GLI ITALIANI IN ARMI

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STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO UFFICIO STOR I CO

CIRO PAOLETTJ

GLI ITALIANI IN ARMI Cinque secoli di storia militare nazionale 1494-2000

ROMA2001


PROPRJETÀ RJSERVATA

n111i i diritti riservati Vietata la riproduzione anche par.,iale sen::a autori::z.azione © Ufficio Storico SME - Roma 2001

Copyright © 2001 Ufficio S torico delJo Stato Maggiore dell ' Esercito ISBN 88-87940-11-8

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PRESENTAZIONE

Il volume che qui presentiamo può essere considerato un compendio di storia militare italiana, una raccolta riassuntiva, cioè, degli avvenimenti militari che hanno interessato il nostro Paese. La sua stesura è stata pensata in quanto si ritiene che tale tipo di opera possa essere uno dei mezzi più utili allo studio della storia militare, uno strumento di cui numerosi Paesi già si sono dotati, facilitati, in ciò. dal fatto che la loro storia militare è, molte volte, storia di un solo esercito. di una sola marina e. spesso. copre un periodo di pochi secoli. Per l'Italia non è così. Occorre, infatti, occuparsi di un numero di Stati variabile fra i quindici del Cinquecento ed i sei del 1859, prima di arrivare a quello unitario artuale; questa è forse la difficoltà che si incontra nel redigere un 'opera di questo genere nel nostro Paese. li presente lavoro copre l'era moderna e quella contemporanea, e ciò potrà sembrare strano o eccessivo. Perché unire due periodi storici così diversi nel campo militare. partendo addirittura dalla calata dei Francesi in Italia nel 1492? Perché. se cambia il modo di guerreggiare, non cambiano né la geografia né la strategia. La prima è immutata, la seconda può subire alcune modifiche innovative a causa dell' evoluzione degli armamenti, ma resta anch'essa immutata nei suoi principi generali, alcuni dei quali, oggi dati per scontati, hanno mantenuto inalterato il loro valore nel corso degli ultimi cinque secoli. È del 1616. ad esempio, l'intuizione dell'importanza della linea dell'Isonzo e della «sog lia» di Gorizia, e fa un certo effetto leggere della guerra di Gradisca fra Veneziani e Austriaci, combattuta negli stessi luoghi che trecento anni dopo diverranno noti a tutti gli Italiani: Isonzo, Carso, Caporetto, Pneuma, Podgora. Ed è una costante veneziana, prima, ed italiana, poi, quella del controllo del basso Adriatico, così come risale almeno al Rinascimento una prima soluzione al problema del controllo delle coste italiane, mediante l'integrazione del dispositivo navale con quello terrestre, pressappoco negli stessi termini in cui si pone oggi. E la prima operazione di pace italiana- un'interposizione dei Pontifici fra gli Spagnoli e gli Svizzeri - è addirittura del J626. Rivolgo, pertanto, il più vivo ringraziamento al Dott. Ciro Paoletti, autore di questa opera, che l' Ufficio Storico mette a disposizione di chi voglia avere un approccio storico ai problemi militari del nostro Paese, utilizzando uno strumento di consultazione nei limiti del possibile agile e sintetico. Il Capo dell'Ufficio Storico Col. a. s.SM Enrico Pino



RINGRAZIAMENTI

Si ringraziano: il signor Stefano Ales, il dottor Alberto Maria Arpino. il dottor Pierpaolo Battiste Ili, il dottor Giancarlo Boeri, il maggiore Filippo Cappellano, il conte Niccolò Capponi, l' avvocato Guido Costabile, il dottor Piero Crociani. il colonnello Nicola Della Volpe, il dottor Luciano Faverzani, il professor RaouJ Guéze, S.E. l'ambasciatore d'Italia, barone Amedeo Guillet, il signor Bruno Mugnai, iJ barone Ubaldo Perrone Capano generale nei Granatieri, il signor Antonio Rosati, il dottor Ugo Spini, il brigadiere generale Riccardo Treppiccione; gli archivi dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito. dell' Ufficio Storico dello Stato Maggiore della Marina, Centrale dello Stato, di Stato di Brescia, Cagliari. Firenze, Lucca, Mantova. Parma, Roma e Torino, l'Archivio Segreto Vaticano. i musei storici del!' Artiglieria, della Fanteria. dei Bersaglieri. dei Granatieri, dei Carabinieri, della Motorizzazione, l'Istituto storico e di cultura dell' Arma del Genio, il Museo Storico dell'Aeronautica Militare, il Museo Storico Navale di Venezia, l'Armeria Reale di Torino, il Museo Pietro Micca e dell'assedio di Torino del 1706. i musei del Risorgimento di Roma. Milano e Brescia, il Museo della Battaglia di San Martino, il Museo di Solferino. il Museo Civico Correr di Venezia, il Museo di Castel Sant' Angelo in Roma, il Museo Storico Vaticano, il Museo di Capodimonte, la Biblioteca Militare Centrale, la Biblioteca dell'Archiginnasio in Bologna, la Biblioteca dei Musei Civici di Brescia, la Biblioteca Queriniana di Brescia, la Biblioteca Reale di Torino. la Società Napoletana di Storia Patria.


ABBREVIAZIONI

AUSSME AUSSMM ASG ASR AST ACS

Archivio Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito - Roma Archivio Ufficio Storico Stato Maggiore Marina - Roma Archivio di Stato di Genova Archivio di Stato di Roma Archivio di Stato di Torino Archivio centrale dello Stato - Roma


PREFAZIONE

I manuali più recenti di storia militare italiana risalgono all'immediato secondo dopoguerra e sono, in sostanza, null'altro che le «sinossi» utilizzate per i corsi di storia militare nell'Accademia di Modena e nella Scuola di Guerra di Civitavecchia. Opere talvolta interessanti e non prive di qualche pregio, ma non certo in grado di reggere il confronto con iniziative analoghe prodotte da eserciti esteri. Negli ultimi anni, cessata la guerra fredda e ricominciata la storia e con essa le guerre calde, la storia militare ba rapidamente ripreso spazio e visibilità ai fini della formazione culturale degli ufficiali e della classe dirigente. Questo fenomeno si sta sviluppando in particolare nei Paesi anglosassoni, come testimoniano ad esempio la redazione aggiornata dei due agili volumi dell' «American Military History 1775-1996» curati da Maurice Matloff (Pennsylvania Combined Books, 1973, 1996), o La raccolta di saggi tematici sulla storia militare canadese curata da Mare Milver ( «Canadian Military History», Legg Ciark Ritmano, Ltd., Toronto, 1993). Queste storie militari «nazionali» rappresentano un netto superamento delle storie di forza armata, come quella famosa dedicata dal generale Weygand ali 'esercito francese o quelle pubblicate in Italia in occasione del centenario dell'Unità. Esse superano la settorializzazione per Forze Armate (terrestre, navale, aerea) sia la separazione tra gli aspetti ordinativi e istituzionali e quelli operativi e strategici e si confrontano con il compito, molto più difficile, di rendere ragione del modo nazionale di fare la guerra e organizzare le forze armate. La riuscita e l'utilità di questi lavori sta soprattutto nel grado in cui essi mostrano le costanti, non soltanto geopolitiche, ma anche comportamentali e istituzionali che consentono un particolare modo nazionale di vedere e fare la guerra rispetto agli altri. Paradossalmente è tanto più difficile raggiungere questo risultato. quanto più complesso e approfondito è lo stato della conoscenza. Per un autore occidentale, ad esempio, è più facile cogliere gli aspetti caratteristici della storia militare russa, cinese, giapponese, araba o africana di quella dell'Occidente o anche soltanto del proprio Paese. È stato comunque assai opportuno che lo Stato Maggiore dell'Esercito abbia preso l'iniziativa di pubblicare un nuovo e aggiornato manuale di storia militare nazionale. «Gli Italiani in armi» è un titolo ampio per un testo interessante sotto molti aspetti. Lo è perché offre, per la prima volta nella storiografia italiana, un quadro completo degli avvenimenti militari italiani dalla morte di Lorenzo il Magnifico in poi. Lo è perché rompe lo schema d'indagine tradizionale, limitata al periodo risorgimentale e postunitario e vista dal punto di vista militare e politico piemontese. Lo è perché abbraccia tutta l'Era Moderna e tutti gli Stati italiani. Senza entrare in troppi particolari e senza pretendere d'essere l'ultima parola, ma solo un'apertura di strada, una sintesi delle vie già battute, un'indicazione di quelle ancora daesplo-


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rare, una chiave d'apertura della porta del confronto e di ulteriori studi, quest'opera mette in luce gli aspetti geopolitici da sempre caratterizzanti la situazione italiana: le costanti della storia nazionale apparse sotto spog)je apparentemente diverse in questo o quel secolo. Sono, queste, aspetti che - in quanto costanti - determinano e spiegano il divenire di molti avvenimenti, le scelte politico-miUtari compiute per affrontarli e i risultati conseguiti, tanto positivi quanto negativi. li volume di Paoleni si articola in cinque parti, una per secolo. Ognuna a sua volta si divide in progressione cronologica io capitoli relativi a determinati periodi ed avvenimenti, esponendo le situazioni politiche italiane e internazionali e i problemi da esse derivanti, l'organizzazione dell'apparato militare italiano - dei singoli Stati prima, unitario poi - l'interazione delle prime con la seconda. i risuJtati ottenuti, i loro motivi e le loro conseguenze. Infine questo saggio deve essere valutato per la sua esperita finalità pedagogica. È infatti il primo e utilissimo manuale che affronta una chiara, sintetica e completa narrazione degli eventi bellici, sfatando non pochi luoghi comuni e svincolandosi dai pregiudizi più correnti. Risulta quindi ua utilissimo strumento di studio e, oltretutto, ha la saggezza di non dare per scontata nel lettore la conoscenza di avvenimenti o problemi storici e militari. È quindi fruibile da parte di un vasto pubblico, pure di chi, per essere nato negli ultimi decenni del secolo XX, non ba nel proprio bagaglio culturale fatti e nozioni che invece erano parte integrante, quasi congenita, di quello delle generazioni precedenti. Virgilio Ilari


INTRODUZIONE

Un compendio della storia militare d'Italia degli ultimi cinquecento anni non risulta che sia mai stato fatto prima di questo. Si è trattato di un lavoro molto lungo, fatto sulla base di un'opera precedente che mi era costata oltre quindici anni di ricerche e di letture specifiche. Sarebbe occorso trattare meglio l'organica, il finanziamento, !"armamento, le scelte e le innovazioni tecniche di volta in volta verificatesi; ma, a parte il fatto che non c'era spazio a sufficienza, sono già apparse varie opere che, per molti eserciti italiani di differenti periodi, coprono in modo esauriente molti di questi aspetti e alcuni altri, come la vita quotidiana e le uniformi. Basti pensare al venticinquennale lavoro di tanti come Piero Crociani, Giancarlo Boeri, Massimo Fiorentino e Massimo Brandani per il Regno di Napoli dal XVIII secolo alla caduta. per le Repubbliche giacobine. il Regno Italico ed il periodo napoleonico in generale e per la Repubblica Romana; a Stefano Ales per l' Armata Sarda dal 1774 al 1861: a Mario Zannoni per le truppe Farncsiane e Austriache d'Italia; a Ferruccio Botti per la Logistica dell'Esercito ltaliano; a Gianrodolfo Rotasso per le armi da fuoco e da taglio. Per questi motivi qui sono accennate molto brevemente le questioni di organica, logistica, tattica ed uniformologia, attenendo il lavoro a due soli rami della materia militare: l'aspetto politico e le guerre. Si dice che la guerra è uno degli strumenti di cui i politici dispongono per risolvere le questioni che di volta io volta si presentano. Tutto sommato è vero: e quanto è qui scritto lo dimostra, non perché sia scritto qui, ma perché quelli sono stati i fatti. Di conseguenza l'esposizione degli avvenimenti politici è strettamente legata alle azioni militari, che in passato erano assai più di oggi uno strumento subordinato alla politica, anche perché il sovrano era allo stesso tempo capo politico e militare. Quanto è emerso dalle fonti coeve, a stampa ed archivistiche, ha permesso di ricostruire gli avvenimenti nella luce più giusta possibile; e ci sono state molte sorprese. Chi avrà la pazienza di leggere questo testo fino in fondo, scoprirà infatti che parecchie cose ci sono state tramandate in modo falsato, quando non falso del tutto, a vantaggio delle nazioni estere e a svantaggio degli Italiani. Certi monarchi saggi e illuminati, come la tradizione vuole sia stata Maria Teresa d' Austria, appariranno nella loro vera veste di arroganti e avidi prepotenti. Sovrani dimenticati, come Carlo Emanuele 11] di Sardegna, riassumeranno le loro vesti di bravi ed esperti generali. Eserciti misconosciuti, come quello napoletano. si riveleranno molto più validi di quanto non si sia ritenuto per anni. Eserciti dimenticati, come quelli ligure e veneziano, torneranno a far valere i carichi di glorie che accumularono in un remoto passato. Gli Italiani risulteranno aver dato un numero di bravi condottieri superiore alla maggior parte degli altri popoli. Genti e Stati, che sì dichiarano onesti specchi di virtù civili. brilleranno per la trascorsa disonestà su cui e per cui eressero i loro imperi mondiali; e speriamo che tale disonestà sia ormai solo un ricordo. In definitiva apparirà che l'Italia e gli Italiani sono stati molto più importanti per la storia e la cultura d'Europa e del mondo di quanto comunemente non si pensi e, talvolta, determi-


GLI ITALIANI lN ARMI nanti; come esempi, distanti tre secoli fra loro, basti considerare che la Guerra dei Trent'Anni cominciò solo grazie al denaro del duca di Savoia e che se la prima Guerra Mondiale finl nel 1918 anziché nell'estate del 1919 lo si deve esclusivamente a Vittorio Veneto. Ora non resta che cominciare a leggere e, leggendo, a ricordare.


PARTE

PRIMA

IL CINQUECENTO



Filo conduttore della storia della civiltà occidentale fin dai suoi albori è la ricerca della sovranità universale. Raggiunta e persa via via dalle varie città greche, dai Macedoni e da Roma, alla caduta dell'Impero d'Occìdente passò nelle mani della Chiesa Cattolica Apostolica Romana. che investì del potere temporale l'Impero franco, appositamente creato colla consacrazione di Carlo Magno a Roma, nella notte di Natale dell'anno 800. L'universalità del dominio imperiale cominciò a sfrangiarsi già alla morte di Carlo, quando la sua eredità venne divisa tra i figli, separando così la Francia dal blocco centrale italo-germanico. Mentre lentamente si andavano formando i primi Stati nazionali - Francia, Inghilterra, Spagna e Portogallo - ciò che era rimasto delrlmpero continuava a perdere la propria unitarietà a vantaggio delle entità politiche di periferia più forti e ricche, specialmente italiane. Il tentativo di eliminarne la crescente autonomia portò gli imperatori della casa d'Hohenstaufen alla sconfitta di Legnano e a quello scontro colla Chiesa, noto come Lotta per le Investiture, che sancì, bene o male, la separazione fra il potere temporale e quello spirituale. L'indebolimento dell'Impero andò a vantaggio della Francia, che poté ampHare la sua influenza europea, dei Comuni italiani e della Casa d'Aragona, che poté installarsi da padrona nell'Italia meridionale. Dall'avviata formazione degli Stati nazionali l'Italia restò esclusa per la sua conformazione politica, per la presenza dello Stato della Chiesa, per il continuo allearsi di questo all'uno od all'altro straniero, prima per ottenere la supremazia territoriale, poi per evitare che altri la raggiungessero ai suoi danni e, infine, più bassamente, per cercare di far avere un dominio indipendente al parente di qualche Papa. La situazione rimase più o meno statica fino alla fine del XV Secolo, quando si verificarono in un brevissimo lasso di tempo parecchi fatti destabilizzanti strettamente collegati fra di loro. I venticinque anni compresi fra il 1492 ed il 1517 videro: la morte di Lorenzo de· Medici, considerato l'arbitro della politica italiana; la fine della "Reconquista'" ad opera di Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia. che permise alla Spagna di chiudere i suoi problemi interni ed affacciarsi alla scena europea: il matrimonio fra la figlia maggiore dei predetti Re cattolici ed il primogenito dell'lmperatore germanico Massimiliano d'Asburgo e, infine, la nascita di colui che, ereditando e riunendo nelle proprie mani i domini dei nonni patemi e materni, avrebbe dato alla Spagna la signoria del mondo per centocinquant'anni: Carlo V.



CAPITOLO I

DALLE COMPAGNIE DI VENTURA ALLA GUERRA DEL CINQUECENTO

I) Due armi e mezzo: Cavalleria, Fanteria e Artiglieria

Alla fine del XV secolo gli eserciti erano divisi in Fanteria e Cavalleria, poichè I' Artiglieria, che pure esisteva già da almeno duecent'anni, non era considerata un'arma a pieno titolo, per la lentezza d'impiego e per la conseguente scarsa risolutività sul campo di battaglia La Cavalleria era ancora reputata l'arma principale, nonostante le guerre più recenti avessero dimostrato la sua incapacità di vincere una battaglia in presenza di un saldo e fortificato schieramento di fanteria. Divisa in Cavalleria, o Genti d' Arme (o Uomini d' Arme), e Cavalleggeri, l'Arma si articolava in piccole unità base risalenti al Medioevo e chiamate Lance, ognuna delle quali comprendeva un capolancia, o caporale, un cavalcatore e un ragazzo, rispettivamente montati su tre diversi cavalli: un destriero. un corsiero, e un ronzino. Lancia Spezzata era invece definito il singolo cavaliere seguito dallo scudiero. La Fanteria reclutava e serviva per Bandiere, comprendenti due caporali, due ragazzi, dieci balestrieri, nove palvesai, equipaggiati coi grandi scudi medioevali detti palvesi, e una "paga morta", che era di solito il servitore del capitano comandante.

Il) Il combattimento Mediamente in guerra la proporzione d'impiego sul campo tra Cavalleria e Fanteria faceva ammontare la prima al dieci per cento della seconda. Variava invece a seconda delle contingenze il numero dei cannoni e, nonostante le varie teorie, non sembra esserci stata una regola generalmente seguita per il loro impiego e la loro ripartizione in combattimento, o a seconda dei vari tipi di combattimento: ossidionale offensivo. ossidionale difensivo e campale. Del resto l'enorme varietà di calibri e la lentezza dei tempi di spostamento, messa in batteria. caricamento e sparo rendeva l'Artiglieria ancora poco versatile, benchè la sua potenza fosse già riconosciuta come una componente fondamentale del successo militare. L'evoluzione dell'artiglieria è forse uno degli aspetti di maggiore interesse nell'evoluzione tattica del Secolo XVI. TI Cinquecento si apre infatti con un uso ancora rudimentale dell'Arma, evolve rapidamente dopo la battaglia di Ravenna, in cui l'apporto determinante è quello dato dai cannoni da campagna, usati come tali per la prima volta, e termina con un impiego sempre crescente dei pezzi di vario genere, tanto in mare quanto in terra. A sua volta l'evoluzione tecnica e tattica dell' Arma coi suoi letali effetti determina quella delle altre due. La Fanteria impara a sue spese - e lo si vede a Pavia - quanto poco le servano le picche davanti ai cannoni. La Cavalleria comprende di non poter ignorare l'Artiglieria e di doverla considerare una nemica pericolosa almeno quanto la Fanteria


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lll) La strategia, i comandanti e la rattica

Conlrariamenle a quanto si pensa di solito la strategia era ben conosciuta dai capitani del Rinascimento; solo che rararmente era teorizzata e ancor più di rado era codificata in testj scritti e stampati. L'andamento delle guerre del Cinquecento dimostra a sufficienza come ogni scelta venisse non solo ponderata attentamente in base agli obiettivi fissati al principio della campagna, ma considerata anche in relazione a quanto era noto dell'andamento politico-militare della guerra. Compatibilmente colla lentezza dei corrieri, le decisioru prese erano raramente sbagliate e, il più delle volte, la campagna o la guerra venivano perse non per incapacità dei comandanti. ma per maggior potenza o miglior addestramento dell'avversario. Del resto era ovvio che fosse cosl perché. in un periodo in cui i comandanti erano sempre in prima linea, la selezione naturale faceva si che tra loro solo i bravi sopravvivessero e potessero far carriera.. I fortunati ed abili comandanti usciti da questa durissima scuola applicavano ogni trucco per vincere, dal!' imboscata alla corruzione e, quando avevano una buona conoscenza dei classici - fondamentale per un uomo del Rinascimento - non disdegnavano d'applicare suJ campo le nozioni apprese. Ne è un esempio la manovra dei Fiorentini contro i Senesi a Marciano il 2 agosto del 1554: scontro di cavalleria suJle ali e ili fanterie al centro. La cavalleria senese cede e si sbanda, la fanteria fiorentina ripiega attirando in avanti quella senese sulla quale, da entrambi i lati, piomba poi intrappolandola e distruggendola la cavalleria fiorentina: è Canne. Allora come in seguito il modo migliore per batlere il nemico consisteva nell'assunzione del controllo del suo territorio, cioè delle vie di facilitazione - strade, ponti. fiumi, laghi, approdi mari11imi e lacustri di buona capacità ricettiva - e dei punti fissi di presidio - castelli, città o torri - destinati a proteggerli. La loro presa di solito paraJ 1zzava l'avversario tagliandogli i rifornimenti, non tanto in viveri. perché di solito l'esercito era abbastanza piccolo - raramente più di 20.000 uomini - da poter sopravvivere per una campagna gr.uie aJJe risorse del territorio, nè in denaro - perché bastava prendere e saccheggiare una città per tacitare i soldati - quanto in ripianamenti dj parti di ricambio - corazze e lame - armi da fuoco, muniLioni e. soprattutto, cavalli e complementi. Per questo motivo una guerra, dal tardo Rinascimento e più o meno fino al periodo svedese della Guerra dei Trent' Anru. cioè fino al 1629, era caratterizzata da una sequela apparentemente infinita di assedi, contornati da scorrerie nelle campagne e molto raramente da grandi battaglie campali. Del resto la battaglia campale era quasi sempre una soluzione definitiva della campagna, se non della guerra. La scarsa abitudine allo scontro di grandi proporzioni e La ridotta mobilità dei combattenti appiedati e delle salmerie, colla conseguente difficoltà dì ~ganciamento determinavano la necessità di vincere o morire. Ragion per cui di solito i due e!>Crciti si affrontavano senza esclusione di colpi finchè uno veniva distrutto più o meno completamente dalJ•altro.

IV) La "traccia italiana": gli ingegneri militari italiani e l'Europa

Tutti gli elementi citati finora impressero all'arte della guerra un carattere nuovo. La cosiddetta "Rivoluzione militare" 1 del XVI secolo s'imperniò sul! 'accelerazione del classico duello fra difesa ed offesa - arma e corazzatura - grazie allo sviluppo dell'artiglieria e a quello, conseguente, delle fortezze, sviluppo in cui gli ltaJiani svolsero il ruolo principale. L'uomo rinascimentale italiano considerava ogni aspetto del conoscibile come parte d'un tutto armonico e della verità cosmologica. Correlando le sue conoscenze, sempre tenendole 1 li primo a parlare delrevoluz1one militare - tecnica, tattica ed organica - verificatasi fra il XVI ed il XVIII secolo come cli una ··Rivoluzione militare"' fu Geoffrey Parker nel 1955.


LL CINQUECENTO

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presenti come aspetti di una sola globalità, egli era al tempo stesso matematico, architetto, pittore, scultore, musicista, poeta e inventore. E ogni branca del suo scibile si rifletteva sulle altre, arricchendole ed innovandole di continuo. Ecco aUora Michelangelo trasformarsi senza il minimo sforzo da architetto in pittore e, nel 1530, in ingegnere militare per la Repubblica di Firenze. Ecco Leonardo fare la medesima cosa - e prima di Michelangelo - per Cesare Borgia, dedicandosi pure aUo studio di nuove armi e macchine militari. Ma ad esse l'ancora ridotta capacità tecnica del XVI secolo non diede attuazione, mentre invece l'applicazione dell'ingegno rinascimentale italiano alle fortificazioni determinò la loro fonna per oltre due secoli, forma che sarebbe restata immutata fino a Vauban. È impossibile calcolare il numero di architetti, geometri e semplici capimastri e muratori italiani sparsi per l'Europa come apostoli della nuova tecnica della fortificazione. Quello che si sa è che i primi cambiamenti nelle strutture murarie nacquero in Italia. Ci si era accorti della potenza distruttrice dell'artiglieria; bisognava rimediare: si calcolò, si fecero attente osservazioni e si procedè lentamente alle innovazioni. Le mura si abbassarono e divennero oblique e molto più spesse, in modo da sfuggire al fuoco dei cannoni e offrire al loro tiro una maggior resistenza. Nacque il bastione - fa vera novità dell'arte ossidionale dell'epoca moderna - e la struttura delle fortificazioni venne attentamente studiata, sia per opporre a! nemico il massimo risultato difensivo col minimo sforzo in termini di consistenza del presidio e dei pezzi, sia per consentire un movimento ottimale di uomini e mezzi aU'intemo della cinta difensiva. La fortezza diventò quindi molto meno rilevata sul piano di campagna e fu circondata da opere esterne. Erano destinate a rompere l'impeto dell'attacco avversario frazionandolo in una lunga serie di piccoli assedi preliminari, necessari allo svolgimento di quello vero e proprio. In più la fortezza fu dotata di bastioni - ecco la novità - e assunse una forma pentagonale stellata, perché la si riconobbe per quella ottimale. Generalmente si attribuisce a Giuliano da Sangallo l'introduzione del bastione, fissandola al 1520 - il primo esempio è appunto eretto a partire dal 1519 a Civitavecchia - ma le fortificazioni medicee di Volterra presentano già alcuni elementi di bastionatura. Ad ogni modo lo schema classico della fortificazione rinascimentale venne fissato nella seconda metà del secolo XVI dall'urbinate Francesco Paciotti - forse il miglior architetto militare del suo tempo coUa realizzazione deUa cittadella di Torino fra il 1564 ed il 1568. Rapidamente lo schema italiano si diffuse in tutta Europa. Gli ingegneri militari vennero chiamati in tutte le corti con onorari altissimi; e le fortezze, di stile italiano perché più moderne e imprendibili, sorsero dovunque. Anversa, Parma, Vienna, Gyor, Karlovac, Ersekujvar, Breda. Ostenda, S'Hertogenboscb, Lione. Charleville, La Valletta. Amiens portarono alle stelle lo stile e la fama di Giuliano da Sangallo, Francesco Paciotti, Pompeo Targone, Gerolamo Martini e altri meno noti, diffondendo uno stile e una cultura in tutto il continente.

V) Machiavelli: teoria della politica, delle miJizie e della guerra

Non altrettanta applicabilità deUe tecniche costruttive ebbero le idee degli italiani in materia d'organica. n più discusso dei teorici militari italiani d'allora fu Machiavelli. Ottimo politico, non fu altrettanto bravo come teorico militare; e lo ricordiamo principalmente perché era Nicolò Machiavelli. Il "segretario fiorentino" si occupò a lungo di questioni militari scrivendone in varie opere. Ne parlò nel "Principe". nei "Discorsi sopra la prima decadi Tito Livio e, soprattutto, nel "Dell'arte della guerra", compiendo continui raffronti fra il periodo in cui viveva e l'antichità e s'interessò anche alle fortificazioni ed agli alloggiamenti, concependoli come un complemento della vita e dell'organizzazione delle truppe.


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L'opera in cui si diJungò maggiormente sulle questioni militari fu la terz.a di quelle su elencate. In essa trattò del reclutamento, dell'ordinamento e dell ' istruzione, dimostrando come fosse più vantaggioso disporre di milizie nazionali di leva. A forz.a d' insistere e di scrivere, alla fine riuscì ad ottenere dalla Signoria di Firenze la costituzione di un esercito secondo i suoi dettami e l'incarico di stabilirne l'ordinamento, che basò sulla Legione. Fu pure commissario alle fortificazioni a Pisa. dove fece erigere la fortezz.a sull'Amo; ma alla caduta della Repubblica, i Medici lo privarono delle sue cariche, lo confinarono e l'incarcerarono per un breve periodo. Solo Clemente VIl gli diede altri incarichi di natura militare a Firenze e nelle Romagne, mai però operativi. li primo, e in pratica l'unico, a seguire le teorie di Machiavelli riguardo all'organica militare fu Giovanni de' Medici coll'organizzazione de lle Bande Bianc he, mutate in Nere dopo la morte dello zio Leone X. Le Bande Bianche, così chiamate dalla fascia bianca indossata come distintivo, erano soggette ad una ferrea discipli na e s'ispiravano all'ordinamento legionario ipotizzato da Machiavelli. La loro forza era di 6.000 fanti e 300 cavalieri: metà cavalleggeri e metà uomini d'arme. I fanti erano articolati in dodici bandiere di 500 uomini l'una ed ogni bandiera a sua volta era suddivisa in cinque centurie ripartite in dieci squadre. La novità delle Bande Bianche rispetto alla teoria di Machiavelli. stava nell'istituzione di una fanteria trasportata a cavallo. Un parte dei cavalleggeri era infatti addestrata a portare dietro di sé, sulla groppa del cavallo. un fante armato di scoppietto. La morte di Giovanni delle Bande Nere e il crollo della Repubblica fiorentina davanti alle truppe di Carlo V troncarono qualunque ulteriore applicazione delle idee militari di Machiavelli, che rapidamente caddero nell'oblio. Soltanto due secoli e mezzo più tardi se ne riparlò diffusamente, quando Federico il Grande di Prussia le criticò a man salva nel suo "Antimachiavelli", in cui, oltre aJl'accusa d'immoralità politica, tacciò il Segretario fiorentino d'incompetenza, militare derivata da!Ja troppa erudizione libresca e dalla assoluta mancanza di pratica.

VI) Eqnipaggiamento ed nnifo rmi

Un altro aspetto della rivoluzione militare fu la progress iva adozione di equipaggiamenti omogenei. Il principio fu appunto ne l XVl secolo e riguardò non tanto le armi - l'omogeneità delle quali era forzatamente limitata dalle capacità tecniche ancora ridotte - quanto l'aspetto dei militari. L'introduzione di vestiario uniforme almeno a livello di compagnia è documentata da fonti iconografiche del tempo. Esistono infatti rappresentazioni pittoriche - su tela o su muro - di soldati vestiti tutti nello stesso modo a seconda delle compagnie. Per esempio, nel quadro che rappresenta l'imbarco della fanteria veneziana sulle galere in partenz.a per la guerra di Lepanto nel 1571. conservato nel Museo Storico Navale di Venezia, i soldati sono tulli uguali, sia per il taglio che per i colori degli abiti, oltre che per le armi. In un affresco conservato della bas ilica di San Pietro a Tuscania, che rappresenta una processione papale del 1583 o·anno è indicato sull'affresco) i soldati banno tutti lo stesso abito, cogli stessi colori: rosso e giallo; e in un altro affresco, nel chiostro del Museo Nazionale Etrusco sempre di Tuscania, sono dipinti dei soldati cinquecenteschi tutti vestiti ugualmente di bianco con mostre rosse. E lo " ..testimoniano - tra l'altro - queste istruzioni di Marcantonio Colonna ai suoi capitani in previsione della campagna che avrebbe visto milleseicento fanti pontifici imbarcati sulle galere vittoriose a Lepamo. .. .per gli archibugeri «morione alla modema.fiaschi per la polvere di velluto grande et belli quanto sia possibile, et che tutti gli archibugi siano a miccia et de buona munitione, come volgarmente se dice alla spagnola».


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Per gli alabardieri «che li dieci corsaletti siano buoni et aggarbati, alla moderna. Et le alabarde tutte di velluto in asta et chiodate .... I capitani ... procureran ancora che li soldati abbino li calzoni di velluto per quanto possibile, e di panno. Et le borricchi et pesse al/i lati alla francese. Et col giubboni che siano buoni. Et con un poco di bombace. Perchè ancorchè sia d'estate, in galerafàfreddo" i_

VII) I piratj contro l'Italia Le truppe del '500 dovevano spesso combattere pure per respingere le incursioni dei pirati, che imperversavano endemicamente in tutto il bacino mediterraneo fin dal tempo dei Fenici, in particolare intorno all'Italia. Generalmente provenjvano dalle Reggenze Barbaresche di Tripoli, Turusi e Algeri ed erano al ru fuori cli qualsiasi autorità o gerarchia, pur se in teoria, almeno fino alla metà del XVill Secolo, si riconoscevano sudditi del Sultano di Turchia. Accanto ai pirati mussulmaru ne esistevano però anche dalmati, i famjgerati Uscocchi, o europei, basati di solito nei porti degli Stati cristiani, in particolare della Francia. Le scorrerie e le catture di navi civili e militari servivano a irnpadronirsj sia di merci sia di prigionieri, che potevano essere subito messi al remo o venduti come schiavi a prezzi piuttosto alti, proporzionati al rango, all'età ed al sesso. Le Reggenze avevano infatti un'economia prettamente agricola i cui prodotti, di solito, non trovavano sbocco sui mercati internazionali. E poichè abbisognavano sia dj armi e munizioni, prodotte solo in Europa e , in m.iruma parte, in Turchia, sia di merci di lusso o prodotti finiti di prima necessità, anch'essi proveruenti dall' Europa, da pagare in contanti, la cattura ed il commercio, o il riscatto, degli schjavi, consentiva un enorme introito di valuta, reimpiegata appunto nell' acquisto dei beru europei necessari. Per il successo della scorreria era determinante la sorpresa e, per questo, i legni corsari adottavano la tattica degli agguati, occultandosi in calette ed anfratti della costa, o nei canali e negli stretti degli arcipelaghi, attendendo a lungo il momento più propizio per aggredire la preda. Era qwndi necessario dotarsi di imbarcatioru di pescaggio e dislocamento ridotto, in modo da avere una buona velocità e potersi avvicinare al massimo a terra, occultandosi alla vista e sottraendosi alla caccia da parte dei grandi e meglio armati legni da guerra. Per lo stesso motivo, le marine militari mediterranee in generale, ed italiane in particolare, si evolsero in modo diverso da quelle occankhe. Invece di dotarsi dei grandi vascelli atti al trasporto di grandi quantità di uomini e materiali e capaci di reggere alla tempeste dei lunghi viaggi per l' America e l'Asia, si orientarono verso navigli leggeri, buoni per la ricognizione ed il pattugliamento sotto costa e in grado d'ingaggiare il nemico su qualsiasi fondale, per basso che potesse essere. E poiché il pattugliamento poteva essere osteggiato dagli avversi elementi atmosferici, le marine mediterranee, di tutte le naziona]jtà, rimasero sempre articolate su due tipi di navi che, secondo la nomenclatura veneziana, erano definite Squadre Leggere e Squadre Pesanti e che a Napoli erano indicate più esplicitamente come squadra delle galere e squadra delle navi rea]j, cioè dei vascelli.

VIII) Le squadre delle galere e quelle dei vascelli Le prime erano costituite dai legru a vele latine e remi, Galere. Galeazze , Mezze Galere, Galeotte e via dicendo; le seconde comprendevano le navi a vele quadre.

i Rip. in BoERJ, CROCIANI, PAOLETil. ·' Uniformi delle marine militari italiane del Seicen10 e Settecento", Roma, SMM-Procom, 1995, pag. 54.


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GLI ITALIANI IN ARMI

La distinzione era sia strumentale che operativa, poìchè le galere, alla cui squadra di solito appartenevano anche gli sciabecchi e i legni non a remi ma a vele latine, erano impiegate prevalentemente per la navigazjone costiera, mentre ai vascelli toccava quella d"altura. Le Squadre Leggere si articolavano su una o piil squadre, nel cui ambito si avevano le galere Reale, o più brevemente Reale, che era la più importante e la prima della squadra, Capitana e Padrona, rispettivamente la seconda e terza della medesima squadra2. n loro vantaggio consisteva. grazie ai remi, nel potersi muovere con o senza vento ad una velocità tanto elevata da essere competitiva e, talvolta, superiore a quella delle Squadre Pesanti. L'equipaggio comprendeva: la ciurma, cioè i rematori, criminali condannati, prigionieri di guerra, in massima parte mussulmani, e volontari detti "Buonavoglia"; i marinai veri e propri, addetti alla manovra; gli ufficiali, sottufficiali e militari semplici sia di marina che delle truppe da sbarco. costituite da reparti di fanteria dell'esercito, o di fanteria di marina vera e propria ed erano impiegate tanto nei combattimenu navali ravvicinati quanto negli sbarchi. I vascelli avevano invece bisogno di un maggior numero di marinai per la manovra, ma godevano d'una maggiore auconomia alimentare, non limitata ai soli 4-7 giorni delle galere, poichè non dovevano nutrire i rematori. Potevano inoltre imbarcare più cannoni e di maggior calibro e un più consistente nerbo di truppe da sbarco. Restava il fatto che le Squadre Leggere erano considerate migliori da impiegare e, per questo motivo, non solo godevano la precedenza su quelle pesanti, ma in cene Marine, come quella Pontificia, erano le uniche esistenti. Gli Stati italiani piil colpiti dalla pirateria furono senza dubbio i tre regni di Napoli, Sicilia e Sardegna, seguiti a ruota dallo Stato della Chiesa e dalla Repubblica di Venezia: ma mentre i primi quattro vedevano delle pesanti e frequenti incursioni sulle proprie coste. la quinta era danneggiata nella navigazione commerciale o nei propri domini in Levante. Dall'inizio del XVI secolo la pirateria ebbe una crescita spaventosa a cui solo la vittoria di Lepanto mise un freno, per di più nemmeno tanto robusto. Le campagne navali servivano a poco e, per questo, gli Stati più colpiti ripiegarono sulle difese statiche terrestri impiantando reti di avvistamento. articolate su torri armate con cannoni e integrate da reparti cli fanteria e cavallena. Tanto per fare un esempio, nella seconda metà del Cinquecento il vicerè di Napoli Pedro Afan de Rivera avrebbe ripartito oltre 8.000 uomini nelle 13 piazze meridionali più minacciate, 11 delle quali pugliesi, sempre con risultati non definitivi. Nel XVII Secolo invece la situazione sarebbe cambiata lievemente e si sarebbe assistito ad un crescendo di incursioni identiche a quelle piratesche, ma effettuate contro i domini ottomani dagli Italiani, specialmente degli ordini monastico-cavallereschi di San Giovanni di Gerusalemme - cioè di Malta - e di Santo Stefano, con un consistente apporto pontificio. Ma sarebbe servito solo a risarcire in parte i danni della pirateria, testimoniando come l'incapacità di arrestarla fo!>l>C una conseguenza indiretta dello stato di frantumazione e sudditanza in cui versava la penisola italiana dal principio del XVI secolo.

2 Eventuali altre galere prescnii venivano indicate scmpliccmenlc come sensili - o scnsigl,c - o dal nome del capitano o con quello della cinà che le aveva a.n nate. o "galere.. senza altri appellativi specifici.


CAPITOLO II

LE RADICI DEL MALE: IL PRIMO '500

I) Carlo VIII e la Lega l taJica: 1494 -1495

L'inizio dei guai e della fine dell'indipendenza italiana si ebbero quando Ludovico il Moro. signore di Milano, chiese appoggio a Carlo Vlil di Valois, re di Francia perché si sentiva minacciato dagli altri signori italiani. in particolare dal re di Napoli Alfonso d'Aragona. Ai primi di settembre del 1494 Carlo vm passò il Monginevro ed entrò in Italia. Il suo esercito non era enorme, circa 30.0001 uomini e 150 cannoni, ma contava su una buona organizzazione, specie nell'impiego coordinato e centralizzato dell'artiglieria, e sulla qualità delle fanterie svizzere. Distrutta a largo di Rapallo la flotta aragonese di Napoli e fatta una breve diversione verso il Ducato di Milano, i Francesi scesero verso Firenze appoggiati dalla flotta genovese. Preso il castello di Mordano e costretto l'esercito napoletano del Duca di Calabria stanziato in Romagna a retrocedere verso sud, si aprirono completamente la via dello Stato fiorentino da est e avanzarono su due direttrici. La prima proprio lungo la Romagna; la seconda. percorsa da Carlo VITI con 8.000 cavalieri e 4.000 fanti, per Pontremoli verso Firenze. Saccheggiati i paesi che tentavano di opporsi, i Francesi giunsero alle porte dello Stato mediceo circondati da un'atmosfera di paura. Piero de· Medici, spaventato, consegnò a Carlo VITI le fortezze di Sarzana, Sarzanello, Livorno, Pisa e Pietrasanta - le principali a sbarrare il passo verso Firenze - e s'impegnò a pagargli 200.000 ducati. I Fiorentini si infuriarono e proclamarono la Repubblica. Ad essa Carlo chiese alteramente il passaggio, mentre Pisa approfittava del suo arrivo per ribellarsi alla sudditanza impostale al tempo del Magni.fico. seguita presto da altre città del dorni1ùo mediceo. Inattivo era anche il Papa, salvo una mezza resistenza di Cesare Borgia a Orvieto contro le avanguardie francesi, come del resto il Re di Napoli, il quale sperava nell'intervento del parente, Ferdinando d'Aragona re di Spagna. U risultato fu che Carlo, dopo aver deciso che era meglio trattare coi Fiorentini anziché combatterli, entrò a Roma, vi svernò mentre, per non incontrarlo, papa Alessandro VI si chiudeva in Castel Sant' Angelo e, ottenuto alla fine il libero passaggio per lo Stato Pontificio, puntò su Napoli. Dopo una breve resistenza incontrata in febbraio alla Rocca di Monte San Giovanni, i cui difensori furono tutti uccisi, il Re Cristianissimo sbaragliò a San Germano sul Garigliano le 50 squadre a cavallo ed i 6.000 fanti del re Ferdinando, entrò a Napoli e detronizzò la dinastia aragonese. Ciò fece muovere Venezia Vecchia avversaria del Moro, paventava un successo del cli lui alleato, ormai del tutto incontrollabile, e il 31 marzo stabill una Lega Italica che durasse 25 anni. Accortisi che Carlo era troppo forte e rischiava di divenire il padrone della Penisola, aderirono il Papa, il Re di Napoli e lo stesso Ludovico il Moro, ai quali si unirono i due sovrani

1 Erano 15.000 uomini d"arme e scudieri, 8.000 archibugieri guasconi, 6.000 alabardieri svizzeri e 1.500 arcieri.


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GLI ITALIANI IN ARMI

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Ba11aglia di Fornovo del 6 luglio 1495


rL CLNQUECENTO

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stranieri con possessi in Italia, cioè Massimiliano d'Asburgo e Ferdinando il Cattolico dì Spagna, che inviò un esercito al comando del suo Gran Capitano Consalvo di Cordova. Questi cominciò a combattere i Francesi nel Regno di Napoli, inducendoli ad unà rapida ritirata e si rrovò quindi a dover eliminare solo le ultime sacche filofrancesi rimaste nel Regno, rappresentate dai castelli di Sora, Arei, Arpino e Rocca Guglielma, appartenenti ai Della Rovere.

Il) Il battesimo del fuoco d'Andrea Doria Rocca Guglielma era la chiave della difesa confinaria e, presidiata da 400 fanti e 25 balestre, era stata affidata a un giovane capitano ligure sconosciuto, non ricco ma di ottima famiglia e alla sua prima esperienza di guerra: Andrea Doria. Si difese tanto bene da ottenere prima una tregua, poi la fine dell'assedio e infine una buona fama di uomo d'armi; anche se nei secoli seguenti ci si sarebbe dimenticati che uno dei migliori ammirag(j itaua:ni aveva cominciato la sua carriera come fante. Ma non erano questi piccoli successi che potevano giovare alla causa francese, specie quando nel seguente 1496 anche il re d'Inghilterra Enrico VII si unì alla Lega. peggiorando la situazione di Carlo, il quale, vista l'opposizione incontrata scendendo a sud e la poca simpatia trovata a Napoli, tornò rapidamente sui propri passi.

ill) Fornovo

Le truppe della Lega - 40.000 uomini e 20 pezzi d'artiglieria - decisero di sbarrargli la strada lungo il corso del Taro, presso Fornovo, nella prima settimana di luglio del 1495. Il grosso era composto dalla milizie veneziane, comandate dal marchese di Mantova Francesco Gonzaga, alle quali si erano uniti un piccolo contingente milanese del Conte di Caiazzo ed un altro bolognese agli ordini del Bentivoglio. Gonzaga attese il nemico, ridotto a circa I0.000 uomini 2 e 42 pezzi, nella bassa valle del Taro. Il primo scontro vide gli stradiotti veneziani respingere l'avanguardia francese; ma poiché Fornovo era stata abbandonata dai difensori, Carlo VIll poté entrarvi il 5 luglio. La mattina del 6 I'esercito francese passò il greto del fiume e cominciò a sfilare sulla destra lungo la collina di Medesano. Gli Italiani lo colsero in crisi di movimento: ma tra il fiume ingrossato che impediva il passaggio dei rinforzi e la defezione degli stradiotti veneziani, buttatisi al saccheggio delle salmerie nemiche, non riuscirono a prevalere. La mattina dell'8 Carlo Vlll, vistasi rifiutare una tregua, si mosse verso la Francia, inseguito lentamente dall'esercito della Lega, al quale comunque lasciò un bottino valutato oltre 300.000 ducati. Nonostante quel che si disse all'epoca cantando vittoria a pili non posso, le truppe italiane non avevano vinto, pili per scarso coordinamento che altro. ln un quarto d'ora di scontro e tre quarti d'ora di ritirata di Carlo Vlll circa 2.000 italiani e 1.000 francesiJ erano rimasti sul terreno, anche se i primi avevano inflitto tali e tante perdite ai secondi da indurli ad accelerare la ritirata verso la Francia. Fornovo ebbe di notevole una cosa. Fu forse la prima volta che si disse di combattere "per l'onore d'Italia", o "per la libertà d'Italia". Il concetto nazionale era in stato ancora embrio-

2 Cioè 800 lance francesi - 2 .400 uomini - 200 cavalieri della guardia del Re, 100 lancieri e 3.000 svizzeri di Trivulzio, altrettanti Guasconi e un paio dj migliaia di Italiani. 3 Come sempre. i dati divergono sulle perdite, andando da I00 a 1.000 francesi e da 1.500 a 4.000 ita-

liani.


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nale, ma comunque identificabile con certezza. Era la prima volta che l'identità comune degli Italiani si trasformava da culturale in politica e militare. Purtroppo l'assen1..a di Firenze e lo scontro degli opposti interessi particolari non consentirono di avviare un processo d 'integrazione fra i vari Stati. Era difficile a quel tempo immaginare qualcosa di diverso da uno Stato unitario e ceotraliZ7,ato e nessuno voleva perdere il potere di cui disponeva. Nè era ipotizzabile una forma federale, visto che la sola Federazione esistente in quel momento, la Svi21..era, aveva dei caratteri inapplicabili a.Ila realtà italiana. Gli opposti interessi si manifestarono subito. Firenze era filofrancese. ma soprattutto era decisa a mantenere il dominio su Pisa, per avere uno sbocco serio sul mare. Poiché però sia i Veneziani che i Milanesi erano interessati a sostenere Pisa per appropriarsene, non poteva unirsi alla Lega senza perdere la città; ma d'altra parte non aveva neanche intenzione di appoggiare Carlo, al quale. più o meno direttamente, Pisa doveva la libertà in quel momento. Venezia pensava ad espandersi sia impegnandosi con Ferdinando d'Aragona re di Napoli a «wor in protetio11e l'ditto Re e /'s110 Regno»• in cambio dei porti pugliesi di Otranto. Brindisi e Trani, sia accogliendo la richiesta di protezione di Astorre Manfredi, signore di Faenza. Davanti a questa complessa situazione ognuno pensò a sè. La Spagna concluse un armistizio separato con la Francia nel novembre del 1497; e Ludovico il Moro cominciò a cercare qualche altro straniero da impiegare contro il crescente potere della Serenissima e contro il pericolo di un ritorno francese, visto che nel febbraio del '98 Carlo Vll1 si preparava a scendere di nuovo in Italia io cOOpera7iooe col duca Filiberto li di Savoia. Ma roperazione, preceduta dalla conquista di Novi e di altre località delrAlessandrino in gennaio, sarebbe poi sfumata per la morte di Carlo Vlll, avvenuta il 7 aprile 1498 in Francia.

IV) La guerra baronale del 1496 e il ritorno dei Francesi Nel frattempo il papa Alessandro VI aveva cominciato a consolidare il vacillante potere pontificio con una campagna per sottomettere i feudatari romani ribelli. Il 27 agosto 1496 un forte esercito era uscito da Roma e si era diretto verso nord per togliere agli Orsini i loro castelli. Per la fine di settembre ne erano stati presi una decina, ma restavano quelli che guardavano il lago di Bracciano: Angu illara. Trevignano e Bracciano. Le loro guarnigioni erano estremamente deboli e non superavano la forza d'una bandiera, molto male in arnese, al comando del quarantunenne umbro Bartolomeo d' Alviano. Anguillara spalancò le porte ai Pontifici alla prima intimazione di resa; Trevignano rifiutò d'arrendersi e fu rasa al suolo; Bracciano venne difesa ottimamente da Bartolomeo che, sostenuto da scarsi rmforzi mandatigli da Carlo VJII e guidati da Vitellozzo Vìtelli, riuscì a battere il nemico, catturandogli la maggior parte dei cannoni e delle bandiere. Per fortuna di Alessandro V1 arrivarono da Napoli le truppe spagnole di Consalvo di Cordova che, presa Ostia ai De lla Rovere. si diressero verso Bracciano, convincendo gli Orsini a cedere al Papa le fortezze di Cerveteri ed Anguillara e 50.000 scudi d'oro. In Francia intanto la morte di Carlo non aveva mutato la politica italiana dei Valois. Infatti Luigi XII stava preparando diplomaticamente il rientro nella penisola, rendendosi benevola l'Inghilterra in giugno e mutando, in agosto, in un trattato di pace l'armistizio firmato l'anno prima colla Spagna. Nel marzo del ·99 neutralizzò gli Svizzeri, alleandoseli approfittando della guerra in cui si trovavano contro Massirruliano d'Asburgo ed onenendonc il permesso d'arruolare fanterie. Il mese dopo raggiunse, col trattato di Blois. l'alleanza con Venezia contro Milano in cambio di i Rip. in GIOACCHINO VolJ'I:-.. voce ··JtaJia·· in Enc. Ila Voi. XIX, p. 853.


IL CINQUECENTO

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Cremona e di territori sull'Adda. In maggio concesse a Cesare Borgia il ducato di Valentinois - per cui Cesare sarebbe stato poi spesso chiamato "il Valentino" - le nozze con una d' Albret e l'appoggio militare per la riconquista delle Marche e della Romagna, ottenendo cosi il favore del papa Alessandro Vl Borgia. L' obiettivo principale della campagna questa volta era Milano, perché si era imparato dall'esperienza che, militarmente parlando, e specialmente in mancanza di una flotta. se si voleva avere il Regno di Napoli, bisognava controllare fermamente la Pianura Padana e i valichi alpini. Luigi assunse quindi il titolo di duca di Milano e, il 15 luglio 1499, il suo comandante Giangiacomo Trivulzio entrò nel Ducato. li 13 cadde Rocca d'Arazzo, l'indomani Incisa, il 19 Annone. Alessandria fu aggirata ma neutralizzata prendendo i paesi circostanti e la mossa obbligò le truppe milanesi di Galeazzo Sanseverino a uscire dalla città per ripiegare su Milano. Tutto l'esercito ducale venne allora spostato a ovest per opporsi all'invasione francese; e i Veneziani ne approfittarono per attaccare da est. Il 28 agosto presero Caravaggio, poi Soncino e Treviglio e raggiunsero Lodi. Il 2 settembre il Moro fuggì a Como, mentre le truppe francesi entravano a Milano la sera dello stesso giorno facendo capitolare la cittadella. Ludovico era alleato con Massimiliano d ' Asburgo ma. perdurando la guerra fra Austria e Svizzeri, non ne ricevè alcun soccorso fino a quando non fuggì nei suoi Stati dove ebbe ospitalità e aiuti militari e finanziari. Saputo che l'occupazione francese aveva cessato rapidamente d'essere benvista dai Milanesi e che c'erano state delle rivolte, tra le quali particolarmente forte quella del 28 ottobre, quando «il populo, visto che non li era observato quanto li hera stato promesso, se levò a romor cridando: Moro, Moro»ìi, Ludovico marciò contro i Francesi alla testa di 8.000 svizzeri. Nel gennaio 1500 occupò Chiavenna e Como e il 5 febbraio rientrò a Milano; ma terminò i soldi e fu abbandonato dai suoi mercenari, mentre Trivulzio si rinforzava di giorno in giorno con truppe, armi c denaro in arrivo dalla Francia. Finl che al momento dello scontro i soldati del Moro si rifiutarono di combattere e i mercenari Svizzeri lo tradirono e lo consegnarono al nemico. «Confesso ho fatto gran male all'Italia, ma l'ho fatto per conservarmi. L'ho fatto malvolentieri» iii avrebbe detto Ludovico. Non aveva nemmeno la più piccola idea di che disastro avesse combinato e di quanti secoli e centinaia di migliaia di morti sarebbero occorsi per riparare alle conseguenze delle sue ambizioni. Intanto Luigi Xli, liberatosi dell'avversario milanese, ritenne di poter scendere alla presa di Napoli. Del resto l' impresa appariva facile, perché nel novembre 1500 gli Aragonesi di Spagna e i Valois si erano alleati per spartirsi il Regno. Il trattato stipulato a Granada andava a tutto vantaggio della Spagna, poiché le concedeva Puglia e Calabria, pur lasciando il resto alla Francia, che su.lle terre meridionali d'Italia non poteva vantare alcun diritto. In apparenza Consalvo di Cordova arrivava a Napoli come difensore degli interessi del nuovo re Federico; ma quando, ottenute le fortezze napoletane, si rivelò alleato dei Francesi. fu la fine della locale dinastia aragonese.

V) La posizione veneziana: 1498 - 1513

La preponderanza straniera in Italia cominciava ad essere ormai una questione di bilanciamento tra Francia e Spagna per tutti gli Stati italiani coll'eccezione di Venezia. Viste da Palazzo Ducale, le cose erano molto più complesse e pericolose di quanto non fossero per il resto della penisola, perché i nemici non erano due ma quattro. All 'inimicizia franco-spagnola an-

ii Rip. in C. CATALANO, «Dall 'equilibrio alla crisi italiana del Rinascimento», in «Storia d' Italia», Torino, UTET, 1965. voi. 2, p. 191. iii Rip. in G. SASSO, «L'Italia del Machiavelli e l'Italia del Guicciardini», in «Storia» cit., idem, p. 197.


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davano infatti aggiunte due entità minacciose che premevano daJ nord-est e dal sud-est e pote- vano unire e coordinare le proprie forze di volta in volta a quelle dei Valois e degli Aragonesi. li primo pericolo era Massimiliano d'Asburgo, consuocero di Ferdinando il Cattolico. Gli Asburgo erano padroni del Trentino, dell'Alto Adige, del FriuJi e di parte del retroterra istriano-dalmata e cercavano lo sbocco al mare e il riacquisto della supremazia effeuiva sui feudi imperiali d'Italia. E per riuscirci dovevano superare l'ostacolo del territorio veneziano in Veneto e in Dalmazia. L'altro pericolo era l'espansione turca. Dopo la caduta di Costantinopoli l'Islam aveva esteso i suoi tentacoli nei Balcani e stava inglobando il Mediterraneo Orientale. Se i Turchi si fossero limitati a risalire il Danubio e l'entroterra adriatico la cosa sarebbe stata seccante, ma non troppo, poichè avrebbero minacciato le terre della corona d'Ungheria, obbligando gli Asburgo a sostenerla distogliendo denaro e uomini da eventuali azioni in Italia, a tutto vantaggio della tranquillità della Serenissima. Ma gli Infedeli avevano assalito anche i domini veneziani del Levante; e un primo conflitto si era già concluso negli anni '70 con una loro sostanziale vittoria. Venezia aveva poi risposto accaparrandosi Cipro. La situazione nel Mediterraneo era quindi tornata in parità; ma Venezia non poteva reggere se disperdeva le proprie forze impiegandole contro tutti e quattro i nemici contemporaneamente. Occorreva stabilire le priorità; e fu fatto. Poichè la vita della Repubblica dipendeva dal commercio del Levante, Lo sforzo maggiore sarebbe stato esercitato là, contro i Turchi. AL secondo posto sarebbe venuta la difesa annata del Veneto Dominio di Terraferma e del resto del territorio nei confronti deU 'Austria; ultima, affidata alla sola diplomazia, l'azione contro le potenze maggiori - Francia e Spagna - contro le quali non ci si poteva impegnare senza l'aiuto degli altri [taliani. U trattato di Blois del 1498 segnò il principio di questa strategia. Tutte le risorse vennero concentrate contro La minaccia mussulmana e scoppiò la guerra, prettamente navale, per controllare le rotte del Levante. Purtroppo la flotta pubblica4, malamente condotta dal Capitano Grimani, venne sconfitta a Pono Longo il 12 agosto 1499; nè il resto della guerra consentì qualcosa di più d'un mantenimento delle posizioni. La coalizione europea formatasi contro di lei, obbligò poi La Repubblica a chiudere a qualunque costo le ostilità contro i Turchi nel 1503; e la pace sarebbe rimasta formalmente in vigore fino alla sfortunata azione congiunta delle flotte cristiane nel 1538.

VI) La prima e la seconda campagna di sottomissione dei feudi della Santa Sede: 1499-

1500 L'altra grande potenza indipendente d ' Italia, la Santa Sede, stava intanto proseguendo l'eliminazione delrautooomia dei suoi feudatari. Assicuratosi il predominio sul Lazio, Alessandro VI Borgia approfittò infatti dell'arrivo in ltalia di Luigi XU e, il 1° ottobre 1499, dichiarò decaduti dalle investiture feudali i signori di Rimini, Pesaro, Imola. Faenza. Forll, Camerino e Urbino. Nominò suo figlio Cesare capitano generale delle milizie pontificie e gli ottenne da Luigi XII 45.000 ducati per le spese della guerra. pagati coi fondi del Ducato di Milano. Cesare Borgia si mise in campagna senza troppa fatica. Imola gli apri le porte il 27 novembre, nonostante una breve resistenza della cittadella e, dopo di essa, tutte le altre piazze si arresero rapidamente, colla sola eccezione di Doccia.

4 "Pubblico" era l"aggettivo qualificativo di tutto ciò che appaneoeva alla Serenissima e non ai priva-

li cittadini.


IL CINQUECENTO

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li 17 dicembre il Valentino entrò a Forlì con 14.000 uomini e prese d'assalto la cittadella, catturando la sovrana del luogo, Caterina Sforza, che vi si era chiusa rifiutando d'arrendersi. Un mese dopo, il I 9 gennaio 1500, prese Forlimpopoli, poi interruppe le operazioni e tornò a Roma. Vi rimase fino ai primi d'ottobre del 1502, quando si rimise in marcia con 300 lance a cavallo, 700 armigeri e 14.000 fanti italiani, francesi e spagnoli. Sottomise Todi e Fossato e fece entrare nel Pesarese le sue avanguardie l' Il ottobre. La popolazione insorse in suo appoggio e la rocca di Pesaro si arrese il 21. Ora sarebbe toccato a Faenza. «lo non so quello che vorrà fare Faentia: ella ce vorrà forse far prova de tenerse?»i• si domandò Cesare: e decise di andare a vedere. Strada facendo prese Rimini e il IO novembre investì Faenza, difesa da Astorre ID Manfredi.

VIl) La terza campagna di sottomissione e Leonardo da Vinci ingegnere militare: 1501 1503

Interrotto l'assedio di Faenza per la cattiva stagione, nella primavera del 1501 Cesare Borgia lo riprese e, dopo vari assalti, il 26 aprile lo concluse. Astorre Manfredi si fidò della sua parola e gli si consegnò prigionieros. Adesso toccava a Bologna. Giovanni Bentivoglio la difendeva con 12.000 uomini, decisamente troppi, e non fu difficile trovare un accordo: cessione di Castel Bolognese al Papa in cambio della promessa di non essere più assalito in futuro. Sottomesse le Romagne e le Marche, Cesare Borgia pensò ad organizzarle e decise di farle fortificare da Leonardo da Vinci. Chiamatolo, nell'aprHe del 1501 lo incaricò di riorganizzare non solo le fortificazioni, ma anche le vie di comunicazione e gli acquedotti. «Sia libero il passo al nostro prestantissimo e dileuissimo familiare architetto et Ingegnere militare»• ordinò, lasciandogli carta bianca. E Leonardo si mise a lavoro. Smantellò e ricostruì con criteri moderni le fortificazioni di Castel Bolognese. scavò un canale da Cesena a Porto Cesenatico, rinforzò la cinta difensiva di Piombino, esaminò Orvieto ed Acquapendente, edificò le cortine degli spalti della rocca d'Urbino, progettò fontane, macchinari bellici e costruzioni per Rimini, Pesaro, Cesena e Ceri, tutto nei pochi mesi che precedettero il suo richiamo a Firenze. Nel frattempo Cesare si era rivolto al Tirreno. Aveva preso Cortona, la Val di Chiana, Anghiari, Borgo San Sepolcro e Arezzo e, accampatosi con circa 5.800 uomini6 a sei miglia da Firenze, aveva chiesto ed ottenuto dalla Signoria metà delle artiglierie cittadine per conquistare Piombino. Poi aveva stilato con essa un capitolazione di ferma e perpetua amicizia. aveva marciato su Piombino e, appoggiato dalla squadra pontificia7, l'aveva conquistata, insieme alle fortezze sulle isole d'Elba e Pianosa, rientrando poi a Roma il 13 giugno per unirsi ai Francesi in marcia verso sud.

VIll) La disfida di Barletta: 1503 Intanto, tranquHli per la garanzia delle neutralità pontificia e veneziana, i Francesi erano entrati a Napoli nel luglio 1501, incominciandovi un condominio cogli Spagnoli: ma era durato poco e si era venuti alla guerra.

iv Rip. in O. GUllRRfERl, «Cesare Borgia», Torino. Paravia, 1941, p. 179.

5 Inviato a Castel Sant Angelo, il 9 giugno 1502 il suo corpo sarebbe stato ripescato nel Tevere. v Rip. in GUERRIERI, op. cit.. p. 201.

6 Erano 4.850 fanti. 490 uomini d'arme, 290 cavalleggeri. 160 lance spezzate e balestrieri. 7 Composta da 6 galere, 3 brigantini e 2 galeoni.


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Presa la piazza di Capua, difesa da Fabrizio Colonna ed Ettore Fieramosca, le truppe di Luigi XU, coadiuvate da Cesare Borgia, s'impadronirono anche di Napoli e Gaeta, mentre il re Federico d'Aragona fuggiva. Fino al 1503 la prevalenza dei Francesi fu netta. L'alleanza con Genova dava loro una forte flotta nel Tirreno. La neutralità. anzi. l'amicizia del Papa e di Firenze, li rese padroni cli tutta la Penisola. Ma la resistenza incontrata dalle forze spagnole e italiane asserragliate a Barletta fece loro perdere tempo e vigore. La famosa disfida nacque daUa cattura del capitano francese La Motte. Condotto a Barletta dallo spagnolo Diego de Mendoza e invitato a un pranzo, dichiarò che gli Italiani erano dei traditori e dei vigliacchi e che lui e gli altri Francesi erano pronti ad affrontarli in campo se e quando avessero voluto una riparazione alle sue parole offensive. Tra le truppe spagnole militavano parecchi Italiani al comando cli Prospero Colonna. Riferitogli il discorso di La Motte la sera stessa. fu deciso di rispondere alla sfida chiedendo soddisfazione in armi. Il 13 febbraio 1503, 13 cavalieri italtani affrontarono e batterono altrettanti cavalieri francesi, disarcionandoli o mettendoli fuori dal campo del torneo, situato fra Andria e Corato. I vincitori vennero accolti trionfalmente sia dagli Spagnoli che dagli abitanti di Barletta, fra salve d'artiglieria e suono di campane e furono colmati di onori dal gran capitano Consalvo di Cordovas. Fu per i Francesi un avviso di quanto sarebbe successo cli lì a poco. Sconfitti gravemente a Cerignola da Consalvo di Cordova il 18 aprile 1503. persero la Puglia e poi Napoli. Il 12 giugno 1503, Pedro Navarro, comandante delle truppe spagnole che vi assediavano i Francesi. fe. ce brillare una mina sotto le mura del Castel Nuovo e se ne impadronl; così i re cli Spagna diventarono padroni del regno di Napoli, come lo erano cli quelli di Sicilia e d1 Sardegna, facendovisi rappresentare per due secoli dai vicerè. Successivamente i Francesi vennero sconfitti a Seminara, mentre un loro esercito di rinforzo scendeva verso la Campania e si attestava sulla riva destra del Garigliano, fronteggiato da uno spagnolo su quella sinistra.

IX) La battaglia del Garigliano

In dicembre, sotto un fortissimo bombardamento, i Francesi tentarono di passare il fiume. Gittarono un ponte di barche alla Torre di Sessa e vi lanciarono sopra 1.000 uomini: ma furono respinti dalla cavalleria agli ordini di Fabrizio Colonna. Seguì un periodo cli stasi, durante il quale Bartolomeo d' Alviano, in quel momento dalla parte degli Spagnoli, pianificò un'ardita manovra aggirante. Il 27 dicembre fece gittare un ponte di barche a Suio, circa sette chilometri a monte del campo nemico, e il 28 i Francesi, fissati di fronte ed attaccati di sorpresa sul fianco sinistro dai circa 11.000 uomini d.i Consalvo di Cordova, vennero sconfitti e si dovettero rifugiare entro Gaeta, arrendendosi dopo qualche tempo e dando cosl addio a tutta I" Italia Meridionale. La manovra aveva avmo pieno successo e al suo ideatore andò tuno il merito, come avrebbe riconosciuto il carclinal D' Amboisc dicendo: «Bartolommeo/11 quello che ci tolse il Regno•"· Del resto la cosa non destava preoccupazione eccessiva nella penisola, poiché l'attenzione degli Stati italiani era attirata in quel momento da Cesare Borgia. Dopo aver sottomesso Ro-

s Sul luogo dello scontro venne eretto un monumento in pietra, allo sette metri. con una lapide commemorativa. Nel 1805 i Francesi di presidio ad Andria lo abbatterono; ma il Capitolo metropolitano di Trani lo rialzò nel 1846. ,·i Rip. in 0ESJARDINS. «Negociations diplomatiques dc la France avcc la Toscane,., Paris, 1861. voi. ll, p. 119.


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magne, Emilia. Marche e Umbria, ufficialmente per ripristinarvi l'autorità pontificia, in realtà per ritagliarvisi un suo dominio, Cesare stava volgendo lo sguardo sulla Toscana, preoccupando sia Venezia sia Firenze, perché Siena sembrava djsposta a passare sotto il dominio papale, mentre Pisa addirittura lo andava cercando apertamente.

X) La quarta campagna di sottomissione dei feudi pontifici del 1502 - 1503 e quel che segui

Tutto era cominciato coll'insurrezione d'Arezro del 7 giugno 1502, alla quale aveva fatto seguito, il 10, un'ambasciata con cui Pisa offriva dj sottomettersi a Cesare Borgia. Poichè la Francia non avrebbe graruto, Roma aveva rifiutato; ma intanto Cesare, preceduto da 1.000 uomini e seguito da altri 1.000 stava marciando verso la Romagna alla testa di 7.000 soldati nell'intento di prendere Urbino, Camerino e Senigallia. Entrò a Urbino di sorpresa e a tradimento nelrultima decade di giugno; poi assediò Camerino e, presala, occupò San Marino. Ottenute a Milano 300 lance da Luigi XIl per la conquista di Bologna e dal Papa il breve del 2 settembre, col quale s'intimava ai Bentivoglio di sottomettersi alla Santa Sede entro quindici giorni, il Valentino marciò contro la città. L'impresa non andò nel modo migliore. anche perché tutti i suoi nemici gli si coalizzarono contro, adunarono 9.000 fanti e 700 cavalieri e fecero sollevare la popolazione delle Romagne e delle Marche. I presidj pontifici furono cacciati da Urbino - dove rientrò il duca Guidobaldo da Montefeltro - San Leo, Imola ed altri castelli minori. Cesare Borgia si mise a trattare coi nemici e, lentamente, sotto l'ammirato sguardo dell'inviato fiorentino Niccolò Machiavelli. riusci a separarli, largheggiando in promesse che poi non avrebbe mantenuto. Passò così l'autunno e, il 28 dicembre 1502, le truppe pontificie improvvisamente si rimisero in moto dirette a Senigallia. Sovrintendeva alla sua difesa Andrea Doria. Ma non vi fu scontro; perché il lungimirante Genovese pensò piuttosto a salvare la vita del giovane duca Francesco Maria, sottraendolo agli armigeri del Valentino insieme alla cassa e alle gioie dei Della Rovere. Con la presa di Senigallia il 31 dicembre, Cesare Borgia si era sbarazzato dei suoi nemki adriatici e poteva volgersi contro gli altri. Entrò cosi a Città di Castello e Perugia, marciando poi verso Siena; ma il 18 agosto 1503 Alessandro VI morì e lo lasciò completamente privo della copertura politica e militare necessaria a consolidare le sue conquiste. Lo stesso Cesare si ammalò, diede tempo ai suoi nemici di organizzarsi e usci definitivamente di scena. Venezia approfittò deUa Sede vacante per impadronirsi della Romagna ed estese il proprio dominio nell'entroterra emiliano fino a Faenza, sempre nel 1503, arrivando in tal modo vicina aj passi del!' Appennino che immettevano in Toscana dalla valle del Lamone. A questo punto i signori italiani decisero che. più di Francia o Spagna, Venezia era il vero pericolo mentre il nuovo papa, Giulio Il, voleva consolidare la religione e la pace d'Italia, ma intendeva con questo ripristinare ed aumentare il potere dello Stato ecclesiastico, liberandolo da ogni possibile inframmettenza di potenze italiane o straniere. Dal suo punto di vista non aveva alternative: o il Papa recuperava il pieno ed assoluto possesso dei suoi domini, o diventava il servo della potenza egemone in Italia. Per questo occorreva innanzitutto recuperare i territori ex-pontifici e poi, appena possibile, cacciare gli stranieri per rimettere in piedi il sistema ili equilibrio fra gli Stati italiani, mantenendoli tutti abbastanza deboli da non poter diventare preminenti nella penisola e, quindi, sulla Chiesa. Questa politica. allora in un certo senso obbligata, avrebbe forse assicurato al Pon-


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tefice un minimo d'indipendenza, ma col senno di poi si può dire che, ammesso che potesse esistere un minimo d'indipendenza da qualche parte in Italia nei due secoli di predominio spagnolo, essa causò la rovina politica della penisola, facendone ritardare l'unificazione e anzi costituendo la causa prima del frazionamento e dell'asservimento alle potenze straniere. Papa Giulio, dunque, cominciò col portare a termine quel che Cesare Borgia aveva incominciato, o meglio: prima fece arrestare proprio il Valentino e lo fece liberare solo dopo averne ricevuto i contrassegni9 di tutti i castelli conquistati o signoreggiati. Poi distrusse l'autonomia che le città e i signori locali dell'Umbria, delle Marche e dell'Emilia si erano accaparrati e intimò a Venezia di restituire le zone occupate in Romagna, dichiarando che non avrebbe esitato a ricorrere all"aiuto francese o spagnolo contro di lei. Proprio per questo rappacificò Asburgo e Valois, divisi dalla questione di Milano, e anzi li uni in un'alleanza. Coi Patti di Blois della primavera 1504 si ribadl la dipendenza feudale del Ducato di Milano dal Re dei Romani, cioè dal successore dell'Imperatore. ma se ne nominò duca il re Luigi Xli, stabilendo che, comunque. le tre parti in causa si sarebbero arricchite a spese della quarta ignara, cioè Venezia, dal cui dominio di Terrafenna sarebbe stato sottratto tutto quel che feudalmente spettava di diritto al Ducato di Milano. al Papa o all'Imperatore, ovvero, in sostanza, lasciandole a malapena la Laguna. La Serenissima tentò d'evitare la condanna che le pendeva sul capo restituendo al Papa alcune pani. le meno ricche, della Romagna, ma trattenendo Cervia - per le saline - Faenza, Ravenna e Rimini. Giulio Il decise di accontentarsi per il momento, in modo da tranquillizzarla e farle abbassare la guardia per colpirla meglio più tardi, e approfittò del differimento dell'anacco per recuperare quanto ancora non aveva sottomesso all'interno dei propri confini. Cacciò i Baglioni da Perugia e i Bentivoglio da Bologna, riebbe da Firenze le terre pontificie di cui s'era impadronita e continuò a tessere la tela in cui Venezia doveva essere avvolta. U differimento faceva comodo anche agli altri. La Francia consolidò il proprio dominio su Genova, soffocando la rivolta riaccesavisi nel 1507, e trovò un amichevole modus vivendi con Ferdinando il Cauolico. la cui flotta l'aveva aiutata a risottomettere Genova, proprio in vista del comune impegno antivcneziano.

XI) O caso di Genova

La Superba, un tempo signora del Mediterraneo, era lacerata da contese interne tra nobili e popolo, che erano sfociati in una vera e propria insurrezione. In seguito ad essa i nobili erano stati cacciati dalla Città e si erano rifugiati a Monaco. mantenendo come basi alcuni castelli dei Fieschi sulla Riviera di Levante; il popolo aveva spedito 2.500 fanti contro i medesimi castelli e, presili, aveva deciso di assalire pure Monaco. I nobili si rivolsero allora a Luigi XU perché li aiutasse. Lui accettò e ci fu in Genova una serie di combattimenti tra i popolani e le guarnigioni francesi del Castelletto e del Castellaccio. Ma alla fine il Re prevalse, ristabilì il potere aristocratico. costrul due forti costieri - La Briglia ed il Faro - e multò la città per 300.000 ducati. li nuovo doge Giano Fregoso nominò Andrea Doria Prefetto del Mare e, poco dopo, decise di sbarazzarsi dei Francesi. Le milizie ciuadine assalirono e presero sia il Faro che La Briglia; ma i movimenti politici portarono alla caduta della fazione Fregoso-Doria e al ritorno dei Francesi, così Andrea si ritirò a Spezia con un buon numero di galere in attesa di tempi migliori. 9 11 Contrassegno di un castello era una cifra. un nome od una medaglia spezzata tenuta dal casteUano, il quale doveva riconoscere come signore del castello chi aveva la pane mancante.


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Xll) La guerra austro-veneziana del 1507 Riassicuratosi Genova, Luigi si preoccupò nuovamente della guerra ai Veneziani. Un aiuto gl.ielo diede indirettamente Massimil.iano d'Asburgo il quale, insospettito dal convegno di Savona, tenutosi nel 1507 fra Luigi XII e Ferdinando d Aragona, pensò di scendere a Roma per farvisi incoronare Imperatore, ribadendo così ufficialmente e con la benedizione della Chiesa i diritti che vantava su tutta l'ltal.ia centrosettentrionale. Come tutti i suoi predecessori decise di farsi accompagnare da un esercito, che doveva attraversare il Veneto Dominio di Terraferma, poichè questo si stendeva ad arco dal confine svizzero alla costa adriatica. Ovviamente il Senato non fu del parere di concedere il passaggio a tanta gente, per di più armata. Ne nacque una contesa e Massimiliano la sfruttò come casus belli: guerra dal Trentino al Camaro con alterni risultati. [I Senato impostò la guerra in modo diverso a seconda del teatro operativo. Difensiva in Carnia e Cadore con buoni successi sull'alto Piave, dove le milizie della Repubblica vennero ottimamente coadiuvate dai montanari. Offensiva, non brillante, in Val d'Adige, sotto ìl comando di Niccolò Orsini, e brillantissima sull'Isonzo, agi.i ordini di Bartolomeo d' Alviano 10, che il 23 febbraio 1508 battè i Tedeschi a Pieve di Cadore. Poi espugnò Pordenone, Plez.zo e Caporetto, bombardò e prese il castello di Cormons, il ponte e la città di Gorizia, risali il Vippacco e , di conserva coUa flotta, raggiunse prima Trieste e infine Fiume e Postumia, eliminando gli Austriaci da tutta la costa adriatica ed ottenendo la condotta di 1.000 cavalli ed il comando delle artiglierie della Repubblica. Davanti a tale disastro, Massimiliano fu costretto a venire a più miti consigli e. colla mediazione della Francia, all'armistizio nel giugno 1508. Venezia credette di poter stare tranquilla, ma Luigi XII approfittò della trattativa per rimettere sul tavolo l' alleanza sancita a Blois ai danni della Serenissima, anzi, per ampliarla coll'adesione della Spagna - tesa al recupero dei porti pugliesi - dell'Ungheria - desiderosa di appropriarsi della Dalmazia - dei Savoia - decisi a ottenere l 'isola di Cipro del cui titolo regale si fregiavano ed avrebbero sempre continuato a fregiarsi 11 - del Duca di Ferrara, che voleva recuperare il Polesine, e di quello di Mantova, anche lui intenzionato a riprendersi qualche lembo di terra. Sottoscritta a Cambrai il 10 dicembre 1508 una Lega finalizzata alla lotta contro gli Infedeli mussulmani, i collegati, in forza di quanto stabilito nel proemio del trattato, che prevedeva di castigare gli avidi Veneziani e punirli delle offese inferte alla Santa Sede e alle altre potenze, si armarono contro la Serenissima.

XDI) La guerra della Lega di Cambrai: 1509 I primi a muoversi furono i Francesi dal Ducato di Milano. I Veneziani si prepararono quanto più possibile e misero in moto la propaganda per far apparire la loro una guerra di Italiani 10 Bartolomeo d' Alviano, nell'agosto del 1505, dopo aver lasciato il servizio degli Orsini per quello

di Siena, aveva condotto un piccolo esercito di 875 uomini contro i 1.640 fiorentini guidati da Ercole Benti voglio ma, assalito. avvolto e sconfitto a Torre di San Vincenzo, aveva dovuto ripiegare su Siena, dal cui servizio s'era poi dimesso, passando a Venezia nel 1507. 11 L"ultimo sovrano di Cipro, che era l' estremo lembo del medioevale Regno cristiano di Cipro e Gerusalemme nato al tempo della Prima Crociata, morì lasciando reggente la moglie, la veneziana Caterina Comaro, la quale venne costretta dai Veneziani a nominare la Serenissima Repubblica erede al trono al posto del proprio figlio. Morto anche lui senza eredi, Venezia trattenne l'isola finchè non le fu tolta dai Turchi, mentre il titolo di Re di Cipro e Gerusalemme veniva conteso da parecchie case sovrane - Asburgo, Savoia e i Re di Napoli - imparentate coi Lusignano, anche se, da un punto di vista strettamente dinastico, gli aventi maggior diritto al titolo erano i Savoia.


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che difendevano la propria indipendenza. "Defensio lraliae" si propose di scrivere sulle bandiere di San Marco; e si ordinò alle truppe di andare all'attacco gridando "Italia Italia !" Ma per loro la guerra incominciò male. Nel febbraio del 1509 erano già stati compiuti i primj preparativi da parte spagnola; e l 'esercito napoletano era stato organizzato a partjre da aprile. Jn maggio si sarebbe dovuto mettere io movimento. Ma in giugno il vicerè in carica12, il conte de Ribagorza, pur disponendo di rinforzi pontifici e francesi e d'una flotta imponente, non aveva ancora deciso se operare sul mare o per terra. Dopo lunghe discussioni scelse la terra. Il 16 giugno Fabrizio Colonna pose l'assedio a Trani, che si arrese in fretta, e prese poi i porti di Mola, Monopoli, Polignano, Brindisi ed Otranto senza nemmeno combattere.

XIV) Agnadello Al nord i Venetiani vennero sconfitti ad Agnadello il 14 maggio 1509. Persero 8.000 uomini e videro occupate dai Francesi le loro città lombarde e venete. Mentre i nobili di terraferma, esclusi dall'attivo esercizio del potere politico riservato ai patrizi della Laguna, aprivano le porte al nemico, sperando di ottenerne cariche e onori, il popolo delle città e della campagne prese risolutamente il partito di San Marco insorgendo contro l'invasore. Gli Asburgici vennero assaliti nelle valli, specie in Valcamonica, e furono cacciati da Treviso. mentre le truppe venetiane riprendevano Padova. Massimiliano vi si ripresentò con forze più ingenti per assediarla e riconquistarla, conscio che dal suo possesso dipendeva quello di tutto il Veneto. Ma Padova gli res istè in tulli i modi finchè, costretto dall"avvicinarsi dell"invemo. il 3 ottobre 1509 levò il campo e si ritirò. A Venezia si esultò, :mche perché i troppi successi iniziali dei membri maggiori della Lega avevano preoccupato quelli minori, inducendoli a concludere delle paci separate. come aveva fatto Giulio U nel febbraio 15 IO. Né il Papa s'era fermato là, visto cbe aveva staccalo dalla Lega pure il Re di Spagna, in cambio dell'investitura feudale di Napoli 13 , a condizione però dj non cumularla alla corona dell'Impero o al dominio diretto sulla Lombardia o sulla Toscana, in modo da evitare l'accerchiamento del territorio della Santa Sede. La defezione della Spagna e del Papa consenti a Venezia d' uscire dalla guerra solo colla perdita dei porti pugliesi e di una porzione del dominio lombardo, ma salvando il grosso della Terraferma. Per di più, appena smise di fare la guerra ai Veneziani, Giulio Il si volse contro Alfonso d'Este, per togliergli Ferrara, Modena e Mirandola, alla cui presa partecipò personalmente. L'obbiettivo pontificio consisteva ora nel portare iJ confine dello Stato sul Po, impadronendosi di tulli i territori su cuj la Cbjesa vantava dei diritti feudali, levandoH ai rispettivi proprietari. Stavolta si oppose la Francia, il cui Re convocò un concilio a Tours che stabilì la liceità della disobbedienza religiosa al Papa e predispose un secondo concilio da tenersi a Pisa.

12 I vice~ spagnoli duravano in carica m: anni. 13 Napoli era formalmente feudo della Chiesa dall'Alto Medioevo, quando i Normanni se n'erano im-

padroniù. e i suoi sovrani si riconoscevano vassalli di Roma pagando un tributo annuo, consistente in una somma di denaro e in una cavalcatura, detta "Chinea", che dava il nome all'intero tributo, presentato al Papa da un ambasciatore del Re accompagnato da una solenne cavalcata di tutti i nobili romani ùtolari di feudi nel Regno di Napoli.


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XV) La guerra della Lega Santa del 1510

Minacciato in campo spirituale, Giulio II organizzò la Lega Santa, alla quale aderirono Venezia, l'Inghilterra, gli Svizzeri e la Spagna, per cacciare gli stranieri dall'Italia. «Noi vorressimo che li Italiani ,wnfossero nè Francesi, nè Spagnuoli e che fossero tutti Italiani e loro stessero a casa sua e noi alla nostra»vi, disse il Papa all'ambasciatore veneziano Giustiniani - «Fuori i barbari!» lo riassunse la storiografia. Giulio fece poi voto «che non voleva pitì rasar la barba per in sino a tanto che non avesse scalzato d'Italia et Re Luigi de Fran:.,a»viii. Disgraziatamente ciò non si poteva fare senza l'aiuto di altri "barbari", nel caso specifico Tedeschi e Spagnoli, visto che la precedente politica della Santa Sede era riuscita ad indebolire o distruggere gli Stati più forti d'Italia, cioè Firenze, Milano, Napoli e Venezia. Di nuovo la Spagna si organizzò per tempo. Il nuovo vicerè di Napoli. Ramon de Cardona, fin dalla primavera aveva ricevuto dal re Ferdinando l'ordine di preparare un contingente di 1.200 uomini d"arme da unire ai 10.000 fanti e 1.000 cavalieri pagati dal Papa contro i Francesi. Non doveva preoccuparsi di lasciare Napoli indifesa, perché sarebbe stata riguarnita con truppe provenienti dalla Sicilia - 1.000 fanti e 500 cavalieri con alcuni pezzi d'artiglieria agli ordini del vicerè Ugo de Moncada; e in novembre Cardona partì per il fronte dell'Alta Italia come comandante delle truppe della Lega Santa. Ma il principio della guerra fu favorevole ai nemici.

XVI) Ravenna: la prima volta dell'artiglieria da campagna Gaston de Foix. ventiduenne comandante supremo francese in Italia, aveva ricevuto da Luigi XII l'ordine di attaccare con decisione. Per questo ai primi di febbraio prese Bologna. poi la Lasciò per tornare rapidamente al nord e assicurare le proprie comunicazioni colla Francia neutralizzando Brescia, dove arrivò a metà mese con una marcia di soli nove giorni. Ma da sud stava venendo Ramon de Cardona; e de Foix si diresse nuovamente verso l'Emilia col sostegno delle truppe estensi. In aprile si avvicinò a Ravenna. stabilì il campo alla confluenza del Ronco col Montone e si preparò allo scontro. Contro di lui mossero i soldati della Lega, circa 17.000 uomini. guidati da Cardona. Prima di esserne agganciato, dc Foix si presentò sotto Ravenna. dov·erano rimasti i Pontifici, ma il 9 Fabrizio Colonna li guidò in una fortunata sortita e lo obbligò a rientrare nel campo. L' l Laprile, domenica di Pasqua, le truppe francesi erano pronte aJ combattimento in campo aperto ed incominciarono col fuoco di tutte le Loro artiglierie. Quelle spagnole risposero con effetti rovinosi, colpendo gravemente la fanteria francese. Ma entrarono in azione i cannoni estensi, abilmente diretti dal duca Alfonso, che colpirono di fianco e di rovescio le truppe e le linee avversarie. Fabrizio Colonna riordinò il più possibile le fanterie della Lega, cbe però non ressero a Lungo e in alcuni tratti del fronte abbandonarono il campo. comunicando il panico alla cavalleria del Marchese di Pescara, che si dissolse. Nonostante questo, parecchi reparti di fanteria della Lega continuavano a resistere, per cui Gaston de Foix guidò personalmente la cavalleria francese in una carica in cui perse la vita ma vinse la battaglia. Restarono sul terreno circa 14.000 morti delle due parti: I0.000 collegati e circa 4.000 francesi. Era stata una Pasqua sanguinosa e sarebbe stata ricordata come la prima volta in cui l'artiglieria da campagna era stata impiegata con reale efficacia.

vii «Fuori Barbari», in «Historia», n. IO, ott. 1959, p. 21.

•ili Idem.


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Dopo questo brillante risultato i Francesi, comandati da Gian Giacomo Trivulzio, occuparono Bologna. Tutto andava bene per loro, ma presto si trovarono in difficoltà. Conclusero una tregua di due settimane col nemico e si ritirarono. Milano e Genova insorsero: i Pontifici ripresero Bologna e avanzarono fino a conquistare Modena, Parma e Piacenza, mentre Massimilfano Sforza entrava a Milano alla testa di un esercito composto da mercenari svizzeri e Cardona passava in Toscana dove saccheggiava Prato. Al solito, cacciato uno straniero, si favoriva l'ingresso d'un altro. Infatti Massimiliano Sforza dovè pagare l'aiuto svizzero concedendo alla Confederazione il Canton Ticino' 4, un'alleanza perpetua e parecchi privilegi commerciali. Adesso però Giulio U si preoccupava della preponderanza spagnola e pensò di controbatterla coll'aiuto di MassimiJ iano d'Asburgo; ma poiché Massimiliano voleva qualcosa in cambio, necessariamente a spese di Venezia, nel novembre 1512 il Papa accettò, gli garanù tuno l'appoggio per fargli avere Verona. Vicenza, Treviso e Padova e allargò poi la Lega a Inghilterra, Spagna, Svizzera e Milano. Clliaramente Venezia si unì alla Francia: e si ricominciò a combattere. Nel maggio 1513 Massimiliano Sforza perse il Ducato. assalito simultaneamente dai Francesi e dai Veneziani che, guidati da Bartolomeo d'Alviano, liberato dalla prigionia proprio in quell'amm, presero Verona. Valeggio. Peschiera e Cremona. L"intervento sviizero colla vittoria di Novara eliminò i Francesi dall'Italia, mentre gli Spagnoli entravano a Genova e puntavano poi verso la Laguna. Bartolomeo retrocedè allora su Padova, poi su Vicenza con 250 uomini d'anne e 2.000 fanti. mentre lasciava 4.000 fanti a Montecchio e 5.000 cavalli a Barbarano. Voltosi poi contro l'esercito imperiale, lo tallonò mentre si ritirava verso la Val Brenta, ma venne contenuto e respinto dalla retroguardia, comandata da Prospero Colonna. Fortunatamente era nel frattempo morto Giulio II e dal conclave era uscito papa Leone X de'Medici, il cui primo atto consistè nella mediazione fra le due parti in causa, permettendo a Venezia di salvarsi dal disastro. Intanto Francesco I, nuovo re di Francia, decise di reimpadronirsi di Milano e. come il genitore, si alleò con Venezia. Contro di lui si collegarono Asburgo, Svizzeri, Spagna e, deluso dal mancato appoggio francese ai propn progetti nepotistici, anche il Pontefice.

XVIl) Marignano Il Re di Francia arrivò in Italia con 60.000 uomini e 75 cannoni agli ordini di Gian Giacomo Trivulzio. Vinti alcuni scontri preliminari contro i 30.000 svizzeri mandatigli addosso da Massimiliano Sforza e mentre i Veneziani di Bartolomeo d' Alviano battevano i soldati ispano-napoletani di Ramon de Cardona, che tentavano d'impedire loro l'avanzata tra il Mincio e l'Adige, Francesco I puntò decisamente su Milano. Il 13 settembre tre quadrati di picchieri svineri - 22.000 fanti con poca cavalleria e una minima artiglieria - lo assalirono a Marignano e, nonostante l 'intenso fuoco d'artiglieria che li bersagliava. continuarono ad avanzare fino a catturargli parte dei cannoni. La notte interruppe lo scontro e consenù ai Francesi di riorganizzarsi cosicché, la mattina del 14 settembre 1515, le due parti ricominciarono a combattersi. L'esito rimase indeciso finchè la cavalleria veneziana non arrivò sul campo e non caricò gli Svizzeri. Ignorando che Bar-

14 Meno Campione che. in quanto feudo abbaziale milanese e non del Duca. rimase giurisdi1ionalmente e formalmente separato dal resto del Canton Ticino. indirettamente dipendente da Milano e passando. coU' incamerazione dei beni ecclesiastici, a far parte del Reg.no d'Italia.


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tolomeo d' Alviano 15 aveva mandato avanti solo quella e che il grosso delle truppe della Serenissima era ancora lontano, gli Elvetici credettero di stare per essere presi tra i due eserciti nemici e ripiegarono in fretta su Milano, lasciando 12.000 morti, contro soli 6.000 dei francesi. La Svizzera uscì di scena, trattenendosi però il Canton Ticino, e la Casa di Valois si rein sediò a Milano, imprigionando Massimiliano Sforza Intanto Cardona si era riorganizzato. Assediò Padova, raggiunse Mestre da dove bombardò brevemente e senza effetto Venezia poi, il 7 ottobre. battè all'Olmo. nei pressi di Vicenza, l'esercito veneto guidato da Bartolomeo d' Alviano e rientrò a Napoli colle proprie truppe nel novembre 151516. Nonostante tutto, i Veneziani recuperarono i territori lombardi persi in precedenza, perché Bartolomeo riusci a sconfiggere gli Imperiali prima nel Veronese e poi in Friuli; ed il Papa fu costretto a cedere le città padane al dominio francese. Non si poteva fare altrimenti, perché Francesco aveva concluso nell'agosto 1516 la pace «perpetua>> dì Noyon colla Spagna, in novembre ne aveva fatta un'altra non meno «perpetua» coi Cantoni Svizzeri e, infine, in dicembre aveva stabilito contatti con Massimiliano d'Asburgo e col di lui nipote, l'arciduca Carlo, che sarebbe stato conosciuto come Carlo V. La pace permetteva al Papa di dedicarsi al compimento del suo programma. Leone voleva infatti servirsi della tiara per aumentare il potere sia della Chiesa, col raggiungimento del confine sul Po, sia della famiglia. facendo avere Napoli a suo fratello Giuliano de'Medici e Milano al proprio nipote Lorenzo. Se poi non fosse stato possibile assorbire i ducati padani, si sarebbe potuto provare a farli cadere in mano a qualche altro Medici. Per il momento, comunque, i parenti si potevano contentare di qualcosa di più piccolo, ad esempio Urbino.

XVIl1) La guer.-a d'Urbino del 1517 Di nuovo le truppe papali marciarono lungo l"Adriatico per levare Urbino agli originari proprietari, visto che Leone X aveva deciso di darla al proprio nipote Lorenzo de'Med.ici. Ma Francesco Maria Della Rovere non si diede per vinto. raccolse 8.000 fanti - 5.000 spagnoli e 3.000 italiani - e 800 stradiotti nel Mantovano e, improvvisamente, rientrò nel Ducato cacciandone i presidi medicei17. Prese Senigallia e San Leo. poi attaccò Faenza e Fano. Corruzione e tradimenti fecero perdere a Lorenzo altre posizioni chiave. costringendolo a ritirarsi dal suo quartiere di Orciano. Poi, persa l'occasione di occupare le posizioni di Monte Baroccio e Tavemelle, Lorenzo permise cbe vi si installassero i militi nemici e finalmente sembrò svegliarsi. Prima prese San Costanzo, poi andò ad assediare Mondolfo, difeso da 200 spagnoli; ma ebbe parecchie perdite per aver piazzato le artiglierie allo scoperto. Si recò di persona ad ispezionarle e venne gravemente ferito alla testa da un' archibugiata nemica. li comando passò allora al cardinal Bibbiena, ma la guerra andò avanti anche peggio di prima. I Pontifici furono respinti in Umbria, mentre il nemico s'avvicinava a Perugia e Città di Castello, saccheggiava Jesi e alla fine riprendeva tutto il Ducato d'Urbino.

15 Fu una delle ultime battaglie di Bartolomeo, che morì aeU'onbre di quell'anno. 16 Non poté però congedare i soldati ed ebbe dal Re l'ordine d'impiegarli contro la base pirata tunisi-

na di Gerba. 17 Fra gli ufficiali delle truppe pontificie era presente un altro nipote del Papa. Giovanni de'Medici, poi noto coll'appellativo "delle Bande nere". comandante d'una compagnia dì cavalleggeri e figiio di Giovanni "il Popolano" de'Medici e di quella Caterina Sforza che a Forll aveva resistito a Cesare Borgia.


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XIX) La breve pace Terminata la guerra d'Urbino, la pace mostrò un'Italia che sembrava definitivamente spartita in due sfere d'influenza, al nord francese e al sud spagnola, quando nel 1519. alla morte di Massimiliano. il nipote Carlo gli successe anche nella signoria dei territori austriaci, che vennero di fatto uniti a quelli spagnoli in Europa e nel mondo, creando un insieme politico-militare di potenza ed estensioni tali che mai più s'erano viste dopo l'apogeo dell'Impero Romano. L'artefice della politica imperiale non fu però Carlo. quanto piuttosto il suo gran cancelliere. l'italiano Mercurino Arborio di Gattinara. Fu il suo lavorio diplomatico a procurare all'ancora arciduca l'elezione a Re dei Romani e. in seguito, a Imperatore; e fu lui a spingere per la guerra alla Francia, contrastando e battendo 11 partito pacifista della corte. Stretta alleanza coll'Inghilterra e col Papa, le truppe asburgiche si prepararono alla lotta. Leone X aveva dovuto accettare l'alleanza spagnola, nonostante contravvenisse alle condizioni alle quali Ferdinando era stato investito del Regno di Napoli - cioè l'obbligo di non assumere mai il dominio diretto del Milanese o della Toscana - perché il principio della Riforma protestante rendeva necessaria alla Chiesa l'amicizia dell"Imperatore. Lo si vide quando nel maggio del 1521 Martin Lutero fu messo al bando dall'Imperatore, sotto la cui alta autorità il Papa pose le città ed i territori di Milano e Genova. ricevendone in cambio le ciuà emiliane e la protezione asburgica per la Chiesa romana e la famiglia Medici. Mentre Ottaviano Fregoso. per terra, e Andrea Doria. per mare, respingevano i tentativi spagnoli d'impadronirsi di Genova. le truppe imperiali avanzarono nella Pianura Padana.

XX) Vaprio

Assediata Parma e cacciatine i Francesi, vi furono alcuni altri combattimenti intorno a Piacenza per impadronirsi della Lombardia. Per aprirsi la via di Milano, i collegati si assicurarono una testa di ponte a Vaprio, alla connuenza del Bremba nell'Adda. dandone il comando a Francesco Morone. Lautrec gli spedi contro il conte Ugo Pepoli con un forte contingente; e solo l'intervento di 200 cavalleggeri di Giovanni delle Bande Nere salvò la ~ituazionc. La strada per Milano fu aperta e il velo di cavalleria albanese dei Veneziani che ancora restava a interporsi fra i collegati e la cinà non bastò. Così il 19 novembre 1521, preceduto da un'avanguardia di cavalleggeri di Giovanni dc'Medici e di fanti spagnoli. Francesco Maria Sforza rientrava a Milano alla testa delle truppe svizzere pagate dal Papa. Leone morì poco dopo e gh successe, per un breve periodo, Adriano VI, fiammingo e ex-maestro di Carlo V. Un ulteriore vantaggio per l'Imperatore, la cui ascesa veniva sostenuta dai nuovi alleati che gli si accostavano: Venezia in luglio, poi le repubbliche di Lucca e Siena. il marchese di Mantova e i duchi di Milano, Toscana e Savoia. Nel 1522 Genova fu minacciata da un forte esercito inviatole contro da Francesco Sforza, Fabrizio Colonna e dal Marchese di Pescara e decise di venire a più miti consigli coll'Imperatore, mentre Andrea Doria si ritirava a Monaco in attesa degli eventi. Era evidente che gli Stati italiani, ad eccezione della sola Venezia, erano più costretti che incoraggiati ad aderire alla Spagna. E sperando in una loro sollevazione a proprio favore, la Francia tentò nel 1524 di ricomparire in Italia, mandandovi un esercito di 18.000 uomini d'arme e 31.000 fanti, comandato da Baiard e Bonnivet. Ma Giovanni delle Bande Nere18 costrinse Baiard alla rittrata sconfiggendolo a Robecco e battendo poi i 5.000 svizzeri in arrivo nel

18 Come già accennato. le Bande mutarono colore di\tintivo e denominazione in seguito alla morte di papa Medici.


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Bergamasco per unirsi ai Francesi. Prese poi Caravaggio e interdì ai nemici la linea del Ticino. Intanto il Connestabile di Borbone, al servizio di Carlo V, aveva affrontato Bonnivet e Baiard a Romagnano Sesia il 20 aprile. Vinto, l'esercito cli Francesco I fu inseguito oltre le Alpi e fino a Marsiglia dagli Spagnoli del Marchese di Pescara, ma l'impresa asburgica fallì dopo quaranta giorni d'assedio grazie all'attività delJe sei galere della squadra di Doria, che conquistarono Savona e Varazze e tennero a largo la flotta spagnola cli Ugo de Moncada, forte di 18 galere. affondandone 15 in uno scontro a sorpresa nei pressi di Vado. Poi, il 26 ottobre 1524, fu il Re di Francia in persona a tornare nella Pianura Padana alla testa di circa 30.000 uomini.

XXI) Pavia

Difesa da 6.000 spagnoli ed assediata da 20.000 francesi. Milano resistè dall'ottobre 1524 al gennaio 1525, quando apparvero 12.000 lanzichenecchi guidati dal Connestabile di Borbone, in rinforzo ai contingenti imperiali e napoletani del Marchese di Pescara e di Carlo di Lannoy. Vi furono parecchi scontri d'assaggio. Alla Bicocca gli Svizzeri vennero sconfitti e ripiegarono protetti dalla cavalleria leggera delle Bande Nere, poi 8.000 di loro disertarono il campo francese e, finalmente, il Marchese di Pescara uscì dal suo campo ordinandosi in battaglia. I Francesi accettarono lo scontro; ma la loro destra cedè, seguita subito dagli Svizzeri, che fuggirono verso Milano, e dalla retroguardia. Lo scontro si concentrò allora intorno alla Gendarmeria francese ed ai gentiluomini del seguito del Re, che però non poterono reggere a lungo; e Francesco I fu catturato mentre cercava di mettersi in salvo attraversando il Ticino. Nel giro d'un'ora dall'inizio la battaglia era finita, 700 imperiali e 8.000 francesi giacevano morti sul terreno e tutto era perso fuorché «l'onore. e la salute che è molto buona»i•, come avrebbe scritto Francesco I alla propria moglie l'indomani. Ora finalmente gli Stati italiani cominciarono a rendersi conto di cosa s'erano trascinati in casa. Davanti all'irreparabile sconfitta dei Francesi. davanti all'Impero su cui non tramontava mai il sole esteso dalle Americhe fino alla Polonia, i signori italiani capirono che rischiavano davvero cli perdere tutto. I generali e i dignitari di Carlo V volevano l' Italia ridotta a terra di conquista. A loro si opponeva il Gran Cancelliere. ostinato nel suggerire la via degli accordi fra Carlo e i piccoli sovrani della penisola, per evitare che la Francia potesse ancora trovare nel malcontento italiano un terreno fertile per la propria politica estera. E la Francia si mosse come mai prima, cercando alleanza con chiunque e trovandola col Sultano di Turchia, i cui eserciti stavano implacabilmente erodendo i domini ungheresi degli Asburgo attirandovi truppe e denaro. Da allora i rapporti fra Parigi e Costantinopoli sarebbero sempre rimasti eccellenti, anche a danno di altri alleati che la Casa di Valois, prima. e quella di Borbone, poi. avrebbero potuto trovare. Taglieggiati dalle truppe spagnole e minacciati dalla preponderanza asburgica. gli Stati italiani tentarono di ricollegarsi per limitare i danni; e cominciarono i contatti diplomatici fra Venezia, Roma. Milano, Lucca, Siena e Genova. Era anche cambiato il Papa. Clemente vn, sempre Medici. era più energico del suo predecessore e deciso ad alleare il maggior numero possibile di Stati italiani alla Francia per eliminare la Spagna dalla penisola. Le trattative vennero condotte con la regina madre reggente, alla quale premeva soprattutto liberare Francesco I dalla prigionia. e stabilirono che la Francia avrebbe dato un contributo per la guerra e rinunciato ad ogni dominio in Italia in cambio di eterna amicizia ed alleanza. ix «Tutto è perduto». su «Historia», n. 7, luglio 1959, p. 75.


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Tutto sembrava a posto. quando fu commesso un grave errore dal ministro milanese Girolamo Morone il quale, convinto che il Marchese di Pescara, generale spagnolo ma italiano da un generazione. potesse staccarsi dal la Spagna in cambio di vantaggi personali. gli illustrò il piano. Il Marchese ascoltò attentamente e svelò tutto all'Imperatore, suggerendogli di accordarsi colla Francia in modo d'aver mano libera per sottomettere completamente l'Italia, tesi a cui si oppose Mercurino di Gattinara, ribadendo che bisognava invece eliminare gli eccessi delle truppe spagnole in Italia, aumentati dopo la scoperta della congiura. ed accordarsi coi sovrani italiani. Il 14 gennaio 1526 fu conclusa la pace di Madrid tra Francia e Spagna, in seguito alla quale fu liberato Francesco I: e la fiducia degli Italiani nella Francia scese ai minimi termim. Mercurino di Gattinara cercò di opporsi alla politica imperiale, sostenendo che si correva un rischio terribile e non ci si poteva fidare della Casa di Valois: liberare Francesco I equivaleva a doven;i nuovamente armare per una guerra contro la Francia, alla quale g li Italiani si sarebbero prontamente riavvicinati. E infatti Guicciardini. al servizio della Cone Pontificia, rivestì un ruolo primario nelranività diplomatica originata dalla nuova situazione internazionale. Questa era però resa estremamente complicata dalJa scarsa fiducia nutrita ora dagli Italiani nella Francia, ragion per cui il doppio gioco risultò la prassi abituale in tutte le coni. rendendo impossibtle capire cosa ~tesse succedendo, in un caleidoscopio di accordi, controaccordi, assicurazioni e reciproche garanzie. segrete o esplicite. che s'intersecavano nei modi più strani e complessi.

XXU) La guerra della Lega di Cognac, o "della seconda Lega Santa" del 1526 -1529 Gattinara. ligio servitore deU-lmpera10re. vedeva tutto questo con preoccupazione e, del resto, non era nulla di diverso da quanto aveva previsto. Carlo V, non sapendo come comportarsi e temendo di dover affrontare una nuova coalizione franco-italiana. gli chiese nuovamente consiglio, sentendosi dire che l'unica soluzione possibile consisteva nel riavvicinarsi al Papa, garantendogli appoggio assoluto e incondizionato. come anche al Duca di Milano e ad altri principi italiani. Ma era troppo tardi, perché il 22 maggio 1526 venne conclusa la Lega di Cognac tra Francia, Venezia. Firenze, Milano ed il Papa, consideratone il capo: 20.000 fanti cd altrettanti cavalieri l'avrebbero sostenuta. Ad essa poteva accedere anche Carlo V. il che significava lasciargli ancora una possibilità di tranaùva. Ma se si fosse giunti alla guerra, la Francia avrebbe riavuto la contea d'Asti e il protettorato su Genova; e Napoli sarebbe stata consegnata al Papa. Ottenuta l'adesione dell'lngh1lterra, il conflitto incominciò. rt piano prevedeva l'unione delle truppe venete e pontificie sul territorio milanese per far massa contro gli Imperiali: e l'inizio fu buono. Lodi venne occupata da Malatesta Baghoni con 3.000 veneziani. Milano insorse contro gli Asburgo, e le truppe pon1ificie si unirono a quelle della Serenissima per marciare su Milano. dove i soldati tedeschi di Carlo V, prontamente accorsi. assediavano il Duca, chiuso nel castello. Ma il pnmo assalto delle truppe di soccorso, comandate dal Duca d'Urbino. falll. Esse si ritirarono a Melegnano senza ritentare; e la guarnigione del castello capitolò per fame. Nè c'è da stupin;i troppo della lentezza delle operazioni, quando si pensi alla scarsa fiducia nutrita da ogni alleato nei confronti degli altri. sopratutto perché nessuno voleva rinunciare alle proprie mire di piccole acquisizioni territoriali: Venezia continuava a puntare alla Romagna pontificia, facendo temere a tutti gli altri che sarebbe uscita dalla guerra tan10 fone da divenire la padrona indisc ussa d'Italia. E qui venne commesso l'errore di valutazione definitivo, che chiuse la lunga serie compiuta da tutù negli ultimi trent'anni. Si ritenne l'eventuale signoria veneziana più pericolosa per l'Italia di quella francese o spagnola, perché i secondi erano «uccelli che volano per l'Italia e non possono posarvi il piede stabilmeme»• mentre i • Rip. in GIOACCHl)/O VOLPE. op. cit•. p. 56.


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primi "stanno in Italia e intendono bene il modo di governare"•;. Non c'è quindi da stupirsi che con tali premesse nessun 'altra impresa riuscisse. Falli la conquista di Siena tentata dalle truppe fiorentine e pontificie, le quali ultime furono battute a Camollia. Falli il blocco della costa ligure con una flotta franco-veneto-pontificia per tagliare la via dei rinforzi spagnoli destinati alla Pianura Padana. Armero, comandante dei 13 legni veneziani, ed Andrea Doria. comandante delle 8 galere sollo bandiera papale 19, s'impadronirono di La Spezia e Portofino, mentre Navarro, con 24 navi francesi doveva prendere, e prese, Savona; ma Genova era stata rinforzata da 1.500 spagnoli e veniva vettovagliata da terra. Così tutto quel che si poté fare fu parare con 2.300 uomini l'attacco portato contro Portofino dai 6.000 usciti da Genova e affrontare e sconfiggere colle navi francesi e papali nel Golfo la squadra imperiale di Carlo di Lannoy, forte di 22 legni. Fallì, infine. l'intercettazione e distruzione dei 14.000 lanzichenecchi guidati da Georg von Frundsberg in Lombardia nel novembre 1526. ancora disorganizzati, non pagati e privi d'artiglieri e. Le truppe imperiali, comandate ora dal Connestabile di Borbone e forti di circa 30.000 uomini, ebbero quindi il tempo di riorganizzarsi, forzare il passaggio del Po - dove il 24 novembre, a Borgoforte, venne mortalmente ferito il ventottenne Giovanni delle Bande Nere - e calare su Roma in cerca di bottino, seguite a distanza dall'esercito della Lega, perché il Duca d'Urbino. in cattivi rapporti con Clemente VII. si limitava a sorvegliare i1 nemico da lontano. Per questo Roma fu presa di sorpresa. fl Papa. reso sicuro dall'esistenza dell'esercito della Lega, aveva appena concluso una tregua col vicerè di Napoli ed aveva smobilitato la maggior parte delle proprie forze. Le milizie pontificie non erano sufficienti a presidiare tutta l'estensione delle mura cittadine, cosicché le truppe luterane del Connestabile di Borbone riuscirono ad entrare in città il 6 maggio. Massacrarono la guardia svizzera che copriva la fuga del Papa in Castel Sant' Angelo e saccheggiarono orribilmente l'Urbe. Con Clemente assediato nel castello, la Lega si sfasciò. Parma e Piacenza si dichiararono libere dal vassallaggio alla Santa Sede; Sigismondo Malatesta riprese Rimini: i Bentivoglio Bologna, il duca Alfonso d'Este Reggio e Modena, Venezia Cervia e Ravenna. Firenze si diclùarò nuovamente repubblica; e Andrea Doria, davanti alle conseguenze del mancato impegno francese, cominciò a valutare l'opportunità di passare definitivamente nel campo spagnolo. Insomma, al momento della crisi ognuno pensò solo al suo immediato tornaconto e non a quali risultati potevano aversi in futuro. Nè la Francia si comportò meglio, infatti aveva progettato d'invadere il Regno di Napoli; ma le sue truppe avevano tardato all'appuntamento all'Argentario colla squadra di Doria incaricata di trasportarle e, quando arrivarono, la stagione troppo inoltrata sconsigliava la navigazione. li loro comandante, Lorenzo Orsini, insistè e, alla fine, ottenne da un contrarissimo Andrea Doria di farsi traghettare almeno in Sardegna per toglierla agli Spagnoli. Ma l'attacco a Cagliari fu respinto e quello a Sassari fu un fallimento. pure a causa delle malattie che falcidiarono l'esercito. Si dovè rimandare tutto alla primavera seguente; e nel frattempo non si presentava più tanto facile l'impresa di Napoli, perché vi erano stati precipitosamente riportati indietro dall'Alta Italia su 30 navi 16.000 fanti spagnoli dal vicerè Carlo de Lannoy. Finalmente Francesco l, molto lentamente perché aveva fatto anche lui il doppio gioco fra Italia e Spagna, scese in campo. Al suo fianco si schierarono Firenze, Milano, Venezia e Alfonso d'Este. Andrea Doria decise di rimandare il cambio di fronte e mise la propria flotta a di-

•i Rip. in GIOACCHINO VOLPE, cit., p. 56. 19 La squadra pontificia constava deUe 4 galere di Andrea Daria, delle due di suo cugino Antonio Do-

na e d'un'ultima coppia di galere papali. con 3.000 uomini imbarcati. Tutto era al comando d'Andrea, che percepiva 35.000 scudi all'anno per il mantenimento dell'intera squadra.


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sposizione della Lega20. Così nell'estate del 1527 prima la Lombardia e poi Genova caddero in mano alla Lega. Poi il signor de Lautrec puntò verso il Regno di Napoli. Sostenuto nel Tirreno dalla flotta dei Daria, comandata in sottordine da Filippino, nipote di Andrea, e da quella veneziana in Adriatico. occupò l'Abruzzo e la Puglia e ridusse gli Spagnoli a difendersi nella Capitale. Mentre il nuovo vicerè, il principe d'Orange, riusciva lentamente a liberare il Regno dagli invasori a partire dalla primavera del 1528, Daria conservava la supremazia navale, battendo la flotta spagnola a Capo d'Orso. presso Salerno, il 28 aprile 1528 e sbarcando truppe alla Marina Grande di Sorrento il 3 maggio per appoggiare Lautrec in azione nella penisola sorrentina. Moncada convinse l'Orange ad affrontare Doria. La floua spagnola usci in mare con 22 navi e parecchi uomini comandati da buoni ufficiali, tra i quali alcuni molto noti come Ettore Fieramosca, e si diresse contro il nemico. Filippino Daria la prevenne. La assall a largo di Amalfi il 28 maggio, uccise Moncada e prese o affondò 20 dei 22 legni spagnoli senza perdere nemmeno una nave, dimostrando l'insostituibilità dell'alleanza genovese. Ma intanto i Francesi avevano commesso l'errore di consentire il potenziamento del porto e la fortificazione della città di Savona a danno di Genova. nonostante la dichiarata opposizione di Andrea Doria. Questi quindi accettò di trattare col principe d'Orangc. Ne ottenne libertà politica e di commercio per Genova. la sottomissione ad essa di Savona e decise di passare al servizio spagnolo. Per questo motivo il blocco navale d1 Napoli cessò allo scadere dell'impegno che Doria aveva sottoscritto colla Lega, il IO luglio 1528; ma non tenninò la peste che dal blocco e dalla guerra era nata, anzi si sviluppò ancora e colpl sia le truppe francesi, decimandole e costringendole alla resa, sia lo stesso Lautrec. uccidendolo. Lo sblocco navale di Napoli permise alla Spagna di farvi affluire i convogli e costrinse i Francesi, indeboliti dall'epidemia, a togliere l'assedio, ritirarsi a Gaeta e, bloccativi dal nemico, capitolare. Davanti a questo insuccesso Francesco l tentò di rifarsi e, tra l'altro, cercò di prendere Genova, mandandole contro 3.000 uomini in dicembre. Il loro compito era di rapire Andrea Doria, che soggiornava in campagna, e, eventualmente, impadronirsi di Genova. La sorpresa falll e la prima difesa, di circa 1.500 uomini comandati da Andrea Doria in persona e sostenuti da artiglieria, li obbligò a ripiegare con gravi perdite. Poco tempo dopo si giunse alla pace generale, detta " Delle Due Dame" nel I 529. Gli Italiani rimasero soli ancora una volta. l'ultima: Veneziani, Fiorentini e Alfonso d'Este furono abbandonatj a fronteggiare le forze e l'ira deU'lmperatore. perché il Papa, dopo l'armistizio durissimo del 1527, aveva dovuto sottoscrivere la pace di Barcellona nel 1529.

XXIII) Dal congresso di Bologna del 1530 a Gavinana

Contrariamente alle aspettative, quando Carlo V venne in Italia in agosto. dichiarò di voler la pace, per mettere la penisola in grado di resistere meglio alla pressione mussulmana. Convocò un congresso a Bologna e ad esso parteciparono Venezia, il Papa, i marchesi di Mantova e del Monferrato, il duca Carlo 11 di Savoia e le Repubbl icbe di Siena, Lucca e Genova.

20 La nona gli apparteneva da quando. in seguilo alla campagna navale del 1517 contro i pirati, alcuni suoi amici avevano comperato ed annato a loro spese 4 galere affidandogliene il comando. Subito dopo la Repubblica di Genova le aveva prese al proprio servi1io. ma lasciandolo libero di corseggiare e impegnarsi a piacimento contro i nemici della Repubblica. Doria, quindi, che manteneva la squadra, poi accresciutasi, come una compagnia di ventura terrestre. era comple1amente libero di decidere come servirsene.


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Sola assente Firenze, non disposta a venire a patti a nessun costo, nè col Papa. cioè coi Medici, nè coll'Imperatore che li sosteneva. Il risultato del congresso fu il definitivo asservimento dell'Italia alla Spagna. L'Imperatore trattò benissimo il Duca di Savoia perché voleva adoperarlo come primo sbarramento militare contro la Francia. Perdonò il Duca di Milano, fece restituire da Venezia al Papa le città romagnole e si fece incoronare prima Re d'ltalia colla corona ferrea e poi Imperatore con quella imperiale il 22 febbraio. Poichè Firenze continuava a non voler patteggiare e in base alla pace di Barcellona Carlo V si era impegnato a raggiungere una soluzione favorevole ai Medici, dal novembre 1529 inviò le sue truppe, comandate dal Principe d'Orange, a sottomettere la città, le cui difese erano state preparate su progetto e sotto la direzione di Michelangelo Buonarroti. Gli Imperiali incominciarono coll'assediare Volterra. I Fiorentini uscirono per soccorrerla; ma vennero attaccati prima sulla Grave poi sulla Pesa e disimpegnati solo dal rapido intervento delle milizie comandate da Francesco Ferrucci. Riunitisi a Empoli sotto il suo comando, i loro 1.400 fanti e 200 cavalleggeri proseguirono su Volterra, dove entrarono il 26 aprile. Le altre truppe nemiche concentrate a Siena, 4.000 uomini agli ordini di Fabrizio Maramaldo, risalirono allora la Val d'Elsa verso Empoli e Volterra per unirsi al grosso imperiale. Dopodichè si verificarono numerose scaramucce fra i due schieramenti fino a metà giugno quando, iniziato l'assedio, gli Imperiali -circa 10.000 uomini - vennero costantemente respinti dai difensori diretti da Ferrucci. Per questo il 18 giugno decisero di levare il campo e andarono ad assediare Firenze. Il 15 di luglio Ferrucci uscl da Volterra con 3.000 fanti e 500 cavalieri sia per soccorrere Firenze che per aprirle la strada ai vettovagliamenti da Prato e Pistoia. Direttosi in un primo tempo a Pisa, dove sostò quasi due settimane perché s'era ammalato, ne ripartì il 31. Passò per Lucca, Collodi e Calamacca e, il 3 agosto, scese verso Gavinana. Maramaldo l'aveva seguito ininterrottamente da San Geminiano. impegnandolo in piccoli combattimenti. In seguito, visto che Ferrucci andava a incunearsi fra le truppe imperiali ed intuita la strada che avrebbe seguito. si era buttato per i monti ed era entrato a Gavinana da ovest proprio mentre l'altro vi arrivava da sud. Così Ferrucci si trovò attaccato da tre lati. perché erano accorsi altri due contingenti imperiali, ma riuscl ugualmente a reggere molto bene. Quando però da Pistoia ne arrivò un quarto comandato dal Principe d'Orange, portando i nemici a 13.500, la battaglia, combattuta nel bosco delle Vergini, fu persa. Il Principe morì. Ferrucci, ferito gravemente, fu finito da Maramaldo; e le soldatesche fiorentine, là battute e a Firenze tradite poi da Malatesta Baglioni. non poterono continuare la guerra molto a lungo. Per questo in quel medesimo 1530 i Medici tornarono a dominare Firenze per concessione di Carlo imperatore e vi sarebbero rimasti ininterrottamente per oltre due secoli. L'unico tentativo di abbatterli sarebbe avvenuto nell'estate 1537, quando Pietro Strozzi avrebbe condotto alla sconfitta di Montemurlo un piccolo esercito di fuorusciti fiorentini.

XXIV) La guerra del Piemonte del 1534 - 36

La morte senza eredi di Francesco Sforza, duca di Milano, avvenuta il 14 ottobre 1535, portò la reversione del Ducato all'imperatore. Contro di lui si mosse la Francia che nel febbraio 1536 chiese il passo delle Alpi al Duca di Savoia. Sostenuto dagli Spagnoli, il Duca rifiutò e si apprestò a bloccare !"esercito nemico, comandato da Montmorency. che scendeva verso Susa. Ma le scarse truppe sabaude, rinforzate da 4.000 alleati, agli ordini di Cesare Maggi, furono battute. Il Piemonte fu invaso, Torino presa e fortificata dai Francesi, ai quali si unì pure il marchese Francesco di Saluzzo con un suo piccolo contingente.


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Carlo di Savoia si ritirò dietro la Dora Baltea, a San Germano prima e poi a Vercelli, mentre l'esercito spagnolo si preparava a combattere nella Pianura Padana e attestava ravanguardia a Chivasso. Ma poi gli Spagnoli si ritirarono; e i Piemontesi - circa 4.000 - si chiusero entro Vercelli. disorientati dal veloce passaggio della Dora fatto dai Francesi, col cui denaro parecchi signori avevano arruolato circa 10.000 uomini oel Mirandolese, tenendoli pronti per non si capiva quale evenienza. La sosta di Montmorency secondava i piani di Antonio de Lcyva, governatore dello Stato di Milano, al quale occorreva tempo per concentrare le truppe spagnole e italiane. Quando fu pronto marciò con 12.000 fanti e 600 cavalieri verso Vercelli, per soccorrerla e battervi i nemici. Tutti gli osservatori concordavano nell'attribuire ai Francesi la vittoria nell'imminente scontro campale; ma non era ancora venuto il momento di combattere. Proprio in quei giorni Carlo V era a Roma e chiedeva la mediazione pontificia per evitare la guerra. Si tentò, ma non si venne a capo di nulla; e l'lmperatore lasciò l'Urbe deciso a dare la parola alle armi, senza neanche ottenere dal Papa una presa di posizione a proprio favore. A Firenze venne raggiunto dalle controproposte francesi. che respinse. Ma intanto aveva guadagnato tempo e l'ordine di Francesco I a Montmorency di fermarsi per non disturbare le trattative. Quest' ultimo l'aveva eseguito. Si era ritirato a San Germano, in modo da mantenere i collegamenti colla Francia, e aveva mandato Stefano Colonna con 4.000 fanti e 100 cavalieri a rinforzare Torino. De Lcyva intanto non era rimasto colle mani in mano e, ben sapendo come sarebbe andata a finire, si era spostalo verso l'Astigiano, minacciando di tagliare le linee di rifornimento francesi non appena fossero state riprese le ostilità. Montmorency rispose mandando 4.000 fanti francesi e 800 cavalieri italiani a prendere Fossano, Cuneo, Mondovì, Savigliano e Yigone per prepararvi una resistenza avanzata contro la possibile invasione della Provenza da parte spagnola. lntanto le truppe asburgiche avevano raggiunto una tale superiorità sulle francesi da poter simultaneamente conquistare il Piemonte. assediare Torino e puntare contro la Francia s1essa. forti della tesi di Carlo V secondo la quale la Provenza era dell 'lmpcro, tesi che mirava a giustificare la creazione d'una continuità territoriale fra i suoi Stati d'Italia e di Spagna. Montmorency aveva visto giusto occupando Fossano. perché proprio là i Francesi riuscirono a resistere per uo mese, nonostante la debolezza delle fortificazioni e il tradimento operato ai loro danni dal Marchese di Saluzzo21• passato alla Spagna con armi, bagagli e la lista delle difese, delle armi e delle munizioni presenti nella città. La resistenza di Fossano consenù a Francesco I di correre a i ripari. concentrando le truppe sulle Alpi e in Provenza e, quando la città si arrese. dopo l'arrivo di Carlo V, era pronto a respingere gli Spagnoli. Carlo V ripartì le sue forze in tre colonne. La prima si avviò per la Riviera ligure, appoggiata e protetta dal mare dalla flotta dt Andrea Daria, da cui erano trasportate pure le artiglierie e i bagagli. La seconda, formata prevalentemente da truppe spagnole e tedesche. marciò da Fossano a Nizza. dove si dirigeva anche l'ultima, composta da reparti italiani destinati a passare prima per Cuneo. Il 25 luglio 1536 con 50.000 uomini Carlo passò il Varo, confine fra la Contea di Nizza e il Regno di Francia; ma la spedizione andò male e, per di più, mentre era in pieno svolgimento, improvvisamente i famosi e quasi dimenticati 10.000 tra fanti e cava.fieri italiani, radunati nel Mirandolese dal conte Guido Rangoni, si mossero e cominciarono a risalire il Po tenendosi sulla riva destra - quella emiliana - senza che fosse possibile capire le loro intenzioni. Miravano a Milano? O volevano colpire le truppe spagnole? O avevano altri progetti? Non si sapeva.

21 Francesco aveva ottenuto il Marchesato al posto del fratello maggiore Gianluigi proprio da France-

sco I.


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Raggiunsero e superarono Panna, Reggio. Castelguelfo. Piacenza. Pavia e Tortona. Poi, a fine agosto. improvvisamente si buttarono per Serrava!Je e piombarono davanti a Genova. Doveva essere una sorpresa tale da consentire in un sol colpo il recupero della città alla Francia e il taglio delle comunicazioni e dei rifornimenti via mare alJ'armata in Provenza; ma la Superba, retta da uomini sospettosi, aveva cominciato a preoccuparsi appena avuta notizia dell'approssimarsi dell'esercito a Tortona. L'arrivo d'un disertore Lucchese aveva dato corpo ai timori e si era corsi ai ripari chiamando da Alessandria un migliaio di Lanzichenecchi e avvisando Andrea Doria, che aveva staccato dalla squadra 8 galere con 800 fanti per coadiuvare le difese terrestri. «Giunto a Roviano, il Conte Guido mandò dentro un trombetto a ricercare la città pel re di Francia. Glifa risposto, che se la voleva, se la pigliasse, perché di buona voglia non/ 'avrebbe"''' All'alba seguente cominciò l'attacco alla città, esercitando gli sforzi principali contro le porte dal lato del Bisagno e di Fazzuolo. Lo scontro più duro fu alla Torre dello Sperone, sulla seconda delle due porte, ma a!Ja prima non si stava certo tranquilli. Gli assalitori avevano cominciato col tiro delle loro artiglierie, controbattuto però tanto intensamente da quello delle galere dei Doria ancorate a!Ja foce del Bisagno da dover ripiegare. TI fallimento dell'attacco da quella parte implicò l'impossibilità cti sfondare alla Torre dello Sperone e decretò La fine del tentativo e la ritirata delle truppe del Conte Rangoni verso il Piemonte. Genova era salva, ma per un soffio; ed era evidente la necessità di ricostruirne e potenziarne le difese murarie dal lato di terra. La marcia verso nord delle truppe del Conte Rangoni obbligò gli Imperiali a lasciare l'intrapreso assedio di Torino per non essere colti fra due fuochi. Si ritirarono a Moncalieri mentre il nemico entrava a Carignano, il cui castello restava però in mano alla guarnigione sabauda, e il comandante piemontese sul campo, Conte di Scalenghe, ripiegava su Asti. Nel frattempo la guarnigione francese di Torino era uscita in campagna, si era unita alle truppe del Conte Rangoni e s'era impossessata di Chieri e Cherasco, le cui popolazioni si erano sottomesse al Re di Francia. Col progredire dell'autunno, il Marchesato di Saluzzo cadde quasi del tutto in mano francese; e Francesco I lo restituì al marchese Gianluigi come feudo dipendente dalla provincia francese del Delfinato. Sembrava che ai Savoia sarebbe rimasto poco o nulla quando gli abitanti della Tarantasia si sollevarono contro i Francesi e li cacciarono dalla provincia. Francesco si accorse del pericolo: non solo esisteva ora una minaccia alle linee di comunicazione coll'esercito operante in Piemonte, ma la rivolta poteva estendersi al resto della Savoia. Perciò vi inviò reparti francesi e tedeschi col colonnello de Saint-Paul, che devastò e risottomise La Va!Je, impadronendosi di Conflans. Nello stesso periodo i Francesi erano riusciti a prendere anche Casale22, da poco passata ai Gonzaga di Mantova, ma non il castello; e il tempo perso per assediarlo consentì al generale imperiale Marchese del Vasto di arrivare da Asti e sconfiggere gli assedianti, sbloccando il castello e recuperando la città. Lasciatasi alle spalle la Provenza distrutta, in autunno l'armata spagnola, assai indebo.lita, rientrò in Piemonte per unirsi alle truppe del Marchese del Vasto e proseguire la guerra contro i Francesi. Benchè male in arnese, il rinforzo arrivava a proposito, perché i soldati del Signor d'Umières avevano recuperato tutto il terreno perso in estate, obbligando gli Imperiali a chiudersi in alcune piazzeforti prossime al Po e a ripiegare fino ad Asti. Ne seguì un periodo di prese e perdite cti città e castelli, necessari a entrambi i contendenti per controllare il Piemonte

xii BO'ITA, «Storia d'Italia», Parigi, Baudry. 1842, voi. 1°. p. 101. 22 Rimasto vacante il Marchesato del Monferrato, di cui Casale era il capoluogo, il feudo era tornato

a disposizione del! 'Imperatore, il quale dei tre pretendenti - Duca di Savoia, Marchese di Saluzzo e Duca di Mantova - ne aveva investito l'ultimo. Ferrante Gonzaga, con poca gioia dei Casalaschi.


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- testa di ponte in Italia per gli uni, antemurale di Milano per gli altri - ma quando si seppe della tregua conclusa in Piccardia, la si estese al teatro piemontese sulla base dell'Uti possidetis stabilendola a due mesi. I due mesi salirono poi a sei e, nelle trattative intercorse a Ni2.U1 tra Francesco I, Carlo V e il Papa nel giugno di quello stesso 1538, si allungarono infine a dieci anni.


CAPITOLO III

L'ASSESTAMENTO DELL'ITALIA

I) La rivolta di Perugia del 1539 e la guerra del Papa e dei Colonna

La pace tra Francia e Spagna era necessaria a Paolo III per l'attuazione di due progetti. Il primo era la coalizione delle forze cristiane contro quelle mussulmane. Il secondo. assai meno nobile ma da lungo tempo meditato, era l' insediamento dei suoi famigliari su qualche trono. La pace non gli aveva portato nessuna corona e, sperando sempre che Carlo V lo accontentasse, ricordò il proverbio «chi fa da sè fa per tre". riunì i feudi ecclesiastici di Nepi, Castro e Ronciglione in un ducato e ne investì il proprio figHo Pierluigi'. Ritenendolo ancora poco. approfittò della morte di Francesco Maria duca d'Urbino per avocare a sè il dipendente ducato di Camerino e donarlo al nipote Ottavio Famese, prevenendo qualsiasi lamentela da parte del nuovo duca d'Urbino sostenendo le proprie pretese con 12.000 tra fanti e cavalieri appositamente arruolati. Vistosi negare l'aiuto chiesto a Venezia, il Duca d'Urbino si astenne dal reagire; e i Farnese si tennero Camerino. o·altra parte in quel momento l'appoggio papale era importantissimo tanto per il Doge quanto per l'Imperatore a causa della pressione turca, alla quale si poteva far fronte solo colle risorse finanziarie messe a disposizione dalla Chiesa mediante la proclamazione della bolla della Crociata. Naturalmente tutto questo era costato parecchio denaro, sia in termini di minori entrate dovute alla deviazione di rendite ecclesiastiche nelle tasche dei Famese, sia in donativi e arruolamenti e, per tornare in attivo. la Santa Sede non ebbe idea migliore d'un inasprimento delle tariffe, specialmente su quel bene di larghissimo consumo che era il sale. Molte città degli Stati Pontifici protestarono. Ravenna tumultuò, Perugia insorse2 e chiese aiuto prima a Carlo V e poi a Cosimo de' Medici, dicendosi pronta a sottomettersi a chi l"avesse sostenuta, ma ne ebbe solo rifiuti. Allora assunse al proprio servizio Ridolfo Baglioni, capitano al servizio toscano e grandissimo avversario di Paolo Ili, il quale assoldò 2.000 uomini, unendoli ad altrettanti popolani perugini n Pontefice intanto non stava perdendo tempo. Aveva radunato a Spoleto 8.000 fanti italiani e 800 tedeschi. Ad essi ne aveva aggiunti altri 3.000 avuti dal vicerè di Napoli e, posta tutta l'annata agli ordini di Pierluigi Farnese, ma in realtà di Alessandro Vitelli: la fece avanzare contro la città ribelle. La prima resistenza fu opposta al castello di Torgiano. Lo difese Ascanio della Comia per alcuni giorni, ottenendo per capitolazione di poterne uscire con tutta la guarnigione a bandiere spiegate e tamburo rullante. Ma dopo la sua resa Perugia non poteva reggere e lo sapeva. Cercò una composizione extramilitare: le fu negata. Ottenne la mediazione medicea: non fu ascoltata. Il Papa voleva darle una lezione memorabile e farne un esempio per tutti gli Stati. Prima la contrada circostante 1 Ottenuti vari titoli per il figlio da Venezia e da Carlo V, Paolo m lo nominò Gonfaloniere e Capitano Generale di Santa Romana Chiesa. 2 Perché così facendo il Papa violava l' articolo 30 del parto del 1424, secondo il quale la città sarebbe stata perpetuamente libera da ogni vincolo fiscale.


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fu devastata orribilmente. Poi a fine maggio la città venne assediata e si arrese a discrezione il 2 giugno. Il 5 Pierluigi Farnese vi entrò con 1.500 fanti e 800 cavalieri e decretò la decapitazione di sei dei principali gentiluomini cittadini a capo della rivolta, il bando per altri dieci, l'aumento del prezzo del sale e il pagamento dei danni di guerra alla Reverenda Camera Apostolica. Visto il buon esito e il minimo danno riportato dal suo esercito, Paolo ITl pensò di insistere e si rivolse contro alcuni dei suoi più ostinati e pericolosi feudatari: i Colonna. Erano partigiani della Spagna, il che già era un pericolo: i loro castelli erano a poca distanza da Roma: ed era un altro pericolo; erano i più potenti e prepotenti dei suoi feudatari e la loro sconfina avrebbe automaticamente messo in riga gli altri; e questo era un buon motivo per assalirli. Detto fatto: nel 1540 l'esercito pontificio tornò a Roma e ne uscì diretto ai castelli dei Colonna; prima tappa: Rocca di Papa. La prese d'assalto e marciò su Paliano, al confine col Regno di Napoli. Due mesi d'assedio gli permisero di conquistarla. Cadute anche Ciciliano e Roviano. i Colonna si ritirarono a Rocca Guglielma. nel territorio napoletano ed attesero tempi migliori.

11) La guerra contro i Turchi d el 1537-39

Le faccende interne dello Stato pontificio erano però di scarso nlievo. ln quel momento il fulcro dell'attenzione degli italiani era Valona. dove Sol imano il Magnifico. d'accordo con Francesco I impegnato in Piemonte, aveva concentrato grandissime forze navali e terrestri, senza però far capire contro chi le volesse dirigere. A Venezia e Napoli si stava col fiato sospeso. consci del pericolo, quando la Serenissima ricevè la notizia che la flotta ottomana in transito nello stretto di Corfù aveva reso il saluto per prima alla fortezza veneziana che lo custodiva, venendone contraccambiata regolarmente, e che Solimano aveva decretato ai suoi sudditi di non molestare nè danneggiare in alcun modo i sudditi veneziani. li Senato pensò di potersi fidare e ordinò al Capitano Generale Pesaro di non infastidire i movimenti dei Turchi. Questi avevano come obbiettivo l'occupazione dell'Italia Meridionale e 10.000 fanti e 1.500 cavalieri imbarcati su 320 navi di vario tonnellaggio per riuscirci. Guidati dal famoso Barbarossa e consigliati dal rinnegato Troilo Pignatelli, invece di sbarcare ad Otranto o Brindisi, entrambe ben munite, presero terra di fronte ad Otranto, a Castro, feudo di Mercurino Arborio di Gattinara. L'occuparono. lo saccheggiarono uccidendo tutti gli inabili alle fatiche della schiavitù e vi si fortificarono, adoperandolo come base operativa per le scorrerie di cavalleria che cominciarono a lanciare su tutto il territorio circostante. Il locale governatore, Scipione di Somma, aveva pochi uomini ma molto coraggio. Incurante della sproporzione di forze, mandò a chiedere rinforzi e uscì in campagna per contrastare i nemici e ritardarne l'avanzata fino all'arrivo di truppe da Melfi e da Napoli, condotte queste ultime dallo stesso vicerè; e ai 30.000 spagnoli e italiani messi in campo dal vicerè, Paolo lll dichiarò di voler aggiungere le proprie truppe. Sembrava inevitabile la guerra in Italia quando il caso, l'orgoglio veneto ed il pessimo carattere di Solimano la deviarono sul mare contro i Veneziani. Una galera veneta, comandata dallo zaratino Simone Nasso, incontrò un trasporto turco diretto a Valona con rifornimenti di viveri. Il secondo rifiutò di salutare la prima. Nasso si arrabbiò lo cannoneggiò e lo colò a picco, convinto del proprio buon diritto: era o non e ra nel Golfo di Venezia? Anche Solimano s'arrabbiò e mandò Janus Bey a Corfù con due navi a chiedere spiegazioni e a domandare il risarcimento dei danni e la punizione del colpevole. I due legni arrivarono in prossimità dell'isola. non salutarono per primi e quattro galere della Guardia in Golfo insegnarono loro le buone maniere, mettendoli in fuga e inseguendoli fino a Chimera, dove il


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Bey fuggì a terra e fu catturato dai Cimarioti salvando a malapena la vita. Pesaro lo riscattò e lo liberò. Fece le sue scuse a Solimano ma un primo solco era tracciato, solco che s'approfondì quando una notte, suUa costa italiana, la galera di Alessandro Contarini assalì e distrusse una nave turca credendola di pirati. Pesaro era uscito da Corfù con tutta la flotta per evitare incidenti quando aveva appreso l'arrivo nel canal di Zante di 80 galere di Barbarossa e non sapeva nulla di quanto aveva fatto Contarini. Fu quindi assai perplesso quando si vide venire addosso l' intera flotta ottomana con intenzioni poco chiare. Cosa fare? Voltare le pme sapeva di vigliaccheria; restare avrebbe potuto portare a un combattimento e trascinare la Repubblica in una guerra non desiderata. Risolse la cosa salutando e puntando subito su Corfù, ma Solimano era ormai convinto che la flotta veneta fosse stata messa là apposta per prendere alle spalle le sue navi nel bel mezzo delle operazioni e distruggerle. facendo fallire l'intera spedizione. Barbarossa tempestava contro i Veneziani e, come se non bastasse, Andrea Doria era arrivato nei press.i di Cefalonia coll'intenzione di assalirvi le navi turche, ben sapendo di trovarsi in acque veneziane e che un combattimento in esse avrebbe scatenato la Sublime Porta contro la Serenissima. La sua prima azione consistè nell' attacco ad un convoglio di rifornimenti nelle vicinanze di Valona. Di quindici navi che lo componevano, ne affondò due e ne catturò nove. Poi prese le galere di Janus Bey rimaste ferme dov ' erano attraccate e, passato alle isole Merlere, assalì e colò a picco altre 12 galere ottomane. Barbarossa era certo che Doria non poteva riuscire così bene senza un sotterraneo appoggio veneziano e, per di più, persuase pure Solimano, il quale convocò il legato veneziano Canale e gliene disse di tutti i colori. Canale si destreggiò assai bene e lo convinse ad attendere almeno il ritorno del corriere che stava mandando a Venezia per sapere cosa il Senato volesse fare. Quest' ultimo stabilì la via conciliativa, ma era troppo tardi. I Turchi stavano assalendo i possedimenti veneziani in Grecia. Solimano aveva deciso così per due motivi: la resistenza incontrata in Italia, maggiore del previsto, e la notizia della tregua decennale stabilita a Nizza fra Carlo V e Francesco I. La defezione dell'alleato francese lo metteva in imbarazzo e consentiva alla Spagna di concentrare tutte le proprie forze in Italia. Dunque per evitare la sconfitta, era meglio rivolgersi contro i Veneziani, almeno tutti i preparativi militari sarebbero serviti a qualcosa. Cosi le milizie ottomane si riconcentrarono a Castro, si reimbarcarono e si diressero verso Butrinto, che, presa di sorpresa, capitolò subito, e Corfù. La notizia della caduta di Butrinto precedè di pochissimo l'arrivo a Corfù dei 25.000 turchi di Barbarossa e Lufti Bey. ma quel pochissimo bastò al comandante veneziano Naldi per distruggere ogni cosa utile al nemico fuori della cittadella, farne uscire tutti gli inabili alle armi e preparare al meglio la difesa. [I Senato ricevè la notizia e decretò subito l'armamento generale. cercando appoggi in tutte le corti cristiane, io particolare a Roma e presso l'Imperatore, domandando la costituzione d ' un'armata imperiale, pontificia e veneta di 30.000 uomini, l'invio d ' altri 20.000 dalla Germania e l'unione alle oltre 100 galere veneziane della squadra imperiale di 80 galere e 50 altri legni agli ordini d'Andrea Doria. U Papa approvò, mandò la propria squadra, sollecitò l'invio di quella dell'Ordine di Malta a Brindisi e si adoperò presso Carlo V perché sostenesse la lotta a fianco dei Veneziani. Doria però non aveva intenzione di favorire la Repubblica e cominciò a opporsi passivamente, dichiarando di non potersi muovere senza espliciti ordini dell'Imperatore. Intanto Corfù si difendeva benissimo e le truppe veneziane avevano preso Scardona e Ostrovizza, in Dalmazia, assalite da Pesaro e Camillo Orsini, coadiuvati dalle navi di Pier Vettori. Contemporaneamente Ferdinando d'Asburgo era sceso in campo in Ungheria, impegnandovi i Turchi, ma perdendo Clissa. che sarebbe stata recuperata alla Cristianità oltre cent' anni


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dopo dai Veneziani. Ma questi combattimenti non erano risolutivi, perché il punto strategico per eccellenza era costituito da Corfù, dalla quale si potevano controllare l'Adriatico. la Dalmazia, l'Italia e la Grecia nordoccidentale; e Corfù resisteva egregiamente, facilitata dall'insufficienza qualitativa e quantitativa dell'artiglieria nemica e dalla bontà delle fortificazioni. Inoltre la stagione buona stava terminando e, come al solito, la pioggia e il vento ostacolavano le operazioni d'assedio, favorendo ed allargando l'azione delle solite malattie infettive endemiche nell'armata turca. Capendo che era inutile insistere. Solimano abbandonò l'impresa e ordinò la ritirata a Butrinto, facendo portare via 7.000 corfioti destinati alla schiavitù. Vibrò un ultimo fallimentare colpo ai possedimenti veneziani ordinando l'assalto a Napoli di Malvasia e Napoli di Romania\ ultime delle tante basi che la Serenissima aveva posseduto in Grecia fino a poco prima, poi cer municò a Canale di essere disposto alla pace purchè gli venissero rifusi i danni, minacciando, in caso Venezia non avesse accettato. di assalire Candia e il Friuli. Il Senato vide discussioni accesissime pro o contro la pace e, alla fine, nel febbraio 1538, decise per la continuazione della guerra alleandosi aJla Spagna ed al Pontefice. Duecento galere4 e 100 navi di vario tipo sarebbero state riunite sotto il comando d'Andrea Doria; 20.000 fanti italiani. altrettanti tedeschi e 10.000 spagnoli più 4.500 cavalieri avrebbero costituito le forze cristiane di terra agli ordini del Duca d'Urbino Francesco Maria. Un sesto delle spese sarebbero state a carico della Reverenda Carnera Apostolica. due a carico del Senato e i restanti tre dell'Imperatore. L'accessione all'alleanza sarebbe stata consentita ai re di Francia, d'Ungheria e di Poloma ed a rutti I pnncipi italiani. Nel frattempo Barbarossa devastava l'arcipelago. Tentò uno sbarco a Suda nell'isola di Creta, cioè Candia. e fu respinto. poi a Cassano e di nuovo contro Napoli di Romania. In Dalmazia continuavano gli scontri terrestri. anche se di piccola entità, e tutti erano in attesa del primo vero urto fra i Cristiani e i Mussulmani. Era il mese di settembre e le galere pontificie intanto erano entrate nel Golfo d'Ana. contiguo a quello di Prevesa. Barbarossa vi si stava dirigendo per assalirle; e la squadra ispanoveneta ne era al corrente. Si tenne consiglio di guerra. Scartata l'ipotesi di sbarcare a Prevesa e guarnirne d'artiglierie il promontorio per bloccare gli Ottomani, Capello. Grimani e Doria convennero di prendere il largo con tutta la flotta e andare a cercare il nemico, alla fonda nel Golfo di Lepanto, per costringerlo al combattimento. Se avesse rifiutato si sarebbe presa Lepanto e saccheggiato il litorale fino all'Istmo di Cer rinto per indurre Barbarossa allo scontro. Partirono con 130 galere 2 galeazze e 63 altre navi fra crasporti e ausiliarie e veleggiarono verso Arta. alla cui imboccatura si presentarono il 25 settembre. Gli esploratori mussulmani segnalarono il loro avvicinamento e Barbarossa, che aveva 94 galere e 66 legni minori. rimase un po· in dubbio, poi. ricordato l'ordine del suhano di combattere, decise di avanzare. Dopo un primo scontro d'avanguardia svoltosi il 26 fra 6 galere cristiane e altrettante mussulmane, il 27 si ebbe un combattimento fra il naviglio minore alleato e la flotta ottomana intorno all'isola della Sessola. Al tramonto, senza che si fosse svolta una vera battaglia, Doria decise per la ritirata; e Barbarossa, che aveva affondato qualche nave minore cristiana. rimase padrone della zona, catturando una galera veneta, una pontificia e cinque navi spagnole. Fioccarono su Andrea Doria le accuse più dure: non aveva sostenuto l'avanguardia veneta comandata da Capello, aveva ordinato la ritirata quando lo scontro era ancora da decidere. se non quasi vinto, e nei giorni successivi aveva rifiutato d'assalire i nemici ancoratisi a Paxos. Venezia e Roma lo guardavano con sospetto, non capacitandosi di come un tale ammiraglio avesse potuto non vincere. Anche per questi motivi nel seguente mese d'ottobre Doria portò tutta la flotta all'attacco di Castelnuovo, espugnandola il 27 e mettendoci di guarnigione i 4.000 3 Poi rispcuivamente denominate Malvasia e Nauplia. 4

Di cui 36 del Papa e 82 a testa Vene1ia e l'Impero.


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veterani spagnoli5 del generale Sarmiento, nonostante tutte le proteste dei Veneziani, i quali ricordavano come i patti prevedessero di restituire alla Repubblica le conquiste fatte in Grecia. Cosl finalmente si chiarivano i motivi della condotta dell'Ammiraglio genovese: voleva mantenere ridotta la potenza veneziana a diretto vantaggio di quella spagnola e, indiretto, di Genova e suo personale. L'inverno trascorse senza grandi novità. Ma in marzo Barbarossa si presentò sotto Castelnuovo con 90 galere e 50.000 uomini e la mise sotto assedio. La flotta cristiana era ancora allo sciverno6 in Sicilia e non poteva intervenire. nè, a dire il vero, si mosse con molta fretta, visto che Castelnuovo resse fino al 7 agosto, quando fu presa d'assalto. Nel frattempo era caduta in mani mussulmane anche Risano e le squadre navali del Sultano si erano presentate davanti a Napoli di Romania e di Malvasia. Ancora l'azione di Doria fu inconcludente e fiacca; e il Senato veneziano capì di non essersi sbagliato a sospettare che ciò fosse fatto in conseguenza dell'interesse politico della Spagna, teso a diminuire la potenza veneziana, l'unica che le si opponesse veramente in Italia. Non c'era altra via d'uscita di quella della pace: e vennero mandati ambasciatori straordinari a Costantinopoli. La Francia contrastò la cosa istigando il Gran Signore a proseguire la guerra contro i Veneziani se non avessero ceduto Napoli di Romania. Cattaro e Corfù, sperando così d'obbligare la Serenissima a clliederle aiuto e a staccarsi dalla Spagna. Tanto 1'Imperatore quanto il Re di Francia mandarono a Venezia ambasciatori e promesse d'aiuti ma, interrogati a fondo i primi. si venne a sapere che dei secondi nulla esisteva nè se ne sarebbe visto. Davanti a tanta malafede il Senato decise di salvarsi coi propri mezzi e mandò a Costantinopoli Alvise Badoer coli'ordine di far la pace senza cedere nè Catt.a ro nè Corfu e conservando sia Napoli di Malvasia che Napoli di Romania, anche se le si fosse dovute sottomettere ad un tributo annuo alla Sublime Porta?. Badoer poteva accettare di pagare i danni di guerra per una SOIJlill3 di 200.000 ducati, aumentabili in caso di estrema necessità fino a 300.000 e, come extrema ratio. poteva cedere Nauplia e Malvasia. Ma Badoer, arrivato a Costantinopoli nell'aprile del 1540. non riusciva a venire a capo delle trattative, anche perché 1'ambasciatore di Francia aveva segretamente riferito al Gran Visir tutto ciò che gli era riuscito d'apprenderes delle istruzioni impartite da Venezia in merito alle condizioni di pace da accettare. Così i Veneziani partirono svantaggiatissimi e non poterono fare altro che cedere le due città e pagare i danni di guerra richiesti: 300.000 ducati in tre rate annuali. Le navi della Repubblica evacuarono tutti i Cristiani che non vollero sottomettersi al dominio turco, asportarono armi e munizioni e salparono. Sarebbero passati centocinquant'anni, ma il Leone di San Marco sarebbe tornato a sventolare trionfalmente sulle mura da cui era stato ora ammainato.

5 La scelta della guarnigione non fu falla a caso. Doria voleva sbarazzarsi di quegli uomini perché li sapeva gente della peggior risma. Tenendoli a Castelnuovo contava di risolvere il problema perché, o difendevano la piazza dal ritorno offensivo del nemico, o finivano prigionieri e, in ogni caso. non gli avrebbero dato piil fastidio. 6 Termine con cui in marina si definiva il periodo invernale sfavorevole alla navigazione, lrascorso in porto dalle navi, particolarmente quelle a remi, corrispondente ai "quartieri d'inverno" degli eserciti terrestri. 7 Che Venezia era disposta a quantificare in un massimo di 6.000 scudi d' oro all 'anno. 8 L'ambasciatore francese a Venezia aveva corrotto cinque persone, tra cui due segretari, uno dei Dieci e l' altro del Senato, e il Savio alla Terraferma. dai quali aveva saputo quanto gli premeva, trasmettendolo poi al collega a Costantinopoli perché ne informasse il Gran Visir. Quando nel 1542 i colpevoli furono identificati, il Senato non solo procedè con estrema severità, ma giunse al punto d"assediare l' ambasciata di Francia dove tre di essi s'erano rifugiati , intimando all'ambasciatore la loro consegna, sotto pena d 'essere assalito a mano armata di lì a poche ore. capitasse poi quel cbe capitasse. Fu obbedito; e la Francia ebbe la decenza di non presentare mai alcuna significati va protesta per tale violazione delle immunità diplomatiche.


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Ili) La ripresa del conflitto franco-spagnolo e la guerra in Piemonte: 1541-44 Nel corso del 1541 si riaccese la lotta franco-spagnola. Francesco I cercò d"ottenere l'aiuto turco e veneto: Costantinopoli lo fornì assalendo gli Asburgo in Ungheria. Venezia lasciò cadere la cosa; aveva pagato già abbastanza la fiducia accordata alla Francia. Carlo V radunò le forze dell'Impero su cui non tramontava mai il sole e arruolò truppe anche nei possedimenti italiani. L"unico punto di frizione colla Francia in Italia era il Piemonte. dove dalla fine della precedente guerra essa possedeva Torino, Moncalicri, Savigliano e Pinerolo, mentre l'Impero continuava a tenere Alessandria, Asti, Vercelli, Volpiano. Fossano, Chieri, Cherasco e Alba e aveva rinforzato le proprie guarnigioni con un contingente di 4.000 soldati tedeschi. La situazione comunque vi era tutt'altro che tranquilla, oltre che per la vicinanza delle due opposte fazioni. per la presenza dei Valdesi. Eretici riconosciuti da almeno quattro secoli, lasciati però abbastanla tranquilli nelle loro vallate dai Conti e dai Duchi di Savoia, riapparivano ora in scena col principio della Riforma Luterana. Si sentivano sicuri. perché non erano più isolati in Europa e. per questo motivo, cominciarono a mostrarsi ostili ai Cattolici. La notizia arrivò a Roma e il Papa fece presente a Francesco L nel cui possesso si trovavano in quel momento le valli Valdesi, quanto fosse necessario estirpare la mala pianta deu · eresia. Francesco scrisse a Torino dando ordini in merito. l Valdesi provarono a chiedergli la revoca del provvedimento, ma ne ebbero risposta negativa: o si convenivano o peggio per loro. E la persecuzione fu tanto violenta da indurne alcuni a fuggire in Calabria. dove si stabilirono in due cittadine - San Sisto e Guardia - sperando d1 poter vivere tranquilli: avevano solo peggiorato la loro situazione e lo avrebbero scoperto ai propri danni nel 1561. Intanto Carlo V era venuto in Italia per sistemare di persona alcune questioni importanti. Si accertò della fedeltà dei Medici, parlò col Papa. aumentò l' influenza spagnola a Siena e, sopratutto, diede disposizioni per l'allestimento d ' una flotta destinata a prendere il più noto e pericoloso covo della pirateria mediterranea. cioè Algeri. Era necessario perché, in qualità d'alleato della Francia. Barbarossa s'era rifatto vivo e, dopo aver devastato il litorale del Regno di Napoli ed essersi fermato su quello pontificio, a Ostia, a rifornirsi pagandovi tutto quello che prendeva, si era diretto a nord. Saputolo, Cosimo de'Medici aveva disposto sulla costa 1.500 fanti e 100 cavalieri9 e aveva dato uomini e denaro agli Appiani fortificando il loro Principato di Piombino. La flotta barbaresca costeggiò 11 litorale italiano e se ne staccò per andare a Marsiglia. Da là il 5 agosto levò le ancore e, accompagnata da 26 galere francesi, si presentò davanti a Villafranca, sbarcò le truppe e in nome del Re di Francia intimò la resa al governatore di Nizza. il savoiardo Andrea de Montfort. Respinta anche una seconda intimazione, la parola passò ai cannoni. li loro bombardamento aprì una breccia per la quale i fanti francesi e turchi tentarono d'entrare, perdendo però molti uomini e due bandiere. Un secondo assalto, respinto a fatica, convinse i Nizzardi a trattare la resa, mentre il Governatore riparava ordinatamente nella cittadella con Lutti i soldati, i viveri e le munizioni. I Franco-Turchi ebbero la città in nome di Francesco I e si posero ad assediare il castel.lo. ma non facevano molti progressi perché gli approcci erano difficili e dalla Provenza non arrivavano i rifornimenti promessi. intanto il Duca di Savoia aveva saputo quanto accadeva e, privo di forze, si era rivolto al Marchese del Vasto a Milano domandandogli aiuto. Non glielo si poteva decentemente negare, visto che i guai in cui si trovava li doveva esclusivamente all'essere stato fedele a Carlo V. Cosl 10.000 fanti e 1.500 cavalieri spagnoli, tedeschi e italiani, si 9 A Piombino 300 fanti comandati da Otto da Montauto. a Pisa 800 fanti e 100 cavalleggeri rispett1vamente agli ordini dj Lucantonio Cupano e ltidolfo Baglioni, a P1etrasanta 400 fanti della MihLia sotto Nicolò Bufolinj.


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concentrarono rapidamente ad Alessandria, marciando poi verso la costa, mentre Andrea Doria prendeva il mare e suo nipote Giannettino guidava altri 1.500 spagnoli lungo la Riviera in soccorso di Nizza. Appresa la notizia, 1'8 settembre 1544 i Franco-Turchi devastarono e saccheggiarono la città. prelevarono tutti gli abitanti che poterono per metterli al remo sulle galere o venderli come schiavi e ripararono ad Antibes e Marsiglia. Barbarossa svernò a Tolone con gran parte delle sue navi e nella primavera del 1544 salpò. Fatta una breve sosta a Savona senza far danni, veleggiò alla volta della Toscana, anzi, di Piombino. Cosimo spedì subito agli Appiani il cavalier Masini con 400 fanti e 3 bandiere di cavalleria. Dopo una breve e dannosa scorreria a Capo Li veri 10 Barbarossa riprese il mare in direzione sud. Cosimo raccolse la richiesta d'aiuto presentatagli ora dalla Repubblica di Siena e le mandò Chiappino Vitelli con 500 fanti e 150 cavalleggeri per contrastare la sicura scorreria dei pirati. Questi impedirono la penetrazione barbaresca nell'interno e, insieme a volontari senesi, la caduta d ' Orbetello, ma non salvarono dal saccheggio e dalla schiavitù gli abitanti di Talarnone, Port'Ercole e dell'isola del Giglio. Fallito il colpo vibrato coll'appoggio dei Mussulmani, Francesco I riprese la guerra in Piemonte. Il Duca di Savoia ed il Marchese del Vasto, decisi a recuperare le fortezze in mano francese, avevano assediato Mondovì per poi impadronirsi di Cberasco, Bene e Saviglìano. Non pagati da tempo, gli Svizzeri del presidio non ebbero difficoltà ad accettare una capitolazione onorevole. Il resto della campagna seguì iJ solito andamento, fatto di assedi e movimenti per impadronirsi delle fortezze fino all'andata ai quartieri d'inverno. L'obiettivo d ' entrambi i contendenti per l' imminente campagna era il possesso di Carignano. Ma mentre i Francesi stavano fermi in attesa delle paghe, Del Vasto. avuto denaro dall'Imperatore e dal duca Cosimo, arruolò fanti italiani e tedeschi, ne ricevè altri provenienti dal Regno di Napoli, 150 corazze fiorentine comandate da Ridolfo Baglioni, la promessa di 4.000 uomini guidati da Aliprando Madruzzo e, calcolando di poter schierare 16.000 fanti, 1.200 cavalieri e un forte parco d 'artiglieria, nell'aprile del 1544 entrò in campagna fiducioso nella vittoria. Naturalmente gli andò tutto storto. La pioggia rese intransitabili le strade e immangiabili le scorte di pane; i Francesi lo impegnarono in piccoli scontri. tormentandogli la retroguardia con rapide puntate di cavalleria e, tra una giravolta e una contromarcia, se li tTOVÒ davanti in 14.000, perfettamente schierati a Ceresole d'Alba il 14 apriJc 1544. La battaglia11, oggi dimenticata ma restata famosa fino al secolo XIX, incominciò alle 7 del mattino e quando a mezzogiorno i Francesi contrattaccarono in tre ondate successive, l'armata imperiale si sfasciò. Aveva perso 12.000 morti, 3.000 prigionieri, 1.4 cannoni, un equipaggio da ponte e tutte le salmerie, contro soli 2.000 caduti del nemico. Insieme alla battaglia la Spagna aveva perso la capacità di proseguire il conflitto ed era paralizzata. «Ora sia ringraziato Dio, che potrò dormire questo resto della notte» esclamò felice il Papa quando ricevè la notizia in Vaticano.

IO Fin dall'anno prima Barbarossa aveva domandato al Principe di Piombino la consegna d'un ragazzo, figlio di Sinam. capitano delle forze ottomane a Suez, catturato anni prima dai Cristiani. Il Principe aveva detto d'esser disposto a consegnarlo. ma che al momento non erd nel suo Stato. Per questo il pirata aveva lasciato Piombino l'anno precedente e per questo vi era ora tornato. Quando il ragazzo gli fu consegnato, restituì tutti i prigionieri fatti e gli schiavi originari del Principato presenti sulle sue navi, promise di liberare tutti gli altri Piombinesi prigionieri o schiavi sulle navi o nei territori sottoposti al sultano e, in nome di quest' ultimo, prese l'impegno di non danneggiare mai più in nessun modo il Principato negli anni futuri. 11 Notevole la panecipazione degli Italiani, presenti in entrambi gli eserciti: 3.000 coi Fr,1J1cesi e circa 8.000 dal lato imperiale.


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L'iniziativa passava ai Francesi; e gli alleati italiani della Spagna si armavano temendo il peggio. Cosimo de'Medici spedl subito 2.000 uomini al Marchese del Vasto per aiutarlo a fermare l'avanzata nemica. sperando d'avere il tempo necessario a completare le difese del Ducato, e stanziò forti somme, ordinando la chiamata delle milizie alle armi. Genova mise mano alla borsa e contò al Marchese 50.000 ducati, mentre Milano ne donava I00.000 per cercare di riorganizzare un esercito sufficiente. Tanta era la costernazione in halia e altrettanta l'allegrezza in Francia. Là si considerava Milano già presa ma, e nessuno ci aveva pensato, mancava il denaro per le tre paghe arretrate della truppa. Specialmente gli Svizzeri non erano contenti d'essere stati lasciati senza salario e, quando seppero dei progetti francesi d'invasione del Ducato di Milano, risposero ricordando d'essere stati ingaggiati per difendere il Piemonte, non per danneggiare gli Stati dell'Imperatore e, pertanto, non si contasse su di loro. Qualcuno malignò che se avessero avuto le tasche piene d'oro francese non avrebbero guardato tanto alle capitolazioni statuite, ma l'oro mancava e senza di esso Milano restava irraggiungibile. Così ci si dovè rassegnare a riprendere l'assedio di Carignano per eliminare la presenza nemica nelle retrovie. Desideroso di non perdere la buona occasione di entrare nel Milanese, Piero Strozzi assoldò a Mirandola a proprie spese oltre 10.000 italiani, prevalentemente toscani. per la Francia ed avanzò. Arrivò sotto Milano convinto di trovarvi sia una rivolta a favore dei Valois, sia le truppe francesi, che immagmava avessero già preso Carignano; invece non c'era nessuno. Vìsta la mala parata ripiegò in tutta fretta verso il Piemonte, serrato da vicino dai contingenti di Ridolfo Baglioni e Cesare da Napoli, che lo intercettarono a Stradella. Si disimpegnò buttandosi per le montagne e decise di traversare la Scrivia a un miglfo da Serravalle. Gli Imperiali indovinarono la mossa e. aumentati dalle truppe del Principe di Salerno, lo colsero in crisi di movimento durante il passaggio del fiume. Al principio Strozzi riuscì a manovrare benissimo e ad avvicinarsi alla vittoria, ma la fuga simulata dai soldati imperiali attrasse i suoi uomini fuori dai vigneti della riva del fiume in campo aperto e li rese preda della cavalleria di Ridolfo Baglioni. Comunque il numero dei caduti fu bassissimo, s i e no un centinaio, perché i soldati degli opposti schieramenti, quasi tutti italiani e, per di più, toscani, riconosciutisi come tali si trattarono con molto riguardo e si limitarono a darsi e ricevere prigionieri. con tanto scandalo di Carlo V da fargli esclamare che quella era stata una guerra fra compari. Comunque fosse, lo Stato di Milano era salvo e la Spagna poteva riprendere fiato quel tanto da potervi concentrare ingenti rimpiazzi da Napoli e da.Ila Germania. Ma Piero Strozzi era libero e attivo. Salvatosi con soli 60 cavalieri era riuscito ad attraversare le linee imperiali e, tornato a Mirandola, aveva ricominciato ad arruolare a favore e con denaro della Francia. In poco tempo raccolse 8.000 fanti e 200 cavalieri, passò nel Modenese e poi nel territorio di Genova, dove fu ricevuto molto bene, come ringraziamento della Repubblica a Francesco I per non averla fatta danneggiare da Barbarossa. L'Impero se ne dolse colla Repubblica, ma ormai il danno era fatto e i soldati di Piero entrarono in Piemonte, presero Alba e si unirono alle truppe del Signor d'Enghien. Intanto il 24 maggio Carignano aveva capitolato con buoni patti 12 e la guerra sembrava aver preso l'andamento più favorevole ai Francesi. Ma proprio questo facilitò a Carlo V la conclusione d'un'alleanza con Enrico vrn Tudor. Trentottomila fanti e 12.000 cavalieri imperiali entrarono nella Francia Nordorientale, mentre 40.000 inglesi assalivano Boulogne. Francesco I rispose assoldando 35.000 svizzeri e 22.000 guasconi, spedendoli a contrastare la doppia offensiva nemica insieme a 16.000 dei suoi cavalieri e ordinando a D'Enghien di mandargli 6.000 francesi e altrettanti italiani dal Piemonte. Cosi le truppe di Strozzi varcarono le Alpi insieme a gran parte di quelle di D'Enghien riportando in sostanziale parità il rapporto di forze franco-imperiale in Italia. 12 La guarnigione poté uscire a tamburo bauente e bandiere ~piegate.


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La guerra in Francia volse rapidamente a favore degli alleati. Parigi fu minacciata da vicino dall'esercito di Carlo V nell'estate del 1544 ma, di nuovo e come in Provenza, l'armata imperiale si LTovò a corto di viveri e colle comunicazioni in pericolo d'essere tagliate. Allora smise d'avanzare e, mentre gli Inglesi prendevano finalmente Boulogne. Il 18 settembre 1544 Carlo e Francesco si accordarono per la pace. Si restituirono vicendevolmente quanto avevano occupato dopo la pace di Nizza, resero al Duca di Savoia il suo Ducato, coll'eccezione di quelle tene su cui Francesco I pretendeva d'avere dei diritti e posarono le armi. Del nuovo stato di cose approfittò subito il Papa per nominare il figlio Pierluigi duca di Parma e di Piacenza, fermo restando il suo vassallaggio alla Santa Sede e dando inizio in tal modo, il 23 settembre 1545, al bisecolare dominio di Casa Famese. Sembrava che per l'Italia fosse giunta finalmente la pace ma, ovviamente, non poteva essere così.

