Indice
Nota alla nuova edizione di Piero Di Girolamo .................................7
Premessa dei Curatori di Andrea Carteny, Stefano Pelaggi ................................................9
Antonello F. Biagini Per un’introduzione al Risorgimento in Italia....................................13
Stefano Pelaggi Garibaldi esule, emigrante e rivoluzionario in America Latina ............21
Gianluca Senatore Contesto politico-sociale e riforma universitaria a Roma alla vigilia del Quarantotto .................................................................39
Fabio Di Giannatale
Le relazioni tra Stato e Chiesa nel decennio preunitario nella lettura de «La Civiltà Cattolica» ................................................75
Antonello Battaglia
Decennio di preparazione: le politiche cavouriana e pontificia ai prodromi della guerra di Crimea .....................................................97
Slavko Burzanovic
La missione in Montenegro di Cesare Durando............................... 117
Roberto Sciarrone
Esercito e politica dall'Unità alla Triplice Alleanza ........................ 141
Andrea Carteny
Il congresso di Roma, per le “nazionalità oppresse” dell’Austria-Ungheria (1918) .......................................................... 163
Appendice: P. Santamaria, Il Patto di Roma, 1918 ....................... 187
Elenco DOI...................................................................................... 193
Indice 6
Nota all’edizione
In questa edizione rivista e integrata da ulteriori materiali si intende riproporre il quadro dei contributi raccolti sulla tematica risorgimentale con una maggiore ampiezza di vedute e una marcata visione criticia. Iniziate le commemorazioni per la “quarta guerra d’indipendenza”, quella guerra europea che diviene mondiale e fin dall’inizio appare come una “grande guerra” per alta capacità di distruzione, virulente ideologie in campo, straordinarie aspettative per popoli e nazioni, necessità di affermarsi per nuove generazioni e masse. Questa riflessione, che si ripropone all’attenzione del pubblico italiano, non solo accademico, impone di articolare con un approccio scevro dal qualsivoglia ideologia i termini fondanti della complessa storia italiana, quali lo Stato, la Chiesa e la concezione della Nazione. In base a queste considerazioni, come un contributo al dibattito che vede la Grande guerra come termine ad quem del Risorgimento ma anche a quo della drammatica nazionalizzazione delle masse in Italia, si riarticolano vari e specifici aspetti della storia d’Italia e degli italiani protagonisti dei processi di unificazione nazionale.
Teramo, dicembre 2015
Piero Di Girolamo*
* Università di Teramo, responsabile Unità locale di ricerca Prin 2009, componente Unità locale di ricerca Futuro in ricerca 2010
Premessa dei curatori
L’attività scientifica di ricerca e seminariale del Prin “Imperi e Nazioni” e specificamente dell’unità di ricerca dell’Università di Teramo (responsabile Andrea Carteny, quindi Piero Di Girolamo) si è articolata sull’evoluzione di eventi, personaggi, fenomeni nazionali e internazionali riguardanti lo Stato, la Chiesa, la Nazione in Italia nel periodo del Risorgimento.
I contributi qui raccolti costituiscono i testi degli interventi tenuti durante le conferenze e i seminari organizzati durante l’anno di commemorazione del centocinquantenario dell’Unità, tenutesi all’Università di Teramo (Facoltà di Scienze della Comunicazione), all’Università di Roma La Sapienza (in collaborazione con il dottorato di Storia d’Europa), in differenti sedi scientifiche e istituzionali (l’École de France di Roma, il Comune di Velletri) e in occasione di celebrazioni e giornate di studio (come quella annuale sul Battaglione Universitario Romano, 1848-49), qui presentati nella versione rielaborata dagli Autori per questa nuova edizione, che vuole essere prima di tutto uno strumento di lavoro per ulteriori spunti di interesse e di ricerca.
Vengono dunque affrontati temi e problematiche da differenti prospettive di studio e approfondimento. L’introduzione di Antonello Biagini articola il contesto storicoculturale e diplomatico-istituzionale d’Europa in cui il processo di unificazione nazionale italiano si sviluppa, anche in relazione alle altre grandi nazioni europee. Il sistema viennese, della Santa Alleanza, è inevitabilmente soggetto alle crepe aperte dagli emergenti movimenti insurrezionali e rivoluzionari, tra i quali il Risorgimento italiano assume una connotazione esemplare per le piccole nazioni dell’Europa danubiano-balcanica.
Il contributo di Stefano Pelaggi illustra, attraverso la vita e le imprese di Giuseppe Garibaldi in America latina, il processo di costruzione del mito garibaldino e la forte eredità identitario-nazionale che l’eroe “dei due mondi” lascia nelle comunità italiana oltreoceano.
