DAI SANNITI ALL’ESERCITO ITALIANO

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STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO

Ufficio Storico

FLAVIO RUSSO

DAI SANNITI ALL'ESERCITO ITALIANO La Regione Fortificata del Matese

ROMA, 1991


PROPRIET.À. LETTERARIA

Tutii i diritii riservati. Vietata la riproduzione anche parziale' senza autorizzazione.

© By SME - Ufficio Storico - Roma 1991

Finito di stam pare nell'ottobre 1991 nello stabilimento d'arti grafiche Gius. Laterza & Figli, Bari


PRESENTAZIONE

Nell'affrontare lo studio delle operazioni militari lo storico si imbatte essenzialmente in due variabili ricorrenti: la tecnologia delle armi e dei mezzi impiegati dai combattenti, che è ovviamente funzione del periodo storico esaminato, ed il terreno, o l'area geografica, sul quale si svolgono le operazioni. Non vi è dubbio che det!e due quella che ha una maggiore influenza sull'andamento delle vicende belliche è la seconda variabile. Il terreno, infatti, con le sue caratteristiche morfologiche, idrografiche e climatiche, ha sempre condizionato, quando non determinato, le attività belliche. Se mai ce ne fosse bisogno, ne è la riprova quest'opera, che, prendendo a base lo studio degli avvenimenti militari, in quell'area geografica ben determinata che è il lvlassiccio del Matese, in tre distinti periodi storici - le guerre dei Sanniti, la repressione del brigantaggio meridionale ed i tragici eventi della Campagna d'Italia durante il secondo conflitto mondiale - dimostra quale decisiva ed immutabile influenza abbia avuto l'aspra natura della zona sull'andamento delle operazioni militari che ivi si sono succedute nel tempo. Anche se nei tre periodi considerati diverse furono le dinamiche di sfruttamento del terreno, purtuttavia è possibile individuare certe località o posizioni dove, malgrado !'evoluzione tecnologica delle armi - dal giavellotto sannita al Nebelwerfer tedesco - e delle modalità di combattimento, si sono ripetute, con una rimarchevole analogia, se non addirittura identità, le azioni decisive degli avvenimenti bellici. Tanto che gli stessi luoghi, sui quali gli antichi Sanniti Pentri avevano eretto il loro articolato sistema di fortificazioni per difendersi dai legionari Romani, vennero riutilizzati dalle bande di contadini e briganti, con modalità che riecheggiavano quelle dei Sanniti, quale «santuario» nel quale rifugiarsi e difendersi per sfuggire ai rastrellamenti dei reparti del nuovo Esercito Italiano. Ed ancora nel lungo inverno '43-44 i Tedeschi, arroccati nelle antiche fortezze sannite, contrastarono l'avanzata degli eserciti Alleati che a loro volta, nonostante la ampia disponibilità di mezzi di trasporto moderni, dovettero fare ricorso a interminabili colonne di muli, lungo gli antichi sentieri scavati nella montagna dai Sanniti, per rifornire le unità in prima linea. Il mio particolare e caldo ringraziamento va all'ingegnere Flavio Russo, la cui appassionata e competente ricerca ha consentito la realizzazione di questa opera. II Capo dell'Uffico Storico


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PREMESSA

Quota 736: un cono calcareo bìcuspìde ad ìmmediato rìdosso del massìccìo del Matese, dal quale è separato da un vorticoso torrentaccìo che nel tempo ne ha prodotto l'isolamen to , incidendo alla sua base una strettissima quanto profonda gola. Pur non essendo di rilevante altezza, la suddetta formazìone rocciosa si differenzia da una vera e propria collina per acquisìre le peculiarità di una vera e propria montagna, grazie agli appena 50 m . della sottostanté piana del Volturno e dei suoi affluenti, che la cìrconda quasì ìnteramente da ponente. Il valore strategìco del sito non poteva pertanto sfuggìre ai lontanì abitatori del luogo, i duri sannìti pentri, che vi insediarono sulla sua sommità una delle loro maggiori cittadelle apìcalì, collegandola, quale corollario, ad una seconda simmetrica quota ubicata sull'opposto fianco della gola e facente parte ciel fronte occìdentale del massiccio. E sempre in virtù del suo lampante valore strategico di posìzìone rìassuntìva, irrinunciabìle, quota 736, che nel frattempo era diventata monte Acero, non sfuggì alla logica di difesa ritardatrice del generale tedesco von Vìetinghoff nell'ottobre del '43, nel corso della campagna d'Italìa. Oltre duemìla anni separavano le sìlenziose quanto micidiali traiettorie dei giavellotti sanniti scagliati dalle sue propaggini sulle atterrite legioni romane, eia quelle altrettanto micidiali sebbene sinistramente singhiozzanti dei nebelwerfer, bersaglianti le truppe alleate. Analogamente ai legionari romani i fanti della 45 a di vis.ione statunitense videro infrangersi molti dei loro risoluti assalti contro quelle irte bastionature naturali, subendo un sanguìnoso arresto. Quanto rìcordato per monte Acero assume, alla luce dei fatti che andremo ad esporre, un valore emblematico, e pertanto assolutamente comune all'intero massiccio.

1. Massiccio ciel Matese: rilievo plano-altimetrico.


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2. Monte Acero (S. Salvatore Telesina - BN).

Non.si trattò ovviamente, in quel piovoso autunno, di un allucinante quanto fortuito rigenerarsi di una tragedia storica avente identico teatro, ma piuttosto del riproporsi cli una prassi militare, quella della resistenza ad oltranza dei pochi contro i molti attaccanti, sostanzialmente immutata nel corso dei secoli. Come del resto immutata era la geografia dei luoghi che ne presupponevano l'estrinsecarsi. Nuovi erano i nebelwerfer e la loro esasperata potenzialità annientatrice, nuovi i cacciabombardieri , le granate, i mezzi semoventi e corazzati, le mitragliatrici, ma per il singolo combattente dell'uno e dell'altro schieramento il calvario era immutato, restando pur sem pre, fra quelle rocce, in bilico fra la vita e la morte. La riedizione toccò infine il suo acme allorquando gli onnipresenti veicoli meccanici non furono più in grado di operare per ·le avverse condizioni ambientali, ed ad essi subentrarono gli anacronistici muli, con la problematica annessa ormai ancora più anacronistica ed irrisolvibile. Occorrevano mulattieri, foraggio, ferri, basti, nonché quanto più strettamente necessario per il governo di simili 'trasporti' e non già benzina, pneumatici o autisti! La guerra si arcaicizzava improvvisamente creando uno dei più incredibili paradossi, ovvero superando, ed era difficile, per asprezza ed inumanità sia quella moderna sia quella antica. Un corrispondente di guerra americano, aggregato al VI corpo d'armata, così descriveva il quadro esistenziale dei soldati: «Le nostre truppe stanno sopportando sofferenze quasi inconcepibili. Le valli... sono piene di fango, ci si sprofonda fino al ginocchio. A1igliaia di uomini non sono stati asciutti per settimane. Altre migliaia si buttano a dormire di notte, all'addiaccio, con temperature sotto zero e la neve fine fine gli cade addosso ... Cercano riparo fra le pietre e dormono negli anfratti, dietro le rocce e nelle cavità.


Premessa

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Vivono come gli uomini della preistoria, e nelle mani, invece di una mitragliatrice, sarebbe più appropriato stringere una clava .. .» 1 • Nemmeno, quindi, un giavellotto sannita od un gladio romano, poiché nelle stesse condizioni climatiche e negli identici posti, oltre due millenni innanzi, quando: "la neve aveva ormai tutto ricoperto e non era possibile sopportare i rigori del ji-eddo in un accampamento ... il console condusse via dal Sannio l'esercito" 2 • È evidente in definitiva come la invarianza geomorfologica dei luoghi produca un'altrettanta sostanziale analogia, se non addirittura identità, nelle operazioni militari, appena alterate dalla presenza dei ritrovati tecnologici del particolare momento. Ciò è alla base del fenomeno della ripetitività degli eventi stessi ed in ultima analisi della loro prevedibilità di larga massima, appena che siano sufficientemente chiariti ed in maniera oggettiva i precedenti relativi logicamente alla zona in questione . Quanto detto trova una sua conferma in alcune osservazioni del gen . Vacca Maggiolini che così si esprimeva al riguardo: «Ogni guerra ha indotto i più nell'errore che tutti i precedenti principi fossero mutati e che un'epoca assolutamente nuova, originale, incominciasse per la condotta dell'operazioni . .. Se il progredire delle scienze e dell'industria ha offerto ed offrirà sempre nuovi e più potenti mezzi all'arte militare, non per questo - e qui sta l'essenziale - mutano i grandi principi della guerra. Questi permangono invariati attraverso i secoli .. . » 3 • Conseguenza della suddetta dinamica è quella di poter analizzare gli avvenimenti del passato impiegando criteri moderni, ed ottenerne così delle ricostruzioni storiche forse più comprensibili e attendibili delle tradizionali, spesso di indubbia originalità. Ancora è possibile trarre, come ad esempio avrebbero potuto fare i tedeschi del von Vietinghoff (e non è affatto escluso che in realtà non l'abbiano fatto), un notevole contributo elaborativo da una siffatta ricostruzione delle guerre sannitiche. La conoscenza così del passato operata alla luce delle invarianze militari consente una migliore percezione del futuro 4 •

Oggetto dello studio che segue è appunto una ricostruzione, nella particolare area montana del massiccio del Matese, di una serie di tali ricorrenze, a partire dalla strenua resistenza dei sanniti pentri per finire con quella della X armata germanica. In tutti i casi la logica difensiva insisteva, oltreché naturalmente sullo sfruttamento delle peculiarità dei luoghi, sulla loro ottimizzazione ai fini bellici, indotta dalle opere fortificatorie erette sapientemente dai Pentri. E se diverse furono nelle tre periodizzazioni proposte nel saggio, le dinamiche di sfruttamento delle asprezze, naturali e non, del Massiccio, analoga ne fu la finalità. Potremmo infatti definirla univocamente, di strenua resistenza al limite del sacrificio, conscia dell'esito comunque negativo della sua disperata azione, ma non per questo meno violenta e spietata. Vengono pertanto analizzate essendo le migliori fonti, le strutture fortificatorie superstiti, peraltro abbastanza numerose, dalla cui concatenazione nasce una immagine di sistema difensivo chiuso ad ampia superficie e di eccezionale modernità concettuale, e che certamente non si realizzò per pura aggregazione casuale. Anche questa impostazione difensiva a sua volta fu oggetto di rielaborazioni e di riedizioni strategiche indipendenti nel tempo e nello spazio, e quindi non necessariamente vincolate

1 D. HAPGooo-D. R1cMARL>SON, Moniecassino, Milano, 1985, pp. 88-89. T . L1v10, Storia di Roma, lib. X, p. 309, versione a c ura di C. Vitali, Bologna, 1973. 3 Cfr. A. VACCA MAGGIOLINI, La guerra nei secoli XVIII e XIX, in E. Sc,\LA, La guerra del 1866 ed altri scritti, Roma, 1981, p . 206. 4 Sull'argomento cfr. E.N. Lunw AK, Strategia de/fa vittoria, Milano, 1988, p. 263, ed ancora dello stesso autore, La grande strategia dell'impero romano, Milano, 1981, p. 10. A titolo di esempio è interessante ricordare come durante la ballaglia di Cassino, il gen. Tuker, comandante la 4 a divisione indiana, in un suo memoriale diretto a l gen. Freybcrg, suo superiore, così tra l'altro gli rimproverasse: «Quando si chiama una una formazione alla conquista di una posizione simile, si dovrebbe prima 2

essere certi che fa si può conquisiare con i mezzi di cui disponiamo, senza dover andar in giro per le librerie di Napoli a cercare ciò che avrebbe dovuto esser noto ... », da F. MAJOALANY, La batiaglia di Cassino, Milano, 1958, p. 138.


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Dai sanniti all'esercito italiano

al Matese , ma generalizzate per qualsiasi insieme montano più o meno equivalente. Tali ultime possono compendiarsi sotto la comune etichetta ottocentesca di Regione Fortificata Montana5 • Onde agevolare la valutazione della asserita invarianza indotta dalla morfologia dei luoghi sulle scelte concettuali come su quelle tattiche e strategiche, per sommi capi tratteggeremo nel corso dell'esposizione le caratteristiche salienti della suddetta regione fortificata.

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Cfr.

E Nc 1cLOP EOlA M 1LJTARE,

alla voce 'Regione'.


PARTE PRIMA

I secoli dei sanniti

L imiti d'indagine La trattazione che segue, ci sembra indispensabile premetterlo, non intende assolutamente entrare nello specifico della diatriba storica circa la civiltà sannita. Né affronterà la controversia secolare relativa alla identificazione delle ubicazioni toponomastiche alla luce d iscutibilissima e spesso incoerente delle poche fonti. Parimenti si asterrà dallo scendere nell'analisi archeologica dei reperti, esulando dalla finalità della stessa. Sempre in ossequio a tale logica non si procederà ad una schedatura sistematica né a rilievi di dettaglio delle strutture difensive citate, se non strettamente indispensabile. Quello che invece si cercherà di evidenziare e di approfondire è la concezione difensiva territoriale, il sistema cioè, cli questa stirpe che così a lungo ed aspramente contese ai romani la supremazia p eninsulare, verificando quanto l'abnorme protrarsi della disputa, sia stato in definitiva funzione dell'apparato fortificatorio. Che poi in ultima istanza altro non è che l'analisi del sistema eseguita, come accennato in premessa, con un'ottica moderna, spaziante dalla interdipendenza teatro bellico-caposaldi-strutt ure e fra questa le armi abituali e le tattiche d'impiego. È ovvio pertanto fornire u na sintetica descrizione delle peculiarità sannite, come la loro origine, la cultura e la civiltà, p er quanto note, nonché del divergente modo di realizzare il controllo o il possesso del territorio in antitesi ai romani, e quindi delle loro modalità belliche. Solo dopo una simile puntualizzazione, sia pur sch ematica, risulterà agevole la comprensione dell'analisi del loro sistema difensivo, altrimenti assimilabile ad una accozzaglia più o meno casuale e disarticolata di strutture megalitiche . È infatti indispensabile a tal fine correlare le specificità insediative e sociali con quelle militari, onde evitare di indugiare in valutazioni di singole opere avulse dal contesto d'impianto.

Le origini: stirpe, territorio ed economia In ogni leggenda al fondo vi è sempre una certa quantità di verità, maggiormente quando questa sia di remota provenienza e di fonti diversificate. La guerra di Troia è in merito emblematica rappresentando al di là ciel racconto Omerico, peraltro alquanto attendibile e confermato, la fase culminante dell'avvio della diaspora anatolica. Infatti il notissimo episodio si inserisce nel contesto dello sfaldamento dell'impero ittita, estrinsecatosi intorno al XIII-XII sec . a.e. con migrazione verso occidente di gruppi etnici superstiti, per terra e per mare. Attualmente, abbandonata l'ipotesi di vaste immigrazioni indoeuropee provenienti dal nord, si protende per una più accertata e riscontrata infiltrazione attraverso l'Adriatico, con andamento, sul territorio peninsulare da sud a nord . Numerosi reperti archeologici, le cui origini vanno ricercate nell'Anatolia e nell'Egeo, suffragano l'asserto, come anche: «all'età della civiltà "appenninica" rimontano gli elementi egei che si trovano nelle anni di bronzo ... pertinenti alle culture protostoriche italiane ... » 1 • Questa parentesi ci sembra estremamente interessante almeno per due ordini d'implicanze: innanzitutto gli Ittiti 2 erano maestri nell'arte siderurgica, specie di quella necessaria per la produzione di armi ricercatissime, ed inoltre erano anche validissimi ingegneri militari, al punto che il patrimonio

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Cfr . R. 81ANCH1 BA N DlNELLl, A. G 1u L 1ANo, Etruschi e iwlici prima del dominio di Roma, Milano, 1979, p. Il. Cfr. F. Russo, Dallo siazzo alla cinta bastionata, in «L'Universm> riv. I.G.ìvl.I. , Firenze, n° 4-5-6, 1983, pp. 630-638.


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strutturale da essi elaborato, costituì la premessa e gli archetipi per le successive attuazioni nel bacino del Mediterraneo, fino all'avvento dell'artiglieria moderna 3 • È lecito perciò supporre seguendo il senso dell'ipotesi che immigranti di tale provenienza fossero in grado di trasferire insieme alle proprie persone le nozioni scientifiche per essi acclarate, imprimendo un vistoso salto culturale alle aree di successiva stabilizzazione. Tuttavia la loro superiorità restò confinata al singolo settore, risultando per altro un popolo: «emotivamente tardo ... senza pretese intellettuali. .. privo di raffinatezze ... » 4 connotazione questa che potrebbe calzare alla perfezione alla stirpe che esamineremo, non meno della peculiarità delle fortificazioni anatoliche. Gli Ittiti infatti erano soliti: «sistemare sul fianco di alture una serie di cinte e in vetta, la cittadella ... »5, impianto che presto ritroveremo. Esaurita questa suggestiva quanto esplicativa evenienza, tracceremo il quadro delle origini assodate finora dei sanniti, appartenenti al grosso ceppo sabellico. Le genti italiche, note sotto il nome di Sabelli, racchiudevano quasi certamente già la stirpe dei sanniti, che in pratica per i romani non avevano alcuna differenza dai primi. Infatti secondo Varrone, Strabone e Plinio Sabellusi vuol dire appunto Sannita, come diversi passi confermano pienamente. Non altrettanto scontata è la discendenza dei Sanniti dai Sabini, che per certo erano loro parenti: tra Safinim, Sabinus, Sabellus e Samnis è più che evidente l'etimo comune6 • Il processo di definizione delle diverse etnie dovette avvenire con molta probabilità attraverso il rituale del Ver Sacrum (Primavera Sacra), che agì da forza centrifuga, connotandosi compiutamente intorno al VI sec. a.C . «Il Ver Sacrum sabello è stato descritto da Strabone e da altri autori. Per vincere una battaglia, allontanare un pericolo o porre fine ad una calamità naturale quale una carestia o un'epidemia, i Sabelli promettevano di sacrificare a Mamerte tutto ciò che fosse nato la primavera successiva. I bambini nati in tale periodo non venivano tuttavia letteralmente immolati, bensì lasciati crescere, ma come sacrali: in altri termini, venivano consacrati al dio e, raggiunta l'età adulta, avevano l'obbligo di lasciare la loro tribù e cercare nuovi boschi e pascoli sotto la guida di un animale sacro alla divinità. L'animale-guida poteva essere un toro, un lupo, un orso o forse un cervo, e il gruppo emigrante si stabiliva dove l'animale avesse indicato. A compiere questo genere di emigrazioni doveva essere quel tipo di guerrieri-pastori che si ritrova anche altrove . .. Anche l'animale-guida ha i suoi equivalenti: la sua esistenza è nota presso altre comunità indoeuropee ... In ogni caso, è chiaro che il motivo reale per celebrare il Ver Sacrum era la sovrappopolazione»7 • Pertanto i Sanniti, che fondarono Bovianum, seguirono un bue, i Caudini un toro, gli Irpini e Lucani - Irpus (in sabino) e Lucos (in greco) - un lupo, i Picenti una pica, gli Ursentini un orso : toponimi che in buona parte permangono ancora. Non è da escludere che persino il nome Italia, alle origini indicante soltanto una parte della penisola, sia da collegare ad un vitulus, vitello sannita8 • All'interno dell'areale Sannita si distinsero ben presto quattro tribù, sostanzialmente concordi nella guerra a Roma, che erano quelle dei Carecini, Irpini, Caudini, Pentri . La loro coesione era tale da costituire addirittura una lega federale saldissima. In merito ai territori di pertinenza abbiamo i Carecini a nord del Sannio, quasi ai confini con il Lazio, i Caudini ad occidente, a contatto con le città greche della Campania, gli Irpini a sud fra le vallate dell'Ofanto, del Calore e del Sabato. I Pentri invece, rudi e bellicosi montanari, ne occupavano il cuore, ovvero il Massiccio del Matese. Plinio molto romanamente intende per Sanniti i soli Pentri, ovvero i nemici per antonomasia di Roma, che tuttavia con insolita generosità definisce, elencando le regioni d'Italia: «Sequitur regio

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Cfr. J. ARMAND, L'arte della guerra nel mondo antico, Roma, 1978, p. 143. Cfr. S. Lorn, Early Highland Peoples of Anatolia, 1967, pp. 64-65. 5 Y. YADJ N , The Art of Warfare in Biblica/ Lands, London, 1963, p. 54. 6 Cfr. A. D, loR10, La vita e i cos/Umi dei Sanniti, in Arch. Stor. Molisano Anno lll, 1979, p. 47 ed anche, A.A. APREA, Da Caudio a Canne, Roma, 1981, pp. 34-45, G. MENNONE , Riassunto storico dell'antico Sannio, 1985, pp. 20-25, G. Z1 NKE1SEN, Samnitica, Dissertatio Historico- Critica, Lipsia, 183 I, pp. 12-27. 7 Cfr. E.T. SALMON, Il Sannio e i Sanniti, Torino, 1985, pp. 37-38. 8 Cfr. C0Rc1A, Storia delle due Sicilie, p. 349. 4


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Parte prima. I secoli dei sanniti

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3. I Sanniti e la loro suddivisione.

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quarta gentium ve! fortissimarum ltaliae» 9 • Così facendo peraltro il celebre ammiraglio avallò definitivamente la correlazione massiccio del Matese-Sanniti, focalizzando giustamente l'attenzione degli storici posteriori intorno a quel complesso di montagne, teatro primario del confronto fra le due etnie per la supremazia peninsulare . A ben riflettere però anche per le altre tribù si potrebbe individuare un sistema montuoso di stretta pertinenza, per cui i Carecini ebbero la Maiella, gli Irpini gli omonimi monti ed i Caudini il Taburno. Ma sebbene si rinvengano su queste montagne resti di fortificazioni della stessa natura di quelle matesine, in nessun caso queste assurgono a sistema di sì elevata complessità e di sì marcata regionalizzazione da connotarsi come areale chiuso . Pertanto il massiccio fortificato dei Pentri resta un unicum, collegato tuttavia alla rete delle innumerevoli postazioni arroccate del Sannio, ma totalmente autosufficiente e definito. Ugualmente i Pentri si configurano come la punta di diamante delle tribù sannite da riuscire difficile accettare la loro eguaglianza paritetica intertribale 10 • Anche noi accentreremo il nostro interesse su questo eccezionale acrocoro, superbamente fortificato e fanaticamente difeso per oltre un secolo, appunto dai rozzi montanari Pentri, equiparandolo ad una sorta di ridotto di estrema difesa, e comunque una regione fortificata ante litteram. Ci sembra a tal fine indispensabile premettere un approfondimento circa il tipo di civiltà e di economia che in esso si estrinsecava, estrapolandolo dal generico discorso, proiettandolo per contro sul contesto territoriale matesino per recepirne le profonde motivazioni di una così implacabile ostilità, esempio a lquanto raro nella vicenda espansiva di Roma. Ne emergerà tra le righe la perfetta calibrazione del sistema difensivo adottato lungo quelle pendici montane e la sua rispondenza specifica.

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Cfr. G. P11N 10 SEcoN IJO , Storia naturale, Torino, 1982, lib . III, p. 438. 1 Cfr. N. P1cA, I Sanniti, Benevento, 1981, p . l3 ed anche R.U. V u. 1,M II, La terra dei Sanniti Pentri, Caserta, 1983, pp.

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4. Carta dell 'antica Italia Centrale (racc. V. Maturo).


Parte prima. I secoli dei sanniti

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5 5. Antica mappa del Sann io (racc. V. Maturo).


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La «civiltà appenninica» si affermò come una civiltà pastorale alla qua le si addicevano vasti spazi e lunghi spostamenti per le transumanze, testimoniate dagli ampi e millenari tratturi. Non vi fu quindi per una simile cultura esistenziale una grossa esigenza di urbanizzazione. Va tuttavia precisato che: «si è parlato ... esageratamente, per l' età appenninica, dell'importanza del mondo pastorale, come se le popolazioni di questo tempo conducessero abitualmente una vita nom ade ... Invece la pratica della transumanza ... non richiedeva una vita errabonda, ma uno spostamento di certi elementi di un gruppo socia le in una determinata stagione dell'anno . La migrazione, infatti non implica l'abbandono delle persone necessarie a questo lavoro. La stessa economia delle comunità montane non appare solamente pastorale, ma anche agricola e di allevamento stanziale . .. Né i bovini stessi possono reggere comunemente ad una vita nomade ... cosl che dobbiamo vedere la migrazione solo come necessità climatica stagionale, non un normale modo d i vivere. Un certo numero di animali doveva poi certo restare nelle sedi montane, tenuto nei ricoveri e fo raggiati col fieno ... » 11. La valutazione, se da un la to ci conferma la continuità abitativa dei cen tri sanniti, anche nei periodi invernali, dall'altro riduce la potenzialità economica dei loro abitanti poiché: «la necessità di riparare, all'inverno, le greggi nelle stalle o bbliga anche il più grande proprietario ... a limitare il suo bestiame ... Così. .. possiamo sostenere che il bestiame de' Sanniti e de' Lucani era limitato, quando le Puglie e le coste del golfo di Taranto non erano loro soggette, o non potevano servire di pascolo ... (gli stessi) romani (soltanto) alla fin e della seconda e, meglio ancora, della terza guerra sannitica, (poterono penetrando con le loro colonie nella zona interna dell 'App enn ino) aumentare il loro bestiame ... » 12 . Da quanto detto emergono alcune incontrovertibili realtà : la civiltà sannita, specie quella interna e m o ntana, in qualsiasi modo si voglia esaminare era sostanzialmente povera, e l' unica ricchezza se così si può chiamare era costituita dalle greggi. Per esse forse si attivò, in forza di quanto citato, il processo espansivo del Sannio, teso alla ricerca di nuovi pascoli e territori dove svernare.

Divergenze politico-militari fra sanniti e romani Pertanto il medesimo territorio si caratterizza non già come un bene di esclusivo possesso e quindi capitalizzabile, ma piuttosto come un inalienabile substrato esistenziale, vera fonte vitale comune, al pari di una inesau ribile risorsa energetica. I racconti di Livio circa i grossi bottini e le immense prede di cui sistem aticamente s' impossessavano i romani dopo l'espugnazione di ogni villaggio sannita, o persino dopo qualche vittoria sul campo, vanno riguardati come classico espediente per accrescere la gloria dell'esercito, attribuendo ai nemici rilevante opulenza e quindi conseguenziale corruzione. Il vero provento rimarchevole, se mai pure vi fu, derivò dalla vendita dei prigionieri. Ad u na identica motivazione è da ricondurre lo sbandierato impiego nelle forze sannite di a rmi riccamente ornate di oro e di argento 13 , di per sé assurde e scarsamente fu nzionali , non solo per questi, ma per qualsiasi combattente dell'antichità. La difesa perciò del dispositivo sannita non era funzi one della inesistente ricchezza mercantile accumulata nelle a ltrettanto inesistenti città, m a dello stesso territorio d al quale dipendeva la sopravvivenza tribale ed etnica. Prende così a configurarsi u n altro aspetto, ed è forse il principale fra quelli ideologici, del conflitto fra le due civiltà italiche. Da un lato infatti abbiamo un aggregato centralizzato militarista ed urbano, con una visione capitalista e dinamica della società e dell'economia . Indubbiamente si tratta di una organizzazione attivissima, energica, aggressiva e centrifuga, proprio per la sua crescente necessità espansiva e quindi egemonica . Dall 'altro invece vi è un m ondo chiuso, conservatore, privo di spinte evolutive, con un a economia di tipo collettivistico nella fru izione del territorio pastorale, e con una logica politica di n atura democratica, ed una struttura intertribale federale, alquanto labile e lenta nelle decisioni. La natura capitalistica della civiltà romana si rispecchiava persino nel suo ordinamento militare, che p er l'epoca in questione richiedeva ai sold ati l' appartenenza ad un determinato censo, ovvero

11 Cfr. L. Qu11.1c1, Roma primitiva e le origini della civiltà laziale, Perugia, 1979, p. 44. Cfr. E. Cicco rr1, li tramonto della schiavirù nel mondo antico, Bari, 1977, voi. li, pp. 189-90. 13 Cfr. T. L1v10 , Storia di Roma, Bologna, 1973, Lib. IX, XL, p. 133. (Trad. Carlo Vi tali).

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Parte prima. I secoli dei sanniti

Il

livello socio-economico, ritenendoli per questo più idonei e perché liberi da lla necessità di mantenere le rispettive famiglie, e perché soprattutto consapevoli di avere in caso di sconfitta molto da perdere 14 • Quando la struttura dell'esercito si trasformò, e ciò accadde abbastanza presto, Roma con la sua perfetta macchina bellica e le sue istit uzioni finalizzate all'impiego della stessa divenne la potenza egemonica per eccellenza, realizzando il primo modello di economia capi talistica estrema. Discorso diverso per i Sanniti, dalle istituzioni senz'altro divergenti da siffatro stereotipo e quindi certamente più d emocratiche: «Cosa gli scrittori antichi intendano esattamente, in questo contesto, per "democratico" non viene mai detto esplicitamente. Per P ol ibio democrazia sembra aver sign ificato assenza di tirannia, un sistema federale in cui tutti i membri hanno uguali diritti e il governo è eletto e controllato dal "popolo", ma in cui d'altro canto, i cittadini "onesti e importanti" hanno una maggiore faco ltà di formulare ed esprimere " la volontà del popolo" rispetto a lla gente comune. I n effetti gli stati sanniti non erano realmente democratici nel senso moderno del termine . Nel Sannio, come generalmente nella parte meno p rogredita dell'Italia le famiglie dinastiche con vaste proprietà terriere esercitavano il loro potere su intere regioni ... » 15 , ma trattasi in questo caso di terreni cli pianura cioè agricoli. Né peraltro è lecito ipotizzare una generalizzazione cd un'identificazione assoluta fra tutte le tribù sannite, e forse am pi attriti dovettero esistere da sempre fra le comunità agricole della pianura e quelle pastorali della montagna, ovvero fra i diversi livelli materiali raggiunti, più raffinati quelli delle prime, più rozzi quelli delle seconde. Si rischia però così facendo di cadere nell'estremo opposto, prefigurando quasi una frammentazione oltreché di tenore d i vita anche d i intenti po litici, che in effetti non sembra mai essere esistita. «È facile tuttavia sopravvalutare tali divisioni. T Campan i stanziati in pianura ... si erano distaccati dalla loro più arretrata cultura degli alti piani per svilupparne una più progredita, ciò che li portò ad estraniarsi dai loro più rozzi cugini. Al distacco avvenuto in seguito, degli Trpini dai Pen tri e dei Caudini da entrambi non s i dovrebbe attribuire eccess iva importanza: l 'ab ile politica di annessione dei territori perseguita da Roma permise di separare geograficamente le tribù sannite ... La coscienza nazionale dei sanniti era tuttavia molto forte, e i Romani non riuscirono mai a frazionarli completamente. Quando si profi lava la minaccia di un pericolo esterno o la possibi lità d'intraprendere un'impresa in comune a vantaggio di tutti , i Sanniti dimenticavano le loro discordie interne per fronteggiare uniti il mondo esterno. È significativo come ancora nel I secolo quando lo scoppio della guerra sociale mise alla prova la fedeltà dei popoli dell' I talia, gli Irpini non abbiano esitato a schierarsi al fianco dei Pentri, contro Roma, malgrado l'intenso processo di romanizzazione cui erano stati sottoposti nei centocinquant'anni precedenti. .. » 16 • D a quanto affermato traspare però la immaginabile len tezza nel prendere decisioni co muni, frutto di riunioni e di assemblee, e la ancor più deleteria burocratica conduzione delle forze armate federali, che sebbene m otivate dal comune avversario, non potevano ostentare una rigida disciplina e compattezza appunto per le accennate segmentazioni. Questo confermando la differenziazione interna dei Sanniti , ci porta a individuarne una volta di più nei Pentri, quelli meglio organizzati e risoluti, in perfetta assonanza con l'inciso di Plinio. Il loro essere particolarmente idonei alla guerra difensiva non deve suonare come sinonimo di codardia, quanto invece di ottimizzazione applicativa, esaltan do l'aspro teatro mates ino la bellicosa individualità. L a coesistenza d i due blocchi così profondamente antitetici, e sotto il profilo sociale e sotto quello ideologico e politico, a ppare assurda : inevitabile lo scontro totale. La Pen isola avrebbe dovuto prendere alla fine una connotazione o romana o sannita. È interessante osservare come il con fronto fra i due sistem i italici abbia una costante caratterizzazione nella progressiva perdita d i territorio sannita, in ragione quasi esponenziale, fru tto più che delle vittorie romane dello sfaldamento coesivo del labile aggregato italico, riprova della superata concezione egemonica. Infatti mediante le tre guerre sannitiche che scandirono la conquista romana dell'Italia

14 15

16

Cfr. L. Rossi, Rotocalchi di Pietra, Milano, 1981 , pp. 26-88. Cfr. E.T. SALMON, fl Sannio ... cil., p. 96. Ibidem, p. 96.


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6. Pompei: mura greche, aggere sannita, torri romane.

centrale, si passa per l'Urbe da una superficie iniziale dopo la distruzione di Veio di 2200 Km 2 a 6000 Km 2 dopo la prima, e l'assoggetta mento della lega latina con inoltr e 5000 Km 2 di territorio alleato. Quindi dopo la seconda 8000 Km 2 più 20.000 Km 2 alleato e con la terza 20 .000 Km 2 più 60.000 Km 217 • Poiché l' elemento attivo era rappresentato dai romani, la terribile ed irriducibile ostilità ebbe come teatro preferenziale l'areale sannitico, ed in particolare le sue montagne, sulle quali per contro la superiorità tattica dei difensori appariva incontrastata ed a lungo incontrastabile. Si in nescò in conseguenza uno stato di «stallo» sebbene a forze dissimili: fu questa p robabilmente la principale concausa del perché l'apparato militare romano dovette com battere aspramente oltre un secolo in quei pochi chilometri quadrati, il cui completo, o apparentemente tale, controllo e possesso implicò alla fine il rico rso al genocidio . Pertanto organici inferiori , armamento tecnologicamente superato, conduzione bellica d isarticolata, anarchismo ed individualismo dei piccoli reparti operanti vennero ampiamente compensati dai vantaggi topografici e morfologici, con la sola esigenza di una fanatica e tenace motivazione difensiva. Sotto quest'angolo la guerriglia in montagna fornisce una delle indiscusse invariant i storiche, al punto che nelle difficoltà delle legioni possono facilmente individu arsi quelle dell'esercito italiano nella lotta al brigantaggio che imperversò negli iden tici posti, come pure quelle delle divisio ni statunitensi della V armata e di quelle canadesi dell'Vlll inglese, che dovettero farsi strada alle pendici del massiccio nella Il G uerra Mondiale.

17

Cfr. A.

SAJTTA,

Guida critica alfa storia antica, Bari, 1980, p. 121.


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E forse anche, sebbene in altra parte del mondo - ma pur sempre montagna-, quelle dell' Armata Rossa nell' Afganistan , ad onta degli elicotteri e dei sofisticatissimi sistemi d'arma. La più rimarchevole peculiarità di uno scacchiere montano è infatti quella di fungere da moltiplicatore di difensori 18 • Nella terminologia militare romana: «focus iniquus ... («luogo accidentato», letteralmente «ingiusto» n.d.A.) (era) la migliore definizione delle topografie da evitare» 19 . Tale era per antonomasia il massiccio del Matese. A vagliare l'apprezzamento romano è da sottolineare che la pretesa «ingiustizia» dei luoghi non conteneva affatto una valutazione critica circa la loro idoneità bellica, quanto piuttosto la costatazione della pericolosa potenzialità sovvertitrice dei rapporti cli forza dei contendenti, in essi insita 20 • Grazie a questa persino le peggiori manchevolezze militari, quali l'indisciplina, l'insubordinazione, l'individualismo fanatico, la violenza gratuita e brutale trovavano sbocco positivo esaltandosi addirittura nella guerriglia, da sempre temuta da un esercito regolare e condannata, nell'ottica dei più forti, come sleale e vile.

Gli insediamenti sanniti Gli insediamenti sanniti, come del resto più in generale quelli italici lungo la dorsale appenninica, si impiantarono con una configurazione specifica pre-urbana di tipo paganico-vicano. Il pagus era un areale proprio cli ciascuna comunità , completo di adeguati supporti ed infrastrutture insediative: «era (cioè) un distretto rurale seminclipendente, che si occupava cli questioni sociali, agricole e soprattutto religiose: è inoltre possibile che attraverso di esso avvenisse il reclutamento militare. Esso svolgeva funzioni governative a livello puramente locale e a tale scopo possedeva proprietà comunali, inclusi degli edifici ... È impossibile stabilire quanti pagi formassero (una tribù) ... I Peligni, una tribù più piccola di quella dei Pentri, sembra avessero circa venticinque pagi»21 • Il vicus invece era l'unità insediativa produttiva, una sorta cli equivalente di un centro agro-pastorale-artigianale con una sua att ività mercantile di interscambio. «La formazione spontanea di un vicus presuppone un sito aperto, vallivo, pedemontano o collinare, facilmente accessibile ... » 22 • «Nam Samnites, ea tempestate in montibus vicatim habitantes, campestria et maritima loca contemplo cultorum mofliore atque, ut evenit Jere, locis simili genere ipsi montani atque agrestes depopulabantun>. «I Sanniti infatti che in quel tempo abitavano in villaggi montani, essi stessi rozzi montanari simili alle località dove vivevano, pieni di disprezzo per quelli che vivevano un tenore cli vita più mite, compivano devastazioni sulle campagne coltivate e negli abitati lungo le spiagge marine» 23 .

Non si riscontra per quanto detto la formazione di città: «il processo di urbanizzazione (infatti) giunse a compimento, nelle aree interne del Sannio, solamente nell'ambito dello stato romano dopo la guerra sociale, nel corso del I sec. a.e .... » 24 • Un arcipelago quindi di villaggi abbarbicati alla falde pedemontane e gravitanti tanto sui pascoli d'altura quanto sulle pianure sottostanti. Questa singolare forma insediativa, frutto più della mobilità e del provvisorio, che della radicalizzazione architettonica, non può logicamente trovare una intima corrispondenza con le fortificazioni, che per contro presuppongono la certezza e la inamovibilità del sito, oltreché naturalmente una densità abitativa di residenti fissi molto maggiore. Pertanto i centri

18 19 20

Cfr. K. VoN C t AUSEWITZ, Della guerra, cit., pp. 536-559. Cfr. J. ARM ,\Nll, L'arte della guerra ... cit., p. 125. La durissima natura dei luoghi fu spiritosamente osservata dal Gen. Lucas, comandante il VI C.d.A. alleato nel '43,

allorché sostenne che: «Le guerre dovrebbero essere combattute in paesi più adatti di questo» . 21 Cfr. E.T. S,..i.MoN, li Sannio ... cit., pp. 85-86. 22 Cfr . A. LA RErnNA, Sannio Penlri e Frentani dal Vi al i sec. a.C., Roma, 1980, p. 37. 23 Cfr. T. L 1v10 , Storia ... cit., Lib. IX-XIII, p. 43 (trad. Carlo Vitali). 24 Cfr. A. LA R 1::G1NA, Sannio ... cit., p. 35.


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fortificati, o meglio le numerose opere difensive, non implicano affatto una concomitanza con i centri abitati, in quanto non questi ma il territorio era fi nalità precipua della difesa, o per puntualizzare della interdizione attiva. Trattas i quindi d i ostacoli di varia entità, p resumibilmente per un impiego militare discontinuo, massimo nei periodi di minaccia, che bloccando gli accessi e presidiando i valichi ed i passi, creavano di fatto grandi enclavi isolate ed inaccessibili, vere oasi di sicurezza . La concatenazione poi di siffatte strutture realizzava una rete cli collegamento ottico sfruttato per le segnalazioni di preavviso alla m inima parvenza di violazione. « I centri fortificati sorgono (perciò) nel territorio con funzione specifica e senza necessità di coincidenza con entità vicane. La loro utilizzazione diviene più intensiva ... nel periodo ... tra le guerre sannitiche, la presenza di Pirro e l' in vasione annibaJica . Il prevalere di esigenze d ifensive ha determinato l' introduzione di modelli nu ovi ... (poiché) gli insediamenti vicani mal si prestavano nel loro complesso ... ad essere muniti di mura, sia per la loro ubicazione ... esposta e non arroccata, sia per la loro diffusione eccessivamente sporadica . Il luogo fortificato è in effetti non una pertinenza del vicus, anche nei casi in cui vi sia coincidenza topografica, bensì della comunità intera. Questa a differenza di una comunità urbanizzata, si identifica con un am bito terri toriale e non con un sito abitato» 25 . Abbia mo quindi dei villaggi con nelle adiacenze luoghi fortificati, foci muniti, oppida, caste/la ecc . secondo le denominazioni liviane, di loro giurisdizio ne, quasi una sorta di rifugi civili dove accorrere con le relative masse armentizie nei casi di emergenza prefigurata dalla rete di avvistamento, estendendosi l'afflusso ovviamente solo all'interno dei recinti, spesso peraltro esclusivamente militari, ma anche e soprattutto a ll'interno delle anzidette enclavi. Non è da escludere a priori, sebbene limitata ad alcune eccezioni , la sovrapposizione fra abitato e fortificazione perimetrica, come ad esempio a Saepinum , ma trattasi d i anomalie che di fatto conferm ano la prassi . Potrebbe destare perplessità il rinvenirsi e l'identi ficarsi con estrema fac ilità e frequ enza cli cerchie megalitiche, e il non individuare la benché minima traccia dei pur esistiti villaggi. L a spiegazione va imputata alla diversa modalità edificatoria dei secondi, innalzati con materiali deperibilissimi, quali legno, terra e magari paglia per le coperture, capanne quindi, che costituiscono in quanto tali nemmeno sotto l'aspetto architettonico alcunché di somigliante ad una città. Ne è conferma esplicita la pratica ricorren te romana di incen diarli appena conquistati o per meglio dire raggiunti. «Le case dei sanniti rispecchiavano inevitabilmente la loro povertà. Da Livio apprendiamo che esse erano ben poco solide. La maggior parte della popolazione viveva in ab itazioni semplici, prim it ive, presumibilmenle com poste d a una sola stanza : case che potrebbero poi appropriatamente venir designate coi nomi latini di mapafia o tuguria ... È lecito supporre che molte di esse fossero semplicemente dei ricoveri provvisori, adatti alle esigenze dei pastori che si spostavano coi loro greggi. E probabilmente anche le case dei personaggi più importanti avevano ben p oche comodità . .. » 26 • Quanto esposto induce a sottolineare come analizzare, estrapolandola, una singola di tali strutture fortificato rie sia del tutto insignificante sotto il profilo militare in quanto la va lidità derivava dalla loro concatenazione e la f unzionalità dal reciproco appoggio ed interdipendenza . Giova osservare che proprio d alla scansione di queste massicce opere difensive s iamo in grado di slimare quella della superficie di pertinenza di un vicus, che nell'area matesina rientra mediamente in un raggio di 5/6 Km. Non si sono potute stabilire, ed è probabile che nella realtà non es istessero affatto, forme di gerarchizzazione dei diversi vici, privi cioè di capo luoghi o sedi di go verno, principali, inducendoci a ritenerli tutti ugua lmente dipendenti dallo Stato, unico detentore della forza armata, della sua m obilitazione e manovra. Forse le stesse for tificazioni trovavano in esso l' ideazione ed i mezzi di attuazione. I Pentri quindi, meglio degli altri sannit i, si abbarbicarono alla montagna dove le loro greggi potevano pascolare in assoluta tranquillità e la loro esistenza svolgersi ben protetta dalle possibili razzie, a ltrove abbastanza frequen t i.

25 26

Cfr. /1.. L, R EGIN,,, Sannio ... cit., p. 38. Cfr. E.T. SALMON, li Sannio ... cit., p. 146.


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'--------------------------..J..... ____________.,;,,;,c;.-;rrvntum 7. Le Regioni Augustee: nell'ovale il Massiccio del Matese e le sue propaggini.

La stretta interdipendenza territorio-risorse vitali-immunità si concretizzava nel caso del Matese in maniera perfetta, giocando le opere dell'uomo ad integrare il già naturalmente predisposto ridotto montano. Plinio il Vecchio ci consente al riguardo ulteriori e preziose annotazioni, pur scrivendo sulla materia alcuni secoli dopo, in età imperiale. Sappiamo così che al tempo delle Xl regioni augustee il Sannio dei Pentri, ovvero il massiccio del Matese e le sue immediate propaggini, rientrava quasi interamente nella IV regione, tranne le cittadine di Allife (Alife), Telesia (S. Salvatore Telesino-M. Acero) e Veafro, inquadrate nella l. È sotto molti aspetti una riprova deUo smembramento dell'areale matesino e della sua unità etnica, perpetrata dai romani a conclusione delle guerre che videro i Pentri come irriducibili avversari. Né la frammentazione amministrativa restò isolata, essendo perfezionata, come riproporremo, da deportazioni e genocidio. A causa di ciò ogni successiva identificazione plausibile degli originali toponimi sanniti, fatte salve rare eccezioni frutto della ricostruzione romana, si presenta improba ed aleatoria. Vi è da aggiungere inoltre che mai si evince, dagli autori classici coevi o dalle permanenze locali, per il Matese un appellativo di Pentria, o similare che ricordasse in qualche modo il suo essere stato sede della bellicosa tribù, come avvenne per la Lucania, l'Irpinia e persino per i monti della Frentania che tramandano la preesistenza sannita. Anche questa fu forse una conseguenza della terribile vendetta di Roma. Ciò che stupisce maggiormente però è costatare il protrarsi nel tempo di siffatta volontà: ancora oggi si parla ad esempio di una ricostituzione della regione Sannio27 ed ancora oggi il Massiccio del Ma tese, relativamente vasto, è frantumato fra Molise e Campania, e fra ben quattro province - Isernia, Caserta, Benevento, Campobasso. Persino nella cartografia militare occorrono quattro fogli al 100.000 per ricostruire questo gruppo di montagne dalla intima connessione geo-morfologica. Si può a buon diritto affermare pertanto che il Matese continua a serbare oltre ai ruderi delle

27

Cfr. T. Bozzi, Il vero Sannio, Caserta, 1981.

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fortezze sannite, i criteri di disgregazione imposti dai romani, nel timore di un'ennesima resurrezione dei bellicosi montanari.

Il Massiccio del Matese «La conformazione dell'altopiano del Malese, col suo elevato orlo montagnoso, l'asprezza del terreno, il limitato numero di accessi dal piano, conferisce alla montagna una grande capacità difensiva. L'azione dell'attaccante deve perciò tendere od alla ben difficile scalata diretta dell'orlo montagnoso od alla conquista dei varchi aperti dalle erosioni delle acque e dalle opere dell'uomo. Questi varchi però sono quasi tutte strette difficilissime e lunghe facilmente difendibili con pochissime forze. L'interno dell'altopiano, ricco di ottime comunicazioni mulattiere, permette inoltre facili spostamenti delle riserve là dove minaccia l'attacco. Nei riguardi delle risorse logistiche, la montagna è povera: essa, tranne i limitati prodotti della pastorizia e del taglio dei boschi, nulla più offre; la regione quindi, per essere sfruttata militarmente, va organizzata, con opportuni provvedimenti logistici, specie nei riguardi dell'affluenza di vettovaglie e munizioni». Le citate considerazioni militari non provengono da un brano dì Livio, ma da una monografia redatta dal Comando della 25 a Divisione Militare Territoriale di Napoli intitolata: «La Montagna del Matese e le terre che la circondano», in occasione della manovra con i quadri di Divisione e per l'esercitazione d'Arma, nel 1929. Questo per sottolineare l'assoluta e costante validità difensiva del Massiccio fino quasi ai nostri giorni. Le considerazioni pertanto sono integralmente, ed a maggior ragione, trasferibili al periodo sannita con un'unica puntualizzazione: oltre alla pastorizia ed ai boschi, la montagna offriva un'eccellente pietra da taglio con comode e propizie giaciture ed orientamenti di strato. E fu il materiale da costruzione per antonomasia delle fortificazioni sannite che munivano e presidiavano i predetti "varchi'' verso l'interno del Massiccio. Il Massiccio del Matese, l'antico Mons Tifernus, si distingue nettamente nel!' Appennino Centrale per una sua completezza strutturale - essendo quasi isolato dalla restante catena, a Nord quanto a Sud, dai corsi d'acqua - e per una sua imponenza di pianta ed altimetrica. In esso infatti sono presenti cime di O'ltre 2000 m., altipiani e.conche tra i 1000 ed i 1500 m. , il tutto fuso in un unico geografico estremamente pittoresco fra le regioni costiere adriatiche e tirreniche, al centro quasi della Penisola, dove essa ostenta un vistoso restringimento. Ad accentuare questo stacco contribuisce come vedremo anche il clima assolutamente divergente da quello delle pianure sottostanti. «Questo massiccio è uno dei più importanti gruppi montani dell'Italia peninsulare: costituito da una massa calcareo-dolomitica, lunga circa 65 Km. e larga 20, emerge fra le valli del Carpino, dell'alto e medio Volturno, del basso Calore, del Tammaro e del Rio (Biferno). Il Matese appartiene così, quasi tutto, al versante Tirrenico. La linea di cresta, orientata da nord-ovest a sud-est, raggiunge i 2050 metri a monte Miletto 28 , i 1922 a monte Gallinola, i 1822 a monte Mutria ed i 1018 a monte Calvello. A sud di monte Miletto trovasi il lago del Matese (altitudine I 007 m.) largo 1 Km. e lungo 4. Il versante meridionale della montagna degrada sulla valle del Calore a balze poco ripide, ma profondamente incise; i versanti settentrionale, occidentale ed orientale precipitano invece bruscamente sulla valle del Rio e su quella del Volturno. Questo massiccio, verso la metà del periodo terziario, emergeva di poco dal mare che lo circondava: alla fine del terziario, il fondo del mare, e con esso tutte le altre terre già emerse29 , subirono un

28

Monte Miletto trarrebbe il nome secondo alcuni autori, tra i quali il Trutta, da mons militum perché suI!e sue pendici settentrionali sì sarebbero più vo.lte ritirati i sanniti. 29 Di tale periodo orogenetico resta una singolare documentazione nella ittiofauna fossile che si può agevolmente vedere nelle stratificazioni superficiali del «Parco Paleontologico» di Pietraroja (BN) poco discosto dall'abitato a quota 950, in via di definitiva sistemazione.


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9 8. Monte Miletto. 9. Monte La Gallinola.


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10. Monte Mutria.

sollevamento che, lentamente, continuò per tutta l'era quaternaria. Vennero così alla luce anche le attuali terre che circondano il massiccio. Dalla parte più vicina al mare e cioè verso sud-ovest, le fiancate della montagna sono più rip1de e le danno l'aspetto di un enorme bastione, erto nei pendii e pianeggiante sull'alto; ma l'altopiano, a somiglianza di altri altopiani calcarei, non è piatto, ma intersecato eia groppe ed inciso da valli e da fossi. Molte di queste valli hanno tutte le caratteristiche di valli sospese, dove i corsi d'acqua in essi scorrenti vengono, di massima, assorbiti dal suolo e risorgono ai piedi della montagna, conservando, nel complesso, la stessa massa d'acqua che avevano sull'altopiano (fiume Lete e fiume Sava), oppure si disperdono per le innumerevoli vie che l'idrografia sotterranea presenta nei paesi carsici. II Matese infatti ha caratteristiche carsiche, essendo costituito per la massima parte da terreni permeabili; esso si può quindi considerare come una vasta zona di assorbimento di ricchissime precipitazioni meteoriche. Queste acque ... alimentano innumerevoli polle, che scaturiscono a varie altezze nella montagna ... Analogamente ai paesi carsici, il Matese ha ripidissimi declivi spogli di vegetazione e conche molto fertili, aree vastissime senza case; enormi campi solcati dalle acque e, per contrario, piatte superfici uniformi. .. Di queste superfici pianeggianti, nel Matese, se ne trovano a tutte le altezze: ve ne sono a meno di 800 metri (piana di Castello di Alife e di Valle Agricola), a 1400- 1500 (Campo dell'Acero, Campo dell'Arco, Campitello), e perfino a 1900 m (sotto monte Miletto, dalla parte nord della vetta). Le più vaste di queste aree pianeggianti s'incontrano intorno ai 1000 metri, allineate da nord-ovest a sud-est: esse, che formano una delle più spiccate caratteristiche del massiccio, sono la conca ciel Gallo, la fossa di Letino, il campo delle Siccinne e, più vasta di tutte, quella che raccoglie le acque del lago ciel Matese.


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li

11. Pianura apicale.

Anche questo lago è di tipo carsico ... a livello variabile ... (le molteplici opere umane, idriche, viarie, ecc. hanno contribuito a mettere sempre più in valore il massiccio del Matese ed a togliergli quel carattere d'isolamento, che per difficoltà di accesso, ha sempre mantenuto, con conseguente ritardo dello sviluppo sociale ed economico di tutta la regione ... )»30 . Oltre all'accennata impenetrabilità per l'asprezza dei monti, si può ritenere il Massiccio quasi circondato da un vallo naturale di variabile larghezza e profondità, ma di indiscutibile validità militare, specie nel passato allorché nessuna regolamentazione idrica era stata introdotta. Tale "fossato" è costituito dal corso del Carpino, dall'alto e medio Volturno, dal basso Calore e Titerno, dalla valle del Tammaro, e dal corso del Rio (Biferno). Da quanto detto ne consegue un perimetro tattico di base di circa 200 Km. racchiudente una superficie complessiva di quasi 1500 Kmq., dei quali oltre il 73% al di sopra dei 400 m. Attualmente 50 comuni gravitano in essa. In merito alla conformazione del massiccio è opportuno fornire ancora qualche elemento chiarificatore. «Alcuni autori hanno addirittura parlato di "altopiano", volendo indicare con questo termine morfologico la sommità appunto, nel complesso spianato, di questa grande volta. Effettivamente, nel

° Cfr. Comando della 25 • Divisione ... cit. p. 6.

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12. Pianura apica!{

Matese si possono riconoscere tre elementi orografici: 1° Il fianco sud-occidentale, ripidissimo e brevissimo, il quale dalla piana del Volturno (circa I00-120 m. di elevazione) si innalza fino ad una linea di alture nella quale si raggiungono quasi sempre i 1000 m. fuori che nella estremità settentrionale), ma più spesso si sorpassano, avvicinandosi ai 1400 m. (M. Monaco di Gioia) presso la estremità meridionale; la profondità di questo fianco - data la sua ripidità - è assai piccola, misurandosi eia un massimo di 4 Km . ad un minimo di 2 Km., .. . ; 2° Il fianco nord-occidentale, meno erto e più sviluppato , il quale dalle piane del Biferno e dall' alto Tammaro (circa 520 m. di elevazione) si innalza fino ad una linea di alture, che costituisce la linea dei fastigi del Matese (monte Miletto-Mutria) ... collegati da una cresta quasi sempre superiore ai 1500 m ... ; la profondità di questo fianco si misura in circa 9 Km . dal piede alla linea delle massime alture. La pendenza media del fianco sud-occidentale si può calcolare di circa il 40%, quello del fianco nord-orientale di circa il 20% e forse anche meno . .. (Questa disparazione dei due versanti sotto il profilo difensivo è importantissima in quanto richiese una asimmetria delle opere, più concentrate, munite e presidiate nella fro nte nord-orientale) . 3° La zona o fascia mediana, assiale rispetto all'intero massiccio , compresa tra le due linee di alture marginali; questa zona costituisce nel suo insieme !'"altipiano" del Matese ... » 31 • Si può in definitiva assimilare il massiccio ad una sorta di fortezza a pianta rettangolare della quale i due lati lunghi sono costituiti da altrettante catene montuose ad andamento parallelo , con pendenze

31

42-45.

Cfr. G.

D A 1NE LL1,

Guida della escursione al Matese, Xl Congresso Geografico Italiano, Napoli, 1930, Atti del Con . pp.


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13 13. Lago artificiale di Letino.

esterne dissimili, vere bastionature naturali. Così il generale Rocchi ne suggeriva ancora nel nostro secolo la fortificazione : «Con l'af forzamento dei cigli delle alture interposte alle valli, che, salvo il caso di contrafforti impervi, si manifesta , come si disse, indispensabile a tutela degli sbarramenti, si vengono a costituire le fronti strategiche, delineate da un insieme di punti fortificati ... sulle alture, la cui azione potrà essere unificata a l momento opportuno, assumendo carattere controffensivo ed offensivo, mercè la manovra delle truppe mobili appoggiate ai punti suddetti. .. » 32 . Da queste infatti si potevano tenere sotto controllo visivo e tattico, rispettivamente: 1°) 2°) 3°) 4°) 5°)

a a a a a

Nord-Ovest - la piana d'Isernia - con gli itinerari fra Abruzzo e Campania. Nord-Est - la piana molisana - con gli itinerari adriatici ed i tratturi per la Puglia. Sud-Est - la piana di Benevento - con gli itinerari per la Puglia. Sud-Ovest - la piana di Teano e di Alife - con gli itinerari per la Campania. Sud - la piana di Amorosi con la Campania .

Tralasciando un ulteriore approfondimento dell'orogenesi matesina, pera ltro non ancora del tutto chiarita, ci preme sottolineare che il sollevamento, per quanto accennato, avvenne con soluzioni di continuità alquanto estese, consentendo la fo rmazione di ampie "terrazze" strapiombanti sulla pianura, siti elettivi per le fortezze sa nnite. Questi vertiginosi ballatoi offrivano già un notevole grado di protezione naturale su quasi tre lati garantendo inoltre il dominio degli accessi all'interno del mas-

32

Cfr. E. Rocc111 , La fortificazione in Montagna, Roma, 1898, p. 29.


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14 a

14. Fronti ciel Matese.

b

siedo. La idoneità abitativa degli stessi tuttavia non avrebbe potuto essere così discrezionale e facilmente adattabile, se non vi fosse stata una eccezionale disponibilità di sorgenti in qualsiasi punto ed altezza del sistema montuoso matesino, provenienti tutte dalla vera forza motrice del complesso, ovvero l'omonimo lago. Innumerevoli le sorgenti infatti che costellano il massiccio, delle quali almeno trecento con portata superiore a 0,5 litri al secondo, ed una ventina con oltre 40 1./sec., facendo ascendere la presenza media di una di esse ogni 5 Kmq., peculiarità estremamente propizia alla diffusione degli stanziamenti. Un primo allineamento delle polle si incontra fra i 1500 e gli 800 m. con evidente interesse pastorale ed antropico. Spiccano poi alle quote inferiori alcune gigantesche, come quelle del Torano e ciel Rio Freddo con portate medie di 2734 e 16181./sec., seguite da altre di quasi 10001./sec. Persino sui 1000 m. di quota si osservano sorgénti con 119 1./sec. di portata come la Capo Lete e quella dell'Agrifoglio con 452 1./sec. sempre alla medesima altezza33 • /

La notevole diversità di pendenza fra le due fiancate del massiccio si traduce sotto il profilo idrografico in una altrettanto vistosa dissimmetria di deflusso delle acque. Pertanto i 5/6 scorrono lungo il versante tirrenico, costituendo il bacino primario del Volturno, mentre la restante frazione si dirige verso la pianura Adriatica nel Biferno. Data la rilevanza del quadro idrografico e soprattutto dei suoi regimi ai fini difensivi, fenomeno valido ancora nella II Guerra Mondiale, ci sembra necessario ricordare ancora che gli attuali abbastanza prevedibili, pur nelle oscillazioni torrentizie, sono fr utto delle opere di sistemazione dei bacini imbriferi montani, realizzate negli ultimi decenni. Nel passato quindi, anche quello prossimo, la violenza e specialmente la sua repentinità erano le connotazioni distintive di simili corsi d'acqua, in qualsiasi momento dell'anno temibili e rovinosi. Relativamente al lago sommi tale, la cui superficie si trova alla quota 1007 m. è da ritenersi per l'epoca degli eventi in esame, notevolmente più esteso. Ancora alla fine del secolo scorso raggiungeva la lunghezza massima di Km. 4 con una larghezza di Km. I, ostentando una superficie che nei mesi invernali superava i 5 Kmq., con una profondità media di oltre 6 m. Recepibilissima da quanto descritto la perfetta idoneità dell'altopiano alla pastorizia e la sua straordinaria ricettività armentizia, ora come allora. L'ultimo attributo fisico del Matese, che giocava un ruolo non trascurabile ai fini difensivi, va individuato nella sua lussureggiante vegetazione, rappresentata anche da endemismi quaternari, purtroppo oggi cancellati dalla ottusa e scriteriata depauperazione perpetrata dall'uomo. Il bosco infatti è stato da sempre progressivamente sacrificato per far luogo ad una malintesa esigen za agraria, non-

33

Cfr. V.

L..,, NGELLA, //

Matese, Roma, 1964, pp. 26-32.


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15

16

15. Fronte occidentale del Matese. 16. Fronte orientale del Matese.


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1.7. Massiccio del Ma tese: sezioni trasversali.

ché ritenuto fonte inesauribile di materiale da costruzione e di combustibile, con evidenti ed irreversibili catastrofi ecologiche. Da esse si originano le così squallide denudazioni delle dorsali, che faticosamente si tenta adesso di riforestare. Vi è da dire che ad onta di ciò, e conferma esplicita della originaria copertura totale, è ancora possibile godere i residui boschi che ammantano le quote superiori ai 1000 m., tipici per tutti le bellissime faggete, che rappresentano almeno il 25% del patrimonio arborico matesino. È agevole, immaginando la densa foresta che si estendeva integra e senza soluzioni di continuità per l'intera area, figurarsi quanto propizia fosse ai difensori, e per contro come contribuisse a rendere pauroso ed impenetrabile il sito per gli attaccanti, ulterfore elemento dissuasivo, astutamente sfruttato.

La concezione difensiva: la regione fortificata sannita L'indole libera ed indipendente dei Sanniti, la loro insofferenza verso qualsiasi forma coercitiva tipica delle popolazioni montanare dedite alla pastorizia, li abilitava spiccatamente alla accentuazione della difesa, imperniata sulla asperità delle loro contrade. È però infondato vedere in questa propensione caratteriale un sintomo di codardia, smentita peraltro nel corso del lunghissimo conflitto da una abituale indomita fierezza. Tuttavia la presenza di strutture difensive concatenate, di sistemi cioè di vasta copertura territoriale, ha sempre ingenerato un simile preconcetto, unitamente a quello - a posteriori - della sostanziale inutilità delle stesse. «Questi giudizi riflettono non solo la moderna consapevolezza del crollo di tale sistema, .. . ma anche di un pregiudizio clausewitziano, apparentemente inestirpabi le, contro le strategie e le costruzioni difensive, un pregiudizio comune sia fra gli storici . .. sia fra gli esperti militari contemporanei, che discutono sulle difese missilistiche odierne. L'errore più comune in cui cadono queste analisi consiste nella tendenza a valutare i sistemi difensivi in termini assoluti.

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Se una difesa può essere penetrata, si dice che è "inutile", e solo le difese impenetrabili sono considerate valide. Si tratta di una valutazione estremamente ingannevole: è come se nel caso dell'offensiva, venisse considerato inutile qualsiasi sistema o ffensivo che non può vincere contro qualsiasi forma di resistenza in qualsiasi circostanza. T sistemi difensivi, invece, andrebbero valutati in termini relativi, e il costo dei mezzi impiegati andrebbe confrontato con i suoi effetti militari. Inoltre il valore di un sistema difensivo va stimato in base al tipo di pericolo a cui deve opporsi ... » 34 • La conoscenza parziale degli apprestamenti sanniti, diversi dei quali solo negli ultimi anni sono stati scoperti, e molti ancora probabilmente lo saranno nei prossimi, ha indotto ad una eccessiva semplificazione di tale sistema. «La distribuzione di questi recinti è analoga a quella già osservata per i castellieri. Essi risultano situati a catena in posizioni dominanti in modo da controllare ampi settori o complessi montuosi, come ad esempio quelli disposti intorno al Massiccio del Matese. Alcuni non furono mai abitati. Altri trasformatisi in insediamenti permanenti presentano la necropoli lontana dal recinto fortificato, poiché si continuava a seppellire nel luogo del primitivo insediamento ... » 35 . In realtà se la concezione sannita fosse stata limitata alle semplici erezioni di alcuni recinti circummatesini non avrebbe ostentato grosse novità, essendo preceduta secoli prima, non solo da quella ittita, come osservato, ma proprio dai citati castellieri. Ma se si correla alla estesissima area interessata da siffatte fortificazioni, cli cui il Matese rappresenta soltanto il ridotto di estrema resistenza - o forse meglio una regione fortificata montana - la complessità delle infrastrutture elaborate, dei raccordi viari, delle direttrici ottiche, delle opere di sbarramento e di segmentazione intermedie, ecc., ci si rende conto di essere al cospetto di ben diversa dinamica progettuale. Possiamo tracciare una schematizzazione della strategia informatrice, partendo dalla finalità perseguita che era in ultima analisi quella di realizzare una zona ad altissima sicurezza, al limite della inviolabilità, almeno per le coeve estrinsecazioni poliorcetiche, nella quale concentrare ingenti risorse umane, alimentari, economiche e tecnologiche onde dilatare a tempo indeterminato un possibile conflitto. Di più, era ancora ampiamente sopportabile una convergenza di fuggiaschi vallivi con le relative masse armentizie, che avrebbero ulteriormente incrementato la disponibilità complessiva delle suddette risorse. Una sorta quindi di generatore perpetuo di combattenti, assolutamente autonomo e autosufficiente, in grado di scagliare in qualsiasi momento ed in qualsiasi direzione o punto del suo perimetro, delle micidiali operazioni di contrattacco, fattore questo temibilissimo per ogni esercito attaccante. Per non parlare della insoffocabile e perenne conflittualità guerrigliera da esso scaturente. Per conseguire questo presupposto, individuato probabilmente il massiccio del Matese come raggruppamento montano più congruo alla trasformazione in regione fortificata, si procedette preliminarmente ad "allacciarlo" visivamente alla numerosissima rete cli caposaldi appenninici, che punteggiavano la dorsale meridionale. Questi assursero così al rango di sensori avanzati, atti a trasmettere otticamente segnalazioni di movimenti sospetti. I dispacci ad andamento centripeto (assumendo come velocità media cli avanzamento di un esercito legionario circa 20 miglia al giorno), garantivano preallarmi di quasi una settimana36 . Il territorio infatti sottoposto ad osservazione difensiva, andava quasi certamente dalla Maiella alla Calabria-Puglia, abbracciando anche il basso Lazio, il Molise e la Campania. Si procedette quindi a coordinare, integrandole fra loro le fortificazioni del perimetro ciel Matese, spesso già esistenti ma come episodi tattici. Al contempo se ne costruirono molte altre nuove al fine di accrescere la concatenazione complessiva, ingabbiando in tal modo l'intero Matese in un rettangolo di postazioni massicce antinvasive e di ostruzioni fortificate altrettanto frustranti antincursive. Pure queste ultime appaiono collegate visivamente, non solo alle precedenti ma persino fra loro, in maniera che, allertando la regione, ne notificavano parallelamente il settore minacciato, sul quale far convergere le forze di riserva strategica.

34 Cfr. E.N. LunwAK, La grande strategia ... cir. p. 92. 35 Cfr. G. Sc1-1M1EDT, Atlante aereofotografico delle sedi umane in Italia, Firenze, 1970, Parte Seconda, Note introduttive, p.21. 36 Cfr. A. CAss, RAM cLL1, Dalle caveme ai rifugi blindati, Milano, 1964, p. 65.


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Dai sanniti all'esercito italiano

La continuità delle direttrici ottiche fu attentamente ricercata per i caposaldi primari, ricorrendo in alcuni casi di estrema difficoltà per le masse montuose interposte, all'impiego di piccolissimi centri sempre fortificati, dalla evidente funzione di stazioni ripetitrici. Quanto esposto connota l'apparato di avanscoperta del sistema in verticale od afferente per i preallarmi provenienti dalle postazioni esterne e lontane, ed in orizzontale od operativo per quelli emessi dalle sue strutture perimetriche. Forse era proprio sulla base delle segnalazioni del primo tipo che si procedeva alla evacuazione pedemontana, stanti i notevoli margini temporali, di abitanti ed armenti, desertificando i villaggi esposti all'avanzata nemica, espediente che tanto impressionava i romani da lasciarcene memoria dettagliata37 • Al fine cli ottimizzare gli spostamenti tattici dei rincalzi, fra una fortezza e l'altra, nonché per consentire il rapido abbandono, si collegò la teoria con nuovi itinerari mulattieri, alcuni dei quali anche trasversali alle fronti principali, tirrenica ed adriatica. Circa la validità militare degli stessi come unica viabilità in alternativa a quella carrabile: «Importa ... accennare che è condizione indispensabile, per le truppe che devono operare in regioni montuose, di avere tutti i servizi someggiati. Qualora si assegnassero (quelli) ... trainati, sarebbero costrette a separarsene appena iniziati i movimenti nella zona dei monti, rimanendo soggette a notevoli difficoltà per i rifornimenti sulle rotabili, mentre il carreggio accumulandosi inevitabilmente ... al fondo delle valli, potrebbe essere causa di gravissimi inconvenienti nello svolgimento delle opera• ' z10m ... »·38 . E qui come non ricordare la formidabile e temutissima cavalleria sannita e figurarsi l'ingorgo di uomini e mezzi nella gola di Caudio? 39 La natura mulattiera della viabilità matesina è testimoniata persino dalla carreggiata dei ponti romani, ricostruzione dei preesistenti sanniti, mai superiore a m. 1,50. Sempre a motivo di sicurezza si applicò alla trama delle mulattiere il criterio della segmentazione, conseguita mediante ponti asportabili e fortificazioni cli sbarramento intermedie, poste a cavallo delle tratte maggiormente obbligate, costituite per lo più da poderosi santuari ambivalenti garanti ad un tempo della protezione celeste e di quella umana. «Circa le interruzioni stradali, che rappresentano uno dei fattori dell'ordinamento difensivo di una zona mon(ana, è da notare che pur costituendo desse un mezzo sussidiario di resistenza non trascurabile, sarebbe erroneo ritenere che il loro impiego possa rendere meno necessaria la costruzione degli sbarramenti. Non devesi, a questo riguardo dimenticare che l'interruzione risulterebbe affatto illusoria quando la difesa, sprovvista cli mezzi d'azione preparati, non fosse in grado d'impedire il ristabilimento delle comunicazioni per parte del mondo ... »40 . Un aspetto che me.riterebbe una evidenziazione particolare è quello inerente alla terrificità delle fortificazioni del Matese, sia singola che complessiva. È indubbio a giudicare dall'accorta ubicazione dei siti e delle modalità d'impianto che fosse esattamente perseguita, e non casualmente risultante. Infatti le fortezze in muratura ciclopica sono innalzate sempre in posizione evidentissima e non necessariamente tale per ragioni di dominio tattico, potendosi ottenere un'identica rispondenza con un defilamento od una mimetizzazione delle strutture, a parità di valore di concatenazione con le altre fortezze. Ad accentuarne invece il risalto doveva contribuire enormemente il disboscamento limitrofo, e l'essere costruite con conci di fresca frammentazione e quindi bianchi, molto contrastanti perciò con il grigio azzurro delle masse rocciose naturali. Di più ancora i loro enormi perimetri senz'altro incutevano timori e soggezioni lasciando supporre presidi proporzionali, per non parlare della inusitata ridondanza delle opere avanzate, apparentemente insormontabili. La onnipresenza di siffatti caposaldi, incombenti e sovrastanti qualsiasi itinerario vallivo o di pendice, il loro imporsi a cavaliere degli

37 Cfr. 38 Cfr. 39 Cfr. 4 Cfr.

°

T. L1 v10, Storia ... cit., Lib. X-XXXIV. E. RoccH1 , La fort(ficazione ... cit. p. 31. A. M AUR I, Passeggiate ca,npcme , Firenze, 1950, pp. 247-257. E. Rocc111, La fortificazione ... cit. p. 31.


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angusti valichi e delle orride forre, passaggi obbligati per la penetrazione matesana, instauravano negli attaccanti comprensibili scoramenti, realizzandosi inermi ed impacciati, privati della abituale compattezza, ed esposti per contro alla tracotante fierezza dei difensori, sempre e dovunque in agguato. Persino la duplicazione dei caposaldi in corrispondenza dei corsi d'acqua, a ''doppia testa di ponte" cioè, gettava in ulteriori prostrazioni per la ineluttabilità del sanguinoso impatto, essendo preclusa qualsiasi manovra aggirante. È evidente a questo punto come ogni tentativo di conquista, si infrangesse da un lato nella impossibi lità di giungere sul luogo inaspettatamente, trovandolo perciò non attivato militarmente, dall'altro nell'ancora più assurda ed impraticabile attuazione di un accerchiamento o blocco, che mai avrebbe determinato il collasso o la resa dei difensori per indigenza. Questi anzi disposero continuamente di un benessere, almeno a livello alimentare, di gran lunga superiore a quello dei loro attaccanti, i cui convogli di rifornimento invece subivano la decimazione perpetrata da pattuglie provenienti dalle altre alture appenniniche anch'esse munite e presidiate. Le accennate difficoltà connesse alla conquista della regione fortificata del Matese, in epoca sannita, vengono meglio delineate dal1' osservazione in materia d'attacco ad un sistema montano, sebbene relative a prassi in auge oltre due millenni dopo: «La pochissima probabilità di far cadere uno sbarramento con un attacco di sorpresa, o cli viva forza, è manifesta, per poco che si considerino le condizioni normali delle opere di montagna, le quali, per la loro posizione ... elevata, e per essere munite tutto all'intorno di ostacoli naturali, facilmente rafforzabili dall'arte, non temono se difese da un presidio attivo e vigilante, né i tentativi di attacchi avvolgenti o di rovescio ... Si dovrà pertanto ordinariamente alle operazioni normali d'attacco, il cui svolgimento, secondo i principi immutabili della guerra d'assedio, è costituito da tre fasi distinte: Le operazioni preliminari. Le operazioni con mezzi tecnici. L'atto risolutivo. Le operazioni preliminari comprendono l'avvicinamento, l'investimento e l'occupazione del terreno (antistante) ... Riguardo all'avvicinamento ed all'investimento, è facile anzitutto riconoscere: 1°) La necessità, per le truppe d'invasione, d'incamminarsi in vallate generalmente anguste, in lunghi e stretti corridoi che la difesa può facilmente sbarrare; 2°) L'impossibilità degli spostamenti nelle vallate predette; 3 °) La condizione inevitabile di presentarsi su di una fronte ristretta ed .in ordine profondo; 4°) L' estrema difficoltà, se non impossibilità di aggirare, dal principio dell'operazione, le posizioni della difesa, stante il di fetto di strade laterali. Gli aggiramenti per mulattiere, o sentieri, non hanno grande importanza contro opere permanenti chiuse. In conseguenza, l'investimento di un'opera di sbarramento non potrà venire eseguito, come per una piazza ordinaria di pianura, da una marcia avvolgente delle colonne stesse, separate eia massicci spesso impervi. Generalmente poi l'investimento non potrà essere completo, poiché non riuscirà all'aggressore d'intercettare tutti i passaggi ... sempre assai numerosi in montagna. Da quanto precede è manifesto che difficilmente scopo di tale operazione ... potrebbe essere il blocco. Senza dire che con questo mezzo ... non conforme alle ... esigenze di celerità, raramente si potrebbe giungere a risultati decisivi ... »41 . Ulteriori e più recepibili elementi chiarificatori in tal senso emergono dall'analisi delle specificità e dei canoni dell'architettura militare sannica e delle armi da lancio da essi impiegate.

Lungo il perimetro del Matese le strutture difensive poligonali si rinvengono impiantate mediamente fra le curve di livello dei 400 e dei 600 m., conseguenza questa della ricordata orogenesi - a scatti - del massiccio. Infatti in questo intervallo altimetrico si osservano le principali "terrazze" geologiche, prospicienti le piane sottostanti, adattissime alla riconversione in altrettante cittadelle

41

Cfr. E. RoccH1, Lafortificazione ... cit. p. 5.


Dai san niti all'esercito italiano

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montane , con il m inimo intervento integrativo . D alla loro altezza, particolare determin ante, si gode di un raggio visivo spaziante per d iverse decine d i ch ilometri, con evidente ottimizzazione degli avvistamenti diretti o di quelli trasmessi otticamente, senza tuttavia soffrire eccessiva mente d ei disagi che una maggiore elevazione avreb be indubbiamente presentato, non fosse altro che per il clima. In fu nzione poi della superficie e della facilità di accesso dalle " terrazze" alla parte sommitale e quindi interna del M atese, si aveva l'i nsediamento su d i esse o d i caposaldi precipuamente militari o più raramen te anche di centri civili a bitati perm anentemente. ln entram bi i casi la dinamica fortificatoria mirava tramite l'erezione di arginature, d i terrazzamenti o d i cerchie, sem pre in tecnica poligonale, di accentuare vistosamente l'arroccamento dei siti isolandoli p ersino dalle sovrastanti p endici montane. T rattavasi in definitiva di una precauzione aggiuntiva in quanto assai difficilmente un assalto avrebbe potuto concretizzarsi d a quella direzione poiché l'aggiramento a monte delle cittadelle si manifestava irto di d ifficoltà e tatticamente molto rischioso per l'eccessiva diluizione delle forze. Non di rado in ossequio alla ridonda nza d ifensiva, si muniva di u na m urazione d i sponda anche il cosiddetto ciglio tattico, nel nostro caso rappresentato d a vertiginosi st ra piombi, inviolabili. Quando infine la terrazza prescelta rivestiva un significato strategico primario, o fosse sede di importanti preesistenze insediative, non offre ndo al contempo un suffi ciente grado di imprendibilità per carenza di asperità natu rale, come ad esempio per deficiente ripidità d ella pendice, si articolavano opere avanzate plurime a intervalli prestabiliti. La loro configurazione che indubbiamente concretizza una peculiarità del repertorio architettonico san nita, può in prima approssimazione essere paragonata a quella dei terrazzamenti agricoli, con altezza m edia dei muri di contenimento oscillante fra m. 4-6. «Le m u ra di cinta potevano essere tanto m assicce q uanto alte: a Saepinum avevano uno spessore d i tre metri e ad A lli fae erano alte dieci . Nonostan te ciò, le ripetu te descrizioni di Livio d i come i R omani riuscissero senza troppe difficoltà ad espugnare gli oppida sanniti indicano che le difese non erano impenetrabili. La stessa rozzezza ed irregolarità delle mura p oteva facilitare agli assedianti il com pito di scalarle. E in effetti la loro fu nzione principale n on era quella di protezione in caso d'assedio : cost ruite di solito vicino alla somm ità di un monte, prive di torri, bastioni e, p resumibilmente, merli, esse d ovevano servire soprattutto come luoghi di adunata (!) d ove i difenso ri potevano raggrupparsi ... Di solito le muraglie erano più di una . Ad Alfedena e sull' acropoli cli Trebula Balliensis sembra che ve ne fossero t re, a Saepinum erano due a distanza di poco più di t re metri l'una dall'altra, ed an cora due, presumibilmente contemporanee proteggevano la sannita Pom pei, distanti in questo caso cinque metri»42 . Il citato brano pur essendo n ella descrizione e nelle deduzioni ineccepibile, diviene assurdo nelle conclusioni attribuendo u n ruolo di area di parcheggio alle fortificazioni poligonali, indubbiamente poco rispondenti se esam inate alla stregua delle tradizionali ci nte perimetriche. Torneremo successivamente sull'argomento ritenendolo basilare per l'esatta comprensione delle moda lità funz io nali delle fortificazio ni san nite e quindi del sistema. Di certo era frequ entissim a , ed è forse la più spiccata singolarità inventiva dei loro tecni.ci, la fo rmazione, mediante la duplicazione ravvicinata delle m uraglie sfalsate però in altezza, di una sorta d i gradone. Potrebbe definirsi come una superficie pianeggiante compresa fra u n muro a monte ed uno a valle, di larghezza mai eccedente la decina di m etri, esped iente adottato spesso anche nelle cinte anulari. «Il Co lo nna ... motiva la funzio ne di questi recinti con terrapieno intermedio da un lato con il modo di combattere dei Sanniti, che così avrebbero avuto la possibilità di sch ierarsi su due fi le, dal!'altro con l'ip otesi che la cortina p iù esterna dovesse servire da opera di terrazzamento per quella p iù interna. Ciò no n trova con ferma ... per il fatt o che (varie volte), il muro superiore poggia direttamente sulla roccia, senza che ci sia stato bisogno .. . di sostegno . P er quel che riguarda il primo punto, è possibile che nei casi di pericolo di difensori si schierassero contemporaneamente su ambedue le cinte, per a umentare verosimilmente la possibilità di offesa delle armi da lancio (di cu i p eralt ro se si escludon o i giavellotti n on abbiam o testimonianza .. .) m a per questo in fondo poteva essere sufficiente la costruzione di un doppio gradino nei punti dove maggiore era da aspettarsi la concentrazio ne degli

42

Cfr. E.T.

SALMON,

TI Sannio ... cit., p . 142.


Parte prima. l secoli dei sanniti

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18. Fortificazione sannita: dettaglio del gradone tipo.

attaccanti. .. inoltre la larghezza delle terrazze doveva ridurre notevolmente la portata dei lanci dei difensori posti più in alto. C'è piuttosto da pensare che la cinta esterna servisse per le prime operazioni di difesa, mentre quella più interna la vera roccaforte degli assediati. In ogni caso è chiara la maggiore complessità del sistema di fortificazione a gradoni, rispetto a quello dei tipi più semplici. .. che dimostra una conoscenza già abbastanza avanzata degli elementi della tecnica fortificatoria. Quanto alla larghezza delle terrazze, essa va dai m. 3 ,50 della fort ificazione di Saepinum ... ai m. 15 di Piedimonte d' Alife. La maggiore ampiezza di alcune terrazze può forse essere giustificata, oltre che dalla diversa conformazione orografica, dall'opportunità che offriva agli assediati di spostarsi più agevolmente; allo stesso tempo lo spazio tra le due linee di difesa poteva essere utilizzato per eventuali macchine da guerra ... »43 , allorché appunto queste ultime furono introdotte nell'architettura militare romana. Anche per questa seconda citazione vale quanto affermato per la precedente: ineccepibile nella descrizione e nelle deduzioni ma assurda nelle conclusioni, giungendo a sostenere che la cinta interna, interna soltanto di tre metri rispetto all'altra, fosse la "vera roccaforte degli assediati". Di certo non vi sono alla base della scelta del gradonamento delle fortificazioni esigenze statiche, né obblighi derivanti dalla morfologia dei siti, poiché se plausibili in montagna non lo sono più per Pompei, e per-

43 Cfr.

pp. 79-80.

G . CONTA

H,\LLER,

Ricerche su alcuni centri fortificati in opera poligonale in area campano-sannitica, Napoli, 1978,


30

Dai sanniti all'esercito italiano

tanto la finalità si sposta sulla sua maggiore idoneità per le armi impiegate, cioè quelle da lancio . Rimane una ultima logica perplessità: per un giavellotto, che vantava una gittata massima di una trentina di metri, un gradone di 15 rappresentava un dimezzamento di efficacia, cioè una grossa perdita tattica. Rinviando anche in questo caso le probabili spiegazioni all'analisi funzionale di quanto descritto - doveroso approfondimento - ci sembra però necessario precisare subito che parlare per le fortificazioni sannite di recinto, di cerchia, di cinta urbica, di perimetro murario, ecc., è almeno improprio se non addirittura fuorviante. Infatti ognuna delle strutture difensive elencate, appartenenti alla tipologia delle perimetrali, presenta, sia pure a diversi livelli di elaborazione, sempre un estradosso, opposto agli attaccanti, strutturato quindi con intendimenti e criteri frustranti eventuali tentativi di superamento di qualsiasi natura - dallo scavalcamento allo sfondamento - ed un intradosso. Questo veniva articolato in maniera da fornire ai difensori un contributo concreto alla resistenza, moltiplicando la loro potenzialità militare, agevolandone gli spostamenti lungo gli spalti, defilandoli al tiro nemico, ponendoli in posizione sovrastante e magari fiancheggiante, ecc ... Nel caso nostro invece trattandosi di terrazzamenti terrapienati, di mura cioè analoghe a quelle di contenimento, abbiamo il solo estradosso, peraltro nemmeno di improba altezza o di acrobatica scalata, e nessuna delle fondamentali funzioni interne coadiuvanti4 4 • È opportu,no rilevare che sotto il profilo cronologico le fortificazioni più antiche sono quelle a predominante valore inerziale delle masse murarie, senza alcuna concessione o quasi all'impiego delle stesse come supporto per la difesa attiva. L'enorme spessore delle strutture, che ostentano i ruderi delle primitive opere perimetrali, lascia interdetti perché abitualmente relazionato alla resistenza allo sfondamento, che effettivamente in tal caso non solo era assurdo, ma infinitamente al di là delle potenzialità poliorcetiche coeve. La larghezza invece deve essere intesa come necessità, stante· la bassa coerenza delle tecniche edificatorie primordiali, per il raggiungimento di maggiori altezze, il solo ostacolo realmente inibente.

Nel caso dei sanniti invece si assiste ad una inusitata concezione priva di qualsiasi riscontro sia nel passato che nel futuro che ci costringe ad escludere siffatte fortificazioni dall'ambito di quelle perimetrali propriamente dette. Esse infatti al di là della apparente semplicità d'impianto, risultano spesso articolate, per la difesa attiva, sull'estradosso però, esulando perciò dal fornire una protezione diretta ai difensori con le masse murarie . Ciò le differenzia nettamente dai castellieri o dalle cinte megalitiche, entrambi dotati di spazi interni defilati. Anche d.i questa singolare anomalia inventiva, si tenterà una spiegazione nell'analisi funzionale, osservandosi poi parallelamente che la menzionata impraticabilità di un assedio canonico forniva in un certo senso i presupposti per questa inusitata ed originale elaborazione. Pertanto ci sembra coerente non avallare aprioristicamente alcuna assimilazione con opere apparentemente somiglianti, tali del resto solo per la continuità del perimetro limitatamente poi alle cerchie apicali, riservandoci l'accennata chiarificazione. Per motivi però di più diretta recepibilità continueremo ad usare nei loro confronti i termini di recinto, cerchia poligonale o megalitica, cinta ecc., necessari oltretutto per enunciare una schematica classificazione tipologica di simili strutture. Pur essendo le elaborazioni planimetriche funzione dei siti e pertanto variabilissime45 , ci appare sensato ricondurle concettualmente a: «due forme essenziali: a) recinto di forma allungata con netta differenziazione dell'arx difesa da una seconda fortificazione, in genere questi inglobano una o più cime che presentino, per la loro stessa natura, notevoli possibilità difensive, sfruttando al massimo le asperità orografiche come pendii e scoscendimenti: non ha infatti molta importanza la lunghezza della

44

Anche le porte confermano in genere tale connotazione, potendosi assimilare per lo più a dei sottopassi pedonali, o mulattieri, stretti e disagevoli, privi dei requisiti specifici delle porte propriament.e dette. Valga per tutte le celebre posterla del Matese di Saepinum-Terraveccbia. 45 Cfr. G. CoKTA HALLER, Ricerche ... cit., p. 117.


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Parte prima. I secoli dei sanniti

/

axx recinto

..__ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 19

19. Fortificazioni sannite: tipologia schematica.

fortificazione, basta che l'area risulti protetta dalla complementarità di difese naturali e muraglie; nel caso di più cime l' arx è quella più alta, possibilmente periferica, e di più forte difesa ... ; b) recinti senza differenziazione di arx, in genere più piccoli dei precedenti ed inglobanti una sola cima ... » 46 • Va soltanto aggiunto che alla sintesi citata si deve collegare un vastissimo repertorio di opere integrative, avanzate o laterali, elaborate caso per caso e non costituenti pertanto significative tipologie quanto piuttosto variazioni tematiche.

La tecnica poligonale La tecnica edificatoria con la quale furono innalzate le fortificazioni del Matese, sebbene con lievi varianti, appare sostanzialmente concorde in tutta l'area del Sannio, ed è nota come: «opera poligonale». Consiste in genere nella sovrapposizione a secco di grossi blocchi calcarei, provenienti dalla frammentazione degli strati di roccia di idoneo spessore, con dimensioni oscillanti in media tra un ottavo ed alcuni metri cubi, con peso per questi ultimi di diverse tonnellate. Non si osserva per i suddetti blocchi alcuna particolare lavorazione che non sia quella semplicemente estrattiva. In rari casi al massimo è identificabile una sommaria sgrezzatura per meglio conseguirne il reciproco accostamento. Parimenti non è riconoscibile, ammesso che vi fosse, una qualsiasi logica di posizionatura, al di fuori di quella tesa alla riduzione degli interstizi delle connessure. Il nome di questa arcaica tecnica deriva dalla forma di approssimati poligoni dei conci impiegati, non formanti piani di posa orizzontali e conseguenti corsi regolari. Spesso viene anche indicata come opera ciclopica o megalitica47 , facendo così riferimento non più alla configurazione ma alla dimen-

46 Cfr. G. GUADAGNO, Sui centri fortificati preromani nell'alto casertano, in Archivio Stor. di Terra Di Lavoro, Voi. VI anno 1978-79, Caserta, 1979, p. 274. 47 Cfr. E. 8 ERNARD1 N1, Guida alfe civiltà megalitiche, Bologna, 1977 .


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Dai sanniti all'esercito italiano

sione dei blocchi, pur essendo queste diverse denominazioni meno specifiche, applicandosi indifferentemente persino alle tessiture murarie isodomiche48 • «Tale modo di costruire, che è il più antico che l'uomo abbia conosciuto, si chiama anche opera pelasgica ... Comincia nella civiltà cretese-micenea, dove trova la massima applicazione nelle mura di Tirinto e di Micene, e poi si espande per tutta la Grecia classica e per l'Italia, specialmente centrale. Fu usato di preferenza nei territori dove esisteva un fondo naturale calcareo, più agevole a tagliarsi in questa maniera che non in forma di blocchi parallelepipedi, e fu adoperato per le mura e le torri di città, per le torri isolate ... per i basamenti e i recinti dei templi...» 49 • , Tuttavia: «È stato giustamente osservato dall'architetto Giovenale che, le costruzioni poligonie appariscono quasi sempre impiegate a sostegno di terrapieni ed a rivestimento di roccie naturali: cosicché mai o quasi trovansi in mura sporgenti dal suolo. La ragione di ciò deve ricercarsi unicamente nel sistema che si rese necessario per facilitare la costruzione. I massi di regola erano cavati in luogo un poco più alto, ma il più prossimo possibile all'erigenda muraglia, al fine di agevolare il trasporto di essi. E a mano a mano che gli strati si sovrapponevano, si riempiva di terra e di scheggie lo spazio a monte, compreso tra la roccia naturale e il muro, di modo ché muro e terrapieno si elevavano contemporaneamente, e si aveva sempre una superficie continua ed il più possibile discendente fra la latomia ed il muro ... >) 50 • In ragione del diverso grado di finitura della tecnica poligonale, è stata operata una sua suddivisione tipologica in quattro maniere51 , delle quali la prima e la seconda - cui appartengono le fortificazioni sannite - sono le più grezze. In quanto tali trovano, come accennato, ampio riscontro in tutto il bacino Mediterraneo. Nelle maniere terza e quarta, le meglio realizzate, sebbene ciò implichi difficoltà estreme, si rivengono anche in Giappone e nelle regioni andine e peruviane, assurgendo così in tutte le sue varianti ad una sorta di scoperta obbligata, indipendente e sfalsata nel tempo, dell'intera umanità. Il perché di una simile generalizzata diffusione, in aree poi tanto disparate e divergenti culturalmente ed etnicamente, potrebbe ricavarsi dall'individuare, quale fattor comune di colleganza, l'altissima sismicità delle regioni cointeressate. Il vantaggio infatti offerto dall'impiego di tale tecnica dipendeva, al diAà della relativa semplicità esecutiva, dalla enorme capacità di resistenza delle masse murarie, così erette, alle sollecitazioni oscillatorie, sia artificiali - quali quelle impresse dalle macchine belliche ad urto - sia soprattutto naturali ovvero sismiche. Trattavasi in sintesi di una soluzione strutturale antisismica, nella quale essendo la forza coesiva dei conci la loro massa inerziale, e non esistendo corsi orizzontali o comunque regolari lungo i quali scorrere, l'insieme dell'opera sottoposta a scuotimenti reagiva, consentendo una sufficiente delocalizzazione temporanea dei suoi componenti. Esauritesi le spinte, la necessità di posizionatura, funzione dell'incastro obbligato dei conci, - perché irregolari - li riconduceva nella loro normale giacitura, restituendo la configurazione statica al manufatto. Potrebbero perciò quasi ravvisarsi nelle connessure dei conci, altrettante linee di lesionatura prestabilita, scongiuranti una effettiva ed irrimediabile disgregazione. Una siffatta struttura antisismica, a contrasto dinamico, differisce totalmente dalle attuali basate invece sulla ricerca di monoliticità quale presupposto di infrangibilità52 • Conferma del resto abbondantemente quanto affermato il muro poligonale di terza maniera presente nelle immediate vicinanze dell'Abbazia di Montecassino, sottoposto al pari di quest'ultima nel corso

48

Cfr. B. RuooFsKv, Le meraviglie dell'architettura spontanea, Bari, J979, pp. 81-123. Cfr. G. Lucu, Opera Poligonale, in «Enciclopedia Italiana», XXVII, 1935, p. 649. 5 Cfr. L. SAvroNONI-R. MENGARELLr, Norba. Relazione sopra gli scavi eseguiti nell'estate dell'anno 1901. D) Taglio delle mura di cinta ed osservazioni generali intorno alla loro costruzione, in «Notizie degli Scavi di Antichità comunicate alla R. Accademia dei Lincei}}, Dicembre 1901, p. 552. 51 Cfr. G. LuGL1, La tecnica edilizia romana con particolare riguardo a Roma e Lazio, Roma, 1957, pp. 65-83. 52 Plinio già evidenziava nella sua famosa opera la massima resistenza alle devastazioni sismiche offerta da strutture contrastanti reciprocamente: «I punti più sicuri sono le volte dei palazzi ... perché le spinte contrapposte si bilanciano» - Lib. II, Cosmologia, 84 (trad. Einaudi 1982 p. 329). 49

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Parte prima. I secoli dei sanniti

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20. Tecnica poligonale: I• Maniera. 21. Tecnica poligonale: 2• Maniera.