IV) Le congiure del 1547: l'insurrezione di Napoli, la tentata rivoluzione di Lucca, la guerra di Massa, la congiura dei Fieschi e il complotto contro Pierluigi Farnese li 1547 fu l ' anno in cui il dominio spagnolo in ltalia oscillò maggiormente. Si cominciò a Napoli, dove scoppiò una rivoluzione, causata sia dal timore dell ' introduzione dell'Inquisizione di Spagna, sia dall'eccessiva durezza del vicerè don Pedro de Toledo. L'esecuzione senza processo di due gentiluomini ordinata da lui il 24 maggio di quell'anno eccitò la popolazione e, dopo un crescendo nei giorni 25, con dimostrazioni, e 26. cotrerezione di barricate, il 27 vennero uccisi due alabardieri della guardia vicereale. Il Consiglio comunale decise, verbalizzò e pubblicò per le strade che non avrebbe più ubbidito al Vicerè, chiusosi in Castel Nuovo, e si designò Ferrante Sanseverino come ambasciatore delle lamentele di Napoli davanti a Carlo V. Più o meno contemporaneamente a Piazza dell'Olmo vi fu uno scontro fra napoletani e soldati spagnoli in cui i secondi ebbero la peggio. Castel Nuovo aprì il fuoco, ma con poco effetto - solo una dozzina tra morti e feriti - mentre le truppe avevano già avuto 20 morti. Subito dopo anche le artiglierie di Castel Sant 'Elmo spararono una sessantina di colpi: e la situazione si frammentò io tanti piccoli scontri, diurni e notturni, che si protrassero fino al 28, quando il Principe di Bisignano riuscì a stabilire una tregua col Vicerè, a patto che tanto lui quanto gli insorti inviassero dei messi a Carlo V rimettendosi alla sua decisione. Poi, mentre gli ambasciatori erano in viaggio, la situazione s'inasprì sia per l'offerta che il duca Cosimo de'Medici, genero di don Pedro, gli fece di 5.000 fanti toscani per domare larivolta, sia per l ' arruolamento di 14.000 fanti napoletani che gli insorti decisero in risposta all'offerta medicea. Il 21 luglio la tregua fu rotta. Vi furono cruenti scontri fra i cittadini e i soldati spagnoli, appoggiati dall'artiglieria dei castelli che sparò circa 400 colpi. L'addestramento militare dei regi prevalse sul numero dei civili e alcuni quartieri della città vennero saccheggiati. I Napoletani reagirono formando un corpo di 3.000 uomini e bloccando i progressi dei soldati cosi bene che dopo 13 giorni di combattimenti il Vicerè si trovò completamente bloccato in Castel Nuovo. Aveva fatto affluire rinforzi, portando la guarnigione da 1.000 a 3.000 uomini, ma non poteva uscire perché l'ingresso era controllato dai rivoltosi, che sparavano direttamente nella fortezza. In più avevano tagliato le condutture dell'acqua riducendo gli assediati, privi pure di pane e carne, a vivere di sola galletta. Intanto l' insurrezione si era estesa ad Aversa, Capua, Lacedonia e Nola, mentre a Napoli. nell'arco di quindici giorni, i combattimenti non cessarono mai. Si ebbero in totale circa 800 morti (circa 600 spagnoli e circa 200 napoletani) e 212 feriti (112 e 100 rispettivamen-


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te) prima del rientro degli ambasciatori. Da loro il 12 agosto si seppe che Carlo V aveva perdonato gli insorti, garantito che l'Inquisizione spagnola non sarebbe stata trapiantata nel Regno e concesso sia la facoltà di fargli pervenire proteste, sia il titolo di ··Fedelissima" alla città, purchè finissero le ostilità. Napoli pagò poi un'indennità di 100.000 ducati per i danni e, lentamente, smise di preoccuparsi per l'Inquisizione. che sarebbe comunque arrivata nel 1552. Se era ormai tranquilla l'Italia Meridionale, non poteva dirsi lo stesso per quella Centrale, in particolare per la Toscana piena di risentimenti latenti. Firenze aveva già dovuto piegare la testa all'epoca della morte del principe di Piombino Jacopo V Appiani. Cosimo avrebbe voluto cogliere l'occasione della minorità del piccolo Jacopo VI per infilare delle proprie guarnigioni nello staterello; ma Carlo V gliel'aveva impedito, concedendogli solo di pagare il mantenimento dei presidi spagnoli che vi aveva collocato. ln linea di principio e con molta buona volontà si poteva supporlo un primo passo verso l'assorbimento del principato nel ducato mediceo; e in questo senso l'intese Cosimo. pur sapendo che l'Imperatore avrebbe fatto di rutto per impedirgli di prenderselo. Anche a Siena covavano contrasti non troppo sotterranei tra quanti favorivano l'indipendenza e quanti avrebbero visto con piacere il passaggio della città sotto il dominio dell'Imperatore, del Papa o dei Medici. Pistoia e Pisa mal sottostavano al potere fiorentino e. nella vicina Umbria, Perugia avrebbe accolto volentieri l'occasione di sbarazzarsi del potere pontificio. Lucca andò vicinissima a dar fuoco alle polveri colla fallita congiura di Francesco Burla macchi. un artigiano di tendenze luterane che rivestiva in quel momento la carica d1 commissario alle armi e Gonfaloniere della Repubblica e desiderava ripri~tinare in Italia l'antico splendore dell'Età comunale. Un altro piccolo focolaio s'accese nel 1546 a Massa. Era quello un Marchesato retto da lunghissimo tempo dai Malaspina e, in quel momento, da Ricciarda Malaspina. primogenita del marchese Alberico e signora di Carrara e di alcuni altri castelli della Lunigiana. Sposatasi con un Cybo, ne aveva avuto due figli. Giulio ed il preferito -Alberico - al quale desiderava lasciare il po1ere. Giulio non era d'accordo e s'impadronl della città colle armi, ma gli sfuggi la madre, che si chiuse nel castello e, dopo aver chiamato il popolo alle armi, lo diseredò testando in favore del secondogenito. Saputolo, Giulio ottenne dal futuro cognato Giannetti no Doria aiuto e 4 cannoni e, con 800 uomini, prese prima Massa e poi Larenza. Intervennero in suo favore Cosimo de'Medici, mandandogli le bande della Milizia di Pietrasanta comandate da Paolo da Castello. e in suo sfavore il Duca di Ferrara, inviando truppe da Mirandola e Modena a sostenere la Marchesa. Le truppe toscane presero la rocca di Massa in nome di Giulio, mentre Ricciarda sollevava la questione davanti al Papa per far dichiarare il figlio ribelle e indegno dell'eredità; ma tutto cessò quando intervenne l'Imperatore ordinando di consegnare la rocca di Massa a una sua guarnigione per tutto il tempo che avesse ritenuto opportuno. Giulio. un tempo fedele seguace di Carlo V. deluso si staccò dalla parte imperiale accostandosi a quella Francese, mentre chi l'aveva aiutato - Giannettino Daria - trascorreva serenamente quelli che sarebbero stati i suoi ultimi mesi di vita. n predominio, per non dire il potere assoluto. esercitato dai Doria a Genova aveva infatti alcuni avversari il più pericoloso dei quali era Gianluigi Fieschi. segretamente nemico proprio di Giannettino, col quale aveva avuto in passato qualche piccolo screzio. Deciso a rovesciare i Doria. Gianluigi cominciò ad accattivarsi il popolo con gesti liberali. apparendo rispettosissimo nei confronti dell'anziano Andrea e organizzando intanto una congiura per ottenere il potere e passare la città dall'alleanza spagnola alla dipendenza francese. Nell'autunno del J546 il complotto era a buon punto. Già più di 300 armati erano stati introdotti nelle residenze di famiglia e si contava di prendere di sorpresa la città alla fine del-


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l'anno, approfittando dello sciverno delle galere dei Doria, che quindi sarebbero state colte prive di soldati, con pochi rematori ai banchi e la maggior parte delle artiglierie negli arsenali. Approfittando del matrimonio della sorella di Giannettino con Giuljo Cybo, Gianluigi progettò l'uccisione di Andrea e Giannettino durante la cena nuziale; ma il primo non intervenne per colpa della gotta e il secondo fu trattenuto all'ultimo momento da alcune faccende. L'esecuzione della congiura fu allora differita afla notte dal primo al 2 gennaio 1547; e i Doria erano tanto tranquilli da non dare alcun peso alle voci ed alle lettere, abbastanza dettagliate da fare anche i nomi, giunte loro da Milano e dalla Francia per avvisarli dell · irrunjnente colpo di Stato. Il Duca di Piacenza e il Re di Francia avevano promesso il loro aiuto ai Fieschi, 1.500 artificeri e 2.000 uomini sarebbero stati pronti ad intervenire, la guardia di palazzo era poca, le galere doriane in disarmo: nulla poteva impedire a Gianluigi di prendere Genova. Il piano era semplice. Per prima cosa bisognava impadronirsi della squadra navale e di almeno due porte della città, poi della sede del governo. La neutralizzazione del naviglio avrebbe consentito l'ingresso in rada e lo sbarco delle truppe francesi, mentre la presa del palazzo avrebbe impedito l'emanazione degli ordini per un'eventuale resistenza. Pareva proprio che per i Doria fosse venuta l ' ultima ora. L'attacco alle galere svegliò Giannettino, che si precipitò a vedere cosa accadesse e fu ucciso prima di poterlo capire. Andrea Doria ne fu avvisato e si salvò solo perché Fiescbi aveva ordinato di non toccarne il palazzo finchè non fosse venuto lui in persona ad assalirlo dopo aver preso la darsena. Così il vecchio ammiraglio poté fuggire a Sestri Ponente, chiudersi nel castello e scrivere chiedendo aiuto a Cosimo de'Medici e al Governatore di Milano Ferrante Gonzaga. La congiura poteva già dirsi parzialmente fallita, ma lo fu del tutto quando Gianluigi passando da ana galera ad un altra nel porto di Genova cadde in acqua e annegò, trascinato a fondo dal peso della corazzal'l. La sua morte disorientò i congiurati e H fece accondiscendere alla proposta del Senato di perdonarli se avessero deposto le armi e congedato i propri militi. I Fieschi si chiusero nel loro castello d.i Montorio; gli altri membri del complotto fuggirono a Marsiglia e la Repubblica ebbe il tempo di organizzarsi. Del resto in pratica non aveva avuto danni perché solo le galere della squadra dei Doria erano state assalite. perdendo tutte le ciurme e i materiali d' armamento. Andrea tornò subito a Genova e diede il via alla vendetta. I Fieschi furono colpiti dal bando imperiale e il loro palazzo di città venne abbattuto. La stessa sorte doveva colpire i loro castelli, contro i quali marciarono le truppe della Repubblica, guidate da Paolo Moneglia e Manfredo Centurioni. Prese Varese e Cariseto, ai primi d'aprile andarono a Montorio agli ordini d' Agostino Spinola e le intimarono la resa. Prima del loro arrivo il Senato aveva offerto ai Fieschi di comprare la fortezza per 50.000 zecchini d'oro. Ma poichè il conte Gerolamo Fiescbi aveva risposto di non poterla cedere perché era già in possesso del Re di Francia. il che equivaleva a darsi da sè la patente di nemico dello Stato, il Senato aveva radunato 2.000 fanti, quasi tutti corsi, ed era passato alle maniere forti, sostenuto da 400 spagnoli appositamente giunti dal Ducato di Milano e da un contingente toscano, dotato d ' artiglieria e condotto da Paolo da Castello. L'assedio fu lungo e complicato perché la rocca era posta in un luogo difficilmente accessibile. Per fortuna Cosimo de'Medici rifoml largamente gli assedianti di munizioni, delle quali i Genovesi erano carenti, permettendo loro, in maggio, d'aprire una breccia nelle mura. I soldati del presidio, poco pagati, si ribellarono e s'impadronirono d'una torre. Il conte Gerolamo si chiuse in un' altra ma, al quarantaduesimo giorno d'assedio dovette cedere e fu decapitato insieme a tutti i congiurati catturati, dopo essere stato interrogato e torturato perché svelasse ogni retroscena della congiura. 13 fl suo cadavere fu trovato e ripescato quattro giorni dopo e abbandonato sulla spiaggia per due mesi, finchè il mare non se lo portò via.


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Pierluigi Famese provò ad approfi1tare dell'accaduto facendo occupare ai suoi soldati alcune terre dei Fieschi contigue ai suoi Stati, ma la reazione imperiale lo fece desistere. Comunque gli restava ormai poco da vivere. Anche contro di lui era stata organizzata una congiura e coll'appoggio del governatore di Milano. I suoi eccessi, i viz.i nefandi e le violenze inenarrabili di cui s'era macchiato non gli avevano lasciato nessun aJDico e, nel pomeriggio del 10 settembre 1547, fu aggredito e ucciso nel suo palazzo. Piacenza passò sotto il dominio imperiale e Ferrante Gonzaga, dopo aver dato ordine d'ultimare la costruzione del castello incominciato da Pierluigi. alla testa di 3.000 fanti e 400 cavalieri s'apprestò a prendere anche Parma. Conquistò Borgo San Donnino. Borgo Val di Taro, Castelguelfo e Cortemaggiore, assediandone la rocca, e i borghi di Roccabianca e Fontanelle. Intanto il Papa era stato raggiunto dalla notizia della morte di Pierluigi e aveva reagito ordinando al proprio nipote Ottavio e ad Alessandro Vitelli d'arruolare truppe in Romagna per riportare ordine nei due feudi, mandando inoltre un legato a Piacenza e uno a Carlo V per domandargli il consenso alla trasmissione dei Ducati a Ottavio. Ignorava ancora la parte giocata dall'lmpero nella congiura e, quando lo seppe, ovviamente si accostò alla Francia chiedendole un' a.1leanza antfasburgica. Intanto la cattiva s1agionc aveva fatto sospendere le os1ilità nel Parmense e indotto i Farnese a riflettere che la miglior scelta strategica da compiere consistesse nel passaggio di Genova dalla parte imperiale a quella francese. In una sola mossa sarebbe stata tagliata un'importante arteria di rifornimento delle truppe asburgiche, creata una contiguità territoriale tra le forze farnesiane e quelle francesi e indebolita la Spagna in Italia. Si trattava nè più nè meno del vecchio progetto già perseguito dai Fieschi e da Pierluigi Farnese e, come l' anno prima, l'ostacolo maggiore da abbattere era Andrea Doria. Bisognava ucciderlo. Chi poteva farlo? Occorreva qualcuno che odiasse con tutte le sue forze l'Impero e al tempo stesso avesse libero e continuo accesso al vecchio Ammiraglio. Lo si trovò nella persona di Giulio Cybo. Furioso con1ro Carlo V per come aveva risolto la guerra di Massa e marito della sorella del defunto Giannettino, Giulio Cybo poteva riuscire ed era dispostissimo a tentare. Ma gli Spagnoli lo sospettavano, anche grazie ad una denuncia della madre, cosl gli mandarono incontro una compagnia di soldati a Pontremoli. gli trovarono addosso lettere compromettenti e lo portarono a Milano, dove fu interrogato, torturato e decapitato. Tutti questi maneggi asburgici avevano però preoccupato quella metà d'Italia bene o male ancora non soggetta alla Spagna. Roma e Parigi si allearono e domandarono a Venezia ed agli Svizzeri d'unirsi loro contro l'Imperatore. La Repubblica tentennò, ma cominciò a concentrare truppe e materiali in terraferma. Dal canto suo il nuovo re di Francia, Enrico 1. neutralizzò il Marchese di Saluzzo, il cui incerto atteggiamento sembrava pendere verso la Spagna, facendogli occupare lo Stato da Piero Strozzi 14 • Impensierito da tanti movimenti, Ferrante Gonzaga aumentò le truppe del Ducato di Milano, formando compagnie di cavalleria pesante e riutilizzando i cannoni, conquistati poco prima da Carlo V ai Protestanti tedeschi, per allestire un imponente parco d'artiglieria. Temendo uno sbarco francese in Toscana. si cercò d'introdurre una guarnigione spagnola a Piombino, ma la Principessa Reggente si oppose, cedendo solo alla forza. La speranza di subentrare agli Appiani incoraggiò Cosimo de'Medici a contribuire all'approntamento difensivo imperiale fortificando l'Elba a proprie spese. Ebbe fortuna perché. a causa dell'espulsione del loro presidio da Orbetello da parte dei Senesi. gli Spagnoli si credettero più in pericolo di quanto non fossero e gli diedero in deposito il piccolo Principato. Ciò però infuriò i Genovesi. Convinti che dopo Piombino l'espansione medicea sarebbe 14 Solo il ca~tello di Revello poté resistere qualche tempo prima di dover capitolare.


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proseguita verso la Corsica, con una mano sostennero gli Appiani e coll'altra offrirono 300.000 ducati a Carlo V in cambio di Piombino. Tra le pressioni del suo confessore, quelle dei Genovesi e la presenza del giovane principe Jacopo VI alla sua corte, l'Imperatore cambiò idea e tolse il Principato a Cosimo per darlo in deposito alle proprie truppe. A complicare ulteriormente gli affari italiani venne il progetto di Ferrante Gonzaga di costruire una fortezza a Genova per metterci un presidio spagnolo, in modo da poter sorvegliare la città ed impedire il passaggio ai Francesi se vi fossero arrivati. La notizia scaldò gli animi; la città si oppose e lo stesso Andrea Doria. che pure era stato in un primo momento favorevole, si dichiarò contrario. Gli incidenti capitati durante il brevissimo soggiorno del principe ereditario di Spagna Filippo illustrarono a sufficienza agli Imperiali cosa sarebbe potuto capitare se avessero provato a insistere nel progetto. A quella visita fece eco l'altra di Enrico, re di Francia in Piemonte. Poi la si seppe dovuta alla congima preparata contro Ferrante Gonzaga che, se riuscita, avrebbe provocato l'ingresso delle truppe francesi nel Ducato di Milano. Davanti a tanti segni di pericolo, Carlo V stimò opportuno non continuare per il momento la conquista Parma colla forza e aprì un negoziato coi Famese e la Santa Sede. Nel mezzo degli intricatissimi contatti, Paolo Ili morì, il 9 novembre 1549, e gli successe sulla Cattedra di San Pietro Giulio III.

V) La guerra per Parma e Piacenza L'avvento del nuovo Pontefice destò notevoli speranze nei Famese, poichè aveva promesso al Cardinale Farnese di rendere al nipote Ottavio Parma e tutte le località occupate in quel momento dalle truppe Pontificie comandate da Camillo Orsini. La politica distensiva della Santa Sede proseguì restituendo ai Colonna i feudi da cui erano stati cacciati e a Ridolfo Baglioni i beni sottrattigli un tempo, a causa dei quali era diventato nemico del papato. Ma ben presto Giulio III cominciò a scontentare quanti lo circondavano sia per la sua inattività politica e religiosa sia per la sua eccessiva sollecitudine nei confronti dei parenti, sollecitudine di cui facevano le spese le casse della Reverenda Camera Apostolica. Tanta i.nanività era ancor più inopportuna perché sarebbe stato bene far qualcosa per convincere il sospettoso Carlo V che il nuovo Papa non era fiJofrancese e quindi Milano non era in pericolo per un 'eventuale collegamento fra Parigi, Roma e Venezia. Nel frattempo Ferrante Gonzaga stava aspettando il crollo delle milizie d'Ottavio Famese a Parma. Sapeva che, senza sparare, la scarsità di denaro per le paghe e le vettovaglie gli avrebbe fatto cadere in mano il Ducato. Anche Ottavio lo sapeva e si arrabattava come poteva, domandando e ricevendo forti somme dai parenti e dal Papa senza riuscire a rendere meno precaria la propria posizione. Non vedendo altra via d'uscita, i Farnese porsero orecchio alle offerte d'aiuto che venivano dai Valois e, alla fine, si allearono alla Francia. Giulio III indovinò quanto stava per accadere e scrisse sia a Carlo V, in un estremo tentativo di convincerlo a rinunciare almeno a Parma, e si.a a Ottavio, intimandogli di non cercare sostegno altrove che a Roma: era o non era feudatario della Santa Sede? Obbedisse, o sarebbe stato trattato da ribelle e piegato colla forza delle armi. Niente da fare. L'Imperatore voleva la città e Ottavio anche. Entrambi erano decisi ad adoperare la famosa " ultima rati.o regum" - la guerra - ed entrambi e il Papa stesso sembravano ignorare che Enrico I non attendeva altro che quell'occasione per aggredire l'Impero. Le sue truppe avrebbero assalito Milano dal Piemonte attirandovi l'attenzione di Carlo V, poi sarebbe


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stata la volta della Germania e delle Fiandre partendo dalla Francia stessa e contando sull'appoggio dei principi Protestanti e dei Turchi suoi alleati. le cui immense schiere avrebbero impegnato a Oriente gli Asburgici. distraendoli dal fronte occidentale e stringendoli in una tenaglia micidiale. Ma benchè tutto questo non fosse difficile da intuire, non dissuadeva nessuno dai preparativi di guerra. Ferrante Gonzaga aveva già radunato 7.000 fanti e 700 cavalieri a Piacenza in attesa di ulteriori rinforzi tedeschi in arrivo dall'Alto Adige. Da parte loro i Pontifici allineavano altrettanti fanti e 200 cavalieri. concentrati a Bologna sono il comando nominale di Giambattista del Monte, nipote del Papa, ed effettivo di Alessandro Vitelli e Camillo Orsini. Allora Enrico l intervenne direttamente, concedendo a Ottavio una compagnia di 200 cavalieri, una pensione di 4.000 lire all'anno e l'ordine di San Michele a condizione che rimanesse con lui finchè l'Imperatore non gli avesse reso Piacena e promettendo di aiutarlo m tutti i modi. Nella primavera del I 55 I cominciarono le operazioni, ma si svolsero senza battaglie decisive. Pontifici e Imperiali entrarono nel Parmense da due lati e si unirono sotto la capitale, chiudendovi dentro Ottavio e Piero Strozzi, assediandoli e andando vicinissimi a vincere. Contemporaneamente scattarono i Francesi seguendo due diverse direttrici. Da Mirandola, vecchia loro base, fecero partire una grossa schiera mista di loro regolari e popolani assoldati per l'occasione. Guidati da Orazio. fratello d'Ottavio Farnese, e dal signor de Lansac entrarono nel Bolognese e si diedero a saccheggiarlo. Il risullato fu quello atteso, perché il Papa richiamò le proprie truppe prima per coprire Bologna e, in un secondo tempo, per respingere gli attaccanti e assediare Mirandola stessa. La seconda direttrice d'auacco fu in Piemonte, dove il Signor de Brissac prese Chieri e San Damiano, gran parte dell'Astigiano e del Monferrato e obbligò Ferrante Gonzaga ad abbandonare a sua volta Parma per coprire il Milanese, prima, e recuperare il terreno perduto in Piemonte, poi. Panna fu salva e i due confederati si accusarono vicendevolmente d'averne abbandonato l'assedio per un nonnulla e aver fatto fallire l'impresa. Indignato dall'atteggiamento di !Ferrante Gonzaga, Giulio Ili riprese in esame l'idea di accostarsi alla Francia e nel 1552 si stipulò a Roma una tregua franco-pontificia di due anni, approvata dall'Imperatore, durante la quale Panna sarebbe restata in deposito a Ottavio. Subito dopo venne stabilita un'analoga sospensione dei combattimenti lra gli Imperiali e la Francia. A tale conclusione avevano contribuito più fattori: il Papa s'era reso conto di quanto la discordia politica avrebbe danneggiato il Concilio di Trento, perché il Re di Francia minacciava di non inviarvi i propri vescovi e cardinali, asserendo di voler regolare le questioni religiose con un s inodo nazionale. Lo stesso Enrico si rendeva conto però di non essere tanto in grado di mandare ad effetto non solo la minaccia, ma neanche il sostegno militare promesso ai Farnese, perché gli tornava più utile impiegare le proprie for1.e in appoggio ai Protestanti tedeschi. Infine Carlo V aveva visto con preoccupazione riaccendersi una forte opposi7ione antimperiale in Germania e, quel che era peggio, pure da parte dei Cattolici. Prima che fo~se trascorso l'anno, Enrico di Valois aveva stretto un'alleanza con parecchi Principi germanici, mertendo insieme un esercito di 25.000 fanti e 8.000 cavalieri tedeschi, fi. nanziato dalla Francia con 80.000 scudi al mese e coadiuvato operativamente dall'offensiva di 50.000 francesi verso la Lorena. Verdun, Nancy e Metz, caddero rapidamente, ponendo i prodromi delle rivendicazioni territoriali francesi e tedesche che avrebbero funestato i quattro secoli successivi. Carlo V fu colto da queste gravi notizie mentre si trovava a Innsbruck, diretto in Italia, dove ancora temeva di vedersi sviluppare la maggiore offensiva francese. e rischiò d'essere sorpreso e catturato dalle truppe protestanti guidate da Maurizio di Sassonia. Messosi aJ sicuro, diramò gli ordini di radunata per le sue soldatesche in tutto il vasto impero e diede il via alla lunga guerra che avrebbe insanguinato mezza Europa, l'Italia Centro-


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settentrionale e insulare con tre diversi fronti e sarebbe terminata di Il a sette anni nelle vicinanze di una cittadina chiamata San Quintino.

VI) La guerra di Siena: 1553-1559 Dalla fine della guerra di Massa. la Toscana era rimasta in pace per sei anni, fino a quando. cioè, gli Spagnoli non avevano deciso di costruire una cittadella a Siena. Siena si reggeva autonomamente nonostante tutti i tentativi dei Medici, l'ultimo dei quali era fallito trent'anni prima a papa Clemente VII de'Medic.i nei pressi da Camollia. A dire il vero proprio del tutto autonoma non era, visto che dal 1530 ospitava una guarnigione imperiale; ma, finchè le truppe spagnole non davano segno di voler diventare occupanti e padrone della città, si poteva continuare ad alloggiarle come assicurazione contro un attacco fiorentino. Il guaio fu che nel 1552 la Spagna decise appunto di costruire una cittadella per mettervi il proprio contingente. La popolazione reagì male. Ci fu una violenta sommossa e, nonostante l'arrivo di 400 fanti fiorentini e il concentramento di altre truppe mandate da Cosimo de'Medici, il 5 agosto gli Spagnoli dovettero uscire dalla città insieme al contingente mediceo. La Repubblica di Siena strinse subito alleanza col Re di Francia e coi fuorusciti fiorentini i quali, pur battuti a Montemurlo qui.ndici anni prima, non desistevano dai loro piani antimedicei. Con loro ricomparve Piero Strozzi, ora Luogotenente del Re Cristianissimo per la guerra che si annunciava, e prese il comando delle truppe senesi. Carlo V in quel momento era assorbito dagli affari della Germania e non poteva intervenire immediatamente. Raggiunse al più presto a Passavia un accordo coi Protestanti tedeschi, accordo che fece infuriare il nuovo papa Paolo JV per le concessioni fatte loro, e prosegui la guerra contro Enrico I, dando al contempo disposizioni per liquidare la faccenda di Siena eriprendere le operazioni in Piemonte per attrarvi forze francesi. Così il 6 gennaio 1554 don Pedro de Toledo ebbe ordine di lasciare Napoli per andare a comandare l'esercito- 12.000 spagnoli e tedeschi -destinato a cacciare i Francesi da Siena giungendovi metà via terra attraverso gli Stati pontifici e metà via mare sbarcando a Livorno. Cosimo de'Medici si trovava ad avere il piede in due staffe. Da un lato avrebbe voluto vedere Siena senza stranieri, tranquilla e neutrale. possibilmente destinata a cadere in suo possesso. Dall'altro non era in grado d'opporsi alla richiesta di passaggio e collaborazione avanzata dalle incombenti truppe spagnole e, dovendo scegliere, optò per la soluzione da cui avrebbe forse avuto meno danni, rompendo il trattato d'amicizia stipulato con Siena e unendo in gennaio le proprie forze - 4.000 fanti e 700 cavalieri - a quelle imperiali a Poggibonsi. Impensierito dagli arruolamenti francesi di fanterie italiane15 e dal passaggio di queste dal Piemonte, da Mirandola, da Urbino e dalle Marche verso Siena, per un totale di 10.000 fanti e 500 cavalieri, decise d'agire al più presto, assalendo la città finchè non era ancora troppo forte. ll 24 gennaio quindi cominciò l'avanzata su tre colonne: due le diresse rispettivamente a Montepulciano - sotto Ridolfo Baglioni - e in Maremma - agli ordini di Federico da Montauto - la terza a Siena. Durante la notte arrivò a Porta Camollia e la prese tenendola però per pochissimo prima d'essere ricacciato dai Senesi. Subito dopo arrivò Piero Strozzi alla testa di 3.000 veterani tedeschi e circa 4 .000 francesi mandati da Enrico l; e a lui Siena demandò al condotta del conflitto, destinato ora a durare degli anni. Strozzi prevedeva di difendere la città contro l'assedio che si andava profilando e di contrastare il nemico con azioni nelle campagne: e difatti nel Senese si combattè aspramente. Mentre Cosimo de'Medici impiegava 20.000 fanti e 1.000 cavalieri per bloccare tutte le vie d'accesso

15 Già io precedenza la Francia aveva dato a Niccolò Orsini, conte di Pitigliano, denaro per assoldare

5.000 fanti italiani, da lui amiolati in Umbria e affidati ad Amerigo Americhi ed Enea Piccolomioi.


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alla città 4.000 16 imperiali, comandati ora da Giangiacomo de ' Medici, marchese di Marignano ed esperto artigliere, assalirono e presero Sinalunga, Lucignano, Montefollonico, Massa, Trequanda. Buonconvento e Sant' Albino. Le imprese seguenti furono però meno felici e richiesero molti più uomini. Monticchiello. difeso da Adriano Baglioni, resistè 19 giorni a parecchi assalti accompagnati dal fuoco di tre batterie e capitolò coll'onore delle armi il 18 mano 1554. Marzo vide un doppio movimento, contro Montalcino e contro Chiusi. Alla seconda era stato destinato un corpo di 3.000 fanti italiani e 400 lance medicee comandato da Ascanfo della Cornia e Ridolfo Bag lioni. Nella notte del 28 marzo i Fiorentini avanzarono fin sotto la città, convinti di poterla avere a tradimento dal comandante della piazza, il loro concittadino Giovacchino Guasconi. Trovata aperta la porta e sicuri della riuscita dell'impresa, entrarono e troppo tardi s'accorsero d'essere caduti in trappola. Assaliti da ogni la10, persero 200 morti e 1.000 prigionieri, fra cui lo stesso della Comia. e si dovettero ritirare in disordine. 11 giorno prima. il 27, era toccato anche a Montalcino; ma la cosa andò più per le lunghe. Vi erano arrivati 14.000 fanti e 100 cavalieri'7 asburgici con 22 pezzi d'artiglieria. Sette furono puntati contro il castello e i rimanenti contro l'abitalo e le mura. Il comandante della piazza, l'esperto ingegnere senese Giorgio di Giovanni, aveva pochi regolari, ma la popolazione corse alle mura e combattè strenuamente, accogliendo con solennissime salve di fischi e scampanii i tiri dei pezzi nemici. lJ dileggio sali all'apice quando, all'ottantesimo giorno d'assedio, il 15 giugno, gli lmperiali se ne andarono, salutali e accompagnati da fischi, urla e clangore di oggetti battuti contro le pentole dagli invitti cittadini. Intanto il successo di Chiusi e il buon andamento delle operazioni sotto Montalcino avevano incoraggiato Piero Strozzi a uscire da Siena per marciare incontro aJ contingente dt soccorso in arrivo da Mirandola. L' 11 giugno passò l'Amo a Pontcdera con 6.000 uomini18 e raggiunse il territorio lucchese, dove contava d'attendere i rinforzi provenienti dalla Francia. unirli a quelli in arrivo da Mirandola e andare poi ad assediare Firenze. Quando seppe della sortita di Piero. Cosimo si spaventò moltissimo. Gli mandò dietro 7.000 fanti e 400 cavalieri e, indovinando quale potesse essere la sua intenzione, si diede a rinforzare Firenze sbloccando Siena. Purtroppo le navi francesi arrivarono con 40 giorni di ritardo e ponarono solo un migliaio di uomini condotti da Montluc e von Ruk.rod. Anche contando le truppe giunte da Mirando la, non ce n'era abbastanza da poter assediare Firenze. Allora Piero tenne con sè 8.600 fanti e 1.000 cavalieri. mandò a Siena Montluc, ripassò l'Amo e si diresse a Casoli. l Fiorentini gli tennero dietro a distanza, non ebbero il coraggio di ripresentarsi sotto Siena e si fermarono in Val di Chiana per scrutare le sue mosse e attendervi i rinforzi asburgici in arrivo da Napoli. Libero di muoversi, Piero decise di spostarsi in Maremma per aspettarvi i Francesi e poi recuperare terreno nel contado senese. Sbarcati 6.000 alleati a Pon'Ercole. il 20 luglio Strozzi marciò nuovamente verso l'in1erno. dirigendosi in Val di Chiana. Minacciò Arezzo, occupò Mollre San Savino. Foiano della Chiana. Marciano e Oliveto e si accampò al Ponte della Chiana. Gli mancavano però acqua e viveri e decise di ritirarsi su Foiano della Chiana. Mentre si muoveva. il 2 agosto, fu agganciato dal grosso nemico tra Lucignano e Marciano e costretto ad accettare lo scontro campale. Giangiacomo de' Medici gli venne addosso con circa 14.000 uomini' 9 . Il rapporto di forze

16 Tra cui 2.500 fanti italiani arruolati anch'essi, come quelli del Conte di Pitigliano. in Umbria. ma da Ascanio della Cornia. 17 Comandati dal giovane Marcantonio Colonna, alla sua prima campagna di guerra. 18 Secondo altre fonti aveva solo 4.000 fanti italiani, 400 cavalleggeri e 100 archibugieri a cavallo. 19 Cioè 2.000 spagnoli, 4.000 tedeschi agli ordini di Nicolò Madruzzo e 7.000 italiani comandati dal bolognese Conte Pepoli.


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era di uno a uno20, ma gli imperiali manovrarono meglio e, con una piccola replica di Canne, accerchiarono e distrussero le truppe franco-senesi. Strozzi perse 5.000 morti21 • un numero imprecisato di prigionieri, un centinaio di bandiere, tutti i cannoni e, ferito da un archibugiata al fianco, si salvò a stento a Montalcino22 • Riorganizzò alla meglio i suoi uomini, ottenne qualche rinforzo e appena poté passò subito al contrattacco in Val di Chiana e in Maremma, perché ora Siena era nuovamente assediata e bisognava rifornirla a Lutti i costi. Assall Civitella in Val di Chiana, difesa dai Fiorentini e tentò in tutti i modi di aprirsi un varco; ma i nemici non glielo permisero. Allora allestl un convoglio di 100 muli carichi di grano, lo scortò con 2.000 fanti e lo guidò personalmente verso la città. Raggiuntala nottetempo, attaccò di sorpresa, sfondò le linee di circonvallazione perdendo 400 uomini e riusci ad entrare. Adesso ne doveva venir fuori di nuovo. Non si perse d' animo e. nella notte del 10 ottobre, accompagnato da 300 archibugieri e solo 15 cavalieri esegul una sortita che gli permise di arrivare a Montalcino. Nel gennaio del 1555 Giangiacomo de'Medici fece preparare delle batterie pesanti di fronte alle porte Ovile e Ravaniano, incominciando un forte bombardamento. Gli effetti furono molto attutiti dalle opere difensive in legno e dai terrapieni preparati da Montluc fin da ottobre, ma i danni furono notevoli lo stesso. La città era ormai in crisi. Davanti al calo delle munizioni e, soprattutto. dei viveri 23 vennero fatti uscire tutti gli inabili alle armi. Si contava sull'umanità di Cosimo; ma era un calcolo sbagliato, perché li rispedì indietro dopo averli fatti dernbare di tutto. Contemporaneamente però allacciò contatti coi Senesi, ai quali promise che l'Impero non avrebbe costruito alcuna fortezza nella loro città, avrebbe pagato da sè eventuali guarnigioni spagnole e concesso il perdono generale, la salvezza della vita e dei beni e il mantenimento delle libertà cittadine, all'unica condizione della loro sottomissione alla protezione imperiale. Il 2 aprile a Firenze venne siglato il trattato di pace e il 17 aprile 1555 Siena si arrese. Eraridotta da 40.000 a soli 8.000 abitanti: ma diminuì fino a 6.000 perché ben 587 famiglie preferirono abbandonarla e rifugiarsi a Montalcino dove. sotto la guida di Piero Strozzi, avrebbero tenuto ancora in vita la Repubblica. resistendo agli imperiali fino al giugno del '59. Presa Siena, restava da prendere il resto del territorio della Repubblica, a cominciare dalle sue più importanti piazze: quelle marittime. Per questo, terminate le operazioni davanti a Siena, in maggio Giangiacomo de'Medici andò ad assediare Piero Strozzi a Pon'Ercole. Coadiuvato dal mare da 30 galere comandate da Andrea Doria, battè violentemente la piazza con forti artiglierie. I difensori, a corto di munizioni, dopo alcuni giorni si rinchiusero nella rocca, contro la quale fu scagliato il primo attacco generale nella notte dall'8 al 9 giugno. Gli Imperiali ebbero 30 moni e 400 feriti, ma Piero capì di non poter sopportare a lungo il loro urto.

20 Piero disponeva di 3.000 francesi, componenti la maggior parte della cavalleria, 3.000 tedeschi , 3.000 grigioni e 5.000 italiani. 21 Secondo Botta un migliaio di meno. Comunque la maggior parte non italiani, ma stranieri, ai quali le fanterie medicee non concessero alcuna pietà, erano: Grigioni, Svizteri, Tedeschi e sopratutto Francesi, fallo che indusse a vedere un significato profetico nel nome del luogo dove il grosso di questi ultimi fu distrutto: si chiamava "Scannagalli". 22 La notizia arrivò subito a Firenze e fu considerato di buon augurio sia che fosse stata combattuta la battaglia il giorno seguente alJ'anniverario della vittoria ottenuta 27 anni prima a Montemurlo sui fuorusciti fiorentini guidati proprio da Piero Strozzi, sia che c iò fosse accaduto il giorno della festa di Santo Stefano papa, al quale il Duca era particolarmente devoto. ln ricordo del successo e in segno di ringraziamento. otto anni dopo Cosimo dedicò proprio a lui l'ordine militare e navale detto appunto "di Santo Stefano•·. 23 Verso la fine dell'assedio la scarsezza di commestibili aveva fissato a 4 scudi il prezzo d' un gatto e a I quello d'un topo. Altri animali non se ne trovavano e le verdure e le erbe alimentari erano un vago ricordo.


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Poichè aveva avuto assicurazione dalla Francia che la flotta ottomana sarebbe venula in suo soccorso, decise di recarsi personalmente a Civitavecchia in cerca di notizie e commise il comando della piazza al francese La Chapelle, ordinandogli di non cederla a nessun costo. Ovviamente, appena fu partito, La Chapelle fece tutto il contrario. Subito dopo capitolarono anche Talamone e Castiglione cosicchè, quando le 68 galere e 25 galeotte della flotta turca comparvero, non potendo fare più nulla per Port'Ercole. si divisero fra Populonia e Piombino per prenderle. Gli abitanti di Populonia cercarono d'impedire lo sbarco e, accortisi di non poterci riuscire. si rifugiarono nel castello, dove resisterono in attesa dei soccorsi fissando su di sè l'attenzione del nemico. Così, quando arrivò la cavalleria fiorentina, i Turchi furono presi di sorpresa e tagliati a pezzi. Iu pochi poterono salvarsi sulle navi. Nè era andata loro meglio a Piombino. Vi avevano sbarcato due contingenti di 3.000 e 2.000 uomini ma, contrattaccato dai Toscam e costretto a reimbarcarsi lasciando sulla spiaggia oltre 400 morti il primo, il secondo preferì interrompere l'az10ne e tornare anch'esso sulle navi, che presero rapidamente il largo e scomparvero. Fu l' ultimo fatto di rilievo di una guerra finita, che però formalmente si sarebbe trascinata ancora per tre anni, sostenendo l'indipendenza, anzi l'esistenza in vita dell'antica Repubblica contro la vecchia nemica e nuova padrona: la Firenze di Cosimo de'Medici. l patti di capitolazione avevano infatti previsto che la Repubblica di Siena divenisse proprietà del Real Infante di Spagna Filippo d'Asburgo, a condizione che la passasse ai Medici. con tutto il suo territorio, quando fosse salito al trono madrileno. Ma all'abdicazione di Carlo V, Filippo staccò dai possedimenti senesi una parte della costa. consistente in una por.zione dell'i~ola d'Elba, nel promontorio dell'Argentario e nelle fortezze:!4 che vi si trovavano. Denominato ·'Stato dei Presidi", il territorio venne aggregato alla corona di Napoli. alla quale sarebbe rimasto fino all'epoca napoleonica, e costituì una base navale d'appoggio da cui le flotte asburgiche potevano controllare agevolmente rutto il Tirreno. Nel frattempo a Montalcino erano arrivati alcuni aiuti francesi e, sommandoli alle risorse locali, si era organizzato un esercito di poco più di 3.000 uomini, coi quali erano s1ati ripresi i combattimenti in Val di Chiana impadronendosi di Crevoli ed assalendo, senza successo però, Lucignano e Buonconvento Cosimo sarebbe infine riuscito a convincere la superstite Repubblica. confinata a Montalcino. a sottometterglisi quando si sarebbe sparsa la notizia della pace di Cateau-Cambresis. 11 tramonto delle speranze francesi e la vittoria assoluta, anche se di non lunghissima durata, della Spagna avrebbero infatti vanificato qualunque po~sibilità d · ulteriore aiuto dai Valois ai fuorusciti senesi, i quali, in cambio dell'incolumità e della restituzione dei loro bem. sarebbero divenuti leali sudditi dei Medici.

vm L'assoggettamento del Piemonte: 1552-1559 Abbiamo visto come la disgraziata contesa per Parma aveva riacceso la guerra in tutta Europa; e il Piemonte ne aveva fatto subito le spese. Ai Francesi il possesso della regione consentiva la protezione lontana del territorio metropolitano e l'interdizione, altrettanto lontana, di ogni offensiva spagnola. Politicamente inoltre la presenza delle loro forze in Piemonte costituiva un perenne invito agli Stati italiani a staccarsi dall'alleanza e sudditanza spagnola e permetteva a quelli che non lo erano - Roma e Venezia - di continuare a mantenere un minimo ct· autonomia. Per gli stessi motivi la Spagna voleva cacciare i Francesi e o rendere il Ducato ai Savoia, parenti dell'Imperatore o

24 Più esattamente Orbetello, Talamone. Port •Ercole, Monte Argentario e San10 Stefano.


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tenerlo per sé, adoperandolo tanto come base d'operazione per l'offensiva contro il territorio nemico d ' Oltralpe quanto come copertura avanzata della lunga via - nota come Cammino di Fiandra - che si snodava dal Mediterraneo alle Fiandre e lungo la quale viaggiavano i rinforzi imperiaLi2S, Poicbè l'unico modo sicuro per controllare il territorio consisteva nel prendere le posizioni chiave da cui dominare le strade e le altre vie di facilitazione, terrestri o fluviali, era necessario assicurarsene il maggior numero possibile. Al principio del conflitto iJ territorio sabaudo era già ampiamente diviso fra i due contendenti maggiori. I Francesi occupavano 33 fonezze e castelli26, compresa Torino, nel Principato di Piemonte e nel Marchesato di Saluzzo, controllando il passaggio delle AJpi mediante Pinerolo e Susa. AJ Duca di Savoia, ma con guarnigioni spagnole, ne rimanevano 22 nel resto del Principato del Piemonte e nel Marchesato del Monferrato27 . La piazza più fastidiosa per i Francesi era Volpiano e da là ricominciarono le operazioni perché il signor de Brissac la voleva a tutti i costi. Deciso ad isolarla, cominciò da San Benigno, contro la quale mandò Bonnivet con un contingente di circa 2.000 fanti e un migliaio di cavalieri. I 900 uomini del presidio resisterono ma furono soverchiati e, presa d 'assalto la fortezza, furono uccisi quasi tutti28 • Poi la cavalleria francese s'allargò e interruppe tutte le vie di comunicazione per Volpiano. Di nuovo il conflitto imperversò sotto le mura dei castelli, di nuovo paesi e città vennero assediati e messi a sacco. in una serie tanto noiosa per chi la legge quanto crudele per chi la visse. Di nuovo. infine, le vicende del Piemonte si intersecarono con quelle degli altri conflitti accesisi contemporaneamente in Italia. L'apertura della questione ispano-pontificia29 provocò un concentramento di truppe francesi in Piemonte per inoltrarle agli ordini del Duca di Guisa verso Roma in aiuto al Papa. Per arrivarci dovevano passare perTonona e Piacenza; e Valenza era il primo ostacolo da superare. La presidiava il Conte di Carpegna con solo 1.500 tra Italiani e Grigioni. Si difese per 19 giorni contro 12.000 fanti francesi e svizzeri e 1.200 cavalieri, nonostante il fortissimo bombardamento a cui fu sottoposto prima di capitolare e ritirarsi coll'onore delle armi. La caduta della città lasciava aperte indifferentemente la via di Milano e quella del Sud. A Milano si vedevano già i Francesi per le strade, perché non c'erano truppe sufficienti a coprire il Ducato, ma Guisa esegul gli ordini - precedenza assoluta ali' aiuto al Papa - e marciò verso Reggjo Emilia. Là si doveva unire ai 5.000 fanti ed al mezzo migliaio di cavalieri del Duca di Ferrara ma, poichè nel consiglio di guerra tenuto a Reggio fra lui, l'Este e il Cardinale Carafa prevalse, con molto sdegno dell'Este, la tesi cardinalizia di soccorrere subito Roma anzichè combattere nella Pianura Padana, i Ferraresi diventarono neutrali. Guisa allora rispedì indietro Brissac con 8.000 fanti e 800 cavalieri e. coi rimanenti 10.000 e 2.000, prosegu} su Roma attraversando la Romagna.

2S Per maggiori dettagli. si veda più avanli. nella 2• parte dell'opera, il 2° capitolo, dedicato alla Guerra dei Trent'Anni e al Cammino di Fiandra in particolare. 26 Erano: Torino, Chivasso. Moncalieri, Chieri, Moncucco, Carignano, Villafranca, Carrnagnola, Gassino, Settimo, San Maurizio, Rivarolo, San Giorgio, Pavone, Barge, Busca. Saluzzo, Verzuolo, Revello, Dronero, La Chiusa, Castiglione, Pinerolo, Susa, Centallo, Savigliano, Lamorra, Verduno, Borghi, Villanova, La Cisterna , San Damiano e Sommariva. 27 Cioè Asti. Lanzo, Viù, Volpiano, San Benigno, Favria. Alba. Fossano, Passern.no, Chi usano, Vercelli, Santhià, Ceva, Cherasco, Cardero, Verrua. Crescentino, San Germano, Trino, Casa.le, Valenza e Ales-

sandria. 2 8 Quaranta di loro si rifugiarono nel campanile. I Francesi lo circondarono. intimarono la resa, fu respinta e gli diedero fuoco. Alcuni difensori morirono soffocati; gli altri si arresero e furono gli unici di tutta la guarnigione ad uscirne vivi. 29 Confronta più avanti, in questo stesso capitolo, al paragarafo "La guerra ispano-pontificia del 15561557", la nota 37.


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Rientrato in Piemonte, il 2 maggio 1557 Brissac si presentò a Cuneo con 15.000 fanti, 2.000 cavalieri, 4.000 guastatori e 25 pez1i d artiglieria. Il Conte di Luserna aveva una cinta muraria vecchia, malamente sostenuta da alcune piccole opere difensive dal lato del Gesso e, come presidio, 600 militi locali, 150 contadini, parecchi volontari civili - uomini e donne - e 20 pezzi d'artiglieria con 37 quinlaliJO di polvere da sparo. Chiese aiuto agli Spagnoli in Lombardia e ai colleghi di Nizza e Fossano, ottenendone in risposta l'enorme contingente di 100 soldati dai primi e ben 26 dai secondi. Abbattuto ma non scoraggiato, il Conte sfruttò al meglio quel che aveva, resistè fino al tennine di giugno e, dopo aver inflitto agli assedianti perdite pari al 20% ottenne per sé la vittoria e per la città la fama d'imprendibile, fama che sarebbe sempre stata confermata nei 240 anni successivi, crollando solo davanti ai cannoni di Napoleone nel 1796.

Vlfl) La storia di Sampiero Corso Respinte da Piombino dall' intervento delle truppe fiorentine e devastata l'Elba per dieci giorni, le navi franco-turche mossero verso la Corsica. A bordo dei legni francesi viaggiavano infatti alcuni fuorusciti corsi. contrarissimi a.I dominio genovese, tra i quali il cinquantaduenne Sampiero da Bastelica Corso, più noto come Sampiero Corso. Grazie a lui e ai suoi contatti nell'isola, Ajaccio fu presa e saccheggiata; e le sue fortificazioni vennero ricostruite e potenziate dai Francesi del signor de Thermes. Ba~tia fu assediata da mare e da terra dai corsari turchi di Dragut, ma resistè a qualunque tentativo, come del resto fece Calvi, assediata dai Francesi a partire dal 20 aprile 1553. Comunque a fine primavera la maggior parte della Corsica era in mano francese e poteva essere adoperata come base di partenza per le azioni anfibie previste contro la Sardegna, la Toscana ed eventualmente Genova, cosa che non sfuggi ai Genovesi e tantomeno a Cosimo de'Med.ici. Se fino a quel momento il Duca fiorentino aveva tenuto una certa equidistanza fra la Spagna e la Francia, il vedersi i Francesi a sud, nel Senese, e ad Ovest in Corsica. lo spinse a stringere i suoi legami colla Spagna e, più rapidamente, con Genova stessa, alla quale offri appoggio militare e navale. Anche Carlo V era preoccupato dalla questione corsa e annunciò alla Superba il prossimo invio d'un contingente di 2.000 fanti spagnoli ed altrettanti tedeschi per riprendere risola. Forte di tanti aiuti, la Repubblica conferi il comando supremo ad Andrea Doria, il quale destinò alla testa delle truppe Agostino Spinola e alla flotta pensò personalmente. Tanta era l'urgenza di recuperare la Corsica, che la flotta genovese salpò in novembre. quando sarebbe dovuta andare allo sciverno. Era diretta ad Ajaccio, ma i venti contrari la dirouarono e il 15 novembre, forte di l 5 navi e 36 galere, con a bordo circa 5.000 fanti divisi in 100 compagnie e condotta da Andrea Doria arrivò a San Fiorenzo. La città subl un primo bombardamento e venne bloccata; ma il capitano Giovanni da Turino fu capace di attraversare la zona paludosa a occidente, evitando i Genovesi e portando i viveri e le munizioni con una colonna di 150 uomini Doria reagl stringendo ancora di più le linee d'assedio e mandò 12 galere, al comando di Santo de Leva. a compiere una fallimentare spedizione contro Bastia e un contingente di 3.000 fanti comandati da Agostino Spinola a sbloccare Calvi, manovra riuscita in pieno. In breve l'impenetrabilità delle linee ispano-genovesi portò San Fioren10 alla fame. Comunque la posizione degli assedianti non era migliore, visto che le diserzioni, le malattie e le perdite in combattimento li avevano ridotti a un quarto della forza inizialmente disponibile.

30 In questo caso si tralla di quintali del sistema metrico-decimale.


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L'arrivo di 4.000 spagnoli e dei complementi" da Genova consentì a Doria di respingere un attacco condotto dal signor de Thermes; e la tloua francese comandata dal signor de Pauhn fu costretta a ritirarsi davanti alla netta supremazia navale del vecchio Ammiraglio. Insieme alle navi scomparvero le residue speranze di liberare la città; c Giordano Orsini, comandante della piazza, non ebbe altra soluzione che la resa, a condizione che il presidio potesse ntirarsi tranquillamente. Doria accettò e 011enne San Fiorenzo nel febbraio 1554, ponendovi il proprio quartier generale dopo ben tre mesi d'un assedio costatogli oltre 10.000 uomini tra morti. feriti. malati e disertori genovesi e spagnoli. Nel frattempo Corte aveva resistito a lungo ai tentativi di Francesco Giustiniani. giunto alla testa di due compagnie tedesche, 500 spagnoli e un"aliquota di fanti genovesi. ma alla fine aveva dovuto cedere. Con essa le basi genovesi in Corsica diventavano quattro e permettevano una pianificazione operativa su scala abbastanza vasta da poter avere successo. Anche se poco dopo Bonifacio venne conquistata dai Franco-Turchi, i Genovesi diedero principio ai comba11imenti per assicurarsi prima l'entroterra delle città occupate e poi il controllo dell'intero territorio. Si trattò di una guerra di piccoli scontri. agguati e puntate offensive condotte da unità minori, protrattasi a lungo. Nel 1555, sconfitti da Sampiero, i Genovesi si rifugiarono in San Fiorenzo e vi restarono fino all'arrivo dei rinforzi. giunti su 24 galere condotte da Giannandrea Doria. Ma la posizione non sembrava degna d'essere mantenuta, così la si abbandonò. distruggendone prima le fortificazioni. Poi i Francesi cercarono di nuovo di prendere Calvi, ma la vigilanza della guarnigione sventò anche quel tentativo.

IX) La guerra ispano-pontificia del 1556- 1557

intanto nell'Italia Continentale, chiusa la questione di Siena, nel 1556 se n'era aperta un'altra fra Napoli e Roma.

Paolo IV, quando era ancora solo il cardinale napoletano Carafa. aveva tentato di indurre il suo predecessore Paolo ma profittare della rivolta del 1547 per aiutare gli insorti a cacciare gli Spagnoli da Napoli; e ne aveva avuto in cambio l'inimicizia di Carlo V, che gli aveva fatto attendere a lungo la ratifica della nomina ad arcivescovo di Napoli. Altri dissapori erano nati grazie alla libertà confessionale concessa agli eretici tedeschi dall'Imperatore mediante la pace di Augusta del l 555. Ma il tocco finale era venuto col desiderio del Papa di favorire la propria famiglia a danno di quella potentissima dei Colonna, donando al proprio ni pote Giovanni il loro foudo di Palianol2. I Colonna protestarono, del resto sapevano di godere della protezione imperiale: ma i Carafa erano altreuanto protelli dai Francesi e il Papa tenne duro. Conclusa un'alleanza in base alla quale Enrico di Valois gli avrebbe fornito 6.000 fanti, 400 cavalieri e 1.200 cavalleggeri da sommare a I 0.000 fanti ital iani da arruolare da parte pontificia, il Papa superò la quota mobilitando un esercito di 13.000 uomi ni33 di cui affidò il comando al Duca

31 1.400 tedeschi comandati da Alberico di Lodrone. 32 Paolo IV aveva dichiarato decaduto Marcantonio Colonna dalla titolarità del feudo di Paliano e. avendo lui accennato a volerlo riconquistare colle armi muovendo dal Regno di Napoli. lo scomunicò e gli sottrasse anche Genazzano. Neuuno e varie terre minori B La Santa Sede disponeva dal principio del pontificato di Paolo lV d'un esercito di 8.000 uomini. Per la faccenda dei feudi colonnesi ordinò l'iscrizione in appositi ruoli di tutti i Romani abili alle anni. assegnandoli poi a compagnie, componenti varie legioni. quattro delle quali furono impiegate per la difesa dell'Urbe. insieme a 4.000 fanù - I.S00 italiani su sei compagnie agli ordini di Paolo Giordano Orsini, altri 1.000 a quelli di Monsignor Carafa. 1.000 guasconi sono il signor de Lansac e S00 francesi del Signor


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d"Urbino e organizzò la marina su quindici galere-w. I vantaggi territoriali sarebbero consistitj nell'unione dcli' Abruzzo ai territori della Santa Sede e nell'estensione del confine meridionale fino al Garigliano, nel passaggio del Ducato di Milano a uno dei figli cadetti del Re di Francia e, infine, nell'occupazione della Sicilia, da dare però ai Veneziani se avessero acceduto all'alleanza. Inaspettatamente tra il 25 ottobre 1555 ed il 17 gennaio 1556 Carlo V rinunciò a tutte le sue corone in favore dei propri due primi figli. Al più anziano - Filippo - lasciò quella di Spagna e le sue dipendenze. All'altro- Ferdinando, re dei Romani - l'Impero e l'Ungheria. A dire il vero la ripartizione non era stata fatta nel modo più esatto. Le Fiandre teoricamente sarebbero dovute toccare a Ferdinando, in quanto parte dell'Impero, così come il Ducato di Milano. del quale i Re di Spagna diventavano signori in qualità di feudatari dell'lmperatore. La cosa in quel momento non aveva importanza perché "restava in famiglia"' ma ne avrebbe avuta - e molta - di lì a 144 anni. Ad ogni modo se era spezzata la compattezza territoriale dell'insieme asburgico non lo era quella politica; e ci si poteva aspettare una coalizione fissa politico-militare dei due rami della Casa d'Asburgo nei secoli a venire. Il primo atto di Filippo li consistè nello stipulare una tregua colla Francia. li 5 febbraio 1556 le due corone stabilirono a Vaucelles una sospensione delle ostilità di almeno cinque anni e si apprestarono a disannare. Ma questo non andava bene al Papa, perché il rispetto di quel pano da parte del re Enrico 1•avrebbe lasciato solo a fronteggiare la Spagna nell'ormai incipiente conflitto. Con accorte manovre diplomatiche seppe ottenere la conferma della protezione francese e instillare il sospetto nell'animo del già sospettosissimo Filippo, facendogli comprendere le proprie intenzioni bellicose in termini indiretti ma chiari, La situazione cominciò a farsi seria. li nuovo vicerè di Napob, il famoso e temutissimo duca d'Alba, mobilitò le truppe del Regno, mentre la Francia costituiva un esercito destinato all ' ltalia e ne affidava il comando effettivo al duca Francesco di Guisa, dando ad Ercole 11 d'Este. duca di Ferrara e suocero di Francesco di Guisa, quello supremo a titolo onorifico. Il 27 luglio 1556 il Papa riunì un Concistoro nel quale si decise la decadenza del Re di Spagna dall 'investirura del feudo ecclesiastico costituito dal Regno di Napoli. Filippo TI agl in fretta. Da un lato alleggerì la posizione diplomatica spagnola in Italia ponendo fine a parecchi contenziosi: restituì Siena ai Medici, Piacenza ai Farnese ed ottenne la neutralità veneziana, nonostante la Serenissima si fosse vista offrire dal Papa il dominio sui porti pugliesi. Dall'altro mosse il duca d'Alba. li Vicerè infatti entrò rapidamente in campagna con 4.000 fanti spagnoli, 8.000 italiani comandati da Vespasiano Gonzaga, l.220 cavalieri italiani agli ordini del conte di Popoli, 600 lance di Marcantonio Colonna e 12 pezzi d'artiglieria. Così la contesa tra le due famiglie italiane riuscì a provocare, dopo qualche mese dalla stipulazione. la rottura del trattato di pace di Vaucelles. Per prima cosa il duca d'Alba occupò Pontecorvo e mandò un legato al Pontefice chieden• do la pace. Essendogliela stata rifiutata, prosegui verso nord e s'impadronl rapidamente di Terracina, Anagni, Ceprano, Ferentino. Frosinone, Veroli e Nelluno. In ottobre Giulio Orsini abbozzò una reazione. andando ad assalire Piglio con 5 compagnie di fanteria e tre cannoni credendolo sguarnito e facile da prendere. Mentre bombardava il castello venne però attaccato di sorpresa alle spalle da 300 fanti e 100 cavali.eri dei Colonna, che lo volsero in fuga con forti perdite.

de Monrluc. A Paliano fu poslll una guarnigione di 2.000 uomini. di 1.500 a Velletri e di 500 a Tivoli. distribuendo altri 1.000 soldati fra i presidi minori. Fu infine creata la Guardia nobile. fonnata da 100 gentiluomini romani addetti alla difesa deUa persona del Pontefice. 34 Cinque delle quali fornire dalla Francia.


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Liberatosi di tutti gli ostacoli, l'esercito del Regno di Napoli attraversò la Campagna Romana e andò ad accamparsi ad Ostia35 difesa da Orazio dello Sbirro, in modo da ricevere facilmente rinforzi e rifornimenti via mare attraverso il porto di Fiumicino e prepararsi alla presa di quello di Civitavecchia, per poi interdire l'affiusso di rinforzi francesi a Roma36. Alla testa di 3.000 fanti e aliquote di cavalleria. Piero Strozzi uscì dall'Urbe e si attestò lungo il Tevere. alla Magliana, bloccando la Via Portuense e staccando in avanti reparti per occupare l'Isola Sacra, alla foce del fiume. Ostia resisteva ancora e lui sperava di sostenerla e sbloccarla Gli Ispano-Napoletani prepararono un ponte di barche e arrivarono sulla medesima isola, dando luogo a scaramucce continue. La loro superiorità era manifesta e, davanti al fallimento della penetrazione delle sue truppe in Abruzzo, fermate da quelle del Marchese di Trevico, e alla paura di un nuovo sacco di Roma, il Papa accettò una tregua di dieci giorni, prolungata poi di altri quaranta per mandare un legato pontificio a Filippo Il. Entrambi i contendenti volevano solo guadagnar tempo per aumentare le proprie forze: Paolo IV perché sapeva dell'imminente venuta dei Francesi37 ; il Duca d'Alba perché contava d'ottenere, come gli riuscì per un milione di scudi. un congruo finanziamento con cui incrementare gli effettivi. Difatti nell'inverno lievitarono a 30.000 fanti italiani, 12.000 tedeschi e 2.000 spagnoli, mentre la cavalleria saliva a 1.500 uomini. Ma l'inverno vide l'approssimarsi dei Francesi, davanti ai quali il Vicerè ritenne opportuno ritirarsi entro i confini del Regno per difendervisi, nonostante la resa a discrezione di Ostia gli avesse di fatto spianata la strada di Roma, e lasciò a propria copertura Marcantonio Colonna con 7.000 uomini, disposti in parecchi presidi situati lungo un arco che andava dal mare - Ostia - attraverso i Castelli Romani - Grottaferrata. Marino e Frascati fino a Tivoli, bloccando la via d'accesso all'Abruzzo. Colonna però dovette mandare dei soccorsi ai suoi vassalli di Serrone, assaliti di sorpresa e sconfitti dal presidio pontificio di Paliano comandato da Giulio Orsini; e di tale indebolimento della zona litoranea approfittò Piero Strozzi che, radunati i suoi 6.000 uomini e dotatosi d'artiglieria, riprese Ostia e riaprì la via fluviale di rifornimento di Roma. Marcantonio dovè ritirarsi seguendo la costa e piegando poi in direzione dj Grottaferrata. Piero intanto manovrando per linee interne passò al retroterra. Riacquistò Vicovaro, Marino e Tivoli e costrinse l'avversario alla ritirata verso An.z io e il Sud, infliggendogli complessivamente perdite per circa un terzo della sua forza iniziale. Guisa intanto, invece di venire a Roma scendeva lungo la costa adriatica. Occupò Campoli e Teramo ma fu fermato a Civitella del Tronto dalle truppe locali e dai rinforzi prima inviati e poi guidati dal Viccrè. Era arrivato là con 13.000 uomini e una quindicina di cannoni in aprile e il 24 aveva cominciato l'assedio della città, presidiata dai 1.000 fanti di Carlo di Loffredo e del Conte Sforza di Santafiora. Mentre era ancora distante dalla conclusione, il Duca d'Alba arrivò a Giulianova con oltre 22.000 soldati38• Temendo d"essere sopraffatto dalla forte sproporzione numerica, il 15 maggio Guisa levò le tende e si spostò nella zona d'Ascoli Sbloccata la pericolosa situazione e ricevuta una richiesta di aiuto da Marcantonio Colonna, ridotto a circa 5.000 uomini, il Duca d'Alba gliene mandò 3.000, consentendogli di riprendere l'offensiva.

35 Che è in realtà l'attuale Ostia Antica. a circa due chilometri dal mare. 36 Per l'assedio erano pronti 3.000 fanti toscani, ufficialmente mandali da Cosimo de'Medici a

Port'Ercole per presidiare il confine, e 6.000 spagnoli e tedeschi, che dovevano arrivare via mare da La Spezia. 37 Stavano concentrando a Torino 18.000 fanti e 3.000 cavalieri destinali a Roma. Cfr. nota 29. 38 Cioè 3.000 fanti spagnoli. 6.000 tedeschi. 11.000 italiani am1ola1i nei Regni di Napoli e di Sicilia. l.500 cavalleggeri e 700 uomini d'arme.


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Cadute Paliano, Genzano e Palestrina, i Colonnesi si riaffacciarono sulla cresta dei Castelli Romani e vanificarono tutte le fatiche invernali di Piero Strozzi. In agosto Marcantonio continuò a manovrare nel basso Lalio, battendo le truppe pontificie nei pressi di Segni e passando poi ad assediarla. Il 15 fu aperta la breccia nelle mura e venne dato l'assalto generale: il presidio fu massacrato, moltissimi abitanti uccisi e la cittadina saccheggiata. Poi Colonna mandò il barone di Fclts coi suoi Tedeschi e 3 cannoni ad assediare Giovanni Orsini entro Rocca Massima. Visto scomparso il pericolo per l'Abruzzo. poichè i Francesi sembravano voler restare nelle Marche, il Duca d'Alba rientrò nello Stato Pontificio ma, ligio agli ordini ricevuti da Madrid di non danneggiare troppo il Papa. si limitò a scorrere la Campagna Romana e a far effettuare il 26 agosto una puntata offensiva di 300 archibugieri contro Roma dal lato sud. Intanto la guerra d"Italia aveva provocato il riaccendersi di quella di Fiandra, dove il IO agoslo 1559 le truppe delle corone di Spagna, guidate dal duca Emanuele Filiberto di Savoia. avevano distrutto quelle francesi nella memorabile battaglia di San Quintino. Rimasto senza altre risorse. Enrico richiamò l'esercito dall'Italia. Paolo IV, indifeso, si salvò grazie alla mediazione veneziana e toscana e negoziò la fine del conflitto, che fu chiuso il 14 seuembre 1557 nel castello di Cave. Il Papa avrebbe sciolto l'alleanza coi Francesi, sarebbero state restituite le terre e forteae occupate e Paliano. fonte della discordia, avrebbe avuto le mura smantellate e sarebbe stata data a chiunque il Re di Spagna avesse voluto purchè fosse persona non sgradita alla Santa Sede. Questo escl udeva Marcantonio Colonna. almeno finchè c'era Paolo IV; ma quando gli successe Pio IV la pregiudiziale cadde e riebbe il suo feudo.

X) Le spedizioni contro i Valdesi e il brigantaggio meridiona le Nel 1561 in Piemonte si riaprì la questione dei Valdesi. In quel momento infuriavano in Francia le Guerre di Religione, che vedevano i maggiori nobili del Regno farsi scudo della loro fede riformata per mantenere ed accrescere l'autonomia politica nei confronti della corona, estorcendole sempre più favori, esent:ioni e denaro. Ad essi si erano contrapposti gli aristocratici rimasti cattolici, sostenuti dalla Spagna, e l'influenza di quanto accadeva in Francia non poteva non farsi sentire in Jtalia. Dopo il riacquisto del Ducato. Emanuele Filiberto non si era preoccupato troppo della confessione professata dai suoi sudditi, purchè non gli dessero noie; ma se ne preoccupava il Papa. Pio IV infatti insisteva costantemente presso il Duca perché estirpasse l'eresia dalle Valli d"Angrogna. di San Martino e di Luserna. Scrupolosamente osservante della religione Cattolica e rispettoso della suprema1ia spirituale del Pontefice, nel 1560 Emanuele Filiberto proibì il culto pubblico a1 VaJde~i. comminando ai contravventori una pena di 100 scudi d'oro alla prima infrazione e della galera perpetua alla seconda, ingiungendo loro l'obbligo di ascoltare la Messa cattolica e l'as1ensione dalle prediche dei loro "barbi", come erano chiamati i pastori eretici. Messi alle strette, i Valdesi presero le armi ma, prima di resistere con esse agli ordini del sovrano, lo supplicarono di volerli lasciare in pace. Emanuele Filiberto sarebbe anche stato d"accordo ma il Papa no: e il problema poteva diventare spinoso nel caso in cui Roma avesse pensato che Torino era filoeretica, perché si rischiava di veder la dinastia sbalzata dal trono in nome della salvaguardia della Fede Cattolica. Si sperimentò la via dei colloqui. Ma Roma non consentiva e, anzi, aumentava i propri sospetti e notava come dagli Ugonotti francesi giungessero aiuti ai Valdesi. La stessa cosa aveva rilevato il Duca e si era convinto della necessità d1 chiudere la questione al più presto. Così diede al Conte della Trinità il comando di 7.000 uomini, !"incarico di convertire "armata manu" i Valdesi e cominciò la guerra, anzi. la guerriglia.


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Gli scontri si accesero violentissimi in tutte le valli. I catturati potevano scegliere fra la conversione e la condanna - in cinque casi al rogo - mentre dalla Francia pervenivano aiuti sia dagli Ugonotti ai fratelli riformati, sia dal Re. che spediva due reggimenti al Duca. Col loro aiuto il Conte della Trinità si impadronì di ViUar e respinse i Valdesi fino al Prato della Torre dove cercò di annientarli, venendone però sconfitto con notevoli perdite. Mentre si combatteva - e i Valdesi torturavano e mettevano a morte i prigionieri presi ai ducali - i deputati valdesi andarono dal Duca a Vercelli. Conscio dei danni che il Ducato stava subendo, Emanuele Filiberto concesse l'esercizio della confessione valdese nelle valli già ricordate, specificando i luoghi in cui sarebbe stato permesso e chiarendo bene che doveva essere evitato qualsiasi atto ostile alla Religione Cattolica. la quale inoltre doveva essere liberamente professata nel territorio valdese. Gli eretici del Piemonte erano salvi, a carissimo prezzo. I loro confratelli deJJ 'Italia Meridionale non avrebbero avuto altrettanta fortuna. Infatti dopo la guerra ispano-pontificia, le truppe napoletane a parte qualche inefficace intervento contro i briganti erano rimaste inattive fino al 1561, anno in cui vennero impiegate proprio nella distruzione delle comunità valdesi della Calabria. a San Sisto e a Guardia - poi ridenominata Guardia Piemontese - che avevano vittoriosamente resistito ad un primo attacco da parte delle milizie baronali in aprile e che questa volta furono prese con 2.000 morti durante !"attacco ed il saccheggio e 1.600 prigionieri. giustiziati in un secondo tempo. Le stesse truppe furono invece molto meno valorose contro i banditi calabresi guidati da Marco Berardi. soprannominato Re Marcone, che assommavano a 900 a piedi e 600 a cavallo. regolarmente pagati con ben 9 scudi a testa al mese; tant'è vero che se la banda sparì fu per autoscioglimento. L' impegno seguente fu contro le incursioni piratesche, quando negli anni 1564-66 vennero destinati 8.750 uomini ai più importanti presidi costieri della Puglia e della Calabria. Nel 1580, morto Enrico II di Portogallo. salì al trono il nipote Antonio. Ma Filippo II di Spagna avanzò delle pretese alla corona lusitana e le sostenne colle armi. Napoli partecipò allo sforzo bellico della corona approntando 17 fra navi e galere e mobilitando 4.000 guastatori e 6.000 soldati. Ma i sostenitori del re Antonio vennero sconfitti quando i Napoletani erano ancora in viaggio e cosl i convogli furono deviati verso le Fiandre. Per i dieci anni seguenti non vi furono grossi impieghi di truppe nell'Italia Spagnola altro che contro i briganti. In particolare va segnalato il disastroso invio di 4.000 uomini contro la banda di Marco Sciarra, molto ben visto dalla popolazione perché colpiva solo i ricchi. Per questo motivo tutti i movimenti dei soldati furono regolarmente comunicati ai banditi, che poterono sfuggire attraverso il confine pontificio fino a quando non si presentò loro l'opportunità di attaccare e distruggere la colonna regia ferendone il comandante. Dopo un simile disastro il governo vicereale preparò un altro contingente il quale, sfruttando la chiusura del la frontiera voluta da Clemente Vlll (che aveva ordinato alle truppe guidate da Giovan Francesco Aldobrandin.i d ' estirpare il brigantaggio negli Stati della Chiesa), poté distruggere la banda Sciarra. Si salvò però il capo che con 500 dei suoi s ' imbarcò su due galere venete, poicbè era stato chiamato a Venezia per combattere contro gli Uscocchi: ma non sfuggì al tradimento di 13 suoi compagni i quali, corrotti dall' Aldobrandini, lo uccisero di Il a poco.



CAPITOLO IV

GLI ESERCITI D'ITALIA

I) Le corone del Re di Spagna

A partire dalla prima metà del Cinquecento l'Italia era divenuta il perno del sistema militare spagnolo. Dal 1536 Carlo V vi aveva posto stabilmente i Tercios 1, i quali in tal modo erano alla stessa distanza dai nemici francesi, dai Protestanti tedeschi o dagli Infedeli ottomani. Dunque, per garantire le vie d'accesso marittime e terrestri, le truppe appartenenti al Re di Spagna erano distribuite in tutti gli Stati di sua proprietà - Napoli. Sardegna, Sicilia, Milano e Presidi - e constavano di solito di reparti sia spagnoli, sia italiani. In linea di massima la saggezza del governo madrileno preferiva mantenere in ogni reame truppe provenienti da un 'altra Nazione o da un altro Regno. magari della stessa lingua degli indigeni, concentrandole nel «Tercio fijo» - il Terzo fisso stanziato nel reame - limitando ai depositi per l'arruolamento la presenza militare indigena ed affiancandole, in caso di necessità, la milizia locale, denominata "Battaglione" se di fanteria e "Squadrone" se di cavalleria, ai cui registri erano iscritti generalmente tutti gli abili fra i 18 e i 60 anni d'età, eccettuati ecclesiastici e pubblici impiegati. Così ad esempio dal 1534 il nucleo della guarnigione stabile del Ducato di Milano consisteva nel Tercio Ordenario de Lombardia; Napoli contava sul Tercio Fijo - Terzo fisso - per il presidio, guarniva la propria squadra navale - da 5 a 8 galere - cogli spagnoli del Tercio Yiejo de la Mar de Napoles e mandava invece i propri cittadini a combattere sulla flotta spagnola nel Tercio Viejo de Napolitanos la Real Annada del Mar Océano. In linea di massima i Napoletani fornivano alla corona una media di circa 5.000 uomini, inclusi artiglieri, torrieri e cavalieri. Di questi: 3.000 uomini erano nei presidi della Lombardia, di Fiandra e sulla flotta oceanica; gli altri nel Regno di Napoli vero e proprio. La Sicilia aveva circa 7.000 uomini fra spagnoli - gli oltre 4.000 del Tercio Pijo de Sicilia - e locali, comprendenti cavalieri, torrieri e cannonieri, fiancheggiati da una squadra di una mezza dozzina di galere e dalla Milizia, istituita nel 1560, alla quale erano iscritti circa J 3.000 uomini. La Sardegna infine disponeva di compagnie autonome spagnole, una squadra navale di forza inferiore a quella siciliana e una milizia a piedi e a cavallo di circa 15.000 iscritti.

II) Le armi di Santa Chiesa

La Santa Romana Chiesa disponeva di pochissime forze stabili per la guardia del Papa o dei Legati di Avignone e dell'Emilia: non più di 300 uomini fra Svizzeri, Lance Spezzate e Cavalleggeri.

1 Tercio - Terzo - è un termine con una ventina di spiegazioni proposte, ognuna coi suoi estimatori e i suoi detrattori. Tra tulle, la più attendibile sembra essere che si chiamasse così perché. allineando 3.000 uomini. fosse di forza pari a "un terzo" di un quadrato di picchieri svizzeri.


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In linea di principio le truppe pontificie ammontavano a circa 8.000 uomini, ma il numero dei sudditi in armi era superiore. perché tutte le principali famiglie feudali disponevano di proprie lruppe, stanziate nei castelli al di fuori dell'Urbe. Era sia un'integrazione del sistema militare papale, sia una minaccia, perché. come nel caso della guerra contro i Colonna, non si sapeva mai se le milizie baronati sarebbero state amiche o nemiche della Santa Sede. Ciò obbligava a provvedere alle necessità belliche mediante arruolamenti ad hoc, sia auingendo alla Mj(jzia - La cui forza oscillava tra i 50.000 ed i 90.000 iscritti - sia reclutando all'estero. li sistema delle torri costiere e una squadra navale di circa sei galere completavano I'apparato militare.

lii) La Serenissima di Genova

Dopo la fine delle lotte intestine e la concentrazione del potere in mano alla famiglia Doria nel 1528, su proposta di Andrea si stabilì di provvedere alle difese cittadine. Presi in prestito dal Banco di San Giorgio 150.000 scudi, si completarono e potenziarono le fortificazioni e si decise di nominare un capitano generale. che fu Filippino Doria. e quattro capitani per la difesa della città. Vennero arruolati locali, Toscani, Corsi e prigionieri spagnoli. considerati ormai alleati, e si costituirono due diversi corpi armati. Uno, di 500 uomini. comprendeva le guardie del Doge. L'altro era la guardia urbana, preposta al mantenimento dell'ordine e alla difesa della città, doveva contarne 16.000 ed era al comando di un generale al quale sotlostavano 40 capitani, ognuno dei quali comandava quattro decurie di 100 uomini l'una. Tutti i sudditi dello Stato, in età compresa tra i 20 ed i 60 anni erano tenuti a servire sotto le armi, ma solo in caso di necessità, per cui la guardia urbana non era prontamente impiegabile. Lo si vide col tentativo francese del dicembre 1528, respinto dai fedeli di Andrea Doria e dalla guardia dogale, perciò si decise di riorganizzare le forze genovesi creando subito e riunendo una guardia ~tabile di 17 compagnie di 100 uomini, ognuna comandata da un capitano. Le truppe fisse genovesi sarebbero rimaste piò o meno sempre a questo livello. tranne in caso di guerra. per tutto iJ secolo XVI. anche perché l'inserimento della Repubblica nel sistema finanziario e militare spagnolo le avrebbe garantito la protezione asburgica contro qualunque offesa terrestre. Diverso il discorso sotto il profilo navale, sia perché i molteplici intere~si commerciali della Superba richiedevano la presenza di uno stabile «stuolo delle galere,. mai inferiore a mezza dozzina di legni e suscettibile di rapido aumento, sia per il mantenimento in vita della squadra navale dei Doria la quale, denominata "Squadra de'particolari" o "Squadra del Duca di Torsi", dal nome del feudo concesso da Carlo V ad Andrea, avrebbe continuato a esistere fino ai primissimi anni del xvm secolo, con una forza variabile ma mai inferiore alle tre unità. Anche !>e, in qualità d'ausiliaria fissa della Spagna, avrebbe pesato sul bilancio del Regno di Napoli, la Squadra de'particolari sarebbe rimasta basata alternativamente e indifferentemente a Napoli e La Spezia. accorrendo là dove l'interesse della Spagna o dei proprietari l'avesse chiamata.

IV) La Serenissima di Venezia Le truppe venete erano le uniche in Italia organi1.1ate su ampia scala, tanto in terra quanto in mare; ma avevano delle notevoli fluttuazioni di effettivi. Riorganizzate da Bartolomeo d' Alviano nel I 514, allineavano in terra una forza variabile dai I 7.000 fanti del I 528 ai 7.000 del1'ullimo quarto del secolo, arruolati prevalentemente in Italia, in Dalmazia e in Germania, con aliquote provenienti da altri paesi europei, a seconda dei periodi e delle necessità. Lo stesso discorso valeva per la cavalleria. sommando le cui specialità - Uomini d'Arme, Stradiotti, Ca-


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vallj, cavalleria leggera e cosi via - si passava dai circa 15.000 del 1496 ai circa 2.000 della fine del secolo XVI. L'apparato navale aveva il molteplice scopo di tenere aperte le vie di comunicazione marittima, garantire il commercio, alùnentare le guarnigioni terrestri, fiancheggiarne le operazioni e opporsi, come principale antemurale, all'avanzata turca verso Occidente. Dati gli alti costi delle galere, anche la Marina conobbe delle consistenti variazioni del naviglio allineato, favorita però dal fatto che le galere erano imbarcazionj sia militari cbe commerciali. ragion per cui, inwpendentemente dal numero dei legni pubblici - talvolta impiegati pure per funzioni mercantili - si riusciva sempre ad adeguare la flotta alle necessità bellliche contingenti, noleggiando imbarcazioru private. Di conseguenza non è possibile fornire un numero medio di riferimento e si può solo dire che la flotta veneta non scese mai al disotto dèi 50 legru - tra galere in Arsenale, Guardia in Golfo basata a Corfù e Guardia di Candi a a Creta, superando molto spesso i 200 fra maggiori e minori.

V) Il Sovrano Militare Ordine dei Cavalieri di San Giovanni del Tempio ru Gerusalemme L'Ordine di Malta si basava essenzialmente sulla squadra navale e sulle wfese costiere. allineando un paio di migliaia di soldati a piedj e a cavallo. destinati sia alla difesa dell'[sola, sia, solo i primi, all'imbarco sulle mediamente sei galere della squadra, ognuna con un equipaggio di 30-40 uomini, 6 cavalieri e una quindicina di "Serventi d' Arme", oltre alla ciurma, mediamente di 250 rematori per ogni legno, come del resto sulle galere di tutti gli altri Stati itaJjaru.

VI) I ducati minori: Parma e Piacenza, Modena, Mantova, Ferrara e Urbino Le milizie d'Urbino possono essere prese come esempio di quelle degli altri piccoli ducati italiani. Scomparse al tempo di Cesare Borgia e ripristinate sotto i Della Rovere, non furono mai molto numerose. In sostanza, a parte la mobilitazione straordinaria per la guerra del 1517 contro i Pontifici, in cui su 8.800 uomini solo 3.000 fanti erano italiani, le forze del Ducato vennero mantenute tra i 1.000 e i 1.600 effettivi, in base a quanto disposto dal duca Francesco Maria che, proprio al termine della guerra del 1517, aveva lasciato in servizio solo 1.000 uomini d'arme e 600 fanti. Per quanto riguarda gli altri ducati, il sistema era più o meno lo stesso: truppe stabili di guardia al sovrano, ammontanti a un centinaio di uomini, perlopiù stranieri - come i "collettoni'' germanici di Parma - e spesso svizzeri; reparti nazionali di miruma entità di presiwo alle fortezze, qualche piccola urutà da utilizzare come prima massa w manovra e w1a Milizia a piedi e, talvolta, a cavallo, urbana e forese - cioè di campagna - alla quale erano iscritti in media da 20.000 a 10.000 uomini, a seconda degli Stati e dei periodi.

VII) Lucca e la Toscana La piccola Repubblica d.i Lucca, retta da un Gonfaloniere, aveva un commissario alle armi dal quale dipendevano direttamente le compagnie delle milizia. Rette ognuna da un capitano. contavano 1.400 uomini e ne potevano arruolare facilmente altri 2.000 fra gli abil i del contado. Era ben poca cosa rispetto a quell'inqwetante vicino che era il Ducato, fiorentino prima e di Toscana poi. Dopo il ristabilimento della signoria medicea coll'appoggio spagnolo, Cosimo de'Medici aveva curato quanto più possibile le forze armate. sia di terra sia di mare. Per le seconde l'im-


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pulso venne dall'istituzione d'un arsenale navale a Pisa, dal potenziamento della squadra e, sopratutto, nel 1562 dalla creazione dell'Ordine di Santo Stefano, preposto alla lotta ai pirati e costituente di facto il nerbo della Marina ducale. Le forze di terra invece ebbero come nucleo una forte componente estera. Dopo la vittoria del 1° agosto 1537 ottenuta a Montemurlo sui fuorusciu toscani, Cosimo aveva concentrato la propria attenzione sul recupero delle fortezze di Firenze e Livorno, in mano all'lmperatore, e sulla possibile acquisizione di Siena. Riavute le prime pagando a Carlo V 200.000 ducati e rimandato alla prima occasione favorevole l'acquisto di Siena. aveva organizzato le proprie truppe facendo perno su un nucleo centrale di poco più di 2.000 veterani tedeschi2. Assoldati intorno al 1540 e posti a guardia delle principali fortezze, erano coadiuvati daJJa milizia locale, in certi casi preposta anch'essa al presidio di rocche o fortificazioni e il cui addestramento era tale da consentire di concentrarne l 2.000 uomini io pochissimi g iorni in caso di bisogno. Bene addestrati e disciplinati. i fanti fiorentini erano stati inizialmente comandati da Pirro poi da Stefano Colonna, mentre la cavalleria era agli ordini di Ridolfo Baglioni. La guerra contro la Repubblica di Siena e il conseguente accorpamento di essa al Ducato fiorentino portarono alla realizzazione dei progetti di Cosimo e all'estensione al Senese dell'organizzazione delle milizie ducali elevando il numero degli iscritti nei ruoli della milizia a1 circa 60.000 del secolo seguente. Restarono invece stabilmente sui 23.000 i militari professionisti, anche se la componente straniera - generalmente svizzera e tedesca - andò progressivamente riducendosi fino a non superare il 50% della forza. Venne curata molto l'artiglieria tanto presidiarla che da campagna; ma il nerbo delle forze toscane rimase la fanteria.

VIJI) La Rinascita dei Savoia: Testa di Ferro e le sue milizie: 1557 - 1600

La grande vittoria delle armi spagnole. guidate dal duca di Savoia, sui Francesi a San Quintino fu degna di nota per tanti motivi. Per la prima volta in ottant'anni gli invincibili quadrati di fanti armati di picche erano stati sfondati e dhtrutti. Un enorme bottino avrebbe [ruttato al condottiero vincitore ben mezzo milione di scudi d'oro e, infine, il servizio reso alla Spagna era tale da farle rendere al generale vincitore - il duca Emanuele Filiberto di Savoia - il possesso dei suoi Stati. Nei cinque anni che seguirono, il Duca riorganizzò le finanze, ottenne lo sgombero di buona parte delle fortezze cadute in mano straniera e riordinò, anzi, ricreò le forze militari coll'editto di Vercelli del 28 dicembre 1560. Tale documento, scritto, come sempre aJJora, io francese, applicava al Piemonte e alla Savoia l'organizzazione militare spagnola: istituiva infatti le milizie concentrandole nei Battaglioni di Piemonte e di Savoia, se di fanteria, e negli Squadroni di Piemonte e di Savoia se di cavalleria. Creava le cariche di Veedore e Contadorc generale, tipiche dell'apparato spagnolo, attribuiva i gradi alla spagnola e organizzava, infine, una squadra delle galere. A proposito del personale, l'editto di Vercelli rendeva la condizione ed il servizio dei militari più prestigiosi, concedendo loro una serie di privilegi qual i l'esenzione dall'arresto per debiti. dal pagamento dei pedaggi e dalla tortura. Erano interessati alla leva i sudditi fra i 18 ed i 50 anni di età. scelti fra i più atti all'arte militare, che «..seront tenus s'armer et mettre en l'ordre et equipage qui leur sera declarè par leurs superieurs»i e che venivano posti sotto la protezione diretta del Sovrano. 2 Nei quali non venivano compresi i Trabanti componenti la guardia personale del Duca 1

Rip. neUa prefazione dj E. SCALA, pag. 23, a: GALEANI NAPIONE E LEVO «Le Milizie Sabaude,., Ro-

ma, Ed. Roma. 1935.


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I risultati superarono le aspettative, facendo raggiungere all'esercito ducale la forza di 37.000 uomini, invece dei 22.000 fissati, a causa della gran quantità di volontari che si presentò ali' arruolamento. Nel 1562 i militari vennero inquadrati in 12 Reggimenti Provinciali, o «colonnelli». formati da 6 compagnie, composte da 400 tra picchieri, alabardieri ed archibugieri, articolate su 4 centurie, ognuna di 4 squadre. Le squadre si esercitavano ogni Domenica; ogni due settimane le centurie, le compagnie ogni mese, i colonnelli le Quattro Tempora3 e tutta la milizia due volte all'anno: a Pentecoste e per San Matteo. La Cavalleria, di 700 uomini, prima articolata in 13 compagnie di cavalleggeri e, poi, in 4 Corpi di Cavalleria di linea - uno di archibugieri, due di gendarmi ed uno di cavalleggeri doveva servire a turni di due mesi ali' anno. Il presidio delle fortezze, vecchie e nuove, fu affidato a 3.000 fanti, di cui 800 veterani, sottoposti a una disciplina severa, era infatti proibito giocare e bestemmiare e bisognava tenere puliti gli alloggiamenti e nota dei puniti.

3 Quattro serie di tre giorni dì digiuno ed astinenza. istituite dalla Chiesa al principio delle quattro stagioni dell'anno e fissate da Gregorio Magno al mercoledl, venerdl e sabato antecedenti la 2' di Quaresima, la 1• di Pentecoste, la 3' di settembre e la 3' d'Avvento.



CAPITOLO V

LA SECONDA METÀ DEL SECOLO

I ) La pace inquieta, 1559-1569: Corsica parte seconda

La pace di Cateau-Cambresis aveva riportato un minimo di tranquillità fra i vari Stati ma, come sempre accade alla fine d'un lungo conflitto, esplosero parecchie questioni, rimaste in sospeso mentre ci preoccupava di quelle maggiori. In primo luogo era tutt'altro che pacificata la rivolta corsa, come del resto abbiamo già visto. In secondo luogo le necessità della pace avevano indotto più o meno tutti i sovrani a una stretta fiscale per riparare ai danni della guerra; e in particolare questo non piacque ai Casalaschi, ma dopo un abbozzo di rivolta seguito dall'intervento spagnolo e dall'impiccagione di alcuni dei capi, i Gonzaga poterono installarsi a Casale senza alcuna opposizione. Non andò altrettanto tranquillamente in Corsica. Ai sensi della pace di Cateau-Cambresis l'isola doveva tornare a Genova. J Corsi non erano troppo contenti ed erano incitati a resistere all'attuazione del trattato sia da Giordano Orsini, governatore dell'isola in nome del Re di Francia, sia da Sampiero Corso. Ma nel 1560, volenti o nolenti, tanto Orsini che Sampiero dovettero partire, anche se il secondo non abbandonava l'idea di liberare la Corsica dal dominio della Superba. Per questo motivo cominciò un lungo pellegrinaggio di corte in corte alla ricerca di aiuti. Fu in Francia e in Navarra, ottenne commendatizie per Algeri e da là passò a Costantinopoli, dove fu ricevuto dal Gran Signore, ricevendone però più promesse che fatti. Nulla sfuggiva agli agenti segreti della Serenissima sparsi in tutto il Mediterraneo; e notizie di quanto Sampiero faceva arrivarono presto a Genova. Il Senato corse ai ripari. Tentò di far rientrare in città la moglie di Sampiero, ma lui la strangolò perché aveva prestato orecchio alle promesse della Repubblica. Allora cominciarono a partire i rinforzi diretti alle piazzeforti corse e, senza far capire perché, i Commissari Generali iniziarono la registrazione di tutto quello che c'era in Corsica: beni immobili e mobili, lnoghi di monte, depositi, tutto fu annotato e, quando i libri mastri vennero chiusi, arrivò la folgore: imposta del 3% suUe ricchezze mobili e immobili. Se c'era un sistema sicuro di far esplodere una rivolta era proprio quello. I Corsi si appellarono ai loro privilegi, fecero presente le disastrose condizioni in cui versavano dopo la fine della devastatrice guerra subita e a causa delle scorrerie ottomane, l'ultima delle quali aveva appena infuriato a Capocorso, Mariana, Portovecchio, Ajaccio e Agriata: niente da fare. Mentre i Corsi cercavano di convincere il Senato, Sampiero si accordò coi Fiescbi superstiti, con Aurelio Fregoso, coi Francesi, coi Turchi e cominciò a muovere le proprie pedine. Genova lo seppe; rinforzò le guarnigioni e coll'inganno imprigionò i sospetti, dopo averli attirati a Bastia ed Ajaccio colla promessa di nominarli capitani delle compagnie corse di nuova levata. Quel che non avevano potuto le tasse e gli incitamenti patriottici lo poté questo tradimento: la Corsica insorse. Davanti alla brutta piega degli avvenimenti, alla fine del 1561 il Banco di San Giorgio lasciò la sovranità dell'Isola e la passò alla Repubblica. I tre anni seguenti non portarono la ca!-


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ma e, il 10 giugno 1564, Sampiero partì per tornare in Patria, senza anni, senza denaro e senza uomini, ma con una gran fiducia in se stesso. Il 12 approdò con 36 compagnil. si diresse a Olmetto e se ne impadronl, poi prese il castello d"Istria e sparse in ogni luogo la notizia del suo arrivo. Ed ecco che l'Isola si sollevò di nuovo. Il Commissario Generale della Repubblica Fornari aveva già avvisato Genova dell"arrivo di Sampiero e un convoglio di truppe agli ordini di Nicolò de Negri stava navigando alla volta di Bastia. Appena sbarcate, le truppe vennero instradate su Corte ma, arrivatevi, seppero che i rivoltosi erano a Vizzani e molto numerosi. Diffidando delle compagnie corse a sua disposizione, de Negri preferl ritirarsi in gran fretta a Bastia, lasciandosi alle spalle due caposaldi nel Vescovado, comandato da Alfonso Gentili, e nella torre di Venzolasca, agli orclim di Napoleone di Nonza. Quest'ultimo si difese strenuamente ma, quando gli bruciarono la porta della torre, dovette arrendersi e fu ucciso insieme a tutti i superstiti. La notizia del massacro di Venzolasca indusse Gentili ad abbandonare Vescovado per unirsi al grosso genovese a Bagnaia, dove de Negri aveva ricevuto dal Commissario Generale molti rimproveri ed altrettanti rinforzi e si stava preparando ad avanzare. Articolate le sue truppe su quattro colonne, De Negri si diresse a Vescovado, dove si trovava in quel momento Sampiero, col progetto di circondarlo e prenderlo vivo. Dopo un cerro successo iniziale, l'affiusso di rinforzi condotti da Sampiero in persona impedl la vittoria genovese, costringendo anzi de Negri ad ordinare la ritirata, tramutatasi in rotta sotto l'incalzare delle schiere corse. Gli insorti pernottarono a Vescovado mentre la notizia del loro trionfo correva per tulla l'isola e incoraggiava le popolazioni alla rivolta. ingrossando le schiere di Sampiero, il quale si spostò alla Petriera di Caccia. Aveva intenzione di passare in Balagna per sollevarla ma, saputo dello sbarco di nuovi rinforzi genovesi, coi quali de Negri gli stava venendo addosso, si organizzò per resistere dove si trovava. Le truppe della Repubblica arrivarono di notte alla chiesa dcli' Annunziata, a circa un chilometro e mezzo dalle postazioni insurrezionali. All'alba cominciarono le prime scaramucce tra gruppi di archibugieri delle due parti e. col sorgere del sole, de Negri s'accorse d'aver davanti forze molto superiori alle sue e per numero e per posizione. Decise allora di ripiegare a Bagnaia ma, appena ebbe passato il ponte sulla Leccia, Sampiero gli assalì la retroguardia, la scompigliò e la mise in rotta, facendola fuggire per una quindicina di chilometri, fino alla Volpaiola. De Negri rimase ucciso. e con lui scomparve gran parte della cavalleria2• Una simile vittoria convinse anche i meno coraggiosi a prendere le armi contro Genova; e tutta la Corsica si ribellò. Sollevatesi anche le Pievi di là dai monti 3• Sampiero, che non aveva assalito nè Bagnaia nè tantomeno Bastia, riprese le operazioni. Bloccò AJaccio con un forre contingente, assalì e prese Porrovecchio e, nella seconda metà d'agosto del 1564, prese contatti colla Francia per farvi sapere quanto aveva fatto e cosa intendesse concludere ancora. Contemporaneamente spedi dei messi ad offrire la corona di Corsica a Cosimo dc'Medici, avvertendolo che, se non

1 Erano 25 ufficiaH francesi e 11 fuorusciti corsi.

2 Si salvarono solo 50 cavalieri. 3 Per la spiegazione della struttura amministrativa della Corsicn. cfr nella parte terlll - il Settecento -

il paragrafo relativo al principio della rivol1a della Corsica del 1733.


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l'avesse accettata, sarebbe finita in testa al Re di Francia o al Sultano, piuttosto che al Doge di Genova. Ma Cosimo temeva di provocare l' ira spagnola accettando. La Corsica era feudo genovese e Genova era l'alleata più preziosa e la banca più fidata di cui Filippo II disponesse. Avrebbe mai consentito a indebolirla permettendo il passaggio deU-isola sotto il dominio mediceo? Naturalmente no; e proprio in questo senso rispose Madrid alla richiesta fiorentina, ricordando implicitamente la sudditanza di Cosimo alla Spagna. Nel frattempo era partito da Genova un nuovo convoglio di tmppe, italiane e tedesche. comandate da Andrea Centurione e sostenute da un corpo di 300 spagnoli, sbarcati a San Fiorenzo per volontà di Filippo II. La situazione non sembrava più tanto favorevole agli insorti. La guarnigione d'Ajaccio li aveva già battuti sanguinosamente con una brillante sortita e, al primo scontro, avvenuto a Penta, Centurione inflisse loro una seconda sconfitta. ampliata da una terza, disastrosa. ottenuta da Doria a Cervione e seguita dalla conquista del forte di Caselle. Le sconfitte sembravano dovute più alla discordia fra Corsi che all'abilità dei comandanti della Repubblica, ma restava il fatto che la causa della rivolta era in cattive acque. Acque cbe sembrarono farsi più tempestose quando Doria decise di soccorrere il castello di Corte, ancora tenuto dalla guarnigione genovese. Squassato dalle malattie, battuto dalla pioggia, privo di sufficienti viveri e stanco per la faticosa campagna sostenuta fino a quel momento, l'esercito della Repubblica s'incamminò dalla Pieve di Campoloro verso Aleria e Corte. Sampiero lo seguì coi suoi tenendolo sotto controllo e sotto tiro dalle creste dei rilievi e, quando le fatiche e gli stenti resero evidenti a Doria l'impossibilità di proseguire e la necessità di tornare a Bastia, i rivoltosi si scatenarono, infliggendogli forti perdite in uomini e materiali. Così il castello di Corte cadde; e Doria cercò da un altra parte il successo che non aveva raggiunto, ma si dovette limitare ad azioni di poco conto e a devastare, in pretto stile corso, il paese di Bastelica bruciandovi anche la casa natale di Sampiero prima di ritirarsi ad Ajaccio. Il resto del 1564 passò fra scorrerie e rappresaglie fra le due parti. Doria riuscì a riprendere il castello di Corte, poi fu sostituito da Giovanpiero Vivaldi e rientrò a Genova. Sampiero invece. come avrebbe fatto due secoli dopo Pasquale Paoli, decise d'organizzare la rivolta mediante istituzioni e, sopratutto, prelievi fiscali tali da mantenere un esercito stabile. La dieta convocata a Corte elesse 18 nobili - 12 per le Pievi di qua da Monti e 6 per quelle di là - e mandò due ambasciatori a domandare aiuto in Francia. Tornarono nel gennaio 1565 insieme a 8 insegne di fanteria e una forte somma di denaro mandata dalla regina Caterina de' Medici. Intanto La guerra si era tramutata definitivamente in guerriglia. Il 1565 fu costellato da piccoli episodi, assai dannosi ai regolari e mai risolutivi, che fiaccavano le forze della Repubblica senza permetterle di trovare la soluzione campale dalla quale ci si poteva attendere la fine, o almeno una svolta, della guerra. Non sapendo come fare, l'anno dopo Vivaldi ricorse a un sicario per eliminare qualcuno dei più importanti capi della rivolta. Non ebbe successo. Nel gennaio 1567 una nuova prova fu compiuta dal sostituto di Vivaldi, Fornari, e dal comandante della cavalleria genovese, Raffaello Giustiniani, i quali riuscirono a corrompere un frate molto ben introdotto presso Sampiero e suo conterraneo. Tramite lui riuscirono ad attirarlo coi 60 uomini della sua scorta in un'imboscata al passo di Cauro, dove fu ucciso. La sua testa fu tagliata e mandata al commissario generale Fornari ad Ajaccio. Il suo posto fu preso dal figlio Alfonso, ma nessuna potenza straniera lo aiutò. La Spagna perché alleata di Genova, gli Stati italiani perché temevano la Spagna, la Francia per evitare lo scontro diretto colla Spagna. Arrivarono. è vero, denari sottobanco da Firenze e da Parigi, coi quali fu possibile battere i Genovesi a Renno e riprendere i combattimenti in gran parte della


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Corsica, ma di nuovo la guerra si svolse fra alti e bassi senza ri&olversi a ncno favore di nessun contendente. Solo l'arrivo del nuovo commissario generale Giorgio Doria portò la conciliazione e la pace e solo nel 1569 Doria poté pubblicare un indulto generale. Grazie alla mediazione degli ecclesiastici, riuscì ad accordarsi coi più arrabbiati insorti, incluso il figlio di Sarnpiero Corso il quale. avuta la certezza di non essere ucciso nè bandito, s'imbarcò per la Francia. r Corsi mandarono poi 12 ambasciatori a Genova a domandare perdono al Senato per la rivolta intrapresa. perdono immediatamente concesso insieme alla diminuzione delle tasse. Per centosessanta anni I"lsola sarebbe restata in pace.

Il) L'assedio di Malta del 1565

Il 9 dicembre 1565 Pio IV passò a miglior vita e dal Conclave uscì eletto. il 7 gennaio 1566, il cardinale Alessandrino - noto come frà Michele dell'Inquisizione- che prese il nome di Pio V. Tenace assertore delle prerogative della Chiesa. intendendole non come fonti di potere politico, ma come fondamento della Fede, Pio V era stato un martello degli eretici e dei dissoluti ed ora avrebbe continuato, ma si sarebbe rivolto anche contro i Mussulmani, con una costanza ed un'ortodossia tali da farlo elevare agli onori degli altari. Intanto l'anziano Solimano era sceso nuovamente in guerra. Si trattava di operazioni terrestri, confinate all'Ungheria ed alla Trans ilvania e che non prevedeva di estendere al mare, sia perché Venezia. per quanto tranqui Ua e più debole della Sublime Porta. se messa alle strette diventava una temibile avversaria, sia per non disperdere gli sforzi. Cosl sarebbero andate le cose se il terribile carattere del Sultano, del quale abbiamo già notato gli effetti in occasione dello sbarco in Italia. non fosse stato irritato dal Sovrano Militare Ordine dei Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme, noti come Gioanniti o, meglio ancora. come Cavalieri di Malta. Nati dopo la prima Crociata, insieme ai Templari ed ai Cavalieri Teutonici. per difendere il Santo Sepolcro ed il Regno latino di Gerusalemme dalle incursioni mussulmane, nel XVI secolo, scomparsi i Templari da duecent'anni e travolti i Teutonici dalla Riforma prote~tante. i Gioanniti erano restati gli unici a tener fede al Quarto Voto: la guerra agli Infedeli. Spostatisi a Cipro e poi a Rodi dopo la caduta del Regno latino e presa quest'ultima dai Turchi nel 1522 dopo una disperata resistenza, gli Ospitalieri avevano trovato accoglienza in Occidente. Carlo V, nella sua qualità di Re di Sicilia. nel 1530 li aveva investiti feudatari del!" isola di Malta e degli isolotti satelliti che al Regno appartenevano, ricevendo ogni anno in dono dall'Ordine un falcone in segno di riconoscimento del vassallaggio di Malta a Palenno. Grazie alle rimesse in denaro provenienti dalle rendite agricole e finanziarie delle commende d'Occidente e alle donazioni in denaro. 1 Cavalieri di San Giovanni avevano potuto continuare a mantenere attiva una piccola ma efficiente e pericolosa squadra navale, proseguendo la guerra in tutto il Mediterraneo. A posteriori alcuni commentatori, non si sa quanto ingenui e quanto in malafede, hanno visto nella loro azione il continuo stimolo che induceva i Barbareschi e gli Ottomani a reagire assalendo le coste europee. dimenticando che in realtà senza la diuturna attività delJ'Ordine non solo i danni sarebbero stati molto piìl gravi, ma probabilmente anche l'Italia sarebbe caduta in mano ai Mussulmani. Per fortuna le galere dalla bandiera rossa fregiata dalla croce bianca continuarono a &olcare il mare, aggredendo il nemico dovunque lo trovassero, contendendogli almeno quanto i Veneziani il dominio delle acque del Mediterraneo centrale ed orientale e rovinandogli molto spesso progetti e trafficL Ora, nel 1565, la pazienza del Gran Signore della Sublime Porta di Felicità si esaurì di col-


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po ed egli ordinò l'allestimento di una poderosa flotta e di un grandioso esercito per schiacciare una volta per tutte l'odiato nido dei terribili Cavalieri. Centotrenta galere salparono da Costantinopoli; nell'Arcipelago se ne accodarono altre venti e poi vennero i pirati barbareschj da Algeri, Tunisi, Tripoli e dal Marocco; e circa 200 legni4 veleggiarono verso l'isola, scortando l'immensa flotta da carico coi 38.000 soldati, i 25.000 guastatori e le possenti artiglierie da impiegare nello sbarco. Rapida corse la notizia in Occidente e il terrore calò su tutti: se Malta avesse ceduto cosa sarebbe stato dell'Europa e della Cristianità? Chi avrebbe fermato i Mussulmani? Venezia spedì rinforzi in tutte le sue basi. Firenze armò la squadra dell'Ordine di Santo Stefano, Emanuele Filiberto preparò aiuti da mandare; e con lui Genova e il Papa. Filippo di Spagna comandò al Vicerè di Sicilia di radunare le squadre navali di Sicilia, Napoli e Sardegna a Messina e correre in aiuto di Malta appena fosse stata assalita; e il Re di Francia... bene. il Re di Francia non fece nulla, perché era pur sempre alleato dei Turchi! Il Gran Maestro Jean de la Valette prese tutte le disposizioni possibili: mandò in Sicilia i non combattenti, distrusse tutti i raccolti che non poteva far trasportare nei magazzini per evitare di lasciarli ai Turchi, per lo stesso motivo avvelenò i pozzi esterni alle fortificazioni e rase al suolo ogni costruzione. Poi si preparò alla difesa insieme ai 541 cavalieri5 di cui disponeva. Armò 6.000 maltesi, li unì a 2.600 soldati spagnoli, ritirò le galere nel porto, lo sbarrò con un'enorme catena e attese. Il 20 maggio del J 565 la flotta Ottomana comandata da Pialì pascià arrivò ed approdò a Marzascirocco, assalendo il porto da terra e da due parti. Il Gran Maestro cercò di contrastare lo sbarco, ma la superiorità numerica del nemico era tale da non lasciare altra via che la ritirata in città in attesa dell'arrivo degli alleati cristiani. La difesa era a quel tempo imperniata su una cinta fortificata molto piccola - in fondo i Cavalieri erano arrivati relativamente da poco - e contava tre soli forti: Sant'Elmo, alla punta della penisola di Sciberras sulla quale sorge ora la città chiamata La Valletta, al comando dello spagnolo Aguares, tenuto da 60 Cavalieri e da un buon contingente di fanteria; Sant'Angelo, cui era preposto il toscano Pietro del Monte, e San Michele, dato al piemontese Giulio da Ponte, i quali serravano i due lati dell'imboccatura del porto delle galere e proteggevano l'accesso al centro abitato poi battezzato La Vittoriosa. I Turchi portarono a terra 45 pezzi d'artiglieria6 e decisero di cominciare da Sant'Elmo: contavano d'impadronirsi di Sciberras, perpendicolare all'insenatura del porto delle galere, per poi fame la base di partenza dei successivi attacchi. Per prima cosa si stabilirono sul colle Sciberras, in modo da interdire ai rinforzi cristiani l'accesso via terra alla perusola. La Valette reagì mandandoli per mare al comando dei cavalieri Della Motta -italiano - e De Mediano - spagnolo - mentre il nemico incominciava il bombardamento e, visto che non sembrava avere grande effetto, proseguiva coll'apertura della trincea. Lentamente i Turchi presero un rivellino davanti alle opere maggiori e, quando si ritennero pronti, lanciarono l'assalto portandosi dietro numerose scale. Furono accolti con tutte le armi disponibili. Tremila di loro e solo 120 difensori caddero prima di convincere i comandanti a ordinare il ripiegamento. Allora i Turchi smontarono gli alberi delle navi e colle antenne improvvisarono un ponte fra il rivellino ed il forte. I Cristiani lo incendiarono e loro ripartirono all'attacco. La situazione dei difensori era critica. Le loro perdite aumentavano a vista d'occhio e solo grazie ai soccorsi mandati da La Valette e guidati dai cavalieri italiani Vagnone, de'Medici e Martelli riuscirono a tenere la posizione, decisi a morire piuttosto di cederla.

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Il capo della spedizione, Piali aveva in complesso 188 navi da guerra ottomane all'arrivo. alle quali se ne aggiunsero dopo lo sbarco altre 48 provenienti dalle Reggenze barbaresche. 5 Dei quali 169 erano italiani. 6 20 cannoni. altrettanti falconi e 5 bombarde.


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Intanto le richieste d'aiuto dei Cavalieri erano giunte a don Garcia de Toledo, vicerè di Sicilia. li genovese Salvago, comandante di un piccolo reparto di suoi conterranei a guardia delle porte della città. era riuscito a giungere in Sicilia e a riportarne 600 uomini di rinforzo, arrivati il 29 giugno. Ma don Garcia non sapeva cosa fare. Aveva ricevuto dal Re Cattolico il preciso ordine di soccorrere Malta a qualsiasi costo e dandole la precedenza su qualunque altra necessità, ma si rendeva conto che le navi a sua disposizione erano l'estrema forza difensiva dell'intera Italia meridionale ed insulare e neanche un quarto di quelle nemiche. Se avesse fallito cosa sarebbe accaduto? Il rischio era enorme. ma restava un'eventualità. mentre il ritardo rendeva sempre più concreta la possibilità della caduta di Malta. Infatti i Turchi avevano ripreso ad accanirsi contro Sant'Elmo senza curarsi delle altissime perdite, secondo il loro solito sistema. Riempirono il fossato del castello con terra e fascine e cominciarono a scavare le gallerie per le mine continuando notte e giorno il cannoneggiamento, il cui rimbombo s1 udiva minaccioso fin sulle coste della Sicilia. I Cavalieri prepararono le contromine; ma le mura si sfaldavano lentamente sotto il bombardamento e non era possibile ripararle. Non c'era tempo nè per dormire. nè per lavorare. ce n'era solo per combattere e morire. 1116 giugno i Turchi lanciarono contro Sant'Elmo l'assalto generale con migliafa di uomini. Salirono con scale e rampini da tutti i lati e raggiunsero gli spalti. Là combatterono per sei ore prima di costringere gli esausti difensori a ripiegare. La none portò una tregua e 300 uomini di rinforzo ai Cavalieri. Ma la mattina seguente fu l'ultima per i valorosi difensori. Di nuovo migliaia di Mussulmani attaccarono i pochi Cristiani rimasti e prevalsero. Non ebbero alcuna pietà per i feriti e presero dei prigionieri solo per scorticarli vivi e poi buttarli in mare sotto gli inorriditi occhi dei difensori degli altri due forti. Centodieci Cavalieri e 1.200 soldati cristiani erano morti; migliaia di Mussulmani avevano perso la vita, ma ora la mezzaluna era piantata sulle rovine di Sant'Elmo. Adesso toccava a San Michele. Con 2.500 algerini appena arrivati di rinforzo, i Turchi lo assalirono e persero 2.000 uomini al primo attacco senza concludere nulla. Allora cambiarono obbiettivo: piazzarono tutte le loro artiglierie sul colle Sciberras e decisero di prendere la città direttamente. Poichè tutti i tentativi da terra era.n o stati respinti, gli Ottomani provarono dal mare. li 15 luglio un grandissimo numero d'imbarcazioni cariche di soldati si avventurarono sull'acqua dirette alla spiaggia. I Cristiani aprirono il fuoco immediatamente affondandone molte, ma tantissime riuscirono ad approdare sbarcando i loro uomini. La resistenza a terra però fu troppo forte e costrinse gli attaccanti a reimbarcarsi sotto il micidiale fuoco delle artiglierie dell'Ordine, che li martellarono per tutta la traversata. Pochissimi si salvarono. Tentarono allora dalla parte di terra, ma persero 2.500 morti senza alcun risultato. Infine si rassegnarono a procedere lentamente ed applicarono lo stesso schema d'approccio adoperato per Sant'Elmo: bombardamento continuo, apertura delle trincee e scavo delle gallerie di mina. I Cavalieri risposero con lavori di contromina e, seguendo le disposizioni dell'ingegnere italiano Menga, direttore dei lavori di difesa, si costrul un trinceramento d'emergenza dietro le mura. per ritirarvisi se queste fossero cadute. E in effetti sembrava che ciò stesse per accadere. Tra le mine, le cannonate e gli assalti non si sapeva quanto ancora la città avrebbe retto. Il 7 agosto venne sferrato l'assalto più vigoroso, che portò gli stendardi nemici a sventolare sulle mura. Perse e riprese dai Cavalieri più volte, vennero riconquistate definitivamente quando un reparto di cavalleria del l'Ordine uscì dalla città e, piombando sulle loro retrovie, fece credere ai Turchi che fossero arrivati i rinforzi dall'Italia. A dire il vero qualche pugno d'uomini era giunto in precedenza, ma si era sempre tratlato di piccole schiere autonome. Il vero soccorso, atteso dai Cristiani e temuto dai Mussulmani, si stava lentamente concentrando in Sicilia. Don Garcia de Toledo vi aveva radunato 60 galere


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tra spagnole. genovesi, napoletane, siciliane, sabaude e toscane7 colle relative fanterie da imbarco, ma non si sentiva ancora pronto e non salpava. E intanto a Malta la situazione si faceva sempre più disperata. U 18 agosto i Turchi fecero grandi preparativi. La Valette capì: l'assalto generale era per l'indomani. Accorsero alle mura tutti, validi - a malapena 500 - feriti ed ammalati. Morti per morti era meglio cadere combattendo piuttosto che finire scorticati come i pochi superstiti di Sant'Elmo. Il 19 agosto fu un unico e continuo combattimento, interrotto solo dalla notte, durante la quale le galere di Giannandrea Doria riuscirono a sbarcare un piccolo contingente di rinforzo. La mattina del 20 i Turchi fecero avanzare verso le mura un'altissima torre d'assedio. Uno splendido colpo di cannone la mandò in pezzi tra le acclamazioni di tutti i difensori. Persa la torre e ridotta la massa d'attacco dalle enormi perdite subite nei giorni precedenti, dal 21 i Turchi rallentarono la loro attività e si ridussero ad attaccbi settoriali. continuamente respinti. E finalmente don Garcia mollò gli ormeggi con 60 galere e 8.000 soldati e si diresse a Malta. Il 7 settembre 1565 sbarcò le truppe dalla parte opposta dell'isola e fece subito rientrare le navi in Sicilia per evitare di vederle distruggere dalla preponderante flotta nemica. Scesi a terra, i fanti si divisero in tre colonne - due composte da truppe spagnole ed una da italiane - e marciarono attraverso l'isola alla volta della città. Sopravvalutando le forze cristiane, i Mussulmani decisero d'abbandonare l'assedio e destinarono I0.000 uomini a proteggere il reimbarco delle artiglierie, dei materiali e dei feriti. Al comando di Mustafà pascià, il corpo di protezione avanzò io colonna verso gli ItaloSpagnoli e, avvistatili, cominciò a spiegarsi in lfoea per affrontarli. In quell'esatto momento, La cavalleria toscana comandata da Cbiappino Vitelli caricò seguita dai fanti ducali e spezzò la colonna nemica. Subito accorsero da tutti i lati i soldati cristiani e fecero un macello dei Turchi, uccidendone 3.000 e mettendo gli altri in fuga verso le navi L'imbarco diventò precipitoso e in breve tutti i legni mussulmani presero il largo. La sera dell '8 settembre nessuno di loro si vedeva più all'orizzonte. Dopo 110 giorni l'assedio era finito: era costato ai Turchi 20.000 morti, ai Cristiani 214 Cavalieri8 e 5.000 soldati. Malta era salva e l'Ord.ine avrebbe costituito ancora una minaccia per la Sublime Porta di Felicità.

III) La guerra di Cipro e la gloria di Lepanto: 1570-1573

Nel 1566 morl Solimano il Magnifico e gli successe il figlio Selim. Subito ripresero i preparativi di guerra e, tanto per cambiare, contro gli Italiani. Stavolta sarebbe toccato a Venezia. «Questo vino ben tosto in Cipro berre1TW»; soleva dire spesso il Sultano, tenendo in mano un bicchiere di vino di Cipro e contravvenendo ai precetti islamici d'astinenza dall'alcool. Era certo il miglior vino del Mediterraneo, ma era prodotto veneziano, come veneziana era l'Isola. Come al solito Costantinopoli ammassò pretesti su pretesti, tutti futili, per giustificare l'inasprimento e la rottura delle relazioni, ma Venezia li scansò, non perdendo d 'occhio i movimenti mussulmani di navi da guerra e trasporti che incrementavano le truppe e i materiali nel Mediterraneo Orientale. Centocinquanta galere ottomane erano già pronte e migliaia di Spahis e Giannizzeri si concentravano ad Alessandria, Rodi e nel Golfo di Lajazzo; e il Senato sapeva di non poter conta-

7 Comandava le galere genovesi Giannandrea Doria, quelle sabaude Andrea Provana di Leynì e le to•

scane l'Appiani. 8 Dei quali 76 italiani. 1 Rip. in BOTTA. op. cit., libro decimoterzo, 1569, pag. 213.


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re altro che sulle proprie insufficienti forze, perché la Francia era amica dei Turchi e la Spagna era nemica di Venezia. L'annata era stata cattiva in Italia, mancavano le vettovaglie necessarie a sostenere un esercito in guerra e, come se non bastasse, la notte dcJ 12 settembre 1569 andò a fuoco l'Arsenale. La riserva di polvere esplose con un fragore immane, atterrando le tre tom che la contenevano ed il muro di cinta volto ad oriente. I rottami caddero su tutta Venezia, uccidendo e storpiando molte persone e. quel che era peggio. lasciando sfornita di polvere ed anni la flotta. Le fiamme furono domate, il Senato ordinò di prendere materiali militari dovunque per ricostituire le scorte e spostò le riserve di polvere dall'Arsenale ricostruito alle isolette della Laguna, ma l'apparato logistico militare e navale ne usci comunque indebolito. Intanto era incominciato il 1570 e nel Divano fervevano le discussioni. Bisognava attaccare Cipro o era meglio correre in aiuto dei correligionari residenti in Spagna contro i quali si era scagliato il Re Filippo? L'ultima parola spettava al Sultano e fu: Cipro. Del resto era troppo lontana la Spagna. troppo lunga la via per raggiungerla, passando davanti a Malta e all'Italia, mentre invece Cipro era troppo vicina e poteva costituire la base di partenza di una spedizione contro la Siria e la Palestina cioè. come sognava il Papa, per una nuova Crociata. Così iJ BaiJo alla Pona Ottomana Marcantonio Barbaro fu chiamato dal Visir il quale, con molti giri di parole e molti cap1iosi ragionamenti, gli comunicò l'intimazione del Sultano al Senato perché cedesse Cipro. Barbaro ottenne una sospensione della cosa finchè non fosse stato mandato un ambasciatore turco a Venezia e scrisse subito al Senato perché si preparasse a combattere. La risposta fu data in Palano Ducale al Chiaus Cubat - ambasciatore straordinario del Gran Signore alla Serenissima - e fu negativa. La partenza di Cubat fu seguita da quella di 40 galere dirette a Corft'l aglj ordini del Capitano Generale Gerolamo Zane, mentre venivano rinforzati i presidi dalmati e albanesi, si conquistava il IO giugno il castello di Sopotò e si domandava aiuto agli altri Stati cristiani. Risposero all'appello il Papa, la Spagna, i Duchi di Savoia, Toscana e Urbino, l'Ordine di MaJta e, tutt.i insieme. mjsero in mare una flotta di 189 legni da guerra9. I Turchi intanto erano già in movimento. La loro armata di 150 galere e I 06 tra~porti d1 ogn.i dimensione sbarcò in luglio alle Saline, nell'isola di Cipro. 50.000 tra fanti e cavalieri e 3.000 zappatori, tenendo di riserva in terraferma altri 27.000 uomini e marciando su Nicosia, che aveva una guarnigione di 3.000 regolari fra italiani e stradiotti e altrettanti volontari ciprioti raccolti dal conte di Singa. Iniziato l'assedio il 25 luglio, in 45 giorni i Turchi subirono una sortita e lanciarono 25 attacch.i. Il 31 agosto attaccarono simultaneamente da quattro panj dopo un terribile bombardamento ma furono respinti. Fallito un nuovo tentativo, chiesero ed ottennero rinforzi alla flotta per altri 20.000 uomini e con essi il 9 settembre diedero l'assalto generale e sfondarono. 14.000 difensori rimasti caddero uno dopo l'altro per fermarli, ma inutilmente. Venticinquemila civili furono massacrati prima che iJ Serraschiere Mustafà pascià ordinasse di cessare le uccisioni. Pochissimi Italiani si salvarono perché erano considerati i nemici pit'l pericolosi. I funzionari veneziani furono uccisi tutti dopo essere stati torturati. A Nicolò Dandolo, comandante della difesa, fu tagliata la testa. Mustafà se la ponò dietro fin sotto le mura di Famagosta e la mostrò al locale comandante, il provveditore generale Marcantoruo Bragadin. minacciandolo di fargli subire la stessa fine se non si fosse arreso subito. Quello gli rispose di

9 Erano 6 navi da guem1, un galeone, I I galeazze e I 71 galere. Di queste: SO appartenevano alle squadre del Re di Spagna - Spagna, Sicilia. Napoli. Sardegna - e di Doria, che ne era il comandante. il Papa ne aveva fomite 12 al comando di Marcantonio Colonna, Emanuele Filiberto 4 sotto Andrea Provana di Leynl, altrettante Cosimo de"Medici dandole a Tommaso de'Medici. il resto erano veneziane.


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preferire la morte all'infamia e si preparò a difendersi. E sapeva a quale sorte stava andando incontro. Faticosamente la flotta cristiana si mise in mare il 18 settembre ma, raggiunta dalla notizia della caduta di Nicosia. dietro pressione di Giannandrea Doria rientrò alle basi di partenza per trascorrervi lo sciverno. Questa inattività non piacque nè al Papa nè ai Veneziani e le loro insistenze portarono alla firma di un'alleanza antiturca colla Spagna nel maggio del 1571. I tre contraenti avrebbero mantenuto pronte 200 galere, 100 navi, 50.000 fanti, 4.500 cavalieri e sufficienti artiglierie e munizioni. Un terzo delle spese sarebbero state a carico della Repubblica, un sesto del Papa e metà le avrebbe sostenute il Re; gli acquisti territoriali sarebbero stati ripartiti secondo quanto stabilito nella Lega del 1537. U comando supremo fu devoluto a don Giovanni d'Austria, figlio naturale di Carlo V, dando il secondo posto a Marcantonio Colonna in qualità di comandante pontificio. Navi e uomini cominciarono a concentrarsi a Messina, raggiungendo il numero di 209 galere, 6 galeazze, 26 vascelli e naviglio minore, con circa 20.000 fanti pronti e altri 4.000 in arrivo10. Il 24 agosto don Giovanni d'Austria raggiunse la 0otta, tenne consiglio di guerra e decise di salpare verso Oriente. Ma almeno per Famagosta era troppo tardi. In maggio vi erano stati ammassati intorno 150 legni e 200.000 nemici per mantenere gli effettivi degli assedianti sempre a 80.000 soldati e 40.000 zappatori nonostante le terribili perdite. Ad essi Bragadin aveva potuto opporre ben 8.400 uomini" - una sproporzione di la 25 a favore degli attaccanti- e la speranza nei soccorsi. La difesa era stata protratta all'estremo. Sotto il fuoco dei 74 cannoni pesanti nemici, Italiani, Greci ed Albanesi avevano conteso ogni metro de.I terreno fra le fortificazioni più esterne ed il fossato, facendolo costare ai Turchi ben 30.000 morti. Quando questi, camminando sui cadaveri. lo raggiunsero, lo riempirono di fascine e terra sotto il fuoco della fortezza, prepararono due fortificazioni in terra resistenti alle cannonate e diedero il via ai lavori di mina. In breve scavarono un fornello sotto la torre dell'Arsenale e ne fecero saltare un intero fianco, andando subito all'assalto della breccia. Cinque volte provarono e cinque volte furono respinti. Allora fecero brillare una seconda mina e ripartirono all'attacco, insistendo per sei ore prima di rinunciare definitivamente. Dopo aver ripianato le spaventose perdite subite, i.I 9 luglio lanciarono il terzo attacco e, il 30, il quarto. Lentamente le mura, forzate in una mezza dozzina di punti diversi. si sfaldavano e lentamente la massa dei Turchi logorava e riduceva quella tanto più piccola dei difensori. Al 1° agosto quattro attacchi generali e 150.000 cannonate avevano lasciato vivi solo l .800 dei 4.000 fanti inizialmente disponibili; le munizioni scarseggiavano, il cibo era poco ed il morale era a terra. Così Bragadin accettò di capitolare, purchè la guarnigione avesse passo libero per Candia con cinque cannoni, armi e bagagli e il Serraschiere garantisse la conservazione deUa vita e dei beni e il libero esercizio della religione ai Cristiani rimasti in città. Mustafà aveva considerato che rimaneva intatta la cittadella; e chissà cosa gli sarebbe costato prenderla se gli ci erano voluti due mesi e 50.000 morti per la sola cinta esterna, per questo aveva promesso e giurato sul Corano tutto ciò che poteva rassicurare Bragadin.

10 Cioè 1.000 spagnoli ancora a Otranto e 3.000 italiani pagati metà da Venezia e metà dalla Spagna, in via d'arruolamemo Il Erano 3.500 fanti italiani, 500 stracliotti, 1.400 miliziani ciprioti. altri 2.000 della città, 800 cavalieri e 200 albanesi.


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ll 4 agosto 1571 Bragadin uscì dalla città e seppe cos'era dare fiducia a un Mussulmano. Appena fu in mezzo ai nemici, Mustafà l'accusò falsamente d'aver ucciso dei prigionieri turchi durante la tregua. lo fece incatenare. gli fece tagliare il naso e le orecchie e lo espose alle ingiurie dei suoi uomini. Poi gli promise salva la vita in cambio della conversione all 'lslam. Il Veneziano rifiutò e lui ordinò di scorticarlo vivo, facendone poi riempire di paglia la pelle e mandandola a Costantinopoli 12, insieme alle teste mozzate dei tre ufficiali veneziani di grado piil elevatoD. li 4 ottobre la notizia di Famagosta raggiunse la flotta cristiana in mare e don Giovanni decise di avanlare. Sapeva che le 28214 navi delJa flotta nemica erano nel Golfo di Lepanto, lungo 125 chilometri e largo 35, e, incurante dell'inferiorità numerica, contava di assalirle colle sue 244 15. Le cercò per venti giorni: nulJa, sembravano scomparse. Poi, la mattina del 7 ottobre I 571, le navi cristiane avvistarono quelle mussulmane e don Giovanni per la gioia «si mise a dan::.are la gagliarda con due cavalieri sul ponte d'armi della sua galera»". I Cristiani si schierarono su una lunga linea con due forti ali: destra di 58 galere, sinistra di 57 e un centro di 63, coperto in avanti dalle sei galeazze e con 30 galere in riserva alJe spalle. A largo in retroguardia le navi minori o a vela. Poi don Giovanni fece spiegare lo stendardo della Lega Santa sulla galera Reale cli Spagna e, a quel segnale, soldati e marinai si inchinarono per ricevere rassoluzione in articulo mortis dai cappellani militari. Poco prima di mezzogiorno la galera del capitan pascià Alì Muezzin-Sadì sparò un colpo di cannone, le rispose una scarica tremenda e la battaglia iniziò. L'ala sinistra, agli ordini di Agostino Barbarigo, attaccò a fondo le galere del pascià Mehmet Sciluc in una mischia terribile. scompigliandole e costringendole alla fine a buttarsi in costa, dove se ne sfasciarono 30. Mehmet si buttò in mare, fu ripescato dai Veneziani, riconosciuto e decapitato. Ma Barbarigo rimase mortalmente ferito e passò il comando. L'ala destra, sotto Giannandrea Doria, si aprì per colpire meglio il nemico, il quale però approfittò del varco per incunearvisi e assalire di fianco il centro cristiano. mentre le galeazze veneziane in avanguardia, molto piil protette ed armate di quanto i Turchi supponessero, facevano una strage nel centro avversario16. L'ammiraglia ottomana puntò dritta su quella cristiana in una collisione frontale terribile. Le due navi divennero un campo di battaglia, mentre tutto il centro si tramutava in un caos di speronamenti, arrembaggi e scariche d'artiglieria a bruciapelo. Nonostante i continui soccorsi, don Giovanni s i trovò a mal partito e ricorse all'espediente estremo: ordinò cli liberare i forzati al remo. che sulla flotta cristiana erano 40.000.

12 E prima di arrivarvi la povera spoglia fu appesa all'albero d'una nave ottomana alla quale fu ordinato di compiere il giro dei porti e delle coste del Mediterraneo Orientale per far vedere a tutti quell ·orribile teSUmonianza della feroce vittoria del tradimento sulla fiducia. 13 Erano Luigi Martinengo, Andrea Bragadin e Giovanni Antonio Querini. 14 Secondo altre fonti erano 274. 15 La flotta amneava W8 galere, 6 galeazze e 30 navi minori. che portavano 1.815 cannoni - contro i 750 dei Turchi - e 74.000 uomini fra soldati, marinai e ciurrn~ contro gli 88.000 del nemico. Vene,iane erano tulle le galeazze e ben 109 galere, 5 appanenevano al Duca di Savoia, altrettante all'Ordine di Malta. 12 alla Toscana (ma noleggiate dal Papa), 3 a Genova, 13 a privati genovesi -tra queste vi erano legalere dell'altra squadra privata al soldo di Spagna, quella del Sauli- il resto alla corona di Spagna. sia come spagnole - 14- sia come squadre di Napoli. Sardegna. Sicilia e dei Doria - detta quest'ultima. come sappiamo. anche "'del Duca di Tursi o de 'particolari". La flotta era quindi a tuni gli effetti una flotta italiana con un rinforzo spagnolo. "Rip. in G. GRENTE. "Lepanto salva l'Occidente". su " Hist.oria" n. 16 del Mano 1959, pag. 64. 16 Alcune cronache del tempo giunsero ad attribuire loro la distruzione di ben 70 delle 80 galere ottomane a.rse o affondate nella battaglia.. Al d i là del numero esatto, impossibile da stabilire. resta il fatto che si rivelarono un'atroce sorpresa per i Tun;hi.


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I Turchi lo copiarono dimenticandosi un particolare: i loro forz.ati non erano criminali o buonevoglie, ma prigionieri cristiani. Questi si unirono subito agli ltalospagnoli nel combattimento e per gli Ottomani fu la fine. Alì Muez1in fu ucciso, la sua galera conquistata e sul pennone venne alzato lo stendardo della Santa Lega col Crocefisso. «Vittoria, Vittoria!» cominciarono a gridare abbracciandosi g l i Italiani e gli Spagnoli vedendolo. Barbarigo, morente. alzò le mani al cielo, rese grazie a Dio della vittoria e spirò. mentre le galere turche si sbandavano e iniziavano a fuggire. Furono inseguite e raggiunte. Solo 43 legni riuscirono a salvarsi. Degli altri: 80 furono affondati, 140 galere e 17 galeotte vennero catturate, l5.000 schiavi cristiani liberati. 5.000 turchi fatti prigionieri. Altri 30.000. morti, erano nelle acque del golfo ingombre di rottami. La flotta cristiana aveva perso solo 15 galere e 8.000 uomini: un trionfo delle navi italiane. Erano le cinque della sera Alla stessa ora a Roma Pio V si ali:ò improvvisamente dal tavolo al quale stava ricontrollando i conti insieme al Tesoriere, andò alla finestra. l'aprì e guardò a Est, a lungo. Poi si voltò col viso illuminato e disse ai present i: «Non occupiamoci pitì d'affari ma andiamo a ringraziare il Signore: l'armara cristiana ha riporrato ora la vittoria»w. Stupefatti, mentre il Papa scendeva in cappella. i prelati si segnarono le parole e l'ora in cui erano state pronunciate e attesero le notizie della flotta. anche se molti non seppero tacere e raccontarono il fatto in giro. Intanto i venti ostacolavano il corriere mandato da don Giovanni al Papa e favorivano quello spedito da Sebastiano Venier al Senato. Venezia impazzì dalla gioia - era tanto che non riceveva buone notizie- e il Doge scrisse al Papa, felicitandosi e riferendogli tutto brevemente. Erano già trascorse circa due settimane dalla battaglia ed era notte fonda quando il corriere dogale arrivò a Roma, molto prima di quello di don Giovanni. Nonostante l'ora fu introdotto subito nella camera del pontefice. Riferendosi a don Giovanni d'Austria, «Fuir homo missus a Deo cui nomen erat Joannes»" esclamò Pio V quando udl la notizia. Poi si alzò e ordinò che ogni abitante del Vaticano fosse svegliato e lo seguisse in cbiesa a rendere grazie a Dio17, mentre gli al.libiti prelati si accorgevano che la lettera del Doge confermava l'il.luminazione del Papa: il 7 ottobre alle cinque di sera La guerra però non continuò come sarebbe stato auspicabile. Interesse della Spagna era evitare l'espansione della minaccia turca ma, se ad essa si accompagnava l'indebolimento di Venezia, tanto meglio. Dunque la soluzione migliore per Madrid consisteva nel fermarsi là dov'era. C ipro era turca e tale sarebbe rimasta. Se i Veneziani non erano d'accordo potevano continuare la guerra da soli. Per il momento, e finchè fosse esistita, dovevano però obbedire aJ comandante della Lega, cioè don Giovanni d'Austria, e non fare nulla. Ci furono dunque alcuni piccoli scontri navali lungo le coste della Grecia, a Santa Maura, a Castelnuovo e a Navarino, ma non si fece la spedizione a Cipro o, addirittura, a Costantinopoli, come i Veneziani e il Papa avrebbero voluto. Del resto il IO maggio 1572 l'animatore della Lega, Pio V, passò a miglior vita. Colla sua morte si ebbe un santo in più in cielo e una Lega in meno in terra, perché l'alleanza si allentò. [I nuovo pontefice Gregorio xm non seppe tenerla insieme e, davanti alla renitenza spagnola, Venezia pensò ai casi suoi e stabilì una tregua coi Turchi, firmando poi la pace il 7 marzo 1573. Pace gravosa e non vittoriosa: Cipro restava turca, si doveva restituire il castello di Sopotò, ripristinare lo staru quo ante in Epiro e Dalmazia e pagare alla Sublime Porta 300.000 ducati in tre rate annuali.

ili Rip. in G GRENT!:.. op. cii. pag. 66. "Idem, ivi. 17 E infine. in ricordo della vittoria, decretò che al Rosario fosse aggiunta l'invocazione alla Madonna come "Auxilium Christianorum."


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Non c'era scelta. La prosecuzione della guerra privava la Serenissima delle fonti di guadagno derivate dal commercio nel Mediterraneo orientale, la indeboliva per terra e per mare e, in ultima analisi la metteva nelle mani dei Turchi e della Spagna. Molto meglio chiudere il conflitto tenendo quel che si aveva e puntando a rifarsi della cifra pagata riprendendo i traffici. Tanta saggezza non piacque al Papa e, sopratutto, alla Spagna, che vedeva sfuggire ancora una volta la possibilità di dominare tutta l'Italia neutralizzando Venezia.

IV) La guerra civile di Genova Se Venezia politicamente reggeva, Genova si indeboliva sempre di più e, dopo la fine della rivolta corsa, i vecchi dissapori tra i patrizi genovesi esplosero in fretta. L'aristocrazia della Repubblica si componeva di famiglie nobili da lunghissima data e di un'aliquota, continuamente crescente, derivante dalle iscrizioni fatte. secondo la legge, ogni anno. Le prime erano conosciute come famiglie nobili del Portico Vecchio o Portico di San Luca, le seconde prendevano il nome dal Portico Nuovo, quello di San Pietro. La disputa fra le due fazioni riguardava. com'è ovvio, la ripartizione e l'esercizio del potere stabiliti da Andrea Doria molti anni prima colla legge popolarmente conosciuta col nome di Garibetto, dal termine dialettale "garibo" che significava "assetto". Molte famiglie non nobili premevano per essere iscritte nel Libro d'Oro e. coll'aiuto del popolo, con tumulti e mezze sollevazioni, chiedevano d'essere accontentate. Venne quindi domandato al Doge d'abolire la legge del Garibetto; e il Senato sotto la minaccia di una rivoluzione, approvò. Ma se il popolo grasso era stato accontentato. non lo era stato quello basso, il quale chiese l'abolizione di alcune tasse sugli alimentari e l'aumento delle paghe per gli operai delle manifatture. Così nel 1575 il Senato, spinto dalla fazione del Portico Nuovo, decretò 100 iscrizioni alla nobiltà, l'abolizione della gabella sul vino e l'incremento delle paghe. La città si calmò, ma i nobili del Portico Vecchio si ritirarono in campagna protestando contro l'accaduto. Per di più il popolo riprese a rumoreggiare domandando l'istituzione di un terzo Portico o Portico del Popolo. I nobili di San Pietro, presi di sorpresa, cercarono di calmare le acque con buone parole; quelli di San Luca, ben contenti, favorirono la richiesta per mettere in difficoltà gli avversari di fresca nobiltà. Seguì un periodo convulso e disordinato. Si parlò d'un complotto di San Luca per impadronirsi di Savona e poi riprendere il potere. San Pietro, attraverso Tommaso Carbone, Stefano lnvrea e Bartolomeo Coronato, reagì perseguitando i membri della fazione avversa. Molte famiglie aristocratiche fuggirono ritenendosi in pericolo e la maggior parte di loro si rifugiò nel Finale, all'ombra della bandiera di Spagna. Le notizie dei disordini intanto si diffondevano e producevano effetti diversi a seconda di eh.i le riceveva. n re Filippo II si rese conto di poter prendere Genova fingendo di volerla pacificare ed allestì una spedizione navale, dandone il comando al fratellastro don Giovanni d'Austria e dimostrandosi favorevole al Portico di San Luca, i cui membri erano da sempre la base dell 'alleanza ispano-genovese. Ovviamente la Francia s'intromise e diede appoggio al Portico di San Pietro. Cosimo de"Mcdici rispolverò le sue aspirazioni su Sarzana e Sarzanello, poi propose a Filippo Il la spartizione del territorio genovese tra Firenze e Madrid, cosa non facilissima ad eseguirsi, visto che don Giovanni d ' Austria avrebbe voluto tramutare il corno dogale della Repubblica in una corona per sè, e infine si avvicinò al Portico di San Pietro, tenendo come al solito il piede in due staffe. 11 Papa svolse il suo compito di super partes convocando l'ambasciatore di Spagna ecomunicandogl.i d'aver pronto un milione i.n oro in Castel Sant' Angelo per opporsi armata manu


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a qualunque tentativo del re Filippo d'insignorirsi di Genova e una bolla con cui l'avrebbe privaco d'ogni concessione di cui godesse sui beni ecclesiastici in Spagna. Il Re Cattolico allora si limitò a spedire don Giovanni a Genova con una grossa squadra navale e un buon contingente di fanteria imbarcata. Appena arrivò nelle acque di Genova il Senato, composto solo dal Portico Nuovo, gli mandò a dire, con molta buona maniera, che il popolo l'avrebbe visto ed ospitato volentieri se fosse entrato io porto con tre o quattro galere, mentre non avrebbe gradito l'ingresso di tutta la squadra. Prescindendo dalle fanne, era un ultimatum molto chiaro. Don Giovanni lo capl, si infuriò e. spinto dalla fazione del Portico Vecchio. decise di passare alle armi. Per prudenza diplomatica e per rispettare in apparenza gli ordini del Re fratellastro, diede retta al consiglio di Giannandrea Doria e ordinò che navi e truppe innalzassero le insegne del Portico di San Luca al posto di quelle spagnole. Poi lasciò il comando allo stesso Daria e si ritirò a Napoli in attesa degli eventi. Daria assoldò due Terzi italiani mandatigli dal Duca di Feria. governatore di Milano, sempre per far vedere che la Spagna non entrava nella questione, e assali e prese rapidamente Spe1ia. Portovenere, Chiavari, Rapallo e Sestri. Portofino gli resistè e lo indusse a tentare la Riviera di Ponente, dove occupò Noli, Pietra Ligure e altri paesini, mancando però l'obbiettivo principale, cioè la presa di Savona. Nel frattempo le due fazioni aristocratiche avevano raggiunto un accordo di massima per giungere poi a una soluzione negoziata della crisi, ma Doria non sembrava curarsene, tant'è vero che il signor di Serravalle, suo luogotenente. aveva assoldato due reggimenti tedeschi, aveva presa Novi e. attraverso i gioghi, era sceso nella Riviera di Ponente unendosi al grosso e quindi in pratica circondando Genova. In città la tensione era altissima. I nobili del Portico Nuovo temevano di perdere la loro posizione, il popolo era inferocito con loro, perché non resistevano di più agli avversari, e con quelli di San Luca perché avevano cominciato la guerra. Per un insieme di circostanze il potere finì nelle mani di Francesco Grosso, uomo di paglia di Bartolomeo Coronato, e si cominciò a parlare di eleggere quest'ultimo dittatore. Spaventato, il Senato trovò il coraggio della disperazione e riuscì a deporre ed arrestare Coronato mettendo la cirtà sotto il ferreo controllo delle poche truppe e di squadre di nobili armati. Stretto fra il pericolo interno appena corso e la minaccia esterna delle forze di Giannandrea Doria. il Portico Nuovo decise di proseguire la trattativa cogli avversari del Portico Vecchio e colla mediazione di ambasciatori esteri, italiani o no. Così nel settembre 1575 ci si avvicinò alla conclusione, che poi sembrò riallontanani per via delle tante clausole e condizioni che ogni contraente faceva fioccare. Le trattative si spostarono a Casale Monferrato. zona neutra e più sicura e, il 10 mano 1576. l'ambasciatore imperiale, quelli spagnoli e il cardinal Legato Morone chiusero la questione. Vi sarebbe stato da allora in poi un solo ordine nobiliare in Genova. sarebbe stato fissato il numero dei membri del Senato a 12, a 8 quello dei Procuratori (senza contare gli ex-Dogi, ipso facto procuratori perpetui) a 400 il Maggior Consiglio ed a I00 il Mi nore. Insomma: fu stabilito I 'ordfoamcnto che la Repubblica avrebbe mantenuto fino alla fine. Pubblicate tali decisioni il L7 marzo, si ristabill la pace. turbata solo da un tentativo insurrezionale di Bartolomeo Coronato. che fu arrestato e condannato a morte.

V) l'intervento sabaudo-pontificio in Francia e la guerra per il Marchesato di Saluzzo: 1589-1601

Anche il Piemonte non era tranquillo. Morto Emanuele Filiberto di Savoia nel 1580, gli era succeduto il figlio Carlo Emanuele I. il quale voleva proseguire la politica patema d'espansione dello Stato. Abilissimo generale e


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astuto negoziatore, Carlo Emanuele mancava però della capacità di organizzare vasti disegni politici a lunga scadenza e, sopratutto, era un uomo più d'azione che di pianificazione, ragion per cui fu probabilmente uno dei Savoia più deleteri alle fortune della sua Casa e alla pace d'Italia.

Approfittando delle guerre tra Cattolici ed Ugonotti che in quel momento insanguinavano la Francia, Carlo Emanuele decise di allargare i propri possedimenti d'oltralpe, riprendendo i feudi resisi autonomi e, magari, estendendosi in quello che un tempo era stato il Ducato di Borgogna. Già nel 1581 con un colpo di mano prese Saluzzo ma, vista la minacciosa reazione del re Enrico m di Francia, istigato dagli Stati italiani timorosi della potenza sabauda, lo dovè evacuare. Nel I 582 fece un tentativo contro Ginevra, antico possedimento di Casa Savoia, ora autonoma per motivi religiosi, visto che là era la culla del Calvinismo. Don Amedeo di Savoia, fratello naturale di Carlo Emanuele, marciò sulla città con un buon contingente di truppe per sorprenderla. ma falli l'obiettivo e si limitò a scorrere le campagne. Poi le operazioni rallentarono e subirono alti e bassi. In definitiva sarebbero anche riuscite se Carlo Emanuele non avesse intravisto, o creduto d'intravedere, una possibilità d'espansione in Provenza appoggiandovi la fazione cattolica contro i Protestanti. Armato un secondo esercito nel maggio del 1588 e confidatone il comando a Francesco Martinengo e Andrea Provana di Leynì, li foce marciare contro Saluzzo e oltralpe contro gli Ugonotti del Duca d'Epernon, a sollievo dei Cattolici del Signor de Vinse della contessa di Saulx, ma a detrimento sicuro dell'impresa di Ginevra. Saluzzo fu preso nel giro di due mesi e le operazioni in Francia andarono così bene che numerose ambasciate cominciarono a venire a Torino: da Marsiglia, dalla Provenza, dalla città d' Aix-enProvence, tutte desiderose d'aiuto e tutte desiderose di darsi ai Savoia, almeno così dicevano. La faccenda cresceva. Carlo Emanuele non si contentava più della sola Provenza ed aspirava a prendersi pure il Delfinato; e don Amedeo era sempre più dimenticato. Convinto di riuscire, il Duca s'impegnò a corpo morto nell'impresa. Radunò un grosso contingente di fanteria e cavalleria italiana e spagnola fornitogli dal Governatore di Milano per ordine del Re di Spagna e si diresse ad Aix a sostegno della Lega Cattolica, dove venne riconosciuto Capo delle Armi e del Governo civile della Provincia. In Svizzera intanto le vicende militari seguivano il loro solito accidentato corso. Don Amedeo continuava imperterrito a tenere i dintorni di Ginevra e la situazione militare era abbastanza bilanciata. Lo sarebbe rimasta se i Francesi non avessero intercettato nei pressi di Basilea il convoglio spagnolo diretto in Germania con 100.000 ducati per arruolarvi truppe. Quel denaro fu riutilizzato per capitolare un reggimento a Berna, unirlo ai 300 cavalieri assoldati dall'am• basciatore francese a Venezia nel Veneto Dominio di Terraferma e farli marciare contro don Amedeo per impegnarlo a Thonon. Ma quelle truppe non riuscirono a decidere la giornata in proprio favore e ripiegarono. Poi, saputo dell'arrivo di rinforzi sabaudi, piantarono in asso i Bernesi. che vennero sanguinosamente battuti a Callonges, e si ritirarono. Nel frattempo - era il 1589 - Enrico lIJ era morto e si era riaperta la contesa per la corona cli Francia. Tra i candidati era anche Carlo Emanuele I, ma il più favorito era il protestante re di Navarra Enrico di Borbone, contro la cui investitura la Spagna stava premendo diplomaticamente sul Papa. Infatti, se la Chiesa avesse continuato ad appoggiare la Lega Cattolica, la Francia sarebbe rimasta preda delle guerre civili e la Spagna avrebbe trionfato sulla sua ultima avversaria. Ma l'ambasciatore spagnolo commise l'errore di dire al Papa cosa dovesse fare; e il papa era il testardo ed autoritario Sisto V, tanto duro «che nun la perdonò nemmeno a Cristo» come avrebbe detto di lui Gioacchino Belli. Sisto s'irritò moltissimo per l'interferenza di Madrid negli affari della Chiesa; e se la prese ancora di più quando gli fu ricordato dall'ambasciatore che 1.500 spagnoli erano sul confine pontificio: cosa voleva fare?


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La risposta fu nettn: il Papa arruolò truppe e ordinò la stesura d'un breve di scomunica per il Re di Spagna. Allora Filippo tentò un'altra strada, quella deU 'ortodossia. Come poteva il Santo Padre non combattere contro l'insediamento del protestante Enrico di Borbone sul trono della cattolica Francia? Non era più giusto allearsi al suo dilettissimo figlio il Re Cattolico di Spagna. mettere in campo un esercito di 45.000 fanti - 25.000 pontifici e 20.000 delle corone asburgiche - al quale la Spagna avrebbe aggim1to 3.000 cavalieri. porre il tutto al comando del Duca d'Urbino e andare a soccorrere i Cattolici francesi della Lega? Sisto tentennò e si consig liò coli 'ambasciatore veneziano Badoer. il quale lo scongiurò di non aderire. Se crollava la Fraocia era la fine dell'indipendenza della Chiesa e di Venezia. La mone troncò le meditazioni di Sisto V e passò il problema ai suoi successori Urbano VII e Gregorio XIV. il quale ultimo era un acceso filospagnolo. Per questo decise di spedire in aiuto alla Lega un corpo di spedizione comandato dal proprio nipote Ercole Sfon<lrato, appena fatto duca di Montemarciano. La notizia rallegrò Carlo Emanuele. Infatti nel Delfinato s'era trovato addosso tre eserciti nemici. comandati da Lesdiguiéres, dal Duca d'Epemon e da Alfonso Corso, ti figlio di Sampiero, i quali l'avevano impegnato duramente. Oltretutto i Francesi avevano eseguito alcune incursioni in Piemonte occupandovi qualche cittadina e quindi la notizia che i Pontifici avrebbero per prima cosa espulso i Francesi dal Piemonte non poteva che essergli gradita. In più Marsiglia era nelle sue mani e veniva retta da Charles Casaulx, da lui nominato proprio con~ole. Ora, nel con.o del 1591. battuti i Ginevrini fattisi avanti dopo un anno di scaramucce e lasciato il comando in Francia al Conte Martinengo. Carlo Emanuele andò a Madrid a conferire personalmente col Re, prospettandogli le linee d'operazione che riteneva opportune e ottenendone altre truppe che avrebbe portato con sè per mare ven,o la Provenza. Ma 11 suo problema principale consisteva nella presenza d'una guarnigione toscana18 al castello d'If, a largo di Marsiglia, introdottavi nel marzo di quello stesso anno in seguito a trattative intercorse fra il castellano e il duca Ferdinando de'Medici; e per farla uscire serviva l'intervento diplomatico militare della Spagna. Carlo Emanuele prospettò la cosa e riparti per la Francia. Intanto Maninengo aveva conquistato parecchie località della Provenza ed aveva posto l'assedio a Berre senza riuscire a vincerla. Mentre vi stava operando, arrivò da Marsiglia il Duca con 15 compagnie di soldati spagnoli dategli da Re Filippo e, grazie a loro, la città s'arrese. E qui cominciarono i guai, perché il Duca aveva promesso alla Contessa di Saulx di dare Berre al signor dc Crequì; e non mantenne la parola. La Contessa gli diventò nemica e fomentò contro di lui tutte le popolazioni della zona di Marsiglia. Sommati a questo i sospetti nutriti nei suoi confronti dalla Lega e dal re Enrico, la popolarità di Carlo Emanuele scese al minimo e condizionò pesantemente l'andamento delle operazioni. Enrico ne approfittò per riallacciare i contarti colla Contessa e coi signori della Lega nella Francia Meridionale con tanto successo da far scoppiare a Marsiglia una sommossa contro il Duca e gli Spagnoli. Contemporaneamente il Duca d'Epernon battè sanguinosamente le truppe del Conte Martinengo a Vinon e Lesdiguiéres assediò e fece capitolare Grcnoble. La mossa successiva consistè nello sblocco del forte di Monresteil. Costruito dai Francesi per controbilanciare la fortezza sabauda di Monrmélian, era stato subito assediato da un contingente misto ducale e pontificio. Le operazioni procedevano bene, l'artiglieria lo batteva pesantemente ed il forte era sul punto di cadere quando Lesdiguiéres arrivò e attaccò gli assedianti fissandone il fronte. Mentre i Sabaudi tenevano la linea, spedì un'aliquota di fanteria a prenderli di fianco dal lato delle montagne e, davanti ali 'assalto improvviso, lo schieramento dei sabaudo-pontifici cedette. Si ritirarono frettolosamente e si riordinarono nella retrostante 18 Si trattava di ISO uomini al comando del capitano Rinuccini. che alloggiarono in baraccamenti esterni al castello. dove rimase la guarnigione francese.


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pianura di Pontcharré, facendo fronte, ma la carica dei Francesi fu tanto impetuosa da scompigliarli di nuovo e metterli in fuga fino a Montmélian. facendo lasciar loro sul terreno 1.500 tra morti e feriti. 18 bandiere, 2 cornette di cavalleria e la maggior parte dei carriaggi. Subito dopo, a complicare maggiormente le cose, la Lega chiese alle truppe pontificie e spagnole di accorrere in Lorena per impedire l'afflusso dei rinforzi protestanti tedeschi in aiuto a Enrico di Borbone. Rimasti soli, i Sabaudi non poterono reggere e la guerra si spostò nella Savoia, Il contado di Ginevra fu ripreso con piccoli scontri di alterno risultato; ma Carlo Emanuele preferì ordinare al fratellastro di ritirarsi a protezione della Savoia e lasciar perdere Ginevra. La guerra intanto pendeva sempre più a favore di Enrico di Borbone su tutti i fronti e si avviò alla conclusione quando Enrico raggiunse segretamente un accordo col nuovo papa Clemente VIll per convertirsi al Cattolicesimo. Naturalmente nessuno ne sapeva nulla; e i Francesi continuavano a combattere, tant'è vero che Lesdiguiéres nel 1592 passò le Alpi e scese in Piemonte. A Salbertrand intercettò e sconfisse 2.000 Spagnoli in marcia verso Oulx. Prese Bricherasio; il 26 settembre fallì la sorpresa contro Pinerolo e si avvicinò a Casale, minacciando da lontano Milano. «Parigi val bene una messa!» si dice abbia esclamato Enrico accettando la conversione, dimostrandosi ottimo politico e pessimo cristiano, sia come riformato sia come cattolico. n 25 luglio 1593 Enrico di Borbone. re di Francia e di Navarra domandò pubblicamente e solennemente ali' Arcivescovo di Bourges d'essere ricevuto nella Chiesa Cattolica Apostolica Romana. Fu accettato, ovviamente, anche se il Papa rimase in dubbio. Le forti pressioni contrarie della Spagna vennero però bilanciate dal fermo sostegno di Venezia e di Firenze e, il 16 settembre 1595, in San Pietro Clemente VIll accolse la richiesta del Re di Francia, assolvendolo da ogni precedente censura ecclesiastica ed accogliendolo nelle file della Chiesa militante. L'ostacolo principale al ristabilimento della pace e dell' unità della Francia era stato rimosso. Ora cominciava il declino della Spagna. Naturalmente in Italia non se ne accorse nessuno, perché tutti erano occupati in beghe personali e piccole vendette. E come al solito il fulcro d 'ogni disordine era Carlo Emanuele I, l'eterno irrequieto. Convinto della malafede di Ferdinando dc· Medici, alla cui interposizione colla guarnigione piazzata ad lf attribuiva il fallimento dell"impresa provenzale, il Duca di Savoia si infilò nella questione di Ferrara, cercando di venirne in possesso, e intanto pensava a mandare avanti alla meno peggio la guerra contro la Francia cominciata tanto incautamente. Le operazioni in Provenza non andavano troppo bene perché i Francesi erano riusciti a mantenere il possesso di Tolone. Dopo una pesante disputa fra il Duca d' Epemon e Lesdiguiéres, perché il primo non voleva sottostare all'ordine regio di cedere il comando al secondo, disputa risolta con una battaglia sulle sponde della Durenza nel 1594, i Francesi si stavano riorganizzando molto lentamente, a causa degli strascichi della questione fra i due generali. Carlo Emanuele ne approfittò e, ricevuto un rinforzo di 10.500 spagnoli 19, ne utilizzò una parte per andare ad assediare Bricherasio. Il 25 settembre cominciò a bombardarla con 24 pezzi, impiegando 8.850 fanti tra Piemontesi e alleati e disponendo a copertura 28 squadroni di cavalleria. Prese inoltre le sue precauzioni presidiando i passi alpini per impedire l'arrivo di soccorsi e fece bene. Infatti Lesdiguiéres arrivò di gran carriera coi rinforzi dalla Francia, ma urtò nei presidi e non poté passare. Il 30 settembre la città fu presa d 'assalto; e il nemico si chiuse nella cittadella, dove restò fino al 23 ottobre, quando si arrese coll'onore delle armi; cosicché all·esercito di soccorso non restò che ripiegare, molestato in rctrOguardia dai Piemontesi e dagli Spagnoli.

19 Erano 4.000 fanti tedeschi de! Conte di Lodrone. 5.000 fanti italiani di Bernabò Barbone 1.500 cavalieri spagnoli di don Alonso Idaqucs.


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Allora i Francesi assediarono Exilles. Il I O gennaio 1595 Lesdiguiércs occupò con 2.000 uomini le alture più vicine e inviò il grosso a stabilirsi nella valle. Il 3 aprì la trincea e piantò le batterie. Carlo Emanuele radunò 3.000 fanti e 800 cavalieri e il 5 gennaio partì con loro da Susa. inviando verso Cesana un 'altra colonna, al comando del Mastro di Campo Alessandri, perché prendesse i Francesi alle spalle. Alessandri però sbagliò strada e l 'azione fallì. Ma il 9 arrivò una colonna di 1.500 napoletani. coi quali Carlo Emanuele si spostò a Chiomonte per tentare lo sblocco della fortezza. Fu tutto inutile e, dopo un attacco di forzamento delle lince nemiche al ponte sulla Dora, costatogli 600 uomini. il 22 seppe della resa del presidio e si ritirò. lntanto nel 1593 Marsiglia si era sollevata contro Enrico IV e il capo della rivolta - Charles Casaulx - aveva chiesto e ottenuto l'aiuto della Spagna e della Savoia. Giannandrea Dona sbarcò nella città 3.000 fanti spagnoli da 30 galere e li fece entrare nella fortezza che era stata appena costruita. La cosa venne all'orecchio di Ferdinando de'Medici il quale. partitante deUa Francia e imparentato con Enrico iv20, si accordò col Duca di Guisa. fece uccidere Casaul:"t e aprire le porte della città, prontamente occupata dal Duca con 1.300 uomini. Carlo Emanuele e Giannandrea Doria allora ottennero un aumento della pressione diplomatica e delle minacce su Firenze per farle togliere la guarnigione da lf. Niente da fare, anzi. fu peggio. perché nel 1597 i Toscani ricevettero l'ordine d'impossessarsi d'lf e il 20 aprile ne cacciarono i Francesi. Per riprenderlo il duca di Guisa costellò d1 artiglierie risola di Ratonneau. Ferdinando non si lasciò impressionare e mandò la propria squadra navale - 5 galere e vari trasporti con rinforzi di fanteria ed artiglieria - ad occupare l'isoletta di Pomégues. Il 24 giugno le navi toscane si scontrarono con quelle francesi e, subito dopo, si aprirono le trattative per l'evacuazione. Allora Carlo Emanuele e Doria provarono a prendere il Castello con un trucco. Vi mandarono due loro emissari che avrebbero dovuto addormentare la guarnigione con acqua drogata. Ferdinando lo seppe in tempo, diede gli opportuni ordini e fece impiccare i due appena arrivarono sull'isolotto. Poi, il 1° maggio 159S, ordinò il rientro in Toscana del suo contingente e chiuse la questione. Mentre succedeva tutto questo, morì il duca di Ferrara Alfonso, lasciando il trono per testamento a Cesare d'Este, da lui stesso diseredato in precedenza. Il Papa impugnò iJ testamento e. per maggior sicurezza, anche la spada e la penna. Colla prima raccolse 25.000 uomini, spergiurando che ne avrebbe assoldati ancora altrettanti per prendere la città. Colla seconda scrisse una scomunica contro Cesare d'Este. lasciandogli quindici giorni di tempo per sgomberare. Minacciato di morte temporale e spirituale. Cesare si piegò all'accomodamento: Ferrara sarebbe passata direttamente al dominio pontificio e lui sarebbe divenuto duca di Modena e di Reggio. conservando tutti i beni allodiali della sua Casa negli Stati Ferraresi e Pontifici. Era il 1598 e sembrava rimasta in sospeso solo la guerra franco-piemontese quando si seppe che Spagna e Francia avevano convenuto a Vervins dj fare la pace. Le trattative si svolgevano sotto la supervisione del Legato pontificio e coll'interferenza dell'ambasciatore sabaudo marchese di Lullino. il quale doveva difendere il possesso del Marchesato di Saluzzo. Poiché la Francia obiettava e la Spagna non se ne curava troppo, anche se avrebbe preferito vedere il feudo in mano al debole Piemonte anzichè usato come testa avanzata oltre le Alpi dall'esercito francese, si deferì la questione al Papa stabilendo che la dovesse risolvere entro un anno. In più Enrico IV voleva tenersi la Moriana, in quel momento occupata dalle sue truppe. Lullino obiettava che era territorio dei Savoia e non poteva essere ceduta. Risolse la cosa Car-

20 La moglie di Enrico IV era Maria de' Medici. sua nipote.


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lo Emanuele in persona, entrandoci colle truppe e battendovi e massacrandovi quelle di Lesdiguiéres, il quale rispose prendendo un forte piemontese costruito nei pressi di Grenoble. Tira e molla, il 2 maggio del 1598 si arrivò finalmente alla conclusione decidendo di ripristinare lo statu quo ante ed aspettando la decisione pontificia su Saluzzo21 . E il Papa, visti gli atti, valutate le prove, sentiti i testimoni, non aveva ancora deciso nulla quando Carlo Emanuele seppe dal suo ambasciatore a Roma che la Santa Sede si sarebbe pronunciata a favore della Francia dietro la promessa di riceverne Saluz.zo. Scoppiò una gran confusione. Il Papa stando così le cose rifiutò di pronunciarsi. Enrico dichiarò di non voler rinunciare, Carlo Emanuele protestò di non voler cedere e si nominò una commissione incaricata di dirimere la questione. Ovviamente non ci riuscì. Entrambi i sovrani s'intestardirono. Enrico si disse disposto a cedere su Saluzzo a condiz.ione di ricevere la Bresse. Carlo Emanuele ribattè che non se ne parlava nemmeno. Alla fine, com'era prevedibile, la parola tornò alle armi. Nell'agosto del 1600 l'esercito francese entrò in Savoia con due colonne principali e un buon parco d'artiglieria. La prima, comandata da Biron e proveniente dalla Borgogna, il I 3 attaccò e prese la cittadina di Bourg en Bresse, costringendo la guarnigione a ritirarsi nella cittadella, dove sarebbe rimasta fino al 9 marzo 1601. Poi assalì Montmélian e anche là prese il borgo ma non la cittadella. La seconda, guidata da Lesdiguiéres, avanzò su Conflans, l'occupò, risalì la Tarantasia, prese Moutiers ed entrò a Chambéry, mentre in Val d'Aosta arrivavano 3.000 spagnoli di rinforzo ai Piemontesi. Una colonna agli ordini di Rosny conquistò la torre de la Charbonniere, da cui si controllava la Moriana, poi prese San Giovanni di Moriana e infine cooperò a stringere l'assedio intorno a Montmélian facendola arrendere il 9 novembre allo stesso Enrico IV, anche se si sospettò che il governatore avesse ceduto per corruzione22. Carlo Emanuele non sapeva cosa fare. Aveva appena raccolto 30 compagnie di cavalleggeri, 12.000 fanti e 15 pezzi d'artiglieria, era i] 15 novembre, si trovava già in Tarantasia e stava venendo in soccorso della fortezza quando aveva saputo della resa. Privo di quel forte punto d'appoggio, da solo non era in grado di resistere, l'aiuto spagnolo gli stava già costando una guarnigione "alleata" introdotta a Carmagnola; ed era solo l'inizio. S'intromise la Chiesa e sembrò raggiunto l'assenso allo scambio tra Saluz.zo e la Bresse, ma all'ultimo momento ci si incagliò sulla questione del forte di Santa Caterina. I negoziati saltarono e furono ripresi e conclusi a Lione il 17 gennaio 1601, stabilendo l'acquisizione sabauda del Marchesato di Saluz.zo contro la cessione alla Francia di Bresse, Gex e Bugey, portando il confine al Rodano, salvo il diritto di passaggio dei Piemontesi sul ponte di Grezin, cioè verso la spagnola Franca Contea, dietro pagamento d' un pedaggio di 100.000 scudi. Madrid esultava perché la Francia era stata esclusa dall'Italia. Gli Italiani brontolavano perché si sentivano in preda alla Spagna e Carlo Emanuele non si rassegnava, ma meditava un nuovo colpo.

VI) La Campagna d'Ungheria del 1595

Intanto la pressione ottomana sugli Asburgo d'Austria aumentava continuamente e I'Imperatore si rivolse ai Principi cristiani per averne aiuto. li Papa non poteva esimersi dall'invia-

21 Decisione tutt'altro che facile perché se era vero che il Marchesato era stato fin dalle origini feudo del Delfinato, era altrettanto vero che. per avere aiuto contro la Francia. molti marchesi di Saluzzo avevano fatto atto di vassallaggio ai signori di Savoia, giurando loro fedeltà. 22 Secondo alcune testimonianze posteriori, pare che invece fosse stato spaventato dall ' imponenza dell'apparato d' assedio e, convinto di non poter resistere senza rinforzi, avesse capitolato non vedendo arrivare i soccorsi.


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re truppe e denaro e, nel 1595, mandò dall'Italia un contingente di circa 14.000 tra fanti e cavalieri2J. impiegate subito in prima linea, le truppe pontificie si distinsero nelle prese di Strigonia e di Visegrad. Lo scadente e scarso vitto e le malattie costarono però la salute e la vita a molti soldati e incoraggiarono le diserzioni, cosicchè nel corso dell'estate, tra morti di febbri o in battaglia e disertori, gli effettivi calarono paurosamente. In novembre erano rimasti sotto le bandiere papali solo 3.000 uomini, dei quali il 90% era ammalato. Nel gennaio del 1596 il contingente non era più impiegabile e fu stabilito il suo rientro in Italia. Vi giunse in febbraio, giusto in tempo per far guarire il comandante, Gianfrancesco Aldobrandini. nipote del Papa, caduto anch'egli ammalato. Era stato un costoso disastro, visto che l'intero ciclo operativo. durato solo sei mesi - dal 5 luglio 1595 all'8 gennaio 1596 - aveva gravato per oltre 600.000 scudi romani sulla Reverenda Camera Apostolica. Ma la necessità di mostrar bandiera nella lotta contro gli Infedeli, tanto più impellente in quanto si trattava di quella del Vicario di Cristo, avrebbe portato a una seconda spedizione di lì a sei anni con un esito altrettanto disastroso.

23 Cinque teni di fanteria. per un totale di 50 compagnie di 200 uomini l'una. 3 compagnie di cavalleria albanesi di 101 uomini, 5 di archibugieri e I di lance di 61 effeuìvi. Nello Staio di Milano vennero arruolate ancora 15 compagnie di fanteria formanti un sesto Teno e altre 4 si unirono al contingente come distaccamento autonomo. Lo Stato Maggiore e i servizi impiegavano altri 100 uomini.


PARTE SECONDA

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CAPITOLO VI

I PRIMI VENT'ANNI

I) I Pontifici in Ung heria 1601 - 1602 Alla fine della campagna del 1600 la situazione delle armi cristiane in Ungheria era talmente grave che Clemente Vili, ripetutamente sollecitato dal!' Imperatore Rodolfo Il d' Asburgo e temendo che i Turchi potessero raggiungere I 'Jtalia nord-orientale, decise di soccorrere nuovamente gli Austriaci. Cosl. al principio del 160 I, riaffidato il comando a Gian Francesco Aldobrandini, un secondo corpo di spedizione si apprestò a seguire le orme di quello partito sei anni prima verso l'Ungheria. Le truppe1 seguirono due diversi itinerari: il grosso s'imbarcò in Ancona alla volta di Fiume e da là prosegul per Zagabria. dove si congiunse al resto. condotto da Aldobrandini via terra per il Trentino e Graz. 114 di settembre incominciò l'assedio di Canissa, durante il quale i Pontifici parteciparono all"assalto del 28 ottobre. Come nella precedente campagna, l'arrivo dell'autunno segnò l'inizio del freddo e delle malattie, che mieterono numerosissime vittime nel campo cristiano. Tenuto consiglio di guerra nella seconda quindicina di novembre, l'Arciduca Ferdinando decise di levare l'assedio e ritirarsi nei quartieri d'inverno. La mancanza di quadrnpedi e carriaggi obbligò gli Imperiali ad abbandonare le artiglierie, le tende e. cosa peggiore di tutte. ben 800 tra feriti ed ammalati. Ma la ritirata si trasformò in rotta perché i Turchi uscirono in forze all'inseguimento dei Cristiani. causando loro molte perdite. L'arrivo ai quartieri d'inverno precedè di poco l'ordine di rientro a Roma, giunto alla fine dell'anno. Ancora una volta l'Ungheria aveva chiesto un tributo altissimo: il 75% degli effettivi papali. Solo 2.000 uomini poterono ritornare in Italia, in pessime condizioni, ed ancora meno a Roma. Tra loro stavolta non vi era Aldobrandini, morto di malattia già in settembre

li) "L'éscalade de Géneve" del 1602

Nel dicembre del 1602 Carlo Emanuele si ricordò di Ginevra, ammesso che l'avesse mai dimenticata, e preparò una nuova spedizione per risottometterla. dandole l'aspetto d'una crociata contro gli eretici, il che in piena Controriforma gli garantì l'appoggio del Papa e quello più distante e interessato della Spagna, desiderosa di assicurarsi l'uso di quella parte della Svizzera per il transito delle proprie truppe dirette in Fiandra e Germania. Preparato diplomaticamente il terreno. il Duca cominciò lentamente a concentrare truppe in Savoia, giustificandone i movimenti col timore di sorprese da parte dei Francesi: in fondo la questione di SaJuzzo era stata chiusa da poco e i nuovi confini sul Rodano non erano troppo sicuri.

1 Secondo la rassegna passata loro a Zagabria dal Commissario Generale Pontificio, erano 9.150 uomini, cioè: 8.906 fanti su 49 compagnie, I07 archibugieri a cavallo e 137 tra bombardieri, alabardieri. addetti ai comandi ed ai servizi.


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Tutti i reparti di cavalleria dovevano riunirsi improvvisamente col pretesto di coprire la fanteria e, nella notte dall' 11 al 12 dicembre2, piombare rapidamente sulla città. Da tempo erano state preparate asce pesanti. lunghe scale componibili fabbricate appositamente, dotate di spuntoni ed uncini e tinte di nero per non farle scorgere di notte e si era studiato ogni particolare. Pochi giorni prima un tenente aveva compiuto una ricognizione in città annotando ogni dato relativo alle mura ed alle porte. Tranquilli e sicuri, i Gincvrinj non diedero peso agli inquietanti segnali che trapelavano qua e là. nè diedero ascolto ai pochi contadini corsi ad annunciare l'avvicinamento della cavalleria sabauda. Intanto l'avanguardia scelta destinata allo scavalcamento delle mura era giunta, aveva superato il fossato su dei graticci, si era arrampicata su per i muri della cinta bastionata e stava entrando in città quando venne dato J'allarme. 1Sabaudi entrati vennero combattuti, isolati e catturati. a quelli restati fuori fu impedito l'accesso grazie a una cannonata che distrusse le scale prendendole d'infilata. li colpo fu preso per uo segnale di vittoria dalla cavalleria restata indietro, che arrivò al galoppo credendo di trovare la porta di città aperta. Finì invece sotto il tiro delle mura e subì notevoli perdite. Insomma andò tutto storto. Come, con una pesante imprecazione, disse Carlo Emanuele. che aspettava al ponte delle Tremblières, non molto lontano: «Il tempo e la fatica abbiamo speso indarno»•. L'impresa gli era costata 254 morti subito e altri 13 l'indomani, perché i prigionieri furono tutti impiccati nel luogo dove erano entrati. Poi le loro teste furono esposte sulle mura e i corpi gettati nel Rodano. Ginevra sarebbe restata indipendente e , un giorno assai lontano, avrebbe riaccolto fra le sue mura i suoi antichi signori esiliati dall' Italia.