Gianluca Senatore, nel suo saggio dedicato alle esigenze e alle prospettive di riforma dell’Università romana pontificia di Sant’Ivo alla Sapienza, illustra il contesto politico-sociale romano alla vigilia del ’48, quando le aspettative di riforma nel pontificato di Pio IX canalizzarono le esigenze di modernizzazione della cultura e della scienza a Roma, prima della stagione riformatrice e rivoluzionaria del biennio ’48-’49.
Fabio Di Giannatale articola il complesso contesto pubblicistico e culturale intorno alle relazioni tra Stato e Chiesa cattolica nel periodo tra la restaurazione postquarantottesca e l’unificazione italiana, esaminandolo at-
Premessa dei curatori 10
traverso la lente della rivista della Compagnia di Gesù, “La Civiltà Cattolica”.
Antonello Battaglia contribuisce al volume con un approfondimento sulle dinamiche internazionali che il regno di Sardegna, dopo la prima guerra d’indipendenza e prima dell’unificazione italiana, mette in campo intorno alla guerra orientale o “di Crimea”, quando il governo guidato dal Cavour riesce ad inserirsi nella delicata questione della protezione sui luoghi santi, portando all’attenzione delle grandi potenze la questione nazionale italiana.
Nel saggio di Slavko Burzanovic ritroviamo ben ricostruita l’attività del diplomatico italiano Cesare Durando, per l’importante ruolo svolto nel’’interesse dell’Italia nei Balcani e in particolare nei rapporti col giovane principato montenegrino, prima e dopo il congresso di Berlino. Durando fu tra i maggiori sostenitori di una forte connessione tra Montenegro e Italia, una relazione che avrebbe avuto conseguenze importanti per la modernizzazione dello stato balcanico e per la penetrazione italiana nell’area.
Nel contributo di Roberto Sciarrone si illustrano i dodici anni che separano la presa di Roma dalla stipula della Triplice Alleanza: un delicato periodo in cui l’esercito italiano viene profondamente trasformato per adattarsi meglio al nuovo contesto internazionale delle potenze europee.
Il contributo di Andrea Carteny esamina, nell’ultima fase della grande guerra – considerata la “quarta guerra d’indipendenza” del Risorgimento italiano – e quindi nella proiezione ideologica di movimento di libera-
Premessa dei curatori 11
zione che il Risorgimento gioca nei confronti dei “popoli oppressi” dell’Austra-Ungheria. Le modalità politiche, giornalistiche, diplomatiche attraverso cui l’Italia abbracciò la politica delle “nazionalità” chiariscono altresì quanto le forze interne alla potenza asburgica contribuirono, nel contesto dell’ultimo periodo del conflitto, alla dissoluzione dell’Impero dualista.
I tanti elementi qui introdotti, anche se apparentemente slegati tra loro, sono invece i tasselli di un quadro complesso ma sempre più consapevolmente studiato e approfondito della storia nazionale ed europea, capace di porre in luce fattori e dinamiche che la storia “del presente” continua a proporre come problematiche attuali.
Andrea Carteny, Stefano Pelaggi
Premessa dei curatori 12
Decennio di preparazione:
le politiche cavouriana e pontificia ai prodromi della guerra di Crimea
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Antonello Battaglia
Le strategie di alleanza in Crimea tra l'instabilità del fronte lombardo-veneto e la necessità d'intervento
La parola Italia è una espressione geografica, una qualificazione che riguarda la lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimerle
Metternich
Così scriveva Metternich nella celebre nota inviata il 2 agosto 1847 al conte Dietrichstein. La controversa frase (Romano, Vivanti, 2010, 1271) può considerarsi emblematica in quanto permette di comprendere la condizione della peni-
* Sapienza Università di Roma, Segretario-Tesoriere del Comitato di Roma – Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano
Battaglia
sola italiana in un'epoca convulsa per i destini della futura nazione: un territorio privo di identità e unità politica, gravemente penalizzato dall’ingegneria messa in atto al Congresso di Vienna, il quale, in ottemperanza al principio di legittimità, aveva sancito la restituzione dei territori alle rispettive dinastie e confermato la frantumazione geopolitica pre-napoleonica. Inoltre, in virtù del principio dell’equilibrio tra le potenze continentali, l’egemonia in Italia era stata affidata all’Austria che indirettamente, tramite rapporti di parentela e trattati, era riuscita a controllare praticamente l’intera penisola ed era diventata la garante dell’assetto restaurato e del nuovo ordine