2. Attori della politica, agenti della memoria. La costruzione del ricordo pubblico della guerra
Alcuni anni fa, analizzando le grandi ritualità collettive attorno a cui si è progressivamente incardinato il discorso nazionale, Maurizio Ridolfi ha evidenziato come una delle maggiori tare della classe dirigente liberale del primo dopoguerra sia stata l’incapacità di comprendere e gestire quelle necessarie forme della ritualità che avrebbero potuto costruire una memoria patriottica condivisa (e amalgamante) della guerra. Gli ultimi protagonisti del mondo liberale prima dell’avvento del fascismo non seppero (o non vollero) cogliere l’opportunità di offrire al Paese, attraverso forti iniziative simboliche legate agli anniversari del conflitto (l’entrata in guerra, Vittorio Veneto), un’occasione per legittimare la guerra come momento di unione (o creazione) degli italiani. L’incapacità di organizzare un compiuto rito civile nazionale, di fatto, lasciò spazio alle diverse memorie della guerra e ai diversi riti che riproposero le divisioni che avevano accompagnato l’entrata dell’Italia nel conflitto1. Fu la mancata istituzione della festa della Vittoria a scavare soprattutto un solco particolarmente profondo tra il governo del dopoguerra e il mondo dei combattenti, rappresentando l’apice di quella dis-economia della smobilitazione che, in un contesto psicologicamente non molto diverso dalla Francia studiata da Cabanes, sancì un «impossibile ritorno»2. In linea più generale, tuttavia, la frattura che si consumò tra la dirigenza politica liberale e la società in uniforme si giocò sull’intero versante della celebrazione-commemorazione della partecipazione alla guerra. Il deficit di presenza dello Stato come promotore e regista di un sentimento collettivo che si articolasse attorno alla comunità in armi quale simbolo e protagonista della lotta, della resurrezione e della grandezza nazionale, investì tutto il campo della memoria 1. M. Ridolfi, Le feste nazionali, Il Mulino, Bologna 2003. 2. B. Cabanes, La victoire endeuillée, cit., pp. 495-506.