III) La guerra della Garfagnana del 1613 fra Modena e Lucca

Liti di confine relative alJ'esazione dei diritti fiscali sul traffico di sale fra il Ducato di Modena e la Repubblica di Lucca furono all'origine di una contesa sfociata ben presto in una guerra locale. Nel giugno del 1613 Lucca chiamò alle armi la mj)izia raccogliendo oltre J0.0003 uomini ben equipaggiati e diede il via a scorrerie e piccole puntate offensive contro i Modenesi. armando e munendo il poggio di Perpoli, sul confine della Garfagnana e i pressi di Gallicano, vicino al Serchio. Gli scontri di lieve entità coi soldati estensi irritarono il Duca, il quale decise d'inviare là il conte Ippolito Bentivoglio alla testa d'un esercito. nel quale militavano anche i principi Alfonso e Luigi d'Este. Quest'ultimo venne ad assediare Gallicano. Appena le sue truppe furono in vista, la guarnigione lucchese sortì dalla fortezza e marciò loro incontro, impegnandole in molte scaramucce ma evitando un vero e proprio scontro campale. Poi ricevè altri 400 fanti in rinforzo ecostrinse gli Estensi a ritirarsi. A sera però ebbero anche i Modenesi dei rinforzi e ripartirono all'attacco. Ricacciarono i nemjci, occuparono la posizione dominante di Pian dei Termini e tagliarono varie strade, tra

i Questa era la data secondo il vecchio il calendario giuliano, per cui si trattava in realtà della notte dal 21 al 22 dicembre 1602. i Rip. in BOTTA, op. cit, libro decimoquinto. 1602, pag. 453. 3 Le cifre divergono e raggiungono ua massimo di 15.000 uomini; ad esempio Botta nel libro decimosesto della sua Storia d' [talia parla di "dodicimila uomini i11 arme, buona e cappa/a gente". Ma poiché si trattava degli iscritti alla Milizia, non è facile cfue quali autori abbiano riportato il numero degli iscritti. indipendentemente dalla loro partecipazione al conflitto, quali il numero dei chiamati e quali , infine, il numero dei militi e dei soldati effettivamente presenti nel teatro operativo.


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cui quella del Serchio, impedendo !"afflusso di rinforzi e rifornimenti alla guarnigione. lnfine piazzarono a Pian dei Termini i loro cannoni e cominciarono a bombardare Gallicano, continuando finchè i Lucchesi non l'abbandonarono. Ma il punto strategico principale era e restava il castello di Castiglione di Garfagnana. Gli Estensi l'avevano già assalito due volte negLi anni precedenti. Nel 1602 era stato assediato dalle truppe modenesi, sempre comandate da IppoLito Bentivoglio e si era salvato, dopo un duro bombardamento, solo grazie al minaccioso intervento pacificatore del governatore di Milano. L'anno seguente si era avuto un nuovo tentativo, parimenti stroncato dalla Spagna. Ma ora le cose sembravano diverse. Il principe Luigi d'Este venne ad assediarlo con un buon contingente di truppe e 13 cannoni, non preoccupandosi della guarnigione di 1.200 uomini agli ordini del cavalier Cesare Buonvisi. Apri una breccia, ma non ritenne di poterla attaccare perché erano giunte da Lucca parecchie bande armate e temeva d'esser preso alle spalle. Insomma. andò a finire come le altre volte, perché arrivò un legato del governatore di Milano e dichiarò che Castiglione era proprietà del Re Cattolico, ragion per cui tutti e due i contendenti dovettero sloggiare. IV) L'interdetto veneziano del 1605 e la guerra una e trina del 1613 -1617: Gradisca, gli Uscocchi e la prima Guerra di Successione di Mantova per il Monferrato

La questione dell"interdetto veneziano fu una delle prime contese fra il potere statale e quello ecclesiastico verificatesi in Italia dopo la Controriforma. In sostanza si trattò d"un tentativo della corte pontificia di prevaricare l'autorità della Repubblica di Venezia. pretendendo che la magistratura civile rimettesse a quella ecclesiastica i colpevoli di delitti, che secondo le leggi venete, erano e restavano dominio riservato alla Repubblica tanto per l'inchiesta, quanto per l'eventuale condanna. ln situazioni analoghe sia Genova sia Lucca si erano adeguate a quanto Roma aveva intimato, ma il Senato veneziano era d'altra pasta e le sue forze maggiori di quelle delle altre due repubbliche, così, correndo l'anno di grazia 1605, decise di resistere affidando la propria difesa alla dotta penna di Paolo Sarpi ed alle nuove truppe organizzate sotto il Provveditore Generale in Terraferma Benedetto Moro Mentre Venezia andava spopolandosi dei religiosi. che per disciplina partivano eseguendo il decreto del Papa, si andava riempiendo di militari grazie alla chiamata alle armi di 2.000 fanti italiani, 400 stradiotti e 600 corsi; all'aumento dei legni della flotta ed alla nomina di 30 provveditori di nave per comandarli. Il tutto in aggiunta al concentramento di 6.000 uomini nel Polesine al comando di Giacomo Zane. Roma ammassò truppe sul confine e il Re Cattolico mandò ordine al Conte di Fuentes di adunare nel Ducato di Milano 30.000 uomini di fanteria e cavalleria per stare pronto a sostenere la causa pontificia. L' aumemo degli effettivi fece riflettere tutti gli interessati. li Cattolico si rese conto che una nuova guerra in Italia avrebbe offerto al Cristianissimo di Francia l'occasione per tornare in armi nella Penisola da cui era stato appena escluso con tanta fatica e un secolo di guerra più o meno continua. D'altra parte Enrico IV di Francia, pur volendo riaprire militarmente il confronto colla Spagna. non si sentiva ancora pronto a scendere in Italia. Rendendosi conto della titubanza spagnola e considerando lo sfavorevole atteggiamento progressivamente assunto dall'Impero nei suoi confronti, il Papa decise di accettare una composizione della vicenda recedendo dalle proprie posizioni e concludendo la questione. Ma la pace non venne perché in quel periodo gli Asburgo d ' Austria avevano preso a proteggere i pirati dalmati conosciuti come Uscocchi, basati prevalentemente a Segna, la cui attività era diretta in massima parte contro il traffico mercantile turco in Adriatico.


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Questo spingeva il Gran Signore a domandare il rispetto dei trattati in base ai quali aveva rinunciato a inviare le sue squadre in quello che era orgogliosamente chiamato Golfo di Venezia, a condizione che la Serenissima vi esercitasse la più stretta polizia marittima4 • Il Senato fino allora si era barcamenato senza darsi troppo da fare. Da un lato non poteva aggredire gli Uscocchi nei loro porti, unica misura veramente risolutiva, perché erano situati nei territori imperiali, dall'altro non voleva entrare in urto coi Turchi, perché sapeva di non poter impedir loro l'ingresso in armi aelJ'Adriatico, come minacciava il Gran Visir per proteggere il naviglio commerciale ottomano. Così le squadre sottili veneziane pattugliavano la costa dalmata sperdendosi nell"intrico di bolette davanti ad essa. cauurando ogni tanto un'imbarcazione pirata ed impiccandone subito gli occupanti; ma questo non scoraggiava gli altri dal continuare e neanche le navi venete erano sicure. In ogni situazione difficile in cui le potenze maggiori sono bloccate dalla reciproca minaccia d'intervento, i piccoli poteri. in questo ca~o i pira1i dalmati, non subiscono danni e si fanno sempre più arroganti e prepotenti fino a provocare un confliuo. Infatti ciò che le lamentele turche e italiane non avevano ottenuto lo ottennero loro stessi. La prima conseguenza della loro attività consistè nel fornire a Costantinopoli un ouimo pretesto per ritenere valide le proteste veneziane e. attribuita la colpa all'arciduca Ferdinando d'Austria -come del resto era- attaccarlo per terra in Ungheria. La seconda fu che a un certo punto il Senato s1 stancò e, bloccata Tneste per oltre un anno, dal 1609 al 161 O, ordinò al Capitano in Golfo - cioè al comandanle della squadra navale dell'Adriatico - d'assediare dal mare Segna, Buccari e Fiume distruggendo tutte le imbarcazioni pirate in cui si fosse imbattuto. Intervenne l'imperatore Mattia d'Asburgo nel 1612 e, convocati l'arciduca Ferdinando e l'ambasciatore veneto Sorani.o, li fece giungere a un accordo.L'Austria avrebbe vietato lanavigazione al naviglio pirata. il Capitano di Segna sarebbe stato cambiato in quanto si era dimostrato incapace di tenere freno i popoli a lui sottoposti e il suo successore avrebbe avuto a disposizione un presidio regolare austriaco per mantenere l'ordine in città e sulla costa; infine i prigionieri presi dai pirati sarebbero stati liberati. Questi rimedi durarono lo spazio d'un mattino, perché il presidio disertò progressivamente per mancanza di paga e gli Uscocchi ripresero a scorrere il mare. La goccia che fece traboccare il colmo vaso della veneta pazienza fu l'incursione compiuta da loro con sei navigli a Mandre. nell'isola di Pago, dove presero la galera di Cristoforo Venier. Tutti gli occupanti furono uccisi subito. A Venicr riservarono un trattamento dei più orribiJi5. Quando la notizia raggiunse Venezia il Senato si radunò immediatamente. discusse a lungo e decise per la guerra. Il Provveditore Generale in Dalmuia Pasqualigo ricevè ordine di attaccare e distruggere gli Uscocchi con ogni mezzo e piena autonomia di decisione: facesse quel che credeva ma li sterminasse. Subito Segna fu bloccata dal mare con una ventina di legni armati e con 1.000 fanti albanesi e 500 croati. Poiché però le piraterie degli Uscocchi proseguivano, il I• mano 1614 Pasqualigo fu sostituito da Lorenzo Venier, il quale portò avanti le operazioni con energia maggiore del suo predecessore e, siccome le svolgeva contro le basi dei pirati, quindi contro il territorio asburgico. le rimostranze di Vienna piovvero a Venezia come mai prima.

4 Polizia tun"altro che facile a far.,i perché in Adriatico corseggiavano anche le galere siciliane. napoletane e, talvolta, maltesi e toscane. 5 Portato a Segna. durante un banchetto fu torturato. svenato e, apertogli il peno, gli fu strappalo il cuore. che fu arrostito e mangiato dai convitati. accompagnato da pane intriso nel suo sangue. La testa fu coUocata al poslo d'onore della mensa.


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La tensione fra gli Asburgo e la Repubblica era oramai altissima e non ci fu da stupirsi quando nel 1615 le truppe veneziane assalirono il territorio imperiale seguendo due diverse direttrici d'attacco e dando modo agli storici di parlare di due guerre diverse - quella di Gradisca e quella degli Uscocchi - che in realtà erano i due fronti della medesima. E ad esse se ne aggiunse una terza, parallela e coordinata, nel Monferrato, per l'origine della quale occorre spendere qualche parola. Nel 1612 era morto Francesco Gonzaga duca di Mantova, lasciando la moglie, figlia di Carlo Emanuele I di Savoia, e una bambina di nome Maria. Carlo Emanuele aveva visto la buona occasione che la sorte gli offriva: Mantova possedeva il Monferrato, che a lui avrebbe fatto comodo per aumentare la compattezza territoriale dei suoi Stati, il gettito fiscale e i sudditi arruolabili. Per questo si era fatto avanti, come ogni nonno dovrebbe fare. invocando la successione al trono mantovano per la nipotina ed offrendosi di portare il pesante fardello della di lei tutela come reggente. L'idea non aveva sollevato molte approvazioni, nè a Mantova, il cui trono era passato al cardinale Ferdinando Gonzaga. nè in Italia, nè tantomeno a Madrid. Poiché nulla si muoveva, Carlo Emanuele aveva cominciato a impazientirsi e, alla fine, aveva deciso di forzare la mano ai diplomatici e passare alle armi. Le truppe sabaude avevano invaso il Monferrato il 22 aprile 1613. All'alba del 23 avevano preso Trino, Alba e Moncalvo; e il resto del Marchesato era stato occupato tutto meno Casale, chiave di volta del sistema difensivo e piazzaforte fondamentale per il controllo delle vie dalle Alpi alla pianura padana. Davanti a tale fulmineo successo, i Principi italiani si erano spaventati e avevano fatto pressioni su Madrid per un intervento. La Spagna non attendeva altro. Nemmeno a lei piaceva l'idea d'uno Stato italiano tanto impertinente da muoversi senza il suo consenso; Venezia bastava e avanzava. Così Torino aveva ricevuto l'intimazione di sgomberare e disarmare. Intanto era cominciato il solito balletto diplomatico fra Parigi, Madrid, Milano, Torino e tutte le piccole corti italiane interessate alla questione, il che non aveva però fermato Carlo Emanuele. Anzi, ben sapendo quanto la minaccia militare potesse pesare sulle trattative, aveva continuato le operazioni e si era volto ali 'assedio di Nizza della Paglia. Per ordine della reggente di Francia Maria de'Medici, Lesdiguiéres cercò di dissuaderlo: niente. Allora gli fece sapere d'esser pronto a venire personalmente in soccorso dei Gonzaga con 20.000 uomini e ne spedì subito 2.000 in Italia. I Francesi in Italia erano un insulto alla Spagna. Il governatore di Milano lnojosa protestò che solo al Re Cattolico spettava arbitrare tale vertenza e vennero emanati ordini perché le squadre delle galere di Napoli e di Sicilia incrociassero nel Mar Ligure e intercettassero i convogli destinati a trasbordare le truppe dalla Provenza in Italia. Contemporaneamente il Granduca di Toscana, in cattivi rapporti con Carlo Emanuele e parente del reggente Ferdinando Gonzaga, radunò a Prato 2.000 fanti e 300 cavalieri inviandoli verso gli Stati gonzagheschi al comando del principe Francesco de'Medici e del Marchese Capizucchi. Ma il Papa si oppose al loro transito cd ordinò alle proprie truppe di sbarrare i valichi appenninici con trinceramenti. Non ci furono scontri, ma per caso, perché i soldati granducali passarono in qualche punto sul territorio papale; e il Granduca ebbe un bel daffare a placare le ire del Pontefice. Non ne ebbe affatto invece per le formali e apparenti ire modenesi, poiché gli Este erano ben contenti di vedere arrivare truppe a copertura dei loro Stati. Chi fermò la spedizione fu lnojosa, il quale le negò il passo col pretesto già usato contro la Francia: solo al Re Cattolico spettava risolvere la contesa, gli altri pensassero alle proprie faccende. Intanto a Mantova fervevano i preparativi: furono capitolati 3.000 svizzeri e assoldati 8.000 monferrini facendo salire l'apparato militare ducale a 16.000 fanti e 1.500 cavalieri.


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Davanti a tante forze Carlo Emanuele decise di trattare. O meglio: agì colla sua solita astuzia da volpe, aprendo negoziati con tutti e riuscendo a disorientare gli avversari. in modo da tenerli fermi mentre proseguiva a spron battuto l'assedio di Nizza della Paglia. fondamentale perché una volta presa gli avrebbe consentito il passaggio su Acqui. L'attenzione di tutti convergeva sempre di più sulla disgraziata cittadina, perché si vedeva bene quanto poco avrebbe potuto ancora resistere e si capiva altrettanto bene che la sua caduta avrebbe dato ai Savoia il Monferrato. Carlo Emanuele era ad Alba e Vincenzo Gonzaga ad Acqui; ma le truppe mantovane non arrivavano, sempre per il divieto dell 'Inojosa. quelle monferrine erano ormai tutte chiuse entro Nizza della Paglia e sembrava chiaro come sarebbe andata a finire la cosa. I signori italiani rumoreggiavano, domandandosi se non ci fosse un accordo segreto fra Torino e Madrid per la spartizione dell'Italia Settentrionale. I loro sospetti arrivarono fino all'orecchio di Filippo IIl e ordini severi partirono verso Milano: aiutare subito i Gonzaga. Antonio de Leva principe d'Ascoli marciò alla testa di 4.000 fanti e 600 cavalieri verso il Monferrato. Furono revocati i divieti di p&saggio frapposti alla marcia delle truppe medicee e gonzaghe~che - queste ultime ammontanti a 2.000 fanti e 600 cavalieri - del principe Vincenzo e fu intrapresa l'avanzata su Nizza. mentre Lesdiguiéres si metteva in moto lungo la frontiera col Piemonte fingendo di voler scendere in Italia per distrarre le forze ducali dall'assedio. Tutta questa massa era un po' eccessiva per Carlo Emanuele. ragion per cui si decise a venire a patti e sbloccò Nizza. consegnando i territori mantovani conquistati alla Spagna perché li trasmettesse ai Gonzaga. Chiaramente la sospensione dei movimenti militari non poteva chiudere la questione. specie se Carlo Emanuele vi era coinvolto. Difatti ripre~e subito i contatti diplomatici e chiese il pagamento dei danni di guerra e la remissione alla Spagna dell'arbitrato sulla proprietà del Monferrato tra Savoia e Gon1.aga. La pace durò poco perché le richieste avanzate da lui furono giudicate inaccettabili dai Gonzaga e dalla Spagna, prima fra tutte quella di non considerare traditori i gentiluomini monferrini schieratisi coi Savoia contro il loro legittimo signore. Seguì un confuso periodo di negoziati, minacce e contatti e, alla fine, lnojosa partì da Milano a bandiere spiegate il 20 agosto 1614 con 16.000 fanti6 e 1.600 cavalieri diretto nel Novarese. Qui la guerra da una divenne triplice. perché Carlo Emanuele. da quell'esperto politico che era, notò subito una comunanza di interessi e di nemico - gli Asburgo - tra sè e la Repubblica di Venezia e le propose un'alleanza militare contro la Spagna e l'Impero. Si era alla fine del 1615 quando l'abate Scaglia di Verrua arrivò a Venezia e comunicò al Senato che 7 .000 fanti e 500 cavalieri france~i stavano varcando le Alpi al comando del vecchio Lesdiguiéres per venire in aiuto al suo Duca, il quale ancora una volta proponeva "al/i Signori Vìni::;iant' l'alleanza contro gli Asburgo. Il Senato non ritenne prudente accettarla in forma ufficiale e provvide da sè alla guerra contro J'Austria, ma stanziò denaro sufficiente ad arruolare 4.000 francesi nelle file piemontesi7, un ulteriore sussidio di 50.000 ducati una tantum a favore di Lesidguiéres perché arruolasse altre truppe e il versamento mensile di 72.000 ducati ai Savoia per tutta la durata del conflitto. Con tali aiu11 Carlo Emanuele si trovò in breve ad allineare da solo 20.000 fanti e 2.500 cavalieri: e ancora non era arrivato Lcsdiguiéres. Ma ci fu di più perché contemporaneamente,

6 Ne aveva 20.000, ma 4.000 erano Svizzeri e per antiche alleanze. non potevano combattere contro i Savoia. quindi li distaccò a presidiare le fortezze dello Stato e le retrovie. 7 Era stato previ~to che dei 4.000 metà andassero a servire Venc1ia, ma fu reputato più utile ai fini della causa comune lasciarl i in Piemonte.


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il 19 dicembre l615, le truppe veneziane avevano passato il confine friulano ed occupato il territorio asburgico sulla destra dell'Isonzo, distraendo le truppe asburgiche dal Monferrato. Secondo il consiglio di guerra tenuto in precedenza a Palmanova, gli obiettivi strategici veneziani erano due: Gorizia e Gradisca. Il comandante in capo veneto Pompeo Giustiniani scelse di cominciare da quest'ultima, sia perché era molto più fortificata - e quindi era meglio sfruttare subito l'elemento sorpresa contro di essa - sia perché un tempo era stata veneziana ed era passata ali' Austria dopo la sconfitta patita contro la Lega di Cambrai. Così 10.000 uomini8 marciarono all' assedio di Gradisca. li 1616 però trascorse in manovre e scontri tutt'altro che decisivi in luoghi che avrebbero raggiunto ben altra notorietà d.i il a trecento anni giusti. Caporetto, Peuma. Gorizia, Medea, Monfalcone, il San Michele. San Floriano furono presi e persi da entrambi i contendenti più volte, nel tentativo di garantirsi la linea dell'Isonzo e le città di Gorizia e Gradisca. Interrotte prima da una tregua utilizzata da tutt'e due le parti per rinforzarsi e poi, in estate, da un'epidemia, le operazioni veneziane, aiutate da un contingente di minatori e guastatori piemontesi mandati da Carlo Emanuele I, terminarono nell' ottobre colla presa di Lucinico e la morte di Giustiniani in una ricognizione fatta verso Groina. Nominato dal Senato a rilevare il comando tenuto dal defunto, il 10 dicembre l616 arrivò don Giovanni de' Medici. Chlese ed ottenne rinforzi, rimise in ordine l' esercito e sta bi Il d ' attaccare Gradisca per l'ennesima volta, nonostante si fosse in inverno. Rapidamente chiuse l'anello intorno alla città. Poi, essendo arrivata la primavera del 1617, pensò di poter assediare contemporaneamente anche Gorizia. Staccò aliquote di fanteria e cavalleria in attacchl dimostrativi contro il forte Stella, sul San Michele, e quello di San Floriano del Collio. Poi finse di voler passare il fiume nel tratto compreso fra Lucinico e Piedimonte, per distrarre l' attenzione nemica dalla manovra d'avvicinamento a Gorizia di due forti sue colonne, e lanciò l'attacco il 1° aprile; ma non ebbe successo. Ricevuti in rinforzo due reggimenti capitolati dalla Repubblica in Olanda9, il 20 maggio don Giovanni deliberò un nuovo tentativo contro la zona tra Monfalcone e Rubbia per stringere l'assedio. Per questo il I O giugno mise in mare una piccola squadra navale destinata ad operare ali' altezza di Duino e mandò avanti tre colonne: la prima marciò contro il San M.ichele, la se conda su Rubbia e la terza - composta dagli Olandesi - su San Martino per prendere di rovescio le fortificazioni carsiche da cui i nemici coprivano Gradisca. Ma pur avendo un brillante inizio e causando la morte dello stesso comandante nemico Trautmansdorff, nemmeno questa offensiva raggiunse i suoi scopi. Allora il 12 settembre le truppe della Serenissima eseguirono un pesantissimo bombardamento preparatorio contro le mura cti Gradisca e poi attaccarono. Furono respinte; ma la guarnigione, ora al comando di Wallenstein, era a corto di munizioni e viveri e col poco che aveva potuto ricevere non poteva prolungare di molto la resistenza. Il 4 novembre Wallenstein tentò di rompere l'accerchiamento con una sortita, ma fu bloccato e ricacciato in città. Non restava altro da fare che arrendersi, quando arrivò la notizia che il 6 settembre 1617 a Parigi era stata firmata la pace sulla base del ripristino dello Statu quo ante. La mediazione della Francia aveva fatto l'interesse dell'Impero e della sublime Porta, poiché Venezia si era impegnata a fondo, quindi si era indebolita a vantaggio immediato dei Turchi, e non conveniva rinforzarla per non danneggiare nè loro nè gli Asburgo d 'Austria.

8 Dei quali 6.000 fanti -2.000 friulani reclutati e comandati da Lelio Martinengo e 4.000 mercenari d'altre pani d'Italia comandati da Orazio Baglioni e Lodovico Vimercati- e 4.000 cavalieri -3.000 italiani e un migliaio di stradiotti albanesi e dalmati- al comando di Camillo Trevisan. 9 La Repubblica aveva ottenuto dagli Stati Generali 4.000 olandesi per il Friuli e. per le operazioni in Adriatico, 12 vascelli, ai quali ae aggiunse altri due noleggiati in Inghilterra.


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Tutto ciò che i Veneziani avevano conquistato in Friuli dovè essere restituito e, almeno in terra, la guerra non portò nessun vantaggio alla Repubblica Intanto Carlo Emanuele aveva radunato ad Asti le sue tmppe - poco più di 10.000 uomini tra fanteria e cavalleria, la metà dei quali arruolata in Francia. Poi si era spostato a Vercelli per controllare meglio I movimenti avversari. Gittato un ponte a Villata, gli Spagnoli avevano passato il Sesia e proseguito verso Vercellì. Avevano preso Motta. il 7 settembre 1614 Carenzana e vi si erano fermati. Il Duca, conscio della propria inferiorità numerica ma sapendosi superiore per capacità di movimento, aveva deciso d'evitare lo scontro campale e agire d'astuzia portando la guerra nel Milanese con 6.000 fanti, 1.000 cavalieri e 2 cannoni, inviando lungo il fiume un corpo di 1.500 fanti e 300 cavalieri comandato dal Marchese di Caluso, per bruciare il ponte spagnolo a Villata e tagliare il flusso dei rifornimenti nemici. Inojosa, colto di sorpresa, aveva potuto solo djstruggere il contingente di copertura del Marchese di Caluso il quale, persa metà dei suoi uomini. si era rifugiato a Vercelli coi superstiti. La lentezza degli Spagnoli era diventata di giorno in giorno maggiore; e in Italia si cominciava a pensare che forse aveva ragione il Duca di Savoia quando chiamava la Spagna ungigante dai piedi di creta cd affermava d'essere il campione destinato ad abbatterlo in nome della libertà italiana. Davanti alla stasi delle sue truppe, Madrid aveva ordinato l'invio di rinforzi via mare c. malignamente, aveva affidato il comando della squadra al proprio Generale del Mare, Emanuele Filiberto di Savoia - figlio di Carlo Emanuele - il quale non aveva potuto fare a meno d'eseguire gli ordini di sbarcare un contingente di 6.000 tra spagnoli e napoletani. Costoro, superata una breve ma energica difesa, avevano occupato Oneglia, non soccorsa da Carlo Emanuele perché la Repubblica di Genova gli aveva negato il transito sul proprio territorio. Se ne sarebbe vendicato occupando Zuccarello e progettando uo attacco di sorpresa contro Genova coll'aiuto di navi inglesi. I contatti diplomatici di Torino per trovare alleanze si erano infatti estesi all'Olanda e all'Inghilterra, diventando più consistenti con Venezia, senza però ottenere alcun risultato concreto. Intanto gli Spagnoli avevano investito Asti, contrastati dai Sabaudi io una miriade di piccoli scontri di logoramento e dall'esito incerto. Parallelamente erano stati ripresi i negoziati, ma non erano approdati a nulla. L'inverno 1614- 1615 passò tra querele e proposte respinte. Marzo vide la ripresa delle operazioni a partire dalla Langhe. Dopo alcune operazioni di basso profLlo, il 21 maggio 1615 Inojosa avanzò nei pressi di Asti avendo in avanguardia il Terzo del Mastro di Campo Samliento, composto da Spagnoli e Napoletani. I Sabaudi erano schierati bene e su forti posizioni. Circa 7.000 francesi tenevano la parte più elevata dello schieramento e l'avanguardia era stata riservata agli Svizzeri, poco più in basso. «Datemi quelle ordinanze disfatte eh'io vi darò lo stato di Milano e tutta l'Italia preda del valore e della virtù vostra~" pare abbia esclamato il Duca ai suoi soldati. Ma furono battuti, specie grazie ai Napoletani. A Torino si pensava già di veder arrivare gli Spagnoli e si trasferivano carte e documenti in luoghi sicuri per sottrarli aJ saccheggio, ma non successe nulla: Inojosa s'accontentò d'arrivare in cima alle colline prossime alla capitale e là fermarsi. Fu la fortuna di Carlo Emanuele, che ne ricavò il tempo necessario per munire Asti. domandare aiuto ai Principi protestanti tedeschi e agli Olandesi, procurarsi complementi e studiare il modo di salvare Torino. ,i Carlo Emanuele, rip. in BOTTA, op. cit., libro decimosenimo, 1615, pag. 149.


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Non lo trovò: l'unica soluzione poteva essere una battaglia campale, alla quale non desiderava giungere per via della sua inferiorità numerica; e si contentò allora di lanciare piccole puntate offensive, ingaggiando scontri di pattuglie e poco altro. Inojosa intanto si trovava in difficoltà. Per scarsezza di contante aveva ridotto le pagne e ne aveva avuto la conseguenza più ovvia: erano cominciate le diserzioni. Per di più la stagione calda causò malattie e, tra l'una e l'altra cosa, il suo esercito si ridusse rapidamente. L'incapacità di vincere rese più malleabili entrambi i contendenti e fece loro accettare una mediazione franco-veneto-pontificia per riaprire i negoziati di pace il 21 giugno fuori Asti. I colloqui proseguirono speditamente e ci si accordò sulle seguenti condizioni: disarmo sabaudo entro un mese, colla ritenzione alle armi di sole 4 compagnie svizzere e di tanti Piemontesi quanti ne servivano a presidiare le fortezze; disarmo spagnolo; promessa da parte di Torino di non cercare più di usare la forza per risolvere la questione del Monferrato e d'accettare la decisione imperiale in merito; grazia e garanzia di vita, beni e libertà ai signori monferrini filosabaudi da parte del Duca di Mantova; restituzione entro un mese di tutte le località occupate e dei cannoni e dei prigionieri catturati. Tutto sommato le condizioni di pace decretavano un pareggio fra le due parti, anzichè una sconfitta per il Piemonte. Il prestigio di Carlo Emanuele ne uscì molto maggiore di quanto fosse due mesi prima; e per contro quello della Spagna molto minore. Sostituito lnojosa con don Pedro de Toledo. insofferente di qualsiasi abbassamento dell'albagia spagnola, la situazione tornò tesa, specie perché il nuovo Governatore rifiutò di ridurre le truppe presenti nello Stato, nonostante l'esplicita richiesta fattagli in tal senso a nome del Duca dall'ambasciatore Marchese di Parella. Motivi ce ne sarebbero stati, bastava l'appena incominciata guerra degli Uscoccru con tutti i provvedi.menti militari presi da Venezia anche in Terraferma, ma la risposta data da Toledo a Parella fu che lui non sapeva « ...a che, un re di forza preponderante potesse obbligarsi: non tenere per legge o per palio che la sua propria moderazione e clemenza»iii. Ce n'era abbastanza da far capire a chiunque l'aria che tirava. Carlo Emanuele era una volpe vecchia e continuò a tenere sotto le armi i Francesi e gli Svizzeri che avrebbe dovuto congedare, spostandoli in zone poco battute per non farli scoprire dall'avversario. Toledo dal canto suo ricruamava i congedati e si rinforzava lentamente. Neanche il duca Ferdinando Gonzaga rispettava i patti d'Asti e, sentendosi protetto dalla Spagna, perseguitava i signori monferrini che gli si erano ribellati, mandandone alcuni sul patibolo. L'atmosfera diplomatica non era delle migliori e gli ambasciatori spagnoli si comportavano arrogantemente pure con Venezia facendole capire quanto le fosse dannoso essere amica del Duca di Savoia. Infatti le operazioni parallele venete continuavano, estese però anche a Napoli. cioè alla Spagna. L'inizio della guerra fra Venezia e Vienna nel '15 aveva indotto il nuovo vicerè di Napoli, Ossuna, ad assumere un atteggiamento apertamente ostile alla Repubblica. Era vero che contro Venezia Madrid restava neutrale, ma tutto sommato che male c'era ad aiutare gli Asburgo d'Austria, parenti dei Re Cattolici, contro la tradizionale nemica che si opponeva alla preponderanza spagnola, « ...l'inclita Veneta Repubblica in cuì dal suo nascimento fino ai giorni nostri l'Italiana libertà (Dio) ci conserva, e voglia Jddio sino al finire de'secoli conservarla....»iv? E poi, i Veneziani « ..così alla palese et tanto scopertameme assistono al Duca di Savoia conrro le armi di Filippo /1/»v che bisognava dar loro una lezione.

'"BOTTA, op. cit.. pag. 157, 1616. pag. 156. iv Antonio Vivaldi, lettera dedicatoria dell'opera "Adelaide" all'Ecc.mo Antonio Grimani, Patrizio Veneto e Capitano e Vicepodestà di Verona, rip. in, W. KOLNEDER, "Vivaldi", Milano. Rusconi, 1981, pag. 43. v Ossuna a papa Paolo V, rip. in M. NANI MOCENIGO, «Storia della Marina veneziana». pag. 101.


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E allora il Vicerè aveva promesso a Vienna di mandarle soccorsi, vietato ai Veneziani il commercio di grano coi porti pugliesi, incitato il Sultano ad assalire Candia e fatto sapere agli Uscocchi che permetteva loro d'appoggiarsi ai medesimi porti pugliesi per rifornirsi e raddobbarsi. Costantinopoli non gli diede retta; ma gli Uscocchi si. E ancor di più gliene diedero quando seppero che aveva mandato nel Basso Adriatico l'ammiraglio Ribera con 11 vascelli battemi bandiera napoletana per non farvi entrare le navi venete provenienti dal Levante o quelle olandesi e inglesi noleggiate dalla Repubblica per la guerra. Per di più Ossuna scava concentrando a Napoli le squadre delle galere di Sicilia, della stessa Napoli, del Duca di Torsi, del Sauli e Bandinelli cd aveva domandato a Madrid altri 10 vascelli da impegnare in Adriatico. Infine ai Napoletani si erano aggiunti i Ragusei. perché la piccola Repubblica si era vista negare da Venezia la restituzione del proprio dominio di Lagosta, i cui abitanti si erano posti sono la protezione di San Marco. Ma i grandi apparati navali restarono pressocchè inattivi. poiché gli scontri si limitarono a uno - il 19 novembre I 617 - senza danni di rilievo; e la guerra non dichiarata si spense nel corso del 1620. Intanto in Piemonte don Pedro de Toledo aveva radunato 20.000 fanti e 3.000 cavalieri. Fronteggiato un moto fomentato 10 Savoia dall'oro spagnolo 10, Carlo Emanuele poté occuparsi di lui con circa 15.000 fanti e 1.800 cavalieri. Di nuovo gli Spagnoli si mostrarono poco decisi e attenti più alle linee di comunicazione che all'occasione di dare battaglia. Riuscirono però ad agganciare e battere la retroguardia franco-piemontese a Lucedio. mettendo in crisi Carlo Emanuele. obbligandolo a chiudersi entro Crescentino e dando inizio alla diserzione in massa dei Francesi al suo servizio. Ma a dire il vero nemmeno don Pedro dc Toledo stava tanto bene: le sue truppe, come al solito. erano state colpite da malattie in forma epidemica, avevano visto diminuire il soldo, e distanziarsi i giorni in cui veniva loro versato e, come al solito, avcvan preso a disertare. La forza effettiva del! 'esercito regio era quindi molto scemata e questo spiega la sollecitudine dimostrata da don Pedro nell'ascoltare le proposte di pacificazione portategli per conto del Papa dal Cardinale Ludovisi. Carlo Emanuele colse l'occasione al volo e si disse disposto alla tregua, approfittando della cessazione dei movimenti avversari. I sussidi veneziani continuavano ad arrivargli puntuali; e puntualmente li spendeva pagando le truppe, con una regolarità da far invidia ai suoi nemici e ripianando le perdite di armi e materiali. 11 principe Vittorio Amedeo gli riportò dalla Savoia i 5.000 fanti e circa 600 cavalieri impiegati contro la sollevazione e. grazie al rientro in rango d1 molti tra disenori e sbandati dopo Lucedio, la situazione dell'esercito ducale migliorò a vista d'occhio, facendo diminuire altretumto in fretta le possibilità di pace. Comunque l'inverno era oramai alle porte e don Pedro pensò di potersi ritirare nei quartieri invernali. Aveva fatto i conti senza l'oste e aveva fallo male. Carlo Emanuele entrò nel Monferrato, conquistò mezza dozzina di pa.e si e avrebbe proseguito la sua campagna invernale se in quel momento in Francia non si fosse verificato un rovesciamento di poteri. Luigi Xlli aveva deposto e fatto uccidere il Maresciallo d'Ancre e. relegata la regina madre Maria de'Mcdici a Blois. aveva incominciato a governare da solo, spianando io prospettiva la strada all'avvento aJ potere del Cardinale de Richelieu. Per il momento un simile cambiamento comportò il rientro in Francia di Lesdiguiéres e di tutti i suoi uomini, rendendo però concreta l'eventualità di un maggior impegno francese a favore dei Savoia, dato l'atteggiamento antispagnolo del Cristianissimo.

IO Era stato comprato da don Pedro il favore del ramo cadetto <li Savoia-Nemour,, il quale aveva sollevato pane della Savoia obbligando Carlo Emanuele a mandare là un quarto di tutte le sue for1e.


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In più la campagna invernale in Monferrato, pur non risolutiva in termini militari, si stava rivelando di enorme importanza dal punto di vista propagandistico, dimostrando a tutta l'Italia quanto inefficiente fosse divenuto l'apparato bellico spagnolo. L'unica piazzaforte monferrina ancora in mano alla Spagna era San Germano, difesa dal napoletano Tommaso Caracciolo. il quale riusciva a evitare d'esservi chiuso dentro, a intercettare i rifornimenti piemontesi, a infastidnne i movimenti e a tenere bloccata Vercelli. La sua resistenza, le prospettive per il futuro, la situazione italiana e l'arrivo di nuovi contingenti di fanteria indussero don Pedro a tentare proprio la presa di Vercelli. La cosa andava fatta in fretta, perché si sapeva dell'allestimento di un eserc ito sabaudo in Gennania al comando di Mansfeld e si temeva di vederlo arrivare da un momento all'altro. [I 12 luglio 1617 gli Spagnoli diedero l'assalto generale - respinto - e ne Lanciarono un secondo poco dopo col medesimo risultato. Aumentarono la pressione quando seppero dell'imminente arrivo di 8.000 uomini dalla Francia al comando di Lesdiguiéres e alla fine. al cinquantaseiesimo giorno d'assedio, quando i Francesi erano ad Avigliana, dovè capitolare. La delusione del Duca per il ritardo dell'alleato e la resa della città non fu lunga. Unite le proprie truppe a quelle di Lesdiguiéres marciò su Asti per prevenire eventuali mosse offensive nemiche, visto che don Pedro s'era accampato lungo il Tanaro, distribuendo i suoi fra sette paesi diversi. Dato che l'avversario sembrava tranquillo. il Duca decise d'attaccarlo nei suoi alloggiamenti. Ebbe fortuna e poté riprendere tutti i paesini infliggendo all'esercito spagnolo perdite complessivamente rilevanti e preoccupando molto don Pedro, che temè un'azione contro Alessandria. Incapace di rispondere colle armi, Toledo si lamentò a Madrid d'essere stato attaccato dalle truppe francesi, nonostante lo stato di pace esistente tra Spagna e Francia; e Luigi xm scrisse a Lesdiguiéres di non eccedere, ben sapendo che la fine del conflitto era ormai prossima. Infatti i successi ottenuti coll'appoggio francese avevano rinforzato la posizione diplomatica e negoziale di Carlo Emanuele I. consentendogli di trattare praticamente alla pari cogli Spagnoli. Grazie alla mediazione ponùficia e veneziana, il 9 ottobre 16 I 7 si raggiunse l'accordo finale a Pavia. Il Piemonte avrebbe restituito le piazze appartenenti al Duca di Mantova. alla Santa Sede e all'Impero occupate nel corso del conflitto, poi avrebbe deposto le armi. Subito dopo, e sotto la garanzia dei Re Cattolico e Cristianissimo, il Governatore di Milano avrebbe fatto lo stesso, restituendo ai Savoia le terre conquistate. lnfine sarebbero stati scambiati i prigionieri. Carlo Emanuele ne usciva senza altri danni che la mancata acquisizione del Monferrato. La Spagna invece perdeva parecchio del suo prestigio militare, vista la difficoltà con cui, pur essendo la prima potenza militare del mondo, aveva potuto parzialmente prevalere su Piemontesi. Non sarebbe trascorso un anno e i "Tercios" si sarebbero rimessi in moto.



CAPITOLO VII

L'ITALIA DURANTE LA GUERRA DEI TRENT'ANNI

I) Le cause

Tradizionalmente si pensa alla Guerra dei Trent'Anni come ad un conflitto localizzato in Germania e combattuto da tutti gli Europei continentali meno gli Italiani. Niente di più sbagliato: l'insieme delle vicende belliche e politiche svoltesi fra il 1618 ed il 1648 non solo interessò profondamente l"ltalia ma, addirittura, senza l'intervento degli Italiani non sarebbe mai cominciato, o almeno non sarebbe mai cominciato nel modo che sappiamo. Le guerre non scoppiano mai accidentalmente, ma sono il risultato delJ'attrito di politiche opposte. Nel caso in questione molti erano gli elementi che contribuivano a formare il quadro generale. C'era il desiderio spagnolo di risottomettere l'Olanda e di conquistare il territorio veneziano per congiungere via terra i propri domini a quelli austriaci, desiderio a cui si contrapponevano la consapevolezza che le Province Unite e la Serenissima avevano di quei pericoli e la loro determinazione ad evitarli od annulJarli. C'era la debolezza del ramo austriaco della Casa d'Asburgo e la volontà dell'arciduca Ferdinando di Stiria di rinforzarlo, riacquistando l'antico potere. Ma i suoi sudditi protestanti sapevano che ciò non poteva riuscirgli se non abbattendo le autonomie locali e, in primo luogo, distruggendo la giustificazione morale su cui esse riposavano, cioè la confessione riformata, luterana, utraquista o calvinista che fosse. C'erano il desiderio della Francia di spezzare l'anello asburgico che la stringeva dai tempi di San Quintino, il timore del Papa di trovarsi stretto a nord e sud dai domini di una Spagna troppo forte per essere osteggiata e c'era. infine, l'ambizione del Duca di Savoia. Il pretesto della guerra fu certamente religioso; ma accanto alle questioni dottrinali e spesso nella loro ombra. ve ne erano di politiche e di economiche di grande rilevanza. Riassumendo molto grossolanamente: il motivo che portò alla crisi fu che i principi tedeschi volevano conservare l'autonomia politica e le proprietà ecclesiastiche di cui si erano impadroniti al tempo della Riforma. Il protestantesimo era in realtà solo una giustificazione morale per la conservazione di quanto avevano ottenuto e, difendendo la fede riformata, difendevano le loro terre e la loro indipendenza dall'Imperatore. Come si sa, l'inizio della contesa risale alla sommossa praghese che culminò nella defenestrazione di due consiglieri imperiali cattolici (salvatisi grazie a un provvidenziale sottostante mucchio di rifiuti). L'atto di ribellione fu seguito dall'offerta della corona di Boemia, a quel tempo elettiva, a vari principi. ma la difficoltà era che nessuno di loro aveva denaro a sufficienza per sostenersi militarmente sul trono di San Venceslao, nè i protestanti tedeschi, raccoltisi già da tempo nell'Unione Evangelica. erano abbastanza ricchi per levare un esercito. E qui gli Italiani cominciarono a giocare un ruolo determinante. Carlo Emanuele I di Savoia nel corso della guerra monferrina combattuta contro gli Spagnoli si era avvicinato all'Unione Evangelica in funzione antiasburgica ed aveva ottenuto che essa gli mettesse a disposizione un generale di fama notevole, il conte von Mansfeld. A lui, come abbiamo visto, il Duca aveva versato il denaro necessario alla costituzione di un esercito di 4.000 uomini da arruolare in Germa-


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nia; ma quando questo fu pronto le ostilità erano cessate e Carlo Emanuele non ne aveva più bisogno. Era il 1618, la rivolta di Praga si era verificata proprio allora: ed i Cechi avevano offerto all'Elettore Palatino Federico V di farsi eleggere re di Boemia. L'Unione Evangelica propose allora a Carlo Emanuele uno scambio: l'esercito pagato da lui e comandato da Mansfeld contro l'elezione al trono imperiale. li Duca accettò immediatamente. Dei sette elettori dell'Impero tre erano cattolici. tre protestanti e il quano, quello decisivo. era il Re di Boemia. Se Federico V otteneva il trono, l'elezione del Savoia al soglio imperiale era sicura. Ma sfortunatamente l'arciduca Ferdinando d'Asburgo riuscì a sfruttare le divisioni esistenti in campo riformato tra Calvimsti e Luterani. si accordò all'ultimo momento cogli elettori protestanti di Sassonia e del Brandeburgo e ottenne la sacra romana corona germanica. Contemporaneamente Federico V veniva elerto re di Boemia. Di nuovo gli Italiani si IDJsero in mezzo; perché i primi Stati a riconoscerlo furono Svez.ia, Danimarca e Venezia. Secondo l'opinione corrente del tempo, la più potente e importante di questi era la Serenissima: ed il suo appoggio era tanto più rilevante in quanto era l'unica a confinare direttamente cogli Asburgo e quindi a poter intervenire militarmente e subito. Ma Federico perse tempo e lasciò che Ferdinando si accordasse colla Lega Cattolica e trovasse aiuti. Le truppe imperiali furono fomite in gran parte dalla Germarua, ma con forti contingenti italiani. mentre l'aiuto finanziario maggiore arrivò da Madrid e Roma. Per sostenere lo sforzo contro gli eretici, la Spagna prestò un milione di fiorini; mentre il Papa s'impegnò a versarne all'Imperatore 10.000 al mese, ottenendogli 100.000 scudi dalle varie congregazioni e permettendo. il 13 gennaio 1620, in tutta Italia l'imposizione di una decima che fruttò altri 250.000 scudi all'anno. Così sostenuto, il potente esercito della Lega Cattolica, forte di oltre 50.000 uomini. tra i quali moltissimi I taliani. marciò contro i protestanti. Federico poteva opporgli solo circa 30.000 soldati che, alle porte di Praga. alla Montagna Bianca, 1'8 novembre 16 I 9 si comportarono come poterono su un terreno sfavorevolissimo e in un'ora furono battuti sanguinosamente. Quattromila protestanti boemi restarono sul terreno a fronte di poche centinaia di imperiali. Il panico si impadronl dello sfortunato Federico e lo indusse a fuggire senza tentar la minima resistenza. Contava sull'aiuto dei sovrani che l'avevano riconosciuto re e l'avevano aiutato; ma rimase deluso. li Duca di Savoia, disgustato per la mancata elezione imperiale e preoccupato dalla minacciosa presenza spagnola nel Milanese. non intervenne. L'Olanda combatteva la Spagna, la Svezia era stata trascinata in una guerra contro la Polonia, la diplomazia imperiale aveva neutralizzato la Danimarca; e i Veneziani non avevano la minima intenzione di farsi schiacciare tra Spagna, Austria e Papa per soccorrere un Re che non accennava nemmeno a difendersi da solo. Gli Italiani avrebbero dato un contributo notevolissimo alla guerra dei Treni' Anru in uomini oltre che in denaro. Senza soffermarsi sui più noti generali imperiali italiani - Spinola, Montecuccoli. Galasso, CoUalto, Piccolomini - e senza entrare in dettagli come il numero degli Italiani negli eserciti asburgici - difficLlissimo da determinare ma sicuramente molto elevato - basta ncordare i 14.000 italiani mandati in Baviera sollo il Duca di Feria, o i 16.000 che combatterono a Nordlingen col Cardinal Infante e che sono sempre stati considerati "Spagnoli". È vero che erano al servizio del Re Cattolico e adoperavano lo Spagnolo come lingua di servizio, ma erano inquadrati in reggimenti - Tercios. o Terzi - napoletani e milanesi. con bandiere. nomi ed ufficiali propri, che li indicavano chiaramente per italiani, almeno negli eserciti spagnoli.

li) Il primo effetto della guerra in Italia: il Cammino di Fiandra, il Sacro Macello e la

prima guerra della Valtellina: 1620 - 1626 Anche l' Italia fu teatro della guerra, teatro minore ma non per questo di poca importanza. Ai primi del secolo era stato nominato governatore di Milano, l'abile generale spagnolo


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don Pedro Enriquez de Azevedo conte de Fuentes il quale aveva pensato subito a riorganizzare militarmente il Ducato, specie in considerazione della perenne ostjJità asburgica nei confronti dei Veneziaru e dalla presenza dei protestanti Grigioru, padroni della Valtellina. Il motivo principale di contesa era la questione delle truppe veneziane. La Serenissima non poteva am1olare in Italia perché tutti gli Stati italiani - dietro pressione spagnola - proibivano formalmente ai loro sudditi di prendere servizio sotto le sue bandiere. Per questa ragione attingeva reclute in Germania e in particolare nel Ducato di Lorena. Dati i pessimi rapporti cogli Asburgo e per evitare che le impedissero il transito delle reclute arruolate, Venezia aveva stipulato nel 1602, all'epoca dell 'interdetto pontificio, un accordo coi Grigioni per avere per le unità da lei arruolate il Libero e perpetuo passo attraverso il loro territorio, che includeva la Valtellina. Quando l'aveva saputo. Fuentes s'era infuriato coi Grigioni e li aveva minacciati di sanzioni; ma quelli avevano tenuto duro, anche perché l'accordo oltre a rinforzare Venezia, i.n direttamente danneggiava la Spagna e quindi piaceva pure alla Francia. n Conte allora aveva vietato loro il commercio col Milanese attraverso il lago di Como e, per interdire completamente il traffico, aveva costruito il forte di Fuentes, che doveva bloccare e controllare tutte le strade da e per la Valtellina e i Grigioni. Ma il sistema fortificato lombardo non si limitava a questo. Ultimato proprio negU anni 'IO del XVU Secolo e comprendente 16 tra castelli e forti, doveva servire non solo a proteggere il Ducato. ma anche e sopratutto il cosiddetto ·'Cammino - o Via, o Strada - di Fiandra", cioè il lungo percorso che consentiva di portare via terra truppe dalla Spagna e dall'Italia in Olanda o in Germania. Le principali fonti di reclutamento di Madrid erano infatti la stessa Spagna e il Regno di Napoli 1 e le truppe dovevano poi essere instradate sull' itinerario Napoli-Orbetello-Genova o Finale (o Barcellona-Genova/Finale) Sospello-Milano-Lago di Como-Valtellina-sponda superiore del Lago di Costanza- Corso superiore del Reno-Renania-Alsazfa-Strasburgo-Olanda (o, se andavano nella Germania centrale o orientale -Lago di Costanza, dove c'è lo spartiacque Reno Danubio, -Corso superiore dell 'lnn-Vienna-Boernia e Germania centro-orientale). È da notare che, a causa delJa separazione fra il Trentino e la Lombardia data dal territorio della Repubblica di Venezia e della non certa disponibilità del terminale fluviale di Mantova, quella era l'unica strada veramente sicura. Inoltre bisogna ricordare che proprio Fuentes aveva completato la sicurezza del Cammino di Fiandra impadronendosi del Marchesato del Finale nel 1602, imbrogliando i Del Carretto che ne erano i titolari, e, non appena il forte di Fuentes era stato ultimato, spedendo le proprie truppe ad occupare di sorpresa il feudo ligure di Sospello, perché era l'unico lembo di territorio genovese che si interponeva tra il Finale e la Lombardia spagnola. 11 popolo genovese protestò, ma il Senato e l'aristocrazia avevano troppo interesse a tenersi in buoni rapporti colla Spagna e accettarono il fatto compiuto. In questo modo l' afflusso di rinfoni e rifornimenti da Barcellona o da Napoli si sarebbe svolto sempre e solo su territori della corona asburgica di Spagna e il Cammino di Fiandra non avrebbe corso rischi d ' interruzione, almeno in Italia. Per quanto era in suo potere, Fuentcs aveva fatto tutto il possibile - e non era poco- per migliorare l'operatività dell'apparato militare spagnolo. Ma ora, col conflitto appena scoppiato, diveniva fondamentale non solo garantire anche il tratto di percorso non controllato, cioè quello in territorio grigione, ma pure impedire che altri se ne potessero servire. La questione, come al solito. era assai intricata. Nel 1613 era spirato il primo trattato veneto-grigione, stipulato all'epoca detrinterdetto, nel 1603. e il Senato aveva deciso di farne

1 I cui soldati avevano la precedenza su tutti quelli degli altri Stati, eccettuati i soli Spagnoli. e dal 1663 avrebbero goduto l'onore di tenere la sinistra - la destra la tenevano i ''Tercios de Espaila"' - in tutti gli eserciti delle corone degli Asburgo spagnoli.


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un secondo. Ovviamente ciò dava fastidio alJ' Austria - e si sapeva, specie per via della questione degli Uscocchi - ma pure alla Francia, desiderosa di coprire colla propria influenza tutto il territorio elvetico, al quale i Grigioni erano associati. Dopo un lungo periodo di contrasti e di sotterranei lavori i diplomatici, l'agente veneziano Patavino riuscì a far leva sul sentimento religioso dei protestanti Grigioni - e del resto la Francia in quel momento opprimeva gli Ugonotti e l'Austria i Protestanti - e riuscì. nel 1618, a far pendere dalla parte della Sereni!ll>ima gran parte dei riformati e l'esito del sinodo appositamente convocato a Borgogno per discutere la faccenda. A dire la verità il sinodo, come pare accadesse spesso a quelle riunioni nei Grigioni. degenerò in una mezza sommossa, che costrinse alla fuga l'ambasciatore francese, causò morti e feriti e, sopratutto, portò a morire fra le torture l'arciprete Rusca, di Sondrio. accusato falsamente di collusione colle autorità spagnole del Ducato di Milano ai danni dei Grigioni. Ne seguirono fughe, esili e, ovviamente, una congiura per distruggere i Protestanti. Accordatisi col Duca di Feria, governatore di Milano, i congiurati ottennero larghe promesse di aiuti e 500 uomini dall'lmperatore. Raccolsero poi 300 fanti italiani nei territori svizzeri e si prepararono a vibrare il colpo. La notte dal 18 al 19 luglio, alle 6 d'ltalia2 si radunarono a Tirano e, vietati il saccheggio dei beni, gli stupri e l'uccisione di donne e bambini, all'alba del 19 bloccarono le strade, occuparono il castello di Piattamala per chiudere la valle e diedero inizio al massacro. A sera 350 protestanti erano stati complessivamente uccisi m tutta la Valtellina e i passi da cui potevano giungere truppe Grigione erano tutti saldamente in mano ai Cattolici. inclusa la zona di Bormio. I Grigioni si armarono e passarono al contrattacco. In bassa valle le cose andarono relativamente bene, perché poterono riprendere Chiavenna e Sondrio: ma fallirono sia a Puschiavo sia a Bormio, visto che furono respinti da volontari e da 400 regolari attestati in Val Monastero. Davanti alla reazione, i Valtellinesi mandarono messaggeri a rutti i potentati cattolici - Cantoni svizzeri, governo di Milano. Savoia, Venezia e Papa - spiegando che desideravano il libero esercizio della religione cattolica e domandavano amicizia e protezione. Torino e Venezia risposero di si, a condizione che non fossero ammesse in Valtellina truppe straniere; ma quel che contava era la risposta attesa da Milano. E arrivò, nella persona di don Girolamo Pimentel con 500 uomini, che conquistarono Riva e obbligarono i Grigioni a abbandonare Chiavenna, Traona e Sondrio. Poi vennero il decreto del re Filippo con cui la Valtellina era posta sotto la sua protezione e altre truppe a presidio di Morbegno e Tirano. Intanto in soccorso dei Grigioni erano arrivati i reparti bemesi e zurighesi dei colonnelli Miiller1 e Steiner, i quali si erano impadroniti del passo di Pedonosso e avevano ripreso Bormio, saccheggiandola. Tirano era l'obiettivo seguente dei Protestanti svizzeri. decisi a raderla al suolo dopo averla saccheggiata; ma su Tirano stava marciando Pimentel con 2.000 uomini e arrivò per pruno. Unitosi alle sei compagnie valtellinesi che vi si trovavano, il I 7 settembre uscì dalla città per affrontare i 7.500 svizzeri in arrivo. I Bernesi erano molto più avanti degli Zurighesi e. convinti di potercela fare, non li vollero aspettare e ingaggiarono battaglia. «li valore Spagnuolo ed Italiano vinse il furore Svi::.ero: i Bernesi toccarono una orribil rotta. restando la maggior pane 11ccisi»•. Miiller rifiutò d'arrendersi e cadde combattendo•, mentre i superstiti fuggivano incontro agli Zurighesi, assai numerosi.

2 Cioè all'una e mezza del mattino, due ore prima dell'alba. Cfr. nota n. 29 a pag. 143. 3 Prima di partire da Zurigo, Muller aveva prome~so di riportare dalla spedizione pili chieriche di .. sa-

crificoli papisti", cioè di preti cattolici, di quanti fossero gli anelli della lunga collana d'oro che indossava. 1 Rip. in BOTIA. op. cit.. libro decimonono, 1620. pag. 279. 4 La sua collana d'oro fu mandata al Duca di Feria.


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Pimentel decise d'aspettarli entro le mura e si fortificò in città. Assalito resse bravamente per sette ore finchè i nemici non esaurirono le munizioni e si dovettero ritirare. Lasciando sul campo 700 morti Il loro ripiegamento fu disastroso. Bande di contadini armati alla meno peggio li assalirono dappertutto, uccidendone moltissimi e ricacciandoli terrorizzati fuori della Valtellina. Dal massacro uscivano vincitrice la Spagna, che si assicurava il controllo dell'intero Cammino di Fiandra. e sconfitte la Francia e Venezia. La Serenissima non si perse d'animo e, benchè gli ambasciatori francesi le fossero stati avversi specialmente nella questione dei Grigioni, intavolò subito dei colloqui a Parigi per convincere il Cristianissimo della necessità d'un'azione antispagnola in Svizzera e in ValtelJina. Sostenuta dalle pressioni del Duca di Savoia, preoccupato dall'accresciuta potenza spagnola e dalla saldatura dei territori asburgici, e del nuovo papa Gregorio XV. non troppo filospagnolo, la Francia si mosse a Madrid, facendo presente quanto la situazione valtellinese non piacesse a Luigi xm. Contemporaneamente però il Duca di Feria aveva incominciato trattative coi Grigioni e, il 6 febbraio, 1621, era riuscito ad ottenere una favorevolissima convenzione: confederazione perpetua colla Spagna, rinnovabile ogni dodici anni; Libero passaggio ai soldati del Cattolico, armati per la Valtellina e disannati nel resto del territorio; per otto anni presidi spagnoli nei luoghi strategicamente rilevanti e, infine, eliminazione di ogni religione che non fosse la Cattolica Romana. Agli Svizzeri non piacque. ai Valtellinesi nemmeno. perché li passava da un padrone a un altro, non parliamo poi dei Francesi e dei Veneziani; e Madrid divenne un vespaio diplomatico. Proprio allora Filippo m morì e il giovane Filippo TV accordò il ritorno allo statu quo ante, purchè ci fosse un perdono generale ai Valtellinesi e si tenesse un congresso a Lucerna. Segretamente stabilì poi un accordo coi Francesi per escludere dalla Valtellina e dalla Svizzera qualsiasi influsso veneziano. Stavolta non erano soddisfatti i Grigioni e non ci fu troppo da stupirsi quando i popolani corsero alle armi per riprendersi la Valtellina. Seimila uomini piombarono su Bormio e se ne impadronirono, ma la guarnigione riuscì a chiudersi nella cittadella, resistendo disperatamente in attesa dei rinforzi. Feria non perse tempo e risalì dal Milanese con un grosso contingente, mentre un corpo di truppe austriache comandate da Baldirone scendeva dalle montagne per circondare gli attaccanti. L'esercito protestante si sfasciò quasi senza combattere e i suoi componenti furono massacrati. L'occasione era ottima: i Grigioni erano inermi davanti alle truppe asburgiche. Feria entrò a Chiavenna. Baldirone, con 10.000 uomini, s'impadronì dei vecchi territori austriaci delle " Dieci Diritture", piazzando 700 soldati a Coira e guarnigioni dappertutto. Il 25 gennaio 1622 venne stipulata una nuova convenzione con cui i Grigioni cedevano in perpetuo ogni loro diritto sulla Valtellina ed il contado di Bormio i.n cambio di 25.000 scudi annui, mentre si ripristinava tra Valtellina e Spagna la convenzione di Milano del 6 febbraio 1621 e si sanciva il dominio austriaco sulle Dieci Diritture, su Valle Monastero e sull' Agnedina inferiore. Parigi, Torino e Venezia si infuriarono; ma fu nulla al confronto di quel che fecero i Grigioni stessi. Esasperati dalla politica religiosa degli Austriaci. assai più dura di quella degli Spagnoli, il 24 aprile insorsero e ne massacrarono 500. Poi cacciarono tutte le guarnigioni imperiali, meno quella di Coira, forte di 2.000 uomini, che assediarono e costrinsero alla resa. La notizia della caduta di Coira fece saltare la seconda convenzione di Milano e si tornò a quella di Madrid, o meglio: gli Svizzeri e i Grigioni questo volevano; ma certo non gli Asburgo. Migliaia di soldati austriaci calarono sui territori appena persi e li devastarono come mai era successo prima, bruciando tutto e ripristinando il dominio asburgico. Davanti a questo minaccioso riaffermarsi della potenza di Casa d'Austria vicino all'Italia, Savoia e Venezia intensificarono le pressioni sulla Francia. In novembre Carlo Emanuele I in-


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contrò Luigi Xlii ad Avignone e si arrivò, nell'aprile del 1623, alla Lega di Parigi. La Francia avrebbe messo in campo da 15.000 a 18.000 fanti, Venezia da I 0.000 a 12.000 e Carlo Emanuele 8.000. Per la cavalleria ognuno dei collegati avrebbe fornito 2.000 uomini; e si sarebbe ripreso in servizio Mansfeld perché distraesse forze austriache dall'Italia. Al trattato avrebbero potuto accedere gli Svizzeri, gli altn Stati italiani, quelli tedeschi e l'Inghilterra. Non appena fu firmato, Richelieu comunicò alla Spagna l'ultimatum: o tornava alla convenzione di Madrid o ce l'avrebbero fatta tornare per forza. All'ultimo momento si trovò una scappatoia decidendo di dare in deposito al Papa i forti della Valtellina. Così, in maggio, 1.500 fanti e 500 cavalieri 1>0ntifici, alquanto indisciplinati per la verità. aJ comando del generale di Santa Romana Chiesa duca Orazio Ludovisi, fratello del Papa, attraven,arono il Ducato di Milano e raggiunsero le piazzeforti valtellinesi. In luglio morì Gregorio e in agosto fu eletto papa Urbano VITI Barberini il quale, messosi subito all'opera, riuscì a concludere cogli ambasciatori di Spagna e Francia un accordo sulla Valtellina, che era praticamente la convenzione di Madrid con in più la concessione del passaggio alle truppe spagnole. Richelieu smentì subito il proprio ambasciatore e indusse il Re a nfiutare la ratifica ed a minacciare guerra. Madrid si armò; la Lega pure e, anzi, si ampliò. Infatti in ottobre si trovarono segretamente ad Avignone gli ambasciatori non solo di Francia. Savoia e Venezia, ma anche d'Inghilterra. Olanda, Danimarca e di alcuni principi protestanti. Del resto l' interruzione del Cammino di Fiandra era talmente importante per l'andamento della guerra in Germania che ben poco poteva esserle anteposto. Lo sforzo principale delle imminenti operazioni doveva essere esercitato dai Francesi attraverso la Svizzera, mentre un secondo e un terzo fronte sarebbero stati aperta in Italia dai Piemontesi e dai Veneziani, in modo da muovere a tenaglia sulla Lombardia da Ovest, da Est e da Nord. Sul fini.re dell"autunno le truppe francesi. condotte dal Marchese de Coeuvres calarono in Valtellina. Le guarnigioni pontificie opposero una resistenza minima e tutta la Valle cadde in potere del Cristianissimo prima che i rinforzi austriaci e spagnoli potessero arrivarvi. Madrid e Vienna sospettarono una collusione tra Roma e Parigi. «/I papa è/orse ca110/ico?,. fu chiesto a Pasquino, la celebre statua. voce del popolano dell'Urbe. che rispose: «Taci, taci, ch'egli è cristianissimo,.,;. La valle venne saccheggiata e la religione cattolica oppressa quanto e forse più della protestante in precedenza. Persa anche Chiavenna, Feria aveva fatto trincerare a Riva una guarnigione italospagnola, comandata dai generali Albertazzo e Quiroga e aveva chiesto all'Imperatore di mandargli il famoso generale Pappenheim per dirigerne la difesa. Riva era fortificata bene e rinforzata da trincee nuove; il lago e l'altitudine la preservavano da sorprese e la rendevano difficile da avvicinare. I Francosvizzeri tentarono prima di impadronirsi delle alture che la sovrastavano; ma Pappenbeim riuscì a respingerli dopo scontri violentissimi sulle creste e ad impadronirsi di Traona. Fallita la via di terra restava quella del lago. Coeuvres si rivolse ai Veneziani e ne ebbe parecchi arsenalotti che gli costruirono delle navi di poco pescaggio per raggiungere Riva. Feria allora si appellò alla Repubblica di Genova e ne ottenne carpentieri esperti, cbe in poco tempo gli prepararono una flottiglia sufficiente a bloccare quella nemica coll'aiuto dei cannoni del forte d1 Fuentes. La comparsa di malattie in entrambi i campi falcidiò le opposte schiere ma, mentre Feria rimpiazzava i morti e i malati con facilità, i Francesi. lontanissimi dalle loro basi, diminuivano a vista d'occhio e Riva non fu presa. i, Rip. in BOTTA. op. cit., libro. cit., 1624 -

1625. pag. 299.


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III) La guerra di Genova del 1625

Secondo i piani l'attacco dal Piemonte doveva essere importante ma complementare a quello dalla Valtellina; solo che, vistisi bloccati sul lago di Como, i Francesi decisero di spostare il principale sforzo sulla linea Torino-Milano. Ma presto cambiarono idea e decisero di seguire i piani studiati nel settembre dell'anno prima a Susa, secondo i quali bisognava cominciare col sottomettere Genova. Le ragioni strategiche non mancavano. Prendere Genova significava tagliare alle radici il Cammino di Fiandra, far cadere di rovescio Riva e il Ducato di Milano e, in ultima analisi, cambiare drasticamente il corso dei combattimenti in Germania. Ai motivi strategici se ne accompagnavano altri di tipo puramente territoriale, viste le antiche pretese della Francia sulla città e quelJe della Savoia sul territorio genovese. Entrambe erano d'accordo sulla spartizione: al Re il Levante, al Duca il Ponente, Genova in condominio provvisorio finchè non si fosse decisa la sorte della Corsica. Poi chi avesse avuto l'Isola avrebbe ceduto la sua parte della Superba ali 'altro. Venezia non era d'accordo; ma tutto fu stabilito senza informarla e si continuò a sostenere che i circa 14.000 fanti e i 1.500 cavalieri che Lesdiguiéres portava io Piemonte avrebbero puntato su Milano insieme ai 14.000 fanti e 2.500 cavalieri del Duca di Savoia. Richelieu ordinò alla squadra del Mediterraneo di levare le ancore e spedì un ambasciatore in Olanda, a chiedere 20 vascelli da mandare a Nizza entro il gennaio del 1625 per impiegarli contro la Spagna in Mediterraneo. Ottenuto dal Duca di Mantova il passaggio attraverso il Monferrato, nel febbraio del 1625 le truppe francesi e sabaude, comandate dal Maresciallo di Crequì e da Lesdiguiéres le une, dal Duca e da suo figlio Tommaso di Savoia le altre, calarono sulla Riviera ligure. senza dichiarazione di guerra. I Francesi avrebbero voluto prendere Savona per assicurarsi un porto dove sbarcare i rifornimenti e i rinforzi provenienti dalla Provenza, ma Carlo Emanuele li convinse a marciare subito su Genova. Il Senato aveva guarnito bene sia Savona che Ventimiglia, Albenga e Porto Maurizio, ma aveva trascurato la Capitale. Quando seppe la direzione presa dai nemici, richiamò il maggior numero possibile di soldati, li affidò a Giangerolamo Doria e chiese aiuto alla Spagna ed al governatore di Milano, il quale aveva già mandato Pimentel a Tortona con 4.000 uomini. Intanto i Piemontesi scendevano su Genova da Rossiglione per Voltri; i Francesi dalla Bocchetta per Gavi e la Val Polcevera verso Sampierdarena. La fortezza di Penna, che sbarrava il passo attraverso la Val Roia, fu assediata iJ 13 aprile dai 400 uomini del Marchese di Dogliani e cadde subito per il tradimento del castellano, aprendo ai Piemontesi il passo verso Ovada. Occupata quest'ultima, Carlo Emanuele assalì le postazioni genovesi alla strettoia di Rossiglione. I difensori fuggirono tutti meno una compagnia di Corsi, che ccdè solo dopo aver perso 20 uomini in seguito all'esplosione d'un bariJe di polvere da sparo. Lasciatosi sul fianco due compagnie nemiche rinchiusesi entro Masone, il Duca insegui i Genovesi fino alla costa. La notizia della sconfitta destò il panico nella Superba. TI Senato, spaventato, ordinò l'abbandono di tutte le posizioni e il concentramento delle truppe nella capitale. Savona fu evacuata; ma Doria rifiutò di lasciare Gavi, scrivendo ai Magnifici che la si poteva difendere bene e a lungo: poiché i nemici non potevano far passare l'artiglieria sulla stretta strada del Rossiglione, ma solo per la via di Gavi. era ancor più importante non evacuare la piazza ma res istervi fino all'ultimo. Il Senato riprese coraggio. Rimandò a Savona il presidio che ne aveva richiamato e, contemporaneamente, ebbe la lieta sorpresa dell'arrivo di 2.000 fanti e 200 cavalieri agli ordini di Ludovico Guasco, mandato dal Duca di Feria in aiuto alla Repubblica, nonostante la maggior parte delle sue forze fosse in quel momento impegnata intorno a Riva per difendere l'estremo sbocco della Valtellina.


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Le difese di Genova vennero rapidamente potenziate; i Piemontesi però non si avvicinarono e la situazione rimase in stallo. Poco prima di Pasqua il Cardinale Barberini e monsignor Pamphili tentarono senza successo una mediazione fra la Repubblica e il Duca. Carlo Emanuele era sicuro d'aver la vittoria in pugno e non voleva sentir ragioni; solo che, come aveva previsto Doria, la vittoria dipendeva dalle artiglierie e le artiglierie non passavano dalla strettoia di Rossiglione. Per questo i Piemontesi cambiarono programma e sì spostarono verso Gavi per unir~i a Lesdiguiéres contro Voltaggio: l'ultimo territorio da prendere per accerchiare completamente Gavi e farla cadere. La Repubblica aveva confidato il comando della difesa della zona appenninica a Tommaso Caracciolo; e lui si era arroccato proprio a Voltaggio con 5.000 fanti tra regolari, milizia e volontari levati per l'occasione. Carlo Emanuele era giunto a Carrosio colla fanteria e, mentre attendeva l'aniglìeria. aveva mandato m avanscopena il signor di Sant'Anna verso Gavi, l'avanscoperta degenerò in battaglia, accorsero rinforzi da entrambi i lati e alla fine truppe genovesi crollarono e persero pure Voltaggio. La mossa successiva doveva essere la calata in Val Polcevera e la presa di Genova. li Senato consultò il Duca di Feria per sapere se fosse o meno il caso di concentrare nella capitale le truppe presenti a Gavi. Feria rispose di si e furono mandati ordini in tal senso al governatore del territorio, Meazza, che ne uscì di notte con 3.000 uomini per andare a Serravalle. Ma trovando le strade impraticabili e temendo di venir sorpreso in marcia, preferì rientrare e. inaspeuatamente, arrendersi ai Piemontesi. La notizia cadde come un fulmine su Genova, perché solo il castello di Gavi restava a opporsi ai franco-piemontesi. ma con un trucco Carlo Emanuele fece cadere anche quello5• Ora davvero la strada era aperta e solo un miracolo avrebbe potuto salvare la Repubblica: e il miracolo avvenne. Lesdiguiéres si rifiutò d'avanzare se non avesse prima ricevuto viveri e munizioni per almeno tre mesi. Carlo Emanuele fece l'impossibile per convincerlo; niente da fare, i Francesi non si sarebbero mossi. Persa l'occasione, il Duca decise di non restare fermo e si diresse alla conquista delle Riviera di Ponente, che gli spettava comunque in base agli accordi di Susa, ordinando al primogenito Vìttorio Amedeo di prendere la Pieve, nella Valle d'Oneglia, con 6.500 fanti e 400 cavalieri. La difendevano 3.000 fanti e 1.000 uomini della cernide - la Milizia locale - comandati da Gerolamo Doria. Vittorio Amedeo impiegò cinque giorni a far passare le artiglierie per le strette stradine di montagna; ma alla fine ci riuscì e assalì e prese la cittadina dal lato del monastero di Sant'Agostino, catturò anche Doria e souomise rapidamente tutta la Riviera d1 Ponente, colla sola eccezione di Triora; mentre il Duca, deciso a fare di tutto per prendere Genova, concentrava artiglierie, rifornimenti e uomini a Gavi. La situazione della Repubblica peggiorava di giorno in giorno. li denaro mancava; le truppe erano ridotte a niente, nè si potevano colmare i vuoti perché la presenza del nemico impediva alle reclute di arrivare ai reparti. La Toscana mobilitava sul confine, pronta a calare su Sarzana e Sarzanello; la Corsica sembrava minacciata dalla noua francese, quelle inglese e olandese parevano prossime a raggiungerla e, per finire, le truppe spagnole di Pimentel si erano ritirate da Tortona ad Alessandria per non rimanere tagliate fuori dai collegamenti con Milano.

S Il comandaote respinse due intimazioni di resa. Quando gli assediati spianarono la strada all"attacco alle mura a forza di cannonate e gli intimarono la resa una 1erz.a volta, ottenne di mandare un messo al Senato e promise d'arrendersi se non l'avesse visto Iomare entro tre giomi: gli fu accordato. Il messo partì, riccvè istruzioni. tornò... e fu arres1ato dal duca di Savoia. che lo trattenne fino a dopo la &eadenza del termine stabilito. Non vedendolo rientrare entro il teno giorno, fedele 8J patti, il presidio si arrese.


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In questa situazione disastrosa arrivò in porto una galera proveniente dalJa Spagna con a bordo un milione di ducati, seguita di lì a poco da altre, con sei milioni ancora. Le rimesse dei feudi extra-liguri dei patrizi genovesi erano arrivate e, con loro, la fiducia del mondo. Improvvisamente, ora che c'era denaro per le paghe, le reclute riuscirono a passare le linee piemontesi e a presentarsi ai reparti, portando le forze genovesi a 15.000 regolari e alcune migliaia di cemide; le squadre deUe galere di Spagna e del Papa si unirono e vennero in aiuto alla Repubblica; il Granduca di Toscana abbandonò le idee che poteva aver avute su Sarzana e Sarzanello e mandò la propria squadra sottile ad aggiungersi alle altre due. La flotta francese venne neutralizzata; e le cose cominciarono a migliorare rapidamente anche per terra. I Franco-Piemontesi vennero bersagliati dalla guerriglia contadina e privati dei convogli di viveri, la cui scarsezza fece apparire le prime malattie. Poi iniziarono le diserzioni e si seppe che, finalmente, terminati i combattimenti intorno a Riva, il Duca di Feria aveva radunato le sue truppe e stava avvicinandosi con 20.000 fanti e 2.000 cavalieri. Carlo Emanuele gliene poteva opporre 8.000 e 2.800. Inoltre i suoi rapporti con Lesdiguiéres erano ora pessimi a causa della precedente e perniciosa inattività dei Francesi, quindi non c'era alternativa: bisognava ritirarsi e in fretta. Naturalmente i Genovesi avanzarono eripresero Voltaggio. interamente arso, Gavi, dove trovarono 19 cannoni sabaudi, e Novi, mentre i Franco-Piemontesi entravano nel Monferrato e da là muovevano alla conquista di Acqui, puntando poi su Spigno e Cairo. Feria intanto non solo era giunto a Pavia, ma aveva anche aumentato le proprie forze a 22.000 fanti e 5.000 cavalieri - tra i quali molti Italiani e reparti leggeri polacchi e croati - e puntava su Acqui, che prese subito, obbligando i nemici a ripiegare su Asti. Lasciando agli Spagnoli il teatro operativo monferrino e appenninico, la Repubblica si volse al recupero della Riviera di Ponente. poi le truppe genovesi si inoltrarono verso nord e ovest, recuperando Ventimiglia e giungendo a minacciare Ceva. GU alleati avrebbero vinto facilmente se agU Spagnoli non fosse venuto in mente di assediare Vcrrua. Le loro intenzioni erano semplici. Volevano solo devastare il Piemonte, senza sottrarre nulla al dominio sabaudo, ma avevano bisogno di una base d'appoggio. Poiché Verrua separava l'Astigiano dal Vercellese, la sua presa ne avrebbe facilitato molto il saccheggio impedendo invece ai Sabaudi di passare dall'uno all'altro per difenderli con le forze riunite. Rendendosi conto del pericolo e del fatto che quella era l'ultima fortezza a frapporsi tra il nemico e Torino, Carlo Emanuele decise di resistere a tutti i costi e andò a piazzarsi sotto Verrua, ponendo il grosso nella vicina Crescentino. Lesdiguiéres lo seguì con 5.000 uomini, perché Richelieu aveva ordinato di non lasciar prendere assolutamente la fortezza agli Spagnoli.

[V) L'assedio di Verrua del 1626

Verrua non era dotata di fortificazioni taJj da consentire una gran difesa. Consistevano infatti in un castello - che era più una casa rinforzata che un castello - con una sola torre e privo di baluardi, fossati o bastioni e nella cittadina racchiusa entro un muro di cinta. Era stato fatto il possibile per trincerarsi e rinforzare le poche e rudimentali opere esistenti e, due giorni prima del principio dell'assedio, il 9 agosto del 1625, la fiducia era tanta da far apporre suJle mura un grappolo d'uva e un porcellino, entrambi di pietra, colla scritta «Quand i verr manggran coust'ua,ji Spagneui pijran Verua»: quando i maiali mangeran quest'uva, gli Spagnoli prenderan Verrua6.

6 A parte il fatto che il maiale - il verro - e l'uva facevano parte dell'araldica municipale, l'origine della frase risaliva al Medioevo. quando la città aveva resistito in nome dei Savoia al Marchese del Monferrato.


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La fiducia non era del tutto ingiustificata, visto che dall'altra parte del fiume i Piemontesi potevano giovarsi delle fortificaz.ioni di Crescentino, che insieme a Verrua stessa costituiva un validissimo sistema difensivo, destinato a migliorare col passar del tempo, come le guerre fu. ture avrebbero dimostrato. A parte questo, la guarnigione poté contare subito su buoni rinforzi, poiché il 10 luglio entrarono in città 1.000 uomini guidati dal Marchese di Renan: ma era comunque poco, visto che ai 22.900 fanti e 5.000 cavalieri tra spagnoli, tedeschi, modenesi, napoletani, genovesi e parmensi7 si potevano opporre subito solo 8.000 uomini - 5.000 francesi e 3.000 piemontesi - saliti nei mesi successivi a 12.000 fanti e 1.300 cavalieri. Tanto Carlo Emanuele era deciso a difendersi, 1anto il Duca di Feria sembrava propenso a non impegnarsi troppo. Fra alti e bassi l'assedio proseguì fino a quando i Franco-Piemontesi arrivati a soccorrere la piazza lanc iarono un attacco generale il 17 novembre 1625 e fecero ripiegare gli Spagnoli. Di 28.000 che erano al principio dell'assedio. solo 5.270 rientrarono alle guarnigioni di partenza. Per contro ai Francesi e ai Piemontesi, che avevano gettato nella lotta un complesso di oltre 13.000 uomini, ne restavano 4.350, con una perdita di un soldato ogni due e mezzo del nemico. Verrua era ridotta a un cumulo di macerie - aveva ricevuto 10.000 colpi d'artiglieria in tre mesi - ma il Piemonte aveva vinto. Per la seconda volta la Spagna non riusciva a battere Carlo Emanuele I e ora, e questo era più grave, l'insuccesso vanificava sul piano propagandistico e militare il buon risultato avuto nella difesa di Riva, rimettendo in discussione l'esito della guerra e rendendone urgente la conclusione negoziata finchè era possibile farlo. Un 'ulteriore attesa avrebbe portato vantaggi ai Francesi ma non certo agli Spagnoli: per questo i diplomatici dei Re Cattolico e Cristianissimo, da tempo in trattative a Monzon, in Spagna, giunsero ad accordarsi sulla pace, firmandola il 6 marzo 1626. La Valtellina tornava allo stato anteriore al 1617, quindi ai Grigioni, ma col divieto di professarvi altra fede che la Cattolica Romana e colla facoltà di passaggio alle truppe francesi. I suoi forti sarebbero stati riconsegnati alle truppe pontificie. le quali vi sarebbero rimaste fino a che non fossero stati demoliti tutti quelli costruiti dopo il I 620. Dopo la parten.i:a dei reparti papali, i Grigioni non avrebbero potuto mettere proprie guarnigioni e la Valle sarebbe rimasta neutralizzata. Per quanto riguardava Genova e Torino, Spagna e Francia avrebbero fatto del loro meglio per convincerle (cioè le avrebbero obbligate) ad accettare una tregua di quattro mesi e la nomina di due arbitri che ponessero fine alla questione. Come al solito, la pace non piacque a nessuno. tranne forse alla Spagna, che vedeva allontanata la minaccia protestante da.Ila Valtellina e garantito completamente il Cammino di Fiandra, visto che le truppe francesi non avrebbero potuto far altro che passare nella Valle, senza soggiornarvi. A Parigi si diceva disonorevole per la Francia aver trattato tanto male gli affari degli alleati italiani. A Torino si era della stessa opinione. Venezia infine non era per nulla soddisfatta del mutamento degli affari valtellinici, visto che in ultima analisi andavano completamente a vantaggio della Spagna e quindi a suo danno. Gli affari d'Italia del resto non andavano nel modo migliore, specialmente per quanto riguardava Torino e Genova. Le conferenze arbitrali avevano concluso quali fossero le restituzioni che entrambi i contendenti avrebbero dovuto fare; ma tanto il Senato quanto il Duca non ne volevano sentir parlare. Incidenti di confine turbavano continuamente una pace precaria e alla fine indussero di nuovo il Piemonte ad armarsi. Nulla sembrava poter impedire la guerra; ma improvvisamente alla fine di dicembre del 1627 morì il duca Vincenzo Gonzaga. signore di Mantova e del Monferrato, il quale lasciò tutti i suoi stati al lontano cugino Carlo Gonzaga di Nevers. 7 I comandanti delle truppe italiane erano Serbelloni, Spinola e P1ccolomim.


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Subito Carlo Emanuele ritirò fuori tutte le sue pretese sul Monferrato. Stavolta però i suoi interessi collidevano con quelli francesi, poiché al Louvre si vedeva con molto favore l'insediamento di un nobile francese - tali erano ormai i Gonzaga-Nevers da due generazioni - sul trono mantovano. La Francia avrebbe avuto in mano le chiavi d ' Italia: Casale, capoluogo del Monferrato, per garantire la discesa delle truppe dalle Alpi; Mantova e il suo sistema di vie d'acqua per interdire quella delle forze imperiali dal Trenùno. Ovviamente, se la successione ai Nevers andava a vantaggio della Francia non era gradita alla Spagna. Così, dopo anni di lotte, i Savoia e gli Spagnoli si riavvicinarono e firmarono un trattato in base al quale Torino avrebbe ricevuto Trino, Alba e San Damiano, mentre al Cattolico sarebbero andate le rimanenti terre del Monferrato. Genova respirò, perché l'alleanza del Piemonte colla Spagna faceva svanire il pericolo della ripresa della guerra sull'Appennino; ma Parigi lanciò fulmini e monsignore il cardinale di Richelieu decise che la faccenda era tanto grave da doversene occupare di persona: per la prima ed ultima volta nella sua carriera, sarebbe uscito dai confini nazionali per assistere di persona allo svolgimento delle operazioni.

V) Il secondo effetto della guerra ìn Italia: La successione di Mantova: 1628 - 1630 La morte del duca Vincenzo aveva lasciato aperta la strada anche alle pretese, tutt'altro che infondate, del duca di Guastalla Ferrante Gonzaga. Ma l'eredità doveva andare ai Nevers, sia perché appartenenti a un ramo più vicino a quello ora estintosi, sia perché Vincenzo aveva fatto sposare la sua ulùma discendente, Maria, al figlio di Carlo Gonzaga-Nevers. Tutte queste belle ragioni legali avrebbero retto poco in una contesa tra privati, di conseguenza non valsero nulla in una lite internazionale e cominciarono gli armamenti. Teoricamente, essendo Mantova un feudo dell'Impero, sarebbe toccato all'Imperatore decidere la successione; e infatti Ferdinando d'Asburgo aveva decretato la sua esclusiva competenza sull'argomento, ordinando al nuovo Duca di consegnargli il Ducato e avvisandolo che, in caso d'inadempienza, avrebbe proceduto contro di lui citandolo davanti alla Dieta dell ' Impero. Se avesse resistito si sarebbe passati alle accuse formali, seguite dal bando imperiale e, infine, dal ricorso alle anni. Poiché Carlo si sapeva appoggiato da Parigi e Venezia, non ascoltò le minacciose istanze provenienù da Vienna. Spagna e Austria si consultarono: il problema stava assumendo una connotazione politica, oltre che strategica, poiché la presenza di una testa di ponte francese a Mantova avrebbe consentito agli Stati italiani, Venezia, Savoia e Papa specialmente, cli sfuggire al controllo asburgico giovandosi dell'aiuto militare di Parigi. Quindi, sia per mantenere sicure le retrovie italiane del teatro di guerra germanico, sia per conservare l'assoluta preponderanza politica, occorreva avere Mantova o, non potendo, almeno Casale. Carlo Gonzaga, conscio del pericolo. aveva raccolto 8.000 fanti e I .400 cavalieri 8, mettendone circa 4.000 dei primi e 1.000 dei secondi nella capitale e altri 4.000 e 400 nel Monferrato. Ca.rio Emanuele s'era accordato colla Spagna ma le loro forze riunire non sembravano sufficienti per la duplice impresa di Casale e di Mantova. Nel Ducato di Milano erano stanziati 12.000 fanti e 2.000 cavalieri, dai quali andavano tolti quelli necessari a controllare il Cremonese e la frontiera svizzera. Carlo Emanuele stava un po' meglio ma di poco ed entrò subito in

8 I piedilista delle sole truppe mantovane di quel periodo - quasi gli unici conservatisi nell'Archivio di Stato di Mantova - riportano una forza che. al 7 marzo 1629, ammontava 4.802 uomini: 3.847 fanti, divisi in 10 Terzi, e 955 cavalieri. ripartiù in 13 compagnie di cavalleria e 6 di archibugieri a cavallo.


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guerra. Jn marzo gli Spagnoli andarono ad assedfare Casale con circa 7 .500 fanti9 e 1.200 cavalieri, concentrandoli prima a Frassineto. Intanto i Francesi stavano arrivando in aiuto dei Monferrini con un esercito di 12.000 fanti e 1.500 cavalieri comandati dal Marchese d'Uxelles e destinati a unirsi nel Delfinato alle truppe del Maresciallo de Créqui per poi scendere in Piemonte. Carlo Emanuele chiese ed ottenne 5.000 uomini dagli Spagnoli e, grazie alle truppe del Principe Tommaso presenti in Savoia, che indussero Créqui a non lasciare il Delfinato. si trovò a dover aspettare il solo contingente di d'Uxelles nella zona del colle dell'Agnello. preparando tre ridotte per chiudere il passaggio e munendo il forte di Castel San Pietro. D'Uxellcs arrivò ai primi d'agosto. Prese le tre ridotte e scese in Val Varaita dritto in bocca al Duca che l'attendeva a Sampeyre, col grosso in pianura e forti aliquote al comando del principe Vittorio Amedeo sulle falde dei monti. li 7 agosto 1628 i Francesi attaccarono contemporaneamente le colline e l' ala destra nemica, tenuta dalla fanteria napoletana, che li respinse coll'aiuto della cavalleria piemontese. Furono battuti e messi in rotta verso le montagne. lasciando sul terreno 3.000 tra morti, feriti e prigionieri e tutte le salmerie: un grande successo che confermò a Carlo Emanuele la fama di abile condottiero di cui già godeva da tempo e gli fruttò grandi celebrazioni e felicitazioni da tutta Italia e da parte del nipote. il re Filippo di Spagna. L'insuccesso non fece abbandonare la partita a Luigi Xlll e. sopratutto, a Richelieu. Impegnati nelJ' assedio della roccaforte ugonotta de La Rochelle, aspettarono d'averla presa, poi equipaggiarono un nuovo esercito e si mossero. Stavolta la Spagna era bloccata. non solo dall'assedio di Casale, ma anche dal progressivo aumento delle forze veneziane sul confine lombardo e dalla temuta cd ora effettuata entrata in campagna del Duca di Mantova, gettatosi sul Cremonese. Carlo Emanuele quindi poteva contare solo sulle proprie forze, assai inferiori a quelle francesi in arrivo e non si faceva troppe illusioni. Nel marzo del 1629 Luigi Xlll e Richelieu si presentarono di persona davanti a Susa alla testa di 35.000 fanti e 3.000 cavalli chiedendo il passo verso la Pianura Padana. li 6 Carlo Emanuele, che disponeva di soli 9.000 uomini. si oppose e venne sconfitto. Si venne alle trattative, in cui Madama Reale, moglie del principe Vìttorio Amedeo e sorella di Luigi Xlll, riusci a temperare molto le richieste francesi, che alla fine si limitarono praticamente al perpetuo diritto di passaggio per le truppe ed alla garanzia dei collegamenti colla Francia dietro consegna della cittadella di Susa e del castello di San Francesco come garanzia dell'accordo. Questo bastò a Richelieu per raggiungere lo scopo di sbloccare Casale e. quindi, conservare il trono al Duca di Mantova. La presen7a delle Francia in Italia era necessaria quanto mai prima. Gli Asburgo infatti si erano divisi i compiti e stavano radunando le forze per colpire i Gonzaga-Nevers. L'Imperatore aveva distolto foni contingenti di truppe dal fronte tedesco e li stava mandando in Italia agli ordini di uno di suoi migliori generali, il veneto Rambaldo di Co1Jalto10, coadiuvato dagli a.1trettanto noti Aldringer e Gal asso, colJ 'ordine di prendere Mantova. Dal canto suo il Re di Spagna aveva sostituito il proprio comandante in Lombardia, nominandovi il famosissimo marchese ligure Ambrogio Spinola, il vincitore di Breda. e mettendolo alla testa dell'esercito destinato ad operare nel Monferrato: I 6.000 fanti e 4.000 cavalieri Lra Spagnoli. Tedeschi, Napoletani e Lombardi. Tali movimenti spaventarono Italiani e Francesi. n Papa allarmato dall'incombente ritorno armato degli Imperatori in Italia cercò d'ottenere da Ferdinando d'Asburgo la revoca degli ordini contro Mantova. Ma da Madrid Filippo IV, e più di lui il conte duca d'Olivares, tempestavano per il mantenimento degli impegni presi. 9 Tra i quali 2.000 napoletani. 10 Che, per ironia della sorte. era nato proprio a Mantova.


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Ferdinando era in dubbio e, nel dubbio. l'interesse dinastico prevalse e gli fece confermare gli ordini impartiti: Mantova doveva essere presa. Trentasettemila imperiali si misero in marcia verso sud, portando rovina, distruzione e la peste che avrebbe devastato l'Italia settentrionale l'anno seguente. Davanti alla loro avanzata il Papa s'indignò e assunse una posizione ostile all'Impero e agli Asburgo, spedendo al confine padano il proprio fratello Carlo Barberini alla testa di circa 20.000 fanti e 2.000 cavalieri, coll'ordine di impedire a qualsiasi costo l'eventuale ingresso dei Tedeschi nello Stato Ecclesiastico. Ma più di questa mossa, minima nel contesto militare generale e in definitiva volta solo al mantenimento della sicurezza dei propri Stati, l'improvviso inasprimento dei rapporti fra Roma e gli Asburgo segnò profondamente il conflitto. «La crisi di Mantova, insignificante in sè, costitul l'evento determinante della Guerra dei Trent'Anni, perché provocò la separazione definitiva della Chiesa Cattolica, allontanò il pontefice dalla dinastia asburgica e rese moralmellte possibile, per riequilibrare la situazione. /'alleanza fra Potenze protestanti e catroliche»"i. A Roma non si diceva più "l nostri" parlando degli Imperiali e degli Spagnoli come era accaduto cd era stato scritto al tempo della battaglia della Montagna Bianca, quando ci si sentiva accomunati ad essi dalla difesa della Fede Cattolica; ma, come ora faceva il Papa, si stava sul chi vive e si parlava a bassa voce a causa delle spie spagnole in Vaticano. La calata degli Imperiali e l'arrivo di Spinola indussero la Francia a intervenire con grandi forze. Alla testa di 20.000 fanti e 2.000 cavalieri, di nuovo Richclieu prese la via dell'Italia, ma stavolta come generalissimo dell'esercito reale, oltre che come ministro plenipotenziario in grado di trattare la pace e la guerra a suo piacere. Ma i Francesi erano ancora lontani, dovevano attraversare il Piemonte. evitare o battere Spinola a Casale ed era difficile il loro arrivo a Mantova prima di Collalto. Per questO Venezia, più direttamente interessata e allarmata dall'arrivo degb Imperiali, mandò denaro e l.000 uomini al comando del colonnello Durand a Mantova per aiutarla a resistere, seguiti poco dopo da altri 1.000 fanti con LO cannoni e 100 carri di munizioni e viveri. I Veneziani marciarono a tutta velocità per battere sul tempo i Tedeschi. Senza di loro Mantova e la partita erano perdute. con loro c'era ancora qualche possibilità. Riuscirono ad arrivarci e a chiudervisi subito prima dei Tedeschi, la cui avanzata era stata tanto rapida da impedire al Duca di radunarvi le proprie truppe sparse nei presidi e in campagna. Ora Mantova poteva resistere; ma l'unica vera speranza risiedeva nell'arrivo dei Francesi e la parola passava al Duca di Savoia. Carlo Emanuele era in quel momento iJ classico vaso di coccio tra i vasi di ferro della Francia e degli Asburgo. L'alleanza spagnola l'obbligava ad opporsi a Richelieu; ma la convenzione di Susa dell'anno precedente gli imponeva di lasciargli libero passaggio. Che fare? Qualunque scelta avrebbe comportato inimicizie potenti e danni enormi, tanto più grandi in quanto l'Italia stava diventando il centro della guerra. Infatti in quel breve intervallo di tempo compreso fra la metà del 1629 e la fine dell'estate del 1630, incuneato fra la fine del Periodo Danese e il principio del Periodo Svedese della Guerra dei Treni' Anni 11 , lentamente l'attenzione dei belligeranti si stava spostando dal teatro tedesco all'Italia Settentrionale e, insieme ad essa si spostavano le loro truppe. Centotrentamila tra Italiani- Piemontesi, Mantovani, Veneziani, Lombardi, Napoletani e Pontifici -Tedeschi, Spagnoli e Francesi si stavano concentrando nella Pianura Padana o ai suoi margini, pronti a saltarsi addosso al primo segnale. ,ii C.V. WEDGWOOD, "La Guerra dei Trea1' Anni", Cles. Mondadori, 1995, pag. 250. 11 È questo il motivo per cui alcuni storici. sulla scia di R. Quazza che per primo Jo ipotizzò, sostengono l'esistenza di un quinto periodo - Periodo Italiano - della Guerra dei Trent'Anni. da collocare alterzo posto, appunto tra il Danese. che è il secondo, e lo Svedese. iniziato nell 'agosto del 1630 collo sbarco di Gustavo Adolfo in Germania.


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Da Carlo Emanuele dipendeva la piega che gli avvenimenti avrebbero preso e Carlo Emanuele decise di camminare sul filo del rasoio con una lievissima preferenza alla Spagna. Per questo fortificò Avigliana e vi concentrò il grosso delle sue truppe - 12.000 fanti e 2.500 cavalieri - spedì il principe di Piemonte Vittorio Amedeo a parlare a Richelieu, giunto m Savoia e aspettò gli eventi. Da quel momento il gioco divenne sottilissimo e difficilissimo. Richelieu non poteva restare a Susa senza perdere la faccia, perché aveva proclamato di esser arrivato in Italia per aiutare il Duca di Mantova, ma non poteva nemmeno avanzare se i Piemontesi non gli davano esplicitamente libero passo e non si dichiaravano amici. Domandò a Carlo Emanuele di assumersi l'incarico di vettovagliare Casale, obbligo previsto per i Savoia dalla convenzione di Susa ma poco rispettato, mentre lui si sarebbe diretto in Lombardia. Carlo Emanuele non disse di no, ma nemmeno apertamente di si e si limitò a preparare i convogli dei viveri. Richelieu mosse ravanguardia, ma Carlo Emanuele tenne fermi i carriaggi. O si muoveva tutto l'esercito - spiegò- o i carriaggi non sarebbero partiti per Casale; l 'avanguardia non contava. I Francesi speravano d'avere almeno passo libero per Avigliana; ma i Piemontesi non si mossero e li obbligarono a passare per le pessime strade di Condove e Casalette. Mentre i suoi uomini sguazzavano nel fango. il Cardinale fece sapere al Duca che, essendosi mosso con tutto l'esercito, si aspettava sia di veder mandare i famosi ve1tovagliamenti a Casale, sia di vederlo liberare il passaggio di Avigliana. sia infine di sentirlo dichiararsi apertamente per la Francia. Carlo Emanuele rispo~e che purtroppo nel paese regnava una tale scarsezza di viveri da impedirgli di mandarli a chicchessia e. quanto al resto, «non esser lui della condi-;:.ione degli Ugonotti di Francia. siccllè dovesse spianar le sueforte-;:;:,e per lmtricar la rirada a, soldati regj»" ma che comunque avrebbe dalo prova di buona volontà diminuendo la guarnigione di Avigliana. Infatti ne fece uscire 6.500 fanti e li mandò ai ponti ed ai guadi della Dora. in modo da bloccare qualunque tentativo francese d'avvicinamen10 ad Avigliana. Richelieu allora decise di lasciar perdere i bei modi diplomatici e stabili di passare il fiume e attaccare il Duca, in quel momento a Rivoli con una consistente aliquota di forze. Era quanto Carlo Emanuele voleva: essere attaccato lo ~vincolava formalmente dalla convenzione di Susa senza potergli addossare la colpa d'averla infranta e ora poteva dichiararsi per la Spagna e domandarle aiuto. Lo fece, pubblicando al medesimo tempo un manifesto. in cui accusava Richelieu d"essere venuto in Italia sotto vesti falsamente amichevoli ad attaccarlo perché non si era staccato dall'alleanza coli' Imperatore. Inaspettatamente il Cardinale riuscì a volgere la situazione a proprio vantaggio ~pedendo Créqui a prendere Pinerolo di sorpresa. Il Conte di Scalenghe resse il più possibile nel castello, distrusse parecchi cannoni avversari ma, troppo inferiore in uomini e munizioni, il 31 marzo 1630. Domenica di Pasqua, si dovette arrendere. Ora il passaggio delle Alpi era in mano francese e i collegamenti non rischiavano più d·essere interrotti. Collalto e Spinola tennero un consiglio di guerra con Carlo Emanuele, ma non appoggiarono la sua richiesta d'aiuto per portare la guerra in Francia. Dopo la caduta di Pinerolo, alla Spagna appariva urgentissima la presa di Casale e ali' Austria quella di Mantova e non potevano distogliere truppe dai due assedi; i Piemontesi se la sbrigassero da soli. Ci provarono, con pessimi risultati a causa della disparità di forze. Combatterono a Bricherasio e ad Avigliana, persero Saluzzo e tutta la Savoia, dove Luigi XIII istituì una zecca e un tribunale come segni della sua potestà, conservarono la sola Montmélian assediata e rischiarono un'invasione francese dal Gran San Bernardo. 1•

C.BO'!TA, op. cit., Libro vigesimo, 1630, pag. 414.


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Concentrati i suoi a Savigliano. Carlo Emanuele si Ol,tinò a contrastare iJ passo ai Francesi e, cosl facendo, favorì gli imperiali neUa Lombardia orientale. Mantova era circondata e il ~uo Duca non sembrava troppo propenso a difenderla. I Veneziani, sempre più preoccupati, concentrarono un forte contingente a Valeggio, rinforzato da un corpo di 3.000 francesi, affidandolo al provveditore generale in Terraferma Zaccaria Sagredo col piano di occupare Villabuona. Marengo, San Brizio e Go110 per aprire la strada ai rifornimenti da inviare alla città assediata. Villabuona fu presa e protetta con trinceramenti di fortuna, mentre Sagredo ordinava a Luigi d'Este di spingere punte di cavalleria in avanscoperta. Poco fuori dell'abitato le pattuglie urtarono nelle truppe di Galasso e vennero respinte. I Tedeschi avanzarono e le fanterie aUeate si sciolsero davanti a loro, abbandonando Villabuona e ripiegando impaurite su Valeggio. Incerti sul da farsi i comandanti si consultarono; ma prima d'aver raggiunto una decisione, seppero che iJ panico si era diffuso e i soldati avevano cominciato a fuggire. Sagredo ordinò aUora di ripiegare su Peschiera per riorganizzarvisi. Mentre i reparti cominciavano a muoversi, arrivò Galasso; il panico riapparve e determinò la rotta dell'annata. La retroguardia veneta tentò di resistere e prevalentemente ad essa ~i dovettero I circa 400 tra morti e feriti persi dai Tedeschi; ma 3.000 veneziani e francesi rimasero sul terreno e non si parlò più di soccorrere Mantova. Liberatosi da qualsiasi pericolo alle spalle, Collalto organizzò un attacco notturno di i.orpresa. La notte dal 17 al 18 luglio 1630 mi~e in acqua al borgo di San Giorgio sei barconi. caricando un'ottantina di soldati su ognuno e mandandoli a verso la porta del casteUo. per impadronirsene e riparare il ponte su cui far passare la cavalleria. Mentre veniva lanciato un attacco diversivo contro Porta Pradella per attirarvi i pochi difensori, l'operazione dal lato del castello andò a meraviglia. La cavalleria entrò, il Duca riuscì a malapena a chiudersi nella fortezza di Porto. da cui per capitolazione uscl salvo e diretto nello Stato Pontificio. e la città fu presa e saccheggiata orribilmente. Di quello che era stato uno dei più ricchi scrigni d'arte d'Italia restarono solamente gli affreschi e le case; rutto il resto fu depredato o bruciato. Stupri di mas~a. tonure efferate e omicidi furono seguiti da casi di antropofagia, alla quale si abbandonarono i Tedeschi arrostendo alcuni cittadini. uccisi per divertimento dopo averli derubati e spogliati di tutto. Da Vienna l'Imperatore inorridito ordinò la cessazione delle violenze. Fu obbedito; ma l'armata si rifece raglieggiando l'infelice città e levandole tutto quel che poteva essere rimasto. Assicuratisi il terminale fluviale di Mantova. gli Asburgo non riuscirono però a prendere Casale difesa tenacemente dai Monferrini comandati dal Marchese di Rivara e dai Francesi del Conte di Toyras. In quel medesimo periodo morì Carlo Emanuele I, lasciando al figlio Vittorio Amedeo I uno Stato in sfacelo, distrutto dalla guerra, stretto dalla carestia e afflitto dalla peste. In queUe condizioni il Piemonte non poteva continuare la guerra. nè, del resto, i Francesi e gli Spagnoli erano interessati a proseguirla, visto che entrambi avevano avuto quanto volevano. Si passò ai negoziati. Alla Francia premeva mantenere le posizioni acquisite; la Spagna non era in grado di contestargliele militarmente e iJ Piemonte venne tacitato con uno scambio. Col trattato di Ratisbona Richclieu ottenne la permanenla di Carlo di Gonzaga-Ncvers sul trono mantovano. assicurandosi cosl il possesso indiretto ùi Casale, e, mediante clausole segrete e il ~uccessivo trattato di Cherasco, s'impadronì direttamente di Pinerolo e della Valle di Perosa. dando al Duca Vinorio Amedeo Alba. Trino e le 72 terre del Monferrato appartenute fino allora ai GonLnga. In questo modo la Francia aveva ristabilito la sua presenza in Italia. osteggiandovi quella asburgica. Formalmente era ribadita la dipendenza feudale di Mantova dall'Impero. ma in reahà Il Ducato, anuco e praticamente vassallo di Parigi. avrebbe chiuso agli Austriaci la pos-


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sibilità cli scendere via fiume nella Pianura Padana ed avrebbe alleggerito la pressione politica e militare degli Asburgo su Venezia. La Valle di Perosa e Pinerolo avrebbero consentito il transito immediato e sicuro alle truppe francesi ogni volta che fosse stato necessario contrastare la Spagna in Italia e, soprattutto. la guerra in Germania sarebbe stata influenzata molto meglio ora che da Pinerolo il Cammino cli Fiandra era minacciato da vicino e poteva essere tagliato facilmente. ln definitiva Richelicu era riuscito a spezzare la parte italiana dell'anello asburgico che circondava la Francia dai tempi di Carlo V. L'influenza francese era ristabilita nella Penisola e vi sarebbe cresciuta fino al pomeriggio del 7 settembre 1706.

VI) Intermezzo americano: i Napoletani in Brasile: 1625 - 1640 Nel 1582, con un semplice gioco di successione dinastica. il Re cli Spagna aveva cinto anche la corona del Portogallo aggiudicandosene le colonie e coinvolgendole nelle guerre combattute dalla Spagna. Allo scoppio della Guerra dei Trent'Anni era in vigore tra Olanda e Spagna un armistizio di dodici anni stipulato nel 1609; era però evidente che alla scadenza. visto quanto accadeva in Europa, gli Olandesi avrebbero colto l'occasione di depredare le ricche coste brasiliane. Infatti 1'8 maggio 1624 la squadra olandese di 26 vascelli con 1.600 marinai e 1.700 fanti avvistò Bahia, che gli Ispano-Portoghe~i. totalmente privi di cannoni, potevano difendere soltanto con un centinaio d'archibugicri e una sessantina d'arcicri indios. Ovviamente la città fu presa e saccheggiata il 10 maggio e, a differenza di quanto c1 si sarebbe potuto aspettare, le truppe non se ne andarono col bottino, ma rimasero per allargare e rendere stabile la loro dominazione. Incitati dal vescovo, i locali insorsero e diedero origine ad una feroce guerriglia contro gli occupanti, chiedendo aiuto alla Spagna; e gli aiuti vennero apprestati. Sessanta navi salparono da Cadice (e tra esse quattro appartenenti alla ~quadra di Napoli) portando 12.500 uomini, fra i quali gli 862 del Terzo di Torrecuso, cioè il reggimento napoletano del marchese Carlo Andrea Caracciolo di Torrecuso12, e altri 765 fanti e 416 marinai pure napoletani. I primi a sbarcare a Bahia il 31 marlO 1625, nei pressi del forte di Sant' Antonio, furono proprio i Napoletani del Terzo Torrecuso. Preparate rapidamente le piazzole per l'artiglieria e le trincee dal lato del convento di Sào Bento, nel pomeriggio del 5 aprile 1623 aprirono il fuoco. Distrutte alcune casupole che impedivano la visuale e l'ulteriore avvicinamentolJ, i Napoletani fecero del loro meglio per colpire gli Olandesi, perdendo complessivamente una decina di morti. L'assedio terminò il 30 apri le colla resa della città. Il 4 agosto le truppe della corona di Spagna si reimbarcarono per tornare in Europa e tutto sembrò rientrare nella nonnalità. Ma in Olanda si vedeva quella sconfitta solo come un incidente di percorso. La guerra dei Trent'Anni stava infuriando, la Spagna vi era coinvolta pesantemente e dall'An1erica spagnola si potevano ricavare merci pregiate e metalli preziosi. L'occasione non doveva essere tralasciata e non lo fu. Nel febbraio 1630 gli Olandesi tornarono e si impadronirono della Capitaneria di Pernambuco, di Olinda e Recife con un primo contingente di circa 300 uomini, saliti poi a 3.500. Le scarsissime forze colonfali spagnole si ritirarono nell'Arraial e attesero I rinforzi dall'Europa.

12 Forte di 39 ufficiali. un cappellano, un furiere maggiore, un tamburino e 820 uomini 13 Secondo alcune fonti la distruzione delle ca_,;e sarebbe stata dovuta al solda10 Michele Carrera, del Terzo Torrecuso, che da solo le avrebbe abbattute stando a 40 passi dalle mura. Sia vero o no. salvo erro re, in runa la storia militare nazionale questa sarebbe la prima citazione di un'azione d"un soldato sempli• ce italiano conosciuto per nome e cognome.


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La squadra reale arrivò in Brasile portando 300 napoletanil 4 e 400 spagnoli, con rifornimenti di vario genere, tutti agli ordini di Giovan Vincenzo Sanfelice. Questi, appena sbarcato. fortificò il Capo Siio Augustin, sulla costa sud di Recife, e si diresse rapidamente verso I' Arraial. Data l'esiguità delle forze a sua disposizione, si limitò a scontri di piccola entità, molestando e danneggiando a tal punto gli Olandesi da indurli ad evacuare Olinda e concentrarsi a Recife. lJ tradimento di un ufficiale brasiliano passato al nemico e l'arrivo di rinforzi dall'Europa allungarono il conflitto. I reparti spagnoli e italiani vennero assaliti di sorpresa a lgaracu da 500 olandesi e, in seguito, furono impegnati a Paraiba, a Cabo Frio e a Rio Formoso. Data la situazione, nell'agosto 1633 Sanfel.ice tentò invano di convincere il governatore di Pernambuco a lasciare I' Arraial per concentrare le truppe nelle fortificazioni di Capo Slio Augustin, più facili da collegare alla Spagna. Non se ne fece nulla; e per di più nel corso del 1634 cominciarono pure a diminuire i rifornimenti mandati dall'Europa, parte dei quali oltretutto nemmeno giungeva a destinazione perché veniva intercettata dalla flotta nemica. Convinti di poter vincere facilmente un nemico indebolito e fiaccato dalle diserzioni, il 9 marzo 1635 gli Olandesi assalirono sia Capo Siio Augustin che l'Arraial, entrambi difesi dalle truppe napoletane. Tutti gli attacchi furono respinti. Però il rischio corso era stato così grande da indurre gli Spagnoli a spostarsi a Villa Formosa de Serinhaém e occupare la penisola fluviale di Porto Calvo con una colonna di 200 uomini, al comando del medesimo Sanfelice, per prevenire la dedizione degli abitanti agli Olandesi. Ma 600 fanti nemici erano già arrivati e, per non perdere i collegamenti con Bahia, gli asburgici, ridotti a soli 300, dovettero ripiegare, portando con sè 8.000 civili che non volevano sottostare alla dominazione olandese. Il 30 novembre 1635 arrivò a Lagoa una flotta di soccorso composta da navi spagnole, portoghesi e napoletane, con a bordo il nuovo Mastro di Campo Generale Rojas Borjia, 1.200 uomini, 12 pezzi d'artiglieria e altri rifornimenti. Unitosi ai pochi difensori rimasti e inviati 700 uomini a Bahia, Rojas si stabilì a Jaguara e decise di impiegare l'imminente campagna nella riconquista di Porto Calvo. L'operazione, fortemente sconsigliata da Sanfelice, riuscì parzialmente. Rojas riuscì a prendere Porto Calvo, ma dopo averla fortificata decise di procedere ancora nel territorio occupato dal nemico, fu accerchiato a Matta Redondas e vi trovò la sconfitta e la morte. La carica di Mastro Generale di Campo e comandante delle truppe del Re passò a Sanfelice. L'incarico era onorifico e pesante. La campagna seguente si apriva sotto previsioni tutt'altro che favorevoli. Gli Olandesi controllavano un territorio di 400.000 chilometri quadrati e avevano a disposizioni potenti forze navali e terrestri. Da parte spagnola invece non solo mancavano i rifornimenti per le scarse truppe di terra - I .500 uomini di massa di manovra più altri l.500 circa fra lndios e guarnigioni - ma non si riusciva neanche a coordinarne l'impiego con quello della flotta. Sanfelice decise di cominciare col costruire una nuova fortezza a Porto Calvo, fino a quel momento protetta da una catena di fortini per i cui presidi occorrevano centinaia di uomini e la cui efficacia era assai dubbia. ln tre mesi il lavoro fu ultimato, dopodichè fece occupare parecchi luoghi strategicamente rilevanti e ben difendibili lungo quella che ormai poteva essere considerata la frontiera fra il Brasile spagnolo e quello olandese. Stabiliti così i punti fermi di resistenza, ricominciò la guerriglia contro gli Olandesi, attaccandoli al Rio de las Pedras, al Capo, a Barra Grande, Recife, Gojana, San Lorenzo, Villa Formosa e Paraiba e mettendoli rapidamente in crisi. Anche per rimediare a questa situazione il 23 gennaio 1637 arrivò dall'Olanda il nuovo governatore generale Maurizio di Nassau, alla testa d'un contingente di 2.300 uomini. Appena possibile organizzò un attacco alle truppe spagnole. Non riuscì a distruggerle. ma almeno le 14 Quasi rutti veterani della precedente spedizione.


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ridusse a poco più di 800 uomini privi di cannoni e le costrinse ad evacuare Porto Calvo in di rezione d i Bahia. souo la protezione d'un esigua retroguardia, lasciata nella fortezza con munizioni e viveri per tre mesi. Ma gli Olandesi si limitarono a raggiungere il fiume San Francisco, consentendo alle forze di Sanfelice di raggiungere Bahia il 15 dicembre 1637. li 7 marzo 1638 il governatore di Bahia De Silva venne avvisato che, come Sanfelice gli aveva predetto e andava ripetendo da tre mesi, gli Olandesi si stavano preparando ad assalire la città. Le forze spagnole, napoletane e indigene ammontavano complessivamente a poco più di 2.500 uomini e le fortificazioni non erano nel loro stato migliore. Sanfelice venne chiamato d'urgema e gli fu demandata la non facile difesa. Guidati da Maurizio di Nassau, 1'8 aprile circa 5.000 olandesi sbarcarono qualche chilometro a nord della ciuà e le si avvicinarono prudentemente, con grande spiegamento di pattuglie in avanscoperta. Sanfelice li lasciò avanzare tonnenrandoli con attacchi continui e improvvisi sui fianchi e in retroguardia. Arrivati davanti a Bahia i nemici cominciarono ad aprire le trincee d'assedio, ma progressivamente dovettero preoccuparsi di proteggersi anche i fianchi e le spalle dalle puntate offensive di Sanfelice e, in breve tempo, da assedianti s i trovarono assediati. Per sbloccare la situazione. il 18 maggio 1638 Maurizio di Nassau ordinò un assalto generale con 3.000 uomini perdendone 500 e non riuscendo a concludere nulla. La mattina del 19 chiese una tregua, che gli fu concessa e, approfittando di essa, nella notte dal 25 al 26 maggio reimbarcò le tntppe e tornò a Pemambuco. Nel gennaio del 1639 arrivò la flotta. allestita in Spagna appena era stata appresa a Madrid la notizia della minaccia olandese su Bahia dell'anno precedente. Scontratasi il 19 di quel mese con quella olandese fu distrutta e non permise di infliggere al nemico la sconfitta decisiva necessaria a risolvere la guerra. Il conflitto quindi si trascinò ancora per anni; ma per quanto riguardava sia Sanfelice che i Napoletani. terminò colla fine del 1640, quando il Portogallo insorse contro la Spagna. i Braganza risalirono sul trono di Lisbona e ripresero il dominio del Brasile, imponendo il rimpatrio di tutte le truppe dipendenti dalla corona del Re Cattolico.

Vll) Il terzo effetto della guerra in Italia: La seconda guerra della Valtellina: 1635 - 1639 Nel novembre 163 l finalmente la disputa fra Genova e P iemonte venne risolta a Madrid: i due contendenti avrebbero dovuto restituire le terre. le artiglierie e i prigionieri presi al nemico, nella guerra del 1625; Zuccarello sarebbe rimasta alla Repubblica coll"obbligo di pagare al Duca 160.000 scudi d'oro: e tutti i beni feudali e allodiali sarebbero dovuti tornare ai legittimi proprietari. U malcontento delle due parti in causa venne liquidato dall'arrivo in Italia del Cardinal Infante. diretto in Germania per la guerra, che si fermò abbastan7a da convincere Duca e Senato. Ma poiché la Superba si fidava poco, nel 1633 portò a termine rimponente opera difensiva incominciata nel 1630, costituita dalla quarta cinta di mura che, a differenza delle prime tre. circostanti la città, si estese sui monti per 8 miglia - 14 chilometri e meno- dal promontorio della Lanterna alla Val Bisagno. Non fu wrn precauzione inutile, perché di lì a poco la guerra riapparve nell'Italia Settentrionale. Infatti nel 1635 !"intervento francese nell'ultimo periodo della guerra dei Treni' Anni riaprì la questione della Valtellina dove si ricominciò a combattere, perché per la Francia era essenziale impedire l'afflusso di rinfor.d spagnoli in Germania. Richelieu aveva preparato bene il terreno, avviando contatti con i Principi italiani, tutti meno il Duca di Modena - ben felici di avere un appoggio contro la preponderanza spagnola e si preparava a vibrare il colpo.


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L'll luglio 1635 le abili mosse diplomatiche del Cardinale portarono alla firma del trattato di Rivoli, col quale i Duchi di Parma, Mantova e Savoia si aHeavano alla Francia col fine dichiarato di far guerra alla Spagna e prenderle la Lombardia, lasciando agli altri Principi italiani la facoltà d 'accedere al trattato stesso. Venivano messi in campo 28.500 uomini, destinati ad essere incrementati di un quarto in caso di arrivo in Italia di rinforzi imperiali dalla Germania. Parigi avrebbe fornito 12.000 fanti e 1.500 cavalieri destinati a operare in Valtellina, Mantova 3.000 fanti e 300 cavalieri, Parma 4.000 dei primi e 500 dei secondi, Torino infine 6.000 e 1.200; Vittorio Amedeo di Savoia avrebbe avuto il comando in capo, coadiuvato da un generale francese. Ovviamente Richelieu - tramite l'ambasciatore straordinario Giulio Mazzarino - largheggiò in promesse territoriali, specialmente con Vittorio Amedeo, al quale promise la corona di re di Lombardia, a condizione di trattenere per la Francia il Lago Maggiore e di prendere in Piemonte parecchie terre - Cavour, Revello e le valli di Lucerna, San Martino e Angrogna confinanti col territorio francese. Al Duca di Mantova sarebbe andato il Cremonese in cambio della cessione del Monferrato alla Francia e della provincia d'Alessandria ai Savoia; al Duca di Parma infine venne promesso ampio compenso nel Milanese, a condizione che tutto rimanesse segreto. Pur se minacciosa, la situazione era ancora di pace e non si vedeva in Italia un motivo per farla precipitare verso la guerra. Di fatti il casus belli si verificò in Germania e in due tempi. Prima gli Austriaci si impadronirono di Philippsburg, l'importante fortezza renana in quel momento in mani francesi, poi gli Spagnoli - o meglio: le truppe italiane e spagnole che il Cardinale Infante aveva portato con sè dall'Italia - presero di sorpresa l'Elettorato di Treviri e, davanti ali' acuirsi della preponderanza asburgica in Germania, la Francia scese in campo. La prima mossa di Luigi XIII, o meglio di Richelieu, consistè nell'invio in Valtellina d'un esercito di 8.000 fanti e 4.000 cavalieri, comandato dal Duca di Rohan e preceduto da 1.400 Grigioni, che alla fine di marzo del 1635 occupò la Valle e interruppe il Cammino di Fiandra. Il Cardinale Albomoz, governatore dello Stato di Milano, ordinò al Sergente Generale MoLina di porsi sul confine comasco con una piccola aliquota di forze e destinò i 6.000 uomini del grosso a fortificarsi nella zona di Fuentes sotto gli ordini del conte Giovanni Serbelloni. mentre scendevano dal Trentino gli oltre 13.000 imperiali del Conte di Fernamont. Dopo aver costretto i Franco-Grigioni a ritirarsi a Bormio e poi ancora a Tirano, il 13 giugno Fernamont entrò a Bormio e la saccheggiò, pur trattandosi di una città asburgica. Ma Rohan lo contrattaccò e battè nei pressi di Livigno, puntando poi su Mazzo, dove lo distrusse del tutto, recuperando la Valtellina e reinterrompendo il Cammino di Fiandra. lntanto al principio dell'estate erano arrivati in Piemonte 12.000 fanti e 2.000 cavalieri francesi agli ordini del Maresciallo di Créqui, che si erano uniti ai 13.000 fanti e 3.ooo,s cavalieri messi complessivamente in campo da Parma e Torino. Aggiungendo ad essi l'esercito veneziano che s'era andato ammassando sul confine lombardo, di nuovo la situazione del Milanese era sembrata disperata. La buona stella della Casa d'Austria volle la salvezza della Lombardia spagnola: Créqui si mosse lentamente e si limitò ad andare ad assediare Valenza, mentre Odoardo Farnese tempestava inutilmente per convincerlo a compiere scorrerie in tulio il Ducato e minacciare la medesima Milano. Gli Spagnoli ebbero quindi tutto l'agio di infilare nella piazza ben 4.000 uomini al comando del Marchese di Celada. Deciso a muoversi, Odoardo Famese assalì il nemico a Pontecurone il 3 settembre 1635 e lo sbaragliò, uccidendone il comandante don Gaspare de Azevedo e puntando poi anche lui su Valenza.

15 Erano 8.000 fanti e 2.000 cavalieri sabaudi e 5.000 fanti. 1.000 cavalfori e 4 pezzi d 'artiglieria par-

mensi.


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Stretta dai Francesi, dai Parmensi e, con tutta calma, da circa 5.000 Piemontesi comandati dal Marchese Villa, la città perse subito il fortino situato suJl'altra riva del Po. Ma il più completo disaccordo regnava fra Vittorio Amedeo, Créqui ed Odoardo, ragion per cui l'assedio non progrediva, nonostante gli ottimistici messaggi inviati a Parigi daJ Maresciallo, secondo il quale la piazza sarebbe caduta nel giro cli due settimane. Nel frattempo la macchina militare spagnola aveva cominciato a girare a pieno ritmo e le truppe di rinforzo stavano arrivando in Lombardia da Napoli e daJla Spagna stessa. Il Cardinale Albornoz venne sostituito dal Conte di Leganes e i rinforzi furono divisi fra VaJenza e Fucntes. mentre l'Imperatore ripianava le perdite di Femamont coll'obiettivo di attaccare congiuntamente i Francesi in Valtellina in novembre. Ma Rohan li anticipò e li battè separatamente, Femamont a Fraele e Serbelloni a Morbegno, riuscendo a raggiungere l'interruzione invernale delle operazioni ancora padrone della Valle. Non andò aJtreuanto bene in Piemonte. Oli Spagnoli decisero di compiere una mossa diversiva erigendo un forte in Lomellina di fronte al resto delle truppe sabaude non impegnate nell'assedio di VaJenza, calcolando di attirare là cospicui rinforzi francesi e pannensi. Identificato il posto migliore nella zona tra Frascarolo e il Po. in ventiquattr'ore prepararono il forte e lo munirono d'artiglierie. Subito, come previsto, Francesi e Pannensi, questi ultimi assai indeboliti dalle diserzioni, si precipitarono sul posto, temendo che un attacco vittorioso laggiù potesse aprire agli Spagnoli la via di Valenza. Tenuto consiglio di guerra, Vittorio Amedeo insistè per dare battaglia a dispetto dei dubbi degli altri comandanti e avanzò avendo Créqui in avanguardia e Odoardo in retroguardia; ma la battaglia terminò con un nulla di fallo e molti sospetti sulla condotta del Maresciallo francese. Nel frattempo, approfittando della riduzione delle truppe assedianti, Ludovico Ouasco aveva potuto introdurre a Valenza una colonna cli rinforzo di 500 uomini e parecchie munizioni, passando fra il settore francese e quello parmense. Pochi giorni dopo gli Spagnoli assalirono il fortino esterno, dal giorno prima presidiato dai francesi per ordine di Viuorio Amedeo, e lo presero rapidamente, destando nuovi, reciproci e maggiori sospetti di intelJigenza col nemico. Aggiungendo a questi fatti lo scarso progresso fatto, l"inefficacia del tiro d'artiglieria sulle fortifica1ioni cittadine e le vicine piogge autunnali, i collegati levarono l'assedio dopo cinquanta giorni di trincea aperta e si ritirarono. La ripresa della campagna nella primavera del 1636 vide Piemontesi e Francesi di nuovo in apparente buon accordo e pronti a operare, privi però dell'appoggio di Odoardo Farnese perché il suo esercito si era sbandato completamente durante la ritirata da Valenza. L'obiettivo stavolta era il Duca di Modena. contro il quale venne inviato il Marchese Villa con un forte contingente piemontese. Leganes gli andò incontro sulla Scrivia per interdirgli il passo, ma la sua preponderanza numerica fu sopraffatta dalla maggiore abilità tattica di Villa, che poté entrare nel Parmigiano - aJleato - attraversarlo e raggiungere Castelnuovo di Reggio, primo centro modenese ad essere preso e, come aJ solito, saccheggiato. Il Duca di Modena reagì approntando un esercito di 4.000 fanti e 1.000 cavaJieri, affidandone il comando a suo zio Luigi d'Este e incrementandolo con 4.000 spagnoli mandatigli da Leganes ~ubito dopo la sconfitta dello Scrivia. Villa si rimise in movimento e si spostò, cosicchè i due eserciti si scontrarono sulla strada che da Parma va aJ fiume Enza e nuovamente la capacità tattica del marchese piemontese ebbe ragione del maggior numero degli avversari. Gli scontri successivi si locaJizzarono nel Piacentino, a cavallo del Ticino, con finte e contromosM: di vario genere fino alle sponde del Lago Maggiore. Il 22 giugno I636 a Tornavento si ebbe una battaglia di grande risonanza e di nessun effetto strategico, dopo la quale però gli Spagnoli colsero l'occasione di neutralizzare Parma mediante trattative. Ciò fatto e resisi sicuri suJ fianco sinistro, gli Spagnoli aprirono la campagna del J 637 entrando in Piemonte e nel Monferrato. Gli Alleati li ostacolarono il più possibile e la guerra si


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spezzettò in piccoli scontri fino a quando, nella seconda quindicina di settembre, i Piemontesi non colsero l'occasione di uno scontro campale a Monbaldone, dove il Marchese Villa distrusse le truppe nemiche di don Martino d'Aragona. A quel punto la guerra subì una battuta d'arresto perché si ammalarono sia Villa che Vittorio Amedeo, ma il primo guarì, mentre il secondo morì il 7 ottobre 1637 per una febbre terzana perniciosa e precipitò il Ducato nel caos. lasciando il trono al figlio maggiore, il cinquenne Francesco Giacinto, e la reggenza a sua moglie che, ricordiamolo, era sorella di Luigi XIU. Per la Francia la questione della Valtellina si era chiusa con un sostanziale scacco, ragion per cui era necessario mantenere le posizioni acquisite in Italia e, se possibile, allargarle. Di queste la più importante sotto il profilo strategico era Pinerolo. Infatti se il proseguimento della seconda guerra per la Valtellina era stato importante, il controllo del Ducato di Savoia, padrone dei valichi alpini era fondamentale per l' invio di truppe in Italia, ragion per cui la reggenza doveva restare a Madama Reale con tutto l'appoggio francese. Contro di essa si erano infatti levati i due fratelli minori del defunto Duca, il principe di Carignano Tommaso e il cardinal Maurizio il quale, con molte ragioni rifacentesi alla tradizione di Casa Savoia, protestava che la reggen1,a toccava a lui e non alla cognata, citando precedenti risalenti al Medioevo e fornendo al fratello e alla Spagna un minimo fondamento giuridico sul quale appoggiare l'aiuto che gli avrebbero dato, o meglio la lotta che avrebbero potuto intraprendere contro la Duchessa. A complicare le cose anche Francesco Giacinto morì e rimase in vita l'unico altro figlio di Vittorio Amedeo, Carlo Emanuele, di 4 anni. Solo lui si frapponeva agli zii sulla via del trono e, data l'età, non era improbabile che seguisse il fratellino in Cielo, lasciando ai Principi il trono in terra. Entrambi erano sostenuti dalla Spagna e, a parte il fatto che Tommaso nel 1632 aveva lasciato la Luogotenenza generale delle armi di Savoia per trasferirsi in Fiandra come Capitano Generale dcli 'esercito spagnolo 16, la scelta appariva facile proprio per l'appartenenza di Madama Reale alla Casa di Francia. Ma le cose non erano tanto semplici come sembravano perché in realtà Leganes sperava di strappare la Savoia all'alleanza francese proprio convincendo Cristina di Francia; e solo se avesse fallito avrebbe tentato altre vie. Era incoraggiato in questo dal mutevolissimo atteggiamento diplomatico della Reggente, la quale a sua volta si rendeva conto benissimo tanto delle mire spagnole quanto del pericolo della reazione francese e cercava di tenersi almeno nella neutralità. Tale scelta sarebbe anche andata bene alla Spagna; ma proprio per questo non lo sarebbe andata alla Francia; e dal Louvre si premeva per il mantenimento a rutti gli effetti dei legami francosabaudi. In questo intricatissimo balletto d'interessi, in cui diplomatici, ecclesiastici, militari e cortigiani spagnoli, piemontesi, francesi e milanesi si spiavano e si muovevano occultamente, cambiando posizione dal mattino alla sera. ora amici della Spagna, ora devoti della Francia, ora svisceratamente piemontesi, ora chissà cosa, piombò il fulmine dell'ultimatum con cui Richelieu intimava alla Duchessa di attenersi ali· alleanza stipulata dal suo defunto marito e di unire le proprie truppe a quelle francesi per la continuazione della guerra in Lombardia. Cristina temporeggiò e cercò una scappatoia, allegando la disastrosa situazione del Piemonte e la scarsezza di riserve alimentari e facendo appello ai migliori sentimenti del fratello. Luigi XIIl avrebbe anche condisceso, Richelieu no e fece sapere a Torino che la guerra sarebbe proseguita comlmque: decidesse la Duchessa se farla da amica o da nemica. Intanto Créqui aveva deciso d'approfittare della situazione e tentato d'intrufolare una guarnigione francese a Vercelli; ma Villa, guarito, l'aveva prevenuto. Allora l'ambasciatore francese Lemery aveva cercato di porre il Ducato sotto il diretto dominio del Cristianissimo mediante l'arresto della Duchessa e dei suoi figli a Torino; ma Villa e il Marchese di Pianezza l'ave-

16 Tra i vari motivi che addusse per giustificare le proprie dimissioni, il principe Tommaso pose quello della privazione del comando della cavalleria in favore del fratello, don Felice di Savoia.


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vano saputo in tempo e, allarmata la guarnigione, avevano impedito ai Francesi ringresso in città. Spaventata da queste mosse e posta colle spalle al muro dall'ultimatum del Cardinale, Cristina convocò tutti i suoi consiglieri e insieme decisero di tener fede alla vecchia aUeanza con Parigi: quanto meno avrebbero evitato la devastazione del Piemonte ad opera dei Francesi e, forse, con una campagna vittoriosa, sarebbe riusciti a sfuggire a queUa degli Spagnoli. Ma Lcganes era sul chi vive e, prima di quanto non ci si aspettasse, entrò in Piemonte colle sue truppe e ordinò di assalire Breme; Créqui andò a soccorrerla ma vi restò ucciso da una cannonata e la fortelZa si arrese. Vittoriosi. gli Spagnoli puntarono su Vercelli, difesa dal Marchese di Dogliani. genero di Villa. che contrastò il nemico con numerose sortite senza ricevere grande aiuti dai Francesi. Accortisene, gli assedianti aumentarono gli sforzi e i mezzi; mine e cannoneggiamenti si susseguirono senza posa, riducendo le mura a macerie finchè, venuti a mancare i viveri, Dogliani ottenne la resa con tutti gli onori militari e colla facoltà di traslare da Vercelli la salma di Vittorio Amedeo I. Intanto la posizione dei Francesi era peggiorata anche in Valtellina, dove il malcontento popolare era cresciuto tanto da obbligare Rohan ad evacuarla a partire dal 5 maggio 1637. Naturalmente questo lasciava campo libero ai protestanti Grigioni, cosa di cui i cattolici Valtell inesi si resero conto in ritardo. Si accordarono per chiedere la mediazione spagnola e spedirono i rispettivi rappresentanti a Madrid. Filippo demandò la questione ad un apposito consesso, il quale diede parere favorevole al ritorno della Valle ai Grigioni alle condizioni stabilite in passato a Monzon, purchè dessero ogni garanzia di salvaguardarvi la Fede Canolica. l Grigioni accettarono e, dopo mesi di trattative. la questione fu risolta col trattato di Milano del 3 settembre 1639. che pose fine alla guerra e rese loro la Valle; l'avrebbero conservata fino al 1815. quando avrebbero domandato ed ottenuto d ·entrare a far parte del Regno Lombardo-Veneto.

VIII) Il quarto effetto della guerra in Italia: la guerra dei Principisti e dei Madamisti: 1637 - 1640 Chiusa la questione tra i Grigioni e la Spagna, restava aperta quella fra la Spagna e la Francia, col Piemonte a rimorchio. La situazione interna di quest'ultimo peggiorava a vista d'occhio. La popolazione e si mostrava sempre più ostile alla Duchessa, grazie alla propaganda del partito principista. il quale l'accusava d'aver chiesto l'intervento francese solo per mantenersi sul trono a scapito del figlio. li 3 gi ugno 1638 Madama Reale confermò e perfezionò l'alleanza francese e questo acuì le mormorazioni contro di lei. accentuò le attenzioni spagnole verso i Principi e indusse Madrid a conceder loro l'appoggio militare. fino allora fatto balenare ma non dato. per scalzare la cognata dal trono. Richelieu reagl inviando truppe in Italia, scrivendo all'ambasciatore a Roma di tentare di riconciliare il Cardinale di Savoia colla Francia e mettendo in movimento per lo stesso scopo anche Mazzarino e il Cardinal Bagni, a condizione però di non coinvolgere il Papa o i Barberini. i quali in quel momento erano tornati a pendere per la Spagna. Da Parigi piovvero promesse grandiose su Maurizio di Savoia; ma lui non se ne diede per inteso e partl segretamente per il Piemonte alla fine d'ottobre del 1638 17• Lo precedeva una congiura per mettere nelle sue mani Carmagnola e Torino. Le truppe spagnole erano già in moto col grosso verso Asti e 2.000 cavalleggeri su Carmagnola

17 In quest'atmosfera di inimicizia tra tilofrancesi rnadamisti e principisti. il 30 agosto 1638 si svol-;e a Crevacuore una ripetizione della disfida di Barle11a. combattuta da 30 cavalieri italiani contro 30 cavalieri francesi. che furono sconfitti.


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LI Cardinale era ormai a Chieri e a Torino lo si credeva ancora a Roma quando, il 17 novembre, la congiura fu svelata alle autorità ducali e cominciò la repressione. Maurizio di Savoia fuggì a Milano; gli Spagnoli decisero di non potersi fidare delle sue capacità come militare e chiamarono Tommaso dalle Fiandre per metterlo alla testa delle truppe. Questi giunse al principio del 1639, si consultò col fratello e con Leganes e, d'accordo, dopo alcuni segnali di pace fatti alla cognata, le fecero giungere un monitorio con cui l'Imperatore, nella sua qualità di signore dcli' Alta Italia, le ordinava, come sua feudataria, di sciogliersi dall'alleanza francese. La mossa era politicamente pessima, specie per l'avvenire della Casata perché consentiva a Vienna d'esercitare su Torino un'autorità di cui era meglio dimenticare l'esistenza. Ad ogni modo i Principi non si preoccuparono del futuro e il 17 marzo 1639 raggiunsero un accordo con Leganes, ottenendone l'appoggio militare per divenire reggenti in nome del nipote. Avrebbero presidiato le piazzeforti che si sarebbero date loro spontaneamente, la Spagna quelle prese mediante assedio e al momento della pace si sarebbe deciso se se le sarebbe tenute o no. Il passo seguente dei Principi consistè nel chiedere alla cognata di esserle associati nella Reggenza. Cristina di Francia reagì con un bando di chiamata alle armi rivolto a tutto il popolo e chiese aiuto al fratello ed al suo ministro. Jntanto gli Spagnoli avevano passato il confine e s i erano diretti a Cencio, un piccolo castello nel retroterra di Savona, dal quale però si dominavano le Langbe e si controllava il Cammino di Fiandra nel tratto dal Finale al Ducato di Milano. Prendendolo, Leganes contava pure di attirare nella zona le truppe francesi e sabaude, facendo loro sguarnire le linee difensive settentrionali e semplificando le operazioni delle truppe dei Principi. La manovra funzionò a perfezione. I Francesi accorsero e sguarnirono il fronte nord; il principe Tommaso uscì da Vercelli con 2.000 moschettieri a cavallo, passò la Dora Baltea e prese Chivasso senza il minimo spargimento di sangue, accolto con grandi acclamazioni dai cittadini. Allora i Francesi piantarono in asso Cencio, che si dovette arrendere agli Spagnoli, e corsero verso nord per arrestare il nemico sul Po. Di fronte al giubilo dei Torinesi per l'imminente arrivo dei Principi, la Duchessa si spaventò e fece riparare il piccolo Carlo Emanuele a Chambéry. Per sua fortuna Tommaso non si credeva abbastanza forte per assediare la città e si rivolse contro il Canavese, dove sapeva di avere molti seguaci disposti ad arruolarsi sotto di lui: infatti fu una passeggiata. Raggiunta dalla notizia, Madama Reale il 17 aprile scrisse a Luigi XIIl invocandone r aiuto. Aveva perso sei provincie e sette piazzeforti e la capitale stessa era gravemente minacciata. Richelieu non aspettava di meglio. Cambiò ambasciatore, sostituendo a Torino Lemery con Chavigny, e fece sapere alla Duchessa che la condizione basilare per l'intervento consisteva nell'immissione di guarnigioni francesi nella maggior pane delle piazze rimaste libere. Chavigny, fedele alle istruzioni ricevute. presentò la richiesta come l'unico modo per allargare la questione, facendo intervenire il Papa e gli altri Principi italiani in modo da provocare una pressione diplomatica tale da costringere la Spagna a restituire tutto a Madama Reale. Conscia dell'ipocrisia della proposta e dei suoi veri scopi, ma non in grado di reggere colle sole proprie forze l'urto dei Principisti e della Spagna. il 1° g iugno 1639 Cristina accettò l'introduzione delle truppe del Cristianissimo fratello a Savigliano, Cherasco e Carmagnola: le rimaneva a malapena Torino. In cambio Luigi XIII s'impegnava a far guerra alla Spagna e ai Principi finchè non avessero restituito tutte le piazze piemontesi; a pace fatta avrebbe reso alla sorella quelle occupate precauzionalmente dai suoi soldati. L. esito del trattato fu disastroso perché fornl esca al fuoco della propaganda principista: la Duchessa svendeva lo Stato ai Francesi! E nove altre piazze si buttarono dalla parte dei Principi. Poi, per migliorare le comunicazioni principiste tra Vercelli e Ivrea, fu assediata Santhià. Da Torino partirono per soccorrerla 8.000 fanti e 4.000 cavalieri tra Madamisti e Francesi. La Dora ingTossata impedì loro d'arrivare in tempo e la piazza si arrese. Ma Villa e La VaJette, comandante francese, non tornarono indietro e si voltarono al recupero di Chivasso.


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Lcganes non si senti abbastanza forte da soccorrerla e il governatore Sabac, tedesco, ottenne nella capitolazione della città l'impunità per i soldati suoi conterranei, abbandonando quelli francesi e piemontesi al massacro da parte dei vincitori. Poi i Marchesi Villa e di Pianezza cominciarono a recuperare terreno alla Duchessa, riprendendo Bene, Racconigi, Saluzzo e Mondovl. Ricevuti 4.000 francesi in rinforzo, decisero di assediare Cuneo e catturare il Cardinale di Savoia che vi risiedeva Tanto facilmente la città s'era data ai Principi quanto strenuamente ora si difendeva; e mentre i Madamisti vi si affaticavano sotto, i Principisti mossero finalmente da Asti su Torino. Francesi e regolari ducali abbandonarono l'assedio e si precipitarono a guarnirla. Ma nella notte del 27 agosto 1639 Tommaso di Savoia vi arrivò di sorpresa alla testa dell'avanguardia di 1.000 fanti e 2.500 cavalieri. seguito da un altro contingente di 4.500 fanti e 400 cavalieri, sopravvalutato dagli avversari a 12.000 uomini, mentre Leganes restava in campagna con altri 15.000 fra Napoletani, Spagnoli, Milanesi e Tedeschi. Presa facilmente la città nonostante gli errori commessi dai comandanti spagnoli e napoletani delle quattro colonne d'attacco. Tommaso accolse a militare sotto le proprie insegne circa 3.000 volontari cittadini e piazzò le batterie per assediare i Madamisti rinchiusisi nella cittadella. I Francesi rimasero disorientati. Ne approfittò il cardinale Maurizio per impossessarsi di Nizza e ottenere una tregua di due mesi per negoziare. Del resto neanche la situazione sua e del fratello era delle migliori perché la cittadella di Torino non si era arresa subito e andava assediata. Ai sensi degli accordi pres i con Lcganes. una volta presa sarebbe toccata alla Spagna: ma si poteva conservare un trono con una guarnigione straniera nella cittadella della capitale? Tommaso fece del suo meglio per ottenere una deroga; il Governatore di Milano non volle cedere. La situazione rimase indecisa. Richelieu mosse le acque convincendo la Duchessa a recarsi a Grcnoble per conferire con Luigi Xlii lasciando la cittadella di Torino in mano a un comandante francese e restando cosl colla sola Montmélian. dove si trovava il piccolo Carlo Emanuele. Era il primo passo verso l'assorbimento del Piemonte da parte francese. Il seguente consistè nell'offerta avanzata da re Luigi di assumersi la protezione del nipote facendolo venire in Francia e mettendo due sue compagnie a Montmélian. Una volta tanto Madama Reale resistè. Si rendeva conto benissimo che ciò avrebbe significato la fine del Piemonte e ordinò al governatore della forte:ua di non farvi entrare altro che truppe ducali, prima d'andare a incontrare il fratello a Grenoble. Tutte la manovre di Richelieu stavolta non valsero a raggiungere il fine desiderato. I cortigiani piemontesi resisterono a qualunque lusinga e minaccia, la Duchessa non cedè e poté tornare a Chambéry con un minimo d'indipendenL.a. Alla Francia non restava che riprendere la guerra e tenere almeno quel che aveva. Cominciò il nuovo comandante francese d'Harcourt coll'impadronirsi di Chieri pensando di servirsene come base di partenza per rifornire e poi liberare Casale. Ma Leganes lo circondò e gli impedl iI vettovagliamento con tante scorrerie da ridurlo alla fame e costringerlo a levare il campo la notte del 20 novembre.. L'inverno interruppe le operazioni dovunque tranne che sotto la cittadella di Torino. Fazioni e tentativi si susseguirono fino a primavera, accompagnando col loro strepito le pigre trattative fra le due parti. Presto apparve chiaro che ftnchè la cittadella fosse rimasta almeno nominalmente in suo possesso, mai Cristina di Francia avrebbe accettato qualunque negoziato serio. Per questo i Principi di Savoia decisero di accentuare lo sforzo a partire dalla primavera. D'altra parte Lcganes ritenne più vantaggioso per la Spagna acquisire Casale, separò le sue truppe - 15.000 fanti e 4.000 cavalieri - da quelle principiste e 1'8 aprile 1640 cominciò le operazioni per conquistare una buona volta la città.


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Davanti al doppio pericolo Richelieu ordinò di muoversi. D'Harcourt alla testa di 7.000 fanti e 3.000 cavalieri tra Francesi, Piemontesi e Monferrini marciò col Marchese Villa al soccorso di Casale; il 29 aprile attaccò. Tre assalti furono respinti, il quarto ebbe successo. Nonostante la disperata resistenza guidata dal Marchese di Caracena e dal napoletano don Carlo della Gatta, l'esercito spagnolo fu battuto perdendo 1.800 prigionieri, 18 cannoni, 24 bandiere e 3.000 morti18 e si dovè ritirare a Pontestura. Adesso sarebbe toccato a Torino. D'Harcourt era indeciso: aveva 10.000 uomini contro i circa 6.500 regolari e 3.000 cittadini di cui disponeva in quel momento Tommaso di SavoiaCarignano19 e gli sembrava poco opportuno andare ad assalirli con forze pari sapendo che erano protetti da mura e che l'esercito spagnolo, per quanto indebolito, poteva sempre sorprenderlo alle spalle. Nel consiglio di guerra tenuto a tale proposito prevalse il parere del comandante della cavalleria, il signor visconte cli Turenna, che di lì a poco sarebbe divenuto uno dei maggiori capitani del XVII secolo e di tutta la storia di Francia. Si doveva assediare Torino perché la sua occupazione avrebbe costituito il vantaggio decisivo per le sorti della guerra, nonostante i grandi rischi da correre: la Duchessa avrebbe riavuto la sua capitale, i Principi sarebbero stati battuti e il risultato morale sarebbe stato immenso.

IX) L'assedio di Torino: uno, triplo e inf"me quadruplo

D'Harcourt marciò verso Torino e il 10 maggio le sue truppe la circondarono, sbarrarono ogni accesso terrestre e fluviale e cominciarono uno dei più singolari assedi della storia. la cui fama però sarebbe stata oscurata dal quello più famoso del 1706. li principe Tommaso aveva provvisto la città di viveri per tre mesi. Ma erano poche le munizioni e, per disgrazia, i nemici arrivarono prima dell'atteso e necessario convoglio di polvere e palle condotto dal principe Luigi d'Este. Bloccato dal nemico, l' 11 maggio Tommaso chiese l'avvicinamento dell'esercito spagnolo. Leganes l'accontentò con calma - aveva bisogno d'una decina di giorni per riorganizzarsi dopo la sconfitta di Casale - e avanzò fino alla confluenza del Sangone nel Po. A questo punto un generale esperto avrebbe proseguito l'offensiva e Liberato la città. Leganes optò per il blocco dei Francesi, cioè assediò gli assedianti, che assediavano Tommaso di Savoia il quale assediava la cittadella! Il tutto naturalmente sotto la minaccia dell'arrivo d'un nuovo esercito francese che bloccasse o cacciasse il suo. Salvo errore, questo assedio uno e trino con possibilità d'elevazione di grado è unico negli annali militari del mondo intero.

18 Nel libro vigesimosecondo della sua Storia d'Italia, Botta afferma che i prigionieri sarebbero stati 2.000 e i soldati morti solo un migliaio «ma che dei vivandieri, saccomanni ed altra gente imbelle che sempre seguitano gli eserciti, molti più». Nel dubbio si riportano le cifre di 3.000 caduti e 1.800 prigionieri desunte dalle cane AUSSME, L 3, 8, «Piemonte» relative all'assedio di Torino del 1640. l9 Anche qui le cifre divergono da foate a fonte. Botta parla genericamente di 5.000 fanti e 1.500 cavalieri. Le carte AUSSME, più dettagliate ma non di molto, invece affermano che nell'inverno il presidio fosse ammontato complessivamente a 4.500 fanti e 400 cavalieri appartenenti ai Ter1.i spagnoli di Lombardia e del Marchese di Tavora, a quello napoletano del Conte Bolognino e comprendendo nella cifra 500 Grigioni e 400 Vallesani. Questo però comra~ta colla notizia data da Bona dell'invio a Casale di 800 cavalieri (il doppio di quanto sarebbe stato disponibile in città) sotto don Maurizio di Savoia (omonimo del Cardinale e suo fratello naturale). In aprile, dopo la disfalla di Casale, Leganes mandò in rinforzo a Tommaso il Marchese Serra e Vercelli no Visconti con 700 e 400 soldati italiani dei rispettivi Terzi e 360 borgognoni, il che avrebbe fatto salire la guarnigione da 4.900 a 6.360 uomini, diserzioni a pane.


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I viveri calavano a vista d'occhio in tutti gli eserciti, mentre un nuovo contingente francese al comando del signor de Clermont-Tonerre avanzava per unirsi alle forze di Turenna e poi sbloccare d'Harcoun. Davanti a questa minaccia il 9 luglio Leganes, preoccupato, finalmente decise un attacco generale per la mattina dell' 11, avvenendone sia della Gatta che Tommaso di Savoia per coordinare l'azione, concentrare gli ~forzi simulLaneamente contro il Valentino, sfondare e farvi passare i convogli di viveri e munizioni. Mal' 11 la sua incertezza da sola riuscl a far perdere la battaglia decisiva ai Principisti. Il risultato dell'assedio e della guerra diveniva assai incerto. mentre i Francesi erano stati riforniti di tutto da Turenna, che ora stringeva Leganes, che bloccava d'Harcourt, che assediava il Principe che assediava la cittadella. Dopo qualche sortita senza esito, nella notte dal 13 al 14 settembre 1640 il Principe di Carignano, d'accordo cogli Spagnoli, eseguì l'ultima. Era stata organizzata a perfezione, gli Spagnoli avevano ricevuto circa 6.000 uomini20 e i movimenti da fare erano cbiari a tutti. meno che a Leganes, giunto alla base di partenza dell'attacco con ore e ore di ritardo, dando ai Francesi la vittoria definitiva. Privo di viveri, munizioni e denaro per le truppe. Tommaso chiese di capitolare e il 20 settembre 1640 pattuì la consegna di Torino per il 22, ottenendo: d'uscirne libero d'andare dove voles!>C con chiunque avesse voluto seguirlo, il pcnnesso alle !ruppe della corona di Spagna di raggiungere il campo di Leganes, l'indulto generale per chi fosse rimasto e il mantenimento dei privilegi della città. Il 19 novembre Cristina di Francia rientrò a Tonno e si passò ai negoziati per stabilire cosa spettasse ai Principi e quando la Spagna dovesse restituire le fortezze che occupava. Nel frattempo il Portogallo era insorto contro la Spagna e Richelieu aveva concentrato laggiù la sua atten2.ione, come del resto la corte madrilena, tralasciando gli affari italiani. Del resto ci si doveva limitare a stabilire gli accordi finali e poco più; ecco, fu il "poco più" ciò su cui mancò l'accordo. I Principi non si fidavano della cognata né ella di loro. Domandavano maggiori garanzie cioè il mantenimento del maggior numero possibile di fortezze e province occupate fino allora - e denaro alla Francia cd alla Spagna per sostenersi. Madama Reale si sentì chiedere la Contea di Nizza dall'uno e Ivrea dall'altro. Respinse la domanda perché era chiaro che tali concessioni sarebbero andate a vantaggio della Spagna, ma lasciò aperti i negoziati: si doveva sentire cosa ne dicevano Parigi e Milano, o Madrid. Allora i Principi intavolarono trattative parallele e separate col Louvre e 1· Escuriale; ma dai e dai, a forza di tenere i piedi in tre staffe, fecero perdere la pazienza alla Reggenza e nella primavera del 1641 ripresero le operazioni, che continuarono per oltre un anno. Stavolta però la Reggenza ebbe la meglio: i Principi si piegarono alla trattativa definitiva. U 14 luglio 1642 firmarono a Torino la pace a condizioni tutto sommato favorevoli e per questo non poco dovevano al nuovo primo ministro di Francia, il cardinale Giulio Mazzarino, succeduto all'appena defunto Ricbelieu. Fu Mazzarino a dimm,trare a Luigi Xlll quanto vantaggiosi fossero per la Francia i termini della pace e a fargliela appoggiare con tutto il peso della diploma7ia francese nei confronti della Spagna. Del resto era amico dei Principi, perché si rendeva conto dell'utilità di averli alleati. Poco dopo Luigi morì lasciando il trono al figlioletto Luigi XIV e la reggenza alla moglie Anna d'Austria, cioè in sostanza a Mazzarino, il quale avrebbe portato avanti sapientemente la politica del Gran Cardinale e ne avrebbe ultimato il lavoro colla pace di Westfalia innalzando la Francia al rango di prima potenza del mondo occidentale.

°

2 Cioè 2.000 soldati milanesi. 800 dal Finale. 1.000 fanti e 400 cavalieri piemontesi provenienti dal1'Astigiano, 700 dal Canavese e 1.000 miliziani di Mondavi.


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X) Intermezzo italiano: "De bello inter ecclesiasticos et Ducem Parmae" ovvero La prima Guerra di Castro, 1641 - 1644 Dal primo quarto del Seicento, nonostante alcuni alti e bassi, i rapporti fra Parma e Roma erano formalmente buoni, anche se la costruzione dell'imponente Forte Urbano a Ferrara, l'acquisto d'Urbino, la creazione di un compatto insieme territoriale Pontificio dal Po al Regno di Napoli, erano stati visti con preoccupazione da tutti gli Stati vicini, Toscana, Spagna, Venezia, P arma stessa, benchè non confinante, e Modena, il cui Duca aveva risposto alla minacciosa presenza papale costruendo una cittadella a protezione delle propria capitale. 11 Duca di Parma aveva però un ottimo motivo per rimanere in buoni rapporti con Roma: non aveva denaro; ed il papa Urbano Barberini gli aveva concesso di lanciare sul mercato finanziario capitolino due prestiti, garantiti colle rendite di due feudi di Casa Farnese nel Patrimonio di San Pietro: Castro e Ronciglione. I primi screzi si verificarono quando alla fine del 1639 Odoardo andò a Roma in visita al Papa e i Barberini si offrirono di comperare Castro e Ronciglione, ai quali miravano da tempo. Rendendosi conto che non era il caso di fidarsi di loro, sulla via del ritorno, nel gennaio 1640, Odoardo si fermò a Castro ed ordinò di metterlo in stato di difesa insieme a Ronciglione. La cosa non sfuggì al Pontefice, ma non esisteva un pretesto per impedirlo e tutto rimase apparentemente tranquillo fino a quando - il debito farnesiano ammontava ormai ad un milio-ne e mezzo di scudi romani - il Papa, dopo molte incertezze ed altrettante pressioni da parte della Curia, si decise ad intimarne al Duca il pagamento ed il disarmo dell' imponente - almeno per le dimensioni di. due feudi - presidio di Castro e Ronciglione. Odoardo rispose ordinando di rinforzare le guarnigioni con altri 500 uomini; e Urbano controbattè vietandogli di contrarre ulteriori prestiti ed eliminando sia la libera esportazione del grano da Castro nello Stato Pontificio, sia la concessione per cui il traffico commerciale, da Roma alla Toscana passava per Ronciglione. Finanziariamente era un colpo terribile al quale il Papa ne aggiunse un altro, emanando il 20 agosto un monitorio con cui intimava di demolire le fortificazioni e congedare i soldati entro il 24 settembre. li Duca non rispose e intensificò i preparativi bellici. Urbano allora convocò una Congregazione particolare alla quale comunicò quanto accadeva, soffermandosi specialmente sui debiti e sull'armamento dei feudi. Ma contro il suo parere, che era quello di impadronirsi dei feudi acquistando l' ipoteca che su d i essi gravava, la Congregazione decise per la guerra. E non con solo un corpo di 800 corsi come si era pensato in un primo tempo; ma mettendo a di~-posizione di Taddeo Barberini 12.00021 fanti, 3.000 cavalieri, un parco di 5 pezzi d'artiglieria e un convoglio di 40 carri, che furono concentrati a Viterbo agli ordini del Marchese Mattei. I Feudi erano decisamente deboli poiché, distribu iti tra Castro e Montalto, c ' erano c irca 260 soldati22, un po' di milizia e si sapeva che il Duca stava incrementando l' artiglieria presidiaria ed ammassando provviste e foraggi Scaduti i termi ni, la preponderante armata di Nostro Signore avanzò contro la baronia di Montalto. Tolta una lieve resistenza a fuoco il 29 sette mbre a Ponte dell' Abbadia, un agguato

2 1 ln un primo tempo era stata ordinata la mobilitazione di 20.000 fanti delle milizie locali. Comunque sia, la rassegna passata il 15 settembre 1641 dal tenente generale marchese Luigi Mattei e dal generale della cavalleria Cornelio Malvasia, diede un insieme di 6.000 fanti ed 800 cavalieri. 22 Le notizie relative all'armamento pontificio e farnesiano, inclusa questa, riportate dal Da Mosto sono talvolta in apparente contraddizione con quanto emerge da alcuni documenti del tempo. ln particolare, per quanto riguarda la guarnigione dei feudi famesiani, non è clùaro se ammontasse a 260 unità per la sola città di Castro o per tutto il Feudo. Dato però che le guarnigio ni erano parecchie, è probabile che 260 fossero i soldati stanziati nel capoluogo e un altro mezzo migliaio fosse spezzettato nei presidi minori.


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il 6 ottobre alla cavaJleria papale - causandole un morto e quattro feriti - e un duello d'artiglieria a Cava, i Pontifici ne uscirono indenni e il 14 ottobre 1641 presero Castro. E se Roma si fosse fermata qui avrebbe vinto la partita; ma poiché il cardinal Francesco Barberini aveva un grande esercito e moriva dalla voglia di adoperarlo, convinse sia il Papa che la Congregazione a muovere contro Parma stessa, sicuro che nessuno Stato italiano sarebbe intervenuto. Non fu cosi. Allannati dalle precedenti acquisizioni territoriali suJ Po, quando seppero che le truppe pontificie si stava concentrando verso nord. gli Stati italiani reagirono. Dapprima versarono aiuti finanziari al Duca poi, spaventati dalla richiesta di passaggio presentata al duca d.i Modena23 da Taddeo Barberini, al cui comando stavano circa 7.000 fanti, 500 guastatori, 1.500 cavalieri e 18 cannoni. strinsero una lega difensiva. Il 3 I agosto 1642 Venezia, Modena e Toscana firmarono l'alleanza alla quale. com'era espressamente stabilito. poteva accedere anche il Duca di Panna. r contraenti si impegnavano a costituire un esercito di almeno 12.000 fanti e 1.800 cavalieri, metà forniti da Venezia, un terzo da Firenze ed un sesto da Modena. Per Roma cominciavano i guai. Il Duca di Parma vendè tutto quello che poté, inclusi i gioielli della consorte, ed armò un esercito di 400 fanti e 4.000 cavalieri muovendolo il 10 settembre 1642 contro il territorio della Chiesa, incurante di essere inferiore di forze aJ nemico per I a 3. li 13 era davanti a Bologna e spiegava al Cardinal Legato ed al Senato che faceva la guerra ai Barberini, non al Papa o alla Chiesa. Non gli si diede molta retta. Le porte vennero murate; e l'artiglieria cominciò a sparare. L'arrivo di 600 corazze guidate dal barone Mattei e l'invio di un convoglio di 20 carri di munizioni da Forte Urbano fecero temere aJ Duca di poter essere preso tra due fuochi e lo indussero a lasciare Bologna. girandole attorno per andare a Imola il giorno dopo. Marciando si trovò un reparto di fanteria e 200 cavalieri pontifici sulla sinistra all'improvviso; ma bastò la carica della sua cavalleria per disperderli tutti e catturarne una decina. Temendo il saccheggio, Imola apn le porte: e il passaggio dei Ducali avvenne nell'ordine più assoluto, cosa rarissima a quei tempi. Lo stesso capitò a Castel San Pietro. Anche i Faentini. dopo un accenno di resistenza, si lasciarono convincere dall'esempio di Imola; e Forll, guarnita da soli 300 cavalieri, cedette non appena si sentì minacciare d'incendio. Dopo un giorno di sosta il piccolo esercito parmense valicò l'Appennino. passò per Arezzo, territorio alleato perché del Granduca di Toscana, e alla fine di settembre era nuovamente negli Stati Pontifici, sul Trasimeno. Occupò Castiglion del Lago e Città della Pieve e marciò verso Castro. A Roma regnava il panico. L'esercito era rutto aJ nord e la Capitale, dove il Papa aveva ordinato di completare di corsa le mura, era pressocchè indifesa, tanto che bisognò mobilitare in fretta e furia la milizia cittadina e requisire 400 cavalli delle carrozze private per montare un minimo di cavalleria. L'unico baluardo che si opponeva all'avanzata su Roma era Orvieto. Odoardo ci arrivò il 3 ottobre e procedè secondo il solito schema intimandole la resa. Ma stavolta il trucco non funzionò. Orvieto rispose ironicamente che «Sua Altez:;:,a è troppo gran soldato per non conoscere che Pia.;:.a sia questa d'Orvieto, et è troppo i11formata, per non sapere, che genti, e munitioni vi siano dentro per servitio della Città e della Campagna. Si che basta risponderli che faremo il debito nostro sino alla nwrte, se tanto bisognarlÌ'I>'. Era un bel guaio per il Duca. L'inverno si avvicinava, mancavano le vettovaglie e c'era sempre il rischio che una sosta prolungata indebolisse la compagine del piccolo esercito par-

23 Non essendo confinanti Parma e lo Stato Pontificio. dalle Legazioni la via piÌI breve per Parma era quella attraverso il Ducato di Modena. • Rip. in ASR Effemeridi Cartari-Febei, busta 74, pag. 12, verso.


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mense. Per di più il cardinal Antonio Barberini conferì il comando delle truppe papali. 12.000 fanti, 3.000 cavalli e 22 cannoni concentrati a Viterbo, al commendatore di Malta Achille d'Etampes-Valençay, il quale avanzò e costrinse i Farnesiani a ripiegare rapidamente. Odoardo si diresse ad Acquapendente e la saccheggiò per impedire che il nemico potesse approvvigionarvisi; ma ciò non risolse la situazione e dovette riprendere la via di Parma, inseguito da 2.000 fanti e 600 cavalieri comandati dal generale Cesare degli Oddi. Passato in Toscana, raggiunse il 31 ottobre il territorio modenese con l'ombra dell'esercito che aveva avuto in luglio24. Bra il momento giusto per i negoziati; e infatti in ottobre Odoardo sembrò aderire ad un accomodamento diplomatico per cui avrebbe depositato Castro e Ronciglione in mano al Duca di Modena fino alla soddisfazione dei creditori. Ma tutto crollò quando s'impuntò nell'esigere che il Papa gli rimborsasse le spese di guerra sostenute fin 'allora. Urbano vm intanto, pur avendo smobilitato le milizie, manteneva sempre un ragguardevole esercito di non meno di 10.000 uomini. di cui circa 3.000 a cavallo. a presidio della costa tra Roma e la Toscana e dei feudi occupati. Non aveva torto, perché in febbraio il Duca di Parma decise di provare a riprenderli arrivandoci per mare. Il tentativo fallì a causa di una tempesta. Nè si poté tentare di nuovo. perché Firenze non lo pennise. Ma l'atteggiamento del Granduca cambiò presto, dato che le trattative si erano arenate in aprile e l'esercito ecclesiastico schierava tra Roma e le Legazioni quasi 24.000 uomiui25. Dunque ci si armò e si richiamarono dai fronti tedeschi i migliori uomini d'arme sudditi di questo o quel belligerante. E mentre a Firenze rientrava il principe Mattias de'Medici, il 17 aprile Modena accoglieva trionfalmente il Sergente Generale di battaglia dell'esercito imperiale conte Raimondo Montecuccoli, tornato per difendere il suo Duca come Mastro di campo dell'esercito estense26. E la guerra riprese alla fine di maggio del 1643. Il IO giugno si seppe a Roma che Venezia, Modena e la Toscana si erano mosse contro il Papa per impedire l'eventuale espugnazione di Parma e Piacenza, concentrando al confine delle Legazioni un esercito di oltre 8.000 fanti e 2.000 cavalieri27, dietro i quali stavano altri 13.000 fanti e 1.650 cavalieri veneziani28. Quello che a Roma non si sapeva era l'intenzione alleata di agire contemporaneamente lungo due diverse e distanti direttrici d'attacco: la prima, spettante a Veneti, Toscani, Pannensi e Modenesi, da nord verso il Ferrarese e le Legazioni in genere per fissarvi i Pontifici; la seconda, dei soli Toscani, contro l'Umbria, la Tuscia e il Patrimonio di San Pietro, cioè l'attuale Lazio settentrionale, per tagliare le comunicazioni e l'afflusso dei rinforzi dalla Capitale al fronte padano. Se il piano fosse riuscito, le truppe romane nella Pianura Padana sarebbero rimaste presto prive di rifornimenti e rimpiazzi e avrebbero perso la guerra. Per fortuna del Papa, il Duca di Panna non accettò di far parte della Lega nè di coordinare le proprie forze a quelle alleate e costrinse i Tosco-Veneto-Modenesi ad agire separatamente sul basso corso del Po, mentre lui entrava in azione da solo.

24 Al passaggio dell'Amo aveva ancora circa 2.100 uomini, quasi tutti cavalieri; ali 'arrivo a Modena,

il 9 novembre, si erano ridotti ad appena 1.156, con scheletriche compagnie di 8 o 10 teste. is 17.473 fanti, 4.552 cavalieri, 32 bombardieri e 1.749 miliziotti. 26 Nell'esercito estense il colonnello commendator Panzetti comandava i dragoni. il colonnello Sinoni la cavalleria. 27 Tn particolare i Veneziani avevano messo a disposizione del!' alleanza il Cavalier Angelo Correr alla testa di 2.938 fanti e 314 cavalieri, ai quali si erano aggiunti sul Panaro 2.000 fanti e 200 cavalieri toscani e 3.200 fanti e 1.422 cavalieri modenesi. 28 Ai primi di maggio le forze veneziane assommavano a 15.695 fanti (italiani, greci, oltremarini, corsi, olandesi, oltremontani e francesi) 1.964 cavalieri tra corazze, cappelletti e cavalleggeri, e 12 pezzi d'artiglieria. Di questi: 11.624 fanti e 1.530 cavalieri erano nel Veneto Dominio di Terraferma, 2.662 fanti e 327 cavalieri a Modena e 1.409 fanti e 107 cavalieri a Mantova.


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Il nodo strategico principale del conflitto era costituito da due fortezze. La prima era il Forte Urbano, presso Bologna, perno della difesa e base di partenza dei Pontifici per tutta l'area padana. Per controbilanciarlo i Veneziani avevano in precedenza costruito il forte di Pontelagoscuro. Ora, dopo il principio delle operazioni. ai Papali riusciva di rifornire a sufficienza Forte Urbano solo trasportando tutto per mare verso il Po di Ariano e risalendo fino a Ferrara e Bologna. Per questo motivo il secondo fattore strategico fondamentale diveniva il possesso della parte del delta del Po controllata dalla torre di Primaro. Ne derivarono numerosi tentativi di entrambi i contendenti di controllare il corso del fiume mediante incursioni, più o meno profonde e sanguinose. dei Pontifici nel Modenese e nel Polesine, degli Alleati coadiuvati dalla Marina veneziana in Emilia e lungo la Riviera romagnola. Si ebbero combattimenti di grandi proporzioni alla Stellata, a Bondeno e a Pontelagoscuro, concentrando decine di migliaia di uomini nel teatro operativo. ma senza raggiungere mai una netta prevalenza di una delle due parti. Contemporaneamente. tra la fine di maggio cd i primi di giugno del 1643 le truppe toscane entrarono in Umbria. occuparono la zona del Lago Trasimeno. batterono i Pontifici a Mangiovino e si spinsero fin sono Perugia ed Orvieto. tagliando l'afflusso dei rinforzi destinati ali 'Emilia. n colpo era grave per la Santa Sede. L'aneggiamen10 politico pontificio aveva seguito mollo da vicino l'andamento delle operazioni. Quando le cose erano sembrate volgere al meglio. il 20 giugno 1644 era stato affisso in Roma il breve di scomunica di Odoardo Farnese; ma già in luglio. di fronte all'ingresso dei Toscani in Umbria e alla non favorevolissima situazione in Emilia, il Papa aveva ordinato al cardinal Bichi di lasciare la nunziatura di Parigi e rientrare in Italia per prendere contatti col nemico. Il 26 agosto Bichi era arrivato a Firenze ed aveva incominciato i colloqui col Granduca l'avversario più vicino e quindi più pericoloso; ma in ottobre non si vedeva ancora nessuna concreta possibilità. La situazione bellica era di sostanziale pareggio fra Pontifici e Lega. quindi non permeueva di concludere la guerra e risultava estremamente costosa, specie per Roma Per questo il Papa non voleva abbandonare l'idea della trattativa; ma non poteva neanche cessare le ostilità. Si pensò allora di premere militarmente sul Granduca. per renderlo più malleabile e si tentò un'incursione dall'Emilia in Toscana. calando su Pistoia, in modo da costringerlo a richiamare le truppe dall'Umbria per coprire Firenze. Ma l'operazione, nonostante la città fosse stata raggiunta e assalita, non ebbe successo. A ogni modo la manovra su Pistoia aveva re~o ancor più evidente quel che già si sapeva, cioè che per realizzare il piano strategico della Lega - il taglio delle comunicazioni tra Roma e le Legazioni - occorreva la distruzione almeno dell'esercito ecclesiastico in Umbria. Si cercò allora la battaglia campale sollo Perugia, ma i Pontifici colsero un buon successo difensivo e volsero in ritirata i Granducali, costringendoli a ritirarsi in Toscana, inseguendoli nell'Aretino e assalendo Pitigliano. Il 9 dicembre le truppe sul Po si stabilirono definitivamente nei quartieri d'inverno, rapidamente imitate da quelle sul fronte umbro-toscano; e l'inverno passò in relativa tranquillità. con piccoli scontri e nulla più fino ai primi d'aprile. Nel frattempo, fin da dicembre, il cardinal Bichi era giunto a Venezia ed aveva portato avanti i negoziati di pace. Dopo molte ostinate discussioni, il 31 marzo si arrivò alla firma del tranato. Il Papa perdonò il duca Odoardo Famese e gli restituì Castro, dopo averne distrutte le fortificazioni. I belligeranti s'impegnarono a ristabilire lo stalu quo ante, smantellando le ope• re difensive e restituendo i territori occupati, le artiglierie prese e, nel caso dei collegati, le rendite e le commende sequestrate all'Ordine di Malta, le cui navi avevano aiutato il Papa. Comunque, contrariamente alla pubblicistica successiva, si può affermare tranquillamente che la guerra non fu cosa da poco. Le forze pontificie andarono sempre da un minimo di I0.000 uomini ad un massimo di circa 29.000, mentre quelle della Lega, includendovi Pam,a, non scesero al di sotto di 15.000 e dovrebbero aver superato i 30.000 nell'estate del 1643.


