella fede nella vittoria. (Approvazioni). Onde il Paese ha ben ragione di mantenere tale sua fiducia in lui! (Applausi vivissimi al centro e a destra - Commenti)". Ed ancora nel Consiglio dei ministri del 28 settembre 1917, del quale ho discorso nel capitolo II, quello stesso on. Orlando (allora ministro dell'Interno) che, un mese dopo, salito alla presidenza del Consiglio, deliberava di sostituirmi nel comando, pronunziava con magniloquenti parole alte espressioni di elogio a mio riguardo; mentre il presidente del Consiglio, on. Boselli, alla cui destra io sedevo, mi sussurrava all'orecchio che la sua ammirazione per me non era stata mai tanto grande come in quel momento! Io ero cosi poco persuaso della sincerità di 249
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quelle espressioni che "nè mossi collo nè piegai mia costa", neppure per ringraziare. Che più? Lo stesso on. Orlando, salito alla presidenza del Consiglio, non mi inviava lo stesso giorno 30 ottobre in cui assunse il potere, pur dopo Caporetto, e tre o quattro giorni prima di decretare la mia sostituzione, i due telegrammi trascritti alla fine del capitolo XI del mio precedente libro, nell'ultimo dei quali mi riconfermava «tutta la mia fede che si collegava con l'ammirazione e la simpatia onde io ho sempre accompagnato l'opera che V. E. ha svolto, superando cosi gravi difficoltà col vigore dell'animo e l'altezza della mente» ? Dirà la Commissione che questa non fu slealtà, ma «estrema cautela per assicurare la continuità e il prestigio del Comando prima di chiamarmi a render conto del mio operato», quasicchè io avessi bisogno di essere ingannato per conservare la tranquillità dell'animo fra le tempeste! Ma io dico, invece, che un Governo deve avere, almeno in guerra, quando sono in gioco le sorti della Nazione, una grande sincerità, senza la quale non è possibile quell'accordo che è elemento tanto importante di successo. Si vedrà ora che la slealtà fu più grande che mai dopo che io abbandonai il Comando, quando cioè non era più necessaria «l'estrema cautela per assicurare la continuità ed il prestigio del Comando» .. Subito dopo di avermi inviato i due telegrammi di alta fiducia, del 30 ottobre di cui ho testè discorso, il Governo deliberava la mia sostituzione. Lo dichiarò (come mi è stato formalmente assicurato da testimoni degnissimi di fede), lo dichiarò lo stesso presidente del Consiglio on. Orlando, nella seduta del comitato segreto della Camera dei deputati del 17 dicembre 1917, quando, interrompendo l'avv. Raimondo, affermò che prima del convegno di Rapallo il Consiglio dei ministri aveva deciso il mutamento del Comando Supremo.9 Il convegno di Rapallo 250
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avendo avuto inizio il 5 novembre, il suddetto Consiglio deve aver deliberato al più tardi il 3 novembre, mentre i due telegrammi di alta fiducia inviatimi sono delle ultime ore del 30 ottobre! Nel mattino del1 8 novembre mi si partecipava che ero stato sostituito n ella carica di capo di Stato Maggiore dell'esercito, ed ero stato nominato rappresentante militare consulente del Governo italiano nel Consiglio superiore di guerra interalleato di Versailles: consiglio istituito due giorni prima al convegno di Rapallo. Quasi con temporaneamente mi perveniva la seguente lettera del m inistro della Guerra, che fu fatta pubblicare dai giornali: 1
"Eccellenza, Ella avrà già avuto da S. M. il Re la comunicazione uff iciale del provvedimento che la riguarda e che modi f i ca, nelle persone, la composizione dell'al to Comando dell' esercito. Per quanto siano altissime le funzioni ora a ffidatele, e tal i che s enza alcun dubbio nessun altro avrebbe pot uto esercitarle con la competenza e l ' autorità che alla nuova car ica viene dall a designazione della E. V. ,
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Ciò e confermato anche dall'articolo di fonte ufficiosa pubblicato sulla Revue des deux Mondes d el 15 luglio 1920 col titolo: La fin d 'une legende La mission du Marechal Foch en Italie (Octobre-novembre 1917). In questo articolo, a pag. 292 si legge: Pour y r epresente r l 'Itali e (al Consi gli o di Versai l les) a ux Cotes du gener a! Foch e t du genera! Wilson, l e gouvernement italien por te s on choix sur le general Cadorna , qui s era rempl acè a la t ete des àrmees i tal iennes . Le choix de son successeur n ' es t pas encore arretè; mai s s on remplacement dans l es fonctions de chef d' etat major general , qui comporte en Italie le commandement en chef des a rmees , date egalement de Rapallo . Prise da ns la plenitude de l eur i ndependance par l e pres i dent du Conseil Or l ando et les membres di rigeant de son cabinet , l a decision, il n ' est audacieux de l e s upposer, a e tè apportee pa r eux de Rorne dej a arretèe e n principe . 251
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comprendo come debba r i uscire doloroso togliersi da l contatto quoti diano con quell 'esercito che V. E. ha condotto tante volte alla vittoria. E questo dolore sarà certamente sentito dall'esercì to stesso e dal Paese, per il quale il nome del generale Cadorna, ben degno delle antiche tradizioni di fami glia, suonerà sempr e intelligenza, valore, carattere, ferma e s i cura e ner gi a. Il Governo del Re ha ritenuto di doverle chiedere questo sacrificio perchè in più vasto campo l'E. V. possa portare il suo grande contributo a l l'opera comune del l'Italia e dei suoi alleati. Lo scopo da raggiungere è cosi alto e nobile che V. E. troverà in esso un conforto efficacissimo, come l o troverà nella riverente dimostrazione di affetto dalla quale il distacco sarà accompagnato. Mi acconsenta 1' E. V. di associarmi di tutto cuore a questa dimostrazione e di consociarla a mia volta all'augurio che, in nome dell'esercito, del Governo e del Paese faccio per le sorti e per la gloria d'Italia. II Mini stro V. ALFIERI
II Governo, dunque, mi chiedeva il sacrificio del Comando perchè io potessi prestare l'opera mia in più vasto campo. Si tentava così di farmi credere che la mia esonerazione dal Comando era imposta da una speciè di promozione, mentre, in realtà, essa era già stata deliberata, come dissi, dal Consiglio dei ministri non più tardi del 3 novembre! Questa circostanza io non potevo conoscerla in quel momento; tuttavia ebbi tosto la sensazione di una destituzione mascherata, e rimasi sdegnato, non già della cosa in sè, perchè il Governo, nella sua responsabilità, ha il diritto ed il dovere di nominare a capo dell'esercito chi gli ispira maggior fiducia, ma della procedura obliqua seguita, a pochi giorni di distanza dalle ampie dichiarazioni fat-
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Relazioni col Governo
temi dal presidente del Consiglio; giacchè io reputavo che l'unico modo degno del Governo e di me sarebbe stato quello di dirmi francamente e tutta intera la verità! La notizia, del resto, non mi sorprese affatto, e, come già dissi, le parole in corsivo del mio secondo telegramma del 31 al presidente del Consiglio chiaramente lo dimostrano. Intanto io avevo telegrafato al Governo perchè mi comunicasse l'ordine scritto di lasciare il Comando, e ne ricevevo la seguente risposta: Roma, 9 novembre 1917 - ore 7,30 Riservomi i nviarle comunicazione ufficiale scritt a appena conosciuto forma precisa decreto f i rmato i n mia assenza da S. M. i l Re. Prego intant o considerare come comunicazione uffici ale quella fatta l e personalmente da S. M. i l Re e rinnovo espressioni mia devoz i one sincera e profonda e mio augurio per la nuova opera cui V. E. s i accinge per il bene della Patria. Gener ale ALFIERI In quello stesso mattino del 9 novembre io consegnavo il Comando al mio successore. Ma nel frattempo leggevo sui giornali il comunicato ufficiale che dava l'annuncio del cambiamento di comando e della mia nomina a membro del Consiglio di guerra di Versailles. Il 29 novembre io giungevo a Parigi e dopo aver preso parte alla conferenza interalleata, ivi riunitasi nello stesso giorno, mi trasferivo il 4 dicembre a Versailles e vi assumevo la nuova funzione. Il 12 dicembre veniva convocata la Camera dei deputati, la quale tosto deliberava di riunirsi in comitato segreto nel giorno 253
Caporetto, risponde Cadoma
successivo. Le sedute del comitato segreto furono sei, dal 13 al 18 dicembre, e furono in gran parte dedicate alle operazioni militari della fine di ottobre. 10 Iniziava la discussione il ministro della Guerra leggendo una relazione sugli avvenimenti di ottobre contenente critiche ed apprezzamenti formulati in seguito ad una molto sommaria inchiesta presso i miei antichi dipendenti, senza che le relazioni di questi mi fossero mandate ad esaminare, e senza nemmeno che io avessi potuto essere interrogato! Il presidente del Consiglio mi mandò copia del discorso del ministro della Guerra, ma solo il 26 dicembre, quando di quel discorso si era tenuta parola nelle sedute pubbliche che seguirono il comitato segreto, durante le quali qualche oratore molto lodò quel discorso, facendosene, naturalmente, un'arma contro di me. Uno di essi, ad esempio, lo definì: «il mirabile discorso ... mirabile documento di lealtà, di equità». La lealtà e l1equità consistevano, secondo costui, nell'accusarmi, anzi, nel condannarmi in
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Quale fosse il mio stato d'animo di fronte agli attacchi pubblici o segreti del Parlamento, lo dice il seguente brano di lettera che il 20 giugno 1917, dopo la riunione della Camera in comitato segreto, io scrivevo al ministro della Guerra, generale Giardino: Non dubiti poi che io leggo (quando le leggo) con tutte le possibili riserve quanto Il).i scrivono circa le sedute segrete. Di quanto in esse si dice, del resto, poco mi cale. Il mio pensiero è molto semplice: non m'importa nè di gradi, nè di onori, nè di conservare questa carica, che io non ho desiderata, che ho anzi rifiutata e che mi è stata imposta. M'importa invece molto di avere e di conservarmi la coscienza limpida come un cristallo, epperciò di adempiere alla missione che mi è stata affidata (e finche mi sarà affidata) con tutte le forze della mente e dell'animo, senza guardare in faccia a nessuno ed altro non avendo di mira che il bene del Paese. In questo stato d'animo Ella facilmente comprenderà come mi riesca supremamente indifferente quanto possono dire i vari X, Y, Z ... e compagnia brutta! Se riusciranno a persuadere Camera e Governo a sostituirmi, io dirò loro un bel grazie per avermi sollevato da questo peso, ed augurerò di cuore al mio successore di far meglio e di saper accontentare tutti... 254
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un comitato segreto, mentre io rn1 trovavo al1 1estero e nella impossibilità di difendermi! Nella lettera del 26 dicembre colla quale accompagnava il discorso del ministro della Guerra, il p residente del Consiglio mi partecipava che era riuscito colle sue dichiarazioni alla Camera a far cadere le varie proposte di inchiesta parlamentare, ma tale risultato aveva potuto ottenere dichiarando che all1inchiesta avrebbe pensato il Governo; e soggiungeva che il ministro della Guerra aveva fatto una esposizione obiettiva, per quanto possibile, circa lo svolgimento dei fatti connessi col nostro rovescio, e che reputava doveroso di darmi comunicazione del discorso del ministro. E1 facile osservare come, trattandosi di argomento così importante e delicato e di un ambiente nel quale era accumulata tanta materia incendiaria: o si era in grado di essere interamente oggettivi, ed allora si poteva tenerne parola; o non si era in grado di esserlo, ed, allora il solo partito onesto era quello di tacere, limitandosi ad annunziare alla Carnera la costituzione di una Commissione d 1inchiesta ed invitandola ad astenersi da qualunque affrettato giudizio finchè questa non avesse deliberato, astenendosene per primo il Governo. Inoltre il presidente del Consiglio mi dichiarava nella succitata lettera che era riuscito colle sue dichiarazioni alla Camera a far cadere le varie proposte di inchieste parlamentari, ma tale risultato aveva potuto ottenere dichiarando che all 1inchiesta avrebbe pensato il Governo. E' facile su di ciò osservare che a far cadere le inchieste parlamentari soprattutto era interessato lo stesso presidente Orlando, perchè quelle inchieste - se imparziali - avrebbero certamente messo in luce la sua colpevole opera negativa nella difesa dello spirito pubblico dal disfattismo; mentre, se nominata da lui la Commissione d 1inchiesta, era più facile ottenere opera partigiana a suo vantaggio, come di fatto avvenne. E poi, come pretendere di essere stati obiettivi - sia pure per 255
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quanto era possibile - quando il Governo non si era neppure curato di interrogare colui che accusava in pieno Parlamento? Ecco la mia risposta al presidente del Consiglio: Versail l es, 5 gennaio 1918 Eccellenza, Sono grato a V. E. di avermi vol uto inviare copia della esposizione f atta alla Camera dei deputati dal ministro della Guerra sugli avvenimenti militari della fine di ottobre. Io ne conoscevo la sostanza anche attraverso le impressioni provocat e da esso e in parte espresse nella stessa s eduta pubblica della Camera, e non nascondo a V. E. che anche solo in base a tali impressioni mi sembrò che l'oggettività del giudizio definitivo, che cosi giustamente V. E. aveva affermato non potersi ancora dare da l Governo, fos se stata, r ealmente pregi udicata , non foss'altro per il signi ficato dato dal la maggioranza de l la Camera alle parole del ministro . Oggi, leggendo i l testo ufficiale del discorso, riconosco l e difficoltà che il minist ro del la Guerra ha dovuto incontrare nel suo des iderio di essere «per quanto possibile» oggettivo. Ma tanto più mi meravi glio che, dato questo desiderio di oggett i vità, non si sia s entito il bisogno di int e rrogarmi , affinchè l 'esposizione non , ri sultasse su a l c uni punt i uni l a terale, come necessariamente doveva risultare sull a base di inchi est e parziali e come potrò dimostrare a suo t empo. Credo che in nessun modo si sarebbe potuto ritener e meno corretto moral ment e e giuridicamente se anche il mio punto di vista fosse stato preso in considerazione; e d'altra parte questo modo di procedere sarebbe stato certo più conve ni ente ve rso c hi , nel suo silenzio, non ha altra garanzia di fronte alle torbide ostili tà di quest ' ora che l 'assoluta e quanimità del Governo. In
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ogni modo ringrazio V. E. per la sua personale cortesia nel volermi tenere informato di quanto è avvenuto e mi riguarda . Per parte mia sono sempre pronto, non a di fendermi (perchè questa non è ora di difese personali di fronte a l troppo vivo e partigiano desideri o di condanne , e a me basta la fiera coscienza di quanto ho f atto per il mio Paese e che nessuno potrà contendermi) ma pronto a dare t utti gli elementi di fatto che possono essere utili per la ricerca della ver ità che è giustamente des i derata e che tutti gli uomini di coscienza debbono volere intera . Generale CADORNA Nella seduta antimeridiana del 15 marzo 1918 d ella Commissione d'inchiesta io facevo osservare che la relazione del ministro della Guerra a me ostile era stata compilata in seguito ad una inclùesta sommaria da lui fatta interrogando e facendosi rilasciare delle relazioni da antichi miei dipendenti relazioni che non mi furono comunicate, nè io fui interrogato; e tutto ciò fu fatto mentre io non ero in grado di difendermi, perchè mi trovavo all'estero, incaricato di una missione importantissima che io mi ero ostinatamente rifiutato di accettare e che mi era stata pressochè imposta. Contro questi metodi - io soggiungevo - che non si adoperano neppure contro i peggiori delinquenti, io ho il diritto di presentare la più fiera protesta! Narra Cornelio Tacito che quando Vibio Crispo cercò di far condannare dal Senato Romano Annio Fausto senza disamina o difesa, alcuni senatori dicevano: «Odansi l'accuse, diasi tempo alla difesa, come s'usa al più tristo uomo del mondo.» (Le storie Libro secondo - X). Quasi 2000 anni dopo, in tempi cosi detti di libertà e di sfolgorante progresso, il Governo e la Camera italiana giudicarono che di ciò si poteva fare a meno, senza ch'io fossi ancora diventato il più tristo uomo del mondo! 257
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Nelle sedute del comitato segreto, nonchè in quelle pubbliche successive fino al 22 dicembre ed in quelle del 14, 19 e 21 febbraio, io fui oggetto degli attacchi più furibondi, delle calunnie più atroci, n specialmente per parte di quei partiti che più avevano avversato la guerra e che, considerandomi come uno dei personaggi più rappresentativi della medesima, mi volevano abbattere; oppure da chi aveva personali ragioni di rancore. E la loro azione ostile era favorita dall'ignoranza dei fatti da parte di quanti, essendo amanti della verità e della giustizia, avrebbero voluto difendermi, ma non avevano il mezzo di combattere le accuse avversarie. Il solo che osò farlo, sebbene gli elementi di difesa anche a lui mancassero, fu il generale Pistoia nella seduta del 19 febbraio, e di tale suo coraggio in quell'ambiente io gli ho reso e gli rendo il dovuto tributo di gratitudine. Si mirava a scagionare quei partiti i quali, avendo avversato la guerra, erano i veri responsabili del disfattismo che aveva avvelenato lo spirito dei reparti ed erano perciò stati la causa precipua della catastrofe di Caporetto, e non vi era all'uopo altro mezzo all'infuori di quello di far risalire le cause della disfatta ad errori di carattere militare commessi da chi aveva la responsabilità del Comando. Ora, lo stabilire tali errori, se ve ne fossero stati, avrebbe dovuto essere opera di lunghe ed accurate indagini, effettuate da '
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Fu allora che l'on. Giacomo Ferri ebbe la spudoratezza di affermare alla Camera che io ero fuggito da Udine e che avevo ordinato una fuga, mentre ero stato l'ultimo del Comando Supremo ad abbandonare Udine, alle 15,30 del 27 ottobre 1917, e se avessi ritardato fino al giorno seguente potevo facilmente cadere prigioniero dei tedeschi. Aveva ben ragione l'on. Francesco Crispi, il quale, dopo la battaglia di Adua, era stato oggetto degli attacchi più furibondi alla Camera dei deputati di rivolgere ad un senatore siciliano (il quale me le riferì) le seguenti parole : » La misericordia di Dio è infinita, ma la viltà degli uomini è ancora più grande. E oltre due millenni prima, Eschilo aveva già scritto nell'Agamennone: "Poi che innato è nell'uomo il già caduto ancor più calpestarlo". 258
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persone competenti ed imparziali, che avessero la perfetta conoscenza d ei dati di fatto e dei documenti, in una parola di una commissione d 'inchiesta opportunamente scelta coi criteri suesposti e nell'intento esclusivo della ricerca obiettiva della verità. Invece, senza che nessuna indagine avesse potuto aver luogo, le accuse erano formulate tumultuariamente, in forma spesso violentissima, da persone incompetenti, da null'altro guidate che da passioni di partito o da ire personali, e senza che alcun segno di protesta fosse fatto neppure da parte di quei ministri che una parte almeno della verità conoscevano! E' possibile immaginare un procedimento men o serio e più iniquo? E tutto ciò accadeva nel più alto consesso della nazione! Nella seduta del 4 giugno 1918 della Camera francese, quando in seguito al cedimento di Chateau Thierry alcuni deputati socialisti si avventarono contro il maresciallo Foch ed altri capi dell'esercito, il signor Clémenceau pronunziò le seguenti parole che desumo dal resoconto ufficiale: "S 1il faut, pour obtenir l'approbation de certaines personnes qui jugent hativement, abandoner les chefs qui ont bien mérité de la patrie, c'est une lachetè dont je suis incapable. N' attendez pas de moi que je la commette"Ed ancora: "je suis le chef de ces hommes et j'ai le droit de les frapper si je juge qu'il est de l'intéret general de le faire, mais J1ai aussi le droit supérieur de les couvrir, s'ils sons injustement attaquésH. Non io certo mi sarei atteso che l'on. Orlando obbedisse ai sentimenti generosi e coraggiosi che sei mesi dopo inspirarono il sig. Clémenceau! Ma non sarebbe stata eccessiva pretesa quella che egli avesse invitato la Camera alla serenità ed alla imparzialità, facendole osservare che, mentre sarebbe stata nominata una Commissione d'inchiesta, non era lecito intanto di ingiuriarmi, di calunniarmi e di condannarmi, anticipando sul giudizio della Commissione, e pur trovandosi nella più perfetta ignoranza dei fatti accaduti, quando pure questi non venivano travisati a scopo partigiano e personale! Eppure non una paro259
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la fu pronunziata da lui, che pur sapeva come erano andate le cose. Ma è facile la spiegazione: sul1 1amore della verità e della giustizia ha prevalso l'interesse di farmi colare a picco, per rimanere lui a galla! 12 Il 17 gennaio il presidente del Consiglio mi inviava il seguente telegramma: Richiamando precedentemente comunicazione gi à f atta in argomento, partecipo alla E. V. che il Governo, anche in conformità del voti espressi dai due rami del Parlamento, ha nominato una Commissione incaricata di esami nare l e cause e le eventuali r esponsabil ità degli avvenimenti militari della fine di ottobre. La Cormnissi one presieduta dal generale Caneva e composta del generale Ragni , dei senatori Canevaro e Bensa, dei deputati Raimondo e Stoppato e dell'avvocato generale Tormnasi. II Consiglio dei ministri, sentito il presidente dell a Cormnissione, ha ritenuto necessario che 1' E V., nonchè i generali Porro e Capello, dovendo per l'alto ufficio occupato esser e frequentemente chiamati a fornire schiarimenti per indagini, debbano a t a l uopo trovarsi a Roma. Pertanto verrà sottoposto alla firma di S. A. R. il Luogotenente un, Decreto che collocher à V. E. a disposizione del Ministero, conservandole, ben inteso, il rango e le competen12
Il 27 ottobre 1917, io finivo colle seguenti parole un telegramma al presidente del Consiglio, on. BoseJli, col quale gli comunicavo le b·istissime notizie di quel giorno : « Esercito non cade vinto da nemico esterno, ma da quello interno, contro il quale invano reclamai provvedimenti con quattro lettere del giugno ed agosto rimaste senza risposta.» Queste parole ponevano nettamente la questione delle responsabilità del Governo. Da quel momento data certamente l'intenzione di scaricarla sul Comando Supremo, al quale scopo ben doveva servire la Commissione d'inchiesta nominata due mesi dopo nel modo risaputo. (Questo telegramma che accusa il governo rappresenta il suicidio politico del generale che, certo, non conosceva la furbizia C.C.)
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ze . Rit engo doveroso dare di ciò p reventiva notiz i a a V. E riservandomi di provvedere per quant o riguarda il Comit ato i nterallea to . President e Consiglio Ministri ORLANDO E cosi due soli mesi dopo le inaudite insistenze colle quali mi si era sollecitato ad accettare la nuova carica a Versailles si annunziava che sarei stato richiamato in Italia. Nei primi giorni di febbraio si riuniva a Versailles il Consiglio superiore di guerra coll 1intervento del presidente d el Consiglio dei ministri e del ministro degli Affari Esteri, ed il primo, appena ritornato a Roma, cosi mi telegrafava: Febbraio 1918 - ore 21, 30 Eccellenza Cadorna, Consigliere Militare p e r l' Italia Versailles A seguito telegramma 17 gennaio prossimo passato pregiomi comunicar le che è stat o firmato oggi Decreto in cui V. E è stato collocato a disposizione cons e r vando i l r ango e gli as segni attual i" . 13 Si recherà a sostituire V. E. il generale Giardino, e prego l ' E. V, di volerne a ttendere l 'arrivo che non tar derà molto . Deferenti s alut i , ORLANDO
Ed io cosi risposi: A S. E. Orlando, presidente Consi gl io Mini stri - Roma 13
Io non sono stato chiamato dinanzi alla Commissione che il 14-15 marzo ed il 31 maggio 1918. E la Commissione ha consegnato la sua relazione nel luglio 1919, dopo di aver formulato tante critiche senza interrogarmi, come si è visto e si vedrà.
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Accuso ricevuta del telegramma di V.E. in data 7, i l quale conferma quanto appresi ieri da fonte inglese che prevenne comuni cazione Governo. Generale CADORNA Il 16 febbraio io lasciavo Versailles per far ritorno in Italia, e mi accompagnava il rimpianto di lasciare il suolo di Francia, dove avevo ammirato l 1alto e concorde spirito di resistenza che animava il popolo e l esercito, e dove gli Alleati mi erano stati così larghi di dimostrazioni di stima. Cinque mesi dopo io ricevevo la seguente lettera dal ministro della Guerra: 1
Roma, 14 l uglio 1918 Vostr a Eccellenza, con squisita delicatezza e con fine senso di opportuni t à, ebbe già a far presente al mio predecessore come fosse disposta a rinunciare al l 'eccezional e trattamento concessole per atto di Governo, di continuare cioè a fruire, nonostante la cessazione da ogni comando, del r ango corrispondente alla precedente alta carica e di tutti gli assegni rel ativi. Come è noto, trattamento s i mile era stato consentito in via straordinaria anche ad alcuni altri general i, ma poichè la situazione specialissima si protraeva ormai da alcuni mesi, si è imposta la necessità di considerare, anche per motivi di ordine politico, la convenienza di una sistemazi one per tutti alle norme comuni. La Commi ssione d 1 inchiesta istituita con R. D. 12 gennaio ultimo, N. 35, dal canto suo, ha ritenuto, allo stato delle sue indagini, giustificata la preoccupazione di regolare in modo diverso dall'attuale la eccezionale posizione di stato fatta ai generali stessi . 14 I n rel azione a .ciò, il Consiglio dei ministri è venuto nella determinazione di adottare verso l 1 E. V. e 262
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gli altri generali ora detti i l provvedimento consueto preveduto dai Dec reti 11 luglio 1915 N. 1603 e 19 novembre 1916 N. 1648 per i general i che hanno las ciato un Comando presso l' eserc ì to mobilita to. Epperta nto con Decreto Luogotenenziale 7 luglio corrente, l ' E. V. è sta ta collocata col 10 luglio s t esso a di sposizione i n s oprannumero . II mini stro ZUPELL I
Anzitutto, quando il 9 febbraio rinunziai al rango ed agli assegni, io non mi rivolsi al predecessore del ministro della Guerra, bensì al presidente del Consiglio dei ministri. E poi si ammiri con quale squisita delicatezza e con quale fine senso di opportunità mi si fa replicatamente sentire la concessione fattami, dopochè io l'avevo rifiutata cinque mesi prima e non avevo accettato rango ed assegni che in seguito alle spiegazioni datemi dal presidente del Consiglio! Ho dovuto soffermarmi più a lungo di quanto avrei voluto su questo triste episodio, perchè esso ebbe per me le più spiacevoli conseguenze. In Italia ed al1 1estero il provvedimento fu generalmente interpretato come una misura punitiva. Fu fatta correre la voce che io fossi stato degradato, e mentre villeggiavo in una valle del Piemonte fu perfino gridato sotto le mie finestre: traditore della patria! In Inghilterra fu creduto che mi fosse stato tolto il grado, tanto che si stimò necessario fornire opportune spiegazioni e rettifiche per mezzo della Agenzia Reuter, essendosi anche di colà 14
Non mi risulta che mai nessun tribunale si sia arbitrato di esprimere un giudizio, sia pure parziale o solo d'impressione, mentre ancora si escutono i testimoni, e soprattutto quando il testimonio principale (cioè chi scrive) non era ancora stato udito su molte importantissime questioni, come non lo è tuttora. In questa fase d i lavoro era appunto la Commissione d'inchiesta nel luglio 1918. Essa concluse il suo lavoro soltanto nella primavera del 1919. 263
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fatto osservare che colpendo in tal modo me si svalutava la nostra azione militare dei primi 29 mesi di guerra. Solo più tardi seppi dell'impressione prodotta da tale notizia negli Stati Uniti: la conobbi da lettere giuntemi da quel paese e da una rivista italiana, Il carroccio, che si pubblica a New York. Sul fascicolo dell 1agosto 1918 di questa rivista trovo scritto quanto segue: Cadorna in disponibilità - Non si può credere Vimpressione enorme che giorni fa produsse la notizia della punizione - nientemeno con la degradazione! - di Cadorna, Porro e Capello, diffusa in tutti gli Stati Uniti con telegrammi giunti dall'Europa. Chi li mandò? Come pervennero ai giornali? Perchè la censura italiana o alleata li lasciò passare? Erano destinati a scuotere l'opinione pubblica perchè non se ne dovesse misurare la portata. A Roma stessa dovette apparire un comunicato ufficiale 15 che spiegava il carattere ed il significato della "messa in disponibilità.», che di questo unicamente trattavasi per i tre generali. Ma come si provvide a correggere nell 10pinione pubblica americana la tristissima impressione che avevano prodotto i dispacci alterati, che miravano a far apparire i tre generali come unici responsabili di Caporetto, come incoscienti, e come traditori della Patria? Già, non si deve mai smentire che il disastro di Caporetto fu voluto da Cadorna, poichè questa è la tesi di chi preparò Caporetto dietro le spalle dei combattenti, dove Cadorna non aveva potere' di agire, provvedere, reprimere! Già, si deve accettare la tesi del disastro militare! Ciò che ho riferito è più che sufficiente per dimostrare quanta ragione avesse la Commissione d 1inchiesta di dire (a pag. 270
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A Roma non fu pubblicato alcun comunicato ufficiale; ma l'autore dell'articolo allude probabilmente al comunicato fatto in Inghilterra per mezzo delll'Agenzia Reuter, mandato appunto per spiegare il carattere e il significato non già della" messa in disponibilità" ma della "messa a disposizione in soprannumero" .
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dellla relazione) che «nelle modalità con cui il Governo credette di dover con estrema cautela assicurare la continuità ed il prestigio del Comando, prima di chiamarlo a render conto del suo operato, vide solo uno sleale procedimento a suo riguardo!» E questo era riferito come «un esempio tipico» del mio egocentrismo!
Nota del generale Raffaele Cadorna al capitolo V.
Nel 1934, in seguito alla pubblicazione del libro del Maresciallo Caviglia "Le tre battaglie del Piave", ritenni opportuno rettificare, in una lettera inviata al direttore della Rassegna Italiana, dott. Tommaso Sillani, lettera pubblicata nel fascicolo del novembre 1934 della stessa rivista, alcune affermazioni del Maresciallo. Ecco il testo della lettera: "Signor Direttore, La sua autorevole rivista - nella puntata di febbraio - pubblicava un articolo -La XII Battagli~ del1 1Isonzo-, contenente rilievi di ordine tecnico al noto volume - di pari titolo - del maresciallo Caviglia. Di un punto non si occupava quell'articolo ed era il più grave: là dove - a pag. 257 - il maresciallo Caviglia scrive: Dopo lo sfondamento della linea del Tagliamento a Cornino, mentre Cadorna dava le disposizioni per il magistrale schieramento del1 1esercito sul Piave, egli dubitava che le truppe non avrebbero tenuto su quel fiume. Perciò prospettava al Governo la eventualità di dover fare pace separata col nemico.16 Quello fu il più grave errore che giustificò e giustifica storicamente il suo allontanamento dal Comando Supremo" .
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Nella seconda edizione, uscita nel maggio '34, quest'ultima frase è così modificata: "Perciò prospettava al Governo l'eventualità di dover far pace col nemico nel caso che le truppe avessero ceduto al Piave".
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Nell'intento di evitare pubblica polemica, mi rivolsi privatamente al maresciallo Caviglia pregandolo di farmi conoscere quali concreti documenti o testimonianze legittimassero una così grave affermazione, e, in caso gli u ni e le altre mancassero, di voler provvedere alla doverosa rettifica. II maresciallo Caviglia non solo non ha aderito alla mia richiesta di rettifica, ma si propone di ripetere affermazioni sostanzialmente equivalenti in un nuovo volume di prossima pubblicazione opponendomi un documento (la lettera del Comando Supremo, n. 5277 in data 3 novembre 1917, Riservatissima personale diretta a S. E. il presidente del Consiglio dei ministri) ed una testimonianza: quella dell'on. Orlando. Esaminiamo il valore dell'uno e dell'altra: 1° - Il generale Cadorna chiarisce (La guerra alla fronte italiarta, pag. 213) che la lettera 5277 «riproduce fedelmente le sue impressioni sulla situazione generale quali si presentavano in quel giorno, in base alle notizie che giungevano al Comando Supremo» 17 e, io aggiungo, quali aveva il dovere di comunicare al capo del Governo. La lettera espone i dati numerici illustranti la crisi morale e materiale che l'esercito in quel momento attraversava e definisce la situazione «critica, ma tale da poter divenire criticissima o addirittura di eccezionale gravità» qualora intervenissero nuovi elementi avversi (necessità di effettuare affrettatamente, sotto pressione nemica, il ripiega-
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II maresciallo Caviglia nel suo libro La XII Battaglia, pag. 278 ci fa sapere di aver comunicato, il 25 ottobre, al Comando della 2° Armata che la Brigata Roma si era arresa. Ammettiamo che i comandanti delle altre grandi unità, ben altrimenti impegnate che non il XXIV C. d'A., abbiano fatto analoghe comunicazioni: perchè scandalizzarsi se il Comando Supremo vedeva e prospettava al Governo la situazione sotto una luce poco rosea? 2(j6
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mento dal Tagliamento al Piave; contemporaneo attacco nemico in forze dal Trentino, o minore capacità di resistenza da parte delle nostre forze in quel settore: tutte ipotesi che era doveroso prevedere e prospettare, ma che fortunatamente non si avverarono). Particolare rilievo viene dato ai presunti effetti della propaganda sovversiva sul morale dell'esercito: ciò evidentemente perchè il documento è diretto a quello stesso Orlando che, ministro dell'Interno, quella propaganda aveva tollerato e che ora - capo del Governo - avrebbe dovuto finalmente provvedere ad efficacemente controbatterla. Il generale Cadoma in quella lettera 18 cosi conclude: "Debbo infine confermare quanto telegrafo questa sera a V.E., cioè che se mi riuscirà di condurre la III e la IV Armata in buon ordine 19 sul Piave, ho intenzione di giocare ivi l'ultima carta, attendendovi u na battaglia decisiva; perchè una ulteriore ritirata fino al basso Adige ed al Mincio, alla quale dovrebbe pure partecipare la I Armata, in condizioni difficilissime, mi esporrebbe a perdere quasi tutte le artiglierie ed annullerebbe completamente ciò che rimane dell'efficienza dell'esercito, rinunciando anche all'ultimo tentativo di salvare l'onore delle armi. Ho voluto così esporre la situazione nella sua dolorosa realtà sembrandomi meritevole di essere considerata all'infuori della ragione militare, per 18
II primo capoverso della citazione è stato già pubblicato dal generale Cadorna stesso; l'intera clùusa è stata pubblicata dalla relazione della Commissione d'inchiesta e dal generale Segato nel volume L'Italia nella guerra mondiale.
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Il maresciallo Caviglia, che taccia di eccessivo pessimismo la lettera 5277, giustifica nel suo libro il ritardo frapposto dal comandante della 4° Armata ad eseguire l'ordine di ritirata. Come se uno degli elementi determinanti del pessimismo implicito nel condizionale "Se mi riuscirà di condurre la 3° e la 4° Armata in buon ordine sul Piave" non stesse anche nella ritardata esecuzione dell'ordine di ritirata.
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quei provvedimenti di governo che esorbitano dalla mia competenza e dai miei doveri". Orbene il mar~sciallo Caviglia si avvale di questo documento (di cui egli mi annuncia la pubblicazione integrale in un suo volume di prossima edizione) per dimostrare che il generale Cadorna non aveva fiducia che le truppe avrebbero tenuto sulla linea del Piave, ergo prospettava (interpretazione data dall'on. Orlando all'ultimo capoverso della lettera 5277 copra citata) al Governo l'eventualità di far pace separata col nemico. Io contesto l'una cosa e l'altra. Il generale Cadorna apprezzava freddamente tutti gli elementi negativi - materiali e morali - del problema militare e ne rendeva edotto - con una comunicazione riservatissima personale - il capo del Governo responsabile, ma non escludeva affatto un miglioramento della situazione - specie morale - tale da consentire un'efficace difesa del Piave. Se tale speranza egli non avesse nutrito, non avrebbe deciso di attendere battaglia decisiva sul Piave, ma sarebbe stato istintivamente portato a continuare la ritirata anche a costo di perdere altro materiale. E lo stesso generale Segato, il quale per primo ha reso pubblica questa tesi nel suo libro L'Italia nella Grande Guerra scrive, a pagina 541, quasi a conclusione dell'esame introspettivo: «Ad ogni modo, se pur in fondo al suo animo la fiducia poteva essere scossa, il generale Cadoma seppe nascondere ogni dubbio e pronunciò nobili parole di fede e di dovere», e più sotto si dilunga a porre in contrasto: «la calma, l'imperturbabilità, la padronanza di se stesso dimostrate dal generale Cadoma nel guidare con mano ferma e sicura le operazioni» con lo stato di abbattimento completo in cui era caduto il generale von Moltke dopo la battaglia della Marna. Questi sono i fatti che contano, il resto è discussione bizantina.
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2° - La paternità dell'interpretazione dell'ultimo capoverso della lettera 5277 nel senso che il generale Cadorna prospettasse l'eventualità della pace separata spetterebbe, secondo il maresciallo Caviglia, all'on. Orlando. Ed a chi altro sarebbe potuta venire in mente u na simile idea mentre è noto che eravamo vincolati dal Patto di Londra e quando già Belgi, Serbi e Romeni ci avevano mostrato di preferire la perdita presso che totale del territorio nazionale alla resa delle armi? Non ad altri membri di quel Governo - che esplicitamente affermano di non averne mai inteso parlare, - tanto meno al generale Cadoma per il quale quella frase poteva riferirsi alla richiesta di maggiore concorso da parte degli Alleati, alla necessità di preparare l'opinione pubblica ai nuovi sacrifici, ed in generale ad ogni provvedimento connesso col possibile abbandono di altre province, col ripiegamento, se necessario, sulle Alpi piemontesi o sull'Appennino, non mai con la resa a discrezione. Ed a confortare questo argomento con testimonianze di indiscutibile valore, per arrestare nettamente il diffondersi di questa bassa e ingenerosa leggenda, mi sono rivolto ad alcuni fra i più autorevoli collaboratori del generale Cadorna. Debbo alla loro cortesia le seguenti dichiarazioni che integralmente riproduco: DAL MARESCIALLO D' ITALIA GAETANO GIARDINO Tutto ciò che ho personalmente osservat o, fra il 28 ottobre e il 9 novembre 1917 , al Coma ndo Supremo, presso Suo Padre , io ho fedelmente re so di pubblica ragione fin dal 1929 (mie «Rievocazioni» ecc; Vol I; pag. da 90 a 111) . Senza ricorrere a sforzi di memoria a distanza di oltre 16 anni , posso dunque attestarLe senz ' altro che, nè in que i giorni del 1917, nè quando ne scris269
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si 12 anni più tardi con la scort a dei mi ei diari personali, mi è mai passato per il capo il più leggero dubbio re lativo alla i nterpretazione, della quale Lei mi scrive, del l a lettera 3 novernbre. Non mi autorizzava al dubbio alcun atto nè alcuna parola di Suo Padre; e per cont ro me lo inibiva il fat to concreto, da me r icordato da pag. 98 a 100, del la questione dibattuta con Suo Padre il 5 e 6 novembre 1917 per un saliente Cesen-Soligo, che presupponeva evidentemente un pensiero di futura controffensiva. E l 'ostacolo fu , non l a sfiducia nelle truppe, ma la previsione dell'insufficiente numero di truppe disponibili, fin troppo avveratasi. Dopo tutto, Suo Padre non parlava a mezza bocca, e più di tutti lo sapeva Orlando. E io penso anche che, interpretazione o no, nessuno abbia osato chiedere al vecchio leone se veramente avesse voluto parlare di pace separata e quali fossero le sue ragioni . Domanda di prima necessità per il Governo e per il successore del comando. Mi abbia vicino a Lei nella venerazione della memoria del nostro «Condott iero gigante» e mi creda. Maresciall o GIARDINO DAL GENERALE CONTE CARLO PORRO, GIA' SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO 1° Escludo recisamente ed i n modo assoluto che, da parte del generale Cadorna, come da parte del Comando Supremo vi siano state trattat ive, conversazioni, al lusioni ad una possibile pace separata con 1 'Austria. Nel l 'ambiente del Comando Supremo, per lo meno fra gli elementi che avevano diretto contatto col capo e compiti di qualche responsabi lità, non sono mai circolate voci su questo argomento. 270
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2° Allorquando i l Comando Supremo er a a Treviso , un generale comandante di un corpo d 'armata della III Armat a (ora morto) si presentò a me e , con parole concitate , mi prospettò l a grave sit uazione in cui si trovavano le truppe della III Armata al pas saggio dei ponti sul Tagliamento a Latisana . Egli proponeva che si trattas se col nemico per un annistizio . Ment r e io cercavo di r icondurlo ad una più esatt a e serena valuta zione del momento, entrò il gener ale Cadorna i l quale, informat o, investiva vigorosamente con aspre rampogne il genera le, rimandandolo al suo posto d ' onore e di responsabilità. 3° Il 4 novembre, prima di partire per recanni alla conferenza di Rapallo, in rappresentanza del Comando Supremo, pres i gli ordini dal generale Cadorna il quale mi dis se di dichiarare agli Al leati la di Lui ferma intenzione di resistere sul Piave ad ogni cos to . Pensier o che espos i alla Conf erenza mili tare con le i nequivocabi l i parole : «arr i vès a ce point , le general Cadorna est decidé a résistér sur l e Piave j usqu 'au bout de s es fo rces». Generale CARLO PORRO DAL GENERALE MELCHIADE GABBA, GIA' CAPO DELL ' UFFICIO OPERAZIONI ED AFFARI GENERALI Quale capo dell 'uf fi cio operazioni ed affa ri gener al i ho avuto l ' alto onore di essere agli ordini immediati del Suo Grande Genitore negli ul t i mi ottanta giorni de l di Lui comando. Nei t r agici giorni dal 24 ottobre all' 8 novembre 1917 , olt re a det t armi , con decisione e precis ione impar eggi abili gli ordini derivanti dal rapido mutare della sit uazione, Egl i , sempre calmo, s ereno e f iducioso , mantenne l ' abitudine di quelle giornaliere conversazioni Z71
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con me e con altri ufficiali del Comando nelle qual i soleva esporre, liberamente e francamente, il suo pensiero sugli avvenimenti in corso, le s ue previsioni sull ' avvenire . Era per me un 'abi tudine cara e pre ziosa : dell' esser ne s tato partecipe mi sento ancora oggi altamente onorato, cos i come è in me indelebile il ricordo della obietti vi tà nei giudizi , della l arghezza nelle vedute, della praticità nel l e conclusioni, che erano caratteristiche della sua conversazione eletta ed interessantissima . Posso, pertanto, con assoluta coscienza assicurare che mai nelle conversa zioni di quei gior ni dalla bocca d i Suo Padre udi i uscire accenno alcuno a l la eventualità di una pace separata dell'Italia, neppure considerata in via od in conseguenza di deprecate ipotesi. Posso del pari escludere che di una event ualità di tale genere s i sia mai fat ta parola tra gli ufficiali che, sotto la mia direzione , costituivano in quei giorni il ristretto Stato Maggiore di Suo Padre. Giudico , per tanto , arbitraria l ' interpretazione, contro la quale Ella insor ge, data all 'ultimo capoverso della lettera n . 5277 Ris . Pers . del 3 novembre 1917 : e il giudi zio espresso da S. E. il maresciallo Caviglia in base a tal e interpretazione non mi era certo sfuggito, anzi mi aveva profondamente addolorato. Generale MELCHIADE GABBA DAL GENERALE P. PINTOR, GIA FACENTE PARTE DELLA SEGRETERIA DEL CAPO DI STATO MAGGIORE Vedo nella lettera (5277) uno dei tanti nessi deliberatamente ricercati ed a llacciati per saldare la condotta del l a guerra con ·l a politica del la guerra, vedo una presa di contatto fra Comando e Governo . In
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simile quadro la nota frase altro non esprime e altro non può esprimere che una zona d 'incontro, anz i una zona limite fra la strategia e la politica, uno di quei limiti che, specie nelle s ituazioni più difficili, devono essere notificat i ai governanti come estremi non superabili dallo s forzo militare. Solo così si evitano separatismi quant o mai f unes ti e l'azione politica, aderendo in pieno a quel la str ategica, riesce più illuminat a e piu s icura ... Confermo che l a lettera era una rassegna della situazione e, nel tempo stesso, una . consegna del bilancio, estesa anche all a ipotesi deprecabile di più gravi rovesci - nè era, questa, visione pessimistica dopo gli eventi accaduti e quelli in corso; - confermo questo, perche solo questo consente di dir e i l documento, nella lettera e nello spirito, ed escludo che congiunto alla frase stessa vi fosse o vi potesse essere alcun suggerimento, tanto meno suggerimento reticente. Non certo il generale, uso com ' era a par l are e a seri vere «apertis verbis», poteva additare al Governo, in forma perifrastica e per pre terizione, un passo di tanta gravità per il nostro Paese; perchè pace separata - chi non l o comprende? avrebbe significato, dopo le avverse vicende del 24-27 ottobre, resa a discrezione . Se così pensava Egli, in quella medesima lettera, avr ebbe scritto : "E'finita . Bisogna trattare"; questo Egli non ha mai nè scritto ne detto : questo dunque Egli non ha mai pensato e non può essergli attribuito. Generale P. PINTOR DAL GENERALE ALDO AYMONINO, GIA FACENTE PARTE DELLA SEGRETERIA DEL CAPO DI STATO MAGGIORE
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A quanto mi chiede, r ispondo: Escludo nel modo piu assol uto di aver mai sentito anche lontanamente adombrare la eventualità di una pace separata nè direttamente da parte di S. E. Cador na, nè indirettament e dagl i ufficiali del la segr eteria, nè da a lcuna delle persone che, dopo avere in quei giorni conferito col capo, s i trattenevano con noi per carpire notizi e o cogliere impres s i oni e gi udizi. Dall'inizio del ripi egamento in poi il pensiero domi nante t utte le operazioni fu chiaro e semplice come tutte le grandi idee e si può riassumere cosi: nel l a fronte dell'esercito s i era aperta una largo falla i n corrispondenza della II Armata resa ternporanearnente non efficiente ; occorr eva r ipiega r e i t ronchi di destra e di sinistra fin dove potessero saldarsi ; t a l e giunzi one non poteva avvenire che al Piave cioè a l la linea più breve, più sicura e più economica per la di fesa; i tronconi da congiungere e rano l e a li del la IV Armata e del la I I I Armata: saldatura al Montello. La sosta al Tagliamento fu motivata, ol tre che da ovvie ragioni mil i tari , dalla necessi tà di fa r sgombrare le strade fra que l fiume ed il Piave dagli sbandati e dalle masse di profughi del Friuli e del Veneto con tutte le l oro impedimenta. Le date degli ordini inviati i n quei giorni agli i spettori del geniq e d'artiglieria per la rapida messa in efficienza della l inea del Piave devono essere pr obanti. Tutti i l avori or dinati i n pr ecedenza al Grappa e per i l campo trincerato di Treviso e fatti prosegui r e anche nell'esta te ' 17 dimostrano alla evidenza come da l ungo tempo nel pensiero del mar esciallo quella del Piave fosse la l i nea sulla quale l'esercito i taliano, i n caso di crisi, avrebbe dovuto ripiegare per t rovare una situazione s t rategica meno sfavorevole. Tanto e ra l'assillo della ricerca della «linea più breve» (cioè p roporziona t a al le fo rze , Il
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rimaste efficienti) che a chi gli prospettò l'utilità, di portare la difesa del Grappa a M. Tomatico e M. Roncone per dominare la conca di Feltre oppose sempre la necessità di non lasciarsi trascinare dal terreno ad un sia pur piccolo allungamento del fronte. Lo stesso dicasi per la linea prescelta sugli Altipiani. Ripeto: quella del Tagliamento non era che una sosta, e quindi lo sfondamento a Cornino non poteva rappresentare per il capo un aggravamento della situazione tale da fargli pensare che la part ita fosse perduta e la resistenza delle truppe p i ù affievolita. Solo chi non ha veduto il maresciallo Cadorna i n quei giorni o non voglia oggi esaminarne l'opera ne lla sua mirabile sint esi e coerenza può supporre che fosse vicino alla resa. Se vi furono ore in cui t utta la sua grandezza morale emerse e si impose ai molt i smarriti fu rono appunto que l le. Quanto a lla interpretazione da dare alle f rasi rivolte a l Governo nella lettera 5277 Ris. Pers. a me pare assai c hiaro come esse si ricongiungano alle precedenti e tanto vibrate sollecitazioni per una pol i t ica interna più consona alla gravit à della partita impegnata e rimaste sempre purtroppo senza effetto. Esse rappresentano la sferzata ai pigri ed agli inetti che i n quel momento era doveroso dare. Anche qui è tutta la linea di condotta t e nuta dal maresciallo verso il Governo nella sua continuità che occorre tener presente se si vuole giustamente interpretarne il pensiero; diversamente si può cadere con facilità nell 'arbitrio. Generale ALDO AYMONINO DAL DUCA T. GALLARATI-SCOTTI, GIA' UFFICIALE D'ORDINANZA DEL GENERALE CADORNA 275
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II maresciallo Cadorna non solo non pensò mai a pace separata nei giorni tragici di Caporetto, ma mi dichiarò in modo espli cito che qualsiasi pace in quel momento sarebbe stata più deleteria all'esercito del la stessa sconfitta. Avrebbe rappresentato uno «sfasciamento» morale anche della nazione (tutto questo risulta dalle mie note prese ogni sera in quei giorni). Egli si irritava, perciò, contro qualsiasi debolezza che gli pareva venisse da vaste correnti polit iche che t emeva (e i n qualche momento temette) dovessero prevalere a Roma. Contro queste c he egli chiamava «tentazioni» della pace egli voll e espressamente reagi r e, e lo posso sapere meglio che altri, col procl ama per la resistenza al Piave. TOMMASO GALLARATI-SCOTTI
Malgrado l'energica smentita che allora non ebbe risposta nè dal maresciallo Caviglia nè dal1 1on. Orlando, quest'ultimo, in occasione di una sua dichiarazione di voto, fatta il 27 marzo 1949 in Senato a conclusione della discussione sul patto atlantico, affermava che il comandante supremo gli aveva scritto essere deciso a tentare la difesa del Piave1 ma senza fede nella combattività delle truppe. Egli doveva prendere la responsabilità delle supreme decisioni, pronto1 se occorreva1 ad indietreggiare sino alla Sicilia». Chi conosce l 1indole ed ha seguito l'opera di governo e parlamentare del1 1on. Orlando1 dal trattato di Versailles ad oggi, stupirà sentendolo insistere a dispetto di tante smentite nella inaudita pretesa di avere1 nelle tragiche giornate del 1171 infuso energia a Luigi Cadorna! [R. C.]