politicoistituzionale (Cafagna, 1999, 271). Dopo la sconfitta e l’abdicazione di Carlo Alberto, consequenziali alla Prima Guerra d’Indipendenza, Cavour, appena designato dal nuovo sovrano alla guida del governo, constatò la netta inferiorità militare sabauda rispetto all’aquila bifronte austriaca pertanto a partire dagli anni ’50 la sua strategia si concentrò su un duplice obiettivo: fare del Piemonte il punto di riferimento dei patrioti peninsulari e inserire il “caso italiano” nel gioco diplomatico europeo al fine di ottenere alleanze e neutralità necessarie a fronteggiare Vienna. Cavour perseguì il primo obiettivo attraverso la modernizzazione dello stato piemontese e lavorò intensamente nella seconda direzione presso le corti europee tessendo una fitta rete di contatti con Gran Bretagna e Francia. La situazione politica internazionale presentò condizioni favorevoli a questa strategia in quanto il sistema di alleanze ed equilibri del 1815, fino ad allora considerato inviolabile, fu definiti-
Antonello
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Decennio di preparazione: le politiche cavouriana e pontificia 99 vamente compromesso (Battaglia, 2008, 18). Ai prodromi della Guerra di Crimea Francia e Inghilterra cercarono immediatamente l’alleanza militare austriaca per scongiurare la minaccia di un’eventuale entrata in guerra di Vienna a fianco di Nicola I. Non solo la forza militare ma anche l’ubicazione geografica dell’Impero Asburgico sarebbe stata strategica in uno scenario di guerra nell’estremo levante europeo. La politica di Napoleone III mirava innanzitutto a guadagnarsi la fiducia e l’appoggio austriaci, in secondo luogo cercava di non alienarsi l’eventuale intervento piemontese. Come confermato da un’ampia storiografia al riguardo, gli sforzi del sovrano transalpino nel cercare un’alleanza con Torino erano finalizzati in realtà a persuadere l’Austria a entrare in guerra senza temere di lasciare sguarnito il fronte italiano. Impegnare Cavour in oriente avrebbe garantito la distrazione del Piemonte dal settore lombardo-veneto e a ottenere l’alleanza austriaca e Cavour l’appoggio francese, si sarebbe venuta a creare una situazione paradossale ossia un alleanza indiretta austropiemontese sul fronte orientale, mentre sul fronte occidentale Vienna e Torino sarebbero state - come sempre - acerrime rivali1 .
La situazione non era tuttavia semplice per l’impero di Francesco Giuseppe che doveva destreggiarsi in una grave impasse scaturita dalle complicate contingenze storiche: le rivolte scoppiate nel 1848 avevano causato gravissimi problemi al vertice e Vienna, nel cul de sac, aveva fatto
1 Cosa che di fatto sarebbe avvenuta nel corso della guerra di Crimea.
ricorso all'appoggio dell'Impero zarista per poter riprendere il controllo del proprio territorio. L’invio provvidenziale delle truppe cosacche da parte di Nicola I si era rivelato di vitale importanza per il ristabilimento dell'ordine e tale avvenimento aveva consolidato il vincolo di alleanza tra i due grandi imperi2 e aveva rafforzato l'antica Santa Alleanza3. L'intervento dello zar era il principale motivo dell’imbarazzo austriaco, in quanto Francesco Giuseppe si sentiva moralmente obbligato a ricambiare il favore mostrando fedeltà e riconoscenza. Il do ut des era preteso da Nicola I che dava per certo il sostegno di Vienna alla propria causa (Battaglia, 2008, 13). Tuttavia, la posizione austriaca non era assolutamente decisa, né certa (Dante, 2005, 97). Da una parte c’era la necessità di onorare l’impegno e il debito contratto con San Pietroburgo, dall’altra l’incompatibilità di tale decisione con le strategie internazionali di Vienna, ormai da qualche anno in evidente contrasto con gli interessi russi. Le aree di influenza erano le medesime, ossia la penisola balcanica, considerata dagli austriaci parte della propria naturale sfera di influenza con il vicino est europeo. L’espansionismo russo spaventava
2 In particolar modo l’esercito russo fu indispensabile per l’espugnazione della capitale magiara Budapest, contro la quale le truppe austriache non erano riuscite a prevalere.
3 La Santa Alleanza era stata stipulata il 26 settembre 1815, a Parigi tra lo zar di tutte le Russie, l’imperatore d’Austria e il re di Prussia. Il trattato presentava un linguaggio ispirato e quasi mitico, con il quale si affermava che "i principi avrebbero governato come delegati della divina provvidenza" e che "il mondo cristiano non ha altro sovrano che Colui al quale soltanto appartiene il potere".