22. Tecnica poligonale: 3a Maniera.

23. Tecnica poligonale: 4• Maniera.

del II conflitto mondiale ai pesantissimi quanto ottusi bombardamenti aerei 53 , che pur essendo indiscutibilmente devastanti e reiterati, degni di miglior causa, e pur avendo spianato la millenaria-Abbazia, le cui sostruzioni erano a dir poco imponenti, non riuscirono a sconnettere il predetto muro 5 4 • Analogo discorso potrebbe farsi per la fortificazione sannita di M. Acero presso Talese, sottoposta per quasi una settimana al micidiale fuoco d'artiglieria. Vi è ancora una curiosità da riferire in merito: il Comando del Genio austriaco prescriveva tassativamente, nel XIX secolo per le sue fortificazioni casamattate, la realizzazione delle pareti esposte al tiro in tecnica poligonale, sebbene non megalitica e cementata a giunto chiuso 55 • Gli ingegneri romani che vagliarono con il solito pragmatismo l'elaborazione di un manto stradale ad altissima resistenza e durata, per condizioni d'impiego severe, prescelsero per quelle consolari ita-

53 5 • 55

Cfr. D. HAPGoon-D. R1rnARDS0N, Montecassino, Milano, 1985, pp. 203-233. Cfr. A. P,wroN1, L'acropoli di Montecassino e il primitivo monastero di San Benedetto, Roma, 1981, pp. 29-51. Cfr. V. lAwMcc,, La piazzaforte di Verona sotto la dominazione austriaca, 1814-1866, Verona, 1981 , p. 51.


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Dai sanniti all'esercito italiano

liche 56 appunto l'opera poligonale57 . Eppure non sfuggiva loro la forte maggiorazione di costi rispetto al basolato ortogonale, derivante dàlle intuibili difficoltà esecutive e specialmente dalla impossibilità, esasperante per le quantità necessarie, di una prefabbricazione dei conci, tutti dissimili tra loro. Le fortezze sannite lungo le fa lde del Matese, area anch'essa altamente sismica, eseguite in tecnica poligonale, garantivano, per quanto detto, nel tempo la loro presenza, scongiurando )'altrimenti possibile scadimento difensivo dell'intera regione, all'indomani di un rovinoso terremoto, evento alquanto frequente ora come allora, con una ricorrenza statistica di una trentina di anni . "'l diversi gradi di finitura della tecnica poligonale, ovvero dalla I alla TV maniera, presuppongono una evoluzione fattuale e quindi implicitamente una cronologia. Disgraziatamente però questa non è a corrispondenza biunivoca, in quanto, se è vero che le costruzioni più antiche sono senza dubbio le più grezze, non è altresì vero il contrario, riscontrandosi spesso per la ·medesima cerchia, frutto cli un'unica tornata edificatoria, il ricorso a tutte le maniere del poligonale. Era prassi abituale infatti erigere le sezioni maggiormente esposte con quelle più rifinite e via via le altre con quelle meno . Come se non bastasse bisogna considerare che nelle contrade isolate del Matese si è impiegata fino a pochi decenni or sono tale tecnica per innalzare terrazzamenti agricoli, sia pure di breve estensione, grazie alla praticità della stessa, non abbisognante di materiali cementati o di particolari attrezzature, e dal risultato peraltro solidissimo e duraturo. Ciò premesso ne deriva l'assoluta impossibilità di procedere ad una datazione attendibile dei manufatti per osservazione della loro "maniera": né aggiunge certezza il rinvenirsi all'interno dei recinti reperti archeologici, in quanto questi potrebbero senz'altro essere precedenti alla definizione difensiva o più verosimilmente successivi, in qualsiasi momento, medioevo ·Compreso, allorché, sotto la pressione del terrore dilagante, la vita tornò a rifiorire fra queste vetuste pietre. Ci si deve quindi attenere ad un criterio di datazione d'impiego: cioè facendo coincidere se non la totale esecuzione di tutto lo scacchiere sannita, almeno quella di una messa a punto finale, con il periodo di ostilità con Roma, prima ed ultima concreta minaccia alla stirpe. Né è seriamente ipotizzabile l'attuazione di una simile mole di lavoro, essendo interessate, per quanto noto, centinaia di alture al di fuori del Matese, con finalità divergenti da quelle difensive estreme, per popolazioni a così limitato livello di benessere58 • Le / ostentate peculiarità della tecnica poligonale, indiscutibilmente propizie alla staticità e durata delle fortificazioni sannite, estrinsecavano però sotto il profilo m ilitare delle preoccupanti manchevolezze, che se non compatibili con la loro destinazione ne avrebbero in breve interdetto l'impiego nel settore. Infatti abbiamo accennato in precedenza, forti della esplicita testimonianza di Livio alla facilità di scalata delle mura innalzate con tale procedura, proprio a causa degli interstizi di giuntaggio . Si evince a questo punto un quadro ricostruttivo ricco cli singolari incongruenze: - l'altezza delle muraglie delle fortificazioni sannite, sia quelle dei recinti, come quelle degli argini, semplici o doppie che fossero, non era rilevante. Pertanto tenendo conto degli interstizi fra i blocchi, la scalata doveva presentarsi alquanto agevole, anche senza l'aiuto di particolari attrezzi. - Gli argini, ovvero le opere avanzate di sbarramento si propongono su tratte delle pendici montane, magari in ordine multiplo ed estese, ma prive di continuità perimetrica, simili concettualmente alle "briglie" lungo il corso dei torrenti. - Le aree intermedie ai gradoni, pianeggianti poste quasi ad incoraggiare lo scavalcamento, fungono da comodi ballatoi di riposo, prima di intraprendere l'attacco della parete a monte.

56

Cfr. V. W. YoN HAGEN , Le strade imperiali di Roma, Roma, 1978 . Ancora oltre ottocento anni dopo così osservava un viandante greco: «Appio adoperava pietre .. . levigate e tagliate in modo eia formare otto angoli. Le univa insieme senza calce e così strettamente che ... sembravano formare un unico insieme; e malgrado tutto il tempo che è passato ... la compattezza delle pietre non è affatto diminuita». Si racconta ancora che il Veccio Appio Claudio Cieco, fosse solito esaminare a piedi scalzi .la precisione ciel giuntagg"io dei basoli, perfettamente conscio che eia essa dipendeva la durata de lla strada. 58 Molti studiosi hanno ipotizzato in materia di datazione per tali strutture epoche spazianti dall'Ylll al IV sec. a.C.; per tutta una serie cli logiche motivazioni attualmente si protende appunto verso questa ultima collocazione temporale, coincidente peraltro con quella militare. •

51


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Parie prima. I secoli dei sanniti

- Sono del tutto assenti torri e bastioni o comunque strutture sporgenti od aggettanti rispetto al perimetro della fortificazione, indispensabili per la difesa fia ncheggiante, che pure non doveva essere del tutto ignota, non fosse altro che per la tradizionale conflittualità con le cittadine greche della costa che ne erano provviste. È tempo quindi di tentare di sciogliere la serie di interrogativi, premettendo una sintetica elaborazione restitutiva circa le modalità di combattimento espletate dai sanniti sulle loro fortezze, a cominciare dalla descrizione di quella che per molti autori era la loro arma nazionale: la sannia, sulla quale apriremo una indispensabile parentesi.

La Sannia L'Enciclopedia Militare alla voce «Sanniti», ricorda, fra le altre precisazioni, come: «l'arma nazionale dei Sanniti fosse la Sannia», un particolare giavellotto di cui si sapevano servire mirabilmente. A lcuni autori del passato giunsero a ritenere, tesi peraltro decaduta che questi: «presero tale nome dalle armi che usavano in guerra, ora dette aste, ovvero armi in asta, che in greco si dicevano Sannia, e dall'uso di tali armi furono detti dai greci Sanniti ... » 59 . Ora si ffatta arma doveva essere, almeno nella sua accezione più accreditata, il giavellot.to, notissimo ed impiegato, presso tutti gli eserciti dell'antichità, senza che per questo assurgesse mai né ad arma nazionale né meno che mai ad etimo tribale. A rendere però tale arma ancora più enigmatica è il particolare che i Romani sostituissero da un certo momento in poi: «alla lancia un pesante giavellotto, ilpilurn (nome latino della Sannia n.d.A.) mutuato da Sanniti dell'Appennino Centrale ... » 60 . In merito tuttavia vi sono rimarchevoli perplessità: «Sulle armi da combattimento dei Sanniti non è in Livio che possiamo trovare informazioni. Una tradizione vuole che i Sanniti usassero sia il giavellotto (pilum) sia il lungo scudo rigato (scutum) e che i Romani appresero d·a essi l'uso di tali armi. La versione più particolareggiata di tale tradizione è quella del cosiddetto lneditum Vaticanum, un frammento in greco di ignoto au tore (forse del II secolo) ... Ma l'Ineditum Vaticanum non è l'unico a ritenere che sia stato grazie ai Sanniti che i Romani sostituirono il giavellotto (pilum) all'asta (hasta) ... Sallustio sostiene persino che l'idea ai suoi tempi fosse generalmente accettata. Livio ... implicitamente lo nega ... In ogni caso, egli riteneva che i Romani avessero adottato questo tipo di equipaggiamento molto prima dei loro conflitti coi Sanniti ... Il modo in cui i Romani avrebbero assorbito i principi militari del nemico, così come è esposto nell'Ineditum Vaticanum, ci dovrebbe rendere cauti ... Così i Romani avrebbero adottato il clipeus e l' hasta dagli Etruschi, subito sconfiggendoli con la loro stessa tattica delle falangi, lo scutum e il pilum, oltre le tattiche della cavalleria dai Sanniti , anch'essi rapidamente battuti ... Roma fu sempe fiera deila sua capacità di imparare dai nemici e il modo così simmetrico e schematico in cui questo concetto è esposto nell'Inediturn lo rende ben poco plausibile ... Più nebulosa è la storia del pilum e ancora non si è potuto stabilire con certezza dove e quando i Romani ne appresero l'esistenza, ma sembra piuttosto probabile che non fu dai Sanniti. .. In effetti il pilum e lo scutum sembrano essere connessi con le tattiche del manipolo, in quanto sono tutti aspétti della medesima riforma militare: l'impiego del manipolo presuppone l'uso del pilum e scutum, e • viceversa ... »61 . Pur non accettando le conclusioni, ci sembra sensato il filo logico del ragionamento, al quale perciò ci riallacciamo: «II primo passo nell'ascesa di Roma verso una posizione egemonica in Italia fu lo sviluppo della legione, la formazione di fanteria che comparirà regolarmente in tutti i posteriori eserciti romani. La tradizione romana assegna quest'innovazione alla seconda guerra sannitica (326304 a.C.) e non c'è motivo di metterla in dubbio. I Sanniti abitavano una regione montuosa confi-

59 Cfr. Enciclopedia Militare, Milano, 1933, alla voce: «Sanniti», ed ancora cfr. G. Sannio , 1895, pp. 23-24. 6 Cfr. J. ARMAN L>, L 'arte della guerra ... cit. p. 88. 61 Cfr. E.T. SA L MON, li Sannio ... cii. pp. 111-112.

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Riassunto storico dell'antico


Dai sanniti a/l'esercito italiano

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24 24. Legione manipolare (da Vegenzio Flavio).

nante col Lazio, e nell'affrontarli nel loro territorio i romani si resero conto che la falange non poteva né conservare la propria compattezza né mettere in atto quella mobilità che si richiedeva per venire alle prese col nemico. Essa fu perciò suddivisa nelle unità che la componevano, i cosidetti "manipoli" cli 120 uomini. La legione era una formazione aperta composta di 30 manipoli, più 5 in riserva disposti a scacchiera ... All'urto della falange pesante i romani sostituirono una serie di piccoli urti a opera cli unità infinitamente più manovrabili e versatili, un sistema tattico che chiedeva molto più al soldato singolo e che fu/realizzato soprattutto grazie ad un addestramento e a una disciplina rigidissima>>62 • La stessa tesi la ritroviamo espressa anche da numerosi altri autori che sostanzialmente concordano nell'affermare che: «nella seconda metà del IV secolo (i Romani), furono di nuovo costretti ... (a modificare la legione per) adattar(la) ai metodi di combattimento dei montanari sanniti» 63 • Tuttavia pur registrandosi una vasta convergenza circa il periodo ed il contesto che resero necessaria la modifica della formazione di tipo oplontica in quella della legione manipolare, resta controversa l'attribuzione del famoso giavellotto ai Sanniti. Per molti autori i veri inventori dell'arma furono i Celti, tesi peraltro non in contrasto con l'impiego da parte dei Sanniti della stessa. Quello però che si intuisce da questa diatriba sulla paternità del pilum e che disgraziatamente nessun reperto archeologico, stante la fragilità e deperibilità dei materiali ci conferma esplicitamente, è la sua divergenza tecnologica dalla normale asta, per specifiche connotazioni. È d'uopo quindi descrivere la Sannia attingendo alle fonti romane, ovvero descrivere in ultima analisi il pilum che ne era in qualche modo la riproduzione. «Esso era lungo due metri ... (e) poteva venir lanciato con l'ausilio di una correggia (amentum) attaccata all'asta dietro il centro di gravità, per facilitare il lancio ed aumentare la potenza. Questo espediente fu abbandonato nel Il secolo, quando la tattica richiedeva solo brevi tiri sui 25 metri» 64 • La differenza r imarchevole con le altre armi da lancio similari, tutte in realtà molto semplici, era insita proprio in questo curioso ''espediente'', un propulsore cioè, che sebbene nebulosamente sembra

62 Cfr. R. PRBSTON-S.F . WtsE, Storia sociale della guerra, Verona, 1973, p. 47. 63 Cfr. Y. GARLAN, Guerra e società nel mondo antico, Imola, 1985, p. 141. 64 Cfr. MoNTGOMERY, Storia delle guerre, Milano, 1970, p. 88.


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Parte prima. I secoli dei sanniti

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Amentum · guerriero greco con un giavellotto amentato (da una coppa attico-ionica).

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Amentum . varie applicazioni del/'amentum da raffigurazioni vascolari: 1, 2, 3, 5 per imprimere un moto rotatorio; 4, 6 per un lancio diritto.

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25. Giavellotto con "amentum" (da Enciclopedia ragionata delle armi).

essere stato effettivamente noto non soltanto ai Celti , ai Galli, agli Etruschi, ma persino ai Greci sia pure in forma non ottimizzata. Né la concomitanza deve stupire eccessivamente per quanto vedremo . Il suddetto propulsore, altrimenti appellato dai romani "amentum", consisteva in una stringa di cuoio, che si attorcigliava intorno al baricentro dell'arma, o forse immediatamente dietro, e che terminava in una sorta di cappio nel quale si infilavano due dita del lanciatore. La Sannia cosi non veniva scagliata mediante presa diretta, ovvero tenuta serrata nel palmo della mano fino al suo rilascio, come le abituali lance, ma propulsa tramite il violento strappo dell 'amentum, concludente la rapida traiettoria del braccio del lanciatore, sortendo in tal modo due effetti concomitanti. Da un lato infatti come qualunque propulsore l'amentum ampliava la lunghezza del braccio, imprimendo all'arma una maggiore velocità iniziale, dall'altro srotolandosi istantaneamente ne determinava una vorticosa rotazione intorno all'asse longitudinale. Questo secondo effetto generava un consistente incremento di gittata, magari a scapito della semplicità di punteria, incremento non universalmente accettato dagli studiosi del settore. Una accurata ricerca su armi analoghe, ancora in auge presso civiltà arretrate, ci consente però di affermare che sicuramente la rotazione del giavellotto, affine a quella dei proietti uscenti dalle artiglierie ad anima rigata e nota come «effetto giroscopico», era volutamente e scientemente perseguita proprio per gli accennati incrementi di gittata e secondariamente per la maggiore stabilità di traiettoria con conseguente precisione del tiro . In merito alla presenza sul pifum romano del descritto propulsore ne fa fede direttamente Giulio Cesare, allorché ordinò ad un suo subordinato di gettare all'interno di un accampamento legionario assediato, e perciò altrimenti irraggiungibile, un messaggio tramite un giavellotto: «cum epistola ad ammentum deligata .. . »65 • L'inciso cesariano ci permette ancora una ulteriore puntualizzazione: l' amentum faceva parte dell'asta, era cioè rigidamente fissato alla stessa, e non restava quindi come la fionda in mano al tiratore. Ciò almeno per quello romano . È interessante concludere come questo accessorio nell'etnologia abbia una singolare rilevanza, per la incredibile diffusione, che in parte giustifica l'incertezza sull'originaria invenzione.

65

Cfr. C.G. CcSARE, La guerra gallica, lib . V-48.

25


Dai sanniti all'esercito italiano

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«Si tratta della sola arma importante per la quale l'etnologia ha dovuto coniare un nome apposito . .. ma, almeno per quanto riguarda noi Italiani, ciò non è vero . I Romani conoscevano bene questo principio e lo applicavano certamente nella forma dell' amentum, accessorio ben noto e non indifferente nell'armamento dei loro eserciti... L'amento romano e i suoi affini nelle antiche civiltà mediterranee appartengono al. .. gruppo (di quelli cosiddetti "flessibili"). Per il solito motivo della deperibilità del materiale, nessun esemplare di arnentum dell'età classica è giunto fino a noi; e poiché l'arnese cadde successivamente in disuso .. . non sappiamo con esattezza come fosse costituito né come funzionasse . Basandosi su certe figuraz ioni vascolari, dalle quali non ci si può attendere una precisa riproduzione dei particolari tecnici, gli specialisti ritengono che la correggia fosse avvolta a spirale attorno alla base del giavellotto . .. "il soldato, tirando sulla correggia per proiettare la lancia, imprimeva al tempo stesso a quest'ultima un movimento di rotazione" (Montandon), oltre a prolungare forse leggermente il braccio di leva del lancio. Scomparso da secoli in Europa, il propulsore flessibile si ritrova oggi, abbastanza sorprendentemente, agli antipodi, cioè in Oceania. Fra gli aborigeni australiani ... esso è usato dai ragazzi come trastullo, per scagliare giavellotti . .. anche i ragazzi dello Yorkshire hanno lo stesso sistema . .. (e forse) in quest'ultimo caso (si ha) una sopravvivenza dell'amentum romano . .. . . . anche fra (i) Malesiani ... usato come gioco . .. . . .l'amentum è noto . .. soprattutto nella Nuova Caledonia ... non come gioco, ma (usato) dai guerrieri in combattimento. li tipo neo-Caledone è costituito da una corda di fibre vegetali intrecciate, relativamente.,.. corta (da 15 a 20 cm.) munita di un cappio a un'estremità e di un nodo all'altra. Il guerriero introduce l'indice della destra nel cappio e avvolge a un giro solo l'altra estremità all'asta del giavellotto servendosi del nodo che fa da risalto trattenendo temporaneamente la corda aderente al legno; all'istante del lancio, la corda si libera e rimane infilata al dito del lanciatore. Secondo Lewis, tale sistema non accresce la forza del lancio, ma serve a imprimere al giavellotto un movimento rotatorio. Nell'area di diffusione ... (si) includono varie isole Polinesiane .. . (ma) si trattava di un gioco ... Per l'Asia, le segnalazioni sono ... scarse .. . Esso è od era noto, però, ai Dravida dell'India nella stessa forma dell'amentum romano; cioè di correggia fissata all'asta, e non di arnese a sé stante ... L'amentum era presente ... ancora in una altra parte del mondo ossia in America ... Da una attenta lettura ... dei cronisti spagnoli si desume che un propulsore a corda era impiegato ... dagli Indiani della penisola californiana ... (e dicevano) che esso somigliava alla tirandera ... usata dai ragazzi castigliani del loro tempo ... Ancora da fonti spagnole si può desumere che anche in America Meridionale ... fra gli Yunca della costa peruviana, ma più in generale tra gli eserciti incaici, era impiegato un propulsore flessibile ... Un fatto è certo . Il propulsore molle (di cuoio, stoffa o corda) è stato originariamente un vero e proprio accessorio dell'armamento bellico di diversissime parti del mondo: E uropa, Oceania, America. In tutte queste tre aree, ma in momenti storici diversi ... l'arma ha perso importanza ed è stata abbandonata come strumento di offesa e in tutti e tre i casi è rimasta per un certo periodo al più modesto stato di giocattolo per ragazzi 66 • Questo parallelismo è invero un fenomeno singolarissimo, il cui significato nella storia della cultura umana va molto al cli là dell'importanza dell' amentum ... Si è infatti inevitabilmente portati a supporre che il declino dì questo elemento culturale avvenuto separatamente in vari luoghi in epoche distinte ed entro quadri sociali ciel tutto diversi ha obbedito ad una stessa tendenza . .. seguendo una medesima parabola degradante ... Altra cosa, invece, è il postulare un analogo parallelismo, o convergenza, riguardo alle origini dell'amentum .. . Per grandi che siano le distanze tra le tre aree cli diffusione, affermare a priori che esse furono prive di contatti tra loro .. . non è necessario: il problema rimane per ora aperto . (In definitiva però) l'amentum ha il compito prima di imprimere una rotazione all'arma scagliata, e solo eventualmente accrescerne la velocità di lancio ... »67 •

66

Per quanto concerne le nostre regioni si trattava di un piccolo cono legno terminante in una punta di ferro , posto in rapida rotazione da una corda attorcigliata ad aspirale sullo stesso, violentemente strappata. Il nome variava da località a località. 67 Cfr. V.L. GROTTA N cLLJ, Etnologica l'uomo e la Civiltà, Milano, 1963, Voi. II, pp. 170-1 73 .


Parte prima. I secoli dei sanniti

39

In virtù di quanto citato ci sembra sufficientemente confermato che la precipua caratteristica del propulsore fosse quella di imprimere all'arma una rotazione, cioè un effetto giroscopico. Premesso ciò ne deriva innanzitutto un aumento di gittata efficace e quindi una migliore stabilità del giavellotto lungo la sua traiettoria, ad onta del suo peso non indifferente, anche se andava valutato e corretto lo scarto di punteria prodotto dalla deriva laterale conseguente alla rotazione 68 • Inoltre la particolare configurazione d'impiego, dall'alto verso il basso, ne accresceva maggiormente la funzionalità, neutralizzando di fatto le predette difficoltà balistiche, risultando in pratica un'arma: «micidiale, dotata di grande forza cli penetrazione; usata al momento dell'attacco non solo trapassa uno scudo, ma può raggiungere anche l'uomo che ne sia ricoperto. Per di più è difficile svellerla da dove si sia infissa» 69 • A titolo di raffronto conclusivo, stimando intorno ai m. 30 la portata offensiva del normale giavellotto si deve credere che lo stesso «amentato» la raddoppiasse facendola alcuni autori ascendere a quasi m. 10070 . Chiusa la parentesi tecnica, torniamo ad esaminare le modalità difensive derivanti dalla complementarietà fortificazioni-sannie. Non è difficile a questo punto immaginare le ondate d'assalto rosmane lanciate lungo le ripide pendici dei monti del Sannio, ed al contempo i difensori immobili, schierati in duplice ordine su ogni loro sbarramento poligonale, pronti a brandire la terribile arma. «Non enim muris magis se Samnites quam armis ac virisi moenia tutabantur» <<I Sanniti più che difendere se stessi dietro le mura, difendevano queste con uomini e con armi» 7 1 ,

narra Livio con una dose di involontario umorismo. Infatti , prescindendo che le mura sannite non avevano un "dietro", era proprio stando dinanzi ad esse e su di esse, cioè davanti alla parete a monte e sopra di quella a valle, sul famoso gradone, che si poteva scagliare in maniera ottimale la sanmia, attuando il massimo della difesa. Allorché poi i romani giungevano a portata utile iniziava su di loro la mortale grandine: impossibile difendersi, e meno che mai controbattere o defilarsi. Inermi, impacciati dalla salita e dall'equipaggiamento, privi di tiro di copertura, sparsi ed atterriti dalle perdite, inibiti dall'impotenza, subivano così la prima tragica decimazione. E non era che l'inizio. Le fortezze sannite potevano essere scavalcate ed anche conquistate, lo abbiamo più volte osservato sulla falsariga di Livio: non doveva in vero presentare grande difficoltà scalare un terrazzamento poligonale cli tre o quattro metri di altezza, ed issarsi sul terrapieno sovrastante. Ma una volta qui, supponendo pure che vi fossero pervenuti contemporaneamente in numero discreto, gli attaccanti spossati si trovavano di fronte i difensori, riposati e determinati a respingerli. Supponendo ancora che ciò non accadesse, sottraendosi questi ultimi allo scontro diretto per pavidità o per sopraffazione, si sarebbero sempre trovati esposti al tiro proveniente dai margini laterali del ballatoio, cioè il micidiale fiancheggiamento, proseguendo peraltro quello piombante dall'alto . La ristrettezza degli spazi ne avrebbe per di più amplificato la virulenza, e quindi la validità difensiva. Né la terribile sequenza ricostruita si esauriva a quel punto, dovendosi necessariamente ripetere per i sopravvissuti al gradone seguente, e quindi da capo per i successivi ordini di fortificazioni. L'iniziale ondata in breve si assottigliava così in sparute pattuglie, che non destavano alcuna apprensione per i Sanniti. Nel caso di monte Cila presso Piedimonte Matese vi erano ad esempio tre doppi gradoni, l'ultimo dei quali fungente da cittadella apicale, con un dislivello complessivo da superare di circa m. 500. Evidentissime le immani difficoltà connesse con questa tragica e sanguinosa corsa ad ostacoli. Appropriatamente il Mommsen definisce queste montagne fortificate "alture trincerate" 72 , considerandole equivalenti per l'asprezza dei combattimenti.

68

Cfr. C. Mo1sTù, Storia dell'artiglieria iia/iarw, Roma, 1937, Voi. V, pp. 2206-2211. Cfr. E. BAREL LI, La guerra gallica (C.G. Cesare), Milano, 1983, p. 14. 7 Cfr. Y . GARLAND, Guerra ... cit.. p. 152. 71 Cfr. T. L1 v10, Storia ... cit. Lib. X-45. 72 Cfr. T. MoMMSEN, Storia di Roma antica, Bologna, 1979, Lib. Il , p. 504.

69

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26 26. Ricostruzione schieramento difensivo sannita sulle mura.

È improbo e forse ozioso stimare la percentuale di perdite che simili attacchi comportavano, come del resto l'impatto psicologico dissuasivo - instauratosi con l'immagine terrifica delle cittadelle montane - che inevitabilmente si radicava nei soldati. Di certo si rinunziò presto, stando alle fonti, a programmarli avventatamente e senza pressante motivazione, in quanto, come se non bastasse, un eccessivo indebolimento degli organici esponeva i resti del corpo legionario, stanziati alla base delle sconvolgenti alture ad immancabili contrattacchi, nelle peggiori condizioni tattiche per giunta.

Qualora poi, e certamente accadde ripetutamente specie per le fortificazioni meno complesse, i romani fossero riusciti ad impossessarsene, si ritrovavano occupanti di una scabra terrazza di roccia deserta, spazzata dal vento, dalla quale i sanniti si erano all'ultimo momento dileguati inerpicandosi per le mulattiere a monte verso l'interno del massiccio73 •

73 È necessario tener presente che le fortificazioni sannite si trovava no in genere a mezza costa, appena distaccate dalla pendice sovrastante della montagna, verso la quale gravitavano sia in tempo di pace che massimamente in quello di guerra.


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Ben esemplifica l'episodio di Feritro: «Inde Feritrum ductae legiones, unde oppidani cum omnibus rebus suis quae ferri agique potuerunt nocte per aversam p ortam sifentio excesserunt. Jgitur, simul advenit consu/, primo ila compositus instructusque moenibus successi!, tamquam idem quod ad Milionamfuerat certaminisforet; deinde, ut silentium vastum in urbe nec arma nec viros in turribus ac muris vidi!, avidum invadendi deserta moenia mi/item detinet, ne quam occultam in fraudem incautus rueret; duas turmas sociorum Latini nominis circumequitare moenia atque expforare omnia iubet. Equites portam unam alteramque eadem regione in propinquo patentes conspiciunt itineribusque iis vestigia noclurnae hostiumfugae. Adequitant deinde sensim partis urbemque ex tufo rectis itineribus perviam conspicium et consufi referunt excessum urbe... His auditis con sul ad eam partem urbis quam adierant equites circumducit agmen. Constitutis haud procul porta signis quinque equites iubet intrare urbem et modicum spatium progressos tres manere eodem loco si tuta videantur, duos explorata ad se re/erre. Qui ubi redierunt reltuferuntque eo se progressos unde in omnes partes circumspectus esset longe lateque silentium ac solitudinem vidisse, extemplo consul cohortes expeditas in urbem induxit, ce/eros interim castra com munire iussit. Ingressi milites refractis foribus paucos graves aetate aut invalidos inveniunt relictaque quae migratu difficilia esseni». <<In seguilo le legioni furono condotte a Feritro ; ma di qui gli abitanti, di nottetempo, alla chetichella se la svignarono dalla porta opposta, portando o spingendo via tutto quanto era possibile delle loro cose. Appena arrivato, il console dispose e ordinò l'esercito davanti alle mura, convinto che si sarebbe dovuto combattere come a Milonia; ma poi colpito dal silenzio che regnava dappertutto, non vedendo gente armata sulle torri né sulle mura, temendo di incappare incautamente in qualche agguato, trattenne i soldati smaniosi di balzare su quelle mura spoglie di difensori, e mandò due squadroni di cavalleria degli alleati latini a fare un giro di attenta esplorazione intorno alle mura. 1 cavalieri vi notarono due porte, volte entrambe nella stessa direzione e vicine fra loro, aperte, e le strade che ne diramavano portanti i segni della fuga notturna dei nemici. Cavalcano poi piano piano fino alle porte e constatano che la città si può attraversare in tutta sicurezza lungo le sue vie diritte: informano il console che il nemico ha lasciato la città ... Ricevuto il rapporto, il console conduce le truppe a quella parte della città dove si era svolta l'esplorazione dei cavalieri; ma le fa fermare non lontano dalla porta, e comanda a cinque cavalieri di entrare nella città, di avanzarvi alquanto: se tutto appare sicuro, tre rimangano sul posto, gli altri tornino a darne conto . Questi, tornati, riferiscono di essersi spinti fino ad un punto da cui si poteva avere una visione completa della città e di aver trovato in ogni parte silenzio e solitudine. Il console allora vi fece prontamente entrare alcune coorti leggere; a tutti gli altri intanto dà ordine di fo rtificare la posizione. I soldati delle coorti entrano, abbattono le porte delle case e vi trovano soltanto pochi vecchi o invalidi e roba abbandonata perché difficilmeme trasportabile» 74 • L a circospezione dell' operazione tradisce i rischi connessi' con tali procedure. A questo punto, specie nei casi di piccoli villaggi fortificati si imponeva un esasperante dilemma . D a un lato sarebbe stato ovvio presidiare il cocuzzolo, così a caro prezzo conquistato, con congrue forze onde evitarne il massacro in caso di ritorno offensivo sannita , scontato ed improvviso, magari n otturno , dall'alto della montagna. Anche questa feroce pratica è r intracciabi le in Livio a proposito della resa di Cluvia: «In Samnio Clu viarum praesidium Romanorum, quia nequiverat vi capi, obsessum fame in deditionem acceperant Samnites verberibusque Joedum in modum laceratos occiderant deditos» «Nel Sannio i Sanniti avevano avuto a discrezione la resa del presidio romano di Cluvia, ma per fa me: con le armi non avevano potuto: gli arresi erano stati orrendamente straziati con le verghe, poi uccisi» 75 . Agendo nel modo suddetto, però, si sottraevano aliquote preziose alla legione, indebolendola progressivamente, con rischi ancora più gravi . Dall'altro lato invece si sarebbe imposto l'abbandono del caposaldo, che i testardi sanniti avrebbero s ubito rioccupato, vanificando il successo. La ricost ruita procedura inconcludente nei risultati, si rivelò al contempo insostenibile militarmente, specie tenendo

74

75

Cfr. T. Cfr. T.

L1v10, L1v10,

Storia ... cit., Lib. IX-31. Storia ... cit., Lib. IX-3 1.


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Dai sanniti all'esercito italiano

conto che per particolari condizioni climatiche locali, i mesi idonei alle operazioni belliche erano al massimo quattro, né era prospettabile una occupazione invernale delle alture. Una indiscutibile conferma di quanto affermato la si può cogliere nella seguenza cli conquiste relative a Boiano (attuale Civita cli Boiano), considerata una sorta cli capitale morale del Sannio, e pertanto teoricamente meno soggetta a siffatte vicende76 • La narrazione di Livio però ci tramanda al riguardo che:

:

Nel 311 a.e. il console Giunio Bruto: «.. . victor exercitus Bovianum ductus. Caput hoc erat Pentrorum Samnitium, longe ditissimum atque opulentissimum armis virisque ... spe praedae milites accensi oppido potiuntur>>

«condusse l'esercito vittorioso a Boviano, la città più importante dei Sanniti Pentri. .. la speranza della preda fu di sprone ai soldati che conquistarono la città»77 •

Nel 305 a.C. i consoli Postumio e Minucio alla guida di due eserciti romani : « .. .perculsum iamfama hostem adortifundunt fugantque ... Et Bovianum urbs postero die coepta oppugnari brevi capitur magnaque gloria rerum gestarum triumpharunt» << •. •mettono in fuga il nemico già demoralizzato dalla notizia . .. Boviano, assediata il giorno seguente, viene con facilità conquistata. I consoli per la grande gloria dell'impresa ebbero il trionfo» 78 .

Nel 298 a.e . il console Cneo Fulvio ebbe il comando delle oper azioni nel Sannio: « ... clarapugna in Samnio ad Bovianum haudquaquam ambiguae victoriaefuit. Bovianum inde adgressus et vi cepit»

« ... brillante fu la battaglia presso Boviano nel Sannio, vittoriosa senza discussione. Fu poi attaccato e preso Boviano» 79 .

Nel 303 a .e. tuttavia i Sanniti, sempre: « .. .arma multa pavidi ac signa militaria duodeviginti reliquere; a/io agmine incolumni, ut ex tanta trepidatione, Bovianum perventum est>>

« ... Pieni di paura, abbandonarono quantità di armi e diciotto insegne militari; il resto della schiera, data la confusione generale, raggiunse incolume Boviano»so,

che evidentemente a dispetto delle reiterate conquiste e distruzioni, continuava ad esistere come valido caposaldo fortificato. Inutile quasi aggiungere che non siamo in q uesto caso di fronte alla usuale propaganda millantatrice, ma alla nuda esposizione dei fatti salienti. La sequenza infatti non è un avvenimento limite quanto piuttosto la prassi . Per Allife, ad esempio, insediata sul munitissimo M. Cila, nei pressi dell'attuale Pieclimonte Matese, lo stesso autore ci testimonia che:

6 ; Risulta infatti ; 7 Cfr. T . L 1v10, 78 Cfr. T. L1v10, 79 Cfr. T . L1 v10,

che almeno tre rocche cooperavano alla sua salvaguardia. Lib. IX-31. Lib . TX-44. Lib. X-12. Lib. X-43 .

Storia ... ciL, Storia .. . cit., Storia ... cit. , so Cfr. T. L1v10 , Storia ... cit.,


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Nel 327 a.e. i consoli Lucio Cornelio e Q. Publilio Filone: «Tria oppida in potestatem venerunt, Allifae, Callijae, Rufrium .. . » <<Vennero conquistate tre città: Allife, Callife e Rufrio .. .» 81 •

Ma Nel 310 a.e. il console C. Marcio Rutolo: «Allifas de Samnitibus vi cepit. Multa afia castella vicique aut de/eta hostiliter aut integra in potestatem venere» «T olse ai Sanniti Allife a viva forza. Molti altri castelli e villaggi, o furono distrutti ostilmente o si arresero senza essere attaccati»82 •

Le fortificazioni sannite quindi lungi dall'essere di tipo arcaico, ovvero a predominante valore inerziale delle masse murarie, si impongono quali strutture elaborate e finalizzate progettualmente per la perfetta integrazione con la difesa attiva. Il famoso ballatoio, ad esempio, oltre a fungere da ottima piattaforma di lancio risolve in maniera inedita il problema del fiancheggiamento, sostituendosi alle torri. Un'ultima osservazione si deve enunciare in relazione alle opere poligonali sannite: non è escluso che in condizioni disperate, o singolarmente propizie, le file dei conci superiori fossero divelte e fatte rotolare sulle ondate d'assalto con immaginabili conseguenze. Quanto fin qui sintetizzato ci porta a schematizzare in merito al sistema difensivo sannita le seguenti conclusioni: 1) Trattasi indubbiamente di un sistema a vasta copertura territoriale, concatenato, dotato di un ridotto di estrema resistenza, una antesignana regione fortificata, individuabile nel Massiccio del Matese, roccaforte dei Pentri. Sono evidenti in esso le direttrici ottiche per le comunicazioni con la rete esterna, ed ancora oggi, quelle viarie mulattiere, trasversali e perimetriche, oltre ovviamente alle fortificazioni di diverso ordine e grandezza, disposte ad anello. 2) Non è possibile allo stato attuale d'indagine una datazione assoluta di tali manufatti, ma è da presumere uno scaglionamento d'impianto fi no alla configurazione terminale coincidente con il periodo di belligeranza con Roma. 3) La finalità del sistema era la creazione di una vasta area di sicurezza in grado di assicurare la sopravvivenza etnica, e frustrare qualsiasi tentativo di conquista o di occupazione duratura. Non ha pertanto alcun significato analizzare le singole strutture, estrapolandole dalla correlazione d'insieme, almeno sotto il profilo di logica militare. 4) È semplicistico equipararle ad altre a loro somiglianti in prima approssimazione, proprio per le citate peculiarità progettuali, altrove assenti o diverse. 5) È infine evidente la ricerca cli un fattore di dissuasione perseguito oculatamente nella scelta dei siti e nella ridondanza delle strutture. Prima di passare alla definizione particolareggiata, mediante brevi schede delle cittadelle matesine, ci sembra interessante in prosieguo alla premessa ricordare le caratteristiche salienti della Regione Fortificata ciel XIX secolo, onde cogliere maggiormente nella nostra l'assoluta modernità inventiva.

8 1 Cfr. T. L 1v10, Storia ... cit., L ib. Vlll-25. 82 Cfr. T. L1v10, Storia ... cit., Lib. IX-37.


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Dai sanniti all'esercito italiano

La regione fortificata del XIX secolo «L'idea di sostituire gruppi di piazze forti alle piazze forti isolate, ossia l'idea della R .F. cominciò ad essere emessa ... dal gen. del genio francese Maurellian nel 1816. Dieci anni dopo il gen. Duvivier, in una sua opera sulla difesa degli Stati, proponeva di concentrare tutte le fortificazioni della Francia in una grande piazza triangolare avente per vertici Nevers, Moulin e Digoin, nonché due lati formati dalla Loire e dall' Allier con un perimetro di 190 Km. ed una superficie di 2000 Km. Vi sarebbero state 250 ridotte in muratura. Nel 1830 il gen. Paixhans proponeva grandi posizioni fortificate da stabilirsi sopra ciascuna linea d'invasione, nelle quali l'intero esercito potesse a lungo vivere ed agire. Ognuna di tali posizioni voleva costituita da quattro o cinque piazze forti, di cui una in posizione centrale rispetto alle altre ... Verso il 1876 la teoria della R.F. fu sostenuta dal gen. del genio mil. italiano Araldi. .. Ma, più che sui campi trincerati, il gen. Araldi voleva basata la difesa interna di uno Stato sulle linee di ostacoli naturali organizzate a difesa, e sulle regioni fortificate, che egli definiva ''una combinazione di linee di ostacoli naturali racchiudenti spazio" ... Il principio di R.F. è stato ampiamente svolto dal gen. Brialmont nella sua utima opera, intitolata: "Les régiones fortijiées". Secondo il Brialmont, ... esse potevano essere destinate tanto alla difesa di una frontiera non montuosa, quanto alla difesa interna. Una regione for tificata deve essere abbastanza grande perché le truppe destinate alla sua difesa non vi potessero venir bloccate, però non così estesa che l'invasore potesse attaccarvele all'infuori del raggio d'azione delle piazze forti che costituivano la regione. Per soddisfare a queste opposte esigenze, le piazze dovevano occupare i vertici di un poligono, (di solito un quadrilatero o un triangolo avente almeno 100 Km. di sviluppo ed essere a distanza fra loro non superiore ai 25 o 30 Km.) quando si fosse voluto superare questo limite sarebbe convenuto occupare con una piazza forte, o ameno con un forte, il centro di tale intervallo. Il numero delle piazze-forti occorrenti a costituire una regione fortificata veniva determinato dalla natura del luogo: se la regione era stabilita su due corsi d'acqua press'a poco paralleli, come l'Adige e il Mincio, essa doveva comprendere 4 piazze a doppia testa di ponte; se la regione era stabilita nell'angolo formato da due fiumi si poteva ridurre il numero a tre ... Una regione fortificata di tre o quattro piazze disposte ai vertici di un triangolo o di un quadrilatero coi lati da 25 a 30 Km. di lunghezza, conveniva specialmente per la difesa di piccoli Stati, il cui esercito attivo oltrepassava raramente i 120 mila uomini ... La principale piazza di una regione fortificata doveva est ere sempre un punto strategico importante, generalmente una città situata sopra ... al nodo di parecchie strade ... Le comunicazioni tra le piazze forti di una regione dovevano essere facili, sicure e defilate alla vista del nemico o da ondulazioni di terreno o da piantagioni ... Sui corsi d'acqua attraversanti la regione si dovevano costruire al momento di metterla in stato di difesa ponti di circostanza protetti da ridotte ... I ponti provvisori da costruirsi per facilitare la sortita o la ritirata delle truppe della difesa, dovevano essere stabiliti in vicinanza alle piazze d'appoggio. Le regioni fortificate dovevano poter resistere ad un attacco di viva forza eseguito mentre le truppe a cuj servivano di perno di manovra fossero ancora lontane. Bisognava quindi che esse avessero sempre una riserva mobile, destinata ad accorrere in soccorso della piazza o delle piazze minacciate. Questa riserva ... costituiva il "presidio difensivo" della regione, mentre le truppe destinate alla manovra costituivano il "presidio offensivo" ... 83 . Premessa questa indispensabile puntualizzazione circa la concezione della regione fortificata, senza dubbio moderna, alla sua luce andremo ad esaminare quella antichissima del Matese, per evidenziarne la coerenza d'impostazione. È interessante però prima citare l'arciprete Gio. Vincenzo Ciarlanti, che ignorante di qualsiasi teoria militare, nel lontano 1644 così scriveva del Matese: «È questo monte altissimo, ... dall'Appennino si stende a' simiglianza di uno gran ramo, che in lato, e in lungo molto si dilata. Vedesi in più luoghi coverto in ogni stagione di neve, e è molto aspro, e petrosso, e per lo più e buono per pascolo d'animali, che per li grani, i quali vi si producono sopra alcune parti non di quella buona qualità, che né piani d'intorno gli sono. Vi stanno molte selve, nelle quali si fà buona caccia di selvaggina di più sorte. Vi è un lago, che gira cinque miglia in circa, in cui

83

Cfr. Enciclopedia Militare, alla voce «Regione Fortificata».


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si producono buoni pesci. .. Soggiunge il Biondo, che in questo Monte habitassero quei Sanniti, de' quali fa mentione Livio, homini forti, e robusti, e gli dà titolo di Montani agresti, ... Gira questo Monte più di quaranta miglia, e per ogni parte è difficile, e aspra la salita, e in buon numero de' luoghi sono si strane, e erte balzi, che in conto alcuno per quelli si può salire. È da notare che negli antichi tempi furono intorno à questo Monte quattro principali Città fondate in quattro parti poco men, che in ugual distanza, e grandezza rendessero più forte detto Monte, e gli habitatori di quello; e forse essere potrebbero, che dalli primi habitatori di queste parti per tale effetto fossero state edificate. Dalla parte dell'Oriente stava la Città di Telese, della quale oggipochi vestigi si scorgono. Dall'Occidente estive stà Isernia. Dal Settendrione Boiano e da Mezzo giorno Alife; e in tal modo tengono questo Monte in mezzo, che da Talese ad Alife sono miglia tredici; da Alife ad Isernia venti; da questo a Boiano dodici, e da Boiano a Telese diciassette ... » 84 • Indubbiamente l'acuto arciprete aveva già ipotizzato un quadrilatero difensivo molto tempo prima della realizzazione di quello famosissimo austriaco, ma sempre molti secoli dopo dei Sanniti, che con qualche lieve modifica in merito rispetto alla ·precedente descrizione l'avevano realizzato. Equesto confermerebbe la ricorrenza nella storia di certi criteri ed impostazioni anche quando apparentemente originali. In ogni caso la regione fortificata montana ammette proprio per la sua dipendenza orografica una maggiore libertà di escursione della distanza dei vertici, ferma restando la concezione di base.

I Caposaldi L'elenco che segue si riferisce allo stato di conoscenza attuale dei ruderi delle strutture difensive sannite, alcune delle quali scoperte soltanto negli ultimi anni. Né il quadro può considerarsi assolutamente esaustivo, essendo molto probabile che per l'aumentata sensibilità alla ricerca di tali testimonianze da parte di studiosi locali, agevolata dall'apertura di nuove strade montane, numerose altre ancora vengono individuate, indagate, descritte e magari restaurate. Basti al riguardo pensare che tra la prima stesura del presente saggio e la definitiva almeno cinque nuovi centri si sono riconosciuti con certezza, per non parlare di diversi altri con ragionevole motivazione supposti, ancora però da riscontrare incontrovertibilmente in sito, e che pertanto non citiamo. La fittissima ed impervia vegetazione delle montagne del Ma tese è tra le cause principali di siffatta difficoltà procedurale, agevolata a volte purtroppo solo dai devastanti incendi, che però compromettono la stabilità pedologica dei clinali spesso irreparabilmente, con conseguente cancellazione degli ultimi reperti. Una sostanziale innovazione nella ricerca è stata per contro fornita dall'accorta analisi delle aerofotografie zenitali dell'I.G.M.L che consentono una prima approssimativa identificazione, da vagliare poi sui luoghi. Del resto la nostra ricostruzione storica non pretende di sostituirsi alla divulgazione archeologica, ma soltanto di ipotizzare un attendibile sistema difensivo alla luce di quello che altri studiosi hanno scoperto e reso noto, e da noi sulla loro segnalazione successivamente rivisitato e correlato. È tuttavia estremamente significativo per la credibilità della ricostruzione che i ricorrenti ritrovamenti interessino sempre il perimetro del massiccio, oltreché logicamente le infinite alture ad esse esterne, e mai almeno fino ad ora - tranne una - l'interno dei suoi 1500 Kmq., confermandoci in tal modo la perseguita finalità di realizzare un vasto areale regionale di rilevante sicurezza, ad opera dei sanniti. Circa lo stato di conservazione dei ruderi, peraltro estremamente variabile, si deve osservare che esso è funzione di molteplici parametri, quali ad esempio la bontà della costruzione originaria e la sua accuratezza, non sempre ottimale, forse anche per la dissimile spinta motivazionale che la impose, a volte come «estrema ratio»; lo è ancora della natura geo-morfologica del contesto d'impianto, spesso non idonea a sostenere le fortificazioni poligonali per lunghi periodi per la degradazione spontanea. Ma ciò che ha influito in merito è la maggiore o minore facilità della frequentazione antropica nel corso dei secoli. Diviene pertanto eccezionale il ritrovamento persino di un semplice brandello di muraglione sannitico nei paraggi di un castello medievale, di un'abbazia o di un paesino, assurgendo i suoi grossi conci a comoda cava di pietre dalle quali attingere a discrezione.

84

Cfr. G .V.

CIARLA NT I,

Memorie Historiche del Sannio, Isernia, 1644, p. 25.


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Dai sanniti a/l'esercito italiano

U n 'ultima causa poi d i cancellazione deve necessariamente essere imputata almeno nei casi di eclata nte validità del caposaldo anche isolato, alla con quista romana, che non si peritò certamente di imporne lo smantellamento radicale. La concomitanza di due o più fattori predetti ha prodotto alcune singolari rarefazioni difensive, altrimenti inspiegabili, come nel caso del fronte sud-est della regione fortificata in esame, che ostenta in tale settore una configurazione spoglia, non solo sotto il profilo militare, ma persino abitativo e botanico, difficilmente riconducib ile a motivazioni naturali . Ci sem bra infine indispensabile sottolineare che la ridondante presenza di strutture sannite, nelle sezioni meno alterate, spesso letteralmente adiacenti tra loro, non trova una sufficiente giustificazione nella confli ttualità con Roma, circostanza se mai propiziatrice della loro correlazione funzion ale. Il fenomeno ci porta invece ad intravedervi una logica più remota, - giustificandoci così la non contemporaneità erettiva di tali opere, - del tipo cioè degli insediamenti preistorici fortificati. Questi infatti, pur costellando il territorio con incredibile densità, vantano singolarmente presi u n proprio apparato difensivo autonomo e completo, necessario non solo alla protezio ne dei residenti dalla endemica conflittualità intertribale, m a anch e e specialmente alla salvaguardia del patrimonio armentizio dall'abigeato sistematico 85 . È il caso della Daunia86 e non ultimo della stessa Roma durante i suoi albori, caratterizzati dalla compresenza di sparuti villaggi collinari8 ;. Inutile per tale ipotesi cercare il suffragio delle fonti , dovendoci contentare al m assimo di quello della logica: la guerra con Roma agì successivamente da vigoroso cementante, preceduta forse in egual direzione da una progressiva evoluzione esistenziale della stirpe, che comunque ci viene tramandata sempre come irriducibilmente libera al limite dell 'anarchia. Quanto innanzi esposto non si applica ovviamente ai doppi centri posti a cavallo dei corsi d'acqua, essendo la loro ubicazione la risultante di una coerente e validissima visione difensiva, protrattasi fino ai giorni nost ri. Passeremo ora a descrivere sinteticamente, per schede , gli elementi costituenti la regione fortificata sannita, ovvero i caposaldi, le caratteristiche salienti della rete mulattiera principale, i ponti nonché i santuari di sbarramento . Poiché anche allo stato attuale di rudere traspare evidente che i centri non rivestirono tutti né la medesima rilevanza d' impianto né il medesimo ruolo strategico, ci è sembrato indispensabile al fine di evitare assurde equivalenze, procedere preliminarmente all'introduzione di una tabella tipologica. Sulla sua fal sariga, in funzione di quanto deducibile in sito, si è operata una suddivisione in tre ordini di grandezza, evidenziando al contempo i casi di ricostruzione - sostitutiva o clelocalizzata - romana, sotto la specie d i Colonie M ili tari o Municipi. Non si deve ritenere tale procedura arbitraria od artificiosa, essendosi im battuto persino Livio nello stesso problema, che risolse appunto con l'impiego di qualifiche diverse per gli insediamenti sanniti. «Per questo tipo di strutture i termini usati sono quelli generici di recinto o d i centro fortificato, la cui utilizzazione era giustificata ... nel momento in cui considerata la mancanza di dati, si è voluto dare loro una denominazione.

ss La situazione potrebbe per molti aspeui essere assimilata a quella vigente in Sardegna nel periodo nuragico: «una serie di piccoli agglomerati politici cli dimensioni ridotte: una valle, un altopiano, un gruppo di colline, dai confini mal definiti ove di fatto quasi sempre vigeva lo stato di guerra, se non altro provocato dalle contese per il bestiame rubato .. . Così i nuraghi si disposero a difesa ... secondo la necessità del terreno .. . «da L. ZErPEGNo-C. F1Nz1, /1 Ila scoperta delle antiche civiltà in Sardegna, Roma, 1978, p. 29. 86 Cfr. V.G. Cli1LDE, L 'alba della civiltà europea, Milano, I 972, p. 267: «fotografie aeree hanno rivelato la presenza di nu merosi recin ti segnati da fossati ... I recin ti solo dalla pianLa possono essere classificati in villaggi o fattorie. 1 primi coprono aree molto vaste, spesso suddivisi con una recinzione più interna, contenente entro il fossato recinti più piccoli e circolari che rappresentano la parte abitata e uno spazio esterno più ampio, probabilmente adibi to a ... pascoli ... Il Bradford soltanto mediante fotografie aeree ha identificato più di duecento villaggi e fattorie in un'area di meno di 4085 chilometri quadrati ... ». 87 Cfr. L. Qu11.1c 1, Roma primitiva ... cit. pp. 117-153.


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Oggi questi stessi termini ... si djmostrano insufficienti a classificare insediamenti di questo tipo nel Sannio Pentro. Per definirli fino ad ora la letteratura archeologica si è rifatta in particolar modo ad una frase di Livio: "Samnites in ea tempestate in montibus vicatim habitantes" (Liv. IX, 13,7). L'uso del termine vicatim, alla luce dei nuovi dati, in particolar modo dalla catalogazione di questo tipo di strutture, acquista un altro significato: il Sannio Pentro è abitato vicatim perché manca la grossa concentrazione urbana, mentre il territorio è costellato di "urbes paucas" (Liv. X, 45,14) e molti caste/la e vici. Gli oppida a cui fa riferimento Livio vanno intesi come veri e propri abitati che, sulla base del materiale ceramico rinvenuto in queste strutture, hanno una continuità di utilizzazione che copre almeno buona parte del periodo ellenistico: così è affermabile per ... Terravecchia di Sepino ... Più complesso è stabilire la consistenza dei castella per i quali si può riconoscere per ora la sola funzione militare ... »88 • Ne consegue pertanto la seguente tabella tipologica: I - Urbs - Caposaldo primo ordine II - Oppidum - Caposaldo secondo ordine III - Casteflum Caposaldo terzo ordine

(In parentesi è indicato quello che potrebbe essere il toponimo sannita più plausibile, che comunque non altera la logica della ricostruzione)

ed ancora: • Colonia Militare Romana Municipio Romano

Ciò premesso la Regione Fortificata del Matese si articolava: Fronte Nord-Ovest

I - ISERNIA - (Aesernia) - - - -- • Aesernia II - Mandra CASTELLONE (non identificata) Capriati al Volturno (CE) lii - Monte CASTELLONE - (n.i.) - Ciorlano (CE) I - Monte CAVUTO (n.i.) - Pratella (CE) Fronte Sud-Ovest III- S. ANGELO d' Alife - (n.i.) - CE I - Monte Cila - (Allifae) - Piedimonte Matese (CE)-----• Allifae II - CASTELLO Matese - (Cluvia) - (CE) II - Convento S. Pasquale - (Faifola) - Faicchio - (BN) I - Monte ACERO - (Tifernum) - S. Salvatore Telesino (BN) - -- -- • Telesia

lunghezza fra gli estremi Km. 21

lunghezza della fronte tirrenica Km. 44

Fronte Sud-Est

II - La ROCCA di Monte Cigno - (Cominium) Cerreto Sannita (BN) MADONNA delJa Libera - (Cominium Ceritum) Cerreto Sannita (BN)

lunghezza fra gli estremi Km. 18

Fronte Nord-Est

II I III • -

88

MORCONE - (Mucre) - (BN) SAEPINUM sannita - Sepino - (BN) - - - • Altilia CAMPOCHIARO (Hercufaneum) - Campochiaro - (CB) Tre TORRETTE - (n.i.) - Campochiaro - (CB) Civita di BOJANO - (Bovianum) - Boiano (CB) Bovianum Undecumanorum ISERNIA

Cfr. A.

LA R EGINA,

Sannio ... cii., p. 321.

lunghezza della fronte adriatica Km. 45


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Dai sanniti all'esercito italiano

27 27. Isernia: foto aerea intera zona (I.G.M.I.).

Fronte Nord-Ovest «Considerazioni Militari Convergono nella conca d'Isernia le più importanti comunicazioni tra il versante Adriatico e quello Tirrenico; da ciò deriva la grande importanza della zona la quale si presta: 1) ad una rapida raccolta di truppe; 2) a sboccare in tre direzioni diverse tutte importanti e cioè: a) verso la pianura Campana: direttrice Isernia-Venafro-Teano; b) verso la conca Beneventana ed il Molise: direttrice colle Pettoranello-Boiano; c) verso la valle del Sangro: per due direttrici: colle di Rionero e colle del Calvario.


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Parte prima. I secoli dei sanniti

28. Isernia: foto aerea dettaglio ingrandito (l.G.M.l.).

28

Sono anche degne di nota le caratteristiche topografiche di questa zona che: nella parte alta (conca d'Isernia), presenta l'ambiente della mezza montagna; quindi terreno che a tratti consente la manovra, con spiegamento di forza: così nella zona di Colli al Volturno-Fornelli, in quella di Colle CroceColle Alto-la Romana (a Nord di Macchia d'Isernia) ed in quella di Pettoranello di Molise-Macchia d'Isernia. Sono questi dei residui di terrazzi di montagna che hanno funzione di dominio tattico importantissimo, con azione fiancheggiante rispetto alle valli dove scorrono il Volturno, la Vandra, il Cavaliere ed il Carpino; nella parte bassa della zona (piana di Venafro) i rilievi emergenti fra gli impluvi torrentizi, costituiscono anch'essi ottimi elementi topografici di valore tattico, sia per la formazione di strette (Roccavirandola-Capriati-Sesto Campano), sia anche per il dominio che hanno sull'ampia e scoperta piana sottostante» 89 •

ISERNIA - (Aesernia) Fu senza dubbio una delle principali città dei Sanniti-Pentri, come sembrerebbe confermare persino l'etimo del suo nome, l'antichissimo Aisir sinonimo di "dio" . Il Ciarlatani la include tra le prime sette città sannite, tuttavia sul significato del termine città, resta la solita indeterminazione. Scarse le notizie delle fonti in merito, né grosse informazioni sono possibili dai resti archeologici, poiché proprio per la sua posizione chiave, questa città subì una serie impressionante di devastazioni radicali, fino a quelle della li Guerra Mondiale. Come se non bastasse essendo in area altamente sismica, anche da tale iattura patì analoghe conseguenze. È pertanto già un evento al limite del credibile la sopravvivenza di qualche brandello della cinta, risalente però alla sua

89

Cfr. Comando della 25" Divisione Territoriale ... cit.. p. 13.


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50

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trasformazione in colonia romana. Va comunque sottolineato che il suo impianto urbano irregolare a quota m. 470 adattato alla conformazione della cresta montana per ovvi fini difensivi ne indica una genesi italica, discordante totalmente con l'architettura romana specifica90 . In conseguenza: «Aesernia costituisce un caso a parte perché fondata come colonia latina nel 263 a.e. a seguito di conquiste territoriali operate a danno dei Sanniti, tra le quali era stato incluso anche il territorio di Vena/rum. Non vi sono per ora elementi che possano confermare l'esistenza di un insediamento sannitico per Aesernia, possibile perché già a proposito dell'anno 295 a.e. viene menzionato da Livio (X, 31) un ager Aeserninus. Con Aesernia compare per la prima volta nell'ambito del Sannio interno, e con circa due secoli di anticipo rispetto a tutti gli altri municipi, una struttura urbana che si contrappone ai modelli di insediamenti caratteristici delle comunità sannitiche»91 . Vi è ancora da osservare che la perdita di Isernia non costituì per il dispositivo sannita una pesante riduzione funzionale, particolare che lascia effettivamente ipotizzare un insediamento fortificato più alto e discosto della cittadina romana, o forse una serie di aggregati apicali. A circa Km. 14 da Isernia, sull'alto corso del Volturno, sbocca una profonda e stretta gola serrata tra le estreme propaggini rocciose di Nord-Ovest del Matese, quelle cioè di Capriati e di

°

9

Cfr. A. P ASQUA LIN r, Isernia, in Quaderni dell'Istituto di topografia antica dell'Università di Roma, Studi di Urbanistica Antica, Roma, 1966, pp. 79-83. 91 Cfr. A. L, REGINA, Sannio .. . cit. p. 36.

29


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30 30. Alto Volturno, sotto S. Maria dell'Oliveto .

Ciorlano: è per l'appunto la "Stretta di Ciorlano". Sul fondo di questo lungo «canyon» scorre un fiumiciattolo, il Sava, che appena fuori confluisce nel Volturno. Sull'identico itinerario si snoda anche una strada verso asse di penetrazione Prata Sannita-Letino-Valle Agricola, ovvero verso l'interno dell'acrocoro. Da questi pittoreschi paesetti abbarbicati alle montagne si diffonde la trama delle millenarie mulattiere sommitali matesine. li suggestivo percorso descritto rappresentava ovviamente uno dei potenziali accessi, sebbene rischiosissimo, all'area protetta, e necessitava pertanto di un congruo sistema di sorveglianza e sbarramento. Identica concezione del resto connota, come vedremo, anche gli altri pochi punti d'immissione. Quanto affermato si attuò ricorrendo ad una accorta dislocazione di ben cinque caposaldi, di vario ordine - almeno relativamente a quanto oggi individuabile in sito - di cui quattro: Capriati, Monte Castellone (Ciorlano), P rata Sannita e Letino, impiantati sul massiccio ed uno invece, Monte Croce (Venafro), ad esso esterno92 • I compiti di tali strutture possono agevolmente ricostruirsi osservando il quadro orografico ed

92 Relativamente alle fortificazioni, sempre in opera poligonale, di Letino e di Pra.ta, le uniche interne all'intera area del Matese, trovano la loro ragion d' essere proprio nella necessità d 'interdire la risalita della Valle del Sava, che altrimenti sarebbe diventata una facile via d'accesso verso l'altipiano. Per tale ragione, e per la scarsa consistenza dei resti, non sono state esaminate in dettaglio.


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31. Letino-Prata Sannita: foto aerea (l.G.M.l.).

idrografico zonale . La piccola fortezza di Capriati a quota 650 assolveva la funzione di presidio e vigilanza dissuasiva sull'imbocco della "Stretta", intercettando e segnalando premesse invasive. Parimenti sorvegliava l'alto corso del Volturno, cooperando in entrambi i compiti con quella, alquanto più grande, di Monte Castellane. Tutte e due poi gravitavano completando il blocco della valle del Volturno, con quella sopra Venafro, che assicurava tra l' altro l'interconnessione segnaletica e l'allaccio con l'esterno. Con l'azione di queste tre fortezze si estrinsecava di fatto una cesura "a doppia testa di ponte" sul Volturno, ed anche se meno precisa sul Sava. La quarta postazione, arretrata e montana, quella di Letino, poteva forse costituire una sorta di riserva tattica, pronta ad intervenire attivamente nell'ipotesi di scavalcamento del catenaccio: non ultimo segmentava ulteriormente gli itinerari mulattieri interni . Per la maggiore aderenza alla configurazione difensiva perimetrale, e quindi per la derivante mag-


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- ettaglio 32. Letino· f (l.G.M .I).· oto aerea d

33. Prata Sannita· f taglio (l.G.M.I). · oto aerea_ det-


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34 34. Capriati al Volturno : foto aerea intera zona (T.G .M.I.) .

giare rilevanza, esamineremo schematicamente soltanto i caposaldi di Capriati e di Monte Castellane, da poco emersi dall'oblio ed identificati come tali93 •

Mandra CASTELLONE - Capriati al Volturno (CE) «La cinta fortificata individuata a N .E. di Capriati al Volturno, in località Mandra Castellane, a quota m. 647 [T.G.M. 161 III N .E. Capriati al Volturno,] è ... tra tutte le cinte ... la più piccola ... quasi perfettamente rotonda ... (e) il suo diametro misura circa m. 80. Essa domina la valle del Volturno nel

93

Cfr.

G.

CONTA HALLE R,

Ricerche su alcuni centri ... cit. pp. 40-43.


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35. Capriati al Vollurno: foto aerea - dettaglio (1.0.M.l.).

35

punto di passaggio obbligato per chi si dirigeva, lungo la sponda sinistra del fiume verso il Sannio interno, e per chi da Venafrum voleva portarsi lungo il corso superiore del Volturno. La cinta è posta sul cocuzzolo più avanzato verso la valle del Volturno dei due colli ... TI muro di fortificazione, alto fino a m. 350, è abbastanza ben conservato: i grandi blocchi, piuttosto irregolari, ricordano nella forma grossolana quelli delle cinte di ... Piedimonte d' Alife ... La porta si doveva trovare con ogni probabilità nel punto più alto verso S.E., dove sale anche un sentiero molto erto da Capriati . La posizione dominante, l'esiguità dell'area compresa tra le mura, la difficoltà dell'accesso, la notevole altezza rispetto alla quota della pianura (m. 4.50 ... e la mancanza di cocciame, solitamente presente) ... fanno pensare ad un'utilizzazione molto saltuaria . .. p er scopi esclusivamente militari di avvistamento e segnalazione ... » 94 . La deduzione conclusiva è molto discutibile, poiché sarebbe stato alquanto ottuso sobbarcarsi la improba fatica cli una costruzione poligonale a m. 650 di altezza, delle citate dimensioni, da destinare a "piedistallo" per vedette, le quali peraltro avrebbero potu to svolgere il loro compito altrettanto scrupolosamente e validamente, stando sul semplice vertice del cocuzzolo . Precisa tuttavia il Rocchi : «In terreno montuoso avviene assai spesso che un posto cli osservazione, è al tempo stesso un eccellente margine difensivo. In tal caso sarà opportuno rafforzarlo ed affidarne la difesa ad un nucleo di truppe proporzionate alla sua capacità tattica. Questi tipi di osservazione e di difesa, che possono venire all'occorrenza rinforzati e sostenuti da truppe staccate dalla posizione principale, potranno, anche senza una preventiva intenzione, costituire una linea, che è nel tempo stesso di osservazione e di prima difesa» 95 •

94

95

Cfr. G. CoNTA R,LLE R, Ricerche... cit. p. 41. Cfr. E. Rocc111 , Traccia per lo Studio della fort(ficazione campale, Torino, 1904, p. 155.


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36. Mandra Castellone: veduta dal Volturno.

È evidente comunque che la logica d'impianto prioritaria anche in questo caso va individuata in quella dell'intervento attivo, della dissuasione e soprattutto della interdipendenza, già esposta, con le altre fortificazioni limitrofe e perimetriche matesine, essendo quella dell'avvistamento una peculiarità generica di ogni fortificazione di montagna,

Monte CASTELLONE - Ciorlano (CE) Un grosso raggruppamento di basse montagne dalla configurazione di pianta vagamente triangolare è determinato dalla Valle di Prata Sannita e di Capriati - ne11a quale defluisce il Sava - , dal corso ancora più tortuoso e impervio del Lete e dall'ampio letto nel quale il fiume Volturno si snoda con numerose anse. Il vertice di questo «triangolo» è al contempo il suo innesto al massiccio ciel Matese in corrispondenza di Prata Sannita. La particolare e felice posizione del sito conferiscono alle sue propaggini pianeggianti una inusitata fertilità al punto che sino dall'antichità erano note ed attraversate per la loro equidistanza da Venafro e da Alife da importantissime vie di comunicazione. «Già in età sannita la zona era stata intensamente abitata, come risulta da ritrovamenti sporadici e dall'esistenza di centri fortificati con mura ciclopiche»96 •

96

Cfr. D. p. 291.

CA1AZZA,

Archeologia e storia aniica del mandamento di Pietramelara e del Montemaggiore, Pietramelara, 1986,


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37 37. Capriati al Volturno.

Uno di questi è quello appunto su monte Castellone di Toreino. «Il Monte Castellone (m. 420), nella tenuta di Toreino, in territorio di Ciorlano, [l.G.M. 161 III N.E.] Capriati al Volturno costituisce ... (un avamposto del Matese) verso la Valle del Volturno ... dove passava la via più comoda fra il Sannio Pentro e le terre del versante tirrenico. La cinta, limitata nell'estensione, si è potuta esplorare solo parzialmente, a causa della fitta vegetazione. Due tratti di muro salgono da O. verso la quota 420, che è all'estremità di una cresta, che si stacca dalla catena del Colle La Croce. 1 tratti di muro finora riconosciuti hanno l'altezza massima di m. 2 e sono in blocchi irregolari di media grandezza. La zona è ricca di sorgenti ... »97 .

Monte CA VUTO - Pratella (CE) Sullo stesso raggruppamento montuoso precedentemente delineato è stato identificato un secondo e notevolmente più importante complesso difensivo. «Un altro di ben maggiore interesse è arroccato sul Monte Cavuto (m. 660 s.1.m.) detto anche Perrone, e sul vicino Colle Saracino (m. 625 s.l.m.) ... Il Monte Cavuto costituisce l'estremo bastione sud orientale dei rilievi descritti (e più in generale del Matese n.d.A .) e si presenta, a chi lo osservi dalla

97

Cfr. G. CoNT,\

HA 1. 1 E R,

Ricerche ... cit. p. 40.


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38 38. Cast.elio di Capriati al Volturno.


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39. Monte Cavuto-Pratella: Planimetria (da D. Caiazza).

valle del Volturno ... come un grnnde altipiano di forma grossolanamente triangolare ... della superficie complessiva di mq. 23.474 ... che si arresta su una profonda, verticale, inaccessibile parete rocciosa ... Proprio tale eccellente difesa naturale, unita alla posizione dominante, ed alla quota non troppo elevata, ha determinato la secolare vocazione all'insediamento umano del rilievo, frequentato, peraltro, già dal Paleolitico Superiore. Infatti in età sannitica fu ottenuta un'area potentemente fortificata semplicemente integrando la difesa naturale, mercé la realizzazione di un muro lungo circa m. 320 che corre sul margine nord dell'altipiano. Tale muro ciclopico, realizzato con massi assai grandi e medi, connessi nella II maniera del Lugli, inizia sull'ovest dell'altipiano, là dove è l'acropoli, nei pressi di un muro in opera incerta, forse altomedievale, il quale sopraeleva una bella muraglia ciclopica della III maniera del Lugli. Da questo punto il muro si raddrizza puntando ad est per m. 29.40 circa ... Proseguendo verso est sul m uro ciclopico per m. 36 si giunge in asse con una cisterna circolare scavata nella roccia ... Ai tratti descritti seguono ancora m. 220 circa di recinzione poligonale, quasi ovunque ben leggibile, conservata per i primi due filari o almeno per il primo, tranne che per una quarantina di metri, ove è scomparsa. Dopo ulteriori m. 20 circa di muro meglio conservato, alto sui quattro metri ... la cinta si arresta nei pressi dell'inizio ad est del burrone. Ivi forse era un varco. Certo qui giunge un sentiero di cresta proveniente da oriente. Volgendo oltre il sentiero con angolo smussato, il muro ciclopico percorre ancora alcuni metri. Indi si perde ... L'acropoli della città occupa il vertice nord occidentale dell'altipiano (Quota 660). La difesa sul ciglio del burrone fu, probabilmente, affidata al tratto iniziale ciel muro poligonale esterno, di cui avanzano pochi metri, costituiti dal primo filare di grandi massi. Da tale muro poligonale, posto sul ciglio nord-ovest, si stacca, puntando verso l'altopiano, un muro di perfetto rifinito poligonale della lll maniera del Lugli, conservato per un paio di metri d'altezza e lungo circa 111. 16. Su questa misura il muro si sdoppia, proseguendo diritto fino ad un roccione appiombato a farne


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40 40. Monte Cavuto-Pratella: Planimetria teatro (da D. Caiazza).

parte, su cui è incisa una lunga scanalatura verticale, forse pertinente ad una chiusura a saracinesca ... Dal punto di sdoppiamento il muro piega verso sud per circa m. 13, e, dopo un ulteriore angolo, corre dritto per circa m. 18. A questo punto con un angolo retto volge a ovest a chiudere il perimetro ... »98 • Tralasciamo di entrare nella descrizione, sia pur molto interessante dei numerosi resti di edifici rilevati nell'area, esulando dai fini del nostro studio, ma non possiamo per l'eccezionalità della scoperta esimerci dal citarne una inusitata struttura. «Su questo (una sorta di terrazzo artificiale n.d.A.) affacciano i resti più singolari e di non facile interpretazione che si rinvengono all'interno delle mura. Vi è infatti una gradinata a pianta semicircolare, con la base a sud, intagliata nel calcare. Sono riconoscibili con certezza almeno 12 gradini con una alzata di cm. 32/40 circa ed una pedata di cm. 75, che si dilata a cm. 87 negli ordini più bassi. Dopo un sommario rilievo si possono indicare in circa m. 16,60 le dimensioni del diametro del semi-

98

Cfr. D.

CA 1AZZ,\,

Archeologia ... cit. pp. 291 -296.


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SEZIONE

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41. Monte Cavuto-Pratella: Sezione teatro (da D. Caiazza).

cerchio descritto dal I gradino rilevabile (ve ne dovrebbe essere sepolto almeno un altro). Tale misura si dilata fino a 111. 53 del ricostruibile diametro dell'ultimo gradino riconoscibile senza dubbio ... La forma ad emiciclo e la regolarità dell'impianto, la cura prestata nel conservare i livelli ed i profili dei vari piani verticali ed orizzontali dei gradini, la perfezione del raccordo tra le gradinate mediante un levigato angolo retto smussato, consentono di affermare che siamo in presenza della cavea ima e media di un teatro scavato nella roccia ... » 99 • Questa peculiarità del centro sannita unitamente alla sua complessità strutturale ci porta ad ipotizzare l'appartenenza alla rara categoria delle urbs, ovvero di un equivalente del caso limite di Saepinum. Né è da escludere una continuità abitativa anche in epoca repubblicana romana, come alcune murature superstiti sembrano testimoniare. Ma le fortificazioni dell'importante caposaldo non sono affatto concluse, protendendosi ad inglobare anche cocuzzoli viciniori. «Per raggiungere questa ulteriore difesa a nord dell'insediamento occorre seguire il sentiero che scende sul versante nord del Monte Cavuto, ... (ed in prossimità di) Cima 633, è dato osservare un tratto di trenta metri di mura ciclopiche, ben leggibili ... Procedendo ... sul sentiero che punta a nord si ritrova subito il muro megalitico che volge a cingere Cima 625. Il muro è piuttosto mal ridotto per circa m. 53; ben conservato, fino a m. 3.50 d'altezza nei successivi 90 metri. Su questa misura la strada che, al solito, è a monte delle mura, attraversandole con un varco largo circa m. 1.50, continua verso nord in direzione del Monte Castellane di Toreino. Oltre il sentiero l'opera difensiva guadagna quota e continua ad avvolgere Cima 625 con 50 metri di muro perfettamente conservato, alto più di m. 3, un poco rastremato, costruito al solito con massi enormi nel paramento esterno, più piccoli in quello interno, farcito di minori scaglie calcaree, il tutto per uno spessore di circa due metri. È questo uno dei tratti più imponenti e meglio conservato, essendo rimasto parte del coronamento che sporge dal livello della retrostante caminada ... (La fortificazione prosegue ancora) dopo un varco di m. 3 .50 ... piegando sulla pendice ovest ciel colle per m. 80 ben conservati; nei successivi m. 40 essa è crollata.

99

Ibidem, pp. 306-313.

41


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Ricompare poi con un bel tratto di m. 100 sempre sormontato dal sentiero; gli ulteriori m . 80 sono pure ben leggibili ... Il perimetro fortificato continua poi, evidente, ancora per m. 60 con i quali dopo aver varcato un ripido sentiero si affaccia sulla pendice sud di Cima 625 ... Da qui doveva originariamente proseguire ... sul versante sud verso Monte Cavuto fino a raccordarsi con esso completando il perimetro»• 00 • Altri consistenti segmenti di fortificazione che si rintracciano sull'intero altopiano portano a considerarlo uno dei maggiori caposaldi del settore consentendogli: «d'incombere con le mura direttamente sull'imbocco della valle del Lete, a guardia della retrostante valle di Prata e della via per il Matese». ,, La località caduta gradualmente nell'oblio divenne nota con il significativo toponimo di Roccavecchia, persosi definitivamente l'originale sannita che non doveva per altro essere insignificante•<H . «Sull'altopiano hanno continuato a rifugiarsi le popolazioni dei prossimi territori in momenti di emergenza ed anche durante l'ultima guerra (e) ai tempi della "brigantia", ovvero della guerriglia antipiemontese, si annidarono a lungo sino alla fine su Roccavecchia le fiere bande dei partigiani lealisti del Regno Napoletano» 102 . Va infine osservato che il descritto complesso fortificato trovava assoluta corrispondenza ottica e quindi completamento funzionale con quello distante circa Km. 6, in linea d'aria, ubicato in prossimità del Monastero della Ferrara, sul monte S. Nicola, dall'altro lato del Volturno, a sud . Poiché tale rilievo non rientra in senso stretto nel contesto matesino ci asteniamo dal descriverne la fortificazione, peraltro alquanto modesta, indicandone solo la interdipendenza tattica, del tipo «a doppia testa di ponte». Analoga ampia visibilità si registra con l'insediamento di Venafro a nord-ovest confermandoci il razionale collegamento segnaletico con l'esterno del sistema difensivo del massiccio .

Fronte Sud-Ovest «Considerazioni militari La Conca Alifana ha una speciale importanza per le sue comunicazioni con la Campania, convergenti sul fro,nte Capua-Ponte Annibale. Dette comunicazioni sono le seguenti: 1) Ponte di Raviscanina-Pietravairano-Calvi Risorta-Capua; 2) Ponte di Dragoni-Alvignano-Caiazzo-Ponte Annibale. Essa inoltre rappresenta per chi occupa il Matese fronte al Molise, il retroterra logistico della montagna: dalla conca Alifana infatti tre ottime comunicazioni rotabili risalgono i fianchi della montagna e cioè: 1) La Piedimonte d' Alife-Castello d' Alife-S. Gregorio. 2) La Ailano-Valle Agricola. 3) La Capriati al Volturno-Gallo-Letino» 103 • È interessante ricordare che le citate rotabili, esistenti nel 1929, rappresentavano la riedizione, su tracciati all'incirca coincidenti dell'antichissime mulattiere afferenti all'altipiano. Pertanto il discorso sulle valutazioni militari può tranquillamente trasferirsi ad oltre venti secoli prima. Le prime due poi riproponevano arcaici tratturi: «Fin dal tempo delle primavere sacre le popolazioni sabello-sannite, resesi padrone degli altipiani di Boiano e di Sepino, ascesero sulle dorsali e sull'alpestre altipiano del Matese per il pascolo estivo, di lì poi discesero e sempre per ragioni di pascolo, giù per il versante meridionale del massiccio: ivi si

100

Ibidem, pp. 322-328. L'autore dei dettagliati brani citati esprime il parere che in tali eccezionali rovine si debba individuare la scomparsa Callifae, su ffragando l'ipotesi con acute osservazioni storico-topografiche. ioz Cfr. D . C AJAZZA , Archeologia... cit. p. 337. 103 Comando della 25 • Divisione ... cit. p. 17. JOI


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erano stanziate annualmente spostandosi in avanti, nel territorio delimitato dal medio Volturno e dal Calore inferiore ... E ai piedi della parete meridionale del Matese lentamente erano sorte Allifae ... Callifae e, più ad oriente Saticula ... ecc.» 104 . I percorsi mulattieri ed i tratturi restarono perciò costantemente utilizzati ininterrottamente fino alle predette strade.

S. ANGELO D'ALIFE (CE) Il primo centro fortificato, al presente identificabile, del fronte sud-ovest, è posto a quota 530 sulla collina del Castello del paesino di S. Angelo d' Alife, prospiciente il corso del Volturno. «Il castello è collocato sulla cima di una collina avanzata (è il sistema d'impianto usuale delle cittadelle sannite n.d.A.) . .. Nella rovinosa forma attuale risale ai Normanni, ai De Quarrel Drengot, che ne fecero la roccaforte della loro contea di Alife. Una cinta muraria con torri mezzetonde e torrioni a baluardo, con due entrate, introduce nell'interno in cui può stare un villaggio ... Proprio sotto gli spalti del castello resta un po' di muraglione sannitico. Fra l'abitato protostorico e la riutilizzazione della collina in epoca normanna, corrono quasi quindici secoli. L'abitato rimase abbandonato o rinacque? o ha avuto una continuità in epoca romana? .. : La vallata del Volturno era intensamente popolata: celeberrissimus il/e tractus al/iphanus venajranus, diceva Cicerone ... » 105 • La pressocché irrilevanza dei resti non consente purtroppo alcuna ipo tesi circa la loro caratteristica difensiva e meno che mai circa la loro originaria natura e gerarchia all'interno del sistema: di certo vi era un punto fortificato.

Monte C/LA-(Allifae)-Piedimonte Matese (CE) Le fortificazioni del monte Cila, che con quelle di Castello Matese formavano il secondo blocco a "doppia testa di ponte" della regione fortificata, questa volta sul Tarano, interdicendo l'eventuale immissione sull'altopiano, ebbero già nel passato ampi interessamenti. Ciò può essere imputato da un lato alla loro inusitata imponenza, trattandosi di fortificazioni multiple, da un altro alla loro immediata vicinanza ad un grosso centro casertano, quello di Piedimonte Matese (già d' Alife) ed infine alla costruzione della strada per S. Gregorio, che in più punti le costeggia evidenziandole ed alla vistosissima condotta forzata, che le scavalca ortogonalmente. Occasioni tutte non indifferenti, di incentivazione all'indagine archeologica. Anche il Maiuri vi contribuì redigendo una celebre relazione descrittiva nel 1926: «La posizione centrale e frontale di sbarramento del Cila ne fece fin da tempo antichissimo un centro di abitazione composto di vedetta e di difesa ... (come confermano) i grandiosi resti di opere fortificatorie a sistema poligonale ... la struttura di tipo primitivo ... è ben lontana dalla tecnica del poligonale progredito; i blocchi. .. sono appena rozzamente tagliati nella faccia esterna; senza piani squadrati conservano i piani di posa naturali ... Le dimensioni dei blocchi variano l'uno dall'altro ... La base del muro poggia sempre sulla roccia ... » 106 • È in definitiva però l'abituale tecnica poligonale sannita che connota invariabilmente tutte le opere circummatesine, con la sola eccezione di quelle di Morcone. Ciò se non altro confermerebbe una parallela impostazione del sistema od una rimarchevole invariante tecnologica protrattasi per almeno quattro secoli. Tornando al Cita ed alle sue difese: «Stando alle Memorie del I 926 sono cinque così disposte: 2 in basso, 2 al centro, 1 in alto. Questi cinque semicircuiti del Cila sono lunghi in tutto m. 7000. Il primo alla base del monte è assai rovinato ed è composto di due muri quasi paralleli alla distanza di m. 7-15. La seconda cinta duplice,

104 Cfr. G. V ERRF.cc11 1A , Pagine non chiare di Tito Livio sulle guerre sannitiche, 105 Cfr. D. MARRocco, Guida del Medio Volturno, Napoli, 1986, p. 135. 106 Cfr. D. MARRocco, Piedimonte Ma tese, Piedimonte Matese I 980, p. 35 .

in

Samnium , Anno I 957, 1958, 1959, p. 56.


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Dai sanniti all'esercito italiano

42 42. S. Angelo d'Alife: foto aerea intera zona (I.G.M .I.).

è molto meglio conservata e raggiunge in qualche punto m. 7-8 di altezza. La terza ad un solo muro è presso l'attuale cabina S.M.E. ed è più bassa delle precedenti ... ». Il Maiuri conclude dicendo che: «questi grandiosi resti di difesa sul monte Cila ... non possono non riferirsi a quello che deve essere stato il centro più importante di tutta questa regione montana e cioè all' Alife sannitica, di cui l' Alife romana posta a 3 Km. dai piedi del M. Cila, in aperta pianura, non fu che la naturale continuazione» 10; . Dato l'eccezionalità delle strutture in esame, ci sembra necessario dettagliarne meglio la giacitura e le peculiarità costruttive:

107

lbidem, p. 36.


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Parte prima. I secoli dei sanniti

43. S. Angelo d'Alife: foto aerea dettaglio (l.G.M.l.).

43

44 44. S. Angelo d' Alife: il Castello.


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Dai sanniti a/l'esercito italiano

45 45. Monte Cila-Piedimonte Matese: fo to aerea intera zona (I.G.M.I.).

«Una attenta esplorazione ha confermato l'esistenza di una prima reçinzione di difesa che corre doppia sul lato meridionale del Monte Cila, dove il pendio non è eccessivamente ripido mentre gli altri due lati sono delimitati da profonde gole, per cui evidentemente non si è sentita la necessità di opere difensive. (In altri termini riusciva impossibile l'aggiramento n.d.A.) Le mura si trovano a m. 50 di quota circa sopra il piano (m. 210) ed hanno una lunghezza di circa Km . 2. Si tratta di due cortine divise da una fascia di terreno, larga da m . 15 a m . 20, che costituisce un gradone ... Mentre il muro inferiore è alto circa m. 3.50 che potrebbe coincidere con l'altezza originaria, poiché tale altezza continua per alcune centinaia di metri, quella superiore interna è conservata per alcune centinaia di metri, quella superiore interna è conservata in alcuni tratti fino a m. 17. La tecnica, identica in ambedue le cortine che fungevano anche da terrazzamento, è in grandi blocchi di varie dimensioni (m. 0.40x0.50; m. l .20xl), dalla superficie grossolana e dai contorni estremamente irregolari, e con blocchetti negli


67

Parte prima. I secoli dei sanniti

46. Monte Cila - foto aerea - dettaglio (l.G.M.l.).

46

interstizi. Lo spessore della cortina è in media, nei tratti meglio conservati, di m . 1.70 circa e il riempimento in scaglie calcaree. La cortina muraria è inoltre verticale ... e non a scarpa, sia pure leggera ... Certamente doveva esistere una porta, in corrispondenza ciel vecchio viottolo che porta alla sommità del Monte Cila, e che almeno in parte è di origine antica, come dimostra la presenza di rozzi gradini tagliati nella roccia nel tratto inferiore. D'altra parte il fatto che il sentiero salga seguendo una leggera depressione del terreno, dove il muro con tutta probabilità doveva presentare una rientranza, fa pensare a questo come il punto più adatto per una porta con un minimo di opera di fiancheggiamento. Purtroppo questo tratto di cortina è molto mal conservato, come ... quello delle estremità. E dove probabilmente si apriva una seconda porta ... » 108 • Circa l'assenza di porte lungo questa prima gradonatura, come del resto in quelle superiori, ci sembra più coerente ipotizzare una originaria volontà non costruttiva, ritenendole incompatibili con la modalità difensiva degli argini-piattaforme. Ai fini d'impiego quotidiano sarebbe bastato uno scavalcamento ligneo facilmente asportabile in fase di allertamento operativo. «Proseguendo nell'esplorazione, ho riconosciuto il secondo muro posto più in alto a quota m . 400-500 circa, in alcuni tratti ben conservato, costruito in grandi blocchi che arrivano all'altezza media di m. 3.50 ... » 109 • L'andamento di questo secondo gradone è sostanzialmente parallelo al primo di cui ne ripropone la concezione d'impianto. Segue quindi al di sopra di quota 500, la terza murazione. «In effetti il Cila è una protuberanza verso la pianura, a tre cime disposte come vertici di un triangolo: il lato tra la vetta più alta (M. Cila) e la Cima O. è naturalmente protetta dallo scoscendimento verso il Vallone Paterno, è invece il lato prospiciente Castello Matese, di facile accesso da N.

108 109

Cfr. G. CoNTA Ibidem p. 61.

H ,\LLER,

Ricerche ...

cit.

p. 61.


Dai sanniti all'esercito italiano

68

47 /

47. Monte Cila: 2a murazione.

ad essere difeso da questa terza fortificazione, che si svolge poco al di sopra carrareccia per il bacino idroelettrico: se pure la muraglia continuava sul lato S. è scomparsa per i lavori di costruzione del bacino. La recinzione, conservata per un'altezza di circa m. 2, si presenta a gradoni con le stesse caratteristiche di quella di Saepinum; ci troviamo cioè di fronte ad un non duplice, bensì triplice sistema di fortificazioni che protegge tutto il monte in una unità organica ... » 110. La complessità evidente di tale fortificazione, l' antichità dei rinvenimenti effettuati sul Cila che rimontano al neolitico, l'essere poi come meglio vedremo punto nodale per l'itinerario mulattiero trasversale del Matese, nonché cli quello perimetrico di pendice, direttrice S. Potito-(Gioia SannitaFaicchio-Monte Acero-Titerno-Madonna della Libera)-M. Cigno, ci avallano ampiamente l'importanza strategica del sito, accentuata dalla seconda località fortificata ad esso adiacente, quella di Castello Matese.

CASTELLO Matese (Cluvia)-(CE) A quasi un chilometro in linea d'aria dalla sommità del Cila, ed ad un'altezza leggermente inferiore s'identificano le superstiti strutture del caposaldo sannita, inglobate nella muratura basale del medievale castello di Castello Matese (già d' Alife).

° Cfr. G. GuADAGNo, Sui centri fortificati ... cit. p. 272.

11


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Parte prima. I secoli dei sannili

48. Monte Cila: 2• murazione.

La quantità di opera poligonale residua è estremamente scarsa, limitata a poco più di m . 150, con una altezza media di m. 3.50. «La posizione del muro di fortificazione, a difesa dell'accesso più diretto all'altopiano del Matese, e la sua semplicità, per quanto si può giudicare dalle strutture murarie in situ ... fanno ritenere che tale opera abbia costituito la prima difesa in ordine di tempo di questo lato del Matese ... »11 1 • Pur condividendo la premessa ci distacchiamo assolutamente dalla conclusione per la impossibilità precedentemente affermata, di un'attendibile datazione (quando pure effettuata) e per la logica militare d'impianto. È infatti impensabile che le opere del Cita e di Castello nascessero non correlate, perdendo di validità per una reciproca assenza, e scadendo in tal caso la rigida cesura sull'itinerario di penetrazione Castello-S. Gregorio-Passo Prete Morto, a semplice espediente di sorveglianza. Sarebbe poi una soluzione contraddicente le altre consimili. Semmai invece in questo particolare caso di stretta finalizzazione fruitiva, ci sembra interessante accettare la tesi di individuazione sulla vertiginosa terrazza dell'antica, e già ricordata Cluvia. «Circa Cluvia e la sua ubicazione ... sentiamo il bisogno di aggiungere qualche osservazione. L'attenta visione dei luoghi dà all'osservatore il convincimento pieno che i Sanniti nella lunga seconda guerra ... attraversarono di solito il Matese nella zona centro-orientale (più ristretta) partendo da Bovianum, e raggiungendo lo spartiacque meridionale del massiccio nella sella denominata, nei tempi moderni , di "prete morto'' ... : di lì discendevano nel territorio in declivio di S. Gregorio del Ma tese e Castello d' Alife, che si estende dall'alto a cuneo tra le due gigantesche, impressionanti vallate del

111

Cfr. G.

CoNTA HALLER ,

Ricerche ...

c i t.

p. 62.


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Dai sanniti a/l'esercito italiano

49 49. Castello Matese: foto aerea intera zona (I.G.M.I.).

torrente Paterno a nord-ovest e di valle Inferno e del Tarano a nord-est e sì restringe sempre più nella cima fino a terminare nell'abitato di Castello, che è posto a cavallo di due vallate, lì assai vicine, · profondissime e ripidissime. Questo comune indubbiamente ha preso il nome dal castello medievale che si eleva sull'orlo della profondissima valle Inferno: altro castello si elevava sul lato opposto ed entrambi furono costruiti sulle fondamenta di identici bastioni di Cluvia, chiusa al nord da quelle mura vane per i Romani costretti ad arrendersi nel 312 per fame, furono assalite poi dai Ro1iiani di Giunio nel 311 e superate d'assalto: gli abitanti validi uccisi. Castello chiude nel miglior modo il passo a chi dall'alto delle montagne voglia scendere a Piedimonte: né si presenta altra possibilità di discesa nelle zone limitrofe alifane, costituite da aggrovigliati gruppi montagnosi solcati da profondissime vallate. Da Castello si vien giù a Piedimonte per ampia mulattiera a larga gradinata ... Si può dunque concludere senza tema di errare che tutto il territorio in declivio di S. Gregorio e Castello, nei tempi di cui ci occupiamo, costituiva una specie di campo trincerato, di cui uno degli avamposti si trovava


71

. a· J seco /'1 dei sanniti Partepnm

foto aerea -0 caste Il O Matese: ) :, · 1io . (l.G.M.I. · dettag

50

51. Castello abitato.

Matese:

planimetria


Dai sanniti a/l'esercito italiano

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52 52. Castello Matese: panoramica.

proprio al passo/ di S. Croce (quota 878 sopra S. Gregorio n.d.A.) dove caddero i combattenti ivi sepolti. (Vi furono infatti durante i lavori per la costruzione della strada numerosi rinvenimenti di tombe militari n.d.A.) I Romani avevano occupato tutta quella zona, perché solo lì essi trovavano le migliori condizioni topografiche, strategiche, logistiche e climatiche atte a chiudere il passaggio dei nemici e impedire che dilagassero in pianura. All'atto pratico le condizioni logistiche vennero a mancare solo per l'andamento sfavorevole della guerra, e la guarnigione romana, abbandonata al suo destino, fu costretta ad arrendersi per fame. Il nome Cluvia, dunque, va dato a Castello d 'Alife, e comprende anche tutto il territorio di S. Gregorio con la sella di S. Croce ... »1 12. A questo punto, avendo più volte menzionato l'itinerario trasversale del Matese, ci sembra indispensabile al fine della migliore comprensione del saggio, darne qualche ragguaglio.

La strada trasversale del Matese L'accertamento scientifico della sua esistenza va ascritto al Maiuri nel 1929, pur essendo ovviamente nota da tempo. L'itinerario seguito da questo percorso viario montano si originava logicamente dalla pianura alifana, sottostante alle cooperanti ed articolate fortificazioni del Cila-Castello, per risalire l'erto pendio attraversando così Piedimonte e quindi Castello e S. Gregorio. Inutile cercare tracce di questo primo segmento, cancellate radicalmente dalle successive infinite trasformazioni antropiche.

112

Cfr. G.

Vr.1rnECc:H1A,

Pagine non chiare ...

cit.

pp. 181-182.


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Parte prima. I secoli dei sanniti

5,ì

53 . Castello Matese: murazione sannita.