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APPENDICE AL CAPITOLO V
Nel capitolo V ho condotto la narrazione delle mie non liete vicende, nelle relazioni che ebbi col Governo, fino al giorno nel quale fui collocato a disposizione della Commissione d'inchiesta, togliendomi da qualsiasi azione che avesse rapporto colla grande guerra. Credo però che non sarà inutile -- tenuto conto del giudizio che la storia dovrà pur pronunziare sugli uomini - che io prosegua la narrazione dei rapporti da me avuti coi vari Governi che si susseguirono in Italia negli anni successivi. Io fui richiamato da Versailles col pretesto di tenermi a continua disposizione della Commissione d'inchiesta, ma, in realtà, per ubbidire alle imposizioni dei deputati appartenenti a tutte le gradazioni del disfattismo. Difatti, in tutto il 1918 io non dovetti comparire dinanzi alla Commissione che il 14 ed il 15 marzo (durante i quali giorni io feci una esposizione degli avvenimenti della guerra, e non fui sottoposto, nelle lunghe quattro sedute, che a pochissime interrogazioni) e il 31 maggio. In quest'ultima seduta dovetti rispondere a critiche rivoltemi da alcuni testimoni, i quali dalla Commissione mi furono designati, e rimasi profondamente nauseato della viltà di taluni di costoro, che erano stati da me beneficati e che non esitarono a lanciarmi le accuse più infondate. Nell'agosto 1919 la Commissione presentava la sua relazione al Governo ed il 2 settembre io inviavo al Ministero della Guerra la protesta che ho riprodotto nel capitolo I di questo libro. Lo stesso giorno 2 settembre S. M. il Re firmava il decreto presentatogli dal ministro della Guerra (generale Albricci) per il mio collocamento a riposo d 1 autorità, provvedimento questo che mi veniva fatto comunicare verbalrnente dal Ministero della Guerra per mezzo di un maggiore di Stato Maggiore.1 Per maggiore raffinatezza, sul bollettino delle nomine che con277
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teneva questo provvedimento, a seguito immediato di tale disposizione, veniva pubblicata l'altra riflettente l'annullamento del decreto di collocamento a riposo del generale Brusati, il quale veniva cosi dichiarato innocente come una colomba per i fatti del Trentino del 1916, mentre io ne ero il solo colpevole; e ciò mentre, io, su quei fatti non ero stato neppure dalla Commissione interrogato, come risulta dalla protesta che ho pubblicata nel capitolo I di questo volume. Sorvolo sull'anno 1920 nel quale non accadde nulla di notevole, e pubblico la seguente lettera a me diretta dal Ministero della Guerra, colla data del 22 settembre 1921: Questo Ministero prega la S. V. I. l lma di volersi compiacere di fargl i conoscere se Le è stata conferita la croce al merito di guerra. In caso negativo la S. V. I l l.ma vorrà indicare quale periodo ha trascorso al front e, in zona battuta dall'artiglieria nemica, ed a qua l i fatti d'armi ha eventualmente partecipato. Per il Ministro (firma illeggibi le)
Questa lettera io la respingevo al :tyiinistero dicendo che mi era pervenuta «per evidente sbaglio di destinazione». Ma, pubblicata dal giornale «L'Idea Nazionale» col titolo «Burocrazia», ebbe un enorme successo d'ilarità in tutta Italia e mi procurò telegrafiche scuse dal ministro e dal sottosegretario di Stato p er 1
Questi era il maggiore di Stato Maggiore Benvenuto Gioda, il quale, parecchi anni dopo, cioè il 26 giugno 1927 così mi scriveva: Serbo tutto (cioè una mia fotografia e una mia lettera) come ricordo carissimo dell'alta figura di quel capo che io ho amato in guerra ed ammirato a Villar Pellice, quando in un'ora ben 'triste ed angosciosa ebbe laforza di dire " quanto più mi abbassano, tanto più mi innalzano. 278
Appendice al capitolo V
la Guerra. Poco dopo, nell'imminenza del trasporto in Roma e della glorificazione della salma del Milite Ignoto - avvenuta il 4 novembre 1921, terzo anniversario della Vittoria, - io ricevevo la seguente lettera autografa del ministro della Guerra: Roma, 20 ottobre 1921 Nella ricorrenza del trasporto in Roma della salma del Soldato Ignoto, il quale r iassume i sacrifici e le glorie del popolo italiano, è desiderio del Governo che i comandanti delle grandi unità che dettero il loro nome alla grande guerra siano presenti al rito solenne. Mio primo dovere, pertanto, è di invitare a parteciparvi l' E. V. che a l la grande impresa ha dato tutto se stesso. Nella fiducia che Ella vorrà rendere testimonianza d'amore e d'onore ai g.loriosi caduti, me Le professo, illustre generale, devotissimo LUIGI GASPAROTT02
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Sull'episodio l'onorevole Gasparotto mi ha cortesemente fornito i particolari che trascrivo integralmente: A suo tempo f u variamente c omment at a l 'assenza de l gener ale Cadorna dal l a cerimoni a del Mili te Ignot o del 4 Novembre 1921. Taluno ne ha attribuito la causa alla suscetti bilità del Cadorna, a l tri a l la forma de l l ' i nvito da parte del minister o del la Guer ra del tempo, l'onorevole Gasparott o, promotore ed organizzatore dell a mani fes t azione. A giusta dist anza di anni si può così riassumer e l'incidente: Avendo il Comi tato ordinat ore nominat o da l Governo deliberat o di invitar e a lla cerimonia " t ut t i i comandanti delle grandi unità "con letter a c ircolare , l'on. Gasparott o ebbe a giudi_ care insuf ficiente que s t a f orma nei r i guar d i del generale Cadorna e predi spose perciò la bozza di un caloroso invito che credette di sot toporre all'esame di un'alt a personalità: l a quale, t r aendo argomento da i commenti di quei gior ni circa una
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Secondo l'evidente pensiero del ministro, io non avevo prodotto molto nella guerra; però avevo dato tutto me stesso. Non è poca cosa, e dovevo accontentarmene; Ne che poco io vi dia da imputa1f sono; Chè quanto io posso dar, tutto vi dono. (Orl. Fur. I - 3) \ \
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Non avendo potuto, con mio ra mn\.u-ico, prender parte alle cerimonie di Roma in omaggio al Milit~ Ignoto, intervenni, in abito borghese e senza decorazioni, a quelle di Firenze, dove dimoravo, e vi fui festeggiatissim\,, in p ~l!ticolar modo il 6 novembre nella Sala dei Cinquecento\a Pal/ zzo Vecchio, ove fui fatto segno a indescrivibili ovazioni, le quali furono principio degli entusiastici ricevimenti che mi furono fatti, d'allora in poi, in tutte le città nelle quali mi sono recato: segno questo molto manifesto del mutamento dell'opinione pubblica a mio riguardo, in perfetto contrasto con l'atteggiamento dell'Italia ufficiale. Trascorse un anno, e il 29 ottobre 1922 saliva al governo dello Stato l'on. Mussolini, col generale Diaz 3, Duca della Vittoria al Ministero della Guerra. Questi si affrettava ad inviarmi la seguente lettera autografa: pretesa offesa a parte dell e truppe combattenti cont enuta ne l noto bol lettino del Comando Supremo del 28 ottobre 1917, r i tenne eccessiva l a dizione del ministro. Al quale in questa occasione fu anche fatto presente un r i sentiment o de l Re per avere i l Cadorna che i n nessun ordine di guerra lo aveva fin allora nominato, incluso nella f irma dell'ord ine di ripiegamento dell'esercito dopo Capor e tto la premessa" Ricevut i gli ordini da Sua Maestà i l Re". Il ministro, per tagli ar corto, diresse al Cadorna una l e tte r a autografa, nel la quale, pur r ichiamando l'invito r i volto a tut t i i comandanti di gr a ndi unit à" soggiungeva che suo primo dovere era di rivolger s i a colui che aveva comandat o l 'esercito in tante glor iose offensive. 280
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Roma, 3 novembre 1922 Eccellen za, Nell'assumere la carica di minist ro della Guerra, il mio pensiero si rivolge all ' E. V. con animo che f e rvidamente r ievoca ed onora . A conferma di questo mio profondo sentire, mi è grato parteciparle che ho conferito all ' E-. V. la c roce a l merito di guerra . Desidero che questa partecipazione l e giunga come atto di omaggio, di defe renza e di ricordo, insieme ai sensi della mia costant e devozi one . Suo affe zionatissimo A. DIAZ Celebrandosi il 4 novembre 1923 il V anniversario della Vittoria, io ricevetti il seguente invito, firmato dal tenente
E' risaputo che i l generale Cadorna non intervenne all a c erimonia per non mettere in imbarazzo, più che la sua persona, i comandanti che gli erano stati inferiori di grado, mentre in quella occasione lo superavano nella gerarchia militare . E' · bensì vero che più d ' uno di questi generali, dopo la cerimonia ebbe ad esprimersi nel senso che se il Cadorna vi avesse partecipato, e ssi lo avrebbero preso in mezzo a loro e gli avrebbero tributato l'onore che meritava ... , ma non ha mancato l'on. Gasparotto di osservare che questo proposito più opportunamente avrebbe potuto essergli espresso p rima della cerimonia, anzichè a manifestazione avvenuta. L'accenno ad un ordine di ripiegamento firmato « d'ordine di S. M. il Re anzichè con la consueta formula « II capo di Stato Maggiore dell'esercito, L. Cadorna mi giunge nuovo carne nuovo sarebbe giunto a rnio Padre che mai ebbe a parlarm ene. Verificati i documenti h o constatato che effettivamente l'ordine n. 4988 d el 26 ottobre 1917, avente per oggetto Difesa ad oltranza» contenente disposizioni per l'arretramento sulla linea M. Maggiore - M. Purgessimo - M. Kosada, è firmato con la formula inconsueta. 281
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Carletti, decorato di medaglia d 1oro e presidente della sezione di Firenze dell'Associazione nazionale combattenti: Firenze, 3 novembre 1923
Eccellenza, Sicuro d 1 interpretare il pensiero degli ottomila combattenti della Sezione fiorentina rivolgo vi va preghiera al grande Silenzioso, che dopo averci guidato incontro alle più belle vittorie custodisce l ' orgoglio del dovere compiuto nella luce della sua fede militante, di voler partecipare al corteo organiz zato dai mutilati e dai combatt enti per celebr ar e la gloria del 4 novembre che appartiene a Lui prima che a ogni altro. E se è vero che alcuni cercano di oscurare Colui che al valorosissimo esercito ital iano ha dato l 'anima e le armi della vittoria , anche è vero che gli umili soldati non lo dimenticano . Devotissimo I
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Il presi dent e ANNI BALE CARLETTI Alle ore 15 del seguente giorno 4 novembre, nel momento cioè in cui il corteo stava per mettersi in moto, una commissione dell'Associazione nazionale combattenti entrava nella mia abitazione ed insisteva perchè io intervenissi. Alla medesima faceva eco una ventina di combattenti poço dopo sopraggiunti. Io ripetevo i motivi che mi consigliavano l'astensione e persistevo nel diniego. Ma ciò a nulla valse e fui condotto pressochè di viva forza ad un'automobile che attendeva alla porta e quindi al Ho voluto chiederne spiegazione al generale Melchiorre Gabba, che in quei giorni fungeva da effettivo capo di Stato Maggiore del generale Cadorna ed egli: esclude nel modo più assoluto che la formula "d'ordine di S. M. il Re" sia stata adoperata intenzionalmente e deve quindi attribuirne l'inconsueto uso a fortuita combinazione burocratica. [R. C.]
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corteo. Giunto in Piazza Santa Croce, e salito con le autorità in cima alla gradinata del Tempio, assistetti allo sfilamento del corteo, durante il quale, e successivamente quando il corteo ebbe ultimato il suo ammassamento sulla Piazza, mi fu fatta un'imponente dimostrazione. Appena ultimata la solenne cerimonia fui preso in mezzo dai combattenti, sollevato e portato in trionfo per la vasta piazza, malgrado le mie proteste. Raggiunta un'automobile, la dimostrazione si rinnovò per le vie di Firenze fino alla Piazza Vittorio Emanuele, dove assunse proporzioni grandiose, dopodichè potei riprendere la via del ritorno. Questa fu l'eloquente risposta che i combattenti fiorentini fecero al brutale comunicato Volta risposta tanto più gradita al mio cuore, per il suo carat3
Il generale Diaz, già colonnello capo dell'ufficio segreteria del corpo di Stato Maggiore, col generale Pollio, fu da me conservato in tale carica quando fui nominato nel luglio 1914 capo di Stato Maggiore dell'esercito. Promosso, dopo alcuni mesi, generale, rimase come generale addetto, prima allo stesso comando del corpo di Stato Maggiore, poi al Comando Supremo durante il primo anno di guerra. Egli rimase cosi durante circa due anni al mio fianco e sempre mantenni con lui i più cordiali rapporti. Chiamato a sostituirmi nella carica di capo di Stato Maggiore 1'8 novembre 1917, non · certamente da me proposto, come molti erroneamente dissero, non ebbi mai da lui il più piccolo segno di vita, neppure quando una insperata e inaudita fortuna lo clùamava a raccogliere tutti i vantaggi morali e materiali del trio_n fo: evidentemente io dovevo essere considerato come un lebbroso col quale era pericoloso aver contatto. Fui io che, dopo Vittorio Veneto, gli scrissi la seguente lettera: Firenze , 6 novembre 1918 Caro generale, Quando mi congedai da Lei la sera del 9 Novembre , le espressi i mie i auguri s oggiungendo che gli a uguri fatti a Lei erano rivolti all ' Italia . Sono fel ice che i miei voti abbiano avut o cos i grande compiment o, e mentr e il mio cuore di vecchio patriota esulta per la vastità dei risultati ottenut i, invi o i più vivi r allegramenti a Lei che ha saputo procurarli . Coi più cordiali saluti suo aff .mo L. CADORNA 283
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tere di spontaneità e p erchè proveniva dai compagni d 1armi della guerra. Tale dimostrazione ebbe non piccola eco in tutta Italia e mi procurò una quantità notevolissima di telegrammi e di lettere provenienti d a tutte le parti d 1Italia, ed in gran de maggioranza da ex combattenti. Mi limiterò a riferire una sola di tali lettere, ma essa è di una particolare eloquenza, e io non posso rileggerla senza emozione.
Schilpario (Bergamo), 6 novembre 1923 Eccellenza, Bene hanno fatto i nos tri compagni di Firenze a r ompere gli indugi ed a saltare l a siepe delle basse macchinazioni e degli i ntrighi tess uti di invidia e di livore, portandovi sulle loro s palle , in Firenze , dove più puro ed i taliano risplende il s ole . Voi , Generale, non avrete mai più glorioso monumento di queste spalle di combattenti che vi hanno levato in alto il 4 novembre e giorno migliore non potevano scegliere perchè, senza di Voi, noi tale data forse non avrernmo potuto celebrare . Giorno verrà , e noi combattenti lo s appiamo non molto lontano per ché noi stessi vorr emo e ne fi s seremo la data, che Voi , non sulle nostre spalle sarete portato in trionfo , ma a Roma, sull ' altare della Patria , dove dorme il più glorioso dei nostri f ratell i , que llo che è tant o grande che noi non siamo degni nemmeno di conoscerne i l nome . A nome del l a Sezi one combattenti di questo alpestre paese e del gruppo dell ' Ass . Naz . Alpini , ci tengo ad esprimere a Voi il nostro s entimento di devozione e di aff etto . Noi che abbiamo imparato a conoscervi nelle liete e nelle tristi giornate del la nostra passione e del nostro martirio, non Vi abbiamo rinnegat o , come invano hanno tentato di fare . Voi che avete conosciuto ed amato gli Alpini , sapete che 284
Appendice al capitolo V
i montanari non mut ano fede e pensiero per mutar e di fortuna . Vi prego di voler gr adir e il nostro f raterno omaggio ed il nos tro sal uto che noi sappiamo più cari al Vostro cuore di ogni altro, perchè Vi vengono dai soldati che con Voi s eppero ben meritare della Patria . Avv. GIAN MARIA BONALDI Queste commoventi dimostrazioni di combattenti, le quali già avevano avuto luogo in modo imponente a Milano, Torino, Genova, Alessandria ed in molti altri luoghi in cui mi ero recato, costituivano la più efficace smentita al1 1asserzione che la Commissione d 1inchiesta, mossa da fini partigiani, aveva fatto, quella cioè che una delle cause capitali del disastro di Caporetto fosse stato il malgoverno da m e fatto degli uomini. Se ciò fosse stato vero, è evidente che i combattenti avrebbero d ovuto odiarmi a morte. E invece ... ! Tale giustizia, imposta dall'opinione pubblica, non poteva più tardare a lungo. Era partita fin dall'anno precedente, 1923, da un comitato milanese presieduto dal senatore conte Emanuele Greppi, l'iniziativa di una sottoscrizione per farmi omaggio di una villa nella nativa Pallanza. Nel giorno 20 settembre 1924 questa mi veniva con grande solennità consegnata, alla presenza delle autorità locali e dei rappresentanti della presidenza del Consiglio dei ministri e del ministro della Guerra. Ciò che rese più commovente la cerimonia fu l'intervento di alcune migliaia di combattenti convenuti dalle regioni circostanti, fra cui parecchie medaglie d 1oro, talune delle quali giunte perfino dalla Sardegna e dalla Calabria! Il discorso ufficiale fu pronunciato dal1 1on. Delcroix ed assu nse toni di grande eloquenza, degni di quel grande oratore che egli è. La cerimonia ebbe grandissima eco in Italia e quasi tutti i giornali riprodussero il magnifico discorso de1I1on. Delcroix. 285
Caporetto, risponde Cadorna
Con R. Decreto del 4 novembre 1924 - giorno consacrato alla celebrazione della Vittoria - veniva istituito il grado di maresciallo d 1Italia e ne venivo insignito insieme al generale Diaz. E io sono grato al Governo che ha inteso la voce dell 1opinione pubblica ed ha premiato al di là di ogni mia aspettativa, istituendo un grado speciale, i servizi che posso aver reso al Paese, annullando così di un colpo gli effetti della indegna condotta dei precedenti Governi verso di me. E sono soprattutto grato ai miei compagni d 1armi, ai gloriosi combattenti i quali, anche nei momenti più oscuri, mi hanno ricambiato con pari stima ed affetto la stima e l 1affetto che io avevo sempre sentito per loro, distruggendo cosi essi stessi la più odiosa delle sentenze della Commissione d 1inchiesta, quella cioè di averli mal governati. Come ho detto altre volte, io ero ben deciso di non accettare nulla dal Governo che non fosse una riparazione completa. Nessuno dei soliti mezzi termini poteva salvare la mia dignità: o tutto o nulla. Dopo due anni dall 1assunzione dell 1attuale Governo al potere, durante il quale non mancarono altre gravi offese, come quella del comunicato Volta 4 del 18 maggio 1923, ebbi I1alta soddisfazione di veder trionfare la mia causa per la sola forza della verità e senza che io avessi fatto un sol passo per accelerarne il trionfo, limitandomi a trincerarmi in un dignitoso ed assoluto silenzio di fronte ai non pochi botoli che abbaiano alle mie calcagna. Di aver potuto inflessibilmente mantenere durante sette lunghi anni tale linea di condotta, ben deciso di seguirla al11occorrenza fino al termine della mia vita, io ringrazio Iddio. Che de I numi è dono servar nelle miserie altero nome 5 4
Comunicato del governo Mussolini contro la revisione dei provvedimenti della Commissione d'inchiesta.
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FOSCOLO - I sepolcri.
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Osservazioni varie
I molti nemici non disarmarono certamente gli animi, ma furono sgominati ed ammutolirono. Altro non occorreva.
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Caporetto, risponde Cadoma
CAPITOLO VI OSSERVAZIONI V ARIE
Saranno esposte in questo capitolo le osservazioni che non potevano trovare posto nei capitoli precedenti. Molte sono le osservazioni che mi rimarrebbero da fare se dovessi compiere l'opera di revisione di tutta la relazione, ma, nel desiderio di abbreviare questa già lunga esposizione, mi limiterò alle principali. Osservazioni di carattere personale. Da pagina 264 a 270 della relazione, io vengo qualificato come orgoglioso, egocentrico ed impulsivo. Non mi soffermerei su queste accuse, delle quali l'opinione pubblica ha già fatto giustizia, se tra le prove che la Commissione adduce per definirmi un tipo pronunciatissimo, qual altro mai, di egocentrico (pag. 270) non vi fosse quella della organizzazione e del funzionamento del Comando Supremo, avendo io, a detta della Commissione, accentrato tutti i poteri, annullando l'azione del sottocapo di Stato Maggiore, generale Porro. Per profonda e radicata convinzione, nata e sviluppatasi in me coll'esperienza e collo studio della storia, io fui sempre contrario a qualsiasi forma collettiva di comando, rappresentata da binomi o da trinomi di persone, da consigli o comitati di guerra, ecc. dalle quali forme esula il sentimento della responsabilità individuale. In tale convinzione, nel fissare i criteri per l'organizzazione ed il funzionamento del Comando Supremo, avocai a me la direzione immediata delle operazioni militari ed affidai al generale Porro tutti gli altri incarichi, alcuni dei quali direttamente connessi colle operazioni di guerra, e non pochi appartenenti alle più alte funzioni del Comando. Da ciò risultò una netta divisione di lavoro e di responsabilità; la quale mi metteva al mio vero posto di comandante in capo (non per il 288
Osservazioni varie
titolo, ma per la sostanza), e non abbassava il generale Porro alle funzioni di segretario, sia pure elevato ma sempre irresponsabile. La Commissione d 1inchiesta, invece, per confortare il proprio asserto circa il mio egocentrismo nel riassumere l 1esame della posizione da m e fatta al generale Porro nel Comando Supremo (pag. 278) solleva il dubbio che essa rispondesse al1 1altezza del suo grado ed alla fama della sua dottrina. Ma la Commissione d inchiesta, nel trattare gli incarichi da m e affidati al generale Porro, cerca di scemarne il valore e sorvola sul più importante di essi, quello cioè di sostituirmi e di rappresentarmi. E questo incarico venne dal generale Porro più volte assolto nei continui rapporti tra Comando Supremo e Governo, nei Consigli di guerra interalleati, in Albania e nelle stesse operazioni di guerra, durante le lunghe e frequenti mie assenze da Udine. Tutto ciò la Commissione sapeva per deposizioni del generale Porro e mie e per testimonianza di terzi; ma siccome ciò nuoceva alla tesi del mio egocentrismo, la Commissione vi h a sorvolato, tanto più che così facendo si demoliva la persona del generale Porro, che è degna di ogni rispetto: poichè la Commissione, per salvare il capo del Governo dal quale ebbe vita, ha assolto il proprio compito cercando di esagerare le responsabilità dei capi militari o di svalutarne le figure. Si aggiunga che nelle mie frequenti gite (talvolta di lunga durata) sul teatro della guerra, se il generale Porro mi avesse seguito per adempiere le funzioni volute dalla Commissione, chi avrebbe diretto i complicati uffici del Comando Supremo ad Udine? E se invece egli fosse rimasto a tale scopo ad Udin e, come avrebbe potuto adempiere a quelle funzioni presso di me? Perciò, anche per questo motivo, l organizzazione da me data al Comando Supremo, a base di divisione di lavoro, corrispondeva nel miglior modo alle esigenze del servizio ed alle mie, checchè ne pensi la Commissione. 1
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Caporetto, risponde Cadoma
I E poi, che significa quelrepiteto di egocentrico attribuitomi con l'intenzione di farmi un rimprovero? Ma il comando, specie in guerra, è di natura personale, assoluto, imperioso. Perciò i più grandi capitani furono i più grandi egocentrici, a cominciare da Napoleone, e se la Commissione opina il contrario, da prova di non intendersene. Per parte mia considero l'epiteto come la maggior lode che la Commissione potesse farmi. La svalutazione del primo periodo della guerra. Importanti e numerose sono state le dichiarazioni dei nostri nemici, che tendevano ad affermare l'importanza del nostro sforzo militare durante il periodo anteriore all'ottobre 1917 nel logorare l'avversario predisponendolo al crollo finale, dal quale non era lontano quando intervenne Caporetto a rialzarne momentaneamente le sorti. Ho già citato nella nota a pag. 21 (capitolo II) le parole contenute in una lettera del 13 aprile 1917 del Cancelliere austriaco, conte Czernin, circa «la completa stanchezza del materiale umano» ed a quella nota mi riferisco. In un numero della Dampzers Armeezeitung del giugno 1919 il generale barone von Arz, ultimo capo di Stato Maggiore dell'esercito austroungarico, parlando della difesa di Tri~ste, cosi scriveva:
"Allorchè nella primavera del 1917 accettai il posto di capo dello Stato Maggiore, considerai il possesso di Trieste quale perno di ogni ulteriore sviluppo degli avvenimenti, perchè ero della incrollabile opinione che con la conquista di Trieste da parte degli Italiani la campagna sarebbe stata per noi perduta. D'altro canto, una invasione nemica nel Tirolo, se anche coronata da successo, non avrebbe ancora lontanamente portato la decisione in nostro sfavore, perchè da quella zona la via che conduce nell'interno della monarchia è ancora molto lunga. 1 Invece se si perdeva Trieste, il nemico avrebbe avuto il libero passag290
Osservazioni varie
gio nel cuore del nostro Impero. Perciò mi decisi a considerare la salvezza di Trieste quale nostro principale e più importante compito ... La decima e undecima battaglia delliJsonzo non avevano apportato all'Italia la vittoria desiderata ma solamente lievi correzioni del fronte e piccoli guadagni di terreno. La posizione di Trieste era estremamente critica. Eravamo in pieno settembre, si ·doveva prontamente agire, ecc . Dunque chiaro emerge dalle parole dell'ultimo capo di Stato Maggiore austroungarico che la situazione del nemico, dopo la vittoria della Bainsizza, era estremamente critica e che ad essa egli pose soltanto rimedio organizzando l'offensiva col concorso di truppe germaniche. Ciò è stato riconosciuto anche dal generale Krauss, capo di Stato Maggiore dell'arciduca Eugenio, comandante in capo dell'esercito austriaco in Italia. A pag. 243 del suo libro Die Ursachen unserer Niederlage egli scrive: «No, l'offensiva (quella dell'ottobre 1917) corrispondeva al più stretto bisogno, al riconoscimento finalmente diventato luminoso che le battaglie soltanto difensive dell'Isonzo equivalevano ad un lento suicidio, e che non si poteva più attendere un successo da una dodicesima battaglia dell'Isonzo». E a pag. 245, dopo di essere ritornato sugli inconvenienti della · precedente condotta austriaca strettamente difensiva, afferma che «una dodicesima di tali vittorie sarebbe equivalsa ad una sconfitta decisiva dell'armata dell'Isonzo». Ma ancor più chiaramente si espresse il generale Krauss in un successivo libro. M. Schwarte ha pubblicato un'opera in 10 grossi volumi, Der grosse Krieg 1914-1918 il cui V volume ha il titolo: Der oesterreichische-ungarische Krieg. I capitoli di questo volume sono di scrit•
Il
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Dedico queste parole a coloro che mi hanno criticato per avere attaccato sulla fronte Giulia anzichè verso il Trentino. Vedasi quanto ho scritto al riguardo nel capitolo III del mio libro La guerra alla fronte italiana e ciò che scrivo in questo stesso capitolo. 291
Caporetto, risponde Cadoma
tori differenti, e l'VIII capitolo, Der erste Isonzo Feldzug, è appunto scritto dal generale Alfredo Krauss. A pag. 157 del suddetto V v olume egli esprime un giudizio lusinghiero su di me e sull'opera mia nel quale, fra l1altro, si leggono le seguenti parole: « ... ma soltanto la sua forte volontà, la sua durezza, la sua ostinazione hanno costretto gli italiani agli undici potenti assalti contro la fronte dell'Isonzo; e se gli Alleati non gli avessero con più forte mano strappato la palma della vittoria, passando essi stessi all'attacco nella 12a battaglia del1 1Isonzo, egli avrebbe nel dodicesimo assalto - al quale egli avrebbe costretto con forte volontà i suoi italiani - rotto certamente il fronte, ed avrebbe preso possesso di Trieste, la sospirata meta degli italiani ... ». Il generale Ludendorff, nelle sue memorie, riferendosi alle nostre prime offensive sull'Isonzo, dice che non sono riuscite «perchè l 1esercito imperiale e reale si batte bene contro l1Italia che era il nemico ereditario, mentre contro la Russia non c'era l 1odio nazionale». Dunque, soltanto al valore dell'esercito austriaco esaltato dal tradizionale odio contro l'Italia egli attribuisce gli scarsi successi delle nostre prime offensive, non ad altre cause ricercate in Italia. Parlando poi dell'offensiva austriaca del Trentino il generale germanico ammette che gli austriaci avevano troppo poche forze per riuscire e che questa sia stata la ragione dell'insuccesso, mentre da molti in Italia si è voluto rintracciarla nell'offensiva del generale Brussilof in Galizia, 2 e fa poi questa importante dichiarazione a pag. 137 del I volume: «Già alla fine di maggio (Brussilof non attaccò che il 4 giugno) era evidente che lo slancio austriaco era rotto.>> E da noi si sono volute considerare le operazioni del maggio come una sconfitta! Questa offensiva era stata contemporanea a quella di Verdun. Entrambe falliscono; ma per spiegare l'insuccesso, il generale scrive:
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Osservazioni varie
Perchè per vincere a Verdun ci sarebbero volute più artiglierie e più forze; invece gli austriaci ritirarono le loro divisioni dalla fronte occidentale e indebolirono quella russa per poter battere l 1Itali a.» Rimane cosi provato con parole del più autorevole tra i nemici che la nostra resistenza sulla fronte tridentina ebbe un riflesso grandissimo su quella di Verdun, la quale salvò il fronte occidentale. Guardata così, con larga visuale, ed inquadrata in tutta la guerra europea, la nostra resistenza ebbe un1importanza di primo ordine - importanza che non seppe vedere la Commissione quando affermò che si sarebbe dovuto «svalorizzare la troppo asserita e molto discutibile vittoriosa nostra controffensiva del giugno 1916 . In altro luogo il generale Ludendorff, riferendosi all 1undicesima battaglia de1I1Isonzo, scrive che I1esercito austro-ungarico aveva resistito, ma le sue perdite sul Carso erano cosi gravi, il suo spirito così scosso, che presso le autorità politiche e militari austriache era invalsa la convinzione che l 1esercito non avrebbe resistito ad una continuazione dell'offensiva o ad una nuova battaglia. Ed allora fu organizzata l 1offensiva coll 1aiuto della Germania. «L 1Austria» scrive Ludendorff <fece appello alla Germania per avere dei rinforzi; ma mandarne soltanto per la difesa non era regolare, e fu concepita una vasta operazione che sarebbe per lo meno servita ad alleggerire la fronte occidentale e, nella ipotesi più fortunata, combinandosi con la crisi del carbone, avrebbe portato la rivoluzione in Italia. L1attacco doveva sferrarsi alla fine di settembre, 2
Tra gli altri l'on. Salandra, nientemeno che il capo del Governo del tempo dell'offensiva, il quale nella sua lettera agli elettorì, del 19 ottobre 1919, cosi scriveva: Arrestata l'invasione con la cooperazione della rinnovata offensiva russa... E cosi egli ha svalutato un successo esclusivamente italiano, poichè il bollettino di guerra del 3 giugno, riferendosi agli avvenimenti del giorno 2, dava già l'offensiva austriaca come nettamente arrestata e l'attacco russo non ebbe inizio che il 4 giugno.
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Caporetto, risponde Cadoma
I e il suo scopo era quello di impedire il crollo dell'Austria-Ungheria.» Tutte queste dichiarazioni sono di straordinaria importanza. I primi trenta mesi di guerra, che i disfattisti - sorretti dalla Commissione d'inchiesta - vogliono far apparire come un irredditizio sacrificio di sangue, diventano invece, agli occhi del generale tedesco, la causa determinante del disfacimento dell'Austria, alla quale non mancava che il colpo di grazia! Lo stesso generale Ludendorff in una intervista col Socialdemokraten di Stoccolma, del marzo 1919, aveva già detto che tra le cause della sconfitta era specialmente da annoverare quella del mancante appoggio dell'Austria alla Germania, sempre più stretta alla gola dall'Italia. Se si tiene conto di questi risultati, dovuti al logoramento materiale e morale dell'esercito austriaco, che importa che essi siano stati ottenuti sull'Isonzo o più innanzi nel territorio austriaco? Non aveva, rispetto ad essi, importanza affatto secondaria la conquista di un certo numero di chilometri quadrati di territorio? A sua volta l'ex ministro austriaco Wiesner, in una serie di.articoli critici pubblicati nelle Oesterreichische Rundschau, nel settembre 1919, valendosi delle notizie riservate che egli potè avere durante la guerra, confermava quanto già aveva detto il generale Ludendorff, e dichiarava anzi che la possibilità di vittoria degli Imperi centrali fu spez~ata nella primavera del 1916 contemporaneamente a Verdun e sull'altipiano di Asiago. Il Wiesner attribuisce la colpa dell'insuccesso ad entrambi i comandi alleati, i quali dopo il 1915 agivano ciascuno per proprio conto. Secondo lui il nemico da abbattersi avrebbe dovuto essere l'Italia, contro la quale l'attacco fallì perchè i tedeschi erano tutti assorbiti da Verdun. Invece secondo Ludendorff come abbiamo visto - fallì l'attacco di Verdun essendo venuto meno l'aiuto austriaco! Nello stesso modo i nostri Alleati non vollero mai riconoscere la convenienza di abbattere prima 294
Osservazioni varie
l'Austria, epperciò l'importanza del fronte italiano, come svelai nel capitolo IX del mio libro La guerra alla fronte italiana. Sono gli eterni inconvenienti delle alleanze, dei quali è piena la storia! Il Wiesner combatte anch'egli l'opinione che il disastro in Galizia abbia annullato la possibilità di una vittoria austriaca nel Trentino, e scrive: «No, l'offensiva sulla fronte italiana era già arrestata prima che cominciasse quella russa. Le cause prime che tolsero agli Imperi Centrali la possibilità di una vittoria finale si chiamano Verdun ed Asiago.» Devono dunque essere i nostri nemici a persuaderci che l'esercito italiano nei trenta mesi di guerra che hanno preceduto Caporetto ha gravemente indebolito la resistenza dell'esercito austro-ungarico e ha reso impossibile la vittoria degli Imperi Centrali, mentre da noi ministri, uomini politici, generali e Commissione d'inchiesta si affannarono a dimostrare scarsi i nostri successi, misurandoli dai chilometri quadrati e dalle quote conqµistate! Si, anche la Commissione d'inchiesta, la quale non tralascia occasione per svalutare il primo periodo della nostra guerra. Fin dalla prima pagina essa parla di «precedenti affermate gloriose vicende militari»; a pag. 11: "per effetto degli asseriti buoni successi del 1917"; a pag. 81: «ed allorchè i risultati ottenuti sull'altopiano di Bainsizza - per quanto sollecitamente contenuti dal nemico - erano pur stati proclamati tanto notevoli ... » E cosi via molte citazioni potrei fare fino a quella a pag. 470 dove si dice addirittura che si sarebbe dovuto «svalorizzare la troppo asserita e molto discutibile vittoriosa nostra controffensiva del giugno 1916»! Ma di quest'ultima svalorizzazione ho ampiamente discorso nel capitolo IV a pag. 208. In tal modo, preoccupata soltanto di svalutare me, la Commissione forniva ai disfattisti un'arma formidabile! Del resto, nello svalutare la vittoria, durante il periodo della guerra nel quale io fui capo di Stato Maggiore, la Commissione 295
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Caporetto, risponde Cadorna
in perfetto accordo - come sempre - coll'on. Orlanc::lo. Si potrebbero rilevare nei discorsi di quest'ultimo molte frecciate, dirette od indirette, contro l'antico Comando. Mi limiterò a riferire le seguenti sue parole pronunciate in Senato il 3 ottobre 1918: Possiamo e dobbiamo, benst pure con parole brevi, rilevare tutto il valore effettivo della battaglia combattuta sugli Altipiani e sul Piave (quella del giugno 1918) che appare storicamente incomparabile. Per la prima volta, infatti, l'Italia affrontava con tutte le sue forze tutte le forze, di tanto superiori, del secolare nemico. Nelle fasi anteriori di questa guerra essa aveva dovuto triplicare il suo sforzo, impegnata come era su di un triplice fronte: il nostro, quello russo, quello serbo, cui s'era poi sostituito il romeno. Ma nel giugno scorso dovemmo noi sopportare tutto il peso, come numero, come efficienza, come orgoglio esaltato dalle falangi vittoriose sulla Russia e sulla Romania. Anche questa volta la virtù dove resistere al furore: anche questa volta vinse virtù (Applausi). è
In poche parole: mentre durante il mio periodo l'esercito non aveva saputo fronteggiare che un terzo dell'esercito austriaco, nel periodo successivo lo contenne vittoriosamente tutto quanto. Naturalmente non si tiene conto che quando noi avevamo di fronte nel 1915 un terzo dell'esercit~ austriaco (25 divisioni) non avevamo che 35 divisioni e scarsezza estrema di artiglierie e di munizioni. Non si tien conto che nella battaglia della Piave del giugno 1918 le nostre divisioni erano 57 (cornprese le 4 alleate), si disponeva di abbondantissimo materiale di artiglieria e di munizioni ed inoltre l'estensione della fronte era ridotta a metà, ed era stata negli ultimi sei mesi potentemente preparata a difesa! Non si tiene conto di futto ciò. Ma che importa? L'essenziale era di esaltare il secondo periodo della guerra per poter svalutare il primo. Come se l'esercito ed il Paese non dovessero andare orgogliosi di entrambi! Da quanto ho detto chiaramente 296
Osservazioni varie
emerge come si sia andati a gara a svalutare le nostre vittorie del periodo 1915-1917. Si tenga conto che questo fu caratterizzato dall'aspro sforzo offensivo fatto con scarsezza di mezzi allo scopo di coordinare la nostra colla guerra europea e che tale sforzo giovò direttamente ed in notevole misura agli Alleati, e indirettamente a noi per i vantaggi che ci derivavano dalle migliorate condizioni della guerra europea. Consegue che la nostra azione doveva essere valorizzata come meritava, specialmente di fronte agli Alleati, se n on altro per compensare l'aiuto da essi datoci nel 1917-1918 e di cui essi menavano vanto. E poichè gli Alleati a loro volta hanno tentato di svalutare le operazioni dell'ultimo periodo della guerra, cosi appare quale opera patriottica sia stata fatta nel cercar di svalutare il primo periodo, il quale fu senza dubbio il più duro ed il più difficile (e perciò gloriosissimo) per la scarsezza di artiglierie e di mezzi tecnici per parte nostra e per la piena efficienza materiale e morale in cui si trovava allora l'esercito austriaco, eccitato da un odio feroce contro di noi. E questa esaltazione del secondo periodo della guerra a detrimento del primo non è diminuita con l'andar del tempo, ma anzi è aumentata e me ne debbo persuadere mentre rileggo queste pagine (aprile 1928), a breve tempo dalla scomparsa del compianto maresciallo Diaz. Ma questa non è la vera storia! L'apparecchio militare. La Conunissione tratta da pag. 17 a pag. 32 dell'apparecchio militare. A pag. 18 essa scrive: Non si può negare che esso (l I esercito) corrispondeva ad una condizione comune degli Stati dell'Intesa, aliena da intenzioni aggressive, e che con tutto ciò costituiva già non lieve aggravio per l'erario, assorbendo nel 1914 per il solo esercito (esclusa cioè la marina) un quinto del bilancio passivo, e cioè 450 milioni su 2522. Ingiuste pertanto
Caporetto, risponde Cadoma
debbono ritenersi le voci che eccessivamente hanno insistito (e talune forse per dare risalto all1opera di ricostruzione) sulla nostra impreparazione alla guerra, attribuendo ad essa un valore assoluto, invece che il debito significato affatto relati'vo: la nostra, come quella della Francia, della Russia, dell'Inghilterra e dell America, si può considerare come impreparazione solo se si riferisce alla nuova visione di forza e di potenza aggressiva che gli Imperi centrali rivelarono e posero a servizio di un gigantesco piano di egemonia mondiale. 1
L'on. Giolitti, il quale nel libro Le memorie della mia vita cita le parole della Commissione d'inchiesta quando ciò gli torna opportuno, e non le cita quando non gli mette conto/ - per difendersi dalla doppia accusa che il ministro Salandra era stato costretto a proclamare la neutralità per il grave stato di impreparazione e di debolezza in cui i Ministeri da lui presieduti avevano lasciato l'esercito e la marina, e che con la guerra di Libia si erano esauriti i magazzini militari senza poi provvedere a reintegrarli - l'on. Giolitti, dico, a pag. 527 riferisce il precedente brano fino alle parole «impreparazione alla guerra» e se ne fa forte per tentar di dimostrare non fondata I1accusa fattagli di aver lasciato l'esercito in uno stato di grande impreparazione quando lasciò il potere in principio del 1914. Ma la Commissione erra in questo punto come in moltissimi altri. Senza alcuna intenzione di voler «dare risalto all'opera di ricostruzione» ma soltanto per ristabilire la verità, e riferendomi alla principale potenza militare fra quelle citate, cioè la Francia, osservo che essa, pur con alcune deficienze -principale quella delle artiglierie pesanti - potè gettare in linea, nel tempo previsto dal progetto di mobilitazione, i suoi 21 corpi d 1armata,
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Vedasi quanto scrivo alla fine di questo capitolo a proposito del bollettino di guerra del 28 ottobre 1917. 298
Osservazioni varie
oltre ad altre unità di riserva. Il giudizio della Commissione sarebbe giusto se noi pure - sia pure con molte deficienze avessimo potuto, ordinando la mobilitazione il 1 ° agosto 1914, . mobilitare e radunare alla frontiera i nostri 14 corpi d'armata (35 divisioni di fanteria). Ma noi eravamo ben lungi dal poter fare ciò: ne ho data ampia e documentata dimostrazione nei due capitoli del libro "La guerra alla fronte italiana". Anzi, neppure alla fine di settembre noi eravamo in grado di mobilitarci, come risulta dai documenti ai quali mi sono riferito a pag. 4748 (capitolo II) del mio libro. Perciò la nostra impreparazione aveva n on soltanto un valore relativo, come la Commissione afferma, ma anche un valore assoluto. Nè vale ricordare, come fanno la Commissione e I1on. Giolitti, le cifre del bilancio e la proporzione fra le spese generali e quelle di guerra e m arina, perché, tenuto conto del fatto indiscutibile che la impreparazione esisteva, se ciò avveniva malgrado l'ampiezza del bilancio, ne deriva un'aggravante e non un'attenuante all'opera di governo dell'on. Giolitti. A fornire piena conferma alle mie precedenti affermazioni, è apparsa nel marzo 1923 la relazione della Commissione parlamentare d 'inchiesta per le spese di guerra. Questa, dopo aver · proceduto ai necessari interrogatori, cosi formula la sua conclusione nel capitolo «La Direzione generale dei servizi logistici ed amministrativi e la preparazione d ella guerra (pag. 414 del volume I della relazione): " Da tutti i documenti esaminati, da tutti gli interrogatori risulta confermato che nulla avevamo alla vigilia della guerra europea che potesse, non che bastare ai bisogni della lunga campagna e dei milioni di uomini richiamati alle armi, soddisfare almeno alle esigenze di un piccolo esercito da mandare al confine per resistere all'urto che era da presumere formidabile. Tutto ciò, indipendentemente da ogni altra ragione, basta da solo a chiarire che il compito dei governanti e dei capi per
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Caporetto, risponde Cadoma
apprestare un esercito e quanto a questo occorresse presentava difficoltà che dovevano apparire insormontabili, ed esponeva a responsabilità tanto più gravi in quanto nessuno aveva mai pensato nè in Italia nè altrove che si potesse essere esposti ad una cosi grande e soprattutto cosi lunga guerra; nessuno aveva pensato in Italia che dal nostro Paese potesse sorgere apparecchio cosi formidabile come quello che più tardi i capi furono chiamati a maneggiare ... " Dopo così esplicite parole, che cosa rimane delle affermazioni fatte tanto largamente dalla Commissione d'inchiesta e di quelle fatte dall'on. Giolitti?4 Ciò posto concordo con quanto dice la Commissione a pagina 19, cioè che la preparazione eseguita durante la neutralità non fu opera di improvvisazione, ma di ringiovanimento e q.i aumento di personale, di notevole completamento del materiale, di fortissimo miglioramento dei servizi, ecc. 5 Ma non concordo con chi ha affermato (pure a pag. 19) e biasimato che tale programma «non portasse alla previsione di assai più grandiosi apprestamenti», e ciò appunto perché, dato lo
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Tutto ciò che ho scritto è ampiamente confermato dall'on. Salandra nel suo bel libro "La neutralità italiana", pubblicazione molto importante, equa ed imparziale. Vedasi il capitolo V "Preparazione delle armi". 5
Il ministro della Guerra, generale Zupelli, mi scriveva il 21 novembre 1914: " ... la forza complessiva dell'esercito mobilitato è oggi e sarà in marzo all'incirca quella che sarebbe stata in agosto. Essenzialmente si tratta di migliorata qualità e di efficienza della forza stessa, piuttosto che di differenze numeriche. Il tempo trascorso dall'agosto in poi è servito e quello che si avrà ancora a disposizione servirà ad aumentare appunto la efficienza della forza dando modo di attuare una serie di provvedimenti, ben noti all'E. V., intesi a tale scopo, quali : completamento ed aumenti nuovi di dotazioni di ogni genere (vestiario, equipaggiamento, vettovagliamento, munizionamento, ecc.) sia per ripianare deficienze esistenti nelle dotazioni prescritte fino dal 300
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stato dell'esercito in quel tempo, fu già uno sforzo grandioso il farlo entrare in guerra dopo meno di dieci mesi dallo scoppio della guerra europea, nel suo quadro organico, e sarebbe stato impossibile, senza comprometterne l'efficienza, dargli allora più ampio sviluppo. La più bella prova la fornisce la stessa Commissione quando a pag. 22 (n. 23) scrive: «In ordine al numero degli ufficiali è risultato che, non ostante gli sforzi fatti per aum entare i quadri specie quelli delle categorie in congedo, se ne è dovuto lamentare una grave deficienza numerica, sia all'atto della nostra entrata in guerra, sia durante le prime nostre operazioni militari.» E allora, come si sarebbero ancora potute costituire nuove unità? L'ampliamento dell'esercito doveva essere fatto gradatamente se non se ne voleva compromettere la solidità. Esso avv enne difatti in due riprese, cioè nella primavera del 1916 ed in quella del 1917, e fu notevolissimo, come ho dimostrato nel capitolo II del già citato libro. Non solo qu esto; ma se, «non ostante gli sforzi fatti per aumentare i quadri», si doveva «lamentare una grave deficienza numerica» all'atto di entrare in tempo di pace, sia per portare le dotazioni stesse alla quantità prescritta per là mobilitazione e rispondenti a nuovi constatati bisogni; provvista di un equipaggiamento invernale che non esisteva; completamento e nuovo ordinamento dell'artiglieria, intesi a migliorare le condizioni tecniche e di impiego tattico; preparazione e formazione di quadri ufficiali e sottufficiali in specie; acquisto di quadrupedi all'estero per sopperire alla deficienza, non tanto numerica quanto qualitativa, dei quadrupedi disponibili nel nostro Paese per l'artiglieria; costituzione graduale di unità, di organismi, alla cui formazione si dovrebbe addivenire in modo affrettato e più o meno tumultuario durante il breve periodo della mobilitazione, senza la necessaria garanzia di affiatamento fra quadri e fra gregari stessi dei reparti; messa in stato di difesa delle piazzeforti e degli sbarramenti e completa sistemazione dei depositi ìn zona avanzata, ecc". Questa lettera, nel mentre riepiloga ciò che fu fatto per mettere l'esercito ìn grado di entrare in guerra nella sua formazione organica stabilita ne] tempo di pace, ben dimostra quali fossero le sue deficienze di ordine assoluto. 301
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guerra, come può la Commissione affermare che 10 mesi prima, al momento dello scoppio della guerra europea, si potesse, al pari della Francia, entrare in campagna? Quale patente contraddizione! 6 Se la Commissione avesse tenuto ben presenti queste considerazioni, certo non avrebbe scritto quel che si legge a pag. 20: «Se questi (il capo di Stato Maggiore) adunque, nel periodo della preparazione, non promosse sostanziali modificazioni di misura e di modalità nel programma attuato dal ministro Zupelli, è da ritenere o che lo considerasse il massimo sforzo possibile per l'Italia nelle circostanze e nei limiti di tempo assegnati, ovvero che, pur uno sforzo maggiore essendo possibile, egli non lo ritenne necessario.» No, uno sforzo maggiore non era possibile, ma queste ultime parole lasciano sospettare una imprevidenza da parte mia, che non c 1e mai stata! Chi non sa che in guerra ci si assicurano le maggiori probabilità di successo facendo il massimo sforzo possibile? E questo fu sempre fatto. 7 D'altronde a che avrebbe servito aumentare le unità organiche 6
Il lettore ha certamente notato quante contraddizioni ho dovuto rilevare nella relazione della Commissione. Gli è che quando la verità fa a cozzo con le tesi prestabilite, le contraddizioni sono inevitabili. E, viceversa,, l'esistenza delle contraddizioni dimostra che non si cammina sull'ampio e facile sentiero della verità. La costante verità non può contraddirsi. 7
Difatti, ecco quanto mi scriveva il ministro della Guerra, generale Zupelli il 29 dicembre 1914: Debbo dichiarare nel modo più esplicito e formale che, al di là di tali cifre (quelle della forza necessaria a mobilitare le unità contemplate dall'organico), per la disponibilità, sia dei quadri, sia dei mezzi finanziari, sia, infine, del tempo, non è assolutamente possibile compiere uno sforzo ulteriore. Ed aveva ragione, salvo che per i mezzi finanziari, ai quali non era il caso di badare in quei gravissimi momenti. Ma tale era la mentalità del Governo, come è già apparso nel mio precedente libro ed in questo, e come meglio apparirà in seguito. 302
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quando difettavano i quadri ed erano cosi scarse le artiglierie? La stessa Commissione ci dice a pag. 31 che era impossibile far venire artiglieria e munizioni dall'estero e che il tempo occorrente ad attrezzare la nostra industria per tali produzioni era «notevolmente maggiore di quanto non durassero la nostra neutralità e la prima preparazione». Ma la Commissione si affretta a soggiungere: Certo però u n dubbio sussiste: che, cioè, per quanto nel Comando Supremo non mancasse, ancor prima della guerra, la sensazione che la nostra artiglieria era piuttosto (!) deficiente per quantità, per potenza per munizionamento, la vera misura della grande incapacità quantitativa di essa ad assolvere il compito di far breccia nelle robuste difese avversarie e sostenere la fanteria contro l1artiglieria austriaca, potentemente e magistralmente impiegata, il detto Comando non l'abbia compresa se non dopo le prime operazioni. E altrimenti non si capirebbe come non si sia per lo meno tentata una maggiore concentrazione delle artiglierie e delle munizioni disponibili nel tratto scelto per lo sfondamento. Tante parole, altrettante inesattezze! Altro che dubbio! Altro che sensazione! Altro che artiglierie piuttosto scarse! Io avevo la certezza che le artiglierie erano molto scarse: altrimenti non si capirebbe come insistessi tanto per la mobilitazione industriale, ancora durante la neutralità; provvedimento questo che non fu attuato dal Governo che sei mesi dopo che io l'avevo proposto (vedasi il capitolo II del mio succitato libro). Naturalmente la precisa misura dell'insufficienza fu data dalle prime operazioni, ma a comprenderne l'insufficienza generica bastavano le operazioni in corso sui teatri di guerra europei. La concentrazione d elle artiglierie di medio calibro sul fronte Giulia fu attuata per quanto possibile, perché non si potevano lasciare del tutto prive di tali artiglierie le altre armate in rela303
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zione al loro compito: così, delle 236 bocche da fuoco di medio calibro disponibili, 124 furono assegnate al fronte Giulia (60 km.) e sole 112 ai rimanenti 600 km. di fronte; a questi ultimi furono assegnate le poche artiglierie di grosso calibro che si avevano, dovendosi battere dei forti corazzati. All"' alto personaggio del Governo" il quale, come è detto subito dopo nella relazione, affermò che se io avessi rappresentato in tempo, nel periodo della preparazione, la scarsità di artiglierie e di munizioni, tale mia dichiarazione "avrebbe provocato o un più largo rifornimento, o addirittura una diversa risoluzione da parte del Governo", io rispondo che la memoria lo ha tradito, perché tale scarsità io l'ho sempre rappresentata. E poi, un più largo rifornimento era impossibile per le ragioni già dette, come era impossibile una diversa risoluzione del Governo. L'alto ed anonimo personaggio deve rammentare che se io non trattenevo il Governo a causa dell'impreparazione, non mancò taluno nel Governo stesso che sarebbe partito in guerra molto tempo prima, poiché alte considerazioni politiche consigliavano il nostro intervento! Ma prima di finire il capitolo la Commissione sente ancora il bisogno di tacciarmi di imprevidenza per le inadeguate informazioni sulle difese accessorie nemiche e particolarmente sui reticolati, i quali non si potevano tagliare colle pinze tagliafili che io menai vanto di aver fatto comperare a Milano. Le informazioni furono quali potevano essere e certamente non si trascurò alcun mezzo per poterle avere il più possibile esatte. E se le pinze tagliafili si dovettero far comperare in furia a Milano, fu perché il Ministero, che ne aveva promesso quattro per compagnia e si era rifiutato di fornirne altre quattro da me proposte, perché sarebbero costate centomila lire(!!!), non provvide neppure le prime quattro ( vedasi capitolo III del mio libro citato). Così, se imprevidenza vi fu, fu tutta da parte del Ministero! 304
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Queste ed altre cose sarebbero state chiarite se la Commissione mi avesse interrogato. Ma essa ha trovato più comodo di muovermi delle critiche senza interpellarmi; così essa ha potuto più facilmente addivenire alla conclusione che la mia mente era assorbita dalla visione e dalla speranza della guerra di movimento! L'unico documento prodotto per tentare di provare questa presunta inclinazione della mia mente è il periodo contenuto nella Prefazione al libretto sulla guerra di trincea, comunicatoci dal Comando francese e diramato nel maggio 1915; nella prefazione era detto: "Abbenchè il carattere delle nostre eventuali operazioni e la natura e configurazione del terreno ov' esse si svolgeranno facciano ritenere improbabile che le nostre truppe debbano ricorrere ai suddetti procedimenti - salvo che, eccezionalmente, su estensioni piuttosto limitate del fronte -" la Commissione trascrive queste parole a pag. 52 della relazione, ma poco dopo (pag. 53) essa stessa fa giustizia dell'accusa con queste altre parole: " ....la Commissione non si sente invero di far proprie le deduzioni che si sono volute trarre dalla prefazione sopra ricordata. Ciò tanto meno in quanto, come indirizzo di dottrina, non era male, nel momento in cui con ufficiali destinati a compiere rapida avanzata, si cominciava a discorrere della guerra in trincea, deprecarne quell'eccessiva estensione che dell'offensiva appunto avrebbe costituito la paralisi". Sagge parole! Difatti sarebbe stato davvero strano che, nel momento in cui cercavo di imprimere il massimo impulso al movimento offensivo per impadronirci rapidamente e di sorpresa di importanti posizioni al di là della frontiera, io avessi fatto l1apologia della guerra di trincea! Ma la Commissione, che distrugge essa stessa l1unica prova che si è voluto allegare della visione e della speranza della guerra di movimento che assorbiva la mia mente, perchè allora mi rivolge questo appunto? E' questa un'altra delle tante contraddizioni in cui essa cade! E poi, nelle direttive del 10 aprile 1915 inviate ai comandi di 305
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armata riflettenti le operazioni durante il periodo di mobilitazione e radunata, non avevo io accennato alla «possibilità che la nostra offensiva urti contro tenace resistenza e rimanga paralizzata, a somiglianza di quanto si verificava in Fiandra e in Polonia» ? (pagg. 99-100 del volume I del mio libro La guerra alla fronte italiana). Altro che visione e speranza di guerra di movimento! L'attacco frontale.
