Antonio Spadaro
CONNESSIONI Nuove forme della cultura al tempo di internet
Presentazione di Xavier Debanne
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Alla presenza invisibile di mia madre Grazia, a cui devo la passione per il mondo e per tutte le sue ÂŤconnessioniÂť.
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Indice
P I I C E La scrittura elettronica..............................................................24 La scrittura ipertestuale e telematica..........................................25 Il libro virtuale.........................................................................27 Editoria senza editori?...............................................................31 Le direzioni possibili.................................................................33 Testi senza libri? L’ipotesi dell’anti-libro.....................................34 C B Le biblioteche con catalogo «on line»...........................................43 La librerie virtuali....................................................................44 La sfida delle biblioteche virtuali...............................................45 Un progetto ambizioso: Google Book Search..................................46 Perplessità e nodi critici.............................................................49 Egemonia culturale?..................................................................51 Altri nodi.................................................................................54
C W-: Tipologie di siti.........................................................................62 Questioni e valutazione.............................................................64 C B: Che cosa sono i blog?...................................................................69 Tra diarismo e giornalismo.........................................................71 La dimensione emotivo-espressiva..............................................74 La dimensione critica................................................................76 La dimensione giornalistica.......................................................77 Le prospettive...........................................................................80 C P: La rivoluzione dell’audio digitale..............................................86 Il Podcasting.............................................................................88 C W: Wikipedia......................................................................96 Enciclopedia libera e aperta.......................................................97 Le caratteristiche dei wiki e le loro applicazioni..........................99 I limiti del sistema wiki............................................................101 II C D « Gli spazi religiosi virtuali........................................................111 11
Le forme del navigare in Rete..................................................115 Il bisogno di Dio e cyber-spiritualità........................................117 La Rete e il dialogo spirituale...................................................119 La Rete e il dialogo teologico....................................................121 C’è Dio nella blogosfera?.........................................................122 Godcasting....................................................................123 Una teologia del «codice aperto»..............................................126 C C Nuove tecnologie e pastorale....................................................136 La necessità di un impegno.......................................................139 La Rete «modello» di Chiesa......................................................143 Etica in internet: persone e solidarietà come criteri ultimi..........146 A L . T «E « «Tocca al mistico spiegarci il poeta?»........................................154 Un modello: gli «Esercizi» di Ignazio di Loyola.......................156 La letteralità infranta degli «Esercizi».....................................158 La lettura come «esecuzione» di un’opera «virtuale»..................159 La lettura come immersione interattiva...................................161 La lettura può diventare esperienza spirituale..........................162 B
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PRESENTAZIONE
Il mondo nel quale viviamo si è a poco a poco riempito di oggetti digitali: il personal computer (PC), spesso collegato ad internet, il telefonino, sempre più prodotto con fotocamera digitale incorporata, il lettore di CD e di DVD, la televisione satellitare, i videogiochi, ecc. Il fenomeno della digitalizzazione della società ha cambiato, in modo sostanziale ma quasi impercettibile, la cultura occidentale: i giovani comunicano tramite il linguaggio SMS del telefonino, scattano fotografie digitali e utilizzano l’iPod per ascoltare la musica digitale; tutti navigano in rete; alcuni credenti vengono accompagnati spiritualmente tramite messaggi di posta elettronica. Il volume che ho il piacere di presentare, indaga e descrive le principali conseguenze della digitalizzazione della società nella vita di tutti i giorni. Non è il solito libro su internet scritto in “informatichese” (numerosi sono questi libri, e anche necessari, finché la complessità della tecnologia digitale richiederà all’utente conoscenze informatiche e telematiche per operare efficacemente in rete), ma si tratta di un testo che fa riflettere sui cambiamenti che internet, in costante evoluzione, produce sul mondo del lavoro, sul tempo libero, sullo spazio religioso, ecc. Destinatari di queste pagine sono le persone che utilizzano spesso internet, ad esempio inviano e ricevono e-mail e navigano nel web, ma non hanno ancora avuto l’occasione di valutare in profondità il fenomeno. Il libro intende aiutare le persone a capire quello che sta succedendo in internet (dal giornalismo fatto con i blog al progetto Google Book Search fino al successo dell’enciclopedia Wikipedia), far maturare la consapevolezza della digitalizzazione sempre più pervasiva della società e, infine, offrire una riflessione sulla presenza religiosa in rete. Il testo si basa su una caratteristica essenziale di internet, ossia l’innovazione: internet incita fortemente ad innovare, perché 13
chiunque abbia l’idea di una nuova applicazione la può realizzare con mezzi modesti. Nella prima parte del volume, l’Autore ci presenta alcuni temi di frontiera: il futuro ruolo degli editori e delle biblioteche in un mondo dove il libro sta diventando sempre più elettronico; il problema dell’attendibilità delle fonti quando le riviste si trasformano in web-zine e quando il giornalismo “passa” attraverso i blog; il futuro della musica di fronte all’esplosione di uno strumento di ascolto chiamato iPod; infine l’Autore si chiede se il Podcasting sarà il futuro della comunicazione. La seconda parte del libro incita invece il lettore a riflettere sulla fenomenologia dell’incontro in Rete in quanto luogo frequentato da milioni di persone ogni giorno, spazio che nessuno possiede e che favorisce le connessioni. In altre parole gli utenti di internet ricercano sostanzialmente tre cose: l’informazione, la transazione (ad esempio il commercio elettronico) e la comunicazione. D’altronde l’Autore sottolinea che, oggi, l’uomo alla ricerca di Dio può anche porsi di fronte ad uno schermo e avviare una navigazione. Ma che cosa trova? Una presenza religiosa la cui parte preponderante ancora consiste nella diffusione di notizie e contenuti: ci sono siti istituzionali autorevoli e siti provenienti dall’iniziativa personale; siti per informare e divulgare contenuti e siti per la nuova evangelizzazione in rete. Il testo, oltre a proporre una classificazione di questi spazi religiosi virtuali, sviluppa una ulteriore riflessione sui temi visti precedentemente: dai blog si passa ora allo studio della presenza di Dio nella blogosfera, dal podcasting a ciò che alcuni chiamano godcasting, ossia i podcast a sfondo religioso. Questo libro fornisce dunque a tutti coloro che sono interessati ad un uso consapevole di internet un aiuto ed un stimolo a valutare le novità che vengono offerte. Infatti la natura pervasiva della Rete sta portando profonde modifiche economiche e sociali in ogni settore della società. Proprio perché così potente internet può comportare non pochi rischi. Ad esempio occorre considerare che è sempre più collegato con il sistema economico e le pagine che seguono ci aiutano ad imparare a distinguere l’idea innovativa dal puro progetto economico-finanziario. Nel contempo internet è diventato un ambiente culturale 14
ed educativo frequentato da milioni di persone, credenti e non. internet rappresenta per la Chiesa una formidabile opportunitĂ di comunicazione perchĂŠ consente di moltiplicare le connessioni sia come collegamenti personali sia per la costituzione di nuove forme di aggregazione sociale. Il libro di Antonio Spadaro vuole quindi aiutarci a comprendere le dimensioni del fenomeno internet e, nello stesso tempo, spingerci ad affrontare le cose nuove ad esso collegato con entusiasmo e determinazione.
Xavier Debanne Dirigente Siemens Informatica
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INTRODUZIONE
Filippo Tommaso Marinetti e un gruppo di artisti futuristi nel settembre 1916 così esordivano in un loro testo programmatico: «Il libro, mezzo assolutamente passatista di conservare e comunicare il pensiero, era da molto tempo destinato a scomparire […]. Esso infatti è per loro «statico compagno dei sedentari, dei nostalgici». I futuristi vagheggiavano profeticamente «grandi tavole di parole in libertà», «mobili avvisi luminosi», una poliespressività: «metteremo in moto le parole in libertà che rompono i limiti della letteratura marciando verso la pittura, la musica, l’arte dei rumori». Con queste espressioni essi intendevano parlare del cinema, ma già prefiguravano quella forma di espressione che è il linguaggio ipertestuale. A distanza di decenni dalle intuizioni futuriste, ecco svilupparsi internet, una rete di interconnessione tra computer collegati attraverso l’adozione di un medesimo sistema («protocollo») di comunicazione. Se un computer entra nella «Rete» può essere connesso in modo interattivo e veloce a qualunque altro computer collegato e in qualunque angolo della terra si trovi. Internet è così un sistema di comunicazione a «ragnatela» (in inglese web, metafora usata per indicare l’intera Rete), globale e ubiquo. Costruendo un «sito» in questa Rete, cioè, in altri termini, ponendo in uno di questi computer testi, immagini, suoni e dunque informazioni di tipo testuale o multimediale, è possibile renderli accessibili in modo rapido e in qualunque momento da qualsiasi utente connesso. Internet oggi si rivela come un «oceano» di informazioni da riempire e da solcare. La metafora della navigazione è quella che rende meglio il movimento al suo interno. Il modo migliore per comprendere la Rete è, così, l’esplorazione diretta. La riflessione viene in un secondo tempo, come momento di comprensione e di intelligenza approfondita di ciò che si è, almeno confusamente, sperimentato. Non sappiamo se nel momento in 17
cui il lettore prenderà in mano questo libro tutti i collegamenti ipertestuali citati nelle note saranno ancora attivi: la Rete cambia e si evolve molto in fretta. In ogni caso, essi serviranno come tracce di un processo evolutivo che non sembra ammettere «luoghi» definitivi. Le pagine che seguono sono state scritte con l’intento di aiutare il «navigante» a orientarsi in internet, e a comprendere meglio questo luogo virtuale, anche a partire dalla rivoluzione digitale ad esso strettamente connessa. L’esposizione è pensata per persone di cultura media che hanno già almeno un’idea vaga dell’argomento, senza però averne una conoscenza piena o tecnica. Chi seguirà il volume pagina dopo pagina vedrà dispiegarsi una serie di fenomeni legati alle tecnologie digitali e di Rete che una volta erano di pertinenza della carta stampata: scrittura, editoria, biblioteche, librerie, riviste, giornali, enciclopedie. La prima parte del volume rappresenta dunque un’incursione nel mondo della formazione culturale e dell’informazione per comprendere criticamente come esso sia stato modificato dalle evoluzioni tecnologiche. La seconda parte riprende parte del discorso precedente sulle nuove tecnologie ma questa volta con l’obiettivo di verificare come esse abbiano avuto un impatto a livello religioso ed ecclesiale. Emerge con evidenza che la Rete non è un mezzo di comunicazione, ma un vero e proprio «ambiente»: il cyberspazio è un mondo immateriale sì, ma un vero e proprio «mondo» di espressione, relazioni,... Come interpretare questa realtà emergente? Segue infine una riflessione su come gli Esercizi di Ignazio di Loyola (prima metà del XVI sec.) propongano un’esperienza spirituale «multimediale» e «iper-testuale» che ha precisi riflessi direttamente sul modo di leggere il testo biblico e indirettamente sul modo di leggere qualunque testo letterario. Il volume nasce dalla fusione, riveduta e aggiornata, di alcuni contributi pubblicati sulla rivista La Civiltà Cattolica, che da 157 anni – essendo la più antica rivista culturale italiana che non ha mai interrotto le pubblicazioni – è stata sempre attenta ai nuovi fenomeni culturali e sociali emergenti. Come nel corso di un quinquennio i saggi qui confluiti hanno accompagnato il lettore man mano che i fenomeni emergevano, così questo volu18
me intende accompagnare il lettore nella comprensione critica di ciò che è accaduto, e soprattutto delle prospettive che si vanno aprendo. Antonio Spadaro S.I.
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PRIMA PARTE
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CAPITOLO 1 EDITORIA IN DIGITALE
Oggi, a distanza di oltre mezzo millennio dall’invenzione della stampa, vediamo profilarsi una novità considerata da alcuni una minaccia, da altri una risorsa: l’avvento dell’editoria «digitale» che ha come protagonisti non la carta e l’inchiostro, ma il computer e internet. Questo capitolo illustra alcune nuove opportunità sorte dall’interazione tra il mondo del libro e quello delle nuove tecnologie informatiche e telematiche: la scrittura elettronica, la scrittura ipertestuale e telematica, il libro digitale. Ecco la domanda: esiste ancora un futuro per il libro in quanto «prodotto» di valore culturale? Se esso è divenuto nel tempo uno dei simboli più efficaci per indicare sapienza e riflessione critica, questa sua natura oggi è sempre più messa in discussione dalla crisi del ruolo dell’editoria e dalle nuove opportunità di «pubblicare» e diffondere testi in maniera non tradizionale. Viene quindi invocato un atteggiamento equilibrato che consiste nel prendere atto innanzitutto delle nuove potenzialità, nonostante si possano profilare rischi e problemi prima impensabili.
Pietra, argilla, papiro: questi i primi materiali che hanno fatto da supporto alla scrittura umana. Materiali concreti, che hanno avuto pregi anche tattili: consistenza, plasticità, leggerezza. Il passaggio dal papiro alla pergamena è stato decisivo per la possibilità di scrivere fronte retro, di piegare e di rilegare i fogli scritti, ma non ha modificato la concretezza del supporto. Si è passati però dal volumen, che si avvolgeva in rotoli, al codex, un assemblaggio di fascicoli che, cuciti, davano vita al libro. Il passaggio dal volume al codice ha modificato notevolmente l’uso e la struttura stessa del libro (numerazione dei fogli, divisio23
ne in capitoli, titoli…). Un altro passaggio decisivo è stato quello segnato dall’uso della carta, che nel nostro Paese giunge intorno al XIII sec. d.C., anche se la sua invenzione è più antica di oltre dieci secoli. L’«invenzione» della stampa è collocata nella metà del Quattrocento con Gutenberg. Il trionfo del libro si ebbe nel XVI sec. Esso era merce fragile ma pesante, specialmente a causa della rilegatura, e così, spesso, veniva trasportato senza di essa: il libro viaggiava in fogli liberi che venivano rilegati quando giungevano a destinazione. Il libro ha generato nel tempo anche una vera e propria passione, come con eleganza ne ha scritto, ad esempio, R. Guardini, nel suo Elogio del libro1.
La scrittura elettronica Oggi, a distanza di oltre mezzo millennio dall’invenzione di Gutenberg, vediamo profilarsi una novità considerata da alcuni una minaccia, da altri una risorsa: l’avvento dell’editoria digitale. Qualcuno afferma: «Ciò che fece Gutenberg lo rifarà il virtuale»2. Altri invece sostengono che «i nuovi media non cambieranno profondamente la nostra cultura come fece nel Quattrocento l’invenzione di Gutenberg»3. Ma che cosa hanno a che fare il «virtuale»4 e il «digitale»5 con il libro? Per scrivere tesi, articoli, relazioni oggi l’uso del computer sembra quasi insostituibile. Se uno studente, uno studioso, un giornalista scrive un testo a mano o a macchina, di fatto deve contare su qualcuno che sia in grado di riscriverlo alla tastiera di un computer. Come si presenta il testo sul monitor? Si tratta di un vero e proprio volumen, realizzato grazie a un programma di video-scrittura, che si legge srotolandolo, attraverso il pulsante del mouse. Se voglio, grazie a una stampante, posso riprodurre su carta il testo che vedo nel monitor. In questo caso il volumen si trasforma, grazie a delle impostazioni di stampa, in una sorta di codex nella forma che veniva utilizzata nel Cinquecento per il trasporto, cioè senza rilegatura. Colui che stampa il testo, se vuole, può anche variare l’impaginazione a suo comodo, e così cambiare il carattere di stampa, il corpo dei caratteri e la spaziatura tra le righe6. 24
Il fatto di avere un testo in formato elettronico permette operazioni di studio e ricerca altrimenti faticosissime7. A questo scopo sono disponibili programmi, spesso gratuiti, che aiutano i ricercatori a lavorare criticamente sui testi elettronici8.
La scrittura ipertestuale e telematica Con l’avvento di internet e della posta elettronica è possibile scambiare in pochi secondi, da una parte all’altra del pianeta, anche testi di centinaia e centinaia di pagine così realizzati. Ma soprattutto, con la diffusione ampia dell’uso della Rete è stato necessario un sistema che permettesse un accesso facile e intuitivo alle informazioni che venivano in essa scambiate. Vennero così inventati, all’incirca nel 1990, dei programmi (i browser) che erano in grado di leggere il più diffuso linguaggio di impaginazione con il quale si scrivono documenti in internet (l’Hyper-Text Markup Language, in sigla HTML). Si tratta di un linguaggio ipertestuale, in grado cioè di accludere immagini statiche (pensiamo alle miniature del codex), ma anche immagini in movimento e suoni9. Ricordiamo solo di sfuggita che le prime forme di linguaggio da cui poi l’HTML si è sviluppato risalgono al 1945 col il sistema allora denominato «Memex». Grazie a questo linguaggio di impaginazione è possibile realizzare dunque delle pubblicazioni, simili nel loro essere volumen a quelle che si realizzano con i programmi di video-scrittura, ma con in più la possibilità di creare documenti multimediali (cioè contenenti immagini, sfondi, sequenze animate e suoni) e ipertestuali. Su quest’ultima parola è necessario dire qualcosa in più. Se accediamo a internet e «navighiamo» al suo interno, troveremo delle «pagine» caratterizzate, come si diceva, da testi, immagini e suoni. Ma nel testo è possibile vedere che alcune parole sono sottolineate e scritte in altro colore (in genere in blu). Se premiamo il pulsante del mouse su una di quelle parole, ci apparirà un’altra pagina, differente da quella visualizzata in precedenza10. Si tratta sostanzialmente di un’evoluzione del concetto di «nota» in un testo a stampa. Così comprendiamo che un ipertesto si legge in due direzioni: una è quella dall’alto in basso (come nel 25
volumen) e l’altra è da fuori a dentro. L’unica cosa che non si può fare è l’atto di «sfogliare» le pagine come nel codex. Le pagine di un ipertesto sono distribute infatti in uno spazio virtuale tridimensionale e si consultano in profondità. Ogni pagina può essere porta che fa accedere ad un’altra pagina. Ovviamente la porta che si apre può essere interna alla stessa opera o allo stesso sito che si sta consultando, ma può anche essere aperta verso altre opere sparse per la Rete. Facciamo un esempio. Se un ricercatore scrive un saggio sul romanzo del Novecento, citerà autori e testi. Attraverso il linguaggio HTML, tutte le volte che cita un autore, ad esempio Marcel Proust, potrà inserire in codice all’interno di quella parola un collegamento ad un’altra pagina, non scritta da lui, che presenta in modo approfondito e sistematico la produzione dello scrittore francese. A sua volta, chi ha scritto quella pagina, probabilmente avrà creato dei collegamenti con altre pagine su argomenti simili. Così, partendo dalla pagina nel nostro ricercatore, dopo un po’ ci potremmo trovare «in alto mare» a navigare su innumerevoli risorse dedicate all’opera di Proust, da commenti di appassionati fino all’edizione critica dei suoi manoscritti. Dunque abbiamo la realizzazione di un’opera radicalmente «aperta»11, realizzata da una sorta di scrittura altrettanto aperta. In qualche modo tutta la Rete è in teoria raggiungibile da qualsiasi punto di partenza. Internet può essere considerato come un unico grande testo12. La stessa scrittura narrativa può in qualche modo assumere nuove dimensioni di significato. Esistono programmi, come il noto Storyspace, elaborati proprio per creare ambienti virtuali, che servono quando l’organizzazione delle informazioni o delle idee cambia con il loro accumularsi, così come spesso avviene, ad esempio, nella fiction. Leggere un libro, a meno che non si ami saltare da una pagina all’altra senza un nesso preciso o non si stia consultando un dizionario, un’enciclopedia o un manuale, prevede una lettura lineare, cioè sostanzialmente continua. L’ipertesto no. Esso prevede una lettura insieme dall’alto in basso e da fuori a dentro, come si è detto. Un romanzo ipertestuale potrebbe rinviare a brani di altri romanzi, proponendo al lettore vari percorsi da scegliere e persino 26
opzioni nella trama e nella conclusione. Questa possibilità può avere applicazioni scientifiche nello studio dei testi letterari e delle sue varianti, come ha dimostrato il dipartimento di italianistica dell’Università di Edimburgo13. A questo punto si aprono non poche questioni di critica letteraria legate alla ipertestualità14. In realtà la diffusione di questo linguaggio e il fatto che i programmi di visualizzazione siano gratuiti, ha fatto sì che venissero prodotte anche opere «chiuse» (come enciclopedie, raccolte di documenti,…) diffuse in floppy disk (in realtà ormai quasi spariti dall’uso) o cd rom o dvd. Un’intera enciclopedia monumentale può essere così contenuta all’interno di un solo supporto dal peso di pochi grammi.
Il libro virtuale In internet è possibile dunque diffondere testi in modo semplice, rapido e fruibile dovunque nel mondo. Nessuna pubblicazione cartacea offre la stessa capillarità di diffusione, con tempi di pubblicazione così rapidi e a costi che possono essere relativamente irrisori. Ciò ha permesso di immettere nella Rete quantità enormi di testi. È possibile già accedere liberamente a biblioteche elettroniche, dove sono presenti centinaia di testi in formato digitale gratuitamente e comodamente scaricabili sul proprio computer di casa15. È possibile consultare riviste scientifiche che spesso riportano on line estratti dei loro contenuti, se non articoli interi. Attraverso «motori di ricerca» è possibile essere aiutati a rintracciare attraverso milioni di siti ciò che si sta cercando. La Rete è un oceano prevalentemente testuale e la letteratura ha trovato in essa un luogo di presenza e di espressione. «Navigando» al suo interno è anche possibile imbattersi in collegamenti ipertestuali che rinviano a veri e propri libri da «scaricare» (download), cioè da trasferire per via telematica sul proprio computer di casa, e stampare così come sono stati impaginati dall’autore. Si tratta di documenti scritti in formato PDF (Portable Document Format). In questo caso, grazie ad un programma di lettura gratuito, è possibile avere sullo schermo del proprio computer un libro non modificabile, impaginato classicamente e suddiviso in pagine, 27
capitoli, paragrafi, indice e con le tradizionali note in calce o in fondo al libro stesso. Se vuole, il lettore può semplicemente archiviare il testo sul computer e consultarlo a monitor quando è necessario oppure può stamparlo con la stampante personale e poi, se vuole, anche rilegarlo come preferisce. La Rete in questo caso diventa per il testo una sorta di «autostrada» informatica su cui esso viaggia a velocità insuperabili (pochi secondi), da qualunque parte del mondo fino alla casa del lettore che lo ha richiesto. Il fenomeno della scrittura elettronica o digitale non rimane solo qualcosa di estemporaneo, anzi potrebbe cambiare, almeno parzialmente, il volto dell’attuale sistema editoriale. La prima osservazione da fare è che il libro digitale in sé non è un «oggetto» come il libro di carta, il codice di pergamena, il volume papiraceo, l’argilla e la pietra. Non si può toccare. Lo si può solo vedere: si guarda ma non si tocca. Il testo è dematerializzato dal suo «corpo» e non ha dimensione fisica tangibile. Per nominarlo la lingua francese usa l’espressione «libro numerico» (col riferimento al codice numerico che sta alla sua base) contrapposto al «libro cartaceo». Per leggerlo poi non bastano gli occhi. È necessario uno strumento hardware (il computer) e un software (il programma che decodifichi i codici, trasformandoli in caratteri alfabetici). Ovviamente si tratta di un sistema che rende meno agile e più difficoltosa la lettura, anche se la tecnologia sta cercando di ovviare alle difficoltà. Il fatto che il libro digitale non sia un oggetto pone un quesito circa il ruolo dell’industria del libro. Finché il libro digitale viene distribuito su un supporto è possibile ancora pensare a una produzione e distribuzione più o meno simile a quella tradizionale. Si può pensare anche alla copertina, intesa come cover più o meno come accade per i più comuni cd audio. La questione si ribalta invece quando il libro digitale vive esclusivamente all’interno di un sito internet. Esso infatti per essere diffuso e letto non deve essere necessariamente stampato con carta e inchiostro, né distribuito e venduto nelle librerie. Non comporta inoltre rese né necessita di deposito. Cosa significa allora essere un «editore digitale» in quest’ultimo caso? Praticamente chiunque abbia a disposizione spazio su internet (e questo lo si ottiene facilmente anche gratis) e 28
i programmi necessari (e ne esistono di gratuiti, anche se non sofisticati) potrebbe essere nelle condizioni di svolgere una attività «editoriale» di livello amatoriale. Una scuola potrebbe produrre i suoi libri di testo; un gruppo di appassionati di alpinismo potrebbe improvvisare guide con immagini e mappe. Se immaginiamo queste attività amatoriali trasformarsi in professionali, avremo un’idea di che cosa possa essere l’«editoria digitale». Cerchiamo di descriverne i passaggi con un esempio. Uno scrittore, concluso il suo ultimo romanzo, lo invia ad un editore digitale. L’editore lo riceve e lo esamina secondo i propri criteri di selezione e scelta. Se il testo è giudicato pubblicabile, esso, probabilmente già scritto elettronicamente al computer, verrà impaginato. Questo passaggio avviene grazie ad un programma che permette di dare un formato statico al testo in tutto identico alla forma di un libro cartaceo (suddivisione interna, note, bibliografia, indice). Quindi il testo viene pubblicizzato sul sito dell’editore, nei circuiti delle «librerie virtuali» e anche nelle librerie tradizionali con materiale pubblicitario vario. Il libro di carta però fino a questo momento non esiste. Supponiamo che nel giro di qualche settimana arrivino in tutto 100 richieste. Si tratta di un numero molto basso che frustrerebbe le attese di qualunque editore e invece, grazie ad un particolare processo di «stampa digitale» detta anche on demand (su richiesta), egli può avviare il processo di produzione delle sole copie richieste da recapitare in pochi giorni a destinazione. La stampa avviene tramite sofisticate macchine che stampano il libro e la copertina e poi lo rilegano automaticamente. Il presente volume, ad esempio, è proprio frutto di questa tecnologia on demand. Qualora, dopo qualche mese, per un imprevisto interesse del pubblico, il volume venisse richiesto in 1000 copie, l’editore le farebbe stampare in altrettanto breve tempo, e senza rischi di rese e depositi. Qualcosa di simile potrebbe avvenire con le ristampe di libri rari: resi digitali, potrebbero riprendere vita e essere stampati anche in poche copie per gli interessati. Un vantaggio immediatamente comprensibile consiste nel fatto che un libro può essere aggiornato anche ogni anno (pensiamo ai testi universitari su argomenti in continua evoluzione o ai testi scolastici che 29
un docente potrebbe autoprodursi, avendo presenti le coordinate socio-culturali e linguistiche del contesto in cui insegna), e stampato solo nel numero di copie necessario senza i costi tipici di una riedizione. Un secondo vantaggio consiste nel fatto che il libro non risulterebbe mai esaurito o fuori commercio, in un mondo editoriale in cui la vita media di un testo in libreria non supera spesso il mese. Un terzo vantaggio consiste nella libertà dell’editore di apporre il proprio marchio e pubblicare libri di grande valore, ma di scarsa vendibilità. Il ruolo dell’editore dunque sarebbe meno coinvolto in dinamiche strettamente di mercato e potrebbe svolgere un reale lavoro di cernita e di giudizio. Un quarto vantaggio consiste in una seconda forma di distribuzione: quella puramente virtuale. L’editore può mettere a disposizione l’opera anche nella sola versione elettronica e proporre forme di abbonamento al catalogo digitale. Il lettore potrebbe esaminare tutto il catalogo a prezzi anche molto bassi, scaricare sul proprio computer i testi che lo interessano, stamparne alcuni (o solo qualche pagina di essi) col computer di casa ed eventualmente ordinare la copia cartacea di quei volumi che intende leggere o custodire in forma tradizionale. I gruppi distributivi potrebbero diventare agenzie interattive o terminali di stampa digitale in stretto collegamento con le case editrici. Le librerie potrebbero diventare anche luogo di stampa immediata del libro richiesto. Se il cliente cerca un libro non presente negli scaffali, il libraio andrebbe a cercare il titolo nella banca dati dei libri digitali e avviare all’istante il processo di stampa e rilegatura. Non è comunque necessario avere queste macchine in libreria. Basterebbe che si raccogliessero le prenotazioni e le si inviassero a un centro stampa vicino16. Lo stesso autore potrebbe, come già di fatto avviene in alcuni casi, contribuire alla promozione del suo libro tramite forme di presentazioni virtuali attraverso un sito personale contenente stralci e riassunti dell’opera, giudizi critici, recensioni, interazioni con i lettori, dando la possibilità di ordinare subito il libro. In realtà l’autore può anche auto-prodursi con il rischio conseguente della pubblicazione di materiali trash («spazzatura»), ma anche il vantaggio di una libertà di espressione, che abbatte le barriere spesso insuperabili per le minoranze culturali. Il proble30
ma del lettore non sarà più quello del reperimento dei materiali, ma della loro attenta selezione17.
Editoria senza editori? Il problema che, a questo punto, qualcuno si è posto è il seguente: esiste ancora un futuro per il libro in quanto «prodotto» di valore culturale? Sino ad oggi esso è stato uno dei simboli più efficaci per indicare sapienza e riflessione critica. In esso è stata sedimentata per secoli una tradizione che altrimenti, affidata all’oralità, sarebbe già estinta da tempo. E tuttavia la sua natura oggi è sempre più messa in discussione. Esisterà una editoria senza editori? La domanda è emersa per la prima volta in maniera decisa, quasi in forma di appello, in Editoria senza editori18, un libro che ha fatto riflettere l’opinione pubblica, scritto da André Schiffrin, figlio di Jacques Schiffrin, prestigioso collaboratore dell’editore Gallimard a Parigi, e ideatore e direttore della notissima collana «Pléiade». Schiffrin padre, in quanto di origine ebraica, fu allontanato nel 1940 dalla casa editrice su pressione dell’ambasciatore tedesco. Egli ricominciò dagli Stati Uniti, contribuendo a fondare la Pantheon Books, piccola ma raffinata casa editrice, che fece conoscere agli americani la cultura francese e tedesca. Il figlio avviò la sua carriera lavorando per una tra le principali case editrici americane di tascabili, la New American Library of World Literature. Nei primi anni Sessanta passò alla Pantheon, coltivando un tipo di cultura popolare che aveva i suoi precedenti nei Penguin Books. Lì lavorò per 30 anni fino a che essa non cadde vittima di successive concentrazioni editoriali. Schiffrin a quel punto, profondamente deluso, uscì dalla casa editrice dove aveva lavorato con passione per fondare nel 1991 e New Press, nuovo marchio dalle piccole dimensioni, ma dal catalogo «serio» e impegnativo. La tesi del pamphlet di Schiffrin si basa sulla propria esperienza personale, insieme segnata dalla passione e dalla delusione. Essa è lineare e drammatica: in America l’editoria sta facendo la fine dell’industria farmaceutica. Quest’ultima produce aspirine, prozac, antibiotici di largo consumo e di sicura vendita mentre tralascia 31
i rimedi per le malattie più rare. Gli editori, sostiene Schiffrin, sono diventati «mercanti di libri», fabbricano titoli ad altissime tirature e tralasciano le pubblicazioni di cultura che non hanno più spazio. L’editoria segue il mercato. Se esso chiede best sellers di successo ma di scarso livello, l’editoria si lancia alla ricerca del profitto. Ma spesso gli editori non sanno ciò che il pubblico desidera davvero e fanno scelte banali e non remunerative, concedendo agli autori, ad esempio, anticipi straordinari per volumi che si prevedono di successo e poi non lo sono affatto. Il settore fondamentale di una casa editrice rischia di essere quello commerciale-finanziario, il luogo dove realmente si scelgono i libri da pubblicare e quelli da respingere al mittente. Il mercato dunque sarebbe ormai, nell’ottica di Schiffrin, l’unico a decidere della pubblicabilità di un libro: il best seller risponderebbe alle stesse logiche del fast food o dell’entertainment: «I nuovi proprietari delle case assorbite dai gruppi esigono che il rendimento dell’editoria libraria sia identico a quello degli altri settori della loro attività: giornali, televisione, cinema ecc., tutti settori notoriamente molto remunerativi. I nuovi tassi di profitto previsti si collocano dunque in una zona compresa tra il 12 e il 15 per cento, cioè tre o quattro volte di più del livello tradizionale dell’editoria. […] Per soddisfare queste domande, gli editori hanno completamente modificato la natura di ciò che pubblicano. Tutto il sistema si basa sui best seller […]»19. Ciò ha capovolto anche lo «stile» del mestiere di editore: una volta era un «mestiere da gentlemen»20 ed equiparabile nei profitti a quello di un docente universitario, mentre adesso si tende ad imitare lo stile dei colleghi di Hollywood che prevede stipendi di milioni di dollari l’anno per gli amministratori delegati. A questo è da aggiungere il fatto che le case editrici passano spesso a far parte dei grandi gruppi che controllano i media, andando a rappresentare una parte del loro «impero» e subendo le loro pressioni. Editoria senza editori è dunque un «j’accuse» partigiano e appassionato. Sulla base della propria esperienza l’autore dunque ribadisce l’importanza delle librerie e dell’editoria tradizionale ancora prevalente in Europa contro le grandi catene e l’editoria da best seller che sembra invadere gli Stati Uniti e minaccia anche 32
il nostro mercato. Il rischio fondamentale è che il ruolo dell’editore, sostanziato da idee, progetti, visioni del mondo vada definitivamente perso. L’editoria diverrebbe solo una industria capace di sfornare prodotti «vendibili», ma incapaci di costituirsi come occasioni di scambio di valori, simboli e idee.
Le direzioni possibili Schiffrin, in conclusione, suggerisce le tre direzioni attuali di possibile sviluppo dell’editoria. La prima è di carattere politico: la protezione contro i monopoli e le grandi concentrazioni. Gli Stati Uniti, a suo giudizio, sembrano non avere difese al libero mercato mentre la situazione dell’Unione Europea permetterebbe maggiore, anche se cauto, ottimismo. Non si può certo rispondere a questi allarmi, a nostro avviso, imponendo una politica rigidamente protezionistica. D’altra parte appare evidente la necessità di evitare che i mezzi di produzione e diffusione della cultura, come anche dell’informazione, siano concentrati nelle mani di pochi, specie se animati da logiche di puro profitto. La seconda riguarda la crescita dell’aiuto pubblico all’editoria nel quadro generale del sostegno alle istituzioni culturali: gli editori potrebbero essere aiutati selettivamente per le opere o nei campi destinati ad essere deficitari. La conclusione è almeno implicitamente pessimistica. Non resterebbe che operare una netta distinzione tra il libro come prodotto di massa e quello di cultura, con due economie differenti. Tuttavia, ci chiediamo: sarà il finanziamento pubblico l’unica strada praticabile? È chiaro che con il mercato occorre fare i conti, e richiedere finanziamento pubblico diretto è una strada da mali estremi. Ci sono però esempi di case editrici che nascono come piccole cooperative editoriali e poi si consolidano in società a responsabilità limitata, affiancando al catalogo per la libreria quello composto da volumi di piccola o grande committenza, ma comunque di qualità, e quello che nasce dalle offerte provenienti dal territorio come quelle di enti locali, scuole, università e istituzioni culturali. In Italia in ogni caso la situazione non è quella prospettata da Schiffrin e tuttavia il dibattito sul prezzo fisso o libero dei libri, 33
l’ingresso nel nostro Paese di grandi catene straniere, la questione della concentrazione di media ed editoria, la diffusione di best seller in edicola e nei supermercati ci induce a riflettere sull’editoria e sul suo ruolo. È chiaro che fare l’editore è un mestiere, ed è «a scopo di lucro», anche se è un «mestiere da gentlemen», come si diceva. Molti editori trovano un equilibrio all’interno del proprio catalogo tra libri che vendono bene e libri di qualità che potenzialmente vendono meno. Con i primi spesso finanziano i secondi. Nonostante qualche allarmismo di troppo, ha ragione tuttavia Schiffrin quando presenta il rischio di un’editoria di cassetta e l’appiattimento sulle leggi del mercato e i pericoli di concentrazione nelle mani di pochi gruppi di testate giornalistiche, media e marchi editoriali che hanno alle spalle storia e tradizioni culturali e ideologiche differenti tra loro. Occorre ricordare sempre che il lavoro editoriale è innanzitutto veicolo di cultura, e dunque esso ha un profilo morale di grande spessore e responsabilità sia progettuale sia intellettuale: non può essere barattato con mere questioni di ordine finanziario.