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A partire da S. Gregorio : «si dirigeva a Pretemorto con un semplice quanto solido terrazzamento a valle. Da Pretemorto (m. 1.109), lungo il versante Nord di Serra delle Giumente e Colle Vullanito (il tratto più conservato, benché oggi in parte coperto dalla strada per Rena Rossa) , scendeva nell'altopiano (m. 1.025). Passata la pianura , la strad a risaliva al Perrone (m. 1.265) e di qui scendeva sulla strada romana fra Bovianum e Saepinum»' 13 • Così la descrizi one che ne redasse il Maiuri: «Raggiunto per mulattiera ... il valico di Pretemorto, pochi metri alle spalle di una casupola diruta ... , si osservano le tracce evidenti di una strada assai rozzamente baso lata, svolgentesi in direzione da nord-est a sud-ovest, lungo le pendici. .. La strada, aprentesi nel terreno acclive del monte, appare generalmente terrazzata a valle da un muro di rozzo tipo poligonale a blocchi e scaglioni di calcaree locale form ato da due o più filari, raggiunge solo in qualche punto di maggior pendio l'altezza approssimativa di un metro: ma il naturale scoscendimento e fran a mento del terreno hanno fatto rovinare a valle gran parte del muro di terrazzamento che doveva accompagnare quasi ininterrottamente lungo le pendici della serra delle giumente il tracciato stradale. La strada qua e là interrata dagli smottamenti del terreno, ma sempre sicuramente riconoscibile o per l'affiorare della rozza pavimentazione sulla massicciata o per la presenza di blocchi di sostegno lungo il suo margine a valle, fu da noi seguita per oltre due chilom etri quanto ci fu consentito dal tempo disponibile di una piovosa giornata autunnale. Ma l'esperta guida del luogo ci assicurava che la strada era ancora percorribi le e identificabile per più lungo percorso sboccando e perdendosi nella mulattiera che conduce ... nel Regio Tratturo fra Boiano e la romana Sepi no ... Quanto al periodo al quale può riferirsi questo antico tratturo, riterrei nonostante l'aspetto assai primitivo della sua costruzione, che esso non possa essere anteriore al primo secolo cieli' Impero , quando le città Boiano e Sepino dovevano essere nel maggiore sviluppo della loro produzione agricola ed armentizia» 114 • Come al solito pur concordando pienamente sulla descrizione tecnica della strada dissentiamo assolutamente sulla sua pretesa datazione fru tto di una assurda correlazione fra la stessa ed i moventi mercantili agro-pastorali, e non già quelli enormemente più pressanti e vitali di natura militare. Infatti med iante l'impiego di questo itinerario era facile trasferire forze massicce senza alcun sentore del nemico, né tema d'imboscata, dal fronte adriatico a quello tirrenico e viceversa, con un percorso di una quindicina di chilometri contro gli oltre cento di quello perimetrico esterno. È tuttavia lecito considerarla al massimo un rifacimento rom ano di una preesistente ammalorata od insufficiente proprio in quanto militare eminentemente sannita . «Se nel primo secolo, tutta l'Italia si può dire si rinnovò - e ne abbiamo esempi qui in Alife, Sepino, Boiano, Telese, Isernia, ecc. - anche la strada delle greggi fu rifatta più solida, più uniformata alla fam osa tecnica stradale romana. Questa in montagna riduceva a due i quattro strati soliti. Così fu sul Matese. Il rifacimento presupponeva una strada preesistente, una pista almeno . Né doveva avere solo carattere economico» 11 s. È plausibile, infatti, che nelle ultime fasi del conflitto, o forse immediatamente dopo i romani per meglio gara ntirsi il controllo del Massiccio, od anche semplicemente un blando pattugliamento antiguerrigliero, abbiano ricostru ito secondo i loro criteri la strada. «Perciò una pista doveva esistere almeno dal quarto secolo. Sarebbe stato impossibile altrimenti condurre migliaia di uomini tante volte sulle montagne ad accamparsi, a raggiungere il cuore del Sannio . Nessun generale, anche se non deterritus iniquitate foci (Liv. X.30) avrebbe menato allo sbaraglio migliaia di giovani sulle rupi e tra le forre del Matese» 11 6 • Oltre a questa straordinaria strada, che come sottolineava il Maiuri potrebbe ritenersi: «forse il primo esempio che si abbia di vie antiche di alta montagna nell'Italia meridionale» 117 , ve ne erano

113 114 115 116

Cfr. D. Cfr. A. Cfr. D.

ibidem. 117 ibidem.

Piedimonte ... cit. p. 49. in D. M ,\RRocco, Piedimonte .. . cit. , p. 49. AKRocco, Piedimonte ... cil. p. 49.

MARROcco, MAURI M


Parte prima. I secoli dei sanniti

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altre interne coadiuvanti, riconducibili nella loro essenza a tre fondamentali, di cui le prime due in qualche modo convergenti su quella descritta. Gli itinerari per quanto ancora individuabile, così si snodavano: Il primo da Saepinum, costeggiando Bovianum e risalendo a S. Massimo e Roccamandolfi puntava su Letino, quindi verso il lago del Matese e poi giù ad Alife. Il secondo, da Bovian um, lungo le pendici del Gallinola quindi al lago e di nuovo giù verso Alife. Il terzo da Saepinum, lungo le pendici del Mutria, dove si biforcava: un ramo dirigeva verso il lago congiungendosi ai precedenti, mentre l'altro invece scendeva seguendo il corso del Titerno nella valle di Cusano e raggiungeva la piana sotto Cerreto Sannita e Monte Acero . Quest'ultimo tronco si saldava infine con la viabilità mulattiera perimetrica esterna, che per la fronte in esame proveniva da Piedimonte, attraversando S. Potito, Gioia Sannitica e Faicchio. Abbondanti resti archeologici confermano l'andamento tra i quali una necropoli ed un santuario nell'area di S. Potito. All'altezza di Faicchio, presso la stretta con Monte Acero, una diramazione ascendeva verso le falde di Monte Monaco, dove in corrispondenza dell'attuale convento di S. Pasquale accedeva ad un altro oppidum. Un'altra invece scavalcato un ponte ancora esistente nella sue riedizione romana, si arrampicava fino alla sommità dell'Acero, presidiata da una grossa fortezza. La mulattiera principale invece continuava a costeggiare la fronte, sui fianchi di Monte Erbano, superando su un secondo ponte, anch'esso ancora esistente, il torrente Titerno deviando poi verso nord-est, cioè per l'altra fronte della regione.

Convento S. PASQUALE -

(Faifola) - Faicchio (BN)

La fortificazione riconoscibile alle pendici di Monte Monaco, alla quota 350, presso Faicchio, per l'esattezza in corrispondenza del convento di S. Pasquale, pur ergendosi al limite fra il territorio dei Pentri e quello dei Caudini, per omogeneità ambientale e d'intenti va ascritta certamente ai primi. Potrebbe trattarsi per alcuni studiosi dell'antica M"elae 118 • Per altri invece dell'oppidum di Faifola o Fuifola, menzionato da Livio, confortando tale ipotesi i toponimi medievali cli Favicel!a e di Fayula attribuiti sempre alla stessa località 1 19. Trattasi comunque di una piccola fortificazione, il logico complemento della più rilevante ubicata su Monte Acero : è ancora una volta un sistema di sbarramento a "doppia testa di ponte", teso a controllare. gli accessi da S.O . dell'altipiano . La sua configurazione era presumibilmente sub-triangolare con un vertice a monte, strutturato ad "aree". «Il tratto S. meglio conservato della fortificazione si trova a circa m . 50 a valle del monastero: i blocchi sono cli grandezza diversa, con le facce abbastanza levigate; l'altezza del muro giunge fino ai m. 3.50. Il muro di blocchi poligonali è stato utilizzato, all'epoca della costruzione del monastero, come sostruzione del sentiero, che costituiva l'antico percorso della via Crucis, e che, ancor oggi, se pure mal tenuto, sale ripido con numerose e strette curve del paese di Faicchio . Altri tratti, meno ben conservati, si trovano lungo il valloncello ad O . e in una scarpata a E . del recinto del vasto giardino del Convento. La cinta doveva essere cli forma rozzamente triangolare e raggiungeva verso l'alto uno spuntone della cresta che corre verso la montagna. In un punto ora malamente accessibile a causa della folta vegetazione, il Mai uri ha riconosciuto l'antica via d'accesso .. . Evidentemente buona parte della cinta fu distrutta quando nel XVIII sec. furono costruite, con molti blocchi cli recupero, oltre alla massiccia mole del monastero, molte altre case coloniche. nelle vicinanze ... » 120 •

118

Cfr. L . SANTORO , Fort(ficazioni della Campania antica, Salerno, 1979, p. 123. A. MEOMJ\ RTI NJ, I comuni della provincia di Benevento, Benevento, 1970, p. 244. · 1 zo Cfr. G. CoNTJ\ HA LLE R, Ricerche ... cit. p. 68. 119

èfr.


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Dai sanniti all'esercito italiano

54 54. Faicchio: S. Pasquale - foto aerea intera zona (I.0.M.l.).

La predetta fortificazione si affaccia sulla gola profondamente incisa dal Titerno, che la separa dal cono isolato di monte Acero, distando dalla cima di questo circa Km. 2.5, in linea d'aria.

Monte ACERO - (Tifernum) - S. Salvatore Telesine (BN) Sotto il profilo geologico la formazione di questa piccola montagna scoscesa, di appena 736 metri di altezza, dalla singolare configurazione conica, non si distacca da quella complessiva del massiccio, essendone peraltro separata dalla sola profonda incisione del torrente Titerno. Monte Acero infatti è avvolto ad ovest e a nord da un'ansa di questo, che contribuisce ad accentuarne l'arroccamento, insieme alla ripidità delle pendici. «Dalla strada nazionale Alife-Telese, lungo le pendici di monte Acero, specie nel lato orientale


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Parte prima. I secoli dei sanniti

55 . S. Pasquale: foto aerea - dettaglio (I.G.M.I.).

55

56

56. S. Pasquale: panoramica.


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58

57 59

57. S. Pasquale: dettaglio mura. 58. S. Pasquale: dettaglio mura. 59. S. Pasquale: dettaglio mura.

della china, sono visibili lunghi tratti di mura megalitiche: è una cinta di forma più o meno rettangolare, coi lati maggiori posti a lungo la china: nascosta dal bosco, spicca bene solo il lato orientale meglio conservato. Nel punto medio del lato inferiore, che è ad un terzo , circa della china, era l'entrata. Nel punto mediano del lato superiore, che orla, quasi, la profonda valle del Titerno, il quale gira a nord dietro monte Acero, si apriva la postierla ... : dalla postierla partiva una strada a rampa che scende nella valle, costeggiando le spalle del monte, attraversava il Titerno, le cui pile sono formate da massi megalitici. .. e risaliva verso il versante vallico di contro ... (S. Pasquale)» 121 . Il complesso dell'Acero tuttavia si differenzia per imponenza dagli altri circummatesini: «I blocchi in opera poligonale sull'Acero sono gli unici avanzi della rocca annoverata tra i maggiori esempi dell'architettura militare dei Sanniti; le mura, che si svolgono lungo un perimetro irregolare "sono costituite da grossi blocchi poligonali tendenti al rettangolare, cavati nel calcare stratificato del monte secondo i naturali punti di rottura: gli interstizi sono riempiti di pietrame minuto. La cinta ha un perimetro di circa Km. 3, e l'altezza media del muro è di m. 3.50. La vegetazione ... impedisce rilievi più precisi. Una porta si trova in un saliente sul lato meridionale in direzione di Telesia (che dista appena Km. 4 in linea d'aria n.d.A.), dove la quota della cinta si abbassa leggermente seguendo il pendio. Un'altra porta si trova nel punto più basso della cresta fra le due cime» 122 • La grandiosa fortificazione che meriterebbe una più approfondita ed accurata indagine di quelle sino ad oggi redatte, crea notevoli perplessità fra gli storici circa la sua identificazione nella pletora di toponimi di oppida sanniti. La rilevanza architettonica, e quella conseguente militare, ci impongono l'apertura di una parentesi al riguardo, trasgredendo la nostra iniziale premessa. È impensabile infatti

121 122

Cfr. G. V e RR ECC1-11A, Pagine non chiare ... cit. p. 69. Cfr. L. S ANTORO, Fortificazioni ... cit. p. 123.


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60 60. Torrente Titerno tra Faicchio e Monte Acero.


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80

61. Monte Acero: foto aerea - dettaglio (I.G.M.l.).

61

che una delle principali fortezze sannite non trovi una esplicita menzione nella narrazione di Livio, ed ancora più che con la sua posizione strategica restasse esterna agli scontri. Altresì fondatamente è data per scontata che la Telesia romana 123 sia stata la riedizione valliva dell'antico oppidum dell'Acero, ma anche di essa Livio in tutta la prima decade non fa menzione, lasciandoci arguire che in quel tempo non esistesse affatto una Telesia sannita. Ciò che invece può aiutarci è l'attenta lettura del brano relativo allo scontro dell'anno 297, condotto presso Tifernum 12 4 . Tifernum abitualmente designa l'intero Matese, ma in alcuni casi come questo, è attribuito ad una località fortificata situata immediatamente a sud dello stesso, essendo peraltro assurdamente generico il riferimento all'intero massiccio per localizzare una piccola battaglia. Anche eia una sommaria osservazione della carta. del Matese si coglie facilmente l'esistenza, in prossimità di monte Acero, di una grossa enclave, corrispondente alla chiusa valle di Cusano MutriPietraroja dalla perfetta forma di conca. L'unico accesso è attraversato la lunga e strettissima gola mediamente poche decine di metri di larghezza alla base-, di Lavelle, che con le sue tortuosità ne cela totalmente la presenza. Sul suo fondo defluisce il torrente Titerno, che si origina nella predetta valle dal monte Mutria, e che con la sua erosione ha prodotto la stretta: è lo stesso torrente che dopo brevissimo corso aggira monte Acero.

123

Cfr. N. V1c uon1, Telesia ... Telese, due millenni, Marigliano (Na), 1985, pp. 21-25. Tifernum ha come etimo il vocabolo osco T ifa, quercia sempre frondosa e di legno scuro: in tutto l'areale del Ma tese era ed è ancora abbastanza frequente. Per estensione di significato potrebbe ravvisarsi il senso di misterioso, oscuro, tenebroso, che connoterebbe in tal modo le impervie contrade del tutto ignote ai primi esploratori, rese ancora più paurose dalla fitta copertura vegetale dei querceti appunto. 124


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62

62. Monte Acero: resti di mura. 63. Monte Acero: resti di mura. 64. Monte Acero: resti di mura.

63

65. Monte Acero: resti di mura . 66. Monte Acero: resti di mura.

Ciò premesso torniamo al brano di Livio, che così narra l'episodio: «Fabius .. . in Samnium legiones ducunt ... populabundus effuso agmine incedit. Explorant tamen latius quam populantur; igitur non fefellere ad Tifernum hostes in occulta valle instructi quam ingressos Romanos superiore ex loco adoriri parabant. Fabius... praemonitis militibus adesse certamen, quadrato agmine ad praedictas hostium latebras succedi!. Samnites desperato improviso tumultu, quando in apertum semel discrimen evasura esset res, et ipsi acie iusia maluerunt concurrere. ltaque in aequum descendunt ac fortunae se maiore animo quam spe committunt».


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«Fabio condusse le legioni nel Sannio ... per compiere operazioni di devastazione: quelle di esplorazione però si estesero su zona più vasta; perciò non sfuggì che i nemici stavano pronti in armi in una valle nascosta presso ... Tiferno, pronti ad attaccare i Romani dalle alture circostanti non appena vi fossero entrati. Fabio avvisa i soldati che il combattimento è imminente e muove contro il nascondiglio dei nemici con l'esercito disposto (in quadrato, senza entrare nella valle) .. . J Sanniti non sperando più in una sorpresa, visto che la decisione del cimento doveva aver luogo in campo aperto, accettarono di venire a lotta spiegata. Discesero perciò al piano, affidandosi alla fortuna più con coraggio che con speranza».

Continua Livio: <"'

«Fabius ubi nulla ex parte hostem loco mo veri vidi/ . .. consilio grassandurn, si nihil vires iuvarent, Scipionem legatum hastatos prima e legionis subtrahere ex acie et ad montes proximos quam posset occultissime circumducere iubet; inde ascensu abdito a conspectu erigere in montes agmen aversoque hosti ab tergo repente se ostendere... !bi integrae vires sistunt invehentem se iam Samnitem; et in tempore visa ex montibus signa clamorque sublatus non vero tantum metu terruere Samnitium animos. Nam et Fabius Decium collegam appropinquare exclamavit... fugae formidinisque Samnites implevit... passim in fugam dissipati sunt ... »

«Vedendo che non era possibile far breccia da nessuna parte, Fabio ... pensando che bisogna supplire con l'astuzia all'insufficienza delle forze, dà ordine al legato Scipione di prelevare dallo schieramento della prima legione alquanti astati, poi, sempre tenendosi fuori di vista, di ascendere con essi sui monti e di mostrarsi improvvisamente alle spalle dei nemici ... J Sanniti che già stavano per avere il sopravvento ... (vedono) in un momento opportuno ... (apparire) sui monti le insegne e (risuonare) ... il loro urlo, ma non fu quello solo che incusse timore nell'animo dei Sanniti, quanto gli alti gridi di Fabio che annunciavano l'arrivo del collega Decio ... e decise alla fuga i Sanniti ... in varie direzioni ... »125.

Da ciò è evidente che: 1°) Vi era nelle vicinanze di Tiferno una valle nascosta, nella quale stavano in agguato i sanniti, pronti inoltre ad attaccare i romani, se si fossero lasciati attrarre nell'imboscata dalle alture circostanti. La descrizione calza alla perfezione alla valle di Cusano-Pietraroja ed alla gola di Lavelle, sormontata da yertiginose pareti strapiombanti, ideale per la modalità di guerriglia sannita. 2°) L'elemento caratterizzante della valle, della gola, della piana ad essa antistante e dello stesso monte Acero è il torrente Titerno, che con il suo corso unifica tatticamente i siti peraltro vicinissimi. È pertanto coerente che il suddetto territorio come la grossa fortezza sull'Acero traessero apputo nome da esso divenendo quest'ultima per antonomasia la Tifernum sannita 126 • Pur essendo sotto il profilo geografico esterne al perimetro de1 Matese, dovevano completare lo sbarramento Faicchio-Monte Acero anche le fortificazioni impiantate sulla collina de «La Rocca» di S. Salvatore Telesina (BN) e quelle ad esse adiacenti su Monte Pugliano sopra Telese (BN). Traccia delle prime sussistono nei dintorni dei ruderi del castello medievale che guarniscono la cima della piccola altura, ancora però identificabili. Non configurandosi come strettamente perimetriche ed essendo inoltre archeologicamente di irrilevante consistenza ci asteniamo dall'inserirle nel contesto dei caposaldi. Le seconde sono infine pressocché cancellate e dal terremoto, che inflisse uno spaventoso stravolgimento morfologico alla collina127 e dai più devastanti recenti lavori stradali. L'importanza strategica del settore ed in particolare del Titerno è convalidata dalla presenza sul suo corso di ben due ponti, ancora perfettamente conservati, che no n possiamo esimerci di dettagliare meno schematicamente, non fosse altro che per la loro pittoresca bellezza, facendoli precedere da una precisazione circa le mulattiere.

125 Cfr. T.

L1v10 , Storia .. . , cit., Lib. X-14, (traduzione Carlo Vitali). Concordano sulla medesima tesi molti studiosi locali quali Io Ja nnachino, il Verrecchia, il Vigliolti, ecc. m Trattasi in particolare dello spaventoso sisma del 1349 che cleserlificò la cittadina di Telese, ciancio origine alle sorgenti solfuree cd all'adiacente laghetto. 126


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Le mulattiere Nel linguaggio corrente la parola "mulattiera" sta a definire un percorso non carrabile, da effettuarsi cioè a piedi o meglio a dorso di mulo, e nelle sezioni migliori persino di cavallo. In merito al tracciato sembrerebbe trattarsi di una realizzazione assolutamente spontanea, ostentante la più spiccata indifferenza alle asperità ambientali frutto in definitiva della fortuita frequentazione animale. Tentare perciò, in forza di siffatta notorietà, di individuare in esse delle connotazioni salienti e ricorrenti, delle tipologie morfologiche e persino delle destinazioni precipue, potrebbe apparire se non assurdo per lo meno pleonastico. In realtà nell'area del Matese gli itinerari mulattieri assursero, vuoi per l'inusitato protrarsi delle loro insostituibili prestazioni - e tale "monopolio" si estese in genere fino ai giorni nostri - , vuoi per la perfetta rispondenza alle esigenze fruitive, ad una rilevanza specifica e d'impianto originalissima, con variabilità altrove inimmaginabile. Una prima ampia schematizzazione infatti deriva dalla subordinazione delle stesse ai diversi bisogni delle popolazioni locali, tra i quali principalmente quelli di assi viari di collegamento tra i centri abitati limitrofi, di itinerari per l'accesso e lo spostamento delle masse armentizie degli alti pascoli, di tracciati di sfruttamento dei boschi, delle aree coltivate, delle cave .. . Da ognuna di queste peculiarità ne discendeva un'altrettanta sia pur lieve divergenza d'impostazione dalla generica mulattiera 128 • Evitando di approfondire ulteriormente l'argomento , riteniamo tuttavia giovevole ai fini di una migliore interpretazione del nostro studio fornire alcune osservazioni tecniche in merito, non fosse altro che per poter dimostrare quanto tali realizzazioni siano lontane dal supposto spontaneismo e quanti parametri coercitivi entrino nella loro attuazione. Va ancora evidenziato che non registrandosi per quasi due millenni e mezzo vistosi cambiamenti dell'economia matesina, né delle sue risorse naturali, né della pressione antropica, il quadro insediativo si alterò marginalmente da quello arcaico sannita: è pertanto lecito ritenere la stragrande maggioranza delle mulattiere come originale e coeva agli insediamenti difensivi tratteggiati, spesso addirittura anteriore. La trama itineraria di quelle più importanti risulta documentata sulla splendida cartografia militare napoletana129 , in virtù dell'essere le uniche garanti della viabilità, nonché della sostanziale conservazione in sito, segmentate soltanto dalle cesure imposte dalla sovrapposizione della moderna rete stradale spesso ad esse concorde nella definizione dei percorsi. In ogni caso simili lacune non inficiano in alcun modo la leggibilità complessiva delle mulattiere del Matese, fondamentale per la ricostruzione dell'originale dispositivo difensivo. Qualsiasi tipo di mulattiera, fra i molteplici problemi inerenti alla sua realizzazione doveva superare anzitutto quello della individuazione del tracciato, tendendo a collegare due punti non in funzione della linea di minima distanza o di minima pendenza ma prioritariamente in funzione del m assimo adattamento alla conformazione geologica. Si evitava cioè accuratamente di contrastare a forza la natura dei siti tramite lavori di taglio o di riporto. «Le mulattiere ed i sentieri, nella parte alta (del massiccio), sono generalmente buon i, sviluppati sulla roccia affiorante: essi sono svolti a preferenza sui fianchi dei contrafforti, abbandonando il fondo delle valli: nella zona dei rilievi vulcanici essi sono molto sassosi, seguono spesso le linee di massima pendenza; malagevoli quindi nel periodo delle piogge. Nei terreni alluvionali mulattiere e sentieri sono assai profondi, incassati: il fondo non molto solido ... » 130 • Sul Matese tuttavia per la sua natura calcarea le mulattiere si snodano quasi esclusivamente sugli strati di roccia dalla giacitura pressocché orizzontale, senza vistosi interventi adattativi, se non in particolarissimi episodi. Ciò comportava indubbiamente oltre ad un minimo dispendio di energie per

128 È interessante ricordare che ancora oggi sulla cartografia ufficiale dell'l.G.M.l. la viabilità non rotabile è suddivisa in: strade atte a traini locali, mulattiera, tratturo, pista o traccia, sentiero facile, difficile, per soli pedoni. 129 I pochi fogli redatti che includono anche la nostra area di studio, furono ridotti al 70.000, con una minutissima incisione di fattura eccezionale per l'epoca. 13 Cfr. A. Sr1NE LLJ , La regione di Cerreto Sannita, studio mi/ilare, Napoli, 1899, pp. 22-23.

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67 67. Valico di S. Ctocella, BN-CB, dettaglio di una mulattiera.

la costruzione e di costi conseguenti, una maggiore durata degli stessi per l'assenza assoluta di "opere d'arte" da sempre anelli deboli della viabilità. L'unica implicanza negativa rimarchevole si individua nell'abnorme allungamento delle tratte critiche. La seconda grossa difficoltà da ovviare nella stesura di una mulattiera era quella derivante dalJa sua larghezza, mediamente oscillante intorno a m. 1.50. Logicamente la dimensione trasversale si ampliava laddove la natura dei luoghi lo consentiva agevolmente e si restringeva, sia pur meno frequentemente nei passaggi impervi: tuttavia l'incessante percorrenza induceva pastori e mulattieri ad un'azione costantemente migliorativa delle sue asperità. Si imponeva inoltre che la pendenza trasversale delle mulattiere restasse contenuta in un valore non eccedente i 30°, pena la perdita di aderenza degli zoccoli e lo scivolamento degli animali nei vertiginosi burroni. Forse fu proprio per questa ottimizzazione che l'azione dell'uomo dovette operare i maggiori interventi: il livellamento si perseguì attaccando la roccia a monte, scalzandola del necessario per conseguire la configurazione compatibile. Questa maniera di procedere eliminando la deteriorabilità insita nei riporti trasversali, rendeva il manufatto estremamente longevo ed esente da ricorrenti manutenzioni, contribuendo al contempo all'assolvimento di un'altra esigenza ineliminabile: quella della deforestazione dell'itinerario. La presenza infatti di alberi e cespugli con rami bassi protesi sulla mulattiera avrebbero inevitabilmente costituito un pericoloso ed insidioso impaccio per un uomo in sella: conseguente un ''corridoio" disboscato almeno fino all'altezza di m. 2 quale completamento verticale dell'opera 131 •

131

Spesso più che un corridoio si aveva una "galleria" , perfettamente mimetizzante la mulattiera, vantaggio considerevole per i difensori resi virtualmente invisibili nei loro spostamenti tattici.


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Relativamente alle pendenze longitudinali pur non avendosi in assoluto un rigido limite massimo, appare alquanto scontato il contenimento entro i 30° -40° circa, non tanto per l'incapacità degli animali a superarlo, quanto invece per consentire un sicuro inerpicamento per quelli sotto carico . È interessante al riguardo ricordare che il peso issato dai muli in zona era spesso superiore a Kg. 150, ben oltre alle medie usuali di tali bestie. Nei segmenti con pendenze inevitabilmente superiori, in assenza di alternative praticabili, si ricorreva al gradinamento della mulattiera, onde offrire agli zoccoli degli animali una superficie d i presa alquanto orizzontale. A tal fine il gradino non era di tipo antropometrico, ma relazionato al quadrupede e quindi molto più lungo dell'usuale. I muli carichi, con i fardelli che debordavano ampliamente dai basti presentavano una sagoma laterale spesso eccedente persino la sede della mulattiera con il risultato di un andamento della carovana spostato verso il ciglio della stessa . Nel non raro caso di incrocio di due di esse il deflusso poteva rendersi alquanto problematico. La difficoltà trovò la sua soluzione nell'intercalare il percorso con numerose piazzole di scambio, massime nelle tratte critiche. Sempre in funzione del someggiamento il raggio di curvatura nei tornanti non scendeva a valori piccolissimi, ovvero ad una configurazione a vertice di triangolo acuto , ma consentiva tramite un leggero allargamento un'agevole manovra.

Le mulattiere infine specie quelle di lunga percorrenza dovevano tener presente, similmente alle nostre attuali strade, delle insopprimibili esigenze fisiologiche degli animali, consentendo un congruo approvvigionamento idrico. Ciò implicava spesso dei dirottamenti per accostare agli abbeveratoi. In quanto poi agli attraversamenti dei corsi d'acqua le soluzioni abitualmente praticate erano due: la prima consisteva nel condurre l'itinerario in prossimità delle sezioni di maggior larghezza dei torrenti, e quindi di minima profondità, dove il guado risultava sempre possibile. Era la soluzione per antonomasia la quale peraltro assolveva anche la precedente esigenza: ma nella parte alta del massiccio non trovava notevoli applicazioni, per l'impetuosità della corrente specie nei periodi invernali. L'altra per contro era quella cli scavalcare i suddetti torrenti nei punti di minima larghezza, tra le rocce di sponda, strapiombanti e salde sulle quali era facilmente realizzabile con tronchi d'albero una solida passerella. Anche in assenza dei requisiti ottimali si riconduceva, tramite robustissime spalle, il letto alla larghezza volura per il rudimentale ponte. Occorre a questo proposito aprire una parentesi di indole militare. Le mulattiere proprio per la loro stretta aderenza alle caratteristiche geomorfologiche e per la "naturalezza" del tracciato, a differenza delle attuali strade che se ne discostano totalmente con un continuo ricorso a strutture di supporto, e ad infinite opere d'arte, militarmente parlando risultano difficilissime da interrompere pas.sivamente. La segmentazione infatti poteva estrinsecarsi esclusivamente sui rari ponticelli, unici elementi relativamente deboli e provvisori. Divenne pertanto logico ai fini difensivi impedire che questi assumessero connotazioni più massicce e comunque definitive, pena l'agibilità di tutta la rete viaria a discrezione dell'attaccante. Ovviamente con siffatte premese il ponte doveva contenere la sua luce entro valori compatibili con le travate maestre semplici e quindi mai eccedere la decina di metri. Per conseguenza anche le mulattiere nel loro serpeggiare vennero dirette nei punti dove i requisiti morfologici, con lievi interventi soddisfacevano il vincolo militare subendo così un ulteriore condizionamento itinerado, che sommato ai precedenti ci illustra sufficientemente di quanti fattori e componenti impositive fossero le risultanti, scientemente e acutamente volute e realizzate. Per una insperabile serie di circostanze fortuite e ancor più fortunose, siamo in grado di tracciare, in maniera alquanto attendibile, le tappe evolutive e le progressive trasformazioni a carico dei ponti della regione. È necessario osservare preliminarmente che tale ricostruzione è possibile proprio per l'inalterabilità della rete mulattiera che sopravvisse a tutti gli eventi e le devastazioni riproponendo di volta in volta le necessità di riattazione delle sue uniche interruzioni: i ponti .

I ponti Lungo l'itinerario che congiunge monte Cigno (Cerreto Sannita) con Morcone, costituente nella nostra ricostruzione difensiva buona parte del fronte Sud-Est, in prossimità della remota frazione di Mastro Amici (fraz. Pietraroja) del tutto isolata e chiusa alla moderna civiltà fino a pochi anni or-


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Ponte in opera poligonale: spalla sinistra. Ponte in opera poligonale: spalla destra. Ponte in opera poligonale: ricostruzione. Ponte di tavole e travi.


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sono, abbiamo rinvenuto i resti di un primordiale ponte. Scavalcava un impetuoso torrente, individuabile nella cartografia I.G.M. a l 25.000 (foglio n° 173 IV N.O. In esso si rintracciano pure gli altri due ponti di seguito esaminati) con l'ermetico nome di Valle Antica, ma noto su documenti più remoti ed attendibili con quello, di ben altra logica, di Vallo Antico non lontano dalla cima del predetto monte Cigno, propriamente riportato come «La Rocca», con esplicite correlazioni toponomastiche. I ruderi ancora perfettamente interpretabili si trovano immediatamente a ridosso dell'attuale ponte della recentissima rotabile a quota 111. 850. Trattasi delle due spalle eseguite nella solita opera poligonale molto grezza aventi come dimensioni di base oltre m. 5 di larghezza che si riduce progressivamente alla sommità fino a m . 3, con uno spessore per quanto deducibile di circa m. 1.5. L'altezza è di quasi m. 3, dal letto del torrente al piano d'imposta dell'impalcato con una luce di m. 8. Tale dimensione è ampiamente congrua con la possibilità delle travi semplici in legno di quercia, pianta ancora abbondantissima sul massiccio. Al di sopra delle due travi maestre doveva esservi un tavolato, magari sorretto da assoni trasversali, e comunque non eccedente la dimensione di sede di m . 1.50, cioè in sostanza di quella usuale delle mulattiere migliori. I due piedritti mostrano delle lievi differenze inducendoci a concludere che mentre quello sinistro è sostanzialmente integro ed omogeneo, quello destro, invece ha subito nel tempo un vistoso intervento ricostruttivo, testimoniato dalla d,iversa pezzatura dei suoi conci. Su entrambi poi è facilmente identificabile in sommità una larga lastra di pietra contenente tre precise ed equidistanti scanalature, conseguenza dell'impiego, ai giorni nostri, di putrelle d'acciaio quali sostitute delle travi lignee. In merito alla struttura poligonale interessa osservare la cura particolare posta nella realizzazio ne degli spigoli, specie di quelli controcorrente, ottenuti con blocchi di dimensioni maggiori, fortemente ammorsati nella restante trama muraria, onde garantirsi dai temibili scuotimenti impressi dalla violentissima corrente dei periodi di piena. Ad un identico scopo ciel resto è riconducibile la conformazione rastremata, dalla base alla sommità delle spalle ed il loro lieve scarpamento opposto alle sponde, nonché l'incastro su spuntoni di roccia saldissima affiorante dal letto del torrente. La finalità evidente era pertanto quella di creare qualcosa di estremamente longevo perfettamente in grado di superare integro qualsiasi avversità naturale. Soltanto la soprastante passerella, per ovvie motivazioni militari, doveva risultare leggera e provvisoria, interrompibile in qualsiasi momento e in brevissimo tempo. Di analoga arcaica concezione, sia pure con aggregati costruttivi odierni, si rivengono infinite passarelle mulattiere, in tutta l'area del Matese. Le successive fasi evolutive di questo primordiale ponte, le possiamo ricostruire in massima parte tramite l'attenta osservazione di quello cosiddetto di «Fabio Massimo», a circa Km. 35 a valle della confluenza del Vallo Antico con il Titerno, sul corso di quest'ultimo. Esso congiunge l'isolato cono calcareo del monte Acero con la fronte tirrenica ciel massiccio, nella stretta sottostante il paese di Faicchio. Più che un ponte per le sue molteplici sovrapposizioni di modalità costruttive avvicendatesi , che si saldarono sempre con le precedenti senza mai cancellarle del tutto, sarebbe lecito parlare di un condensato di storia dell'architettura, rivestendo come tale un inestimabile valore archeologico e tecnologico. A prima vista il ponte sembrerebbe strutturato su tre campate archivoltate asimmetriche, dì dissimile luce e di altrettanto disparato piano d'imposta, ma come meglio analizzeremo, ciò è da imputarsi appunto alle accennate fasi evolutive. Il ponte propriamente detto, ovvero la sua sezione che scavalca il Titerno è formato da un'unica arcata a tutto sesto di m. 12 circa di corda, la cui chiave si innalza ad oltre m. 13 sul letto del torrente. Implicita così l'esigenza di piedritti di complessivi m. 7 dei quali però soltanto m. 3 realmente eretti essendo i restanti m. 4 costituiti dalle vive rocce contrapposte delle sponde, in quel punto profondamente incise dall'acqua. È in questi due piedritti, che in effetti fungono da spalle, che si rinviene la componente più arcaica del ponte, destinato sin dai primordi a neutralizzare la soluzione di continuità della rete mulattiera che lì si manifestava. Essi sono realizzati in bellissimo poligonale di III maniera, con grossi conci calcarei, di dimensioni spesso eccedente un metro per due, di accuratissima fattura e di perfetto giuntaggio: lo conferma ad oltranza la loro conseguente integra conservazione, e l'essenza


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74. Ponte di Fabio Massimo: dettaglio . 75. Ponte di Fabio Massimo: dettaglio.

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77 76. Ponte di Fabio Massimo: dettaglio. 77. Ponte cli Fabio Massimo: dettaglio.

di fessurazione nella trama muraria, a dispetto delle violentissime offese naturali e antropiche, purtroppo alquanto ricorrenti. Trattasi di un chiaro intervento sostitutivo romano del periodo repubblicano 132 , teso probabilmente ad ottimizzare un preesistente rozzo manufatto sannita analogo a quello innanzi illustrato. Al contempo si dovette procedere anche all'allargamento della luce del pon te mediante l'arretramento delle spalle verso le rispettive sponde - pur consentendo le rocce d'impianto campate molto più modeste - onde evitare pericolose strozzature dell'alveo. La superiore tecnologia romana rendeva fattibile la procedura, pur continuando ad affidare l'attraversamento ad un impalcato ligneo, magari su travi composte. Una ulteriore riprova della paternità romana la si può cogliere nella cura posta a prolungare la parte basamentale controcorrente del piedritto di destra, configurandola a "semiprua" per agevolare il deflusso del torrente. Si eliminavano così i rovinosi urti delle acque contro strutture normali al loro travolgente corso, soluzione canonica dell'ingegneria dei "conquistatori". In merito alla logica della ricostruzione essa deve essere imputata alla volontà di questi di rendere più certa l'antica viabilità sannita, che peraltro venne sostanzialmente conservata, annullando i palesi anelli deboli per garantirsi in tal modo la transitabilità in qualsiasi momento.

132 Di identica fattura poligonale e periodo storico sono ad esempio le mura di Alatri, Amelia, Cori, Ferentino, Norba e Segni. Cfr. J.B. WARD-P cKKINs, Architettura Romana, Venezia, 1974, pp. 13 e segg.


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La permanenza tuttavia di una passerella in legno - l'unica che ci sembra coerente abbinare all'opera poligonale delle spalle notoriamente antecedente alla scoperta del calcestruzzo e quindi delle famosissime volte romane 133 - rappresentava ancora un fattore di precarietà. Del resto qualsiasi costruzione lignea non vanta, nella migliore delle ipotesi, prolungate sopravvivenze per la sua naturale deperibilità. Inevitabile perciò la sostituzione appena fattibile della stessa. L'intervento successivo per quanto ipotizzato andò quindi ad eliminare la deleteria incongruità, sovrapponendo alle robustissime spalle una volta a tutto sesto in opera laterizia, come ci attestano alcuni lacerti superstiti del paramento della sua imposta destra. , II ponte acquisiva così una configurazione architettonica prossima all'attuale, con le armille ottenute con una duplice centina di rossi «bipedales», e le superfici ad esse interne in opera incerta, di pietra bianca locale, di piacevole armonia cromatica complessiva. La volta è del tipo a spessore costante ed a causa del suo raggio richiese delle rampe montanti specularmente verso la chiave, ricavate sopra i rinfianchi. Essendo però il lato destro, per la particolare morfologia della gola assai meno ripido del sinistro, ne conseguiva un eccessivo prolungarsi del muro andatore, con pericolosissime implicanze idrodinamiche in caso di piena. Fu obbligo quindi prevederlo forato da una seconda piccola arcata di appena m. 3 di corda: sempre a tutto sesto ed in opera laterizia, destinata ad alleggerire l'eventuale spinta delle acque. L'imposta di questa voltina era necessariamente più alta della principale, e pertanto non si può parlare per il piedritto fra le due di vera e propria pila. La sede di transito restò di m. 1.60, tipicamente mulattiera e pedonale. L'importanza del ponte e la sua insostituibilità ai fini ormai prevalenti della vita civile, fiorente nelle fertilissime pianure circostanti dopo la definitiva unificazione e pacificazione romana, è testimoniata dalle tracce di innumerevoli episodi restauratori di variabilissima consistenza, operati sulle descritte strutture. E forse fu proprio per meglio adeguarlo alle esigenze commerciali e sociali che si procedette in epoca più tarda all'ultima grossa trasformazione. Fu così ricercata quale requisito prioritario una orizzontalità della sede di calpestio eliminando le faticose e sdrucciolevoli rampe montanti, con l'inserimento di un terzo archetto - anch'esso di appena m. 3 circa d i corda ed a tutto sesto - girato però su armille in pietra da taglio, perfettamente sagomata in conci cuneiformi, posti in opera a secco. Inutile aggiungere che la sua imposta non concorda con nessuna delle precedenti, essendo funzione della sovrastante quota obbligata del calpestio. È ancora visibile abbastanza agevolmente il sopralzo del muro andatore la cui sommità diveniva in tal modo orizzontale, dando luogo a due parapetti di circa cm. 35 di spessore, al presente pressocché cancellati. Nessun allargamento fu apportato alla sede di transito, ritenuta quindi bastevole alle necessità. Soltanto in epoca contemporanea, con l'avvento del traffico veicolare fu abbandonato il vetusto ponte in favore di uno moderno da esso poco discosto. Risalendo il Titerno di una ventina di chilometri, nella orrida gola di Lavelle fra i paesi di Cusano Mutri e di Cerreto Sannita, in località " La chiusa del prete", alla quota 247 sotto monte Cigno, si rintraccia un altro ponte di evidente affinità con il precedente. Il suo stesso nome di «Annibale» conferma esplicitamente la correlazione con il similare di «Fabio Massimo», facendo la tradizione locale rimontare la loro originaria edificazione al medesimo periodo, proprio quello cioè del celebre confronto interminabile fra i due condottieri, che ebbe fasi notevoli anche fra queste montagne. In realtà analoghe appaiono la logica d'impianto e la concezione architettonica, nonché l'arditezza tecnologica come pure, in prima approssimazione le dimensioni caratteristiche del manufatto, inducendoci ad identificarlo quale ultimo stadio evolutivo in materia di ponti. Allo stato attuale esso risulta costituito eia un'esile volta a tutto sesto di circa m. 10 di luce saldamente insistente su due spuntoni di roccia calcarea. Anche per questo ponte si devono supporre numerose fasi ricostruttive delle quali si colgono al presente larvate tracce, come ad esempio alla base della spalla sinistra, eseguita in opera incerta a differenza della restante superficie dei paramenti a corsi regolari.

133

Sull'argomento cfr. A.

MoND JNI,

Storia della Tecnica, Tori.no, 1973, Voi. I pp. 296-300.


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78. Ponte di Annibale - Cerreto Sannita.

La curiosa anomalia trova riscontro nell'asimmetria della pianta risultando l'arcata eccentrica rispetto alle spalle, quasi fosse una riedificazione di minore sezione trasversale, di una precedente crollata. Ciò che maggiormente colpisce di questo per tanti versi singolare ponte è l'incredibile leggerezza della sua volta, la cui soletta in opera incerta fra armille in pietra approssimativamente sagomate a conci cuneiformi, non eccede l'uniforme spessore cli cm. 30. La disinvolta arditezza strutturale parrebbe confermare vieppiù una presistenza informatrice. Infatti l'opera nella sua quasi totalità ci si offre come elaborato di una tecnica tardo medievale, pur vincolata al rispetto obbligato dei siti d'impianto e della dinamica architettonica originariamente romana, a sua volta subentrante ad una più arcaica sannita, tutte comunque dipendenti dalla cesura della mulattiera perimetrale del massiccio . Mantenuta quindi la peculiarità delle rampe montanti specularmente verso la chiave dell'arco, serrata a m. 8 circa dal letto del torrente, poste sui rinfianchi . Mantenuta ancora, per una singolare affinità morfologica delle sponde con quelle sottostanti monte Acero, la dissimile fattura dei muri andatori, dei quali il sinistro è bucato eia una voltina di m . 1, per l'alleggerimento della spinta idrica di piena. Mantenuti infine i parapetti come prolungamento dei paramenti di tali muri, racchiudenti una sede di calpestio di m. 1.50, elementi chiaramente visibili fino a pochi anni or sono. La colpevole incuria che circonda queste pregevolissime testimonianze lascia poche speranze per la loro sopravvivenza, uscita vittoriosa oltrecché dh infinite piene travolgenti, dalle devastazioni della li Guerra Mondiale: riprova che la più devastante calamità è l'ignoranza ed il disinteresse.


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79 79. Ponte di Annibale: dettaglio Volta.


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80. Ponte di Annibale: prospetto. 8 I. Ponte di Annibale: vista trasversale. 82. Ponte di Annibale: dett. arco latera.le.

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83. Monte Copp6: panoramica.

Fronte Sud-Est Osservazioni

Dei quattro fronti, mediante i quali abbiamo schematicamente inglobato il massiccio del Matese in una articolata struttura difensiva regionale, ipotesi suffragata da un rilevante numero di reperti murari di disparatissima consistenza ed in prima approssimazione sostanzialmente coevi ed omogenei, questo di sud- est è il meno favorito. È al contempo anche quello geograficamente, morfologicamente, pedologicamente e botanicamente il più dissimile, non potendosi osservare una altrettanto rimarcata linea marginale di perimetro e registrandosi per contro una nudità boschiva delle formazioni di raccordo verso la piana sottostante. Assenti persino i micro insediamenti e le abbandonate masserizie, in genere molto frequenti su tutto il massiccio. Non a caso alla fine del secolo scorso tale territorio fu utilizzato come poligono dall'esercito: «Tiri annuali di guerra. Si eseguiscono sull'altipiano del nodo montano di monte Coppo (1010): il campo di tiro è sufficientemente vasto, sgombro, e sicuro vi si accede per una buona mulattiera che da Cerreto per Madonna delle Grazie e Fontana Spina risale sull'altipiano: occorre una marcia di circa tre ore. Manca dopo i 900 metri, ogni vegetazione» 134 •

134

Cfr. A.

SP1 Ni; Lu,

La regione di Cerreto ... cit. p. 33.


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84 84. Monte Cigno: panoramica.

Legittimo pertanto il dubbio se la vistosa desertificazione della fascia antistante la direttrice monte Cigno-Morcone, ovvero il fronte sud-est della regione fortificata del Matese, sia naturale o non piuttosto la risultante di un violento intervento antropico sull'area, voluto o rivelatosi poi irreversibile. Potrebbe altresì essere conseguente alla minore impervietà dei versanti, agevolante il dissennato disboscamento e quindi la totale cancellazione di qualsiasi traccia di cultura antecedente. È impossibile al presente stabilirlo: quello che risulta certo è una inusitata conformazione geobotanica ed una rarefazione delle tracce e delle superstiti fortificazioni dei caposaldi, che possono nella fattispecie incontrarsi intorno al complesso monte Cigno-monte Alto, posto in posizione baricentrica sulla tratta, pervenutoci peraltro in pessime condizioni conservative.

La ROCCA di Monte Cigno - (Cominium) - Cerreto Sannita (BN) J\1ADONNA della Libera - (Cominium Ceritum) - Cerreto Sannita (BN) Abbiamo finora più volte accennato di sfuggita a questo monte che pur non essendo molto alto toccando la parte sommitale detta "La Rocca" quota 746 - torreggia per le sue pareti a picco ciel versante meridionale sulla gola ciel Titerno, quasi sulla verticale del ponticello cli Annibale. La sua posizione si rivela immediatamente significativa, dominando uno degli accessi, sebbene dei meno facili, al Matese. Ad accentuare questa sensazione vi è il pianoro sottostante la cima, sulla pendice cli nord-est, ottimo per la logica insediativa sannita, esistendovi tra l'altra anche una abbondante fonte.


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85 85. Monte Cigno: foto aerea intera zona (I.G.M.I.).

In effetti la prima cosa che lascia perplessi di tale montagnola è il suo curioso nome, che non può in alcuna maniera collegarsi con quello dell'omonimo animale peraltro ignoto in zona. Né è lecito ritenerlo un toponimo posticcio o peggio storpiato in epoca recente, in quanto già in uno strumento ciel 1593 redatto in Cerreto per Notar Mario Cappella si legge: «Una campagna cli proprietà della Chiesa di S. Martino di Cerreto sita "in territorio Cerreti in loco detto lo Cigno, et prope alle fontanelle dello Cigno iuxta lo paese della Rocca del Cigno"» 135 •

135

Da S. M ASTROuuoN1, Note ed appunti per una Storia di Cerreto , ms. presso l' A rch . privato del dott. R. P escitcJli. Cerreto Sannita.


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86. Madonna della Libera: foto aerea (I.G .M.I.).

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87. Monte Cigno: foto aerea della Rocca (I.G.M.I.).

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Dai sanniii all'esercito iialiano

Ciò premesso dobbiamo ancora una volta nell'interesse della migliore definizione della logica del sistema difensivo del Matese, derivante dalla plausibile individuazione degli antichi caposaldi sanniti, aprire una parentesi giovandoci di una acuta analisi etimologica di un dotto studioso locale 136 , elaborata nel 1934: «Ho letto in diversi documenti della Collegiata di S. Martino "Cigno" e non "Licinio" 137 né "Lucigno". La sillaba che volgarmente si premette alla parola "Cigno" è un articolo e non altro. Dunque "Cigno" non è derivato dal nome di un capitano o altri che si chiamasse Licinio, ma da Cinio, contrazione di KOINION in greco, e Cominio in latino ... Il suono del dittongo oi con la consonante K oppure C ha dato Cinio dal KOINION. "'Né fa meraviglia il suono del gn nella seconda sillaba, perché si sa del risultato del gruppo nio latino, in cui l 'i è semivocale, come in Ceriniola che è risultato nell'attuale pronuncia Cerignola, ecc ... » 138 • Siamo quindi di fronte al sito dell'antica Cominium nominata da Livio nella campagna ciel 293 a.e. e che come meglio approfondiremo in seguito rivestì un ruolo rilevante nello scacchiere fortifi cato? Il termine starebbe ad indicare in origine una sorta di comunità, attributo pertinente a molti insediamenti sanniti. <<Livio accenna a Cominium a proposito della campagna dei consoli Corvilio e Papirio nel Sannio (293 a.C.). Corvilio assediò Cominio e il suo collega Aquilonia. Parrebbe che Cominio e Aquilonia non dovessero molto distare tra loro (32 Km. circa), e da Bovanium (forse un giorno cli marcia), poiché sconfitti i Sanniti dal Papirio, i fuggiaschi si ripararono a Bovianum dove si ritirarono altresì gli avanzi delle coorti inviate a Com;nium. Cominio fu presa e arsa: Cominium etAquiloniam deflagrarere; Dionisio, però, dice che due anni dopo questa stessa Cominio era cli nuovo in potere dei Sanniti, cui fu ritolta dal console Postumio Megello (291 a.C.). Tito Livio fa poi menzione durante la seconda guerra punica di un'altra città che chiama Cominium Ceritum e che non sembra possa essere la stessa della precedente. Egli ci narra che Annone vi ricevé la nuova della sconfitta del suo esercito, e appare dalla narrazione che lo scontro ebbe luogo a non molta distanza da Benevento, donde mosse l'esercito romano. Nei pressi doveva essere situata Cominio, poiché ivi Annone apprese immediatamente la notizia del disastro e poté fuggire» 139 • Sembrerebbe pertanto logico dedurre dalla successione, peraltro abituale per le principali roccaforti sannite, di conquista, distruzione, abbandono, ricostruzione, riconquista ... ecc., che i siti di Cominium e di Cominium Ceritum pur se sostanzialmente coincidenti non fossero gli stessi, magari per uno sfalsamento di qualche chilometro. Con la doppia distinzione di Cominium e Cominium Ceritum potremmo forse indicare in "Cominio" il paese della Rocca del Cigno, presso le fontanelle, e in "Cominium Ceritum" la cosiddetta "Tracciola' ', deformazione di terracciola : piccola terra, con evidente riferimento alla fortificazione, presso la chiesa della Madonna della Libera. Si precisa così ulteriormente l'iniziale sensazione di un centro difensivo apicale impiantato su «La Rocca» del Cigno, ed un secondo residenziale a drca Km. 2 di distanza presso il pianoro circostante la menzionata Chiesa. Tuttavia qualsiasi ipotesi che voglia ostentare un minimo di credibilità ha bisogno di riscontri pratici, corrispondenti nel nostro caso a ruderi in loco . Una attenta ricognizione sulla cima del Cigno e sulle sue immediate adiacenze cli nord-est ci ha permesso di identificare, a parte una validissima mulattiera acciottolata, priva di attuale destinazione, numerosi resti relativi ad opere poligonali sia pure in condizioni molto frammentarie ed ammalorate, nonché quelli che pot rebbero rappresentare gli inviluppi di una antichissima cisterna, oltre ad innumerevoli frammenti laterizi. Rifacendosi ad esplorazioni degli anni trenta dello studioso, innanzi citato, ne stralciamo alcuni brani, essendo presumibilmente la zona all'epoca meno alterata.

136

Ibidem: dott. Silvestro Mastrobuoni. L'aggiunta post-unitaria a l nome della frazione Civitella, nel Comune di Cu~ano Mutri , del termine «Licinio» potrebbe apparentemente avallare tale ipotesi, ma il toponimo siffatto è assolutamente arbitrario e privo di motivazioni storiche o semplicemente tradizionali. 138 S. M,\STROllUON I , Note ed appunti ... cit. 139 Cfr. V. M ,\ZZACANE, 1vfemorie s1oriche di Cerreto Sannita, Cerreto Sannita, 191I. 137


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88. Monte Cigno: mulattiera basolata.

«Dell'antica rocca c'è qualche traccia. Vi abbiamo trovato dei pezzi cli tufo che dovevano formare la volta cli qualche stanza. Girando attorno, dal lato settentrionale, dove si scorge una specie di spiazzale, ci siamo accorti. .. (di) una cisterna ... Certo vi sono tracce di mura antiche ... dov'era forse la civita ... » 140 • Nella stessa escursione furono anche fotografati segmenti di fortificazioni perimetrali che appaiono incontrovertibilmente come le tradizionali muraglie poligonali sannite, notevolmente simili a quelle di Saepinum. Disgraziatamente ai giorni nostri la stessa area è stata completamente rimboschita in maniera impenetrabile per cui le ricerche urtano contro difficoltà enormi, riducendosi ad episodi non continui e a ritrovamenti scollegati. Per quanto invece riguarda il secondo centro, quello dell'altrettanto ipotetico Cominium Ceritum presso la Chiesa della Madonna della Libera, la situazione è alquanto diversa. «La chiesa della Madonna della Libera è in piano a piè di Montalto, a Levante del Matese e· dell'attiguo monte Cigno. Sette macigni ne formano ancora quasi il vestibolo di un tempio ... ai due lati dell'entrata, tre a destra e quattro a sinistra di chi guarda ... (trattasi in effetti del primo corso del basamento del podio di un classico tempio sannita identificabile dalle modanature, che per la loro continuità lungo le sette pietre confermano la permanenza delle stesse in sito, dall'epoca della loro originaria posa in opera n.d.A.). Un portale di pietra indica la data della Chiesa stessa che sarebbe ciel 1671... In un angolo della scala presso la porta interna della Chiesa v'è un antico capitello, un rudere della primitiva Chiesa, la

140 Da S. MAsrnouuoN1, Note ed appunti ... cit.


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89. 90. 91. 92.

Monte Cigno: Monte Cigno: Monte Cigno: Monte Cigno:

resti resti resti resti

di di di di

mura (archivio R. Pescitelli). mura. mura (archivio R . Pescitelli). mura (archivio R. Pescitelli).

cui volta doveva forse poggiare ... su colonne, delle quali ho trovato due pezzi d'un metro circa presso ... la fontana (ed ivi ancora si trovano impiegate come supporti di un lavatoio. Circa la fontana costituita da un fregio con incisa la data del 1741, trattasi di un elemento triangolare tombale di recupero. Spariti i capitelli, adibiti le ultime volte che furono visti ad abbeveratoi per animali n .d. A.) . .. .Dicono che l'antico tempio sia stato dedicato alla dea F lora .. . (la supposizione traeva spunto dalla permanenza toponomastica nell'originaria titolazione della chiesetta detta di "Santa Maria de Campo de fiore" 141 con evidenti affinità. Nella preziosa" tavoletta di Agnone", contenente un elenco

141 Cfr. R. PEscnELu, Chiesa telesina, Benevento, 1977, pp. 87 sgg.


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1

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93. Madonna della Libera - Cerreto Sannita. 94. Madonna della Libera: dettaglio massi antistanti.


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95 . Madonna della Libera : pianta massi. 96. Tipologia podi templi sanniti. 97. Pietrab bondante: esempio di podio.


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98 . Madonna della Libera: fontana . 99. Madonna della Libera: dettaglio di un capitello (archivio R. Pescitelli).

delle più venerate divinità sannite 14 2 , ritroviamo una "Flora Cerealis", dove l'attributo comune anche ad altre figure mitiche, è derivante dalla loro supposta protezione alla vegetazione e più in generale alla vita. La dea Flora era comunque una divinità tipicamente italica preposta precipuamente alla salvaguardia dei germogli n.d.A.) . ... P. Agostino Montorio nel suo "Zodiaco di Maria" (Napoli 171 5) ricorda questa chiesa della Libera "fabbricata di grosse pietre quadrate e posta l'una sopra l'altra senza calcina, delle quali pietre sino a qualche tempo se ne veggono alcune sparse per quelle campagne" . .. » 143 •

142 Trattasi di una iscrizione in lingua osca importantissima perché costituisce il più lungo testo pervenutoci in tale lingua, e forse anche il più antico, rir.rovato nel Sannio. In essa sono indicati rituali e culti sanniti, altrimenti del tuuo ipotetici. 143 A. M. L, NNACM lNO, Storia di Telesia, Benevento, 1900, pp. 112 e sgg.


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100. !\forcone: foto aerea dell'intera zona (I.G.M.I.).

Successivamente però come ex voto per la fine del contagio tale struttura, forse l'originale tempio, fu demolita ed al suo posto edificata nel 1656 l'odierna chiesetta. Un'ultima categoria di riscontri, sia pure indiretti, è offerta da!l,e numero.se tombe rinvenute negli stessi anni trenta nella contrada presso la masseria Baldino, di epoca sannita, a giudicare dalla tipologia delle sepolture e dai corredi funerari. Ci sembra perciò coerente concludere affermando che nell'area esaminata vi Ju effettivamente un caposaldo sannita, magari doppio, dotato di mura intorno alla cima - la quale peraltro continua a chiamarsi «La Rocca» - soluzione abituale per l' «aree» apicale. Vi furono poi ancora opere civili e persino religiose, tutte oggettivamente documentate dalle esistenti vestigia. Ci sembra ancora più inevitabile a questo punto, forti anche della singolare etimologia, conferma re l'ipotesi del citato studioso circa l'individuazione in quei reperti della Cominium sannita.


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101. !\.forcone: foto aerea dettaglio rocca (I.G.M.I.).

101

Fronte Nord-Est «Considerazioni militari La valle del Tammaro non è la naturale via cli facilitazione per accedere dalla conca di Benevento alla depressione di Boiano, tanto vero che le comunicazioni passano quasi tutte ad occidente della valle, lungo i costoni che l'erosione delle acque ha lasciato emergenti . Tutto il territorio a cavallo del Tammaro si presenta squallido, monotono, privo di vita e di acqua; dal lato militare dunque, questa valle non va considerata come un buon collegamento logistico, fra la conca di Benevento e la piana di Boiano, ma viceversa come una semplice zona di transito, dalla quale è necessario uscire al più presto . La conca di Benevento, invece, ha tutt'altre caratteristiche: essa intercetta le comunicazioni fra la Campania e la Puglia, nonché quelle fra l'Avellinese e l'Abruzzo. L'ampiezza della conca è tale da permettere anche l'adunata e la sosta di grandi unità, per la vita delle quali la conca si presta magnificamente quale base logistica di primissimo ordine» 144 • Sulla predetta, lunga e dritta valle, attraversata longitudinalmente dal millenario tratturo delle Puglie, affacciavano le cittadelle sannite del versante adriatico, collegate fra loro dal solito itinerario mulattiero perimetrico di mezza costa, strettamente attaccate al massiccio. Fu questo in un certo senso il fronte principale della regione ritrovandosi in esso la capitale dei Pentri, la mitica Bovianum e l'unica città sannita sicuramente tale: Saepinum, per entrambi le quali non sono esistiti problemi di individuazione, avendo mantenuto nei millenni invariato il loro nome, almeno relativamente a rinati abitati limitrofi.

144

Cfr. Comando deJla 25" Divisione ... cii. p. 16.


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102. fvforcone: panoramica.

MORCONE - (Mucre) -

(BN)

Alla base dei ruderi della rocca di Morcone, a quota 702, si riconosce facilmente nella poderosa scarpata in opera poligonale un estremo residuo di una preesistente fortificazione sannita. Parrebbe sulle prime una sorta di basamento teso alla formazione di un'ampia piattaforma orizzontale d'insediamento apicale. In effetti la tipologia di questa massiccia costruzione indiscutibilmente arcaica, si discosta alquanto da quelle fin qui osservate per una serie di peculiarità delle quali le principali sono individuabili in: I 0 ) Il perimetro difensivo non si adatta affatto al ciglio tattico passivamente, ma se ne allontana dovunque essendo perseguita una configurazione geometrica regolare, quadrata o rettangolare, con conseguente presenza di spigoli ortogonali e delle relative ricercatezze edificatorie di ammorsamento dei conci. 2°) L'abbattimento della scarpatura delle muraglie è costante ed uniforme, e la sua perfetta leggibilità è agevolata dall'essere l'estradosso del poligonale accuratamente levigato, ovvero ottenuto tramite l'impiego di conci la cui faccia esterna era minutamente spianata con scalpellature. Per la prima volta cioè siamo di fro nte ad una realizzazione muraria implicante il ricorso a maestranze specializzate, ad attrezzi congrui, a cognizioni tecniche, ecc. esulanti dall'ambito dell'abituale "spontaneismo" costruttivo delle altre fortificazioni, senza raggiungere la precisione della III maniera. 3 °) La trama del paramento pur essendo indubbiamente poligonale è discorde dalle precedenti poiché i conci appaiono sagomati approssimativamente quadrangolari ortogonali e quindi destinati a formare dei corsi più o meno orizzontali, senza per questo però ricadere nella IV maniera.


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103. Morcone: ruderi della fortezza sannita alla base di quelli del castello medievale. 104

104. Stralcio itinerario Antonino (da A. La Regina).

Il quadro risultante è quello di una più recente epoca di erezione della struttura, che ci è giunta limitata a due soli lati, peraltro incompleti, per un'alr.ezza massima di oltre m. 4. È lecito ipotizzare di essere in presenza di uno degli ultimi sviluppi della tecnologia muraria sannita. In merito alla identificazione del sito fu supposto trattarsi dell'antica Murgantia, ma con palesi forzature. Più attendibile invece quella di Mucre, una: «oscura città sannitica (nominata) dal solo Silio Italico ... » 14 5 .

145

Cfr. N.

CoRC IA,

La storia delle due Sicilie dall'antichità più remota al 1789, Napoli, 1843, pp. 328-329.


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108

105 105. Sepino-Terravecchia: foto aerea intera zona (I.G.M.l.).

Ad analoga conclusione porterebbero alcune significative coincidenze: «L'itinerario di Antonino fa noto che dopo Sepino era vi una stazione militare chiamata super Tamarum, indi Sirpio, poi Mucre, oppido del Sannio Pentro . Conforta questa idea non solo il riflettere che il monte su cui è edificata Morcone chiamasi ancora adesso monte Mucro , ma anche la circostanza che Morcone nelle più antiche carte è sempre chiamato Mucrone ... » 146 , ed ancora i ritrovamenti limitrofi a partire dal XVII secolo di vestigia di abitati.

146

Cfr. A .

M r.OM ARTI KJ,

I comuni .. . cit. p. 281.


109

·1. Parte prima I secoli dei sann l.l

106.detta Sepino-T rea 1· erravecchia· foto ae'g

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(LG .M.L) . .

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...............................

...

.

108 108. Sepino-Terravecchia: sezione delle mura (eia G . Colonna).

SAEPINUM sannita - Sepino - (BN) Pur essendo i ruderi di questa mitica città sannita rimasti sempre visibili, la loro impervia ubicazione, a quasi mille metri d'altezza, comportò che si dovette attendere il 1926 per la prima segnalazione scientifica al riguardo, redatta dal Maiuri. Ma soltanto nell'estate ciel 1943 - ed in quale contesto è poi facile immaginarlo specie leggendo l'ultimo capitolo del presente saggio - si avviarono i primi scavi. Bisogna però attendere ancora il 1961 affinché venga allestita una vera e propria campagna di scavi, sia pure modestissima ed epidermica e basti in proposito ricordare che a tutt'oggi la località non è raggiungibile nemmeno dai fuoristrada. Eppure si tratta indiscutibilmente ed inequivocabilmente della famosa Saepinum citata da Livio come esempio dello sprezzante valore dei sanniti, uno dei rari centri sicuramente identificati, per cli più una delle pochissime città di Pentri. Dai rilievi aerofotogrammetrici dell'I.G.M.I., peraltro fondamentali anche nell'accertamento e nella definizione dei precedenti siti fortificati, sono state desunte le attendibili connotazioni cli questa dimenticata piazzaforte montana, insellata a quota 953 a sbarramento di uno dei valichi del M atese. «(La) cinta muraria ... presenta un perimetro trapezoidale di circa l 500 metri. Il tracciato rispecchia esigenze di ordine tattico ed appare particolarmente rafforzato sul lato sud-ovest dell'acropoli in corrispondenza del valico di q. 934. Il tratto più interessante (e meglio conservato n.d.A.) è quello in cui si aprono la Posterla del Ma tese e la Porta dell'Acropoli. Esso è costituito da due cortine terrapìenate in opera poligonale, sovrapposte l'una sull'altra in modo che la superiore risulti arretrata di circa 3 m. rispetto a quella inferiore. Entrambe le cortine poligonali sono accompagnate in taluni settori da una banchina di fondazione composta eia grandi massi ... Da rilevare il particolare carattere funzionale di questa struttura a doppio terrapieno, che tende a difendere il settore più delicato (ovvero quello opposto al ciglio tattico n.d.A.) con un tipo cli opera poco alta (il primo terrapieno ha un'altezza che varia dai 111. 2.50 ai m. 3 n.d.A.) ma assai profondo. Le due terrazze artificiali dei terrapieni, di cui quella più avanzata era forse rinforzata da una palizzata lignea dovevano infatti costituire una fascia fortificata non facilmente superabile perché permetteva di concentrare lo sforzo dei dìfensori nel punto più pericoloso ... Per quanto riguarda la difesa dell'acropoli di Sepino sul lato nord-orientale, delimitato da un salto roccioso e privo di mura, si può pensare che fosse attuata una semplice aggere e da un fossato. Per quanto concerne la sistemazione urbanistica, per il momento si può solo dire che le due porte principali (Porta del Tratturo e Porta dell'Acropoli) erano attraversate da una strada, da cui sì diramava un tronco per la Posterla del Matese. Nel complesso, secondo G. Co.l onna, le mura si possono datare al IV sec.)) 14i ,

147

Cfr. l.G.M .1. , Atlante aereofotografico delle antiche sedi ... cit. Voi. I Scheda relativa a Saepinum.


Parte prima. I secoli dei sannilì

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109. Sepino-Terravecchia: resti delle mura.


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È importante ribadire che proprio grazie alla sostanziale conservazione di tali strutture possiamo meglio definire la logica insediativa sannita. «Il sito di Terravecchia controlla ... l'unica via di accesso che dalla piana sale ai pascoli del Matese: la sua collocazione a mezza costa è rivelatrice di questa funzione de] resto propria anche ad altri centri, ad esempio Bovianum ... (ed in definitiva di tutti i centri elencati fin qui). Saepinum è un toponimo che riflette concrete dimensioni culturali e topografiche di organizzazione territoriale. Esso può ricondursi etimologicamente a sepio, «recingo»: sta forse ad indicare l'esistenza di un'area, di un sito recinto. Ma perché la situazione topografica possa valere come dato saliente, come carattere distintivo ed antonomastico delpagus, occorre pensare che il recinto in questione si configuri piuttosto che nella ripetitività della formula difensiva delle cinta d'altura, nella dimensione nuova di un recinto capace d'instaurare un rapporto sociale ed economico continuativo con le comunità vicine inteso come ricovero di greggi, come scalo , come polo d i mercato. U n reci nto siffatto ... può trovare posto solo in pianura, là dove il terreno e l'incrocio di strade favoriscono e moltiplicano le occasioni d'incontro e di scambio, in quello che sarà poi l'area della Saepinium Romana ... Sul monte, sull'altura di Terravecchia, è l'arce, profilo consueto, nobilitata semmai dall'estensione della cinta e dal costituirsi al suo interno d i un abitato stabile» 148 • Viene così ulteriormente dimostrata l'ipotesi che i centri difensivi erano pertinenza e quindi filiazione dei villaggi e non viceversa e restavano punti di convergenza nel pericolo. È infine d'obbligo per concludere i brevi cenni su Sepino ricordare il brano di Livio concernente la sua conquista (293 a.C.): .. .nec obsidio sed bellum ex aequo erat; non enim muris magis se Samnites quam armis ac viris moenia tutabantur... Itaque ab ira plus caedis editum capta urbe: septem milia quadrigenti caesi, capta minus tria milia hominum « ... non era un vero assedio, ma piuttosto un combattere a parità cli condizion i, perché i Sanniti più che difendere se stessi dietro le mura, difendevano queste con uomini e con armi . .. Perciò presa la città, il furore portò ad una strage maggiore: settemila e quattrocento furono gli uccisi, meno di tremila i prigionieri ... >> 14 9.

Sicuramente diecimila abitanti erano eccessivi per la cittadina ma di certo con essa cadde la resistenza organiz?ata del Matese: la strage però diviene plausibile in tale ampliamento prospettico.

Campochiaro - (Herculaneum) - Campochiaro (CB) Tre Torrette - (n.i.) - Campochiaro (CB) Il santuario di Ercole sito in località Civitella del comune di Campochiaro a quota 770, fu edificato a cavallo dell'itinerario mulattiero congiungente Boiano-Sepino, snodantesi alle pendici del Matese, con andamento all'incirca parallelo a quello del tratturo delle Puglie (Tratturo Pescasseroli-Candela) un centinaio di metri più in basso. Lo stesso santuario poi fungeva da centro terminale della famosa strada trasversale matesina, ancora individuabile nelle attuali mulattiere ad esso ascendenti. Evidentissima quindi l'ubicazione baricentrica in relazione al territorio dei Pentri, specie considerando l'incrocio viario ivi determinato. <<Sembra da accettare la proposta di identificazione del santuario con la località indicata nella Tabula Peutingeriana come Hercul (is) Rani, tra Boiano e Sepino, si tratta quindi cli un luogo di culto sacro ad Ercole al quale, d'altro canto, fanno riferimento anche molti dei ritrovamenti fatti. L'entità dei resti, insieme al persistere attraverso i secoli del ricordo delle divinità là venerata il cui nome al momento della compilazione della Tabula, era probabilmente passato ad indicare la località stessa, testimoniando della rinomanza di cui dovette godere il santuario ... » 150 .

R1,

148 Cfr. SEr1No , Archeologia e continuità, Campobasso, 1979, p. 7 ed anche cfr. Dn B11N no1rr1s, GAcc10TT1, MATTE1N1 CH1ASaepinum , Verona, 1984. 149 Cfr. T. L1v10, S1oria ... cit., Lib. X-45. 15 Cfr. S,,NNIO, Pentri e frentani ... cit. p. 197.

°


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Parte prima. I secoli dei sanniti

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110. Sepino-Terravecchia: resti delle mura. 111. Sepino-Tcrravecchia: resti delle mura. 112. Sepino-Terravecchia: resti delle mura.

Abbiamo lungo la circuitazione del Matese incontrato quasi una ventina di caposaldi fortificati, senza dubbio soltanto una parte degli originali come già avemmo occasione di ribadire: ebbene quasi sempre il loro sito è contraddistinto sulla cartografia a grande definizione da toponimi particolari, allusivi alla loro funzione difensiva. Frequentissimi quelli di: la rocca, castellone, civita, civitella, civitavecchia, terra vecchia, ecc ... , che difficilmente potrebbero giustificarsi in assenza di preesistenze specifiche. È questo peraltro un aspetto inclagativo che meriterebbe un ulteriore approfondimento ed una più documentata correlazione. Anche nel caso del santuario di Ercole a Campochiaro, la ricorrenza non viene smentita e infatti la contrada si chiama "la Civitella", immediatamente sottostante ad una cima rocciosa cli m . 1400 a sua volta chiamata ''Civitavecchia" inglobante tre cocuzzoli distinti, noti come "le Tre Torrette". (I toponimi sono stralciati dalla tavoletta III - N.O. F:162 Boiano I.G.M.I.) Una così ridondante nomenclatura lascia dedurre una altrettanto evidente e vistosa presenza di ruderi, da tempo riconosciuti per strutture fortificate. Continua la citata descrizione: «L'esistenza di resti preromani in località di Civitella è stata sempre conosciuta localmente, giacché alcuni tratti del muro di temenos sono sempre rimasti visibili, tuttavia un interesse preciso per quest'area è ... solo ... (del) 1973 ... I primi saggi sono stati eseguiti nel 1975 ed hanno permesso di localizzare il tempio sul terrazzamento superiore; nel 1976 è stato completamente rimesso in luce quanto rimaneva dell'edificio ... Lo scavo è tutt'ora in corso. L'area del santuario è limitata da un muro in opera poligonale che, seguendo approssimativamente l'andamento altimetrico del terreno, individua tra le quote 775 ed 800 un' area pressappoco triangolare con il vertice a valle; mentre la sua estremità orientale si collega quasi immediatamente alla parete rocciosa, il Iato occidentale prosegue sul fianco del monte, ... fino a raggiungere la quota 900. In questa parete più alta il muro ... si raddoppia ... Nella zona inferiore, quella in più diretto rapporto con la parte del santuario ... va osservato che mentre il tratto occidentale è costruito con una tecnica piuttosto raffinata (grandi blocchi poligonali, accurati rincalzi triangolari,


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113. Campochiaro: foto aerea intera zona (I.G.M.I.).

archi di scarico) quello occidentale si presenta discontinuo nell'allineamento e più trascurato nell'esecuzione ... L'unico ingresso finora individuato si trova .. . quasi a quota 800; lo scavo .. . sta riportando alla luce le spalle della porta, larga m 3.50 costruita in accurata opera quadrata ... » . È importante a questo punto sottolineare che le schematicamente delineate strutture pur appartenendo certamente ad un santuario, non per questo non assolvevano, in aclempienza alla logica sannita, al compito di fortificazioni suppletive tese magari al blocco degli itinerari mulattieri . Infine era presso queste opere che venivano conservati i massimi possedimenti comunitari, implicando perciò una indispensabile funzione difensiva. Il recinto pertanto del santuario può assimilarsi probabilmente a tutte le altre fortificazioni incontrate e per modalità esecutiva e per finalità.


Parte prima. J secof 1. dei •sanniti

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Campochiaro: foto aerea san114._ (l.G. M.I.). tuano

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. murazione (da B. Di 115. Campochiaro: planimetria Marco).

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.___ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __) 116 116a. Campochiaro: loc. Tre Torrette, planimetria delJe fortificazioni (da B. D i Marco).

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A-B. Campochiaro (CB): fortificazioni delle T re Torrcue (B. Di Marco).

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116b. Campochiaro: Ioc. Tre Torrette, dettaglio fortificazioni (da B. Di Marco).


Parte prima. I secoli dei sanniti

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l 17. Campochiaro: panoramica.

Bisogna poi ricordare che nella area apicale sovrastante le Tre Torrette è stata rinvenuta una vera e propria opera di difesa, confermandoci così la correlazione toponomastica anzidetta.

Civita di Boiano - (Bovianum) - Boiano (CB) In merito all'ubicazione di Bovianum regnava, fino a poco tempo fa, fra gli studiosi una certa irrisolutezza , motivata eia un ambiguo passo cli Plinio che induceva a ritenere esistenti due centri con tale nome. Si trattava per l'esattezza di una Bovianum vetus e di una Bovianum Undecumanorum: una serie concomitante di motivazioni alquanto plausibili fu all'origine dell'individuazione nell'attuale grandioso complesso archeologico di Pietrabbondante della capitale morale dei Pentri. Né parve significativo ai fini di una incontrovertibile identificazione che un borgo di Boiano, q uello sulla Civita conservasse, oltre all'esplicito toponimo, resti architettonici e antica notorietà, che lo qualificavano, con ovvia evidenza come l'ultima vestigia della mitica città: tanto poteva l'immagine mentale, poderosa e vistosa che ci si era creati della stessa, indotta dagli storiografi classici. In effetti intorno agli anni 73-75 dell'era volgare si ebbe lo stanziamento di una colonia formata dai veterani della XI legione - Claudia - nei pressi di Boiano: ma l'evento è però posteriore alla stesura dell'opera pliniana, aggiungendosi così una ulteriore dose di incertezza storica. Una ricostruzione interessante e fortemente probabile è quella che ipotizza: «Bovianum, ... costruito in due momenti diversi o che rifletta semplicemente informazioni pervenute da fonti separate, (pertanto il passo relativo) va scisso nella forma seguente colonia Bovianum Vetus et alterum cognomine Undecumanorurn .. . Nello sviluppo della storia costituzionale di Bovianum (Bojano) possono dunque riconoscersi questi caposaldi cronologici: fino alla guerra sociale faceva parte dello stato sannitico ... costituzione municipale dopo la guerra sociale (è già documentata tra gli anni 48-46 a.C.); colonia lege Julia tra il 44-27 a.e ... ; colonia Flavia tra gli anni 73-75 a.e ... (in definitiva) l'analisi interna del passo Pliniano e tutte le altre informazioni letterarie ed epigrafiche che possediamo non consentono, oggi, di dimostrare che siano esistite due città diverse con il nome di Bovianum ... » 151 •

15 1

Cfr. A. L,

R F.0 1NA,

Sannio ... cit. p . 31.


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118. Civita di Bojano: foto aerea. 119 . Civita di Bojano: panoramica. 120. Civita cli Bojano: pietre di spoglio.


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121. Civita di Bojano: pietre dì spoglio. 122. Civita di Bojano : pietre di spoglio .

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In altre parole l'unica Bovianum sannita era all'incirca dov'è oggi la moderna Bojano, confermandosi in tal modo l'alto valore certificatorio toponomastico: di più essa si impiantava a quota 750, sulla sommità di una montagnola laterale all'abitato vallivo, nota come Civita Superiore, seconda conferma toponom astica. Quanto premesso ci porta a concludere che la gloriosa Bovianum dei Pentri, a lungo contendente a Roma il ruolo di città primaria, altro non fu che un villaggio sullo scabro cocuzzolo calcareo dove al presente sono abbarbicate le poverissime case del borgo e gli smembrati ruderi del castello medievale eretto in posizione apicale, forse, proprio sulla sua aree. Dalle fonti storiche sappiamo, ad integrazione delle lacunosissime e spoglie permanenze archeologiche sannite, non sempre peraltro sicuramente identificabili, che Bovianum era presidiata eia più di una fortezza, riprova della sua importanza ed al contemp_o della sua arcaicità. « ... Appiano narrando dell'assedio di Silla a Boiano narra che la città era difesa da tre rocche, e che il suo dittatore dovette impadronirsene prima di poter occupare la città ... » i 52 . Avvicinandosi al borgo tipicamente medievale della Civita Superiore, tentando cli riconoscere eventuali avanzi delle difese di Bovianum, si resta colpiti innanzitutto dalla disposizione chiusa ed arroccata delle sue abitazioni, conseguenza cli una logica fortificatoria povera ed al tempo stesso efficace. Le case intimamente connesse l'un l'altra, prive di aperture verso l'esterno sostituiscono una costosa cinta muraria proteggendosi vicendevolmente. Ma è all'interno del paesino che le sorprese appaiono più singolari: reliquie di fregi, modanature ed elementi architettonici in pietra sono inglobati nelle misere costruzioni attestando una trascorsa e remota nobiltà. Gli stessi ingenui decori ed ornati, che li earatterizzano, desunti non dalla canonica greca o romana di natura geometrica e floreale, ma dalla tecnica dell'intreccio dei canestri, eminentemente pastorale, confermano la loro appartenenza alla cultura sannita. Proseguendo verso il sito del castello ritenendolo il più idoneo all'impianto di una fortificazione apicale, si deve purtroppo constatare quello già altrove osservato: la costruzione di strutture massicce, specie tardomeclievali, ha cancellato, riutilizzando i blocchi calcarei, la maggior parte delle muraglie in opera poligonale, comode cave cli pietra. Qua e là qualche lacerto testimonia una millenaria preesistenza. Notevole ed emblematica la presenza di numerose cisterne scavate nella roccia, forse pertinenze della cittadella sannita. Le rocche però erano almeno tre, quindi nelle vicinanze se ne dovrebbe riconoscere qualcuna meglio conservata: / «Orbene nei pressi ... è stata scoperta la piccola cinta di monte CroceUe e riconosciuta per una cli esse (quota m. 1040 n.d.A.). - La cinta ha un andamento circolare, cli I IO m.l. circa e il perimetro delle mura, a grossi b locchi, con riempimento interno, che determina il consueto terrazzo. Era in relazione tattica con altre due rocche a difesa della città ... » 153 • È auspicabile per l'eccezionale rinomanza della località, un minuzioso approfondimento archeologico, teso alla ricostruzione culturale del dimenticato e purtroppo abbandonato borgo della Civita Superiore, inevitabilmente condannato in caso contrario alla irreversibile cancellazione, con tutta la sua ultramillenaria storia.

Gli eventi bellici Ci sembra coerente a questo punto tratteggiare una schematica cronistoria delle operazioni militari che ebbero come teatro la regione fortificata del Matese, estrapolan dole ed evidenziandole dal più generale contesto delle guerre, prima le tre cosiddette sannitiche, poi le restanti altre, che sotto svariate nominazioni videro di fatto il coinvolgimento della tenace stirpe italica, fino alla sua conclamata eliminazione. Indiscutibilmente gli scontri attuatisi sulle pianure pedemontane del massiccio, lungo le sue pendici e forse al cli sopra del suo altipiano dovettero essere innumerevoli, collocandosi però nell'orbita

152 Cfr. D. CA1AZ2A, A rcheologia ... cit. p . 380. 153 Ibidem ed anche G . DE BcNco1rr1s, Bojano, «Studi etruschi» XLIX, 198.1, p. 452.


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123 123. Civita di Bojano: ruderi del Castello .

di una belligeranza guerrigliera, partigiana. Soltanto una marginale aliquota assurse al rango di battaglia o di cozzo propriamente detto, di entità tale cioè da giustificare, se non da meritare, una citazione negli '' annales''. Eppure le pagine di Livio ci prospettano, limitatamente ai centri in questione, una lunga teoria di assedi, assalti, conquiste, distruzioni, ricostruzioni . .. ecc., con un logico corollario di episodi militari estrinsecatosi. fra le due parti ad immediato ridosso degli stanziamenti, da farci motivatamente supporre una virulenza conflittuale eccezionale. Millanteria romana, propaganda ufficiale, travisazione finalizzata all'ottimizzazione di un passato non consono, incolmabile odio fra le opposte etnie italiche? È difficile accertarlo. Quello che appare inoppugnabile è che, se ad oltre tre secoli cli distanza dagli avvenimenti narrati, Livio è in grado di descrivere in dettaglio quei luoghi, spesso con una minuziosità perfettamente calzante ancora oggi, di prospettare elaborate strategie militari - e non era certamente un tecnico in materia - di ammirare persino, non rare volte, tra le righe il valore degli avversari, vuol significare che la frequenza e la ferocia dei combattenti ivi avvicendatosi fu parossistica, al punto di imprimere nei romani una indelebile quanto traumatica memoria. Tenteremo pertanto nel redigere la suddetta cronistoria del ruolo sostenuto dalla regione fortificata, di vagliare approfondendolo ed interpretandolo proprio l'impatto emozionale conseguente alle operazioni militari piuttosto che la lo ro acclarata rilevanza storica, difficilmente accertabile persino da Livio, pur conservando la tradizionale periodizzazione. È emblematico infatti che finanche il «casus belli>) innescante la prima guerra sannitica sia nebuloso ed inattendibile, mentre è lampante la causale profonda, mai smentita dalle fonti e dagli eventi. Paradossalmente fra i prodromi dell'irriducibile conflitto sembrerebbe esservi stata una fase di al leanza tra le due potenze, che però a ben guardare testimonia più che una contemporanea volontà pacifista, lo spettro di un comune nemico - forse i Celti - per entrambi letale. Il trattato del 354 a.C., che scandisce l'apparire alla ribalta della federazione sannita, si configura


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infatti quasi come una alleanza difensiva, senza dubbio arcaica nella sua dinamica, ma sottindentente un prezioso aiuto reciproco. La natura stessa del trattato poi conferma una sostanziale equivalenza delle relative forze ed apparati militari, per cui Roma alla metà di quel lV secolo non ostenta alcuna peculiarità egemonica od imperialista dissimile dai suoi futuri avversari, né meno che mai potenzialità emergenti tali da farla presumere per quella che diverrà poi nel successivo sviluppo. Per restare alla tradizione - né abbiamo possibilità alternative credibili - il trattato resse per oltre dieci anni: all'undicesimo si avviarono le aperte ostilità. E fu l'inizio di quella che gli storici romani definirono «Prima Guerra Sannitica», protrattasi dal 343 al 341 a.C.

La prima guerra sannitica «Il conflitto scoppiò ... riguardo ad una zona su cui non c'erano stati accordi precedenti. La Campania settentrionale divenne il pomo della discordia: era una regione fertile e popolosa e nessuna delle due potenze poteva lasciare che l'altra se ne assicurasse il controllo ... Alla metà del quarto secolo, la valle del Volturno non pareva destinata ... a trovarsi in un vuoto di potere, in quanto i Campani erano tutt'altro che in declino. Inoltre gli interessi dei Romani non avevano ancora raggiunto la valle del Volturno. Quando si verificò, la crisi della Campania sembrò insomma cogliere di sorpresa sia i Romani sia i Sanniti» 154 • Gli scontri campali derivanti che di lì a breve si estrinsecarono, manifestarono inconfutabilmente la superiorità dell'apparato militare romano, ed in particolare della sua fanter ia su terreno aperto e pianeggiante, ma al contempo anche la inusitata capacità sannita a sfruttare i vantaggi tattici delle montagne, specie quelle incombenti del massiccio del Matese e delle loro orride forre. «Ma ai Romani (ancora) non importava penetrare in quel paese, come era ormai interesse dei Sanniti cli tenervisi asserragliati ... » 1ss Si configuravano così le divergenti caratterizzazioni operative delle due potenze: aggressiva ed espansiva quella romana, difensiva quella sannita. Da quel momento ciascuno dei due contendenti avrebbe con qualsiasi mezzo cercato di attrarre l'altro sul suo terreno preferito di scontro assicurandosi automaticafoente il completo successo ogni qualvolta ci fosse riuscito . Il risultato confermando la dicotomia tattica dovette finire per canalizzare l'intera condotta bellica successiva. Potrebbe forse proprio in ciò ravvisarsi la principale conseguenza di questa enigmatica prima guerra, carente di rimarchevoli battaglie campali, altrimenti glorificate e tramandate. «(È) probabile che Beloch abbia ragione quando sostiene che l'invasione romana del Sannio del 341, che stranamente si svolse senza battaglie sia stata inventata da un analista allo scopo di dare un tono convincente alla narrazione delle vicende conclusive della guerra ... Alcuni stu,diosi si spi ngono anche oltre e, sulla base di assenza dei particolari ... sostengono che la guerra non è mai avvenuta» 156. Senza condividere le ipotesi estreme ci sembra evidente che si trattò per ambedue le potenze di saggiare le rispettive forze e modalità operative, ricavandone come affermato precise indicazioni procedurali. Doveva al contempo iniziare a configurarsi sia ai romani che ai sanniti che la posta in gioco ultima del contendere era la supremazia peninsulare, ovvero la sopravvivenza del proprio stato sovrano, e che il teatro per antonomasia della guerra sarebbe stata proprio la Campania. Del resto non si può negare del tutto, che l'abbondanza di risorse granarie della regione, peraltro opima sotto q ualsiasi profilo, agì da stimolo ossessivo sulla cupidigia romana, particolarmente sensibile al riguardo, non fosse altro che per le ricorrenti carestie. La pace stipulata nel 341, sancì la presenza romana in Campania pur concedendo alcune contropartite, più apparenti che reali ai sanniti. La lunga tregua successiva, di oltre 15 anni, è una riprova

154

Cfr. E.T. SALMON, Il Sannio ... cit. p. 207. Enciclopedia Militare alla voce «Sanniii», Voi. VI, p. 802. 15 <, Cfr. E.T. SA 1. MoN, Il Sannio ... cit. p. 210.

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delle rispettive esigenze dei belligeranti tesi a garantirsi i nuovi possessi e ad avviarne lo sfruttamento. Fu però eminentem ente una sospettosa e diuturna preparazione all'inevitabile ripresa delle ostilità. Non è da escludere che proprio in questo periodo di prezioso intervallo i sanniti riqualificassero e correlassero le loro arcaiche fortificazioni, trasformandole in un micidiale sistema difensivo.

La seconda guerra sannitica In merito alla seconda guerra sannitica regna fra gli studiosi una unica sostanziale concordanza: quella di ritenerla, fin dal passato, di gran lunga la più importante e decisiva delle tre. Fu parimenti quella nel cui corso si registrarono le maggiori perdite di uomini e di risorse, e che in ultima analisi consacrò Roma a potenza egemone, confinando parallelamente la resistenza sannita ad un ruolo disperato e vano cli guerriglia terminale, priva cioè di qualsiasi prospettiva positiva e come tale compresa anche dai suoi propugnatori ed esecutori. Per la prassi bellica romana ogni guerra presupponeva una palese e congrua casualità, che in un certo senso ne sanciva la liceità almeno formale. Per questa si imputò all'arbitraria occupazione cli Paleopolis (Napoli) nel 328-327 a.C. da parte delle truppe sannite, che venivano in tal modo a stanziarsi fin troppo a ridosso della ormai colonizzata Capua, per non destare preoccupazione. Al di là della tesi romana però circa il «casus belli», vi è da sottolineare che fu proprio la politica dell'urbe, in aperto spregio degli accordi ratificati coi sanniti, ad indurre in questi dopo la fondazione della colonia di Fregelle un rabbioso risentimento sfociato nell'impresa napoletana. Ed era probabilmente quello che Roma desiderava, tant'è che nel 326 si ebbe la notifica ufficiale di guerra fra le due potenze. Il carattere prevalentemente campano, ed in particolare campano settentrionale si riconfermò immediato per l'insorgente conflitto, a ridosso perciò del Matese. Nello stesso 326 infatti Livio ci attesta la conquista di Callifae, Allifae e Rufra 157 , scansione che sembrerebbe sottoindicare una ubicazione limitrofa dei tre abitati sanniti, dei quali la notorietà di Allifae ci consente una plausibilissima localizzazione anche per gli altri due alle falde del massiccio 158 • Che si sia trattato poi di una conquista transitoria, non resa irreversibile da una stabi le occupazione militare, peraltro all'epoca assolutamente impraticabile, lo denunzia lo stesso Livio, ricordando che alcuni anni dopo Allifae era pur sempre saldamente sannita. Sta di fatto comunque che le legioni presero ad operare puntate offensive contro la roccaforte dei Pentri ingenerando un quinquennio di continue quanto sterili schermaglie caratterizzate da: «scaramucce inconcludenti e da brevi sconfinamenti, a cui sembrerebbe aver preso parte un numero di uomini relativamente limitato. I consoli, a quanto pare in questo periodo ciascuno al comando di una legione, stando a ciò che dice Livio avrebbero agito indipenden temente, mentre talvolta scesero in campo eserciti non consolari (capeggiati da un dittatore), un tipo di strategia che permetteva fulminei attacchi in vari punti simultaneamente ... »159. È estremamente importante quest'ultima osservazione poiché ci certifica il nascere della strategia che condurrà alla fine allo scardinamento del sistema difensivo fortificato regionale e quindi dello stesso Sannio, strategia che come vedremo fu continuamente migliorata e con costanza perseguita. Nel 321 a.C. avvenne quello che andrebbe definito come episodio cruciale dell'intera guerra, notissimo nella sua dinamica ma incoerente e per molti versi assurdo nelle sue estrinsecazioni e conseguenze: quello delle Forche Caudine. Ovviamente a confondere volutamente la logica del singolare evento giocò la storiografia romana che non potendolo ignorare, ritenendolo giustamente una delle pagine più ingloriose del suo esercito, ne stravolse, banalizzandone, lo svolgimento. Fiumi di inchiostro sono stati versati da allora nel tentativo di individuarne il sito esatto, la concatenazione fattuale,

157 Tn merito all' ubicazione di Rufra, è stata ipotizzata l'adiacenza di Rav iscanina, ed ancora quella di S. Potito, ma nessuna è fondamentalmente motivarn. 158 Anche per Callifae le ipotesi ubicative sono molte, tra le quali quella di identificarla con Calvisi, non fosse altro che per la vicinanza ad Allifae e l'assonanza toponomastica: prove più concrete tuttavia mancano., almeno fino ad oggi. 159 Cfr. E.T. SA 1.MoN , Il Sannio ... cit. p. 235.


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il valore militare effettivo della disfatta, e per contro per negarne la credibilità, per minimizzare la portata e svilirne le concezioni informatrici. Eppure fu, stando anche alla scarna descrizione liviana, il classico e perfetto prototipo della tattica sannita, diametralmente opposta a quella romana . Inutile per la rinomanza dell'azione citarla 160. Se mai invece è da rimarcare che l'incredibile non sta nell'imbottigliamento del quasi totale potenziale militare romano nella gola di Caudio, quanto piuttosto una volta conseguito un simile straordinario ed irripetibile risultato, l'averlo riconsegnato inalterato. La soppressione dei due interi eserciti consolari arresisi incondizionatamente avrebbe di fatto non solo posto fine alla guerra che stava martorizzando il Sannio, ma decretato incontrovertibilmente e forse in maniera irreversibile il ridimensionamento di Roriì.a, non ultima la sua cancellazione, essendo in un unico momento dissoltasi la sua forza armata. L'odio e la necessità non mancavano di certo ai sanniti, né meno che mai la spietatezza per eseguire la sanguinosa soluzione finale dell'esercito nemico, come episodi di minore entità avevano dimostrato. Invece paradossalmente dopo il risibile e deleterio rito delle forche e l'ancora più idiota patteggiamento con gli sconfitti consoli, privi per la loro stessa posizione giuridica ed umana cli qualsiasi volontà, si restituì a Roma la sua forza. Integra negli organici, umiliata profondamente e quindi desiderosa di vendetta, disarmata ma libera, fu fatta uscire dalla clausura altrimenti irrisolvibile. Le spiegazioni tramandate - dalle sole fonti romane - sulle motivazioni che indussero la diri genza sannita ad una così assurda aberrazione decisionale, la confermano ulteriormente incredibile. Si deve pertanto ipotizzare innanzitutto che le forze intrappolate a Caudio fossero soltanto un'aliquota consistente - ma non maggioritaria - dell'esercito romano, tanto da far plausibilmente temere una pronta e ferocissima rappresaglia da parte della restante, e secondariamente una vantaggiosissima sottomissione di Roma, resa tangibile e concreta da precise garanzie quali cessioni di territorio, di colonie e di ostaggi, a cominciare dalla contesa Fregelle . Ingenuo per ovvie ragioni cercare tracce documentarie di quanto esposto, nella trattatistica romana, tesa alla glorificazione dei trascorsi e non certo alla individuazione della verità. Ristabilitosi in tal modo un contesto di superiorità strategica a favore dei sanniti, né implicando automaticamente la soppressione dei numerosi legionari prigionieri la distruzione della loro patria, diviene coerente e convincente l'operato del valore Gavio Ponzio, duce di Caudio. «Il punto essenziale è che la pace fu conclusa e le ostilità cessarono ... Quindi la pace caudina non fu sconfessata. Durò cinque anni . .. (e) si deduce che fra Romani e Sanniti in questo periodo regnò la pace ... Fregelle .. . fu ceduta loro, presumibilmente nel 320, in quanto così era stabilito nelle condizioni della pace caudina ... » 16 1 • Il quinquennio successivo infatti se non proprio di pace fu almeno di bassissima conflittualità, e giovò ai disegni di entrambi i contendenti: ai sanniti per perfezionare e mettere a punto il loro sistema difensivo i cui recenti validi impieghi avevano fatto prefigurare l'importante ruolo futuro; ai romani per rivedere radicalmente il loro apparato militare, che aveva manifestato fin troppe pericolosissime carenze e manchevolezze operative. «Fu probabilmente in questo periodo che venne deciso di portare a due il numero delle legioni di ciascun esercito consolare e di far scendere in campo truppe ausiliarie qualora le circostanze l'avessero richiesto . In un modo o nell'altro si arruolarono ed equipaggiarono nuove legioni. Non c'è ragione per ritenere che se tali truppe erano armate di pilum e scutum i Romani dovessero aver appreso l'uso di queste armi dai Sanniti (il fenomeno invece oltrecché logico è usuale per qualsiasi esercito sconfitto, e consiste nel copiare le tattiche, le armi e persino le uniformi dei vincitori n.d .A.), ma è certamente possibile che durante la pace seguita alla sconfitta di Caudium le truppe romane si erano esercitate più

160

È difficile immaginare che un intero esercito romano si cacciasse in maniera così sprovveduta nella mitica strettoia restandone intrappolato; né d'altro canto i luoghi tradizionali dell'episodio ostentano connotazioni così impervie da renderlo verosimile. Sembra pertanto lecito ipotizzare che si sia trattato di uno sforzo storiografico per scaricare sui luoghi la responsabilità cli una sconfitta famosa ed allrimenti ingiustificabile. Molto probabilmente quindi i romani che entrarono nella gola cli Cauclio erano già reduci da una disfatta sul campo e quindi sbandati e privi dell'abituale circospezione che contraddistinse sempre l'avanzata delle loro legioni. 161 Cfr. E.T. SAtMON, Il Sannio ... cit. p. 240.