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La Commissione non fa delle critiche essenziali ai metodi seguiti per l'addestramento tattico delle truppe. Anzi, a pag. 189 della relazione, scrive, quanto segue: La Commissione per sua parte non ritiene che i criteri in vigore nel nostro esercito nell'ottobre 1917 per l'impiego della fanteria fossero inadeguati, e giudica anzi che essi tenessero giusto conto dell'evoluzione dei metodi tattici: appare che fosse invece insufficiente l'addestramento delle truppe, per la mancanza dei necessari turni di riposo e per l'errata applicazione dei suddetti criteri per parte di taluni comandanti. Potrei dunque dispensarmi dall'entrare in questo argomento. Credo tuttavia di dover parlare dell'attacco frontale per il grande scalpore menato intorno all'opuscolo che del medesimo si occupa, del quale si è completame,rte travisato il significato. Sul principio del 1915 feci ricompilare una istruzione sull'Attacco frontale ed ammaestramento tattico, la cui prima edizione era stata scritta fin dal 1905 ed era stata tante volte modificata per tenerla al corrente delle necessità del giorno. Essa aveva dato ottimi risultati nell'istruzione dei quadri mentre reggevo i comandi delle divisioni di Ancona e di Napoli e del IV Corpo d'Armata (Genova), tanto che, spontaneamente richiesta dai reggimenti di ogni parte d'Italia, la si era dovuta riprodurre in molte migliaia di copie. La nuova edizione porta la data
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del 25 febbraio 1915. Questa istruzione è stata oggetto di molte critiche e, travisando completamente il concetto che la informava, si disse che io ordinavo di eseguir in ogni caso l'attacco frontale, con assoluta esclusione degli attacchi di fianco. Nulla di più erroneo e di più assurdo! Basta per persuadersene leggere quanto è scritto a pag. 12 di quella istruzione: «Le maggiori probabilità di risultati decisivi si hanno, è vero, combinando quando sia possibile - l'azione frontale con altro attacco diretto contro uno od entrambi i fianchi del nemico, ma non è tuttavia da escludere che l'azione frontale possa diventare principale, o la sola imposta dalle circostanze, specie quando - come nell'attuale conflitto - le fronti vanno assumendo estensioni enormi. L'azione contro un fianco, d'altronde, si risolve in un'azione frontale allorchè l'avversario abbia spostato le sue riserve, ciò che un'abile difesa dovrà sempre saper fare.» E' da notare che gli aggiramenti dei fianchi sono facili ad eseguirsi, e per contro è molto difficile l'esecuzione dell'attacco frontale. Consegue che una truppa bene istruita nel meccanismo della manovra frontale potrà dire di possedere un buon ammaestramento tattico; e perciò come metodo di addestramento è soprattutto sugli attacchi frontali che bisogna insistere. In sostanza, mentre io stabilivo un metodo per l'esecuzione degli attacchi frontali per il caso molto frequente che da questi non si potesse prescindere, si lasciava invece intendere che prescrivevo l'attacco frontale anche nel caso in cui fosse possibile l'attacco di fianco! Della quale eresia, in verità, nessuno si era mai accorto nei dieci anni durante i quali il libriccino aveva avuto nelle sue varie edizioni larga diffusione in tutto l'esercito! Tale è il significato di quel tanto calunniato libretto, il quale, in sole 56 pagine di piccolo formato, conteneva l'esposizione dei principi fondamentali della tattica e stabiliva un metodo di addestramento dei quadri e delle minori unità. Tale significato è tanto chiaro che è veramente sorprendente che abbia potuto 307
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essere svisato a tal punto! Il sofisma, pur tante volte ripetuto, è cosi grossolano che non può essere attribuito che ad ignoranza o a mala fede! Non parlo poi dei molti che ripetevano pappagallescamente le accuse contro l'attacco frontale senza neppure aver visto la copertina dell'opuscolo! Ma i veramente competenti hanno espresso ben altro giudizio. Cosi, ad esempio, il generale Graziali, il quale, dopo aver comandato con distinzione un corpo d'armata in guerra, fu nominato direttore superiore delle scuole militari, in un pregevolissimo opuscolo dal titolo Saggio sulla evoluzione della dottrina tattica nella guerra europea, cosi si esprime a pag. 6: II fascicolo del generale Cadoma Attacco frontale e ammaestramento tattico, già noto da alcuni anni, venne fatto ristampare nel 1915 e largamente diffuso d all'autore, poco dopo la sua assunzione a capo di Stato Maggiore dell'esercito. Tale pubblicazione rappresenta un episodio importante nella storia della nostra regolamentazione tattica, perchè per la prima volta ritroviamo espresso in forma chiara e precisa un concetto tattico semplice e netto, coll'intento di richiamare le menti verso principi fondamentali ed intorno a linee essenziali di metodo, in un'ipotesi d'attacco, che la guerra europea già cominciata fuori d 'Italia dimostrava come la sola che potesse in realtà interessare le minori unità tattiche. Vedremo poco più innanzi quanto ingiusta debba considerarsi la critica mossa in seguito a questo opuscolo designato quasi come causa determinante per cui la nostra guerra fu iniziata e per molto tempo condotta, anche nel Campo strategico, con azioni frontali rimaste pur troppo sanguinosamente sterili. L'attacco frontale nel campo della tattica h a rappresentato una inevitabile necessità di questa guerra per le enormi e continue fronti di schieramento assunte dagli immani eserciti in lotta. Ad ogni modo era ed è sempre esatto e ragionato l'affermare che, nell'ambito delle minori unità, ogni manovra si riduce in 308
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definitiva ad un attacco frontale qualunque sia la via percorsa per giungere a tale attacco. Era ed è fuori dubbio pertanto la opportunità di conoscere con chiarezza i procedimenti tattici pratici, conforme i quali è possibile condurre e sviluppare un attacco di tal genere .... Ed a pag. 44 del medesimo opuscolo il generale Grazioli scrive:
La grande controffensiva anglo-francese, che ebbe inizio il 27 luglio (1918) e che con progresso geometrico più non ristette fino all'annistizio, venne sostanzialmente condotta colle stesse nonne tattiche elaborate dai tedeschi per la loro offensiva di primavera. Ne sono prova evidente le Direttive del maresciallo Petain per la imminente ripresa offensiva in data 12 luglio 1918, leggendo le quali si sente lo stesso spirito delle istruzioni tedesche del gennaio 1918, cioè lo spirito tattico ultimo, che si può dire, sia uscito dalla guerra: spirito tattico che, curiosa coincidenza, ricorda qua e là quello che animava la famosa istruzione italiana sull'attacco frontale del generale Cadorna, la quale aveva il solo torto di fermarsi al primo contatto col nemico, perché non poteva prevedere allora la resistenza profonda del difensore e quindi la necessità di un attacco altrettanto profondo e penetrante. Mi sia permesso di osservare che doveva essere ben vitale la mia istruzione se, essendo stata per la prima volta emanata nel 1905 ad Ancona ed essendo rimasta nelle linee generali immutata, se ne trovassero ancora delle reminiscenze nelle istruzioni del maresciallo Pètain (informate allo stesso spirito delle istruzioni tedesche del gennaio 1918) dopo tanta esperienza accumulata in quattro anni di guerra. E' senza dubbio da deplorare di essere stati costretti ad eseguire quasi sempre degli attacchi frontali, sempre difficili specialmente in montagna. A proposito della guerra di montagna, Napoleone, nei Precìs des guerres du marèchal de Turenne, nella 2° osservazione alla campagna del 1644 scrive quanto segue:"Ne jamais attaquer les troupes qui occupent de bonnes 309
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positions dans les montagnes, mais les dèbusquer en occupant des camps sur leurs .flancs ou leurs derrières". Principio giustissimo ... nella guerra di movimento con piccoli reparti(come allora si usava) in montagna; ma sarebbe interessante che i critici dicessero come si sarebbe potuto applicare tale principio su una distesa di oltre 600 km. di terreno montuoso occupato con linea continua da molte centinaia di migliaia di uomini! Uguaii critiche sono state rivolte in Francia al maresciallo Joffre. Ecco come ne parla il Mermeix nel suo volume: Joffre Première crise de commandement, a pag 249: "Ceux qui reprochaient à ]offre ses attaques frontales, n'avaient donc pas regardè la carte! Manoeuvrer c'est se mouvoir. Pour se mouvoir il faut de l'espace. Or, il n'y avait pas d'espace libre pour la guerre de mouvement en France camme il y en avait eu pour Hindenburg en Prusse orientale, pour Mackensen encore et Falkenhayn en Romanie et pour ]offre luimeme, en septembre 1914 sur la Marne. Partout l'ennemi ètait retranchè. Les fortifications allaient de la mer du Nord à la frontière suisse. On ètait donc obbligè de se livrer à ces attaques frontales dont il ètait Jait grief a ]offre. Estce que les Allemands, manoeuvriers sur le front oriental, faisaient des manoeuvres sur le front occidental? Pour eux, comme pour ]offre, il n'y avait de possible, tèmoin Verdun, que l'assaut direct sur une partie du front. L'attaque frontale pouvait etre plus ou moins ètendue. C'ètait une question d'effectifs et surtout une question d'artillerie. Jusqu'à prèsent, rien qu'avec les effectifs francais et avec un materiel assez pauvre, ]offre avait pu empecher tout retour du flot de l'invasion". Se tali erano le condizioni in Francia per la guerra di movimento, erano forse migliori in Italia? O non vi era invece l'aggravante di un terreno costantemente montuoso, che ostacolava dovunque la manovra? Analoghe considerazioni furono fatte in Germania. Trovo ad esempio le seguenti parole a pag. 11 del libro "La guerra del310
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l'avvenire" del generale di cavalleria Friedrich von Bernhardi: "Ma questa forma di battaglia (quella decisiva in campo aperto) non poteva svolgersi che in determinate condizioni, data la strategia lineare recentemente sorta. Dove non vi erano fianchi vulnerabili si dovette, per battere il nemico, addivenire ad attacchi frontali. A ciò no.n si era mai da noi pensato in tempo di pace. Le voci - tra l'altre anche la mia - che a ciò accennavano, che sarebbero state possibili anche battaglie di rottura, le quali avrebbero potuto anche rendersi necessarie, date le moderne condizioni, rimasero inascoltate e non furono apprezzate. Tuttavia, le condizioni generali si sono ulteriormente sviluppate in quella direzione. Oggt nella guerra di posizione, non vi sono più fianchi da avvolgere; quasi ovunque ci si trova di fronte ad una lunga e ben connessa linea; i fianchi da avvolgere bisogna procurarseli mediante lo sfondamento delle linee nemiche/ mentre che l'avversario, da parte sua, fa di tutto per impedire un tale sfondamento e per chiudere mediante le riserve una falla che si sia eventualmente prodotta. In tal modo la battaglia frontale è divenuta necessità ed aspetto caratteristico della guerra di masse. Nel preparare tale battaglia e nel condurla con successo consiste il grande e decisivo, ma tuttavia altrettanto difficile, compito del comandante; compito questo che noi ed i nostri nemici abbiamo spesso tentato invano di risolvere. L'arte della guerra ha quindi assunto 8
E così l'avvolgimento delle ali, tentato durante la nostra controffensiva del giugno 1916, doveva essere preceduto dall'attacco frontale della nostra destra sull'Altopiano di Asiago e da quello pure frontale dal Pasubio verso il Col Santo. Similmente, quando nell'agosto 1916 incontrai ostacoli insuperabili per attaccare le alture del S. Marco ad oriente di Gorizia, decisi di attaccarle sul fianco sinistro, dopo di aver conquistato il necessario spazio sul Carso mediante attacco necessariamente frontale. E cosi nell'agosto-settembre 1917 l'anfiteatro goriziano sarebbe caduto per manovra quando fosse prima riuscito l'attacco frontale sul Carso e l'attacco pure frontale contro la selva di Tamova. 311
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I tutt'altro aspetto, poichè si tratta ora - per lo meno agli inizi non di operare, bensì di ammassare di sorpresa, dinanzi ad un tratto determinato della fronte nemica, tante forze da assicurare il successo. La più bella prova della verità di quanto afferma il generale von Bernhardi è questa: i generali von Hindenburg e von Ludendorff che, nella Prussia orientale, a Tannenberg e sui laghi Masuri, seppero compiere magnifiche manovre sui fianchi dei russi, essendo tali manovre consentite dallo spazio disponibile, sulla fronte occidentale invece furono anch'essi costretti ad eseguire attacchi frontali, perchè la fronte continua degli alleati non presentava fianchi vulnerabili, essendo appoggiata a Nord al mare e a Sud alla Svizzera. Come si vede, le persone competenti in Italia, in Francia, in Germania si trovano d'accordo nel medesimo giudizio sulla inevitabilità dell'attacco frontale nella generalità dei casi dell'ultima guerra. La guerra dell'avvenire, se sarà ancora guerra di popoli, come tutto lascia presumere, ci presenterà fronti non meno vaste ed ancora più solide, data la potenza sempre crescente delle armi. Perciò, più che mai si dovrà ricorrere all'attacco frontale ed aumenterà la necessità di addestrarvi le truppe nel tempo di pace. 9 Ma chi avrà mai il coraggio di compilare una nuova istruzione su questo argomento, dopo la sciocc'a ed indegna gazzarra fatto intorno alla mia? Qualifico sciocca ed indegna tale gazzarra, 9
E' certamente desiderio di tutti che la guerra dell'avvenire sia guerra di movimento, colla quale si potrà ottenere una più sollecita risoluzione. Ma è probabile che a ciò si addivenga? E' all'uopo necessario che scompaiano le cause che nell'ultima guerra hanno condotto alla guerra di posizione. Esse si riassumono in una : la enorme estensione delle fronti che ha reso possibile la chiusura con linee di difesa continue di un intero teatro di guerra, non lasciando sui fianchi (appoggiati al mare od a frontiere di stati limitrofi) nessuno spazio per la manovra. 312
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anche perchè se si potesse ritornare alla guerra di movimento, vi saranno sempre, come vi furono per il passato, dei reparti aggiranti e dei reparti incaricati dell'attacco diretto, non foss 1altro per immobilizzare sulla fronte le truppe che si vogliono aggirare. Ora domando quale altro attacco che non sia frontale possa eseguire un reparto che, essendo inquadrato fra altri reparti, debba contenere le sue azioni fra limiti di terreno prestabiliti! Ma quali sono le cause di questo enorme accrescersi della estensione delle fronti? Sono essenzialmente due: 1° - L'aumento smisurato degli eserciti, diventati popoli in armi. 2° - Il grandissimo aumento della efficacia delle armi, che ha reso possibile, anzi necessario, alle singole unità di occupare fronti molto più estese di prima. Ora queste cause non cesseranno nell'avvenire, anzi è molto probabile che la seconda venga aggravata dal continuo perfezionarsi dei mezzi di distruzione che tende a favorire la difensiva. Rimane perciò la sola speranza che qualche scoperta, come quella dei carri d 'assalto, faciliti lo sfondamento frontale sopra un tratto del fronte, dopodichè sarebbe possibile la manovra sui fianchi dei due tronconi separati del nemico. 10 Questa conclusione non toglie che si debba istruire l'esercito specialmente nella guerra di movimento, perchè è facile passare dalla guerra di movimento a quella di posizione, mentre è difficile il passare da questa a quella. Pongo fine a questo argomento con una citazione del Bollettino dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore del R. Esercito (1 ° novembre 1926). Il quale discorrendo del compianto generale Baldissera, la cui grande autorità nell'esercito è a tutti nota, ne 10
Ed infatti i tedeschi, sposando l'azione delle divisioni corazzate con quella dell'aviazione in picchiata, forgiarono lo strumento adatto per la battaglia di rottura, per lo meno nei terreni pianeggianti. [R. C.] 313
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II riferisce alcuni aforismi fra i quali il seguente: "L'attacco frontale sarà sempre il pane quotidiano della fanteria". Mi è stato finalmente rimproverato di avere emanato il libretto sull'attacco frontale - il quale discorre della guerra in campo aperto - nel febbraio 1915, quando già da cinque mesi si faceva, sugli altri teatri di guerra, la guerra di trincea, con che avrei nulla imparato dalla altrui esperienza, e mi sarei lusingato sul nostro teatro di guerra montuoso - di condurre la guerra napoleonica! Tale mia supposta credenza è pienamente smentita dal mio libro "La guerra alla fronte italiana", e particolarmente da quanto ho scritto a pag. 78, a pag. 88-89 e nella nota a pag. 133 - smentita che i critici non hanno tenuta in nessun conto. E' concepibile che solo nel febbraio 1915 io mi sia accorto che sulla fronte franco-inglese si faceva la guerra di trincea? Se fino da quell'epoca non ho emanato istruzioni su questo genere di guerra, è perchè non si poterono conoscere dai francesi i risultati della loro esperienza fino a che non ci stringemmo con loro in alleanza col patto di Londra del 26 aprile 1915, per la stessa ragione per la quale il ministro della Guerra inglese non volle concederci le richieste mitragliatrici fino a che non si fosse saputo da qual parte avrebbero sparato (vedasi la nota Opag. 71 del mio libro succitato). Avute, in -seguito alla firma di quel patto, le necessarie informazioni dalla Francia, feci subito compilare l'istruzione "Procedimenti per l'attacco frontale nella guerra di trincea in uso nell'esercito francese", la quale istruzione porta infatti la data del 12 maggio 1915. Ma intanto urgeva spingere alacremente l'istruzione dell'esercito nella guerra offensiva in campo aperto la quale è la base della guerra di trincea - istruzione che lasciava molto a desiderare. Perciò, considerato che dovevamo fare guerra offensiva - che la guerra offensiva è più difficile della difensiva - che l'istruzione tatti314
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ca dell'esercito molto lasciava, come ho detto, a desiderare - e che lo spirito offensivo de1I1esercito era molto scarso (come anche gli avveramenti dei primi giorru di guerra dimostrarono) - considerato tutto ciò, emanai il fascicoletto sull'attacco frontale, che mi aveva dato ottimi risultati nell'istruzione delle truppe, introducendovi, bene inteso, le modifiche che l'esperienza e le circostanze suggerivano. Tutta la mia opera in quei mesi è intesa a sviluppare lo spirito offensivo delle truppe; perfino le seguenti parole scritte nel momento di entrare in guerra, nella prefazione all'istruzione "Procedimenti per l'attacco frontale nella guerra di trincea in uso nell'esercito francese" e già citate nel precedente paragrafo: «Abbenchè il carattere delle nostre eventuali operazioru e la natura e la configurazione del terreno ove esse si svolgeranno facciano ritenere improbabile che le nostre truppe debbano ricorrere ai suddetti procedimenti - salvo che eccezionalmente, sopra estensioru piuttosto limitate ... ". Si è voluto, da queste parole, inferire che io non credessi nella necessità della guerra di trincea e pensassi di far guerra manovrata secondo la tradizione napoleoruca. Ma esse non erano che il frutto della mia preoccupazione che in quel momento (maggio 1915), quando occorreva imprimere alle operazioni il massimo vigore offensivo per sorprendere il nemico e penetrare il più addentro possibile in tutto il suo territorio per migliorare la nostra situazione difensiva e preparare migliori condizioni offensive, quell'istruzione sulla guerra di trincea tarpasse le ali allo slancio offensivo delle truppe. E tale era infatti questa mia preoccupazione che subito dopo soggiungevo: "Errerebbe chi ritenesse che i procedimenti di cui si tratta risultino, anche solo parzialmente, in contraddizione coi principi generali dell'azione offensiva che noi conosciamo, o che se ne discostino in alcun modo". Che queste mie preoccupazioni non fossero fuor di luogo lo dimostra il fatto che, malgrado quanto ho fatto per sviluppare 315
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lo spirito offensivo, esso si dimostrò nei primi giorni della guerra assai scarso. Perfino la prima divisione di cavalleria - l'arma offensiva per eccellenza - la quale aveva l1ordine di sorprendere i ponti di Pieris sull'Isonzo nel mattino del 24 maggio, non percorse che pochi chilometri nella pianura, solo preoccupata di non perdere il contatto colle vicine divisioni di fanteria; di modo che gli austriaci poterono tranquillamente distruggere i ponti nel pomeriggio. Si legga a questo proposito ciò che ho scritto a pag. 132 e seguente del volume I del mio libro. Nella stessa prefazione al succitato opuscolo io scrivevo: «Appena occorre accennare che questa speciale forma di azione è, da coloro medesimi che vi hanno ricorso, considerata come un ripiego transitorio, di durata talora assai lunga, ma destinato sempre a far posto, non appena subentrino le necessarie condizioni, ad una vigorosa azione offensiva.» E' chiaro dunque il mio pensiero. Io riconoscevo che la guerra di trincea poteva avere durata assai lunga, ma che lo scopo, una volta effettuato lo sfondamento di qualche tratto della fronte. era quello di procedere ad una vigorosa azione offensiva, mediante la guerra manovrata. Cosi abbiamo fatto noi, dopo Vittorio Veneto, cosi hanno fatto i franco-inglesi nell'autun-1918. Io non potevo, evidentemente, affermare che la guerra di trincea era la forma permanente della guerra, senza dire cosa falsa e che avrebbe paralizzato qualsiasi slancio offensivo delle truppe.
Lo schieramento dell'esercito il 24 maggio 1915 e il disegno di operazioni. Scrive la Commissione d'inchiesta a pag. 54: Dello schieramento iniziale delle nostre forze, che non variò poi durante le operazioni nei primi mesi della guerra, è stato detto che esso presentava, senza le necessità che lo avevano imposto in altri territori ed in altri tempi, i caratteri di uno schieramento a cordone dallo Stelvio al mare, con troppo lieve prevalenza di 316
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forze sul fronte Giulia. E 1 stato affermato che, ben utilizzando gli sbarramenti della nostra frontiera alpina, la vera massa del nostro esercito poteva essere gettata oltre Isonzo alla ricerca di un iniziale forse decisivo successo, mentre, avendo voluto tutto coprire del nostro territorio e tutto attaccare si espose l'esercito a sfibrarsi in u na serie di prove inani in molteplici direzioni. Tale accusa è stata da molti ripetuta. Nulla di più infondato. Le 35 divisioni di cui l'esercito si componeva all'inizio della guerra erano cosi ripartite: 14 divisioni sul fronte Giulia - 14 divisioni sul vastissimo fronte dallo Stelvio alla Carnia compresa - 7 divisioni in riserva tra il lago di Garda e Bassano1 necessarie per assicurare il fronte della I Armata fino a che questa non avesse conquistato, avanzando, una più breve e migliore linea difensiva, e fino a che non fosse da escludersi un attacco austriaco dal Trentino. Appena queste due condizioni furono soddisfatte, quelle 7 divisioni furono trasportate sul fronte Giulia. Si ebbero allora ben 21 divisioni sui 90 chilometri circa dal M. Canin al mare. Tale rapporto era non di molto alterato da una maggiore assegnazione di alpini al fronte tra lo Stelvio e la Carnia. Può chiamarsi questo uno schieramento a cordone con troppo lieve prevalenza sul fronte Giulia? Quanto all'aver voluto tutto coprire il nostro territorio si sarebbe forse voluto lasciare una breccia aperta, proprio alle spalle del fronte Giulia dov'era riunito il grosso delle forze? E gli austriaci, che pur si trovavano in una situazione strategica assai migliore della nostra, non coprirono tutto il territorio con 25 sole divisioni? Ed i francesi e i russi (questi ultimi con 2000 chilometri di fronte) non coprirono tutto il loro territorio? A queste incredibili osservazioni son giunti certi critici, le cui testimonianze la Commissione seriamente raccoglie senza una parola di commento! Quanto al «tutto attaccare dell'altrui territorio», non è vero. 317
Caporetto, risponde Cadoma
Si leggano le direttive nel capitolo III e si vedrà che la IV Armata e la zona Carnica avrebbero bensì dovuto attaccare in relazione allo scopo strategico loro assegnato, soprattutto per migliorare la loro situazione difensiva ed offensiva, ma questo non fu potuto raggiungere a causa della lentezza con cui si mossero nei primi giorni della guerra, specialmente la IV Armata. Ma sulla sua estesa fronte la I Armata aveva un compito difensivo, e solo parzialmente offensivo in quanto potesse valere a migliorare la situazione difensiva. Osservo inoltre che le mie direttive si riferivano al periodo della mobilitazione e radunata, quando si trattava di sorprendere l 1avversario e di penetrare ovunque nel suo territorio, collo scopo precipuo di migliorare la nostra infelicissima situazione difensiva; ed i risultati ottenuti in questo periodo sarebbero serviti di norma per le disposizioni da darsi dal Comando Supremo a mobilitazione e radunata compiute. In conclusione, che si voleva dunque? Che si diminuissero a vantaggio della fronte Giulia le 14 divisioni dislocate tra lo Stelvio e la Carnia? Ma queste non erano troppe, tenuto conto della necessità di coprire le spalle delle due armate del fronte Giulia, in quell1inizio di guerra quando ancor non esistevano le potenti linee fortificate costruite nei due anni successivi e quando fra le varie possibilità strategiche non potevasi certo escludere un1offensiva nemica dal Trentino! O si voleva invece che si rinunziasse al1 1attacco sul fronte Giulia per svolgerlo invece sul fronte Tridentina? Ma, come ho spiegato nel capitolo III del mio libro "La guerra alla fronte italiana", ci mancavano allo scopo i mezzi tecnici. Inoltre, anche nel nostro interesse, noi dovevamo fare una guerra che fosse in relazione colla guerra europea; e perciò accordarci con russi e serbi - e tale non sarebbe stata una guerra che avesse avuto per solo obiettivo Trento. Infine, un attacco a fondo sul fronte 318
Osservazioni varie
Tridentina, qualora i mezzi tecnici l'avessero consentito, avrebbe richiesto forze almeno triple di quelle che vi furono destinate; ed allora, come si sarebbe difesa l'aperta frontiera del Friuli, attraverso la quale il nemico sarebbe sceso alle spalle del1 1attacco tridentino? Rimaneva un'altra soluzione, quella cioè di raccogliere l' esercito sulla linea del Piave, come era stato progettato negli anni anteriori alla guerra, e di abbandonare volontariamente le provincie venete oltre Piave all'invasione! E' questa la soluzione che il Paese avrebbe gradito? Sarebbe stato davvero un bel modo di iniziare una guerra politicamente e necessariamente offensiva! Tale era il problema strategico che mi era stato dato da risolvere da1I1iniqua frontiera del 1866, e nessuno degli alleati o nemici ebbe da affrontarne uno così difficile. Ma comunque lo sì contempli, nessuno che sia competente, illuminato e sereno potrà negare che la soluzione adottata nella ripartizione delle forze e dei loro compiti fosse quella che meglio corrispondeva alle esigenze del momento, pure essendo tutt'altro che scevra di pericoli! Fra coloro che criticarono il disegno d 1operazioni, colui che è di gran lunga il più competente, cioè il generale Capello, non seppe trovare nulla di meglio, per sostituirlo, del seguente concetto: operare in primo tempo decisamente soltanto sui due lati del saliente trentino dallo Stelvio-Tonale e dall'AgordinoCadore, o ancor meglio limitarci ad una azione vigorosa dal Cadore alla Rienza e all'alta Drava. Sarebbe stato davvero uno scopo proporzionato all'ingentissimo sforzo militare italiano, quello di conquistare l 1insellatura di Toblach! Naturalmente appena se ne fosse accorto, il nemico non avrebbe mancato di riunire molte forze in quel1 1asprissima regione, ed allora, come avremmo potuto far valere in quelle gole la nostra superiorità numerica, quando eravamo provveduti di così scarsi mezzi tee319
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nici? Perciò questa zona non poteva formare oggetto che di attacchi secondari. Lo stesso generale Capello, nel capitolo V delle sue Note di guerra, si sbizzarrisce a mettere in burletta la grandiosità del piano d 1operazioni e la marcia su Vienna. Il piano di operazioni non mirava che al raggiungimento dei primi grandi obiettivi strategici, cioè a Trieste ed alle conche di Lubiana e di Villach. Dovevo io forse assegnare per obiettivo strategico alle armate qualche villaggio o qualche quota a pochi passi dal confine? Se cosi avessi fatto, il generale Capello, il quale dimostrava nei suoi libri tanta fertilità di spirito critico, non avrebbe mancato di dire che avevo la veduta corta di una spanna e che non avevo saputo allungare la visuale neppure fino ai primi grandi obiettivi strategici! Tra le due critiche preferisco la prima, tanto più che è sempre più facile restringere un programma che allargarlo Quanto poi alla facile marcia su Vienna, osservo soltanto che il mio libro " La guerra alla fronte italiana" è ricco di citazioni che comprovano come io non abbia creduto che la guerra fosse facile e breve, ed anzi ho preveduto proprio l'opposto. Ciò è pure provato da una mia lettera privata al presidente del Consiglio, on. Salandra, del 9 giugno 1915, nella quale scrivevo: "Il problema difficile ora è quello di forzare la linea dell'Isonzo, come più volte ebbi occasione di dirLe a Roma", cioè prima dell'inizio della guerra. Dunque io non ebbi mai illusioni al riguardo, e mai le alimentai in altri. Il generale Capello può pertanto risparmiarsi le sue critiche avventate! Noto ancora che se la distribuzione delle forze fu fatta in relazione al programma massimo, essa corrispondeva anche alla necessità di un programma minimo, quello cioè della stabilizzazione del fronte: tant'e vero che quando il fronte dovette per forza di cose stabilizzarsi, i mutamenti introdotti nella distribuzione delle forze furono minimi. Quanto alle artiglierie di grosso calibro, insufficienti per il fronte Tridentino e disadatte per la loro scarsissima mobilità al fronte Giulia, trovavano il loro 320
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naturale impiego in Cadore ed in Carnia, contro forti di sbarramento corazzati. Di quelle di medio calibro, pur assegnandone in maggior proporzione al fronte Giulia, non si poteva del tutto privarne le altre armate, come lo stesso generale Capello ammette. Relativamente al disegno di operazioni rimando anche il lettore al capitolo IX (scritto in risposta al generale Nava), nel quale dovrò fare altre ed importanti osservazioni. Le informazioni sul nemico nell'ottobre 1917. Leggesi a pag. 48 della relazione, a proposito dell'offensiva austro-tedesca del 24 ottobre 1917: A riprova dell'incredulità predominante nei comandi più elevati, è stato riferito che il 23 ottobre il generale Cadorna, in un colloquio con uno dei comandanti di corpo d'armata del fronte poi attaccato, avrebbe espresso il dubbio che l'attacco nemico potesse ridursi a una finta e che, dopo una puntata contro la II Armata, l 1avversario sviluppasse un attacco decisivo verso Monfalcone. Ciò potrebbe secondo taluno provare come, malgrado tanti segni ammonitori, il generale Cadorna non fosse ben convinto del1 1offensiva nemica, o non credesse che il principale attacco sarebbe per manifestarsi là dove veniva ormai sicuramente preannunziato. Questa è una pura invenzione che io debbo recisamente smentire. Se I1attacco «veniva ormai sicuramente preannunziato» (lo era stato da disertori e specialmente dagli ufficiali di nazionalità romena disertati il 21, che avevano portato con sè gli ordini d 1attacco del loro settore), è assurdo il supporre che si potesse non credere alla sua certezza! Piuttosto è vero che, pur ritenendo certo l1attacco verso l'Isonzo, io non potevo escludere che l'attacco si estendesse alla Bainsizza e fin verso Monfalcone, come ho spiegato nel capitolo X del mio libro "La guerra nella fronte italiana": nella stesso modo che noi nel maggio di quel321
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l'anno avevamo esteso l'attacco dal Carso al M. Kuk, nell'agosto dal Carso alla Bainsizza. Perciò le riserve erano state dislocate in modo da fronteggiare qualunque possibile attacco, come ho pure spiegato nel capitolo X. E' risaputo che uno degli svantaggi della difensiva è appunto quello di non poter conoscere in antecedenza tutte le intenzioni del nemico e di dover in conseguenza dislocare le forze in modo da far fronte ad ogni eventualità; mentre l1attaccante che sa dove vuole attaccare può far gravitare le sue forze nella direzione da lui prescelta. E' talmente difficile conoscere le intenzioni del nemico che anche il 10 ottobre «pareva che il nemico temesse ancora una nostra dodicesima offensiva sull'Isonzo». (pag. 48 della relazione). Quando da ben 22 giorni (ordine del 18 settembre) io avevo sospeso qualsiasi operazione offensiva ed avevo ordinato di passare alla difensiva! E' per queste ragioni che non fu certamente da parte mia eccesso di prudenza (come la Commissione scrive in fondo alla pag. 51) il dubitare «che al primo attacco sull'alto e medio Isonzo potesse il nemico farne seguire uno verso il basso Isonzo». Se quest'ultimo attacco si fosse verificato, ed io non avessi provveduto per parare il colpo, la Commissione mi avrebbe certamente accusato di imprevidenza - e questa volta con ragione! Nulla di più facile della critica col senno del poi! Nella stessa pag. 51 si leggono quèste parole: "Ma passando a più alti concetti strategici che rimanevano di esclusiva competenza del generale Cadorna, nonchè del generale Porro che sotto tal riguardo doveva ragguagliarlo, sembra che nel valutare i referti e le opinioni espresse dall'ufficio situazione sia stato trascurato l'esame della situazione generale politico-militare; e questa nell'autunno 1917 era tale (crollo della Russia, condizioni interne dell'Austria, situazione militare nei Balcani) che l'eventualità di una offensiva nemica in forze avrebbe dovuto essere considerata come molto probabile". 322
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Scaturisce da questa affermazione che io non avrei considerato come molto probabile l 1eventualità di un1offensiva nemica in forze. A prova della grande leggerezza colla quale la Commissione esprime i suoi giudizi, io non ho che da riferirmi alla succitata mia lettera del 18 settembre, stampata nel capitolo IX del mio libro già citato, a pag. 112-113 del vol. II, e che incomincia con queste parole: "Il continuo accrescersi delle forze avversarie sul fronte Giulia fa ritenere probabile che il nemico si proponga di sferrare quivi prossimamente un serio attacco, tanto più violento quanto maggiori forze esso potrà distogliere dalla fronte russa, dove la situazione sembra precipitare a tutto vantaggio dei nostri avversari". E abbastanza chiaro? E si noti bene che copia di tale lettera io mandai alla Commissione! E tre giorni dopo, cioè il 21 settembre, nell'esporre ai capi di Stato Maggiore degli eserciti alleati le ragioni che mi avevano indotto a sospendere l 1azione offensiva, io concludevo con le seguenti parole che sono riportate nel capitolo IX dianzi citato, ma che voglio qui ripetere: "Concludendo, se la situazione russa dovesse precipitare anche maggiormente, noi potremmo trovarci già in questo scorcio di stagione operativa e certamente a primavera, di fronte ad un nemico decisamente superiore di numero ed animato dal proposito di attaccarci a fondo. Perciò il Comando Supremo italiano, considerando che un eventuale insuccesso potrebbe avere gravissime conseguenze per la causa comune degli Alleati e che tale insuccesso si produrrebbe totalmente qualora l'attacco nemico ci cogliesse in crisi di complementi e di munizioni, ho dovuto, pur con vivissimo rincrescimento, prendere la decisione di sospendere gli apprestamenti per la progettata ripresa offensiva e di provvedere invece per riordinare le forze e predisporre una salda difesa ad oltranza su tutta la fronte, in modo 323
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che nessuno degli avvenimenti che potrebbero derivare dalla mutata situazione russa abbia a trovarci impreparati, nè ora, nè a primavera del 1918. Quanto sopra il Comando Supremo italiano ha il dovere di portare a conoscenza degli alti Comandi alleati". A giudicare dal tenore dei documenti soprariferiti, non sembra che anche nel campo dei «più alti concetti strategici» io trascurassi «l'esame della situazione generale politico-militare» nei rapporti col crollo della Russia e cogli interessi comuni a tutte le nazioni alleate! Osservo infine che anche su tutti questi argomenti io non fui interrogato! A pag. 51 (n. 53) la Commissione scrive che non si sente di fare troppo carico al servizio informazioni di alcune incertezze. Eh, sì, sarebbe troppo più facile la guerra se il servizio informazioni fosse sempre in grado di dissipare tutte le incertezze. Ricordo Napoleone a Marengo, che, ignorando di aver di fronte, ad Alessandria, tutte le forze del maresciallo Melas, aveva disperso le sue forze tra il Ticino e Novi, e non fu salvato che dall1iniziativa del generale Desaix a Marengo. Ricordo lo stesso Napoleone che, dopo di aver passato nel 1805 il Danubio a Donauworth, stette un paio di giorni senza sapere qual partito prendere ignorando dove si trovassero le forze del generale Mack. Ricordo ancora il medesimo Napoleone, il quale, nel 1815, dopo la battaglia di Ligny, credette che il maresciallo Bliicher si fosse ritirato verso Namur, e non seppe che si era congiunto cogli inglesi, se non quando se lo trovò sulle braccia a Waterloo. Ricordo finalmente i tedeschi a Vienville nel 1870, che si trovavano di fronte a tutto l'esercito francese che credevano in ritirata verso la Mosa, e ciò malgrado l'ottimo servizio della loro cavalleria, non contrastata dalla cavalleria francese. E potrei continuare a lungo. Nel complesso sento di poter affermare che il servizio informa324
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zioni, nell ottobre 1917, malgrado alcune inevitabili incertezze, ha funzionato ottimamente. 1
Il bollettino di guerra del 28 ottobre 1917. Mi riferisco al famoso bollettino che fu oggetto di tante critiche. Dopo di aver per trenta mesi celebrato in tutti i modi il valore del1 1esercito, nei bollettini giornalieri di guerra, nelle relazioni riassuntive delle operazioni, negli ordini del giorno, ecc ... io sono stato accusato di aver calunniato l'esercito! Il bollettino è stato anche divulgato, a scopo di disfattismo, in molteplici edizioni apocrife, introducendovi nomi di brigate, mentre nel vero bollettino non ne fu designata alcuna. Ma si vorrebbe forse negare il triste fatto, sia pure parziale, delle rese e degli abbandoni di posizioni senza combattere? Ma vi sono migliaia di testimonianze, ed esse abbondano nella stessa relazione della Commissione d 'inchiesta. Io mi appellerò ad una sola, ma che è la meno sospettata, quella cioè del generale Alfieri, ministro della Guerra, il quale, nella seduta del comitato segreto della Carnera, del 13 dicembre 1917, pure avendo pronunziato un discorso a me ostile, ha detto le seguenti parole: "Che il morale delle truppe della II Armata non fosse tale da rendere eccessivamente fiduciosi, è dimostrato da troppi indizi perchè possa ritenersi dubbio. E ciò per il fatto tangibile di gran numero di prigionieri e per la resa di interi reparti, avvenuta in condizioni tali da non giustificare in modo alcuno la resistenza scarsamente durata e fiaccamente condotta, l'abbandono senza combattere di posizioni naturalmente ed artificialmente forti. Riconosciuto ciò, resta da determinare quali le cause di tali deficienze nel morale. Nessuna ricerca è più difficile di questa. Che una larga propaganda nefasta contro la guerra esistesse nel Paese, e che essa avesse diramazioni attive nelle stesse truppe, 325
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Caporetto, risponde Cadoma è un fatto noto e che nessuna parola può abbastanza infamare.
Non si può ammettere nemmeno il complotto, del quale pure si è parlato nel senso che si vuol dare a questa parola; esteso ad un gran numero di persone, non avrebbe potuto essere ignorato. Ma in qualche caso, a un certo momento, di colpo si sono avute le stesse conseguenze per uno stato d 1animo comune a molti, ed allora non sono mancati reparti interi (e mi strazia l'animo a dirlo, ma ho promesso di dire la verità) che si sono arresi senza colpo ferire, oppure hanno contemporaneamente gettato a terra le armi". E' molto doloroso il dirlo, ma è così. Il soldato fu il meno colpe-
vole. Esso è stato vittima di una propaganda che non sarà mai abbastanza infamata, gli autori della quale sono rimasti al sicuro. Ma così stando le cose, con quale diritto si dice che io ho calunniato l'esercito, mentre mi sono limitato a constatare i fatti avvenuti presso alcuni reparti, bollandoli come meritavano e come era mio dovere, anche per suscitare la necessaria reazione? Ecco dunque nella sua integrità il testo primitivo del bollettino di guerra, del 28 ottobre: La mancata resistenza di reparti della II Armata vilmen te ritiratisi senza combattere, o ignomini osa mente arresisi al nemico, ha permesso alle forze austro-germaniche di rompere la nostra ala sinistra sul fronte Giulia . Gli s forzi valoros i delle altre truppe non sono riusciti ad impedire all ' avversario di penetrare nel sacro suolo della Patria. La nostra linea si ripiega secondo i l piano s tabilito . I magazzini ed i depositi dei paesi sgombrati sono stati distr utti. Il valor e dimostrato dai nost r i soldat i in t ante memorabili battagl ie combattute e vinte durante due anni e mezzo di guerra dà affidamento al Comando Supremo che anche questa
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volta l'esercito, al quale sono affidati l 'onore e la salvezza del Paese, saprà compiere il suo dover e. Generale CADORNA
Alle prime parole scritte in corsivo il Governo sostituì le seguenti: «La violenza dell'attacco e la deficiente resistenza di taluni reparti della II Armata.» Chi legga spassionatamente il testo primitivo del bollettino senza prevenzioni, senza il proposito deliberato di accanirsi ad ogni costo contro chi l'ha firmato, non può non vedere che, mentre si stigmatizzano con ferro rovente alcuni reparti colpevoli di resa al n emico o di ritirata senza combattere, si esaltano gli sforzi valorosi di tutte le altre truppe, e si termina con un' alta parola di fede nel valore dell'esercito, che sarà pari a quello dimostrato durante due anni e mezzo di guerra. Si chiama questo diffamare l'esercito? Ma l'esercito non può sentirsi diminuito dalla mala condotta di alcuni reparti alla condizione appunto che questa venga denunciata e punita come merita; nello stesso modo che qualunque associazione di uomini non è per nulla disonorata se taluno dei suoi membri vien meno alle leggi d' onore, ma sempre alla condizione che questi vengano immediatamente esclusi dal suo seno. Se nell'esercito sì agisce diversamente, si parificano i veri eroi ai pusillanimi, riducendoli tutti allo stesso livello. L'arte del comando consiste invece nel lodare e nel premiare i valorosi. nel biasimare e punire i pusillanimi, e con tinte tanto più forti quanto più sono meritevoli di premio o di castigo, e per l'opera loro in sè stessa considerata e per le conseguenze che ha avuto o che poteva avere. Ora, quali terribili conseguenze ha prodotto il cedimento dell'ala sinistra della II Armata! Ma quali più spaventose conseguenze avrebbe potuto avere, se
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l'esercito non avesse poi eroicamente resistito sul Piave, infrangendo l'urto nemico? Che se poi taluno volesse considerare calunniosa l'accusa di pusillanimità, pur limitata ad alcuni reparti, oltre a ciò che già dissi precedentemente, lo inviterei a ben considerare le tavole 25 e 26 del voi. II della relazione della Commissione d'inchiesta, indicanti il numero dei militari delle varie brigate catturati dal nemico tra il 23 ottobre ed il 26 novembre 1917 (si noti bene, catturati durante la lotta, non sbandati). Si confronti il numero dei catturati con quello dei morti e dei feriti in ciascuna unità e si traggano da questo confronto le logiche conseguenze, notando ancora che quelle tabelle indicano i catturati fino al 26 novembre, mentre essi sono in gran parte da riferirsi al p eriodo dal 24 ottobre ai primissimi giorni di novembre. Ricordo, del resto, il severo atto di accusa di un colonnello contro ufficiali prigionieri, che ho riferito nel capitolo II a pag. 85, e domando se c'e da meravigliarsi che laddove si tro'oavano simili ufficiali, dei reparti. si siano arresi senza combattere! 11 Perciò, se si considera il bollettino, non prendendo una frase staccata come si è fatto, ma nel suo complesso, si vede che il suo significato è ben diverso da quello che gli si è voluto attribuire. Di quello che io ritenni e ritengo la causa prima del disastro di Caporetto il pubblico fu informatò dal mio bollettino del 28 ottobre. Poichè esso suscitò le più aspre critiche, e poichè anche 11
Taluno ha voluto sostenere che tutte le truppe si sono battute bene e che la depressione degli spiriti e il conseguente sbandamento ha incominciato a manifestarsi dopo la rotta militare. Tale affermazione rivela l'artificio di coloro che vorrebbero dimostrare la tesi preconcetta della rotta esclusivamente dovuta a cause militari. Ma è un assurdo psicologico, non essendo ammissibile che cause morali latenti, capaci di produrre i colossali effetti cui abbiamo assistito dopo la rotta militare non abbiano avuto alcuna azione mentre le truppe erano attaccate. 328
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nel Senato del Regno fu chiesto che la Commissione d'inchiesta facesse le dovute indagini, desidero fare alcune dichiarazioni e osservazioni in proposito. II bollettino è firmato da me, fu da me riveduto e approvato, quindi è mio. Come assumo la responsabilità delle operazioni, assumo intera la responsabilità del bollettino del 28 ottobre. Ne rispondo davanti al Paese, davanti alla storia, come ne rispondo di fronte alla mia coscienza. Sta di fatto però che essendo stato compilato da altri, come di consueto, qualche aggettivo e qualche parola possono, ad un più freddo esame, essermi apparsi diversi da quelli che io avrei adoperato per dire l'identica cosa. Come pure l'essere stato compilato, come tutti gli altri bollettini, solo in base ad una valutazione oggettiva dei fatti, senza altra preoccupazione se non quella di dire la verità e senza mie antecedenti istruzioni perchè questa verità servisse a fini particolari, mi libera di fronte alla mia coscienza di soldato - e per me questo è l'essenziale - da qualsiasi rimorso di aver cercato meditatamente di gettare su gli altri, e soprattutto sull'esercito, le mie responsabilità. Io non ho mai cercato, nè cercherò degli alibi. La verità è che in quel momento chi viveva nell'ambiente del Comando Supremo ed aveva le notizie dirette di quanto era avvenuto sulla prima linea e di quanto stava avvenendo nella ritirata; chi aveva la visione dello sbandamento che già appariva nei suoi caratteri di «sciopero militare» 12 e sapeva nei suoi dettagli quale fosse stato il contegno di alcuni reparti, e ne vedeva i tragici effetti e l1enorme danno che ricadeva sul Paese, non poteva esprimere spontaneamente la sua valutazione della realtà che cosi come era stata espressa. In quell'ambiente, in 12
Ufficiali della Il armata, comandanti di reparto, furono sorpresi da Rommel nelle caverne a giocare a carte (anziché in trincea). Silvio d'Amico e lo stesso Gen. Capello, li definisce "apatici e menefreghisti". [C.C.] 329
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quel contatto immediato ed evidente dei fatti, nessuno dubitò che ciò che il bollettino esprimeva con rude chiarezza era assolutamente vero e solo una parte del vero. Di fronte allo sfasciarsi di una Armata ed alle conseguenze disastrose che potevano anche sembrare irrimediabili, nessuno poteva dubitare che il segnalare alla indignazione del11esercito e del Paese alcuni reparti fosse un semplice atto di giustizia, non certo più impietoso di quello che fa affiggere i nomi dei disertori sulla porta della casa paterna. E questa fu la ragione per cui persona, estranea al Comando, ma per la sua posizione politica e sociale degna di essere interprete dell'opinione pubblica, essendo presente approvò la sincerità del bollettino e non ne sentì la sconvenienza. 13 Questa è forse anche la spiegazione di come due ministri non interrogati in proposito/ nè in alcun modo partecipi alla sua compilazione, non dissero parola contraria che certo, nella loro coscienza di uomini di Governo, mi avrebbero detto subito se avessero avuto la sensazione di cosa assolutamente contraria agli interessi del Paese.14 Nell'approvare quel bollettino e nel porvi il mio nome, non 13
Si riferisce al Ministro Bissolati che era presente alla compilazione del bollettino ed alle segnalazioni del comando II armata. (C.C.)