Testi senza libri? L’ipotesi dell’anti-libro Resta da descrivere la terza direzione, indicata con timore da Schiffrin, che consiste in una prospettiva di carattere tecnologico e riguarda internet: le librerie tradizionali saranno tagliate fuori dal giro dai concorrenti on line21. Questo fenomeno ha dato l’impulso ad una voglia di «autoproduzione», come ha testimoniato, tra l’altro, il Manuale dell’antilibro. Etica e didattica per l’autoproduzione di un libro di carta nell’era digitale di F. Pirella22, un volume che inneggia in modo roboante al «nuovo libro democratico e autoprodotto»23. La difficoltà di inserirsi nel circuito del libro cartaceo, con le sue leggi da una parte e la facilità di scrivere, stampare e diffondere testi con una tecnologia a basso costo d’altra, fa riflettere sul fatto che «ognuno di noi può autoprodursi un libro-antilibro e scegliere di essere editore di se stesso»24. Ecco che il cortocircuito autore-editore (anzi «post-editore» come lo definisce Pirella) è realizzato. Tanto più che egli afferma: «dobbiamo consapevolmente classificare come “libro” anche pochi fogli 34
usciti dalla stampante domestica, uniti da un punto metallico»25. Con linguaggio trionfalistico e da avanguardia l’Autore dichiara infine che «l’Antilibro o neolibro ribalta eticamente il concetto di libro, non più contenitore feticcio ma contenuto-documento trasferito con tecnologie digitali su supporto cartaceo»26. In tal modo il libro «conta per il suo “contenuto” (letterario, scientifico) e non per il suo contenente cartaceo, pergamenaceo, gutenbergaceo – come scrive in una nota Gillo Dorfles – che si presenta come tipico per la nostra epoca»27. L’idea in realtà non è affatto nuova e l’applicazione alle nuove tecnologie all’editoria self made è all’ordine del giorno e praticata da ogni studente che prepara una tesina o una ricerca. Al di là delle polemiche (Schiffrin) o dei trionfalismi (Pirella) qualcuno ipotizza invece un vero e proprio doppio canale: quello dell’editoria di largo consumo su carta e quella di qualità in formato elettronico o stampabile solo su richiesta. Occorre essere realisti: potrebbe essere disponibile una quantità sempre maggiore di titoli solo in formato elettronico. Ciò non sarà un male perché, con tutti i limiti riscontrabili, costituirà una chance in più di diffusione di testi significativi che altrimenti non vedrebbero mai la luce e la diffusione (la quale sarebbe immediata, saltando le barriere delle catene distributive). Cresceranno dunque i testi «senza libro», cioè i libri immateriali. *** Le avanguardie degli anni Sessanta predicavano la morte dell’autore, il primato del testo e l’opera collettiva. Oggi alcune di quelle «profezie» si sarebbero in qualche caso ironicamente realizzate, se c’è chi afferma che spesso il nome in copertina «non ne è neanche materialmente l’autore, ma solo un marchio» e chi sostiene che il testo sia «un oggetto misterioso e indifferente, che nessuno legge, neanche chi il libro lo firma e chi decide di stamparlo», e che l’editoria «proprio per questo produce testi sostituibili e intercambiabili» perché ciò «che conta è quello che sta attorno»28. È dunque necessario riflettere sul ruolo dell’editoria, andando al di là delle logiche pubblicitarie o puramente commer35
ciali e di profitto, recuperando il senso dell’impegno culturale, della figura dell’autore e del valore e della dignità di un testo indipendentemente dalla forma della sua diffusione e di quella confezione, che di questi tempi rischia di rivestire maggiore importanza dello stesso contenuto. NOTE «[…] l’amore per il libro è proprio di colui che se ne sta seduto alla sera nella sua stanza, mentre intorno è silenzio […] ed ecco che, improvvisamente, i libri presenti nella stanza diventano per lui come esseri viventi. Singolarmente viventi. Oggetti piccoli, eppure pieni di mondo. Che stanno lì senza muoversi e senza far rumore, e tuttavia pronti in ogni momento ad aprire le proprie pagine e a cominciare un dialogo che racconta del passato, che rimanda al futuro o che invoca l’eternità, e tanto più inesauribile, quanto più ne sa attingere colui che ad essi si avvicina». R. Guardini, Elogio del libro, Brescia 1993, 15. 2 M. Belpoliti, «Ciò che fece Gutenberg lo rifarà il virtuale», in La Stampa, 6 novembre, 1997. 3 R. Chiaberge, «Penzias. Computer cattivo maestro», in Corriere della Sera, 8 ottobre 1998. 4 L’aggettivo «virtuale» designa approssimativamente una realtà percepita, ma che non ha una realtà oggettiva fuori di me. Le realtà virtuali si configurano come rappresentazioni cognitive. Ad esempio: con un computer posso, attraverso una applicazione informatica, visitare virtualmente il Louvre senza muovermi da casa. Il Louvre non è davanti a me, ma io lo vedo ed è «come» io se fossi lì. 5 L’aggettivo «digitale» si riferisce a dispositivi (come il computer) che trattano grandezze rappresentate da cifre da un sistema numerico (binario o decimale). Concretamente qui significa che il testo «digitale» è quello costituito non da carta e inchiostro, ma dalle cifre del codice numerico binario che vengono interpretate dal computer, grazie a un programma apposito, come lettere alfabetiche. 6 Per una bibliografia cfr. M. Hancher, «Electronic Text: Selective Annotated Bibliography», in http://mh.cla.umn.edu/ebib.html 7 Cfr. V. Pasteris, Internet per chi studia. Orientarsi, documentarsi, elaborare una ricerca o una tesi di laurea, Milano 1998 e M. Gasperetti, Computer e scuola. Guida all’insegnamento con le nuove tecnologie, Milano 1998. Il libro di M. Gasparetti tenta un’analisi dei fenomeni in corso legati all’uso delle nuove tecnologie nella scuola, spesso frutto di 1
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sperimentazioni autonome. Non si tratta di un semplice manuale, in quanto l’A. si interroga sul significato dei mutamenti e delle opportunità: le lezioni multimediali, la possibilità di portare avanti progetti a distanza, di costruire i propri libri di testo, di reperire risorse di studio dall’altra parte del globo, di modificare il senso della «lezione» in aula. La trattazione risulta anche gradevole ed efficace in quanto il lettore di riferimento è anche chi per la prima volta si accosta a questo mondo complesso. Il volume di V. Pasteris si rivolge a chi intende far ricerca con il computer e internet. Per realizzare il proprio obiettivo, che è quello di abilitare il lettore a questa ricerca, l’A. si dimostra guida attenta che segue chi decide di compiere quest’apprendimento praticamente sin dalla scelta dell’elaboratore e del sistema operativo. Il volume imposta il discorso anche in termini di metodologia del lavoro scientifico e in questo senso può risultare utile anche come manuale generale per lo studio e per la realizzazione di una ricerca. Le informazioni circa l’uso della Rete e delle tecnologie informatiche sono date al momento giusto, cioè quando vanno effettivamente utilizzate nel corso della ricerca, toccando anche aspetti meno essenziali, quali quello dell’impostazione grafica del lavoro. Cfr. anche A. Carobene, Studiare on line, Milano 2000. Il volume si presenta come una guida che intende valorizzare l’uso della Rete da parte di chi studia e di chi insegna. I pregi di questa guida appaiono chiari già dall’indice: non abbiamo a che fare con un trattato complesso né con una rassegna confusa e acritica, ma con una riflessione sistematica e chiara di ciò che può aiutare chi studia e che ha la possibilità di utilizzare una connessione internet. Il primo capitolo del volume fornisce una guida essenziale per lo «studioso internauta». Successivamente l’Autore affronta in maniera succinta, ma efficace, ciò che riguarda lo studio della letteratura, la pratica della scrittura creativa e lo studio delle lingue straniere. Sono presenti inoltre capitoli che illustrano aiuti di vario genere (mailing list, newsgroup, motori di ricerca,…) per reperire informazioni e sussidi e, infine, una guida alle risorse didattiche in Rete per buona parte delle materie scolastiche. Il volume si chiude con un capitolo dedicato a una comprensione maggiore di Internet e con un glossario di termini informatici. 8 Per una lista cfr. http://crilet.let.uniroma1.it/humcat/ software.htm 9 Da notare il sito americano «Book Radio» (http:// www.BookRadio.com) che propone interviste e commenti in formato audio su libri scelti. 10 Alcune volte però il «collegamento» (link) può essere a un altro
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luogo della stessa pagina e in questo caso è denominato «àncora» (anchor). 11 Cfr. U. Eco, Opera aperta, Milano 1962. 12 Cfr. L. De Carli, Internet. Memoria e oblio, Torino 1997. De Carli è un linguista, autore, tra l’altro, di un saggio dal titolo Proust. Dall’avantesto alla traduzione. Non è dunque un esperto informatico. Le sue competenze vengono applicate alla realtà della Rete. De Carli compie un’articolata e suggestiva riflessione su internet e il concetto di «testo», giungendo alla conclusione che internet non sia in realtà un flusso di testi, ma sia essa stessa un testo: c’è un solo testo, internet, di cui nessuno è l’autore, che si riferisce a se stesso e che è di fatto non esauribile. L’identità degli utenti esce da questo testo come i personaggi escono dalla trama di un romanzo. Internet insomma è qualcosa che va al di là della rete di cavi e connessioni e va al di là anche di una mera raccolta di testi correlati ipertestualmente che fanno riferimento ad una realtà tangibile fuori di essa. Si tratta insomma di una realtà paragonabile al testo di un’opera narrativa, la quale fonda solamente in se stessa, nella dimensione spazio-temporale in cui si muovono i suoi protagonisti, la sua ragion d’essere. La tesi di De Carli è senza dubbio un forte stimolo alla riflessione. La dinamica che si sviluppa in Rete può essere descritta formalmente come dinamica di «gioco» e l’atteggiamento del navigante come atteggiamento di giocatore. All’essere proprio del gioco non è pertinente che il giocatore si atteggi nei suoi confronti come verso un «oggetto». Su una base in qualche modo simile, ad esempio, il filosofo H. G. Gadamer si è occupato dell’opera d’arte, negando nei confronti di essa un rapporto di soggetto ad oggetto, affermando anzi che il soggetto dell’esperienza artistica non è la soggettività di colui che esperisce l’opera d’arte ma l’opera stessa. Infatti il gioco raggiunge il proprio scopo solo se il giocatore si immerge totalmente in esso. Il soggetto del gioco dunque non è il giocatore ma il gioco stesso che si produce attraverso i giocatori. Così chi naviga e «scrive» nella Rete non è soggetto: è soggetto la situazione che si produce attraverso la navigazione. Così l’utente della Rete è vero autore in modo formalmente simile ad un giocatore sul campo: egli fa il gioco ma nello stesso tempo il gioco si fa attraverso di lui. Nella prima parte del saggio l’autore esamina le strategie con le quali internet stabilisce le coordinate di uno spazio composto da un numero sempre crescente di testi, letto tra le teorie di J. Lotman, F. Moretti e E. Bloch. Nella seconda parte, alla luce di M. Bachtin, si sofferma sul modo in cui si configura il tempo in internet. La terza e ultima parte del libro, dedicata all’ecologia della Rete,
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riflette criticamente sulla possibilità, oggi resa più facile, che le tecnologie della comunicazione consentano di reinventarsi una tradizione e di manipolare la memoria storica, relegando il resto nell’oblio, fino a tratteggiare a tinte fosche la previsione secondo la quale il testo digitale «che racconterà gli eventi umani del prossimo futuro non solo non farà più riferimento ad alcunché fuori di sé, ma sarà di una natura tale da consentire la manipolazione delle cose enunciate, nonché dei soggetti che le enunciano» (p. 11). I riferimenti di indagine posti in essere da De Carli sono, come è facile constatare, non tecnici ma linguistici e il volume è anche una prova di come questi strumenti siano efficaci per una comprensione maggiore della realtà delle reti informatiche. La validità delle tesi esposte potrà essere valutata alla luce dei futuri sviluppi, come lo stesso Autore lascia intendere. Per adesso è indubbio che si possa valorizzarle, affermando che si tratta di una visione, di una prospettiva peculiare e soprattutto globale sulla Rete che, anziché soffermarsi solo sul livello dell’interazione lineare tra gli utenti connessi, cerca di coglierne un significato complessivo, considerando la Rete nella sua assolutezza autoreferenziale. 13 http://www.ed.ac.uk/~esit04/italian.htm#overview 14 Di grande interesse il contributo di un esperto: G. Gigliozzi, «La galassia Von Neumann: il testo tra piombo e byte», in http: //RmCisadu.let.uniroma1;it/crilet/library/Lincei98.htm Cfr. il volume ampio e ricco di informazioni: A. Cadioli, Il critico navigante. Saggio sull’ipertesto e la critica letteraria, Genova 1998. È possibile farsi un’idea della narrativa ipertestuale consultando alcuni siti ad essa dedicati: http://raven.ubalt.edu/staff/moulthrop/chrono.html, dove leggiamo un’attenta cronologia dell’ipertesto letterario, http: //rpg.net/quail/libyrinth, http://www.eastgate.com/Bibliography.html, http://authors.miningco.com/library/weekly/aa110198.htm e http// www.stg.brown.edu/projects/hypertext/landow/cpace/cspaceov.html oppure qualche esempio: http://raven.ubalt.edu/guests/twelveBlue, http://www.grammatron.com 15 Ricordiamo che già negli anni ‘42-’46 il gesuita Roberto Busa concepì la pionieristica composizione del suo Index omisticus, elaborando alcune riflessioni sull’uso dell’informatica nello studio dei testi. Cfr. R. Busa, Fondamenti di informatica linguistica, Milano 1987. 16 Certo sarebbe però molto squallido se le librerie divenissero solo luogo di prenotazione di libri da stampare! Bisognerebbe avere il coraggio e la fantasia di unire il meglio della tradizione e dell’innovazione. 17 Sull’argomento cfr. U. Eco, «Informazione telematica, verità
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o caos?», in Telèma n. 4, http://www.fub.it/telema/TELEMA4/ Eco4.html In Italia un vero pioniere è l’editore Mario Guaraldi, che sul suo sito editoriale (http://www.guaraldi.it) mette a disposizione un catalogo digitale. Una importante iniziativa è quella di «Lampi di stampa» che è stata avviata, in collaborazione con la IBM, da un editore (l’Editrice Bibliografica), una azienda grafica (la Legoprint) e un distributore (Messaggerie Libri). In Francia esiste «00h00», una casa editrice esclusivamente digitale in Rete (o «en ligne», come dicono i francesi), nata del 1998 (http://www.00h00.com). Il suo catalogo si compone di titoli inediti e riedizioni. È possibile acquistare i testi in formato digitale o in tradizionale formato cartaceo. 18 A. Schiffrin, Editoria senza editori, Torino 2000. 19 A. Schiffrin, Editoria senza editori, 55. 20 A. Schiffrin, Editoria senza editori, 58. 21 Ricordiamo che, provocatoriamente, Erica Moira Pini aveva delineato la stessa direzione pubblicando un «libro» dal titolo emblematico di La morte del libro. Il declino della stampa nella società contemporanea, Bertiolo (UD) 1996. La provocazione consiste nel fatto che il volume è composto solo di pagine bianche con tre fori. La guida alla «lettura» si trova nel retro di copertina, dove l’«autrice», che identifica strettamente il libro come libro stampato, afferma che esso all’inizio «era un oggetto sacro, fatto a mano, uno strumento di conoscenza godibile da pochi privilegiati. Con l’invenzione della stampa da parte di Gutenberg iniziò la diffusione capillare di testi per tutti […]. Ma nel momento della massima espansione il libro ha ricevuto tre colpi mortali». Da qui comprendiamo il valore simbolico dei tre buchi sui fogli bianchi: l’eccessiva proliferazione della produzione libraria grazie al DTP (Desktop Publishing), cioè l’impaginazione dei volumi al computer; la società dell’immagine; l’informatica e la telematica. Frutto di questa nostalgia per i tempi della stampa artigianale è proprio il desiderio di tornare alle origini, il desiderio di «farsi un libro». Cfr. M. Baraghini - D. Turchi (edd.), Farsi un libro. Propedeutica dell’auto-produzione: orientamenti e spunti per un’impresa consapevole o per una serena rinuncia, Roma 1990. 22 F. Pirella, Manuale dell’antilibro. Etica e didattica per l’autoproduzione di un libro di carta nell’era digitale, Torino 1999. In relazione alla pubblicazione del volume si è tenuta nel dicembre 1999 a Campo Ligure la Fabbrica Globale dell’Antilibro. 23 F. Pirella, Manuale dell’antilibro, 8. 24 F. Pirella, Manuale dell’antilibro, 8.
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F. Pirella, Manuale dell’antilibro, 67. F. Pirella, Manuale dell’antilibro, 133. 27 G. Dorfles, «L’Antilibro», in F. Pirella, Manuale dell’antilibro, 191-192, 191. 28 E. Sgarbi, «Il testo è un monolite nero, impenetrabile», in Artbeat 2. Arte narrativa videoclip, Roma 2000, 35. 25 26
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CAPITOLO 2 BIBLIOTECHE E LIBRERIE VIRTUALI
Proseguendo il discorso del capitolo precedente, si affronteranno i temi del rapporto tra il libro e gli archivi digitali. Si illustreranno in queste pagine le biblioteche, le librerie e i siti editoriali «virtuali», presenti nella Rete fino all’accordo raggiunto da Google Book Search (ex Google Print) per la digitalizzazione di circa 15 milioni di volumi cartacei. Esso prevede che tutta la ricchezza di questo sapere possa essere consultabile da casa propria in qualunque parte del mondo. Il fatto che oggi la tecnologia renda possibile un simile progetto è un fatto in sé molto positivo. Ciò però non significa che non ci siano perplessità serie da affrontare con attenzione e intelligenza.
Le biblioteche con catalogo «on line» Fin qui abbiamo descritto il mondo nascente delle biblioteche virtuali. Ma esse certo non sostituiscono le biblioteche reali, dove è possibile incontrare il libro nella sua materialità e concretezza. Ogni biblioteca ha un proprio catalogo. Una volta esso era esclusivamente cartaceo e fondato su schede a stampa. Oggi esso è affiancato o del tutto sostituito dal catalogo digitale, molto più comodo da gestire per l’aggiornamento e la ricerca. Alcune di queste biblioteche aprono il loro catalogo alla consultazione esterna via internet1. È il caso del cosiddetto OPAC (On-line Public Access Catalog), che permette al ricercatore (o al curioso) di consultare anche da casa il catalogo di una biblioteca che sta dall’altra parte del globo2. Sono possibili due tipi di accesso: il primo e più evoluto è quello diretto, attraverso il programma di navigazione in internet, il secondo è tramite un programma che 43
emula il terminale della biblioteca che si sta consultando. Esistono infine dei programmi che sono in grado di collegarsi con le biblioteche fornite di banca dati conformi allo standard detto «Z39.50»3 e di fare ricerche bibliografiche nel catalogo e infine di importare le relative citazioni da inserire direttamente nella propria ricerca, articolo o libro, anche direttamente nel formato richiesto dall’Università, dalla rivista o dall’editore per il quale si sta scrivendo. Quest’operazione avviene in pochi istanti, quando fino a poco tempo fa erano richiesti lunghi tempi di ricerca e di consultazione degli schedari. Se poi la biblioteca allega alla scheda un riassunto del libro (abstract) o prevede un soggettario è possibile fare ricerche per argomento o parole chiave. È possibile consultare vari elenchi di biblioteche italiane che hanno accesso on line4. Di estrema utilità è il sito dell’ICCU (Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche Italiane e per le Informazioni Bibliografiche)5. Se usciamo dall’Italia, abbiamo a disposizione vari servizi di raccolta di indirizzi di biblioteche6 e in particolare Gabriel, che riporta un elenco completo delle Biblioteche Nazionali Europee7 e Libweb, che permette all’utente di raggiungere biblioteche di oltre 125 Paesi8. La Rete URBE raccoglie le biblioteche delle istituzioni accademiche ecclesiastiche di Roma9. Da ricordare infine alcune biblioteche di fama internazionale: la Bibliothèque Nationale de France10, la British Library11, la Library of Congress12 e il sistema bibliotecario dell’Università della California, detto Melvyl13.
Le librerie virtuali e siti editoriali Un fenomeno in rapida espansione è quello delle librerie virtuali. Esse esistono solo in internet oppure affiancano il servizio on line a quello tradizionale. Il servizio prevede la presenza di una vetrina virtuale nella quale si possono fare le ricerche dei libri che si intendono acquistare. Fatta la scelta, l’utente invia la richiesta e il proprio numero di carta di credito per l’acquisto. Dopo qualche giorno, anche in caso di spedizioni internazionali, se il libro è disponibile, viene recapitato a casa del cliente. All’acquisto è necessario sommare le spese di spedizione, a volte in parte 44
ammortizzate da alcuni sconti praticati sul prezzo di copertina. Il servizio si rivela utile specialmente nel caso di richieste di libri di difficile reperibilità o pubblicati all’estero. Le librerie forse più note sono le americane Amazon e Barnes & Noble14. In Europa, con localizzazione italiana, sono molto utilizzate Internetbookshop e BOL15. La realtà comincia ad essere abbastanza estesa16 e comprende anche librerie specializzate o dell’usato. Gli stessi editori ormai hanno il loro sito internet sul quale inseriscono il loro catalogo sempre aggiornato, e pubblicizzano i loro libri con anticipazioni, interviste all’autore e a critici17. Un caso singolare è rappresentato dal gruppo editoriale statunitense Random House: i suoi libri potranno essere acquistati in rete per intero o anche parzialmente con un costo a pagina variabile18.
La sfida delle biblioteche virtuali L’editoria digitale è forse una delle applicazioni più interessanti legate alla nuove tecnologie. Ma, tra le varie applicazioni della scrittura e della pubblicazione digitale in genere, possiamo ipotizzare, ad esempio, quella di un’associazione di appassionati lettori di romanzi italiani dell’Ottocento. Essa potrebbe rendere disponibili tutti i romanzi degli autori preferiti, che siano liberi dai diritti d’autore. In questo caso non ci sarebbe un legame diretto con una struttura editoriale. Si darebbe vita semmai ad una sorta di biblioteca. L’operazione è resa semplice da uno strumento detto scanner che in pochi secondi, grazie ad un programma di OCR (Optical Character Recognition) è in grado di «leggere» un testo su carta e trasformarlo in testo digitale, anche se con un margine variabile di errore nella lettura. Può però anche acquisirlo semplicemente come immagine, come fosse una fotocopia. Se dunque l’operazione editoriale è limitata alla «digitalizzazione» di testi su carta, avremo operazioni configurabili come «biblioteche virtuali». Ma che cos’è una biblioteca virtuale? È un sito internet nel quale sono raccolti testi in formato digitale (testi elettronici, ipertesti, libri in impaginato digitale). Questa biblioteca non ha bisogno di spazi fisici. Per accedere al catalogo e avere il libro non 45
c’è alcun bisogno che il lettore vada nella sua sede: lo si preleva direttamente dal computer di casa. Queste biblioteche in genere contengono testi non coperti da diritti d’autore, prelevabili da internet in modo gratuito. Le biblioteche virtuali sono una grande risorsa per l’accesso libero ai testi e per lo studio, in quanto ai testi elettronici sono applicabili vari programmi di ricerca e analisi. Lo scrittore argentino Jorge Louis Borges nel racconto La Biblioteca di Babele (1941) paragonava l’universo a una immensa biblioteca: tutti sono attratti dal numero indefinito delle sue gallerie e trascorrono la vita ad esplorarle, senza però mai venirne a capo: non si trovano né i confini estremi né i libri che si cercano: «La Biblioteca è una sfera il cui centro esatto è qualsiasi esagono, e la cui circonferenza è inaccessibile». Ecco la domanda: è possibile che qualcuno abbia pensato sul serio di catalogare, riprodurre e rendere disponibile al pubblico l’intera memoria dell’umanità contenuta in tutti i libri del mondo? Forse no, ma qualcuno ha avuto un’idea che, sebbene sia più realistica, si ispira comunque a quell’utopia.
Un progetto ambizioso: Google Book Search L’immagine di Borges è affascinante e viene spontanea alla mente quando si pensa che il più consultato motore di ricerca presente in internet, cioè Google19, ha reso noto un accordo per la digitalizzazione20 di circa 15 milioni di volumi. Ciò significa che le intere collezioni della Stanford University (8 milioni di volumi), della University of Michigan (7 milioni di volumi), oltre a collezioni di documenti della New York Public Library21, a testi dell’Ottocento di Oxford e a 40 mila volumi di Harvard, per un totale stimato di circa 4,5 miliardi di pagine, saranno trasferite dalla carta su supporto informatico e poi rese accessibili attraverso la Rete. A questi vanno aggiunti i libri che gli editori mettono a disposizione direttamente. Ovviamente, saranno resi disponibili integralmente solamente quelli che non sono coperti da diritto d’autore; degli altri è prevista sì la digitalizzazione integrale per attivare ricerche al loro interno, ma non la piena disponibilità per l’utente. Il lettore che desiderasse acquistare il volume consultato 46
potrà farlo proprio dalla pagina di accesso alla lettura. Concretamente ciò significa che tutta la ricchezza di questo sapere potrà essere consultabile da casa propria in qualunque parte del mondo. Mary Sue Coleman, rettore dell’University of Michigan, ha dichiarato che permettere l’accesso universale al sapere mediante i tesori della biblioteca è una delle missioni importanti di una grande università22. Il progetto non è privo di fascino e ricorda da vicino l’utopia di poter raccogliere e schedare tutto il sapere prodotto dall’umanità, rendendo possibile al suo interno ricerche e studi. Il nome di questo progetto era inizialmente Google Print, che si è trasformato nel più pertinente Google Book Search23, cioè Google Ricerca Libri, come suona nella versione italiana già disponile. Il progetto è attivo in versione dimostrativa dal giugno 2005. La ricerca è realizzata sull’integrità dei testi già inseriti e così permette di visualizzare l’elenco dei libri che contengono le parole-chiave ricercate. Di ogni volume possiamo leggere le pagine disponibili e visualizzare il luogo esatto del testo nel quale ricorre la citazione della parola o dell’espressione che stiamo cercando. Possiamo però vederne anche la copertina, scorrerne l’indice e, eventualmente, effettuare una nuova ricerca all’interno dell’opera scelta. Se essa è soggetta a diritti d’autore, Google Book Search propone la consultazione di poche pagine soltanto (ma anche altre parti come l’indice o la bibliografia o la presentazione, a seconda degli accordi editoriali), mentre i testi di pubblico dominio sono proposti integralmente. L’utente dispone di link verso i siti partner del progetto, cioè librerie che vendono i libri via internet, che propongono l’acquisto del volume cartaceo. È possibile poi, sempre dalla stessa pagina, proseguire nella ricerca per avere informazioni sul libro in questione: giudizi critici e citazioni del medesimo presenti in tutta la Rete. In realtà quello di Google non è un progetto del tutto nuovo. Già la libreria virtuale Amazon, col suo motore di ricerca A924 sin dall’ottobre 2003 offre un servizio molto interessante. Essa infatti ha varato il programma Inside the book (Dentro il libro), al quale hanno aderito numerosi editori. Grazie a questo accordo Amazon ha acquisito molti volumi (nel momento della messa in Rete erano 120.000 di 190 editori) in formato digitale. Quando 47
un acquirente cerca un libro pubblicato da un editore che ha sottoscritto il programma, egli è in grado di vederne non solo copertina, indici, sommario ed estratti, ma persino statistiche e concordanze. Ciò significa che è possibile leggere e ricercare nel testo le 100 parole usate più di frequente nell’intero libro e visualizzare l’intera pagina nella quale ogni ricorrenza appare. Non solo: è possibile anche conoscere le statistiche di leggibilità, di complessità del linguaggio, oltre al numero di caratteri, parole, frasi, ed altro ancora. Ovviamente qui il servizio offerto è decisamente orientato alla vendita e riguarda solo libri coperti da diritti. Tuttavia, grazie al motore A9, facendo una ricerca tra i libri, non ci vengono restituiti solo i volumi che corrispondono ai termini della ricerca per campi come autore e titolo, ma anche quelli che contengono nel testo la frase o la parola che interessa. Nel risultato della ricerca troviamo l’indicazione delle pagine in cui il termine ricorre e un breve estratto del contesto (indicato come KWIC, keyword in context, cioè «parola chiave nel contesto»). Quando si clicca sul link alla pagina stessa appare l’immagine della pagina del libro, dove viene evidenziata la parola che cerchiamo. Un’ulteriore opzione consente di visionare anche le due pagine precedenti e successive a quella originale in modo da ricostruire il contesto della citazione. Un’altra iniziativa interessante è il Million Book Project25, curato presso la Carnegie Mellon University di Pittsburg (PA), che si propone di mettere a disposizione un milione di volumi. La concorrenza comunque si è già attivata: Microsoft ha deciso di 26 aderire all’OCA (Open Content Alliance) , un consorzio nato su iniziativa di gruppi quali Yahoo!, Hewlett Packard, Adobe ed Internet Archive in collaborazione con 13 università (tra le quali la 27 Columbia University) e varie biblioteche e Istituti . I volumi trattati saranno quelli privi di proprietà intellettuale, fatta eccezione per i testi per i quali sarà possibile avere esplicita autorizzazione del titolare del copyright. L’archivio avrà una dimensione congrua entro la fine del 2006. Tutti i contenuti saranno distribuiti in formato PDF. Tuttavia, fino a questo momento, Google Book Search si rivela unico per le sue dimensioni mastodontiche. Il suo obiettivo cul48
turale utopico è quello di dar vita a un gigantesco catalogo bibliografico in Rete, e aiutare i lettori e gli studiosi a conoscere quali siano i libri nei quali si parla delle cose che a loro interessano o che intendono approfondire. In tal modo anche libri editi da piccoli editori in qualunque nazione del mondo potrebbero essere conosciuti e messi a disposizione di tutti per la consultazione, ma anche per l’acquisto. Il capitale culturale dei libri inseriti sarebbe come un unico grande testo sul quale effettuare ricerche, nello stesso modo in cui ciò avviene in internet. Google Book Search fornisce a ogni biblioteca partner copia digitale dei libri acquisiti, in accordo con le leggi in vigore nei vari Paesi, e in tal modo permette ad esse di costituire un archivio digitale interno completo. Le iniziative legate a Google Book Search si vanno moltiplicando. Tra queste segnaliamo la World Digital Library (WDL), frutto dell’accordo con la Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. Tutto il materiale digitalizzato dovrebbe essere messo a disposizione di biblioteche e di motori di ricerca on line di tutto il mondo, nel ri28 spetto dei criteri filantropici sui cui si fonda il progetto . Il costo stimato dell’operazione Google Book Search nel suo complesso si aggira tra i 150 e i 200 milioni di dollari. Quali le reazioni a questo progetto che sembra realizzare, in qualche modo, un’utopia? Il sogno enciclopedico di Diderot e d’Alembert si è trasferito in California?
Perplessità e nodi critici Jean-Noël Jeanneney, presidente della Bibliothèque Nationale de France (BNF) e del consorzio Europartenaires, in alcuni suoi interventi su Le Monde si è schierato radicalmente contro questo progetto con parole di fuoco. Egli vede in quest’operazione una forma di egemonia culturale statunitense sulla cultura mondiale. Infatti questa biblioteca accessibile da qualunque parte del mondo conterrà una percentuale molto elevata di testi di lingua e cultura anglofona, e dunque contribuirà a una omologazione pericolosa29. Jeanneney ha trovato valido appoggio nel presidente Chirac, che ha incaricato la Bibliothèque Nationale di occuparsi della 49
questione, sondando a livello europeo la possibilità di eventuali collaborazioni per istituire un progetto che supporti la cultura del Vecchio Continente. Il primo passo tutto francese è quello del rilancio di Gallica (http://gallica.bnf.fr), la versione digitale della BNF30. Il secondo è stato il lancio dell’ampio progetto franco-tedesco Quaero, che sarà pilotato dall’Agence pour l’Innovation Industrielle. In realtà le accuse sono volate non solo da una parte dell’Oceano, ma anche dall’altra. Peter Givler, direttore dell’American University Presses, organizzazione che rappresenta 125 editori no profit di riviste e libri scientifici, ha fatto notare il rischio che l’iniziativa possa compromettere seriamente il sistema della proprietà intellettuale regolato dal copyright. L’esito potrebbe essere la crisi irreversibile delle editrici no profit e accademiche. Il nodo consiste nell’ambiguità circa la salvaguardia dei diritti d’autore. La lettera interlocutoria, estesa e ponderata di Givler31 è stata invece ripresa dalla stampa (anche italiana) come se fosse un attacco frontale. Il risultato è stato quello di aver rinfocolato la questione sul diritto d’autore32. Il problema è serio, e alla fine ha provocato nel giugno scorso uno stop del progetto. La questione legale posta a Google Book Search dalla Association of American Publishers riguarda il fatto che la digitalizzazione viola il diritto d’autore, perché per acquisire i volumi è previsto un accordo con le biblioteche e non con gli editori, come invece dovrebbe essere. La conclusione della vertenza è stata che per sei mesi, l’acquisizione digitale dei testi delle Università di Harvard, di Stanford e del Michigan è stata bloccata. É rimasta attiva invece quella dei volumi della New York Public Library e della Oxford University che hanno fornito un numero maggiore di testi non più coperti da copyright. É andata avanti anche la politica di accordo diretto con gli editori, fino a questo momento esteso anche a Francia, Germania, Olanda, Spagna e Italia33. Una cosa sembra chiara: avere a disposizione in qualunque luogo e in qualunque momento milioni di volumi, dai classici dell’antichità ai saggi contemporanei, è una risorsa di grandissimo valore per lo studio e la ricerca. Qualunque ragionamento negativo sulla necessità di affinare i criteri di selezione delle 50
letture e sulla eccessiva facilità di reperimento dei materiali non può risultare vincente. Il sapere, per essere patrimonio comune e accessibile, va messo a disposizione nei modi più adeguati. A volte si perdono ore per ottenere un libro in biblioteche affollate, sempre che esso sia disponibile. Per fare ricerca potrebbe anche essere necessario fare lunghe e costose trasferte. Il fatto che oggi la tecnologia renda possibile un progetto come quello ideato da Google Book Search è un fatto in sé positivo. Ciò però non significa che non ci siano perplessità serie da affrontare con attenzione e scrupolo, come abbiamo già accennato. Riassumiamo, dunque, i nodi critici.