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intensamente nelle tattiche di manipolo, usando unità più piccole e più mobili, simili a quelle impiegate dai Sanniti» 162 • In realtà non dovette essere semplicemente in seguito alla resa di Caudio che i romani si decisero a siffatte modifiche, ma soprattutto in conseguenza della inconcludenza operativa di oltre cinque anni di guerriglia, costellati da uno stillicidio insostenibile di perdite, delle quali l'episodio delle forche costituiva solo il drammatico e parossistico epilogo. Il teatro bellico particolare , sul quale era facile previsione si sarebbe ancora combattuta la terribile guerra lo imponeva in modo ormai indifferibile. Diviene a questo punto utile fornire alcuni dati relativi alla legione manipolare, indubbiamente fra le migliori elaborazioni di schieramento e di combattimento dell'antichità. Questa così si strutturava in Livio: «I O schieramento: 15 ordines o manipuli di astati, di 60 soldati, 2 centurioni, 1 vessillario o portabandiera: dei soldati 20 erano milites leves (armati solo di lancia e giavellotti), 40 erano milites scutati (muniti anche di scudo). In totale erano: 300 soldati leggeri, 600 scudati, 30 centurioni, 15 vessillari: in complesso Uomini 945. Gli astati erano giovani di leva, istruiti all'uso delle armi, massimamente agili.

2° schieramento: 15 ordines o manipuli di principes: soldati muniti di scudo e delle migliori armi: giovani di età più robusta e pratici di guerra. Venivano disposti negl'interstizi degli astati, ma più indietro. Come gli astati assommavano a 900 soldati, 30 centurioni, 15 vessillari : in complesso uomini 945 . Il I O e il 2° schieramento costituivano la massa dei manipoli 'antepilani': posti cioè davanti ai manipoli di triarii o pili, (che facevano parte ciel terzo schieramento), e davanti le insegne, le quali appunto, venivano disposte tra il 2° e il 3 ° schieramento: le insegne comprendevano l'aquila della legione e i vessilli dei manipoli 163 • 3° schieramento: 15 ordines o manipuli e meglio vessilli, costituiti eia tre parti o manipoli di 62 uomini (60 soldati e 2 centurioni). Anche questi uomini venivano schierati in corrispondenza degli interstizi dei principes, dopo le insegne. Le prime quindici parti, assommanti ad uomini 900, centu rioni 30 (a cui probabilmente andavano aggiunti 15 vessillari), costituivano gli ordini dei triarii o pili: i triarii erano soldati di provata esperienza e specchiato valore e i loro centurioni prendevano il nome dall'ordine del plotone o pilo che comandavano: centurioni primi pili o primus centurio (il più elevato in grado), centurio secundi pili o secundus centurio ecc. Le seconde quindici parti dei detti ordini erano formate da milites rorarii: giovani ed assai agili, avevano il compito di avanzare rapidamente oltre i triarii, scagliare l'asta o il telum e ritirarsi non meno rapidamente dietro i triarii. In prosieguo di tempo quel compito divenne più generale nello spazio e cambiò anche il nome: i rorarii ... furono sostituiti dai vèliti ... soldati celeri ardimentosi disposti e pronti ad apparire nei punti più impensati o più delicati o più inattesi per portare con rapidità la propria azione e ritirarsi e piombare altrove: i vèliti ... furono gli arditi o fiamme nere della prima guerra mondiale. I rorarii dunque assommavano come i triarii, a 900 soldati, 30 centurioni, e 15 vessìllari: in complesso uomini 945. Le terze quindici parti del 3° schieramento formavano l'ordine degli accensi: soldati cioè censiti ... o arruolati in soprannumero dalla classe dei cittadini più poveri e che davano scarso affidamento o minimo per la convinzione, il più delle volte non errata, che il nullatenente ... non potesse possedere la virtus del cittadino. Gli accensi raggiungevano lo stesso numero degli altri: 900 milites, 30 centurioni, 15 vessillari: in complesso Uomini 945. li terzo schieramento, quindi assommava una volta e

162

Cfr. E.T. SALMON, Il Sannio .. . cit. p. 242. Come ha rilevato anche il Maggiorotti, il termine manipolo deriva dal nome del fascio cli fieno «manipulus» infisso su di un'asta, che i piccoli reparti delle prime legioni avevano adottato come segnale di adunata. Cfr. F .R. VEGENz10, L'arte militare, Roma, 1984, p. 58, n. 58. 163


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Dai sanniti a/l'esercito italiano

mezzo gli antepilani: 2700 uomini, 90 centurioni, 45 vessillari: in totale Uomini 2835 Aggiungendo gli astanti e principi Uomini 1890 Si aveva un totale di Uomini 4725 Aggiungendo al totale i vari mmtii (portaordini), i tubicines (o trombettieri), i littori, i pullari (addetti agli auspici) e gli addetti ai vari indispensabili servizi per il funzionamento dello stato maggiore, dei quadri e dell'amministrazione regolata dal quaestor, si perveniva alla cifra di cinquemila uomini accennata da Livio. Facevano parte della legione trecento cavalieri. Il comando amministrativo e disciplinare della legione era esercitato da sei tribuni militum (due pepchieramento), forse eletti dal popolo: uno per bimestre. Essi quindi erano ufficiali superiori, a cui dal comando supremo (console) potevano essere affidati compiti tattici e strategici, per i quali normalmente i consoli si servivano dei legati o luogotenenti: uno per legione. I tribuni militum esercitavano la carica del nostro colonnello, nei due mesi di comando (e lo esercitavano o un mese per ciascuno o un giorno sì e uno no), oppure avevano la carica del nostro tenente colonnello o maggiore negli altri mesi, in cui rivolgevano le loro cure agli uomini, su cui normalmente vigilavano e che istruivano (comando moderno del battaglione). I centurioni, pari ai nostri capitani comandavano i manipoli, ed erano indicati col numero d'ordine: primus centurie hastatorum, secundus centurie principum ecc. Ogni manipolo ne aveva due, perché nel manipolo si consideravano esistenti due primitive centurie dei triarii. .. Dei due centurioni del manipolo il primo comandava a destra ciel manipolo, il secondo a sinistra. Non mancavano i sottufficiali: principales ed immunes: coloro che si distinguevano per capacità o coloro che venivano esentati dal servizio generale per mansioni particolari. Un console era il comandante supremo di due legioni e delle truppe alleate latine (auxilia), che di solito pareggiavano il numero dei legionari. Per il comando tattico e strategico di ogni legione e degli auxilia il console si serviva o di un tribunus militum oppure cli un legato o luogotenente: o praefectus per i socii. Ogni legione era indicata con un numero d'ordine (1 °, 2°, ecc.), riferentesi alla costituzione o fondazione di essa: in seguito al numero fu aggiunto un nome o un aggettivo attributivo ... Le truppe dei socii normalmente erano schierate alle ali della legione e non per manipoli, ma per coorti: ogni coorte comprendeva un manipolo di astati, uno di principi e uno di triarii e i milites socii della coorte erano dello stesso territorio o municipio e concittadino era il praefectus che li comandava. In un secondo tempo , per necessità tattica e strategica si costituirono anche le coorti romane: dieci per ogni legione/ e indicate col numero d'ordine: capo cli ognuna di esse era un tribunus cohortis. La cavalleria, 300 equites per ogni legione, era divisa in due ali o coorti, comandate da un tribunus: ogni ala comprendeva dieci turmae ( = squadroni) comandate da praefectus. Non sempre la cavalleria era schierata alle ali della legione: poteva essere posta dietro ai fanti e avanzare, come si vedrà in più luoghi di Livio, attraverso gl'interstizi interposti o aperti tra i manipoli: ciò dipendeva, naturalmente, dalla natura del terreno o dalle necessità del momento. Da quanto dice Livio ... si può arguire che fosse organizzato un servizio per la cura dei feriti e dei malati. Né mancava una complessa organizzazione di servizio di vettovagliamento e di vivandieri» 164 • «II nuovo ordinamento dell'esercito esigeva una scuola militare assai più seria e più continua della falange, in cui il gran centro di gravità della massa teneva insieme ordinati anche gli inesperti ... La legione a manipoli apparisce compiutamente ordinata nella guerra pirrica; ma non si saprebbe dire con precisione quando ciò sia avvenuto, in quali circostanze, se tutto ad un tratto, o poco a poco ... quantunque paia naturale che la lunga guerra sannitica, combattuta quasi sempre entro le montagne, debba avere contribuito a svolgere l'individualità del soldato romano» 165 • Trascorso il quinquennio di quiescenza, la guerra riesplode nel 316, avviando una fase che stando alle fonti pervenuteci, appare estremamente confusa, cooperando al riguardo l'indeterminazione di molti siti citati. Sulla scorta tuttavia delle identificazioni eia noi avallate, prospettate nelle precedenti schede, ipotizzate motivatamente eia studiosi e suffragate da inedite presenze archeologiche, diviene più conse164 Cfr. G . VERRECCH1A , Le tre guerre sannitiche, narrate da Tito Livio, in Samnium, n ° 3-4-5, 1953, pp. 71-73. 165 Da T. M o ~1MsEN, Storia di Roma ... cit., voi. TI, p. 548.


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guenziale e meno enigmatica la narrazione dello stesso Livio, esimendoci dagli artifici filologici, che postulavano rilevanti incoerenze degli autori classici, e non rari errori ortografici circa la toponomastica, provocati dai trascrittori, con il risultato di accrescere l'arbitrarietà delle deduzioni. Il primo evento militare eclatante del nuovo ciclo bellico si incentra nella sconfitta patita dai sanniti, secondo Livio, nelle adiacenze di Caudio fra il 314-313 a .e., seguita da una disordinata fuga dei superstiti verso Benevento, esito del resto alquanto scontato e credibile per gli scontri frontali. Fondamentale però è dal nostro punto di vista il cercare scampo nella città, piuttosto che tra le impervie fortificazioni del Matese, a rigor di logica sostanzialmente equidistanti dal tramandato campo di battaglia. Potrebbe ravvisarsi in ciò una implicita conferma che il percorso verso le stesse fosse assolutamente precluso perché saldamente in mano nemica. I romani perciò in quel momento sarebbero stati virtualmente padroni dell'intero territorio sottostante le congiungenti Allifae-monte Acero-Morcone, interponendosi in maniera impenetrabile fra il sistema difensivo ed i fuggiaschi. Sfruttando poi temerariamente il vantaggio della recente vittoria, e della ridotta presenza sannita nei caposaldì della regione fortificata, aggirato il fronte meridionale di quella, si immisero nella valle del Tammaro, risalendola agevolmente lungo l'antico tratturo delle Puglie, dirigendosi così verso Bovianum per attaccarla. È necessario ora aprire una parentesi d'indole psicologica per cogliere a pieno la profonda motivazione della rischiosissima impresa descritta. Per gli storici romani, Livio in testa, il portarsi ad assediare Bovianum era un po' il qualificare ad un livello superiore l'intera campagna, diretta conseguenza della miticità del centro sannita-pentro. È plausibile pertanto supporre, a maggior ragione, che tre secoli innanzi un analogo irresistibile stimolo agitasse i condottieri romani, istigandoli ad intraprendere iniziative per le quali peraltro non disponevano di adeguate risorse militari né capacità tattiche. Ed infatti dopo breve tempo realizzata l'impossibilità dell'assedio il dittatore Caio P etelio: "omisso Boviano ad Fregel/as pergit" 166 , che è come dire sì vide costretto ad abbandonare l'impresa . Non verosimile per contro appare la tesi del Mommsen secondo cui dopo la sconfitta sannita da lui ipotizzata presso Capua gli scampati fuggirono a rifugiarsi sul massiccio, tirandosi però dietro le truppe romane, che così: «valicarono il Matese e si attendavano nell'inverno del 440 ( = 314) dinanzi a Boviano, capitale del Sannio» 167 • Difficile credere che un reparto lanciato all'inseguimento fosse tanto incosciente da avventurarsi dentro quelle gole e quelle giogaie in cui, oltre alla lezione di Caudio, innumerevoli agguati avevano subito, e ancora maggiormente che a compiere la pericolosissima valicazione, su territori montani del tutto ignoti fosse l'intero esercito consolare, che poi si sarebbe accampato sotto Boviano tentando di espugnarla! «Giustamente la critica qui si appunta, non potendosi oggi ammettere che un esercito, staccato del tutto dalle basi campane, bloccato anzi dalle nevi nel Matese, il quale nei mesi invernali è invalicabile .. . possa svernare (e la valle del Tammaro è già a quota 500 risentendo per di più della vicinanza delle montagne, per cui il suo microclisma è particolarmente rigido n.d .A.) e continuare le operazioni d'assalto. Vi furono forse possibilità d'azione e cli tempestiva ritirata nelle retrovie alifane che la tradizione perdette di vista» 168 . Pertanto la ricostruzione iniziale rimane la più convincente, altrimenti si è costretti a ritenere: «ancora più incredibile ... la storia secondo cui. .. in seguito alla vittoria i Romani sarebbero andati ad assediare Bovianum ... (essendo) del tutto impossibile che si possano essere spinti fino (a lì) nel 313 e vi abbiano trascorso l'inverno; Livio scambia per verità ciò che è solo il suo sogno» 169 • Molto probabilmente invece il Matese venne valicato trasversalmente dai romani per la prima volta nel 311, nel corso di una veloce spedizione offensiva contro Bovianum, essendosi ormai perfet-

166 Cfr. T. L1v10, Storia ... cit., Li b. IX -28. 1 7 <i Cfr. T. Mo~t)IISEN, Storia di Roma ... cit., Voi. II p. 458. 168 Cfr. G. VcHH 8CCH IA, Pagine non chiare ... cit. p. 53. 169 Cfr. E.T. S A1.MoN, Il Sannio ... cit. p. 246.


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tamente convinti che la temibile roccaforte sannita sarebbe caduta soltanto in seguito ad un attacco combinato simultaneo, da monte e da valle e giammai per un tradizionale assedio. I due anni che precedettero l'epico evento ad onta di una insolita laconicità liviana sembrano essere caratterizzati eia una concertata opera preparatoria, che se eia un lato attesta il radicarsi irreversibile della presenza romana in Campania, dall'altro si finalizza per un risolutivo attacco alla regione fortificata. Basti al riguardo ricordare che già nel 313 fu riconquistata Fregelle, dotate cli adeguati accantonamenti militari Caiatia (Caiazzo), Sora ed altre piazze avanzate; che nel 312 fu fatta lastricare dal censore Appio Claudio l'omonima grande strada militare, eia Roma a Capua, per garantirne la transitabilità in qualsiasi momento ed alla massima velocità; che in quello stesso anno fu dedotta una nuova colonia militare ad lnteramna, località prossima alla confluenza del Rapido con il Liri ; ed ancora che furono occupate Nola ed Atella (odierna Aversa) ed infine Cluvia, posta per quanto ipotizzato a sbarramento dell'itinerario transmatesino. La storia del presidio ivi rimasto è nota: lo scatenarsi dell'offensiva romana nel Sannio del 311 , per la quale tante previdenze erano state apparecchiate, al comando del console Giunio Bubulco, comportò la immediata riconquista del prezioso caposaldo, e non, cer to per una semplice vendetta alla feroce rappresaglia, quanto piuttosto che garantirsi la via interna e diretta per Bovianum, ormai ben nota ai Romani. «In questa circostanza Giunio ... fu costretto a muoversi sul tipo di terreno montuoso tanto familiare ai Sanniti e riportò solo modesti successi, che in realtà si risolsero nel saccheggio di alcune minuscole comunità ... Livio (però) sostiene che riuscì a prendere Bovianum Pentrorum ... » 170 • «La città di Boiano, dunque, fu presa nel 311 a.e., senza molta strage: si arrese, forse per evitare le stragi di Cluv.i a, ma non evitò la perdita cli ogni cosa: la preda fu abbondantissima, e fu concessa ai soldati in compenso dei disagi patiti. La provenienza dell'esercito romano dall'altipiano del Matese e dalla zona cli Guardiaregia, Campochiaro e San Polo (ripetendosi in tal modo la manovra aggirante del 313 n.d.A.) consigliò forse quella resa, che contribuì probabilmente a salvare la città ... »' 71 • L'operazione conclusasi positivamente, non fu esente proprio per la sua complessa quanto temeraria impostazione da consistenti perdite, ammesse dallo stesso Liv io. Anche per questa ricostruzione della conquista1d i Bovianum, se si prescinde dalla ubicazione supposta cli Cluvia, si cade nella solita indeterminazione, configurandosi l'episodio: «assolutamente improbabile, poiché Cluviae si trovava sul lato opposto clell'Jtalia rispetto a Bovianum. Quasi certamente Javanum (!) cli cui si sapeva ben poco, dovette venire confuso con Bovianum ... 17 2 • Eppure anche a voler tralasciare la controversia questione delle identificazioni toponomastiche, la progressiva evoluzione della linea strategica romana cli attacco al sistema fortificato del Matese, é già di per sé una esplicita riprova della nostra esposizione. Aci una iniziale presa cli contatto con il massiccio nel 326 in concomitanza con la conquista temporanea cli Allifae - provvida per una valutazione delle difficoltà inerenti all'espugnazione della regione e per una più diretta conoscenza del particolare territorio - seguì l'attuarsi dei p rimi attacchi simultanei da due diverse direttrici, ad opera cli piccoli contingenti (eserciti non consolari). Nel 313 si registra già un aggiramento ciel massiccio con una presenza offensiva romana sia lungo la fronte tirrenica, con la riconquista di Allifae, sia lungo quella adriatica con l'assedio di Bovianum. Schema peraltro identico fu ancora applicato nel 311, con risultato vittorioso, come ricordato. La dinamica è evidentissima tant'è che in linea generale pure altri autori così la sintetizzano: «Negli attacchi alle zone di confine, i Sanniti avevano il vantaggio cli potersi muovere per linee interne, spostando velocemente le loro truppe eia un punto all'altro direttamente ... mentre i Romani erano costretti a far compiere alle loro bande di saccheggiatori una completa circonferenza perché potessero raggiungere i punti da assalire. È ovvio quindi che in tali circostanze le incursioni romane possono

°Cfr. E .T.

17

17 1 172

SA L MON, Il Sannio ... cit. p. 251. Cfr. G. V ERRECCMI,\, Pagine non chiare ... cit. p . 63. Cfr. E.T. SA L MON, li Sannio ... cit. p. 251.


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aver sortito solo un effetto molto limitato» 173 : a meno che non fossero impiegati in perfetto sincronismo organici abbastanza numerosi, tattica che ben presto, in aderenza alla suddetta linea strategica, i romani applicarono sistematicamente e che i sanniti tentarono in tutti i modi di scongiurare. La ennesima riconquista sannita di Allifae e la sua altrettanto ricorrente perdita successiva nel 310, sembrano confermare ulteriormente questa teoria. La stessa avanzata arditissima dei sanniti verso Roma del 306, che gettò la città nel panico, appare in definitiva più come uno strenuo diversivo per alleggerire la pressione romana sul cuore del Sannio che una convinta campagna cli assoggettamento. Ed infatti l'anno dopo nel 305 Roma passò al contrattacco proprio contro la regione dei Pentri, decisa ad averne finalmente ragione, non limitando in alcun modo le forze ed applicando la ormai collaudata strategia. «Sia Livio che Diodoro menzionano l'avvenimento, e Livio aggiunge anche che i consoli mossero verso il Massiccio del Matese da due diverse direzioni. È improbabile che ciò significhi che essi attaccarono contemporaneamente il versante meridionale e quello settentrionale, in quanto sembra inverosimile che volessero correre il rischio cli una tale dispersione di forze» 174 • Per noi invece è la logica conclusione operativa delle premesse tendenziali . Circa poi la dispersione delle forze, essa in realtà non avviene mai in quanto le due formazioni si mantennero sempre a breve distanza fra loro, cercando inoltre di far convergere in un punto predeterminato i loro concomitanti e sconcertanti assalti . «Altrettanto improbabile è che entrambi abbiano tentato l'attacco sul versante meridionale, di difficile accesso (fronte adriatico n.d.A.), molto all'interno del Sannio e dominato dalla fortezza di Saepinum. Non che le cose fossero molto diverse sul Iato nord dove si ergeva la fortezza di Aesernia, ma la situazione da quella parte era diversa, in quanto i Romani potevano tentare di distrarre l'attenzione del nemico con azioni cli disturbo, mentre gli eserciti consolari rimanevano concentrati. È quindi probabile che il doppio assalto abbia avuto luogo all'estremità settentrionale del massiccio, e cioè che i Romani si siano mossi dal Campus Stellatis in direzione del passaggio lungo il versante nord del massiccio del Ma tese, in due colonne ... Livio .. . sostiene che i Romani non incontrarono il nemico prima di raggiungere il Massiccio del Matese ... » 175 • Pur dissentendo dalla inutile macchinosità interpretativa della conclusione, è facile scorgere nella prima parte del discorso quanto da noi affermato in stretta aderenza con Livio e con altri autori: « T due eserciti consolari romani penetrarono nel Sannio: l'uno . .. partendo dalla Campania e passando attraverso i gioghi dei monti; l'altro condotto ... dal mare Adriatico e rimontando il Biferno, per riunirsi dinanzi a Boviano, capitale del Sannio» 176 . In forza di tali premesse tenteremo ora una ricostruzione degli avvenimenti dettagliatamente. Sono innanzi tutto da evidenziare le due famose direttrici d'attacco della campagna del 305: «cum d;versas regiones, Tifernum Postumius, Bovianum 1'1inucium petisset... » 177 , ovvero i due consoli Minucio e Postumio si diressero con i rispettivi eserciti inizialmente, uno verso Boviano e l'altro verso Tiferpo. È a dir poco insensato tradurre Tifernum come il generico Ma tese poiché in tal modo il brano si fa inconcludente ritrovandosi anche Boviano sul massiccio . Ben diverso il significato invece cui assurge qualora Tiferno indichi la fortezza di monte Acero: i due eserciti consolari si diressero così uno verso il fronte adriatico , Boviano, l'altro quello tirrenico, monte Acero, decisi a scardinare il sistema difensivo sannita mediante un ennesimo poderoso attacco combinato. Ciò premesso gli eventi bellici sembrano ostentare la seguente scansione: «L'anno 305 a.C., dunque nelle vicinanze di Tiferno il console Postumio viene a battaglia con i sanniti, ma non raggiunge una vittoria decisiva o finge di non essere padrone del campo: riesce ad ingannare il nemico col ritirarsi in un luogo elevato ... >> 178 • Tn merito al luogo elevato ci sembra a questo punto coerente individuarlo lungo

173

Cfr. Idem. Cfr. E .T. SALMON, Il Sannio ... cit. p. 254. 175 Ibidem . 176 Cfr. T. MoMMSEN, Storia di Roma ... ci t.. p. 464. 177 Cfr. T. L1v10, Storia ... cit. Lib. IX-44. 178 Cfr. G. V E RRcCC HtA, Pagine non chiare ... cit. p . 73 . 174


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la citata congiungente, forse non molto lontano dalla cima di Cominio o da quella di Morcone, tant'è che i sanniti tengono una vigile sorveglianza intorno al campo romano, presumibilmente fortificato. Nel frattempo l'altro console aggirata l'estremità settentrionale del massiccio puntò verso la valle del Tammaro, accampandosi al di sotto di Boviano, distando così una trentina di chilometri da Postumio. Distanza non eccessiva superabile rapidamente tramite il comodo tratturo delle Puglie: sei o sette ore al massimo cli marcia. La situazione determinatasi a questo punto vede due accampamenti romani simmetricamente bilanciati da una identica e contrapposta distribuzione delle forze nemiche, pronte in entrambi i luoghi all'imminente doppio confronto, sicure della loro adeguatezza. Postumio però nel corso della notte, che garantisce in zona d'estate almeno sette ore cli oscurità, con una rapidiS'sìma marcia forzata, resa maggiormente tale dall'abbandono al campo del pesante equipaggiamento d'ordinanza, trasferisce una grossa aliquota del suo esercito, lasciandosi però una parvenza di normalità alle spalle nel suo campo, onde continuare a bloccare i sanniti. Aggregate le sue forze a quelle di Minucio, come certamente concertato in precedenza, e squilibrate per conseguenza quelle avversarie, che vengono ad essere loro ora paradossalmente disperse e quindi deboli in proporzione dove sarebbero state necessarie, scaglia l'attacco finale. Pur essendo stato ipotizzato il ricongiungimento delle forze romane mediante l'impiego della strada trasversale matesina, la fattibilità dello stesso ci sembra improba, e per la difficoltà di una marcia notturna in montagna, ed in pieno territorio nemico, peraltro poco noto, con una durata complessiva minima di almeno nove ore, e per la rischiosissima situazione a cui si sarebbero esposti i romani in caso di disorientamento o peggio cli avvistamento da parte sannita fra gli impervi sentieri, già da tempo in stato di allertamento. Pertanto anche in considerazione che in tal caso trovandosi un esercito presso Allifae ed un altro presso Boviano la separazione sarebbe stata effettiva, a differenza della nostra ricostruzione, nella quale gli accampamenti risultano sostanzialmente adiacenti e comunque privi cli ostacoli intermedi, ci sembra in definitiva una ipotesi da scartare. «Quando dunque, i Romani di Minucio e i Sanniti sono ormai stanchi, Postumio interviene nel combattimento e sbaraglia i Sanniti e ne fa strage, perché li assale quando, dopo una buona mezza giornata di lotta, sono quasi del tutto esauriti ... cade prigioniero anche il comandante (sannita) Stazio Gellio. Ottenuta, con la nuova vittoria, maggiore libertà di movimento, i due consoli ... investono e prendono ... in breve tempo la città di Boiano» 179 • «La perdita del loro valoroso condottiero e della capitale dei Pentri furono colpi molto duri per i Sanniti, ma ciè/non significa necessariamente che essi erano stati annientati. La facilità degli spostamenti all'interno poteva ancora essere sfruttata ed i Romani si dovettero rendere conto già alla fine dello stesso anno (305) di non aver ancora inferto una ferita mortale ai loro nemici. .. I romani quindi non potevano imporre la pace, ma, d'altro lato, non avevano neppure ragione dì temerla. Non era certo che essi sarebbero stati in grado di sconfiggere i Sanniti fra le loro montagne, anzi, non era sicuro neanche che avrebbero potuto impedire che prima o poi dilagassero nelle regioni vicine ... Quindi i Romani erano inclini ad accogliere qualunque richiesta di pace i Sanniti avessero avanzato. Ed i Sanniti erano a questo punto disposti a concludere un trattato: stanchi di combattere, scoraggiati per la perdita di Gellio e di Bovianum, essi erano inoltre di nuovo piuttosto allarmati per la situazione nel Sud ... Era anche evidente che per il momento non potevano sperare in una completa e incondizionata vittoria ... Anche se avessero potuto tenere a bacia i Romani indefinitamente era chiaro che non li avrebbero potuti sottomettere. D'altro lato, potevano sperare di negoziare la pace sulla base dell'uti possidetis, evitando così sacrifici territoriali» 180 • In realtà cessioni territoriali ve ne dovettero essere senz'altro specie nella valle del Liri, per tacere di minori ma pur sempre dolorose e sintomatiche 181 . Unica consolazione fu che: «le fortezze sannite erano sostanzialmente salve, anche Bovianum, dato che i Romani non intendevano tenerla ... Deve essere stato con un misto di frustrazione, timore

179

Cfr. G.

Pagine non chiare ... cii. p. 75. li Sannio ... ciL., p. 257. Si trauava infatti del progressivo ed irreversibile accerchiamento del massiccio, privato dei suoi basilari "sensori" avanVERREc c1-11A,

°Cfr. E.T.

18

181

zati.

SALMO N ,


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e calcolo che i Sanniti conclusero la pace del 304, divenendo ancora una volta "amici" dei Romani ... » 182 •

La terza guerra sannita È di tutte le tre quella meglio documentata dalle fonti, con una meno arbitraria ed enigmatica localizzazione topografica, pur ricalcando nelle li nee generali la seconda. Potrebbe pertanto considerarsi addirittura un completamento strategico della concezione informatrice della precedente, da ambo le parti. Infatti i sanniti: «sfruttarono le loro linee interne, mentre i Romani svilupparono i propri attacchi su due fronti, dall'Apulia ad est e dal medio Liri e dalla Campania settentrionale ad ovest» 183 • La nuova fase di conflittualità fu avviata da una sortita romana nell'area di Boviano, tesa ad alleggerire la minacciosa pressione sannita in Lucania, intento pienamente conseguito dal console Fulvio Massimo nello stesso 298. Roma però esigeva un'affermazione più incisiva e definitiva sui suoi irriducibili avversari, e perciò l'anno seguente entrambi i consoli, Fabio Massimo e Decio Mure, condussero i rispettivi eserciti nel Sannio. Fabio raggiunto il territorio alifano, sulla piana del Titerno sottostante monte Acero, si batté con le forze sannite (episodio descritto nella scheda di monte Acero) riportandone una netta vittoria, costringendo i superstiti a rientrare velocemente sulle aspre balze del Matese dalle quali erano discesi. Il prosieguo dell'operazione comportò il congiungimento delle due armate romane e la conquista di Benevento, nei cui paraggi si attendarono per cinque mesi. Immaginabile l'apprensione e l'impotente rabbia dei sanniti che: «fece(ro) i più poderosi sforzi per porre in campo tre eserciti insieme. L'uno era destinato alla difesa del proprio territorio, il secondo all'invasione della Campania, il terzo e più forte all'Etruria. Infatti nell'anno 458 ( = 296) quest'ultimo ... arrivò illeso nell'Etruria ... Quando giunse a Roma la notizia che ai Sanniti era riuscito di render vani tutti gli immensi sforzi fatti per separare gli Italici settentrionali da quelli del mezzogiorno, che l'arrivo delle schiere sannite nell'Etruria era divenuto il segnale di una grande sollevazione contro Roma ... ogni cuore si scosse» 184 • Tralasciando di rammentare i dettagli dell'epica campagna in quanto non strettamente pertinenti alla nostra ricerca, evidenzieremo soltanto che lo scontro risolutivo fu disputato a Sentino, nei pressi di Sassoferrato, nella valle dell'Esino nel 295 a.C. Per l'ascesa di Roma si trattò di una cleI!e principali tappe formative, per il Sannio e gli alleati in genere dell'inizio della fine.

Mentre le sorti dei tenaci contendenti stavano per essere sancite dalle armi a Sentino, la II e la IV legione nel disperato tentativo di mitigare il fatidico impatto, effettuarono incessanti azioni diversive nel sud, logicamente nella regione del Matese. Un nuovo pesante urto avvenne nella piana del Titerno, con una altrettanto ripetitiva fuga dei sanniti, sopraffatti dai legionari di Volumnio, sganciamento terminato fra le sicure montagne fortificate. E qui ricomposte e rinsanguate le schiere, mossi da una identica finalità dei romani, i rozzi montanari si proiettarono in un temerario assalto alla Campania. <<Dal Sannio pentro, dunque, p roprio quando si combatteva sui campi di Sentino o subito dopo, partirono due eserciti per fare un altro tentativo d'invasione della Campania, l'ultimo di quell'anno. Un esercito scese dal Matese, zona cli Alife o di Tiferno, o di entrambe e, attraversato il medio Volturno, invase ... il territorio vescino e falerno ... un altro esercito si riversò nella conca cl' Isernia, giù per la valle superiore del Volturno, donde si affrettò a congiungersi col primo. Il pretore Appio Claudio, con l'esercito di Decio Mure, morto a Sentino, poté correre a fronteggiare le legioni sannite nella zona d'Isernia; Volumnio ... accorse dalle posizioni occupate nella zona forse dei Tifata: i Sanniti

182 183 184

Cfr. E.T. SAL MON, //Sannio ... p. 258. Cfr. E.T. SAL MON, // Sannio ... cit. p. 275. Cfr. T. MoM MSEN, Storia di Roma ... cit. pp. 469-470.


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allora, per non restare chiusi in una morsa . .. furono costretti ad indietreggiare verso il territorio caleno e stellatino: lì si combatté con accanimento, ma la vittoria fu dei Romani» 185 • Il 294 trovò romani e sanniti, ormai chiaramente consci dell'approssimarsi del momento risolutivo, intenti ad approntare una serie di preparativi logistici e tattici per l'imminente confronto. Le legioni pertanto rioccuparono l'Italia centrale, garantendosi al contempo le spalle con campagne minori che però determinarono l'uscita dalla scena storica degli etruschi e degli umbri. I sanniti parimenti mobilitarono tutti gli uomini validi formando uno speciale contingente, noto con il nome di Legione Linteata, cosiddetta per le uniformi bianche, forte di almeno I 6.000 soldati fanaticamente determinati di vincere o morire. ,..Nel 293 prese le mosse l'ultima mitica battaglia, allorché i romani secondo uno schema ormai classico e reiterato, da due distinte direttrici: «inviarono entrambe le armate consolari nell'area di confine fra Lazio, Campania e Sannio .. . Gli eserciti sanniti erano rispettivamente concentrati nelle fortezze di Cominium e di Aquilonia .. . » 186 • In merito alla probabile identificazione di Cominio abbiamo già trattato a suo tempo; per quella invece di Aquilonia è necessario aprire una parentesi, ricordando che doveva trovarsi in un raggio di 20 miglia romane da Com in io e non lontano da Boviano, parametri che consentono efficaci riscontri probatori . L'attuale ricerca archeologica tende a localizzare nei poderosi ruderi esistenti su monte Vairano, non lontano da Campobasso, la misteriosa Aquilonia : ebbene monte Vairano dista in linea d'aria 26 km . da monte Cigno, e 14 km . dalla Civita di Boiano, vicinanze che se non possono di per sé confermare l'ipotesi , di certo non la smentiscono . «L'abitato di Monte Vairano può considerarsi una acquisizione recente per la conoscenza archeologica del Sannio. Prima dell'indagine topografica preliminare effettuata tra gli anni 1970-73, non si hanno che poche notizie ... Per l'abitato di Monte Vairano si può cominciare a parlare di schema di urbanizzazione; il nostro centro infatti sembra ricalcare quello canonico della urbs iustae con tre porte ed inoltre presenta chiaramente tracce di arterie stradali che paiono rispondere ad una logica di urbanizzazione ben precisa ... è stata proposta l'identificazione con Aquilonia ... È proprio sulla base ... di Livio ... che viene fatta la sua identificazione . .. (Infatti l')elemento topografico più importante che si ricava ... è la fuga della nobilitas equitatesque verso Bovianum da cui si evince che Cominium, ma soprattutto Aquilonia andrebbero cercate nei pressi di questo centro così come .. . proposto dal Mommsen . .. Monte Vairano, sia per collocai ione topografica che per dimensioni meglio degli altri può identificarsi con Aquilonia . .. Nel 1975 si è (dopo la deforestazione del perimetro di cinta) .. . avuto modo di riconoscere quasi tutto il circuito delle mura stabilendo che le stesse percorrono 2.9 km . racchiudendo un'area di 49 ettari» 187 • Ciò premesso l'episodio conclusivo ostenta un sincronizzato assalto alle due piazzeforti sannite, la cui espugnazione dà il via allo smantellamento della fronte adriatica e meridionale della regione fortificata del Matese, che in breve collassò. «Quodcumque Comini inciperetur remittereturque, omnium rerum etiam parvarum eventus pro.ferebalur in dies. Altera Romana castra viginti milium spatio aberant et absentis collegae consilia omnibus gerendis intererant rebus>> «Di tutto quello che a Cominio si faceva o non si faceva, di ogni avvenimento anche di piccolo conto si teneva informato, giorno per giorno, l'altro accampamento romano . Esso distava venti miglia ed il console lontano partecipava a tutte le decisioni sulle iniziative da prendere» 188 •

Esemplare ed esplicita la perfetta coordinazione dei due eserciti frutto senza dubbio delle innumerevoli esperienze precedenti, alcune delle quali da noi ricordate, tipica della migliore prassi mili-

185 186 187 188

Cfr. Cfr. Cfr. Cfr.

G. V E RR ECCHIA , Pagine non chiare ... cit. pp. 198- 199. E.T. S ,,LMO K, Il Sannio ... cit. p. 287. A. L, R EG INA , Sannio Peniri ... , cit., pp. 321 -327. T . L 1v1 0 , S1oria ... cit., Lib. X -39.


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tare: «Per la riuscita dell'attacco la difficoltà maggiore sarà quella che gli sforzi siano contemporanei. In caso diverso il difensore dalle sue posizioni preparate, ed ordinariamente vantaggiose avrà modo di respingere successivamente i varii attacchi» 189 • Il console Spurio Carvilio Massimo attestato saldamente innanzi Cominio perciò mantenne a mezzo staffette un ininterrotto consulto operativo con il collega sotto Aquilonia, procedura che implicitamente conferma la totale padronanza romana del territorio vallivo circummatesino. «L. Papirius, iam per omnia ad dicandum satis paratus, numtium ad collegam rnittit sibi in animo esse postero die, si per auspicia /iceret, confligere cum hoste; opus esse et illum quanta rnaxima vi posset Cominium oppugnare, ne quid faxamenti sit Samnitibus ad subsidia Aquiloniam mi/tenda. Diem ad profiscendum nuntius habuit; nocte rediit approbare col/egam consulta referens. » «L. Papirio, che aveva ormai compiuto tutti ì preparativi per la battaglia, manda un messo al collega per informarlo che egli ha deciso di venire alle mani, se gli auspici saranno favorevoli, con il nemico il giorno seguente; molto opportuna sarebbe stata un'azione in gran forza di Carvilio contro Cominio che impedisse a quei Sanniti di mandare aiuti ad Aquilonia: il messo eb be un giorno intero per il viaggio di anelata e ritorno: ritornò nella notte e riferì che il collega approvava il piano di Papirio» 190 •

La resistenza strenua e valorosa opposta ad Aquilonia dalla legione linteata si rivelò insufficiente, non potendo tra l'altro fare affidamento sui rinforzi bloccati a Cominio da Carvilio. Inevitabile il crollo della difesa: i superstiti e quanti erano ancora in grado di farlo abbandonarono precipitosamente Aquilonia e si rifugiarono a Boviano. Le truppe vittoriose romane si lanciarono all'interno della città che dopo la devastazione finì incendiata: alcuni reparti cli cavalleria inseguirono i fuggiaschi pervenendo alla base della fronte adriatica, priva per l'astuta tattica romana di adeguate guarnigioni. Infatti venti coorti sannite nonostante tutto erano state fatte partire eia Cominio in aiuto di Aquilonia, ma si erano allontanate solo di sette miglia quando profilandosi un incombente disastro alla stessa Cominio, furono richiamate. In concreto non poterono aiutare né l'una né l'altra città, ed addirittura non entrarono nemmeno in contatto con i romani! Eliminate quindi le due piazzeforti, neutralizzate le truppe della difesa niente più si opponeva ad una definitiva distruzione ciel dispositivo sannita: vennero perciò assaltate le leggendarie cittadelle montane, una dopo l'altra, a cominciare dalla celebre Saepinum, la cui epica resistenza fu in breve vanificata, con innumerevoli morti. Il colpo cli grazia si ebbe al sopraggiungere delle legioni di Carvilio in zona, reduci dal successo di Cominio, che avanzando lungo la valle del Tammaro per ricongiungersi con quelle di Papirio, annientavano schiacciando gli ultimi centri sanniti, probabilmente evacuati poco innanzi. Caddero così Hercolaneum, da identificarsi con Campochiaro sede dell'omonimo santuario, Palumbinum il cui toponimo sopravvive forse in alcune alture fra Sepino e Boiano dette Costa Palumbaro, ed altri villaggi irreversibilmente scomparsi. «Fu un successo tanto decisivo quanto celebrato. L'aver espugnato il sistema di fortificazioni della regione di Aesernia (più esattamente del Matese n.d.A.) significava aver annientato le difese del più cruciale dei confini del Sannio» 191 . A questo punto la narrazione di Livio esaurisce la prima decade. Disgraziatamente la seconda è andata persa: impossibile perciò dedurre dalla stessa fonte la conclusione ultima della terza guerra sannitica, che comunque non tardò molto. Per quello che è lecito arguire dagli altri autori, sembrerebbe che gli anni immediatamente seguenti furono occupati da una minuziosa eliminazione cli ogni struttura militare organizzata da parte dei romani nel Sannio conquistato: e sarebbe del resto fin troppo logico e conseguenziale.

189

Fort(ficazioni campali, To rino , 1904, p. 191. Storia ... cic.., Lib. X-39. Cfr. E .T. SALMO N , Il Sannio ... cit. p. 284. Cfr. E.

° Cfr. T .

19

191

Rucc H1,

l 1v 10 ,


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La «pace» risulta stipulata nel 290 a.C. dopo una ennesima fiammata di disperata guerriglia, facilmente domata. Infatti riguardo a questa fase estrema del conflitto è stato asserito che: «persino dopo ... (la) grave sconfitta la lega sannitica si difese per lunghi anni ancora contro i sempre più potenti nemici con una perseveranza senza esempio, nelle sue fortezze e nelle sue montagne e riportò qua e là parecchi vantaggi» 192 • Si trattava però quasi certamente di guerriglia disorganizzata ed allorché l'ultimo capo di un certo prestigio, Gavio Ponzio, fu giustiziato dai romani ed il quarto trattato ratificato, una angosciosa tregua regnò sulle inaccessibili montagne. Tuttavia inspiegabilmente o proprio perché come sistema fortificato non costituiva più alcun pericolo concreto, il Sannio fu lasciato ancora abbastanza integro e forse la stessa Lega Sannitica sopravvisse.

La guerra di Pirro La conclusione della terza guerra sannitica aveva lasciato dietro di sé i consueti strascichi di rancore, odio e rabbia impotente pronta a scatenarsi alla prima occasione propizia. Né la dominazione romana era fatta per mitigare i sentimenti di rivalsa: i sanniti infatti dopo breve tempo erano più decisi che mai a scrollarsi di dosso il giogo di Roma, forse più per una atavica abitudine che per una credibile valutazione militare. E l'occasione si presentò alquanto rapidamente, corrispondente ad una delle ricorrenti congiunture nelle quali l'Urbe si ritrovò impelagata, minacciata da vecchi e nuovi nemici. Occasione insperata ed oltremodo propizia per riaprire le ostilità. Il segnale di avvio fu dato dalla tremenda disfatta patita dai romani intorno al 284-283 a.e. nei pressi di Arretium, dove ad opera dei galli senoni l'esercito del console L. Cecilio Metello fu annientato. J sanniti non attesero oltre e una nuova guerra divampò protraendosi fino al 272. Per la lunghezza e per la rilevanza degli scontri a buon ragione sarebbe dovuta passare alla storia come quarta guerra sannitica: invece ci è pervenuta come guerra di Pirro, segno inequivocabile che i sanniti non costituivano più per i romani nemmeno un nemico degno di tale qualifica. Quanto a Pirro la sua notorietà è legata quasi esclusivamente al dileggio delle sue «vittorie», ed in effetti trattavasi probabilmente di un avventuriero occasionale. Purtroppo sulla successione fattuale del conflitto, nel quale i sanniti, che indubbiamente si batterono secondo il loro solito strenuamente e valorosamente, ebbero un ruolo marginale, pochi dati attendibili ci sono stati tramandati. È da credere che essendosi estrinsecato nel meridione si sia dipanato sulla falsariga dei precedenti almeno per il Sannio, ad onta delle ancor recenti distruzioni. La indomita e feroce guerriglia dei montanari subì però una efferata rappresaglia romana allorché, per l'abbandono dell'Italia da parte di Pirro, restò la sola a sostenere le ostilità. «Per i Sanniti le condizioni della pace furono molto più dure che per i Lucani, i Tarentini e i Bruzi. .. : essi dovettero cedere altre zone del loro territorio e sciogliere la loro lega, nonché questa volta perdere la loro unità interna, in quanto i Romani, che in passato si erano posti lo scopo di accerchiarli, decisero invece ora di smembrarli ... I Pentri furono costretti a cedere territori lungo il confine occidentale della loro regione. Allifae divenne una praefectura ... Aesernia divenne una colonia latina (263 a.C.) ... Come ulteriore misura precauzionale contro una possibile ripresa delle ostilità da parte dei Sanniti, probabilmente i Romani li costrinsero anche a smantellare le loro fortificazioni in varie parti del Sannio e a trasferire in zone meno imprendibili alcune delle loro (cittadelle) ... (per cui) la Telesia romana di epoca posteriore era situata più a valle rispetto al Monte Acero (rispettivamente quota 50 e quota 730 n.d.A.) ... Saepinum era stata trasferita più in basso (da quota 953 a quota 500) e anche Bovianum non era più in cima alla montagna (da quota 717 a quota 400) ... Allifae venne spostata più a valle lungo le pendici del Monte Cila (da quota 670 a quota I I O)» 19 3 . La dura condizione esistenziale riuscì a domare per qualche tempo gli irriducibili guerriglieri, tant'è che l' epopea decennale di Annibale - il quale più volte sollecitò il loro aiuto con promesse, mi-

192 193

Cfr. T. ]\.foMMS EN, Storia di Roma ... cii. Lib. Il p. 472. Cfr. E .T. SA 1.MON, li Sannio ... ciL. p. 305.


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nacce e rappresaglie - non li coinvolse in una ennesima disperata avventura. Eppure molte operazioni del Cartaginese ebbero per teatro le loro montagne. Polibio ad esempio narra il passaggio di Annibale attraverso gli angusti sentieri snodantisi sul monte Eribiano 194 : trattasi senza ombra di dubbio della descritta mulattiera che collegava le pendici di monte Acero al perimetro del Matese, e che correva alla base del monte Erbano, scavalcando il torrente Titerno prima sul ponticello detto di Fabio Massimo poi su quello detto di Annibale - appunto - con esplicita allusione ai due personaggi coevi. Alla fine della guerra però i Pentri in premio della loro fedeltà non sembrano aver goduto di un particolare trattamento!

La «soluzione finale» di Silla È indispensabile per concludere la nostra ricostruzione storica della regione fortificata del Matese, ricordare per grandi linee la conclusione "ufficiale" del problema sannita, sebbene esuli dalla stretta logica dello studio. Nel 91 a. C. scoppiò la ribellione di una vasta aliquota delle popolazioni non romane della P enisola contro l'intollerabile egemonia della Città. I sanniti questa volta non riuscirono a restare inerti, attirandosi di conseguenza le più crudeli e spietate rappresaglie. Un episodio ci preme evidenziare di questo tragico tramonto, relativo alla loro concezione politica, frutto dell'intesa con gli alleati del momento. «Gli italici avevano come loro capitale Corfinium, città molto grande e notevole, ultimata solo di recente ... Chiamarono la loro capitale ltalia» 195 . Evidente quindi come la loro capitale volesse in un certo senso travalicare i singoli nazionalismi etnici, senza porne nessuno ad un livello dominante per dare vita ad una nazione federata. Nell'89 Silla invade il territorio sannita propriamente detto partendo da Benevento, con conseguenze disastrose per la regione. La guerra sociale sfociò poi in guerra civile con connotazioni se possibile ancora più atroci e brutali.

Il genocidio ebbe inizio dopo la battaglia di Sacriportus (82 a.C.) presso Signa: i prigionieri sanniti per ordine di Silla vennero massacrati, efferatezza che determinò nei restanti una più convinta volontà di resistenza estrema . Nel novembre dello stesso anno a Porta Collina, vicino alla confluenza dell' Anio con il Tevere, si combatté l'ultima feroce battaglia, che assegnò nuovamente la vittoria a Silla: migliaia, forse 8000, di prigionieri sanniti furono passati per le armi. E non era che l'inizio: persino sulle montagne furono inviati reparti speciali con il preciso compito dello sterminio indiscriminato della razza italica. «II tentativo di Silla di cancellare i Sanniti naturalmente non riuscì: come scoprirono i Turchi in Armenia nel corso della prima guerra mondiale e come i Tedeschi contro gli Ebrei nel corso della seconda, il genocidio è più facile da programmare che non da perpetrare ... e la regione montuosa offriva rifugi e nascondigli. .. » 196. Di certo la fig lia di Silla, Fausta Cornelia, prese in seconde nozze un marito sannita! La guerra finì così per sempre, ma la guerriglia partigiana prima ed il più spiccio brigantaggio poi, agevolati dalla impervietà dei siti, dalla continua pratica delle armi, dalla incapacità cli un inserimento alternativo e non ultimo dall'attraente ricchezza dei nuovi centri urbani vallivi eretti dai romani, si endemizzarono ad onta della propaganda ufficiale che sbandierava l'avvenuta epurazione e pacificazione dell'intera regione. Si dovette perciò creare in breve una "cintura" di contenimento circummatesino costituita eia città fortifi cate che bloccassero con la loro presenza e con i loro presidi militari la fuoriuscita incursiva di predoni e briganti, stabilmente ed impunemente insediati all'interno ciel massiccio. L'antica "fortezza" del Matese si trasformò gradatamente in una sorta di gigantesco carcere, un ghetto nel quale restarono confinati gli irriducibili ed irrecuperabili sopravvissuti e discendenti dei guerriglieri sanniti.

194 195 196

Cfr. PoL IBIO , a cura di G.B. CA1100NA , Napoli 1968, p. 303. Cfr. E.T. SALMON, // Sannio ... cit . p. 365. Cfr. E.T. SA1.MoN, Il Sannio ... ci t . p. 394.


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Lungo le pendici del Matese si eressero in rapida successione e con logica scansione, che riproduceva in sostanza le ubicazioni delle arcaiche rocche d'altura, le nuove cittadine, precedentemente già ricordate. Lineari nella loro trama urbanistica, alcune di esse erano colonie militari propriamente dette, altre dei municipia, altre infine delle praefecturae: identici in ogni caso i fi ni consistenti nello sfruttare razionalmente i fertili terreni irrigui ormai disponibili e bloccare al contempo ogni possibile iniziativa insurrezionale e comunque razziatoria dall'interno del massiccio . «Due vie teneva Roma per associare la sua signoria nel paese dei vinti, cioè una viabilità bene sviluppata ed il dedurre in esso delle colonie che somigliavano a vigili scolte che tenevano ad occhio i movimenti dei popoli conquistati» 197 . Le colonie quindi fungevano da caposaldi strategici, già in grado autonomamente di stroncare tentativi cli rivolta, ai quali neì casi peggiori l'esercito romano avrebbe proficuamente potuto appoggiarsi nel corso delle operazioni. fndispensabile pertanto, specie supponendo un contesto iniziale d'inserimento per lo più ostile, l'impiego cli congrue fortificazioni perimetrali. T ra l'altro le colonie consentivano lo smaltimento di gruppi di popolazione romana altrimenti indigenti e quindi potenzialmente pericolosi, verso aree in grado cli assorbirli e mantenerli . Ne conseguiva in definitiva che le colonie: «furono gli strumenti della penetrazione romana nel territorio italico . .. (essendo anche) il presidio dei confini ... (e) Cicerone non esita a definire (le stesse) "non oppida .ltalie, sed propugnacula imperii" . Le colonie nelle fitte maglie dell'insediamento italico formato da comunità romanizzate o non ancora romanizzate, costituirono una scacchiera di caposaldi, che si moltiplicarono con l'allargarsi delle conquiste penetrando nel vivo delle strutture delle varie regioni, non come statiche cittadelle militari, ma come elementi dinamici e propulsori di ogni progresso economico e sociale .. . » 19s. Una conferma esplicita alla nostra supposizione circa la "cintura" contenitiva circummatesina si desume proprio dalla tipologia delle fortificazioni perimetrali delle più volte ricordate cittadine. Queste infatti appaiono sotto il profilo tecnico inadatte a sostenere un regolare assedio coevo per la leggerezza strutturale con cui ven nero erette, e basti al riguardo osservare che la sezione media delle loro cortine resta contenuta fra il m. 1.5 e 2. D'altro canto invece ostentano sofisticazioni d'impianto e soluzioni architettoniche lontanissime dall'essenzialità richiesta da un semplice ornamento urbano . Dunque non idonee alla guerra ma al contempo eccessive come abbellimento municipale debbono necessariamente collocarsi fra le necessità di una indispensabile protezione antincursiva o più genericamente antiguerrigliera. Poiché in virtù della loro ottima fattura tali fortificazioni ci sono pervenute in discreto stato di conservazione, salvo quella di Isernia e quella di Boiano , ci sembra coerente con la nostra trattazione fornirne alcuni ragguagli, desumendosi così più oggettivamente quanto da noi ipotizzato sulla chiusura del Matese in età romana .

AESERNIA -

Isernia

Fu la prima delle colonie romane circummatesine, risalendo la sua deduzione al 263 a . C. Si trattò di una priorità imposta dalla dinamica degli eventi, essendo il sito prescelto il più settentrionale del massiccio e quindi il più vicino agli assi viari da poco costruiti . Come già ricordato in precedenza a causa della sismicità altissima dell'area, per giunta da sempre di notevole valore strategico, innumerevoli ed estese devastazioni - naturali e belliche - si abbatterono sulla cittadina, l'ultima delle quali alla fine del 1943, lasciandoci radi lacerti della sua fortifi cazione perimetrale. Tuttavia per la particolarissima configurazione d'impianto , strettamente aderente al ciglio tattico, è possibile sulla loro esigua scorta una attendibile ricostruzione ideale della cinta in epoca romana. «Isernia sorge a 470 metri sul livello del mare su d i uno sprone costituito nella parte più alta di travertino, nella parte centrale di materiali alluvionali e in quella terminale d i calcare. La collina è

197

198

Cfr. M . I ANNA<; GH INO, S1oria di Telesia, Benevento, I 900, p. 38. Cfr. G. Sn11v1 11;tn , Le antiche sedi scomparse, Firenze, 1970, p . 80.


137

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124 125

124. Isernia: resti della murazione poligonale. 125 . Isernia: resti della murazione poligonale.


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126. Isernia: resti della murazione pol!gonale. 127. Isernia: resti della murazione poligonale.

126

127


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129 128. Isernia: resti della murazione poligonale. 129. Isernia: podio di tempio italico.

circondata da due profonde e ripide valli formatesi dall'erosione dei fiumi Carpino ad Est e Sordo a Ovest ed è guardata a distanza da una chiostra di alti monti. Già da questa sommaria descrizione si può intuire come la posizione di Isernia sia particolarmente felice dal punto di vista difensivo e ... da quello viario poiché la città si trova alla confluenza di strade che la pongono in diretta comunicazione con Roma, l' Adriatico, la Campania e la Puglia. La conformazione del terreno ha determinato di conseguenza la particolarissima topografia della città, stretta allungata, quasi sinuosa, che trova riscontro non con i tipi urbanistici romani ma preromani ... » 199 • Delle sezioni superstiti della murazione, come accennato solo brevi segmenti, la più interessante è quella presso l'angolo sud-est della vecchia città, pervenutaci per un'altezza di quattro filari di blocchi, ad andamento prossimo all'opera isodomica. Trattasi in realtà di un poligonale della TII maniera, tipologia che si può applicare anche alle restanti sezioni, con una logica deduzione di trovarsi così in presenza dei ruderi non certo della fortificazione arcaica ma del suo rifacimento romano, non esulando tale tecnica bellissima delle loro tradizioni nel periodo repubblicano, riprova indiretta della loro paternità d'impianto. Altri segmenti sono identificabili presso la distrutta chiesa di S. Maria delle Monache, e quindi nei cantinati di abitazioni adiacenti piazza Trieste e Trento ed ancora nelle costruzioni del palazzo Centuori ed altri ancora di minore entità ma pur sempre fondamentali ai fini della ricostruzione del perimetro . «La datazione delJa cinta in opera poligonale si può stabilire nella prima metà del lll sec. a. C. sia perché la deduzione coloniale risale al 263 a. C. sia perchè le mura di Amelia, di Norba, di Alatri, e di Cosa, confrontabili con le nostre, sono tutte della fine del IV inizio del lll sec. a. C .. I tratti in opera quasi quadrata sono sicuramente restauri posteriori databili forse all'epoca delle guerre sociali che videro Isernia fortemente impegnata nella lotta. La struttura interna della città è particolarmente incerta e problematica ... »200 • È infatti osservabile ed individuabile con sicurezza unicamente un frammento di podio di un tempio italico inglobato nel lato destro della cattedrale d'Isernia, quasi al centro della città.

199 200

Cfr. A. Cfr. A.

PASOUA L LNL, PAsQUALLNL,

Isernia, in Studi di Urbanistica Antica, Roma, 1966, p . 79. Isernia ... cit. p . 82.


140

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130 130. Allifae: foto aerea dettaglio (l.G.M.I.).

/

ALLIFAE - Alife, (CE) Allifae romana fu fondata sulla piana sottostante l'antica cittadella sannita del monte Cila, con la deduzione cli una colonia in età triumvirale (I sec. a. C.), probabilmente di veterani cli Silla. Già in precedenza era stata una praefectura sine suffragio. Nel secondo triumvirato poi una seconda colonia, maggiore per numero della prima vi sarebbe ulteriormente stata insediata, accentuando la romanizzazione del territorio. «Alife moderna conserva gran parte dello schema urbanistico dell' Allifae romana. La pianta urbana, un rettangolo (m. 540 x 405) dagli spigoli stondati è orientata da nord-ovest a sud-est, con le vie interne organizzate ortogonalmente su due assi principali a delimitar e isolati della larghezza costante di m. 50. Tuttora piuttosto ben conservati sono lunghi tratti delle mura di cinta in opera incerta (ed anche quasi reticolata n.d.A.) di calcare, datate all'epoca della colonia sillana , poi sottoposte a restauri in età angioina» 201 • In realtà i restauri, e forse sarebbe meglio parlare di ricostruzioni, iniziarono molto prima, probabilmente dopo il 369 allorché si dovette procedere ad una sostanziale integrazione delle ampie devastazioni prodotte da un catastrofico terremoto. Ancora nel IV secolo quindi, dell'epoca volgare si ritenevano indispensabili le fortificazioni perimetrali, e non certo per paura di un futuro minaccioso, quanto piuttosto per un presente con la solita delinquenza brigantesca! La scansione delle torri che si succedono lungo la cerchia è dell'ordine della trentina di metri e sono di forma cilindrica e quadrangolare alternate; «altre esagonali sono disposte ai quattro angoli ciel

201

Cfr. S.

DE C A RA - A. GR ECO,

Campania, Bari , 1981 , p. 244.


141

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131

131. Pianta della città di Alife (da D. Marrocco).

rettangolo»202. Trattasi tuttavia di aggiunte medievali, proprio in seguito alle accennate rielaborazioni ricorrenti, evidentissime soprattutto nelle porte: «corrispondenti agli estremi ciel cardine e del decumano, (dove) si vede la struttura di opus quadratum , con grossi blocchi parallelepipedi sistemati in filari alternati nel senso della lunghezza e della larghezza ... L'altezza visibile delle mura è di circa sette metri ma il livello della città romana è di circa due metri sotto il piano attuale ... » 203 .

202 203

Ibidem. Cfr. L. SANTORo , For1ificazioni della Campania .. .

c i t.

p. 226.


142

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132. Pianta di un accampamento romano.

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132 /

Relativamente alle peculiarità militari, è da segnalare lo spessore poco rilevante, non eccedente i due metri, ed una sostanziale affinità informatrice con quella di Saepinum, fortificazione perimetrale che sebbene posteriore a questa ne conserva i pregi ed i limiti. Non è al presente ipotizzabile in alcun modo l'esistenza originaria di un fossato di circumvallazione, peraltro compatibile con i corsi d'acqua limitrofi.

TELESIA - S. Salvatore Telesino, (BN) La colonia di Telesia fu impiantata alla base di monte Acero in logica correlazione sostitutiva e neutralizzati va. Il Liber Coloniarum la elenca come deduzione sotto i triumviri ma è molto probabile che sia anche precedente a tale epoca, come vedremo . I resti delle sue mura urbiche, per completezza di circuito ci sono pervenute ben conservate, continue ed abbastanza leggibili nella loro concezione: ed è proprio quest'ultima che ne costituisce no n solo la particolarità specifica, ma addirittura l'eccezionalità fra tutte le colonie romane peninsulari, vantando peraltro pochissimi esempi analoghi nel resto dell'impero . La singolarità della fortificazione perimetrale telesina è insita nell'essere formata da una serie di segmenti arcuati, con la concavità verso l'esterno, quasi una sorta di catenaria chiusa. Ai vertici dei singoli settori, in posizione apicale vi era innestata una torre, circolare od esagonale per lo più a struttura piena. L'originalissima articolazione della cerchia viene in tal modo a creare in luogo delle tradizionali cortine rettilinee dei "rientranti" i cui "salienti" erano le stesse torri, che permettevano in virtù della configurazione planimetrica una efficacissima difesa di fiancheggiamento, essendo il settore cli tiro di ciascuna di esse di quasi 250°, contro gli abituali massimi di 180°.


143

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133 134

133. Mura romane di Alife. 134. Porta urbica di Alife, rifacimento medievale.

Siamo pertanto di fronte ad una indiscutibile quanto incredibile anticipazione del criterio informatore del fronte bastionato, di almeno I 6 secoli! Aci onta della rilevanza progettuale cieli' opera, pochissimi studiosi ne hanno approfondito l' indagine conoscitiva, ed ancor minori interventi di restauro - esclusivamente conservativo - le sono stati dedicati: basti ricordare che l'area racchiusa dal circuito della murazione è ancora interamente coltivata, e, che nell'anfiteatro, chiaramente riconosci.bile come tale, vi razzolano beatamente vari animali domestici. Per questa fortificazione è valida più che mai la nostra perplessità circa la ragione ultima di essere, esulando assolutamente una simile avveniristica impostazione architettonica militare dalla semplice cerchia turrita di decoro municipale. La singolarità della stessa ci impone una giustificata digressione, al fine di fornire ulteriori dettagli sulla base di un'ottima analisi archeologica architettonica.


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135 135. Telesia: foto aerea intera zona (l.G.M.l.).

<<Le mura rimangono ancora . .. visibili su tutto il loro percorso: questo segue su tutto il lato sudoccidentale e su quello orientale i cigli dei due fossi ... Sull'altro lato invece a nord ovest, la città è aperta verso la pianura e qui il sistema delle fortificazioni si fa più complesso. Le mura sono costruite secondo una tematica del tutto omogenea, in opera incerta o quasi reticolata su nucleo cementizio mentre un ana logo sistema di torri rotonde o poligonali le munisce a distanze regolarizzate su precise posizioni204 •

204 Cfr. L. R1 ccA RD1, Telesia, Ricordi e speranze, Benevento, 1927, pp. 20-23 ed anche cfr. G. iico-storica, ovvero memoria storica della Ciltà di Telese, S. Salvatore, 1775, pp. 21 -22.

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Dissertazione cri-


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136. Telesia: foto aerea - dettaglio (I.G.M .I.). 137. La Rocca di S. Salvatore e Monte Acero, visti da Telesia.

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138. Telesia: pianta della città. 139. Telesia: schema copertura balistica.

Tre sono le porte principali . .. Altre porte secondarie o posterle sono poi ancora riconoscibili in altri punti del tracciato. Tutte le costruzioni sono in calcestruzzo tenacissimo .. . Le mura, spesse 1.7-1.9 m . ed altre ancora, nei punti più conservati, fino a 7 m ., si presentano concave tra torre e torre . .. Questo sistema è seguito fedelmente su tutto il percorso, eccetto nei due tratti in cui il piano urbano è forzatamente stretto sui due fossi e la difesa trova nella morfologia del terreno una natura particolarmente favorevole. Poi il sistema delle fortificazioni si fa proporzionalmente più complesso, man mano che la difesa naturale viene meno: l'elemento più evidente è dato dalla frequenza delle torri che, rade sui due tratti rettilinei così particolarmente dotati dalla natura, sul fosso Trono sono invece messe a catena ad una distanza che varia dai 75 ai 50 m ., mentre sulla fronte della pianura, aperta e senza più la difesa dei bacini lacustri, si serrano ad una distanza che varia dai 45 ai 30 m.: qui anzi al normale sistema delle torri rotonde si alterna quello delle poligonali, esagone, essendo poste, queste ultime a copertura dei punti più vulnerabili . .. quali l'anfiteatro o l'ingresso urbano dell'acquedotto. Delle torri si presentano a corpo pieno quelle sui versanti della pianura, minacciate dall'assalto degli arieti, mentre invece quelle poste sui due fossi sono vuote all'interno, e quindi alleggerite del peso delle masse gravanti sui terreni poco stabilì delle scarpate e degli acquitrini. Per la difesa il cammino di guardia sulle mura, (appare) ... scarso per il doppio senso di ronda, per cui è da ritenere che esso sia stato ampliato mediante l'aggetto interno di strutture ... lignee, attraverso cui dovevano anche avvenire gli accessi a dette mura ed alle torri .. . ampie dai 6 ai 7 m .... sufficienti ali' eventuale postazione di macchine belliche ... Due delle tre porte principali si conservano ... situate al centro di uno dei soliti sistemi concavi dei mesopirgi, protette dall'avanzamento delle torri rotonde. Esse presentano Io schema a doppia chiusura, probabilmente ad arco e caditoia per la saracinesca, con corte intermedia a cielo scoperto ... La strada lastricata in pietra basaltica, è larga m. 2.51 ... » 205 . È da sottolineare che il sistema difensivo di Telesia oltre a ricordare il fronte bastionato concettualmente, sotto l'aspetto operativo si comportava effettivamente come a questo: qualsiasi punto antistante alla cerchia è infatti battibile da almeno altri due di quella che incrociavano così i loro tiri, prassi fino ad allora limitata al massimo a pochi settori delle migliori fortificazioni.

205 Cfr. L. Qu1u c1 , Telesia, Studi di Urbanistica Antica, Roma, I 966, p. 85 e segg.

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140. Telesia: resti delle mura concave. 141. Telesia: panoramica delle mura.

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142. T elesia: innesto di una torre alle cortine. /

«Davanti a tale complesso sistema, viene naturale richiamarsi a ... Yitruvio e Vegenzio ... (ma) essi non sono sufficienti a spiegare una ben maggiore evoluzione, quale è rappresentata da queste fortificazioni. .. e questo modo di condurre le mura a mesopirgi concavi appare ... unico nel suo genere ... Anche quanti si sono interessati in genere di opere militari antiche, e particolarmente romane, hanno costantemente ignorato ... Filone di Bisanzio, che nel suo trattato svolge esplicitamente questo argomento ... (e) troviamo un così diretto e completo raffronto col nostro ... che questo non può non appartenere ad una tale scuola di ingegneria: non solo nel concetto delle torri a corpo compiuto, come organismi funzionali nella propria autonomia, e non semplici punti cl 'appoggio addossati alle mura ... ma anche ... (il) concetto base ... dato dalle torri avanzate a punzone sulla convessità dei mesopirgi. .. »206. Ne consegue che essendo possibile una esperienza conoscitiva e soprattutto valutativa diretta di simili inusitate impostazioni soltanto assaltandone i prototipi orientali, si deve ipotizzare per le fortificazioni telesine una paternità cli veterani romani reduci da quelle contrade, come per l'appunto quelli sillani. Ciò implica in ultima analisi una preesistenza della colonia rispetto all'epoca del triumvirato, dedotto dal Liber Coloniarum, e quindi una fondazione di pochissimo posteriore alle stragi sillane di sanniti, quando cioè la resistenza in zona avrebbe dovuto essere virtualmente estinta! Si riconferma ulteriormente proprio con la singolarità di tale validissima cinta la predetta conflittualità guerrigliera terminale ancora temibilissima tanto da far riapplicare impianti difensivi sperimentati come efficacissimi. In merito alla trama urbanistica della cittadina, una esatta e dettagliata visione sarebbe possibile

206

Ibidem.


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143 143. Telesia: torre a pianta poligonale.


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144. Telesia: ricostruzione grafica.

dopo una, per molti versi auspicabile, campagna di scavi: per ora invece sussistono solo logiche congetture suffragate da episodici e disarticolati affioramenti.

SAEPINUM (Altilia) - Sepino, (CB) La cittadina romana fu fondata a cavallo del tratturo delle Puglie, nella pianura del fondo valle del Tammaro, immediatamente al di sotto dell'antica omonima sannita, della qua:le anche in questo caso venne conservato il nome. A differenza delle precedenti, in contrasto per giunta con quanto afferm ato dal Liber Coloniarum che la includeva fr a le colonie attribuendone la deduzione all'imperatore Nerone, non fu mai una colonia ma sempre un municipium. Si deve far rimontare la sua originale formazione al Il a.C. intimamente connessa con l'artigianato della lana, e con la pastorizia, più in generale, attività che in definitiva caratterizzano il Matese fino a pochi anni or sono. Quanto invece ci è pervenuto di Saepinum (Altilia), fortificazioni e tessuto urbano, appartengono ad una successiva fase di ricostruzione, culminata forse proprio con la ridefinizione della cinta urbica, eretta intorno all'anno zero.


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145. Sàepinum-Altilia: foto aerea (l.G.M.I.).

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Il perimetro della murazione facilmente identificabile anche prima dei sommari restauri del 195253, si estendeva per quasi m. 1250, con una configurazione planimetrica tendente al quadrato, dagli spigoli arrotondati, caratteristica questa comune a quella di Alife e derivante dalla tradizionale pianta degli accampamenti legionari, ed orientati secondo i punti cardinali. Nella cerchia si aprivano quattro porte monumentali - estremi di due assi stradali interni principali fra loro quasi ortogonali - dei quali quello compreso fra porta Tammaro e porta Benevento è il segmento urbano del millenario tratturo. «L'iscrizione ... ripetuta su ciascuna delle quattro porte ... offre un dato cronologico puntuale della costruzione della cinta ... che indica piuttosto l'avvenuta realizzazione dell'opera (o), l'i naugurazione ... (della stessa). In realtà l'edificazione di quest'ultima sembra essersi protratta per mesi, forse per anni, nel corso dell'ultimo decennio del I 0 sec. a.e. Ispiratore dell'impresa appare Tiberio associato al fratello Druso morto nel 9 a.e. li progetto può dunque risalire agli anni immediatamente precedenti, ma non prima, probabil mente, dell'esito vittorioso delle campagne contro i Dalmati ed i Germani conclusesi nell'anno 11 a. C. Questo lasciano intendere le figure dei prigionieri barbari posti ai lati dell'iscrizione sui rinfianchi delle porte .. . L'intervento della casa imperiale testimonia la gradualità del processo di stabilizzazione e di organica definizione dell'assetto territoriale del Sannio nei decenni successivi la conclusione della guerra sociale. Le mura ... restituiscono finalmente all'insediamento un'impronta ed una dignità dichiaratamente urbane. Esse sono pur sempre, però, un'opera attenta di ingegneria militare che si realizza nel disegno stesso della cinta, nell'adozione di torri circolari e poligonali, nella loro distribuzione ad intervalli utili alla difesa, nei ricorsi di feritoie dischiuse in cortina piena, nelle porte munite di corti di sicurezza. L'esistenza di un fossato, pur ipotizzabile, non è però confermata da alcun indizio evidente ...


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146. Saepinum-Altilia: pianta della città (da G. De Benedittis).


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147. Terravecchìa di Sepino vista da Altilia. 148. Saepinum-Altilìa: una delle 4 porte monumentali.


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149 149. Saepinum-Altilia: il cardo, asse viario-tratturo.

Se pure esplicitato nella decorazione delle porte e nelle iscrizioni commemorative è l'intento commemorativo, la cinta assolve efficacemente il ruolo di controllo della linea tratturale assicurando la continuità dei proventi daziari e salvaguardando la comunità dall'eventualità, non rara, d i sommosse e ribellioni armate di pastori ... » 207 • Come dire che alle soglie dell'era volgare il pericolo di razzie di briganti provenienti dal sovrastante Matese, vuoi anche "pastori armati", appariva ancora così frequente e temibile da giustificare e far ritenere dono graditissimo del sovrano alla cittadinanza una cerchia di mura turrite! Al di là della descrizione architettonica delle strutture perimetrali , innalzate in opera quasi articolata di bianch i cubetti calcarei (cubilia) sono interessanti alcuni rilievi di natura m ilitare . Lo spessore delle cortine rimane contenuto tra il m. I .50 ed i m. 2 con un'altezza per quanto attualmente deducibile di circa m. 8-9, al livello del camminamento di ronda. La tenacia del calcestruzzo fra i due paramenti è come al solito notevolissima tale da garantire una sufficiente resistenza a rudimentali tentativi di breccia. Le torri per lo più cilindriche e cave si susseguivano con un intervallo di circa 100 passi (30 m.), interasse congruo con la mutua difesa mediante tiri con l'arco. Nel loro interno sono ancora riconoscibili le suddivisioni per vari piani, m entre unicamente sul terrazzo era possibile la postazione di artiglierie neurobalistiche. Il numero originale delle torri doveva essere d i almeno 40: oggi ne sono visibili quasi la metà. L'innesto con la cortina avviene in prossimità del loro diametro in modo da

207

Cfr.

S Er JKO ,

Archeologia e Continuità, Matrice, I 979, pp. 44-56.


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150 150. Saepinum-Altilia: il decumano.

lasciare esterno al filo del suo estradosso la metà esatta delle stesse, con un aggetto quindi di oltre m. 3, misura sufficiente per un intervento di fiancheggiamento. Una particolare attenzione venne riservata alle porte, realizzate secondo lo schema classico della doppia chiusura, a saracinesca quella esterna ed a doppio battente quella interna, separate da un cortile cli sicurezza scoperto. Esse furono sempre inquadrate fra due torri che ne fornivano la necessaria protezione: rampe di scale mon tanti alle loro spalle consentivano l'accesso al cammino di ronda ed alle camere di manovra della saracinesca. L'impressione complessiva che si desume dall'attenta osservazione della cinta di Sepino non è in definitiva quella di una superflua presenza ornamentale, quanto piuttosto quella di mascherare dietro una teoria di orpelli decorativi e fastosi una inevitabile presenza, peraltro adeguata allo scopo. Sarebbe stato del resto per lo meno imbarazzante innalzare fortificazioni urbane propriamente dette, al centro della Penisola per giunta, in un periodo in cui i più vicini nemici dichiarati di Roma si trovavano a migliaia di chilometri di distanza, una palese arnmissione cioè della incapacità dello stato di estirpare il brigantaggio residuo. Conseguenziale la scelta architettonica di prestigio, su quella che comunque era e restava una fo rtificazione urbana perimetrale.

BOJANO, (CB) Alla base della collina della Civita, sulla pianura presso le abbondantissime sorgenti del Biferno venne dedotta una colonia cli veterani della XI Legione, colonia che pertanto assunse l'appellativo di Bovianum Undecumanorum.


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151. Saepinum-AltiJia: mura urbiche turrite.

Difficile argomentare circa le sue connotazioni, probabilmente non molto divergenti da quelle di Saepinum, non fosse altro che per la sostanziale contemporaneità d'impianto: purtroppo i suoi resti ammesso pure che ancora esistono giacciono sotto una coltre di detriti alluvionali che funge per giunta da piano di posa della moderna Boiano, questo per non parlare delle devastazioni sismiche, tra le quali tragicamente celebre quella dell'853. * * * Lo scenario di disgregazione, e di sfaldamento che connotò la d issoluzione dell'Impero Romano, e l'instaurarsi della notte medievale, trasformarono l'Italia e buona parte del territorio imperiale in quello che fu lapidariamente definito un "cimitero di città", rappresentando questa civilissima realizzazione il principale bersaglio delle orde barbare. Logicamente quelle circummatesine non scamparono il comune scempio, ma martorizzate e funes tate da reiterate razzie cessarono in breve volgere di essere persino dei centri abitati. Ed allora si verificò uno straordinario fenomeno, inusitato ed emblematico: il Massiccio tornò a rappresentare un'isola di salvezza per le spaurite e decimate popolazioni. Le abbandonate cittadelle sannite riecheggiarono nuovamente di vita, ripopolandosi di umili capanne, non dissimili dalle arcaiche dei Pentri, fra le antiche murazioni poligonali. I supersti ti di Boiano si arroccarono su quella che sarà la Civita, quelli di Saepinum tornarono a quota 953 tra i ruderi di Terra vecchia e di Morcone, quelli di Telesia riabitarono la collina della Rocca adiacente a monte Acero, quelli di Alife si trasferirono a Castello Matese. Le cittadine vallive si trasformarono in pittoreschi ruderi disabitati. Neanche il cessare dell'arbitrio valse però a restituire alla zona gli antichi splendori: i paesetti non si ritrasformarono in città.


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152. Boiano: antiche misure di capacità. 153 . Saepinum-Terravecchia : case medievali nei ruderi sanniti .

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PARTE SECONDA Gli anni dei briganti Gli antefatti «"Nei primi giorni del risorgimento novello d'Italia, l'unità pareva già raggiunta come per incanto", scriveva Giuseppe Manna nel 1862; ma "al contrario, le provincie meridionali, tenute da mille antiche e nuove ragioni separate e lontane dal resto d'Italia, dopo spento il primo ardore, sentirono la mano ferrea e fredda del passato che si appesantiva sopra di esse" . Di questo ritorno del passato il dilagare del brigantaggio rappresentò, indubbiamente, uno dei segni più evidenti e critici. Non si era dovuto attendere, per scorgerlo, neppure che si spegnesse il "primo ardore" dell'unità .. . Prima ancora di combattere la battaglia del Volturno, Garibaldi si trovò di fronte ai primi episodi di quella vera e propria guerra contadina per bande, che il brigantaggio meridionale alimentò ininterrottamente per alcuni anni. E non c'è dubbio che una forte preoccupazione a questo riguardo fu tra le considerazioni complesse e realistiche, che spinsero Garibaldi a cedere il passo all'iniziativa regia e a favorire l'immediata annessione del Mezzogiorno al costituendo Regno d'Italia. Ma da quale parte o aspetto del passato tornava, più specificamente, a proiettare la sua ombra sul Mezzogiorno diventato parte del Regno d'Italia il brigantaggio post-unitario?» ' Abbiamo già osservato che la conquista romana del Sannio, relativamente al Matese, si limitò alle aree pianeggianti perimetriche, esulando dalla sua logica l'occupazione delle impervie quanto sterili zone di montagna. Del resto esulava pure dalla potenzialità del suo apparato militare il procedere in quelle contrade, spesso pressoché impenetrabili, a minuziosi rastrellamenti tesi a disinfestarle da ex guerriglieri e partigiani scaduti in volgari briganti , per giunta continuamente incrementati numericamente dall'afflusso della delinquenza comune latitante. L'altopiano, non diversamente in ciò dalle altre formazioni montuose di vasta superficie, assurse così al rango di inviolabile "santuario", garantendo prima agli irriducibili sanniti, poi ad ogni sorta di perseguitato, fuorilegge o bandito, una miserabile esistenza ed una assoluta impunità. Nel corso dei secoli ovviamente tale connotazione subì fasi di recrudescenza e di obsolenza, senza però annullarsi mai irreversibilmente. È motivato dunque considerare il deleterio fenomeno un inestirpabile endemismo areale. Ne fa fede la costante presenza di elementi briganteschi sotto tutti i governi avvicendatisi alla guida delle Due Sicilie in ogni contesto geomorfologicamente equivalente al nostro: per esso addirittura si giunse in forza della accennata radicazione, a costruire nel territorio di alcuni centri più arroccati, come ad esempio quello di Cusano Mutri, chiesette rurali: "per commodo de Genti fuggitive, et inquisite... (ubicate) sopra montagna ... (dove) nel tempo d'està .. . (si recava un sacerdote) per farli sentir la Messa, ed esortarli alla strada della salute, ed insinovarli il S. timor di Dio" 2 •

«Raffaele Ciasca ne rilevava, riferendosi specificatamente al brigantaggio "cause varie sociali e politiche". Notava, così, che "quando e dove, ad esempio l'autorità statale è debole e manca un'organizzazione militare regolare, le milizie mercenarie facilmente si mutano in bande brigantesche" .. . "Vi sono poi - aggiungeva - epoche di dissolvimento di una determinata classe sociale, durante le quali è facile che in essa si verifichino manifestazioni di brigantaggio (ma - proseguiva - questo) può trarre alimento dai bassi strati della popolazione. E allora, specialmente nei secoli XVI-

1

O. GALAsso, Unificazione italiana e tradizione meridionale nel brigantaggio del Sud, in Archivio Storico per le Provincie Napoletane, (ANSP), Napoli, 1983, p. I. 2 R. PEsc1rn1,1.1, Chiesa Telesina, luoghi di culto di educazione di assistenza nel XVI e XVII secolo, Benevento, 1977, p. 163 .


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XVIU, ecco gruppi di contadini, oppressi dal fisco .. . abbandonano il loro villaggio; si buttano alla macchia, depredano quanto possono, forti delle non celate simpatie delle classi umili"» 3 • Questa forma di banditismo con caratterizzazioni sociali, tuttavia, non differiva quanto a modalità estrinsecative dalle altre di generico movente: fu perciò perseguito indiscriminatamente e con violenza ogni qual volta fosse possibile, ritenendolo un pericoloso focolaio di improvvise esplosioni rivoluzionarie. In ciò la diffidenza degli spagnoli si distinse nettamente, ed in ottemperanza alla loro consueta burocraticità emisero in materia una serie infinita di prammatiche repressive, di tenore roboante e minaccioso ma sterili di concreti risultati. Esemplifica per tutte quella del 22 luglio del 1583, ricordando per inciso che l'ultima del genere fu promulgata nel 1707 anno conclusivo del viceregno spagnolo. «Essendo pervenuto a nostra notizia, qualmente il numero de' fuoriusciti e delinquenti è talmente aumentato in tutte le Provincie del presente Regno, e tuttavia si aumenta da dì in dì, e continuatamente essendo esposte querele e lamentazioni da molte Università del Regno, e da altre particolari persone, degli eccessi, delitti, rubamenti, omicidi, ed altre insolenze che si commettono per detti fuoriusciti, e malfattori, i quali senza timor di Dio, in dispregio della Giustizia, e con tanto poco rispetto di S . M. tengono audacia in procedere ad ammazzare le persone ... levando le donne per forza dalle loro case, ricattando gli uomini, e non contenti di questo il più delle volte gli ammazzano, e rubano nelle vie ... rompendo le strade a' Procacci, rubando ... i poveri viandanti .. . proibendo il libero commercio a' mercanti .. . E per relazioni che teniamo eia' Governatori di dette Provincie, Capitani, ed altri Officiali . . . non si possono tali enormissimi eccessi, e delitti rimediare per le provvisioni or dinarie, che sono state date ... e Prammatiche del presente Regno ... Noi, mossi dal predetto, volendo sopra di ciò provvedere . .. abbiamo pensato, e deliberato ... rigorose provvisioni. Per questo ... Si ordina e comanda per tenore del presente Bando, che tutti, e quali si vogliono contumaci e fuoriusciti, e quei delinquenti, che debbano fra il termine di giorni dieci ... presentarsi... avanti il Tribunale e non comparendo, e lasso il termine ... saranno tenuti e trattati .. . (come) ribelli, contumaci, banditi ... E riputati che saranno fuorgiudicati nel modo predetto, diamo licenza, e facoltà ad ogni persona, di qualunque stato, grado e condizione si sia, di potergli ammazzare impune, e senza timore d'incorrere in pena alcuna ... che etiam godano, e conseguano le grazie, e i premi infradichiarati ne' casi, e con le condizioni e limitazioni seguenti, videlicet.. .»4 •

Affinché poi nessun ulteriore dubbio restasse circa le connotazioni ed i comportamenti tipici che facevano identificare un comune delinquente come brigante, con la solita pedante minuziosità così le prammatiche recitavano: «Perché molti senza che abbiano fatto delitto alcuno, e perciò praticando per tutto liberamente, alle volte poi si uniscono di comitiva con detti Banditi, ... facendo delitti, di poi quando loro piace ritornando nelle loro terre, confidanti, che non si sappia essere andati in Comitiva con detti Banditi, e da questo ne sono nate le grosse squadre di essi. E convenendo rimediare ordiniamo, e comandiamo, che ogniqualvolta, che costerà leggittimamente che alcuna persona sia stata veduta armata con armi di fuoco in Com itiva di banditi, e delinquenti ... al numero di quattro (particolare importante questo numero limite, ed avremo occasione di ritrovare un suo ridotto sostitutivo, n.d.A.), incorra ipso facto alla pena cli morte naturale ... e si possa uccidere impune, ancorché non fosse stato dichiarato fuorgiudicato per sentenza ... >> 5 •

Con tali espedienti, lungi dallo stroncare il brigantaggio, si riuscì se mai a renderlo più diffuso ed efferato, al punto che la dinastia borbonica - come peraltro già molti feudatari ciel Regno in ogni epoca - vi vide, oltre ad un potenziale elemento insurrezionale, temibile e perciò da blandire, un'altrettanta potenziale ma vantaggiosa forza reazionaria, specie dopo la tacita tolleranza, con la quale metteva conto intessere relazioni più o meno segrete.

3

G. G,\L,,sso, Unificazione italiana ... cit. p. 2. Cfr. G. De RosA e A. CnsTARO , Territorio e società nella storia del Mezzogiorno, -Le Prammaliche dei vicerè spagnoli contro il banditismo, Napoli, 1973, pp. 178-189. 4

5

ibidem.


Parie seconda. Gli anni dei briganti

161

«La preistoria di questa fase è nelle vicende del 1799. Essa annuncia chiaramente la strumentalizzazione legittimista che la dinastia effettua di un fe nomeno, a cui la sua azione di governo non aveva mai dato risposte politicamente e socialmente valide» 6 • In merito il Cuoco ricorda un episodio della fuga del re da Napoli nel 1799 anch'esso emblematico di una prassi che si andava istituzionalizzando: «Si disse che la regina, partendo ... avesse lasciato istruzioni segrete di sollevare il popolo, di consegnarli le armi, di produrre l'anarchia, di far incendiare Napoli , di non farvi rimanere anima vivente "da notaro in sopra ... "»7 • La connivenza· con le frange illegali del potere sovrano, proseguì e si intensificò per molti versi durante il decennio dell'occupazione napoleonica , assumendo caratteristiche di guerriglia partigiana, fra il 1806 ed il 1815, manifestando sin dall'inizio la sua temibile ferocia e la sua collaudata rispondenza operativa. Scriveva ad esempio il generale comandante le truppe dislocate in Campania, al suo Quartier Generale di Napoli, in data 7 marzo 1807: «Monseigneur, j'ai l'honneur de rendre compte à Votre Excelence que le Courrier de France des 17 et 18 feuvier a été arrèté lundì dernier 3 du courant, entre Terracine et Portella, par des brigands qui lui ont enlevé toutes !es dépécbes dont il etait chargé. Il parait que la négligence de ce courrier qui n'avait point pris d'escorte à Terracinc, à été cause de cet accident facheux S.A.I. à fait prendre ]es mesures nécessaires .. .» 8 •

Personaggio di spicco, ed al contempo caposcuola di questo brigantaggio realista fu un certo Michele Pezza, meglio noto come "Fra Diavolo". Nato ad Itri nel 1771, a seguito dell'uccisione del padre per mano dei francesi, si dedicò dopo aver organizzato una numerosa banda alla loro spietata persecuzione. Si batté quindi in maniera guerrigliera sotto la bandiera borbonica, infliggendo agli occupanti notevoli perdite. Il re grato, lo elevò al rango cli «colonnello», primo esempio cli riconoscimento ufficiale di capomassa. Catturato casualmente nel 1806, finì impiccato a Piazza Mercato a Napoli. Al di là del valore militare della sua resistenza, resta il fatto che fornì il prototipo di guerrigliero realista-legittimista dotato di discreto fascino e credito, al quale si confecero in seguito molti briganti, creando così un legame diretto e viscerale tra massa diseredata e potere regio assoluto, altrimenti inspiegabile. «La strumentalizzazione borbonica di una simile massa di manovra riuscì a molti dei giacobini incomprensibile. La lettura del "Monitore Napoletano" dice da sola il contraccolpo, che allora fu accusato da un'intera classe politica, proprio nel momento in cui si trovò a dover riscontrare sul campo la validità dei suoi postulati ideologici»9 • Era infatti per lo meno singolare che le classi più umili ed infime del popolo, quelle più sfruttate che avrebbero dovuto essere le principali destinatarie e fruitrici delle riforme e delle libertà democratiche, ne fossero in pratica le più tenaci oppositrici, capeggiate per giunta da banditi e briganti notori: gli stessi individui peraltro che prima del 1799 e dopo il 1815, agivano in tutt'altra direzione ma con identica metodica delinquenziale. Il significato inoppugnabile non sfuggì a molti intellettuali coevi, che ebbero modo di sperimentare sulla loro pelle la totale refrattarietà delle masse agli ideali rivoluzionari, plagiate da tale risma di personaggi, ma ne intravidero però anche la possibilità cli indottrinarle somm ariamente e cli dirigerle verso progetti unitari e libertari. Scriveva acutamente Carlo Pisacane nel 1850: «Guai allorché le masse giungono a credere all'inviolabilità ed all'infallibilità di un uomo. Guai

6

G. GALAsso, Unij,cazione italiana ... cit. p. 10. V. Cuow, Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli, Milano, i 966, ristampa Rizzoli BUR, p. 120. 8 Lettera di collezione privata: «Signore, ho l'onore di render noto a V.E. che il Corriere dalla Francia del 17 e 18 febbraio è stato bloccato lunedì scorso 3 corrente mese, fra Terracina e Portella, da alcuni briganti che gli hanno sottratto tutti i dispacci di cui era carico. Sembra che la negligenza di questo corriere che non aveva chiesto la scorta a Terracina, sia la causa di questo incidente. S.A. l. ho fatto disporre le misure necessarie ... ». 9 G. GALAsso, Unijìcazione italiana ... cit.. , p. IO. 7


Dai sanniti all'esercito italiano

162

.

allorché le masse si avvezzano alla fede e non alla religione: è questo il segreto sul quale sino ad ora si è basata la tirannide, che ha trovato facile strada al conseguimento dei suoi disegni; dappoiché il pensare è fatica dalla quale rifuggono le moltitudini, corrive sempre al credere» 10 . Ma pochi anni dopo, nel I 856, la sua posizione diviene più spregiudicata e contempla giustificandola per fini superiori la necessità di strumentalizzazione ideologica delle masse, o meglio delle minoranze attive e facinorose delle stesse, che ne avrebbero provocato l'insurrezione: «La plebe non è dotata di quelle eroiche qualità che alcuni gli attribuiscono; la plebe sovente traviata da pregiudizi ed angustiata la mente dall'ignoranza, ondeggia fra la temerarietà e l'abiettezza. Stimolata dai materiali bisogni, la sua mente non può elevarsi a "pensieri sublimi". Ma se tra la moltitudine uno giunge ad appuntare l'intelletto sulle questioni politiche che agitano il paese, quasi per istinto ragiona con maggiore esattezza che il migliore fra gli scrittori ... Tutti gli sforzi per sospingere il popolo al risorgimento debbono consistere nello svolgere e rendere popolari le idee, adattandole alla loro intelligenza e traendone quelle conseguenze che debbono condurre ad un utile materiale immediato, onde siano sempre fomite maggiore alle passioni ... »' 1 • La concezione nella sua dinamica era indubbiamente giusta e forse anche il momento storico: non così il luogo scelto per lo sbarco che non lasciava invece alcuna probabilità di successo al tentativo di sollevazione popolare, proprio per le notorie e radicate convinzioni legittimiste locali . Sotto quest'angolo Garibaldi tre anni dopo non ripeté l'errore, potendo con la Sicilia contare già inizialmente su di una più pronta adesione antiborbonica ed indipendentista, connaturale quasi ai suoi abitanti di qualsialsi ceto sociale. Non tenteremo a questo punto di tracciare, neanche per vasta sintesi una storia del brigantaggio post-unitario, del quale abbiamo voluto evidenziare la matrice endemica, poiché l'argomento oltreché esulante dai nostri fini, è di una tale vastità e complessità da inibire. «Questa difficoltà trova la sua ragione in varie cause, ma principalmente nell'esistenza di un materiale documentario che per quanto abbondante è assai frammentario ... E quand'anche una parziale e laboriosissima indagine venisse fatta per riunire (questo) ... la narrazione degli avvenimenti. .. avrebbe pur sempre un carattere ufficiale ed uniforme perché priva di quegli elementi psicologici e di quei particolari aneddo tici che sono invece .. . essenza delle fonti private, dei libri di appunti, delle note personali, cioè di elementi in gran parte scomparsi .. . (Per controJa trattatistica sul brigantaggio) non si può dire scarsa ... (ma) il maggior n umero delle pubblicazioni ... è di natura episodica e spesso esagerata tanto da creare una leggenda intorno ad un dato soggetto quanto nel dimostrare che l'Italia di quell'epoca era inquinata dagli effetti del malgoverno, della corruzione, dell'ignoranza, e della superstizione ... » 12 • È invece nostra intenzione riproporre il Matese come areale di estrinsecazione guerrigliera, in una sorta di riedizione tattica di un remoto passato, conferma esplicita cli una ripetitività storica non imputabile semplicisticamente alla morfologia dei luoghi, quanto piuttosto alla dinamica conflittuale globale che in essi si ridusse. Ne emergerà anche in questo secondo caso un ridotto montano di estrema resistenza, propriamente detta terminale, atroce, efferata, spietata, disperata ed in definitiva inutile perché di esito scontato. Il parallelo con gli ultimi periodi sanniti potrebbe poi scendere persino nei dettagli operativi, nelle conduzioni dei rastrellamenti, nella semplificazione degli equipaggiamenti e delle uniformi, ecc., ove al posto delle legioni romane si sostituisca l'Esercito Italiano . La sottolineata episodicità del brigantaggio, conseguenza non trascurabile di una iniziale guerra partigiana, che presupponendo una perfetta conoscenza dei siti finisce con il frazionare le forze territorializzandole, consente questa procedura . Infatti l'ottimizzazione tattica derivante da quanto affermato è alla base della segmentazione fat tuale degli avvenimenti, confinando la vicenda complessiva in un arcipelago cli microstorie a sé.stanti. Pertanto la nostra indagine non esulerà dal perimetro del massiccio non ravvisandone la necessità,

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PtsACANE,

C.

