Elia Rossi Passavanti

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Associazione "Amici Museo Armi Terni" Lions Club Terni San Valentino Centro Studi Storici di Terni

Elia Rossi Passavanti Dragone ed Eroe di guerra Raccolta di documemi e letrere selezionate a cura di Guido Pesce

MORPHEMA ED ITRICE


Realizzato con il.finanziamenlo della

FONDAZIONE '

CASSA DI H.ISPARMIO

DI TER NI E NJ\RNJ

Si ringraziano la Fondazione Ternana Opera Educatrice (T.O.E.) nella. persona del Presidente Dott. Mario Fornaci , per aver autorizzato l'accesso ali' Archivio Passavanti e la pubblicazione di articoli e lettere. Il Vittoriale degli Italiani e l'Archivio di Stato di Temi per aver messo a disposizione alcune foto e lettere di D' Annunzio e Passavanti. Massimo Cipiccia Sconocchia per aver messo a disposizione due bronzelti di Giacinto Rardetti "La vedetta d ' Italia" e "San Francesco" appartenenti alla famiglia Bosco. Altri ringraziamenti vanno: alla Signora Bruna Chi ani per la sempre pronta disponibilità e per la squisita cortesia di perfetta padrona di casa al Museo Elia Rossi Passavanti: i suoi ricordi personali sono un ulteriore arricchimento per la conoscenza, anche di vita privata, di Elia Rossi Passavanti ; alla Dott.ssa Anna Ciccarelli della Fondazione CARIT; alla Dott.ssa Robetta Valbusadegli Archivi del Vittoriale degli Italiani; alla Dott.ssa Franca Peluchetti delle Mostre del Vittoriale degli Italiani ; alla Dott.ssa Elisabetta David dell' Archivio di Stato di Terni; al fotografo Alberto Miri mao per l'elaborazione grafica cli alcune foto; Un particolare ringraziamento al Prof. Domenico Cialfi, Presidente del Centro Studi Storici di Terni , che oltre ad aver contribuito con le sue competenze storiche attivamente aUa stesura del libro con un suo articolo sull 'impresa di Fiume, mi è stato amico, attento consigliere e che mi ha seguito passo dopo passo nella raccolla e nella scella dei documenti. Brig. Gen. (Ris.) Guido Pesce Maggio201 2 Fotocomposizione: Morphema Strada di Recenti no, 4 I -05100 Terni Te!. 0744/ 817713 (r.a.)

In prima di copertina: A. Calcagnadoro - particolare "Testa rovesciata all'indietro con san[;ue e benda" dal quadro "Rpisodio della Medaglia d'Oro Elia Rossi P assavanti 1934 "

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Introduzione

La Fondazione Ternana Opera Educatrice venne fondata dal conte Elia Rossi Passavanti il 30 giugno del 1980 allo scopo di promuovere iniziative volte ad animare i giovani del territorio temano allo studio e alla ricerca scientifica in ogni campo dello scibile umano e a premiare tutti coloro che si sono maggiormente distinti nelle rispettive discipline mediante la concessione di un premio annuale. II conte Passavanti istituì anche un altro premio annuale in favore di tutti i lavoratori anziani che hanno dimostralo doti eminenti nella loro vita lavorativa. II Consiglio di Amministrazione della Fondazione T.O.E. si occupa da oltre trenta anni della gestione del patrimonio lasciato dal Passavanti ne] rispetto delle sue volontà e dei suoi benemeriti propositi, al fine di ottenere la migliore rendita per assegnare ogni anno un adeguato numero di premi ai giovani e ai lavoratori a riposo. A distanza di dieci anni dal convegno dedicato alla sua persona e alle sue gesta, organizzato dal Centro Studi Storici e dal Rotary Club Terni, questa mostra, con il relativo catalogo curato con grande impegno e professionalità dal Brig. Gen. (ris) Guido Pesce, ci consente di continuare a ricordare ed apprezzare la figura eroica di EliaRossiPassavanti. Siamo, pertanto, felici della bella iniziativa promossa dall' Associazione "Amici Museo Armi" di Terni e dal Lions Club "Terni San Valentino" con la quale viene onorato Elia Rossi Passavanti, eroe di guerra dall'animo gentile e magnanimo, la cui generosità è oggi evidente nelle attività svolte dalla Fondazione da lui istituita. Mario Fornaci Presidente Fondazione T.O.E.

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Presentazione

Va a compimento nel maggio di quest'anno, quanto prevedemmo con buon anticipo nel corso dell'anno precedente: testimoniare con una manifestazione la figura di Elia Rossi Passavanti, eroe ternano, Dragone e indomabile Ardito nella Grande Guerra, 'soldato' intemerato tanto da meritare, ancora vivente, due Medaglie d'Oro al Valor Militare, inoltre compagno e amico fraterno nell'impresa di Fiume di d'Annunzio, che lo aveva ribattezzato "frate Elia dell'Ordì ne della Prodezza Trascendente". La manifestazione che vede la collaborazione a vario titolo della Fondazione CARTT, della Ternana Opera Educatrice (fondata dal Passavanti), del Lions Club Temi San Valentino, dell'Associazione Nazionale di Cavalleria, de! Vìttoriale e dcli' Archi vio di Stato di Terni (che tutti ringrazio sentitamente per la faltiva disponibilità dimostrata), si avvale anche del Centro Studi Storici di Terni, nella figura del Presidente Domenico Cialfi, che ha contribuito con le sue competenze storiche e il frutto di studi appassionati anche alla determinazione del presente volume di raccolta di documenti, foto e lettere, e che ne ha condiviso da subito il taglio sia nel suo dimensionamento temporale (rispetto ad una biografia assai articolata e quasi prorompente del Passavanti, prodottasi per "aggiunte" successive), che nella scelta dei temi: l'eroismo nelle battaglie della Grande Guerra che lo videro protagonista (I Parte), ma anche una sorta di "antologia critica" circa questi momenti che non solo amplificarono le gesta dell'eroe di guerra, ma lo collocarono, ancora vivente, nella leggenda (Il Parte), quindi l' esperienza come Comandante de "La Disperata" dell'avventura di Fiume con l'amicizia fraterna e il sodalizio mistico con d'Annunzio (III Parte), a conclusione l'aggiunta di una ricca Miscellanea (IV Parte) tesa a sviscerare anche lo spessore umano ed intellettuale del protagonista. 7


Il tutto ha preso le mosse su ciò che il volume non dovesse essere: una carrellata superficiale, ovvero un saggio storico che, rispondendo a sanciti criteri di pura scientificità, non ponesse al centro l'attenzione e 1' interesse del lettore. Si sarà capito, dalla disamina che siamo venuti effettuando, come il volume si presenti, proprio per la sua struttura composita (con qualche concessione anche aHa divulgazione), con il carattere della eterogeneità. Se i temi affrontati emergono a chiare linee, così come il filo narrativo conduttore, altre parti, come quelle "antologiche" e di materiali documentari, fungono più da stimolo, per chi non voglia limitarsi ad una superficiale lettura, che da compiuto approfondi mento già dato. Completano il volume, non come parte a sé stante, ma direttamente "coinvolte" nel discorso narrativo, una notevole quantità di immagini per lo più provenienti dalla "Casa Museo Passavanti" e dal suo archivio. BriR. Gen. (Ris.) Guido Pesce

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Elia Rossi Pass~rvanti Dragone ed Eroe di guerra

Prima parte Elia Rossi Passavanti



Elia Rossi Passavanti

Elia Giovanni Rossi Passavanti nacque a Temi il 5 febbraio 1896, da Ruggero Rossi e Virginia Passavanti. Dopo aver perso in lenera età la madre, trasferitosi all'età di dodici anni con il padre a Roma, completò ivi le scuole secondarie, presso i Salesiani. Volontario nella Grande Guerra, arruolatosi nel reggimento Genova Cavalleria, si distinse in varie azioni per episodi di coraggio, come nella battaglia di Pozzuolo del Friuli, nell'ottobre 1917.

Trasferito il 24 giugno 1918 presso il 52° reggimento fanteria per addestramento, dopo un mese fu destinato al 6° Reparto d'Assalto col grado di sottotenente, quindi in data 29 agosto 1918 al Repa1to d'Assalto del 252° fanteria. Più volte ferito, fu insignito di due medaglie d'argento, una croce al valor militare e una medaglia d'oro al val or militare. Nel settembre 1919 partecipò all' impresa di Fiume, divenendo comandante dei 200 uomini della "La Disperata", la Guardia di "Pretoriani" del Comandante Gabriele D 'Annunzio, al posto dell'ardito romagnolo, tenente Tomaso Beltrani, definito dallo La presente scheda è contenuta ne/L'inventario redatto da Adalgiso Liberati - Sistema lnjòrmativo Un(ficato per le Soprintendenze Archivistiche, noto con l 'acronimo SlUSA

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scrittore futurista Mario Cari i "vero capobanda senza paura e senza disciplina ...". Dopo la prima fase di spontaneismo da "escamisados", "La Disperata" fu trasformata dal Passavanti in una Compagnia modello, bene equipaggiata e ben vestita: "Che vita di lieto affratellamento, di disciplinati giuochi nelle baracche iso]ate davanti al mare, su per i poggi cui danno di corsa la scalata! Eccoli a torso nudo, nell' arena di Cantrida, s'addestrano al lancio delle granate, al salto in altezza: con un fischio il capo, Rossi Passavanti, li aduna o li disperde." rammenterà nelle sue memorie il poeta belga Leon Kochnitzky, nel libro "La quinta stagione o i Centauri di Fiume". Rientrato in territorio nazionale il 24 maggio 1920, arruo]ato come tenente nel 91 ° reggimento fanteria, fu inviato dal Ministero della Guerra al Comando truppe di Massaua, in Eritrea, ove giunse nel dicembre dello stesso anno, insieme alla sua donna, la marchesa Margherita Incisa di Camerana, conosciuta a Fiume e sposata il primo ottobre, previa autorizzazione reale. Rientrati in Italia nel dicembre 1922, Elia fu destinato al reggimento Nizza Cavalleria nel febbraio 1923, in qualità di comandante di Squadrone. Lo stesso anno, il 2 marzo fu insignito della medaglia d'oro al valor militare e con decreti regi del 22 Juglio e del 2 dicembre ricevette il titolo nobiliare di conte. Nella primavera del 1924 venne incluso da Mussolini nella Lista Nazionale, per la circoscrizione Lazio - Umbria ed eletto deputato nella XXVII legislatura, rappresentò per un lustro Terni al Parlamento. Nel 1927, con Temi capoluogo di provincia, cumulò nella sua persona le cariche di deputato, podestà dal 16 gennaio e federale. Fu presidente anche della Associazione Nazionale Combattenti e Reduci della sezione circondariale di Temi, ricevendo dall' ingegnere Luigi Amati presidente uscente tale incarico, a seguito della delibera del direttorio nazionale del 7 gennaio 1927 e Presidente del Comitatoprovincialedell'OperaNazionaleBalilla. In Terni fu il paladino della battaglia contro i centri di potere 12


economico politico, che avevano abbracciato il fascismo per motivi opportunistici, in primis la Società Terni, con cui si scontrò violentemente in occasione di una nuova convenzione per lo sfruttamento delle acque del bacino Nera Velino, già regolato da una precedente convenzione del 1925. Fondò e diresse due giornali, tribune e casse di risonanza in questa sua "crociata", "La Prora" ( 1925 - 1926), e "Volontà Fascista" (1926-1927). Su questo terreno si scontravano gli interessi della grande industria, in sintonia con la politica del regime e quelli del ceto agricolo locale, al quale l'uso delle acque serviva per l'irrigazione ed il funzionamento delle piccole aziende. Passavanti, in quanto podestà, aveva preso posizione decisamente a favore di quest'ultimo ed aveva tentato di porre una serie di condizioni alla "Temi", cercando di far entrare il Comune nel Consorzio Velino ed ottenere la disponibilità di una notevole quantità di energia elettrica che avrebbe potuto contribuire al risanamento del bilancio e allo sviluppo di nuove attività industriali nel territorio ternano. La nuova convenzione tra Comune e Società Terni, avvenuta in data 1 dicembre 1927, che sanzionava una posizione di vantaggio per la Società, provocò le dimissioni del Passavanti da podestà di Terni. In seguito all'uscita definitiva dalla scena politica, riprese gli studi universitari, conseguendo tra il 1927 e il 1929 tre lauree: in Giurisprudenza il 15 giugno 1927 ed in Lettere e Filosofia il 18 dicembre 1929 presso l'università di Torino, in Scienze Politiche Economiche e Sociali il 31 ottobre 1928 presso la Regia Università diRoma. Dopo aver esercitato per qualche anno, dal 1928 al 1933, la professione di avvocato, con studi in Roma insieme all'avvocato Cesare Matteucci ed in Terni con l' avvocato Rufo Rossetti, vi rinunziò per dedicarsi interamente all'insegnamento universitario ed alla magistratura presso la Corte dei Conti. Fu infatti assistente alla Cattedra di Contabilità dello Stato del 13


professore titolare Fortunato Rostagno, Presidente della Corte dei Conti, ottenne in seguito la libera docenza di Contabilità dello Stato dal 29 gennaio 1931 ed infine divenne titolare della cattedra di Contabilità Generale de1lo Stato nel 1932, anno in cui, con regio decreto del 1 giugno, fu eletto consigliere della Corte dei Conti, dove sarà promosso per anzianità e merito presidente di Sezione, in particolare della Seconda Sezione Speciale per le Pensioni di Guerra, il 16 dicembre 1941. Tra le varie monografie da lui curate, si segnalano le opere, pubblicate nel corso degli anni trenta: "La contabilità di Stato o l'economia di Stato nella storia" e una "Storia di Terni" dalle origini all'Unità. Con l'entrata nella seconda guerra mondiale dell'Italia si arruolò volontario nel Reggimento "Genova Cavalleria", che comandò interinalmente dal 18 giugno 1940 al 7 novembre 1940, alla frontiera iugoslava, col grado di Tenente Colonnello. In seguito fu nominato capo dell'Ufficio Propaganda del III Corpo d'Annata durante la Campagna contro la Grecia, nella quale ottenne ìa sua seconda medaglia d ' oro al valor militare, con la motivazione ufficiale di aver issato i tricolori affidatigli dal Duce nelle località albanesi riconquistate di Corcia ed Erseke, quindi, dal 20 agosto 1942 all'8 settembre 1943, col grado di colonnello, fu assegnato al Comando Gruppo Armate del Sud, divenendo capo Ufficio Assistenza della 228 Divisione, agli ordini diretti di Sua Altezza Reale il Principe di Piemonte. Partecipò dall' S settembre 1943 al 5 giugno 1944 in Roma alla lotta contro i tedeschi, col Fronte clandestino militare della Resistenza. Dopo l'arrivo degli Alleati, dal dicembre 1944 al settembre 1945, mantenne l'incarico di capo Ufficio Assistenza dei soldati italiani incorporati nella VIII Armata britannica. Nel dopoguerra fu affiliato alla Massoneria Universale di rito scozzese antico e accettato. Nonostante la sua partecipazione alla guerra di Liberazione, in seguito ad una disposizione legislativa del 27 luglio 1944, tendente 14


a colpire, tramite l'istituzione di una Commissione per l'epurazione, gli ex fascisti in seno alla pubblica amministrazione, con decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri emesso in data 29 gennaio 1945, fu destituito dal suo incarico di Presidente di Sezione della Corte dei Conti e collocato a riposo. In data 21 aprile 1947 il Ministero della Difesa gli conferì un "diploma di onore" in riconoscimento della sua appartenenza durante la Resistenza alla 228 Divisione ed in particolare ai Gruppi di combattimento "Cremona", "Folgore" e "Friuli" ed in seguito, con decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 5 maggio 1949, fu reintegrato in servizio, come risulta da l'ordine di servizio n. 39 del 30 giugno 1949 emesso dal segretmiato generale, ufficio II. Personale della Corte dei Conti, relativo all'annullamento dei decreti di collocamento a riposo. In seguito alla reintegrazione, fu nominato Presidente Decano della Corte nello stesso anno 1949, Presidente pro tempore per nove mesi, dal 28 luglio 1953 al 1 aprile 1954 e dal 1 maggio 1954 Presidente della I Sezione Giurisdizionale, fino al l 966. Già promosso nel dopoguerra, nel 1948, Generale di Brigata di Cavalleria e collocato nella Riserva, fu eletto Presidente Nazionale dell'Associazione Nazionale Arma Cavalleria nel 1953. Due anni dopo la morte della prima moglie, avvenuta il 5 febbraio 1964, sposò, nel 1966, Luisa Marucchi, vedova del conte Arturo Bonaini da Cignano. Dopo la perdita della seconda moglie, scomparsa il 5 maggio 1970, si trasferì definitivamente a Terni, nella residenza già concessagli in usufrutto dal Comune, di Palazzo Carrara. Il 30 giugno 1980 con rogito del notaio Filippo Federici, Elia Rossi Passavanti costituiva la Fondazione "Ternana Opera Educatrice", con il fine di "animare, stimolare e premiare i giovani nati in Temi e nei comuni compresi nell' attuale circoscrizione del Tribunale di Terni, che si fossero distinti nello studio in ogni campo dello scibile" e per conferire premi "ai lavoratori anziani che abbiano dimostrato doti eminenti nella vita del lavoro", donando alla Fondazione tutto il suo patrimonio immobiliare, consistente in un

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palazzo settecentesco ubicato in Firenze, il ricavato della cui alienazione costituirà il patrimonio mobiliare, le cui rendite alimenteranno i premi annuali da con ferire nella festività di S. Valentino. Deceduto l' 11 luglio 1985 in Temi, nella sua casa museo di Palazzo Crurnra, ove è conservato anche il suo archivio, è sepolto nel cimitero comunale di Terni.

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Gen. Brig. ROSSI PASSAVANTI Conte ELIA

Sedi di servizio (1)

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27 maggio 1915 - 2° Reggimento Piemonte Reale (TORINO) • Soldato Volontario "~

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(2)

16 settembre 1916 - Ricoverato all' Ospedaletto da campo n° 23 8 perterita da arma da fuoco

(3)

1 dicembre 1916-31 dicembre 1917 - Rientrato al Reggimento Genova Cavalleria e conseguito i gradi di Caporale - Sergente Aiutante di Battaglia per merito di Guerra

(4)

24 giugno 1918-29 luglio 1918-Aiutante di Battaglia nel 52° Reggimento di Fanteria

(5)

25 maggio 1919 - nominato Sottotenente di Fanteria per merito di Guerra con anzianità 17.settemhre.1918

(6)

1 giugno 1919 - Ricoverato all'Ospedale Militare di Roma per postumi di ferita da arma da fuoco.

Dallo Stato di Serviz.io - 1\rchivio Passall(mti -T.O.F:. -Terni

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(7)

25 maggio 1919 - Si presenta al Comando de11e truppe in Fiume - Com. te "La Disperata" di GabrieleD' Annunzio

(8)

24 maggio 1920-: 29 ottobre 1920 - assunto in forza al 91 Reggimento d1 Fanteria · ..,. nominato Tenente con anzianità 17 settem~ bre 1919 0

(9)

13 maggio 1921 - I dicembre 1922 - sbarcato a Massaua e destinato al1' R.C.T.C. de1l'Eritrca

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(IO) 1 dicembre 1922- 14 dicembre 1922-Rientrato in Italia e collocato a riposo per infermità proveniente da causa di servizio sotto la data del 1 aprile 1922

(11) 15 giugno 1923 -17 dicembre 1928 - Richia-

mato in servizio cd assegnato al Reggimento Nizza Cavalleria

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( 12) 18 di cembrc 1928 - collocato a sua domanda in aspettativa per mesi dodici.

( 13) 2 gennaio 1930 - richiamato in servizio e, dal 15 maggio "I 930, assunto in forza al Distretto Militare di Firenze.

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(14) 21 settembre 1930 - trasferito al Distretto Militare di Roma

(15) 22 giugno 1933 promosso Capitano con anzianità 1 gennaio 1932

(16) 21 marzo 1935 - promosso Maggiore per meriti eccezionali in base all'art. 115 della Legge 7 giugno 1935 n° 899

(17) 27 gennaio 1939- promosso Tenente Colonnello per meriti eccezionali in base all'art. 115 della Legge 7 giugno 1935 n° 899

(18) 18 giugno 1939- 7 novembre 1940 richiamato in Servizio per esigenze speciali presso il Reggi men lo Nizza Cavalleria --,q;

( 19) 30 dicembre l 940 - trasferito in Albania con il Reggimento Lancieri di Milano

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(20) 5 gennaio 1941 - giunto a Durazzo presso il TI Corpo d' Armata mobilitato

(21) 5 giugno 1941 - giunto a Fiume e collocato in congedo il 13 giugno 1941

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(22) 15 maggio 1942- gli è conferito il vantaggio di carriera previsto dall'articolo 7 8 della Legge 9 maggio 1940n°370

(23) 21 giugno 1942 - promosso Colonnello con anzianità l gennaio 1942

(24) 20 agosto 1942 - richiamato alle armi d'autorità presso il Comando Gruppo Armate Sud

(25) 30 giugno 1944- ricollocatoin congedo

(26) 2 dicembre 1944 - richiamato in serv1z10 a

domanda con l'incarico di Capo Ufficio Assistenza della 228° Divisione e delle Truppe Italiane dell' 8° Armata Inglese

(27) 21 settembre 1945 - ricollocato in congeùu

(28) 30 maggio 1953 - promosso Generale di Brigata con anzianità 8 luglio 1948

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Decorazioni 1.

12 settembre 1918 - Distintivo d'Onore per la ferita riportata il 12 settembre 1916 "Ferito con arma da fuoco al sottomascellare sinistro nel combattimento di Quota 144 (Debalj Vrch)"

2.

12 settembre 1918 - Distintivo d'Onore per la ferita riportata il 12 settembre 1916 "Ferito con arma da fuoco al capo regione parietale sinistra (superiormente) durante una ricognizione in pattuglia fra il Debalj e Quota 144"

3.

12 settembre 1918 - Distintivo d'Onore per la re1ita riportata il 16 settembre 1916 "Ferito con arma da fuoco all'occhio destro nel combattimento di Pozzuolo del Friuli"

4.

12 settembre 19 18 - Distintivo d'Onore per la

ferita riportata il 18 agosto 1917 "Ferito con arma da fuoco al malleolo del piede destro nel combattimento di S. Giovanni di Duino"

5.

12 settembre 1918 - Distintivo d' Onore perla ferita riportata i I 30 ottobre 1917 "Ferito con arma da fuoco al capo regione occipitale sinistra nel combattimento di Pozzuolo del Friuli"

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6.

5 febbraio 1919 - Distintivo d'Onore per la ferita ripmtata il 27 ottobre 1919 "Ferito con arma da fuoco alla colonna vertebrale ed al costato nel combattimento di Quota 1443 (Boccolo ) - Monte Grappa"

7.

21 maggio 1916 - Autorizzato a fregiarsi del Distintivo d'onore per mutilati di Guerra

8.

7 settembre 1918 - Conferitagli la Croce al Merito di Guerra con determinazione del ComandoGeneraledell' Armadi Cavalleria

9.

26 gennaio 1919 - Conferitagli la Croce al Merito di Guerra con determinazione del Comando6°Corpod' Armata

10.

Agosto 1918 - Autorizzato a fregiarsi del Distintivo per Militari "Ardito" per aver dato ripetute prove di arditezza dal Com. te Genova Cavalleria

11.

29 luglio 1920 - Decorato della Medaglia A Commemorativa Nazionale della Guerra 1915 • • - 1918 e di apporre sul nastro della Medaglia le fascette corrispondenti agli anni di Campagna 1915-1916- 1917-1918

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12.

16 dicembre 1920 - Decorato della Medaglia ~, • Interalleata del la Vittoria

13.

3 marzo 1921 - Decorato con la Medaglia d'Argento al Valor Militare con la sottonotata motivazione: "Addetto ad un Reparto delle retrovie, volontariamente accorse in combattimento con truppe di fanteria impiegate in azione. Raggiunto il suo scopo, restò sulla linea di combattimento fino ad azione ultimata dando prova di singolare ardire e destando simulazione ed ammirazione. San Giovanni di Duino 19 - 27 agosto 1917"

14.

31 agosto 1921 - Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia per speciali benemerenze acquisite in dipendenza della Guerra 1915 l 918 ed in deteil11inazione della Sovrana - 8 agosto 1920

15.

19 ottobre 1922 - Decorato della Medaglia ricordo dell'Unità di Italia

16.

26 marzo 1923 - Decorato con la Medaglia d'Argento al Valor Militare con la sottonotata motivazione: "Mirabile esempio di coraggio sereno, di alto spirito militare e di profondo sentimento del dovere, rimase al suo posto di combattimento quantunque non lievemente ferito. Nuovamente più grave ferito, prima di essere portato al 23


posto di medicazione, volle essere condotto dal Comandante del Gruppo per riferirgli sulla situazione- Altopiano Carsico 14- 16 settembre 1916"

17.

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2 marzo 1923 - Decorato con la Medaglia d'Oro al Valor Militare con la sottonotata motivazione: "Da soldato, caporale, da sergente, da Ai utante di Battaglia, fulgido esempio, trascinatore di uomini, cinque volte ferito, tre volte mutilato, mai lo strazio della sua carne lo accast:iò, sempre fu dovuto a forza allontanare dalla lotta, sempre appena possibile, vi seppe tornare ed in essa fu sempre primo fra i primi, incurante di sé e delle sofferenze del suo corpo martoriato. In critica situazione, con generoso slancio, foce scudo del suo petto al proprio Comandante, e, due volte benché gravemente ferito si sottrasse, attaccando alla stretta nemica. Con singolare ardimento, trascinava il plotone di Arditi all'attacco di forte unitissima posizione nemica, impossibilitato ad avanzare perché intatti i reticolati, fieramente rispondeva con bombe a mano, alle intense raffiche di mitragliatrici. Obbligato a ripiegare, sebbene ferito, sostava ripetutamente per impedire eventuali contrattacchi. Avuta notizia di una nuova azione, abbandonava l'Ospedale in cui l'avevano ricoverato e raggiungeva il suo reparto trasportato dai suoi e riusciva a prendere parte alla gloriosaoffensivafinale. Soldato veramente più che di carne e di nervi,


da11' anima e dal corpo, forgiati di acciaio di ottima tempra. Hermanda - Settembre 19 J6 - Grappa 24 ottobre 1918 " 18.

16 dicembre 1923 -Cavaliere dell'Ordjne dei SS. Maurizio e Lazzaro in occasione del suo collocamento a riposo.

19.

24 gennaio 1924 - Decorato della Medaglia di Benemerenza per i Volontari della Guerra italo -Austriaca

20.

4 aprile J924 - Decorato della Medaglia ricordo della Campagna d'Africa

21.

15 agosto 1925 - Decorato della Croce al Valor Militare con la seguente motivazione: "Leggermente ferito in combattimento, restava al suo posto sino al termine dell'azione" Pozzuolo del Friuli - ottobre 1917

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22.

7 febbraio 1925 - Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia - Motu proprio del Sovrano in considerazione di particolari benemerenze.

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23.

16 giugno 1931 - Commendatore dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro

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24.

27 luglio 1933 - Grand'Ufficiale dell'Ordine della Corona D'Italia

25.

Aprile 1941 - Decorato con la Medaglia d'Oro al Valor Militare con la sottonotata moti vazione: "Mutilato e super decorato, volontari amente nei ranghi della nuova Guerra, per la maggiore grandezza della Patria, riconfermava il suo meraviglioso passato di eroico soldato. A capo della propaganda di una grande Unità, seppe dimostrare che più che la parola, valgono i fatti e fu sempre dove maggiore era il rischio e combatté con i fanti nelle linee più tormentate. Nella manovra concl u siva, alla testa dell ' avanguardia del Corpo d'Armata, entrò per primo in Korcia ed in Erseke inalberandovi i tricolori affidatagli dai Duce. Superba figura di combattente, animato da indomito eroismo, uscì illeso da mille pericoli e fu 1' idolo di tuLLi i soldati del TU Corpo d 'Armata che in lui videro il simbolo del valore personale, della continuità dello spirito di sacrificio e della più pura fede nei destini della Patria, che legano idealmente le gesta dei soldati del Carso, del Piave, del Grappa con quelle dei combattenti dell'Italia fascista. Albaniagennaio - aprile 194·1

26.

3 ottobre 1945 - Autorizzato a fregiarsi del distintivo del1 a Guerra di Liberazione con tre stellette. E conferitagli la Croce al merito di Guerra.

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Prima Guerra mondiale: Hermanda 1916 Grappa 1918

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Dal settembre 1916 iniziò una nuova serie di tre "spallate" sul fronte dell'Isonzo per aumentare la superficie conquistata nell'area tra Gorizia e il mare. Le prime due battaglie ebbero breve durata, nella settima battaglia dell'Isonzo (14 - 16 settembre) le conquiste italiane furono praticamente nulle e costarono un gran numero di vittime, mentre l'ottava battaglia (10 - 12 ottobre) si esaurì il terzo giorno al costo di 24.500 perdite per gli italiani e 40.500 per gli austriaci. Le truppe imperiali dovettero però operare un arretramento di diverse centinaia di metri per rendere la nuova linea più corta quindi meglio difendibile, tale linea andava dal Monte Santo verso il mare passando per le coI1ine dell'Hermada, 27


che diverrà tristemente nota per i sanguinosissimi scontri che • ;;.M vedranno il colle terreno di lotta ~ in quanto ultimo baluardo a difesa di Trieste. Durante i conflitti a fuoco della prima guerra mondiale, le truppe che conquistavano territori erano soliti scavare delle trincee per aumentare la difesa dei propri possedimenti. Esse erano profonde e larghe circa 2 metri, e contenevano depositi di munizioni e rifornimenti per i soldati che vi si trovavano all'interno, che erano protetti dal fuoco nemico, spesso erano scavate con andamento zigzagante per evitare che durante un assalto il nemico potesse portarvi una mitragliatrice. Dinanzi alle trincee si sviluppava una fitta rete di filo spinato, per rendere difficoltoso l'assalto delle truppe nemiche Gli austro - ungarici e i tedeschi chiusero il 1917 con le offensive sul Piave, sull'Altipiano di Asiago e sul monte Grappa; la ritirata sul fronte Grappa - Piave consentì all'esercito italiano di concentrare le sue forze su di un fronte più breve. Gli austro ungarici fermarono gli attacchi in attesa della primavera del 1918, preparando un'offensiva che li avrebbe dovuti portare a penetrare nella pianura veneta. L'offensiva austro - ungarica arrivò il 15 giugno: l'esercito dell'Impero attaccò con 66 divisioni nella cosiddetta battaglia del solstizio, che vide gli italiani resistere all'assalto e infliggere al nemico pesantissime perdite. Da Vittorio Veneto il 23 ottobre partì l'offensiva, con condizioni climatiche pessime. Gli italiani avanzarono rapidamente in Veneto, Friuli e Cadore e il 29 ottobre l'Austria - Ungheria si arrese. TI 3 novembre, a Villa Giusti, presso Padova l'esercito dell'Impero firmò l'armistizio.