Egemonia culturale? Il primo è costituito da una preoccupazione di carattere culturale. Google Book Search intende immettere in Rete 15 milioni di libri. Il numero è elevatissimo, ma esso è soltanto una piccola parte dei libri pubblicati dall’invenzione della stampa ad oggi. Concretamente l’iniziativa attinge le sue risorse principali da biblioteche inglesi e statunitensi: non dunque da risorse scritte nella sola lingua inglese, ma da risorse selezionate da istituzioni culturali anglo-americane. Si prospetta un’egemonia culturale? Quale il migliore atteggiamento possibile? Fare ostruzionismo netto significa, crediamo, non raccogliere la sfida. Google Book Search è un progetto davanti al quale non si può rimanere indifferenti o totalmente scettici. Esso già coinvolge anche molti editori al di fuori del mondo anglosassone, come con gli italiani Feltrinelli, Giunti, Sironi,... Crediamo dunque che gli sforzi dovrebbero essere indirizzati verso iniziative nuove e appetibili, capaci di produrre alternative interessanti. In Europa il processo è stato avviato. In particolare, 19 biblioteche nazionali d’Europa hanno firmato un appello collettivo per promuovere una digitalizzazione larga e organizzata delle opere appartenenti al patrimonio europeo. Un primo abbozzo del progetto è e European Library, un portale che consente l’accesso ai cataloghi e ai testi digitalizzati di numerose biblioteche na34 zionali . Un altro progetto significativo, finanziato dall’Unione 51
Europea e già attivo dal gennaio 2004, è il Building Resources for Integrated Cultural Knowledge Services (BRICKS, che in inglese significa «mattoni»)35, che dovrebbe completarsi nel 2007. L’obiettivo è molto interessante e impegnativo: costruire una memoria digitale europea condivisa attraverso il collegamento fra tutti i database delle organizzazioni aderenti36. La differenza tra Google Book Search e Bricks al momento è che il primo dà accesso a testi, il secondo a risorse di vario tipo, permettendo l’accesso virtuale (anche a pagamento: l’iniziativa ha anche un aspetto commerciale) ai luoghi (musei, biblioteche, istituti,…) che custodiscono le risorse. Stanno nascendo anche varie iniziative a carattere nazionale. Tra quelle italiane ricordiamo il «Progetto Manuzio» dell’associazione Liber Liber, che ha già messo in Rete a lettura gratuita centinaia di libri in formato testo37. La maggiore, a livello pubblico, è stata varata nell’ambito della III Conferenza Nazionale delle biblioteche (2001), quando è stato dato il via ufficialmente al progetto denominato Biblioteca Digitale Italiana (BDI). Nello stesso anno è stato istituito un Comitato Guida presieduto dal professor Tullio Gregory, e composto da esperti del mondo bibliotecario statale e regionale, del mondo archivistico e museale, dell’università e della ricerca per definire delle linee guida. Ha così avuto avvio l’ideazione del Portale della Biblioteca Digitale Italiana e Network Turistico Culturale38. Esso propone un sistema di accesso integrato alle risorse digitali e tradizionali di biblioteche, archivi e altre istituzioni culturali italiane. Il portale offre la possibilità di avviare una ricerca, accedendo sia alle informazioni bibliografiche sia ai contenuti digitali provenienti da diverse sorgenti informative. Il progetto è stato promosso dalla Direzione 39 Generale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali (DGBLIC) del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e realizzato dall’Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche Italiane e 40 per le Informazioni Bibliografiche (ICCU) . L’Istituto ha gestito il progetto, coordinato i vari partner, implementato le nuove funzionalità e integrato i servizi del portale con quelli già attivi nel proprio sito. Nel corso dei quattro anni di attività sono stati realizzati vari progetti: la digitalizzazione in formato immagine 52
di 200 cataloghi storici, a volume e a schede, di 32 bibioteche pubbliche italiane per un ttale di circa 6 milioni di schede disponibili in rete nell’ambito del portale Internet Culturale; il varo di iniziative riguardanti la digitalizzazione in formato immagine del patrimonio musicale manoscritto presente solo presso le biblioteche pubbliche statali, ma anche presso i conservatori di musica, le accademie, le biblioteche comunali e gli archivi storici, per un totale di circa 2 milioni di scansioni e 230.000 documenti sonori; la digitalizzazione in formato immagine delle 70 riviste storiche preunitarie possedute dalla “Biblioteca Nazionale Centrale” di Roma, dalla “Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea” di Roma e dall’Università di Pisa (410.000 pagine); la digitalizzazione in formato testo di 1.800 opere della letteratura italiana, dalle origini al ‘900, ooperata dal Dipartimento di Italianistica dell’Università degli Studi «La Sapienza di Roma; la digitalizzazione di tutti gli scritti di Galileo, dagli autografi alle stampe, e relativa bibliografia. All’interno dell’architettura di Internet Culturale è nato anche Il Pianeta Libro, una guida all’Italia del libro che, attraverso le sue rubriche e i servizi on line, possa essere un osservatorio sulle tendenze dell’editoria e della lettura. Le sue rubriche offrono servizi interattivi che si rivolgono agli operatori culturali e alle comunità di lettori che vorranno partecipare attivamente alla costruzione di network: cataloghi e mappe di orientamento ipertestuali su case editrici, riviste di cultura, istituzioni e associazioni; percorsi di lettura, inchieste e altre risorse informative e multimediali sugli scrittori italiani, il dibattito culturale, le biblioteche scolastiche, il mercato editoriale, la traduzione e la diffusione all’estero; vademecum sulle informazioni di base e i riferimenti normativi per chi si avvicina ed opera nel mondo dell’editoria; istruzioni e moduli per concorrere ai premi e ai contributi concessi agli operatori; il calendario degli appuntamenti in programma in Italia e all’estero. È in fase di sviluppo un’intesa tra il Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie, il Ministero dell’Università e Ricerca e l’AIE Associazione Italiana Editori per il finanziamento di iniziative che riguardano la digitalizzazione dei testi e i libri elettronici41. 53
Altri nodi A leggere le loro dichiarazioni, i responsabili del progetto Google Book Search non hanno mai considerato le iniziative parallele come concorrenti, ma come sinergiche all’interno di uno sforzo comune per la memorizzazione digitale del patrimonio librario dell’umanità. Questo fair play, in realtà, sembra non risolvere la situazione né pacificare gli animi, perché le iniziative parallele hanno risorse economiche decisamente limitate, incapaci dunque al momento di garantire una collaborazione paritetica. Il secondo nodo critico consiste nella natura commerciale dell’operazione californiana. Anche se la consultazione di Google Book Search è del tutto gratuita, il progetto è legato a un’azienda che lavora ovviamente a scopo di lucro: i due studenti fondatori di Google, Larry Page e Sergey Brin, hanno creato un gruppo che in borsa a fine 2005 valeva circa 137 miliardi di dollari, cioè più della Ford e della General Motors messe insieme. Ciò non deve scandalizzare, ma deve comunque far riflettere: il capitale scientifico dell’umanità sarebbe messo nelle mani di un soggetto privato che può gestirlo con i criteri selettivi nella visibilità e nella pubblicità che ritiene più opportuni e convenienti rispetto ai propri obiettivi. Il terzo nodo critico è legato al supporto elettronico. Esso, per quanto sofisticato, è «fragile» e non ha durata secolare. A questo si aggiunga che il testo elettronico consiste in un codice che va interpretato da un programma per essere trasformato in caratteri alfabetici. Nel mondo dell’informatica si sa che i programmi si evolvono rapidamente e, già dopo un decennio, può accadere che la versione successiva di un programma non sia più in grado di decodificare una versione di molto precedente in modo del tutto corretto, nonostante l’esistenza di filtri e convertitori. Dunque Google Book Search, come tutte le biblioteche virtuali del resto, deve porsi seriamente il problema dell’aggiornamento dei formati digitali da utilizzare perché gli utenti potrebbero un giorno non essere più in grado di leggere le opere. Un problema ulteriore è connesso alla tecnologia della digitalizzazione dei testi. Se non ci si accontenta del formato immagine 54
della pagina, e si intende rendere le pagine disponibili in formato testo, perché possa essere possibile effettuare ricerche al suo interno, allora è necessario acquisire i testi tramite un processo che non è esente da errori, e dunque richiede un controllo attento. Nel caso che l’acquisizione non fosse di elevatissima qualità e il controllo non fosse scrupoloso, il rischio sarebbe di avere testi digitali non conformi agli originali. Si riproporrebbe, paradossalmente, il problema degli amanuensi medioevali che ricopiavano i testi introducendo errori e modifiche rispetto agli originali. Un quinto nodo consiste nel timore che l’operazione finisca per incidere negativamente sull’editoria no profit o accademica a causa delle ambiguità sul diritto d’autore. Google Book Search ha assicurato alcune condizioni di sicurezza per i libri coperti da diritti: ad esempio, non si potrà stampare il volume, non si potrà visionare che una percentuale dell’opera al mese, anche se essa è presente interamente nei server di Google, e le ricerche sono effettuate all’interno di tutte le sue pagine. Inoltre gli editori riceveranno una parte degli introiti pubblicitari, oltre ad avere una nuova visibilità per i loro libri, che potranno essere acquistati direttamente attraverso la pagina di ricerca di Google Book Search. Se il libro è uscito dalla distribuzione, il sistema indirizza l’utente che vuole acquistarlo verso le librerie che vendono on line libri usati. Il progetto dunque è quello di costruire un’unica grande realtà che fondi insieme biblioteca, libreria e bottega del libro usato o difficilmente reperibile. Sarà una nuova forma di promozione e diffusione del libro? Riteniamo di sì, anche se questo aprirà un altro problema: la sopravvivenza delle normali librerie, schiacciate sempre di più tra le grandi catene librarie e le librerie on line42. Non solo: le librerie on line che appaiono nella pagina di Google Book Search sono solamente quelle partner del progetto. Resisteranno alla fine solo due o tre librerie, capaci di fornire l’intero pianeta? La fantasia galoppa. Non siamo ancora davanti a questi panorami. Tra l’altro, l’acquisto on line via carta di credito non è diffuso in tutto il mondo come lo è negli Stati Uniti. Tuttavia i rischi teorici non sono da sottovalutare per interpretare il presente in maniera lucida. 55
Considerando aspetti positivi e nodi critici, riteniamo che quella di Google Book Search sia una sfida da raccogliere, ma in modo non ingenuo. Trincerarsi in un atteggiamento difensivo non serve né a comprendere l’evoluzione tecnologica e culturale in corso, né i bisogni ai quali risponde. L’opportunità di diffusione capillare del patrimonio librario che si apre davanti a lettori e ricercatori è decisamente affascinante. Tuttavia l’appello al senso critico è da tenere sempre desto per comprendere gli esiti di un progetto che sta compiendo i suoi primi passi. Un frutto positivo dell’allarme generato in Europa dai «neoamanuensi» californiani è però evidente: una spinta alla collaborazione tra gli stati del Vecchio Continente in ordine alla possibilità di rendere fruibile universalmente, mediante tecnologie digitali, non solo l’immenso patrimonio culturale europeo, ma anche le grandi istituzioni culturali43. *** Il mondo del libro e quello delle tecnologie digitali e dell’informatica si stanno sempre più avvicinando. La tentazione maggiore consiste nella drastica contrapposizione tra gli «apocalittici», che lanciano grida di allarme, e gli «integrati» che si entusiasmano per le novità di grido. Un atteggiamento più equilibrato consiste nel prendere atto innanzitutto delle potenzialità che la tecnologia digitale offre al mondo del libro. Ogni risorsa, chiaramente, può comportare dei rischi e dei problemi prima impensabili. Nella fase attuale novità non significa cancellazione della tradizione o riduzione del libro a mero oggetto di consumo, privato della sua aura simbolica, che è destinata a permanere. I processi che si stanno avviando semmai modificheranno sempre più la struttura attuale dell’editoria e della distribuzione, specialmente nella direzione della facilità e della rapidità di accesso al prodotto, dello scambio delle informazioni, della moltiplicazione dell’offerta e della varietà di approccio ai testi. I primi ad avvertire gli effetti positivi di queste trasformazioni sono e saranno soprattutto i ricercatori e coloro che gravitano intorno al mondo accademico perché vedranno un accesso sempre più semplificato ai luoghi in 56
cui è reperibile l’informazione scientifica (biblioteche, università, centri culturali,…) e il fiorire più dinamico e privo di ostacoli commerciali delle pubblicazioni specialistiche. NOTE Cfr. R. Ridi, Internet in biblioteca, Milano 1998, 250. Certamente il volume di Ridi è stato uno tra i primi pubblicati in Italia sull’argomento e ha dato un’informazione ad ampio raggio per chi ha già acquisito delle conoscenze di base. L’autore comincia a spiegare cosa sia internet, le sue origini e la sua estensione. Quindi si sofferma su come usare la Rete (posta elettronica, liste di discussione, periodici elettronici, conferenze virtuali,…), illustrando i vari standard (telnet, ftp, archie, gopher, web,…). Il terzo capitolo è interamente dedicato a internet e catalogazione, marketing del libro, prestito elettronico, bibliografie, etc. Particolarmente interessante la bibliografia e molto utile l’indice analitico. 2 Cfr. F. Metitieri - R. Ridi, Ricerche bibliografiche in Internet. Strumenti e strategie di ricerca, OPAC e biblioteche virtuali, Milano 1998. Il libro è una guida utile per chi ha già acquisito delle conoscenze di base e desidera approfittare delle nuove tecnologie per lo studio e la ricerca bibliografica. Il volume si rivolge infatti a chi ha necessità di individuare o leggere dei documenti e voglia servirsi della Rete per consultare bibliografie, cataloghi, banche dati e pubblicazioni elettroniche. La trattazione è sintetica, ricca di esempi e citazioni di indirizzi di riferimento. Non cede alla tentazione di costruire una sorta di «pagine gialle», ma lavora a livello di repertori di repertori, in modo da permettere alla ricerca personale di avere un orientamento completo. Ovviamente il testo si presenta come un manuale di riferimento che può anche non essere letto di seguito, ma solo fornire l’informazione giusta al momento giusto. 3 una lista aggiornata è reperibile all’indirizzo http://lcweb.loc.gov/z3950/agency/register/entries.html 4 Cfr. http://www.aib.it/aib/lis/opac1.htm http://wwwbiblio.polito.it/it/documentazione/biblioit.html, http://www.cineca.it/sbn/sbneng.htm 5 http://www.iccu.sbn.it/sbn.htm 6 Cfr. Http://library.usask.ca/hytelnet, http://www.alice.it/virtual/ net.vir/vnetmisc.htm, http://www.echo.lu/libraries/en/lib-res.html 7 http://portico.bl.uk/gabriel/en/sources.html 1
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http://sunsite.berkeley.edu/Libweb http://www.usc.urbe.it/bib/anonimo.htm 10 http://www.bnf.fr 11 http://portico.bl.uk 12 http://lcweb.loc.gov 13 http://www.melvyl.ucop.edu/ Infine sono da ascrivere a questa categorie anche i repertori bibliografici consultabili on line su temi specifici. Le iniziative si appoggiano a biblioteche tematiche o centri di ricerca che non necessariamente hanno a disposizione il materiale presente nel catalogo. Esistono anche repertori simili a informazioni bibliografiche tematiche di libri in fase di pubblicazione o molto recenti. 14 http://www.amazon.com e http://www.barnesandnoble.com 15 http://www.ibs.it e http://www.bol.it 16 È possibile leggere una lista di librerie virtuali in http://edit.it/ index.ssi, http://lgxserver.uniba.it/lei/biblio/librerie.htm, http:// lgxserver.uniba.it/lei/biblio/metaricerca.htm 17 Cfr. B. Longo, La nuova editoria. Mercato, strumenti e linguaggi del libro in Internet, Milano 2001. L’obiettivo del volume è quello di esplorare lo spazio dell’editoria in internet da un punto di vista pragmatico, con stile accessibile, ma anche consapevole che eccessive semplificazioni possono essere fuorvianti. Dunque è un libro ponderato nella sua impostazione, sufficientemente ampio e dunque certamente utile a coloro che intendono non solo farsi un’idea, ma comprendere cosa cambia nel mondo editoriale con l’avvento della Rete e, magari, inserirsi in un modo o nell’altro in questo nuovo campo di produzione e distribuzione. Il volume è strutturato in tre parti. La prima è centrata sul commercio elettronico e sulla sua evoluzione; la seconda sul libro elettronico dal punto di vista dell’hardware e del software; la terza sull’esplosione dei servizi di stampa e all’Internet printing. Il volume è completato da utili allegati: esempi di contratto per la gestione dei pagamenti on line e per la stampa su richiesta (printing on demand). Per un elenco di editori italiani in Rete cfr. http://lgxserber.uniba.it/lei/ biblio/editori.htm. Per un elenco essenziale di autori stranieri cfr. http: //lgxserver.uniba.it/lei/biblio/publishers.htm 18 http://www.randomhouse.com 19 http.//www.google.com Il nome Google è creato sul sostantivo googol, una parola inesistente che il nipote del matematico E. Kasner inventò, quando il nonno gli chiese di trovare un nome per il numero 10 alla centesima potenza, cioè 1 seguito da 100 zeri. Lo slang statu8 9
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nitense ha già assunto il termine, facendolo diventare anche verbo (to google) col significato di «cercare informazioni su una persona o una cosa» Cfr. R. Cagliero - C. Spallino, Dizionario di slang americano, Milano 1999. 20 Le pagine dei volumi sono messe a disposizione non come testi (che sarebbero dunque disponibili per le funzioni di copia, incolla, modifica,…) ma come immagini non modificabili, accessibili dunque in sola lettura. 21 Informiamo il lettore che la New York Public Library è al centro di un’altra interessante iniziativa: essa mette a disposizione sul proprio sito web (http://www.nypl.org) le versioni audio digitali di centinaia di volumi. Ciò significa che sarà possibile scaricare i documenti audio e ascoltare la lettura di romanzi e saggi come si ascolta la musica mediante un lettore di musica digitale (mp3 player, iPod,…). 22 Cfr. http://www.umich.edu/pres/about.html 23 Cfr. http://books.google.com/ 24 Cfr. http://www.a9.com 25 Cfr. http://www.archive.org/details/millionbooks 26 http://www.opencontentalliance.org 27 Cfr. http://www.opencontentalliance.org/contributors.html 28 La Biblioteca del Congresso già nel 1994 istituì il National Digital Library Programme, un’iniziativa che mirava ad offrire online i tesori della storia americana. Nel 2000 poi lanciò il suo sito Global Gateway che comprendeva presentazioni bilingue da fonti russe, francesi, spagnole, brasiliane e olandesi, raccogliendo tutta una serie di paralleli storici tra gli Stati Uniti e le nazioni che partecipavano al progetto del sito. 29 Cfr. J.-N. Jeanneney, Quand Google défie l’Europe. Plaidoyer pour un sursaut, Paris 2005. 30 La stessa Biblioteca ha avviato un programma di digitalizzazione della stampa francese, che entro il 2009 dovrebbe rendere possibile consultare on line 22 testate dall’Ottocento ai giorni nostri. 31 La lettera è disponibile in http://aaupnet.org/aboutup/issues/ 0865_001.pdf 32 Cfr. http://aaupnet.org/programs/annualmeeting/2005/ 2005pres.html 33 http://books.google.it 34 Cfr. http://www.theeuropeanlibrary.org 35 Cfr. http://www.brickscommunity.org 36 L’utente che si collegherà via web avrà a sua disposizione un siste-
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ma che permetterà non solo la ricerca di indici testuali, ma anche ricerche avanzate per profili semantici e per gestioni di diritti. Gli ideatori del progetto sono le società italiane Engineering e Metaware, la «Scuola Normale Superiore di Pisa», l’istituto tedesco Fraunhofer, la società austriaca ARC, oltre al Ministero per i Beni e le Attività Culturali italiano. Fra i partners dell’iniziativa si trovano il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), la Soprintendenza per i Beni architettonici e il paesaggio e per il patrimonio storico artistico e demoetnoantropologico di Firenze, Pistoia e Prato, la Galleria degli Uffizi, l’Archivum Secretum Vaticanum. 37 Cfr. http://www.liberliber.it Per i progetti europei cfr. http:// www.infotoday.com/cilmag/nov00/raitt.htm 38 http://www.internetculturale.it 39 La DGBLIC ha l’obiettivo di tutelare e valorizzare il patrimonio librario nazionale attraverso le 46 Biblioteche statali, promuovere la diffusione del libro e della cultura in Italia e all’estero, sostenere e vigilare sugli istituti culturali quali Accademie e Fondazioni. Essa inoltre deve curare la promozione della lettura e del libro all’interno del Paese e nell’ambito della Comunità internazionale e l’incentivazione economico-finanziaria del settore. 40 L’ICCU, referente tecnico-scientifico della DGBLIC, infatti istituzionalmente promuove e coordina l’attività di catalogazione e documentazione del patrimonio librario conservato nelle biblioteche pubbliche. In particolare, cura la realizzazione del Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN), rete informatizzata di servizi nazionali alla quale sono collegate circa 2.300 biblioteche italiane per la creazione del catalogo collettivo nazionale on line gestito dall’ICCU. 41 Sui diritti digitali in Italia, rinviamo a http://www.interlex.it/ copyright/vigevano2.htm 42 Cfr. A. Spadaro, «Il libro e internet». 43 È ciò che sta accadendo, come abbiamo visto, col progetto BRICKS.
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CAPITOLO 3 WEB-ZINE: RIVISTE IN RETE
In internet assistiamo al fenomeno della costruzione di siti, luoghi virtuali, dove sono pubblicati, non su carta dunque ma in modo digitale, testi narrativi, poetici e interventi critici: riviste, progetti, archivi che sembrano porre domande a chi intenda fare un bilancio della narrativa e della critica contemporanea. Le pagine intendono porre in evidenza le opportunità aperte, le quali spesso tuttavia appaiono non colte appieno.
È noto come le riviste culturali e letterarie italiane abbiano rappresentato un luogo vivo e inquieto di scambio, incontro e scontro culturale, di valori e di idee1. Centrale è stato il loro ruolo nei primi anni del nostro Novecento e tra le due guerre mondiali: esse tendevano a dare all’attività letteraria, concepita come un artigianato, un alto valore morale. Il termine «rivista» deriva dal verbo «rivedere», cioè confrontare, esaminare, descrivere, potremmo dire tutto ciò che non è informazione rapida, sommaria, momentanea. È proprio della rivista il compito dell’osservazione critica2. Questo ruolo, in un modo o nell’altro, è stato ereditato nella cultura italiana dagli anni del dopoguerra fino ad oggi3. In questi ultimi 15 anni si è assistito al fenomeno della nascita di riviste povere, artigianali, alcune delle quali comunque tipograficamente ben curate. Si tratta di pagine dedicate alla narrativa esordiente diffuse in modo approssimativo, che tuttavia hanno aperto un canale, uno spazio ad ampio raggio per la pubblicazione e per un confronto critico. Queste riviste hanno trovato una loro collocazione nel panorama della narrativa italiana e sempre più spesso sono palestra di autori che poi approdano alla pubblicazione anche presso case editrici a larga diffusione. Alcune di 61
queste riviste anzi hanno creato un proprio marchio editoriale. Più o meno nell’ultimo decennio si è assistito a un ulteriore sviluppo: le caratteristiche proprie di internet hanno fatto sì che nascessero riviste e siti di scrittura creativa tanto che oggi si può parlare di una vera e propria diffusione della «pubblicazione» letteraria on line. Così sono sorti progetti, riviste e iniziative che operano in Rete, generando un fenomeno che si apre all’indagine e al dibattito critico ancora non praticato, seppure urgente. Innanzitutto occorre tentare una classificazione dei siti di scrittura creativa per poi avviare un’analisi delle principali questioni che il fenomeno propone alla riflessione.
Tipologie di siti Catalogare la realtà della Rete è impresa ardua, forse impossibile, in quanto è molto ricca e troppo fluida e magmatica per poter stare comodamente all’interno di categorie precise. Tuttavia i tentativi possono contribuire almeno a definire degli ambiti di lettura e di valutazione. I siti-vetrina. «Navigando» in internet ci si può imbattere in siti costruiti da riviste stampate tradizionalmente su carta. Il ruolo di internet in questo caso per lo più è quello di costituire una vetrina dove esporre qualche testo e invitare i visitatori all’abbonamento. Senza entrare nel merito della qualità delle medesime riviste, a volte anche molto buono, constatiamo che per esse la Rete diventa superficie di esposizione permanente, senza che si tocchino le specificità di questo spazio e dunque senza creare interazioni significative con chi entra in questi luoghi virtuali. Si tratta di siti «vetrina» che danno visibilità alle riviste cartacee. Alcune di queste trovano comodo pubblicare in Rete, accanto a note sull’abbonamento e agli indici dei numeri stampati, qualche brano critico come l’editoriale, qualche testo già pubblicato su carta o anche testi che per la loro lunghezza non potrebbero essere inseriti nella rivista e così la Rete diviene, in qualche modo, sostitutiva del supporto cartaceo. In qualche caso abbiamo la versione web dell’intera pubblicazione. Per le riviste che sono carta62
cee, ma solo in formato molto povero e con scarsa distribuzione, internet diventa l’unico canale ampio di presenza e di visibilità a bassissimo costo attraverso cui è possibile esprimersi con libertà. I siti-vetrina utilizzano la Rete sostanzialmente come veicolo pubblicitario. Non si tratta di un uso banale perché un’operazione culturale se non è visibile non è incisiva, ma di fatto così si utilizza il supporto elettronico come se fosse carta, vanificando le potenzialità più proprie dell’ambiente di pubblicazione. Internet non è solo un «supporto», ma è un ambiente di espressione con potenzialità proprie4. I siti-contenitori. Esistono in Rete una quantità difficilmente censibile di siti-contenitori, luoghi virtuali i quali si dispongono ad essere grandi recipienti di testi narrativi e poetici. Chi scrive può trovare in questi siti un luogo per veder pubblicati i propri lavori, a volte anche senza alcun filtro di tipo qualitativo. La pubblicazione, in qualche caso, è sottoposta al pagamento di una cifra modesta, altre volte è del tutto gratuita. A differenza dei siti-vetrina, questi sono costituiti essenzialmente da testi creativi. Spesso la loro linea editoriale è inesistente perché basata sulla non selettività, unico criterio, e per giunta negativo, di pubblicazione5. L’assunto che genera un simile atteggiamento acritico nei confronti dei testi è che non è scrittore solo chi ha pubblicato, ma chiunque risponda all’esigenza umana di storie, dedicando il proprio tempo a raccontarne. Sono infine da porre in questo contesto anche i siti personali, cioè quei luoghi virtuali costruiti direttamente da singole persone al fine di immettervi le proprie produzioni (poesie, narrazioni, riflessioni, recensioni…) Alcune volte si tratta di siti composti da scrittori. Non è raro imbattersi tuttavia in siti dallo stile palesemente autoreferenziale6. Riviste on line. Un fenomeno in espansione è costituito dalle riviste che trovano nella Rete il loro principale, se non unico, luogo di vita. Si tratta di testate che nascono nella Rete e per la Rete e non vetrine web di riviste cartacee. Non sono assimilabili ai contenitori sia perché hanno una dimensione redazionale (e dunque selettiva) sia perché hanno autocoscienza di essere e di 63
voler fare una «rivista». Esse, in genere, sono articolate in rubriche (narrativa, poesia, articoli, recensioni, musica,…) come le riviste cartacee. Sperimentazioni letterarie in Rete. Il limite strutturale di iniziative che potrebbero in sede teorica sostanzialmente vivere anche fuori della Rete, viene a volte superato grazie a sperimentazioni che solo la Rete stessa rende possibili e che non sarebbero praticamente attuabili al fuori di questo ambiente. Troviamo, ad esempio, una forma di scrittura definita «romanzo interattivo» o «scrittura on line» che consiste nella produzione di un testo a più mani. In alternativa a questo sistema si può anche aiutare un autore che ha già sviluppato una storia a farne un romanzo. Progetti. La Rete può anche essere sede di vere e proprie operazioni culturali che assommano in sé gli aspetti delle altre categorie di siti illustrate precedentemente, unificandoli e coordinandoli a un progetto unitario e coerente.
Questioni e valutazione A questo punto si pongono rilevanti problemi critici che qui abbiamo solo lo spazio per far intravedere. La prima questione riguarda il senso del costruire una rivista o un sito in internet che riguardi la letteratura. Si può riflettere sul fatto che a volte lo schermo sia solo un sostituto del supporto cartaceo. In questo caso i siti «usano» la Rete e non «vivono» in essa, entrando nella sua logica. Così la forma ipertestuale di internet diventa un diverso modo per dire e fare la stessa cosa che si fa con la carta. L’ipertesto è spesso solo un altro supporto tecnologico per la trasmissione degli stessi testi, cioè un nuovo oggetto «simile» al libro. In realtà occorrerebbe approfondire ciò che appare invece essere la costruzione di un nuovo genere, che potremmo definire «architettonico», di scrittura. Se la scrittura a penna fa appello ad abilità legate al disegno, la scrittura digitale in ipertesti richiede abilità simili a quelle richieste dall’architettura. Come l’architettura è l’arte e la tecnica 64
di ideare, progettare e realizzare strutture d’ambiente urbano o naturale, così la scrittura ipertestuale richiede l’arte e la tecnica di ideare, progettare e realizzare strutture testuali, le pagine, organizzate in un ambiente che non le compone una dietro l’altra come in un libro, ma le collega tra loro come i fili di una ragnatela, dove non c’è un inizio, un centro e una fine, ma nodi e connessioni, e dove si può scegliere una entrata e una uscita. In che modo è allora pensabile una rivista letteraria che sfrutti appieno questa potenzialità creativa? Una seconda questione riguarda il fatto che l’immissione di materiali in un ambiente che non ha un supporto fisico stabile pone il problema della permanenza di questi testi digitali, della loro attendibilità filologica e della loro citabilità. La «materialità elettronica» di un’opera fa sì che essa possa diventare volatile, transitoria, sempre modificabile o cancellabile perché esiste «virtualmente» e potrebbe non apparire più all’indirizzo alla quale era reperibile fino a poco tempo prima. Può insomma essere letta e poi sparire o essere modificata e scomposta irrimediabilmente o ancora può essere citata o riutilizzata senza alcuna certezza legata al copyright e al diritto d’autore. Un romanzo può vivere un giorno o può essere riprodotto e modificato all’infinito. Una rivista che vuol vivere solo in Rete deve porsi il problema della permanenza dei testi e della loro citabilità. Per qualche rivista la soluzione è sbilanciata del tutto sull’abolizione di qualunque forma di copyright e sulla libertà di citazione e rielaborazione del materiale in essa contenuto. Altre questioni riguardano il processo segnato dalle tappe di scrittura, pubblicazione e lettura di un testo collocato in ambiente digitale. Questo processo assume connotazioni nuove innanzitutto riguardo alle modalità di scrittura al computer o al modo di combinare parole, immagini e suoni in ipertesti7. Nei siti internet si ha una strettissima relazione tra testo e immagine: il libro si vede e si sfoglia, il sito internet lo si vede, e al suo interno si può navigare, facendo riferimento a metafore visive e a simboli («icone»). Tutto ciò amplifica il significato delle scelte che per la carta definiremmo «tipografiche», innanzitutto a livello di rivalutazione del concetto di «copertina» e «frontespizio», il portone 65
di ingresso dei libri così importante tra il Rinascimento e l’Ottocento. Per un sito internet la main page, la prima pagina visibile, è di fondamentale importanza perché con la sua veste grafica deve «attirare» il lettore/navigatore e condurlo dentro il proprio spazio virtuale. Un testo letterario in internet può includere in sé, grazie alle estensioni dei programmi di navigazione (plugs-in), musica, immagini, animazioni, sfondi grafici,… sviluppando una letteratura che potremmo definire plurisensoriale. Non è un caso che l’estetica futurista stia conoscendo in Rete una rinnovata giovinezza. La rivista letteraria deve attentamente considerare il proprio sviluppo grafico. Ma internet può far giungere a mettere in crisi il concetto di autore. La costruzione di «iper-romanzi» in un sistema interattivo genera una confusione di ruoli tra autore e lettore perché chi legge un romanzo in costruzione, può proseguire a suo gusto il testo stesso, aggiungendo ad esso delle parti. Accanto a tutte le perplessità che una novità del genere suscita, ci si chiede quale sia lo sviluppo della condizione intersoggettiva del sapere scientifico che le nuove tecnologie stanno mettendo in atto. Si può dire per l’arte o almeno per la narrazione la stessa cosa che si può dire per il sapere scientifico? Com’è possibile mantenere una coerenza? Quando è possibile definire un’opera «opera»? Chi sarebbe l’autore? I ragionamenti di Italo Calvino che nel suo articolo del ‘68 «Cibernetica e fantasmi»8 scriveva sulla narrativa come «processo combinatorio» e sulla dissoluzione dell’io dell’autore nel processo della scrittura è di grande attualità, come lo è l’idea della «scrittura collettiva» di cui parlava don Lorenzo Milani9. Altra questione riguarda di conseguenza il processo della «lettura», che può non essere più lineare in sequenza grafica – cioè parola dopo parola e rigo dopo rigo – ma segnata da collegamenti interni (links) che restituiscono un testo senza un inizio né una fine, ma solo con un’entrata e un’uscita. Una rivista letteraria in Rete è chiamata a decidere se offrire percorsi di lettura abbastanza rigidi (rubriche, percorsi,…) o lasciare la «navigazione» del tutto a briglia sciolte. Infine il processo della pubblicazione subisce un profondo cambiamento interno. Stampare un libro implica passaggi com66
plessi, selettivi e lunghi, oppure, nel caso di pubblicazione in proprio, costi spesso onerosi. In internet, al contrario, si ha un facile ed economico accesso alla produzione e alla fruizione. Un testo può essere letto sullo schermo del computer, stampato su carta o scaricato dalla Rete anche nel formato tipografico di un libro grazie alla tecnologia «PDF». Una rivista può divenire una sorta di «messaggio in bottiglia» lanciato nell’oceano della Rete, portando al superamento della marginalità da parte di espressioni subalterne (riviste, progetti, iniziative,…) ai sistemi editoriali e socioculturali, ma anche un superamento delle distanze, delle lingue e dei problemi distributivi: un libro prodotto in Nuova Zelanda può essere stampato agilmente in Italia e viceversa. Alla luce di questi nodi di riflessione rimangono altre questioni chiave. L’apertura indiscriminata alla pubblicazione in Rete da parte di molti siti e riviste pone la questione della qualità dei testi: al suo interno si trova veramente di tutto. Una rivista non selettiva rinuncia a quello che dovrebbe essere un suo ruolo costitutivo: lo sguardo critico. La valutazione di un sito letterario in Rete appare così segnata da almeno due fattori: in primo luogo l’impegno culturale, l’incisività e la progettualità di chi investe tempo e passione nella costruzione del sito; in secondo luogo la sua vita in Rete intesa non solo come occasionale e strumentale, ma costitutiva, che miri cioè a sviluppare proposte mediate grazie alle potenzialità espressive proprie di internet. NOTE Cfr. ad esempio A. Hermet, La ventura delle riviste (1903-1940), Firenze 1941; R. Bertacchini, Le riviste del Novecento. Introduzione e guida allo studio dei periodici italiani. Storia, ideologia e cultura, Firenze 1980. 2 Per una riflessione non solo in area italiana cfr. M. I. Gaeta (ed.), In/forma di rivista, Roma 1993. 3 Cfr. P. Pallavicini, Riviste anni ‘90. L’altro spazio della nuova narrativa, Ravenna 1999. 4 Questi siti-vetrina hanno dato visibilità a riviste come Addictions, Cambio, Erbafoglio, Ellin Selae, Fernandel, Il paradiso degli orchi, Inchiostro, In-edito, Penna d’autore, Storie, Virgole, Gruppo 97, La (nuo1
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va) mosca di Milano, Carmilla. In qualche caso, come nella rivista di narrativa fantastica Terminus e nella rivista di interesse locale Nuovo Sacrileggo, abbiamo la versione web dell’intera pubblicazione. Inoltre troviamo testate (ancora vive o meno) come Astratti furori, Senza filtro, Vascello di carta, ‘tina (che pubblica anche testi e traduzioni di autori noti), La torre del Crepuscolo, che sono sì cartacee, ma solo in formato molto povero e con scarsa distribuzione. 5 Questa decisione è a volte giustificata dal fatto che il sito si intende proporre come termometro della temperatura dei narratori esordienti, come nel caso di Opplà, rivista collegata al Premio Calvino. Fabula è stato uno tra i siti più noti e pionieristici. Adesso non è più attivo. Disponeva di un comitato di lettura, ma non poneva limiti nella pubblicazione on line di inediti. Così Arpanet, Verba Vola.net il quale intendeva «dar spazio a chiunque abbia qualcosa da dire». Il sito VersiControVersi si poneva l’obiettivo di «dar voce agli autori destinati al silenzio» nella tensione verso una «poesia sincera». Più o meno simili gli intendimenti di Netpoets, Navigando in letteratura, I fogli nel cassetto, Le stanze del cuore, Spazio Libero e Racconto dell’utente, Novae litterae, 3Vitre. Il sito Bookcafè teorizzava addirittura un «manifesto» eloquente, nel quale si sostiene che «in letteratura, come nella vita, è impossibile utilizzare concetti come “buono” o “cattivo” senza dar loro una importanza che non trascenda la propria opinione». Molti di questi siti non esistono più. La logica del contenitore, a nostro avviso, infatti, è destinata al fallimento. 6 Cfr. A. Forni (ed.), Scrittrice precoce a pochi mesi scriveva il suo nome, Viterbo 1998. 7 Sull’argomento è ormai imprescindibile la lettura di G. P. Landow, L’ipertesto. tecnologie digitali e critica letteraria, Milano 1998. Tra la bibliografia italiana è da segnalare A. Cadioli, Il critico navigante, cit. Interessante F. Pellizzi, «L’ ipertesto come discorso critico: potenzialità e limiti», in http://www2.comune.bologna.it/bologna/boll900/ saltesto.html 8 I. Calvino, «Cibernetica e fantasmi (Appunti sulla narrativa come processo combinatorio», in Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Milano 1995, 199-219. 9 Cfr. F. Gesualdi - J. L. Corzo Toral, Don Milani nella scrittura collettiva, Torino 1992.
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CAPITOLO 4 BLOG: TRA DIARIO E GIORNALE
Uno dei fenomeni che maggiormente sta caratterizzando la vita di internet è quello del blog, uno spazio virtuale che consente di pubblicare contenuti di qualunque tipo in ordine cronologico. Sin dagli inizi, questa forma di espressione ha rivestito una doppia funzione: mettere on line storie personali e diaristiche, da una parte; realizzare una forma di comunicazione diffusa dal basso e senza filtri, che dia informazione e soprattutto faccia opinione, dall’altra. Il blog vive a metà strada tra il giornale, il diario e la comunicazione per passaparola. Il capitolo descrive il fenomeno e offre alcune chiavi di interpretazione alla luce del sistema mediatico nel suo complesso.
Il vero fenomeno, sempre più dilagante, che sta caratterizzando la vita di internet è quello dei cosiddetti blog. La Rete, lo abbiamo detto sin dall’inizio, è un vero e proprio unico grande testo inesauribile. All’interno di questo «spazio» nel 1999 sono nati i blog, che però solo dal 2003, in particolare nel nostro Paese, hanno cominciato a diffondersi veramente a macchia d’olio, fino a divenire oggi una delle realtà più vive e dinamiche della Rete. A fine 2005 se ne registravano oltre 20 milioni con una crescita di circa 70.000 al giorno.
Che cosa sono i blog? Non è facile definire cosa sia un blog1. È infatti un sistema complesso che sfugge a classificazioni troppo rigide e va oltre le tecnologie da cui ha origine2. Il termine blog di per sé non significa nulla. Esso è frutto della contrazione delle parole inglesi 69
web e log: web, che significa «ragnatela», sta per la Rete stessa, e log, che significa «diario» o anche «giornale di bordo». Dunque la traduzione italiana di blog potrebbe essere «diario in Rete». E questa è, in effetti, la definizione più semplice: esso è uno spazio virtuale, autonomamente gestito, che consente di pubblicare una sorta di diario personale o, più in generale, contenuti di qualunque tipo che appaiono in ordine cronologico, dal più recente fino al più vecchio, e conservati in un archivio sempre consultabile. I contenuti possono essere arricchiti da collegamenti ad altri blog e ad altri siti all’interno di una fitta ragnatela di connessioni reciproche. Man mano che i nuovi materiali vengono inseriti, quelli più datati vengono a posizionarsi più in basso fino a confluire nell’archivio settimanale, mensile o annuale. Le caratteristiche fin qui illustrate permettono di comprendere come i blog fondano insieme caratteristiche proprie dei newsgroup (bacheche elettroniche di messaggi accessibili con il programma di posta elettronica o un lettore di news apposito), delle pagine web personali e dei portali d’informazione. Infatti, come i newsgroup, i blog sono bacheche di messaggi; come i siti personali, pubblicano contenuti che hanno a che fare col loro autore; come i portali informativi, forniscono informazioni di ogni tipo: da quelle strettamente personali di siti tra il narcisistico e il voyeristico, a quelle di carattere generale, come nel caso di reportage da luoghi in cui la libertà di stampa è negata. Sin dal suo inizio, nel 1997, questa forma di espressione ha infatti rivestito una doppia funzione: mettere on line storie personali, riflessioni dell’autore, pensieri in forma di almanacco, per i quali la cadenza quotidiana dell’aggiornamento riproduce i ritmi della vita ordinaria, da una parte; realizzare una forma di comunicazione diffusa dal basso, senza filtri di carattere economico o spaziale, che dia informazione e soprattutto faccia opinione, in genere «alternativa» rispetto a quella dei media più ufficiali, dall’altra. È necessario aggiungere che ogni contenuto immesso può prevedere il commento da parte dei suoi lettori, i quali quindi possono interagire direttamente con chi lo ha scritto e con gli altri che leggono. Uno dei motivi per cui quello del blog è divenuto in poco tempo un vero e proprio fenomeno consiste nel fatto che per 70
realizzarne uno non è necessario né un esborso economico, né una particolare competenza relativa ai linguaggi propri della Rete: in genere, basta inserire i contenuti da pubblicare in moduli (form) già predisposti da piattaforme che forniscono gratuitamente il servizio. Le procedure sono semplici: basta registrarsi, scegliere un nickname, cioè un «nomignolo» di riconoscimento, e una password. A questo punto si dovrà indicare il nome del blog, scegliere se permettere o meno ai visitatori di lasciare un commento e se esso debba essere immediatamente pubblicato o prima approvato, e infine scegliere il layout, cioè la forma grafica del blog. Quando ci si imbatte in uno di essi, si percepisce la differenza rispetto a un normale sito personale, che è invece più statico. Il blog cambia ad ogni aggiornamento, di norma quotidiano, e rivela meglio lo spirito del suo autore. Lo si riconosce subito, in realtà, anche per la grafica essenziale. Esso è costituito, in genere, da tre campi verticali: quello centrale contiene i post (cioè i materiali «postati», pubblicati), quello di sinistra gli archivi, quello di destra i link ad altri siti e blog (il cosiddetto blogroll). A questo punto, definito il layout, il blogger, cioè l’autore del blog, può inserire qualunque contenuto testuale o multimediale. Il suo blog è pronto3. Se è facile aprire e rendere operativo un blog, non è altrettanto semplice comprendere a fondo l’impatto, a giudizio di alcuni «rivoluzionario», di questa tecnologia, almeno a livello delle relazioni in Rete e del modo e del desiderio di raccontare la realtà, la propria personale e quella del mondo.