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E se si pensa che per una battaglia fondamentale come Rocroy, nel 1642, La Francia aveva potuto dare al Gran Condè 22.000 uomjni contro circa 28.000 spagnoli, che a Nordlingen nel 1635 gli eserciti asburgici congiunti sommavano 33.000 uomini. ai quali si opponevano i 25.000 protestanti degli eserciti riuniti, si può tranquillamente affermare che rispetto a quelli dei maggiori Stati Europei - Impero, Spagna, Francia - e della coaljzione protestante gli eserciti della Lega e del Papa fossero pari per equipaggiamento e di pocrussimo inferiori quanto a dimensioni, anche se decisamente meno addestrati a combattere I costi erano stati alti e, per molti aspetti, equiparabili a quelli delle campagne della guerra dei Trent'Anni. Basti pensare che la sola Santa Sede in 23 mesi di conflitto - dal settembre 1642 al 31 luglio del I 644 aveva sborsato ben 6. I 05.517 scudi per le spese militari. Non meno impressionante l'entità delle perdite per una guerra che è sempre stata definita piccola e poco cruenta. I morti in combattimento sicuramente accertati delle due parti furono come minimo oltre 7.000, e non meno di 3.200 i prigionieri presi nell' arco di meno di 19 mesi di guerra (dal settembre 1642 al mano 1644). Ma le cifre peccano molto per difetto. In linea di massima si può quindi tranquillamente supporre che le perdite di ogni belligerante siano arrivate al doppio di quanto sicuramente accertato. il che significa oltre 14.000 morti delle due parti: un prezzo altissimo per una guerra da sempre considerata di "due spari e quattro morti".

xn La guerra diretta tra Francia e Spagna. Primo atto: la spedizione francese contro lo Stato dei Presidi nel 1646 Richelieu era morto nel 1643. La sua scomparsa non aveva cambiato quasi nulla, perché Mazzarino ne continuava la politica e, quanto all'Italia, esordì mandando nel 1646 la flotta francese ad assalire lo Stato dei Presidi. per guadagnare una posizione di forza nelle trattative intavolate frattanto a Munster cogli Asburgo e un ottimo punto strategico di controllo sulle rotte mediterranee da nord a sud. Il 9 maggio le navi francesi furono avvistate verso le terre del Granduca di Toscana e le costeggiarono fino allo Stato dei Presidi. Vi sbarcarono un corpo di spedizione di 8.000 fanti e 2.000 cavalieri al comando del principe Tommaso di Savoia. che lo stesso giorno prese Talamone, catturandovi 80 prigionieri. e si volsero poi a Santo Stefano, arresasi alla quarantesima bordata dell'artiglieria navale francese, il 10 maggio. Dopodichè cominciò l'assedio d'Orbetello, non facile, vista la decisa resistenza della guarnigione comandata dal napoletano Carlo della Gatta. Preoccupato dalla guerra, il Papa mobilitò le truppe verso il confine toscano; e tutta la prima decade di giugno passò in movimenti militari francesi e pontifici: d'assedio i primi, di mobilitazione i secondi. Intanto gli Spagnoli correvano ai ripari. Il 15 luglio nella acque d'Orbetello arrivò la loro flotta, accompagnata dalle galere di Napoli, Sicilia e Sardegna e ingaggiò coi Francesi una battaglia navale, finita alla pari, in cui una cannonata uccise l ' ammiraglio francese duca de Fronsac. Poiché il mare grosso aveva costretto le galere delle due parti a ritirarsi, gli Spagnoli decisero d'avanzare per terra da Port'Ercole e San Filippo per alleggerire e liberare Orbetello profittando dell'arrivo di 2.000 cavalieri da Napoli; mentre per le vere e proprie operazioni di sblocco attendevano altrettanti fanti napoletani ancora in marcia. Nel frattempo le flotte si preparavano a una nuova battaglia navale; ma una tempesta le costrinse a restare agli ancoraggi a lungo. Alla fine del mese si verificarono movimenti delle due parti sotto Orbetello e degli Spagnoli su Talamone per prendervi la fortificazione di San Luigi appena allestita dai Francesi; ma senza risultati degni di nota. La situazione sembrava ormai abbastanza stabile, così ai primi d'agosto la flotta francese rientrò in Provenza, per raddobbi e rifornimenti.


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In settembre i Francesi decisero d'estendere la zona occupata e il 7 assalirono e presero la città di Populonia con 4.000 uomini. mentre la guarnigione si rifugiava nella cittadella per conlinuare a resistere. Un mese dopo, il 6 ottobre, l'avanguardia della loro flotta ritornò davanti a Orbetello sotto il comando del Maresciallo de la Meilleraye e di du Plessis-Praslin. Portava 6.000 fanti e 100 cavalieri con 8 cannoni e li impiegò per prendere l'isola d'Elba. Subito dopo attaccò la munitissima base di Porto Longone, difesa da 1.000 fanti ma, a causa d' una tempesta, le navi furono costrette a interrompere la cooperazione colle truppe sbarcate e allontanarsi verso Livorno e Portoferraio. Dopo il primo assalto- respinto - e quattro giorni d'assedio, i Francesi cominciarono a dubitare di poter prendere facilmente Porto Longone, anche se l'arrivo del grosso della squadra faceva salire i loro effettivi nel teatro d'operazioni a I 1.000 fanti e 500 cavalieri con ingegneri e artieri e 80 cannoni da assedio. Anche gli Spagnoli si rinforzavano il più possibile, ma la preponderanza francese si fece sentire presto. L' 11 otlobre la cittadella di Populonia si arrese e i 200 spagnoli del presidio furono fatti prigionieri. Poi il 2 novembre venne falta brillare una mina a Porto Longone, aprendo una breccia ed obbligando i difensori a ritirarsi nella ciuadclla Si prevedeva prossima la resa e i Francesi preparavano l'assalto generale, quando Porto Longone capitolò e ne poterono uscirono 550 uomini con due cannoni, lasciando agli assedianti la fortezza, che questi ultimi si affrettarono a riparare e munire. Orbetello invece resistè a lungo. Ma ormai 1· assedio dei Presidi non era più prioritario per i Francesi. Lo si vide m agosto quando si seppe che «In Porro Longone è giunta /'annata francese al numero di 38 vascelli, e 20 galere ....doppo haver imbarcato in Piombino cinque mila fanti, ha/atto vela verso Catalogna, per condurli in servitio del Principe di Condè, non già verso Napo/, come si scrisse.,.., e le operazioni in Toscana passarono in secondo piano, scivolando ancor più nel dimenti.catoio quando ci si rese conto delle grandi possibilità aperte dalla rivolta scoppiata a Napoli nel luglio precedente.

XII) La guerra diretta tra Francia e Spagna. Secondo atto: «De Neapolitano tumultu,., La rivolta di Masaniello del 1647 - 1648 Contrariamente a quanto si pensa comunemente, quella che è impropriamente conosciuta come "Rivolta di Masaniello·· fu una vera e propria guerra che imperversò per una decina di mesi non solo nella città, ma in tutto il Regno di Napolj con imponenti masse di armati, assedi, scontri campali e azioni navali e anfibie. AU'origine dell'insurrezione vi fu l'inasprimento fiscale che il vicerè di Napoli, in quel momento il Duca d' Arcos, praticava per conto della Spagna, impegnata nella Guerra dei Trent'Anni. L'abitudine e l'incapacità dì calcolare la ricchezza costituita da beni mobili facevano tassare i beni immobili, cioè i terreni e le costruzioni. e gravavano con imposte di dazio i commercianti grandi e piccoli. La Spagna aveva incorrùnciato la consuetudine di esigere un "donativo" da pane del Regno fin dal 1504, quando si era fatta "regalare·· 31 L.000 ducati. Negli anni seguenti la prassi aveva drenato risorse finanziarie senza tregua. basti pensare che fra il 1532 ed il 1553 erano stati complessivamente mandati in Spagna 6.500.000 ducati; e negli anni successivi si era continuato, fino all'infausto 1560, quando i donativi diventarono biennali e ne fu fissato l'importo a 1.200.000 ducati l'uno. Ma già dalranno prima erano cominciate le difficoltà d'esazione, sia

., A.S.R.. Effemeridi Ca.11ari - Febei. busta 74, pag. 158 recto.


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per le carestie che per l'esaurimento delle comunità; cosicchè nel 1607 il bilancio era ormai in deficit per 8.000.000 di ducati; nè c'era speranza di risanarlo. Quarant'anni e varie guerre dopo, il Duca d' Arcos si trovò preso fra le imperiose richieste di denaro, che a Madrid occorreva per la fase finale della Guerra dei Trent'Anni, e l'obiettiva impossjbilità di trovarne. In gennaio era stata escogitata una nuova gabella sulla frutta e, nonostante il malcontento suscitato, sembrava essere stata accettata abbastanza tranquillamente, almeno fino a una mattina del luglio 1647. «Domenica matrina a hore 1029 nel mercato di questa Fede/iss. Città li fruttivendoli 11011 voleano pagare la Gab(ell)a de/li frutti ... per il che l'eletto del Popolo Andrea Nocerio di persona si conferì in essa per quietare il tutto ... e tutti della Plebe del popolo gridavano ad alta voce che si levasse d.a Gabella il d.o Eletto renitente in questo, li detti frutti gettandolì prima per terra, li tiravano alla faccia del eletto, il quale 11011 fece poco a salvarsi dentro una cantina .... A questo rumore si so/levorno altre persone del Popolo e gente, e gridorno viva il nostro Rè, e mora il malgoverno, et uniti posero fuoco alla Casa della Gab.a ... e da poi seguitando così fecero ancho per tutte le altre Gabelle, ... pigliamo la farina, la posero sopra le bestie con i sacchi e con /'arme del re per la Città gridavano viva il Rè e mora il malgovemo»vii. Questo fu il principio. La plebe, il popolo basso, assali le carceri, gli uffici governativi, i palazzi nobiliari e quello del Vicerè che <<si pose a fuggire gettando al Popolo brandate di monete d'oro et argento ... ma poco giovava, che il Popolo per questo no sifem1ava»•ili. I disordini continuarono, variando d'intensità ma allargandosi progressivamente a gran parte della città. Gli Spagnoli non erano in grado di opporsi sia perché comunque in pochi, sia perché gli insorti ammontavano, secondo le stime di alcune cronache e testimonianze dell'epoca, a ben 115.000. Masaniello venne eletto Capopopolo e rapidamente ucciso poco dopo il rientro in rada delle 11 galere della squadra navale napoletana. Pressato dai rivoltosi, il Vicerè tentò di riprendere in mano la situazione approfittando del]'apparente calma tornata in città dopo l'elezione del nuovo capopopolo Giuseppe Palombo e dell'arrivo in rada della squadra navale di Don Giovanni d'Austria, figlio naturale riconosciuto del Re di Spagna, dotato di plenipotenze per pacificare Napoli, sia levando le gabelle che concedendo il perdono generale. Cominciarono le trattative; ma si arenarono subito davanti alla ripulsa spagnola della richiesta del popolo di non deporre le armi, altro che nelle proprie case. per potersi. difendere dai nobili e dai banditi al loro servizio. Per forzare la mano alla popolazione venne scelta la linea dura: e il 5 ottobre uscirono dai tre castelli «Molti Capitani Alemanni, Spagnoli e Cittadini et all'improviso levorno le armi ad alcuni corpi di guardia del Popolo vicino al Campo del Castello, dove si squadrarono alcune Compagnie di Cavalleria col Cannone»i•. Assalite e prese di sorpresa Pizzofalcone e Santa 29 A quel tempo le ore della giornata erano espresse in Ore d'Italia, un sistema caduto ufficialmente in disuso col periodo napoleonico. quando entrarono in vigore le cosiddette Ore di Francia, che ancora adoperiamo. Le Ore di Francia erano e sono basate sul moto della terra; quelle d'Italia invece sulla dUillla deJle ore dj luce. Nel periodo di luglio in cui cominciò la rivolta (primo quarto del mese, dal 1° all'S), il mezzodì, le nostre 12, secondo le Ore di Francia era alle 12, come per noi adesso: ma in Ore d'Italia, pur essendo a quelle che per noi sono le 12, era alle 16,19, perché il sole sorgeva alle 8,38 d'Italia, le 4,19 nostre e di Francia, ed il giorno durava in tutto 15 ore e 22 minuti. Di conseguenza, stando all'anonimo estensore, la rivolta sarebbe scoppiata prestissimo: tra le 5 e 40 e le 6 del mattino secondo il nostro modo di misurare il tempo. vii ASR, Effemeridi Cartari - Febei, busta 74, pagg. 138 recto e verso e 139 recto. viii Idem. ivi. "' Idem. pag. I43 recto e verso.


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Lucia, il popolo corse alle arn11 perché da.Ila flotta erano sbarcate le lruppe spagnole « ....che prima cominciarono per il Largo del Castelfo tagliar a pezzi quanta gente trovavano e nel med.(esim)o tempo il Castelfo Sant'Elmo, il Castel Nuovo e Castel del/'Ovo cominciorno a cannonare la Cilfà, e li Vascelfi allargatisi verso il Pon.(en)te principiamo anch'essi a cannonare quei luoghi contigui al Cam1i11e, gran quantità di Nobili in quel punto entrarono per forza nella Città a Cavallo, e gridando per la Città dicendo ammazza questa CaMglia»• mentre un trombettiere regio annunciava che sarebbe stato considerato e trattato da traditore chiunque non si fosse messo al seguito dello stendardo reale « ...e con tale ordine li Spagnoli si avanzano nella strada della Corsia, come anco verso la Chiesa di S. Maria della nuova, dove gli furono sparate moire moschettate dal popolo»". Don Giovanni sbarcò ed andò ad abitare nel Palazzo Reale, convinto che la s ituazione fosse sotto controllo. Ciò che imponava era il possesso delle pone e dei magazzini dei viveri: chi li aveva teneva in pugno la ciuadinanza. Nel frattempo intorno a Capua si andavano concentrando i fedeli alla Spagna. prevalentemente aristocratici coi loro militi, pronti ad entrare in città. Ma il popolo reagi con un ferocissimo combattimento casa per casa: « ...le donne dalle fenestre gettavano pignatte30 e mortari, e pietre e pezzi d ' astricl1i sopra delle genti, che esse cognosseva110 che andavano contro il Popolo. Li Castelli continuam.te tiravano, et abbattevano le Case della Conciaria, l'Avinaro, e Sellaria»ru. Don Giovanni d'Austria, appreso l'accaduto, «fece calare da 500 fiamminghi ... e si portarono alla Concieria, dove in diverse parti gettomo Cannoni di fuoco artificiaro, e granate in modo che brugiomo una quantità de Case ... il Popolo con quattro Cannoni can11onava110 li Castelli, Dalla torre di S.ta Maria del Carmine con più Cannoni combatte contro li Vasselli, tre dei quali ne hà mandato afando assieme a una Galera di S.ta Chiara, anco abbatte il castello, et è andato sotto il Castello di S. Elmo per farvi di nuovo le mine»""· A questo punto diventa impossibile seguire nei panicolari quanto avvenne senza dilungarsi eccessivamente. In sintesi. gli Spagnoli riuscirono a mantenere sono controllo il triangolo compreso fra i tre castelli dell'Ovo, Nuovo e Sant' Elmo, in cui si trovavano il Palazzo Reale, l'Arsenale e il porto delle galere. Gli insoni stabilirono il loro quanier generale in piazza del Mercato, organizzarono un attracco fuori del tiro dei cannoni regi al Carmine e la zona intorno a via Toledo divenne la linea del fuoco. Entrambi i contendenti avevano gravi problemi strategici e politici da affrontare. In primo luogo la sussistenza. La Spagna poteva far affluire rinforzi. ma non era in grado di nutrirli. ln breve il prezzo delle derrate salì enormemente e rese impossibile mantenere truppe oltre un ceno numero. Lo stesso assillo avevano i popolani e cercarono d' impadronirsi delle pone cittadine per avere contatti coll'esterno. I Regi non riuscirono a impedirlo e di conseguenza larivolta si estese progressivamente al retroterra napoletano. Non potendo attingere alle risorse alimentari locali, gli Spagnoli adoperarono la flotta per rastrellare viveri sul litorale e si valsero dei nobili, rimasti quasi tuui fedeli, domandando loro di combattere i rivoltosi unendo le loro milizie feudali alle truppe regolari. Ne risultò per la rivoluzione la necess ità di allargarsi o perire. Da un lato occorreva ampliare il raggio di requisizione delle vettovaglie, dall'altro andava aumentata la zona controlla-

• Banolomeo Capra, Lettera da Aversa del'8 ottobre 1647. trascritta in ASR, Effemeridi Cartari - Febci. busta 74. pag. 204. :u Idem, pag. 202 recto. 30 Intende dire che svuotavano pignaue d'acqua bollente addosso agli Spagnoli avanzanti, come poco oltre, parlando di monari. si rratta di monai da cucina in pietra. mentre i peni d 'astricbi sono i peui dei tetti delle case. che all'epoca erano piani o pavimentati con un amalgama d1 calce e pozzolana. xii ASR, Effemeridi Cartari - Febei, busta 74. De Neapolira,w 1umu/1u. pag. 202 verso. xw Idem, pag. 206. verso.


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ta militarmente per attutire gli sforzi offensivi avversari ed impedire la congiunzione delle truppe dell'entroterra campano con quelle presenti in città. fl Popolo -così venivano indicati i rivoltosi nei documenti del tempo - si avvalse dell'aiuto di ufficiali dell' esercito regolare. in disgrazia o in ritiro, e si organizzò militarmente in modo veramente pericoloso per la corona. Le operazioni si svilupparono in tre diverse direzioni seguendo pressappoco lo stesso schema. ln città si strinsero i forti sempre più da vicino, bombardandoli non tanto per prenderli, quanto per impedire alle guarnigioni di effettuare sortite. Contemporaneamente si costrufrono trinceramenti e piazzole per interdire i movimenti terrestri e navali dei regolari e garantire al Popolo le comunicazioni coll'esterno. Al cli fuori delle mura, dopo aver respinto parecchie pericolose puntate offensive di milizie baronali o di grosse bande di delinquenti - fino a più di 600 banditi - al servizio di questo o quel nobile, cominciarono a muoversi delle vere e proprie colonne mobili miste di fanteria e cavalleria. dotate anche di cannoni, generalmente di piccolo e medio calibro, la cui forza era nell'ordine delle migliaia di uomini. Di solito, a quanto si deduce dalle cronache del tempo, ogni colonna contava non meno di 2.000 e non più di 4.000 uomini. In qualche caso eccezionale potevano scendere sui 500 o eccedere i 4.000, ma accadeva sempre e solo per adeguare l'impatto offensivo alle dimensioni dell'obbiettivo. Queste colonne vennero irraggiate da Napoli nel resto della Campania al doppio scopo di arrivare per primi ai depositi alimentari e respingere progressivamente il nemico. Nell"arco dei circa 9 mesi della rivolta, le truppe popolari, delle quali sappiamo che erano inquadrate abbastanza regolarmente da ufficiali appositamente pagati col denaro battuto dalla "Regia Repubblica Napoletana" , avevano una propria bandiera «uno Stendardo col'lmagine della Madonna del Cam1ine et un'Insegna nera, e rossa»,Jv e, a quanto si capisce, propri distintivi, estesero il loro controllo sulla fascia litoranea compresa fra Terracina e Sorrento, impedendo quasi sempre alle navi spagnole l'attracco per il rifornimento dei viveri o dell ' acqua dolce. All ' interno i Popolari batterono ripetutamente i regolari e i regi ed arrivarono fino a Benevento ed Aversa. È impossibile fare un conto esatto delle loro forze, ma, sulla base delle cronache e delle lettere pervenute fino a noi, si può sostenere molto ragionevolmente che nel periodo invernale abbiano raggiunto e forse superato, tra "regolari" e volontari, dentro e fuori la città di Napoli, le 200.000 unità. Una cifra enorme, specie se si considera le dimensioni degli eserciti dell'epoca, difficilmente superiori ai 50.000 uomini anche io piena guerra, e che può indurre a contestazioni. Però è abbastanza facile dimostrarne la fondatezza. Basta pensare che all'indomani dei combattimenti dei primi di ottobre, solo da Cava arrivarono 5.000 popolani di rinforzo; e altri 14.000 dalle città dei dintorni «e portarono anco alcuni pezzi di artegliaria»xv. Considerando poi un elemento che sfugge quasi sempre e cioè che la rivolta non rimase circoscritta nè a Napoli nè alla Campania, ma si estese in tutto il Regno, si può arrivare senza difficoltà ad accettare la cifra media di 150.000 combattenti. E che di uomini ce ne fossero a iosa è indirettamente confermato da due fatti. Già in ottobre da Napoli furono mandati messaggi in Puglia, Calabria ed altre regioni chiedendo soccorsi in uomini, viveri e munizioni; ma quando i Calabresi offrirono «buon numero de Soldati»xvi furono momentaneamente rifiutati perché a Napoli non ne servivano altri. Questo sarebbe stato comprensibile alla luce delle difficoltà di vettovagliamento incontrate all'epoca dalla città se la forza degli insorti non fosse stata soggetta a variazioni, se cioè i combattimenti fossero stati poco cruenti; ma quando apprendiamo che proprio io ottobre, nell'arco di tempo compreso fra la sera del secondo sabato

,Jv ASR, Effemeridi, cit., pag. 208, recto.

xv Idem, pag., 207. recto. x,·i Ibidem, ivi.


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d'ottobre e la mattina del lunedl successivo «si sono ritrovati fin hora li morti dell'una e del/'altra parte da circa 7000 q(ua)li si sono sepolti'»'"' e scorrendo le cronache e le lettere relative ai mesi seguenti scopriamo che perdite tali sono la nonna di ogni combattimento cittadino, viene da riOettere che gli insorti dovevano essere veramente tanti per rifiutare ulteriori rinforzi col pretesto che non servivano. Cosa accadde nel resto dell'Italia Meridionale è oggi quasi del tutto dimenticato. Pochissimi ricordano che in Abruzzo solo L'Aquila e Pescara rimasero in potere della corona di Spagna, che in Puglia la rivoluzione divampò ferocemente cacciando le forze regolari dalle maggiori città, che la Calabria divenne terra insorta in cui poche zone si mantenevano fedeli alla Spagna per l'energia del feudatario da cui dipendevano, che la Basilicata fu completamente sottratta al potere regio. In tutti questi territori si formavano e si aggiravano colonne mobili simili a quelle napoletane, anche se di forza inferiore e a volte capeggiate da banditi. che combattevano i regolari e le milizie baronali, inviando a Napoli per terra derrate e rinforzi in anni e uomini. Facciamo un esempio: nell'ultima decade di novembre nella zona di Salerno 2.500 fra regolari e baronali furono affrontati e battuti da 8.000 popolari con una perdita complessiva di 500 morti fra le due parti; nello stesso momento a Napoli erano in azione circa 4.500 soldati regi, ùnpegnati in combattimenti casa per casa tra Porta di Chiaia, Via Toledo e le carceri di San Giacomo - il che implicava la presenza di altrettante forze regolari ferme a presidio dei fortini e dei castelli e fissava in città un numero di combattenti almeno pari e probabilmente doppio - mentre dalla Puglia stavano arrivando 4.000 tra fanti e cavalieri popolari. Contemporaneamente circa 8.000 rivoluzionari assalivano Aversa. difesa da 1.600 uomini. ln cinque ore spararono 100 cannonate e presero la città, perdendo 700 uomini contro soli 300 difensori e catturando 300 soldati italiani31 e 600 banditi assoldati dai nobili. Mentre venivano portati a Napoli i primi e le teste dei secondi, 6.000 fanti e 1.000 cavalieri popolari proseguirono da Aversa a Capua per assediarla Poi c'era l'aspetto politico. Quel cbe accadeva a Napoli stava facendo il giro d'Europa e venne inteso subito con molto interesse a Parigi: poteva essere sfruttato vantaggiosamente nelle trattative in corso in Westfalia per metter fine alla Guerra dei Treni" Anni; o magari se ne poteva cavare di pii}. Così si seppe al principio dell'autunno che i Capi popolo «hanno ricevuto più Lenere de Francesi che si esibiscono in loro favore e non hanno voluto sentirne nulla»"'"· Tania indifferenza nei confronti della Francia sarebbe durata poco. Col passar del tempo le forze spagnole sembrarono aumentare, perché la marina stava compiendo uno sforzo senza pari e incrementava il trasporto di vettovaglie e munizioni per consentire all 'esercito di aumentare gli effettivi in zona d 'operazioni e vincere. Venne allora pubblicato il .. Manifesto de/fedelissimo Popolo di Napotr'•i•, nel quale si chiariva che il motivo principale dell'insurrezione era il crescente ed intollerabile carico fiscale sulle classi più povere. Alle rimostranze popolari si era risposto colle armi; e la città era stata assalita da più di 3.000 cannoni e 40 legni32 , per questo motivo Napoli si rivolgeva a tutti i titolari di sovranità in Europa, nessuno escluso, per farsi aiutare.

ASR, Effemeridi cit.. pag. 208, recto. 3t A questo proposito è interessante notare che. da alcuni resoconti ritrovati a Roma, risulta che i Popolari facevano prigionieri e trattavano bene solo i soldati italiani, indipendentemente dalla regione d'origine, ma non avevano nessuna pietà per quelli spagnoli nè. come si vede qui. per i banditi. che venivano messi a morte mollo pii) crudelmente degli Spagnoli catturati. Per contro gli insorti presi dai regi erano uccisi come traditori o condannati al remo sulle galere delle squadre navali spagnola. sarda. siciliana e napoletana, tutte presenti, in pane o al completo. nelle acque di Napoli. x>iu ASR. Effemeridi cii., p. 208, recto. "' ~Manifesto del fedelissimo Popolo di Napoli", in Effemeridi cit.. busta 74, pagg. 2 15 recto - 218 recto, copia a mano di originale a stampa. 32 Anche calcolando una media di 50 cannoni per vascello e di 5 per galera. per raggiungere una cifra cosl alta fu evidentemente computato pure I ·insieme delle bocche da fuoco dei tre castelli cittadini. AVu


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Era quello che la Francia aspettava. li manifesto aveva parlato chiaro a chi sapeva ascoltare ed era stato capito da chi aveva il maggior interesse ad intromettersi. Fu così che «Die Sabbati 2a Mensis Novembris. Dicto mane audiebanrur che il Sig. Card. Mazzarini, assieme con l'Ambasciatore di Francia, havevano sottoscriuo tre capitoli aggiustati con il Popolo di Napoli ..... di questo tenore: ..... Che La Corona di Francia pigliarà in protertione il Popolo di Napoli; nè mai pretenderà altro, che la sola proteftione di esso Popolo, Che lo difenderà da Spagrwli, età guerra.finita gli darà certa quantità di gente, e munitioni. Che per tal protettione, il Popolo di Napoli darà con titolo di donativo alla Corona di Francia ogn 'anno quella somma di denaro, che nel tempo della ratificaz.e de' detti Capitoli dichiararà la d.a Corona»xx. U fine principale dei regi era adesso quello d ' impedire il contatto fra Napoli e l'ambasciatore francese a Roma. Non ci riuscirono; ed Enrico di Lorena, duca di Guisa arrivò a Napoli e ricevè dal Popolo il bastone del comando, giurando fedeltà. Il suo arrivo entusiasmò i ribelli. Le compagnie furono rinforzate, gli abitanti di Chiaia e Posillipo aderirono definitivamente alla rivoluzione, i paesi circostanti mandarono grandi quantità dì viveri e furono create una fonderia dì cannoni e una polveriera a Piazza del Mercato. Seguì in dicembre l'arrivo della flotta francese, che vinse quella spagnola a largo di Napoti la vigilia di Natale e rieotrò a Tolone in gennaio, mentre a terra continuavano le scaramucce d'approvvigionamento. Il 16 febbraio si seppe che il re Filippo aveva ordinato la partenza per Napoli di una squadra di 24 vascelli, con 2.600 uomini e lettere di cambio per 600.000 scudi. lo attesa del loro arrivo e del ritorno dei Francesi a Napoli, le operazioni militari e le insurrezioni locali continuarono in tutto il Regno ed entrò in funzione la famosa fonderia di cannoni di Piazza del Mercato, colla gettata di alcuni pezzi «di 16. palmi l'uno»xxì. Don Giovanni d'Austria prosegui nella sua politica conciliatoria, anche e sopratutto perché non disponeva di forze sufficienti ad attaccare con successo, ed insistè nei tentativi di corruzione, arrivando vicino all'obbiettivo quando riuscì a fomentare una mezza sollevazione contro Enrico di Lorena il 28 febbraio. Del resto la posizione dei Popolari non appariva più tanto solida. Il Duca di Guisa era preoccupato, si sapeva debole, aveva preso parecchie precauzioni per paura di complotti contro la sua vita e aveva spedito a Roma il capitano della sua guardia perché sollecitasse, tramite gli ambasciatori di Francia presso la Santa Sede, la partenza della flotta da Tolone. Dal canto loro gli Spagnoli stavano muovendo tutte le forze disponibili e tentavano ogni via per vincere. A Milano si stavano radunando rinforzi destinati a Napoli, altrettanto si faceva in Spagna. Il 28 marzo si seppe che era stata scoperta una congiura per uccidere Enrico di Lorena il giorno dell'Annunciazione. l colpevoli vennero arrestati e condannati a morte, ma fu uno deglj ultimi atti del governo deUa Regia Repubblica Napoletana. Per il momento comunque l'attività militare procedeva imperterrita. Altri rinforzi spagnoli giunsero nei giorni seguenti mentre nel Regno proseguivano i combattimenti. Poi improvvisamente il 6 aprile si sparse la notizia che la rivolta e ra finita: la Spagna aveva giocato bene la carta della corruzione e della congiura. Don Juan de Ofiate e altri ministri regi «aggiustata l'intelligenza col Generale Gennaro Annese di consegnarli alcuni posti ... il lunedì matina su le 19 horefecero dare l'assalto à tutti li posti, e mentre il Duca di Ghisa accorreva alla difesa di quelli, d. 0 Ann.ese introdusse li Spagnoli nel posto di S. Sebastiano vicino al Giesù, e d'indi portatosi al posto del Carmine, anco quello subito si rese, età questo accorrendo il popolo nobile, cominciò a gridare, Viva Spagna, del che spaventati li popolari,

""ASR, Effemeridi Cartari - Febei, busta 74, De Neapo/itano rumultu. pag. 222, recto. ui Idem, ivi.


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gefforno le anni in terra, e presidiati da Spagnoli detti posti, il d. 0 Se.mo Don Giovanni d'Austria si porto col Conte d'Ogna/e, et Eminen.mo Filomarini alla Chiesa del Carmine, dove fù cantato il Te Deum, e ........ fu po, saccheggiato il Pala:::.::.o del Duca di Ghisa, il quale essendo fuggito da Napoli per retirarsi à Benevarrto,fu vicino a Capua dal Generale della Cavalleria Poderici sovrappreso, e fatlo prigioniero con molte sue Camerate. conducendolo in quella Ci11à»un, dove fu lasciaro libero, sulla parola, di di girare per la città. Il primo atto del ripristinato Governo regio fu il proclama con cui Don Giovanni d' Austria, ben conscio della debolezza della Spagna, perdonava tutti e concedeva tutto, o poco meno, arrivando addiriuura a riconoscere i gradi e i brevetti rilasciati dalla Regia Repubblica ai propri ufficiali, come se fosse stata un'emanazione legale del governo regio asburgico. La pacificazione procedè bene. E lo si vide quando il 5 giugno arrivò la flotta francese con a bordo un con1ingente comandato dal principe Tommaso di Savoia. perché la popolazione si mantenne tranquilla. Lo sbarco tentato lo stesso giorno dai Francesi a Posillipo non fu aiutato in alcun modo dai Napoletani, come non lo fu l'operazione anfibia effettuata contro Procida il 5 agosto. Stessa sorte spettò al terzo sbarco. fatto a Vietri. A quel punto il principe Tommaso decise che non valesse la pena insistere e. il 19 agosto, la flotta mise le prue al nord. Il 23 ~ettembre anche la squadra di don Giovanni d'Austria tornò in Spagna. La situazione rientrò nella normai ità lentamente anche nelle altre zone del Regno e la pace scese sull'Italia Meridionale. Ci sarebbe rimasta fino alla rivolta di Messina trent'anni dopo. Quella di Napoli fu l'ultima operazione italiana legata alla guerra dei Trent'Anni, perché alla fine dell'inverno 1648 Spagna e Olanda firmarono il primo dei trattati della Pace di Westfalia.

XIII) La pace Come si sa, le prime proposte di pace per mettere fme alla Guerra dei Trent'Anni erano state avanzate per ordine del Papa da parte del nunzio Ginetti a Colonia nel 1636. I colloqui. incominciati anni dopo a Miinster furono seguiti anche dai ministri di Savoia, Toscana e Mantova, ma il ruolo più rilevante fu rivestito dall'ambasciatore veneziano Contarini e dal nunzio pontificio Chigi. ai quali era stata affidata la mediazione fra Cattolici e Protestanti. È vero che la loro attività fu poi sorpassata dai contaui diretti e personali presi fra gli ambasciatori più importanti, specialmente dopo l'arrivo di quello imperiale, ma la mediazione di tutta la prima parte del congresso fu nelle loro mani. 1Trattati di Westfalia apparentemente confermarono lo statu quo in Italia. ma la cessione alla Francia d1 Pinerolo, chiave del passaggio delle Alpi, e la conferma di Mantova al Duca di Nevers costituivano due fondamentali novità mediante le quali l'influenza francese ricompariva in Italia. Avrebbe continuato ad aumentarvi fino alla guerra della Grande Alleanza e sarebbe scompari.a solo colla battaglia di Torino del 1706. Richelieu aveva avuto come obbiettivo la frantumazione della compattezza territoriale, e quindi politica, della Casa d'Asburgo. Colpendo là dove erano presenti le situazioni più complesse, derivate dai contrasti d'interessi fra i tanti piccoli principi semiautonomi dei quali aveva fomentato il desiderio d'indipendenza, come in Italia e, sopratutto, in Germania, il Cardinale aveva oltenuto il risultato di costringere gli Asburgo ad occuparsi d'una serie pressocchè infinita di problemi entro i confini deU ' Impero, distogliendoli datr osservare la Francia e dall'interferire nelle sue vicende interne. L' intervento francese a favore dei Protestanti contro i Cattolici durante la Guerra dei Trent'Anni era stato dovuto esclusivamente a questo: il rafforzamento dei Protestanti aveva provocato l'indebolimento dei caltolici Asburgo, cioè degli acerrimi nemici della Francia. Queun ASR, Effemeridi cii., busta 75. pag. 76, recto.


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sta, a sua volta, sarebbe stata pronta a riempire il vuoto di potere lasciato dall' Imperatore in Germania ed in Italia, insediandosi in posizioni strategiche tali da permetterle sia d'influire in modo consistente sulle politiche italiana e tedesca, sia di stroncare, lontano dai propri confini. eventuali attacchi degli eserciti asburgici. Nel complesso è evidente che il ruolo dell'Italia, meglio: degli Italiani, nella Guerra dei Trent'Anni fu importantissimo e per certi aspetti fondamentale. L'inizio della guerra fu influenzato, per non dire determinato dal desiderio di Venezia e dei Savoia d'indebolire la minacciosa potenza degli Asburgo. Il proseguimento dopo la Montagna Bianca fu possibile solo grazie agli uomini ed agli aiuti finanziari dati dalJ'ltalia alla Spagna ed all'Imperatore. Senza l'Italia la guerra non sarebbe scoppiata, o almeno non r:ella maniera che conosciamo, e non avrebbe potuto continuare. Coll'apporto italiano durò trent'anni. Ma all'Italia, anzi, ai militari italiani, si dovè ancora una cosa. Grazie agli architetti chiamati dalla penisola, le famiglie dei generali italiani al servizio del! 'Impero - Gallas, Collalto, Piccolomini, Montecuccoli tanto per citarne alcuni - stabilitisi in Austria e Boemia fecero erigere palazzi e chiese nello stile della madrepatria. Così l'architettura barocca si diffuse in tutta l'Europa centrale e, da là, in quella orientale e settentrionale. Più bella, maest0sa e raffinata delle precedenti, avrebbe regnato incontrastata fino all'avvento del Neoclassicismo33_

33 L'argomento è stato trattato da J.F. Pemot con "La trace italienne, éléments d'approche", citato in Bibliografia, da V.L. Tapié, "La guerre de Trcnte Ans", Paris, Sedes-Le cours de Sorbonne. 1989 e, esemplannente da J.M. Thiriet in "Les officiers italiens au service des Habsbourgs pendant la guerre de Trente Ans: le cas des familles de Boheme-Moravie'". comunicato al XXII] Congresso di Storia Militare, Praga, 1998. e in "Gli ufficiali italiani al servizio degli Asburgo durante la guerra dei Trent'Anni» su «Quaderni deJla società di Storia Militare». 1997.



CAPITOLO

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TATTICA E STRATEGIA DEGLI ESERCITI DELL'ANTICO REGIME

La battaglia di San Quintino distrusse, oltre aUa Francia, anche il mito dell'invincibilità della Fanteria dotata di anni bianche rispetto alle Armi, allora considerate secondarie, come la CavaUeria e l'Artiglieria. Per far fronte alla minacciosa preponderanza della prima. basata sulia velocità e sull'urto, gli eserciti europei adottarono rapidamente e su larga scala sia le anni da fuoco portatili, in modo da danneggiare la cavalleria avversaria prima di esserne agganciati, sia i cannoni, cercando di rendere le une e gli altri sempre più leggeri, maneggevoli e capaci di un elevato ritmo di tiro. Effettivamente durante il XVU secolo si ottennero considerevoli risultati in termini di miglioramento della maneggevolezza, passando dall'archibugio, di peso tale da non poter essere adoperato senza una forcella che lo sostenesse, al moschetto prima ed al fucile a pietra focaia poi. Parallelamente all'incremento dell' efficacia delle armi da fuoco, si ebbe una diminuz.ione del numero di picche, di quelle picche le quali, un tempo regine incontrastate del campo di battaglia, si ridussero lentamente prima a rivestire una funzione di protezione e copertura degli archibugeri e dei moschett.ieri; e poi a scomparire definitivamente. Lasciarono un ricordo di sè nell'uso delle baionette a tappo, che erano quelle che, dopo aver sparato, il fante inseriva nella canna della propria arma da fuoco, rendendola vagamente simile ad una lancia. Tale sistema creava però notevoli difficoltà alle fanterie, poiché rendeva ancor più laboriosa la serie di operazioni che bisognava compiere per ricaricare l'arma. La grande innovazione che si ebbe fu l'invenzione, fatta da Vauban, di una nuova baionetta. Di forma triangolare, con un aspetto molto simile a quello di una cazzuola da muratore, più leggera e lunga della precedente, poteva essere fissata mediante una ghiera entro cui si infilava la canna del fucile; ed in questo modo l'arma poteva sparare ed essere ricaricata con la baionetta inastata. Il tiro risultava dunque accelerato, ma la sua precisione restava alquanto approssimativa. Il fucile a pietra focaia, adottato da tutti gli eserciti sul finire del XVII secolo, era infatti a anima Liscia e quindi non consentiva nè una mira molto accurata nè una gittata apprezzabile. Il primo inconveniente non si poteva risolvere; ma per il secondo si trovò un rimedio allungando le canne dei fucili, che cosi diventarono alti quanto i loro proprietari. Questo però era un altro problema. Poiché le armi del tempo erano tutte ad avancarica, dopo aver sparato occorreva posare il fucile col calcio per terra poi, tenendolo per la canna, bisognava ricaricarlo; e questa era una operazione lunga, durante la quale il fante restava alla mercè del nemico, dal quale si poteva difendere solo colle armi bianche. Di conseguenza, per proteggersi a vicenda, per assicurare un tiro continuo e per resistere meglio agli attacchi della cavalleria avversaria le fanterie manovravano sul campo di battaglia in ordine chiuso, articolate su più linee, una d ietro l'altra, in grado di muoversi celermente e ordinatamente sotto i.I fuoco nemico. Naturalmente, per mantenere le linee in battaglia, occorrevano un continuo allenamento e, sopratutto, una disciplina ferrea, conservata ad ogni costo ed in ogni momento. Le pene dunque erano dure. Nell'esercico sabaudo i rei di lesa maestà, tradimento, viltà di fronte al nemi-


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co, lamentela in inquadramento contro un superiore, bestemmie atroci, aggressione a religiosi. sortilegio. diserzione, estorsione ed insubordinazione erano condannati a morte. I bestemmiatori e coloro i quali avevano commesso atti contro la religione cattolica erano puniti colla prigione la prima volta, colle verghe la seconda e col foramento della lingua la terza. Le mancanze minori venivano punite coi tratti di corda, col picchetto e colle verghe (per i fanti; per la cavalleria col bastone). Queste punizioni servivano ad inquadrare una truppa eterogenea, ignorante e superstiziosa. composta in buona parte da gente uscita dalle galere od arruolata per forza. Contadini rovinati, servitori cacciati, uomini soli aJ mondo, artigiani falliti, disoccupati e gente desiderosa di avventure, di bottino od anche solo di un cibo quotidiano e di un tetto, nazionali e stranieri, venivano addestrati dai sottufficiali, sotto il controllo degli ufficiali, finchè la disciplina e l'abitudine ad eseguire gli ordini non erano talmente radicate da permettere loro di avan1are in campo aperto, in ordine chiuso. alla velocità di circa 80 passi al minuto• senza neanche tentare di ripararsi dai colpi nemici. Ovviamente, appena capitava l'occasione, molli soldati disertavano. Per loro c'erano poche possibilità: o arruolarsi in un altro esercito, o darsi al brigantaggio, colla minaccia della forca per diserzione ed una taglia addosso. Le opportunità migliori si presentavano in genere dopo una battaglia; ma le battaglie erano poche a causa delle difficoltà di rifornimento. Nel primo '600 gli eserciti si erano sempre nutriti di quello che trovavano nei territori che attraversavano; e questo aveva significato dover spesso soffrire la fame. Per evitare simili inconvenienti gli eserciti del '700 avevano organizzato il servizio d'intendenza. Doveva provvedere non solo al reperimento, conservazione e distribuzione delle derrate e dei foraggi, ma anche all'invio di uniformi, che nel primo '600 si usavano poco, e di munizioni e polvere da sparo, usate in precedenza in quantità inversamente proporzionale al numero di picche in servizio nelle annate. Tutto questo materiale veniva raccolto dai vari appaltatori, che avevano una capillare rete di piccoli fornitori, e versato nei magazzini. Era poi fatto proseguire, per acqua o per terra, a altri magazzini più vicini alle truppe in campagna. Queste, a loro volta, potendo sostenersi in minima parte colle requisizioni effettuate in zona d'operazioni, dipendevano quasi completamente dalla presenza dei depositi e dai coUegamenti che avevano con essi. La massima autonomia e, conseguentemente, il più ampio raggio d'azione che si potesse raggiungere era qucUo consentito da.Ila quantità di cibo che i soldati potevano portare con sè, che non era certo consistente, giaccM venne salutato come geniale il famoso «sistema delle cinque marce,. inventato da Federico il Grande, che consentiva ai soldati, con nove razioni tre al seguito e sei nei carri - di avanzare per tre giornate di marcia e di tornare all'accampamento, sfruttando il fatto che il pasto serale della quinta giornata sarebbe stato consumato al, e coi cibi del, campo di rientro. Ma si era già alla metà del Settecento. Era quindi naturale che i generali tendessero a distruggere più le linee di comunicazione cd i magazzini che l'armata del nemico, dato che uno scontro campale sarebbe costato, in perdite d'uomini e armi, molto più dell'azione contro un centro di rifornimento e non avrebbe portato necessariamente a quel ripiegamento che invece l'avversario, privo di cibo e munizioni, sarebbe stato costretto ad effettuare verso gli altri suoi magazzini, più lontani ma ancora intatti. E questo era il motivo cbe induceva molti condottieri a sostenere che fosse possibile vincere una guerra senza combattere troppo o, come diceva il Maresciallo di Sassonia, senza combattere affatto. Le campagne di guerra erano quindi piuttosto lente e le battaglie campali relativamente sca.rse. In compenso erano numerosi gli spostamenti. Si guerreggiava prevalentemente in pri1 È sostanzialmente la cadenza di marcia delle truppe alpine italiane.


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mavera ed estate. L'autunno portava sempre un rallentamento dell'attività bellica a causa delle prime piogge che, rendendo difficile la viabilità, impedivano i rifornimenti necessari a grandi operazioni e complicavano ed ostacolavano i movimenti delle truppe. Queste allora abbandonavano il teatro di guerra e si disponevano in prossimità dei magazzini e dei depositi ritirandosi nei quartieri d'inverno. Fino a primavera si riequipaggiava l'esercito, si riempivano i vuoti dei reparti e ci si riposava. Una battaglia invernale era un'eccezione ed una sorpresa e, prima del Settecento, se ne videro pochissime. Le città fortificate poi costituivano sempre un grosso ostacolo. Se non venivano prese immediatamente, occorreva assediarle; e ciò richiedeva molto tempo2 perché si doveva costruire una serie completa di fortificazioni ed opere d"assedio intorno ad esse, presidiandole con numerosi soldati, cosa questa molto difficile ad ottenersi in un periodo in cui 15.000 uomini formavano già un buon esercito ed i 200.000 del Re di Francia erano considerati un quantitativo straordinario, difficile da eguagliare e, sopratutto, costosissimo. Quando però non c'era nessun'altra soluzione e bisognava proprio combattere, gli eserciti si affrontavano in campo aperto con notevole ferocia. Il numero dei morti era elevatissimo e pochi feriti sopravvivevano allo scontro. I prigionieri venivano derubati, come del resto i caduti, che erano spogliati di tutto subito dopo, se non già durante, la battaglia. Chi, avendo ricevuto un'intimazione di res~ la respingeva e continuava a combattere, non poteva arrendersi in seguito di sua iniziativa; ma solo se ne aveva ricevuta un'altra; in caso contrario rischiava di essere fucilato dal nemico. A questo trattamento, che valeva per le guarnigioni delle città assediate e, talvolta, per i reparti isolati ed accerchiati durante gli scontri, si aggiungeva il saccheggio delle città quando venivano prese «d'assalto», cioè quando cadevano senza aver accettato la resa loro intimata; col che si comprenderà perché sia così alto il numero dei centri abitati arresisi, fino a Napoleone, dopo assedi tanto brevi da sembrare fatti per finta. Cosl si affrontavano gli eserciti europei, seguendo ben precise regole e convenzioni, dalla fine della Guerra dei Trenf Anni fino alle campagne napoleoniche.

2 Nel suo «The art ofWarfare in Marlborough·s age,,, David Chandler affenna che gli assedi fossero preferiti alle battaglie campali perché se ne potevano programmare bene le risorse umane e materiali da impiegare, la durata e il risultato, cosa che non era possibile per le battaglie. L'affennazione sembra appoggiata da uno studio di 54 casi del periodo 1688-1745 riportato in una tabella. In realtà studiando da vicino l'andamento degli assedi si vede bene che la loro durata, e quindi le risorse necessarie a condurli. erano un· incognita. Dei casi citati da Chandler nella sua tabella, Lilla nel 1708. Torino nel I 706, Verrua nel 1704 e almeno altri 40, tra cui Montmélian. ebbero uno svolgimento tutto diverso dal previsto. Nella migliore delle ipotesi possiamo considera.re l'affennazione di Chandler come non provata; nella peggiore come del tutto infondata. La realtà che emerge dalla leuura dei diari e dei giornali d'assedio delle guerre fra il 1690 e il 1748 dimostra che l'unica certezza in un assedio era la data d'inizio. Durata, svolgimento, perdite e risultato erano delle incognite solo vagamente ipotizzabili.



CAPITOLO IX

GLI STRASCICHI DELLA GUERRA DEI TRENT'ANNI

0 La seconda guerra di Castro del 1649 Nel 1646 Odoardo Farnese era morto e aveva lasciato il trono a suo figlio Ranuccio Il, il quale mantenne buoni rapporti con Roma fino a quando non gli venne chiesto di saldare i vecchi debiti patemi alle stesse condizioni di papa Urbano di beata memoria: o i soldi o la guerra. Lo svolgersi degli avvenimenti seguì fedelmente il vecchio copione. Ranuccio fortificò Castro e, in più. osò pretendere la sottoposizione alla sua approvazione delle nomine dei vescovi dei suoi Stati; in particolare quello di Castro. Quando la contesa da finanziaria diventò giurisidizionale, il Papa s'infuriò; ma quando seppe che il nuovo vescovo di Castro era stato mortalmente ferito da un colpo d'archibugio sparatogli lungo la strada, la sua ira non conobbe più limiti e passò la questione all'esercito santissimo. Così nell'estate del 1649 le truppe pontificie tornarono ad assediare Castro e, come suo padre in passato, il duca Ranuccio decise di soccorrerla con una colonna di cavalleria. Ne organizzò una di 3.000 cavalleggeri e il 7 agosto usci da Parma, passò da Ponte d' Enza e mosse verso Mirandola. Le truppe papali - 4.000 tra fanti e cavalieri e 4 cannoni - al comando del veterano barone Mattei s i misero subito in movimento da Castelfranco e arrivarono a Cento la sera del 10 per tentare d'intercettare il nemico. Lo scontro si verificò il 13 a San Piero in Casale e fu vinto dal fuoco dell'artiglieria pontificia. Dei Parmensi rimasero sul terreno una cinquantina di morti e furono raccolti tre carri di feriti, un gran numero di prigionieri e grandi quantità di munizioni, oltre a 300 cavalli. Fallita la manovra di soccorso, il 2 settembre 1649 Castro capitolò aprendo le porte al barone David Widman, comandante le truppe assedianti e la questione fu risolta in modo definitivo. La cittadina fu rasa al suolo. completamente. e sul luogo dove un tempo era sorta venne innalzata una colonna di marmo su cui era scritto "Qui fu Castro." II) La guerre per le fortezze piemontesi e il lungo conflitto francospagnolo in Italia: 16441656

La fine della guerra tra i Principisti e i Madamisti aveva lasciato in mano agli Spagnoli numerose piazze del Piemonte. La cosa non piaceva ai Francesi più che ai Piemontesi; ma i negoziati, le condizioni, le minacce non avevano dato alcun esito: le truppe del Re Cattolico non se ne andavano. Rotti gli indugi, ancora una volta la parola fu data alle armi; e l'esercito ducale, alla cui testa si trovava ora il principe Tommaso di Savoia, si apprestò a recuperare le fortezze estendendo in breve le operazioni a tutta la Lombardia, grazie anche all'adesione del duca di Modena all'alleanza nel 1647. Si trattò in realtà non tanto d' un confbtto autonomo, quanto dell'ennesima frangia della più ampia contesa tra Francia e Spagna, destinata a risolversi solo col famoso incontro dell'isola dei


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Fagiani fra Luigi XIV e Filippo IV ed i conseguenti matrimoru spagnoli. da cui la Francia avrebbe ricevuto la sanzione ufficiale spagnola alla propria supremazia europea e mondiale. li primo fatto d'armi di qualche importanza fu l'assedio di Vigevano. fatto dal principe Tommaso nel 1645 con un contingente franco-sabaudo. La città cadde dopo 20 giorni di trincea aperta: e il 12 settembre anche la rocca si arrese. Il successo fu però di breve durata perché già l'anno dopo il Marchese de Velada la riprese. li settembre del 1647 vide, come già accennato, l'ingresso in guerra del Ducato di Modena1, nella speranza d'ingrandirsi a spese dello Stato di Milano. I combattimenti furono molti. ma di piccola entità, come del resto tutto il conflitto francospagnolo in Ital ia in quegli anni: e solo nel 1648, quando ormai le operazioni si erano allargate fino al Cremonese. si ebbe qualche fatto di rilievo. In Lombardia si aggiravano quattro eserciti. li primo, franco-sabaudo, era comandato dal Principe Tommaso e dal maresciallo du Plessis-Praslin e doveva riprendere le fortezze piemontesi: il secondo era quello franco-modenese in azione nella Lombardia sudorientale e agli ordini del Duca di Modena. A questi si opponevano l'esercito del Marchese de Caracena, incaricatosi di tenere il fronte in Piemonte, e quello del Conte d'Aro e del Marchese de Serra, ai quali spettava parare le mosse modenesi Al principio della campagna del 1648 i Piemontesi marciarono da Trino a Vercelli e se ne impadronirono. li fulcro delle operazioni si spostò però verso est, perché du Plessis-Pras lin aveva guidato i suoi uomini lungo il Po fino a Cremona. dov'era giunto a fine giugno dopo aver battuto gli Spagnoli a Casalmaggiore. Unitosi ai Modenesi, aveva disposto 14.000 uomini contro i 10.000 dell'esercito orientale del Ducato di Milano e aveva deciso di prendere Cremona, manovra fallitagli anche grazie alla resistena delle truppe napoletane a Soncino. Intanto era scoppiata a Parigi la rivolta della Fronda contro la Reggente Anna d' AuMria e, sopratutto, contro il Cardinale che, per fronteggiarla, aveva dovuto richiamare il maggior numero possibile di truppe in Francia e abbandonare a sè stessi gli alleati italiani. Il Governatore di Milano ne approfittò per liquidare rapidamente la questione di Modena; e il piccolo Ducato fu occupato e obbligato. grazie anche all'intervento del Duca di Parma, al trattato di Reggio Emilia del 27 febbraio 1649 con cui la Spagna prometteva l'evacuazione a condizione di porre una propria guarnigione a Correggio e disporre di vettovagliamenti e libero passaggio. La successiva mossa diplomatica di Caracena consistè nell'avvicinarsi al Duca di Mantova promettendogli la restituzione di Casale o di Alba, ma non ebbe grande esito perché entrambe le città in quel momento erano in mano al nemico. Poi gli Spagnoli sbarcarono a Oneglia e ne cacciarono la guarnigione piemontese, che si · rifugiò sui monti ma, appena possibile e giovandosi dell'aiuto dei paesani. ributtò a mare gli invasori. Seguì un periodo confuso durante il quale le piccole piazze e le fortezze del Piemonte e del Monferrato passarono di mano varie volte, come ad esempio Trino, persa, ripresa, ripersa e riconquistata nel 1652 dagli Spagnoli nonostante la buona difesa di Catalano Alfieri. Nel 1655 Francesco 1 d'Este decise d'approfittare del lungo conflitto per riprendere Ferrara ai Pontifici e magari allargarsi in Lombardia. Per questo motivo lasciò l'alleanza spagnola e si accostò alla Francia. La mossa però spaventò gli Spagnoli e di nuovo si mosse il Marchese di Caracena. Saputolo, ai primi di marzo del 1655 il Duca lasciò perdere eventuali progetti su Ferrara e pensò a fronteggiare la Spagna. Chiamò alle armi la milizia, affidò il comando delle truppe al marchese ligure Tobia Pallavicini. chiese aiuto alla Francia e fece approntare tutte le difese possibili.

1 Il Ducato era comunque molto vicino alla Francia, tant'è vero che la carica di Cardinale Protettore di Francia a Roma era ricopcna dal cardinal d'Este, che proprio in quel periodo aveva avuto pesanti dissapori coll'ambasciato~ spagnolo a Roma.


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Caracena marciò contro Reggio EmiLia e la raggiunse il 15 marzo. Lo accolse una sortita della guarnigione - fanteria e cavalleria - comandata dallo stesso Pallavicini, che però dopo lo scontro preferì rientrare in città. Questo consentì agli Spagnoli d'incominciarne l'investimento e, dopo qualche scaramuccia, aggravarne le condizioni deviando i canali d'alimentazione della città. Ben presto però l'azione della milizia li fece rimanere privi di vettovaglie e. nella notte dal 21 al 22 marzo. silenziosamente tolsero l'assedio, ripassarono il Po e tornarono in Lombardia. L'anno seguente scese in campo lo stesso Carlo Emanuele II e guidò l'esercito franco-piemontese - 7.000 fanti, 700 cavalieri e 30 cannoni sotto Valenza2 per assediarla, mentre Francesco d'Este con 12.000 uomini investiva Alessandria. La controffensiva spagnola riuscì a liberare quest'ultima privando lui di tutti cannoni e di gran parte del carreggio e mettendogli l'esercito in rotta con perdite gravissime: si calcolò infatti che l'assedio nel suo complesso fosse costato ai franco-modenesi 6.000 soldati e 800 ufficiali. Se Alessandria era libera era però troppo tardi per Valenza. U generale spagnolo Fuensaldaiia riusci solo a farvi entrare una colonna di 300 uomini, per cui non impedì, il 13 settembre, la capitolazione della piazza dopo 82 giorni d'assedio. La guerra si trascinò fra alti e bassi e comunque senza grandi azioni fino alla primavera del 1657. Le operazioni precedenti e la mancanza di rifornimenti avevano inciso pesantemente sulla consistenza dell'esercito asburgico, in particolare sulle unità ausiliarie imperiali accantonate nel Monferrato, e la campagna si apriva con previsioni non buone per la Spagna. Però esisteva un'incrinatura nel campo alleato. dovuta ai dissapori fra iJ Duca di Modena e il Principe di Conti, comandante il contingente francese. Facendo leva su di essi, gli Spagnoli pensarono di poter agire con successo e mossero alla riconquista di Valenza. Non ebbero fortuna, perché il pericolo rappacificò Conti ed Este e li fece arrivare uniti al soccorso deJJa piazza. Non solo. dopo averla sbloccata decisero di tentare nuovamente l' assedio d' Alessandria. Corn.inciarono con vigore, ma presto Fuensaldafia si collocò alle loro spalle interrompendo i rifornimenti ed obbligandoli a levare l'assedio. Si consolarono prendendogli un paio di piazze confinarie minori, ma la campagna si poteva dire terminata. La seguente registrò grandi azioni solo da luglio, quando il Duca di Modena attaccò per preparare il passaggio dell'Adda. Eseguitolo, dal momento che gli Spagnoli si erano concentrati a Lodi e non si facevano vedere, gli Alleati ne approfittarono per assediare e prendere Cassano e costruire un ponte vero e proprio. Poi l'esercito di Francesco d'Este si avvicinò al Ticino, lo passò e, mentre Trino veniva riconquistata dai Piemontesi. minacciò Pavia. Ma era solo una finta - riuscita in pieno - per indebolire il presidio di Mortara, che invece si voleva assediare Solo quando il 5 agosto l'avanguardia franco-modenese si presentò sotto la fortezza bloccandola da due lati si capì quali intenzioni avessero gli Alleati. li loro grosso - 5.000 fanti e 3.000 cavalieri - arrivò il giorno dopo, protetto e appoggiato da 1.800 cavalieri piemontesi e aprì la trincea nella notte dal 7 a11'8. Temendo la presa per assalto della fo11ezza e sapendo che una colonna di soccorso di 3.000

2 Il numero dei cavalieri sono Valenza e notevolmente discorde. Fonti francesi del tempo lo fanno ascendere a 7.000. fonti italiane a circa 1.000. li primo numero in realtà dovrebbe essere quello di tutta la cavalleria alleata; modenesi inclusi. presente in quel momento in Piemonte; il secondo o un arrotondamento, o un errore dovuto al fatto che il Marchese Villa contrastò il passo agli Spagnoli del secondo contingente di soccorso. diretti però ad Alessandria, appunto con 1.000 cavalieri. Probabilmente il numero più esano è 700, perché rispetterebbe il famoso rapporto di I a lO tra cavalleria e fanteria risalente al secolo precedente ed ancora osservato. Infine: i cannoni erano IO da campagna e 20 d'assedio.


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cavalieri uscita da Pavia era stata costretta a rientrarvi, iJ 22 il governatore capitolò ottenendo condii.ioni sufficientemente buone e il 23 uscì col presidio. Nel frattempo Fuensaldaiia aveva tentato una sorpresa in forze contro Valen7.a il 18 ed era stato respinto. Riprovò in ottobre lanciando ben cinque attacchi nella medesima notte. ma la guarnigione li respìnse tutti e così in pratica si chiuse la campagna. Intanto la diplomazia pontificia si era mossa per pacificare le due grandi potenze cattoliche. A forza di tentativi e giocando molto sul progressivo esaurimento, specie della Spagna, alla fine riusci a far intavolare delle trattative concrete, il cui riflesso si vide rapidamente in Italia. Infatti I' 11 marzo 1659 a Guastalla venne firmata la pace tra Spagna e Modena3. A condi• zione di vederlo abbandonare l'alleanza francese e diventare neutrale, la Spagna prometteva a Francesco d'Este di togliere il presidio installato a Correggio. domandandone inoltre aJl'lmperatore l'investitura feudale per i duchi di Modena e garantendo loro una rendita di 32.000 ducati annui nel Regno di Napoli.

Ill) La guerra ispano-francese nel resto d'Italia e il ritorno a Napoli del Duca di Guisa

Nonostante la pace appena raggiunta, l'ostilità franco-spagnola esisteva ancora e un primo assaggio lo si ebbe in Italia Centrale quando il nuovo vicerè di Napoli. il Conte d'Oiiate organizzò una spedizione per riprendere lo Stato dei Presidi. U 3 maggio 1650 partì personalmente, il 25 arrivò col convoglio delle truppe nelle acque dell'Elba e, mentre vi sbarcava e la occupava. un secondo contingente al comando del Conte di Conversano scendeva a terra sulla costa e prendeva Piombino. prima. poi. il 15 agosto. anche Portolongone. La Francia pareva così espulsa da tutti i dommi della corona di Spagna nell'Italia centromeridionale, ma era solo un intervallo. Infatti, a dispetto della precedente cattiva esperienza fatta nel 1648 e incoraggiato dalle alte lamentele levate dai Napoletani per il solito gravame fiscale. particolarmente pesante s ia per la guerra in corso tra Francia e Spagna, sia perché le condizioni econom.1che del regno andavano peggiorando di anno in anno, nel 1654 il Duca di Guisa decise di tornare a Napoli. Mazzarino ritenne la spedizione utile almeno a distrarre forze spagnole dai fronti di principale interesse per la Francia, cioè la Catalogna e le Fiandre, e l'autorizzò. Una flotta di 40 vascelli salpò da Tolone e si diresse verso l'Italia, arrivò il 12 novembre davanti a Castellammare e le intimò la resa. Respinta, ingaggiò un combattimento breve ma intenso, alla fine del quale gli Spagnoli alzarono bandiera bianca. Poi la flotta si mosse verso Napoli, mentre le truppe avanzavano via terra su Angri, Scafati e Torre Annunziata • li Vicerè, era stato avvisa.io dell'arrivo dei Francesi e tutto sommato si era preparato bene al loro arrivo. Radunò tutte le truppe disponibili e corse ad affrontarli. La controffensiva spagnola ebbe pieno successo e costrinse il nemico a riprendere il mare il 27, anche se dovè incrociare alargo di Napoli fino alJ0 dicembre perché il cattivo tempo non gli permetteva di prendere il largo.

IV) Le guerre dei Valdesi dal 1653 al 1663

Terminate le guerre normali. non lo erano quelle civili. La pace aveva regnato dentro e fuori le Valli Valdesi del Piemonte da decenni e vi sarebbe rimasta senza la predicazione del ministro Giovanni Leger. 3 Mauarino in persona aveva consigliato il Duca di Modena. marito di una delle sue nipoti. di pacificarsi colla Spagna in vista dell'ormai vicina pace dei Pirenei.


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Incitati a sospettare del governo ducale e incoraggiati all'insurrezione ad ogni occasione, i Valdesi cominciarono a sentirsi molto più oppressi di quanto non fossero e presero a compiere atti ostili alla religione cattolica ed al governo ducale; il che, in un periodo di stretta unione fra il Trono e l'Altare, era la medesima cosa. Nel marzo 1653 si tenne il sinodo di Boissel, in seguito al quale la popolazione cacciò i frati Cappuccini dal convento di Villar, dando poi fuoco ad esso ed alla chiesa. Questo contravveniva in pieno agli accordi intervenuti in passato fra i Valligiani ed il Duca; e Sua Altezza inviò il Conte Tedesco con una colonna a rimettere ordine e disciplina nelle valli. Ne derivarono scontri fra truppa e paesani, ci furono morti e feriti e, alla fine, si diede il sovrano perdono a tutti, meno ai responsabili, identificati nella famiglia del pastore Mondet. Ma a Torino si seguiva attentamente quanto si faceva nelle Valli e si erano puntigliosamente notate tutte le infrazioni all'accordo del 1602. I Valdesi avevano acquistato beni dai Cattolici; e questo poteva passare. Avevano predicato, celebrato e costruito templi: con un po' di tolleranza si sarebbe anche potuto chiudere un occhio. Avevano demolito alcune chiese cattoliche: ecco, questo proprio non andava. Perseguitavano chi si era convertito al Cattolicesimo, avevano ucciso il parroco di Fenile e, per colmo di sfregio, pareva che il giorno di Natale del 1654 nel villaggio di Torre avessero portato in giro per le strade un asino parodiando le processioni cattoliche. Guai a loro! Carlo Emanuele intervenne. 11 25 gennaio 1655 arrivò a Luserna un Auditore ducale, coll'ordine di far rientrare i Valdesi dai villaggi in cui risiedevano a quelli di Bobbio, Villar, Angrogna e Rorà, tempo per obbedire: tre giorni; pena per i contravvenienti: la vita e la confisca dei beni. a meno che entro venti giorni non dimostrassero d'essersi fatti Cattolici. Morte a chi avesse impedito ad altri la conversione al Cattolicesimo. Era nè più nè meno quanto le leggi prescrivevano e quanto i Valdesi stessi avrebbero dovuto fare di solito. Obbedirono e, nonostante la neve e il freddo, partirono. Poi fecero istanza a Torino perché fosse concesso loro di tornare nei paesi da cui erano stati mandati via e contemporaneamente spedirono delegati in Svizzera a cercare aiuti. Subito si interpose Ginevra, dando buoni consigli ai Valdesi, seguita da Zurigo, Sciaffusa, Basilea ed Appenzell che invece scrissero al Duca e cercarono di mediare. Leger invece soffiava sul fuoco e, a forza di soffiare, alla fine r accese. Il 18 maggio 1655 i Valdesi assalirono San Secondo di Pinerolo e, preso il borgo uccidendo un piccolo gruppo di paesani armati che tentavano di sbarrar loro la strada, si concentrarono sotto la rocca per farla cadere. Scoppiato il magazzino della polvere da sparo, si apri una breccia, attraverso la quale gli assedianti poterono entrare e massacrare le due compagnie componenti la guarnigione ducale. Subito dopo però giunsero rinforzi sia regolari sia di milizia; e i Valdesi dopo aver incendiato la chiesa e molte case vennero respinti. Per questo il Marchese di Pianezza fu spedito da Sua Altezza Reale con mille cavalieri e altrettanti fanti4 «ad abbassar l'orgoglio, ed a rintuzzare la temerità à gli Heretici, che nella Valle di Lucerna non solo insolentemente dispreggiavano il Culto di Dio, poco rispettando la Religion Cattolica.facendo insulti à Religiosi, e commettendo misfatti contro Christiani, che per di là passavano com'era loro costume antico, ma già pochi giorni, saccheggiarono la terra di S. Secondo soggetta a S.A.R. trucidando con strage inaudita diversi Sacerdoti tanto re-

4 Botta fa ammontare la colonna a 500 fanti regolari, un numero imprecisato ili militi e 200 cavalieri circa. Altri commentatori affermano che il contingente a disposizione del Marchese fosse di 15.000 uomini. A parte il fatto che le cronache dell'epoca parlano esplicitamente di 2.000 soldati tra fanteria e cavalle-ria e che 15.000 era la forza dell'intero esercito ducale in quel periodo, è probabile si sia verificata una certa confusione fra la carica occupata da Pianezza e l'incarico conferitogli, per cui si sia pensato ad un impiego di tutte le truppe a lui sottoposte.


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go/ari quanto Secolari ... Haveva ordine il Marchese ...che dimostrasse la gagliardia del suo braccio, verso à quelli che persistevano nella loro perversa ostinazione»•. Erano salvi la vita e gli averi a quanti si fossero convertiti al Cattolicesimo; agli allri: peggio per loro. Pianezza avanzò e trovò i Valdesi arroccati in difesa nella Valle di Luserna. Occupò San Giovanni senza opposizioni, perché gli abitanti l'avevano abbandonato. Proseguendo verso Torre, li agganciò, attaccò e battè. Prese Angrogna: altro deserto e, sopratutto, niente viveri. Insomma: il territorio fu preso, ma gli abitanti no, perché, guidati da Bartolomeo Jahier, si ritirarono in montagna e si diedero alla guerriglia. La resistenu indusse il Marchese di Pianezza a mettere una taglia sulla testa di Jahier. Presto si trovò chi era interessato a incassarla e ci si accordò. Fu facile convincere Jahier a portare i 150 uomini della sua banda, stretti dalla fame, ad assalire Torre. dove i Ducali avevano costituito un magazzino di ve1tovagliarnento. Andarono, batterono il piccolo presidio. entrarono, si sfamarono e si diedero al saccheggio. Mentre erano cosi occupati, Pianezza li circondò chiudendo ogni via di scampo, poi attaccò. Pochissimi riuscirono a scampare al massacro. Jahier venne ucciso e fu un duro colpo per la rivolta. Lentamente la preponderanza deU'esercito ducale si fece sentire. Accompagnati dai paesani a~setati di vendetta e di saccheggio, i soldati rastrellarono le Valli Valdesi metodicamente. In alcuni casi, specie da parte dei volontari civili. vennero commesse le peggiori atrocità5. Pur cercando di non infierire troppo, specie a Vìllar e a Bobbio. Pianezza fece al nemico «Tre mila morti àfilo di spada con pochissima perdita de' suoi; e tant'oltre si avan;:,ò, che facendoli volger le spalle (a11co nel seguitarli) chi del ferro restò ucciso, e chi dalle disfatte nevi affogato, 11011 mancando per più di castigarli con gl 'incendij abbrugiandoli un' infinito numero di case, atterrandogli i tempij che havevano nella detta Valle di Lucerna eretti»" e portando via 300 bambini che, condotti a Torino, sarebbero stati allevati da bravi cattolici. Il saccheggio dei villaggi fruttò «quindici mila capi di bestie grosse, somma grandissima d'oro in moneta, e diverse ricchissime suppellettili. Subito dell '011enuta vittoria si rese 11ratie a S.D.M. celebrando molti sacrificij, particolarmenre nella Città d'Angrogna, ove eran corsi 500. anni che 11011 si era mai stata detta mes.w a/cuna»"i. lntan10 la guerra era diventata un affare europeo. Tutti le potenze protestanti cercarono di intromettersi a favore dei Valdesi. Su istanza dei Camoni riformati svizzeri. l'Olanda e lo stesso Crornwell fecero passi diplomatici presso il Duca il qua.le, davanti a una simile e generalizzata levata di scudi, fu costreno a domandare una copertura diplomatica a Luigi X IV, ottenendola facilmente. Alla fine si trovò un accordo, sottoscritto a Pinerolo e ratificato dalla patente ducale del 18 agosto 1655, che concesse il perdono generale, obbligò i Valdesi a ritirarsi sulla riva sinistra del Pellice. ecce1ion fatta per San Giovanni - dove potevano stare a condizione di rimanere

i "Vera Relatione di quanto è ;eguito nella Valle di lucerna. con la morie di tremila Heretici. e conversione alla Ca1t()/ica Fede d'altri mille, con tutte le particolarità ~eguite in delta Valle, e Vi1toria havuta da S.A.R. di SAVOIA", In Roma, Per il Moneta, MDCLV. (4 giugno 1655), pag. 3. S comunque da prendere con amplissimo beneficio d'inventario quanto scritto da Leger nel suo li bro. Per quanto riguarda poi le slampe illustranti i più vari ~uppLizi inflitti ai Valdesi conservate al Museo di Torre Pelli ce. molte di esse, come si evince dalle tenute dei soldati. spesso a coraua completa. si riferiscono alla guerra condotta dai Francesi nel XVI secolo e non, come alcuni pensano, a quella del 1655. A ogni modo neanche Jahier usò la mano leggera. specialmente nelle Valli Perosa e di San Martino, dove uccise tuni i Cattolici che non erano fuggiti in Francia: nè lo fece Giannvello. che mandò sistematicamente a mone ogni Cauolico preso. u "Vera relatione ... ciL ·•. pag. 3. ih Idem, pag. 4.

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senza tempio nè predicatori - Rorà. le vigne di Lucerna, Torre Peli ice - con libertà di culto come a Prarustino, San Bartolomeo e Roccapiatta. Infine riconfermò la presenza cattolica ufficiale nelle Valli Valdesi. Di nuovo Leger si mise ali 'opera contro il trattato. Gli ci vollero otto anni, ma riuscì a fomentare una seconda rivolta, grazie anche alla durezza del Conte di Bagnolo governatore della provincia. Così nel 1663 le truppe ducali, articolate su tre colonne comandate dai marchesi d' Angrogna e di Fleury e dal Conte di Bagnolo rientrarono nelle valli, dove i Valdesi erano intenzionati a resistere sotto la guida di GianaveUo. Lo scontro maggiore e più noto si ebbe ad Angrogna, dove i valligiani ottennero un buon successo tattico contro la colonna Fleury. senza però poter impedire il passo alle altre due. Ripresero ad ardere i villaggi, s i rividero i saccheggi e le uccisioni e, per colmo di sfortuna, i Valdesi seppero che la Francia era pronta a intervenire a fianco dei Ducali contro di loro, perché li riconosceva in torto, come del resto erano, per aver violato le patenti del 1655. Grazie a una migliore e più chiara lettura dell ' articolo V delle patenti, si poté finalmente trovare la pace anche questa volta, ma GianaveUo fu escluso dal perdono generale e dovè trovare rifugio in Svizzera, dove sarebbe rimasto fino alla morte, avvenuta nel 1690, narrando le sue esperienze in un libro. che sarebbe divenuto un vademecum dei combattenti valdesi.



CAPITOLO X

LA GUERRA DI CANDIA: 1645-1669

I) Il principio

Abbiamo visto come dopo Lepanto le ostilità navali, più o meno irregolari, fossero ricominciate col loro solito andamento da guerriglia marittima; e si procedé così fino al 1644, quando i Turchi decisero di prendere ai Veneziani l'isola di Creta. per privarli di un importante scalo commerciale, l'ultimo rimasto loro sulle rotte del Levante. Costantinopoli accusò Venezia d'aver consentito lo sbarco a Creta di sudditi Turchi presi prigionieri dai Cavalieri di Malta sulla caravana di Alessandria, cioè sul ricco convoglio commerciale che annualmente faceva la spola fra il Bosforo e !"Egitto, e di aver permesso che le navi dell'Ordine, reduci da queU'azione, si raddobbassero in una baia dell'Isola. Il Bailo della Porta Ottomana dimostrò la falsità dell'accusa e credette d'essere riuscito a sventare qualunque minaccia quando si sentì dire che. allora, la flotta turca sarebbe partita per combattere solo contro i Cavalieri, senza arrecare alcun danno ai Veneziani. Ma il Sultano aveva stabilito che la potente squadra, ufficialmente salpata per Malta. si fermasse in realtà a Creta e se ne impossessasse, sbarcandovi un grosso corpo di spedizione. L'ordine fu eseguito ed i Veneziani, colti completamente di sorpresa, si chiusero nella piazzaforte di Candia, dove avrebbero resistito per ben 25 anni, e nelle altre fortezze minori dell'isola, che sarebbero state progressivamente assediate ed espugnate nel corso della guerra. La notizia, unita a quella della ripresa dell'avanzata ottomana per terra verso l' Austria, giunse come un lampo nel mondo cristiano e provocò una reazione che i Turchi non si aspettavano: il Papa bandì la Crociata. Non si trattava certo più di andare a liberare i Luoghi Santi in Palestina, ma di salvare la Cristianità dall'attacco degli infedeli; e la reazione fu vivissima e spontanea in tutta Europa. Decine di migliaia di volontari accorsero a combattere sotto le bandiere dell'Imperatore per terra e sotto quelle di San Marco per mare. Gli Stati italiani risposero alla chiamata e inviarono contingenti terrestri e navali in soccorso dei Veneziani. 11 teatro principale della guerra, per quanto riguardava i Turchi e gli Italiani, era Candia. Le truppe, assedianti e assediate, che vi si trovavano dovevano essere rifornite di tutto via mare, dunque lo sforzo principale doveva essere compiuto dalle flotte e l'aiuto più prezioso era quello navale. A partire dal 1645, quasi ogni primavera, la squadra toscana salpava. A Civitavecchia le si univano le galere pontificie e poi, man mano che si circumnavigava l'Italia, procedendo verso il Levante, navi napoletane, talvolta spagnole, siciliane e, sempre. maltesi si aggregavano. A Corfù avveniva l' unione alla flotta veneta; poi tutti insieme andavano a combattere contro i Turchi nel Mediterraneo Orientale. Fino al 1848 sarebbe restato l'unico esempio di totale coagulazione e cooperazione delle forze militari italiane dei diversi Stati. Ma l'inizio della guerra fu alquanto lento, almeno per quanto riguardava i Veneziani, ai quali occorsero circa due anni prima di poter cominciare ad agire efficacemente. La priorità per i Turchi era nelle operazioni terrestri sull'isola, che doveva prima essere conquistata e poi utilizzata come base logistica per rifornire le truppe che ne assediavano la capitale. Avevano quindi interesse a sbarcare quanti più uomini e materiali potevano nel mi-


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nor tempo possibile. Per questo era necessario far viaggiare i convogli fra Costantinopoli e Creta senza farli avvistare dal nemico, sfuggire lo scontro a qualsiasi costo e rientrare nel Bosforo al più presto. Per riuscirci, la Porta disseminò tutte le isole dell'Arcipelago e le coste elleniche di spie ed informatori, che la tenessero informata e che, atroccasione, diffondessero notizie false sui suoi movimenti per trarre in inganno i Veneziani. Ovviamente il modo migliore per contrastare gli Ottomani consisteva nell'impedire ai loro convogli di arrivare a Creta. Ma, a parte il fatto che non era facile avere notizie che permettessero d'intercettarli, e non era detto che le condizioni atmosferiche consentissero di raggiungerli, i numeri dimostrano come, nell'arco dei venticinque anni di guerra. quasi mai la flotta veneziana, anche se rinforzata dalle squadre italiane•. sia riuscita a raggiungere i due terzi di quella turca, attestandosi quasi sempre intorno alla metà. In queste condizioni era difficile riuscire a bloccare la navigazione in tomo all'isola, lo diventava ancora di più se si teneva conto dei giorni in cui il vento eccessivo, o la sua assoluta mancanza, rallentavano o impedivano i movimenti delle navi, a vela o a remi. se si pensava che al massimo ogni sette giorni le galere andavano rifornite di acqua dolce, operazione che solo raramente poteva essere compiuta in mare da altri legni adoperati come rifornitori di squadra se, infine, si ricordava che, nei momenti più impensati, poteva scoppiare un'epidemia che distruggeva gli equipaggi e immobilizzava le navi.

Il) Le prime operazioni È difficile riassumere bene e in poco spazio un quarto di secolo di combattimenti per mare e per terra. Bisogna comunque tener !J)resente che si trattò di una guerra anomala, perché mentre il punto focale era a terra, la gran massa dei combattimenti decisivi avvenne per mare. Fu in sostanza uno scontro più di organizzazione logistica e di capacità di rifornimento che di bravura militare. Infatti vinse quello dei due contendenti cui le illimitate risorse consentirono un vantaggio enorme rispetto ali' altro. In linea di massima si deve tener presente che i teatri operativi furono tre: l' isola di Creta, con particolare attenzione alla città e fortezza di Candia, il Mediterraneo Orientale, dai Dardanelli a Corfù, e la Dalmazia, dove i Turchi cominciarono a muoversi per attrarvi le forze veneziane quando si accorsero che la partita sotto Candia non si sarebbe chiusa nè in un anno nè in due. L'inizio fu il 23 giugno 1645, quando le 378 navi2 componenti la squadra ottomana furono avvistate a Capo Spada e proseguirono verso ovest, sbarcando le truppe sulla costa sud, a Gognà, vicino a La Canea, per investirla, impossessarsene e fame la loro prima e principale base d'operazioni a Creta. L' unico ostacolo che avevano davanti era il fortino sull'isolotto di San Teodoro, guarnito da ben 65 soldati veneziani i quali, vista impossibile la resistenza, preferirono aprire le porte, dar fuoco alle polveri e saltare in aria con tutti i Turchi che stavano entrando. Ai 12 superstiti il cavalleresco nemico, in riconoscimento del valore dimostrato, umanamente tagliò la testa. La Canea aveva un presidio di 1.000 uomini, 2 o 3.000 miliziani locali e I 00 cannoni, con molti viveri e poche munizioni. Il Provveditore Navagero decise di resistere e chiese subito aiuti a Venezia.

I Le squadre erano quelle maltese. polllificia, siciliana. spagnola. napoletana e toscana. Ma uno solo fu ranno in cui tutte furono presenti contemporaneamente. I più assidui furono i Maltesi, seguiti a ruota dai Pontifici e dai Toscani; Una sola volta comparvero dei legni genovesi: e ci furono alcune campagne che videro i Veneziani totalmente soli. 2 148 tra galere e vascelli da combattimento e 230 trasporti di tutte te dimensioni con a bordo 7.000 giannizzeri, 14.000 spahis. e 30.000 tra fanti, artiglieri, guastatori, operai e servitori.


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Il Senato aveva a Candia 23 galere, ne armò altre IO e 2 galeazze e ordinò di noleggiare quante più navi a vela fosse possibile. in tutti i porti d'ltalia e d'Europa. In Olanda prese 12 vascelli; chiese aiuto al Papa - che diede 5 galere, 100.000 scudi e il permesso dì am1olare truppe negli Stati Pontifici - ed ai monarchi cristiani. ottenendo 5 galere da Napoli e 6 da Malta, 600 uomini e la sq uadra delle 5 galere dell'Ordine di Santo Stefano dalla Toscana, 2.000 soldati da Parma. il permesso di arruolare sul territorio della Repubblica di Lucca e l'aiuto personale del Duca di Modena. Dalla Francia non vennero prese di posizione ufficiali, perché ad essa serviva l'alleanza colla Turchia in funzione antiasburgica; ma, ufficiosamente e chiedendo che rimanesse segreto, Mazzarino diede 400.000 scudi per l'acquisto di vascelli in Olanda, 4 brulotti ed il permesso di arruolare 4.000 uomini, aggiungendovi poi altri 100.000 scudi di tasca propria. Come già accennato, i Veneziani al principio si mossero poco e male. Le squadre non si misero in movimento colla necessaria prontezza e voglia; il convoglio di quattro galeoni, che portava i primi 1.200 soldati veneti di rinforzo, violò gli ordini e, invece che a La Canea, li sbarcò sull'opposto lato dell'iso.la, a Hierapetra, temendo d'incontrare il nemico. ll secondo convoglio - 3 galere con 500 soldati - si comportò meglio: entrò in rada e sbarcò sotto gli occhi del nemico. Ma tutto questo non servì a molto. perché dopo 57 giorni d'assedio, il 19 agosto 1645 la piazza della Canea si dovette arrendere e fu evacuata. portando in salvo truppe, vescovo, religiosi e tulti gli oggetti sacri delle chiese. Ora toccava a Candia.

llI) L'assedio di Candia

La presa di Candia era fondamentale per i Turchi perché si trattava del miglior porto di tutta l' isola e quindi dello scalo principale esistente nel Mediterraneo orientale sulle rotte commerciali del Levante, che erano battute dai legni veneziani. francesi, inglesi, olandesi, spagnoli e portoghesi. Questo era il motivo per cui, ancora dopo vent'anni d'assedio inconcludente, la Sublime Porta avrebbe rifiutato le proposte veneziane di armistizio aventi come condizione il passaggio al sultano di tutta l'isola meno la città e porto di Candi a. E questo era anche il motivo per cui i soldati ottomani venivano immolati a migliaia in assalti tremendi contro le fortificazioni. Dopo la presa della Canea, i Turchi avevano impiegato due anni ad impadronirsi del resto dell'isola per avvicinarsi a Candia con sicurezza. Poi l'avevano bloccata, avevano costituito a sud della città un grosso campo fortificato, proprio dietro alla Nuova Candia (che era sulla strada che da Candia, andando verso sud. saliva prima sulle colline e arrivava poi al monte Ida) a qualche miglio dalla città assediata, che serviva sia come base logistica avanzata - quella arretrata era La Canea - sia come quartiere d'inverno. Le loro operazioni seguivano abbastanza lo stile europeo. Cominciavano in primavera, possibilmente dopo l'arrivo delle navi del Capitan Pascià provenienti dagli stretti coi rifornimenti in viveri, denaro, uomini e munizioni, e proseguivano durante l'estate. Terminavano in autunno e, di solito, la loro fine era segnata dall'arrivo del secondo convoglio coi ripianarnenti delle perdite. La piazza di Candia aveva una forma più o meno pentagonale colla base appoggiata al mare, cioè a nord. Da est. per sud a ovest le opere difensive più importanti erano: il bastione Sabbionera, che proteggeva la città nel punto spiaggia orientale, ed il forte di San Domenico, collegato al bastione Sabbionera dall'opera Mulina cd al cui apice sudoccidentale si trovavano l'opera Crepacuore la sua freccia. Dalla freccia partiva verso sud ovest il bastione del Gesù, che correva fino allo spigolo rappresentato dal bastione Martinengo e dalle sue opere di sostegno. Qui le fortificazioni tornavano verso il mare, cioè verso nord, in linea quasi retta col bastione Betlem, che proseguiva fino al bastione Panegrà, l'estremo punto occidentale della piazzaforte ed il luogo dove le mura piegavano di pochi gradi. puntando verso nord-nord-est, e venivano al mare ed al settore forse più conteso e bombardato di tutto l'assedio: il bastione di


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Sant' Andrea, protezione della città sul punto spiaggia occidentale. Circa 400 cannoni munivano le fortificazioni. I Turchi non avevano mai amato e quindi praticato molto la guerra di posizione. A loro piaceva condurre attacchi frontali di grandi masse d ' uomini, con alte urla minacciose, spari e fracasso per intimorire e demoralizzare il nemico e batterlo più facilmente. Per questo, vista l'imponenza delle mura candiote, decisero di servirsi di ingegneri europei esperti nella guerra di posizione e nei lavori sul campo di battaglia. Pagavano bene ed ebbero quel che cercavano. Le gaJJerie di mina turche davanti a Candia, scavate a quattro o cinque metri di profondità, destarono molta sorpresa per l' elevato grado di qualità raggiunto e furono studiate attentamente dai Veneziani, che riuscirono a preparare un sufficiente numero di opere di contromina, generalmente 6 o 7 metri più in basso, per neutralizzarle. Ma ben presto gli scavi scesero ancora e molto prima della fine dell'assedio si era arrivati ormai a considerare normali 30 metri di profondità. Ne scaturivano dei combattimenti sotterranei ferocissimi - vere e proprie battaglie con incontri corpo a corpo, alla luce delle fiaccole o al buio - e da un certo momento in poi i Turchi si avvalsero di fumi tossici sparsi nelle gallerie per soffocare i Veneziani, i quali se ne dffendevano con fuochi a base di legna di ginepro o inondati d'acquavite. Non è possibile dare un dettaglio di tutte le operazioni eseguite a Candia perché fra assalti e sortite susseguitesi nell'arco di 22 anni sono nell'ordine delle centinaia; se poi ci si aggiungesse la descrizione delJe mine e delle contromine si arriverebbe aJJe migliaia3. Basti immaginare che nel solo 1667 vennero fatte brillare 369 mine e 19 pozzi di fuoco da parte veneziana e 212 e 18 da parte turca. furono lanciati 32 assalti generali, ai quali la guarnigione rispose con 18 sortite. mentre pure 18 furono gli scontri sotterranei; il tutto costò la vita - sempre e solo in quell'anno - a 20.000 assedianti e 3.000 assediati, 400 dei quali erano ufficiali. Nel primo semestre del 1668 i morti della guarnigione sarebbero saliti a 7.000, tra i quali 600 ufficiali; e nell'ultimo semestre dell' assedio. nel 1669, sarebbero state fatte briJJare 328 mine, eseguiti 16 assalti e altrettante sortite. Nell'ultimo triennio, 1667 - 1669, si calcolarono le perdite a 29.088 militari e civili cristiani, 70.000 soldati turchi e 38.000 tra cootadi.ni cretesi e schiavi impiegati ai lavori dagli assedianti. [n linea di massima ci si può quindi limitare a dire che gli assedianti, vista l'impossibilità di attaccare dal lato del bastione Sabbionera, perché appena si scavava si trovava acqua, operarono su tre diverse direttrici d'assedio e cioè: il forte di San Demetrio, il bastione Martinengo e quello di Sant' Andrea. l primi tre anni trascorsero senza grossissimi rischi per la difesa, che riuscì a respingere nmi gli attacchi nemici. Nel 1648 però i continui assalti e le mine turche arrivarono vicinissimi al successo; e di nuovo nel 1651 venne corso un altro grave pericolo: le truppe albanesi si ribellarono per la mancanza delle paghe, si in3padronirono dei bastioni che presidiavano e minacciarono di consegnarli ai Turchi se non fossero state subito corrisposte loro le somme dovute. L'intera guarnigione e gran parte della popolazione insorsero spontaneamente contro di loro, li sopraffecero e, da quel momen to, non vi furono più Albanesi in Candia. IV) Le operazioni navali

Mentre i Turchi progredivano nell'isola, la flotta cristiana si era concentrata a Suda4, e, vi-

3 Botta riporta nella sua Storia d 'Italia - libro vigesimosettimo, anno 1669 - che complessivamente gli assalti sarebbero stati 69, 80 le sortite e 1.364 le mine fatte brillare. Kohlhaas nel suo Candia. Die tragoedie einer abendltindischefl Verteidigung u11d ihr Nachspiel in Marea 1645 - 1714. valuta a 2.781 i combattimenti di ogni genere e a 20 gli eserciti europei impegnati. 4 Risultando composta da IO I legni da guerra - 61 galere, 4 galeazze e 36 vascelJi - e qualche unità minore.


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sti gli scarsi risultati delle crociere, aveva deciso di mettere sotto sorveglianza i Dardanelli, per intercettare i rifornimenti all'origine. Così nel marzo 1646 il capitano delle navi Tommaso Morosini vi si recò con 24 vascelH e sbarcò truppe a Tenedo impadronendosene. Ma mentre faceva ciò, i Turchi fecero uscire un convoglio di 55 galere dai Dardanelli. Morosi11i manovrò verso gli stretti per tagliar loro la ritirata; ma quem sbarcarono a Tenedo e la riconquistarono. Improvvisamente, r 11 luglio, si seppe che, approfittando della sosta che Morosini era stato costretto a fare a lmbro per rifornirsi d'acqua. altre 76 galere erano uscite dai Dardanelli. A poco era valso il combattimento ingaggiato contro di loro dai due vascelli dei comandanti Valier e Contarini. I Turchi erano arrivati a Scio e, anche se avevano dovuto disarmare 10 galere e I galeazza per i danni subiti, si erano uniti a 50 galere delle Reggenze e 200 saiche con 20.000 soldati a bordo, dirigendo poi su Creta, senza che la flotta veneziana, pur avendolo tentato, fosse riuscita a intercettarli. Le crociere successive non servirono a nulla e non impedirono che i Torchi assediassero e prendessero Reti mo, investita il 20 ottobre e arresasi, dopo la morte dei Provveditori Cornaro e Molin, il 3 novembre. In quell'occasione erano stati impiegati i reparti arruolati in Francia; con miseri risultati, visto che uno dei due reggimenti sbarcati per difendere la città abbandonò le armi durante un attacco e cercò scampo sulle navi, mentre il colonnello che lo comandava scompariva. Nell'invernata 1646-47 le cose cominciarono lentamente a cambiare per i primi successi veneti e perché da Costantinopoli vennero ordini d'incominciare a combattere in Dalmazia per indebolire i Veneziani, costretti quindi a tenervi le 6 galere della Guardia in Golfo e parecchio naviglio minore. Seguirono alcuni scontri navali minori, tutti risolti col successo veneziano, a Milo e, il giorno dopo, a Negroponte, dove però morì Tommaso Morosini, mentre invece a Creta i Turchi progredivano in quelli terrestri, occupando l'isola fino a Hierapetra, nonostante la resistenza delle truppe venete. Mosse e contromosse dovute ai venti più o meno favorevoli consentirono ai Turchi di sbarcare a Candia altri due convogli di rinforzi prima dell'inverno. Intanto fervevano i combattimenti terrestri in Dalmazia. Il provveditore generale Leonardo Foscolo vi aveva prima respinto un attacco contro Sebenico e poi aveva contrattaccato verso l'interno, conqui.stando parecchie cittadine, tra cui Zemonico, prendendo Novigrad, e riperdendola nel 1646. Verso la fine dell'inverno, spronato anche dalle voci di una richiesta dei Turchi avanzata all'Imperatore di consentir loro il passaggio per attaccare da terra il Friuli veneto, Foscolo intensificò la sua attività e riusci, il 19 marzo I 648, a prendere la piazzaforte di Clissa, nonostante la durissima resistenza avversaria. In mare Grimani aveva passato l'inverno imponendo tributi alle località costiere suddite ottomane e occupando Mirabello. Poi ai primi di marzo partì con la squadra verso i Dardanelli, per intercettarvi i Turchi appena ne fossero usciti, ma nella notte del 17 vicino a Psara incappò in una terribile tempesta. Un'ondata lo scagliò fuori bordo e il suo cadavere fu ritrovato sulla costa la mattina dopo, insieme ai rottami di 18 galere e 9 vascelli delle 24 e dei 27 che, con 5 galeazze, avevano in origine composto la squadra. L'impresa sembrava compromessa dai gravissimi danni e si era deciso di ancorarsi alle SdiUe e mandare le navi al raddobbo, quando arrivò da Venezia il convoglio dei rinforzi, il cui apporto consentì di riprendere parzialmente il piano originario, facendo puntare sui Dardanelli almeno i vascelli e le galeazze. A Costantinopoli si era appreso con soddisfazione il naufragio di Psara; e la notizia che la flotta veneta era alla fonda fuori degli stretti cadde sul Divano come un fulmine a ciel sereno. Vennero spediti 5.000 uomini a guarnire i forti dei Dardanelli e annate subito 40 galere, colle


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quali il Capitan Pascià doveva uscire in mare aperto. Ma al primo tentativo gli piombò addosso Bernardo Morosini con una furia tale che decise di rientrare, decisione che gli costò il posto. dato ad Achmet Pascià, e la testa. li bloccò cessò quando la flotta veneta, comandata ora da Alvise Leonardo Mocenigo, dovette concentrarsi in rada a Candia per difenderla dalle nuove e grandiose operazioni d'assedio cominciate dai Turchi, che sarebbero costate loro la bellezza di 10.000 uomini senza nessun risultato appre1..zabile. Ma se Venezia ne uscì ancora padrona della cillà lo si doveue solo al continuo apporto della flotta, i cui uomini salvarono la situazione a terra in varie occasioni. Non ci fu quindi verso di muovere le navi di là e tutto quello che si poté fare, dopo il consueto arrivo delle galere pontificie e maltesi, consisté nel pattugliamento a targo raggio nel1'Arcipelago con scarsi risultati. Ma per fortuna nell'agosto si verificò a Costantinopoli un colpo di Stato, che detronizzò iJ sultano Ibrahim a vantaggio del decenne Maometto IV. È vero che la linea politica non cambiò; ma almeno la confusione impedì alla flotta ottomana di uscire dai Dardanelli, a tutto vantaggio dei Veneti in crisi a Candia. I Per l'anno seguente Mocenigo decise d'agire d'anticipo e inviò 19 tegni davanti agli stretti perché vi attendessero la classica uscita primaverile dei nemici. li Capitan Pascià riuscì a profittare dell'assenza della maggior parte della squadra veneta, andata a rifornirsi d'acqua, e del vento a lui favorevole per passare gli stretti con 72 galere (incluse però quelle inviate dalle Reggenze Barbaresche, che lo aspettavano fuori dei Dardanelli) 10 galeazze e 11 vascelli. Ma fu inseguito da Da Riva, che lo raggiunse a Focea e, incurante delta propria inferiorità di quasi I a 5, lo attaccò, gli distrusse parzialmente il forte che guardava la rada. parecchi legni minori e 15 da guerra, catturandone altri 3 e liberando circa 500 schiavi cristiani. L' ammiraglio turco aiutato dai bey di Alessandria, Smirne, 1\misi, Tripoli e Algeri poté riprendersi in fretta e, dopo neanche un mese, uscl da Focea e arrivò davanti a Tino con 83 galere, 64 vascelli e una gran quantità di naviglio minore. Presi di sorpresa i Veneziani, che non si aspettavano una così pronta ripresa dopo il disastro di Focea, il Capitan Pascià sbarcò 7.000 uomini a Paleocastro per rinforzare l'esercito, poi risall verso La Canea e si diresse a Suda con 40 galere. deciso ad occuparla. Ma l'attacco fu respinto dal Procuratore Pietro Diedo; e lo stesso ammiraglio turco vi trovò la morte. La flotta si ritirò allora verso Costantinopoli per i raddobbi invernali: mentre i Veneziani continuavano a pattugliare le acque cretesi colta Squadra Leggera e disponevano nuovamente I 8 vascelli davanti agli stretti. Fu allora che, davanti all'insuccesso avuto fino a quel momento per terra, il comandante turco sotto Candia, Hussein, decise di cambiare tattica passando a un regolare assedio con lo scavo di gallerie di mina5. Il 5 maggio 1650 il nuovo capitan pascià, Haidar Oldì, si avvicinò ai Dardanelli; ma vi trovò i Veneziani, rinforzati dalle 8 galere e 2 galeazze da poco arrivate sotto il comando di Barbaro Badoer. Allora sbarcò, marciò fino a Cesmè. si reimbarcò sulle navi delle Reggenze che, come tutti gli anni attendevano la squadra ottomana fuori degli stretti. e riuscì a portare a Creta le paghe per l'armata assediante e 3.000 soldati di rinforzo. Nel frattempo la Squadra Leggera veneziana imperversava in tutto l'Arcipelago, interrompendo parzialmente il traffico logistico-militare e quasi totalmente quello mercantile nemico, imponendo tributi e scacciando dall'Egeo gli ausiliari barbareschi dei Turchi.

5 Si disse poi che. grazie al l'opera dì ingegneri italiani apposìwmcnte assoldati, sì costruirono delle opere d'assedio mai viste prima, che avrebbero creato non poche difficoltà alla guarnigione e. da allora. sarebbero entrate nell'arte ossidionale classica: le parallele. La notizia però va presa con larghissimo beneficio d'inventario: perché ricerche svolte in seguito non l'hanno confennata: anche se si sa almeno il nome d'uno dei due presunti colpevoli, il quale fu rintracciato ed ucciso dagli agenti segreti vene7iani.


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Il nuovo capitan pascià AJj Mazzamamma6 uscì dai Dardanelli il 21 giugno 1651 con 114 legni da guerra - 53 galere, 6 maone, 55 vascelli - e molte saiche, arrivò a Scio e si unì ai 16 vascelli barbareschi che lo attendevano, deciso ad entrare in Adriatico. Mocenigo se lo aspettava e stazionava appositamente nei pressi di Cerigo, ma era molto più debole, visto che disponeva solo dj 57 legni, cioè 24 galere, 6 galeazze e 27 vascelli: la metà esatta del nemico. Nonostante questo, non appena seppe dell'uscita dei Turchi mosse contro di loro, avvistandoli il 7 luglio mentre puntavano su Santorino. Raggiuntili, piombò loro addosso il 22 agosto e, in una furibonda battaglia, li sconfisse duramente senza rimetterci nemmeno una nave. li nemico perse diciassette vascelli - quattro incendiati, uno fracassato sulla costa e dodici catturati - un brulotto e una maona e fu costretto a ritirarsi prima a Stanchiò (Cos) e poi a Rodi Mazzamamma tentò di rifarsi puntando con 46 galere verso La Canea, dove però riuscì a sbarcare solo il denaro per le paghe dell'esercito assediante, mentre l'appena nomjnato Capitano generale Leonardo Foscolo, lo stesso che aveva così ben condotto la guerra terrestre in Dalmazia, riceveva i rinforzi alleati: 4 galere pontificie e altrettante maltesi. Le campagne seguenti cominciarono tardi e furono inconcludenti per entrambi i belligeranti. Solo dal 1654 le operazioni navali tornarono ad essere di rilievo. Cominciarono col soljto forzamento dell'uscita dei Dardanelli compiuto il 17 maggio dalla preponderante flotta turca che, dopo una dura e confusissima battaglia navale riuscì ad arrivare al Mediterraneo perdendo un migliaio di morti, circa 2 .000 feriti. un vascello ed una galera. La trentina di legni veneziani assalitori perse due galere - una semidistrutta ed abbandonata, l' altra catturata - e tre vascelli: uno fracassatosi sulla costa, uno esploso ed il terzo incendiato e preso. Il capitan pascià Amurad però, pur cantando vittoria, dovette restare un mese fermo a Metelino per le riparazioni, radiando ben 10 galere troppo danneggiate per poter servire ancora. Finalmente, tenninati i lavori, poté salpare da Metelino con 164 legni da guerra - 64 galere, 6 maone, 44 vascelli e 50 galeotte - puntando su Tino per occuparla. Non gli riuscì. Fu intercettato dalla flotta cristiana, comandata dal capitano generale Alvise Mocenigo e inferiore alla sua per 1 a 4. Nonostante avesse solo 42 legni - 4 vascelli, 6 galeazze e 32 galere, di cui 5 pontificie e 6 maltesi - Mocenigo attaccò; ma non riuscì ad impedire al nemico di proseguire per Creta, sbarcarvi i viveri per l'esercito assediante e rientrare nei Dardanelli. Mocenigo ne morì di crepacuore; e il comando passò interinalmente a uno dei migliori ammiragli che Venezia abbia mai avuto: il provveditore generale Francesco Morosini. Per prima cosa attaccò Egina, dove i Turchi avevano costituito una grossa base logistica e navale: ne lasciò i rottami, prelevandone artiglierie e numerosi prigionieri. Poi andò a Volo e si ripeté, ma dovette passare le consegne al nuovo capitano generale Girolamo Foscarini, giunto alla fine dell ' inverno con molti rinforzì. Per poco però, perché Foscarini si ammalò e morì alla fine d ' aprile; e il comando tornò a lui. Venezia aveva fatto le cose in grande: 55 legni erano pronti per la campagna del 1655, a fronte di appena 138 dei soli Turchi. In fondo la proporzione era soltanto di I a 2, e non maggiore di 1 a 2,8 se ci si aggiungevano i soliti navigli delle Reggenze: un grosso salto di quantità, specie in confronto all'anno precedente. Morosini ricevè delle informazioni, tutte false, secondo le quali era improbabile che i nemici quell'anno uscissero dai Dardanelli. Siccome era vecchio del mestiere non ci credè più di tanto, ma gli arrivarono anche altre notizie sull' avvicinamento delle 18 galere barbaresche, dirette all'appuntamento colle navi ottomane.

6 Così soprannominato in Lingua franca mediterranea - cioè sostanzialmente in Italiano - perché sua madre era morta partorendolo.


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Tenuta la Consulta di Guerra, decise di lasciare davanti ai Dardanelli il suo miglior comandante, Lazzaro Mocenigo, con tutti i 25 vascelli della flotta, 4 galeazze e 6 galere, mentre lui, alla testa delle rimanenti 2 galeazze e 18 galere sarebbe andato a cercare la squadra delle Reggenze, l'avrebbe battuta e, in seguito, si sarebbe diretto a Malvasia per distruggervi il convoglio di rifornimenti per Creta che i Turchi stavano cominciando a concentrarvi con navi dal1'Asia e dal l'Egitto. Ma prima che potesse farlo. il nemico si mosse. ll 21 giugno 1655 il capitan pascià Zumassan decise di uscire dagU stretti. Mise in testa i vascelli, al centro le maone, in coda le galere ed avanzò, sapendo che fuori lo attendeva la squadra delle Reggenze. Aveva I I 7 legni, con a bordo 17.000 soldati destinati in parte a Candia ed in parte a sbarchi in altre località. Mocenigo gli sbarrò la strada e. sfruttando al meglio le correnti, incurante della sproporzione di forze, attaccò, mandando in costa parecchie navi nemiche e catturandone tre. Le correnti però alla fine giocarono a sfavore della flotta veneta, perché la trascinarono verso Tenedo, consentendo ai Turchi di uscire dagli stretti colle galere durante la notte. Non potendoglielo impedire, Mocenigo impegnò i suoi a incendiare sei delle navi nemiche in secca, conservando solo le altre tre per portarsele via. La mattina seguente catturò parecchie piccole imbarcazioni e, a conti fatti, si trovò ad aver preso prigionieri 5.000 turchi e ad averne uccisi il doppio in combattimento. perdendo solo circa 200 uomini ed un vascello autoaffondatosi per non farsi catturare. Intanto Zumassan si era rifugiato a Focea e vi rimase fino all'inverno, quando poté spedire 12 galere a sbarcare rifornimenti a Creta e poi rientrare negli stretti. L'inverno vide l'arrivo del nuovo Capitano Generale da Mar Lorenzo Marcello, al quale Morosini, nominato Provveditore Generale di Candia, lasciò il comando. La flotta non era moho fornita di materiali. denaro e viveri: ma il morale era alto e la voglia di combattere molta. In marzo Marcello uscì da Standia con 24 galere, 7 galeazze e 25 vascelli. Ad lmbro si congiunse alla squadra di Malta di 7 galere e proseguì diretto verso i Dardanelli. Il nuovo capitan pascià Sinau aveva a disposizione 60 galere, 8 maone e 28 vascelJi e aveva disposto nuove fortificazioni e guarnigioni a guardia degli stretti. Marcello ci arrivò il 23 maggio e si preparò alla battaglia. Ci restò più di un mese, perché solo a mezzogiorno del 26 giugno 1656, dopo un fallito tentativo di trattativa, Sinau ordinò alle sue navi di levare le ancore. Fu il più grave disastro mussulmano che si fosse visto da Lepanto in poi: la stessa vittoria di Focea scompariva al confronto. Dopo un intero pomeriggio di combattimenti, della flotta turca rimasero solo le 14 galere con cui Sinau riusci a rifugiarsi dentro i Castelli; il resto si fracassò sulla costa o si arrese. Dei legni che la mattina avevano salpato, furono distrutti 22 vascelli, 33 galere e 3 maone. I Veneziani catturarono 13 galere. 6 vascelli. 5 maone e 400 prigionieri; liberarono 5.000 schiavi cristiani ed uccisero I0.000 turchi, perdendo soltanto 300 morti, tra i quali però Lorenzo Marcello, e tre navi: il vascello San Marco di Lazzaro Mocenigo, che dopo la battaglia fu fatto incendiare perché non era possibile rimuoverlo dalla secca su cui si era incagliato. e altri due vascelli. che avevano preso fuoco mentre erano arrembati a navi nemiche incendiate. JJ terrore scese su Costantinopoli. Ci si attendeva di veder comparire la flotta veneta da un momento all'altro, nonostante le poderose difese terrestri disseminate lungo gli stretti. Il Sultano, furioso come non mai, fece uccidere tutti i Turchi sopravvissuti alla battaglia; poi ordinò l'immediata costruzione di un'enorme flotta di 100 galere, altrettanti vascelli e 200 maone, alla quale dovevano lavorare tutti gli artigiani di Costantinopoli, obbligandoli a lasciar chiuse le loro botteghe finchè le navi non fossero state pronte. Ovviamente la notizia della vittoria fu accolta a Venezia con onori trionfali: e Lazzaro Mocenigo, che era stato scelto per portarla, grazie alla sua precedente ed attuale condotta venne nominato Capitano Generale da Mar.


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lo stret/o dei Dardanelli (valido per le guerre dei secoli XVI e XVII e per quella italo 111rca del 1911 -12)

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Ma la morte di Marcello aveva recato un grave danno ai Veneziani. La sua prima conseguenza fu lo sganciamento delle navi dell"Ordine di Malta, il cui comandante affermava d'aver ricevuto ordine di sottostare soltanto al Capitano Generale da Mar, ragion per cui, essendo morto, doveva rientrare a Malta. Poi ci furono grosse discussioni su cosa fare e, invece di seguire la linea d'azione che Marcello aveva concordato con Morosini a Candia e col Senato a Venezia, cioè puntare su Creta e distruggervi l'esercito turco per piegare il Sultano alla pace, si preferì conquistare Tenedo e Lemno, per servirsene come basi d'appoggio nei Dardanelli. Nell'inverno i Turchi tentarono. con 30 galere, di riprendere Tenedo, ma fallirono. Mocenigo raggiunse la flotta alle Sdille il 26 febbraio 1657. Dopo sei mesi di crociere e un paio di scontri a lui favorevoli. era pronto a conquistare Scio quando fu informato che i Turchi stavano concentrando un esercito di 50.000 uomini e molte saiche da trasporto sulla costa asiatica per riprendere Tenedo. Puntò quindi sulle Spalmadori, dove gli si unirono 7 galere maltesi e 5 pontificie, e da là mosse verso gli stretti, arrivandoci il l O luglio. U suo piano era semplice: entrare, distruggere la flotta nemica, penetrare fino a Costantinopoli e imporre la pace al Sultano sotto la minaccia dei cannoni veneziani. Seguirono quindici giorni d'apparente inattività, durante i quali le due flotte si scrutarono da lontano. La mussulmana attendeva il momento buono per sgusciare in Mediterraneo, la cristiana. che aveva inalberato lo Stendardo di Santa Romana Chiesa, la controllava e, al tempo stesso. doveva provvedere ai rifornimenti. specie d'acqua dolce, ed alla sorveglianza lontana dei movimenti dei Barbareschi nell'Arcipelago. Poiché le condizioni atmosferiche impedivano alle galere. allontanatesi per l'acquata, di rientrare alla flotta. il capitan pascià Topa! pensò che la loro assenla gli avrebbe permesso di navigare sotto costa verso il Mediterraneo senza ostacoli da parte dei vascelli veneziani ed ordinò l'imbarco delle truppe. Bembo, che li controllava, se ne accorse ed avvertì Mocenigo, chiedendo anche urgenti rifornimenti d'acqua, completamente esaurita. Mocenigo caricò all'inverosimile di botti d 'acqua dolce tre galere come rifornitori di squadra. le mandò avanti ed ordinò alle rimanenti di accorrere. Ma iJ vento. fortissimo. impedì loro di avanzare a lungo e si dovettero fermare e ancorare a Capo HeUas. Questo fu la causa della battaglia. Infatti Topal, scortele da lontano, credette che fossero le barbaresche da lui attese, alle quali aveva mandato ordine di venirgli incontro fin là. e il 17 luglio diede l'ordine di salpare. ln conseguenza del disastro dell'anno precedente e dei distacchi già effettuati, la sua flotta era piuttosto piccola - 30 galere, 10 galeazze e 18 vascelli - e doveva per di più scortare un gran numero di trasporti, di tutte le dimensioni, su cui avevano preso posto i 50.000 uomini destinati agli sbarchi. In avanguardia mise turti i vascelli e 8 galeaz1e e, appena presero contatto colle navi venete. usci col resto, puntando verso le galere nemiche, che continuava a ritenere arniche. Lo scontro delle avanguardie terminò male per i Turchi, che persero 5 vascelli - 2 affondati, 2 incendiati ed I catturato - e altrettante galeazze - 2 bruciate, 2 sfasciate in costa ed una presa - mentre i Veneziani ne uscirono senza danni. Intanto Mocenigo, desideroso di battersi, aveva ordinato di forzare sui remi per vincere ìl vento contrario, e con 14 galere aveva cominciato ad avvicinarsi al teatro dello scontro. Ma questo fece comprendere al Capitan Pascià che erano cristiane, non barbaresche, ed ordinò ai suoi di arretrare. Solo che così il vento diventava contrario anche per loro e non potevano rientrare nei castelli. Lo scontro tra le galere per quel giorno fu minimo. La notte scese e portò la Consulta di Guerra, nella quale gli alleati stabilirono il da farsi: distruggere tutte le galere nemiche per impedire alla flotta mussulmana di operare durante r estate, rinforzare i presidi di Tenedo e Lemno, passare a distruggere le galere avversarie nell'Arcipelago e piegare poi su Candia per attaccarvi i Tor-


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chi. La mattina seguente attaccarono un primo gruppo di 5 galere avversarie, costringendone 4 a sfasciarsi e catturando la quinta. Poi si accordarono nei dettagli del proseguimento dell'azione e attaccarono le 22 galere rimaste, divise in due gruppi, uno di 15 e l'altro, più lontano di 7. Mocenigo si riservò il secondo ma, mentre gli si avvicinava, cadde nel raggio d'azione delle artiglierie costiere. li bombardamento danneggiò gravemente due galere, poi colpì il deposito delle polveri della sua generalizia, il cui albero, spezzandosi, lo colpì uccidendolo all'istante. Più dell'anno prima, la morte del Capitano Generale fu un vero disastro. L'azione si fermò e con essa la battaglia. La flotta si demoralizzò; e gli alleati se ne andarono il 24 luglio. Invece i Turchi, saputo che anche il comandante interinale, l'esperto Badoer, era morto di malattia. approfittarono dell'inesperienza del suo successore, Lorenzo Renier, e riuscirono a riprendere Tenedo il 24 agosto. La flotta veneta allora si ritirò a Lemno, ma vi sbarcarono 3.000 nemici che, dopo due mesi d'assedio, conquistarono l'isola e obbligarono le navi a ritirarsi a Candia. Al Senato era rimasta un'ultima nomina da giocare per tentare di salvare la situazione; e Francesco Morosini fu il nuovo Capitano Generale da Mar. Le campagne del 1658 e del 1659 furono inconcludenti per entrambe le parti e prive di scontri di rilievo. Si possono solo registare due incursioni. La prima è quella compiuta contro Santa Maura nell'agosto del '58 dalle 16 navi della squadra cristiana- 4 veneziane, 7 maltesi e 5 pontificie - che sbarcarono 800 fanti, devastarono l'isola e interruppero il ponte colla terraferma, senza poter fare nulla contro la fortezza per mancanza di artiglierie adatte. La seconda fu condotta l'anno seguente da Morosini contro Castclrosso. L'isola fu aggredita, bombardata e conquistata dalla flotta veneziana, dopodichè, contrariamente al parere di Morosini, che avrebbe voluto tramutarla in una base fortificata. il consiglio di guerra decise di smantellarne completamente il castello e abbandonarla. La campagna del '60 vide invece prevalere le attività terrestri a Creta, dove erano giunte truppe francesi e piemontesi, mentre sul mare avevano fatto la loro comparsa navi toscane e francesi, oltre alle solite pontificie e maltesi. Ma non si riuscì ad ottenere dei veri risultati, anche a causa della scarsa disciplina dei reparti di terra. Intanto anche l'Imperatore era sceso in campo, promettendo l'invio di 2.000 fanti; ma i Turchi lo attaccarono per terra e lo sconfissero a Varadino. Dal 1661 le operazioni navali diminuirono molto e i Veneziani si concentrarono progressivamente intorno a Candia Nel 1665 il Senato tentò d'aumentare le truppe nell'isola, cercando aiuti dappertutto. Ne ottenne solo da Carlo Emanuele Il di Savoia, che mandò due reggimenti e consentì al suo miglior generale, il veterano marchese Villa. di assumere la carica di Comandante Generale delle truppe di Candia. I rinforzi giunsero nel gennaio 1666 e si decise di impiegarli per tentare di riprendere La Canea. Ma l'operazione fallì, sia per il cattivo tempo. sia per le grosse difficoltà che apparvero una volta sbarcativi i 9.000 fanti e 1.000 cavalli del corpo di spedizione. ln più i nemici decisero di mandare subito ingenti rinforzi da Nuova Candia a La Canea; ragion per cui il comando cristiano optò per il reimbarco. L'intenzione era però quella di rientrare a Candia, sbarcarvi e marciare subito su Nuova Candia per impadronirsene, visto che le truppe mandate a La Canea erano tante da averla lasciata sguarnita. L'operazione andò avanti pe1fettamente fino a quando il 17 settembre 1666, dopo una breve scaramuccia. i soldati alleati J0.000 fanti e 800 cavalieri - non entrarono a Nuova Candia e, trovatovi ogni ben di Dio «sprezando gli ordini militari si diedero a botinare ne borghi giewndo l'armi per caricarsi di borino, così permetendo l'avidità de suoi ojiciali, et così di mano in mano tutti quelli che havevano fatto il fatto loro carichi di borino (tornavano indietro) per ridursi in luogo sicuro». I Turchi ne approfittarono e, benchè in pochi, attaccarono uccidendo un migliaio di nemici, catturandone circa 1.200 e mettendo in fuga gli altri: un vero disastro. Per di più i Turchi profittavano dell'assenza delle navi venete davanti agli stretti e ne entravano ed uscivano a loro piacimento, mentre si rivelava fallimentare la tattica del capitano


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generale da mar Andrea Cornaro, che aveva suddiviso la flotta in piccole squadre sperando di migliorare la sorveglianza intorno a Creta. Davanti alla nullità dei risultati, in settembre Cornaro diede le dimissioni: e il Senato rinominò al suo posto Francesco Morosini. In ottobre sbarcò a Candia il gran visir Achrned Coprolu con 4.000 uomini, che elevavano a 40.000 soldati e 8.000 guastatori l' esercito assediante: Costantinopoli si preparava a vibrare il colpo finale. La guarnigione di Candia aveva solo 6.000 uomini e 400 cannoni, cosicché Morosini si impegnò a fondo nella caccia ai rifornimenti nemici, con notevole successo. I vascelli di Alessandro Molin intercettarono un convoglio di rifornimenti, catturarono quasi tutte le 20 navi che lo componevano e, dai prigionieri. appresero l'imminente arrivo di un secondo convoglio di 23 vascelli carichi di 2.000 soldati. Molin l'intercettò che era quasi giunto a destinazione e lo dbtrusse sono gli occhi del Gran Vìsir. che seguì la lotta dalla costa senza poter far nulla. Nel frattempo gli attacchi terrestri si erano susseguiti sul tratto fortificato che andava dal bastione del Gesll a quello di Saot' Andrea, cioè su tutto il fronte da sud a ovest, ma senza risultati apprezzabili, meno che al bastione Panegrà, dove in quattro mesi i nemici erano riusciti a demolire la controscarpa e a riempire di terra il fossato. I Veneziani avevano risposto con una groSSà sortita fatta il 9 settembre da 2.000 uomini' che avevano permesso agli zappatori di svuotare il fossato e ricostruire le mura, mentre respingevano i Turchi fino al terzo ordine di trincee. In primavera Morosini lasciò Candia per l'Arcipelago con 25 galere e 6 galeazze. Ma il Capitan Pascià, lru.ciati a Scio 30 vascelli e alcune galere, riu~cì a sfuggirgli con altre 46, sbarcando velocemente a La Canea rinforzi e rifornimenti prima di ritirarsi. Con questi in maggio il Gran Visir incominciò una serie ininterrotta di poderosi attacchi alle difese di Candia elle preoccuparono molto Morosini, il quale rinforzò i 9.000 uomini della guarnigione mettendo a terra 2.000 tra marinai e rematori. Poi, raggiunto da 6 galere pontificie, altrettante maltesi, 4 napoletane e 4 siciliane le lasciò, insieme a 10 venete e 5 vascelli a impedire l'arrivo di altri rinforzi nemici, mentre lui si dirigeva in alto mare col resto. Ma, come al solito, i Turchi non vi si fecero vedere. Piuttosto, non appena seppero che gli alleati si erano ritirati per l'avanzarsi dell'inverno, ne approfittarono e fecero giungere a La Canea un convoglio di 54 galere di rifornimenti, con cui poterono ripianare le pesanti perdite subite fino allora. Verso la fine del 1667 il nuovo papa Clemente IX diede a Venezia 100.000 libbre di polvere da sparo, 700 uomini oltre quelli già impegnati, 50.000 scudi e ancora una volta la squadra delle galere, che giunse in Levante nella successiva primavera insieme a quelle napoletana, siciliana e maltese. I Veneziani arruolarono altre truppe e si rinforzarono. ottenendo contingenti anche dal Duca di Lorena e dall'Imperatore. li Granduca di Toscana spostò il reggimento che teneva nell'esercito veneto dalla Dalmazia a Candia, Lucca diede 50.000 libbre di polvere, altrettante Modena, 60.000 l'arcivescovo di Salisburgo: ed alcuni Stati tedeschi fornirono abbondanti somme di denaro e provviste di polvere da sparos. Il Gran Visir fece a sua volta costruire una fonezza nel golfo di Santa Pelagia. a una dozzina di miglia dalla rada di Candia, in modo da garantirsi un pili rapido e sicuro affiusso dei rinfoni e impedire alle galere veneziane di attraccarvi. Per questo le fece assalire dalle 12 galere del corsaro Durac nella notte fra il 7 e l'8 marzo 1668, ma i Veneziani gliene catturarono 5 e misero in fuga le altre in quella che sarebbe stata

7 Articolati su quattro colonne da 500 l'una. composte la prima da Italiani. la seconda da Tedeschi. la terza da Francesi e l'ultima da Greci. 8 Per dare un termine di paragone, si pensi che il consumo annuo di polvere nel I 668 fu di 3 milioni di libbre, pari a oltre 1.200 tonnellate del sistema metrico decimale.


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conosciuta come "la battaglia delle fiaccole" o "delle torce a vento", perché si era svolta al lume cli esse. Nonostante un consistente aumento dell'attività navale veneta, i Turchi riuscirono a far funzionare il nuovo punto d'approdo facendo sbarcare a Santa Pelagia ben 5.000 uomini portativi da una flotta di 53 galere e installarono nell'isola una fonderia cli cannoni e di palle d'artiglieria. Per cli piìl vennero nelle loro mani i dispacci in cui da Candia si comunicava a Venezia la gravità della situazione, dimodochè si resero conto che la vittoria era ormai vicina. La piazza infatti, nonostante i continui rinforzi, aveva visto la propria guarnigione decrescere a 5.000 unità. Le perdite erano in assoluto minori di quelle nemiche, ma mentre i rimpiazzi turchi, con meno strada da fare dalle basi principali, bastavano ampiamente, i rimpiazzi veneziani giungevano piìl lentamente e in numero ridotto. Il Senato ordinò a Morosini di cessare il pattugliamento a largo raggio e ccmcentrare gli sforzi nelle acque dell'isola, giovandosi delle 5 galere pontificie e delle 7 maltesi arri vate anche quell'anno, ma ciò non impedì alle 52 galere del Capitan Pascià di sbarcare i rinforzi nel sud dell'isola. Fallite le trattative diplomatiche, si cercarono disperatamente aiuti in tutta Europa. Se ne ebbero dalla Svezia e, sopratutto, si ottenne l'assenso di Luigi XIV: la Francia avrebbe mandato la bellezza di 12 reggimenti di fanteria con un adeguato sostegno di cavalleria. Per il momento arrivavano: un reggimento mandato dal Duca di Lorena; 600 volontari, tutti nobili delle migliori famiglie di Francia, guidati dal Duca de la Feuillade; 60 cavalieri di Malta con 300 fanti deu·ordine e 125.000 libbre di polvere, condotti dal Commendator della Torre. Dopo un breve periodo d'ambientamento, insufficiente secondo i veterani, ma che era bastato a far ammalare già 320 volontari, La Feuillade insistè per guidare i suoi in una sortita. Alla fine Morosini dovè cedere, ottenendo solo di far accettare ai Francesi una compagnia di 100 granatieri piemontesi in appoggio. U 16 dicembre tutti i Francesi in grado di reggersi in piedi, ammalati o meno, uscirono dalla Sabbionera e attaccarono. Dopo un buon successo iniziale, il maggior numero dei Turchi prevalse. I Franco-Piemontesi evitarono di misura l'accerchiamento e rientrarono in Candia alla meno peggio, portandosi dietro 76 feriti e lasciando fuori 40 morti loro e 800 e 400 feriti del nemico. Pochi giorni dopo, senza quasi dare preavviso, i volontari francesi si reimbarcarono e tornarono in Patria. Nel giugno del 1669 un gran numero di galere e 23 vascelli sbarcarono il promesso aiuto francese: circa 5.000 uomini di fanteria e cavalleria. Morosini avrebbe voluto far loro attendere l'arrivo delle squadre pontificia e maltese, previsto per la prima settimana di luglio, e. soprattutto, lo sbarco delle truppe fresche in viaggio da Venezia; ma i Francesi non vollero sentir ragioni ed organizzarono una sortita per il 25 giugno. Non solo non conoscevano il terreno, nè il modo di combattere del nemico, ma non sapevano neanche quanto pericolose fossero le mine e le artiglierie a Candia: e nonostante questo pretesero di non sottostare agli ordini del Capitano Generale delle truppe, il marchese di Montbrun, ma di far tutto da soli. Andò tutto storto: dopo un brillante inizio, lo scoppio di una polveriera scompigliò le linee dei Francesi. Travolti dai Turchi e salvati a stento dal loro comando e da una sortita dei Veneziani, ripiegarono dentro la città lasciando 500 morti sul terreno. L'insuccesso li convinse che la partita di Candia era disperata e si prepararono a reimbarcarsi. Giunsero allora sia le squadre pontificia e maltese, il 3 luglio, sia i convogli da Venezia; e Morosini riuscì a convincere il Duca di Noailles, comandante dei Francesi a partecipare a un'azione anfibia d'alJeggerimento da eseguire il 24. Ma il risultato fu minimo. Dopo un intenso bombardamento navale i Francesi, ammaestrati dalla precedente disastrosa esperienza, si rifiutarono di uscire se non avessero avuto ben 4.000 veterani veneziani in avanguardia (su 10.000 uomini previsti per la sortita), cosa che Morosini non era certo disposto a concedere, specie in vista di un eventuale sganciamento francese da Candia. Poiché si era saputo che i


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Turchi si erano preparati all'attacco, si decise di far uscire solo 300 uomini per una ricognizio• ne in forze. Metà erano Francesi e metà Tedeschi. Ne caddero un centinaio e di quelli che rientrarono venticinque erano feriti. Dopodichè i Francesi si ritirarono a Standia e si prepararono ad imbarcarsi perché, come Morosini seppe da un informatore di Costantinopoli, Versailles s'era impegnata coUa Sublime Porta a ritirare i propri uomini e favorire la resa di Candia se il SuJtano avesse accreditato un proprio ambasciatore stabile in Francia. L' aJleanza turca era troppo importante in funzione antiasburgica per potersene privare per favorire i Veneziani. li 29 agosto Noailles partì con tutti i suoi. lentamente lo seguirono i contingenti germanici, quelli pontificio e maltese e i volontari europei. Restavano a Candia solo 3.600 uomini validi, assolutamente insufficienti a difendere le disastrate e semidistrutte mura della città. Morosini dovette piegarsi e inviò dei parlamentari al Gran Visir per discutere la resa. 116 settembre le trattative erano concluse: la guarnigione aveva 12 giorni di tempo buono e mare calmo, quindi anche non consecutivi, per sgomberare l' abitato e le fortificazioni e imbarcarsi con quanti avessero voluto andarsene, cogli oggetti sacri e coi materiali d'armamento che poteva asportare. Ai Veneziani sarebbero rimasti. sulla base dcli' Uti possidetis, Cl issa, occupata da Foscolo in Dalmazia quasi vent' anni prima. e i tre isolotti cretesi di Suda, Spinalonga e Grabusa. che i Turchi non erano riusciti a prendere e che sarebbero caduti in loro potere solo nella seconda guerra di Morea. li 26 lo sgombero era terminato. Morosini se ne andava lasciando 212 cannoni, portandosene via 328, con 12 mortai e 7 petardi. Con lui partivano per Venezia tutto il clero con ogni cosa asportabile daJle chiese e dai conventi, molti Cristiani che non des.ideravano vivere sotto il dominio mussulmano, 3.754 soldati vaJidi, circa 4.000 ammalati o feriti e 400 cavalli. fl 4 ottobre il Gran Visir fece la sua entrata solenne in una città ridotta a un cumulo di macerie: non c'era nemmeno un edificio risparmiato dalle bombe. Contrariamente a quanto previsto nella capitolazione, quattro chiese vennero ridotte a moschee, le altre furono demolite e sulle loro fondamenta furono costruite le stalle della cavalleria. La guerra era finita. Venezia ne uscì stremata e danneggiatissima daJla perdita del suo migliore e ultimo scaJo commerciale in Levante. La guerra aveva avuto dei costi altissimi, in uomini e denari. Dei primi, solo a Candia, erano caduti 30.985 soldati veneziani e 118.754 mussulmani. I secondi erano valutati in almeno 126 milioni di ducati, in media più di 5 aJl'aono, comportanti all'erario pubblico un disavanzo finale di 64. Di questi solo 25 milioni avevano coperto le spese strettamente militari, gli altri quelle - molto maggiori - indirettamente connesse al conflitto. Da quel momento, nonostante la gloriosissima fiammata della prima guerra di Morea, che doveva accendersi quindici anni dopo e che avrebbe visto un susseguirsi di vittorie come mai si era avuto in precedenza, la Repubblica cominciava a morire.


CAPITOLO XI

UN TEMA OBBLIGATO: LA GUERRA TRA PIEMONTE E GENOVA DEL 1672

I) Introduzione

Dopo la guerra di Candia gli Italiani goderono per qualche anno di una certa tranquillità che fu rotta dall'ultima azione militare di Carlo Emanuele Il: la per lui disastrosa guerra combattuta contro la Repubblica di Genova. Il casus belli era stata la questione della proprietà del feudo di Pornassio, alla quale si era aggiunta l' illusione di potersi impossessare di Savona. Un nobile ligure, Raffaele Della Torre, aveva organizzato, per il 24 giugno 1672, una congiura che doveva garantire il passaggio della città in mano al Duca, il quale aveva assicurato il proprio appoggio militare. li complotto fu scoperto e soffocato, ma le trnppe sabaude, già in movimento, non si arrestarono e proseguirono secondo i piani, per la verità alquanto confusi, scendendo a sud al comando di Catalano Alfieri e procedendo in direzione di Savona.

II) Svolgimento

All'inizio tutto andò bene ad Alfieri che, proveniente dal Piemonte, prese prima Garessio poi la Pieve di Teco, catturandovi 800 soldati genovesi, e infine Zuccarello. Ma dopo la battaglia alla Pieve di Teco i 4.850 sabaudi restarono fermi a causa dei disaccordi sorti fra Catalano Alfieri ed il marchese dj Livorno; e le operazioni ripresero solo il 16, quando il conte di Scalenghe assalì e prese Rezzo col Reggimento Savoia e qualche compagnia di Svizzeri. Intanto erano arrivate le miliz ie corse arrnolate in fretta e furia da Genova ed avevano preso posizione al ponte di Muzio, sul torrente Arroscia per impedire il proseguimento dell'avanzata nemica verso sud. Attestatisi nella cartiera di Muzio, all'altro capo del ponte, i Corsi, comandati da Pierpaolo Ristori, distaccarono un piccolo reparto sul Monte di Sant'Antonio, dal!' altra parte del torrente. La mattina del 18 luglio, alrarrivo delle truppe ducali, l' avamposto genovese ripiegò subito alla cartiera. difesa da 500 moschettieri, che venne assalita e conquistata dai Piemontesi dopo una cruenta zuffa. La stessa sera giunse al campo sabaudo il nuovo comandante, Don Gabriele di Savoia, mandato dal Duca per far cessare le diatribe fra Alfieri e Livorno. Diede ordine ru dividere le truppe piemontesi in due colonne. La prima, direttamente ai suoi ordini e composta dai reggimenti Guardie e Savoia, dagli Svizzeri, dai volontari e da una porzione della cavalleria, marciò verso Oneglia, territorio ducale, per guarnirla. La seconda, formata dal resto della cavalleria e dai soldati dei reggimenti Monferrato, Piemonte e Croce Bianca, da tre reggimenti del Battaglione ru Piemonte e da alcw1i miliziani, puntò verso Zuccarello coll'intenzione di ricongiungersi all' altra a Testico. Ma i Genovesi inserirono le loro truppe sulla dorsale collinosa che separava le due colonne e assalirono per prima quella di Don Gabriele, più vicina e più pericolosa, a Stellanello.


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battendola e costringendola a ritirarsi e richiudersi in Oneglia. Poi si volsero alla seconda. Il 7 agosto sorpresero Catalano Alfieri, che non si era mosso, e lo accerchiarono coi suoi l.500 uomini a Castelvecchio di Rocca Barbera, poco a sud di Zuccarello. Lui riuscì a disimpegnare se stesso e parte delle truppe con una fortunosa sortita; ma la colonna, disfatta, dovette ripiegare rovinosamente. Liberatisi così anche del secondo contingente, mentre Don Gabriele, uscito da Oneglia, riparava a nord con 900 uomini. i Corsi iniziarono e portarono a termine l'assedio della città, che il 15 agosto si arrese e fu evacuata, e passarono poi alla sottomissione di tutta la zona, minacciando il Piemonte stesso.

ID) Conclusione

Si era a questo punto quando intervenne la Francia ed obbligò i due contendenti all'armistizio del 29 ottobre•. In sostanza si trattava di ripristinare lo statu quo ante, scambiando Ovada con Oneglia. Finalmente, col Lodo di San Germano del 18 gennaio 1673, la guerra terminò. La pace fu ratificata dal Duca di Savoia il 21, dal Senato, molto restio ad abbandonare Oneglia, soltanto 1'8 marzo. Ma Carlo Emanuele, pur non avendo guadagnato nulla, dovette ricambiare l'aiuto ricevuto da Versailles fornendo a Luigi XIV tre reggimenti per la guerra d'Olanda. Né andò meglio alla Repubblica, che su intimazione di Luigi XIV, presentata dalJ'ambasciatore signor de Gaumont, dovette concedere alla Francia nel maggio del 1673 1.200 uomini come prezzo della mediazione diplomatica. Complessivamente, dunque, la politica estera del Duca di Savoia era stata un fallimento e l'unico risultato che gli aveva fatto raggiungere era stato quello di ritrovarsi ancor più legato alJa Francia.

1 li 15 i delegati si erano accordati per cominciare la tregua il 22. ma Carlo Emanuele s'era opposto perché voleva recuperare Oneglia grazie alle proprie armi, non al Re di Francia. ragion per cui vo]Je posporre la sospensione delle ostilità di una settimana, appunto il tempo necessario a riprendere la città.


CAPITOLO XII

DALLA RIVOLTA DI MESSINA ALLA LEGA D'AUGUSTA: 1674- 1688

I) La rivolta di Messina: 1674-1676

O 7 luglio 1674 scoppiò a Messina la più lunga e sanguinosa delle rivolte che mai avessero minacciato il dominio spagnolo in Italia fino allora. I motivi erano sempre i soliti. La città aveva goduto fin dai tempi dei Normanni di privilegi notevoli, vedendoli via via riconfermati dai successivi sovrani d'origine tedesca e francese ed aumentati dal re Filippo nel 1647. al tempo delle rivolte di Palenno e di Napoli, grazie ali' appoggio fornito aJla flotta reale. Per varie cause, tra cui la carestia dei primi anni '70, la situazione si aggravò e giunse a una netta contrapposizione fra la città - nobili, artigiani e, progressivamente, ampie fascie della popolazione - e il governatore, detto "Stratico", il quale per importanza era la quinta carica dell'apparato spagnolo in Italia. L'occasione della rivolta fu quanto di più futile si potesse immaginare: una caricatura dello Stratico esposta da un artigiano, il quale fu arrestato, rischiando la forca. Il Senato cittadino intercedè per lui; lo Stratico minacciò, se ne dissero e fecero parecchie e «malamente si alterarono gli animi dell'uno e degli altri; e lo Straticò fece serrare il Portone del Palau.o restandovi rinchiusi detti Giurati, con pochi della loro Comitiva: ciò vedevasi dal rimanente della Comitiva rimasta fuori di esso Palau.o, dubitando che lo Straticò volesse far qualche affronto al/i detti Giurati, corsero per la Città narrando il successo, e di subito congregatosi molto Popolo armato si portò al Palau.o dello Stratico»i. Era il 7 luglio 1674. Messina aveva viveri e munizioni per due anni e «il numero degli armati ascenderebbe a circa quaranta mila persone...»ii Come trent'anni avanti a Napoli, larivolta era dichiarata contro lo Stratico e non contro il Re, del quale anzi la città si professava fedelissima suddita. Accorse da Palermo il Marchese di Baiona ma, appena arrivato colle galere, gli fu detto che gli sarebbe stato volentieri concesso l' ingresso in città senza soldati. Se però avesse insistito nel voler entrare con loro sarebbe stato respinto. Lui non se ne diede per inteso, fece sbarcare la fanteria e si avvicinò. Dalle mura lo cannoneggiarono e lo costrinsero a riprendere il mare e fermarsi a Milazzo: era la rivolta; e il Marchese chiamò i baroni siciliani e le truppe, facendo di Milazzo il proprio quartier generale. Nello stesso tempo i Messinesi spedirono un enùssario a Roma, ufficialmente per abboccarsi coll'ambasciatore spagnolo, in realtà per domandare aiuto all'ambasciatore di Francia. Intanto erano cominciati dei pesanti combattimenti in tutta la città. Vennero assaliti e presi sia il palazzo dello Stratico sia quasi tutti i forti e l'azione fu allargata al territorio extraurbano. Giunsero allora sia la squadra che le truppe napoletane e tedesche mandate in rinforzo dalla Spagna insieme al nuovo vicerè don Frederique de Toledo, marchese d.i Villafranca, il quale

i CARLO CARTARI, "De Tumultu Messanensi", in ASR Roma. "Effemeridi Cartari Febei", Volume 14°, busta 85, anno 1674, pag. 42 e 43. ii Idem, pag. 43.


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diresse personalmente le operazioni d'investimento di Messina, tagliandole i viveri e spingendosi molto avanti, coadiuvato dalle squadre genovese e maltese. Ma quando la città sembrava destinata a cadere entro poco tempo, giunse Ja risposta di Versailles, sotto forma di una squadra di 6 vascelli, 4 brulotti e vari trasporti con reparti imbarcati, comandati dal commendatore di Malta Jean de Valbelle. Al loro arrivo i cittadini issarono la bandiera francese e, coi nuovi alleati, assalirono il forte di San Salvatore, ultimo rimasto in mano agli Spagnoli. Lo presero dopo averlo bombardato ed aver patteggiata la resa se non gli fosse arrivato un soccorso entro 8 giorni 1. Le vittorie indussero il Senato e la citt.à di Messina al passo più estremo, quello di mandare in novembre dei deputati a domandare la protezione della Francia, chiedendo di diventarne sudditi . Così facendo la città andava, e non per caso, ad inserirsi nella guerra d'Olanda, incominciata da Luigi XIV nel 1672 per espandere il proprio confine settentrionale almeno fino al Reno. Questo aveva implicato che, oltre all'offensiva contro le Provincie Unite, l'esercito francese era sceso in campagna contro quelli spagnolo, di presidio nelle Fiandre spagnole e nella Franca Contea, e imperiale, ragion per cui, se da un lato i Messinesi potevano contare sull'appoggio francese. dall'altro la Spagna poteva ricevere aiuti dall'Olanda e dall'Impero, come infatti fu. Al principio del 1675 arrivò però a Messina un grosso convoglio francese di 19 vasceJli. colle truppe spedite a sostenere la rivolta comandate dal Marchese de Valavoir e dal Cavalier de Valbelle. Poco dopo, 1'11 febbraio, un secondo convoglio di 20 navi sbarcò il Duca de Vivom1e ed ulteriori contingenti di truppa, parificando le forze francesi a Messina a quelle spagnole. Le navi delle corone di Spagna si ritirarono a Napoli; quelle genovesi e maltesi rientrarono ai rispettivi porti e l'approvvigionamento dei viveri riprese normalmente. Contemporaneamente aumentò lo sforzo militare della corona di Spagna, facendo leva specialmente su quella inesauribile fonte di risorse umane che era il Regno di Napoli, dal quale partirono 17 legni caricbi di truppe in rinforzo al Vicerè. Per terra i Francesi decisero d'allargare la zona d'occupazione ali 'entroterra messinese, impadronendosi di Castel Mola, Taormina e Scaletta Zanclea. In quest'ultima i regi avevano oltre 6.000 tra fanti e cavalieri, al comando di Marcantonio d.i Gennaro e Antonio Guindazzo, entrambi napoletani, i guaii resisterono a lungo, respingendo parecchi assalti con forti perdite da tutt'e due le parti. In luglio i Francesi tornarono all'offensiva e dopo 12 giorni d'assedio si impadronirono d'Augusta, mettendoci di presidio due reggimenti di fanteria2 e 50 cannoni tolti alle navi spagnole Vi furono scontri a Lentini. Gli Spagnoli ebbero la vittoria e le loro forze furono concentrate prevalentemente a Catania agli ordini di Andrea Cicinello dei principi di Cu.rsi. La difficoltà degli Spagnoli consisteva nel continuo afflusso di rinforzi dalla Francia. Interrornperlo implicava una forza navale che la Spagna non aveva più e allora, approfittando dell'alJeanza olandese, Madrid richiese agli Stati Generali un aiuto per il Mediterraneo. La flotta olandese. considerata all'epoca la migliore del mondo, guidata dalrammiraglio Ruyter passò Gibilterra e si presentò nelle acque siciliane per impegnarvi la squadra francese e «andare a cercare l'armata spagnola per andare insieme, colla benedizione di Dio, a rimettere Messina sotto l'obbedienza del Re di Spagna»iii_

1 Stabilita la tregua, i Messinesi non attesero la scadenza del termine e, temendo l'arrivo dei rinforzi spagnoli, approfittarono della rilassata sorveglianza della guarnigione e introdussero nella fortez7,a 300 uomini con armi nascoste addosso, i quali sorpresero i soldati e li obbligarono ad arrendersi subito. 2 Reggimenti de Crussol e de Louvigny. i ii Ordini di Guglielmo d 'Grange a Ruyter, del 26 luglio 1675, rip. in Enc. Mii., Voi. l, pag. 816, B.


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11 primo scontro di rilievo si verificò 1'8 gennaio 1676, quando le navi francesi delJ'ammiraglio Duquesne e quelle olandesi di Ruyter si affrontarono a largo di Stromboli. La battaglia terminò alla pari verso le 16,30, quando il vento cadde e le 9 galere della squadra di Napoli si fecero avanti per rimorchiare i vascelli olandesi a Milazzo. Là infatti era stata stabilita la base operativa terrestre e navale ispano-olandese in Sicilia. Il resto del dispositivo spagnolo poggiava su Napoli, come piazza strategico-logistica fondamentale e arretrata, e Reggio Calabria. come piazza avanzata di concentramento delle truppe provenienti dall ' Italia Continentale e dalla Sardegna e destinate alla Sicilia, dove, e per tutta la guerra, lo snodo logistico più importante restò quello di Noto. Il mancato successo della prima battaglia navale non implicava però alcun ritardo nello svolgimento delle operazioni pianificate e si procedè come previsto. Nel mano del 1676 gli Spagnoli investirono Messina, ma persero la posizione conquistata al convento di San Basilio e non riuscirono a chiudere la città perché ogni loro sforzo venne frustrato dalle azioni dei franco-messinesi. Passarono allora ad attaccare Augusta da terra per cacciarne i Francesi, mentre la squadra olandese, unitasi a quella d'altura spagnola, forte di 12 vascelli 3, doveva impedire i movimenti marittimi del nemico e battere Augusta dal mare. Saputolo, Vivonne ordinò a Duquesne di uscire subito in mare per affrontarvi gli alleati coi suoi 30 vascelli e 6 brulotti. Le due squadre si affrontarono il 22 aprile pomeriggio nelle acque d ' Augusta e combatterono per tre ore, fino al tramonto. Poco aiutato dagli Spagnoli. Ruyter fu gravemente ferito e la sua squadra dovè rientrare a Siracusa con forti danni Là il 29 si presentò anche Duquesne cercando una nuova battaglia; ma non l'ebbe perché proprio quel giorno l' ammiraglio olandese mori. Nel mese di maggio le operazioni si spostarono verso Palermo, perché vi si era ancorata la squadra alleata. La squadra francese arrivò davanti alla capitale siciliana il 31 maggio e constatò il pessimo stato delle fortificazioni e la mancanza dei cannoni destinati a guarnirle, che erano stati trasportati a Palazzo Reale e ali' Arcivescovado per proteggerli da insurrezioni popolari. Allora alle 14 del I O giugno attaccò ed ottenne un buonissimo successo iniziale, riuscendo a incendiare parecchie navi nemiche e far saltare con un brulotto la galera reale di Spagna e altre due sensiglie avvicinatesi per soccorrerla. Il successo navale però fu la causa dell' insuccesso dell' impresa, perché i Palermitani, constata la possibile vittoria della flotta francese, ritrascinarono subito i cannoni sui bastioni e aprirono il fuoco contro di essa, obbligandola ad allontanarsi. Due anni di guerra avevano datto alla Francia solo il possesso di Augusta, Messina e qualche paesino nelle loro vicinanze. La Sicilia era rimasta fedele alla Spagna e il Regno dì Napoli, a dispetto di tutti gli agitatori inviativi dall'ambasciatore francese a Roma. non aveva registrato nessun disordine di rilievo. Per contro il vicerè di Napob, Marchese de los Velez aveva raccolto e continuava a raccogliere truppe, armi, navi e denaro per sostenere le forze spagnole in Sicilia. L'insussistenza dei risultati e la noti.zia dell'allestimento d'una nuova e più potente squadra olandese destinata al Mediterraneo sotto l' ammiraglio Everts non potevano avere che una conseguenza: il ritiro delle forze francesi. E così fu quando, iniziate a Nimega le trattative preludenti alla fine del conflitto, per non interromperle e non guastare i rapporti coll'alleata Inghilterra, Luigi XIV sostituì Vivonne con La Feuillade e richiamò il contingente, lasciando Messina alla mercè della Spagna. Terrorizzati all'idea del castigo che li attendeva. 7.000 messinesi abbandonarono la città

3 Portando così la squadra alleala a 29 vascelli -

poletane e S brulotti.

17 olandesi e 12 spagnoli - 6 galere spagnole, 3 na-


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insieme alle truppe del Cristianissimo; e fecero bene, perché quelli che rimasero, o tornarono in seguito, vennero sistematicamente arrestati e impiccati. Cancellati tutti i suoi antichi privilegi. Messina vide abbattere il Palazzo di Città. Sulle sue fondamenta, dopo avervi sparso del sale, fu rizzata una statua del Re di Spagna, fatta col bronzo della fusa campana colla quale prima s i chiamavano i cittadini a consiglio.

Il) Tre questioni spinose: "L'affare dei Corsi" di Roma, il bombardamento di Genova, la questione dei privilegi degli ambasciatori, 1662 - 1688

Quella di Messina fu la più pesante e prolungata ma non l'unica ingerenza francese in Italia dopo l'ascesa al trono di Luigi XIV. Teso ad affermare il suo potere, il Cristianissimo si avvalse anche di piccoli incidenti e di pretesti minimi per far sentire la sua forza; e lo fece tre volte prima dello scoppio della crisi definitiva. Il primo caso fu quello dei Corsi. Le pontificie "Compagnie de'Corsi", erano dei reparti che oggi definiremmo di gendarmeria, preposti al servizio di polizia extraurbano e a fornire sostegno agli sbirri in città. Si trattava di militari a tutti gli effetti, dotati di unifonne (a differenza degli sbirri, che si distinguevano solo per delle placche metalliche panate addosso). inquadrati regolarmente da ufficiali, sottufficiali e graduati di truppa, regolarmente vestiti, armati, mantenuti e pagati dalla Reverenda Camera Apostolica e fomiti di una loro bandiera. Fino al 1662 le mansioni di gendarmeria erano state svolte dai Corsi, originari dell'isola di cui portavano il nome, ai quali spettavano s ia la guardia interna dell'Urbe che il rinforzo e la scorta agli sbirri nell 'esecuzione degli atti di polizia. Ora, nel 1662, «Dei soldati Corsi, ....ebbero una lite con due o tre Francesi del seguito dell'Ambasciatore»iv. fl perché, prudentemente lasciato in sospeso dallo storiografo ufficiaJc di Luigi XIV, veniva rivelato anni dopo da Voltaire, che scriveva: «Il duca de Créqui, ambasciatore presso il papa, aveva irritato i Romani per la sua alterezza: la gente della sua casa, tipi che spingono sempre all'estremo i difetti del loro padrone, commettevano in Roma i medesimi disordini della indisciplinata gioventù di Parigi, che si faceva allora 11n onore d'attaccare, tutte le notti, il picchetto che veglia a guardia della città. Qualche lacchè del duca de Créqui pensò d'assalire, spada alla mano, una squadra di Corsi»v uno dei quali rimase ferito. «J Corsi, i quali non cercavano che una vendetta cieca e irragionevole, diedero al medesimo tempo l'allarme a tutte le loro Compagnie composte da 400 uomini, le quali, radunatesi. marciarono in armi verso ìl palazzo del nostro Ambasciatore coi loro Ufficiali, le loro bandiere e a tamburo battente"vi. "Tirarono .sulla carrozza dell'ambasciatrice, che rientrava allora nel suo palazzo; le uccisero un paggio e ferirono parecchi domestici»''"· Ne venne fuori un incidente diplomatico tremendo fra Roma e Parigi. Il Papa, militarmente troppo debole, davanti alla minaccia di Luigi XIV di spedire in Italia un esercito agli ordini di du Plessis-Praslin per assediare Roma, dovette accettare le condizioni che gli venivano imposte e chiedere scusa alla Francia. I Corsi vennero sciolti e. per continuare ad avere chi svolgesse le mansioni di gendarmeria, furono creati i "Soldati in luogo de'Corsi", poi "Battaglione in luogo de'Corsi" detto anche "de'Bianch.i", dal colore della loro uniforme.

ìv DE RJENCOURT, "Histoire de Louis XIV roi de France et de Navarre•·, à Paris. chez Claude Barbin, 1695, pag. 337. v VOLTAlRB, "Le siècle de Louis XIV". 2 voU., Paris, Stoupe. 1792, voi. I, pag. 129. vi DE RIENCOURT. op. cit., ivi. vii VOLTAIRE, Op. cit., ivi.


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L'umiliazione era stata pesante e il Papa e la Curia non avrebbero dimenticato. Lo si sarebbe visto al tempo della successione all'Elettorato di Colonia. Il secondo atto di prepotenza nei confronti di uno Stato italiano si verificò nel l 684 ai danni della Repubblica di Genova. J motivi della contesa erano molti e antichi. Ce n'erano di economici, come la concorrenziale presenza genovese sui mercati mediterranei a scapito di Marsiglia; di risentimento politico, derivanti dall'invio di una squadra di cinque galere ad aiutare gli Spagnoli a Messina nel 1674; e di puro e semplice prestigio, leso dal diniego della Repubblica di concedere alla Francia la preminenza nel cerimoniale navale. Quello fondamentale era e restava però il desiderio francese di sottomettere Genova quanto il Piemonte, specie considerando che ciò avrebbe indebolito o rotto l'antica alleanza tra la Repubblica e la Spagna a tutto vantaggio della Francia. Il pretesto si ebbe quando l'ambasciatore Saint-Olonne presentò alcune richieste del Cristianissimo. Luigi domandava di avere un magazzino di sale a Savona per rifornirne, senza pagare gabelle di transito o trasporto, le guarnigioni di Pinerolo e Casale; il disarmo di quattro galere di libertà4 appena armate e, ed era la cosa più incredibile, la restituzione ai Fieschi dei beai confiscati loro oltre un secolo prima in seguito alla fallita rivolta contro i Doria. La RepubbUca tergiversò. Saint-Olonne aggiunse esca al fuoco delle pretese di cui era portavoce elencando a Versailles una lunga serie di torti, veri, pretesi o presunti, dei quaU sarebbe stato vittima. Luigi gli credè, lo richiamò e ordinò l'allestimento di una squadra navale per punire la Superba. Nell'aprile del 1684 gli informatori della Repubblica comunicarono al Senato quanto accadeva negli arsenali e nei porti provenzali; e il Senato se ne preoccupò. Ordinò di riparare le fortificazioni a mare e verso terra, completò gli effettivi, chiese aiuto al Governatore di Milano e domandò la mecliazione anglo-pontificia per raggiungere una soluzione pacifica della vertenza, la quale intanto era stata inasprita dall'ordine di Luigi XIV di ispezionare le navi mercantili e militari genovesi incontrate in mare. Il 17 maggio 1684 l'ammiraglio Duquesne schierò in linea a largo di Genova - dalla Lanterna al Bisagno - 14 vascelli, 3 fregate, 20 galere, IO palandre da bombe, 2 brulotti e dietro di esse un centinaio di navi, fra logistiche e trasporti. Non esistendo stato di belligeranza fra le due potenze, le artiglierie genovesi spararono le prescritte salve di saluto e furono ricambiate nello stesso modo dalla flotta francese, sulla quale era imbarcato il ministro Seignelay in persona. Dietro richiesta del Senato, il Console di Francia sall a bordo per far sapere all'Ammiraglio che la Repubblica lo riveriva, si dichiarava pronta a servirlo, ma lo pregava di ritirarsi perché non era disposta a tollerare la presenza in rada nè di vascelli da guerra, nè di unità incendiarie o da bombardamento. Saliti poi a bordo i sei senatori a ciò deputati dal Senato, si sentirono dichiarare dal ministro Seignelay tutti i motivi di rancore del Cristianissimo contro la loro città e seppero di avere 5 ore di tempo per decidere se sottomettersi alla protezione francese abbandonando quella spagnola, consegnare le famose 4 galere, le quali erano state evidentemente il prezzo pagato alla Spagna per averne appoggio, concedere il magazzino ed il transito del sale richiesti in precedenza. infine avrebbero dovuto mandare quattro Magnifici Senatori a Versailles a implorare il perdono del Re. A nulla valsero tutte le rimostranze dei senatori e tutte le concrete giustificazioni da loro addotte all'operato della Repubblica: cinque ore, fu ribadito, poi si sarebbe aperto il fuoco.

4 Le galere di libenà erano annate da privati previa permesso deUa Repubblica e non appartenevano allo stuolo delle galere.


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I delegati tornarono a terra e riferirono al Senato. Si decise di non accettare l'ultimatum e, dato il comando delle forze militari a Carlo Tasso, si guarnirono le mura colle truppe nazionali e spagnole, appena giunte, queste uJti me, dalla Lombardia. Già durante i colloqui fra i delegati genovesi e Seignelay le palandre francesi avevano cominciato ad accostare ed erano lentamente entrate nel raggio d'azione delle batterie costiere, fermandosi a circa un miglio da terra. Allo scadimento della quinta ora, cioè alle 15,50 di giovedi 17 maggio 1684, il comandante del porto intimò loro di allontanarsi sparando un colpo in bianco e. visto che non si muovevano, ordinò il fuoco a palla. Tutti i pezzi costieri della Repubblica aprirono il fuoco simultaneamente; e lo stesso fece la flotta francese sparando su tutta la città, senza rispettare nemmeno le chiese. Il duello d'artiglieria continuò ininterrottamente fino aJJa mattina di .lunedì 21, quando Seignelay, dopo aver fatto sparare 6.000 bombe e convinto d'aver distrutto le difese e la volontà di resistenza dei Genovesi, intimò al Senato d'arrendersi, altrimenti avrebbe ordinato ai trasporti di accostare e sbarcare le truppe. Martedl 22 il Senato respinse l'intimazione con solamente 4 voti contrari e fece trasportare fuori Genova il tesoro del Banco di San Giorgio, mentre arrivavano altri rinforzi da Milano, facendo salire i militari spagnoli a 3.000. La mattina del 24 la flotta riaprì il fuoco e contemporaneamente Seignelay lanciò due ondate di sbarco. La prima prese terra aJ!la foce del Bisagno e fu respinta dalle milizie locali perdendo parecchi morti e feriti, tra i quali il comandante del contingente di sbarco marchese d' Anferville. La seconda - 3.000 uomini comandati dal marchese dc Mortemar con cannoni e tre giornate di viveri e munizioni - approdò a San Pier d'Arena. Impegnati subito dagli Ispano-Genovesi. dovettero contendere il terreno palmo a palmo. avanzando lentamente casa per casa e dando così tempo aJJe rni.lizie della Val Polcevera di accorrere ed aggredirli sul fianco ed aJJe spalle. Premuto da tre lati. visto il minimo progresso compiuto e le alte perdite subite, Mortemar il 24 diede ordine di reimbarco, abbandonando ai Genovesi munizioni, materiali e parecchi prigionieri. li 28 maggio Seignelay ordinò di levare le ancore e di rientrare in Francia. Aveva fatto sparare 13.300 proietti sulla città; le sue scorte di munizioni erano prcssocchè esaurite, gli sbarchi erano falliti e Genova, benchè semidistrutta, non accennava ad arrendersi. La partenza delle navi consentì alla Repubblica di pensare al futuro e di riparare almeno in parte i danni subiti. Per i secondi occorsero tempo e denaro, per il primo bisognò domandare la mediazione pontificia. Servi a poco, perché Luigi rispose che il suo perdono aJJa colpevole Repubblica sarebbe stato concesso soltanto dopo il pagamento di 100.000 scudi agli eredi Fieschi, la consegna delle 4 galere di libertà, il licenziamento delle truppe estere, la rifusione delle spese francesi per la spedizione, la rottura dell'alleanza spagnola e la venuta a Versailles del Doge e di 4 senatori per implorare il suo perdono. I Genovesi riflettessero e decidessero entro il 1° gennaio 1685. E i Genovesi rifletterono, specie considerando la stipulazione della ventennale tregua franco-spagnola avvenuta a Ratisbona il 10 agosto 1684, che li privava anche della più remota possibilità d'ottenere ancora l'aiuto di Madrid contro Versailles. Per di più la carestia affliggeva la c ittà e faceva rumoreggiare il popolo, reso ancora più inquieto dal timore di una nuova spedizione francese. Non c'era altro da fare. Bisognava piegarsi alla prepotenza francese. Il nunzio pontificio monsignor Ranucci fece sapere al Re Sole la buona disposizione dei Genovesi e il 12 febbraio firmò, insieme all'ambasciatore della Repubblica Marini ed al ministro Colbert, il trattato che chiudeva la vertenza. I prigionieri sarebbero stati scambiati. Genova avrebbe ridotto le galere alla forza di pace, congedato entro un mese le truppe estere, rinunciato a qualunque alleanza sottoscritta dopo il 1683 e risarcito i sudditi francesi dei danni patiti durante i giorni del bom-


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bardamento. Avrebbe poi pagato ai Fieschi la somma richiesta ed avrebbe ricevuto da Luigi XJV un cifra, stabilita dal Papa, destinata a ricostruire e riparare le chiese danneggiate dalla flotta. Infine, al più tardi il 10 aprile del 1685, il Doge e quattro senatori sarebbero andati a chiedere perdono al Re Sole. In realtà il doge lmperiali-Lercaro arrivò solo il 15 maggio, recitò il suo discorso, ne ebbe una risposta abbastanza gentile dal Re e, dopo aver visitato i principi reali, il 26 maggioripartì. Alla domanda «Cosa ha stupito maggiormente Vostra Serenità qui a Versailles?» si dice abbia risposto «La mia presenza». Ma non era stato certo per sua scelta. li terzo screzio fra Luigi XIV e l'Italia interessò nuovamente Roma e fu il più pesante e più gravido di conseguenze. Innocenzo Xl, salito alla cattedra di Pietro nel 1676, aveva stabilito di privare gli ambasciatori esteri dei privilegi di cui godevano - in particolare la franchigia e la giurisdizione su alcune zone della città adiacenti le ambasciate - stabilendo che sarebbero cessati colla fine della missione dei diplomatici in quel momento accreditati presso la Santa Sede. Tutti protestarono. La Spagna lasciò l'ambasciata scoperta, Venezia richiamò il proprio rappresentante e la Francia pensò d'aggirare il divieto prolungando a vita il mandato del signor d'Estrées. Ma quando questi morì, il Papa non accettò il sotterfugio tentato da Versailles di trasferire l'incarico al di lui fratello cardinale e, colla bolla del 12 maggio 1687. rifiutò di accettarne le credenziali se non fosse stata eliminata almeno la zona di rispetto adiacente I' ambasciata di Francia. Se non ci fossero stati altri dissapori, la questione probabilmente sarebbe stata risolta presto e bene, ma ce n'erano in quantità. Nel 1682 era stata proclamata la limitazione dell'autorità della Santa Sede da parte della Chiesa di Francia - meglio nota come Gallicana - con quattro proposizioni sostenute da un editto reale. Nel medesimo anno era sorta una controversia relativa alle investiture vescovili, indicate dal Re e non confermate da Roma perché i prelati scelti erano gallicani, poi c'era stata la questione deUe rendite dei vescovadi.... Insomma, quando il nuovo ambasciatore Lavardin arrivò a Roma di lavoro da svolgere ne aveva quanto bastava per tutto il mandato. Purtroppo però Luigi gli prescrisse di entrare solennemente, preceduto da 400 ufficiali rifom,ati, e armati, e seguito da un imponente scorta di ufficiali e soldati del Reggimento dei Vascelli e delle Guardie Francesi. Davanti a tanta ostentazione di forza il Papa non gli concesse udienza. proibì a tutto il Sacro Collegio d'aver rapporti con lui e lo scomunicò, secondo quanto aveva stabilito nella bolla del 1687. La tensione salì rapidamente. Luigi minacciò una spedizione navale contro il Lazio per recuperare Castro ai Famesc: Innocenzo non si spaventò. Il Re fece occupare dalle sue truppe Avignone cacciandone il Legato Pontificio; il Papa non si scompose e tenne duro. Davanti a tanta costanza cd alla scomunica, aJJa fine il Re Sole accondiscese a trattare in forma ufficiosa, ma non ne cavò nulla, nemmeno dopo aver ordinato a Lavardin di lasciare Roma col medesimo apparato militare con cui vi era entrato e aver restituito Avignone al Papa. La potenza di Francia non aveva prevalso e, anzi, aveva allungato il conto aperto colla questione dei Corsi. Da allora erano trascorsi ventisei anni; era il I 688, il Principe Elettore di Colonia era morto ed i tamburi stavano cominciando a battere, colla sua, la marcia funebre della grandezza francese. III) L'esercito sabaudo da Carlo Emanuele Il alla rivolta di Mondovl: 1664 -1682.

li pilastro della presenza francese in lta.lia era il Piemonte, che sotto Carlo Emanuele Il era stato completamente asservito a Luigi XIV. Quando Carlo Emanuele Il morì, il 12 giugno del 1675, lasciò al suo successore, il minorenne Vittorio Amedeo Il, solo una cosa in buone condizioni: l'esercito.


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Nell'ottobre 1664 erano stati dichiarati stabili i Reggimenti di Fanteria d'Ordinanza: Guardie, Savoia, Aosta, Nizza, Monferrato e Piemonte ai quali si erano aggiunti, quattro anni dopo, i reggimenti Dragoni di Sua Altezza e Dragoni di Madama Reale. L' Artiglieria si occupava di alcuni aspetti dell'amministrazione e, dal 1678, era agli ordini di un Gran Mastro. Ogni reggimento di fanteria era articolato in compagnie, non meno di 20 e non più di 25, della forza di 50 uomini e composto per un terzo da picchieri e per due da moschettieri. Nel 1672 i reggimenti furono suddivisi in due battaglioni di 10 compagnie, armate di daga, moschetto e di una baionetta a tappo. Le unità della Milizia scelta erano raggruppate nel Battaglione di Piemonte, forte di 12 reggimenti5 . Il Duca introdusse anche una nuova specialità nella Fanteria, sostituendo le compagnie del soppressi picchieri con quelle formate dai Granatieri a partire dal J685. Creati in Francia nel 1665, avevano il compito di sfondare le linee avversarie con attacchi massicci. A tale scopo, per potenziare la loro capacità di fuoco e d'urto, erano stati armati con granate a mano, consistenti in sfere metalliche cave, riempite di polvere nera ed innescate da una miccia. I componenti della Specialità, destinata al corpo a corpo, venivano scelti fra gli uomini piil alti e robusti, poiché la maggiore statura consentiva un miglior lancio delle granate a mano, ed erano comunemente indicati coll'appellativo di «Enfants perdus» Fanti perduti, ma, letteralmente, «figli perduti» dato che la pericolosità delJe azioni alle quali erano istituzionalmente destinati era tale da non lasciar loro che poche speranze di sopravvivenza6. Le unità ducali ebbero 6 granatieri per ogni compagnia fino al 1685, quando furono raggruppati in un'unica compagnia, la 1• di ogni reggimento di Fanteria d'ordinanza, detta «compagnfa granadiera». Ai suoi componenti, ufficiali, sottufficiali e soldati, veniva corrisposta una paga superiore di un quarto a quella dei parigrado delle compagnie fucilieri7. Vittorio Amedeo II potenziò e migliorò ulteriormente l'esercito aumentandone i reggimenti d'ordinanza, portati a IO colla costituzione di: Croce Bianca, Saluzzo, della Marina e Chiablese; e sostituendo al moschetto il nuovo fucile a pietra focaia. Alla fine del XVII secolo la struttura di un reggimento di fanteria d'ordinanza era la seguente: 2 battaglioni, di IO compagnieB l'uno, fonnavano il reggimento, o «colonnello», o «colonnellato», agli ordini di un ufficiale, detto appunto «Colonnello», il quale aveva direttamente sotto di sè una compagnia che da lui era chiamata «colonnella». ln ordine gerarchico gli sottostavano il Luogotenente colonnello ed il Capitano maggiore (o «Maggiore») comandanti titolari rispettivamente delle compagnie «luogotenente colonnella» e «maggiora». 11 Colonnello aveva poi, direttamente alle proprie dipendenze, tutti i Capitani, comandanti di compagnie - ognuno dei quali era coadiuvato da un Luogotenente (o Tenente), da un Alfie-

5 La cavalleria di Milizia era inquadrala invece nello Squadrone di Piemonte, mentre le miliz.ie a pie-

di e a cavallo del Ducato di Savoia formavano rispeuivamente il Battaglione e lo Squadrone di Savoia. 6 Per questo motivo fu stabilito, nell"esercito ducale, sia che i reparti granatieri reggimentali, tanto di fanteria che dei dragoni, non avessero alcun vessillo, poiché troppo alte erano Le probabilità che cadesse in mano al nemico, sia che, sempre per il medesimo motivo, gli appartenenti al Corpo aventi il grado di alfiere fossero esentati dal ponare la bandiera del proprio reparto, si trattasse di reggimento o banaglione, anche se fosse loro spettato per diritto di anzianità. 7 ti Reggimento Guardie fece però eccezione. restando escluso sia dall'inserimento dei 6 granatieri in ogni compagnia, sia dalla creazione delle «compagnie granadiere». Piuuosto, quando queste ultime vennero formate, le Guardie ottennero i 6 granatieri di compagnia che gli altri reggimenti avevano concentra10 ognuno nella propria compagnia granatieri. 8 Ma si andava da un minimo di 16 ad un massimo di 25 compagnie, a seconda dei casi e dei periodi, e la loro forza variava dai 90-100 uomini delle Guardie ai soli 40 del Reggimento Savoia.


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re, un Maresciallo d'alloggio e dai Sergenti comandanti di plotone - ed uno Stato Maggiore, composto. oltre che da egli stesso, da un Quartiermastro, incaricato di provvedere agli alloggi ed all'approvvigionamento di viveri e materiali; da un cappellano, da un chirurgo maggiore, un Tamburo Maggiore, capo dei musicanti, un Brigadiere Maggiore e da un Sergente Prevosto che doveva far eseguire, dai propri aiutanti, le punizioni inflitte ai soldati. Ogni soldato di Fanteria in tempo di pace riceveva 24 once di pane al giorno, cioè circa 7 etti e mezzo, a cui in tempo di guerra l'Esercito aggiungeva carne e vino. La distribuzione del pane veniva effettuata ogni dieci giorni (il I l' 11 ed il 21 di ogni mese) insieme al pagamento del salario, ammontante a circa 20 soldi al giorno. Da tale somma venivano però sottratti mediamente 2 soldi al giorno di «decanto», che servivano a coprire le spese di equipaggiamento. giusta la vecchia disposizione di Emanuele Filiberto che, riguardo alle armi, aveva fra l'altro prescritto « ....a quelli che non ne avranno glifarerno provvedere noi, con tempo di pagarle in due anni, et che non vogliano mancare perché tale è la mente no0

stra»ir..