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2 marzo 1923 Decorato con la Medaglia d'Oro al Valor Militare con la sottonotata motivazione: "Da soldato, caporale, da sergente, da Aiutante di Battaglia, fulgido esempio, trascinatore di uomini, cinque volte ferito, tre volte mutilato, mai lo strazio della sua carne lo accasciò, sempre fu dovuto a forza allontanare dalla lotta, sempre appena possibile, vi seppe tornare ed in essa fu sempre primo fra i primi, incurante di sé e delle sofferenze del suo corpo martoriato. In critica situazione, con generoso slancio, fece scudo del suo petto al proprio Comandante, e, due volte benché gravemente erito si sottrasse, attaccando aJla stretta nemica. Con singolare ardimento, trascinava il plotone di Arditi all'attacco di forte unitissima posizione nemica, impossibilitato ad avanzare perché intatti i reticolati, fieramente rispondeva con bombe a mano, alle intense raffiche di mitragliatrici. Obbligato a ripiegare, sebbene ferito, sostava ripetutamente per impedire eventuali contrattacchi. Avuta notizia di una nuova azione, abbandonava l'Ospedale in cui l'avevano ricoverato e raggiungeva il suo reparto trasportato dai suoi e 1iusciva a prendere parte alla gloriosa offensiva finale. Soldato veramente più che di carne e di nervi, dall' anima e dal corpo, forgiati di acciaio di ottima tempra. HermandaSettembre 1916Grappa24 ottobre 1918"

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Prima Guerra mondiale: guerra di posizione (1916)

Il maresciallo austriaco F. Conrad avviò in aprile una grande offensiva sul Trentino contro gli llaliani, con la finalità di sfondare il fronte dell'Isonzo. L'offensiva fu bloccata dalla difficoltà dell'artiglieria pesante a seguire, in terreno difficile, il progresso della fanteria; il 14 giugno iniziò la controffensiva italiana, conclusasi il 25 con il ripiegamento generale degli Austriaci. Superata la minaccia sul Trentino, Cadoma spostò uomini e mezzi (27 luglio -4 agosto) dal Trentino sull'Isonzo e attaccò di sorpresa gli Austriaci, le cui forze erano relativamente scarse anche per i prelevamenti fatti a f'avore del fronte orientale. L' attac.:co del 6 - 17 agosto (sesta battaglia dell'Isonzo) portò alla conquista di Gorizia, senza perdere però iI suo carattere di battaglia <li logoramento. Venuta meno la rottura

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del fronte a E di Gorizia, la settima ( 14 - 16 settembre), 1'ottava (9 12 ottobre) e la nona (31 ottobre - 4 novembre 1916) battaglia dell' l<;onzo rientrarono nello schema degli impegni di logoramento.

La 7a battaglia dell'lsonzo-14-19 settembre 1916 Le trincee austriache, scavate in gran parte nella roccia alla profondità di metri 1,80, erano protette da parapetti di sacchi di terra blindati con scudi metallici e recintate da profondi ordini di reticolati, abilmente dissimulati. A tergo erano state scavate numerose caverne per il ricovero delle truppe durante il nostro fuoco d'artiglieria. Contro questa linea si effettuò, verso la metà di settembre (14 - ·t6), un primo attacco preceduto da fuoco intenso e rovinoso di artiglierie e di bombarde. Si cercò di colpire, per annientarlo, tutto quello che era stato riconosciuto; dalle lontane caverne da dove tuonavano le bocche da fuoco nemiche, agli osservatori blindati, dai quali era regolato il tiro delle artiglierie. Sul Carso le truppe dell 'Xl Corpo d'Armata, cui era affidato invece il difficile compito di avanzare lungo il margine settentrionale dell'altopiano con obiettivo l ' Hermada e l'altopiano di Tamova, ottenevano subito notevoli successi, conquistando la zona di quota 265, ad occidente di Cima Grande (Veliki Hribach).1116 settembre altri nostri violenti attacchi ci davano il possesso del terreno ad est di Oppacchiasella, sino a q. 20 I, dell'importante altura di q. 208 sud e della linea di cresta dell'altura di · 0 q.144. 26 marzo 1923 Decorato con la Medaglia d'Argento al Val or Militare con la sottonotata motivazione: "Mirabile esempio di coraggio sereno, di alto spirito militare e di profondo sentimento del dovere, rimase al suo posto di combattimento quantunque non lievemente ferito. Nuovamente più gravemente ferito, prima di essere portato al posto di medicazione, volle essere condotto dal Comandante del Gruppo per riferirgli sulla situazione - Altopiano Carsico 14-16 settembre 1916" 32


3 marzo 1921 Decorato con la Medaglia d'Argento al Valor Militare con la sottonotata motivazione: "Addetto ad un Reparto delle retrovie, volontariamente accorse in combattimento con truppe di fanteria impiegate in azione. Raggiunto il suo scopo, restò sulla linea di combattimento fini ad azione ultimata dando prova di singolare ardire e destando simulazione ed ammirazione. San Giovanni di Duino 19-27 agosto 1917 "

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La battaglia del 30 ottobre 1917

Tra il 29 e il 30 ottobre 1917 si combatté a Pozzuolo del Friuli una tra le più cruente e particolari battaglie del periodo immediatamente successivo alla rotta di Caporetto nella Prima Guerra Mondiale. L'attacco congiunto del 24 ottobre 1917 nella conca tra Plezzo e Tomino delle annate austriache e tedesche aveva ottenuto lo sfondamento del fronte e la ritirata della II e III annata italiana verso i ponti del Tagliamento.

L'avanzata nemica stava velocemente avvenendo lungo le direttrici Udine - Campoformido - Codroipo e Udine - Mortegliano - Castions - Latisana. ln realtà l'ordine del Comando di cavalleria poté essere eseguito solo per Pozzuolo del Friuli dai reggimenti Genova e Novara della II Brigata di cavalleria. TI Reggimento Novara si attestò nella parte occidentale del paese per controllare le vie che portavano a Carpeneto, S. Maria e Mortegliano; il Reggimento Genova, invece, fu schierato nella parte opposta per controllare, soprattutto, la strada proveniente da Udine a nord e poi anche da Lavariano e Sammardenchia ad est. Il paese venne scelto proprio per questo incrociarsi di vie che conducevano verso ovest e verso sud ai principali passaggi del Tagliamento. La giornata del 30 ottobre fu veramente terribile perché la battaglia raggiunse livelli estremi e coinvolse sia i militari che i civili provocando centinaia di morti e feriti man mano che l'accerchiamento austro tedesco si faceva sempre più serrato. Nelle prime ore di quel pomeriggio del 30 ottobre si raggiunse il culmine dell' attacco sferrato dalle divisio35


ni imperiali contro le truppe italiane che difendevano Pozzuolo anche per l'arrivo e l' impegno di nuovi reparti dotati di artiglieria e di numerose e potenti mitragliatrici. Nella cronaca che ne fece qualche anno dopo il parroco, don Dall'Ava, troviamo scritto: " ... Alle 17 il combattimento raggiunse la massima intensità... alle 17,30 il paese era accerchiato ... venne l'ordine alla cavalleria di ritirarsi aprendo un varco attraverso gli austro tedeschi. I due gloriosi reggimenti che avevano perduto oltre la metà dei loro effettivi, presero direzioni diverse: il Genova alle 18,30 giungeva a S. Maria di Sclaunicco, il Novara puntava su Mortegliano.

Foto dell'epoca: soldati in sosta prima della battaglia: segni della battaglia; cavalieri all'entrata della ciuà.

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15 agosto 1925 Decorato della Croce al Valor Militare con la seguente motivazione: "Leggermente ferito in combattimento, restava al suo posto sino al termine dell'azione" Pozzuolo del Friuli ottobre 1917

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Elia Rossi Passavanti Dragone ed Eroe di guerra

Seconda parte Elia Rossi Passavanti nella Leggenda



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Partito volontario per il fronte a 17 anni allo scoppio della Grande Guerra, Elia Rossi Passavanti è stato l'unico militare italiano ad essere decorato due volte di medaglia d"oro per le azioni compiute, ad oltre vent'anni di distanza, nei due conflitti mondiali. LUIGI ROMERSA

E questo?», domandò un ufficiale medico guardando l'uomo che i portaferiti avevano appena disteso in terra; l'ultimo di quella tragica mattinata. «Morto!». Un altro medico, napoletano, gli diede un'occhiata e spalancando le braccia disse: «Maria Santissima! Chistu piccirillo, vedete come l'hanno cunciato! Mettetelo 'n coppa 'a cammera mortuaria!. ..» . Uno domandò: «na cosa è stato colpito?... ». «Non so - disse un portaferiti ; forse da tutto... ». Voleva intendere dalle cannonate che di continuo ruzzolavano dal monte fino a valle. «Sbottonategli la giubba disse il medico - eguardate se in tasca ha qualche carta!». La giubba era tutta inzuppata di sangue. La barella era scura di sangue del morto, di altri morti e d'altri feriti. Vicino, un ferito diceva: «Mamma mia» e pregava. Un altro, con le gambe coperte da un telo, gemeva: «Gesù, fammi morire... ». Tentò di dire ancora qualcosa, ma non gli riuscì. Chiuse la bocca per sempre. Gesù l' aveva accontentato. Lui, il «morto», sentiva tutto ma non poteva muoversi né

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parlare. Era di pietra. Sentiva anche il cannone che sparava lontano. Le mosche gli davano fastidio. Non resisteva alle mosche che gli si posavano sulla bocca squarciata. Avrebbe voluto dire, a uno dei portaferiti che gli stavano accanto con in mano uno scacciamosche, di fargli vento sulla bocca. Provò, ma gli sembrò di non avere più la lingua. Il dottore gli si piegò sopra. L'uomo ne sentì ralito. Pesante, sapeva di vino. Siccome il «morto» aveva gli occhi spalancati, il tenente medico fece l'atto di chiuderglieli. Provò due volte; non riuscì e lasciò stare. Disse al portaferiti: «Carli, piegagli il braccio prima che diventi rigido... ». Carti tentò di piegare il braccio. «Signor tenente - disse - è già rigido. Bisognerebbe romperlo ... ». «Lascia stare - disse il doitore- ; quando lo metteranno nella cassa, s'arrangeranno ». Il «morto» avrebbe voluto dire: «Portatemi in una stanza, non mettetemi nella cassa ... ». Nessuno s'occupò più di lui. Il «morto», già destinato alla sepoltura, era un dragone del «Geno va Cava lleria». Si chiamava Elia Rossi Passavanli. Nativo di Terni, a diciassette anni e mezzo, appena scoppiata la guerra, era partito volontario. In cavalleria, perché suo nonno e suo padre erano stati cavalieri; uno, per l'appunto, dragone; l'altro, ussaro. Al fronte, Elia Rossi Passavanti lo conoscevano dappertutto. Dicevano che era un ragazzo fatto per la guerra, coraggioso e modest o; dicevano, anche, che la

modestia era il suo peccato. Elia Rossi Passavanti «morì» una prima volta sul Debeli, nel settore di quota 144. dove erano in linea dragoni e bersaglieri dell' 11 ° Reggimento. Era una zona che pareva un cimitero abbandonato, calva e sassosa. Niente facevada rìparo. Quando l'artiglieria nemica sparava, tremava tutta la montagna. Ogni colpo faceva bersaglio. Elia era soldato, ma ciò nonostante gli avevano affidato il comando di una ventina di dragoni. Gli austrìaci davano fastidio. Sparavano come in preda a una crisi isterica. Con tutto: cannoni, mitragliatrici, fucili. «Un giorno mi raccontò Elia Ros si Passavanti - decisi di portare i miei uomini davanti alla linea, sul rovescio della quota. Un passo di c.Juecento metri in territorio nemi co. Che inten zione avevo?.... ». Scoppiò aridere esi passò la mano sul viso ricucito di ferite. «Semplice. Snidare il nemico in casa sua. Davanti a noi c'erano alcune buche scavate dalle granate. Potevano servirmi di nascondiglio per agire di sorpresa. Ero stato ferito in una precedente azione di pattuglia: una pallottola di fucile mi aveva forato l'elmetto e bucato la testa. Sotto l'elmo, perciò, avevo un tampone d'ovatta. Volevano che andassi all'ospedale. «Fossi matto!. .. •>, dissi, e mi feci soltanto medicare. Il medico mi aveva attaccato alla giubba il cartellino che era il viatico per la retrovia, ma io lo strappai etornai in linea. Sapevo che c'è un Dio


per i buoni soldati, e feci a meno dell'ospedale». «Il 16 settembre 1916, verso le quattro e mezzo del pomeriggio, diedi ordine ai dragoni di uscire dalle buche. Era già un po' scuro per via di certe nuvole randagie che ci sfioravano quasi la testa. Il conto che avevamo fatto, di sorprendere cioè gli austriaci, non tornò. Ce li trovammo faccia a faccia, infatti, con le stesse nostre intenzioni. Mi capitò davanti un cadetto che, mi dissero poi, era arrivato in linea proprio quel giorno. Un po' spaesato, perciò, e indeciso. Aveva in mano un fucile senza baionetta». ,<Vidi subito che gli tremavano le mani. Dissi a me stesso: «Qui sono fregato. Non c'è niente di peggio di chi non sa sparare .. ». Ci guardammo negli occhi. Me li ricordo ancora gli occhi del cadetto austriaco: bianchi, sbarrati, cotti di paura. Anch'io avevo in pugno il moschetto, ma senza più cartucce. Come arma valida, avevo soltanto un pugnale, ricavato da una baionetta trovata sul campo». «Siccome in guerra i meno svelti vanno sempre al Creatore, decisi di attaccare col pugnale. Lui, però, mi precedette e sparò. Mi colpi dentro la bocca con un proiettile esplosivo. Prima sentii un gran dolore, poi, un gran caldo. Saltai addosso al cadetto e mentre stavo per colpirlo col pugnale, mi uscì dalla gola un fiotto di sangue che l'investi nel viso. Che ne so io cosa pensò? Forse, che sputavo fuoco.

Comunque, buttò il fucile, cadde in ginocchio e gridò in italiano «Dio mio, mamma mia ...». Rimase con la lama in aria. La mia giubba, sul davanti, era una spugna di sangue che, a contatto della stoffa, diventava nero come inchiostro. Feci prigioniero il cadetto e me lo portai nella trincea. Appena al riparo, s'accoccolò in terra e continuò a guardarmi senza dire una parola. Per fortuna, due giorni prima, durante un'azione, avevo raccolto in terra un pacchetto di medicazione che mi tenevo in tasca di riserva. Fu la mia salvezza. Mi tamponai la ferita e con un pezzo di camicia mi feci una benda per tenermi su la mascella che pendeva come uno straccio». Istintivamente gli guardai la bocca. Dal mento fin quasi all'orecchio gli risaliva uno strappo profondo, cucito largo. La ferita gli teneva le labbra tese, la voce gli usciva sibilante. "E dopo?" - domandai. "Dopo cosa?" - disse Passavanti. Fece una pausa. "Dopo - riprese rimasi nella trincea naturalmente. Ci passai la notte" "Fece il conto delle probabilità di morire in quello stato?" "Non feci il conto di nessuna probabilità". Eravamo in una stanza la cui penombra dava alle ferite l'aspetto di rughe taglienti. «All'alba del giorno dopo disse --/venne in ispezione il tenente. Si chiamava Giancarlo Ticchioni. Adesso è generale anche lui. Mi disse: "Torna indietro Elia e vai dal dottore... ". Non potevo parlare. La lingua era staccata e la trattenevo in bocca

con i denti. Prima di andare al posto di medicazione, andai al comando. Il colonnello Bellotti era in linea, in un altro settore. Scrissi le novità su un foglio e le diedi all'aiutante maggiore. Lungo il sentiero, dal comando all'ospedaletto, stramazzai in terra. Non avevo più forza. Avevo perduto molto sangue e per via della ferita non avevo né mangiato né bevuto. Intanto s'era messo a piovere. Le autoambulanze erano a valle, in fondo al viottolo. Mi raccolse un portaferiti. La fortuna volle che fosse di Terni. Mi conosceva. Il poveretto filò all'ospedale di San Giorgio di Nogaro, ma era convinto di portare un morto. Forse, ero morto dawero. Non sentivo più nulla, né il caldo, né il freddo, né le voci che c'erano attorno. Lungo il tragitto, a causa degli scossoni della macchina, ripresi conoscenza ma mi accorsi subito che non potevo fare un gesto. Ero duro come un sasso. Parlare, niente; vedere, neanche. Però, sentivo tutto. Eppure, avevo gli occhi aperti. Ma erano occhi di morto, senza luce ... ». Disteso insieme con altri, Elia Rossi Passavano aspettava che lo portassero nella camera mortuaria che era un buco pitturato a calce, puzzolente di acido fenico. Era ghiaccio dalla testa ai piedi. Soltanto il cervello gli funzionava normalmente. Si ricordò che una volta aveva sentito panare di catalessi e lui, per l'appunto, doveva essere in quello stato. Non aveva paura della morte, aveva terrore che lo seppellissero vivo. In guerra, del

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resto, si va per lespicce. Tastano il polso e, come niente, si finisce con addosso un metro di terra e, accanto, una bottiglia con dentro un biglietto che fa da certificato di morte. Tal dei tali, figlio di, morto a, giorno questo, mese quesraltro. Lo spogliarono per seppellirlo. Lo trasportarono nel cortile. Il sole era forte. Uno lo prese per le ascelle, un altro per le gambe. La camera mortuaria era piena. Siccome uno dei portaferiti era di Terni, come lui, gli trovarono un posto. Gentilezze fra compaesani. Le mosche non gli davano pace. Ingrassavano nel puzzo enel sangue dei morti. Vicino, aveva un tizio con un occhio sfracellato e sul naso, muco raggrumato misto a sangue. Con l'occhio che sembrava incolume guardava in terra. Il corpo, imbottito di piombo. si disfaceva come pane inzuppato. La testa di Elia macinò un pensiero. «Madre mia, possibile che tu mi abbia messo al mondo per farmi sotterrare vivo? Eppure ho fatto tutto ciò che tu mi hai lasciato scritto. Amare la Patria e le cosedel mondo ...». «Avanti la prolunga» - gridò una voce. Laprolunga era il carro funebre. Era piena di casse. Le scaricarono davanti alla camera mortuaria. Casse rozze, con dentro una spolverata di calce. I porlalori cominciarono a sollevare i cadaveri e li misero nelle bare spalancate. Passavanti sentì una voce sommessa. Il prete bisbigliava le preghiere dei defunti. Ogni tanto li spruzzava con l'acquabenedetta. I portatpri misuravano aocchio le casse ei

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morti. Dicevano : «Questo é più lungo, quella bara va bene... ». E poi: «Quest'altro é corto, ci vuole una bara più piccola... ». Quando arrivarono alui, uno dei portatori disse: «Accidenti, il braccio non vuole entrare. Che ne fa cc iamo di questo braccio?». Intanto era venuto quasi buio. Il pensiero di Passavanti tornò alla madre, morta senza che lui l'avesse conosciuta. Sentì uncalorestrano scendergli lungo la spalla, per tutto il braccio. Il soldato che faceva da chierico aveva acceso la torcia. In quel momento, era più difficile vivere che morire. Elia tentò di allungare il braccio, ci riusci. Annaspò nel vuoto, toccò la caviglia del prete. la strinse forte. Il prete lanciò un urlo e scappò. Non avrebbe urlato tanto se avesse visto il damonlo. Corse alla mensa

seguito dal soldato che teneva in mano l'aspersorio e il secchio dell'acqua santa. «C'èun morto che si muove - gridò il cappellano lasciandosi cadere sopra una sedia - M'ha afferrato una gamba. E' il diavolo ... ». Il povero don Stefano era bianco come un cencio. Balbettava e si faceva il segno della croce. «E' vero - disse il chierico - Ho visto anch'io. Nella buca c'è uno che ancora non è morto!. ..». S'alzarono tutti e andarono nel cortile. Ognuno teneva in mano una torcia. «Qual è?» domandò il colonnello medico. «Questo - disse il prete - No, quest'altro... Non ricordo ...». Elia, che era tornato rigido, sentiva i passi dei medici fra le

bare. Tastarono il polso di uno. «Questo è ghiaccio, niente». Si chinarono su un altro. «Questo è già marcio. Via...» . Guardarono anche lui ma non s'accorsero che era vivo. «E' questo - gridò il prete - Sono sicuro, portatelo all'ospedale ...». Era uno in una cassa alla stia destra. Stecchito, che pareva marmo. Intervenne il soldato chierico. «E' questo qui, invece...» . Era lui. Lo guardarono. Aveva la testa gonfia, la bocca squarciata e tumefatta. Non aveva l'aspetto del vivo. Il soldato insistette. Il colonnello s'inginocchiò e gli mise l'orecchio sul cuore. «Batte -disse-= In camera operatoria. Lo lavoro subito... » . Gli lavorarono addosso per una notte eun giorno. Fra grandi e piccole, lo liberarono di 492 schegge. Prendendo la carne un po• qui e un po' là, lo rabberciarono alla meglio e, perché riprendesse sembianze umane, gli applicarono una mascella di stagno. In unsecondo tempo, gli ricucirono la lingua che era staccata all'altezza del palato. Con l'aiuto di un morso d'argento, il «dragone» riprese a balbettare poi, pian piano, riacquistò la parola e si trovò in piedi. Dopo tre mesi d'ospedale, conciato in quella maniera, Elia aveva diritto non a una ma adue licenze. Naturalmente rinunciò non appena seppe che il suo Reggimento era ancora in linea sul Carso. Per l'azione, gli avevano dato una medaglia d'argento e l'avevano promosso caporale per merito di guerra. La


medaglia, gliela aveva portata all'ospedale il Duca d'Aosta e mentre gliela attaccava sulla giubba gli disse: «Voglio darti, tu che sei il più bel soldato dell'Armata, quanto ho di più caro presso di me». Gli diede i gemelli e un orologio d'oro, dono di suo padre. Elia Rossi Passavanti tornò al reparto come un redivivo. La sua storia aveva fatto il giro del fronte. Per quanto l'avessero ricucito bene, la mascella era rigida e dura come un ferro arrugginito. Mangiava galletta pestata, intrisa nell" acqua: ciò nonostante faceva la vita degli altri soldati. Usciva in pattuglia, marciva nella trincea e faceva di tutto per non dispiacere al suo ufficiale il quale, al termine di ogni azione, era sempre imbronciato perché, secondo lui. i morti erano troppo pochi. La guerra era di posizione. Giorno e notte il cielo era rigato di granate. I bagliori delle granate somigliavano a lampi di caldo. I «dragoni » di Passavanti andarono a riposo ad Aviano. «Un giorno - mi raccontò Elia - mentre stavamo abbeverando i cavalli sulla piazza, passarono i fanti del 142° che andavano in linea. Ne nacque un battibecco a distanza. " Imboscati! " gridavano i fanti. " Che imboscati? " ribattevamo noi. " Veniamo di là! Andate voi a scaldarvi... ". Un giovane sottotenente s'accostò alla fontana. Disse : " Se siete i dragoni tanto famosi, verrete a Trieste con noi, non è vero? " Risposi: "Signor Tenente, stia tranquillo. Sarà fatto ... "

La mia testa diventò un mulino. I pensieri scoppiavano uno dietro l'altro. Prima, pensai di ordinare allo Squadrone di montare a cavallo e seguire i fanti, poi decisi per il plotone, poi alla fine pensai che sarebbe stato meglio fossi andato solo. Sellai la mia Gigia e mi buttai al galoppo. Camminai per due giorni e, dopo due giorni di cammino, arrivai al fiume Locavatz, nei pressi di Monfalcone. Trovai i fanti. Ero tutto bardato per andare a Trieste, soltanto che sul fiume c'erano gli sbarramenti austriaci e il punto in cui mi trovavo era l'ultima trincea italiana. Dall'altra sponda, il nemico controllava la strada e quando vide il mio cavallo arrivare a briglia sciolta, forse perché lo spettacolo era insolito, smise di sparare. Il maggiore Cappucci che comandava i fanti, quando mi vide mi domandò:" Tu, cosa vuoi da queste parti? ". " Ho mantenuto la promessa - risposi - I suoi avevano detto che dovevamo andare insieme a Trieste e io sono venuto .. . Eccomi qua. Quando si parte?.. . ". Cappucci scoppiò in una risata che si sentì sicuramente dall'altra parte del fiume. " Metti il cavallo al cantiere, con i muli- disse - e resta qui. Vedrai come si va a Trieste!. .. "». Sul Locavatz e sull'Hermada, la guerra era feroce. Sul monte, le cannonate facevano un minuzioso lavoro di tarlo. Anche gli aerei, erano attivi, lanciavano bombe esparavano a mitraglia. «Durante un'azione di pattuglia - riprese Elia - rimasi

ferito alle gambe. Il maggiore Cappucci finì all'ospedale. Il suo sostituto non volle saperne di tenermi con sé. Siccome ero di un'altra specialità, ci voleva il permesso del generale di brigata e il generale, nonostante le mie suppliche, mi rispedì al reggimento. Mi disse che Cappucci prima di andare all'ospedale aveva lasciato una lettera che mi riguardava e che l'avrebbe spedita al comandante del" Genova Cavalleria". Pieno di buchi, ripresi la mia Gigia e mi rimisi in cammino per Fara di Gorizia. Era l'agosto del '17. Non c'erano sintomi della tragedia che sarebbe scoppiata dopo neanche due mesi. Marciavo per strade di campagna, mi fermavo nei casolari e di notte dormivo con la cavalla legata aun braccio per paura che me la portassero via. Quando arrivai al Reggimento, mi appiopparono trenta giorni di " rigore *' ma con la punizione, pervia della famosa lettera di Cappucci, ebbi anche i gradi di sergente per merito di guerra. Mi venne affidato il comando del primo plotone del 1° Squadrone. S'avvicinava l'autunno. La gente che tornava indietro dal fronte diceva che andava in licenza. Il fatto strano era che tutti dicevano che andavano in licenza. " La guerra - pensai io - chi la farà mai se tutti, d'un colpo, tornano a casa e vanno in licenza? ... ". La cosa mi sembrò assurda, tanto più che il giorno 24 ottobre arrivò l'ordine di metterci in movimento, in direzione di Udine. Il " Genova " mosse al completo, con lo

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stendardo in testa. A mano a mano che andavamo avanti, si vedeva il disastro. Soldati ubriachi, con addosso camicie da donna, carretti e autocarri zeppi di fuggiaschi, uomini awolti nella mantelline, senza più il fucile, con in mano fiaschi di vino. I fucili erano tutti in strada. Qualcuno, vedendo il nostro Reggimento che marciava compatto, preso da rimorso, raccolse da terra lo schioppo e, così com'era, magari scalzo e in camicia, ci venne dietro. Camminammo per cinque giorni. Ci attestammo a San Mardenchia, a qualche chilometro da Pozzuolo del Friuli. L'ordine era di morire sul posto, per assicurare il ripiegamento della lii Armata che andava a raggiungere le posizioni del Piave. Gli austriaci erano già a Udiml. Erano imbaldanziti ma avanzavano cauti, in attesa della 117° divisione tedesca, di cui era annunciato l'arrivo ...». «E di Caporetto, che ricordi ha?». Domandai ad Elia Passavanti. Si mise una mano sugli occhi. «A guardare quella gente disse - c'era da pensare che il Paesenon si sarebbe più ripreso. Davanti al nemico che avanzava, smobilitavano tutto, anche le chiese. Sparecchiavano gli altari, come tavoli di cucina; tiravano giù le candele ele pitture e i preti guardavano sgomenti verso le croci; sembrava che domandassero al buon Dio cosa intendeva fare della povera Italia ridotta in pezzi. Creammo la linea come una barricata, con letti, materassi, sedie, eccetera. Due

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dragoni stavano sul campanile e tiravano al bersaglio. Altrettanto facevano quelli che si trovavano al di là della casa di Calligaris. Gli austriaci ci cercavano con la mitragliatrice. Il mio caporale, Tegon, era stato ferito mentre tornava dal co mando di reggimento, doV'era andato a riferire. Aveva portato l'ordine del generale di non indietreggiare di un metro '. " Quando sono venuto via - mi disse - suonava già il buttasella... ". • Allora vengono" gridai. • Genova e 'Novara - disse Tegon - saranno qui fra poco'. Gli guardai il collo che colava sangue. " Ti hanno beccato" dissi. E lui: "Una ferita che non si vede e non si sente, non esiste... ". " Prendi tu il comando' gli dissi. "E tu?... "." lo vado a vedere quello che succede a Udine ... ". " A Udine? Sei matto; ti prenderanno". Slegai il cavallo che tenevo dentro una cucina e mi misi al trotto in direzione di Udine... ». Fece una pausa. «Povera cavalla Vienna - disse - Aveva il fuoco in corpo. Egli occhi. .. puri e dolci come una gazzella». Pioveva sottile, quel giorno, una pioggia somigliante a nebbia. I comandi avevano perduto la testa. Passavanti non sapeva che i pochi dragoni che c'erano a Pozzuolo dovevano coprire la ritirata della 111° Armata. «La strada era vuota riprese - Non c'erano né italiani né austriaci. Pareva che la guerra fosse finita. A un tratto, la cavalla alzò la testa e nitrì. In lontananza si vedevano le case bianche della città. Una specie di miraggio.

Passai davanti a un casolare ridotto a nulla, con una scala inutile che portava a un pavimento squarciato. Le finestre erano chiuse, chissà perché. In una conca, vidi ammassati uomini, cannoni, autocarri, muli e cavalli. Erano i sintomi di un attacco. Sentii vicino alcuni gridi. " Attenta dissi a Vienna - Qui qualcuno vuole la nostra pelle '. Feci per voltare, ma partì una raffica di mitraglia. Vienna s'alzò sulle zampe posteriori e diede uno strappo disperato. " Via, via... " urlai e mi buttai verso la campagna. Per la prima volta, il cavallo non rispondeva alla briglia; rompeva il passo, spesso inciampava. Gli piantai gli speroni nel ventre, non l'avevo mai fatto. I colpi mi inseguivano. Arrivai a Pozzuolo, doV'erano giu11li, intanto, i reggimenti di cavalleria; gli austriaci, come uomini e mezzi, erano uno spavento. Quando fui davanti al generale Erno Capodilista e al colonnello Bellotti , Vienna cominciò a tremare. Nitri forte e stramazzò sul selciato. Le caddi sopra. Aveva il petto squarciato ed era svuotata di sangue. Per portarmi indietro, aveva bruciato l'ultimo filo di forza. La seppellimmo con Tegon, in mezzo al fuoco della battaglia». I combattimenti durarono furiosi fino alla mattina del 30 ottobre 1917. Il cielo scaricava pioggia ela pioggia diventava subito fango. «Alle tre del pomeriggio del giorno 30 - disse Elia Rossi Passavanti - venne l'ordine di rimontare in sella. All'improwiso,


arrivò una raffica di mitraglia in direzione del colonnello. Il nemico aveva circondato il paese. Mi buttai davanti al comandante per coprirlo e una pallottola mi colpì in fronte. Le schegge entrarono negli occhi. Vidi buio. Mi sentii morto. Cieco, era peggio che morto. Gridai, nessuno rispose. Mi passai le mani sugli occhi e sentii il caldo appiccicoso del sangue. Il medico mi ripulì la ferita alla meglio. Non aveva tempo da perdere. Disse: "Tu resta qui, io vado col mio reggimento ". Ero senza cavallo. " Morto per morto - dissi a me stesso - meglio morire dawero ". Cercai la pistola nella fondina. Era vuota. Tastai in terra, non la trovai. Mi sembrò che tutti se ne fossero andati. Invece, c'era ancora qualcuno, i superstiti del "Genova", ormai decimato. Sentii rumore di zoccoli. Non sapevo se erano italiani oppure austriaci. Finalmente, la voce del colonnello Bellotti. " Ohè, Passavanti, pulisciti gli occhi disse - Prendi il cavallo in coda, si carica! ... ". <Avrei voluto dire che ero cieco, ma mi trattenni. Ero un peso inutile, forse mi avrebbero abbandonato. Allungai le mani e afferrai una bestia che mi passò davanti. Tastai la sella e le staffe, vuote. Guidando il piede con la mano, riuscii a montare. Uno mi venne vicino e disse : " Sei ferito grave... ". Era il caporale Tegon. " Niente, Tegon, - dissi sono svenuto. Adesso sto meglio. Cos'è successo? ". " Macello - disse Tegon. - Una carica dietro l'altra. Gli ufficiali sono morti tutti. .. ". Efece i nomi.