P 1sACANE,

1

11

12

C. C ESA RI,

G. L.,,. M ASSA, La guerra del 1848-49 in Italia, Napoli, 1969, p. 375. La rivoluzione, Bologna, 1967, p. 156. Il Brigantaggio, e l'opera dell'Esercito Italiano dal 1860 al 1870, Roma, 1920, p. 2.


Parte seconda. Gli anni dei briganti

163

divampando peraltro in esso un'aliquota consistente del devastante e destabilizzante fenomeno delinquenziale. Tenteremo inoltre di evidenziare l'impatto delle disposizioni governative sulla fluida aggregazione delle bande, rimarcandone le metodiche tipiche di guerriglia in stretta correlazione con il particolare ambiente morfologico, nonché la logica informatrice della repressione militare, anteponendo sistematicamente alla cronaca locale il documento ufficiale, esente da acritiche apologie. Abitualmente si è soliti individuare nell'evoluzione decennale del brigantaggio due fasi preminenti . Ci sembra però più coerente ricondurle a tre, esistendone una iniziale esplicantesi contestualmente alla estrema difesa militare organizzata del Regno. In essa si colgono chiaramente le premesse del successivo dilagare insurrezionale, pur attuandosi ancora l'azione primaria dell'esercito napoletano, che ne moderava per quanto possibile gli eccessi, antiliberali piuttosto che filoborbonici, canalizz.andone le imprese e in un certo senso nobilitandone gli intendimenti. Quindi: - Una prima fase, copre gli ultimi mesi del 1860 e gli iniziali del 1861, e si caratterizza con l' emergere di una diffusa insorgenza, ancora però non coordinata, e si protrae fino alla dissoluzione dell'esercito meridionale. Sotto il profilo ideologico si assiste al coincidere degli intenti leggittimisti con quelli anarchici rivoluzionari. - Una seconda fase, sempre per grossa schematizzazione, si avvia con l'esilio di Francesco II, e con il riflusso dei suoi ex soldati entro i confini della neonata nazione. Si registra a questo punto una singolare fusione fra gli sbandati militari e gli ormai attivi gruppi partigiani - che tali ancora possono chiamarsi - dalle nefaste conseguenze. Infatti ne scaturì un rilevante numero di cospicue formazioni paramilitari, a volte eccedenti persino le 1000 unità, armate ed equipaggiate con i materiali superstiti del disciolto esercito . Questi raggruppamenti operarono con modalità e suddivisioni gerarchiche, di compiti e tattiche eminentemente militari13, motivati da una possibile quanto prossima restaurazione legittimistica, specie fra gli anni '62-'64. Tuttavia le crescenti difficoltà imposte dalla repressione delJ'Esercito Italiano, la progressiva inevitabile perdita di certezza, l' alienazione inarrestabile dell'appoggio popolare, tanto per citare le principali frustrazioni, determinarono il frazionarsi delle formazioni ed il loro scadere in miriadi di piccole bande autonome, per lo più a cavallo. La loro tattica divenne allora quella propria della conflittualità brigantesca, mobilissima, sanguinaria e territorialmente ristretta nelle contrade più impervie ed irraggiungibili, con nessuna parvenza ormai di movenza politica. - Una terza fase, infine si instaurò a partire dal '65 allorché risultando lampante anche per i più fanatici fautori della lotta brigantesca, l'inutilità della stessa ed il travisamento d'intenti non ulteriormente giustificabile, cessò drasticamente ogni appoggio esplicito ed implicito . Venne pertanto chiusa in maniera concreta la frontiera pontificia, premessa indispensabile per la liquidazione del fenomeno, che appunto da quel momento data. I tempi di realizzazione della disinfestazione risentirono logicamente dell'asprezza dei luoghi, protraendosi per quelli più impervi, come il nostro Massiccio, ben oltre la media meridionale.

I prodromi li 6 settembre del 1860 re Francesco Il, con una discutibile decisione, lasciava Napoli alla volta della munitissima piazza di Gaeta, dove contava di poter prolungare ad oltranza la resistenza in attesa di significativi successi militari e soprattutto di aiuti dall'estero che riteneva immancabili. La nascente insorgenza popolare faceva fondatamente sperare in una generale ed indomabile sollevazione legittimista, che come già altrove nel corso della storia del Regno, avrebbe risollevato le sorti della dinastia o per lo meno cooperato a farlo. Anche le truppe, che ad onta delle ripetute umiliazioni garibaldine - frutto non ultimo della

Si rifacevano per lo più alla dinamica operativa dei «Tiragliatori», corpi cli cavalleria leggera specializzata in rapide puntate offensive. 13


164

Dai sanniti all'esercito italiano

pessima dirigenza militare napoletana-, restavano abbastanza numerose , nello stesso giorno iniziarono a convergere tra Caserta e Capua, lungo la destra del Volturno. «Quasi tutti ì corpi sbandati, vennero volontariamente a raggranellarsi dietro il Volturno, ed era commovente il vedere come quei soldati, laceri, scalzi, defatigati pel lungo cammino fatto, affin cli schivare i luoghi occupati dall'oste garibaldina, anìmavansi appena giunti in mezzo ai loro compagni; ed esclamando Viva il Re! chiedevano un arme per combattere, pria cli domandare un pane, cli cui avevano più gran bisogno» 14 • Di quel raccogliticcio esercito: «ne aveva il comando ìl Maresciallo di campo Giosuè Ritucci nato a Napoli 1'8 aprile ciel 1794, ufficiale di vasta cultura militare ma di scarsa esperienza, tratta dalle poehe e modeste campagne alle quali aveva partecipato nei 53 anni della sua pur lunga carriera. Le forze borboniche ammontavano a circa 30.000 uomini e disponevano di 70 cannoni oltre che dell'appoggio della fortezza di Capua nella quale, con 7 .000 uomini , erano schierate 234 bocche da fuoco, quasi tutte da 24 con qualche pezzo rigato eia 6, un obice da 80 e due da 60, e mezza batteria dì mortai da 12 pollici. (Trattavasi, al di là del numero, di pezzi da tempo giubilati, degni per lo più di figurare in qualche museo, per giunta pessimamente affustati n.d.A.) Esse erano ordinate su un Quartiere generale, tre Divisioni dì fanteria e una Divisione di Cavalleria» 15 • Il piano borbonico prevedeva, per grandi linee, una risolutiva battaglia campale che ponesse fine all'epopea garibaldina, vanificandone così le neonate istituzioni liberali e filounitarie, con una successiva riconquista di Napoli . Al contempo il sovrano incentivò l'azione deì volontari insorgenti al fine di creare pericolosi diversivi, per i garibaldini prima e magari per i piemontesi poi nel caso avessero varcato la frontiera . L'adesione al programma in Terra di Lavoro, Molise e Benevento fu entusiastica e fanatica, fornendo immediati, incontrovertibili riscontri, superiori alle più rosee aspettative. Pertanto pochi giorni dopo: «folti gruppi di "cafoni", non di rado sostenuti da militari regi, regolari o che scorrevano la campagna, liberarono i detenuti, attaccarono reparti garibaldini e corpi volontari, misero in fuga i proprietari terrieri, ne saccheggiarono le abitazioni e, in numerose località ristabilirono il vecchio stato di cose. · L'insurrezione del distretto di Piedimonte cl' Alife, investì pure e in breve volgere di tempo, l'intera area del Matese. Dal 16 al 21 settembre, contadini armati di scurì e falci, percorsero le vie di Caiazzo tumultuando al grido dì "Viva Francesco II"; si sollevarono i montanari cli Gallo e di Letino e i valligiani di Capriati; da Roccaromana a Baja e eia Latina a Dragoni, schiere di rivoltosi guidate da un cappellano misero in rotta manipoli di Cattabeni e cli Cusclafj» 16 • Nel frattempo Ritucci ritenendo ancora Piedimonte in mano garibaldina, e rientrando la cittadina nella sua trama strategica, al fine di garantirsene il possesso vi inviava il giorno 25 da Capua la brigata Polizzy. È interessante ricordare che i garibaldini che avevano occupato precedentemente Piedimonte, facevano parte della «Legione del Matese», pomposo nome che distingueva un raggruppamento dì volontari, formatosi proprio a Piedimonte, che operò fra il 25 agosto del 1860 e 1'8 marzo del 1861 17, con un organico complessivo di 403 uomini fra ufficiali e soldati. Già il giorno 24 vedendo avvicinarsi l'esercito regolare eia tre diverse direttrici, ovvero da Amorosi, da Caiazzo e da Pietramelara, consci della esiguità delle loro fila, i «legionari» abbandonarono rapidamente la cittadina. Un loro testimone così narra la precipitosa manovra: «Per il soverchio numero dei nemici dovemmo abbandonare cli notte Piedimonte ... Sul monte S. Pasquale (cioè sul monte dove sorgeva il convento di S. Pasquale, sopra Faicchio, già fortezza sannita n.d. A .) si fece il primo alt la notte della ritirata, riposando anche qualche ora per terra fra le vecchie mura ciel convento

14 15

16 17

Difesa Nazionale Napoletana, Ristampa anastatica della edizione di Napoli 1863, p. 13 , nota C. La baltaglia del Volturno , Roma, 198!, p. 11. R. D1 L ELLO , G.R. PAL UMBo, Brigantaggio sul •.Watese-Saggio storico, Benevento, 1983, p. 12. Cfr. G . P ETELLA, La legione del ;\1(l{ese, durante e dopo l'epopea garibaldina, Città di Castello . 191 O, pp. 3 I 3-321. T.

c.,,, vA ,

G . G ,\RCOALDJ JuNroR,


Parte seconda. Gli anni dei briganti

165

154 154. Letino.

cadentc ... » 18 . Di lì poi si inerpicarono verso l'interno del Marese, risalendo probabilmente l'antica mulattiera che costeggia il torrente Titerno. Con loro fuggivano anche i membri del dissolto governo provvisorio, per paura delle intuibili rappresaglie. Il 27 la reazione giungeva a Cerreto Sannita. «Disarmata la Guardia Nazionale il popolo si recò in massa sotto i balconi dell'episcopio, per acclamare il vescovo, mons. Luig i Sodo, che i liberali ritennero promotore della reazione e che venne successivamente arrestato ... Il 30 settembre, a l giungere di 400 gendarmi al comando del maggiore De Liguoro scoppiò la reazione a Venafro, dove i contadi ni si vendicarono della Guardia azionale per la repressione seguita al moto del 23 luglio»• 9 • Per una migliore valutazione degli avvenimenti in esame e pe r una più pertinente definizione del contesto umano nel quale si estri nsecavano, ci sembra indispensabile fornire uno spaccato socio-economico di molte località circummatesine, dipendenti all'epoca dal distretto di Piedimonte Matese (ex Alife), s ulla scorta di una si ngolare quanto dettagliata sintesi statistica redatta a llo scadere del 185620 .

18

G. P,; 11, LL/\ , La leg ione del ...cic. pp. 116-117. F . B ,,RRA, Il brigantagg io in Ca11117an ia, in t\NSP, Vo lume C l , Na poli, 1983 , pp. 87-88. 2 Cfr. r. Vm , Sul dis1reuo di Piedimonte di A l{{e, in Provincia di Terra d i Lavoro, Cen ni Economici Amministrativi, Napoli, 1857, «Quadro sta1is1ico-Economico-Civile». 19

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166

Dai sanniti all'esercito italiano

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8441

1535

1630

3120

2902

2268

1181

1250

1124

2707

6827

2451

3500

Possidenti

1952

51.2

110

950

1323

913

683

572

431

858

1740

421

1403

80

9

8

11

48

9

17

80

1

Ecclesiastici: Secolari Regolari re' Monache

57

Istruzione pubblica: Maestri

8

Maestre

7

-

13

28

19

5

-

8

-

I

-

-

-

-

I

1

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4

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3

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1

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24

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1

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1

1

I

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2

3

2

2

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-

2

5

2

4

-

-

51

-

-

-

10

-

-

-

-

Farmacisti

6

1

-

Salassatori

5

2

Ostetrici

2

Alle arti liberali Al commercio Contadini I

Pastori

1

3

4

2

1

-

1

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1

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2

1

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-

18

20

-

-

1850

809

350

1855

1000

750

400

-

-

-

-

400

-

-

800

-

-

-

Tessitori

100

-

-

-

2

-

-

-

3

Barbieri

20

2

l

Parrucchieri Lanari

4

-

-

10

5

-

5

3

4

IO

18

6

3

450

1708

750

460

30

30

10

70

7

-

-

-

-

1010

-

400

40

100

-

-

-

IO

12

8

4

3

3

6

10

4

6

-

-

-

-

2

-

4

-

-

-

-

-

-

2

-

16

-

-

-

6

l

-

-

-

l

-

-

-

5

3

4

3

12

-

-

1

12

I

20

3

14

Canapari

Ferrari

3

-

2

3

1

5

1

20

2

8

10

Falegnami

4

4

Molinari

-

9

8

30

Trattori di seta

3

40

100

Funari

3

-

-

970

6

2

53

Filatrici

70

2

15

26

-

3

-

-

J

18

80

-

12

1

260

200

8

3

45

60

-

-

4

-

39

1

I

-

9

1

3

1

-

-

-

130

Sarti

-

1

45

,

1

-

-

350

Filatori

7

24

220

-

1

50

Alunne

3

-

1

15

2

-

I

15

2

21

15

10

7

2

14

53

Chirurgi

17

-

15

4

-

I

13

Notai

-

5

1

115

All'arte sani tari a: Medici

-

-

Alunni

Professori legali

-

4

-

-

3

-

-

1

-

-

-

-

8

7

6

8

l

5

7

3

-

-

I

2

-

-

I

-

5

6

7

2 2

-

-

6

-

-

-

-

3

-

-

-

-

2 5

1

-

2

-

-

3 3

-

-

-

7

10

9

8

4

36

3

10

-

Maniscalchi

5

Armieri

1

I

30

3

1

2

6

1

3

2

1

3

13

2

3

5

1

I

2

2

2

1

I

1

1

4

2

1

Caffettieri Venditori di Privativa

-

2

-

-

-

-

-

7

2

-

3


Parte seconda. Gli anni dei briganti

167

COMUNI

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Popolazione al 31/12/1856

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Possidenti Ecclesiastici: Secolari Regolari Monache

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15

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Alunni

8

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10

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-

-

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-

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1

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1

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60

15

12

20

10

15

-

-

-

Professori legali

I

I

Notai

I

I

-

-

All'arte sanitaria: Medici

2

2

-

Chirurgi

2

2

Farmacisti

2

Salassatori

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I

1

2

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I

I

2

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IO

31

26

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26

2

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2

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2

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2

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2

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2

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2

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2

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3

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24

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7

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2

20

45

80

41

20

45

80

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4

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7

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1

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Dai sanniti a/l'esercito italiano

168

155

155. Cerreto Sannita.

li 30 settembre ultimati i preparativi militari per l'imminente battaglia sulla linea del Volturno, conscio e forse gratificato dai crescenti moti insurrezionali legittimisti, che effettivamente lasciavano adito a fondate speranze di reinsediamento , Francesco Il proclamava al suo esercito: Soldati Poiché i favorevoli eventi della guerra ci spingono innan:i:i e ci dettano d i oppugnar paesi dal]' inimico occupati, obbligo di Re e di soldato m' impone di rammentarvi che il coraggio ed il valore degenerarono in brutalità e ferocia quando non sono accompagnati dalla vinù e dal sentimento religioso. Siate dunque tutti generosi dopo la vittoria: rispettate i prigionieri che non combattono ed i feriti e prodigate loro, come il 14° cacciatori ne ha dato l'esempio, quegli aiuti ch' è in vostro potere cli apprestare. Ricordatevi pure che le cose e le proprietà nei paesi che occupate sono il ricovero e il sostegno di molti combattenti nelle nostre file: siate adunque uomini e caritatevoli con gli infelici e pacifici abitanti, innocenti cenamente delle presenti calamità. L'ubbidienza agli ordini dei vostri superiori sia costante e decisa, abbiate infine innanzi agli occhi sempre l'onore ed il decoro dell'Esercito napolitano . L' onnipresente Iclclio benedirà dall'alto il braccio dei prodi e generosi che combattono e la vittoria sarà nostra. Gaeta 30 settembre 1860 Francesco 112 1

21

P .G.

J M ;ER,

Francesco Il di Borbone, L'ultimo re di Napoli, Milano, .1982, pp. 126- 127.


Parte seconda. Gli anni dei briganti

169

Poco innanzi l'alba del 1 ottobre, sulla nebbiosa piana ciel Volturno, l'esercito napoletano ordinatamente prese posizione. Lo scontro, aspro e sanguinoso, si protrasse per l'intera giornata lungo l'intero fronte: soltanto alle 17 Garibaldi fu in grado di telegrafare a Napoli: «Vittoria su tutta la linea» . L a resistenza organizzata dai borbonici da quel m omento si sfaldò quasi completamente, perdu rando una difesa più che altro simbolica nelle piazze cli Gaeta, Messina e Civitella del Tronto. Divampava per contro l'insurrezione popolare in un crescendo progressivo, alimentata dai numerosi reduci che iniziavano a rifluire verso le loro comunità. I n breve si sarebbe trasformata in spietato brigantaggio, fondendosi le utopie legittimiste con le mire criminali . Già in quello stesso 30 settembre in merito fu affisso nel capoluogo della nuova provincia, Benevento22 , un allarmato manifesto che drasticamente proclamava: Ordine del Giorno Onde tutelare la laboriosa ed utilissima classe degli Agricoltori tormentata bastantemente da uomini di indole facinoros a, i quali a traverso di ogni legge ciel vivere Civile, e di ogni senso di umanità infestano le Campagne di questa Provincia, invadono le Case Rurali derubando quanto in esse si ratrrova, e maltrattando i rispettivi possessori. Noi Vincenzo Bentivegna Commissario Straordinario facendo uso dei poteri illimitati accordatoci dal Generale Dittatore Decretiamo Articolo I Sono dichiarati e posti fuo ri dalla Legge tutti coloro i quali col perverso fine cli rubare o attentare alla vita, o all'onore de' pacifici Agricoltori scorrono a mano armata le Campagne cli questa Provincia. Articolo 2 Per effetto cli quanto sopra la uccisione de' suclclett.i malfattori nella flagranza, o quasi nella patrazione degli indicati misfatti, o il cli loro arresto viene fin da ora dichiarata Capitale ed impunibile, ed i loro uccisori o coloro che l'arresteranno , saranno premiati dal Governo Benevento li 30 settembre 186023 .

Pur nell'approssimata esposizione, il senso generale ed i rimedi prospettati al di lagare del fenomeno, non si discostavano minimamente eia quelli di spagnola ideazione. La giustizia ufficiale, incapace ed impotente, delegava a chiunque, e ad ampia discrezionalità, il compito esecutivo, con risultati facilmente immaginabi li , specie in tale contesto politico. In realtà l'apparente severità semplificativa del bando, testimonia che la situazione stava rapidamente sfuggendo di mano ai nuovi governi provvisori, e che la paura della ribellione incontrollabile montava.

L'intervento dell'esercito piemontese Poche settimane più tardi ad Isernia l'insurrezione toccò l'apice. Successivamente si sarebbero accertati un migliaio di morti24 • Se mai l'intervento dell'esercito piemontese era parso necessario quello fu il momento: le reiterate ed inarrestabili atrocità confermarono l'ormai indilazionabile esigenza, ed in ciò concordano molti autori. «li primo documento che costituisce il punto di partenza cli quegli avvenimenti militari è infatti il bando cosiddetto di Isernia, pubblicato dal generale Fanti il I O ottobre I 860 per assicurare i fianchi e le spalle delle truppe che operavano appunto intorno a Gaeta, ed emanato in risposta ed in conseguenza delle deliberazioni che erano state prese neJla piazza assediata .. . » 25 .

22 Cfr. A. M aLus 1, L'origine della provincia di Benevento, Benevento, 1975. 23 Cfr. L. SAt-1G11JOLO, Il Brigantaggio nella provincia di Benevemo 1860-1880, Benevento, 1975, p . IV lllusLrazione n° 4. 24 Cfr. G. P ETELLA , La legione ... cit. pp. 108-1 IO. 25 C. CEs,, R1, li Brigantaggio ... cit. p . 80.


Dai sanniti all'esercito italiano

170

L'esercito garibaldino non aveva alcuna possibilità di padroneggiare la situazione, né meno che mai di pacificare il Mezzogiorno soffocando la contagiosa insorgenza, che rischiava di vanificarne il successo. «La storica decisione di varcare il confine del Tronto con l'esercito "sardo" venne adottata nell'ottobre del 1860 dal governo cavouriano e dalla monarchia assoluta sabauda per preminenti considerazioni di carattere internazionale, ma l'obbiettivo immediato di tagliare la via alla "rivoluzione'' democratica (mazziniana, garibaldina, liberal-autonomista) nel Sud, anche a costo di una guerra civile»26 . Il progressivo indebolimento relativo dell'armata garibaldina, risultava di giorno in giorno più palf se, e non raramente costituivano proprio i suoi reparti il bersaglio elettivo dell'insorgenza come dimostrò ampiamente il tragico agguato alla colonna Nullo. In breve, un contingente di circa 1200 volontari, per lo più appunto garibaldini27, al comando del colonnello Nullo partì da Maddaloni per recarsi ad Isernia, col fine manifesto di scacciarne i filoborbonici e domare l'anarchia, prima dell'arrivo dell'esercito piemontese. Nel racconto dei sopravvissuti traspare in pieno la proporzione massiva toccata dalla reazione. «Era massima abituale garibaldina di andare sempre avanti, e Nullo vi si attenne. Sul far del giorno 17 fu battuta la generale, e tutta la colonna rimasta in Bojano al comando dei rispettivi capi ... si pose in marcia per Cantalupa, alla cui taverna si fece alt per aspettare che i Siciliani e i Beneventani calassero nel paese, tranne cento uomini rimasti a guardia. Si proseguì allora tutti uniti per la rotabile pentrosannitica, che ben presto s'insinua fra la giogaia del Matese a sinistra e i dirupi di Castelpetroso a destra, per entro una gola che poi digrada in quella dolce vallata d'Isernia ... circondata ... dalle alte cime del Matese ... Arrivati all'osteria sulla consolare alle falde di Pettoranello, Nullo vi postò il maggiore Caldesi con l'ambulanza e 60 uomini di riserva. Dié ordine a De Marco di occupare Carpinone con 200 dei suoi per disarmarlo ... Il De Marco fu il primo ad essere attaccato nella sua mossa su Carpinone ... perché Regi e reazionari erano già postati in agguato sulle colline dominanti la pianura di Carpinone. In pari tempo un battaglione Regio per massima parte di gendarmi era apparso sulla strada d'Isernia e sui campi laterali, appoggiato da mezzo squadrone di cavalleria, e fiancheggiato da due torme di contadini armati, formanti ali a semicerchio, di cui la destra mirava ad investire le pendici di Pettoranello e la sinistra procedeva verso monte Carpinone, con evidente tattica avvolgente . .. Nullo s'avvide subito che i difensori di Pettoranello erano stati avviluppati da due fuochi .. . (e tentò di correr loro in aiuto) ma ben 3000 contadini in armi, e d'ogni sorta, che sbucati come di sotterra e discesi dai monti coronavano minacciosi ogni cresta e sbarravano ogni passo, impedirono loro di congiungersi ai combattenti»28 • La disfatta fu completata da un orrendo eccidio: gli scampati, costeggiando le pendici del Ma tese, raggiunsero nella notte Boiano, dove vi era pervenuto anche il Nullo dopo l'infruttuoso movimento. La stima attendibile delle perdite fece ascendere il numero dei soli morti ad oltre un centinaio. L'episodio esplicitava ancora una volta, l'incapacità dei reparti garibaldini ad operare in maniera militare propriamente eletta: Nullo ad esempio sapeva già dal giorno innanzi del concentramento presso Isernia di 2000 soldati borbonici e di circa 3000 contadini ma nella sua avventatezza non ne seppe valutare le conseguenze. L'intervento dell'esercito piemontese rappresentava pertanto l'ultima speranza di controllare la situazione: era però indispensabile per neutralizzare le prevedibilissime accuse di aggressione ostentare un valido presupposto giuridico, quale un plebiscito. Fu indetto così per il 21 dello stesso mese. Ci sembra coerente con la trattazione, non fosse altro che per evidenziare la massa, magari passiva, m a non certo ostile, sulla quale poteva contare la reazione, fornire tramite una relazione estera - quindi meno parziale - redatta dall'ambasciatore inglese a Napoli, Elliot, i risultati della consul-

26

F.

MoLFESE,

La repressione del brigantaggio post-unitario nel mezzogiorno continentale,

.1983, p. 33. 27 Cfr. G. P cn:UA, La legione ... cit. p. 154. 28 Cfr. G. PETE L LA , La legione ... cit. p . .1 60.

in

ANSP Volume CI, Napoli,


Parte seconda. Gli anni dei briganti

171

tazione popolare. Ebbene, scriveva il diplomatico al suo governo che le percentuali di afflusso alle urne: «in Napoli e Sicilia rappresentano appena i diciannove fra cento votanti designati, e ciò ad onta di tutti gli artifici e le violenze usate» 29 • Pur essendo il dato relativo al semplice afflusso, e non ai consensi, trattandosi di un plebiscito diviene enormemente significativo: e vi è inoltre da osservare che la bassissima percentuale suddetta era la media meridionale, scendendo il suo valore per la Campania al 16% e per il Molise ad appena il 14% !3° A partire eia quel fatidico ottobre iniziò la durissima impresa dell'Esercito Italiano che: «occupando l'ex regno delle Due Sicilie, si addossò tre pesanti compiti militari nonché polizieschi: liquidare la residua forza militare borbonica, guarnire la frontiera con lo stato pontificio e presidiare l'intero mezzogiorno. Al primo di questi compiti provvide il grosso dell'esercito sotto la guida cli Cialdini che tallonò la ritirata di Francesco Il in Gaeta e poi assediò quella piazzaforte fino alla capitolazione del febbraio I 861. Gli assedi della cittadella di Messina e di Civitella ciel Tronto comportarono operazioni di carattere secondario e localizzato . Appena conquistati questi baluardi, la massa fondamentale dell'esercito venne richiamata nell'Italia per rafforzare il minacciato confine del Mincio. Nell'aprile di quell'anno, durante la luogotenenza Carignano, venne costituito il VI corpo d'armata col Gran Comando di Napoli, cinque comandi di divisione e comandi provinciali e distrettuali in tutte le provincie meridionali. L'organico previsto era di 14 reggimenti di fanteria e tre battaglioni bersaglieri, ma si trattava di cifre sulla carta. Sembra che in quel momento non vi fossero in tutto il Mezzogiorno continentale più cli 15.000 uomini, in gran parte concentrati per ragioni politiche nella sola Napoli. È singolare il fatto che nell'inverno 1860-61 i maggiori dirigenti politici moderati nonché gli stessi capi militari, da Parini a Fanti, da Della Rocca allo stesso Cavour, si dichiaravano convinti che, una volta allontanati e dispersi i garibaldini e conquistata Gaeta, l'obiettivo di pacificare il Mezzogiorno e di restaurarvi l'autorità statale sarebbe stato praticamente conseguito. D'altra parte, la pregiudiziale e la discriminazione antidemocratiche impedivano l'elaborazione da parte loro di una politica più articolata (provvedimenti economici accanto ad efficaci misure repressive). Essi incorsero perciò in un vero e proprio errore di calcolo, confidando nella sola via repressiva, ma senza avere forze sufficienti per attuarla» 31 • Tralasciando di addentrarci nella diatriba relativa alla migliore politica di pacificazione del Mezzogiorno, sotto il profilo militare l'azione repressiva può schematicamente dividersi in tre periodi: - Il primo esteso a tutto il 1861 va riguardato come il logico completamento della campagna '60-'61 . - II secondo spaziante tra il '62 ed il '66, con fi nalità di pubblica sicurezza, fatte salve le grandiose dimensioni operative . - Il terzo infine come conclusione e disinfestazione irreversibile dal territorio della piaga del brigantaggio. È evidente la sostanziale simmetria delle suddette fasi repressive con quelle estrinsecative del fenomeno, precedentemente esposte, pur non potendosi attribuire a nessuna delle due schematizzazioni il ruolo di variabile indipendente in assoluto. Agli errori politici, si aggiunsero anche quelli puramente procedurali da parte della dirigenza burocratica italiana, che avrebbero prodotto ulteriori nefaste conseguenze. Uno dei principali fu lo scioglimento dell'esercito napoletano, con una totale indifferenza circa il destino materiale e morale dei suoi componenti, che si ritrovarono da un giorno all'altro ridotti al-

29

320. 3

G. BunA, Un viaggio da Boccad(fa/co a Gaeta, memorie della rivoluzione dal 1860 al 1861, Napoli, ristampa 1961, p.

°F .

B A RRA,

li brigantaggio in Campania .. .cit. p. 90.

31 F. MoLr-EsE, La repressione ...cit. p. 38.


Dai sanniti a/l'esercito italiano

172

l'accattonaggio. Questi almeno in numero di 10.000, infatti, cifra che prese ad aumentare con i graduali rientri dallo Stato Pontificio, trovarono non solo coerente politicamente ma addirittura privo di alternative esistenziali, confluire nelle bande brigantesche, adesione che se non altro garantiva loro un minimo di paga, onde mantenere in qualche modo le rispettive famiglie. A dispetto degli sforzi dell'Esercito Italiano la frontiera con lo Stato Pontificio rappresentò, per l'impunità di cui godevano al suo interno i sudditi di Francesco II, la via osmotica per antonomasia del brigantaggio centro meridionale. La sorveglianza ininterrotta che tale impervia e selvaggia linea di demarcazione imponeva ai militari era logorante ed al contempo esasperante. Le bande infatti erano moltissime, dotate di grande mobilità essendo generalmente montate e conoscendo alla perfezione il territorio, spesso poi formate da pochi individui, che sembravano dissolversi quasi nei loro veloci e continui spostamenti. Riuscivano così a varcare il confine sgusciando con destrezza e facilità tra le pattuglie e le postazioni, e per le antichissime mulattiere ed intricati sentieri, pervenivano indisturbati ed inosservati sugli obiettivi prefissi, compiendovi sanguinosi colpi di mano, a spese per lo più dei piccoli abitati e dei distaccamenti isolati della Guardia Nazionale. Quindi mimetizzandosi durante il giorno nelle boscaglie attendevano nuovamente l'oscurità per rientrare in zona franca, sotto la tacita protezione della Chiesa . Le truppe abitualmente male informate ed in ritardo per giunta, lente ad operare per inadeguatezza tattica, raramente intercettavano comitive brigantesche, esaurendosi in vane ed estenuanti perlustrazioni, che per di più le esponevano ad imboscate ed agguati. «Per far fronte a tale stato di cose le forze italiane dovettero assumere uno spiegamento assai frazionato e disperso, nel tentativo di controllare il più possibile il territorio, proteggere i centri abitati e le vie di comunicazione, ottenere informazioni, impedire per quanto possibile il vettovagliamento ed i movimenti delle bande. Si cercò quindi di estendere in profondità la zona occupata dispiegando i reparti in tre linee successive .. . La prima delle tre linee correva immediatamente a ridosso del confine, da Monticelli (Monte S. Biagio) a Tagliacozzo, la seconda, più arretrata, si estendeva da Gaeta ad Alvito, attraverso Pontecorvo e San Germano (Cassino); terza linea infine da Picinisco, alle falde delle Mainarde, attraverso la forte posizione di Mignano, scendeva a Sessa-Traetto. Era come si può rilevare un dispositivo militare imponente, congegnato sia per fronteggiare l'azione di logorarnento delle bande che un tentativo di irruzione in forza, sia che provenisse dalla frontiera pontificia che dal Matese» 32 . Il Matese infatti con lo scorrer delle settimane prendeva a connotarsi sempre di più come un grande bacino, generatore e difensore, del brigantaggio dell'Italia Gentrale, proprio per la sua perfetta rispondenza geomorfologica alla guerriglia, ed anche per la sua comoda vicinanza alla frontiera pontificia, e, non ultimo, per la presenza massiccia di pastori; boscaioli e montanari, che fornivano un essenziale supporto logistico . «Nessuna strada, infine, affrontava a quell'epoca il massiccio del Matese, che costituiva un'autentica barriera tra la Campania e l'Abruzzo-Molise. Questo ... fu uno dei più estesi, importanti e complessi"teatri del brigantaggio postunitario reso peraltro particolarmente delicato dalla presenza del confine pontificio»33 . Un ulteriore aggravio alla instabilità della pericolosa ·si1uazione dell'ordine pubblico fu causato dalla smobilitazione dell'esercito garibaldino, che specie per gli elementi meridionali rappresentò una sorta di tradimento ideologico eia parte italiana. Un numero insignificante di questi infatti fu ritenuto idoneo per l'ammissione nell'esercito regolare, mentre ai restanti si fece chiaramente intendere che il loro compito era ormai definitivamente concluso e la loro turbolenta presenza non più tollerata. Molti di essi paradossalmente trovarono nella dilagante insurrezione una plausibile continuazione delle aspirazioni rivoluzionarie, andando ad ingrossare le fila del brigantaggio. Il proclama reale di Francesco II dell'8 dicembre del 1860, incentrato sulla tesi della proditoria

32

33

F. F.

B A RRA,

BARRA,

il brigantaggio ... cit. p. 123 . TI brigantaggio ... cit. p. 116.


Parte seconda. Gli anni dei briganti

173

aggressione piemontese e sulle asprezze conseguenti la dittatura militare legittimava nobilitandole le adesioni alla resistenza brigantesca, neutralizzando ogni diversificazione cli finalità. Gaeta ... Popoli delle Due Sicilie Q_::1 questa Piazza dove difendo più che la mia corona l'indipendenza della patria comune, si alza la voci:' del vostro Sovrano P.er consolarvi nelle vostre miserie, per promettervi tempi più felici ... Ma quando veggo i sudditi miei che tanto amo in preda a tutti i mali della dominazione straniera, quando lì vedo come popoli conquistati portando il loro sangue e le loro sostanze ad altri paesi, calpestati dal piede di straniero padrone, il mio cuore napolitano batté indignato ... consolato soltanto dalla lealtà di questa prode armata, dallo spettacolo delle nobili proteste che da tmri gli angoli del Regno si alzano ... ò preferito lasciare Napoli, la mia propria casa, la mia diletta capitale per non esporla agli orrori di un bombardamento, come quelli che ànno avuto luogo più tardi in Capua ed in Ancona. Ho creduto di buona fede che il Re del Piemonte che si diceva mio fratello, mio amico, che mi protestava disapprovare la invasione cli Garibaldi . .. non avrebbe rotto tutt'i patti e violate tutte le leggi per invadere i miei Stati in piena pace, senza motivi né dichiarazioni di guerra ... Non sono i miei sudditi che mi ànno combattutto contro; non mi strappano il Regno le discordie intestine, ma mi vince l'ingiustificabile invasione di un nemico straniero. Le Due Sicilie, salvo Gaeta e Messina ... si trovano nelle mani del Piemonte. Che à da to questa rivoluzione ai miei popoli di Napoli e di Sicilia? Vedete lo stato che presenta il paese. Le Finanze un tempo così floride sono completamente rovinate: l'amministrazione è un caos: la sicurezza individuale non esiste. Le prigioni sono piene di sospetti: invece di libertà, lo stato d'assedio regna nelle province ed un generale straniero pubblica la legge marziale, decreta la fucilazione istantanea per tutLi quelli dei miei sudditi che non s'inchinano aJ\a bandiera di Sardegna. L'assassinio è ricompensato, il regicidio merita apoteosi; il rispetto al culto santo de' nostri padri è chiamato fanatismo; i promotori della guerra civile, i traditori al proprio paese ricevono premi che paga il pacifico contribuente. L'anarchia è eia per tutto ... Ci è rimedio per questi mali, per le calamità più grandi che prevedo . La concordia, la risoluzione, la fede nell'avvenire. Unitevi intorno al trono de' vostri padri. Che l'obblio copra per sempre gli errori cli tutti; che il passato non sia pretesto cli vendetta, ma pel futuro lezione salutare ... Indipendenza amminisLrativa ed economica tra le due Sicilie con parlamenti separati: amnistia completa per tutti i fatti politici; questo è il mio programma. Fuori di queste basi non ci sarà pel Paese, che dispotismo o anarchia ... Firmato Francesco34 •

Pur nella prudente e larvata esposizione il senso ultimo dell'accorato proclama era esplicito ed allusivo per chiunque e come tale in effetti venne, almeno inizialmente, da molti recepito e raccolto. Pochi giorni dopo, un altro proclama, questa volta cli Vittorio Emanuele, determinò un rabbioso malcontento, foriero di ulteriori proselitismi alla causa brigantesca. VITTORIO EMANUELE Re cli Sardegna ec. ec. ec. Sulla proposizione del Nostro Ministro Segretario di Stato per gli affari della Guerra. Abbiamo decretato, e decretiamo quanto segue: Art. J. Sono chiamati sotto le Armi a far parte del Nostro Esercito attivo tutti gl'individui delle Provincie Napolitane, i quali furono obbligati a marciare per le leve degli anni 1857, 1858, l 859 e I 860 per il già Esercito delle Due Sicilie. Questa chiamata comprende benanche gl'individui che obbligati a marciare per conto delle Leve degli anni anzidetti, non si siano ancora presentati. Art. 2. Tutti gli altri individui appartenenti al già Esercito delle Due Sicilie non compresi nelle Leve indicate nello articolo precedente, i quali non hanno compito il loro impegno, o che avendolo espletato non possono legalmente comprovarlo, sono tenuti alla continuazione del servizio, ma saranno rinviati nelle rispettive loro Patrie con licenza illimitata, coll'obbligo però di dover marciare a qualunque chiamata.

34

P.G.

J.!\GER,

Francesco ll ... cit. pp. 21.1-13.


Dai sanniti all'esercito italiano

174

Qualora in qualche provincia o comune si manifestassero mene ostili al Nostro Governo, tutt'i militari di cui è caso appartenenti a quella provincia o comune, saranno immediatamente chiamati sotto le armi. Art. 3. Tutti gl'individui che a termine dello articolo 1° sono chiamati a marciare, dovranno entro tutto il mese di gennaio 1861, essersi presentati al Deposito Generale di Napoli, e qualora non vi adempissero, verranno le reclute dichiarate refrattarie, ed i soldati disertori, e quindi puniti secondo le leggi vigenti in queste Provincie Meridionali. Art. 4. Per gl'individui i quali trovinsi già nelle antiche provincie del Regno, o riuniti in depositi speciali, provvederà in conformità direttamente il Nostro Ministro Segretario di Stato per la Guerra. Art. 5. Rimane a cura de' Governatori, e de' Comandanti militari lo esatto e sollecito adempi, .. mento delle prescrizioni che riflettono i militari tutti i quali si trovano sparsi in queste Provincie Meridionali. Il Nostro Ministro Segretario di Stato per gli affari deJla Guerra è incaricato dell'esecuzione del presente Decreto che sarà registrato alla Corte de' Conti. Da Napoli addì 20 dicembre 1860 Firmato Vittorio Emanuele35 .

«Le famiglie contadine sono alla disperazione (la ferma era di 8 anni n.d.A.); il nuovo re nel bando non contempla nessuna eccezione. Da meravigliarsi se rimpiangono i Borboni? Ferdinando li con la legge del 1834 concedeva I 'esenzione dal servizio militare36 ai figli unici e agli ammogliati, accontentandosi che le famiglie con due o tre figli elessero un soldato e le più numerose due. Permetteva il cambio militare in ragione di 240 ducati; Vittorio Emanuele che è avido di denaro, ne chiede ora 729 ... » 37 • La renitenza alla leva si trasformò in un nuovo incentivo alla latitanza, e quindi al brigantaggio, apparente rimedio a tutte le afflizioni materiali e morali. A ncora in pieno 186 1 si insisteva sulla stessa ottusa incomprensione ed intolleranza, rinforzandone per di più la drasticità. Una circolare ad esempio del 5 luglio così intimava in materia di esoneri, sulla base di una comunicazione alquanto incerta, affermante che numerosi individui: «fan pervenire per mezzo delle Autorità le loro reclamazioni, sullo scopo di ottenere l'esenzione dal marciaré, perché sostegni di famiglia ... Tale pratica essendo abusiva, non può essere più lungamente tollerata e non dovranno accogliersi alcune dimande di siffatto genere ... >>38 •

Osservazioni militari sulla lotta al brigantaggio «L'esercito piemontese giunse in territorio napoletano militarmente e psicologicamente impreparato a fronteggiare insurrezioni popolari e brigantaggio. Reazioni diffuse si erano avute all'atto dell'annessione, anche in altri Stati preunitari (specie in Lombardia e Toscana) ma sempre contenute nell'ambito della dialettica politica. Nel napoletano invece l'esercito dovette affrontare una vera e propria guerra civile contro masse d'insorti che rifiutavano il regime unitario e grosse formazioni che lo combattevano» 39 • Era infatti per tutti inconcepibile, dopo l'entusiastica partecipazione all'epopea garibaldina che lasciava motivatamente arguire radicati consensi generalizzati al programma risorgimentale, il quadro di diffusa intolleranza ed ostilità nei confronti dell'attuazione concreta dello stesso.

35

Cfr. Brigantaggio sul N!atese, Mostra storica promossa dall'amministrazione provinciale di Benevento, Tavola n° 2. G. F 10REN TJN0, G. B0ER1, L'esercito napoletano del 1832, Napoli, 1983, p. IO. 37 L. SA NG IUOLO, li Brigantaggio ... cit. p. 135. 38 R. D1 LELLO, G.R. P ALUMoo, Brigantaggio su/lvlatese ... cit. p. 16, nota 11. 39 L. TuccA RI, Memoria sui principali aspetti tecnico-operativi della lotta al brigantaggio dopo l'unità (186 1-J 870), in Studi Storico-militari 1984, Roma, 1985, pp. 209-210. 36


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175

156 J56. Foglio della Cartografia Napoletana.

Lontanissima poi dalla mentalità degli ufficiali piemontesi la logica classista meridionale e le sue arcaiche contrapposizioni, che accentuava l'intima incomprensione dell'insorgenza. L'impatto perciò sotto il profilo psicologico fu stravolgente: invece della propagandata e quindi attesa accoglienza festosa, spettante ai liberatori settentrionali dalla tirannide borbonica, si ebbe la più spietata, fanatica ed efferata guerriglia, condotta con tecn iche inusitate per l'esercito piemontese, per di più in un teatro ignoto quanto impervio ed inospitale. Sotto il profilo militare inoltre era palese l'incapacità ad operare in maniera adeguata, al di là di una brutale quanto deleteria violenza repressiva, che peraltro moltiplicava esponenzialmente la ribellione con rappresaglie a catena. Un indicatore del grado di colpevole approssimazione con cui fu intrapresa la fase militare dell'annessione, che comunque avrebbe dovuto far ipotizzare allo Stato Maggiore un minimo di resistenza locale e quindi la necessità di azioni di controllo attivo, traspare persino dalla pressoché totale assenza di un'adeguata cartografia del territorio specifico presso i quadri dirigenti. Eppure esistevano ottimi fogli ali '80.000, di molte delle località infestate dal brigantaggio40 . Né in seguito si pose rimedio alla gravissima carenza. «Dopo l'unità, pur prendendo atto della bontà del lavoro eseguito nel regno di Napoli e della superiorità dell'incisione sugli altr i sistemi di produzione, lo Stato Maggiore decise di abbandonare l'impresa della carta all'80.000. Per recuperare i fogli già realizzati ed in corso d'incisione fu, però, deciso di redigere una carta della frontiera dell'ex regno di Napoli in fogli ... Ma negli anni '70 di tale opera non era stato eseguito che un solo altro foglio, quello di Leonessa ... ed anche tale impresa fu di lì a poco abbandonata»4 1 •

4

° Cfr. G . A usro e V. V

41

G. Aus10 e V.

Cartografia napoletana dal 1781 al I880, li Regno, Napoli, la Terra di Bari, Napoli, I 983. Cartografia ... cit. p. 161.

A UR10,

V ,,1. ER10,


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Intuibili pertanto anche solo da questo emblematico episodio le difficoltà, i rischi, e l'indeterminazione derivanti alle truppe impegnate in perlustrazioni e pattugliamenti in contesti geografici ignoti, nonché la loro conseguente circospezione e lentezza negli spostamenti. Intuibile per contro la schiacciante superiorità tattica ingenerata nelle bande dalla padronanza assoluta del territorio. L'esercito piemontese inoltre, come del resto la maggioranza di quelli europei coevi, era stato strutturato ed addestrato in ossequio alla visione clausewitziana della guerra, ovvero in vista di scontri campali, di manovre regolari, magari anche di assedi a piazzeforti, ma sempre in un contesto di contrapposizione a formazioni nemiche analoghe e facilmente identificabili come tali, in un contesto esplicito di belligeranza. Né valeva molto l'esperienza spagnola ed algerina del Cialdini e del La Marmb ra, collocandosi queste conflittualità partigiane, indubbiament e irregolari, in un ambito di dinamica unitaria e mai in una frammentazione anche ideologica e spesso divergente, come quella brigantesca postunitaria. «Questi presupposti di natura concettuale si riflettevano su ordinamento e impiego delle unità piemontesi, adatte allo scontro frontale, ma poco idonee ... alle azioni di controguerriglia, forma questa ... sconosciuta alla dottrina tattica dell'armata sarda. Infatti la fanteria, lenta nei movimenti e condizionata da un limitato raggio d'azione, difficilmente riusciva a prendere contatto con le bande che ''dalle favorevoli posizioni che occupano possono vedere l'arrivo delle truppe ed evitare lo scontro per ricomparire poi più ardite in altri luoghi". Anche la cavalleria ... basata sulla forza d'urto della carica, inizialmente apparve disorientata»42 . Le difficoltà accusate sono poi a ben riflettere le stesse in cui si imbatterono da principio le legioni romane, e che provocarono in breve la modifica strutturale in formazioni manipolari, per adeguarle appunto alle sfuggenti azioni di guerriglia. Infatti anche per l'esercito piemontese: «la struttura organica delle unità di fanteria era massiccia, compatta, uniforme ... e perciò poco idonea ad un impiego frazionato dalle forze per compiti autonomi. L'esercito piemontese era entrato nel napoletano con l'ordinamento Fanti che prevedeva battaglioni su 6 compagnie di 150 uomini ciascuna ... Questo complesso pesante e di difficile comando ... fu poi alleggerito con la riforma Petitti del 1862 (battaglioni su 4 compagnie), pur rimanendo concettualmente ancorato alle dottrine del tempo}) 43 • Non a casciil gen. Cadorna scriveva alcuni anni dopo in una sua «Memoria sulle cause del brigantaggio»: «si guerreggiavano i briganti con sistemi troppo simili a quelli delle truppe regolari, cioè con operazioni sistematiche quasi avessimo di fronte truppe nelle stesse nostre condizioni»4 4 • L'entità e le caratteristiche dell'esercito piemontese che all'alba del 12 ottobre 1860 entrò nel Regno di Napoli, meglio si evincono dalla sua composizione: «al comando del Fanti si ebbero due Corpi d'Armata: - IV Corpo agli ordini del gen. Enrico Cialdini, costituito da: -4 ° Divisione Fanteria -7 ° Divisione Fanteria -1 ° Brigata di Cavalleria con i Lancieri di Novara e di Milano -1 ° Brigata di Artiglieria -6°, 7° e 8° Compagnia Genio; - V Corpo agli ordini del gen. Enrico Morozzo della Rocca costituito da: -1 ° Divisione Fanteria -1 ° Brigata di Cavalleria con Nizza e Piemonte Reale -1 ° Brigata di Artiglieria -1°, 3°, 5° e 10° Compagnia Genio . . . . A questi Corpi principali vanno aggiunti con funzioni fiancheggiatrici, durante la prevista avanzata attraverso gli Abruzzi:

42 43 44

L. TuccAR1, lvfemoria sui principali aspetti ... cit. pp. 210-211. Ibidem., p. 211. Ibidem , p. 218.


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-La colonna Pinelli con il 40° Fanteria, il 9° e 20° battaglione Bersaglieri, 1 squadrone del Nizza Cavalleria, 1 batteria da montagna (con 1 sezione rigata), un reparto irregolare: i Cacciatori del Tevere, per 4.000 uomini in totale; -La colonna Brignone, con il 3° Granatieri, 2 squadroni del Nizza Cavalleria, 8 pezzi da campagna, per 2.500 uomini complessivi; ed infine, destinata a sbarcare nei porti delle Puglie e di lì puntare su Napoli, costituendo il fianco meridionale dell'Armata: -La colonna De Sonnaz con il 4° Granatieri, il 14° Bersaglieri ed otto pezzi per altri 2.300 uomi ni . . . . a queste forze si aggiungono quelle che ... erano a Napoli, portatevi dalla flotta, e cioè il 1° e 2° Granatieri di Sardegna (8 battaglioni), un battaglione di Bersaglieri e 2 batterie da campagna, si arriva ... (ad) un totale di quasi 40.000 uomini e 5 .000 cavalli; successivamente in previsione degli assedi di Capua e Gaeta e per bloccare Messina, sarebbero affluiti ancora due Reggimenti di Fanteria, reparti del Genio, di fanteria e vari per almeno altri 1O. 000 uomini ... » 45 • Tornando alle peculiarità del Matese quale teatro del brigantaggio, forse tra i più virulenti ed ostinati, le ottimali condizioni operative furono, alcuni anni dopo, sintetizzate dal cap. Spinelli del 75° Regg. Fanteria, in un suo interessante studio sulle caratteristiche militari della zona. «La separazione delle forze, così nel senso della fronte, come in quello della profondità, s'impone: alla simultaneità degli sforzi deve subentrare la convergenza, l'accordo. Alla inevitabile separazione ... si aggiunge la difficoltà grande delle pronte comunicazioni, della rapida trasmissione degli ordini e delle notizie (e in ciò gli antichi sanniti avevano già attuato come del resto i briganti una funzionale metodologia ottica, ed i secondi anche acustica, che soltanto parzialmente fu applicata anche dalle forze regolari n.d.A .). L'impreveduto e la sorpresa dominano la situazione: il nemico, il terreno, le condizioni atmosferiche fanno sorgere improvvisamente questi elementi perturbatori. L'azione direttiva dall'alto si affievolisce e spesso vien meno del tutto ... occorre spirito generale di giusta iniziativa, accordo delle intelligenze. Il grande reparto in zone siffatte, sparisce e subentra quello di ordine inferiore, spesso il battaglione, la compagnia e qualche volta il plotone: l'azione dei rispettivi capi, come la responsabilità loro diventa più intensa: il colpo d'occhio, la rapidità delle decisioni, la pronta ed oculata iniziativa trovano il loro maggior impiego: l'accurata tecnica delle anni, il giusto apprezzamento degli ostacoli e del terreno, la necessità delle azioni di fianco e di rovescio, l'oculata vigilanza delle retrovie, sono caratteristiche essenziali ... (specie dove) sono elementi perturbatori una fitta vegetazione ed ostacoli d'ogni natura, creati dalla mano dell'uomo» 46 . Invece la realtà del momento era ben diversa: la rigida applicazione di regolamenti inadatti, la stretta osservanza della scala gerarchica per qualsiasi decisione anche urgente, l'inadeguatezza a cogliere la novità dell'impiego produssero per i primi periodi sanguinosi e deprimenti insuccessi, incentivando di pari passo la tracotanza dei ribelli. Pochissimi i provvedimenti di quegli anni tesi alla ottimizzazione delle prestazioni dei reparti: basti per tutti ricordare il problema apparentemente secondario, ma di enorme conseguenzialità operativa dell' equipaggiamento e del vestiario. «La Marmora era stato in Algeria nel 1844 ed aveva studiato ed elogiato le usanze adottate dai Francesi per una guerra che richiedeva equipaggiamenti ed ordinamenti speciali, per cui sarebbe stato il più adatto e competente per proporre ed adottarne altri ... Ma egli considerava la guerra di repressione della reazione come un servizio di pubblica sicurezza, di durata transitoria e quindi non occorrente di particolari disposizioni tecniche ... Ufficiali e soldati erano partiti dalle guarnigioni dell'Alta Italia con l'equipaggiamento di guerra, cappotto e pantaloni di panno, chepy colla fodera di tela cerata, nonché zaino, fucile e munizioni che pesavano in complesso fra i 28 ed i 30 kg., un insieme cioè di vestiario e di carico certamente inadatto per camminare fra i boschi, in terreni rotti o in marcie ... che richiedevano soprattutto celerità»47 .

45 46 47

Da C. CESARI, Il Brigantaggio ... cit., p. 82. A. SPINELLI, La regione di Cerreto Sannita, studio militare, Napoli 1899, pp. 29-30. C. CESARI, li Brigantaggio ...cit. p. 83.


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Abbiamo avuto modo di ricordare come molte volte nelle identiche regioni e circostanze i consoli romani, tradizionalmente ligi al regolamento, avessero ritenuto indispensabile per il buon andamento del servizio far alleggerire i soldati dell'equipaggiamento non strettamente necessario, limitandolo spesso alla sola spada. Per l'esercito italiano invece tale logica procedura restò appannaggio della discrezionalità arbitraria di: «qualche comandante (che) ordinò ... sotto la sua responsabilità, che lo zaino si potesse lasciare agli accantonamenti. .. che il cappotto fosse portato qualche volta a tracolla anzicché indosso, che venissero distribuiti i viveri in contanti quando non si poteva confezionare il rancio» 48 • _Si dovette attendere il I 867 ed il generale Pallavicini per avere finalmente ed ufficialmente una più sensata rispondenza fra l'equipaggiamento individuale ed i compiti specifici. «Il servizio di pubblica sicurezza per la natura dei luoghi in cui è eseguito, per il carattere delle varie operazioni, e per i disagi che delle stesse sono inevitabili conseguenze, richiede che per quanto ha rapporto alla tenuta, le truppe si discostino dalle osservanze di prescrizione. Queste, strettamente tenute in vigore, tornerebbero oltremodo pregiudizievoli all'adempimento del servizio ... giacché verrebbe cli conseguenza tolta a' soldati l'agilità necessaria per riuscire ne' loro movimenti ad agguagliare la celerità brigantesca. Il cheppy, lo zaino, il sacco a tenda vogliono per tal ragione non essere mai usati, ... che nella guerra del brigantaggio ... troppo sovraccaricherebbero il soldato ... Un soldato che vada in servizio ... nella tenuta prescritta per le truppe in campagna, potrà tutt'al più perlustrare i terreni piani ed a breve distanza dagli stradali ... (ma) i briganti non passeggiano lungo gli stradali, ma si aggirano ne' luoghi ... sparsi d'ostacoli, o si mantengono sulle vette di monti scoscesi. .. Ciò che vien detto per la bassa forza si riferisce ugualmente alla tenuta degli ufficiali ... » 49 • Se si pensa che le fin troppo ovvie deduzioni del generale richiesero quasi sette anni di gestazione da parte della dirigenza militare, ci si rende conto della incapacità di questa ad adeguarsi alle esigenze della guerriglia, conferma di una insufficienza di fondo dell' apparato, e per quanto aggiungeremo del suo scollamento con la base. Infatti è emblematica, nello stesso lasso di tempo, una dilagante fioritura di uniformi non autorizzate presso i reparti operanti, crescente con il procedere della repressione. «Le uniformi indossate dalle truppe italiane durante la terribile campagna contro "il brigantaggio" presentan6 indubbiamente uno dei quadri più vari e multicolori nella storia del nostro Esercito. Considerando la rigida mentalità piemontese, trasmessa integralmente nelle nuove Forze Armate nazionali, senlbra impossibile che tanta libera iniziativa dei singoli o dei reparti possa affermarsi dimostrandosi sorda alle prescrizioni. .. In pratica dunque l'aspetto esteriore del soldato assegnato alle operazioni antibanditismo segue più o meno le seguenti vicende: all'inizio del turno di presidio nelle provincie impegnate i materiali di vestiario e di equipaggiamento rispondono alle norme; in un secondo momento, l'eliminazione del Kepì, delle monture con le golette rigide ... delle spallette, delle cordoniere, ecc. privilegia i copricapi e le divise da fatica - sempre più rustiche e funzionali - ed alleggerisce i bottini garantendo soltanto l'indispensabile; con il logoramento progressivo e poi accentuato dei materiali vien fatto ricorso alle risorse locali, ricercando coperte multicolori, maglie di varia foggia, ciocie e calzari contadini, borracce e sacchi da cacciatori. Se a ciò si aggiunge la moda, molto diffusa specialmente tra gli ufficiali, di indossare uniformi totalmente fuori ordinanza ed ispirate ai costumi locali e, talvolta - grazie forse a qualche sarto nostalgico - alle uniformi dello scomparso esercito napoletano, l'aver definito straordinariamente vario e multicolore l'aspetto delle truppe non appare esagerato ... » 50 • Un breve cenno conclusivo merita l'armamento in dotazione. «La fanteria era armata cli fucile ad avancarica mod. 1860 cal. 17.4, modificato nel 1866 tipo Carcano, a cilindro e con percussione ad ago, portata utile 400 metri. Per i bersaglieri .. . era costituito

48

49

50

Ibidem, p. 83. Ibidem, p. 84. V. GrnELLJ NJ, Esercito Italiano 1861-1870,

in

Rivista Militare, n° 2, 1982, pp. 123-124.


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da carabina a retrocarica modello Delvigne, più leggera e di maggiori prestazioni in gittata e precisione. Gli ufficiali erano armati di sciabola. La cavalleria era armata di sciabola (lancia per i reggimenti di cavalleria pesante) e pistola. Solo nel 1863 furono distribuite ai reggimenti operanti nel napoletano le carabine che inizialmente furono accolte con una certa ostilità, in quanto modificarono sostanzialmente l'armamento tradizionale e anche i criteri d'impiego di dette unità. Per assicurare maggior scioltezza e capacità reattiva alle truppe il gen. Pallavicini dispose con successive circolari: - per gli ufficiali, di sostituire il revolver o il fucile da caccia alla sciabola «arma inutile ed incomoda per chi deve perseguire i briganti». - per la truppa di portare al seguito il munizionamento da guerra quanto basta a far fronte a qualsiasi eventualità (20-30 cartucce al massimo)» 5 1 •

Il brigantaggio del Malese 1861: il brigantaggio divampa. Agli inizi del 1861 si formarono sul Matese le prime bande, dandosi in breve una adeguata organizzazione ed una appropriata struttura. Le nascenti comitive brigantesche presero quindi ad aggirarsi ad immediato ridosso dei centri abitati, con il duplice intento di fomentare la serpeggiante ribellione dei "cafoni", tra i quali attingevano nuovi proseliti, e di attaccare le casermette della Guardia Nazionale procurandosi in tal modo altre armi. Il sindaco di Piedimonte ad esempio relazionava al Governatore di Terra di Lavoro, in data 5 marzo le sue crescenti preoccupazioni: «Signore ... ella con l'ultimo suo ufficio ordinava l'arresto de' soldati del disciolto Esercito Napolitano ... Dalle raccolte informazioni posso assicurarle che da qualche sera si riuniscono fuori dell'abitato al numero di circa 60, e cospirano sul modo da tenersi per sorprendere il posto di Guardia Nazionale ed armarsi. E per meglio riuscire nel cattivo proposito sento che abbiano aperte corrispondenze con i soldati de' comuni vicini in particolare con quelli di Cusano ... Il Sindaco P. Romagnoli» 52 .

La loro iniziativa divenne con l'apprestarsi dell'estate sempre più esplicita e tracotante, giungendo a minacciare direttamente i paesi di Capriati, Valle Agricola, Letino, Gallo e Prata. Analoghe pressioni intimidatorie si registrarono pure nella valle telesina, a Cerreto, a Pontelandolfo ed a Guardiaregia. In pratica all'avvento dell'estate l'intero massiccio era avviluppato in una fitta trama di itinerari incursivi, percorsi assiduamente da numerose formazioni di briganti, che ne soffocavano qualsiasi residua legalità. Ma se ovunque nell'estate del 1861, la situazione politico-militare fu gravissima, soltanto nel Cerretese e nell'Alto Sannio la reazione proruppe in insurrezione generale. Già dalla fine di giugno, era cominciata la fuga su Benevento dai paesi minacciati da parte dei possidenti e delle stesse autorità municipali e governative» 53 . Ai primi giorni di luglio la rivolta imperversava ovunque, facendo motivatamente temere le conseguenze destabilizzanti. Il 2 luglio: «il capitano Cremo del distaccamento militare di Venafro telegrafò al Governatore di Caserta: "Letino occupato da briganti. Innalzata bandiera borbonica, altre nel lv!atese. Gallo sta per insorgere, autorità e famiglie fuggite. Caste/Ione come Letino. Paesi limitrofi in allarme. Pronti provvedimenti chiedono ivi". Tre giorni dopo Val di Prata cadde nelle mani dei ribelli» 54 •

51 52 53 54

L. T u ccARI, Memoria sui principali . .. cit. p. 236. R. D1 L ELLO, G.R. P/\ LUMIJO, Brigantaggio sul 1vfatese... cit. p. 20. F. BARRA,// briga,uaggio in Campania ... cit. p. 107. R. D1 L ELLO, G.R. PA1.u .v1no, Brigantaggio ... cit. p. 23.


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157 157. Faicchio: caitello ducale.

Le condizioni abitative apparvero allora talmente compromesse da consigliare l'insediamento del gen. Pinelli con un forte contingente di truppe a Piedimonte, a partire dal 6 luglio. Ed il giorno 7 si colse il primo riscontro della validità del provvedimento allorché i soldati inflissero pesanti perdite ai briganti presso Roccavecchia di Pratella, antico caposaldo sannita, trasformato in munitissimo covo. Il significativo successo tuttavia comportò uno spostamento operativo delle bande che ai primi di agosto assalirono Civitella Licinio (fraz. di Cusano Mutri), quindi S. Polo e Pietraroja, tanto per citare i principali bersagli. Nel frattempo il gen. Cialdini che aveva assunto la direzione del 6° G.C. dal 12 luglio - e lo mantenne fino al 31 ottobre - tentando una volta per tutte di soffocare le insorgenze legittimistiche che dilagavano a macchia d'olio, e di confinare, prima della definitiva estirpazione, il brigantaggio nelle sole aree montuose interne, quale appunto il Matese, accentuò la sua logica repressiva spietata. Istituì pertanto presidi fissi nei capoluoghi, dislocando inoltre reparti mobili con compiti di perlustrazione continua e con draconiane ordinanze di inappellabile giustizia sommaria appena se ne fosse presentata la minima opportunità plausibile. Le fucilazioni si susseguirono perciò ad un ritmo serrato tanto da far insorgere qualche perplessità nella dirigenza politico-militare, che impose una pur blanda moderazione, come narrò nelle sue memorie il gen. Marrozzo della Rocca, quaranta anni dopo gli eventi in esame: «Feci fucilare alcuni capi e pubblicai che la medesima sorte sarebbe toccata a coloro che si fos sero opposti, armi in pugno agli arresti. Erano tanti i ribelli, che numerose furono anche le fucilazioni, e da Torino mi scrissero di moderare queste esecuzioni, riducendole ai soli capi. Ma i miei


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158 158. Casalduni, veduta panoramica.

Comandanti di Distaccamento, che avevano riconosciuto la necessità dei primi provvedimenti, in certe regioni dove non era possibile governare se non incutendo terrore, vedendosi arrivare l'ordine di fucilare soltanto i capi telegrafarono con questa formula: «Arrestati, armi in pugno, nel luogo tale, quattro, cinque capi di briganti». E io rispondevo: «Fucilate». Poco dopo il Fanti, a cui il nu;nero dei capi parve straordinario, mi invitò a sospendere le fucilazioni e a tenere prigionieri tutti gli arrestati. Le prigioni e le caserme rigurgitarono; il numero dei carcerati crebbe a dismisura, e così pure crebbero i disordini, specie dopo la presa di Gaeta»55 •

I risultati nonostante la spietatezza tradirono completamente le aspettative e, se mai, non fu la riduzione delle fucilazioni ad incrementare il brigantaggio ma quasi certamente proprio il loro -alto numero e l'assenza di qualsiasi soluzione alternativa. Infatti di lì a breve proporzioni ancora maggiori assunse la rivolta nel circondario di Cerreto Sannita, sottoposto alla pressione delle vicinissime grosse bande del Matese. Né vi erano peraltro forze regolari in grado di opporvisi, insufficienti per organici, per armamento e non ultimo per coraggio. Meno che mai la sparuta e poco affidabile Guardia Nazionale. Il 6 agosto l'insurrezione aveva raggiunto Faicchio, Guardia Sanfromondi, Casalduni e Campolattaro e non accennava a scemare. Il 7 a Pontelandolfo i disord.ini subirono una nuova impennata, facendo addirittura ricostituire sotto la minaccia di sbandati, renitenti e briganti, ingrossati da una miriade di contadini, una caricatura di

55

P.G.

JAceR,

Francesco /1...ciL pp. 233-234.


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159 /

159. Pontelandolfo, veduta panoramica.

sovranità borbonica, con tanto di «Te Deum». Le autorità pubbliche, delegato di P .S. compreso, si erano eclissate alle prime avvisaglie. Gli immancabili saccheggi dei palazzi nobiliari abbandonati, gli altrettanto rituali incendi degli archivi comunali e della sede della Guardia Nazionale, aizzarono a dismisura le migliaia di esaltati, che dovettero effettivamente illudersi di una assoluta impunità. A Cerreto contemporaneamente per l'inadeguatezza della difesa militare si ebbe un vero e proprio accerchiamento con conseguente isolamento dell'intero abitato. Il precipitare della situazione indusse il governatore di Campobasso, Belli56 ad inviare da Sepino un piccolo contingente del 36° fanter ia. Il suo comandante con una fatale imprudenza decise di portarsi verso Pontelandolfo, alla testa di 40 soldati e 4 carabinieri. Lo raggiunse l' 11, penetrandovi senza incontrare alcuna significativa resistenza. Improvvisamente al suono delle campane, una massa sterminata si andò radunando, dirigendosi al paese: il tenente Bracci, a capo del reparto, intuendo il pericolo incombente si sarebbe portato, secondo alcuni, a ridosso della torre senza poterne prendere possesso; secondo altri invece per un nuovo tragico errore avrebbe abbandonato insieme ai suoi il riparo della torre per abbozzare una sortita verso S. Lupo. Di certo i soldati rifugiatisi nella torre furono facilmente raggiunti dopo lo sfondamento della porta, e forse alcuni di loro tentarono effettivamente la fuga, ma inutilmente. E fu la fine. Il massacro si consumò tra Pontelandolfo e Casalduni, dove probabilmente riusci-

56 Per C. Cesari invece: «a Campobasso si trovava il colonnello Mazè de la Roche che in pratica fu lui ad ordinare il distaccamento di circa 50 uomini del 36°».


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160 160. Pontelandolfo: la torre dell'eccidio.


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161 . Casalduni: castello.

rono ad arrivare i fuggiaschi più veloci . Le vittime dell'atroce eccidio ammontarono a 37, alle quali però si devono assommare altre cinque di una precedente sommossa in zona. La notizia pervenne rapidamente al gen. Cialdini, a Benevento, che senza frapporre indugi, decretò una analoga feroce e sanguinosa rappresaglia. La sera del 13 agosto infatti partì dalla città, per l'ingrato compito una colonna di bersaglieri del 18° battaglione, al comando del tenente colonnello Negri, che all'alba del giorno seguente era innanzi a Pontelandolfo . Ovviamente i briganti ed i caporioni dei facinorosi non si fecero trovare ad attenderli, ma perfettamente consapevoli dell'inevitabile vendetta che si stava per abbattere sul paese, avevano per tempo guadagnato la montagna, tranne una piccola frangia della banda Giordano. La resistenza di questi ultimi fu brevissima quanto insignificante ed i bersaglieri in breve restarono padroni incontrastati del luogo. Gli ordini di Cialdini trovarono da quel momento una pedissequa esecuzione: «Tutto, con l'eccezione di tre sole abitazioni, fu devastato, saccheggiato e dato alle fiamme, né si fece grazia agli abitanti, compresi donne e bambini, trucidati o fucilati in massa .. . Contemporaneamente, quattro compagnie di bersaglieri al comando del maggiore Melegari attaccarono, devastarono e diedero alle fiamme Casalduni, che era stata però abbandonata a tempo da gran parte degli abitanti. Espletata la sua missione, il colonnello Negri poté quindi così telegrafare il 15 agosto al Cialdini: «Ieri mattina all'alba, giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni . Essi bruciano ancora» 57 .

57

F.

B A RRA,

Il brigantaggio .. . cit. p. 111 .


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L'Alto Sannio tuttavia continuava ad essere incontrollabile , e soltanto intorno la fine di agosto il Cialdini poté destinarvi congrue forse per ristabilirvi l'ordine, che già un bando del governatore di Benevento aveva in utilmente richiesto.

REGNO D' ITALIA IL GOVERNATORE DELLA PROVINCIA DI BENEVENTO Nello svolgersi dei dolorosi avvenimenti, dei quali questa P rovincia fu il teatro in questi ultimi tempi, fu dato riconoscere: Che le decantate orde dei briganti si compongono più di decine che di centinaia , le quali, per verità si reclutano ed ingrossano con elementi ragunaticci delle località che prendono di mira, adescandoli colla speranza del bottino e tosto disfacendoli, perpetrata l'aggressione; Che nei Comuni, dove le persone che coprono uffici pubblici o meritano influenza, non hanno emigrato; ma invece ànno adempito il loro dovere di funziona ri e di buoni cittadini , ànno sostenuto lo spirito pubblico, si sono atteggiati alla resistenza; i briganti o non si sono presentati o, se lo fecero, furono respinti; Che in parecchi Comun i e là appunto, dove i capi avevano disertato, non la feccia soltanto, ma le popolazioni in massa, salvo qualche eccezione, si spinsero persino ad associarsi alle nefandità dei briganti palesemente e senza ritegno e finiro no per dare in eccessi che furono sepolti souo la colma misura della giustizia militare; Che appena in qualche ra ro Comune e in modo assai imperfetto si pensò ad erigere barricate ed altre opere fort ilizie momentanee, le quali con pochi animosi crescono immensamente il vantaggio della difesa, specialmente contro aggressori non esperti delle cose di guerra e che non sono saldamente governati eia buona disciplina militare; Considerate che le stesse colpe, le stesse pusillanimità, le stesse impreveggenze possono far rivivere le stesse lacrimevoli calamità; Determina J - In tutti i Comuni percossi dal brigantaggio e attualmente smorbatine o per virilità dei cilladini o per valore delle truppe italiane sarà cura dei Signori Regi del Mandamento fatta verificazione se i funzionari e i cittadini notabili soliti a tenervi sta nza, vi siano restituiti . I Signori Giudici faranno un rapporto quotidiano concernente almeno un Comune del rispettivo Mandamen to per giorno, sicché al più tardi entro tanti giorni quanti sono i Comuni del rispettivo Mandamento, le informazioni giungano complete a questo Governo. 2 - Gli elenchi degli assenti senza ragione saranno da questo Ufficio riassunti per Comune e fatti pubblicare nel Comune cui appartengono, in quello del rispettivo Mandamento e per quelli Capoluogo di Mandamento nel Capoluogo di Circondario (sede d'Intendenza) e tutti indistintamente nel Capoluogo di Provincia. 3 - A questa pubblicazione terrà dietro una intimazione di questo Governo Provinciale a tutti i riferiti nell'elenco perché in termine ragio nevole rimpatrino con comminazione: ai funzionarii della destituzione, senza che una spontanea dimissione possa sottrarli a quel rigore, poiché una dimissione non può essere accettata negli attuali frangenti; agli altri notabili del Comune, che avvenendo nuovi d isastri, eglino saranno pur tenuti responsabili dei medesimi, saranno inusti di macchia ufficiale di pusillanimità, saranno esclusi da qualsiasi riguardo, che il governo possa disporsi ad usare di compensi, indennità e simili; e infine, che sopra tale loro contegno si radicherà il crilerio della loro fede politica. 4 - Spirato il termine per ciascun comune, entro il quale ogni funzionario dovrà essersi restituito al posto, il Sindaco o, in difetto chi gli tien dietro, riferirà a questo Governo Provinciale che ha assunto l'amministrazione, proporrà le misure credute più acconce per ottenere l'associazione dei patrioti alla difesa del comune, affine di neutralizzare gli sforzi dei nemici dell' ordine attuale delle di cose, per erigere opere di difesa transitorie come barricate e simili; insomma chiarirà il piano che ravviserà più accomodato a tutelare il comune contro le imprese dei facinorosi Le armi specialmente dopo il vergognoso abbandono e la più turpe che stolida oblazione fattane al brigantaggio in differenti punti, officialmente difettano. Ma questa difficoltà non sarà tenuta a calcolo perché armi v'hanno dapertutto cd anche cli troppo in questa provincia. T liberali le facciano uscire dai recessi dove stanno riposte e le diano a brandire a lle destre non imbelli e pure dalla lebbra reazionaria. Se pur v'è un comune dove se ne lamenti la penuria, per


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pudore si veli cotanta infamia e dapertutto, se non si vuol difender l'Italia, almeno si salvino le sostanze e le vite. Benevento addì 20 Agosto 1861 Il Governatore Gattarìni» 58

II 3 settembre una grossa colonna, agli ordini del Gallarini mosse da Benevento, procedendo ad una sanguinosa epurazione dell'alto Sannio, tanto che il fanatico furore repressivo dell'alto ufficiale fu criticato persino dal Cialdini, il che è tutto dire! Nel Cerretese fu inviato con analoghe finalità il maggiore Zettiri: in circa trenta giorni fra settembre ed ottobre vennero fucilati in quel comune ben 37"briganti. La repressione era ancora lontana dalla sua conclusione! Nel proclama del Gallarini è possibile cogliere due interessanti osservazioni in merito all'auspicata autodifesa dei comuni, palese ammissione peraltro di impotenza militare. La prima è quella relativa alla fortificazione, più o meno temporanea, dei centri abitati, riproposizione in chiave moderna di quanto già furono costretti ad attuare i romani intorno alle loro colonie circummatesine: è pertanto una conferma indiretta della nostra precedente supposizione. Vedremo tra breve un esempio di tale procedura. La seconda è invece concernente la disponibilità di anni, che ufficialmente avrebbero dovuto essere scarse e sotto controllo, mentre in realtà come affermava il governatore abbondavano nella stessa provincia, provenendo da una "stolida oblazione". Infatti il: «5 aprile 1861 erano stati distribuiti 61.168 fucili in tutte le provincie meridionali, di cui 15.131 nella sola Napoli, mentre altri 150.000, residuati dal disarmo dell'esercito garibaldino, giacevano ancora nei magazzini di Napoli e di Capua» 59 • In conclusione, il 1861 si chiuse registrando un parziale successo della repressione del Cialdini. Essa impedì infatti: «una sollevazione generale conservando il controllo sui centri abitati importanti, disperse tempestivamente i più grossi concentramenti briganteschi e ristabilì in buona parte le comunicazioni. Ma non fu certo in grado di contendere alle bande il dominio dei monti e dei boschi. Anzi a partire dal settembre 1861 la guerriglia delle bande, a seguito dei sanguinosi colpi della repressione che aveva terrorizzato le pppolazioni mutò radicalmente tattica» 60 •

La tattica dei briganti. Come accennato verso la fine del '61 i capi briganti, prendendo atto della svolta imposta alle operazioni di repressione, e non certo solo per l'impatto di queste sulle popolazioni civili, furono indotti ad una revisione tattica delle loro abituali modalità di guerriglia. Si era infatti ampiamente dimostrato poco pratico il ricorso a grosse formazioni di improbo mantenimento materfale e di ancor più improbo controllo "disciplinare". Il dispositivo militare del Cialdini, discutibile ed atroce quanto si voglia, aveva effettivamente minato la sopravvivenza di questi numerosi raggruppamenti paramilitari, che per conseguenza si frazionarono minutamente dando così l'avvio alla più deleteria azione brigantesca spicciola. Quasi tutte le bande in tal modo originantesi iniziarono ad operare contemporaneamente in diversi settori, con assoluta autonomia, ma con una sostanziale concordanza cli obiettivi e di tattiche estrinsecative. In pratica queste ultime possono così sintetizzarsi: i briganti solitamente ben defilati ed appostati assalivano le lente colonne militari e le pattuglie in perlustrazione con una imprevedibile scarica di fucileria su di un fianco, imponendo subito un pesante tributo di sangue ed un naturale e pericolosissimo sbandamento. Spesso poi a questa prima faceva seguito una seconda scarica da tutt'altra

58 Cfr. L. SANcruoLo, !I brigantaggio nella provincia ... cit. illustrazione n°7. 59 F. MocF~~E, La repressione ... cit. p. 42. 60 Ibidem, p. 45.


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direzione, specie dopo la ricomposizione della colonna in difesa verso il lato da cui era stata in izia lmente attaccata. A secondo degli esiti l'azione poteva proseguire fino al massacro, evento non molto frequente, o risolversi lì, con un successivo sganciamento alla reazione, attraverso gli impervi ed ignoti sentieri montani. Infatti: «praticissimi dei posti, essi sceglievano di preferenza il campo di battaglia dove il terreno permetteva ... una sicura ritirata al coperto o fra montagne dove l'inseguimento era difficile ... Per mezzo di loro confidenti erano generalmente b~ne informati non solo delle mosse delle truppe ma anche dello scopo dei loro spostamenti, e trasmettevano le notizie con fiammate di notte e colonne di fumo di giorno» 61 . Un segno perciò di riconoscimento delle "stazioni semaforiche" dei briganti era la presenza di paglia bagnata. I segnali evitavano possibili accerchiamenti alle bande vicine. Infiniti trucchi ed espedienti, repertorio atavico dei montanari, servivano per aggiornarli su qualsiasi movimento dei militari, ed in queste trame di connivenza una larga aliquota degli abitanti dalle donne ai bambini, dai pastori ai carbonari , nei primi tempi collaborava spontaneamente. Anche questa era a ben guardare una riproposizione della logica difensiva dei montanari sanniti, sempre perfettamente informati sulle mosse delle unità romane, grazie alle loro segnalazioni ottiche. Sintesi statistica dell' attività dei briganti sul Matesc nel 1861

Assalti a paesi .......... ........ .... ...... .. ............. .. .... ...... . .. ...... ......... ..... ... ............ ... n ° Assalti a stazioni Guardia Nazionale ........ ................................................ .... ........ » Scontri a fuoco rilevanti .................................................................................... » Militari uccisi ........ .... ................................................................... ... ............ . ... » Civili uccisi ... .. ...... ........ ......... .. ............. ... ..... ......... ..... . ... ............ .... ............ .... » Civili rapi ti .............. .......................... .. ............... .................................. .. ..... ... » Altri reati .. . .................................................................................................... »

32 32 49 63 36 14 12 I

Sintesi statistica dell 'a ttività repressiva sul Matese nel 1861

Briganti Fucilati ...... ..... ...... ...................................... .. ........... ... ...... . ........... .. .. 11° » Uccisi ...... .......... .... .......... ................................ ................................... » » A.rrestati . .. ...... ........ .... ........................ .... ........... ...... ......... .................. » » Costituitisi ..... .... .... ......... ...... . .... ............ .. .. ........ .... ......... .. ....... ............ »

57 37 69 87

Sostenitori P erseguiti: Circondario di Piedimonte ................................................................................. » 18 » » Cerreto Sannita .. ........ ...... .. ........... ............................ . ............... » 6762 Prospetto bande operanti sul Matese nel 1861

Località

Banda

Iserni a-Piedimonte-Cerreto S. Cerreto Sannita Cerreto S.-Benevento Cerreto S. -Benevento I sernia-Piedimon te Piedimonte-Cerreto S. Isernia-Piedimonte

Albanese L . Basile F. Bisogno Caruso Cecchino Cicorecci Cimino

61 C. C ESA RI, li Brigantaggio ... cit. p. 122. 62 Cfr. R. O, LELLO, G.R. P,, w Mno , Brigantaggio sul Matese ... cit. pp. 63-64.


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Cerreto Sannita Cerreto S.-Piedimonte Cerreto S.-Benevento Cerreto Sannita Cerreto Sannita Piedimonte-Cerreto S. Piedimonte-Cerreto S. Cerreto Sannita Cerreto-Piedimonte ,Piedimonte Piedimonte-Cerreto S. Piedimonte-Cerreto S. Cerreto Sannita Isernia lsernia-Piedimonte-Cerreto S. Cerreto Sannita Cerreto S.-Benevento Cerreto Sannita Cerreto S.-Piedimonte-lsernia Cerreto Sannita Cerreto Sannita Isernia-Piedimonte Cerreto Sannita Cerreto S.-Benevento Cerreto Sannita Isernia Cerreto Sannita Piedi monte Cerreto S.-Piedimonte Cerreto S.-Isernia

Ciaudella Colantuono Collaro Conte Cutillo De Lellis R. Del Greco Di Biase Dell'Ungaro Di Lello Falaco R. Ferrandino Forgione Fucillo Giordano Guerrasio lmbucci Leone G. Ludovico V. Martino G. Martino G. Materazzo Morganeili Pulcino Puzella Selvaggi Tommaselli Trifilio Varrone A. Varrone G. 63

/

1862: il brigantaggio si ristruttura. L'attenuarsi della virulenza del brigantaggio durante gli ultimi mesi del '61, indusse prematuramente molti osservatori a ritenerlo prossimo all'esaurimento. Purtroppo però si trattava in realtà di una pausa di riflessione, successiva - come accennato - alla conclusione della fase «partigiana» del fenomeno, necessaria proprio per una ricalibrazione delle tattiche operative sconvolte dalla repressione del Cialdini. La contrazione della guerriglia si protrasse poi per buona parte anche nel '62, concorrendo in ciò imprevedibili fattori politici nazionali. Di certo a partire dalla fine del '61, inizio '62: «cessarono quasi del tutto le "reazioni" e le invasioni dei paesi e si registrò un aumento impressionante contro le proprietà dei "galantuomini" e in pari tempo contro le forze statali. QueJla evidente svolta venne definita come la fine del brigantaggio "politico" ... perché ... apparì allora ... sempre più spoglio di orpelli legittimistici o sanfedisti e sempre più gravido di tratti sociali e classisti»6 4 • Sembrerebbe ragionevolmente confermare la tesi esposta proprio la promulgazione di un ennesimo bando realista di «arruolamento», ad opera del «colonnello» Caruso, in quello stesso anno, nel quale trova un ampio risalto non già la ormai sterile retorica legittimista, quanto invece una trascinante promessa di ricompense materiali e sociali:

63

64

Da R. D1 LELLO, G.R. PALUMHO, Brigantaggio sul Matese... cit., pp. 45-46. F. Mounsn, La repressione ... cit. pp. 45-46.


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«Tutti gli iscritti e quelli che si vorranno inscrivere alla compagnia comandata dal Colonnello Caruso, hanno l'obbligo di restaurare sul trono Francesco II e di combattere con tutti i mezzi i liberali, che sono i nemici provati della Santa Chiesa e del Santo Padre Pio IX. 2) Di amarsi tra loro e di garantire la vita del loro Colonnello, che lddio guardi per mille anni. 3) Chiunque diserta dalle file, dopo aver giurato sul Crocefisso, sarà fucilato. 4) Chiunque muore in battaglia la famiglia del defunto avrà un forte vitalizio da Sua Maestà Francesco II. 5) Chiunque vorrà, in seguito, arruolarsi nell'Esercito di S.M. occuperà il grado di Ufficiale. 6) Chiunque, per sue speciali ragioni, non vorrà far parte dell'Esercito di S.M. avrà un impiego ben remunerato. Viva la SS. Trinità, Viva la Chiesa, Viva Pio IX, Viva Francesco II. Il Colonnello Michele Caruso» 65

Parallelamente anche sotto l'aspetto militare si ebbe in coincidenza un analogo cambiamento di strategia repressiva, che in pratica somigliò ad un evidentissimo abbassamento della potenzialità di controllo, a partire dall'insediamento del gen. La Marmara alla testa del VI G.C. avvenuto il 1° novembre del '61. «Con l'avvento di La Marmara l'organizzazione delle forze militari passa gradualmente a soluzioni di largo decentramento. Ma la nuova organizzazione, più capillare e più dispendiosa, inizialmente aggrava la sproporzione fra compiti e forze a disposizione e offre nuove occasioni a)le bande per attaccare i piccoli distaccamenti. Il gen. La Marmara interviene con rigorose disposizioni, per impedire l'impiego delle minori unità nei servizi perlustrativi; ma la limitata disponibilità delle forze, aggravata dalle condizioni sanitarie delle truppe, non consentono diverse soluzioni. Solo dopo l'arrivo di consistenti rinforzi (dopo la proclamazione dello stato di assedio le forze del 6° Gran Comando raggiungeranno gradualmente ... circa 120.000 u.) i comandi militari riescono a superare la situazione di stallo e riprendere l'iniziativa» 66 . In conseguenza il dispositivo repressivo del La Marmara si configura più che altro come difensivo, deludendo ampiamente le richieste di una maggiore incisività provenienti dagli ambienti liberali e soprattutto dalla classe dei possidenti che si vedeva così abbandonata alle iniziative del «nuovo» brigantaggio. Divenne pertanto estremamente attuale l'anacronistica proposta del Gallarini relativa all'autodifesa ed alla fortificazione dei Comuni più isolati e minacciati, tanto più che i piccoli presidi militari, consci della loro insufficienza in diversi casi si sottraevano, allontanandosi, al profilarsi di una incursione brigantesca. Tipico il caso di Morcone, paesino aggregatosi intorno ai ruderi di un'antica fortezza sannita, che in data 22 luglio con delibera approvata dall'amministrazione comunale, dava mandato all'architetto Lorenzo Della Camera di redigere e quindi di realizzare con gli appositi fondi, un progetto di fortificazione dell'intero centro abitato 6 7 • Le opere così ottenute sarebbero state vigilate in continuazione da due squadre di Guardie Nazionali. È presumibile che soluzioni analoghe siano state esplicate anche da altri comuni montani, che agevolati dal loro impianto edilizio arroccato, ben si prestavano allo scopo, tant'è che per quello di Cusano Mutri, località d'origine di moltissimi briganti, l'avvocato Achille Maturo poteva asserire, nel 1891: «che l'unico paese fra tutti i convicini, che oppose tal resistenza ai briganti, da tenerli sempre lontani, tuttoché talvolta si fossero raccozzati a tanto numero da parere quasi un reggimento ben agguerrito per tentarne lo assalto» 68 • È interessante in proposito ricordare però che in quel '~2 lo stesso paesino su di una popolazione di 3944 (maschi 1952, femmine 1992 censimento 1862) vantava una guardia nazionale composta di due compagnie con 264 militi attivi e 47 di riserva per un totale di 3 Il, forza di rispettabile entità69 • Ma probabilmente la notizia più singolare riguardante questo co-

Cfr. L. SANocuow, Il brigantaggio ne//a ...cit. pp. 171·172. 66 L. TuccARI , Memoria sui principali aspelti ...cit. pp. 217-218.

65

Cfr. L. SANGIUOLO, Il Brigantaggio nella provincia ... cit. pp. 170·17 1. Cfr. V. MATURO, Il cantuccio svizzero, dati, storia e cronaca della conca cusanese da una memoria ottocentesca, Napoli, 1985, p. 17. 69 Cfr. Dizionario Corografico dell'Italia, 1866, alla voce Cusano Mutri. 67

68


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162. Cusano-Cerreto: gola di Lavello.

162

mune è che proprio in quell'anno si iniziarono i lavori di costruzione di una strada che lo collegava in maniera carrabile con quello di Cerreto Sannita a circa 8 km . di distanza. La predetta strada rotabile si snodava lungo la selvaggia gola del torrente Titerno, unica immissione alla «valle nascosta» di liviana memoria. Ci sembra, e per l'eccezionalità dell'evento lungamente atteso - non verificandosi nessun'altra opera pubblica equivalente sull'intero massiccio - e per la rilevanza che assunse io quel contesto, indispensabile aprire una breve parentesi. Per meglio valutare l'isolamento nel quale versavano i paesi del massiccio, così una relazione del 1858 sulla viabilità di unico allaccio del suddetto centro notificava: «la situazione topografica di questo Capoluogo e di Civitella è quella di rimanere al piede di una corona di montagne che lo circondano in modo che per mettersi in comunicazione per la via di Cerreto col capoluogo della provincia, Napoli ed altri simili luoghi è forza percorrere una strada pericolosa e spaventevole a traverso una stretta gola di montagne tra balze, dirupi e fossare che l'avventurarsi in essa vuol dire esporsi a poco men che certa perdita della vita. L'occhio vigile, la sollecitudine del Real Governo dovrebbe prender di mira questo grave inconveniente, sul quale qualche volta si è pur soffermato il Consiglio Provinciale, e ciò nel senso di non rifiutare alle dette amministrazioni comunali, a spesa della Provincia, la quale ritrae oltre ducati 400 annui di ratizzi, i mezzi non dirò per formare una rotabile, ma quelli almeno cli restaurare l'attuale strada (mulattiera di epoca sannita n.d.A.), e divergere quella parte di essa più orridamente pericolosa. E poiché fatti continui di feriti e di morti non mancano, da ciò segue quel malcontento ... contro l'amministrazione provinciale che non sopperisce agli urgenti bisogni delle popolazioni di Cusano e di Civitella ... »70 ,

70

G.

MAZZA,

Spirito pubblico in Cusano l\tfutri nel 1858, in «Samnium»,

11°

3, Luglio-settembre, 1932, Benevento.


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nonché di Pietraroja, come del resto di molti altri paesini nelle medesime condizioni di viabilità. Sopraggiunta l'unificazione nazionale ed apparendo indispensabile per un efficace controllo militare del territorio l'apertura della predetta strada, in data 16/9/1861 furono appaltati i lavori che iniziarono in pratica soltanto nel '62. Da una seconda relazione, questa volta del Regio Delegato Straordinario, maggiore Maurizio Vitale Buzzi, redatta in data 1882, siamo in grado di ripercorrere le fasi salienti dell'esecuzione dell'opera pubblica, ed al contempo del malcostume imperante ed impunito, così sintetizzate dall'ufficiale: .. .iniziativa della costruzione della strada mercé un dono dì L. 21.500 (5000 ducati) fatta da un benefico Cusanese; appalto della medesima e dopo consumate L. 43.000, abbandono del lavoro per parte dell'appaltatore; continuazione di costruzione a pretesa economia ... ; riappalto di detta strada in seguito a clamorosi reclami della popolazione che vedeva dissipare svergognatamente i suoi denari, i quali andavano ben altrove che non nella ... strada; angarie di ogni sorta e fuga disperata del nuovo appaltatore ... ; fina lmente ripresa dei lavori per parte dell'Amministrazione Comunale a carico del fugace appaltatore ... In conclusione, per la costruzione di detta strada sì pagarono fino al 1862 lire 21.500, dono dell'egregio patriota ... , si sono spese dal Comune altre lire 21.500 ... Infine ... il Governo pagò per sussidio lire 50.555, la Provincia lire 42.373,90, la Congregazione di Carità lire 20.704, ... i naturali contrìbuendi per prestazioni in natura l'equivalente di lire 10.875, 01, totale lire 146.008,30; il resto cioè lire 106.054, 09 fu sborsato dal Comune ... e ... un tratto di strada di circa 8 chilometri ha costato l'enorme somma dì lire 330.000 ... Ma il più grave si è che i primi quattro chilometri costrutti negli anni 1862-63 costarono lire 43.000 cioè in ragione di lire 10. 750 il chilometro, e per gli altri quattro il costo salì alla spaventevole somma di. .. lire 71.850 il chilometro ... Ed una tale strada costrutta, a sì caro prezzo, se non vi si pone pronto riparo, specialmente per i muri ed i parapetti, finirà per diventare una derisione, anzicché un beneficio71 •

La strada fu collaudata il 14/8/1876, ovvero un avanzamento, a quel prezzo, di 500 metri l'anno! E si cercavano i briganti sulle montagne! Sintesi statistica dell'attività dei briganti sul Matese nel 1862

Assalti a paesi ................................................................................................. n° 1 Assalti a stazioni Guardia Nazionale ...................................................................... » 1 Scontri a fuoco rilevanti ...................................................................................... » 20 Militari uccisi. ................................................................................................... » 8 Civili uccisi ........................ . ............ ... .......................... ... ................................. » 13 Civili rapiti ....................................................................................................... >) 40 Altri reati ......................................................................................................... » 47 Sintesi statistica dell'attività repressiva sul Matese nel 1862

Briganti fucilati ............................................................................................... n° )) Uccisi ................... .. .................. ............. ........ .... .. ... ........... ... ............... » » Arrestati ............................................................................................... » » Costituitisi ............................................................................................ »

21 20 16 26

Sostenitori P erseguiti: Circondario di Piedimonte ................................................................................... » 3 » » Cerreto Sannita ........................................................................... )) 25ì2 •

71 M.V. Buzz1, Relazione del Regio Delegato Straordinario, 1882. Da R. D1 LELLO, G.R. PALUMoo, Brigantaggio ... cit. pp. 63-64.