La prima utilizzazione di questo riorganizzato esercito fu contro un nemico interno: gli abitanti di Mondovì. Correva 1· anno di grazia 1680 quando l'Altezza Serenissima di Madama Reale Giovanna Battista di Savoia-Nemours, duchessa reggente in nome del figlio Vittorio Amedeo, si trovò davanti la questione delle gabelle sul sale. Mondovì era una città di fatto autonoma fin da quando aveva accettato la sovranità dei Savoia nel 1396. I suoi privilegi erano ampi in materia fiscale e giudiziaria e, per questo e per la sua prossimità al confine colla Repubblica d.i Genova, il contrabbando vi regnava e costituiva una fondamentale fonte di introiti. Era da lunghissimo tempo esentata dalla gabella sul sale e la notizia della perdita dell'esenzione non fece piacere a nessuno dei suoi abitanti. Il malumore della popolazione venne accentuato dall'imposizione di un donativo per le prossime nozze - poi andate a monte - fra il giovane duca Vittorio Amedeo e la figlia del Re del Portogallo e andò ad aggiungersi ad antichi rancori, nati nel 1654 proprio contro l'ipotesi di estendere alla città la gabella del sale e alimentati poi negli anni successivi da questioni dei generi più vari. L'intervento del Marchese di Bagnasco, governatore della p.rovincia, aveva complicato ulteriormente le cose e la tensione era sfociata in disordini tali da costringere il governo ducale a mandare le truppe. n 25 maggio 1681 erano arrivati 2.000 fanti e 500 cavai ieri regolari ducali al comando di Don Gabriele di Savoia, il quale aveva proceduto con rigore. riportando l'ordine e facendo annunciare l'introduzione della gabella sul sale. Ad essa si opposero gli abitanti di Montaldo, affermando di preferire la morte al pagamento. Don Gabriele li accontentò: mise una taglia sulle loro teste, chiamò rinforzi della milizia di Ceva e, con 3.000 fanti fra regolari e militi e 200 cavalieri, il 23 giugno mosse contro di loro. Battuti i ribelli e saccheggiato il paese, truppe e milizia rientrarono al campo sotto una gragnuola di spari e, anche se nel complesso era costata ai Ducali 200 fra ufficiali, soldati e miJiti, l'operazione era servita a far capire ai ribelli l'inutilità di continuare e combattere e l'opportunità di chiedere la grazia. Venne concessa e Don Gabriele ripartì con la maggior parte dei soldati, ma la questione del sale era ben lontana dall'essere risolta. L'ordine ai valligiani di consegnare le armi e l'inizio dei lavori di fortificazione a Vico ed alla cittadella di Mondovì provocarono un nuovo moto di ribellione, stavolta a Vico, dove era stato dato fuoco al cantiere dell 'erigendo forte.

ix Rip. nella prefazione di E.Scala, a: Galeani Napione e Levo «Le Milizie Sabaude», cit. pag. 23.


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li Governatore uscì da Mondovì con 350 uomini e. pur avendo saputo d'essere atteso oltre che dai Vichesi anche dai Montaldesi e dagli abitanti di Monastero, non solo divise in due colonne i suoi. ma addirittura lasciò un picchetto a custodire la strada da cui era venuto. Il risultato era prevedibile: assaliti cli sorpresa da un numero preponderante di ribelli, i soldati ducali fuggirono verso la città inseguiti dai contadini, i quali avrebbero attaccato la stessa Mondovì se un acquazzone non li avesse fermati e il padre guardiano del convento degli Zoccolanti non li avesse dissuasi. Ritiratisi al Piano di Carassone. i ribelli rovinarono i mulini e le case dei loro avversari; e la notizia dell'accaduto fece tornare da Torino Don Gabriele coi suoi soldati. Appena arrivarono a Bene, i ribelli si ritirarono nei boschi. I Ducali il 20 agosto raggiunsero Breo e Carassone e misero tutto a soqquadro. Veniva implorata la grazia da parte degli sfortunati abitanti? Si, l 'avrebbero avuta, a condizione di pagare tutti i danni, una multa e ricostruire di tasca propria le fortificazioni di Vico. Nel frattempo sarebbero rimasti con Loro i reggimenti Aosta e Piemonte, a Breo, e Savoia e Croce Bianca a Carassone, mentre un'aliquota di Svizzeri avrebbe guardato Vico. Di nuovo Don Gabriele tornò a Torino; il Marchese di Bagnasco fu rimosso dal governo della provincia e in settembre sostituito dal Marchese de Senantes. Era ormai arrivato l'anno I 682 e la tassa sul sale non era stata ancora riscossa. Bisognava farlo e si principiò da Vico. La gente si ribellò e prese le armi, mentre la rivolta si estendeva. Senantes fece sapere a Torino che due erano le possibilità: eliminare la gabella o aumentare le truppe a Mondovì. Si tentò la via della trattativa, ma servì solo a far crescere le richieste dei ribelli i quali, a un certo punto, misero l'assedio al fortino di Vico. Come se non bastasse, l' incertezza della Reggenza stava incoraggiando gli abitanti della provincia di Ceva a non pagare la gabella sul sale. La debolezza della Reggente fece muovere altri passi falsi al governo lungo la via del negoziato e con pesanti risvolti internazionali. Grazie alla cronica mancanza di fondi ed alla sua estrema prodigalità, il Duca di Mantova aveva appena concesso Casale alla Francia in cambio di una forte somma di denaro9. Si trattava di un passo di Luigi XIV verso la solita incorporazione del Piemonte alla quale la Francia mirava da due secoli. Un altro l'aveva compiuto quando aveva cercato in tutti i modi di portare Yittòrio Amedeo al matrimonio portoghese, che gli avrebbe dato la corona reale ma l'avrebbe trasferito a Lisbona, lasciando il Ducato alla mercè della strisciante occupazione francese. Fallito il progetto grazie all'opposizione passiva di Vittorio Amedeo, che si era finto gravemente ammalato, la rivolta di Mondovì e l'incapacità di repressione dimostrata dalla Reggenza offrivano un ottimo pretesto. Per questo, quando nell'autunno del 1681 Luigi XIV offrì le proprie truppe a Madama Reale, si capl benissimo che esse sarebbero state solo l'avanguardia dell'esercito d'occupazione tenuto pronto da Versailles. 1-,e complicazioni internazionali e locali si susseguirono e si intrecciarono durante tutto l'inverno. la primavera e l'estate del 1682.

9 Ferdinando Carlo di Gonzaga-Nevers. a partire dal 1677, aveva intrapreso i primi contatti volti a cedere in affitto Casale a Luigi XIY. Le tratlative andarono avanti lentamente, anche perché la somma richiesta, I 00.000 pistole •·una tantum", era apparsa eccessiva al Re Sole. Sorvolando sul complesso gioco diplomatico, sull'ambiguo ruolo svoltavi dal conte Mattioli (passalo poi alla storia per essere stato la famosa '"Maschera di Ferro" prigioniera a Pinerolo) e sulle notizie filtrate più o meno copiosamente a destra e sinistra. basterà dire che il 1° ottobre 1681 iI maresciallo Catinat entrò in Casale con 1.200 uomini; e Ferdinando Carlo ebbe le famose 100.000 pistole richieste quattro anni prima.


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E fu per eliminare almeno una parte delle prime che la Reggente si ridusse ad accondiscendere alle richieste dei ribelli, chiudendo la questione di Mondovì il 5 aprile 1682 con un'amnistia generale, l'abolizione della gabella del sale e la cancellazione delle imposte arretrate non pagate. La pace - una sconfitta dell'apparato statale - ebbe iI vantaggio di togliere alla Francia il pretesto di far entrare le proprie truppe in Piemonte e consenti di limitare i problemi diplomatici alla sola questione del matrimonio portoghese. Ma la debolezza della Reggenza era tale da poter solo rimandare, non evitare, l'imposizione dell'influenza francese. Per quesro motivo Madama Reale si piegò alla finna d'un' alleanza, conclusa il 24 novembre 1682 a Torino. La Savoia avrebbe avuto un terzo delle eventuali conquiste fatte in comune durante le future guerre, ma la Francia si ripagava di questa remota e ipotetica concessione mediante l'instaurazione di un vero e proprio protettorato sul Ducato.



CAPITOLO XIII

IL "PELOPONNESIACO": LA PRIMA GUERRA DI MOREA, O "DELLA SACRA LEGA",

1684-1699

Nel 1683 una nuova fiammata d'entusiasmo antimussulmano percorse l'Italia e l'Europa. Dopo anni di guerre terrestri i Turcbi erano finalmente arrivati ad assediare Vienna; ma il loro trionfo era stato dissolto da quello maggiore de.i Polacchi di Jan Sobiesk.i e degli Imperiali di Carlo di Lorena, che li avevano distrutti nella giornata del 12 settembre 1683 sotto le mura della città. Di nuovo migliaia di nobili europei corsero a combattere il secolare nemico, il Turco, sotto le bandiere del Sacro Romano Impero in difesa dell'Europa e della Cristianità. Di nuovo fu bandita la Crociata, di nuovo gli Italiani presero le armi, di nuovo Venezia chiuse il Vangelo del Leone di San Marco perché in guerra le bandiere non potevano recare la scritta «Pax tibi Marce». Nell'aprile 1684 fu conclusa la Lega Austro-Veneto-Polacco Pontificia, alla quale avrebbero aderito poi anche la Russia, Malta e ed il Granducato di Toscana. Secondo il trattato d'alleanza, firmato il 19 gennaio 1684, la Serenissima s'impegnava ad allestire una forte flotta destinata ali' Arcipelago e ad avanzare con un esercito in Bosnia. Vennero armati 12 vascelli 1 - acquistandone altri due a Vùlafranca - 28 galere e 6 galeazze e alla loro testa fu posto Francesco Morosini come Capitano Generale da Mar, al quale il Senato lasciò la più completa libertà d'azione. 1110 giugno Morosini lasciò Venezia per Corfù, dove trovò 5 galere pontificie, 7 maltesi e 4 e 1 vascello del Granduca di Toscana. L'obbiettivo strategico dei Veneziani consisteva nell'eliminazione, o almeno nella riduzione, della presenza turca in Levante e nel recupero di Candia Visto l ' andamento della guerra precedente, era chiara la necessità d'interrompere la linea dei rifornimenti tra Costantinopoli e Creta prima di tentarne il recupero. Dunque bisognava impadronirsi innanzitutto della Grecia - procedendo da ovest a est: della Morea, dell' Attica e dell'Eubea - dove erano situate le basi navali ottomane d 'appoggio - Nauplia e Malvasia in primo luogo - poi si sarebbe potuto pensare a Creta ed alle isole dell'Egeo. Stabilito di assalire per prima l'isola di Santa Maura, gli alleati vi arrivarono il 20 luglio, dopo aver mandato i vascelli al comando del capitano straordinario delle navi Alessandro Molin ad impedire l'uscita della flotta nemica dai Dardanelli. Sbarcati ben 20.000 uomini al comando del Conte di Strassoldo a 3 miglia dalla fortezza, la investirono e la fecero capitolare il 3 agosto. Lasciatovi un presidio di circa 1.000 uomini, assalirono e conquistarono le fortezze suJla costa di fronte all'isola, cioè Vonizza, Xeronero e Mìssolungi. Poi fu la volta di Prevesa, il 29 settembre. Poiché nel frattempo Molin non era riuscito ad evitare l'uscita del Capitan Pascià con 30 galere e la sua riunione ai legni barbareschi per rinforzare i presidi della Morea, Tino fu aggredita; ma il presidio veneto respinse l'attacco. Poi i Turchi, che riuscirono sempre ad evitare il contatto coi legni veneziani, rientrarono per evitare di passare la brutta stagione in mare.

I Venezia si era dotata di una propria squadra di vascelli nel 1678 - prima li noleggiava quando servivano per la guerra - facendo loro compiere la prima crociera, in Mediterraneo e Atlantico, nei 3 anni seguenti al comando di Ser Marino Michiel.


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In Dalmuia i Veneti, al comando del provveditore di Canaro Antonio Zeno si accordarono colle popolazioni morlacche ed ampliarono il territorio in loro possesso dalla guerra precedente, allargandolo dai monti bosniaci a quelli albanesi, senza però che vi fossero grossi scontri. La ripresa delle operazioni vide l'invio da Venezia di rinforzi in uomini e navi. Rifornite appena possibile le fortezze cretesi di Suda, Grabusa e Spinalonga, una squadra di vascelli del capitano ordinario delle navi Daniele Dolfin, forte di 12 unità, si diresse ad incrociare tra Rodi e Candia. All'altra, forte di 15 vascelli e 3 brulotti e comandata sempre da Alessandro Molin, Morosini ordinò di recarsi ncll' Alto Arcipelago, per intercettare la flotta nemica se avesse voluto attaccarlo mentre assaliva gli obiettivi stabiliti per quella campagna: il Basso Jonio e la Morea, Giunte in maggio a Santa Maura le flotte ausiliarie coi rinforzi di truppe, il 25 giugno 1685 i Cristiani arrivarono davanti a Corone con 76 navi, tra venete. toscane. maltesi e pontificie. ed un corpo da sbarco di 10.000 uomini agli ordini del Conte di Saint-Paul. Dopo 47 giorni d'assedio la fortezza cadde e gli alleaù si spostarono a Calamata, occupandone la regione e le due fortezze che la presidiavano. a Calamata stessa cd a Zemata. Di nuovo le opposte armate di terra e di mare passarono ai porti per lo scivemo, anche se quella veneta c i rimase poco, perché fu costretta ad intervenire con successo a sostegno della guarnigione di Chiefalà. che un poderoso esercito turco aveva assalita da terra. L'inverno passò e il 25 maggio gli ausiliari tornarono a Santa Maura. Spediti 14 vascelli e 2 brulotti nell'Alto Arcipelago, si stabilì di allargare la conquista della Morea, occupando Navarino. Fatta una finta a Patrasso, le truppe terrestri alleate, ora comandate dal conte di Konigsmark, sbarcarono a Navarino senza contrasti, ne as:.ediarono la fortezza e se ne impadronirono in poco tempo. Poi puntarono su Modo ne e, dopo averla espugnata, passarono a Nauplia, mettendovi a terra il corpo di truppe da sbarco il 30 luglio. Due giorni dopo giunsero i Turchi del Serrasch1ere. Poterono mettersi in osservazione ad Argo. ma non avvicinarsi nè riuscire a impedire la caduta della fortezza. La campagna terminò con questa villoria e senza nessuno scontro navale, mentre in Dalma1ia le truppe veneziane, ora comandate da Girolamo Cornaro, occupavano Signa. La campagna del 1687 cominciò tardi, anche perché quell'anno gli ausiliari ~i erano mossi in modo diverso. I Toscani. a causa dei diverbi avuti in precedenza coi Pontifici ed i Maltesi. avevano preferito mandare le proprie navi ad aggredire le Reggenze in Nordafrica. mentre le 5 galere del Papa, le 8 dell'Ordine di Malta e le 2 genovesi si erano dirette in Dalmazia, recando 1.500 fanti loro, ai quali era stato poi unito un battaglione toscano. Così solo il 20 luglio la flotta a remi veneta partì da Climinò diretta a Patrasso per sbarcarvi le truppe destinate ad assediarla. mentre Moro~ini inviava 7 galere ad occupare il Golfo di Corinto, per impedirne l'uscita di rinforzi nemici stanziati nel Castello di Morca. Konigsmark prese sia Patrasso che il Castello di Morea: e Morosini avanzò con tutta la Squadra Leggera nel golfo di Corinto. occupò il Castello di Romelia, prima, e poi Corinto stessa, arrivandovi mentre il nemico sgomberava tutto il Peloponneso. Immediatamente dopo, in un crescendo di operazioni sbalordiùvo. specie per il nemico, assali Malvasia e Mistrà. riuscendo quasi a completare la conquista della Morea. La consulta di guerra da lui convocata rimase in dubbio fra l'attacco a Negroponte, in Eubea. e quello ad Atene, in Atùca. Visto che si era già in settembre si optò per la seconda soluz.ione: e le navi crisùane si presentarono davanù al Pireo. Le truppe di Konigsmark sbarcarono senn contrasti, mentre i Turchi s i ritiravano nell 'Acropoli, concentrandovi le artiglierie e sistemando le munizioni nel Partenone. Respinta l'intimazione di resa. Konigsmark ordinò di cannoneggiare r Acropoli per preparare l'attacco delle fanterie. Il tiro. assai preciso, colpì anche il Partenone, facendone saltare le polveri e riducendolo a come è adesso. con grande dolore e sdegno di tutta Europa, ma anche dei Turchi che, privi di munizioni, dopo 6 giorni si dovettero arrendere.


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Sotto il comando del provveditore generale Cornaro e soverchiando una dura resistenza, le truppe cristiane in Dalmazia avevano intanto assalito e conquistato la fortezza di Castelnuovo, presso Cattaro. Al culmine dell'entusiasmo per la straordinaria serie di vittorie, il Senato conferì a Morosi1ù l'appellativo di "Peloponnesiaco" e, onore inaudito, decretò che, lui vivente, un suo busto fosse collocato in Palazzo Ducale. Dall'altra parte del fronte, le sconfitte portarono alla deposizione di Maometto IV ed all'intronizzazione di Solimano III, che sperava di poter riconquistare qualcosa nell'imminente campagna. Mentre in Europa incominciava la guerra della Lega di Augusta, il 27 marzo 1688 a Venezia morì il doge Giustiniani ed al suo posto venne eletto Francesco Morosini. colla facoltà di rimanere anche Capitano Generale da Mar. J1 nuovo Doge, fatta una ricognizione su Candia con 22 galere, decise di attaccare l' Eubea, cioè Negroponte, in modo da togliere al nemico il primo punto d'appoggio uscendo dai Dardanelli. I Cristiani vi si presentarono nella prima decade di luglio. L'impresa non era semplice, perché la città fortificata sorgeva in mezzo al canale omonimo ed era collegata alla terrafenna e alla fortezza di Carababà da un ponte al cui centro sorgeva un'imponente torre. La prima cosa che i Cristiani fecero fu impadronirsi della torre, poi misero a terra i reparti di truppa, fra i quali 1.000 soldati dell'Ordine di Malta e 8 compagnie toscane. Konigsmark avrebbe poi voluto investire Carababà, ma la Consulta, formata prevalentemente da ammiragli. non fu d'accordo e decise d 'assalire immediatamente la fortezza di Negroponte. che era presidiata dai 6.000 uomini del serraschiere Ibrahim. Aperte le trincee e disposte le batterie, il 30 luglio incominciò l'assedio e con esso le difficoltà. La zona era paludosa e malsana; e le truppe vi si ammalavano. I Turchi si difendevano bravamente, con numerose sortite, ed avevano sistemato parecchie artiglierie che dal Carababà sparavano sugli Alleati. li 20 settembre i Toscani abbandonarono l'impresa e rientrarono in Occidente per i quartieri d ' inverno, seguiti dopo pochi giorni dai Cavalieri di Malta. Il 4 ottobre Morosini fece dare un assalto generale, ma fallì e dovette rientrare a Nauplia per svernarvi. Meglio era andata invece in Dalmazia, dove Cornaro, sbarcati 8.000 uomini a Scardona, dopo 8 giorni di marcia aveva raggiunto e preso la piazzaforte di Knin, a 60 chilometri da Zara, nell' entroterra, occupando poi anche le fortezze di Verbecca, Zuonigrad e Obrassaz. Durante l' inverno si aprirono trattative fra Venezia e Costantinopoli ma, un po' perché giudicava le richieste venete eccessive ed un po' perché sollecitato a continuare a combattere da Luigi XIV, che aveva bisogno di mantenere impegnati gli Imperiali in Europa orientale per non trovarseli contro in Germania, il Divano respinse tutte le proposte. La campagna del 1689 si aprì col rinforzo della guarnigione turca di Negroponte, riportata a 6.000 uomini, e coll'arrivo verso l'istmo di Corinto di altri 15.000 coi quali il Serraschiere voleva tentare di rientrare in Morea. Come se non bastasse, Morosini era ammalato e gli alleati, preoccupati dall'andamento della guerra in Occidente, non erano venuti in Levante. Deciso a completare la conquista della Morea per poterla meglio difendere, il Doge investì Malvasia bloccandola da terra e dal mare. Fattosi poi sostituire da Cornaro nel comando in Grecia, ancora ammalato rientrò a Venezia: e la sua partenza provocò un rilassamento delle operazioni. Nel 1690 ricomparvero gli alleati 2 , col cui apporto continuò vigorosamente l ' assedio di Malvasia, caduta il 12 agosto 1690.

2 Con 5 galere, 3 vascelli, 5 tartane e 1.400 soldati del Papa; 2 galere genovesi e 8, un vascello e 3 tartane dell'Ordine di Malta.


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A quel punto si decise di tralasciare i proposti tentativi contro Cipro e Candia, troppo munite, e di muoversi invece verso Valona e la costa albanese. Per ottenere un buon risultato, Cornaro mandò il Capitano delle Navi Daniele Dolfin ai Dardanelli per intercettarvi la flotta nemica ed impedirle d'uscire. Dolfin la trovò già a Egina e, nonostante avesse un quarto delle navi del nemico - solo 12 vascelli e 2 brulotti contro 32 vascelli e 26 galere - attaccò e vinse, costringendo la squadra avversaria a rientrare nei castelli e spaventandone tanto il comandante da indurlo a non tentare più d'uscire in Mediterraneo per tutto il resto della campagna. La flotta di Comaro intanto era arrivata a destinazione ed aveva sbarcato le truppe che avevano preso Valona e Canina il 18 agosto. Si decise allora di assalire Durazzo; ma la morte di Comaro interruppe i preparativi e l'arrivo dell'inverno indebolì la compagine alleata colla solita partenza dei Maltesi e dei Pontifici. Al posto del defunto venne nominato Domenico Mocenigo, ma il suo arrivo coincise col!'assedio che i Turchi misero a Valona e Canina per riprenderle. Visto che non erano difendibili, Mocenigo ordinò di distruggerne le difese e fece reimbarcare le guarnigioni nel marzo del 1691. La campagna di quell'anno fu però sotto tono. I Turchi non si mossero in mare perché il nuovo capitan pascià, Hassan Mezzomorto, aveva deciso che fosse meglio sottoporre gli equipaggi ad un intenso addestramento, anche in considerazione del fatto che la marina turca, a differenza della veneta, si stava orientando sempre più verso i vascelli come nerbo della sua forza. In terra non successe quasi nulla, a parte la perdita turca di Grabusa. L'anno seguente il Senato chiese a Mocenigo di assalire Creta, cominciando magari dalla Canea; e, il 17 luglio, la flotta cristiana vi si presentò, sbarcando le truppe che incominciarono l'assedio. Ma al quarantesimo giorno si seppe che stavano arrivando numerosi rinforLi nemici e che il Serraschiere voleva assalire la Morea con grandi forze. Nonostante i comandanti veneti, maltese e pontificio propendessero per la continuazione dell'assedio, Mocenìgo decise di abbandonarlo e di rientrare a Nauplia, ignorando che il provveditore generale Vendramin aveva già costretto il Serraschiere a ritfrarsi da Corinto e da Lepanto, prime piazze attaccate in Morea. Dopo quest'ultima prova insoddisfacente, il Senato decise di sostituire Mocenigo e, a sorpresa, dalle urne spuntò nuovamente fuori il nome di Francesco Morosini. Il 24 maggio 1693 il Doge e Capitano Generale da Mar della Repubblica tra grandiose manifestazioni di saluto salpò da Venezia diretto a Malvasia. Tenutavi in giugno la consulta, insieme ai comandanti dei contingenti maltese e pontificio, decise di rimandare la conquista di Negroponte all'anno seguente, lasciando lungo l'istmo di Corinto 10.000 uomini, sostenuti in mare da una squadra di 7 vascelli e 4 galere, basata nel Golfo di Egina, e di concentrare le forze nell'intercettazione della flotta nemica prossima ad uscire dai Dardanelli. Morosini navigò dunque a quella volta, ma perse tempo per tre giorni di vento contrario vicino ad Andro, cosa che permise ai Turchi di conoscere i suoi movimenti, rifornire in gran fretta le guarnigioni di Scio, Metelino e Tenedo e rientrare negli stretti. Visto l'accaduto, il Doge decise di piegare verso la Morea, dove i nemici si stavano rifacendo avanti. Bastò che apprendessero che muoveva verso di loro perché abbandonassero subito l'impresa che avevano progettata contro l 'istmo di Corinto. Lui allora ne approfittò per occupare e fortificare le isole dì Egina, Idra, Spezia e Thermia, poi rientrò a Nauplia, dove però, ammalatosi, morl il 6 gennaio 1694. Il Senato nominò al suo posto Antonio Zeno il quale, convocata la consulta di guerra, decise di occupare Scio, per tagliare ai nemici le comunicazioni marittime coll'Egitto. Giunte le solite 5 galere pontificie e 7 maltesi, Zeno rinforzò la Morea e ne partì al principio d'agosto con 34 galere, 6 galeazze, 21 vascelli ed un corpo di spedizione di 10.000 uomini. Il poco vento gli permise di arrivare a Scio solo il 16 settembre, ma l'assedio subito intrapreso si concluse in soli otto giorni, lasciando in mano ai Veneziani 3 ga.l ere, 27 mercantili, 5.000 prigionieri e 212 cannoni.


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Subito dopo venne avvistata la flotta del capitan pascià Hassan Mezzomorto, composta da 20 vascelli e 17 galere. Zeno usci colle sue da Scio; ma per due giorni le navi delle opposte squadre si fronteggiarono senza combattersi finchè Hassaa non si ritirò verso Smirne. Zeno non lo inseguì, ma rientrò prima a Scio e poi in Morea, appena in tempo per contrastare il Serraschiere che ne stava saggiando le difese co11 delle scorrerie. Da Costantinopoli intanto era venuto al Capitan Pascià l'ordine di riprendere Scio; ed egli vi si presentò nel novembre del J694 con 20 vascelli, 24 galere e la minaccia del Sultano ai comandanti di vincere o essere decapitati. Seguirono una serie di pasticci ed ù1certezze da parte di Zeno, cbe permise all'armata turca di fuggire e non la inseguì come si sarebbe dovuto. Infine, pur potendolo, non l'aggredì nel porto di Scio dove si era rifugiata cogli equipaggi io preda al panico e perse l'occasione di distruggerla. Passarono i mesi e Mezzomorto in febbraio si rifece avanti. Di nuovo Zeno gli lasciò l'iniziativa, ordinò ai suoi comandanti di non muoversi e, quando si venne ad un primo contatto l' 8 di quel mese, aveva contro sia il vento che la corrente, per cui solo 6 vascelli veneziani riuscirono a mettersi in linea e 4 andarono perduti: 3 perché, incendiaù, saltarono in aria; l'ultimo perché tremendamente danneggiato. li giorno seguente di nuovo Mezzomorto sfuggì al contatto; e così per dieci giorni, durante i quali Ze110 non andò neanche a cercarlo. Quando poi sembrò venuto il momento di combattere, i Turchi si ritirarono ancora; ma Zeno completò la misura dei danni che aveva combinato ordinando l'abbandono di Scio, durante il quale, oltretutto, perse un altro vascello che si sfasciò sulla costa per un errore di manovra. Al Senato la rabbia per quest'incredibile condotta fu tale che venne tolto il comando a lui, a Pietro Querini, provveditore d'armata e suo consigliere, all'altro provveditore Carlo Pisani, ad un governatore di nave ed a ben dieci sopracomiti di galera. Tutti furono imprigionati, processati e condannati.; e la carica di Capitano Generale venne data ad Alessandro Molin, che arrivò a Nauplia nel maggio 1695, giusto in tempo per respingere un nuovo tentativo del Serraschiere d'entrare in Morea da terra. Fatto questo, decise di andare a cercare i nemici per mare3. Direttisi prima a Samo per rifornirsi d'acqua, gli alleati puntarono poi su Scio per attaccarvi Mezzomorto. Il Capitan Pascià uscì dalle Spalmadori intorno a mezzogiorno del 15 settembre coi vascelli ottomani e delle Reggenze, lasciando le galere e le galeotte, ma il vento sfavorevole scirocco - ostacolò entrambe le flotte e limitò i danni a 4 vascelli danneggiati per parte. li 18 ci fu un nuovo scontro nel canale di Metelino, con perdite tutto sommato bilanciate, che segnò la fine del ciclo operativo. Il giorno dopo il capitano delle navi Contarini offrì battaglia, allinenando sia l'Armata Grossa che quella Leggera, ma Mezzomorto non si mosse e preferì restar fermo a riparare i danni subiti fino al 18 settembre, quando levò le ancore ed uscl verso le Spalmadori dal Canal di Scio, imboccando quello di Metelino. Sei vascelli turchi furono staccati ad assalire le galere cristiane, lente perché stavano trainando le galeazze; ma Contarini interpose i suoi vascelli ed annullò la mossa nemica. Lo scontro si protrasse a lungo e terminò a notte col disimpegno della squadra mussulmana. Di nuovo le perdite furono abbastanza bilanciate. I Veneziani per colpa di un incendio videro saltare in aria uno dei loro vascelli, i cui rottami. ricadendo, propagarono il fuoco su altri due; i Turchi ne ebbero cinque gravemente danneggiati: tre loro, uno dei quali, la Capitana, dovette lasciare subito il combattimento, e due tripolini. che seguirono a ruota.

3 Aveva 23 vascelli, 4 brulotti. 20 galere e 6 galeazze venete, 7 galere ed I vascello da 40 cannoni dell'Ordine di Malta al comando del Conte di Thun e 5 galere ed I vascello da 40 del Papa agli ordini del Cavalier Bussi.


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A sera Mezzomorto si ritirò lasciando Molin e Contarini padroni delle acque. I Veneti provvidero subito alle riparazioni per potersi rimettere in caccia del nemico; ma non appena furono pronti, lo scirocco che li aveva tanto infastiditi il giorno della prima battaglia rinforzò fino a sfociare in una violenta tempesta che disperse la flotta. Molin chiuse il suo rapporto sul ciclo operativo dichiarando che, a suo parere, non era più possibile che il Capitano Generale dirigesse la flotta da un'imbarcazione a remi com'era stato fino allora, ma era necessario che passasse su un vascello, poiché l ' esperienza dell'ultima campagna aveva dimostrato come fosse difficile mantenere in conserva i due tipi di nave e quanto le galeazze fossero d'impaccio in combattimento, dovendo sempre essere rimorchiate dalle galere. A Venezia si rispose aumentando il numero dei vascelli in allestimento, ma per iJ resto non si fece nulla. La Serenissima non prese decisioni drastiche. Le discussioni sull'opportunità di conservare le navi a remi sarebbero cominciate solo negli anni ' 40 del secolo seguente; e un primo risultato sarebbe stata la radiazione delle galeazze nel 1746. Le galere invece sarebbero restate in servizio fino alla caduta della Repubblica. Verso la fine dell'inverno, nei primi mesi del 1696, lasciarono Venezia quattro nuovi vascelli e ben cinque convogli di riforni menti diretti in Levante per la campagna che stava aprendosi. Giunti gli alleati nel corso dell'estate. la consulta stabili di presidiare l'istmo di Corinto e di far stazionare ad Andro i 26 vascelli cristiani per attaccare il nemico alla prima occasione. U 9 agosto le ricognizioni informarono Contarini che era stata avvistata a Capo d'Oro, poco a sud di Negroponte, una squadra ottomana di 36 vascelli, 2 brulotti e 25 galeotte. Avvisato immediatamente, Molin salpò dalla Morea con 6 galeazze, 34 galere e un po' di naviglio minore. Ostacolato dalla tramontana, riuscì ad arrivare ad Andro appena in tempo, il 21 agosto. Mezzomorto era già là; e Contarini gli era andato incontro. Ma come al solito il Capitan Pascià rifiutò il combattimento. [I giorno seguente fu di bonaccia; e ciò limitò gli effetti dello scontro a pochi danni ai vascelli. Fu l'unico della campagna, perché il nemico. dopo aver tentato di prendere Tino senza riuscirci. preferì tornare negli stretti per l'inverno. Da Venezia vennero parecchie recriminazioni ed ordini severi d'impegnare a qualsiasi costo la flotta avversaria. Per questo motivo Contarini partì molto presto dalla Morea e si diresse ai Dardanelli con 25 vascelli e 2 brulotti. Attese a Schiro l'arrivo delle 20 galere e 6 galeazze condotte da Molin e insieme giunsero davanti agli stretti ai primi di luglio. Avvistato Mczzomorto il 5. la flotta veneta lo assalì: ma a parte il solito atteggiamento sfuggente del Capitan Pascià, tra il vento contrario, il gioco delle correnti e l'ingombro delle galeazze, i danni inflitti al nemico furono pochi e si persero una galera, 63 morti e 224 feriti. Stufo, Molin decise di rispedire le galeazze a Nauplia per disarmarle e riutilizzarne il personale - circa 2.000 uomini - nel rafforzamento delle difese terrestri. Poiché, anzi, temeva un attacco in grande stile. vi si trasferl personalmente coll'intera Squadra Leggera, lasciando il Capitano delle Navi alla caccia dei Turchi. Mezzomorto ritenne allora di potersi fare avanti il 1° settembre, supponendo di poter mettere i Veneziani in difficoltà costringendoli tra l'isola di Andro, le scogliere ed il vento contrario; ma Contarini conosceva un passaggio tra gli scogli che il nemico ignorava, ci fece transi tare i vascelli e piombò sui Turchi con vento in proprio favore e la squadra su tre colonne. Gli Ottomani ebbero grossissimi danni; e Mezzomorto fece onore al suo nome uscendone ferito e. novità assoluta per lui, sganciandosi durante la notte ed eclissandosi. Contarini riusci a saperne qualcosa soltanto il 19 settembre, quando apprese che era stato avvistato nelle acque di Negroponte intenzionato a far sbarcare truppe di rinforzo per il Serraschiere. Si mosse subito e gli arrivò addosso il giorno dopo con tutta I' Am1ata Grossa, seguito poi, molto tardi, da Molin con quella !Leggera proveniente da Thermia. Perdite non fortissime da entrambe le parti segnarono quel combattimento, terminato al


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tramonto col disimpegno della flotta turca. I Veneziani persero 191 morti e 516 feriti, più qualche albero di nave. Gli Ottomani ne uscirono un po' peggio, ma non di molto. Finita così la campagna, ci si preparò a quella del 1698, che si prevedeva di dover combattere nonostante la mediazione anglo-olandese. Molin lasciò l'incarico per decorrenza dei termini e fu sostituito da Giacomo Comaro che, all'inizio della primavera, grazie ai rinforzi ed agli arruolamenti disposti dalla Repubblica, poteva contare in terra su 12.000 fanti e 2.000 cavalieri regolari, disposti a guardia dell'istmo di Corinto e sostenuti da alcune migliaia di volontari irregolari greci, e in mare su 24 vascelli (4 dei quali sussidiari: uno ospedale e tre magazzino di squadra), 3 brulotti, 20 galere, 6 galeazze ed un adeguato numero di navi minori. Il nuovo capitano delle navi, Daniele Dolfin. esordì sbarcando truppe a Lemno ed ordinando loro d'incendiare tutto, supponendo, giustamente, che iJ Capitan Pascià sarebbe venuto a vedere cosa succedeva. Mezzomorto infatti arrivò con 30 vascelli e si ancorò nel Canale di Tenedo. Subito dopo giunse là anche Cornaro colla Squadra Leggera; e tra lui e iJ Capitano delle Navi bloccarono per un mese l'entrata dei Dardanelli, paralizzando il traffico commerciale e impadronendosi d ' ogni imbarcazione nemica che provava ad avvicinarsi. E per un mese Mezzomorto se ne rimase fermo coi Veneti fra sè e gli stretti, in attesa d.i cogliere la buona occasione per rientrarvi. Casualmente la sera del 21 settembre il vento cambiò mentre Dolfin manovrava e gli permise di portarsi nelle migliori condizioni verso la squadra nemica, che tentava di approfittare dello stesso vento per guadagnare gli stretti. Vistosi arrivare addosso i Veneziani, il Capitan Pascià inve1tì la rotta per disimpegnarsi; ma venne raggiunto ed agganciato nelle acque di Metelino. L'avanguardia ottomana venne scompaginata, ma per un errore il San Lorenzo investì la Capitana di Dolfin, spingendola verso il nemico. Attorniato da 4 vascelli, Dolfin. prontamente sostenuto dall' Aquila, riusci a disimpegnarsi. Fu la fine dell'ultima battaglia della guerra. Mezzomorto si disimpegnò col favore delle tenebre e si ritirò dividendo le navi tra Smirne e Focea. Dolfin rimase ad attenderlo davanti ai Dardanelli ma, visto che non si faceva avanti e l'inverno si avvicinava, passò a imporre contribuzioni alle isole dell'Arcipelago in mano ai Turchi e si ritirò in Morea. La Pace di Carlowitz venne conclusa di Jì a poco: e non fu molto vantaggiosa per Venezia, che dovette restituire il Castello di Romania. Lepanto e Prevesa. anche se coll'obbligo di demolirne le mura. Le rimaneva tutta la Morea. Santa Maura. parte dell'Arcipelago e. in Dalmazia, le piazze di Castelnuovo, Citclut, Knin, Risano e Segna. Nessuno sapeva che era per soli quindici anni e che poi i Turchi sarebbero tornati.



CAPITOLO XIV

L'ULTIMA GUERRA CONTRO I VALDESI E LA "GLORIEUSE RENTRÉE": 1686-1689

Il primo effetto del protettorato francese sul Ducato di Savoia si vide quando, revocato l'editto di Nantes e proibita la permanenza in Francia ai Protestanti, Luigi XIV mandò l ' invito, cioè ordinò, al nipote 1 Vittorio Amedeo di fare la stessa cosa e convertire o cacciare i Valdesi. Non potendo opporsi all'ingiunzione del potentissimo zio. il 31 gennaio del 1686 il Duca di Savoia dovè ordinare la cessazione del culto valdese, la demolizione dei templi, la cacciata dei pastori e dei maestri e il battesimo obbligatorio dei neonati. Restato insensibile alle suppliche dei Valdesi ed alla tentata intercessione degli Svizzeri in loro favore, Vittorio Amedeo, il 9 aprile, aveva dato otto giorni di tempo per l'esecuzione dei suoi ordini; e il 14 i Valdesi avevano deciso di resistere, raccogliendosi in armi in 3.000 nelle loro vallate. Appresa la notizia, il Duca non poté fare a meno d'accettare l'aiuto militare francese. Per questo allo scadere del termine 4.500 Piemontesi con 4 cannoni e 8 spingarde, guidati da Don Gabriele di Savoia e dal marchese di Parella, e 4.000 Francesi del generale Catinat destinati alla Val Pellice, appoggiati da un migliaio di volontari, entrarono nelle valli abitate da circa 14.000 Valdesi. Francesi e Piemontesi dovevano avanzare separatamente per congiungersi a Pra del Torno, verso Castelletto. La manovra dei Francesi venne eseguita da due colonne, una comandata da La Vieufville, l'altra da Catinat. La prima fu osteggiata con successo dai Valdesi, che le si ritirarono davanti facendole passare il Chisone e raggiungere senza difficoltà gli obbiettivi previsti. Poi l'assalirono durante la notte e la misero in rotta. La seconda entrò nelle valli Perosa e di San Martino e anche davanti ad essa i Valdesi si ritirarono, senza poterla battere. Del resto non erano in grado di far molto di più perché quell'attacco avveniva di conserva coll'avanzata piemontese e loro non erano abbastanza forti da potersi opporre al nemico su entrambe le direttrici; cosicchè il 25 poté avvenire la congiunzione tra Piemontesi e Francesi a Pra del Tomo. Poi fu presa Bobbio e infine, agganciati i superstiti verso il Vandalino, le truppe li sconfissero, ottenendone la resa a condizione di consentire loro di rifugiarsi in Svizzera. Alla fine dell'operazione, il 28 aprile, nelle valli non c'erano più Valdesi. Duemila erano stati uccisi, tremila erano riusciti a fuggire e, degli 8.500 che erano stati imprigionati, moltissimi morirono in carcere per fame e per malattia. Nel maggio del 1688, in seguito al patto raggiunto fra il Duca di Savoia ed il Cantone di Bema, l'esercito ebbe l'incarico di scortare i sopravvissuti, condannati all'esilio, fino alla frontiera svizzera; poi andò a pacificare l'insurrezione verificatasi a Mondovì nel dicembre2 .

1 Come si ricorderà, la nonna patema di Vittorio Amedeo era Madama Reale Cristina di Francia. sorella di Luigi XIII, padre di Luigi XIV. La moglie di Vittorio Amedeo. Anna d 'Orléans, era la figlia di Filippo d'Orléans, fratello di Luigi XIV, e ili Enrichetta Stuart. 2 Venne domata dalla sola presenza dei soldati e dei magistrati inviati a sedarla. Se ne verificarono


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Ma non era finita. Animati dai consigli militari dell'esule Giavanello e guidati dal pastore Enrico Arnaud, 900 Valdesi nell'agosto 1689 fecero la «glorieuse rentrée,. in Piemonte colle armi in pugno, evitando di scontrarsi coi Ducali e combanendo contro i Francesi. Varcati il Moncenisio e il Clapier, erano intenzionati a passare la Dora ma, bloccati dalla guarnigione uscita da Exilles. preferirono scendere verso il ponte di Salbcrtrand, dove si trovavano i Francesi. Mentre Davide Mondon fronteggiava e respingeva le truppe provenienti da Exilles con un centinaio di uomini, il grosso dei Valdesi assali di sorpresa i Francesi a Salbcrtrand durante la notte, li rovesciò nel fiume, perdendo 15 morti e 12 feriti, e si aprì il passo verso le valli. La cosa im,ospettì Luigi XIV. Per tranquillizzarlo, il Duca rispedì il marchese di Parella. coi reggimenti Guardie, Piemonte, Saluzzo, Monferrato, Chiablese e Croce Bianca, a dar loro la caccia. A dire il vero il conllitto che seguì fu forse il piil strano che la storia d'Italia ricordi. Infatti. pur essendovi una nutrita quantità di rapporti inviati dal Marchese al Duca, non esiste la minima traccia di perdite da entrambe le parti. Di più, esaminando le operazioni che Parella dichiarò d'aver compiuto. risulta che le sue truppe e i Valdesi diedero vita ad una sorta di girotondo, facendo finta di cercarsi e di combattere. ma senza mai entrare in contatto, salendo e scendendo per le valli in cui erano sicuri di non incontrarsi. A quel che si sa. la perdita più consistente subita dai Valdesi fu quella seguita alJa presa di Bobbio, il 23 ottobre 1689, consistente in «molto bestiame.farina, cacio, pane e castagne secche in abbondan~a»;i morti: neanche uno. Per dare un'idea di come invece procedessero le cose coi Francesi. basterà citare il caso della Balziglia. Posta nella Valle di Perrero, era stata occupata dai Valdesi dopo la "glorieuse réntrée" e trasformata in una vera e propria fortezza. Contro di essa si erano mossi 4.000 francesi comandati dai generali Catinat e Fequièrcs con 5 cannoni ed avevano dovuto assediarla secondo tutte le regole, dal dicembre del 1689 fino al maggio 1690 con forti perdite. Quando il 23 maggio intimarono la resa preannunciando l'attacco generale per il giorno dopo, i 370 difensori uccisero tutti i prigionieri e si dileguarono alla spicciolata attraverso il vicino Pan di Zucchero, lasciando i Francesi col classico pugno di mosche in mano. La guerra, in cui. a detta di Parella. le truppe sabaude si distinsero molto, anche se non si capisce bene in cosa, terminò nel dicembre 1689 colla comunicazione fatta a Vittorio Amedeo che le valli erano state completamente sgomberate dai Valdesi. ln realtà essi avevano potuto tornare a viverci. La concessione però non era stata tanto un atto di giustizia nei loro confronti, quanto piuttosto un segnale diplomatico alla Lega antifrancese stipulata ad Augusta l'anno avanti fra i Principi tedeschi, la Spagna, l'Olanda e l'Imperatore. La cessazione della persecuzione, implicando una divergenza, lieve ma significativa, fra la politica di Torino e quella di Versailles e quindi la possibilità d'un avvicinamento alle posizioni de i Collegati, era un 'indicazione di disponibilità almeno a proseguire le trattative che erano già state iniziate. Effettivamente Vittorio Amedeo II non cercava altro che svincolarsi dalla tutela impostagli, sia politicamente che militarmente, dalla presenza delle guarnigioni francesi di Pinerolo e Casale. Si rendeva conto però degli enormi rischi ai quali si sarebbe esposto schierandosi colla Lega e che le feroci devastazioni che ai soldati francesi era stato ordinato di compiere in Germania si sarebbero certo ripetute in Piemonte.

poi ahrc due. enll'llmbe stroncate sul nascere e sempre per motivi inerenti la gabella sul sale. nel 1698 e nel 1699. i Rip. in D. GUE:;RRINl. «I Grana1ieri di Sardegna,,, Roma. C.do Div. Granatieri, 1962, pag. 260.


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Un primo abboccamento che aveva avuto durante il carnevale del 1687 a Venezia, dove si era recato in segreto, non gli era sembrato offrire garanzie sufficienti a entrare in guerra. Ma la Lega aveva insistito ed aveva richiamato il proprio intermediario, abate Grimani, sondando la disponibilità del principe Eugenio di Savoia-Carignano-Soissons a sostituirlo. Questi, figlio di una nipote del cardinale Mazzarino e discendente diretto di Carlo Emanuele I. per via del principe Tommaso di Savoia. militava nelle file imperiali contro i Turchi e godeva di una fama che si sarebbe accresciuta sempre di più col passar del tempo, che lo avrebbe indicato ai posteri come il miglior generale della prima metà del Settecento e come uno dei più grandi dell'epoca moderna. Vittorio Amedeo cd Eugenio erano in buoni rapporti. Il Duca aveva passato al cugino la forte somma necessaria a coprire le spese che aveva dovuto sostenere all'atto della sua promozione a colonnello dei dragoni imperiali; ma, proprio perché si conoscevano bene, il principe Eugenio non si faceva la minima illusione sul capo della famiglia. Scrisse infatti al conte di Sinzendorff a proposito di Vittorio Amedeo: «A Parigi non si contava molto sulla sua lealtà; ma si contava ancor meno sulla sua amicizia. Si diceva che avesse studiato molto be11e la scuola italiana del principe; che avesse preso dai Roma11i l'arte della simulazione; che gli fosse del tutto congeniale l'abilità di pensare una cosa, di dirne un•altra e di farne un'altra ancora .... Vostra Eccellenza ... prometta tutto quello che può, e io le garantisco che comprerà il giovane duca. con terra, anima e corpo»ii. Sua Eccellenza promise; e il giovane Duca decise che era venuto il momento di farsi comprare per essere liberato dai Francesi e riguadagnare l'indipendenza politica del Piemonte.

il Eugenio di Savoia al conte di Sizendorff», rip. in W. OPPENHEIMER, «Eugenio di Savoia», Milano, Editoriale Nuova. 1981, pag. 45-46.


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CAPITOLO XV

LA GRANDE ALLEANZA: 1690-1696

I) La finestra di Versaìlles

Abbiamo visto come nel 1648 il lungo duello che aveva opposto la Francia agli Asburgo dai tempi di Carlo V e Francesco I fosse tenninato col trionfo della prima, sancito dalla pace di Westfalia e ribadito da quella dei Pirenei nel 1659. La compattezza territoriale, e quindi politica, della Casa d" Asburgo era stata frantumata da Richelieu, la cui politica era stata così sapientemente proseguita dal cardinale Mazzarino, da consentire a Luigi XIV di espandere inarrestabilmente il proprio potere e i confini del Regno, specie verso e, possibilmente, oltre il Reno. Il gioco era stato facile finchè era stato praticato contro avversari deboli e scollegati. Uscito vittorioso dalla guerra di Devoluzione del 1667-1668, che gli aveva dato ampie porzioni delle Fiandre Spagnole il Re Sole aveva sconfitto la coalizione di Spagna, Austria, Danimarca, Provincie Unite e Principi tedeschi oppostaglisi quando aveva assalito l'Olanda nel 1672, costringendola alla pace di Nimega del 1678. L'imperatore Leopoldo non offriva gran resistenza perché la sua attenzione era interamente rivolta ai confini orientali, dove premeva minacciosamente l'avanzata ottomana, fomentata proprio da VersailJes. Nè l'Inghilterra si opponeva, grazie all'amicizia e alla parentela fra Carlo II Stuart e i Borboni. L'obiettivo principale che si poneva Luigi XIV consisteva nell'ingerirsi sempre più pesantemente negli affari dell'Impero, possibilmente estromettendone gli Asburgo a proprio vantaggio. Come sappiamo il titolo imperiale non era ereditario, ma elettivo. Dunque la Francia poteva anche riuscire a farlo assegnare ad un suo candidato. Naturalmente occorreva far sl che i Principi Elettori seguissero le indicazioni di Versailles; e il sistema più sicuro perché ciò accadesse consisteva nel collocare propri uomini alla testa degli Elettorati. La cosa non era impossibile, visto che gli Elettorati erano pochi, che tre di essi erano i vescovati di Magonza, Treviri e Colonia, alla cui dignità poteva teoricamente essere innalzato chiunque e che il trono dell 'Elettore Palatino stava per rimanere vacante. Dunque con un po' d'abilità, fortuna e prepotenza si poteva fonnare una solìda compagine filofrancese capace di eleggere un Imperatore che lo fosse altrettanto. Ma alla morte dell'Elettore Palatino i Principi tedeschi, soprattutto quelli protestanti, consci di cosa si preparava, stipularono nel luglìo del 1686 ad Augusta una Lega difensiva in funzione antifrancese e riuscirono ad impedire l'insediamento del candidato di Luigi XIV, che poi era suo fratello Filippo d'Orléans, al posto del defunto. Lo scontro era però solo rinviato. Nel 1688 mori il principe-vescovo di Colonia, uno dei tre elettori ecclesiastici, e si riaprì la contesa. I candidati erano Clemente di Wittelsbach, nipote del deceduto, per la Lega e il cardinale Fiirstemberg per Versailles. Ma nessuno dei due riusciva a prevalere; e le parti deferirono la decisione al Papa. Per la Francia fu una mossa sbagliata. Innocenzo XI si ricordò di tutti i dissapori intercorsi tra Versailles e Roma dall'affare dei Corsi in poi e non ebbe esitazioni. Constatati i maggiori diritti e titoli del candidato della Lega, decise in suo favore.


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La situazione diplomatica da tesa che era divenne incandescente, ma non era ancora arrivata alla rottura. Secondo Saint-Simon la guerra sarebbe scoppiata per un motivo assolutamente futile e casuale: Luigi XIV ebbe una disputa col suo minist.ro Louvois a proposito di una finestra di un palazzo in costruzione a Versailles. Il Re diceva che era storta; l'altro ribatteva di no. Faue prendere le misure, risultò che aveva ragione il sovrano, il quale fece una solenne e pubblica lavata di capo al suo ministro. Questi allora, convinto di essere caduto mdisgrazia. decise di mettere le cose in modo da far dimenticare al Re l'accaduto. «L'unica risorsa è una guerra che lo distragga dai suoi palazzi rendendomi indispensabile e per ... !! l'ovr໕ e l'episodio, nonostante la cautela con cui va preso a volte Saint-Simon. dev'essere vero poiché le truppe francesi entrarono in campagna tanto in fretta da essere al di sotto degli effettivi di guerra previsti di solito. Sia come sia, ebbero ordine d'occupare Avignone, come rappresaglia contro il Papa. Colonia, Worms, Spira, Philippsburg e tutto il Palatinato come intimidazione verso l'Impero. La mossa provocò l'immediata reazione della Lega e la guerra divampò furiosamente. li Reno fu attraversato dai Francesi e Magonza, Spira, Worms e il Palatinato furono messe a ferro e fuoco con una violenza e una crudeltà inaudite. Si mossero allora gli eserciti coalizzati di Spagna, Olanda, Svezia, Danimarca, degli Elettorali di Brandenburgo, Baviera e Palatinato e dell'Imperatore. Poi. nel 1689, deposto il re Giacomo Il Stuart colla «Gloriosa Rivoluzione,. dell'anno precedente, anche il nuovo sovrano d'Inghillerra, Guglielmo III d'Orange, scese in guerra contro la Francia. La Lega si tramutò nella Grande Alleanza e il fulcro delle operaLioni si spostò dalla Germania alle Fiandre, sia perché i Collegati si erano organizzati e avevano battuto e messo in ritirata il nemico fino a riaffacciarsi sulla sinistra del Reno, sia perché ai Francesi premeva di più contrastare gli Anglo-Olandesi. Questi infatti, appoggiandosi alle fortezze di cui le Fiandre erano fornite e giovandosi delle loro grandi disponibilità finanziarie, erano mollo più pericolo5i delle truppe imperiali in Germania. Ma invece di risolversi rapidamente la situazione entrò in una stasi preoccupante. Nessuna delle due parti riusciva a vincere ed entrambe erano in grado di resistere a lungo. Bisognava cercare un'altra strada, possibilmente aprendo un nuovo fronte che indebolisse la Francia. La Lega allora cercò di ampliare le proprie schiere ed intraprese una serie di sondaggi nei confronti di vari Stati minori, fra i quali il Ducato di Savoia al quale, come abbiamo visto, l'Imperatore inviò l'abate Grimani. Sappiamo quanto Viuorio Amedeo JI desiderasse concentrare nelle proprie mani lutto il potere, eliminando qualunque fonte d'interferenza interna ed estera. Le une e le altre non mancavano e le prime - privilegi, esenzioni e quant'altro concessi alla nobiltà. al clero e alle comunità - erano in via di soppressione. Restavano da eliminare le seconde - molto più consistenti - le quali, volendo proprio identificarle con un nome, potevano essere chiamate casale e Pinerolo: le due piazzeforti da cui Versailles controllava che i Savoia non deviassero dalla linea di vassallaggio imposta loro alla fine della Guerra dei Treni' Anni. Un esempio di quanto fosse opprimente la tutela francese ci è fornito da Montesquieu nel suo '•Viaggio in Italia": «Louvois chiese d'istituire una sta.,1one di posta a Torino, e che potesse passarvi un carro franco, senza essere ispedonato. Fu accordato. Questo carro, pieno di rnanufaui francesi, costillliva una gravissima ingiustizia per le dogane; e poiché il loro consumo era molto largo negli stati del duca, Louvois, che trovava il suo tornaconto in questa manovra.fece chiedere che i carri fossero due. Il Duca rifiutò. Il sig11or di Rébenac1 chiese udie11-

'L. DE ROUVROY DE SAINT SrMON. "Mémoires", edito in Italia come «Il Re Sole». Milano, Garzanti, I 977. pag. 11 t Ambasciatore francese a Torino nel 1690.


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z.a, il duca l'accordò suo malgrado: era in una sala del suo palazzo da cui si vedeva da lontano il castello di Pinerolo. li signor di Rébenac gli disse: "Com'è possibile che rifiutiate qualcosa a un Principe che possiede il castello che vedete laggi1ì ?" Il duca di Savoia, dopo che fu uscito, disse: "Ebbene, perderò i miei Stati - mi ha minacciato dal castello di Pinerolo - o farò radere al suolo il castello di Pinerolo!'' e lo fece radere al suolo "ii. A queste imposizioni si accompagnavano adesso delle misure coercitive assai pericolose. Nel 1689 Luigi XIV aveva chiesto tre reggimenti di fanteria da 1.000 uomini e Vittorio Amedeo aveva risposto che gliene poteva dare 1.200 perché i suoi reggimenti contavano 400 effettivi l'uno. Accettati. dopo il divieto di Luigi XlV a che ricorresse a nuovi arruolamenti i tre reggimenti erano stati richiamati da Vittorio Amedeo verso la fine del 1689 perché, come disse al1'ambasciatore francese d' Arcy «LA giustizia e la ragione vogliono che non si lasci in mano altrui ciò che bisogna a noi stessi». Luigi però non glieli aveva restituiti, offrendogli invece 5 o 6.000 dragoni francesi. Sapeva che le forze sabaude ammontavano a 9 -10.000 uomini, poiché Madama Reale aveva mandato a Louvois una copia del bilancio di quell'anno, da cui risultavano un'entrata di 8 milioni di lire e la fom1 dell' esercito e. in pratica, contava di disarmare il Ducato e presidiarlo colle proprie truppe. Vittorio Amedeo l'aveva capito benissimo e anche per questo le offerte avanzate dalla Lega cadevano a proposito. Vittorio Amedeo voleva riprendere la politica di espansione in Italia che già Emanuele Filiberto aveva incominciato e arrivare, se possibile, a dominare tutta la Penisola, o almeno a influenzarla politicamente. Per riuscirci doveva superare parecchi ostacoli. Il primo era rappresentato dalle truppe straniere sul territorio sabaudo, il che implicava non solo la necessità di espellere i Francesi da Pinerolo e da Casale. ma anche di impedire che qualche altra potenza. Spagna o Impero, vi si installasse. In secondo luogo bisognava consolidare ed ampliare il dominio cisalpino, in modo da avere più sudditi, cioè più entrate fiscali e più gente da arruolare, e raggiungere dei confini naturali abbastanza solidi da potere essere facilmente difesi. Questo implicava il riacquisto deU 'assoluto controllo di tutti i passi alpini e un'espansione in pianura verso e, magari, oltre il Ticino. li tutto doveva essere accompagnato dalla parità diplomatica colle Potenze, che significava non il riconoscimento, già esistente da parte di esse, deUo Stato Sabaudo, bensl quello della parità di rango di Casa Savoia coUe principali Case regnanti d'Europa, perché maggiore era il rango del sovrano e maggiore era il suo peso nelle discussioni diplomatiche. In particolare, per Vittorio Amedeo, il raggiungimento della parità cogli altri monarchi avrebbe costituito un'elevazione al di sopra di tutti i Principi italiani. rendendolo un punto di riferimento della politica italiana dei sovrani esteri e degli altri Stati italiani. In base a queste considerazioni si può capire bene quale importanza rivestissero le richieste che il Duca avanzò come condizioni per la sua adesione alla Lega: recupero di Pinerolo e della Valle del Chisone (eliminazione della tutela francese e consolidamento parziale del confine occidentale), ampliamento dei confini del Monferrato e facoltà d'acquistare da Leopoldo I i feudi imperiali delle Langhe (aumento del territorio nazionale) ed il trattamento regio (che, pur non concedendo il titolo di re, dava diritto ad essere trattato e considerato come tale) almeno da parte della casa d'Asburgo. L'Imperatore e la Lega acconsentirono cd iniziarono il perfezionamento degli accordi, ma nonostante la segretezza, notizie riguardanti le trattative giunsero a Luigi XIV, che si allarmò quando seppe dell'acquisto dei feudi delle Langhe, per i quali Vittorio Amedeo 1'8 febbraio 1690 aveva pagato un milione di lire all' Imperatore. Scrisse allora al Duca di considerare un atto antifrancese qualsiasi versamento di denaro a Leopoldo I; ma in maggio Vittorio Amedeo rispose che non era colpa sua: i banchieri avevano provveduto autonomamente. di loro iniziativa, al saldo della cifra all'Imperatore e lui non aveii C. L. DE SECONDAT DE MONTESQUIEU, ·'Viaggio in Italia". Bari, Laten:a. 1971, pag. 91.


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va potuto fare altro che render loro il denaro che avevano anlicipato. Lujgi allora gli fece pervenire un ullimatum tramite Catinat: l 'azione di Vittorio Amedeo gli era spiaciuta e voleva una prova di buona volontà, consistente nella messa a disposizione della Francia di due reggimenti di fanteria e due di dragoni. Entro 48 ore bisognava dire si o no; e il no avrebbe implicato lo stato di guerra. Vittorio protestò la propria buona fede, si appellò al Papa chiedendone la mediazione e disse che non vedeva come un piccolo e debole Stato come il suo potesse ulterionnente disarmarsi in favore di una grandissima potenza amica come era la Francia. Tutto quel che ottenne fu un'ulteriore minaccia. molto vaga: il Re era ancor più dispiaciuto, cioè irritato con lui. Le trattative si imensificarono e, finalmente. venne fuori cbe, forse, il Re avrebbe potuto accettare di considerare una prova d'amicizia la cessione delle cittadelle di Torino e Verrua, le ultime rimaste. Allora Vittorio Amedeo finse di accondiscendere, dichiarò che avrebbe mandato al suo ambasciatore a Versailles istruzioni dj stipulare un trattalo in tal senso e riuscì a evitare, all'ultimo momento, quando già si stavano mettendo in movimento, che le truppe francesi - 9.000 uomini, 5.330 dei quali dj cavalleria - gli devastassero il Ducato. Era la seconda decade di maggio. Il tempo stringeva. Vittorio accelerò le trattative colla Lega, sapendo di aver davanti a sé una decina di giorni al massimo - il tempo occorrente ai corrieri per andare e tornare da Torino a Parigi e il 4 giugno 1690 a Torino concluse l'alleanza coll'Imperatore, stabilendo poi il 20 ottobre ali' Aja quella con Gran Bretagna e Olanda. Due mesi e mezzo prima, Vittorio Amedeo. non ancora pronto alla guerra, aveva emanato l'editto del 28 marzo I 690 con cui aveva prescritto che i contingenti del Battaglione ili Piemonte - cioè della riserva di mobilitazione piemontese - fossero limitati al 6% degli abili di ogni Comune, dai 20 ai 40 anni, e che si esercitaSsero ogni 15 giorni: e con tale espediente, chiamandoli e congedandoli senza interruzione uno dopo l'altro, era riuscito prima a non insospettire Versailles, poi a non superare la quota impostagli ed a tenere in addestramento tutto l'esercito. Ad esso, in base agli accordi, la Spagna avrebbe aggiunto dal Ducato di Milano un corpo d'annata di circa 12.000 fanti, 3.000 cavalli e 12 cannoni da campagna; l'Impero avrebbe mandato da 5 a 6.000 uomini, Londra 20.000 scudi al mese e Amsterdam l0.000. pagando inoltre alcuni reggimenti di «Religionari»2 per combattere in Piemonte. Non lontano da Torino, ad Orbassano, comandato da Nicolas Catinat, era pronto un esercito francese di circa 9.000 uomini, che era lo strumento usato fino allora da Luigi XIV per controllare e minacciare il Duca. Sul filo del rasoio, Vittorio Amedeo era riuscito a destreggiarsi il più a lungo possibile per dar tempo ai suoi soldati di concentrarsi sotto Torino ed ai rinforzi spagnoli di arrivare. Il 4 giugno, dopo aver firmato gli accordi con la Spagna e l'Impero, convocò l'ambasciatore francese e gli annunciò formalmente la propria nuova posizione e la guerra. Infine chiamò a corte i generali, i dignitari e i nobili ai quali nella sala del trono, comunicò quanto aveva fatto: «Gli eserciti alleati ve11gono in mio soccorso, ma più che sopra le loro forze io faccio assegnamento sul wilore e sulla divozione della mia nobiltà e del mio popolo. A questo valore, a questa divozione i Reali di Savoia non hannno maijaflo appello indarno» disse e quando tacque tutti cominciarono a gridare «Viva il Duca»ii,. «La noti:::ia divulgatasi subitamente per la ciflà./u accolta con pari esultan:,a e il clero o/ferì gli ori e gli argenti delle chiese per provvedere alle urgenti necessità della guerra»'". Pari entusiasmo nel resto d'Italia. Scrisse il residente sabaudo a Roma che alla Corte pontificia «dopo la liberazione di Vienna [del 1683] non si è mai vista un 'allegrezza simile». E

2 Cosi venivano chiamati i protestanti valdesi e ugonotti arruolali in reggimenti, perlopiù pagati dal! 'Inghilterra e usati io Piemonte contro i Francesi. ii, SOL.ARO DI MORETTA, "Trattati e gesta di Vittorio Amedeo Jr. rip. in CARUTTI. "Storia del Regno di Vittorio Amedeo Ir. Firenze, Le Monnier. 1863. pag. 124. h Rip. in CARUTTI, op. cit., ivi_


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dicono le apocrife Memorie del Principe Eugenio di Savoia «Ventimila scudi al mese dall'Inghilterra, altri ventimila dal 'Olanda, quattro milioni per le spese della guerra, una specie di sottoscrizione fra tutti i piccoli principi d'Italia fecero più che la mia eloquenza, ed ecco il Duca di Savoia per qualche tempo il miglior austriaco del mondo. La sua condotta mi ricorda quella che i duchi di Lorena hanno tenuta altre volte, come i duchi di Baviera. La geografia impedisce loro di essere gente onesta»v. Nè poteva essere altrimenti date le dimensioni e le ridotte forze del Ducato di Savoia. Stretto fra l'Impero, la Spagna e quella che allora era la prima potenza del mondo, cioè la Francia, per poter essere tanto autonomo da comandare in casa propria Vittorio Amedeo doveva schierarsi ora coll'uno ora coll'altro dei contendenti, strappando ad entrambi il maggior numero possibile di vantaggi. L'esperienza dei suoi avi insegnava che, se non l'avesse fatto, prima o poi sarebbe stato completamente assorbito dagli Asburgo o dai Borbone. Al momento l'alleanza migliore era senza dubbio quella con la Lega. L'anno precedente l'esercito dei Collegati, comandato dal Duca di Lorena, aveva liberato Magonza, difesa da 10.000 francesi, mentre l'Elettore di Brandeburgo aveva riconquistato tutto l'Elettorato e la città di Colonia. Le Potenze Marittime pagavano le truppe sabaude e imperiali: le prospettive di successo apparivano buone e le promesse degli Alleati erano larghe. Se il vento fosse cambiato, il Duca avrebbe fatto in tempo, forse, a mutare rotta e salvarsi dai guai, Francia permettendo. Catinat non sembrava intenzionato a permetteglierlo. Cominciò con una quantità di violenze sulla popolazione, degne di quanto era stato fatto nel Palatinato. Le cose non gli andarono però così li.s ce come in Germania. Là i civili scappavano, qui, grazie all'addestramento ricevuto nella milizia, combattevano; e altrettanto ferocemente dei Francesi. Preso il villaggio di Cavour passando a fil di spada la guarnigione e tutti gli abitanti, senza riguardi ali' età ed al sesso, per far sapere alle altre città cosa sarebbe loro capitato se avessero osato resistere, Catinat ne uscì il 17 agosto con 12.000 fanti , 5.000 cavalieri e 16 cannoni e puntò su Saluzzo.

Il) L'abbazia di Staffarda Il Comandante francese aveva distribuito le proprie forze in due colonne miste di fanteria e cavalleria. vicine e parallele, concentrando carriaggi ed artiglieria in una terza marciante di conserva e a destra delle altre e disponendo sulla propria sinistra 400 cavalieri per coprire le colonne dal lato del nemico. Alle tre del pomeriggio la sua avanguardia passò il Po nei pressi delJ'abbazia di Santa Maria di Staffarda, a poca distanza da Saluzzo. Nel frattempo a Vìttorio Amedeo erano giunte le prime notizie dei movimenti dei nemici e aveva deciso di attaccarli con tutti i 15.000 fanti, 4.500 cavalieri e 12 cannoni dell'esercito alleato. «Guardatevene bene» gli aveva detto il principe Eugenio, «Catinat è un eccellente generale che ha sotto di sè dei vecchi reggimenti, i migliori del/afa11teriafrancese. I vostri sono di nuova leva e i miei non sono ancora arrivati». «Che importa» rispose il cugino «conosco il mio paese meglio di Catinat. Domani marcierò all'Abbazia di Staffare/a». Concludono le Memorie del principe Eugenio: «Invece di dar battaglia fummo noi che la ricevemmo» vi. La battaglia, dall'esito a lungo incerto, fu vinta dall'artiglieria francese. superiore per numero e addestramento, e la ritirata venne coperta dalle cariche di cavalleria guidate dal princiv Rip. in C. AssuM, «Eugenio di Savoia», Torino, Paravia, I 939, pag. 26.

,,; Rip. in C. AssUM, op. cit., pag. 29.


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pe Eugenio e dal conte di Verrua. mediante le quali la retroguardia poté disimpegnarsi e ripiegare lentamente verso Torino. I Francesi ebbero 1.000 uomini fuori combattimento, ma « ... il vantaggio che il Signor de Catinat ebbe in questa occasione fu così considerevole che la maggior parte dei nemici rimase stesa sul posto. Si prese tlltta la loro artiglieria ( 11 pezzi su I 2), e il loro bagaglio. Si fecero pii) di mille prigionieri senza contare ottocemo uomini feriti, che dopo la battaglia furono portati al campo deifrancesi"vu. La giornata era stata disastrosa per gli Alleati. che lasciavano mano libera ai Francesi, i quali saccheggiarono e devastarono Saluzzo ed i borghi vicini, recando pesanti distruzioni e uccidendo, torturando e violentando migliaia di persone. Si calcolò che su 19.500 tra fanti e cavalieri, gli Alleati avessero perso circa 4.000 morti, 1.500 feriti e 1.200 prigionieri, cioè più di un terzo delle loro forze 3• Catinat lasciò sul terreno un migliaio di uomini, saccheggiò e devastò Saluzzo e i borghi vicini, poi puntò verso le montagne e, prima della fine della campagna, riuscì ad impadronirsi di Susa; ma nel frattempo erano giunti i rinforzi di truppe imperiali che ristabilivano la parità delle forze.

lll) La fortezza di Mont:mélian

Da secoli e secoli Montmélian aveva costituito il punto di forza della difesa del Ducato contro le invasioni provenienti dall'ovest. Notoriamente la Savoia non poteva essere difesa contro un attacco francese, per cui nessuno si stupl quando le truppe del Cristianissimo se ne impadronirono in frena e posero l'assedio a Montmélian. Comandava la guarnigione Carlo Gerolamo del Carretto marchese di Bagnasco, il quale aveva trascorso i primi tre mesi della primavera del 1690 in una febbrile attività per mettere la fortezza in condizione di reggere all' urto che andava avvicinandosi. Le operazioni di blocco andarono in lungo. ritardate da continue sortite della guarnigione e continuarono lino al 9 gennaio, quando i Francesi strinsero la città, con circa 3.000 uomini, contrastati da una furiosa sortita di 200 tra fanti e dragoni. Finalmente il 4 febbraio arrivò Catinat e il 6 i nemici si decisero a piantare le prime due batterie e 1'8 « ...due hore dopo il me::zo giorno ... cominciarono a salutare laforteu.a, l'una con venti tiri di cannone ... e l'altra co·n sette bombe»•iii. Ma solo il 14 luglio i nemici cominciarono a fare sul serio, perché solo quel giorno arrivarono le avanguardie del contingente di 9 battaglioni di fanteria e un reggimento di dragoni' adoperato per prendere la Val d'Aosta e ora destinato alJ'assedio. Aperte un paio di breccie, il 4 agosto il governatore consentì alla città di capitolare, accettò una tregua di quattro giorni e si ritirò nel castello coUa guarnigione. Intanto la situazione degli assediati peggiorava. Il 1° settembre un terzo dei soldati erano ammalati; ogni giorno ne moriva una mezza dozzina e di quelli sopravvissuti la maggior parte era così debole da non poter essere impiegata in combattimento. A ottobre la guardia mediamente in armi sugli spalti non eccedeva i 70 uomini per volta e. per di più, privi di scarpe e di

'" DE RtE1,COl/lO' op. cit., Tomo II. pag. 186. 3 In realtà le perdile furono minori, ma non si può quantificarle perché, secondo alcune cronache del

tempo. molti dati per morti erano solo fuggili e rientrarono ai propri reggimenti lentamente nel corso dei due mesi seguenti. '"' B AGNASCO, «L'assedio di Mommeliano,., Roma. Ed. Roma, 1935, pag. 47. 'Appartenenti ai reggimenti di Piemonte, FoiJt. Borbone, Limosino, Rouergue, La Couronne e Lorena e uno di un reggimento di Milizia non identificato.


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abiti. Per contro i Francesi avevano ricevuto rinforzi di fanteria e dragoni, perciò fu molto ben accolta la lettera, giunta fortunosamente il 26, con cui Vittorio Amedeo annunciava la liberazione di Carmagnola, il principio dell'azione contro Susa e l'intenzione di liberare MontméLian. La gioia durò poco, perché a novembre «La notte del/i 6 gli inimici pubblicarono la ritirata dell'armata di S.A.R. e quella dei Collegati di sotto Susa»i>.. Umorale crollò; le diserzioni aumentarono ed insieme ad esse crebbe l'attività dei Francesi, i quali il 15 ricevettero l'ispezione di Catinat, diretto ai quartieri invernali in Francia col grosso dell'esercito d'Italia. Il cannoneggiamento crebbe d'intensità nei giorni seguenti, toccando l'apice il 29, quando sotto una pioggia di bombe «li Governatore corse rischio di restarne infranto, imperrocchè ne rimase egli cinto da sei tutto a un tratto; et appena gettossi agli boccone a terra che creparono tutte, e lo coprirono di terra, di fuoco e di fumo»•. Ma il peggio non consisteva tanto nei danni alle mura o al materiale, quanto nel continuo assottigliarsi del presidio, poiché gli (< ••• infermi continuavano a morire et i san.i a cadersene infermi. Di nove capitani e di quattordici Tenemi che vi erano, cinque giacevano a /etio. LA maggior parre dei sergenti non poteva più durare al/a fatica di starsene giorno e notte sulla muraglia... la Guardia non era più che di cento huomini ... »Ai. Era evidente onnai che l'acme dell'assedio sarebbe stato raggiunto quando i Francesi avessero fatto brillare la mina che da tempo stavano preparando e contro la quale Bagnasco aveva finito di predisporre la sua contromina di 11 barili di polvere. Ma il bombardamento riusci casualmente a far esplodere anzitempo quest'ultima, aprendo una nuova breccia nei bastioni la quale, ispezionata il 20, apparve tanto ampia da impedire la difesa. Bagnasco chiese il parere dei suoi ufficiali e ne ebbe in risposta che, piuttosto di ritirarsi nel mastio, era il caso di ottenere un'onorevole capitolazione. Ugualmente protrasse La resistenza di altre 24 ore ma, quando vide che i minatori francesi cominciavano a scavare pure sotto il mastio, a mezzogiorno del 21 dicembre fece battere la chiamata e offrl la resa. A lui e a tutto il presidio fu accordata l'uscita cogli onori militari «posdomani 23 del corrente mese, per la Breccia, Tamburo battente, miccia accesa. LA detta Guarnigione sarà condotta sino ad Avigliana, con sicura scorta; e per la via più corta della Moriana»•ii. I Francesi avevano perso, per loro ammissione, 1.500 morti - 2.000 secondo altre fonti e, inclusi i feriti e i disertori, <(credesi che Momigliano costi al Re di Francia sei o selle mila huomini»•iii. li 22 mattina «li Sig. di Catinat, con wtti i primarj Officiali, salirono in Casre/lo per vedervi il Marchese di Bagnasco. Visitarono fa Piazz.a e videro, con loro gran meraviglia, il pessimo stato a cui era ella ridotta. Stupironsi ancora d'avvantaggio nel vedere quello del presidio, il quale consisteva in soli duecento ottantaquattro huomini, compresovi il Sig. Marchese di Bagnasco, .. .la metà dei quali erano inoltre così infermi e malmenali che convenne, nell'uscir che fecero dalla fortezza, che i francesi stessi usassero loro la charità di andarli sostenendo...,,,iv.

i, BAGNASCO, op. cit., pag. 102.

'Idem, pag. li 6. •i Idem, pag. 119. • .i i "Capitolatione seguita tra il Sig. di Catinat, Luogotenente Generale, Comandante in capo l'Armata di S.M. in Italia, et il Marchese di Bagnasco, Governatore di Momigliano", Artt. 2 e 3, rip. in BAGNASCO, op. cit., pag. 138-9. ,iii BAONASCO, op. cit., pag. I 41. ,iv Idem, pag. 140.


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IV) L'assedio di Pinerolo

Mentre Montmélian era bloccata, il 1691 si era aperto con una conferenza di guerra degli Alleati a l'Aia, durante la quale Guglielmo m si era impegnato ad accrescere l' impegno fi. nanziario delle Potenze Marittime, in misura tale da arruolare altri 10.000 uomini, metà bavaresi e metà imperiali, da mandare in Italia. Era stata poi ribadita l'importanza del Piemonte come base di partenza per un attacco contro la Francia meridionale, al quale doveva far riscontro la calata degli Alleati dal Reno lungo le Alpi, per congiungersi ed assalire e distruggere Tolone e la squadra francese del Mediterraneo. Ma in Italia le cose non andarono proprio come previsto. Catinat apri la partita già in marzo, occupando Nizza e proseguendo verso nord. A giugno prese Rivoli, Carignano e Carmagnola e passò ad assediare Cuneo. Difesa benissimo dalla scarsa guarnigione agli ordini del Conte Roero di Revello, la città fu soccorsa dopo un mese e mezzo dal principe Eugenio, che riprese anche Carmagnola. Vittorio Amedeo aveva chiesto aiuto per sbloccare Montmélian, ma l'ostruzionismo dei comandanti imperiali e spagnoli paralizzò qualsiasi iniziativa perché gli Austriaci non avevano interesse a un rafforzamento del Duca di Savoia; era sufficiente che tenesse impegnati i Francesi distogliendo truppe dal Reno. Allora decise d'agire colle proprie forze. Da Asti partirono 8 reggimenti di fanteria e 2 di dragoni il 7 dicembre e arrivarono ad Aosta il 15, per risalire subito il Piccolo San Bernardo. Quando giunsero in cima seppero però che Montmélian si era arresa e non restò loro altro che ritornare in Piemonte, ai propri quartieri d'inverno. Sdegnato e, soprattutto, preoccupato dall'egoismo degli Austriaci, Vittorio Amedeo affidò a Giovan Battista Gropello l'incarico di trattare segretamente in suo nome coi Francesi per un 'eventuale pace separata. Dopo un 'iniziale mediazione segreta della Santa Sede, Gropello stabill contatti col Conte di Tessé, governatore francese di Pinerolo, contatti che sarebbero andati avanti fino al 1696, cioè fino al raggiungimento degli scopi di Vittorio Amedeo. U 1692 si aprì con una concentrazione delle truppe francesi nel nord Europa per il colpo più grande di tutta la campagna e forse della guerra: l'assedio e presa di Namur, la piazza più importante e difficile da espugnare di tutte le Fiandre. Sul fronte meridionale i Francesi, che dall'inizio della guerra erano entrati in Catalogna, continuarono a minacciare Barcellona e allargarono progressivamente l'area da loro occupata in Spagna. Vista la concentrazione di tutti gli sforzi nemici nelle Fiandre e in Spagna, Vittorio Amedeo ed Eugenio ne approfittarono ed entrarono in Francia attraverso le Alpi. Presero Guillestre in luglio, Embrun e Gap in agosto e minacciarono Grenoble, trattando il Delfinato come i nemici avevano fatto col Palatinato ed il Piemonte. Ma proprio a Gap nelle file dell'esercito piemontese scoppiò il vaiolo, che contagiò lo stesso Duca. A dire il vero in epoca recente e alla luce delle trattative in corso fra Tessé e Gropello, è stato avanzato il dubbio che si trattasse di una malattia falsa, usata come pretesto per fermare l' esercito e rallentare le devastazioni. in modo da non esacerbare Luigi XN e non interrompere i contatti segreti. Difficile dirlo. I fatti sono che, sia per le malattie, sia per l'arrivo di Catinat, sia per l'atteggiamento della popolazione, le truppe alleate preferirono rientrare in Piemonte per l'inverno e per prepararsi alla campagna del 1693. Questa, inziatasi con una serie di mosse alleate, che indussero Catinat a spostarsi verso Susa scoprendo Pinerolo, continuò proprio coll'assedio di Pinerolo e il blocco di Casale da parte degli alleati. Vittorio Amedeo fece aprire la trincea sotto le mura della prima il 30 luglio e il 5 agosto cominciò a bombardarla. Pinerolo era già piuttosto forte di per sè ma, nel 1692, i Francesi l'avevano ulteriormente rinforzata costruendovi, su un vecchio bastione in terra, un nuovo forte - detto di Santa Brigida - stellato a quattro punte e collegato alla cittadella da una strada coperta lunga un chilome• tro e mezzo abbondante.


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Data l'importanza strategica della cittadina, Louvois aveva ordinato a Catinat di tenerla a ogni costo e per questo il Maresciallo, andando a prendere i quartieri d'inverno nel dicembre del 1692, vi aveva lasciato 7 battaglioni di fanteria, al comando del Conte di Tessé. AJla fine della cattiva stagione Catinat, fermo a Exilles e in attesa dell'arrivo di rinforzi dalla Francia, aveva mandato a Tessé ancora 5 battaglioni tratti dai suoi 47 e 3 squadroni, per prevenire un eventuale assedio nemico prima che lui fosse pronto a scendere in campagna. E questo aveva fatto salire il presidio a circa 6.000 uomini, sufficienti a reggere l'urto dei 25.000 coi quali Vittorio Amedeo si stava avvicinando. Vittorio arrivò in luglio e, disposta parte delle truppe a guardare le spalle per contrastare il probabile arrivo dell'esercito francese di soccorso, destinò il resto dei reparti all'investimento del forte di Santa Brigida, dal quale si dominava la cittadella, mentre Gropello entrava e usciva di nascosto dalla città, portando avanti nell'oscurità della notte il lavorio diplomatico. La prima trincea era stata aperta il 30 e il 2 era cominciato il bombardamento, mentre venivano piazzate le batterie destinate a battere la cittadella e il resto delle fortificazioni. A prezzo di perdite molto alte, le truppe aJleate furono in grado di assestarsi in fretta e la notte fra il 7 e I' 8 tentarono un attacco a Santa Brigida: costò 800 morti e non servì a niente. Visto il pessimo risultato, Vittorio Amedeo ordinò di cannoneggiare il forte. riuscendo ad aprire due larghe brecce entro il 13 agosto e costringendo i difensori a ritirarsi all'interno della cittadella il 16 dopo aver fatto saltare tutto quel che era rimasto di fortificazioni. La ritirata quasi non costò perdite ai Francesi; e questo fece nascere fra gli Alleati - benchè ignari dell' attività di Gropello- sospetti su un'eventuale collusione franco-sabauda, alimentati dai precedenti cattivi rapporti tra Vittorio Amedeo e gli alti gradi degli eserciti spagnolo e imperiale. ulteriormente guastati al momento del soccorso da inviare a Montmélian. Nel frattempo arrivarono 5.000 soldati e un buon parco d'artiglieria dal Ducato di Milano. ma occorse molto tempo prima di riuscire a mettere in batteria i pezzi, che solo il 20 settembre furono in grado d'aprire il fuoco contro la cittadella. Il 25 iniziò il bombardamento generale con 80 cannoni e 15 mortai. Danneggiò case e mura ma non la guarnigione, che subì perdite minime. L'impresa sembrava destinata a protrarsi all'infinito. A fronte dei 35 morti del presidio, le perdite nelle file alleate assommavano a 3.000 uomini, che salivano a circa 6.000 se si calcolavano pure i disertori, gli ammalati e i feriti. Questa era la poco incoraggiante situazione nella quale si trovava Vittorio Amedeo sotto Pinerolo quando seppe che Catinat, ricevuti rinforzi dagli eserciti del Reno e della Catalogna, si era mosso da Susa e stava scendendo a valle. Per non farsi prendere fra due fuochi dai nemici, valutati in 40.000 uomini, convocati due consigli di guerra, il 1° ottobre il Duca ordinò di togliere l'assedio, fece saltare quanto era restato in piedi di Santa Brigida, sped.ì il parco dell'artiglieria pesante a Torino insieme alla massa delle salmerie e, col grosso, marciò incontro al nemico.

V) I Piani della Marsaglia

li 4 ottobre ai Piani della Marsaglia, o meglio, sulla sinistra del Chisola, vicino ad Orbassano, l'esercito francese combattè coll'armata alleata proveniente da Pinerolo. Poco prima delle nove del mattino, 40.000 Francesi attaccarono su tutta la Linea 25.000 austro-ispano-piemontesi premendo contro entrambe le ali avversarie. L'ala destra alleata - Piemontesi, Imperiali e Religionari - resistè abbastanza bene e respinse tutti i tentativi nemici, bloccando colle unità di seconda linea lo sfondamento facto dalla carica della Gendarmeria francese contro i reggimenti Religionari e quello delle Guardie sabaude «et cinque battaglioni d'infanteriafuro,w intieramente tagliati a peu.i dalla no-


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stra cavalleria et la maggior parte dal/i Dragoni rossi di S.A.R.»". Agli Alleati tutto sembrava andare per il meglio, nonostante l'infenorità numerica, e «Mai villoria s'era creduta più certa per parte nostra di questa ...». Ma crollò l'ala sinistra -composta prevalentemente da truppe delle corone di Spagna - e i Francesi alle 11 del mattino sfondarono. Vanamente contrastati dai militari del Reggimento Croce Bianca che « ...getati li moscheti, con la spada alla mano, l'endet1ero a caro pre;;.zo la vita de 'suoi Ufficiali et Soldati, et infatti di questi so• lo 200 sono rimasti vivi, er degli Ufficiali metà con il Comandanre»••i, i nemici dilagarono e cominciarono una manovra aggirante, per evitare la quale bisognò ritirarsi pure sulla destra «Il che si fece con buon ordine, salvando il cannone che haveva sempre in detta ala (destra), perdendone /3 pez..i degli altri in porere de'nimici»"'· Restarono sul terreno circa 6.000 Alleati. pochissimi dei quali piemontesi, forse aJtrenanti FrancesiS; e Catinat, apertasi la via di Casale. costrinse gli avversari a toglierne il blocco. La campagna del 1694 fu senza storia in Italia, ove il Duca rinforzò notevolmente il proprio esercito anche con altri reparti religionari pagati dalle Potenze marittime. mentre si combatteva duramente sia nelle Fiandre che in Spagna. La Francia, nonostante nel 1693 avesse perso tutta la flotta atlantica nella battaglia navale di La Hoguc, rimaneva formidabile per terra, tanto da minacciare seriamente di prendere Barcellona. Una simile impresa avrebbe costretto La Spagna alla pace e liberato ingenti forte per i fronti italiano, fiammingo e renano, facendo pendere la bilancia a favore d1 Versailles. Intervenne la flotta anglolandese, che entrò nel Mediterraneo per alleggerire la pressione sugli Spagnoli; e Vittorio Amedeo supponendo, giustamente, che gli alleati stessero trattando la pace colla Francia senza averlo avvisato, decise che era venuto il momento di cambiare atteggiamento. Poiché proprio dal 1694 la Francia si era convertita alla difensiva e dato che il prolungarsi della guerra in Italia, dove 50.000 Francesi devastavano gli Sta1i sabaudi, danneggiava Versailles e Torino, ma non gli altri contendenti, il Duca riuscl ad ottenere quello che voleva dal!'indebolitissimo nemico. Gropello e Tessé si accordarono in nome dei rispettivi sovrani, per far la pace alle condizioni di Vinorio Amedeo «i/ nemico della Francia più costoso e terribile» come lo avrebbe definito Saim-Simon che, parlando del trattato di Rijswijck, avrebbe affermato: «La pace che seguì alla guerra, alla quale il Re e lo Stato senza altre possibilità di scampo da molto tempo sospiravano.fu vergognosa. Si dovetle accettare tutto ciò che volle il duca di Savoia per fargli abbandonare i suoi alleati .,,,.x,uo. Più esauamente: Vittorio Amedeo s'era accono che, oltre ai danni ai suoi territori, rischiava cli vedere gli Imperiali a Casale, cosa che non gradiva assolutamente. Si accordò allora con Lujgi XIV, sempre per mezzo di Gropello e Tessé, anche su questo punto, ma trovò qualche difficoltà.

xv Relazione ufficiale piemontese. rip. in ..La guerra della Lega di Augusta fino alla battaglia di Orbassano", Torino. Accademia di San Marciano, 1993. pag. 115. "'Idem. pag. 114. n·u Ibidem. 5 «Le perdite dal 11s. canto, dal calcolo delle tabelle si riduce rra 11111e le na:iorri arra cavalleria e fanteria e dragoni a 5.500 uomÌllifuori combattimento rra mortiferiri e prigionieri Imperiali= 1.500, Spagnoli = 2.500, Piemontesi e Religionari = I .500. Quella dei nemici viene calco/ara da loro ste.ssi a rela;;ione di vari disenori ed Ufficiali prigionieri rimanda11. a cirr:a 6-7.(X)() fuor di combatto e che particalarmente la Gendarmeria, consisrente in I .600 cavalli abbia patito molro, supponendosi ridotta alla metil» (Relazione della battaglia di Orbassano. Ufficiale - Riservata. cit.. conclusione). Va detto però che le perdite francesi furono variamente calcolate. andando da un minimo di 1.000 a un massimo di circa 8.000, tra moni. feriti, disert0ri. prigionieri e dispersi. '""" SA1NT·Sl\10N. op. Cli., pag. 133.


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VI) La presa di Casale

Per 11011 farsi scoprire dagli alleati e al tempo stesso per premere di più su Luigi XIV, Vittorio Amedeo, nella sua qualità dì comandante dell'esercito collegato, si presentò ad assediare Casale nella primavera del 1695 con 54 cannoni, 70 mortai e 25.000 uomini, ai quali la guarnigione francese ne poteva opporre solo 2.700 con 160 ufficiali. Rimandato il principio delle operazioni a causa d'un improvviso quanto provvidenziale peggioramento del tempo avvenuto 1'8 aprile, il Duca intensificò le pressioni diplomatiche sul Cristianissimo zio. Incominciò col far riprendere già I' J 1 i lavori di controvallazione. nonostante la bassa temperatura avesse gelato la neve caduta tre giorni prima. e proseguì coll'aumentare il parco d'assedio di altri 20 cannoni, spedendoli via fiume da Torino e facendo in modo che i Francesi lo sapessero. Ricevè poi il principe Eugenio ed il Marchese di Leganes per discutere l'imminente campagna, ma al contempo fornì a Tessé ampie assicurazioni sulla propria buona fede per raggiungere una pace separata6. In maggio le opere di circonvallazione e controvallazione furono terminate e il 25 giugno 74 cannoni e 70 mortai aprirono il fuoco contro la città. Da dentro si rispose con 210 pezzi7, ma il Signor de Crenan sapeva di dover solo fingere di resistere, perché Luigi XIV aveva accettato il punto di vista di Vittorio Amedeo: persa per persa, era megUo rendere Casale al Duca di Mantova radendone al suolo le fortificazioni piuttosto che farla avere agli lmperiali o alla Spagna. Il 26 fu aperta la trincea e, dopo aver lavorato ai camminamenti sotto una pioggia di bombe, il 9 luglio, come da prassi, si intimò la resa al presidio. Ma, contro ogni aspettativa i generali alleati videro alzarsi bandiera bianca e seppero che il Signor de Crenan era disposto ad arrendersi purchè si demolissero la cittadella e tutte le altre fortificazioni di Casale. Lieto dell'opportunità di chiudere la questione in fretta, Leganes accettò subito; il principe Eugenio fu contrario perché, disse, la capitolazione offerta implicava debolezza e. insistendo. si sarebbe potuta avere la piazzaforte intatta. Questo era precisamente ciò che Vittorio Amedeo non voleva e, conseguentemente, si associò a Leganes nell'accettazione della proposta dei Francesi, che poi era la sua. Stilata in 26 capitoli, la resa fu sottoscritta lo stesso giorno da Leganes e dal Duca, ma non dal principe Eugenio, il quale protestò presso l' Imperatore, sentendosi rispondere che aveva ragione ma, per quanto riguardava Casale, bisognava fare quanto Vittorio Amedeo aveva deciso perché era lui il comandante supremo in Italia. Che ci fosse stato qualcosa di strano i generali piemontesi e alleati lo cominciarono a sospettare quando ispezionarono la fortezza e fecero l'inventario dei materiali e dei viveri: ce n'era da resistere per mesi; e allora perché arrendersi cosi in fretta alla prima intimazione, dopo un assedio che era costato agli Alleati si e no 400 fra morti e feriti e ai Francesi un centinaio? Ma ormai l'accordo era stato perfezionato, i genieri e i minatori alleati e francesi erano all'opera e procedevano a gran velocità, tanto da rendere al Duca di Mantova la città smantellata già il 25 settembre8. Ogni sospetto trovò la sua ragion d'essere quando, l'anno dopo, Vittorio Amedeo concluse la pace separata con Luigi XIV. Il trattato di Pinerolo del 19 giugno 1696, ottenuto colla mediazione della Santa Sede ericonfermato da quello di Torino del 23 agosto dello stesso anno, prevedeva: la cessione di Pi-

6 Il 21 aprile mandò a Tessé una lettera in questo senso tramite Gropello, e il 26 imbarcò sul fiume i cannoni destinati a Casale. 7 Nella cittadella 120, nel castello 30, in città 60. 8 La guarnigione francese, che aveva partecipato a i lavori di smantellamento sorvegliata da un contingente alleato di 5.000 uomini al comando di Lord Galloway. aveva lasciato la città domenica 18 settembre.


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nerolo e del corridoio che l'univa alla Francia; la restituzione di tutti i territori sabaudi conquistati dai Francesi durante la guerra e la neutralità dell'Italia, fine per il quale l'esercito francese e que1lo piemontese avrebbero agito uniti contro gli Alleati se non l'avessero accettata. Inoltre la corte di Versailles avrebbe concesso a Vittorio Amedeo il trattamento regio di cui già godeva da pane di quelle di Madrid, Vienna e Londra, e il matrimonio del Duca di Borgogna, nipote di Luigi XIV e presunto futuro re di Francia, e di Maria Adelaide di Savoia, figlia di Vittorio Amedeo. Ci fu qualche tentennamento da parte alleata; e il l 8 settembre le truppe francesi e piemontesi, sotto il comando di Vittorio Amedeo e in numero di 55.000 uomini andarono ad assediare Valenza per imporre senz'altre discussioni la neutralità dell'Italia alla Grande Alleanza. Fu accettata. Dopo sei anni di guerra il Duca aveva raggiunto i suoi scopi in pieno e poteva ritenersi politicamente soddfafatto. Invece erano disperati gli Alleati. Avevano fatto di tutto per indurlo a non concludere la pace colla Francia e adesso, falliti i loro sforzi, non potevano far altro che proseguire all' infinito la guerra, senza speranza di vincere, o terminarla alla meglio. Optarono per la seconda soluzione e i plenipotenziari si riunirono a Rijswijck dove, il 20 settembre del 1697, si accordarono sulle condizioni di pace. La Francia perse una piccola parte del territorio acquistato vent' anni prima a Nimega e i ducati di Lorena e Bar. ma conservò l'Alsazia e il suo confine restò sul Reno da Philippsburg a Basilea. Politicamente per Luigi XIV lo smacco più grosso fu quello di dovere riconoscere Gugliemo ID d'Orange legittimo re d ' Inghilterra al posto di Giacomo Stuart, che nel 1688 era riparato in Francia. Ma non c'era da guardare troppo ai particolari perché era già nell' aria una gravissima questione, che da sola aveva costituito un enorme incentivo al raggiungimento della fine delle ostilità. Le Potenze europee dovevano dec idere cosa fare per la successione al trono di Spagna: l' avrebbero deciso, ma dopo altri dodici anni di guerra sanguinosa combattuta per terra e per mare in Europa, in America e sulle coste delJ 'Asia e deU ' Africa.


PARTE TERZA

IL SETTECENTO



CAPITOLO XVI

LA SUCCESSIONE DI SPAGNA

I) La successione e gli Stati italiani: 1701 • 1703 Carlo Il d'Asburgo re di Spagna si avviò alla morte nell'estate del 1700, ali' età di 35 anni e senza eredi. Pressato dai Grandi del Regno e dalla Regina, perché scegliesse il proprio erede al trono fra due persone, Filippo di Borbone, duca d'Angiò, nipote suo oltre che di Luigi XIV, e l'arciduca Carlo, figlio minore dell' imperatore Leopoldo, Carlo JJ rimise la questione al Papa. E Innocenzo XII, considerando che l'unione dei territori austriaci e spagnoli in Italia e in Europa avrebbe potuto riportare la Chiesa ad un periodo di forti pressioni da parte dell'Impero, consigliò di far cadere la scelta sul Duca d" Angiò. Così Carlo fece, provocando un terremoto le cui conseguenze dirette avrebbero determinato il corso dei successivi duecentocinquant'anni. QuanO do mori, il I novembre del 1700, Luigi XIV ordinò al proprio nipote di accettarne l' eredità: e ben presto le Potenze europee si resero conto che non solo la Spagna stava concedendo alla Francia basi e privilegi; ma che si correva addirittura il rischio di un'unione delle due Corone. All'Imperatore, furioso per essere stato defraudato di quanto gli spettava, si sarebbero affiancate rapidamente Inghilterra e Olanda, spaventate dall'accrescimento della potenza francese, ed il Principe Elettore di Brandeburgo, allettato dalla promessa imperiale di essere elevato al rango di re. Per quanto riguardava gli Stati italiani, si profùava l'intervento in guerra di almeno uno di essi, cioè il Ducato di Savoia. Nell'incombente conflitto Vittorio Amedeo li non aveva scelta. L'ascesa d'un Borbone al trono di Madrid lo aveva nuovamente imprigionato tra la Francia, ad ovest, la Lombardia spagnola, e quindi ora alleata dei Francesi, ad est e Genova, tradizionalmente fùospagnola, a sud. li consolidamento di quella situazione politica avrebbe provocato l 'asservimento completo del Piemonte alla Francia; dunque occorreva favorire quanto più possibile l'insediamento nel Ducato di Milano di un regime che le fosse ostile, nel caso specifico gli Asburgo, a cui potersi appoggiare contro Versailles o, eventualmente, al quale opporsi insieme ad essa, in modo da riconquistare un' apprezzabile libertà d 'azione. Per il momento però non si poteva far altro che piegare la testa e schierarsi coi Borboni nella guerra che stava iniziando. Perciò Vittorio Amedeo s'impegnò a fornire 8.000 fanti e 2.500 cavalieri da unfre all'esercito franco-spagnolo che, forte di 65.000 uomini, nominalmente sotto il suo comando, ma in realtà agli ordini di Nicolas Catinat, teneva saldamente la Lombardia, in attesa di scontrarsi coi 30.000 imperiali che il principe Eugenio di Savoia stava guidando verso l' Italia per occupare il Ducato di Milano, il cui governatore aveva giurato fedeltà a Filippo V. Leopoldo infatti ne anteponeva la rivendicazione a qualunque altra, perché era un feudo dell'Impero rimasto vacante per la morte senza eredi del feudatario, cioè il Re di Spagna, e affermava che per questo dovesse tornare a disposizione delrlmperatore. E per meglio sostenere le sue rivendicazioni, a differenza delle Potenze Marittime, ancora incerte se impegnarsi militarmente o meno, si era subito messo in moto, pur disponendo di un esercito di soli 42.000 uomini. Per impedire all'armata asburgica di sboccare nella Pianura Padana, Catinat avanzò nella Lombardia veneta.


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La Serenissima, corteggiata da Vìenna e da Versailles per la posizione e la sua presunta forza militare, preferì la neutralità. l.a tesi più accreditata per spiegarla è che, visto il salasso economico causato dalla serie di guerre contro i Turch.i, iniziata con quella di Candia mezzo secolo prima, il Senato non potesse fare altrimenti. Ciò contrasta però col fatto che riusci a armare un esercito d'osservazione di oltre 20.000 uomini, sottoposto al Provveditore Generale di Terraferma e concentrato prevalentemente nel Bresciano e nel Veronese. È stato detto che il livello della truppa era assai scarso, ma si trattava comunque di una forza talmente costosa da non permettere di continuare a ritenere valida la tesi delle difficoltà economiche. Il problema era invece politico. Venezia doveva bilanciarsi fra due blocchi, entrambi utili ed entrambi pericolosi non tanto in rapporto alla situazione europea, quanto a quella del Levante. Unirsi ali' Austria contro la Francia, tradizionale ed antica alleata dei Turchi, poteva implicare un attacco anfibio in Grecia, Dalmazia e nello stesso Adriatico. La flotta veneta sarebbe stata sola contro quella turca, magari rinforzata dalle navi francesi, e sarebbe stata sconfitta. Nè l'Austria sarebbe stata d'aiuto, visto che non solo era una potenza puramente terrestre. ma che anche per terra non sembrava capace di battere i Francesi. E se alla loro pressione in Italia si fosse aggiunta anche un'avanzata ottomana nei Balcani che sarebbe successo? Per contro, quasi per gli stessi motivi, non ci si poteva schierare coi Francesi contro gli Asburgo. L'Austria se ne sarebbe ricordata e non avrebbe affiancato Venezia in caso di attacco da parte dei Turchi, i quali l'avrebbero saputo e non avrebbero mancato d 'aggredirla con tutte Le loro forze vincendo facilmente. Nè, contro di loro, si sarebbe potuto contare sull'appoggio francese, come Candi.a aveva abbondantemente dimostrato. Dunque neutralità e, per evitare screzi capaci di portare alla guerra contro l'uno o l'altro dei contendenti, lo stesso Senato ammonì che era meglio concedere senz:a opposizione ciò che Francesi e Imperiali avrebbero potuto ottenere colla forza, cioè il passaggio e lo stazionamento nel Veneto Dominio di Terraferma ed il sostentamento delle truppe sul territorio ed a sue spese. L'esempio veneziano, che salvò le città e le fortezze, ma condannò le campagne al saccheggio peggiore che si fosse visto negli ulùmi duecento anni per intensità e per durata, fu più o meno seguito dagli altri Stati italiani prossimi al teatro delle operazioni, cioè i ducati di Parma, Modena e Mantova e lo Stato pontificio. Considerando la situazione generale, era in quel momento piuttosto improbabile, per non dire assurda, una vittoria delle armi imperiali. Era vero che si parlava di rinforzi asburgici per Mantova provenienti dal Trentino, ma era altrettanto vero cbe a livello europeo l'Impero era inferiore alle sole truppe francesi nella proporzione di l a 5, che saliva a circa 1 a 6,5 se si computavano anche quelle spagnole. Per evitar guai, il duca di Parma. Francesco Farnese, si ricordò d 'essere vassallo del Papa, nel cui nome arruolò quante più truppe poté ed una cui guarnigione accolse nella propria capitale non appena - nel 1702 - le truppe imperiali le si avvicinarono. Allo stesso tempo si mostrò amico dei Frances.i e spedì al loro comandante un proprio agente, l'abate Giulio Alberoni. L'atteggiamento amichevole verso i Francesi, almeno fino a quando stazionarono in Lombardia, riusci a salvare dai saccheggi e dalle contribuzioni Parma, Piacenza e Guastalla. A Modena, Rinaldo d'Este ebbe qualche difficoltà, ma poté uscirne con danni relativamente ridotti. Infine, si sapeva bene quale fosse l'importanza strategica di Mantova e quindi non ci fu da stupirsi quando sia il governatore di Milano Vaudémont, sia il Conte di Tessé, comandante del corpo francese nella zona del Basso Mincio, lasciarono perdere Modena e Parma concentrando la loro attenzione su di essa e mandando al Duca due minacciosissime lettere, prennuncianti l'arrivo delle truppe franco-spagnole. Era una catastrofe, attesa, questo è vero, ma non cosi presto. Ferdinando Carlo, seguendo l'esempio del Duca di Panna, si era infatti messo in contatto con Roma fin dal mese di febbraio chiedendo di far occupare Mantova dalle truppe pontificie. Il 28 marzo, cioè quattro giorni prima della data della lettera di Vaudémont, gli era stato reca-


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pitato il breve coll'assenso papale. Ma già il 5 aprile Tessé arrivò davanù a Mantova con circa 10.000 uomini ed un Lreno d'artiglieria intimando al Duca di farli entrare, minacciandolo d'assedio e bombardamento. Se anche Ferdinando Carlo aveva concluso un accordo segreto col Principe de Vaudémont facendosi minacciare per salvare la faccia del Ducato davanti all'Imperatore, lo rovinò l'aver poi accettato il grado, nominale, di generalissimo delle truppe delle Due Corone: Leopoldo non volle mai credere che non vi fosse stato un 'intesa tra lui e i Borboni; altrimenti perché dargli quel grado? Lo accusò d'aver tradito la fedeltà che doveva agli Asburgo come vassallo dell'Impero e gli confiscò il Ducato. A ridosso del fronte padano restava la Santa Sede, ma almeno per il momento non era direttamente coinvolta e del resto nessuna delle due parti in causa era disposta ad alienarsene l'appoggio al principio della guerra. Carinat era entrato nelle Valli Veronesi in attesa del nemico e dei propri rinforzi, gran parte dei quali costituiti dal contingente piemontese 1 in arrivo, i cui primi reparti giunsero al campo dell'armata alleata il 1° luglio. seguiti il 25 dal resto, condotto dal Duca in persona. Lo stesso giorno il Principe Eugenio, che aveva battuto i Francesi a Carpi il 9. passò il Mincio e. manovrando abilmente, indusse Catinat a spostarsi per coprire Milano. li l O settembre il Duca di Villeroy, che aveva sostituito Catinat nel comando in capo, convinto di trovarsi davanti alla retroguardia nemica, ordinò di attaccare Chiari, andando a cozzare contro tutto l'esercito imperiale, che lo aspettava. Le truppe francesi, spagnole e piemontesi, dopo un successo iniziale, fermate da un intenso fuoco e contrattaccate sui fianchi, dovettero ripiegare, lasciando circa 2.700 uomini sul terreno. Ritiratesi su Castrezzato, il 24 settembre l 70 I vi furono ancora sconfitte e lo scontro chiuse, di fatto, la campagna italiana di quell'anno. Le vittorie del Principe Eugenio rafforzarono la posizione diplomatica dell ' lmperatore e convinsero le Potenze Marittime a scendere in campo al suo fianco per la campagna successiva. Questa iniziò già nel febbraio 1702 con un colpo di mano imperiale su Cremona il quale, pur andando a vuoto, consenti la cattura del Duca di Villeroy. Successivamente Eugenio si volse all'attacco di Mantova, ma non riuscì a prenderla, subi una lieve sconfitta a Guastalla e perse Reggio. Poi il nuovo comandante francese, il Duca di Vendome2 , decise di passare all'offensiva e gli Imperiali dovettero subire alcuni insuccessi. li 15 agosto gli alleati assalirono con 30.000 uomini i 25.000 Imperiali a Luzzara. Lo scontro, sanguinosissimo. terminò alla pari: Vendome occupò il castello; ma Euge11io riuscì a mantenere il possesso del campo di battaglia ed a spezzare l'offensiva nemica. Intanto Vittorio Amedeo aveva intavolato trattative colle corti austriaca ed inglese per un capovolgimento di fronte, rischioso ma necessario alla sopravvivenza dell 'autonomia politica dello Stato. Al tempo stesso aveva ridotto il contingente fornito ali 'esercito franco-spagnolo a 6 battaglioni di fanteria e 3 reggimenti di cavalleria, per un totale di circa 5.000 uomin_i comandati dal Maresciallo di Campo Castellamonte. In più i rapporti tra lui e gli alleati non erano buoni. Nel successivo anno 1703 Vendome si accordò con l'Elettore di Baviera per invadere da due lati il Tirolo e minacciare direttamente i paesi ereditari austriaci. I Bavaresi ed i Francesi riuscirono a penetrare dalla Baviera e dal Trentino verso l' Austria, ma il loro comportamento causò delle insurrezioni popolari che li costrinsero a ritirarsi in settembre.

1 Composto dai reggimenti di fanteria: Guardie, Savoia, Aosra. Piemonte, Monferrato, Chiablese, Fucilieri, Saluzzo e Schulembu.rg e per la cavalleria dalle Guardie del Corpo e dai reggimenti: Piemonte Reale, Dragoni di Sua Altezza Reale, Savoia, Dragoni di Piemonte e Dragoni del Genevese. 2 Lui ed Eugenio erano cugini, perché figli di due nipoti di Mazzarino: Eugenio di Olimpia Mancini: Vend6me della di lei sorella Laura.


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Intanto, già nel maggio, Torino s i era accordata segretamente con Vienna. La notizia, di per sè cattiva per la Francia. lo diventava ancora di più alla luce deUa situazione generale. Nel corso delle due precedenti campagne i risultati non erano stati eccellenti. Si era cominciato a combattere farraginosamente in Olanda, dove i 90.000 francesi ili Bouffiers avevano fronteggiato gli Anglo-Olandesi agli ordini di Marlborough. Ma il generale inglese si era spostato rapidamente in Germania e, passando per Colonia, aveva occupato Vento e Liegi. In Germania la situazione era riassumibile in breve: Francia, Baviera ed Elettorato di Colonia contro rutti gli altri. Le prime tre avevano conquistato Ulma però, dopo la battaglia di Friedlingen, del 14 ottobre 1702, ci si trovava in sostanziale parità. In tali condizioni poteva bastare poco a provocare il tracollo di una delle due parti; e quello che stava succedendo a Torino non era poco. li capovolgimento di fronte dei Savoia avrebbe interrotto le comunicazioni tra la Francia e l'armata borbonica di Lombardia, bloccando l'arrivo di rinforzi e, nel peggiore dei casi, accerchiandola e votandola alla distruzione completa. Per contro gli Alleati esultavano, poiché per la seconda volta in una guerra erano riusciti ad accattivarsi il Duca di Savoia e a capovolgere a proprio vantaggio la situazione strategica. Non si trattava più solo di conquistare il Ducato di Milano, ma si intravedevano grandiose possibilità. Bisog nava soccorrere Vittorio Amedeo perché i suoi Stati potevano diventare nuovamente. come nella guerra della Grande Alleanza, la base di partenza di un attacco micidiale al sud della Francia e si vedeva l'occasione di eliminare l'influenza borbonica dall'Italia. creando un vuoto che le Potenze Marittime contavano di riempire, almeno dal punto di vista commerciale. mentre l'Austria puntava al predominio politico-territoriale al posto della Francia. Infine anche il Portogallo. minacciato nei suoi interessi marittimi dal blocco che i Borboni volevano imporre alle sue coste, era passato nel maggio 1703 tra i nemici di Luigi XIV, costituendo un'ottima base d'operazioci per gli Alleati nella Penisola Iberica e quindi minacciando direttamente la Spagna. Per questi motivi, avuta la notizia della sicura defezione di Vittorio Amedeo, Luigi XIV decise di neutralizzarne gli effetti distruggendogli immediatamente l'esercito e sped1 ordini in tal senso a Vend6me. li Maresciallo li esegul prescrivendo ai circa 3.000 uomini del contingente sabaudo di farsi passare in rassegna, quindi colle armi scariche, il 28 settembre al campo di San Benedetto Po. I Francesi, intervenuti colle armi cariche, li fecero prigionieri, chiudendoli poi in varie fortezze della Lombardia od obbligandoli ad arruolarsi sotto le loro bandiere per destinarli al fronte renano.

Il) li rovesciamento di fronte: 1703-1705 Il 3 ottobre la notizia della «cattura di San Benedetto Po» giunse a Torino. Subito Vittorio Amedeo fece arrestare gli ambasciatori ed i sudditi di Francia e Spagna confiscandone i beni. Chiamò poi alle armi i Valdesi. ordinò l'arruolamento di 6 reggimenti nel Ducato e fece una cernita degli uomini del Battaglione di Piemonte, per ricostituire i ranghi dei reparti da cui era stato tratto il contingente di Lombardia e per formarne di nuovi. Poté infine utilizzare anche una buona parte dei suoi soldati catturati, che riuscivano a fuggire e ritornare in Piemonte grazie alla scarsa guardia degli Spagnoli. In pochi mesi fu quindi in grado ili ricostituire un buon esercito. L'8 novembre firmò il trattato di alleanza3 coll'Austria che si impegnava a cedergli altermine della guerra il Monferrato, Alessandria e Valenza, la Lomellina, la Valsesia, cinque terre 3 Per evitare accuse di tradimento da parte francese, Vittorio chiese e ottenne che sull'atto ufficiale venisse apposta la data dell 'S novembre, posteriore d'un mese alla cattura di San Benedetto.


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del Novarese, tutto il Vigevanasco «sub sperati» - cioè sotto speranza di ratifica da parte di Leopoldo - e ad effettuare la revisione della frontiera alpina colla Francia. Nel frattempo però Luigi XIV era arrivato ad un passo dalla vittoria in Germania. Aveva distratto ingenti forze imperiali fomentando la rivolta del principe Rakoczy in Ungheria e aveva mosso le proprie truppe simultaneamente. Come abbiamo accennato il disegno strategico dei Borboni consisteva in un movimento parallelo dei due eserciti, d'Italia e Germania, che dovevano convergere su Vienna per battere l'Imperatore definitivamente. In quell'estate del 1704 sembrò che il piano stesse per riuscire. Villars aveva distrutto gli imperiali ad Hochstadt il 20 settembre: Tallard li aveva battuti sullo Speyer riconquistando Landau; Vend6me da sud, attraverso il Trentino, e Massimiliano Emanuele di Wittelsbach da nord, per la Baviera, stavano nuovamente convergendo sul Tirolo. La situazione disperata indusse Leopoldo a conferire il comando di tutte le armate imperiali, non più di 80.000 uomini, al Principe Eugenio richiamandolo dall'Italia a difendere I' Austria. Eugenio manovrò alla perfezione. Si unì a Marlborough e con lui affrontò e sconfisse i Francesi nella seconda battaglia di Hochstadt 4 il 13 agosto 17045. La vittoria bloccò l'avanzata nemica in Germania e salvò l'Austria dall'invasione, ma l'assenza d'Eugenio dall' Italia vi mise in seri guai gli Alleati. Tutto ciò che si poté fare fu inviare una colonna di rinforzi a Vittorio Amedeo II attraverso la Lombardia ed il Ducato di Parma, sperando che potesse resistere il più a lungo possibile. L'inizio della campagna italiana del 1704 aveva infatti visto un 'armata francese, aJ comando di Tessé, prendere la Savoia e scendere dalle Alpi per occupare il Piemonte. Il 28 marzo i Sabaudi passarono al contrattacco, assalirono la fortezza di Chiomonte, poi entrarono a Susa, valicarono il Moncenisio ed occuparono Lanslebourg, iniziando la riconquista della Savoia. Il 15 aprile tentarono di liberare Chambéry con 7 battaglioni; ma non ebbero fortuna. Contro di loro venne poi nominato il generale La Feuillade marchese (poi duca) d' Aubusson. Sotto di lui i Francesi rientrarono in Piemonte l'anno seguente. Il 5 giugno con 57 battaglioni e 59 squadroni misero l'assedio a Vercelli, difesa da 13 battaglioni e da 600 cavalieri sabaudi, agli ordini dell'anziano e malato generale des Hayes. l Franco-Spagnoli aprirono la trincea il I 5, disturbati dai Piemontesi, che il l 7 tentarono di deviare le acque del Sesia per allagarla, ma senza il successo sperato. Il 19 giugno, terminati i lavori, le artiglierie aprirono il fuoco contro i bastioni di Santa Chiara e San Sebastiano; e il 24 agosto la guarnigione si arrese. Perse anche Bard, Biella, Susa ed Ivrea, caduta il 30 settembre col suo presidio di 9 battaglioni, a Vittorio Amedeo restavano solo Torino, Cuneo, Chivasso ed il sistema CrescentinoVerrua. Sotto quest'ultimo si presentarono 46 battaglioni e 47 squadroni francesi ai quali il governatore, Barone La Roche d'Allery, poteva opporne solo 11 austriaci, 4 ducali regolari ed alcuni della milizia. Fortuna volle che La Feuillade investisse la città limitandosi ad assalire una parte della cittadella, permettendo cosl ai difensori di resistere meglio ai suoi sforzi. Per questo l'assedio, iniziato il 14 ottobre 1704, si protrasse fino all'anno seguente e portò a gravi perdite tra i Franco-Spagnoli. Solo il 9 aprile 1705 la guarnigione, ultimate le munizioni e priva di viveri da due giorni, fece saltare in aria tutte le fortificazioni rimaste e si arrese.

4 Che gli Anglosassoni conoscono come Blenheim, dal nome del vicino villaggio di Blindheim su cui gli l nglesi fecero perno. 5 Secondo alcuni cronisti la vittoria alleata a Blenheim si dovè pure al fallo che vi furono reimpiegati per la prima volta i Piemontesi catturati a San Benedetto Po e arruolati a forza nell'esercito di Luigi XIV, i quali si sarebbero appositamente arresi non appena al fuoco. provocando il crollo del dispositivo francese.


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Caduta Verrua, mentre i Piemontesi si chiudevano a Chivasso ed i Francesi li seguivano bloccandoveli, le truppe imperiali in Lombardia tentavano inutilmente di aprirsi la strada. sbarrata da1 soldati del gran priore di Malta Filippo di Vendome, fratello del MaresciaUo, mentre il 19 giugno i Francesi aprivano la trincea sotto Chlvasso. Nonostante i successi difensivi ottenuti. per non fars.i bloccare sotto la città con tutta l'armata, nella notte fra il 29 cd il 30 luglio Vittorio Amedeo ordinò l'evacuazione dei trinceramenti e la ritirata verso Torino, dove riparò con circa 20.000 uomini, tutte le truppe che era riuscito a conservare, in attesa dei rinforzi. Questi però non giunsero perché, il 16 agosto, il Principe Eugenio. rientrato dalla Gennania. aveva attaccato a Cassano; ma i Francesi erano rimasti padroni del terreno, sia pure con perdite ingentissime. obbligando gli lmperiali a ritirarsi ed a rinunciare a sboccare in Piemonte per quell'anno. Contemporaneamente era iniziata in modo serio anche la campagna sul territorio spagnolo . dove un esercito anglo-portoghese avanzava contro i borbonici e nell'agosto, con un 'operazione anfibia. fu occupata Gibilterra. che da allora rimase in mano britannica6. In ltalia. tranquillo ormai in Lombardia, il Comando franco-spagnolo decise di prepararsi all'assedio di Torino ed iniziò le prime operazioni io ottobre. L'arrivo della cattiva stagione e la scarsezza degli effettivi, dovuta al logoramento souo Verrua. lo indussero però a ritirdre le truppe nei quartieri d'inverno ed a rin1andare tutto alla primavera successiva.

ID) "Sabaudia liberata - lo -Triumphe!''ì Torino: 1706 Torino contava allora 46.000 anime ed era protetta dalla cittadella stellata a cinque bastioni edificata nel 1565 da Francesco Paciotti per ordine di Emanuele Filiberto, costituente la parte sudoccidentale della piazza ed i I cui sistema di mina e contromina era considerato forse il migliore e più pericoloso d ' Europa'. Nel complesso la cinta muraria cittadina si sviluppava per 12 chilometri ed era protetta da 226 cannoni e 28 mortai. Le scorte ammontavano a 370 tonnellate di polvere da sparo cd a 5 mesi di viveri. Il problema di un eventuale assedio di Torino era stato studiato nell'estate precedente, in Francia. dal miglior esperto dcli 'epoca, cioè Vauban, che aveva indicato la necessità d'impiegare 55.000 uomini per almeno tre mesi di lunghe e complicate operazioni investendo la cinta muraria da rutti i lati prima di riuscire a conquistare la città. li suo parere non fu ascoltato. «CheccM possa dire il Signor di Vauban non vedo f'importam:.a che una pia:::.a sia bene o male investita» aveva già scritto Vendé)me al Re. «Che Vostra Maestà mi/accia tagliare la testa se non prendo Torino contro le regoie.,.i•. Così. nella primavera del 1706, si presentarono sotto la capitale sabauda 45.000 franco-spagnoli con 110 cannoni e una sessantina di mortai. La Feuilladc contava d"utilizz.arli solo contro la cittadella, impegnandosi contro la Porta militare del Soccorso, situata fra i bastioni di San Maurizio e del Beato Amedeo. In sostanza voleva ri petere quel che aveva fatto a Verrua l'anno prima, senza considerare quanto aveva affermato Vauban e cioè che «la ciuà rifornirà la ciuade/la di tutto quamo le abbisogna; perciò la difesa non soffrirà nè mancamenti nè incomodi.,.ui, nè che la presa di Ver6 Nel 1705, era stato sbarcato un forte contingente anglo-olando-germano-portoghese sulle coste della Catalogna e, dopo un deciso assedio da terra e dal mare, aveva costreno alla resa la guarnigione di Barcellona. composta in massima parte da truppe napoletane e milanesi comandate dal duca di Popoli. • Esergo della medaglia coniata per la liberazione di Torino. 7 Vittorio Amedeo l'aveva fatto progressivamente potenziare - in gran segretezza - per cui nessuno sapeva quanto pericoloso fosse diventato e fin dove si estendesse. ii Vendome: «Lettera a Luigi XIV•. rip. in AssuM: op. cit., pag. 126. iù S. Vauban de la Prestre: «Relazione sull"assedio di Torino», rip. in AssUM, op.c,t. pag. 129.


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rua, «fana contro le regole», era costata un prezzo spaventoso ali 'esercito francese. È scritto nelle Memorie del Principe Eugenio a proposito dell'assedio di Torino: «Forrunatamente grazie al discernimento di Luigi XN ne fu incaricato La Feuillade. La piazza fu molto male investita»ìv_ Il problema però era assai più difficile e La Fewllade meno stupido di quanto potesse sembrare. Le fortificazioni della cittadella di Torino era incredibilmente basse ed era difficilissimo riuscire a colpirle coll'artiglieria. I cannoni risultavano efficaci solo se piazzati in un unico punto - e si vedrà poi cosa successe quando vi furono messi -e non c'erano truppe sufficienti a chiudere completamente l'anello intorno alla città, perché bisognava impiegare altri 48.000 uomini per coprire il Ducato di Milano e fermare i rinforzi imperiali. Per questi motivi La Feuillade era convinto di dover agire contro le regole: se le avesse seguite non avrebbe concluso nulla. Le prime operazioni di accerchiamento della città iniziarono il 12 maggio e procedettero lentamente. TI 17 giugno Vittorio Amedeo, lasciata in Torino la fanteria, poco più di 8.000 piemontesi, l .500 austriaci, 8 battaglioni di milizia civica ed uno di milizia suburbana, gli artiglieri ed alcuni cavalieri per un totale approssimativo di 20.0008 uomini, si diresse a Carmagnola con circa 4.000 cavalieri. «il duca de La Feuillade voleva prendere la città di Torino per mezzo della cittadella e la cittadella per mezzo del Duca»v, cioè pensava - non a torto - che una volta catturato il Duca avrebbe risolto la questione imponendogli la resa della città e la pace colla Francia. Per questo, con 10.000 uomini e 42 cannoni, partì subito al suo inseguimento, rallentando le operazioni sotto le mura, operazioni che vennero ulteriormente ostacolate dagli assediati con numerose sortite. Il 9, dopo averlo agganciato e perso a Cherasco, cessò d'inseguirlo perché ormai era ben asserragliato con 6.000 uomini in Val Pellice, tornò indietro e portò a termine le operazioni di avvicinamento alle fortificazioni di Torino. ]] 14 luglio cominciò il duello; ma non diede ai Francesi il vantaggio che speravano: tutt'altro. Come già accennato parlando della tattica e della logistica, a causa delle ridotte scorte di polvere, il comandante dell'artiglieria ducale, Giuseppe Maria Solaro conte della Margherita, decise di abbandonare il normale sistema di fuoco generalizzato e, per la prima volta al mondo, concentrò il tiro di tutti i peu.i su determinati obbiettivi e solo al momento opportuno, scoprendo, o inventando, quello che sarebbe poi stato conosciuto come principio del concentramento del fuoco. Applicando tale principio ad un ' attenta cooperazione colla fanteria inflisse ai Francesi delle perdite spaventose9 in uomini e, soprattutto, in materiali. Bisognò arrivare intorno al 20 agosto percbé i Francesi riuscissero finalmente a piazzare una batteria d'assedio nell' unico punto da cui si potevano battere efficacemente le mura. Contemporaneamente i minatori ducali la raggiunsero con una galleria e nella notte fra il 23 ed il 24 agosto la fecero saltare in aria con tre mine, distruggendo lo spalto delle piazzole e 13 dei 16 cannoni cbe vi erano posti. I Francesi fino allora erano entrati in contatto solo colle opere difensive antistanti le mura e, quando nella notte dal 26 al 27 cominciarono ad avvicinarsi a quelle esterne, furono sangui-

Ì\' EUGENIO DI SAVOIA (ma PRINCIPE DI UGNE), «Memorie», rip. in ASSUM, op. cii.. pag. 130.

8 La relazione Daun -

meglio nota come Hackbrett - dice, riferendosi evidentemente alle sole truppe regolari: "tota/ de la gar11. Au comme11c du siège 9.996;", di cui 7.981 piemontesi secondo l'anonimo "Assedio giornale". pubblicato da C. Coda nel 1906. v C. L. dc Secondat de MoNTI'..SQUIEU, op. cit., pag. 291. 9 Dal principio alla fine dell'assedio vero e proprio, cioè nell'arco di 54 giorni. l'artiglieria piemontese sparò 150.072 proiettili di vario tipo e calibro, pari a una media di 2.780 al giorno, mentre dalla parte opposta si rispondeva con una tale intensità da arrivare a spararne 8.300 in una sola giornata.


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nosamente respinti. Né il rinforzo di 22.000 uomini dall'esercito di Lombardia servì a nulla. Provarono a scavare; ma nella none del 29 agosto il loro primo tentativo di penetrazione sotterranea fallì , perché il minatore ducale Pietro Micca morì seppellendo con sè i granatieri nemici che cercavano di entrare da una galleria. li 31, dopo quasi dodici ore di cannoneggiamento preparatorio, i Franco-Spagnoli lanciarono un assalto generale e fallirono ancora. In più, subito dopo, giunsero in città alcune lettere con cui i Principi di Savoia comunicavano d'essere vicinissimi e che la liberazione era ormai questione di giorni. Infatti Vittorio Amedeo con 2.500 cavalieri aveva potuto congiungersi ai 28.000 uomini guidati dal cugino. Era ora. Torino era agli estremi: le munizioni erano poche e la guarnigione decimata. Dall'esame della corrispondenza del Principe Eugenio appaiono in piena luce tutti gli ostacoli che si trovò a dover affrontare. L'armata asburgica era stata in grado di mettersi in movimento solo in luglio, anzich~ in marzo, a causa dell'enorme disorganizzazione che regnava a Vienna. Quando Eugenio aveva potuto finalmente avanzare, l' Imperatore aveva preteso che puntasse su Napoli ed abbandonasse Torino. Il Principe aveva risposto che ciò avrebbe comportato la distruzione del Duca di Savoia e che, se anche gli fosse riuscito di prendere Napoli. si sarebbe trovato alle spalle, in Lombardia, un nemico fortissimo, imbaldanzito dal successo e in grado di farsi rifornire cclermeme di tutto dalla Francia proprio attraverso il Piemonte conquistato. Del resto si sapeva fin dai tempi di Carlo VID quanto fosse impossibile conservare Napoli se non si teneva saldamente l'lta!Ja del nord. Bene o male a Vienna si erano convinti. Eugenio era riuscito a passare sulla riva destra del Po e a distanziare il nemico, puntando a tutta velocità su Torino, senza curarsi troppo delle proprie linee di comunicazione. Così, guidata dal Duca e dal Principe di Savoia e articolala su tre colonne, il 4 settembre l'armata di soccorso austro-piemontese passò il Po a Carignano e andò a fermarsi sul Sangone, fra Mirafiori e Beinasco. La sera dello stesso giorno i Francesi lanciarono l'ultimo assalto generale alla cittadella di Torino. Furono respinti con gravissime perdite. In tre mesi non erano riusciti neanche a raggiungere le mura. L'esercito franco-spagnolo era in quel periodo composto da 34.000 fanti e 10.000 cavalieri, appoggiato da 230 bocche da fuoco e comandato da tre generali: il Duca d'Orléans 10, nipote del re Luigi XIV, il Maresciallo Marsin, suo tutore e La Feuillade. li I O di settembre il Duca d'Orléans aveva convocato un consiglio di guerra. durante il quale aveva proposto di levare l'assedio ed anaccare il sopravveniente esercito dei Principi di Savoia, dicendo d'aver già scritto in tal senso al Re. Ma i generali si erano opposti, perché non si poteva levare l'assedio senza il permesso di Luigi XIV e non ritenevano gli Austriaci in grado d'assalirli. Infatti oltre ad essere inferiori di numero, si sarebbero trovati di fronte alle forti-

10 Tradizionalmente si sa che in seguito alla disfalla subita a Ramillies nel giugno del 1706 ad opera degli Anglo-Olandesi. Luigi XIV chiamò Vend6me al comando dell'esercito di Fiandra per ~alvare il salvabile. Però. secondo Mootesquicu, che lo seppe vent'anni dopo dal console di Francia a Vcnc,ia. Vittorio Amedeo non sarebbe stato estraneo allo 5poMamento d.i Vend6me ed avrebbe giocato 1utto sul rispetto dovutogli come sovrano. cosa che a quell'epoca prevaleva su lla parte da cui ci si trovava schierati. Montesquieu scrisse infatti che si doveva attribuire •"la pertlita dell'Italia al/'astu::.ia del Duca di Savoia il qua• le. m·endo ,•isto che tutte le sue p1a:;:.e erano state smantellate, compreu che Vendlime a,·rebbe fai/o altrettama a Torino: e così pensò d, farlo saltare. Perciò si mise a dir bene di Vend6me in pubblico, mentre in privato. ad alcuni ufficiali pri11itmieri francesi, ne disse peste e corna, perché glielo ridicessero. come avvenne. Vend6mefu preso da tale collera che disse ad,,,, emissario del Duca di Savoia: "Di al 1110 padrone che è un 1·igliacco, ecc.; che io. comandando gli eserriti del Re, mi riumg<> più grande di quanto 111//i I duchi di Sal'Oia siano mar stati". li duca di Savoia se ne lamemò per iscritto e Vend6me /11 rimproverato. Bonneval mi ha deuo di aver visto la /euera. Vend6mefu inviato nelle flandre».


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ficazioni di circonvallazione francesi e sarebbero stati respinti. Era vero; ma La Fcuillade, convinto che il terreno fra la Stura e la Dora fosse impraticabile, non vi aveva fatto costruire alcuna opera difensiva Quella stessa notte i due Principi di Savoia, in ricognizione, da Superga 11 avevano notato la zona indifesa ed Eugenio aveva deciso di girare intorno a Torino e portare l'esercito fin là per attaccare. La manovra era rischiosa per tre motivi: si poteva essere assaliti di fianco durante lo spostamento; dopo averlo ultimato si sarebbero avuti il nemico davanti e i monti alle spalle, senza nessuna via di ritirata in caso di sconfitta; infine andando all'attacco ci si sarebbe trovato sulle colline a destra un consistente corpo nenùco. dal quale c'erano da attendersi solo guai. Il 5 l'armata era a Rivoli divisa in due parti. La prima, sulla sinistra del Po, era il grosso, costituito da 24.000 fanti, 3.500 cavalieri imperiali e 2.500 cavalieri piemontesi. Il resto, sulla riva destra, comprendeva circa 9.000 uomini di 13 battaglioni fra sabaudi e imperiali12 e del Reggimento Dragoni di Piemonte. Ad essi si potevano sommare gli assediati che, informati dell'arrivo dei rinforzi e della loro intenzione di dare battaglia. prepararono una sortita di 1.600 tra fanti e militi cittadini e 500 cavalieri con 6 cannoni. Il 6 il grosso passò la Dora e andò a collocarsi fra Stura e Dora, colla sinistra a Venaria Reale e la destra verso Collegno. A quel punto i Francesi cominciarono a preoccuparsi e raffazzonarono una linea difensiva, con 40 cannoni e 12.000 uomini, che dalla Stura andava fino al castello di Lucento, sulla Dora. A sera il principe Eugenio emanò l'ordine del giorno famoso che cominciava colle parole: «Domani, a Dio piacendo, si marcerà contro le linee nemiche nei modi prescritti e ne/l'ordine seguente ..»vi, Sette settembre 1706: «Alle sei del mattino Sua Altezza (il Duca d'Orléans)fa avvisata che i nemici marciavano verso di noi in ordine di battaglia. Il signor di Marsin non poteva ancora persuadersi che i nemici volessero attaccarci per davvero. Sua Altezza Reale dispose meglio che poté le poche truppe e mandò ordine a quelle pùì vicine di accorrere; ma non giunsero in tempo»vii. La battaglia e dura e vittoriosa per gli Austro sabaudi. «Mando un corriere a Vostra Maestà per informarla che i nemici hanno soccorso Torino. Hanno attaccato ieri, 7 settembre, alle dieci la linea tra Dora e Stura. Questa era quale si era potuto farla in ventiquatrro ore, perché non ce n'era affatto quando sono arrivato a/l'armata. Siccome non abbiamo potuto mettervi dietro che una linea di fanterie perché non era stato giudicato opportuno nel giorno antecedente di sguarnire i posti sulle alture come avevo

11 A questo punto bisognerebbe dire che Vittorio Amedeo fece volo di erigere un santuario... e invece no, non lo fece. Il tempio votivo poi eretto a Superga derivò da un 'idea successiva. n 13 febbraio 1707 Viitorio Amedeo scrisse al beato Sebastiano Valfré, uno dei più accesi animatori della difesa del 1706. di aver riflettuto al tipo di devozione che si sarebbe potuta praticare in ringraziamento della vittoria ottenuta dicendo che "Ad honor della Vergine potrebbe dedicare lo chiesa, che farà nella citradel/a, à a Soperga, ò in alrro luogo, dedicando l'Altar maggiore a/l'Immacolata Concettio11e di M. V. e gli altri due Altari al/i altri de misteri" (rip. in TRABUCCO, "La volpe savoiarda", Torino, Fogola, 1978, pag. 177), per cui, come si vede, ammesso, come è probabile, che Vittorio Amedeo avesse fatto un volo per ottenere la vittoria di Torino e ammesso pure che l'avesse fatto sul colle di Superga la sera del 2 settembre (e non è detto) certamente non doveva aver deciso in cosa consistesse, se cinque mesi dopo ancora non aveva le idee molto chiare. 12 Al comando del conte di Santena, il contingente era composto dai reggimenti d'ordinanza monobattaglione piemontesi Croce Bianca e Santa Giulia; dai provinciali Pinerolo (ora 13° Reggimento Fanteria), Saluzzo, Carmagnola. Fossano. Mondovì. Ceva, Alba e Savigliano, da un battaglione di Valdesi, dai reggimenti imperiali Daun e Regal. ,·i Eugenio di Savoia, rip. in GUERRINI, Storia dei granatieri di Sardegna. pag. 743. vii Mauroy, rip. in AssUM: op. cit. , pag. 141.


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La battaglia di Torino del 7 settembre 1706 A, trinceramenti ossidionali francesi; 8, apertura delle parallele; C. nuovo trinceramemo contro /'eserciro alleato; D, resta di ponte oltre il Po

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consigliato, i nemici hanno rotto la linea spezzando in due il nostro schieramento»•iii scrisse tristemente il Duca d'Orléans a Luigi XIV da Pinerolo dove si era rifugiato ferito. La battaglia era terminata aUe 15. I Franco-Spagnoli avevano perso 2.550 morti e 1.500 feriti, sommando ai quali i 197 ufficiali e i 5.210 soldati catturati, si ricavava un complesso di circa 9.500 uomini, pari al 59.5% della forza impegnata e al 21.5 % di quella totale. Tra i prigionieri il Maresciallo Marsin, mortalmente ferito, e 5 generali. Enormi anche le perdite di materiali: i Francesi avevano abbandonato i magazzini di viveri, foraggilJ e armamento intatti, riuscendo a bruciare solo la maggior parte del.la polvere da sparo. Vennero quindi trovati oltre 4.000 fra muli, cavai.li e buoi da traino, 220 pezzi - 164 cannoni e 56 mortai - ed enormi quantità di materiai.e d'artiglieria14 , 55 fra bandiere e stendardi reggimentali, un ospedale da campo, tutte le tende ed i materiali degli accampamenti, la cancelleria dell'esercito, munizioni da fucile e da artigJjeria, pontoni, traini e cassoni d'artiglieria, le attrezzature da mina dell'esercito; e ancora le argenterie dei comandi e dei generali, insieme alla cassa contenente 22.000 luigi d'oro e quattro "gioielli con ritratti del Re" valutati complessivamente altre 60.000 lire. Un disastro senza precedenti. L'8 settembre il Principe Eugenio lanciò la cavalleria all' inseguimento dell'armata borbonica, raggiunta, assalita e scompigliata. Poi occupò Moncalieri e precluse al Duca d'Orléans la via di Milano, lasciandogli come unica scelta la ritirata oltre le Alpi. Ultima beffa del destino: il 13 settembre giunse una lettera di Luigi XIV, datata 6, in cui si autorizzava il Duca a levare l'assedio da Torino.

IV) "Cugino mio, l'Italia è nostra"ix

Non appena l'esercito francese ebbe ripassato le montagne, il Duca di Savoia cominciò a riconquistare le proprie fortezze. 11 22 settembre il Barone di Saint-Rémy riprese Bard e, pochi giorni dopo, Ivrea; mentre gli Austriaci si volgevano alla Lombardia facendo capitolare tutte le piazze ancora in mano al nemico. 11 5 ottobre, l' armata alleata assali la Gera. avamposto molto ben fortificato appartenente al sistema difensivo di Pizzighettone, situato alla confluenza dell'Adda, e se ne impadronl il giorno dopo. Eugenio decise allora d'andare ad assediare Alessandria e lasciò davanti a Pizzighettone il cugino. Il 17 Vittorio Amedeo fece aprire la trincea e. il 21, la fortezza gli si arrese. Conquistata velocemente la Lombardia, nel gennaio 1707 Eugenio di Savoia, in nome di Giuseppe I, imperatore da due anni. stilò a Milano il decreto con cui quel Ducato veniva assegnato al fratello del Sovrano, l'arciduca Carlo, che aveva anche assunto il titolo di re di Spagna col nome di Carlo m. Nel marzo i Francesi siglarono un trattato in base al quale lasciarono definitivamente l ' Italia, mantenendovi solo alcune guarnigioni nelle fortezze che ancora non erano state loro ritolte.

viii Duca di Orléans a Luigi XJV, rip. in ASSUM, op. cit.. pag. 144. 13 Furono trovati magazzini di fieno. vino. farina, sale, biada, spezierie. 14 ln dettaglio: l.590 rubbi di polvere, 86.500 pietre da fucile, 102.273 paJJe da cannone di vari calibri, 1.689 bocnbe da cannone, 1.590 da obice, 14.832 granate a mano e 168 affusti da cannone ancora utilizzabili. Tutti i dati relativi al materiale d'artiglieria sono tratti dal "Journal du Sitge de Turin" di Solaro della Margherita che, nella sua qualità di comandante dell'artiglieria ducale, presiedé all' inventario delle prede di guerra; ragion per cui, data la sua nota pignoleria e quella non meno famosa di Vittorio Amedeo Il, dovrebbero essere precisi all'unità. ix Eugenio a Vittorio Amedeo. rip. in pseudo Eugenio di Savoia (ma Principe de Ligne) «Memorie», rip. in AssUM. op. cit., pag. 145.


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Nel frattempo un esercito austriaco di poco più di 8.800 uomini, con 14 pezzi e al comando del Conte Daun, partl dalla Lombardia, ottenne il passaggio attraverso lo Stato Pontificio ed entrò nel Regno di Napoli. Il vicerè Marchese di Vigliena era molto a mal partito. Madrid aveva deciso di difendere a oltranza la Sicilia e per questo motivo non gli aveva concesso rinforzi, trattenendo i 2.000 uomini del Terzo Fisso di Sicilia da lui chiesti per guarnire l'Abruzzo. lo auturmo Vìgliena poteva contare su circa 7.000 uomini che, mobilitando i detenuti, il Battaglione del Regno e gli uomini d'arme, arrivavano si e no a 8.000 fanti e 2.000 cavalieri. Allora decise di lasciare dietro il Garigliano un corpo d'osservazione di 1.500 cavalieri al comando del Duca di Bisaccia, sguarnire la capitale concentrando le truppe alla difesa delle fortezze principali - Gaeta, Pescara e Capua -ed esercitare lo sforzo difensivo maggiore proprio a Gaeta, l'unica piazza facilmente e rapidamente rifornibile dal mare, dove concentrò 40 cannoni. Avendo saputo che gli Austriaci avevano passato il confine il 27, vista comparire nel golfo di Napoli una squadra inglese di 4 vascelli e 3 tartane calorosamente accolta dai cittadini e vistosi rifiutare dalla nobiltà !"arruolamento di due reggimenti di milizia, la mattina del 28 il Viceré abbandonò Napoli sulle quattro galere della squadra e si rifugiò a Gaeta. Gli Imperiali arrivarono il 5 luglio e accolsero coli 'onore delle armi la resa dei 1.400 soldati del Terzo Fisso di Napoli lasciati a presidiare Baia, il torrione del Carmine e i Castelli Nuovo e dell'Ovo. Pescara resisté di più: fino al 13 settembre; e dopo quella data restò solo Gaeta, difesa da Vigliena con 113 cannoni, 13 mortai, 3.000 uomini, (500 dei quali non in grado di combattere) e coll'appoggio dal mare della squadra del Duca di Torsi. Il 30 settembre la città venne presa d'assalto e saccheggiata, mentre il Vicerè si ritirava con 1.500 uomini nella Torre d'Orlando per arrendersi poi l'indomani. Poiché grazie all'ammutinamento della guarnigione, dichiaratasi per l'Austria, era stato partialmente occupato in dicembre lo Stato dei Presidi, nel gennaio 1708 gli Austriaci organizzarono lo sbarco a Porto Longone e Port'Ercole. Ma fallirono sia la prima sia la seconda volta - in maggio - con un fiasco tale da perdere pure Capoliveri e Piombino, rimaste ai Borbonici fino alla pace del 1712. Invece andò meglio in Sardegna, dove la nobiltà locale appoggiò lo sbarco delle truppe austriache trasportatevi da una squad.rra anglolandese nel mese di agosto sempre del 1708. Insomma, a Luigi XIV la guerra andava male. La Germania era stata persa a Hochstadt. La rivolta degli Ungheresi era stata schiacciata dagli Austriaci e, se l'esercito franco-spagnolo del Duca di Berwick era riuscito a respingere le forze anglo-portoghesi in marcia su Madrid, non aveva potuto però recuperare Gibilterra. Nel maggio 1706, mentre a sud i Francesi si stavano avvicinando a Torino, a nord il Duca di Marlborough li aveva sbaragliatj a Ramillies, conquistando in seguito la maggior parte delle loro piazzeforti in Fiandra. Iniziato poi il blocco delle coste francesi e spagnòle a opera della marina britannica, si era aperta per la Francia una grave crisi finanziaria, poiché il commercio si era fermato quasi ovunque. Il 1707 aveva portato un po' di respiro dato che il Duca di Berwick era riuscito a tener testa ai suoi avversari. Ma proprio allora dal fronte italiano era partita una spedizione contro Tolone. Eugenio e Vittorio Amedeo avevano passato le Alpi con 40.000 uomini divisi in quattro scaglioni, il 26 erano giunti a Tolone dopo una marcia resa penosissima dal gran caldo e, il giorno dopo, 300 granatieri avevano conquistato le alture della Croix - Pharon e minacciato il forte di Sainte Catherine. L' intervento dell'armata del Maresciallo Tessé e degli enormi rinforzi radunati da Luigi XIV li aveva indotti però a ritirarsi nei giorni successivi ed erano rientrati a Nizza il 31 agosto, ma la marina francese era rimasta distrutta. li 17 luglio 1708 ricominciarono le operazioni sul fronte italiano: 29.900 Austropiemontesi, concentratisi intorno a Susa il 16 e lasciatovi un presidjo di 2.000 uomini, marciarono verso Modane facendosi precedere da un'avanguardia di 700 miliziani aostani e valdesi e 50 re-


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golari. Una colonna di altri 3.350 regolari doveva scendere in Tarantasia, mentre ancora 1.000 fanti sarebbero stati adoperati in azioni dimostrative e 5.500 cavalieri avrebbero controllato eventuali infiltrazioni nemiche dai passi alpini verso Orbassano e Pinerolo. Il 23 Vittorio Amedeo col grosso arrivò a Modane e iniziò a ripulire la zona dai presidi francesi superstiti, mentre ViUars concentrava la maggior parte dei suoi 30.000 uomini in Provenza. Rientrato il grosso in Piemonte, dopo uno scontro a Cesana tra 6 battaglioni al comando del tenente generale Rhebinder e le unità del Maresciallo ViUars. gli Alleati decisero di assalire le fortezze di Perosa, Exilles e Fenestrelle. Perosa si arrese I' 11 agosto seguita il giorno dopo da Exilles. Il 15 fu assediato il sistema fortificato di Fenestrelle, nelle muraglie della cui ridotta di Aiguille i Piemontesi aprirono una breccia la notte del 17 prendendola. Poi, piazzatevi le artiglierie, da là e da Castel Renaud bombardarono il forte principale, che alzò bandiera bianca arrendendosi a discrezione il 31 agosto. dopodichè entrambi gli eserciti si ritirarono ai quartieri per l'inverno, che si preannunciava assai rigido.

V) L'Imperatore, il Papa e Comacchio: 1708 Nel frattempo la guerra si era estesa. Quando l'Imperatore aveva imposto al Duca di Parma - in quanto vassallo deU'ùnperoun contributo di 90.000 doppie, Clemente Xl aveva protestato, specie perché il denaro era stato reperito liquidando le manomorte ecclesiastiche. Poi Vienna aveva concesso a Modena il feudo di Comacchio. considerato da Roma propria pertinenza; e il Pontefice aveva scagliato l'anatema contro l'lmpero. Nel marzo 1708 Giuseppe I ampliò la questione riaffermando la supremazia imperiale su tutta l' Italia del nord e sulla Toscana, il che implicava sottrarre alla Chiesa la signoria feudale su Modena. Parma e Mantova. Poi intimò ai presidi pontifici di lasciare Parma e Piacenza. Clemente, privo di un vero esercito, dovè accondiscendere; ma si vendicò rifiutando a Carlo d'Asburgo l'investitura del Regno di Napoli, dipendente dal Papa fin dal tempo dei Normanni. A questo punto intervenne Luigi XIV, che: « ... voleva un 'alleanza, in base alla quale avrebbe inviato 12.000 soldati e 3.000 cavalieri privi di cava/cawra; il tutto a spese del Papa. il duca di Toscana aveva detto: "Signore, io sono una canna che si piega dove si vuole. Fatemi piegare". Il Papa d'altra parte arruolava 25.000 soldati; e certamente sarebbe stato facile riavere Napoli e Milano ..... li Re aveva promesso al Papa 15.000 armi a pagamento»•. Roma aveva infatti organizzato un esercito richiamando tutti i sudditi pontifici che militavano all'estero per inquadrare non 25.000 ma 20.000 uomini quasi senza artiglieria da campagna. Comandati dal generale Marsigli, bolognese già lungamente al servizio austriaco, ne vennero stanziati 12.000 ne!Je Legazioni, 4.000 a Faenza e 3.000 nell'Urbe, coprendo il confine napoletano con 2.000 cavalieri. Io settembre Marsigli disponeva di 9.000 regolari e 1.800 miliziotti concentrati intorno a Ferrara e il 7 con un corpo franco aprì le ostilità assalendo Argenta e Ostellato. Il 27 si spinse fino a Comacchio con 1.800 uomini, ma non se la sentl d'attaccare e si ritirò. Gli Austriaci, giunti ad allineare nella prima decade d'ottobre 6 reggimenti di cavalleria e 16 di fanteria agli ordini di Daun, il 16 attaccarono. Ostellato fu presa e saccheggiata perché il presidio regolare fuggì. lasciando i miliziotti a tentare la difesa: ne furono massacrati 200. Subito dopo caddero Goro e Panfilio e Marsigli si ritirò frazionando ulteriormente le sue forze. Il 27 ottobre Daun prese Bondeno 15• A quel punto Marsigli, preso tra la cattiva situazione

x MONTESQUlEU, op. cit., p. 208. 15 Dopo tre giorni la guarnigione aveva finito le munizioni e, quando ne aveva chieste a Ferrara. i.I Legato aveva risposto suggerendo di arrendersi.


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militare e le pressioni politiche fatte dal Legato, che non voleva turbare le trattative appena incominciate a Roma fra l'ambasciatore imperiale e la Santa Sede. si trovò bloccato. IJ Legato patteggiò con Daun l'evacuazione di Pontelagoscuro; la Stellata si arrese il 3 novembre e Marsigli non poté far altro che ripiegare. Mise 5.000 uomini dentro Ferrara, 3.000 nel Forte Urbano, si chiuse con 1.400 in Ancona e rimandò a Roma i restanti 4.000. Il 12 l'inattività imposta dal Legato fu premiata: gli Austriaci, che avevano solo 9.000 uomini tra fanteria e cavalleria, bloccarono tanto Ferrara quanto il Forte Urbano e si diedero a saccheggiare le campagne perché erano a corto di vettovaglie. Interruppero i convogli diretti a Ferrara e decisero di distribuire il grosso delle forze in Romagna per i quartieri invemali. A metà dicembre si mossero le truppe imperiali stanziate nel Regno di Napoli. Varcarono il Garigliano e si accamparono nello Stato Pontificio. in modo da passarvi l'inverno, mentre Daun occupava Fano e Senigallia. Il Papa tentennava e sperava ancora nell'aiuto francese; ma le cose nelle Fiandre andavano malissimo e i Francesi avevano guai più gravi a cui pensare. Il 22 dicembre l'Imperatore mandò a Roma un ultimatum: o entro mezzanotte del 15 gennaio il Pontefice accettava di ritirare l'anatema, ridurre l'esercito a 5.000 uomini e consentire alle truppe asburgiche il libero passaggio per tutta la durata della guerra, o l'offensiva sarrebbe stata portata fino in fondo. Clemente ordinò di restaurare le fortificazioni dell'Urbe, vi concentrò 9 reggimenti di fanteria e 3 di cavalleria, ordinò un'ottava di penitenza e digiuno e attese il miracolo; intanto Daun era arrivato a occupare lesi. Il miracolo non si verificò e, un'ora prima della scadenza, papa Clemente si piegò a firmare: Comacchio sarebbe tornata alla Santa Sede solo di Il a vent'anni, quando Benedetto XIV avrebbe creato cardinale monsignor Zinzendorf.

VI) La fine della guerra Intanto, nel nord, gli eserciti di Marlborough e del Principe Eugenio si erano mossi nelle Fiandre e, battuto il nemico ad Oudenarde, erano entrati in Francia, occupando Lilla e l'Artois e impedendo a Luigi XIV d'aiutare Clemente XI. Seguì il durissimo inverno del 1708-9. Gelò J' intera laguna di Venezia; e in tutta Europa gli alberi da frutta, gli olivi ed i vigneti furono bruciati dal gelo. Gli ortaggi ed i cereaJj marcirono, facendo salire i prezzi alle stelle. 1n ogni parte del Regno di Francia scoppiarono sommosse contro la guerra, i prezzi troppo alti e la corte. Ma anche a Versailles andava male. J servizi da tavola in oro e parte dei tesori della corona furono venduti e mandati alla zecca per essere fusi ed usati per il conio. Il pane nero apparve sulla tavola del Re; e Luigi XIV decise di chiedere la pace. Il suo rappresentante, marchese di Torcy, doveva accettare le condi.zioni imposte dagli Alleati; ma tutto franò davanti alla pretesa che la Francia cooperasse a cacciare Filippo V dal trono di Spagna. Luigi avrebbe anche accettato; ma il suo primogenito, il Gran Delfino, padre di Filippo V, si oppose: «Giacchè si deve fare la guerra preferisco farla ai miei nemici piuttosto che ai miei figl컕i. li vecchio Re Sole si appellò allora ai suoi sudditi; tutto il popolo fu con lui; e gli Alleati si rimisero in marcia verso sud. A Malplaquet, nel settembre 1709, dopo 7 ore, 90.000 francesi persero la battaglia e J 0.000 uomini, uccidendone però 23.000 ai 120.000 anglo-austro-olandesi e costringendoli così a fermare l'offensiva. Allora Luigi XIV tentò un altro approccio di pace, ma fallì perché gli Alleati mantennero le stesse condizioni dell'anno precedente. xi Luigi di Francia, rip. in VOLTAIRE, op. ciL. voi. I, pag. 394.


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Sulle Alpi era intanto continuata la riconquista della Savoia; ma Vittorio Amedeo era impegnato in trattative con Luigi XN e adoperava lo strumento militare per costringerlo a fargli delle proposte vantaggiose. Luigi dal canto suo aveva spedito sul fronte alpino uno dei suoi migliori generali, James Fitz-James, duca di Berwick, figlio naturale di Giacomo 11 Stuart ex-re d'Inghilterra. Berwick aveva studiato lo schieramento degli Alleati e, accortosi che i passi da cui potevano scendere erano lungo un ampio arco. aveva collocato le sue truppe al centro di esso io modo da poter accorrere dovunque nel minor tempo possibile. Anche per questo motivo tutto quel che fecero gli Austro-Piemontesi si .limitò ali' assalto e presa del castello di Lacche, il 22 luglio. Sembrava che la guerra dovesse trascinarsi stancamente per chissà quanto tempo ancora quando si verificò il colpo dì scena: nell'aprile 1711 Giuseppe I morl di vaiolo, lasciando il trono al fratello Carlo, pretendente alla corona di Spagna. Ora, se gli Alleati non erano disposti ad accettare l'unione franco-spagnola, a maggior ragione nessuno di loro voleva vedere sulla medesima testa le corone di Spagna e dell' Impero, poiché la potenza asburgica avrebbe minacciato, in quel caso, di superare anche quella del defunto Carlo V, costituendo un pericolo mortale per l'Europa. Cogliendo quest'occasione, la Francia iniziò trattative segrete cogli Inglesi e, favorita dal passaggio del governo nelle mani dei Tories, notoriamente contrari al conflitto. ottenne la tregua con loro nell •estate del 17 I I. Resasi sicura dal lato britannico, Versailles si volse contro il più debole degli altri contendenti. Pochi giorni dopo l'entrata in vigore della tregua, gli Olandesi furono attaccati a Denain a ridosso di un fiume. Il ponte su cui passavano i rinforzi crollò e divise in due l'esercito, che fu distrutto. Sparito l'esercito e spaventata dalla defezione inglese, l'Olanda uscì dalla lotta e, ai primi del 1712, i suoi plenipotenziari si riunirono ad Utrecht per discutere la pace con quelli di Gran Bretagna e Francia, finnandola I' 11 aprile 1713. Vittorio Amedeo, che aveva continuato a combattere con 42.000 austro-piemontesi, limitandosi però ad occupare Conflans e ad abbozzare un assedio a Montrnélian nell' 11, aveva spedito i suoi plenipotenziari a partecipare alle trattative non appena gliene era giunto l'invito. Aveva raggiunto un risultato politico enorme. Per la prima volta gli ambasciatori dei Savoia erano ammessi, in piena parità con quelli delle Grandi Potenze, a discutere i problemi del Continente e del mondo. Lo Stato sabaudo era entrato nel sistema politico europeo da protagonista. Rimasto solo in campo contro Francia e Spagna, privo degli aiuti finanziari anglo-olandesi, minacciato da un esercito francese sul Reno e nella Selva Nera, abbandonato dai Savoia, che avevano cessato i combattimenti nel settembre 1712, finalmente anche Carlo VI d ' Asburgo accettò di firmare, il 6 marzo 1714, la pace di Rastadt. La guerra era finita e tutti i contendenti. caso raro, ne uscivano più o meno soddisfatti. La Francia perse pochissimi territori, che peraltro aveva presi in passato ai Duchi di Savoia, e si garantì, rimanendo Pilippo V re di Spagna, la tranquillità sui Pirenei. La Spagna perse i possedimenti italiani e le Fiandre; ma il suo sovrano era, almeno per il momento, abbastanza contento d'aver salvato il trono e le colonie per badare troppo al resto. L'Austria ottenne i Ducati di Mantova e di Milano. Orbetello e lo Stato dei Presidi, i Regni di Napoli e Sardegna e le Piandre Spagnole. Gli Olandesi ebbero la facoltà di presidiare una «Barriera» di fortezze nelle Fiandre ora austriache, come garanzia contro eventuali aggressioni da sud. L'Elettore di Brandeburgo ricevette la Gheldria Superiore e l'agognato titolo di Re di Prussia, mentre gli Elettori di Baviera e di Colonia tornarono in possesso dei loro Stati. Il Duca di Savoia ebbe il Monferrato, tolto ai Gonzaga, le Langhe, la Valsesia, la Lomellina, Varallo, Casteldelfino, Alessandria, Oulx, Fenestrelle in cambio di Barcellonette, ceduta ai Francesi, e la corona di re di Sicilia, che però non gli fu riconosciuta da Carlo VI; in definitiva dunque ben più di quanto gli fosse stato promesso nelle trattative del l 702, dal momento che otteneva un regno vero e proprio.


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Infine l'lnghilterra. Dal punto di vista territoriale gli Asburgo avevano avuto di più; ma era Londra la vera vincitrice della guerra. Le Potenze continentali uscivano dal conflitto divise in due blocchi, borbonico e asburgico, di forza equivalente e separati da una serie di Stati cuscinetto, legati all'Inghilterra o da essa influenzati. La Spagna era controllata dalle basi britanniche di Gibilterra e di Minorca, che consentivano alla flotta inglese di operare comodamente nel Mediterraneo e dal Portogallo, commercialmente legato a Londra. La Francia era tenuta d'occhio, a nord dall'Olanda che, coll'acquisizione della Barriera. era costretta a distogliere la propria attenzione dal commercio marittimo, lasciandovi un vuoto che gli Inglesi avrebbero colmato: ad est dagli Stati germanici, tra i quali l'Hannover il cui sovrano, oltre ad avere voce diretta nelle questioni dell'Impero, essendone uno degli Elettori, era, in base al Settlement Act del 1702, re d'Inghilterra dal 1714 col nome di Giorgio I. A sud, infine, anche Vittorio Amedeo Il aveva aperto i suoi Stati al commercio britannico ed era un'altra utile pedina da muovere, di volta in volta, contro Vienna o contro Versailles quando una delle due avesse minacciato di turbare l'equilibrio europeo instaurato a Rastadt. Così la Gran Bretagna poteva, nel caso che uno dei due blocchi fosse divenuto troppo potente ed avesse minacciato di portarle danno. allearsi coll'altro e sconfiggerlo. Iniziava la «Balance of Powers,., che sarebbe stata la costante della politica britannica fi. no alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Londra aveva in mano buone carte; e la sua atti· vità non avrebbe girato a vuoto nè si sarebbe fermata per mancanza di fondi. Le colonie d'America e delle Antille, i 1rattati commerciali coi Savoia ed i Braganza, il privilegio esclusivo d'inviare ogni anno un vascello a commerciare nell'America spagnola e, sopratuno. il monopolio per trent'anni della tratta degli schiavi in Sud America. garantivano nuove e abbondanti sorgenti di guadagno, il cui flusso avrebbe arricchilo e fortificato la Gran Bretagna più di qualunque altra nazione europea.

VII) La Guerra del.le Pioppe: 17ll Mentre si sparavano gli ultimi colpi del primo conflitto mondiale della storia, in Jtalia se ne accese uno piccolissimo. I Duchi di Modena avevano sempre considerato il fiore all'occhiello delle loro opere difensive la fortezza di Brescello cbe, per lo stesso motivo, era invece vista come il fumo negli occh i dal ducato di Parma. Nel corso del XVII secolo i due Duchi si erano accordati per demolire le rispettive fortezze di Poviglio e Brescello; ma mentre il Farnese aveva distrutto Poviglio. l'Este aveva lasciato in piedi Brescello. Durante la Guerra di Successione di Spagna, l'Impero aveva obbligato il duca Rinaldo a cedergli Brescello e vi aveva collocato una guarnigione. Erano arrivati i Franco-Spagnoli, l'avevano presa e, per ordine del Cristianissimo, rasa al suolo. A dire la verità ci dovette essere in questo una buona spinta farnesiana, visto che il duca Francesco si premurò di fornire ai Francesi ben 3.000 lavoratori, tratti dalla Milizia Suburbana, che distrussero la fortezza tra maggio e novembre del 1704. Rinaldo d'Este se la segnò e attese la prima buona occasione per ripagare i Pannensi, che venne nella primavera del 1711, quando ebbero La pessima idea di piantare dei pioppi in una piccola area chiamata Coenzo. prossima al fiume Enza. Ora. quel lembo di terra in passato era stato sulla riva sinistra. ma in seguito il corso dell'Enza era cambiato e adesso era sulla riva destra; e ciò comportava un 'accesa e annosa disputa sulla sua proprietà: era territorio estense o famcsiano? L'aver piantato degli alberelli e, peggio che mai, l'aver costruito una casetta in cui alloggiare un custode e un minuscolo corpo di guardia fu considerato da Rinaldo d ' Este un affronto sanguinoso: la parola doveva passare alle armi.


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Così il 21 maggio 1711 alcune centinaia di Modenesi - tanto militi suburbani che soldati di fortuna - assalirono la casetta. cacciarono i Parmensi, tagliarono tutti i pioppi e costruirono rapidamente un fortino. Francesco Famese s'infuriò e l'indomani 500 soldati di fortuna parmensi e altrettanti uomini del presidio di Piacenza si misero in marcia verso Coenzo. ll 23 il Conte Anguissola Generalissimo delle Armi Farnesiane - fece mettere in allarme tutte le truppe del Parmense ordinandone il concentramento nella Capitale per poi procedere su Coenzo, mentre i presidi di Rossena e Montechiarugolo venivano rinforzati e la milizia forese pattugliava la zona. U 24 partirono da Parma 2.000 uomini diretti al fronte - ammesso che lo si potesse chiamar così - mentre i Modenesi vi concentravano un centinaio di soldati e 4 cannoni. [I giorno seguente i Parmensi erano saliti a 6.000, anche loro con 4 cannoni. Anguissola li giudicò abbastanza forti per vincere - in fondo erano superiori al nemico per 30 a I - e ordinò l'attacco. La maggior parte dei 200 modenesi che difendevano Coenzo tagliarono la corda dopo una breve sparatoria, lasciando nel fortino solo un ufficiale della milizia urbana di Reggio con un'ottantina tra militi e soldati regolari. Ne seguì un corpo a corpo, o meglio una rissa, alla fine della quale gli Estensi furono fatti prigionieri, spogliati 16 e portati a Parma. Restarono sul terreno 4 modenesi e 2 parmensi morti; un'altra decina di modenesi furono feriti. Guerra a fondo, si invada il Reggiano! Era il desiderio delle truppe vittoriose: ma Anguissola non volle: aveva ordine di ripristinare la sovranità solo su Coenzo. La Casa Farnese non voleva altro che ciò cui aveva diritto. Piuttosto era bene cominciare a fortificarsi; e infatti Rinaldo d'Este era furioso e stava incrementando le sue forze nella zona. portandole a 3.000 effettivi. La notizia della Guerra delle Pioppe intanto aveva fatto il giro delle Corti italiane. Per evitare guai più seri, il Granduca di Toscana e iJ Governatore di Milano si interposero diplomaticamente e convinsero i due Duchi a far la pace. Il 1° giugno tornarono a Parma« ... dal Campo le nostre milizie ....marchiando.. con man.o di trombe e tamburi battuti e tutti con aria di vincitori .... gridando tutti viva viva e replicando per la città tutta con. moscheftate il giubilo della vittoria avuta contro de Modenesi»w. I prigionieri vennero liberati e rimandati a casa in mutande, anche se qualcuno riconobbe che si era usata loro «poca carità e meno discrezione», e quella piccola guerra fini così.

16 A tutti furono lasciati solo o i pantaloni o la camicia. .;; G. Borra, Diario cli Parma. rip. in 2.ANNOl'{J - FIORENTINO, "L'esercito famesiano dal 1694 al 1731", Parma. Palatina, 1981, pag. 46.



CAPITOLO XVII

LA SECONDA GUERRA DI MOREA: 1715 - 1719

I) "Venezia non è maj pronta"i

Ratificata la Pace di CaTlowitz del I 699, il Sultano approfittò delJ'impegno europeo nella guerra di Successione Spagnola per ricostruire la flotta che il quindicennio di operazioni contro i Veneziani aveva distrutto e riconquistare tutto queUo che gli era stato tolto, per terra e per mare. Liberatosi del pericolo russo con una vittoriosa guerra contro lo zar Pietro, attese pazientemente il momento più favorevole, che gli parve giunto nel 1714. Era improbabile che Venezia potesse trovare aiuti in caso d'attacco e il gioco contro lei sola sarebbe stato assai facile, perché non era riuscita a fortificare convenientemente la Marea e non manteneva grossi contingenti sotto le armi. A dire il vero il Bailo della Porta Ottomana stava inondando il Senato di rapporti allarmanti sui preparativi bellici dei Turchi, ma a Venezia si riteneva possibile ottenere una mediazione imperiale. Non si sapeva che invece l'Imperatore era al corrente di tutto e non aveva nessuna intenzione d'agire, desiderando un rovescio militare che indebolisse la RepubbUca. Mentre il Senato cominciava a preoccuparsi e tentava senza successo di mettere in piedi un'alleanza con Papa, Toscana, Malta e Portogallo, la situazione precipitò di colpo a causa dei Morlacchi. Erano sudditi della Repubblica e grandi nemici dei Turchi, a ridosso del cui confine dalmata vivevano, e nel corso del 1714 compirono numerose incursioni in territorio ottomano, inducendo anche Dalmati ed Albanesi a seguire il loro esempio. Non occorreva altro: il Gran Visir chiamò a colloquio il Bailo, gli snocciolò una dichiarazione di guerra in 13 punti, lo licenziò e lo fece imprigionare a Top-Hané, come sempre facevano i Turchi cogli ambasciatori esteri sgraditi. La Repubblica si trovava in un bel guaio: in tutta la Morea aveva solo 7.000 uomini, tra Italiani, Alemanni e Schiavoni, distribuiti fra le sei piazze più importanti, che erano Nauplia, Madone, Corinto, Malvasia, Navarino e il Castello di Morea. Nè stava meglio sul mare, poiché la squadra di Levante allineava 8 vascelli e Il galere. Dispose allora l'arruolamento di 18.000 uomini e chiese aiuto a tutte le Potenze cattoliche e agli Svizzeri. Come in passato si presentarono i Pontifici, con 4 galere al comando del priore di Malta Ferretti; l'Ordine di Malta con 2 ed i Toscani, cbe l' 11 luglio si unirono alla flotta veneziana a Patrasso. Altri rinforzi arrivavano lentamente; ma intanto per terra le cose andavano malissimo. In aprile era comparso un esercito di 100.000 uomini condotto dal Gran Visir in persona. Già questo sarebbe stato sufficiente a mettere fuori combattimento i Veneziani in Marea, ma siccome i guai non vengono mai soli, usci ancbe la squadra ottomana, composta da 58 vascelli, fra turchi, barbareschi ed egiziani, 5 brulotti, 30 galere, 60 galeotte e un gran numero di trasporti a1 comando del capitan pascià Janurn Hogia. Per colmare la misura, fu diffusa la notizia che il Patriarca ortodosso avesse comminata la scomunica ai Greci che avessero servito coi Veneziani contro i Turchi. Peggio di così non si poteva cominciare. i MONTESQUTEU, op. cit., pag. 16.