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Battaglia
Decennio di preparazione: le politiche cavouriana e pontificia 101 Vienna che sentiva minacciati i propri confini orientali soprattutto alla luce di una possibile disfatta dell’Impero Ottomano, eventualità che avrebbe offerto a Nicola I l’opportunità di estendersi ad occidente (Benvenuti, 1999, 25). Intervenire a fianco della Russia avrebbe significato pertanto ricambiare il favore del 1848 senza ottenere privilegio alcuno (Valsecchi, 1948, 11, 12). Davanti all’empasse, la Hofburg decise di protrarre gli indugi. Dell’iniziale rifiuto viennese a entrare nella coalizione anti-russa seppe approfittare Cavour che considerò favorevole la situazione venutasi a creare e aprì ampi margini di intesa per intavolare le trattative con le potenze occidentali. Nell’aprile del 1854 infatti i diplomatici britannici giunsero a Torino (Valsecchi, 1948, 15). L’alleanza con Inghilterra e Francia era propizia per il Piemonte ma, come osservarono gli oppositori alla Camera, in caso di sconfitta militare, «il Piemonte rischiava di mettere in gioco tutta la politica internazionale fino allora seguita» (Valsecchi, 1948, 15). Cavour, nella lungimiranza delle proprie vedute, fu uno dei pochi a rendersi conto della necessità dell’intervento anche se ciò avrebbe implicato un impegno incondizionato, privo di clausole o riserve. Il colloquio tra i diplomatici britannici e il primo ministro sabaudo, avvenuto il 19 aprile, terminò con la sostanziale apertura di Cavour alle richieste britanniche. Al Consiglio dei Ministri, riunitosi nel pomeriggio dello stesso giorno, la condotta cavouriana fu considerata precipitosa e sconsiderata pertanto il Ministro fu richiamato a una linea politica più prudente. In questo frangente ebbe origine l’antitetica differenza di vedute tra il generale Dabormida,
Battaglia
ministro degli Esteri, e Cavour che provocò gravi fratture in seno al Consiglio e infiammò l’opinione pubblica piemontese. Mentre la politica ufficiale condotta dal Ministro degli Esteri restava irremovibile sulle condizioni iniziali, si svolgeva segretamente una contromossa politica da parte di Cavour e del Re volta a lasciar aperti i negoziati per eventuali accordi. Non che essi ritenessero inopportuno insistere per ottenere le condizioni migliori, ma si rendevano conto che queste condizioni non sarebbero potute essere così favorevoli come Dabormida avrebbe voluto e che l’irrigidirsi su tale posizione avrebbe significato il fallimento dell’alleanza.
La crisi interna maturò in tutta la sua ampiezza verso la fine del 1854 quando, il 13 e il 14 dicembre, il gabinetto britannico inviò a Torino due successive comunicazioni con le quali invitava ufficialmente il Regno sabaudo a prender parte all’alleanza anti-russa e a partecipare militarmente alla Guerra di Crimea. Il Governo piemontese si trovò nella necessità di prendere una decisione improcrastinabile: il dissidio tra Dabormida e Cavour non si attenuò, anzi, la contrapposizione si radicalizzò quando il Ministro degli Esteri accentuò apertamente il suo contrasto con le potenze occidentali. Cavour cercò di agire come elemento conciliatore cercando di trovare soluzioni intermedie che però si rivelarono vane a causa dell’intransigenza daborminiana pertanto, davanti al serio rischio dell’arenamento delle trattative e all’allarmante in-
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Decennio di preparazione: le politiche cavouriana e pontificia 103 tesa tra Austria e Francia nei riguardi dell’Italia4, Cavour decise di prendere l’iniziativa personale “con la risolutezza di un dittatore” (Valsecchi, 1948, 18) e propose che il Piemonte firmasse un atto di accesso incondizionato all’alleanza franco-inglese cosa che di fatti avrebbe significato accettare in toto la linea franco-britannica (Battaglia, 2008, 21). La strategia del Primo Ministro piemontese trovò compiaciuto consenso presso le potenze occidentali, ma ebbe forti opposizioni al gabinetto torinese ove alla sostanziale disponibilità del solo Ministro della Guerra Lamarmora si contrapponevano Dabormida e l’indecisione, piuttosto ostile, del Ministro degli Interni Rattazzi.
Cavour, dunque, non esitò ad assumersi tutte le responsabilità e, scavalcando le opposizioni del Ministero, comunicò a Londra e a Parigi l’accettazione, in nome del Governo piemontese, della soluzione proposta». (Battaglia, 2008, 21).