72


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Dai sanniti all'esercito italiano

Bande operanti sul Matese nel 1862

Località

Banda

Isernia-Piedimonte M.-Cerreto S. Cerreto Sannita Cerreto S.-Benevento Isernia-Piedimonte M.-Cerreto S. Cerreto Sannita Piedimonte M.-Cerreto S. ~· Cerreto S.-Benevento Cerreto S.-Piedimonte Cerreto S. -Benevento Piedimonte Matese Cerreto S.-Isernia lsernia-Piedimonte M.-Cerreto S. Cerreto Sannita Cerreto S.-Piedimonte M.-Isernia Cerreto S.-Piedimonte M.-Isernia Cerreto Sannita Cerreto S.-Piedimonte M.-Isernia Cerreto Sannita Isernia-Piedimonte M. Isernia-Piedimonte M.-Cerreto S. Piedimonte Matese Cerreto $.-Benevento Cerreto Sannita Cerreto Sannita Cerreto Sannita Cerreto S.-Piedimonte M.

Albanese Basile Caruso Ciccone Cutillo De Lellis De Masi Dell'Ungaro Di Domenico Di Lello Di Paolo Fuoco Gallo Giordano Guerra Guerrasio Ludovico V. Martino G. Materazzo Pace Pisatori Pulcino Puzella Recchia Romano (fratelli) Varrone A. 73

1863: il brig,intaggio riesplode sul Matese. Superata la riqualificazione tattica e l'abituale quiescenza invernale, agli inizi della primavera del '63, il brigantaggio sul Matese si ripropose con accentuata virulenza. Restava ancora persino qualche grossa formazione, come quella del Caruso, che per la maggiore ideologizzazione - pur nei limiti evidenziati - continuava a rappresentare una temibile potenzialità insurrezionale. Infatti la sua stessa esistenza, e delle similari, confermava la permanenza della primitiva insorgenza legittimista, assurgendo a concreto riferimento per le languenti illusioni dei nostalgici e per la dilagante rabbia dei diseredati, giustificando quasi il persistere nell'ex sovrano, dopo due anni di esilio, di certezze restaurative, esplicitate in una sua lettera aperta dei primi giorni del '63. RISPOSTA DI S.M. IL RE Ai Delegati delle città di Napoli e di Palermo, delle Provincie Continentali ed insulari del Regno Nel tempo in cui da ogni angolo del territorio Napolitano e Siciliano mi pervengono indirizzi coperti di migliaia di firme, lusinghiera memoria di fiducia ed attaccamento, sono oltremodo sensibile alle espressioni di affetto e di fedeltà, che a nome delle Ventidue Provincie del Regno venite a presentarmi pel nuovo anno, espressioni di auguri e di speranze tanto più grate al mio cuore, in quanto che esternano i sentimenti delle nostre leali ed infelici popolazioni. Vi ringrazio con tutta l'effusione della mia anima, e vi prego di trasmettere a quelli che vi han fatto organo dei loro voti, la testimonianza della mia viva riconoscenza. Esule dal Trono e dalla patria tutti i miei sentimenti, i pensieri costanti di tutti i giorni si rivolgono ai miei amati ed infelici sudditi, alla dolce terra dove ebbi la luce, dove riposano le ceneri dei miei antenati.

73

Ibidem, pp. 59-61.


Parte seconda. Gli anni dei briganti

Non è la perdita di un trono, non le miserie che accompagnano l'esilio, quello che addolora di più la mia anima. In mezzo alle sventure personali, sento che il mio cuore rimarrebbe forte e sereno, se non dovessi assistere con inesprimibile angoscia allo spettacolo dell'oppressione, della rovina, della schiavitù de' miei popoli. Il soffio dell'aria nativa, sì dolce per l'esiliato, non mi reca qui l'eco delle fucilate, che ogni giorno colpiscono oscure e fedeli vittime, le scintille dei paesi bruciati dal barbaro invasore, i lamenti degli infelici ammucchiati nelle carceri, o le grida degli agricoltori, i cui campi sono devastati da bandi draconiani de' Prefetti piemontesi . Abbiamo fiducia in Dio. Vedete che, come tutte le opere della iniquità umana, l'opera piemontese è colpita di sterilità, segno fatale di decadenza e morte. Tanti decreti, tale cumulo di misure, tanto cambiamento di regime nelle Due Sicilie, ora di Dittature, ora di Luogotenenze, già di Prefetti, tutte queste pruove fatte in due anni a che han mai servito? A che han servito le lusinghe, le calunnie ed il terrore? A che l'incendio d'inermi paesi, le ecatombi umane rinnovate ogni giorno nelJe nostre provincie? Le carceri sono piene di detenuti: e si lagnano che si cospira ancora. Lo stato d'assedio è stato per molti mesi il solo mezzo di governo, ed i mali ed i pericoli che doveva estirpare sono invece cresciuti. La vita degli infelici popolani si trova nell'arbitrio dell'ultimo caporale, che comanda un distaccamento di truppa; i bandi delle nuove autorità, leggi inumane di sospetti, sottomettono alla passione o al capriccio la vita e la fortuna de' proprietari e de' campagnoli; e le milizie Realiste però si estendono, e combattono ogni giorno con maggiore ardore ed accanimento. Le contribuzioni sono moltiplicate, i beni della Chiesa usurpati e venduti; tutte le ricchezze, accumulate da un savio sistema di risparmio, dilapidate, ed il Tesoro della usurpazione è sempre esausto. Il suo budget presenta un deficit normale spaventevole, ed il valore della rendita oltrepassa di poco la metà del prezzo, a cui erano giunte le nostre negli ulti.mi anni di nostra indipendente Monarchia. Aspettiamo con dolore, ma con calma. Lasciate a quelli pei quali la storia non ha insegnamenti né esempi, credere alla violenta annessione della prima Monarchia italiana, alla morte diffinitiva di un Regno, che, a traverso tanti secoli e tante dominazioni straniere, ha sostenuto gelosamente la sua autonomia, e conservate le frontiere tracciategli dai fondatori; che ha veduto passare tanti sconvolgimenti e conquiste, avanzando sempre nell'opera dell'indipendenza nazionale. Lasciate che quegli illusi veggano in un mero accidente rivoluzionario l'assetto definitivo delle sorti di un gran Regno. Lasciateli sognare che si sradicano così facilmente le Dinastie, e si uccidano le Nazioni. Come voi, non dubito, non ho dubitato giammai del mio ritorno. Non ho dubitato, quando in giorni di tradimenti e di sventure lasciai Napoli, la mia patria, la mia capitale, la mia privata fortuna, le mie risorse di Governo per conservare illesa la diletta Metropoli . Non quando soldato della indipendenza nazionale difendevo il decoro del mio nome e l'onore della nostra armata sulle linee del Volturno e sulle mura di Gaeta. Questa fiducia assoluta nella giustizia della mia causa, questa risoluzione di riconquistare ad ogni costo l'indipendenza del mio paese sono la fede e la consolazione del mio esilio. E come dubitarne, quando più di due anni sono scorsi dopo la mia assenza, e da per tutto mi giungono testimonianze di amore e di rispetto, di fiducia e rimembranze de' miei sudditi? Quando vedo la parte più numerosa e considerevole della Nobiltà del Regno, condannarsi volontariamente all'ostracismo per seguire la mia causa; quando, con rarissime eccezioni, si astiene quella che è rimasta di parteggiare in alcun modo con l'usurpazione; quando da tutti i Comuni del Regno mi offrono, Proprietari e Contadini, la loro vita e servigi; quando contemplo quel nobile popolo abbandonato da tutti, senza verun appoggio, senza istigazione mia (voi lo sapete) lottare contro l'oppressione straniera, e morire pronunziando il mio nome, dico a me stesso, che una causa sostenuta dalla giustizia, e radicata in tanti cuori non può soccombere, e che l'avvenire è suo. Ma, quando giungerà il giorno inevitabile della restaurazione (ponderatelo bene) l'opera di rendere la pace e la proprietà ad un paese rovinato è delicata e difficile. Avrò bisogno dei lumi, del concorso di tutti. Dite a quelli che v'inviano, che i miei principi sono inalterabili ed immutabili le mie intenzioni. L'amnistia, il perdono pei fatti politici passati sono un sentimento del mio cuore, e la massima cardinale della mia politica. Sotto l'egida di un regime sinceramente rappresentativo , potrà il paese efficacemente intervenire nella sua amministrazione e nel suo governo; applicando tutte le nostre forze alla grande opera della sua rigenerazione politica. La Sicilia, da canto suo, avrà indipendenza economica, amministrativa e parlamentaria; e Palermo parteggerà con Napoli l'onore di essere la residenza del Monarca. Inculcate bene e fate diffondere da per tutto queste idee. Dissipate i timori, che procura la rivoluzione d'insinuare, di reazioni personali, di castighi, di vendette. Tali cose non le permetterebbe il mio cuore. Raccomandate nel mio nome a tutti la concordia. Ripetete a ciascµno che fra quanti ebbero natale al di là del Tronto non voglio conoscere nemici ; voglio solamente vedere in tutti figli e compatrioti, la cui unione è necessaria per risanare le piaghe del nostro desolato paese. Rammentate a tutte le forze indigene, che esse sono ordinate per tutelare la proprietà e la sicu-

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rezza dei Cittadini, per sostenere e non per combattere le coloro aspirazioni di patriottismo e d'indipendenza: che si ricordino che sono Napoletani e Siciliani, che verrà presto un giorno, in cui avrà bisogno della loro devozione il proprio paese; ed allora meriteranno bene dalla patria, ed io sarò lieto di mostrar loro la mia stima e gratitudine. Che i popoli delle Due Sicilie considerino la loro forza, la loro popolazione, il loro territorio in paragone del resto d'Italia, rammentino la loro storia, ed in essa troveranno nobili esempi. Non aspettino di poter conseguire la loro redenzione dallo straniero solo. Quando il momento sarà giunto, la giustizia di Dio, e l'equità dei popoli saranno con essi. Sappiano far da loro, ed il mondo intiero plaudirà ai loro sforzi. Vi ringrazio di nuovo, Napoletani e Siciliani, del vostro attaccamento e de' vostri auguri, e da ·· questo asilo, dove sono colmato delle più affettuose dimostrazioni e della paterna ospitalità di Colui, che rappresenta sulla terra l'Eterna Giustizia ed a cui fu affidata dalla Provvidenza la difesa del1' oppressa virtù, spero fra non molto di trovarmi presso di voi, vedervi intorno a me concordi, forti e felici; quando, stendendo una mano amica e fraterna ad altri Stati d'Italia, avrò la gloria di aprire le porte dei parlamenti veramente nazionali, nelle due grandi metropoli del Continente e della Sicilia. Da Roma, Palazzo Farnese ai 16 di Gennaio 1863 firmato: Francesco74

Sul Matese quindi riesplose la conflittualità guerrigliera, quasi che la spietata repressione non avesse profondamente sconvolto le formazioni. Ma alle bande decimate o distrutte subentravano nuovi adepti od addirittura altre intere compagini, provenienti da località esterne al massiccio, facendo sembrare inesauribile la disponibilità umana ed assolutamente vani il compito ed i successi delle forze dell'ordine. Del resto considerando che la massa dei briganti, stimati per l'altipiano intorno al migliaio su circa 35 bande mediamente, finiva per gravare su popolazioni molto povere, senza vistosi rinnegamenti, confermava una sostanziale condivisione e compartecipazione di quelle alla lotta, magari in maniera passiva, esasperando per conseguenza la logica della repressione. Il perdurare della precaria situazione ingenerava perciò nelle autorità politiche e militari una inderogabile esigenza di una chiara e duratura normativa, che superasse quella di emergenza o comunque eccezionale già da troppo in vigore, ripristinando almeno sotto il profilo istituzionale una parvenza di legalità. Si sarebbe in tal modo ridotto l'arbitrio, ed avviata una nuova fase offensiva contro il brigantaggio, peraltro da più parti auspicata, ed in particolare contro i suoi manutengoli e fiancheggiatori. «Si comindò col discutere una legge di repressione del brigantaggio elaborata in maniera dettagliata ed accurata ... ma si finì, il 1° agosto 1863, per approvare a tambur battente ... la proposta di legge d'iniziativa del deputato Pica e di altri 41 altri della Destra ... La legge Pica ... si limitava a legalizzare modi della repressione già praticati da tempo ... (e solo) in parte introduceva grosse novità quali la competenza dei tribunali militari a giudicare "civili" ... (e) favoreggiatori del brigantaggio, (ma) provocò appassionate polemiche tra i giuristi e nell'opinione pubblica proprio per la complessità del fenomeno del manutengoJismo ... » 75 In pratica purtroppo i tribunali militari non si vollero per una maggiore affidabilità e funzionalità rispetto ai civili, quanto invece per incrementare la diffusione del «salutare terrore ... (e) ... legalizzare l'effusione di sangue»76 , con il risultato complessivo di accrescere l'arbitrarietà che si era voluto sia pur larvatamente circoscrivere. Unico elemento positivo della deprecata legge era la sua lapidaria chiarezza, mirante direttamente allo scopo: VITTORIO EMANUELE II Per grazia di Dio e per volontà della Nazione RE D'ITALIA Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato, Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue: Art. 1 - Fino al 31 Dicembre corrente anno, nelle Provincie infestate dal brigantaggio, e che tali

74

75 76

Cfr. C. CESARI, Il Brigantaggio ... cit. pp. 38-41. F. MoLFtSE, La repressione ... cit. pp. 57-58. Relazione al dis. di legge per la repressione del brigantaggio, presentato alla Camera in data 8/12/1863.


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saranno dichiarate con Decreto Reale, i componenti comitiva o banda armata composta almeno di tre persone (per i sospettosissimi spagnoli ne occorrevano almeno quattro, n.d.A.) la quale vada scorrendo le pubbliche vie o le campagne per commettere crimini o delitti, ed i loro complici, saranno giudicati dai Tribunali militari, di cui nel libro II, parte II del Codice penale militare, e con la procedura determinata dal capo I II del detto libro. Art. 2 - I colpevoli del reato di brigantaggio, i quali armata mano oppongono resistenza alla forza pubblica, saranno puniti colla fucilazione, o coi lavori forzati a vita, e concorrendovi circostanze attenuanti, il maximum dei lavori forzati a tempo. Art. 3 - Sarà accordata a coloro che si sono già costituiti o si costituiranno volontariamente nel termine di un mese dalla pubblicazione della presente Legge la diminuizione da uno a tre gradi di pena. Tale pubblicazione dovrà essere fatta per bando in ogni Comune. Art. 4 - Il Governo avrà pure facoltà, dopo il termine stabilito nell'articolo precedente, di abilitare alla volontaria presentazione col beneficio della diminuizione di un grado di pena. Art. 5 - Il Governo avrà inoltre facoltà di assegnare per un tempo non maggiore di un anno un domicilio coatto agli oziosi, ai vagabondi, alle persone sospette, secondo la designazione del Codice penale, non che ai camorristi, e sospetti manutengoli, dietro parere di Giunta composta del prefetto, ciel Presidente del Tribunale, del Procuratore del Re e di due Consiglieri provinciali. Ar. 6 - Gli individui, di cui nel precedente articolo, trovandosi fuori del domicilio loro assegnato, andranno soggetti alla pena, stabilita dall'alinea 2 dell'articolo 29 del Codice penale, che sarà applicata dal competente Tribunale circondariale. Art. 7 - Il Governo del Re avrà facoltà di istituire compagnie o frazioni di compagnie di volontari a piedi od a cavallo, decretarne i regolamenti e l'armamento, nominarne gli ufficiali e bassi ufficiali ed ordinarne lo scioglimento. I volontari avranno dallo Stato la diaria stabilita per militi mobilizzati; il Governo però potrà accordare un soprassoldo, il quale sarà a carico dello Stato. Art. 8 - Quanto alle pensioni per cagione di ferite o mutilazioni ricevute in servizio per la repressione del brigantaggio, ai volontari ed alle guardie nazionale saranno applicate le disposizioni degli articoli 3, 22, 28, 29, 30 e 32 della Legge sulle pensioni militari del 27 giugno 1850. Il Ministero della Guerra con apposito Regolamento stabilirà le norme per accertare i fatti che danno luogo alle pensioni. Art. 9 - In aumento del capitolo 95 del Bìlancio approvato pel 1863 è aperto al Ministero clel1'Interno il credito di un milione di lire per sopperire alle spese di repressione del brigantaggio. Ordiniamo che la presente, munita del sigillo dello Stato, sia inserita nella Raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti ciel Regno d'Italia, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come Legge dello Stato. Dat. Torino, addì I 5 agosto 1863 Vittorio Emanuele U. Peruzzi»77

Al contempo da più parti si faceva pressione su La Marmora perché avviasse una poderosa controffensiva al brigantaggio, specie laddove maggiormente si avvertivano i suoi effetti destabilizzatori. Avrebbe anzi dovuto proprio in quelle zone porre alla guida delle operazioni repressive un energico e trascinante ufficiale di provata competenza. Dopo una iniziale esitazione il programma trovò la sua attuazione, designandosi a capo della zona militare di Benevento e Molise il generale E. Pallavicini di Priola, che assunse l'incarico il 17 settembre del '63, disponendo ai suoi ordini di: «- 9 bgt.f. (45° rgt. + Quarti bgt. dei rgt. 19°, 20°, 27°, 39°, 59°) - 4 bgt. bers. (6°, I 5°, 26°, 29°) - 3 sqd. cavalleria (Monferrato, Lodi, Aosta)»78 • L'obbiettivo prioritario che il generale si prefissò era la soppressione, ormai indilazionabile, della famigerata banda del «colonnello» Caruso, che spadroneggiava sull'intero massiccio. Per conseguire tale risultato prefigurò un impiego massivo delle sue truppe in incessanti perlustrazioni, trascurando completamente il conseguente logoramento, convinto assertore che solo da una siffatta procedura si

77

Cfr. C.

78

L.

Brigan/aggio ... cit. pp. 66-67. lvfemoria sui principati aspetti ... cit. p. 221.

C ESARI,//

TuccA1H,


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poteva aver ragione delle ultime grosse formazioni paramilitari, temibili sotto il profilo tattico ma ancor di più sotto quello psicologico, come acutamente aveva evidenziato in una sua lettera il prefetto Sigismondi: « ... Bisogna distinguere due specie di brigantaggio, locale l'uno, organizzato l'altro. Il primo si può combattere con misure di pubblica sicurezza, si dedica al furto, non si sostiene da solo quando non sopravvengono altre bande. Il brigantaggio organizzato militarmente, come sono le bande di Schiavone-Caruso ed altre, è mantenuto in campagna per far vedere che una parte della popolazione è in rivolta contro il governo, per far credere che essa combatte pel Borbone, per tener vive le speranze del costui ritorno nei suoi occulti partigiani, per creare imbarazzi e fastidi al governo, e ha per iscopo principale mantenersi nello stato attuale ed aumentare il numero. Queste bande capitanate da intrepidi ed accorti condottieri, conoscitori dei luoghi, educati e perfezionati a tal genere di guerra da tre anni di esercizio, subordinano con rara costanza e perseveranza le loro mosse al loro scopo. Quindi evitano i paesi, scorrono continuamente le campagne senza posare per molte ore in un luogo, camminando di giorno e di notte, passano a cavallo per qualunque strada, la più disastrosa che mai; ogni luogo è buono per loro; si forniscono di viveri e di cavalcature nelle numerosissime masserie di questa ubertosa provincia, non hanno direzione determinata e la cambiano a seconda delle circostanze. La loro mobilità è estrema e ciò li pone in vantaggio sulle truppe, la cui azione è tardiva ed inefficace e la combattività scadente.»79

L'impostazione repressiva del Pallavicini, alla luce dell'analisi del prefetto appare l'unica ottimale, ed infatti già all'indomani della sua estrinsecazione si registrarono numerosi positivi conflitti a fuoco con gli uomini della banda, che innescarono una rapida disgregazione della stessa, tant'è che in data 30 settembre il sindaco di Benevento affermava: «La situazione deplorevole ed umiliante di questa provincia va cangiandosi in meglio. Lo spirito pubblico si rialza, ed i volontari accorrono animosi ad iscriversi nei ruoli delle squadriglie, ed i tristi si veggono scorati per le misure di rigore messe in esecuzione contro i manutengoli del brigantaggio. Se questi rigorosi provvedimenti eccezionali sono stati oggetto di critica per taluni, noi francamente ci affrettiamo a dichiarare che costoro non seppero scendere sino ai nostri contadini, né vedere sino a qual punto i borbonici, i clericali ed i tristi si fossero resi pazzamente audaci nei loro campioni, i briganti. La crescente corruzione delle masse, il sangue cittadino versato a tutta libidine, e i danni incalcolabili che tuttavia si soffrono richiedevano un riparo, al quale non potevano giungere le leggi di una ·società che vivesse in uno stato normale. Si comprende del pari che i violenti rimedii a gravi mali non fruttano la salute se non quando vengono apprestati da mani abili. A che pare che V.E. inviò in questa provincia il signor generale Pallavicinì. E il sottoscritto, interprete dei sentimenti dell'universale, si fa il dovere di esprimere all'E.V. le più sentite azioni di grazie>>80 .

L'acclamato miglioramento del contesto esistenziale nella provincia di Benevento, così entusiasticamente esposto dal suo sindaco, nascondeva purtroppo nuove pesanti limitazioni e coercizioni abbattutesi ancora una volta sulle martoriate popolazioni dei centri montani. Infatti il Pallavicini ed il Sigismondi con il manifesto intendimento di far terra bruciata intorno alle evanescenti bande avevano il I 8 settembre sancito il rientro, nei successivi otto giorni, di tutti i cavalli nei centri abitati; quindi il 24 ottobre la proibizione di trasportare al di fuori degli stessi qualsiasi tipo di viveri eccedente la quantità strettamente necessaria per una persona e per una giornata; infine il divieto ai pastori, ai boscaioli, ai carbonai ed ai contadini di accedere ai pascoli ed ai boschi del Matese, con un immaginabile impatto sulla ormai agonizzante economia, da sempre miserabile. Per di più onde garantirsi l'inaccessibilità alle numerose masserie isolate, si impose con analoga ordinanza la murazione di ogni loro apertura, finestre comprese. 11 31 ottobre, motivatamente il generale Pallavicini comunicava a La Marmara: « ... il morale delle popolazioni è rialzato assai a paragone del passato (tratta vasi disgraziata-

79 80

Cfr. F. B ARRA,// brigantaggio in Campania ... cit. p. 133. Ibidem, pp. 132-133.


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mente di quello dei soli possidenti per le cause suddette n.d.A.). Le guardie nazionali cominciano a muoversi a qualche passo, e l'annunzio dell'entrata della comitiva Caruso non è più come prima segno di sgomento generale» 81 •

Tuttavia il Matese ed in particolare la sua estremità meridionale continuava a destare apprensione, tanto che il sottoprefetto di Cerreto Sannita si sentì in dovere di relazionare al Pallavicini la complessa topografia dei luoghi e gli abituali itinerari briganteschi. Lo stesso in data 23 novembre inviava sulla base degli espedienti elaborati e concordati con il generale, una riservata confidenziale ai sindaci dei comuni limitrofi, in 14 punti: «1) I coloni dovranno sgombrare tutte le masserie delle quali fu già proposta la chiusura e tutte quelle altre che nei territori montuosi sono situate un miglio al di là dei centri abitati. 2) Al di là di un miglio dai centri abitati non andranno i pastori a pascolare, né i carbonai, né i legnaioli. 3) Di concerto col Comandante Militare locale ogni giorno le Guardie Nazionali occuperanno permanentemente quei luoghi che l'esperienza o sicura relazione avranno additato come facile e frequente ricovero o punto di passaggio dei briganti. 4) Più volte al giorno saranno visitate le masserie, nessuna eccettuata. 5) Nei luoghi ove non esista truppa e le Guardie Nazionali siano costrette a far servizio da sole, i rispettivi picchetti e distaccamenti dovranno necessariamente essere comandati da ufficiali e sottoufficiali vestiti in uniforme per evitare scambi o altri deplorevoli avvenimenti. 6) Nei luoghi dove esiste truppa, ogni movimento delle Guardie Nazionali dovrà essere concertato col Comandante Militare . 7) Ogni persona sospetta, ove mai i sospetti siano gravi e fondati, potrà essere arrestata e il Sindaco dovrà riferil:ne immediatamente alla sottoprefettura. 8) I viandanti saranno richiesti delle generalità e perquisiti per verificare se portano armi o carte compromettenti. 9) Perquisire le case all'interno del paese, se si dia sospetto che vi si trovi qualche brigante. 10) Siano impiegati esploratori per riferire i movimenti dei briganti. 11) Ogni sera i Comandanti della Guardia Nazionale a conclusione di qualunque servizio operato nella giornata, ne dovranno partecipare il Sindaco che farà immediato rapporto alla sottoprefettura. 12) Chiunque procurerà l'arresto di un brigante riceverà dalle 30-40-60 piastre (pagabili dal Generale Pallavicini). 13) Nell'Ufficio di ogni Comune dovrà essere sempre pronto un conveniente numero di corrieri a disposizione dei Comandanti Militari. 14) Il Generale Pallavicini si impegna ad ottenere una ragguardevole diminuizione della pena per i briganti che spontaneamente si presentassero. Saranno trattati con la maggiore possibile umanità>> 82 .

Dal canto suo il generale Pallavicini resosi perfettamente edotto della impervietà e vastità del teatro matesino, al fine di meglio coordinare, rendendola più incisiva, l'azione dei suoi subordinati, trasferì la sede del suo comando proprio a Cerreto Sannita, da dove in data 24 novembre emanò una dettagliata circolare operativa alle sue truppe: COMANDO GENERALE DELLA ZONA MILITARE DI BENEVENTO E MOLISE L'assenza della banda Caruso, la quale è ridotta a termini tali da non più ispirare apprensioni, né alle autorità, né alle popolazioni, m'induce a profittare della tranquillità, in cui trovasi la parte orientale e meridionale di questa Provincia, per intraprendere delle generali perlustrazioni sul Taburno, nella Valle del Calore e sui monti del Cerretano; a questo scopo mi fo ad emanare la seguente Circolare, la quale altro non addita che le norme generali, secondo le quali le truppe dovranno agire; s'intende quindi che spetta a ciascun Comandante di forza di riempire le lacune della stessa, secondo che le località, o le circostanze additeranno al militare criterio di lui.

I. Ogni distaccamento uscirà giornalmente in perlustrazione dal punto assegnatogli come stanza, partendo la mattina all'alba, e rientrando un'ora dopo tramontato il sole.

81

82

Ibidem, p. 134. Cfr. L. SANGruoLo, // Brigantaggio nella provincia ... cit. pp. 223-225.


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II. Il servizio di perlustrazione verrà in ciascun distaccamento diviso in due mute: cioè metà dell'intera forza perlustrerà dall'alba al mezzodì, l'altra metà dal mezzodì a fatta sera. III. Nei distaccamenti al di sotto dei 70 uomini ciascuna metà sarà divisa in due parti, che nell'istessa ora perlustreranno in direzioni diverse; nei distaccamenti al di sopra dei 70 uomini ciascuna metà verrà divisa in tre, o quattro frazioni; così si avranno tre o quattro colonne, che contemporaneamente saranno in movimento in diversi sensi. IV. Il numero ristretto dei briganti, infestanti la valle del Calore ed i monti del Taburno e del Cerretano, permettono la prescritta riduzione di forze, la quale (senza pericolo della truppa) offre il vantaggio di moltiplicare le colonne, che sarebbero molte poche, se ad ognuna si volesse assegnare un'intera, o mezza compagnia. .Y. La perlustrazione, che giornalmente ciascuna colonna eseguirà per sei ore continue, muterà natura a secondo del terreno, delle notizie e dei casi imprevisti: in generale però le colonne in movimento dovranno perquisire le masserie, visitandone le parti le più recondite, perlustrare i boschi e fare riposi, mettendosi in appiattamento in quei punti, che lo studio del luogo additerà opportuni. VI. Spetta ai comandanti di distaccamento lo stabilire il giro e le operazioni di ciascuna colonna appartenente alla propria truppa; essi le regoleranno in modo che le stesse masserie sieno perquisite anche più volte al giorno. VII. Ogni comandante di colonna è non solo autorizzato, ma anche nell'obbligo di arrestare tutte le persone, che, incontrate sul suo cammino o nelle masserie, desteranno sospetti. Detti arrestati al termine delle sei ore di perlustrazione verranno condotti alla sede del distaccamento, ove dopo la r iconoscenza delle autorità Municipali saranno rilasciati, o tradotti in Carcere. VII I. Il precedente articolo reclama quindi una scrupolosa visita passata ai viandanti, per vedere se portano armi, o carte compromissive. IX. Ho dato ordini acciò le scafe cessassero di servire al transito del Calore, perciò il passaggio del fiume dovrà solo esegùirsi sui ponti già esistenti. I comandanti dei distaccamenti, prossimi al Calore, per rendere proficua tale mia determinazione, saranno in dovere di occupare giorno e notte con posti militari detti ponti, non che quei luoghi stimati guadabili. X. Alle guardie ai ponti incombe il dover osservare i passeggieri, arrestando i sospetti ed opponendosi con la forza al transito dei briganti, qualora inseguiti cercassero passare. Sulle guardie alle scafe ed ai guadi pesa la responsabilità di qualsiasi passaggio, che in opposizione degli ordini dati potesse succedere. XI. Visti a distanza i briganti, il comandante di una colonna dovrà muovere con la massima sollecitudine in persecuzione di essi, e seguirli senza inter ruzione sino a che gli riesce di stare sulle loro tracce. Carnmin facendo egli farà degli spari onde dare l'avviso alle altre colonne e distaccamenti, che disseminati nella zona delle nostre operazioni dovranno accorrere, e così possibilmente accerchiarli. XII. Il numerp dei briganti che compongono le comitive del Cerretano e montagne adiacenti è assai limitato; però siccome le operazioni si estendono su tre ordini di montagne, così potrebbe succedere, che due o tre piccole comitive riunjte costituissero un numero abbastanza superiore a qualche colonna in movimento; datosi tale caso il comandante la forza prenderà una posizione difensiva, avvisando le vicine colonne a mezzo spari (anche se non venisse aggredito), ed a mezzo di corrieri i vicini distaccamenti. XIII. Giornalmente tutti gli Ufficiali dovranno uscire, ciascuno alla testa di una colonna, regolandosi questo servizio in modo tale che ad ogni ripresa vi sia almeno un ufficiale. XIV. Mi risulta che sovente i briganti inseguiti nei boschi, nelle montagne e nelle masserie trovano ricovero nei paesi; a riparare a questa possibilità i Signori comandanti di distaccamento dovranno stabilire col concorso dei Sindaci e Capitani di G.N. tale una polizia attiva al punto di essere a giorno di tutto il paese, ove essi hanno stanza. XV. L'associazione della G.N. colla truppa, contro il brigantaggio a piedi, può risultare sommamente utile, mentre essa dà a chi comanda persone conoscitrici dei luoghi e degli abitanti, non che forza maggiore per l'azione: in conseguenza di ciò i Signori comandanti di distaccamento si concerteranno coi Sindaci e Capitani della G . N., acciò assieme ai quali deve sempre stare un cittadino intelligente e fidato. XVI. Lo stesso paese può accogliere forze diverse; in simile eventualità i comandanti le stesse si metteranno di comune opinione sulla ripartizione del terreno, e quindi eseguirà nella zona, quanto viene prescritto nella presente circolare, dovendo così essi riguardarsi come costituenti distaccamenti diversi. XVII. Gli scontri e le novità di urgenza mi verranno immediatamente riferite al mio Quartiere Generale con corrieri. Le relazioni poi delle operazioni giornaliere e delle notizie generali dovrà spedirmisi ogni mattina all'alba. XVIII. Il rapporto sul servizio di perlustrazione dovrà essere dettagliato; in esso saranno specificate le colonne costituenti le due riprese, il numero dei componenti ed il nome degli Uffiziali e Sotto Uffiziali comandanti le stesse, il cammino fatto, gli agguati, le perquisizioni, gli arresti e le notizie raccolte. XIX. Sino a nuovo avviso il mio Quartiere Generale è in Cerreto. XX. Non ho bisogno di fare appello all'attività ed all'energia dei Signori Ufficiali, essi nelle ultime operazioni ne fecero prova con somma mia soddisfazione e con grande vantaggio del paese, che oggi gode dei frutti delle loro fatiche e dei loro sacrifici. La durata delle perlustrazioni, che vanno ad intraprendersi, dipende dallo scopo più


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o meno presto raggiunto; dunque è all'attività spiegata con intelligenza ed energia dai comandanti le diverse colonne che si deve dimandare un po' di quiete per queste truppe da sì lungo tempo affaticate. Non fo parola di ricompense e di rigori; ognuno sa che sono oltremodo portato a vedere premiato il valore, l'intelligenza, il buon volere, come pure non transigo a fronte dell'inerzia e del difetto d'iniziativa. Benevento il 24 Novembre 1863 Il Maggiore Generale: Pallavicini83

Lo stressante impiego delle truppe ricordato dal generale, che con il suo insediamento a Cerreto Sannita avallava la rilevanza insurrezionale del teatro matesino, produsse gli auspicati risultati: il Caruso, abbandonato dai suoi gregari, venne alla fine catturato, quindi tradotto a Benevento e fucilato. Alle ore 16 del 13 dicembre fu redatto il certificato di morte del venticinquenne caval laro nativo della provincia di Foggia, altrimenti noto come «colonnello Caruso» . Per contro e probabilmente proprio a causa dell'eccessivo affaticamento cui erano sottoposti i reparti impiegati nella repressione un numero senza precedenti di suicidi fra i militari, funestò ulteriormente quei primi tre anni. Sintesi statistica dell'attività dei briganti sul Matese nel 1863

Assalti a paesi .. .. .... ... .... .... . ..... . ........ . .... . ..... . .. .. ..... . .. ... .. .. ... .. ... .. .. ..... . ..... .. .... . .n ° Assalti a stazioni Guardia Nazionale ...... .. . .. ... . .... ..... . ........... . ........ . .... . .... .. .. .. ... .... » Scontri a fuoco rilevanti .................................................................................... » l\!Iilitari uccisi ... .... . .. . ..... ... . ........ ... ... .... . ... ..... . .... .. ... .. ... .. . .. . .... . ... .... . ....... ... .. . .. .. » Civili uccisi ... ........ . .... .. .. .. .. . ... . ..... .. ... ... ... ... ... ..... .. .. . ....... ..... ..... . .. .. .............. . .. . » Civili rapiti . ... ....... ... .. .. ... ..... .. .... . .... .. .... ..... . .. .... . .... . .. ... .. .. ..... . ... .. ... . ... ... .. ..... .. . » Altri reati . .... .. ... ......... .. ... .... .. .. ......... .. .... . .. ....................... ..... ..... .. .. .... . ... .. .... .. »

4 2 26 22 24 30 51

Sintesi statistica dell'attività repressiva sul Matese nel 1863

Briganti fucilati ..... ... .. .... .. .. .... . .. ... ... .. ....... ..... . ...................... . .. . ... .. .. ... ... .. ... .. ..11° » uccisi . .... . .... ... .. .. . ... ..... .. .... . .... . .. ..... ... .. ... .. ... ... . .... . ............ . .... . .. ......... . » » arrestati ........ .. ... .. .. ... ... .. ......... .... . .... . .. ........ .. .. . ... .. .. .... . ... .. ..... . .. .. .... ... . » >) costituitisi . ....... . ... . .. . ... .... ... .. . . ........ .... .. .... . .... . .......... . .... . ..... .... .. .... . .. ... »

24 37 28 63

Sostenitori Perseguiti: Circondario di P iedimonte ...... ... . ... .. .. .. .. ... ..... ... ... ................. ... . .. .. ... . .. ... ....... ... . n° 57 » » Cerreto Sannita .......... .. ....... ... .. ... .. .... .. .. ..... ... .. ...... . ................ . ... » 318 84 Bande operanti sul Matese nel 1863

Località Isernia-Piedimonte M.-Cerreto S. Isernia-P iedimonte M. Isernia Piedimonte M .-Cerreto S. Cerreto S.-Benevento Isernia-Piedimonte M.-Cerreto S. P iedimonte Matese Cerreto S.-Piedimonte M. Piedimonte Matese Cerreto S.-Isernia Isernia-Piedimonte M. lsernia-P iedimonte M.-Cerreto S. Piedimonte Matese 83 s•

Cfr. L. T uccAR J, Memoria sui principali aspetti ... cit. pp. 246-248. Cfr. R. D 1 LELLO, G.R. PA LU Mno, Brigantaggio ... cit. pp. 63-64.

Banda Albanese L. Albanese M. Andreozzi Arcieri Caruso Ciccone D'Errico Dell'Ungaro Di Lello Di Paolo Parano Fuoco Giuliano


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Isernia Isernia-Piedimonte M.-Cerreto S. Cerreto S.-Piedimonte M.-Isernia Isernia Cerreto Sannita Isernia-Piedimonte M. Isernia-Piedimonte M.-Cerreto S. Cerreto S.-Benevento Isernia Piedimonte Matese Isernia Cerreto S.-Piedimonte M.

Gravina Guerra Ludovico V. Maccarone Martino G. Matarazzo Pace Roberto Romagnoli P. Sartore Tommasina Varrone A. 85

1864: i primi sintomi del declino. La ripresa primaverile del brigantaggio nel '64 iniziò a rivelare il gravame del dispositivo militare escogitato dal Pallavicini: le bande pur restando ancora numerose - e pericolose - non ostentavano più quella travolgente ed ineluttabile veemenza di appena pochi mesi innanzi. La conseguente perdita di temibilità aizzò nei loro confronti un'automatica e vistosa proliferazione della delazione, sorretta dalle sostanziose taglie, promesse ed elargite, ed alimentata dalla crescente insofferenza popolare per quello che ormai era scaduto ad un puro fenomeno delinquenziale. Per reazione l'efferatezza dei briganti si accentuò alienandogli in breve le residue simpatie: d'altronde il progetto restauratorio appariva col passar del tempo una evanescente utopia, smantellata con regolarità dagli eventi concreti. Il rinvigorirsi ad esempio delle relazioni franco-italiane, con l'implicito riconoscimento da parte dei primi delle esigenze territoriali e nazionali dei secondi, e con l'abbandono di Roma, annientò molte velleità borboniche, facendo chiaramente configurare un incombente abbandono dello Stato Pontificio per l'ex monarca e la risoluzione dei legami con le frange insurrezionali superstiti86 • Intorno ai briganti per un motivo o per un altro si formava il vuoto, processo che caratterizzò l'intero anno, perturbato verso la conclusione dalle avanzanti prospettive di guerra per la giovane nazione. «Fra il 1863 e il 1864 non si ebbero tuttavia gravi fatti d'armi , onde la narrazione dei singoli e freq uentissimi episodi si ridurrebbe alla ripetizione di scontri fra un gruppo talvolta assai esiguo di briganti e un reparto di truppa della forza massima di una compagnia o meglio delle compagnie di allora che non superava mai un effettivo disponibile di 40 o 50 soldati ... Gli scontri erano ... caratterizzati per lo più ... da qualche fucilata, un assalto di pattuglie, una o più vittime da una parte e dall'altra, l'arresto di qualche manutengolo ,e poi il dileguarsi improvviso della banda la quale dopo alcuni giorni si sapeva ricongiunta con altre o rifatta di nuovi elementi in altro territorio ... Il fenomeno del brigantaggio ... ha .. durante il 1864 ... due elementi di fatto: un allargamento della sua sfera d'azione in tutte le provincie meridionali e per conseguenza ... un affievolimento di intensità di mano in mano che si allontanava dai centri che furono i veri focolari d'origine ... Le popolazioni stanche di rapina, di mancata sicurezza nelle comunicazioni, cominciarono a plaudire all'opera delle autorità e delle truppe» 87 • Da molti sintomi in quel '64 sembrava che la soluzione ciel sanguinoso problema fosse prossima. Anche l'areale del Matese era stato almeno limitatamente ai fronti cerretano e molisano alquanto bonificato, costringendo le bande sopravvissute ad annidarsi più all'interno dell'altipiano ed aspostare le loro imprese sulla fronte tirrenica, quella meno accessibile e perlustrabile.

85 86

87

Ibidem, pp. 59-61. Cfr. E. ScALA, La guerra del 1866 ed altri scritti, Roma, 1981, p. 15. C. CESAR I, Il Brigantaggio ...cit. pp. 147-149.


Parte seconda. Gli anni dei briganti

201

Sintesi statistica dell'attività dei briganti sul Matese nel 1864

Assalti a paesi .......................... ....... .............................................................. n ° 3 Assalti a stazioni Guardia Nazionale ................................................................... » Scontri a fuoco rilevanti ................................................................................... » 5 Militari uccisi ................................................................................................. » 18 Civili uccisi .................................................................................................... » 6 Civili rapiti .................................................................................................... » 23 Altri reati ................................. ·..................................................................... » 20 Sintesi statistica dell'attività repressiva sul matese nel 1864

Briganti fucilati .... .. ................ .... .................................. ..... ............. .............. . n ° 2 » Uccisi ...... .. ......... .. .... ......... .................... ........... ......... . .. ..................... » 14 » Arrestati ............................................................................................ » 28 » Costituitisi .......................................................................................... » 11 Sostenitori Perseguiti: Circondario di Piedimonte ................................................................................ >> 9 » » Cerreto Sannita ........................................................................... » 17888 Bande operanti sul Matese nel 1864

Località

Banda

Isernia-Piedimonte M.-Cerreto S. Isernia Piedimonte M. Cerreto S. Piedimonte M.-Isernia-Cerreto S. Isernia-Piedimonte M.-Cerreto S. Isernia-Piedimonte M.-Cerreto S. Isernia-Piedimonte M.-Cerreto S. Cerreto S.-Piedimonte M.-Isernia Cerreto Sannita Isernia-Piedimonte M.-Cerreto S. Cerreto S.-Benevento Piedimonte M.-Isernia-Cerreto S. Isernia

Albanese Andreozzi Arcieri Campagna Ciccone Fuoco Guerra Ludovico V. Martino G. P ace Pappaianni Santaniello Tommasino89

1865: il cerchio si stringe. Come già manifestatosi tendenzialmente verso la fine del '64, l'indefessa attività repressiva del Pallavicini sconvolse le trame brigantesche che avviluppavano il Matese, restringendole e costringendole al solo impervio settore tirrenico, obbligando per giunta molte bande e capi a rifugiarsi nuovamente nello Stato Pontificio. Tuttavia il loro riversarsi nei territori della Chiesa non avveniva più per esclusivi motivi d'asilo ma, in maniera crescente, per estrinsecarvi grazie alla minore sorveglianza le abituali azioni criminose. Le conseguenti recriminazioni circa la troppo indiscriminata ospitalità, peraltro non sorretta dalla ormai fallimentare politica legittimista, non tardarono ad esplodere. I risultati del resto erano palesi: «dal 1865 al 1870 un grosso brigantaggio imperversò ... nella parte meridionale dello Stato Pontificio, la Ciociaria, con bande che operavano a cavallo della frontiera. La gendarmeria papale, gli «squadriglieri» indigeni e - dqpo Mentana - le stesse truppe francesi, condussero una sanguinosa ma contrastata repressione. Il fenomeno divenne tanto preoccupante da indurre le autorità pontificie a sti-

88

89

Cfr. R. D1 LELLO , G.R. Ibidem, pp. 59-61.

PAt.uMno,

Brigantaggio ... cit. pp. 63-64.


Dai sanniti all'esercito italiano

202

pulare con quelle italiane - malgrado la perdurante ostilità ufficiale - una convenzione militare (Cassino, febbraio 1867) per concordare le azioni repressive sui due lati del confine»90 • Si trattava in definitiva del logico sviluppo di una premessa caratterizzata dalla connivenza nei confronti del brigantaggio, elargita in maniera acritica ed ottusa: «naturalmente, la polizia pontificia adopera tutte le scaltrezze immaginabili, perché manchino le prove dirette e giuridiche della sua connivenza con i masnadieri. Le astuzie però, le cautele, le accortezze sono tradite dai fatti. Le bande si organizzano sul territorio romano senza molestia di sorta alcuna ... Le provincie di Frosinone e di Velletri sono quelle dove più d'ordinario le ban de si formano; nessuno dei contadini di quelle due provincie vi prende parte; sono avventurieri forestieri, oppure malviventi e miserabili provenienti dalle provincie napoletane ... La polizia pontificia non ha occhi per vedere questi apparati di guerra, e li lascia compiere tranquillamente senza arrecare ad essi il più lieve disturbo 9 1 • Così almeno nei primi anni post-unitari. Nel '65 però essendosi resa insostenibile la tracotanza dei briganti ed imperversando la loro efferatezza, si impose la citata convenzione militare di Cassino, così enunciante: Art. 1 - Il concorso delle truppe e degli agenti di pubblica sicurezza dei due Stati, contro il brigantaggio, potrà estendersi, dietro accordi preventivi, dai comandanti militari delle due frontiere fino alla traslimitazione reciproca delle truppe oltre i confini politici dei due Stati, ma questa facoltà sarà circoscritta nel modo qui assegnato. Ammettere lo sconfinamento reciproco in caso di persecuzione cli brigantaggio, fino a giungere nei versanti dei monti e da arrestarsi in modo da non oltrepassare il paese, né troppo arrestarsi ai medesimi. Art. 2 - Durante l'operazione militare dello sconfinamento di briganti che cadessero nelle mani delle truppe saranno da quest'ultime custoditi, e trasmessi regolarmente all'autorità militare di quello Stato in cui furono arrestati, e per far ciò verrà dal comandante le truppe che li custodisce inviato avviso al più prossimo comandante militare onde spedisca a prenderli. Art. 3 - Le truppe che avranno sconfinato rientreranno nei propri confini, appena cessato il bisogno della persecuzione in comune. La loro permanenza in zona delineata all'articolo primo e occorrendo anche al di là di questo limite, non potrà aver luogo se non dietro richiesta formale e per iscritto del Comandante delle operazioni militari del di cui distretto avrebbe luogo lo sconfinamento. Art. 4 - Le truppe che avranno sconfinato nelle due zone saranno, durante la loro permanenza mantenute,Per conto del governo rispettivo, però i due Comandantì militari della doppia zona promettono di darsi a questo riguardo ogni aiuto e facilitazione che i casi possono richiedere, ben inteso, salvo il rimborso delle spese. Art. 5 - Si promettono le due autorità firmanti il presente accordo di abbassare ordini e disporre presso li propri dipendenti onde ognuno da parte loro si dia premura parteciparsi reciprocamente tutte le notizie riguardanti briganti e brigantaggio e somministrarvi le guide necessarie ed ecc., ed infine non obliar nessun dettaglio che possa interessare il più attivo e prossimo servizio contro il brigantaggio. Art. 6 - Per quei soli casi che avvenga uno sconfinamento di truppe regolari per il suddetto servizio, potranno le squadriglie borghesi, sia da una parte che dall'altra coadiuvare il movimento d'operazione, sempre che siano capitanate e guidate in unione a gendarmi pontifici o di Reali carabinieri o di truppe regolari sì da una parte che dall'altra. Il suddetto accordo ha pieno vigore dalla data in cui qui sotto apposte le singole firme dei Comandanti militari. Cassino 24 febbraio 1865 Il Maggiore Comandante la 2• suddivisione della gendarmeria della provincia di Frosinone Leopoldo Lauri Il Maggior Generale Comandante la 1• zona militare di Cassino Lodovico Fontana»92

Disgraziatamente il ritardo con cui si raggiunse tale valida disposizione non consentì pronti riscontri di funzionalità, tant'è che proprio in quegli stessi mesi si individuavano e notificavano con

°F. MoLFESE, La repressione... cil. p. 63.

9

91

92

E. CARDINALI, I briganti e la corte pontificia, ristampa Napoli, 1971, Voi. II, pp. 401-402. Cfr. C. CF.SARr, li Brigantaggio .. . cit.. pp. 72-73.


203

Parte seconda. Gli anni dei briganti

allarmante frequenza delle precise linee itinerarie percorse con invariata assiduità dai briganti, che si spostavano dal Matese allo Stato Pontificio, come ci certifica ad esempio la riservata n° 1539 del 14 agosto 1865 indirizzata al Prefetto di Caserta da parte di quello di Benevento: « .. .Da recenti informazioni assunte presso l'Ufficio di S .P. in Cerreto, risulterebbe che i briganti i quali dal Cerretano si recano a Roma, e viceversa, tengono ordinariamente la stradale del Matese per la contrada della Chiana rasente il lago e precisamente ove stavano accasermati i gendarmi borbonici; salgono quindi una montagna ove si trova una fontana fabbricata per abbeverare le bestie, e vanno a far riposo presso un pecoraio sul monte detto Rotondo nel Circondario di Sora di proprietà di un barone dimorante in Roma: passano il ponte detto di venticinque archi ed il fiume di Sora in vicinanza di San Vittore, e si fermano a Pietra di Campo sopra S. Francesco, territorio pontificio, dove lasciano le armi presso un massaro chiamato Antonio, dal quale le riprendono volendo ripercorrere la via pel Cerretano. Di tali notizie compio il dovere di mettere in conoscenza la S. V. Ili.ma, per l'uso che stimerà fare in occasioni d 'istruzioni o provvedimenti per la repressione del brigantaggio. Il Prefetto ... » 93

Una serie di concause tuttavia ridusse notevolmente il livello di sorveglianza alla frontiera fra i due stati, accentuando sensibilmente il deleterio andazzo. Come se non bastasse in quel '65 per necessità economiche si dovette operare una riduzione degli organici dell'Esercito con ovvie conseguenze. Sembrava di essere per molti versi ripiombati ai livell i dei primi anni post-unitari almeno relativamente alle bande operanti sul confine. Espliciti documenti dell'epoca stigmatizzano pertanto il perdurare della connivenza, od il suo proporsi ad onta di tutti gli accordi, e tra questi ne trascriviamo due per la loro rilevanza: «PREFETTURA DI T ERRA DI LAVORO Telegramma circolare Spedito alle Autorità e Comandanti Guardia Nazionale e Carabinieri Reali della Provincia. Bande di ladroni infami dirette dal territorio ancora soggetto Governo papale infestano nuovamente e cuoprono di misfatti nostra bella Provincia. Ma è tempo che tresca esacranda sia finita. Dove Guardia Nazionale comprende nobile missione non possono sussistere malfattori campagna: Guardia Nazionale Terra Lavoro non sarà seconda nessuna comprendere soddisfare sacri diritti più sacri doveri. Difenda suo territorio quella di ogni Comune; avvisi Autorità, forze, popolazioni vicine di ogni imminente pericolo . Ai ladroni, ai loro fautori, ai manutengoli è delitto lasciare più scampo. Guerra implacabile e sterminio! Governo veglierà senza posa; sosterrà e premierà con larghezza sforzi generosi; punirà esemplarmente malvagi . Il presente sarà pubblicato in tutta la Provincia. Casena 1° maggio 1865 Il Prefetto De Ferrari»94 IL SOTTOPREFETTO DEL CIRCONDARIO D'ISERNIA Veduta la ordinanza pubblicata dal Signor Prefetto della Provincia di Terra di Lavoro a dì 14 Maggio cadente mese, con la quale, ritenendosi che il territorio di quella Provincia nuovamente è infestato da parecchie bande di ladroni, si decretano varii provvedimenti nello interesse della pubblica sicurezza e per ottenere l'estirpazione del brigantaggio. Veduto il telegramma del Sig. Prefetto della Provincia di Molise in data d'oggi, con cui autorizza che una ordinanza contenente provvedimenti analoghi a quelli decretati dal Sig. Prefetto di Terra di lavoro sia pubblicata in tutt'i Comuni di questo Circondario, i quali sono esposti alle scorrerie delle stesse bande che infestano la Provincia vicina. Veduto l'articolo 120 della legge di P. Sicurezza pubblicata nelle provincie Napolitane a dì 8 Gennaio 1861 , tuttora vigente. Decreta

93 Archivio di Stato di Caserta. Alti di Prefettura. Regno d'Italia, Prefettura della Provincia di Benevento, riservata n° 1539 del 14 agosto 1865 al Sig. PrefettO di Caserta (in R. D1 LELLO e R.G. PALUMJJO, Brigantaggio .. . cit . p. 36) . 94 Brigantaggio sul Matese, Mostra storica-Illustrazio ne n° 2 1 (Cat. n° 149).


Dai sanniti all'esercito italiano

204

I) A partire dal 1° Giugno prossimo sino a nuova disposizione, in tutt'i Comuni de' mandamenti di Venafro e Castellone a Volturno, ne' Comuni di Fornelli, Macchia d'Isernia, Monteroduni, Longano, S. Agapito, Castelpizzuto e Roccamandolfi, e nelle parti m o ntuose del territorio di Pettoranello di Molise, S. Massimo, Boiano, S. Polo Matese, Campochiaro e Guardiaregia, avranno effetti i seguenti provvedimenti. 2) Nessuno potrà girare per le campagne senza una carta di ricognizione rilasciata dal rispettivo Sindaco sotto la costui più stretta responsabilità personale. Tale carta non potrà mai esser concessa a persona sottoposta a sorveglianza speciale o notoriamente sospetta. 3) Chi fosse autorizzato come sopra ad andare in campagna non potrà portare viveri, vino, liquori, e tabacco in quantità maggiore di quella puramente necessaria per una sola giornata. 4) Nessuno potrà andare fuori de' luoghi abitati da un'ora di notte sino all'alba senza positiva necessità che dovrà essere giustificata ed espressa in un permesso speciale rilasciato dal Sindaco. 5) Nessuno potrà d imorare in tempo di notte nelle masserie delle case e pagliaie sparse in campagna, senza un'apposita autorizzazione del Sindaco, e sotto condizione di non tenere maggior quantità di viveri, vino, liquori e tabacco di quella strettamente necessaria per una giornata. 6) I Sindaci trasmetteranno senza indugio a' Comandanti le rispettive stazioni de' Reali Carabinieri l'elenco de' permessi e delle autorizzazioni date secondo gli art. 4 e 5 del presente decreto. 7) I contravventori alle disposizioni contenute negli art. 2, 3, 4, 5, saranno arrestati e presentati ali' Autorità Giudiziaria per essere puniti con gli arresti o con l'ammenda, secondo le circostanze, salvo il caso di connivenza co' briganti. 8) I Sindaci, i Delegati di Pubblica Sicurezza, le Guardie Nazionali in servizio, l'Arma de' Reali Carabinieri, e tutti gli Agenti della forza pubblica sono incaricati della esecuzione del presente decreto. Isernia 28 maggio 1865 Il Sotto-Prefetto F. De Feo» 95

Le rinnovate draconiane disposizioni riuscirono in qualche modo ad arginare un più devastante dilagare del brigantaggio, assicurando persino alcuni significativi successi militari , specie all'approssimarsi dell'autunno. Parallelamente anche nello Stato Pontificio, esauritasi la tolleranza residua verso il brigantaggio, a causa soprattutto dei ricorrenti episodi di ferocia ed efferatezza dei quali non era più soltanto spettatore ma sempre maggiormente vittima, si mutò radicalmente e definitivamente tono, come attesta l'editto Pericoli, cui fece seguito una coerente azione repressiva: E DITTO Luigi Pericoli prelato domestico di Sua Santità Papa Pio IX protonotaio e delegato apostolico della città e provincia di Frosinone: Alla più efficace e pronta repressione del brigantaggio che ora infesta le provincie di Velletri e Frosinone, la Santità del Nostro Signore, ·udito il Consiglio di Stato e il Consiglio dei ministri, ci ha ordinato con dispaccio del Ministero dell'Interno n° 14416 e 14790 di pubblicare le seguenti straordinarie disposizioni: Art. l - È istituita nella città di Frosinone una Commissione m ista di tre togati e di tre militari, la quale giudicherà di tutti i delitti che si riferiscono al brigantaggio e che si verificassero nelle due provincie. A questa Commissione oltre il procuratore fiscale sarà addetto il necessario m inistero. Art. 2 - Si procederà in via spedita e sommaria, le sentenze non saranno soggette ad appello o revisione. In caso di pena capitale, prima della esecuzione dovrà interpellarsi il superiore governo. Art. 3 - Nel caso di procedura contumaciale, basterà una intimaiione, in cui sarà prefisso al contumace il termine di dieci giorni a presentarsi, altrimenti si ri terrà incorso in contumacia, e la causa sarà giudicata senza bisogno di altre formalità; la intimazione e la sentenza si affiggeranno alla porta dell'uditorio della Commissione e nei soliti luoghi della città di Velletri e di Frosinone. Caduto il contumace in potere della giustizia sarà esaminato, e non adducendo ragioni concludenti a sua discolpa, la Commissione ordinerà la piena esecuzione della sentenza contumaciale; in caso diverso

95

Id ., Manifesto, Illustrazione n° 22 (Cat. n° 154).


Parte seconda. Gli anni dei briganti

205

la Commissione prescriverà l'impinguamento degli atti, ed emanerà un nuovo giudizio egualmente spedito e sommario, come se il primo non fosse stato pronunciato. Art. 4 - La riunione di soli tre briganti armati è considerata come conventicola, ed ai componenti la medesima è applicata la pena di morte colla fucilazione alle spalle. Art. 5 - Il brigante armato che non abbia appartenuto a conventicole, è punito colla galera perpetua. Art. 6 - I manutengoli, fautori, chi ha dato spontaneo ricetto, o somministrate armi, munizioni, denaro, viveri, vestiario e simili, ha dato avviso della stazione e dei movimenti delJa forza, e chiunque volontariamente sia per sé, sia altrui mezzo, abbia in qualsivoglia modo fornito il brigantaggio, sono ritenuti complici, e come tali puniti, secondo le risultanze degli atti, con uno o due gradi minori della pena art. 4 e 5. Gli ascendenti e discendenti, la moglie ed altri congiunti fino al quarto grado di computazione civile, saranno puniti con pena minore di uno a quattro gradi ove si tratti di atti esclusivamente diretti alla salvezza personale. Art. 7 - I briganti e i complici non godranno il beneficio dell'immunità locale, e le pene di sopra comminate saranno applicate anche ai forestieri , nonostante il disposto degli art. 3 e 5 del regolamento sui delitti e sulle pene. Art. 8 - A chiunque eseguirà il fermo di un brigante verrà accordato il premio di Scudi Cinquecento; se fosse capobanda il premio sarà di Scudi Mille. Questo premio sarà pure accordato alla forza, che avrà arrestato od ucciso un brigante; ed ove ciò avesse luogo in seguito a denuncia, si preleverà a favore del denunciante un quinto del premio. Art. 9 - Ai briganti che nello spazio di quindici giorni dalla data del presente editto, si costituiranno spontaneamente nelle carceri del governo è garantita la salvezza della vita. Dal Palazzo Apostolico di Frosinone il 17 dicembre 1865»96

Per i briganti la durissima reazione del loro unico alleato rappresentò in pratica la fine della facile impunità e del sicuro asilo. Il cerchio prese così a stringersi progressivamente ed inesorabilmente, e la soluzione finale non si sarebbe fatta lungamente attendere se la temuta guerra non fosse intervenuta a stravolgere i rapporti di forza istauratisi - ed indispensabili alla neutralizzazione del brigantaggio - e la stessa dinamica sociale approssimativamente ristabilita. Sintesi statistica dell'attività dei briganti sul Matese nel 1865

Assalti a paesi .. ... .... .... .. ....... ....... . ... . .. ............. ..... ... .. .. .... ......... . . .. ........... ... .. .. n ° 1 Assalti a stazioni Guardia Nazionale ..... . .... .. ... .. .... . ... .. . .. .. .. .. .... . ..... ..... . .... . ............ » Scontri a fuoco rilevanti ... .. .... ... ... ..... .. .. ..... ..... .. ... ...... ...... ... ............ .. . .. ... ... .. ... .. .» 7 Militari uccisi ..................................... ............. ... ......... . ... .. ... .. .. .. ... ... .... . .... . .. ... . » 4 Civili uccisi ... . .... .... ... .... .... ... .... ................ . .... ... .. ... .. .. ............. .... ... ... .. ... .. ... . .. . . » 17 Civili rapiti ... .. . .. ........ ... .. . ... ........ . ... .... ..... .. ... . ...... .. . ..... . .... . ...... . .. ..... ... ... .... .. . ... » 38 Altri reati ................................................................................................. . ..... . » 28 Sintesi dell'attività repressiva sul Matese nel 1865

Briganti fucilati .............. .. _.. ................... ..... . .............. .... ... .... .. .... .. .. .. ... .. ........ n° » uccisi ...... .......... . ........ .. ... .. .... ... ..... ... .. .... . .. ... ....... ... .. ... ... ... .. .. .. ... ..... .... » » arrestati ............................................................................................... » » costituitisi .......... .. ........ . ............. .. . .... . ...... . .... . .... ..... ........... .... . ............. »

2 11 6 5

Sostenitori perseguiti: Circondario di Piedimonte .................................................................................. » 54 » » Cerreto Sannita ... . .... . ... .. ... ..... ................. ..... ...... . .. ... .. . .. .. ..... .. .. .. ... >) 6497

96 Cfr. C. CESARI, Il Brigantaggio ... cit. pp. 55-56. 97 Cfr. R. D1 LE1.,1.,o, G.R. PALUMno, Brigantaggio ... cit. pp. 63-64.


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Bande operanti sul Matese nel 1865

Località

Banda

Isernia P iedimonte M.-Cerreto S. Piedimonte M.-lsernia-Cerreto S. Jsernia-Piedimonte M. -Cerreto S. Piedimonte M.-Cerreto S.-lsernia Piedimonte M.-Isernia Jsernia-Piedimonte M.-Cerreto S. Isernia Cerreto S.-Piedimonte M.-Cerreto S. lsernia-Pieclimonte M. Cerreto S. Piedimonte Matese Cerreto S. -Piedimonte M. -Isernia Cerreto Sannita Isernia-Piedimonte M.-Cerreto S. Piedimonte M.-lsernia-Cerreto S. Isernia-Piedimonte M. Isernia

Andreozzi Arcieri Campagna Ciccone Civitillo G. De Lellis A. Fuoco Garofalo Giordano C. Guerra L uciano Ludovico V. Martino G. Pace Santaniello Taddeo F. Valente98

1866: il ritorno di fia mma. li 20 giugno 1866, esauriti i minuziosi preparativi necessari alla mobilitazione ed all'adunata del nuovo poderoso esercito nazionale, l'Italia in adempimento alle clausole della sua alleanza con la Prussia dichiarava guerra all'Austria, avviando quella che sarebbe passata alla Storia come «Seconda guerra per l'unità d'Italia». Abbiamo già accennato tratteggiando il 1865 alle difficoltà economiche che affliggevano il Governo, e di come per loro causa fu necessario risolversi ad una riduzione degli organici dell'Esercito : pertanto al momento della nostra entrata in guerra <<poté scendere in campo soltanto con 220.000 uomini, 37 .000 ~avalli e 456 cannoni>}99 , su d i una forza complessiva stimata di oltre 310.000 uomini, 42.000 cavaJli e 536 cannoni. La rilevante massa fu suddivisa in due armate asimmetriche, delle quali nominalmente fu designato capo di Stato Maggiore il gen. La Marmora, che in pratica però comandava esclusivamente la prima, destinata ad operare sul Mincio. Essa era formata dal 1° C.d.A. (gen Durando), dal 11° C.d.A. (gen. Cucchiari) e dal 111° C.d.A. (gen. Della Rocca), tutti su quattro divisioni per un totale di 216 battaglioni - 101.660 soldati - , 62 squadroni - 7074 cavalli - e 47 batterie - 282 pezzi. La seconda , destinata invece ad operare sul basso Po, agli ordini del generale Cialdini, comprendeva raggruppate nel IV° C.d.A., ben otto divisioni per un totale di 144 battaglioni - 63.795 soldati - , 30 squadroni - 3503 cavalli-, e 37 batterie - 354 pezzi. L'afflusso dei richiamati presso i depositi dei Corpi avvenne con encomiabile regolarità ed in maniera pressoché compatta: al 30 settembre dello stesso anno risultavano renitenti e quindi disertori latitanti soltanto 2092 individui, dalla intuibile localizzazione. Tralasciando cli addentrarci nelle vicende specifiche di quella infelice campagna (dove congiurò al negativo esito la non ancora conseguita amalgamazione dei capi, incapaci tra l'altro di superare gli antagonismi professionali e i protagonismi da avanspettacolo), ci preme invece sottolineare che l'importante appuntamento storico concentrando l'esercito nella sua quasi totalità sui confini con l' Austria, ne sguarnì fin troppo il Mezzogiorno, consegnandolo in balia delle bande immediatamente ringalluzzitesi e rimpinguatesi, con la risibile quanto unica protezione della Guardia Nazionale. A titolo

98 Ibidem, pp. 59-61. 99 E. ScALA, La guerra del 1866... cit. p. 22, nota n° 3.


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Parte seconda. Gli anni dei briganti

163

163. Cerreto Sannita: casa di Cosimo Giordano.

di raffronto basti ricordare che dai 90.000 uomini impegnati nella repressione del '63, con punte di 120.000 nel '64, si scese ai 40.000 del '65 per piombare a circa 15.000 nel '66 con conseguenze facilmente immaginabili. «La preoccupante recrudescenza del brigantaggio nell'alta Terra di Lavoro fu denunciata alla Camera il 5 marzo 1866, dalle interpellanze dei deputati Pulce (Sessa Aurunca) e Polsinelli (Sora). Chiamati direttamente in causa, replicarono i ministri dell'Interno Chiaves, e della Guerra, generale Di Pettinego e lo stesso presidente ciel Consiglio, La Marmora ... »rn°. Per molti versi sembrava essersi ricreata la situazione del '63, ed i reati contro le persone ed il patrimonio ostentarono un bn,1sco incremento. Tentando di incentivare la ormai languente collaborazione popolare, così difficilmente coltivata fino ad allora, si moltiplicarono e gonfiarono le taglie:

° F. B ARRA, //Brigantaggio ... cit. p.

10

127.


Dai sanniti all'esercito italiano

208

«IL SOTTOPREFETTO DEL CIRCONDARIO DI CERROTO SANNITA NOTIFICA Che la deputazione Provinciale pel Brigantaggio ha assegnato per ciascuno dei due briganti Cosimo Giordano e Vincenzo Lodovico alias Peluchiello un premio di lire Tremila a coloro che ne assicurassero l'arresto od in qualsiasi altro modo la consegnazione alla giustizia. Cerreto Sannita 20 settembre 1866 Il sotto-prefetto Pennacchio»rn 1

Nonostante ciò il clima permase critico ed esplosivo e la modestissima presenza militare non poté in alcun modo alterarlo. Il Ministero degli Interni inutilmente martellava i vari prefetti e delegati spronandoli ad una utopistica risoluzione decisiva del problema, giungendo addirittura a minacciarli, e di ciò troviamo un'eco attendibile nella corrispondenza d'ufficio tra i suoi funzionari: « .. .il Ministero dello Interno con nota del primo corrente mese, dichiara ai Prefetti delle Provincie Meridionali e in termini più formali e decisi che non si era fatto per lo addietro, esser suo intendimento che tutti i loro sforzi debbano principalmente indirizzarsi a finirla del tutto col brigantaggio, e ridonare a queste popolazioni la sicurezza delle persone e delle cose. Riflette ìl Ministero che quantunque il nerbo principale della milizia fosse ancora raccolta nei campi Veneti, nulladimeno rimane in questa provincia tal quantità di agenti della forza pubblica, e possono le Autorità Politiche organizzare tali altri mezzi straordinari di forza che la repressione dei briganti, sempre che si voglia può essere sicura ... e spiega che qualora la milizia regolare, di presente stanziata nelle diverse provincie non si credesse bastevole, esso Ministero, al primo rapporto, o meglio alla prima segnalazione telegrafica entrerà in pratiche col Ministero deJla Guerra onde trov.ar modo di aumentarla. Premesse cotali dichiarazioni ed operazioni ìl Ministero proclama che i Prefetti saranno d'ora in poi personalmente responsabili della continuazione del brigantaggio, percìoché quando ìl Governo ha messo a loro disposizione tutto ciò che occorre a combattere e distruggere i briganti, se questo non si ottiene è da presumere che non siasi de' mezzi opportuni. .. >> 102 • / . saputÒ ·Qsare . convenientemente , . .

.

I successi indubbiamente significativi che nell'autunno inoltrato fecero registrare le pur scarse truppe, non valsero a soffocare le estreme illusioni dei briganti, consci della eccezionalità del momento loro propizio. Essi pertanto scatenarono il tutto per tutto sul Matese, coadiuvati dal repentino acuirsi della miseria delle popolazioni rurali, accentuata dagli immancabili oneri sociali ed economici della guerra, che ne riproponeva se non la connivenza almeno la neutralità. Per quell'anno quindi mancò persino la consueta pausa invernale: fu perciò un duro richiamo alla realtà che si abbatté sulle autorità competenti .

Sintesi statistica dell'attività dei briganti sul Matese nel 1866 Assalti a paesi ............................................................................................. .n ° Assalti a stazioni Guardia Nazionale .................................................................. » Scontri a fuoco rilevanti ......................................... ... ...................................... » 17 Militari uccisi ................................................................................................ » 12 Civili uccisi ................................................................................................... » 16 Civili rapiti ................................................................................................... » 43 Altri reati ................................ .. ................................................................... » 34

101

Brigantaggio sul Matese, Mostra storica-Illustrazione n° 23 (Cat. n° 165). Archivio di Stato d' Isernia, Atti di Pubblica Sicurezza. Prefettura della Provincia di Molise, circolare urgentissima 375 del 6/9/1866 (in R. Di LELLO, G.R. PALUMBO, Brigantaggio ... cit. p. 42). 102

11°


209

Parte seconda. Gli anni dei briganti

Sintesi statistica dell'attività repressiva sul Matese nel 1866

Briganti fucilati ............................................................................................. n ° » uccisi ............ .................................................................................... » » arrestati ........ . ....... . .... .. ............. .. ............ . .............. .............. .. .......... . » » costituitisi ... .. .. ..... .... ... . ..... ........ . ............ .. . ......... .. .. ........... .. .............. »

17 56 14

Sostenitori perseguiti: Circondario di Piedimonte ....... ........ ...... ..... ...... .. . ..... ..... .......... ..... ........... .. ...... » 237 » » Cerreto Sannita .. . ..... . .... .. .. . .. .. . ..... .... ......... .. .. .. ......... .. .. ......... .. . » 76 103

Bande operanti sul Malese nel 1866

Località

Banda

Isernia Piedimonte M .-Cerreto S. Piedimonte M .-Isernia-Cerreto S. Isernia-Piedimonte M. Isernia-Piedimonte M.-Cerreto S. Piedimonte M. -Cerreto S.-Isernia Isernia Isernia Piedimonte M. Isernia lsernia-Piedimonte M .-Cerreto S. Isernia Isernia-Piedimonte M.-Cerreto S. Cerreto S.-Piedimonte M.-Isernia Isernia-Piedimonte M. -Cerreto S. Piedimonte M. -lsernia-Cerreto S. Isernia-Piedimonte M.

Andreozzi Arcieri Campagna Cedrone Ciccone Civitillo G. Croce Di Meo Di Mundo Ferraro Fuoco Fusco Guerra Ludovico V. Pace Santaniello Valerio 104

1867: la zona del Matese. Il riesplodere del brigantaggio nel '66 ed il suo protrarsi anche durante l'inverno successivo indusse i responsabili della repressione ad istituire una nuova zona militare: quella del Matese. Tale espressione burocratica-militare definiva sin dai primi anni post-unitari un particolare settore regionale sottoposto ad un esclusivo coma ndo, indipendente e prioritario rispetto a quello territoriale, con esplicita finalità di liquidazione delle grosse bande imperversanti nella sua giurisdizione. P roprio in aderenza alla variabilità degli obiettivi da perseguire l'istituzione delle diverse zone e sottozone non fu simultanea, né restò costante la loro ampiezza geografica. Il Matese sotto questo profilo ricadde di volta in volta nelle pertinenze di più grosse zone , a partire da quella iniziale di Caserta, il cu i comando già esistente nel 1861 era stato retto dal maggior generale Villarey ( 1861-' 62), a capo della brigata Re, originariamente di stanza ad Isernia e quindi per l'appunto a Caserta.

103 104

R. D 1 L ELLO, G.R. Id., pp. 59-61.

PALUMBo ,

Brig antaggio ... cit. pp. 63-64.


Dai sanniti all'esercito italiano

210

All'interno di una zona militare perciò per i compiti specifici che la repressione richiedeva si strutturarono una trama di presidi fissi ubicati nei maggiori centri abitati, ed una serie di colonne mobili adibite alla diuturna perlustrazione, alla scorta nonché alla ricerca e cattura degli individui sospetti . «La zona del Matese, fu cronologicamente l' ultima. Ebbe sede ad Isernia e fu istituita nel 1867 al comando del generale Lanzavecchia di Buri, poi del generale Dall'Aglio e quindi del generale Bianchetti . Essa aveva tre scompartimenti, uno ad Isernia stessa che per gli anni 1867-68 e 69 ebbe distaccamenti a Castellone, a Monteroduni e al Casino Staffoli; un altro a Venafro con distaccamento a Filignano, a Montaquila e a Pozzilli; e il terzo a P iedimonte d' Alife con distaccamento a Sant' Angelo a San Gregorio, alla masseria del Duca, a Campo Oracca e a Goia. Più tardi a questi tre scompartimenti se ne aggiunse un quarto, con sede a Boiano e con distaccamento a Morcone e a Pontelandolfo. La zona fu soppressa nel gennaio 1870» 105 Fra le istanze che portarono alla formazione della zona del Matese non improbabile ravvisarvi anche quella del Presidente del Consiglio dei Ministri, Bettino R icasoli che così spronava il prefetto di Benevento: «MINISTERO DELL'INTERNO Firenze 19 marzo 1867, prot. N° 2173 ... La dignità del Governo perderà ogni salutare impressione nell 'animo della popolazione il giorno in cui saremo obbligati a confessare che l'influenza delittuosa di un Fuoco, di un Pace .. . sia qualche cosa in più che l'influenza concorde di tutte le Autorità e di tutti gli agenti della forza pubblica di cotesta Provincia (Benevento), e che ancora per altro tempo dovremo svanirci in continue perlustrazioni sulle loro orme. Se i Signori Sottoprefetti non si recano di persona nei luoghi più incalzati dal brigantaggio a disporre gli animi delle popolazioni, a ravviare le indagini rallentate o disperse, a rialzare lo spirito dei cittadini, ad annodare le fila di accorte e sicure investigazioni, se Ella non ordina a due o tre delegati ed a questo o quell'Ufficiale dei Reali Carabinieri di mettersi in giro e di non tornare più in residenza se non dopo dispersa quella comitiva che infesta il suo Circondario, fornendoli, all'uopo dei mezzi di spese segrete che sono necessari, non si riuscirà mai, ne sia certo, a finirla veramente con i briganti./ Quel funzionario che non si senta capace, co' mezzi tutti de' quali può disporre, di mantenere la sicurezza della proprietà e della vita dei cittadini nell ' ambito del territorio a lui assegnato, e di riuscire per conseguenza a liberarlo dai briganti, è bene che lo dichiari francamente, che rilevi agli occhi del Governo questa sua posizione. Il Ministro Ricasoli» 106

L'anno '67 non fu caratterizzato, forse proprio per la nuova disposizione militare da rilevanti scontri o azioni brigantesche, ad eccezione di alcuni episodi nell'autunno, superati i quali si andò chiaramente delineando la ormai prossima e tante volte auspicata vanamente estirpazione del sanguinoso fenomeno . Sintesi statistica dell 'attività dei briganti sul Matese nel 1867

Assalti a paesi ... .. ... .. .. .. ... ... ... . ... ....... ... .. .......... ..... .. ....... . ... .. ... .. .. ..... . ..... ...... .n ° Assalti a stazioni Guardia Nazionale .. . .......... .... ...... . .. .. ..... .... .. . ... ...... . ..... ... .. ..... . » Scontri a fuo co rilevanti .................................................................................. » I O Militari uccisi .... .. ... .. ... ... ... ... . ... ...... ....... . .. ... .... ... .. . ...... ... . .......... . ..... . .. ....... .... » 5 Civili uccisi ................................................................................................... » 14 Civili rapiti .... .. ... ... .... ... .... .... .. .. ... .. ....... ..... ..... ... .. .. .... . .... .. .. ... .... . .... . .. .. ......... » 74 Altri reati .. . ... ....... . .. .. ... .. ... .. ..... ... ... .. .. ... . .......... ... ... .. .. .. ........ ..... ...... . .......... .. » 7 1

105 106

C . CESARI, Il Brigantaggio ... cit. pp. 133-134. Cfr. L. S 1\NGt UOLO , Il Brigantaggio ne{{a provincia ... cit. pp. 328-329.


Parte seconda. Gli anni dei briganti

211

SìaÌtesi statistica dell'attività repressiva sul Matese nel 1867

Briganti fucilati ......................................................................................... .... n° » uccisi. ............................................................................................... » 3 » arrestati .......................................... .. .................... ..... .... . ........... ... .... » 9 » costituitisi ......................................................................................... )) 6 Sostenitori perseguiti: Circondario di Piedimonte ............................................................................... )> 127 » )) Cerreto Sannita ........................................................................... » _101 Bande operanti sul Matese nel 1867

Località

Banda

Piedimonte M.-Isernia-Cerreto S. Isernia Isernia-Piedimonte M. Isernia-Piedimonte M.-Cerreto S. Piedimonte M.-Isernia-Cerreto S. Isernia-Piedimonte M. Isernia-Piedimonte M.-Cerreto S. Isernia-Piedimonte M.-Cerreto S. lsernia-Piedimonte M. Cerreto S.-Piedimonte M.-lsernia Isernia-Piedimonte M. Isernia Isernia-Piedimonte M.-Cerreto S. Piedimonte M.-lsernia-Cerreto S. Isernia Isernia-Piedimonte M. Piedimonte M.-Isernia-Cerreto S.

Campagna Casale Cedrone Ciccone Colamatteo De Marco Fuoco Guerra Iannucci Ludovico G. Marino M. Martelli Pace Santaniello Scoppitto Valerio Vendettuoli 108

1868: l'inizio della fine. Forte delle evidenti tendenze alla completa risoluzione del brigantaggio ed al fine di liquidarlo radicalmente con un ultimo poderoso sforzo, il Ministero della Guerra incaricò del comando generale delle truppe per la repressione in Terra di Lavoro, Aquila, Molise e Benevento, il più volte sperimentato generale P alla vicini, che lo assunse in data 8 marzo I 868, conservando peraltro anche quello relativo all'area salernitana, avellinese e della Basilicata: «compito principale: distruzione delle bande Fuoco, Guerra, Pace, Ciccone, Fontana, Garofalo, Pantanello e altre minori che infestano il territorio delle quattro provincie sconfinando da una regione all'altra; - criteri generali d'impiego ... : 0 impiego di distaccamenti della forza di una compagnia nelle zone dove il numero dei briganti in campagna è ancora rilevante, e ciò per consentire la formazione di drappelli non inferiori alla mezza compagnia. Nelle altre zone, impiego di drappelli della forza di 15 u. per il servizio ordinario di p.s.; 0 obbligo per i drappelli di rimanere in servizio esterno per 24 ore e disporsi stabilmente in punti prestabiliti dell'aperta campagna; abbandono dei paesi "in modo da coprire con drappelli militari tutto il territorio in cui sogliono aggirarsi le comitive"; 0 organizzazione del servizio e di riposo (di massima, un giorno di servizio e un giorno di riposo). 0

107 108

Cfr. R. D1 LELLO, G.R. P,,LUMBo, Brigantaggio ... cit. pp. 63-64. Id., pp. 59-61.


212

Dai sanniti all'esercito italiano

Così conclude la circolare del 10 agosto 1868: "Per lo stare ininterrottamente in campagna, non essendo le truppe costrette a rientrare in paese dopo il giornaliero servizio di p .s., ma essendo abilitate a vivere dove vivono i briganti, le perlustrazioni e gli appiattamenti potrebbero succedersi senza interruzione di sorta. E così si trae profitto fin dalle ore di riposo, facendole valere per gli agguati"» 109 . L'alto ufficiale pertanto si trasferì in data 15 aprile in Caserta da dove dette. con il sopraggiungere della buona stagione l'avvio alle operazioni, emanando una serie di circolari del tenore di quanto citato. Il Matese fu così battuto incessantemente in lungo ed in largo dalle pattuglie militari, facenti capo a presidi fissi in posizioni strategiche. Si ripeterono in questa fase conclusiva ed in un certo senso la caratterizzarono per l'eccezionale portata le misure già più volte adottate: incrementi degli organici dell'e truppe, coprifuoco per i paesi, blocco dei centri abitati, perquisizioni a tappeto e frequentissime di tutte le abitazioni sparse lungo i clinali delle montagne del massiccio, moltiplicazione e rimpinguamento delle taglie. Gli impatti logicamente sull'economia locale di per sé già tradizionalmente misera furono pesantissimi, sebbene tutto lasciasse ormai con chiarezza intuire di essere alla conclusione della sanguinosa guerriglia. «Con questi criteri applicati unitamente ad una saggia dislocazione di truppe nei luoghi più battuti dai briganti, con frequenti e forti colonne mobili e soprattutto colla sua personale presenza anche nei luoghi che sembravano più distanti o meno accessibili, il generale Pallavicini dopo 14 mesi dall'assunzione del comando aveva già messo fuori causa 17 capi banda e 253 malfattori, ultimi e disorientati avanzi di quello che egli a buon diritto poteva ricordare come il gravissimo e tormentoso flagello del brigantaggio 110 • Infatti: «in breve volger di tempo le bande vennero a trovarsi del tutto isolate . Pace si rese fuggiasco, Fuoco si nascose nell'alto Sangro, Guerra, braccato sopra i monti del versante molisano manifestò propositi di resa e Campagna, respinto mentre a capo di una piccola banda varcava il confine pontificio presso Settefrati, si ritirò sui monti di Cusano e Pietraroja. Tra quelle forre perse tre uomini ad opera dei contadini del luogo e, incalzato dai militari del 62° di Linea, fuggì in territorio pugliese. Questi fatti erano il sintomo che preannunciava l'imminente collasso del brigantaggio»i 11 . Allo scadere dell'anno in realtà, soltanto pochissimi sparuti superstiti delle centinaia di briganti, si aggiravano camuffati e braccati sulle montagne divenute ostili ed inospitali, consci della prossima cattura od uccisione. Sintesi statistica dell'attività dei briganti sul Matese nel 1868

Assalti a paesi .. ... .. .... .... . .... . ... .. .. ... ....... ...... .. ... ... ......... . .. .. ... .. .. .......... . ..... .. .. .. n° Assalti a stazioni Guardia Nazionale ....... ... . ... ....... . .. .... .. ... . .. ........ . ..... .. .. ... .. ... . ... )> Scontri a fuoco rilevanti ..... .... ....... . .... . ... .... . .. ...... ... . ... .. ...... ..... ... . ... .. .... . .. ..... . .. » Mili tari uccisi ... .. ...... ..... .. .. . ... .. ... .. . :..... . ..... ... .. ... .. ... . ... . .. ..... .. ... .. .. ..... . ....... ... .. » Civili uccisi .. ... .. .... . ..... ... .. ..... ........... . ... . .... . ... .. ........ . ... . ... .. ... ......... . ........ . ... .. . » Civili rapiti ............ .. ... ........... ........... .. ... ......... . ........ . ..... . . ... ........... .. .. . .. .. .. .... » Altri reati ... ...... ... . .. .. .... .. ........ . ... ... .. .. .. ... ......... .. ... .. .. . . ..... .... . .... . .... . .... . ....... . . »

17 4 17 21 35

Sintesi statistica dell'attività repressiva sul Matese nel 1868

Briganti fucilati ... . .... . ....... .. . ... .. ... .. ...... . ........ .. .. .... . .......... ...... .. .. ... .. ... ...... . ..... n ° » uccisi .. .......... .. .. .... .. . .......... ...... .. .. .... .. ... . ........... . .. . ... .. .......... ... ..... .. .. . » » arrestati ....... .... .. ........... ........... . .... .. ..... .... . .. ...... .. . ... . ......... . .... ...... .. ... » » costituitisi . ....... ......... .. ... .. ... .. .. .... . .. ......... . .... .. . . .................. .. .. ... ... ..... »

27 11 11

Sostenitori perseguiti: Circondario di Piedimonte .......... ... .... . ..... . ... .... .. ... . ..... . ..... .. .. . .. .. ............ . ..... . ... » 233

109 L. TuccARr, 1\l!emoria sui principali aspetti ... cìt. p. 229. 11 C. CESARI, //Brigantaggio ... cit. p . 162. 111 R. D1 LELLO, G . R. PA LUMllO, Brigantaggio ... cit. p. 50.

°


213

Parte seconda. Gli anni dei briganti

164 164. Cusano Mutri: forra nelle cui grotte si annidiavano i briganti.

>)

» Cerreto Sannita ........................................................................... » 23 112

Bande operanti sul Matese nel 1868

Località

Banda

Piedimonte M.-lsernia-Cerreto S. Isernia-Piedimonte M. Jsernia-Piedimonte-Cerreto S. Piedimonte M.-Isernia-Cerreto S. Isernia-Piedimonte M. Isernia Isernia-Piedimonte M.-Cerreto S. Cerreto S.-Piedimonte M.-Isernia Isernia-Piedimonte M.-Cerreto S. Isernia-Piedimonte M. Cerreto S.-Piedimonte M.-Isernia Isernia-Piedimonte M. Isernia-Piedimonte M.-Cerreto S. Piedimonte M.-Isernia-Cerreto S. Isernia-Piedimonte M. Piedimonte M.-lsernia-Cerreto S.

Campagna Cedrone Ciccone Colamatteo De Marco Fontana Fuoco Giordano Guerra lannucci Ludovico G. Marino M. Pace Santani elio Valerio Vendittuoli 113

112 113

Ibidem, pp. 63-64. Ibidem, pp. 59-61.


214

Dai sanniti all'esercito italiano

1869: la bonifica del Matese. Le azioni intraprese nel '68 trovarono una adeguata completezza ed ultimazione nel '69, al punto da potersi ritenere che quelle estrinsecate in questo anno fossero semplici rastrellamenti di bonifica. Molto più indicativa sotto questo aspetto delle nostre parole è la relazione del generale Pallavicini dalla quale stralciamo alcuni brani: COMANDO GENERALE DELLE TRUPPE PER LA REPRESSIONE DEL BRIGANTAGGIO NELLE PROVINCIE DI TERRA DI LAVORO, AQUILA, MOLISE E BENEVENTO Circolare 1°. L'anno scorso allorché, mettendomi alla dipendenza del Comando Generale della Divisione Militare di Napoli, incaricato dell'alta direzione delle cose dì brigantaggio nelle provincie meridionali, il Ministero della Guerra si compiacque riunire nelle mie mani il Comando di tutte le truppe, che per lo speciale servizio di pubblica sicurezza trovavansi distaccate nelle provincie di Terra di Lavoro, Aquila, Molise e Benevento, io credetti dover dettare e pubblicare per le stampe una istruzione particolareggiata che <lasse norme circa il modo di combattere il brigantaggio. Oggi non trovo sia più il caso di diramare una nuova teoria, secondo ì precessi della quale debbano le truppe regolarsi nel loro speciale servizio; in quanto che attualmente non esistono più grosse bande, ed invece ì pochi briganti rimasti vanno riuniti in piccoli gruppi di 4, o 5 individui. Ritengo peraltro che in questa nuova fase della malvivenza, la quale accenna come ìl brigantaggio volga al suo termine, faccia d'uopo che io detti una istruzione succinta per dare all'azione delle forze militari un impulso uniforme, e quindi per impiantare ovunque quella unità di sistema, sì indispensabilmente richiesta. Tanto maggiormente riconosco l'importanza di una siffatta compilazione di norme, che per la circostanza dei cambi di guarnigione, ora avveratisi, onde gli Ufficiali tutti preposti a comandi dì truppe potessero uniformarsi alle precedenti prescrizioni. .. 9°. Il servizio di repressione brigantesca, o di°pubblica sicurezza, comprende in sé due specie di serviz1. Quello p rdinario, che va fatto per impulso immediato dei comandi di Distaccamento a norma delle presenti istruzioni; questo servigio mentre risulta generale, pure in se stesso emana dai singoli distaccamenti, operanti ciascuno per proprio conto a seconda dei criteri dei rispettivi comandanti. Lo'scopo del servizio ordinario sta nel mantenere costantemente su tutto il vasto terreno affidato alle truppe dipendenti da questo comando drappelli in servizio di perlustrazione, ancorché non sienvi notizie circa apparizioni di bande. Con ciò si solleva lo spirito delle popolazioni delle campagne, che vedono il loro tornaconto nel desistere dall'esser ligie ai malfattori e nel far causa comune coi loro persecutori; nello stesso tempo si crea per la forza pubblica l'occasione di scontrare i banditi nel caso ad insaputa di essa i medesimi si portassero nel suo raggio di azione. Quello straordinario ... vien fatto ogni qual volta si sappia con certezza ed anche vagamente, dell'apparizione di malfattori nelle località affidate alla sorveglianza di un distaccamento Militare .. . Caserta addì 20 Giugno 1869» 11 4

Grazie probabilmente alle acute disposizioni del generale, nonché ad una ormai completa alienazione delle simpatie popolari, per i briganti non vi fu più scampo: «Il 27 agosto, carabinieri e Guardie Nazionali, a conclusione di uno scontro catturarono Alessandro Pace, Nicola Vendettuoli, Giuseppe Lodovico e Giovanni Ragosta, in una grotta sui monti a due miglia da Morcone. I quattro briganti vennero condotti in Cerreto e successivamente rinchiusi nel carcere di Caserta in attesa di giudizio, sebbene il Generale Pallavicini fosse stato dell'avviso che "misura fucilazione sarebbe stata opportuna momento arresto"» 115 . Il numero dei superstiti briganti del Matese si era a questo punto talmente rarefatto da giustificare

114

Cfr. L. TuccA1u , Memoria sui principali aspetti ... cit. pp. 253 e sgg. Museo del Sannio, Archivio storico cieli' Amministrazione Provinciale di Benevento. Inv. n° 11039. Comando Generale delle Truppe per la Repressione del Brigantaggio. Circolare n° 155. 115


Parte seconda. Gli anni dei briganti

215

una congrua contrazione del dispositivo, ma lo stesso generale in merito preferiva, come del resto aveva già accennato nella sua circolare, continuare a mantenere la pressione sul territorio per frustrare qualsiasi potenzialità rigenerativa. Scriveva infatti ai vari sindaci delle provincie di sua giurisdizione: « .. .la persecuzione del brigantaggio è entrata in una novella fase, in quel periodo cioè nel quale la pubblica sicurezza non va più garantita contro orde di malfattori, che scorazzano armata mano la campagna, ma va tutelata contro malviventi isolati, ultimi residui di vecchie bande e contro ladroni di occasione, che si uniscono improvvisamente e che si sciolgono una volta eseguito il colpo ... Ciò non pertanto io mi perito ancora a proclamare ristabilita la pubblica sicurezza ... tanto più mi astengo da tale dichiarazione che Fuoco, il bandito di cui il nome risuona più funestamente celebre in tutti i luoghi esiste tuttavia ... In base a quanto ho precedentemente detto giudico che nelle presenti condizioni non debba darsi alcuna sosta alle persecuzioni ... poiché attribuisco la più grande importanza alla cattura, o alla uccisione del capobanda Fuoco (scomparso il quale saremo ben vicini ad affermare per sempre distrutto il Brigantaggio in queste provincie( ... )» 116 •

Sintesi statist.ica dell'attività dei briganti sul Matese nel 1869 Assalti a paesi ................................................................................................... n ° Assalti a stazioni Guardia Nazionale ...................................................................... » Scontri a fuoco rilevanti ...................................................................................... » Militari uccisi .................................................................................................... » Civili uccisi ....................................................................................................... » Civili rapiti ....................................................................................................... » Altri reati ......................................................................................................... »

1 1 2 4 6

Sintesi statistica dell'attività repressiva sul Matese nel 1869 Briganti fucilati ............................................................................................... .. n° » uccisi .................................................................................................... » » arrestati ................................................................................................ » 5 » costituitisi ............................................................................................. » Sostenitori perseguiti: Circondario Piedimonte ....................................................................................... » 12 » » Cerreto Sannita ............................................................................... » 14

Bande operanti sul Matese nel 1869

Localìtà

Banda

Isernia-Piedimonte M.-Cerreto S. Cerreto S.-Piedimonte M.-Isernia Isernia-Piedimonte M. -Cerreto S.

Fuoco Ludovico G. Pace 117

1870: la fine dell'incubo. «All'alba del 17 agosto 1870. In una grotta tra Vallerotonda e Casalcassinese, Domenico Fuoco, Benedetto Di Ventre e Francesco Cocchiara-Caronte - ultimi briganti del Matese tuttora attivi, fu rono massacrati nel sonno da tre prigionieri resi audaci dalle minacce di spaventose torture» 11 s. Con essi scompariva virtualmente il brigantaggio dal massiccio del Matese, rientrando le insignificanti permanenze nel contesto della normale delinquenzialità locale. A titolo di cronaca va segnalata una improvvisa ricomparsa nel 1880 di un celebre capobanda che per breve periodo fece temere una riedizione, sia pure in chiave minima dei trascorsi eventi sanguinosi, ma in pochi giorni il pericolo si dileguò, e lo stesso personaggio finì in seguito arrestato.

116 Da L. TuccARl, A1emoria sui principali aspetti ... , pp. 253 e sgg. 117 Cfr. R. D1 LELLO, G.R. PAl.ll ~mo, Brigantaggio .. . cit. pp. 63-64. 118 Id., pp. 63-64.


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Dai sanniti all'esercito italiano

167 165. Armi dei brigami (rac. V. Maturo): fucili a canna lunga. / 166. Idem.

168 167. Idem. 168. Fucile da cavalleria a canna corta.

Sintesi statistica dell'attività dei briganti sul Matese nel 1870

Assalti a paesi ................................................................................................... 0° Assalti a stazioni Guardia nazionale ....................................................................... » Scontri a fuoco rilevanti ....................................................................................... » Militari uccisi .................................................................................................... » 2 Civili uccisi ............................................................................................ ........... » Civili rapiti ....................................................................................................... » 6 Altri reati ........................ .-................................................................................ » 6 Sintesi statistica dell'attività repressiva sul Matese nel 1870

Briganti fucilati .............................................................................................. ... n ° » uccisi .................................................................................................... » 3 » arrestati ........................................................... . .................................... » » costituitisi ..... .. .................................. ..................................... . .............. » 1 Bande operanti sul Matesc nel 1870

Località

Banda

Isernia-Piedimonte M. -Cerreto S.

Fuoco 119

1 19

Ibidem, pp. 59-61.