Nominò il capitano Lajolo, Bianchini, Rospigliosi, il maggiore Ghittoni, il capitano Lombardi. "E il colonnello?" domandai. Lui c'è, c'è anche lo stendardo e un po' di Dragoni. Tutto il "Genova", lo vedi, no?... ". " Li vedo " - dissi, ma in realtà vedevo notte. Mi sembrava di avere la testa piena d'api. Un ronzio da impazzire. Tastai dietro la paletta della sella e seguendo l'incisione delle lettere con il dito, lessi il nome del cavallo: Quo. A un tratto non sentii più le mitragliatrici nemiche. Pensai che gli austriaci avessero sospeso il tiro in segno di rispetto per il valore del "Genova". Matto. Tenni la bocca chiusa. Non volevo che capissero che ero orbo. Il cavallo camminava sicuro. I Dragoni. rotto il cerchio, si dirigevano verso S. Maria di Sclaunicco e poi verso il Tagliamento. Mi lasciavo portare dalla bestia. Spinto forse da un presagio, Quo si staccò da tutti, abbandonò la strada maestra e infilò i sentieri di campagna. Camminammo per quattro giorni e quattro notti. Pioveva senza un momento di sosta ela pioggia mi dava i brividi. Aun tratto, chiamai sottovoce "Tegon, Tegon... ". Mi rispose il nitrito del cavallo. Tegon non c'era. La mia testa funzionava a tratti, certe volte s'addormentava, certe altre era sveglia. A un tratto, sentii che gli zoccoli di Quo calpestavano il selciato. Udii urla di bimbi, colpi di frusta, donne che si chiamavano e bestemmie a non finire. Tutte le voci venivano nella mia direzione. Temetti che mi

domandassero cosa succedeva e, accortisi che non ci vedevo, mi rubassero il cavallo. Uno alzò una frusta e colpì Quo che si mise a correre come un diavolo. Mi reggevo in sella per volontà, non per forza. Il sangue mi aveva incollato il colletto della giacca intorno al collo. Arrivai a Treviso. Il cavallo si diresse alla caserma di cavalleria e andò diritto nella stalla dove era stato da puledro. Si drizzò, lanciò un nitrito e io caddi. Pensai che Quo fosse stato ferito. invece gli scoppiò il cuore ... ». Esanime, Elia Rossi Passavanti venne condotto all'ospedale. La prima diagnosi fu crudele. Il medico voleva asportargli entrambi gli occhi. Elia si oppose. " Piuttosto morire " - disse. " Allora ci vuole la calamita - disse il dottore - enon posso addormentarli... ". " Fate con la calamita e non mi addormentate "- disse. A una a una, con la calamita, gli furono estratte tutte le schegge e dopo ventuno giorni di bende cominciò a vedere con l'occhio destro. Dalla Cavalleria, Passavanti andò negli Ardili, sul Grappa. Combatté alla disperata, fu ferito ancora diverse volte, venne promosso sottotenente per merito di guerra e infine, in barella, seguì i suoi uomini che ormai incalzavano gli austriaci in fuga. Per le azioni fra il settembre del 191 6 e l'ottobre del 1918, gli venne conferita la Medaglia d'Oro al valor militare con una motivazione che è un inno all'ardimento. Gli ospedali se lo

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contendevano ma, sebbene maciullato di ferite, Elia scappava sempre. Scappò anche per ac correre a Fium e con d'Annunzio che lo aveva mandato a chiamare dall'amico Keller, un pilota coraggioso e stravagante, con una testa di capelli che sembrava la chioma di un albero. Il Poeta l'accolse a braccia aperte e quando lo vide gli disse : «Sapevo, sapevo frate Elia che saresti venuto. Tu non potevi mancare...... Finita la guerra, l'uomo che morì due volte, tornò agli studi. Prese tre lauree, diventò deputato, poi, professore d'Università. Quando scoppiò il secondo conflitto mondiale, il Magnifico Rettore delrAteneo romano e il preside della sua facoltà, Alberto De Stefani. gli proposero di co mmemorare il co llega Barbiellini Amidei, caduto sul colle di S. Elia, in Albania. «L'onore è grande - disse Passavanti - ma devo rifiutare. Un uomo simile si può onorare soltanto con l'azione. Mandatemi a sostituirlo doV'è caduto...». Sebbene mutilato , partì. Siccome. nel frattempo, s'era resa vacante la carica di capo dell"assistenza, gli ordinarono d'assumerla. «Quella d'Albania - disse Passavanti - fu la campagna di guerra più grande che un popolo possa aver combattuto. Alle spalle del Carso c'erano paesi e città. In Albania, dietro le linee, c'erano soltanto solitudine e fango». Arrivò al fronte e s'appoggiò al comando del 3° Corpo

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d'Armata. A piedi, con lo zaino in spalla, saliva fino agli avamposti per vivere insieme con i soldati. «Il giorno di Pasqua del 1941 - raccontò Elia - salivo verso Kalivaci. L'artiglieria non dava tregua. Loro erano in vetta, noi a mezza costa, aggrappati ai massi. I soldati non reggevano più. Pian piano, lasciavano le posizioni e scendevano verso le retrovie. Salii all'ultima trincea. Era vuota. Raccattai un fucile e mi misi a fare la sentinella. Uscì il sole...». Di lontano si vedeva l'ombra di quest'uomo che camminava avanti e indietro sotto le granate nemiche. Alcuni soldati che scendevano a valle si fermarono e guardarono in su. Uno disse: "C'è un gigante nella trincea... ". Un altro aggiunse: "E' un miracolo. Tirano e nella trincea non casca un colpo... '. U11 gmduato s'avvicino a Elia e gli disse: " Signor colonnello, adesso tocca a me. Monto io la guardia!... ". Si chiamava Giovanni Colombo. Gli occhi gli luccicavano di lacrime. A poco a poco, tornarono tutti. Durante la notte, poi, lddio ci mise la mano. «Il tempo - raccontò Passavanti - si mise al bello. Ai soldati che mi dicevano che non avevano mangiato, rispondevo che presto avremmo mangiato caldo. Ci fu una frana. Spalato il fango, trovammo la porta blindata di un ricovero pieno di viveri da scoppiare. Fu festa. Con la campana di una chiesa diroccata, suonammo il segnale dell'assalto. La vetta venne conquistata. Ormai era aperta la strada per Corcia eper Erseke». Corcia venne conquistata

con una sanguinosa lotta corpo a corpo e fu Elia Rossi Passavanti che alzò la bandiera sulla fortezza. A Erseke, successe lo stesso, soltanto che nell'ultimo atto della guerra, Elia tornò cavaliere e a cavallo. Infatti, su una strada cosparsa di mine che esplodevano dietro le zampe della sua bestia, ferito come ai tempi di Pozzuolo del Friuli, entrò nella città ed espugnata la rocca a colpi di pugnale e di bombe a mano, piantò il tricolore sulla torre. Fu la seconda Medaglia d'Oro. Gliela diedero i soldati prima che gli venisse data in maniera ufficiale. Si tolsero, infatti le medagliette che avevano al collo, le deposero in un rudimentale crogiuolo e un orafo sconosciuto fuse la medaglia per l'uomo .. morto duevolte".

Riscrittura di un articolo scritto da Luigi Romersa su Panorama Difesa del Gennaio

1993


Medagliere di guerra Un Dragone del Genova Cavalleria Il cavallo Quo

Elia Passavanti sentì il sibilo della granata in arrivo, ma non ebbe il tempo di appiattarsi. Essa cadde a tre passi e proiettò tutt'intorno il suo cuore malvagio in un frastuono da finimondo. Il dragone barcollò sotto la mortale ventata, si piegò come un fuscello, sì allungò tutto disteso fino a sentire la terra umida e insensibile sotto le sue labbra frementi e perdette i sensi. Appena tornato in sé, si alzò di scatto come i dormienti che si risvegliano da un incubo. Si guardò intorno e un urlo gli si strozzò nella gola. 11 cannone tuonava sempre, le mitragliatrici austriache sembravano ancora più vicine, non pareva che vi fossero molti can1biamenti nella scena, ma Passavanti di tutto ciò non vedeva nulla, non poteva veder più nulla. La testa gli pesava a quintali sulle spalle, e una cortina rossa e infuocata gli era calata sugli occhi. Ogni altra cosa non ebbe più importanza; -Cieco! Sono accecato. Passò le mani sugli occhi, nella speranza che si trattasse solo di un velo di sangue colato e raggrumato. Sentì che le sue dita s'inumidivano di qualcosa di tiepido, di pastoso, gli occhi gli dolsero acutamente, ma la cortina non si sollevò, la vista non tornò. Con quella particolare percezione dei ciechi, il cui repentino possesso spaventava Passavanti più che la sua stessa ferita, egli sentì che intorno a lui il vuoto si era fatto, che dei compagni non sembrava vi fos se altro se non dei cadaveri. E i cadaveri non sono altro che esseri vivi entrati nel regno degli oggetti. - Mi hanno creduto morto, e sono partiti senza di me! - pensò. E' meglio morire del tutto. Cercò la sua pistola, ma la fondina era vuota. Coi piedi tastò il terreno tutt'intorno nella speranza di trovare la liberatrice. Essa

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giaceva lì, a un passo appena, ma il suo destino non volle eh' egli la incontrasse. - Partiti, tutti, tutti! ripeté. Passavanti s'ingannava. Il Genova Cavalleria, nell'inchiodare per due lunghi giorni mortali l'avanzata del nemico a Pozzuolo del Friuli, era stato decimato, sl, distrutto quasi, ma ancora non aveva abbandonato la piazza nell' ultima carica che doveva aprire a pochi la via della patria nel cerchio serrato tutt'intorno dal nemico, a molti le vie della gloria suprema. Mentre Passavanti rimaneva, ritto sul posto, incapace di fare un passo, come se il minimo movimento gli desse la sensazione di precipitarlo in un abisso, un suono di zoccoli di cavalli al trotto gli pervenne bruscamente. Austriaci o italiani? Non ebbe il tempo di porsi la domanda che la risposta venne, sotto forma di una voce ben nota. Ohè! sergentePassavanti - dicevail colonnello Bellotti mcntrei cavalli si avvicinavano lentamente, quasi guardinghi. - Asciugati il sangue dalla faccia e salta sul cavallo in coda. Ce ne andiamo per davvero, stavolta. Passavanti trasaiì. Stene per gridare che sentiva i cava11i, ma che non li vedeva, che era cieco, cieco come sono i veri ciechi. Ma si fermò in tempo. Nessuno meglio di lui sapeva, quanto in quei giorni terribili il pensiero del paese in pericolo soverchiasse la pietà per l'uomo singolo. Temette che i compagni lo ritenessero d'impaccio, lo abbandonassero nella fretta di correre altrove a spendere il sangue che era loro rimasto, temette tutto infine, e tacque. 1 cavalli sfilavano ora dinanzi a lui, al piccolo trotto, taluno quasi al passo. Dalle parole del colonnello aveva capito che in coda alla fila, vi doveva essere una bestia "scossa". Passavanti aguzzò l'udito in uno sforzo disperato, in modo da rendersi conto col rumore degli zoccoli quaie fosse l 'ultimo cavallo. La sfilata, ahimè, fu cortissima. Una mez:t,a dozzina di bestie in tutto, poi venne quella, dietro la quale nessuno zoccolo svegliava più nessun eco. -·E' questo! - pensò il sergente cieco. Avanzò le mani, annaspò un poco, sentì qualcosa, un garrese, afferrò delle briglie. Nessuno protestò, infatti, e la bestia si fermò. 50


Un secondo dopo, Passavanti era in sella e seguiva, passivamente la fila, affidandosi al cavallo. Qualcuno gli sì avvicinò, rallentando il proprio cavallo. - Passavanti, ma sei ferito grave,tu?-esclamò una voce. Era quella del caporale Tegon, quello stesso che era andato a portare l'avviso al generale Erno del nemico che stava dentro Pozzuolo. Passavanti esitò un istante, poi rispose: - Non è nulla, Tegon! Sono rimasto svenuto per un po' di tempo, ma ora va meglio ... E ... e ... che è successo? - Un macello - rispose il caporale a voce bassa. Gli squadroni hanno caricato tutti uno dopo 1' altro. Gli ufficiali, caduti, tutti, il capitano Lajolo, Bianchini, Rospigliosi, il povero marchesino di Castelnuovo, il capitano Lombardi, jl maggiore Ghittoni, e Pescatore, tutti. Morti? Forse ... sì: ... insieme ai loro uomini. Siamo rimasti il colonnello, lo stendardo, quattro dragoni, tutto quello che vedi qui insomma! ... Ecco: il Genova passa ... non v'è altro, forse! Passavanti non vedeva nessuno e quegli scampati avrebbero potuto essere cinquanta invece di sette che sarebbe stato lo stesso per i suoi poveri occhi. Ma quel pugno di eroi sarebbe poi riuscito a passare e a mettersi in salvo? Ad Elia non importava più nulla di salvarsi o di morire. Solo non voleva essere lasciato indietro vivo nelle mani del nemico. Il silenzio ricadde tra Tegon e lui, ed egli non insisté. La testa gli ronzava come se a migliaia le api vi si fossero annidate e di ciò che gli succedeva non aveva che una specie di mezza nozione, come quelle che si hanno durante certi sogni così: anormali che appaiono simili alla realtà, mentre si sa benissimo che non sono che sogni. Ad un tratto, Passavanti non sentì più le mitragliatrici nemiche. Che queste, in segno di riverenza dinanzi all'eroismo dei cavalieri italiani, tacessero per lasciar passare quel pugno di uomini decisi a mettere in salvo il loro stendardo ed a morire intorno ad esso? Oppure, qualcuno dei dragoni conosceva un passaggio, una roggia incassata e sinuosa che fosse sfuggita ali' accerchiamento e agli occhi degli austriaci? Passavanti si guardò bene dal domandarlo. Egli si comportava esattamente come se possedesse ancora tutta

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la sua vista, felice che quel suo cavallo di fortuna sembrava comportarsi con quella sicurezza e quella cautela particolare ai vecchi destrieri di truppa. Gli passò una mano sul collo e sul garrese, poi lo tastò tutto per farne conoscenza. Dietro, attaccato a1la paletta della sella sentì qualcosa; un rocchetto di fil di ferro: Ah! pensò- un cavallo della pattuglia telefonisti! TI cavallo nitri, piano. Dove si andava? Quanto tempo si andò così, al passo, qualche volta al trotto accelerato? Passavanti non poteva dirlo. Egli non poteva neanche più pensare, tanto il suo cervello era sconvolto. Le goccioline di pioggia che lo toccavano senza posa come punte di ghiaccio, gli facevano correre dei brividi interminabili nella schiena. La sua febbre doveva essere alta ormai. Ma egli non diceva nulla, non si lagnava, si sforzava di comportarsi come tutti gli altri che ci vedevano, e che, anch'essi, non parlavano quasi mai, raccolti in un dolore muto quanto immenso. Tutti i suoi sforzi tendevano a lasciar libero d' ogni controllo il cavallo sconosciuto che lo conduceva verso la salvezza, e in questo tremendo momento era per lui ciò che è il cane fedele per il cieco in mezzo ai pericoli della città. Gli occhi della bestia docile e volenterosa erano per ora gli occhi suoi. E man mano che la testa di Elia Passavanti aumentava di peso ed era sempre più invasadall' insopportabile ronzio, il tempo passava. Quanto tempo? 11 ferito avrebbe dovuto fare uno sforzo sovrumano per conservarne la nozione solo per pochi minuti. Poteva essere un giorno, una settimana, cento giorni. Per lui, era lo stesso. Andava sul suo cavallo come si va nel sogno, come se avesse vagabondato nel nulla, e il mondo che lo avviluppava spariva e tornava intorno a lui come spariscono e tornano i lampi dei temporali. Sentì ch' era notte, poi ch'era giorno. Ad un dato momento, spaventato dal silenzio che lo contornava, rotto solo dal rotolare dei sassi sotto lo zoccolo infaticabile della sua montatura, egli chiamò con voce sommessa, poi più forte: Tegon, Tegon ! Non ebbe nessuna risposta. Solo il cavallo nitrì leggermente, e

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accelerò a1quanto l'andatura. Allora capi che durante una di quelle sonnolenze che si comunicano dagli uomini a11e bestie il cavallo aveva perduto il contatto con i compagni. Ora i1 suo mondo era veramente strano. Talvolta, gli pareva di sentire voci, voci italiane. Aveva la sensazione di trovarsi a passare in mezzo a gente che cammina, forse truppe in marcia. Altre volte, sentiva che gli zocco1i de1 cavallo non battevano più sulla terra umida, ma su1 se1ciato. Si passava forse in qualche paese? Ma aJlora perché non vi erano più voci? Passavanti piombava nell'incoscienza, si riprendeva, sonnecchiava, ripartiva verso il nulla. Intorno a lui il mondo viveva sempre la sua vita indifferente, ma egli non la percepiva che a tratti. La sua idea, 1a sola che avesse netta e cosciente, la sua idea fissa, era que11a che non doveva a nessun costo cadere daJla sella. E le sue mani rattrappite non rilasciavano la terribile presa nervosa neanche quando perdeva i sensi. Si salirono colline, si traversarono rogge gonfie dalle acque autunnali il cui gelo fece rabbrividire mortalmente tutto il suo corpo per ore ed ore, facendog1i bramare il morso cocente del sole. Ad un tratto si sentì chiamare per nome. Riconobbe la voce: il capitano Pisceria, il suo capitano, que11o del primo squadrone. Che diceva? Subito un gracidio di mitragliatrici, un ordine di " a cavallo" ... gli squilli di una carica, e tutto ricadde nel nu11a. Un'altra vo1ta, risvegliandosi da uno di quei viaggi che la sua coscienza faceva verso un paese misterioso molto vicino all'aldilà, Passavanti si trovò in mezzo ad una fo11a. Questa volta la sensazione era più chiara del so1ito, era realtà. Grida, voci, pianti di bambini, urlii di donne, cigoìi di carri, colpi di frusta, grugniti, belati, muggiti. Intorno a lui, la gente doveva essere molta, e tutti camminavano, e andavano verso la stessa meta, ignota a lui. Passavanti che non aveva il coraggio di domandare per non dare il sospetto della temuta cecità, ma che sembrava nota tanto alla folla quanto al suo cava11o. Comprese che era la muta disperata dei profughi che si ritirava davanti all' invasione teutonica. Era l'esodo. La tragica fiumana verso Giosafatte. L'Apocalisse. T1 cieco ricevette urti, subì strisciamenti dolorosi di carri .. Gli

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urlarono male parole perché non si scansava, e dovette forse solo alla sua faccia spaventosa e insanguinata di non essere aggredito e malmenato. Se avessero saputo eh' era cieco gli avrebbero portato via la bestia, il compagno, forse. Ma vi fu il malvagio che alzò la frusta e colpì ripetutamente la groppa del suo cavallo. Successe una specie di tempesta in quei cento metri quadri di strada affollata. La bestia ebbe uno scarto improvviso, s'inalberò, inviò calci a destra e a manca. Urla spaventose si levarono, grida di dolore, mentre Passavanti non poteva fare altro che aggrapparsi all'arcione della sella come il naufrago si aggrappa al rottame che la sua mano incontra sul mare infuriato. Intorno al cavano e al cavaliere si fece largo. Altre, grida sbocciarono da ogni parte. Senti-svenuto, Passavanti fu rianimato dal vento che gli strisciava sulla faccia, e comprese che il cavallo scappava al galoppo, lasciandosi dietro quella folla terrorizzata e spaventosa. Cercò di calmare la bestia ignota, ma ormai cara al suo cuore. La sua mano batté dolcemente sul coJJo, scivolò sulla criniera. Ma la trepidazione del cavallo era quasi selvaggia; mentre filava come una freccia, vibrava come se nei suoi fianchi vi fosse nascosto un motore folle. Era imbizzarrito, impazzito, lanciato come da una catapulta verso un ostacolo che si allontanava senza posa. Come 1' uomo, questa interminabile cavalcata! aveva logorato i nervi della bestia. E mentre Passavanti si lasciava condurre da essa, essa si era lasciata condurre senza posa da quel cavaliere che non era il suo, ma al quale doveva ubbidire come a tutti i cavalieri. E' finita! -pensò Passavanti. Ora ci sfracelleremo in qualche burrone... Inorridito, senza respiro, si mise ad attendere la fine inevitabile, la fine che non arrivava mai. Gli sembrò che le ore si seguissero, e che il cavallo, invece di rallentare aumentasse sempre più la sua corsa. I suoi fianchi vibravano ora come i fianchi di un torpedone. Dove andava il destriero impazzito? In un 'ultima percezione di ciò che potevano essere l ' Apocalisse e i suoi cavalieri, Passavanti ebbe la sensazione di penetrare ancora una volta in un mondo nuovo. Credette che delle voci umane

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gridassero. Poi ad un tratto, il cavallo, in uno scarto che avrebbe buttalo a terra qualunque cavaliere che non fosse stato un povero cieco che non voleva più morire, si fermò tremante, scuotendo Passavanti come l'albero scuote le sue foglie e i suoi rami sotto il soffio della tempesta. Parole italiane sorsero da ogni lato intorno a lui, mentre in un nitrito disperato come un ululato di morte, il cavallo sconosciuto stramazzava al suolo, e i suoi zoccoli annaspavano risuonando sinistramente sul selciato, questa volta un vero selciato duro e scoppiettante di città. Valerio Pignatelli La Trihunafebbraio 1933

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Medagliere di Guerra Un dragone del Genova Cavalleria La morte della cavalla Vienna

Proprio quando nessuno più sperava di rivederlo, il caporale Tegon sbucò all'improvviso dalla roggia. Chino su1 collo del cavallo venne diritto sull'abitato, sotto 1e raffiche rabbiose delle mitragliatrici austriache che dalla centrale elettrica e dalla filanda conversavano a sprazzi con i poveri moschetti dei dragoni annidati sul campanile ed oltre casa Cal1i garis, a Pozzuolo del Friuli. Erano le prime ore del meriggio, 25 ottobre 1917. L'audace dragone passò. Svoltò una cantonata e onnai relativamente al sicuro, fermò il cavallo saltando a terra con un gran respiro di sollievo. Dinanzi a lui, da un mucchio di cassapanche e materassi che i cittadini avevano buttato dalle finestre per aiutare i dragoni a creare sbatrnmenti e banicate, sorse il sergente Passavanti, il "morto risuscitato", quello che appena guarito era tornato al reggimento con un'altra medaglia, una promozione per merito d guerra e, per ora, era generalissimo in quell' angolo del mondo. - Bravo Tegon ! disse, Bentornato! ma, sei ferito, perdinci. - Quando una ferita non si vede e non si sente, è come non ci fosse e il caporale si asciugava il sangue giù per una scalfittura al collo e altre alle guancie e alla testa. - E il reggimento? - Ho visto il colonnello e anche il generale. II povero Donghi non ha potuto, lui. - Ucciso? - Ha preso per lo stradone; per la roggia! Una raffica l'ha colto in pieno poveraccio! - Ahi, ahi!. .. E. .. che ha detto ilcolonnello? - Il generale Erno ha letto rapporto e schizzo. Ha detto: Resistere a ogni costo, perdinci!. .. Son venuto via che già suonava il buttasella. 57


- Vengono allora? -Genova e Novara saranno qui a momenti. Passavanti non rispose, ma la5ciò pesare una lunga occhiata verso la filanda e la centrale elettrica. Era da quel lato che un nucleo austriaco, asserragliato sulla collinetta, dominava il paese. Ne aveva avuto prove dirette quand'era andato a ispezionare il mulino. Due raffiche di mitraglia, fragorose. Una donna che gli dava notizie dalle spiraglio d'una finestrella era sparita, dicendo in un soffio: "I tedeschi , i tedeschi!. .." Quanti erano? Ce110 parecchi! Se erano tranquilli era solo perché credevano i nostri molto più numerosi del vero, tanto era stata tracotante l' audacia dei trenta dragoni per far credere d'essere almeno un paio di squadroni. Bene- disse Passavanti dopo un momento di riflessione. Ora prenderai il comando di Pozzuolo tu, Tegon. Etu? - Vado a vedere quel che succede verso Udine. Mi raccomando, Tegon, tenete duro! Voltò le spalle al caporale e si avviò verso la porta della casa che proiettava la sua omhra su loro. Entrò vivamente sotto un androne semibuio; dal fondo giungeva, il pianto d'un bimbo, la voce di una donna che cercava di calmarlo, un nitrito leggero di cavallo che chiama. Legata alla rampa della scaletta, ferma, tranquilla, in sellata di tutto punto, stava ricoverata la sua cavalla. Al vederlo entrare scalpitò leggermente tirando sulla briglia come avesse voluto andargli incontro. I lineamenti di Passavanti perdettero ogni segno di durezza e di preoccupazione. Una strana luce gli brillò negli occhi, una luce di tenerezza e di intimo sorriso. Giunto vicino alla bestia l'accarezzò dolcemente sul collo; le passò leggermente le dita sulle nari frementi, disse: Sì, si, capisco, cara! Ce ne andremo insieme adesso. Ti farà bene una passeggiatina, certo! Le parlava come si parla a un bimbo, l 'accarezzava come si carezza la donna amata. Mentre scioglieva il nodo delle briglie, la bestia in segno di ringraziamento gli appoggiò la testa sulla spalla e

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rimase immobile finché egli non l'ebbe liberata tutta. Poi se ne uscirono in fretta alla luce e alla realtà selvaggia della guerra che incombeva intorno con una pausa di silenzio e di calma spaventosa. La cavalla Vienna era celebre in tutto il 1° squadrone, e anche negli altri del Genova Cavalleria. Non che avesse compiuto fatti d'arme straordinari o vinto corse di eccezione. Giovanissima e piena di fuoco: ecco tutto! Di cavalle come lei, ve ne sono a squadroni in tutti i reggimenti. E nemmeno si chiamava Vienna per patriottica scaramanzia, ma volgarmente perché apparteneva all'infornata della lettera "V" nella quale vi è sempre stata una cavalla Vienna, dacché il Genova è il Genova. La leggenda della cavalla Vienna era una leggenda d'amore, ma non aveva nulla a che fare con le faccende degli amori equini. Per quanto fosse una delle più belle baie della sua età, era casta come una vestale e seria come una matrona del tempo dei Gracchi. Gli stalloni che nitrivano nelle notti d'estate, la lasciavano indifferente e se le compagne scalpitavano cercando rompere i loro om1eggi, Vienna se ne restava pensosa davanti alla razione di foraggio. Come tutte le sentimentali, mangiava poco. Socchiudendo i lunghi occhi di gazzella, preferiva sognare a lungo. Sognava d'un piccolo, giovanissimo dragone che aveva la mano soffice come il velluto, che la baciava sul muso, che non adoperava mai gli speroni per lei, che mai l'aveva eccitata al galoppo se non con la voce dolcissima e con una lunga carezza al collo che le faceva accapponare la pelle giù, giù, fino agli zoccoli. Ecco: la cavalla Vienna era innamorata del suo dragone. E il dragone era innamorato della cavalla Vienna. Mai Elia Passavanti permetteva che altri la toccasse, nemmeno per sellarla o dissellarla. Con cura materna egli esaminava il foraggio della bella e ne toglieva ad una ad una le numerose festuche amare o dubbiose che l 'avidità dei fornitori frammischia sempre alle biade più deliziose. Era geloso della sua cavalla come si è gelosi di una sorella; ne era sospettoso come per un ' amante. Questo lo sapevano tutti, e non si poteva pensare alla cavalla Vienna senza pensare aEliaPassavanti, non si concepiva Elia senza la cavalla Vienna.