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L'inizio fu vergognoso. Fra il 5 giugno ed il 12 agosto i Turchi presero Tino, Egina, Nauplia, il casteUo di Morea, Modone e Malvasia incontrando una minima resistenza1. Per Ferragosto la Morea era stata completamente persa: ed ora sarebbe toccato alle Ionie. che i piani turchi prevedevano d'assalire con 30.000 uomini a partire da Santa Maura. Davanti aU'impossibilità di difendersi contro tanti nemici, la Consulta di Guerra ordinò d'evacuarle distruggendone le fortificazioni. ln novembre, dopo sei mesi d'assedio, caddero le basi cretesi di Suda e Spinalonga, ormai prive di munizioni, viveri e uomini. La flotta non si era mossa; eppure alla fine di luglio Dolfin allineava 22 vasceUi, 33 galere. 2 galeazze e 10 galeotte, tra venete ed alleate. Non era molto, ma altri, lui compreso, in passato avevano fatto tanto anche con forze così scarse. Ma forse la considerazione che la distruzione delle forze navali avrebbe pregiudicato definitivamence la guerra, mentre la loro conservazione avrebbe permesso in seguito dì recuperare ciò che era stato perso, non era troppo sbagliata. Comunque fosse, il Senato decise di sostituirlo e nominò al suo posto Andrea Pisani che, assente perché risiedeva nelle Jonie, di cui era Provveditore Generale. non poté opporsi alla propria ele11one, come mvece avevano fatto tutti gli altri candidati, spavencatissimi ali' idea di rovinarsi tentando di parare il disastro che si profilava. Per la campagna del 1716 Pisani allineava 26 vascelli, 2 brulotti, 18 galere. 12 galeotte e 2 galeazze. li Senato nel frattempo era riuscito ad onenere pure l'appoggio militare austriaco, il bando della Crociata e l'invio delle squadre portoghese e spagnola. Infine aveva nominato comandante delle forze di terra. ormai concentrate a Corfù, il Maresciallo conte Mattia von Schulemburg. Questi era arrivato nell'isola il 15 febbraio 1716 ed aveva subito ispezionato le fortifica1ioni dando ordini per rafforzarle. Cercò i migliori esperti d ' artiglieria, artificieri, ingegneri e aJla fine poté scrivere al Senato d'aver a malapena messo la piazza in grado di resistere. Era ora: i Turchi volevano entrare nel basso Adriatico con due squadre per agevolare il passaggio di 30.000 fanti e 3.000 cavalli concentrati a Butrinto per l'assedio di Corfù; e 1'8 aprile Schulemburg fu avvertito della probabilità di azioni contro l'isola. visto il gran numero di trasporti scorti in rada. Allora accelerò i lavori e mandò corrieri a Venezia per avere rinforzi, viveri e munizioni. li 13 aprile fu stipulata l'alleanza aust.roveneta, la notizia arrivò nell'isola poco dopo e la si diffuse il più possibile: l'esercito imperiale avrebbe certamente distolto gran parte delle forze nemiche, anche se non subito. Pisani dislocò l'Armata Grossa a Zante e diede ordine al suo comandante Andrea Comaro d'incrociare a largo per intercettare i legni avversari. Ma la primavera passò senza novità e solo in giugno l'esercito imperiale traversò la Sava agli ordini del Principe Eugenio.

Il) L'assedio di Corfù

Schulemburg aveva talmente tanti ammalati che solo poco più di 1.600 uomini 2 erano in grado di combattere. Però conosceva i Turchi e la loro abitudine d'avanzare in grandi masse urlanti per gettare i nemici nel panico. Per questo decise d'approntare una prima linea di resistenza sulla spianata antistante la città, appostando le sue truppe in trinceramenti coperti, in modo da infliggere agli attaccanti alte perdite e romperne l' impeto. Era un rischio calcolat0;

1 Un comandanle - Balbi - fu fatto schiavo dagli Ottomani: due furono condannali a vita dai Veneziani per viltà di frome al nemico. 2 Esattamente 1.612 e cioè: 300 Alemanni, 293 italiani. altrettanti Greci. 726 oltremarini, inclusi gli ufficiali, i sottufficiali e i musicanti.


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ma anche l'unica cosa da fare, perché alla fine di giugno la guarnigione era salita appena a 3.097 uomini3, 852 dei quali ammalati. Il 5 luglio le navi onomane entrarono nel Canale di Corfù. U capitano Generale si mise in mare con l'Annata Sottile, ma quando stava per attaccare, avvistò altre 62 Legni del Capitan Pascià entrare dal canale di Cassopo ed allargarsi da Butrinto alla costa di Corfù. A quel punto, non potendo combattere su due fronti, in stato d'inferiorità numerica e colle sole navi a remi, decise di disimpegnarsi e si diiesse verso il largo per riunirsi ali' Armata Grossa. Tra il 7 luglio. quando i Turchi scandagliarono il canale per verificarne la traghettabilità. e il 18 luglio, giorno in cui Pisani rientrò a Corfù, dopo aver guidato un' incursione navale contro la flotta nemica4 si ebbero lo sbarco ottomano e la preparazione delle piazzole d'assedio. Schulemburg approfittò subito dei rinforzi5 arrivatigli proprio il 18, tanto più che i Turchi si mossero solo tre giorni dopo assalendo la Fortezza Nuova dalla parte del baluardo di Sant' Antonio e vennero falciati dalle artiglierie del Provveditore Da Riva. li 25 provarono dalla parte del borgo di Manduchio e furono respinti dai Greci e dagli Schiavoni. Il terzo tentativo falJì al Monte d'Abramo. Intanto Pisani non poteva attaccare perché il vento si manteneva sfavorevole. Fece dei tentativi, levando gli ormeggi il 27 luglio, il 5, il 20 ed il 23 agosto, ma non ci fu nulla da fare; e la lotta rimase prettamente terrestre. Il l O agosto gli Ottomani avevano terminato lo scavo delle parallele6 e avanzarono per il primo assalto serio su tutta la linea, prendendo il Monte di San Salvador, ceduto dalla truppe tedesche7 senza opposizione. fl 3 agosto la loro artiglieria poté essere issata sulle due colline dominanti la città e cominciare a bombardarla. Convinto che i giochi fossero ormai fatti, il 4 agosto il serraschiere Kara Mustafà mandò un parlamentare a Loredan invitandolo a cedere la piazza di buona volontà: avrebbe avuto onorevolissime condizioni di resa. Non aveva lo scrupolo di sentirsi responsabile del sangue innocente che sarebbe stato versato se avessero rifiutato? Loredan conosceva la tricentenaria slealtà dei Turchi - il fantasma di Bragadin era ancora ben vivo nella memoria di tutti - e l' indomani rifiutò. Il provveditore della città Da Mosto rincarò la dose comunicando ai nemici che avrebbe mandato loro le chiavi di Corfù colle palle dei cannoni. Allora il 6 il Serraschiere decise d'aumentare le artiglierie e riprese i combattimenti. Il giorno di Ferragosto arrivò un convoglio veneto di rinforzi con circa 2.000 8 soldati, prevalentemente alemanni. A dir la verità quasi 500 erano ammalati: ma cogli altri si poteva fare

3 Rgt tedeschi: Vecchio Valdeck 324 uomini, Vecchio Otting 236, Giovane Otting 615. Fugger 161. Schulemburg compagnia Kaufrnann 93; Jtalìani: Rgt Lavezzari compagnia Maron 45: Cp Stratico 6l, Barban 120, Meyer 85, Btg. di Parma 245; Ollremarini: Rgt [sy 198. Maina 178, Combat 259, Rosani 144, volontari Cimarioti 40, volontari Zantioti 293. 4 Proprio il 7 luglio le distrusse un galeone, due vascelli e due galeoue. uccidendo o ferendo 1.300 nemici e perdendo 70 morti e 130 feriti senza altro che pochi danni alle proprie navi. 5 Con ollie I. I 00 uomini e le 3 galere e 4 vascelli dell "Ordine di Malta. li 3 I arrivarono 4 galere e 7 vascelli papali, insieme a 2 galere genovesi. Nei giorni seguenti giunsero ancora 5 galere spagnole e 3 l~ scane. Belle-Fontaine comandava la squadra di Malta, il priore Ferreni quella pontificia, il Marchese Guidi la toscana, Quenada la spagnola. 6 I Veneziani se ne accorsero il 2 quando le videro piene di truppe che agitavano le proprie bandiere. 7 I Tedeschi erano indisciplinati e inesperti ed erano stati definiti da un cronista dell'epoca «la più vile canaglia. vale a dire in una parola la feccia di tu/la la Germania». rip. in ILARI. BOERI, PAOLErn: «Tra i Borboni e gli Asburgo», Ancona, Nuove Ricerche, 1996, pag. 415. 8 Rgt Valdech: 398 uomini su 3 Cp; Rgt Otting: 492 su 5 Cp; Rgt Fugger: 184 in una Cp: Rgt Schulemburg: una Cp di 93; Rgt Boeri: una Cp di 48 corsi; Rgt Barbon: 274 italiani su 3 Cp: Btg di Parma 324


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molto e, formate tre colonne, i militari veneziani andarono all'attacco dalle porte Raimonda, Scarpone e Reale, appoggiati dal fuoco della città e delle galere. Il contrattacco nemico ebbe però un insperato successo per il vile cedimento dei 400 tedeschi del secondo scaglione, che permise ai Turchi d'entrare in città. Ma gli Italiani del sergente maggiore generale Sala non mollarono le porte e le difesero strenuamente. aiutati da civili, donne e bambini, consentendo l'organizzazione del contrattacco. Guidati da Schulemburg, Loredan e Da Riva, 800 fra Greci, Italiani, Oltremarini e Tedeschi si bmtarono nella mischia, lottarono per 6 ore e riuscirono a cacciare i Giannizzeri. I Turchi lasciarono sul terreno 36 bandiere e 1.200 uomini; 300 i Cristiani. Poi nella notte una tempesta devastò l'isola. La flotta dei Turchi fu dispersa; i loro depositi di polveri e le trincee si riempirono d'acqua e le tende crollarono. La mattiDa del 20 resercito assediante era ridotto a pochissime giornate di fuoco: evidentemente il buon Dio si era ricordato da che parte stavano i suoi. Il Serraschiere fece radunare le ultime scorte di polvere asciutta e comandò un attacco contro Porta Raimonda per la mattina del 2 1: fu respinto. Da quel momento si limitò a duelli d'artiglieria, mentre dalla città si notavano strani movimenti nel campo nemico: i Turchi se ne andavano in gran fretta e abbandonavano la maggior parte dei loro materiali sulla spiaggia. Vi sarebbero stati poi trovati 56 cannoni e 8 mortai e si sarebbe calcolato che i Turchi su 50.000 uomiDi complessivamente impiegati ne avessero persi 15.000, contro circa 3.000 dei Cristiani. Il 24 gli Ottomani avevano alzato le vele e Pisani, sempre poco favorito dal vento, li aveva inseguiti, riuscendo però solo a riprendere Santa Maura. Per quell'anno era finita e l'Adriatico era salvo.

Ili) Le operazioni del 1717: le battaglie di lmbro e di Pagania L'inverno 1716 - 1717 passò senza novità e I' l l maggio 17 l 7 la squadra a vela del nuovo capitano straordinario delle navi Lodovico Flangini salpò da Corfù per i Dardanelli. Nel pomeriggio del 10 giugno le vedette veneziane sulle alture di lmbro e le navi picchetto poste ai Castelli comunicarono ruscita dagli Stretti di 44 vele. Il Capitano Generale diede l'ordine di levare le ancore e mise la squadra in linea di fila su una sola colonna ma fu costretto dal vento a rimanere a circa 20 miglia dal nemico per due giorni. Solo a tre ore dal tramonto del 12 furono sparati i primi colpi della battaglia, durata cinque ore e mezza e terminata senza veri vincitori. I Turchi avevano perso 4 navi; i Veneziani nessuna. Nel primo pomeriggio del 16 ci fu un nuovo scontro, dal quale il nemico uscì con tre vascelli disalberati e un brulotto incendiato. Di nuovo i Veneziani non ebbero danni alle navi; ma tra i feriti, e grave, Flangini, colpito al collo da una fucilata e rilevato in comando da Diedo. I Veneziani allora decisero di andare a Termia per riparare i danni e rifornirsi d'acqua e legna. Ma poco dopo aver dato fondo, le corvette annunciarono le navi nemiche a Idra. Sciolte le vele, la flotta vi si diresse immediatamente. Flangini, morente, si fece portare sul ponte per poter assistere alla battaglia, ma spirò molto prima d'avvistare i Turchi. La consulta di guerra confermò Diedo in comando; e lui ordinò di spostarsi alla Sapienza per unirsi all'Armata Sottile9, partita da Corfù il 22 giugno. Dopo alcuni altri piccoli scontri, rifornita e rimessa a nuovo, la flotta cristiana seppe che

su 5 Cp; Cp Balclissera e Foleni: 64 genieri; 2 Cp presidiarie delle Isole: 107 uomini. Totale 1.984 di cui 1.500 abili al servizio. 9 Ad essa si sommavano 4 galere e 4 vascelli pontifici,? vascelli portoghesi, 3 galere toscane. 5 maltesi e 2 genovesi.


IL SETTECENTO

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quella nemica era stata richiamata da Corone a Costantinopoli in conseguenza delle vittorie imperiali nei Balcani. Si decise allora di passare alle operazioni anfibie, occupando Prevesa il 18 ottobre- e Vonitza, catturandovi 8 galeotte. Poi venne presa Canaro e si assediò Antivari Nel frattempo in un solo anno e mezzo il Principe Eugenio stava facendo quanto a nessuno era mai riuscito neanche in un secolo: Valacchia, Serbia settentrionale e Temesvar diventarono austriache; Belgrado venne riconquistata ed anche i Turchi, che avevano perso tre eserciti in 18 mesi, uscirono irreversibilmente dal numero delle Grandi Potenze. Più nulla ostacolava la marcia degli Imperiali verso sud. Dal canto suo l'esercito veneziano aveva respinto un attacco nemico contro Segna e avanzava dalla Dalmazia in Erzegovina facendo cadere lmoschi e raggiungendo Mostar e la Narenta. Temendo la congiunzione dei Veneziani cogli Imperiali in Bosnia, il Gran Signore prestò orecchio alla mediazione offertagli dalle Potenze Marittime e attraverso di loro avanzò proposte di pace!O.

IV) La battaglia di Pagania del 1718 e la pace di Passarowitz Le trattative andarono per le lunghe e Pisani riprese il mare nel maggio del 1718 con 75 legni 11, tra i quali 4 galere pontificie. li 20 e il 21 luglio prese contatto coi Turchi di nuovo nelle acque di Pagania; ma non fu una battaglia decisiva. I Turchi ebbero una decina di navi danneggiate più o meno gravemente; i Veneziani - come in precedenza - solo perdite tra gli equipaggi e la fanteria imbarcata Nel frattempo Pisani aveva deciso d'occupare quel noto covo di pirati che era Dulcigno e il 23 luglio vi aveva sbarcato dal]' Armata Sottile ben 10.000 uomini per assediarla. I Turchi vi diressero una colonna di soccorso, la cui cavalleria arrivò il 29 e aggredì la fanteria veneta, costringendola a ritirarsi fino alla spiaggia. Là però finì nel raggio d'azione delle galere. Le capitane di Roma, Toscana e Malta spararono con tutti i pezzi, seguite dal resto della squadra e la volsero in ritirata. Pur attaccando e cercando di raggiungere le sortite degli assediati, nei due giorni seguenti i Turchi della colonna di soccorso non riuscirono a rompere l'anello degli assedianti. Poi il 1° agosto i Veneziani furono colpiti da un fuoco abbastanza intenso. Risposero bombardando la città con tutti i pezzi e, dopo quattro ore, la videro alzare bandiera bianca. Sfortuna volle che Pisani insistesse per la resa incondizionata e che i negoziati portassero via le poche ore che permisero alla notizia della pace di arrivare. Il 19 luglio i plenipotenziari alleati l'avevano firmata coi Turchi a Passarowitz sulla base dell'Uti possidetis; Dulcigno ottomana era all' arrivo dei corrieri e tale restava. La Repubblica non era stata contenta delle condizioni di pace; ma le Potenze Marittime e, sopratutto, l'Impero avevano voluto concludere. AJberoni aveva lanciato le navi spagnole contro la Sardegna e la Sicilia e l'Europa era in subbuglio. Per di più le forze armate veneziane stavano cominciando a vincere troppo. Dal punto di vista austriaco era meglio impedire che la Serenissima riprendesse terre e forze; dunque meglio chiudere subito, nel momento in cui Venezia non aveva ancora ripreso ciò che aveva perso e l'Austria si era allargata nei Balcani fino oltre Belgrado.

10 In realtà, per non perdere la faccia, i Sultani in questi casi affermavano d'aver saputo che lo stanco avversario era intenzionato a fare la pace e, magnanimamente. gli concedevano di ascoltaxlo. 11 L'Armata Grossa allineava 28 vascelJi, quella Sottile, o Leggera, 15 galere. IO galeoue, 2 galeazze e 4 corvette. Le navi aggregate e ausiliarie erano: 3 brulotti, altrettante galeotte, 3 mostrasegnali. 2 navi ospedale e l nave deposito.


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CAPITOLO

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VENT'ANNI DI TENSIONI: 1713 - 1733

I) I Savoia in SiciUa

li 3 ottobre 1713 Vittorio Amedeo II salpò dal porto di Villafranca, presso Nizza, alla volta della Sicilia. Incoronatovi Re, l'anno seguente tornò in Piemonte, lasciando a Palermo il vicerè Annibale Maffei con una guarnigione di 6.000 uomini. La sua partenza causò una prima delusione ai Siciliani, che speravano di tornare a vedere Palermo vera capitale di uno Stato. Le altre vennero quando si accorsero che molti incarichi del governo dell'Isola venivano affidati a Piemontesi, mentre i Siciliani migliori finivano a Torino. C'erano anche altri motivi, perché Vittorio Amedeo: «quando ebbe il Regno di Sicilia, lo stava risanando. Primo, eliminò le/rodi delle dogane; si fece pagare il trasporto del grano ed eliminò le.frodi che vi sifacevano:fece osservare le leggi che provvedevano all'ordine pubblico e che rendevano i signori responsabili dei delirri che si compiono sulle loro terre (ne fece mettere uno in prigione per un caso del genere, che vi restò fino alla rivoluzione; questo solo esempio fermò tutti gli altri); costrinse i gentiluomini a pagare i debiti; insomma, ammir1istrò la giustizia. Avrebbe risanato quel paese»i. Mettendo ordine vennero fuori varie cose che non andavano e una, che di ciò che non andava era il fondamento ed il baluardo, cioè la raccolta degli atti dei Parlamenti di Sicilia, fu bruciata nel 1717 per ordine del Vicerè. Insieme alle pergamene i nobili videro andare in fumo i propri privilegi e decisero di sbarazzarsi dei Piemontesi alla prima occasione, che non avrebbe tardato a presentarsi. L'Europa non era tranquilla. La guerra di successione appena terminata aveva accontentato tutti, ma non completamente. Cari.od' Asburgo aspirava ancora alla corona di Spagna, tanto da non aver riconosciuto formalmente il titolo regio di Filippo V, il quale era comunque in attesa d'una buona occasione per riprendere i territori italiani appena persi e, rimasto vedovo, si era risposato con Elisabetta Famese. Nel 1715 la nuova Regina, di conserva col primo ministro, monsignor Giulio Alberoni, più attenta del marito alla politica estera, decise che il momento stava per diventare favorevole ad un reinserimento della Spagna negli affari d'Europa. A nord la Svezia era stata condannata ad un ininterrotto periodo di guerre dalla politica del suo re Carlo XIl. Tra il 1700 ed il 1709 Danesi e Russi erano stati battuti e la Polonia aveva dovuto rinunciare al proprio sovrano, Augusto Il di Sassonia, subendo l'imposizione del candidato di parte svedese, Stanislao Leszczynskì. Ma poi, nel 1709, gli Svedesi erano stati sconfitti dai Russi a Poltava e tutti i loro nemici si erano risvegliati. Russi, Prussiani, Sassoni e Danesi si erano impossessati dei territori di Stoccolma sul Baltico e avevano reso agli Elettori di Sassonia il trono di Varsavia.

i M ONTESQUIEU, op. cit., p. 148.


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GL,I ITALIANI IN ARMI

Il)) Alberoni e l'Italia: Sardegna e Sicilia

Quando nel '16 l'Austria si impegnò nei Balcani in aiuto a Venezia giunse il momento adatto all'intervento spagnolo. La politica madrilena dalla fine della precedente guerra era stata incerta fra due intese : colJ 'Inghilterra contro l'Austria per recuperare i territori italiani, o col l'Austria contro l' Inghilterra per riconquistare Gibilterra e Minorca e svincolarsi dai privilegi commerciali forzatamente concessi in Sud America? Elisabetta Farnese pose sulla bilancia altri due pesi: il suo desiderio che la Toscana passasse ai Famese e l'assicurazione di un trono in Italia, dunque per forza a spese deU' Austria, per i suoi figli, allora praticamente esclusi dalla linea di successione alla corona spagnola. A questi due elementi se ne aggiunse un terzo di stampo prettamente famesiano: la conservazione del Ducato. L'Austria era in Italia; e ciò che un tempo era stato un vago vassallaggio nei confronti cli un Imperatore debole e lontano, si stava ora trasformando in una serie di pesanti obblighi nei confronti cli un Imperatore esoso, potente, militarmente forte e addirittura confinante. Preoccupato, il Duca di Panna ordinò allora al suo vecchio agente Alberoni di darsi da fare per ottenere un intervento spagnolo contro l' Austria in Italia. Monsignor Giulio non chiedeva di meglio, ma aveva bisogno di tempo per ricostruire le forze e le finanze spagnole. Cominciò a tessere una complicata tela diplomatica, trovando l'appoggio del Re di Svezia perché sbarcasse in Inghilterra ed accelerò la riorganizzazione dell' esercito e della marina. Ma Filippo V non volle attendere, perché capitò una faccenda che fu il "casus belli". 11 Grande Inquisitore di Spagna, in viaggio tra Roma e Madrid, decise di passare per la Lombardia. Gli era stato sconsigliato, perché si temeva quel che poi accadde: gli Austriaci lo arrestarono. La cosa fu considerata a Madrid come un affronto sanguinoso; a Parma come un ulteriore e gravissimo segnale della prepotenza asburgica. Si sarebbe ancora potuta evitare la guerra se Francesco Farnese non avesse ordinato al suo ambasciatore, marchese Scotti. di intervenire presso Alberoni e la Regina perché facessero entrare la Spagna in campo. Alberoni non voleva; ma capì che rifiutare avrebbe implicato la sua fine politica per mano del Duca e della Regina. La guerra "poteva" anche finire bene e, tra una rovina politica sicura ed un'incerta avventura bellica, scelse la seconda. Così la bilancia, con quel terzo peso, s'inclinò a sfavore di Vienna. A Genova era già ancorata una poderosa flotta spagnola, preparata per aiutare i Veneziani impegnati in Dalmazia e nelle Jonie. Aveva a bordo 33.000 uomini con 165 tra cannoni da campagna e d'assedio e mortai. Le furono mandati nuovi ordini, levò gli ormeggi e si diresse verso la Sardegna, vi sbarcò un corpo di spedizione e la conquistò rapidamente. Poi puntò sulla Sicilia. Fu una sorpresa che scosse l'Europa. La Sardegna era stata facile da prendere perché era presidiata solo da due reggimenti di fanteria lombarda al servizio austriaco1. li 29 settembre J717 Cagliari si era arresa e in novembre aveva capitolato pure Alghero; cosl i 20.000 uomini del Marchese De Lede poterono andare a sbarcare a Bagheria il I O luglio, 17 I8 mentre la flotta andava alla fonda in rada a Palermo. Poiché le sue truppe ammontavano a 10.000 in tutta la Sicilia, il vicerè Maffei prudentemente decise di ritirarsi. Lasciò una guarnigione di cinque compagnie del Reggimento della Marina nel castello di Palermo, che si arrese relalivamente in fretta. ed un'altra di 635 uornini2 nella piazzaforte di Termini, subito assediata da 4.000 spagnoli e costretta alla resa in otto giorni, nonostante una splendida sortita del presidio che aveva distrutto le trincee nemiche.

1 Reggimenti fanteria Bart>on e cavalleria Carreras.

2 150 svizzeri del Reggimento Hackbrelt, 185 Guardie e 2 compagnie del Il Btg del Reggimento Sa-

voia.


lL SE!TIECENTO

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Il 3 luglio Maffei colJa moglie, il seguito e I .400 tra fanti e cavalieri, si era ritirato a Piana dei Greci. Da là, in quattro giorni, passando per Corleone, Vicari e Vallelonga giunse a Caltanissetta. Priva di viveri, la colonna sabauda decise di entrare a rifornirsi in città. 1400 uomini della Milizia Civica, appoggiati dalla popolazione, si opposero, forti dei perentori ordini diramati dal Marchese de Lede, che ingiungevano di non far passare e di non rifornire i Piemontesi. Il Vicerè perse la pazienza; i dragoni caricarono, seguiti dai granatieri dei reggimenti Savoia, Guardie ed Hackbrett. e giunsero alla porte della città, mentre i fucilieri, aggiratala, vi penetravano dalla parte opposta conquistandola rapidamente. La Milizia ebbe 40 morti contro i 18 e 30 feriti delle truppe regie, che rimasero a Caltanissetta fino a tutto il giorno seguente. Poi, transitando per Piazza Armerina, dopo aver incontrato ogni sorta di resistenze da parte del popolo, sobillato dai nobili lungo tutto il percorso, i regi arrivarono a Siracusa il 16 dopo aver perso in complesso 113 uomini per le fatiche della marcia e si chiusero nelle fortificazioni in attesa degli Spagnoli. Questi, raggiunta la città, si limitarono però a bloccarla e ad occupare Augusta che era stata sgomberata. Era una questione di precedenze. Non potevano disperdere le forze. E il conte di Montemar cominciò coll'accerchiare e assalire Termini e Messina, tenuta dai 6.000 uomini3 raccolti dal marchese d' Andorno. Evacuata la città su istanza della popolazione, i Piemontesi si chiusero nella cittadella e gli Spagnoli sì apprestarono a farli sloggiare. Il 27 luglio cadde il forte di Castellaccio, il 31 quello di Mottagrifone, il 4 agosto i difensori persero anche il forte Gonzaga e si ridussero in quello del Salvatore, dove resisterono fino al 29 settembre. Poi avviarono trattative dì resa, capitolarono e uscirono ditetti a Reggio il 19 ottobre con tutte le armi e i bagagli. Gli Spagnoli andarono allora a Milazzo e l'assediarono il 7 ottobre con circa 10.000 uomini. La difendeva il tenente colonnello Misseglìa con soli 800. Il 15 gli assedianti dovettero distaccare 9.300 uomini per contrastare il passo a una colonna di 6.000 imperiali guidati da Carafa. Non riuscirono a fermarla e, persi I. 700 uomini per parte, gli Austriaci poterono entrare e rinforzare il presidio. Questo perché mentre il vicerè Maffei continuava a tenere Siracusa, il quadro politico internazionale era divenuto sfavorevole alla Spagna. Il 2 agosto Francia, Inghilterra, Olanda e Austria s'erano unite in una Quadruplice Alleanza. Gli Imperiali avevano concentrato 10.000 uomini a Reggio Calabria e sostenevano i Piemontesi. Per di più la flotta spagnola era stata distrutta, l' 11, da quella inglese a Capo Passero - l'estremità meridionale del Golfo di Noto - e un esercito francese aveva varcato i Pirenei. A Madrid Alberoni divenne il capro espiatorio del fallimento spagnolo voluto dal Duca di Parma e da sua nipote Elisabetta e non gli restò che fuggire. Riuscì a portare via le carte più importanti. Da solo e sotto la minaccia dei sicari borbonici e farnesiani, riparò in Italia e vi si nascose. Intanto la guerra era agli sgoccioli. Pur avendo costretto alla resa il 27 novembre il presidio di Trapani, la Spagna si dovè piegare; ma Vittorio Amedeo fu obbligato, secondo la convenzione del 29 dicembre 1718, a cedere la Sicilfa agli Asburgo ricevendone in cambio la Sardegna, ancora presidiata dagli Spagnoli, che vi sarebbero rimasù fino al 1720. Alla fine di maggio del 1719 un corpo di spedizione imperiale al comando del generale Mercy sbarcò a Marina di Patti, rilevò i Piemontesi che cominciarono a rientrare in Patria e costrinse gli Spagnoli a sbloccare Milazzo e Siracusa. De Lede fece ritirare le truppe bruciando ogni cosa dietro di sè per impedire la sussistenza al nemico. Mercy lo seguì, ricevè formalmente la Sicilia da Maffei, proseguì fino a Palermo,

3 Erano 5 battaglioni dei reggimenti Savoia, Piemonte, Fucilieri, e Hackbrett (2 btg) con 4 compagnie del reggimento siciliano Gioeni.


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poi tornò indietro verso Messina con 21.000 uomini. Battè i 21.000 di dc Lede a Francavilla il 27 giugno 1719 e il 18 ottobre prese Messina. Terminata quest'ultima crisi, i Savoia, finalmente io condizione di poter condurre una propria politica indipendente grazie alla posizione mediana tra la Francia e gli Asburgo, diedero mano al miglioramento dei loro possedimenti. La pace sarebbe durata una decina d'anni soltanto. poi dj nuovo sarebbe stata guerra.

IB) La successione di Parma e l'abdicazione di Vittorio Amedeo Il Al principio del marzo 1730 la salute di Vittorio Amedeo sembrò peggiorare per un attacco di calcoli. Ripresosi, il Re si trovò in un"intricata situazione di isolamento politico. Già in crisi con Roma per le questioni giurisdizionali del Regno di Sardegna, aveva intimato ai Valdesi di abbracciare la religione Cattolica, sperando forse di rabbonire il Papa Invece non solo non vi riusci: ma addirittura ricevette da Prussia. Olanda e Cantoni Svizzeri la richiesta di lasciarli in pace. A questa noia si aggiunse una questione molto più grave: quelJa della prossima successione di Parma. Il duca Antonio Farncse non aveva figli, a meno che la moglie. che si djchiarava incinta. non partorisse un maschio; e la legittima erede era quindj Elisabetta, regina di Spagna. Ma in grazia delle tranative scarurite dalla cri~i del 1718, le Potenze avevano deciso di far salire sul trono parmense, e su quello toscano dopo l'estinzione dei Medici, il di lei primogeojto don Carlos di Borbone. L'attività diplomatica era proseguita alacremente fino a sfociare nella firma del Trattato di Siviglia del 9 novembre 1729. Sorsero però delle forti divergenze fra l'Austria, che non aveva aderito, ed i contraenti. Carlo VI incrementò le proprie guarnigioni italiane: e gli Alleati annunciarono l'arrivo in Italia di una nona di 60 navi da guerra e 100 trasporti con un corpo di spedizione di 40.000 uomini, mentre il Re di Francia dichiarava di esser pronto a spedire due eserciti, sulla Mosella e verso M ilano, per sostenere don Carlos. La siluazione cominciò a peggiorare nel marzo del 1730, quando le truppe imperiali iniziarono a scendere in Italia. In maggio erano già 30.000 ed entro settembre sarebbero ascese a 60.000 fanti e 20.000 cavalieri. Davanti a tale spiegamento di forze gli Stati italiani rimasero incerti. Venezia si dichiarò nuovamente neutrale; ma arruolò rre nuovi Reggimenti nelle Isole Ionie e fece rientrare da Levante e Dalmazia buona parte delle sue truppe. spedendole alle frontiere col Milanese e con Mantova. Il Granduca di Toscana, che aveva pennesso agli Spagnoli di entrare nei suoi Stati, dovette consentire il passaggio attraverso P ontremoli e la Lunigiana agli Imperiali. che ne profittarono per mandare 2.000 uomini a Massa. obbligando la Repubblica di Lucca a pagarne il mantenimento. Come al solito i Savoia venivano corteggiati gra.tie al loro esercito. Secondo Radicati di Passerano, non sapendo bene come regolarsi e volendo mantenere la maggior libertà di manovra possibiJe, Vittorio Amedeo decise di tenere il piede in entrambe le staffe. Si dichiarò ufficialmente neutrale; ma in segreto si legò a due contrastanti alleanze. La prima g li fu proposta dall'lmperatore: se avesse fornito 8.000 fanti e 4.000 cavalieri contro gli Spagnoli, Carlo VI !"avrebbe nominato governatore perpetuo del Mi lanese e gli avrebbe versato subito 300.000 scudj per le spese di mobilitazione. Vittorio Amedeo, in quel momento relativamente a corto di forze perché aveva spedito parecchi reggimenti a presidiare la Sardegna per proteggerla dalle incursioni dei pi.rati barbareschi, accettò segretamente nel giugno del 1730 ed incassò la cifra pattuita. Intanto era arrivato in incognito a Torino don Bernardo d'Espoletta, ambasciatore di Spagna a Genova e, ignorando quanto era già successo, aveva proposto al Re un'altra alleanza. n Re Cattolico, e quindi gli Alleati, per i quali garantiva !"incaricato d'affari di Francia Bionde!,


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gli avrebbero dato Novara, Pavia e una larga fetta dell 'Oltreticino in cambio della sua accessione al Trattato di Siviglia. Vittorio Amedeo decise che la proposta era buona. forse anche migliore di quella imperiale, e accettò. Non sembravano esserci rischi, anche perché la situazione generale si andava complicando sempre più. Ma le truppe austriache aumentavano a vista d'occhio; e le intenzioni bellicose degl.i Alleati non sembravano sufficienti a batterle. Proprio in giugno l'Jmpero chiese al Papa di consentire l'entrata e l'acquartieramento di 6.000 uomini tra il Bolognese e la frontiera con Napoli. A Carrara c'erano 5.000 austriaci, 2.000 stazionavano a Massa e ce ne stavano arrivando altri 3.000, 3.000 si trovavano in Lunigiana e qualche migliaio nelle zone adiacenti. Seimila erano infine di riserva. Il nuovo papa, Clemente XII, pensò che fosse meglio acconsentire; e le truppe imperiali entrarono nello Stato Ecclesiastico. In questa convulsa successione di avvenimenti Vittorio Amedeo si trovò improvvisamente spiazzato perché qualcosa trapelò a Vienna. Carlo VI chiese spiegazioni; Vittorio Amedeo gliele fornì, ma seppe dal suo ambasciatore a Vienna che l'Austria sembrava prepararsi ad un accomodamento cogli avversari ed all'accessione al Trattato di Siviglia. Rendendosi conto che se le due parti si fossero accordate sarebbe venuta a galla la sua doppia alleanza, decise che l'unica cosa da fare era scomparire. Per questo, e non per stanchezza o per ragioni di salute come si disse allora e in seguito, decise di lasciare il trono. Sposata nell'agosto una sua vecchia fiamma, la vedova contessa di San Sebastiano, dalla quale aveva avuto un figlio, riconosciuto dal conte di San Sebastiano come proprio ed ora ufficiale delle Guardie, il 3 settembre iJ Re annunciò di abdicare in favore dell'erede al trono, Carlo Emanuele, e si ritirò a Chambéry, ordinando che lo si tenesse settimanalmente al corrente degli affari di Stato. Ma nel settembre 1731 tentò di riprendere il potere, minacciò d'appellarsi all'Imperatore e, davanti al pericolo d'un'interferenza asburgica negli affari del Regno, per ordine di Carlo Emanuele lIT venne arrestato da 20 ufficiali ed un distaccamento di dragoni, appositamente mandati a Moncalieri e rinforzati da una guardia di 600 fanti il cui comandante aveva l'ordine di sorvegliare Vittorio Amedeo a vista. Subito si diramò la versione ufficiale: Vittorio Amedeo era impazzito; ma la colpa del tentativo di riprendere il trono era della moglie che voleva essere regina a tutti i costi, non sua. Del resto lui stava male già da tempo, lo stesso inviato francese, Bionde!, poteva testimoniarlo, perché proprio da Vittorio Amedeo l'aveva saputo. Questa versione, divulgata immediatamente in tutte le corti europee, trovò credito sia perché era ovvio che l'Armata Sarda era pronta a sostenerla contro chiunque avesse passato il confine per controllarla, sia perché la questione di Parma non era ancora chiusa e nessuno aveva interesse ad alienarsi le truppe di Carlo Emanuele Ul per così poco. Vittorio Amedeo morì prigioniero nel castello di Rivoli all'età di 66 anni il 31 ottobre 1732. Sotto di lui il Piemonte aveva riguadagnato la propria ind.i pendenza, allargato i suoi confini e si era inserito nel gruppo delle Potenzc4 di rilievo. Grazie a lui la dinastia aveva mosso i primi fondamentali passi che l'avrebbero portata, per accrescere il proprio potere, ad unificare l'Italia, ed il prossimo dei quali doveva essere, appena possibile, l'acquisizione del Ducato di Milano. La crisi dinastica sabauda seguì e quasi coincise colla soluzione di quella di Parma. Antonio Farnese morl il 20 gennaio 1731. Subito gli Imperiali del generale Stampa entrarono nella città, che era presidiata già dalle truppe pontificie dipendenti da monsignor Oddi. Stampa dichiarò che prendeva possesso di Parma in nome di don Carlos e i Pontifici ne uscirono tran-

4 Si ricorda che il termine «Potenza», applicato ad uno Stato, non indica una sua particolare importanza o forza, ma solo la sua piena capacità di emanare leggi, avere una politica estera autonoma. propria moneta e forze annate.


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quillamente. Cominciò allora l'attesa per vedere se sarebbe nato un maschio alla Duchessa Vedova; ma si scoprì che la gravidanza era simulata. Nel frattempo Spagna e Francia si strinsero di più fra di loro; ma l'Inghilterra si staccò e, il 16 marzo, il suo plenipotenziario firmò in casa del Principe Eugenio un'alleanza coll'Austria. A questo punto la crisi era risolta. Roma protestò, almeno per salvare la forma della dipendenza feudale di Panna. Piacenza e Gusta!Ja dalla Santa Sede. Nessuno se ne diede per inteso; e don Carlos s'insediò sul trono parmense. che avrebbe conservato fino al 1734. Dalla fine della crisi la pace sarebbe durata poco; solo due anni, due brevi anni. Poi sarebbe morto Augusto JI di Polonia; e di nuovo avrebbero rullato i tamburi.


CAPITOLO XIX

LA PRIMA FASE DELLA RIVOLTA DELLA CORSICA: 1730 - 1739

I) Le cause del malcontento

La Corsica' era dominio di Genova dal Medioevo e, come tutti i possedimenti delle repubbliche italiane, non godeva della minima libertà, poiché i suoi abitanti erano considerati sudditi, ma non cittadini e non avevano la facoltà di rivestire cariche, anche minime, e di partecipare alla vita dello Stato. Questo era, molto in sintesi, il motivo principale della rivolta che scoppiò nella primavera del 1730, quando il commissario generale Balbi, che governava il Regno di Corsica in nome della Repubblica, ebbe ordine da Genova, di intimare il rimborso del denaro prestato agli isolani l'anno precedente come soccorso straordinario per la carestia che li aveva colpiti. Fu la classica goccia che fece traboccare il vaso e i Corsi si rivoltarono. Diecimila uomini presero le armi, s'impadronirono delle campagne ed entrarono a Bastia, costringendo il Governatore a chiudersi nel castello. L'intervento del vescovo d' Aleria li calmò e Li convinse a posare le armi, a condizione però che entro un mese la Repubblica diminuisse alcune imposte. Si buttò giù un Accomodamento in vari articoli e il Governatore lo portò a Genova per la ratifica. Ma il Senato lo giudicò una "intollerabile insolenza" e spedì a Bastia Gerolamo Yeneroso come nuovo Commissario Generale. Questi il I 3 aprile intimò ai "Capi de'Malcontenti" di comparirgli davanti entro una settimana per discolparsi, minacciando di costringerveli colla forza se non avessero ubbidito. Per finire di guastare tutto, verso la metà di luglio il governo della Repubblica ebbe la brillante idea d'imporre una contribuzione straordinaria per l'acquisto di granaglie, alla quale seguirono dure proteste. Il Senato decise di dare una dimostrazione di forza che al tempo stesso aumentasse la consistenza dei presidi e cominciò a far passare truppe in Corsica con un grande spiegamento navale. Tutte le piazzeforti dell'Isola vennero rinforzate, a partire da Ajaccio, reputata la più pericolante. Genova non aveva mai mantenuto grosse forze nè in Corsica nè in terrafenna. Neutrale da tanto tempo, la Repubblica nel I 697 aveva fissato a 3.000 il numero dei propri soldati, aggiungendo 50 "stipendiati" incaricati dell'addestramento e 20 ufficiali "intrattenuti". Da queste truppe stabili, solo in terraferma affiancate da Milizie Scelte e Ordinarie, venivano tratti i presidi per le piazze corse di Bastia, Ajaccio, Calvi e Bonifacio, appoggiandosi all'organizzazione militare locale. Quest'ultima era articolata in "compagnie di cavalli", torrieri e, come negli altri Regni italiani, nel Battaglione, diviso in 3 reggimenti e al quale appartenevano tutte le milizie. Per alcuni incidenti di confine col Regno di Sardegna, nel 1727 le forze della Repubblica erano state aumentate a 8.000 uomini, ridotti a 5.000 già nell'inverno 1727-28 e lasciate a quel numero a causa di piccole rivolte a Finale e San Remo.

1 Era divisa in due pani dalla catena montuosa detta Gradaccio; la prima, più ampia, era indicata èOme '"di qua da 'Monri", l'altra, ovviamente, "di là da'Montf'. La ripartizione amministrativa era in 38 Pievi, o Distretti, 30 dei quali "di qua da'Monti" e i rimanenti di là; la capitale era Corte, anche se Bastia era considerata tale per essere la residenza del Commissario Generale.


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Comunque sia, allo scoppio dell'insurrezione i presidi insulari ammontavano in tuno a 500 regolari e 80 "abitanti". cioè 50 militari residenti a Calvi e 30 a Bonifacio.

D) L'inizio della guerra Se queste forze garantivano il possesso dei centri maggiori, specie costieri, non consentivano alcun controllo delle campagne, i cuj paesi venivano indotti, od obbligati, ad aderire all'insurrezione. Ai primi di novembre i Malcontenti ammontavano a 13.000, o almeno tanti se ne presentarono intorno a Bastia, impadronendosi di Terravecchia e catturando un piccolo distaccamento genovese. Grazie al vescovo d'Aleria si ebbe una seconda tregua di tre mesi; ma servì solo ai Malcontenti per orgaruzzarsi meglio. l loro capi - il generale Luigi Giafferri, ex ufficiale veneziano, e iJ colonnello Giarello - avevano convocato un'Assemblea Generale. che si riunì nella città di Corte nel febbraio 1731 e stabilì unanimemente ru sottrarsi al dominio genovese. Risaputasi la cosa a Genova. il Senato nominò dei plenipotenziari perché trovassero un accomodamento coi sollevati, ma ormai la rivolta si stava estendendo. San Fiorenzo era caduta nelle loro mani e, nel maggio del 173 l. gli insorti era tanto forti da dividersi operativamente in tre distinti corpi. il primo di 10.000 uomini, gli altri di 7 - 8.000 l'uno, ai quali la Repubblica non poteva contrapporne più di 6.500 in tuno il Regno. Una gran quantità di piccoli scontri, sia di guerriglia sia ù1 campo aperto - ma sempre di ridotta entità - logorarono le già poco valide truppe genovesi e diedero ai rivoltosi il controllo dell'isola. Ormai alla Repubblica erano rimaste solo la provincia della Paonia e le quattro piazze dj Bastia - sistematicamente assediata ogni volta che ricominciava la rivolta -Ajaccio, Calvi e San Bonifacio, che dovevano essere rifornite via mare. Allora il Senato cominciò a reagire. specialmente contro il contrabbando di armi e munizioni a favore degli insorti, facendo controllare tutte le navi nelle acque dell'isola dalla sua squadra, incrementata da 6 a 8 galere.

ill) Le operazioni combinate: 1731 -1739

Per le operazioni terrestri il problema dei Genovesi consisteva nel fatto che la maggior parte delle loro truppe era composta da soldati corsi, che il più elementare buon senso suggeriva di non impiegare nell'isola. Si doveva cercare altrove e ci si rivolse all'Imperatore. Ottenuto a pagamento un corpo di soccorso austriaco di 3.000 uomini, iniziò la riconquista. Le operazioni ebbero un mediocre successo. Le truppe imperiali e genovesi ripresero San Fiorenzo e vari centri minori. ma non furono capaci dj domare la rivolta. Per riuscirci alternarono la guerra alle offerte di pace, ottenendo verso la fine dell'anno un nuovo armistizio di tre mesi. Ma allo scadere del termine non si era raggiunto alcun accordo, le ostilità ripresero e g li Imperiali e i Genovesi persero un centinaio di uomini, i primi, e circa trecento, i secondi, nei due scacchi subiti in altrenanti tenta1ivi di sottomissione dj villaggi fatti alla fine di febbraio. Questo disastro. unito alle lettere spedite in precedenza, fece sì che l'imperatore Carlo VI accogliesse la richiesta della Repubblica dj un ulteriore incremento del corpo di spedizione e ordinasse al conte Daun dj staccare dal presidio della Lombardia austriaca 3.500 uomini per la Corsica sotto gli ordini del principe Luigi ru Wiirttemberg. forse anche per compensare la contrazione numerica dei Genovesi, che in marzo ammontavamo a soli 3.300. Con queste nuove forze gli Austro-Genovesi, dopo una sconfitta alla Torre di Padalilla, batterono ripetutamente i Malcontenti inducendoli a riprendere i negoziati e ad accettare un accordo. Quindi Wilrttemberg reimbarcò le truppe e partl per Genova, lasciando in Corsica solo 5 dei suoi battaglioni in attesa dell'arrivo dei reparti genovesi mandati a rilevarli.


IL SETfBCENTO

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A partire da questo momento la rivolta avrebbe avuto un andamento ciclico. Genova avrebbe tentato la trattativa, avrebbe raggiunto un accordo e ne avrebbe poi violata la sostanza provocando il riaccendersi dell'insurrezione. Allora si sarebbe rivolta all'estero cercando aiuto, l'avrebbe trovato e se ne sarebbe valsa per riaprire trattative, i cui risultati sarebbero stati vanificati dalla successiva inosservanza degli accordi raggiunti. Questo giochetto sarebbe stato complicato da aJcuni elementi. Il primo era che i Magnifici Senatori non erano disposti a spendere per capitolare truppe estere, né capaci di imporre l'arruolamento e mantenimento di forti contingenti "paeselli", cioè liguri, per risolvere la questione corsa. Del resto il LiveJJo delle truppe era scadentissimo. Con poche eccezioni, il resoconto degli scontri sostenuti fra il 1730 e il 1769 è sempre uguale: i Genovesi venivano sconfitti - e con forti perdite - perché i loro soldati scappavano. Bisognava - secondo elemento - chiedere aiuto ali 'estero. Ma le preoccupazioni politiche limitavano al minimo le Potenze a cui domandare aiuto. Non la Sardegna , né la Toscana, per paura che volessero impadronirsi dell'isola. Non Napoli - dopo il 1734 - né la Spagna per la convinzione che volessero investirne l'Infante don Filippo di Borbone. Non l'lmperatore perché non ne aveva più intenzione, non, infine, la Gran Bretagna, sempre per il timore che volesse insignorirsi della Corsica. Restava quindi solo la Francia, alla quale la Repubblica si sarebbe rivolta sempre più spesso. non immaginando che al Ministero degli esteri del Cristianissimo, il signor de Chauvelin avesse elaborato e fatto approvare un progetto per esautorarla e, lentamente, costringerla a cedere l'isola alla Francia. Ci avrebbe messo trent' anni, ma avrebbe avuto successo. Infine - terzo elemento - i Corsi avevano cominciato a organizzarsi statalmente. Dapprima il loro fu uno Stato rudimentale. ma l'arrivo dell'avventuriero tedesco Theodor Anton von Neuhoff, fattosi incoronare re il 15 aprile 1736 grazie ai rifornimenti in anni e denaro portati con sé ed alle grandiose promesse fatte, implicò un notevole salto di qualità, specialmente sotto il profùo militare. Il suo primo atto da re consistè nell'adunata generale di tutte le milizie corse. Si concentrarono a Casinca il 23 aprile 1736 e, passate in rassegna, si videro ascendere a oltre 20.000 uomini. Non era un esercito di quelli regolari; tutt'aJtro. Sappiamo che aspetto avesse il miliziano corso dalla descrizione lasciataci nel 1739 da un ufficiale delle truppe francesi impegnate contro i Malcontenti: «Si sarebbe detto che n.oi marciassimo contro un esercito di Cappuccini, aven.do i Corsi un man.te/lo con un cappuccio appuntito del medesimo tessuto e colore de/l'abito dei Cappuccini e lasciandosi crescere la barba la maggior parte di loro»i. Nel 1738 l'arrivo di un primo e assai ridotto - 3.000 uomini - contingente francese indusse il governo insurrezionale a tenere aJle armi solo 20.0002 uominj, 10.000 dei quali furono inquadrati in dieci reggimenti di fanteria ogouoo forte di 1.000 uomini, con una bandkra verde - il colore nazionale - recante la scritta "In. Te Domine speravi". Le guardie a piedi di Teodoro invece formarono un Reggimento deUe Guardje, forte di 1.200 uomini e dotato dj una banda musicaJeJ.

i LoUIS AUGUSTE LE PELLETIER, "Souvenirs d'un Artilleur (1733-1744)". Paris. Gautier, 1897, pag. 56. 2 Occorre ricordare che gli uomini validi venivano calcolati a 20.000 di qua dai monti e 6.000 di là. la

questo caso però erano stati molli di più perché si erano presentati sia vecchi che ragazzi dai 12 anni in su. 3 Tali reparti comunque non er.mo permanenti e lo si vide quando, in seguito all' arrivo del contingente francese comandato da Maillebois, venne richiamato alle anni ogni uomo valido, raggiungendo la cifra di 20.000 uomini. Poiché all'epoca il potenziale mobilitabile dell'intera isola non superava i 26.000. risulta evidente che. per permettere i lavori agricoli e un minimo di attività industriale e commerciale, il grosso era chiamato a servire solo in caso di necessità.


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GLI ITALIANI lN ARMI

Nacque anche una marina corsa. A dire il vero qualcosa del genere era esistito fin dal principio della rivolta, ma si era trattato solo di un insieme di feluche, sciabecchi e lancioni. Però nel febbraio del 1738 le feluche ribelli presero a Portovecchio una tartana genovese da IO cannoni carica di materiali e denaro, che riutilizzarono subito contro le forze della Repubblica. Verso la fine di marzo, grazie ai maneggi di re Teodoro, riceverono altri rifornimenti portati da una fregata da 18 pez.zi con 120 marinai, che entrò a far parte della piccola squadra. Parallelamente Teodoro ordinò di cominciare la guerra di corsa4 contro i Genovesi e stabilì un prelievo del IO% sulle prede fatte dai navigli insorti per istituire e mantenere un ospedale militare e navale. A questo punto la marina corsa era un'entità non trascurabile; e Genova dovette far passare nell 'Jsola i rifornimenti mediante convogli scortati. n primo ciclo di repressione della rivolta in sostanza terminò collo scoppio della guerra di successione austriaca nel 1740 e, prima che ciò avvenisse, i Francesi, originariamente bea accolti dai Malcontenti perché considerati rned.i atori armati fra loro e la Repubblica, erano di ventati nemici. Era capitato quando avevano proclamato e tentato di far eseguire il disarmo della popolazione. Lo scontro coi Corsi non poteva mancare e si ebbe nelle vicinanze di Biguglia, dove 400 francesi, accompagnati da alcuni ufficiali genovesi, s'imbatterono nei 150 ribelli del capitano Cassinetta. Persi 200 morti e un centinaio di prigionieri, i resti del distaccamento riuscirono a evitare la totale distruzione ripiegando alla meno peggio fino a Bastia grazie al maggiore Muratti - uno dei pochi ufficiali genovesi di cui dalle relazioni del tempo emerga un' immagine favorevole - che rimase gravemente ferito. I Malcontenti avevano perso solo 16 uomini. n passo decisivo era stato fatto. I Corsi avevano scoperto che i Francesi non valevano più dei Genovesi e non ne avevano più paura. I Francesi reagirono con rappresaglie e andò a finire come tutte le altre volte: vennero attaccati dovunque e costretti a rinchiudersi entro Bastia. I Cotlìi si radunarono, esaminarono la situazione, fecero un po' di calcoli e stabilirono che il corpo di spedizione francese «non era da temersi; e se ne fosse spedito un maggior numero non vi si potrebbe mantenere»ii. Di conseguenza ordinarono alle Pievi di chiamare alle armi tutti gli abili, formarono un corpo di I0.000 uomini scelti e, tanto per cambiare, andarono a assediare Bastia. L'insieme deglj avvenimenti foml alla Francia il pretesto per aumentare il corpo di spediz.ione. «Questo più non riguarda la Repubblica di Genova: ella è causa mia; vi è interessato il mio 011ore»iii disse infuriato Luigi XV al ministro Amelot. Da Antibes si imbarcarono subito quattro battaglioni, seguiti poco dopo da 11 reggimenti, a capo dei quali fu messo il luogotenente generale della Linguadoca, Marchese de Maillebois. Ma ali 'imponenza del! 'organico non faceva riscontro quella del numero, perché tutti i rinforzi non avrebbero elevato il Corpo d.i Spedizione oltre gli 8.000 uomini. Per di più il convoglio incappò in una tempesta. Naufragarono cinque vascelli, che fra tutti pòrtavano 1.000 uomini e la cassa militare, e un sesto andò a sfasciarsi sulla costa della Corsica. I Malcontenti piombarono addosso ai sopravvissuti, li disarmarono e li mandarono a Bastia. Furono i primi "rinforzi" che arrivarono, perché il convoglio non si era ancora visto. Giunse di U a poco, il 20 marzo, ma, date le perdite subite in navigazione, le truppe francesi non superavano i 7.000 uomini quando, a fronte di oltre 20.000 corsi, ne sarebbero occorsi almeno 30.000. Subito un primo scacco a Montemaggiore, Maillebois si rese conto di non aver truppe sufficienti a contrastare gli insorti, che valutò a 10 - 12.000, e decise di attendere un ulteriore convoglio di 5.000 uomini che, secondo lettere giuntegli, stava per partire da Antibes su più di 30 vascelli.

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Val qui la pena di notare che, secondo i linguisti del tempo, l'origine della parola "corsaro" risaliva

al gran numero di pirati corsi, per cui dire pirata e corso era tutt'uno. ii Rip. in «Storia dell'anno 1739», libro quarto, pag. 223. iii fdem, pag. 224.


IL SETI'ECENTO

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Ricevutili e visti fallire tutti i tentativi negoziali, alla testa di un fortissimo contingente il 2 giugno marciò sulla provincia di Nebbio e s'impadronì di tutti i punti strategici in modo da costringere le Pievi a sottomettersi nel giro di tre soli giorni. Ottenne le armi e la cessione di ostaggi fra i quali, Giacinto Paoli. Da lui ebbe anche un ottimo consiglio, quello di rispedire indietro le odiatissime truppe genovesi e procedere colle sole francesi. Il risultato fu buono: marciò senza contrasti fino a Castiglione, presso Corte; e la notizia della sua avanzata e della presenza di Paoli come ostaggio indusse i cittadini a sottometterglisi di buon grado. L'esempio di Corte fu seguito da altre Pievi; e in luglio si poteva dire che tutta l'lsola si fosse sottomessa, poiché si erano presentati anche Giafferri e Brandoni. Le armi erano state consegnate e i Francesi stessi si stupi vano della rapidità e della facilità con cui erano venuti a capo della sollevazione. Solo la Pieve di Tarao continuò a resistere. finchè non fu presa e sottoposta a rappresaglie durissimeS. A quel punto Maillebois pubblicò due bandi nei quali annunciava ai Genovesi che potevano richiamare dalla Corsica le truppe che non vi erano più necessarie ed agli Isolani che il Re di Francia li prendeva sotto la sua cristianissima protezione. I Francesi si sostituirono alle guarnigioni ed ai comandi genovesi, i più importanti capi dei Malcontenti vennero portati via dalla Corsica e tutti si convinsero che veramente l'Isola stesse per passare da Genova all'Infante don Filippo di Borbone. L'ultimo atto di quel travagliato periodo fu puramente diplomatico. si svolse a Versailles e consistè nella conclusione di una Convenzione sugli affari di Corsica, firmata dai ministri francesi. dal delegato genovese e dall'ambasciatore austriaco a Versailles. Ma la trentennale rivolta era appena cominciata

~ Per dare un'idea della violenza degli scontri a Tarao basterà dire che dopo l'intervento dei granatieri, 40 Malcontenti si rifugiarono in una cascina, intorno alla quale i Francesi accesero il fuoco bruciandoli vivi tutti. Entrati poi a Guissoni catturarono il parroco, lo portarono a Corte e ve lo impiccarono in mezzo a due contadini della sua parrocch.ia.



CAPITOLO XX

LA SUCCESSIONE DI POLONIA: 1733 - 1739

I) Il motivo La successione al trono di Polonia, apertasi nel febbraio 1733, si presentò subito come una questione complicata. Ufficialmente la Polonia era una Repubblica, a capo della quale si trovava un re eletto dai nobili. Di fatto il sovrano. non possedendo un esercito che gli permettesse d'imporsi all'aristocrazia, era totalmente privo d'autorità e le grandi famiglie decidevano la vita del Paese secondo il proprio tornaconto. Tale situazione era favorevole alle Potenze confinanti. Prussia. Russia ed Austria che, sostenendo le proprie fazioni in quella nobiltà, evitavano qualsiasi preoccupazione di sicurezza lungo i confini polacchi. Per questo motivo le tre Nazioni appoggiavano la candidatura di Augusto di Sassonia, figlio del defunto Re. Ma proprio da questo sorgevano le complicazioni. Era infatti ancora vivo Stanislao Leszczynski, che aveva perso la corona dopo la sconfitta del suo protettore Carlo XU di Svezia e che, grazie al matrimonio della propria figlia Maria con Luigi XV. aspirava a tornare sul trono coll'appoggio francese. Il primo ministro del Cristianissimo, il cardinal Fleury, decise di appoggiare pienamente Leszczynski, spinto dai tanti cortigiani desiderosi di rivedere l'influenza francese affacciarsi sul Baltico, di ritrovare un alleato che minacciasse l'Impero da nord e convinti che l'elezione del principe elettore Augusto di Sassonia sarebbe stata un oltraggio al prestigio della monarchia borbonica. La parte francofila del patriziato polacco fu mossa ed adeguatamente sovvenzionata, cosiccbè, in quello stesso anno, l'ex-Re fu rieletto dalla maggioranza dell'aristocrazia. Vienna e San Pietroburgo s i armarono. Immediatamente entrò in scena l'esercito russo e, sotto la sua protezione, un piccolo gruppo di nobili proclamò a sua volta re Augusto m di Sassonia. La questione, in sè e per sè, non sarebbe stata tanto grave da costituire un casus belli se non sì fosse inserita in un complicato intreccio di opposti interessi, che avevano in comune una sola cosa: potevano essere risolti a spese della Casa d'Asburgo. ln primo luogo la Francia, oltre alle pretese dinastiche per il proprio candidato, mirava a eliminare la preponderante presenza austriaca in Italia: e il ministro francese C hauvelin aveva elaborato un piano politico che, se eseguito a dovere, avrebbe eliminato dall'Jtalia l'influenza direttamente esercitatavi dall'Austria, sostituendola con quella francese, indiretta, ma piiì pesante e completa. Occorreva una guerra; e questo significava trovare alleati per vincerla.

Il) La Sacra Real Maestà di Carlo Emanuele ID e il Real Infante don Carlo di Borbone

Dovendo combattere in Italia, il primo da accattivarsi era il Re di Sardegna, padrone incontrastato dei passi alpini.


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GLI ITALIANI IN ARM1

Carlo Emanuele m valutò la situazione. L'appoggio che la Francia offriva avrebbe portato a disporre di una potenza militare almeno pari a quella austriaca: e dunque era il caso di approfittare dell'occasione per ridurre o, magari, eliminare la presenza asburgica che si frapponeva fra i Savo.ia e il dominio sull'Italia. Sommando poi a ciò la promessa di ricevere i Ducati di Milano, sicuramente, e di Mantova, probabilmente, divenendo così il padrone dell'Italia Settentrionale, Carlo Emanuele m decise cbe il gioco valeva la candela ed accettò l'alleanza. Un altro alleato che non si fece pregare ad entrare in guerra contro 1· Austria fu la Spagna. Qui gli interessi erano differenti e per molti versi potevano entrare in collisione con quelli sardi e francesi. Non contentandosi di quanto aveva già fatto per don Carlos, la Regina di Spagna mirava a tenere Panna e Piacenza, acquisire definitivamente la Toscana, formalmente ottenuta col Trattato di Siviglia e da due anni presidiata da 6 .000 spagnoli, prendere Mantova e Milano e recuperare sia Napoli che la Sicilia. Chiaramente la prima cosa da fare era eliminare gli Austriaci. Il fallimento avuto ai tempi di Alberoni aveva fatto comprendere che, senza almeno un appoggio francese, ogni iniziativa in Italia era destinata all'insuccesso. Per questo motivo la Spagna, o meglio, la Regina di Spagna, colse al volo l'occasione che si presentava ed entrò a far parte dell'alleanza contro Vienna La Prussia, per sostenere i propri interessi, si alleò coli' Austria: e cominciò la guerra

Ili) La campagna del nord: 1733- 1734

Il problema principale che si poneva al cardinal Fleury consisteva nel condurre il conflitto senza perderlo. ma evitando anche di provocare, con una vittoria eccessivamente rilevante, l'intervento inglese contro la Francia. a salvaguardia della " Balance of Powers." In primo luogo, per non estenderla eccessivamente, la guerra non fu quasi combattuta in Polonia, troppo lontana, ma nei territori dell'Impero più vicini alla Francia, cioè Italia e Germania. facendo un'avanzata parallela contro Vienna come nella guerra precedente. Nonostante l'età avanzata e lo scarso numero di truppe ai suoi ordini. 35.000 imperiali contro 80.000 francesi, il principe Eugenio di Savoia. manovrando abilmente, riuscl ad impedire al nemico di marciare su Vienna, arrestandolo in Renania. Scarsamente aiutato dai Russi, da 6.000 prussiani e da altrettanti soldati mandatigli dal Re d'Inghilterra in qual ità di Elettore di Hannover, il Principe non poté però evitare di perdere la Lorena e le due teste di ponte renane di KehJ e Philippsburg. Ma la guerra in Germania non era quella su cui convergeva l' attenzione dei due contendenti. La partita vera si giocava in [talia; e si giocava sul serio. Gli accordi fra Versailles e Torino prevedevano l'invio di 40.000 francesi, comandati dal Maresciallo Villars, che si sarebbero posti agli ordini di Carlo Emanuele l11 insieme a 24.000 piemontesi. li Re di Sardegna entrò in azione da solo il 28 ottobre 1733 occupando Vigevano; il 29 bloccò le piazze austriache di Novara e Tortona. Il 31 le sue truppe entrarono a Pavia; il 2 novembre in.iziò la marcia su Milano, facendovi entrare il 3 i 12 battaglioni e 9 squadroni del generale conte di Coigny. Il governatore austriaco, conte Daun, avendo saputo dell'avvicinarsi dell' Armata Sarda, aveva messo un po' di soldati nel castello di Milano, altri 800 a Mantova e si era ritirato oltre il Mincio chiede ndo disperatamente aiuto a Vìenna ed abbandonando a se stesse le fortezze della Lombardia. Carlo Emanuele m lasciò Coigny a predisporre le operazioni contro il castello di Milano e andò ad assediare Lodi e, dal 7, il sistema fortificato Gera d'Adda - Pizzighettone.


IL SE'ITECENTO

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Il 15 i Francesi «non tardarono a comparire e a riunirsi ai Sardi, formando insieme con essi, loro alleati, quell'armata formidabile che gli Italiani chiamavano l'armata dei GalloSardi»i. Come era già accaduto nella guerra precedente, l'assedio del più importante sistema difensivo della Lombardia, dopo Mantova, cominciò dalle fortificazioni di Gera d 'Adda il IO e terminò colla capitolazione conclusa il 30 novembre, in forza della quale il 9 dicembre gli Imperiali uscirono anche da Pizzighettone coli' onore delle armi. Il 1O il Re rientrò a Milano con parte delle sue truppe, mentre il grosso dei Gallo-Sardi poneva l' assedio a tutte le altre fortezze lombarde meno Mantova. La notte fra il 21 ed il 22 dicembre, 45 pezzi d'artiglieria aprirono il fuoco sul Castello di Milano. Il 29 fu aperta una breccia e ne segui la resa. La guarnigione imperiale uscì il 2 gennaio 1734 « .. avendo chiesto e ottenuto tutti gli onori di guerra, tamburo battente, bandiere spiegate e carri coperti.fino a Mantova, dove c'era il quartier generale dei Tedeschi che non avevano ancora adunato forze sufficienti per opporsi ai progressi dei nemici»ii_ Il 3 Coigny aprì la trincea sotto Novara, la cui guarnigione capitolò il 7 e ripiegò su Mantova. Il 5 gli Alleati presero il castello di Serravalle. Il 26 assediarono Tortona: vi entrarono l'indomani. Due notti dopo aprirono la trincea sotto il castello, nel quale s'era rifugiata la guarnigione, lo bombardarono con 45 cannoni e 16 mortai e costrinsero i I .300 imperiali che lo presidiavano a capitolare, il 5 febbraio, e ad evacuare verso Mantova il 9. Liberatosi degli Austriaci, Carlo Emanuele III assunse il titolo di duca di Milano ed iniziò ad arruolare i Lombardi << •••per rinforzo dell'Armata, e la leva facevasi con del successo, correndo con animo alacre non pochi ad arrolarsi sotto lo Stendardo del Re di Sardegna, in cui nomeformavansi li Reggimenti»lii senza interrompere le operazioni militari, nonostante fosse già inverno. Entro la fine di febbraio tutte le fortezze lombarde erano cadute. In marzo, passata la rassegna dell'Armata. forte ormai di 70.000 uomini, si tenne un consiglio di guerra. Poi le truppe si spostarono davanti a Parma e Piacenza, per proteggerle in quanto alleate. Carlo Emanuele aveva però anche un problema politico non indifferente da risolvere. La Regina di Spagna, come s'è detto, desiderava che ai suoi figli fossero date Napoli, Milano e Mantova; e questo contrastava coi trattati tra Francia e Sardegna, che stabilivano l' attribuzione dei due Ducati ai Savoia. Ora, se Milano era già in mano ai Piemontesi, Mantova, non essendo stata conquistata, era ancora da assegnare. Parma, che sarebbe toccata a don Filippo di Borbone, da sè non era gran cosa ma, se fosse stata unita a Mantova, si sarebbe ripresentata la situazione durata fino al 1712, con i Savoia circondati da Francia e Spagna. Venezia si era pronunciata per la neutralità ma, non fidandosi della correttezza dei due contendenti, visto quanto era capitato nella passata guerra, aveva rinforzato le proprie guarnigioni del Bresciano e del Veronese. Vi aveva fatto affluire truppe dal Levante e dalla Dalmazia e le aveva poste al comando del cavalier Carlo Pisani, nominato «Generale Straordinario per vigilare alla custodia dei confini». Ciò testimoniava quanto poco affidamento si potesse fare sulla speranza che in una guerra futura le truppe austriache, magari alleate dei Sardi, potessero passare attraverso il "Veneto Dominio di Terraferma" e, di conseguenza, quanto fosse importante aggiudicare a Torino o, se non ci si riusciva, lasciare a Vienna il possesso di Mantova. Così Carlo Emanuele IU decise d'aspettarne la definitiva assegnazione prima di iniziarne l' assedio.

i CARLO GoLDONI, «Memorie», Torino, Einaudi. 1967, pag. 139. ii GOLDONI, op. cit., pagg. 146-7.

iii IGNOTO: «Storia dell 'anno 1734», Venezia, Pitteri, s.d. 1741 , libro I, pag. 37.


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01.1 ITALIANI IN ARMJ

Nel frattempo 27.000 spagnoli, sbarcati a Livorno agh ordini del conte di Montemar, si unirono ai reparti dell'Infante don Carlo provenienti da Parma e marciarono verso sud, alla conquista dei regni di Napoli e Sicilia. In maggio ripresero i movimenti degli eserciti nella Pianura Padana. L'armata austriaca, agli ordini del conte di Mercy, ricevuti rinforzi dal Trentino, attraversò la Lombardia e, gettati due ponti a Porziolo, passò il Po ed entrò nel Ducato di Parma dirigendosi verso Colomo. Ne derivò un lungo periodo di manovre, passaggi di fiumi e scontri di entità relativamente ridotta, con dissidi fra Villars e Carlo Emanuele sulla condotta delle operazioni. ViJlars alla fine dovette cedere e, me1tendo avanti la sua malferma salute, chiese ed ottenne di lasciare il comando', che fu assunto da Coigny. La situazione si sbloccò quando Mercy, gettati tre ponti sull'Enza, li varcò il 13 e s'accampò presso San Prospero. Il giorno dopo ordinò di assalire la fortezza di Monte Chiarugolo il cui presidio. 100 miliziani del Duca di Parma, assai saggiamente si arrese alla prima intimazione. Gli Alleati si portarono allora a Cervera, a circa due chilometri e mezzo dal campo nemico. e si fermarono. Tutti i movimenti fatti fino a quel momento avevano una ragione ben precisa. Gli Austriaci volevano tenere separati i Gallo-Sardi nella Pianura Padana dagli Spagnoli, presenti in Toscana e nell'Italia Meridionale, per raggiungere questi ultimi e distruggerli prima che s'impadronissero completamente dei regni di Napoli e Sicilia. Jnfaui l'lmpera1ore non aveva modo di far affluire laggiù forze consistenli altro che per via di terra, perché era privo di una flotta sufficiente. Proprio per questo i Gallo-Sardi cercavano invece di rimanere a poca distanza dall'armata imperiale e Mercy, accortosene, invertì la marcia e s'avvicinò a Parma. In assenza di Carlo Emanuele ill. partito iJ 20 per raggiungere a Torino la moglie gravemente ammalata, il Maresciallo Coigny, avvisato da una spia che faceva il doppio gioco, aveva spiccato in ricognizione i reggimenti di Champagne e Piccardia sostenuti da 29 compagnie di granatieri francesi e da 7 di granatieri sardi. Arrivati alla Crocetta, in vista dei bastioni di Parma. trovarono i circa 46.000 imperiali e 10 cannoni di Mercy e ingaggiarono il combattimento, sostenuti rapidamente dal grosso. Morl il conte di Mercy, colpito da una cannonata; caddero quattro Marescialli francesi, Coigny venne ferito durante lo scontro e, dopo nove ore, il principe di Wilrttemberg ordinò la ritirata alle sue forze che. raccolti i feriti, ripiegarono verso Reggio, decidendo in favore degli Alleati l'esito fino allora incerto della battaglia. I Gallo-Sardi partirono all'inseguimento ma per difficoltà di rifornimento si fermarono già il 30, dopo aver preso Guastalla, Parellara e 1.400 prigionieri. Poco tempo dopo Carlo Emanuele m, diffidando del Duca di Modena e ritenendolo un po' troppo ben disposto verso l'Impero. stabilì di far occupare il Ducato dalle truppe alleate. A dir la verità Rinaldo d'Este, avvicinatosi all'Austria perché sperava di mettere le mani su Comacchio2 aveva già sborsato una grossa cifra ai Franco-Sardi per «l'indulto di godere le prerogative di una intera ne11tralità.,.". Quando seppe che cosa stava per accadergli, decise

I Stava male davvero. infatti di li a poco mori a Torino, nella stessa stanza e nel medesimo leuo in cui era nato 8 I anni prima. 2 Come abbiamo visto, Comacchio, appanenente al Papa da quando gli Estensi avevano perso Ferrara, era stata occupata nel 1708 da truppe imperiali e modenesi. resa dal!· Au\tria alla Chiesa nel 1724 e nuovamente occupata nella guerra in corso. Gli Este avrebbero tentato di recuperarla ancora fin dopo la Guerra di Successione d'Austria. ,. «Storia dell'anno 1734», libro I, pag. 39.


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che fosse meglio fuggire a Bologna, lasciando al marchese Rangoni l'incarico di perorare la sua causa davanti al Re di Sardegna Appartenenti ad uno Stato neutrale, colte di sorpresa e prive di ordini, le guarnigioni estensi si comportarono in modo differente. Quella di Reggio rifiutò di capitolare: e i repani alleati entrarono in città «a discrezione». Quella di Modena, invece, il 20 luglio accettò una capitolazione che la privava delle armi e scioglieva la milizia, ma le garantiva piede libero, rifornimenti di viveri e materiali di casermaggio e, soprattutto, salvaguardava diritti. giurisdizione e rendite del Duca. Sistemata Modena, fu risolta anche la questione sorta fra le truppe imperiali e lo Stato della Chiesa, a causa degli sconfinamenti delle prime sia nelle zone intorno a Ferrara e Bologna che, da parte della guarnigione dello Stato dei Presidi, nei feudi pontifici di Castro e Ronciglione. ll resto dell'estate trascorse in manovre e tentativi di ogni genere, fra i quali una fallita scorreria imperiale, il 9 agosto, contro il quartier generale di Carlo Emanuele lii. A settembre, il feldmaresciallo conte di Konigseck, nuovo comandante imperiale, riprese il piano di Mercy e marciò dritto su Guastalla passando il Secchia a Quistello la notte del 15 e prendendo di sorpresa gli Alleati, ai quali inflisse notevoli perdite. Gli Imperiali si accamparono poi a San Benedetto, rimettendosi infine in moto verso Guastalla, dove Carlo Emanuele, riordinato l'esercito e appostatolo su un ottimo terreno nell'ansa del Po, li attendeva. Attaccarono il 19 settembre. Gli Alleati resisterono su tutta la linea, contrattaccando colla cavalleria ed alleggerendo la pressione nemica sulle ali. Sperando di sfondare il centro alleato, tenuto dai Sardi dei reggimenti Guardie e Piemonte arroccati in due cascine, avanzarono 7 battaglioni della riserva condotti dal principe di Wurttemberg. I due reggimenti sabaudi contrattaccarono alla baionetta, fermarono l'assa.lto nemico ed uccisero lo stesso Principe. Gli imperiali, respinti, si sbandarono, mentre avanzavano alle loro calcagna i granatieri alleati, i quali trasformarono il ripiegamento del centro in una ritirata dell'intero esercito avversario che, persi 5 cannoni, 9.000 uomini e molte bandiere si rifugiò a Luzzara. Seimila francosardi restarono sul terreno. Gli Austriaci erano definitivamente confinati oltre il Mincio e, dopo qualche movimento nei mesi seguenti ed un abbozzo d ' assedio fatto dai Francesi al castello di Mirandola, dalla metà dì dicembre entrambe le amiate presero i quartieri d ' inverno. Restava da risolvere la questione di Mantova, cbe Carlo Emanuele non era mioimamente disposto a lasciare ai Borboni una volta caduta; e la faccenda si faceva urgente perché gli Spagnoli, conquistati i regni di Napoli e di Sicilia, stavano risalendo la Penisola diretti proprio là.

IV) La campagna del sud: 1734 La campagna delle truppe spagnole nell ' ltalia Meridionale era stata rapida e fortunata come poche, anche per il fatto che l'esercito franco-sardo aveva trattenuto quello imperiale nel Nord impedendogli di soccorrere le deboli guarnigioni del Sud. Il 24 febbraio don Carlos s'era congedato dal Granduca di Toscana e si era avviato verso Arezzo per passare in rassegna l'armata. Il 27 aveva ricevuto la lettera con cui Filippo V lo nominava generalissimo spagnolo in Italia ed era partito alla conquista del Regno di Napoli, avanzando con 22.000 fanti e 5.000 cavalieri e mandandone altri 8-10.000 verso le Romagne da dove, invece di passare ad unirsi alle truppe franco-sarde, procedettero per l'Abruzzo. Il vicerè austriaco Visconti disponeva di soli 7.000 uomini tra fanteria e cavalleria. Anche contando di ricevere in tempo i rinforLi promessigli - solo altri 2.000 soldati dalla Sicilia e


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3.000 dal!' Austria - non sarebbe riuscito a resistere in campo aperto, ragion per cui decise di guarnire le piazze e di ritirarsi coUe truppe rimanenti in Puglia, per attendervi i soccorsi, portandosi via la cassa del Reame e la maggior quantità possibile di vettovaglie. Intanto, passando per Perugia, Monterotondo, Frosinone e Montecassino, Carlo di Borbone giunse ad Aversa il 9 aprile e ricevè l 'omaggio dei deputati di Napoli, che gli presentarono le chiavi della città. Due giorni dopo, il conte di Montemar entrò nella capitale, nel cui porto stazionavano già le 9 navi da guerra ed i 45 vascelli da trasporto con cui l'ammiraglio Clavijo aveva conquistato Procida ed Ischia e che recavano ingenti quantitativi di munizioni ed artiglieria. Restavano però ancora le guarnigioni imperiali, poste da Visconti nei cinque castelli cittadini; e Montemar iniziò gli assedi. Il 27 cadde il castello di Sant'Elmo, presidiato da 400 uomini; il 30 si arresero la torre di San Vincenzo ed il Torrione dei Carmelitani, difesi complessivamente da 360 soldati. J 150 di Castel deU 'Ovo alzarono bandiera bianca il 3 maggio e, infine, i 400 di Castel Nuovo si consegnarono il 7 maggio. Buona parte di loro passò al servizio del Borbone, gli altri furono mandati in prigionia in Spagna. Il 10 maggio Carlo entrò a Napoli tra grandi manifestazioni di giubilo. Cinque giorni più tardi giunse la lettera con cui Filippo V gli cedeva Napoli e Sicilia creandolo Re col nome di Carlo VIP. Fu cantato iJ Te Deum, furono sparati numerosi fuochi d'artificio, venne illuminata la città per tre sere di seguito e San Gennaro manifestò la sua approvazione facendo Liquefare iJ proprio sangue. Intanto il vicerè Visconti, giunto in Puglia con soli 4.000 uomini, s'era spostato da Barletta a Taranto, aveva ricevuto i 2.000 uomini inviatigli dal conte di Sustago, vicerè di Sicilia, e i 4.000 mandatigli dall'Imperatore, da Trieste via mare a Manfredonia, e poteva contare su 7.000 fanti, 2.000 cavalieri e 600 ussari. Accortisi dei rinforzi nemici, i generali spagnoli dell'avanguardia c he l'aveva inseguito tornarono sui propri passi ed avvisarono il Re. Da Napoli mossero due forze diverse. La prima navale, 4 vascelli da guerra, che andarono ad unirsi in Adriatico alla squadra di 12 galee del cavaliere d'Orléans per impedire la navigazione ad eventuali altri convogli di rinforzi imperiali. La seconda terrestre, 10.000 uomini agli ordini di Montemar, per battere gli Austriaci in Puglia. Dopo alcune schermaglie d'avanguardia, vinte sempre dagli Spagnoli, i due eserciti si scontrarono a Bitonto il 25 maggio. La cavalleria imperiale abbandonò subito il campo e la propria fanteria la quale, inferiore di numero a quella avversaria, al primo assalto cedette e si sfasciò. Superata una brevissima resistenza avversaria fatta nel castello di Bitonto, Montemar giunse a Bari, l'assediò e la costrinse aUa resa, infiliggendo all'esercito imperiale perdite, tra caduti e prigionieri, per 9.300 uomini sugli originari 9.600. li vicerè Visconti si salvò fuggendo a Pescara e, poco tempo dopo, saputo che il Duca di Castropignano marciava aUa sua volta con 6 battaglioni ed alcuni cannoni, riparò per mare a Ancona. Intanto gli Spagnoli passavano ad assediare le piazzeforti del Regno rimaste in mano nemica. Anche qui il gioco fu abbastanza facile. Pescara, Brindisi e Gallipoli si arresero dopo una brevissima resistenza e la guarnigione di Cortona a mare4 riuscì ad inchiodare i cannoni e ad imbarcarsi su un vascello genovese, che la portò in salvo a Trieste. Restavano le due fortezze maggiori, Capua e Gaeta. La seconda era stata bloccata, ma non investita, già da tempo. Tutto era pronto per iniziarne l'assedio, il cui principio fu sospeso fino

3 Come re di Napoli Carlo era Carlo Vll; ma è ricordato coll'ordinale che ebbe dal 1759, quando sali al trono di Spagna come Carlo 111. 4 Poi ridenominata Ortona.


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al 30 luglio per attendere la venuta del Re. Non appena la nave su cui viaggiava Carlo calò le ancore neUa rada, i 60 cannoni e 24 mortai del Duca di Liria aprirono il fuoco contro la fortezza che, a corto di viveri, capitolò il 6 agosto. lasciando in mano agli Spagnoli 2.500 uomini e 80 cannoni. Contemporaneamente incominciarono le operazioni intorno a Capua. che però si sarebbe dimostrata un osso assai più duro di Gaeta, visto che avrebbe resistito fino alla fine di novembre. Il 7 agosto rientrarono a Napoli le galee del cavalier d'Orléans e arrivò un terzo convoglio dalla Spagna. Grazie alle ingenti ricchezze giuntegli il 19 giugno dalJ · America, Filippo V aveva potuto mandare 6 navi e ben 36 trasporti con 4.000 uomini, 30 cannoni, 60.000 pistole, montagne di munizioni ed un milione e mezzo di scudi per l'impresa italiana di suo figlio. Due settimane dopo iniziò l'imbarco delle truppe destinate alla presa della Sicilia. Il 23 agosto 300 navi, che trasportavano 2.000 cavalieri e 18.000 fanti, salparono alla volta dell'Isola. Il 28, dopo essersi divise in due, le truppe spagnole presero terra, tra Palermo e Termini la maggior parte, agli ordini di Montemar, e in prossimità di Messina il resto, comandato da Marsillac. Palermo cadde. la città di Messina pure e il presidio austriaco di Milazzo, intercettato mentre puntava su Messina. fu catturato. Andò peggio alle guarnigioni di Mola e Taormina, attaccate e massacrate dalle milizie arruolate a proprie spese da alcuni signori siciliani filospagnoli mentre tentavano di spostarsi a Messina. Alla fine di novembre restavano in mano austriaca solo le città di Trapani e Siracusa e la cittadella di Messina. Visto che le cose sembravano andare per le lunghe, Montemar decise di convertire gli assedi in blocchi ed ordinò di far partire con un convoglio di 25 navi i 4.000 uomini destinati all'assedio di Capua. Vi arrivarono ma a cose fatt.e: la guarnigione, dopo un 'ostinata resistenza costellata di sortite sanguinose, aveva capitolato il 30 di novembre. L1 sua resa ebbe due conseguenze: gli Austriaci decisero che non valeva più la pena di tentare di forzare il passaggio verso il sud attraverso le annate franco-sarde e preferirono mantenere col minimo sforzo ciò che avevano ancora in Italia, cioè Mantova, per concentrarsi in Germania, gli Spagnoli invece, privi ormai di preoccupazioni nel Meridione, organizzarono un esercito di 25.000 uomini, che Montemar avrebbe condotto sui campi di Lombardia.

V) La sottomissione della Sicilia

Il 3 gennaio del 1735 Carlo partl alla volta della Sicilia via terra, scortato dalle sue Guardie del Corpo e da un distaccamento di dragoni. Lo stesso giorno Montemar uscì da Napoli alla testa delle truppe dirette a unirsi ai Francosardi. Carlo arrivò a Messina verso la fine del mese sperando d'indurre colla sua presenza Lobkowitz a far arrendere la piazza. L'assedio durava da quasi sei mesi. Lobkowitz aveva prima abbandonato la città, mantenendo i bastioni di San Biagio e Santa Caterina, poi, dopo dodici giorni, si era ritirato nella cittadella. Aveva poche provviste. perché le scorte, teoricamente sufficienti per un anno. non sarebbero bastate nemmeno per due mesi se il presidio fosse stato al completo. Nonostante ciò la sua difesa fu ostinata. Ma il 23 febbraio le risorse erano ormai al minimo e non appariva neanche la più remota possibilità di ottenere soccorso, cosicchè fece battere la chiamata e mandò a dire al Conte de Marsillac, comandante degli assedianti, che era pronto a discutere la resa. Caduta Messina, gli Spagnoli si dedicarono a Siracusa, piazza agli ordini del generale Roma, che rifiutò d'arrendersi anche davanti alla minaccia di vedersi passare a fil di spada l'inte-


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ra guarnigione: ma il 2 giugno dovette arrendersi, ottenendo condizioni simili a quelle di Lobkowitz a Messina (ebbe modo di portar via 50 colpi per soldato e tre pezzi d'artiglieria) uscendo dalla cittadella il 22 dello stesso mese. La resa di Siracusa segnò la fine anche dell'ultima piazza in mano agli Asburgo, cioè Trapani, arresasi alle stesse condizioni delle altre nella seconda metà di maggio. A quel punto Carlo, entrato solennemente in Palermo il 18 maggio, poté farsi incoronare Re di Sicilia il 3 luglio, poi nominò vicerè il Marchese di Grazia Reale e rientrò a Napoli.

VI) La campagna franco-sarda in Lombardia e la presa dello Stato dei Presidi

Prima dell'apertura delJa campagna del 1735, a Parigi si era deciso, d'accordo con Torino, che il Re di Sardegna avrebbe mantenuto la carica di generalissimo dei tre eserciti alleati, i quali avrebbero cooperato. Gli Spagnoli si sarebbero occupati del Parmigiano, poiché si trattava dello Stato ereditario di Carlo di Borbone, e gli 83.0005 franco-sardi, avrebbero impegnato gli Imperiali, destinando 50.000 uomini contro l'alto e 30.000 contro il basso corso dell'O· glio. Vista la propria inferiorità numerica, il generale austriaco Wallis incominciò a manovrare già in gennaio, obbligando coi suoi movimenti il Duca de Broglie a cambiare tre volte disposizione, inducendolo a spostarsi da Cremona a Guastalla, poi a Reggio e infine di nuovo a Cremona. Ma non rischiava troppo, perché gli Spagnoli non si affrettavano molto, preferendo dedicarsi prima ad assediare le piazze di Porto Ercole e Monte Filippo nello Stato dei Presidi. La faccenda si prospettava lunga; e lo sarebbe stata se non fosse saltato il nuovo magazzino delle polveri di Monte Filippo6, la cui caduta provocò quella di Port'Ercole, situato più in basso e sotto il suo tiro. Orbetello resse più a lungo. ma alla fine la guarnigione, ottenuta la garanzia d'essere trasferita via mare a Trieste, si arrese e promise di non servire contro gli Alleati per un anno. li 22 aprile la partita nello Stato dei Presidi era chiusa e Montemar ordinò di puntare sulla Lombardia.

VO) La congiunzione dei tre eserciti alleati e il blocco di Mantova

All'inizio di maggio gli Spagnoli arrivarono a Bologna, unendosi poi ai Franco-Sardi. L' 11 maggio il Re di Sardegna tornò all'armata. Aveva tardato a causa della morte della moglie, avvenuta il 13 gennaio; ma non si era verificato nessun combattimemo fino allora e la sua presenza non era stata necessaria. Dopo il suo arrivo venne effettuata qualche manovra per riunire le truppe articolandole su tre lince: la prima, centrale, da Reggiolo al Secchia era agli ordini del Re e del nuovo comandante francese Noailles; la seconda, costituente l'ala destra, sotto Montemar, il marchese di Susa e il marchese de Retz, copriva il Modenese. La terza, raia sinistra, aveva un comando franco-sardo e andava da Viadana a Bozzolo.

5 Secondo le liste pubblicate allora, all'inizio della campagna i Francesi schieravano 57.440 uomini, i Sardi 26.450 e gli Spagnoli, limitatamente all'ItaHa del nord, 25.190 6 Quello vecchio era in una caverna così profonda che occorreva un quarto d'ora per tirane fuori un barile di polvere; il comandante della guarnigione ne aveva allora fatto costruire uno, più esterno. in cui teneva di solito i 70 barili di polvere che gli servivano per il consumo giornaliero e tutte le bombe e le granate per i cannoni. Ci cascò sopra una bomba e saltò tutto.


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Subito dopo fu tenuto a Guastalla un consiglio di guerra nel quale Carlo Emanuele Hl, d'accordo con Noailles e Montemar, stabill di ricacciare il nemico oltre il Po a qualunque costo, se possibile manovrando, se no attaccando con decisione, dirigendo il grosso dell'Armata alleata contro Mantova e distaccando un'aliquota contro Mirandola per assediarla. Bastò manovrare. Senza scontri di rilievo, Carlo Emanuele passò il Po, obbligò gli Austriaci a ripiegare in Trentino e li fece inseguire fin sull'Adige, distaccando poi Maillebois a bloccare Mantova. Questi le piazzò intorno 70 cannoni e 40 mortai d'assedio. Organizzò poi una flottiglia di barche porta munizioni e, impadronitosi delle galeotte abbandonate daglj Austriaci all'inizio del mese vicino a Revere, le riutilizzò per pattugliare le acque del lago ed impedire che la città potesse essere approvvigionata. Infine la circondò disponendo le sue truppe in un largo anello e in blocchi di 1.500 uomini ciascuno. Non poté fare dj più perché l' aria malsana delle paludi ed il caldo nuocevano ai soldati ed impedivano di avvicinarsi di più alle fortificazioni per un assedio vero e proprio.

VII[) Manovre in Veneto L'unico pericolo che poteva minacciare il blocco di Mantova consisteva in un ritorno offensivo degli Imperiali dal Trentino, magari coll'appoggio degli Svizzeri. Effettivamente Carlo VI aveva preso contatto coi Grigioni per ottenerne collaborazione ed aiuti; ma saputasi la cosa a Versailles, Luigi XV fece partire un inviato straordinario, che il 20 agosto presentò loro una cortese quanto velatamente minacciosa lettera, sufficiente ad indurli a respingere qualunque proposta austriaca. Eliminato il rischio d ' un intervento svizzero. Carlo Emanuele si preoccupò di chiudere e presidiare i passi da cui potevano venire gli Imperiali se avessero voluto ridiscendere in Italia. Formò quindi quella che chiamò Armata d ' Osservaz:ione, composta da tutte le truppe alleate non impegnate nel blocco di Mantova, e la fece entrare I '8 settembre in territorio veneziano. Più in dettaglio: i Francesi furono ripartiti in Veneto, i Piemontesi vennero concentrati a Salò per difendere la riva occidentale del Garda; e gli Spagnoli dovettero avanz:are sul basso Adige e nel Veronese. Si ripeteva la medesima situazione strategica del 170 l. Come allora gli Austriaci provarono a scendere nella pianura; ma arrivò l'inverno e tutto si fermò. In tutto questo Mantova sembrava essere stata dimenticata, nonostante per la sua posìz:ione strategica e la sua assegnazione - ancora da decidere - fosse senza dubbio un obiettivo di primaria importanza. Il motivo di tanto apparente disinteresse era sempre nell'incertezza di chi sarebbe stato il suo proprietario dopo la guerra. La complicazione maggiore per la condotta dell'assedio era qufodi politica e non militare. Frn l'altro era anche sorta una disputa in merito al comando supremo, perché Elisabetta Famese pretendeva che i suoi soldati obbedissero esclusivamente ai Borboni di Spagna ed ai loro rappresentanti, cioè a suo figlio. il re di Napoli Carlo, e a Montemar che, a sua volta, non avrebbe dovuto riconoscere alcun altro superiore; mentre sottostavano al comando di Carlo Emanuele ID i Sardi come i Francesi. Quando a questo ed alla destinazione di Mantova si aggiunsero pure delle questioni riguardanti l' attribuzione della Lombardia, la misura, specie a Versailles. venne ritenuta colma. Così il Re di Francia. seccato dalle continue e perentorie richieste che venivano avanzate dalla Regina di Spagna, inviò chiari ordini al Duca di Noailles, che li passò per competenza al Marchese de Maillebois il quale, ricevutine di analoghi da Torino, li esegul alla perfezione, col risultato che sotto Mantova in pratica non si sparò più un colpo, almeno da parte dei Franco-Sardi. Ci furono infatti solo due piccoli scontri fra Spagnoli e Imperiali io agosto Intanto !"intervento russo nel nord aveva permesso all'Imperatore dj disimpegnare truppe dalla Germania per inviarle in Italia. E non appena appresero la notizia, con lodevole senso di


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solidarietà gli Spagnoli levarono le tende, sperando in una disfatta dei Gallo-Sardi che, cacciandoli dalla Lombardia, ne rimettesse in discussione il dominio. Ma l'esercito di soccorso non arrivò mai a Mantova ed i Franco-Sardi proseguirono il blocco. Poi un principio d'intromissione diplomatica da parte delle Potenze Marittime indusse Vienna ad avanzare delle proposte di pace. Fleury, ben lieto d'aver evitato l'intervento militare inglese, le accettò, arrivando ai Preliminari di Vìenna del 3 ottobre '35 ed al conseguente armistizio. che stabilivano un progetto di assetto politico. Col procedere delle trattative gli eserciti incominciarono ad abbandonare i territori occupati, con gran sollievo degli abitanti che avevano patito danlli non indifferenti 7, terminando entro la fine dell'autunno del 1736. La Pace di Vienna del 18 novembre 1738 stabilì il nuovo assetto politico territoriale europeo cbe, specialmente in Italia, presentava delle grosse novità. Augusto ill rimase re di Polonia; Lesczynsk.i ricevè la Lorena. la contea di Bar e Nancy, colla condjzione che, alla sua morte, sarebbero passate alla Francia. Il Duca di Lorena, che aveva sposato Maria Teresa d'Asburgo, unica figlia ed erede dell'imperatore Carlo VI, fu trasferito in Toscana. dove la Casa Medici s'era estinta nel 1737 con la morte del granduca Giangastone. Carlo di Borbone fu riconosciuto re di Napoli e di Sicilia; mentre l'Impero riacquistò Milano, tenne Mantova e si aggiudicò Parma. Carlo Emanuele lll. privato della Lombardia perché le altre Potenze avevano deciso di evitare l'uscita degli Asburgo dall'Italia, dove potevano fare da contraltare ai Borboni, ottenne solo le province di Novara e Tortona ed il feudo imperiale comprendente Cairo e Millesimo. Due le conseguenze della guerra. La prima, di ordine politico, consisteva nello stabilimento d'un assetto cbe, a parte qualche mutamento anche di una certa rilevanza, sarebbe restato in piedi per oltre 120 anlli, scomparendo dalla scena del mondo solo coll'Unità d'Italia. Il potere deU' Austria veniva ridimensionato, ma restava; e accanto ad esso ne appariva un altro: i Borboni di Napoli. Avrebbero tentato di espandersi o no? Quanto sarebbero risultati pericolosi per la Sardegna nella loro indubitabile qualità d i alleati fissi della Francia e de.Ila Spagna in caso di 1:,>uerra? Quali sarebbero state. insomma, le conseguenze dell'instaurazione a Napoli del dominio di Carlo di Borbone sul progetto sabaudo di assoggenazione del resto d'Italia? L' unica cosa certa era che, comunque volesse agire, la misura deUa sua potenza sarebbe stata data dall' unico strumento diplomatico veramente risolutivo, cioè dal suo esercito. In Italia stava per nascere un fattore militare nuovo, e questa era la seconda conseguenza della guerra, ma le sue capacità erano un' incognita. Sconosciuto, perché ancora da organizzare, per il momento l'esercito napoletano poteva dare una sola certezza ai politici della penisola: quella che sarebbe stato un elemento di cui si sarebbe dovuto tener conto in futuro. Dopo pochissimo tempo, la Guerra di Successione d 'Austria lo avrebbe dimostrato.

IX) Fuori programma: Alberoni a San Marino, 1739 Finita la guerra grande, un fantasma del passato ne accese una piccolissima. Il cardinale AJberoni minacciò San Marino. Come mai? Riapparso a Roma dopo qualche tempo dalla fine deUa questione sardo-sicula, Alberoni aveva dovuto affrontare un lungo procedimento intenta-

7 E gli abitanti dei paesi neutrali non avevano soffeno meno degli altri. Valga come esempio la notissima tenera con cui il cardinal Lambertini arcivescovo di Bologna chiedeva a.I papa un più largo indulto riguardo ai cibi consentiti nella Quaresima del 1736, cominciandola così: «Per l'insopportabile incomodo delle truppe alemanne, non vi sono pi,, ova essendosi compiaciuri i nostri ospiti di mangiarsi tutte le galline ..». Rip. in F. MOl'ITANARI, ..n Cardinale Lambertini", Milano, F.lli Bocca 1943. p. 39.


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toglj dalla Santa Sede più per tener buone la Spagna e Panna che per convinzione. Accertata però la sua innocenza sulla base dei documenti che era riuscito a portare via da Madrid, era stato nominato Cardinale Legato in Romagna a partire dal 1735. Dopo qualche tempo si verificarono nella Repubblica di San Marino delle tensioni tali da indurre alcuni Sanmarinesi a presentargli, nel 1739, un supplica perché li sollevasse dall'oppressione della parte politica avversa. La supplica in questione era solo l'ultima di una lunga serie già presentate al Papa il quale, sentiti vari pareri (la faccenda andava avanti da un pezzo; San Marino era un ricettacolo di contrabbandieri su cui la Reverenda Camera ApostoHca avrebbe volentieri messo le manj; e per di più in agosto si era diffusa la notizia che forse la RepubbHca sarebbe finita in mano al Granduca di Toscana. cioè all'Austria), trasmise ad Alberoni le istruzioni e plenipotenze per ricevere l'Atto di Soggezione della Repubblica se iJ popolo avesse persistito nel volersi sottomettere al potere pontificio. n 17 ottobre 1739 il Cardinale partì da Rimini con tre carrozze senza scorta, si presentò a Serravalle - uno dei cinque villaggi dipendenti dalla Repubblica - e vi fu accolto con dimostrazioni di giubilo, organizzate immediatamente dal parroco, che fece richiesta pubblica, per sè e per il popolo, di diventare sudwto della Santa Sede. Vista la buona accoglienza, proseguì per San Marino e, quando due Deputati della Reggenza ricevendolo gli domandarono in cosa potevano essergli utiU, rispose che l'avrebbero saputo a suo tempo. Durante la notte i cittadini filoalberoniani assalirono la guardja della Ripa e fecero entrare in città un reparto ili 200 nùliziotti pontifici di Verucchio. Il Cardinale ne pose 140 a guardia delle porte rilevando gli otto soldati della Repubblica che le presidiavano ma, saputo che tra i Sanmarinesi e i Verucchiesi tradizionalmente non correva buon sangue, sostituì il grosso dei miliziotti8 con altri 200 chiamati da Rimini e accompagnati dal bargello di Ravenna e da una decina di sbirri, che giunsero la mattina del 18, portando a 262 uomini le truppe pontificie in città. A questo punto la situazione precipitò: la popolazione venne spaventata da voci secondo le quali l' abitato sarebbe stato incendiato se non si fosse sottomessa; e molti fuggirono nei villaggi vicini, dai quali giungevano intanto sia unanjmj rifiuti di perdere l'indipendenza, sia delegazioni che dichiaravano l'altrettanto unanime volontà di wvenire sudditi della Santa Sede. Il 19 si sottomisero gli abitanti di Faetano, il 20 quelli di Acquaviva, il 23 quelli di Monte Giardino ed il 24 quelli della Chiesa Nuovav. Ne nacque una gran confusione. Alcuni cittadini spedirono una lettera per far sapere al Pontefice cosa era successo. La lettera ebbe effetto (anche perché l'impresa aveva scatenato una tempesta diplomatica: bene o male era sempre Alberoni, pure se occupava solo San Marino) e Clemente XII dichiarò di disapprovarne l'operato. Aprì un'inchiesta. ritirò le truppe e, quando 56 deputati sanmarinesi su 60 si dichiararono per il mantenimento della Repubblica, la questione fu risolta: San Marino restò indipendente.

8 Trattenne come propria guardia d'onore il comandante, 50 fanti e i 12 cavalieri della compagnia di cavalleria del capitano Rinaldo Felice Cappello. v Archivio Alberoni, Carte di San Marino, lstromenti delle Dedizioni allo Stato della Chiesa. allegati: Dedizione del Popolo di Faetano, Dedizione del Popolo di Acquaviva. Dedizione del Popolo di Monte Giardino e Dedizione del Popolo della Chiesa Nuova.



CAPITOLO XXI

LA SUCCESSIONE D'AUSTRIA

I) La Pragmatica Sanzione e il voto di Boemia: 1740

Carlo VI d'Asburgo, come il suo predecessore e fratello Giuseppe I. non aveva figli maschi. Per questo motivo, dovendo assicurare la successione, poco dopo la sua ascesa al trono fu obbligato ad emanare un provvedimento straordinario, la Pragmatica Sanzione, promulgata il 19 aprile 1713 e poi riconfermata nel 1724, con la quale sanciva l'ordine di successione al trono, l'indivisibilità di tutti i suoi Stati ereditari e, in sostanza, il diritto della propria primogenita, Maria Teresa, di ricevere la corona. Entro il 1740 il documento era stato riconosciuto da tutti i principi tedeschi e da quasi tutte le Potenze europee; e lui poté spegnersi tranquillo, il 20 ottobre. sicuro che sua figlia sarebbe stata imperatrice. Ma naturalmente la faccenda non poteva scorrere così liscia. La pietra dello scandalo fu il marito di Maria Teresa. il granduca di Toscana Francesco Stefano, duca di Lorena e Bar. Maria Teresa. appena entrata in possesso dell'eredità, si era affrettata ad associarselo come Reggente, col rescritto del 21 novembre 1740. I motivi dichiarati erano d'ordine puramente dinastico; ma quello vero era un altro; e d'importanza fondamentale. Secondo la Bolla d'Oro, il documento con cui nel 1549 l'imperatore Carlo V aveva stabilito le regole della trasmissione del potere nei domini asburgici di Germania, la corona di Boemia una delle nove che davano il diritto di eleggere il nuovo imperatore - poteva essere ereditata da una donna; ma la connessa facoltà elettorale poteva essere esercitata solo da un uomo. Per questo a Vienna avevano disperatamente bisogno d ' un uomo con le carte almeno apparentemente in regola; e l'unico era appunto il Granduca. Se Francesco Stefano avesse rifiutato, cosa che ovviamente si guardò bene dal fare. il voto boemo sarebbe rimasto vacante. Gli Asburgo si sarebbe ugualmente potuti candidare al trono imperiale, come del resto qualsiasi principe tedesco; ma non avrebbero avuto voce nell'elezione. Sicuramente la loro candidatura sarebbe riuscita sconfitta e questo li avrebbe fatti precipitare al rango di un qualunque sovrano germanico di seconda categoria, facendo loro perdere tutto il potere goduto fino allora. Che questa fosse la ragione vera lo si capl subito, perché il medesimo 21 novembre la corte di Vienna stilò non solo l'Atto di Reggenza. ma anche un altro documento. col quale Maria Teresa commetteva al marito la facoltà d'esercitare le funzioni elettorali di Boemia. Ne erano già nate contesrazioni a non finire da parte degli Elettori di Sassonia e di Baviera quando, poiché non c'è due senza tre, apparve un ultimo pericoloso scontento. Sua Maestà Federico Il di Prussia. che decise che era giunto il momento di chiudere una volta per tutte un' antica controversia fra Hohenzollern ed Asburgo e stabill d'occupare il Ducato di Slesia, sul quale la sua Casa vantava diritti antichi quanto dubbi. Così, il 12 dicembre 1740, pubblicò una dichiarazione sulla Slesia e il 16 dicembre 1740 passò il confine, dando inizio alla Guerra per la Successione d'Austria Maria Teresa sperava nel sostegno delle altre Potenze e si oppose alle richieste prussiane; ma Federico trovò appoggio ed aiuto nelle persone degli Elettori di Baviera e di Sassonia. I due Principi avevano sposato le uniche due figlie di Giuseppe Id' Austria e l'Hohenzoller sug-


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gerl loro che, se la Pragmatica Sanzione stabiliva la successione in linea femminile, era più giusto che il trono toccasse prima alle due figlie di Giuseppe I, che era stato il più anziano dei due scomparsi imperatori, anzichè a quella del più giovane, cioè Maria Teresa. L' idea piacque all'Elettore di Baviera, ma interessò molto anche Versailles e Londra. La Francia aveva sempre cercato di tornare ad una situazione alla Richelieu, con una Germania divisa e indebolita iJ cui capo fosse, eventualmente, controllato da Versailles. Erano falliti i tentativi di collocare propri uomini sui troni elettorali del Palatinato e di Colonia, al tempo della Guerra della Grande Alleanza; ma ora si presentava un 'ottima occasione. Un alleato, ché tali erano i Wittelsbach fin dai tempi della successione spagnola, il quale fosse asceso al trono imperiale ed il cui antagonismo cogli Asburgo era la miglior garanzia di fedeltà alla Francia, era quanto di meglio si potesse desiderare per sottomettere la Germania. Per contro l'Inghilterra, che tramite il re Giorgio fl, Elettore di Hannover, aveva voce diretta nell'elezione dei sacri romani gennanici sovrani, non gradiva certo un aumento della potenza francese a scapito di quella austriaca ed a detrimento della Balance of Powers ed era pronta a osteggiare un candidato filofrancese. Ogni indugio venne messo da parte quando si seppe che il 10 aprile 1741 l'esercito prussiano aveva clamorosamente sbaragliato quello austriaco. La Francia si armò «per proteggere le libertà tedesche» e mise in moto la propria diplomazia. Mentre, il 5 giugno, Luigi XV riconosceva la Slesia come proprietà di re Federico. i suoi ambasciatori premevano sulla Svezia perché assalisse I' austrofila Russia e si accordavano coi Prussiani per sostenere la candidatura di Carlo Alberto di Wittelsbach al trono imperiale. Poi, visto che l'impresa sembrava sicura vi si unì anche la Spagna, rispolverando le sue mire su Panna, Mantova e Milano. In agosto un «esercito ausiliario» francese passò il Reno per unirsi ai Bavaresi ed entrare nei territori asburgici, sempre per «garantire le libertà tedesche». La Svezia dichiarò guerra alla Russia e in settembre, caduti gli ultimi dubbi, anche i Sassoni, proiettati verso la Moravia e l'Alta Slesia, mossero contro Maria Teresa. Tutto il Centro-Europa entrava nel conflitto. L' Austria era assalita da ogni parte e, nella tempesta, poche erano le buone notizie: l'Ungheria si era dichiarata in favore di Maria Teresa, che ne aveva confennato i diritti ed i privilegi; la Turchia, nonostante le sollecitazioni francesi, rifiutava di aggredire l'Austria; l' Inghilterra, travagliata da un'intricata situazione politica interna, non poteva intervenire, ma elargiva un sussidio annuo di 300.000 sterline per sostenere gli eserciti austriaci. Poiché Venezia si era ancora una volta dichiarata neutrale 1, restava una sola Potenza che non si era ancora mossa ed era la Sardegna. I Savoia in passato avevano riconosciuto la Pragmatica Sanzione; ma poiché il problema formalmente verteva sul voto di Boemia e non su di essa, Carlo Emanuele mera libero di fare come meglio credeva e veniva corteggiato dagli Alleati e dal!' Asburgo, attratti entrambi dal suo esercito. I primi gli offrivano ingrandimenti in Lombardia, da dividere però coll'Infante don Filippo di Borbone; la seconda si limitava a promettergli Vigevano. Il Re cercava di non far precipitare la situazione italiana e di prendere tempo, ma avvicinatosi al blocco franco-spagnolo, vide con preoccupazione profilarsi ali' orizzonte l'insediamento di un altro Borbone in Lombardia. Badando più all'autonomia politica che all'ingrandimento territoriale, inutile se fosse stato circondato dai Borboni, comprese che non c'era che

1 Nell'estate del 1741 il Senato disponeva di un esercito di 34.500 uomini tra fanteria - 26.500 - e cavalleria - 8.000. In agosto richiamò in Italia dal Levante e dalla Dalmazia sei reggimenti. stabill un aumento della forza delle compagnie da 100 a 150 uomini e, colla levata di 4 reggimenti di Cernide, allineò in Italia una forza totale di 40.000 uomini, lasciandone altri 4 .000 in Dalmazia e 6.500 in Levante, cioè a Corfù e nelle isole greche, cfr. dispaccio del 18 agosto 1741 , in ASG, Segreta, n.g. 2704-1.


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una strada da seguire e comunicò a Madrid che, se le truppe spagnole avessero tentato d'entrare in Lombardia, l'Armata Sarda avrebbe sbarrato loro la strada. Era cominciata una nuova guerra mondiale; e alla fine le cose sarebbero rimaste come prima.

mLa questione di Modena: 1741 Sbarcati alla Spezia e nello Stato dei Presidi, 12.000 fanti e 1.300 cavalieri spagnoli attraversarono la neutrale Toscana per andare ad unirsi alle truppe napoletane che, al comando del Duca di Castropignano. stavano risalendo, per l'Abruzzo, verso la Romagna. Dal momento che Madrid mostrava di non curarsi dei suoi ammonimenti e metteva a repentaglio la sicurezza del Milanese, Carlo Emanuele lll stipulò, il I O febbraio 1742, un' al leanza provvisoria coli' Austria ed aUertò le proprie forze. Ai primi di marzo varcò il confine, dirigendosi verso Piacenza, Parma ed il Pavese con un primo scaglione di 9.000 uomini, seguilo da un secondo di pari entità, ponendo il suo quartier generale a Piacenza e dislocando l'esercito nel territorio deUe tre città padane in modo da poterlo riunire in un sol giorno. A questo punto si poneva il problema di Modena. Francesco III d'Este voleva restare neutrale e aveva 10.000 uomini2 da impiegare contro chi avesse cercato di fargli cambiare idea. Da un punto di vista militare generale, l'ideale per i Sardi sarebbe consistito neU'impedire a Montemar d'oltrepassare il confine pontificio sul Po; ma Francesco m si sarebbe opposto sicuramente all'idea di dover alloggiare e mantenere l'Armata Sarda e queUa austriaca, prontamente rientrata in Italia dopo la "Convenzione Provvisionale" d'alleanza colla Sardegna. In più al Papa non avrebbe fatto per nulla piacere trovarsi le forze ispano-napoletane nelle Legazioni; e Carlo Emanuele m aveva ottimi motivi per non irritare Roma, già abbastanza filofrancese per conto suo. Allora, se agli Spagnoli non poteva essere consentito di stare sul territorio ecclesiastico per motivi diplomatici, nè su quello parmense per ragioni strategiche, se il Duca di Modena non voleva scendere in campo a fianco degli Austro-Sardi, per Carlo Emanuele la soluzione migliore consisteva nell'avanzare nel Panuense, in modo da costringere gli Spagnoli ad accantonarsi nel Modenese e al tempo stesso impedire loro l'accesso alla Lombardia. Poiché aveva detto chiaramente che se uno dei due contendenti l'avesse danneggiato, lui si sarebbe schierato con l'altro. era necessario evitare che Francesco llI capisse il trucco, almeno finchè le armate sarda e austriaca non fossero completamente radunate: e a questo sarebbero bastale le arti diplomatiche del Ministro degli esteri sardo, il Marchese d'Ormea. Francesco llI da parte sua si mosse molto ingenuamente, non rendendosi conto che i suoi interessi avevano cominciato a divergere da quelli piemontesi da quando si era dichiarato neutrale. Per di più la Spagna premeva. allettandolo con promesse amplissime, molto ascoltate dal momento in cui era stato costretto ad alloggiare nel Modenese 12.000 Austriaci; e gli AustroSardi lo sapevano e non si fidavano; e lui sapeva che loro sapevano ma riteneva si fidassero. In breve: Carlo Emanuele III, visto che il Duca proprio non voleva schierarsi con lui ma aveva detto di considerare l'accantonamento austriaco ai suoi danni come una spinta a buttarsi colla Spagna, decise di renderlo inoffensivo. Accettò la neutralità di un mese proposta da quello, ben sapendo che gli serviva solo a ricevere dalla Spagna la risposta al negoziato che stava

2 Fin dalla sua salita al trono nel I 738 Francesco ID aveva potenziato il proprio esercito prendendo il Reggimento svizzero Gros. arruolandone uno italiano d'ordinanza comandato dal conte Cesare della Palude, dal quale prendeva il nome, e organizzando i Reggimenti Nazionali della Garfagnana, di Modena, di Reggio e del Frignano. Unendo ad essi la Milizia urbana e forese, gli artiglieri e un minimo di cavalleria, incluse le sue Guardie del Corpo, arrivava a mettere in campo un non disprezzabile esercito di I 0.000 uo-mini.


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conducendo e, quando il termine scadde, le truppe sarde erano arrivate, rartiglieria pure e lui intimò a Francesco m la consegna delle cittadelle di Modena e Mirandola. Lasciato al comando di Modena il genovese Francesco del Ner<>3, il Duca ordinò di concentrare nelJa cittadella tutti e quattro i reggimenti di fanteria, permise alJa città di capitolare, a condizione che la cittadella resistesse. mise alle porte la Milizia urbana coll'ordine di lasciar passare gli Austro-Sardi e, scortato dalle sue Guardie del Corpo, andò nel Ferrarese al campo ispano-napoletano. Giuntagli la notizia, Cado Emanuele mandò immediatamente 10.000 uomini contro Modena, ne bloccò la cittadella e, respinta una sortita di 300 fanti estensi, la bombardò finchè il 29 giugno non si arrese. L'indomani 6.000 sardi si spostarono verso Mirandola, il cui assedio, intrapreso il 15 luglio, grazie ai furiosi cannoneggiamenti di 44 pezzi d'artiglieria e nonostante una sortita della guamigione4 , terminò alla seconda intimazione di resa fatta al comandante, signor Martinoni. il 22 di quel mese. Intanto il Duca di Montemar, comandante dei Napolispani, aveva compiuto alcuni movimenti ma, fiaccato dalle diserzioni. che avevano raggiunto il numero di 10.000 su 27.000 effettivi iniziali, non poté far altro che ritirarsi dal Panaro fino a Rimini, dove arrivò alla fine del mese. Tallonato dal contingente sardo, fu costretto a ripiegare ancora fino a Foligno, battuto in tre mesi, senza aver sparato un colpo a parte alcuni piccoli scontri di retroguardia. Il 13 agosto il contingente sardo era sulla riviera romagnola, nei dintorni di Rimini, quando ricevè l'ordine di portarsi al più presto sulle Alpi. Vi era arrivato l'esercito dell'infante don Filippo di Borbone il quale, a causa della squadra navale inglese che incrociava nel Mar Ligure, aveva deciso di tentare la via dei monti. E poiché la Contea cti Nizza era stata ben fortificata da 3.000 sarcti e 1.800 inglesi, aveva preferito, col suo esercito di 15.000 uomini, entrare in Savoia il 2 settembre. La testa della colonna sarda, guidata personalmente dal Re, raggiunse la zona della Thuile, al Piccolo San Bernardo, il 3 ottobre, il che, per quei tempi, era una specie di primato di velocità. C'erano già stati due scontri d'avanguardie, in Tarantasia ed in Moriana; e Carlo Emanuele passò all'offensiva risolutamente con tutto l'esercito liberando in dieci giorni la Savoia dagli Spagnoli, che si dovettero ritirare nel Delfinato in attesa di rinforzi. Accadde però un imprevisto: la Francia emanò un induJto per tutti i suoi sudditi che in passato avessero disertato; e l'esercito sabaudo perse improvvisamente 4 o 5.000 francesi, che disertarono per rientrare in Patria. Nello stesso periodo arrivarono i rinforzi avversari i quali, portata l'armata nemica a 20.000 uomini, le permisero di riprendere l'offensiva, costringendo Carlo Emanuele a ritirarsi da Anoécy e Chambéry nel dicembre di quell'anno passando poi ai quartieri d'inverno.

ill) Da Camposanto a Worms: 1742-1743

La campagna del 1743 si apriva con incerte previsioni per tutti. Poiché in Germania gli Alleati stavano subendo alcuni insuccessi, nonostante un ottimo inizio, ed in Italia erano ridotti a mal partito, Versailles tentò, come nelle guerre precedenti, di staccare Torino dall'Austria. Nel corso dell'inverno, le corti di Madrid e, sopratutto, di Versailles, benché la Francia fosse ancora formalmente neutrale, fecero di tutto per sottrarre Carlo Emanuele lii all'alleanza di fatto che lo teneva legato all'Austria ed alla Gran Bretagna.

3 A seconda dei casi, in forza della mutevole grafia dei nomi del tempo, lo si trova chiamato De Nigri, De Negri, De Negro e Nigri. 4 Composta dai soldati dei reggimenti nazionali di Modena e di Reggio.


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Era opportuno soprattutto perché in febbraio gli Spagnoli avevano subito una netta sconfitta a Camposanto. Il loro nuovo comandante, de Gages, aveva ricevuto ordini tassativi: doveva attaccare e vincere. Lui veramente non era in condizione di farlo, avendo l'esercito decimato da malattie e diserzioni. ma ci provò ugualmente. Il 1° febbraio organizzò la marcia e l'indomani, lasciati indietro circa 6.000 malati. avanzò su Crevalcore con 10.000 fanti , 2.400 cavalieri e 12 cannoni. n 3 passò il Panaro a Camposanto. Gli Austriaci - 4.000 fanti, 2.000 cavalieri e 12 pezzi - stavano fermi a Bomporto, indecisi sul da farsi. Se Gages li avesse assaliti subito probabilmente si sarebbero ritirati; ma lui avanzò lentamente e permise al Conte d' Apremont d'arrivare in zona d'operazioni con i 5.000 fanti e cavalieri sardi e 10 cannoni rimasti nel Pannense. Ora le forze erano pari, con una netta prevalenza d'artiglieria per gli Austro-Sardi, che potevano combattere. Gages ripiegò. Il nemico lo addossò all'argine del Panaro e 1' 8 febbraio lo costrinse a combattere. A mezzogiorno le opposte artiglierie aprirono il fuoco, poi la cavalleria austrosarda comandata dal generale Preisberg avanzò. Fu presa di fianco da quella spagnola che era nascosta dietro l'argine, scompigliata e distrutta. Per fortuna tenne benissimo la fanteria sarda, il cui contrattacco a sera decise la battaglia, anche se _l)fi)i entrambe le parti cantarono vittoria e mostrarono le bandiere prese al nemicos. Con questo risultato l' Am1ata Sarda confermava la corrente opinione europea, secondo la quale era una delle migliori organizzazioni militari del tempo e assicurarsene la cooperazione significava ottenere la vittoria in Italia e, di conseguenza, nell'intero conflitto. Proseguirono dunque i sondaggi diplomatici borbonici a Torino, ai quali il Re di Sardegna prestò ascolto, facendolo trapelare a Londra e Vienna. Il motivo era semplice: voleva che lo sforzo bellico sostenuto a favore della Casa d' Austria venisse compensato soddisfacentemente e fosse solennemente garantito per mezzo d' un trattato. Era una necessità nata sia dall'esperienza della precedente guerra, sia dal fatto che Maria Teresa d'Asburgo stava già ampiamente tentando di sfruttare gratis le truppe sabaude. Quando le proposte franco-spagnole arrivarono ad essere tanto convenienti da far supporre che la Sardegna le avrebbe potute accettare, Carlo Emanuele riuscì a fare io modo che Inglesi ed Austriaci lo sapessero e si convincessero che era tempo di correre ai ripari. La conseguenza fu la finna del Trattato di Worms, col quale Londra, Vienna e Torino passavano da un'alleanza di fatto ad una ufficiale, con tutto ciò che implicava quanto a compensi territoriali per i Savoia. La trattativa era stata lunga; e solo ad agosto si era sparsa la notizia della conclusione di essa. Non era stato un caso, ma un 'abile manovra di Carlo Emanuele, poiché Francia e Spagna avevano evitato di riprendere le operazioni contro i Sardi in primavera proprio nella speranza di farseli alleati, nè avevano poi accennato a muoversi in estate, visto che i negoziati fra Borboni e Savoia sembravano procedere bene. In questo modo il Re di Sardegna era riuscito a far slittare l'attacco nemico fino a settembre, quando era troppo tardi per operare efficacemente prima che il freddo, la pioggia e la neve rendessero le strade impraticabili.

IV) Casteldelfino: 1743

Quando Carlo Emanuele ebbe la certezza della conclusioDe dell'alleanza cogli inglesi e gli Austriaci «.fece dichiarare dal Marchese d 'Ormea al Marchese di Senetterre, Ambascia5 Gages ne aveva 2 austriache e 4 stendardi e un paio di timpani della cavalleria sarda. che inviò a Madrid al Re, tacendo però il fatto di aver lasciato 3 bandiere in mano ai Piemontesi.


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dore di Francia a Torino. che ... Sua Maestà non giudicava, che il suo interesse, nè il suo 0110re, gli permettessero di lasciarsi pilÌ illtertenere in simil guisa, e che i11 conseguenza aveva preso il partito di tralasciare ogni negoziato con la Corte di Spagna, e di non ascoltare pitì alcuna proposizione»i. A questo punto, gli Spagnoli, che erano restati fermi fino a metà agosto, limitandosi da allora a settembre solo a saggiare Je difese sarde in qualche punto, avendo ricevuto 15.000 francesi di rinforzo, tentarono un attacco attraverso le montagne, a Casteldelfino, con un'operazione farraginosa e disastrosa. Carlo Emanuele li aspettava. Li aveva logorati per bene durante la marcia d ' avvicinamento, aveva rinforzato le proprie posizioni e non correva il minimo rischio. Anche se le sue truppe, 24.000 uomini, erano numericamente inferiori a quelle avversarie, queste ultime, impadronitesi del castello di Chianale, si erano andate a cacciare in una sorta di budello in cui Je batterie sarde potevano colpirli da tre lati. V1sti respinti tutti i loro tentativi - e con gravi perdite - e saputo dell'arrivo di rinforzi sardi, i comandanti franco-spagnoli stabilirono di ritirarsi oltre le Alpi. Diramarono ordini in tal senso e, a causa della poca distanza che li separava dai Sardi, prescrissero alle truppe di muoversi due ore prima dell'alba del 10 e senza aumentare nè far diminuire i fuochi dei bivacchi. Qualcuno ebbe però la bella idea d'incendiare il castello di Pontechianale. Alla luce delle fiamme i Sardi scorsero le colonne nemiche in movimento e cominciarono a cannoneggiarle furiosamente, causando loro molte perdite e obbligandole ad abbandonare precipitosamente parecchi materiali. Era 1' 11 quando il grosso dell'esercito franco-spagnolo partì da Cbianale « ..per ripassare il Colle Agnello: ma nell'ascenderlo fu raggiunto dalle Squadriglie di Valdesi, e di Granatieri, mandate a inseguir/o alla coda. Una di quelle ritrovò 12 cannoni con l'armi di Francia .... Un'altra Squadriglia di Valdesi fece un ricco bottino di 400.Muli carichi d'equipaggi sottili e d'effetti preziosi, tra i quali v'era /'argenteria della Cappella del Real Infante. Furono fatti in queste due occasioni molti prigioni, e feriti e morti non pochi nella precipitosa ritirata, oltre alla gran diserzione, inevitabile in tali incontri. «.... Questo fu l'esito della grand'impresa di passare le Alpi....e che tra la diser:.ione che fu grande fin dal principio, i disagi sofferti, i vari attacchi, la ritirata, le sorprese, si può asserire senza esagerare, costò 5 in 6 mila uomini di 35 mila che lo intrapresero; essendosi tutto ridotto a/l'incendio di due o tre Ville. all'arrivo presso ai trincieramenti nemici e ad un ritorno stentato nella Savoja senza parte dell'artiglieria, e i migliori bagagli>,ii.

V) Velletri, Cuneo e Madonna dell'Olmo: 1744 Intanto le cose andavano meno bene per gli Austriaci nell'Italia Centrale. La battaglia di Camposanto aveva bloccato l'avanzata degli Spagnoli. Ma gran parte della sconfitta l'avevano dovuta alla sospensione della partecipazione napoletana al conflitto. Motivata da Carlo VIl col fatto che i reparti mandati al nord erano stati un tempo spagnoli - suo padre Filippo V glieli aveva dati nel 1734 per conquistare il Regno di Napoli, e glieli aveva chiesti indietro per rinforzare la propria armata in Italia - la partecipazione napoletana era stata poi interrotta dagli Inglesi con un'incursione della loro flotta nel porto di Napoli e la minaccia di bombardare la città se entro due ore il Re non si fosse dicbia,<itO neutrale e non si fosse impegnato a richiamare le proprie unità. Carlo avrebbe anche resistito colle forze disponibili, ma era stato preavvisato dai dispacci diplomatici di F rancia e Spagna che la flotta inglese

i ANONIMO: «Storia dell'anno 1743», Venezia, Pitteri, 1744, libro Ili, pag. 277. ii Idem, pagg. 284-286.


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imbarcava ben 7.000 fanti di marina ed era pronta a usarli. La guarnigione di Napoli, tra fanteria e cavalleria, non raggiungeva i 5.000 uomini. la squadra regia era inferiore a quella britannica e i cannoni costieri da soli non sarebbero bastati a respingere lo sbarco: era giocoforza sottomettersi: e cosi Carlo fece, ordinando alle sue truppe di abbandonare gli Spagnoli. In seguito questi ultimi. vinti a Camposanto. avevano ripiegato fino al confine tra lo Stato della Chiesa ed il Regno di Napoli, sul Tronto, e là erano rimasti a svernare. Speravano che il Re consentisse loro l'ingresso in Abruzzo, salvandoli così dall'attacco finale austriaco, previsto per la ripresa delle operazioni nella primavera del ·44_ Carlo era indeciso. Da uo lato, conscio dell'impreparazione militare napoletana non desiderava rompere la neutralità estortagli dagli Inglesi, ben sapendo che l'ospitalità che avrebbe potuto fornire agli Spagnoli avrebbe costituito il casus belli coli' Austria; dall'altro si rendeva conto del fatto che, senLa il suo aiuto, l'annata spagnola sarebbe stata distrutta, lu.i avrebbe perso l'appoggio politico e militare paterno e sarebbe comunque stato aggredito dall'Austria alla prima occasione. trovandosi molto più debole di quanto non sarebbe stato se si fosse unito apertamente alla Spagna. Cosi decise di armarsi a partire dal dicembre '43. Ordinò la costituzione di 12 reggimenti, da levare nelle altrettante province del Reame, la fusione di nuovi cannoni da campagna e da fortezza. la ricostruzione e miglioramento delle fortificazioni, specialmente di Napoli sul lato mare. e mandò al Conte de Gages il permesso di entrare in Abruzzo. marciandogli incontro. Il temuto attacco navale inglese non si verificò, perché la flotta dell'ammiraglio Matthews era impegnata lungo le coste della Provenza per impedire il transito via mare, dalla Francia all'Italia. dell'armata dell' Infante Don Filippo. L'Austria protestò, come previsto; e Maria Teresa decise d'attaccare Napoli. D'altra parte si sa che lo avrebbe fatto comunque, basandosi sulle ootiLie gonfiate e sulle pressioni fornite dai Napoletani filoaustriaci fuggiti nel 1734. un piccolo gruppo dei quali era a Vienna e si teneva in contatto con Napoli tramite un altro, più consistente, di esiliati residenti a Roma. La terza e ultima conseguenza fu che Carlo aumentò le truppe a propria disposizione, perché l'esercito spagnolo passò ai suoi ordini e marciò a sud per unirsi al suo e costituire una massa di manovra leggennente superiore alle truppe austriache. Chi si rese conto dei guai che andavano profilandosi all'orizzonte fu Carlo Emanuele III. Fece di tutto per impedire a Maria Teresa di assalire Napoli, ben sapendo che l'apertura di un secondo fronte e l'entrata in campo dell'armata napoletana sarebbero state due incognite nel migliore dei casi; due pericoli di perdere la guerra nel peggiore. Chiese quindi rinvio delle unità austriache in Piemonte, an1:ichè nel Meridione, per parare il colpo che don Filippo, appoggiato dai Francesi, si preparava a vibrargli sulle Alpi e nella Contea di Nizza; ma non fu ascoltato. Maria Teresa mandò in Italia un nuovo generale. il principe di Lobkowitz. al quale fece pervenire poi l'ordine d'invadere il Regno di Napoli. Facile a dirsi ma non a farsi. Lui scelse la via di Roma, più lunga ma più facile e sicura da percorrere, perché presentava molti vantaggi: sì avanzava su strade comode, attraverso zone non toccate dalle requisizioni di guerra e si arrivava, procedendo su territorio neutrale, dunque relativamente sicuro, aridosso del Regno di Napoli, lasciandosi alle spalle il valico degli Appennini ed avendo come unico ostacolo la fortezza di Gaeta. C'erano inoltre maggiori facilitazioni per lo sbarco di rinforzi e rifornimenti, che la squadra inglese poteva lasciare a Fiumicino da subito, agendo con più celerità che se le operazioni si fossero svolte lungo l'Adriatico. Resosi conto d'aver davanti in Abruzzo solo dei distaccamenti, Carlo Vll fece precipitosamente convergere a sinistra le proprie truppe, portandole nel Lazio meridionale per intercettare il nemico più a nord che fosse possibile. L'ideale sarebbe stato fermarlo sul Tevere, più o meno a Roma; ma quando le truppe leggere napoletane arrivarono verso Monterotondo, si trovarono addosso gli ussari ungheresi di Lobkowitz e ripiegarono per congiungersi al grosso, ancora molto più a sud.


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Persa la possibilità di Roma e poi quelJa dei Castelli Romani, Carlo decise di fermarsi a Velletri. La zona era tatticamente forte e strategicamente rilevante. Gli consentiva di sbarrare la via di Napoli con facilità e di controllare la pianura fino al mare. Le posizioni erano naturalmente salde e, se pure le avesse perse. avrebbe potuto ritirarsi appoggiandosi ad una serie di Linee difensive successive fino a quelJa Garigliano-Gaeta. Infine, alle spalJe aveva terreni fertili e le basi logistiche dei porti di Anzio e Gaeta e, poiché il suo intento non consisteva nel distruggere l'esercito austriaco, ma solo nell'impedirgli d 'invadere il Regno, poteva attendere a lungo. Però gli Austriaci non potevano aspettare: dovevano attaccare e vincere al più presto; e ogni giorno di ritardo peggiorava la loro situazione. Quindi. mossisi da Roma, arrivarono a accamparsi di fronte a Velletri il 1° giugno; e da quel giorno cominciò l'atto strategico noto come «Battaglia di Velletri», che in realtà fu una sequenza di atti tattici, complessi ed elementari, svoltisi fino alla fine d'ottobre. La posizione degli Ispano-Napoletani era tatticamente forte. perché occupavano le cime dei monti, dai quali proteggevano Velletri, sede del grosso e del quartier generale e punto di blocco della Vìa Corriera per Napoli. Lobkowitz doveva quindi prendere i monti, per avere la città ed aprirsi la strada verso il sud. Effettuò vari tentativi, il più consistente dei quali fu l'incamiciata 6 dell'll agosto, nota coma «la» battaglia di Velletri per eccellenza, mentre invece, come già accennato, nè è solo uno degli atti tattici, anche se il più complesso in assoluto. Lanciata all'alba dell' 1L con tre colonne, l'azione colse di sorpresa le truppe borboniche, prive di dispositivi di sicurezza. Gli Austriaci riuscirono a entrare in città con una colonna, ma le altre due non raggiunsero gli obbiettivi loro assegnati e non ricevettero rinforzi, cosicchè Lobkowitz a fine mattina dovè ordinare il rientro negli accampamenti. L'incamiciata era finita; e ormai la battaglia di Velletri poteva dirsi vinta dagli Ispano-Napoletani. Avevano subito perdite elevate: 1.000 soldati, 130 ufficiali, da 2 a 3.000 cavalli e i bagagli personali di tutti i militari e i civili acquartierati in città7; ma neanche gH Austriaci ne erano usciti bene. Le loro perdite restano imprecise, ma furono molto gravi8 e, vista la distanza dai territori asburgici, non potevano essere ripianate neanche entro la fine dell'anno. Entrambi gli eserciti erano paralizzati. l Napoletani dovevano rimootare la cavalleria - e il Re ordinò che a tal fine ogni gentiluomo del Regno desse un cavallo - mentre gli Austriaci dovevano riorganizzarsi totalmente. Non potendo muoversi, almeno per il momento, i contendenti rimasero nella zona, bombardandosi a vicenda con molto rumore e poco daono e svolgendo attività di pattuglie. Comunque il comandante austriaco era ormai deciso a tornare in Lombardia. La campagna era fallita. Gli Spagnoli, sostenuti dai Francesi, avevano fatto avverare le pessimistiche previsioni di Carlo Emanuele lII, entrando in Piemonte ed assediando Cuneo; e per questo era stato ulteriormente indebolito l'esercito a Velletri, staccandone un corpo di drca 4.000 uomini trasferito a rinforzare l'Armata Sarda. Tra morti. feriti, prigionieri e disertori, Lobkowitz aveva ormai a disposizione solo 17.000 uomini, 2.000 dei quali ammalati. 6 Con questo termine si indicava anticameate un attacco notturno compiuto da truppe alle quali. per distinguerle dalle nemiche nel buio, era fatta indossare una camicia bianca sopra la cornzza. Per estensione la parola passò poi a indicare qualsiasi assalto notturno. 7 Non si conosce I'ammoni.lire finanziario complessivo del danno subito dai Borbonici; ma dalle cronache del tempo si sa che i militari austriaci vendettero pubblicamente per le vie di Roma. durante il resto del mese d'agosto, quel che avevano predato ai nemici a Velletri, tra gioielli, abiti, stoffe, argenterie, cavai.Li ed equipaggiamenti di vario genere. 8 In città ebbero 923 prigionieri, feriti o meno. e 474 morti, ai quali ne vanno aggiunti altri, in numero imprecisato, valutabile intorno a 2.000 morti e 800 feriti della prima colonna, mentre non si sa nulla di preciso sui caduti della terza.


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Perciò in settembre decise di far partire gli ospedali, insieme al Reggimento Pallavicini, destinato al Piemonte, con un convoglio di 30 bastimenti da Fiumicino a Livorno. Poi mandò verso Roma parte dell'artiglieria e dei carriaggi e, il 27 ottobre, ordinò ai contadini dei dintorni di portargli i buoi necessari ai trailli. Il 31 si scontrò coi Napoletani, perché aveva ordinato una ricognizione in forze verso i loro trinceramenti, in modo che non sospettassero che stava per muoversi e, domenica J0 novembre, abbandonò i campi di Genzano e Nemi per andare a Roma. Inseguito dal nemico, il giorno dopo le girò intorno e passò il Tevere su ponte Milvio e su un ponte di barche fatto predisporre nei giorni precedenti. l Borbonici lo traversarono il S e, tolto un distaccamento di 5.000 napoletani, che rientravano in Patria col Re, proseguirono l'inseguimento il 6 risalendo fino a Viterbo e inoltrandosi poi in Umbria. Agganciate le salmerie austriache a Nocera Umbra e assalita e saccheggiata la città, non proseguirono oltre e presero i quartieri d'inverno nell'alto Viterbese, intorno al Lago di Bolsena, mentre Lobkowitz si accantonava nelle Legazioni. Al nord la ripresa della guerra, nell'aprile del '44, aveva intanto visto l'invio di altri I0.000 uomini in rinforzo a don Filippo, il quale aveva marciato contro la Contea di Nizza. Ne era derivata una serie di ferocissimi e sanguinosi combattimenti alla fine dei quali i Sardi avevano perso la Contea. A quel punto i Franco-Spagnoli avevano preso in esame la possibilità di entrare in Piemonte da sud ma, accortisi che, tra i campi trincerati, le fortezze e la massa di manovra dell'Armata Sarda. da quel lato l'impresa equivaleva ad andare a cacciarsi in unginepraio, avevano deciso di trasferirsi sulle montagne. Tallonati dalle truppe avversarie, a tre mesi dall'invasione, lasciarono al Riviera e si ripresentarono sui passi alpini. Divise le loro truppe in nove colonne, che si avvicinarono contemporaneamente alle linee sarde per non far capire quale fosse il loro reale obiettivo. puntarono verso le valli Varaita, Maira e StUia. La terza era quella da cui intendevano passare e là diressero il grosso, accompagnandone il movimento con azioni diversive in altri settori, in particolare quello della Val Varaita. Là il 18, luglio s'avviò una colonna di S.000 uomini al comando del generale Givry, che sali fino al passo di Buondormir, dove i Sardi avevano apprestato la ridotta di Pietralunga, da cui si dovettero ritirare lasciando sul terreno 732 fra morti e feriti su 4.000 combattenti. I Francesi persero l.654 uomini; decisamente molti per un attacco diversivo, specie considerando che era stato inutile, perché il loro grosso dal giorno prima aveva superato le barricate di Stura ed era già penetrato nell'omonima vallata. Stavolta, dunque, erano riusciti a sfondare e, presa la fortezza di Demonte che. a causa di un incendio scoppiato nella polveriera, cadde più rapidamente di quanto si aspettassero sia loro che i Sardi, avanzarono fino a Cuneo e la bloccarono, iniziandone l'assedio. Nell'agosto manovrarono nel Monferrato per indurre il Re di Sardegna o ad accettare una battaglia, che avrebbe perso perché più debole, o a ritirarsi dalla provincia. Ma Carlo Emanuele era troppo esperto e non s'impegnò in campo aperto, preferendo lasciare via libera alla Milizia, che s'abbattè sui nemici come uno sciame di cavallette, interruppe loro i rifornimenti, aggredì le loro unità in ogni luogo e minacciò le comunicazioni a un punto tale da ridurli sotto Cuneo assediata. I Franco-Spagnoli avevano più o meno chiuso il blocco intorno alla città alla fine di agosto e, dal 2 settembre, avevano incominciato le operazioni d'assedio vere e proprie. Il loro accampamento principale era a San Rocco e la maggior parte delle artiglierie a Santa Maria dell'Olmo. Le operazioni erano però assai difficili. In primo luogo l'estensione delle fortificazioni era tale che un buon terzo di esse, dalla parte di Mondovl, era restato non bloccato; e quindi in grado di ricevere soccorsi. In secondo luogo la guarnigione, comandata dal barone Leutrum, tedesco al servizio di Sardegna, si rivelò estremamente coriacea e combattiva. Infine la già ci-


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tata guerriglia9 era tanto efficace da costringere i comandanti alleati a distogliere parecchi uomini dalle operazioni d'assedio per contrastarla. Fu così che, tenuti sotto controllo e tormentati dai miliziani piemontesi e presi dall' assedio di Cuneo, in cui avevano impegnato in quel periodo 35 battaglioni di fanteria e 55 squadronj di cavalleria e dalla cui riuscita dipendeva quella dell'intera campagna, non seppero che il Re di Sardegna marciava contro di loro. La mattina del 30 Carlo Emanuele usci da Ronco, e avanzò coi suoi circa 26.000 uomi1ù disposti in ordine dì battaglia per eseguire una ricognizione verso la Madonna dell'Olmo. Avanzava tranquillamente, perché aveva previsto di attaccare solo il giorno dopo per dare tempo alle sue unità ancora in viaggio di raggiungerlo. Ma fra mezzogiorno e mezzo e l'una le sue avanguardie di sinistra, si imbatterono nei Micheletti avversari e cominciò la battaglia, che lui si trovò a dover combattere in crisi di movimento ed alla sprovvista. Per sostenere l' avanguardia, sbilanciò sulla sinistra il suo dispositivo, non ebbe progressi nè al centro nè all'ala destra e, davanti a questi poco esaltanti risultati, dopo sei ore di combattimento e un breve consiglio di guerra con tutti i generali, vista imminente la notte, diede l'ordine di ritirarsi dalla parte di Murazzoto, Fallito il tentativo di sbloccare Cuneo, 1'8 ottobre Carlo Emanuele riuscì però a farvi penetrare 1.200 uomini con viveri, denaro e munizioni 11. Pose poi il suo campo a Fossano, a circa sei miglia dalla città, in modo da minacciare gli assedianti e rifornire e Liberare gli assediati alla prima occasione. A causa della stagione inoltrata, della guerriglia c dell' irriducibile resistenza della guarnigione, i Franco-Spagnoli alla fine «Abbandonarono ... affatto l'assedio ai 22 d'Ottobre, dopo quaranta giorni di trincea aperta»iii, Dopodichè, inseguiti dal Re di Sardegna e perseguitati dalle truppe irregolari piemontesi e dal maltempo, abbandonarono del tutto la partita e ripassarono in Francia, chiudendo così la campagna alpina del 1744. Sugli altri fronti il conflitto aveva avuto alterne vicende. L'entrata ufficiale in guerra della Francia, il 15 marzo 1744 contro Sardegna ed Inghilterra e il 26 aprile contro l'Austria, aveva rinsanguato potentemente le file alleate, logorate dagli insuccessi dell'anno precedente, ed aperto un altro fronte. I Francesi infatti avevano assalito le Fiandre, dove Maurizio di Sassonia aveva fatto capitolare le fortezze asburgiche in un crescendo impressionante e rapidissimo, ed erano stati capaci di combattere contemporaneamente in Olanda, Gem1ania ed Italia, mentre Federico II di Prussia, che entrava ed usciva dalle ostilità a seconda dell'andamento della guerra in Germania, si era di nuovo messo in marcia conquistando Praga. Intanto Don Filippo di Borbone. acquartieratosi a Nizza la vigilia di Natale, aveva fatto compiere alcune ricognizioni nel territorio di Genova senza incontrare opposizioni da parte della Repubblica, che pure era neutrale. La cosa insospettl molto sia il Re di Sardegna, le cui truppe disturbarono quei movimenti, che il Re d'Inghilterra. La Superba non mancò di fornire spiegazioni all'amnùraglio Matthews, 9 Il Re di Sardegna aveva fatto armare i contadini, peraltro già abbastanza ben addestrati fin dal tempo di pace: il Marchese d' Ormea, aveva raccolto un corpo di ben 12.000 altri miliziani nei territori di Mondovì e Ceva, proprio ad oriente di Cuneo. a sostegno dei quali erano state inviate pure delle aliquote di truppe regolari. 10 Aveva perso 1.036 morti, 2.495 feriti, molti dei quali catturati dal nemico, e 854 dispersi. Alle Due Corone la battaglia era costata 825 morti (474 Spagnoli e 351 Francesi) e 1.873 feriti, 1.073 dei quali Spagnoli. 11 Il numero è molto controverso. I docwnenti contabili relativi all'operazione parlano di 632 uomini, la maggior parte dei quali artiglieri. È probabile però che si riferiscano solo a quelli destinati a rimanere a Cuneo e non ad eventuali reparti di scorta, o d'appoggio per il forzamento delle linee nemiche. iii ANONIMO: «Storia dell' anno 1744», Libro III. pag. 338.


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comandante della squadra britannica in Mediterraneo, come anche, tramite l'ambasciatore a Londra Guastaldi, allo stesso Giorgio II, assicurandoli della propria neutralità. In realtà, preoccupata dal Trattato di Worms, che prevedeva di farle cedere il Marchesato di Finale al Re di Sardegna, atto per il quale si erano fatte garanti Austria ed Inghilterra, la Serenissima stava considerando la possibilità d'unirsi alle forze borboniche per salvaguardare la propria integrità territori.ale.

VI) Un anno di guai: 1745

La guerra ricominciò presto l'anno dopo.

n I febbraio Gages radunò le truppe spagnole e napoletane 12 a Perugia. Grazie ai rinforzi O

arrivatigli dalla Spagna a Civitavecchia, disponeva di 24.000 uomini con 46 pezzi d'artiglieria. Marciò poi verso Fano e il 28 era a Pesaro. Lobkowitz non poté fermarlo, perché troppo inferiore di forze, e si ritirò al Panaro dove contava di ricevere i due reggimenti a suo tempo mandati a Carlo Emanuele e un contingente sardo. Disposti i suoi 14.000 uomini tra Camposanto e Modena, non suppose che l'intenzione di Gages fosse di raggiungere le truppe dell'Infante, anche perché non poteva immaginare che Genova stesse per abbandonare la neutralità. Invece, con una lunga e lenta marcia attraverso l' Appennino e la Repubblica di Lucca, l 'esercito ispano-napoletano passò dal Panaro alla costa tirrenica, dove fu raggiunto da un altro corpo napoletano di 6.000 uomini. Poi, grazie all'amicizia di Genova, poté congiungersi sol territorio ligure all'armata franco-spagnola di Don Filippo proveniente da ovest e costituire una formidabile massa di manovra. [I 16 giugno 1745 i Genovesi firmarono il Trattato di Aranjuez col quale si impegnavano a fornire ali 'Infante un corpo di 10.000 uomini con un treno d'artiglieria di 30 cannoni, da utilizzarsi però, in qualità di ausiliari, contro il solo Re di Sardegna come risposta alle sue mire sul Finale. li 29 giugno l'ambasciatore della Repubblica a Torino consegnò la dichiarazione di guerra. «Sua Maestà non è rimasta punto meravigliata»iv fu la laconica risposta. Quindici giorni dopo l'esercito delle Tre Corone (Napoli, Spagna e Francia), rinforzato dai Genovesi. che marciavano in retroguardia al comando di Giovan Battista Brignole Sale, avanzò verso nord per entrare in Piemonte. Manovrando abilmente riuscì a dividere gli Austriaci dai Sardi e poté prendere, fra il 2 agosto e la metà di novembre, tutte le città del Piemonte meridionale ed i ducati di Parma, Piacenza e Guastalla senza neanche una battaglia di grandi proporzioni. Infatti l'unico scontro campale degno di questo nome si ebbe il 28 settembre a Bassignana, da dove Carlo Emanuele preferì ritirarsi dopo aver perso 45 ufficiali e 1.800 soldati contro i 700 del nemico. Per quanto riguarda le operazionj navali le conseguenze furono relativamente pesanti, ma solo per Genova. La flotta della Reptubblica, appena sufficiente ad espletare gli incarichi derivati dalla guerra in Corsica, non poteva fronteggiare in mare le squadre britanniche del Mediterraneo. Fu dunque disposta a difesa della sola capitale; e fu un bene perché la squadra dell'ammiraglio Rowley si presentò davanti a Genova alla fine di settembre del 1745.

12 n contingente napoletano era formato da un battaglione dei Reggimenti Regina, Real Palenno, Real Borbone, Borgogna, Macedonia e Hainaut, eia due dei Reggimenti svizzeri Winz e Tschudi e da 9 squadroni dei reggimenti cavalleria Re e Rossiglione e del Reggimento dragoni Tarragona, per un totale di circa 10.000 uomini. iv Rip. in, ANONIMC>, «Storia dell'anno 1745», Venezia, Pitteri. 1746. libro IIl, pag. 224.


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Istruita dal bombardamento francese del 1684 e dall'incursione inglese a Napoli nel 1741 , la Repubblica aveva preso ottime misure. Quando Rowley si avvicinò scoprì davanti a sè le galere, disposte abbastanza a largo da impedire alle sue navi di danneggiare la città; ma sufficientemente vicine a riva da poter essere coperte dal fuoco delle batterie costiere. Ne derivò uno scontro brevissimo, perché la squadra britannica si ritirò subito dopo aver constatato l' efficacia della difesa ed aver tirato una quarantina di cannonate, che non colpirono nulla. Si rifece sugli altri centri costieri, in particolare San Remo, che il Senato aveva dovuto lasciare indifesi dal mare per coprire la Dominante. Per terra intanto continuavano i successi delle Tre Corone e il 16 dicembre gli Spagnoli entrarono a Milano, mentre il Re di Sardegna, sulla difensiva, si era attestato a copertura dj Torino ed aveva aperto de!Je trattative, che lo portarono addirittura ai preliminari di pace poco prima di Natale. Gli Austriaci invece avevano ripiegato fin verso Mantova per garantirsi le comunicazioru col Trentino. Granru successi, dunque, ma la posizione delle Tre Corone era molto meno solida di come poteva apparire. Le cronache del tempo ilicono chiaramente che tutti gli osservatori avevano presenti i motivi della riuscita di quella campagna, prevedendone però la caducità dei risultati. Intanto c'era stata l'impegno austriaco in Germania, che aveva impedito l' afflusso di rinforzi asburgici in Italia; poi il fatto che l'ingresso in Piemonte, conseguenza della giunzione fra l'esercito del sud e quello dell'Infante, era avvenuto solo grazie ali' entrata di Genova nel conflitto e non ad una maggior forza delle Tre Corone. A quei risultati inoltre si contrapponevano le forti perdite subite, molto più alte di quelle austrosarde, il fatto che nessuno dei due eserciti, sabaudo e asburgico, fosse stato battuto veramente, conservando entrambi una buona capacità offensiva e, infine, l' obbligo, per i Borbonici, di presidiare le conquiste fatte e di proseguire, impiegando larga parte delle proprie Jruppe. gli assedi di alcune città e castelli, tra i qua]j quello di Milano, che non si erano arresi. Ebbero ragione i critici, ma non subito. L'inverno del 1745-46 vide ancora alcuni progressi delle Tre Corone; ma a Versailles non si era tanto sicuri di quel che avrebbe portato la primavera perché, avendo Federico LI ottenuto definitivamente la Slesia colla pace di Dresda del ilicembre 1745, l'Austria poteva inviare rinforzi in Italia. Era vero che le truppe borboniche e genovesi assommavano a circa 90.000 uotniru, ma era pure vero che molti di loro erano chiusi a guarnire le fortezze conquistate e quindi non potevano essere adoperati sul campo, a tutto vantaggio del nemjco. Così, per evitare guai, dalla Francia partì il Signor de Maillebois, fratello del Maresciallo, diretto a Torino per offrire la pace al Re di Sardegna, col quale, separatamente dalla Spagna, erano inuiate trattative già da due mesi. Incontratosi col ministro Bogino, succeduto da poco all'appena defunto Ormea, si sentì però rispondere: «Non esser ancor tempo di deporre /'arme, non essendo se non due giorni ch'era iniziata la campagna>,v. Le truppe sarde ed austriache s'erano rimesse in moto con effetti rovinosi. Dopo che il principe di Liechtenstein s'era unito ai Sardi con 12.000 uomini. erano iniziate le operazioni per liberare Asti ed Alessandria. Il 4 marzo il barone Leutrum, con una colonna di 30 squadroni e 20 battaglioru, seguita da un'altra di 11 che portava i rifornimenti, s'era posto in cammino verso Asti. La città fu cannoneggiata aprendo tre brecce nelle mura e, la notte del 7, il presidio, 5.000 uotniru con 8 cannoni e 27 bandiere, si arrese. Saputa la notizia, il Maresciallo di Maillcbois, che con 15.000 uomini era arrivato a poca distanza dalla città per soccorrerla, non solo tornò sui suoi passi, ma lasciò anche il blocco di Alessandria e si ritirò. I Sardi giunsero il 10 sotto quella cittadella e, trovate le postazioru nemiche abbandonate. vettovagliarono la guarnigione, da tempo ridotta a mangiare i cavalli (e ne aveva ormai per due soli giorni ancora). • Rip. in ANONIMO, «Storia dell'anno 1746», libro Il. pag. 95.


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U 12 una nevicata eccezionale indusse Leutrum ad ordinare l'acquartieramento delle fanterie e il rinvio ai quartieri di tutta la cavalleria. E i Franco-Spagnoli ne approfittarono per cavarsi dai guai ripiegando senza perdite. Tutte le loro forze erano ormai in piena ritirata. Milano fu abbandonata il 19 marzo, quando le avanguardie austriache erano letteralmente alle porte. Il Parmense era perso; ed anche Parma lo fu, perché gli Austriaci, vincitori il 28 a Sorbolo, giunsero là il 3 aprile, intimando la resa, il 4, agli oltre 9.000 soldati del Marchese di Castelar. Questi, dopo aver risposto che: «supponendo di essere in qualche poco di srima appresso Sua Eccellenza il Generale Broune voleva viepiù meritarsela col difendersi»vi, riuscì a evacuare la città ed a riparare a Sarzana con 8.000 dei suoi uomini 13 dopo una durissima marcia attraverso le montagne. Salvata la colonna dall'inseguimento nemico al passaggio della Magra, il cui ponte militare appositamente gittato fu poi tagliato da un sergente e 4 guastatori napoletani sotto gli occhi del nemico, Castelar arrivò a La Spezia il 7 maggio con poco più di 6.300 tra fanti e cavalieri. Mentre un corpo di truppe granducali si schierava sulla frontiera toscana e il 27 aprile il Barone Leutrum con 3 battaglioni di fanteria ed un corpo di 600 micbeletti, dopo sei giorni di trincea aperta rìconquistava Valenza, le operazioni proseguivano intorno a Piacenza. Dopo aver perso in pochi giorni ben 17.000 tra morti e feriti a fronte di soli 4.600 nemici, Gages passò e ripassò il Lambro per coprire il movimento dei 1.000 carri e dei 4.000 muli carichi dei suoi materiali. Tallonato da vicino dagli Austriaci e dai Sardi, riusci a farli scostare dalla strada che voleva imboccare e sfilò sotto la loro ala destra diretto aJ Tidone e poi a Tortona, passando il Po il 9 agosto e facendosi saltare i ponti alle spalle. Dopo un'ulteriore sconfitta subita a Rottofreno, riuscì a sganciarsi ancora e a ritirarsi verso la Liguria in gran fretta, lasciandosi dietro 1.800 morti e feriti, 1.200 prigionieri, 18 cannoni e gran parte delle salmerie. Saputa la notizia, Piacenza si arrese il 12, mettendo in mano agli Austriaci un 'ingente quantità di materiali bellici. Intanto a Madrid era morto improvvisamente Filippo V; e il nuovo re, Ferdinando IV, mandò a sostituiie Gages col Marchese di Las Minas il quale, preso il comando e fatta la rassegna, brontolò: «Questo è un esercito molto piiì proprio da ritornarsene a Barcellona che a far fronte ai nemici»vii e ordinò d'abbandonare la Lombardia e la Liguria, rastrellando tutti i militari delle Tre Corone in grado di muoversi.

VIl) "Fischia il sasso": 1746 Attraversata rapidamente la Riviera, sorda ai lamenti di Genova, che si vedeva lasciata inerme in balia del nemico avanzante, l' armata delle 'T're Corone, ridotta da malattie, diserzioni, morti e catture a soli 25.000 uomini, riparò oltre il Varo. Gli Austro-Sardi, giunti insieme al confine della Ligaria, si divisero, puntando rispettivamente: alla Bocchetta e poi a Genova i primi; a Finale e a Savona i secondi. La situazione dei Genovesi era a dir poco tragica. La Serenissima era rimasta sola davanti ad un nemico agguerrito e potente; non sarebbe mai stata in grado di fronteggiarlo senza aiuti e le sue risorse erano a malapena sufficienti ad imbastire una difesa 14.

vi Rip. in «Storia dell'Anno 1746», ciL, libro Il, pag. 110. 13 Un migliaio dei quali napoletani dei reggimenti Rossiglione, Tarragona, Re, Real Borbone, Real

Napoli e Wutz. •ii Rip. in "Storia" cit., libro m, pag. 269. 14 Basti pensare che le misure prese neU'aprile del 1746 per rinforzare l'esercito erano consistite nel bandire il reclutamento di 36 compagnie di 60 uomini ciascuna. ai quali, per di più, si prometteva il congedo dopo solo sene mesi.


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a 4 settembre gli Austriaci erano a San Pier d' Arenal5• Genova, indifesa, s'appellò allo stato di non-belligeranza che ancora vigeva con Vienna. La risposta fu secca: poiché grazie al suo aiuto i Franco-Spagnoli erano potuti entrare in Italia, unendosi ai Napoletani ed occupando la Lombardia, la Serenissima non aveva altro da fare che sottomettersi alla dura capitolazione che ora le sarebbe stata presentata. L'8 gli Austriaci calarono la mazzata ordinando il pagamento di un milione di scudi entro 48 ore, di un secondo entro otto giorni e di un terzo entro quindici, pena il saccheggio della città. Il primo importo richiesto era già altissimo, perché obbligava a pagare in due giorni una cifra corrispondente a c irca trenta volte l'importo annuo di tutte le entrate genovesi di pedaggio e di caratot6; ci si poteva arrivare e ci si arrivò; ma occorsero cinque giorni anziché due. Si poté liquidare anche la seconda rata. ma certo Genova non sarebbe mai stata in grado di versare pure la terza 17. Così si pagarono i primi due milioni, utilizzando fino all'ultimo soldino presente nelle casse del Banco di San Giorgio, senza guardare a chi appartenevano i depositi (e ce n'erano di Stati esteri, anche non italiani), e dando a completamento della cifra anche i gioielli che la Casa d'Austria ed il Granduca di Toscana avevano impegnato a Genova per 450.000 fiorini. Poi si chiese fiduciosamente grazia per l'ultimo milione. Data la distanza tra Vienna e la Riviera, almeno si era guadagnato il tempo necessario ai corrieri per andare e tornare ed al consiglio della corona asburgica per decidere. Il medesimo giorno in cui gli Austriaci notificavano ai Genovesi l'importo dei danni di guerra, 1'8 settembre, dopo una marcia resa lenta dalle pessime strade della Val Bormida, l'avanguardia sarda arrivò vicino a Savona. Il 9 il Re incontrò prima una delegazione di sei nobili, ai quali assicurò che avrebbe trattato la città con clemenza, e poi il vescovo e i cittadini più ragguardevoli che gliene recavano le chiavi. Il 10 Agostino Adorno, il comandante del castello, la fortezza del Priamar, respinse l'intimazione di resa; e Carlo Emanuele, predisposto l'assedio, riprese la via della Riviera verso occidente. Il 15 settembre entrò a Finale fra grandi acclamazioni e vi s i fermò un mese, in attesa che i suoi reparti liquidassero le residue sacche di resistenza dei presidi lasciati dai Franco-Spagnoli in Liguria. Il 18 ottobre le truppe sarde avevano terminato di ricacciare gli avversari oltre il Varo e poterono passare ad occuparsi delle piazzeforti. Poi 43 battaglioni austriaci, 20 sardi e 45 squadroni di cavalleria attraversarono il Varo divisi in sei colonne e bloccarono Antibes, in attesa dell'artiglieria pesante per assediarla, mettendo i nemici in rotta fin sotto le fortificazioni di Tolone. Nel frattempo, il 30 novembre, giunse a Genova la decisione di Maria Teresa in merito al condono del terzo milione; e fu ancora peggio della peggiore previsione: non solo era respinta la grazia, ma dopo il terzo milione se ne doveva versare ancora un altro per il mantenimento dei 16 reggimenti asburgici accantonati a San Pier d'Arena, Bisagno e nei villaggi circostanti la Dominante. Era il disastro. I Genovesi dovevano reagire in qualche modo, ma non era facile. I nobili non potevano muoversi perché avevano sottoscritto la capitolazione e, se l'avessero disdetta e le cose fossero andate male, se cioè non si fossero sba.razzati definitivamente dei nemici, il minimo che se ne potevano aspettare era la condanna a morte, il massimo la distruzione della città Questo bloccava completamente il Doge ed il Senato; e in una Repubblica aristocratica come Genova significava che nessuno si sarebbe mosso. Toccava al popolo, ma bisognava evitare che si potesse collegare l'insurrezione al ceto dominante, addossando la colpa alla gente minuta. Per di più la città pullulava di soldati genove15 Denominazione coeva.

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16 carato era l'imposta che si pagava sulle merci trasportate per mare; il pedaggio su quelle per terra. 17 Gli Austriaci avevano calcolato che i nobili genovesi, disponendo di beni privati per 70 milioni in

Liguria e all'estero, sarebbero stati in grado di sborsare la cifra. Ma non se ne parlò nemmeno: e il Senato - composto da nobili - fece conto solo sulle risorse pubbliche.


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si, formalmente prigioojeri dj guerra ma io realtà liberi, e di miliziani addestrati, ma privi di armi, che secondo calcoli non si sa quanto attendibili sarebbero ascesi a circa 30.000, mentre gli Austriaci all'interno dell'abitato erano poche centinaia. Fatto il colpo. si doveva comunque, come poi si fece, dare il via ad un'accurata campagna di disinformazione, che mettesse io luce la spontaneità del gesto popolare e la totale estraneità de.i nobili. Questi, anzi, sarebbero apparsi passivi, in modo che comunque fosse terrojnata la guerra. nessuno avrebbe potuto accusarli di nulla. Era facile anche trovare il pretesto; gli Austriaci stessi ne fornivano a decine al giorno col loro comportamento. Non è inoltre infondato ritenere che i vertici della rivolta abbiano saputo che i.I comando nemico aveva deciso di far saccheggiare la città il 13 dicembre, senza riguardo a palazzi pubblici, chiese e monasteri se prima d'allora non fosse stata pagata la cifra ingiunta. Quello che invece forse ignoravano è che gli Austriaci erano informati dell' imminente rivolta fm dal 3 dicembre, ma erano convinti di poterla soffocare senza la minima difficoltà, anzi, pensavano che sarebbe stato come "vedere una commedia". T1 pretesto migliore capitò, quasi inavvertitamente, per la disorgaoizzazfone asburgica. Secondo le decisioni prese nel consiglio di guerra austro-anglo-sardo tenuto a Savona in settembre e relativo all'attacco contro le frontiere meridionali della Francia, l'ammiraglio Townsend, comandante della squadra britannica, doveva provvedere al trasporto dei rifornimenti e dei rinforzi destinati alle operazioni in P rovenza. I vascelli inglesi si presentarono dunque a Genova per caricare le artiglierie pesanti destinate all'assedio di Antibes e g)j Austriaci, ai quali toccava fornirle e che non ne avevano di proprie, stabilirono di prelevare quelle che guarnivano le mura della città per inviarle al teatro d'operazioni. «Il dì 5 dicembre gli Alemanni strascinavano u11 Mortaro da bombe, e passando per il gran quartiere di Portoria, si sfondò la strada sotto il di lui peso: cosa facilissima ad accadere in Genova, dove le strade di sotto sono vote. Incagliato così il trasporto, i Tedeschi vollero sforzare il minuto volgo a dar loro ajuto per sollevarlo. Questo resisté alquanto; ma poi obbligati dalle minacce, vi si accostarono molti, sebbene di mal animo, onde 11011 davano verun ajuto. Ciò vedendo uno dei Tedeschi alzò il bastone e lasciò correre alcuni colpi. Tanto bastò per dar fuoco a tulio l'incendio. Un ragazzo18, veduto questo tratto, diè di piglio ad un sasso, erivolto ai compagni, disse: La rompo: accordando gli altri, lanciò una sassata al Solda10 percussore. Fu il lampo quello, a cui seguì incomaneme una grandine di sassate così furiosa che mise in fuga i Tedeschi.»•w. li giorno dopo la tensione salì e finalmente esplose nell' insurrezione armata, che io pochi giorni mise tanto a malpartito gh Austriaci da obbligarli alla ritirata e «gli Alemanni abbandonarono le Porte della Lanterna e la Batteria di San Benigno. sgombrando a/fallo dalla città». I cittadini li inseguirono, s'impadronirono dei loro accampamenti; poi «Il Popolo immediatamente mandò le Chiavi nella Città al Governo,Jacendog/i dire ché gli costavano il suo sangue. Questo per la verità fu assai poco, non contandosi morti dei Popolani in quell'azione più che dodici, e pochissimi feriti. Degli Alemanni il numero non si sa, nè si cerca»IX.

18 Qui si apre l'irrisolta questione di Balilla. Dopo anni, anzi, secoli di discussioni. due sole sono le cose concrete a cui riferirsi: la prima è che fu proprio un ragazzino a lanciare il primo sasso: la seconda che non si sa chi fosse. n quadro di Giuseppe Comotto esposto al museo mazziniano di Genova, in quanto opera di un partecipante aUa rivolta e, forse, testimone oculare del suo inizio è, al di là delle affermazioni dei vari storici, la prova migliore. Se poi quello raffigurato fosse veramente il Giambattista Perasso, undicenne, figlio di Antonio e Maria Antonia Parodi, nato in vico delJ'Olivella il 26 ottobre J 735, soprannominato «mangiamerda>►, e morto il 2 ottobre 178 1, probabilmente non lo sapremo mai. vw «Storia dell'anno 1746», Libro IV, pag. 351. " [bidem.


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I magazzini e gli accantonamenti degli Austriaci furono saccheggiati dai Genovesi, i quali riuscirono, insieme agli abitanti dei sobborghi e delle valli, a prendere complessivamente circa 5.000 prigionieri, 380 dei quali erano ufficiali, e le salmerie di tre reggimenti nemici. Botta Adorno riuscì fortunosamente a portare in salvo il resto delle sue truppe alla Bocchetta, dove si riorganizzò per tornare indietro e procedere aJJ 'assedio della città, mentre i Genovesi tentavano di sbloccare il Priamar di Savona. La loro squadra uscì in mare, di conserva con un corpo avanzante via terra; ma venne fatto indietreggiare dai Sardi del Conte della Rocca che avanzarono da Savona, mentre il convoglio, scortato da tre galere, dovè tornare indietro per la presenza della flotta inglese; così la fortezza del Priamar capitolò il 19, lasciando 1.100 prigionieri in mano ai Sardi.

VIII) La Supe.rba difesa: 1746-1748

Jntanto il maresciallo austriaco Botta aveva ottenuto rinforzi dalla Lombardia e si era riavvicinato a Genova. Aveva pubblicato un minacciosissimo proclama in cui ordinava ai Genovesi resa o morte e fatto avanzare i fanti leggeri croati da Voltaggio alla Bocchetta devastando tutto il devastabile. Ma, suonate le campane a martello. questi erano stati messi in fuga da 8.000 contadini, che avevano fatto ripiegare pure una colonna di 2.000 regolari. Botta riprovò il IO e I' 11: un fallimento; ancora il 12, guidato da un traditore per passaggi da contrabbandieri: fu intercettato e volto in ritirata dalla milizia. L'indomani arrivarono anche le truppe regolari genovesi; ma il giorno dopo gli Austriaci fecero un attacco generale su tre colonne. La prima forzò la Bocchetta, difesa da soli 80 uonùni e 12 pezzi d'artiglieria; la seconda prese i Giovi e la terza Rossiglione. Stavolta Croati, Panduri e Varadini misero a ferro e fuoco tutta la Val Bisagno, incendiarono 200 cascine, fucilarono qualcosa come 900 civili di ogni età e sesso - ed era già una fortuna se si limitavano a ucciderli - e puntarono su Campomorone. A Genova il popolo gridò al tradimento e cercò dei capri espiatori, ma presto si vide che l'avanzata austriaca non era stata poi tanto geniale e pericolosa, visto che fu bloccata sulle pendici delle montagne da 12.000 genovesi. Ai primi di febbraio il freddo, la farne e le malattie avevano ridotto moltissimo l'operatività dell'esercito invasore. Botta era bloccato e a Vienna la rabbia era all'acme. Lo sostituirono con Schulemburg sperando che facesse meglio, ma non era facile. La guerriglia impazzava e intercettava pattuglie e convogli, cosicchè da Navi arrivava una minima frazione dei rifornimenti necessari agli Austriaci. Nel frattempo le corti di Francia e Spagna avevano ricevuto dei rapporti favorevoli dai loro osservatori mandati a Genova: si poteva sostenere la Repubblica con buonissime prospettive di successo. Così il 2 febbraio arrivò in città la missione mrntare francospagnola che precedeva lo sbarco dei 6.000 uomini concentrati appositamente a Tolone e Antibes. A metà marzo il convoglio partì e, nonostante la flotta inglese avesse intercettato 20 delle 70 tartane che lo componevano, riuscì ad arrivare a scaglioni a Genova entro la fine del mese, mettendo a terra più di 4.000 soldati col cui aiuto vennero rimodernate le fortificazioni. Gli Austriaci giunsero sotto la città più o meno negli stessi giorni; ma con una difficoltà notevole: non riuscivano a far arrivare l'artiglieria. Dai passi montani, troppo stretti, non ci si riusciva; dal mare la si sarebbe dovuta imbarcare a Levante, navigare fino a Ponente, dove nel frattempo occorreva prendere Voltri e Sestri, e scaricarla, evitando l'artiglieria costiera genovese. Il 31 marzo i Genovesi assalirono e ripresero il passo della Scoffera. Tre giorni dopo Schulemburg riuscì ad ottenere l ' aiuto sardo. Carlo Emanuele ordinò a 12 battaglioni, comandati dal Conte della Rocca di avanzare verso Genova, ma trattenne l'artiglieria finchè non seppe dell'approntamento delle piazzole. Temeva una nuova disfatta austriaca improvvisa e rovinosa quanto la precedente e non voleva rimetterci i cannoni.


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La battaglia delf•Assietta del 19 luglio 1747 a) Punto di panenza delle colonne francesi; b) p rima colonna; c) colonne del centro; d) quarta colonna; e) balleria francese;/) trinceramenti dell'Assietta; g) attacco contro la Butta; h) attacco contro il colle di Serin; i, k) ridotte difese dai volontari; l) trinceramento eseguito dopo la battaglia: m) posto difeso dai Valdesi; n) posto difeso dalle milizie di Pragelato: o) ba11aglioni austriaci; p) Rgr Col/oredo (Austriaci) Casale (Piemontesi/; q) trinceramento difeso dalle Guardie Granatieri. r) Rgr Forga:. m1srriaco: s/ Rgt Erann. austriaco; r/ Rgt Meyer.

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1115 della Rocca arrivò all'assedio. Le sue truppe cominciarono a combattere il 21 maggio 1747 prendendo il convento della Madonna della Misericordia sulle alture di Rivarolo e respingendo il successivo contrattacco di 1.700 francesi e militi urbani genovesi. Persero 700 uomini; i franco-genovesi solo 300 e l'assedio continuò.