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Traggo dalla relazione, non pubblicata ' finora dal generale Melchiade Gabba che, nell'ottobre 1917, fungeva da capo di Stato Maggiore del generale Cadorna, la genuina relazione sul modo come il famoso bollettino fu varato alla presenza dei ministri Bissolati e Giardino e del senatore Luigi Albertini: "Circa il noto bollettino del 28 ottobre che fu diramato per radio all'estero nella sua forma integrale, contenente una frase severa per alcune truppe della II Armata, ed all'interno nella sua forma modificata dal Governo che aveva attenuato la frase s uddetta, ricordo che il mio ufficio non aveva parte diretta nella redazione e nella diramazione del bollettino ufficiale che era di competenza dell'ufficio situazioni. Per ragioni di rapidità si era da tempo (cioè prima che io andassi al Comando Supremo) abbandonato il sistema di trasmettere il bollettino direttamente ed unicamente al Governo 330
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certo distrattamente, io ho seguito due considerazioni che mantengono ancora per m e tutto il loro valore. Anzitutto io credevo che il biasimo, sia pure severissimo, inflitto a taluni riparti di una Armata, mentre si esaltava il valore di altri e si dimostrava fede che questi con le truppe della III Armata potevano e dovevano far fronte alla situazione, limitando le responsabilità, limitava anche la sfiducia che in quei giorni - lo sapevo e lo sentivo - avvolgeva tutto l'esercito. Io pensavo che, poichè quanto avveniva al fronte non era ignoto al Paese, ma piuttosto esagerato dalla immaginazione, dalle false notizie, dai propagatori del disfattismo, meglio valeva colpire d'infamia chi meritava di essere colpito che lasciare il disprezzo e il dubbio avvolgere genericamente i combattenti e togliere la fede nelle truppe eroiche che dovevano salvare il Paese. Meglio che lasciare l'impressione caotica e paurosa di uno sfacelo generale era dir chiaramente ciò che era, per me, la verità: che in un punto del fronte dei reparti avevano tradito il loro dovere verso la Patria, lasciando all'avvenire giudicare quale preciso carattere abbia avuto questo tradimento. Per chi, d'altronde, nascondere i fatti? in Roma; mai si era verificato, nemmeno al tempo dell'offensiva in Trentino, il caso che il Governo avesse modificato il testo del bollettino redatto dall'ufficio situazioni; così il bollettino stesso veniva contemporaneamente trasmesso a Roma per la diffusione all'interno e ad una stazione radiotelegrafica incaricata di diffonderlo all'estero. Quella mattina nell'ufficio del capo erano presenti due uomini politici arrivati da Roma; io vi ero stato chiamato, non ricordo per quali ragiorù di servizio. Entrò il sottocapo, generale Porro, con la minuta del bollettino giornaliero: come al solito l'aveva ricevuto da un ufficiale dell'ufficio situazioni che ne era l'abituale compilatore: era lo stesso che circa un anno dopo compilò il bollettino della Vittoria. Il capo disse al generale Porro di leggere il bollettino ad alta voce: cominciò scandendo le parole: " la mancata resistenza di reparti della II Armata vilmente ritiratisi senza combattere ... 11 Ricordo che il capo, nell'udire tali parole, ebbe uno scatto ed esclamò: " No, questo no ". 331
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Non per il nemico che sapeva, che vedeva. Il nemico infatti, che aveva tutto l'interesse ad esagerare le difficoltà superate e quindi il nostro valore, non ha saputo nascondere la realtà veduta da lui, come la stampa tedesca può dimostrare. Non per gli alleati, a cui la frana che travolgeva due anni di successi presto o tardi doveva essere spiegata nella sua realtà dolorosa, per la stessa necessità di rimediarvi. Gli alleati, d 1altronde, hanno dimostrato la più acuta e calma valutazione dei veri limiti del fenomeno che ci ha colpito, avendo essi l'esperienza di simili cedimenti morali. L'ho constatato nei primi miei rapporti a Versailles e in tutte le conversazioni avute con uomini rappresentativi del pensiero, della politica, degli eserciti alleati. Non per il Paese, infine, che già tutto sapeva prima del bollettino, e più che il bollettino non dicesse; sapeva da quei testimoni oculari della sconfitta che erano i profughi, sapeva dalle orde degli sbandati che avevano gettato il fucile, dalle parole con cui proclamavano chiaramente la fine della guerra, dal loro atteggiamento cinico, ed aveva compreso quanta viltà ed ignominia vi fosse nella torbida tragedia da cui improvvisamente erano stati travolti. Nascondere con parole la verità si poteva; ma nessuno, nè in Italia nè fuori, avrebbe creduto a quella parola. Né l'opinione pubblica, per qualche diversa frase adoperata nel bollettino, avrebbe mutato la valutazione precisa dei fatti che risulta da troppe testimonianze perchè qualche menzogna convenzionale o ufficiale la possa riformare. II generale Porro con calma spiega le ragioni che, secondo lui, una tale frase rendevano necessaria : essenzialmente si trattava di chiarire all'interno come all'estero le ragioni che avevano determinato un cosi vasto cedimento; fece rilevare che nel periodo seguente erano posti in luce " gli sforzi valorosi delle altre truppe ... 111 Si accese un dibattito nel quale gli uomini politici si posero, benchè blandamente, dalla parte del sottocapo, del quale l'opinione fini per prevalere [R. C.] 332
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L'altra considerazione era che le piaghe vanno curate a tempo col ferro e col fuoco, non con le ipocrisie di una falsa pietà patriottica. Era necessario dire al Paese ed all'esercito una parola grave e forte. La macchia c'era, era meglio, secondo me, che l'esercito ed il Paese sentissero subito la necessità di lavarla. Per più di due anni avevo scritto bollettini esaltanti il valore dell'esercito italiano; sentivo che, perchè quelli avessero valore, e avesse valore l'eroismo vero che ancora esisteva e che già si riaffermava, era necessario chiamare la vergogna di un'ora e di alcuni reparti col suo nome. Di questo parere sono stati anche uomini che della vita e dell'onore militare e nazionale hanno altissimo sentimento. Cito per tutti il .... che me lo ha affermato personalmente15• Quanto all'effetto benefico che la verità ha in se stessa, anche se ingrata, so di non essermi ingannato. Qualunque possa essere stato l'effetto prodotto nel mondo politico, abituato ai mezzi termini, il bollettino che, nonostante le correzioni governative, fu nell'esercito ed in gran parte del Paese conosciuto nella sua forma originaria produsse una reazione violenta, ma risanatrice. La logica popolare è molto semplice, ed il bollettino poneva con virile e militare chiarezza delle premesse, le cui conclusioni pratiche furono un'ondata di sdegno contro ogni viltà, e una on.data di entusiasmo patriottico verso gli eroici difensori della Patria, che furono così sostenuti sul Piave da uno spirito profondamente mutato di tutto il Paese. Per questo non mi pento del bollettino del 28 ottobre e non mi lamento se esso fu rivolto come una ~ande accusa contro di .m.g. Sebbene considerazioni di prudenza personale potrebbero oggi sconsigliarmi di ripubblicarlo nella stessa forma, pure, per considerazioni d'indole generale che debbono prevalere su 15
Il Re inviò al Gen. Cadorna una lettera di approvazione e di sostegno che fece poi sequestrare dai CC. Reali il giorno dei funerali di Cadorna. [C.C.} 333
Caporetto, risponde Cadoma
tutto, e per il salutare rivolgimento che esso contribuĂŹ ad affrettare in quei giorni, non esiterei a rimettervi, senza nulla mutare, il mio nome. Generale L. CADORNA
Riferirò infine un brano del bollettino di guerra n. 6 della campagna del 1849, firmata dal ministro dell'Interno Rattazzi. In esso si legge, tra l'altro: "Verso l e ore 6 dello stesso giorno (21 marzo) gli austriaci assalirono due altre nostre Divisioni: cioe la prima e quella di riserva le quali avevano preso posizione da Vespolate e Novara a Mortara Quantunque il nemico non abbia cominciato quest'attacco con un grande apparato di forze, tuttavia i nostri si ritirarono dopo un brevissimo combattimento, il quale fu soltanto sostenuto dalla Divisioni di riserva, non prendendovi la prima Divisione la dovuta parte. I nemici entrarono quindi i n Mortara senza che questa citta abbia sofferto danni considerevoli. Ieri non ebbe l uogo alcun fatto d'armi. Il Quartier Generale pri ncipale f u trasportato a Trecate e quindi a Novara, dove trovasi il Re'. I Principi sono alla testa della loro divisione. I l Generale Maggiore ha concentrato t utte l e forze verso il Quartier Generale sul fianco destro dell ' e sercito nemico. Alcuni soldati vergognosamente si sbandarono e sono quegl i particolarmente che portarono l'allarme nelle città di Vercelli, di Casale e l uoghi vicini. Il Governo ha dato tutte le disposizioni necessari e perche si proceda col massimo r igore contro di essi e siano tosto inviati al loro corpo ... ". 334
Osservazioni varie
Questa libertà del Rattazzi nel denunziare i mancamenti e le defezioni era tanto più notevole inquantochè il fenomeno era di gran lunga inferiore a quello che si è manifestato a Caporetto. Non si era ad un punto tragico della campagna, ma quando il successo del ponte di Buffalora aveva, in una certa misura, compensato l'insuccesso di Mortara, quando comizi e giornali davano per certa la vittoria e lo sterminio degli austriaci: tanto pareva al Rattazzi che il bollettino, cosi severo verso alcuni si conciliasse colla buona rinomanza dell'esercito e cogli entusiasmi dello spirito pubblico. II disastro di Novara avvenne impreveduto tre giorni dopo; nessun disegno quindi di far servire il bollettino n. 6 a preparare ad esso gli animi. Nessuno pensò allora a muovere appunto al ministro Rattazzi per le frasi da lui scritte nel bollettino. Altri tempi! Ma ora, guai a non dire che tutti sono eroi! C'e da essere lapidati! Con il solo risultato di ridurre allo stesso denominatore i veri eroi ed i pusillanimi. I quali non sono mai mancati in tutti i tempi ed in tutti gli eserciti. La Commissione d 1inchiesta, dopo di aver preso in esame il comunicato, cosi si esprime nella sua conclusione, a pag. 547: _" Ed al riguardo esprime innanzi tutto il parere che sia da escludersi nel generale Cadorna l'intendimento di crearsi col comunicato un documento a discarico, rigettando da sè ogni colpa; il comunicato appare invèce alla Commissione una reazione spiegabile, che poteva e doveva essere espressa in forma più temperata, ma certo era espressa in piena buona fede di fronte ad avvenimenti dei quali il capo di Stato Maggiore ed il Comando, attenendosi a referti autorevoli e ad osservazioni proprie, vedevano la cagione principale nella inadeguata resistenza delle truppe. Quel che invece sembra logico ritenere si è che nei redattori del comunicato, come nel generale Cadorna che ne assunse la piena reponsabilità, sia mancata la esatta visione di tutte le sue possibili conseguenze". 335
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Laporetto, risponde Cadorna
Queste conseguenze, secondo il parere della Commissione, sono enumerate a pag. 548 e su di esse si può discutere e determinare se le conseguenze vantaggiose non abbiano prevalso sulle dannose. Certo si è però che la Commissione - in generale a me cosi poco benevola - esclude formalmente che io abbia voluto crearmi un alibi come i calunniatori hanno detto e ripetuto e riconosce la mia piena buona fede. Anzi la mia fede, soggiungerò io: credo cioè di avere con questo bollettino dimostrato fede nel popolo italiano che avrebbe saputo reagire - fede che molti non ebbero. In conclusione i fatti che diedero luogo al bollettino del 28 ottobre sono parziali, parzialissimi, e perchè tali non possono intaccare il buon nome dell'esercito, ma essi sono purtroppo seri, serissimi, nè vale il negare ipocritamente la verità - sempre salutare - specialmente quand'essa è da tutti risaputa. Val meglio il proclamarla coraggiosamente e far in modo che la lezione giovi e che nell'avvenire non si ripetano le cause che hanno dato luogo a quei tristi fatti. La ritirata della IV Armata dal Cadore al Piave. A pag. 177 la Commissione scrive: 209- Risalendo poi all'azione del Comando della IV Armata cui l'episodio inscindibile si connette 16, la Commissione ha preso in esame il rilievo fatto dal generale Cadorna al generale di Robilant, comandante della N Armata, il quale avrebbe eseguito il ripiegamento con estrema lentezza. «Il generale di Robilant» egli ha affermato «con un ottimismo invero ingiustificato sperava che io lo autorizzassi a non abbandonare il Cadore, e me ne fece fare formale richiesta in quei giorni dal 16
Si allude all'episodio di Longarone del 10 novembre che costò alla IV Armata 10.000 prigionieri.
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Osservazioni varie
suo capo di Stato Maggiore. «Per poter mantenere tutte le posizioni della IV Armata dalla Va1Sugana all'alto Piave io avrei dovuto pensare a coprirgli le spalle contro attacchi provenienti dalla Carnia e dalla pianura, a cominciare dal Passo della Mauria alle Prealpi bellunesi. E con quali truppe io avrei potuto provvedere ad una così vasta occupazione? E se il nemico avesse sfondato le posizioni del Cansiglio e del Passo di Fadalto e delle Prealpi bellunesi, tutte non preparate a difesa, e fosse penetrato nella conca di Belluno, che cosa ne sarebbe stato della IV Armata? Bastano queste poche considerazioni per porre in rilievo tutto l'assurdo di tale proposta. Il fatto certo si è che tutta la ritirata della IV Armata dovetti guidarla io, giorno per giorno, come dimostrano le mie replicate sollecitazioni. Rimasi anzi per parecchi giorni trepidante che una parte di essa fosse tagliata fuori, imbottigliata in quelle lunghe gole montane e che non giungesse in tempo a prevenire il nemico guarnendo la linea del Piave a monte di Nervesa, come avevo ordinato. «Tanto è vero che essendo giunti sulla destra del Piave a Nervesa e Volpago il II ed il XXIV Corpo della II Armata, i quali dovevano andarsi a riordinare più indietro, io ordinai che fossero colà trattenuti per difendere il Piave fino all'arrivo della IV Armata.» 210 - Il generale di Robilant ha obiettato: «Se avessi obbedito avrei potuto forse far giungere la mia Armata due giorni prima sulle nuove posizioni ma essa non sarebbe stata in condizione di poter resistere sul Grappa, perchè sfornita di artiglierie di medio calibro e di altro materiale difensivo. La ritirata riuscì pienamente perchè ben diretta e fondata su un calcolo di tempo che io avevo fatto e che era giusto, mentre quello del generale Cadorna non lo era. Io, calcolando press'a poco la velocità dell'avanzata nemica, prevedevo che prima del 12 o del 13 gli austriaci non sarebbero giunti sul Piave, ed i fatti mi hanno dato 337
Caporetto, risponde Cadorna
ragione. Il ritardo nella ritirata non poteva quindi avere conseguenze dannose e permetteva anzi di trasportare maggior quantità di materiale. Posso affermare di aver portato via tutte le artiglierie di medio calibro, meno 4 pezzi, perchè si ruppero alcuni congegni con i quali essi venivano tolti dalle loro posizioni. La Commissione, dopo aver riassunto la corrispondenza svoltasi tra me e il comandante della IV Armata tra il 27 ottobre e il 2 novembre - corrispondenza che io ho riferita pressochè per intera nel capitolo XI del mio libro "La guerra alla fronte italiana" - cosi conclude, a pag. 179: 212 - La Commissione, richiamando qui il giudizio sulla perizia con la quale il generale Cadorna guidò l'esercito nel difficilissimo ripiegamento dall'Isonzo al Piave, trova pienamente giustificate le di lui preoccupazioni per la ritirata della IV Armata e ben rispondenti alla situazione le sue direttive. Tuttavia sta di fatto che il nemico non eseguì la propria manovra con le forze e con la velocità dal generale Cadorna giustamente attribuitegli e che al generale di Robilant fu pertanto possibile condurre il ripiegamento con maggiore lentezza e trarre in salvo un maggior numero di artiglierie. La IV Armata potè così con sacrificio certo doloroso - ma non gravissimo come fu quello di Longarone - sottrarsi alla difficile' situazione che si era venuta delineando il 9-10 novembre e che appare evidente al primo sguardo gettato sugli schizzi della dislocazione delle forze contrapposte in quei giorn( e raggiungere in buona efficienza le posizioni tra Brenta e Piave, la cui difesa doveva poi essere gloria dell'Armata stessa e alto merito del suo comandante. Vi è poco nesso logico, come vedremo, tra la prima parte di questa conclusione e la seconda, e questo è dovuto alla evidente intenzione di scivolare sull'opera negativa del generale di Robilant. 338
Osservazioni varie
Io non mi occupo di quanto è detto all'ultimo capitolo sulla difesa del Grappa, poichè si tratta di fatti certamente molto gloriosi per la.IV Armata, ma che sono accaduti quando io non mi trovavo più al Comando; perciò mi mancano gli elementi per giudicare. Mi limiterò perciò alle seguenti osservazioni in m erito alle giustificazioni presentate alla Commissione dal generale di Robillant, essendo questo un importante punto storico da chiarire: 1 - Il generale di Robilant ammette di aver disobbedito («Se avessi obbedito ... ») ed ammette pure la possibilità che avrebbe avuto di far giungere la sua armata due giorni prima sulle nuove posizioni, se avesse obbedito ai miei ordini. 2. - Egli non trova altra giustificazione alla sua disobbedienza all1infuori di quella di aver tratto in salvo tutte le sue artiglierie, meno 4 pezzi. Ora ciò che più importava era di trarre in salvo, come ne aveva avuto l'ordine, i 32 pezzi di medio calibro, più efficienti per essere di modello recente; e se anche di questi se ne fosse perduto qualcuno io ero in grado di sostituirli con altri; e in ogni caso il vantaggio di aver salvato un certo numero di pezzi non è in alcun modo paragonabile al danno gravissimo di avere scompigliato il I Corpo con la tardiva ritirata e coll'infelice combattimento di Longarone nel quale si perdettero ben 10.000 prigionieri, ed inoltre di avere gravemente compromesso la tempestiva occupazione delle nuove posizioni da parte della IV Armata. 3. - Dalle parole del generale di Robilant spunta una teoria di nuovissimo conio, quella cioè che un comandante di esercito può impartire degli ordini fondandoli sopra un determinato calcolo di velocità nell'avanzata del nemico; e il comandante di un'armata può modificarli o violarli addirittura, quando da suoi calcoli presuma che il nemico cammini con velocità diversa; e ciò egli può fare, anche quando i suoi calcoli si riferiscano 339
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Caporetto, risponde Cadoma
a fronti di altre armate, per le quali egli non possegga i necessari elementi di giudizio! Nel caso poi che si esamina, i calcoli del comandante della IV Armata erano evidentemente errati, perchè egli «prevedeva che prima del 12 o del 13 gli austriaci non sarebbero giunti sul Piave» (e soggiunge che i fatti gli hanno dato ragione!) mentre I1attacco sul Piave è incominciato il 10, proprio nel giorno in cui si perdevano 10.000 prigionieri a Longarone, ed il I Corpo si trovava ancora tanto indietro in Val di Piave, mentre in quel momento avrebbe gia dovuto trovarsi sul Piave se fossero stati osservati i miei ordini! 4. - Sta di fatto che il deplorevole ritardo della IV Armata non ha avuto più fatali conseguenze per merito del caso che ha fatto trovare a tempo sul ,Piave il II e il XXIV Corpo, e per merito del Comando Supremo che li ha prontamente adoperati per guarnire le linee che avrebbero dovuto essere occupate dalla IV Armata; senza di che avremmo corso il rischio di un gran disastro. Perciò la ritirata dell 1esercito al Piave, già difficilissima per sè stessa, è stata ancora complicata dalla disobbedienza del comandante della IV Armata avendo dovuto il Comando Supremo provvedere dapprima a coprire la ritirata dell'Armata quand 1essa si trovava ancora nelle gole montane, mentre il nemico già si avvicinava al Piave, e poi ricorrere ad altre truppe per guarnire provvisoriamente la linea del Piave. '
Tutto ciò è di cosi palmare evidenza che riesce sorprendente come la Commissione - così severa e meticolosa nei suoi giudizi quando si tratta dei generali sottoposti a1I1inchiesta - non trovi una parola di biasimo per il comandante della IV Armata, anzi, come non formuli le sue conclusioni che per arrivare a celebrarne «l'alto merito». Del voluto ritardo nella ritirata della IV Armata io sono in grado di fornire un1eloquente dimostrazione mediante una particolareggiata e documentata relazione delle operazioni, rilasciatami da un ufficiale di grado elevato 340
Osservazioni varie
che appartenne ad uno dei corpi d'armata che costituivano l'armata stessa. Un'ultima osservazione relativa al generale di Robilant. La Commissione a pag. 77, riferendosi alla ritirata dalla Carnia e dall'Isonzo verso il Tagliamento, cosi scrive: E passando poi addirittura nel campo delle congetture dottrinarie, astraenti dall'entitĂ delle forze disponibili e dal reale stato delle truppe, v 1ha pure chi ha opinato che se il XII Corpo (quello della Carnia) avesse mantenuto la linea dell'Aupa e la III Armata mantenute le posizioni del basso Tagliamento, il nemico non avrebbe avuto cosi facile via per proseguire e spingersi al Tagliamento, e forse ancora lo si sarebbe potuto contrattaccare da mezzodi verso settentrione. Fu appunto il generale di Robilant che in uno dei primi giorni del novembre 1917 mi disse a Treviso che egli credeva che io avrei fatto schierare fronte a Nord la III Armata per attaccare in direzione Sud-Nord il nemico sboccante dai monti. In tal modo, nella situazione morale che si era manifestata nella II Armata e che si temeva potesse propagarsi alla III Armata, questa avrebbe dovuto manovrare - secondo il generale di Robilant - colle armate di Boroevic sul fianco destro ed il mare alle spalle! Un capolavoro di strategia! E la Commissione fa in questo modo giustizia di tali alti concepimenti: 97 - La Commissione non si sente di prendere in esame queste ed altre consimili ipotesi, che se giovano ora alla dissertazione non potevano soccorrere, in momenti di indicibile gravitĂ , chi doveva prendere decisioni alle quali si connetteva non la piĂš elegante soluzione di un problema strategico teorico, ma la sorte di un esercito e l'avvenire di una nazione.
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PARTE SECONDA RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
CAPITOLO VII REPLICA AD ALCUNE OSSERVAZIONI DEL GENERALE CAPELLO Alle operazioni militari da me dirette tra il maggio 1915 e il novembre 1917 sono state rivolte numerose critiche, molte delle quali mosse da evidente ignoranza o da acrimonia o da malafede. Di queste non mi curo. ,C redo invece opportuno di occuparmi delle principali fra le molte critiche fatte dal generale Capello nel suo libro "Per la verità11 e nelle "Note di guerra"; questo io faccio per l'autorità della persona che ha ricoperto importantissimi comandi durante la guerra. Al medesimo dedicherò il presente ed il successivo capitolo VIII; ed al generale Nava, già comandante della IV Armata, il quale scrisse un libro: Operazioni militari della IV Armata nei primi quattro mesi della campagna di guerra 1915, rispondere nel capitolo·rx. 1. Il disegno di operazioni. 1 Come ho esposto a pag. 53-56 e a pag. 99-103 del vol. I del mio libro "La guerra alla fronte italiana", le disposizioni per la radunata dell'esercito alla frontiera prima della dichiarazione di
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Ho già dovuto discorrere brevemente di questo argomento nel precedente capitolo, a proposito della Commissione d'inchiesta; ma ne debbo ora par.lare più diffusamente per ben chiarire il mio pensiero prima di rispondere al generale Capello. 343
Caporetto, risponde Cadoma
guerra e della diramazione dell'ordine di mobilitazione generale furono prese in modo:
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1. che al mom ento della dichiarazione di guerra si trovassero già riunite forze sufficienti (circa 400.000 uomini), parzialmente fomite da servizi mediante la mobilitazione occulta, per attaccare tosto il nemico di sorpresa su tutta la fronte, allo scopo di penetrare nel suo territorio e conquistare posizioni che migliorassero la nostra situazione difensiva, la quale era assai difficile specialmente nel Friuli e sulla frontiera del Trentino; 2. che ci trovassimo in misura di far fronte ad un attacco avversario, il quale colla maggiore ricchezza e rendimento della sua rete ferroviaria era in grado - essendo egli già mobilitato - di attaccarci con forze superiori e già regolarmente costituite, prima che noi avessimo ultimato la nostra mobilitazione, la quale richiedeva circa 25 giorni. Che questa mia preoccupazione fosse fondata, lo provano le seguenti parole che il generale von Falkenhayn ha scritto a pag. 66 del suo libro Il Comando Supremo tedesco dal 1914 al 1916" nelle sue decisioni più importanti: Il Comando Supremo austroungarico aveva il desiderio, ben naturale, di punire colla maggiore rapidità possibile mediante un forte attacco l'antica alleata infedele (sic!), l'azione della quale doveva farsi anzitutto sentire sulla duplice monarchia. Esso però comprendeva che, per quanto il colpirla sulla sua frontiera fosse desiderabile, ciò non era possibile a causa della conformazione del terreno, della ristrettezza del tempo e della deficienza di forze disponibili ..". Se l'attacco austriaco avesse avuto luogo, le disposizioni per farvi fronte sarebbero, naturalmente, state prese al momento, tenendo conto delle forze impiegate dal n emico e della direzione in cui le avrebbe lanciate. Non si può disconoscere che sarebbe stato questo il momento più pericoloso per noi, dati l'infeli11
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Replica al Generale CapeUo
cissimo andamento della nostra frontiera e la non avvenuta nostra mobilitazione. Per questo motivo nelle convenzioni militari cogli eserciti alleati --specialmente col russo e col serbo era stato stabilito che, al momento della nostra entrata in guerra, questi dovessero attirare su di sè, colla loro azione offensiva, la maggior possibile quantità di forze nemiche. Il disastro russo di Gorlice, il quale di poco precedette la nostra entrata in guerra, rese vana questa precauzione, e perciò molto più difficile la nostra situazione. Le prime operazioni della guerra furono basate sulle direttive del 1° settembre 1914 (formulate in base alla «Memoria sintetica» del 21 agosto), modificate in parte dalle varianti introdotte nelle medesime il 1 aprile 1915. Dell'una e dell 1altre ho dato un largo sunto nel capitolo III del mio libro "La guerra alla fronte italiana". Esse prevedevano tanto il caso (che le varianti del 1° aprile 1915 consideravano come il più probabile) in cui una subitanea irruzione austriaca ci costringesse sul principio alla difensiva, quanto l'eventualità a noi più favorevole in cui ci fosse consentito di prendere l'offensiva fin dal giorno seguente a quello della dichiarazione di guerra. In questo secondo caso le direttive si imperniano sui seguenti concetti fondamentali: difensiva sul fronte della I Armata, ma accompagnata da offensive parziali che valessero a darci il possesso di posizioni atte a migliorare la nostra situazione difensiva; offensiva sul fronte della IV Armata, tendente essenzialmente al possesso del nodo di Dobbiaco e ad iniziare l'espugnazione degli sbarramenti di Sexten, di Landro e di Valparola; operazioni nella zona Carnia tendenti al possesso della conca di Tarvisio, iniziando l'espugnazione dei forti di Malborghetto; avanzata della II e III Armata verso l'Isonzo ed oltre per occupare al più presto le posizioni più atte a migliorare la nostra azione offensiva al di là dell'Isonzo. A questi concetti è stata fatta da molti la critica che la loro attua345
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Caporetto, risponde Cadorna
I zione, conducendo ad una offensiva generale su quasi tutto il vasto fronte, doveva necessariamente produrre una dispersione d.i forze, a cordone, invece d i mirare ad una concentrazione delle medesime sul tratto decisivo. Ma i critici non hanno posto mente che le direttive non si riferivano all'esecuzione del piano di campagna, ma al periodo della mobilitazione e radunata, precedente alle grandi operazioni, le quali non potevano essere intraprese che a mobilitazione ultimata. Nel periodo della mobilitazione e radunata dovevano eseguire soltanto le operazioni preparatorie necessarie o utili all 1esecuzione del piano di campagna. Volendosi prendere l'offensiva sulla fronte Giulia e tenere la difensiva sulla fronte Trentina, erano operazioni necessarie, durante la mobilitazione e radunata, quelle che tendevano ad occupare buone posizioni sul1 1Isonzo e al di là del fiume, le quali dovevano servire a migliorare la pessima situazione difensiva di quella aperta frontiera e ad acquistare buoni punti di partenza per l1ulteriore offensiva, nonchè quelle che miravano ad una migliore sistemazione difensiva della pericolosa frontiera trentina, raccorciando la estesissima fronte. Erano invece operazioni non necessarie, ma utili allo scopo anzidetto, quelle del Cadore e d~lla Carnia miranti al nodo di Dobbiaco ed alla Conca dì Tarvisio, il cui possesso, oltre a tagliare la più diretta comunicazione nemica tra le fronti Giulia e Trentina, avrebbe poi dato a noi il mezzo di operare in Val Drava in concorso collè operazioni della II e III Armata al di la dell'Isonzo. A conferma di quanto ho detto riproduco questa «Avvertenza generale» che è scritta a grossi caratteri nelle direttive del 1° settembre 1914 e che non fu abrogata nelle varianti del 1° aprile 1915: «Compiute la mobilitazione e la radunata dell'esercito, le operazioni sì svolgeranno sotto l'impulso del Comando Supremo, secondo il piano di operazioni che sarà comunicato al momento opportuno.» Dunque è chiaro che durante il periodo 346
Replica al Generale CapeUo
di mobilitazione e di radunata non si trattava di eseguire operazioni che si riferissero all'attuazione del piano di operazioni. E quanto a quest'ultimo, io avevo bensì nella mente un concetto generale direttivo (e come avrei potuto non averlo?) che è quello esposto a pag. 95-96 del vol. I del mio libro "La guerra alla fronte italiana", ma non potevo determinarlo nei suoi particolari fino a che non mi fosse noto il risultato delle operazioni durante il periodo di mobilitazione e di radunata, specialmente in Cadore e in Carnia; poichè io ero bensì determinato in qualunque caso all'offensiva della II e III Armata sul fronte Giulia, ma il concorso della IV Armata e delle truppe della Carnia in Val Drava dipendeva dal risultato delle operazioni durante la mobilitazione e radunata verso Dobbiaco e Tarvisio: ecco perchè ho detto dianzi che queste operazioni erano utili ma non necessarie. Se fossero riuscite, io avrei rinforzato la IV Armata con un altro corpo d'armata, com'e scritto nelle direttive, ed era pure mio proposito di inviare un altro corpo d'armata in Carnia, costituendovi una piccola armata; avrei cosi potuto estendere le operazioni alla Val Drava. Essendosi invece le operazioni fin dai primi giorni arenate - quando cioè le circostanze erano più favorevoli, per le scarsissime forze nemiche in Cadore - ho subito compreso che dovevo rinunziare al progetto di operare in Val Drava: ho perciò deciso di eseguire l'offensiva sulla sola fronte Giulia e non ho inviato i rinforzi in Cadore ed in Carnia1 lasciandovi però le truppe che fino a quel momento vi erano destinate, perchè necessarie alla difesa di quelle estese zone. Partendo dal concerto prima formulato, quello di far concorrere alle operazioni offensive le truppe della IV Armata e della Carnia, facendole scendere in Val Drava, sarebbe stato utile, in teoria, che le operazioni verso Dobbiaco e Tarvisio precedessero quelle della fronte Giulia, affinchè le Armate II, III e IV e le truppe della Carnia potessero poi operare di conserva verso la Conca di Lubiana ed in Val Drava. 347
Caporetto, risponde Cadorna
Ma, d'altra parte, non conveniva rinunziare sul fronte Giulia ai vantaggi della sorpresa, in virtù della quale importanti posizioni potevano cadere senza sforzo nelle nostre mani e servire egregiamente sia come base alle successive maggiori operazioni sia come baluardo contro le offese nemiche. Nè l'offensiva in Cadore mi pareva dare troppo affidamento di rapido successo, considerate la natura del terreno e resistenza delle fortificazioni, a meno che fosse riuscito alla IV Armata di celermente isolarle e di avanzare verso Dobbiaco nei primissimi giorni, la qual cosa sarebbe stata impossibile quando il nemico avesse avuto tempo di correre alla parata: considerazione anche questa per la quale alle operazioni del Cadore quelle dell'Isonzo non dovevano essere subordinate. Deliberai perciò che l 1offensiva delle varie armate fosse contemporanea. A ciò tanto più mi decisi inquantochè, dati i lavori di difesa eseguiti dagli austriaci durante la nostra neutralità, a complemento delle fortificazioni permanenti, data la natura del terreno particolarmente difficile lungo la linea di confine del Cadore e della Carnia, considerata l'esperienza della guerra di posizione che si faceva da parecchi mesi in Francia, la mia fiducia in una rapida avanzata verso Dobbiaco e Tarvisio era molto scarsa, senza però escluderne la possibilità per effetto della sorpresa da effettuarsi nei primi giorni della guerra. Ne sono prova le seguenti parole delle direttive del 1 ° aprile 1915: «Di massima rimangono fermi i concetti esposti nelle direttive 1 °settembre. Tuttavia, da allora ad oggi, conviene tener conto di alcuni nuovi elementi, e cioè: - delle grandi forze messe in azione dagli Imperi Centrali: donde la possibilità per essi di affrontare con forze adeguate una nostra invasione; - dei lavori fatti dalla monarchia austroungarica, non solo lungo gran parte del confine, ma anche sulla linea displuviale degli altipiani carsici, specie in corrispondenza della frontiera aperta del Friuli: donde la possibilità che una nostra offensiva in questa 348
Replica al Generale Capello
direzione urti contro una tenace resistenza e rimanga paralizzata, a somiglianza di quanto si verifica attualmente in Fiandra ed in Polonia.» Queste parole non stanno neppure a dimostrare che io credessi la guerra breve e facile la marcia su Vienna, come il generale Capello ed altri hanno insistentemente detto e ripetuto nei loro libri. 2 Dell 1assurdità di questa accusa ho fornito a~che altre prove nel mio libro "La guerra alla fronte italiana" a pag. 78 del vol. I. Alla brevità della guerra hanno invece creduto gli uomini di governo; la qual cosa fu anche confermata dalla Commissione parlamentare d 1inchiesta sulle spese di guerra. Infatti questa, nella sua relazione in data 6 febbraio 1923, riferendosi al fatto constatato che non era stato provveduto in tempo ai necessari approvvigionamenti previsti dal generale Tettoni (direttore dei servizi logistici ed amministrativi al Ministero della Guerra), cosi scrive: «Non è peraltro da tacere, a questo riguardo, che un altro elemento sembra abbia potuto influire su tale ritardo: la previsione del Governo del tempo, cioè, che la guerra non avrebbe avuto durata cosi lunga». Relativamente alla critica mossami di avere schierato l'esercito a cordone lungo la frontiera, rispondo che non vi è nulla di più infondato. Nel primitivo schieramento, delle 35 divisioni che componevano allora l'esercito, 14 erano disposte lungo la frontiera del Tirolo-Trentino, del Cadore e della Carnia (650 chilometri di estensione), 14 erano riunite sulla fronte Giulia (90 soli 2
Di questa accusa vi è traccia anche nel libro "Rivelazi01ù dell'on. Nitti" secondo il quale il generale Cadorna si sarebbe espresso in tono molto ottimista con colleghi in Senato. Il generale Cadorna frequentò assai raramente il Senato nell'anno di neutralità : se tale conversazione ebbe luogo, fu nel pe1iodo in cui i russi vittoriosi ed in procinto di straripare nella pianura ungherese non volevano più saperne del nostro intervento ritenendolo superfluo e troppo largamente pagato con le promesse modeste concessioni alla nostra frontiera orientale. (R. C.]
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chilometri) e 7 si b·ovavano in riserva fra il lago di Garda e Bassano, allo scopo di poter rapidamente rafforzare la pericolosa fronte Trentina nel caso di un attacco austriaco all'inizio della guerra. Ma quando, in seguito alla subitanea avanzata della I Armata, la fronte Trentina fu raccorciata e rafforzata mediante l'acquisto di ottime posizioni difensive nelle Giudicarie, in Val Lagarina e in Val Sugana, ed essendo escluso per il momento un attacco nel Trentino, le sette divisioni di riserva furono trasportate sulla fronte Giulia per concorrere alle grandi operazioni offensive ivi iniziate nel mese di giugno. Si ebbero allora, 21 divisioni sui 90 chilometri di fronte della fronte Giulia e soltanto 14 sui rimanenti 500 chilometri - proporzione questa solo leggermente alterata a favore di quest'ultimo lungo tratto del fronte dalla maggior quantità di battaglioni alpini ad esso destinati. Chi oserebbe dire che questa fosse una distribuzione di forze a cordone? Si può immaginare una maggiore concentrazione di forze sul tratto di fronte scelto per l'attacco decisivo? Si può anzi osservare che, essendo stato anche contemplato l'attacco dal Cadore e dalla Carnia verso Dobbiaco e Tarvisio, scarse erano le forze destinate a queste zone, in vista specialmente dei compiti che sarebbero stati affidati alla IV Armata e alle truppe della zona Carnia qualora quegli attacchi fossero riusciti. Ma, come ho già detto, io mi ero proposto di inviare in tali zone altre truppe a radunata compiuta; ed era inutile, anzi dannoso, inviarle finchè non si palesasse l'esito delle operazioni che si dovevano compiere nel periodo di mobilitazione e di radunata, per le quali le truppe destinate a quelle zone erano sufficienti, tenuto conto delle scarsissime forze che il nemico vi tenne nei primi giorni della guerra. Le operazioni essendosi fin dai primi giorni arenate, non si poteva sperare in miglior esito più tardi, neppure aumentandovi le forze, quando il nemico aveva avuto il tempo di accrescervi le sue e di rafforzare le difese. Perciò dovetti, come già dissi, 350
Replica al Generale Capello
rinunziare all'offensiva; e per la difensiva le forze colà inviate si manifestarono corrispondenti al bisogno. Perciò il passaggio dal concetto offensivo a quello difensivo non richiese alcuna essenziale alterazione nelle forze fin dal principio destinate a queste zone. Riferendomi al principio dianzi ricordato del far massa nella zona dell'attacço decisivo, soggiungerò che questo J;_2rinci12iQ teorico è limitato nella sua applicazione dalla possibilità di impiegare le forze in dipendenza della natura del terreno. Se, per esempio, tutto il teatro della guerra è costituito da una catena di montagne - e tale era il caso nostro - è evidente che se si oltrepassa un certo limite di concentrazione d i forze, queste non possono essere tutte contemporaneamente impiegate e possono perciò essere paralizzate da forze nemiche notevolmente inferiori, ma sufficienti a guarnire efficacemente quel dato difficile fronte. In tal caso sarà molto più vantaggioso il suddividere le forze in molte direzioni fino al limite massimo di saturazione delle varie direttrici di marcia, costringendo il nemico a suddividere le sue. Se il nemico sarà complessivamente molto inferiore di forze - come era il caso nostro - egli, così noi operavano, sarà p.osto nella condizione più svantaggiosa. A chi considera le cose superficialmente sembrerà che si facci<1 guerra a cordone, ma in realtà sarà stata sfruttata al massimo grado la superiorità delle forze. Per questa ragione apparirà assurda l'opinione di taluno, secondo il quale si sarebbe dovuto far massa su una o due linee come quelle delle Giudicarie o del Tonale - linee che si svolgono fra alte montagne, in valli anguste, dove poche forze ne possono paralizzare moltissime. Avendo stabilito di operare - se possibile - anche dal Cadore e dalla Carnia, mi si è fatto da molti l'appunto di aver ideato un piano troppo grandioso1 in relazione agli scarsi mezzi di cui potevamo disporre. Ma poi, quando si è dovuto escludere l'avanzata dal Cadore e dalla Carnia, e le operazioni offensive 351
Caporetto, risponde Cadorna
sono state necessariamente limitate ai 90 chilometri del fronte Giulia sono stato da altri criticato di aver eseguito un attacco esclusivamente frontale; essi si sono però astenuti dal dire come si potessero in simili condizioni, concepire attacchi che non fossero strategicamente e tatticamente frontali! Quanto alla grandiosità del piano, io la riconosco e non me la nascondevo. Ma vi era anzitutto una ragione morale. Si doveva far guerra offensiva, e l 1esercito non vi era stato moralmente preparato. Occorreva adunque rompere risolutamente colla mentalità difensiva e dare fin dal principio alla guerra carattere spiccatamente offensivo; approfittare nei primi giorni della debolezza numerica del nemico per spingersi il più avanti possibile al di là del confine, allo scopo di migliorare la nostra cattiva sistemazione difensiva e facilitare l'ulteriore offensiva. Si sarebbe poi giudicato dai risultati ottenuti nel periodo di mobilitazione e radunata dell'indirizzo da dare alle operazioni a mobilitazione compiuta. Tra le due io preferivo eccedere nella grandiosità del piano che nella sua ristrettezza. E 1 molto più facile - al contatto con la realtà - restringere un piano largo che allargare un piano ristretto. Nel restringere un piano vi è il relativo inconveniente dei grandi spostamenti di truppa che ne conseguono, se le forze nei vari settori furono fin dal principio commisurate al raggiungimento degli ultimi e più importanti obiettivi. Ma, nel nostro caso, le forze in Cadore e in Carnia furono adeguate ai primi obiettivi da raggiungere in vicinanza della frontiera e tenuto conto delle limitate forze che l'Austria - già fortemente impegnata colla Russia e colla Serbia - sarebbe stata in grado di opporci. Se quelle prime operazioni avessero avuto buon esito, era mia intenzione - come già dissi - di rinforzare per le ulteriori operazioni le truppe del Cadore e della Carnia e di costituire una piccola armata in Carnia. A riprova di quanto ho detto si consideri che le truppe destina1
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Replica al Generale Capello
te nei primi giorni della guerra in Cadore e in Carnia sono le medesime, con poche varianti, ch e rimasero in quelle regioni a scopo difensivo dopo il fallimento delle prime operazioni offensive. Perciò il passaggio dall'offensiva alla difensiva, a mobilitazione compiuta, fu automatico e non richiese alcun sensibile spostamento di truppe. Ond'è ch e la cosiddetta grandiosità del piano di campagna non fu cagione, nel fatto, di alcun inconveniente e non impedì che - secondo i buoni dettami della strategia - a mobilitazione ultimata 21 delle 35 divisioni che componevano l'esercito gravitassero sui 90 chilometri del fronte principale dell'Isonzo. E' una prova questa che la ripartizione delle truppe fatta colle d irettive del 1° aprile 1915 era stata bene ideata. Le nostre operazioni militari durante la grande guerra non hanno riscontro storico che in quelle di Napoleone del 1797. Uguale nei due casi era lo scopo finale della gu erra: colpire al cuore la monarchia austriaca - uguale il terreno sul qu ale si doveva operare - ma nessuna fortificazione nel 1797 inceppava la manovra. Ma quale differenza nelle forze e nei mezzi! Napoleone comandava un esercito di 60.000 uomini suddiviso in otto divisioni, delle quali ne aveva distaccata una nella Marca di Ancona p er osservare l'Italia Meridionale. Delle rimanenti sette ne inviò tre in Tirolo agli ordini del generale Joubert per contenere e ricacciare la destra nemica al di là del Brennero e volgersi poi in Val Drava p er unirsi a Bonaparte; distaccò la divisione Massena in Val Piave per minacciare le comunicazioni nemiche colla Carinzia; colle rimanenti tre attaccò l'Arciduca Carlo sul Tagliamento, che passò a guado presso Codroipo. Poscia egli invia due divisioni su Laybach, rimonta colla rimanente la Valle dell'Isonzo e si congiu nge a Tarvisio con Massena pervenutovi dalla Pontebba. Si riunisce poi a Joubert sceso per la Drava e prosegue fino a Leoben sulla via di Vienna. Io penso che non saranno mancati neppure allora i critici che avranno accusato il generale Bonaparte di aver mandato inutil353
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Caporetto, risponde Cadorna
mente un ottavo delle sue forze nelle Marche, di aver disperso le altre in direzioni diverse e in valli tra di loro lontane e separate da grandi ostacoli orografici, di avere condotto nella direzione del Tagliamento dove si dovevano decidere le sorti della guerra soltanto i tre ottavi delle sue forze e i tre settimi di quelle di cui disponeva sul teatro di operazioni, ecc. 3 E' facile la critica e certo il Bonaparte non mancava di ottime ragioni (che si possono facilmente immaginare, ma che è fuor di luogo qui esporre non essendomi io proposto di fare l'esame critico della campagna 1797 per confutarle; ed in ogni caso i facili censori sono stati messi al silenzio dal grande successo ottenuto in quella fulminea e decisiva campagna. Io mi limiterò a dire: beati i tempi in cui era possibile procedere così rapidamente anche attraverso a grandi ed impervie catene di montagne, il cui passaggio costituisce oggigiorno - colle enormi masse di truppe che si impiegano - un problema logistico di eccezionale difficoltà, anche indipendentemente dalla resistenza nemica, la quale è resa molto più facile dalle armi moderne, dalle fortificazioni e dalla possibilità di costituire e di guarnire linee continue che escludono la possibilità delle grandi e geniali manovre strategiche del passato. Fra tutti coloro che hanno 3
Neppure il grande Napoleone potè sfuggire alla critica della mediocrità presuntuosa. Il più eloquente esempio l'ha fornito il generale del genio Rogniat col suo libro : « Considerations sur l'art de la guerre" pubblicato nel 1818, al quale Napoleone ha fatto l'onore di rispondere da Sant'Elena con le note ricche dei più preziosi ammaestramenti. Soprattutto io raccomando alla meditazione dei signori critici le seguenti parole : "De pareilles questions a resoudre a Turenne, a Villars ou a Eugene de Savoie, les auraient fort embarassès. Dogmatiser sur ce que l'on n'à pas pratiquè, est l'apanage de l'ignorance: c'est croire resoudre par une formule de deuxieme degré un probleme de gèometrie trascendante qui ferait palir Lagrange ou Laplace. Toutes ces questions de grande tactique sont des problemes phisicomatematiques indeterminès, qui ont plusieurs solutions et qui ne peuvent etre rèsolus par les formules de la geometrie elementare" . 354
Replica al Generale Capello
criticato il disegno di operazioni, non ve n 1e stato uno - salvo il generale Capello - il quale abbia chiaramente detto che cosa vi avrebbe sostituito. Non è un disegno di operazione il partito che taluno credette il più conveniente, data la nostra deficienza di mezzi tecnici al principio della guerra, quello cioè di occupare una forte linea difensiva, di fortificarvisi e di attendervi colle forze in potenza il momento in cui la quantità dei mezzi tecnici disponibili ci avesse consentito di passare al1 1offensiva. Questo, più che un disegno di operazione, è da definirsi un disegno di inazione. Le forze sono realmente in potenza quando col loro contegno aggressivo hanno dimostrato e dimostrano che sono disposte in ogni momento ad attaccare. Ma se il nemico si convince che non abbiamo i mezzi e siamo malamente disposti ad attaccare, e tale convinzione è confortata dalla nostra costante immobilità, allora non ci giudicherà più in potenza, bensì in impotenza, e si regolerà di conseguenza. Come avremmo potuto immobilizzare tante forze nemiche/ in quantità ogni anno crescente1 e logorarle al punto che dopo la battaglia della Bainsizza l Austria dovette invocare il soccorso tedesco1 senza attaccarle risolutamente? Senza dare continua prova della nostra capacità offensiva? E poi noi facevamo una guerra politicamente offensiva per liberare le provincie irredente, e come avrebbero giudicato Governo e Paese un contegno militarmente cosi passivo? Inoltre si trattava di una guerra generale nella quale le operazioni dei vari eserciti dovevano essere, nelle linee generali, coordinate. E allora com'era possibile ammettere che noi mantenessimo contegno costari.temente difensivo, per la durata fors 1anche di un paio d 1anni1 fino a che avessimo mezzi tecnici in abbondanza? Ciò sarebbe stato contrario anche agli impegni che noi avevamo dovuto assumere mediante le convenzioni militari cogli Stati alleati; e l 1avrebbero questi tollerato? Ho detto prima che il generale Capello è il solo - fra le persone che avessero autorità per poterlo fare - che abbia esposto 1
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Caporetto, risponde Cadoma
chiaramente un concetto offensivo diverso da quello che fu applicato. A pag. 116 del voi. I delle sue "Note di guerra", cosi scrive egli: «Per ora è sufficiente porre la seguente questione: Se illusione e visione eccessivamente ottimistiche non avessero prevalso, non sarebbe stato savio concentrare gli scarsi mezzi di cui disponevamo per la conquista di un obiettivo più limitato anche se, pel momento, di interesse prevalentemente italiano? Ed in tal caso, non sarebbe stato meglio - a malgrado delle difficoltà affacciate - operare in primo tempo decisamente soltanto sui due lati del saliente trentino dallo Stelvio-Tonale e dall1Agordino-Cadore, o ancor meglio limitarci ad un'azione vigorosa dal Cadore alla Rienza ed all'alta Drava concentrando in questa azione tutti i mezzi che avevamo disponibili e sfruttando in modo più completo la sorpresa dalla quale pure qualche vantaggio ottenemmo e che non potemmo sfruttare in nessun punto per aver diluito gli scarsi mezzi su tutta la fronte?» Ha fatto il calcolo il generale Capello della enorme somma di mezzi logistici che sarebbero stati richiesti per una offensiva quale era quella da lui vagheggiata, con grandi masse, disponendosi di pochissime rotabili, quando le teste di linee ferroviarie (linee di scarso rendimento) si trovavano a Tirano, Edolo, Belluno, Calalzo, dalle quali, col procedere delle operazioni, ci si sarebbe continuamente allontanati? Non parlo poi delle enormi difficoltà di ordine tattico che si sarebbero incontrate in quel difficile terreno - difficoltà tattiche che si sarebbero di gran lunga accresciute quando il nemico, appena accortosi che in quella direzione volevamo eseguire l'attacco principa1e, vi avesse trasportato in sufficiente quantità truppe ed artiglierie. E quand'anche, vincendo enormi difficoltà ed impiegando lunghissimo tempo, avessimo condotto a felice compimento l' ardua impresa, avremmo bensì ottenuto un notevole risultato nei nostri riguardi, ma non avremmo colpito al cuore l'AustriaUngheria, e rispetto agli scopi finali della guerra europea il 356
Replica al Generale Capello
risultato sarebbe stato pressochè nullo. E se poi, mentre ci trovavamo impegnati in quelle lunghe vallate, fra quei monti così impervi, con tante forze ed artiglierie, il nemico ci avesse attaccato con forze superiori sulla fronte Giulia e fosse riuscito a batterci, quale immensa catastrofe avrebbe potuto prodursi, se si tiene conto che la distanza dall1Isonzo allo sbocco di Vittorio Veneto è pressochè uguale a quella da Dobbiaco a Vittorio Veneto e che la ritirata da111alto Cadore non la si poteva effettuare che per due strade, che si riducono ad una tra Pieve di Cadore e Ponte delle Alpi? Bastano queste poche considerazioni per far escludere la soluzione patrocinata dal generale Capello. E allora quale altra sostituire a quella da me ideata? La verità è questa: che, data l'asprissima configurazione del nostro teatro d operazioni, dato l'andamento della frontiera che lasciava nelle mani dell'Austria il pericolosissimo saliente trentino e gli sbocchi nella pianura del Friuli, il nostro problema offensivo presentava difficoltà gravissime, comunque lo si volesse risolvere - difficoltà di ordine strategico e di ordine tattico, quali in nessun'altra parte del teatro di guerra europeo neppure alla lontana si presentavano. Noi eravamo circondati da una cerchia di ferro pressochè impossibile a spezzare e colla continua incombente miriàccia di un attacco dal saliente trentino, la quale creava un pericolo gravissimo per la maggior parte dell'esercito schierata al di là del Piave; eppure, malgrado questo pericolo tutto consigliava l1attacco al fronte Giulia e la difensiva sul fronte Trentino dopo aver migliorato questa mediante la conquista di migliori posizioni nei primi giorni della guerra: sul fronte Giulia le difficoltà erano alquanto meno gravi, e più ricca vi era la rete stradale; la direzione dell'attacco mirava al cuore della monarchia nemica; il nostro attacco poteva essere coordinato con quello degli alleati. Mi appigliai perciò a questo partito. Ma era indispensabile, 1
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Caporetto, risponde Cadorna
durante le operazioni offensive, tenere continuamente d'occhio il pericolo trentino e tenersi in misura di pararlo. Fortunatamente, il tempo occorrente per organizzare un'offensiva in grande stile essendo considerevole ed il Trentino trovandosi in posizione eccentrica e mal congiunto da due sole ferrovie col centro della monarchia, noi eravamo in grado, al primo delinearsi di una minaccia, di accorrere più rapidamente del nemico dalla fronte Giulia a quella Trentina mediante la più ricca rete ferroviaria, la quale tra i due centri di gravità dei due fronti, Udine e Vicenza, p ercorre la corda del grande arco lungo il quale era costretto a spostarsi il nemico. Fu perciò posta ogni cura per aumentare la capacità di trasporto della rete ferroviaria; e questa molto agevolò gli spostamenti di masse tra le due fronti, specialmente nel 1916, quando i trasporti assunsero proporzioni colossali, prima per far fronte all'attacco nemico nel Trentino e poi per procedere all'attacco sulla fronte Giulia che fu coronato dalla presa di Gorizia. 2. - Offensiva dell'autunno 1915. Il concetto di questa offensiva è esposto a pag. 150 e seguenti del vol. I del mio libro "La guerra alla fronte italiana". Il generale Capello ne fa la critica a pag. 176 e seguenti del voi. I delle sue "Note di guerra". In linea astr~tta egli ha ragione. Ma esaminiamo la situazione di quel momento. Noi disponevamo bensì tra II e III Armata e compresi I1XI e il XIII Corpo di riserva generale, di 312 battaglioni contro 147 battaglioni austriaci; ma non avevamo che circa 300 pezzi di medio e grande calibro con scarsissimo munizionamento. Il generale Capello osserva che il compito più importante avrebbe dovuto essere affidato, almeno in un primo tempo, alla II Armata, perchè, col passaggio dell'Isonzo, coll'avanzata sulla Bainsizza, colla occupazione della linea dello Ielenik, del M. Santo e del S. Gabriele, si sarebbe minacciata seriamente la conca di Tolmino e si sarebbero 358
Replica a] Generale Capello
scardinate tutte le difese a nord della piazza di Gorizia, provocando la caduta di questa città con ripercussione sulla fronte S. Michele-M. Sei Busi che non avrebbe potuto essere mantenuta dal nemico. Ripeto, tutto ci.ò è giustissimo in linea teorica, ma sarebbe potuta questa operazione riuscire, anche se si fossero assegnati alla II Armata i due corpi d'armata di riserva e la maggior parte delle artiglierie di medio e grosso calibro? Qui sta veramente la questione. La II Armata avrebbe avuto forza più che tripla in fanteria del nemico, proporzione che sarebbe però rapidamente diminuita quando il nemico, appena accortosi delle nostre intenzioni, avesse sollecitamente trasportato truppe dal Carso al fronte attaccato. Ma a che serviva in questa guerra una grande prevalenza di fanteria contro trincee e reticolati, quando mancava l'artiglieria in quantità sufficiente per distruggerli? A nord della conca goriziana le condizioni del terreno erano particolarmente difficili. Noi non avevamo sulla sinistra dell'Isonzo che la piccola testa di ponte di Plava, il cui sbocco era paralizzato da alture molto elevate e ripide. In tutto il rimanente del fronte si trattava di passare l'inguadabile Isonzo di viva forza e di forzare tre su ccessive linee di difesa scoglio nate su ripide pendici alte 500 m. Il generale Capello mi critica a pag. 177 di aver eseguito un attacco frontale, ma il progettato attacco era il meno frontale possibile, poichè l'attacco frontale della testa di ponte doveva essere eseguito in secondo tempo, dopochè in primo tempo avesse progredito l'attacco contro i fianchi della medesima. E l'applicazione del suo concetto non mi avrebbe forse condotto ad eseguire un attacco frontale nelle più difficili condizioni? Come evitare un attacco frontale quando il nemico occupava linee continue dalla frontiera svizzera al mare? Il forzamento della linea dell'Isonzo fra Auzza e Plava, la conquista dell'altopiano della Bainsizza sono riusciti nell'agosto 359
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Caporetto, risponde Cadorna
1917 quando abbiamo potuto riunire sul fronte Giulia l'enorme forza di 51 divisioni e di 5200 bocche da fuoco, bombarde comprese. Ma anche allora il generale Capello, che pure abilmente diresse le operazioni della II Armata, non riusci ad impossessarsi del M. S. Gabriele e della conca goriziana! Come può adunque egli pensare che avremmo potuto venire a capo di quelle difese cogli scarsissimi mezzi tecnici dell'autunno del 1915? Il generale Capello osserva ancora alla stessa pag. 177 che, come si era addensata la maggior forza di fanteria nel settore della II Armata (167 battaglioni alla II e 79 alla III), così avrebbero dovuto le artiglierie gravitare maggiormente su quella per dare alla fanteria quell'ausilio di preparazione, ecc., mentre invece furono assegnate 125 bocche da fuoco di m. e g. calibro alla II Armata e 175 alla III. Questa critica non regge. Tolti i 77 battaglioni del IV Corpo che si trovava fuori dalla zona offensiva e i 27 battaglioni dell'VIII Corpo il quale non aveva che un compito dimostrativo, la II Armata non aveva sulla fronte d'attacco che 63 battaglioni ai quali furono assegnati 93 pezzi di m. e g. calibro (125 destinati alla II Armata, dai quali si debbono dedurre 32 pezzi collocati sul fronte dell'VIII Corpo). Invece, in corrispondenza dei 79 battaglioni della III Armata si trovavano bensì 175 pezzi di m. g. calibro, ma,conviene notare che la riserva generale (66 battaglioni dell'XI e XIV Corpo) era stata appunto collocata dietro la III Armata perchè si prevedeva che da questa parte le minori difficoltà del terreno - per quanto grandi avrebbero consentito di fare il massimo sforzo, e in tal caso i battaglioni della III Armata sarebbero saliti a 145. Si può osservare che fu un errore il dividere le forze e gli scarsi mezzi di artiglieria fra due attacchi. Ma rispondo che il concetto dell'operazione era quello di far cadere la testa di ponte di Gorizia compiendo dapprima il massimo sforzo contro le difese a Sud e a Nord della medesima ed attaccandola poi al centro 300
Replica al Generale Capello
(pag. 151 del mio libro). Se si fosse attaccato soltanto a Nord o soltanto a Sud, il nemico avrebbe riunito i suoi mezzi di difesa sulla troppo breve fronte minacciata, facendo agire le sue artiglierie bene appostate contro i fianchi delle truppe attaccanti e saremmo andati incontro ad un sicuro scacco. L'esperienza della lunga guerra ha dimostrato che per sottrarsi a questi inconvenienti e per sviluppare un attacco efficace la fronte d'attacco doveva avere uno sviluppo di almeno 25-30 Km. L'attacco della testa di ponte di Gorizia era imposto anche da semplici esigenze difensive. Gli avvenimenti del1 1ottobre 1917 hanno dimostrato all'evidenza quale vantaggio abbia ritratto il nemico dalla testa di ponte di Tolmino, che, pure, era fronteggiata dalle nostre formidabili posizioni della testata di Val Iudrio. La testa di ponte di Gorizia era per noi assai più pericolosa,, sia perchè molto più ampia sia perchè fronteggiata da posizioni molto più deboli e più estese, sia perchè uno sbocco vittorioso dalla medesima di grandi forze nemiche le avrebbe condotte con breve percorso e per facile terreno sulle linee di comunicazione della II Armata e delle truppe della zona Carnia, le quali sarebbero rimaste addossate alla montagna. Per tali ragioni la testa di ponte di Gorizia costituì sempre per me una forte preoccupazione finchè non riuscimmo ad impossessarcene nell 1agosto 1916, finchè cioè gli avvenimenti di quel mese non ci assicurarono, sull'Isonzo e sul Carso, il possesso di una formidabile linea, la quale, organizzata a difesa mediante molteplici lavori proseguiti fino all'ottobre 1917, non mi rese certo di poter infrangere qualunque attacco nemico da quella parte. Per tutte queste ragioni era necessario di impossessarsi ad ogni costo di quella testa di ponte e non vedo con quale altro miglior concetto la si potesse attaccare. E' bensì vero che gli attacchi nostri del 1915 e dei due anni successivi hanno cagionato al nostro esercito un notevole grado di logoramento; ma certamente superiore fu il logoramento dell 1e361
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Caporetto, risponde Cadoma
sercito nemico. 4 Ne è convincente prova il fatto che, in seguito alla battaglia della Bainsizza, l'Austria, non giudicandosi più in grado di sostenere un dodicesimo assalto sull'Isonzo, dovette invocare il soccorso tedesco. Sono eloquenti a tal riguardo le parole altrove riferite del generale Krauss, già capo di Stato Maggiore dell'arciduca Eugenio, comandante supremo austriaco sul nostro fronte e poi comandante delle truppe che attaccarono il M. Grappa, le quali parole credo opportuno ripetere: " ... ma soltanto la sua forte volontà (del generale Cadorna), la sua durezza, la sua ostinazione hanno costretto gli italiani agli undici potenti assalti contro il fronte dell'Isonzo; e se gli alleati non gli avessero con più forte mano strappato la palma della vittoria passando essi all'attacco nella dodicesima battaglia dell'Isonzo, egli avrebbe nel dodicesimo assalto, al quale egli avrebbe con forte volontà costretto i suoi italiani, rotto certamente la fronte ed avrebbe preso possesso di Trieste, la sospirata meta degli italiani .... ". Da quanto precede emerge che l'offensiva in genere s'imponeva e che i sacrifici di sangue che essa richiese non furono inutili come piace di affermare a certi censori non da altro mossi che da rancori personali. Ma certamente tragica fu la situazione in cui ci trovammo, quella cioè di dover operare offensivamente mentre tanto scarseggiavano i mezzi necessari allo scopo. E particolarmente tragica fu la mia~ poiché a tali avvenimenti dovevo dare il mio nome, e non potevo ignorare che avrei dovuto scontare le colpevoli deficienze (da me costantemente deprecate) che i precedenti Governi avevano lasciato nel nostro organismo militare!