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Ora, avendo contornato Pozzuolo per mettere fuori pista le irascibili mitragliatrici austriache de11a filanda, il sergente trottava in direzione di Udine, sotto una pioggerella minuta e noiosa come un volo insistente di moscerini. In quei giorni terribili un povero sergente in avanguardia poco ancora sapeva della rottura del fronte e della grave situazione che s'era andata formando. Brigate, reggimenti, battaglioni, pattuglie si vedevano assegnate tremende missioni sconclusionate e iJlogiche in punti spaventosi, con ordini laconici; si lottava e si moriva, ecco tutto. La va<;tità dell' arretramento, la imminenza del pericolo, il senso della invasione, sfuggiva a chi più vi si trovava vicino, e mai Elia Passavanti avrebbe pensato che i suoi trenta dragoni asserragliati contro un centinaio di austriaci ai margini di Pozzuolo; che i dragoni del Genova e i lancieri di Novara che accorrevano ventre a terra; che le altre poche truppe incontrate qua e là nella mattina, avevano il compito di proteggere niente di meno che il fianco della Terza Annata e permettere al Duca di prendere posizione e fermare definitivamente l'invasione teutonica. Egli, di solito taciturno con i compagni, era loquace invece con la sua cavalla: Vedi, piccola, è proprio la passeggiatina che ci voleva! Ce ne andiamo soli soletti, tranquilli, tranquilli. E'proprio curioso che non si incontri nemici. Che sia finita la guerra e non ce l'abbiano ancora detto? Da dove diavolo sono piovuti allora quegli austriaci che mitragliano Pozzuolo? Quando la meraviglia dell'uomo è giunta al limite e non trova più risposta alle domande, la sorte si incarica sempre di rimettere le cose a posto. Fu dapprima la cava11a a sollevar la testa, ad annusare l'aria umida, a dare segni di nervosismo. Che c'è? e Passavanti la calmava con la mano. Non fare la donnicciola, adesso. Hai forse sentito qualcosa? Ma la cavalla Vienna non aveva ancora imparato a parlare. Avendo avvertito l'amico a modo suo, chinò la testa e seguitò a trottare come prima. Alla prima svolta, però, Elia Passavanti ebbe un sussulto, rallentò l'andatura, si fermò. Mentre in lontananza sorgeva un biancore di

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case, i suoi sguardi caddero sulla conca leggera che il ciglio dello stradone contornava, e questa conca offriva improvvisamente lo spettacolo di una animazione violenta. Era piena di armati, di cannoni, di autocarri, di cavalli. E dalla china affluivano uomini, uomini e uomini. Il tutto dominato dal caratteristico elmetto tedesco che impadella le teste fino alle orecchie. Dalla vallata saliva come il ronzio di un alveare rotto dagli schianti dei motori. La valle di Giosafat! Pensò il sergente meravigliato. Poi capì. Non era la valle di Giosafat, era la fucina della formidabile avanzata che gli austro - tedeschi stavano per scatenare su Pozzuolo e Mortegliano, nella speranza di spazzare le armate italiane, sorprendendole in pieno movimento. Muti dallo stupore, Passavanti e la cavalla Vienna sembravano bruscamente impietriti e sull'orlo della strada si erano tramutati in una statua equestre. Grida incomprensibili sali vano verso di loro mentre un gruppo più vicino di tedeschi si agitava come punto dalla tarantola. Attenti! fece Passavanti. - Vogliono la nostra pe11e, Vienna. Ma prima, che potesse voltare la cavalla e disimpegnarsi, una raffica di fuoco si abbatté sulla strada. Le pallottole sibilarono con un ronzio sinistro; frammenti di albero e di pietre volarono tutt'intorno. La cavalla, per la prima volta in vita sua forzò la mano al cavaliere, e mancò poco che la formidabile impennata non scaraventasse il dragone giù per la china. Ch'è! gridò questi. Sei impazzita, Vienna? Andiamo, giù, a tutta forza. Bisogna che il colonnello sappia quello che sta succedendo. Vienna nitrì con un urlo umano, poi sembrò calmarsi, e lanciata come una catapulta partì ventre a terra in direzione di Pozzuolo. Un'ultima raffica del nemico passò sul capo di Passavanti, prima che egli abbandonasse lo stradone per precipitarsi giù per i campi, filando in linea retta, fuori portata. Un vero spavento era sorto nell'animo del sottufficiale; cosa era dunque successo? Gli Unni? I barbari? L' invasione? Cosa era dunque successo? La visione dell'enorme ammasso di uomini e di materiale che aveva sorpreso, giù, verso Udine, era fissa in fondo al

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suo cervello come rimangono fisse le allucinazioni del terrore. Non era dunque un rovescio parziale, un'infiltrazione di truppe, quello: era l 'invasione! Ogni secondo gli sembrava acquistasse valore di ore. Vienna! che hai? Vienna, non corri? Vola, vola! Forse ci inseguono!. .. Bisogna arrivare per primi, bisogna ... Vienna ... Vienna! Cosa strana, la cavalla ogni tanto inciampava, rallentava, tentava fermarsi addirittura, ansimante. Poi riprendeva la corsa attraverso i campi fangosi, per rallentare ancora. Passavanti era sbalordito, irato, febbricitante, ormai! Mai la bestia aveva agito così capricciosamente. Aveva sempre dato tutto al suo minimo segno, senza farsi pregare. Era bene imbiadata; le aveva dato la sua razione di pane, la mattina; non poteva essere stanca. E invece, a un tratto, non obbediva più alle carezze, né alla voce. Sembrava ribellarsi in una ribellione passiva, come un " brocco" da carretta. Passavanti si indignò e per la prima volta la cavalla Vienna conobbe gli speroni. Ebbe un ]amento, cercò di voltare la testa come per guardare se era proprio Elia quello ch' essa aveva in sella, poi filò a grande andatura. Però non fu che uno sforzo passeggero di sottomi ssione. Ancora duecento passi, e la cavalla rallentò di nuovo e non ci fu più verso di farle accelerare l'andatura: né voce, né speroni, nulla! Passa vanti vide rosso : Ah, bestiaccia traditrice. In un simile momento! Ti farò vedere quello che costano i capricci! Il rumore d' un galoppo laggiù, verso la strada. La sua mano rabbiosa tirò fuori la sciabola dal fodero. Cieco di furore, le labbra tremanti, chiudendo gli occhi sotto l'orrore dell'azione che commetteva, Passavanti picchiò a sangue, picchiò a lungo la sua cavalla Vienna. La bestia nitri di dolore, debolmente; parve decidersi a riprendere la corsa. Galoppava, galoppava la povera Vienna eppure non andava ancora abbastanza presto per Passavanti. Non è che il primo passo che costa, e ogni volta che Vienna rallentava, Elia picchiava ancora, giù botte da orbo.

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Ecco Pozzuolo, infine. Passavanti vi entrò ansimante, il cervello annebbiato. Ebbe la percezione che la brigata era giunta: il paese era presidiato dalla cavalleria. Ma che potevano due reggimenti di dragoni e di lancieri contro ciò che aveva veduto laggiù? Con la fretta di chi porta notizie senza prezzo, Passavanti puntò sulla piazza centrale. Pochi istanti dopo Vienna fermò davanti al colonnello Bellotti che attendeva il ritorno del sergente con la stessa ansia con la quale egli era volato ad essi. Rapporto rapido; ordini incisi vi; Pozzuolo si preparava a entrare nella storia. E la cavalla Vienna incominciò a tremare. Uno spaventoso nitrito le sfuggì dal petto echeggiando nel paese come un grido di terrore umano. Tremava come una foglia; poi, a un tratto, stramazzò sul selciato. Il dragone le cadde bocconi sopra. Un grido gli si strozzò nella gola; gli occhi gli si allargarono come sotto l'impressione di un incubo. Capi va, ora! L'amica sua aveva appena avuto forza di riportarlo indietro, aveva voluto riportarlo indietro. Nel petto ormai immobile della povera Vienna un orribile squarcio si apriva, dal quale il sangue era colato giù, giù, fino agli zoccoli. Fu il rauco canto delle mitragliatrici onnai in azione che accompagnò il pianto di due dragoni mentre trasportavano su di un carro lento e pesante 1'eroica compagna di Elia Passavanti verso la fossa profonda eh' egli e Tegon le avevano scavato con le loro mani: fu il rauco canto delle mitragliatrici del Genova e del Novara che preparavano la difesa e le epiche cariche di Pozzuolo del Friuli additate più tardi all'ammirazione e alla gratitudine della Patria nel freddo linguaggio del Bollettino di guerra. Canto ed esequie degne d ' eroi furono quelle toccate alla cavalla Vienna. Valerio Pignatelli La Tribunafebbraio 1933

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Medagliere di Guerra Un dragone del Genova Cavalleria Cecità

Leggera come un fiocco di neve che vaghi nella penombra senza poter decidere dove posarsi, la crocerossina si muoveva in silenzio nella camera da cui la gran luce del giorno era stata cacciata come una cosa malefica. Steso sul letto d'ospedale con la testa coperta di bende complicate e inesorabili, Elia Passavanti non poteva vedere l'infermiera, ma ne sentiva intorno, incessante, la presenza. Quando il passo felpato si avvicinava, gli pareva che quel milione d' aghi cessasse per un attimo di trafiggergli gli occhi martoriati; e se la mano leggera lo sfiorava per assicurarsi che le bende erano sempre al loro posto, aveva la sensazione di un paradisiaco refrigerio. Non avrebbe potuto dire se essa era giovane o vecchia, bella o brutta, o soltanto avvenente. Eternamente bendato, non l'aveva veduta mai. La sua persona non aveva ancora per lui sembianza umana. Era costituita soltanto da dicci dita di sogno, e da una voce tranquilla che invece di turbare in lui i sensi dell'uomo, faceva vibrare soavemente quelli del fanciullo. Non ne conosceva nemmeno il nome.Una volta, dopo giorni e giorni di esitazioni, di intimi dibattiti, aveva chiesto: Non posso vedervi. V<)rrei ... vorrei almeno sapere chi siete. Come vi chiamate? Vi era stato un silenzio che gli era parso angoscioso come quelli che precedono le risposte d ' amore, poi la voce tranquilla aveva risposto, con un sorriso che egli immaginò perfettamente: Sono una donna italiana, caro. Tutto il resto non importa. Siamo tante donne. italiane, noi, che viviamo intorno a voi, intorno ai nostri feriti. Da diciotto giorni Elia viveva nel buio, nell'incanto di una donna che non era che una voce. 65


E così aveva saputo la propria strana storia, di cui non conservava che una nozione così, vaga da sembrargli un' avventura vissuta in un'altra vita, anteriore di secoli. Alle sue costanti, monotone domande, la voce quasi irreale dava pazientemente le stesse risposte tranquille, mai stanca, mai annoiata, sempre squisitamente materna, e nel1e sue vibrazioni lo straordinario diventava la vita di tutti i giorni: -Com'è stato? Com'è successo?-chiedevailcieco. -Raccontatemi com'è che sono arrivato a Treviso. E' stato il cavallo Quo a fare il miracolo - e raccontava per la millesima volta la sua fiaba vissuta. Cammina, cammina la povera bestia ha passato valli e monti, fiumi e ponti: vi ha portato fin qui da quella Pozzuolo che tante volte voi nominate nella vostra febbre. Vi erano dei silenzi gravi durante i quali egli cercava riannodare i fil i della memoria. -Pozzuolo, Treviso! - mormorava sgomento. - Cammina, cammina, - riprendeva lei per addormentarlo nella cantilena e gli teneva le mani perché non le strofinasse contro l' occhio-la povera bestia è ritornata fin sul la soglia della scuderia dov'era stata di stanza per mesi e mesi. Ha ritrovata la via, il cavallo Quo ... è lui che v'ha salvato. E' morto?... E'm01to? ... Silenzio. Ad Elia pareva di ricominciare a sognare un'altra volta. Il cavallo Quo! Pozzuolo; Treviso ... Tra questi due nomi era compreso tanto spazio terreno che l'impresa aveva del sovrumano, tanto per un povero cieco come per un vecchio cavallo di truppa della lettera Q ... Ma si viveva io tempi in cui l'impossibile era diventato il pane quotidiano di chi non voleva morire. Dei primi giorni della sua permanenza all' ospedale di Treviso, Passavanti non conservava che un ricordo fatto d'incoscienza tramezzata a terribili sofferenze. Rammentava quando la sua stanzetta oscura e solitaria si animava improvvisamente, riempiendosi di medici, di assistenti e di infermieri. Non era al capezzale di un moribondo che quella gente veniva; essi cercavano la salvezza di un occhio umano. L'occhio destro di Passavanti era perduto

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senza rimedio, ma forse l'altro si poteva ancora salvare. Era a questo compito che con sublime pazienza, con una specie di accanimento, i medici si erano accinti. Il più grave ostacolo alla cura non era la natura, era lo stesso Passavanti. Egli infatti riusciva soltanto a starsene tranquillo e lasciarsi operare quando al suo orecchio risuonava la dolce voce della "donna italiana", soave come un balsamo. Gli sembrava, quella, la voce di tutte le nostre donne rimaste di là, dall'altro lato, in balìa del nemico; era la voce della Patria che lo chiamava, la voce della propria madre che gli imponeva di vincere il dolore, superare l' abbattimento,lasciarsi guarire per tornare a combattere, per vincere. E allora, sì, consentiva a non restar cieco per tutta la vita, a non voler morire e, mentre la donna irreale gli reggeva la mano, egli lasciava che gli martoriassero 1' occhio, né si muoveva quando le pinze calamitate del medico estraevano ad una ad una le minuscole schegge che la granata austriaca aveva proiettato tra l'anima sua e la luce de] mondo. Quando tutti se ne erano andati la Voce rimaneva nella stanza con lui, e la sua armonia cullava ogni sofferenza. Non ricordava una volta di averla chiamata senza che ella rispondesse. Come facesse a non allontanarsi mai, come mangiasse, dove dormisse, come vivesse, egli non lo sapeva. Era lì, accanto a lui, giorno e notte, ecco tutto. Il medico aveva detto: -Se si strofina l'occhio, la nostra fatica è perduta. Si era perciò volontariamente inchiodata a quella croce, perché Elia Passavanti non toccasse l'occhio sinistro. E quando il ferito le domandava: - Guarirò? Potrò vedere? Potrò mai veder voi? Essa rispondeva: - Sì, se sarete buono, se lo vorrete, fortemente, se rimarrete tranquillo. Ma egli non la vide mai. Appena non vi fu più pericolo che con un gesto strappato dal dolore Elia distruggesse l'opera paziente di giorni e notti, di tanti giorni e tante lunghe notti, la "Voce" si spense. Se ne andò verso altri capezzali che avevano maggior

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bisogno di dolcezza e sacrificio. Dove, in quale città, presso quali terribili dolori, Passavanti non poté saperlo. E non chiese neanche il suo nome a quelli che lo sapevano, per non turbare il meraviglioso ricordo di quella voce che era una donna italiana. Il cieco guarì. In un freddo e grigio pomeriggio d'inverno, il medico gli tolse per l' ultima volta la benda, e i raggi di Treviso succedettero all' ultimo raggio di Pozzuolo del Friuli, dopo un mese di notte senza stelle. E Passavanti, l' indomito, s'armò d'un paio d' occhiali neri e tornò - era la quarta volta delle sei che doveva tornarvi - neII 'inferno ove la patria chiamava i suoi figli , e siccome aveva imparato più degli a1tri a furia di soffrire, si disse che più doveva fare, e andò Fiamma Nera nei Reparti d' Assalto, e rivide il Pi ave, rivisse le fatiche del Grappa, gioì nella gloria di Vittorio Veneto, guadagnò la medagliad'oro. Poi la pace e le lotte per la pace: l' occhio sopravissuto alla bufera e le mani che avevano maneggiato il moschetto, la bomba e il pugnale, servirono a costruirgli la vita nuova. Diplomi e lauree: belle lettere e legge, università e politica, politica a volte più feroce d' ogni assalto e d 'ogni trincea. Poi, uomo nuovo in mondo nuovo, Passavanti ebbe altri compagni, altri amici, e dopo le trincee, vennero anche i salotti. M a la vita non è che una catena di eventi che servono solo a dimostrare la logicità dell ' imprevisto. Era un meriggio d' inverno; era tiepido e chi aro come quello che gli ridiede la luce nel piccolo ospedale di Treviso. Una casa di amici per festeggiare qualcuno. La gente era tanta che il salotto sembrava diventasse ogni momento più piccolo. Fatto il suo dovere di cortesia già pensava di andarsene verso la propria operosa solitudine. Ad un tratto, Passavanti sentì come un bri vido formargli si alla nuca e corrergli lungo il collo e la schiena: una cellul a misteriosa del suo essere si mise a fremere, vibrò, poi cominciò disperatamente a raspare alla porta delle sue rimembranze. Elia fremette lungamente, come fremette nella cassa d'abete quando stavano per inchiodargliela sul corpo creduto morto dopo la prima ferita. Una

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voce calda, dolcissima, una voce di seta, si era levata da un gruppo vicino e, nel ronzio della piccola folla di invitati, chiacchierava allegra spensieratamente. Passavanti l'aveva conosciuta dal primo suono. Gli sembrava di barcollare adesso in un sogno inverosimile. Si voltò di scatto; guardò la giovane donna che parlava. Tacque anch'essa d'improvviso, sorpresa da quello scatto, e i grandi occhi di velluto si posarono sul volto di Passavanti. Egli sorrise, ed ella sorrise. Contessa Teresa... ! disse qualcuno. Contessa Teresa de' Lutti ... ! E così" la voce" ebbe anche une sguardo, un sorriso e un nome. Valerio Pignatelli La,

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Cavalieri d'Italia in guerra "Genova" e "Novara" a Pozzuolo del Friuli-La carica di Sèzanne e la morte di Castelnuovo Il nemico s'inchina ai superstiti-La cavalcata epica di Elia Rossi Passavanti

La sera piovosa del 25 di ottobre del 1917 ai reggimenti di Genova Cavalleria e Novara, avviati per svernare verso due diversi paesi del Piano di Treviso, la tromba suona improvvisamente il buttasella, e viene comunicato l'ordine di partire per ritornare a tappe forzate verso l'Isonzo, in seguito alla rottura del nostro fronte. Al trotto e galoppo viene coperto quasi un centinaio di chilometri, e nella pianura tra Udine e Palmanova, la Brigata si diffonde, dividendosi in squadroni che per strade, viottoli e campi avanzano con 1'ordine di non perdere mai il collegamento; cosi rimonta contro la corrente dei profughi e delle nostre Divisioni che si ritirano lungo le strade del Friuli. Ogni cavaliere, dal comandante al più umile, sente che è venuta l'ora grave di responsabilità e ne è fiero e vibrante, così da correre al sacrificio come al più ambito dei premi. Figure di centauri sfilano rapide per la campagna, a stormi e a frotte; sotto gli elmetti appaiono i visi fermi, taglienti, pieni dì determinazioni e di sogni. La 2· Brigata comandata dal generale Erno Capodilista, che ha avuto i suoi antenati nella Cavalleria veneta, si allinea in un primo tempo contro la ferrovia Risano - Palmanova e manda pattuglie verso il Natisone e lo Judrio per ricercare il nemico. Si porta in seguito sulla seconda linea ferroviaria Udine - Gorizia per poi riunire i due reggimenti a Trivignano, dove il generale Filippini della prima Divisione di Cavalleria comunica l'ordine dì asserragliarsi in Pozzuolo del Friuli, nodo importante di confluenza di strade, sacrificando uomo per uomo, caricando a piedi e a cavallo, resistendo ad ogni costo senza badare a perdite.

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Quando la Brigata irradia pattuglie verso Cormons, Medeuzza, S. Giovanni di Manzano e Udine per prender contatto col nemico e si stende frontalmente sulla direttiva di Pozzuolo, nessuno manca all'appello e gli stessi maniscalchi, delegando il loro anziano, sessantenne, dicono di voler seguire i combattenti perché «se non ci sarà da ferrare i cavalli ci sarà certo da menare le mani». Dopo il mezzogiorno del 29 i due reggimenti muovono verso Pozzuolo dietro gli zappatori dai cavalli grigi che con le forbici tagliano i fili delle viti e segnalano gli ostacoli. Arrivano, non si sa da dove, le prime raffiche di mitragliatrice che, crosciando tra le foglie, riempiono l ' aria di uno zezzìo molesto. Le pattuglie di punta intanto arrivano al paese accolte dal più assoluto silenzio; però c'è un'aria di tranello. Un contadino non risponde, interrogato, ma una piattonata data con garbo lo costringe a dire che ci sono Tedeschi con mitragliatrici nel paese. Anche una vecchia non vuole rispondere come se fosse sotto una minaccia invisibile. Allora, verso le 16, una prima pattuglia e poi una frotta, alla maniera dei cosacchi, sì lancia al galoppo attraversando il paese risvegliando tra grida t: spari un vespaio ài mitragliatrici; però i nemici fuggono per la campagna rallentando i tiri; una vedetta nostra sale sul campanile e, mentre il Genova occupa il paese barricando gli sbocchi delle tre strade nord - orientali, il Novara occupa gli sbocchi delle tre strade sud - occidentali. C'è anche un piccolo reparto di bersaglieri; ciascuna banicata è presidiata da due sole mitragliatrici. Vengono sfondate tutte le botti nelle cantine, perché reparti di dispersi che ripiegano sul paese non si abbandonino al vino; si prepara l 'ospedale da campo; si chiudono i cavalli nelle scuderie e nei cortili, mentre i popolani o le donne aiutano. L'ordine è di tenere il paese a c..:osto di qualunque sacrificio per impedire al nemico di dilagare e di attaccare i fianchi della Terza Armata che si ritira ordinata sul Tagliamento; e si fa assegnamento sull'eroismo della Brigata che sul Carso, a quota 144 e sul Cosich, si coprl di gloria. La notte cala fosca sui combattenti stanchi e pare interminabile, 72


dominata dal crosciare della pioggia e, a tratti, dal crepitare delle mitragliatrici che lampeggiano nell'oscurità umida, tempestando le barricate e il paese. All'alba del '30, pattuglie a cavallo si irradiano lungo le sei strade per prendere contatto col nemico e «assaggiarlo». Le pattuglie rientrano coi segni visibili di combattimenti impegnati con le prime pattuglie nemiche armate di mitragliatrici leggere. A poco a poco si stabilisce l'accerchiamento e il fuoco si concentra da molti punti. Alle 11 il nemico si presenta in forza e dopo un tiro di piccoli calibri sulle barricate si decide ad attaccare a oriente. Una massa oscura, di uomini scelti, statuari, col largo casco piantato in testa, avanza incolonnata sulla strada perché nei campi, inzuppati dalle piogge insistenti, sì affonda fino al ginocchio; si odono grida d'incitamento e canti ebbri!. Un ufficiale nemico domanda la resa, ma il sergente mitragliere Garavaglia gli risponde che «Genova» non si è mai arreso, e senz'altro falcia gli assalitori che però si rinnovano continuamente coi rincalzi freschi. E' spaventoso pensare che bisogna economizzare le munizioni. Si portano le mitragliatrici sui tetti e i dragoni saltano la barricata e a piedi caricano alla baionetta. Il nemico allora arretra e si sparpaglia portando le mitragliatrici dietro ì covoni di granoturco e nei fossi, pigliando i nostri in un incrocio di tiri infernali con proiettili esplosivi che squarciano i tronchi degli alberi e provocano negli uomini orribili ferite. Altri reparti nemici si ammassano per attaccare a sud. Ma il 4" squadrone di <<Novara», con il capitano Sèzanne in testa, esce al galoppo e carica gli assalitori, che si disperdono. Su ottanta lance, sessanta restano infisse nei bersagli e nei corpi nemici. Vengono presi selle prigionieri ; nota comica della tragedia: uno è portato sotto braccio da un caporale; Sèzanne ne ha afferrato un altro per il bavero e lo trascina al galoppo e lo scaraventa dentro la nostra barricata. Il nemico battuto e scosso da tanto impeto per un poco dà tregua, ma una Brigata nemica scelta circonda Pozzuolo e pare che quattro Di visioni rincalzino. La storia, sereno giudice, dirà un giorno come 73


in quei momenti in ogni paese e' erano fanti, cavalieri e reparti di ogni Arma che resistevano fino al sacrificio per l'onore delle nostre armi. Su Pozzuolo ripiegano sfinite dalle lunghe marce e da continui contrattacchi le fanterie della Brigata Bergamo; e il comando della settima Divisione di fanteria da S. Maria di Sclaunicco ripete l'ordine di resistere a oltranza, perché Pozzuolo è la chiave di arresto contro la manovra nemica; ma non c'era bisogno di ordini perché i cavalieri di Pozzuolo erano, come i cavalieri della morte della leggenda, esaltati da una volontà eroica di sacrificio: «Soit à pied soit à cheval, mon honneur est sans égal» dice il motto dei dragoni di «Genova». «Albis ardua» (ai puri l'ardimento) dice il motto dei lanceri di «Novara»; sul filo delle sciabole e sulla punta mortale de1le lance è protesa l'anima dell'Italia guerriera. Nel pomeriggio i Tedeschi attaccano con masse sempre più compatte, pochissimi riescono ad insinuarsi tra le case, a montare sui tetti, penetrare nei cortili per prendere i cavalli; si accendono zuffe terribili tra grida, spari, tonfi e nitriti di cavalli; ma le nostre mi traglialrici contengono le ondate crescenti. 11 tenente Castelnuovo delle Lanze, mentre dirige il tiro della sua mitragliatrice da un abbaino, viene sventrato da una pallottola esplosiva nemica; non si lamenta, ma, appoggiato sui gomiti, spirante, dice al suo colonnello: «Se uscirà di qui voglio che dica a mio padre che non rimpiango i miei vent'anni, lieto di morire tra gli eroici mitraglieri di « Genova», e felice di offrire la vita al mio Re per l'onore della Patria ». Alle 17 una massa incontenibile aiutata da falciate di mitragliatrici sfonda la barricata a nord e penetra in paese giungendo fino ai cavalli di riserva. Allora Sèzanne col 4° squadrone esce nuovamente a cavallo, supera le mitragliatrici annidate nel cimitero, salta, sciabolando, le cortine di assalitori e, aggirato il paese, carica come un lampo a fendenti il nemico che si credeva vincitore, lo scompi glia, libera gli accerchiati e disimpegna le munizioni che erano rimaste tagliate fuori, ristabilisce così la situazione; ma attira su di sé l' impeto del nemico furente, ondeggia coi pochi superstiti nella

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marea, roteando la sciabola rossa grondante, poi, ferito gravemente, è travolto. Un pugno esiguo di superstiti riesce ad aprirsi un varco ed a ripiegare, secondo l'ordine ricevuto, su S. Maria. Nello stesso tempo una mitragliatrice nostra, asserragliata nella filanda verso Carpeneto, è sopraffatta. Alle 18 arriva, con la notizia che la Terza Armata è salva ed intera oltre il Tagliamento, 1'ordine di disimpegnarsi dal nemico e di ripiegare. Ma la cosa è disperata. Un nuovo attacco con forze stragrandi riporta il combattimento dentro il paese; la stanchezza e il logorio di attacchi e contrattacchi sono giunti ad un grado insostenibile. 11 piantone Milan, che teneva una cerchia di cavalli per non lasciarli sbandare, si fa massacrare ma non abbandona la consegna e solo al giungere del suo sottufficiale, cade a terra e spira. Si fa una scoperta macabra: un'altra cerchia di cavalli ha le briglie tenute dalla mano serrata e tronca di un dragone ucciso. TI capitano Lajolo del 4" squadrone di «Genova» vista la minaccia aggravarsi per la Brigata arringa così lo squadrone:<< Giovanotti, parla« Genova»: Quando i dragoni del Re vedono il nemico non voltano le groppe, ma calcano l'elmetto e vi galoppano sopra», e ciò detto si scaglia al galoppo seguito da tutti i suoi. Il nemico è così sorpreso dall'attacco che si arresta colto da confusione e da panico; così la Bligata può caricare le armi sui cavalli e porsi in sella per forzare la cerchia; ma Lajolo e Carlo Rospigliosi cadono crivellati di colpi, mentre il loro squadrone è quasi sterminato. Il 1° squadrone di «Novara», visto incalzare il nemico, prima di potersi mettere a cavallo, si lancia alla baionetta trascinato dal capitano Capasso al grido: «I bianchi con me, alla baionetta Savoia!» e corre al sacrificio. Il maggiore Sante Ghittoni di «Genova» tagliato fuori, ferito, piuttosto che arrendersi dopo aver scaricato la rivoltella a bruciapelo contro i suoi assalitori con l'ultimo colpo si fa saltare le cervella gridando: « Vivo non mi avranno, sappiate morire come muoio io». Il colonnello Belletti, comandante di «Genova», visto Elia Rossi Passavanti ferito e accecato da una terribile sciabolata, 75


lo invita a curarsi e a ripiegare in un momento favorevole; ma l'eroe di Quota 144 risponde, rimanendo a cavallo, che non ha tempo di curarsi e che non uscirà che al seguito del suo colonnello. Più tardi il Rossi, per proteggere il comandante, che si espone troppo al tiro delle mitragliatrici, si prende un proiettile che gli rade il cranio. Eppure bisogna forzare l'inesorabile cerchia di morte. Un esempio della guerra boera suggerisce ai pochi superstiti di uscire a cavallo, circondati da frotte dei cavalli eccedenti, liberi, alzando gli staffili ai cavalli stessi, facendo nodo alle redini, cosi che gli ottanta uomini tra «Genova» o «Novara» che rimangono potranno uscire per caricare alle spa11e i reparti che hanno sfondato, mentre gli altri uomini usciranno circondati da frotte di cavalli liberi. TI colonnello Campari riunisce il suo reggimento di « Novara » manovrando sotto il tiro, calmo come in piazza d' armi; vuol vedere il «presentat - lane» come chi si prepara a morire con stile; quindi infila lo sbocco sud, dominato dal cimitero con relative mitragliatrici, al trotto e, lanciato il grido di« Savoia! », prende un galoppo serrato con tutti i suoi. All' uscita del paese c'è una cappel letta con un affresco rappresentante Cristo che regge la croce e S. Pietro prono e addolorato davanti a lui; la terribile sventagliata di mitraglia che investe i cavalieri scrosta il dipinto, ma per miracolo solo il Cristo è intatto. Tale è il fuoco nemico che si sente l' odore di bruciato degli abiti, delle carni e dei platani squarciati dai proiettili esplosivi; ma la valanga veloce dei cavalli scavalca soldati e mitragliatrici sciabolando senza misericordia e passa. Su una radura il colonnello conta 30 superstiti e un centinaio di cavalli liberi; i cavalli per istinto si erano disposti in modo da offrire meno bersaglio al tiro. Vanno verso Mortegliano. Ma non è ancora finita: Mortegliano è assediata; nel crepuscolo piovoso alcune case ardono LTistemente e truppe di fanteria nostra, stanche ed affamate, si difendono stre nuamente di casa in casa. I cavalieri caricano gli assediati e saltano nel paese, ma davanti alla chiesa di Mortegliano avviene un' altra strage. Al tenente Basile

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stramazza il cava11o squarciato a morte ed egli cade sotto col petto e le costole schiacciate dal peso della bestia e boccheggia a sangue. T1 suo attendente, sotto il fuoco, lo sorregge, lo chiama perché veda morire il cavallo a nome Al bis Ardua ( come il motto del reggimento) lasciato al tenente dal fratello morto in guerra; poi seguendo un 'usanza di cavalleria il lanciere si mette in ginocchio per salutare in posa di «spall - sciab» la fida bestia morente. Don Posocco si china per porgere l'Olio Santo a Basile; il cappellano, sotto il fuoco, porta l'estremo conforto e chiude gli occhi a tanti, leva talvolta il Crocefisso contro il nemico spietato che non rispetta neppure la pia funzione. A un certo punto un nuvolo di cavalli e di cavalieri, ultimi superstiti, gli passano sopra a salto e volano contro il nemico per morire almeno combattendo. Uno soltanto raggiunse il Tagliamento. L'attendente lanciere che salutò il cavallo morente più tardi scriverà sull'episodio una lettera che non si può leggere senza brividi per la potenza dell' espressione ingenua: « ... il nemico ci vedeva e tremava, ci tiravano e ci lasciavano infatti, non potevano mai ferire il nostro ardimento, noi ci abbiamo risposto al.fuoco e li abbiamo fatti freddi, non più si sentiva un suono, altro che di grida. Questo èfatto vero, il posto dove abbiamo combattuto era il paese di Pozzuolo del Friuli». Ditemi se nelle Canzoni delle Gesta c'è qualcosa di più grande! Intanto il «Genova» da Pozzuolo esegue una manovra simile. Il medico non vuol muoversi dicendo stoicamente che ha troppi feriti che hanno bisogno di lui e che il suo dovere è là. T1 colonnello Bellotti, in testa ai resti dei due soli plotoni rimasti, imbocca con un galoppo non troppo affrettato la strada di S. Maria di Sclaunicco. Qui succede un miracolo: il nemico, vedendo uscire quello stormo di fierissimi cavalieri col colonnello in testa, bendati, insanguinati, armati, stretti intorno allo stendardo glorioso, rimane soggiogato come da una apparizione. Passa nell'aria un brivido e il fuoco cessa per incanto durante il breve tempo che basta all' apparizione per dileguarsi: quando si varca il limite del valore

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umano c'è qualche cosa che commuove, che trascende e fa chinare la testa nel saluto cavalleresco che vige tra valorosi. I superstiti di quel giorno hanno ancora l'impressione di esser passati vincitori tra due ali di nemici che presentavano le armi. Passato il Tagliamento nella notte sul 31, nei pressi di Pravisdomini il colonnello Bellotti, durante la prima sosta destinata a riordinare i brandelli del suo reggimento, parla ai dragoni e nella sua voce vibra commozione, riconoscenza, orgoglio. Dice semplicemente che non c'è merito per un comandante quando disponga di simili eroi, poi volgendosi nella direzione del Tagliamento invita ad innalzare il pensiero grato e devoto ai caduti, ai feriti rimasti di là, e ringrazia i reduci; ha quasi le lacrime vedendone così pochi (c' è anche uno che avuto il cavallo ucciso si è portato la sella e il carico a spalla per non lasciare nulla a quei « fioi de cani » ), e chiude: «Nella mia coscienza di soldato, in questo lembo di patria non ancora invasa nel nome sacro del Re nostro, io vi proclamo dinnanzi agli uomini e dinnanzi a Dio Cavalieri senza macchia e senza paura. Ai nostri morti il saluto con il nostro grido di fede: Viva il Re!». «Genova» e «Novara», ridotte rispettivamente a 180 uomini e 230, continuano fino al Piave e fino all' 11 novembre le azioni di fiancheggiamento e di ricognizione. Un cavaliere vaga solo attraverso ia desolazione della campagna autunnale. Si regge in arcione con la lievità dei fantasmi, ha il capo bendato e l'elmetto gettato dietro le spalle. Nel suo viso pallido ha una cicatrice, quella che dalle trincee sembrava irridere al nemico; il viso è rigato di sangue che s'aggruma anche sugli abiti. Egli è accecato da una terribile ferita, e il cavallo, uno di quei cavalli di guerra che per istinto e per esperienza possono insegnare talvolta agli uomini, vede per lui portandolo alla salvezza. Elia Rossi Passavanti non ha abbandonato la sciabola neppure in tali condizioni; cavallo, uomo e sciabola sembrano possedere una sola anima simile al taglio della lama insanguinata. (Ricordate, o uomini senza cuore e di poca fede!).