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Deduzioni conclusive: riedizioni strategiche Il tormentato periodo decennale, schematicamente sintetizzato in stretta correlazione con il massiccio del Matese, se da un punto di vista storico ripropose molte delle difficoltà sostenute dai romani per la completa, o per lo meno sostanziale eliminazione della guerriglia terminale prima e del brigantaggio poi, - con sorprendenti ed emblematiche affinità estrinsecative - da quello moderno fu fonte di importanti acquisizioni per la dirigenza militare italiana. Si ebbe infatti sull'onda delle successive analisi specifiche tutta una serie di adeguamenti tattici per la controguerriglia e non ultima una rivalutazione strategica del ruolo della difesa ad oltranza nei teatri montani, specie se precedentemente integrati con idonee opere fortificate. Pur non sapendolo, per carenza di dati archeologici o semplicemente storiografici, così teorizzando si andava tratteggiando l'antico dispositivo regionale difensivo dei sanniti, con la sola variante dell'adozione di coevi sistemi d'arma. È rilevante ai fini del nostro saggio dettagliare meglio queste eccezionali riedizioni strategiche, sebbene rimaste confinate al puro studio . Già nel 1860 i generali Mezzacapo in un approfondito ragguaglio cli topografia e strategia nel quale tra l'altro evidenziavano le possibili linee difensive dei regni italici, così affermavano : «Le valli dell' A terno e del Gizio, i quali scorrono in direzione opposte e confluiscono poco al di sopra di Popoli, formano una vasta conca cinta tutt'intorno da alte montagne, non altrimenti transitabili per le artiglierie ed i carri, che per le poche strade rotabili esistenti o per quelle che per la convenienza della difesa converrebbe costruire. Le quali strade, sempre che sieno sbarrate da forti di piccolo sviluppo, e che le difficoltà de' luoghi renderebbero capaci di grande resistenza, non sarebbero di niuna utilità al nemico ; mentre che offrirebbero tutte le agevolezze ai difensori, sì per manovrare, che per far comunicare i diversi corpi fra loro. La conca in discorso, qualunque volta fosse da questi fatta centro della difesa, sarebbe come una vasta posizione fortificata, con sbocchi in tutte le direzioni; da cui essi potrebbero liberamente uscire in forze, con tutti i mezzi di guerra, in quella direzione che giudicassero più conveniente, senza tema di compiuta disfatta nel caso l'operazione fallisse, perché assicurate le comunicazioni. L'interno di questa conca montana è frastagliata, ed offre posizioni e gole molto forti; la stessa è al dipresso la natura del bacino del Fucino. Ond'è che il nemico operando per queste vie, si caccia in un paese ristretto, dove un grosso corpo di truppe non può né operare né svilupparsi, e può essere invece agevolmente arrestato da picco! numero di soldati risoluti, postati in siti precedentemente fortificati. Il difetto di mezzi di sussistenza per un numeroso esercito, il quale sia costretto a dimorare lungamente in quelle valli per vincere le resistenze, innanzi di procedere oltre, è un altro ostacolo per vincere le resistenze che incontra l'assalitore ... (e ribadendo ulteriormente il concetto) ... La conca di Aquila-Sulmona, ben difesa da truppe buone e numerose, e rincalzata nella maniera discorsa, è assai forte, senzaché essendo inetta ad alimentare un grosso esercito che fosse costretto a soggiornarvi lungamente, il nemico vi soffrirà penuria di viveri. Mentre che la cosa starà altrimenti pe' clifensori, i quali padroni del paese, avranno potuto in tempo prevedere a rammassar viveri, e quant'altro mai potesse occorrere per dimorare lungamente in quella provincia ... » 120 • È esplicita nella citata esposizione la proposizione di una regione fortificata montana inglobante l'altopiano aquilano, come ridotto di resistenza ad oltranza per il Regno di Napoli. È a ben riflettere, come anzidetto - fatta salva la diversa e peraltro poco discosta ubicazione - una riedizione aggiornata della concezione sannita da noi ricostruita, con identiche finalità. All'indomani dell'unità italiana, con il divampare del brigantaggio e massimamente dopo le durissime campagne repressive, fu recepito da molti alti ufficiali l'enorme vantaggio tattico offerto dai massicci montani di considerevole estensione. Fu altresì tragicamente sperimentato come in virtù dello sfruttamento della loro morfologia, pochi uomini arditi e risoluti fossero in grado di contrastare quasi indeterminatamente un agguerrito esercito.

120

L.C.

MEZZACAPO,

S!udi 1opografici e strategici su l'Italia,

Milano,

I 860, pp. 490-497.


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218

169

171

169. Coltelli e pugnali di fattura rustica (rac. V. Maturo). 170. Munizioni (rac. V. Maturo). 171. Gavetta, in legno, di brigante, con incisa la data 1861 (rac. V. Maturo).

Nella fioritura di studi sulla difesa nazionale, prodottasi dopo il 1870, le suddette acquisizioni tornarono a comparire, caratterizzando nettamente alcuni piani fra i meno conformisti e tradizionali. Il trasferimento della capitale a Roma infatti impose problematiche difensive inedite ed onerosissime, giustificando e quasi incentivando a dismisura la ricerca di dinamiche alternative, ruotanti per l'appunto intorno alla vicinanza dei massicci appenninici centrali da trasformarsi in ridotti difensivi estremi, o meglio in regioni fortificate montane, riproponendosi così la visione dei Mezzacapo. Ma veniva in realtà riproposta la visione sannita e non ultima la riutilizzazione pratica sia pure rusticana, fattane dalla guerriglia brigantesca dei massicci aquilano e del Matese. Chi si fece maggiormente promulgatore di una simile elaborazione difensiva "naturalistica" fu il luogotenente di artiglieria Arturo Galletti (parente probabilmente del colonnello Bartolomeo Galletti che comandò nel 1863 la zona militare di Benevento), a l punto da ricavarne una interessantissima pubblicazione, comparsa nel 1873 dalla quale è obbligo stralciarne significativi brani: « ... Non è però questa una ragione per non preparare il paese ad una guerra difensiva. Possiamo subire dei rovesci e dobbiamo fare che non riescano irreparabili. Tutti i nostri sforzi, tutti i nostri sagrifizi di danari e di uomini devono essere intesi a che Roma la nostra gloria o la nostra aspirazione per tanti secoli, il cemento del nostro edifizio nazionale, la prova materiale della vittoria della ragione

170


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sull'ipocrisia e la superstizione e la vittima agognata dei nostri nemici i clericali di tutto il mondo e perciò stesso necessario obbiettivo di qualunque Esercito ci combatterà, sia fortificata in modo che secondo le probabilità umane non possa essere presa. Se fosse abbandonata a se stessa, questo necessario risultato non si potrebbe ottenere, perché anche che vi si rifugiassero tutti gli Eserciti Italiani battuti, potrebbe essere investita e in più o meno presa dai vincitori nemici, come è accaduto a Parigi. Ma la natura ci ha favorito anche in questo . A poco più di 60 chilometri da Roma in direzione Nord-Ovest-Ovest si trova l'Appennino che diviso in due rami, i più maestosi ed alti di tutta la catena, ricoperte le cime di neve per sette mesi dell'anno, racchiude in vasta conca oblunga l'altipiano Aquilano lungo 93 chilometri e largo in media 30. Il ramo orientale è più elevato dell'altro, corre poco lungi dall'Adriatico ed è dominato dal Gran Sasso d'Italia alla sua volta signoreggiato dal monte Corno elevato sul mare 2823 metri . Questo ramo è squarciato nel mezzo della Pescara, la quale aprendosi un varco fra il monte Morrone ha separato il Gran Sasso dalla Maiella dominata dal monte Amaro elevato 2707 metri. Il ramo occidentale è un poco meno elevato dell'altro e il monte Velino che lo signoreggia non supera i 2428 metri, ma ne conserva tutta l'asprezza. L'altipiano Aquilano è formato dalle valli dell' A terno e del Gizio e da quella della Pescara, che nata dalla confluenza dei due primi è inguadabile ed ha l'aspetto di un fiume. Queste valli sono generalmente agresti e selvagge, meno quella del Gizio da Pratola sino al disopra di Sulmona. La popolazione, che è robusta ed intelligente è anche abbastanza numerosa; e le principali città sono Aquila, Sulmona e Popoli. Se qui al riparo di questi alti e maestosi monti si riunissero gli stabilimenti e i gran magazzini militari e in tempo di guerra i depositi e il materiale ferroviario delle provincie invase; e se invece di spendere molti e molti milioni a Piacenza-Stradella o Bologna (che potranno divenire delle ottime piazze posizioni, ma mai delle piazze posizioni cli ultimo rifugio, se si è in condizione di potere esaurire sul serio tutti i mezzi di difesa), la piazza posizione di ultimo rifugio si stabilisse qui quale ce l'ha data la natura, solo spendendo qualche milione per armare e chiudere le poche gole di comunicazione ed il resto dei milioni per fare e migliorare strade, che pure sono ricchezza e di per sé parte ricoprono le spese onde poter facilmente sboccare in tutte le direzioni, non potremmo ritenere la difesa d'Italia assicurata e la perdita di Roma resa umanamente impossibile? Prima di tutto dalla Conca Aquilana saremo sempre in comunicazione con una buona parte del nostro territorio per rifornirci di uomini e cli approvvigionamenti; e poi la grande distanza di questa Conca dalle nostre frontiere di terra otterrebbe in grande scala quello che Piacenza-Stradella o Bologna non otterrebbero naturalmente che in modo molto più limitato, cioè, l'indebolimento del nemico vittorioso. Gli Eserciti Italiani abbiano fatto guerra offensiva o difensiva, siano stati battuti fuori d'Italia e in paese o in paese .solamente, avrebbero sempre prima di rifugiarsi nella Conca Aquilana ed in Roma contrastato il passaggio delle Alpi, combattuta qualche grande battaglia nella valle ciel Po, difese le posizioni di Stradella-Piacenza o Bologna e forse tutte e due, difesi i valichi dell' Appennino e c.ombattuto ancora almeno con combattimenti di retroguardia nella valle dell'Arno e nella valle del Tevere. Il nemico non potrebbe non aver subito grandi perdite e più che le perdite avrebbe dovuto lasciare grossi Corpi per assicurare la sua lunga linea di operazione dagli attacchi dei nostri Corpi locali e guardare, se non assediare, Mantova-Borgoforte, che per la sua bella e forte posizione dovrebbe conservarsi tra le piazze di guerra e migliorare nell'armamento; e la Spezia e Venezia , che come grandi Arsenali marittimi dovrebbero essere efficacemente fortificati ed avere grosse guarnigioni di truppe di difesa e locali . Questo grande indebolimento ciel nemico unitamente al maggior tempo che gli ci vorrebbe per rifornirsi dalla sua base, sarebbe un vantaggio ottenuto col solo rifugiarsi nella Conca Aquilana, ed anche, che il nemico coi rimpiazzamenti e le riserve riempisse i vuoti, il vantaggio relativo resterebbe sempre. Gli Eserciti Italiani battuti giunti nella Conca Aquilana, fornita come si è detto, potrebbero con tutta sicurezza attendere al loro ricompletamento senza più molestie del nem ico vincitore; e ricompletati sarebbero sempre liberi di scegliere il momento e la direzione dei nuovi attacchi. Le sole truppe locali e di difesa, ·che in forte numero vi dovrebbero essere state raccolte all'epoca della mobilitazione, giovandosi della naturale asprezza e difficoltà dei luoghi e delle opere permanenti costrutte alle gole della Conca e di quelle passeggere, che studiate in tempo di pace, avrebbero avuto tutto il tempo di costrurre ed armare per collegare in un solo sistema di difesa i contrafforti che si staccano dalla catena principale e formano come tante opere avanzate della Conca e danno la possibilità cli difendersi e cli


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sboccare in tutte le direzioni, potrebbero efficacemente contrastare il nemico vincitore l'attacco di questo gruppo di monti. Essi formavano in gran parte la frontiera terrestre dell'ex-Reame di Napoli e solo gli ultimi contrafforti, che si spingono fino a Tivoli e Palestrina ed hanno un seguito nei monti Albani, appartenevano agli ex-Stati della Chiesa. Le mutate condizioni hanno aumentato la forza di questa linea. Tutti i contrafforti e gli sbocchi, non solo quelli sull'Umbria e le Marche e le Provincie Napoletane, ma anche su Roma sono in nostro potere e potremo convenientemente prepararli e servirsene; e Roma fatta gran piazza-posizione di guerra appoggerebbe immensamente meglio che non Terracina la sinistra della linea senza far perdere a questa la grande qualità, che è di avere la destra e il centro sporgente e collegando perfettamente il centro con la sinistra per Corese, Palombara, Tivoli e Palestrina attraverso le vallate del Teverone, del Turano e del Salto. La Conca Aquilana comunica 1° con l'Adriatico per la strada carreggiabile e per la ferrovia in costruzione da Popoli a Pescara nella vallata del fiume di questo nome che attraversa il ramo orientale dell'Appennino alla gola di Popoli; 2° con la valle del Fino per tre sentieri che partono tutti da Civita di Penne; il primo ed il più importante conduce a Torre dei Passeri e attraversa la gola di Popoli, il secondo a Colle-Pietra passando il ramo orientale a Forca di Penne, l'ultimo costeggiando il versante occidentale del Gran Sasso ad Assergio; 3° con la valle del Vomano per la strada carreggiabile in costruzione da Aquila a Teramo che discende per Montorio la valle sopraddetta; 4 ° con la valle del Tronto per il sentiero che attraversa sopra Monte Reale l'Appennino e che diventa carregiabile a Quinto Decimo e conduce ad Ascoli-Piceno e S. Benedetto sull'Adriatico; 5 ° con la valle del Tevere per il sentiero che per Marana attraverso il ramo occidentale dell' Appennino mena a Leonessa e Terni nella valle della Nera o Spoleto nella valle del Topino, influenti del Tevere; per la strada carreggiabile e la ferrata concessa (seguito di quella da Pescara a Popoli) che da Aquila attraversando sopra Scapito il ramo occidentale dell'Appennino per la gola di Antrodoco conduce a Rieti nella valle del Velino influente della Nera e quindi in due rami a Terni e a Corese e Roma; per il sentiero in parte esistente che per Fiamignano nella valle del Salto e Orvigno nella valle del Turano infltienti del Velino conduce a Palombara e poi divenuto strada carreggiabile a Roma; per la strada che da Aquila pei prati di Castiglione supera il ramo occidentale, passa per Borgo Collefegato nella valle del Turano e poi ad Arsoli nella valle del Teverone influente del Tevere, dove divenuto strada carreggiabile per Tivoli conduce a Roma; per il sentiero che da Sulmona attraversando il ramo occidentale a Forca Caruso conduce ad Avezzano nella conca del Fucino e quindi a Valle-Pietra nella valle del Teverone, dove poco dopo divenuto strada carreggiabile per Palestrina conduce a Roma; 6° con la valle del Liri e Garigliano per la strada carreggiabile e la ferrata progettata che per Avezzano e la valle cli Roveto conduce a Sora; per il sentiero che per Pescina Peschio-Asserolo e S. Donato conduce ad Atina; 7° con la valle del Sangro per la strada carreggiabile che da Sulmona attraversando i monti che chiudono la Conca Aquilana tra Roccavalloscura e Roccaraso discende a Castel di Sangro e quindi riesce ad Isernia ali' origine del Volturno. Queste strade dovrebbero essere tutte ridotte carreggiabili e messe in comunicazione tra loro (le comunicazioni in parte esistono) tanto nella Conca Aquilana che nelle vallate del Turano, del Salto, del Teverone e del Tevere; e le vie ferrate in costruzione, concesse o progettate tra Pescara e Popoli, Popoli e Sulmona, Popoli-Aquila-Rieti-Terni, Aquila-Avezzano-Sora-Isoletta, dovrebbero costruirsi con la massima sollecitudine e senza economia per le pendenze; e completare il sistema almeno colla costruzione di quella da Aquila a Roma per Tivoli, che in parte fu già studiata e concessa sotto l'ex Governo Pontificio e possibilmente coll'altra in parte studiata e credo anche concessa sotto il governo borbonico, da Sulmona a Foggia per Castel di Sangro-Isernia-Campobasso-Lucera. Con questo sistema di strade carreggiabili e ferrate gli Eserciti Italiani battuti, rifugiati nella Conca Aquilana, senza perdere punto della loro sicurezza durante il ricompletamento, acquisterebbero, appena ricompletati, una forza offensiva straordinaria potendo sboccare in tutte le direzioni. Gli Eserciti nemici vincitori ... non potendo senza gravissimo rischio attaccare la destra o il centro della nostra posizione, avrebbero attaccato la sinistra e sarebbero venuti ad urtarsi contro Roma,


Parte seconda. Gli anni dei briganti

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avendo prima lasciate forze imponenti tra Ascoli e Terni. Roma fortificata con tutte le risorse dell'arte e della scienza, con numerosa guarnigione e convenientemente approvvigionata nella peggiore ipotesi, abbandonata a se stessa, richiederebbe per lo meno, onde esser presa, il tempo che fu necessario per Parigi ed un Esercito di assedio ugualmente numeroso. Che cosa resterebbe al nemico già indebolito, come si è visto per occupare la zona tra Ascoli e Terni? Ben poca cosa sicuramente e i nostri Eserciti ricompletati ... potrebbero ... occupare senza grandi sforzi per la loro grande superiorità numerica Ascoli ed Ancona e riportare la guerra al Nord, oppure Rieti e Terni alle spalle dell'Esercito assediante; e nell'un caso e nell'altro, oltre di aver disfatto dei Corpi nemici e separatili dall'Esercito principale si obbligherebbe questo a levare l'assedio e dar battaglia in sfavorevoli condizioni, diminuito di numero, tagliato dalla propria base . . . . Ma Roma con la Conca Aquilana fatta gran deposito dei nostri mezzi di resistenza con la difesa preparata dei monti che fanno gruppo con la Conca e con il rifugio là creato dai nostri Eserciti battuti non è punto abbandonata a se stessa. Le truppe locali e di difesa, che avrebbero, come ho detto costrutto ed armato durante la guerra le opere passeggere studiate in tempo di pace per collegare in un solo sistema di difesa i contrafforti che si distaccano dalla catena principale che forma la Conca Aquilana, potrebbero occupare le forti posizioni di Corese, Palombara, Tivoli e Palestrina situate sugli estremi contrafforti del gruppo verso la valle del Tevere a cavallo delle strade ferrate ed ordinarie per cui da questa si comunicherebbe con la Conca Aquilana; potrebbero occupare ancora con qualche colonna volante i monti Albani. Padroni noi di questa linea, il nemico vincitore se potrebbe assediare Roma, no n potrebbe investirla; e conseguentemente la resistenza di Roma potrebbe prolungarsi indefinitivamente. Tivoli centro della linea è distante appena 21 chilometri dalla cinta attuale di Roma. Anche se le fortificazioni fossero costrutte a soli 5 chilometri, gli accampamenti nemici per evitare il cannone delle fortificazioni di Roma, verrebbero quasi ad essere sotto quello di Tivoli e sarebbero soggetti agli attacchi comminati dei difensori di Roma e delle truppe postate tra Corese e Palestrina che potrebbero con facilità essere sostenute, anche prima che fossero ricompletati, da Corpi dell'Esercito rifugiati nella Conca Aquilana . . . .Se il nemico venisse dal mare e lo sbarco lo facesse nel Mezzogiorno la nostra difesa sarebbe ugualmente assicurata; ed i suoi sforzi s'infrangerebbero contro Roma e la Conca Aquilana, che anche attaccata di rovescio non perde nulla della sua forza ... » 121 Quanto fin qui citato dimostra a sufficienza la nostra ipotesi di invarianza storica e di riproposizione di identiche concezioni, specie se difensive, non necessariamente legate in generale alla logica dei luoghi od alla loro morfologia. Il brigantaggio prima e gli studi teorici dopo sembrano infatti riecheggiare i lontani episodi narrati nella precedente parte del nostro studio. Né peraltro il discorso si concluse lì: sulla falsariga del Galletti anche il già menzionato Spinelli nella sua breve opera relativa alla montagna cerretese, così sottolineava pochi decenni dopo le peculiarità del massiccio del Matese, indicandone sia pure in maniera discretissima potenzialità strategico-difensive tutt'altro che secondarie, avvicinandosi ulteriormente alla realizzazione sannita: « ... Il grosso massiccio del Matese, così complesso, così intricato, col suo alto rilievo, con la padronanza delle alte valli del Volturno, del Calore (pel Tammaro), del Biferno e dell'Ofanto, mentre costituisce elemento separatore delle operazioni, che dalla conca aquilana e dall'Adriatico meridionale dovessero dirigersi in Campania, esercita una azione di fianco sulle operazioni, che dallo scacchiere delle Puglie dovessero avere per obbiettivo Napoli; e per mezzo del Volturno alle operazioni che dalla Campania volessero risalire verso la Capitale. Dalla sua ubicazione centrale nasce quindi la sua speciale importanza, e la necessità della sua occupazione sia per quel partito che voglia avere libertà di manovra offensiva, tanto per chi siasi ridotto alla difesa. Meno vasta deIJ 'altipiano aquilano, più aspra nella sua massa generale, meno ricca di facili sbocchi, questa regione non può esercitare certamente, nel campo strategico, la larga funzione attribuita

121

A.

G A LLETTI ,

Studi sulla Difesa Nazionale, Roma, 1873, pp. 17 e sgg.


Dai sanniti all'esercito italiano

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all'altipiano abbruzzese nella difesa peninsulare italiana: la permanenza di grosse masse di truppe non vi è consentita; il m uoverle, il vettovagliarle non è agevole: troppo tarda ad essere costruita l'importante rotabile Pietraroja-Bojano; tuttavia non credo di essere completamente in errore scorgendo in essa una determinante funzione strategica come protezione o minaccia dello scacchiere campano e di quelli ad esso contermini»122 • La conferma delle ipotesi dell'autore non si fece attendere molto : appena 44 anni dopo i tragici eventi della II Guerra Mondiale riproposero per la terza volta nel corso della Storia la regione fortificata del Matese come ridotto cli estrema difesa ove al posto dei san niti e quindi dei briganti vi erano in q_u esta tornata i soldati tedeschi, ed al posto dell'esercito romano e quindi italiano quello multi nazionale degli «alleati» nell'ottobre del 1943.

/

122

A.

SP INEL LI ,

La regione ... cit. pp.


PARTE TERZA

I giorni dei tedeschi

I prodromi Nella buia serata del 4 ottobre del 1943, di un autunno insolitamente precoce e piovoso, un cupo boato lungamente riecheggiato dalla stretta e tortuosa gola di Lavelle, incisa nei millenni dall'impetuoso corso del torrente Titerno , fra i paesetti di Cusano Mutrie Cerreto Sannita, attestò che il ponte costruito appena una ottantina di anni prima era stato virtualmente cancellato dai guastatori tedeschi1 • Quel ponte, principale opera d'arte della tanto sospirata rotabile di 8 km. fra i due citati abitati matesini - le cui tappe salienti di attuazione abbiamo esposte per breve sintesi a suo tempo - rappresentò con la sua distruzione la prima estrinsecazione dell'avvicinarsi di una nuova fas e conflittuale al Massiccio. Pochi minuti dopo, verso le venti, anche il secondo ponte della insostituibile strada saltava in aria, interrompendo in maniera definitiva ed insormontabile l'accesso all'interno dell'altipiano. Il pauroso gorgogliare delle acque in piena divenne da quell'istante l'esclusiva connotazione sonora del luogo. Unica viabilità praticabile per uomini e quadrupedi tornava ad essere l'antichissima e ver tiginosa mulattiera sannita con il suo arditissimo ponticello di «Annibale». Parimenti la Valle tornava ad essere "nascosta" come 23 secoli innanzi. Per i montanari di Cusano, Civitella e Pietraroja fu il riproporsi di un dimenticato passato di disagi e di emarginazione, noto attraverso i racconti degli anziani. Ciò che invece non poteva essere noto in quei frangenti, e che lo sarebbe divenuto rapidamente nelle settimane successive - sempre però attraverso i racconti, dei profughi questa volta - era la conseguente fortunosa loro estraneità in tal modo instauratasi, alla immanente tragedia che di lì a breve avrebbe investito le pendici del Matese con inaudita violenza. A differenza infatti dalle guerre sannitiche che ebbero come teatro locale le falde e quindi l'altipiano stesso, a differenza ancora dal brigantaggio che divampò quasi esclusivamente su quello, la incombente tornata di strenua resistenza si sarebbe avvalsa unicamente della fascia pedemontana del massiccio, dove disgraziatamente però si abbarbicavano i piccoli paesi più volte ricordati, eletti per giunta a rifugio in quel travagliato contesto da innumerevoli cittadini sfuggiti ai bombardamenti dei grossi centri costieri. Per ironia della sorte essi si vennero a trovare così coinvolti nelle devastazioni e nelle stragi di una guerra creduta ormai, almeno per loro, alle spalle. La decisione del resto di adottare una strategia difensiva ritardante era stata presa dallo stesso Hitler proprio in quel 4 ottobre2 , d baltando, come meglio vedremo, una sua iniziale vo lontà di rapido disimpegno dall'Italia centro-meridionale. Parallelamente nelle stesse ore gli alleati erano riusciti, ripristinando le attrezzature a tempo di primato, a rendere parzialmente operativo il porto di Napoli smantellato dai tedeschi. Le prime 20.000 tonnellate infatti - scarse di fronte alle esigenze delle armate V ed VIII, ma moltissime se relazionate allo stato del porto appena poche ore prima - furono sbarcate quel 4 ottobre. Da entrambi gli schieramenti uomini e mezzi confluivano verso la linea difensiva snodantesi dalla foce del Volturno a quella del Biferno, con perno strategico nel Matese.

I luoghi Dopo la definitiva debellione del brigantaggio e la pacificazione della regione non si registrò per

1 L'episodio in zona ha un curioso corollario, secondo il quale l'ufficiale tedesco che ordinò la distruzione, avendo agito di propria iniziativa troppo prematuramente, fu per q uesto fucilato. 2 Cfr. D. H,\Pcooo·D. R1c:HA RDSON, Montecassino, Milano, 1985, p. 53 .


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Dai sanniti a/l'esercito italiano

172 /

172. Rotabile Cusano-Cerrelo: ponte di Lavello.

la verità nessun significativo cambiamento od evoluzione stravolgente del tenore di vita delle popolazioni del Matese. L' arretratezza socio- culturale e l'atavica miseria continuarono con lievi flessioni a ristagnare nei pittoreschi paesi e la stentata economia agricola-pastorale rappresentò una volta ancora la principale risorsa esistenziale dell'altipiano. Di nuovo vi fu se mai una massiccia emigrazione3 • In materia di opere pubbliche, e prime fra tutte le strade, si deve sottolineare la totale assenza di iniziative, dopo quelle scarsissime, ma proprio per quanto detto riftevanti, prese durante il decennio di lotta al brigantaggio e finalizzate per l'appunto ad una sua più facile estirpazione. In sintesi si possono ricordare oltre la famosa rotabile Cusano-Cerreto, la quasi contemporanea (1857-62) Piedimonte-Telese. Si deve però attendere il 1912 per avere il collegamento viario carrabile fra Piedimonte e Castello, ed· ancora il 1928 per raggiungere in prosiequio S. Gregorio e finalmente nel '32 il passo di Pretemorto alla quota di m. 1100: vent'anni per venti chilometri! Queste rotabili tuttavia, sebbene sotto il profilo materiale arrecassero indubbi benefici alle popolazioni interessate, sotto quello militare o comunque difensivo non intaccarono affatto la natura inaccessibile dei luoghi. Infatti come gli 8 km. di quella per Cusano, i 20 di quella fino a Pretemorto non offrivano sbocchi, derivandone in ultima analisi una assoluta impossibilità di valicare con mezzi meccanici il massiccio da ovest ad est, come invece accadeva già da oltre venticinque secoli con le mulat-

3

Basti considerare al riguardo che fra il 1880 ed il 1913 il versante molisano del massiccio da solo perse il 90% della sua popolazione censita nel 1881 ! Fra il 1900 ed il 1974 a sua volta quello tirrenico perse il 48%. Cfr. V. L\NGELL,\, Il Ma tese, Roma 1964, pp. 49-53.


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tiere. La cesura, per la cronaca, fu eliminata soltanto nel 1954 collegandosi tramite 55 km. di viabilità carrabile montana la S.S. 158 con la S.S. 17. Nel 1943 pertanto il massiccio del Matese si riproponeva come una grossa formazione rocciosa impenetrabile ai veicoli e le sue fronti principali non rischiando di essere attaccate dal rovescio, né meno che mai scavalcate, assursero nuovamente al rango di impervie cortine di una gigantesca fortezza, le cui comunicazioni interne, ormai di trascurabile interesse erano soltanto le plurimillenarie mulattiere san nite. Per contro lungo le pianure prospicienti le fronti all'epoca si riscontrava una discreta viabilità insistente schematicamente sulle seguenti arterie:

«FASCIO DEL VOLTURNO. È costituito da una serie di rotabili, che, basandosi sul medio Volturno, e continuando il massiccio di m . Maggiore, fanno capo da un lato ad Isernia e all'altipiano aquilano (Chieti-Aquila), e dall'altro, per val di Garigliano, a Roma. La linea stradale più orientale a tale fascio, rispetto alla nostra zona, è quella che si parte dalla stazione ferroviaria di Amorosi, sul Calore, e per Caiazzo (ove si unisce alla direttrice principale proveniente da Caserta per m. Tifata) e Alife conduce a Venafro: donde prosegue per Isernia o volge, per S. Pietro, verso Cassino sulla grande rotabile Napoli-Roma. LINEA DEL TAMMARO. Si stacca alla stazione ferroviaria di Casalduni, in valle di Calore, e poi per Campolattaro risale 'al gomito del Tammaro (S. Giuliano) contornando gli sproni orientali e settentrionali del Matese: di qui si volge per Bojano su Isernia, innestandosi alla precedente, o continua diretta su Campobasso, donde procede verso la piana adriatica. Questa linea stradale è seguita dalla ferrovia Benevento-Campobasso a forti pendenze, e di scarso rendimento . Fra le due descritte direttrici stradali vi sono due linee principali d'allacciamento: una si svolge alla loro testata inferiore, in valle di Calore, costituita dalla grande rotabile, fiancheggiata dalla ferrovia, Benevento-Caserta, la più settentrionale del fascio stradale che dalla pianura pugliese si dirige in Campania; l'altra, assai importante perché attraversa la regione nella sua parte mediana, da Campolattaro in valle di Tammaro, per Pontelandolfo (Lenta), S. Lupo, Guardia Sanfromondi conduce a Cerreto, Faicchio e Piedimonte d'Alife in val di Volturno.» 4 • Si può pertanto asserire che mentre per il massiccio del Matese in materia di viabilità nessuna differenza sostanziale si registrava nel 1943 dalle epoche precedenti, per le sue pianure e valli esterne una rete stradale, magari non eccessivamente consistente e per di più pericolosamente esposta alle devastazioni alluvionali per l'eccessiva vicinanza ai fiumi, era stata realizzata. In proposito è importante sottolineare che a buon diritto la furia di questi rappresentava l'elemento di assoluta invarianza tattica dalle campagne dei romani, non essendo stati ancora oggetto di alcuna opera di regimentazione. Diviene pertanto indispensabile per meglio comprendere gli avvenimenti successivi fornirne un breve quadro connotativo, specie sotto il profilo militare.

«CORRENTI PRINCIPALI VoLTURNO

fra la foce del Pisciare/lo e quella del Calore.

A valle della Scafa Nuova (lunga m. 8, larga m. 4, con ottimo accesso) il Volturno descrive ampie curv·e, scorrendo fortemente incassato, fra alture in parte scoperte ed in parte a boschi cedui. L'acqua è alta da m. 1.10 a m. 2, ed il fondo è abbastanza sodo. Non è guadabile che in massima magra e solo in qualche punto, per esempio a valle della foce del Felcio presso Ruviano ove è anche una scafa, e presso Amorosi (con scafa). Gl i accessi al fiume sono facili nei pressi di P uglianello, a valle del quale la corrente si restringe fra rive alte dai 5 ai 7 metri. Alla scafa di Avignanella (lunga m . IO, larga m. 4 atta per carri) il pelo d'acqua raggiunge i 4 metri. Poco più a sud il fiume si allarga di molto raggiungendo sino a 250 metri fra rive basse, di facile accesso, e forma diversi isolotti prima di ricevere il Calore» 5 •

4

5

A. Sr1Na1.1, La regione di Cerreto Sannita, studio militare, Napoli, 1899, pp. 23-24. Id., pp. 15-16.


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173 173. Il fiume Calore presso Solopaca.

È interessante ricordare che la portata del Volturno poteva andare allora da un minimo di una trentina di mc/sec. ad un massimo terrifica·nte e travolgente, dopo le piogge autunnali di quasi 2000 mc/sec., e quell'autunno del '43 era particolarmente piovoso! «CALORE

fra la foce del torrente Lenta e la sua confluenza nel Volturno.

Al ponte di ferro (lungh. m. 182 - largh. 6 1/2) presso la stazione ferroviaria di Casalduni, il Calore, che in questo tratto ha la direzione generale da est ad ovest, è stretto fra sponde a picco, ed ha acque profonde, in magra, da m. 0.90 a 1 metro. Poco più a valle le rive vanno abbassandosi ed il fiume forma grandi curve nel fondo scoperto della sua valle. Ha fondo ghiaioso, e le rive diventano basse in molti punti. In magra è guadabile in parecchie località. Presso Solopaca il Calore passa fra monti coperti che lo restringono alquanto (40 a 50 metri), e ciò per un lungo corridoio di oltre due chilometri. In questo tratto ha rive alte dai 2 ai 3 metri e fondo sabbioso. A valle del ponte di Solopaca il fiume si allarga di nuovo e sbocca nel piano di Telese-Amorosi, formando parecchie isolette prima del ponte Torello, ed avendo la sponda sinistra con dominio di 2 a 3 metri sulla sponda destra. A valle del ponte di Torello (in muratura - largo 7 metri) il Calore si restringe, diviene molto profondo, quindi sfocia nel Volturno. È notevole la velocità straordinaria, che questo fiume acquista nelle piene, che si determinano quasi subitanee. Nelle magre è guadabile in località, ed in generale ove si allarga più di 60-70 metri. Gli accessi meno in corrispondenza dei ponti, sono sempre da costruire specie per i carri.


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TnERNO. Parecchi valloni, che sotto i nomi di Acqua Calda (m. Moschiaturo); Torbido (presso Pietraroja); Viscosa (Montalto) ed altri minori, che fanno capo a m. Coppo, costituiscono il Titerno. La sorgente maggiore la si fa derivare da m. Mutria . Esso corre dapprima in una valletta incassata (Cusano Mutri) transitabile qua e là per fanteria. A sud di Civitella resta rinchiuso fra rupi inaccessibili (m. Monaco di Gioja e la Pizzuta, m. Cigno) fra le quali l'acqua s'aperse, od ebbe aperto (più facilmente) un letto profondo ad alte pareti. Presso Cerreto esce da tale gola e si allarga molto, divagando in letto torrenziale largo 120 metri, con rive qua e là basse, altrove alte pochi metri. Seguita così, transitabile anche a fanteria, per S. Lorenzello: s'apre un cammino fra il Monaco di Gioja e m. Acero per Faicchio, nel qual tratto si restringe ancora fra sponde verticali. Poco a valle di questo punto si allarga sulla sinistra sino ad avere un letto di 200 metri. In questo tratto è poverissimo d'acqua, tanto che nei pressi di Torre Nuova è transitabile anche a carri. Ha acque permanentemente, ma carattere essenzialmente torrentizio, rapidissimo. Le acque sono buone, potabili. (Il Ti terno vanta, è ciò spiega la sua impetuosa natura, il maggior bacino idrografico, di oltre 164 kmq., n.d.A.) TORRENTE LENTA. Anche forma torrenziale ha il Lenta, che ha le sue sorgenti attorno a m. Calvello, e che costituisce, con la sua testata, la soluzione di continuità fra l'allineamento principale del rilievo di m. Mutria e Miletto con quello, quasi parallelo, ma interrotto, che trova una certa compattezza nel nodo di m. Coppo, diramantesi ed allargantesi nelle sommità dei monti Casco, Campitello, Guardia, contorno orientale della conca di Cerreto. Sino a Pontelandolfo questo torrente scorre incassato fra monti di alto rilievo: in alcuni tratti ha scarpate alte dai 10 ai 20 m., vera forra in cui contortamente si svolge. A Pontelandolfo riceve le acque del vallone Fontanelle ed altri minori, si dirige a sud allargandosi in un letto dai 20 ai 30 metri, sempre incassato, transitabile qua e là, in corrispondenza delle mulattiere tracciate. Non è molto ricco d'acqua: nella stagione asciutta spesso è completamente a secco: durante le piogge, per alcune ore è ostacolo intransitabile. Al di sotto di Casalduni si allarga ancora di qualche metro, ma, sempre incassato scorre sino al suo sbocco nel Calore, poco lungi dal ponte di Ferro. Non è attraversato da ponte stabile (ponte Nuovo) che ad oriente di Pontelandolfo dalla provinciale Cerreto Sannita-Isernia. Altri brevi torrenti, di nessuna importanza, scaricano le acque loro nel Calore, poveri d'acqua, in vallette strette, profonde, solcate nei terreni alluvionali del mezzogiorno della regione. TA!'v!MARO. Quasi parallelo al Lenta, ma d'importanza per percorso, per ampiezza di valle, per quantità d'acqua perenne, è il Tammaro, che ha origine a settentrione di m. Mutria: esso, come si disse, con l'alta sua valle, unisce questa regione con quella del Biferno , aprendo la via allo scacchiere adriatico-meridionale. È attraversato da molti ponti in muratura, e seguito dalla ferrovia Benevent o-Campobasso»6 • Il Biferno, il Torano, il Lete mostrano a differenza dei corsi d'acqua ricordati un regime idrometrico meno influenzato dalle precipitazioni meteoriche, essendo minore il bacino montano; pertanto le loro portate rimangono più vincolate a quelle delle loro sorgenti, in genere di notevolissima entità, ed all'epoca dei fatti in esame non sfruttate per gli acquedotti. Rappresentavano perciò sotto il profilo militare un ostacolo, se non minore per lo meno prevedibile ed abbastanza scontato, caratteristica che ci esime da una più dettagliata trattazione. La delineata puntualizzazione sulla morfologia viaria ed idrografica dei luoghi circummatesini si rendeva indispensabile per meglio evidenziarne in relazione alla diversa dinamica della guerra moderna, le difficoltà a questa derivanti dalle loro peculiarità naturali ed artificiali. Il II conflitto infatti si differenzia da tutti quelli delle età precedenti, non tanto per i più micidiali e sofisticati armamenti, quanto invece per l'impiego massivo dei mezzi cli locomozione e di trasporto meccanizzati, esigenza peraltro emergente già nel corso della Prima Guerra Mondiale.

6

Ibidem, pp. 16-19.


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174

174. Il medio corso ciel Biferno.

Da ciò discendeva che qualsiasi teatro bellico acquisiva idoneità o inettitudine operativa - per entrambi i contendenti - proprio in virtù della sua percorribilità veicolare. Quanto asserito non è da imputarsi ad una improvvisa ricerca di comodità per i combattenti impegnati, e nemmeno in assoluto ad un'ipotetica volontà di accelerazione delle velocità di avanzamento, quanto invece alle accresciute masse degli armamenti, dei munizionamenti ed infine degli approvvigionamenti. Esigenze tutte non soddisfacibili ormai in nessun modo con carriaggi a traino animale o peggio con carovane someggiate. La guerra moderna con organici umani amplissimi, con artiglierie poderose ed abbondanti con attrezzature di disparatissima natura, implica· il ricorso diffuso alla meccanizzazione dei trasporti, la quale a sua volta per flessibile che possa essere nella manovra fuoristrada è pur sempre subordinata all'esistenza di una transitabilità di massima. La meccanizzazione a sua volta accresce a dismisura le necessità logistiche instaurando un vero circolo vizioso. Paradossalmente quindi alla luce di quanto accennato una località non raggiungibile o semplicemente non percorribile dai mezzi meccanici cessava non solo di essere militarmente significativa, ma addirittura di esistere, logica appena scalfita dall'avvento degli elicotteri. In conclusione sia che ci si schierasse a difesa che si avanzasse in attacco il fattore transitabilità o più specificamente viabilità rappresentava una inevitabile premessa, scadendo la quale, la guerra ammesso anche che per fanatica volontà si fosse estrinsecata - avrebbe in breve riassunto le antiche connotazioni operative, peggiorate inoltre dalla micidiale funzionalità degli armamenti contemporanei sia pur di tipo leggero. In definitiva qualcosa di ibrido: arcaica negli spostamenti, nei mezzi di locomozione e trasporto, negli insediamenti, nel valore tattico di dominio dei luoghi ed in generale nella logistica; moderna nelle armi, nelle trasmissioni, nell'appoggio aereo, nel numero dei combattenti, nella logica totalizzante. Potrebbe sintetizzarsi affermando che all'asprezza degli antichi combattenti si sovrapponeva, fondendosi, lo sterminio indistinto degli odierni. È quanto stava per avvenire lungo le falde del Matese.


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Il massiccio, abbiamo già avuto occasione di rilevarlo, occupa un segmento dell'asse trasversale della Penisola, dove questa è più stretta, assurgendo in tal modo al rango di chiave difensiva di un ipotetico cordone est-ovest. Dalle sue vette più alte si può scorgere agevolmente tanto il Tirreno quanto l'Adriatico, dettaglio che emblematizza la sua strategica ubicazione, pienamente recipita anche dai romani. Ovvio che il suo possesso costituisse la indispensabile premessa per il blocco di risalite belliche dalla Puglia e dalla Calabria. Come osservato, però, un parallelo di validità difensiva del massiccio con le epoche passate è improponibile in maniera aderente per gli eventi della II Guerra Mondiale a causa della invalicabilità ed impenetrabilità dello stesso ai veicoli, restando così disgiunte le fronti tirrenica ed adriatica. Se per uno di quei paradossi non eccezionali negli episodi umani, la viabilità valliva, alquanto precaria per caratteristiche costruttive ed ubicative, fosse stata sconvolta dalle avverse condizioni meteorologiche e dall'azione antropica specializzata, e quindi virtualmente cancellata o molto ridimensionata, allora si sarebbe verificato un riequilibrio tattico al minimo livello fra la montagna e la pianura. La difesa avrebbe così rfacquisito in pieno la sua validità rendendosi del tutto congrua a qualsiasi pressione avversaria penalizzata dalla ridottissima percorribilità valliva. La guerra avrebbe riassunto le antiche connotazioni nella peggiore delle maniere, come osservato. Ed anche questo è quanto stava per avvenire lungo le falde del Matese, nell'ottobre del 1943.

Gli antefatti Durante la conferenza di Casablanca, il 23 gennaio del I 943, americani ed inglesi valutarono la strategia da adottare nei confronti dell'Italia. I due alleati però non avevano una visuale univoca in materia. In particolare gli inglesi auspicavano l'invasione della Penisola da sud, con la speranza di attrarre Hitler in una campagna nel Mediterraneo, in modo da indebolire il suo dispositivo difensivo nel nord Europa. Non ultimo, si ventilava l'ipotesi che una simile procedura avrebbe provocato il crollo di Mussolini e quindi la soluzione dell'Asse. Gli americani invece, e fra loro per tutti il generale Marshall, temevano uno spreco inutile di risorse, materiali ed umane, in un teatro comunque secondario dove peraltro i tedeschi non si sarebbero fatti invischiare, e che avrebbe in definitiva ritardato ulteriormente i preparativi per lo sbarco principale in Normandia, unico, secondo la loro strategia pragmatica, vincente e risolutore. Alla fine però questi cedettero alla logica britannica, spede dopo il riuscito attacco alla Sicilia, effettuato il 10 luglio di quell'anno. Ma già nel maggio alla conferenza di Algeri, Eisenhower sosteneva, come scrisse in seguito: «Entrambi (Marshall ed Eisenhower) eravamo disposti ad ammettere e a sforzarci di raggiungere i vantaggi che sarebbero derivati da un'invasione ben riuscita dell' rtalia meridionale ... Queste ed altre ragioni ci indussero ad un accordo che, in definitiva, lasciava lo sfruttamento dell'operazione siciliana al mio giudizio e nello stesso tempo sottolineava il grande valore dei campi d'aviazione di Foggia. Poiché era necessario che un grande porto ci appoggiasse in Italia, la città di Napoli fu designata come la località principalmente desiderata dagli alleati ... »7 •

Il 18 luglio, stando alle memorie di Butcher, suo aiutante di campo: «(Eisenhower) ha raccomandato al comando supremo alleato di autorizzarlo a passare lo stretto e ad invadere la penisola italiana non appena avremmo preso Messina. La sua raccomandazione si basa sul fatto che l'attacco all'Italia continentale potrebbe essere completato da altri sbarchi e forse anche da un attacco contro Napoli ... » 8 •

7 Cfr. E isENHOWER Dw10tn: Crociata in Europa, p. 219, in A. R1.100Es, La conferenza di Casablanca, (Storia della Seconda Guerra Mondialc-Rizzoli-Purnell), Milano, 1967, p. 161, Voi. IV. 8 Citala dallo stesso autore: B u oHERT, Tre anni con Eisenhower, alla data I 8 luglio 1943.


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Si andava così articolando l'elaborazione teorica della conquista dell'Italia che avrebbe toccato la fase cruciale con lo sbarco di Salerno, e si sarebbe nel periodo successivo attestata su di una penosa, sanguinosa, lunghissima ed esasperante avanzata, contrastata passo a passo dalle forze tedesche.

Salerno Gli alleati realizzarono ben presto che lo sbarco a Napoli era assolutamente improponibile, non fosse altro che per le difese affatto trascurabili che circondavano il golfo. Il Tirreno non offre da Reggio in su porti significativi, e ciò era notorio da secoli, ad eccezione di quello di Salerno, appena passabile9 • «Per la qual cosa lo sbarco dovrà eseguirsi su di una spiaggia aperta e pericolosa ... nel golfo di Salerno ... e dal golfo di Salerno, per muovere su Napoli, con vien superare i monti della Cava (Cava dei Tirreni) e le opere che sbarrano le vie rotabili.» 10 • Così scriveva nel 1860 il generale Mezzacapo evidenziando l'unico punto di sbarco alternativo a Napolì nel Tirreno, ma evidenziando al contempo la valìdità difensiva delle montagne circostanti che potevano con facilità precludere ogni rapida avanzata su Napoli. «Gli addetti alla pianificazione dell'operazione 'Avalanche' ... (scelsero) la striscia di spiaggia lunga una trentina di chilometri al di sotto di Salerno, a sud di Napoli, benché il fiume Sele tagliando la piana di Salerno in due zone distinte, avrebbe diviso le forze d'invasione. Nonostante che le alture vicine dominino la costa e le montagne della penisola di Sorrento impediscano l'accesso immediato a Napoli, gli aerei da caccia avrebbero potuto dare il necessario appoggio agli sbarchi (l'eccellente aeroporto di Montecorvino si trovava vicino alla costa) e il porto di Salerno e la baia di Amalfi sarebbero stati utili per ricevere rifornimenti» 1 1 • Pesava indubbiamente sulla scelta del sito l'abituale logica tattica americana che insisteva sempre sull'appoggio massiccio delle forze aeree. «Operando a nord di Roma, questa protezione data la maggior distanza di numerose basi di decollo, sarebbe stata ridotta ... (Per contro però) uno sbarco più a nord, invece, avrebbe spezzato in due tronconi quello schieramento, obbligando i tedeschi ad arretrare l'ala meridionale, minacciata alle spalle, in tutta fretta, lasciando libera buona parte del territorio peninsulare, ed evitando così agli alleati il lungo, faticoso e cruento cammino per risalire da Salerno a Roma» 12 • In realtà anche se non ammesso ufficialmente, la sottovalutazio,ne delle pericolosissime connotazioni orografiche del golfo di Salerno e di quelle tattiche conseguenti per raggiungere Napoli, nasceva da un altro ordine di motivazioni di natura non strettamente militari. Infatti espletati i debiti calcoli sulle fasi lunari propizie, risultò che lo sbarco del X Corpo d' Armata americana, avrebbe dovuto effettuarsi prima dell'alba del giorno 9 settembre, avvantaggiandosi perciò al massimo del caos indotto dall'armistizio italiano - imposto appunto per il giorno 8 settembre-, nella difesa costiera, che avrebbe in tale visione cessato di rappresentare un ostacolo rilevante. Ed infatti il proclama dell'armistizio costituì una sorpresa generale tanto per i soldati italiani quanto per quelli tedeschi e non ultimi per gli stessi alleati che ormai dirigevano alla volta di Salerno, con impatto psicologico catastrofico.

«In tal modo la tensione delle truppe si rilassò e sotto le lucenti stelle, su un mare tranquillo come l'olio, la maggioranza dei soldati si appressò alla costa sotto un dolce incantesimo punteggiato dalla voce delle sentinelle che segnalavano in termini tecnici i bagliori del Vesuvio, le ammiccanti luci di Positano e le lampade ad acetilene dei pescatori di Amalfi. L'ammiraglio Samuel Morrison, nella sua storia realistica scrisse:

9

Cfr. F. Russo , LCL difesa costiera del Regno di Napoli, Roma, 1989. L. e C. l'vkzzAc,\Po, Studi topografici e strategici su l'ltCL!ia, Milano, 1860, p. 606. 11 M. B LUMENSON, Salerno e la lotta per l'Italia Meridiorwle, in Storia della Seconda Guerra Mondiale; Rizzoli-Purnell, Milano, I 967, p. 230, Vol. IV. 12 M. BLuMEKsoN, SCtlerno ... cit. p . 195, ed ancora cfr. F. Rum,, L a guerra sul rrwre 1939-1945, Milano, 1970, p. 292. 10


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"Avremmo dovuto essere seduti sulla poppa di una barca a remi cantando 'Ò sole mio'. L'effetto che l'annuncio dell'armistizio ebbe sulle truppe fu quello di un grande equivoco psicologico" 13 • Ed infatti la situazione era ben diversa dall'accattivante apparenza! Nonostante la repentinità della stipula dell'armistizio italiano gli strateghi tedeschi non furono affatto colti alla sprovvista essendosi da tempo prefigurata - e quindi preparati - l'inevitabile scissione. «Alarico» era il nome in codice del piano di intervento nazista in Italia a seguito della sua preventivata defezione e già nell'agosto un numero crescente di divisioni era entrato nella Penisola per esser prontamente disponibili al momento cruciale, con una minuziosa ed esplicita procedura d'occupazione. L'avvicendamento quindi nei settori costieri si attuò in tempi brevissimi, con modalità impeccabili ed efficientissime, determinando in poche ore, paradossalmente un inusitato rafforzamento della difesa antisbarco . Agli inizi cli settembre l'insostenibile peso dei bombardamenti strategici alleati aveva imposto ali' Asse il ritiro di t utti i suoi apparecchi dagli aeroporti meridionali ad eccezione di Foggia. In compenso le forze terrestri presenti in zona erano rilevanti, specie per quanto detto, quelle tedesche. Per grandi linee così possono essere distinte: almeno 30.000 uomini della 26 3 Panzerdivisione (pd.) e della 29a Panzergrenadier (dpg:) alle dipendenze del LXXVI Panzer Korps (pk.); ed ancora 45.000 uomini delle divisioni Hermann Goring, della 15a dpg. e della 16a pd., fra Gaeta e Salerno, alle dipendenze del XIV pk.; e quindi altri 17.000 uomini della prima divisione paracadutisti di stanza p resso Foggia. Il complesso delle forze elencate inserite nella X Armata era posto agli ordini del generale Heinrich von Vietinghoff. Vi erano infine sebbene più distanti ed alle dirette dipendenze del feldmaresciallo Kesserling altri 45.000 nelle adiacenze di Roma.

Nel summ enzionato elenco compaiono più volte divisioni di Panzergrenadier, che per la rilevanza che assunsero nella trattazione che seguirà giustificano una parentesi delucidativa circa la loro recentissima genesi formativa. «Le divisioni Panzergrenadier (motocorazzate) erano state costituite nel 1942 sul fronte russo in sostituzione delle divisioni motorizzate dimostratesi non idonee ad appoggiare l'avanzata delle Panzerdivisionen. I due reggimenti cli fanteria della 3 a Panzergrenadier erano auto portati su autocarri blindati 'ovunque'. Di mezzi corazzati propriamente detti disponeva di un solo battaglione di 42 semoventi di assalto (3 compagnie su 14 Pzkw Mark IV, peso 18 t., armamento I cannone da 75)» 14 • Al comando della V Armata americana destinata allo sbarco a Salerno fu posto il generale Mark Clark: essa si strutturava su due C. Arm. di tre divisioni ciascuno e per l'esattezza:

VI C. Arm. Americano: comandato dal gen. E. Danley (sostituito dal 20/9/43 dal gen. Lucas)

13 14

3 a Divisione 34a Divisione 45 a Divisione

comandata dal gen. Truscott comandata dal gen. Ryder comandata dal gen . Middleton

X C. Arm. Inglese:

comandato dal gen. sir Richard L. Mac Creery

46a Divisione 7a Armoures 56" Divisione

comandata dal gen. Hawkesworth comandata dal gen. Erskinc comandata dal gen . Templer

PoND , Salerno!, Milano, 1969, pp. 28-29. Cfr. E. Musco, Gli aspetti militari de/f'oUo sette,nbre, in Storia della Seconda Guerra ... cit. p. 197, nota n° 5, Voi. IV.

H.


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Circa la forza complessiva dell'armata i pareri sono discordanti: si va da un massimo di 200.000 ai 100.000 stimati da Clark, per scendere ad un minimo di 55.000 per Blumenson al momento dello sbarco e quindi in breve risalire a 115 .000 nei giorni successivi. È plausibile però che fino al 7 ottobre di quell'anno vi fossero circa 140.000 uomini, che al 15 novembre erano diventati 240.000 ed agli inizi del gennaio '44 ben 330.000. In merito alla coesione dell'Armata occorre fare alcune significative puntualizzazioni: «La Quinta era una delle più svariate armate mai composte. Soltanto un terzo circa delle sue truppe era americano; altrettanto erano i britannici. Fra i suoi centomila uomini ci furono, in vari momenti reparti neozelandesi, indiani, francesi, nordafricani, polacchi e addirittura brasiliani.. .» 15 • Non mancarono nel v·ariopinto assortimento umano nemmeno i "giapponesi" costituiti in un battaglione riconosciuto da Clark fra le più valenti unità. «Era stato organizzato nelle Haway, vicino Pearl Harbour, formato di Giapponesi nati in quelle isole» 16 , ed operò dal giugno '42, passando verso la fine del settembre '43 alle dipendenze della V Armata, ritrovandosi perciò anch'esso sul nostro teatro matesino. «Ogni nazione aveva le sue caratteristiche abitudini militari, e la religione di alcuni soldati indiani e nord africani imponeva diete speciali. Data poi la differenza fra l'equipaggiamento americano e britannico, l'armata aveva bisogno di due linee completamente separate di rifornimento per munizioni e pezzi di ricam bio. Queste difficoltà moltiplicavano i problemi cli uomini e macchine ... » 17 . «Compito di Clark era la conquista di Roma, dal sud. Era la direzione sbagliata. Lo si sapeva, questo almeno, da più di duemila anni, da quando Annibale, aveva fatto il giro della Spagna e delle Alpi per evitare di affrontare Roma attraverso le montagne dell'Ita lia meridionale ... Nel 536 Belisario ... era risalito (unico precedente) verso Roma lungo la via Casilina, superando durante il percorso, una montagna sovrastante la cittadina di Cassinum, dove una decina d'anni prima un monaco cristiano di nome Benedetto aveva fondato un monastero. Ma Belisario non aveva incontrato opposizione lungo quella strada e questa era una fortuna che Clark non poteva aspettarsi» 18 • La realtà infatti che ormai assillava i tedeschi era proprio insita nella scelta delle linee difensive e delle modalità di blocco da adottare per contrastare al massimo l'avanzata alleata. Più in dettaglio gli: «obiettivi che il generale Alexander aveva assegnato al generale Clark erano per Io più le alture tra Sessa Aurunca e Venafro, l'alto terreno dominante eia sud le vallate ciel Garigliano e del fiume Rapido ... » 19. Verso le stesse disgraziatamente si stava appuntando anche l'attenzione dei tedeschi.

Il piano difensivo tedesco Lo sbarco a Salerno pose i tedeschi cli fronte ad un difficile dilemma. Da un lato era necessario evitare una troppo rapida avanzata alleata nella Penisola, impegnandosi in qualche modo nella sua difesa, dall'altro era auspicabile un urgente arretramento fin alla Valle Padana per conservare a lmeno la sezione settentrionale del territorio italiano, più difendibile e sotto molteplici aspetti inalienabile, anche da un punto di vista psicologico. Fautori delle due antitetiche strategie erano i feldmarescialli Erwin Rommel ed Albert Kesserling. Il primo contraddicendo la sua fama di audace e spesso temerario condottiero dell'Africa Korps, protendeva per lo schieramento a nord e l'abbandono del centro-meridione, Roma compresa. La sua tesi poggiava su una più facile realizzazione di una linea difensiva nella pianura padana e nel suo più immediato approvvigionamento stante la vicinanza delle basi tedesche.

15

D. H.... Pcooo-D. R 1c1-1ARDSON, Montecassino ... cit., pp. 32-33. Cfr. D. MARRocco , La guerra nel medio Volturno nel 1943, Napoli, 1974, p. 80, nota n" 3. 17 D . H APGOoo-D . R 1cH,,RllSON, ,'11ontecassino ... cit., p. 33. 18 Id. , pp. 26-27. 19 M. BLUMENSON, Allraverso il Volturno, in Storia della Seconda Guerra Mondiale ... cit., pp. 286-288. 16


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175 175. Gen. Heinrich von Vietinghoff (fototeca A.S .M.V.). 176. I gen.li Kesselring e Rommel ai tempi dell'Africa Korp.

Kesserling invece si voleva battere tra le montagne meridionali, ben conscio del loro rilevante apporto tattico. Inoltre essendo uomo proveniente dall'aviazione, aveva perfettamente presente che un eccessivo avvicinamento alleato al nord dell'Italia, avrebbe automaticamente implicato la vulnerabilità delle industrie e delle città tedesche ai bombardamenti aerei, che si sarebbero immediatamente avvalsi degli aeroporti centro settentrionali. Hitler condivise inizialmente la visione di Rommel, di cui subiva forse in quel periodo il fascino personale, allineandosi a quelle che erano le originarie - e per ironia della sorte alla luce degli eventi successivi - temute ipotesi americane circa lo sganciamento tedesco. Dopo una fase di tentennamenti, motivato anche dagli ottimi risultati che i combattimenti presso Salerno avevano assegnato alle forze tedesche, forieri cli ulteriori positivi sviluppi, Hitler cambiò idea. Sulla interessantissima falsariga di un inedito memoriale del generale von Vietinghoft'2°, al quale come in precedenza ricordato, Kesselring affidò il comando della X Armata destinata alla espletazione del suo progetto difensivo, ricostruiremo le fasi salienti dell'epico confronto, relativamente alla logica tedesca.

20 H. VoN V1ET1 Nc 1-1orr-, Die Kampfe der 10° Armee in Sud und Mittelitalien unter basederer Beruks sichtigung der Sch/achten bei Salerno am Voliurno, Garigliano am Sangro und Cassino (Neustadt 1947). TI dattiloscritto non pubblicato nel Militarforschumsant di Freiburg i. Br., e peraltro ancora inedito ci è stato gentilmente procurato dal Prof. D. Marrocco, presidente dell'Associazione Storica del Medio Volturno.

176


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«Il modo con cui la X Armata era riuscita a respingere il nemico presso Salerno e l'eccellente condotta delle operazioni di ripiegamento, tese al ripristino di un ampio fronte tra il mar Tirreno e l'Adriatico avevano dimostrato che, contro ogni aspettativa le truppe tedesche erano ancora ìn grado di opporre valida resistenza agli alleati, sotto tutti gli aspetti indiscutibilmente superiori alle nostre forze. Alla luce di questi ultìmì avvenimenti, il Comando Supremo Sud propose di sospendere le operazioni di ripiegamento verso nord - verso l'Appennino Settentrionale - adottando una linea di combattimento dall'azione ritardatrice, e dì procedere nell'area più meridionale, in adeguate posizioni che sarebbero state in seguito opportunamente potenziate e consolidate, alla difesa. La prima di queste posizioni avrebbe potuto essere la linea Garigliano-Cassìno-Massiccio della Maiella-Sangro. L'Alto Comando approvò questo piano e modificando quanto precedentemente concordato, decise dì affidare al feldmaresciallo Kesserling il comando supremo sull'Italia e di assegnare il feldmaresciallo Rommel ad altri incarichi. Due fattori esercitarono un'influenza determinante su questa decisione: a) un fattore puramente militare: tenere il fronte - e così anche gli aeroporti nemici - il più lontano possibile dalla frontiera meridionale della Germania; b) un fattore politico: fare in modo che la nuova repubblica fascista, creata dopo la liberazione di Mussolini, potesse continuare ad avere Roma come capitale e come luogo della S. Sede, investendola in tal modo davanti all'opinione pubblica nazionale ed internazionale, di un ruolo altamente morale. ' L'assunzione del comando sull'Italia Settentrionale era stata prevista per la metà di novembre; l'attuale "Comando Supremo Sud" sarebbe stato convertito in "Comando Supremo Sud-Ovest" . Specifici reparti al comando del feldmaresciallo Rommel furono messi immediatamente a disposizione del feldmaresciallo Kesserling onde garantirgli i rinforzi necessari alla 'difesa' .»2 1 •

«Kesserling si era districato con imprevedibile abilità dalla situazione di emergenza creata dalla resa italiana e dall'invasione alleata. Era chiaro che gli alleati o non erano ansiosi o non erano capaci di invadere la parte centrale della penisola con una rapida campagna, )) 22 Quanto sintetizzato dal generale Vietinghoff circa la linea Garigliano-Cassino-La Maiella-Sangro richiedeva però un minimo di tempo per l'approntamento definitivo. Di conseguenza l'avanzata verso Napoli degli alleati andava rallentata al massimo, tempo necessario a sua volta, per erigere linee di arresto provvisorio o temporaneo, quasi corp.e la creazione di un percorso ad ostacoli progressivi, di cui i successivi dovevano essere più coriacei e micidiali dei precedenti. E se per il 10 settembre Kesserling aveva già individuato, come detto, la principale di tali linee il: «16 settembre egli informò la X Armata che la linea del Volturno a nord di Napoli, e il settore del Biferno, sull'Adriatico, dovevano essere tenùti almeno fino al 15 ottobre»23 . Tra i due segmenti costituenti quella prima linea organica e completa, dividente la Penisola trasversalmente da un mare all'altro, nel suo punto più stretto, vi era il fulcro della difesa: il Matese. Allorché il giorno 3 ottobre gli alleati effettuarono uno sbarco a Termoli tendente ad alleggerire la resistenza tedesca, si confermò nitidamente il fronte tedesco di prima linea di ritardo, da Castel Volturno a Torre Petacciata (Adriatico foce Biferno). II Matese lo spezzava frazionando al contempo i settori d'azione americano e britannico - V Armata fronte tirrenico, VIII Armata fronte adriatico), Il ricongiungimento delle due armate sarebbe potuto avvenire soltanto dopo il superamento e l'aggiramento del massiccio, presso Isernia. È interessante, citando la documentata fonte tedesca, esporre brevemente il ruolo dei difensori sostenuto al momento dello sbarco a Termoli:

21 Memoriale von Vietinghoff, pp. 56-57 del dattiloscritto originale al quale faremo sempre riferimento d'ora innanzi. La traduzione è dello S.M.E. 22 R. BoHML ER, La ritirata verso Cassino, in Storia della Seconda Guerra Mondiale ... cit. p. 274. 23 R. BoHMLE R, La ritirata ... cit. p. 274.


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177. 1• linea di resistenza tedesca.

178. Spiaggia di Termoli.

«Per la difesa di Termoli, piccola città portuale situata su un altipiano, dietro il fronte vero e proprio, la divisione aveva costituito con i resti di varie truppe, forze di polizia, ecc. un gruppo di combattimento forte circa di 100 uomini. La sua efficienza combattiva era modesta, il maggiore Rau ne era il comandante. Benché quest'ultimo ne fosse stato ripetutamente avvertito della possibilità di un eventuale sbarco, non si mostrè> in nessuna occasione alla altezza del suo compito. Il suo reparto fu sorpreso nelle prime ore del 3 ottobre ad ovest della città, dove avvenne il primo sbarco delle truppe britanniche. Fu catturato - senza che potesse opporre la benché minima resistenza - assieme alla propria truppa .>>24

Napoli fu occupata il 1° ottobre. <<La città ed in particolar modo il porto e le zone circostanti erano già state fortemente danneggiate dalle forze aeree alleate: affondando navi vicino i moli e nella darsena si tendeva ad ostacolare ulteriormente il riutilizzo delle infrastrutture. Le forze tecniche alleate riuscirono comunque in pochissimo tempo a ripristinare quanto precedentemente distrutto; la stessa cosa vale per le attrezzature logistiche della città smantellate dal nemico>>25 •

Il 4 ottobre il porto di Napoli tornò a funzionare.

La guerra raggiunge il Matese «Ai primi d'ottobre la V Armata U.S. aveva il suo fianco sinistro sulla costa occidentale italiana. Quello destro era ancorato alle montagne del Matese della catena dell'Appennino, una barriera virtualmente impenetrabile lungo il confine tra la V Armata e l'VIIT Armata britannica. I due eserciti dovevano avanzare fianco a fianco nelle loro zone, ognuno indipendentemente dall'altro, ma i loro movimenti dovevano essere coordinati poiché occasionali fratture laterali nella barriera avrebbero fornito al nemico l'accesso a strade per attacchi contro i fianchi tra i due eserciti» 26 .

24

Memoriale von Vietinghoff, pp. 54-55. Ibidem, pp. 52-53. 26 M. BLuM ENSON, Salerno to Cassino, Washington, D.C., 1969, p. 168. Trad. dott. Grazia Matera. 25


236

Dai sanniti a/l'esercito italiano

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179. Il Matese visto dagli americani: disegno su «Life» del 6/11/'43 (fot. A.S.M.V.).

Il Matese pertanto ai primi di ottobre già sovrastava con la sua mole le forze alleate avanzanti. Le sue impervie montagne facevano facilmente intuire le difficoltà connesse con il suo superamento. «Il terreno sul quale Clark doveva spingere i suoi soldati era quanto mai proibitivo. Dalla sua sede di Comando a C~serta tutta una linea seghettata di montagne e colline si stendeva ... verso nord-est. .. e ... non c'è mezzo di aggirarle. Le montagne sono aspre e rocciose, e dietro ciascuna di esse ve n'è sempre un'altra. Anche nelle migliori condizioni meteorologiche, questo è terreno difficile per un attaccante, e l'ottobre è tutt'altro che il migliore dei mesi: è proprio quello in cui cominciano le piogge d'inverno che trasformano la terra in fango e rendono più difficili i movimenti degli uomini e delle macchine. 'Ogni pendice' ebbe a scrivere in seguito Clark 'divenne un problema militare piccolo ma difficile, che poteva essere risolto solo per mezzo di una preparazione accurata e spargendo sangue'. Due tedeschi con una mitragliatrice trincerati su una di queste colline potevano tenere bloccate parecchie decine di avversari. Era scoraggiante, aggiungeva , conquistare ' un caposaldo dopo l'altro, solo per vedere, attraverso la pioggia e il fango, un'altro pendio montano guarnito di bunker e di ben protette postazioni d'artiglieria'. Tuttavia bisognava farlo ... » 27 , come del resto lo dovettero fare, 23 secoli prima i romani, ed un'ottantina di anni innanzi i soldati italiani contro gli inaffenabili ed onnipresenti briganti. La problematica degli attaccanti quindi ci appare da quanto espresso sostanzialmente analoga a quella dei loro predecessori, compreso anche il fattore inibente dell'immagine. Diverso però il caso degli ultimi difensori, i quali a differenza dei briganti e dei sanniti, non potevano affatto contare sull'appartenenza ai luoghi e meno che mai sulla connivenza delle popolazioni locali, spesso anzi attivamente ostili. «I soldati tedeschi avevano bisogno di tutte le loro risorse di coraggio e di competenza per combattere in un terreno tanto spaventoso. Era difficile trovare un posto peggiore di queste montagne dell'Italia centrale. Era un terreno roccioso sul quale era praticamente impossibile scavarsi un riparo,

27

D. HAPGooD-D. R 1c HAROSoN,

Montecassino ... cit. p. 29.


237

Parte terza. I giorni dei tedeschi

e niente è più distruttivo del morale del sapere che non è possibile trovare rifugio dal fuoco nemico e dagli elementi. I fianchi rocciosi delle montagne amplificavano e facevano riecheggiare il rombo delle esplosioni annullando praticamente l'intervallo di silenzio fra una granata e l'altra, e le pendici scoscese aggravavano a loro volta gli effetti delle esplosioni con raffiche mortali di schegge di pietra in tutte le direzioni. E a rendere più terribile tutto questo stava ora sopraggiungendo l'inverno.»28 • Quanto gli alleati fossero però lontani dal valutare in maniera concreta la validità dello sbarramento tedesco perfettamente congruo ai luoghi e per di più fortunosamente agevolato dalle pessime condizioni atmosferiche di quell'autunno, lo dimostra il particolare che ancora il 1° ottobre Eisenhower: «espresse la speranza di trovarsi a nord di Roma entro sei o otto settimane»29 • Lo stesso generale Alexander, pochi giorni dopo, ipotizzava per le sue truppe l'ingresso nella Capitale entro la fine del mese, tanto da non ritenere necessario trasferire il suo comando a Napoli, ma direttamente a Roma! Era il 4 ottobre: quel lasso di tempo non sarebbe bastato neppure per tirarsi fuori dal Matese!

Le forze contrapposte In ottemperanza agli ordini ricevuti von Vietinghoff schierò il XIV pk. sulla costa occidentale ed il LXXVI pk. su quella orientale, rilevando però la pericolosa debolezza delle sue forze di fronte a quelle avversarie: «Il rapporto di forze era ancora troppo disuguale: da parte tedesca, su un fronte largo 150 km ., vi erano 6 divisioni; provvisoriamente sino alla «cessione» inoltre la 16a pd., la quale dal 3 settembre ... aveva partecipato quasi ininterrottamente alle operazioni belliche, sì da riuscire a mala pena a colmare le perdite; ... pochi carri armati operativi, inconsistenza della forza aerea, eccezion fatta per alcuni bombardieri ... »30 .

In realtà la situazione deficitaria lamentata dal generale ebbe nei giorni successivi una consistente rimonta potendosi contare intorno al 10 di ottobre su di uno schieramento difensivo così articolato: 1°) I 20 km. compresi fra la foce del Volturno e Grazzanise erano presidiati dalla 15a dpg.; 2°) Ancora altri 20 km. fino a Caiazzo dalla pd. H ermann Gòring, con alle sue spalle in riserva la citata 16a pc\.; 3°) Da Caiazzo fino a monte Acero-Faicchio, ovvero fin quasi all'innesto del settore occidentale della linea difensiva con il Matese, segmento di circa 16 km., vi era installata saldamente la 3a dpg., ed alle pendici del massiccio si disposero alcuni reparti della 26a pd. del LXXVI pk., assegnati per l'occorrenza al XIV pk . (gruppo di combattimento Viebig in forza al XIV pk. dal 12 ottobre); 4°) Dal Matese a Termoli, lungo il corso del Biferno, presero posizione la 26 3 pd ., la 29a dpg., con una divisione paracadutisti. È interessante ricordare il giudizio espresso dagli alleati sul menzionato schieramento: «Dalla foce del fiume (Volturno) fino a un punto appena a est di Grazzanise, (vi era) la riposata ed efficientissima I 5 a dpg., che difendeva un fronte di circa I 2 miglia, con un reggimento in prima linea ed il resto della divisione che sorvegliava le coste a nord fino alla foce del Garigliano. Nel settore centrale, lungo un fronte di 16 miglia circa fin quasi a Caiazzo, la divisione Hermann Gòring, con 4 battaglioni di fan teria, un piccolo gruppo armato ed un grande numero di cannoni semoventi, possedeva una potenza di fuoco notevolmente superiore al normale.

28

29 30

Ibidem, p. 56. M. BuJMENSON , Attraverso il Volturno ... Memoriale von Vietinghoff, p. 60.

cit.

p. 287 .


238

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Sulla sinistra del C. Arm. da Caiazzo a monte Acero, una distanza di circa 10 miglia, vi erano porzioni della 3a dpg., una formazione ragionevolmente efficiente rinforzata da un battaglione di ricognizione della 26a pd., schierato su monte Acero. Nel settore adriatico il LXXVI pk. controllava un'unità della 26a pd., la efficientissima 29a dpg. e la 16a pd. Le difese avrebbero potuto essere anche più robuste se lo sbarco anfibio del generale Montgomery a Termoli durante la notte del 2 ottobre non avesse gettato all'aria i piani di Vietinghoff .» 31 . Da quanto citato, sostanzialmente concordante fra le due parti circa le unità e le frazioni di fronte ad esse assegnate, risulta invece una netta divergente valutazione delle forze. Agli alleati in ultima analisi non sembrarono affatto sproporzionate e male in arnese come il generale Vietinghoff sottolineava, ma ciò potrebbe imputarsi al classico espediente di sopravvalutare il nemico per giustificare la propria incapacità o per incrementare la gloria di una successiva vittoria. Lo schieramento invece che contemporaneamente assunsero le forze alleate può così schematizzarsi: 1°) I primi 30 km. di fronte, tra la foce del Volturno e Capua, vennero assegnati al X C. Arm. inglese; 2°) I restanti 55 km., fino cioè al Taburno-Matese andarono al VI C. Arm. americano; 3°) Sull'altro versante del massiccio che fungeva da diaframma fra le due armate alleate, operava l'VIIT inglese di Montgomery. Il Corpo Canadese aggregato all'armata era quello destinato al settore d'innesto fra la linea del Biferno ed il Matese. Da una prima ed anche sommaria osservazione delle forze contrapposte è facile cogliere la maggior importanza attribuita dagli alleati ai settori costieri del fronte sia tirrenico che adriatico, con una ridondanza di truppe. Per contro invece i tedeschi, pur non sottovalutandone il valore strategico, munirono meglio il massiccio centrale consci del suo insostituibile valore difensivo, ancorando perciò allo stesso i due segmenti dell'intero fronte. La diversa densità relativa dei due schieramenti giocò ulteriormente a vantaggio della resistenza montana, che appigliandosi magistralmente agli ostacoli naturali, ed elaborandoli, poté contenere al di là del credibile il poderoso urto delle armate alleate. /

Fattore me~eorologico e linee difensive Sconsolatamente il generale Lucas nei primi giorni di ottobre annotava: «pioggia, pioggia, pioggia»32 , immancabile premessa di un nemico ancora più insidioso e paralizzante per un esercito moderno: il fango! «Il fiume Volturno era di per sé già un ostacolo naturale particolarmente idoneo ad essere difeso, specie agli inizi di ottobre allorché le abbondanti piogge provocano la piena. Sorgendo tra le montagne vicino a Isernia e discendendo in prossimità di Venafro, il Volturno piega a sud-est e scorre per circa 45 km. parallelo alla costa, ad una distanza da essa di 50 km. circa ... Dal punto di vista degli alleati i tratti dritti più bassi del Volturno formavano un serio ostacolo lungo quasi 60 miglia ... Una volta attraversato il fiume per la V Armata non vi era alcuna sicurezza di una facile avanzata. Le alture infatti avrebbero potuto essere difese dal fuoco incrociato di posizioni di mutuo appoggio. Demolizioni e mine avrebbero potuto certamente essere state occultate efficacemente. Si dovevano inoltre mettere nel conto i ponti demoliiti e i canali da guadare. Sempre possibili infine imboscate, e sarebbero bastate poche armi automatiche per difendere facilmente le rare direttrici naturali d'avanzata. Per la V Armata la velocità era essenziale nel movimento verso nord. Le piogge autunnali avevano ingrossato i fiumi e trasformato le valli in fangaie ...

31

M. BwMENsoN, Salerno to ... cit. p. 190. Lo stesso generale commentò successivamente riferendosi a tale periodo che: «Le guerre dovrebbero essere combattute paesi più adatti di questo», in M. BLuMENsoN, Attraverso il Volturno ... cit. p. 287. 32

in


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Mc. Creery stimò il 9 ottobre come la data più prossima entro la quale sarebbe stato pronto ad attaccare. Sperando ancora di attaccare il Volturno prima che i tedeschi avessero ultimato alla perfezione le loro difese lungo lo stesso, il gen. Clark ordinò al gen. Lucas di avanzare. La 3 a divisione, era sul posto e pronta ad attraversare, e Lucas osservò che questa formazione da sola gli dava una superiorità in uomini, cannoni e carri di tre ad uno sui difensori tedeschi.» 33 • Osservava tuttavia Vietinghoff, ridimensionando come prima anche la validità tattica della sua linea difensiva: «Le condizioni del terreno non era mai state tanto favorevoli. Il Volturno era in piena a causa delle forti piogge; il suo letto era a tratti profondamente incassato, il che costituiva degli angoli morti per le nostre armi; in altri punti la sponda nemica era molto più alta della nostra riva; le posizioni dovettero perciò in alcuni casi essere spostate ed allontanate dal fiume, il che attenuava considerevolmente la loro importanza in quanto ostacolo ... L'adiacente zona montagnosa, verso nord, offriva condizioni assai favorevoli per combattimenti dall'azione ritardatrice, ma non offriva in nessun punto una posizione vera e propria, dietro ad un ostacolo. Va inoltre ricordato che in questo caso non si era potuto procedere a lavori preparatori, cosa che era avvenuta invece anche se in modo assai modesto sul Volturno. L'Alto Comando non poteva dunque non sapere che anche in questa linea, una volta iniziata l'offensiva nemica, la resistenza avrebbe avuto vita breve.» 34 .

Eppure era indiscutibile che lungo il: «Volturno i tedeschi si erano trincerati nella prima buona posizione difensiva a nord di Napoli ... Lungo questa linea di fiumi e montagne i tedeschi chiaramente intendevano attestarsi fermamente, sperando di ritardare, forse di ferm are la nostra avanzata diretta a nord .»35 • Ancora una volta traspaiono le divergenti valutazioni circa la validità tattica dei siti: la linea Volturno-Matese-Biferno, sebbene riconosciuta alquanto buona anche da Vietinghoff, non gli appariva suscettibile di una prolungata resistenza, al contrario di quanto rilevavano gli alleati. Sarebbe stata una questione al massimo di giorni, al più di settimane, e del resto tale lasso di tempo gli si richiedeva. Kesserling infatti, come ricordato, aveva ordinato la resistenza fino al 15 ottobre almeno, mentre le: <<truppe del genio, i pionieri e i distaccamenti delle divisioni che combattevano nelle posizioni avanzate stavano lavorando al consolidamento deJle posizioni onde rendere la Linea-Bernhard (linea d'inverno) operativa sin dal 1° novembre, consentendo di procedere in tal modo alle operazioni difensive.» 36 .

li termine linea e più generalmente qualsiasi segmento di questa anche estremamente subordinato, giova esporlo una volta per tutte, deve intendersi nella logica difensiva tedesca della II Guerra Mondiale come una fascia profonda da un minimo di alcuni chi lometri ad un massimo di alcune decine, ricca di postazioni fortificate, ridotte e piccoli bunker, reciprocamente appoggiantesi, opportunamente strutturati ad esaltazione delle connotazioni morfologiche del terreno già naturalmente propizio. La concezione difensiva globale della Penisola da parte tedesca nella sua completezza elaborativa vedeva così un succedersi - in ordine di importanza inversamente proporzionale alla porzione di territorio italiano presidiato - delle seguenti linee:

33

M. BLuMENSON, Salerno to ... cit. p. 192. Memoriale von Vielinghoff, pp. 58-59. 35 Military lntelligence Dìvision, Fron, the Vo/iurno to the Winter L ine, Washington, 1944, p. 48. Trad . dott . Grazia Matera. 36 Memoriale von Vietinghoff, p. 58. 34


240

Dai sanniti a/l'esercito italiano

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180. Linee tedesche.

- Linea Gdtica (o Verde) sulla congiungente Rimini-La Spezia. - Linea Gustav (o G), tra la foce del Garigliano e quella del Sangro, passante per monte Cassino. - Linea Bernhard (o B, o Reinard), che andava sempre dalla foce del Garigliano a quella del Sangro ma con un diverso itinerario, evitando Cassino, attraverso la stretta di Mignano-Venafro. - Linea Barbara (o B, o d'inverno per gli alleati), linea eminentemente di difesa temporanea, individuata dal gen. Hube e snodantesi fra Mondragone-Teano-Presenzano-Isernia sud: limitata quindi al solo settore tirrenico del fronte, quello della V Armata, con una prosecuzione ideale lungo il corso del Biferno, fino ali' Adriatico. Quest'ultima poi a sua volta presupponeva una serie di sottolinee di minore estensione, dell'ordine di appena una decina di km. ovvero compatibili con lo schieramento della sola 3a dpg., originantesi dal Matese, ed ortogonali al suo asse maggiore, necessarie a loro volta per fornire il tempo di allestimento della linea d'inverno. Per la finalità del nostro studio sono proprio queste sottolinee a rivestire una precisa significatività, insistendo il loro estremo montano per lo più sugli antichissimi caposaldi sanniti, primo fra tutti quello del già più volte citato monte Acero. «Il 6 ottobre il nemico aveva raggiunto ovunque la sponda sud del Volturno-Calore. Durante la notte a sud-est di Telese, un reparto nemico aveva passato il Volturno. P resso il ponte della località Ponte si registrarono il 7 ottobre violenti scontri, nel corso dei quali il nemico riuscì a formare (e a difendere con successo) delle teste di ponte. Tutti i contrattacchi fallirono. Le speranze di aver trovato sul Calore una posizione difensiva che avrebbe potuto essere mantenuta per un periodo più o meno lungo andava scemando»37 •

37

Ibidem, p. 53.

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180


241

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181

18L Gen . Graser (fot. A.S.M.V.).

Fu questa una delle conseguenze dello spostamento della 16a pd. verso il settore adriatico: infatti la 3 a dpg. che venne a sostituirla non raggiunse il fronte compatta, ma alla spicciola e per di più non particolarmente preparata al compito delicatissimo che l'attendeva. Il suo schieramento poté considerarsi ultimato soltanto intorno al 10 ottobre, ma l'efficienza restò inferiore alla media. «Già presso Salerno la divisione si era mostrata del tutto inesperta ma anche nell'ultimo svolgimento della campagna, malgrado fosse al comando dell'eccellente tenente generale Graser, non poté mai raggiungere la piena efficienza combattiva delle altre divisioni corazzate e divisioni granatieri corazzati dell'armata». Non giovò infine all'ottimizzazione del rendimento della divisione l'essere sopraggiunta al fronte immediatamente prima dell'inizio dell'offensiva alleata, senza poter così integrarsi all'ambiente. Per misura prudenziale fu inviato sulle sue posizioni un rincalzo, per la qual cosa: «fu necessario spostare il limite della 26 3 pd. che avanzava da sinistra, dal Volturno verso la cresta montuosa Cerreto-Lago del Matese-Gallo Matese, ubicata circa 12 km. più a nord. Soltanto il reparto esplorante (di ricognizione) della 26 3 pd., rafforzato con un battaglione, al comando del cap. d'artiglieria Viebig, avrebbe dovuto procedere alla difesa di questo settore»38 •

La particolare attenzione che abbiamo riservato alla 3 a dpg. ed al suo rincalzo della 26a pd. gruppo Viebig - sono da ricollegarsi al ruolo svolto da queste due unità nella resistenza tedesca alle pendici occidentali del Matese, come più dettagliatamente avremmo occasione di analizzare. Per una fortunosa coincidenza proprio di questa divisione 39 esiste un dettagliato memoriale al quale logicamente ci rifaremo nel corso della trattazione . Ad ogni buon conto nelle ore antistanti l'attacco alleato lungo il fronte del Volturno la 3 a dpg. risultava insediata all'ala sinistra dello schieramento tedesco

38

39

Ibidem, p. 60. DmcKOFF, 3 ° lnfanterie Division, 3 ° Panzergrenadier Division (1939-1945), Gottingen, 1960.

G.


Dai sanniti a/l'esercito italiano

242

tirrenico, ovvero all'innesto di questo con il massiccio, sulle cui propaggini si appigliavano elementi della 26 3 pd. La notte del 12 ottobre, oltre alla suddetta unità, erano dislocate lungo l'intero fronte le seguenti: «Isa dpg., dalla costa fino a Grazzanise: 129° regg. gran. cor. al fiume, 104° in riserva e quale difesa costiera. La dìvìsione era rìposata ed ìn buono stato combattivo. La divisione disponeva ancora, dalle operazioni in Sicilia, di un terzo reggimento assai numeroso, il 115° regg. gran. cor.; si pensava di scioglierlo e di assegnarne delle unità ad altri reggìmenti; per il momento però era ancora indispensabile. Fu assegnato temporaneamente alla divìsìone

"H.G.". Divisione "H.G. ", la divisione "H.G." si trovava presso Piana di Caiazzo. Era stata suddivisa in 2 gruppi di combattimento: - Gruppo carri con due battaglioni propri - Gruppo Mauke con 2 battaglioni del 115° regg. rafforzati ambedue con un terzo battaglione pesante. La divisione disponeva oramai, oltre ai 4 battaglioni di fanteria, di un debole reparto corazzato nonché di un numero assai elevato di cannoni d'assalto semoventi e di cannoni contraerei di tutti i calibri. La sua potenza di fuoco era superiore a quella delle altre divisioni. LXXVI Corpo Corazzato: spostamento del suo limite destro 26a pd.: il gruppo da combattimento Viebig venne sottoposto al XIV corpo corazzato il 12 ottobre. Il 1/9° regg. gran. cor . era riserva di corpo, in quel dato momento di stanza presso Termoli; il regg. cor. (senza 1° reparto) raggiunse la divisione soltanto il 14 ottobre. Con i restanti 2 battaglioni la divisione difese la zona da ambedue i lati della strada n° 87/17 Pontelandolfo-Bojano-Isernia. 29a dpg.: a nord ... di Trivento - era praticamente al completo - altissima efficienza combattiva deì proprì uomini. 1" Divisione Paracadutisti: la la div. paracadutìstì e la 16• pd. da nord, in una stretta striscia da ambedue i lati della strada costiera difendevano, sino alla costa, il d!ifficile settore, il quale, a causa della buona praticabilità - contrariamente alla zona montagnosa situata più a sud - diede agli inglesi l'occasione che aspettavano per dimostrare la superiorità delle loro divisioni corazzate. La div/ paracadutisti aveva riunito i suoi tre reggimenti dì fanteria , disponeva però soltanto di 1 reparto di artiglieria leggera e dovette essere rafforzata con vari reparti dì artiglieria dell'esercito. La 16" pd. non era ancora riuscita completamente a compensare le proprie perdite e poteva contare su forze d'artiglieria alquanto deboli; la sua posizione era stata perciò limitata ad un settore relativamente stretto . Il Quartier generale dell'Alto Comando A. fu spostato a Pozzilli vicino a Venafro. »40 .

Gli scontri sul versante tirrenico L'attacco alleato contro lo schieramento tedesco previsto per il 9- 1Oottobre a seguito delle pessime condizioni atmosferiche, dovette essere posticipato di alcuni giorni. «La pioggia aveva esercitato - fortunatamente per la nostra difesa - un'azione ritardante sui preparativi di guerra della V armata americana»

scrisse Vietinghoff, ricordando quella frenetica attesa, e fu soltanto nella notte del 13 che questo poté essere lanciato, specialmente nel settore del X C . Arm. britannico. «Prima dell'alba del mattino del 13 ottobre 1943, le truppe d'assalto americane ed inglesi della V annata guadarono il Volturno in piena di fronte al fuoco fulminante dei fucilieri e dei mitraglieri tedeschi appostati lungo la riva nord. Inzuppati e gelati fino alle ossa, le nostre truppe si fecero strada attraverso mitragliatrici nemiche, fosse e tane di volpe (piccoli bunker per mitragliatrici n .d.A .) per formare una solida testa di ponte .

40

Memoriale von Vietinghoff, pp. 61 -62.


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182

183 182. Attraversamento ciel Volturno nella stampa americana dell'epoca (fot. A.S.M.V.). 183. Idem.

Questo attraversamento del Volturno aprì la seconda fase della campagna d'Jtalia» 41 • Più in dettaglio nella notte del 13 ottobre: «dopo un intenso fuoco di preparazione di 600 cannoni, la V armata balzò in avanti. Le due divisioni sul fianco destro si assicurarono il controllo del Volturno senza troppa difficoltà, ma la 3 a divisione si imbatté in una tenace resistenza tedesca a Triflisco sul fianco sinistro del VI C. Arm. americano» 42 • Fu ben presto evidente alla difesa che un intervento risolutore si sarebbe dovuto temere più a nord proprio per consolidare le precarie teste di ponte, ad opera quindi della 34a e della 45a divisione

41

42

Military Intelligence Division, Frorn the Volturno ... cit. p. 48. R. BoMML tR, La ritirata ... cit. p. 274.


244

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184

184. Carro Sherrnann che guada il Volturno (fot. A.S.M.V.).

americana, che avanzavano a contatto immediato con le pendici del Matese, e che pertanto si sarebbero scontrate con il settore di fronte tenuto dalla 3 a dpg. e dal gruppo Viebig della 26 3 pcl. Prosegue infatti Vietinghoff: <<coraggiose truppe riuscirono malgrado ripetuti attacchi a difendere e a mantenere soltanto la sporgenza del dorso alluvionale di Triflisco. Nel corso del primo attacco era stata così creata una grande testa di ponte nemica in cui sarebbero confluite costantemente nuove forze . La 34a divisione americana stava sferrando contemporaneamente l'attacco contro la 3a dpg. ad ovest della confluenza del Calore. La traversata fu eseguita con successo su tutto il fronte .. . inizialmente (però) a fatica ... Come summenzionato, la situazione della 3• dpg. fu ulteriormente aggravata dal fatto che al di là del Volturno la 26a pd. era stata costretta a concentrare le forze principali sulla strada 87. Sotto la pressione dei canadesi che attaccavano da est, la cui ala aveva raggiunto l ' 11 ottobre S. Croce del Sannio, essa dovette inoltre far ripiegare sempre più la sua ala sinistra, cosicché la 45 • divisione americana attaccante a nord del Calore, verso ovest, non ebbe che da superare la tenue resistenza del gruppo di combattimento Viebig. Il 12 ottobre essa aveva già raggiunto i pendii ad est di S. Salvatore, il 13 ottobre si avvicinò a monte Acero ed il 14 ottobre alle alture vicino a Faicchio ed al Volturno>> 43 •

43

Memoriale von Vietinghoff, p. 64.


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185

185. La Rocca, S. Salvatore Telesino.

La scarna narrazione del generale von Vietinghoff minimizza, forse perché distratta dalla visione della manovra d'insieme dell'intera annata a lle sue dipendenze, al punto da definire «tenue resistenza» quella opposta dai soldati, poche unità, della 3 " dpg. e dal gruppo Viebig presso la stretta di m . Acero-Faicchio, ricordata da quasi tutte le altre fonti e mem orie, come asprissima e feroce44 , protrattasi per quasi quattro giorni. Essendo l'episodio il primo impatto della guerra propriamente detta con il Matese, nonché prioritario al forzamento del Volturno, ci sembra coerente con la logica del nostro studio approfondire l'analisi, come del resto per i successivi sviluppi. «Il 12 ottobre la linea di difesa tedesca andava dal Matese a Telese (trattasi logicamente del solo settore della 3a dpg. e del gruppo Viebig della 26 " pd. n.d. A.). La linea naturale era buona: stretta di Faicchio (m. 200 c .), monte Acero (m. 736), Monticello (m. 263), la Rocca di S. Salvatore (m. 269), monte Pugliano (m. 202) sopra Telese. La 45 " divisione doveva spezzare questa linea, e per scacciare i tedeschi dalla stretta doveva attaccare questa sia da Est (Massa e Fontana Vecchia), sia da Sud-Ovest (basso Ti terno )» 4 5 . I punti di appoggio tattico della suddetta linea erano costituiti tutti dagli antichi caposaldi sanniti del "catenaccio" Faicchio (conv . S. Pasquale-monte Acero) e dai loro addentellati, già a suo tempo

44

Cfr. G.

D1ECKOFF,

3° Infanterie Division ... p. 254.