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Non dimentichiamo neppure che se noi abbiamo avuto 600.000 morti gli inglesi ne ebbero 770.000 e i francesi 1.350.000. 362
Replica al Generale Capello
Se la critica è sempre facile (mentre l'arte è difficile) lo è ancora più quando difficoltà insormontabili hanno impedito di raggiungere gli obiettivi prefissi, e per contro manca la prova dei fatti per dimostrare a quali risultati le concezioni del critico avrebbero approdato. Tale è appunto il caso delle numerose critiche alle quali il generale Capello si è nei suoi libri abbandonato, le quali fanno veramente deplorare che non sia stata affidata a lui la direzione delle operazioni! A lui che, malgrado le ampie critiche distribuite a piene mani, tanto al concetto direttivo delle operazioni quanto all'esecuzione per parte dei comandi subordinati e delle truppe, è costretto a concludere il suo capitolo colle seguenti parole, le quali confermano quanto io ho precedentemente scritto (pag. 201): «Però sarebbe disonesto non riconoscere come con la nostra violenta azione si sia incominciato ad esercitare sul nemico quella potente pressione che lo tenne incatenato per 30 mesi sull'Isonzo e che ne iniziò il logoramento e lo sfacelo. Fin da allora i prigionieri austriaci concordemente attestavano i gravi danni materiali e morali che la nostra offensiva arrecava alla compagine nemica. Nè si devono dimenticare le disperate invocazioni per rinforzi ed aiuti che il comandante austriaco rivolgeva tra il novembre ed il dicembre al proprio f:omando Supremo, dicendosi allo stremo della resistenza. Malgrado gli errori e le deficienze, non una goccia del generoso sangue italiano fu spesa invano. La somma dei nostri sacrifici il nemico la sconterà sul Piave». Proprio così, e il generale Capello è perfettamente d'accordo col generale Krauss. Per il risultato finale, non è la somma dei nostri sacrifici in senso assoluto quella che conta, ma la :proporzione dei medesimi con quella del nemico. A pag. 181 il generale Capello osserva - e giustamente se ne duole - che «nella lunga e complessa offensiva il carattere della battaglia sia venuto profondamente mutandosi non soltanto nei riguardi della estensione della fronte impegnata, ma 363
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Caporetto, risponde Cadorna
anche nella forma stessa della lotta. All'azione grandiosa d 'insieme venne man mano sostituendosi il combattimento a spizzico, il frazionamento della battaglia in piccoli episodi attorno a questo o a quell'obiettivo, senza alcun serio coordinamento nè nella manovra d 'insieme, nè nel tempo». E' questa la deplorevole, ma inevitabile conseguenza delle battaglie molto prolungate nella guerra di posizione. La spiegazione di tale fenomeno l'h a fornita lo stesso generale Capello a pag. 119 del vol. II delle sue "Note di guerra". Riferendo una conferenza da lui tenuta ai comandanti delle unità dipendenti dopo la battaglia d ella Bainsizza, egli scrive: «Lo scindersi dell'azione unitaria in episodi frammentari è fatale, per la diversa situazione che la battaglia, specie la grande battaglia, va creando sulle varie parti del fronte, tanto più quando si opera in un terreno accidentato come il n ostro e quando si deve lottare contro potenti mezzi di difesa, quali sono quelli di cui il nemico dispone. Senonchè tale frammentarietà dell'azione ha sorpassato i limiti consentiti, poichè si sono verificati sminuzzamenti. non solo nell'interno dei corpi d'armata, ma anche delle divisioni e delle stesse brigate». Se ciò accadeva nella II Armata nell'agosto 1917 quando essa era affidata da sei mesi all'abile direzione del generale Capello, come può egli meravigliarsi che ciò avvenisse nell'ottobre 1915 quando era ancora così scarsa l'esperienza del nuovo genere di guerra? E soprattutto come può il generale Capello farne oggetto della sua insaziabile critica? I
3. - Offensiva austriaca del Trentino nel 1916. Di questo argomento mi sono largamente occupato nel capitolo V del mio libro La guerra alla fronte italiana e basta mettere a confronto quanto il generale Capello scrive nel capitolo X delle sue "Note di guerra" con quanto fu da m e esposto nell'anzidetto capitolo V, corredando i fatti con ampia documentazione, per 364
Replica al Generale Capello
rilevare tutti gli errori di fatto e di apprezzamento in cui il generale è incorso. Se io ritorno molto brevemente su questo periodo della nostra guerra, è soltanto per porre in luce la grande leggerezza con la quale il generale Capello trincia i suoi giudizi su avvenimenti ai quali non ha partecipato e che non conosce. Il generale Capello, dopo aver riferito le notizie sulla concentrazione di forze austriache nel Tirolo e nel Trentino portate verso la fine di aprile da un disertore austriaco, cosi scrive a pag. 247 delle Note di guerra: «Il nostro Comando Supremo, malgrado la evidente fondatezza delle notizie, non vi prestò fede e le reiterate richieste di rinforzi del Comando della I Armata o non ebbero risposta o ebbero tardo e limitato esaudimento.» A pag. 200-201 del volume I del mio libro ho dimostrato che a rinforzo della I Armata, durante il mese di aprile e la prima metà di maggio erano stati trasportati 82 battaglioni, dei quali soltanto 24 erano stati richiesti dal Comando della I Armata (brigata Valtellina e tre brigate di nuova formazione), e ben 58 battaglioni furono assegnati di mia iniziativa (9a e 10a divisione, un gruppo di alpini di 10 battaglioni, brigata Ancona, brigata Sicilia e 44a divisione). La verità è quindi proprio l'opposto di quanto il generale Capello ha affermato; ossia, non solo non è vero che le reiterate richieste di rinforzi del Comando della I Armata non abbiano avuto risposta o abbiano avuto tardo ed incompleto esaudimento, ma è verissimo invece che io, di mia iniziativa, ho spedito sulla fronte Trentina assai più del triplo delle forze che erano state richieste. E si noti che il comandante della I Armata, fin dal 6 aprile, quando ancora non avevo spedito i 24 battaglioni delle brigate Ancona e Sicilia e della 44 1 divisione, mi scriveva la lettera che ho riferito a pag. 194 del volume I del mio libro, la quale termina colle seguenti parole: «Le nuove riserve p er l 1intero V Corpo d'Armata, costituite colle due divisioni temporaneamente assegnate da V. E. a questa Armata (la 9a e la 108) - divisioni che si sarebbero impe365
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Caporetto, risponde Cadorna
gnate soltanto in caso di assoluta estrema necessità, e previa autorizzazione di V. E. - permettono di considerare con piena fiducia, nell 1interesse generale delle operazioni, anche il caso a noi più sfavorevole- quello cioè in cui l 1avversario, continuando a riunire forze e mezzi sugli Altipiani, tentasse di sfondare la linea in questo tratto, sussidiato da azioni concorrenti per le valli Lagarina e Sugana.» Dunque il comandante della I Armata si dichiarava pienamente soddisfatto fin dal 6 aprile, quando ancora non gli avevo inviato gli ultimi 24 battaglioni. Io avevo pertanto ragione di ritenere il 15 maggio che le truppe che si trovavano sul fronte della I Armata fossero sufficienti a far fronte a qualsiasi eventualità, e se non lo fossero state, avrebbe dovuto farmelo presente il comandante della I Armata che, trovandosi da un anno sui luoghi, era maggior conoscitore di me del terreno e deJle circostanze locali. Di fatto le truppe nei primi giorni dell'offensiva furono soverchiate e fu fatta rapidamente accorrere la riserva sul Tagliamento. Le ragioni di tali primitivi insuccessi sono ampiamente enumerate a pag. 236 del volume I del mio libro. Relativamente alle truppe inviate in rinforzo alla I Armata, il generale Capello cosi si esprime a pag. 252 del volume delle Note di guerra: "Si accordò pure qualche rinforzo di truppe. Si inviarono in aprile tre brigate e si concentrarono nella zona Marostica-Bassano due gruppi alpini (10 battaglioni) con due gruppi di batterie da montagna (6 batterie) e si dislocarono in seguito nelle retrovie del V Corpo anche la IX c la X divisione ritirate dalla fronte Giulia.» Si confrontino queste parole con ciò che ho scritto precedentemente e si ammirino nel generale Capello la precisione e l1esattezza dei fatti sui quali egli basa i suoi apprezzamenti: egli riduce da 82 a 52 i battaglioni inviati! Sempre ugualmente esatto, nella stessa pagina 252, cosi continua il generale Capello: «Malgrado i rinforzi inviati, le truppe sulla fronte erano scarse (totale 5 divisioni): 1 in Val Lagarina, 2 3(56
Replica al Generale Capello
sugli altipiani di Tonezza e Sette Comuni, 1 in Val Sugana-Val Cismon, 2 in riserva parziale a Schio e a Bassano).» Chi legge, riferendosi alle 6 divisioni può credere che i battaglioni al fronte fossero 72, mentre erano invece 137, pur dedotti i 45 di milizia territoriale (pag. 200 del volume I del mio libro). E gli altri 65 battaglioni dove si trovavano? Alla seguente pag. 253 il generale Capello afferma che l'attacco austriaco si iniziò alle ali: prima in Val Sugana, quindi in Val Lagarina e soggiunge che tali attacchi potevano anche avere scopo dimostrativo per distrarre l1attenzione del difensore dalla direzione dell' at. tacco principale che si manifestò poi verso il centro con manovra di sfondamento. Osservo, en passant, che il generale Capello non rimprovera agli austriaci l'attacco frontale, come ha fatto a me per le operazioni dell'autunno 1915 e come farà per la battaglia della Bainsizza. Ma anche in questo caso egli ha commesso grave errore di fatto. L'offensiva austriaca (pag. 209 del volume I del mio libro) ebbe inizio nelle ore pomeridiane del 14 maggio con un potente bombardamento iniziato quasi contemporaneamente dal lago di Garda alla Val Sugana, e proseguito nel giorno 15. Nello stesso giorno 15 il violento attacco delle fanterie si pronunziò, non già alle ali, ma contro le nostre posizioni av anzate di Val Lagarina e contro quelle tra Monte Maronia (a nord di M. Maggio alla testata del Posina) e la Val d'Astico. Attacchi meno violenti furono pure pronunziati dagli austriaci nello stesso giorno 15 contro l'altra ala in Val Sugana, e crebbero d'intensità nei giorni successivi, determinando la nostra volontaria ritirata sulle posizioni principali arretrate (pag. 214 del mio libro). Questa è la storia vera. Circa la formazione della V Armata nel triangolo VicenzaCittadella-Padova, il generale Capello scrive a pag. 259 che essa fu deliberata il 21 maggio, e a pag. 260 dà invece come giorno della deliberazione il 22. In realtà essa fu deliberata il giorno 20 a Vicenza, e il 21 mattina diedi in Udine ai comandanti della II 367
Caporetto, risponde Cadoma
e della III Armata gli ordini per la sua costituzione. La sera dello stesso 21 le prime truppe erano già in marcia (pagg. 215-216 del mio libro). Il generale Capello soggiunge a pag. 260 che «il solo appunto che si può muovere è che il provvedimento fu preso alquanto in ritardo, cioè il 22 maggio quando l1offensiva austriaca cominciata il 15 dello stesso mese si era già rivelata in tutta la sua importanza e serietà». Anzitutto questo provvedimento fu deliberato il 20 e non il 22 maggio, come ho detto. In secondo luogo io avevo piena fiducia di far fronte alla situazione con le truppe che si trovavano sulla fronte il 15 maggio e coll1immediato invio di ben 7 divisioni della riserva generale. Ma gli avvenimenti accaduti tra il 15 e il 20 maggio (prima dunque del grande attacco sull'altopiano dei Sette Comuni iniziatosi il 21 maggio) mi destarono gravi preoccupazioni circa un possibile sfondamento al centro; ed allora mi decisi ad ordinare la costituzione della V Armata, che prima non sembrava necessaria e che non volevo costituire senza necessità per non sovvertire lo schieramento della fronte Giulia. Più ampi schiarimenti su questo argomento si trovano a pag 215-216 del mio libro. Certo si è che la V Armata, il cui schieramento nella zona prevista fu ultimato il giorno 2 giugno (non il 5 come scrive il generale Capello) fu costituita perfettamente in tempo per adempiere al suo scopo. Circa poi il concetto della manovra -che avrei eseguito in caso di ritirata dall1Isonzo - dalla Carnia e dal Cadore verso il Piave concetto che ho svolto a pag. 223 e seguenti del volume I del mio libro, non sono mancati i soliti critici che l'hanno qualificato di scolastico, di teorico, non sembrando possibile una ritirata per giorni e giorni di tante forze fino al Piave-Sile, attraverso un paese abbandonato al nemico, sotto la pressione di un avversario imbaldanzito. Peccato per i critici che i funesti avvenimenti del seguente anno 1917 abbiano dimostrato, in condizioni enormemente più svantaggiose, la possibilità pratica di 368
Replica al Generale Capello
una tale ritirata! Poichè nel 1917 la ritirata fu forzata in seguito ad una battaglia perduta, e sotto la immediata pressione del vincitore; mentre nel 1916 sarebbe stata volontaria, colla scelta del momento e del modo opportuno. Inoltre le forze e le artiglierie ritirate dal11Isonzo nel 1917 furono di gran lunga più numerose di quelle che vi erano rimaste al principio di giugno del 1916; eppure la ritirata sarebbe stata nel 1916 molto più facile e più spedita. Eppure, in condizioni tanto più difficili, la ritirata fu effettuata nel 1917 in modo che l'esercito, ridotto a 38 divisioni impiegabili, ma scosse, potè resistere vittoriosamente a 55 divisioni nemiche esaltate dalla vittoria e dalla rapida avanzata, salvando la vita e l'onore del Paese! Altro che teoricismo! Qualche prova di spirito pratico mi sembra di averla pur data in 30 mesi di guerra! Naturalmente una simile manovra era necessario che fosse diretta con una certa abilità, ed evidentemente chi la giudicava impraticabile dava prova colla sua critica di non sentirsene capace! 4. - Note sulla battaglia di Gorizia. Il generale Capello, nel suo libro Per la verità - libro, sotto molti riguardi, di forte e convincente polemica - cade spesso in erronei apprezzamenti in ciò che mi riguarda. Mi occuperò ora di quanto egli dice nel capitolo II sulla presa di Gorizia. A pag. 43 egli scrive: «E' noto che, secondo le previsioni del Comando Supremo, l'offensiva dell'agosto 1916 doveva condurre soltanto alla conquista della testa di ponte di Gorizia (con frase indeterminata era detto nell'ordine: 11 alla conquista della soglia di Gorizia 11 ).» Anche nel suo libro: Note di guerra, pubblicato successivamente, il generale Capello, scrive a pag. 299 del volume I: «Del resto, l'ordine di operazione originale limitava l'obiettivo da raggiungersi, in un primo tempo, a prendere saldo possesso della soglia di Gorizia». Tale difatti è l'ordine. Tutti sanno che è buona regola tattica assegnare obiettivi vicini, 369
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Caporetto, risponde Cadorna
conquistati i quali se ne fissano altri secondo le nuove circostanze che si sono prodotte. Era perfettamente inutile stabilire obiettivi lontani quando dura precedente esperienza aveva dimostrato quanto fosse difficile la conquista della prima linea di difesa austriaca. Ma la stessa indeterminatezza del1 1espressione: «conquista della soglia di Gorizia» - indeterminatezza voluta, e giustamente rilevata dal generale Capello - avrebbe dovuto farlo accorto che il Comando Supremo non aveva stabilito una linea fissa su cui fermarsi definitivamente. Tanto è vero ciò, che l ordine fissava la soglia di Gorizia quale obiettivo da raggiungersi in un primo tempo, il che presupponeva un secondo tempo, nel quale l 1obiettivo non poteva essere fornito che dalle alture che cingono ad oriente la conca goriziana. Queste osservazioni non me le sarei attese dal generale Capello, il quale nel capitolo V delle Note di guerra mi rimprovera di aver dato, nel piano d 1operazioni, per obiettivo alle armate, dei punti lontani. Ma qui il caso era ben diverso: si ·trattava non già di un ordine di operazioni tattico, come nel caso di Gorizia, ma di direttive strategiche, ed è evidente che non si potevano assegnare per obiettivi alle armate dei villaggi o dei punti topografici prossimi alla frontiera, ma era necessario di spingere lo sguardo fino ai primi grandi obiettivi strategici, quali Lubiana e Trieste. Ma, secondo il generale Capello, io avrei dovuto assegnare degli obiètt~vi strategici vicinissimi e degli obiettivi tattici lontani. Mi duole perciò di non averla imbroccata nè una volta, nè Paltra; ma io ingenuamente credevo che si dovesse fare l1opposto. 5 E' poi massima elementare quella che in guerra i successi deb1
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Si può qui notare l'ironia, derivante da una logica stringente, della quale il Gen. Cadorna faceva largo uso secondo le testimonianze più accreditate. [C.C.] 310
Replica al Generale Capello
bono essere immediatamente sfruttati, anche per iniziativa dei comandanti inferiori, i quali sono i primi a constatare le possibilità di un tale sfruttamento. Per parte del Comando Supremo non sono mancati gli opportuni incitamenti, come ho esposto nel capitolo VI del mio libro "La guerra alla fronte italiana", sebbene, in conseguenza della gerarchia, fossi l'ultimo ad essere informato degli avvenimenti. A pag. 45 del libro "Per la verità", il generale Capello rileva che io gli avrei fatto perdere l'attimo fuggente favorevole per la conquista delle alture del S. Marco, non avendo concesso a tempo gli elementi celeri, ossia divisioni di cavalleria e battaglioni ciclisti, per sfruttare il successo ottenuto. Tale osservazione essendo stata da altri ripetuta, ed anche da qualche autorevole generale, credo opportuno chiarire i motivi che m'indussero a negare tale concessione; i quali si riducono al fatto che le circostanze non erano favorevoli all'impiego di tali mezzi celeri. Questi sono utili quando si verificano queste due condizioni: 1) quando lo sfondamento del sistema difensivo nemico è stato completo, in tutta la sua profondità, (non nella sola prima linea), in modo da poter dilagare celeremente al di là della rottura e procedere all1inseguimento del nemico; 2) quando il terreno al di là della rottura è favorevole all'impiego della cavalleria e dei ciclisti. Nel caso concreto nè l'una nè l'altra condizione era soddisfatta. Si era conquistata la prima linea (la testa di ponte di Gorizia) e si sapeva che esisteva un'altra forte linea sulle alture del S. Marco, e poi altre ancora. Dall'Isonzo alla linea del S. Marco vi è un breve tratto di pianura della profondità di soli 4 chilometri. Non era pertanto il caso di lanciare in quel ristretto spazio masse di cavalleria le quali, mentre non avrebbero ottenuto nessun risultato contro le intat371
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te linee del S. Marco, avrebbero, per contro, col denso polverone sollevato in quella calda stagione, attratto il tiro nemico anche sulle truppe di fanteria circostanti: il che avvenne realmente allorquando il generale Capello, riuniti 17 squadroni, li lanciò senza alcun efficace risultato in quella ristretta zona. Si desidera la controprova di quanto ho detto? Alla battaglia della Bainsizza il generale Capello mi rivolse richiesta di una divisione di cavalleria. Io tosto la concessi, ma essa non ebbe altro effetto che di produrre un forte ingombro sul fondo di Val d'Isonzo, mentre tre corpi d'armata lo stavano attraversando, e di cagionare forti perdite ad alcuni squadroni, i quali, per quanto grande fosse la loro bravura, non potevano che essere arrestati dalle nuove ed intatte linee occupate dal nemico sull'altopiano della Bainsizza. Sono invece i primi elementi di fanteria passati sulla sinistra dell'Isonzo, dopo la conquista della testa di ponte di Gorizia, che avrebbero dovuto lanciarsi, per iniziativa dei comandanti delle divisioni e delle brigate, alla conquista delle alture del S. Marco, se risultava che queste fossero debolmente occupate, invece di, fermarsi a Gorizia a soli due chilometri da quelle alture. E' per tal motivo che io telegrafavo al generale Capello di mettere le ali ai piedi ai suoi dipendenti. Nè si tiri in ballo la stanchezza delle truppe, perchè v(sono circostanze, come questa, nelle quali la loro resistenza deve essere sfruttata al massimo grado. Alle truppe, del resto, pesa molto meno la fatica quando sono eccitate per la conseguita vittoria, quando vedono dinanzi a loro un grande scopo da raggiungere. Durante il classico inseguimento effettuato dalla grande armeé fino al mar Baltico, dopo la battaglia di Iena, marciando 30 chilometri al giorno e vivendo i soldati sulle risorse del paese e sui magazzini nemici conquistati, Napoleone scriveva al maresciallo Soult: «Ils trouveront plus savoureux le pain de l'ennemi qu'une bonne brioche de Paris»; e voleva dire con quel suo stile artisti-
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Replica al Generale Capello
camente immaginoso che le truppe non sentono le fatiche e le sofferenze quando hanno il morale esaltato dalla vittoria. 6 Quanto alla seconda delle condizioni precedentemente accennate, perchè sia conveniente l'impiego delle truppe celeri, basta dare uno sguardo alla carta per persuadersi che essa non era soddisfatta. Difatti lo spazio piano e collinoso va restringendosi, a forma d'imbuto, ad oriente del S. Marco, tra le ripidissime pendici del Trstelj da un lato e quelle non meno ripide dell'altopiano di Ternova dall'altro lato. Perciò terreno meno adatto di questo all'impiego di masse di cavalleria e di ciclisti non si poteva immaginare! 5. - Offensiva dell'agosto 1917. A pag. 120 del vol. II delle sue "Note di guerra" il generale Capello riferisce il seguente brano di una «Memoria» da lui scritta sul finire del 1918: «L'offensiva, quantunque estesa al nord della conca di Tolmino, e più precisamente fino al Mrzlt mirava però, nel concetto del Comando Supremo, essenzialmente a due obiettivi: sulla fronte della III Armata all'Hermada; e sulla fronte della II Armata dapprima alla Bainsizza, poi all'altipiano di Ternova, nel concetto di facilitare con quest'avanzata le successive azioni della III Armata. «Se si esamina il concetto generale strategico della battaglia in rapporto agli obiettivi ed alla distribuzione delle forze, si manifesta chiara la figura di 6
Queste considerazio1ù valgono a confutare le asserzioni del maresciallo Caviglia circa il mancato intervento delle riserve per sfruttare il parziale sfondamento operato dal XXIV Corpo d'Armata sull'altipiano della Bainsizza e manovrare poi contro la destra della posizione di Gorizia. Tanto più in considerazione delle scarsissime vie di commùcazione che dal fondo Valle Isonzo adducevano alla Bainsizza. Osservo che nel 1917 i germaruci arrivarono sul Piave con le divisioni che avevano sfondato a Caporetto (la XII Divisione Slesiana). Se si fossero attardati ad attendere rinforzi o ad effettuare scavakamenti avrebbero perduto un tempo prezioso. Per nostra disgrazia non commisero questo errore. [R. C.] 373
Caporetto, risponde Cadorna
una grande battaglia frontale da Tolmino al mare. Il concetto di manovra infatti non appare che nell'interno delle sezioni di fronte delle singole due armate, perchè queste avevano una riserva sufficiente alle prime necessità di manovra del loro settore, ma non si riscontra la possibilità della grande manovra strategica sull'intera fronte di battaglia perchè il Comando Supremo non ebbe a sua disposizione la grande massa di manovra da gettare, con tutto il suo peso, sulla fronte della III Armata o su quella della II, per risolvere decisamente l'azione a seconda delle necessità insorgenti, e rendere decisivi i primi risultati ottenuti in questo o in quel settore. «Così infatti sulla fronte della II Armata fu risultato di manovra la caduta delle varie linee nemiche della Bainsizza scardinate dall'attacco convergente sulla conca di Vrh ove tutte si appoggiavano, e fu opera di manovra la caduta del Monte Santo avvenuta per aggiramento: e sarebbe pure avvenuta per manovra la caduta della testa di ponte nemica di Santa Maria e Santa Lucia se le operazioni avessero potuto avere completo sviluppo. «Ma i danni della ristretta visione del problema strategico nel quadro generale della grande battaglia non tardarono a manifestarsi. Sulla fronte della III Armata ·un effimero successo fu in breve annientato dalla pronta reazione del nemico, e sulla fronte della II il risultato iniziale notevolissimo ottenuto non potè tradursi in successo completo e decisivo.» ' Le osservazioni del generale Capello avrebbero avuto fondamento se la nostra guerra avesse avuto il carattere di quelle del passato secolo, fino al 1870; nel qual caso la fronte nemica sarebbe stata sicuramente sfondata fin dal 1915. Ma nel nostro caso era talmente difficile lo sfondamento che le considerazioni strategiche dovevano necessariamente passare in seconda linea rispetto a quelle di carattere tattico. Quando la completa rottura del fronte nemico avesse potuto aver luogo in una zona qualsiasi, avrebbero ripreso il sopravvento le considerazioni strate374
Replica aJ Generale Capello
giche allo scopo di sfruttare il successo al massimo grado in relazione agli obiettivi da raggiungere. Ciò malgrado, nel progetto d 1attacco furono conciliate le esigenze strategiche con quelle tattiche: le prime mirando colla II Armata all 1altopiano di Ternova e colla III all altopiano di Comen (poichè il possesso dell1uno o dell1altra altopiano ci avrebbe aperto le comunicazioni della Valle del Vippacco verso Lubiana e verso Trieste); le seconde, estendendo la fronte di attacco quanto lo consentivano i larghi mezzi di artiglieria di cui ormai disponevamo e rendendo cosi più facile lo sfondamento in qualche tratto del fronte del nemico, costretto cosi ad assottigliare le sue assai più scarse forze. Il concetto offensivo è chiaramente espresso a pag. 81 del vol. II del mio libro La guerra alla fronte italiana e credo opportuno di b·ascriverlo: 1
Preparazione della futura offensiva. Gli obietti vi dovevano esse r e: per la I I I Armata l'altopiano di Comen; per la zona di Gorizia (trasformata poi i n II Armata) l'altopiano di Ternova e l'altopiano della Bainsizza, principale il primo, sussidiario il secondo, in quanto quest'ultimo doveva essere obiettivo di t r ansizione e zona di manovra per facilitare la conquista dell'altopiano di Ternova e consolidarne il possesso. Fra i due settori si delineava in tal modo un'interposta zona di minore attività, offensiva - quel la del l'anfiteatro goriz iano (limite nord : la linea Salcano-Cronberg-Loke-Ossegliano Vitavlje; l imit e sud: il Vi ppacco ) ove oper e r ebbe un gr uppo tattico autonomo, dest i nato a collegare e lasticamente le operaz ioni dell'altopiano di Ternova e quelle del1' a l topiano carsico, e ad addentrarsi verso oriente quasi esclusivamente per virt ù dei progress i ot t e 375
Caporetto, risponde Cadorna
nuti per l'alt o, lungo le due rive marginal i dalla due armate confinanti. L'autonomia di tale gruppo non escl udeva che esso, a volta a volta, potesse essere all a dipendenza tatt ica del l'una o dell' altra armata, come la situazi one tattica fosse per consigl iar e. Per quanto particolarmente concerne il settore di Tolmino-S. Gabriele, soggiungevo che non potendosi, senza incorrere in una sterile e dannoso dispersione di mezzi, esercitare uniformemente lo sforzo offensivo su così ampia fronte, ed essendo d 'altra parte l'ampiezza imposta dalla necessità d'impegnare considerevoli forze nemiche, si doveva distribuire e graduare nei vari tratti l'intensità dello sforzo stesso, associando con giusto riferimento alla funzione reciproca dei due obiettivi (Bainsizza e Temova) dimostrazioni offensive ed operazioni risolutive. Ed a pag. 88 così scrivevo: Dopo l'ordine del 28 maggio sopraccennato, il Comando Supr emo non emanò pi ù ordini seri t ti per l'offensiva, ma si limitò ad ordi ni verbali ai comandant i d'armat a, allo scopo di non trascurare alcun mezzo per mant enere i l segret o. Il concetto fondamentale dell 'operazione rimane quel lo che e r a stato fissato i n quell'ordine, e che è diverso da quell o appl icato nelle precedent i offensive. I n queste, per la minor quantità di artiglie rie disponi bili, si erano attaccate successivamente diverse parti del fronte, associando l'att acco a fondo di una parte con , az ioni dimost rative sull'altra. Invece, ne l l'offensiva di agosto la ingente di sponibilità di a r tigli erie permise di estende re l' attacco contemporaneo al l 'ampia fronte che si estende dal mare f i no a sud di Tolmino, solo at tenuando in corrisponden za del l'anfit eatro goriziano, per l e r agioni dette nell'ordine del 28 maggio, e l imitandosi sulla fronte della II Armata, in quei tratti 376
Replica al Generale Capello
che il comandante di questa avesse giudicati opportuni , all'attacco dimostrativo. I n tal modo, se i l nemico dist r i buì va uniformemente l e sue truppe, a noi not evol mente inferiori, sull 'ampi a fronte, sarebbe stato debol e ovunque; se invece fosse stato più forte in a l cuni settori, sarebbe s tato più debole i n a l tri, ed ivi sarebbe s t ato più f acile lo s fondamento. Le riserve delle armate e quelle a disposizione del Comando Supremo dovevano essere dislocat e i n modo, lungo t utta la fronte, che i n qualunque punto avvenisse l a r ottura se ne trovassero alcune a portata per allargare l a breccia e spingere risol utamente l ' avanzata, mentre altre avrebbero seguito. Ed infatti , determinatosi lo sfondamento della fronte nemica sul l'altopiano di Bainsizza, il Comando Supremo spostò rapidamente le riserve, mentre faceva cont inuare la pressione sul Carso. Aff ermandosi il successo col vittori oso procedere delle nostre truppe sull' altopiano di Ba insizza, alle truppe del Carso fu fatto assume re att eggi amento potenziale per appr ofi ttare di qual siasi segno di indeboli mento dell'avversari o da quella parte . Il generale Capello, anche per questa battaglia, mi critica per aver eseguito un attacco frontale. Ma, di grazia, vorrei sapere come egli avrebbe fatto eseguire un attacco aggirante contro un nemico che aveva una fronte continua dal mare .al M. Nero ed oltre, fino allo Stelvio. Il generale Capello afferma che fu risultato di manovra la caduta delle linee nemiche della Bainsizza e del M. Santo, e che sarebbe pure avvenuta per manovra la caduta della testa di ponte di Tolmino, se le operazioni avessero potuto avere completo sviluppo. Sì, per manovra, nella quale però tutti gli elementi manovranti dovettero o avrebbero dovuto superare mediante attacco frontale le difese nemiche, prima di far sentire gli effetti della manovra: tant'e vero ciò che la testa
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Caporetto, risponde Cadoma
di ponte di Tolrnino non potè essere aggirata perchè non riuscì l'attacco frontale del XXVII Corpo contro le posizioni nemiche dei Lom . In simile modo, e su assai più vasta scala, sarebbero cadute per manovra tutte le posizioni nemiche dell'anfiteatro goriziano, se la II Armata fosse riuscita ad impadronirsi (mediante attacco frontale) dell'altopiano di Temova, o la III dell'altopiano di Comen. Era una vastissima manovra quella escogitata dal Comando Supremo, consentita questa volta dalla notevole superiorità, di truppe e di artiglieria; ma la sua riuscita era subordinata alla precedente riuscita dell'attacco necessariamente frontale contro gli altipiani della Bainsizza e di Ternova da un lato, e contro l'altipiano di Comen dall'altro. Ed io non posso che esprimere la mia meraviglia per essere costretto a fornire la dimostrazione di cose sem plici ed evidenti a chiunque non abbia la mente offuscata dal desiderio della critica ad oltranza! 7 Per l'attuazione del concetto del Comando Supremo, le forze furono così distribuite: alla II Armata 26 divisioni e mezzo; 1 divisione cavalleria, 2366 pezzi, poco più di 900 bombarde; alla III Armata 18 divisioni, 1200 pezzi circa, poco meno di 800 bombarde. Riserva, a disposizione del Comando Supremo, 6 divisioni e mezzo, più una division e e mezzo di cavalleria. Colle sue forze la II Armata doveva provvedere all'occupazione dell'anfiteatro goriziano con 4 divisioni e circa 150 pezzi di grosso e media calibro.
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In sostanza, coi fronti stabilizzati e continui, qualsiasi operazione offensiva presupponeva una battaglia di rottura. Era questo primo risultato, indispensabile, particolarmente difficile, dato, in quell'epoca, il prevalere della fortificazione campale e deJle armi difensive su quelle offensive. Eterno duello fra il cannone e la corazza! (R. C.).
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Replica al Generale Capello
Ma anche sulla distribuzione delle forze mi critica il generale Capello poichè «il Comando Supremo» egli scrive «non ebbe a sua disposizione la grande massa di manovra da gettare con tutto il suo peso sulla fronte della III Armata o su quella della II, per risolvere decisamente l'azione a seconda delle necessità insorgenti e rendere decisivi i primi risultati ottenuti in questo o in quel settore.» Questo importante argomento delle riserve l'ho già largamente trattato a pag. 84-85 del vol. II del libro La guerra alla fronte italiana, ma sarà utile riferire ciò che allora scrivevo:
Potrebbe sembr are che l e riserve a disposi zione de l Comando Supr emo fossero scars e e non organicament e cost ituit e i n un 1 armat a di manovra da ge t tare con tutto il suo peso sulla fronte della III Armata o su quella della I I , allo s c opo di e f fettuare una grande manovra strat egica sull 1 i ntera fronte di bat t a gl i a . Ma chi dicesse c iò da r ebbe prova di non conosce r e i cara t t eri della grande battaglia moderna. La funzione delle r i s e rve è sempre sta t a i n questa gue rra que l l a di tamponare l e br e cce nella difensiva e di alimentare l'of fensiva, sia raf fo rzando le truppe che si foss e ro aperte un varco per di l agare a l di là, sia dando i l cambi o alle unità logora te durante la battaglia. Cos ì l a riserva del marzo-giugno 1915 f u condotta dall a fronte Tridenti na all a fronte Gi ul ia per alimentare l'offensiva. Que lla del maggio 1916 fu t rasportata dal Tagl iament o all a f ronte Tr i dent ina per chiudere la br ecci a i vi apert asi. La V Armata, che pure e r a organi camente costi tuita, quando nel giugno 1916 scomparve l'event ualit à di dover la adoperare contro i l nemico che fosse sboccato i n pianura, fu impiegata ad aliment a r e l 'offensiva sugl i Al t i piani ed a sosti tuire l e unit à l ogore. Così accadde nell e battagl ie of fens i ve del
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1917 . Perfino l a IX Armata, che costituiva riserva strategica nel giugno 1918, non ve nne i mpiegata i n azione autonoma, ma funzionò come s erbatoi o delle armate s fondate (VIII e III) , e ad esse cedette , una dopo l' altra, le sue divisioni, fino a rimanere costit uita di due divis ioni r esidue! Non altrimenti il maresciallo Ludendorff nell'autunno 1918 impiegò l a sua armata di riserva cercando di tamponare i tratti sfondati, ma non in azione a utonoma . Nè risulta che i l maresciallo Foch abbia adoperato nel 1918 armate autonome di rise rva quando i tedeschi si incunearono nelle linee franco-inglesi verso Amiens e Chateau Thi erry . Nè potrebbe essere a ltrimenti, poichè non sarebbe agevole far muovere rapidamente grosse armate di riserva , che richiedono numerose strade ravvicinate e sovrapporle ad altre armate già impegnate . E poichè le riserve , quand ' anc he dipendano dal Coma ndo Supremo, devono, al momento di adoperarle, passare agli ordini dei comandanti di a rmata che già comba ttono, così è opport uno abbondare fin dal principio del la battaglia nelle riserve a disposizione delle armate e tenere agli ordini del Comando Supremo quelle sole che siano giudicate necessarie a fa r fronte a casi imprevisti . Tale c riterio ha t anto maggi or peso quando gli obiettivi delle armate sono t r a loro l ontani, come avveniva nel caso concreto del quale discorro. Difatti un 'armata doveva. agi re sul Carso, l' altra verso l ' a ltipiano di Bainsizza, ed erano separate dalla conca gori ziana . Erano percio due battaglie pressochè indipendenti, solo coordinate nel tempo . Conseguiva perciò l a poca opportunità di costituire una riserva centrale molto forte ed organicamente riunita in una pesante grossa armata . Tali sono i c riteri che mi hanno guidato nella distribuzione e costituz ione del le riserve.