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Sulle strade c'è Io scalpiccio dei profughi e delle Armate che si ritirano ordinate, un cigolare di ruote e un rombo di motori che ogni tanto s'interrompe. Questi suoni senza ritmo giungono, come una eco di sotterra, dolorosamente, a colui che non vede, ma che piange dagli occhi e dalle ferite lacrime di sangue. Non ode egli una voce che si leva dalla moltitudine muta a chiedere se quello che passa è un morto che cavalca. Nel delirio della febbre non percepisce il dolore fisico e forse anche l'altro lo ha transumanato; egli vive come un trapassato sulla soglia tra la tenebra. e la luce della gloria di domani, e non si domanda dove quell'andare lo porti. Il cavallo, che era stato altro tempo in scuderia a Treviso, va sicuro alla sua casa e non vuole acqua mai né cibo; giunto al suo stallo si abbatte fulminato dagli sforzi immani. Il cavaliere intuisce l'accaduto e questa volta piange lacrime vere, poi s'inginocchia per salutare il suo fedele compagno, così come gli hanno insegnato al reggimento; poi a poco a poco, come chiamato dai compagni che sono caduti sulla terra abbandonata, sente le forze svanire e gli pare di entrare nella terra e nell'ombra di una pace infinita. Antonio Locatelli Corriere della sera del 15.12.1930

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Elia Rossi Passavanti Dragone ed Eroe di guerra

Terza parte Elia Rossi Passavanti fiumano e Comandante della "La Disperata"



Elia Rossi Passavanti fiumano e comandante della "La Disperata" Domenico Cialfi

Fiume, "la città contesa" Alla conclusione del primo conflitto mondiale, dalle trattative di pace, l'Italia ottiene le te1Te irredente di Trento e Trieste ma l'opposizione del presidente americano Woodrow Wilson conduce a una situazione di stallo per quanto riguarda la città di Fiume, non promessa all'Italia col patto di Londra del 1915 e reclamata dagli italiani in quanto abitata prevalentemente da connazionali. Inoltre, già nell'ottobre del 1918 a Fiume si era costituito un Consiglio nazionale che propugnava l'annessione all'Italia. I rappresentanti italiani al tavolo per la pace e per la sistemazione deU 'Europa a Pruigi: Vittorio Emanuele Orlando e Sidney Sonnino, dopo aver po1emicmnente abbandonato il tavolo delle trattative, non avendo colto i risultati sperati, vi fanno ritorno il 5 maggio del 1919. Al Governo italiano non rimane che barcamenarsi tra le richieste di Fiume e la pressione internazionale per l'attuazione della pace secondo i principi wilsoniani che escludono in uno dei suoi 14 punti l'annessione della città istriana. Sul riconoscimento dell'italianità della "città contesa" si scatenano agitazioni di carattere politico, con complesse ricadute sulle trattative diplomatiche tra le potenze vincitrici. All'alba del 12 settembre 1919, però, un migliaio di granatieri, fanti e arditi marcia alla conquista della città, crocevia di culture ed etnie diverse, unico sbocco al mare, come "corpo separato", de1 dissolto regno di Ungheria. A guidare i "ribelli" c'è il Poeta- soldato Gabriele d'Annunzio che, massimo difensore della Vittoria e in cerca di nuove occasioni di impegno eroico, ha rotto gli indugi deciso a rivendicare alla madrepatria la città istriana, abitata in maggioranza da italiani.

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Fiume viene conquistata senza colpo ferire. L'intrepida avventura militare aumenta il prestigio internazionale del Vate e gli conferisce uno straordinario credito politico presso le masse soprattutto di reduci e arditi, studenti e futuristi che, non di rado, di lì a poco raggiungono la città "liberata". TI nerbo dei legionari dannunziani proviene in larga misura, però, dalle forze armate: in nome dell'Italianità di Fiume, infatti, molti militari disobbediscono agli ordini e si allontanano dai loro reparti. AH' indomani dell' ingresso a Fiume di Gabriele d' Annunzio, nel giro di due settimane defezionano dal Regio Esercito 9 ufficiali superiori, 276 ufficiali inferiori e 4467 militari di truppa. Il 20 settembre 1919, nella città occupata, un'imponente sfilata saluta il cinquantennale dell'ingresso dei bersaglieri a Roma; i marinai del battaglione "Bafile" innalzano spavaldamente il cartello "Evviva i disertori" e cantano a squarciagola: "Se non ci conoscete I guardateci sul petto/ noi siamo i disertori I ma non di 1 Caporetlo !" •

L'arrivo a Fiume di Elia Rossi Passavanti Il carismatico Comandante è attorniato da un fedele stuolo di collaboratori : ufficiali fidati, forgiati nella Grande Guerra e sensibili al richiamo patriottico. Accomunano lo stato maggiore dannunziano la giovane età dei suoi componenti e la fierezza, che traspare anche dal portamento di chi è consapevole di trovarsi davanti a uno snodo decisivo de11a propria esistenza e della storia nazionale. Le divise sono esibite con fierezza e marzialità, unitamente ai nastrini delle decorazioni e, non di rado, alle mutilazioni che attestano l'ardimento bellico, le stellette testimoniano il persistente legame con il Regio Esercito. Il giovane Elia Rossi, già dragone del Genova Cavalleria e ormai ufficiale di complemento degli "arditi" per gli straordinari meriti di ' La notizia è riportata in Mimmo Franzinelli, Paolo Cavassini, Fiwne, Mondadori, Milano 2009, p.49.

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guerra, carico di gloria e ben conosciuto dallo stesso d'Annunzio che nel corso della battaglia di S. Giovanni di Duino, nell'agosto del 1917, lo aveva battezzato: "Frate Elia dell'ordine della prodezza trascendente", non è ancora della partita, si trova, infatti, ricoverato presso l'ospedale militare "Regina Margherita" della capitale per sopraggiunte complicazioni in merito ai "postumi di ferita da arma da fuoco", ma sarà ben presto raggiunto e reclutato da Guido Keller, l'asso della squadriglia aerea di Francesco Baracca, fin dall'inizio a fianco di d'Annunzio nell'impresa fiumana. Elia Rossi Passavanti con alcuni compagni, recando con sé la bandiera dei volontari e degli arditi romani da consegnare al Poeta armato, "quale simbolo e pegno di fede e di vittoria", verso la fine di settembre, raggiunge Fiume e per qualche tempo svolge le funzioni di Ufficiale di propaganda, trovandosi a fianco della marchesa Margherita Incisa di Camerana2, già crocerossina in tempo di guerra e ora volontaria fiumana, che ben presto diverrà sua compagna di vita. Nel volgere di qualche tempo, però, il giovane Passavantì riceve l'ordine di assumere il comando e di riorganizzare la "compagnia speciale arditi", già denominata "La Disperata" da Guido Kellcr, per la conduzione spartana di vita dei legionari, tutti giovanissimi e non appartenenti a nessuna arma in particolare, che la componevano, e destinata secondo l' intento del fondatore a vigilare sul Comandante d'Annunzio. Elia assume il comando e, puntando tutto sull'esempio e sulla fede negli ideali di italianità, di cui egli stesso è un campione, senza trascurare il compito di provvedere agli aspetti materiali della vita del soldato, cui associa la marchesa Margherita come "madrina", ottiene risultati sorprendenti per efficienza e dedizione. L' attitudine al comando e l'ascendente di cui gode il giovane ufficiale non solo sono poste in evidenza a Fiume da chi condivide ' Domenico Cialfi, All'ombra della morte, in Elia Rossi Passavanti nell'Italia del Novecento, Alli <lei Convegno <li studi, Temi 22 - 23 marzo 2002 (a cura <li V. P irro), Arrone (TR), Thyru s 2004, pp. 16, sgg.

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l'avventura nella "città di vita"3, ma anche da infonnatori del Governo che, nell'aprile del 1920, rivelano come gli unici soldati sottoposti ad un addestramento continuo siano gli arditi de "La 4 Disperata" • All'alba del 14 novembre 1919 a due giorni dallo svolgimento delle elezioni politiche nel regno d ' Italia il Comandante, accompagnato anche dal giovane Elia e dai suoi arditi, raggiunge Zara, dove è insediato, come governatore della Dalmazia, l'ammiraglio Enrico Milio, il mitico eroe dei Dardanelli, che, nel luglio del 1912, con imprevedibile mossa aveva attaccato la flotta turca. La spedizione, che mira a consolidare il controllo italiano della Dalmazia, allargando allo stesso tempo la zona di influenza "fiumana", lascia registrare anche un' esultante accoglienza popolare e consistenti riconoscimenti morali per i1giovane comandante de "La Disperata", che ha avuto il' coraggio' di imporre la sua presenza e dei suoi al Poeta armato. Nel dicembre successivo, quando più aspro si fa lo scontro fra gli esponenti più moderati e filo monarchici dello stato maggiore, ormai in rotta con d'Annunzio, più che mai propenso a resistere ad oltranza, l'ardito Elia, schierato fra gli intransigenti e gli estremisti, impartisce ordini precisi a tutta la compagnia dei " disperati" per impedire il voto per l'accettazione del compromesso conciliativo ("modus vivendi") con il Governo. La qual cosa si realizza, con somma riconoscenza da parte del Comandante, che con rapida mossa, fidando del suo carisma, annulla la votazione, facendo, poi, rigettare per acclamazione di piazza il "modus vivendi" , imbastito dal Generale Badoglio, che si dimette dall'incarico. In seguito a tali eventi e dimostrazioni di fedeltà ai valori fiumani , "La Disperata" passa alle dirette dipendenze del Comandante,

' Profili di legionari. Elia Rossi - Passavanti, in " La Testa di Ferro", Fiume, 23 maggio 1920. ' Luigi Emilio Longo, L ·esercito e la questione )iumana ( 1918- 192 l ), tomo Il - Allegati, Roma 1996, p. 151.

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divenendo una vera e propria Guardia personale di d'Annunzio, con notevole aumento di prestigio per il giovane ufficiale che la guida e che entra a far parte sempre più della ristretta cerchia dei fedelissimi del Vate. Non a caso, "frate Elia" viene invitato a giungere "in 5 silenzio al pasto conventuale" di "frate Gabriel", presso la palazzina del Comando di Fiume, e a prender posto alla tavola del Poeta in armi nella saletta riservata della taverna da lui ribattezzata con lo 6 strano ed esotico nome di "Ornitorinco" • Artista, condottiero e "capo" di Stato, l'immaginifico d'Annunzio vive a Fiume un entusiasmante ritorno di giovinezza, a coronamento di un'esistenza sempre vissuta sopra le righe all ' insegna dell'estetismo. La liturgia marziale e le pose statuarie si alternano a momenti più rilassati di ordinaria quotidianità, il rancio consacra la comunione del Comandante con la gioventù guerriera e ne rinsalda i legami. Tra l'altro, il Poeta in armi, consapevole delle insidie di una vita al campo monotona e noiosa, tiene alto il morale dei suoi uomini con la sua presenza. Della compagnia '1..a Disperata" d'Annunzio diviene ben presto caporale onorario e non disdegna di effettuare con i suoi arditi passeggiate "di canzoni sotto la luna", di condurli per sacre cerimonie in Cattedrale, di invitarli all'ascolto di buona musica, di inviare doni per i brindisi e gli alalà, insieme ad offerte in danaro, come attestano lettere e biglietti del Comandante al suo "caro compagno" e "fratello", gelosamente custoditi nell'Archivio Passavanti7.

' Giancarlo Rati, Il carteggio inedito d'Annunzio - Rossi Passavanti, in Elia Rossi Passavanti nell 'Italia del Novecento... , cit., pp. 141-1 86; in particolare si fa liferimcnto alle trascri zioni in Appendice delle Lettere senza data: I. "D. Cialfi, A ll'ombra della morie, in Elia Rossi Passa vanti nell'ILalia del Novecento ..., cit., p. 26. ' G. Rati, Il carteiiio inedito d 'Annunzio - Rossi Passavanti, in Elia Rossi Passavanti nell'Italia del No vecento.... cit., pp. 141 - 186; in patticolare si fa riferimento alle trascrizioni in Appendice delle Lettere datate: II, Ill, IV, IX, XI, XII, e dei Documenti vari: II e VII.

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Di concerto con il Comando dannunziano, gli arditi della Guardia, ribattezzati "zidòvi" dal Poeta - soldato (difensori del Comandante a guisa di "mura", da "zid" antica espressione croata) concorrono ad imprese a dir poco intrepide e spavalde al pari di queHe degli "uscocchi" (dal serbo - croato "uskok", cioè di quei pirati che, in seguito all'invasione turca dei Balcani, infestarono le acque dell'Adriatico) come il rapimento del Generale Arturo Nigra8, colpevole di aver apostrofato, nel corso di un discorso pubblico a Trieste, con parole oltraggiose il Poeta e i suoi legionari, ovvero la razzia di 46 cavalli dal parco quadrupedi di Abazia, trasportati per 9 mare a Fiume • Alla reazione di un blocco ancor più duro minacciato dalle autorità militari, si restituiscono, però, al posto dei robusti cavalli governativi, 46 macilenti e affamati ronzini, raggranellati nelle campagne di Fiume... Dopo l'affronto, la beffa! E' questa l'ultima impresa (in concorso con altri) da imputare agli uomini della Guardia di d'Annunzio, addestrati e all'uopo scelti da Rossi Passavanti. Di Il a poco, a fine maggio 1920, il giovane ufficiale al comando de "La Disperata" si allontanerà definiti varnentc da Fiwne, non vivendo dall' interno della "città di vita" assediata l' ultima fase dell'avventura fiumana: la promulgazione della Carta del Carnaro, il trattato di Rapallo e il conseguente Natale di sangue. A ben vedere, non si tratta, però, di una fuga di soppiatto o di un "trndimento" della causa fiumana (troppi e troppo ostentati pubblicamente sono gli attestati di stima'°), quanto piuttosto di un allontanamento dovuto a cause private, per convolare a nozze con Margherita, la marchesa legionaria, sua compagna d'armi e di ideali, pronta, 1 dilla poco, anch'essa a lasciare la città assediata 1 •

" Pe::r l' episodio si veda D. Ciall"i, All 'ombra della morte, in Elia Rossi Passavanti nell'Italia del Novecento ... , cit., pp. 23 , 24. "Jvi, p. 25. "' Pro.fili di legionari. Elia Rossi - Passavanti..., cii., Fiume, 23 maggio 1920. 11 Relativamente a Passa vanti gli stati cli ser vizio I926, 1928, 1953 (Archivio Passavanti, T.O.E. - Terni, d 'ora in avanti A.P., T.O.E. - Terni) attestano ùi aver lasciato Fiume, per rientrare nei ranghi dell 'esercito regolare, il 24 maggio 1920 , mentre per Margherita

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D ' annunzio in persona affida a "frate Elia", all'atto dell'abbandono di Fiume, due lettere: una indirizzata al Direttore dell'Istituto Rizzoli di Bologna e 1' altra a tutti gli amici della causa di Fiume, imputando l'allontanamento di Elia ai postumi di ferita di guerra, ma p1ù verosimilmente facendo scudo con i suoi attestati ad eventuali atteggiamenti persecutori nei confronti del "suo compagno" d'anni' 2 •

Dall'"esilio" africano alla ripresa dell'apprendistato mistico con il Comandante Rientrato nei ranghi dell'esercito regolare, Elia si rifugia con Margherita "a Torino, dove l'amore della marchesa e le sue scelte politiche incontrano l'ostilità e la deprecazione dell'ambiente famigliare e di corte, ma con l'appoggio della principessa Letizia di Savoia, [di cui Margherita era stata dama di compagnia], i due coronano il loro sogno e si sposano il 20 luglio 1920 al castello di Moncalieri"'\ quindi si vedono costretti a partire per 1'Eritrea.

d'Incisa di Camcrana sono le schede biografiche da lei stessa redatte ad attestare di essere rimasta a Fiume come legionaria dannunziana "dal 4 ottobre 1919 al 20 giugno I 920" (A. P., T.O.E. - Terni. Schede biografiche e curriculum di Margherita Rossi Passavanti d' Incisa). Riportalo anche in Elisabetta David,/l gusto della memoria. Margherila Incisa di Camerana nell 'archiviv di Elia Rossi Passavanli, in Gi.rn Giani. La memoria ai femminile (a cura di M. Rossi Caponerie E. David), Atti del Convegno di studi, Terni , 89 nov. 2006, Terni 2008,p.199. 12 G. Rati, IL carleggiv inedito d'Annunzio - Rossi Passavanti, in Elia Rossi Passavanti nell'Italia del Novecenlo ... , cit. pp. 141 - 186; in particolare si fa rifclimcnto alle trascrizioni in i\pperuiice di Altre lettere: I e Il. Le due lettere in questione vennero 1ipo11ate anche in un manifesto elettorale per la candidatura di Rossi Passavanti alla Camera dei deputati nel 1924 (A.P. , T.O.E. - Terni, Manifesto elettorale Elia Rossi Passavanti da 7ì!rni candidato della lista nazionale, Tipografia A. Visconti, Terni s.d. [ma 1924]). "E. David, Il i usto della memoria. Margherita Incisa di Camerana nell'archivio di lìlia Ron·i Passavanti, in Gisa Ciani. .. , cit., p. 198. Tale cerimonia, corroborata da vari documenti anche fotografici, dovette assumere un carattere privato, poiché in tutti i documenti ufficiali riguardanti Passavanti (Cfr. A.P., presso T.O.E. - Terni, Stati di servizio 1926, 1928, 1953) il matrimonio risulta contratto il l'' ottobre 1920, sempre a Torino, previa autorizzazione del Sovrano, n. 1055, del l settembre 1920. O

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Tn colonia, prima ad Asmara, poi a Massaua, i1 giovane ufficiale Passavanti presta servi zio di routine per due anni, ma1 sopportando questa sorta di "esilio". "In questo periodo Margherita tempesta di lettere d ' Annunzio e il suo entourage lamentando l'incomprensione e soprattutto supplicando il Comandante di un cenno, di una parola che potesse 14 riso11evare il mora1e depresso del marito I ...]" • Nell'estate del 1922 tornata da sola in ltal ia per rinfrancarsi, riallaccia un rapporto con d'Annunzio che, finalmente, telegrafa a "frate Elia": "Marghe1 rita è mia ospite. Parliamo di te. Non ho mutato. Ti abbraccio" ' . Dopo il rimpatrio ed alcuni tentativi falliti, soltanto nel gennaio del 1923 Passavanti riuscirà a ristabi1ire un contatto de visu con il suo Comandante e Maestro. Da quel momento si dipanano due anni di intensi incontri, non solo epistolari, alimentati da un fervore mistico ed emozionale, simbolicamente potente per i doni offerti, vissuto come una sorta di enfatico alunnato, insistente e senza tentennamenti, da parte di "frate Elia", mentre d'Annunzio "frate Gabriel" mostrerà sì riconoscenza ed apprezzamento, alimentando il circuito di scambio spirituale tra maestro e alunno, ma anche, a tratti , il verso del1a medaglia del suo "vivere inimitabile": il supplizio della tristezza e la pena inestinguibile che ne consegue. Di diverso tono appaiono le lettere in viate al Comandante dalla marchesa Margherita che, pur non sottraendosi ai rimandi mistici e "francescani", e nonostante un sentito coinvo1gimento idea1e, mostra di rivolgersi ad' Annunzio anche come uomo influente, capace di incidere concretamente nella carriera del marito.

" Ivi, p. 204. " G. Rati, Il carteggio inedito d'Annunzio - Rossi Passavunti, in Elia Ro.vsi Passavanti nell'Italia del Novecento ..., cit. pp. 141 - 186; in paiticolare si fa riferimento alle trascri:òoni in Appendice di Lettere datate: XVI (lelcgramma del 6 luglio 1922).

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A seguito delle sollecitazioni di Margherita, d'Annunzio farà pesare il suo interessamento per l'attribuzione della medaglia 1 d' oro r, (di cui in sede ministeriale si erano smarrite le carte) e riuscirà a far superare il grigiore della caserma ad Elia con la candidatura per la Camera dei deputati , inizio di una brillante, se 11 pur breve, carriera politica • Ma torniamo ai momenti dell'espressione alta instauratosi nel circuito spirituale tra "frate Elia" e "frate Gabriel". Il 18 marzo del 1923, "frate Elia", spintosi a Gardone, reca in dono al maestro un anello votivo dove egli ha racchiuso sotto un onice nero i granelli di terra "di tutte le quote arrossate di sangue". Cos'ì si esprime, quasi in un eccesso di contaminazione dannunziana: [... ] Ho camminato scalzo nell'Africa ardente, nella città dell'inesauribile amore e per tutta la fronte della nostra guerra e da ogni quota ho raccolto un granello di terra - e tutti i granelli di tutte le quote arrossate di sangue e una goccia d'acqua del nostro mare e tutto ho racchiuso in questo anello. Tutti i miei fratelli, caduti per la salvezza del mondo, risorsero dalla terra, mi parlarono e mi comandarono quanto ho detto. Tre volte io li vidi, tutti, e mi parlarono: sul Timavo, sul Carnaro, sulla collina di Dogali. Essi mi dissero che solo e solamente con te volevano stare, con te sulla tua destra mano, perla vita e perl' eternità [...].

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G. Rati, il carteggio inedito d'Annunzio - Rossi Passavanti, in Elia Rossi Passavanti nell 'Italia del Novecento... , cit. pp. 141 - 186; in particolare si fa riferi rnento alle trascrizioni in Appendice di Lettere a Margherita Rossi Passavanti: Il (del 20 [gennaio] 1923). n l vi, si fa rife1imento alle trascrizioni in Appendice di Le/Lere a Mar?,herita Rossi Passavanti: III (del 19 marzo 1923).

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E chiude: Oggi morire mi è caro. Maestro, il povero frate Elia si inginocchia e bacia le tue orme, perché ora tu porti con te tutti i tuoi morti e tutta la tua terra. 'f\.. 1 · IH 1. Ll con oro, essi con te. Nel giugno dello stesso anno assistiamo ad un altro momento di intensità spirituale, nonostante il diniego di d'Annunzio di ricevere "frate Elia", avendo saputo che si trovava a Gardone. Queste Je parole insistenti dell 'a1lievo, quasi soggiogato dal maestro, ma pur sempre in sintonia mistica con lui: L'occhio è rimasto asciutto. L'anima ha pianto. Questo pianto può essere compreso soltanto da chi vive nelle regioni più alte dello spirito. [ ... ] Gabriele, solo chi ti fu fratello fedele nella pena e nel martirio può comprenderti ed amarti. Io sento di averti sempre compreso. Avendoti compreso, il mio cuore è schiacciato dalla grandezza del mistero rivelato [... ]. Maestro tu sei la grande navata che sale al cielo ed io la piccola lampada che arde al culmine di essa. Riconosci la tua opera. Fratello del fuoco, se questo fuoco hai infuso nel nostro sangue e nelle anime nostre, oggi sarebbe vano volerlo spegnere[... ]. Vuoi la mia vita? Prendila! Solo ti prego di riconoscere Ja mia pena che è la tua pena.'"

'" Il Vittoriale deg li Italiani , Archivio Fiumano, lettera di Elia Rossi Passavanti ("fnttc Elia) a Gabrieled ' Annunzio ("Maestro"): L'anello dei morti, dd 18. III. 1923. •• l vi, lettera di Elia Rossi Passavanli ("frate Elia") a Gabriele d' Annunzio ("Maestro" ) del 10. VI. XXID ( 1923).

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Sempre nel 1923, in novembre, si colloca un altro rilevante scambio nel cerchio mistico tra "frate Elia" ed' Annunzio, ancora una volta tra maestro ed allievo. Passavanti raggiunge Gardone, provenendo da Pozzuolo del Friuli dove ha assistito alla cerimonia di inaugurazione del monumento in marmo e bronzo ai Reggimenti Genova e Novara di Cavalleria, che si immolarono per coprire la ritirata della III Armata, dopo la disfatta di Caporetto. D'Annunzio, pur invitato, non ha presenziato alla cerimonia e allora 1'ex dragone del Genova, si sente in dovere di portare al maestro e Vate "il pensiero eterno - degli eterni cavalieri - che su questa terra avviarono la riscossa della Patria"20, rivelando che è anche latore di due doni mistici: una reliquia di S. Francesco e un lacrimatoio, con la precisazione che ad inviare la reliquia era stata sua moglie Margherita insieme alla ex crocerossina, rimasta a Fiume fino al Natale di Sangue, Bina Abrate, come attesta anche una missiva delle due donne al Comandante2 1• Giancarl o Rati ha così efficacemente e sinteticamente messo !n evidenza il valore letterario del Ia ri sposta dannunziana: "La risposta di d'Annunzio un vero e proprio pezzo di bravura lievita per forza e per bellezza di immagini: dalla commossa e incisiva celebrazione del sacrificio dei combattenti di Pozzuolo alle suggestioni metamorfiche della reliquia francescana; dalla proclamata cognizione dell ' imminente compimento del suo

l vi, lettera, sn carta intestata del Grande Hotel Gardone Ri viern, di Elia Rossi Passavant: ("frate Elia") aGabriele d' Annunzio("Maestro") del 26 novembreX:Xlll (1923). 21 lvi, lettera, su carta intestata de ll' Associ.azione Legionarie di F iume e Dalmazia " Luisa d'Annunzio" - Torino (con il motto "Si spiritus pro nobis, quis contranos" e l' immagine, giìt presente al centro del rosso vessillo della Reggenza del Carnaro, del serpente dorato che si morte la coda, simholo di eternità, con racchiuse le sette ste lle dell'Orsa, da tempo immemorabile guida dei naviganti), indirizzata al Comandante (Gahriele d'Annunzio) e firmata, a nome delle legionarie di Torino, Bina Abratc e M argherita Rossi Passavanti d' Incisa, s.d. [manov. 1923]. w

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destino personale all' esortazione all'amico a pregare insieme, nel 22 giardino del Vittoriale, dinanzi ai massi delle montagne eroiche". TI contatto di fedeltà ideale e di dedizione, sempre più spesso con il passare degli anni promosso da "sirocchia" Margherita, non si interromperà mai e durerà, pur con flessioni di intensità emozionale, fin quasi alla morte del Poeta23, rinnovandosi innumerevoli volte, soprattutto in occasioni di anniversari e condivisioni di memorie.

" G. Rati , ll cartegg io inedito d 'Annunzio - Rossi Passavanti, in Elia Rossi Passavanti ne/i' /Ja lia d el No vecenlo..., cii., p. 160. " L' ultima lettera inviata ad' A nnunzio risale a poco meno di anno dalla morte del Poela ed è inoltrata dalla marchesa Margherita (Il Vittoriale d egli Italiani, Archivio Fiumano, lellera di Marg herita Rossi Passa vanti d ' Incisa/della compagnia d ' Annunzio al Comandante (Gabriele ù' Annunzio) del 3 marzo 1937).

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Come si formò "La Disperata" Anonimo

1125 Settembre 1919 in Fiume d'Italia, nella Piazza Giuseppe Parini,dove risiedevano le compagnie dei volontari che seguirono Gabriele d'Annunzio da Ronchi,per la liberazione di Fiume,i1 Tenente Beltrame, con un gruppo di ufficiali e sottufficiali stava scegliendo i migliori combattenti, per formare 1a compagnia Arditi Gabriele d'Annunzio. In poco più di un'ora fu compilata una lista di 150 uomini di provato valore. La mattina del 26 Settembre inquadrati,vestiti ed equipaggiati ci trasferimmo ai cantieri navali del Carnaro al comando del Tenente Beltrame. La compagnia entrò in azione dopo appena una ventina di giorni dalla sua formazione dimostrandosi veramente degna del nome che portava. Due compagnie di automobilisti francesi erano rimasti a Fiume accantonati presso gli stabilimenti dei prodotti chimici di Cantrida, a pochi centinaia di metri dai cantieri navali dove risiedeva la compagnia Arditi Gabriele d'Annunzio. Una sera fummo attaccati da colpi di rivoltella e bombe a mano. Parecchi di noi ci vestimmo rapidamente e afferrate le bombe e i moschetti,inseguimmo gli attaccanti fino alle rispettive compagnie, dove fummo fatti segni a raffiche di mitragliatrice. Ridotta ben presto al silenzio la mitraglia demmo l'assalto a11e camerate mettendo il panico in tutta la guarnigione. Raggiunti da un' altro gruppo della Compagnia Gabriele d' Annunzio riuscimmo

Dall'Archivio T.O.t:. Temi Inventario "Margherita Incisa di Camerana "Fascicolo "FIUME Il - Ricordi di Disperati. Fotografìe Gruppi. Guido I'allolla. Foto Disperati. Legionari e Civili. Storia di Fiume".