4 La Convenzione tra Austria e Francia per la conservazione delle circoscrizioni territoriali in Italia fu firmata a Vienna il 22 dicembre 1854. «S.M. l’Empereur des Français et S.M. l’Empereur d’Autriche s’étant engagées par le traité d’alliance […] à faire cause commune et à associer, dans des circonstances prévues, l’action de leur forces militaires, ont jugé qu’il leur importait aussi de s’entendre sur les mesures à adopter pour qu’au moment où leurs armées opéraient ensemble sur le théâtre de la Guerre en Orient des menées révolutionnaires ne puissent pas détourner leur attention de l’objet principal de leur alliance en menaçant de troubler la tranquillité publique en Italie, ou de compromettre la sûreté de leurs troupes dans la Péninsule» Segue il trattato composto da tre articoli firmato Buol-Schauenstein. S. Camerani, L’intervento piemontese in Crimea. Un trattato inedito in «Il Risorgimento italiano», XXV, 1932.
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Dabormida, di fatto esautorato dalla condotta del Primo Ministro, si dimise5. La crisi politica fu evitata da Cavour con l’assunzione personale dell’interim del Ministero degli Esteri, dopo aver offerto invano la presidenza del Consiglio a Massimo d’Azeglio. Il 26 gennaio 1855, dopo aver apposto la firma al trattato di alleanza franco-britannico, fu presentata alla Camera l’atto appena siglato mettendo il Governo davanti al fatto compiuto. I gruppi d’opposizione furono numerosi poiché la Destra mise in rilievo che lo stato delle finanze fosse già fortemente provato e che nell’eventualità di una guerra, l’economia piemontese sarebbe collassata. Fu accusata ancora una volta l’avventata condotta cavouriana: il conflitto - secondo i dissidentiavrebbe procurato soltanto ingenti perdite e vani sacrifici volti esclusivamente alla tutela della politica delle grandi potenze. La Sinistra invece non fece leva sull’aspetto economico, quanto su quello politico protestando contro l’appoggio del costituzionale Piemonte all’assolutistico re-
5 La lettera in cui Cavour annuncia le dimissioni di Dabormida a Villamarina: «J’ai le regrette de vous annoncer que le Géneral Darbomida ayant cru […] de se retirer du Ministre, le Roi a bien voulu me confier le portefeuille des affaires étrangères. Le ministère subit une grande perte, car vous avez, aussi bien que moi, pu apprécier le rares talents et les précieuses qualités du collègue qui nous quitte. Cette retraite toutefois n’implique aucun changement politique dans le marche du Gouvernement; vous pouvez en donner l’assurances à Mr. Drouyn de Lhuys». Le dimissioni del Ministro degli Esteri furono oggetto di una interrogazione alla Camera. Cavour diede delle spiegazioni, nel limite del possibile, nella seduta del 3 febbraio 1855, in cui cominciò la discussione del trattato.
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Decennio di preparazione: le politiche cavouriana e pontificia 105 gime bonapartista che a sua volta convogliava i proprio diplomatici a Vienna per ottenerne l'alleanza. Solo il Centro approvò le trattative di Cavour, il quale, durante il dibattito, cercò di non perdere la fiducia dei colleghi controbattendo ogni opposizione (Valsecchi, 1948, 140). La discussione iniziò negli uffici incaricati dell’esame del Trattato. Il Governo ottenne la prima vittoria in quanto sei uffici su sette si mostrarono concordi sulla linea politica adottata; un solo ufficiò oppose delle riserve. La relazione della Commissione riassunse sinteticamente i termini della discussione ribattendo sapientemente le principali obiezioni e ribadendo le ragioni dell’intervento finalizzato a scongiurare il pericolo di un’eventuale supremazia russa su tutto il continente, cosa che avrebbe portato al trionfo quelle idee reazionarie alle quali il Piemonte per primo si contrapponeva. Altra nota puntualizzata dalla frangia "cavouriana" fu il paventato rischio d’isolamento sabaudo dal resto dell’Europa in caso di non intervento. Dopo l’apertura del dibattito pubblico, il 3 febbraio la Destra mosse all’attacco guidata da Revel e da Solaro mentre la Sinistra ebbe un ottimo peroratore in Brofferio. All’accusa del tribuno rispose Cavour in modo meno eloquente ma più concreto rimanendo tuttavia nel vago perché non avrebbe potuto svelare l’intricato gioco politico che da marzo aveva intavolato con le potenze alleate. Mise soprattutto alla luce gli interessi economici piemontesi poiché gli armatori genovesi avevano il controllo del traffico marittimo nel Mar Nero e da Odessa si gestiva l’imponente esportazione di grano ucraino in direzione dell’Italia e dell’intero continente europeo