Tra diarismo e giornalismo «Il blog è la tua voce sul web. Uno spazio dove raccogliere e condividere qualsiasi cosa che stimoli il tuo interesse: un commento di politica, un diario personale online o link a siti web che ti interessano. Per molti un blog è semplicemente uno spazio in cui annotare i propri pensieri, mentre altri comunicano ad un pubblico di migliaia di persone in tutto il mondo. I blog sono utilizzati dai giornalisti, professionisti o dilettanti che siano, per pubblicare le notizie dell’ultima ora, mentre attraverso i diari 71
quotidiani è possibile condividere con gli altri i propri pensieri più intimi»4: questa è la definizione che si legge nella pagina di presentazione di Blogger, una delle piattaforme più note per la creazione di blog. Risulta chiaro come la dimensione diaristica e quella giornalistica in qualche modo risultino fuse tra loro. Un esempio di questa fusione ispirativa è quello realizzatosi a New York in occasione dell’attentato alle Twin Towers, quando i blogger newyorkesi hanno raccontato in diretta, come veri e propri «inviati» sul posto, ciò che accadeva, producendo cronache in forma di testimonianze personali. Il blogger potenzialmente può fare informazione in maniera immediata, in diretta e senza passare da alcun filtro, ovviamente anche di tipo etico: non c’è garanzia di alcun tipo circa ciò che è scritto, se non quella dell’autorevolezza personale del medesimo blogger. Il blog dunque vive a metà strada tra il giornale o la rivista e la comunicazione per passaparola. Rispetto a un normale periodico cartaceo, il blog si caratterizza per la spiccata presenza di un individuo e delle sue preferenze di scelta e di giudizio, per la sua «autorialità». Rispetto al puro passaparola, invece, il blog può contare su tutte le risorse della Rete (link al sito dell’editore, ad altri commenti e fonti,...). Tuttavia del passaparola il blog ha ereditato la necessità del coinvolgimento relazionale nel passaggio della notizia, che non è più solamente «trasmessa» (cosa che caratterizza i broadcast media e che rende l’utente uno «spettatore»), ma condivisa in contesti di relazione, sebbene «virtuale». Quella della «piazza» e della comunicazione spontanea che in essa avviene resta una buona immagine esplicativa del fenomeno. Tuttavia tutti i paragoni (col giornale, il passaparola, il diario,…) sono insufficienti: il blog può essere ciascuna e tutte insieme queste cose, ma è anche radicalmente «altro». Un diario è sempre un diario, e un giornale è sempre un giornale, mentre il blog non prevede uno stile uniforme: a un post rappresentato da una cronaca obiettiva può seguirne un altro che è una pura espressione emotiva o la citazione di qualche pagina di un romanzo. Allora il blog è, a suo modo, anche un’opera narrativa, un romanzo epistolare, un saggio critico che non prevede la parola «fine», e così via. Il blogger, data la dimensione cronologica del 72
blog, spesso finisce per affidare alla Rete non prodotti definiti o riflessioni concluse, ma il frastagliato e diseguale diario della propria storia intellettuale e, spesso, anche emotiva. Il blog insomma, utilizzando un’espressione del sociologo Clifford Geertz, è uno dei blurred genres, un «genere confuso»5 o, se vogliamo, più semplicemente, un nuovo genere espressivo. Non solo: la presenza sistematica di link (collegamenti) permanenti (detti permalink) ad altri blog fa sì che chi ne frequenta uno, di fatto, ne frequenti altri, che con il primo costituiscono un vero e proprio sistema, definito comunemente come «blogosfera», senza centro e senza periferia. Il blog realizza una delle forme più compiute di ipertestualità che vivono nella Rete. Ecco una delle caratteristiche dei blog propriamente detti: essi pubblicano post rinviando ad altri blog, e cioè facendo ciò che di norma non si deve fare nel giornalismo: spostare la preziosa attenzione del lettore verso altre fonti di informazione6. In genere, più numerosi sono i link esterni e i rinvii ad altri blog, maggiore attenzione si riceve dai lettori e dalla blogosfera. Tutto ciò, ovviamente, non si realizza nella lettura di un diario o di un giornale, che tendono a centrare l’attenzione solamente su di sé. È da notare infine che, a differenza di ogni libro e periodico, i contenuti di molti blog sono aperti alla copia gratuita, cioè al cosiddetto copyleft, che è diametralmente opposto al copyright7. È prevista e rispettata la citazione della fonte, ma non ci sono limiti alla circolazione dei testi, delle storie e delle idee. Nonostante siano stati scritti numerosi contributi alla comprensione del fenomeno8, non solo non è possibile classificare i blog, ma non lo è nemmeno censirli. Innanzitutto per il loro numero. Solo per avere un’idea del fenomeno basti dire che la piattaforma italiana Splinder alla fine del 2003 contava circa 22.000 blog ospitati, mentre all’inizio del 2006 il loro numero è diventato di oltre 160.000. Nel mondo ovviamente le cifre sono a 6 zeri: indagini recenti hanno contato circa 3 milioni di blog nella Rete. È tuttavia possibile distinguere tre dimensioni fondamentali, sempre compresenti e difficilmente separabili, ma con equilibri e in misura differente da blog a blog: la dimensione emotivo-espressiva, quella critica e quella informativo-giornalistica. 73
La dimensione emotivo-espressiva Avere a disposizione uno «strumento» così flessibile spinge molti a desiderare una visibilità in Rete e a guadagnarsi uno speaker corner, un angolo da cui parlare, come quello celebre di Hide Park, dal quale si spera di ricevere attenzione. Così nei blog si trova di tutto: gli svagati in cerca di paesaggi e sintonie interiori; i vaticinanti ispirati, che trascrivono aforismi; i sentimentali romantici; i minimalisti, che tengono traccia di ogni momento della loro esistenza; i «poeti maledetti» di maniera e coloro che invece amano il gergo moderatamente inventivo dei «messaggini» sms9. Secondo dati recenti oltre la metà dei blogger sono ragazzi tra i 13 e i 19 anni. Quasi il 70% sono donne. Ovviamente in Rete le identità sono flessibili: si può pubblicare un blog sotto falso nome, con uno pseudonimo o con un semplice nickname. Lo spazio della Rete è molto anonimo e impersonale, in quanto ciascuno può far credere di essere ciò che non è a livello di età, sesso e professione, esprimendosi senza i limiti dati dalla propria identità pubblica. Lo spazio diaristico del blog può realizzare un’apertura completa e un grande livello di autenticità, ma d’altra parte essa resta esposta allo spontaneismo senza limiti e senza pudori. Occorre rilevare questo grande desiderio, spesso incarnato da molti giovani, di trovare un canale di espressione per se stessi, una forma per dire in pubblico parole private. Sembra voler indicare un desiderio di trovare ascolto e di vivere un’aggregazione, anche semplicemente virtuale e dunque senza volto, sulla base del bisogno di raccontare la propria storia o la propria giornata. Qualcosa che vada al di là del «Caro diario,…» e stia più in qua del reale contatto con persone visibili. Che sia, tra l’altro, l’espressione di un profondo bisogno di ascolto e, insieme, di una paura a esporsi per quel che si è, fino in fondo? Se l’espressione personale riesce a trascendere il mero autobiografismo diaristico estemporaneo, allora possiamo riconoscere (sempre tenendo presente la «confusione» dei generi propri dei blog) spazi di significato poetico-letterario o comunque artisticoespressivo. La natura sintetica dei post e il continuo feedback dei 74
lettori spesso spingono il blogger ad affinare le proprie capacità di scrittura. Un diario potrebbe diventare un romanzo a puntate fatto di brevi unità narrative (che sono i post, appunto). Ovviamente, in questo caso, il lettore può procedere a ritroso nella lettura, invertendo o costruendo autonomamente il «montaggio» delle sequenze narrative. Ma il blog potrebbe essere una forma di «flusso di coscienza» di joyciana memoria, capace di registrare per filo e per segno tutti i collegamenti e i salti pindarici dell’interiorità propria di una coscienza. Se un racconto in blog corre sempre il rischio di trasformarsi in una sorta di internet-soap, cioè di soap-opera non televisiva ma via internet, non deve però stupire che la International Creative Management, una nota agenzia letteraria statunitense, abbia trasformato diversi blogger in scrittori pubblicati su carta stampata. In Italia Einaudi ha pubblicato, a cura di Loredana Lipperini, La notte dei blogger, che la copertina definisce come «la prima antologia dei nuovi narratori della Rete»10. In realtà, però, questa non è la prima, né l’ultima11. La pubblicazione di racconti tratti dalla Rete, e in quanto tali presentati, resta tuttavia, a nostro avviso, un puro espediente di carattere commerciale. Se un racconto è di qualità, infatti, poco importa dove e come sia stato trovato: nel cassetto di una scrivania, o in Rete12. Una riflessione interessante e complessa sui «blog-narratori» è quella di uno dei più noti blogger italiani, che si cela sotto il nickname di «personalitaconfusa» (o, più precisamente, «x§°nalità c°nfu§a»): «La quotidianità è fonte inesauribile di spunti e di riflessioni: basta osservarla. […] E lo strumento blog, a mio avviso, si presta molto alla critica di certe realtà, peraltro trascurate dai mezzi di comunicazione tradizionale, che sono concentrati sul sensazionalismo e sull’immagine, anziché sulla parola. Io credo che la comunità dei blog si senta sempre più lontana e annoiata dalla comunicazione tradizionale e dai suoi temi e che per questo stia cercando anche altrove, cioè sui blog stessi, le cose da leggere e da guardare»13. Il senso di queste espressioni è chiaro: il blog, centrato com’è sulla registrazione quotidiana di eventi, immagini e pensieri, ha il proprio terreno di vita nell’osservazione delle cose ordinarie, negli eventi e nelle riflessioni dell’esistenza che si fa 75
giorno per giorno, più che sui grandi eventi e sul sensazionale. Il rischio però – e lo si nota nella stessa citazione – è che alla fine la quotidianità non sia più quella del reale concreto, ma quella fluorescente dei monitor, quella cioè degli stessi blog. A questo punto il cerchio perverso dell’autoreferenzialità sarebbe chiuso, avvolto tutto in se stesso: avremmo blog che parlano di blog, diari di diari, non più diari di vita.
La dimensione critica Sì, dunque, i blogger sono una «massa narrante», ma non solamente. Uno strumento flessibile come il blog si presta a tutto ciò che è in progress, cioè in evoluzione. Se i blog seguono e accompagnano diaristicamente la vita nel suo svolgersi quotidiano con racconti e forme varie di narrazione, è vero che la accompagnano anche in maniera informativa o critica. Facciamo un esempio che riguarda la critica letteraria. Tempo fa per leggere recensioni di libri recenti o riflessioni di ampio respiro sulla letteratura occorreva rivolgersi a monografie o a riviste specializzate, in genere a periodicità mensile o superiore. Esse avevano ed hanno critici che garantiscono qualità di lettura, i quali hanno libertà di espressione in quanto «lettori professionisti». Sempre di più attualmente questo ruolo è assorbito dalla «Terza Pagina» dei quotidiani, i quali anch’essi hanno collaboratori scelti e provati. Riviste e quotidiani sono in competizione, ma entrambi hanno in comune la selezione accurata dei loro collaboratori. Oggi invece si assiste al fenomeno, tipico delle librerie che vendono on line, per cui ogni libro può essere commentato da chiunque l’abbia letto in forum appositi. Capita dunque di leggere su questi siti-libreria ampie recensioni che possono orientare il pubblico, scritte da semplici lettori che altrimenti non vedrebbero mai pubblicate le loro riflessioni perché essi non sono critici professionisti. Se questo vale per le librerie on line, vale a maggior ragione per i blog. Tra un post e l’altro accade non di rado di trovare un commento all’ultimo libro letto, ma esistono dei blog tutti dedicati alla critica letteraria. A volte sono aperti da scrittori14, aiu76
tati in qualche caso dai loro editori, che aprono uno spazio blog all’interno dei loro siti internet15. Questo li aiuta a mantenere i rapporti con i lettori e a sviluppare la loro riflessione e la loro poetica a diretto contatto con un pubblico che li segue e che con loro interagisce. Ciò che si dice per i libri si può dire a maggior ragione dei film, visto l’alto numero di blog di cinefili16, ma anche della musica. Questa ricchezza di materiale critico, da quello più dotto a quello più immediato e spontaneo, non può che essere una risorsa di estremo interesse. In qualche caso, dietro un blog, non vi è solo una persona, ma un gruppo di riflessione che intende proporre materiali in maniera unitaria nella forma di un «blog collettivo» con o, nella maggior parte dei casi, senza filtri redazionali17. Questa, ad esempio, è la forma ideale di espressione e comunicazione per un gruppo di lettura che intende darsi appuntamento in Rete o per una redazione che intenda proporre una forma particolare di rivista18.
La dimensione giornalistica Quando si parla di blog non si può separare in maniera netta e sicura la dimensione informativa e giornalistica da quella espressiva e critica. Tuttavia la prima identifica una particolare funzione dei blog, quella di fornire in maniera originale dei servizi di informazione e documentazione, che non avrebbero delle vere alternative19. Un blog esemplare, reso famoso dalla tragica fine del suo autore è Bloghdad del giornalista freelance Enzo Baldoni, ucciso in Iraq a fine agosto 200420. Al suo interno troviamo di tutto in uno stile perfettamente coerente e adeguato allo spazio virtuale proprio di quel «genere confuso» che è il blog: foto, reportage, brevi note, commenti,... Altrettanto famoso è Where is Raed? 21, un blog che rappresenta quello che comunemente viene definito il do-it-yourself journalism, «giornalismo fai da te», forma del più generico personal publishing (pubblicazione personale): mentre gli inviati in Iraq dei grandi network televisivi rimanevano arroccati negli alberghi riservati ai giornalisti e le telecamere immortalano i falò dei bombardamenti, sotto lo pseudonimo di Salam Pax, 77
l’autore di Where is Raed? restituiva con freschezza e immediatezza la vita di tutti i giorni che andava avanti a Baghdad, sotto le bombe. Il blog, spesso irriverente, è poi diventato un libro dal titolo Bagdhad Blog22. Gli esempi citati sono solo due casi particolarmente eclatanti di blog journalism (che qualcuno traduce in italiano anche con espressioni quali «giornalismo civico» o «di base») realizzati da singole persone. Un caso, invece, tra i più organizzati ed estesi al mondo, è quello della testata sudcoreana Ohmy News23, nata nel febbraio del 2000, che pubblica due edizioni: una in coreano e una, internazionale, in inglese. Essa funziona attraverso il contributo dei suoi lettori, che spesso diventano anche cronisti (retribuiti con una cifra massima di 20 dollari). Lo staff redazionale, che sceglie e seleziona le notizie, è composto da 40 persone, ma i collaboratori della testata sono oltre 20.000 in tutto il mondo, a fronte dei suoi ben 2 milioni di lettori. Il fenomeno dilagante, dunque, pone nuove sfide al mondo dell’informazione e del giornalismo. All’inzio, blog e giornali si sono guardati in cagnesco percependosi reciprocamente in radicale competizione o addirittura in alternativa. Si trattava di un conflitto di carattere insieme professionale (con le sue ricadute sulla pratica giornalistica) e sociale (legato cioè ai bisogni di informazione a cui il giornalista è chiamato a rispondere). La natura anarchica della forma di pubblicazione permette di abbattere le normali barriere e limitazioni di ingresso al mondo della comunicazione di massa, e dunque più volte il fenomeno blog è stato elogiato come il trionfo della comunicazione orizzontale, non mediata, pluralista e democratica. Nei Paesi dove la possibilità di espressione è ristretta questa libertà è temuta: fioccano le chiusure di siti e gli arresti dei blogger per la loro capacità di creare opinione o di fare quella che si suol definire «controinformazione». Ciò però, d’altra parte, significa che anche organizzazioni come quella degli hezbollah, i miliziani islamici, ad esempio, oppure organizzazioni filo-terroristiche possano liberamente trovare spazio di espressione e di propaganda24. Nei paesi dove invece c’è libertà di espressione, il fenomeno sembra registrare un restringimento della forbice tra l’informa78
zione giornalistica tradizionale e quella dei blog. Ciò che era solo un aut-aut sembra assumere la formula di un et-et. Infatti alcuni (ancora pochi, in realtà) giornalisti italiani hanno aperto un blog personale. Addirittura sono le stesse testate giornalistiche a cominciare a porsi il problema se aprire all’interno del loro sito internet uno spazio dedicato ai blog. In questo campo sono tre i quotidiani che si sono mossi per primi: il Foglio, il Riformista e la Repubblica25. Il primo dal 15 ottobre 2002 ospita Wittgenstein, il blog di uno dei primi giornalisti-blogger italiani, Luca Sofri, e Camillo di Christian Rocca, subentrato sei mesi dopo. Entrambi i blog si caratterizzano per lo stile fulmineo e tagliente di gran parte dei post, spesso lunghi una riga soltanto. Il Riformista ospita blog attivati a partire dal gennaio 2003. Per terzo è arrivato il quotidiano la Repubblica, i cui primi cinque blog sono stati attivati il 10 settembre 2003. La tendenza del newsmaking dunque sembra quella di un’integrazione tra l’informazione prodotta dalle agenzie, dei gruppi editoriali e dalle testate ufficiali e quella prodotta dai blog. L’integrazione è favorita da almeno due fattori che differenziano le due tipologie di informazione: il fattore «autoriale», per cui un lettore può essere spinto a seguire costantemente e «a trecentosessanta gradi» le opinioni di una firma a lui cara di una particolare testata; la capacità di aggiornamento in tempo reale, propria del blog, specialmente in casi di particolare emergenza o di eventi in rapida evoluzione. Entrambi i fattori possono avere una ricaduta positiva sulla fidelizzazione dell’utente con la testata giornalistica. D’altra parte accade che un blog gestito in tutta autonomia, per un giornalista che si sente costretto o dagli spazi tipografici o dall’impostazione ideologica o da altri vincoli della testata sulla quale scrive, diventa un luogo di espressione libera26. Il giornalista-blogger deve saper creare un rapporto di fiducia con i suoi lettori, sapendo che è insieme debole perché soggetto a continue verifiche, e forte perché è alimentato da un approccio estremamente personalizzato27. Tuttavia accade anche che, a volte, come nel caso de Il Barbiere della Sera28, questa libertà di espressione si veli di quasi-anonimato. Non si può dunque che registrare una fenomenologia ampia, complessa e tuttora in rapido divenire, che 79
avrà una ricaduta, prima o poi, sulla stessa definizione della categoria professionale del giornalista, con un chiaro potenziamento della figura del freelance. Insomma tra giornalismo e fenomeno blog sembra realizzarsi non solo un’integrazione, ma una vera e propria «attrazione fatale»29. Il beneficio della libera espressione impone subito il problema di un discernimento delle fonti e una valutazione della loro attendibilità, che si sposa al fenomeno dell’information overload, cioè dell’eccesso di informazione, che caratterizza la Rete da quando essa è divenuta un fenomeno di massa. D’altra parte, proprio la libertà di espressione alimenta un utile controllo sociale esercitato dai blogger sui grandi gruppi mediatici e sulle grandi agenzie di informazione30.
Le prospettive I blog non costituiscono una rivoluzione concettuale: sono sostanzialmente un modo facile per pubblicare on line. Essi realizzano una delle idee innovative emerse con l’avvento di internet, e che però fino a qualche anno fa non avevano trovato una realizzazione così compiuta. Il fenomeno è in evoluzione e il software si modificherà nel tempo, ma l’era di quel particolare personal publishing che è il blog non è certo destinata a concludersi: cambierà la tecnologia, e dunque la forma, ma non certo la sostanza di questo «genere confuso» di comunicazione e di espressione31. I blog possono contribuire a riequilibrare il sistema mediatico nel suo complesso, integrando i tradizionali broadcast media, che semplicemente «trasmettono» informazioni, con il sistema dei «media di Rete», che valorizzano la comunicazione relazionale tra gli appartenenti a gruppi o «reti» di persone. Da questa integrazione dovrebbe risultare un giovamento anche per i media tradizionali, compresi giornali e televisione, che dovranno contare sulla propria qualità, sull’incremento della propria credibilità, sulla loro linea editoriale e sul servizio pubblico che riusciranno ad assolvere32. Potremmo assumere come speranza una definizione del fenomeno blog, forse un po’ troppo entusiastica, che è stata data di 80
recente in una seria rivista specializzata: «è un giornalismo che è luogo di partecipazione e costruzione di identità, capace, grazie all’interattività e alla multimedialità, di riunire una o più comunità di interesse e di alimentare nuove forme dell’opinione pubblica consapevole e partecipante. Un giornalismo come dono, con un valore aggiunto che non è, e non può essere, solo quello della segnalazione o della produzione di news, ma che deve, in qualche modo, comprendere l’approfondimento, la riflessione, l’interpretazione narrativa della realtà: il valore aggiunto di un punto di vista legittimato da un rapporto fiduciario e rafforzato dalla condivisione»33. NOTE Cfr. D. Kline - D. Burstein, Blog! How the Newest Media Revolution is Changing Politics, Business and Culture, New York 2005; G. Granieri, Blog generation, Bari 2005. 2 Cfr. G. Granieri, «Non è solo uno strumento, non è solo il suo autore», in Internet news, ottobre 2003, e reperibile anche nel sito http://www.internetnews.it Per capire cosa renda tale un blog è molto utile leggere D. Winer, What makes a weblog a weblog?, in http: //blogs.law.harvard.edu/whatMakesAWeblogAWeblog 3 I sistemi di aggiornamento del blog sono svariati e non si limitano dunque alla digitazione dei post. Infatti, alcune piattaforme offrono la possibilità di inviare un messaggio sul blog utilizzando il programma di posta elettronica preferito, del computer o del palmare o di qualsiasi dispositivo che permetta di inviare messaggi e-mail. Si possono inoltre pubblicare foto (esistono dei veri e propri fotoblog), come è possibile «telefonare» al proprio blog e lasciare un messaggio, che sarà automaticamente pubblicato come file audio. 4 http://www.blogger.com/tour_pub.g 5 C. Geertz, «Blurred Genres: e Refiguration of Social ought», in e American Scholar, 49 (1980) 165-179. 6 Per monitorare i blog letti più frequentemente e ricevere una segnalazione quando uno di essi viene aggiornato, esistono i cosiddetti «aggregatori», veri e propri accentratori di informazione, che raccolgono le notizie di blog, agenzie di stampa e giornali. 7 Cfr. l’intervista a Richard Nelson in L. Tomassini, «Il virus letale della proprietà intellettuale», in il manifesto, 24 settembre 2005. 1
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Qui citiamo solo qualche titolo italiano: M. Dovigi, Weblog personal publishing, Milano 2003; A. Mari, Web Publishing con blog e wiki, Milano 2004; S. Maistrello, Come si fa un blog, Milano 2004; E. Di Rocco, Mondo Blog. Storie vere di gente in Rete, Milano 2003. A. Zoppetti, Blog. Per Queneau? La scrittura cambia con Internet, Roma 2003. 9 Cfr. P. Di Stefano, «Ho scritto t’amo sul blog. Punto esclamativo», in Corriere della Sera, 8 agosto 2003. 10 L. Lipperini (ed.), La notte dei blogger, Torino 2004. Cfr. anche il sito http://www.lanottedeiblogger.com 11 Senza citare le antologie di scritti tratti non solo da blog, ma in generale dalla Rete, ricordiamo che nel 2002 la milanese Sironi pubblicava Pubblico/Privato 1.0. Diario on line della scrittore inattivo di Giuseppe Caliceti; nel 2003, sempre per rimanere in territorio italiano, la «Novecento Libri» di Roma aveva pubblicato BlogOut, 13 diari dalla Rete, a cura di A. Marzi e F. Ulisse (cfr. il sito http://www.blogout.it). Queste pubblicazioni non mancano di sollevare critiche da parte di chi crede che il blog sia un qualcosa di assolutamente estraneo alle leggi editoriali e la selezione in ordine alla pubblicazione cartacea sia uno snaturamento della natura propria del blog, estraneo ad ogni operazione di selezione e di filtro. 12 Non sembra, del resto, che i racconti raccolti nel volume einaudiano abbiano qualcosa di comune legato strettamente al loro reperimento nei blog dei loro autori. Qualora lo avessero, comunque, la loro collocazione fuori dal loro contesto di origine annullerebbe il suo significato. Altra operazione è invece quella dello scrittore Antonio Pascale, che nell’antologia Best off Roma 2005, ha raccolto racconti scelti tra quelli letti indifferentemente su riviste cartacee o siti internet, e presentati senza etichette legate al supporto della loro pubblicazione originaria. 13 L. Voce, «Confusione nella Rete», in l’Unità, 28 ottobre 2004. 14 Due esempi tipologicamente differenti: http:// www.giuliomozzi.com dello scrittore Giulio Mozzi, e http:// www.miserabili.com dello scrittore Giuseppe Genna. 15 Un esempio: http://www.feltrinelli.it/Blog. 16 Un esempio: http://cinebloggers.splinder.com 17 Un esempio: http://www.nazioneindiana.com. Un sistema complesso che fa ricorso a siti integrati, forum, una rivista elettronica, mailing list e blog è http://www.bombacarta.it 18 Ciò che si è detto per la critica delle espressioni artistiche vale anche per il mondo della scienza, della tecnica, della politica, e per tutti 8
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gli altri campi delle attività e dello scibile umano. Un elenco di 30 blog particolarmente rappresentativo è in S. Maistrello, «30 mete per scoprire la blogosfera», in Internet news, ottobre 2003, e reperibile anche nel sito http://www.internetnews.it 19 Cfr. il network di blog di informazione http://www.blogosfere.it Segnaliamo un ampio dossier su questo tema apparso sulla rivista Problemi dell’informazione XXIX (2004) n. 2, 145-203, che raccoglie i contributi di un incontro sui blog giornalistici tenutosi all’Università IULM di Milano il 3 maggio 2003. Ricordiamo anche il dossier «La rivoluzione dei blog», in Ideazione XII (2005) n. 5, 47-92. 20 http://bloghdad.splinder.com. Il blog è ancora on line e, alla fine del 2004, risultava aver ricevuto ben oltre 1.200.000 visite. 21 http://dear_raed.blogspot.com 22 Salam Pax, Bagdhad Blog, Milano 2003. Il volume ha suscitato varie polemiche a causa dell’identità del suo autore, ritenuto da alcuni una spia della CIA che avrebbe scritto a fini propagandistici. Altri lo hanno invece scagionato da questi sospetti. 23 http://english.ohmynews.com. 24 Cfr., ad esempio, M. Forti, «Blog, fuido vitale dell’Iran», in il manifesto, 28 dicembre 2004. 25 I blog de il Foglio sono raggiungibili da http://www.ilfoglio.it; quelli de il Riformista da http://www.ilriformista.it o direttamente da http://www.ilcannocchiale.it; quelli de la Repubblica da http:// www.repubblica.it/indici/rubriche/blog.htm da cui si accede anche ai blog ospitati dal gruppo L’Espresso (http://www.kataweb.it/blog. Nell’aprile 2004, anche La Stampa ha aperto, accanto ai forum, anche un blog, (http://www.lastampa.it/blog/default.asp). Il Corriere della Sera ha optato invece per i forum. 26 Un solo esempio tra i tanti è QuintoStato del giornalista Carlo Formenti del Corriere della Sera (http://www.quintostato.it), che in realtà, a sua volta, è una vera e propria testata autonoma con una redazione composta da un gruppetto di giornalisti. 27 Cfr. E. Bianda - A. Sofi, «È giornalismo d’approfondimento. I blog rispondono alle esigenze d’informazione delle nuove comunità», in Problemi dell’informazione XXIX (2204) n. 2, 189. 28 http://www.ilbarbieredellasera.com/ 29 Cfr. M. Adinolfi, «Giornalisti e web, attrazione fatale», in Europa, 5 novembre 2005. 30 Cfr. S. Gorelli - E. Menduni, L’informazione online. Evoluzione e tendenze. Rapporto 2005, suppl. a Media Duemila, settembre 2005.
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Una rilettura psichiatrica della prospettiva illustrata in queste pagine è presente in S. Capodieci, «Luci e ombre dei blog. Commento all’articolo di Antonio Spadaro Il fenomeno blog», in e Italian on line Psychiatric Magazine, in http://www.pol-it.org/ital/counterpoint22.htm L’articolo commenta direttamente il nostro «Il fenomeno “blog”», in La Civiltà Cattolica 2005 I 234-247. 32 Cfr. L. De Biase, «Dalla rivoluzione all’evoluzione. I blog giornalistici nel sistema dei media», in Problemi dell’informazione XXIX (2004) n. 2, 183. 33 E. Bianda - A. Sofi, «È giornalismo d’approfondimento», 191. 31
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CAPITOLO 5 PODCASTING: LA RADIO IN FORMA DI BLOG
È abbastanza comune notare persone che si muovono per la città indossando gli auricolari. Spesso essi sono collegati a un iPod oppure ad altri jukebox digitali, capaci di contenere fino a 15.000 brani musicali. Questi strumenti, oltre a segnare la «rivoluzione» della musica digitale, sono al centro del fenomeno definito podcasting, un sistema che permette di pubblicare documenti sonori in internet in modo che sia possibile scaricarli sul proprio computer o sul proprio jukebox automaticamente alla loro pubblicazione. Le applicazioni possono essere innumerevoli.
Andando in giro al mattino per una città, specialmente se si tratta di una metropoli, è abbastanza comune notare un numero crescente di persone che vanno in giro o al lavoro con gli auricolari, spesso di colore bianco. Fino a qualche tempo fa eravamo abituati a vedere adolescenti e giovani con in mano o in borsa un walkman, cioè un riproduttore di audiocassette collegato a cuffie di vario genere. Era il 1979 quando la Sony ne produsse il primo modello. Esso divenne una vera e propria «icona» degli anni Ottanta. Poi, nel decennio successivo, si diffusero i lettori portatili, ma pur sempre ben visibili, di compact disc1. Adesso chi «indossa» gli auricolari sono persone di tutti i tipi: studenti in jeans e maglietta come anche professionisti in giacca e cravatta. Queste cuffie sono collegate però a qualcosa di molto più piccolo e tascabile di un walkman o di un lettore di compact disc, cioè a un iPod o a uno dei tanti altri modelli simili di riproduttori digitali di suono, definiti propriamente «jukebox 85
digitali», anche se questo nome non è divenuto popolare2. Dove sta la differenza? Nella forma compatta e nelle dimensioni e nel peso ridotti di questi ultimi, certo. Ma innanzitutto la differenza consiste nel fatto che un cd player svolge la funzione di «leggere» il contenuto di un disco esterno, un compact disc, comunemente chiamato cd, che in genere contiene non più di 15 brani musicali; un jukebox digitale invece «legge» i brani da un hard disk interno, simile a quello di un computer, nel quale essi sono stati «scaricati» (downloaded). E la differenza ha un peso: dentro questo disco interno oggi possono essere presenti fino a 15.000 brani musicali, cioè mille volte di più rispetto a quelli che sono contenuti in un normale cd. Inoltre l’autonomia energetica di questi strumenti può giungere fino a 15 ore di ascolto. Ciò significa che una persona può portare con sé, in un apparecchio che pesa non oltre 200 grammi nel caso di quelli più capienti, l’intera collezione di cd audio che ha in casa, anche se essa fosse molto ampia. Caricare il contenuto di un cd all’interno di un jukebox digitale tramite un computer, grazie a programmi adatti, risulta abbastanza agevole e richiede pochi secondi. Da quando il fenomeno della musica digitale si è diffuso, sono nati anche negozi virtuali che permettono di scaricare legalmente da internet brani musicali a costi molto ridotti rispetto a quelli che sono da sostenere acquistando un compact disc. In tal modo il mercato pirata è scoraggiato, e l’acquisto di musica porta grandi vantaggi alle case discografiche. Scaricata sul computer, la musica può essere registrata sul jukebox digitale.
La rivoluzione dell’audio digitale La «rivoluzione» ha avuto inizio senza grandi clamori nel 1998, quando uscì l’Elger Labs MPMan F10 della Mpman: costava 250 dollari e poteva immagazzinare appena 8 canzoni. Attualmente la linea più diffusa di jukebox digitali è quella dell’iPod, prodotto dalla Apple Computer a partire dal gennaio 2001. Esso si è rivelato uno dei maggiori successi della storia dell’informatica: oltre 20 milioni di pezzi venduti con ritmi che crescono ogni trimestre. Negli anni la Apple ha provveduto a modificarlo e 86
aggiornarlo. Sono state rilasciate 6 edizioni del modello originale, di cui l’ultima in grado anche di caricare e visualizzare video digitali, alla quale si sono aggiunte versioni di capienza e dimensioni ridotte. La più leggera è l’iPod shuffle del settembre 2005, che pesa 22 grammi e può contenere fino a 250 canzoni3. La Apple ha creato anche l’iTunes Music Store che in 20 nazioni del mondo permette di scaricare legalmente file musicali digitali. In Europa il costo è di 99 centesimi di euro per i singoli brani e 9,99 euro per gli album interi. I file «scaricati» da questo negozio virtuale hanno superato il mezzo miliardo. Con l’accoppiata iPod e iTunes la Apple così si è aggiudicata nel 2005 circa l’85% del mercato mondiale della musica on line4. Ma questo è un settore nella quale la concorrenza sta affinando le armi5. Sarebbe lungo e complesso descrivere il fenomeno nel dettaglio. Attorno all’iPod è nato un ampio mercato di accessori (Apple ne conta più di 1.000) e optional. La sua tecnologia e la sua estetica, basata sul colore bianco che caratterizza lettore e cuffie, ne hanno fatto un «oggetto di culto». Non è proprio uno status symbol perché il suo costo, non eccessivamente elevato, varia tra poco meno di 100 e poco più di 450 euro, a seconda del modello scelto. Semmai è divenuto status symbol il vezzo di averne molti e di differente capacità. Ricordiamo come i giornali hanno descritto l’abbigliamento dei giovani uomini-bomba responsabili degli attuali attentati terroristici del luglio 2005 a Londra?. Scarpe da ginnastica alla moda, zainetto, cappellino da baseball, pantaloni lunghi e, appunto, iPod. Non è da trascurare questo particolare, inteso come utile a una adeguata mimetizzazione. Tuttavia, grazie anche all’imponenza e alla globalità del fenomeno iPod, sono apparsi molti altri modelli di jukebox digitali dalle caratteristiche simili, di cui ovviamente qui non possiamo dare conto, ma che presentano caratteristiche simili a quelle descritte6. Essi non rappresentano solamente una evoluzione tecnologica, ma anche un fenomeno di costume che, nei Paesi dove lo sviluppo economico permette l’uso e la diffusione di questi strumenti, sta cambiando abitudini e stili di vita, rendendo l’ascolto della musica un fatto possibile ovunque: per strada, in metropolitana, facendo sport… La possibilità di poter scaricare musica in manie87
ra legale dalla Rete a prezzi bassi incrementa l’acquisto e la fruizione. Per non parlare del fatto che è sempre possibile ascoltare gratuitamente la musica messa on line dalle radio che trasmettono via internet, registrarla al computer e scaricarla sul lettore digitale per ascoltarla quando si crede. Ovviamente ci si può chiedere, e fondatamente, se questi vantaggi non possano però anche contribuire alla perdita di contatto con la realtà ordinaria, e non portino a sviluppare un isolamento acustico che impedisce quelle semplici e banali occasioni di dialogo e ascolto che costellano la giornata normale di una persona: «scusi», «permesso», «mi può dire l’ora?», «mi può indicare la direzione per...?», «dove si trova…?». Indossare le cuffie è un modo per «autoinsonorizzarsi», schermarsi dai rumori di fondo e cambiare il rapporto con l’ambiente che ci circonda nelle nostre giornate, mediante l’inserimento di una sorta di «colonna sono7 ra» . La socializzazione urbana sembra modificata, nei Paesi dove il fenomeno è più esteso, proprio da questa piccola e diffusissima «scatoletta». Il fenomeno non è da intendere soltanto in termini negativi. La creazione di un ambiente acustico mobile può rendere meno ripetitiva e monotona la routine e può aiutare a gustare meglio una passeggiata rilassante. Non esistono norme rigide, ma si avverte la necessità di una consapevolezza maggiore nell’uso di questo strumento. Gli educatori, in particolare, non potranno ignorare il fenomeno.