IX) L' Assietta: 1747

Intanto, già dall'autunno, la Francia aveva aperto trattative con Olanda e Gran Bretagna. senza però ottenere risultati concreti. Decise allora di arrivare ad una posizione di preminenza militare tale da consentirle di accelerare i tempi e di condurre il gioco negoziale come meglio le convenisse. Tentò di metter in piedi una nuova coalizione antiasburgica in Germania ma non trovò adesioni. Provò l'invasione dell'Olanda, ma non ne cavò il successo sperato. Oli scontri in Asia ed America non potevano essere risolutivi e, dunque, non restava che il fronte italiano. Per questo il 3 giugno furono inviate truppe che operassero su due direttrici. Le prime, 48 battaglioni di fanteria e un buon sostegno d'artiglieria comandati dal Maresciallo de Bellelsle, puntarono verso la Riviera. Unitamente agli Spagnoli di Las Minas. oltrepassarono il Varo, ripresero Nizza, Montalbano e Villafranca. assediarono Ventimiglia e. colla loro preponderanza, costrinsero Leutrum a ritirarsi sui monti di Oneglia. Saputo però che il castello di Ventimiglia resisteva, il Barone chiese rinforzi al Conte della Rocca per soccorrerlo. Nel frattempo Carlo Emanuele fu informato dell'arrivo nella zona alpina dei reparti del Cavaliere de Belle-lsle, fratello del Maresciallo e ordinò subito a della Rocca di lasciare l'assedio di Genova con tutte le truppe. li Conte obbedl il 2 luglio: 2 dei suoi battaglioni andarono a rinforlare Leutrum, gli altri 10 presero la via del Piemonte. Coi Sardi se ne andò anche la flotta inglese che bloccava il porto di Genova; e gli Austriaci furono costretti a levare l'assedio, attestandosi alla Bocchetta per non perdere le comunicazioni col Ducato di Milano. lotanto i due Belle-Isle si avvicinavano. Il Maresciallo occupò la Liguria. ristabilendo i contatti fra i Genovesi e l'esercito delle Tre Corone e lasciando ai Sardi la sola Savona. fl Cavaliere invece marciava verso le montagne con 40 battaglioni di fanteria e numerosi pezzi d'artiglieria. I suoi esploratori gli avevano riferito che le Alpi Cozie erano sguarnite e prive di fortificazioni di rilievo, così «ai 14 e 15 di luglio, quindici battaglioni Gal/ispani con 300 ussari e al1rettanti Miche/etti, comandati dal Cavalier di Bellisle, passarono il Monte Ginevra e portaronsi linea/mente a Ses,ma e Oulx ove si trovavano le nostre milizie dell'alto Pragelas, le quali furono costrette di rilirarsifino al Ponte di Sestriere..»•. A Torino si profilava una catastrofe. In tutto il settore interessato erano presenti si e no IO battaglioni di fanteria e 30 squadroni di cavalleria. questi ultimi quasi inutili in montagna: non più di 5.000 uomini. Il 14 giugno Carlo Emanuele approvò il piano difensivo elaborato dal Marchese Balbiano: ci si sarebbe difesi al colle dell ' Assietta. Aveva il vantaggio d'impedire gli assedi di Fenestrelle ed Exilles; era l'unica postazione che consentisse di d.i fendersi bene e ne furono frettolosamente rinforzati i trinceramenti predisposti fm dall'anno prima. Tutto que!Jo che si riuscì a trovare fu inviato là: 9 battaglioni sardi, senza cannoni, agli ordini del tenente generale Conte di Bricherasio. All' ultimo momento giunsero ancora 4 battaglioni austriaci, condotti dal generale Colloredo; ma anch'essi erano privi d'artiglieria. Poco disturbati da scaramucce colle milizie valdesi, i nemici arrivarono ali' Assietta la sera del 18 luglio: erano circa 30.000 uomini contro 7.400.

• Relazione Sarda sulJa Battaglia dell'Assietta, rip. in «Storia dell'anno 1747», Libro IV, pag. 271.


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GLI ITALIANI IN ARMI

Se avessero voluto scendere verso Torino, sarebbe loro bastato aggirare il colle senza combattere ma, come i Sardi avevano capito, il loro primo obiettivo consisteva appunto nel prendere Exilles e Fenestrelle, in modo da garantirsi i passi alpini e, caso mai, in seguito scendere in Piemonte. La posizione difensiva sarda aveva pressappoco la forma di un'ipsiJon con un lunghissimo gambo, che a metà era piegato verso sinistra. Il Gran Serio era la posizione dominante, l 'Assietta quella centrale, la Testa dell'Assietta la più esposta e la Tenaglia della Testa delJ'Assietta la più pericolosa. Là fu posta la compagnia granatieri del I battaglione delle Guardie, comandato dal tenente colonnello Paolo Navarina conte di San Sebastiano, il figlio che Vittorio Amedeo aveva avuto dalla Contessa di Spigno e che il Conte di San Sebastiano si era proclamato onorato di riconoscere legalmente come proprio. A mezzogiorno del 19 luglio 1747 cominciò il fuoco di preparazione. continuato fino alle 16,30: poi « ..i Francesi diedero principio all'assalto in numero di 40 Battaglioni, divisi in tre colonne, provveduti di nove cannoni di quattro libbre di palla e spalleggiati da altri otto battaglioni di riserva»lÒ. La forte pressione nemica portò Bricherasio a ordinare il concentramento di tutte le forze al Gran Serin, ma San Sebastiano, i cui uomini avevano già respinto tre assalti e ucciso lo stesso Belle-lsle giudicò rischiosissimo rabbandono della linea e non obbedì. Vìsto ignorato anche un secondo ordine di ritirata, il comandante del settore ne mandò un terzo, il cui latore arrivò alle trincee proprio mentre i Francesi tornavano all'assalto. Si dice che il conte di San Sebastiano, letto il foglio, abbia risposto: «Dava11ti al nemico non possiamo volgere le spal/e.»<ii Sia vero o no, resta il fatto che ormai gli avversari erano troppo vicini ed il combattimento si niaccese violentissimo: <<L'assalto fu fatto con tanta forza e valore che già i Francesi trovavansi due ore avanti sera alle falde dei trincieramenti co11 gli istrumenti necessarj per abbatterli e rovinarli......e furono sempre costantemente respinti con coraggio dal canto nostro e gran perdita loro•ili «doppo tanti bei vantaggi si avvicinavano le ore sette....la polvere comminciava a mancarci e l'armi quasi tutte fuori di servizio. li granatieri continuavano a battersi più a colpi di pietra che colfacile»•l• e anche i nemici erano allo stremo. «Infine sopraggiunta la ,wtte,furono costretti di ritirarsi verso Sestriere. inseguiti con bravura da alcune compagnie di Granatieri, unite ad un corpo di Austriaci, che non cessarono di nwlestarli con la Sciabla alla mano fino al detto Sestriere»". Era finita, ed era una grande vittoria: <<Quanto alla perdita dei nemici, si accerta, ed essi pure il confermano, che tra morti, feriti e prigionieri, ascende a cinque in sei mille uomini.»"; Più esattamente: due generali, cinque brigadieri, nove colonnelli, 423 ufficiali e 5.300 soldati. L'esercito nemico si ritirò, abbandonando tutti i suoi feriti - oltre 600 - ai vincitori, dai quali aveva ricevuto assicurazione che li avrebbero raccolti e curati. Gli Austro-Sardi avevano perso illlvece: 2 ufficiali e 25 soldati i primi, 7 ufficiali e 185 uomini i secondi. Un trionfo; ne parlò tutta l' Eu.ropa Contrariamente a quello che si pensò per molto tempo, le relazioni ufficiali sarde, pur se non tutte, parlarono ampiamente del Conte di San Sebastiano «Il Sig.r Conte S. Bastiano, col soccorso mandatogli dal Sig. Conte Colloredo, consistente in due Compagnie di Granatieri

xì Relazione ciL. in «Storia... cit.», pag. 27 I. xii NAVARINA DI SAN SEBASTIANO, rip in GUERRINl, op. cit., pag. 517.

xiii Relazione cit., in «Storia cit.,», pag. 274. .,,, "Relazione della difesa de Trinceramenti del Colle dell 'Assietta fatta dalle truppe Piemontesi ed Austriache lì 19 luglio 174T' Manoscrino originale in AUSSME, Fondo antico, {già nel Fondo L 3, lavori svolti, Stati Preunitari. Piemonte). pag. 3 recto. " Relazione Sarda-, in «Storia dell'anno 1747», libro rv, pag. 274. xvi Relazione cit., pag. 275.


IL SElTECENTO

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ed un Picchetto si è mantenuto costallfemente nella ridolta, la dove degnamente ha meritato la stima di tutti gli ufficiali che combattevano sotto li di lui ordini"••••. È vero però, ed è comprensibile, che ci s i guardò bene dal dire quel che era noto ad ogni Piemontese, che cioè il merito di una così grande vittoria spettava a un figlio naturale di Vittorio Amedeo ll, a un fratello bastardo del Sovrano regnante. Non era il caso di scatenare un putiferio di chiacchiere e scandali sul defunto Re, sull' ancor viva Contessa e sul buio periodo seguito all'abdicazione del 1730. Si parlò molto, ma si tacque quel che tutti sapevano (e in fondo, se lo sapevano, perché dirlo?). Cosl, nel corso degli anni, si dimenticò molto e, quando nell'Ottocento si ricominciò a parlare della battaglia. alcuni sostennero che si fosse voluto punire il Conte di San Sebastiano per non aver obbedito agli ordini. Altri ipotizzarono che la sua colpa più grande fosse sua madre, tutti pensarono di tutto; e questo accadde semplicemente perché nessuno aveva letto i documenti originali, che pure erano conservati negli Archivi di Torino. Comunque quella dell' Assietta fu l'ultima grande battaglia della guerra, perché le operazioni dei dodici mesi seguenti furono tutte di piccola entità e limitate alla Riviera Ligure.

X) La Pace: 1748

Intanto, ottenuto il favore della Russia, il 26 gennaio 1748 Austria, Olanda, Inghilterra e Sardegna avevano stretto un patto per riprendere l'offensiva contro la Francia. Davanti alla determinazione dei nemici. Versailles s 'era allora adattata a firmare i preliminari di pace. il 30 aprile I 748, e la pace vera e propria ad Aquisgrana il 30 ottobre. Tutti i contraenti riconobbero la Pragmatica Sanzione. La Francia riottenne l'Isola Reale - cioé Terranova - e la possibilità di fortificare Dunkerque da terra, dovette restituire Nizza e Savoia al Re di Sardegna, che ricevè dall' Austria il Vigevanese, parte del Pavese e la Contea di Anghiera, portando così il confine al Ticino. Sia il Duca di Modena che Genova riebbero i loro possedimenti, Finale incluso. Luigi XV fucostretto a recedere dalle Fiandre austriache; e si ripristinò la situazione antecedente, a cui l'lnghilterra teneva dal 1713, di frammentazione politica, e quindi di debolezza, sulla costa continentale della Manica. Londra ebbe poi la conferma del «vascello di permesso», del monopolio sulla tratta degli schiavi ed il riconoscimento ufficiale, da parte di tutti i contraenti del trattato di pace, del Settlement Act. La Prussia conservò la Slesia ed acquistò la contea di Glatz. In definitiva non era cambiato nulla.

xvii AUSSME, manoscritto citato. Fondo antico. pag. 4 recto.



CAPITOLO XXII

LA RIVOLTA DELLA CORSICA DAL 1740 AL 1769

I) Dal ritorno di Teodoro al Trattato di Worms

Dopo la firma della convenzione di Versailles del 1739, la situazione corsa era rimasta tranquilla per un intero anno. La successione austriaca aveva portato dapprincipio la partenza delle truppe francesi, una breve quanto infruttuosa ricomparsa di Teodoro nel gennaio 1743 e il proseguimento delle trattative di pacificazione fra i Corsi e la Repubblica. 1 primi però si resero conto che la seconda differiva r esecuzione degli accordi Allora i rappresentanti delle Pievi si radunarono e, il 30 agosto 1745, nominarono "Pacieri e Protettori della Patria" l'abate Ignazio Venturini, il dottor Giampietro Gaffori e il capitano Alerio Francesco Matra perché sollecitassero la Repubblica ad eseguire i decreti del 1743. Ma la situazione internazionale di quel periodo era molto cambiata rispetto a due anni prima e Genova aveva altre gravi preoccupazioni. La firma del Trattato di Worms ebbe conseguenze anche per la Corsica. I 16 legni della squadra del commodoro Cooper si staccarono dalla flotta di Matthews e la mattina del 18 novembre si presentarono davanti a Bastia, intimandole la resa. Il Governatore rifiutò e fece aprire il fuoco alle artiglierie genovesi. Nello stesso momento i Bastiesi, da tempo in contatto coi Malcontenti, nùnacciarono di sollevarsi. Giovandosi dell'arrivo davanti alla città di un corpo comandato dal colonnello Domenico Rivarola, Corso al servizio del Re di Sardegna e sbarcato nell' Isola già da ottobre•, convinsero il Governatore ad evacuare la città, la quale accettò la protezione di Carlo Emanuele m che Rivarola offriva a lei e a tutta la Corsica. Per Genova era un disastro. Nel momento in cui pensava d'aver risolto gran parte dei propri guai grazie alla fortunata campagna sostenuta in Italia insieme a tre potenti alleati, il Piemonte la colpiva nel punto in cui era meno difesa e rimetteva in discussione quindici anni di sforzi. Ma il peggio doveva ancora venire. Ai primi di dicembre le navi britanniche bloccarono dal mare San Fiorenzo, mentre Rivarola l'assediava da terra e minacciava d'avanzare contro le altre piazze genovesi. Il Commissario Generale Stefano Mari le rinforzò spostando truppe da Calvi, ma non c'era nemmeno da pensare a riprendere il controllo dell'Isola. Rivarola, infatti, vi aveva diffuso la Patente con cui Carlo Emanuele III concedeva la sua protezione ai Corsi e prometteva di aiutarli contro Genova2• I Rivarola era stato viceconsole di Spagna a Bastia; nel 1744 aveva ottenuto dalla Repubblica il permesso di arruolare un reggimento di Corsi - Reggimento Corsica - per il Re di Sardegna, poi era fuggito perché accusato dj malversazione, peculato ed appropriazione indebita come amministratore fiscale. Per rappresaglia, la Repubblica arrestò i suoi figli e li trasferl a Genova. 2 Ad essa seguirono una Patente analoga rilasciata da Maria Teresa, un Decreto del Doge di Genova per proibirne la diffusione e confutarne i comenuti, una seconda confutazione apparsa anonima e sotto forma di "Osservazioni di uno dei Nobili del Regno di Corsica, sopra le Lettere Patenti, attribuite alla Corte di Torino" e infine una dichiarazione della Corte di Francia, il tutto nel più infiorettato stile curiale settecentesco in cui, professando la massima reverenza per l'avversario, si dicevano le cose più pesanti coi termini più riguardosi possibili.


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In autunno arrivarono a San Fiorenzo due vascelli inglesi che portavano lettere e rifornimenti mandati da Carlo Emanuele; e il 21 ottobre Rivarola e Giuliani s'imbarcarono alla volta del Piemo nte. Vi furono accolti con grandi segni di stima e ricevettero ampie assicurazioni d'intervento, anzi, mentre erano là, vennero spediti gli ordini per armare a Savona i legni necessari al trasbordo in Corsica di truppe e munizioni. Si dovette aspettare a lungo, fino a mezzogiorno del 4 maggio 1748 quando, tra scariche d'artiglieria di saluto e grida di gioia, il convoglio degli aiuti austrosardi gettò l'ancora nella rada di San Fiorenzo. Panito addirittura il 3 aprile da Savona, aveva navigato le ntamente per i venti contrari, o del tutto assenti, ma ora eccolo là, scortato da 4 vascelli inglesi e carico di 1.500 uomini3, anni, cannoni, munizioni e viveri. Con quelle truppe - unite a 4.500 malcontenti - si tentò l'assedio di Bastia, interro110 per carenza di munizioni il 27 maggio. Lo stesso giorno approdò a Bas tia il convoglio coi rinforzi franco-spagnoli comandati dal Marchese de Coursay, che vennero impiegati prima a riattare le fortificazioni e poi per prendere la torre di PaJudella con un'azione anfibia. Falli to un primo tentativo, riuscirono al secondo. Intanto il 24, coadiuvati da un vascelJo inglese, i Malcontenti avevano attaccato Nonn, la cui guarnigione francese si era rinchiusa in due case per resistere4 un po' prima d'arrendersi. Agosto passò senza combattime nti; ma la novità fu l'annuncio dell'armistizio in terraferma e la stesura della convenzione annistiziale tra Francesi e Sardi per la Corsica. l Corsi pensarono di mandare ad ognuno dei plenipotenziari convenuti ad Aquisgrana un memoriale nel quale nassunsero tutti i loro motivi e tutte le loro richieste, concludendo che «Sarebbe dunque desiderabile pel bene della Repubblica di Genova ... che si liberasse affatto dell'Isola di Corsica»•. n 13 novembre il comandante delle forze austro-sarde in Corsica. Cumiana, chiamò a San Fiorenzo i Capi dei Malcontenti e comunicò quali intenzioni avessero nei loro confronti Carlo Emanuele ID, Maria Teresa d'Austria e Giorgio d'Inghilterra: pensavano di lasciare l 'Isola sotto la protezione di Luigi XV. In realtà Carlo Emanuele m se la sarebbe volentieri tenuta per sè. ma la Francia aveva dichiarato che il ripristino dell'integrità territoriale della Repubblica di Genova era una condizione fondamentale per la pace; l'Inghilterra, finanziariamente esausta. non aveva avuto difficoltà e s ·era imposta perché anche Austria e Sardegna accettassero. Così iJ Piano Chauvelin aveva fatto un altro passo avanti; e agli Alleati non rimaneva che lasciare l'Isola. Restavano invece i Frances i, sempre alleati di Genova, e grazie a loro, a metà aprile, nonostante fosse stato detto «che S. M . Cristianissima non poteva far a meno di 11011 rimetterli sotto il Dominio della Repubblica»" i Malcontenti accettarono le condizioni di pacificazione proposte, anche perché in pratica si stabilì di estromettere il dominio genovese, mantenendo nell' Isola solo truppe francesi e corse e considerandola non più soggetta ma confederata alla Repubblica. Genova non era contenta, la Francia nemmeno, la Corsica idem..... si può fac ilmente capire che la rivolta non terminò.

Il) I disordini il Regolamento e la partenza del Francesi

La situazione si volse di nuovo al bruno. Genova aveva risolto la maggior parte dei suoi

J Reggimento sardo "Della Marina" e austriaco "Daun". • Memori di quanto dieci anni prima e proprio da quelle pani avevano fano i Francesi ai loro, i Corsi circondarono le due case con fiaccole accese in mano e - più umani dei Francesi - intimarono la resa incondizionata senza appiccare il fuoco. i "Signori , io ho l'onore di presentare ....". Memoria presenl8ta dalla Nazione Corsa alle LL EE i Ministri e Plenipotenziarj radunanti in Aquisgrana. S. I., 1748, ultima pagina. 11 "Storia dell'anno 1749", Venezia. Pittcri. 1750, Libro Secondo. pag. 223.


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guai finanziari dichiarando franco il proprio porto per dieci anni e adesso cominciava ad accorgersi cbe i Francesi avevano assunto troppo potere in Corsica. La reazione, pit't che del Senato, venne dai funzionari civili e militari residenti nell'Isola che traevano da ogni fatto un'occasione di scontro. A Genova il Senato ebbe La mano felice: nominò in Corsica Giangiacomo Grimaldi - sarebbe stato il migliore di tutti i Commissari Generali - e mandò istruzioni a lui ed al ministro della Repubblica a Parigi di adoperarsi per attenuare gli attriti fra truppe francesi e genovesi. Dopodicbè Chauvelin passò in Corsica il 9 luglio e convocò un'Assemblea. Ottenne dai Deputati il giuramento sul Vangelo di riconoscere « ...la Repubblica di Genova per unica legittima loro Sovrana»;;;, e diede loro il Regolamento da seguire. In otto capitoli si diceva cbe la Repubblica avrebbe tenuto propri presidii a Bastia, dove avrebbe risieduto il Commissario Generale al quale spettava la sovrintendenza degli affari miJitari, navali e giurisdizionali (questi ultimi limitati alla sola capitale) - Ajaccio, Calvi e San Bonifacio a spese della Corsica. Per il resto i Corsi venivano accontentati su tutta la linea. Era la fine del! 'effettivo dominio di Genova, alla quale veniva lasciata solo una potestà pit't che altro nominale; ma era meglio di niente. Ma tutto crollò quando il 6 ottobre Coursay poté leggere iJ Regolamento ai Capi delle Pievi. Non appena finì, si alzarono e dissero che per loro sarebbe stato disonorevole accettarlo: non si sarebbero sottomessi. Poi lasciarono Bastia e andarono a riferire alle rispettive comunità, le quali presero subito le armi e affermarono di voler uccidere chiunque avesse osato parlare d'accettarle. Il fallimento politico determinò i Francesi ad abbandonare l'Isola, con gran gioia di Grimaldi. I Corsi si prepararono a resistere al restaurando dominio genovese cominciando coll'assalire proprio i Francesi, per impedir loro di consegnare le posizioni ai soldati della Repubblica. Riuscirono a ritardarli; ma il 9 febbraio partl una nave che portava a Chauvelin la notizia dell'avvenuto ripiegamento francese e chiedeva ulteriori ordini; nel frattempo arrivarono 500 genovesi, cbe furono ripartiti fra Ajaccio e Calvi e a fine mano il contingente francese rimpatriò. La Francia usciva apparentemente sconfitta da cinque anni di permanenza in Corsica. ln realtà aveva svolto un 'attenta opera di proseljtismo, disponendo parte della popolazione in suo favore. Il domino genovese era stato tutt'altro che confermato e, anzi, l'opera dei Francesi nei fatti era stata volta a indebolirlo sostituendolo col loro. La facciata delle convenienze diplomatiche era stata mantenuta per il tempo strettamente necessario e bisognava solo aspettare, tanto era evidente che i Corsi e la Repubblica non si sarebbero mai accordati.

llI) Il ripristinato dominio della Serenissima e le "Costituzioni della Nazione Corsa" Visti partire i Francesi, i MaJcontenti si radunarono al convento d'Orezza per l'ennesima Assemblea Generale, Decisero di governarsi da sè. di vivere in concordia, di esigere una tassa settimanale di 4 soldi a famiglia per mantenere un Campo Volante, cioè un corpo stabile di armati in loro difesa e giurarono di non dare mai nessun ascolto a qualunque proposta della Repubblica di Genova. Poi demandarono ad un 'ulteriore Assemblea Generale la stesura delle leggi e la decisione della forma in cui s i sarebbero governati. Minutamente informato di tutto, il Senato pensò d'approfittare della confusione regnante fra i sollevati e, nel maggio del 1753, diede ordine a Grimaldi di pubblicare un perdono generale rivolto a chi si fosse sottomesso. Ma l'uccisione di Gaffori in ottobre aggravò la situazione; e il 26 ottobre l'Assemblea Generale discusse le Costituzioni della Nazione Corsa. Si ribadì l'indipendenza delle supreme iii Atto cli sottomissione, rip. in "Storia deU'anno 1751", Venezia, Pitteri, 1752, Libro Il, pag. 177.


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cariche della Nazione, la loro residenza in Corte, la loro durata in carica per un solo mese e fu prolungata di altri 15 giorni la permanenza in carica di quelle in attoS, alle quali vennero demandati tutti i poteri civili, militari, ,esecutivi e giurisdizionali. Stabilite nei successivi cinque articoli, dal 3° al 7°, le modalità giurisdizionali da seguirsi nelle Pievi, si decideva d i creare un reparto di 124 soldati corsi6 «di buona complessione, età, e prudtmza, e di provata integrità, costumi e valore~v come guardia delle supreme cariche dello Stato, corpo di polizia, esecutori di giustizia e guarnigione del castello di Corte, mantenendoli grazie ad una tassa di due lire annue per ogni fuoco. L'ultimo articolo, il 13°, diceva: «si proibisce ad ognuno dei Nostri Nazionali di parlar più di Trattati con Genovesi, se ne hanno violata la pubblica fede, nè di proseguirli, sotto pena d'incendio e devastazione dei Beni, con la marca di perpetua infamia, e per ultimo d'esser pu11iti di morte»•. La rivolta riprendeva.

IV) I combattimenti del 1754 Intanto il Commissario Generale Grimaldi aveva lanciato energiche azioni anfibie e terrestrì contro il riaccendersi della rivolta armata, con risultati tali da poter comunicare a Genova che «per l'aJlività, previsio11e, e savie misure del Marchese Grimaldi, tutto il territorio dipendente dalla Bastia trovasi attualmente libero dai Nemici» ... Ora poteva passare al contrattacco. Per prima cosa, in risposta alla taglia messa dai Malcontenti sulla sua testa, pubblicò un editto in cui prometteva a chiunque avesse ucciso un ribelle una ricompensa e una promozione proporzionata al rango del morto. arrivando fino alla nomina a Maggiore per chi avesse soppresso uno dei Capi. Poi mosse le truppe. La fermezza del suo atteggiamento e la mancanza di artiglierie indussero i Malcontenti a ritirarsi sulle montagne, dalle quali di tanto in tanto spedivano a valle piccoli 'l'eparti per saccheggiare o incendiare le case dei filogenovesi. Il 7 agosto anche Grimald.i lasciò la Corsica. Il Senato aveva finalmente accettato le sue reiterate richieste di rimpatrio e aveva mandato a sostituirlo il marchese Giuseppe Maria Doria, giunto appunto il 7 agosto 1754 con un convoglio di rifornimenti e rinforzi.

V) 1755: L'arrivo di Paoli e il ritorno di Grùnaldi

L'inverno 1754 - 55 passò tranquillamente, anche se i Malcontenti, salve le loro solite di vergenze d 'opinioni, sembravano assai più compatti del passato e quindi più pericolosi. Il fatto nuovo si ebbe in estate, quando si riunirono in Assemblea Generale a Sant'Antonio, decisero di differire le operazioni fino al 3 agosto e nel frattempo di nominare un «Capo Generale economico e politico del Regno, la di cui autorità fosse illuminata, eccetto allorchè

s Cioè un Presidente. quattro Consultori, un Auditore Generale, un Promotore Fiscale e un Cancelliere. Si elesse un Segreto Consiglio di Stato, composto da Clemente Paoli, Tommaso Santucci, Sirnon Pietro Frediani e Carlo Grimaldi. 6 Dovevano essere divisi in due compagnie di pari forza composte da un capitano. un tenente. un sergente e 59 soldati, ai quali sarebbe stata data una paga rispettivamente di 50, 30. 22 e 18 lire. ,v "Costituzioni della Nazione Corsa, stabilite oelJ' Assemblea Generale tenuta nella città di Corte ai 26 d'Ottobre del 1753", articolo 8, s.i. v Idem, articolo 13. vi JACOPO GRtMALDI, "Relazione dei fatti della Bastia passati dai IO ai 15 di maggio dell'anno 1754", s.i .. ultima pagina.


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si trattasse di cose di Stato, intorno le quali nulla può egli risolvere senza il consenso dei Popoli e dei loro Rappresen.tanti»vii nella persona di Pasquale Paoli7. Giurò il 14 luglio 1755 e si trovò in mano "L'Amministrazione del Governo". A questo punto si sarebbe dovuto marciare contro i Genovesi. ma ci fu un cambio di programma, perché Mario Matra. escluso dalle massime cariche politiche, insorse contro Paoli, si accordò con altri Capi, prese contatti con Doria e si mise in campo seguito da alcune centinaia di uomini dicendo d'agire per la causa delJa libertà corsa. La guerriglia intestina che ne segul vide un paio di scontri di esito alterno. Poi, battutolo ad Aleria, Paoli obbligò Matra a ritirarsi coi 300 uomini rimastigli ad Ajaccio. Per prevenire altre simili defezioni. pubblicò un Atto di perdono per quasi tutti i seguaci di Matra ottenendo un grande successo. Poi emanò il divieto di avere contatti cogli abitanti di Bastia e San Fiorenzo; e tutti lo interpretarono come una misura preliminare alla tanto differita uscita in campagna contro i Genovesi. A Genova pensarono di mandare un esperto in aiuto a Doria; e tornò il marchese Giangiacomo Grimaldi. Al suo arrivo aumentò subito l' attività militare. Per prima cosa prese il controllo dell'Isola Rossa in modo da impedire qualsiasi sbarco di contrabbandieri. Passò poi a San Fiorenzo: ne riordinò e potenziò le difese, infine ne uscì e distrusse tutti i posti fortificati e i fortini veri e propri che la dominavano dall'entroterra. Sistemata la cosa comfociò a guidare personalmente dei forti picchetti di fanteria all'occupazione di tutti i luoghi strategicamente rilevanti, prima di procedere alle operazioni in grande stile. Lentamente e inarrestabilmente la bandiera della Repubblica tornò a sventolare nelle zone interne. Grimaldi si affacciò nella piana di Oletta; e Paoli. i cui uomini si erano fino a quel momento ritirati, pensò d'essere abbastanza forte e armato da potergli resistere proprio davanti a Oletta; ma Grimaldi manovrò meglio, lo battè e lo costrinse alla fuga. Po.i prese tutta la Provincia del Nebbio e, quando il 16 novembre 1755 si ritirò nei quartieri d'inverno, il morale delle sue truppe era altissimo sia per le vittorie sia per le trascurabili perdite subite fino a quel momento.

VI) DaJl'organizzazione cU Paoli al ritorno di Matra

Il ciclo operativo del 1755 era andato benissimo e per i Genovesi quello del 1756 si prospettava anche migliore, visti i dissensi tra i Malconrenti che avrebbero impedito loro qualunque azione contro Bastia. Paoli a sua volta si rendeva conto benissimo di non poter vincere se prima non trasformava la Corsica da un'accozzaglia di partiti che votavano leggi e costintzioni solo per lasciarle inattuate in uno Stato organizzato. Era necessario avere truppe stabili. favorire il commercio e assicurare la giustizia; e ognuna di quelle tre cose non si poteva ottenere se le altre due mancavano.

vii "La Suprema Assemblea Generale del Regno di Corsica agli affezionatissimi Popoli della Nazione. Carissimi Popoli e Compatriotti. Quelle vecchie animosità private....." editto che annuncia la nomina di Pasquale Paoli a Capo Generale del Regno. Sant' Antonio, 15 luglio 1755. 7 Figlio di Giacinto. allora colonnello al servizio napoletano, e cugino di Clemente, Paoli aveva vent'anni, un'ottima cultura classica e una buona pratìca del mondo civile e militare. La carica che gli fu data era in origine stata offerta al padre; ma questi l'aveva rifutata dicendosi troppo vecchio ed offrendo suo figlio al proprio posto. Si trattò quindi non d'un riconoscimento delle sue qualità, ma d' un omaggio alla famiglia, intesa nel senso più ampio del termine. cioè all'insieme di parentele cospicue e internazionalmente ben collegate di cui Pasquale godeva.


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Da ex-militare, Paoli decise di cominciare dall'esercito per impiegarlo prima contro i nemici interni - Matra sopra tutti - e poi contro i Genovesi. Così indisse un'Assemblea Generale a Corte ai primi del 1756 e risolse la questione delle forze armate mediante una tassa generale, il cui gettito di 72.000 lire sarebbe servito a mantenere annualmente un corpo stabile di 3.500 uomini. 11 passo seguente consistè nell' indebolire il nemico esterno senza combatterlo: promise agli eventuali disertori dalle truppe genovesi una paga di un terzo superiore a quella versata loro dalla Repubblica. garantendola tale anche se da Genova avessero ordinato aumenti. Le diserzioni fioccarono - non per niente erano soldati della Repubblica di Genova - e Grimaldi si trovò coi ranghi alquanto assottigliati e troppo deboli per attaccare. Reagì mettendo una taglia sulla testa di Paoli; e ne venne ricambiato venendo dichiarato "capitale Nemico e Vessatore della Nazione" con un premio di J.000 Cecchini da pagarsi a chiunque avesse recato all'accampamento degli insorti la sua testa. Ma le vicende europee stavano di nuovo influendo sulla Corsica. li desiderio di Maria Teresa d'Asburgo di recuperare la Slesia persa durante la Guerra di Successione Austriaca aveva determinato il cosiddetto ·•rovesciamento delle alleanze", cioè il patto tra Austria e Francia, tradizionali nemiche, contro la Prussia di Federico Il. Nel 1756 scoppiò la guerra che per la sua durata sarebbe poi stata detta "dei Sette Anni"; e l'Inghilterra. che aveva firmato un trattato d'alleanza colla Prussia scese in campo. Riapparvero in Mediterraneo le navi britanniche e diffusero a Versailles e Genova la paura che volessero impadronirsi della Corsica. Paoli aveva spesso accennato a una Potenza dalla quale sperava e si aspettava aiuto. L' Inghilterra era già padrona di Gibilterra e Port Mahon, che le davano il controllo sull'accesso e sulla parte occidentale del Mediterraneo; mancava però di basi nell'area centrorientale. La Corsica poteva essere stara individuata dall'Ammiragliato per colmare quella lacuna? I rapporti tra la Serenissima Repubblica e la Corte di San Giacomo non erano mai stati ottimi. Del resto Genova non poteva dimenticare di dovere all'Inghilterra il trattato di Worms e tutti i guai che ne erano derivati. Da quel tempo aveva in vigore l'alleanza con la Francia; ora la Francia era in guerra cogli Inglesi, assediava la loro base di Port Mahon e domandava alla Superba navi e marinai. Schierarsi? No; la Repubblica scelse la neutralità, ma consentì al Re Cristianissimo di armolare marinai e maestranze navali nel proprio territorio. Cosi, quando la squadra dell'ammiraglio Hawke si avvicinò alle coste francesi, Genova temè che la manovra fosse in realtà d!iretta contro la Corsica e chiese a Versailles d'inviare nell'Isola un contingente in funzione antisbarco. Furono avanzate delle difficoltà: «la Francia non voleva tornare a cimentare l'onore delle Truppe, mandandole in un luogo dove erano state in continui contrasti con i Commissarj Genovesi, per gelosia di comando, e ne dovettero partire infruttuosamente»viu si disse; ma era fumo negli occhi per nascondere la disponibilità a proseguire nel Piano Chauvelin. Fu una sceneggiata destramente recitata dai Francesi fino alla sottoscrizione, in agosto, d'un accordo assai particolareggiato. ln funzione antinglese e totalmente indipendenti dal Commissario Generale, al comando del Marchese de Castries sarebbero stati inviati a guardia delle coste settentrionali e occidentali della Corsica 3.000 uomini articolati in 6 battaglioni di fanteria con un'aliquota di artiglieri. li loro comando sarebbe stato a Calvi insieme a 4 battaglioni; Ajaccio e San Fiorenzo avrebbero ospitato un battaglione per una. Da Calvi sarebbero stati distaccati 400 uomini cogli ar6glieri per presidiare le torri e le batterie costiere, i cui cannoni sarebbero stati lasciati dai Genovesi ai Francesi colle relative munizioni e dietro stesura d' un inventario. Le truppe della Repubblica avrebbero controllato le coste meridionali e orientali, conservando i presidi maggiori di Bastia, Portovecchio e San Bonifacio. oltre a tutti i minori. viii ..Storia dell'anno 1756", Venezia, Pilieri. 1757, Libro IV, pag. 302.


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Quando finalmente la squadra inglese di Hawke si allontanò dalla Provenza in direzione di Minorca, il convoglio francese partì da Antibes e 1'8 novembre arrivò l ' ultimo suo scaglione, ritardato dai venti contrari. La reazione di Paoli fu pacifica. Venne convocata un'Assemblea Generale a Petralba il 5 novembre e si valutò la cosa. I Corsi non erano in guerra coi Francesi, i quali a loro volta erano là - e lo dicevano a chiare lettere - contro gli Inglesi e non avevano intenzioni ostili nei confronti dei Malcontenti; dunque non c'era motivo di combattere e bastava essere prudenti. Cosl furono emanati i soliti ordini dati in circostanze analoghe: rinforzo delle guarnigioni, interdiz.ione della corrispondenza e dei contatti con luoghi o persone sospette sotto pena di morte, confisca e devastazione dei beni e, a causa della penuria di viveri, obbligo di fornire entro un mese al governo insurrezionale una Lista esatta delle vettovaglie e granaglie di ogni Pieve. Poi Paoli si mise alla testa di un corpo armato posto tra le provincie di Nebbio e Balagna. mandandone altri in giro per le Pievi più esposte e rifiutò qualunque contatto, formale o informale coi Francesi, sostenendo che se erano là per aiutare i Genovesi non bisognava frequentarli; se invece erano giunti come neutrali, non occorreva curarsene. Per passare il tempo i Malcontenti sollevarono e risolsero un bel numero di faide. Mario Matra fu il primo a cominciare, prendendo le armi contro Paoli e il 28 marzo 1757 si trovò circondato dai Malcontenti. Si disimpegnò con un brevissimo scontro a fuoco e si diede alla fuga con tutti i suoi; ma era stato ferito e fu raggiunto e ucciso, nonostante Paoli avesse ordinato di prenderlo vivo. Il suo cadavere fu fatto a pezzi. I suoi seguaci scapparono a rifugiarsi sotto le baionette genovesi a San Pellegrino e alla Paludella; ma per ordine di Doria ne furono accolti solo pochi. Quelli rimasti fuori alla mercè dei Malcontenti furono tutti disarmati e catturati. Tre vennero fucilati immediatamente, gli altri furono costretti a spianare il forte d' AJeria, gettandone in mare le pietre. Poi vennero bruciate le case di 50 di loro e parecchi furono trattenuti in ostaggio. Con questo la questione Matra era conclusa e si poteva cominciare a pensare ai Genovesi.

VII) Dalla ripresa dei combattimenti contro i Genovesi alla cessione alla Francia

ln giugno Paoli istitul un ordine cavalleresco, chiamato "Compagnia Volontaria" 8 e preparò i Malcontenti a uscire in campagna. Alla fine di agosto 500 di loro andarono ad assediare la torre di San Pelleg.rino, ma fallirono. Intanto nelle Pievi di là dai Monti era scoppiata una sollevazione capitanata da Anton Francesco Colonna, che aspirava a diventare Capo della Nazione. La rivolta si diffuse rapidamente e Paoli dovè lasciare le operazioni contro i Genovesi per spostarsi di là dai Monti. La cosa venne risolta in tempi relativamente brevi, anche grazie alla buona organizzazione militare dei Malcontenti. A differenza dal passato, ora esisteva davvero un corpo organizzato di truppe. Il castello di Corte aveva una guarnigione fissa di non meno di 50 uomini comandati da Pietro Paolo Al-

8 Prevedeva 60 membri, i quali dovevano mostrare le prove di nobiltà ed essere accettati con una votazione segreta. Dovevano combauere a piedi. coll'eccezione del Gran Maestro, che durava in carica solo sei mesi e disponeva d ' un cavallo. Vestivano un abito di panno corso fatto come una sottogiubba - un panciouo con maniche cioè- rotondo e senza altro ornamento che mostre di velluto verde sulle maniche, berretta di velluto verde da indossarsi durante le operazioni militari e una croce, d'argento per I semplici volontari. d 'oro per i graduati, rappresentante da un lato l'Immacolata Concezione e dall'altro una santa non meglio identificata. I Volontari s·impegnavano a difendere la Patria a proprie spese e a radunarsi ogni 5 novembre a Corte per celebrare una messa in suffragio dei loro caduti.


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berti e ogni volta che Paoli si metteva in campagna portava sempre con sè un grosso contingente, parte sue guardie e parte truppa "stabile", alla quale non mancavano le anni. nè gli equipaggiamenti nè una paga regolare9 e per la cui sussistenza era stato istituito un magazzino. nel quale venivano riposte le rendite in natura ricavate dai beni ecclesiastici sequestrati. Nel 1760 i Corsi chiesero e ottennero dal Papa un Visitatore Apostolico, scatenando un conflitto diplomatico e giurisdizionale fra Genova e Roma. La nuova difficoltà diplomatica, unita all'incapacità di domare la rivolta evidenziata dai successivi quattro anni di fallimentari operazioni, indussero Genova a un nuovo accordo quadriennale colla Francia, che inviò un contingente al comando del Conte de Marboeuf. In più Paoli aveva riorganizzato la marina corsa molestando il commercio della Repubblica cosicchè, allo scadere dell'accordo, nel 1768, Genova preferì ceder l'isola alla Francia col trattato di Compiègne. Apparentemente la cessione era temporanea e manteneva il dominio genovese mediante una clausola di retrocessione; ma era una formalità volta ad evitare le proteste delJe altre Potenze. Nessuna si mosse, però. tranne la Sardegna, che il 14 ottobre 1767 occupò l'isola della Maddalena con una squadra di 5 legni e una compagnia da sbarco, impiantandovi una stazione navale con I00 uomini di presidio. Da parte sua Luigi XV non perse tempo. Ora che la Corsica era sua di nome doveva esserlo pure di fatto; e vi mandò il Maresciallo de Vaux con 30.000 uomini. [ Corsi provarono a resistere ma, venuti allo scontro campale a Pontenuovo, 1'8 maggio l 769 furono completamente sbaragliati. Paoli fuggì in Inghilterra in cerca di finanziamenti e la guerriglia proseguì sulle montagne fino al 1774, spegnendosi poi lentamente. tramutandosi in brigantaggio. Avrebbe conosciuto un ritorno di fian1rna solo al tempo della Rivoluzione; ma la Corsica era ormai francese.

9 A questo proposito si notò che Paoli faceva ogni quindici giorni un viaggio a Napoli. da dove tornava con denaro di provenienza igaota.


CAPITOLO XXIII

LA PACE APPARENTE E LA GUERRA ESISTENTE: 1748-1792

I) 1748-1789 La prima guerra fredda e l'apparato militare italiano

La pace di Aquisgrana segnò il principio di un periodo di stabilità territoriale, relativa in Europa e totale in lralial, che durò fino al 1797 e d'una concatenazione di avvenimenti che portò al crollo della monarchia francese ed alla conferma del dominio britannico sul mondo. Rafforzato il proprio monopolio commerciale in America Latina, gli Inglesi cominciarono ad espandersi in lndia ed aumentarono l'attività in America Settentrionale; e in entrambi i casi l'avversario da battere era la Francia. La loro penetrazione in India, eliminati i Francesi, si risolse in breve tempo. Nel Nord America la situazione era più complessa ma. colla Guerra dei 7 Anni, Versailles perse anche il Canada; e al termine del conflitto si accentllò la crisi francese, sia economica che politica Ma la Francia non riteneva di dover demordere e, finita la guerra, pensò subito a quella successiva. Stavolta però lo scontro non sarebbe stato caldo, cioè armato, ma freddo, economico e politico e, fin dove possibile, senza ricoTTere alla guerra tradizionale. Versailles si diede quindi a rinsaldare i legami dinastici, economici e politici di cui disponeva, stringendone di nuovi ad ogni occasione e cercando d 'isolare l'Inghilterra. Delle potenze maggiori, la Spagna era governata daJJa medesima Casa di Borbone ed aveva interessi antinglesi collimanti, in linea di massima, con quelli francesi. Quanto all'Austria, dal 1755 era alleata, in funzione antiprussiana, poi divenuta praticamente anche antinglese durante la guerra; e daJ quel lato non c'era pili nulla da temere. L'alleanza austriaca neutralizzava l'Ilalia ma non a sufficienza, perché restavano delle zone d'influenza inglese. Quelle sicuramente filofrancesi erano due: Napoli e Parma Napoli era considerato uno Stato satellite, in quanto governato dai Borboni. Oltretutto nel 1759 Carlo VII l'aveva abbandonato per salire al trono di Spagna, accentuandone la dipendenza da Madrid, perché la corona di Napoli era andata al piccolo Ferdinando IV, sostituito fino alla maggiore età da uo consiglio di reggenza la

1 Gli unici elementi di rilevan1..a mili{are. a patte la quotidiana attività antipi.rata delle varie marine, furono la controversia sorta fra Stato Pontificio e ,Granducato di Toscana a proposito dei feudi di Carpegna e Scavolino, per i quali si giunse da entrambe le parti alla mobiljtazione ma non oltre; risolvendo la questione per via negoziale. Più seria invece la rivoluzione sanremese del 1753. I Sanremaschi, ribellatisi a Genova già una prima volta nel 1729, il 7 giugno 1753 fecero atto di dedizione al Re di Sardegna e si armarono, mettendo in campo circa 1.500 uomini. non <roppo bene annali. La Repubbljca reagi inviando il generale Agostino Pinelli con una squadra di tre galere, una palandra, due Iancioni, alcu.ni trasporti su cui erano imbarcati 1.027 fucilieri e granatieri appartenenti ad 8 reggimenti diversi (25 Granatieri, IO fucilieri Rgt Bisagno, 316 Rgt Savona, 134 Rgt Albenga, 52 Granatieri di Sarzana. 357 fucilieri del Rgt Bastia, 108 del RgtAjaccio e 25 del Rgt alemanno Waren) e un bastimento portamunizioni. Fallito un primo sbarco, il 14 giugno a Pinelli ne riuscì un secondo a Pietralunga. I soldati genovesi assalirono la città su due colonne e la presero con una manovra aggirante. La popolazione negoziò, si arrese e Pinelli la sottomise. In seguito la cittadina fu molto maltrattata dalla Repubblica, che la tassò a oltranza facendovi infine costruire il forte di Santa Tecla per sorvegljarla, privandola delle sue libertà municipali.


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GLI ITALIANI IN ARMI

cui anima era Bernardo Tanucci. in corrispondenza col Re Carlo e attento a conservare il Regno nella scia spagnola. Lo stesso discorso valeva per Parma, con un Duca spagnolo e ormai in mano a ministri francesi. Rimaneva il resto della Penisola: e la Francia vi cominciò una lenta penetrazione economica e politica, per espellerne l'influenza accumulata dall'Inghilterra fin dal principio del secolo. Gli effetti non tardarono a farsi vedere. Londra non era riuscita a convincere le Potenze italiane a scendere in campo al proprio fianco nel 1756. ma aveva mantenuto un minimo influsso sia tramite il commercio sia, e questo era piò importante, attraverso i propri ufficiali di Marina e dell'Esercito chiamati a servire gli Stati italiani. La Marina dei Savoia, quella toscana e l'Esercito veneziano ne erano altrettante prove; e là si concentrò con successo lo ~forzo borbonico. Così entro la fine del 1767 gli Inglesi diedero le dimissioni, o furono cortesemente congedati, e l'influsso britannico sul frammentato apparato militare italiano scomparve. Messa l'Europa sotto controllo, si poteva pensare al resto del mondo. Nel 1776 venne e fu sfruttata l'occasione americana. La Rivoluzione Americana fu semplicemente un episodio di quella Guerra Fredda, la prima che la storia moderna ricordi. e non fu un riuscito tentativo di dare l'indipendenza agli Stati Uniti, ma un conflitto durante il quale Francia, Spagna e Olanda alleate batterono militarmente la Gran Bretagna portandola sull'orlo della catastrofe. Nè a Versailles nè a Madrid interessava nulla dell'indipendenza americana in sè per sè. Era un fattore marginale divenuto importante solo in quanto pretesto strategico per rimettere piede nel continente nordamericano al fine d'espellerne gli Inglesi. Entrambe le monarchie si erano preparate con un serio programma di riarmo navale, che per l'unica volta nella storia avrebbe portato le loro flotte unite a superare numericamente quella britannica. Fu lo strumento navale francese a dare il colpo di grazia all'esercito inglese in America. impedendo allenavi inglesi di approvvigionare e salvare dal disastro le truppe britanniche assediate a Yorktown; e fu solo per un soffio che la flotta inglese riusci in seguito a battere quelle coalizzate, riportando la situazione in pari ed aggiudicandosi. con alcuni abili colpi. il possesso delle maggiori fonti di ricchezza commerciale nemiche in Estremo Oriente. Grazie ad esse, nel giro di neanche cinque anni dalla fine del conflitto americano. la Gran Bretagna riuscì a mettere economicamente in ginocchio l'Olanda - la tradizionale fonte d'approvvigionamento bancario e finanziario della Francia - e ovviamente la Francia stessa, portandola quindi alJa catastrofe della Rivoluzione. La neutralizzazione m cui l'Italia era caduta in seguito all'alleanza franco-austriaca aveva bloccato Carlo Emanuele m impedendogli nel 1756 di entrare in guerra a fianco dell 'Inghilterra e della Prussia - come avrebbe voluto e come da loro era sollecitato a fare - rendendogli l'eventuale partecipazione al con.flirto un vero e proprio suicidio politico. Per questo la Prima Guerra Fredda incise relativamente sull'Italia a livello economico, poco a livello politico limitandosi ad accentuarne la dipendenza dal patto austrofraocese e quasi per nulla a livello militare. Così. vista la lunga pace che si prospettava, gli Stati italiani poterono, chi piò. chi meno, concentrarsi sulla riorganizzazione delle proprie truppe.

O) Le Reali Truppe di Sua Maestà (Dio Guardi)

La prima riforma dell'esercito napoletano si ebbe nel 1765. Mirava ad una razionalizzazione della spesa ed all'autonomia produttiva dell'armamento e, fra l'altro, comportò lo scioglimento dei 12 reggimenti provinciali e dei tre siciliani, reimpiegando il personale dei primi in sei e quello dei secondi in due reggimenti di nuova costituzione. L'ottimizzazione dei fondi fu piò o meno raggiunta e le forze armate non furono piò toccate fino al 1780, quando col ministro Acton Napoli sembrò avviata a diventare una potenza militare di rilievo. Col Piano del 14 gennaio 1788 e coll'emissione dei successivi regolamenti


ILSE'ITECENTO

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furono sciolti i reparti svizzeri e vari nazionali, ripartendo la fanteria in dieci brigate binarie e la cavalleria in otto reggimenti, cancellando le differenti specialità di quest'ultima. Si prevedeva una forza di 57.857 uomini in tempo di pace, elevabili a 64.543 in guerra; ma l'obiettivo non fu raggiunto e il grosso dei cambiamenti si sarebbe avuto solo di lì a qualche anno, durante le guerre contro la Francia.

fil) Le trionfanti & iovittissime Armate Venete

" Le trionfanti & Invittissime Armate Venete"i si limitavano a compiti presidiari dal l 720, sempre articolate in reparti oltremarini e italiani, tanto di fanteria quanto di cavalleria. La prima allineava 10 reggimenti oltremarini- ognuno su otto compagnie - e 18 italiani, non eccedenti i 480 uomini e formati sia da sudditi veneziani sia da italiani di altre regioni. Non è facilissimo stabilire con precisione la forza dell'esercito veneto perché, specialmente riguardo ali'artiglieria ed alle piazze d'oltremare, era sconosciuta pure al Savio alla Scrittura -cioè al ministro della guerra della Repubblica - a causa del disordine dell'amministrazione. In linea di massima la forza bilanciata, per quanto potesse corrispondere alla realtà dei fatti , ci fornisce dei dati sconfortanti. Gli effettivi erano scesi a 21.493 nel I 748, si mantennero intorno ai 14.000 fino al 1775, calarono a 11.705 nel l 782 e risalirono a 15.620 nel 1794. La Cavalleria, almeno nell' ultimo quarto del Secolo. non superò mai i 1.220 uomini nè l' Artiglieria gli 800. Si potrebbe pensare ad una concentrazione delle risorse sulla Marina, ma non è così. Basti pensare che se nel J 700 i vascelli dell'Armata Grossa erano 29 e nel J 715 28, nel '95 erano scesi a 12; e il minimo era stato toccato coi 7 del 1760. D'altra parte la Repubblica non gradiva far sapere la verità, tanto è vero che negli anni '80 non solo faceva ascendere le proprie forze di terra a 60.000 uomini, sommando ai pretesi 20.000 regolari i 40.000 della Cemide - raddoppiandola - ma dichiarava 102 legni, comprendendovi i 35 in costruzione.

[V) Gli eserciti minori

Se Venezia stava male, gli altri non stavano meglio. A parte Napoli e Torino, tutti gli Stati italiani erano restati ad un'organizzazione militare poggiante non su Grandi Unità ma su un agglomerato di reparti delle varie armi, come nel secolo precedente e nella prima metà del corrente. L'Ordine di Malta allineava 2.400 uomini, 1.200 marinai e una quindicina di unità di vario tonnellaggio. Il Granducato di Toscana aveva avuto nel 1733 2.500 uomini; vent'anni dopo ne contava circa 3.500, concentrati prevalentemente in tre reggimenti: due ternari di fanteria e uno binario di fanteria di marina, dai quali erano stati tratti gU effettivi - 3.120- del Reggimento di Toscana, fornito ali' Austria per la Guerra dei Sette Anni. Nel 1765 i militari toscani ammontavano a ben 5.420 - il grosso, 4.200, in tre reggimenti di fanteria, un corpo d'artiglieria di 205 uomini e un reggimento di 234 dragoni - ed erano considerati tanto costosi che Pietro Leopoldo giocando sulla propria integrazione nel sistema politico-militare asburgico, aveva progressivamente ridotto le forze armate - scese a 3.637 uomini nel 1776 - fino a svendere le sue tre fregate al Regno di Napoli e a sostituire i militari regolari con truppe ci vi che. Sarebbero tornati sui 4.000 uomini solo nel 1797, aJ tempo della guerra contro i Francesi.

i Così definite da Francesco Morosini nel suo «Ragguaglio giornaliero deUe trionfanti & invittissime Armate Venete» del 1687.


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GLI ITALIANI IN ARMl

Lucca allineava 700 uomini del presidio - 500 in città e 200 a Vìareggio e Montignoso più 70 guardie svizzere e le milizie cittadine. forti di circa 2.800 iscritti, e del contado, che ne sommava 25.000. Questi ultimi erano esperti tiratori perché, da bravi campagnoli, erano tutti cacciatori. Del resto quella delle milizie foresi era un'istituzione diffusa in tutti gli Stati, specie in quelli piccolissimi. Mirandola, finché fu indipendente in quanto dominio dei Pico. ebbe una Guardia, comandata da un capitano, e dei Carabinieri Ducali, mentre il grosso, se vogliamo chiamarlo così, delle truppe era composto dalle compagnie delle milizie urbane e foresi, tutte comandate da altri capitani. Massa e Carrara, appartenenti ai Malaspina, nella prima metà del secolo erano armate anche meno di Mirandola. Benché il comandante delle truppe regolari fosse addirittura un colonnello, queste erano così ridotte che la guarnigione del caste!Jo di Massa allineava un capo• rale e due soldati, mentre la maggior parte dei castelli del piccolo Ducato dopo la successione spagnola era normalmente presidiata da truppe austriache. Parma aveva 1.521 fanti - 90 ufficiali e 1.431 uomini - una Compagnia delle reali Guardie del Corpo a cavallo - di forza variabile dai 157 effettivi del 1749 ai 54 del 1791 - un centinaio di appartenenti a!Je piazze ed agli Stati maggiori e 12.000 iscritti alle milizie urbane e foresi. Modena invece era armatissima: con 150.000 abitanti il Ducato aveva toccato i 3.700 uomini nel 1763, riducendoli poi progressivamente e organizzando una milizia - col nome di Legione - di 10.061 fanti, 464 cavalieri e 360 artiglieri, da chiamare in caso di guerra. Dopo la cessione della Corsica, Genova continuava a tenersi su una media di 4.000 soldati tutto incluso - con variazioni io più o in meno di un migliaio di uomini - di cui circa 2.500 la metà di prima - erano fanti, ai quali si potevano affiancare 12.000 militi. L'esercito pontificio, infine, dipendeva da una congerie di autorità diverse tale da rendere difficile la vita di chiunque e quasi impossibile l'espletamento delle normali attività militari. Forte di circa 5.000 uomini, cominciò ad assumere un aspetto meno clientelare e provvisorio soltanto verso la fine del secolo, restando però diviso tra le città e le fortezze, dipendendo dai comandi più diversi e godendo la fama di essere il meglio pagato e meno preparato d'Italia. Soltanto la minaccia della Rivoluzione avrebbe convinto la Santa Sede a cercare di riorganizzarlo, ma sarebbe stato troppo tardi. Come al solito, gli unici seri erano i Piemontesi, ma anche loro non erano più quelJi d ' un tempo.

V) Le Regie lruppe Sarde Carlo Emanuele III era morto nel 1773; ed il suo successore Vittorio Amedeo llJ tentò d'intraprendere qualche riforma, con pochi effetti, però, nel campo sia militare sia politico. L'esercito venne sottoposto ad una raffica di mutamenti. A parte l' adozione, alquanto formale e superficiale, degli esercizi alla prussiana e del fucile modello 1752, prima arma di progettazione e produzione nazionale. l'armamento quasi non ebbe storia. L' ordinamento invece ne ebbe anche troppa. Nel 1751 Cario Emanuele III aveva riorganizzato i reggimenti, fissandone la forza a 1.150 uomini, dotandoli di propria artiglieria e di uno Stato Maggiore. Vittorio Amedeo riformò ulteriormente l'esercito, portando a 12 i reggimenti di fanteria e articolandoli su 3 battaglioni di 500 uomini, ai quali se ne aggiungeva uno provinciale. di pari forza. per formare la brigata, comandata da un maggior generale, Nel 1775 creò un Dipartimento di Cavalleria e tre di Fanteria, ognuno agli ordini di un principe reale e composti ciascuno da due ali, di due brigate l' una, per complessivi 24.000 fanti su 35.000 uomini della forza di pace dell ' esercito, stabilendo quella di guerra a 45.000.


IL SETTECENTO

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li reggimento di fanteria era composto da tre battaglioni, divisi a loro volta in due compagnie, ognuna articolata su tre squadre. La squadra, formata da un'ottantina d'uomini, era divisa in due «camerate», composte da due «manipoli». Nel 1784 scomparvero tre compagnfo fucilieri reggimentali, sostituite da una seconda compagnia granatieri, da una compagnia cacciatori e da una compagnia di riserva. Dal 1774 l'uniforme aveva assunto Laglio e colore di stampo prussiano, diventando blù scura. Ma gli ufficiali continuarono a distinguersi per la sciarpa azzurra e oro e per la presenza e disposizione di bottoniere e galloni, in filo d'oro o d'argento, sui paramani e sulle maniche. I gradi, dal soldato semplice al Re, erano intanto saliti ad una settantina e con loro erano aumentati sia il numero degli ufficiali che quello dei milioni destinati all'esercito. Dagli 8.675.oooi del 1774 fino oltre i I O e mezzo del 1785-63. Nel 1786 l'organico subì una terza modifica: una riduzione ed una razionalizzazione, almeno tali erano le intenzioni, dettata dal desiderio di ridurre le spese. L'Armata, reparti d'ordinanza e provinciali, fu divisa in due "lince" o "a.li" , ognuna delle quali si divideva in due dipartimenti, che si articolavano ciascuno su due divisioni, entrambe formate da due brigale. Ogni brigata constava di due reggimenti, ordinati di nuovo su due battaglioni anzichè tre come prima, entrambi composti da due centurie di due compagnie runa. a loro volta ulteriormente divise in due plotoni. di due squadre l'uno, formate da due camerate, ognuna su una coppia di manipoli. Forza della compagnia: circa 60 uomini in tempo di guerra: 40 in tempo di pace. In questo modo l'organico dei reggimenti fu ridotto ad una consistenza oscillante fra i 320 uomini del piede di pace ed i 480 di quello di guerra, con un numero di ufficiali fisso a 35. Come viveva questa gente? Nel complesso le condizioni di vita del soldato sardo - e italiano in generale - del Secolo XVIII erano decisamente buone in rapporto a quelle della popolazione civ i le. La paga era alta rispetto alle retribuzioni degli operai e dei braccianti agricoli e l'esercito forniva vitto, vestiario e alloggio. Infine, contrariamente a quanto asserito4 , la mortalità nei periodi di pace, bencbè elevata in assoluto e soprattutto secondo i parametri del Secolo XX, era comunque assai inferiore a quella dei civiJi delle medesime fasce d'età. In definitiva, benchè non fosse un lavoro di tutto riposo e benchè apparisse pesante a causa della disciplina e dei continui cambi di guarnigione (per dare un'idea di quanto frequenti fossero questi ultimi, basterà dire che le Guardie piemontesi ne cambiarono 20 in 40 anni, senza contare tre distacchi estivi a Fenestrelle, l'invio nel Principato d'Orta al seguito del Marchese di Ciriè che doveva prenderne possesso in nome del Re grazie alla cessione fatta dal vescovo di Novara nel 1767 e la spedizione a Ginevra del 1782) era un lavoro comodo e ben pagato. Ma cogli anni '80 il periodo di pace stava per finire; e la Sardegna si sarebbe trovata davanti una bufera inarrestabile, del tutto impreparata a fronteggiarla per le carenze dell'unico strumento adatto a ciò. Quarantaquattro anni di pace, un regolamento minuzioso da applicarsi con pignoleria, un ordinamento che moltiplicava i comandi e limitava il numero dei soldati. avrebbero distrutto l'agile ed efficiente esercito di Carlo Emanuele m tramutandolo nella statica struttura del 1792, adatta solo a interventi minimi, come quello di Ginevra del 1782.

2 Nel regno di Sardegna esistevano due diverse lire: quella di Piemonte e quella di Sardegna. che valeva I lira, 3 soldi e 3 denari piemontesi: qui sono lire di Piemonte. 3 li solo Reggimento delle Guardie costava all' erario 720 Lire di Piemonte al giorno. contro le 587 degli altri reggimenti di fanteria. 4 lo particolare Sabina Loriga, nel suo "Soldati" - vedi bibliografia - riporta i dati relativi al Reggimento Guardie, ma sembrerebbe che quasi solo quelli abbia adoperato. Infatti Stefano Ales, i cui studi sull'Armata Sarda fra il 1752 ed il 1861 sono stati esaustivi. ha cortesemente messo a disposizione i dati completi. dai quali non solo si evince guanto sopra - cioè che la mortalità, benchè alta, era più bassa che fra i civili - ma pure che il Reggimento in cui era in assoluto più bassa era quello di fanteria Savoia.


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GLI n'ALIANI fN ARMI

VI) Polizia internazionale a Ginevra

Nel corso dell'anno 1781 i Cantoni svizzeri furono scossi da un certo fermento. Ne risentirono in particolare Friburgo e Ginevra e, fra queste, la seconda vide la situazione aggravarsi tanto da dare motivo a un'operazione di pacificazione e ristabilimento di un governo ad opera delle Potenze confinanti. Una veloce consultazione internazionale a fine aprile dell'82 stabill che sarebbero intervenute militarmente Francia, Sardegna e Berna mettendo in campo ben 10.000 uomini. Tra q uesti 3.000 sardi, comandati dal generale Panissera e sottoposti al plenipotenziario conte Francesco de La Marmora. L'8 maggio furono predisposti gli alloggiamenti dei Piemontesi a Caruso, in Savoia. I Francesi, al comando del Signor de Jancourt, si attestarono a Perney, ponendo il quartier generale nella casa appartenuta a Voltaire. I Bernesi del generale Lentu.lus infine si acquartierarono tra Nyon e Coppet. Appena arrivati, i Sardi cominciarono subito a costruire un ponte sull 'Arne in modo da potersi avvicinare a Ginevra e misero in acqua delle barche armate per proteggere i lavori e interdire quelle ginevrine; insieme alle flottiglie francesi e berncsi. Poi i generali decisero di circondare la città e il lago per impedire fughe o infùtrazioni. I Ginevrini reagirono aumentando le misure difensive: eressero delle batterie sulla riva del lago, abbatterono gli alberi sui bastioni, vietarono a tutti l'uscita dalla città, riservandola alle sole pattuglie inviate a foraggiare e disselciarono le strade per ridurre i danni di un possibile bombardamento. Dopo tre settimane di blocco, il 29 maggio il comando internazionale spedì un paio di trombettieri con un ultimatum. I Ginevrini, temendo un attacco, corsero alle mura. Se ne valutò la forza a circa 6.000 uomini; e, rientrati i trombettieri, si seppe dell'esistenza anche d' un corpo di 200 donne armate. Passate quarantotto ore la città non aveva ancora risposto, così il generale Lentulus le scrisse una seconda volta, indicando in sei punti le prescrizioni per la cittadinanza. Nessuno doveva uscire di casa senza il permesso delle truppe internazionali; dovevano essere tolte le guardie cittadine, fatti uscire i fautori e i responsabili della rivolta e ristabilito il legittimo governo. Gli unici che avrebbero avuto il permesso di muoversi per la città sarebbero stati i vecchi governanti una volta reintegrati, ai quali sarebbe spettato prendere le misure più adatte al completo ristabilimento dell'ordine pubblico «congiu111amente ai Generali delle truppe»h. Il sesto punto annunciava: «Che se qualcheduno ardisse disturbare gli Ufiziali, o Bassi Ufiziali rispettivi nell'esercizio delle loro funzioni, o insultare qualcheduno della Città o forestieri sarà castigato sul momento secondo le Leggi della guerra» 0ii. La cosa fece effetto. I Ginevrini decisero infatti di stendere una risposta. Alla fine misero ai voti la resa e fu approvata dal Consiglio per 108 a 92. Armi e munizioni furono buttate nel Rodano e si comunicò ai Plenipotenziari esteri che la città si arrendeva_ Le porte furono aperte alle truppe internazionali, che entrarono contemporaneamente e da tre diverse direzioni. Ginevra fu divisa in settori, al comando di ognuno dei quali furono preposti ufficiali dei tre contingenti. I soldati ispezionarono ogni angoletto con estrema diligenza e scovarono centinaia di barili di polvere da sparo, messi dai Ginevrini sotto la chiesa di San Pietro e gli altri edifici pubblici per farli saltare. Nel giro di quarantotto ore l'ordine antico era stato ristabilito, così la maggior parte delle truppe internazionali uscì dalla città, lasciandoci solo 1.800 soldati di tutt'e tre gli Stati intervenuti.

ii "Lettera del Sig. Generale de Lentulus ai Signori Sindic i di Ginevra", ia "Storia dell'anno 1782", Venezia, Pitteri, 1783. pag. 219. m Idem, pag. 220.


fL SETTECENTO

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In novembre le tre Potenze emanarono un nuovo codice legale, ricalcato sulle prescrizioni dell'editto del 1738; ma ebbero cura di fare i propri interessi, specie militari. Aggiunsero infatti alcuni articoli che in pratica distruggevano la milizia cittadina, poiché obbligavano i componenti a risiedere in caserma anzichè in case private come in precedenza, ne aumentavano il numero e stabilivano che la guarnigione potesse anche essere composta da truppe estere (il che significava che, all'occorrenza, ci potevano mandare le loro). Autoproclamandosi garanti, Francia, Sardegna e Bema per il futuro si concedevano il permesso di far passare le proprie truppe sul territorio ginevrino ogni volta che fosse stato necessario. anche se una di loro fosse stata in guerra con una delle altre o con entrambe. Il contingente si ritirò da Ginevra insieme ai plenipotenziari al termine della missione, nel maggio 1783, conscio d'aver operato per il ristabilimento dell'ordine costituito, a maggior gloria ed utile dei rispettivi Sovrani e Stati e per la tranquillità d'Europa.

VII) Le uJtime attività anticorsare e la spedizione di Erno

Se era tranquilla l'Europa, era invece irrequieto il Mediterraneo per colpa dei pirati nordafricani. Verso la fine del secolo il potere centrale ottomano era tanto indebolito che dal 1783 Algeri rifiutò esplicitamente di riconoscerne L'autorità e pretese che le Potenze europee concludessero i trattati direttamente con lei. Tunisi seguì subito l'esempio; e la parola passò alle armi. Nell'estate del 1784 le navi napoletane si unirono a quelle spagnole e portoghesi e, con un rinforzo dei Cavalieri di Malta, bombardarono Algeri. lJ risultato militare fu molto inferiore alle aspettative e non all'altezza di analoghe precedenti azioni; ma portò comunque all'instaurazione della «Pace eterna inviolabile e perfetta» tra Spagna e Algeri, pace da cui però Napoli fu esclusa, per volere della Spagna, venendo costretta a continuare a combattere fino alla fine della pirateria, nella prima metà del secolo seguente. Tunisi ebbe una sorpresa: dopo anni d' inattività Venezia s'arrabbiò e spedì una squadra al comando dell'Almirante Estraordinario Angelo Erno a darle una lezione. Erno gliene diede tre, ognuna più pesante della precedente, nel 1784, 1785 e 1786, adoperando batterie su zatteroni di minimo pescaggio e capaci di avvicinarsi alla città quanto mai i Tunisini avrebbero immaginato. Non era una vera e propria novità, perché già una ventina d'anni prima la squadra veneta, spedita a Tripoli al comando del capitano delle navi Giacomo Nani aveva previsto l'uso di un simile sistema d 'arma, non adoperato perché la Reggenza era subito venuta a miti consigli; ma funzionò egregiamente. Quando la squadra di Erno levò definitivamente le ancore, nel 1786, Tunisi. La Goletta, Sfax, Susa e Biserta erano costellate di rovine, affamate ed in preda alla peste. Dopo quell'impresa la Marina Veneta non ne avrebbe compiute altre fino alla scomparsa della Repubblica; ed il Senato avrebbe ripreso la sua politica dell'accomodamento, sempre più onerosa e meno efficace.



CAPITOLO XXIV

LA RIVOLUZIONE: 1792 - 1799

I) U 1792

Quando, dopo la presa della Bastiglia. il conflitto fra la borghesia francese ed i detentori del potere si risolse a favore della prima, i nuovi governanti si accorsero di non esser capaci di risanare le finanze nazionali, devastate dall'ininterrotto guerreggiare incominciato nel 1690, più di quanto lo fossero stati i vecchi. Per tali motivi il governo, formato allora dai Girondini, decise che il miglior sistema per attenuare gli attriti interni di ogni ordine e natura fosse quello, tante volte adoperato in tanti Paesi, di lanciarsi in una guerra. li problema consisteva però nel trovare un avversario. poiché con nessuno Stato esistevano contrasti tali da scatenare un conflitto. La Francia, nella persona del re Luigi XVI, intimò allora all'Elettore di Treviri di espellere dal suo territorio tutti i nobili che vi erano emigrati dopo la presa della Bastiglia e che, uniti al fratello del Re, il Conte d"Artois, il futuro Carlo X. brigavano per il ritorno al vecchio regime assoluto. L'Elettore respinse l'ultimatum e fu la guerra; non tanto contro di lui, quanto piuttosto contro l'Austria e la Prussia, i cui Sovrani avevano dichiarato, fin dall'agosto del precedente anno 179 I, che sarebbero scesi in guerra solo nel caso in cui i Francesi avessero violato il confine del Sacro Romano Impero Germanico. Dopo un crescendo di vittorie dall'aprile in poi, il 20 settembre 1792 gli Alleati furono sconfitti a Valmy e dovettero ripiegare. In breve, a causa delle pessime condizioni atmosferiche, la ritirata si tramutò in un disastro; e le truppe austro-prussiane furono obbligate a tornare oltre frontiera. Intanto i Francesi avevano aperto trattative con Vittorio Amedeo ID per indurlo a non aiutare l'Austria, promettendogli territori e appoggi; ma la reazione del Sovrano era stata di chiusura tanto netta e brusca da giungere alla rottura Perciò l'autunno del 1792 portò la guerra, alla quale il Regno di Sardegna non era del tutto impreparato. L'esercito in campagna era stato suddiviso nei due corpi d'armata della Savoia e del Nizzardo. Il secondo era al comando del tenente generale De Courten e contava 8.500 fanti. 600 cavalli ed 8 pezzi d'artiglieria. [I primo, agli ordini del tenente generale Lazzari, comprendeva 10.329 fanti, 1.200 cavalieri e 16 cannoni ed era concentrato sulle rive del lago di Ginevra ed intorno a Montmélian. Ma fu 1 così mal condotto che non riuscì ad impedire l'invasione della Savoia. Infatti Lazzari, nonostante il parere contrario e le pressioni fattegli da molti suoi ufficiali, si era ostinato a non prendere alcuna misura preventiva, convinto che bisognasse aspettare una formale dichiarazione di guerra. Cosl, all'alba del 22 settembre, i Francesi passarono il confine senza incontrare la minima opposizione e, sfilando lungo il fronte sardo, si diressero sul

1 ln dettaglio, il Corpo d'Annata della Savoia era composto dai reggimenti Aosta. Genevese, La Marina, Monferrato, Moriana, Sardegna. Susa e Rokmondet (Svizzero Bemese), dai battaglioni 1° Guardie,

II0 Savoia, II° Casale. 1° e m• della Legione dei Campamenti, dal Reggimento Cavalleggeri di Sua Maestà. dagli squadroni 1° e m• dei Dragoni della Regina. dalla s• compagnia della Legione RealeTruppe Leggere e da una compagnia d'artiglieria.


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fianco, verso Les Marches. Lazzari negò il pennesso di aprire il fuoco, ma quando si rese conto che i Francesi, presa la postazione senza colpo ferire con un assalto alla baionetta, avevano colto di rovescio tutto il suo schieramento, perse la testa. Fuggì a Montrnélian e ordinò di far saltare il ponte sull'lsère. Bloccò l'avanzata del nemico, ma tagliò fuori buona parte dei suoi battaglioni e allora, in preda al panico, scappò verso le montagne. La paura si estese a tutti i reparti rimasti di qua dal fiume, cbe si sfasciarono e fuggirono in rotta dietro al loro generale fino al Piccolo San Bernardo, dove grazie al valore del Reggimento Aosta, fino ad allora costantemente alla retroguardia, si riuscì ad arginare l'avanzata nemica. Intanto i battaglioni rimasti al di là dell'Isère2 abbandonarono i bagagli e con un lungo giro riuscirono a rientrare in Piemonte. Poiché, contemporaneamente alla caduta della Savoia, il generale Anthelme aveva occupato Nizza e il parigrado Custine Spira e Magonza. la Convenzione Nazionale dichiarò che le frontiere naturali della Francia erano le Alpi e il Reno e, conseguentemente, ordinò anche l'invasione dell'Olanda. La prospettiva di un'estensione territoriale francese lungo la costa continentale della Manica fece muovere la diplomazia inglese cbe. al principio del 1793, riuscl a formare contro la Francia una coalizione europea, la prima delle sette che si sarebbero succedute nell'arco di ventidue anni: Gran Bretagna, Impero, Prussia, Russia. Spagna, Sardegna, Napoli, il Papa e la Toscana. Ma mentre l'Inghilterra si muoveva con una certa freddezza di giudizio. le dinastie d ' Austria, Toscana, Napoli e Sardegna erano personalmente coinvolte, e inferocite, per le esecuzioni capitali dei Reali di Francia coi quali erano strettamente imparentate. Per questo Ferdinando IV verso la fine del 1792 aveva rifiutato di ricevere le credenziali del nuovo ambasciatore francese Mackau; e il 16 dicembre la squadra francese del.l'ammiraglio Latouche-Treville si era presentata a Napoli a domandarne ragione. Nonostante l'apparato difensivo fosse stato preparato fin da maggio3, si era avuta una riedizione (stavolta non giustificata altro che dalla paura della regina Maria Carolina e dal suo ascendente sul marito) di quanto era capitato a re Carlo cogli Inglesi cinquant'anni prima; e l'ambasciatore era stato accettato. Ma si era trattato d'una finta. L'esercito borbonico, ascendente a 36.000 uomini, e la marina, forte di 102 legni e 8.600 marinai, stavano ricevendo gli ultimi ritocchi prima di entrare in azione. Caso mai il vero danno La squadra di Latouche-Treville lo causò colla propaganda fatta dai suoi ufficiali tra i Napoletani "illuminati", militari e civili, diffondendo le idee giacobine e gettando negli animi il seme della disfatta del 1798 e della successiva effimera Repubblica.

Il) Il 1793 e Tolone.

Al nord intanto l 'Annata Sarda rientrava in combattimento, con pochi rinforzi austriaci, puntando alla liberazione di Savoia e Nizza Era stata riorganizzata nei quattro corpi d'armata: della Val d ' Aosta, forte di 9.500 fanti. 400 cavalieri e 14 pezzi; della Val di Susa, 800 granatieri, 200 cavalieri e 9 cannoni: delle Valli del Po, 7.000 fanti con 8 cannoni; e del Contado di Nizza. 14.000 fanti e 24 pezzi.

2 Reparti dei reggimenti Guardie, Savoia. Moriana, Genevese. Dragoni della Regina, Cavalleggeri del Re, Rokmondet e della Legione Reale delle Truppe Leggere. 3 Napoli disponeva già per la propria difesa di 206 cannoni. Raddoppiati con altri 179, 23 mortai e 4 obici. Le truppe disponibili ammontavano a 15.000 soldati d.i linea e 12 reggimenti provinciali; e 150 lance cannoniere e 60 barche annate erano state aggiunte alla flotta regia.


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La progettata offensiva su Nizza fu prevenuta dai Francesi, che in aprile attaccarono, tentando d'impadronirsi del versante sudoccidentale dei monti digradanti dal Col di Tenda, per poter controllare l'accesso alla Pianura Padana. L'assalto principale, contro l'Authion, fu respinto4 come quello contro il Col di Raus. li 12 giugno, alle 7 del mattino. quattro colonne nemiche si lanciarono verso le postazioni sarde, minacciandone anche i fianchi e il rovescio e premendo sull' Authion. Nè i fanti di Lacointre contro Milleforche, nè i granatieri di Sérurier contro la destra austro-sarda riuscirono a prevalere e dovettero abbandonare l'impresa dopo sette ore di combattimenti, lasciando 3.200 morti contro i circa 2.000 dei difensori. Intanto sulle Alpi Marittime il corpo del duca d'Aosta Vittorio Emanuele aveva fallito una lunga e complessa operazione per liberare Nizza. Poi, al principio dell'autunno, Tolone si ribellò alla Repubblica e si consegnò agli Alleati. Da Napoli, secondo gli accordi segreti firmati il 20 luglio5, vennero mandati là alcuni vascelli e 8.000 uomini, comandati dal Maresciallo Forteguerri e dai generali De Gambs e Pignatelli, che si unirono a un contingente sabaudo di 2.500 uomini6, agli ordini del brigadiere De Bucler, entrando a far parte del corpo ispano-anglo-sardo-napoletano, comandato dall'inglese Lord Mulgrave, incaricato di tenere la città. I Sardi, arrivati a fine settembre, parteciparono all'assalto delle opere situate all'esterno del forte sulle solite alture di La Croix-Pharaon (un classico per l'Armata Sarda negli ultimi cent'anni) il 1° ottobre, venendo citati da Lord Mulgrave nell'ordine del giorno dell'indomani, mentre i Napoletani si distinsero sia al forte di Malbosquette che sulle medesime alture de La Croix Pharaon. Il 14 i Francesi attaccarono la ridotta di Capo Brun. presidiata da 500 inglesi, la presero ma ne furono scacciati da un contrattacco dei sabaudi, tra i quali si segnalarono i fanti del Sardegna. Ma ormai i Francesi avevano accerchiato la città e si stavano accingendo a recuperarla. sostenuti dall'artiglieria, diretta da un giovane colonnello sconosciuto, Napoleone Buonaparte, che proprio con quei bombardamenti cominciava a farsi un nome. Grazie a lui i Francesi presero la posizione ch.iave dominante il porto. Mentre sulle Alpi si svolgevano piccoli combattimenti, a Tolone la situazione non migliorava. Il Reggimento Sardegna partecipò all'azione del 30 novembre contro la batteria delle Arénes e all'altra, del 17 dicembre, ancora contro il forte della Croix Pharaon. Entrambe furono degli insuccessi. [l 19 i Coalizzati furono quindi costretti ad evacuare Tolone e si reimbarcarono, protetti in retroguardia dai soldati sabaudi. Sconvolta la formazione navale da una tempesta, le navi andarono alla deriva e penarono a ritrovarsi e riformare i rispettivi convogli; cosicchè i Borbonici rientrarono a Gaeta solo il 2 febbraio: avevano perso 200 tra morti e feriti, 400 prigionieri, appartenenti alla retroguardia e lasciati a terra al momento del reimbarco, tutti i cavalli e gran parte dei materiali.

Ili) Il 1794 e iJ 1795

Anche la campagna aJpina del 1793 non era andata troppo male ai Francesi, giacchè gli Austro-Sardi, pessimamente guidati dal maresciallo austriaco De Vins, non avevano saputo sfruttare i successi ottenuti, lasciando agli avversari i territori occupati l'anno prima; del resto

4 Con un battaglione svizzero. i reggimenti Casale e Lombardia e l'VIlI e IX battaglione granatieri

5 Coi quali Ferdinando rv s'era impegnato a unire 4 vascelli, 4 fregate e 4 legni minori alla squadra

inglese del Mediterraneo e tener pronti 6.000 uomini di truppa per le necessità della guerra. 6 Composto dal Reggimento Sardegna, dal IV battaglfone Granatieri, dai battaglioni fanteria 11° Piemonte e 0° De Courten (Svizzero Vallesano) e, infine. da un'aliquota di uno dei Battaglioni Cacciatori. comprendente le compagnie tratte dai Reggimenti Sai uzzo, Aosta, Piemonte, Lombardia e Della Regina


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la ba11a11lia del/'Allllrion del 12 giugno 1793. guerrafranco sarda del 1792-1796 I) Colonna Dortomarm; 2) Col. Serrurier; 3) Col. Lecomtrt!; 4) Col. Mit!t:/cowsk,


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era mancato un vero sostegno dell'Austria, interessata più a difendere la Lombardia in Piemonte che ad aiutare a riconquistare Nizza e Savoia. Le truppe rivoluzionarie allora, constatata l'impossibilità di forzare le Alpi, decisero di aggirarle passando per la Riviera. Guidate da Massena, conquistata Oneglia, avanzarono fino a Garessio, aggirando lo schieramento sardo, che andava dall'Autbion al Monte Saccarello. Ma poiché i Piemontesi non si mossero dalla loro linea difensiva, il cui mantenimento, specie al SaccarelJo, gli minacciava le retrovie, Massena li attaccò sulJ'ala sinistra. Il primo contatto fu il 2S aprile aJla Testa della Nava poi, il 27 aprile I 794, 20.000 uomini assalirono il Saccarello, difeso da soli 62S7 dei 10.000 austro-sardi presenti sul fronte. E dopo una giornata contrassegnata da un susseguirsi incessante di attacchi e contrattacchi durissimi i Francesi rimasero padroni del terreno. Il giorno dopo gli Austro-Sardi si dovettero ritirare verso Briga e il J O maggio, dopo una decina di giorni di combattimenti, ripiegarono ancora su Borgo San Dalmazzo. L'esercito, ancora impegnato per il resto della campagna in scaramucce qui e là, riuscì a vanificare i tentativi di penetrazione francese in Italia; ma il futuro appariva preoccupante. La situazione non era tale da poter essere fronteggiata senza l'aiuto dell'Austria; e Vittorio Amedeo III chiese aiuto a Leopoldo Il. Già il 29 maggio 1794 l'Imperatore accondiscese e concluse il Trattato di Valenciennes imponendo condizioni pesantissime. Ai Piemontesi spettava la d ifesa attiva; gli Austriaci, in quantità indefinita perché avrebbero dato la preferenza ad altri fronti, avrebbero costituito una massa di manovra di riserva da utilizzare in pianura. Infine il comando delle forze coalizzate sarebbe rimasto al generale De Vins. E questo nonostante il fatto che non solo i generali sardi, ma lo stesso Colli, lombardo al servizio dell'Austria, ne avessero criticato ferocemente l'inettitudine e la lentezza, dimostrando che a lui si dovevano la maggior parte degli insuccessi ed il mancato sfruttamento dei successi. In sostanza il Trattato di Valenciennes scaricava sui Sardi tutto il peso della guerra, consentiva agli Austriaci d'impegnarvisi solo quando e quanto lo avessero ritenuto opportuno e dava loro modo di addossare tutta la colpa delle sconfitte alle truppe piemontesi, attribuendo invece al comandante imperiale il merito delle eventuali vittorie. Con tali premesse si apriva la campagna del 1795, che fu relativamente tranquma, anche se si faceva sempre più evidente l'intenzione austriaca di non impegnarsi, lesinando ancor più che in passato gli uomini destinati al fronte italiano. In giugno i coalizzati riuscirono a battere i Francesi a San Giacomo, Melogno ed al Colle della Spinarda, minacciando di tagliare in due e distruggere il loro esercito. Colli tempestò e premè su De Vi.ns perché desse ordine d'attaccare; non fu ascoltato. L'armata alleata fu schierata tra Finale, Loano e Garessio e lasciata ferma, perché per l'Austria era preferibile non rischiare altro e limitarsi a coprire la Lombardia. In autunno però la situazione diventò preoccupante. Il 23 ottobre vennero assalite le posizioni vicine a Ceva e poco tempo dopo fu respinto un grosso sforzo nemico contro il Colle di San Bernardo. Ma, rinforzatosi, un mese dopo Massena sconfisse gli Austriaci a Loano, aprendosi la strada verso la Lombardia; e si dovè ai Piemontesi, che si batterono contro di lui il 26 novembre al Colle della Spinarda, se non riuscì a raggiungere Ceva prima che il tempo peggiorasse tanto da indurlo a ritirarsi nei quartieri d'inverno. Nonostante tutto, quello italiano era ancora sostanzialmente l'unico fronte sul quale i Francesi non avevano conosciuto i successi travolgenti che coglievano ormai in tutta Europa da tre anni, contrapponendo alla vecchi.a tattica settecentesca un nuovo modo di fare la guerra.

7 Nove compagnie e cioè: 1 dei Reggimenti Guardie e Piemonte,75 uomini l'una; 4 del Granatieri

Reali, 225 uomini; 3 dell'imperiale Belgioioso, 220 soldati; e 30 militari del provinciale Asti: il tutto agli

ordini del conte di Santarosa.


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Alte idee dei grandi capitani del secolo morente facevano riscontro le parole de11 · organizzatore degli eserciti rivoluzionari, Lazare Camot, che affermava la necessità di «agire sempre in massa»i, dichiarando che per vincere « ...occorrono solo fuoco, acciaio e patriottismo»ii_ Aggiungendo a questa spiccia teoria la comparsa del nuovo, praticissimo, leggero e facilmente riparabile cannone su affusto GribeauvaJ e la coscrizione obbligatoria e completa, ordinata il 23 agosto 1793, cbe aveva elevato l'Année all'enorme cifra di un milione di effettivi, non è difficile comprendere come potesse essere stata raggiunta e rapidamente superata la parità cogli eserciti alleati. Unendo a tali caratteristiche l'indubbia abilità dei generali della Repubblica, era nata una forza armata temibile e quasi imbattibile. E le truppe rivoluzionarie, generalmente superiori di numero ai loro avversari, dilagavano sui campi di battaglia, avvolgendo e sommergendo il nemico con una nuova tattica, basata su una rapidità ed agilità di movimento che gli eserciti coalizzati non conoscevano più da tempo. L' Armata austro-sarda, che era riuscita a resistere per quattro campagne appoggiandosi, anzi aggrappandosi strenuamente, ad un terreno ad essa favorevole, aveva dimostrato in modo palmare di essere priva di comandanti all'altezza di quelli avversari, non riuscendo a sfruttare alcuno dei successi riportati. Era una situazione rischiosa, che si sbilanciò in suo sfavore quando il comando dell' Armata d'Italia fu affidato a Napoleone Buonaparte.

IV) La prima fase di Buonaparte: staccare il Piemonte daU' Austria

La situazione politico militare del fronte italiano nei primi mesi del 1796 si presentava molto complessa. L'Austria non aveva intenzione d'impegnarsi a fondo contro la Francia, paga del sussidio ricevuto puntualmente dall'Inghilterra e del controllo operativo acquisito sulle truppe sarde. Tanto l'Austria se la prendeva comoda, tanto invece la Francia aveva bisogno di vincere in fretta. La sua situazione interna non era buona. Un'insurrezione realista era stata stroncata a Parigi solo affidando a Barras - il più potente dei membri del Direttorio - il comando deU'Esercito dell'Interno, preposto al mantenimento dell' ordine pubblico, e dandone il comando effettivo al vice che si era scelto, il generale Napoleone Buonaparte. Occorreva vincere all'esterno per stare tranquilli all'interno; ed era stato elaborato un piano strategico che ricalcava in pieno quello della Successione di Spagna: attacco parallelo contro l'Austria attraverso la Germania e l'Italia con due eserciti destinati a congiungersi nel Tirolo austriaco per poi colpire Vienna. La necessità di battere l'Austria rendeva secondario il Piemonte e, se si fosse riusciti a farlo uscire dal conflitto con una pace separata, sarebbe stato tanto meglio per tutti. Lo sarebbe stato anche per il Regno di Sardegna, che si vedeva sempre più impoverito dalle alte spese militari e tanto asservito ali' Austria da temere di esserne soffocato del tutto. È piuttosto difficile riassumere e spiegare qui quanto accadde, perché i fatti ed il loro collegamento richiederebbero una trattazione specifica ed approfonditas. lo sostanza vi dovettero essere dei contatti tra Barras e i Borboni in esilio ed essi, mediante il loro ambasciatore a Torino, furono in grado di convincere Vittorio Amedeo ma concordare coi Francesi l'esito della campagna che stava per incominciare. Visto quanto poi accadde, si può dedurre che la Sarde-

i Rip. in M. HowARD; «La guerra e le armi nella storia d'Europa», Bari, Laterza, 1971,pag. 151. ii Rip. in HOWARD. op.cii., ivi.

8 Si rimanda a due pubblicazioni: la prima è quella di G. FERRERO, del 1936 e, di nuovo, a Milano da " li Corbaccio" nel 1996 col titolo di "Avventura"; la seconda - più dettagliata - è quella di V. ILARI, P. CROCIANI e C. PAOLE1TI, "La guerra delle Alpi" Roma, USSME, 2000.


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gna dovrebbe aver accettato di farsi battere per consentire ai Francesi di rivolgersi contro l' Austria, ricevendo in cambio, appena possibile, la Lombardia. La Francia avrebbe sconfitto l' Austria, il che avrebbe fatto terminare la guerra e consentito la ratifica quantomeno del possesso francese dell'Olanda e dei territori fino alla sponda sinistra del Reno; e probabilmente i Borboni speravano che il corrottissimo e sempre a corto di denaro ex-visconte Barras, rinforzato politicamente dalla vittoria, avrebbe reso loro il trono. Stretto ancor più a sé Buonaparte facendogli sposare quella che, a detta della pubblicavoce, era stata una sua amante - Giuseppina de Beauhamais - e promettendogli in cambio il comando dell'Armata d'Italia, Barras9 il 6 marzo diede al suo protetto istruzioni operative precisissime: senza preoccuparsi di prendere Torino o distruggere la Sardegna, si doveva buttare su Mantova e Trento con tutta la velocità possibile per poi passare in Austria. Cosa stava covando fu subodorato dall'ambasciatore inglese a Torino, il quale fra l'altro scrisse al proprio collega10 a Vienna di adoperarsi per indurre l'Austria a un maggior impegno in Italia, altrimenti il Piemonte avrebbe concluso una pace separata. Ma gli Austriaci non gli diedero retta. Così, nella primavera del 1796, in apparenza il compito che attendeva il giovane generale corso era quello classico che avevano affrontato tutti i comandanti, francesi e spagnoli, ai tempi della Grande Alleanza e durante la prima e la terza guerra di successione: oltrepassare le AJpi e battere gli Austro-Sardi. Gli ostacoli erano sempre gli stessi: le montagne, le fortezze alpine e la massa di manovra nemica pronta ad intervenire, ma stavolta il gioco sarebbe stato assai più facile, perché Colli avrebbe ricevuto ordini chiarissimi; e Napoleone lo sapeva, tant'è vero che a Sant'Elena si sarebbe fatto poi sfuggire una frase rivelatrice: « Vendemmiaio e anche Montenotte non mi indussero a ritenermi 1m uomo superiore. Soltanto dopo Lodi capii di poter diventare in definitiva, un attore importante sulla scena politica. Allora si accese la prima scintilla della mia grande ambizione»;;;_ Infatti: solo dopo la prima vittoria in una battaglia il cui esito non fosse stato concordato coll'avversario avrebbe capito quanto vaJeva veramente e a cosa poteva aspirare. Sulla carta Napoleone aveva a disposizione 106.000 uomini ma, toltine 36.000 tra prigionieri, morti e disertori, 20.000 ripartiti fra i presidi di Tolone, Avignone e Marsiglia, 8.000 di guarnigione nel Nizzardo, 5.000 ammalati e 7 .000 in servizio presso i depositi, gliene rimanevano 30.000. Raschiando il fondo del barile poteva arrivare a circa 36.000 fanti e 4.000 cavalieri, comunque molto male in arnese, senza paga nè rifornimenti da lungo tempo; e quindi malcontenti e neanche tanto disciplinati. Davanti a lui, comandata dal generaJe austriaco BeauLieu , l'armata coalizzata, forte di 58.400 soldati regolari, 7.000 miliziani e 140 pezzi d'artiglieria, articolati su due corpi. n primo, quello di Lombardia, di due divisioni: una austriaca ed una austro-sardo-napoletana, comandato dal generale De Vms, era forte di 24.152 fanti, 2.788 cavalieri e 38 cannoni. n secondo, agli ordini del generale Colli, subordinato a Beaulieu, comprendeva tre brigate: una sarda, una austro-sarda ed una austriaca. La prima allineava 16 battaglioni, la seconda 13 sardi e 2 austriaci, la terza, del generale Provera, soli 3 asburgici. In totale erano 13.600 fanti. Altri 10.300 sardi e 1.800 imperiali, al comando di Sua AJtezza Reale Vittorio Emanuele di Savoia duca d'Aosta, presidiavano i passi alpini e le fortezze del Piemonte. Infine la VaJ d 'Aosta era guarnita da 5.900 sabaudi agli ordini del Duca del Monferrato. Napoleone, sembrò puntare tutto sulla rapidità di manovra e diede vita ad una delle più spettacolari campagne di guerra che il mondo avesse mai conosciuto.

9 La proposta venne però fatta fare al Direttorio da Lazare Carnot. to Si vedano a questo proposito i documenti scambiati fra i due diplomatici inglesi. citati da Ferrero e trovati da Nello RosseUi nel 1931, a Londra al P.R.O. in F.O. 67, 20 e 2l. iii LAS CASES. «Memoriale di Sant'Elena»,Firenze. Casini. 1987, pag. 79.


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Giunto a Nizza il 29 marzo 1796, ordinò subito di muoversi. seguendo la classica via della Riviera, per Genova, fino ad entrare in Piemonte passando dalla Bocchetta e facendo disporre la divisione Sérurier sul fianco, a controllare le truppe agli ordini di Colli La reazione di BeauJieu fu rapida ma sbagliata, poiché divise le sue forze in tre parti. Lasciato Colli coi Sardi a guardia di Stura e Tanaro, si mosse coll'ala sinistra verso Voltri, restando separato da una montagna dal generale D' Argenteau, comandante del centro, che puntava su Montenolte. Dopo alcuni scontri il 9 aprile davanti a Montenotte, D'Argenteau, non essendo riuscito a battere i Francesi, decise di far riposare i suoi Austriaci e si accampò, permettendo ai nemici, concentratisi, di circondarlo nella notte seguente e distruggerlo nella giornata dell' ll, aprendosi la via del Piemonte. Saputolo, Beaulieu tornò subito indietro da Voltri, ricostituendo lo schieramento difensivo ma lasciando l'iniziativa al nemico. Per cominciare la seconda fase, cioè la separazione degli Austriaci dai Sardi, Napoleone ordinò al generale Augerau di avanzare verso Millesimo, così da dividere lo schieramento di Colli, imperniato sul campo trincerato di Ceva, da quello austriaco a Dego. La riuscita dell'azione era fondamentale per quella dell'intera campagna, perché forzare la strettoia di Millesimo significava poter minacciare indifferentemente Torino e Milano. n 13 aprile, dunque, le truppe di Augerau attaccarono e riuscirono a conquistare la zona della strettoia, ma non poterono impedire al generale austriaco Provera di ripiegare, con circa 500 uomini, verso il diroccato castello di Cosseria, che dominava tutto il settore. Nel frattempo Colli era stato avvisato della presenza nemica e aveva spiccato i Piemontesi dei battaglioni granatieri I e m, e del Reggimento Granatieri Reali in ricognizione. Questi riuscirono a chiudersi nel casteJJo insieme agli uomini di Provera e lo tennero fino al giorno dopo, sperando, nonostante la carenza di munizioni e l'assenza d'acqua e viveri, di poter resistere fino alla propria liberazione, dopo la battaglia che si preannunciava per l' indomani intorno a Millesimo e per le sorti della quale era di grande importanza per i Francesi il possesso di Cosseria. Intanto Colli era fermo, come del resto Beaulieu, il quale, a sua volta, aveva commesso l'errore di ritenersi al sicuro sulle posizioni che occupava a Dego, forti come terreno, ma deboli perché presidiate da un numero di soldati relativamente scarso. Nessuno si spostò. I due aJJeati rimasero separati e il risultato fu che la mattina del 14 Napoleone scagliò il grosso dei suoi reparti contro Dego, occupò le alture di Biestro e volse in rotta il nemico, riuscendo a separare definitivamente i due eserciti coalizzati, mentre i Sardi restavano fermi. A questo punto ogni ulteriore res.istenza del presidio di Cosseria diventò militarmente inutile ed esso, verso mezzogiorno del 14, privo ormai di tutto. si arrese coll'onore deJJe armi e la condizione che gli ufficiali e parte dei sottufficiali, conservando le proprie armi, potessero rientrare agi i eserciti d'appartenenza. Condotti a Carcare, costoro furono presentati a Napoleone. «Avete combattuto da barbari» disse loro, «Trovandovi senza speranza di soccorso era inutile uccidermi i miei generali e decimarmi il.fiore dell'esercito»ìv poi li trattenne a cena aJJa propria tavola e l'indomani li lasciò liberi. Intanto, dopo la sconfitta di Millesimo Beaulieu si era trasferito ad Acqui per coprire Milano, mentre Colli rientrava a Ceva per difendere la via di Torino. Buonaparte cercò la distruzione dell'avversario che gli ostacolava le comunicazioni colla Francia. Dunque taJJonò l'Annata Sarda. La sera del 16 aprile il consiglio di guerra della Divisione sarda decise di abbandonare la piazza di Ceva - nonostante fosse assolutamente imprendibile - e l'evacuò in gran fretta ritirandosi oltre il fiume Corsaglia. Qui però i Sardi furoiv Rip. in G. C. ABBA: «La difesa di Cosseria», Roma, Edoc. 1979. pag. 61.


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no attaccati, il 19, sull'ala destra, la cui posizione piìl forte era nel villaggio di San Michele, tenuto dal colonnello Dicbat coi battaglioni granatieri I, VII ed VIIl. La divisione Sérurier, attraversato il fiume e fattasi avanti, riuscì ad investirli pure sul fianco, obbligandoli a retrocedere fino ad asserragliarsi nel villaggio dove, presi alle spalle da altri nemici, furono fatti prigionieri. Si salvò una compagnia svizzera che si atte.stò in un giardino. Accortasi che un intero reggimento di fanteria leggera nemico aveva allentato la vigilanza per darsi al saccheggio, contrattaccò rapidamente, liberando e riarmando tutti i commilitoni catturati. li combattimento si riaccese e continuò con aJtemi risultati fin quando i, Francesi varcarono il Corsaglia più a nord e Colli inspiegabilmente ordinò la ritirata su Mondovì la sera del 21 , facendosi proteggere dai 7 battaglioni di granatieri, raggruppati agfi ordini del colonnello Oichat posti a Vico e attestati poi sulle alture del Bricchetto. Intanto l'Armata Sarda era giunta a Mondovì per sgomberare i magazzini, ma si trovò a contatto col nemico. Napoleone infatti, aveva lanciato i suoi contro le ali di Colli e, sopravanzatele, anche contro la retroguardia che, ignara delle idee di Colli, resistè. La mattina del 22 aprile i Francesi, sotto il comando diretto di Napoleone, attaccarono frontalmente il Bricchetto. Contenuti per otto ore, verso le 16, quando Dichat mori colpito da una pallottola, riuscirono a far ritirare i granatieri. Dopodicbè, premuto da due divisioni su entrambe le ali, Colli retrocedè verso Torino, protetto dalJa cavalleriall, lasciando Mondovì in mano a Sérurier, che ne catturò tutto il presidio. Poi Napoleone occupò Cherasco, Alba e Fossano il 25 aprile, sloggiandone gli avversari e mettendosi in grado di passare la Stura ed attestarsi oltre Bra.

V) L'Armistizio Il 16 aprile, cioè lo stesso giorno dell'abbandono di Ceva e dieci giorni prima dell'armistizio, il rappresentante a Torino di Luigi XVIII aveva dettato a Vittorio Amedeo Ul l' ordine del giorno del consiglio della corona tenuto poi iJ 21 e in cui sostanzialmente si decise di arrendersi alla Francia. Ora, nell'ultima decade del mese, risultando minacciato dal nemico a poca distanza da Torino, isolato dagli Austriaci, inferiore ormai ai Francesi, Vittorio Amedeo Ili chiese l' armistizio. Murat portò al campo di Fossano le pesanti condizioni: cessione immediata di Ceva, Cuneo e Tortona, od Alessandria, ali' Armata d'Ita.lia, che avrebbe continuato a tenere i territori occupati fino a quel momento; licenziamento delle milizie, ordine alle truppe regolari di restare consegnate nei loro accantonamenti; ordine ai Napoletani di evacuare Valenza per darla ai Francesi ed invio di un plenipotenziario per trattare la pace definiùva. A Torino si cominciò a discutere sull'opportunità d' accettarle. A Parigi il Direttorio era furibondo per la mancata osservanza delle istrnzioni: cos'era quella perdita di tempo? Cosa stava fa. cendo in Piemonte l'Armata d'Italia invece di proseguire a tutta velocità su Mantova e Trento? Buooaparte forzò la mano ai Piemontesi spedendo tre colonne a Cherasco, Alba e Fossano. La corte cadde in preda al terrore: questo non era previsto; e la retroguardia dell'Armata venne fatta ripiegare da Fossano perché il corpo volante di 2.000 uomini del brigadiere Brempt fu ritenuto insufficiente a sostenere un assedio. Colli però decise di riprendere Cherasco e mandò a Brempt ordini in tal senso, comunicandogli che BeauLieu ci si stava già dirigendo col grosso e aveva l'avanguardia a Nizza della Paglia. Ma era troppo tardi. Beaulieu si ritirò; e l'esercito regio si accampò a Carmagnola per impedire ai Francesi l'avanzata su Moncalieri.

11 Che si distinse in uaa carica cli alleggerimento fatta da due squadroni dei Dragoni di Saa Maestà i quali, ucciso il generale francese Stengel e volti in fuga i nemici, furono premiati dal Re coa ben due medaglie d'oro al valore alla bandiera.


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Alle due del pomeriggio del 26 arrivò a Cannagnola iJ Marchese di Sommariva, aiurante di campo del Re, latore dell'ordine sovrano al luogotenente generale Barone de La Tour e al colonnello Marchese Costa de Beauregard di concludere la tregua. Entrambi partirono subito. Quando dc La Tour espose a Napoleone la preoccupazione del Re che l'armistizio potesse costringerlo ad agire in seguito contro i suoi alleati, la risposta fu: «Tolga lddio che io pretenda da voi cosa alcuna che sia contraria alle leggi dell'onore»• U futuro avrebbe dimostrato quanto falsa fosse quell'affermazione. Poi i plenipotenziari sardi ripartirono. La guerra era finita. La pace sarebbe stata siglata dal Conte di Revel il 15 maggio a Parigi. sancendo la cessione alla Francia di Savoia e Nizza, il pagamento di tre milioni di lire per i danni di guerra e la riduzione delle forze dell'Armata Sarda.

VI) La guerra dei "diavoli bianchi" di Napoli e la seconda fase napoleonica A questo punto Napoleone se la doveva vedere coi soli Austriaci e Napoletani. I secondi, a dire il vero, non avevano fatto granchè. Nella tarda primavera del l 794 Ferdinando IV aveva preparato un corpo di circa 19.000 uomini - 14.284 fanti su 23 battaglioni, un reggimento di 2.000 artiglieri ed altrettanti cavalieri articolati in 13 squadroni concentrati al campo di Sessa - destinato alla Lombardia: ma la scoperta di una congiura giacobina a Napoli l'aveva indotto a far partire via mare per l'Alta Italia solo tre reggimenti di cavalleria, in totale 12 squadroni 12, agli ordini del Principe di Cutò, che erano giunti a Lodi nella seconda metà di settembre. Contemporaneamente l'esercito veniva aumentato a dismisura. Si stabiliva infatti sia la levata di 16.000 uomini che la costituzione di 60 battaglioni da 800 uomini l' uno e di 20 squadroni da 16513. Questo significava che da una forza di circa 22.000 uomini 14, si passava in pochissimi mesi a oltre 96.000 - 89.000 fanti e circa 7.000 cavalieri - compresi quelli già al fronte, con tutti i problemi finan.ziari e log istici che un tale accrescimento comportava. Ma la cifra totale prevista non fu mai raggiunta. La renitenza alla leva fu tanto forte da giungere all'automutilazione da parte dei coscritti per evitare l'arruolamento e i disertori furono numerosissimi. Poi. nel corso del 1795 erano giunte a Napoli da Vienna pressanti ricbieMe di rinforzi, ma a dire il vero le truppe già presenti al nord non erano state mai impegnate, colla sola eccezione del Reggimento Re. che aveva combattuto un po' in giugno lra Vado, Finale e San Giacomo. Anche quando i Francesi avevano attaccato a Loano, i Napoletani non erano intervenuti, perché si trovavano troppo lontani, tra Alessandria, Lodi e Piacenza. Comunque Ferdinando aveva deciso di far partire ancora almeno il Reggimento Napoli Cavalleria nella primavera seguente. Ma quando i suoi primi due squadroni giunsero a Parma,

• Rip. in COSTA DE BEAUREGAAD, «Un uomo d"altri tempi», Torino, Artigianelli, 1897, pag. 258. 12 Con dispaccio del 5 luglio si stabiliva che dovessero partire 8 squadroni - 4 e 4 - dei reggimenti Re e Regina, e che si costituisse un reggimento di formazione, col nome e runiformc del Rgt. Principe, i cui uomini andavano presi dai reggimenti Rossiglione, Tarragona. Principe, Napoli e Sicilia. Ogni squadrone allineava 135 uomini e il totale, inclusi gli stati maggiori reggimentali e la riserva fuori corpo di 120 uomini, ammontava a 1.806 cavalieri. 13 ( 16.000 andavano inseriti nei preesistenti reggimenti cli fanteria; i battaglioni, a tre a tre e col numero e nome di 1°, 2° e 3° battaglione di volontari ausiliari. dovevano aggregarsi ai predetti; gli squad~ ni di cavalleria dovevano inquadrarsi nei reggimenti già esistenti. 14 1 Reggimenti di Fanteria erano 20. articolati in 5 divisioni a loro volta ripartite in IO brigate binarie: I• Divisione: I Brigata reggimenti Re e Regina, n Brigata reggimenti Real Borbone e Real Farnese; 2' Divisione: I Real Napoli e Real Palermo, □ Real Italiano e Real Campagna; 3' Divisione: I I 0 e 2° Illirico, n Puglia e Lucania: 4• Divisione: I Sannio e Messapia, II Calabria e Agrigento; Divisione: I Siracusa e Borgogna, li I 0 e 2° E.stero.

s•


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il 25 aprile 1796, era già cominciata la campagna di Napoleone e la brigata del Principe di Cutò era stata spostata in Piemonte. La lentezza austriaca fece si che di nuovo i reggimenti napoletani arrivassero troppo tardi Mossi dopo la caduta di Mondovì e gli scontri del Bricchetto, il Regina col corpo del generale Lipthay, il Re con quello del generale Nicoletti e gli altri due col grosso, non poterono entrare in azione perché vennero sorpresi dalla notizia dell'armistizio di Cherasco. Bcaulieu, disorientato, decise di ritirarsi e di assicurarsi però almeno le fortezze piemontesi di Tortona, Alessandria e Valenza, per contenere o almeno ritardare l'avanzata francese. Delle tre solo l'ultima, e solo grazie alla rapidità e decisione dei borbonici del Re, poté essere occupata. BeauJieu vi giunse col grosso il 30 aprile. Il 2 maggio ordinò d'abbandonarla dopo averne inchiodati i cannoni e bruciato il ponte sul Po e si trasferì a Ottobiano, schierando 9 battaglioni e il Reggimento Napoli al ponte sul Po di Pavia. Napoleone ingannò gli Austriaci fingendo di voler varcare il fiume a Valenza, ma spingendo in avanti Dallemagne a Piacenza e facendogli stabilire il 7 una testa di ponte, sulla riva austriaca e sotto gli occhi degli inattivi ussari imperiali. Beaulieu reagì mandando là Lipthay con 4 battaglioni di fanteria e il Regina, il quale procedendo in avanscoperta urtò le avanguardie nemiche in marcia verso Guardamiglio. Il maggiore Antonetti ordinò la carica respingendole fino all'argine. Contrattaccato pesantemente, ripiegò su Guardamiglio tallonato dal nemico, Poi arrivò il resto del reggimento guidato dal tenente colonnello Colonna di Stigliano, che riunì il reparto, lasciò davanti ai Francesi i fanti austriaci che stavano arrivando di corsa per riprendere il paese, aggirò il nemico e lo caricò sul fianco disperdendolo. Scesa la notte, Lipthay si ritirò a Fombio, abile mossa che permise ai Francesi di riparare il ponte, ripassare il fiume con forze maggiori e assalirlo la mattina dell'8. Tre colonne, comandate da Lannes, Lanusse e Dallemagne con una quarta di La Harpe in riserva, attaccarono Fombio alla baionetta sotto un diluvio di cannonate. Lanusse stava marciando in fretta per attaccare Fombio quando si ripetè la scena del giorno prima. Il Regina, profittando di un burrone, scese in pianura senza farsi vedere, si spiegò tranquilJamente e caricò la colonna nemica disperdendola e facendo fallire l'attacco. Ma Lipthay temeva, infondatamente, per le proprie comunicazioni col grosso e decise di ritirarsi per Codogno a Pizzighettone, senza però avvisare Beaulieu. Il ripiegamento fu coperto dal solo Regina, che entro Fombio respinse tre attacchi nemici, perse altri 40 uomini e passò l'Adda per ultimo. Beaulieu intanto, convinto che Lipthay fosse ancora a Fombio, ci si stava dirigendo con tutto il grosso ed il Reggimento Re in avanguardia. lntomo alle 23 lo squadroae napoletaao di testa entrò nella cittadina che sapeva essere in mani austriache e si trovò in mezzo alla divisione francese La Harpe. Si sganciò perdendo due morti, otto feriti e parecchi prigionieri; ma ebbe la soddisfazione d'aver causato la morte dello stesso generale La Harpe, ucciso per sbaglio dai suoi. Beaulieu allora decise di ripiegare su Lodi facendosi proteggere dai reggimenti Re e Principe in retroguardia, spostandoli in avanti come testa della ritirata su Crema. n IO maggio Napoleone a Lodi colse la sua più propagandata vittoria, facendo massacrare miglia.i a dei suoi uomini in un assalto frontale in colonna, su un ponte battuto dal tiro diretto dell' artiglieria nemica. Gli Austriaci si ritirarono verso Crema e Rivolta d'Adda, mentre il Napoli, in retroguardia, copriva il movimento cogli altri reparti di cavalleria. Lo stesso giorno Lipthay decise di ripiegare su Cremona per unirsi a Beaulieu. Questi a sua volta aveva stabilito di ritirarsi fino al Mincio ed aveva affidato la custodia dei ponti sull' Oglio al tenente colonnello Fardella, con due squadroni del Reggimento Re, due battaglioni di granatieri ungheresi e quattro pezzi leggeri. Fardella respinse tutti gli attacchi francesi fin quando non seppe che BeauJieu aveva oltrepassato il Mincio. Allora fece saltare i ponti, diede fuoco alle imbarcazioni e, coi nemici alle


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calc~na, si congiunse al _grosso intorno a Roverbella, dove il 21 terminarono di concentrarsi tutte le truppe imperiali. Intanto Napoleone era entrato in Milano, preceduto dalla divisione Massena, e la Lombardia si poteva dire completamente conquistata. Solo la guarnigione austriaca del castello sforzesco avrebbe retto ancora fino al 29 _giugno.

VD) La terza fase: cacciare gli Austriaci dall'Italia Il 23 maggio 1796 Napoleone diede inizio all'ultima fase del suo ciclo operativo avanzando verso oriente, deciso a passare il Mincio e ad impadronirsi di Mantova. La guerra si svolgeva ormai sul territorio della Repubblica di Venezia che, come neUe tre guerre di successione, sì era dichiarata neutrale sperando di evitare troppi dannj e votandosi invece alla mone. Beaulieu era in piena ritirata. Persa la Lombardia, aveva avviato Lipthay col grosso verso il Trentino e schierato le altre truppe lungo il Mindo, da Peschiera, per Valeggio e Borghetto (dov'era il Regina), a Goito (Re e Principe), tenendo la riserva (comprendente Napoli) tra Villafranca e Castelnuovo. Il 29 maggio Massena attaccò attraversando a guado il fiume proprio a Borghetto. La cavalleria francese arrivò a Valeggio e Beaulieu, ammalato. si salvò a stento, ordinando a tutta la sua cavalleria - ulani Maszaras, ussari Arciduca Giuseppe e dragoni Regina - di contrattaccare per coprire il disimpegno della fanteria in direzione dell'Adige. Le caricl1e si succedettero per tutta la giornata e con gravissime perdite. Ai soli Napoletani, sostenuti dallo squadrone Caracciolo del Re_ggimento Napoli, costarono oltre 150 uomini fuori combattimento e il ferimento e la cattura del Principe di Cutò e del tenente colonnello Colonna di Stigliano. Nel frattempo anche i reggimenti Re e Principe combattevano intorno a VilJafranca per coprire la ritirata austriaca verso l'Adige. Il 31 gli ultimi Napoletani, quelli del Regina, varcavano l' Adige e, uniti al resto della loro brigata dovevano essere avviati a Merano quando soprnvveniva l' armistizio franco~borbonico siglato a Brescia il 5 giugno 1796. In base ad esso i Napoletani venivano accantonati nel Brcscianoll fino al perfezionamento della pace co1 trattato di Parigi del IO ottobre. La guerra stava ormai terminando; l'Austria era stata sconfitta e lo sarebbe stata ancorn nei mesi successivi dai suoi peggiori generali e dal migliore comandante del nemico. I Napoletani avevano fatto del loro meglio e to rimarcò anche Napoleone quando, invitatolo a pranzo a Brescia dopo la fme de!Ja guerra, accolse il brigadiere Ruiz dicendo: «Generale, mi sono bene aweduw che tra' nostri nemici mancava la vostra buona e bella cavalferia»•i_ TI 26 dicembre giunse a Brescia l'ambasciatore delle Due Sicilie latore de)la notizia della firma della pace di Parigi. 11 14 i commissari di guerra napoletani partirono per preparare le tappe, segujti il 15 dal Reggimento Re da Crema, il 16 dal Regina, poi dal Napoli il 17 e infine dal P-rinci,pe il 18.

VDI) D crollo di un mondo: muore San Mat,co Mentre gli Austriaci non sapevano da che parte muoversi, se ritirarsi in Trentino o no, se abbandonare Mantova o meno, il "mal francese" investiva mortalmente l'antico corpo della Serenissima Repubblica di Venezia.

!5 Principe~ Rezzato. Napolj a Palazzolo e Rovaio, Regina a Bergamo e Re a Crema. vi Rip. in A. SIMIONI: ·'L'esercito napoletano dalla minorità di Ferdinando [V al 1799", cap. 2, pag. 52.


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Doge e Senato avevano guardato alla Rivoluzione con un certo distacco. La questione più pressante per la classe dirigente veneta era il mantenimento del potere politico; e finchè la Rivoluzione fu un fatto lontano da leggere sulle gazzette scuotendo la testa davanti al sovvertimento del trono e dell'altare, non ci se ne preoccupò troppo. Era assai più pericoloso l' Impero, che premeva su quasi tutto il confine e sembrava deciso ad inglobare il Veneto Dominio di Terraferma per non lasciare la Lombardia isolata dal resto dei territori asburgici. Quando la Rivoluzione si tramutò in guerra le cose cambiarono un po', ma non troppo. Da novant' anni la politica veneziana reagiva a questo tipo di avvenimento dichiarando la neutralità. Dunque si respinse la richiesta d'alleanza difensiva avanzata dal Re di Sardegna, per non schierarsi contro la Francia, la quale poteva sempre tornare utile un giorno contro l'Austria e comunque sembrava continuare ad essere molto influente a Costantinopoli. D' altra parte non ci si mosse contro l'Austria perché non si era tanto pazzi da andare a cercare guai. Come in precedenza, Sua Maestà Sarda avrebbe fatto il proprio mestiere fermando i Francesi sulle Alpi rimettendoci Nizza e Savoia; poi, dopo un paio d 'anni di prevalenza francese, come sempre era successo, Austria e Sardegna, sostenute dall" Inghilterra avrebbero cominciato a recuperare terreno e si sarebbe arrivati alla pace rendendo a ognuno quanto gli apparteneva. Fino alla primavera del 1796 le cose andarono proprio così. Ma quando i Francesi in poche settimane varcarono le Alpi, batterono i Piemontesi, neutralizzarono i Parmensi, cacciarono gli Austriaci dalla Lombardia ed entrarono nel territorio veneziano, le cose presero un aspetto lievemente diverso. Solo lievemente però, perché in fondo era già successo qualcosa del genere durante le guerre di successione, specialmente nelle prime due. Gli eserciti nemici si erano affrontati sul suolo veneto, ma la Repubblica era rimasta neutrale e alla fine non gliene erano derivati danni. Già, però stavolta le cose andarono diversamente, perché la Francia era diversa, la sua politica molto più ipocrita, la sua rapacità più famelica: e Venezia fu la prima vittima vera della prima guerra totale combattuta in Europa; fu cioè il primo Stato cancellato dalla carta geografica perché incapace di decidere politicamente e quindi incapace di combattere 16. Numericamente l'esercito veneziano non era cosa da poco. Le truppe regolari ammontavano a circa 18.000 uomini delle tre anni, la Cemide, anche se scadente, si valutava a 2030.000. Napoleone sapeva che le sue forze non gli consentivano di combattere su più fronti e contro più avversari. li Piemonte era stato un caso preordinato che difficilmente si sarebbe ripresentato. Lui per primo non ci credeva: e lo si era visto a proposito di Parma. Ora aveva davanti tre forze nemiche. A sinistra Beaulieu in Trentino, con rinforzi in arrivo dall'Austria, a destra Wurmser a Mantova, con truppe sufficienti a preoccupare chiunque, al centro i Veneziani La loro neutralità era fondamentale. Se fossero scesi in guerra sarebbe stato schiacciato da tre lati e distrutto. Se invece fossero rimasti fermi avrebbe potuto muoversi per linee interne e battere separatamente gli Austriaci del nord e del sud prima che si riunissero. Dunque occorreva neutralizzare i Veneziani; e il modo più sicuro consisteva nel blandirli finchè l' infiltrazione politica non li avesse minati completamente. Venezia aveva il difetto di una classe politica divisa: alcuni senatori sostenevano la neutralità armata, altri l'intervento antifrancese, altri ancora erano favorevoli a una collaborazione coi Francesi, infine gli ultimi - e non erano pochi - erano indecisi. Napoleone vide chiaramente questa debolezza e la sfruttò. giovandosi in più come propri agenti dei tanti nobili di Terraferma i qual.i, tagliati fuori dalle redini della politica veneta perché non erano patrizi veneziani, erano disposti a tutto pur di mettere le mani sul potere, anche solo locale, perché pure il poco era meglio di niente.

16 Pochi anni prima. l'accordo austro-russo-prussiano aveva spartito per la terza e ultima volta la Polonia, facendola scomparire dalla carta d' Europa; ma non era avvenuto nel corso d'una guerra.


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Dunque il generale Buonaparte comunicò ufficialmente al Doge che la Repubblica di Venezia non aveva nulla da temere damla Repubblica Francese, purcbè mantenesse un atteggiamento non ostile; il che voleva dire tutto e niente. TranquiJlizzato cosl il Senato, Napoleone cominciò col chiedere di non ostacolare le truppe francesi, poi di rifornirle, poi che i patrioti non ricevessero molestie, poi che i presidi veneziani venissero ritirati nella Dominante e infine che la Repubblica si suicidasse. È difficile seguire nei particolari quanto accadde; ma in linea generale lo schema fu sempre lo stesso, a Crema, Bergamo, Brescia. Il caso bresciano è esemplare di quanto avvenne nel Veneto Dominio. I Francesi arrivarono a Brescia il 25 maggio 1796; e un cronista locale annotò: «tanta è l'insolenza e la sfrontatezza del soldato che.fino i Postriboli sono chiusi►,vii. Il 29 Napoleone ne ripart.l lasciando un contingente e un manifesto nel quale fra l'altro si leggeva: «La religione, il Governo, gli usi, le proprietà saranno rispettate....... tutto ciò che sarà somministrato all'armata sarà esattamente pagato in denaro»viii, Avrebbe fatto eco mesi dopo il solito cronista: « ...finora pagano i Francesi quasi tutto con promesse, e con carta. Le

belle parole, e le promesse non mancano, ma co11vien andare avanti col nostro denaro»i•. Il periodo seguente fu caratterizzato dall'incertezza politica dovuta alla situazione militare. Poi, tra il 1° e il 16 marzo, ci fu in città un certo fermento. I congiurati locali si stavano preparando all'insurrezione, raccogliendosi intorno ai Gambara o ai Lecbi, futuri generali della Cisalpina e del Regno Italico. Erano «nobili nel maggior numero, e principali cittadini, causidici, medici e chirurgi; alquanti mercatanti, e pochissimi popolari»•. Sicuri di non essere molestati, si riunivano apertamente e si erano accordati coi Bergamaschi, già sottrattisi al dominio veneto, per ricevere un loro contingente appoggiato da truppe francesi. li l 7 sera si produssero in altri solenni giuramenti di vivere liberi o morire: come rivoluzione era molto teatrale e per nulla cruenta; si vedeva bene che i Giacobini sapevano di non rischiare nulla. La mattina seguente però la volontà di resistenza si stava diffondendo in tutta la città e gli artigiani erano armati e pronti a sparare sui rivoluzionari. Davanti a tale decisione il provveditore veneto Battaglia si riscosse e diede ordini al tenente colonnello schiavone Miovilovich, comandante della piazza. Resistere? Non sia mai! Doveva calmarli e disarmarli; i renitenti sapessero che sarebbero stati colpiti dall'indignazione della Serenissima. Nell'apprenderlo la gente esplose: «Ah! som tradii; i sior noi voi pi1ì San Mare, nu alter

som tutti tradir. Oh Dio!»•i. Alla fine, da leali sudditi accettarono di deporre le armi. I rivoluzionari entrarono in città poco dopo accompagnati da ben 140 bergamaschi e llO francesi. Al provveditore Battaglia si presentò il conte Giuseppe Lechl in divisa da generale della Legione Lombarda a intimargli di partire da Brescia e di far deporre le armi al presidio. l soldati italiani disertarono subito; quelli dalmati rimasero inquadrati e sarebbero stati poi trasferiti a Venezia. Sistemata la cosa, Lechi si affacciò al balcone del palazzo e gridò: «Evviva Bresciani, Eviva Libertà: Uguaglianza: Libertà Eviva}>J<ll e dal basso gli risposero «Eviva San Marco»1.m. te truppe italiane furono sciolte e invitate a riprendere servizio nell'appena costituita Repubblica Bresciana. Gli Schiavoni vennero parzialmente disarmati man mano che procedevano verso Venezia. dove furono poi alloggiati al Lido.

vii BROGNOU, "Memorie bresciane dei principali avvenimenti dall'anno 1796 all'anno 18...", rip. in L. FAVERZANl, "Brescia e Venezia, maggio 1796- marzo 1797", iii "Studi Veneziani", n.s. XXVI. pag. 310. viii Rip. in FAVERZANI, op. cit., pag.310. •• Rip. in FAVERZANl, op. cit., pagg. 3!0- 11. • MIOVILOVJCH P. "Veridico et esato Giornale della Ribellione di Brescia 1797", Brescia, Bibl. Queriniana, c. 2, verso.

xi lvi. xii lvi. xiii lvi.


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Con qualche variazione questo accadde più o meno dappertutto, un po' prima o un po' dopo Brescia. A Crema. Bergamo, Bassano, in tutte le città di Terraferma, i funzionari loca.li si preoccuparono di far fronte all'emergenza come potevano. Quando però si accorsero che le loro richieste d'istruzioni venivano lasciate senza risposta dal governo centrale e che un larga parte di importanti cittadini locali si erano messi dalla parte della Rivoluzione, pensarono a salvarsi dai guai e non si preoccuparono altro che di sè stessi. Nella primavera del 1797 a Venezia erano ormai concentrati circa 11.000 schiavoni che, con 500 soldati italiani, 800 cannoni ed oltre 200 imbarcazioni armate di vario tonnellaggio, dai vascelli alle lance, rendevano la città pressocchè imprendibile. Il Senato era ancora alquanto incerto. ma si andava orientando verso l'intervento indiretto a fianco degli Austriaci e una decisa resistenza in caso di attacco. Lo si vide in seguito alla promulgazione del proclama fumato dal provveditore Battaglia - lo stesso che aveva fatto perdere Brescia - nel quale ci si riferiva ai Francesi e ai loro alleati italiani come a «briganti nemici dell'ordine e delle leggi» e si incitavano «i fedelissimi sudditi a prendere in massa le armi ... non dando quartiere o perdono a chichessia» assicurando da parte del Governo «assistenza con danaro e truppe schiavone regolate>>"". Fosse del Governo sotto falsa firma, o - come pensava l'ambasciatore austriaco - fosse opera dei Francesi per avere un pretesto d'intervento contro i Veneziani. resta il fatto che ebbe l'esito voluto: il popolo prese le armi. li 17 aprile i Veronesi insorsero, aggredirono i Francesi presenti in città e, aiutati dalla guarnigione veneziana, il 20 li chiusero in due castelli uccidendone 500 e tenendo la città sgombra per alcuni giorni, prima del contrattacco nemico e della successiva feroce rappresaglia. Sempre il 20 il vascello francese liberateur d'ltalie tentò d·entrare in Laguna, cosa vietata a tutte le navi militari straniere. Il comandante della difesa costiera Domenico Pizzamano lo fece cannoneggiare; poi i Fanti da Mar, l'abbordarono sopraffacendone l'equipaggio ed uccidendone il comandante. Su questa lenta progressione verso l'intervento armato, cadde la sorpresa della tregua stabilita il 18 aprile tra Francia e Austria a Leoben. Se i due contendenti maggiori smettevano di combattersi, a eh.i si poteva appoggiare Venezia? E la situazione peggiorò quando trapelarono le clausole segrete dell'accordo: cessione austriaca della Lombardia alla Francia in cambio del Veneto Dominio di Terraferma, dell'Istria e della Dalmazia; la Serenissima sarebbe stata indennizzata ricevendo le Legazioni ex-pontificie. Dal momento che l'accordo era a suo danno, chiaramente Venezia si sarebbe trovata a dover combattere contro Austria e Francia per mantenere la propria integrità territoriale. Si spedirono degli ambasciatori a Napoleone, ma il 30 aprile lui li trattò malissimo, accusando la Repubblica di aver appena stipulato un trattato d'alleanza coll'Austria e minacciando guerra a oltranza in risposta al movimento partigiano che si era acceso in Veneto. Se ne poteva uscfre- disse - solo colla riforma dello stato veneziano in senso democratico e coll'arresto dei tre Inquisitori di Stato e di Domenico Pizzamano entro quattro giorni. Davanti all'incalzare degli avvenimenti, il Senato istituì una Consulta, presieduta dal Doge, il cui pili rapido funzionamento, grazie al ridotto numero dei componenti - 42 a fronte di oltre 730 membri del Maggior Consiglio - avrebbe consentito di decidere in fretta. Ma purtroppo le idee giacobine infiltratesi nella Laguna fin dal l 789 avevano fatto presa anche sui nobili della Consulta, che si divisero in tre blocchi: 13 membri erano filofrancesi, 7 antifrancesi volevano la resistenza armata. i rimanenti 22 - indecisi - si fecero convincere dai filofrancesi. Grazie a questa maggioranza vennero rapidamente approvati i provvedimenti che smantellavano il potere oligarchico veneziano disgregando la Repubblica in due settimane. xiv Proclama a firma del Provveditore Francesco Battagia, 21 mano 1797, rip. in G. Pu.LINfNI. •· / 797: Venezia giacobina", Venezia. Editoria Universitaria, 1997. pag. 126


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ll 2 maggio fu revocato iJ divieto d'ingresso in Laguna alle navi militari straniere, poi si fecero concessioni sempre più ampie e infine, su pressione dell'ambasciatore francese. si decretarono il disarmo e, il giorno dopo - 12 maggio 1797 - l'adozione d'un governo rappresentativo provvisorio. dal quale i progressisti filofrancesi si aspettavano le riforme che avrebbero dato il potere alla fazione democratica. Venezia aveva finito d'esistere. Fra il 10 e l' 11 maggio i comandanti delle truppe schiavone si presentarono al Savio alla Scrittura Priuli per ricevere le ultime istruzioni, poi i loro reggimenti sarebbero stati sciolti e imbarcati per la Dalmazia. Gli Schiavoni cercarono di opporsi e marciarono sul Palazzo Ducale, ma vennero affrontati e cannoneggiati a Rialto da reparti italiani e costretti ad eseguire gli ordini suicidi del Senato. La Serenissima Repubblica di Venezia venne quindi sostituita dalla Repubblica Veneta. Il 16 maggio 1797 venne sottoscritta a Milano la pace tra la Francia e Venezia, il cui Gran Consiglio rinunciò ai propri diritti sovrani, accettò per la propria aristocrazia la rinuncia all'esercizio oligarchico del potere e riconobbe la parità politica di tutti i cittadini. Infine "domandò" alla Francia il distacco di una divisione sul proprio territorio per la tutela dell'ordine. divisione graziosamente concessa e destinata a ritirarsi quando ne fosse cessato il bisogno, mentre iJ resto del!' esercito francese se ne sarebbe andato al momento della pace continentale. Infine il territorio stesso sarebbe stato ridimensionato, perché non si poteva non tener conto delle legittime aspirazioni alla libertà manifestate in tante città già appartenenti alla Repubblica; e non aveva irnponaoza se tali aspirazioni erano espresse da una minoranza di aristocratici e borghesi a dispetto della volontà della maggioranza del popolo. Anzi: poiché i primi appoggiando i Francesi dimostravano d'essere illuminati e amanti del progresso, era evidente che a loro occorreva dare ascolto per condurre alfa felicità dell'equità repubblicana la massa, ancora ignorante. immersa nelle tenebre dell'oscurantismo feudale. Naturalmente la Repubblica Veneta si impegnava a fare ammenda dei danni pagando 3 milioni in contanti e fornendone altrettanti in materiali bellici, insieme a 3 vascelli, 2 fregate e un certo numero di opere d'arte. Napoleone dunque s'irnpadronjva dell'antica Repubblica; e l'annullò del tutto grazie a un cavillo giuridico. Fece infatti presente che all'atto della firma del Trattato di Milano, il 16 maggio, il Gran Consiglio aveva già cessato di esistere. che non si poteva intendere come suo successore giuridico il Municipio di Venezia, perché aveva una giurisdizione evidentemente limitata alla sola città, dunque, in assenza di un potere statale centrale, i terrjtori della Repubblica nel loro insieme restavano di fatto, e perciò anche de jure, sottoposti all'unica autorità presente in quel momento: quella dell'esercito francese. Questo, a sua volta, non poteva sentirsi vincolato dai termini del trattato perché esso, non potendo essere ratificato dal disciolto Gran Consiglio, andava considerato come nullo. E nulla era ormai la Repubblica Veneta: null'altro che terra di cui fare mercato nell'interesse della Francia, come si sarebbe visto di 11 a cinque mesi a Campoformido. Così1e "Trionfanti & Invittissime Armate Venete·· lasciarono iJ posto alla Guardia Nazionale e alla truppa di linea, organizzata io base al decreto del 15 agosto 1797, delle quali non vale neanche la pena di parlare perché ebbero brevissima vita, visto che iJ 17 ottobre a Campoformido la parte centrak e orien~e di quel che era stato i1 Veneto Dominio di Terraferma fu venduta all'Austria, mentre le isole Jonie passavano alla Francia e la Dalmazia era equamente spartita.

IX) 1797: Le Repubbliche Ligure, Transpadana, Cispadana e Cisalpina e i loro eserciti

L'arrivo dei Francesi era sempre stato' preceduto o seguito in tutti gli Stati italiani da una fioritura di circoli repubblicani ai quali era spettato il compito di rendere più faciJe il controllo del territorio ai liberatori - invasori secondo i più - provvedendo loro quanto potesse occorrere, dai viveri al denaro agli alloggi.


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Il 22 maggio 1797 cominciarono anche a Genova dei disordini per mutare la Repubblica da aristocratica in democratica. Decisivo fu l 'intervento di Napoleone che, nel convegno di Montebello del 5 giugno, impose ai rappresentanti genovesi l'adozione di una costituzione alta francese. LI 14 i poteri furono affidati ad un Governo provvisorio presieduto dal doge Giacomo Maria Brignole; e anche a Genova la borghesia salì al rango di classe dirigente al fianco dell'aristocrazia, che comunque conservò gran parte del potere. La Repubblica Ligure, ovviamente alleata alla Francia, confermò la sua neutralità, in modo da consentire un minimo di commercio estero alla Grande Nation in lotta col mondo intero. Il 5 ottobre, cominciando a farsi sentire le difficoltà finanziarie, la Marina fu contratta a una polacca, una galea e qualche bastimento minore. Venne organizzata la Guardia Nazionale e l 'esercito ebbe un Battaglione di Gendarmeria, quattro di linea - colla solita suddivisione in compagnie fucilieri, una co°'pagnia granatieri e una di cacciatori - artiglieria e un minimo di servizi. Intanto, occupata la Lombardia austriaca e veneta, Napoleone l'aveva riorganizzata in Repubblica Transpadana e le aveva aggregata la Valtellina, togliendola ai Grigioni. Per la sua clifesa formò una Guardia Nazionale il cui compito principale consisteva nel controllo del territorio, sollevando i Francesi dall'incombenza di guarnigioni, scorte e mansioni di ordine pubblico. L' 11 ottobre 1796 Napoleone scrisse al Direttorio annunciando la nascita di una prima unità regolare, La Legione Lombarda, e aggiunse: «J colori nazionali che sono stati adottati sono il verde, il bianco e il rosso»•v. La Legione aveva uniformi di taglio austriaco e polacco, ma di colore verde. Nell'autunno del 1796 i governi provvisori di Massa e Carrara, Modena, Bologna, Ferrara e Reggio Emilia, nati come funghi dall'altra parte del Po sull'onda della vittoria napoleonica di Lodi, si riunirono nella Repubblica Cispadana, proclamata il 27 dicembre, a cui l'Amministrazione Generale della Lombardia, cbe di fatto governava sia la Transpadana che La Cispadana, impose una Giunta di difesa Generale per l'organizzazione delle forze armate. II 16 ottobre 1796 era già stata costituita una Legione Cispadana. Formata in gran parte dai soldati de1 tramontato ducato estense, la Legione, vestita di uniformi dello stesso colore verde e guasi-deUo stesso taglio della Legione Lombarda, costituì poi il nucleo centrale dell'esercito della Repubblica Cisalpina e sarebbe dovuta arrivare ad allineare 15.000 uomini. La Cisa1pina nacque ufficialmente il 9 luglio 1797 per razionalizzare le risorse delle due precedenti repubbliche padane italiane e poter costituire un più robusto antemurale francese contro 1'Austria, che il 17 ottobre la riconobbe formalmente nel Trattato di Campoformido. Stato creato per le esigenze francesi, la Cisalpina comprendeva in aggiunta ai territori della Cispadana e della Transpadana la provincia di Rovigo e il 17 marzo del 1798 si alleò a11a Francia su imposizione del generale Berthier. L'esercito cisalpino nacque insieme alla Repubblica e, come già accennato, intorno alle Legioni Lombarda e Cispadana, facendovi confluire tutti i reparti formati nelle scomparse repubbliche di Bergamo e Brescia. Alla fine del 1797 fu riordinato divisionalmente e affidato al generale Pasquaie Antonio Fiorella, articolandolo in due brigate comandate dai generali Giuseppe Lechi e Giuseppe Lahoz e dal capo brigata d'artiglieria Lalance. A livello inferiore le truppe si dividevano in sette legioni di fanteria italiana (Luigi Peyri, Domenico Pino, Filippo Severoli, Agostino Piella, Giovanni Paolo Calori, Eugenio Orsatelli, Paolo Sant' Andrea) e un 'ottava, formata da Polacchi e comandata da Andreij Milosevichn, tutte su due battaglioni.

Kv Napoleone al Direttorio, 11 ottobre 1796, rip. in BRANDANI. CROCIANl, FI0RENI1No: «Uniformi militari italiane dell'Ottocento. Periodo Napoleonico», Roma, Rivista Militare, 1978, pag. 7. 17 La Francia aveva organizzato reparti polacchi coi prigionieri austriaci e prussiani di quella nazionalità. Ma poiché le leggi della Repubblica vietavano di assoldare stranieri nell'esercito francese, si aggirò l'ostacolo mettendo i Polacchi al servizio - e a spese - degli Italiani. Se ne distinguevano per il taglio specificamente polacco e per il colore dell'uniforme, che non era verde ma blu.


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Ad esse si aggiungevano iJ Battaglione di Fanteria leggera, quello delle Guardie del Corpo Legislativo, il Reggimento Ussari, il gruppo di Cavalleria, il Battaglione d'Artiglieria su 12 compagnie, una compagnia artieri. una artificieri, quattro d'artiglieria da campo e un Battaglione comprendente Zappatori, Minatori, Artieri e Pontonieri. Presto i Polacchi formarono una seconda Legione. arrivando in complesso a 6.000 uomini. mentre le legioni di fanteria italiana scendevano a sei, e si tramutava in Reggimento Dragoni il corpo di Cavalleria. In totale la Cisalpina doveva allineare 32.500 uomini, arruolati su base volontaria ma, visto il poco entusiasmo dei cittadini, completò il contingente con 9.000 mancanti, scelti d'autorità dalle liste in cui erano stati obbligati a iscriversi tutti i celibi dai 18 ai 21 anni. Vennero istituite una Scuola Militare d'Artiglieria e Genio a Modena, sulle ceneri dell 'Accademia militare ducale, e una Marina, operante non in Adriatico, ma suJ lago di Garda e comprendente 700 uomini destinati ad am1are 20 scialuppe cannoniere, due sciabecchi ed una galera. infine la Francia, decisa ad alleggerire il proprio erario, fece scivolare parte delle sue spese mililari sulla Cisalpina, imponendole di prendere al proprio soldo come ausiliari ben 2S.000 francesi, portando a 44.000 fanti e 3.500 cavalieri l'Esercito Cisalpino. Cosi, in uno Stato sostenuto dalle armi straniere e con una larga componente estera, era nato iJ primo esercito a far sventolare iJ tricolore verde. bianco e rosso.

X) li breve regno di Carlo Emanuele IV: le rivolte del Piemonte e la Guerra Sardica del

1798 Secondo la pace di Parigi, l'Armata Sarda - ora aJJeata dei Francesi - doveva essere rimessa sul piede di pace. Le unità della milizia vennero sciolte e la forza dei reggimenti ridotta18 e il primo atto da Re di Carlo Emanuele IV consistè nella riorganizzazione dell'esercito. Era fondamentale, perché la situazione era a dfr poco pessima. Basti pensare che già dopo la firma della pace, ai Giacobini di All>a che si lamentavano d 'essere stati lasciati sotto la monarchia. Napoleone aveva risposto che lui avrebbe mantenuto gli impegni presi col Re, ma aveva aggiunto: «Se il governo vostro è debole e vizioso quanto voi dite, non avrete difficoltà a liberan,ene••••. Ci provarono subito. Dopo un fallito tentativo per sterminare la Famiglia Reale, venne la carestia e scoppiarono dei disordini. Il malcontento sembrò costituire l'occasione buona per i Giacobini piemontesi, che alla tirannia sabauda preferivano l'esilio nelle neonate Repubbliche Ligure e Cisalpina e vi congiuravano contro iJ Re, e cominciarono strani movimenti. Carlo Emanuele scrisse a Napoleone ricordandogli l'articolo terzo del Trattato d'alleanza. Buonaparte rivestì i panni del condouiero moderato e leale: ordinò alla Cisalpina d'espellere i rifugiati piemontesi e alle guarnigioni francesi in Piemonte di cooperare al mantenimento del1'ordine. Ma non appena tornò a Parigi, le congiure ricominciarono, perché erano il sistema più sicuro di cui disponesse la Francia per distruggere iJ Piemonte. Nella primavera del 1798 si formò un comitato rivoluzionario subalpino che fomentava la rivolta nelle forze armate regie, spargendovi proclami in italiano e in dialetto piemontese contro la Corte e gli alti gradi e promeltendo ai militari di ogni grado miglioramenti di paga e carriera.

18 Quelli di fanteria si contrassero a 1.156 uomini. colla sola eccezione delle Guardie, che conservarono un organico di 1.500 militari. '"' Rip. in BEAUREGARD, op. ciL. pag. 274.

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ln aprile apparvero torme di insorti giacobini e pretesi disertori piemontesi, genovesi e francesi che, autodenominandosi "Eserciti lnfernali del Nord" 19, "del Levante" e "del Mezzogiorno", cominciarono a far danni nel Novarese, nell'Alessandrino e nella Valle di Luserna. Erano armati, vestiti ed organizzati alla francese, inalberavano il tricolore rivoluzionario e aUa loro testa era l'ex-aiutante generale dell 'esercito del generale Brune, Colignon; ma naturalmente, anche se Brune stava a Milano come sostituto di Napoleone, la Francia non ne sapeva nulla e non li appoggiava. Carlo Emanuele mandò contro di loro alcuni reggimenti e preparò forti riserve. L "esercito" del nord fu neutralizzato senza spargimento di sangue dalle truppe del tenente colonnello Marchese di Ceva. Contemporaneamente, a est, un gruppo di 1.200 tra giacobini piemontesi, granatieri cisalpini e Francesi comandato dal generale Lèotard violò il confine sardo. Attraversando il Lago Maggiore con un convoglio di barche scortate da due ba~timenti. uno francese e l'altro cisalpino, s'impadronl di Intra e Pallanza imponendovi contribuzioni e proseguì risalendo il Toce, assorbendo via via i gruppi di Infernali che incontrava e saccheggiando i villaggi per cui passava. Arrivato a Domodossola, all'alba del 20 aprile l'Esercito infernale del Levante se ne impadroal di sorpresa e ripiegò verso il lago. Sapeva infatti che le truppe regie si erano mosse da Arona verso l'imbocco della valle, custodito da 500 infernali stanziati a Ornavasso, e gli parve opportuno riunire le forze in attesa dell'arrivo delle truppe cisalpine. Oltrepassata Gravellona e un po' fuori Ornavasso, l'esercito infernale trovò i 4.000 uomini della colonna dei generali Del Carretto e Alciati, si schierò colla sinistra al fiume e la destra ai monti e mise in batteria i suoi due cannoni. Alle 10 i regi avanzarono e, dopo due ore di combattimento vinsero. Dei rivoltosi 160 restarono sul campo e 400 furono catturati e impiccati. Appresa la disfatta, gli Infernali restati indietro ripiegarono. Ma quando la notte del 23 arrivarono a Santa Maria Maggiore, vennero uccisi dai popolani. La medesima sorte attendeva i fuggiaschi di Ornavasso. Alte si levarono le proteste della sinistra giacobina e illuminata. Scrisse Beauregard: «Nel mondo filantropico si grida forte e si/a carico ai villani di certe esecuzioni sommarie;..... d'altronde per quanto si faccia sapete pure che il contadino è affezionato al Re e non vuole che si tocchi il governo»"';;_ A sud le cose andarono molto peggio. Il 19 aprile era stato invaso. saccheggiato e arso l'Alto Monferrato; e le colonne mobili regolari si erano chiuse ad Alessandria e Acqui per difendersi. L'Esercito Infernale del Mezzogiorno si radunò allora a Carosio, quindi nel tenitorio della complice Repubblica Ligure, e ne fece la sua base operativa, uscendone e rientrandovi a piacimento per andare a saccheggiare le province di Tortona e Alessandria. Dopo due mesi di questa storia Carlo Emanuele, initato, ordinò al generale d'Osasco di assalire Carrosio, anche a costo di urtare Genova. Il 5 giugno 1798 l' Armata Sarda passò il confine, con grandissima soddisfazione degli Infernali, che proprio quello volevano. In gran fretta si ritirarono sotto il forte di Gavi e si lamentarono a Genova, che scese in guerra. Stanziato mezzo milione per le spese e affidata la condotta delle operazioni al comandante del forte di Vado, Siri, col grado di generalissimo, il 9 giugno 8.000 liguri assalirono i Sardi e dopo un vivace combattimento, li divisero in due tronconi costringendoli a ritirarsi a Rocca Grimalda e a Serravalle.

l9 l( nome ufficiale dato loro nella Cisalpina era quello di "Armata patriottica", articolata sulle tre divisioni del Levante, del Nord e del Mezzogiorno; ma poiché in Piemonte erano conosciuti come Eserciti Cnfemali, si è preferito mantenere questa denominazione. xvii B !!AUREGARD, op. cit., pag. 320.


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D' Osasco aveva notato che sotto le bandiere liguri c'erano interi reparti francesi e, non appena seppe che i suoi soldati avevano preso al nemico due loro obici, li mandò al comandante francese d'Alessandria chiedendo se quello era il loro modo di essere alleati al Piemonte. Non ebbe altra risposta che il proseguimento dell'avanzata dei Liguri, i quali assediarono il forte di Serravalle e poi si articolarono su due divisioni. La prima, ribattezzata "Esercito del1' Alto Appennino" proseguì l'assedio. La seconda, I' "Esercito d'Occidente", puntò su Oneglia e la Valle del Tanaro. D'Osasco chiese rinforzi a Torino e intanto fu costretto a dividere le sue truppe in due: un• aliquota a difendere Serravalle e il resto a guarnire Onnea e Oneglia, ordinando di contrattaccare le colonne nemiche non appena fossero state in vista. Cario Emanuele si rese conto di dover agire d 'urgenza, perché pure la Repubblica Cisalpina sembrava orientarsi per l'intervento contro il Piemonte, e fece partire subito i rinforzi. Ma il comandante francese di Tortona li trattenne per 48 ore, così Serravalle cadde lo stesso e lui ebbe grandi lodi dal Direttorio. Nel frattempo i Liguri si erano affacciati nella Valle del Tanaro minacciando Cairo e Oncglia. Carlo Emanuele si rivolse a Brune: erano alleati si o no? E allora perché non interveniva? Gli fu risposto di si, purchè cedesse ai Francesi la cittadella di Torino. Il patto fu concluso a Milano il 18 giugno 1798 e, insieme alla notizia della firma, a Torino arrivò quella dei primi successi sardi contro i Liguri. La maggior parte delle posizioni perse fino a quel momento e tutta la destra del Tanaro erano state riprese. Oneglia aveva resistito. Il suo comandante, Conte des Geneys, con soli 500 soldati e un po' di cittadini annali aveva saputo tener testa agli assedianti. Poi aveva organizzato una sortita, e li aveva distrutti, eliminando anche i rinforzi appena arrivati da Genova: mandava a Torino a testimonianza della vittoria 23 bandiere, 35 cannoni, 6.000 fu. ciii e moltissinù prigionieri, tra i quali quasi tutti gli ufficiali superiori dell'Esercito d'Occidente. Il giorno seguente Brune comunicò alle Repubbliche Ligure e Cisalpina che la guerra doveva finire: si attenessero ai voleri della Repubblica Francese e disarmassero; fu fatto. Ma non finì li. Tre giorni dopo la consegna della cittadella di Torino si scoprirono infatti due congiure per impadronirsi dell'Arsenale di Torino e della cittadelJa d'Alessandria. Mentre il primo complotto veniva soffocato con discrezione, per il secondo furono impartiti chiari ordini, io obbedienza ai quali il generale Alciati schierò 500 fanti e 100 cavalieri alla Spinetta, in prossimità della strada -di Marengo. Quando arrivò una colonna di un migliaio di armati con bandiere, carriaggi e due cannoni, capeggiata da un certo Scala, se la fece sfilare davanti finchè non fu tutta a tiro. Poi la distrusse alla baionetta. Un terzo dei rivoltosi fu ucciso, un terzo fu catturato, il resto si sbandò nei campi e di nuovo, come a Gravellona, i contadirù, chiamati dalle campane a martelJo, li massacrarono senza pietà. Solaro mandò a Brune i militari francesi trovati tra i prigionieri. Ne ebbe'tll risposta l'accusa di barbarie. Loro e i rivoltosi piemontesi erano solo povera gente perseguitata e fatta cadere in un'imboscata per convincerli che I.a protezione francese non valeva nulla. E poiché Solaro era un barbaro, Brune ebbe la faccia tosta di chiederne il richiamo al Governo del Re, rifiutò di destituire il comandante di Tortona che aveva organizzato il tutto e domandò la punizione dei contadini. Intanto a Torino le cose andavano sempre peggio. i Francesi deridevano con mascherate e urla la corte, la città e le istituzioni nazionaU. «Carlo Emanuele risponde col disprezzo a coteste vigliaccherie, ma il popolo ne è J·degnato, manda ruggiti di furore ed agli insulti provocatori risponde acclamando il Re. Sappiate che l'altro giorno si è dovuta mandare all'ambascialore di Francia una guardia d'onore per sicurezza della sua persona; il popolo sollevato voleva bruciarlo vivo nel suo palau.o»xviii. xviii BEAUREGARO, op. cii., pag. 328.


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Pochi giorni dopo il generale Joubert rischiò d'essere ucciso. La folla lo riconobbe. fermò la sua carrozza e tentò di lapidarlo. Lo salvò l'intervento personale del governatore di Torino, il Conte di Sant' Andrea, giunto coi suoi ufficiali. D'altra parte le intenzioni francesi erano molto chiare: e le conosciamo grazie al rapporto segreto redatto dal generale Groucy all'indomani dell'abdicazione di Carlo Emanuele e trovato a Torino dopo la fuga dei Francesi davanti agli Austrorussi nel 1799. Da esso sappiamo che, in sostanza, la spinta finale alla cancellazione del Piemonte fu data daJl'arrivo dei Napoletani a Roma verso la fine del 1798. Joubert temeva di trovarsi la ritirata verso le Alpi tagliata dai Piemontesi se gli Austriaci fossero scesi in guerra e i Napoletani non sì fossero fermati, perciò intimò a Carlo Emanuele IV di fornire all'Annata d'Italia 8.000 fanti e 1.000 cavalieri per operare contro l'Austria e di consegnare le chiavi dell'Arsenale. Come previsto, il Re rifiutò; e Joubert ordinò aJle sue truppe di avanzare «per parare e antivenire le mosse d'un governo traditore che finalmente aveva gettata la maschera»IÙx_ li 6 dicembre a Torino caddero i fulmini a ciel sereno delle prese di Chivasso. Novara, Susa e Alessandria e del disarmo delle rispettive guarnigioni. La sorpresa era al colmo; ma vennero subito diramati ordini per concentrare l'esercito nella capitale; e le truppe cominciarono a muoversi. Groucy intensificò gli sforzi per far cedere Carlo Emanuele, minacciando a voce e comprando gente: «Era cosa importantissima che io mi regolassi a questo modo, poiché al Re di Sardegna non si era per anco dichiarata la guerra ..... Conveniva operare in modo che l'atto del Re apparisse volontario e non ne venisse incitata l'Europa intiera contro la Repubblica Francese, mandando a mome il congresso di Rastadt»"" scrisse poi. Minacciato, Carlo Emanuele chiese un delegato con cui trattare. Groucy gli mandò il proprio aiutante, generale Clausel, in presenza del quale il Re firmò l'ordine d'uscita delle sue truppe dalla città. Immediatamente i Francesi si assicurarono l'Arsenale e Porta Susa. Il 9 dicembre 1798 calò il sipario sulla vicenda: Carlo Emanuele fu costretto ad abdicare, riparando i.n Sardegna colla famiglia reale: e le poche truppe rimaste in servizio furono sciolte dal giuramento di fedeltà al Re ed incorporate nell 'esercito francese. Avrebbero poi partecipato alla campagna del 179920 contro gli Austro-Russi della U Coalizione, che sarebbe terminata colla caduta della Repubblica Cisalpina, poi si sarebbero spezzettate qua e là.

XI) La triste fine del pontificato di Pìo VI: il Senio, Tolentino e la Repubblica Romana Caduti gli Stati dell'Italia Settentrionale. il punto d'attrito fra vecchio e nuovo regime veniva a correre lungo la frontiera del Granduca di Toscana e di Santa Romana Chiesa. Mentre Ferdinando lfI d'Asburgo-Lorena aveva mantenuto una rigida neutralità, che comunque gli avrebbe preservato lo Stato solo per un altro paio d'anni, la Santità di Nostro Signore Pio Vl non poteva fare a meno di prendere posizione contro la Repubblica Francese. Lo doveva fare sia come capo della Chiesa Cattolica, spregiata e minacciata dai Francesi, sia come sovrano degli Stati Pontifici, la cui Legazione d'Avignone ed il cui Contado Venassino, in Francia, erano stati occupati dai Repubblicani e le cui Legazioni italiane erano seriamente minacciate dal generale Buonaparte.

xix Groucy, in data 22 Frimaio Anno VII. rip. integralmente da BEAUllEGARD in op. cit., pagg. 329- 339. ""Idem, pag. 335. 20 Come appare da testimonianze scritte e da fonti iconografiche del tempo - tra cui la modenese Cronaca Rovatti- le truppe piemontesi incorporate nell 'esercito francese mantennero l'uniforme sabauda, limitandosi a cambiare la coccarda azzurra con quella tricolore francese.


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Roma era stata la prima delle Potenze italiane a rendersi conto del pericolo e a cercare di correre ai ripari, incominciando il proprio riarmo il 30 maggio 1792, con un aggravio notevole della spesa. Già nell'aprile 1793, si era pensato di ridurre l'attività e gli arruolamenti per mancanza di denaro; ma iJ Papa non era stato d'accordo e aveva ordinato la creazione di un corpo delle tre armi da inviare a presidiare le Romagne. Mettendo insieme truppe dei presidi di Ferrara, Forte Urbano, Bologna e Castel Sant'Angelo, erano stati dislocati tra Faenza e Imola un migliaio d'uomini: 752 fanti, 150 dragoni. varie Guardie di Finanza e 40 artiglieri con 6 pezzi. Il guaio era che il denaro speso in armi e materiali non poteva sopperire alle deficienze umane; e l'esercito santissimo era privo d'esperienza bellica dalla lontana figuraccia del 1709; tutti lo sapevano, nessuno però si aspettava il disastro che si verificò. Anche qui, finchè l'Armata Sarda resse non ci si preoccupò troppo. Ma Buonaparte, quando sfociò nella Pianura Padana, si ricordò che a Roma era stato ucciso Bassville e decise di vendicarlo, o meglio, decise di servirsene come pretesto per invadere le ricche terre delle Legazioni e saccheggiarle a dovere. In realtà ai Francesi interessava l'Italia come asse di controllo del Mediterraneo per proiettarsi contro il Levante, estrometterne gli Inglesi, assicurarsi l'istmo di Suez e, magari, tornare in India. In quest'ottica lo Stato Pontificio rientrava obbligatoriamente perché il miglior punto d'appoggio per quell'impostazione strategica era il porto d'Ancona. 11 resto degli Stati Pontifici non serviva; ma poiché non si poteva avere Ancona senza combattere contro il Papa, Napoleone sfruttò la mo.rte di Bassville e la prevedibile reazione pontificia per assicurarsi Ancona e, come accennato, i fondi che potevano derivare dal saccheggio degli Stati Romani. Detto fatto, Augerau con poco meno di 5.000 uomini21 da Modena passò a Mirandola, varcò il Panaro a Camposanto e occupò Bologna senza resistenza il 18 giugno 1796. È vero che c'era sulla destra la minaccia di Forte Urbano, con le opere in perfetto ordine, guarnito da 50 cannoni, con 5.000 fucili nelle armerie e viveri per 600 uomini per due mesi ma, per ordine del Legato, il 20 il comandante, Cavalier Rondinelli, si arrese a discrezione con tutta la guarnigione all'aiutante generale di Napoleone, Vignolle, che era accompagnato da ben 6 dragoni e un trombettiere. Ferrara abbozzò una resistenza, del tutto inutile dopo la resa del Forte Urbano; tutte le altre città delle Legazioni si arresero in massa senza combattere, colla sola eccezione di Lugo, che reagì ma, troppo debole, fu sottomessa rapidamente. In quattro giorni Napoleone, con soli 5.000 uomini, aveva preso le Legazioni. e con esse centinaia di prigionieri e di cannoni, mentre iJ corpo pontificio delle Romagne, assottigliato dalle diserzioni, si ritirava nelle Marche inseguito da 700 Francesi con due cannoni. Il 23 giugno Pio VI concluse un armistizio, impegnandosi a pagare 21 milioni di lire, consegnare 500 manoscritti e 100 opere d'arte a scelta di una commissione nemica, liberare i prigionieri politici, lasciare le Legazioni, meno Faenza, alla Francia, chiudere i porti al naviglio ostile alla Repubblica e concedere passo Iibero ali' Armée d' ltalie, conservando la cittadella d'Ancona. Ma il Direttorio pretese anche la sconfessione di tutto quel che Pio VI aveva scritto e detto contro la Rivoluzione negli ultimi sette anni. Poiché questo implicava, fra l'altro, un grave problema religioso come quello del riconoscimento della Costituzione Civile del clero francese, che il Papa non poteva ammettere, le trattative di pace intavolate a Parigi dal conte Pieraccbi fallirono. Pio VI dichiarò ai suoi sudditi che sospendeva l'esecuzione dei patti d'armistizio e che, in caso d'invasione, avrebbe reagito colle armi. Stavolta non ci fu bisogno di bandi o arruolamenti, perché la risposta fu spontanea. Da ogni parte degli Stati Pontifici vennero offerte in denaro e preziosi, ma anche in materiali, ar-

21 Le mezze brigate dj fanteria 4' es 1•, il 10° Reggimento Cacciatori e relativa aniglieria, per untotale di 4.820 uomini.


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mi e soldati. Lo sforzo logistico fu enorme: vennero ammassate oltre 417.000 libbre di polvere, circa 238.500 cartucce. 50.000 uniformi ed ordinato l'arruolamento di 7.000 uomini, da aggiungere ai 10.000 già alle anni. Ma, come novant'anni prima, la grandiosità dello sforzo era minata dalla deficienza del materiale umano. La truppa era male addestrata e dedita più agli esercizi spirituali che a quelli militari: gli ufficiali impreparati, o del tutto digiuni in materia militare. Lo sappiamo da Monaldo Leopardi, che nella sua autobiografia scrisse: «Mio fratello entrò nel corpo (Corpo Volontario distinto di Cavalleria, formato nell'autunno 1797) come semplice volontario ma, dopo quattro giorni, ebbe un brevetto di secondo tenente e, dopo altri quattro giorni, ebbe un brevetto di tenente in primo, e se egli ed io avessimo chiesto, diventava maresciallo in cinque settimane. Tutto ciò s'intende, avendo egli 17 anni e sei mesi, e non conoscendo un punto solo di quanto ci vuole per essere uffiziale o soldato»ui_ A capo dell'esercito venne nominato il generale Colli, che aveva appena terminato di combattere nelle file austriache dopo aver comandato l'Armata Sarda. Giunse il 12 gennaio 1797 e notò subito le pecche dell 'organizzazione, ma il tempo per rimediare era insufficiente. Napoleone sapeva dei contatti tra Roma e Vienna e iJ 1° febbraio 1797 ruppe l'armistizio, ordinando a Victor di avanzare contro il Papa con 10.000 uomini, fra i quaJi gli Italiani della neocostituita Legione Lombarda del capo brigata Lahoz. La sera del medesimo 1° febbraio i 3.000 fanti, 150 cavalieri e 10 cannoni pontifici stanziati a Faenza si misero in movimento verso il Senio. seguiti dalJe bande armate e da cittadini pure armati. Il comandante della colonna. colonnello Ancajani, appresa la preponderanza nemica, rimase in dubbio tra la resistenza e la ritirata. Convocò un consiglio di guerra, che decise per il combattimento, ingaggiato il quale, il giorno dopo, i Pontifici crollarono miseramente. I Francesi li inseguirono fino a Faenza. Trovate le porte chiuse, le abbatterono a cannonate ed entrarono. Perdendo complessivamente 40 uomini, uccisero 30 nemici e ne catturarono 1.000, con 8 bandiere e 14 cannoni. Questo inglorioso episodio fu il primo di una serie vergognosa. li secondo si verificò ad Ancona, dove il generale Bartolini aveva radunato 2.000 regolari e 3.000 miliziotti. Erano tutti inesperti e si trovarono davanti a talmente tante contrarietà che difficilmente se la sarebbero potuta cavare. Intanto dovevano combattere contro veterani che avevano fatto fino a sei dure campagne, poi furono abbandonati a se stessi in una città i cui cannoni erano tutti inservibili meno tre. In più il locale governo civile fece di tutto per indurli a non combattere, in modo da salvare gl.i averi dei cittadini da un eventuale saccheggio, e riusci a convincere il generale Bartolini ad andarsene 1'8 febbraio; ma questo non poteva comunque giustificare la resa immediata della posizione del Montagnolo e 1· abbandono di Porta Pia, la cui guardia depose le armi davanti a un ufficiale e quattro dragoni nemici. ln tutta la città le uniche resistenze furono quelle di tre miliziotti sulle mura e di un quarto di sentinella alla punta di San Primiano, i quali morirono combattendo. dopo aver ucciso complessivamente una decina di avversari. li resto dei miliziotti si sbandò per le campagne. Furono presi 1.200 soldati pontifici, 3.000 fucili nuovi e 120 cannoni. Insomma i cittadini dimostravano di volersi opporre ai Francesi, ma i governanti non erano disposti a rischiare di perdere i propri averi per difendere l'onore di Santa Romana Chiesa. Intanto Colli, appena appresa la notizia delle ostilità, aveva lasciato Roma il 6 febbraio e stava avvicinandosi ad Ancona, seguito a tre giornate di marcia da 1.300 fucilieri e tre treni d'artiglieria. A Loreto, dove giunse la sera della resa d'Ancona, incontrò le truppe che ne fuggivano e retrocesse su Recanati. Qui il capitano NobiJì radunò 400 fuggitivi e li pose con 4 cannoni fuori Porta Marina; ma la paura del saccheggio indusse i civili a farlo allontanare. Due ore dopo il tramonto arrivò Colli. Cercò di fermare i fuggiaschi spaventati che continuavano xxi M. Leopardi, rip. in DA MosTO, "Milizie dello Stato Romano", Roma, 1914. pag. 551, nota 6.


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ad arrivare da Ancona, ma, ostacolato dalla resistenza passiva del locale comandante della Milizia, il marchese Carlo Amici, si trincerò addirinura a Foligno con tutti gli uomini che poté radunare, deciso a sbarrare la via di Roma al nemico in arrivo. Ma Napoleone non aveva l'intenzione, nè la forza, di spingersi troppo a sud e invitò Pio VI a concludere un nuovo armistizio. li cardinal Matthei lo firmò a Tolentino il 19 febbraio, impegnando il Papa a pagare 30 milioni di lire tornesi alla Francia come indennità di guerra, 300.000 alla famiglia Bassville, dare le opere d'arte promesse, 800 cavalli da sella. altrettanti da tiro e carne in piedi, cedere la piazza d'Ancona, almeno fino alla pace definitiva, e per sempre Avignone, il Contado Venassino e le Legazioni. Subito dopo i Francesi instaurarono a Roma una Repubblica, la Repubblica Romana, nome riecheggiante le più classiche figure della vinù repubblicana, da Cincinnato a Bruto. alle quali la Rivoluzione dichiarava di rifarsi. Meno effimera di quella napoletana solo perché riuscì a vivere per un anno abbondante, a partire dal febbraio del '98 la Repubblica Romana si dotò d'un proprio esercito, costituito dalla Legione Romana22, da due reggimenti di Gendarmeria e da un corpo di cannonieri guardacoste, appanenente però alla Marina. Altri reparti a livello di battaglione furono organinati nei dipartimenti del resto dell'ex-dominio papale23, Queste truppe. che non superarono mai i 5.000 uomini. se pure ci arrivarono, sarebbero state prevalentemente adoperate in funzione anti-insorgenza. oggi diremmo antipanigiana. nel Lazio e, al momento dell'arrivo dei Napoletani, avrebbero cercato di contrastarne ravan7ata. tramutando i Gendarmi in cavalleria e affiancando i Francesi.

XIl) La guerra napoletana del '98

li Trattato di Parigi aveva messo fine alle ostilità franco-napoletane, ma il fuoco covava sotto la cenere. Ferdinando e, soprattutto, Maria Carolina, non erano per niente disposti a darsi per vinti. I preparativi militari continuavano, anche se meno frettolosamente, il che però non significava fare le cose meglio. L'esercito napoletano ascendeva ormai a 50.000 uomini e si preparava a marciare contro i Francesi, quando Leobe n e specialmente Campoformido raffreddarono le smanie belliciste della Regina. Se l'Austria abbassava le armi, non si poteva scendere in campo da soli. Per il momento era meglio aspettare. Da pane sua la Francia non faceva nulla per farsi ben volere. Nominò ambasciatore a Napoli Garat, l'uomo che aveva letto a Luigi XVI, ci~ al cognato di Maria Carolina, la sentenw di morte, e occupò Malta cacciando ne i Cavalieri. Erano due provocazioni enormi e. anche a non voler considerare l'affronto personale a Maria Carolina, Malta era pur sempre territorio del Re di Sicilia. La Regina s'infuriò di nuovo e ricominciò a soffiare sul fuoco della guerra. Spinta da lei. la eone il 19 maggio 1798 strinse un'alleanza coli' Austria e poi accolse con grandissimi onori la flotta inglese di Nelson, reduce dalla distruzione di quella francese ad Abukir. Fin qui comunque non era ancora successo nulla d'irreparabile. Bastava aspettare, coordinare i movimenti colJa coalizione che si stava formando e il successo sarebbe stato cen o. L' Austria stava preparando 60.000 uomini, ai quaJi la Russia ne avrebbe aggiunti 20.000. L'Inghilterra avrebbe pensato alla flotta ed ai rifornimenti in anni, denaro ed equipaggiamenti: bastava attendere un po'.

22 E nota Piero Crociani parlando della Repubblica Romana che, con un simile aggettivo a disposizione. il nome di "Legione" per la nuova unità doveva apparire irresistibile. 23 Non si sa però se sia stata eseguita la disposizione in tutti i dipartimenti. Per ceno vennero costituiti i battaglioni dipartimentali a Perugia. a Spole10, a Loreto e nel resto delle Marche.