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(Dante, 2005, 181). La discussione si prolungò ancora per tre sedute, nervose, ricche di incidenti, di cui uno particolarmente violento fu Cavour e Revel. Infine, il 10 febbraio, la convenzione fu approvata con 101 voti contro 60 nella votazione pubblica, con 95 voti contro 64 nella votazione segreta. Il Centrò votò in blocco per il Governo, le riserve vennero dalla Destra, dalla Sinistra radicale e da qualche deputato genovese. Cavour portò il trattato dinanzi al Senato, assemblea dove il partito conservatore contava numerosi rappresentanti e proprio a causa di ciò il Primo Ministro temette per l’approvazione. Ma ormai il dibattito si era esaurito, il Governo pronunciato e il Re favorevole, pertanto il Senato non avrebbe potuto efficacemente opporsi. Il 3 marzo fu approvata la Convenzione con 65 voti contro 27 e il giorno successivo Cavour e i plenipotenziari Alleati si scambiarono le rispettive ratifiche (Barié O. – De Leonardis M. – De’ Robertis A. G. – Rossi G., 2004, 39-42). L’alleanza di Crimea quindi fu portata a termine perché Cavour, nel momento più delicato, ne prese su di sé tutta la schiacciante responsabilità. Il Piemonte entrava in una guerra piena di incognite e peraltro orfano di alcuna garanzia, senza una promessa da parte degli alleati: non era definita nemmeno la posizione dell’esercito sabaudo. Alfonso Lamarmora fu nominato comandante in capo della spedizione. Il Ministro della Guerra chiese istruzioni a Cavour, il quale diede soltanto risposte evasive. Nel momento stesso dell’imbarco lo sollecitò ulteriormente affinché potesse avere una risposta e Cavour, non in gradi di replicare,
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lo abbracciò sussurandogli «Ingegnati!» (Valsecchi, 1948, 101). La Santa Sede e la Crisi d'Oriente (1853-1856): il paventato espansionismo sabaudo
Il cardinale Giovanni Maria Mastai Ferretti era salito al soglio pontificio il 16 giugno del 1846, eletto al quarto scrutinio con 36 voti su 50 cardinali presenti al Conclave. Il nuovo papa che aveva assunto il nome di Pio IX, era cinquantaquattrenne e il suo pontificato sarebbe stato il più longevo con ben 34 anni di regno. Il regno di papa Mastai Ferretti attraversò fasi concitate come i moti rivoluzionari del 1848-‘49, la Guerra di Crimea del 1854-56, le guerre garibaldine, l’unificazione italiana del 1860-61 e infine la presa di Roma del 20 settembre 1870 con l’interruzione del Concilio Vaticano I (R. de Cesare, 1970)6. Pertanto è inevitabile, vista l’abbondanza di eventi che s’intrecciano agli anni di regno, chiarire la posizione di Pio IX nella delicata “Questione d’Oriente” e precisare la posizione della Chiesa cattolica di fronte a un conflitto militare, diplomatico, etnico ma con forti valenze religiose in quanto alleò paradossalmente le nazioni cristiane all’Impero Ottomano di fede islamica, contrapponendole alla Russia ortodossa. Un aspetto di notevole importanza è quello relativo
6 Il Concilio fu convocato da Pio IX con la bolla Aeterni Patris del 29 giugno 1868. La prima sessione fu tenuta nella Basilica di San Pietro l’8 8 dicembre 1869 e vide la partecipazione di circa 800 Padri conciliari.
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all’ecumenismo che contraddistinse il suo pontificato infatti nonostante le travagliate vicende temporali, profuse attivamente il suo impegno perseguendo con instancabile fiducia l’unione ecclesiale. Di cruciale importanza fu la lettera del 6 gennaio 1848, Litterae ad Orientales in suprema Petri sede, indirizzata ai patriarchi greco-ortodossi e inaugurante una nuova fase dei rapporti religiosi tra Chiesa Occidentale e Orientale (Tamborra, 1992)7 . Prima di procedere con l’analisi dei tentativi di dialogo tra le due confessioni cristiane è necessario puntualizzare che quando si parla di chiesa ortodossa, relativamente al periodo preso in questione, è inevitabile il riferimento all’Impero zarista in quanto l’identità nazionale russa si fondeva all’appartenenza religiosa alla confessione greca. Essere russo significava essere ortodosso, per questo motivo la Polonia - cattolica per antonomasia - venne considerata un corpo estraneo all’impero. Lo Zar tuttavia attuò una politica di tolleranza religiosa nei confronti dei latini, lasciando libertà di culto. Tale linea non può essere considerata alla stregua dell’apertura ecumenica di Pio IX bensì prodotto di una oculata scelta politica che tenne conto dello schiacciante tasso di cattolici in Polonia, i quali, se non tollerati, avrebbero potuto destabilizzare il potere russo. Si cercò di ridurre al minimo gli interventi di Roma per il timore che potesse sfruttare le chiese indigene per la sovversione na-
7 Si trattò di una notevole svolta che come afferma Dante “risultò, forse, anticipatrice dei tempi”. Non a caso il Concilio Vaticano II, tenutosi un secolo dopo, fece riferimento a questa documentazione.