Il Podcasting Ma l’ascolto di brani musicali è solo il primo e più immediato uso che si può fare di un jukebox digitale. Sta esplodendo infatti in questi ultimi mesi un nuovo fenomeno che prende il nome dal modello prodotto dalla Apple, pur riguardando qualunque altro strumento simile. È il fenomeno del podcasting8, nato nel 2004, frutto di un ex-VJ di MTV, Adam Curry, e un di un celebre blogger, David Winer. La parola fu coniata dal giornalista Ben Hammersley in un articolo pubblicato da e Guardian. Essa nasce dalla fusione della parola iPod e del verbo inglese to broadcast, che 88
significa «trasmettere»9. Il podcasting è un sistema capace di pubblicare documenti sonori in internet in modo che sia possibile scaricarli sul proprio computer automaticamente tramite appositi programmi (come Ipodder, Doppler, iTunes…) o siti internet (come http://podcast. yahoo.com), i quali permettono di «abbonarsi» a quelle «trasmissioni». Quando l’utente trova un podcast che lo interessa, infatti, può inviare la sua iscrizione e così essere abilitato a scaricare, anche in maniera del tutto automatica, tutte le nuove «trasmissioni» nel momento in cui esse vengono rilasciate. Poi sarà possibile scaricare questi contenuti audio dal computer sul proprio jukebox digitale. Detto in altre parole, è qualcosa di simile a una forma di trasmissione radiofonica, dove però l’ascoltatore può creare il proprio palinsesto personale, decidendo liberamente anche i luoghi e i tempi di ascolto. Ciò significa che una stazione radiofonica come la Radio Vaticana o la BBC10, oppure una persona qualsiasi nella sua stanza e davanti al proprio computer11, può registrare un programma o un discorso e pubblicarlo in Rete all’interno di un sito apposito. Si possono registrare tutti i programmi che si vogliono: essi appariranno uno dopo l’altro, in modo che il più recente resti più 12 in alto . I siti che pubblicano programmi audio digitali (podcast) gratuitamente o a basso costo sono in continua crescita. È possibile trovare in rete vari elenchi di podcast suddivisi per argomento13. Trasferite sul jukebox digitale, le trasmissioni possono essere ascoltate nel luogo e nel momento che si preferisce. Ecco dunque cosa distingue, dal punto di vista dell’utente, la radio dal podcasting: la radio ha un palinsesto fisso e richiede di sintonizzarsi a certe ore per ascoltare i programmi che interessano; mentre il postcasting permette di scaricare i programmi e di ascoltarli quando si vuole. Si perde in sorpresa e compagnia in diretta, si acquista in facilità di scelta e di reperimento dei contenuti. Dal punto di vista dell’emittente, invece, il podcasting permette a chiunque abbia un computer dotato di microfono e collegato a internet di creare la propria stazione trasmittente. Tra radio broadcasting e podcasting possono però essere realizzate sinergie interessanti. Un 89
esempio ci è dato dalla Radio Vaticana. Sulla pagina principale del sito della radio14 infatti si trova un link che conduce al servizio di podcasting, attivo dal luglio 2005. La versione italiana consiste in un programma quotidiano15. Il lancio è avvenuto senza alcuna pubblicità e, nonostante questo, nelle 24 ore successive sono stati registrati circa 1.000 download16. Particolare successo ha avuto l’intervista rilasciata da Benedetto XVI alla medesima radio mandata in onda e poi inserita on line il 14 agosto 2005. Macitynet.it così può commentare: «La Santa Sede è stata una tra i pionieri del podcasting grazie a Radio Vaticana»17. Ma le interazioni tra media si faranno sempre più fitte, e così immaginiamo estensioni che andranno al di là della radio: esistono già quotidiani e periodici (Forbes, Washington Post…), il cui sito internet in qualche caso rinvia già a blog e ad altri contenuti multimediali, che hanno attivato un servizio di podcasting. A volte soltanto per una sintesi delle notizie pubblicate, altre volte per approfondimenti, registrazione di interviste a voce, poi trascritte nell’edizione cartacea, commenti di redattori e altro ancora. A proposito di interazione tra i media, notiamo che si stanno diffondendo anche le versioni video dei podcast, e ciò fa prevedere la diffusione di vere e proprie emittenti televisive, anche semplicemente personali, basate su questa tecnologia18. A questo punto si comprende bene come le applicazioni possano essere innumerevoli. Un esempio: un professore ha l’opportunità di registrare le sue lezioni (o loro approfondimenti) e metterle a disposizione degli studenti, i quali possono così scaricarle sul proprio lettore e riascoltarle a piacimento. Così, a maggior ragione, questa applicazione è utile come supporto per l’insegnamento a distanza. Pensiamo agli organizzatori di un convegno di studi che intendono assicurare un’ampia diffusione dei contenuti in programma: possono prevedere l’immissione in Rete delle relazioni man mano che vengono concluse. Esse potranno essere scaricate automaticamente e ascoltate o riascoltate dagli utenti ovunque e in tutta tranquillità. Pensiamo alla quantità di libri che può essere pubblicata anche in versione audio. In effetti esistono già in internet librerie che vendono audiolibri, anche se la stragrande maggioranza di essi sono in lingua inglese19. 90
*** Il podcasting dunque è una delle più recenti applicazioni della tecnologia legata a internet, che è sempre più un luogo aperto di trasmissione e fruizione di contenuti multimediali. Man mano che anche i palmari e i comuni cellulari potranno essere utiliz20 zati come lettori di podcast , allora la diffusione del fenomeno potrebbe essere ancora maggiore. Il fenomeno descritto è appena stato avviato, ma già si è diffuso capillarmente, a tal punto che a parlarne sono oltre 75 milioni di pagine web. Esso offre nuove opportunità di comunicazione da valutare con estrema attenzione. NOTE Sarebbe interessante scrivere una storia della «musica portatile». In questa, di certo, un posto d’onore andrebbe riservato al «mangiadischi», vero oggetto di culto degli anni Settanta. 2 Tecnicamente cd player e jukebox digitali vanno sotto il nome comune di «riproduttori digitali di suono» oppure «lettori audio digitali». Per distinguere i primi dai secondi però l’uso comune sembra preferire le espressioni virgolettate (in inglese digital audio player) per indicare esclusivamente i jukebox. Qui, per evitare fraintendimenti useremo l’espressione propria «jukebox digitali», nonostante sia poco diffusa. 3 Luca Sofri in un suo articolo apparso sul quotidiano Il Foglio, prende spunto per una acuta riflessione proprio da questo oggetto tecnologico che permette di ascoltare le canzoni in un ordine casuale, «inventato» dall’apparecchio. Il verbo to shuffle infatti significa «mescolare»: è quello che si usa per le carte da gioco. Sofri ha notato come la Apple ha trasformato questa filosofia dell’ascolto musicale in uno stile di vita, coniando uno slogan pubblicitario di grande impatto, garantito anche dall’oggettiva elevata qualità tecnologica e dall’innovativo design del prodotto: Life is random (La vita è a caso). Commenta l’opinionista: «Idea bellissima, che fa secchi in un colpo il concetto del destino, quello della provvidenza e anche quello della volontà: la vita va a caso, un batter d’ali di farfalla a Pechino eccetera. Life is random. Fantastico» (L. Sofri, «Il “life is random” della Apple non è poi così random», in Il Foglio, 14 gennaio 2005). Sociologi e commentatori hanno affermato che l’apparente irrazionalità dell’iPod Shuffle è perfettamente allineata a una 1
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condizione di vita caratterizzata dall’improvvisazione, dalla fornitura casuale di sensazioni, dalla flessibilità. Una «filosofia di vita» di questo genere valorizza l’esperienza di vita o la mortifica? Se essa valorizza la sorpresa e abilita al gusto dell’inatteso, allora può divenire una risorsa; se invece essa familiarizza con l’idea che ogni esperienza è casuale, senza senso, precaria, incomprensibile e fugace, allora può diventare un ostacolo a una vita vissuta con pienezza. 4 Esistono molte risorse per comprendere come funziona l’iPod. Tra le più chiare ricordiamo S. Kelby, iPod, Milano 2005. 5 Basti citare Napster (http://www.napster.com) che fa pagare un canone mensile di circa 10 dollari, permettendo di «affittare» tutta la musica che si vuole. Ma allo scadere dell’abbonamento tutte le canzoni scaricate cessano di funzionare, cioè non sono più udibili. È la stessa logica di Yahoo! Music Unlimited (http://music.yahoo.com/unlimited). Questi sistemi non funzionano su computer Apple, mentre iTunes funziona sia su Apple sia su Windows compatibili. 6 Il problema semmai consiste nel fatto che non tutti i file musicali sono compatibili con ogni lettore digitale a causa di differenti forme di codifica del suono. Il più comune è il ben noto mp3 ampiamente compatibile. L’iTunes Store usa il formato AAC. La Sony ha sviluppato il formato ATRAC, Microsoft il WMA, ecc. 7 Rimane ancora utile da consultare sull’argomento M. Bull, Sounding out the city: personal stereos and the management of everyday life, Oxford 2000. Cfr. A. Dini, «La matematica delle cuffie che “sottraggono” il rumore», in Nòva, suppl. a Il Sole 24 ore, 20 ottobre 2005. 8 Cfr. T. Cochrane, Podcasting. Do It Yourself Guide, Indianapolis (IN) 2005. 9 Esso però può anche derivare da Personal Option Digital Casting. 10 http://www.bbc.co.uk/radio/downloadtrial/ 11 In agosto la NASA ha pubblicato anche il primo podcast trasmesso dallo spazio da Steve Robinson, un astronauta in orbita sullo Shuttle: http://www1.nasa.gov/mp3/124708main_sts114_robinson_ podcast.mp3 12 Il podcast è una forma di blog audio, tanto che il nome primitivo del podcasting era proprio quello di audioblog. Ma c’è una differenza fondamentale: il podcast non è interattivo come invece lo è il blog. 13 Per esempio http://www.ipodder.org o http://www.podcast.net oppure la Podcast Directory raggiungibile all’interno del programma iTunes. 14 http://www.vaticanradio.org
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feed://www.radiovaticana.org/rss/italiano.xml http://feeds.feedburner.com/RadioVaticana105live 17 Cfr. F. M. Zambelli, «Il podcasting di iTunes inventa l’iGod», in http://www.macitynet.it/macity/aA22235/index.shtml 18 Il sistema del videocasting (anche se questo è solo uno dei tanti nomi dati a uno fenomeno in evoluzione) funziona in maniera simile al podcasting, con la sola differenza che i contenuti sono audiovisivi e non solamente audio. Spesso questo sistema viene definito anche popcasting dal nome di un programma (popcast) che permette di iscriversi ai canali video già esistenti e di scaricarli automaticamente. Ma vi sono anche altri strumenti che funzionano in maniera analoga. In particolare, si stanno diffondendo canali informativi, che promuovono anche l’informazione dal basso sul modello dei blog. Di recente è nato Online Tg, messo in Rete dal Corriere della sera due volte al giorno (11.30 e 16.30) all’indirizzo http://mediacenter.corriere.it Il palinsesto si è arricchito anche di un VideoMeteo. Esperienze già collaudate sono invece Tgblog (http://www.tgblog.it), Nessuno (http://www.nessuno.tv, adesso in onda anche su Sky) e Arcoiris (http://www.arcoiris.tv). Ha fatto scalpore la notizia che anche l’organizzazione Al Qaeda ha messo in Rete una propria web tv. A livello mondiale sia Google sia Yahoo si stanno attrezzando per offrire piattaforme utili ai «videogiornalisti» faida-te che vorranno aprire emittenti. Non c’è da sorridere se si pensa al fatto che le prime immagini di eventi quali lo Tsunami o gli attentati terroristici di Londra, poi diffuse dalle grandi agenzie di stampa, sono state fornite proprio da privati, alcuni dei quali le avevano pubblicate nei loro blog personali. Cfr. E. Nieddu, «Internet, la nuova moda è farsi la tivù personale», in Avvenire, 19 agosto 2005; A. Dagnino, «Mi video sul web», in L’Espresso, 25 agosto 2005; D. Della Ratta, «La tv di domani, digitale e flessibile», in il manifesto, 18 ottobre 2005. 19 Cfr. P. Conti, «L’Italia legge poco e “ascolta” meno», in Nòva, suppl. a Il Sole 24 Ore, 3 novembre 2005. 20 Cfr. http://www.apple.com/itunes/mobile 15 16
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CAPITOLO 6. WIKIPEDIA: UNA FORMA DI ENCICLOPEDIA
Il lettore immagini di navigare in internet, e di far ricorso a un’enciclopedia «aperta», a cui in ogni momento persone interessate (anche uno qualunque dei suoi utenti) aggiungono voci, spiegazioni, documenti, collegamenti, e i cui contenuti possono essere distribuiti liberamente o tradotti senza vincolo di diritto d’autore. In tal modo il nostro lettore avrebbe una prima idea di cosa sia un wiki e, in particolare, Wikipedia, il wiki più noto della Rete. Esso è alimentato da un’utopia: la democrazia assoluta del sapere e una collaborazione di molteplici intelligenze capace di dar vita a una sorta di «intelligenza collettiva». Quest’utopia ha nell’inaffidabilità e nel relativismo il suo tallone d’Achille.
Il lettore di queste pagine avrà certamente sfogliato qualche volta un’enciclopedia alla ricerca della spiegazione di un termine o nel desiderio di approfondire il significato di un concetto. Egli ha fatto ricorso a questo importante strumento culturale, perché sa che esso contiene voci sintetiche ma attendibili, scritte da esperti. Sa inoltre che nei suoi volumi egli troverà ciò che cerca. Quella che una volta era solamente una serie di tomi rilegati e pesanti, oggi è contenuta all’interno di cd-rom e dvd, oppure è consultabile a pagamento via internet: dalla gloriosa Encyclopædia Britannica alla francese Encyclopædia Universalis1. Pur cambiando le modalità pratiche, il senso della sua consultazione è il medesimo di quella pubblicata in volumi. Adesso il lettore immagini di navigare in Rete, e di far ricorso a un’enciclopedia «aperta», a cui in ogni momento persone 95
interessate (anche uno qualunque dei suoi utenti) aggiungono voci, spiegazioni, documenti, collegamenti, e i cui contenuti possono essere distribuiti liberamente o tradotti senza vincolo di diritto d’autore. In tal modo il nostro lettore avrebbe una prima idea di cosa sia un wiki2. Il sito internet della Treccani, pur non mettendo a disposizione i suoi contenuti in Rete, offre una scelta di sei grandi enciclopedie on line3. Tra queste appare Wikipedia, la quale viene così descritta: «Wikipedia è un’enciclopedia online, multilingue, a contenuto aperto […]. Tutti i testi possono essere liberamente modificati, distribuiti e venduti. Wikipedia ha consistenza diversa in relazione alle diverse lingue nelle quali è disponibile e si incrementa costantemente. In ragione della sua struttura – che permette, a chiunque sia connesso ad Internet e possieda un browser web, di modificare il contenuto delle sue pagine – gli stessi responsabili di Wikipedia dichiarano esplicitamente di non offrire garanzie sulla validità dei contenuti». Partiamo dalla descrizione di questo caso concreto, il più noto del resto, per descrivere più in generale i wiki, una nuova forma di pubblicazione in internet.
Wikipedia Il wiki più noto della Rete è proprio Wikipedia, fondata nel gennaio del 2001 sulla base di un progetto precedente, Nupedia. Inizialmente l’idea era di costruire un’enciclopedia tradizionale on line con contenuti scritti da redattori e sottoposti a revisione, ma aperti al libero accesso. Fu l’intervento di un programmatore, Ben Kovitz, a collegare questa idea alla tecnologia wiki. L’idea si rivelò vincente. La differenza tra Nupedia e Wikipedia è fondamentalmente una sola: la prima è «chiusa», la seconda è «aperta», e al suo sviluppo può collaborare chiunque. Attualmente essa viene gestita da utenti volontari, ed è autofinanziata tramite sottoscrizioni e donazioni. Il progetto fa capo a una organizzazione senza fini di lucro, la Wikimedia Foundation Inc., dedicata a incoraggiare la crescita, lo sviluppo e la distribuzione gratuita di contenuti liberi in progetti basati sulla tecnologia wiki. Jimmy Wales (detto Jimbo), fondatore di Wikipedia e director di Wikimedia 96
ha scritto: «La nostra missione è di mettere a disposizione liberamente una summa della conoscenza mondiale ad ogni singola persona sul pianeta in una lingua a sua scelta, usando una licenza libera, in modo che possa modificarla, adattarla, riusarla o ridistribuirla a piacimento. E quando dico “ogni singola persona sul pianeta” intendo proprio questo; dobbiamo ricordarci che buona parte del nostro pubblico potenziale non può ancora accedere ad Internet in maniera affidabile o non può accedervi per nulla»4. Tramite un portale comune è possibile accedere alle varie versioni linguistiche5. In ordine di ampiezza, le maggiori sono quelle in inglese – che all’inizio del 2006 contava oltre 900.000 voci – tedesco, giapponese, francese, svedese, polacco e olandese. L’edizione italiana contava alla stessa data oltre 130.000 voci. Ma esistono anche 90 versioni minori in lingue poco diffuse e dialetti, anche se complessivamente sono 200 le lingue rappresentate, almeno con una pagina, nel progetto generale. Presa nel suo complesso, Wikipedia dunque è un’enciclopedia che attualmente contiene circa 2.000.000 di voci in 200 lingue6. Per consultare Wikipedia è possibile scegliere un argomento tra quelli proposti nella pagina iniziale, oppure ricercare una singola parola. In quest’ultimo caso occorre digitare la parola chiave nella casella di immissione testo e azionare il pulsante vai. Se la parola chiave coincide con un articolo già scritto sarà subito richiamato; se invece la parola è contenuta in articoli esistenti, questi possono essere individuati cliccando sul pulsante cerca. Se una voce non esiste ancora l’utente può aggiungere l’argomento nella pagina degli articoli che si desidera vengano scritti.
Un’enciclopedia libera e aperta Ma ecco la grande differenza rispetto alle enciclopedie tradizionali: se si trova nella consultazione un problema come un errore di ortografia, o una frase poco chiara, è possibile selezionare la voce, migliorandola, agendo sul link «Modifica» in cima a ciascuna pagina. Non c’è bisogno di un particolare privilegio di accesso. È possibile, ovviamente, anche iniziare un nuovo articolo o trovarne uno esistente ed aggiungervi un intero nuovo 97
capitolo, come anche intervenire sullo stile di compilazione di una voce7. Ciò che il progetto richiede come regola inderogabile, oltre alla correttezza formale e contenutistica dei contenuti inseriti, è di assumere una visione neutrale sugli argomenti trattati: essi non devono essere di parte, ma esprimere un punto di vista il più possibile univoco, oppure i diversi punti di vista di cui si è a conoscenza rispetto all’argomento trattato; il tutto con garbo e distacco. Wikipedia non intende assumere alcuna posizione, né di condivisione, né di rigetto di alcuna interpretazione dei fatti che descrive, in modo che i concetti risultanti possano essere assunti da tutti i lettori come base condivisibile di riflessione, come comune, affidabile spunto di conoscenza. Visto che gli editor delle voci collaborano secondo i loro interessi, non dovrebbe esistere un approccio ideologico. Esiste invece una grande disparità nel modo e nella misura in cui gli argomenti vengono trattati. Ad una voce minore e particolare potrebbe essere riservato uno spazio più ampio rispetto a quello occupato da una voce di rilevanza maggiore e più universale. D’altra parte però, in tal modo, Wikipedia tratta in maniera qualitativamente importante argomenti a cui altre enciclopedie dedicano poco spazio. Obiettivo di Wikipedia è anche quello di raccogliere il sapere che rischia di perdersi, come, ad esempio, la cultura contadina e rurale, e tutti quegli argomenti tramandati personalmente per esperienza quali l’artigianato e le arti applicate. Gli articoli sono pubblicati in forma anonima e non possono essere testi coperti da diritto d’autore o, se lo sono, devono essere pubblicati con regolare autorizzazione. Tutti i testi immessi devono essere rilasciati in accordo con la GNU Free Documentation License (GFDL)8, che assicura la libera distribuzione di Wikipedia: se così non fosse il progetto stesso verrebbe snaturato. La GFDL è una licenza libera che consente a chiunque di copiare il contenuto anche integralmente, e di modificarlo, a patto che venga mantenuto il nome dell’autore (e questo non è il caso di Wikipedia), e la versione modificata (o semplicemente tradotta in altra lingua) venga distribuita a sua volta sotto la stessa licenza libera. In tal modo nessuno potrà appropriarsene per scopi commerciali9. L’aspetto più interessante di questa licenza è quella di 98
permettere la collaborazione di più autori a un unico progetto. È dunque l’ideale forma di licenza in contesti nei quali la collaborazione è un elemento decisivo. Per realizzare il suo obiettivo la Wikimedia Foundation, oltre a Wikipedia, cura altri progetti in Rete: Wikizionario, un dizionario multilingue; Wikibooks, una collezione di libri dal contenuto libero; Wikiquote, una raccolta di citazioni famose; Wikisource, una raccolta di materiale vario e documenti di pubblico dominio, Wikispecies, un indice aperto e libero di tutte le specie viventi, Wikinews, vera e propria agenzia di notizie a contenuto libero, e Wikimedia Commons, un archivio unico per immagini, musica, clip musicali, testi e audiolibri, utilizzati nelle pagine di qualsiasi Wikipedia Project10. In realtà sono attivi molti altri progetti linguisticamente localizzati, all’interno delle singole enciclopedie. Ad esempio, un gruppo di wikipediani (così, a volte, si definiscono gli editor di Wikipedia) interessati alla letteratura ha varato il «Progetto Letteratura» all’interno della Wikipedia in italiano al fine di organizzare il copioso materiale riguardante l’intero settore della letteratura e della linguistica attualmente in essa presente11. Tra tutti i progetti appena citati notiamo, in particolare, Wikibooks. Esso si propone di creare un grande database on line di libri scaricabili gratuitamente ma anche modificabili dai lettori. Dunque non solo voci di enciclopedia, ma veri e propri volumi o monografie. Chiunque così può non solo creare un libro, ma anche modificare quelli scritti da altri. Se i limiti e i rischi sono di per sé evidenti, meno lo sono i vantaggi, che però potrebbero essere rilevanti a livello accademico. Il progetto, infatti, potrebbe fornire nuovi strumenti per la condivisone della ricerca e la realizzazione di strumenti per lo studio.
Le caratteristiche dei wiki e le loro applicazioni Il wiki, secondo la definizione di Wikipedia è «un sito web (o altrimenti una collezione di documenti ipertestuali) che permette agli utilizzatori di aggiungere contenuti, come in un forum, ma a qualsiasi utilizzatore anche di modificare i contenuti esistenti». Dopo aver descritto in maniera essenziale Wikipedia, il wiki per 99
eccellenza, la definizione può essere – lo speriamo – abbastanza comprensibile. Oltre a Wikipedia, esistono più di mille comunità wiki pubbliche in Rete e dedicate agli argomenti più vari, che si possono ricercare tramite il Wiki Nodes Network12. Un caso italiano singolare è quello dedicato all’elaborazione collettiva di un programma politico13. Tuttavia qui abbiamo preferito soffermarci su un esempio particolare ma esemplare e rappresentativo. Le caratteristiche salienti di Wikipedia sono infatti, per lo più, quelle proprie dei wiki in generale. Il wiki è una delle forme più mature di internet. Infatti, mentre i siti aziendali o personali hanno una fondamentale natura di comunicazione tra un mittente e tutti gli altri (cioè i suoi fruitori o lettori) i wiki fanno di ogni utente un possibile editor e collaboratore di un ampio progetto. Cioè il fruitore non è attivo solo perché, come ad esempio nei blog o nei forum, reagisce a un contenuto immesso da altri, ma perché può collaborare pariteticamente a un progetto con e come chiunque altro14. Ciò che dunque identifica, al di là di ogni altro aspetto, Wikipedia è la sua natura di progetto totalmente decentralizzato e a base democratica15. Questa è la natura propria di ogni wiki. Esso infatti è un sistema di co-publishing, cioè uno spazio collaborativo di pubblicazione. Consente a un gruppo di lavoro di collaborare su un progetto, gestendo in comune risorse, documentazione e riferimenti. Non esiste un «centro» o un «redattore capo» come in una rivista (cartacea o digitale), ma esiste una comunità che collabora al progetto. Quali novità e vantaggi di questa dimensione collaborativa? Non si tratta di una particolarità di tipo tecnologico, ma intellettuale: chiunque può diffondere quel che sa, mettendo a disposizione le proprie conoscenze e competenze. Così il progetto è, come si suol dire, bottom-up, cioè si sviluppa dal basso in alto: tanti piccoli contenuti vanno ad aggiungersi a un progetto generale ampio che cresce, potremmo dire, in maniera biologica. Risulta evidente che i wiki non appaiono utili in ambienti troppo gerarchizzati, mentre lo sono in comunità di studio o professionali composte di collaboratori che lavorano pariteticamente a uno stesso progetto. I campi di applicazione sono 100
numerosi: documentazione di progetti collaborativi; banche dati di conoscenze (le cosiddette knowledge base) d’impresa che permettono di condividere queste conoscenze e di comunicarle in seno all’impresa stessa; enciclopedie generaliste o settoriali; wiki personali utilizzati come strumento di produttività e di gestione dell’informazione (una sorta di blocknotes evoluto); traduzione di libri di dominio pubblico; wiki comunitari, che raccolgono persone attorno ad un argomento al fine di incontrarsi e condividere conoscenza. Quest’ultima tipologia di applicazione, in particolare, rappresenta una forma molto utile di scambio per gruppi di interesse.
I limiti del sistema wiki Alcuni esperti entusiasti, come Giuseppe Granieri16, giungono a considerare la conoscenza reticolare, frutto di questa «intelligenza collettiva», come la nuova conoscenza per eccellenza, esautorando il concetto di autorevolezza nel processo della conoscenza. È una posizione inutilmente riduttiva: in tal modo la conoscenza umana si risolverebbe in una rete anonima di contatti, e l’individuale (con i suoi gusti e la sua storia e le sue idee, oltre che con la sua riconoscibilità) sarebbe sciolto nel collettivo anonimo. L’intelligenza collettiva è una forma di intelligenza, sempre più importante, che il sistema wiki potenzia ed esalta. Essa però non sostituisce le altre, né elimina come obsoleta ogni forma di conoscenza «autorevole. Gli aspetti positivi e innovativi dei wiki diventano anche i pesanti limiti di questo sistema. La caratteristica essenziale dei wiki, infatti, è l’apertura completa alla collaborazione, ma ciò significa, d’altra parte, che non esiste alcuna reale garanzia di validità e accuratezza dei contenuti immessi. Così, proprio perché aperta al contributo di tutti, anche l’enciclopedia Wikipedia, non può offrire tale sicurezza. Se riviste del prestigio di Science hanno citato articoli apparsi sulle sue «pagine» e vari test ne hanno verificato accuratezza e comprensibilità, è vero che i suoi articoli possono fornire, almeno teoricamente, informazioni errate. Questo ci fa capire che Wikipedia non può essere considerata come una tra 101
le tante enciclopedie tradizionali perché essa non è garantita da nessun comitato scientifico che possa darle autorevolezza. Il sistema wiki, in realtà, ha dei correttivi interni. I wiki infatti forniscono la possibilità di rintracciare lo stato di un articolo, di rivedere i singoli cambiamenti e di discutere i temi, dunque funzionano come software sociali, facilitando la comunicazione e la collaborazione con altri utenti, valorizzando i membri produttivi e cooperativi della comunità, permettendo così ai contenuti di qualità di emergere17. Ward Cunningham, l’ideatore dei wiki, nel suo sito18 nota che il sistema, proprio perché fortemente collaborativo, stimola un forte senso di responsabilità. Poi, visto che il wiki non funziona in tempo reale, chi scrive deve prendere del tempo prima di procedere a modifiche, e ciò richiede attenzione e cura. Queste risposte non servono a fugare il rischio di inaffidabilità. Del resto, la transitorietà, il carattere precario e mutevole, l’associazione libera e, a volte, effimera, dei collaboratori, sono i limiti che possono caratterizzare, in genere, le «comunità virtuali». I limiti strutturali di un sistema come quello dei wiki sono dunque evidenti19. Tuttavia è anche necessario considerare come con Wikipedia siamo davanti a «qualcosa» di diverso rispetto a una tradizionale enciclopedia. Le logiche e i significati dell’opera non sono quelli ai quali siamo abituati. Occorre dunque una forma diversa di approccio rispetto al concetto tradizionale di «enciclopedia». Al problema della qualità si aggiunge quello del possibile vandalismo. La comunità degli editor si sforza di essere nel complesso accurata, ma in ogni momento una pagina può essere oggetto di attacchi vandalici o modificata dolosamente con informazioni errate, non legali o anche volgari. Questo rischio viene controbilanciato dal livello di motivazione della comunità che la Wikipedia sviluppa, per cui gli atti vandalici, come gli errori, sono in genere rapidamente riparati. Tuttavia si tratta di un problema grave. Come misura di emergenza, alcuni wiki sono impostati in modalità di sola lettura, mentre altri impongono la regola per cui solo utenti che si siano registrati prima di una certa data possano continuare a scrivere. In casi estremi alcuni wiki forniscono pagine che possono essere protette dalla modifica, ma questa modalità è 102
generalmente considerata come violazione alla «filosofia wiki» e, quindi, è in genere evitata. *** Nel dicembre 2005 la stessa Wikipedia è stata costretta ad adottare una nuova policy. Ha infatti annunciato che potranno scrivere nuovi pezzi di enciclopedia solo gli utenti regolarmente registrati e che i visitatori anonimi potranno solo ed esclusivamente apportare modifiche. Il cambiamento è dovuto al fatto che John Seigenthhaler sr., segretario di Robert Kennedy nei primi anni Sessanta, ha segnalato la presenza di un articolo in cui si insinuava il suo coinvolgimento nell’assassinio di John F. Kennedy e del fratello Robert. Per stemperare le polemiche Wales, il «fondatore di Wikipedia, ha dichiarato che spera di vedere la diminuzione dei post da diverse migliaia a millecinquecento al giorno, in modo da consentire a quanti hanno l’incarico di monitorarli di poterne migliorare adeguatamente la qualità. Dalla descrizione e dalle valutazioni compiute comprendiamo bene come Wikipedia rappresenti il sogno di descrivere il mondo, che però si scontra con le difficoltà di accreditarsi come compendio di sapere credibile, mantenendo nel contempo anonimato, flessibilità e continua apertura a nuovi collaboratori. Nello stesso tempo questa «utopia» rovescia il sogno dell’enciclopedia tradizionale, intesa come costruzione autorevole, organica ed integrata del sapere. Infatti Wikipedia è come un organismo vivente: cresce (al ritmo del 7% ogni mese), si «ammala», è sottoposta a composizioni e scomposizioni interne, ad accrescimenti e riduzioni continue20. Ma soprattutto Wikipedia nasconde un’altra utopia, a suo modo ambigua: la democrazia assoluta del sapere e la collaborazione delle intelligenze molteplici che dà vita a una sorta di intelligenza collettiva. Questa utopia potrebbe nascondere una nuova forma di «torre di Babele», che ha il suo tallone d’Achille non solo nell’inaffidabilità, ma anche nel relativismo. Occorre comunque avere occhi per saper riconoscere in questo movimento un nuovo e interessante scenario sociale e collettivo, capace di valorizzare la cooperazione intellettuale. Attraverso gli strumenti della Rete, infatti, possono svilupparsi nuove forme 103
di creatività, prima impensabili, che sono il frutto di una reale elaborazione comunitaria delle intelligenze connesse: le «intelligenze connettive», ci cui parla D. de Kerckhove21. La ricerca di informazioni, il loro scambio e la loro rielaborazione comune sono molto più della loro semplice somma e producono forme di conoscenza e stili di apprendimento nuovi. Nei wiki le intelligenze lavorano mediante la scrittura in collaborazione o collettiva22. Wikipedia è un esempio ampio e compiuto di wiki. Le sue «utopie» nascondono, radicalizzandole, delle esigenze profonde della conoscenza umana, che i wiki, in generale, aiutano a trasformare in progetti concreti: il conoscere inteso come un processo dinamico, aperto a tutti, e frutto non solo di un impegno individuale, ma anche di una profonda collaborazione e di un intenso confronto tra menti disposte a condividere abilità e intelligenza. Questa potenzialità deve però confrontarsi con limiti strutturali invalicabili che si possono riassumere nella mancanza di certa autorevolezza e di un’esposizione continua al vandalismo, che rischia di vanificare gli sforzi positivi23. Saper selezionare criticamente l’enorme mole di sapere, disponibile grazie a internet con un semplice click sul mouse, rimane dunque sempre una priorità per chi usufruisce di contenuti wiki. NOTE http://www.eb.com e http://www.universalis.fr Il termine wiki non ha attinenza informatica: deriva da wiki wiki, un’espressione hawaiana che significa «rapido», «molto veloce». L’inventore dei wiki, lo statunitense Ward Cunningham, nel 1995 per dare un nome alla sua idea si ispirò al nome dei bus navetta dell’aeroporto di Honolulu (wiki wiki bus). Cfr http://c2.com/cgi/wiki?WikiHistory 3 http://www.treccani.it/site/scelti_enciclopedie.htm 4 http://wikimediafoundation.org/wiki/Wikimedia_Quarto/1/It-2 5 http://www.wikipedia.org 6 Statistiche e riflessioni su http://www.usemod.com/cgi-bin/ mb.pl?BiggestWiki 7 Se la propria modifica fosse cancellata o modificata, è possibile verificare le versioni precedenti dell’articolo grazie a un link presente, come tutti quelli più utilizzati, in alto a sinistra ed in fondo, oppure 1 2
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la pagina di discussione per individuarne le ragioni. Uno sguardo al link «Ultime modifiche» aggiornate in tempo reale e con le più recenti modifiche, consultabili partendo dall’alto, dà la possibilità di verificare le ultime operazioni e aggiunte. 8 http://www.gnu.org/copyleft/fdl.html Per una traduzione italiana cfr. http://www.softwarelibero.it/gnudoc/fdl.it.html GNU è un acronimo ricorsivo, cioè un acronimo che contiene se stesso e sta per «GNU is Not Unix (GNU non è Unix)». Unix è un sistema operativo. 9 Tuttavia è possibile copiare un testo all’interno di un libro distribuito commercialmente, ma in questo caso esso, seppure sia a pagamento, ricadrà sotto la licenza GFDL e dunque potrà essere liberamente fotocopiato o distribuito via internet. Le licenze che invece impediscono del tutto, senza autorizzazione, l’uso commerciale sono le «Creative Commons» (cfr http://www.creativecommons.org). 10 Gli indirizzi di questi progetti generali (e di quelli che ancora potrebbero essere varati) con interfaccia linguistica italiana sono rintracciabili al fondo della pagina http://it.wikipedia.org/wiki/ Pagina_principale. 11 http://it.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:Progetto_Letteratura 12 La loro lista, in ordine alfabetico è in http://www.worldwidewiki. net/wiki/SwitchWiki Una lista più breve e con qualche spiegazione è in http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_wiki Per fare una ricerca per argomento si può usare http://wikinodes.wiki.taoriver.net/moin.cgi/ CercaPagina 13 http://www.sapereliberatutti.it Si tratta del programma dell’Ulivo per le elezioni del 2006. Si legge, tra l’altro, nella pagina principale: «Siamo convinti che la rete modifichi non solo i contenuti, ma i modelli di partecipazione: è uno di quei casi in cui metodo e contenuto dei processi si incontrano; questo per la natura stessa della rete, fatta non di relazioni “uno a molti”, ma di relazioni uno a uno. Se il centrosinistra ritenesse che per costruire un programma capace di fare uscire il Paese dal declino sia sufficiente una riunione con i soliti noti nelle segrete stanze non solo rifiuterebbe una grande opportunità di partecipazione, una di quelle opportunità che consentono di vincere o perder le elezioni, grazie alla grande spinta popolare che possono mettere in moto, ma rinuncerebbe alla grande risorsa dell’intelligenza collettiva che la rete mette a disposizione. Per parte nostra vogliamo, nel modo più semplice e ovvio, costruire un programma dell’Innovazione per l’Innovazione, attraverso un wiki (www.sapereliberatutti.it), cioè uno strumento di scrittura collettiva, in cui tra pari gli utenti della internet italiana possa-
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no commentare, criticare, costruire una proposta». 14 Esistono tuttavia delle forme intermedie tra wiki e blog: i cosiddetti bliki: in questo caso, quando un articolo è pubblicato sul blog, esso può essere modificato da chiunque o anche solo da chi è autorizzato dal proprietario. Un elenco di altri sistemi simili al wiki è in http: //en.wikipedia.org/wiki/List_of_wiki#Wiki-like_systems 15 Wikipedia usa software libero su ispirazione di Richard Stallman, fondatore della Free Software Foundation, il quale fu probabilmente il primo a teorizzare l’esigenza di avere anche un’enciclopedia completamente libera (cfr. http://www.gnu.org/encyclopedia/freeencyclopedia.html). La versione corrente del software è stata scritta principalmente da un solo programmatore, e un team di volontari lo tiene aggiornato, migliorandolo nel tempo. 16 G. Granieri, in «Apologia del network relativamente stupido», in Ideazione XII (2005) n. 5, 56-62. 17 Cfr. A. Lih, «Working on the Largest Encyclopedia in the World. Wikipedia and the Rise of Participatory Journalism», in http: //www.comminit.com/strategicthinking/st2005/thinking-959.html 18 http://c2.com 19 Cfr. T. Maldonado, Critica della ragione informatica, Milano 1997. 20 Cfr. L. Pugno, «Web, libertà sulla parola», in il manifesto, 20 gennaio 2005. 21 Cfr. D. De Kerckhove, Connected Intelligence: e Arrival of the Web Society, Toronto 1997. Il titolo riprende e «corregge» quello del volume di P. Lévy, L’intelligence collective. Pour une anthropologie du cyberspace, Paris 1994. 22 Per le applicazioni d’oggi cfr. G. P. Landow, L’ipertesto, 142-154; P. D’Alessandro - I. Domanin, Filosofia dell’ipertesto. Esperienza di pensiero, scrittura elettronica, sperimentazione didattica, Milano 2005. 23 Quando abbiamo espresso queste idee in un nostro articolo («Wiki. Utopie e limiti di una forma di “intelligenza collettiva”», in La Civiltà Cattolica 2005 III 130-138) sono state numerose le reazioni della stampa per la maggior parte più legate al relativo lancio d’agenzia che al testo completo dell’articolo. In rete il testo è citato circa 1800 volte. Tutte queste reazioni hanno vissuto il mio intervento come una critica radicale a Wikipedia, mentre la posizione intende semplicemente illustrare pregi e difetti. Soprattutto, anzi, intende mostrare che siamo di fronte a qualcosa di nuovo che non si può giudicare secondo i parametri delle enciclopedie tradizionali. Poi, a fronte di un intervento del
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Corriere della sera sostanzialmente equilibrato, nonostante il titolo (A. Carioti, «L’enciclopedia Web non piace ai gesuiti», in Corriere della sera, 17 luglio 2005), trovo esempi di totale travisamento strumentale, come nel caso della reazione di Beppe Grillo nel suo blog e in un’intervista al settimanale L’Espresso (M. Damilano, «Grillo il Caudillo», in L’Espresso, 25 agosto 2005). Comunque alcuni suoi lettori – che avevano letto l’articolo, come forse non ha fatto invece Grillo – hanno aggiustato il tiro, correggendo on line le sue posizioni. I problemi da me esposti sono, come si è notato, quelli che lo stesso “fondatore” di Wikipedia, J. Wales, ammette (cfr., ad esempio, http://www.theregister.co.uk/ 2005/10/18/wikipedia_quality_problem). Qui una conversazione a Repubblica Radio con Vittorio Zambardino di Scene Digitali, nella quale chiarisco le mie posizioni: http://repubblicaradio.repubblica.it/ player.php?mode=prog&ref=1992 Cfr. anche http://vittoriozambardin o.blog.kataweb.it/zetavu/2005/10/wikiaccordi.html per le sue reazioni nel dopo intervista e anche http://www.repubblica.it/2005/b/rubriche/ scenedigitali/wik/wik.html per un ulteriore commento. La stessa Wikipedia ha tenuto traccia di parte del dibattito all’indirizzo diretto: http: //it.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:Bar/La_Civiltà_Cattolica. Colpisce l’articolo pubblicato sul quotidiano il manifesto R. Mastrolonardo, «Aiuto! Torna l’utopia illuminista, stavolta senza limiti», in il manifesto, 24 luglio 2005 (si può leggere qui: http://www.culturalibera.org/flat/ index.php?mod=read&id=1122362082), dove il mio articolo viene attaccato in un passaggio che di per sé era una ripresa dei contenuti di un altro articolo pubblicato in precedenza sullo stesso quotidiano! (Cfr. L. Pugno, «Web, libertà sulla parola», in il manifesto, 20 gennaio 2005 che si può leggere in http://www.ilmanifesto.it/g8/dopogenova/ 41f16a1350318.html).
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SECONDA PARTE
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CAPITOLO 7 DIO NELLA RETE
In Rete sono numerosi gli elementi legati al sacro e alla religione. Il capitolo, dopo aver costruito una tipologia degli spazi religiosi virtuali e aver descritto le forme del navigare in internet, pone in evidenza alcuni pericoli, ma soprattutto alcune sfide da accogliere con ottimismo e discernimento: la risposta ai bisogni religiosi più autentici che emergono in Rete; la sfida di un dialogo spirituale, che trova in essa sempre più spazio; la necessità di valorizzare le nuove possibilità per un intenso e ampio dialogo teologico e interreligioso. Navigando in internet, la «Grande Rete» (World Wide Web), è facile accorgersi della presenza al suo interno di elementi legati al sacro e alla religione. God in cyberspace1 titola un noto mensile inglese di teologia. Digitando la parola God, cioè Dio nella lingua principale del web, l’inglese, in un «motore di ricerca» (un sistema che permette di trovare una stringa di testo nelle pagine della Rete) o religion, Christ, spirituality, otteniamo liste di decine di milioni di pagine. La riflessione cristiana ha accompagnato lo sviluppo della Rete, soprattutto in sede di applicazioni e risonanze di ordine accademico e pastorale, sia fornendosi di adeguate «presenze» virtuali sia rendendo possibili varie modalità di partecipazione, da quella più passiva a quella più interattiva. Accanto a questo genere di riflessioni è necessario però svilupparne una, più ampia, capace di coinvolgere anche la riflessione critica sulla fede, sul modo di intendere la Rivelazione e sulla maniera di articolare criticamente il sapere della fede. La domanda, a questo punto, potrebbe essere la seguente: è possibile capire che cosa di religioso esiste in Rete? La risposta è af111
fermativa: si possono consultare utilmente sia volumi che realizzano una sorta di censimento organizzato2, sia motori di ricerca tematici come, ad esempio, Yahoo! o il motore cattolico italiano Profeta3, sia infine siti costruiti appositamente4 o studi già presenti in Rete5. Qui dunque non ci occuperemo di tale catalogazione. Ma resta aperta la domanda circa il come sacro e religioso siano presenti. In altri termini, è possibile costruire una, seppur provvisoria e discutibile, fenomenologia del religioso in internet? Con le pagine che seguono tenteremo di rispondere anche a questa domanda, facendo una proposta di descrizione e analisi attraverso esempi del fenomeno, che in sé si presenta come «inclassificabile» proprio perché in costante mutamento. La fenomenologia, più che dare certezze, propone questioni e rileva almeno alcuni nodi critici, in particolare quello relativo alla cosiddetta «cyber-spiritualità», da affrontare in vista di una comprensione maggiore.