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Replica al Generale Capello
Avrei potuto aggiungere che nemmeno nel 1870, nell'ultima grande guerra manovrata, vi è una intera armata destinata a riserva generale sul ,campo di battaglia. Perfino a Gravelotte, dove si combattè la più grande battaglia di quella guerra, non vi sono armate di riserva generale; si trovano invece due armate, a fianco l'una dell'altra, ciascuna delle quali costituisce riserve proprie in relazione ai concetti del Comando Supremo. Che cosa avrebbe detto il generale Capello se sull'altipiano della Bainsizza, perc,o rso da scarse e cattive strade, ingombre dalle trupp~ e dai servizi della sua armata, avessi lanciato una intera armata di riserva1 agli ordini naturalmente di un altro comandante, i cui servizi si sarebbero inevitabilmente frammischiati con quelli della II Armata? Quale ingombro e quale confusione! Egli mi avrebbe certo aspramente criticato, e con piena ragione! Il 26 agosto, tenuto conto che l'offensiva su111altopiano della Bainsizza sembrava aver perduto il suo impulso, ed in vista di una ripresa offensiva sul Carso, io pregavo i comandanti della II e III Armata di preparare il futuro dispositivo di attacco sulla base della cessione da parte della II Armata alla III di 300-400 pezzi di medio calibro (pag. 104 del vol. II del mio libro La guerra alla fronte italiana). E il generale Capello così commenta a pag. 125, vol. II, delle Note di guerra: E' l'antico concetto di far servire l'azione della II Armata al raggiungimento diretto ed immediato degli obiettivi della III, così come già si era fatto per l'offensiva di maggio. E sempre il concetto preminente della puntata frontale su Trieste. «E così anche in questa occasione si sottraggono potenti mezzi alla II Armata, che non ha finito il suo compito, per passarli alla III. E' il solito sistema di non condurre mai a fondo nessuna azione ... per continuare a romperci la testa contro I1Hermada. Che al generale Capello, il quale contemplava la situazione, non dal punto di vista generale, ma da quello unilaterale della II 381
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Armata, dispiacesse che gli si sottraessero provvisoriamente 300-400 pezzi, lo si comprende facilmente. Io non mi prefiggevo di perseguire ad ogni costo la puntata su Trieste. A me era indifferente che la rottura del fronte nemico avvenisse in direzione di Trieste o in quella di Lubiana, purchè avvenisse in qualche tratto del fronte essendo essa ovunque difficile. Avvenuta in qualunque luogo la rottura, si sarebbe mano- , vrato in modo da allargarla e da avanzare verso gli obiettivi di Trieste e di Lubiana. Ora, qual era la situazione il 26 agosto? Sul Carso, dove già lo schieramento di artiglieria era preparato, si poteva sperare, con un rinforzo di 300-400 pezzi di medio calibro, inatteso dal nemico, di ottenere un risultato decisivo. Ma sulla Bainsizza? Lo sfondamento era penetrato di ben 10 chilometri nella fronte nemica, ma di altrettanto si erano allontanate le fanterie dal nostro schieramento di artiglieria, del quale non avevano più l appoggio; il nemico si era ritirato sulle posizioni costituite dal più elevato gradino del1 1altopiano, che copriva il vallone di Chiapovano, e tali posizioni non si potevano attaccare senza l 1appoggio delle artiglierie; per portare innanzi le artiglierie in quel difficile terreno, scarsissimo di strade, si richiedeva molto tempo. L 1attacco aveva perciò perduto il suo impulso. Lo dice lo stesso generale Capello a pag. 118 del vol. II delle Note di guerra: «L'inizio della battaglia fu superbo e parve legittimare qualunque speranza; poi la spinta perse vigore, finche si anestò. Quali le ragioni? Anzitutto una serie di ragioni naturali, e, dirò così, fatali: le difficoltà di varia natura, la diminuzione d 1appoggio da parte delle grosse artiglierie rimaste sulla destra dell'Isonzo, per difficoltà grandissirne d 1ordine tecnico e logistico, la scarsa conoscenza del terreno, le aumentate resistenze avversarie ed anche, ammettiamolo pure, la stanchezza delle truppe.» Il generale Capello enumera poi altre cause - che io tralascio di riferire dipendenti dalla condotta delle truppe. Ma, domando io, si 1
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doveva insistere nel1 1attacco quando le resistenze avversarie erano aumentate e nello stesso tempo non si aveva più l'appoggio delle artiglierie pesanti, nè per lunghissimo tempo lo si sarebbe potuto avere, data la necessità di costruire nuove strade in così difficile terreno? E durante questo lungo tempo dovevo rimanere inoperoso, mentre mi si offriva la possibilità di continuare l'attacco sul Carso, dove già era pronto lo schieramento di artiglieria, e altro non occorreva che di rinforzarlo? Queste ragioni sono più che sufficienti a spiegare il mio ordine, senza bisogno di ricorrere alla mia idea fissa della puntata frontale su Trieste, per eseguire la quale io avrei proseguito nel «solito sistema di non condurre mai a fondo nessuna azione». Ma se avessi voluto condurre a fondo l'attacco nelle condizioni dianzi descritte, ne sarebbe certamente derivato un inutile macello, e il generale Capello mi avrebbe fatto oggetto -- questa volta con ragione - dei suoi strali! Del resto, quanto all'importanza di Trieste quale grande obiettivo strategico, la desumerò dalle parole di un nemico. !I generale Konopicki, già capo di Stato Maggiore dell1arciduca Eugenio, comandante supremo austriaco, cosi scrive a pag. 424 del vol. V dell'opera in 10 grossi volumi dello Schwarte, Der grosse Krieg 1914-18: «Già la decima battaglia dell'Isonzo, 12 maggio-6 giugno 1917, aveva prodotto la più grande tensione sul fronte carsico dell'esercito austro-ungarico. Eravamo bensì riusciti con un bene organizzato contrattacco a paralizzare i successi locali raggiunti dagli italiani sull 1altopiano di Comen. Ma la situazione rimase dopo, come prima, critica al più alto grado. Una perdita di terreno che su altri teatri di guerra il difensore poteva subire senza troppo grave danno poteva qui, nell'ala sud del fronte austriaco-italiano, avere un1influenza decisiva, non soltanto sulle armate che quivi combattevano, ma anche sulla totale situazione della guerra mondiale. La perdita di Trieste avrebbe avuto maggior significato di quella di un1importante piazza marittima e della posizione dell'Isonzo.» 383
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E il maresciallo von Hindenburg, nel suo libro Dalla mia vita, così scrive a pag. 193 della traduzione italiana: Nella undicesima battaglia dell'Isonzo Cadoma aveva guadagnato realmente molto terreno. Tutte le perdite di terreno fino allora avvenute erano state tali da potervisi rassegnare; esse erano, come la nostra abbondante esperienza insegnava, una conseguenza naturale dell 'effe tto distruttore dei mezzi d'attacco anche contro la difesa più solida. Ma ora le linee di resis tenza austro-ungariche erano respinte all'orlo estremo: se gli italiani avessero guadagnato nuovo terreno dopo rinnovata preparazione, la situazione dell'Austria nei riguardi di Trieste non avrebbe potuto più reggere. Quindi Trieste è seriamente minacciata. Ma se quella città cade, guai! Come Sebastopoli nella guerra di Crimea, così Triestè sembra essere decisiva per la guerra fra Itali.a ed Austria. Trieste, per la monarchia danubiana, non ha soltanto un valore ideale, ma anche uno reale: dal suo possesso dipende anche in avvenire una gran parte della libertà economica dello Stato. Epperò è necessario che sia salvata: e, visto che non si può salvarla altrimenti1 occorrono aiuti germanici. Non pare dunque1 secondo la stessa opinione dei nemici, che gli attacchi sul Carso siano riusciti completamente infruttuosi1 e che l'obiettivo di Trieste non meritasse lo sforzo di condurli a fondo. Per brevità non rilevo altre critiche di minor conto contenute nel capitolo XVI delle Note di guerra del generale Capello, alle quali critiche ho già risposto n el mio libro La guerra alla fronte italiana.
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CAPITOLO VIII LE CAUSE STRATEGICHE DEL DISASTRO DI CAPORETTO
Le cause del disastro di Caporetto furono di doppio ordine: militari e morali. Di quelle morali ho discorso a lungo nella Parte prima di questo libro. Parlerò ora di quelle militari. Esse furono attribuite alla cattiva scelta della linea difensiva e alle disposizioni date dal Comando Supremo, dal comandante della II Armata e dai comandanti del IV e del XXVII Corpo. Discorrerò dettagliatamente di tali argomenti, avvertendo che al Comando Supremo non fu fatto dalla Commissione d 1inchiesta alcun serio appunto circa le disposizioni da esso date, e che queste disposizioni riferirò nell 1esaminare gli ordini e la condotta dei comandi dipendenti. 1. - Il fronte difensivo il 24 ottobre 1917. Essa non era costituita da una linea di difesa deliberatamente scelta ad esclusivo scopo difensivo, ma era quella sulla quale si era arrestata I1offensiva della Bainsizza, la quale, in cons-e guenza della guerra di posizione che si era imposta su tutte le fronti europee, non aveva prodotto, al pari di tutte le precedenti offensive, che risultati incompleti. Liberi di scegliere un fronte di difesa tenendo esclusivo conto delle migliori condizioni difensive, si sarebbero dovute abbandonare tutte le posizioni sulla sinistra dell 1Isonzo tra il M. Nero e il M. Santo; così la linea di difesa notevolmente raccorciata si sarebbe sviluppata dal M. Canin per lo Stol e la catena del Kolovrat e del Korada fino al M. Sabotino. Ma sarebbe stato conveniente, alla prima minaccia di offensiva nemica, di sgombrare posizioni che erano costate tanto sangue per conquistarle, che rappresentavano perciò un grande valore morale e che erano scala alla conquista di successive posizioni? Poichè non si 385
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doveva dimenticare che la nostra doveva essere guerra offensiva. Tale abbandono poteva essere giustificato, sarebbe stato anzi doveroso (ed era stato dal Comando Supremo previsto1 al pari di quello del Carso fino a Vallone), quando, il nemico attaccando con forze superiori contemporaneamente sulle fronti Giulia e Tridentina, fosse stata necessaria la costituzione di una forte riserva centrale tra le due fronti. Ma non era questo il caso, quando l'attacco stava per sferrarsi sul solo fronte Giulia e le nostre forze erano nel complesso, superiori a quelle nemiche. Date qu este condizioni1 quale impressione avrebbe fatto nel Paese l'abbandono di posizioni importantissime, la cui conquista era costata tanti sacrifici ed al cui nome era legato il ricordo di leggendari episodi guerreschi, come quello del M. Nero, oppure di grandi e gloriose vittorie, come quella della Bainsizza? Dunque la nostra linea di difesa doveva essere necessariamente quella che era risultata - salvo parziali rettifiche - in seguito alla sospensione dell'offensiva della Bainsizza. Ma in quali condizioni si trovava questa linea? Ha qualche fondamento l'osservazione fatta da taluno che essa era cosi debole che, inevitabilmente1 era condannata a cadere? Il tratto più debole era certamente quello corrispondente all'altopiano di Bainsizza1 sia perchè si sviluppava su terreno dominato dal nemico, sia perchè la triplice linea di difesa ordinata dal generale Capello era ancor lungi dall'essere compiuta. Ma questo tratto non fu seriamente attaccato. Limitandosi a considerare il tratto di fronte dove avvenne lo sfondamento, osserverò che erano tutte posizioni fortissime, di doppia e triplice linea fortificata. Nella conca di Plezzo vi era un tratto meno forte sul fondo valle, ma compensato dalla difficoltà per il nemico di far sboccare grandi forze dalle anguste valli dell'alto Isonzo e della Koritenza, il cui sbocco era efficacemente battuto dalla nostra artiglieria. A tergo di questa prima linea vi era la formidabile stretta di Saga, munita di triplice linea di difesa ed appoggiata 1
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Le cause strategiche del disastro di Caporetto
ai dirupi del M. Canin e del Polunik. Ed a tergo ancora i monti dello Stol, ove si appoggiava l 1ultima linea di difesa. Tutto questo insieme di posizioni fortificate era talmente formidabile che strappò al generale Krauss, comandante delle truppe austriache attaccanti, le parole che si leggono a pag. 222 del suo libro Die Ursachen unserer Niederlage, le quali ben descrivono le difficoltà del1 1impresa cui egli si accingeva. Esse sono le seguenti: "Il 21 settembre mi condussi al fronte per contemplare ancora una volta il complesso della posizione nemica. Allorchè dall 1osservatorio a ponente di Plezzo mi si presentò la veduta complessiva del bacino, mi battè il cuore pensando alle difficoltà dell'impresa. Come una colossale vasca da bagno si presentava innanzi a me la conca di Plezzo. A destra salivano i versanti rocciosi del Rombon elevati 1800 m. sul fondo della valle, e più in là, verso levante, il Canin, il quale dominava di più di 2000 m. il fondo valle. A sinistra, dalla dorsale di Polunik, precipitavano ripidi, rocciosi, boscosi versanti, verso il Soca, per 1200 metri di altezza. E dinanzi a me, verso levante, saliva la larga dorsale dello Stol, come una forte prominenza verso le nuvole. Sotto di me si estendeva il largo fondo valle colla borgata di Plezzo e la rotabile che si svolgeva come un grigio nastro, il quale s~_o mpariva nello sfondo, laddove la conca si restringe dietro il basso sperone del Podcelom. Nel1 1ultimo sfondo ai piedi dello Stol, si scor gevano, illuminate, trasparire dai vapori le case di Saga." L'insellatura di Za Kraju, che fu sfondata,1 rimanendo aggirato 1
A pag. 167 del vol. II del mio libro La guerra alla fronte italiana affermavo che forze nemiche dilagavano verso le ore 14 del 24 ottobre nel conca di Za Kraju e scendevano verso le 17 a Caporetto. Dopo la pubblicazione di quel libro mi si è fatto osservare da testimoni oculari che soltanto la mattina del 25 le nostre truppe si ritirarono - non incalzate dal nemico - dal Vrata, dal Vrsic e dal Krasi. Io riferisco questa correzione per amor di esattezza, ma tengo a dichiarare che ho desunto i dati di facto da me riferiti da un documento ufficiale comunicato alla Commissione d'inchiesta per Caporetto, il quale porta la data del 20 gennaio 1918, ed è perciò molto posteriore al giorno in cui lasciai la carica di capo di Stato Maggiore dell'esercito. 387
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il massiccio del M. Nero, costituiva pure una fortissima posizione, racchiusa com 1era tra le alte rupi del Krasji Vhr e del Vrsic, coll'unico accesso dall'alta valle dello Slatenik Potok. La posizione del Mrzli, la quale cadde subito al primo attacco, aveva bensì i difetti, ma anche i vantaggi delle posizioni in contropendenza, principale tra i quali quello di esporre il nemico attaccante sul terreno scoperto ai tiri convergenti delle grandi masse di artiglieria schierate su tutti i monti circostanti. Ed a tergo, a poco più di tre chilometri di distanza, si trovava la fortissima p osizione del Pleka-Spika. Il fondo di Val d 'Isonzo non sarebbe stato difficile da difendere contro un attacco da Tolmino, se le due linee fortificate che lo sbarravano fossero state saldamente occupate come il comandante di armata aveva ordinato, se dai due fianchi della valle, specialmente da quello meridionale, fossero stati pronunciati forti contrattacchi e se le masse d 'artiglieria schierate sui monti laterali avessero funzionato a dovere. Se invece fu possibile alla 12a divisione slesiana, che iniziò l'avanzata nel mattino da Tolmino, di giungere verso le 16 a Caporetto, non lo si può certamente attribuire a cattive condizioni naturali di difesa. Finalmente, di fronte alla testa di ponte di Tolmino, se era innegabile l'inconveniente di avere le tre linee di difesa, molto ravvicinate, su una profondità di tre chilometri, e soggette al fuoco dello schieramento d 'artiglieria nemico, tale inconveniente era di molto attenuato dal fatto che le due ultime linee di difesa si svolgevano su posizioni formidabili e dall 1esistenza a tergo di una quarta linea di difesa che da M. Kuk per S. Martino andava a M. Xum e a Srednie, la quale, sebbene non molto robusta per i lavori eseguiti, era suscettibile di tenace difesa, sia per la forza del terreno, sia perchè nascosta all'artiglieria nemica, il cui schieramento era molto lontano. Scrive infatti il generale Bongiovanni nell'opuscolo Il comando del VII Corpo d'Armata nella battaglia di Caporetto: 388
Le cause strategiche del disastro di Caporetto
«Rilevai ben presto l ' a l ta importanza della l i nea fortificata arretrata di S. Martino-Napur-M. Xum, la quale att accandos i alle pendi ci del Mataj ur , a valle di Cepletiskis, correva paral lel amente al la l i nea del Kolovrat , e poteva dar luogo a una potent e arginatura, secondo la teori a dei compar timenti stagni allora mol to in voga.» In conclusione, la linea sulla quale si è combattuto consentiva ovunque una salda difesa, a tal segno che il Koster, in un articolo della Frankfurter Zeitung, citato a pag. 146 del vol. II del mio libro La guerra alla fronte italiana, scriveva: «... il terreno e ra irto di ostacoli. . . non mancavano le voci che ritenevano l'impresa pazzesca.» Del resto la presente guerra ha dimostrato su tutte le fronti del teatro europeo che qualunque linea è suscettibile di efficace difesa, anche se le sue condizioni tattiche non sono le più vantaggiose, quando sia ben sistemata e la difesa sia condotta con la necessaria energia! Le critiche fatte avrebbero ragione d'essere qualora, essendo state difese colla necessaria energia, le posizioni avessero dovuto essere abbandonate per la cattiva organizzazione difensiva. Ma è ormai noto a tutti come si sono svolti gli avvenimenti ed è pur noto che quando, dopo la vittoria di Vittorio Veneto rioccupammo quelle posizioni, tro-vammo intatti i reticolati, senza la distruzione dei quali non è possibile nessun attacco! ... 2. - L'azione del comando della II Armata. Gli ordini del Comando Supremo al comando della II Armata riflettenti la preparazione della difesa sono due: il primo è del 18 settembre, il secondo del 10 ottobre. Giudico opportuno riprodurli, avvertendo che l'ordine del 18 settembre, sebbene fosse fondamentale, non fu dal generale Capello pubblicato nel suo primo libro Per la verità e apparve solo più tardi nelle Note 389
Caporetto, risponde Cadoma
di guerra, quando era già stato da altri pubblicato.
18 settembre 1917 A S.A.R. il comandante della III Armata A S. E. il comandante della II Armata Il continuo accrescer si del le fo rze avversa rie sulla fronte Giulia fa rite nere probabile che il nemico si proponga di sferrare qui vi prossimamente un serio attacco, tanto più vi olento quanto più ingenti forze esso potrà distogliere dalla fronte russa , dove la situazione sembra precipitare a tutto vantaggio dei nostri avversari . Tenuto conto di c i ò , della situazione dei complementi e del munizionamento , ben not i a V. A. R. (a V. E. ) decido di rinunciare alle progettate operazioni offensive e di concentrare ogni attività nelle predisposizioni per la difesa ad oltranza, affi nchè il possibile attacco ci trovi validamente preparat i a rintuzzarlo . A tale precisa direttiva prego pertanto V. A. R. (V . E. ) di orientare fin d 'ora ogni predisposizione , delle truppe , lo schieramento del le artiglierie ed i l grado di urgenza dei lavori . Il capo di Stato Maggiore del l' esercito L. CADORNA
**** 10 ott obre 1917 A
S. E. il comandante della II Armata
Prendo atto del telegramma n . 5757 in data di ieri . Concordo con codesto comando nel ritenere possibile
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Le cause strategiche del disastro di Caporetto
un'offensiva nemica s u codesta f ronte e soprat t utto nel gi udicare necessari ed urgenti tutti i provvedimenti intesi ad adeguatament e fronteggiarla. A questo fine bene rispondono l e diret t i ve n. 5757 diramate 1'8 corrente ai comandi dipendenti e inviatemi in comuni cazione. Le approvo in massima e particolannente r ichiamo l ' attenz ione di codesto comando su alcune questioni di impor tanza capitale per la condotta della difesa. 1) La difesa delle linee avanzate sia affidata a poche forze facendo fondato assegnamento sull'uso delle mitragliatrici, sui tiri di sbarramento e di interdizione delle artiglierie, sull'organizzazione dei fiancheggiamenti. Questo concetto deve avere larga e appropriata appli cazione nella zona a nord dell 'Avschek, dove la limitata efficienza difensiva dell e nostre posizioni consigl i a un assai parsimonioso i mpi ego di t r uppe, pena uno sterile l ogoramento delle energie della di fesa. Il XXVII Cor po dovrà pertanto gravi tare colla maggior part e del le sue forze sull a destra dell'Isonzo. 2) Perchè qualsiasi even t o, compresi quel li piu i nverosimil i non ci colga impreparati, dei medi calibri non rimangano sull'altopiano di Ba insizza che quel li piÚ mobili; ed anche per questi non si tralasc i di predisporre, in dannata ipotesi, mezzi acconci per un tempestivo ripiegamento. 3) Durante il tir o di bombardamento nemico, oltr e ai tiri sulle l ocalità di affl uenza e di raccolta di truppe, sulle sedi dei comandi ed osser vatori, ecc., si svolga una violentissima contropreparazione nostra. Si concentri il fuoco dei medi e grossi calibri sulle zone di probabile irruzione delle fanterie, le qual i essendo espos te i n linee improvvisa391
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te, prive o quasi di ricoveri, ad un tormento dei piu micidiali, dovranno essere schiacciate sulle trincee di partenza . Occorre, in una parola, disorgani zzare e annientare l 'attacco ancora prima c he si sferri, disorganiz zazione e annientamento che il nostro poderoso schieramento di artiglierie sicuramente consente . 4) II nemico suole lanciare le fa nterie dopo brevissima preparazione di fuoco : si tenga presente questa possibilità, e artiglieri e fanterie siano in ogni i stante vigili e pronte a prevenire ed a rintuzzare l ' attacco . II capo di Stato Maggiore dell ' esercito L.CADORNA
Nel libro Per la verità e nel capitolo XVII delle Note di guerra il generale Capello insiste sulla opportunità della controffensiva in grande stile che egli considera come il miglior mezzo per mandare a vuoto l'attacco austro-tedesco. A me sembra di possedere, per naturale temperamento, altrettanto spirito offensivo quanto il generale Capello, e mi pare di averne dato sufficiente prova nel lungo tempo in cui ebbi la direzione della guerra. Ma l'offensiva ad ogni costo ed in tutti i casi, può condurre alle più serie conseguenze. Nel capitolo X del mio libro La guerra alla fronte italiana ho ampiamente svolto le ragioni che la sconsigliavano nel caso che si esamina, e mi pare opportuno ora di ripetere quanto allora ho scritto: "Ma è ora necessario accennare le ragioni che militavano pro e contro una controffensiva in grande stile sull'altipiano di Bainsizza. Pensava il comandante della II Armata che il valore del nostro soldato è assai più elevato nell'offensiva che nella difensiva; egli era d'avviso che si dovesse parare l'azione avversaria o con un attacco, o almeno apprestando una poderosa
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Le cause strategiche del disastro di Caporetto
controffensiva strategica. A tale scopo rispondeva bene lo schieramento delle artiglierie e la preparazione che si andava facendo delle migliori brigate di fanteria. Questa controffensiva da effettuarsi con una massa di sei brigate ben preparate sarebbe dovuta partire dalla conca di Vhr (come il comandante della II Armata disse nelle conferenze tenute il 17-18 ottobre ai comandanti di Corpo d'Armata) e svolgersi «nelle direzioni che si riterranno le più convenienti. » Queste direzioni possibili, soggiungeva eglt erano tre, cioè: verso nord-est, «molto redditizia per paralizzare un attacco nemico partente da Santa Lucia e volgere la situazione a nostro vantaggio»; verso est, «per rompere le linee a cavallo delle strade che conducono nel vallone di Chiapovano verso l'Idria»; verso sud-est, «per mettere piede sull'altopiano di Ternova e puntare sulla grande linea difensiva dell'altopiano». Era poi indicata come direzione più probabile quella verso nord-est. Dal canto mio mi opposi al piano controffensivo a grande raggio proposto dal comandante della II Armata perche s'inspirava, a mio avviso, ad una concezione di manovra che era in contrasto con gli insegnamenti della presente guerra; perchè si basava su aleatorie ripercussioni strategiche che l'esperienza dell'ultima offensiva dimostrava incontestabilmente poco promettenti. Delle tre direzioni controffensive proposte, prescindo da quelle verso est e verso sud-est che egli stesso designava come meno utili, e che infatti ci avrebbero condotto ad agiresterilmente in direzione divergente rispetto all'attacco nemico, e mi limito invece a considerare quella dalla conca di Vhr verso nord-est. Il comandante della II Armata, ideando una simile manovra, si riprometteva certamente di raggiungere l'orlo settentrionale e orientale dell'altipiano dei Lom, com'era necessario per tenere sotto il cannone la valle dell'Idria (programma minimo quando si voglia "paralizzare un attacco nemico par393
Caporetto, risponde Cadorna
tente da Santa Lucia "). Ma non risulta, ne può risultare, su quali elementi di fatto e di giudizio egli basasse tali previsioni, dato che nell'agosto, pur essendo le nostre truppe animate da un vigoroso impulso offensivo, ed il nemico sorpreso, disgregato e travolto in una battaglia di rottura, quelle stesse posizioni avevano opposto validissima resistenza ad ogni nostro sforzo. Di fronte a questi precedenti, quali nuovi fattori erano intervenuti nel mese di ottobre per far considerare l'impresa promettente e redditizia ai fini controffensivi? Non certo l'accresciuta resistenza delle posizioni, che per l'organizzazione fortificatoria apprestata in quei due mesi di assiduo lavoro e per il continuo aumento di forze e di artiglierie nemiche invertiva tutti i rapporti dinamici a nostro danno. Perciò questa controffensiva (che sarebbe poi stata un'offensiva vera e propria) avrebbe richiesto grande spiegamento di artiglierie di medio e grosso calibro (a ciò certo non bastava la massa di artiglieria progettata nella conca di Vhr a più di 8 chilometri dal culmine dei Lom) e lunghi preparativi, venendo così anche a mancare gli effetti della sorpresa insiti in una fulminea controffensiva, quale la voleva il comandante della II Armata, e lasciando tempo al nemico per rafforzare le sue difese e per sboccare dalla testa di ponte di Tolmino, dove la nostra difesa sarebbe stata alleggerita. Aggiungo che per una controffensiva in grande stile contro posizioni fortissime e logoratrici di forze, io giudicavo insufficienti le sei brigate richieste dal comandante della II Armata, e che, se avessi accolto la sua richiesta di nuove forze e di nuove artiglierie per l'attuazione della manovra controffensiva, avrei troppo assottigliato le riserve del Comando Supremo, e per contro si sarebbero addensate ancora maggiori forze ed artiglierie sull'altopiano di Bainsizza, aggravando quello stato di cose che ha poi reso la ritirata del XXIV Corpo e di parte del XXVII estremamente difficile. E finalmente avrei cagionato un notevole consumo di uomini e di munizioni, la cui penuria era appun394
Le cause strategiche del disastro di Caporetto
to stata una delle cause della sospensione delle operazioni offensive e del passaggio alla difensiva, come risulta dal mio ordine del 18 settembre. Se si dovesse giudicare col senno del poi, io domanderei: poichè la controffensiva non la si poteva sferrare subito, ma solo dopo il primo urto nemico, che ne sarebbe stato delle ingenti truppe ed artiglierie che fossero state raccolte a tale scopo sull'altopiano di Bainsizza, mentre fin dal primo giorno, ossia prima che la controffensiva potesse avere inizio, le tre linee difensive del XXVII Corpo cadevano nelle mani del nemico, ed a questo rimaneva pressochè aperta la strada di Cividale? Fu adunque ben provvida misura il non averla autorizzata. Nel già citato capitolo XVII delle Note di guerra il generale Capello, dopo aver riassµnto le ragioni che consigliavano, secondo lui, la grande controffensiva, soggiunge (pag. 151 del voi. II) che "in ogni caso la decisione della condotta da seguire avrebbe dovuto essere chiara, pronta, esplicita, radicale.» Ora io domando se vi può essere qualcosa di più chiaro, pronto, esplicito, radicale del mio ordine del 18 settembre 2 precedentemente riferito, che non fu mai abrogato e non certo contraddetto dall'ordine successivo del 10 ottobre, il quale era altrettanto chiaro, esplicito, radicale. Dall'attento esame di quei due documenti, specialmente se si contemplano - come è doveroso -
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Tanto chiaro ed esplicito che, contraddicendo esso alla tesi offensiva sostenuta dal generale Capello, questi ha creduto bene di non farne parola nel suo libro Per la verità nel quale pubblica in appendice i più importanti documenti. Il generale si indusse soltanto a riferire quell'ìm.portantissim.o documento nelle Note di guerra quando vide che altri l'avevano pubblicato. Alcuni storici hanno definito l'ordine del 18 settembre "incompleto" : un esempio di come, per la loro serietà, dovrebbero evitare di esprìm.ere dei giudizi di carattere tecnico-militare. [C.C.] 395
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nel loro complessivo significato, senza perdersi nel minuto esame dei particolari, non può non apparire chiarissimo il mio pensiero a chi lo cerchi obiettivamente, senza cioè avere la mente preoccupata da idee preconcette. Ma può non essere apparso altrettanto chiaro, e perfino contraddittorio alla chiara mente del generale Capello, se tale mio pensiero gli giungeva attraverso il prisma della sua tendenza offensiva, la quale poteva indurlo a trovare l'autorizzazione della grande controffensiva in frasi staccate dei miei ordini: il che appunto gli è accaduto. Col mio ordine del 18 settembre: 1 - io prescrivevo il passaggio dall'offensiva alla difensiva ad oltranza e non parlavo affatto di controffensiva in grande stile (la controffensiva locale è sempre sottintesa in qualunque difesa ben condotta); 2 - tra le cause di rinuncia alle progettate operazioni offensive, oltre alla situazione russa, accennavo alla defici.enza dei complementi e del munizionamento; tali cause escludevano anche la controffensiva in grande stile, equivalente all'offensiva per il logoramento degli uomini ed il consumo delle munizioni; 3 - stabilivo che a tale precisa direttiva si orientasse fin d'allora (18 settembre) anche lo schieramento delle artiglierie, il che richiedeva l'immediato passaggio dallo schieramento offensivo a quello difensivo, ossia l'arretramento delle artiglierie di grosso calibro e di quelle meno mobili di medio calibro. Tale arretramento fu tosto eseguito dalla III Armata, alla quale pure l'ordine era stato diretto, e non lo fu dalla II Armata. Se fosse stato subito iniziato, come io avevo prescritto, nei venti giorni trascorsi dal 18 settembre all'8 ottobre - giorno in cui il generale Capello diramava le sue direttive per la difesa - l'ar396
Le cause strategiche del disastro di Caporetto
retramento sarebbe stato condotto a termine, o per lo m eno sarebbe stato in cosi avanzata esecu zione che il generale Capello non avrebbe più potuto neppure concepire l'idea della controffensiva in grande stile, perchè lo schieramento difensivo delle artiglierie non n e avrebbe reso possibile l'attuazione. Se ne deve dedurre - non dovendo io pensare ad una intenzionale disobbedienza che tutti i precedenti del generale Capello mi facevano escludere - che egli non arretrò le artiglierie perchè era invincibilmente soggiogato dal concetto della grande controffensiva, e conservava la speranza di poterla tradurre in atto. E' bensì vero che io non ignoravo i concetti da lui espressi nelle tre conferenze del 17 settembre/ del 9 ottobre e del 18 ottobre. Ma io osservo che nella conferenza del 19 settembre egli accennava ad un concetto difensivo-controffensivo che doveva avere il sopravvento sul concetto offensivo, e poi diceva pure che il «concetto attuale non è offensivo, ma di difesa manovrata» tutte queste cose che andavano perfettamente d'accordo col mio ordine del 18 settembre, perch è la difesa dev'essere sempre m anovrata, ossia accompagnata da energiche azioni controffensive, per quanto parziali. Il tenore di quelle p arole non era adunque sufficiente a destarmi il dubbio che il generale Capello inclinasse ad agire in modo diverso da quello da me prescritto col mio ordine del 18 settembre. E così pure la frase scritta a proposito dello schieramento delle artiglierie, di «lasciare avanti quanto è necessario per garantirci le posizioni e poter passare alla controffensiva», non era di tal natura da lasciarmi supp(?rre che in 3
Nella precedente conferenza de] 17 settembre il generale Capello aveva nettamente espresso il concetto di una controffensiva in grande stile; ma nel seguente giorno 18 settembre era intervenuto it mio chiarissimo ordine per il passaggio alla difensiva. Perciò io non potevo dubitare che il generale Capello non avrebbe dato a questo immediata attuazione.
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seguito al perentorio e chiaro mio ordine del 18 settembre il generale Capello meditasse ancora di lasciare avanti tutte o quasi tutte le artiglierie pesanti per poter procedere alla controffensiva in grande stile; che, se l'avessi sospettato, sarei tosto intervenuto. Si noti pure che tale dicitura non è sostanzialmente diversa dalla mia prescrizione del 10 ottobre di lasciare sull'altopiano di Bainsizza i medi calibri più mobili; mentre, p er dare appoggio ad una controffensiva in grande stile non sarebbero state di troppo tutte le artiglierie. Dove il concetto controffensivo in grande stile appare più chiaramente è nella conferenza del 9 ottobre «Noi dobbiamo essere pronti non solo per la difensiva, ma anche p er la controffensiva ... Il nostro schieramento d'artiglieria è eccessivamente offensivo e deve essere in parte modificato. Deve avere carattere difensivo, ma permettere la manovra controffensiva in modo non solo da arginare, ma da ribattere e guadagnar terreno. Non deve quindi essere nè troppo ardito, n è eccessivamente prudenziale, deve invece permettere la validissima difesa e fulminea controffensiva.» Ma se si tiene conto che il seguente giorno 10 ottobre io eman avo l'ordine che ho trascritto e di cui discorrerò tra p oco, nel quale davo disposizioni di carattere strettamente difensivo, in perfetto accordo con quelle del 18 settembre, io avevo il diritto di credere che ciò bastasse a dileguare qualsiasi equivoco. Tuttavia d ebbo ora riconoscere che, per dileguare qualsiasi p ossibile equivoco, avrei fatto bene a sorvegliare maggiormente il generale Capello e ad accertarmi della esecuzione dei miei ordini, a cominciare da quello chiarissimo del 18 settembre, e soprattutto a chiedergli spiegazioni del fatto che 1'8 ottobre il nostro schieramento d'artiglieria era ancora eccessivamente offensivo, contrariamente a quanto avevo ord inato il 18 settembre. Tale notizia essendo stata scritta nel largo sunto di una conferenza, anzichè nelle direttive dell18 ottobre, mi è probabilmen398
Le cause strategiche del disastro di Caporetto
te sfuggita, occupato com1 ero, in quel momento, in ricognizioni lungo la fronte trentina. Dopo aver fatto queste franche dichiarazioni, debbo però soggiungere che notizie e criteri così importanti quali son quelli che emergono dalla conferenza del 9 ottobre avrebbero dovuto chiaramente apparire - sia alle autorità dipendenti, sia al Comando Supremo - non già da una semplice conferenza, ma dai dispositivi di manovra delle direttive dell 18 ottobre, dalle quali, invece, nulla appariva, come ora dimostrerò. Il concetto controffensivo in grande stile appare ancora una volta nella conferenza del generale Capello del 18 ottobre dove egli parla di manovra di armata. Ma il seguente giorno 19, con ordine verbale tradotto poi in ordine scritto del 20 ottobre - che riprodurrò tra poco - io gli ordinavo formalmente di limitarsi nella difesa alla controffensiva locale. Perciò io non so dove si possa riscontrare nei miei ordini una sia pur tacita approvazione a grandi concetti controffensivi. L18 ottobre, il generale Capello emana le sue direttive per la difesa, riferite nell'allegato 10 del libro Per la verità. Dopo avere esposto a quali concetti debba inspirarsi la condotta dei vari comandi in caso di offensiva nemica, egli scrive: «Non bisogna dimenticare che spesso un I offensiva nemica arginata e paralizzata può dare favorevole occasione per una più grande azione controffensiva. Ciò può essere tanto più vero in questo momento in cui noi abbiamo notevole superiorità morale sul nemico.» A questo punto le direttive stabiliscono delle norme per l'esecuzione di questa eventuale controffensiva. Ognuno vede, leggendo le parole che ho testualmente riferite, che si trattava non già di una controffensiva da sferrarsi in primo tempo, appena si fosse manifestato l'attacco nemico, ma di una controffensiva che doveva far seguito «ad una offensiva già arginata e paralizzata,» ossia che avrebbe dovuto eseguirsi in seguito ad una difesa ad oltranza quale io l'avevo prescritta il 399
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18 settembre. Richiamo particolarmente l'attenzione del lettore su questo punto, il quale è fondamentale, anche per ciò che dovrò dire in seguito. Dunque io non potevo non approvare tale concetto che per nulla contraddiceva allo stesso mio ordine del 18 settembre. Difatti alla controffensiva che avrebbe seguito si sarebbe pensato poi, secondo il risultato raggiunto colla difensiva, ed impiegandovi le riserve d'armata e quelle a disposizione del Comando Supremo; ma intanto era d'uopo subordinare l'organizzazione di questa controffensiva a quella della difesa ad oltranza, come io l'avevo prescritta coll'ordine d el 18 settembre mai abrogato, in modo che fosse la più efficace possibile; ed a tale scopo era necessario che fossero arretrate le artiglierie come avevo pure prescritto. A togliermi ogni dubbio che le direttive del comandante della II Armata contraddicessero i miei precedenti ordini contribuirono pure i periodi delle suddette direttive che si riferiscono all'azione del IV e del XXVII Corpo, i quali fronteggiavano le direzioni più pericolose d 'attacco ed ai quali fu assegnato un compito esclusivamente difensivo: «Il IV Corpo, ispirandosi a concetti analoghi a quelli degli altri corpi d'armata, dovrà però limitare la sua azione ad una più stretta difensiva, salvo a cooperare più direttamente con il XXVII Corpo per parare ad azioni offensive nemiche eventualmente partenti dalla testa di ponte di Tolmino, giovandosi largamente dello schieramento d'artiglieria della sua al.a destra molto appropriato allo scopo, ed anche giovandosi di quelle riserve di Corpo d'Armata che sono dislocate da quella parte.» Ond'è che, dopo aver preso conoscenza delle direttive del1 18 ottobre, io scrivevo il 10 ottobre al comandante della Il Armata (ordine già riferito precedentemente): Concordo con codesto comando nel ritenere possibile una offensiva nemica su codesta fronte, e soprattutto nel giudicare necessari e urgenti tutti i provvedimenti intesi ad adeguatamente fronteggiarla. 400
Le cause strategiche del disastro di Caporetto
A tal fine ben rispondono le direttive n. 5757 diramate l' 8 corrente ai comandi dipendenti e inviatemi in comunicazione. Le approvo in massima, e particolarmente richiamo l'attenzione ecc. Il generale Capello afferma di aver scorto in queste mie parole una incondizionata approvazione del suo concetto controffensivo, mentre tale approvazione era evidentemente subordinata ad una «precedente offensiva nemica arginata e paralizzata», quale era prescritta dalle sue direttive dell 8 ottobre e che avrebbe reso assai più facile quella controffensiva. La cosa è ben diversa. Cade così la contraddizione che si è creduto di rilevare e rimane invece dimostrata la costanza del mio pensiero difensivo, il quale venne ancora molto chiaramente confermato nello stesso mio ordine del 10 ottobre, sia dalla prescrizione del passaggio sulla destra dell'Isonzo (che non fu poi eseguito) della maggior parte delle truppe del XXVII Corpo sia dall'ordine di mantenere sull'altopiano di Bainsizza soltanto i più mobili dei suoi medi calibri. Tutto quell'ordine ha una impronta strettamente difensiva (giammai vi si parla di controffensiva in grande stile) ed è in perfetta concordanza col precedente ordine del 18 settembre e col seguente del 20 ottobre che riferirò in seguito. Tale impronta non sarebbe sfuggita all'acume del generale Capello se non avesse avuto la mente preoccupata dal desiderio di eseguire ad ogni costo una grande manovra controffensiva. A chi consideri l'insieme dei miei ordini nel loro naturale significato, senza cioè alterarne il senso appoggiandosi a frasi staccate, chiarissimo appare il mio concetto costantemente difensivo, e tale è apparso al comando della III Armata al quale i medesimi ordini furono pure diretti non avendo esso la mente suggestionata dal desiderio di manovre impossibili a tradursi in atto in quel momento. Che io rimanessi costantemente in tale ordine di idee è dimostrato anche dal mio telegramma del 17 ottobre (allegato n. 13 del libro: Per la verità), nel quale si vorrebbe ravvisare una 1
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novella contraddizione poichè in esso io dicevo che la II Armata avrebbe dovuto provvedere «alle masse di manovra» coi suoi soli mezzi, mentre non le venivano dati i mezzi, a parere del generale Capello, necessari. Ma, prima di discorrere di tale argomento, io debbo riprodurre integralmente il documento finora inedito al quale io rispondevo col suddetto telegramma del 17 ottobre. Esso è un promemoria, in data 16 ottobre, riflettente un colloquio che ebbe luogo il precedente giorno 15 tra il generale Capello e il colonnello Cavallero - promemoria (4857) inviatomi dal generale Porro, sottocapo di Stato Maggiore dell'esercito: "S. E. il generale Capello ha espresso ieri nel pomeriggio, per telefon o, il desiderio di conferire in giornata con me; non p otendo io sul momento assentarmi da questa sede, ed avendo il generale Capello acconsentito a conferire con u n ufficiale del comando, h o mandato da lui il colonnello Cavallero. Il generale Capello ha premesso che avrebbe avu to vivissim o desiderio di conferire personalmente con V. E. ed ha espresso il rammarico di non potersi recare a Vicenza; dopo ciò ha avuto con il colonnello Cavallero un lungo colloquio che è qui di seguito riassunto. Anzitutto il generale Capello ha detto che dal complesso degli indizi e dalle informazioni egli è indotto a ritenere che la offensiva n emica potrà pronunciarsi non prima d ella terza decade del mese corrente, e più probabilmente verso la fine. Dopo ciò il generale Capello ha ripetuto che egli considera una risoluta controffesa come il mezzo più sicuro per rintuzzare l'attacco nemico; e che tale controffesa egli si propone di sviluppare dalla conca di Vhr, che definisce «città della controffensiva»; direzioni possibili di tale controffesa, da un lato quella di Veliki Celo ed oltre, dal1 1altra quella di Ravnica. All'uopo il generale Capello sta predisponendo una massa appositamente addestrata; ne farà parte la brigata Sassari che si sta trasformando in brigata d'assalto. 402
Le cause strategiche del disastro dì Caporetto
II generale Capello è poscia passato a trattare delle forze e dei mezzi che gli occorrono per sviluppare tale azione. Artiglierie - II generale Capello ha nuovamente lamentato la sottrazione di artiglieria fatta recentemente alla II Armata,4 asserendo che su quelle artiglierie, anche perchè il personale di esse era già orientato sul terreno, avrebbe avuto bisogno di poter contare per essere sicuro di fronteggiare qualunque eventualità; ha soggiunto di avere predisposto due potenti masse di artiglieria, corrispondenti l 1una al XXVII Corpo e alla destra del IV, l1altra al VI ed all'VIII; mancargli la possibilità di formare una potente massa al centro. Ha poi chiesto di conoscere la composizione del nucleo che la III Armata deve tenersi pronta a cedere alla II; ed ha indicato come urgente la richiesta di un reggimento da campagna e due gruppi da montagna (preferibilmente quelli allontanatisi dalla II Armata). Quanto al11arretramento delle artiglierie, il generale Capello ha informato che per soffocare l 1attacco al suo nascere, battendo le linee di partenza del nemico - ciò che vien fatto essenzialmente cogli obici campali pesanti - egli deve tenere quelle batterie relativamente innanzi, in relazione alla loro gittata, e che la stessa conca di Vhr risulta già troppo indietr<? a tale scopo. Forze - Il generale Capello ha fatto presente che la nostra superiorità numerica sulla fronte Giulia va di giorno in giorno <limi-
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Come ho esposto a pag. 140 del vol. II del mio libro La guerra alla fronte italiana, si trattava delle sottrazioni indispensabili a restituire alla I Armata l'armamento di sicurezza, che le era stato provvisoriamente diminuito per accrescere al massimo grado le masse di artiglieria sulla fronte Giulia nella grande offensiva dell'agosto 1917 (battaglia tra l'Idria e il Timavo). Al generale Capello, solo preoccupato del proprio comando, sfuggivano le ragioni d'ordine generale che avevano indotto il Comando Supremo ad ordinare quei trasferimenti. d'artiglierie. 403
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nuendo (ha detto «va sfumando»); ha comunicato essere stato accertato l'arrivo di un reggimento proveniente dalla Carnia e segnalato l'arrivo di truppe della 27a divisione provenienti dalla fronte romena (ciò risulta anche all'ufficio situazione). Ciò premesso il generale Capello ha chiesto di conoscere su quante forze egli potrà contare se attaccato. All'obiezione fattagli dal colonnello Cavallero sembrargli più opportuno che egli precisasse il presumibile fabbisogno, ha chiesto di avere a propria disposizione, fin d'ora, un altro corpo d'armata su tre divisioni (comandante Bongiovanni). Ciò, ha soggiunto, gli permetterebbe di dislocare, come ha in animo, un corpo d'armata dietro la regione del M. Ieza, e gli consentirebbe a buon momento la fulmineità della controffesa. Tale corpo d 'armata il generale Capello intende «in più» delle forze che sono presentemente a sua disposizione (equivalenti a divisioni 22 1/ 2), dedotte perciò le riserve del Comando Supremo che sono nel territorio della II Armata (60a, 53a, 13a divisione, con 7 brigate complessivamente). Il generale Capello ha espresso il d esiderio che le tre divisioni da lui chieste siano attinte alla III Armata, fra quelle che devono passare a disposizione d el Comando Supremo; ciò per poter addestrare in tempo queste truppe secondo le proprie vedute, mentre le riserve del Comando Supremo che sono nel territorio della II Armata hanno già tale istruzione e sono quindi pronte per venire impiegate a buon momento. Mezzi - II generale Capello ha chiesto che venga predisposta la maggiore possibile quantità di au tocarri per trasporto di truppe; che gli vengano assegnate molte motociclette per il caso di interruzione delle comunicazioni; che gli vengano aumentati i mezzi aerei. Complementi - Il generale Capello ha molto insistito sulla questione dei complementi, per la quale si è mostrato preoccupatissimo. H a esposto la situazione dei complementi presso l'Armata (V. allegato 1) e quella della forza delle brigate 404
Le cause strategiche del disastro di Caporetto
(V: allegato 2). In relazione a ciò ha ordinato al sottocapo di Stato Maggiore dell'Armata, presente a questa parte del colloquio, di procedere via via alla trasformazione dei reggimenti su due soli battaglioni (a 4 compagnie ciascuno). Secondo notizie riferite dai prigionieri e ripetute dal generale Capello, l'attacco nemico sarebbe preceduto da un tiro prolungato a gas asfissianti, spinto alle più lontane retrovie. Il generale Capello ha disposto fin d'ora per lo sgombero delle conche e per il raddoppio delle maschere alle truppe". Sono particolarmente da notare nel documento ora riferito le parole stampate in corsivo del quarto alinea. Ma che cosa significano esse? Che il generale Capello intendesse svolgere una grande offensiva in primo tempo, appena si sferrava l1offensiva nemica? oppure che egli volesse lanciare una grande controffensiva, dopochè l'offensiva nemica era stata arginata e paralizzata, secondo le sue direttive dell'8 ottobre? Ecco l'eterno equivoco! Ma io non potevo dare alle sue parole che la seconda interpretazione, perchè questa era in armonia colle direttive del generale Capello dell'S ottobre, e perchè nel colloquio del 15 ottobre egli parla di controffesa, la quale fa sempre seguito all'offensiva nemica. Per dare la prima interpretazione avrei dovuto p·e nsare che il generale Capello contraddicesse le sue parole di sette giorni innanzi, e ciò non era evidentemente possibile. E non potevo avere nulla in contrario al concetto di manovra esposto, da attuarsi, ben inteso, quando l'offensiva nemica fosse stata arginata e paralizzata. Perciò inviavo al generale Capello il telegramma del 17 ottobre, ore 13,30, che credo opportuno di trascrivere: «4835 G. M. - Comunico a V. E. seguenti mie disposizioni relative varie questioni trattate con colonnello Cavallero nel colloquio del 15 corrente. V. E. se attaccato può fare assegnamento sulle forze di cui attualmente dispone, colle quali pertanto è necessario provveda alla costituzione delle progettate masse di 405
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manovra. Per il miglior inquadramento di queste dispongo passi dipendenze V. E. comando VII Corpo tenuto da generale Bongiovanni. Per quanto riflette le artiglierie, V. E. può fare assegnamento su quelle di cui attualmente dispone schierandole nel modo migliore per attuazione del concetto di manovra esposto. Fino a tanto che non siano ben chiarite estensione e direzione offensiva nemica, non posso consentire spostamento comandi di gruppo e batterie ed un pezzo per batteria del nucleo artiglierie mobili tenuti pronti presso comando III Armata. Dispongo che siano dalla I Armata posti a.disposizione di V. E. un reggimento da campagna e due gruppi da montagna. Circa complementi la situazione non mi sorprende perchè appunto in previsione della crisi che oggi si verifica ho dovuto mio malgrado prendere la decisione di assumere atteggiamento difensivo. E' superfluo che raccomandi a V. E. di sfruttare completamente tutto il materiale umano esistente nell'Armata, compresi i numerosi inabili segnalati dai battaglioni complementari, e nelle brigate di marina. A scanso di equivoci avverto che nessun battaglione deve essere sciolto anche se stremato di forze, senza espresso ordine di questo Comando. Dispongo per autocarri e motociclette e possibilmente aumento mezzi aerei. Dove si trova in questo telegramma la pretesa contraddizione? In esso io rammentavo la mia decisione di assumere atteggiamento difensivo, e questo in armonia a tutti i miei precedenti ordini sarebbe dovuto bastare a dissipare qualsiasi eqw.voco. Ed in armonia a questo atteggiamento difensivo mi rifiutavo di spostare i comandi di gruppo e le batterie fino a tanto che non fossero ben chiarite l1estensione e la direzione dell'offensiva nemica. Tutto questo conferma che nel mio pensiero (come in quello del generale Capello espresso nell'ordine del 10 ottobre) la controffesa non poteva aver luogo che in secondo tempo, dopo che l'offensiva nemica fosse stata arginata e paralizzata. La II Armata disponeva della ingentissima forza di 353 batta-
Le cause strategiche del disastro di Caporetto
glioni, colla quale - tenendo conto del grande valore difensivo del terreno e delle linee fortificate - era in misura di provvedere alla difesa ad oltranza, da me sempre prescritta, scaglionando le sue forze nella profondità, e alla costituzione di masse di manovra da lanciarsi al momento opportuno dopochè, secondo le stesse direttive dell '8 ottobre del comando della II Armata, l'offensiva nemica fosse stata arginata e paralizzata (lo ripeto). D'altronde il generale Capello stesso, in altre manifestazioni del suo pensiero, si era reso conto della necessità che l'azione difensiva avesse la precedenza sull'azione controffensiva. Trascrivo, ad esempio, le seguenti parole contenute nell'opuscolo del generale Bongiovanni (pag. 9): Il comando del VII Corpo d'Armata nella battaglia di Caporetto: «nella conferenza serale del 17 ottobre (proprio lo stesso giorno in cui io gli inviavo il telegramma soprariferito), ben più che di compiti difensivi il generale Capello mi parlò di progetti controffensivi da svolgersi quando l'attacco nemico, non temuto, anzi desiderato, si fosse infranto contro la resistenza delle nostre prime linee.» Questo concetto non è che la ripetizione, con altre parole, di quello delle direttive dell'8 ottobre. Devesi quindi concludere che la contraddizione non era in me, come pretenderebbe il generale Capello, ma nella sua mente. Mentre da un lato egli riconosceva la necessità di arginare e paralizzare l'offensiva nemica prima di lanciare la grande controffensiva, non poteva dall'altro staccare la mente dal primitivo concetto della grande controffensiva d'armata da lanciare in primo tempo; ne si rendeva chiaro conto che i due concetti, difensivo e controffensivo, non scaglionati debitamente nel tempo, dovevano necessariamente ingenerare un compromesso nella dislocazione delle forze e dei mezzi. Ne risultò, in conseguenza, un indebolimento nell'intelaiatura difensiva, senza avere per questo a giusta portata i mezzi per l'inizio subitaneo della controffesa. Tutti questi equivoci furono certamente deplorevoli; ma essi non sarebbero nati se il mio ordine del 18 407
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settembre avesse avuto immediata esecuzione, poichè quell'ordine n on ammetteva doppie interpretazioni.