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Decennio di preparazione: le politiche cavouriana e pontificia 109 zionale. Questa la situazione dei delicati rapporti tra Roma e San Pietroburgo ai prodromi della I Crisi d’Oriente. L’iniziativa unionista di Pio IX incontrò la ferma resistenza della confessione ortodossa espressa aspramente nell’Enciclica dell’Una, santa, cattolica ed apostolica Chiesa agli ortodossi di ogni regione del maggio 1848. La risposta greca fu firmata da Antim I, patriarca di Costantinopoli. L’atto fu sottoscritto da tutti i patriarchi e dai sinodi vescovili i quali rifiutarono in blocco l’apertura pontificia in nome di quel filioque che dal 1054 aveva provocato il “grande scisma”. Il cattolicesimo venne considerato eretico e i fedeli tacciati di proselitismo. La risposta dei patriarchi greci trovò ampi consensi in ambito slavofilo e in particolar modo in Russia:
È venuto il turno dell’ortodossia, il papa dunque siede ripiegato nel suo angolo, Roma o Gaeta pari sono, debole e malinconico. Sono di turno nel mondo le razze slave! Grande momento questo, da noi previsto ma non da noi preparato
La posizione dello Zar fu ben chiara e la contrapposizione con Roma insanabile8. Davanti al rischio di una guerra imminente e dovendo assumere una netta posizione, la Santa Sede si mostrò turcofila poiché l’Impero Ottomano,
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La Civiltà Cattolica commentò: “Gli orgogliosi patriarchi per mantenersi all’altezza usurpata si appoggiavano sulla spada di Cesare, riuscendo così a reprimere la ribellione dei propri fedeli senza però rendersi ben conto che di fatto si erano consegnati nella mani di Cesare”. Lo Zar fu considerato un despota anticristiano al quale si sottomisero incondizionatamente tutte le chiese ortodosse a causa del loro distacco da Roma.
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nonostante fosse di fede islamica, non rappresentava ormai da tempo alcuna minaccia per la fede latina a differenza della politica spregiudicata di Nicola I. Il vero nemico da combattere era dunque il panslavismo9 zarista con tutte le sue implicazioni di ordine temporale e spirituale. A tale proposito Biagini nota:
In questo momento giovava più all’Europa cristiana di portare aiuto alla Porta piuttosto che ai cristiani ortodossi, comodo paravento delle mire russe». (Biagini, 1970, 201, 225).
Il punto di vista della Santa Sede nel corso della Guerra di Crimea è evidente nelle pagine del quotidiano gesuita «La Civiltà Cattolica»: le lucide analisi e gli articoli vagliati direttamente dal pontefice costituirono l’occhio ufficiale di Roma. Fu la rivista che riuscì a carpire gli eventi e fare un quadro - certamente non imparziale - della travagliata situazione venutasi a creare a est. Con lucidità la rivista mise immediatamente in luce le posizioni della Santa Sede attribuendo le cause della I Crisi d’Oriente esclusivamente alla politica spregiudicata di Nicola I, il quale, dietro al pretesto
9“Il panslavismo - affermò «La Civiltà Cattolica» - è l’idea di unificare in un sol colpo società religiosa e politica della razza slava, per renderla politicamente dominante sulle altre. E questa l’idea si viene talmente incarnando nelle popolazioni or greche or slave confinando con l’Impero che in prova di queste simpatie i paesani del Danubio e gli Slavi Ungheresi serbano in loro case il ritratto dell’Imperatore russo, come il capo o il protettore massimo del loro scisma religioso contro il latinismo”.