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a mettere in fuga i pochi rimasti per la resistenza. L'indomani tutti i soldati francesi dovettero imbarcarsi sulle loro navi per evitare altre rappresaglie. Dopo pochi giorni e di notte tempo le navi abbandonarono definitivamente il porto di Fiume,lasciando i legionari padroni della Città. Questo episodio ci fruttò l'ammirazione di tutta la cittadinanza fiumana ed in particolare del Comandante Gabriele d'Annunzio. Trascorsi circa 20 giorni dalla partenza del francesi metà della compagnia fu destinata ad un grosso colpo di mano che si doveva eseguire sulle lagune venete,colpo che andò fallito,lasciando languire per lunghi mesi nelle carceri i legionari che vi avevano partecipato. Io fui uno dei più fortunati che riuscii ad essere liberato dopo il terzo giorno. Come già scrisse il Gambero in merito alla spedizione, sbarcammo di notte tempo sulle lagune e attendemmo il giorno,appena saliti su due camion, fummo circondati da due compagnie di fanteria e carabinieri. Dapprima si tentò una accanita resistenza ma vista i' impossibililà di vittoria il tenente Nava comandante la spedizione ordinò di incendiare due [usti di benzina che stavano sopra i due camion accanto alle cassette di bombe, gridando ad alta voce: "morire ma non arrendersi". Fu un momento di vero arditismo: un capitano di fanteria si avvicinò ai due camion, scongiurandoci di non commettere tale pazzia, che loro nulla ci avrebbero fatto. Dopo essersi arresi, ma con tutti gli onori ci condussero alle carceri delle fortezza di Verona. Come dissi fui il più fortunato che il terzo giorno ebbi un attacco di febbre per la ferita di guerra e dietro consiglio del medico il quarto giorno fui scarcerato. Dopo avere salutato con grande dolore i compagni che dovevano rimanere, promisi loro di recarmi al più presto a Fiume per dare notizie dell'accaduto e far tentare la loro liberazione. Uscito dalle carceri, vestito della divisa di ardito e disannato completamente, con sole 20 lire in tasca e per di più ammalato, in una Città a me sconosciuta, girovagavo da una via all ' altra, senza alcuna meta, mentre la febbre si impadroniva

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sempre più di me. Tutti i passanti si soffermavano a guardarmi in quell'uniforme a loro assai strana. Mentre indugiavo leggendo un'etichetta attaccata ad un portone una vecchia signora si avvicinò chiedendomi da dove venissi, con quella divisa. Visto la gentilezza della signora in poche parole le narrai le disavventure di quei giorni. La vecchia signora con molta gentilezza mi invitò a casa sua e accettai ben volentieri l'ospitalità offertami. Appena giunto in casa, potei constatare dai quadri appesi alle pareti, che trattavasi di famiglia di grande patriottismo e che ammirava le gesta dei legionari. Ebbi in quella casa tutte le cure necessarie nonché un cappello e una giubba borghese mentre da un comitato recentemente costituito P.N.F, ebbi i denari per il biglietto sino a Taranto. Trascorsi quattro ore veramente liete in quella famiglia di tanto elevati sentimenti d'Italianità e nel lasciarli non trovai parole per ringraziare delle gentilezze usatemi. Mi recai subito alla stazione e poco dopo partii per raggiungere in serata la casa patema. Vi arri vai febbricitante e fui costretto a mettermi a letto e vi dovetti rimanere per quattro giorni. Appena mi cessò la febbre,ma ancora debole e sofferente, quale forza suprema mi spingeva a ripartire per Fiume? Sopratutto il dovere di combattente Italiano e il sacro giuramento fatto al Comandante Gabriele d'Annunzio la sera del I' 11 Settembre 1919 a Ronchi dei Legionari. Fiume o morte; le parole del Poeta soldato mi ronzavano nelle orecchie. Vendicare i 500 morti era la voce divina che nel mio cuore centuplicava le mie forze. Nonostante gli sforzi compiuti da mio padre, il pianto della sorellina, le insi stenze dei due fratelli minori e l'inverno che mi si prospettava più penoso per le mie minorate condizioni fisiche, nulla valse a trattenermi da loro: il dovere prima di tutto. Con risolutezza mi accomiatai dalla famiglia e con l' autobus raggiunsi in tempo per proseguire in treno per Trieste,ove giunsi verso le undici. Mi recai subito in un esercizio pubblico nei pressi della stazione a depositare un fagottino contenente la divisa di legionario, dirigendomi poi verso la Città, in una autorimessa da mc conosciuta dove ebbi la fortuna di trovare un camion che andava a 97


Bisterza. Alle ·18 potei partire da Trieste sul camion rannicchiato dietro due casse, col mio fagottino in braccio, lieto di avvicinarmi di nuovo alla Città olocausta nonostante le insidie che mi si presentavano appena usciti da Trieste.Il cielo si fece oscuro e nuvoloso e la neve cominciò a cadere lenta lenta mentre il freddo si faceva sempre più pungente. Appena giunti nei pressi di Castelnuovo d' Istria la neve si fece più fitta, là si dovette fermare per mettere la catena alle ruote del camion. La cattiva strada che si stava percorrendo a fanali accesi,non ci permetteva di camminare che a pochi chilometri all' ora. Il conducente temeva di non poter arrivare a Bisterza, perché la neve continuava a cadere e ogni tanto arrestava il camion per non uscir fuori strada nelle curve in discesa, io invece pensavo al modo di giungere al più presto a Fiume, sotto tanta neve e nelle mie condizioni di salute. Procedendo lentamente, verso le 24 si poté giungere a Bisterza e smontai dal camion sotto la neve che continuava a scendere. Bi sterza era tutta ammantata di bianco. Il silenzio della notte la rendeva fantastica. Nei casolari dei dintorni pochi lumi 1uccicavano ancora e man mano si spegnevano. Ai miei oc1.;hi 13 isterza in quella notte assumeva un aspetto fantastico. Rimasto solo sotto la neve, pensavo tra me: Dove andrò ora? da chi? .. Una voce interna mi diceva: non entrare in paese,ti arresteranno! sanno che sei un legionario, parti subito ...questo é il momento propizio per oltrepassare la frontiera ... Diedi ascolto all'istinto e mi posi in cammino pur ignorando le strade e nonostante il cattivo tempo. La grande gioia <li ritornare fra i miei commilitoni e la fede nel Comandante Gabriele d'Annunzio, che amavo più di me stesso, mi fecero superare tutte le insidi e delle sette lunghe ore di cammino, sotto la tormenta, che cessò verso le 4, quando stavo per giungere a Mattuglie ed ero in vista della Città olocausta da me tanto amata. Verso le 7 attraverso un piccolo passaggio tra Candrida e Zanet, riuscii a sfuggire alla vigilanza delle Guardie Regie che stavano bevendo il caffè. Dopo pochi minuti rientravo in compagnia dove appresi con gioia che il Gambero era già rientrato la vigilia mentre gli altri

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erano rimasti in carcere. Dopo aver narrato in breve le mie peripezie mi coricai essendo veramente stanco. Da diversi giorni il Tenente Beltrame non si presentava più in Compagnia. Già diverse voci correvano fra gli Arditi circa un nuovo comandante di compagnia;infatti ci eravamo ridotti a pochi uomini,mal disciplinati e senza vettovagliamento perché privi di comandante. Trascorsi una ventina di giomi,una mattina il Comandante Gabriele d' Annunzio si presentava improvvisamente in Compagnia assieme col conte Elia Rossi Passavan ti e la gentile Signorina marchesa Inci sa di Camcrano, e fece adunare tutti gli uomini componenti la Compagnia. 11 Poeta soldato,dopo aver fatto un ampio discorso, presentò alla Compagnia il nuovo comandante Elia Rossi Passavanti e la marchesa d'Incisa di Camerano quale madrina della Compagnia. Fu veramente una grande gioia fra tutti gli Arditi orgogliosi di essere comandati da un sì valoroso ufficiale, mutilato di guerra, decorato di medaglia d'oro e d' argento al valer militare e varie volte promosso per merito dì guerra. Veramente era l'unico che poteva riorganizzare la Compagnia. Difatti appena assunto i 1 Comando il Rossi Passavanti, gli Arditi fecero a gara nella disciplina, parve veramente un miracolo come la Compagnia si trasformò in pochi giorni. Intanto il Comandante ottenne il trasferimento dai cantieri navali del Carnaro alle "baracche di Porto Baros,e in pochi giorni venne effettuato il trasferimento disponendo dì 4 muli e di due carrette che aveva ottenute dal Comando Tappa. Dopo il trasferimento la Compagnia andò sempre più riassettandosi nella ferma volontà del suo Comandante. I Comandi venivano impartiti mediante fischietto, la prontezza di spirito degli Arditi era veramente ammirevole. 11 Comandante Gabriele d' Annunzio,volle che la sua Compagnia fosse sempre pronta in caso di bisogno cercando di attrezzarla con armi moderne e con uomini dì temprato valore. Intanto la Gentile Madrina Marchesa Incisa di Camerano, ultimava i gagliardetti che dovevano essere consegnati in quei giorni. Tutta la Compagnia per diversi giorni si 99


adoperò per la pulizia delle armi e delle camerate, la Compagnia alle 8 del mattino si era già schierata sul piazzale in attesa del Poeta soldato, ogni Ardito fremeva per la gioia di vivere un'ora lieta accanto al grande eroe. Verso le 10 la tromba del corpo di guardia diede il primo squillo d' attenti. Il Comandante Gabriele d'Annunzio entrava in Compagnia in divisa di semplice Ardito accompagnato dal Capitano Coseschi e Cheller e Masperi. Il Comandante Elia Rossi Passavanti diede il primo segnale di fischietto (attenti) poi il secondo (presentat'arm).11 Poetaci passò in rivista uno per uno. Al terzo segnale si ritornò neJla posizione di riposo. Il Poeta rimase veramente ammirato per la celerità e simultanei Là dei movimenti. Al grido di "A Noi" sguainammo il pugnale portandolo in alto e rimettendolo poi nel fodero tutti contemporaneamente. Subito dopo venivano inaugurati i due gagliardetti di combattimento il primo era portato dall'Aiutante di Battaglia Luigi Bezzi il secondo dal Tenente Nava, ai lati vi erano la Marchesa Incisa di Camerana quale madrina accompagnata dal tenente Del Monaco e i quattro sottufficiali di scorta Martinelli, Secco, Frattini e Chilini. Fu veramente commovente la presentazione dei gagliardetti accolti col grido di "A Noi", con ripetuti Alalà. Gabriele d' Annunzio dopo averli baciati fece serrare le file formando un quadrato e dopo aver pronunciato un discorso chiese al Conte Elia Passavanti di proporre alla Compagnia un secondo nome più significativo e più terribi le. Il Passavanti rispose "La Disperata" e "La Disperata" sia disse il Poeta. Terminata la cerimonia il Poeta Ardito si trattenne in compagnia a consumare il rancio mentre gli Arditi intonavano gli inni patriottici di guerra. Chi non ha vissuto i giorni dell ' epopea legionaria non può conoscere le gesta di ardimento compiute dai suoi arditi. La gran parte dei colpi di mano venivano operati dalla Disperata, era 1' unica Compagnia che si prestasse, essendo composta di uomini di grande patriottismo e di provato valore, disposti a morire, difendendo il nome d'Italia e di Gabriele d'Annunzio.

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Stralcio dalle Memorie del Sergente degli Arditi GAMBARO

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Durante i giorni del1 assenza del tenente Beltrami, la Compagnia speciale Arditi, era passata provvisoriamente sotto gli ordini del Capitano Mario Carli. Questi però ricoprendo altre cariche a Fiume, e d'altra parte prolungandoci indefinitamente la forzata assenza di Beltrami, rinchiuso nelle carceri di Fenestrelle, sollecitò il supremo Comando, affinché designasse un altro Ufficiale al comando e alla riforma della Compagnia. E la scelta cadde sul Tenente Elia Rossi Passa vanti, eroe della grande guerra, proposto perla medagliad'oro,che poi conseguì, e tre volte mutilato. Un mattino, ai primi di Novembre, la Compagnia fu radunata in un locale del cantiere Danubius e Keller presentò agli Arditi il nuovo Comandante. A prima vista la sua figura incuté soggezione o timore, timore che doveva ben presto cangiarsi in un più largo e rispettoso affetto, per quell'uomo minorato, affranto dai dolori fisici e morali, conseguenze delle sue innumeri ferite, eppur tanto buono e grande. Portava sugli occhi, offesi dalle schegge austriache un paio di occhiali oscuri per difenderli dalla luce troppo viva; il suo viso dalla mascella fracassata e solcato da ferite livide, era soffuso di dolce mestizia, sul petto i nastrini di diverse medaglie e le placche di mutilato e sette corone di promozione al merito di guerra al disopra del distintivo del grado, dicevano il suo valore. Dopo la presentazione, egli parlò agli Arditi, e le sue parole a differenza di quelle altri ufficiali, erano franche; energiche ma nobili, buone affettuose e scendevano giù nell'animo rozzo di quei Dall'Archivio T.0.E. Terni Inventario "Margherita Incisa di Camerana "Fascicolo "FIUME J l - Ricordi di Disperati. Fotog ralie Gruppi. Guido Pallotta. Foto Disperati. Legionari e CiviIi. Storia di Fiume".

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rudi soldati, suscitarvi nuove speranze, a riaccendervi nuovamente i sentimenti sublimi della fede e dell'amore. Egli parlò, e la sua parola più che quella di un capo era quella di un apostolo, di un maestro, di un padre; disse della bellezza e della giustizia della causa che avevano intrapreso a difendere sotto la guida del Poeta - Soldato; parlò di Gabriele d'Annunzio, di Fiume, dell'Italia, delle loro case, dei loro affetti, dello loro mamme. Ebbe nell' orazione profonda] 'accento di un ispirato; e quando tacque, molti di quegli occhi perennemente asciutti, luccicavano; molti di quei visi bruciati, irsuti ed insen sibili erano bagnati di lacrime. Da quel momento la Compagnia si avviava a diventare il maggiore, il più bello reparto di Fiume d' Italia. Egli cominciò coll'abbandonare i locali oscuri e freddi di Viale Italia e fece accantonare gli uomini in una vasta area nella baracca di porto Baress, a due passi dal mare. Quivi essi trovarono delle comode brande mentre prima erano obbligati a riposare su un poco di paglia, non sempre pulita. Poi intraprese l' epurazione de11a compagnia, opera quanto mai delicata questa, per le difficoltà e gli ostacol1 che vi si oppon~vano e quando fu interamente compiuta, quando de11' antica compagnia ardita, non rimaneva più che una settantina di ragazzi sicuri onesti e fedeli, egli col consenso del Comandante D'Annunzio, chiamò il reparto Compagnia della Guardia d'Annunzio, la vera guardia cioè del Comandante di Fiume, i cui uomini montavano ininterrottamente di sentinella avanti agli appartamenti privati del grande Italiano. Fece poi distribuire nuovi oggetti di corredo ed istituì il cordone nero della Disperata, il distintivo, il simbolo, l'onore del nuovo glorioso manipolo che tutti gli arditi dovevano portare e di cui erano ambiziosissimi. Ora il 13 Novembre i 919 tutti i componenti "La Disperala" erano completamente rimessi a nuovo, con la fiammante giubba aperta ornata di distinti vi di argento, con la camicia bianca di seta e la cravatta nera svolazzante, coi pantaloni larghi e le fasce nere ed erano belli, allegri ed eleganti, pronti de ogni cenno del loro capo. Appunto quella sera il Tenente Rossi Passavanti, entrando in 104


camerata, radunò gli arditi con un suono del suo fischietto e disse loro di non usufruire della libera uscita, e di rimanere raccolti in caserma in attesa di probabili avvenimenti. Fu Obbedito - Poi più tardi quando giunse l'ora del riposo notturno, venne di nuovo ed ordinò di coricarsi vestiti, per essere pronti ad ogni chiamata; gli Arditi obbedirono, in loro però era un orgasmo vivo, sentivano che qualche cosa di insolito stava per accadere, e non dormirono - anzi non si coricarono neppure; alle 23,30 Rossi Passavanti entrò per la terza volta in camerata ed agli Impazienti disperati accorsi disse di prepararsi immediatamente e di adunarsi dinnanzi alla fureria. Qualcuno domandò" Dove andiamo Signor tenente?" Ed Egli: "C'è una nave d'oro, tutta d'oro laggiù in mezzo al Camaro; noi dobbiamo assaltarla, impadronircene e condurla qui. Uomini di poca fede che vi dicevo io? Che la vostra ora sarebbe venuta? O miei Disperati o miei Perdutissimi questo è il Battesimo della nuova compagnia, questa è la notte della vostra gloria, siate forti come siete belli - è tutto quello che vi chiedo." Cantando giocondamente le loro canzoni - gli arditi presero le armi e si radunarono al luogo indicato, furono loro distribuite le bombe ed i viveri di riserva, si chiusero gli uffici, il magazzino, le camerate, poi il tenente fece 1 'appello e raccomandando la massima calma ed il silenzio più assoluto diede 1' ordine della partenza. La notte era scurissima e piovigginosa, la bora soffiava con violenza sibilando tra i colh e le vie, andando a perdersi sul mare, di cui sollevava enorme ondate che si frangevano con sordo rumore contro gli scogli aguzzi e possenti di Porto Barros. Le fiamme nere avvolte nei loro mante11i, muti ed impazienti sfilavano silenziosamente; come ombre nella notte cupa lungo le vie deserte che conducevano al Palazzo del Comando. Lassù era tutto un movimento febbrile di ufficiali che andavano e che veni vano di continuo per le sale sonanti e lucenti dell'antica sede del governatore Ungherese. La Compagnia della Guardia si raccolse tutta nel grande salone del primo piano, mentre Rossi Passavanti saliva nell' appartamento del Comandante. Quando scese era raggiante, disse semplicemente:

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"Andiamo" e si incamminò seguito dagli arditi, verso l'uscita;si diressero sotto la pioggia diaccia verso il grande porto, dove la Cortellazzo un'antica corazzata disannata ed adibita a trasporto aspettava, col ponte, il cassero ed i boccaporti formicolanti di fez neri, di fez rossi, di elmetti e di berretti. La Compagnia della Guardia salì sulle nave e si frammischiò ai soldati degli altri reparti, essi pure imbarcati, poi a un cenno del tenente Rossi Passavanti scese sotto coperta e si radunò intorno a lui. Solamente laggiù egli spiegò:" Sapete ragazzi dove andiamo? Andiamo a Zara che attende andiamo a Zara in nome dell'Italia, che ci accoglierà come liberatori. lo avevo ordine dal Comandante d'Annunzio di non muovermi da Fiume con la Compagnia ma per la prima volta forse nella mia lunga vita di soldato ho voluto disobbedire ad un ordine; vi ho portati con me lassù al Comando, son salito da D'Annunzio e gli ho detto Comandante io ed i miei Arditi che siamo la vostra Guardia fedele, non vogliamo abbandonarvi, vogliamo venire con voi a Zara. Egli mi guardò sorridendo e mi rispose - Frate Elia io ti farò fucilare! - Non importa Comandante-ho soggiunto ma se ubbidisco e rimango, i miei arditi che a nessun costo vogliono lasciarvi partire senza di loro, esasperati mi trucideranno. Morte per morte, Comandante, vengo con Voi - Egli allora mi baciò - mi strinse la mano e mi disse - Vai sulla Cortellazzo colla Compagnia- saremo i primi in ogni evento." Tacque felice e simultaneamente da tutti quei petti esultante proruppe spontaneo il grido glorioso "Per il Comandante D'Annunzio - Per il tenente Rossi Passavanti - Per Fiume - per ZaraPerl'ltaliaEia, Eia! Alala! A mezzanotte precisa la Cortellazzo lasciò Fiume, protetta, circondata, difesa, dalla Torpediniera 66 P.N., dal Cacciatorpediniere "Francesco Nullo" sul quale era imbarcato D'Annunzio e lo Stato Maggiore, e dal leggendario Mas di Luigi Rizzo, l'affondatore, il quale sul suo piccolo e terribile silurante dirigeva tutta la manovra. La mattina del 14 verso le ore 9 furono in vista la prime case di Zara; dal porto due cacciatorpediniere Italiane mossero incontro alla squadra legionaria e quando ne furono poco discoste, una 106


voce, vincendo il rumore delle onde e delle eliche, chiese in tono di comando" -Chi siete?-Dove andate?-" 11 Comandante D'Annunzio tranquillo - sorridente con la mano guantatadi bianco, fece un cenno a Luigi Rizzo e questi, impassibile, in piedi in mezzo ai suoi due siluri, rispose imperiosamente col megafono "Io sono Gabriele D'Annunzio Comandante la città di Fiume e vado a Zara d'Italia." Si manifestò un certo movimento sui due cacciatorpediniere poi la stessa voce comandò: "Tornate indietro" Un nuovo cenno di Gabriele d'Annunzio e un nuovo giido rabbioso di Luigi Pazzo" Andiamo avanti." Sulla Cortellazzo fischiò 1'allarme e fu issata insieme al tricolore italiano la bandiera Fiumana -1 rappresentanti della flotta Italiana parvero esitare un poco, poi ritornarono indietro a tutta velocità. Frattanto a Zara era stato scorto l'avvicinarsi della squadra Fiumana e la popolazione, che tanto aveva sofferto e sperato la popolazione che comprendeva le epiche giornate di Fiume - intuì subito che l'ora della liberazione definitiva era giunta; le sirene fischiarono, le campane suonarono a storno e un immensa quantità di popolo plaudente si riversò al porto, incontro alle navi liberatrici. Il "Nullo" si ancorò per primo e il Comandante scese subito a terra si fece portare in presenza di Enrico Millo, 1 'eroe dei Dardanelli ed allora Governatore di Zara; nella mezza ora di colloquio vaio drammaticiano i due giganti stabilirono le sorti della Città; Milio s' inchinò al Genio d' Annunziano vittorioso e pronunciò la celebre parola Garibaldina "Obbedisco". D'Annunzio a gran fatica ritornò al porto, che la folla in delirio voleva abbracciarlo, baciarlo, adorarlo ed ordinò lo sbarco ai legionari. La Città si era completamente svuotata- su ogni finestra sventolava festoso il tricolore e l'azzurro stendardo dalmata con le tre teste di leopardo, su ogni petto brillava una coccarda; su ogni braccio di uomo valido, fosse operaio, professionista, medico o facchino - vecchio o giovane, era la fascia tricolore con la scrittaGuardia Nazionale Dalmata - Le donne poi e quelle graziose fanciulle Zaratine sembravano impazzite - correvano - saltavano - s' inginocchiavano-cantavano-ridevano delirando e sopra tutta 107


la grande confusione delle voci un grido era ben alto e distinto - un grido supremo di liberazione e di ringraziamento - "Finalmente Finalmente" - E avevano fiori e bandiere dappertutto, sul petto, tra le braccia, tra i capelli, e imploravano religiosamente in ginocchio il nome di Gabriele d'Annunzio, del Liberatore. Ma la frenesia dei Zaratini non ebbe più limiti quando i legionari cominciarono a scendere dalle navi, essi venivano presi in mezzo rapiti, coperti di :fio1i e di baci, offrivano a loro ogni sorta di ricordi e di doni fra i canti di migliaia di petti, impotenti a trattenere la piena tumultuosa della gioia. A gran fatica le Compagnie ed i reparti poterono raggrupparsi e stendersi di fronte; alla fine quando tutti furono ordinatamente a posto Gabriele d 'Annunzio ed Enrico Millo li passarono in rivista. La folla tutta s'inginocchiava al passaggio dei Gagliardetti a dei Labari delle legioni Fiumani; le donne piangevano e volevano ad ogni costo baciare i gloriosi drappi. Una fanciulla bella e tutta bionda cogli occhi sfavillanti di felicità si fece avanti ed offri al poeta un mazzo di fiori freschi pronunziando poche parole in quel puro dialetto Veneto non insozzato dopo tanti anni di dominazione straniera. Quando la rivista ebbe tennine, tutti i reparti avrebbero dovuto raggiungere una caserma per consumare il rancio; ma i Zaratini si precipitarono nelle file Legionarie; tutti vollero avere, un ardito o un fante o un bersagliere o un granatiere per se. Tutti vollero avare in quel giorno alla loro tavola, per quanto modesta, un soldato D'Annunziano per contemplarlo a loro agio, per parlargli della loro attesa angosciosa, della loro speranza non mai spenta ed infine, della loro immensa gioia del loro grande orgoglio di essere liberi e liberi per opera di Gabriele d' Annunzio. Tutti raccontarono la loro storia, ed indicando un punto remoto della città, dicevano agli arditi: "eccolo, sino a poche ore fa, essi i nemici, la plebaglia Serba e croata era qua a passeggiare tranquillamente per queste vie nostre e ci guardava, insolentemente, sprezzantemente, come per maggiormente farci pesare la loro presenza odiosa. Ma ora non se ne vede più uno, si sono rintanati tutti i vigliacchi, perché hanno paura.

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Ma voi li caccerete nevvero? Per sempre. E' finita - E' finita. VivaD' Annunzio,Vival'ltalia." . I fanti della brigata Savona od i Carabinieri di presidio guardavano stupefatti, commossi quella indimenticabile manifestazione d ' amore; essi fraternizzarono coi legionari ed inneggiarono al Comandante. Per tutto il giorno folla od arditi occuparono vie e piazza, pieno di luce, di colore, d'allegria, cantando gli inni della patria, correndo da un capo ali' altro della Città Martire, dal Palazzo del Podestà dove il Poeta tenne un meraviglioso e commovente discorso, al porto a porgere il saluto riconoscente e fraterno ai marinai di D'Annunzio. Per tutto il giorno il tricolore sventolò glorioso e trionfante per tutta Zara finalmente Italiana calla sera tutti gli usci- tutti i balconi - tutte le finestre apparirono splendidamente illuminate. E fu appunto alla sera che un gruppo di Arditi della "La Disperata" entrò nel caffè Principale della Città; tutti i tavoli erano occupati e non un solo posto era vuoto, ma al loro ingresso parecchie fanciulle si alzarono ed invitarono le fiamme Nere al loro tavolino e tutti insieme consumarono bibite e paste con giovanile voracità ridendo allegramente e parlando di ciò che si può parlare quando si ha vent'anni. Entrò il figlio del Martire Cesare Battisti nella sua fiammante divisa di sottotenente degli Alpini -accolto da fragorosi battimani e da grida di evviva. Dopo poco anche il tenente Rossi Passa vanti, accompagnato dal tenente Masperi e da alcuni sottuffi.ciali della Compagnia entrò nel caffè. Egli portava un soprabito di cuoio foderato di pelliccia che gli copriva lo decorazioni. Evviva e battimani si rinnovarono. Il tenente Masperi, salì sopra un tavolino, e rivolto alla folla presentò Rossi Passavanti, l ' eroe che da semplice soldato seppe, col suo valore guadagnarsi la medaglia d' oro, ben sette promozioni ed il grado di tenente per merito di guerra. Inutilmente il modesto e valoroso ufficiale tentò schermirsi e mescolarsi ai presenti, e quando Masperi con l'aiuto degli altri riuscì a levargli la pelliccia, la vista delle sue decorazioni e delle sue mutilazioni suscitò un onda tale di commozione e di gratitudine, che donne o uomini vinto qualsiasi ritegno si precipitarono 109


avanti a lui ginocchioni, lo baciavano chi sulla mano chi su un lembo del vestito. Volevano che parlasse ma egli non riusciva ad aprir bocca e le lacrime rigavano lo sue guancie mutilate; solo riuscì a dire"questi baci che voi mi date o Zaratini io li poserò ad uno ad uno sulle guance dei miei Arditi, ora appena rientrerò in quartiere". Ma quel gruppo del suoi arditi, insieme alle fanciulle gli si erano avvicinati, l'avevano circondato e gli dicevano"Ce li dia ora signor Tenente, siamo qui, con lei". Egli sorrise e li baciò tutti. Allora i Disperati lo presero sulle spalle e lo portarono in trionfo;" Parli, Signor Tenente, vogliamo che parli". Gli dissero con dolce insistenza. Egli non seppe resistere al le loro preghiere e parlò- e le sua parole, riempirono tutti i cuori d' entusiasmo e gli occhi di lacrime. A notte inoltrata egli poté ritornare in caserma coi suoi arditi. Per terra, in una stanza grandiosa era stata sparsa della paglia e preparata una branda; su questa volle si riposasse un ardito, mentre egli si stese a terra, felice in mezzo ai suoi fedeli. Alla mattina seguente partirono. Gabriele d'Annunzio lasciò un presidio di legionari a Zara, sotto gli ordini di Enrico Milio. che onnai era passato con ardore alla Causa Fiumana. Tutti gli altri si imbarcarono nuovamente sulla Cortellazzo, davanti alla popolazione che era accorsa per tempo a porgere l'ultimo saluto ed a donare 'I 'ultimo ricordo. Alla sera il grande fabbricato di Porto Barros accoglieva "La Disperata" che ritornava con una gloria in più. Dopo la spedizione di Zara, il tenente Elia Rossi Passavanti riprese con maggior lena il miglioramento della Compagnia. Trasformò in refettorio un locale attiguo alle camerate, fece costruire delle tavole e delle panche così gli arditi potevano più comodamente consumare il loro rancio. Fece intraprendere la costruzione di un campo sportivo sul delta dell'Enea, onde essi potessero di buon mattino ritemprare i muscoli colla ginnastica respirando l'aria pura e salmastra del mare; alle volte poi faceva fare de11e lunghe passeggiate a Cantrida o sul Colle di Drenova, dove appena giunti distribuiva loro sigarette e maraschino, oppure li portava al Campo di Marte o in Volscurigne e con opportune 110


tattiche e finte battag1ie a base di petardi, di moschetteria e di mitragliatrici, li teneva sempre ben addestrati nel caso di una incursione jugoslava, poi ritornando in Caserma regalava loro invariabilmente due lardi (così egli chiamava il solito premio di due lire, che molte volte sborsava di sua tasca) al pomeriggio li radunava in refettorio e con sane ed istruttive letture e con le sue stesse parole sviluppava in loro il senso del bello, del buono e del nobile. Ne11o stesso tempo non trascurò di accettare nella compagnia giovani ardimentosi, allo scopo di essere sempre più numerosi ad una eventuale chiamata del Comandante. Continuò ad apportare miglioramenti, coadiuvato in ciò dall'abnegazione di una dama dell'aristocrazia Torinese, la Marchesa Margherita Incisa di Camerana, già madrina del primo reparto d'assalto a Torino. Essa, nei primi giorni dell'occupazione Dannunziana, abbandonò con mirabile sacrificio tutti i comodi e gli agi che la sua posizione elevata poteva offrirle per accorrere volenterosa e soccorritrice dove con l'opera sua pietosa, poteva consolare tante anime ed alleviare molte pene. Quando il Tenente le fece l'offerta, a nome degli Arditi di essere madrina della Compagnia della Guardia, ella accettò con entusiasmo felice di portare loro il sorriso consolatore della sua anima di donna e di contribuire al sempre maggior loro benessere. Infatti fece arrivare a sue spese, grande quantità di biancheria di maglie, di calze, e ne curava personalmente la distribuzione, la lavatura e la rammendatura. Si occupò finché ogni singolo ardito non venisse a mancare del conforto di una buona parola, di un incoraggiamento, distribuì della carta e fece in modo, che tutti indistintamente avessero a riandare od a ricevere notizie dalla Famiglia lontana. Molte volte avvenne che per la grande carestia che era in Fiume, anche le truppe rimanessero o senza pane o senza rancio. Molta volte avvenne, che per la penuria di fondi i reparti rimanessero per settimane e quindicine intere senza poter pagare la cinquina ai propri uomini; ma la Compagnia della Guardia ogni giorno aveva il suo rancio sia pure modesto e povero ed ogni cinque giorni gli arditi si radunavano in fureria a ritirare 1a cinquina, mercé l'interessamento 111


del tenente Rossi Passavanti e della Marchesa Incisa, che tutto sapevano sacrificare, magari del proprio, purché il soldato potesse mantenersi nel livello più elevato, potesse sentire cioè, il meno possibile, le conseguenze del blocco cagoiano. Così a poco a poco la compagnia era divenuto il primo reparto di Fiume e d'Italia, il meglio disciplinato, il più corretto, quello sul quale si poteva fare il maggiore affidamento. E giunse il Natale del 1919. Per 1 'occasione era stato invitato il Comandante d 'Annunzio e per ben riceverlo la Caserma venne addobbata con bandiere e con festoni di lauro. Nel refettorio venne eretto un minuscolo palcoscenico, sul quale diversi arditi dovevano recitare una commedia composta da loro; furono diramati inviti a borghesi ed ufficiali e preparato un discreto pranzo (quale cioè le condizioni economiche della città lo permettevano). Fu anche invitato Pascariello, il famoso comico napoletano e servente legionario il quale venne con tutta la sua orchestra. Alla mezzanotte precisa la vettura del Comandante si fermò davanti alla casenna; appena sceso a terra, una scarica tenibile di bombe lanciato in mare e di moschetteria salutarono in Lui il Duce Glorioso, la speranza di Fiume e dell' Italia, la stella più fulgida di tuttala penisola. Egli baciò la mano alla Marchesa Incisa, abbracciò Rossi Passavanti, conversando allegramente con loro mentre tutta la Compagnia e gli invitati facevano circolo acclamandolo; poi avviandosi verso il refettorio ebbe una buona parola con tutte le sue Guardie che gli camminavano famigliarmente a fianco ; li chiamò "miei cari compagni, mie vecchie Guardie - Zigoti del Monte Maggiore - Uscocchi del Carnaro". Passò con loro tutta la notte ne lla più gioconda e cordiale allegria, e poiché amava sentirli, invitò gli arditi a cantare lo loro guerresche canzoni unendo la sua alle loro voci, e per primo lanciò i più potenti Alalà, per la Vittoria - per Fiume bella, per la Nuova Italia, mentre la musica suonava e Pascariello faceva smascellare tutti dalle risa con lo suo buffe trovate. Al mattino il Comandante ritornò ai suoi appartamenti accompagnato da tutti i Disperati festosi ed acclamanti.