*** Egli è perciò che, chiariti gli equivoci nel mio colloquio del 19 ottobre, comunicavo verbalmente al generale Capello gli ordini che furono poi confermati per iscritto colla seguente lettera del 20 ottobre: #4889
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........... omissis............... . I l disegno di V. E. di contrapporre all 'attacco nemico una controffensiva di grandissimo stile è reso i nattuabile dalla presente sit ua zione della forza presso l e unità e dalla gravissima penuria di co.rmplernenti . V. E. conosce l ' una e l'altra e sa che, per questo appunto , io dovuto con grande rarrunarico rinunciare alla seconda fas e della nostra offe ns iva , f ase che si delineava pr omett ente di fecondi risultati . Ciò posto è necessari o ricondurre lo svil uppo del principio controffensivo, base di ogni difesa effi cace, entro i reali confini che le forze disponibil i ci consentono . Il progetto della grande offensiva d 'armata ad obiettivi lontani de ve essere abbandonato; esso ci condurrebbe in sostanza a sviluppare una grande offensiva di riflesso, non meno costosa di quella seconda f ase al la quale già abbiamo rinunciato . Troveranno posto invece, nel quadro di una tenace difesa attiva, risoluti cont rattacchi, condotti da truppe appositamente preparate, ed inspirati a quel concetto dell'attanagl iamento ben delineato dall'E. V., ma con carattere locale, contenuti cioè entro il r aggio t attico, per mantenere la difesa nei l imiti della indi spensabile economia . 408
Le cause strategiche del disastro di Caporetto
Per tutte le esigenze di una siffatta difesa, i 336 battaglioni di cui l 'Armata dispone5 debbono l argamente bast are. V. E. t enga pr esent e che se nel venturo anno s i pronunciasse cont ro di noi uno sforzo imponente degli I mperi Centrali, la necessità di fronteggiar e att acchi in a l tre direzioni e di conserva re una potente rise rva generale a mia dispos i zione non mi conse ntirebbe certo di lasciare su codesta f ronte, per la difesa ad oltranza, for ze pari a quelle c he vi si t rovano. Quanto alle artiglierie , V. E. mi ha accennato a lle due poderose masse costit uite alle ali della p r esumibile fronte di atta cco ed alla mancanza delle batterie occorrenti pe r f ormare altr a potente massa al centro. Ora però, t enuto conto de i più modesti limiti entro i qual i è stat o ricondotto i l disegno oper ativo, i 2500 pezzi di piccolo, medio e grosso calibro e l e 1134 bombarde di cui di spone l 'Armata debbono esser e sufficienti per provveder e i n modo compl eto a tutte l e esigenze di un soli dissimo schieramento di difesa ad oltranza. Circa i compl ementi ho provveduto per l' ur gente aff luenza di alcune migliai a di questi , provenienti dai p i ccol i di s tatura già ist r uiti pr esso br i gate di marcia del l a II Armata. Ai s uesposti concetti V. E. vorrà pertant o informare le nuove diret t i ve da impartire ai comandi dei corpi d'armata dipendenti , o l e varianti alle d iret tive precedentemente emanat e, e di t a l i nuove dispos izioni gradirò di aver e conoscenza al pi ù prest o. I l capo di Stato Maggiore dell ' esercito L. CADORNA 5
Furono poi 353 il 24 ottobre.
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Le ragioni colle quali, in principio d el precedente ordine, motivavo la rinuncia al11offensiva e il passaggio alla difensiva sono esattamente uguali a quelle del mio ordine del 18 settembre. Taluno ha osservato che se io dicevo in quest'ordine che " il progetto della grande offensiva d 1armata ad obiettivi lontani deve essere abbandonato» e che perciò bisognava impartire «nuove direttive» ai comandi di corpo d 'armata, ciò dimostra che io sapevo che il piano del generale Capello era controffensivo in grande stile. Comprendo come il mio ordine, esaminato ora, a distanza di tempo, possa produrre questa impressione. Ma, in realtà, essendo stato scritto immediatamente dopo il colloquio col generale Capello del 19 ottobre, esso non è che un riflesso del medesimo. E, anzi, quelle parole dimostrano che il 19 ottobre il generale Capello ancora coltivava «il progetto della grande controffensiva che doveva far seguito ad una offensiva nemica già arginata e paralizzata»! Il generale Capello, a pag. 73 del libro Per la verità, raccor!-.ta che nel colloquio del 19 ottobre io fui gentilissimo con lui e che non era quello il contegno che un superiore avrebbe tenuto con u n inferiore che in sì grave frangente avesse disubbidito od anche soltanto tiepidamente obbedito. E io rispondo che avrei dato davvero bella prova di un alto intendimento psicologico se, alla vigilia di una grande battaglia, alla quale avrebbe specialmente partecipato un'armata di cosi grandi proporzioni qual era la II, io avessi turbato l'animo d el suo comandante con rimproveri e facendogli sentire la responsabilità che si era addossato, invece di rafforzare in lui la fiducia in se stesso e nella vittoria! 6 Ma tutte queste sono considerazioni di secondaria importanza. Ciò che invece importa di constatare è che i miei tre ordini scritti, del 18 settembre, del 10 ottobre e del 20 ottobre, concordano completa4!0
Le cause strategiche del disastro di Caporetto
mente nel medesimo concetto fondamentale della difesa controffensiva ad oltranza - che nessuno di essi fu mai abrogato - che nulla io dissi verbalmente che autorizzasse, anche parzialmente, la loro inesecuzione. Questo è il fatto centrale di fronte al quale cade qualsiasi ragionamento. A prova di quanto ho scritto fino ad ora, b:ascrivo da volume II delle Note di guerra del generale Capello pagine 154-155 il suo concetto quale fu da lui stesso riassunto: In omaggio al principio fondamentale di arte militare, che ogni azione difensiva debba considerarsi come transitoria, per sferrare al momento opportuno la controffensiva, il comando dell 1Armata si fissa nel1 1idea di integrare la difesa ad oltranza, prescritta dal Comando Supremo, con una poderosa conb:offensiva da scatenarsi in direzione tale da paralizzare l 1attacco nemico nell 1inizio del suo sviluppo. Questo concetto che in origine fu - almeno in apparenza (?) - approvato dal Comando Supremo, venne poi dal Comando stesso abbandonato. Intanto il comando della II Armata prescriveva ai comandanti di corpo d 'armata una condotta tatticamente attiva collo scopo di: a) sbarrare al nemico l'avanzata, attanagliando con contrattacchi di fianco le colonne avversarie che fossero riuscite ad entrare nelle nostre linee; 7
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Chiunque abbia una conoscenza pratica di cose militari ben sa che l' esecuzione degli ordini ha tempi lunghi, soprattutto con personale di leva di scarsa qualitĂ . Quindi, il teatrino svoltosi tra Cadoma e Capello dopo il 10 ottobre era dovuto soltanto alla necessitĂ , ben chiara nella mente di Cadoma, di non influire negativamente sulla psicologia di Capello. Infatti Cadorna, spirito eminentemente pratico e concreto, ben sapeva che qualsiasi spostamento effettuato dopo quella data sarebbe servito soltanto a creare confusione, come poi avvenne. [C.C.] 411
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b) iniziare, in caso fm.Jorevole (dunque d opo la difensiva), atti controffensivi più profondi per facilitare l'azione strategica da affidarsi alla riserva d'armata; c) assicurare al comando di armata il tempo necessario (due, tre gi.orni almeno) per fare affluire le riserve ed iniziare la manovra strategica la quale non doveva iniziarsi che due o tre giorni dopo il principio dell'offensiva nemica. La manovra strategica era stata, in linea generale, preannunziata ai comandi di grandi unità nel modo seguente: Si doveva approfittare del saliente della Bainsizza per sferrare sul fianco del nemico operante dalla conca di Tolmino verso la testa di ponte di Santa Maria e Santa Lucia un p oderoso e travolgente attacco in forze. La riserva d 1armata si sarebbe sollecitamente raccolta nella conca di Vhr, ch e rappresentava un1ottima piazza d 'armi, ad immediata portata del fronte di attacco. I
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Da queste parole si deduce u na notevole contraddizione: prima si parla di poderosa controffensiva atta a paralizzare l'attacco nemico nell'inizio del suo sviluppo, e p oi si accenna al tempo necessario (due o tre giorni almeno) per fare affluire riserve ed iniziare la manovra strategica. Da queste u ltime p arole e dall'accenno alla difensiva ad oltranza verrebbe conferm ato ciò che già il generale Capello aveva espo-
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Questo ordine non fu eseguito, presumibilmente perché nessun comando dipendente l'ha organizzato: l'organizzazione doveva prevedere la ricognizione del terreno da sbarrare; l'individuazione delle probabili provenienze nemiche; l'individuazione delle forze -artiglierie e reparti - idonee a controbattere tali provenienze; l'emanazione degli ordini alle forze dipendenti e l'esecuzione, da parte di queste, degli atti tattici e delle relative prove con i reparti impegnati ed il nemico rappresentato. [C.C.] 412
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sto nelle sue direttive dell'8 ottobre, cioè che egli intendesse di sferrare una grande controffensiva dopoche' l'offensiva nemica fosse stata arginata e paralizzata, il che entrava perfettamente nel mio quadro della difesa ad oltranza, alla quale però il generale Capello avrebbe dovuto subordinare tutte le sue disposizioni a cominciare dall'immediato arretramento delle artiglierie e dal passaggio della maggior parte del XXVII Corpo sulla destra dell'Isonzo, secondo quanto avevo prescritto nei miei ordini del 18 settembre e del 10 ottobre. Quanto poi all'addensamento delle riserve d'armata nella conca di Vhr a scopo di manovra d'armata, osservo: o si attendeva ad ordinare il trasferimento di queste riserve che l'attacco nemico si fosse infranto contro la nostra difesa ad oltranza, ed allora sarebbero stati necessari molto più di due o tre giorµi dall'inizio dell'attacco nemico, per poter scatenare la grande controffensiva, ed a questa sarebbe mancato quel carattere di fulmineità 8 che il generale Capello voleva darle, come risulta da altri luoghi dei suoi libri. Oppure l'avviamento delle riserve verso la conca di Vhr sarebbe incominciato all1inizio dell'attacco ed allora, venendo esse a mancare allo scopo difensivo, tanto valeva addensare queste riserve in quella conca in precedenza all'attacco. Ma, in tal caso, si sarebbero accumulate cosi forti masse di truppe sull1altipiano di Bainsizza che difficilissima ne sarebbe stata la ritirata quando la grande controffensiva non avesse avuto felice esito ed il nemico, in conseguenza della sottrazione di tali riserve, fosse rapida-
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Quella del 1870-71 fu l'ultima grande guerra nella quale furono possibili gli attacchi fulminei. Nella guerra moderna, quando il nemico disponga di forti posizioni naturali, ben fortificate e sia ben deciso a difenderle, l'attacco non può essere che lento. Occorre perciò abbandonare le concezioni antiquate di manovra, per quanto ciò possa dispiacere, e regolare le proprie deliberazioni sulla realtà delle cose. Ciò almeno sino a tanto che il rapporto fra mezzi di attacco e quelli di difesa non sia radicalmente mutato. 413
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mente riuscito a superare le nostre difese di fronte alla testa di ponte di Tolmino, come malauguratamente avvenne il 24 ottobre. A pag. 138 del vol. II delle Note di Guerra il generale Capello mette in giusto rilievo gli inconvenienti prodotti dal grande rientrante della nostra linea di difesa in corrispondenza della testa di ponte di Tolrnino. Quanto più grande sarebbe stato il pericolo se egli avesse ancora addensato le riserve d'armata e costituito la nuova grande massa di artiglieria nella conca di Vhr! Tali provvedimenti sarebbero stati solo giustificati qualora egli avesse avuto la certezza di ottenere mediante la controffensiva il grande risultato strategi.co cui mirava, prima che le nostre linee di fronte alla testa di ponte di Tolrnino fossero sfondate. Ma chi poteva avere questa certezza? Anzi, per le ragioni ampiamente esposte a pag. 150 e seguenti del vol. II del mio libro La guerra alla fronte italiana, tale controffensiva non aveva alcuna probabilità di riuscita. Ed allora si imponeva l'impiego delle riserve per assicurare in primo tempo la difesa ad oltranza, salvo a passare poi in secondo tempo ad azioni offensive, se le circostanze lo consigliassero. Passo ora a discorrere dell'altra contraddizione che il generale Capello ha creduto di riscontrare nel mio ordine del 10 ottobre. Così egli si esprime a pag. 66 del libro "Per la verità": "Detto Comando, infatti, mentre ordinava che, sull'altopiano di Bainsizza, non rimanessero, fra le artiglierie di medio calibro, che quelle più mobili, e fossero predisposte anche per queste i mezzi più adatti per un ordinato ripiegamento, prescriveva però al paragrafo successivo che, durante il bombardamento nemico, si svolgesse una violentissima contropreparazione nostra. E precisava il suo pensiero dicendo che l'azione di fuoco doveva schiacciare la fanteria nemica sulle trincee di partenza per disorganizzare ed annientare l'attacco nemico prima che si 414
Le cause strategiche del disastro di Caporetto
sferrasse. La contropreparazione spettava evidentemente non solo ai piccoli calibri, ma anche ai medi e grossi calibri con azione intensa sulle linee nemiche e sulle retrovie, per scuotere la compagine nemica con l'effetto del loro tiro terrificante1' . Rispondo con le stesse parole con le quali risposi alla Commissione d'inchiesta allorchè questa mi interrogò sulle stesse contraddizioni rilevate dal generale Capello, parole riportate a pag. 82 del voi. I della relazione: Se il generale Capello credeva che gli ordini fossero contraddittori, avrebbe dovuto chiedermi spiegazione e io gli avrei dimostrato che la contraddizione non esisteva. Ad ogni modo, di fronte a due ordini da lui ritenuti contraddittori, egli avrebbe dovuto subordinare il meno importante a quello più importante ed applicarlo nei punti ove non vi era possibilità di concepire contraddizioni con l'altro ordine. Del resto non vi è affatto contraddizione. Se si deve schiacciare una fronte continua e molto estesa, è logico e necessario che devono intervenire tutte le artiglierie nella massima quantità possibile, trattandosi di distruggere tutti gli ostacoli che si presentano per l'attacco. Ma qui si trattava soltanto di schiacciare il nemico all'atto dello sbocco; e quindi di battere soltanto i punti più favorevoli allo sbocco, scopo questo più limitato che si può raggiungere senza l'impiego di tutta l'artiglieria. E io avevo appunto detto nell'ordine di lasciare sull'altopiano della Bainsizza l'artiglieria più mobile, il cui tiro, congiunto a quello dell'artiglieria da campagna - poichè non si trattava di distruggere ostacoli - sarebbe stato efficacissimo. E' bensì vero che nel mio ordine del 10 ottobre era anche detto: «Si concentri il fuoco dei medi e grossi calibri sulle zone di probabile irruzione delle fanterie.» Ma questo ordine si riferiva in genere a tutta la fronte della II A rrnata, ed è evidente che laddove potevano concorrere al tiro di contropreparazione tutti i medi ed anche i grossi calibri, 415
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esso doveva riuscire più efficace. Ma è del pari evidente che in quelle zone nelle quali vi era contrasto tra la convenienza di questo concorso e la necessità di arretrare le artiglierie, quest'ultima doveva avere il sopravvento: il Comando Supremo non poteva sminuzzare i suoi ordini per riferirsi a tutte le singole parti del fronte di un'armata. Spettava ai comandanti delle armate di regolare in modo intelligente l'applicazione secondo le varie circostanze locali. Del resto, lo stesso generale Capello, nel colloquio avuto il 15 ottobre col colonnello Cavallero colloquio r~ferito nel Promemoria del generale Porro che ho precedentemente trascritto - aveva detto: «Quanto all'arretramento delle artiglierie, il generale Capello ha informato che per soffocare l'attacco al suo nascere, battendo le linee di partenza del nemico - ciò che vien fatto essenzialmente cogli obici campali pesanti egli deve tener quelle batterie ecc... » Perfettamente d'accordo! Dunque non era un gran male arretrare i grossi calibri ed i medi calibri meno mobili in quelle zone in cui ciò era richiesto da considerazioni di altra natura. Per chiarire queste pretese contraddizioni, il generale Capello avrebbe voluto abboccarsi con me; ma ciò non fu possibile in quei giorni tra il 10 e 18 ottobre, trovandosi, disgraziamente, lui ammalato e io occupato in importanti ricognizioni lungo la fronte tridentina, specialmente delle posizioni sull' altopiano di Asiago e del M. Grappa che furono poi nel seguente novembre violentemente attaccate. Il generale Capello, a pag. 69 del libro Per la verità, descrive con forti pennellate la tragedia che si svolgeva nel suo animo, nell1impossibilità in cui si trovava di abboccarsi con me. Molto mi duole di essere stato cagione involontaria di tanta tragedia! Debbo però osservare che se si trattava soltanto di chiarire delle credute contraddizioni ai miei ordini e di penetrare il mio preciso pensiero, il generale Capello possedeva un mezzo molto facile, quello cioè di inviarmi il suo capo di Stato Maggiore - tanto facile che fa meraviglia che non vi abbia pensato. 416
Le cause strategiche del disastro di Caporetto
Esposto quanto sopra, io pebbo francamente dichiarare che bene avrei fatto a maggiormente sorvegliare la esecuzione dei miei ordini per parte del generale Capello. Ne fui distolto dalla improrogabile necessità di controllare I esecuzione dei miei ordini concernenti la sistemazione difensiva su la fronte tridentina - necessità che mi tenne su questo fronte dalla fine di settembre al 19 ottobre. Inoltre, dati gli onorevoli precedenti del generale Capello e la fiducia che mi aveva ispirato, giudicai meno urgente questo controllo.9 Non si comanda un grande esercito moderno composto di milioni di uomini e dislocato su molte centinaia di chilometri di fronte, se per parte dei comandi delle armate (corrispondenti queste per l 1entità delle forze agli antichi eserciti) il Comando Supremo non ne è coadiuvato toto corde, coll'intendimento cioè di penetrare lo spirito dei suoi ordini e di far loro assoluta esecuzione, spogliandosi al1 1uopo delle proprie differenti vedute. Nei grandi eserciti il controllo non è mai stato facile ad esercitare. Quando, ad esempio, nel 1806, Napoleone passò per Wurzburg nel recarsi ad assumere il comando della grande armeé, trovò che ben poco era stato eseguito di quanto egli aveva ordinato per la costituzione dei magazzini e per la preparazione in genere della campagna. E questo accadeva nel concitato imperio, laddove era abituale il celere obbedir! Figuriamoci dunque se il controllo è diventato più facile colle immense masse armate moderne! 1
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Vedansi a questo riguardo le bellissime considerazioni d'ordine psicologico esposte dal colonnello Angelo Gatti da pag. 211 a pag. 215 del capitolo "Fra le cause strategiche di Caporetto", del suo libro Uomini e folle di guerra. Tali considerazioni mi hanno certamente indotto ad usare al generale Capello ogni riguardo. 417
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In conclusione se è vero che per le varie ragioni che ho esposte non ho potuto esercitare un sufficiente controllo, è anche vero che il generale Capello, ossessionato da un concerto offensivo irrealizzabile in quel momento, incline a fare a modo suo, non tenendo conto dei miei ordini, a cominciare da quello chiarissimo del 18 settembre, e cercò poi di difendersi dalla accusa di poco disciplinato ricorrendo a cavilli da leguleio e cadendo in molte contraddizioni. Il generale Capello era indubbiamente uomo di notevole capacità militare ed al suo attivo si trovano la bella preparazione e la condotta delle battaglie vittoriose di Gorizia e d ella Bainsizza. Ma egli era uomo di carattere turbolento e dominato da sfrenata ambizione. Quando, dopo la battaglia di Gorizia, io seppi che al Quartier generale si erano dati convegno deputati di varie gradazioni, anche socialisti, e che esso era diventato un covo di maldicenza verso il Comando Supremo, non credetti, in grazia degli ottimi precedenti militari del generale, di prendere a di lui riguardo gravi provvedimenti; mi limitai a trasferirlo dalle rive dell'Isonzo all'altipiano di Asiago, al comando prima del XXII, poi del V Corpo d'Armata. Ma, alla vigilia delle operazioni offensive di primavera del 1917, non credetti di privarmi dei servizi di un così distinto generale e lo richiamai sull'Isonzo al comando della zona di Gorizia. Dopo l'offensiva del maggio-giugno gli affidai il comando della II Armata che egli condusse alla conquista della Bainsizza. In seguito all'esito vittorioso di questa grande battaglia, non mancarono giornali che accennarono al generale Capello come ad un probabile mio successore al Comando Supremo. Io non posso affermare che egli abbia avuto mano in queste congiure, sebbene non siano mancati indizi ad indurmi in tale credenza ed il suo carattere oltremodo ambizioso renda probabile la cosa. Scrive la Commissione d'inchiesta a pag. 290 del volume II della sua relazione che, a quanto sembra, io, a Vicenza, poco prima di 418
Le cause strategiche del disastro di Caporetto
Caporetto, avrei pronunciato queste parole: Del resto il generale Capello de'Ve obbedire; se non obbedirà, nonostante tutta la riconoscenza che gli devo, lo tratterei come gli altri;. qui si tratta di una questione molto grave e uno solo deve comandare. E' verissimo che io ho pronunciato queste parole od altre consimili. Ho fatto male a non dare attuazione alla minaccia? Ne giudichi il lettore. Certo si è che, dati i precedenti che ho accennati, io sentii vivissima ripugnanza ad attuare un grave provvedimento verso un generale che aveva così indubbie recenti benemerenze militari, provvedimento che sarebbe certamente stato interpretato dai miei avversari in modo del tutto diverso dalle mie intenzioni. A ciò contribuì pure l'essere in parte distolta la mia attenzione da quanto accadeva sull'Isonzo, dalle ricognizioni che stavo compiendo con grande attività sul fronte tridentino, e dall'essermi perciò in quel momento apparse meno gravi di quanto realmente lo furono le trasgressioni del generale Capello ai miei ordini. Ripeto quanto dissi già altrove: date le ingentissime masse con le quali si fa la guerra oggigiorno, e date le enormi estensioni dei fronti, il Comando Supremo non è in grado di provvedere a tutto ed è più che mai necessario che alla testa delle grandissime unità vi siano generali di piena fiducia, alieni da sogni ambiziosi, dei quali si sia certi che agiscono toto corde nello spirito delle disposizioni del Comando Supremo.10 3. - L'azione del comando del IV Corpo d'Armata. Il generale Cavaciocchi in un articolo pubblicato su La vita italiana del dicembre 1919 scriveva queste parole: «E' poi assolu-
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Tecnicamente si chiama "disciplina delle intelligenze". Indispensabile nell'inferiore soprattutto se il superiore ha spiegato la ragione del suoi ordini, come in questo caso. [C.C.] 419
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tamente insussistente che da parte mia sia stato assicurato il Comando Supremo di nutrire la più completa fiducia nella possibilità di resistere con le forze di cui disponevo; una consimile assicurazione non mi fu nemmeno richiesta.» A pag. 158 e seguenti del voi. II del mio libro La guerra alla fronte italiana io pubblicavo il rapporto del colonnello Testa, inviato il 19 ottobre dal Comando Supremo al generale Cavaciocchi per assumere informazioni sulla situazione presso il IV Corpo e sugli eventuali bisogni per far fronte alla imminente offensiva. Trascrivo le seguenti parole che fanno parte integrante del suddetto rapporto:
c) Bisogni: in linea generale nessuno. L'Armata aveva già concesso quanto era stato largamente richiesto (una parte delle batterie doveva ancora giungere). Se desideri per un di più si fossero dovuti rappresentare questi riflettevano aumento di mitragliatrici, artiglierie da campagna, autocarri per trasporti, assegnazione di tende alpine. [... ] e) Per tutte tali ragioni, in complesso, l azione nemica non destava timore, nè dubbio sulla possibilità di infrangerla. Il colonnello Boccacci (il capo di Stato Maggiore del Corpo d'Armata) ascriveva quasi a fortunata circostanza per le nostre armi il determinarsi di essa. In seguito a questa mia pubblicazione, il generale Cavaciocchi inviò al giornale La Stampa una lettera (pubblicata nel numero del 31 marzo 1921), della quale trascrivo le seguenti parole: 1
"Sta di fatto invece che all 1inviato del Comando Supremo, dopo aver messo in luce i sintomi positivi e quelli negativi, io dissi che nel dubbio conveniva attenerci alla ipotesi «più sfavorevole», che cioè il nemico attaccasse. Quanto alla situazione tattica, io mi limitai ad esporre lo schieramento delle truppe e le condizioni più o meno favorevoli di ogni tratto di fron te, senza fare alcun apprezzamento, nè dare alcuna 420
Le cause strategiche del disastro di Caporetto
assicurazione, che nemmeno mi fu richiesta. Esposi, in altri termini, lo stato di fatto, dipendentemente dagli ordini dati da me per effetto degli ordini ricevuti (mi era stato vietato fra l'altro di chiedere rinforzi); e la stessa esposizione feci il 22 allo stesso generale Cadorna, il quale dapprima mi contestò la scarsità delle fanterie da me segnalatagli sul fronte Sleme-Mrzli, ma poi, a propo-sito della stretta di Saga, riconobbe essere qui necessario il rinforzo di una brigata. E questa mi concesse subito, prima che io terminassi l'ultima frase del mio discorso e venissi alla conclusione, tanto il mio ragionamento era stato chiaro. Debbo dedurne che l'inviato del Comando Supremo travisò completamente il mio pensiero. Di tutto ciò, del resto, io diedi esaurienti prove alla Commissione d'inchiesta". Per quanto mi riguarda, io potrei limitarmi a dire che le mie deliberazioni non potevano essere regolate che sul rapporto che mi fu fatto dal colonnello Testa. Credo tuttavia di dover aggiungere che questi era tutt'altro che persona capace di travisare completamente il pensiero del generale Cavaciocchi, e lo dimostra il fatto di essere stato scelto per così importante missione. E quanto al non avere il generale Cavaciocchi dato alcuna assicurazione, la quale, secondo lui, non gli fu nemmeno richiesta, io domando per qual motivo il Comando Supremo si sarebbe indotto ad inviare presso i comandi di corpo d'armata che più presumibilmente sarebbero stati attaccati, dei suoi rappresentanti, se non per informarsi delle condizioni della difesa e degli eventuali bisogni, allo scopo di poter immediatamente provvedere? Forse per discutere di teologia o di numismatica? Tanto è vero ciò, che dal rapporto del colonnello Calcagno (pubblicato a pag. 160 del già citato mio libro), inviato con uguale missione presso il generale Badoglio, risulta che anche a questo furono rivolti i medesimi quesiti e richieste le stesse assicurazioni. Nè il colonnello Testa avrebbe avuto interesse alcuno ad attenuare le richieste; anzi aveva, se mai, l'interesse oppo421
Caporetto, risponde Cadorna
sto, a scarico della sua responsabilità. E1 indubitato che se in quel giorno, 19 ottobre, mi fosse stata rappresentata dai comandanti di corpi d'annata di prima linea l'opportunità di rafforzare l'occupazione, vi sarebbe stato tutto il tempo per provvedere, non essendosi pronunciato l'attacco che cinque giorni dopo. Date invece le dichiarazioni dei comandanti del IV e del XXVII Corpo d'Armata, quali mi risultarono dai rapporti dei colonnelli loro inviati, io avevo tutto il diritto di credere che le forze fossero sufficienti, essendo quei comandanti, che da molto tempo erano sul posto, i migliori giudici delle necessità del rispettivo settore di difesa: chi dirige le operazioni di un esercito di due milioni di uomini non può evidentemente sostituirsi a tutti i suoi dipendenti, e io già avevo fatto molto spingendo verso i comandi di corpo d'armata un controllo che era di spettanza del comando d'armata. Debbo infine rilevare alcune parole della relazione della Commissione d'inchiesta, la quale, a pag. 71 (vol. II) scrive: Ma r i tiene che non s i possa fa r carico a l comandante del IV Corpo d ' Annata di non aver maggiormente insistito, pri ma e dopo t ale r i velazione (quella dei due ufficiali romeni il giorno 21) per ott enerli (i rinforzi) , dappoichè la dis tribuz ione del le forze è pre rogati va dell e autori tà superiori sulla base delle maggiori notizie possedute e dei disegni di ope raz i oni concepi ti, disegni certo mai interamente noti agli i nfe riori , c ui per contro r esta l ' obbligo del migliore impiego di quel le quals i asi truppe che, nel l'economia generale del piano d'azione , restano ass egnate . Questa teoria è per lo meno incompleta. Le autorità superiori hanno bensì la prerogativa accennata dalla Commissione. Ma gli inferiori, cui compete la responsabilità dell'esecuzione e che meglio conoscendo le circostanze locali sono più in grado di 422
Le cause strategiche del disastro di Caporetto
giudicare se i mezzi di cui dispongono corrispondono al fine, hanno il dovere di rappresentare le eventuali deficienze e di richiedere che vengano colmate - libero poi essendo, naturalmente, il superiore di negare le richieste, assumendo la responsabilità del rifiuto. Ma, nel caso concreto, il Comando Supremo aveva appositamente inviato un colonnello il giorno 19 al comandante del IV Corpo, il quale relativamente ai bisogni rispose: «In linea generale, nessuno» e fu soltanto il 22, ed in seguito a mia esplicita domanda, che egli si indusse a dichiararmi, alla presenza del colonnello che dirigeva l 1ufficio operazioni del Comando Supremo, che le forze erano scarse in relazione alla estesa fronte. Fu allora che io gli assegnai, non già una brigata, com I egli asserisce, ma la 36a divisione, la cui fanteria era data dalla brigata Foggia, di tre reggimenti. La verità è questa, che in quel giorno il generale Cavaciocchi mi apparve incerto, indeciso, e io mi allontanai dal suo comando colla preoccupazione che alla sua indubbia intelligenza e alle distinte qualità di insegnante e di scrittore militare non corrispondessero quelle dell'uomo d'azione. 4- L'azione del comando del XXVII Corpo d'Armata. _ Nel mio ordine del 10 ottobre al comandante della II Armata precedentemente riferito spiccano specialmente i seguenti, concetti: 1 - La difesa delle linee avanzate sia affidata a poche forze, facendo fondato assegnamento sull'uso delle mitragliatrici, sui tiri di sbarramento e di interdizione delle artiglierie; sul1 1organizzazione dei fiancheggiamenti. Questo concetto deve avere larga ed appropriata applicazione nella zona a nord dell 1Avschek, dove la limitata efficienza difensiva delle nostre posizioni consiglia un assai parsimonioso impiego di truppe, pena uno sterile logoramento di energie della difesa.
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Caporetto, risponde Cadorna
2 - Il XXVII Corpo dovrà pertanto gravitare colla maggior parte delle sue forze sulla destra dell'Isonzo. 3 - Durante il tiro di bombardamento nemico, oltre a tiri sulle località di affluenza e di raccolta delle truppe, sulle sedi dei comandi ed osservatori, ecc., si svolga una violentissima contropreparazione nostra. Si concentri il fuoco dei medi e grossi calibri sulle zone di probabile irruzione delle fanterie le quali essendo esposte in linee improvvisate, prive o quasi di ricoveri, ad un tormento dei più micidiali dovranno essere schiacciate sulle trincee di partenza. Occorre, in una parola, disorganizzare ed annientare l'attacco prima che si sferri; disorganizzazione e annientamento che il nostro poderoso schieramento di artiglierie sicuramente consente. Nel successivo ordine del 20 ottobre (riprodotto nel capitolo X del mio libro La guerra alla fronte italiana, vol. II pagg. 153-159 e anche nel presente capitolo) prescrivevo che la controffensiva in grande stile sulla sinistra dell'Isonzo, ideata dal generale Capello, non avesse luogo, e perciò che lo sviluppo del principio controffensivo, base di ogni difesa efficace fosse ricondotto entro i reali confini che le largh e forze disponibili consentivano, mediante vigorosi contrattacchi locali. L'ordine di far gravitare la maggior p arte delle forze del XXVII Corpo sulla destra dell'Isonzo era naturale conseguenza dell'altro ordine di guarnire con poche forze le linee avanzate, specialmente nella zona a nord dell 1Avschek. Sulla sinistra dell'Isonzo la difesa ad oltranza poteva essere portata sulle forti posizioni del versante sinistro del1 1Avschek, le quali si saldavano asinistra colle posizioni delle alture sovrastanti a Doblar, e a destra con quelle del XXIV Corpo che potevano essere pure alquanto arretrate. Io stesso diedi tale consiglio al generale Capello indicandogli le posizioni da occupare sopra un plastico al 25.000 del Comando Supremo. II compito delle forze del XXVII Corpo lasciate sulla sinistra dell'Isonzo era molto importante, perchè esse dovevano 424
Le cause strategiche del disastro di Caporetto
coprire la sinistra del nostro schieramento sull'altopiano della Bainsizza; ma il mio ordine di passaggio della maggior parte delle truppe del XXVII Corpo sulla destra dell'Isonzo era tassativo e mi era stato suggerito dalla necessità di accrescere le scarse truppe destinate a fronteggiare gli sbocchi della testa di ponte di Tolmino. Tale ordine doveva perciò essere eseguito; libero poi il comandante della II Armata, se giudicava insufficienti le truppe del XXVII Corpo lasciate sulla sinistra dell'Isonzo, di rinforzarle con altre: egli disponeva della forza di 353 battaglioni e non doveva essergli difficile di destinarne alcuni allo scopo suindicato. Come fu eseguito il mio ordine? Dei 49 battaglioni che componevano il XXVII Corpo, il 24 ottobre se ne trovavano 27 sulla destra dell'Isonzo e 22, ossia quasi la metà, sulla sinistra. Siamo perciò ben lungi dalla maggior parte delle forze sulla destra, che avrebbe consentito di accrescere le riserve sulla destra del fiume - riserve che il generale Capello, nel capitolo V del suo libro Per la verità, giustamente lamenta che fossero troppo scarse. So che il generale Badoglio assicura che tale ordine non gli fu comunicato. E difatti, nell'ordine d'Armata d ell'll ottobre, firmato dal generale Montuori comandante interinale, le parole: «Il XXVII Corpo dovrà gravitare con la massima parte delle forze sulla destra dell'Isonzo» non figurano. E allora, come giustifica il comando di armata una così grave trascuranza? A pag. 134 della relazione della Commissione d'inchiesta per Caporetto si leggono le seguenti parole di uno dei brigadieri della 19a divisione: "II comandante del Corpo d'armata, generale Badoglio, aveva chiaramente espresso questo suo concetto d 'azione, ribadito in successive istruzioni scritte: la 19a divisione doveva tener testa da sola e con le sole sue forze, sacrificn.ndosi, occorrendo, sul posto, giacchè con le altre forze il comando del Corpo d'Armata deve contrattaccare e contromanovrare per l'alto, puntando per i Lom sui ponti di Santa Lucia". 425
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Ed il generale Cavaciocchi, che comandava il IV Corpo in quelle infauste giornate, in una lettera pubblicata nel Corriere della sera dell 18 settembre 1919, dopo di avere riprodotto il precedente brano della relazione della Commissione, soggiunge: «Ma altra cosa la relazione tace, che pure era notoria, per avere il generale Badoglio espresso il proprio intendimento una diecina di giorni prima dell'attacco nello stesso ambiente del comando della II Armata: è ch' egli aveva progettato di lasciare che il nemico sboccasse dalla testa di ponte e s'impegnasse nell'attacco aspettando a fulminare colle artiglierie le sue dense colonne quando la via di scampo fosse loro preclusa d all'ardita contromanovra ideata.» Ne risulterebbe quindi un'altra e più grave disobbedienza ai miei ordini, per essere stata progettata una grande controffensiva da me inibita, per i Lom di Tolmino, ripartendo all'uopo le forze del Corpo d'Armata in parti pressochè uguali sulle due rive dell'Isonzo, invece di riunire la maggior parte sulla riva destra del fiume, a scopo difensivo, come io avevo ordinato. lo so che il generale Badoglio nega recisamente di aver avuto quella intenzione, e giustamente rileva che sarebbe stato assurdo tentare quella operazione offensiva con così poche forze m entre essa era fallita nell'agosto in condizioni ben più favorevoli. Ma allora come mai ha potuto prod4rsi la duplice testimonianza a lui contraria? Come potè il brigadiere della 19a divisione asserire che tale concetto d'azione del generale Badoglio venne ribadito in successive istruzioni scritte? Perchè non furono prodotte queste istruzioni? Perchè la Commissione d'inchiesta, il cui, compito era quello d'indagare sulle cause di Caporetto, non seppe o non volle andare a fondo? Chi è responsabile di tutte queste violazioni dei miei ordini? Il com ando di Armata od il comando del Corpo? Poichè la Commissione prudentemente tace su questi punti di capitale importanza per la determinazio42.6
Le cause strategiche del disastro di Caporetto
ne delle cause militari-tecniche del disastro e delle relative responsabilità, tanto meno sono in grado io di precisarle; e p erciò mi debbo limitare alla constatazione che i miei ordini non sono stati eseguiti e che la Commissione d 'inchiesta non ha adempiuto il suo principale mandato. 11 Passo ora ad esaminare in qual modo è stato eseguito l'altro mio importante ordine, quello cioè del tiro di contropreparazione, allo scopo di schiacciare le fanterie nemiche nel momento del loro sbocco dalle trincee di partenza. Dice la relazione della Commissione d'inchiesta a pag. 208 (n. 250) che la sua attenzione «è stata in particolar modo richiamata dall'affermazione insistente e stranamente assai diffusa che alla vigilia dell'azione il comandante di artiglieria del XXVII Corpo d 1Armata avrebbe diretto alle dipendenti artiglierie l'ordine di non aprire il fuoco senza sua speciale autorizzazione. Detto comandante di artiglieria ha bensì escluso di aver impartito tale ordine, ma ha pure dichiarato che gli venne rifiutata in modo categorico l'autorizzazione di far iniziare il fuoco alle 2 del 24 ottobre, perchè si temeva un consumo inutile di munizioni. "Ben vagliate le discordanti testimonianze, non si può affermare in modo sicuro che l'ordine sia stato dato; e deve pure ammettersi che disposizioni tassative pel tiro di contropreparazione non fu.rana impartite". Nell'esaminare poi l'azione della artiglieria nella battaglia, la relazione a pag. 209 (n. 254) dice che: «Il bombardamento nemico sulla fronte di attacco si iniziava alle 2 del 24 ottobre in conformità di quanto le intercettazioni avevano annunziato, ma non era intervenuto a prevenirlo nè lo seguiva sollecito, genera11
E' noto, anche perché risulta da precise testimonianze, che il Gen. Badoglio
è stato salvato dalla Commissione su richiesta del Presidente del Consiglio
V.E. Orlando: egli desiderava affiancare al Gen. Diaz un ufficiale di S.M. capace ed, almeno in questo, aveva ragione. [C.C.] 427
~aporetto, n sponde Cadoma
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le, potente, il tiro di contropreparazione della nostra artiglieria.» Dalle notizie pubblicate a pag. 211 si desume che neanche il tiro di sbarramento e di interdizione sulla fronte del XXVII Corpo d 'Annata fu eseguito, o, se lo fu, lo fu imperfettamente. Ecco dunque un'altra grave trasgressione ai miei ordini. E' stato detto che soltanto nel 1918 il tiro di contropreparazione è stato perfezionato con metodi nuovi. Non lo contesto. Ma nel 1917 esso già esistev a, sia pure meno perfezionato; tant'è vero che io l'ho prescritto coll'ordine del 10 ottobre, il quale non poteva essere più chiaro e preciso. Io non sono in grado di definire se la responsabilità del mancato tiro di contropreparazione spetti al comando della II Armata o a quello del XXVII Corpo. Debbo perciò limitarmi a constatare che il mio ordine non fu eseguito. I documenti tedeschi (diari e relazioni dei corpi che presero parte all'attacco d el 24 ottobre) sono concordi nel dichiarare e nel trovare strano che l'artiglieria italiana non abbia aperto il fuoco nelle prime ore del mattino, e non vi è in essi traccia di tiro violento da parte nostra prima e durante l'attacco. Per contro tali documenti ammettono che l'intervento dell'artiglieria italiana avrebbe reso assai difficili l'affluenza, l'ammassamento e lo sbocco delle loro truppe dalla ristretta zona della testa di ponte di Tolmino. I tedeschi conferman o, finalmente, che tali operazioni poterono essere effettuate senza perdite o quasi. Di tutte le enumerate infrazioni ai miei ordini, il generale Capello tende, nei suoi scritti, ad incolpare il generale Badoglio. Questi però non ha ancora parlato. Mancando cosi uno dei principali elementi di valutazione, io non sono in grado di esprimere giudizi definitivi, e tanto meno condanne.12 Affermo bensì che se i miei ordini avessero avuto piena esecuzione, particolarmente quello del tiro di contropreparazione, anche malgrado la non completa efficienza morale delle truppe gli avvenimenti si sarebbero svolti diversamente.
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Le cause strategiche del disastro di Caporetto
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Io, che ho avuto parte capitale negli avvenimenti, non sono in grado di esprimere giudizi defuùtivi. Altri però lo sono, e io di cuore li invidio. Per esempio, il giovane conte Novello Papafava, in parecchie sue pubblicazioni, fino all'ultima Da CaporeUo a Vittorio Veneto, dà bensì prova di molto acume nelle sue investigazioni, ma trincia giudizi sulle responsabilità dei vari comandanti che, allo stato attuale della conoscenza dei documenti, nessuno può pronunziare. Ripeto quanto ho già detto, cioè che queste indagini costituivano il compito capitale della Commissione d'inchiesta e questa non l'ha eseguito, evidentemente perchè l'inchiesta doveva esser fatta ad usum delphini! Aggiungasi che l'azione di comando fu deficiente nel XXVII Corpo d'Armata durante tutto il corso della battaglia. Ne ciò deve destare meraviglia quando si legga nell'annotazione inserita a pagina 137 del II volume della Commissione d'inchiesta: "Il mattino del 24 verso le ore 10.30 a Carraria il generale Bongiovanni chiese notizie sulla situazione al generale Badoglio. La risposta giunse verso le ore 11. Il generale Badoglio confermava che c'era stato un cannoneggiamento tutta la notte e che non aveva più notizie perchè i telefoni erano tutti rotti e che pareva fosse tornata la calma sulla sua fronte. Di fronte a tale completa ignoranza dei fatti - alle ore 11 le colonne germaniche si avvicinavano a Caporetto - non è da meravigliarsi che nessun provvedimento potesse esser preso da quel comandante di corpo d'armata e tanto meno dai comandi supetiori.
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CAPITOLO IX RISPOSI A AL GENERALE NAVA
Col titolo Operazioni militari della IV Armata nei primi quattro mesi della campagna di guerra 1915 il generale Luigi Nava, che di quell'Armata aveva retto in quel tempo il comando, pubblica nel 1922 un libro nel quale non sappiamo se più ammirare la logica o la peregrina eleganza dello stile, «lacerator di ben costrutti orecchi.» Il generale Nava fu esonerato dal comando della IV Armata il 25 settembre 1915. Molto mi dolse di proporre questo provvedimento ed è facile comprendere come esso riuscisse a lui ancor meno gradito. Riconoscendogli perciò il diritto alla difesa, non avrei avuto nulla da osservare se egli avesse con dignitosa serenità esposto le sue ragioni e cercato di confutare quanto io avevo scritto nel mio libro "La guerra alla fronte italiana" sull'azione della IV Armata nei primi giorni della guerra. Invece il suo livore trabocca, si può dire, da ogni riga del volume,1 ricolmo anche di insinuazioni a mio carico al punto di chiedermi se avevo dinanzi agli occhi un libro polemico od un libello, e se dovevo rispondere a questo, come ho risposto ai non pochi altri libelli, cioè col silenzio. Ma, riflettendo poi all'autorità che deriva al generale Nava dall'altissimo comando da lui esercitato 1
In un evidente accesso di sincerità, lo stesso generale Nava riconosce di aver scritto colla "mente velata dalla passione". Discorrendo dell'iniziativa, così egli scrive a pagina 234: "Così definite l'iniziativa e la sua negazione e specificati il senso e la natura dell'una e dell'altra, non ne tirerò io stesso le conclusioni, le quali, per essere dettate da mente velata dalla passione, dovrebbero naturalmente parere meno rispondenti a verità e giustizia. Lascerò dire, invece, a chi, giovandosi di più sereno animo, potrà meglio giudicare con imparzialità e competenza se ecc. ". O non è per avventura caduto il dubbio, nel generale Nava, che la stessa passione gli abbia velata la mente anche nel trarre tutte le altre conclusioni del suo libro? 430
Risposta al Generale Nava
autorità che potrebbe indurre in erronei apprezzamenti molti lettori -mi sono indotto a scrivere la presente risposta, limitandomi a rilevare i punti di capitale importanza, che a notarli tutti mi mancherebbe il tempo e la lena. E poichè il generale Nava dimostra di possedere un così robusto spirito aggressivo, vien fatto di domandare perchè non ne ha impiegato almeno una parte contro il nemico nei primi giorni della guerra, quando esso ci avrebbe procurato non piccoli risultati, come dimostrerò fra poco colle sue stesse parole. Il libro del generale Nava è costituito di due parti, cioè una Memoria e una Appendice. La Memoria fu scritta negli ultimi tre mesi del 1915 per dimostrare insussistenti i motivi della sua esonerazione dal comando della IV Armata. L'Appendice fu invece stesa dopo la pubblicazione del mio libro La guerra alla fronte italiana e l 1autore dà prova in essa di una violenza difficilmente superabile, dimenticando che se egli fu, come si suol dire, silurato, aveva a sua volta silurato entrambi i suoi comandanti di corpo d 1armata, che sicuramente lo superavano in intelligenza e che, dopo il siluramento, avevano mantenuto contegno molto dignitoso e corretto e si erano astenuti non solo da1I1inveire contro l 1antico superiore, ma anche da qualsiasi pubblica recriminazione. Il generale Nava dice di essere stato mosso a scrivere l1Appendice dal seguente brano del mio libro La gu.erra alla fronte italiana (pagg. 131-132): Questo gran col po di mano (que l lo seguito colla generale avanzata nel primissi mi giorni della guerra ) diede eccellenti ri sultat i sul fronte della I Armata, non così su quello del la I V Armata, dove mancò l'impul so i ni zial e per i l primo sconfinamento . Qui vi l e operazioni erano state bene e con mol t o metodo ideate nell'ipot esi di una occupazione nemica con forze adeguat e e di una tenace resistenza. Ma, in realtà, essendo i n quel primo momento le forze 431
Caporetto, risponde Cadorna
avversarie assai scarse, era il caso di accellerare i tempi e di spingere r apidamente forti distaccamenti ad occupare l e pos izioni principal i , facendoli sostenere al più presto dal grosso delle forze . Ciò non essendo s tato fa tto, il nemico ebbe il tempo di fa r giungere forze sufficienti per occupare forti posizioni , le quali poi dovettero esser e da noi con grande difficoltà attaccate , come il Col di Lana , o non furono mai pr ese, come il margine settentrionale del Monte Piana (lago di Misurina) , il passo di Son Pauses ed i l Sasso di Stria , che c i tol se f ino all'ottobre 1917 la libera disponibilità della str ada d 'arroccamento de tta delle dolomi ti, t ra Cortina d' Ampezzo e Pieve di Livinal longo. Si noti che, secondo le direttive del 1° aprile, la IV Armata avrebbe dovuto prendere decisament e l 'of f ensiva e raggiungere il nodo di Toblach; non si trattava per l ei di offensive parziali a scopo di fe nsivo , come per l a I Armata; tanto più perciò sarebbe stato necessar io procedere con risolutezza per affe rrare di primo s lancio quei punti in territorio nemico che, debitamente occupati da questo , avrebbe ro potuto per lungo tempo pa ralizzare la nostra offensiva .