Gli spazi religiosi virtuali La Rete in sé è uno spazio «virtuale», cioè insieme «reale» perché percepito come tale, ma «irreale» perché si tratta di una simulazione costruita dagli strumenti informatici e telematici: non ha dunque una realtà «materiale», ma «digitale», cioè costituita dalle cifre del codice numerico binario che sono interpretate dal computer, grazie a un programma apposito. Da questa considerazione si può dedurre che la Rete può accogliere al suo interno, indifferentemente, sia riferimenti a realtà religiose reali sia entità che non hanno alcun referente reale in istituzioni o persone. Le vetrine di realtà religiose reali. In Rete troviamo innanzitutto «vetrine» di realtà religiose reali. La Santa Sede ha un sito6 che, oltre a contenere le pagine web di tutti i dicasteri della Curia Romana, propone materiali e documenti anche in originale. Nel contesto cattolico italiano esse comprendono, ad esempio, parrocchie7 e diocesi. Ricordiamo innanzitutto il sito della Conferenza Episcopale Italiana8 di grande impatto e dotato di un efficace motore di ricerca. Ricordiamo che anche molti ordini e congre112
gazioni religiose hanno siti a vario livello (da quelli delle Curie generalizie a quelli delle singole province o case) e così i gruppi, i movimenti e le associazioni ecclesiali. Molte religioni mondiali, da quelle più praticate a quelle meno note, hanno siti o portali che contengono notizie, testi sacri e altro. Proliferano anche le sètte e i culti di ogni genere. Aperture virtuali di realtà reali. I siti registrati fino a questo punto sono vetrine web di realtà «reali», cioè concrete. Un ordine religioso, ad esempio, è qualcosa che si incarna in persone e istituzioni e questo mondo reale ha la sua «interfaccia» nella Rete. Esistono però anche realtà concrete che aprono uno spazio puramente «virtuale» in Rete. Per rimanere negli ambiti della pastorale ordinaria, è possibile che un’istituzione formativa apra una «classe virtuale»9 di catechesi. Accade sempre più spesso, anche e soprattutto nel mondo non religioso, che le persone debbano essere formate a distanza per problemi logistici e di tempo, e così comincia a non essere così infrequente che gruppi e realtà ecclesiali si incontrino in spazi virtuali quali forum, liste di posta elettronica, chat o virtual room dedicate, in modo da poter creare situazioni più agevoli e continue di incontro. Nessuno si dà appuntamento in una sala «reale», ma tutti sono in contatto, e spesso contemporaneamente, in maniera virtuale. Esistono inoltre attività virtuali di istituzioni accademiche (come l’Università Cattolica o le varie Università, Atenei o Facoltà Pontificie10) o alle loro biblioteche consultabili a distanza, da casa, come se si fosse in sala di consultazione. La Rete URBE (Unione Romana Biblioteche Ecclesiastiche), ad esempio, riunisce 14 biblioteche di Istituzioni ecclesiastiche di studi superiori (5 Università, 3 Atenei, 6 tra Facoltà e Istituti) per un totale di 4 milioni di volumi11. Pensiamo alle agenzie e ai servizi informativi per il pubblico delle varie chiese e religioni, ma anche agli organi di informazione interna (bollettini e simili) di movimenti, gruppi, associazioni, religioni o sètte, che trovano fedeli e adepti nelle parti più diverse del mondo. Gli strumenti informatici e telematici permettono la creazione di aperture virtuali di realtà reali che non siano dunque soltanto «vetrine». Del resto molti siti-vetrina citati sopra conten113
gono al loro interno queste forme di apertura o ne permettono l’accesso. Realtà religiose unicamente virtuali. Visto che la Rete permette l’esistenza di realtà non materiali, occorre riconoscere che in essa possono nascere e proliferare molte realtà religiose unicamente virtuali, che cioè non hanno un referente in luoghi, istituzioni e gruppi che si incontrano in forma reale. Il fatto che la Rete non abbia limiti o censure ideologiche permette infatti la diffusione di qualunque idea o credo a costi praticamente nulli. Notiamo inoltre alcune realtà virtuali che rispecchiano l’esistente senza divenire puramente una sua interfaccia web12. Esistono gruppi di preghiera virtuali, spontanei o legati a monasteri o ad altre istituzioni. Esistono anche biblioteche esclusivamente virtuali, che hanno cioè «sede» soltanto in internet e che contengono testi unicamente digitali scaricabili nel proprio computer13. Esisteva fino a qualche tempo fa persino almeno una forma di vita religiosa non ufficiale che aveva consistenza unicamente virtuale come l’OMFSI (Ordre monastique des frères et soeurs par l’internet)14. Realtà metaforiche di luoghi religiosi tradizionali. Nella Rete esistono metafore di luoghi tradizionali che hanno a che fare con il sacro e il religioso. Troviamo infatti cyber-cimiteri, dove si possono lasciare messaggi o accendere lumini virtuali, ma anche cyber-cappelle dove sostare a pregare. Esistono forme di cyber-celebrazioni per le quali si è parlato anche di una sorta di computeraltare (come, del resto, si era parlato anni fa di televisore-altare) o addirittura di «telepresenza reale». Esistono cyber-case di esercizi spirituali15 e, in questo caso, il computer diventa una sorta di spazio di preghiera virtuale, dove sono forniti spunti di meditazione da utilizzare in tempi adeguati della giornata. Infine è da ricordare l’esistenza di un cyber-presbiterio italiano16.
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Le forme del navigare in Rete Descritte per sommi capi le principali tipologie di realtà presenti in Rete, occorre porsi la domanda circa le possibilità che il navigatore on line vede aprirsi per il suo viaggio. Sostanzialmente è possibile distinguere, almeno logicamente, tre forme di navigazione. Consultazione «televisiva» o minimamente interattiva. Il livello minimale di movimento in Rete consiste nella consultazione di tipo televisivo. Il televisore fornisce immagini e non è possibile un’interazione diretta e continua tra chi sta al di là dello schermo e ciò che sta al di qua. Esistono anche siti che, una volta lanciati, presentano animazioni e spettacoli (usando, ad esempio, la tecnologia Flash) come in TV. Anzi, è possibile fruire di alcuni programmi televisivi (come nel caso di Sat2000) anche in Rete tramite streaming video. È da ricordare che da internet è scaricabile anche musica in modo da poter costruire compilation personali, come è anche possibile ascoltare radio e podcast, costruendo un proprio palinsesto personale. Sempre più si sta sviluppando l’uso di scaricare dalla Rete ciò di cui si ha di bisogno più che vedere, leggere o ascoltare ciò che i palinsesti o le impaginazioni forniscono in un ordine preciso. La ricerca dei contenuti è possibile anche grazie a motori di ricerca. Se ho bisogno di trovare un’informazione, tramite la consultazione di uno di essi è possibile che la trovi nel giro di pochissimi secondi. Entrare in comunicazione virtuale unidirezionale. Una forma più ampia di interazione consiste nella comunicazione virtuale che, in maniera unidirezionale, tende a creare un rapporto costante tra le realtà della Rete e chi naviga. Ciò consiste, ad esempio, nella possibilità di richiedere a un’istituzione religiosa, a un gruppo reale con interfaccia web o puramente virtuale, l’invio di un bollettino periodico di notizie o riflessioni (newsletter). Entrare in interazione virtuale bi- o multi-direzionale. In questo caso la Rete svolge il suo compito più proprio: connettere e per115
mettere scambi reciproci tra persone in maniera interattiva. Ciò è possibile almeno in due modi. Il primo è quello «sincrono», quello cioè che permette lo scambio immediato e contemporaneo tra persone che possono anche vivere in punti opposti del pianeta. Ciò si realizza essenzialmente tramite programmi detti pager, che permettono di vedere ciò che l’altra persona (o le altre, al plurale) stanno scrivendo o disegnando sul proprio computer nel momento in cui ciò sta avvenendo (un po’ come accade per la voce grazie al telefono). È possibile anche vedere il proprio interlocutore tramite webcam o ascoltare la sua voce (con l’abbattimento dei costi telefonici nel caso di chiamate internazionali, ad esempio). È, ad esempio, molto diffusa la tecnologia Skype, che permette di fare telefonate gratuite dovunque nel mondo via computer o a bassissimo costo tra un computer e un telefono normale17. Un’applicazione di queste tecnologie (al di là dell’uso della voce e dell’immagine) è quella dell’insegnamento/catechesi a distanza o di incontri di gruppo o di consigli parrocchiali o di consulte o momenti di preghiera comune tra persone che vivono in varie parti del pianeta o, in qualche caso, che professano fedi differenti. Una seconda modalità di interazione è quella «asincrona», che cioè permette la piena interazione, ma in maniera non contemporanea. I sistemi principali di interazione asincrona sono il forum, il newsgroup e la mailing list. Il primo e il secondo permettono di inviare messaggi in una bacheca elettronica, nel primo caso accessibile con il programma per navigare in internet (browser), il secondo con il programma di posta elettronica o un lettore di news apposito. La terza, la più diffusa, consiste in un sistema di scambio di posta in forma elettronica: iscrivendosi a una lista, è possibile ricevere sul proprio computer tutti i messaggi che gli iscritti inviano e inviarne di propri a tutti gli altri, usando un unico indirizzo elettronico. Dal punto di vista della pastorale diretta poi, la Rete permette la creazione di legami nuovi tra le persone e la realizzazione di riunioni di gruppi virtuali e altre iniziative con un coinvolgimento costante. Un problema chiave resta aperto: i cristiani debbono prevalentemente creare luoghi virtuali propri o essere presenti e 116
accompagnare in situazioni di «mare aperto»? Una risposta equilibrata non può che considerare entrambe le forme di presenza. Ricordiamo infine che alcuni monasteri, anche di clausura, usano questi mezzi per ricevere richieste di preghiera (che giungono anche da persone non praticanti o «lontane» dalla fede) o di dialogo spirituale.
Il bisogno di Dio e cyber-spiritualità Nella Rete si nota, insieme a un’interessante evoluzione delle competenze tecniche, una crescita di bisogni religiosi che la «tradizione» religiosa riesce a fatica a soddisfare. Alcune statistiche affermano, ad esempio, che il 25% degli internauti americani usa la Rete almeno una volta alla settimana per rispondere a interrogativi religiosi18. L’uomo alla ricerca di Dio oggi si pone anche di fronte a uno schermo e avvia una navigazione. Un’osservazione attenta su questo fatto mostra come nel «navigare» lo sguardo è manipolato e orientato dal tatto: si naviga col mouse che si muove con la mano, e dunque è quest’ultima a guidare lo sguardo. La conoscenza, che passa dal visivo al tattile (per poter cercare, trovare e vedere occorre toccare), e la dimensione interattiva quali effetti avranno sull’esperienza del sacro? La possibile futura direzione è lo sviluppo di una sensibilità «neo-gnostica». È la mano a guidare e gestire la visione in una logica di «apparizione», che può non essere senza conseguenze in un contesto di self service dell’anima. In tal modo ci si illude che il sacro o il religioso sia «a portata di mouse»: basta un click per passare da un sito di neo-stregoneria a quello di un’apparizione mariana, oppure da un tempio neo-pagano a un sito di cristiani tradizionalisti. La Rete, proprio grazie al fatto che è in grado di contenere tutto, può essere facilmente paragonata a una sorta di grande supermarket del religioso (che è dunque «mercato», con tutte le conseguenze di tipo economico del caso: promozione e vendita di oggetti, diete, servizi di culto, musica, gadget, immagini, consulenze e truffe di vario genere), in cui è possibile trovare ogni genere di «prodotto» religioso con grande facilità: dalle riflessioni 117
più serie e valide alle religioni che una persona annoiata si inventa per gioco e ai nuovi «messia»19. Ciascuno può attingere dalla Rete non secondo reali esigenze spirituali, ma secondo bisogni da soddisfare. Il primo bisogno sembra essere il «benessere spirituale», al di là delle domande sui valori o sui significati profondi della vita. Alcuni siti religiosi che si rifanno a precise tradizioni spirituali più solide sembrano, talvolta, essere «contaminati», diciamo così, da queste esigenze: può accadere di imbattersi in siti con angioletti ammiccanti, iconcine mielose e sfavillanti, lumini, stelline, lucette, musichette e così via. Il kitsch religioso dice un bisogno di intimismo, consolazione, a metà tra videogioco e pietà popolare. Risulta, ad esempio, molto valorizzata la realtà dell’«apparizione» a portata di mano. Infatti la pagina web può visualizzare suoni e immagini anche in movimento, e per visualizzare questi elementi basta premere un tasto. Ci si illude dunque che il sacro resti «a disposizione» di un «consumatore» nel momento del bisogno. Il cristiano, in realtà, non è mai un «consumatore di servizi religiosi», e il cristianesimo si autocomprende come portatore di un messaggio, quello della morte e resurrezione di Cristo, resistente alle assimilazioni e «scandaloso». Una presenza cristiana in Rete deve far leva dunque su questa resistenza, sul fatto che la parola del Vangelo scuote, non serve a «far star bene» e, al contrario, rischia sul serio di mettere in crisi le coscienze, cioè di «far star male», se ci è permessa l’espressione. Una strada da affrontare, ad esempio, è quella della reticenza e del rinvio silenzioso, in un «mercato» già saturo di messaggi20. Per comprendere il pericolo dell’omogeneizzazione religiosa sono da visitare siti come Beliefnet, dove le religioni sono messe in mostra, una al pari dell’altra, in un cocktail religioso spesso disarmante21. Ma internet è anche incubatrice di nuove forme di religiosità che considerano la Rete come uno «spazio sacro». La vita spirituale viene trasferita alla virtualità digitale condivisa in un network globale che genera un «cervello globale embrionale»22 o, addirittura la «realtà del regno spirituale, del FUFFo – l’Universo Fluido della Forma senza Forma – il regno del pensiero, del118
l’intelletto, dell’immaginazione, il flusso della mente globale»23, come si legge, ad esempio, in un messaggio elettronico. In effetti la scena mediatica non è una «rappresentazione» o una mimesi della realtà, del mondo. Il cyberspazio, l’ambiente virtuale elettronico, è un mondo immateriale, ma, come si diceva, un vero e proprio «mondo». Il navigante è coinvolto in una pratica concreta, non sta utilizzando un sistema di rappresentazione astratto. La realtà è virtuale non nel senso che non è reale, ma nel fatto che lo è nella sua esecuzione. Sta emergendo dunque una «spiritualità» che fa riferimento a questo «mondo» e che ha i tratti dell’esperienza multimediale e iper-testuale. Si tratta della spiritualità delle cosiddette «cybereligioni» o «religioni di Rete», quali il neopaganesimo, il tecnopaganesimo, il tecnosciamanesimo, il tecnobuddhismo, i culti ecologici tecno-spirituali24. E tuttavia, proprio attraversando questi siti e gli strumenti che essi mettono a disposizione, è anche possibile farsi un’idea del bisogno profondo di Dio che agita il cuore umano, seppure vissuto in maniera spesso alienante e distorta25.
La Rete e il dialogo spirituale La «navigazione» in Rete rende possibile il contatto tra gente in ricerca o tra fedeli di religioni differenti ma anche, purtroppo, con adepti di sètte (anche sataniche) o simpatizzanti di spiritualità di stile new age o simili26. Il motivo che spinge a stringere queste relazioni consiste proprio nella tipologia di rapporto che si crea in Rete. Esso presenta contemporaneamente elementi contraddittori. È infatti per sé molto anonimo e impersonale, in quanto ciascuno può far credere di essere ciò che non è a livello di età, sesso e professione, esprimendosi senza i limiti dati dalla propria identità pubblica. In Rete si diventa messaggio. Insomma si dialoga per quel che ci si sente di essere e per il «pensiero puro», diciamo così, che si esprime. Proprio per questo dunque, è anche molto confidenziale, perché permette di dire di sé cose che altrimenti difficilmente una persona direbbe nei suoi panni quotidiani. Si può avere un’apertura completa e un grande livello di autenticità, ma d’altra parte si può cadere anche nello sponta119
neismo senza limiti e senza pudori. Il cyberspazio comunque è un «luogo» emotivamente caldo e non algidamente tecnologico, come qualcuno sarebbe tentato di immaginare. C’è anche chi afferma una sorta di diritto: «Se sento il bisogno di confessarmi a mezzanotte, o all’una di notte, devo poterlo fare attraverso l’Instant messenger in Internet, perché magari l’indomani mattina mi sveglio e devo andare a lavorare»27. Ovviamente, lasciando da parte considerazioni più articolate, ci si rende conto che una formula del genere priva la mediazione sacramentale del rapporto diretto, storico, visibile, materiale, fatto anche di priorità e di scelta dei tempi. Leggiamo, ad esempio, in uno scambio di messaggi elettronici, un invito molto esplicito: il «web è spiritualità, fantasia, lasciamo a casa i corpi»28. I casi migliori comunque generano, in contesti religiosi sani, forme di vera e propria direzione spirituale. La creazione del sito Preti On Line, ad esempio, in qualche modo nasce dall’esigenza di rispondere alla richiesta di una mediazione spirituale e pastorale in forma telematica29. Il rapporto in Rete dunque può essere anonimo, ma anche estremamente «vero». Esso tuttavia può anche essere inteso da chi lo vive come molto volatile e non impegnativo, perché il legame che si crea con l’altra persona è del tutto immateriale. Basta disconnettersi o chiudere il programma per chiudere la relazione. In alcuni casi, però, al contrario, si «buca» la Rete e le persone si incontrano in uno spazio reale. Se questo avviene nei casi tristemente noti degli approcci erotici, avviene anche nel caso di relazioni di aiuto spirituale. Infine un ostacolo con cui confrontarsi è una sorta di «voyeurismo» proprio degli ambienti virtuali. Si può frequentare un sito o una mailing list o un forum o qualunque altro luogo virtuale semplicemente stando a guardare cosa capita, senza impegnarsi personalmente e partecipare attivamente alle interazioni. Si tratta di un fenomeno inevitabile, che non deve stupire. L’efficacia del luogo virtuale si misura anche dalla capacità che esso ha di coinvolgere attivamente chi lo visita. La relazione spirituale in Rete richiede una certa familiarità con l’ambiente virtuale in cui ci si trova, il quale permette una forma di comunicazione che sta a metà strada tra oralità e scrittura, tra intimità e anonimato. Al di là dell’uso più semplice per 120
la comunicazione rapida di informazioni, essa va comunque considerata come un’opportunità da cogliere con spirito di fiducia e, insieme, di attento discernimento nella direzione di rapporti «veri».
La Rete e il dialogo teologico Se la Rete può essere luogo di dialogo spirituale, essa certamente può aprire al dialogo interreligioso e teologico spazi prima inesistenti. L’articolazione critica e la mediazione del sapere della fede, che è il compito primo della teologia, si realizza sempre in un contesto di pensiero, di linguaggio, di immagini, di cultura e dunque di «comunicazione». La Rete realizza una mutazione nel modo di vivere le istanze di comunicazione e di comunione. Pensiamo alla comunicazione costante tra persone che lavorano a una stessa idea, che però abitano in varie parti del mondo, e non si conoscono personalmente. Esse realizzano tra loro, se entrano in relazione forte, una sorta di «coscienza comune». Ciò certamente ha ricadute in ambito teologico, tanto più se la comunicazione avviene tra persone che per cultura e formazione usano metafore, immagini e linguaggi differenti per dire Dio e la fede. Esistono numerosi siti, forum e mailing list di teologia, al cui interno è possibile un dialogo in altro modo estremamente difficoltoso. D’altra parte questo dialogo si realizza in un ambiente, internet appunto, la cui logica non è sequenziale-argomentativa, ma ipertestuale: nella Rete si procede non una pagina dopo l’altra, ma passando, attraverso parole chiave e collegamenti da un luogo virtuale a un altro, da un sito a un altro. Ciò sviluppa maggiormente la capacità intuitiva e di immaginazione. La conoscenza non prevede più un «centro» da cui si deducono dei raggi, ma tutto può essere centro e dappertutto si può raggiungere qualunque luogo. Il sapere è non-gerarchico, frammentato, e non c’è differenza tra interno ed esterno. Quali effetti avrà ciò sulla conoscenza e la comunicazione teologica? È una domanda che impegna la teologia su vari piani. I primi livelli sono certamente quelli dello studio che usa teorie, modelli, metodi della scienza delle comunicazioni in grado di aiutare la 121
propria riflessione sulla fede e quello del modo di comunicare la teologia. Un modello di teologia della Rivelazione di tipo «verbale», che inquadra l’uomo come «uditore della Parola» o, se vogliamo, il modello della parabola puntata al cielo o quello dell’uomo-radar rischiano, infatti, di non essere così esplicativi come lo erano in passato. Se una volta l’uomo era visualizzabile come un essere alla ricerca di una risposta sulla sua vita, adesso è più inquadrabile come una persona in atteggiamento di scelta, selezione, discernimento sulla risposta più adatta e soddisfacente. Deve insomma imparare sia a cercare sia a trovare. Inoltre è da affrontare il livello dello studio teologico sistematico sul fenomeno della comunicazione in Rete: le categorie teologiche possono essere applicate alla comunicazione sia in termini di maggiore comprensione del fenomeno sia in termini di valutazione etica. Nei primi due livelli il punto di vista è quello della comunicazione in Rete e l’orizzonte quello teologico; negli altri livelli il contrario. La Rete dunque nei confronti della teologia offre opportunità e, insieme, lancia sfide di ordine sia metodologico sia speculativo30.
C’è Dio nella blogosfera? Nuove opportunità di significato teologico sono offerte da blog e wiki. Dio è presente nei blog? Se ricerchiamo blog religiosi nel web mondiale non notiamo una particolare ricchezza numerica e contenutistica31. Non mancano tuttavia idee stimolanti o, comunque, curiose. Una di queste è la «teoblogia» (theoblogy)32, frutto del blogging theologically, di un «bloggare teologico». Se si digita sul motore di ricerca Google l’aggettivo theoblogical si troverà che esso appare in circa 29.000 pagine web33, a tal punto che la rivista Christianity today ha parlato di una vera e propria «rivoluzione teoblogica» e di «blogosfera cristiana»34. Essa è molto variegata e comprende spazi di riflessione e discussione teologica tra studenti35, blog legati a riviste cristiane (Relevant, Touchstone, World, Christianity Today,…), spazi personali, anche di pastori e sacerdoti, di ispirazione religiosa36. In realtà occorre notare che, più che di una rivoluzione, si ha a che fare con un uso più per122
tinente della Rete in piena continuità con l’uso che già le chiese cristiane (e le religioni non cristiane) hanno fatto della Rete attraverso sistemi più tradizionali (siti, mailing list, newsletter, forum,…). Se ci fermiamo all’Italia, invece, occorre confermare la considerazione che Marco Schwarz ha inserito nel suo blog: «Ad un tratto mi è balzata agli occhi una cosa che avevo sotto il naso da più di un anno ma che non avevo mai messo a fuoco: Sui blog si parla di tutto (ma proprio tutto) tranne che di tematiche religiose e di fede. […] Escluderei da subito che la (mancanza di) fede sia assente perchè considerata un argomento troppo personale, visto che per molti blog il concetto di ‘troppo personale’ mi sembra non esistere. […] mi chiedo come mai questo tema sia totalmente rimosso»37. In effetti, la blogosfera italiana sembra ancora un luogo di espressione non segnata da una consistente presenza ecclesiale né tanto meno dalla riflessione teologica. Esistono, sì, blog personali nei quali l’ispirazione cristiana appare più evidente38; esiste anche qualche blog legato a gruppi ecclesiali39, ma non esistono organi di stampa e di informazione, che siano di una certa rilevanza e di ispirazione cristiana, che ospitino blog. In ogni caso la visibilità dei blog di esplicito significato cristiano non è affatto evidente e sviluppata: essa rimane un compito aperto alla pratica e alla riflessione.
Godcasting Podcast Alley, che stila directory (elenchi tematici) dei podcast, ha notato un fenomeno dalla crescita che invece lascia sorpresi: lo sviluppo di podcast a sfondo religioso40. A fine 2005 se ne potevano contare circa 800. Il sito per numero li pone subito dopo i podcast di tipo musicale e tecnologico. Si coniano dunque già termini come iGod o godcasting41. I podcast religiosi sono di vario genere. Cominciano a svilupparsi podcast di parroci e pastori che così tengono contatti con i loro fedeli. Facendo una rapida ricerca della parola sermon (omelia, sermone) soltanto tramite la directory di iTunes si ritrovano una gran quantità di podcast a cui è possibile iscriversi. In realtà le trasmissioni di questo tipo sono 123
molto più numerose. Insomma: i jukebox digitali sono diventati una sorta di pulpito portatile dei cosiddetti podpreachers. Un esempio che consigliamo di ascoltare è Catholic Insider, creato dal giovane sacerdote cattolico olandese Roderick Vanhögen della diocesi di Utrecht, che ha avuto le prime intuizioni sul podcasting studiando Comunicazioni Sociali presso la Pontificia Università Gregoriana42. Questo podcast conta circa 10.000 ascoltatori a ogni programma, ed è uno degli esperimenti più riusciti di podcasting religioso43. Per la sua qualità ha avuto molta risonanza sulla stampa internazionale (dalla CNN44 alle principali agenzie europee), e si è aggiudicato 2 nomination e il Podcast Awards 2005 per i siti di contenuto religioso45. Fondendo insieme le dimensioni giornalistica, diaristica e più propriamente pastorale, ha creato un «prodotto» molto appetibile per il pubblico giovanile, ma non solo. Ricordiamo, tra l’altro, che Catholic Insider ha fornito racconti vivaci delle veglie in piazza San Pietro che hanno preceduto la morte di Giovanni Paolo II, e così anche della GMG di Colonia46. Ma, ovviamente, esistono anche podcast attivati da giovani, come e RC e l’italiana Radio GMG47. Un’altra ampia tipologia è costituita da servizi legati al culto. Un buon numero di podcast è messo on line da sacerdoti e pastori che registrano per intero liturgie e culti che si svolgono nelle loro chiese e le rendono disponibili all’ascolto di chi, per motivi vari, non può essere presente fisicamente al loro svolgimento48. Il jukebox digitale può anche essere un’occasione di preghiera. Come la Radio Vaticana da anni effettua, ad esempio, la trasmissione radiofonica della preghiera del Rosario o della Compieta, così è stato possibile pensare a un podcast di preghiere recitate da scaricare e ascoltare come aiuto all’orazione personale. È il caso del Praystation Portable Podcast (nome evidentemente mutuato dalla playstation), ispirato da P. Vonhögen e realizzato da Jeff Vista, che permette di ascoltare Lodi e Vespri della Liturgia delle ore49. Altrettanto utili per la preghiera e la meditazione i numerosi podcast che leggono la Bibbia a tappe in modo che essa possa essere ascoltata tutta, giorno per giorno, all’interno di un anno50 o anche secondo altri criteri di selezione. È chiaro che la lettura orante riamane insostituibile perché permette di fermarsi sulle parole, 124
meditarle attentamente. Tuttavia non ci si dovrebbe meravigliare se, alla Bibbia o a libri di preghiera e meditazione, qualcuno dovesse affiancare un jukebox digitale nel quale sono state scaricate meditazioni, letture di brani biblici o libri spirituali. Esistono anche network di podcast religiosi, come e GodCast Network. Molto utile anche la directory di podcast cristiani ChristianTuner – che in realtà offre liste di programmi di ispirazione cristiana offerti da ogni genere di media – il Christian Podcast Network e il Christianpodcasting.com. God in Tech, un network di podcast si propone di riconciliare fede e tecnologia51. Il problema però è che per queste directory sembra che non siano presenti podcast di area cattolica, che invece sono reperibili utilizzando le directory non confessionali. Esiste però anche un network cattolico: Disciples with Microphones (DWM)52. Anche riviste e altri media aprono finestre digitali sul mondo del podcasting. Un solo esempio: la rivista cartacea Relevant magazine, molto attenta al mondo della christian music e all’incontro tra cristianesimo e cultura pop53. Si tratta, però, soltanto di un esempio tra i tanti possibili. Visto il suo diffondersi a macchia d’olio, e considerato l’uso sempre più esteso di jukebox digitali, non sarà il caso che le persone impegnate nella pastorale facciano una riflessione attenta sul fenomeno e anche sul modo in cui approfittare di questo mezzo? Ci riferiamo soprattutto a coloro che sono in formazione per il lavoro pastorale. Man mano che anche i palmari e i comuni cellulari potranno essere utilizzati come lettori di podcast54, allora la diffusione del fenomeno potrebbe essere ancora maggiore. I dati attuali parlano di un’ampia diffusione del podcasting in ambito cristiano. Sono presenti podcast di altre religioni, ma in misura nettamente inferiore. In particolare, essi sono in gran numero di ispirazione evangelica o protestante e, per la maggior parte, in lingua inglese. Tuttavia, come abbiamo notato, il podcast religioso che sembra essere più seguito è il cattolico Catholic insider55.
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Una teologia dal «codice aperto»? Anche il sistema wiki è stato impiegato in campo teologico. Un esempio è eopedia56, un’enciclopedia teologica di precisa ispirazione evangelico-riformata, messa in Rete nel giugno 2004, che contiene attualmente oltre 450 voci. A differenza di Wikipedia però qui i contenuti non sono affatto «neutri» e, al contrario, sono molto selettivi a favore di una visione di ispirazione protestante. Un altro esempio è Urban Monastery, un wiki che intende essere «un approccio collaborativo per trovare strade che facciano progredire nella spiritualità e nella vita»57. La presenza di questi wiki ha spinto qualcuno a porre una domanda più radicale. È il caso, ad esempio, di Justin Baeder, creatore di Radical Congruency, un blog legato al fenomeno della cosiddetta emerging ecclesiology («ecclesiologia emergente»)58, che si è chiesto: «Quali implicazioni potrebbero avere per la chiesa questi siti web? Quali implicazioni potrebbero avere per un approccio comunitario alla teologia?»59. Del resto, come è stato messo in luce da alcuni studiosi, le manifestazioni della vita sulla Rete sono una sorta di laboratorio e di modello per indagare l’esperienza60. È bene, dunque, soffermarsi, seppur brevemente, sulle questioni sollevate, se non altro per tratteggiare scenari emergenti e problematici. La domanda, nelle intenzioni di Baeder, non riguarda solamente un’applicazione pastorale. Essa intende chiedere se il wiki non possa ispirare un modo di fare teologia, una sorta di metodo teologico. Egli risponde alla domanda indicando la cosiddetta open source theology. Occorre, a questo punto, chiarire meglio i termini. L’espressione open source theology utilizza il gergo informatico che indica un tipo di licenza per software (la open source, appunto), per la quale il «codice sorgente» (source) di un programma per computer è lasciato alla disponibilità di eventuali sviluppatori, così che con la collaborazione, in genere libera e spontanea, il prodotto finale possa raggiungere una complessità maggiore di quanto potrebbe ottenere un singolo gruppo di programmazione. Con teologia open source Andrew Perriman, l’ideatore di questa espressione, intende dunque indicare un metodo teologico, 126
quello di una teologia «esplorativa, aperta nelle conclusioni, incompleta, meno preoccupata di stabilire punti fissi e confini che a nutrire un dialogo sollecito e costruttivo tra testo e contesto»61. Qual è il «codice sorgente» della teologia? È la Rivelazione, che dunque resta «aperta» alle forme più disparate di lettura, applicazione e presentazione. La open source theology non avverte la necessità di una «custodia», ed è tutta orientata alla «missione», cioè al confronto con l’uomo contemporaneo che vive una condizione di radicale indifferenza. Questo metodo teologico è molto ambiguo perché chiaramente cede al rischio di un appiattimento di ordine sociologico o vagamente umanistico, e a uno smarrimento o al fraintendimento del depositum fidei. Infatti, se il «codice sorgente» della teologia, la Rivelazione, non venisse solamente elaborato a livello di «interfaccia», cioè a livello di categorie di comprensione e comunicazione, ma anche modificato in se stesso, non saremmo più davanti a una teologia cristiana, ma solo a una vaga discussione su temi di generale significato teologico. A questa vaghezza si accompagna il rifiuto di ogni forma di carisma d’autorità e il disinteresse per la tradizione. D’altra parte, è giusto notare l’importanza che questo metodo di «teologia collaborativa», come viene anche definita, attribuisce alla riflessione teologica, intesa non come puro studio accademico, ma come attività comunitaria che si sviluppa dinamicamente in un preciso contesto storico. Un esempio dei temi, delle modalità e dello stile di discussione è il sito della open source theology dove appaiono argomenti classici quali la salvezza, l’antropologia teologica, l’escatologia, come oggetto di aperta e spregiudicata discussione in termini decisamente attuali62. Tuttavia notiamo che in questo sito la forma scelta per la discussione è quella del forum, non quella del wiki. La differenza è fondamentale: mentre nel forum ogni opinione resta registrata per quella che essa è nella sua originalità e individualità, nel wiki il prodotto (mai finito, ricordiamolo) è un testo unico, frutto di revisioni del medesimo scritto, messo a libera disposizione di tutti. Se è dunque in ogni caso un pesante fraintendimento parlare del wiki come significativa metafora di significato teologico, tuttavia restano da indagare le opportunità che questa forma di 127
pubblicazione collaborativa offre alla comunicazione ecclesiale e alla riflessione della teologia. Basti pensare, per fare un solo esempio, a possibili commentari biblici open source, siano essi di carattere scientifico, spirituale o pastorale. Un wiki, se custodito da un gruppo di esperti, potrebbe realizzare una sorta di grande commentario biblico aperto a scritture e riscritture. NOTE Cfr. L. Byrne, «God in cyberspace», in e Way XL (2000) n.3, 244-252. 2 Il web sia con voi è il titolo di una guida italiana, in realtà alquanto carente e superficiale nelle interpretazioni (I. Domanin - S. Porro, Il web sia con voi, Milano 2001). Ben fatto e utile invece G. Girardet, cristianesimo 1.0, Roma 2000. Esso viene aggiornato direttamente in Rete (http://www.editoririuniti.it/guidebook/cristianesimo). In inglese cfr., ad esempio, V. Blackmore (ed.), God on the Net. Guide to the best sites for study, inspiration and resources, London 1999. Ricordiamo anche C. Ceci, Religioni on line, Milano 2001, che segue l’approccio per fedi e confessioni. È presente qualche inesattezza di carattere teologico, e in qualche punto la selezione degli indirizzi, almeno per il mondo cristiano, appare discutibile. Tuttavia il volume è certamente ricco di segnalazioni (ben 500) collocate all’interno di ampie informazioni sulla storia delle religioni (cristianesimo, islam, ebraismo, buddismo, induismo, i nuovi culti d’Oriente e le correnti ispirate al New Age) e sulle loro strutture e tradizioni. Si tratta di un pregio che rende il libro gradevole anche alla semplice lettura. 3 Rispettivamente http://dir.yahoo.com/Society_and_Culture/Religion_and_Spirituality/ e http://www.profeta.it 4 Per ciò che riguarda le realtà cattoliche italiane in Rete esistono Siticattolici ed Effatà che le raccolgono in gran parte e che così ne rendono agevole il reperimento (http://www.siticattolici.it e http: //www.effata.org). È americano il sito http://www.catholic-pages.com Ma è da consultare per la sua ricchezza soprattutto il sito della Internet Christian Library, in particolare alla pagina http://www.iclnet.org/pub/ resources/christian-resources.html 5 Da menzionare «Radiografia virtuale della comunità ecclesiale in Italia», in http://www.siticattolici.it/convegnoassisi 6 http://www.vatican.va 1
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Per un censimento cfr. http://www.parrocchie.org. http://www.chiesacattolica.it Ricordiamo che, collegati a questo sito, ne esistono altri più specifici come http://www.giovani.org e http://www.gweb.it del giornale elettronico G dedicato ai giovani; l’agenzia SIR (http://www.agenziasir.it); il quotidiano Avvenire (http:/ /www.avvenire.it); e Beweb (http://www.chiesacattolica.it/beweb/), un ricchissimo sito che cataloga i beni ecclesiastici in Italia fornendo non solo immagini degli oggetti, ma anche note e varie modalità di ricerca all’interno della banca dati. 9 Cfr., ad esempio, L. A. Porter, Creating the Virtual Classroom. Distance Learning with the Internet, Wiley, New York, 1997. 10 Cfr. rispettivamente http//www.unicatt.it e l’elenco che si trova in http://www.teologia.it/facteo.html 11 http://www.urbe.it/ 12 Un esempio estremamente interessante è stato il sito Vidimusdominum dei giovani membri di ordini e congregazioni religiose (http: //www.vidimusdominum.org), il quale ha dato forma virtuale a una comunità che non aveva dimensione «reale» e visibile in quanto tale. Il sito ha sospeso le attività il 31 marzo 2005. 13 Cfr., ad esempio, http://www.intratext.com/bri 14 Il suo sito era http://members.aol.com/OMFSI 15 Cfr. l’interessante http://www.sacredspace.ie È tradotto in varie lingue, tra le quali anche l’italiano: http//www.spaziosacro.com 16 http://www.pretionline.it 17 http://www.skype.com/ 18 Cfr. il libro, segnalato anche dal sito uscatholic.org, del cattolico Tom Beaudoin dal titolo Virtual faith: e irreverant spiritual quest of generation X, San Francisco (CA) 1998. Alcuni anni fa un sondaggio realizzato da InnovaNet (cfr. M. Merlini, Pescatori di Anime. Nuovi Culti e Internet, Roma 1998) notava che quasi per il 50% dei naviganti in Rete la religiosità è qualcosa di «importante». 19 Cfr., ad esempio, http://www.shareintl.org/maitreya/Ma_ main.htm 20 Cfr. P. Sequeri, «Comunicazione, fede e cultura», in G. Giuliodori - G. Lorizio (edd.), Teologia e comunicazione, Cinisello Balsamo (MI), 2001, 11-28. 21 Cfr. http://www.beliefnet.com. 22 Cfr., ad esempio, P. Russell, Il risveglio della mente globale. Dalla società dell’informazione all’era della coscienza, Milano 2000. 23 In http://www.net-i.org/archive/msg00264.html Può essere utile 7 8
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leggere T. I. Quartiroli, «Lo spirito del computer», in B. Parrella (ed.), Gens electrica. Tendenze e futuro della comunicazione, Milano 1998, 171-188. Gens electrica è un’antologia di studi italiani (scritti ad hoc) e americani (inediti in Italia) sul tema della comunicazione nell’era digitale. Il globo in queste pagine viene inteso come «pianeta elettrico» e le categorie più usate per la sua comprensione sono «trasversalità e contaminazione, decentramento e nomadismo» (p. 1). La sostanza del discorso è che sempre più il mondo (quello sviluppato, si capisce) sta divenendo una rete, un network anche di tipo culturale, composto da attivisti e filosofi, artisti, scienziati e gente comune: tutta gens electrica, come recita il titolo. Questo scenario non può che sollevare domande mai poste prima. Eccone alcune: si riuscirà a non ricreare, nell’intreccio tra tecnologico, personale e politico, antiche dicotomie tra una élite al potere e la povertà di tutti gli altri? Che tipo di socialità prende corpo online? Quali le sfide della «cultura» della simulazione e del virtuale? Certo non si può negare da una parte l’emergere di una sorta di retorica della novità assoluta, che pone punti esclamativi ed esalta il novum in termini rivoluzionari, e dall’altra la realtà dei profondi cambiamenti che sono in corso e che si prospettano. Il volume si occupa di questioni scottanti, tutte affidate a specialisti: il tema del commercio in Rete (anche nel caso dei paesi meno sviluppati), il senso dell’interattività sociale e dell’identità personale, il rapporto tra tempo e lavoro, i linguaggi, il rapporto tra tecnologia e potere, la presenza femminile nel campo dell’informatica, i cambiamenti nel campo dell’educazione e della concezione della vita. Vengono toccate questioni delicate, oltre che complesse, come il senso della morale, della libertà, del concetto di persona, le quali forse vengono liquidate troppo sbrigativamente. Si ha l’impressione che il testo in definitiva sia importante più per gli scenari che delinea e i problemi che solleva, piuttosto che per le risposte che riesce a dare. Inoltre a volte le questioni sono poste essenzialmente in chiave statunitense e lontana da una sensibilità europea e nazionale e tuttavia il pregio del volume consiste proprio nel fatto di essere a due voci: quella italiana e quella americana, appunto. La lettura di Gens electrica è impegnativa e richiede una previa conoscenza degli elementi di base della comunicazione in Rete. Si tratta però di una occasione utile per una riflessione ampia sull’attuale magma tecno-culturale. 24 «Il web possiederebbe la natura del Buddha, poiché si presenta come un network che unisce indissolubilmente menti, corpi e spiriti. Le informazioni veicolate dalla Rete telematica farebbero scoccare l’illuminazione del globo attraverso il software in Rete del Tao Virtuale.