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----Dall ' Archivio T.O.E. Terni Inventario "Margherita Inci sa d i Camerana "Fascicolo "FIUME II - Ricordi di Disperali. Fotogralie Gruppi. Guido PaJlotta. Foto Disperati. Legionari e Civili. Storia di Fiume".

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L' Impresa di Fiume, definita dal Comandante lineamenti della storia di Fiume

Fu un avvenimento così eccezionale da non trovare raffronto o comparazione storica possibile; nel modo stesso che la guerra mondiale - di cui essa rappresenta per noi italiani, l'ultimo bagliore - non può per estensione e per gravità, essere paragonata a nessun altro dei conflitti di popoli occorsi negli evi anteriori. La Marcia di Ronchi ha ancora quest' altro carattere: che essa si è compiuta, come impresa insurrezionale, fra la stupefazione assoluta prima e poi l'incomprensione ostile di quel Governo Italiano al quale essa si sostituiva per correggerne le fatali debolezze; di quel Governo che, innanzi di soffocarla ricorrendo al fratricidio, si valse d' ogni mezzo insidioso per svalutarla e neutralizzarla, offuscandone, anche di fronte al l'Estero, i moventi e denigrandone gli artefici. E' quindi accaduto che troppi italiani - tranne quella minoranza ardente di nazionalisti e di fascisti che sposò subito, per affinità di coscienza, la Causa di Fiume - giudicassero l'Impresa semplicemente come 1'atto sconsiderato di un Poeta temerario; i legionari un' accozzaglia di turbolenti filibustieri; e la questione di Fiume una specie di palla al piede per la diplomazia italiana la quale, senza quell'impedimento, senza le preoccupazioni internazionali ed interne causate dalla presenza a Fiume di d'Annunzio, avrebbe potuto ottenere, dalla magnanimità degli Alleati e dell'Associato, chissà quali e quanti benefici! E un altro convincimento si formò allora, e sopravvive con la tenacia delle male erbe, ed è che la Dalmazia del patto di Londra sia stata perduta e sacrificata per aver voluto salva Fiume; vale a dire che senza l'Impresa il patto di Dall' Archivio T.O.E. Terni Inventario "Margherita Incisa di Camerana "Fascicolo "FIUME II - Ricordi di Disperati. Fotografie Grnppi. Guido Pallotta. Foto Disperati. Legionari e Civili. Storia di Fiume".

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Londra sarebbe stato rispettato! Eppure tutti dovranno a quest'ora essersi convinti del valore di certi impegni e di certe promesse, solo se ripensino a quello che è costato di tribolazioni, a un Governo italiano forte, 1'adempimento tardivo di talune clausole minori del famoso Patto di Londra. Sciolta l'Impresa, nel modo lugubre imposto dal burocratico furore giolittiano; sbandati per ogni parte d'Italia i legionari; chiusosi il Comandante nel Suo crudo isolamento del Vittoriale, tutto que11o di incerto e di ingiusto che correva per le bocche fin dall'epoca della Impresa, rimase pressoché invariato; e solo perse di attualità e sbiadì di toni col passare del tempo, assumendo peraltro l'irrevocabile e stolida autmità delle frasi fatte e delle opinioni correnti. Alcuni volumi furono pubblicati in questi tredici anni intorno all'Impresa; sovra tutto col ristampare i memorabili discorsi del Comandante, cucendoli assieme con leggere trame descrittive. Ma non s'offende alcuno se si dichiara che manca ancora l'opera di insieme, che manca la storia dell'Impresa legionaria di Fiume. Gli anni passano intanto; gli eventi s'allontanano nel tempo, i ricordi s'annebbiano, così come le memorie si disperdono; e gli attori stessi, a uno a uno, scompaiono; mentre nessun erudito del domani potrà, da freddi archi vi, resuscitare le vampe di quel periodo impetuoso e nuovissimo della storia d'Italia che va dal settembre del' 19 al dicembre del '20. La caratteristica preminente dell'Impresa legionaria fu , come per qualunque impresa di volontari, 1' individualismo parossistico, l'irrompere di moti spontanei, convergenti tumultuosamente a11o stesso fine; l'urto delle tendenze e delle convinzioni; lo scatenarsi delle passioni; il disordinato procedere degli impulsi singoli; l' incaizare continuo degli avvenimenti e dei fatti minuti, che impedivano ogni sosta o meditazione e intralciavano qualsiasi azione metodica; perché l'uno di essi si precipitava sull' altro e le scacciava, con una violenza quasi d'ordine fisico. E poi ancora quest'altro carattere ebbe allora Fiume legionaria forse unico anche nella storia del mondo: una piccola città, priva di

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mezzi e soffocata dall'assedio e che nondimeno non pensava alla difesa ma si sentiva atta alla sfida e all'offesa. Eppure, le erano avversi, vicini, i propri fratelli di sangue; e aveva quali nemici, lontani, ma irritati e minacciosi, i grandi Paesi che erano stati gli alleati della Guerra e si erano trasmutati nei profittatori della Vittoria. Cosicché, per ritorsione, i ribelli fiumani, avevano chiamato a raccolta, idealmente, tutti gli oppressi dalla ingordigia delle potenze plutocratiche. Vincoli impensati nascevano perciò da Fiume verso alcune nazionalità e verso talune terre straniere, fino allora mal note o neglette; ed esse rispondevano al grido che cercava di collegare tutti i sacrificati. Perciò in quel microcosmo quale fu la città di Fiume nel periodo legionario vibravano se pur non si potevano colà decidere, degli interessi addirittura mondiali. E mentre di là era insegnata alJ'Ttalia la rara virtù della insurrezione, supremo dei doveri allorquando la Patria stessa è in pericolo, si gettava al mondo la sfida temeraria di un gruppo di uomini arditi e spregiudicati, superiori e indifferenti ai calcoli ed al rischio. In Fiume erano rappresentate tutte le tendenze politiche della vita italiana, libere di contrastare, nella disperata ricerca di un assetto comune. Alla città mercantile, e al suo fondo etnico - non soltanto italiano, ma anche magiaro e croato - si era sovrapposta un'armatura guerresca di pura marca italiana; si instauravano mezzi di offesa e di difesa di conio nuovissimo; si proclamala Fiume città di vita, unica di contro al modo folle e vile dei frodatori della Vittoria. Sovra questa tempesta dominava l'alto ingegno e il sovrano patriottismo del Comandante, che, con la magia del Suo pensiero lucidissimo. del suo esempio infaticabile, placava ogni burrasca e dava unità di indirizzo e d'azione ad un moto convulso, che senza di Lui avrebbe degenerato in forze del tutto incomposte e inefficaci. Ma la stessa altezza della sua posizione, la stessa vastità dei suoi compiti ed il fulmineo succedersi degli eventi, toglieva al Comandante medesimo la visione totale di tutto quello che al disotto di lui e nel nome di Lui, quotidianamente si compiva, in Fiume e fuori. 123


Se questo poteva avvenire al Comandante, non amato ma adorato da tutti i Legionari, e da essi seguito con una devozione sconfinata e ardentissima, ben più si può immaginare avvenisse, entro orbite assai più limitate, per i capi in sottordine, dai più ai meno elevati; dagli investiti d'autorità regolare a quellì cui erano attribuiti compiti particolari e occasionali. Ognuno finiva d' avere un proprio settore di azione; un proprio indirizzo spirituale; talvolta dei reparti di truppa che ne ricevevano 1 'ispirazione, il comando; era cioè, il nocciolo di uno fra i tanti movimenti complessi che, nel loro insieme, andavano a costituire la multiforme agitatissima vita di Fiume italiana. Tranne la massa meno vibrante, che forma l'ossatura pesante di qualunque movimento, gli elementi più accesi, poi, anche senza bisogno di un grado militare o di un mandato chiaro e specifico, si assumevano, per vocazione propria, o per desiderio d'avventura il compito di propagandare l'idea, di raccogliere aderenti della loro terra di origine; di stimolare gli antichi compagni d'arte a far causa comune, o a cedere materiale bellico. Studiavano audaci imprese per catturare mezzi di vita alla Città assediata o per compiere delle rappresaglie beffarde; e anche questi, col loro zelo e con la loro impulsività causavano imbarazzi, oltre quello non mai abbastanza ripetuto derivante dall'accentramento, entro confini di spazio e di tempo assai ristretti, delle più disparate e contemporanee iniziative. Abbiamo voluto diffonderci su questa illustrazione di ambiente e di clima storico, come oggi si usa dire, per dimostrare che nessuna raccolta di documenti, e nessuna testimonianza d'uomo, dalla suprema alla più umile, sarà mai in grado di costituire - sola - la vera storiadell' Impresa di Fiume, la quale comprende: - una cronologia, agevole a detenninarsi; - una serie di solenni affermazioni e manifestazioni , rese dal Comandante e i suoi storici proclami; che rappresenta la parte più alta e incomparabilmente lirica dell'hnpresa, il nesso più elevato fra un avvenimento e l' altro; parte questa meglio nota, anche perché ripetutamente pubblicata; ma che da sola non basta a definire l'Impresa; - la parte descrittiva degli eventi e degli uomini; degli stati

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d'animo collettivi; delle cause che influirono, daH'interno e dall'esterno, a determinare il corso, ora limpido, talvolta grigio e incerto degli avvenimenti. Questa è la meno agevole a narrare e a interpretare, perché basata su un'infinità di fatti interdipendenti la cui nozione, per ]a somma delle cause innanzi descritte, non può che essere imperfetta da parte di chiunque e da parte di tutti; - vi è infine la cronaca di ogni giorno; tumultuosa, ricca di episodi, di incidenti; veloce di moto; legata aUe vicende di ciascun reparto e, si può dire perfino, di ciascun individuo. E' il campo sterminato; ove ciascun legionario vero potrebbe portare il contributo delle impressioni che avesse saputo conservare, senza deformazioni, nella propria memoria. A tutte queste difficoltà si aggiunga poi che, se riesce difficile allo storico o al cronista di spogliarsi da11e proprie passioni e da quelle del tempo, questo deve riuscire tanto più arduo per coloro che a Fiume non furono solo testimoni ma attori e colà vissero momenti di passione così ardente che nella vita di ciascuno di essi di rado s'ebbero uguali. Nonostante questo, anzi appunto per tutto questo, alcuni di noi si sono chiesti, con un senso di acuto rammarico e di presentita angoscia, se tutto quello che vive e palpita ancora nella ]oro memoria dovesse perire, scomparendo con ]e ]oro vite; o se invece non valesse la pena e non fosse anzi dovere di ciascuno di ]oro, di raccogliere tutto quello che dell'Impresa può ancora essere preservato e narrato. Ed ecco la giustificazione di quest'opera. Ecco aJcuni uomini di buona volontà, non mossi da ambizione di unafamad'acquistare, anche perché consci di parlare di un avvenimento oggi poco sentito e quindi remoto, ma solo stimolati da sensi di fraternità e di colleganza verso tutti i camerati legionari; alcuni volenterosi che, non sen za perplessità, non senza meditazione, non senza coraggio, si sono accinti a quest'opera. Essi hanno preferito ritrovarsi in parecchi pel lavoro arduo e difficile; onde l'uno potesse completare l'altro; l'uno potesse correggere il giudizio dell'altro; la pacatezza e la equità dell' uno potesse moderare l'involontaria passionalità dell'altro; perché, 125


infine, dall'opera concorde, vagliata in comune, dovesse scaturire una narrazione prossima alla verità. Presumono, questi pochi legionari, di non riuscire menomamente a compiere un'opera completa; sanno anzi in anticipo, che lasceranno lacune nella trama faticosamente tessuta. Lo sanno; e sperano anzi che altri, finché n'è tempo corregga gli errori, completi i fatti. Li sorregge tuttavia il proponimento e la decisione di dire tutto quello che va detto, perché essi sanno, per esperienza, che della Impresa di Fiume molto più male s'è detto che non meritasse; e sanno quindi che, non nascondendo per pietosa finzione o per arbitraria omissione qualunque verità, nonché nuocere faranno opera complessiva di riabilitazione dell'Impresa; che è assolutamente ingiusto giudicare ancora oggi come una specie di scapigliatura eroico - sentimentale. L'Impresa di Fiume richiamò a sé il fiore del combattentismo italiano, e, se con gli ottimi e i buoni, si insinuarono alcuni mediocri e pochi cattivi, la massa legionaria non scema del suo sostanziale valore, così come non muta 1a bellezza del gesto insurrezionale; non cambia l'indicazione pratica, offerta a tutta la storia d'Italia che ancora doveva compiersi; non si annul1a il risultato territoriale ottenuto; cioè la conquista dell'ultimo tratto della cerchia alpina e di metà dell'Istria e dello specchio del Carnaro, altrimenti irrimediabilmente perduti. La Marcia di Ronchi fu la continuazione spontanea della marcia vittoriosa dell'Esercito Italiano troncata dall'armistizio di Villa Giusti. Il Capo della Spedizione fu l'Uomo che, assieme a Benito Mussolini, aveva imposto l'intervento e convinto il popolo italiano alla guerra; e lo aveva infiammato nella durissima lotta per più di mille giorni; che aveva dato alla guerra i più alti esempi che combattente della terra, del mare e del cielo potesse offrire agli italiani. Era quindi, per elezione e per designazione, Colui che in quel momento poteva e doveva capeggiare una disperata Impresa. I Legionari custodiscono questa convinzione di aver combattuto una bella battaglia e ritengono dovere civico chiamare su quella negletta pagina della Storia d'Italia la riconoscenza di tutti gli italiani. 126


12.09.1919 D' J\nnunzio proclama l'annessione di Fitm1e all 'Italia

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Dall 'A rchivio T.O.E. Temi Inventario "Margherita Incisa di Camerana "Fascicolo "FIUME II- Ricordi di Disperati. Fotografie Gruppi. G uido Pallotta. Foto Disperati. Legionari e Civili. Storia di Fiume".

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Lettera inedita

E' una lettera scritta a Mussolini il 7 settembre 1919, cinque giorni prima della presa di Fiume. Finora si credeva che l'annuncio fosse stato dato al duce del fascismo nascente l' 11 settembre, ("Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le anni.") TI nuovo documento, di eccezionale bellezza nella sonorità della lingua, dimostra che i legami fra i due erano più stretti e assidui di quanto si pensasse, e che d' Annunzio sperava davvero nell'aiuto di Mussolini e delle sue squadre in via di formazione, oltre che sul suo appoggio giornalistico: "Confido nel vostro appoggio e sostegno fra coloro che, vili, temeranno questa mano armata. La Storia serberà allori per coloro che avranno operato per il glorioso epilogo. Viva l'Italia!" Lri realtà Mussoli11i non credeva che l'impresa sarebbe riuscita, e si limitò a un sostegno formale, tanto che già il 20 settembre il vate gli scrisse una lettera piena di insulti che il duce ebbe la sfrontatezza di pubblicare, censurata e rimontata, facendola passare per una lettera di lodi. Poi si limitò a promuovere una sottoscrizione per Fiume che fruttò quasi tre milioni di lire. In ottobre consegnò ad' Annunzio, di persona, le prime 857.842 lire, e non si è mai saputo quanto abbia versato del resto; sospettato di essersi tenuto gran parte del denaro per finanziare il fascismo, ottenne una dichiarazione pubblica nella quale il Comandante riconosceva di averlo autorizzato a trattenere una cifra imprecisata per i suoi "combattenti": i quali, a Fiume, erano una minoranza. Per troppi anni, fino ai più recenti, si è considerata l'impresa fiumana soltanto come un episodio di acceso nazionalismo, o addirittura la culla del fascismo. In realtà Fiume fu anzitutto uno Dal " IL GIORNALE BLOG" di Giordano Bruno GUERRI - Presidente della Fondazione "Il Vittolialed'Italia" - 08 marzo 2011

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straordinario, avanzatissimo, esperimento libertario, a partire dalla Costituzione scritta dal poeta e dal sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris. Anche per questo Mussolini - che stava preparando l' alleanza con i poteri forti, monarchia, Chiesa, esercito, proprietari - non vi credette, e lasciò senza intervenire che nel 1920 Giolitti ordinasse i] "Natale fiumano di sangue", facendo attaccare la città da]]' esercito. Nei primi giorni del 1921 cominciò la lenta evacuazione dei militi dannunziani. li Comandante si trattenne fino al 18 gennaio, in uno stato di scoramento ma am:he di orgoglio. Ciò che aveva creato sarebbe rimasto nella storia. "Nudi alla meta", aveva detto d' Annunzio in una deUe sue innumerevoli arringhe, aggiungendo che "Chi s'arresta è perduto" e intimando di "Marciare non marcire": slogan che ricompariranno presto sui muri delle case durante un ventennio del quale il poeta era stato un inconsapevole precursore, insegnando che era possibile ribellarsi allo Stato anche con le armi e a considerare i] Capo un demiurgo capace di cambiate la vita di tutti, oltre che la patria. Mussolini imparò, dalla lezione di Fiume, che era possibile mettere in crisi la classe dirigente liberale facendo ricorso alla retorica del patriottismo, mentre Vittorio Emanuele ID dovette rendersi conto di non poter contare sulla totale fedeltà de11'esercito, constatazione che ebbe un peso rilevante nei giorni della marcia su Roma. Come ha scritto Emilio Gentile, l'ideologia realistica di Mussolini "era assolutamente estranea a] fervore morale, ano spirito libertario ed autonomista( ... ) e al confuso ma sincero ribollimento di propositi rivoluzionari dell'ambiente fiumano" . Dal fiumanesimo i fascisti presero solo l'apparato esteriore, aggiungendovi il manganello e l'olio di ricino. E mai si sarebbe sentito, durante il regime, il saluto finale che d'Annunzio lanciò dal balcone del municipio: " Viva l'Amore! Alalà!" Per paradosso sarà proprio Mussolini a annettere Fiume all'Italia, ne] 1924, con il Trattato di Rapallo. Ma il risultato non sarebbe stato possibile senza l'impresa di d' Annunzio. Che, giustamente, nella lettera pubblicata qui per ]a prima volta, conclude: "Finalmente la nuova impresa suggellerà la fine della splendida saga dei Mille, aggiungendo eroi ad eroi."

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D'Annunzio pronuncia l'orazione Riconciliazione

Fiume, 2 gennaio 1921 : " ... Questi italiani hanno dato il loro sangue per l'opera misteriosa del fato latino, con terribile ebbrezza d'amore i nostri, e gli altri con inconsapevole tremito.( ...) La martire Fiume, simile a quella sua donna che da ferro italiano ebbe tronche le due braccia di fatica e non fece lamento, si solleva sui suoi piedi piagati e col moncherino sanguinante scrive nella muraglia funebre «Credo nella Patria futura, e mi prometto alla Patria futura». Inginocchiamoci e segniamoci, armati e non armati. Crediamo e promettiamo. Davanti a questi morti che riconcilia la nostra speranza, o mie legioni eroiche, o mia forza inseparabile, giuriamoci per una lotta più vasta e peruna pace di uoIPini libe1i." "Il commiato fra le tombe, (Fiume, 3 gennaio 1921 )". "Ieri nel camposanto di Fiume, la volontà di ascendere, che lravaglia ogni gesta di uomini, toccò l'ultima altezza. Parve la nostra vita più alta ora nel cielo dell'anima. (. .. ) Sapevano che io li conducevo verso la sommità di una bellezza a me stesso ignota? Quante volte nelle piazze, nelle corti, nei crocicchi, nei prati, su per le colline, lungo le rive, dalla ringhiera, quante volte avevo detto a questi poeti inconsapevoli le parole della più ebbra poesia? «Chi mai potrà imitare l'accento delle nostre canzoni e la cadenza dei nostri passi? Quali combattenti marciano come noi verso l'avvenire? Non eravamo una moltitudine grigia; eravamo un giovine dio che ha rotto la catena foggiata col ferro delle cose avverse e cammina incontro a se stesso avendo 1' erba e la mota appiccicate alle ca1cagna nude». Comprendevano. Dischiudevano le labbra perché si gonfiava il

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cuore. Bevevano la melodia. Credevano ch'io dessi loro da mangiare il miele del mattino: «il miele senza sostanza».(... ) Non eravamo legioni armate; eravamo un'armonia ascendente. ( ... ) Nessuno rimase in piedi: nessuno delle milizie, nessuno del popolo. E colui che versò più lacrime si sentì più beato. E qualcosa di noi trasumanava; e qualcosa di grande nasceva, di là dal presente. E ogni lacrima era Italia; e ogni stilla di sa~gue era Italia; e ogni foglia di lauro era Italia. E nessuno di noi sapeva che fosse e di dove scendesse quella grazia. Tale fu ieri il commiato che i Legionari diedero alla terra di Fiume. E domani a un tratto la città sarà vuota di forza come un cuore che si schianta.

Fonte: Wikipedia - Utente Justinianus da Perugia - Citazioni ed aneddoti del periodo su d'Annunzio.

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Lettera di D' Amrnnzio a Mussolini - Leandro Cstellani - L' impresa di Fiume su storia illustrata nr. 142 - settembre 1969 pag. 36

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Santi ed eroi di Fiume Orazione tenuta dalla medaglia d'oro Elia Rossi Passavanti nell'annuale dell'annessione di Fiume all'Italia

Molti di quanti ascoltarono quella sera e molt'altri che o per spazio o per tempo non Lo potettero, mi chiesero di poter leggere integrale la parola di Elia Rossi Passavanti. E il camerata Troili, che l'Istituto di Cultura Fascista dirige in Fiume con buona lena e gran sensibilità di studioso, subito accolse il desiderio e realizzò l'idea. Io ricordo in un altro settembre, quello del 1919, ventitré anni fa, mentre raggiungevamo assieme Fiume tra le pittoresche e indimenticabili vicende di quelle roventi giornate, altre parole di Elia Rossi Passavanti, « Ma io son certo che è benedetta dal Cielo, la causa di Fiume, e non può fallire. Accanto al mio pugnale oggi ho pregato e ho inteso Dio. E sarà una vittoria più grande di quel che noi stessi crediamo». E infatti la contesa vittoria della gesta di Ronchi già portava nel grembo la riscossa degli uomini liberi, il nuovo domani del mondo.

Arnaldo Viola Fiume, 12 settembre XX. Santi ed Eroi di Fiume « Gesù ... Gesù è nato a Roma »: è il Balilla Tullio Torma, abitante a Fiume, via Angheben 13, che risponde deciso e preciso al suo maestro che a scuola lo interroga. «E perché a Roma?» aggiunge il maestro, per nulla sorpreso. «A Roma, perché tutto quello che vi è di grande è nato e nascerà a Roma » risponde Tullio Torma. Fiumani, non poteva essere che un Balilla fiumano a consacrare nella sua innocenza convinta e consapevole questa eterna verità. Roma Amor. 139


L'amore di Roma feconda e fa sorgere figli anche dalle pietre del deserto. Perche essa è depositaria di tre essenze che il mondo teme, mentre ne ha estremo bisogno: «la verità, la santità, l'autorità ». Per l'amore suo di Madre, ella fa ancora, come dall'alba della sua vita, il gesto che domina e che attira, e la sua maturità lungi dall'essere l'anticamera della vecchiaia, continua a procurarsi adoratori. Gli antichi le restano fede1i , le nuove generazioni giungono a lei tutte infiammate per le sue bellezze, pronte a offrirlese perché l 'hanno udita celebrare, hanno beato i loro occhi nelle sue visioni, l'hanno ordita nella stessa trama della loro vita. E quando, infine, colle mani cariche di doni, esse piegano la loro testa sotto il suo giogo, la loro appassionata sottomissione non è una schiavitù: esse si risollevano conquistatrici alla loro volta. Il nome di questa dominatrice così piena di dolcezza, di questa regina del Mondo, il cui fascino s' insinua nelle vene come un filtro d'amore, è Roma: Roma una ed eterna» (G. Goyan). Dalla nascita di Roma Cristiana, l'italianità di Fiume è in marcia: e il suo regno si estende nell'amore e nel dolore. Per questo amore e per questo dolore Fiume elegge, diciassette secoli or sono, a suoi santi patroni tre eroi: Vito, Modesto e Crescenzia. Li elegge patroni e figli di Fiume presagendo divinamente tutto il martirio che per diciassette secoli essa dovrà soffrire e patire. La sua annessione all'Italia del 16 marzo 1924 era il premio di diciassette secoli di dolore, di martirio ed' amore. Annessione tenacemente voluta da Fiume e in ogni ora dal Duce, inflessibilmente sostenuta in premio dell'amore di Fiume all'Italia. Il Duce sapeva e sa che l'amore è la vita di tutte le altre virtù, la sintesi della perfezione, il moto dell 'essere verso la bellezza e la santità. I santi sono eroi, e Vito, Modesto e Crescenzia, protettori, figli di Fiume, sono Santi ed Eroi. Al tempo della persecuzione di Diocleziano ['Acta Sanctorum al 15 di giugno ci narra che« mentre era Preside in Sicilia Valeriano, in questa provincia si rese celebre 140


un giovanetto di nome Vito, nato in Mazzara, da padre idolatra, chiamato Ila. Vito, quindicenne, ebbe come maestro un tale Modesto, seguace della religione cristiana in segreto. Anche Vito seguì la stessa fede; ma scoperto da suo padre, per ordine dello stesso, fu battuto aspramente, e fu proibito a Modesto di parlargli di Cristianesimo. Il Preside Valeriano venuto a conoscenza dei sentimenti di Vito, fece chiamare il padre e gli impose di distogliere il figlio dall'adorare un Uomo Crocifisso, se non voleva incorrere nel furore di Cesare ed evitare la condanna a mo1te ed il sequestro dei beni. Vito, rimasto irremovibile nella sua fede, si dedicò a curare e guarì re storpi, ossessi e infermi d'ogni male, ottenendo guarigioni meravigliose e numerose conversioni alla sua religione. Il giovinetto allora venne chiamato con suo padre al tribunale del Preside e da costui ammonito: «Non conosci, o Vito, gli editti dei Cesari? non sai i loro ordini, che trovandosi qualcuno che ardisca adorare il Crocifisso venga condannato a tormenti atroci? ». Gli atti de] martirio ci dicono che Vito rispose: «Non adoro demoni, né statue di pietra o di legno; ma solo il vero Dio a cui fedelmente servo». Il padre a questa risposta, piangendo, rivolgeva a lui le più calde raccomandazioni perché non volesse insistere causando la sua distruzione e quella della famiglia. Vito rispondeva coraggiosamente: «Non perisce chi con la morte entra nel numero dei giusti». Fiumani, da diciassette secoli non è questo forse il grido più possente scaturito dalle vostre anime? Il Preside Valeriano proseguì ad esortarlo a volere sfuggire ai castighi ordinati contro i sacrileghi. Ma vedendolo ostinato, ordinò che venisse fustigato. Interrogato dopo le battiture se volesse sacrificare agli Dei, Vito rimase irremovibile. Venne ordinata una nuova e più dura fustigazione, ma il Preside e i Ministri di Giustizia ebbero improvvisamente le braccia paralizzate. Per dimostrare la potenza della sua religione, il giovinetto Vito volle guarire istantaneamente il Preside. A tale fatto Valeriano lo 141


lasciò andar libero, esortando il padre a farlo ravvedere. Il padre Ila, condotto a casa il figlio, preparò una grande festa. Una sala addobbata sfarzosamente e perfino di pietre preziose fu disposta. Ma mentre Vito si trovava entro questa sala, una luce straordinaria e potente illuminò tutto e sette aquile di meravigliosa bellezza lo attorniarono. Il padre Ila rimase cieco per la potenza di quella luce. Spinto dalla disperazione per la vista perduta, si fece condurre al tempio di Giove. Promise vittime innumerevoli e un toro di bronzo e d'oro, ma inutilmente. Tornato a casa, per le preghiere del figlio l'infelice padre riacquistò!a vista. Ma dopo questo prodigio, ostinandosi nei suoi sentimenti idolatri, non riuscendo a convincere Vito ad abbandonare la religione cristiana, cominciò a tramare la morte del figlio. Allora il maestro Modesto fu ispirato di far imbarcare il giovane e di condurlo lontano dalla patria. Giunti al mare, trovarono una piccola nave che li condusse ad Alattarigo. Qui discesi, la nave e il nocchiere disparvero. Proseguirono il viaggio fino presso il fiume Silaro e presero dimora sotto un albero, ove un' aquila li forniva di cibo. Vito istruiva i popoli che accorrevano a lui , attratti dalla fama dei miracoli, eil suo nome si espandeva dovunque. Accade che il figlio dell'imperatore Diocleziano venne invaso dal demonio e nella ossessione aveva detto che non sarebbe guarì to se non per mezzo di Vito Lucano. Fiumani, non è la vostra città di vita che giganteggia inesauri bilmente attraverso i continenti e i mari su tutti i popoli che lottano per la santa causa della libertà?! L'A cta Sanctorum ci dice ancora che domandato dall'Imperatore dove fosse questo Vito Lucano, il figlio ossesso rispose: «Vicino al fiume Silaro, nel territorio tanagritano in Basilicata ». Furono mandati dei messi imperiali alla ricerca di Vito e questi, accompagnato da Modesto e da Crescenzia, fu condotto a Roma alla presenza di Diocleziano. Il figlio dell'Imperatore venne immediatamente guarito colla imposizione delle mani da parte di Vito, destando la meraviglia di tutti i presen142


ti. Diocleziano, riconoscente e ammirato della bellezza del giovane Vito, desideroso di salvarlo dalla morte, cercò di persuaderlo di sacrificare agli Dei, promettendogli grandi ricchezze ed onori. Fiumani, quante fantasmagoriche offerte, quante lusinghiere proposte non vi furono fatte dai nemici e dai falsi amici?!. .. Ma voi in ogni ora rispondeste: « L'avvenire appartiene ai cuori più che alle menti. E il fuoco dell'amore d' Italia accende in noi le fiamme del cuore ». Veramente, nel cimitero di Cosala, luogo di resurrezione e di vita, potrebbe scriversi quella che io ritengo la vostra divisa: «Senza martirio, l'amore è uno stelo senza fiore e si cessa d'amare quando si cessa di soffrire». Vito resistette sempre a qualunque offerta e minaccia e allora egli ed i suoi maestri Modesto e Crescenzia furono rinchiusi in un oscuro carcere, le cui pareti vennero sigillate coll 'anello imperiale. Appena chiusi nella prigione i tre fedeli, i tre credenti, i protettori di questa città di vita, una luce immensa illuminò il carcere, melodie celesti si udirono, mentre un terribile terremoto di'>truggeva gli edifici. Carcerieri e carnefici fuggirono accorrendo dall'Imperatore. Costui, a tale annuncio, ordinò che i tre confessori della Fede venissero esposti ne11 ' anfiteatro per essere divorati dalle belve. Il primo fu Vito, che fu immerso in una caldaia di piombo liquefatto, di resina e di pece. Ma il Santo e l'Eroe, senza bruciare, come se fosse in un piacevole bagno, cantava inni al suo Dio e rimproverava il tiranno, mentre il popolo rimaneva stupefatto del prodigio e dichiarava grande il Dio esaltato. I tre martiri furono allora esposti alle belve; ma queste, alla presenza di Vito, che faceva il segno della Croce, si ammansirono e divennero amorevoli . A questo prodigio numerosi spettatori credettero in Cristo. L'Imperatore, non riuscendo a vincere i tre campioni della Fede, inferocito, ordinò che fossero posti nell' aculeo. Vennero loro dislogate le ossa e squarciato il ventre. Ad un tratto però il cielo si oscurò mentre un terremoto faceva cadere gli edifici, uccidendo molte persone. Fuggì l'Imperatore e tutti gli aguzzini suoi .