Come si vede, io fui molto moderato nella forma della mia critica: riconoscevo, in sostanza, che le operazioni offensive erano state bene e con molto metodo ideate, ma che per aver voluto applicare il metodo studiato anche quando la pochezza delle forze nemiche nei primi giorni consigliava di agire con risolutezza si perdette la fav orevole occasione di impossessarsi di primo impeto di importanti p osizioni che avrebbero p oi facilitato l'attacco dei forti. Nessuno poteva pretendere che la N Armata si impossessasse rapidamente delle fortificazioni e delle posizioni organizzate e tenacemente difese con forze com-
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Risposta al Generale Nava
petenti, tanto più dati gli scarsi mezzi tecnici disponibili, e di non aver fatto ciò nessuno ha mai mosso rimprovero al generale Nava, ma non si può non fargli appunto di non aver proceduto nei primissimi giorni con quella rapidità e quella risolutezza che le circostanze consigliavano e consentivano e che i miei ordini prescrivevano. Ma appunto tale argomento forma lo scopo principale del libro, col quale il generale Nava tenta in tutti i modi di dimostrare che per essere le posizioni di cui si tratta ben sistemate a difesa ed occupate da forze sufficienti, l attacco di sorpresa era impossibile. Se il fatto fosse vero, io dovrei lealmente riconoscere che il generale Nava è stato accusato a torto. Ma invece sarà dimostrato che i fatti non corrispondono alle dichiarazioni del generale Nava: resterà altresì provato che il medesimo si è ben a torto così violentemente inalberato contro le parole scritte nel mio libro. Per fare questa dimostrazione non ho che da riprodurre la relazione che accompagnava la proposta di esonerazione dal comando del generale Nava. In essa sono riferite delle lettere del medesimo colle quali egli allora, mentre reggeva il comando, conosceva che le forze che stavano di fronte a lui in quei primi giorni della guerra erano minime. Il documento è piuttosto lungo, ma molto interessante, ed in compenso consentirà a me di essere breve nella ulteriore parte di questa risposta. Eccolo, col1 aggiunta di alcune mie note a piè di pagina sulle quali richiamo particolarmente l 1attenzione del lettore: 1
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RELAZIONE SULL'OPERATO DEL COMANDANTE DELLA IV ARMATA Azione del comando della IV Armata nei primi giorni delle ostilità
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Caporetto, risponde Cadoma
Ne l la Guida per le operazioni delle truppe in occupa zioni avanza te (aprile 1915) i l comandante designato de lla IV Armata cos i si esprime va (pag . 11 : "Dal fatto che la nuova radunata avviene per fasi successive, in ognuna delle quali s i compie il t rasporto di un certo numero di unità di t ruppe e di corrispondenti a liquot e di servi zi, consegue che i primi nule i di forze in arrivo possono essere impiegati in aiut o al le truppe i n occupa zione avanzata , senza che la radunata delle rimanenti forze rimanga comunque turbata; epperò è mest ieri ave r presente che alle operazioni da eseguire durante il periodo di radunata è ora consentit o di dare pi ù vigorosa impronta, meglio mirando a s orprendere l'avversario che a pararne le minacce ; e soprat tutto che vi è ora luogo di dare alle a zioni t attiche delle truppe di occupazione avanzata quel maggior carattere di tenacia, che deve nat uralmente derivare dalla emersa possibilità di esser i n minor tempo r incalzati da maggiori forze" . 2 II giorno 22 maggio il c omandante del la IV Armata riceveva dal Comando Supremo il seguente telegramma n . 215 G.: Autorizzato 1n1z1are ostili tà a partire ore ventiquattro giorno 23 maggio . Operi in conformità dirett ive aprile 1915 ini ziando opera zioni spiccato caratte re vigore cercando impadronirsi al p iù presto posi zioni nemiche oltre con fi ne necessarie ulteriore sviluppo operazioni . 3 Generale CAOORNA
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Dunque, nell'aprile 1915 il comandante della IV Armata giudica possibile di agire nel senso prescritto dalle rrùe direttive. 434
Risposta al Generale Nava
I l 23 maggio, alla vigilia dell'apert ura delle ostilità, i l comandante della IV Armata diramava ai dipendenti comandi di corpo d'armata un fogl io all 'oggetto: Inizio delle ostilit à - Direttive d'azione per i primi a tti di offesa di cui ecco lo stral cio più importante : "E' avendo presenti tali raccomandazioni, altre volte espresse dal Comando Supremo, che è d'uopo rivol gere ora le nostre menti e gli atti alla presa di possesso di alcune posizioni di confine , le quali se, da un lato, gioverebbero eventual ment e a confer ire consi stenza ad una primordiale difesa e ad agevol are lo svol gimento di ul teriori operazioni offensive, non potrebbero, da un alt r o, essere occupate e mantenute senza correre corrispondenti rischi. «Tali posizioni sono: M. Piana - su cui nostre truppe non potrebbero sistemarsi perchè efficacemente battute da artiglieri e nemiche c he si ritengono (con fondamento) appostate in batterie occasionali al Geierwand ed al Rautkoufl. Colà però neppure l'avversario avrebbe agio di stabilirsi, se artiglierie nostre da campagna e da montagna (sostenute da competenti truppe di fanteria) appostate lungo i l fronte Col S. Angelo, C. Rimbianco Forcella Longere, dessero efficaci t iri sul piano del monte. Conca di Cortina d'Ampezzo - la cui occupazione, di i nestimabile valore per noi, può presentare gravi difficoltà e trarre a mal esito delle operazioni, se è vero che i vi si vadano addensando le prime fo rze nemiche di rilievo e che si attenda da più giorni dall ' avversario a porre in stato di difesa l e altu3
L'ordine appare abbastanza chiaro, e non si tratta di direttive a distanza di tempo, che il generale Nava critica aspramente, ma di ordine preciso, emanato alla vigilia del giorno in cui doveva esser eseguito. 435
Caporetto, risponde Cadorna
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re Col Dr usciè , Cadin, Staolin , dominanti la Conca di Cort ina" . "Ciò dà l uogo a ri flettere se, non pot endo sulle prime aspirare a più cospicuo r i s ultato, non convenga limita r si all 'occupazi one delle alture che, a destra o a sinistra del Boit e, sovr astano alla dogana austriaca ed hanno ant istante copertura nella Viz za di S. Rocco, o se non sia giocoforza r i manere sulle alture sovrastanti la dogana italiana, sinchè non s ia venuto il moment o di effettuare contro Cortina d'Ampezzo un a t tacco menat o con quante forze sono necessarie per compierl o con buon successo. M. Pore - che sarebbe non f acile da prendere e da mantenere, dat a l' azione che artiglieri e nemi che, appostate al Col di Lana e a l Sasso di Stria , potrebbero esercitare su di esso, ma del quale non avrebbe incontrastato possesso neppure l'avversario se artiglie rie nos t re, collocate presso Laviner e Selva Bellunese (da campagna leggere), presso Ardin(pesanti campal i ) e a l passo di M. Zonia (da montagna ), copri sser o di efficaci e convergenti ti ri i l cul mine del mont e e l e sue pendi ci da Valle Scura (tra Pian di Megon e Col S. Lucia) a V. Codalunga (tra il S. Lucia e M. Ver del). Una presa di possesso di M. Pore, per quanto di non dubbia util i t à per noi, non sembra pot ersi tentare se prima : non siano s t at e appostate l e suindi cate nost r e batterie; non sia stat a fortemente occupata l a posizione M. Buselle, M. Zonia, pendici nord-occ . di M. Cernera. S. Pellegrino - l a cui occupazione, riflett ente all e altur e sovrastant i i l Passo, tut e la più a l largo e quindi più sicuramente l a s i ni s tra delle nostre truppe operanti i n Val Cordevol e e sembra poter si e ffettuare senza pericoli , t ut tavolta risulti che le forze contrari e, appostate a difesa di quel passo, siano i nferiori a que l l e che, da part e nostra, le dovrebbero a ttaccare e respingere". 436
Risposta al Generale Nava
L'intonazione dell'ordine ora r i portato è assol utamente discorde dal concetto espresso dal Comando Supremo col telegrarrrrna 215 del 22 maggio. Con esso si rinuncia a priori a qualunque parz iale offensiva intesa ad occupare i punti, pure segnalati, che avrebbero potuto agevolare le operazioni successive (salvo per il Passo di S. Pellegri no ) . L'ordine, a 10 ore dal momento fissat o per l'inizio delle ostilità che avrebbero dovut o aprirsi con impetuosi atti par ziali, si limita ad una disquisizione teorica sull a convenienza del fare o del non fare, esigendo poi che i comandanti di corpo d'armata medi tino prontamente sulle esposte considerazioni e f acciano conoscere al comandante la IV Armata l'apprezzato loro parere in merito e gli sottopongano, a ragion veduta, gli atti di prima offesa che a loro giudizio si possono meglio compiere (dopo la mezzanotte dal 23 al 24 maggio) a vantaggio delle ulteriori nostre operazioni e «senza incorrere in più gravi rischi di quel li cui sottostanno ordinariamente t utt e le azioni di guerra». 4 Per tal modo, invece di irrompere sui punt i oltre confine, che conveniva occupare immediatamente,
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La dissertazione del 23 maggio del generale Nava (poichè non si può qualificarla come ordine) era dunque in patente contrasto col mio preciso ordine. Egli doveva perciò eseguirlo, e in caso di insuccesso la responsabilità sarebbe caduta su di me. Ma, posto anche che la sua mente fosse assillata da forti dubbi sulla riuscita dell'operazione, egli avrebbe avuto l'obbligo di farmeli presenti. E non gliene sarebbe mancato il tempo, perchè trovandosi le mie direttive del 10 aprile in perfetto accordo coll'ordine del 22 maggio, è allora in una delle molte volte in cui io riunii i comandanti di armata prima della guerra, che egli avrebbe dovuto espormi il suo parere sulla ineseguibilità dell' operazione. Quello era ìl momento. Ed invece, alla vigilia di eseguire una mossa che per riuscire richiedeva decisione ed ardire, egli inculca i più fieri dubbi nei suoi dipendenti, e a me nulla dice! Vedasi ad esempio quante difficoltà egli solleva per l'occupazione di M. Pore, il quale fu poco dopo occupato senza incontrar resistenza! 437
Caporetto, risponde Cadorna
approfittando delle prior i tà della nost ra azione, si perde tempo per dec ider su argoment i che avrebber o dovuto essere determinati i n precedenza . I nazi one , quindi , nei giorni 24, 25, 26 e 27. I l I Corpo non muove ad occupare i l Passo Tre Croci, mentre pure in Valle Ansiei si s volge un intenso movimento di t ruppe e salmerie, moviment o c he sarebbe stato necessario proteggere mediante quell ' occupazione . Ora, non v' ha dubbio che il primo sbal zo delle t r uppe avanzate dell'Armat a avrebbe dovuto essere iniziato fin dal giorno 24 per raggi ungere la linea M. Pore-Ave r an, alture oltre Cortina d' Ampe zzo. Passo Tre Croci, pienamente consentito dalla dis l ocazione raggi unta da l le nost re truppe e dall a sit uazione del l'avversario, e i mpost o dallo spirito e dall a letter a degl i ordini del Comando Supr emo. Di fronte alle ripet ute r iserve del comando d'Armata, E così pure per la presa di possesso dei monti sui fianchi di Val Boite fino a Podestagno, la quale avvenne senza apprezzabili difficoltà, sebbene fosse fatta molti giorni dopo. Essa poteva aver luogo subito, il 24-25 maggio, spingendo forti ricognizioni su Son Pauses che avrebbero segnalato l'entità delle forze nemiche. Coll'immediata occupazione di Passo Tre Croci (necessaria anche a proteggere la strada di Val d'Ansiei al lago Misurina già da noi occupato) e coll'invio di truppe fiancheggianti in' Val Costeana, in collegamento col IX Corpo, non vedo quali difficoltà dovessero opporsi ad un generale ardito per avanzare decisamente su Podestagno. E invece Passo Tre Croci non viene occupato che il 28 (5° giorno della guerra), e Cortina ancora dopo, in seguito a mio ordine! Ma egli era del parere che non si dovesse incorrere in più gravi rischi di quelli cui sottostanno ordinariamente tutte le azioni di guerra! Teorie audaci, come si vede, le quali mettono bensì al coperto la responsabilità di un generale nell'operare, ma non quella del non operare quando si doveva operare. Si confronti col regolamento d'impiego germanico il quale dice: Tutti i comandanti devono essere persuasi e persuadere i loro dipendenti che, nella scelta dei mezzi, costituisce maggior colpa il non approfittare delle occasioni che subire uno
scacco. 438
Risposta al Generale N ava
I Corpo non giudica opportuno avanzare, ed il comandante dell'Armata approva tale decisione; il IX manifesta la tendenza a spingersi innanzi, ma è subito sever amente richiamato, per i l principale motivo che la destra del IX Corpo verrebbe, coll'occupazione di M. Pore, a trovar si spinta troppo innanzi, mentre non può armonicamente procedere la sinistra del Corpo (foglio del comando della IV Armata in data 26 maggio). Ma i l giorno 25 il comando del la I V Armata, con un te legramma a firma generale Nava, comunica ai dipendenti comandi la dis locazione di repart i nemici, quale ri sulta «da fonte attendibi le» (telegr. 1946). Bruneck, 1000 uomini di Landsturm. Prags, i baraccament i occupati . Toblach, 2000 uomini. Landr o, 1000 uomini. Ospital , Schluderbach - 2 compagnie t edesche. Corti na, sgombr a. 5 Date queste informaz ioni, perchè il comandante del la IV Armata non ha ordinato almeno lo stesso giorno 25 lo sbalzo avanti verso Cortina, che avrebbe consentito anche l 'avanzata del IX Corpo? L 'inazione prosegue, fi nchè il giorno 27 il Comando Supremo -scri ve da Fagagna ai comandi d'armata, sollecitando una pronta azione offensiva che ci permetta di approfittare dell a scar sa efficienza in cui trovasi t uttora il nemico, e guadagnare «quanto più t erreno è possibile occupando subito quelle posizioni oltre confine la cui conquista, quando il nemico avesse il tempo di portarvi adeguate for ze , costerebbe a noi grossi sacrifici». La lettera soggiungeva i noltre: Natural mente, dato il
Ecco la pochezza delle forze nemiche indicate dallo stesso comandante IV Armata.
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Caporetto, risponde Cadom a
il fatto che la mobilitaz ione e la radunata non sono ancora ultimate , le grandi uni tà potranno incontrare qualche difficolta d ' indole logistica, spingendo fin d 'ora avanti le proprie truppe . Ma nessun r ipiego dovrà esse re l asciato intentato per superar e queste difficoltà , nessun sacrificio dovrà sembrare grave , pur di approfit tare del favorevole s t ato di cose . Aspettando, per operare con decisa offensiva, che t utti i mezzi per viver e e combattere siano perfettamente organizzat i , noi rischieremmo di dover ben pr esto consumare quei me zzi per conquistare obiett ivi che oggi potr emmo r aggiungere quas i senza colpo ferire. I l comandante della IV Armata trasmette quest a lett era lo stesso giorno ai comandanti di corpo d'armata col sempl ice attergato : «Per conoscenza perchè ottemperi a quanto entro è prescritto». Poichè la sopracitata l e tter a imponeva al comandante dell a IV Armata di agire senz'altro decisai:nente, e contrastava, in f ondo, con l e direttive da lui precedentemente impartite , s embra che egli avrebbe dovuto non limitarsi a queste poche parole, ma sciogliere espli citamente ogni precedente riserva ed i ndicare a c i ascuno gli atti offensivi da compiere . Solo il successivo giorno 28 il comandante della IV Armata ema na l ' ordine seguente : Al comandante del I Corpo d ' Armata - Pieve di Cadore . 2101 - Tutte notizie concor dano nel rilevare che s carse fo rze nemiche trova nsi contro IV Armat a , c he armamento opere occasionali dei vari sbarramenti s embra meno numeroso e potent e di quanto supponevasi . Della favorevole situazione importa approfittare prima che mut i a nostro danno; epperciò prego V. E
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Risposta al Generale Nava J
voler disporre perchè progettat e occupazioni a s ud Misurina con fronte nord, a Passo Tre Croci con fronte ovest siano al più pr esto effettuate. Cortina Ampezzo sembra sgombra nemico, forze r i l evant i sarebbero state segnalate Son Pauses. 6 Generale NAVA L'avanzata su M. Mesola-Fedaja-M. Pore si è compiuta, frattanto agevolmente per iniziativa del comando del IX Corpo; quella di Cortina-Passo Tre Croci si compie subito dopo senza i ncontrare resistenza. Sembr a potersene concl udere: a) che è mancata, all'apertura delle ostilità , quel la pronta e vigorosa az ione da parte del comando del la IV Armata che il Comando Supremo aveva ordinato e che la raggi unta dislocaz i one del l e t ruppe avrebbe consentito; b) che è stata anz i esercitata, per parte del dett o comandant e , una influenza n egativa, nel senso che quest i non sol o non diede ordini, ma impose a i comandanti di corpo d'armata vi ncoli tali che essi non avrebbero potuto prontamente agir e quand'anche ne avesser o ravvisato l'opportunità. Tutto ciò era in aperta cont raddizione cogli espliciti ordini del Comando Supremo. E va, inol tre, r i levato che dalla l ettura degli ordini e delle 6
Quest'ordine, firmato dal generale Nava, fornisce la più chiara smentita alle asserzioni dello stesso generale Nava (le quali costituiscono nel libro tutta la base deJJa sua difesa), secondo le quali le posizioni nemiche oltre confine sarebbero state presidiate ed organizzate a difesa in modo da rendere di impossibile riuscita un subitaneo attacco di sorpresa nei primi giorni della guerra. E se erano scarse il 28 quando emanava l'ordine, non erano certo maggiori il 24 quando egli avrebbe dovuto agire. 441
Il
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comunicazioni emanati ne l periodo di cui trat tas i dal coma ndo della IV Armata trapela un s enso di marcata perplessit à ed ince rtezza : in mome nti nei quali occorreva r isolut amente decidere ed agi re non si f a che cont rapporre il pro ed il cont ro de l fa re e del non fare , s enza che mai emergano chiari ed espliciti i l pe nsiero del comandante e la sua decisa volontà ne ll ' imporre una dete rminata l inea di condotta, che pur le direttive e gli ordini del Comando Supremo t r acci avano s icura e precisa . Azione del comando della IV Anna ta dalla presa di Cortina al primo a ttacco di Son Pa uses
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II giorno 1° gi ugno il comando della IV Arma ta emana l' ordi ne di opera zione N. 3 (marcia avant i gene rale dell ' Armata ) . In esso si premette : " Le forze avversar ie raccoltesi negl i sbar r amenti di La Corte-Tre Sassi , Landro- Platzwiese e Sexten , secondo quanto emerge da notizie di inf ormatori e da risultati di r icognizioni , non sono tuttodì nè tant o numerose nè di tale qualità da creare serio ed efficace contrasto ad una nos t ra avanzata . » 7 Segue, dopo ciò, l ' indicazione della linea di investimento da raggiungere , ini ziando le mosse i l 3 giugno . E' da notare che detta l i nea d ' investimento è pressochè t utta dentro confine , eccetto che nel tratto corrispondente alla Conca di Corti na, che e ra s tata agevol me nte occupata il gior no 29 maggio . Ora , dal momento che l 'esper i enza degli atti offe ns ivi , compiut i dopo l 'esitazione dei primi giorni , 7
Tali erano le informazioni pervenute al generale Nava ancora il 1° giugno, nono giorno di guerra. 442
Risposta al Generale Nava
aveva dimostrato fino all ' evidenza la scarsa consistenza della difesa nemica , sarebbe stato logico che a l la cos tituzione metodica della linea d ' invest i ment o fosse ro s tati accompagna ti arditi atti offen si vi, partenti specialmente dall a Conca di Cortina, per cogliere l ' avversario, scarsamente preparato, sulla linea Col del Bois-Tofana- Col Becchei di sotto - Son Pauses-Croda dell ' Ancona; linea che , una volta caduta prontamente in nostra mano, ci avrebbe assicurato la vantaggiosa possibilità di postare fin dall ' inizio l e nostre batterie d ' assedio in Val Felizon contro Platzwiese , ed in Val Costea na contro Tre Sassi . Altri parziali atti offensivi avrebbero potuto esse re compiuti lungo il rimanente del fronte , opportunamente sfruttando la situaz ione del momento . A ciò invitava la lettera del Comando Supremo n . 246 G. del 27 maggio, già citata, speci e là ove era detto : «Conviene approfittare di questo stato di cose gua dagnando quanto più t erreno possibile ed occupando subito quelle posizioni oltre confine,, la cui con qui sta ,, quando i l nemico avesse il t empo di p ortare adeguate forze ,, costerebbe a noi grossi sacri f ici .» Ma il comando della IV Armata non ravvisa l' oppor tunità di tale contegno ardito, si astiene dall ' or dinare qualunque atto offensivo e in tale atteggiamento persiste va anche quando, il giorno 3 giugno diramava il f ogl i o n . 2430 di pr ot. avente per ogget to : Attività da spiegare nei pr imi giorni d ' i nvestimento degli sbarramenti nemici da attaccare . I n esso ordine s i preme tte: «Voci corse che , pur non confermate paiono non destituite di fondament o , lasciano ritenere che i già iniziati movimenti delle forze nemiche, avviate a fronteggiare la IV Armata , dovrebbero ave r e più o meno compiuta effettuazione 443
Caporetto, risponde Cadoma
verso il 10 del mese corrente o poco dopo . Se così fosse , avrerruno a non lieve nostro vantaggi o tal margine di tempo concessoci dalla radunata nemica ... » Questo margine di tempo non viene però utilizzato dal Comando della IV Armata per compiere nessun atto di quelle parziali offensive che, data la premessa surricordata, era evidente che sarebbero riuscite, dopo, tanto più ardue, e che invece , se compiute prima, avrebbero molto giovato al successivo svolgersi delle operazioni, a cominciare da quelle di assedio . E «l 'attività da spiegare, ecc . ecc .» si limita a lla pura e semplice costituzione della linea d 'investimento . Ciò ad onta che il comando del la IV Armata avesse , ad esempi o , notato fin dal 1° giugno che le difese di Son Pauses sembravano non alt rimenti munite che di artigli erie campali leggere; e ancora avesse il 5 giugno soggiunto : «La mancanza su tutta la fronte della IV Armata di seria opposizione da parte del nemico all ' attua zione de l la marcia avant i , prescritta dall ' ordine di operazi one n . 3, ha rilevato in modo evidente che le for ze avversarie affl uite f ino ad ora negli sbar ramenti di Alto Cordevole , Alto Rienza e di Sexten non sono tut todì così numer ose nè tanto pronte ad operare da poter contrastare i nostri disegni» . 6 Tutto ciò prova come il comando della IV Armata non avesse ben inteso il compito che in quei primi gior ni gl i s ' imponeva . E perciò dal 29 maggio all'8 giu8
Non è più il caso di far commenti, ma sembra incredibile, dopo tali dichiarazioni fatte ancora il 5 giugno, tredicesimo giorno di guerra, che il generale Nava abbia potuto scrivere un libro sostenendo una tesi che si basa su dichiarazioni affatto opposte. Ma egli dichiara nel libro che non ha documenti e che si affida alla memoria. Bisogna adunque concludere che questa lo ha ben tradito. 444
Risposta al Generale N ava
gno, allorchè fu intrapreso, troppo tardi , l ' attacco di Son Pauses , si verifi cò un a l t ro periodo di assol uta i nazione, durant e i l quale il nemico pot è compiere indisturbato la sua radunata e procedere dai l uoghi di r accolta all ' occupazione delle linee di di fesa predisposte . Ora sarebbe certo giudicare col senno di poi se , dopo aver accertato a tanta distanza dai fatti che l'occupazione nemica sulla nostra fronte era i n quei giorni poco consis tente, si volesse senz ' altro fa r carico al comando della IV Armata di non aver saputo sfruttare la s ituazi one operando con l a vol uta energia. Ma si deve considerare nel caso presente che, mentre il comandante de l l'Armata possedeva sul nemico informazioni da lui medesimo giudicate att endibili e , come si potè i n segui to constatare, rispondenti alla r eal t à, d' altra par te esi steva l ' ordine espli cito del Comando Supremo di agi r e decisament e con spiccato vigore. Appar e perciò l e gittimo l ' addebitar e al modo onde furono concepiti, ed emanati gli ordini del comando dell ' Armata il mancato conseguimento degli obiettivi che i n quel pr i mo tempo non sarebbe s tato di f ficile r aggiungere . Ciò conseguì dall ' avere l ' Armata proceduto in quei primi giorni con eccessivo me todismo, al punto di considerare l ' a zione suddivisa in succes sive fasi assolutamente distinte, prima fra l e quali la costituzi one del la linea d 'investi mento ; e che , fino a quando ques ta non fosse stabilit a e r a fforzata completamente, non dovesse l ' Armata dipartirsi da un contegno di assoluta difensiva . E i n tale contegno essa pers i stè durant e tutta l a prima quindi cina delle operazioni, a malgrado delle esplicite sollecita zioni del Comando Supremo, a malgrado di ogni più evident e opportunit à , f i no a per445
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Caporetto, risponde Cadoma
dere i nter amente il vant aggio non lieve che l a priorità della nostra azione ci avrebbe consentito . Es erci zio del comando Ciò premesso, è cer to c he molt e del le difficoltà cui, col progredi re del l e operazioni, la IV Armata è andata incontro avrebbero potuto esse re supe rate di primo slancio, quando fosse stato impresso alle operazioni i ni ziali quell' impulso ben p i ù vigoroso e deciso richiesto dalla situazione generale ed imposto dagli ordini supe rior i . Nè sarebbe arrischiato supporre che, qualora ciò si fos se verificato, l ' ulte r ior e s vil uppo del l e operazioni avrebbe assunto una piega alquanto e forse molto diff erente da quel l a che i n r ealtà ha avuto . Ma, considerando gli avvenimenti guerreschi della pr i ma qui ndici na i ndi pendentemente da ogni collegamento con quelli s ucce ssivi, s e ne deve a buon di rit to dedurre che l a IV Armata ha mal corrisposto ai suoi compi ti . Un esame completo dell ' opera to del comandante della IV Armata, inteso a rilevare tutte le deficienze, r i chiederebbe non s oltanto un ' approfondita analis i dei documenti, ma altresì l ' interrogatorio delle pe r sone s ulle qual i l ' azione personale de l comandante medesimo s ' è esercitata più di frequente e con maggiore i nt ensit à . Sono tutt avia s igni fica tive alcune impressioni , che trovano conf erma nell ' esame del la r ela zione documenta ta . Nelle comunicazioni del comandante la IV Armata ai comandi di pendenti i l concett o fondament ale esecutivo riesce spesso oscuro ed ambiguo; esse generano i n chi legge una i nce rte zza che non può fare a meno di riverberar si poi nel l ' es ecuzione da pa rte dei sot toposti . 446
Risposta al Generale N ava
Inoltre il modo col quale S . E. i l generale Nava intende la funzione del comando presenta una speciale caratteristica, il cui valore negativo merita di essere posto in evidenza. Dal complesso delle sue relazioni coi comandi dipendenti emer ge che egli, rispettosissimo dell'iniziativa dei sottoposti , non sempre interviene a tempo quando nell ' opera di costoro si ri levano manifesti errori o lacune9 , ma poi tal i errori o lacune egli non indugia a porre in evidenza allorchè, premuto egli stesso dal Comando Supremo, si t rova nella necessità di esaminare l ' operato dei dipendenti . Pare , in sostanza, che la funzione di comando si limiti in gran, parte , per questo generale, ad attribuzioni di car attere ispettivo. Una certa mal dissimulata preoccupazione della propria responsabilità sembra, inoltre, si riveli dal testo del telegramma che qui si riporta, il cui contenuto non si potrebbe approvare senza qualche riserva :
Belluno, 15 giugno 1915 Comando I Corpo d'Armata 3318 . Ho preso atto comunicazione datami con odierno f ono-gramma c i rca operazione intrapresa da generale Ferrero verso Force l la Dignas ed oltre , osservando in via di massima che suggerimento espresso circa opportunità compiere detta operazione e domanda di parere in merit o non implica alcuna mia responsabilità, la quale comincia soltanto quando, esaurite pratiche preliminari ed avuto richie9
E' il principale errore commesso dallo stesso Gen. Cadorna, come egli stesso ammette. Il Gen. Cadoma ha l'attenuante dell'immenso fronte ma avrebbe potuto rimediare con la nomina di un sottocapo operativo. [C.C.] 447
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Caporetto, risponde Cadorna
sto parere, emetto un preciso ordine di esecuzione. Generale NAVA L 'accennata tendenza di questo comandante ad imprimere all'azione del proprio comando un carattere, per così dire, ispettivo invece che fattivo trova espressione nel continuo far carico dei minori insuccessi alle imperfette disposizioni dei comandi dipendenti; che, se anche tali addebiti possono ritenersi in gran parte fondati, e se questo Comando ha, a suo tempo , aderito alle frequenti e numerose proposte di esoneri presentate da S. E. il generale Nava , si deve per altro notare che la eventuale minor e capacità dei comandanti medesimi avrebbe dovut o s t imolare i l detto generale a sorvegliare più da presso l'opera loro, a sor reggerli , a consigliarli, a vi ncere le eventuali riluttanze, ad imprimere determinatezza di scopi e risolutezza d'attuazione alle operazioni, così da stabili re fra sè e i comandi dipendenti quell'affiatamento e quella uni formità di vedute che avrebbero i ndubbiament e condotto ai migliori risultati . Così allorquando a metà dello scorso luglio sembrò che l'azione dell'artiglieria contro gli sbarramenti procedesse a rilento, il generale Nava non indugiò a fare addebito al comando del I Corpo di avere ordinato una viziosa postazione de lle batterie d'assedio e non avere abbastanza ravvicinato quelle campali, addebito che risultò fondato. Vien fatto tuttavia di domandarsi se egli, e prima di lui i l comandante dell'artiglieria del l' Armata, sollecitò poi quest'ultimo a rilevare errori conrrnessi dal comandante di artiglieria del I Corpo, e non avrebbe dovuto e potuto intervenire in tempo per correggere, evitandoli, gli avvenuti errori e le relative conseguenze. 448
Risposta al Generale N ava
Di tutto ciò S. E. il generale Nava sembr a non si sia reso conto, giacchè le sue comunicazioni a l Comando Supr emo ri specchiano pur esse, la sua depl orata t endenza , esponendo egli ogni f atto r i guar dant e l'~rrnata come se la s ua persona fosse coll ocata all ' i nfuori della grande unità che comanda e non fosse egli in ogni caso, del buono e del meno buono operato dell a medesima, i l pr incipale artefi ce ed il primo r esponsabile . Un grave inconve niente s'è rivelato anche nel funzionamento interno del comando del l 'Armata a causa dell ' indol e eccessivamente accentratrice di S. E. il general e Nava: l'essere egli cioè durant e i l trascorso periodo de l l a campagna di guerra rimast o sempr e chiuso in quasi assoluto i solamento, che, olt re a mantenerlo lontano dai dipendenti comandi, lo ha , per sua volontaria elezione, segregato anche dalle persone de l suo Stato Maggiore, a l la cui collaborazione egli ha, con ciò, quasi assolutamente rinunciato; questo pernicioso accentramento non può fare a meno di aver nociuto a regolare il completo funzionamento del comando, ed ha avuto evidenti r ipercussioni sullo svolgimento del l 'attività dell'Armat a. Conclusione
I maggiori addebiti imputabi li a S. E. il generale Nava, comandante del la IV Armata, per quanto concerne i l di l ui operato nel periodo di gu~rr a fin qui trascorso possono cosi riassumersi: a)non avere durante i pri mi 15 giorni delle operazioni agito colla voluta prontezza ed energia, così da s fruttare la favorevole nost ra situazione rispet -
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Caporetto, risponde Cadorna
to a quel la dell'avversario, secondo che imponevano le direttive e gli ordini del Comando Supremo; b) avere esercitato il comando con insufficiente decisione, con eccessiva preoccupazione della propria r esponsabilità, e senza imprimere all 'opera dei dipendenti comandi di corpo d'armata quel personale impulso che era suo preciso dovere di dare, anzi i nspirando ne i medesimi una dannosa perplessità, non sempre intervenendo a tempo per evitar e i possibili err ori, ma limitandosi spesso a rilevarli quando già questi avevano avute conseguenze irri mediabili. Ora, poichè oltre al rilevante danno già prodotto dalle lamentate insufficienze, altro e forse maggiore potrebbe ancora derivarne nel presente periodo, nel qual e si richiedono molto accorgimento e molta decisione per consolidare quanto è già stato ottenuto ed attuare le disposizioni d'indole sorrrrnamente delicata, per il prossimo periodo invernale, giudico che sarebbe inopportuna ogni ulteriore permanenza di S. E. i l generale Nava al comando della IV Armata. Addi 24 settembre 1915. Il capo di Stato Maggior e del' l 'ese rcit o L. CADORNA
Demolita la base sulla quale poggiano tutte le argomentazioni del generale Nava, il suo edificio difensivo crolla, e io potrei far punto. Senonchè, nella battaglia da lui impegnata contro di me non essendovi più di mezzo la sua responsabilità, come in quella del 1915 contro gli austriaci, egli si è rammentato che il miglior mezzo di difesa è l'attacco, e se l'è presa col mio disegno d'operazioni o piano di campagna che dir si voglia, ed essenzialmente mi rimprovera: 450
Risposta al Generale Nava
1) di aver preso l'offensiva su tutto il fronte dal lago di Garda al mare, disseminando così le forze e facendo guerra a cordone. 2) di avere concepito un piano di campagna inattuabile, date la potente organizzazione delle difese nemiche e la scarsezza dei nostri mezzi tecnici per espugnarle. Ben inteso che il generale Nava, dopo aver acerbamente criticato il mio disegno di operazioni, si astiene con cura dall'esporre che cosa avrebbe fatto al mio posto! Accuse tutt1altro che nuove mi ha rivolto il generale Nava ed alle quali ho già diffusamente risposto nei capitoli VI e VII di questo libro. Ma non sarà inutile il ricordare che le mie direttive del 1° aprile 1915 non costituivano un piano di campagna, ma si riferivano unicamente al periodo di mobilitazione radunata (pag. 97 voi. I di La guerra alla fronte italiana). Ed alla seguente pag. 98 è espressamente detto che si assegnava per fine ad alcune armate il raggiungimento di determinati importanti obiettivi durante la radunata, il cui possesso avrebbe agevolato le successive operazioni quando il Comando Supremo giudicasse di aver radunato forze sufficienti. Chiarissimo pertanto appare che le direttive si riferivano esclusivamente alle operazioni preliminari da compiersi collo scopo di facilitare le successive operazioni colle quali si sarebbe attuato il vero pfano di campagna. L1esporre questo piano fin d'allora sarebbe cosa prematura ed inutile, dappoichè la sua esecuzione o rinunzia al medesimo, totale o parziale, dipendeva dal risultato ottenuto nelle operazioni preliminari. Perciò le direttive non svolgono un piano di campagna, sebbene ne lascino intravvedere le prime mosse; e così doveva essere trattandosi di prescrizioni dirette a preparare l'attuazione di un piano di campagna, se le circostanze avessero consentito di tradurlo in atto. In fondo alla stessa pagina 98 e con caratteri in grassetto parla (parole delle direttive) della «possibilità 10 che la nostra offensiva urti contro tenace resistenza e rimanga paralizzata, a somiglianza di quan451
Caporetto, risponde Cadoma
tosi verificava in Fiandra ed in Polonia». Queste parole dimostrano che l'arresto dell'offensiva non mi è giunto affatto imprevisto e p erciò è assurdo parlare di fallimento del piano di campagna, quando, come ho detto, non si trattava di piano di campagna e l'arresto era previsto! Ma, pur riconoscendo la possibilità che l'offensiva tosto si arenasse, potevo io esimermi dall'avere un piano di campagna, dall'avere un concetto di condotta delle operazioni nei vari casi che si potevano presentare? Poichè avevamo di fronte a noi una forte barriera fortificata, dovevo senz'altro rinunziare a qualsiasi favorevole eventualità e ridurmi subito coll'arma al piede a fronteggiare la barriera stessa, mentre avevamo dichiarato guerra a scopo offensivo, e la nostra guerra era coordinata con quella degli alleati? E dovevo perciò anche rinunziare a quelle operazioni preliminari tracciate nelle direttive, le quali avrebbero migliorato il nostro sistema difensivo e facilitato ulteriori operazioni offensive? Tutto ciò è talmente lampante che dimostra quanto possa la critica ad ogni costo offuscare l'intelligenza in persone che pur non ne son prive! Del resto il generale Nava ha atteso ad accorgersi che il piano di campagna era ineseguibile quando non era stato capace di eseguire la parte che gli spettava dalle operazioni preliminari all'esecuzione del piano stesso. Poichè egli a torto immedesima le direttive col piano di campagna, e poichè le prime hanno la data del 1° aprile, anteriore di 54 giorni all'inizio della guerra, pare che non gli sia mancato il tempo di farmi presente, nei debiti modt l'ineseguibilità delle direttive stesse sul fronte della IV Armata! Questo sarebbe stato il suo preciso dovere, se avesse avuto tale convinzione. Perchè non l'ha fatto? 10
Ho scritto possibilità. Sarebbe stato più esatto dire probabilità; potevo io adoperare una parola che avrebbe paralizzato lo slancio offensivo tanto necessario specialmente in quei primi giorni della guerra? 452
Risposta al Generale Nava
Quanto all 1aver preso l'offensiva su tutta la fronte dal lago di Garda al mare, debbo ripetere che tale prescrizione si riferiva alle sole operazioni preliminari durante il periodo di radunata. Ciò era reso possibile dalla pochezza delle forze avversarie, ed era indispensabile di fare così volendo occupare di primo slancio posizioni importanti per la difesa e per la successiva offensiva. Ma, ultimato il periodo preliminare, diventata la guerra statica dallo Stelvio alla Carnia, si trovavano schierate 14 sole divisioni sui 500 e più chilometri di questa fronte e 21 sui 90 chilometri dalla conca di Plezzo al mare. Altro che guerra a cordone! Maggiore addensamento di forze - data la totale disponibilità di 35 divisioni lungo il fronte sul quale si doveva procedere offensivamente - non si poteva immaginare! Riferendomi ora, non alle· operazioni preliminari durante il periodo della radunata, ma al vero piano di campagna quale · l1ho adombrato nel capitolo III del libro La guerra alla fronte italiana, dirò che la causa principale della non avvenuta sua attuazione - alla quale nessuno dei numerosi e facili critici ha creduto di dover accennare - è il fallimento dei presupposti sui quali tale piano si fondava. Risulta infatti dal suddetto capitolo III che, in base alle convenzioni stipulate, io facevo assegnamento, al momento della nostra entrata in guerra, sulla contemporanea offensiva delle armate russe della Galizia verso l'Ungheria e dell'esercito serbo con direzione generale su Agram. Ora il disastro russo di Gorlice dell'aprile 1915 non solo impedì l 1offensiva russa, ma ebbe per conseguenza l 1indietreggiamento di alcune centinaia di chilometri d elle armate russe e la loro paralisi per lungo tempo. L'esercito serbo, per cause non ancora chiarite, ma certamente più politiche che militari, mantenne una completa inazione che permise agli austriaci di sottrarre la maggior parte delle truppe, e le migliori, dal fronte serbo (avviandole alla nostra fronte), non lasciandovi che una qua453
Caporetto, risponde Cadorna
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rantina di migliaia di uomint in gran parte di Landsturm. Perciò, anche indipendentemente dalle difficoltà della guerra di posizione e dalla scarsità dei nostri mezzi tecnici, chi si meraviglierà che la nostra offensiva sia andata incontro a difficoltà allora insuperabili? Non basta constatare che, nel fatto, il piano di campagna è fallito, ma è ancora necessario dimostrare che sarebbe necessariamente fallito anche nel caso in cui si fossero verificati i presupposti sui quali io facevo assegnamento per poter attuare il piano stesso. Ma questa dimostrazione non è stata fatta e non sarà fatta! Dopo quanto ho esposto, io concludo che gli ultimi ad aver diritto di parlare del fallimento del mio piano sono proprio quelli che colla ingiustificata estrema lentezza del loro operare hanno - come il generale Nava - largamente contribuito a far fallire ciò che di quel piano era ancora attuabile senza l'atteso concorso della Russia e della Serbia. Un'altra accusa mi rivolge replicatamente il generale Nava, specialmente a pag. 200 nel capitolo intitolato: " Meno direttive e più ordini di operazioni". Le direttive non gli vanno decisamente a genio, ed avrebbe voluto che il Comando Supremo ricorresse a precisi ordini di operazioni. Eppure egli stesso soltanto tre pagine dopo (pag. 203) ha scritto quanto segue: "le direttive essendo apparse, nei primordi della guerra, quale memoriale di desiderati da soddisfare, più che non ordini formali da eseguire, e come guida di condotta non ledente per nulla quella latitudine di azione che, per regola, vuol essere giustamente lasciata, in guerra, ad elevati agenti, investiti di al ti ed importanti comandi, nell'ufficio complesso di regolare, tra le truppe dipendenti, lo svolgimento delle operazioni militari, in relazione ai mandati assegnati ed ai fini da conseguire". Benissimo, e, prescindendo dalla solita eleganza dell'eloquio, siamo in perfetto accordo. Nella guerra di movimento, nella quale la situazione varia di 454
Risposta al Generale Nava
giorno in giorno, il Comando Supremo deve emanare ordini precisi, anche giornalmente, quando ci si trova in vicinanza del nemico, indicando alle varie armate gli scopi da conseguire ed i collegamenti colle altre armate e lasciando piena libertà d 'azione nell'esecuzione della manovra. Ma quando, come nel caso della IV Armata, si debbono svolgere operazioni di più o meno lunga durata con obiettivi ben distinti da quelli delle altre armate, da raggiungersi attraverso ad una zona di operazione nettamente separata da ostacoli naturali da quelle d elle armate laterali, è evidente che il Comando Supremo, che si trova lontano, non può determinare giorno per giorno con ordini precisi le operazioni da compiersi e d eve limitarsi ad indicare al comandante dell'armata gli scopi generali, gli obiettivi da raggiungere, in altre parole, egli deve compilare delle direttive. Ma anche questi obiettivi il generale Nava trova modo di criticare, trovandoli troppo lontani e separati dalla nostra linea di partenza dalla barriera fortificata austriaca! Ma io non ho assegnato per obiettivi alla IV Armata nè Vienna nè Budapest, e nemmeno Innsbruck e Villach: mi sono limitato ad indicare il vicino gruppo del Sella e principalmente il vicinissimo nodo Toblach, il quale dista non più di 12 chilometri dal confine di M. Piana. Dovevo forse assegnare per obiettivo alla destra della IV Armata il villaggio di Schluderbach perche si trovava al centro delle prospicienti fortificazioni di Landro? Pare a me evidente che l 1obiettivo dev'essere assegnato al di là dell'ostacolo da superare, affinchè tale indicazione possa servire di norma nel determinare il modo col quale superare l'ostacolo stesso. Per esempio, se io avessi stabilito per obiettivo le fortificazioni di Landro e di Sexten, il generale N ava sarebbe stato giustificato se avesse diviso i suoi scarsi mezzi tecnici fra i due gruppi fortificati. Avendo io invece indicato Toblach come obiettivo, egli era in facoltà di limitarsi a sorvegliare il gruppo di Sexten e 455
Caporetto, risponde Cadorna
di riunire tutte le sue artiglierie contro il gruppo di LandroPlatzwiese, la cui espugnazione gli avrebbe consentito di raggiungere il nodo di Toblach, anche senza impadronirsi delle fortificazioni di Sexten. Egli che mi accusa di aver diviso le artiglierie d 1assedio fra diverse armate non s'accorge di averle alla sua volta divise fra tre gruppi fortificati, mentre bastava dividerle fra due! Ed ancora: il generale Nava, che avrebbe preferito gli ordini alle direttive, non ricorda (anche in questo caso la memoria lo ha tradito!) che io ho bensì emanato delle direttive il 1° aprile, ma poi, e proprio nel giorno della dichiarazione di guerra, cioe il 22 maggio, gli avevo spedito un ordine telegrafico confermante le direttive, e veramente chiaro e preciso come lo vuole lui ordine che ho già riferito in questo capitolo, ma che, essendo a~sai breve, desidero ripetere: «Autorizzato iniziare ostilità a partire ore ventiquattro ventitre maggio. Operi in conformità direttive aprile 1915 iniziando operazioni spiccato carattere vigore cercando impadronirsi al più presto posizioni nemiche oltre confine necessarie ulteriore sviluppo operazioni.» Che cosa avrebbe potuto desiderare di più esplicito il generale Nava, se avesse avuto I1intelletto e l'animo pari alle necessità della situazione? Nessuno avrebbe potuto giustamente rimproverargli di non avere espugnato la barriera fortificata, se le artiglierie si fossero dimostrate per quantità e qualità non adeguate allo scopo. Ma il non avere agito con rapidità e risolutezza come gli ordini volevano e le circostanze consentivano, al fine di conquistare posizioni che avrebbero poi reso molto meno difficile quell'attacco, fu grave colpa, della quale il generale Nava ha tentato e tenterà invano di sdebitarsi!
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Appendice
Dichiarazione resa dal gen. A. Dal Fabbro, responsabile del genio militare che effettuò i lavori di fortificazione della linea del M. Grappa, all'Ufficio Storico dello SME". Tali lavori, a partire dal 28 ottobre '17, continuarono sotto la direzione del comando della IV armata.
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Caporetto, risponde Cadorna
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èù\$'), er~o u\ tl-te • JUl'C pronto -ptll l ':tm.a111ento; erlltto
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dhu, 1• 4.l b-'1.l.Urh i11 1111d lo cnlibro dol Ul'4'P~
L'lll'P'1a:H:o 1Jr1co d l wolloTll.-~nto era w.Un:r.to o lo l ol.oterlcho di
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del 1911 , n clà. 1n aTI11l1&t.a cootnutlone, quMdo t1 ' ord l np d~lla b i• N1.lon• g:onoMtt del ll\Yorl dl ,ure,.a, ai tlo votbro no,l)41nd tr r 1.1 l l "Yo r 1, ,-1-r,4"" to a.1111 :ll t ('°l:~ • rallo
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,,conMrh 11u•• l d1ftto do.ll a oi,.r-ro.t,.
t&bUo • u rt• por:do_naa. ..tra •t•to lnlalaw anche il prolw1 0 ..n:Gntio dolll\ rotahih
cran.1, olti-, lii. 'Htt.. dt1 lln11ra nr:s.o l ' oa hl'ln dol 1orcellotto per lo COl'Wlic ,u.lon l tra ll CA~aaJ.do prln a1\l'\lo O quC!llo d el li •:ra Uoa O del l'-.Uaol.1n. • l l t~ao111\o di l.l\lo nrol\lll"ILl!lcnto r
D
aro.
lJ~tl)
Appendice
465
Caporetto, risponde (adorna
gru ppS.,)-p,rtora tori I
I
App endice - 9 re t-'ti d al. Tenente dii zo Genio di I.I. T, ll,flsio d1g. Y.ra.ncesco :34Yor1o· i;l,«l; J)h tTotto di
lll\rl!.ltt.a. - In.oltre con oe.,- nul.1 ben via ib.111 u·ano
etn~ tnlhidunts sul t,rreno o 3\illc r-ocoie, lo o:mnonio:re deUe b~!t"' ter.i'ò in c <J:nrna, le -po.o~ion'i .por ml tragll<>trlci, e;l.1 ol.0111ent1 d ~
tr i ne+:/\,
1 rat.1c:>l n t1 occ .• - Ag1.i :ùtri lRvo ri a ttendov11 i l Tenente
del <icnio d i c omplerr,en lo Cravino v fon r,uli;i dal
5°
Rege;!l!lon1.o,.D1atl'ota
to di Casale ;.!Qnfe rl'nto, In conpleseo a1 l3Vo r1 del Capoaa ldo o deil~ strndo Torso Oste•
r ia del Yorcolletto l avorav:mo A1 c·i .tlli Al u
v ,i
350
o1)8ra1.-
ne er1mo al tr~ 70 con un u!f'lcio.le che atATa•
no u1 U mu:do le 318telt>l\zioni accco:iorio d ~lle b11tte ria. :OU.ratfte ,~ tto rono nlncremonte. -
~ mese
n
di Ott ob::ra 1 ·1n;rori 11111 Orappi oo~ tinua•
eiorno 1.2 d1 detto
1:1$89
il oottoecrJ tto, ineie•
!!:e ad u.t'1'1c1BJ.!- dol Coca."ldo d i' Arti.it!,1eria delle Truppa Al1:'1-pÌo.ni. ai
r ecò
:i
ac e1>lieN del:-l.e -po'sizioni -per ba.tterie
!n
c1.1Terna.. al.le 1;fal~e
di >.:. La Gusella, nel le ;z;_o ccie aesnate La Croce (oa r ta al 2!)000) de• stilla te ad inrilaza :vera o""i12onte l a vallo del à:ren·tò. · od a f 1anohagg1a• ro nrso valle le dUeaa ,di e~nda i,inistra dol fiUl!le e oiò in b1111jt
:i..;li ordin';I.. ed alle .indicu:ioni imparU te da G, :d. C11dorna nella ricor-
data Yid~
det 7 Ottobre. -
\,·Iri ife~i tò agU' llTI;f$!1me~td. dell' .laonso, .:11,
i\ic:,mando
lllFemo or-
dinavo. di effettuare d ' 11:rgenza i l collep!!lento tra !!'il rob~ato oa-po• saldo delle !telette ( plrs TiBitato da S, 3. Cadom~ acootnllB8Jlato dal
sottoac:ritto 1;1.,~ Ottobre) ool 1114aeieo i ~f~del. Gra'P'PB'., -
n
reln tiTo Fò.getto; venne t osto conçre~,,,t o ~allo scrinnte ed 1l 30
Ottobre esso
Yèii.in
a-pprovato dal
à!;and~·:·Tru.p-pe Al ~ipiani, -
Tlll.e collego.1U.ento, dal'l.e ;psndici oriontàli di JJ, $'ondeuolif 1 ece~dna 119r ~e natte al cigl i one roooioeo d i e:P()nda destra della Val Gadena, lo eesui~a fino ai roooio~i orientali del 'Sàaeo Ròeso, oltre=
puoaT!I 11 Brenta alln Gro.ttoll:a e aaliva f in oontr.a l e . roooie Anzin1 ad OTeat di Col Caprile, -
Il 27 Ottobre tu o. Bassano, sede del Comando Trup-po Al tipian i ,
467
Caporetto, risponde (adorna • li., •
i• " • vi• Aì. d , 11m l ull .. ~ · •H l
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JJ.tit#.9'JCl .. i
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;i.:rJ ,or. .,t.,;t.4 co,.ptlato
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ur. d•hsato <l dla ;.• ..>ind.1n e di :.Ona
,1.,u;., 1Nli?i Altipi.-ni (.Ohce ttoA U C~lo:m• llo .:.&r t.;)ri C. T. l h \ro)
l1ao rl d•l v r &pl,lll. non aiaai rlU?t",d.a n,ic u ,;..ri a la ~;;.arJ.lu.r. i o.n• .: fl vw1~,ale. -
ln tau.o il 1-&TO:ni
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~~ pu~i::-.11:..r.:t.!l~e - =i::.:tu ci la...,;)r1
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T.
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r.1u u.fOdaJ.1 ~ ,:i &J!·! htro a:.:c;n.a io.::.:at,1.. • Jl l cncch • pci tn-~ ~•ro
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C-,,;.1 o ger.io -id 6• Co:::- p, d'.&na~ d•l ~ 1 • ,.-u\;i ~•1 l,!l:U:.,
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a Col Cainpo~11l. - . Uno.. , ,.t:r,ldll , , I nnno .. o.n• , a .~ cc,1~.enOO~ ,d4l "cS:p .ione tro: Col J\a.1.nn·o
~i S. ij,li c;.i ta, ilÌtl:ivo.
~~ ·00-st.,r.;1:i.ts ~
ooe•
.mo:i,e, oo,.
si ::,dea&a eoae S~l"ieo. -
&l)JXI.N
indicato nella 'cttntà t&ttìt'rà d~ll 'Uffi,o 1o
~egu.1t1 p,:lr tu.tt'altro rlne,
i 1 ee·1et·e nza. df itH1 l)ertni::ie, i ino
daJ. 7 Ott obre 1917, di rat'forzare e •~ar ... -.~~ turar ..1 1n· .~,orma. l)reoiaa e àe! i."litiTa, nella l!le.nte d1 s.~. Cadornn, la -pollllib.l.lità e la con:a 6
470
Appendice
-1:,1nnienza di utilizzare il Grap.p.,. come c;a:-posil'do ;irinoi-pale della nuo=
l
v:a linea. d1 difesa, diet,ro la. quale in seguito o.i diugrazia ti eventi
di Cator<1 ttG, si mel)to op;p.;rj:un9,
batterie colĂ ;nzientemente e ailenzioliamentff s,i stemati nel 11'3riodo
471
Cap oretto, risponde Cadoma
472
SOMMARIO PREFAZIONE del Prof. Aldo A. Mola ................................................. 3 LUIGI CADORNA, UN GENERALE DEL RISORGIMENTO ITALIANO di Carlo Cadorna................................................................ 19 PREMESSA .............................................................................................. 57 PARTE PRIMA - RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA PER CAPORETTO
I. Osservazioni generali ............................................................... 61 II. Il punto fondamentale della relazione della Commissione d'inchiesta ................................................... 73 III. Critiche di ordine militare-morale ........................................ 133 1 - Il governo dei quadri ...................................................................... 133 2 - Il governo della truppa ................................................................. 148 3 - Gli irredditizi sacrifici di sangue .................................................. 169 4 - La coesione organica ....................................................................... 177 N. Critiche di ordine militare-tecnico ............................................. 184 1 - Le riserve strategiche ..................................................................... 185 2 - Le linee difensive ........................................................................... 189 3 - Studio di un eventuale ripiegamento .......................................... 193 4 - Collegamento fra II Armata e zona Carnia ................................ 194 5 - Scaglionamento dei magazzirù e dei depositi ........................... 196 6 - Avvenimenti nel Trentino nel 1916 .............................................. 200
V. Le relazioni col Governo ............................................................... 229 Nota del generale Raffaele Cadoma .................................................. 265 Appendice al Capitolo V ..................................................................... 277
Caporetto, risponde Cadorna VI. Osservazioni varie .................................. ............... .... ...... ... 288 1 - Osservazioni di carattere personale ............................................ 288 2 - La svalutazione del primo periodo della guerra ...................... 290 3 - L'apparecchio rrĂšlitare ................................................................... 297 4 - L'attacco frontale ............................................................................ 306 5 - Lo schieramento dell'esercito il 24 maggio 1915 e il disegno di operazioni ......................................................................................... 316 6 - Le informazioni sul nerrĂšco nell'ottobre 1917 ........ '. ................... 321 7 - Il bollettino di guerra del 28 ottobre 1917 .................................. 325 8 - La ritirata della IV Armata dal Cadore al Piave ........................ 336 PARTE SECONDA - RISPOSTA Al GENERALI CAPELLO E NAVA
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VII. Replica ad alcune osservazioni del generale Capello. ........... 343 1 - Il disegno di operazioni ................................................................ 343 2 - Offensiva dell'autunno 1915 ......................................................... 358 3 - Offensiva austriaca del Trentino nel 1916 .................................. 364 4 - Note sulla battaglia di Gorizia ..................................................... 369 5 - Offensiva dell'agosto 1917 ............................................................ 373 VIII. Le cause strategiche del disastro di Caporetto ....................... 385 1 - Il fronte difensivo il 24 ottobre 1917 ........................................... 385 2 - L'azione del comando della II Armata ....................................... 389 3 - L'azione del comando del IV Corpo d'Armata ......................... 419 4- L'azione del comando del XXVII Corpo d'Armata ................... 423 ' IX. Risposta al generale Nava ................................................... 430
Dichiarazione del Gen. A. Dal Fabbro .............................................. 457 INSERTI Carta del confine italo-austriaco al 24 maggio 1915.
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