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[…] Secondo i culti ecologici tecno-spirituali, sta prendendo corpo una Gaia Elettrica: il cyberspazio, in quanto manifestazione collettiva delle menti umane, funzionerebbe come sistema nervoso per il Pianeta che diventa cosciente di sé attraverso gli individui messi in Rete»» (in http://www.grisroma.it/libri/libro_merlini.htm). Su tecnopagani e tecnognostici cfr. C. Formenti, Incantati dalla Rete. Immaginari, utopie e conflitti nell’epoca di Internet, Milano 2000, 59-107. 25 Esistono già varie organizzazioni che aiutane le persone manipolate o indottrinate, come l’«Aff Cult Group Information» (http: //www.csj.org). 26 È impossibile costruire una mappa dei siti dove il religioso è mercificato, banalizzato o vissuto in forma settaria o morbosa. Un elenco è reperibile in http://www.kassiber.de/cults.htm. Uno di questi siti che ha anche una pagina in italiano è, ad esempio, la chiesa di Subgenius (http://www.subgenius.com), che officia i suoi riti virtuali e ordina ministri del culto al prezzo di 30 dollari. Ben presente Scientology (per una lettura critica cfr http://xenu.com-it.net/txt/pesca.htm). Hanno finestre in Rete anche culti nordici di venerazione razziale, votati a pericolose «guerre sante» (il centro Wiesenthal ne ha contati oltre 2.000). Circa il satanismo esiste persino un motore di ricerca (Satansearch). Non si contano siti dedicati a religiosità pagane, celtiche e mediterranee, o all’evocazione di divinità dei tempi antichi o alla celebrazione di cicli della natura e riti affini (cfr. http://www.circlesanctuary.org). In Rete è possibile trovare anche gli antichi culti pagani e così preghiere a Giove, Atena, Marte,… Gli Hare Krishna (http://www.krsna.com) hanno fatto voto di aprire 108 pagine web, tante quanti sono i nomi di Dio. Esistono anche siti in cui sono organizzate sedute spiritiche virtuali. È utile una visita al Center for studies of new religions (http: //www.cesnur.org). 27 Chiesa in Rete. Internet: risorsa o pericolo, Assisi (PG) 2000, 25. 28 Cfr. http://www.daffo.f2s.com/guest/guest6.htm 29 Cfr. G. Simmonds, «Spiritual direction in cyberspace», in e Way, XL (2000) n.3, 263-271. Qualcuno ha ricordato l’ironica espressione allusiva e legata alla predicazione televisiva di «Chiesa catodica» (Cfr. G. Zizola, «Dai nuovi pulpiti on line il “cristianesimo elettronico” predica a tutto il mondo», in Telèma 6 [1996], in http://www.fub.it/ telema/TELEMA6/Zizola6.html e J.-P. Willaime, «Vers les chrétiens électroniques», in Lumière et Vie [1981] n.155, 56-69). Ricordiamo che alla fine di marzo 2001 l’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali della CEI ha organizzato un convegno di studio in collaborazio-
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ne con l’Università Lateranense dal titolo «Annunciare il Vangelo nella cultura dei media», dove largo spazio è stato dato alla Rete e alle nuove tecnologie ad essa connesse. È utile leggere Chiesa in Rete, cit. e la raccolta completa degli Atti: wwwchiesainrete. Nuove tecnologie e pastorale, Roma, Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali e Servizio informatico della CEI, [2000]. 30 Cfr. ad esempio, Computers artificial intelligence virtual reality. Proceedings of the ITEST Workshop, October 15-17, 2004, St Louis (MS) 2005. Segnaliamo in particolare i contributi: C. M. Streeter, «Technology and human becoming: the virtual and the virtuous», ivi, 82-93 e M. T, Prokes, «Real or virtual: eologically does it matter?», ivi, 94-112. Più in generale cfr C. Giuliodori - G. Lorizio (edd.), Teologia e comunicazione, Cinisello B. (MI) 2001. Un teologo che da molti è considerato una sorta di profeta della Rete è Pierre Teilhard de Chardin. Cfr. D. de Kerckhove, La pelle della cultura, Genova 1996; C. Formenti, Incantati dalla Rete, cit., 59-71. Per informazioni in Rete cfr. R. Righetto, «Giù le mani da Teilhard», in http://www.swif.uniba.it/ lei/rassegna/000418.htm e J. Hayes-Bohanan, «Toward a eology of the Web: Pierre Teilhard de Chardin and Cyberconsciousness», in http://topcat.bridgew.edu/~jhayesboh/teilhard.htm 31 Per avere un’idea approssimativa del fenomeno si possono consultare i seguenti elenchi: http://www.blogsearchengine.com/religious_ blogs.html, per i blog religiosi; http://www.blogs4god.com, per i blog cristiani e http:// www.praiseofglory.com/blogs.htm, per i blog cattolici. 32 Cfr. http://theoblogy.blogspot.com e http://theoblogical.org 33 Ricerca fatta a fine dicembre 2004. 34 http://www.christianitytoday.com/ct/2004/001/27.69.html 35 Come quello aperto dal Seabury-Western ological Seminary di Evanston, Illinois (http://www.seabury.edu/faculty/akma/ seminarblog.html). 36 Ad esempio http://www.brianorme.com 37 http://www.montag.it/blog/archive/000809.html 38 Ad esempio: http://pescevivo.splinder.com, http://villaggiovirtu ale.splinder.com 39 Ad esempio: http://guanelliani.splinder.com, http://vicariatonew s.splinder.com, http://borgodonbosco.blog.excite.it 40 Cfr. T. Ralli, «Missed Church? Download It to Your IPod», in e New York Times, 29 agosto 2005. 41 Il termine godcasting è presente anche in Wikipedia: http://
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en.wikipedia.org/wiki/godcasting 42 http://catholicinsider.com Si può ascoltare la storia dell’idea di dar vita a Catholic Insider qui: http://www.catholicinsider.com/ podcasts/ci20050318.mp3 43 Ricaviamo il dato numerico da R. Mastrolonardo, «La religione scopre il podcasting», in Corriere della Sera, 8 agosto 2005. 44 http://www.catholicinsider.com/media/20050819_cnn.wmv 45 http://www.podcastawards.com 46 Segnaliamo anche RevTim del pastore protestante californiano Tim Hohm che pubblica due podcast alla settimana ascoltati da una media di 6.000 persone (http://podcast.revtim.com). 47 http://www.therc.org e http://www.radiogmg.it 48 Per avere un’idea del fenomeno si può consultare l’elenco presente in http://www.podcastalley.com/search.php?searchterm=worship 49 http://feeds.feedburner.com/praystationportable 50 Due esempi: feed://feeds.feedburner.com/VerbumDomini e http: //feeds.feedburner.com/BibleInAYear 51 Cfr http://www.godcast.org http://www.christiantuner.com/programs/podcasting.aspx http://quikonnex.com/channel/item/14454; http://www.christianpodcasting.com; http://gmpodcasting.net 52 http://www.discipleswithmicrophones.org 53 f e e d : / / w w w. r e l e v a n t m a g a z i n e . c o m / b e t a / p o d c a s t s / relevantmagazine.xml 54 Cfr. http://www.apple.com/itunes/mobile 55 Tra le reazioni al nostro articolo sul podcasting («“Podcasting”. Un nuovo spazio religioso?», in La Civiltà Cattolica 2005 IV 265-274) segnaliamo B. Bartoloni, «Omelie scaricate sull’iPod. “Così si diffonde il Vangelo”», in Corriere della sera, 8 novembre 2005. Per Gli Stati Uniti cfr. http://www.catholicnews.com/data/stories/cns/0506364.htm 56 http://theopedia.com/ 57 http://www.urbanmonastery.com 58 Non è facile definire il fenomeno della emerging ecclesiology a cui corrisponde una emerging church. Queste espressioni fanno riferimento a un movimento complesso e fluido, emergente in area evangelico-carismatica, che intende reimpiantare la fede cristiana nel nuovo contesto post-cristiano. Esso va al di là delle singole confessioni cristiane e si caratterizza per il rifiuto delle strutture ecclesiali cosiddette «solide». Molta enfasi è invece posta sui paradigmi relazionali, su tutte le espressioni «liquide» della comunità (si parla anche di Liquid Church,
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parafrasando un’espressione di Zygmunt Bauman), su approcci inediti e fortemente creativi alla spiritualità e al culto. Per una bibliografia cartacea ed elettronica sul fenomeno si può consultare la voce Emerging Church sulla Wikipedia in lingua inglese. 59 In http://www.radicalcongruency.com/ 60 Cfr. S. Turkle, La vita sullo schermo. Nuove identità e relazioni sociali nell’epoca di Internet, Milano 1997, XXI. 61 http://www.emergingchurch.info/reflection/andrewperriman/ Il sito aperto da Perriman è http://www.opensourcetheology.net/ 62 http://www.opensourcetheology.net/forum
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CAPITOLO 8 LA CHIESA E INTERNET
Internet rappresenta per la Chiesa una sfida o una risorsa? Offre maggiori opportunità o pericoli? La pastorale, anche in Italia, si è mossa a vari livelli verso una presenza in Rete nella varie forme che essa prevede, fedele all’ispirazione universale del messaggio di Cristo. Tuttavia la Rete, proprio grazie alla sua natura, pone anche domande che riguardano il modo con cui può essere compresa la Chiesa stessa. Se essa non potrà mai essere intesa unicamente come una «comunità virtuale» né essere «ridotta» a una rete autoreferenziale, tuttavia è chiamata a una riflessione impegnativa su quella che è stata definita una «nuova frontiera» della sua missione.
Abbiamo parlato fin qui del religioso, del sacro e della teologia. E la Chiesa in quanto tale? Internet si basa su una logica delle «connessioni» (link e network) e dunque dà forma a una sorta di «comunità», tanto che da sempre i gruppi che si creano al suo interno si chiamano «comunità virtuali». Questa realtà relazionale, interattiva e multimediale, pone domande e interrogativi seri. Del resto, la Chiesa ha nell’annuncio di un messaggio e nelle relazioni di comunione due pilastri fondanti del suo essere. Come non vedere nelle nuove possibilità di comunicazione un elemento in più per dare espressione all’universalità che caratterizza la missione della Chiesa? Giovanni Paolo II nell’Enciclica Redemptoris missio aveva affermato al riguardo che «Il primo areopago del tempo moderno è il mondo delle comunicazioni, che sta unificando l’umanità rendendola – come si suol dire – “un villaggio globale”» (n. 37). Semplificando, gli interrogativi principali posti alle comunità ecclesiali di oggi sono di due tipi: il primo riguarda 135
le nuove tecnologie e la pastorale; il secondo riguarda la comprensione della stessa Chiesa come una «rete»; il terzo riguarda le questioni etiche.
Nuove tecnologie e pastorale Giovanni Paolo II per la XXXVI Giornata mondiale delle comunicazioni sociali del 2002 scelse il tema: «Internet: un nuovo forum per proclamare il Vangelo». In occasione di quella giornata, preparò un messaggio che si apre ricordando la missione evangelizzatrice della Chiesa dalla Pentecoste ai nostri giorni, in obbedienza al mandato di Cristo di annunciare il Vangelo a tutte le nazioni. Questo messaggio quindi pone direttamente in relazione internet con l’evangelizzazione: «Per la Chiesa il nuovo mondo del ciberspazio esorta alla grande avventura di utilizzare il suo potenziale per annunciare il messaggio evangelico. Questa sfida è l’essenza del significato che, all’inizio del millennio, rivestono la sequela di Cristo e il suo mandato “prendi il largo”: Duc in altum! (Lc 5, 4)». I toni usati in questo messaggio sono ispirati al «senso di avventura che ha caratterizzato altri grandi periodi di cambiamento», al «realismo» e alla «fiducia» fino all’esortazione, rivolta a tutta la Chiesa, a «varcare coraggiosamente questa nuova soglia, per “prendere il largo” nella Rete». Il Pontefice non trascura i rischi: il pericolo che l’esperienza virtuale sostituisca «l’esperienza profonda di Dio che solo la vita liturgica e sacramentale della Chiesa può offrire»; la tentazione che in una cultura che si nutre dell’effimero si possa «facilmente correre il rischio di credere che siano i fatti a contare piuttosto che i valori»; il pericolo che predomini un modo di pensare relativistico che sottragga «lo stimolo a un pensiero e a una riflessione più profondi»; l’eventualità che internet aggravi di fatto le ineguaglianze tra ricchi e poveri «poiché il divario dell’informazione e delle comunicazioni si fa più profondo». Alla luce di questi rischi la domanda del Pontefice è: «In tale contesto, in che modo dobbiamo coltivare quella saggezza che non deriva dall’informazione, ma dall’intuizione, quella saggez136
za che comprende la differenza fra giusto ed errato e sostiene la scala di valori che deriva da tale differenza?». E ancora: può internet «promuovere quella cultura di dialogo, di partecipazione, di solidarietà e di riconciliazione senza la quale la pace non può fiorire?». La risposta di Giovanni Paolo II è criticamente positiva e afferma che la Chiesa «è determinata a entrare in questo nuovo “forum”, armata del Vangelo di Cristo, il Principe della Pace». Facendo seguito al Messaggio del Papa, che è del 24 gennaio, il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, il successivo 22 febbraio, pubblicò due significativi documenti: La Chiesa e Internet ed Etica in Internet. I due testi sono autonomi, ma complementari e a volte si richiamano reciprocamente. La Chiesa e Internet, sin dalle prime battute, conferma l’interesse che la Chiesa ha sempre riservato ai mezzi di comunicazione sociale. Essi infatti, se ben usati, si rivelano un dono di Dio e concorrono al progresso del Regno e allo sviluppo umano, della giustizia e della pace (cfr. n. 3). La riflessione di questo documento si concentra quindi sulle «implicazioni che Internet ha per la religione e in particolare per la Chiesa Cattolica» (n. 2). La convinzione di fondo è in consonanza col messaggio del Papa prima citato: internet ha a che fare strettamente con l’evangelizzazione, non solo perché è uno strumento di comunicazione, ma perché oggi è necessario integrare il messaggio del Vangelo in questa «nuova cultura» creata dalla comunicazione. La pastorale, quindi, deve confrontarsi con la Rete, non solo come mero «strumento» di evangelizzazione, ma innanzitutto in quanto «ambiente» educativo e culturale, che determina uno stile di pensiero e crea nuovi territori e nuove forme di educazione, contribuendo a definire anche un modo nuovo di stimolare le intelligenze e di costruire la conoscenza e le relazioni. L’uomo infatti non resta immutato dal modo con cui manipola il mondo: a trasformarsi non sono soltanto i mezzi di comunicazione, ma l’uomo stesso e la sua cultura (cfr. Redemptoris missio, n. 37). La Chiesa dunque, per attuare sino in fondo la sua missione, ha bisogno di «comprendere Internet» (n. 5) e di promuovere un’educazione adeguata, soprattutto dei più giovani (cfr. n. 7). Il documento quindi si sofferma sulle opportunità che inter137
net offre alla Chiesa. Esse si concentrano sostanzialmente nella capacità di intensificare e potenziare le relazioni, il dialogo e anche la comunione. Internet abbatte distanze spazio-temporali prima valicabili con difficoltà o a costi proibitivi. Si tratta di un’opportunità per la comunicazione tra la Chiesa e il mondo, ma certamente costituisce un incentivo anche per le relazioni interne alla Chiesa. Il documento enumera, esemplificando: «l’evangelizzazione, la ri-evangelizzazione, la nuova evangelizzazione e la tradizionale opera missionaria ad gentes, la catechesi e altri tipi di educazione, notizie e informazioni, l’apologetica, governo, amministrazione e alcune forme di direzione spirituale e pastorale» (n. 5). Infatti la Chiesa, proprio in quanto «corpo vivo», come afferma la Communio et progressio (n. 116), «ha bisogno dell’opinione pubblica» e «vastissima è la zona di ricerca nella quale può attuarsi questo dialogo interno» (ivi, n. 117). In tal modo essa «può ascoltare più chiaramente la voce dell’opinione pubblica ed entrare in continuo dibattito con il mondo circostante» (n. 10). «La peculiarità della comunicazione in Rete è infatti, sottolinea il documento, «l’interattività bidirezionale», che «sta già facendo svanire la vecchia distinzione tra chi comunica e chi riceve la comunicazione». In effetti è proprio questo lo specifico della comunicazione via internet. Illustrate le opportunità, il documento quindi si sofferma su alcuni problemi particolari posti da internet alla Chiesa. In merito ad essi intende essere molto chiaro: sono legati sostanzialmente a un certo relativismo di cui la cultura dei mezzi di comunicazione sociale rischia di essere imbevuta. A proposito dei siti che si definiscono «cattolici» si nota, in particolare, che può insorgere confusione dalla non distinzione tra le posizioni autentiche della Chiesa e le «interpretazioni dottrinali eccentriche, pratiche devozionali stravaganti e proclami ideologici che recano l’etichetta “cattolico”» (n. 9). Il pericolo è che la Rete sia intesa come una sorta di supermarket che distribuisce prodotti religiosi. Un’altra sfida di internet che, secondo il documento vaticano, richiede studio e riflessione riguarda la Rete intesa come incubatrice di nuove forme di religiosità, le quali la considerano come uno «spazio sacro». Lo abbiamo già messo in luce: sta emergendo 138
infatti una «spiritualità» che fa riferimento alla Rete e che ha i tratti dell’esperienza multimediale e ipertestuale. Si tratta della spiritualità delle cosiddette «cybereligioni» o «religioni di rete». Legata a questa deriva ne esiste un’altra, ancora più insidiosa, forse: considerare la realtà virtuale come capace di sostituire l’esperienza reale, tangibile e concreta della comunità cristiana visibile e storica o anche i sacramenti. Il documento è chiaro: «La realtà virtuale non può sostituire la reale presenza di Cristo nell’Eucaristia, la realtà sacramentale degli altri sacramenti e il culto partecipato in seno a una comunità umana in carne e ossa. Su Internet non ci sono sacramenti. Anche le esperienze religiose che vi sono possibili per grazia di Dio sono insufficienti se separate dall’interazione del mondo reale con altri fedeli» (n. 9). La Chiesa infatti non è mai e in nessun caso «prodotto» della comunicazione. La fede inoltre non è fatta soltanto di informazioni, né è luogo di mera «trasmissione», cioè non è una pura «emittente». Essa è luogo di «comunicazione» e «testimonianza» vissuta del messaggio che si «annuncia». Il rapporto diretto, che si crea in Rete, tra centro e qualsiasi punto della periferia rischia di formare un’abitudine all’inutilità della mediazione incarnata in un certo momento e in un certo luogo e, dunque, anche alla testimonianza e alla comunicazione autorevole.
La necessità di un impegno Alla luce di opportunità e sfide, il documento invita gli educatori e i catechisti affinché si impegnino attivamente su questa nuova frontiera della comunicazione. Anzi si afferma con decisione che «i responsabili ecclesiali sono obbligati a utilizzare le potenzialità» (n. 11, corsivo nostro) della Rete, oltre che a gestirne le dimensioni problematiche. La comprensione dei mezzi di comunicazione infatti va applicata all’elaborazione dei piani pastorali in modo da prevedere «politiche e programmi concreti in questo settore», anche nel campo della formazione. In questo senso forum di discussione e laboratori creativi, accanto ai corsi specifici e alla formazione accademica, sono luoghi essenziali nei quali occorre far convergere risorse umane e professionali. 139
È da notare che, in particolare, i responsabili ecclesiali sono chiamati a impiegare questa tecnologia «per molti aspetti diversi della missione ecclesiale, esplorando anche opportunità di cooperazione ecumenica e interreligiosa». In effetti, se la Rete è luogo di dialogo, essa certamente può aprire spazi, prima inesistenti, anche al dialogo interreligioso e teologico. La Rete in effetti realizza una mutazione nel modo di vivere le istanze di comunicazione e di comunione. Pensiamo, ad esempio, alla comunicazione costante tra persone che lavorano a una stessa idea e che però abitano in varie parti del mondo e non si conoscono personalmente. Esse realizzano tra loro, se entrano in relazione forte, una sorta di «coscienza comune». Tutto questo certamente ha ricadute anche in ambito teologico, tanto più se la comunicazione avviene tra persone che per cultura e formazione usano metafore, immagini e linguaggi differenti per dire Dio e la fede. Ai genitori il documento lancia l’invito non solo ad assumersi la responsabilità del controllo dell’uso che di internet fanno i loro figli, ma anche a farli diventare utenti «responsabili e capaci di discernimento» (n. 11). Raccomandazioni alla prudenza, anche a costo di andare controcorrente, e insieme all’uso di internet per arricchire la loro vita, sono rivolte direttamente ai giovani e ai bambini. In ben cinque passaggi si insiste sulla necessità di essere «creativi», al di là di ogni timore ed esitazione. Qui creatività significa innanzitutto spinta a una presenza in Rete cosciente e attiva, forte e coraggiosa, oltre che prudente e temperante (cfr. n. 12) e non meramente passiva o legata all’uso comune o alla mera fruizione. Appare dunque «importante anche che le persone, a tutti i livelli ecclesiali, utilizzino Internet in modo creativo per adempiere alle proprie responsabilità e per svolgere la propria azione di Chiesa. Tirarsi indietro timidamente per paura della tecnologia o per qualche altro motivo non è accettabile, soprattutto in considerazione delle numerose possibilità positive che Internet offre» (n. 10). L’informatica, certo, è già entrata in vario modo all’interno della gestione della vita ecclesiale1. Ma le nuove tecnologie informatiche e telematiche sono entrate anche nel grande campo della 140
pastorale e dello studio sulle nuove possibilità per il ministero. Molti pastori e formatori «usano» la Rete per creare occasione di incontro e di annuncio o, semplicemente, per dare pubblicità a iniziative ed eventi: «Infatti, il diffuso “ambiente telematico” unisce i popoli grazie alla crescita dell’integrazione sociale, mette in circolo il pensiero e le culture, fa cadere le barriere dei particolarismi […]. Alla Chiesa offre grandi possibilità, non solo per la diffusione dei valori evangelici, ma come ambiente “spirituale” d’integrazione: può favorire l’incontro tra Chiesa e popoli, nonché la stessa comunione ecclesiale […]»2. La pastorale deve confrontarsi con la Rete, non solo come mero «strumento» di evangelizzazione, ma innanzitutto come fatto, anzi come «ambiente» culturale e educativo, che determina uno stile di pensiero e crea nuovi territori e nuove forme di educazione, contribuendo a definire anche un modo nuovo di stimolare le intelligenze e di costruire la conoscenza e le relazioni. L’uomo infatti non resta immutato dal modo con cui manipola il mondo: a trasformarsi non sono solo i mezzi di comunicazione, ma l’uomo stesso e la sua cultura. L’impegno nei mass media così «non ha solo lo scopo di moltiplicare l’annunzio: si tratta di un fatto più profondo, perché l’evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in gran parte dal loro influsso. Non basta, quindi, usarli per diffondere il messaggio cristiano e il magistero della chiesa, ma occorre integrare il messaggio stesso in questa “nuova cultura” creata dalla comunicazione moderna. È un problema complesso, poiché questa cultura nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici» (Redemptoris missio, n. 37). Novità e trasformazione non sono da intendersi sempre e soltanto in termini positivi, ovviamente. La pastorale deve infatti confrontarsi non solo con la Rete in quanto tale, ma anche con le nuove «identità di rete» e con le «vite sullo schermo». La Rete infatti, lo abbiamo già messo in luce, connette persone, ma ciascuno in essa può costruire una propria identità fittizia, simulata, e intendere la relazione come un (video)gioco. I rapporti possono essere fragili, effimeri. Non devono essere, questi, motivo di 141
scoraggiamento o di abbandono del «fronte». Tutt’altro. Occorre però imparare a confrontarsi in modo appropriato sia con realtà reali e vitali che si aprono alla Rete, sia con comunità che nascono e vivono esclusivamente in modo virtuale. Queste novità dunque comportano risorse e pericoli. Le prime sono sostanzialmente legate alla visibilità, allo sviluppo delle relazioni e delle possibilità di apprendere. I rischi invece sono connessi innanzitutto alla fragilità di identità e relazioni. È da considerare, inoltre, che la Chiesa «di rete» in sé e per sé è una comunità priva di qualunque riferimento territoriale e di concreto riferimento di vita. Non è una comunità locale o omogenea di quartiere o di villaggio, ma emerge, come un fungo, potremmo dire, dal «villaggio globale». Ciò ha alcuni risvolti positivi perché rende possibili aggregazioni spontanee per sensibilità e comunanze elettive. Tuttavia in tal modo rischia di annullare il confronto, anche difficile, con le differenze (di età, di cultura, di mestiere, di idee, di sensibilità, …). Potrebbe così, ad esempio, dare alla pastorale un impulso eccessivo alla segmentazione, diciamo così, «di mercato»: (pastorale giovanile, della famiglia, della terza età, dei malati, …). Non ultimo rischio, infine, è che il modo di apprendere rischia di divenire frutto più di un assemblaggio di materiali eterogenei, acquisiti a zapping telematico, che di esperienza e di sapienza legata al vissuto, all’insegnamento personalizzato e allo studio paziente. A questo livello è bene precisare che, in un contesto in cui per «conoscere» basta «avere» informazione (o l’«accesso facile» ad essa), elemento di disturbo e di riflessione è il fatto di non concedere sempre il messaggio evangelico «a portata di mano»: «L’Evangelo ci chiarisce anche il paradosso di una comunicazione della fede che suscita il fraintendimento e la resistenza dell’incredulità e chiede pertanto di essere dialetticamente percorsa dal gioco accorto della spontaneità e della reticenza, della trasparenza e della simulazione, dell’azzardo della esposizione pubblica e della custodia dell’intimità altrimenti inaccessibile»3.
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La Rete «modello» di Chiesa? Il secondo interrogativo posto alla Chiesa di oggi riguarda la comprensione che la Chiesa ha di sè. La Rete pone domande che riguardano la mentalità e il modello con cui può essere compresa la Chiesa nel suo essere «comunità» e nel suo sviluppo. La Lumen gentium al n. 6, parlando dell’intima natura della Chiesa, afferma che essa si fa conoscere attraverso «immagini varie». Nel passato, oltre a quelle bibliche, sono state usate anche immagini di altro genere per «significare» la Chiesa; ad esempio, le metafore navali e di navigazione4. Alcune immagini infatti possono anche essere «modelli» ecclesiologici e per «modello» si intende un’immagine impiegata in modo riflesso e critico per approfondire la comprensione della realtà5. La domanda a questo punto è se oggi non si ponga la necessità di confrontarsi seriamente con la figura della «Rete» e con ciò che da essa deriva a livello di comprensione ecclesiologica. È possibile pensare a internet come a una metafora per comprendere la Chiesa, naturalmente senza credere che essa possa esser esaustiva? Certamente la relazionalità della Rete funziona se i collegamenti (link) sono sempre attivi: qualora un nodo o un collegamento fosse interrotto, l’informazione non passerebbe e la relazione sarebbe impossibile. La reticolarità della vite nei cui tralci scorre una medesima linfa non è distante dall’immagine di internet, tutto sommato. Da ciò si intende che la Rete è immagine della Chiesa nella misura in cui la si intende come un corpo vitale se tutte le relazioni al suo interno sono attive. Poi l’universalità della Chiesa e la missione dell’annuncio «a tutte le genti» rafforzano la percezione che la Rete possa essere un modello di qualche valore ecclesiologico. Tuttavia restano aperti alcuni interrogativi. Il primo si fonda sul fatto che la Rete può essere compresa come una sorta di grande testo autoreferenziale e dunque puramente «orizzontale»: essa non ha radici né rami e dunque rappresenta un modello di struttura chiusa in se stessa6. La Chiesa invece non è una rete di relazioni immanenti, ma ha sempre un principio e un fondamento «esterno». Se le relazioni in Rete dipendono dalla presenza e 143
dall’efficace funzionamento degli strumenti di comunicazione, la comunione ecclesiale è radicalmente un «dono» dello Spirito. L’agire comunicativo della Chiesa ha in questo dono il suo fondamento e la sua origine. D’altra parte però possono risultare illuminanti le parole di K. Rahner, quando egli afferma che ogni realizzazione, anche germinale, della socialità umana è una attuazione, seppure ampia e diffusa, della Chiesa. Infatti «l’uomo non è l’essere dell’intercomunicazione solo in maniera marginale, bensì questa sua qualità condetermina in lungo e in largo tutta la sua esistenza». Posto ciò, «se la salvezza riguarda tutto l’uomo, lo pone in rapporto con Dio nella sua totalità e in tutte le dimensioni della sua esistenza», allora «con ciò è già detto che questa interumanità caratterizza anche la religione del cristianesimo», che va concepita come una «religione ecclesiale»7. Il secondo problema che pone un modello «reticolare» di Chiesa è più concreto ed è osservabile nelle cosiddette «chiese elettroniche», quelle già generate dai telepredicatori, che producono una pratica religiosa individuale, la quale conferma l’esasperata privatizzazione degli scopi della vita e l’individualismo estremo della società dei consumi capitalistica («ciascuno per sé e Dio per tutti»). Non è dovuto al caso il successo dei siti di spiritualità diffusa, svincolata da qualunque forma di mediazione storica, comunitaria e sacramentale (tradizione, testimonianza, celebrazione, (…), tendente a includere tutti i valori religiosi unicamente nella coscienza individuale e spesso di ispirazione new age. Queste tensioni ovviamente hanno una ricaduta sul significato dell’«appartenenza» ecclesiale. Essa sarebbe frutto di un «consenso» e dunque «prodotto» della comunicazione. In questo contesto i passi dell’iniziazione cristiana rischiano di risolversi in una sorta di «procedura di accesso» (login) all’informazione, forse anche sulla base di un «contratto», che permette anche una rapida disconnessione (logoff). Il radicamento in una comunità si risolverebbe in una sorta di «installazione» (install) di un programma (software) in una macchina (hardware), che si può dunque facilmente anche «disinstallare» (uninstall). Infine la partecipazione virtuale rischierebbe di risolversi in qualcosa di simile alla partecipazione a uno spettacolo. 144
Non estraneo a questa direzione è il terzo problema e cioè la possibilità di entrare in collegamento col centro delle informazioni, saltando ogni forma di mediazione visibile. In sé ciò è un fatto positivo, perché permette di attingere dati, notizie, commenti alla fonte, saltando ogni forma di passaggio intermedio e il tutto in tempo reale (pensiamo ai documenti ufficiali della Santa Sede, ad esempio). D’altra parte la fede non è fatta soltanto di informazioni, né la Chiesa è luogo di mera «trasmissione», cioè non è una pura «emittente». Essa è luogo di «comunicazione» e «testimonianza» vissuta del messaggio che si «annuncia». Il rapporto diretto, che si crea in Rete, tra il centro e qualsiasi punto della periferia forma un’abitudine all’inutilità della mediazione incarnata in un certo momento e in un certo luogo, e dunque anche alla testimonianza e alla comunicazione autorevole. Qualcuno, per fare un esempio, potrebbe chiedersi: perché devo leggere la lettera del parroco se posso realizzare la mia formazione attingendo materiali direttamente dal sito della Santa Sede? Molti, del resto già, grazie alla televisione, ben conoscono il volto del Santo Padre, ma non riconoscerebbero il vescovo della propria diocesi. Si potrebbe osservare, infine, che in epoca di globalizzazione il mondo appare diviso anche a livello di tecnologie di comunicazione e quindi la Rete rischia di segnare un’altra linea di confine tra il mondo industrializzato e i Paesi in via di sviluppo, anche all’interno del mondo ecclesiale. Sappiamo che la sola città di New York ha più postazioni di Rete di quante ne abbia l’intero continente africano. Il mondo religioso telematico dunque sarebbe esclusivamente per ricchi. Anche le culture deboli corrono il rischio di essere fagocitate dalle più forti, fino a giungere a una omologazione. Tuttavia mentre i Paesi ricchi hanno già altre possibilità di comunicare e dare/ricevere informazioni, i Paesi poveri possono avere, grazie a internet, la possibilità di avere contatti di scambio con l’esterno prima impossibili, specialmente in quei Paesi dove l’informazione circola con difficoltà o è sottoposta a censura.
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Etica in Internet: persona e solidarietà come criteri ultimi La Chiesa ha posto grande attenzione ai problemi etici presenti nello sviluppo della Rete. Essi sono stati illustrati e affrontati nel documento Etica in Internet pubblicato nel 2002 dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Questo testo prende l’avvio da una immagine suggestiva: «La terra come un globo ronzante di trasmissioni elettroniche, un pianeta blaterante, annidato nel silenzio dello spazio» (n. 1). E subito dopo pone una domanda forte: «In conseguenza di ciò, le persone sono più felici e migliori?». Il testo tiene presente questa domanda, esponendo «il punto di vista cattolico di Internet quale punto di partenza per la partecipazione della Chiesa nel dialogo con altri settori della società, specialmente con altri gruppi religiosi, riguardo all’evoluzione e all’utilizzo di questo meraviglioso strumento tecnologico» (n. 2). Il primo principio per la valutazione etica della Rete è certamente la persona umana intesa come fine e misura del suo uso. La comunicazione infatti è sempre a beneficio dello sviluppo pieno e integrale delle persone (cfr. n. 3). La Chiesa, nella valutazione etica, può offrire come contributo «il suo impegno a favore della dignità della persona umana e la sua lunga tradizione di saggezza morale» (n. 2). Intrinsecamente legato a questo criterio appare quello della solidarietà che, in un contesto di globalizzazione, il documento definisce come «bene comune internazionale». Infatti «il bene degli individui dipende dal bene comune delle loro comunità» (n. 3). Internet, proprio perché è una ragnatela a estensione mondiale (World Wide Web), «può contribuire a far sì che questa idea diventi realtà per le persone, i gruppi, le nazioni e per tutta la razza umana» (n. 5), all’interno di una «spiritualità di comunione». Questo criterio è più volte ribadito nel documento e posto come conclusione: «La virtù della solidarietà è la misura del servizio che Internet presta al bene comune» (n. 15). Nel presentare la realtà della Rete, il documento formula una sorta di grande sintesi estremamente efficace: «Internet possiede caratteristiche eccezionali. È infatti caratterizzato da istantaneità e immediatezza, è presente in tutto il mondo, decentrato, interattivo, indefinitamente espandibile per quanto riguarda i contenuti, 146
flessibile, molto adattabile. È egualitario, nel senso che chiunque, con gli strumenti necessari e una modesta abilità tecnica, può essere attivamente presente nel ciberspazio, trasmettere al mondo il proprio messaggio e richiedere ascolto. Permette l’anonimato, il gioco di ruoli e il perdersi in fantasticherie nell’ambito di una comunità. Secondo i gusti dei singoli utenti, si presta in ugual misura a una partecipazione attiva e a un assorbimento passivo in un mondo “di stimoli narcisistico e autoreferenziale”. Può essere utilizzato per rompere l’isolamento degli individui e dei gruppi oppure per intensificarlo» (n. 7). Si comprende allora come la Rete possa essere valutata in modi antitetici. La prima considerazione al riguardo è di tipo ideologico, circa la «visione idealistica del libero scambio di informazioni e di idee» (n. 8). Se lo scambio in sé è positivo, d’altra parte esso si è spesso dimostrato congeniale «a un pensiero che si opponeva in via di principio a qualsiasi cosa sapesse di legittima regolamentazione della responsabilità pubblica». Così, a proposito di internet, si è delineato storicamente un «individualismo esagerato», quello di un libertarismo radicale per cui in Rete si ha la «totale libertà individuale di fare ciò che si vuole». Una conseguenza di questa deriva è l’aumento dell’alienazione e dell’egocentrismo (cfr. n. 9). Il documento così si oppone esplicitamente al modello neoliberista e libertario, che esso abbia una connotazione esplicitamente commerciale o meno. La direzione indicata è invece sensibile alla valutazione del tipo e del valore della comunicazione, più che della stessa libertà di comunicare. L’errore starebbe nell’esaltare la libertà al punto da farne un assoluto: «Questo modo di pensare non lascia alcuno spazio alla comunità autentica, al bene comune e alla solidarietà» (n. 14). Una conseguenza, ma certo non l’unica, è la necessità di «leggi giuste che si oppongano a espressioni di odio, alla diffamazione, alla frode, alla pornografia infantile e non e ad altri illeciti» (n. 16). Altro motivo di preoccupazione è la discriminazione tra ricchi e poveri. In epoca di globalizzazione il mondo appare diviso anche a livello di tecnologie di comunicazione, e quindi la Rete rischia di segnare un’altra linea di confine tra il mondo industrializzato e i Paesi in via di sviluppo, perfino all’interno del mondo 147
ecclesiale. Il 93,3% degli utenti internet fa parte del 20% della popolazione più ricca del pianeta. Il mondo telematico dunque sarebbe esclusivamente per ricchi. Invece la Chiesa desidera una globalizzazione al servizio di tutta la persona umana e di tutte le persone. È necessario dunque che esso non diventi un’ulteriore fonte di disuguaglianza e di discriminazione. In questo le istituzioni pubbliche hanno una responsabilità particolare (cfr. n. 10). Un’applicazione concreta a beneficio dei più poveri consiste, ad esempio, nel fatto che i Paesi poveri possano avere, grazie a internet, la possibilità di realizzare scambi con l’esterno prima impossibili, specialmente lì dove l’informazione circola con difficoltà o è sottoposta a censura. Grazie a internet, ad esempio, è stato possibile organizzare una rete capillare di missionari in grado di costituire in poco tempo una fonte di informazione, la MISNA (Missionary Service News Agency), che è punto di riferimento per molta stampa e televisione internazionale. Internet può inoltre superare i limiti imposti da regimi autoritari che non permettono la libera espressione del pensiero. Il documento così definisce «deplorevoli» i tentativi autoritari di bloccare l’accesso all’informazione in Rete (cfr. n. 12). Altro rischio posto in evidenza da Etica in Internet è che, se è vero che oggi le culture possono dialogare con maggiore facilità, proprio grazie all’incremento della comunicazione, d’altra parte è anche vero che le culture deboli corrono il rischio di essere fagocitate dalle più forti, fino all’omologazione: «I sistemi culturali hanno molto da imparare l’uno dall’altro e imporre a una cultura la visione del mondo, i valori e perfino la lingua propri di un’altra non è dialogo. È imperialismo culturale» (n. 11). E il problema è che la cultura dominante oggi trasmette messaggi carichi di valori propri della cultura secolaristica occidentale a persone e società che in molti casi non sono in grado di valutarli e di confrontarli. Ma c’è un passaggio ulteriore e drammatico: in Rete rischia di passare sostanzialmente l’informazione di chi sa imporsi e dominare il mercato. Afferma il documento: «Siamo preoccupati anche per il fatto che gli utenti di Internet utilizzano la tecnologia che permette di creare notizie su comando, semplicemente 148
per fabbricare barriere elettroniche contro idee poco familiari. Ciò non sarebbe salutare in un mondo pluralistico nel quale è necessaria una crescente comprensione reciproca fra le persone». La domanda è quella già posta in precedenza all’interno del documento Etica nelle comunicazioni sociali: «Il pubblico del futuro sarà costituito da una moltitudine di persone che ascoltano uno solo?» (n. 13). La maniera migliore per affrontare la presenza in Rete in modo eticamente consapevole consiste dunque nella formazione, nell’essere pronti a riconoscere e affrontare le sfide poste dalla comunicazione. La censura è uno strumento su cui non bisogna confidare troppo (cfr. n. 16). Soltanto l’educazione e l’autoregolamentazione, infatti, possono garantire una presenza responsabile che sappia discernere opportunità e pericoli. *** Internet rappresenta per la Chiesa un ambiente che comporta, come molte realtà umane, rischi e opportunità, pericoli e risorse. La pastorale, anche in Italia, si è mossa, a livello sia operativo sia di riflessione, verso una presenza in Rete nella varie forme che essa prevede. Occorre ricordare che il mezzo non deve mai tradire il messaggio e che la comunicazione cristiana deve sempre essere ispirata alla valorizzazione della persona umana nella sua complessità. La Rete, proprio grazie alla sua natura, pone anche domande che riguardano il modo con cui può essere compresa la Chiesa stessa. Se è necessario, oggi più che mai, interrogarsi sul modo in cui internet comincia a cambiare il modo di percepire la relazionalità umana, allora è anche necessario confrontarsi con le conseguenze che ciò può avere a livello di comprensione ecclesiologica. La Chiesa comunque non potrà mai essere intesa unicamente come una «comunità virtuale» né essere «ridotta» a una rete autoreferenziale, seppure potenzialmente infinita nella sua estensione. Tuttavia la Chiesa stessa è chiamata a vivere nel mondo, il quale non può non determinarne anche la figura concreta, storica e i modelli di comunione possibili. Questi dunque sono i due fronti che i documenti presentati 149
aprono in maniera congiunta: la presenza e lo studio. La presenza deve essere intelligente e sapiente; la riflessione deve partire dall’esperienza concreta e dunque dall’inserimento attivo e sperimentale nella Rete. L’invito è esplicito: «tirarsi indietro timidamente per paura della tecnologia o per qualche altro motivo non è accettabile» (La Chiesa e Internet, n. 10). NOTE Pensiamo alle applicazioni che semplificano la gestione della raccolta delle informazioni e sostituiscono o integrano registri di vario genere (come avviene nelle parrocchie). Ricordiamo anche le applicazioni di tipo amministrativo ed economico. La telematica ha aggiunto la possibilità di condividere in forma di rete queste informazioni. Una forma particolarmente interessante di sviluppo consiste nella condivisione di risorse culturali, come nel caso del progetto Beweb (http:// www.chiesacattolica.it/beweb), che censisce i beni culturali di proprietà di enti ecclesiastici in Italia e ne organizza la conoscenza. 2 Conferenza Episcopale Lombarda, La comunicazione nella prospettiva dell’anno 2000. 3 P. Sequeri, «Comunicazione, fede e cultura», 27. 4 Cfr. H. Rahner, L’ecclesiologia dei Padri. Simboli della Chiesa, Roma 1971. 5 A. Dulles, Models of the Church, Garden City (NY) 1987. 6 Cfr. L. De Carli, Internet. Memoria e oblio. 7 K. Rahner, Corso fondamentale sulla fede. Introduzione al concetto di cristianesimo, Roma 1978, 414 s. 1
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APPENDICE
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LA LETTURA COME IMMERSIONE INTERATTIVA. TRA ESERCIZI SPIRITUALI E REALTÀ VIRTUALE
Cosa ha a che fare la realtà virtuale con l’esperienza degli esercizi spirituali? Cosa centra poi con essa la lettura di un testo letterario? Scopo delle pagine che seguono è quello di mostrare come il testo degli Esercizi Spirituali di Ignazio di Loyola possa sviluppare una particolare capacità di leggere una narrazione. Sviluppando l’analogia formale tra la realtà virtuale dei videogame e l’esperienza della lettura che si realizza facendo gli esercizi spirituali, è possibile giungere ad almeno tre conclusioni: il testo esiste quando viene letto, esattamente come una partitura musicale esiste quando viene eseguita; il testo ha un carattere «virtuale» e la lettura non è un processo di mera interiorizzazione dinamica tra testo e lettore; chi vive la spirtualità degli Esercizi sviluppa una vera e propria predilezione per la narrazione, poichè egli viene abituato a contemplare Dio attraverso le sue storie, nei contesti storici, nelle sue immagini sensibili. In particolare, le indicazioni che Ignazio offre per l’interazione profonda con il testo biblico da meditare corrispondono a tre elementi base della grammatica di una narrazione: ambientazione, personaggio, intreccio. Ogni spiritualità cristiana è anche un modo di vedere la realtà e di stare al mondo: essa dà «forma» a una vita umana e le conferisce una particolare sensibilità. In concreto, chi si riconosce in una via spirituale (francescana, carmelitana, ignaziana…) non solo vive la propria fede, ma anche tutta la propria esperienza alla luce di un carisma particolare, che coinvolge anche molti aspetti dell’esistenza ordinaria. Alla luce di questa semplice considerazione è possibile chiedersi: esistono spiritualità cristiane capaci di avere una ricaduta specifica anche a livello della lettura 153
di un testo letterario? Semplificando: una persona formata alla spiritualità del Castello interiore di Teresa d’Avila o della Salita al Monte Carmelo di Giovanni della Croce, quando si pone davanti a un’opera letteraria, la legge in modo differente rispetto a una persona formata alla lectio benedettina o alla spiritualità degli Esercizi di Ignazio di Loyola? Cercheremo in queste pagine di riassumere brevemente il rapporto tra spiritualità e poesia, così come è stato posto dagli inizi del Novecento, per poi proseguire scegliendo, a titolo esemplificativo, un modello spirituale preciso, quello degli Esercizi ignaziani, per indagare come esso possa indicare un modo peculiare di leggere un testo letterario1.