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I tre Eroi scomparvero per mano angelica e si trovarono in un momento ne11a loro prima dimora presso il fiume Silaro, sotto l'albero consueto. Qui le loro anime benedette uscirono dai loro corpi come candide colombe e volarono verso il cielo accompagnate da cori angelici. I corpi dei Martiri rimasero insepolti sotto l'albero e vennero custoditi e difesi dalle aquile. Nel terzo giorno, una pia e nobile matrona del luogo, chiamata Fiorenza, andando sul suo cocchio lungo la riva del fiume, spaventati i cavalli, fu gettata in mezzo alle acque. Mentre era per sommergersi, le apparve un giovinetto. Era il Martire Vito che la liberò dal pericolo e le ordinò di dare sepoltura al suo corpo e a quello degli altri due Martiri che giacevano insepolti sotto l'albero. I tre Santi, i tre Eroi di Cristo e di Fiume ebbero onorata sepoltura nel luogo denominato Mariano. Il loro martirio è avvenuto il 15 giugno dell'anno 308 di Cristo. La fama di questi Santi ed Eroi e specialmente di Vito, divulgatasi tra la crescente cristianità d' Italia, spinse molti popoli ad acclamarlo per speciale protettore e ad elevare a lui molti templi . La Fede è una virtù che non muore e anche se tutto agonizzasse resterebbe il cuore di S. Vito per ridare sangue a tutte le vene esauste. Per questo Fiume, città dell' inesauribile Fede, sia pure per un imperscrutabile ma fatale evento del suo martirio, prescelse a marchio indiscusso e indelebile di italianità il S. Vito a Fiume, l'autentico « Fanum S. Viti ad Flumen », tempio di S. Vito al Fiume, come si denominava prima la città di Fiume, che anche gli antichi tedeschi denominavano e S. Veiti am Flamme », quella che solo i Croati chiamarono col nome di« Rijeka » . Da diciassette secoli il Fiumanesimo ha un codice di eroismo; le gesta eroiche impongono ai propri militi e sono militi tutti i suoi membri di vi vere e di morire per la Fede: « i Santi sono Eroi». Il titolo nobiliare di Fiumano, che è quanto dire italiano, non ci è dato solo per eredità, ma anche per conquista, e si conserva col valore e la professione della fede; quante volte, per chi non vi conosceva, sembrava che la vostra fede dovesse cadere! Ma la stretta

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non vi tolse mai il respiro e la voce per poter dire uno di quei « no » che salvarono, davanti ai prepotenti delle armi, dell'oro e del pensiero, l'unità di fede, di magistero, di morale per la difesa del primato di Roma. Chi è lontano da queste rive è un naufrago e questa verità non fu spenta neppure col sacrificio della vostra gioventù. Angheben, Baccich, Borruso, Chiavuzzo, Dario, De Marco, Noferi, Rachello, (Ungar - Valentin), nati alla scuola dell ' eroico Vito, parlarono, non per un giorno, ma per un 'eternità: «Non perisce chi con la morte entra nel numero dei giusti ». In questo cielo fiumano, come in quello dantesco, gli spiriti raggianti stanno in adorazione attorno alla bandiera del Camaro: Annibale, Atto, Baleani, Braga, Cattaneo, Caviglia, Colombo, Conci, Crosara, Del Baldo, Delli Carri, De Mei, Francucci, Gottardo, Grossi, Groppi, Macchi, Mentrasti, Nascimbeni, Piccini, Pilcggi, Omarisi, Rolfini, Siviero, Spaccapeli, Spessa, Troia, Travnik - Traunini, Vucasovich, Zambon, Zorzetti, Amadi, Bernetieh, Coperti, Maurovich, Cucich: e ripetono quello che per diciassette secoli Voi conclamaste: «Il fuoco del1' amore il Fiume accende in noi le fiamme del cuore». Fiume è immota e silenziosa, ma scintillante d'oro nel sole, incoronata di stelle dalla Fede della notte. Sui pinnacoli dei templi, sui picchi delle montagne vigilanti, sulle colline e sul mare,. c' è sempre il suo amore, inesauribile amore, sentinella di tutte le altezze.« Senza martirio, l'amore è uno stelo senza fiore» ripetono Bini, Colombo, Ferri, Galli , Grossi, Sarchi, Scaffidi, Zeppegno, «e si cessa d' amare quando si cessa di soffrire». E nell'erompere di questo comandamento Fontana. Caifessi, Forcata, Meazzi, Mondolfo, Stojan, Campacci, Cussar, Janovìch e Petronio splendono come fari, difendono come fortezze, calmano le ansie delle anime e delle nazioni insidiate. Il valore dei Figli e la potenza della Madre hanno dato la salvezza e la Vittoria; le glorie di Fiume non muoiono, i suoi eroi sono santi: Accamo, Barbarisi, Billi, Bogliani, Borrucchi, Ceresa, Comi, Corsini, Daniello, Deiana, De Paolis, Fierro, Filipe11o, Gatti, Grimaldi, Grossi, Ledda, Loiola, Maraffetti, Martucelli, 145


Meleto, Meloni, Molinari, Murgia, Marinelli, Ravasio, Simonetta, Terzigni, Torelli. Essi colla loro morte seppero creare roseti, anche sotto i cipressi. La regina dei fiori è quella che ha più spine. Fiume, città dell'inesauribile amore, seppe creare nelle giornate cruente di Natale anche i fiori dalle spine. Questa non è soltanto poesia, o Fiumani, ma realtà che deve contribuire, ancora, a salvare gli uomini e le cose. L'amore sopporta tutto e non ha fine, e le sue lampade sono fiammanti e inestinguibili come i Santi e gli Eroi di Fiume. Oggi» 18 marzo ventesimo, in questa città finalmente libera e possente, nel nome augusto del Re Vittorioso, del Duce del Fascismo e di Gabriele d'Annunzio, gli amici e i nemici sappiano e ricordino che di questo spirito eroico e santo fu ed è pervasa tutta la nostra esistenza. Il regno dei Santi è il nostro regno; esso vive ed impera.

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Motti e stemmi Dannunziani

Memento audere semper ( ricorda di osare sempre) Il motto più famoso, nasce utilizzando le medesime iniziali della sigla M.A.S . (motoscafo armato SVAN) con cui d'Annunzio fu protagonista della leggendaria Beffa di Buccari nella notte fra il 10 e l' 11 febbraio 1918. Evidente, in questo motto, il concetto sempre caro al Vate dell'osare a ogni costo. L' illustrazione mostra una mano affiorante dalle onde e che, chiusa a pugno, stringe un serto di alloro.

Io ho quel che ho donato E' l'affermazione più famosa di D' Annunzio, apparentemente paradossale, legata all'idea della generosità e della munificenza.

Ardisco non ordisco Motto di battaglia lanciato all'indomani del discorso all'Augusteo di Roma nel maggio del 1919 contro le condizioni di pace e indi1izzato al presidente americano Wilson che negava la città di Fiume all'Italia. L'illustrazione mostra una tela di ragno squarciata da un pugnale.

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Cosa fatta capo ha Celebre frase dantesca usata da d'Annunzio per sancire la sua impresa divenuta dopo pochi giorni gia' leggendaria. Per i Poeta la parola "capo" ha il doppio significato di "principio" e di "comandante". D'Annunzio fece disegnare la figura di un nodo tagliato da un pugnale:rappresenta il nodo scorsoio che il presidente Wilson aveva messo intorno alla gola dell' I tal ia,stabilendo le umilianti condizioni di pace. Il motto fu gridato dal Comandante il 12 settembre 1920 nell'annunciare che avrebbe inviato al Senato americano la nuova delibera del Consiglio di Fiumecontroil Patto di Londra.

Hic manebimus optime (qui staremo benissimo) Mutuato da Tito Livio, divenne il principale motto dei Legionari, riprodotto anche ne11a medaglia a ricordo <lell' impresa di Fi urne.

Semper adamas (sempre adamantino - duro come il diamante) Questo motto fu destinato alla Piima SquadrigliaNavale. L'illustrazione mostra un braccio nudo che, levato orizzontalmente e con il dito puntato, si leva fra le fiamme. In calce la dicitura il Comandan-

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Immotus nec iners (fermo ma non inerte) La frase è di Orazio ed orna, come motto, lo stemma nobiliare di Principe di Monte Nevoso; la scelta di questo motto aveva un intento dichiarata-

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mente polemico con il Duce, che teneva il poeta in un dorato isolamento sul Lago di Garda, escludendolo completamente dalla vita politica della capitale, molto probabilmente a causa del profondo disaccordo di quest'ultimo con la linea dittatoriale presa dal governo del Mussolini. Nella raffigurazione, si vede ]a cima di un monte coperta di neve e sovrastata dalla costellazione dell'Orsa Maggiore.

Quis contra nos? (chi contro noi?) Frase che divenne il motto della Reggenza Italiana del Carnaro.

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Elia Rossi Passa'v'anti Dragone ed E:roe di guerra

Quarta parte Elia Rossi Passavanti Miscellanea



Gli asceti dell'amor di Patria Elia Rossi Passavanti

"I miei antichi non tornavano mai indietro, ed io, come loro, passo Sempre avanti." Ecco le parole che, uscendo dalla bocca di un eroe, aggiungono lustro all'onore di un vecchio blasone. Sono le parole di Elia Rossi Passavanti del d'annunziano «frate Elia» - anima francescana che opera per amore e per amore domina. La nostra giovane stirpe italiana che trae i suoi Succhi vitali dall'humus romano, quasi non credendo a se stessa, ha stentato a prestar fede ai molti racconti di eroi che la giusta guerra ha lanciato verso il sole. Ma perche nasconderli? E perché attenuarne le tinte? Essi sono belli della suprema bellezza dei gesti spontanei, compiuti col duro soniso dei ragazzi - eroi, per una Idea. E basta descriverli così come essi sono per esaltare e commuovere, E non si parli d i incoscienza, per caritàt Sarebbe idiota! Un uomo che merita le parole di d'Annunzio: «fue esempio cotidiano di coraggio, di lavoro, di carità, di evangelizzazione fraterna», è un uomo presente a sé stesso, che sa qual che fa, e sposa una causa perché bella, e a lei dà tutto: vita, felicità, avvenire. Miracoli questi, che sono bisogni della nostra stirpe nella quale non sai dove cominci l'uomo d' azione e dove il poeta, tanto le due personalità s'integrano e s'immedesimano. E la vita di guerra di Rossi Passavanti è un inno, una canzone di gesta. Chi mai potrà degnamente cantarla? Partito come volontario di guerra coi Dragoni del Genova cavalleria, appena al fron te è gravemente colpito al capo da una pallottola esplosiva; ma non si ritira, e nel settembre del 1916 eccolo alla dura conquista della quota 144 del Carso. Col 5° Dragoni dà l' assalto all a forte posizione nemica; il reparto è decimato, ma i Dragoni di Genova non ripiegano. Il soldato Rossi Passavanti prende il comando dei venti compagni superstiti e per quattro 153


giorni combatte senz'acqua e senza cibo, ricoverandosi nelle buche dei proiettili. Di sua iniziativa passa al contrattacco e, mentre è per baciare, vinta, la vittoria, un proiettile esplosivo lo mutila orrendamente. frantumandogli una mascella e macerandogli la lingua. Scende al comando del reggimento per ri [erire sull'azione. Il suo volto è tutto una piaga; tenta di parlare, ma non può: ad ogni parola mozza un flotto di sangue esce dalla sua bocca; parla allora coi gesti. I comandanti, commossi, intuiscono il suo pensiero, e provvedono a rafforzare la posizione. Il soldato sviene ed è portato ad un ospedale da campo, dove subisce replicate terribili operazioni, rifiutando il narcotico. Gli viene applicata una mascella metallica. Dopo tre mesi di cura, ecco Rossi Passavanti, ancora in piedi. Egli ha bisogno, per decisione del medico, di una lunga convalescenza, ma la situazione non ammette indugi e perciò strappa il foglio di licenza e torna in trincea. Viene promosso, sul campo, caporale, per merito di guen-a e decorato, sul campo, di medaglia d'argento. Il caporale Rossi Passavanti, con una mascella artificiale pesantissima e malferma, fino al1' Agosto del 17 è ancora in trincea e, poiché la guerra non può consentirgli un rancio speciale, egli pesta col fucile le sue gallette, le sbriciola nell'acqua e si sostiene. Nell'agosto è in distaccamento in Aviano, dove non si combatte; ma venendo a sapere che sul Carso il 142° fanteria sta per iniziare un'azione, questo asceta indomabile dell'amor di patria si presenta al Comando del reggimento e si offre per combattere. Partecipa per 18 giorni a tutti gli attacchi. E' ferito ad una gamba, ma vuol marciare, pur zoppicando, con gli esploratori, ed entra alla loro testa in S. Giovanni di Duino. Finita l'azione torna al suo distaccamento. E' punito dal generale Bellotti con ·15 giorni di rigore. Ma intanto giungevano dal Comando del 142° reggimento cumuli di relazioni celebranti gli atti di valore del dragone e proponenti una medaglia d'argento. Il generale Bellotti valendosi della facoltà che lo stato di guerra gli offriva, al termine della punizione, propone sergente sul campo il caporale Rossi Passavanti. 154


Due mesi dopo, nell'ottobre, egli comanda il primo plotone di Genova cavalleria e marcia, con esso all'attacco di Pozzuolo del Friuli. E' ferito ad un occhio: una scheggia di proiettile lo ha accecato e gli ha lacerato la fronte. 11 sergente Rossi Passavanti cade ma si rifiuta di recarsi al posto di medicamento e vuol combattere ancora. Risale sul suo cavallo e carica fino alla sera. Lo odono gridare:<< Non uscirò vivo da Pozzuolo, se non dopo che ne sarà uscito il mio comandante». Giunge l'ordine di ripiegare; gli avanzi del Genova cavalleria si ritirano. Il sergente Rossi Passavanti (malgrado la sua tragica cecità, poiché aveva perduto per sempre un occhio, è l'altro aveva in quel momento inservibile a causa delle ferite), protegge la ritirata e corre il rischio di cader prigioniero, ma è salvato dall'istinto del suo cavallo che lo trasporta al sicuro. Sul campo è nominato aiutante di battaglia, ma deve venire ricoverato all'ospedale ove lo trattiene la minaccia della meningite. Appena si sente in forza fugge dall'ospedale e ritorna al reggimento. Nell'aprile del ' 18 questo superbo soldato passa al 6° Reparto d' assalto; quindi a comandare il reparto di arditi de] 153° reggimento fanteria sul Grappa. Per quattro mesi sostiene la lotta sanguinosa per la conquista della quota 144. 11 suo corpo è martoriato da al tre ferite: alla testa ed alla spina dorsale. Sostenuto da due arditi, quel martire non domo, si presenta al generale Bellotti e riferisce sull'azione. Vuol recarsi a piedi all'ospedale da campo. Incontra, nelle gallerie, le truppe di rincalzo che sopraggiungono e le incoraggia e le sprona a difendere la posizione minacciata. E gli eroi del Grappa tenace, i fulmini di cento battaglie s' inchinano piangenti al suo passaggio. Elia Rossi Passavanti vien decorato di un' altra medaglia d' argento al valore e proposto per la promozione a sottotenente. Il 23 ottobre 1918 il Tenente Passavanti apprende nell'ospedale da campo la nostra vittoria e si fa trasportare sul fronte in barella per partecipare alla marcia di inseguimento del nemico.

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Mala patria, questa donna divina, che contende a tutte 1e mortali gli amori.degli uomini più buoni e più puri, lo chiama. A Fiume c'è un'idea di bellezza e di giustizia da difendere e il Tenente Rossi Passavanti vi accorre, mettendosi a fianco di d'Annunzio il quale, ammirato, cosi par1ava di lui: «Il tenente Elia Rossi Passavanti è il più prode, il più buono <lei legionari fiumani, un purissimo eroe tre volte mutilato, un italiano di antica gentilezza, esempio continuo di sacrificio e di costanza a tutti noi. De11a sua prodezza, della sua lealtà, della sua ardenza io sono malJevadore alla Patria novella» (1). Superbe parole che renderebbero fiero chiunque. Amare vuol dire offrire e soffrire. È agli spiriti eletti, so1tanto ad essi, è concesso offrire e soffrire con voluttà. Così come ha fatto Elia Rossi Passanti. Businelli (1) Motivazione della Medaglia d' oro. L'IMPERO pag. R- 1933

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Le onoranze a Elia Rossi Passavanti

"E' dinanzi a Dio - in cui fermamente credo - ed innanzi alla santità di tutti i grandi, umili, oscuri martiri della redenzione italiana - e dinanzi alle sacre stimmate vostra, tutt'ora sanguinanti - o miei eroici compagni e fratelli, che io rinnovo il mio atto di fede, di amore, di verità. Sarei un ingrato. Smentire il sacrificio più puro dei miei gialli dragoni, che da Ronchi alla quota 144, da Plava a Pozzuolo, sino al confini ultimi dalla Patria, caddero invocando la verità, la giustizia, l'amore. Questo simbolo sacro - premio delle più alte virtù militari - che io custodisco sul mio petto, fu guadagno dal sangue migliore dei miei soldati. In questo istante il cuore mi trema e mi sento fremere di fierezza, di orgoglio. di timore insieme. Ma ben altre verità debbo dirvi. Queste mie parole, maturate nel dolore, nella limpida gioia e nel silenzio francescano, devono essere religiosamente interpretate, generosamente, sinceramente intese. Ed io vorrei che ognuno di voi potesse sentire i battiti concitati del mio cuore ... Combattei da soldato con tutte le armi, ed ascrivo questo come il più alto dei miei onori. La fanteria fu sublime nella sua tenacia, nel suo travaglio, nella diuturna silenziosa opera sua. Gli arditi , non vi è uomo, che di loro possa degnamente parlare. Ma l'arma nella quale io nacqui, e fui plasmato, forgiato e riforgiato, ha diritto alla mia imperitura eterna nconoscenza. Altezza Reale, che possedete una visibile ed invisibile e meravigliosa ala divina, egregie autorità militari e civili, compagni, fratelli,

Dall'Archivio T.O.E. Terni - Inventario "Elia Rossi Passavanti " - Manoscritti, appunti di studi, pubblicazioni

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che come me portate il segno della croce, queste onoranze, queste dimostrazioni d'infinito amore e dì gentilezza antica, che in quest'ora avete voluto t1ibutarmi, io non posso riaverle ... NON a me sono dovute, ma ai suoi antichi comandanti di guerra, ai miei soldati che caddero. Furono essi, ufficiali di cavalleria, amanti di pace, della vita galante, delle donne belle, dei cavalli di sangue, e del delirio delle danze, e del fremiti dell'amore, che insegnarono a me ad amare la Patria, a salire nella fede, e a spendere da signore la vita per una Italia più forte e più grande. E dichiaro, affermo che ciò che maggiormente colpì la inia immaginazione fu appunto il ripensare alla loro vita di pace. Nell'eroismo vi deve essere una gerarchia, sì, anche nel]' eroismo, ci sono e vi debbono essere <lei gradi. Questa parola "eroismo", che racchiude la santità più eccelsa, non fu finora meditata, fissata, scandita, sentita. Come giudicheremo noi degli uomini che della vita non conobbero le sensazioni e i fremiti arcani dell'amore, da quelli che invece li conobbero, li gustarono, e caldi ancora di questi fremiti, <li queste arcane sensazioni, diedero il loro corpo e il loro spirito per la grandezza di un' Italia eterna?! Più la vita fu amata e goduta, centellinata quasi, con voluttà, e più grande e più infinito sarà il rimpianto di perderla, qualunque sia la causa; è per questa grande, inconfutabile verità, che io amai questi uomini, questi capi di guerra; li seguii, perché li vidi nel loro eroismo e riconobbi la loro supremazia nella gloria. Ed è per questa supremazia, per questa verità inconfutabile, che io intendo, e caldamente vi prego d'intendere, che, esaltando la mia opera di soldato, sia esaltata 1'arma fedele di cavalleria, ed i miei eroici comandanti. Nel nome di Gabriele d'Annunzio, eroe del cielo, del mare e della terra, e di Francesco Baracca, astro luminoso del cielo d 'Italia, vive e rifiammeggia una verità eterna. Ma io non posso dimenticare, non devo dimenticare. La vostra testimonianza fraterna, deve compensare tutte le mirabili creature divine che ci assistettero ai letti del dolore. Queste mirabili creature divine sono "le infermiere della Croce 158


Rossa Italiana". Da S.A.R. Laetitia di Savoia-Napoleone, Duchessa d'Aosta e da S.A.R. Elena di Francia, Duchessa d'Aosta, alle più umili sorelle della carità e dell'amore. Se oggi il mio occhio è vivo e posso scorgere l'alba e il tramonto lo debbo ad una ferrea e sublime infermiera che per diciotto notti e per diciotto giorni non si diede riposo, finché sfinita, cadde ai piedi del mio letto. Fratelli, non dimentichiamo, non dimentichiamo il loro sacrificio, e quando vedremo una di queste mirabili creature divine, inchiniamo riverenti lo spirito nostro. I morti compagni lo chiedono, lo vogliono, lo ordinano. E' l 'ltalia martoriata che passa. Compagni, eroici fratelli, voi avete volute anche toccare le vibrazioni più intime e più serrate dell'animo mio, voi avete voluto invitare a questa mia onoranza una santa creatura, la compagna della mia vita, colei che possiede nel cuore virtù millenarie e guerriere e 1' altissimo sentire di questa antica, gloriosa, bella nobiltà piemontese, che tutto diede in ogni tempo e in ogni ora, alla causa della Sabauda Dinastia. No, io non posso continuare il mio dire; troppi ricordi rigurgitano dal cuore e sorgono dalla profondità più remote del mio spirito. Altezza Reale, signori, compagni, fratelli, la mia possente, disperata, umile preghiera è salita nell'eternità. Mia madre, dai cieli in quest'istante discende e viene a dirvi tutto quello che io sento, ma che non posso e non potrei dirvi. Essa vi benedice, e benedice i figli del vostri figli, nei secoli dei secoli.

NOTA: Non si è riusciti a risalire all'evento durante il quale Elia Rossi Passavanli pronunciò tale discorso: da una frase inserita in esso:

"Altezza Reale, i:he possedete una visibile ed invisibile e meravigliosa ala divina, egregie autorità militari e civili, compagni,.fi·atelli, che come me portate il segno della croce, queste onoranze ... " si potrebbe pensare che il Passavanti lo abbia pronunciato in occasione del suo collocamento a riposo quando gli fu concessa la decorazione di Cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro il cui distintivo rappresenta una Croce.

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LE OPERE PREMIATE NEI CONCORSI DELLA REGINA

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Lettera del 18 marzo I 923 - L'anello dei morti

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BIBLIOGRAFIA

Biografia - Adalgiso Liberali An;hivista, libero professionista - Sistema Informalivo Unificato (SillSA) per le Sovraintendenze Archivistiche. Sedi di Servizio e Decorazioni - Stato di Servizio conservato presso l' Arclùvio Passavanti della Ternana Opera Educatrice (TOE) Terni. L'Uomo che morì due volte - Luigi Romersa (Boretto, 5 lugho 1917 Roma, 19 marzo 2(Xl7) giornalista, scrittore e conispondente di guerra italiano - Panorama Difesa del Gennaio 1993. Quo Vienna Cecità - Tre articoli di Valerio Pignatelli di Ccrchiara romanziere di discreto successo nel periodo tra le due guerre usciti sul giornale "La Tribuna" nel febbraio 1933. Dall'Archivio T.O.E. Terni Inventario "Elia Rossi Passavanti" Fascicolo "Cavalleria" La Cavalcata epica di Elia Rossi Passa vanti - Rivista OGGI anno XX! numero 21 27 maggio 1965 Cavalieri d'Italia in guerra- "Corriere della sera" 15 dicembre 1930- articolo di Antonio Locatelli (Bergamo, 19 ap1ile 1895 Lekempti (Etiopia), 27 giuf:,rno 1936) aviatore, giornalista e politico italiano. Sotto il comando di Gabriele D 'Annunzio partecipò al celebre volo su Vienna. Decorato con tre medaglie d'oro al Valor Militare. - Dall 'Archivio T.O.E. Temi inventario "Elia Rossi Passavanti" Fascicolo "Cavalleria" Elia Rossi Passavanti fiumano e Comandante della ''La Disperata" Domenico Ciall"i, professore di Storia e Filosofia Presidente del Centro Studi Storici di Temi Giancarlo Rati, "11 carteggio inedito d' Annunzio - Rossi Passavanti", in Elia Rossi Passavanti nell'Italia del Novecento, Alti del Convegno di studi, Terni 22-23 marzo 2002 (a cura di V. Pirro), An·one (TR), Thyrns 2004, pp. 141 186; con parli colare 1iforimento alle trascrizioni in Appendice. Elisabetta David - "Il gusto della memoria. Marghe1ita fucisa di Crunerana nell'archivio di Elia Rossi Passavanti", in Gisa Giani. La memoria al femminile (a cura di M. Rossi Caponerie E. David), Atti del Convegno di studi, Temi, 8 - 9 nov. 2006, Temi 2008. Come si formò "La Disperata" - Anonimo - Dall'Archivio T.O.E. Temi Inventario "Margherita Incisa di Camerana "Fascicolo "FIUME II - Ricordi di Disperati. Fotografie Gruppi. Guido Pallotta. Foto Disperati. Legionari e Civili. Storia di Fiume". Stralcio dalle Memorie del Sergente degli Arditi Gambaro - Dall' Archivio T.O.E. Terni - Inventario "Margherita Incisa di Camerana "Fascicolo "FIUME II Ricordi di Disperati. Fotografie Gruppi. Guido Pallotta. Foto Disperati. Legionari e Civili. Storia di Fiume".

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Episodi di vita legionaria Guglielmini? - Dall'Archivio T.O.E. Terni - Inventario "Margherita Incisa di Camerana "Fascicolo "FIUME Il - Ricordi di Dispcrnti. Folo!,rrafie Gruppi. Guido Pallotta. Foto Disperati. Legionari e Civili. Storia di Fiume". U ùnpresa di Fiume, definita dal Comandante - lineamenti della storia di Fiume - Dall'Archivio T.O.E. Temi - Inventario "Margherita Incisa di Camerana "Fascicolo "FIUME II- Ricordi di Disperati. Fotogralie Gruppi. Guido Pallotta. Foto Disperati. Legionari e Civili. Storia di Fiume".

Discorso per la benedizione del Gagliardetto Elia R~i Passavanti Dall'Archivio T.O.E. Temi - Inventario "Margherita Incisa di Camerana "Fascicolo "FIUME Il - Ricordi di Disperati. Fotografie Gruppi. Guido Pallotta. Foto Disperati. Legionari e Civili. Storia di Fiume". Lettera inedita di D'Annunzio a Mus..'iolini datata 7.09.1919 - dal "IL GIORNALE BLOG" di Giordano Bruno Guerri Presidente della Fondazione " Il Vittoriale d'ltalia" 06 marzo 2011 Orazione della Riconciliazione di D'Annunzio - Internet Wikipedia - Utente: Justinianus da Perugia/Storia dell' Italia antica - Citazioni basilari e aneddoti del periodo su Gahrìele D'Annunzio Lettera di f'T".abriele l)' Annunzio a Mussolini 11.09.1919 - Leandro Castellani, L'impresa di Fiume, su Storia illustrata n. 142, Settembre 1969 pag. 36 Lettera di D'Annunzio a Mussolini 15.02.1920 - Internet Wlkipedia "L'Impresa di Fiume" - Lettera originale inviata da D'Annunz io A Mussolini Motti e Stemmi Dannunziani - lntemet Santi cd Eroi di Fiume Orazione - di Elia Rossi Passavantj nell'annuale dell 'annessione di Fiume all' Italia-12.09.1942. Gli asceti dell'amor di Patria - Elia Rossi Passavanti Quotidiano politico L'Impero - 1933 - Alticolo di Albc1to Ilusinelli (Roma 1895 - ?), Tenente di complemento del IX Reparto d'Assalto. Decorato di Medaglia d'Argento e di Bronzo al Val or Militare, due ferite di guerra. Le onoranze a Elia Rossi Passavanti - Dall'Archivio T.O.E. Terni - Inventario "Elia Rossi Passavanti " - Manoscritti, appunti di studi, pubblicazioni Le Opere premiate nei Concorsi alla Regina - Antonio Calcagnadoro La medaglia d 'oro Elia Rossi Passavanti- La Tribuna 20.02.1939 Lettera di Elia Rossi Passavanti a D'Annunzio - 26. I 1.1923 Archivio di Stalo diTcmi Lettera di Elia Rossi Passavanti a D'Annunzio - L8.03.1923 Archivio e Biblioteca della Fondazione Il Vittoriale d ' Italia Lettera di D'Annunzio a Elia Rossi Passavanti - 26.1 1.1 923 Archivio di Stato di Temi

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Indice

Introduzione di Mario Fornaci ........................................... ...................Pag. Presentazione dell'autore ................ ................... ............ .......................... »

Prima parte - Rifa Ros.si Pa'isavanti ..................................................Pag. Elia Rossi Passavanti ............ ....................................................... » Sedi di servizio ...................................... ......... ............................. » Decorazioni ..................................................................................» Prima guerra mondiale: Hennanda 1916 Grappa 1918 ................. » Prima guerra mondiale: guerra di posizione I 9 16.........................» La battaglia del 30 ottobre 1917 ................................................... »

Seconda parte - Elia Rossi Passavanti nella leggenda ...................... Pag. L' uomo che mori due volte ........ .................................................. » Medagliere di guerra - li cavallo Quo ............................... ........... » Medagliere di guerra - La morte della cavalla Vie nna .................. » Medagliere di guemi - Cecità ...................................................... » Cavalieri d' Italia in guerra ............................................................ »

Ter.,r,a parte - Elia Rossi Passavanti fiumano e comandante della "La Disperata'' ........................................................................ Pag. di Domenico Cialji, ....................................................................... » C ome si formò la disperata di Anonimo .................... ................... » Stmlcio delle memorie del Sergente degli Arditi GAMBARO .... .» L'Impresa di Fiume, definita dal Comandante .............................. » Discorso per la bene dizione del Gagliardetto ...... ......................... » Lettera inedita ..............................................................................» D'Annunzio pronuncia l'orazione Riconciliazione ....................... » Santi e::ù eroi di Fiume .................................................................. » Motti e stemmi Dannunziani ........................................................ »

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Quarta parte - Elia Rossi Passavanti - Miscellanea .... ......................Pag. 151 Gli asceti dell 'amor di patria ................ ........................................ »

Le onoranze a Elia Rossi Passavanti ............................................ »

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Bibliografia ................. .............................................. ....... .... ....... ..........Pag. 171

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Finito di stampare nel mese di Maggio 2012 dalla Tipolitografia "Morphema" Strada di Recenlino, 41 - Temi











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