45 D. M ,,RRocco, La guerra nel ... cit. p . 68.


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descritti: i tedeschi quindi ripristinarono in chiave moderna, ma in perfetta sovrapposizione tattica l'antichissimo sbarramento incentrato sulla imprendibile fortezza di monte Acero, che divenne anche per loro l'elemento di spicco della linea. Del resto anche nel 1899 il cap. Spinelli così aveva tatticamente valutato la particolarissima località: «Importante la stretta di Faicchio, forte per m. Acero, difficilmente percorribile: buone mulattiere hanno azione di fianco sulle falde del contrafforte di m. Monaco di Gioja: importante azione esercita il Titerno non facilmente attraversabile, anche nel periodo di magra, per la natura delle sue rive. Buona posizione di ritirata S. Lorenzello, fron te occidentale, a cavallo del Titerno: si presta ad una difesa manovrata sui due fianchi. .. Buone posizioni sono: quella a ridosso di S. Salvatore fra gli sproni di m. Acero, Rocca del Canale e colle Pugliano» 46 • Difesa manovrata ipotizzava l'acuto capitano 44 anni prima, e quella che i tedeschi intendevano attuare era appunto tale, almeno alle pendici del Matese: la prima linea di difesa temporanea descritta nei suoi caposaldi era infatti seguita da ben altre cinque, tutte ad andamento quasi ortogonale al fronte tirrenico del massiccio e a questo ancorate. Estese per una decina di chilometri si originavano per lo più come meglio vedremo in corrispondenza o nelle immediate adiacenze degli antichi caposaldi sanniti, esaminati nella prima parte del nostro studio, e costituivano la successione degli ostacoli che gli alleati avrebbero dovuto scavalcare per lasciarsi alle spalle il Matese ed imbattersi nella prima linea difensiva propriamente detta. Dietro ognuna di queste sub-linee gli uomini della 3 a dpg. e del gruppo Viebig avrebbero dovuto garantire una strenua resistenza fino al termine prefissato e quindi ritirarsi rapidamente ma ordinatamente sulla successiva, non senza però aver effettuato le maggiori distruzioni possibili . Dai documenti della 3 a dpg. pubblicati possiamo tracciare abbastanza dettagliatamente la configurazione di queste sub-linee, che scandirono la ritirata della divisione lungo il fianco tirrenico del Matese, a cavallo del corso del Volturno. Esse erano dopo la citata, la: 2 a sub-linea, a circa km. 6 dalla precedente; si originava nei pressi di Auduni-Criscia, alle spalle di Gioja e poco innanzi Calvisi. Puntava rettilinea su Alvignanello arrestandosi alla collina di monte Majorano, dopo quasi km. 12. La resistenza lungo di essa di protrasse fino a l 17/10. Seguiva quindi la 3a sub-linea, distante dalla suddetta da un massimo cli km. 7 ad un minimo di km. 4. Essa si originava a Piedimonte Matese e costeggiava per quasi km. 10 la statale I 50 lam bendo Alife, per esaurir-si dopo altri km. 4 nei pressi di monte S. Angelo. La sua validità difensiva si concluse nella giornata del 19/10. Veniva poi la 4a sub-linea, separata dalla precedente da un massimo di km. 12 ad un minimo di km. 9. Il suo ancoraggio montano era nei paraggi cli Valle Agricola, da cui scendeva alle spalle di Raviscanina per andare ad arrestarsi sull'aspra collina di Pietravairano, dopo un percorso di circa km. 14. Fu abbandonata il giorno 27/10. A questa succedeva la 5 a sub-linea ad appena km. 5 verso nord-est, la cui origine era a Letino. Di lì correndo lungo il vallone del fiume Lete, sfiorava Prata Sannita e poi Pratella, per terminare a Vairano Patenora dopo circa km. 18. Era la più estesa delle sub-linee e fu in grado di resistere fino al 31 /IO. Ultima la 6a sub-linea, a meno di km . 8 dalla precedente, ubicata alle spalle di Capriati al Volturno, da dove dopo aver attraversato la tenuta di Toreino si dirigeva per appigliarvisi a Sesto Campano, a km. 12 a sud-est. Fu anch'essa abbandonata, il giorno 4/11 47 • Vi è da rilevare in merito alle elencate sub-linee che in alcuni casi, ovvero nei settori nodali, esse prevedevano delle possibilità di variazione progressiva di tracciato, mediante rotazione della direttrice, per meglio sfruttare fino in fondo la validità tattica locale. Così ad esempio la prima di esse, quella Faicchio-monte Acero, descrisse, ferma restando la sua origine, un arretramento di quasi 90°, portando il suo estremo inferiore da Telese a Torre Vecchia ad est di Puglianello. Parimenti la 3a sub-linea, facendo perno in Piedimonte compì una rotazione oraria, andante da Alife a S. Angelo d' Alife, quasi quindi di 45 ° . La 5a sub-linea invece ostentava dei significativi raddoppi di tracciato con vertice tattico in Mastrati, come meglio vedremo appresso.

46 47

SPINELLI, La regione di Cerreto .. . cit. pp. 35-37. Cfr. G. D1EcK0FF, 3 ° lnfanterie Division ... cit. p. 256.

A.


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Queste ulteriori articolazioni avevano tutte come fattore comune quello di far aderire ancora maggiormente le linee difensive alle pendici del Matese, con risultati funzionali conseguenti, riecheggianti lontanissime dinamiche storiche. Del resto anche la neutralizzazione alleata del Ma tese avveniva come per il remoto passato tramite un attacco sferrato da due opposti versanti: sul lato adriatico infatti i canadesi dell'VIII armata britannica ebbero il compito di soffocare i caposaldi dai nomi altrettanto epici e mitici, basti per tutti quello di Bojano, assurti al rango di micidiali postazioni tedesche.

La battaglia contro la prima sub-linea «L'obiettivo del gen. Ryder deJla 34a Divisione era un'area triangolare definita a sud ed a est del Volturno e a nord-est della strada statale 87, circa 4 miglia dall'ansa del fiume. Al di fuori dell'area dell'obiettivo ma dominante il terreno vi era monte Acero, che la 45a Divisione del gen. Middelton doveva prendere prima del forzamento del fiume ... Il 12 ottobre non appena la divisione si avvicinò a monte Acero, (sembrò) che la 45a avrebbe raggiunto la valle superiore del Volturno, senza rischi e senza contrattempi per le divisioni che avrebbero dovuto attraversare il fiume nella notte, più a valle. Improvvisamente nel corso del pomeriggio la resistenza si inasprì e infranse quella speranza»48 • In realtà gli americani si avvicinarono a monte Acero fin troppo disinvoltamente, convinti forse che la difesa tedesca non fosse assolutamente presente in quei paraggi. Testimoni locali infatti raccontano che i soldati avanzavano in maniera al quanto disordinata ostentando una totale noncuranza del contesto bellico, al punto da ricordare lo sparpagliamento di un gregge di pecore: tanto lontana era in quel momento la guerra da molti di loro, da essere sorpresi dalla morte intenti a piluccare dei grappoli d'uva, colti dai vigneti che avevano così tranquillamente attraversato, alle falde dell'Acero! Appena quindi la patetica avanzata pervenne a tiro delle invisibili quanto efficaci postazioni delle mitragliatrici, divenne - bersaglio ampio e scoperto - delle nutrite raffiche delle anni automatiche tedesche. Il sogno, più che la "speranza", così s'infranse, sui contrafforti di una strana collina che già per i legionari romani era stata un sanguinoso incubo e che riassunse immediatamente tutto il suo terrificante dominio tattico. «Per i tedeschi monte Acero era un punto molto importante. Difeso dal battaglione di ricognizione della 26a p.d., la sua altezza permetteva di tenere sotto osservazione l'intera valle est-ovest del Volturno. Secondo il generale Hube, comandante il XIV p.k., monte Acero era essenziale se Vietinghoff avesse voluto mantenere le promesse fatte a Kesserling di tenere la linea del Volturno almeno fino al 15 ottobre . . Mitragliatrici e fuoco di mortai da monte Acero arrestarono l'avanguardia di entrambi i reggimenti americani, ma il battaglione di ricognizione in difesa non avrebbe potuto bloccare a lungo la divisione» 49 • L'operazione di scardinamento e neutralizzazione della linea di monte Acero aveva avuto effettivamente un buon inizio nella mattinata del 12, allorché avanzando sotto il fuoco: «il I 80° fanteria occupò il paese di Telese sulla sinistra della divisione, mentre contingenti del 179° fanteria si spinsero a sud di monte Acero stesso»50 • Più in dettaglio, il: «2° btg. del 180° fanteria prese l'altipiano a nord-est di Telese (monte Pugliano) ed il btg. occupò la collina ad est di S. Salvatore (la Rocca). Da questa posizione esso fu in grado di colpire con il fuoco del mortaio le difese tedesche sulle pendici sud di monte Acero, che erano sotto l'attacco delle compagnie I e K del 179° fanteria» 51 • Il fuoco dell'artiglieria fatta rapidamente concentrare sulla collina della Rocca di S. Salvatore prese dunque a martellare incessantemente monte Acero dal pomeriggio del giorno 12, sottoponendolo ad un violentissimo bombardamento, finalizzato alla definitiva conquista del pericoloso capo-

48 49

50 51

Military Intelligcnce Division, From the Volturno ... cit. pp. 49-50. M. BLuMENsoN, Salerno 10 ... cit. p. 195. Military ln telligence Division, From the Volturno ... cii. p. 49. Id., p. 50.


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186

186. Artiglieria alleata in azione (fot. A.S.M.V.).

saldo. Gli effetti della grandine d'acciaio però delusero le aspettative, a causa forse della insignificante grandezza delle postazioni tedesche, che potettero così continuare a resistere tenacemente. «Il combattimento durò tutta la notte. Il punto che capovolse l'azione fu quando la compagnia K del 179° fanteria penetrò le difese tedesche sul versante sud-est, ma dovette ritirarsi non essendo in grado di cacciarne i difensori. I tedeschi ignorando tale ritirata contrattaccarono prima dell'alba dirigendosi verso il luogo dove supponevano trovarsi ancora la compagnia americana. Essi furono pertanto presi in una trappola di fuoco dall'artiglieria e subirono pesanti perdite» 52 . In quelle stesse ore poco più a valle il Volturno veniva guadato e forzato dalle ondate d'assalto, e verso mezzogiorno la cittadina di Alife subiva un rovinoso bombardamento aereo destinato almeno nella logica alleata a spianare la strada alle forze avanzanti. Non era il primo, ma per l'inusitata quanto sproporzionata violenza fu il più devastante in assoluto. Le bombe centrarono perfettamente e fittamente l'antica colonia militare romana, sconvolgendo l'abitato ancora serrato dalla vetusta cinta muraria, e per l'orario e per la pesantezza dell'incursione, si registrarono parecchie decine di morti. Il paese in buona parte, almeno il 40%, fu raso al suolo con conseguente abbandono e fuga verso la montagna dei suoi abitanti. Le foto aeree della assurda ope-

52

Ibidem, p. 50.


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187 187. Bombardamento di Alife (fot. A.S.M. V.).

razione tradiscono il paradosso della stessa: raffigurano infatti uno dei rari casi di bombardamento aereo sferrato all'interno di una cerchia turrita urbana del II sec. a.e., lungo il "cardo" ed il "decumano"! Nel frattempo alle falde di monte Acero approfittando del vantaggio instauratosi: «la compagnia K... proseguì nel ripulire le pendici di sud-est. A sera tardi il 1° btg. del 180° fanteria occupò S. Salvatore proprio a sud della montagna. Questo successo aprì la strada al 57° fanteria che lanciò a sua volta un altro attacco contro il lato occidentale di monte Acero, obbligando il nemico ad abbandonare l'intero fianco occidentale della sua linea. Durante il giorno l'artiglieria aveva messo fuori uso due Nebelwefer, il mortaio lanciarazzo a tamburo, che divenne famoso nella campagna italiana come bomba volante, o come lo qualificò la 45 a Divisione "la singhiozzante Guglielmina". La 45 a, aveva incontrato i Nebelwefer per la prima volta in quella circostanza, ma nei giorni seguenti la "singhiozzante Guglielmina" divenne familiare ad ogni uomo della divisione» 53 • Come a suo tempo per il giavellotto sannita, arma del tutto nuova per gli attaccanti romani nel medesimo teatro di guerra, anche per il Nebelwefer, che da lì iniziò la sua significativa "attività" in Italia, ci sembra necessario fornire qualche chiarimento tecnico.

53

Ibidem , p. 51.


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188 I 88. Nebelwerfer.

/

Il Nebelwefer era in sostanza un lanciarazzi, e divenne in breve per la sua maneggevolezza ed affidabilità il più diffuso del suo genere presso le truppe tedesche. Ne esistettero numerose varianti, a sei o a dieci canne, trainate o semoventi. Il nome designava in origine la finalità precipua dell'arma, che era appunto quella cli lanciare razzi capaci di formare in pochi minuti, grazie alla eccezionale cadenza di tiro, una densa cortina di nebbia ·artificiale. Come spesso accadde nel corso del conflitto, le ottime prestazioni offerte dall'arma, ne fecero trascurare la destinazione teorica in favore di quella notevolmente più vantaggiosa di grosso mortaio a canna multipla, una sorta di artiglieria utilissima per bombardamenti intensissimi a breve gittata. Il Nebelwefer era costituito da una serie di tubi di lancio del diametro di 150 mm. disposti a corona intorno ad un mozzo centrale, nei quali si alloggiavano altrettanti razzi ad alto esplosivo da 34 kg. (35 kg . se fumogeni), che venivano espulsi in rapidissima successione, circa 10 secondi, ma non contemporaneamente per non compromettere la stabilità dell'affusto. Da questo particolare scaturiva la sua lamentosa connotazione sonora così sinistramente caratteristica. La gittata efficace raggiungeva quasi i 6.600 m. (7000 per i fumogeni), ed il volume di fuoco ottenibile risultava spaventoso, occorrendo soltanto un minuto e mezzo per il completo ricaricamento. Pur non potendosi equiparare in nessun modo con una normale artiglieria di pari ca.libro, per la sua leggerezza (appena kg. 550), per la sua cadenza di tiro e per la sua semplicità d'uso, rappresentò un validissimo supporto per le truppe, specie per quelle impegnate su terreni impervi e difficilmente carrabili come il nostro. Chiusa la parentesi tecnica torniamo alle pendici dell'Acero. «Per la fine del 13 ottobre si coglievano indizi che il nemico, riducendo la sua linea sulle forti posizioni di Faicchio (convento S. Pasquale) si sarebbe impegnato in una azione ritardante mentre si


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ritirava verso una nuova linea a nord di una insenatura del Ti terno, un torrente poco profondo» 54 • Era questa la predetta manovra di rotazione della prima sub-linea di circa 90°, che veniva così a spostarsi, pur restando sempre ancorata a monte di Faicchio, poco ad est di monte Acero, lungo l'ansa del Titerno e per l'esattezza sulla sua riva destra, molto più alta dell'altra, sulle falde del Matese. Il giorno 14 ottobre il 3 ° btg. del 179° fanteria completò la "bonifica" di monte Acero, impiantando a sua volta un osservatorio sulla sua sommità, proprio sui resti della fortezza sannita! In sintesi monte Acero dopo il violentissimo bombardamento alleato, venne attaccato da sud e da est in un primo momento, e quindi ancora da ovest. Il presidio tedesco del battaglione da ricognizione della 26a pd. iniziò allora la sua ordinata evacuazione per rischierarsi sulle nuove posizioni ad est del Titerno, prima di trovarsi completamente accerchiato. I soldati di Viebig scesero perciò verso nord, traversando la gola del Titerno sull'antichissimo ponticello di F. Massimo, trasferendosi in buona parte a dar manforte ai commilitoni appostati sopra Faicchio nei pressi del convento. Vuoi perché non ritenuto significativo sotto il profilo militare, e sarebbe strano, vuoi per un rigurgito di cultura umanistica o di sensibilità architettonica, e sarebbe dato il momento ancora più strano, i tedeschi, e, caso questo al limite del miracoloso, gli americani, non sprecarono né alcuni chilogrammi di esplosivo nè alcune granate per distruggere il coriaceo ponticello romano, che arricchitosi di un'altra pagina di storia bellica poté continuare a collegare, raro sopravvissuto a quelli della sua categoria, le due sponde del rabbioso torrentaccio. Le due fortificazioni complementari dei sanniti offrirono in quei frangenti un chiaro ed inequivocabile esempio della loro perfetta impostazione funzionale, efficace in qualsiasi contesto persino sotto le traiettorie dei razzi e il volteggiare dei bombardieri d'appoggio tattico. «Il giorno seguente (15/10) il 2° btg. sostenuto da carri armati e cannoni semoventi controcarro completò il lavoro di sgombero di tutte le truppe nemiche dalla gola»55 • «Occorse (però) ancora un altro giorno agli uomini di Middelton per liberare la valle del Calore dai Tedeschi. Così, nonostante la ritirata del battaglione di ricognizione da monte Acero, Vietinghoff mantenne il suo impegno di tenerlo almeno fino al 15 ottobre»56 . La resistenza tedesca attestatasi sulla nuova linea, ma ancorata sempre a Faicchio raggiunse il suo acme logicamente proprio dopo l'abbandono di monte Acero, per quanto detto. Il 15 ottobre perciò l'artiglieria alleata che martellava già l'altura del S. Pasquale da alcuni giorni intensificò il tiro. All'interno del vecchio convento non vi erano tuttavia soldati tedeschi, insediati nelle adiacenze, ma 150 profughi che per l'insostenibile situazione determinatasi e per il sopraggiungere di altri militari tedeschi accingentisi ad arroccarsi ancora meglio, - con intuibili conseguenze - abbandonarono in massa col favore delle tenebre il pericoloso rifugio, per guadagnare la sicura montagna, confermando anch'essi con il loro comportamento la logica d'impianto delle fortezze sannite. Al cannoneggiamento si unì ben presto anche il bombardamento aereo, che provocò morti essenzialmente fra i civili. Nella notte antecedente il 16 esauritasi la programmata fase di resistenza della prima sub-linea, le truppe tedesche, come al solito ordinatamente e rapidamente, sganciatesi dal contatto nemico abbandonarono la posizione, per trasferirsi sulla seconda sub-linea. Alle loro spalle i guastatori distruggevano qualsiasi manufatto avesse potuto accelerare od anche semplicemente tornare utile alle forze nemiche avanzanti. «Alla luce di questi fatti si pensava che nella pianura del Volturno, su tutto il fronte il lento ripiegamento sarebbe avvenuto in modo regolare, conformemente ai piani. Decisivi furono come la volta precedente, gli sviluppi d·ella situazione da ambedue i lati della zona nord del Volturno, dove nella difficile aerea montuosa, sul lato ovest, la 3• divisione americana - e un po' più trasversalmente - la 34a divisione malgrado lo spettacolo di distruzione che trovarono sul loro cammino riuscirono - grazie anche all'opera degli instancabili ed indefessi pionieri - a opporre valida resi-

54 55

56

Ibidem, p. 51. Ibidem, p. 51. M. BLUMF.NsoN, Salerno to ... cit. p . 195.


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189 /

189. Telese: Grand Hotel.

stenza al gruppo di combattimento Mauke ed alla 3• dpg. proseguendo la loro avanzata verso nord» 57 •

Il generale Vietinghoff, pur non facendo esplicitamente menzione delle sub-linee, le lascia agevolmente intendere. «II gruppo di combattimento Viebig al di là del Volturno, si stava ugualmente ritirando combattendo duramente; nella notte del 16 ottobre erano stati evacuati il settore del torrente Titerno con Faicchio, nella notte successiva anche una parte del settore che interessava le propaggini del torrente presso Gioja (2 3 sub-linea) onde poter, sino alla sera del 18 ottobre opporre resistenza nel settore occidentale ... Il programma stabilito era stato rispettato: esso aveva previsto che la difesa del Volturno sarebbe avvenuta entro il 15 o ttobre» 58 .

La durissima battaglia brevemente sintetizzata nei suoi tratti salienti tesa a sfondare la prima sublinea tedesca e le difese di monte Acero costò alle forze alleate alcune centinaia di uomini fra morti e feriti. Fu necessario nei giorni successivi, crescendo a dismisura il numero dei feriti, stabilire in zona un ospedale militare. Fu scelto il Grand Hotel delle Terme di Telese.

57

58

Memoriale von Vietinghoff, pp. 65-66. Id., p. 67.


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Distruzioni e demolizioni Le distruzioni sistematiche operate dai guastatori tedeschi che chiudevano ogni fase di ripiegamento programmato da una sub-linea ad un'altra, obbedivano a due ordini di motivazioni. La prima consisteva nella ovvi.a volontà di ostacolare al massimo l'avanzata del nemico interdicendo in tutti i modi la già scarsa viabilità. Pertanto ogni ponte per piccolo che fosse, ogni manufatto stradale, ogni opera d'arte significativa veniva fatto saltare. Analoga logica interessava la ancora più scarsa rete ferroviaria e lo sparuto materiale rotabile. Come se ciò non bastasse, dove le strade attraversavano i centri abitati - divenendo ulteriormente tortuose e strette - si attuò sistematicamente la demolizione delle case prospicienti da ambo i lati la carreggiata, onde bloccare con i cumuli di macerie, almeno temporaneamente la percorribilità. Ad attivare simili ostacoli passivi provvedevano numerosissime mine, da quelle antiuomo, schu, quasi prive di parti metalliche e quindi sfuggenti ai detector, a quelle anticarro, teller, per annientare aggiramenti fuoristrada. Vi erano inoltre abbondanti quanto fantasiosi congegni a trappola esplosiva disseminati nelle maniere più impensate. Squadre di retroguardia infirie, di pochi uomini ciascuna, con armamento leggerissimo, appostate fra le macerie e nei punti nodali completavano lo scenario che gli avanzanti pionieri dovevano a tutti i costi neutralizzare per garantire alle truppe ed ai veicoli un minimo di sicurezza viaria. La validità della procedura tedesca era notevolmente accresciuta dalle inclementi condizioni meteorologiche che negavano qualsiasi deviazione per i campi persino ai carri armati. La tacitazione dei franchi tiratori, l'individuazione delle trappole esplosive, la bonifica delle aree minate, la rimozione delle macerie e la ricostruzione sia pur approssimata dei ponti, rendevano esasperantemente guardinga e quindi lentissima l'avanzata alleata, infliggendo come corollario la maggiore aliquota di morti fra i civili, spesso persino alcuni mesi dopo la conclusione di questo periodo. Una seconda ragione, che amplificò a dismisura la prassi delle distruzioni anche a carico di strutture apparentemente prive di significato militare, si originò incrementandosi rapidamente con l'approssimarsi della cattiva stagione e con il prolungarsi della resistenza. Essa mirava a non lasciare al nemico alcun edificio suscettibile di utilizzo quale alloggio per le truppe onde privare queste nel rigido clima montano persino del minimo conforto del riposo al coperto. In ossequio a siffatta visione si sabotarono irreparabilmente oltre alle costruzioni di un certo volume, le centrali elettriche e le linee energetiche, gli acquedotti, le dighe, i depositi ed i capannoni industriali ingenerando un contesto di desolazione e di allucinante invivibilità. Il calvario delle popolazioni locali, private così di ogni supporto esistenziale, e finanche delle loro bestie dai muli alle galline - non di rado unica ed estrema risorsa - raggiunse il parossismo. La massa dei profughi riversatasi all'interno dell'altipiano, nei paesetti tagliati fuori dalla guerra determinò in essi densità inusitate ed insostenibili sotto il profilo puramente alimentare. A titolo di raffronto conclusivo riportiamo un sintetico specchietto relativo solo alle principali voci interessate dalle distruzioni. «Ai primi di Novembre il quartier generale di von Vietinghoff riferì all'O.B. Sud che fino al 7 Novembre (i genieri) avevano messo 75.127 mine nell'area della linea Bernhard ed ai suoi accessi. Dal 31 Ottobre i genieri delle ferrovie avevano compiuto le seguenti demolizioni: Ponti distrutti m. 12.210 » m. 1.830 Canali Gallerie >> m. 6.565 Strade ferrate m. 667 .000 77 Locomotive Carri ferroviari 2.043 Inoltre m. 116.300 di strada ferrata erano stati distrutti dallo 'strappa-rotaie'»59 •

59

Cfr. Lt. Col. G.W.

N1cHOLSON ,

The Canadians in ltaly, 1943-1945, Ottawa, 1966, p. 269. Trad. dott. Grazia Matera.


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L'avanzata alleata lungo il fianco occidentale del Matese Esauritasi la feroce battaglia della stretta Faicchio-monte Acero, protrattasi anche lungo le pendici del massiccio a nord del paese, gli americani potettero riavviare la loro circospetta avanzata su quel settore di fronte, rivelatosi molto più coriaceo del previsto. Ciò può essere in parte imputabile ad una loro tipica sottovalutazione tattica, per cui: «durante le prime fasi della campagna d'Italia, diedero grande importanza ai fiumi, ed erano spesso corsi d'acqua assai modesti, e non valutarono a dovere gli ostacoli montani» 60 . La loro evoluta. tecnologia trovava infatti buon gioco nel superamento dei fiumi fornendo ottimi ponti prefabbricati ed eccezionali veicolJ,anfibi, ma restava assolutamente impotente sui nudi fianchi rocciosi delle montagne appenniniche, accrescendo il disorientamento complessivo. Nella mattinata del 17 raggiungevano Gioia Sannitica, poco dopo che i guastatori tedeschi espletato il loro compito l'avevano evacuata, lasciandosi alle spalle ingenti distruzioni. Molti edifici, fra i quali il comune, la stazione dei carabinieri, le scuole e persino la farmacia, ardevano furiosamente. Il piccolo centro beneventano, a non più di un paio di ore di marcia da Piedimonte Matese, si trovava per sua disgrazia ad immediato ridosso della 2a sub-linea, che implicando una nuova battuta d'arresto alle forze attaccanti decretava automaticamente maggiori devastazioni e lutti. I combattimenti si protrassero per tutta la restante giornata e per buona parte di quella successiva, prima che i tedeschi si decidessero in adempimento delle loro tabelle programmatiche a sganciarsi abbandonando le posizioni, peraltro ormai insostenibili, consentendo perciò un altro piccolo, esasperante, avanzamento alleato. Ritardi cli pochi giorni, ottenuti a prezzo di una guerriglia fanatica, sembrerebbero in prima analisi risultati insignificanti, ma bisogna pur sempre ricordare che a bloccare le divisioni americane erano sparute pattuglie tedesche, che amplificavano in tal modo a dismisura la loro reale potenzialità militare, senza contare che ogni fase di resistenza non cessava per sfondamento o sopraffazione, e quindi i tempi di validità di questa vanno commensurati a tale ottica. E mentre gli alleati si accingevano a superare la 2 a sub-linea, poco innanzi, a Piedimonte Matese, il piano di distruzioni si attuava a ritmo serrato, esplicitando una volta di più la volontà di cancellare non solo la viabilità ma la stessa vivibilità a qualsiasi livello . «Dal 15 al 19 i giorni del terrore. Il 15 salta in aria la condotta della S.M.E., e alle 12,10 c'è bombardamento alleato a Sepicciano ov'erano agglomerate autoblinde e macchine tedesche: 6 morti. Il 16 è distrutta la centralina e la turbina del cotonificio, e verso sera scoppia parte della condotta forzata della centrale elettrica, ed è dato alle fiamme il palazzo Merolla. Il 17 viene incendiato il palazzo ducale ... ed alle 15 con uno scoppio orrendo salta in aria la centrale elettrica. In serata comincia il cannoneggiamento alleato dal territorio di Faicchio ... Al mattino del 19, cli martedì, vengono appiccati altri incendi, sono distrutti tutti i ponti: 5 sul Torano, 2 sulla via Sannitica, (il 17 quelli sulla via del Matese) ... 2 sul Toranello, ... e tutte le case del centro ... Verso 1e 9, l'enorme fabbricato del cotonificio si solleva e scompare nel fuoco con uno scoppio che sembra una scossa di terremoto. Gli ultimi guastatori lasciano il paese verso le 11.. .» 61 . L'interregno dura circa cinque ore. Intorno alle 16 le avanguardie americane della 45a divisione provenienti da S. Potito raggiungono la cittadina. Poco prima, nella mattinata, pattuglie della 34a divisione erano entrate in Alife, desertificata dai bombardamenti al suo centro abitato, che per inciso subiva la devastazione per l'ottava volta nel corso degli ultimi ventiquattro secoli di esistenza62 , occupandola. Così la cronaca militare dell'avvenimento: «Le avanguardie della la comp. del I 35° fanteria cominciarono il loro attraversamento del Volturno alle 02.30 della mattina del I9 ottobre. Esse non incontrarono alcuna opposizione mentre sci-

60

L. M0 ND1N 1, in S1oria della Seconda Guerra Mondiale, ... cit. p. 4 17. 61 D. MARRocco, La guerra nel ... cit. p. 179. 62 Id. , pp. 136-137.


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190

190. Gioja Sannitica: il Castello . 191. Gioja Sannitica: torre del castello. 192. Gioja Sannitica: l'abitato.

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193 193. Piedimonte Matese. /

volavano verso le basse rive e guadavano attraversando l'acqua ghiacciata verso il piano sull'opposto lato. Il rimanente del 3° btg. attraversò dopo Io spuntar del giorno e prese posizione sulla strada per Alife. Durante il giorno, pattuglie entrarono nella antica città cinta di mura e la trovarono piena di mine e di trappole esplosive. Il ponte sul rapido torrente di montagna (Torano) era demolito. Le strade erano ricoperte di macerie, poiché la città era stata colpita con buoni risultati dai B. 25 della Forza di bombardamento tattico» 63 • Da lì alcune unità utilizzando per quanto possibile la statale n ° I 58 diressero verso Piedimonte, dove si ricongiunsero con i reparti della 45 a . Quest'ultima divisione poi, essendo in linea ininterrottamente dall'8 settembre, ed avendo come obiettivo specifico l'occupazione di Piedimonte Matese, una volta insediatasi ebbe l'assegnazione in riserva. Da quel momento l'onere dell'avanzata ricadde interamente sulla 34a, che superata la 3a sub-linea doveva inoltrandosi verso nord confrontarsi con la 4a, restando però nel corso della manovra esposta con il suo fianco destro alla nuova direttrice difensiva adottata dai tedeschi, originata, come accennato dalla rotazione della 3 a sub-linea sulle alture pedemontane di S. Angelo di Alife-Raviscanina, anch'esse antiche fortezze sannite. Come se non bastasse l'avanzata alleata doveva avvenire passando da un terreno alluvionale, quello della piana di Alife, ad uno progressivamente più montuoso, con una crescente difficoltà, che giustificava pienamente gli sforzi dei guastatori tedeschi tesi ad interrompere qualsiasi viabilità valliva. Sembrerebbe infatti incredibile che in aree pianeggianti la demolizione dei ponti e delle opere d'ar te rendesse aleatoria la marcia dei veicoli militari ed anche dei carri armati, ma la situazione era proprio quella a causa delle più volte ricordate pessime condizioni atmosferiche.

63

Military Tntelligence Division, From the Volturno ... cit. pp. 71 -72.


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194 194. Piedirnonte Matese: distruzione della Centrale Elettrica - 17/10/'43 (fot. A.S.M.V.).

«II fango bloccava i veicoli pesanti degli alleati, e tutto ciò di cui i soldati avevano bisogno acqua, viveri, munizioni - doveva essere portato su per la montagna a dorso di mulo o a spalla . Il fango faceva scivolare e cadere, e qualche volta anche morire i soldati che si arrampicavano sotto il fuoco ... Nelle montagne italiane americani e britannici avevano riscoperto i muli. Soltanto questi animali erano forti e resistenti e i loro zoccoli erano sicuri quanto bastava per trasportare rifornimenti dalle strade dove i veicoli si erano impantanati, fino alle posizioni in montagna dove i soldati combattevano·. Gli alleati rastrellarono i muli in tutta l 'ltalia meridionale e anche tutti coloro che se ne intendevano, sia fra le loro truppe sia fra i civili italiani. Un mulo poteva portare settanta chili di carico, (spesso anche più di un quintale n.d.A.), ma una parte doveva servire a lui, otto chili di foraggio e da trenta a quaranta litri di acqua al giorno. Erano bestie penosamente vulnerabili al tiro nemico: non sapevano nascondersi e sotto il fuoco venivano prese dal panico e spesso scartavano dai sentieri finendo nei burroni. Ogni tanto restavano fuori uso per mancanza di chiodi e di some, e di tanto in tanto i loro zoccoli taglienti tranciavano i cavi dei telefoni militari stesi lungo o attraverso i sentieri. Ma la guerra in montagna, senza muli non avrebbe potuto essere combattuta» 64 . Agli inizi di novembre si contavano in servizio presso gli alleati oltre 2000 muli, ed erano destinati ad aumentare ancora notevolmente! Con i tedeschi arroccati nelle antiche fortezze sannite e gli alleati che cercavano in tutti i modi di sloggiarveli, servendosi per l'appoggio logistico di interminabili carovane di muli, la guerra intorno al Matese con il sopraggiungere dell'inverno somigliava sempre di più all'epopea sannita: cambiava, e di molto, soltanto la colonna sonora, caratterizzata dai sinistri singhiozzi dei nebelwefer!

64

D. 1-l,\Pcooo-D.

R1CHAIH>SON,

Montecassino ... cit. p. 88.


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195 196

I 95. Piedimonte Matese: distruzione tedesca del Centro (fot. A.S.M.V.). I 96. "Travaglio" per ferrare i muli.

La guerra sul versante orientale del Matese «Scontratasi con l'ala destra della 45" divisione in avanzata, la 26" dpg. aveva iniziato lentamente il ripiegamento (sino all'l l ottobre). Dopo questa data si dovette separare dal gruppo di combattimento Viebig che passò al XIV p.K. (la linea difensiva tedesca in seguito all'arretramento era stata spezzata dal Matese n.d.A.) e, da ambedue i lati della strada 87, aggregarsi alla 29a d.p.g. la cui ala destra aveva ceduto proprio in quel giorno S. Croce del Sannio alla 1a divisione canadese. L'ordine di ripiegamento, impartito la sera del 12 ottobre dal LXXVI p.k. alla divisione contemplava, a


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scopi difensivi l'approntamento del settore del Biferno da ambedue i lati di Bojano. Mantenendo delle retroguardie assai consistenti, la sera del 15 ottobre i reggimenti ripiegarono in questa posizione, seguiti lentamente dal nemico che stava respingendo - e ciò sino al 18 ottobre - le retroguardie verso gli avamposti. La sera dello stesso giorno il comandante del gruppo di combattimento Viebig raggiunse la prima divisione. Il reparto esplorante (di ricognizione) rimase a Gallo Matese e a nordovest di detta località per assicurare la copertura al fianco destro. I giorni successivi furono assai tranquilli; ci si adoperò per migliorare e potenziare le nostre posizioni»65 •

Dall'altra parte dello schieramento gli ultimi giorni avevano visto un progressivo irrigidirsi della difesa, specie nel settore dei canadesi. «Quando, durante la 3 a settimana di ottobre, la 1a Divisione canadese cominciò a riorganizzarsi nell'area di Campobasso, si era supposto che il nemico avrebbe continuato a ritirarsi attraverso il Biferno, e che l'occupazione della mezza dozzina di paesetti tra la statale 87 e il fiume avrebbe potuto essere affidata alla forza di pattuglie. Ma fu ben presto chiaro che né la 26 3 p.d. né la 29a dpg. intendevano abbandonare senza combattere la loro linea di avamposti a est del fiume, poiché da questi avrebbero potuto far cadere nell'area di Campobasso e Vinchiaturo, tanto il fuoco del mortaio quanto quello dell'artiglieria. Gli eventi infatti dimostrarono che la cacciata del nemico da alcune di queste posizioni doveva essere compito di una compagnia almeno, quando non addirittura di un battaglione. Un posto di osservazione sulla Rocca di Campobasso forniva una larga veduta, circa 20 miglia, del fronte canadese. A meno di 4 miglia a ovest un gruppo di case bianche su di un'altura sovrastante la gola del Biferno indicavano il paese di Oratino, che dominava la tortuosa strada, che va da Campobasso a Castropignano, sulla riva sinistra. A nord di Oratino i tedeschi occupavano Santo Stefano e Montagano, due paesi che si trovavano tra basse colline ondulate che degradavano verso il fiume. A sud-ovest di Campobasso l'intera campagna tra la statale 87 ed il Biferno era dominata da monte Vairano (da noi supposto come sito dell'antica Aquilonia sannita n.d.A.) che da un'altezza di 1500 piedi sul fiume. incombeva sul lato occidentale di Busso e Baranello, 2 miglia a sud. Da Baranello la linea delle posizioni avanzate del nemico si estendeva a sud attraverso la statale 17 verso Guardiaregia, alta e difesa dalle pendici del grande Matese che riempiva l'orizzonte sud-occidentale» 66 . Gli scontri divampavano nelle giornate seguenti proprio per la conquista di questi piccoli paesi, lasciando facilmente intuire l'ulteriore inasprimento della lotta. Il 19 capitolò Baranello e Busso; l'indomani, il 20 fu la volta di Oratino e Santo Stefano. «Mentre queste operazioni avevano luogo, sull'estremo fianco sinistro la Carleton le Yorks avevano cominciato l'azione di bonifica della statale 17 fino a Bojano. Ciò comportò la liberazione di Guardiaregia e dei paesini limitrofi, Campochiaro e San Polo Matese, i quali aderenti all'enorme parete del Matese come nidi di rondine, dominavano lo stretto piano attraverso il quale la statale correva a occidente di Vinchiaturo. La mutua inaccessibilità di questi piccoli abitati di montagna si aggiungeva alle difficoltà di Carletons, il quale non poteva usare gli approcci laterali dalla suddetta strada a causa del continuo fuoco nemico . Guardiaregia fu occupata senza resistenza il 18 ottobre, e mentre i distaccamenti di fanteria saggiavano il terreno lungo l'orlo della montagna uno squadrone di carri armati Ontario diede un significativo aiuto, offrendosi appunto da posizioni estremamente esposte del piano, opportunità di bersagli. Il 20 gli uomini del ten. col. Pangman's dispersero gli avamposti tedeschi lungo il torrente Quirino, un piccolo tributario del Biferno, e la mattina seguente le compagnie A e C attaccarono e liberarono Campochiaro. Ciò che rimaneva del compito di Carleton fu completato sotto il comando della seconda brigata che aveva cominciato le operazioni contro postazioni tedesche sulla r iva sinistra del Biferno . La mattina del 23 la compagnia D si spinse verso San Polo ed in un combattimento di tutto un giorno costrinse i granatieri corazzati a sloggiare dall'ultimo dei loro punti vantaggiosi, a sud della

65 Memoriale von Vietinghoff, p. 67. 66 Lt. Col. G.W.L. N1cHotsoN, The Canadians ... ci t. p. 256.


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197 197. S. Polo Matese: panoramica.

statale n° 17» 67 • Non era certamente sfuggito ai tedeschi che gli alleati andavano continuamente rinforzandosi e riorganizzandosi in vista della spallata definitiva contro la linea del Biferno. In merito von Vietinghoff ne delinea una credibile testimonianza diretta. «Dalle indagini effettuate dai reparti di ricognizione aerea emerse che la VIII armata britannica stava procedendo ad un nuovo raggruppamento delle forze preparandole ad un'altra offensiva, che ebbe inizio presso la 26" pd., nelle prime ore del 23 ottobre su tutto il fronte, con centro tattico presso Colle d' Anchise e Casalciprano. La prima divisione canadese riuscì a sfondare ed a moltiplicare le proprie azioni di penetrazione malgrado l'intervento dei nostri carri armati» 6s.

Sul versante adriatico l'inverno è forse ancora più rigido di quello sul tirrenico, e particolarmente piovoso. La manovra aggirante prefissata per !'VIII armata doveva pertanto effettuarsi necessariamente nelle poche settimane autunnali che ancora rimanevano, e: «in quel momento stavano già cadendo piogge fredde e torrenziali che inzuppavano fi no al midollo quegli uomini abituati al clima del deserto e trasformavano i campi in fangose paludi che ostacolavano l'avanzata ... Le pessime condizioni atmosferiche resero vani i tentativi di attacco degli alleati, e la successiva azione decisiva in quel settore ebbe luogo alla fine di ottobre, quando i canadesi della 5 a divisione britannica strapparono Cantalupa alla 26a Panzerdivisionen. Era soprattutto in questa zona montuosa che diventava un'im-

67 68

Ibidem, p. 258. Memoriale von Vietinghoff, p. 70.


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198. S. Angelo d'Alife: panoramica.

prescindibile necessità ripararsi dalla pioggia e dal freddo, e i tedeschi rendendosi conto dell'importanza di questo fattore, man mano che si ritiravano distruggevano tutto ciò che nei villaggi avrebbe potuto essere utilizzato come rifugio» 69 • «Finalmente il 24 ottobre, tutte le compagnie si unirono in un attacco contro Bojano. Esse virtualmente non incontrarono alcuna resistenza. Bojano, aggomitolata ai piedi del Matese vicino alla strada che passa sopra alle sorgenti del Biferno, era stata sotto il fuoco della nostra artiglieria per giorni ed era stata bombardata due volte nella settimana precedente dall'Air Force Desert ... La spedizione di Carletons nelle montagne creò un ulteriore problema insolitamente complicato. Reparti di pionieri avevano dovuto costruire una strada volta verso occidente da San Giuliano , basandola sulle rovine di un'antica strada romana. Nonostante gli sforzi di carovane di muli e l'uso di tutte le jeeps disponibili, per le truppe di avanguardia l'approvvigionamento di razioni e munizioni, e persino di materiale medico, fu sempre difficile e spesso impossibile»70 •

69

J.

70

Lt. Col.

VAOER,

Allraverso il Sangro, in Storia della Seconda Guerra Mondiale ... cit. pp. 289-290. The Canadians .. . cit. p. 258.

G.\111 .L. N1cHOLSON,


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199 /

199. S. Angelo d'Alife: centro urbano.

Verso S. Angelo-Raviscanina «Il 20 ottobre presero il via, ad est del fiume (Volturno) nuovi scontri. Trovarono scarsa resistenza, poiché il gruppo di combattimento Viebig era ritornato presso la propria divisione, lasciando in quel luogo soltanto alcuni resti del 26° btg. di ricognizione, mentre la 3 • pdg. era riuscita a far attraversare il fiume ad alcune unità di un reggimento. Intorno a S. Angelo d' Alife ed a Raviscanina si combatté strenuamente; ambedue le località vennero cedute al nemico nella notte del 23/24 ottobre»7 1 • •.

L'avanzata della 34a divisione americana l'aveva infatti portata ad imbattersi dopo breve tempo nella nuova dislocazione difensiva della 3 a sub-linea tedesca, saldamente ancorata alle alture di S. Angelo e Raviscanina. Il contatto di fuoco si stabilì nella tarda mattinata del giorno 20, allorché alcuni battaglioni della divisione, fidando nelle tenebre e nella persistente ed abituale nebbia della piana del Volturno, stavano alacremente avanzando verso le propaggini del massiccio, in direzione nord, per scacciarne i tedeschi.

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Memoriale von Vietinghoff, p. 69.


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Disgraziatamente per loro con il procedere del giorno: «la nebbia inaspettatamente si alzò durante la metà mattina, ed il 1 ° btg. fu sorpreso nell'aperta pianura a sud-ovest della città (di Alife). Il nemico dalle colline (pendici del Matese) immediatamente sovrastanti riversò il fuoco della fucileria e delle mitragliatrici sugli uomini, raggiungendoli ed inchiodandoli. Fino a che si fece buio il battaglione ricevette un nu trito fu oco di artiglieria e subì anche per la prima volta i tiri del nebelwefer» 72 • Tuttavia il fianco della divisione a destra era alquanto sicuro ed essa potette con il favore delle tenebre riprendere l'avanzata verso Capriati al Volturno. «Il principale sforzo della 34a divisione verso il lato nord-est del Volturno (ovvero contro la linea difensiva pedemontana tedesca) fu iniziato dal 133 ° fanteria. La strada da percorrere andava da Alvignano ad Alife e poi piegava a nord-ovest sulla fertile piana coltivata alla base di S. Angelo d' Alife, Raviscanina e Ailano, paesi che si abbarbicano alle pendici della catena montana del Matese. Questa strada nella valle si snoda approssimativamente parallela al Volturno, sul lato nord-est dello stesso, per unirsi con la statale 85. Strade minori si diramano lateralmente ad essa per raggiungere i paesetti sulle alture inferiori della massa montuosa. Il pomeriggio del 20 ottobre, il col. Fountain ordinò al 133° fanteria di avanzare contro S. Angelo d' Alife ... (ed) avvertì i comandanti del suo battaglione che avrebbero dovuto aspettarsi una forte reazione tedesca per quella notte e li istruì affinché non lasciassero che i loro uomini fossero sorpresi in aperto terreno alla luce dell'al ba. L'artiglieria aprì il fuoco prima delle 18.00, ed il rombo dei proietti che esplodevano nelle posizioni nemiche faceva riecheggiare l'intera vallata, allorché i primi reparti affrontarono l'avanzata»73 • La reazione tedesca violentissima sin dal mattino si inasprì ulteriormente, e fu soltanto, come accennato, verso sera, con la fitta oscurità che la situazione americana mostrò un significativo miglioramento, peraltro di breve durata . Infatti intorno alla mezzanotte per la diminuita distanza il tiro tedesco tornò a farsi micidiale. «II 100 btg. (quello dei giapponesi) fece un notevole progresso nella prima parte della serata del 20 ottobre, ma fu preso dal tiro incrociato delle mitragliatrici verso mezzanotte. Le postazioni nemiche sulle pendici del massiccio erano estremamente difficili da localizzare, con il risultato che il fuoco dei mortai diretto contro le stesse risultava del tutto inefficace. Il 100° btg. si sbandò ed al 1 ° btg. fu allora ordinato di muovere verso destra e di avanzare lungo la strada inferiore. Al 3 ° btg. che aveva seguito il 1° fu invece ordinato di puntare lungo la strada più alta direttamente verso S. Angelo d'Alife.» 7 4 • I tedeschi dovendo, come per l'innanzi, sfruttare al massimo la nuova dislocazione difensiva prima di abbandonarla per ritardare l'avanzata alleata, fecero intervenire nello scontro tutte le forze disponibili. Parimenti dall'altra parte dello schieramento, constatata la tenacia della resistenza si ritenne indispensabile far schierare a distanza balistica utile il 125 ° ed il 151 ° btg. di artiglieria campale. Questi perciò dopo l'attraversamento notturno del fiume, furono in grado alle 10.41 del 21 ottobre di aprire un nutritissimo fuoco contro le postazioni tedesche, fuoco che sostennero per circa venti minuti, fino al completo esaurimento delle munizioni, ben 1134 proietti. Nonostante ciò la fanteria non riuscì a riprendere l'iniziativa e per di più i suoi uomini pateticamente esposti, si sbandarono sulla piana sparpagliandosi nel disperato tentativo di sottrarsi alle armi automatiche tedesche che li falcidiavano dai sovrastanti uliveti. Come se non bastasse nel primo pomeriggio di quello stesso giorno vennero avvistati 14 carri armati che procedevano minacciosamente tra i salici, nei pressi del fiume. Prefigurandosi il peggio i fanti alleati si affrettarono a scavarsi delle trincee, mentre la loro artiglieria divisionale intervenne con periodiche scariche, protrattesi per le successive quattro ore, al fine di neutralizzare i carri, non appena erano localizzati con sufficiente precisione. Allo scopo il 125° btg. art. camp. si avvalse anche di un osservatore aereo che volteggiando sopra la zona della battaglia, ne dirigeva la punteria delle batterie. Il positivo risultato alla fine non mancò

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73 74

Military Intelligence Division, From the Voliurno ... ciL p. 72. Id., pp. 72-73. Id., p. 73.


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200. Raviscanina: panoramica.

e sotto una grandine di oltre 700 proietti, quattro carri apparvero danneggiati, un quinto - centrato in pieno - immobi lizzato ed i restanti volti in fuga : disgraziatamente il prezzo in uomini pagato dal 133° fu molto alto. Al calar delle tenebre fu giocoforza retrocedere dalle insostenibili posizioni raggiunte, cosa che riuscì soltanto al 100° ed al 3 ° btg., mentre il 1° rimase ancora in aperta campagna. Nel corso della notte i tedeschi non contrattaccarono, ma iniziarono invece l'abbandono della sub-linea, e nella nebbiosa mattina del 22 il 133 ° riprovò l'avvicinamento, stabilendo progressivamente degli avamposti, dai quali secondo la sua tabella di marcia all'alba del 23, sarebbe dovuto scattare l'assalto mirante alla conquista di S. Angelo e di Raviscanina. Con il procedere delle ore gli scontri si intensificarono, pur essendo scemati i difensori, e l'asprezza della battaglia frustrò gli sforzi del 100° e del 3° btg., bloccati ancora una volta dal micidiale tiro incrociato delle mitragliatrici. Nuovamente comparvero i carri, che inflissero ulteriori significative perdite al 100° btg. e soltanto a fatica alla fine vennero respinti. La retroguardia tedesca con la sua strenua resistenza mantenne pertanto la linea per l'intera giornata, ad onta dell'incessante fuoco martellante dell'artiglieria alleata e dei mortai, che periodicamente sembravano tacitarla. Si riscontra in tale risultato una riprova della sagace scelta delle ubicazioni delle postazioni e della validità fortificatoria dei muriccioli in pietre a secco che proteggevano i nuclei di fuoco ed i caposaldi, di per sé sempre di insignificante dimensione. L'assalto dovette perciò riproporsi alla fanteria all'alba del 24, ma allorché il 100° btg. pervenne a S. Angelo, penetrando cautamente negli stretti vicoli del paesino, si accorse che i tedeschi - come al solito - si erano già dileguati nella notte, avendo esaurita la prefissata resistenza. Unico nemico


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I 201. Raviscanina: la chiesa bombardata (fot. A.S.M. V.).

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rimasto, implacabile ed insidioso, era rappresentato dalle altrettanto abituali numerosissime mine e trappole esplosive che imposero un'estrema cautela nella presa di possesso dell'abitato. Anche la cima sovrastante Raviscanina, nobilitata dalle rovine pittoresche di un castello medievale, a loro volta insediate su quelle molto più antiche di una fortezza sannita, venne occupata nel corso della stessa giornata. «S . Angelo d' Alife e le sue propaggini erano conquistate, ma il combattimento protrattosi per quattro giorni e quattro notti costò al 133 ° fanteria 59 morti e 148 feriti» 75 • Gli alleati si trovarono a quel punto innanzi alla 4a sub-linea.

L'avanzata verso Capriati al Volturno Il successivo obiettivo della 34a divisione era l'altipiano intorno ad Ailano e quindi monte Cavuto, mentre la 3 a divisione avanzando più ad occidente stava preparandosi ad attraversare la piana diretta verso la stretta di Mignano. L'azione iniziò nel pomeriggio del 25 ottobre ad opera del 135° fanteria avvicendato al 133 ° alla testa della divisione proprio eia S. Angelo. Secondo i piani il suo 3° btg. dopo aver superato i pendii pedemontani del massiccio e doppiato Ailano, avrebbe dovuto tagliqre la strada che da esso conduce a Valle Agricola, mentre contemporaneamente il 2° btg . transitando a sud di Ailano, avrebbe a sua volta dovuto dirigersi lungo la piana in modo di assestare un poderoso colpo alla linea tedesca. Sfruttando il vantaggio dell'oscurità il 3° btg. marciò nella notte ciel 25/26 scavalcando le colline a nord di Raviscanina, prendendo così contatto con la 4a sub-linea tedesca. Onde agevolare al massimo la sua dura impresa già dalle 5.30 l'artiglieria divisionale alleata aveva aperto il fuoco di preparazione, con un incremento progressivo di gittata di circa I 00 metri ogni 6 minuti, col preciso intento di spazzare il terreno dinanzi ai propri uomini. Il 185° btg. art. camp. da solo nel corso di due ore sparò oltre 800 granate . Ma per la nebbiosa oscurità che regnava nella piana più in basso il 2° btg. non fu in grado di mantenere l'esatta direzione, derivando di diverse centinaia di metri , con il risultato di ritrovarsi alle 6.05 troppo lontano dall'altro battaglione per poter sperare di assestare un significativo urto alle difese nemiche: peggio ancora le loro forze risultavano così pericolosamente divise. Il 3° btg., proseguì come concertato la sua missione ed attraverso i boschi raggiunse i suoi obiettivi, grazie anche ad una stranamente debole difesa nemica, occupando non solo la predetta strada ma pure la collina di monte Cimogna, al di là quindi della 4a sub-linea e quasi a ridosso della 5a. Per il 2° btg. invece la situazione si era fatta altamente drammatica. Diradatasi la nebbia nella tarda mattinata, i suoi uomini furono immediatamente presi sotto un micidiale fuoco di mitragliatrici proveniente dalla collina di Cerrito a quota 235, che li inchiodò inesorabilmente, stroncando ogni velleità di ulteriore avanzata. Inutili i reiterati sforzi espletati nel corso dell'intera mattinata, tesi ad aver ragione del nemico: ad essi si associò persino la comp. A del 2° btg. Chimico che sottopose la coriacea collina, innalzantesi appena di una trentina di metri sopra la piana, ad un furioso quanto inconcludente bombardamento. La fanteria restava bloccata. I contorni dello scontro assunsero connotazioni così violente ed esasperate da far salire sull'osservatorio istallato dagli alleati sui ruderi del castello di Raviscanina lo stesso generale Clark accompagnato da Lucas, per acquisire diretti elementi di valutazione circa il da farsi. Fu deciso pertanto, d'accordo con il generale Ryder di aggregare al martoriato 2° btg. una compagnia di carri del 191 ° btg., per annientare una volta per tutte le difese tedesche, a partire dalle prime ore della mattinata successiva, quella del 27 ottobre. La manovra concertata, implicante l'appoggio dei carri si sarebbe dovuta avviare alle 5 .30, ma le ormai persistenti pessime condizioni atmosferiche e quindi del terreno non consentirono ai carri di operare con puntualità, e obbligarono perciò ad un congruo rinvio.

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Tbidem , p. 75.


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I tedeschi valutata la situazione cli vantaggio stabilitasi migliorarono per quanto possibile le loro posizioni e quando finalmente tre sparuti carri americani comparvero a tiro non dovettero faticare eccessivamente per metterli fuori combattimento. Il primo infatti saltò su di una mina, il secondo sì capovolse ed il terzo fu centrato dall'artiglieria. A dar man forte alle invisibili postazioni tedesche mimetizzate nella boscaglia contribuivano una decina di loro carri, che da una linea più arretrata, comportandosi come una normale artiglieria, facevano piovere le loro granate sui malconci fanti americani. Ancora verso mezzogiorno di quel 27 si programmò un altro sforzo disperato, ma il sopraggiungere di 12 carri tedeschi lo annientò sul nascere. La resistenza tedesca sulla collina cli quota 235, sostenuta da pochi elementi dell'8° rgt. p.g. si esaurì nella tarda serata del 27, e nel corso della notte ordinatamente come sempre le retroguardie si trasferirono sulla 5a sub-linea, presidiando le fortissime posizioni di monte Cavuto e Pratella alle spalle di Ailano. <<Si riuscì ancora una volta, verso ovest a ritardare l'avanzata americana; nella notte del 28 settembre si ripiegò dietro il fiume Lete» 76 •

Dalle scarne parole del generale von Vietinghoff è facile tuttavia arguire che la 5a sub-linea era in concreto molto più complessa ed articolata delle precedenti e notevolmente più larga arrivando oltre il Lete. L'importanza militare della zona di Pratella era nota dall'epoca dei Sanniti i quali dedicarono a quelle alture una particolare attenzione. Logicamente la natura dei luoghi estremamente propizia alla difesa non sfuggì ai tedeschi, che li inserirono nella loro 5 a sub-linea. Ma non era sfuggita nemmeno agli americani che ormai avevano capito a perfezione la logica ritardante del tenace avversario . Essi perciò: «sottoposero quel territorio ad un fuoco continuo: 11 bombardamenti con sganciamento di 200 bombe ... e dal 19, iniziarono il loro martellamento, che culminò con quello del 24, giorno in cui cominciò il cannoneggiamento. Gli Americani tirarono fino al 28, i Tedeschi risposero fino al 31. Gli Alleati avanzavano lentamente verso monte Cavuto, a sud- est, dopo violenti bombardamenti. Ma gli avversari avevano studiato il terreno. Il cap. Haen, che si era tanto distinto a Faicchio, prese il comando del 103° reparto corazzato. Fu lui a disporre la sua artiglieria ... in tutto 25 pezzi in modo da concentrare il fuoco su qualunque punto dell'esteso settore affidatogli . . . A questo punto notiamo sulla carta che i Tedeschi avevano formato una doppia linea di difesa del loro fronte: una antistante, dove si combatteva, intorno a Pratella, monte Cavuto (m . 633), colle Pizzuto (m. 311), margine Est di Prata (riva sinistra del Lete) e una retrostante (di tutta la 3 Div. tedesca) dalla pianura di Vairano-Presenzano al Volturno, al Sava, alle montagne di Gallo. Si insisteva molto sulla prima linea, in quanto il cedimento di Pratella avrebbe portato i Tedeschi sulla linea retrostante, un fronte allungato di ben 16 chilometri. E siccome le loro forze si erano assottigliate (alcuni battaglioni erano stati ritirati n.d.A .) ne veniva che la linea di difesa perdeva la continuità, e si riduceva a capisaldi . Nei vuoti già si stava introducendo la 34a amer. a Sud, e il 504 Btg. Paracadutisti a Nord. Tra il 28 e il 29, qualche aiuto fu portato, e la sera del 28, 3° e 4° del 103 A.A. Pz occuparono il settore del 2 Btg. (8 Rtg.), del quale solo la 6 Comp. di Von Gottesberge era impegnata. Rimediando così, nel pomeriggio del 29 respinsero due compagnie americane che attaccavano Prata .. . Ma il numero è numero. Il 30, gli Americani hanno aggirato e sorpassato Pratella , e son saliti su tre montagne ad Ovest: Cavuto (m . 660), Cappella (m . 722), Cupone (m. 717); la 6 Comp. dell'8 Rgt. non ha potuto fermarli. Ormai hanno sotto di sé Mastrati e Torre Umberto, e i loro sguardi (e i tiri) si spingono fino a Venafro e a Sesto. Il pericolo per i Tedeschi è grave. Lo sfondamento al centro (Torcino-Mastrati) determinerà l'immediato abbandono di Prata e Capriati. .. ma ad evitare l'aggiramento i Tedeschi si ritirano 2 chilo-

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Memoriale von Vietinghoff, p. 69.


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202 202. Dopo il Matese (fot. A.S.M.V.).

metri più a Nord, a valle dei Londri ... Prata passa in mano americana per un attacco combinato. Ha deciso la pressione dal basso Lete, ma ha influito anche chi è disceso da Valle Agricola. Nello stesso giorno, il 133° e 168°, non si fermano ma subito avanzano verso il basso Sava»77 • «Per proteggere il fianco sinistro della divisione, il 133 ° fanteria si arrampicò sulle erte montagne coperte di boscaglie ed occupò Ciorlano, un paesino abbarbicato alle pendici terrazzate della collina La Croce. Il 168° fanteria occupò a sua volta Fontegreca e si diresse verso Capriati al Volturno. Durante i successivi due giorni la 34 a divisione spinse le rimanenti forze nemiche a nord-ovest verso la statale 85. Per continuare il piano la divisione avrebbe dovuto effettuare un terzo attraversamento del fiume Volturno» 78 • Così la scarna cronaca ufficiale del superamento della micidiale 5 a sub-linea, nella sua fase conclusiva. Restava da compiere un ultimo sforzo per lasciarsi alle spalle il Matese ed attaccare la quasi ultimata linea B.

77 D. MARRocco, La guerra sul ... cit. p. 87. 78 Military lntelligence Dìvision, From ihe Voi/umo ... p. 79.


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203 203. Cimitero Militare Venatro (fot. A.S.M. V.).

La 6 3 sub-linea proprio per essere ad estremo ridosso con la linea B non presentava caratteristiche di omogeneità, come le precedenti ma era costituita più che altro da una serie di caposaldi alquanto disarticolati fra di loro, con la solita funzione di permettere un'ulteriore anche se breve resistenza. Scrisse al riguardo nelle sue memorie il generale Kesserling: « ... (disposi) allora che la linea Reinardt venisse posta per il I novembre in stato di difesa. Avevo molta fiducia in quella linea che la configurazione del terreno rendeva assai forte, e speravo di poterla mantenere a lungo, per aver tempo di fortificare la linea Gustav» 79 • «Per occupare Venafro (e quindi superare l'ultima sub-linea) era necessario attraversare nuovamente il Volturno. La 45a divisione americana raggiunse la zona e, unitamente alla 34a americana, la notte del 2 novembre mandò alcuni uomtni a guadare il fiume, le cui acque erano in quel punto abbastanza basse. Aprendosi la via attraverso un numero incredibile di mine e di trappole esplosive, gli americani raggiunsero l'obiettivo, e si inoltrarono poi in una zona desolata, virtualmente impraticabile e ricoperta di picchi frastagliati e strapiombi, combattendo duramente fin quasi al limite delle forze e subendo gravi perdite tanto ad opera del nemico quanto per la prolungata permanenza sotto la pioggia e il freddo. Sul fianco destro il DIV battaglione fanteria paracadutisti americano effettuò azioni di pattugliamento su montagne quasi insuperabili - spesso per comunicare era necessario ricorrere ai piccioni viaggiatori, e talvolta viveri e munizioni venivano fatti passare attraverso le gole per mezzo di improvvisate teleferiche - ed entrò infine a Isernia. » 80 •

79 80

A. KESSERLING, 1\1emorie p. 206. Military Intelligence Division, Front the Volturno ... cit.


270

Dai sanniti all'esercito italiano

205 204. Cimitero Militare di Venafro (fot. A.S.M.V.) . 205. Cimitero prov<',isorio francese (fot. A.S.M. V.). 206. Idem - dettaglio (fot. A.S.M.V.).

Il Matese superato così sia lungo il suo fronte tirrenico, sia lungo quello adriatico, usciva quel giorno dalla storia militare. Appena un mese dopo il I Raggruppamento motorizzato del rinascente Esercito Italiano pr;endeva · posizione presso Mignano, ad immediato ridosso del Matese.


IL MATESE OGGI


(

207

208 207. 208.

li lago del Matese al tramonto (foto A. Pascale) Il lago artificiale di Letino


209

210

209. 210.

Monte Acero visto dal Titerno Convento di S. Pasquale · Faicchio


211

211.

Murazioni sannite su monte Acero

212

212.

Gola di Lavello tra Cerreto Sannita e Cusano Mutri (foto A. P ascale)


...

213

214

2 I 3. 2 14.

Ponte cli Annibale (foto A. Pascale) Protoponte cli Lavello-Cusano Mutri (foto A. Pascale)


215

216 215. 216.

Villaggio di Mastramici - Pietraroja (BN) Villaggio di Mastramici - Pietraroja


217

218

217. 218.

Villaggio cli Mastramici - P ìetraroja La Rocca cli Morcone


219 220

221

, •

219. 220. 221.

Sepino - Terrnvecchia: la posterla del Matese Casale in territorio di Cusano Mutri Dettaglio delle sue feritoie antibrigantesche


222

223

222. 223.

Civita di Boiano: panoramica Pietrabbondante (CB): panoramica


224

225 224. 225.

Pielrabbondante: particolare del tealro Pietrabbonclanle: dettaglio di muro in opera poligonale


226

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-.......,. 227

226. 227.

Telesia: dettaglio cortina concava Sepino romana: il teatro


228

229 228. 229.

Sepino romana: una casa colonica Regno delle Due Sicilie (racc. V. Maturo)


230

231

230. 231.

Cusano Mutri: alba invernale (foto A . Pascale) Cusano Mutri: ruderi della chiesa di Santi Pauli, ufficio postale dei briganti


232. Grotte degli ultimi briganti del Matese nella terra di Fontana Stiitto-Cusano Mulri (foto A . Pascale)


233

234 233 . S. Lorenzello (BN): panoramica 234. Auduni : vicoli del centro storico


235

235. S. Paolo Matese: monumento ai caduti II Guerra mondiale 236. Pietrabbondante: monumento ai caduti l Guerra Mondiale: ben ernblematizza il senso di questo saggio il soldato sannita in sentinella ai caduti italiani


287

RINGRAZIAMENTI

Questo saggio è stato possibile grazie agli incitamenti ed al fattivo contributo degli amici 'circumatesini' ed in particolare: Al prof. Pierluigi Rovito dell'Università di Salerno, per i suoi consigli e suggerimenti. Al preside prof. Dante Marocco ed alla sua Associazione Storica del Medio Volturno, di Piedimonte Matese. Al dott. Renato Pescitelli ed al suo nutritissimo Archivio Familiare, di Cerreto Sannita. Al prof. Vito Antonio Maturo ed alle sue interessantissime raccolte di armi antiche, di Cusano Mutri. Allo studio fotografico A. Pascale, per alcune eccezionali immagini gentilmente concesseci di Cerreto Sannita. Nonché infine alla affettuosa disponibilità dei dirigenti dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. A tutti loro il mio più sentito ringraziamento.


/


INDICE DEI LUOGHI CITATI

Abruzzo, 2, 105, 172. Acero, (monte), 1, 15, 33 , 47, 68, 75-6, 78, 80, 82, 87, 127, 129, 131, 134-5, 140, 156, 227 , 237-8, 240, 244-8, 250-2, 254. Acqua Calda, (torrente), 227. Adige, (fiume), 44. Adriatico, (mare), 5, 129, 139, 220-1, 229,234,240. Aesernia, 47, 49-50, 129, 133-4, 136. Afganistan, 5. Ailano, 62, 263, 266-7. Alatri, 139. Albani, (monti), 221. Alfedena, 28. Algeri, 229. Algeria, 177. Alife, 21, 45, 56, 63-4, 74-6, 131, 140, 151,156,225, 246, 248, 254, 256, 263. Allier, (fiume), 44. Allifae, 15 , 28, 43, 47, 63, 123, 127-30, 134, 140. Alpi, 219. Altilia, 47, 150 . Alto, (monte), 95, 99 . Alvignano, 62. Alvito, 172. Amalfi, 230. Amaro, (monte), 219. Amelia, 139. America, 38. Amorosi, 21, 225. Anatolia, 5. Ancona, 173, 221. Annio, (fiume), 135. Appennino, 16, 219-20, 234-5. Apulia, 131. Aquila, 211, 214, 217, 219-20, 225. Aquilonia, 98, 132-3, 259. Armenia, 135. Arno (fiume), 219. Arretium, 134. Arsoli, 220. Ascoli, 220-1. Asia, 38. Assergio, 220. Atella, 128. Aterno, (fiume), 217. Atina, 220. Auduni , 246 . Austria, 206. Aversa, 128. Avezzano, 220. Avignanella, 225, 246. Baia, 164. Baranello, 259. BasilicaLa, 211 . Benevento, 15, 21, 98, 105, 127, 131, 164, 169, 179,

184, 186-7, 192, 195-7, 199,203, 210-1, 214,218, 225. Biferno, (fiume), 20, 22, 155, 22 1. , 223,227, 234, 239240, 259-61. Boiano, 42, 45, 47-8, 62, 74, 105, 112, 116, 120, 127128, 130-2, 155-6, 170, 204, 210, 225, 242, 259, 261. Bologna, 219. Borgo Collefegato, 220. Bovianum, 6, 47, 69, 74-5, 98,105, 116-7, 120, 127-9, 134. Bovianum Undecumanorum, 47,116, 155. Busso, 259. Caiazzo, 62, 128, 164, 225, 237-8. Calabria, 25, 229. Cal\ifae, 43, 63, 123. Calore, (fiume), 6, 16, 63, 198, 221, 225, 227, 240, 244, 251. Calvello, (monte), 16, 227. Calvi Risorta, 62. Calvisi, 246. Campania, 6, 15, 21, 25,105,122,129,131,139,1 61, 171-2, 221, 225. Campitello, 18, 227. Campobasso, 15, 132, 220, 225 , 259. Campochiaro, 47, 112-3, 128, 133, 204. Campo dell'Acero, 18. Campo del\' Arco, 18. Campolattaro, 181, 225. Candela, 112. Cantalupo, 170,260. Capriati al Volturno, 47, 49-50, 52, 54, 56-7, 62, 164, 179, 246, 263, 268. Capua, 62, 123, 127-8, 164, 173, 177, 186,238. Carpino, (fiume), 16, 19, 49, 139. Carpinone, 170. Casablanca, 229. Casalcassinese, 215. Casalciprano , 260. Casalduni, 181-2, 184, 225-7. Casco, (monte), 227. Caserta, 15, 164, 179,203, 209, 212, 214,225,236. Casino Staffali, 210. Cassino, 172, 202, 225,232,234, 240. Castel di Sangro, 220. Castello Matese, (ex d'Alife), 18, 47, 62-3, 67-70, 72, 156, 224. Castellone, (monte), 47, 51-2, 54, 56-7, 61,179,204, 210. Castelpetroso, I 70. Castelpizzuto, 204. Castiglione, 220. · Castropignano, 259. Caudio, 26, 124, 127.


292

Cava dei Tirreni, 230. Cavuto, (monte), 47, 57, 61-2, 266-7. Cerignola, 98. Cerreto Sannita, 47, 75, 85, 90, 94, 96, 165, 181-2, 187-8, 190-2, 197, 199-201, 203, 205-6, 208-9, 211, 213, 215-6, 223-5, 227, 241. Chieti, 225. Cigno, (monte), 68, 85, 87, 90, 95-6, 98-9, 132. Cila, (monte), 39, 42, 47, 63-64, 66-9, 72, 134, 140. Cir;10gna, (monte), 266. Ciociaria, 20 I. Ciorlano, 50-1, 56. Civita di Boiano, 42, 47, 116, 120, 132, 155-6. Civita di Penne, 220. Civitavecchia di Campochiaro, 113 . Civitella del Tronto, 169, 171. Civitella di Campochiaro, 112-3. Civitella Licinio, 180,190,223, 227. Cluvia, 41, 68-70, 72, 128. Colle Alto, 49. Colle Croce, 49, 57. Colle d' Anchise, 260. Colle Pietra, 220. Colli al Volturno, 49. Cominium, 47, 95, 98, 130, 132-3 . Cominium Ceritum, 47, 95, 98-9. Conca Aquilana, 219-21. Coppo, (monte), 220-1. Corfinium, 135. Corno, (monte), 219. Cosa, 139. Costa Palumbaro, (monte), 133. / Criscia, 246. Crocelle, (monte), 120. Cusano Mutri, 75, 80, 82, 90, 159, 179-80, 189-90, 212, 223-4, 227. Daunia, 46. Digoin, 44. Dragoni, 62, 164. Egeo, (mare), 5. Erbano, (monte), 75, 135. Esino, (valle dell'), 131. Etruria, 131. Europa, 38. Faicchio, 47, 68, 75 , 82, 87,181,225,227,237, 244-6, 250-1, 254,267. Faifola, 47, 75. Felcio, (torrente), 225. Feritro, 41. Fiamignano, 220. Filignano, 210. Fino, (fiume), 220. Foggia, 199, 220, 231. Fontana Spina, 94. Fontana Vecchia, 245. Fontanelle, (torrente), 227. Forca Caruso, 220.

Indice dei luoghi citati

Forca di Penne, 220. Forche Caudine, 123. Fornelli, 204. Fregelle, 124, 128. Frentania, (monti), 15. Frosinone, 202, 204-5. Fucino, 217, 220. Gaeta, 163, 169, 171-3, 177, 181,193,231. Gallo, 18, 62, 179, 241, 259. Gallinola, (monte), 16, 75. Garigliano, (fiume), 220,225,232,234,237,240. Germania, 234. Giappone, 32. Gioia Sannitica, 68, 75, 210, 254. Gizio, (fiume), 217. Gran Sasso, 219-20. Grazzanise, 23,7, 242. Grecia, 32. Herculaneum, 47, 112, 133. Inferno, (valle), 70. Interamna, 128. Irpinia, 15. Isernia, 15,20,45,47-9, 74,131,139,169, 187-8, 192, 199-201, 204, 206, 209-11, 213, 216, 220, 225, 227, 234, 240, 242, 269. Isoletta, 220. Italia, 6, 11, 32, 74,132,159,162,177,206,223, 229232, 254. Italia, (città sannita), 135. Itri, 161. Latina, 164. La Spezia, 240. Lavello, 80, 82, 90, 223. Lazio, 6, 25, 36, 132. Lenta, (torrente), 225-7. Leonessa, 175, 220. Lete, (fiume), 18, 62,227, 246. Letino, 18, 51-2, 62, 75, 179. Liri, 130-1, 220. Loire, (fiume), 44. Lombardia, 174. Longano, 204. Lucania, 15, 131. Lucera, 220. Macchia d'Isernia, 49, 204. Maddaloni, 170. Madonna della Libera, 47, 68, 98-9. Madonna delle Grazie, 94. Maggiore, (monte), 225. Maiella, 7, 25, 219, 234. Mainarde, 172. Majorano, (monte), 246. Mandra Castellane, 47, 54. Mantova, 219. Marano, 220.


293

Indice dei luoghi citati

Marche, 220. Massa, 245. Masseria del Duca, 210. Mastr'amici, 85. Mastratti, 246, 267. Mediterraneo, 6, 32, 229. Melae, 75. Mentana, 201. Messina, 169, 171, 173, 177, 229. Micene, 32. Mignano, 172, 240, 266, 270. Miletto, (monte), 16, 18, 20, 227. Milonia, 41. Mincio, (fiume), 44, 171, 206. Molise, 15, 25, 164, 171-2, 195, 197,203,211, 214. Monaco di Gioia, (monte), 20, 75, 227, 246. Mondragone, 240. Montazuila, 210. Montecassino, 32. Montecorvino, 230. Monte Croce, 51. Monte Reale, 220. Monteroduni, 204, 210. Monte S. Biagio, 172. Monticelli, 172. Monticello, 245. Montorio, 220. Morcone, 47, 63, 85, 95, 106, 108, 127,130,156,189, 210, 214. Morrone, (monte), 219. Moschiaturo, (monte), 227. Moulin, 44. Mucre, 47, 107-8. Mucro, 108. Murgantia, 107. Mutria, (monte), 16, 20, 75, 80,227. Napoli, 123, 161, 163-4, 169-71, 173, 177, 186, 190, 193,214,221,223,225, 229-30, 234-5, 237,239. Nera, (fiume), 220. Nevers, 44. Nola, 128. Norba, 139. Normandia, 229. Nuova Caledonia, 38. Oceania, 38. Ofanto, (fiume), 6, 221. Oracca, 210. Oratino, 259. Orvigno, (fiume), 220. Palepolis, 123. Palestrina, 220-1. Palombara, 220-1. Palumbinum, 133. Parigi, 219, 221. Paterno, (torrente), 70, 193. Pearl Harbour, 232.

Perrone, 57. Pescara, (fiume), 219-20. Pescasseroli, 112. Peschio, 220. Pescina, 220. Pettoranello, 48-9, 170, 204. Piacenza, 219. Piana di Caiazzo, 242. Picinisco, 172. Piedimonte Matese, (ex d' Alife), 29, 39, 42, 47, 55, 62-3, 70, 75, 164-5, 179-80, 187-8, 191 -2, 199201, 205-6, 209-12, 215-6, 224-5, 246, 254, 256. Piemonte, 173. Pietramelara, 164. Pietraroja, 80, 82, 85, 180, 191,212, 223, 227. Pietravairano, 62, 246. Pisciarello, (torrente), 225. Po, (fiume), 206. Pompei, 28. Ponte, 240. Pontecorva, 172. Pontelandolfo, 179, 182, 210, 225, 227, 242. Popoli, 217, 219-20. Porta Collina, 135. Portella, 161. Pozzili, 210, 242. Prata Sannita, 51, 56, 62, 179,246,267. Pratella, 267. Pratola, 219. Presenzano, 240,267. Prete Morto, (passo di), 69, 74, 224. Prussia, 206. Puglia, 10, 2 1, 25, 105, 112, 139, 150, 177, 229. Puglianello, 246. Pugliano, (monte), 82, 245, 247. Quinto Decimo, 220. Quirino, (torrente), 259. Rapido, (fiume), 232. Raviscanina, 62, 246, 256, 262-4, 266. Reggio Calabria, 230. Rieti, 220-1. Rimini, 240. Rio, (fiume Biferno), 16, 19. Rio Freddo, (torrente), 22. Rionero, (colle), 48. Rocca, (La, di S. Salvatore Telesino), 156, 245-8 . Rocca di Monte Cigno, 47, 95, 98, 104. Roccamandolfi, 75, 204. Roccaraso, 220. Roccaromano, 164. Roccavalloscura, 220. Roccavecchia, 62, 180. Roccavirandola, 49. Roma,6-7, 11, 15,43,46, 120, 123-4, 128-9, 131,136, 139, 155, 194, 200, 203, 218-21, 225, 230, 232, 234, 237. Rotondo, 203.


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Roveto, 220. Rufria, 43, 123. Ruviano, 225. Sabato, (fiume), 6. Sacriporticus, 135. Saepinum, 14, 28-9, 47, 68, 74-5, 105, 110, 112, 133134, 150, 156. Salerno, 230-34, 241. Salto, (fiume), 220. San Benedetto, 220. San Donato, 220. San Germano, 172. San Gregorio, 62-3, 69-70, 72, 74, 210, 224. San Giuliano, 225, 261. Sangro, (fiume), 212, 220, 234, 240. San Lupo, 182, 225. San Massimo, 75, 204. San Nicola, (monte), 62. Sannio, 3, 6, 13, 39, 42, 47, 74, 82, 122-4, 127-9, 132134, 159, 179, 184. San Pasquale, (convento di), 47, 75, 78, 164, 245, 251. San Pietro, 225. San Polo, 128, 180, 204, 259. San Potito, 68, 75, 254. San Salvatore Telesina, 15, 47, 76, 82,140,244,246. Santa Croce, (passo), 72. Santa Croce del Sannio, 244, 258. Sant' Agapito, 204. Sant'Angelo d'Alife, 47, 63, 210, 246, 256, 262-4, 266. Santo Stefano, 259. San Vittore, 203. Saracino, (colle), 57. Saticula, 63. Sava, (fiume), 18, 51, 56. Scopito, 220. Sele, (fiume), 230. Sentino, 131. Sepicciano, 254. Sepino, 47, 62, 74, 108, I 10, 112, 155, 182. Serra delle Giumente, 74. Sessa, 172, 207, 232. Sesto Campano, 49. Settefrati, 212. Siccine, 18. Sicilia, 162, 171 , 193,229,242. Signa, 135. Sirpio, 108. Solopaca, 226. Sora, 203, 207, 220. Sordo, (torrente), 139. Sorrento, 230. Spoleto, 220. Stato Pontificio, 172, 200-1, 204. Stradella, 219. Sulmona, 217, 219-20. Taburno, 7, 198,238.

Indice dei luoghi citali

Tagliacozzo, 172. Tammaro, (fiume), 16, 19-20, 105, 127, 130, 133, 150,221,225,227 . Taranto, 10. Teano, 21, 48, 240. Telese, 33, 45 , 74, 76, 82, 240,245,247, 252. Telesia, 15, 47, 80, 134, 140, 146, 156. Teramo, 220. Termoli, 234-5, 237-8, 242. Terni, 220-1. Terracina, 161. Terra di Lavoro, 164,179,203,207,211,214. Terravecchia, I. Terravecchia di Sepino, 47, 112, 156. Tevere, (fiume), 135, 219-20. Teverone, (fiume), 220. Tifata, (monti), 13,225. Tifernus, (mons.), 16, 47, 76, 80-2, 129, 131. Tirinto, 32. Tirreno, (mare), 229-30, 234. Titerno, (torrente), 16, 68, 75-6, 78, 82, 87, 90, 95, 131, 135, 164, 190,223, 227, 245-6, 251-2. Tivoli, 220-1. Topino, (fiume), 220. Torano, (torrente), 22, 70,227, 254, 256. Torbido, (torrente), 227. Toreino, 57, 61, 246, 267. Torello, 226. Torino, 195. Torre dei Passeri, 220. Torre Nuova, 227. Torre Petracciata, 234. Toscana, 174. Traetto, 172. Trebula Balliensis, 28. Tre Torrette, 47, 112-3. Triflisco , 243-4. Trivento , 242. Troia, 5. Trono, (torrente), 146. Tronto, (fiume), 170, 193, 220. Turano, (fiume), 220. Umbria, 220. Vairano, (monte), 132, 259, 267. Vairano Patenora, 246. Valle Agricola, 18, 51, 62,179,246,266,268. Valle di Prata Sannita, 56, 179. Valle Padana, 232. Valle Pietra, 220. Vallerotonda, 215. Vallo Antico, (torrente), 87. Vallone Paterno , 67. Vandra, (fiume), 49. Veio, 12. Velino, (fiume), 220. Velino, (monte), 219.


Indice dei luoghi citati

Velletri, 203-4. Venafro, 15, 48-9, 51, 56, 62, 165,179,204,210,225, 232, 240, 242, 267, 269. Venafrum, 50, 55. Vesuvio, 230. Vinchiaturo , 259.

295

Viscosa, (torrente) , 227. Volturno, (fiume), 1, 16, 19-20, 22, 49-52, 54-5, 59, 62-3, 122, 131, 159, 164, 168-9, 193, 220-1, 223, 225-6, 234, 236, 238, 239-48, 251-2, 254, 262-3, 267-8. Vomano, 220.


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INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI

1. Massiccio del Matese : rilievo plano altimetrico 2. Monte Acero (S. Salvatore Te[esino - BN) 3. I Sanniti e la loro suddivisione 4. Carta dell'anica Italia centrale (racc. V. Maturo) 5. Antica mappa del Sannio (racc. V. Maturo) 6. Pompei; mura greche, aggere sannita, torri romani 7. Le Regioni Augustee 8. Monte Miletto 9 . Monte La Gallinola 10. Monte Mutria 11 . Pianura amicale 12. Pianura apicale 13. Lago artificiale di Letino 14a e b. Fronte del Matese 15. Fronte occidentale del Matese 16. Fronte orientale del Matese 17. Massiccio del Matese: sezioni trasversali 18. Fortificazione sannita: dettaglio del gradone tipo 19. Fortificazioni sannite: tipologia schematica 20. Tecnica poligonale: 1a maniera 21. }) }) 2a >> 22. » >> 3a )} 23 . » )) 4a )) 24. La legione manipolare (da Vegenzio Flavio) 25. Giavellotto con «amentum» (da Enc. Ragionta delle Armi) 26. Ricostruzione schieramento difensivo sannita sulle mura 27. Isernia: foto aerea intera zona (I.G.M.J .) 28. Isernia: foto aerea dettaglio (I.G.M.I.) 29. Isernia: p lanimetria nucleo storico 30. Alto Volturno, sotto S . Maria dell'Oliveto 31. Letino - Prata Sannita: foto aerea (I. G.M.I.) 32. Letino: dettaglio (I.G.M.I.) 33 . Prata Sannita: dettaglio (I.G.M.I.) 34. Capriati al Volturno: foto aerea interna zona (I.G.M .1.) 35. Capriati al Volturno: dettaglio (I.G.M.I.) 36. Mandra Castellone : veduta dal Volturno 37. Capriati al Volturno 38. Castello di Capriati al Volturno 39. Monte Cavuto - Pratella: planimetria (da D . Caiazza) 40. Monte Cavuto - Pratella: planimetria teatro (da D. Caiazza) 41. Monte Cavuto - Pratella teatro (da D . Caiazza) 42. S. Angelo d' Alife: foto aerea, intera zona (I.G.M.I.) 43. S. Angelo d'Alife: dettaglio (I.G.M.I.) 44. S. Angelo d' Alife: il Castello 45. Monte Cila - P iedimonte Martese: foto aerea intera zona (l.G.M .I.) 46. Cila: dettaglio (I.G.M.I.) 47 . Monte Cila: seconda murazio11e 48. Monte Cila: seconda murazio11e 49. Casttello Matese: foto aerea intera zona (I.G.M.I.) 50. Castello Matese: dettaglio (I.G.M.I.) 51. Castello Matese: planimetria abitato 52. Castello Matese: panoramica 53. Castello Ma tese: dettaglio murazione sannita 54. Faicchio (BN) - S. Pasquale: foto aerea intera zona (I.G.M.I.) 55 . S . Pasquale: dettaglio (I.G.M.I.)

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Indice delle illustrazioni

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56. 57. 58. 59. 60. 61. 62. 63 . 64. 65. 66. 67 .. 68. 69. 70. 71. 72.

73 . 74. 75. 76. 77. 78. 79. 80. 81. 82. 83. 84. 85. 86. 87. 88. 89. 90. 91. 92. 93 . 94. 95 . 96. 97. 98. 99. 100. 101.

102. 103. 104. 105. 106. 107. 108. 109. 110.

111. 112. 113. 114. 115.

S. Pasquale: panoramica S. Pasquale: dettaglio mura S. Pasquale: dettaglio mura S. Pasquale: dettaglio mura Torrente Titerno tra Faicchio e monte Acero Monte Acero: foto dettaglio (I.G.M.I.) Monte Acero: resti di mura » » » » » » >> >> » » >> >> » » » » Valico di S. Crocella (BN-CB), dettaglio di una mulattiera Ponte in opera poligonale: spalla sinistra Ponte in opera poligonale: spalla destra Ponte in opera poligona.le: ricostruzione Ponte di tavole e travi Ponte di Fabio Massimo - Faicchio Ponte di Fabio Massimo: psosp~ttp Ponte di Fabio Massimo: dettaglio Ponte di Fabio Massimo: dettaglio Ponte di Fabio Massimo: dettaglio Ponte di Fabio Massimo: dettaglio Ponte di Annibale - Cerreto Sannita Ponte di Annibale: dettaglio volta Ponte di Annibale: prospetto Ponte di Annibale: vista trasversale Ponte di Annibale: dettaglio arco laterale Monte Coppo: panoramica Monte Cigno: panoramica Monte Cigno: foto intera zona (I.G.M.l.) Madonna della Libera: dettaglio (I.G.M.I.) Monte Cigno: dettaglio (I.G.M .I.) Monte Cign0: mulattiera basolata Monte Cigno: resti di mura (arcbiv. R. Pescitelli) Monte Cigno: resti di mura Monte Cigno: resti di mura (archiv. R. Pescitelli) Monte Cigno: resti di mura (archiv. R . P escitelli) Madonna della Libera - Cerreto Sannita Madonna della Libera: dettaglio massi antistanti Madonna della Libera: pianta massi Tipologia podi templi sanniti Pietrabbondante (CB) : esempio di podio Madonna della Libera: fonta na Madonna della Libera: dettaglio di un capitello (archiv. R. Pescitelli) !\forcone (BN): foto aerea dell'intera zona (I.G.M.I .) Morcone: dettaglio aerteo della rocca (I.G .M.I.) Morcone: panoramica tvforcone: ruderi della fortezza sannita Stralcio itinerario Ant.onino (da A. La Regina) Sepino (CB): foto aerea dell'intera zona (I.G.M.I.) Sepino - Terravecchia : dettaglio (I.G .M. I.) Sepino - Terravecchia: planimetria (da G. Colonna) Sepino - Terravecchia: sezione della mura (da G. Colonna) Sepino - Terravecchia: resti delle mura Sepino - Terravecchia: resti delle mura Sepino - Terravecchia: resti delle mura Sepino - Terravecchia : resti delle mura Campochiaro (CB) : foto aerea intera zona (f.G.M.I.) Campochiaro : foto aerea santuario (I.G.M.I.) Campochiaro: planimetria murazione (da B. Di Marco)

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Indice delle illustrazioni

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128. 129. 130. 131.

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139. 140. 141. 142. 143.

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148. 149. 150. 151. 152.

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162. 163. 164. 165. 166.

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a) Campochiaro, loc. Tre Torrette: planimetria (da B. Di Marco) b) Campochiaro, loc. Tre Torrette: dettaglio (da . Di Marco) Campochiaro: panoramica Civita di Boiano (CB): foto aerea (J.G.M.I.) Civita di Boiano: panoramica Civita di Boiano: pietre di spoglio Civita di Boiano: pietre di spoglio Civita di Boiano: pietre di spoglio Civita di Boiano: ruderi del Castello Isernia: resti della murazione poligonale » » » » » >> » » » » » » » » » >> » » » >> Isernia: podio di tempio italico Allifae: foto aerea dettaglio (I.G.M.l.) Piante della città di Alife (da D. Marrocco) Pianta di accampamento rom.ano Mura romane di Alife Porta Urbica di Alife, rifacimento medievale Telesia: foto aerea dell'intera zona (I.G.M.l.) Telesia: dettaglio (l.G.M.I.) La Rocca di S. Salvatore e monte acero visti da Telesia Telesia: pianta della città Telesia: schema di copertura balistica Telesia: resti delle mura concave telesia: panoramica delle mura Telesia: innesto di una torre alla cortine Telesia: torre a pianta poligonale Telesia: ricostruzione grafica Saepinum - Altilia (CB): dettaglio aereo (I.G.M.l.) Saepinum - Altilia: pianta della città (da G. De Benedettis) Terravecchia di Sepino vista da Altilia Saepinum - Altilia: una delle 4 porte monumentali Saepinum - Altilia: il cardo, asse viario-tratturo Saepinum - Altilia: il decumano Saepinum - Altilia: mura urbiche turrite Boiano: antiche misure di capacità Sepino - Terravecchia: Case medievali nei ruderi sanniti L etino Cerreto Sannita F oglio della Cartografia Napoletana Faicchio: castello ducale Casalduni: veduta panoramica Pontelandolfo: veduta panoramica pontelamdolfo: la torre dell'eccidio Casalduni: castello Cusanpo - Cerreto: gola di Lavello Cerreto Sannita: casa di Cosimo Giordano Cusano Mutri: forra nel cui grotte si annidavani i briganti Armi dei briganti: fucili a canna lunga (racc. V. Maturo) Armi dei briganti: fucili a canna lunga (racc. V. Maturo) Armi dei briganti: fuci li a canna lunga (racc. V. Maturo) Armi dei briganti: fuci li da cavalleria a canna corta Coltelli e pugnali di fattura rustica (racc. V. Maturo) Munizioni (racc. V. Maturo) Gavetta in legno, con incisa la data 1861 (racc. V. Maturo) Rotabile Cusano - Cerreto: il ponte di Lavello Il fiume Calore presso Solopaca Il medio corso del Biferno

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Indice delle illustrazioni

Gen. Heirinch von Vietinghoff (fototeca A .S.M.V.) I gen.li Kesserling e Rommel ai tempi dell'Africa Korp I linea di resistenza tedesca Spiaggia di Temoli Il Matese visto dagli americani (fototeca A .S.M.V .) Linee tedesche Gen. Graser (fot. A.S.M .V.) Attraversamento del Volturno nella stampa americana Attraversamento del Volturno nella stampa americana Carro Shermann che guada il Volturno (fot. A.S.M.V .) La Rocca, S. Salvatore Telesino (BN) Artiglieria alleata in azione (fot. A .S.M.V.) Bombardamento di Alife (fot. A.S.M.V.) Nebelwerfer Telese: Grand Hotel Gioja Sannitica (BN): il castello Gioja Sannitica: torre del castello Gioja Sannitica: l'abitato Piedimonte Matese Piedimonte Matese: distruzione della Centrale Elettrica (fot. A .S.M.V.) Piedimonte Matese: distruzione tedesca del centro abitato (fot. A.S.M.V.) Travaglio per ferrare i muli S. Polo Matese: panoramica S. Angelo d' Alife: panoramica S. Angelo d' Alife: centro urbano Raviscanina: panoramica Raviscanina: la chiesa bombardata (fot. A.S.M.V.) Dopo il Matese (fot. A.S .M.V.) Cimitero Militare di Venafro (fot. A.S.M.V.) Cimitero Militare di Venafro (fot. A.S. M.V.) Cimitero provvisorio francese (fot. A.S.M . V.) Idem: dettaglio (fot. A.S.M .V.)

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TAVOLE A COLORI Il Matese oggi

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Il lago del Matese al tramonto (foto A. Pascale) Il lago artificiale di Letino Monte Acero visto dal Titerno Convento di S. Pasquale - Faicchio Murazioni sannite su monte Acero Gola di Lavello tra Cerreto Sannita e Cusano Mutri (foto A. Pascale) Ponte di Annibale (foto A . Pascale) Protoponte di Lavello-Cusano Mutri (foto A. Pascale) Villaggio di Mastramici - Pietraroja (BN) Villaggio di Mastramici - Pietraroja Villaggio di Mastramici - Pietraroja La Rocca di f\forcone Sepino - Terravecchia: la posterla del Matese Casale in territorio di Cusano Mutri Dettaglio delle sue feritoie antibrigantesche Civita di Boiano: panoramica Pietrabbondante (CB): panoramica Pietrabbondante: particolare del teatro Pietrabbondante: dettaglio di muro in opera poligonale Telesia: dettaglio cortina concava Sepino romana: il teatro Sepino romana: una casa colonica

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Indice delle illustrazioni

229. 230. 231. 232. 233. 234. 235. 236.

Regno delle Due Sicilie (racc. V. Maturo) Cusano Mutri: alba invernale (foto A. Pascale) Cusano Mutri: ruderi della chiesa di Santi Pauli, ufficio postale dei briganti Grotte degli ultimi briganti del Matese nella Terra di Fontana Stiitto-Cusano Mutri (foto A. Pascale) S. Lorenzello (BN): panoramica Auduni: vicoli del centro storico S. Paolo Matese: monumento ai caduti II Guerra mondiale Pietrabbondante: monumento ai caduti della I Guerra Mondiale

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INDI CE GENERALE

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Presentazione Premessa

P ,,RTE PRrrv1A :

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I secoli dei sanniti

Limiti d'indagine Le origini: stirpe, territorio ed economia Divergenze politico-militari fra sanniti e romani Gli insediamenti dei sanniti 11 Massiccio del Matese La concezione difensiva: la regione fortificata sannita La tecnica poligonale La sannia La regione fortificata del XIX secolo I caposalcli Fronte nord-ovest Isernia Manclra Castellone - Capriati al Volturno (CE) Monte Castellone - Ciorlano (CE) Monte Cavuto - Pratella (CE) Fronte sud-ovest S. Angelo cl' Alife (CE) Monte Cila - Piedimonte Matese (CE) Castello Matese La strada trasversale del Matese Convento S . Pasquale - F aicchio (BN) Monte Acero - S . Salvatore T elesino (BN) Le mulattiere I ponti Fronte sud-es t La Rocca di Monte Cigno - Cerreto Sannita (BN) Madonna della Libera - Cerreto Sannita (BN) Fronte nord-est Morcone (BN) Saepinum - Sepino (CB) Campochiaro (CB) Tre Torrette - Campochiaro (CB) Civita di Boiano - Boiano (CB) Gli eventi bellici La prima guerra sannitica La seconda guerra sannitica La terza guerra sannitica La guerra di Pirro La soluzione finale di Silla Aesernia - Isernia Allifae - Alife (CE) Telesia - S. Salvatore Telesino (BN) Saepinum (Altilia) - Sepino (CB) Boiano (CB)

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Indice generale

P ARTE SECONDA:

Gli anni dei briganti

Gli antefatti I prodromi L'intervento dell'esercito piemontese Il brigantaggio del Matese - 1861: il brigantaggio divampa La tattica dei briganti Sintesi statistiche del 1861 1862: il brigantaggio si ristruttura Sintesi statistiche del 1862 1863 : brigantaggio riesplode sul Matese Sintesi statistiche del 1863 1864: primi sintomi del declino Sintesi statistiche ciel 1864 1865: il cerchio si stringe Sintesi statistiche ciel 1865 1866: il ritorno di fiamma Sintesi statistiche del 1866 1867: la zona ciel Matese Sintesi statistiche del 1867 1868: l'inizio della fine Sintesi statistiche del 1868 1869: la bonifica del Matese Sintesi statistiche d el 1869 1870: la fine dell'incubo Sintesi statistiche del 1870 Deduzioni conclusive: riedizioni strategiche

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P ARTE TERZA:

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I giorni dei tedeschi

I prodromi I luoghi Gli antefatti Salerno Il piano difens ivo tedesco La guerra raggiunge il Matese Le forze contrapposte Fattore metereologico e linee difensive Gli scontri sul versante tirrenico La battaglia contro la prima sub-linea Distruzioni e demolizioni L'avanzata alleata lungo il fianco occidentale ciel Matese La guerra sul versante orientale del Matese Verso S. Angelo - Raviscania L'avanzata verso Capriati al Volturno

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Indice dei luoghi citati Indice delle illustrazioni




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