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Decennio di preparazione: le politiche cavouriana e pontificia 111 religioso, aveva celato il reale obiettivo dell’espansionismo russo: Questo disegno così grandioso sta per essere messo in opera, né si crede remoto il tempo che i lavori cominceranno ad intraprendersi. I lavori saranno diretti da quattro colonnelli […] seguiti da tre corpi di truppa
I cattolici cercavano di analizzare la condotta russa, in particolare nel Caucaso e nel sud-est europeo. In questa propaggine territoriale le truppe di Nicola I ingaggiarono frequenti scontri con le popolazioni autoctone. Il pretesto ufficiale fu quello di dover difendere i confini dell’esteso impero, ma gli inviati compresero subito che la principale causa di tale aggressione zarista, oltre al consolidamento delle frontiere, era quella di ottenere la supremazia in questa zona. Tale estensione avrebbe permesso a Pietroburgo non solo di assoggettare le tribù ribelli ma di aprire alla propria influenza la “via delle indie”. La rivista gesuita metteva immediatamente in risalto l’ambiguo e gravissimo atteggiamento militare russo ormai vicino a un’aggressione nei confronti di Costantinopoli. Altro punto di vista particolarmente saliente per poter comprendere la posizione romana è quello del Nunzio Apostolico a Vienna, Michele Viale-Prelà10. Tra le nunziature, quella austriaca fu la più
10 Nato in Corsica, a Terra Vecchia, presso Bastia il 29 settembre 1798, venne nominato Nunzio Apostolico e Arcivescovo di Cartagine il 12 luglio 1841 da papa Gregorio XVI. Nel giugno del 1845 fu inviato a Vienna, dove nacquero rapporti di consonanza con il Metternich, in virtù dei
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importante nel corso della delicata Crisi Orientale. La notevole rilevanza della personalità di Viale-Prelà non può essere compresa se non letta alla luce degli interessi della Santa Sede, la quale ebbe nel suo Nunzio - come scrive Francesco Dante (Dante, 2005, 205) - una pedina di inestimabile valore nello scacchiere orientale. L’obiettivo dell’emissario pontificio era quello di monitorare attentamente la politica interna ed estera dell’Impero giuseppino, cercare di comprendere gli interessi austriaci e le strategie della Hofburg. Nel capire il perché di tanto interesse di Roma nei confronti dell’Impero Asburgico è necessario cambiare scenario e ricollegarsi alla penisola italiana. Nello stivale l’Austria era divenuta la garante principale dello status quo. I continui tentativi di insurrezione erano stati stroncati nel sangue dalla truppe di Vienna (AA. VV, 1864). Lo stesso Pio IX, intorno alla fine del 1848, aveva avviato dei contatti segreti con Francesco Giuseppe invocando il suo aiuto e il suo intervento contro la Repubblica Romana. Monitorare l’Austria avrebbe significato comprendere la sua strategia e la futura politica nella penisola italiana. Il Nunzio Apostolico, oltre ad aggiornare continuamente la Santa Sede doveva condurre una pressante opera di dissuasione nei confronti dell’Imperatore asburgico. Se l'Austria fosse intervenuta in Crimea, avrebbe smantellato le difese sul Lombardo-Veneto permettendo al Regno di Sardegna di riprendere la politica espansionistica che avrebbe quali il rappresentante pontificio divenne particolarmente gradito al governo austriaco. Nunzio Apostolico in Austria dal 1845 al 1856.
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Decennio di preparazione: le politiche cavouriana e pontificia 113 potuto minacciare i territori della Chiesa. La politica di Pio IX fu lungimirante nella lettura delle possibili conseguenze di una avventata e aggressiva scelta politica di Vienna: si cercava di scongiurare l’impegno armato austriaco per poter salvaguardare l’integrità dello Stato Pontificio. Altra grande preoccupazione espressa negli articoli della rivista gesuita fu il timore che Costantinopoli si sottomettesse alle richieste e all'influenza dello Zar. L’unione di Mosca e di Costantinopoli, considerate rispettivamente la “Terza” e la “Seconda Roma”, avrebbe eclissato il prestigio e il primato della “Prima”. Ciò sarebbe stato un durissimo colpo alla sede pontificia, al papa, alla regione cattolica e al suo universalismo (Dante, 2005, 37). Da questo punto di vista si comprende la contraddittoria posizione della Santa Sede: da una parte si considerava inevitabile la guerra alla Russia, poiché una sua sconfitta avrebbe ridimensionato sia le sue aspirazioni che quelle ortodosse e avrebbe permesso di mantenere inalterato il prestigio della Roma pontificia. Dall'altra bisognava evitare che l'Austria intervenisse per non mettere il Piemonte in condizione di minacciare la penisola italiana. L’ambiguità della posizione della Chiesa non sorprende, poiché risulta assolutamente consequenziale ai propri interessi. «La Civiltà Cattolica» sintetizzò in Pietroburgo e nella figura di Nicola I i mali contemporanei da estirpare. Questi i motivi che portarono all’esplicita posizione in favore della Sublime Porta che, dalla testata, era ritenuta un impero evidentemente in crisi ma in cerca di una salvifica alleanza con le potenze cristiane d’occidente.
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