«Tocca al mistico di spiegarci il poeta»? Possiamo far risalire idealmente la questione al 1913, quando L. de Grandmaison2 accennò all’affinità tra sentimento religioso e ispirazione poetica, chiedendo a quest’ultima un contributo per meglio comprendere la dinamica spirituale. Nel 1926 Henri Bremond nel suo Preghiera e poesia sviluppò lo spunto di Grandmaison, provocando un intenso dibattito3: egli ipotizzava, sulla base del riconoscimento di alcuni gesti profondi comuni tra esperienza spirituale ed esperienza poetica (raccoglimento, semplificazione, ritmo di attività e passività, di iniziativa e di accoglienza della gratuità di una «visita»), un’analogia e una continuità. Bremond propone un paragone: «Possiamo imparare – quel che s’intende precisamente per imparare – a nuotare? Pare di no. Nuotare, è in fin dei conti non toccare il fondo, e quest’atto di fiducia non si insegna né si impone. È l’acqua stessa che, sostenendoci, giustifica la fiducia che abbiamo avuto in essa. Non si impara a nuotare, ma un giorno, nel mezzo della prima lezione o, alla fine della ventesima, constatiamo che, pur avendo perduto piede, non andiamo a fondo, e che senza camminare ci spostiamo. La medesima cosa si produce nell’esperienza poetica»4. In particolare nella sua argomentazione egli cita Shelley, per il quale «la poesia è una creazione, indubbiamente, ma prima di tutto una rivelazione. L’ispirazione sovrasta tutto. Un’influenza che viene dal di fuori si impadronisce del poeta, il quale non può né capirla né controllarla: una potenza divina penetra in lui, lo 154
costringe a creare certe immagini perfette, attraverso le quali egli cerca di contendere al nulla queste visite di Dio all’uomo»5. Bremond tuttavia compie un rovesciamento di ottica: invece di chiarire l’esperienza mistica attraverso l’esperienza poetica, è alla prima che chiede di rivelargli la vera natura della seconda. Non è l’esperienza di Shelley che aiuta a penetrare meglio l’esperienza di Giovanni della Croce, ma, al contrario, è questa a rendere un po’ meno oscuro il mistero di quella. Da dove provengono le somiglianze tra queste due realtà così diverse? Il carattere soprannaturale della vita interiore, afferma Bremond, non modifica necessariamente il disegno psicologico di una persona ed è proprio in virtù della propria esperienza psicologica che il poeta può essere paragonato al mistico. Sono stati i mistici come Giovanni della Croce o Teresa d’Avila a descrivere questa linea psicologica, che raramente si trova nelle confessioni dei poeti. Ecco allora l’assioma bremondiano: «Tocca al mistico di spiegarci il poeta»6. La poesia non è la preghiera, ma per Bremond la poesia tende di sua natura a raggiungere la preghiera. Ciò significa che nell’esperienza poetica viene messa in moto la stessa dinamica psicologica di cui la Grazia si serve per elevare alla preghiera. La poesia è insomma il segno di una facoltà elevata che ci appartiene, in grado di ricevere Dio e incapace da sé di comprenderlo7. Un simile approccio alla poesia evidentemente pone in questione non solo lo statuto della poesia, ma anche la lettura di un testo poetico. Se la poesia è – passi il termine bremondiano – «spiegata» dalla mistica, la lettura della poesia deve avere qualche relazione con gli atteggiamenti interiori tipici della preghiera. La letteratura mondiale ha prodotto pagine splendide a questo proposito. Non si fa fatica, ad esempio, a riconoscere nelle pagine che Proust dedica alla «sapiente bellezza» della lettura8 i gesti che dispongono all’apertura di un luogo interiore che sono molto simili proprio a quelli dell’orazione. Bremond definisce questa lettura intensa e creativa come «leggere in modo poetico»9. È possibile proseguire nell’analisi dal punto in cui l’ha lasciata Bremond, ma occorre scegliere un binario più preciso per comprendere come un’esperienza spirituale possa contribuire a comprendere la lettura poetica dei poeti. Ci si potrebbe fermare qui 155
e scavare nella relazione tra i due termini (spiritualità e poesia), diciamo così, «in generale», come ha fatto Bremond. Si può essere tentati di far riferimento a un tipo di esperienza che si chiama esperienza religiosa o spirituale in genere. In realtà, non esiste l’esperienza «spirituale» in genere, ma sempre una sua forma concreta. Occorre dunque scegliere un’esperienza spirituale precisa che ci faccia comprendere meglio, dal proprio punto di vista, l’esperienza della lettura che essa può generare.
Un modello: gli «Esercizi» di Ignazio di Loyola Seguendo le intuizioni di un semiologo quale Roland Barthes10 e di una studiosa di narratologia come Marie-Laure Ryan11, proseguiamo la riflessione scegliendo l’esperienza spirituale legata al libretto degli Esercizi Spirituali di Ignazio di Loyola12. Essi non sono un testo da leggere di seguito, perché, in realtà, costituiscono un insieme di indicazioni per la preghiera offerte a chi dà gli Esercizi perché possa aiutare chi li riceve. Essi dunque non presentano meditazioni e preghiere, ma modi di meditare e di pregare che coinvolgono chi li applica nel contemplare il mistero scelto, anche con l’immaginazione e i sensi spirituali. L’esercitante viene invitato a immergersi nel testo biblico in almeno tre modi: proiettando con l’immaginazione il proprio corpo nella scena rappresentata; partecipando alle emozioni dei personaggi; rivivendo passo passo le vicende del mistero contemplato. Si nota così come ogni esperienza spirituale sia associata a un elemento costitutivo della grammatica di una narrazione: ambientazione, personaggio e intreccio13. Come esempio paradigmatico si può leggere il secondo «preambolo» alla contemplazione sulla Natività: «Qui sarà da vedere con gli occhi dell’immaginazione la via da Nazareth a Betlemme, considerandone la lunghezza e la larghezza, se tale via è pianeggiante o se attraversa valli o alture. Nello stesso modo, guardando il luogo o grotta della Natività, vedere quanto sia grande o piccolo, basso o alto e come sia addobbato. […] vedere le persone; vale a dire vedere la Madonna, Giuseppe e l’ancella e il bambino Gesù, appena nato. Mi farò simile a un povero e 156
indegno schiavo, guardandoli, contemplandoli e servendoli nei loro bisogni, come se fossi lì presente, con tutto il rispetto e la riverenza possibili; […] guardare, notare e contemplare ciò che dicono, […] guardare e considerare ciò che fanno, per esempio, camminare e lavorare …» (ES 112-116, corsivo nostro). L’esercizio spirituale implica un pieno coinvolgimento dell’esercitante, anche affettivo, il quale sperimenta «varie mozioni (mociones) che si causano nell’anima»: egli è chiamato «in qualche maniera [a] sentire e conoscere» (ES 313). I due verbi sentir e conocer costituiscono un binomio inscindibile, indicando una forma peculiare di conoscenza per la quale sono necessarie vere e proprie «regole» (ES 313-336). Ignazio presuppone infatti che esistano «tre tipi di pensieri, cioè uno mio proprio, che deriva unicamente dalla mia libertà e dalla mia volontà, e gli altri due che provengono dall’esterno, uno dallo spirito buono e l’altro dallo spirito cattivo» (ES 32) e dunque occorre «discernere» tra gli «spiriti» e i loro effetti, cioè pensieri e mozioni interiori (affetti e sentimenti quali pace, agitazione, confusione, gioia…) da essi generati. In tal modo, infatti, è possibile riconoscere l’azione di Dio nella propria vita, come anche le forze che spingono l’esercitante ad allontanarsi da lui. Come possiamo concludere? Che per fare gli Esercizi non bisogna leggere il libro ignaziano, ma occorre eseguire le indicazioni che esso offre: guardare, sentire, ma anche fare, «toccare con il tatto»14 e discernere tra le reazioni affettive. L’esercitante dunque è chiamato a entrare in un vero e proprio ambiente virtuale, che è la cosiddetta composición viendo el lugar, composizione vedendo il luogo (ES 47)15, una vera e propria visione stereoscopica totale. Facciamo un paragone esplicativo oggi possibile perché l’attuale tecnologia ci ha resi familiari alle simulazioni virtuali, entrate in molte case grazie ai videogame. Giocare a un videogame generalmente significa muovere un protagonista attraverso tutti gli ambienti, i livelli del gioco, mediante la pressione di pulsanti e di un cursore o manopola: esiste sì un’interazione, ma la distanza tra reale e virtuale rimane netta. Negli Esercizi, al contrario, non è prevista una separazione tra lo spettatore-attore (il giocatore) e lo spazio virtuale visualizzato nello schermo16: l’esercitante è 157
chiamato a immergersi nella realtà contemplata e a interagire pienamente con essa senza filtri. Ha ragione dunque la Ryan quando afferma che gli Esercizi rappresentano «una prefigurazione di molti dei temi sviluppati dalla tecnologia VR [cioè della «Realtà Virtuale»]»17. Ovviamente si tratta di un’analogia logicoformale18: negli Esercizi è l’azione della Grazia a ispirare e accompagnare tutto il processo, che dunque, se veramente «spirituale», non è mai frutto della semplice volontà dell’esercitante o di una combinazione di tecniche.
La letteralità infranta degli «Esercizi» Gli Esercizi dunque per essere «letti» devono essere «fatti»: soltanto così è possibile sperimentare la loro forza potente ed efficace19: la destinazione più autentica del testo di Ignazio non è la semplice lettura ma, appunto, l’esercizio spirituale che incide nella vita e nell’azione. Leggere gli Esercizi equivarrebbe al consultare un orario ferroviario: è utile per chi viaggia, ma è noioso e inutile per chi resta fermo. Si sarebbe tentati di dire che il testo è «altrove» o rimanda ad «altrove» rispetto al testo stampato. Spesso intendiamo per testo la «semplice comunicazione» tra un autore e un lettore. Questo schema è assolutamente falso per gli Esercizi. La letteralità del testo scritto richiede di essere infranta. La «verità» dell’esperienza spirituale dell’esercitante si trova non nella pagina scritta, ma nel vivo effetto che essa produce. L’esercitante dunque appare in una posizione di vero «autore» degli Esercizi che fa. Semplificando: il vero «lettore» del testo ignaziano è un vero «autore». La dinamica che si sviluppa negli Esercizi può essere descritta come un «giocarsi»: l’esercitante «si mette in gioco». All’essere proprio del gioco non è pertinente che il giocatore si atteggi nei suoi confronti come verso un «oggetto». Infatti, ad esempio, giocare a calcio non significa soltanto tirare una palla, ma anche correrle dietro, «essere giocati» dalle situazioni che si verificano in campo: «ogni giocare è un esser-giocato»20. Proprio su questa base H. G. Gadamer si occupa dell’opera d’arte, negando nei confronti di essa un rapporto di soggetto a oggetto e affermando anzi che il soggetto dell’esperienza artistica non è colui 158
che fa esperienza dell’opera d’arte, ma l’opera stessa. Infatti «il gioco raggiunge il proprio scopo solo se il giocatore si immerge totalmente in esso»21. Il soggetto del gioco dunque non è il giocatore, ma il gioco stesso, che si produce attraverso i giocatori. Così chi contempla negli Esercizi non è «soggetto» nel senso che è colui che guida l’azione. Il soggetto degli Esercizi è il mistero stesso nel quale l’esercitante viene coinvolto attivamente. Così l’esercitante è vero «autore» in modo formalmente simile a un giocatore sul campo: egli fa il gioco, ma nello stesso tempo il gioco si fa attraverso di lui, nel senso che egli è totalmente preso dalla situazione che vive22. Fin qui abbiamo descritto l’esperienza di lettura proposta dagli Esercizi. Ecco allora la domanda: una persona che si è formata alla luce di questo metodo di preghiera e che ha interiorizzato la pratica spirituale ignaziana viene anche abilitata a un modo peculiare di affrontare la lettura di un testo narrativo (ma, in modo simile, potremmo dire anche di vedere un film)? Gli Esercizi Spirituali possono costituire un modello di lettura?
La lettura come «esecuzione» di un’opera «virtuale» Alla luce della presentazione degli Esercizi fin qui fatta, a noi sembra di poter rispondere affermativamente: come la spiritualità non è astratta dalla vita, così la pratica di una particolare lettura spirituale non può non avere una ricaduta nel modo di leggere un testo particolarmente significativo come un testo letterario23. La prima conclusione è che la prospettiva ignaziana è vicina a un’idea di lettura secondo la quale essa non sopraggiunge al testo come un avvenimento estrinseco e contingente: se un testo non è letto, è come se non ci fosse. In questa prospettiva leggere un libro non può che voler dire leggersi in esso, cioè nell’esperienza che di esso si fa. Lettura, come aveva scritto il filosofo Luigi Pareyson, è sinonimo di «esecuzione», proprio nel senso che questa parola ha nel campo musicale: l’esecuzione dell’opera musicale «non è quella inerte e muta dello spartito, ma quella viva e sonora dell’esecuzione»24. Eseguire significa non «abbandonarsi all’effetto dell’opera subendolo passivamente, ma impadronirsi dell’opera 159
stessa rendendola presente e viva, cioè facendone operare l’effetto»25. L’esecuzione non è un qualcosa di secondario e opzionale, ma è co-originaria all’opera. In questa esecuzione si trovano insieme l’identità immutabile dell’opera e la sempre diversa personalità dell’interprete che la esegue. I due aspetti sono inseparabili. Così la verità delle esecuzioni ha il suo fondamento nella natura complessa della persona dell’interprete e nell’opera da eseguire. C’è interpretazione soltanto se l’intento dell’interprete è di «voler lui stesso eseguire l’opera in sé, sì che la sua esecuzione sia l’opera stessa, da lui resa presente e viva, e insieme la sua interpretazione dell’opera»26. L’opera vive nelle proprie esecuzioni, pur non riducendosi alla sua esecuzione. L’opera dell’esecutore non coincide con quella dell’autore, ma, all’interno di ogni esecuzione, interpretazione e opera fanno tutt’uno e sono due cose distinte solamente in vista di una nuova esecuzione differente. L’esecutore non «completa» l’opera nel senso che la finisce, perché l’opera consegnata è già finita e determinata. Ma proprio grazie alla sua definitezza e compiutezza l’opera è in grado di offrire l’avvio a infinite letture ed esecuzioni, tutte coinvolgenti personalmente e responsabilmente il lettore. Il fatto che la possibilità di letture sia infinita significa che tutti possono essere esecutori. L’interpretazione è sempre personalizzata: ciò comporta che il significato dell’opera possa «nascondersi» a chi non sa integrarla. La comprensione presuppone una congenialità, una sintonizzazione, un’affinità. In tale prospettiva la personalità dell’interprete non è ostacolo all’esecuzione perché impegnata a volersi esprimere, ma anzi ne è l’unica condizione di possibilità. Così la «fedeltà è allora personale “esercizio” di fedeltà diretto a rendere l’opera com’essa vuole, e la libertà è il carattere personale, e quindi l’irripetibile singolarità, del modo con cui si cerca di far vivere l’opera nella sua realtà»27. Le raccomandazioni di Pareyson alla fedeltà allora non possono che assumere questi toni: fa’ «di te stesso, della tua intera personalità e spiritualità, del tuo modo di pensare, vivere, sentire, un organo di penetrazione, una condizione di accesso, uno strumento di rivelazione dell’opera d’arte; rammenta che il tuo assunto non è né di dover rinunciare a te stesso né di voler esprimere te stesso 160
[…]; ricordati invece che tu in persona devi interpretare l’opera, cioè è ben quell’opera che tu devi interpretare, e insieme sei ben tu quello che deve interpretarla»28.
La lettura come immersione interattiva La seconda conclusione, strettamente legata alla prima, è che la prospettiva ignaziana genera un’idea di lettura secondo la quale la relazione tra testo e lettore è molto diversa da quella che intercorre fra un oggetto e un osservatore: l’opera possiede un carattere «virtuale», perché non può essere ridotta né alla realtà del testo né alla soggettività del lettore. Essa può essere affrontata soltanto in un modo insieme obbediente e libero: obbediente all’oggettività ineliminabile della pagina scritta e libero nel modo di affrontarla e farla propria. Da questa virtualità deriva il dinamismo di ogni opera letteraria; «poiché il lettore passa attraverso le varie prospettive aperte dal testo e riferisce i diversi punti di vista e modelli l’uno all’altro, egli mette in azione l’opera e anche se stesso»29. Sartre aggiunge anzi che «l’atto creatore non è che un momento incompleto e astratto della produzione di un’opera; se esistesse solo l’autore, egli potrebbe scrivere finché vuole, ma mai l’opera come oggetto vedrebbe la luce, e bisognerebbe che lo scrittore posasse la penna o disperasse. Ma l’operazione dello scrivere implica quella di leggere come proprio correlativo dialettico, e questi due atti distinti comportano due agenti distinti. È lo sforzo congiunto dell’autore e del lettore che farà nascere quell’oggetto concreto e immaginario che è l’opera dello spirito. Non vi è arte che per e attraverso gli altri»30; dunque «un testo letterario può produrre una risposta soltanto quando è letto»31. Il suo significato è un avvenimento dinamico, è qualcosa di potenziale che «accade», al di là di ogni oggettivismo e soggettivismo32. Invece di una relazione tra un soggetto e un oggetto, si dà un punto di vista mobile che viaggia lungo l’interno di ciò che si deve cogliere. Nel suo Narrative as Virtual Reality, Marie-Laure Ryan, sviluppando l’idea della Realtà Virtuale come metafora globale dell’arte, distingue una poetica dell’immersione e una poetica dell’interattività: la prima intende il testo come un mondo al161
l’interno del quale il lettore è chiamato a immergersi; la seconda lo intende come un gioco nel quale il lettore si coinvolge interattivamente. La Ryan assume proprio gli Esercizi ignaziani come modello di immersione, in questo caso nel testo biblico. Tuttavia sembra non dare altrettanta importanza al significato dell’interattività così come l’abbiamo descritta. In effetti gli Esercizi ignaziani immergono colui che li fa nel mistero biblico-cristiano e lo abilitano a interagire attivamente con personaggi, eventi, discorsi, anche grazie agli «occhi dell’immaginazione»33. Gli Esercizi dunque possono costituire il modello per un paradigma di lettura che consideri il testo e la lettura come i due poli nell’atto di comunicazione, il cui successo dipenderà dal grado in cui il testo si pone come un correlativo nella coscienza del lettore. La lettura non è una diretta interiorizzazione, perché non è un processo a senso unico, ma un processo di interazione dinamica fra testo e lettore. Il coinvolgimento del lettore, alla luce degli Esercizi, è una situazione nella quale il soggetto entra con tutto se stesso (memoria, intelletto, volontà, direbbe Ignazio, e cioè con le sue aspettative, i suoi ricordi, la sua comprensione del reale) e lì riesce a compiere un’operazione di lettura di sé attraverso e nel testo. Nella prospettiva degli Esercizi comprendiamo dunque come il testo letterario possa rivelarsi non tanto un «oggetto», un fatto, quanto una «energia», una guida che articola un linguaggio e un testo che nasce nel suo significato dall’interazione con il lettore. Il testo è guida a un’esperienza che è ulteriore rispetto al testo e che chiamiamo «lettura».
La lettura può diventare esperienza spirituale Una terza conclusione riguarda la rilevanza di una storia narrata per la vita di fede. Chi è formato alla spiritualità degli Esercizi sa che il suo coinvolgimento nel mistero contemplato non è mai asettico, distaccato o tale da distaccarlo dalla storia. Negli Esercizi Dio non è contemplato in se stesso o tramite il superamento della storia, del mondo e delle immagini sensibili, ma va cercato e trovato proprio in esse: non è Dio l’oggetto primo della contemplazione ignaziana, ma il mondo storico e le vicende salvifiche che in 162
esso sono accadute e nel quale egli si è manifestato34. Potremmo dire che la spiritualità degli Esercizi è più «narrativa» che «lirica»: al di fuori di un contesto narrativo sarebbe impossibile. Chi è formato a questa via spirituale allora avrà familiarità con le storie narrate e sarà in grado di leggerle, così come abbiamo descritto fino a questo punto, attento all’esperienza del «sentire e conoscere le mozioni che si causano nell’anima». Gli «spiriti» di cui parla Ignazio sono all’opera in noi anche quando leggiamo un libro o vediamo un film. Non è raro che alcune immagini o alcune espressioni agiscano in noi in maniera profonda e siano fonte di consolazione o di desolazione spirituale, le quali spesso sono «sentite» ma non «conosciute». Perché avvenga questo riconoscimento è necessario il metodo ermeneutico del discernimento spirituale. M. P. Gallagher, teologo e studioso di letteratura, ha offerto due intuizioni frutto dell’applicazione delle «regole» ignaziane: la prima è che «la consolazione può sembrare autentica, ma può non esserlo nella realtà»; un racconto infatti «può indurre un certo appagamento, persino un senso di allargamento del cuore, ma questo non rappresenta di per sé un valido criterio di autenticità. Il secondo contributo ignaziano è rappresentato dalla sua insistenza sul prestare attenzione all’intero processo dei movimenti spirituali di una persona: non solo agli effetti consolatori che lo stato d’animo riflette, ma all’orientamento d’insieme di esso. Questo significa mettere alla prova la durata dei sentimenti suscitati» dalla lettura della narrazione e quindi «domandarsi dove essi conducano la persona»35. Facciamo un esempio: se un romanzo rappresenta la vita umana come assurda, ovviamente afferma un contenuto oggettivamente non cristiano. Tuttavia la sua radicalità nel porre il problema e nel mettere tutto in dubbio per ciò che riguarda l’uomo, potrebbe servire a scuotere una vita appiattita e soltanto apparentemente soddisfatta36. La «letteratura dell’assurdo», che potrebbe condurre alcuni allo scoraggiamento e alla desolazione, potrebbe d’altra parte scuotere chi non si pone domande, chi non ascolta e non fa silenzio perché già sazio, l’uomo chiuso in se stesso, incapace di ascoltare la chiamata della Grazia. La letteratura o il cinema dell’assurdo possono lavorare spiritual163
mente su questo genere di uomo attraverso una suggestione di inquietudine che può rivelarsi alla lunga anche salvifica, scuotendo l’uomo dalle sue false certezze, facendo cadere la maschera delle apparenze37. Così per il lettore formato alla spiritualità degli Esercizi non sarà insolito interrogare se stesso o discutere nel dialogo con una guida spirituale sulle mozioni che egli ha provato leggendo un romanzo o un racconto o anche guardando un film, notando – come chiede più volte Ignazio negli Esercizi – i «punti» o le «parti più importanti», dove si sia sentita «qualche conoscenza, consolazione o desolazione» o dove siano state avvertite «maggiori mozioni e gusti spirituali» (ES 62, 118 e 227)38. *** Il lettore, così come emerge dalle riflessioni che abbiamo proposto, è un viaggiatore: egli compie il suo itinerario attraverso il romanzo dal suo punto di vista mobile, combina tutto ciò che vede nella sua memoria, mescolando ricordi della propria vita reale, immagini, pagine lette in precedenza e, in tal modo, crea un modello di lettura che ha una sua coerenza39. In nessun momento, tuttavia, egli può avere una visione totale di questo itinerario. Ogni momento articolato di lettura costituisce un’inseparabile combinazione di prospettive differenziate, ricordi, affetti, conoscenze presenti, tensioni interiori e aspettative future. A tal punto che durante la lettura ciò che è avvenuto nelle pagine precedenti può cambiare di significato nelle pagine successive o un evento negativo della vita passata può essere improvvisamente ricompreso nelle sue valenze positive. Chi legge è spinto a inserire se stesso e cioè le proprie idee, le proprie esperienze, le proprie attese nel processo di lettura40 che si modifica in continuazione, coinvolgendo il lettore anche in una dinamica di valore spirituale. La lettura è sperimentata come un vero e proprio viaggio: è forse proprio questa l’immagine che meglio descrive la forma di lettura di un testo letterario che la pratica degli Esercizi di Ignazio di Loyola è in grado di suscitare. 164
NOTE Riprendiamo e approfondiamo qui alcune riflessioni espresse nel nostro A che cosa «serve» la letteratura?, Torino-Roma 2002. 2 Cfr. L. de Grandmaison, «La religion personelle», in Études, t. 134 (1913) 289-309. 3 Cfr. H. Bremond, Preghiera e poesia, Milano 1983. Cfr. A. Savignano, Preghiera e poesia. L’esperienza religiosa di H. Bremond, Padova 2000. 4 H. Bremond, Preghiera e poesia, 27. In corsivo nel testo. 5 H. Bremond, Preghiera e poesia, 83 s. 6 H. Bremond, Preghiera e poesia, 100. 7 Notiamo che, se male intese, queste posizioni non renderebbero ragione della distinzione tra ordine naturale e ordine soprannaturale: esse, cioè, falsificherebbero il religioso, trasformandolo in emozione estetica e falsificherebbero anche l’estetico, trasformandolo in esperienza religiosa diminuita (cfr. J. Daniélou, «Poesia e verità», in Lo scandalo della verità, Torino 1964, 53). Tuttavia occorre ricordare che l’interesse di Bremond non è di ordine teologico, ma di psicologia religiosa, e questo dovrebbe bastare, da una parte, a evitare la confusione dei piani tra mistica e poesia e, dall’altra, a cogliere le linee di tensione tra l’una e l’altra, come successivamente è stato messo in luce anche da K. Rahner: cfr. K. Rahner, «La parola della poesia e il cristiano», in ID., Saggi di spiritualità, Roma 1965, 231-251; A. Spadaro, «Il contributo di Karl Rahner per una teologia delle letteratura», in Rassegna di Teologia 41 (2000) 661-676. 8 Cfr. M. Proust, Del piacere di leggere, Scandicci (FI) 1997, 33 s. Si tratta di un noto testo apparso per la prima volta su La Renaissance latine nel 1905 e l’anno seguente pubblicato come prefazione alla traduzione di Sesamo e i gigli di John Ruskin. 9 H. Bremond, Preghiera e poesia, 29. 10 Cfr. R. Barthes, Sade, Fourier, Loyola. La scrittura come eccesso, Torino 1977. 11 Cfr. M.- L. Ryan, Narrative as Virtual Reality. Immersion and Interactivity in Literature and Electronic Media, Baltimore - London 2003; in particolare cfr. «e Discipline of Immersion. Ignatius of Loyola» alle pp. 115-119. 12 Gli Esercizi Spirituali sono un libretto scritto per «colui che dà» gli Esercizi, cioè una guida (o «direttore», come spesso lo si è definito nel passato), affinché conduca l’«esercitante» per un cammino spiritua1
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le. Esso si compie in quattro tempi, detti «settimane». La giornata è scandita da tempi di «esercizio» e di «esame» di coscienza: sono previsti cinque tempi di preghiera e tre tempi di esame (cfr. ES 24-26). Durante gli Esercizi l’esercitante si confronta con i misteri della fede e, in particolare, con i misteri della vita di Cristo, raccolti in fondo al libro (ES 261-312), che sono un preciso richiamo al testo biblico. Qui, per chiarezza, indicheremo con Esercizi (cioè in corsivo) il testo ignaziano e con Esercizi (cioè in tondo) l’esperienza spirituale. Abbrevieremo le citazioni dei paragrafi del testo ignaziano con la sigla ES. 13 Cfr. M.-L. Ryan, Narrative as Virtual Reality, 119. Come sarà chiaro anche dallo sviluppo della nostra riflessione, ci riferiamo innanzitutto alla possibilità di una lettura «ignaziana» di un testo narrativo (sia esso un racconto, una poesia o un film). Per la poesia lirica o altre forme artistico-espressive comunque non narrative il discorso dovrebbe subire qualche precisazione ulteriore. Per un’applicazione a livello didattico cfr. il nostro «Didattica creativa e educazione letteraria. Un approccio comparatistico», in La Civiltà Cattolica 1994 III 391-404. 14 Ad esempio ES 125: «Toccare col tatto, per esempio abbracciare e baciare i luoghi dove tali persone camminano e siedono». 15 Ovviamente qui per «virtuale» non intendiamo affatto fittizio o illusorio o comunque opposto a «reale», ma, d’accordo con la definizione di Pierre Lévy, «potenziale»: cfr. P. Lévy, Il virtuale, Milano 1997. 16 Cfr. M.-L. Ryan, Narrative as Virtual Reality, 118. 17 Ivi, 115. 18 Logicamente il problema è riconducibile al teorema dell’incompletezza di Gödel, secondo il quale, semplificando, nessun sistema formale può essere simultaneamente completo perché contiene almeno una proposizione indecidibile all’interno dello stesso sistema. Nel nostro caso ciò significa che, quando il testo è vissuto, è insieme vero e non contraddittorio che l’esercitante sia «dentro» e, allo stesso tempo, «fuori» della scena contemplata. Cfr. anche le intuizioni circa il quadro Gallerie di stampe di Escher, in D. R. Hofstadter, Gödel, Escher, Bach: un’Eterna Ghirlanda Brillante. Una fuga metaforica su menti e macchine nello spirito di Lewis Carroll, Milano 1984, 773-777. 19 Cfr. «Directorium anonymum BI», in Exercitia spititualia S. Ignatii de Loyola et eorum directoria, vol. II, Matriti, MHSI - Monumenta Ignatiana, 1919, 883. 20 H. G. Gadamer, Verità e Metodo, Milano 1983, 137. 21 H. G. Gadamer, Verità e Metodo, 133. 22 Ogni gioco ha le sue regole e così, legate alle prime due settimane
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degli Esercizi, vi sono «regole» dette comunemente «per il discernimento»: ES, nn. 313-327 e 328-336. 23 Cfr. H. U. von Balthasar, «Vedere, ascoltare, leggere nell’ambito della Chiesa», in Id., Sponsa Verbi. Saggi teologici, vol. II, Brescia 1969, 463. 24 L. Pareyson, Verità e interpretazione, Milano 1982, 68 s. 25 Id., Estetica. Teoria della formatività, Milano 1996, 222 s. 26 L. Pareyson, Estetica. Teoria della formatività, 229. 27 L. Pareyson, Estetica. Teoria della formatività, 231. 28 L. Pareyson, Estetica. Teoria della formatività, 231. 29 W. Iser, L’atto della lettura. Una teoria della risposta estetica, Bologna 1987, 56. 30 J.-P. Sartre, Che cos’è la letteratura?, Milano 1995, 146. 31 W. Iser, L’atto della lettura, 25. 32 In tal modo trovano una conciliazione due differenti atteggiamenti di fronte al testo, eredi uno della lezione di Origene e l’altro di quella di Agostino. Cfr. H. U. von Balthasar, «Vedere, ascoltare, leggere», 458. 33 Cfr. A. Spadaro, «Gli “occhi dell’immaginazione” negli Esercizi di Ignazio di Loyola», in Rassegna di Teologia 35 (1994) 687-712. 34 Cfr. M. Perniola, Del sentire cattolico. La forma culturale di una religione universale, Bologna 2001, 117. 35 M. P. Gallagher, «Teologia, arte, discernimento e cinema», in La Civiltà Cattolica 1995 II 391 s. La riflessione dell’Autore è di per sé sul cinema, ma si adatta perfettamente anche alla letteratura. Cfr. anche Id., Fede e cultura. Un rapporto cruciale e conflittuale, Cinisello Balsamo (MI) 1999, 155-172. 36 Cfr. K. Rahner, «La missione del letterato e l’esistenza cristiana», in Id., Nuovi saggi, vol. II, Roma 1968, 502. 37 Questa sarebbe l’applicazione letterale della prima regola ignaziana del discernimento degli spiriti riservata a coloro che «vanno di peccato mortale in peccato mortale» e cioè che in tali persone lo spirito buono si comporta «pungendole e rimordendo la loro coscienza con la sinderesi della ragione» (ES 314). La «sinderesi» è per san Tommaso uno speciale abito naturale che «spinge al bene e mormora del male» (Summa ., I, q. 79, a. 12). 38 Il primo a fare questo genere di esperienza fu proprio Ignazio di Loyola lettore nella sua convalescenza dopo il ferimento durante la presa di Pamplona da parte dei francesi nel 1521. Fu proprio da una lettura di questo tipo che prese avvio la sua esperienza di discernimento
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spirituale, come afferma egli stesso nella sua Autobiografia, nn. 6-9. 39 Cfr. W. Iser, L’atto della lettura, 50. 40 Cfr. W. Iser, L’atto della lettura, 116.
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BIBLIOGRAFIA
La maggior parte della bibliografia utilizzata e citata nel volume è composta da materiali presenti in Rete. Qui di seguito, per comodità del lettore, elenchiamo soltanto la bibliografia cartacea. Adinolfi M., «Giornalisti e web, attrazione fatale», in Europa, 5 novembre 2005. Albini A., «Scrittori virtuali», in Internet news, luglio-agosto 1998, 32-35. Balthasar H. U. von -, Sponsa Verbi. Saggi teologici, vol. II, Brescia 1969. Baraghini M. - Turchi D. (edd.), Farsi un libro. Propedeutica dell’auto-produzione: orientamenti e spunti per un’impresa consapevole o per una serena rinuncia, Roma 1990. Barthes R., Sade, Fourier, Loyola. La scrittura come eccesso, Torino 1977. Bartoloni B., «Omelie scaricate sull’iPod. “Così si diffonde il Vangelo”», in Corriere della sera, 8 novembre 2005. Beaudoin T., Virtual faith: e irreverant spiritual quest of generation X, San Francisco (CA) 1998. Belpoliti M., «Ciò che fece Gutenberg lo rifarà il virtuale», in La Stampa, 6 novembre, 1997. Bertacchini R., Le riviste del Novecento. Introduzione e guida allo studio dei periodici italiani. Storia, ideaologia e cultura, Firenze 1980. Bianda E. - A. Sofi, «È giornalismo d’approfondimento. I blog rispondono alle esigenze d’informazione delle nuove comunità», in Problemi dell’informazione XXIX (2204) n. 2, 186-192. Blackmore V. (ed.), God on the Net. Guide to the best sites for study, inspiration and resources, London 1999. 169
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Finito di stampare nel mese di febbraio 2006 presso Studio Rabbi (Bologna)