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Ma siccome Maria Carolina non poteva nè voleva aspettare, le cose presero un altro andamento. fl 2 settembre fu ordinata una leva, poco riuscita, di 40.000 uomini per completare l' organico dei corpi24. Bene o male, in ottobre 50.000 soldati napoletani erano aUe frontiere settentrionali del Regno, pronti a entrare nel Lazio. Davanti avevano circa 15.000 tra Francesi, Cisalpini e Romani: sulla carta la partita era vinta. Due però erano le deficienze gravi deU'esercito. Aveva troppe reclute, due terzi deUa forza, e i servizi erano disorganizzatissimi. A queste per la verità se ne sarebbe dovuta aggiungere un' ultima: i.I comandante, l'austriaco Barone Mack, uno dei maggiori incompetenti militari esistenti in Europa. Lo s i era già visto nelle recenti campagne in Germania. Alla testa dell'esercito napoletano avrebbe avuto la laurea d' incapace e si sarebbe poi specializzato in disastri facendosi portar via Ulma da Murat con un trucco a dir poco infantile. L'urgenza della Regina e dell'Inghilterra, timorosa di una conclusione dell'avviato congresso di pace a Rastadt, precipitò tutto. Garat chiese se erano vere le correnti voci di guerra. Assolutamente no, gli fu risposto. E le truppe alla frontiera che ci stavano a fare? Beh, intanto a presidiarla - c'erano i Repubblicani a Roma, no?- E poi ad addestrarsi in appositi campi. U 22 novembre re Ferdinando (Dio guardi) pubblicò un manifesto in cui ricordava tutli i mali causati dalla Rivoluzione Francese, non ultimi l'occupazione di Malta, la fuga del Papa e la minaccia continua contro la Religione Cattolica, e affermava di doversi mettere alla testa dell'esercito per entrare negli Stati Romani e rimettere il Pontefice sul trono. Non dichiarava guerra a nessuno. ma esortava le truppe straniere a non ostacolare le sue, che non avevano intenzione di avanzare più dello stretto necessario a riportare l'ordine e la pace. Contemporaneamente il Ministero degli Esteri di Napoli spedì lettere a quelli di tutti gli Stati italiani esortandoli a entrare in guerra25. Scartando ogni regola militare, anche perché il piano era stato preparato a Vienna e quindi era per definizione buono, Mack ebbe l'inopportuna idea di dividere l'esercito in cinque parti, tre principali e due distaccamenti, affidando ad ognuna una diversa direttrice di marcia e d'attacco. Non era una buona mossa perché cosi gli inesperti soldati napoletani perdevano il vantaggio della superiorità numerica sui più addestrati francesi. Questi ultimi erano in pessime acque. Rendendosi conto di quanto rischiavano, avevano incrementato le loro forze nel Lazio a c irca 23.000 uomini, tra i quali gli Italiani della 2• e 7" Legione Cisalpina e dell'appena costituita Legione Romana, ma avevano mediamente 15 cartucce per soldato, poca artiglieria e meno salmerie, comunque inutili visto che i loro magazzini erano vuoti. In queste condizioni il generale Cbampionnet ebbe l'abilità di profittare di ogni errore dell'avversario per cambiare una sicura disfatta in un'inattesa vittoria. Ad ogni modo, il centro napoletano, con Mack e col Re, passò il confine il 23 novembre sotto una pioggia scrosciante e marciò verso nord su due colonne passando per la Ciociaria. Ad Albano si ricongiunse colla sinistra e insieme entrarono a Roma il 29. Nel frattempo la destra aveva lasciato il Regno puntando alla costa marchigiana e le navi inglesi avevano imbar24 Questi a loro volta erano tutt'altro che scarsi, poiché ammontavano a 6 dìvisioni binarie di fanteria, quindi 24 reggimenti per 44.784 soldati, 4 pure binarie dì cavalleria - 16 reggimenti equivalenti a 10.560 cavalieri - 6 reggimenti di cacciatori a piedi con 6.036 effettivi, 2 d'artiglieria e un insieme di corpi non strettamente di linea, comprendente 1.000 Fucilieri di Montagna, 1.696 "artiglieri litorali", 3.936 effettivi dei Corpi Volanti, 300 Spuntonieri, 1.200 uomini delle Compagnie scelte Provinciali e J.600 del Corpo Franco, per un totale di 74.026 sulla carta; ma gli studi fatti in merito - vedi BoERI-CROOANI-FlORENl'INO. "L'esercito napoletano dal I 789 al 1815", Roma, USSME, I 989 - inducono a ridurre gli operativi effettivamente presenti a forse 25.000. 25 TI dispacc io indirizzato al ministro sardo, Conte di Priocca molto probabilmente ebbe un peso non irrilevante nelle iniziative francesi prese contro il Piemonte nel tardo autunno del '98.


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cato a Napoli la divisione del generale Naselli, forte di 4.500 uomini destinati a prendere terra a Livorno per tagliare la ritirata a Championnet. La reazione dei Francesi fu la più logica: si ritirarono per concentrarsi e affrontare il nemico separatamente. Co~ì. avanzando quasi alla cieca e senza coordinamento, le colonne napoletane vennero tutte battute, a Fenno, a Temi e a Civita Castellana26 costringendo Mack a ripiegare e ad abbandonare Roma. Era il 10 dicembre 1798. Era però rimasto staccato dal grosso nel Lazio il generale Damas. Dopo aver ricevuto in ritardo l'ordine di ritirata, la sera del 13 dicembre fu raggiunto da un ordine di Mack. datato IO. che gli intimava di trovarsi la mattina del 12 sulle alture di Velletri, cioè: secondo il suo superiore, il giorno prima lui sarebbe dovuto essere circa 80 chilometri a sud di dov'era in quel momento. Arrivato fino a Roma e trovatici i Francesi, Damas inverti la rotta e con una marcia brillantissima riuscl a evitare di essere accerchiato dal loro. battendoli più volte e rifugiandosi a Orbetello il 20 dicembre. Concluse poi una capitolazione onorevole e poté imbarcarsi con tutti i suoi per Napoli. La campagna del 1798 per lui era finita. Nel frattempo Mack era rientrato nel Regno coll'esercito a pezzi. Sperava nella resistenza delle fortezze di confine per avere il tempo di riorganizzare le forze e imbastire una difesa: ma fu peggio di prima. Il 6 dicembre Civitella del Tronto fu investita e si arrese immediatamente. Contrariamente agli ordini Teramo fu improvvisamente evacuata dalla guarnigione ed occupata I' 11 . Si tentò di fermare l'avanzata francese lanciandole contro 5 battaglioni di Cacciatori e i Dragoni dei Reggimenti Re e Napoli per consentire il concentramento a Pescara d i 6.000 uomini. Dopo una settimana di scontri sanguinosi, i nemici riuscirono ad arrivarci e a intimarle la resa il I 8. Il comandante. generale Brocco, al1.ò bandiera bianca senza nemmeno tentare di resistere; e il Regno rimase aperto all'invasione. Si mandò il Maresciallo de Gambs verso l'Abruzzo alla testa di una colonna di rinforzi. Purtroppo l'antivigilia di Natale fu attaccato e battuto a Popoli e dovè ripiegare su Caiazzo. Intanto Ferdinando, spaventato dal collasso dell'esercito. dalla demoralizzazione di Mack e dalle pressioni di Acton e degli Inglesi aveva deciso di riparare a Palermo con la corte e la Marina. nominando vicario del Regno il Principe Pignatelli. Il golfo di Napoli fu allora teatro di una scena tristissima: la distruzione delle navi napoletane. Non se ne poté fare a meno perché la Marina Reale adoperava molto i marinai di complemento. in modo da avere un certo numero di riservisti, in teoria atti ad armare all'occorrenza tutte le navi a disposizione: ma in realtà, a causa dei tempi lunghi del richiamo, non utilizzabili in casi d'emergenza. Per questo motivo, avendo le navi ma non i marinai, fu ordinato d'incendiare tutti i vascelli privi d'equipaggio perché, persi per persi, almeno non cadessero nelle mani dei Francesi. Perdevano i Napoletani e i Francesi. se ne avvantaggiava la Gran Bretagna. Championnet aveva intanto concentrato i suoi uomini ed era entrato nel Regno, assediando Gaeta colla divisione Macdonald il 30. L'indomani, contro la volontà del comandante, le porte vennero spalancate e la guarnigione si arrese, così il 1° gennaio Macdonald poté avanzare fino a San Germano, peggiorando molto la situazione dei Napoletani. La notizia raggiunse de Gambs a Caiazzo e lo indusse a ritirarsi tagliando attraverso il Malese per raggiungere Benevento e difenderla cogli ultimi 800 uomini rimastigli. Arrivatoci e accortosi di non essere forte abbastanza per la progettata difesa, si ritirò ancora e distaccò il Maresciallo Gironda principe di Canneto a organizzare le masse popolari insorgenti nell'Avellinese, mentre lui si trincerava al Vallo Caudino. Il 3 gennaio 1799 Macdonald arrivò sotto Capua e le intimò la resa. Stavolta la risposta fu negativa, ma sul serio. I 6.000 soldati della guarnigione lo dimostrarono aprendo il fuoco con-

26 Dove coi Francesi combatterono circa 2.000 uomini della Legione Romana.


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tro la Brigata nemica Mathieu mandata ad assalirli lo stesso 3 gennaio e facendola caricare da una sortita della cavalleria, nella quale si distinse il Reggimento Principe Leopoldo. Arrivarono sotto Capua anche le colonne dei generali Rey e Lémoine, ma non migliorarono la situazione. L'Abruzzo era in piena rivolta, la Terra di Lavoro pure. I trasporti venivano assaliti, le interruzioni delle comunicazioni e dei rifornimenti erano all'ordine del giorno e, per di più, le divisioni napoletane Damas e Naselli stavano navigando dalla Toscana, portando un rinforzo di 8.000 uomini passabilmente esperti di guerra. In questo nero panorama di disfatta che si andava delineando sempre più ai Francesi, comparvero gli angeli del miracolo: il Duca Caracciolo di Gesso e il Principe Loffredo di Migliano arrivarono da parte di Pignatelli come latori dell'offerta d'armistizio di tutte Le forze napoletane. Fu accettato immediatamente e sottoscritto a Sparanise il 12 gennaio 1799. L'occupazione del Reame da Acerra a!J'Ofanto, il pagamento di 2 milioni e mezzo di ducati, il disarmo delle divisioni rientrate da Orbetello e lo scioglimento dell'esercito furono il risultato dei discorsi fatti sei anni prima dagli ufficiali della Marina Francese ai borghesi e ai nobili napoletani con cui erano venuti in contatto; furono la conseguenza delJ'impreparazione militare del Regno e dell'improvvisazione delle ultime due campagne; furono, infine, la prova che le classi alte della nazione avevano troppo da perdere - a Napoli come in Veneto o in parte degli Stati Romani - per opporsi all'invasore e preferivano trattare con lui. Ma le armi deposte dai generali erano state brandite dal clero; e le popolazioni abruz.zesi e del Garigliano erano già insorte sanguinosamente contro l'invasore straniero, ateo, anticristiano, nemico del Re e della Religione massacrandone i distaccamenti e incominciando la resistenza, che entro l'anno sarebbe confluita nell'Armata delJa Santa Fede del Cardinale Ruffo.

XIII) Le "insorgenze" La Santa Fede fu il caso più clamoroso, ma non il solo, di sollevazione popolare armata contro i Francesi invasori. Non è troppo difficile chiarire quanto avvenne, perché le insurrezioni di allora, chiamate di solito "insorgenze", ebbero un unico fine comune: cacciare e distruggere lo straniero invasore, ladro, ateo e spregiatore della Religione. Trattandosi di moti popolari scattati in zone appartenenti a Stati diversi, è chiaro che mancò il coordinamento geografico, operativo e cronologico, anche se Austriaci e Inglesi provarono a fornire uno: ed è chiaro quindi che non poteva avere successo quella che fu a tutti gli effetti una lotta partigiana, La prima Resistenza di tutta l'Italia contro un invasore straniero, per certi versi assai simile a quella verificatasi nel 1943 - 45. Invece le insorgenze furono bollate per molto tempo come rigurgiti oscurantisti e spinte il più possibile nel dimenticatoio. Occorreva rimuoverle dalla memoria nazionale, perché ciò che era accaduto in Italia tra il J796 ed il 18 L5 era ben diverso da quanto si è creduto fino ad ora. Tradizionalmente si sostiene che l'arrivo dei Francesi abbia portato nella Penisola dei netti miglioramenti in ogni campo della vita civile, limitando l'invadenza clericale, liberando le coscienze, aprendo la via a.Ila libertà religiosa e politica e razionalizzando ed umanizzando la condotta degli affari pubblici. In realtà, durante tutto l'arco del XVIIl Secolo, l'Italia fu una fucina di riorganizzazione della pubblica amministrazione secondo i criteri più moderni ed avanzati. Solo che nessuno se ne accorse perché non vi furono Illuministi che la propagandassero e perché la Penisola, frazionata com'era, non poteva presentare un panorama univoco e compatto, ma appariva come un frastagliato corpo, con luci ed ombre, in cui L'ombra maggiore, data dal potere pontificio a Roma, sarebbe stata poi sistematicamente presa a pretesto per definire l' Italia terra d'oscurantismo e dominio dei preti.


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Questa definizione però non solo non si può applicare al Settecento italiano, ma non era nemmeno nelle menti di chi in quel secolo visse, dentro e fuori d'Italia. La cultura italiana, in tutti i suoi aspetti, e specialmente in quelli di rifonna politica, veniva valutata, e dalJe massime autorità in questo campo, dagli stessi Enciclopedisti, come un insostituibile punto di riferimento. Basti pensare alla risonanza che opere come " Dei delitti e delle pene" di Beccaria o "Le osservazioni sulla tortura" di Verri ebbero in tutta Europa e al fatto che però produssero effetti concreti quasi solo in Italia. L' Italia del Settecento era la terra della tolleranza, specialmente in materia religiosa. Se è vero che gli Ebrei vi erano trattati in modo non uniforme, andando dalla non ammissibilità nei Regni di Napoli e Sicilia, attraverso il confino nel ghetto di Roma, alla libertà di cui godevano a Livorno, sappiamo pure che accadevano cose straordinarie, almeno agli occhi degli altri Europei. Nel 1714, il domenicano padre Labat, parlando della flotta pontificia aveva scritto: «(I galeotti turchi) ... per quanto riguarda la religione non sono affatto molestati'» e a questa considerazione faceva eco ottant'anni dopo il presidente Du Paty che, scrivendo a proposito dei galeotti turchi del.la squadra genovese nel 1790, avrebbe osservato come ad essi la Repubblica aveva consentito addirittura l'erezione di una moschea in Genova, mentre nello stesso periodo i protestanti in Francia non avevano nemmeno un tempio. Sempre padre Labat, a proposito della scoperta di un caso di falsa conversione alla fede cristiana da parte di un galeotto turco della squadra pontificia, aveva scritto che il reo in Spagna o in Portogallo sarebbe stato mandato immediatamente al rogo, mentre negli Stati del Papa ci si era accontentati di dargli un sacco di legnate e rimetterlo in catene; il c he, dati i tempi e il luogo, era considerabile come il massimo della tolleranza. Tutto questo naturalmente non significa che l'Italia fosse all'avanguardia in tutto e dappertutto; non lo era, ma in Francia non si stava meglio, anzi. forse peggio. E se le opinioni su questo non concordano, vuol dire eh.e a distanza di secoli la macchina propagandistica della Rivoluzione riesce ancora a fare effetto facendo prevalere la propaganda sui fatti. Allora, la Rivoluzione cosa portò? Lumi no. perché già ce n'erano, anche se nessuno li chiamava così. E allora cosa? La Rivoluzione portò a chi non l'aveva - nobiltà non dominante e borghesia - la possibilità d'impadronirsi completamente del potere politico, almeno in prospettiva. Niente di più niente di meno. E il popolo? TI popolo non ritenne di guadagnarci nulla, proprio nulla. Anzi, ebbe solo tasse e coscrizione obbligatoria. Non gradl la presenza dei Francesi e lo dimostrò reagendo violentemente, sollevandosi e combattendo appena ne ebbe la possibilità. In tutta l'Italia una sola città accolse i Francesi con applausi scroscianti: Milano. Nel resto della Penisola Napoleone e i suoi uomini furono visti e accolti come invasori, ladri e antireligiosi. Ne fanno fede le sollevazioni che si verificarono, fin dalla primavera del 1796. Pavia e parte della Bassa lombarda si ribellarono in maggio per l'esosità delle impos izioni; e furono saccheggiate. Il Veneto si oppose - si pensi alle Pasque Veronesi - ai ladri atei. più perché irrispettosi della religione che per la loro rapacità. La rivolta della Valsabbia nel Bresciano, i "Viva Maria" in Toscana, le bande armate in Piemonte nel 1799, i volontari marchigiani che chiedevano l'arruolamento nell'esercito pontificio nel 1798, le insurrezioni negli Stati papali contro l'occupante francese, la resistenza armata di Napoli contro le truppe di Championnet, la guerriglia antifrancese che avrebbe devastato a più riprese l'intera Italia Meridionale fra il 1799 e il 1808. la vittoria dei Sanfedisti. la rivolta della Calabria furono i segni tangibili dell'insofferenza della popolazione italiana nei confronti degli occupanti Francesi e dei loro seguaci. Ora, se erano nemici dei Frances i tanto la classe dominante - sovrani ed aristocrazia quanto il popolo. chi erano i partigiani dei Francesi? E perché lo erano? Ancora una volta è esemplare il caso di Brescia, dove nobili e popolo si uniscono per far cadere il potere veneto ed erigere la Repubblica; ma quali nobili e quale popolo sono? I primi


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sono gli aristocratici locali, i nobili di terraferma che, in quanto non patrizi veneziani, sono completamente esclusi dall'accesso alle maggiori cariche pubbliche della Serenissima, cioè dall'esercizio effettivo del potere politico. I secondi non sono la plebe, il ·'popolo basso", ma i borghesi, gli artigiani danarosi, i commercianti, gli avvocati e i medici dotati di influenza e beni; gli inteHettuali istruiti, privi di cultura e di idee proprie, ma con molte opinioni prese in prestito, privi del potere come della possibilità d.i ottenerlo in futuro. Nel momento in cui va in crisi la rigida struttura politica che fino a quel momento non ha consentito loro di afferrare neanche una piccola parte di potere, eccoli schierarsi coi Francesi perché, alleandosi ai vincitori, possono ottenere quello che cercano. È vero che Napoleone popolerà la penisola di stati-fantoccio, la cui indipendenza non esiste al pari della loro volontà, ma è anche vero che, per i borghesi e i nobili precedentemente esclusi dal potere, avere un minimo di voce in capitolo è meglio che non averne affatto. Non importa chi sia il padrone, importa dominare, anche poco, purchè si domini. L'avvento dei Francesi è fondamentale perché apre la prima fessura nel rigido corpo del potere politico regio; ed è la fessura attraverso la quale si intravede ciò a cui si tende; e va aUargata con ogni mezzo. La borghesia del 1796 comprenderà rapidamente che il proprio potere, da non spartire con nessuno, specialmente colla troppo mutevole e influenzabile plebe, deve essere difeso dagli strumenti più idonei; e il più efficace in assoluto è quello militare. L'esercito cisalpino/cispadano e poi Italico, come quello napoletano di Giuseppe e Murat, è a un tempo un'ottima strada per far carriera e la garanzia della continuità del regime, lo scotto da pagare ali 'Impero francese perché il regime sia protetto contro i più potenti nemici esterni, l'Austria in primo luogo e le monarchie sabauda, borbonica e pontificia dietro ad essa, che priverebbero del potere la nuova classe politica. E il popolo? Beh, non era d'accordo e lo dimostrò a cominciare dall'estate del I 796. I primi moti contro i Francesi si verificarono già durante le operazioni intorno a Lodi. Pavia e il suo circondario, vittime di taglieggiamenti esosi si ribellarono in maggio. Napoleone impartì ordini severissimi. Nonostante la sicurezza mostrata. era sul filo del rasoio e non poteva permettersi interruzioni nè nel flusso dei rifornimenti cli viveri e denaro, nè degli oltre 17.000 uomini cli rinforzo in arrivo dalla Francia. La repressione fu durissima; tutti i centri abitati refrattari furono occupati e saccheggiati. Ma era stato dato il via: le parti deUa popolazioni che non guadagnavano nulla dall'avvento del nuovo ordine di cose non erano disposte a pagare e basta. Austriaci e Inglesi fornirono istruttori e denaro, cercando d'incanalare i moti in funzione delle loro strategie anti-francesi; ma, poiché esse non collimavano del tutto il loro apporto non riuscì a far evolvere i dispersi gruppi in un'entità omogenea ed efficace. Gli Inglesi, intuita La strategia francese d'espansione verso il Levante, miravano a ripristinare lo statu quo ante in Italia. Gli Austriaci invece a insediarvisi con maggior potere e più ampi domini i. Ma per il momento, nel 1797, gli Italiani non sapevano, in che gioco intercontinentale erano finiti. A loro interessava liberarsi dei Francesi, in qualsiasi modo; e i Francesi continuavano a infiltrarsi nell'Italia del Nord. Tacitata la Lombardia toccò al Veneto. Si è visto quanto strisciante e ipocrita fosse stata l'occupazione. La gente comune aveva capito benissimo cosa stava accadendo ed era stata tenuta a freno a fatica, esplodendo alla fine nella rivolta delle Pasque Veronesi, dando ai Francesi il pretesto che ancora mancava per annientare la Repubblica di San Marco. Diverse le cause della rivolta della Valsabbia e della Val Trompia nel Bresciano. Qua il problema era accompagnato e inasprito da questioni di potere locale. Chi l 'aveva detenuto fino all'arrivo dei Giacobini non accettava di vederlo in mano a gente che il giorno prima gli era politicamente sottoposta. Lo spunto religioso ci fu e giocò un ruolo di primo piano, ma sarebbe fuorviante affermare che la questione fosse dovuta solo all'affetto per il defunto governo della Serenissima o ali 'avversione ai rivoluzionari atei. Sempre religioso, maculato qua e là di campanilismo, fu il motivo dei "Viva Maria" in Toscana. Agli Aretini non erano piaciuti i Francesi e presero le armi, collegandosi poi cogli Au-


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stro-Russi in arrivo. Le bande armate in Piemonte nel 1799 si formarono spontaneamente. Anche qui i contadini non apprezzavano i Giacobini. Del resto è sufficiente rileggere il paragrafo dedicato alla Guerra Sardica per vedere che parte dei borghesi erano a favore del nuovo, mentre i contadini e il popolo no. Se potevano limitarsi a fiancheggiare le truppe regie, finchè ce ne furono, la partenza del Re e le requisizioni di viveri e bestie li inferocirono e li spinsero a rivoltarsi. li capo banda più noto e pericoloso fu un maggiore al servizio austriaco, Branda Lucioni, che operò per un tempo relativamente breve in Piemonte specialmente intorno a Torino. Interruppe le linee di comunicazione dei Francesi e assali i loro convogli con un'efficacia tale che a Torino nessuno sapeva dell'arrivo di Suvorov perché lui aveva interrotto ogni legame fra la città e l'esterno. Proprio coll'arrivo degli Austrorussi l'insorgenza si spense; e non si riprese dopo Marengo. Le insurrezioni negli Stati papali contro l 'occupante giacobino cominciarono presto. Intanto un chiaro sintomo d'avversione ai Francesi era stato dato dai numerosissimi volontari accorsi ad arruolarsi nelle truppe pontificie per la guerra del '98. Ma dopo la vittoria e I 'occupazione le cose non migliorarono certo per i Francesi. Rivolte sanguinose si accesero dovunque, ad esempio a Vignanello. feudo <lei principi Ruspoli, da dove i nemici furono in un primo tempo ricacciati, o ad Albano, dove si combattè duramente. Nel Lazio settentrionale fu incaricato Kellerman di domare le resistenze di Ronciglione, sottomessa col ferro e col fuoco, e di Viterbo, durata a lungo e abbandonata per la necessità d'intercettare la divisione napoletana di Damas in marcia per Orbetello. Soltanto gli eventi del 1799 avrebbero riportato la calma, ripristinando il potere temporale del Papa fino al 1808. Di tutte le insorgenze, quella del Reame di Napoli fu la più dura e lunga. Una vera e propria resistenza armata nel senso novecentesco del termine. Cominciarono gli Abruzzesi, eccitali dai vescovi a prendere le armi in difesa della Fede e del Trono. Del resto non c'era nemmeno bisogno di propaganda antifrancese; bastava vedere come si comportavano i soldati della Repubblica nelle città e nei paesi. Anche nel resto del Regno di Napoli, e più che in qualsiasi altra parte d'Italia, a partire dall'autunno 1798 i militari francesi isolati e in piccoli gruppi vennero assaliti. i convogli intercettati, i campi distrutti; e la stessa cosa capitò lungo il corso del Garigliano. Non bisogna dimenticare che c'era stata in preceden:z:a almeno un 'embrionale organizzazione militare delle Masse da parte del governo regio. ragion per cui nel Napoletano era tutto sommato più facile che altrove innescare la guerra partigiana, ma comunque l'odio per iJ nemico era vero e tenace. Come dimensioni, lo scontro maggiore fu la resisten:z:a di Napoli a Championnet. Ma la guerriglia antifrancese continuò a devastare l'intera Italia Meridionale per tutto l'anno. La vittoria dei Sanfedisti ne fu l 'apogeo, la successiva rivolta della Calabria sette anni dopo la sanguinosissima fine. Da quel momento le insorgenze sarebbero cessate. Dieci anni di guerriglia erano tanti per chiunque e del resto, anche se non era facile da prevedere, la stella napoleonica avrebbe brillato ancora per soli otto anni, poi gli applausi scroscianti del popolo e di gran parte dell'aristocrazia avrebbero sal utato le antiche dinastie, alla cui ombra i borghesi e i piccoli aristocratici giacobini avrebbero comunque continuato a vivere e prosperare in attesa d'una nuova occasione.

XIV) ''A lu suono de li violini sempre morte a li giacobini/ A lu suono du contrabbascio, viva sempre lo popolo vascio." - La Repubblica Partenopea e la reazione della Santa Fede: il 1799 E dunque, dopo aver introdotto e brevemente trattato l'argomento delle insorgenze, veniamo a quella principale, ali' Armata della Santa Fede, violenta quanto violento è quando lo si scatena il popolo, il cui bene gli illuminati progressisti dicevano di volere. Evidentemente non


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si intesero sul significato e i contenuti della parola "bene" perché il popolo "armata manu" dimostrò di non essere d'accordo con loro. Dopo la resa delle truppe regolari napoletane, Cbampionnet si avvicinò a Napoli e scoprì che tutta la popolazione, i Lazzari, la feccia, il popolo basso. il proletariato insomma, non lo volevano far entrare. Fallito un abbozzo di trattativa, tra il 19 e il 23 gennaio i Francesi. coadiuvati dai Giacobini locali all'interno della città, superarono una dura resistenza. Championnet, parlando in Italiano, promise pace, rispetto per la gente, la «venerazione alla comune religione cristiana, divozione al beatissimo san Genrwro»•xii e poté entrare in città, emanando un proclama che incominciava con «Napoletani! Siete liberi!» e tenninava promettendo pace, gioia e prosperità, dopo aver incidentalmente comunicato che «L'esercito francese prenda nome di esercito napoletano ad impegno e giuramento solenne di mantenere le vostre ragioni, e trattar per voi le armi ogni volta giovi alla vostra libertà»"'iii. Io concreto significava addossare alla città ed al Regno il mantenimento delle truppe occupanti, in teoria impegnate a difendere lo stato-fantoccio in via di costituzione. Prima della fine dell'anno si sarebbe visto quanto affidamento Napoli avrebbe potuto fare su quelle parole. La Repubblica Napoletana, più conosciuta col nome ufficioso di "Partenopea", si organizzò in fretta mettendo in piedi un Governo provvisorio diviso in sei Comitati, compreso quello della Guerra, e vide ai propri vertici i più accesi illuministi napoletani. Ciò le valse l'imperituro nome di Repubblica dei Filosofi, ma ben pochi vantaggi, perché i suoi governanti risultarono ottimi teorici e disastrosi pratici. Ha qui le proprie radici una pesante mistificazione che ha inciso pesantemente sulla storiografia successiva, definendo «buoni» i Filosofi e «mostri reazionari» quelli che li combatterono e li vinsero. I primi a imbrogliare le carte furono gli storiografi liberali del periodo risorgimentale. Come figli di quella borghesia che voleva il potere e aveva collaborato coll'occupante francese, non potevano sconfessare i loro padri, di cui proseguivano l'opera. Dunque gli esponenti delle repubbliche giacobine collaborazioniste andavano glorificati per dimostrare la giustezza del loro operato e giustificare quindi il proprio. Quando poi si veniva a parlare della Repubblica Partenopea, il gioco diveniva ancor più facile, perché i reazionari d'aUora - i Borbonici - erano gli stessi contro cui aveva lottato e vinto Garibaldi. Raccolta dal Fascismo come tutta l'eredità risorgimentale, questa equivoca visione dei fatti sopravvisse grazie a1 Partito d' Azione, che dichiarò di riconoscere come propri antenati diretti gli IJluministi, specialmente dell'ultimo Settecento. Dato l'enorme influsso del Partito d'Azione sulla cultura italiana e la sua collocazione a sinistra, che rendeva «ipso facto» lui e le sue tesi corretti per definizione, per altri cinquant'anni, fino alla fine del secolo XX, continuò la glorificazione politica di fatti storici e personaggi che, a essere esaminati da vicino risultavano appartenuti a un gruppo elitario di collaborazionisti, alcuni dei quali decisamente sanguinari, assai simili a quelli della deprecata Repubblica Sociale, nata e morta poco meno di centocinquant'anni dopo. Questo spiega perché le repubbliche giacobine in genere e quella Partenopea in particolare non ebbero seguito; perché la Partenopea crollò al primo urto. Non era sentita. La popolazione, intendendo con questo termine tutte le classi sociali, non si avvicinò alla Repubblica. sia perché essa era stata imposta dai Francesi ed accettata entusiasticamente solo da un sparuta minoranza autodefinentesi illuminata ed intellettuale. ma non dalla stragrande maggioranza, sia perché entro un mese dall'entrata di Championnet a Napoli la reazione regia si cominciò a manifestare concretamente e pericolosamente. Basta stare attenti alle date. l Francesi occuparono la capitale del Regno il 23 gennaio; entro un mese il Cardinale Ruffo aveva già cominciato la vittoriosa marcia delle sue truppe a

xxii P. COLLETTA. «Storia del Reame di Napo(j», Milano. Casini. 1989, pag. 201. xxiii Idem, pag. 202.


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massa dell'Esercito della Santa Fede. Aggiungendo a questo lo stato di pennanente ribellione antifrancese in cui si trovava la quasi totalità del Reame. nessuno che fosse dorato d'un minimo di buon senso avrebbe scommesso un soldo sulla stabilità della Repubblica e dei suoi governanti. lo piò i loro errori si sommarono a quelli degli occupanti e furono tanto gravi da detenninare il collasso. Quelli commessi nel campo militare furono certamente i piò gravidi di conseguenze. È difficile elencarli in modo migliore di quello adoperato da Vincenzo Cuoco nei capitoli XXVI e XXVII del suo famoso "Saggio Storico sulla Rivoluzione napoletana del 1799", ma anche se si fosse fatto quanto Cuoco poi sostenne. non è detto che le cose sarebbero andate meglio. Per prima cosa si congedarono quanti, a qualunque titolo e con qualsiasi grado, avessero servito in armi il passato regime. Si cercò di mettere in piedi una Guardia Nazionale, ma si decise di epurarla da tutti i compromessi colla Monarchia e in pratica la si azzerò. Si stabilì di ricorrere alla leva; ma si concesse l'esenzione dietro pagamento; e di nuovo il risultato fu minimo. Allora si tornò a bussare alle porte di chi era stato radiato dalla Guardia Nazionale: se ne ottennero solo rifiuti. Si lamentò poi Cuoco riferendosi agli epurati del primo arruolamento: «Conveniva ammetterli; si sarebbe otren11to il doppio intento di comprometlere molta gente, e di guadagnare l'opinione del popolo» dipingendo esplicitamente la Repubblica come incapace di reggersi se non ricattando quanti le si erano avvicinali. I registrati nella Guardia avrebbero dovuto difenderla non per convinzione, ma perché il Re, tornando, li avrebbe riconosciuti come traditori proprio andando a consultare il registro, che guarda caso non era stato conservato. Insomma: avrebbero difeso non le proprie convinzioni ma le proprie teste; e nulla di piò. Poteva reggere la Repubblica dei Filosofi in queste condizioni? Si. finchè c'erano i Francesi e mancavano i pericoli esterni, ma quando i primi partirono e apparvero i secondi crollò miseramente. Napoleone intanto era bloccato in Levante, e questo incoraggiò i coalizzati d'un tempo a scendere di nuovo in campo. L'Austria aveva armato e l'Inghilterra aveva organizzato un'alleanza comprendente i Borboni di Palermo, la Russia, la Prussia e la Turchia. Il piano strategico era semplice: la Francia sarebbe stata assalita su tutti i fronti. lo Italia sarebbero arrivati u11 esercito austrorusso dal Trentino, uno russoturco dalla costa adriatica dopo aver preso Corfù e le isole Ionie ex-veneziane; uno anglonapoletano dalla Sicilia. Tutti si sarebbero riuniti in Alta Italia e, insieme, avrebbero varcato le Alpi e portato la guerra in Francia. Per quanto riguardava il Regno di Napoli l'impresa non sarebbe stata troppo difficile perché, al di fuori della capitale e di poche altre città, i Francesi non controllavano nulla. In Abruzzo i militari sbandati si erano uniti in bande e, sotto il pretesto di combattere per il Re, si erano dati al brigantaggio. Le bande si erano ingrossate rapidamente, avevano trovato capi abili e spietati tra cui Pronio e Rodio e in breve avrebbero ridotto i Francesi alle tre piane di Pescara, L'Aquila e Ci vitella del Tronto. ln Terra di Lavoro imperversava Michele Pezza, il famigerato Fra'Diavolo, interrompendo il movimento fra Roma e Napoli, coadiuvato dal crudelissimo e sanguiuario Gaetano Mammone nella zona di Sora. Nel resto dell'Italia Meridionale la situazione non cambiava di molto. Parte della città erano fedeli alla Repubblica; iJ resto e le campagne erano in mano ai partitanti dei Borboni. Forse tutto sarebbe potuto rimanere in bilico se a Palermo. insieme alle pressioni inglesi e alle notizie della reazione popolare infuriante dall'Abruzzo alla Calabria, non fosse arrivato anche un uomo disposto a rischiare in prima persona: il cardinale di Santa Romana Chiesa Pabrizio Ru ffo. Reso abbastanza pratico di questioni militari dal suo passato incarico di responsabile della Marina pontificia, coperto fino a dopo lo scoppio della Rivoluzione Francese, «poichi tra·


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consiglieri mostravasi ardente per la guerra .... il re gli diede incarico di andare in Calabna.... e, secondo i casi, avanzarsi nel Regno o tornare in Sicilia»u.i•. Andò, comprese perfettamente la debolezza della Repubblica e dei Francesi e diede principio a una delle più violente e spettacolari guerre di popolo che l'Italia abbia mai visto. Sbarcato a Bagnara Calabra nel febbraio 1799, col prestigio del casato e della carica in brevissimo tempo radunò intorno a sè un numero talmente alto di armati - ex-soldati, banditi, popolani, contadini - che, pubblicato il decreto con cui Ferdinando IV lo nominava proprio vicario del Regno, decise di potersi dirigere a nord. Mezza Calabria gli si consegnò spontaneamente, senza un solo sparo. La prima opposizione fu incontrata a Crotone. Fu presa e saccheggiata dalle masse dell'Esercito della Santa Fede. come il Cardinale l'aveva battezzato, dandogli per distintivi da portare sul cappello la coccarda rossa dei Borboni e una croce bianca. La tappa seguente fu Catanzaro. Le fu ingiunta la resa; venne rifiutata se non si fosse patteggiato, ricordando a Sua Eminenza che la città poteva mettere sulle mura 6.000 armati e. prima di raggiungerla, occorreva salire un ripido colle. Ruffo si accordò per farsi pagare 12.000 ducati una tantum per le spese di guerra e staccò un contingente verso Cosenza. Era la fine di febbraio. Le navi inglesi e siciliane sbarcavano agenti, ufficiali, uomini, armi e munizioni per allargare sempre di più la rivolta, 3.000 inglesi erano a Messina e Ferdinando aveva rimesso in piedi in Sicilia un esercito di 18.000 uomini. infine nello Stato Pontificio era scoppiata l' insurrezione armata contro i Francesi, obbligandoli a concentrare là i loro sforzi, nel timore di rimanere tagliati fuori a Napoli. mentre l' Austria ammassava truppe in Trentino. La Repubblica Partenopea cercò di reagire e, coll' aiuto di truppe francesi, poté mettere in campo due colonne. La prima venne posta agli ordini di Duhesme e, forte di 6.000 uomini e poco più di l.000 napoletani, marciò sulla Puglia per sottometterla e, soprattutto, per estrarne la maggior quantità possibile di grano e vettovaglie. La seconda annoverava solo 1.200 napoletani e, al comando dell ' ex tenente Giuseppe Schipani, ora generale della Repubblica, doveva bloccare i Sanfedisti in arrivo dalla Calabria in attesa che Duhesme, compiuta la propria missione, venisse a darle manforte. Ma Schipani fu sconfitto a Castelluccio in un 'azione minore e ripiegò in rotta fino a Salerno. Duhesme invece aveva varcato l'Appennino ed era sceso nella Capitanata. Troia, Lucera e Bovino si erano sottomesse senza discussioni; Foggia aveva accolto festosamente i Francesi, come del resto Barletta e Manfredonia. Ma Sansevero si oppose, e dopo di essa Trani ed Andria le cui popolazioni, lungi dallo spaventarsi, decisero di combattere fino all' ultimo contro l'invasore. Tutte vennero assalite e brutalmente saccheggiate con spaventosi massacri della popolazione, come monito a chi si opponeva alla Repubblica. Poi i Francesi puntarono su Bari, Ceglie e Martina Franca allargando l'occupazione. Ma ben presto dovettero ripiegare: 85.000 austrorussi erano entrati nella Pianura Padana; 32.000 fra Torchi e Russi con 40 navi da guerra avevano preso Corfù ed ora minacciavano il litorale adriatico; e Macdonald non aveva la minima intenzione di restare a farsi catturare nell' Italia Meridionale. In più il Cardinale Ruffo non era rimasto inoperoso. Cosenza. benchè difesa da 3.000 armati, era stata presa senza danni daUa colonna sanfedista del capomassa Licastro e ora l'Esercito della Santa Fede, entrato in Basilicata, stava muovendo proprio alla liberazione del.la Puglia. Altamura fu investita, presa e saccheggiata dai Sanfedisti, sostenuti da regolari borbonici, artiglieri e genieri. La stessa cosa capitò a Gravina. Nel frattempo a nord la campagna degli Austrorussi si faceva sempre più fortunata; e Macdonald, preoccupato, rifiutava di staccare truppe in soccorso della Repubblica Napoletana e le ,wv COLI.ETIA, op. cit. pag. 224.


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radunava a Caserta. A Napoli il terreno scottava. Fra i tanti moti sotterranei d1 resistenza e di rivolta, il più pericoloso era stato organizzato da parecchi militari, coordinati dai fratelli Baccher - ufficiali del Re - ed era fallito il 5 aprile per le rivelazioni di Luisa Sanfelice27• Cinque congi urati, fra i quali i fratelli Gennaro e Gerardo Baccher, sarebbero stati fucilati il 13 giugno, neanche ventiquattr'ore prima della caduta della Repubblica, per evitare la loro liberazione. Ai problemi interni se ne aggiunsero dj esterni e nuovi. li 15 aprile 1799 un corpo di 500 borbonici, sostenuti da una forte aliquota inglese. sbarcò a Castellammare di Stabia, battendo i repubblicani napoletanj ed impadronendosi della cittadina, del porto e del castello. Contemporaneamente un secondo corpo anglo-borbonico sbarcava a Salerno e liberava Vietri, Cava, Citara, Pagani e Nocera. Macdonald provò ad allontanare la minaccia nemica e il 28 aprile avanzò con due colonne, ottenendo un buon successo tattico e risparmiando la vita ai soli prigionieri che fossero militari regolari. Ma quelle vittorie non facevano che prolungare l'agonia della Repubblica. cominciata il giorno stesso dello sbarco di Ruffo in Calabria. Lo sfascio fu confessato pubblicamente da Macdonald quando comunicò ufficialmente ai Filosofi che non era «appieno libero uno Stato se protetto dalle armi straniere, nè poter la fi· nan;:a napoletana mamener l'esercito francese, nè di questo aver bisogno se la parte amante di libertà» avesse voluto combattere •le disgregate bande della Santa Fede,.m. Come si vede, in tre mesi il tono e le parole degli occupanti erano assai cambiate. L'e:,ercito che aveva preso il nome di " napoletano", vista la mala parata, tornava di corsa "francese" c il 7 maggio si ritirava al nord. lasciando guarnigioni a Capua. Gaeta, Sant'Elmo, Civitella del Tronto e Pescara; e la Repubblica, resasi conto di dover fare sul serio. tentava di correre ai ripari. Il Direttorio Napoletano nominò comandante supremo dell'esercito Gabriele Manthonè e ordinò la levata di nuove trnppe. Ma i risultati dell 'arruolamento furono minimi: in pratica si presentarono solo i militari ai quali spettava una paga - ufficiali e sottufficiali - mentre i coscritti si davano alla macchia. Neanche due giorru dopo lo svolgimento di una bella e rincuorante festa per celebrare la Repubblica, le navi anglo-siciliane sbarcarono un corpo di liberazione a Procida e Ischia, ristabilirono il governo reale e si prepararono a manovrare contro Napoli. La Repubblica decise di reagire ed ordinò all'ammiraglio Caracciolo. tuttora al servit.io reale ma a NapoU in licenza, di prendere il mare colle squadra partenopea e Liberare le due isole. Dopo un combattimento senza risultato nelle acque di Procida. Caracciolo dovè rientrare alla base a causa del mutamento del vento. Non aveva vinto e aveva siglato la sua condanna a morte per alto tradimento. Intanto a Taranto erano sbarcati un migliaio di Russo-Turchi, i quali avevano poi preso Foggia, Ariano ed Avellino, arrivando fino a Nola; e le bande insorgenti di Pronio erano sotto Capua. quelle di Sciarpa a Nocera, mentre Frà Diavolo e Mammone stavano fra Sessa e Teano e, come gli altri, aspettavano l'avanzata di Ruffo per unirglisi ed entrare a Napoli.

27 Anche questa vicenda merita qualche parola. Limitiamoci ai fatti: Luisa Sanfelice aveva per amante Gerardo Baccher che, preoccupato per quanto le sarebbe potuto capitare allo scoppio del moto perché era filo-repubblicana. le svelò quanto si preparava e le forni uno dei •Biglietti di assicura:,ione». da distribuire ai soli monarchici di sicura fede come garanzia dalla offese prevedibili nel moto. Ma Luisa. oltre al marito e a un amante monarchico, aveva pure un secondo amante, repubblicano: l'uditore giudiziario Ferdinando Ferri, al quale pa~sò il biglietto accennando alla congiura. Ferri ovviamente parlò, scattarono le indagini; Luisa fu acclamata salvatrice della Patria dai repubblicani e, considerata 1raditrice da Ferdinando IV. fu decapitata a Napoli il IO onobrc 1800. La storia e la persona si commentano da sole. 0 • COLI.ElTA, op. cit. pag. 237.


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L'incapace governo della Repubblica agì disperdendo le sue scarse e poco convinte forze in varie colonne seguendo i consigli di Manthonè. Mandò Schipani contro Sciarpa, Bassetti contro Mammone e Frà Diavolo, Spanò contro De Cesare, affidò la colonna principale allo stesso Manthonè destinandola contro Ruffo e lasciò in riserva Win. Il risultato fu quello che ci si poteva attendere: Spanò venne battuto a Monteforte e ripiegò con forti perdite su NapoLi; Schipani ebbe la medesima sorte; e a malapena le truppe del generale Bassetti riuscirono a tenere libera la strada fino a Capua. Dalla Repubblica che affondava fuggì il comandante del costituendo reggimento di cavalleria, Roccaromana, con tutti i suoi uomini e andò ad arruolarsi sotto le bandiere del Cardinale Ruffo, il quale ormai era arrivato a Nola, spingendo le sue punte avanzate al Sebeto e a Capodichino. Schipani si chiuse con un migliaio di uomini nel forte del Granatello, vicino a Portici; Manthonè provò a combattere e avanzò fmo a Barra con 3.000 uomini, ma fu battuto con forti perdite e dovè rientrare in città. La Repubblica viveva le sue ultime ore. Dopo alcuni combattimenti preliminari, al levar del sole del 13 giugno, il Cardinale Ruffo dopo la messa, celebrata come sempre prima di ogni azione militare, invocò l'intercessione di Sant' Antonio da Padova, di cui era la festa28, ordinò l'attacco generale, guidandolo alla testa della colonna principale, avvolto nelle vesti cardinalizie e brandendo la spada. l Repubblicani accorsero con tutte le forze disponibili, ma crollarono. riducendosi coi pochi Francesi rimasti a difendere la zona compresa fra Chiaia, Pizzofalcone e i castelli Nuovo, dell'Ovo e Sant'Elmo. Li si assediò e si riuscì ad ottenere un primo risultato iniziando trattative separate coi Francesi. Ne risultò la resa loro e dei Repubblicani, a condizione di aver salva la vita e la ritirata. Ma la capitolazione non fu osservata, perché la squadra inglese dell'ammiragl.io Nelson portò l 'ordine di Ferdinando IV di processare tutti i prigionieri. L'accusa era di alto tradimento; la pena prevista: la morte. Scamparono solo i pochi rifugiatisi sui vascelli francesi ai quali, proprio per la capitolazione, era consentita la partenza. Mentre a NapoLi i giudici si mettevano all'opera. le truppe del Re avanzarono verso nord ed entrarono a Roma. Vi arrestarono tutti i Giacobini sui cui riuscirono a mettere le mani e proseguirono attraverso l'Umbria e le Marche fino a congiungersi agli Austro-Russi. Dopodichè l ' unica attività degna di nota svolta da loro consistè nel far ala e scorta al viaggio del nuovo papa Pio VU, appena eletto a Venezia e diretto a Roma. XV) Suvorov, gli Austriaci e Marengo: 1799-1800

Partito Napoleone alla volta dell'Egitto, il Direttorio della Repubblica Francese aveva continuato a fomentare movimenti rivoluzionari in tutti gli Stati confinanti. Se si fosse limitato a proseguire l'intervento a Napoli, forse le cose non sarebbero cambiate; ma poiché a quello se ne aggiunse un altro in Svizzera, l'Austria, minacciata da vicino, prestò favorevolissimo orecchio all'idea d'una nuova coalizione antifrancese alla quale. per la prima volta, avrebbe partecipato la Russia. L'idea del Direttorio consisteva in un grandioso attacco contro r Austria, ricalcato su quello eseguito al principio della Guerra di Successione Spagnola: intervento contemporaneo e parallelo di due eserciti- attraverso la Germania Meridionale e l'Italia Settentrionale - che convergessero su Vìenna, coadiuvati al centro da un terzo avanzante attraverso la Svizzera. 28 Colletta scrisse poi che la data era stata scelta proprio per giovarsi dell'intercessione del popolarissimo Santo, in sostituzione. almeno temporanea, di San Gennaro che. liquefacendo il proprio sangue davanti a Championnet in gennaio, aveva dimostrato di stare coi Francesi.


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Neutralizzata completamente l'Italia al principio della primavera del 1799 occupando la Repubblica di Lucca e la Toscana, i Francesi si trovarono davanti la II Coalizione, messa in piedi rapidamente. Per la prima volta nella loro storia, i Russi vennero a combattere nell 'Europa occidentale; i progressi dei Francesi furono bloccati e cominciò la controffensiva. ln Italia le operazioni alleate sarebbero state orientate lungo due diverse direttrici. La prima - a cui erano destinati Inglesi, Siciliani, Russi e Turchi - avrebbe visto una squadra russoturca impadronirsi delle isole Jonie, dirigersi verso la costa italiana dell'Adriatico e sbarcarvi un corpo di spedizione. Questo si sarebbe unito all'esercito anglo-siciliano, composto da regolari delle due corone e dagli irregolari delle bande e della Santa Fede, il quale doveva liberare il Regno di Napoli per poi passare nello Stato Pontificio e raggiungere i contingenti austrorussi al nord. Infatti la seconda direttrice d'attacco, che poi era la principale, prevedeva la calata dal Friuli e dal Trentino d'un esercito austro-russo, comandato dal Maresciallo russo Suvorov. Giunto nella Pianura Padana avrebbe respinto i Francesi da est a ovest, liberando Lombardia e Piemonte ed entrando in Francia ed eventualmente in Svizzera. Man mano che avesse proceduto verso le Alpi, avrebbe distaccato verso sud una prima aliquota avviandola a liberare l'Emilia, la Toscana e il resto dell' Italia Centrale, in modo da coprirsi il fianco sinistro, sbarrare la strada ai Francesi di Macdonald in ritirata dal sud e schiacciarli fra sè e le truppe alleate che li avrebbero inseguiti da1 Regno di Napoli. Una seconda aliquota sarebbe stata infine destinata ad impadronirsi della Liguria, eliminandone i Francesi, garantendo le coste da eventuali azioni della loro marina ed aprendole al movimento di quella alleata. Seguendo questo disegno ad ampio respiro, gli Alleati entrarono in campagna e, grazie alle grandissime capacità di Suvorov, lo fecero con una rapidità tale da reggere il confronto con quella di Napoleone di tre anni prima. Il 5 aprile 1799 le truppe austriache del generale Kray sfondarono le linee franco-cisalpine a Magnano, nei pressi di Verona, uccidendo 4.000 avversari e catturandone 3.000 dopo dodici ore di combattimento29. Persa Brescia il 20 aprile, i Francesi ripiegarono oltre l'Adda, cercando d ' impedirne il passaggio al nemico, sparpagliandosi lungo un fronte di circa 25 chilometri; ma cosi fecero il gioco degli Alleati, che li sconfissero più volte fra il 27 aprile e il 27 maggio, respingendoli alle pendici delle Alpi occidentali con una velocità sorprendente. Per questo i Torinesi rimasero perplessi quando videro chiudere le porte delle mura alle 14 del 25 maggio. Alcune cannonate piovute contro le porte Palazzo e Po li illuminarono subito: per quanto sembrasse troppo presto, erano gli Austrorussi. E subito si vide quanto profondamente avesse attecchito la radice libertaria e rivoluzionaria nei Piemontesi. Quando i tiri incendiarono alcune casette vicine a porta di Po: «la Guardia nazionale piemontèse cogliendo l'occasione del disordine che ne conseguiva, assalì i Francesi che stavano di guardia a quel posto, li disarmò e calò tosto il pome l.evatoio. Immensa.fu la meraviglia vedendo allora irrompere in Torino ventimila uomini dei pilÌjioriti eserciti che fossero in Europa; vestivano la montura di parata, la cavalleria al galoppo, la fanteria al passo di carica ...... Furono accolti fra vivissimi applausi, gli alberi della libertà ornati di emblemi democratici caddero incontaneflle fatti a pezzi..... i rigagnoli che in estate scorrono a rinfrescare le vie di Torino videro tosto galleggiare un infinito numero di coccarde tricolori..... da quattro a cinquecento soldati.francesi con parecchi ufficiali furono presi prigioni in città»uvi.

29 Si segnalò coi Francesi la Mezza Brigata di Fanteria Leggera Piemontese: l O reggimento granatieri. xxvi BEAUREGARD, op. cit. pagg. 348 -

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Suvorov mandò subito messaggi a Carlo Emanuele IV invitandolo a tornare a Torino; Vienna si oppose e bloccò il Re in Toscana, affermando che la siruazione era ancora troppo mutevole e pericolosa. Per il momento il Piemonte sarebbe stato governato da un Consiglio di Reggenza30 alla cui opera l'Austria, affamata di terre e non saziata dall'acquisto di Venezia, non faceva altro che mettere ostacoli. Nel frattempo i Francesi stavano cercando d'imbastire una controffensiva; ma furono battuti e, anzi, dovettero lasciare al nemico la via della Liguria, dove Mac<lonald si stava chiudendo a La Spezia, mentre in Piemonte i Russi avanzavano a tutta velocità. Bagration arrivò davanti a Susa, la conquistò al primo assalto, cannoneggiò la cittadella e la Brunetta prendendole rapidamente e costrinse i Francesi a ripiegare sui va.lichi alpini. Contemporaneamente era stata mossa verso sud la prima aliquota staccata dal grosso. Ferrara era stata liberata il 25 maggio e, prese le isole Jonie, la flotta russo-turca aveva effettuato degli sbarchi nelle Marche. In più, dopo il successo della Trebbia. il generale Klenau aveva fatto avanzare le sue truppe verso sud entrando nel Bolognese e staccando Ott alJ'investimento del Forte Urbano. Difeso fra gli altri anche dal Il battaglione della 2• Mezza Brigata di Linea piemontese - l'ex Reggimento Saluzzo - il Forte resistè solo tre giorni, capitolando il 10 luglio. Intanto KJenau era entrato in Toscana già ai primi di luglio: e il 4 i Fiorentini erano insorti, costringendo i circa 1.000 uomini del generale Gauthier a ritirarsi in fretta, anche perché stavano sopraggiungendo forti bande insorte da Arezzo. Mentre gli insorgenti itaJiani e gli Austriaci del generale Ott si estendevano nelle Marche, assediandovi Urbino e costringendola ad arrendersi il IO luglio, da Firenze gli Austriaci risalirono verso la Liguria, presero Sarzana e, il 26 agosto, La Spezia, aprendosi il passo verso Genova. La seconda aliquota austro-russa marciò invece dalla Pianura Padana verso il Tirreno, seguendo la solita strada di tutti gli eserciti provenienti dalla Lombardia. Genova fu investita rapidamente. Massena vi aveva concentrato tutto quel che gli erarimasto - 12.000 tra Francesi e Cisalpini3 1 -e aveva riorganizzato la Guardia Nazionale sperando di resistere all'assedio posto dai 40.000 alleati da terra e daJla squadra inglese dal mare. Dopo mesi di resistenza, minacciato dalle congiure antifrancesi in città, privo di viveri e di munizioni e con solo 10.000 uomini, inclusi i feriti e gli ammalati, il 4 giugno 1800 avrebbe accettato di capitolare e il 5 avrebbe lasciato la città diretto in Francia colle sue truppe. L' inverno vide gli Austro-Russi padroni dell'Italia settentrionale e, in quanto tali, tentare di darle un assetto militare a loro favorevole. In Piemonte provvidero al restauro delle piazzeforti e alla costituzione di quattro reparti di fanteria32, che furono poi inquadrati nelle grandi unità imperiali. Alcuni furono impiegati in combattimento, ad esempio contro i Francesi in Val di Susa, o il 26 maggio 1800, sempre contro i Francesi, alla Chiusella, venendo poi sciolti dopo Marengo. La primavera portò molte novità politiche e militari. La Russia, dopo il disastro della campagna svizzera del 1799 e la morte di Suvorov, si ritirò dal conflitto. L'Inghilterra firmò la convenzione di Alkmaar e fece rientrare le proprie unità, lasciando così davanti ai Francesi solo l' Austria, alla quale però continuò a passare un forte sussidio finanziario.

30 Presieduto dal tenente generale Governatore del Piemonte e composto dal reggente delJa Cancelleria, dai capi delle due corti sovrane, dai segretari di Stato di ogni dicastero o dai loro supplenti, dal primo sindaco della città di Torino, dal quartiermastro generale delle Regie Truppe e dagli ufficiali generali sardi presenti in città. 31 Fra i quali il poeta Ugo Foscolo, tenente delle truppe cisalpine. 32 Per iniziativa di Suvorov, poi confermata da Melas, furono costituiti i primi battaglioni dei Reggimenti Guardie, Savoia. Monferrato e Piemonte, ognuno con una forza di 840 uomini, ufficiali inclusi, articolati in 7 compagnie. Vennero poi arruolati altri 18.000 uomini, solo in parte impiegati.


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Que~to non avrebbe portato a cambiamenti - in Italia c'erano 140.000 austriaci, ai quali Massena, inclusi i depositi e le guarnigioni di Genova e della Provenza. poteva opporre solo 25.000 uomini - se Napoleone non fosse riuscito a rientrare dall'Egitto. Rientrò. Grazie all'aiuto di Talleyrand e Sièyes, al sangue freddo di suo fratello Luciano e a Gioacchino Mural. col colpo di stato del 18 Brumaio - il 9 novembre 1799 - Napoleone creò il Consolato e se ne assicurò la carica principale. Poi ordinò a Moreau di proseguire le operazioni in Germania e decise di tornare personalmente in Italia. Radunato un esercito di 36.000 uomini, nella primavera del 1800 varcò le Alpi e il Ticino e, il 14 maggio, affrontò e battè gli Austriaci a Marengo, obbligandoli ai preliminari di pace di Parigi del 28 luglfo. Vistili decisi a continuare la guerra, in novembre Napoleone ordinò a Moreau di convergere su Vienna senza preoccuparsi di quanto poteva accadergli sui fianchi. Fece lo stesso in Italia avanzando verso l'Adige e piegò l'Austria alla pace di Lunéville del 19 febbraio 180 I. Contemporaneamente aveva incaricato il generale Dupont della sicurena del suo fianco destro. sul quale gravitavano circa 40.000 uomini e cioè 15.000 austriaci del generale Sommari va, dislocati tra Ancona, Ferrara e Firenze, 12.000 toscani arruolati in fretta dal generale granducale Spannocchi, le migliaia di combattenti delle bande armate, specie aretine. e i lontani contingenti napoletaniJJ l'uno di Damas e l'altro presente come rincalzo in Abruzzo. Dupont avanzò su tre colonne direttamente in Emilia e in Toscana. La prima, comandata da lui stesso, battè le bande aretine e romagnole tra Lugo e Faenza, disperdendo le seconde, costringendo le prime a ritirarsi e fortificarsi sull 'Appennruno tra l'Emilia e Arezzo e delegando alla loro distruzione la seconda colonna, comandata da Monnier. Mentre questi assaliva e conquistava Arezzo, Dupont affrontava e sconfiggeva i regolari di Spannocchi a Barberino, entrando a Firenze il 15 ottobre 1800. La terza colonna infine puntava dalla Pianura Padana direttamente su Livorno, per impedire agli Inglesi di rifornire gli alleati. Agli Austriaci non rimase altro che concentrarsi intorno ad Ancona prima di ripiegare verso nord, mentre i Napoletani. sempre fuori tempo, entravano in guerra facendo uscire da Roma i I 0.000 uomini di Damas il 14 gennaio 180 I, quando gli Austriaci si erano piegati alla sottoscrizione dell'armistizio. L'avanzata di Damas verso Siena rianimò le bande aretine ed obbligò Miollis, ora comandante delle truppe francesi in Toscana, a concentrare le proprie unità sguarnendo Livorno e abbandonando Firenze per marciargli incontro con circa 5.000 uomini. Ad aiutare i Napoletani, che presero Siena mettendone in fuga la piccola guarnigione francese, accorsero sia Spannocchi coi pochi battaglioni regolari rimastigli, sia gli insorti aretini. Ma le notizie delle sconfitte austriache e dell'armistizio siglato a Treviso coi Francesi demoraliz.zarono i Borbonici, quasi tutti provenienti dalle file Sanfediste e quindi soldati entusiasti ma inesperti. Damas avanzò comunque fino a Monteriggioni per accamparvisi. Poi provò ad assalire i nemici; ma le sue schiere si scoraggiarono e fuggirono. lasciandolo a coprirne la rotta colla cavalleria e l'artiglieria.

33 L'esercito reale era rimasto ridotto ai tre reggimenti di cavalleria ed agli altrettanti di fanteria siciliana Valdemone, Valdinoto e Valdimauarn per quasi 1uno il periodo della Repubblica Napoletana. TI solo Valdinoto con1ribuì alla guerra del 1799 inviando aliquo1e qua e là. Dopo la liberazione di Napoli, l'esercito venne riorganizzato convogliandovi quanti tra i Sanfedisti erano disposi.i ad arruolarvisi. La mancanza di ufficiali e il poco tempo a disposizione consentirono però di arrivare ad allineare -e per di più solo nel gennaio 1801 - 28.839 uomini. a fronte dei 40.000 equipaggiabili colle dotazioni esistenti di anni. unifOlllli e buffetterie.


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ln seguito, fermati i Francesi, il generale napoletano riuscì a riordinare i suoi uomini, ma era chiaro che di guerra non era più il caso di parlare e ritornò a Roma, mentre Spannocchi si ritirava e le bande aretine scomparivano di nuovo. Napoleone, furioso, ordinò a Murat di accorrere in Italia e prendere Napoli. Ottenuto il passaggio attraverso gli Stati Pontifici, Murat fu raggiunto a Foligno dal contrordine del Primo Console. L'interposizione diplomatica russa domandata da Maria Carolina a favore del Regno aveva avuto successo e ci si doveva limitare a trovare un accordo pacifico coi Borboni, i cui soldati in quel momento erano ancora a Roma. La guerra era proprio finita con una piena vittoria francese. La Francia si circondava di Stati cuscinetto, ripristinando le repubbliche Ligure e Cisalpina, quest'ultima accresciuta di Mantova, e inglobava il Piemonte e il Ducato di Parma. Per non lasciare il Duca di Parma senza un trono, gli si dava quello del nuovo Regno d'Etruria, costituito dal Granducato di Toscana e dalla sua porzione dell'isola d'Elba, per cui Ferdinando lii invece, in quanto Asburgo, era costretto a restare a Vienna. La sua bandiera continuava però a sventolare imperterrita suli 'Elba, dove i 500 soldati granducali del presidio di Portoferraio, comandati dal settantenne colonnello de Fisson avrebbero resistito ai Francesi fino al giugno del 1802, sostenuti da un piccolo rinforzo inglese di 400 uomini e cedendo solo dopo averne ricevuto l'ordine scritto da Ferdinando in persona. In compenso dell'abbandono del Granduca l'Austria, benchè sconfitta, manteneva tutto il Veneto, l'Istria e la Dalmazia. Il trattato di Firenze del 28 marzo 180 I entrava in maggiori particolari, stabilendo la pace tra la Francia e il Regno di Napoli, il quale s'impegnava a chiudere i propri porti agli Inglesi e ai Turchi per la durata della loro belligeranza contro la Francia, alla quale cedeva la sua porzione dcli 'El.ba e lo Stato dei Presidi. Inoltre accettava di alloggiare sul proprio territorio sulla costa adriatica con quartier generale a Bari - il Corpo d'Arenata del generale Gouvion Saint-Cyr, nel quale era inquadrata la Divisione Lechi dell'Esercito ltalico34 • In questo modo Parigi si assicurava il controllo di tutta l'Italia, lasciando in vita, degli antichi Stati, solo il Pontificio, San Marino, Napoli e. ridotto alla sola Sardegna, quello dei Savoia.

34 Divisone binaria (brigadieri Severoli e Ottavi) comprendente: un Battaglione Leggero. le due Mezze Brigate di Fanteria di Linea 2' e 3", reggimenti 1° Ussari e 1° Cacciatori, Artiglieria e Genio.



PARTE QUARTA

L'OTTOCENTO



CAPITOLO XXV

L'ITALIA DI NAPOLEONE

I) Dalla Repubblica Italiana al Regno d'Italia: 1802 - 1804 Le truppe cisalpine scampate al disastro del '99 e riparate oltre le Alpi, erano state affiancate a quelle francesi e, tra tutte, avevano composto a malapena la "Legione Italica", di 6.000 fanti, I .400 cavalieri e 8 pezzi d'artiglieria. Nonostante le ridotte dimensioni, la Legione si era poi comportata bene, coprendo il fianco sinistro dell'esercito francese durante la campagna del 1800, prendendo Varallo, Lecco, Bergamo e Brescia e spingendosi fino a Mantova e a Trento, destando l'ammirazione dei generali francesi per il suo entusiasmo ed il suo ardimento. Fatta la pace, Napoleone restaurò la Repubblica Cisalpina, ricostituì la Guardia Nazionale e formò due Mezze Brigate di Fanteria, un Battaglione di Fanteria Leggera, un Reggimento Ussari, una batteria a cavallo per un totale di 10.000 uomini a piedi e 1.600 a cavallo, ai quali furono aggiunti un Battaglione Bersaglieri Bresciani di nuova leva, forte di 600 uomini, e le due Legioni Polacche di Dombrowsky. La ricostruzione dell'esercito satellite fu eseguita da Napoleone di pari passo coll'eliminazione di ogni possibile focolaio d'opposizione in Italia. Per questo ordinò al governo toscano di disarmare le bande insorte aretine. Firenze fece finta di non sentire e venne occupata dalle truppe del generale Dupont il 29 ottobre 1800, mentre i Cisalpini si spingevano fino a Siena. Alla sicurezza militare si doveva comunque aggiungere un controllo politico pari a quello esercitato in Francia. Per questo i delegati della Cisalpina, mutato il nome della Repubblica in "Italiana", su consiglio di Talleyrand in una seconda votazione ne elessero presidente lo stesso Napoleone, relegando alla vicepresidenza il Conte Melzi d'Eril, eletto al primo scrutinio. L'esercito ereditato dalla Cisalpina fu ampliato, articolando la Fanteria in Leggera e di Linea, aumentando la cavalleria - un reggimento Cacciatori a Cavallo, un secondo di Ussari. uno di cavalleggeri polacchi e la Gendarmeria - come l'artiglieria coll'istituzione di quella a cavallo. A tutto questo si aggiunse la Guardia Ad imitazione della Guardia Consolare francese (che sarebbe poi divenuta la famosa Guardia Imperiale) anche quella italiana, istituita nel 1802, era c-0mposta da elementi scelti 1. Tutto l'esercito avrebbe dovuto allineare 22.000 uomini, sostenuti ed alimentati da una riserva di altri 60.000 entro cinque anni; ma non si fece in tempo ad arrivarci perché si dovè entrare in guerra prima che ne fossero passati tre.

Il) La prima guerra dell'Impero: 1804 - 1805 La pace di Lunéville non donò all'Europa nemmeno due anni di tranquillità, a malapena 1 Che formavano due banaglioni di fanteria - uno di Granatieri e l' altro di Cacciatori- due squadroni - di Granatieri e di Cacciatori a cavallo - e una batteria a cavallo col relativo treno. Si chiamò Guardia del Governo, prima, e poi Guardia del Presidente.


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sufficienti a Napoleone per trasformare il proprio potere da elettivo e personale in vitalizio e ereditario. Il problema era sempre lo stesso: l'Inghilterra non voleva perdere la propria preminenza politica e la Francia intendeva levargliela a tutti i costi. Nel 1803 questa era la causa della tensione; e la minaccia più grave alla fragile pace veniva dall'ostinato rifiuto inglese di restituire Malta ai Borboni se i Francesi non avessero abbandonata l'Olanda. La posiz.i one di Londra era semplice. Preferiva barattare un'ott.ima base in Mediterraneo contro la sicurezza della Manica, secondo la sua tradizionale politica. Ciò che i Francesi non capirono, o non vollero capire, fu che Malta non poteva essere riconquistata dalla loro marina, mentre l'Olanda poteva esserlo dai loro eserciti al primo tentativo. La situazione politica si aggravò quando il Primo Console arrivò alla prova di forza, occupando l' Hannover, ancora proprietà dei re d'Inghilterra, e concentrando truppe sulla Manica a Boulogne2 - per sbarcarle nelle Isole Britanniche. Davanti a questa minaccia Londra si mosse, batté a Trafalgar la flotta franco-spagnola destinata a proteggere lo sbarco in lnghilterra e mise in piedi una m Coalizione antifrancese, ottenendo l'adesione di Austria, Russia, Svezia e Napoli. Solo la Prussia non s i mosse, perc hé da Parigi le era stata promessa la sovranità sull'Hannover. U piano dei Coaljzzati era semplice e grandioso. Prevedeva di muovere cinque armate. Una, anglo-russo-svedese avrebbe ripreso I'Hannover; due avrebbero attaccato la Francia dalla Germania e dalla Svizzera; le ultime due erano destinate all'Italia. La prima, tutta austriaca ecomandata dall'Arciduca Carlo, doveva scendere dall' Alto Adige nella Pianura Padana, traversarla ed entrare nel Delfinato. La seconda, anglo-russa, sarebbe sbarcata a Napoli e, unitasi all'esercito dJ Ferwnando IV, avrebbe marciato verso nord per sommarsi a quella deH 'Arciduca. Mentre Napoleone sì faceva incoronare Imperatore dei Francesi a Parigi e radunava i primi sette corpi della Grande Armata sul teatro operativo principale in Gennania, in Italia Massena, a capo dell 'VIU, doveva fermare l'Arciduca Carlo contando sull'osservanza da parte napoletana della convenzione appena stipulata, secondo la quale Ferdinando IV si era impegnato ad opporsi colla forza allo sbarco sulle proprie coste di truppe ostili alla Francia. ln Germania le operazioni cominciarono in agosto e la superiore capacità strategica di Napoleone le volse rapidamente a svantaggio dei Coalizzati, portandoli in meno di quattro mesi al fatale cpìlogo di Austerlitz ed alla successiva pace di Presburgo, sottoscritta da Russia e Austria. Intanto Gouvion Saint-Cyr aveva lasciato Napoli in ottobre. Massena, schierato sull' Adige, lo stava aspettando e aveva stabilito coli' Arciduca Carlo una tregua. Conveniva ad entrambi. A Massena perché evitava l'avanzata austriaca verso Milano e poteva attendere l'arrivo di Gouvion; agli Austriaci perché le cose in Germania stavano volgendo al peggio e appariva sempre più necessario ìl richiamo dall'Italia di consistenti forze per cercare d'arrestare l'avanzata francese. Scaduta la tregua il 18 ottobre, i Franco-Italiani tentarono l'attraversamento deU' Adige a Verona. Respinti, riprovarono con successo il 29 costringendo gli Austriaci a ripiegare. L' indomani proseguirono gli scontri e, il 1° novembre, l'Arciduca, pressato dagli ordini di abbandonare l'Italia per sostenere il fronte tedesco, incominciò la ritirata verso nord. Attraversati il Tarvisio, Vùlaco e Klagenfurt, i Franco-Italiani si riunirono alla Grande Armata a Judenburg.

2 La Repubblica Italiana chiamò alle anni 6.000 coscritti per raggiungere la quota di 22.000 uomini sono le armi e contribul allo sforzo napoleonico inviando a Boulogne la Divisione Pino- 1° Reggimento Fanteria di Linea, 1° e 2° Reggimento Leggero, 2° Ussari, una compagnia Zappatori ed una d'Artiglieria - per un totale di 7.395 uomini.


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Mentre i Coalizzati avevano ripreso l'offensiva che li avrebbero portati a cadere a migliaia sotto i colpi dell'artiglieria francese negli acquitrini ghiacciati di Austerlitz3, Gouvion, giunto a metà novembre a Padova con due divisioni - l'italiana Lechi 4 e la francese Reyniers - dopo aver bloccata da terra Venezia e aver sorvegliato la costa fino alla foce dell'Adige in funzione antisbarco, era stato minacciato alle spalle dal corpo austriaco del generale principe di Rohan, forte di circa 10.000 uomini, sceso da Bolzano a Bassano del Grappa e l'aveva battuto il 23 novembre a Castelfranco. Poi il generale Fiorella aveva occupato Trento e Bolzano per ordine di Napoleone, mentre oltre 18.000 anglo-russi erano sbarcati nel Reame di Napoli, unendosi ai 12.000 fanti e 2.000 cavalieri dell'esercito borbonico. li viceré d'Italia, Eugenio de Beauhamais, concentrò sul Po i 10.000 regolari della Divisione Fontanelli, l'ultima riserva rimastagli. sostenendoli con 25.000 uomini della Guardia Nazionale, agli ordini del generale Pino. Liquidate Austria e Russia, l'ira dell'Imperatore lanciò le sue folgori contro Ferdinando IV. Al suo grido <<La dim1stiadi Napoli ha finito di regnare» un'annata franco-italiana di 37.000 uomini si concentrò fra Bologna e Rimini nel gennaio 1806, mettendosi in moto verso la Campania. Gli Anglo-Russi si reimbarcarono, lasciando a Ferdinando un 'unica soluzione: riparare in Sicilia come sette anni prima. Il 23 gennaio la corte parti, affidando di nuovo il potere ad una Reggenza e ordinando alle truppe di resistere. Bene o male i soldati cercarono di farlo, dove più e dove meno. Ma la Reggenza non li aiutò, perché il 13 febbraio sottoscrisse a Teano coi Francesi una convenzione con cui cedeva Napoli, Capua e Pescara. Difatti di quest'ultima s'impadronJ facilmente la Divisione Lecbi, fermandosi però davanti a Civitella del Tronto. ostinatamente difesa dai 200 napoletani6 del maggiore Wade dal 21 febbraio al 20 maggio. Intanto, il 12 febbraio, Reynier aveva intimata la resa alla piazza di Gaeta. guarnita da J30 cannoni e 7.000 napoletani comandati dal Principe d'Assia Philippsthal. «Gaeta non è Ulma ed Assia non è Mack»i gli rispose il Principe, riferendosi alla pessima condotta tenuta dal collega nel recentissimo disastro della mancata difesa di Ulma. Il 26 arrivò Massena e, alla testa di oltre 15.000 uomini, incominciò l'assedio, al quale il Principe d'Assia resistè, grazie al sostegno ricevuto dalle navi inglesi e napoletane, fino al 18 luglio, quando, ferito, capitolò ottenendo la partenza sua e della guarnigione per la Sicilia. Oltre a questi due casi, la resistenza napoletana si concentrò in Calabria agli ordini di Damas. Ma le forze a sua disposizione erano ridotte a circa 16.000 uomini e vennero rapidamente battute, prima al ponte della Noce iJ 6 marzo e poi il 9 a Campo Tenese, obbligandolo a abbandonare pure Castrovillari e riparare in Sicilia. Sul trono di Napoli arrivò Giuseppe Buonaparte, fratello maggiore di Napoleone, ed il Regno diventò un ulteriore satellite di quella rutilante, gloriosa, affascinante ed effimera costellazione che sarebbe stata poi chiamata "il Primo Impero."

3 Alla banaglia presero pane gli Italiani del 111° Reggimento francese, composto interamente da Piemontesi, di due battaglioni di fanteria e 6 pezzi d'aniglieria della Guardia Reale italiana. 4 Composta allora dai reggimenti di Fanteria di Linea 3°, 4 ° e 5°, dal I ° Cacciatori a Cavallo e da due compagnie d'Artiglieria a piedi e una di Zappatori per un totale di 6.500 uomini. 5 In cui erano inquadrati i 900 uomini dell'ex Reggimento Ligure. 6 Pochi Artiglieri litoranei, 100 fanti regolari e circa altrettanti provinciali. i Rip. in OWCIANI, BRANDANI. FIORENTINO: op. cii., pag. 47.


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ID) Gli ItaJiani in Dalmazia, Germania e Polonia: 1806-1807 La pace dj Presburgo, che il 27 dicembre 1804 aveva seguito la vittoria d' Austerlitz, fu talmente breve da non essere nemmeno avvertita, ma portò il Regno d'Italia ad accrescersi del O Veneto il I maggio, consentendogli di stabilire a Venezia la base principale della Marina Reale, d'aumentare l 'Esercito Italiano d.i quattro reggimenti 7 e di creare una nuova compagnia della Guardia d'Onore in cui accogliere i membri delle migliori famiglie venete. La guerra intanto si riaccendeva rapidamente. I Prussiani, già poco inclini a c redere alla promessa francese di ceder loro l'Hannover, erano stati allarmati dalla creazione della francofila Confederazione del Reno sulle ceneri del Sacro Romano impero Germanico e si erano prontamente alleati ai Russi e, naturalmente. agli Inglesi, formando la IV Coalizione. Il viceré Eugenio ebbe l'ordine di restare in Italia con 5 divisiorri per fronteggiare un'eventuale offensiva austriaca e fu rinforzato da un contingente napoletanos mandato da re Giuseppe, perché occorreva prendere la Dalmazia Meridionale, ceduta dall'Austria alla Francia fino a Canaro ma occupata dai Russi9. L'offensiva fu guidata dal generale Molitore sostenuta inviando poi da Spalato i 2.500 uomini della colonna franco-italiana del generale Lauriston. che il 27 maggio 1806 occupò l'antica Repubblica di Ragusa e ne decretò la fine coll'annessione al Regno d'Italia, venendovi poi assediato dai Russi. Napoleone allora staccò verso la Dalmazia tutto il Il Corpo della Grande Armata, comprendente pure due battaglioni di fanteria della Guardia Reale Italiana Così il 6 luglio Molitor muovendo da Zara poté liberare Lauriston. Poi le operazioni presero un andamento più offensivo, concludendosi colla vittoria di Castelnuovo, colta nella notte dal 29 al 30 settembre 1806 contro 6.000 russi e 10.000 montenegrini, costretti a ritirarsi fino alle Bocche di Cattaro, da loro poi conservate fino al trattato di Tilsit. Ciò consentì a Napoleone di lasciare Lauriston a Ragusa e concentrare le forze sul teatro tedesco, dove aveva incominciato le operazioni il 3. La campagna del 1806, alla quale non parteciparono i soldati italiani dell'Esercito Italico ma quelli inquadrati nei reggimenti francesi 10, fu tutt'altro che risolutiva, nonostante le vittorie di Jena ed Auerstiidt avessero spezzato la resistenza prussiana, perché rimaneva praticamente intatto l'esercito russo, impegnato ma non sconfitto in Polonia in dicembre''· Contro di esso si volse l' Imperatore nel 1807 lasciando ai sopraggiunti rinforzi italici - ì 4.500 uomini deUa Divisone Teulié 12. - l'incarico di liquidare l'ultima sacca di resistenza prussiana: la fortezza di Colberg, difesa da 5.300 fanti, 500 cavalieri e 176 pezzi d'artiglieria.

7 Uno di Fanteria di Linea, uno di Fanteria Leggera, uno d ·Artiglieria a Caval.lo, uno dalmata di 4 battaglioni e un banagliooe istriano. 8 Reggimenti: 4° di Fanteria di Linea, I° Cacciatori a Cavallo e Dragoni. 9 Vi erano sbarcati il 27 febbraio dalla squadra dell'ammiraglio Siniawin. IO In particolare si segnalarono i Genovesi del 32° Leggero a Schleitz il IO ottobre; i Bersaglieri corsi, quelli del Po. il 17° Leggero, il 26° Cacciatori a Cavallo e il 21° Dragoni a Jena il 12 ottobre; il l 11° di Linea ad Auerstlidt, di nuovo i Bersaglieri corsi e quelli del Po e il 26° Leggero a Lubecca il 6 novembre 1806. 11 Nel ciclo operativo tra Niemen e Vistola si distinsero di nuovo gli Italiani dei Reggimenti 111 ° di Linea, al passaggio della Vistola e a Czemow, Nazulsk e Golymin; 26° Leggero. 103° di Linea, 21 ° Dragoni, Bersaglieri corsi e del Po e il 7° Leggero a Pullusk il 26 dicembre. 12 Era in quel momento composta dal 1° di Linea, reduce dalla presa di Kassel e da un ciclo operativo antisbarco. sostenuto sulla costa nei pressi di Lubecca contTO Inglesi e Svedesi, dal 1• Leggero, dalla 4• Compagnia Zappatori italiani e da 3 compagnie fucilieri della Guardia Imperiale, una di Gendarmi e una di Dragoni.


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Iniziate le operazioni preliminari cli blocco il 16 febbraio 1807 e proseguitele lentamente per mancanza di genio e artiglieria, finalmente il IO marzo la Divisione poté investire la piazza. Ricevuto il parco d'assedio e, il 20 marzo, iJ 20° Leggero in rinforzo, nonostante anche la g uarnigione fosse aumentata a 6.000 fanti e 400 cavalieri, Teulié diresse magnificamente le operazioni, fin quando non venne mortalmente ferito. Tra il 10 e il 14 giugno arrivarono u.lteriori rinforzi in artiglieria e fanteria - tra cui il 4° di Linea italiano - seguiti da altri reparti, francesi e della Confederazione del Reno, elevando gli assedianti a 8.000 uomini e 40 cannoni. Respinte cinque sortite in due settimane, si preparava l'assalto decisivo quando arrivò la notizia della fine delle ostilità. Queste, grazie all'abilità di Napoleone, erano state relativamente brevi e coronate dal pieno successo, sconfiggendo sia i 20.000 prussiani rimasti in campo, sia, a Bylau 1'8 febbraio, i 90.000 russi accorsi in loro aiuto. Infine, dopo un'avanzata in Polonia e nella Prussia Orientale, la Grande Armata aveva vinto definitivamente il 14 giugno a Friedland, convincendo lo zar Alessandro a por termine al conflitto, come difatti fece col Trattato di Tilsit del 7 luglio 1807. Politicamente però iJ successo non ci fu; anzi, caso mai proprio a Tilsit incominciò a scendere il sole sorto ad Austerlitz. Resosi conto dell'impossibilità di sbarcare in Inghilterra a causa della preponderanza navale britannica, Napoleone era ricorso, come quarant'anni prima i Borboni, alla guerra economica ed aveva stabilito il Blocco Continentale. aveva cioè vietato a tutte le nazioni europee di commerciare colrlngbiherra, certo che prima o poi, rimasta priva di risorse economiche, sarebbe crollata, lasciando alla Francia il primato mondiale. Il guaio fu che il Blocco Continentale creò gravi difficoltà nei paesi abituati da lungo tempo ad un forte interscambio con Londra, perché la crisi economica li colpiva molto più duramente di quanto non accadesse alla Francia. Alcune nazioni cominciarono quindi a tollerare il contrabbando coll'Inghilterra; e il caso più clamoroso fu quello dell'Olanda, il cui re, Luigi, era uno dei fratelli minori di Napoleone. Comunque fosse, il rigido controllo imperiale non permetteva certo al traffico illegale di svilupparsi e infliggeva all'economia britannica dei danni sempre più gravi. Per questo Napoleone cercava di estendere il Blocco a tutta l'Europa. inserendolo nei trattati di pace come condizione necessaria alla cessazione delle ostilità. E in un certo senso fu questo a rovinarlo perché i l Blocco fu alla base di tre fatti fondamentali. La defezione del Portogallo fu il primo; il secondo si verificò quando nel 1806 il Primo Ministro di Spagna, Manuel Godoy, comunicò all'Imperatore che nemmeno Madrid poteva più restare nel Blocco; i.I terzo fu l'uscita pure della Russia, sobillata da Talleyrand, che vedeva Napoleone procedere nel senso opposto a quello da lui auspicato cli un accordo franco-britannico.

IV) La Resistenza in Calabria e la battaglia di Maida: 1806-1809

Nel 1808 Gioacchino Mural sali al trono di Napoli al posto di Giuseppe Bonaparte, elevato a quello di Spagna. Dal punto di vista del sovrano legittimo - Ferdinando IV - non c'era alcuna differenza fra i d ue usurpatori. La popolazione tutto sommato condivideva l' idea del Re e non si muoveva pi'ù che altro per paura delle baionette francesi e per i ricordi delle feroci rappresaglie del 1799. E tale sotterraneo malcontento incoraggiava Ferdinando IV e l' Inghilterra ad usufruire della propria supremazia navale saggiando continuamente la capacità di resistenza dello stato napoletano. Dopo la resa di Civitella del Tronto e di Gaeta, prescindendo dall'occupazione di Capri, effettuata dalle truppe di re Gioacchino nel l 808 eliminandone il presidio britannico stazio-


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nantevi da due anni, la z.ona d'attrito fra gli Anglo-Siciliani ed i Franco-Napoletani era in Calabria. Tutto era cominciato dopo la fine della campagna del 1806, quando il 22 marzo la popolazione di Soveria era insorta contro i Francesi, un cui ufficiale s i era dimostrato troppo intraprendente nei confronti cli una donna. Questa riedizione calabrese dei "Vespri Siciliani" aveva indotto re Giuseppe a mandare il generale Reynier; e re Ferdinando. d'accordo cogli Ing lesi, a sostenere gli insorgenti, sperando in un secondo '99. Così, mentre Reynier bruciava Confluenti e massacrava la popolazione di Martorana, il I 0 luglio il generale Stuart sbarcava alla Torre di Malta, vicino a Sant'Eufemia, con 4.000 inglesi, 1.200 fra Napoletani, Corsi e Siciliani e 30 cannoni. Reynier lo seppe e gli andò addosso con 6.500 uomini, ma il 4 luglio 1806 fu clamorosamente battuto a Maida. Costreno ad abbandonare il campo e tutti i materiali e i viveri, perse. tra morti e prigionieri, 64 ufficiali e 1.400 uomini, riuscendo a stento a portare in salvo 300 soldati feriti, ma rimanendo privo del carreggio grazie agli attacchi delle bande insorte. Di Maida ben pochi si ricordano. eppure essa. per quanto piccola, merita un posto di rilievo nella storia delle guerre napoleoniche, al pari di Marengo. Austerlitz, Baylen, della Beresina e di Waterloo. Maida fu infatti fondamentale perché ancora una volta si scontrarono due vecchi e diversi modi di combattere sui quali a lungo si era disputato nel secolo precedente: l'ordine in linea e quello in profondità. Seguendo il loro classico sistema, i Francesi avevano infatti attaccato in colonna; gli Anglo-Italiani. suddivisi in quattro piccole brigate, li avevano accolti schierati in linea e li avevano battuti perdendo solo 41 morti e 282 feriti. Per l'andamento delle operazioni in Calabria, Maida non significava nulla; era un minimo episodio senza conseguenze. Ma in termini generali era fondamentale perché dava un'indicazione basilare per la condotta futura della guerra. E quando la relazione ufficiale del fatto arrivò rn mano al generale Wellington, destinato a comandare le truppe inglesi nella Penisola Iberica, egli capì che quel.la era la condotta da seguire per battere i Francesi. L'applicò in Spagna con enorme successo e poi a Waterloo in modo definitivo. perché alla colonna d'attacco francese, il cui ridotto fronte permetteva il tiro di soli 132 fucili, la linea dei suoi Inglesi ne poteva opporre 600, con una proporzione cli fuoco cli 4,5 a I proprio favore. Aggiungendo la scelta della posizione, generalmente poco sotto una cresta. oltre la quale erano situate le riserve in modo da impedire all'artiglieria nemica di colpirle, e l'impiego dei quadrati contro la carica della cavalleria, l'invincibile esercito francese poteva essere esaurito fino ad essere abbattuto. Ma questo era ancora di là da venire e, per di più, sarebbe capitato dall'altro lato del Mediterraneo. Per il momento nessuno in Calabria ci pensava e la cosa più urgente era quella di combauere i Francesi. Stuart si reimbarcò dopo aver distrutto le guarnigioni nemiche di Monteleone, Tropea, Scilla e Reggio, mentre l'insurrezione divampava obbligando i Francesi della Divisione Verdier, affrontati dagli insorti quattro volte in pochi giorni. ad evacuare Cosenza passando in Puglia per riorganizzarvisi. Intanto iJ 9 luglio un altro contingente anglo-borbonico di 1.200 uomini era sbarcato a Crotone liberandola. Questo rese più difficile a Reynier avanzare per riprenderla e, tormentato dai Calabresi, anche lui il 26 luglio dovelle ripiegare. Proprio durante la sua ritirata si verificò l'incrudelimento delle operazioni che da quel momento avrebbe caratterizzato la lotta nella regione. Giunto a Strongoli, Reynier apprese le torture alle quali erano stati sottoposti dagli insorti i Polacchi della guarnigione e ordinò una rappresaglia altrettanto dura. Non conosceva i Calabresi. Non solo non furono scoraggiati, ma caso mai vennero resi ancor più ferocemente determinati a combattere; e entro i primi d'agosto i Francesi dovettero sgomberare del tutto, giudicandosi fortunati d'aver salvato circa metà dei loro effettivi iniziali.


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Da Palermo giunsero armi e denaro per estendere l'insurrezione alla Basilicata; ma la resa di Gaeta, avvenuta il 18 luglio, sbloccò le truppe francesi e permise a Massena di scendere a sud. Sostenuto da 6.000 uomini comandati da re Giuseppe in persona a guardia delle linee di comunicazione con Napoli, l'esercito francese si scatenò, devastando e bruciando senza misericordia Laurino, Rocca Gloriosa, Torraca, Sapri, Lagonegro e Lauria. Non servi a molto. Gli insorti gli inflissero gravi perdite a Saracena, Terranova e San Basilio prima di evacuare Cosenza. Ma non seguirono il consiglio di riparare sotto la protezione delle guarnigioni anglo-siciliane di Reggio e Scilla facendone la base per una guerra partigiana dalla quale sarebbero certamente usciti vittoriosi. Troppo fiduciosi nelle proprie possibilità, affrontarono i Francesi in campo aperto nei pressi di Cosenza e furono sgominati. Ciò però non fece Loro posare le armi e continuarono gli scontri, elevando ancora le già forti perdite degli occupanti. Deciso a chiudere La questione occupando tutta la Calabria e alimentato dal continuo afflusso di rinforzi, in modo da poter mantenere le truppe più o meno a numero, Massena scese lungo il litorale tirrenico e, il 7 settembre, riuscl a raggiungere Monteleone dopo aver affrontato a Nicastro un durissimo scontro con 2.500 calabresi. Ma, nonostante i successi, pagati a carissimo prezzo, la sua situazione non migliorava, perché le bande distrutte si ricoagulavano in pochi giorni, rimpiazzando i cadULi con nuovi elementi. In più dalla Sicilia continuavano ad arrivare aiuti: prima i 1.200 uomini del Maresciallo di campo Rosenheim, poi l'organizzazione dell'insurrezione. posta agli ordini del Brigadiere Filippo Cancellieri, infine la ripresa della rivolta nel Cilento e in Basilicata a minacciare le comunicazioni con Napoli. Poi, in dicembre, la guerra della IlJ Coalizione richiamò a nord Massena col grosso. In Calabria rimase Reynier che, tra alti e bassi, ai primi del febbraio 1807 riuscì a dare l' impressione di dominare la situazione impadronendosi d'Amantea, centro strategico e logistico dell ' insurrezione come l'imprendibile isolotto di Dino, base delle squadre anglo-siciliane. Né valse a cambiare le cose lo sbarco effettuato iJ IO maggio del 1807 dai 5.400 borbonici del Principe d'Assia, battuti a Mileto il 26 e costretti a reimbarcarsi. Nel gennaio 1808 Reynier si ritenne abbastanza forte da marciare su Reggio Calabria. Alla testa di un forte contingente, comprendente anche reparti italiani, la raggiunse e la prese d'assalto, assediandone poi il castello, la cui guarnigione di 800 uomini capitolò il 2 febbraio. A quel punto sostanzialmente la Calabria poteva dirsi sottomessa, ma gli scontri sarebbero proseguiti - e parecchi, come quello svoltosi nel 1809 a Cinquefronde, sarebbero stati più che rilevanti - fino al ritorno dei Borboni nel 1815.

V) L'Italia deU'lmpero e la coscrizione obbligatoria: 1808 L'anno 1808 può essere preso come riferimento per le condizioni medie dell'Italia sotto Napoleone, sia perché si trova a metà fra Marengo e la caduta del 1814, sia perché proprio da allora il dominio francese divenne diretto su quasi tutta la Penisola. Oltre al Piemonte ed alla Liguria, già assorbiti da tempo, vennero incorporati il Ducato di Parma e Piacenza - il 24 maggio sotto il nome di Dipartimento del Taro, il Friuli Orientale, la Dalmazia e l'Istria come "Province Illiriche" estese lungo la costa adriatica fino a Cettigne, in Montenegro, e, assai lentamente, colla tipica occupazione strisciante caratteristica dei Francesi, i superstiti Stati Romani. Neutralizzato progressivamente l'esercito pontificio13, svuotandone i magazzini e limitan-

13 L'esercito pontificio era stato ricostituito dopo la pace, a partire dal Piano Militare approvato nel 1802, e constava di una piccolissima Marina di noa più di 230 uomini, della Guardie Nobile e Svizzera, di una coppia di reggimenti di fanteria, due compagnie d 'artiglieria e tre squadroni di cavalleria, per un tota-


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done le risorse, poi sottoponendo l'esecutività degli ordini dei comandi pontifici al benestare delle autorità militari imperiali e infine sostituendo le seconde ai primi, i Francesi si installarono a Roma, portarono in prigionia Pio VU e ottennero col Senato Consulto del 7 febbraio 1810 l'unione delJ'Urbe all ' Impero. L'Italia veniva cosl ad essere divisa sostanzialmente in tre zone. La fascia occidentale, dalle Alpi a Terracina e da.Ila costa ti.rrenica ali' Appennino era parte integrante dell'Impero, poiché anche la Tosc.ana, prima Regno d'Etruria, poi Granducato retto da Elisa Buonaparte e da suo marito Felice Baciocchi, proprio allora vi era stata incorporata. La parte centro-orientale, dal Sesia a Gorizia esclusa e da Bolzano al Tronto, costituiva il Regno d'Italia, la cui corona riposava sul capo di Napoleone, rappresentato in loco dal viceré Eugenio. Infine, a sud. c'era la terza zona, Napoli, l'unico Stato che fosse rimasto relativameme sottraltO al dominio di Napoleone. Uniche eccezioni a tale dominio erano i minuscoli principati di Lucca e di Piombino, la Repubblica di San Marino e le Isole, tuuora in possesso dei legittimi sovrani: la Sardegna dei Savoia; la Sicilia dei Borboni. Il Regno d'Italia aveva la funzione di un qualsiasi Stato satellite, come era stata la Cisalpina. L'unica differenza rispetto a prima era nella maggiore estensione territoriale e. di conseguenza, in una forza militare più consistente. Includendo tutto, dalle truppe di linea passando per le scuole e terminando cogli Invalidi, i militari di terra e di mare di ogni arma e grado ammontavano a circa 88.000 14 , il cui reclutamento - e questa era la sgradita novità - era obbligatorio e generale. Tutti erano chiamati a servire la Patria e l'Imperatore e Re nei modi previsti dalla legge, legge che non aveva sollevato alcun entusiasmo in alcun ceto della popolazione. Secondo il progetto presentato dal generale Teuliè il 29 maggio 180 I, sarebbero stati soggetti alla leva tutti celibi dai 18 ai 36 anni, eccezion fatta per i figli unici, i vedovi con prole e gli inabili. Dal contingente cosl costituito si sarebbero estratti 20.000 "requisiti", cioè i veri e propri chiamati alle anni, i quali. insieme a 15.000 francesi, avrebbero costituito l'Esercito d' Italia, il IV Corpo della Grande Armata. Soprattutto i Lombardi fecero l'impossibile per evitare la costituzione d'un esercito italiano. Preferivano offrire denaro contante in gran quantità anziché le 1.300 reclute richieste a Milano e si opposero, il 14 luglio 1802, sia col voto contrario delJa Consulta sia cercando appoggio nell' atteggiamento di Murat, secondo il quale non era interesse francese costituire una forza armata italiana.

le delle forze di terra ammontante in teoria a 4.500 uomini. li trucco adoperato dai Francesi - ad Ancona nel 1805, Civitavecchia nel 1806 e Roma nel febbraio 1809 -consisieva nell'entrare in una città fingendo di doverla altraversare e nell'impossessarsene di sorpresa. n primo reggimento pontificio di fanteria. s1anziato nelle Marche e forte di 6 sole compagnie fu sottrailo al Papa colla presa di Ancona; il secondo venne assorbito nell'aprile del 1809 e. fuso coll'altro, passò al servizio italico divenendo il 7° Reggimento di Fanteria di Linea. 14 Le forze armate comprendevano nel 1812 88.935 uomini, 14.951 cavalli e 150 peui d'artiglieria suddivisi tra Panteria-48.560 uomini e 815 cavalli di 7 reggimenti di Linea, 4 di Fanteria Leggera e 5 Battaglioni Dalmati - un Corpo d 'Aniglieria di 5.275 uomini e 2.850 cavalli, 6.576 uomini e 5.976 cavalli di 6 reggimenti di Cavalleria, 1.400 uomini e 265 cavalli del Corpo del Genio, 1.908 uomini e 1.030 cavalli dei 3 reggimenti di Gendarmeria, 6.192 uomini e 1.670 cavalli della Guardia Reale, 9.000 uomini della Marina. li resto era inquadrato in 3 Battaglioni delle Guardie di Milano e Venezia e una Compagnia Dipartimentale per ciascuno degli altri dipartimenti, 2 Compagnie di Zappatori Pompieri e 4 d' lnfem1ieri. 2 Battaglioni dei trasporti militari, 3 di Invalidi e Veterani, Amministrazione, Sanità. Scuole, Comandi di Piazza e Stato Maggiore Generale.

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Ma il Presidente della Repubblica era un testardo ed un militare di carriera e, per questi motivi, il 13 agosto del 1802 fu promulgata la legge sulla coscrizione obbligatoria. completamente ricalcante la legge francese. Erano soggetti tulti i maschi abili, tra i 20 ed i 25 anni d"età, non appartenenti all'Armata. celibi o vedovi senza prole, che non avessero già prestato servizio nelle Forze Armate e non fossero sacerdoti o monaci. o non avessero un fratello militare, in servizio o congedato. Avrebbero servito per 4 anni. Volendo evitare la leva si doveva, entro tre giorni dalla chiamata, presentare un supplente, idoneo al servizio e pagare una tassa proporzionale all'eventuale rendita goduta, comunque non superiore alle 1.000 lire milanesi. La cifra era alta ma, per garantire il gettito di reclute abbassato dalla paura delle continue guerre, paura che faceva prendere a prestito cifre sempre maggiori per evitare la coscrizione, sarebbe salita fino alle 5 o 6.000 lire del 181 3. Completato il contingente, la cui forza doveva essere specificata per legge, ogni anno andavano chiamati 12.000 coscritti da ognuna dalle cinque classi. in modo da formare una riserva di 60.000 uomini alla quale attingere in caso di necessità. In teoria, applicando ai 6.697.280 cittadini1' la percentuale del 3o/oo come in Francia, si sarebbe dovuto avere bello e pronto un contingente di 18.000 uomini; invece l'esito fu disastroso. Temendo d'essere impiegati all'estero, i soggetti alla leva si diedero alla macchia e, alla fme del giugno 1803, ne erano in servizio meno di 4.000 invece degli attesi 18.000. Messa in campo la Gendarmeria per arrestare i renitenti e pottarl i ai reparti, al 24 luglio i coscritti alle armi erano saliti a 11.500. divenuti 16.687 nel febbraio del 1804. Solo che i numeri mentivano per omissione, perché non davano in parallelo la percentuale dei disertori, i quali nel medesimo periodo ammontarono a 4.199, cioè un terzo abbondante dei "requisiti" trovati dalla Gendarmeria. La trasformazione della Repubblica in Regno migliorò un po' la situazione, ma non di molto. In vista della guerra contro l'Austria, nell'estate del 1805 fu, come abbiamo visto, organizzata la riserva e messa in anni la Guardia Nazionale, ponendole entrambe sul Po contro eventuali offensive da sud; ma per quanto si facesse, allora e negli anni seguenti, la percentuale dei renitenti rimase sempre alta. Mediamente il 25% dei coscritti aveva titolo per farsi esentare dal servizio; e un po'meno del 17% era apertamente renitente. Una caratteristica copiata dalla Francia per tentare di ovviare alle diserzioni, fu quella di far passare i militari con maggiore anzianità in corpi scelti, dove il trattamento, le sedi di guarnigione e la paga erano migliori. li primo corpo di questo tipo ad essere formato era stato, già ai tempi della Cisalpina, quello degli "Ussari di requisizione". «Napoleone aveva voluto che fossero scelti tra le famiglie più agiate, sia per risparmiare le spese per vestirli, equipaggiar/i e montarli, sia per avere dei potenziali ostaggi, sia. infine, per avviare alla carriera delle armi esponenti dell'aristocrazia e della borghesia, disposte, magari, ad abbracciare le nuove idee ma restie a vedere i propri figli nell'esercito. E per quest'ultimo scopo creuva nove anni dopo, 11e/ /806, le Guardie d'Onore incorporate nella Guardia Reale del viceré Eugenio, cinque compagnie a reclutamento regionale, ciascuna dotata di una propria uniforme»H. Nel complesso, tra Guardie d'Onore veterane e coscritti. nella Guardia Reale - il cui organico era di 6.192 uomini - sarebbero transitati fino al 1814, 15.209 militari 1°. Diversa la situazione napoletana. Nonostante l'abolizione dei diritti feudali, l'introduzione dei codici francesi e qualche incoraggiamento alle industrie ed al commercio, i sei anni di regno e le continue assenze del sovrano, impegnato sui più lontani teatri di guerra, non potevano produrre grossi risultati. Inoltre il Reame viveva in uno stato di mobilitazione permanente, sia per l'endemica rivolta della Calabria, sia per la continua minaccia anglo-siciliana alle sue co-

13Datodel 1812. ii PIERO CROCLANI, " La Cronaca Rovatti e le sue uniformi". in "La Cronaca Rovatti", Voi. I O • Mode-

na, 1997. pag. 18. 16 Di cui 5.625 veterani e 9.584 coscritti.


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ste, sia per la necessità di contribuire alle campagne dell'Imperatore con uomini - come in Spagna e Russia - o con denaro, mantenendo le truppe francesi, come ad esempio quelle stazionanti a Corfù, o pagando direttamente forti somme alla Francia. Sotto Gioacchino l'esercito rimase strutturato alla francese 17 assumendo l'amaranto come colore distintivo nazionale suJle coccarde ed evitando il più possibile di ricorrere alla coscrizione obbligatoria. Perché questo? !Perché nel 1807 re Giuseppe aveva chiamato alle armi un contingente di leva pari ali' !%e della popolazione, cioè pari a 4.365 uomini, includendovi per la prima volta i residenti nella capitale e prevedendo le stesse clausole d'esenzione in vigore nel Regno Italico e ne aveva avuto un gettito di circa 2.800 uomini, equivalente si e no al deludente 64% di quanto atteso. Per questo Murat nel suo primo anno di regno si limitò a costituire due reggimenti di Veliti - uno a piedi e uno a cavallo - s imili per estrazione sociale e finalità ai Veliti italici e destinati ad affiancarsi alle Guardie Reali napoletane costituite nel 1806. Preparato così il terreno, nel 1809 ordinò una leva del 2o/oo, cioè di poco inferiore a 9.000 uomini, ma né allora né in seguito furono raggiunti i risultati voluti.

VI) L'Interminabile guerra di Spagna: 1808-1814

U rifiuto portoghese di restare nel Blocco Continentale e l'annuncio di un prossimo simile disimpegno spagnolo, indussero Napoleone a intervenire militarmente nella Penisola Iberica, apparentemente contro la sola Lisbona e usufruendo dell'appoggio logistico fornito dall'alleata Madrid, in realtà per prevenire la defezione di quest'ultima impadronendosi della Spagna colla solita occupazione strisciante. Eseguita da circa 95.000 uomini di quattro corpi differenti, fra i quali, nel quarto, i 4.500 italiani della Divisione Lechi 18 per il momento fermi a Perpignano nell ' "Armata d'Osservazione dei Pirenei Orientali" - culminò nell'arresto dei Principi Reali spagnoli nel maggio 1808 e provocò la reazione popolare e l'inizio della guerra. I Francesi si trovarono rapidamente in crisi. Fermati a Yimeiro19 dagli Anglo-Portoghesi, aggrediti sui lati e avendo le lince di comunicazione tagliate di continuo dagli Spagnoli, subirono una sconfitta pesante. specialmente per i suoi effetti politici: la capitolazione dei 21.000 uomini di Dupont avvenuta 1'8 luglio 1808 a Bailen. Quando Napoleone lo seppe «pareva che la notizia l'avessefulminato»iii Il mito dell'invincibilità della Grande Armata era irreparabilmente infranto.

17 A causa deUa notevole renitenza e dell'altrettanto notevole diserzione, la forza delle truppe napoletane non era molto stabile. Ad ogni modo esse comprendevano una Guardia Reale, composta da 2 Battaglioni Granatieri. 2 Reggimenti Veliti a piedi, 4 Squadroni di Guardie d'Onore, altrettanti di Veliti a Cavallo ed ancora 4 di Cavalleggeri, con 2 Compagnie d'Artiglieria Leggera. altrettante del Treno e un Battaglione di Marinai. La Fanteria contava 8 Reggimenti di Linea, e 4 Leggeri; la Cavalleria 2 di Cacciatori a Cavallo e uno di Cavalleggeri; l'Artiglieria un Reggimento a piedi, uno Squadrone a Cavallo, una Compagnia Artefici d 'Artiglieria, 3 di Artefici Armieri. un Battaglione del Treno, 12 Compagnie di Artiglieri Linorali e una di Artig.lieri Veterani. Infine il Genio - con 7 Compagnie Zappatori, 14 di Minatori e una di Guardie del Genio - e la Marina. con uo Battaglione di Marinai, un Reggimento Artiglieria di Marina e una Compagnia Artefici dell'Artiglieria di Marina. 18 Formata dal 2° e 4° di Linea, dal 2° Cacciatori, dai Veliti della Guardia Reale e da compagnie d' Artiglieria Treno e Zappatori del Regno d 'Italia, nonché dal I O Reggimento di Linea e dal I° Cacciatori del Regno di Napoli. 19 Dove la ritirata francese fu coperta con successo dal I O Dragoni e dal 26° Cacciatori a Cavallo, formati interamente da Piemontesi. iii HlLAIRE BELLOC, "Napoleone", Milano, Longanesi, 1967, pag. 199.


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E lui in persona corse a cercare di por rimedio al disastro. Batté gli Spagnoli e credè d'aver allontanato il pericolo d'una sconfitta, quando seppe d'averne uno diverso e ben più serio alle spalle, a Parigi: un accordo fra Talleyrand e Fouché; e tornò indietro di corsa. Gli anni seguenti videro una guerra lunga e dura, priva di scontri risolutivi e destinata a protrarsi in condizioni di parità fino al 1812 quando, per alimentare la Grande Arrnata destinata alla Russia, gli effettivi imperiali impiegali in Spagna sarebbero scesi a 130.000. Da quel momento gli Anglo-Ispano-Portoghesi avrebbero cominciato a prevalere, eliminando i Francesi dalla Penisola colla battaglia di Vittoria del 1813 ed affacciandosi oltre i Pirenei nel 1814, mentre la sola guarnigione di Barcellona avrebbe continuato a resistere alla loro pressione. Gli Italiani - Italici e Napoletani - parteciparono alla guerra con Napoleone dandogli, inclusi i complementi, 30.183 uomini20 • dei quali solo 8.958 sarebbero rientrati in Patria21 ; ma c'erano Italiani anche contro di lui, con una Brigata di poco più di 2.000 uomini appositamente partita dalla Sicilia nel 181322 . Fra i non rientrati parecchi sarebbero stati i prigionieri. i quali avrebbero avuto sorti diverse. Alcune migliaia sarebbero tornati in Italia dopo la caduta del Primo Impero, altri ancora nel corso del conflitto sarebbero passati, per convenzione. a militare nelle truppe sarde. Come nelle precedenti guerre napoleoniche, gli Italiani vennero assegnati non al principale corpo d'operazione, composto prevalentemente da Francesi, ma a teatri periferici. Al momento dell'arrivo dei primi il corpo imperiale principale era già assai avanti, proiettato verso ovest e sud; e anche per questo furono lasciati indietro, a presidio della zona pirenaica e della Catalogna. Si trattava però d'un incarico tutt'altro che irrilevante, poiché dai Pirenei dovevano passare i complementi cd i rifornimenti per l'esercito operante -e non era possibile portarli per mare a causa dell'assoluto predominio navale britannico - per essere poi avviati al fronte lungo le strade della Spagna Settentrionale e Centrale. rese tutt'altro che sicure dall'onnipresente guerriglia. Infine occorreva presidiare la costa, specie mediterranea, per impedire agli Inglesi di sbarcare e costituire o prendere qualche importante base operativa terrestre, prima fra tutte Barcellona. Questo spiega ad usura come mai le truppe italiane. pur essendo lontane dal teatro principale, abbiano avuto una vita durissima e forti perdite nei sei anni trascorsi in Spagna. I primi combattimenti a cui parteciparono furono quelli svoltisi nell'aprile 1808 nelle vie di Barcellona e risoltisi in breve tempo con un certo successo. Riprese in maggio e sfociate, in giugno, in una fallimentare spedizione punitiva contro Manresa e lgualada. le operazioni presero il tipico andamento frammentato delle azioni di controguerriglia. Le divisioni italiane dovettero distribuire i propri reparti fra le colonne mobili organizzate di volta in volta e vennero a trovarsi spezzettate in tutta la Catalogna e la zona pirenaica, subendo forti perdite. La seconda quindicina di giugno del 1808 vide azioni a Molino del Rey, San Pedro, Esplugas, Moncada. sul Montgat e a Matarò. I combattimenti furono duri, le perdite alte e rutto solo per mantenere le posizioni prese in aprile intorno a Barcellona. Conservato alla meno peggio il possesso di quest'ultima, il generale Duhesme falll leprese di Gerona, Figueras e Rosas con unità francesi. italiche e napoletane. Per di più si trovò a subire alcune operazioni anfibie sostenute dalla Marina britannica, tutte respinte dalla Divisione Lechi, che però diedero abbastanza appoggio agli insorti da costringere i Franco-Italiani a chiudersi in città rimanendovi bloccati.

20 Di cui circa 1.600 di cavalleria. 21 Degli oltre 21.000 morti, si calcola che 14.000 siano caduti ia combattimento ed i restanti 7.000 siano deceduti in prigionia. 22 Della cui composizione e attività in Spagna si parla nel paragrafo "Gli Italiani di Sicilia: 18061815".


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Settembre non portò alcun miglioramento, semmai il contrario, tanto che fu accolta come un dono del cielo la Divisione Pino23, reduce dalla campagna in Germania, il cui arrivo portò a circa 16.000 gli [taliani in Catalogna e permise d'effettuare la spedizione per sbloccare Barcellona. liberata il 17 dicembre. Tanti sacrifici vennero riconosciuti da Napoleone, come già nelle precedenti campagne, con ampie citazioni sui bollettini francesi e negli ordini del giorno, ma la gloria non mutava la tragica realtà fatta di quotidiani attacchi da parte degli Spagnoli, di sevizie mortali inflitte da loro ai prigionieri, di fatica e sangue profusi in sempre maggior quantità. Il triennio 1809 - 181 l non vide miglioramenti di rilievo. Con terribili sforzi la zona d'occupazione più o meno sicura fu lentamente estesa riuscendo a prendere il villaggio di Hostalrich - ma non il forte - e Gerona. costata non meno di 12.000 morti agli assedianti ed altrettanti agli assediati. Non si trattò d'un'eccezione. Come esempi basti pensare che nell'agosto del 1809 la Divisione Lecbi, concentratasi a Salt, era ridotta a I .000 uomini soltanto; che dopo i primi nove mesi di conflitto erano già 3.255 gli Italiani fuori combattimento, dei quali solo 69 prigionieri; e che. quando alla fine di settembre del 1809 il Battaglione Veliti lasciò la Spagna per tornare a Milano, era ridotto a una forza di 115 uomini, ricoverati inclusi. Per gli stessi motivi ai primi del 1810 i reparti napoletani presenti in Spagna furono concentrati in una Divisione, posta al comando del generale Pignatelli Strongoli24 a presidiare la costa catalana. Ridotta già in settembre a soli J .700 uomini dalle diserzioni e dalle perdite. fu contratta in Brigata2S nel gennaio 1811. Priva di complementi, fu ulteriormente ristretta a un Reggimento agli ordini di Guglielmo Pepe e infine ad un semplice Battaglione, restato là fino alla fine guerra. Intanto, assicurato il transito dalla Francia fino a Gerona, il 13 aprile 1810, gli Italiani furono frazionati a presidio delle linee di rifornimento dalla Francia a Saragozza. In dicembre entrambe le divisioni italiche si concentrarono sotto Teruel. Insieme ai Francesi la investirono vigorosamente, facendola cadere il 9 gennaio 1812, e poi furono rimandate tra Saragozza e Lerida a presidio deUe lfoce di comunicazione. ma ormai la parabola delle fortune imperiali stava diventando discendente. Si avvicinava l'impresa di Russia. Le truppe francesi cominciavano a diminuire e la pericolosità degli Spagnoli a crescere, tanto da indurre Palombini, ora al comando al posto di Peyri, ad evitare. da aprile in poi, il frazionamento della sua Divisione. Intanto la pressione inglese aumentava e Madrid era in pericolo. Re Giuseppe vi fece affluire tutte le unità disponibili - incluse quelle di Palombini - per contrastare l'avanzata nemica. ma senza poter impedire la liberazione della cinà il 12 agosto 1812. Le forze francesi e italiane si ritirarono su Valenza concentrando i due eserciti, del Centro - prima incaricato di tenere Madrid - ed' Aragona, ai quali sarebbe stato di lì a poco unito anche quello richiamato dal!' Andalusia Rioccupata Madrid il 2 novembre grazie al ripiegamento di Wellington verso i quartieri d'inverno in Portogallo, ripresero i combattimenti contro i partigiani spagnoli e si protrassero per tutto l'inverno, riuscendo con difficoltà a mantenere praticabili le strade. Poi, mentre Sevcroli restava in Aragona. Palombini venne spostato da Madrid alla Biscaglia. perché gli lnglesi stavano per esercitarvi lo sforzo maggiore ed era chiaro che sarebbe

23 Brigate Mazzucchelli e Fontana, comprendenti 2 Btg. del 1° di Linea, 2 del 6°. uno del 7°, 2 del 1° Leggero, 2 del 2° Leggero, 4 Squadroni dei Dragoni di Napoleone e 3 Squadroni dei Cacciatori Reali. 24 A cui fu dato come capo di Stato Maggiore il generale Florestano Pepe. 2 s Su 3 Btg di Fanteria e 2 Sqd di Cavalleria. Comunque la poca cura che di essa aveva Murat fu evidenziata anche daJ generale Suchet il quale, nelle proprie memorie, la descrisse come formata da bella gente, ma vestita ed equipaggiata male, completata con vagabondi e delinquenti tratti dalle carceri e, per questo, poco disciplinata.


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stato quello decisivo. Ormai si sapeva del disastro cli Napoleone in Russia e dell'insurrezione di tutta Europa contro di lui ed era evidente che l'Impero aveva i giorni contati. Sotto la costante pressione degli Alleati, i Francesi e gli Italiani - per i quali era stata disposta la fusione delle due Divisioni in una sola al comando di Severoli - vennero lentamente respinti. Tarragona cadde e. dopo di essa, tutta la Spagna Settentrionale, mentre i Franco-Italiani si ritiravano su Tolosa. In settembre la Divisione Severoli venne trasferita a Villafranca - San Selony e in dicembre rimpatriò per cercare di fronteggiare gli Austriaci dilaganti in Italia. La guerra di Spagna era finita.

Vll) 1809: Aspern-Essling e Wagram Il precipitoso rientro di Napoleone a Parigi dalla Spagna il 23 gennaio 1809 e la memorabile scenata da lui fatta a Talleyrand accusandolo di aver complottato con Fouché per abbatterlo, non evitarono un nuovo tentativo antifrancese, stavolta da parte dell' Austria col solito sostegno finanziario dell'Inghilterra. All'origine di tutto questo c'era proprio Talleyrand, che aveva svelato all'Austria, come già alla Russia tre anni prima a Tilsitt, i punti deboli dell'apparato francese. Conseguenza diretta cli ciò e dell'impegno francese in Spagna, fu l'allestimento di un esercito austriaco di 350.000 uomini con 800 cannoni per attaccare e battere Napoleone e i suoi alleati lungo tutto l'arco occidentale del confine asburgico. dalla Polonia, per la Germania e l'Italia fino in Dalmazia. Come sempre il teatro principale fu quello dell'Europa Centrale e la parte del protagonista spettò ali 'esercito francese. Quello italiano rivesti il suo solito ruolo di presidiario della Penisola, trovandosi comunque davanti i 70.000 uomini che l'arciduca Giovanni stava guidando attraverso le Alpi Carniche e Giulie. Complessivamente il viceré Eugenio aveva a disposizione 50.000 tra Francesi e ltaliani 26, dunque non ci fu troppo da stupirsi quando. dopo un fortunato scontro d'avanguardie a Lavis venne battuto il 16 a Sacile, perdendo 300 morti. 3.500 prigionieri e 15 cannoni. Fortunatamente per lui, Napoleone gli evitò altre sconfitte perché vinse gli Austriaci a Ratisbona una settimana dopo e minacciò Vienna, costringendoli ad ordinare il concentramento a nord delle truppe operanti in Italia. Eugenio si sentì abbastanza forte da attaccare il 29 aprile a Castel Cerino, ma fu contrattaccato il 30; e solo la salda tenuta di tre battaglioni della Guardia Reale a copertura del grosso impedì un esito disastroso della battaglia. Subito dopo cominciò il ripiegamento dell'Arciduca, prontamente inseguito dal Viceré, che l'agganciò e batté a Lovadina 1'8 maggio e di nuovo a Tarvisio il 17. Preceduto a Vienna da Napoleone, l'arciduca Giovanni proseguì dalla Carinzia atrUnghecia, sempre inseguito dall'Esercito d'Italia. L' ultima decade di maggio vide il tentativo di 35.000 francesi di forzare il Danubio sotto il fuoco degli 80.000 uomini e 288 pezzi dell'arciduca Carlo tra i villaggi di Aspem cd Essling. innescando una battaglia di due giorni, alla fine della quale, il 22, l' Arciduca era riuscito a impedire il passaggio perdendo 10.000 morti e 1.500 prigionieri contro i loro 6.500 caduti27 •

26 L'Esercito Reale allineava ali' 11 aprile 1809, giomo d ' inizio delle ostilità. 4 Divisioni - generali Fontanelli, Severoli, Lechi (Guardia Reale) e Fiorelli (riserva) - e un Corpo distaccato per un totale di 24.000 uomini, 3.600 cavalli e 32 pezzi d 'artiglieria. 27 Nonostante le difficoltà incontrate- una proporzione di 1 a 2 a sfavore dell 'attaccante, invece del classico 3 a I ed il raggiungimento d'un nemico forte in artiglieria e s ituato oltre un fiume amplissimo


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L'arciduca Giovanni tentò allora di congiungersi al grosso dell'Armata asburgica vittoriosa, ma il 14 giugno i 36.000 franco-italiani agganciarono i suoi 50.000 uomini sulla Raab e inflissero loro una notevole sconfitta, uccidendone 4.000, catturandone 2.500 cd obbligando gli altri a ritirarsi a Presburgo. Poi, lasciato un distaccamento ad assediare la fortezza di Raab, presidiata da 4.000 austriaci, andarono ad unirsi alla Grande Armata per la fine della campagna. Non mancava molto. Col loro arrivo Napoleone disponeva di 180.000 uomini e 420 cannoni, ai quali l'arciduca Carlo poteva opporne 150.000 con 400 pezzi, sempre fermi sulla sponda sinistra del Danubio. Stavolta il forzamento ebbe pieno successo e. traversato il fiume nella giornata del 5, le truppe francesi si aprirono a ventaglio nella pianura, prendendo Aspern, Essling e Rachdorf e puntando poi verso l' interno, mentre quelle del Viceré si dirigevano su Wagrarn. Là al mattino del 6 Napoleone avanzò su tutta la linea, vincendo la battaglia grazie a un'enorme colonna d'attacco guidata da lui in persona formata dalle truppe dell'Esercito d'Italia, coadiuvate sui lati da due divisioni di cavalleria e sostenute in seconda linea dalla Guardia. Fu uno dei più spaventosi massacri di tutte le guerre napoleoniche: 22.000 francesi e italiani e quasi 30.000 austriaci restarono sul terreno nel giro di poche ore e, intorno alle 15, l'Arciduca ordinò la ritirata per salvare resercito dalla rotta. L' Austria era in ginocchio. L'imperatore Francesco si piegò alla pace e, di Il a meno d'un anno, spaventato dalla prospettiva d ·un matrimonio fra Napoleone e la granduchessa Anna Romanov, sorella dello Zar, e dalla conseguente probabile alleanza franco-russa, offrì la mano di sua figlia Maria Luigia all'Imperatore dei Francesi, al quale serviva un erede al trono. Formalmente l'Austria era ora alleata a Napoleone, al quale solo in Spagna e in Inghilterra restavano nemici da battere; ma in realtà due fattori gli stavano minando il trono: la sua tattica ed il Blocco Continentale. Del secondo si è già detto; della prima si può parlare adesso. Se è vero che Napoleone fu un organizzatore di prim'ordine. un eccellente stratega ed un buonissimo tattico, è anche vero che, come tutti a questo mondo, non andò esente da pecche. La caratteristica principale delle sue operazioni fu sempre la velocità. Nessun esercito prima del suo era mai apparso tanto rapido e, per questo, tanto capace di sorprendere e battere il nemico. Ma, a ben vedere. I' organizzazione operativa della Grande Armata risentiva di numerosi inconvenienti. Finché i Francesi mantennero la superiorità, specialmente morale, sugli avversari, potenziali o effettivi, la cosa non si notò; ma quando la capitolazione di Bailen inferse il primo e per questo più micidiale colpo al mito della loro invincibilità, i loro errori cominciarono a venire in luce e ad essere osservati, analizzati e sfruttati da tutti i loro nemici. La tattica napoleonica, a dispetto del concetto che vuole il genio nuovo e sempre originale, era in realtà la ripetizione del medesimo schema, indipendentemente dalle circostanze: preparazione d'artiglieria, attacco frontale della fanteria fino a determinare una orisi in un punto qualunque dello schieramento avversario, concentrazione del fuoco e delle forze in quel medesimo punto, sfondamento e crollo del nemico28. Tutto questo era preceduto da un complesso movimento sincrono dei Corpi d'Armata sulle strade europee, predisposto con rapidità nella sola mente deU ' Imperatore ed eseguito celermente da truppe beo addestrate. I problemi cominciavano quando si trattava di muovere i rifornimenti dietro di esse. Tradizionalmente si dice che Napoleone liquidasse la faccenda colla sbrigativa frase: «L'inténdance suivrà» - L'in-

privo di ponti - Napoleone manovrò bene; ma poiché a tutti gli effetti la vittoria andò ali ' Arciduca, la battaglia di Aspem-Essling sarebbe stata ricordata come un trionfo della vecchia scuola su quella francese. 28 È bene notare fin da ora che, in linea di massima, si tratta dello stesso schema che sarà applicato dai comandanti europei durante la I Guerra Mondiale tanto sul fronte francese che su quello italiano, anche se l'accresciuta capacità di fuoco della difesa e la diminuita mobilità dell' attacco non permetteranno mai risultati nemmeno lontanamente paragonabili a quelli delle campagne napoleoniche.


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tendenza seguirà - certo è che il problema fu sempre irrisolto e in Russia tanto grave da determinare il collasso dell'esercito, come avrebbe rilevato il Duca di Wellington nel suo "Memoriale sulla campagna di Russia nel 1812". Secondo Wellington l'impresa fallì perché era stata organizzata male logisticamente. Fin dall'inizio « ...i/funzionamento di tale organizzazione di sussistenza si rivelò così difettoso che, prima ancora che l'esercito lasciasse il ducato di Varsavia, abbiamo notizia del malcontento delle popolazioni per i saccheggi operati dalle truppe e rimostran::,e da parte di Napoleone ai suoi marescialli..... A Vìlna, il primo paese al di là della frontiera russa in cui l'esercito fece sosta ... un'armata di seicentomila uomini poté organizzare ospedali per soli seimila ... Le cause de/fallimento di queste misure precauzionalì meritano di essere discusse, perché tale argomento possa far apparire ... le vere ragioni del disastro francese in Russia ... Dovevano iniziarsi delle marcefor::,ate, dalla Vistola stessa fino a raggiungere la Dvina ed il Dnieper. I carriaggi, i rifornimenti, il bestiame e tutti i viveri trasportati dalla Francia e dall'Italia furono lasciati indietro.... a nulla si pensò juorchè alla prospettiva di trovare il nemico enflagrant dé/it e di distruggerlo di un colpo ... Si ritiene che non meno di diecimila cavalli e parecchi uomini furono lasciati morti sul terreno, mentre migliaia di soldati sbandati e dispersi vagavano senza meta in giro per il paese .....le marce forzate su strade rovinale dalle piogge attraverso 1111 paese sprovvisto di rifugi, e senza approvvigionamenti adeguati, tutto questo distrugge il soldato ...... Tali privazioni... furono l'occasione di tltlti questi malanni,fi11c/1é l'esercito ... degenerò e, sebbene formidabile come unità militare, divenne alla fine un'orda di banditi..... e si disimegrò. Bisogna pure osservare che nessun esercito francese, dopo aver lasciato dietro di sè i propri magazzini ad un territorio alleato ha mai ricevuto razioni di viveri se non procurandosele col metod.o del saccheggio ... Tale sistema in vigore nell'esercito francese fa la causa di quelle irregolarità, disordini, sfortune e, di conseguenza, della sua perdita»iv.

VIII) Gli Italiani in Russia: 1812 Ed ecco il fatale 1812. La Russia non voleva restare nel Blocco Continentale e Napoleone decise di punirla. Seicentomila uomini furono radunati nelJa Grande Annata. Divisi in 1 l Corpi d'Armata (più un dodicesimo austriaco comandato da Scbwartzenberg), Francesi, Italiani, Tedeschi, Olandesi, Polacchi e Austriaci si trascinarono dietro 1.024 cannoni ed entrarono in Russia. Inquadrati nel IV Corpo, comandato del viceré Eugenio, gli ltalici29 - 27.397 con 58 cannoni - questa volta sarebbero stati destinati anche a un ruolo di punta. L'avrebbero svolto benissimo e l'avrebbero pagato carissimo: col 93% di perdite, un prezzo tutto sommato ancora ridotto a fronte del 97% medio delJ' intera Grande Armata.

iv ARTHUR WELLESLEY, duca di Wellington, " Memoriale sulla Campagna di Russia nel 1812", rip. in

AwlNGTON, " Il duca di Wellington", Verona, Mondadori, 1966. Appendice, pagg. 460-467.

29 Divisioni Pino e Severoli - comprendenti un btg del I O Leggero, il 3° Leggero (su 4 btg), il 2° e il 3° di Linea (entrambi quaternari), il Reggimento Dalmata. 4 cp. Artiglieria reggimentale, altrettante d' Artiglieria a piedi. una d' Artiglieria a Cavallo. due cp Treno d' Artiglieria. un distaccamento operai. una cp. Zappatori, un Btg Equipaggi militari coi cavalli di riserva - Brigata di Cavalleria Leggera Vìllata - 2° e 3° Cacciatori a Cavallo (entrambi su quattro squadroni) e Divisione Lechi o Della Guardia Reale: 5 Cp Guardie d'Onore, due Btg Veliti Reali, altrettanti di Fanteria della Guardia, 3 CpArtiglicria reggimentale, 2 d' Artiglieria a piedi e una a Cavallo, 2 Cp Treno d' Artiglieria,2 Btg del Reggimento Coscritti della Guardia Reale, una Cp Marinai, una Cp Equipaggi Militari coi cavalli. A queste truppe si aggiungevano i Dragoni Regina, il Gran P8fC-O d'Artiglieria e il Parco del Genio.


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I Napoletani 30 - 10.329 fanti e 1.853 cavalieri - invece sarebbero arrivati in ritardo e sarebbero rimasti a Yilna, entrando in azione solo al ritorno dei resti della sfortunata spedizione. Comunque i Russi non si aspettavano l'invasione, o almeno non così presto, tant'è vero che avevano solo 200.000 uomini anziché gli oltre 300.000 prevfati dall'organico di guerra. Dispostili meglio che poterono a copertura delle vie di Mosca e San Pietroburgo, cercarono di prender tempo per completare gli effettivi. Napoleone spedì MacdonaJd sulla loro destra e Schwartzenberg sulla sinistra. poi col grosso tentò d"agganciarli per distrnggerli in un'unka e decisiva battaglia campale. Ma i Russi se lo aspettavano e gli sfuggirono dividendoglisi davanti in due parti e ritirandosi verso Drissa e Smolensk, sempre a copertura delle vie per le due capitali, lasciandosi dietro la più completa distrnzione. Più che mai deciso ad ingaggiar-e la battaglia campale risolutiva e senza accorgersi che i nemici stavano adottando la vecchia tattica settecentesca di evitarla, logorandolo ed allontanandolo dai magazzini, Napoleone si addentrò sempre più nel loro territorio. Credè d'averli agganciati a Ostrovno e poi a Vitebsk, ma in entrambi i casi scoprì d'aver combattuto contro delle semplici retroguardie. Fatto sconfiggere e volgere in ritirata da Oudinot il corpo di Wittgenstein a copertura di Pietroburgo, puntò alla conquista della capitale più antica e più cara al cuore dei Russi e marciò su Mosca, pure perché là si dirigeva il loro grosso. Era agosto o rmai; e già l'assenza di rifornimenti si faceva sentire. L'indisciplina minava la compattezza dei reparti e le diserziorni e le malattie (j indebolivano. Incurante di ciò. l'Imperatore arrivò a Smolensk e l'attaccò il 17 agosto, battendo i Russi, come pure a Valutina pochi giorni dopo, e proseguendo verso Mosca. Sempre più preoccupato della sorte di quest'ultima, lo zar Alessandro mise a capo dell'esercito il generale Kutusov e gli ordinò di difenderla accettando la battaglia campale che Napoleone cercava. Soldato della vecchia scuola, l'anziano generale russo si fortificò meglio che poté nei pressi di Borodino costruendo un'imponente ridotta e attese l'attacco nemico. 11 7 settembre Napoleone gli andò addosso colla maggior parte delle sue tn1ppe e ingaggiò una battaglia di distruzione impiegando pure reparti italiani. A sera entrambi i contendenti erano ugualmente esausti, ma Kutusov decise di abbandonare il campo e ritirarsi oltre Mosca che venne disseminata di focolai d' incendio. Ripresa l'avanzata disponendo le truppe italiane a protezione del fianco sinistro, il 15 Napoleone entrò nella città con 80.000 uomini, fra cui la Guardia Reale. Secondo le regole, la presa della capitale avrebbe dovuto indurre lo Zar alla trattativa e alla pace; ma i Russi di capitale ne avevano anche un'altra e non seguivano le regole, o almeno non quelle di Napoleone. Mentre quest'ultimo cercava d'imbastire un negoziato, il nemico gli riapplicava contro un altro aspetto della vecchia tattica settecentesca, lanciando i Cosacchi a infestargli le retrovie, a tagliargli le comunicazioni e ad assalirgli gli avamposti. Tormentata dalle scorrerie e priva di rifornimenti, viveri ed abiti adatti a sopportare iJ gelo crescente, la Grande Armata iJ 19 ottobre cominciò a ritirarsi, sperando di raggiungere i propri magazzini prima dell'inverno russo. Ma era troppo tardi. Fino a quel momento i reparti italici erano stati impiegati nella copertura delle linee di rifornimento o in operazioni di ricognizione, fiancheggiamento e foraggiamento, mentre gli Italiani militanti nei reggimenti francesi - 85°, 107°, 111 ° e 127 ° di Linea per citarne solo al30 Formanti una divisione comprendente 2 Btg Veliti della Guardia Reale Napoletana, il s•. 6° e 7° di Linea (tu tti quaternari), il 2° Leggero (binario), 2 Cp Marinai, 3 Sqd Guardie d'Onore. altretJanti di Cavalleggeri, 2 di Ussari. 3 batterie d' Artiglieri a una delle quali a cavallo. Le batterie partirono coi soli cavalli da sella e da tiro. perché i cassoni. i carriaggi ed i cannoni dovevano esser loro forniti dal Gran Deposito della Guardia imperiale.


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cuni - avevano già avuto modo di distinguersi, in particolare il 111°. Da quel momento invece l'Esercito Italiano si trovava all'avanguardia dell'intera Armata. La via della ritirata passava per Malojaroslavez. Là, informato con tre giorni di ritardo del movimento dei Francesi, Kutusov aveva mandato a intercettarli il generale Doctorov con 80.000 uomini. Il 24 mattina quattro reggimenti di Cacciatori russi piombarono sulla Divisione Delzons31 ; e gli Italiani della Divisione Pino accorsero a sostenerla insieme ad altri reparti francesi - nel complesso non più di 17.000 uomini - mentre sopraggiungeva pure il grosso di Doctorov. Dopo 18 ore di combattimento, i Russi vennero respinti e lo stesso Doctorov ucciso. «La Guardia Reale italiana/11 parlicolarmente impiegata in questo macello, ed essa perdette la più gran parte della sua gente. La ciuàfu presa e ripresa undici volte, durante la giornata»' ammise il generale russo Benoigsen. «Non possiamo fare a meno di confessare che il comhallimento di Malo-Jaroslawetzfa il più grande onore alle truppe del V,cer黕i avrebbe scritto poi il colonnello Buturlin, aiutante di campo dello Zar. Sul terreno restarono 8.000 russi e circa 5.000 franco-italiani. intanto la temperatura era scesa sotto zero ed era comparsa la prima neve. rallentando i movimenti. A Viazma, il 3 novembre. si ebbe un nuovo scontro coi Cosacchi «Le truppe italiane resisterono con coraggio. ma quelle di Davout ... dopo Malojaroslawetz non conservavano più il bel contegno che le aveva distinte in tutto il corso della campagna»••i. La prima quindicina di novembre trascorse in un crescendo di attacchi russi contro le retroguardie. le salmerie, i fianchi dell'Annata io ripiegamento. Ogni ostacolo naturale diventava la base di partenza o l'occasione d'un'offensiva. Gli Italiani non ebbero requie, impegnandosi a fondo per difendere se stessi e l'Armata dalla distruzione. domandandosi se la morte sarebbe giunta prima per i proiettili nemici o per il freddo. Il 15 novembre Kutusov arrivò a Krasnoi con 90.000 uomini e si presentò sul fianco dei 42.000 combattenti e 30.000 sbandati a cui era ridotta la Grande Armata. Napoleone dovè decidere se fermarsi ad attendere la retroguardia o proseguire abbandonandola. Si fermò e il 18 ne scaturì una furiosa battaglia alla quale partecipò la Guardia Reale. Sganciatosi con forti perdite ma evitando la distruzione, l' lmperatore avviò il suo esercito alla Beresina. La temperatura era ormai scesa a 30 sotto zero. I soldati morivano a migliaia per il freddo e la fame; e i feriti erano abbandonati al nemico perché non c'era modo di trasportarli. A dire la verità i Russi non stavano molto meglio, perché pure le loro forze, per il freddo e la fatica. erano ridotte alla metà; ma avevano il vantaggio dell'iniziativa, dei rifornimenti costanti e della paura instillata nell'animo del nemico, ai cui occhi apparivano più forti di quanto non fossero. Gli Italiani passarono il fiume nella notte dal 27 al 28. Appena in tempo, perché all'alba del 28 i Russi attaccarono. Furono contenuti dal contrattacco del Maresciallo Victor, che impedì il disastro completo e salvò le truppe ancora valide trasferendole sulla riva opposta prima delle 9 del mattino; ma circa 10.000 tra sbandati e feriti, 40 cannoni e praticamente tutti i carriaggi non poterono passare e, quando alle 9 e mezzo i ponti furono fatti saltare, rimasero in mano al nemico. Mentre Napoleone partiva per Parigi per organizzare immediatamente un nuovo esercito, la ritirata proseguì. Ora i soldati validi erano 7.300 in tutta l' Armata e speravano di raggiungere Vilna al più presto, sapendo che Jà li attendevano un corpo di 20.000 uomini - comprendente tutti i Napoletani - e i magazzini. Vì giunsero il 9 dicembre, tallonati dai Russi e ridotti

31 Comprendente la Brigata italiana del generale Villata.

v Bennigsen, rip. in CAPPELLO. «Gli italiani in Russia nel 1812», città di Castello, SMRE, 1912. pag. 209. vi Buturlin, rip. in CAPPELLO, cil., ivi . .;i Buturlin, rip. in BOLLATI, ''Gli Italiani nelle armate napoleoniche''. Bologna, 1938. pag. 111.


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ad una massa informe di sbandati semicongelati e moribondi «La sola Guardia Imperiale e Reale aveva ancora sembianze di truppa orga11i:;zata,.•iii. Ma i nemici avanzavano e non c'erano forze per resistere. Cosl la ritirata prosegui verso occidente e si arrestò solo a Marienwcrder, protetta finalmente dalle truppe fresche radunate da Napoleone in tutta Europa e concentrate sulla linea dell'Elba. li viceré Eugenio poté finalmente contare i superstiti. Dei 52.000 Francesi e Italiani che sei mesi prima avevano varcato il Niemen nel suo IV Corpo: « ...non mi rimangono che 2.000 uomini32, dei quali la metà sono feriti»iA, scrisse tristemente alla moglie. Degli oltre 27.000 italici partiti, ne erano ritornati un migliaio. Erano stati persi tutti i 740 buoi e quasi tutti gli 8.300 cavalli in dotazione, tutti e 58 i cannoni e tutte le salmerie ed i carriaggi di qualunque tipo. I superstiti erano in condizioni disastrose: «Mi trol'O nudo del tutto e quel che~ peggio senza 1111 soldo... Qui non ci danno danari, perché tutti i tesori dell'Armata sono stati presi dal nemico»• scriveva il 29 dicembre il tenente d'Artiglieria Rosa, della Divisione Pino. Gli faceva eco il 1° gennaio 1813 il capitano Belcredi del Genio italico: «Già da quattro giorni mi trovo a Dan;:_ica dove sono arrivato lacero come un pe.,:.ente e con una camicia piena di pidocchi che.finalmente mi sono levato di dosso .... Ho perduto cavalli, equipaggio e 111110. Insomma, non mi resta che una cattiva uniforme ed un paio di calzoni di tlltta la mia roba, ma pazien;:.a, che ho sabvato la vita e la libertà e sono ben contento.,.n. La Grande Armata era ridotta da 600.000 a 18.000 uomini, la metà dei quali inabili al servizio. La loro ritirata era protetta da lontano dalla resistenza di alcune piazzeforti, i cui assedi assorbivano consistenti forze nemiche e le cui guarnigioni erano in gran parte composte da Italiani, sia italici, sia napoletani, sia dei reggimenti francesi. Prescindendo dalle difese di Amburgo - dov'erano i reggimenti francesi 28° Cacciatori e 111° di Linea - di Wiirtzburg - difesa dai Toscani del 113° di Linea e del 13° Ussari (misto di Toscani e Romani) - e di Stetuno, gli assedi più importanti sostenuti dagli Italiani furono quelli di Danzica e di Glogau. Glogau era stata presidiata da resti del IV Corpo tra cui un Battaglione di formazione italianoJJ e. bloccata nel febbraio del 1813, avrebbe resistito fino al ritorno della Grande Armata il 27 maggio. Danzica invece ebbe un assedio più lungo e più duro. Vi erano stati concentrati 30.000 uomini, tra i quali i Napoletani della divisione d'Estrées e un'aliquota del 113° di Linea. Bloccati il 22 gennaio 1813 dalle truppe russo-prussiane, resisterono con forti perdite per tutto l'inverno, compiendo continue sortite. perlopiù di foraggiamento. In particolare i Napoletani del 5°, 6° e 7° di Linea ebbero perdite tali da obbligare il comando piazza a ridurre la divisione a una brigata comandata dal generale Florestano Pepe. L'assedio terminò I' 11 giugno, quando arrivò la notizia dell'intervenuto armistizio cogli Alleati e la guarnigione poté rifornirsi. Alla ripresa delle operazioni, nella seconda metà d'agosto, i tre reggimenti di Linea napoletani furono impiegati a Pitzkendorf, il 29, e poi ancora nei giorni seguenti in combattimenti asprissimi. Priva di viveri e conscia dell'impossibilità di ricevere aiuti a causa della disperata situazione di Napoleone in Germania, il 28 novembre la guarnigione di Danz.ica accettò una convenzione di capitolazione per cui, se non avesse ricevuto soccorsi entro il 1° gennaio 1814 sarebbe uscita dalla città. Ovviamente non ne arrivarono e il 2 gennaio furono deposte le armi. 1

viii Saggi, rip. in CAPPELLO, op. cii., pag. 290. 32 Per la precisione arrivaroao a Marienverder 2.844 uomini, ci~ 207 ufficiali e 2.637 fra sottufficiali e soldati sia italiani che francesi. "' Lettera alla Viceregina, rip. in CAPPELLO, op. cit,, pag. 316. x Rip. in CAPPELLO, op. cit, pag.319. xi Rip. in CAPPELLO, op. cit., pag. 318. 33 Composto da superstiti del 2° e 3° di Linea. del 3° Leggero e del Battaglione Reale Dalmata.


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Napoletani - ridotti a 1.587 uomini validi e 240 ammalati, ufficiali inclusi - poterono rientrare in Italia poiché Murat si era schierato a fianco degli Alleati contro Napoleone. Tutti gli altri finirono prigionieri di guerra.

IX) Gli Italiani a Lipsia: 1813

Napoleone era arrivato a Parigi quasi insieme alla notizia del disastroso passaggio della Beresina e si era subito messo all'opera per organizzare un nuovo esercito. Ma era troppo tardi. La vittoria dei Russi aveva risvegliato tutti i suoi nemici e stava nascendo la VI Coalizione: Russia, Prussia, Austria, Svezia e Inghilterra; e ancora Spagna, Portogallo e Sicilia correvano alJe armi per marciare da sud e da nord contro l'Impero. Con una rapidità degna di lui, Napoleone alJineò suU'EJba 140.000 fanti, 8.000 cavalieri e 600 cannoni, per proteggere gli ultimi passi dello stremato esercito scampato alJa Russia. Ma i soli Prussiani stavano mettendo in campo 200.000 uomini; i Russi avanzavano con tutte le loro forze e l'atteggiamento austriaco era tutto meno che fedele all'alleanza francese. Gli Alleati passarono l'Elba con 80.000 uomini ma, dopo un primo scontro a Weissenfels, furono battuti da 120.000 francesi a Liitzen il 2 maggio 1813. Tornarono suJJa sponda da cui erano partiti concentrandosi a Bautzen: e là Napoleone li assalì e vinse il 20 e 21 maggio, senza però riuscire ad ottenere il completo successo che avrebbe voluto. Non li distrusse e, invece di terrorizzare gli indecisi - Austria e Svezia - raggiunse solo un armistizio il 7 giugno. Ne approfittò per elevare i propri effettivi in Germania a 260.000, con altri 50.000 in Italia; ma ormai gli Alleati ne avevano messo in campo quasi il doppio. Oltre mezzo milione di Svedesi, Prussiani, Russi, Austriaci e Inglesi stava avanzando contro di lui nell'Europa Centrale, staccando un corpo di 40.000 uomini a sorvegliare eventuali mosse del Viceré dall'Italia. Il 17 agosto 1813 furono riaperte le ostilità. Gli Svedesi ed i Prussiani prevalsero nel nord della Germania, mentre i Francesi riuscivano a battere i 200.000 uomini di Schwartzenberg diretti a Dresda. La mossa seguente degli Alleati fu semplicissima. Visto che le forze di Napoleone erano in avanti al centro e in ritirata sul!' ala sinistra, scesero in massa verso sud - sfruttando il passaggio della Baviera nelle loro file - e gli si presentarono alle spalle. Napoleone radunò tutte le forze disponibili e corse ad affrontarli a Lipsia per non essere accerchiato e tagliato fuori dalla Francia, dando origine alla " battaglia delle Nazioni" durata dal 16 al 19 ottobre 1813. Per quanto li riguardava, gli Italiani avevano cominciato a muoversi verso la Germania già nel tardo autunno del 1812, quando alla Divisione francese Grenier - proveniente dall 'l talia Centrale - era stata aggregata la 4° Brigata italianaJ4, comandata dal generale Zucchi. Arrivata a Berlino alla fine del gennaio 1813, fu destinata ad unirsi alle truppe del Viceré, teoricamente a Posen, ma tuttora in piena ritirata. Partecipò ad alcuni combattimenti. piccoli ma cruenti, e protesse il ripiegamento dei reduci dalla Russia verso l'Elba. Nel frattempo gli ordini d'adunata di tutte le truppe disponibili aveva portato a costituire un Corpo d'Osservazione d'Italia agli ordfoi del generale francese Bcrtrand, in cui era stata

34 Più che una brigata era un'unità di formazione di forza superiore a quella di una normale divisione italica. visto che era composta dal 5° dl Linea (su 4 battaglioni), da due Btg del 2° Leggero; dal 4° Cacciatori a Cavallo; una batteria a cavallo ed una a piedi d'Artiglieria, una compagnia Zappatori ed una di Marinai, per un totale di 7.391 uomini e 1.439 cavalli. Un'altra batteria d'artiglieria a piedi italiana era inquadrata in una brigata francese della medesima divisione. Nel complesso, comprendendo anche quelli militanti nei reparti francesi, gli Italiani in Germania nel 1813 erano oltre 80.000. Peyri, infine, sarebbe stato sostituito nel comando della Divisione dal generale Fontanelli ministro della guerra del Regno d'Italia, nel giugno 1813.


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inquadrata la 4• Divisione italiana del generale Peyri35• li Corpo Benrand arrivò in Gennania in aprile, assunse la denominazione di IV Corpo della Grande Annata - già portata dal distrutto IV del principe Eugenio in Russia - e andò subito in linea. Ripartita la cavalleria fra le varie Grandi Unità francesi e inserita la Brigata Zucchi nell'XI Corpo, fino a Bautzen ed al conseguente armistizio gli Italiani furono impegnati con fortissime perdite in una congerie di scontri aspri e frammentati a Mockem, Nedlitz, Halle. Uitzen. Gersdorf e Nossen per citare solo i primi. Ridoui al 50% della forza e risaliti al 75% grazie all'arrivo dei complementi - all'8 agosto 1813 la Divisione FontaneHi allineava 8.405 uomini anziché i 12.528 previsti; e solo grazie all'arrivo di una Brigata di Marcia condotta dal generale Moroni, mentre la Brigata Zucchi, scesa a circa 2.000. era risalita a 3.700- allo scadere della tregua gli Italiani vennero nuovamente a trovarsi in piena mischia. Zucchi combatté contro i Russo-Prussiani. occupando Lahn - difesa da oltre 7 .000 uomini e 12 cannoni e presa alla baionetta al grido di "Viva l'Italia.. - e poi Nieder-Au. Fontanelli invece proteggeva la ritirata su Wittembcrg del Corpo di Oudinot, sconfitto a Gross Beeren, mentre la cavalleria italiana si distingueva il 27 agosto a Dresda. nella ballaglia che obbligava le truppe di Schwartzenberg a ripiegare in Boemia. Settembre vide gli Imperiali in piena ritirata dal nord. con Zucchi a coprire le spalle di Macdonald - anche a costo di rimanere solo come a Janowitz. quando si dimenticarono di comunicargli l'ordine di ripiegamento - e Fontanelli in sicurezza ai corpi del Maresciallo Ney. proteggendone la marcia verso l'Elba e resistendo in quadrati di battaglione alle continue cariche della cavalleria alleata. li 22 settembre Zucchi fu promosso divisionario dall'Imperatore in persona, che gli disse poi: «So110 soddisfatto degli Italiani: dovunque Ji trovano si distinguono sempre...»•;;_ Era forse l'ultimo di una lunga serie di apprezzamenti di Napoleone guadagnati dagli Italiani col proprio sangue sparso in mezza Europa. Accorsi coll'Imperatore a fermare gli Alleati in arrivo a Lipsia. i soldati di Zucchi furono destinati alla presa delle alture di Gross-Posnan, mentre quelli di Fontanelli dovevano presidiare Lindenau, unica possibile via di ritirata. Ma l'andamento della battaglia fu risolto drasticamente dalla defezione di tutte le truppe sassoni della Grande Armata, passate agli Alleati il 18 a Pamsdorf. Questo indusse Napoleone, restato con circa 60.000 uomini. alla ritirata verso il Reno e la Francia. ritirata tramutatasi in una rotta nella quale pochi comandanti riuscivano a reggere ancora ordinatamente l'uno dell'esercito nemico. Tanto Zucchi - ridotto a due soli battaglioni -quanto Fontanelli furono fra questi. l'uno a Marchkranstadt e l'altro a Lùtzen e poi il 21 a Kosen. coprendo la fuga di quella che un tempo era stata la temutissima Grande Armata dell'Impero. Ordinato il rimpatrio ai reparti italici e napoletani meno efficienti. Napoleone trattenne la Divisione Fontanelli, impiegata il 31 a difendere il ponte di Lemboy dall'attacco dei Bavaresi. Ma anche per essa - o meglio per i suoi 800 superstiti - stava per scoccare l'ora del ritorno. Raggiunta Magonza. il I O novembre ebbe l'ordine di rientrare in Italia per costituirvi il nucleo

35 Su due Brigate, 1• e 2', comprendenti rispettivamente: il 1° e il 4° di Linea e il Banaglione delle Guardie di Milano: il 6° e il 7° di Linea, 2 Compagnie d'Artiglieria a piedi. una a cavallo. una del Treno. una di Zappatori, una Trasporti e due di Operai di Marina. per un totale di 9.867 uomini. Le unità italiane di Cavalleria invece furono concentrate tutte nella divisione del generale Fresia e furono: il 1° e il 2° Cacciatori a Cavallo, il Reggimento Dragoni di Napoleone. il 2° Cacciatori a Cavallo napoletano, uno squadrone del 3° Cacciatori a Cavallo italico, una compagnia d' Artiglìeria a Cavallo ed una del Treno. per un tOtale di circa 2.200 uomini e 2.000 cavalli. 11 • Napoleone, rip. in BOLl.ATI. op. cit.. pag. 138.


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del riorganizzando esercito italico il quale, nei piani dell'Imperatore, avrebbe dovuto resistere sull'Adige fino a primavera ed eseguire poi una diversione contro l'Austria per favorire il suo attacco su Vienna attraverso la Germania. Salutatele con parole di grande ammirai.ione - «/ segnalali servigi che gli Italiani mi han• no reso in questa campagna mi hanno colmato dì giubilo... la loro intrepida condotta, la CO· stanza dimostrata fra i rovesci e le sventure di ogni specie .... Tutro ciò mi ha confermato che bolle sempre nelle vostre vene il sangue dei dominatori del mondo» e ancora «lo partecipavo al pregiudizio di disistima verso le truppe napoletane: esse mi hanno colmato di meraviglia a Liitzen, a Bauizen, in Danzica, a Lipsia e ad Hanaw,xiii - Napoleone congedò le truppe italiche e napoletane, i cui ultimi reparti arrivarono a Milano alla fine di dicembre coi ranghi ridottissimi. La Brigata Zucchi, tanto per fare un esempio, era ridotta a 461 uomini. ufficiali inclusi: cioè, inclusi i complementi ricevuti in estate, al 5% della forza. Di 28.400 uomini e 8.000 cavalli partiti tra l'autunno del 1812 e l'estate del 1813 per la Germania, ne tornavano ora solo circa 3.000 con 500 cavalli.

X) Gli Italiani di Sardegna: 1800-1814

Mentre sul Continente il sole di Austerliz sorgeva e percorreva il suo lento tragitto verso il tramonto che l'attendeva a Waterloo, in Sardegna era rimasto intatto un pezzo di Antico Regime italiano con un suo esercito in miniatura. Alla bufera napoleonica era infatti sfuggita la guarnigione locale, formata dalla milizia e da poche unità d'ordinanza, le quali erano riuscite, insieme alle forze di mare. a respingere tutti i tentativi francesi di sbarco. Il primo si era verificato nel dicembre l 792, quando avevano impedito al corpo di spedizione dell'ammiraglio Truguet di prendere terra a Cagliari, prima, poi il 12 febbraio 1793 a Quarto e infine, sempre nel febbraio, a La Maddalena. Mentre nei primi due casi l'azione detenninante era stata svolta dalle truppe di terra, regolari o di milizia, la difesa della Maddalena era ricaduta tutta esclusivamente sul personale della Marina. All'assorbimento del Piemonte da parte della Francìa nel 1798, Carlo Emanuele IV era passato in Toscana, venendo poi a Cagliari il 3 marzo 1799. Nel 1802 abdicò in favore del fratello, Duca d'Aosta. E Vittorio Emanuele I. per grazia di Dio Re di Sardegna, Cipro e Gerusalerrune, restò nell' Isola di cui era sovrano con una larva di esercito - 1.585 uomini. di cui 1.113 fanti. 278 cavalieri e 194 artiglieri - poiché della fanteria d'ordinanza della vecchia Armata era rimasto il solo Reggimento Sardegna. Articolato su due battaglioni, ognuno di sette compagnie fucilieri e una di granatieri, costituiva l'ossatura delle truppe d'ordinanza, perché le altre si riducevano a quattro compagnie dei Dragoni Leggeri di Sardegna, a una Compagnia d'Artiglieria FrancaJ6 stanziata a Sassari, alla Centuria Leggera e, ottenute radunando gli lnvalidi e tutti i militari isolati provenienti da reparti nazionali ed esteri, la Compagnia dei Cacciatori Esteri e quella degli Invalidi. Nel febbraio del 1806 fu istituita la Compagnia di Grazia pel servizio di Marina - un reparto di fanteria di Marina - aggiungendone una seconda il 15 novembre. quando venne sciolto il battaglione della milizia di Cagliari passandone i migliori elementi nella nuova Compagnia Leggera di Marina. Nel 1808 Napoleone vietò alle navi sarde il commercio coi territori a lui soggetti. Vittorio Emanuele reagl chiudendo i suoi porti a quelle dei Francesi, o ad essi collegate, e cominciò lo

xiii Rip. in BOI.LATI, op. cit., pag 139. Una prima riorganizzazione riguardò l'Artiglieria, ridenominando la Compagnia Franca "Corpo Reale d'Artiglieria" - su uno Srato Maggiore e tre compagnie -e destinandone i militari al presidio delle torri e fortificazioni costiere; ma la sua forza restava minima: 194 uomini al comando d'un capitano. .J(>


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stato di guerra. Non vi furono mai scontri fra le due parti; ma il Re capì di dover riorganizzare ancora le sue forze, sia per scoraggiare i Francesi dal tentare uno sbarco, sia per convincere gli Inglesi che non aveva bisogno di loro e che ali 'occorrenza si sarebbe potuto difendere da solo. Le truppe di terra vennero allora articolate su tre divisioni, che sulla carta allineavano circa 16.000 uomini tra fanti, cavalieri ed artiglieri37, con una spesa di 1.004.575 lire per l'intero Esercito. Restava comunque un notevole divario fra teoria e pratica, se si pensa che alla fine del 1809 le forze di terra effettivamente presenti ammontavano a 3.538 uomini (2.368 fanti, 538 cavalieri e 433 artiglieri), ufficiali inclusi. La spina dorsale restava il Reggimento Sardegna, che costava all'erario 218.558 lire sarde all'anno e i cui battaglioni erano stanziati a Cagliari, il I, e a Sassari e Alghero, il Il. Comunque il bilancio del Regno non bastava nemmeno a mantenere queste ridotte forze, cosicché, a partire dai primi del 1810, gli organici si ridussero progressivamente38, benché il loro mantenimento assorbisse sempre almeno i tre quarti delle enrrate39. Poi vennero due delle più terribili carestie che la Sardegna avesse conosciuto negli ultimi decenni e si rese necessaria la riduzione dell'organico. Così, nel 1812, l'esercito fu conll:ratto a 2.533 uomini40; e alla Marina andò anche peggio, perché « ..per mnncanza di denaro delle regie casse restarono tulle le navi in disarmo, fuori d'uno sciabecco, la Tartana, la Galliotta, e il Lancione; e alla.fine dell'anno......si progettò di vendere la galera, e le meu.e galere, e ridurre a pochissimo la marina, che era troppo costosa»xiv. infatti la vittoriosa resistenza opposta ai tentativi di scorreria operati da una squadriglia tunisina di nove legni fu opera delle sole truppe regolari e di milizia. Del resto senza queste ultime non si sarebbe potuto vivere sicuri, perché certo non sarebbero bastate le truppe d ' ordinanza a proteggere il Regno da uno sbarco nemico. La Milizia era stata istituita nel I 794. Riordinata nel '97 e nel '99, era organizzata in reggimenti di fanteria e di cavalleria - tutti su otto compagnie e uno Stato Maggiore - inizialmente forti rispettivamente di 1.606 e 806 uomini inclusi ufficiali e sottufficiali. Dopo il 1802 vi furono altre riorganizzazioni; ma nel complesso, per quanto diminuisse la forza delle compagnie, possiamo dare piena fiducia al Duca di Modena, che nel 1811 ne valutava gli effettivi a 11 .200 fanti e 6.000 cavalieri riparti ti rispettivamente in I 4 e 10 reggimenti; e tali sarebbero rimasti fino allo sciogli mento, avvenuto dopo La cessazione del pericolo napoleonico nel 1815. Intanto continuavano a diminuire le entrate e si dovè scegliere se diminuire le truppe o il naviglio. Si optò per la seconda soluzione e la si comunicò al comandante della Marina Des Geneys il 13 febbraio 1813. In più Vittorio Emanuele I era rimasto sfavorevolmente impressionato dal coinvolgimento di alcuni sottufficiali e soldati del Battaglione di Marina, quasi tutti ex disertori dall'esercito francese arruolati in Spagna, alla congiura tentata a Cagliari nella notte dal 30 al 31 ottobre 1812. Per questi motivi sciolse il battaglione e ne inquadrò gli uo-

37 Articolato in tre Divisioni. l'Esercito doveva comprendere 11.077 fanti e 4.566 cavalieri, oltre agli artiglieri del Corpo Reale. Vennero creati il Battaglione Cacciatori di Savoia - il vecchio Cacciatori Esteri accresciuto d'una quarta compagnia - forte di 600 uomini e il Reggimento Cavalleggeri di Sardegna cioè l'ex Corpo dei Dragoni - con 538 uomini e 530 cavalli. 38 Nonostante questo. proprio nel giugno di quell'anno Vittorio Emanuele I concluse un trattato con Ferdinando VU di Spagna, in base al quale gli veniva data la possibilità di arruolare in Spagna i soldati piemontesi che avessero disertato dalle truppe francesi. 39 La Marina da guerra, navi incluse, assorbiva sempre 100.000 lire annue, cioè la metà del solo Reggimento Cavalleggeri di Sardegna, che ne costava 202.500. 40 IJ Reggimento Sardegna scese a 1.160 effettivi, la fanteria leggera - Corpo Franco, Cacciatori di Savoia e Centuria di Marina - a un totale di 7 I O, la cavalleria a 390 con 302 cavalli, l'artiglieria a 293. >iv FRANCESCO D'AUSTRIA-ESTE, duca di Modena, «Descrizione della Sardegna». Roma, I 934, pag. 59.


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mini nella Centuria di Marina. Infine i legni furono ridotti al minimo e solo con funzioni anticontrabbando. Non c'è da stupirsi che con forze tanto esigue nel 1813 si riuscisse a malapena a sostenere a terra l'assalto portato contemporaneamente da navigli di tutt'e tre le Reggenze Barbaresche e ad uscirne senza troppi danni. Ma la lunga parentesi napoleonica era alla fine. Il 9 maggio 18 I 4 Vittorio Emanuele sarebbe sbarcato a Genova dalla nave inglese Boyne e iJ 7 gennaio 1815 avrebbe ricevuto formalmente la Liguria, assegnatagli al Congresso di Vienna.

XI) Gli Italiani di Sicilia: 1806-1815 La pubblicistica del periodo napoleonico e, per ovvi motivi, quella postunitaria, ha sempre parlato malissimo del decennio trascorso da Ferdinando IV a Palermo, rinfacciandogli l'inettitudine a governare, l'autoritarismo soffocatore delle libertà e delle prerogative dei Siciliani, la cessione agli Inglesi delle piazzeforti di Augusta e Messina in cambio di un sussidio di 400.000 sterline annue e la sottomissione totale al rappresentante britannico Lord Bentinck. A ben vedere, però, Ferdinando non aveva alternative e fece del suo meglio, se non in assoluto, almeno dal suo punto di vista, cioè per mantenere la corona ed un minimo di potere. L'arrivo a Palermo della corte e di una gran folla di emigrati aveva posto il grave problema del mantenimento loro e dell'esercito. Le casse erano già poco floride e, non potendo fare altro, si andò a prendere il denaro là dove si trovava, cioè nella cassaforte del Monte di Pietà e del Banco di Palermo. Questo sollevò ampi malumori. è vero, ma l' unico modo di ottenere finanziamenti consisteva nel farli votare dal Parlamento iJ quale, a dispetto di quanto si diceva allora e di quanto fu sostenuto poi, non era altro che la camera mediante la quale i Feudatari del Regno imponevano, con maggiore o minore successo. la propria volontà alla Corona. Nell'ultimo quarto del secolo precedente Ferdinando aveva tentato di limitarne le prerogative attraverso l'energica azione del viceré Caracciolo. Uomo serio e progressista, dotato d'un vivissimo senso dello Stato, concreto e devoto alla Corona, Caracciolo si era scontrato duramente coi nobili, cercando d ' attuare la medesima politica inaugurata da Vittorio Amedeo Il nel 1713 per limitarne l'influenza e demolirne i privilegi a vantaggio del potere centrale. Ma i continui cambi di ministero, la brevità del mandato vicereale, la resistenza ora attiva ora passiva esercitata dall'aristocrazia isolana e, sopratutto, la necessità che dal 1792 la corona aveva avvertito di non irritarla se ne voleva ottenere il denaro necessario alla mobilitazione dell'esercito in funzione antifrancese, avevano vanificato ogni buon risultato. La gravità della situazione non era stata avvertita finché iJ Re era rimasto a Napoli. La breve permanenza a Palermo nel 1799 non l'aveva portata in luce; ma adesso, quando occorreva fronteggiare la minaccia francese, tutti i nodi vennero al pettine. I baroni pretendevano sostanzialmente l'immunità assoluta in tutto e per tutto- tasse giurisdizione e quant'altro - in cambio del denaro che avrebbero graziosamente elargito a Sua Maestà, considerandolo più un primus inter pares che un Capo di Stato e, quindi, pretendendo di interferire colla sua politica, trasformando il Regno in un 'oligarchia aristocratica. Davanti a una simile limitazione dei propri poteri, né Ferdinando, né Maria Carolina erano disposti a cedere. Per resistere - al Parlamento ed ai Francesi - dovevano però mantenere in efficienza il puntello della dinastia, cioè le Forze Armate, e senza denaro non si poteva. L'alternativa consisteva nel domandarne a Londra; ma era ovvio che avrebbero dovuto concedere qualcosa in cambio e, maggiori fossero stati i sussidi, maggiori sarebbero state le limitazioni di sovranità imposte dagli Inglesi. Per non ridurre la Sicilia ad una colonia britannica - ed era evidente che proprio quello gli Inglesi volevano - Ferdinando nel 1808 riorganizzò l'esercito, articolandolo su una riserva


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(dj un reggimento e tre battaglioni di formazione ili Granatieri, ottcnutj in caso di guerra radunando le compagnie granatieri dei Reggimenti di Linea), due divisioni binarie di Fanteria e una ili Cavalleria, Artiglieria, Genio e Servizi, per un totale generale, al dicembre 1808, di 14.138 uomini (esclusi i medici. i commissari e gli ufficiali dei comandi e delle piazze), 57 pezzi da campagna e da montagna e 2.287 cavalli. Tutto questo era diviso in un reggimento dj Granatieri, 7 di fanteria dj Linea41 , incluso quello di "Guarnigione", 4 battaglioni di fanteria leggera, un Reparto di Invalidi, uno di "Massisti" e alcune compagnie di dotazione, 3 Reggimenti dj Cavalleria. uno Squadrone Cacciatori Reali, un Reggimento a piedi ed una mezza brigata a cavallo (ovvero mezzo gruppo, cioè una batteria) d' Artiglieria, una compagnia pontonieri, due compagnje ausiliarie sempre d. Artiglieria, 41 Ufficiali e una Brigata Pionieri del Genio, Treno, Bagagli e Gujde. Il costo era però superiore alle risorse deUa Sicilia, o meglio, alle risorse cbe i baroni erano disposti a concedere. Il Re tenne duro, la nobiltà pure e nel 1811 il dissidio si acuì coll'arresto di cinque feudatari, oppostisi pubblicamente alle nuove imposte volute da lui contro il parere del Parlamento. Davanti al crescente malcontento dell'aristocrazia e temendo che sfociasse in aperta ribellione a vantaggio d'una sempre possibile occupazione francese, Lord Bentinck impose l'allontanamento della Regina dalla Sicilia, l'adozione d' una costituzione sul modello inglese e il passaggio del potere al principe ereditario Francesco. nominato Vicario Generale del Regno finché Ferdinando non si fosse rimesso dalla malattia diplomatica che gli Inglesi gli avevano ordinato di contrarre. Naturalmente il nuovo Parlamento seguì pedissequamente gli interessi dell'aristocrazia isolana e degli alleati britannici, ai quali non interessava come la Sicilia si reggesse, ma semplicemente che non cadesse io mano a Napoleone. Riorganizzato e ridotto a poco più di 16.600 uomini42, l 'esercito si dilatò fino ai quasi 19.000 uomini del I 812 e nel 1813 fu articolato in due "Colonne". La prima era la Colonna Mobile, cioè la parte operativamente valida delle forze armate e comprendeva 6.890 uomini delle tre armi e 488 cavalli; la seconda - la Colonna Stabile - raggruppava i rimanenti circa 10.000 uomini, da impiegare in compiti presidiari. La cosa più notevole di questa ripartizione era la concentrazione dei reparti esteri - formati da Napoletani, o Italiani comunque non siciliani, per questo erano definiti Esteri - nella prima Colonna e ili quelli siciliani nella seconda, colle rispettive eccezioni del Battaglione Granatieri e del 3° Reggimento Siciliano nell'una e del 4° e 5° Estero nell'altra. Parallelamente Ferdinando sfruttò la pessima impressione provocata negli Inglesi dall'incapacità e dalle lotte intestine del Parlamento e si accordò con Bentinck tornando ili fatto al potere ed acconsentendo ad eseguire almeno parzialmente il trattato del 12 settembre 1812. In base ad esso la Corona si era impegnata a fornire una divisione di 7.31.4 uomini, di tutte le armi, a sostegno degli Alleati contro i Francesi e aveva permesso agli lnglesi l'arruolamento in un loro reggimento, detto "delle Leve Italiane", dei soldati reali congedati in seguito alla riforma appena effettuata. Così, imbarcatosi a Palermo insieme a Lord Bentinck, il contingente siciliano. ridotto a una brigata di poco più di 2.000 uomin i43 al comando del colonnello Pastore, si diresse in Spagna e sbarcò ad Alicante per entrare in azione nella zona di Valenza nel febbraio del 1813. Impegnato in azioni minori, partecipò alla sua prima battaglia seria. ma tutt'altro che decisiva, a Castalla il 13 aprile ed allo sbarco effettuato ai prin:ù dj giugno nei dintorni di Tarrago4 1 Reali Presidi, Reali Sanniti, Estero. Valdirnazzara, Valdemone, Valdinoto e Guarnigione. 42 Per la precisione a 16.621 uomini e 1.265 cavalli tutto incluso. 43 Formata dal Battaglione Granatieri Reali, dal I O Reggimento Estero, da due squadroni di cavalleria composti da veterani già appartenenti al Reggimento Principe e da una batteria d'artiglieria da campagna.


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na. Dopo una settimana di combattimenti in cui si erano distinti i due squadroni di cavalleria, il timore dell'arrivo di rinforzi francesi indusse gli Alleati a riprendere il mare. Successivamente la Brigata fu inquadrata nella Divisione del generale Clinton ai confini catalani e fu impegnata ancora, dopo la caduta di Tarragona, a Villafranca il 13 settembre, passando poi ai quartieri d'inverno. Destinata nel febbraio 1814 al blocco di Barcellona, alla fine di marzo venne spostata a Tarragona e ai primi d'aprile reimbarcata insieme alle truppe inglesi destinate all'assedio di Genova, giungendovi però a cose fatte.

XIl) La fine del Regno Italico: 1814 Genova infatti era stata presa da un altro contingente anglo-siciliano, arrivato fin là come parte meridionale della tenaglia alleata che aveva chiuso definitivamente il Regno Italico in una stretta mortale. La prima branca della tenaglia era composta dalle forze austriache in arrivo dal Tirolo e dalla Svizzera. Attese da tempo, si erano trovate davanti i circa 52.000 uomini del già ricordato Corpo d'Osservazione d'Italia, messo in p.iedi in gran fretta al principio della primavera del l813 e di cui il viceré Eugenio aveva preso il comando in maggio tornando appositamente dalla Germania. Si trattava di sette divisioni - quattro francesi e tre italiane«- sparse però a presidiare non solo ritalia, ma pure la Dalmazia. Il grosso dei Francesi guardava le strade Gemona-TarvisioVillaco e Udine-Gorizia, lungo le quali ci si aspettava lo sforzo nemico principale. Gli Italiani controllavano la linea da Lubiana per Pordenone a Palmanova, mantenendo guarnigioni a Fiume, Karlstadt e varie località della Dalmazia. L'avanguardia dei 35.000 austriaci del generale Hiller si fece sotto il 17 a Karlstadt, occupandola e minacciando Fiume, e il 28 a Villaco. Dopo una settimana di scontri. i Franco-.lta1.iani si resero conto di non poter fare altro che tenere le posizioni, inaugurando un periodo di combattimenti accesi e non risolutivi, durante il quale varie località furono perse e riprese in continuazione. Lentamente la pressione austriaca si estese a tutto l'arco della frontiera e crebbe d'intensità. La Divisione di Riserva non fu in grado di resistere in Trentino. i Francesi abbandonarono VìJlaco: Palombini, nonostante qualche successo locale, ricevè l'ordine di ripiegare su Postumia. mentre venivano abbandonate sia Lubiana sia, e questo era peggio, Trieste, nelle cui vicinanze stavano sbarcando reparti inglesi. Ma il problema vero era costituito dal Trentino. Preso il comando della Divisione di R.iserva, il generale Gifflenga stava resistendo e contrattaccando fino a Brunico. Sapeva. al pari di tutti i suoi colleghi italiani e francesi. quanto aveva rilevato anni prima l'Imperatore, cioè che la linea difensiva naturale della pianura veneta era al Piave se si aveva Bolzano, arretrava al Brenta se si possedeva solo Trento e, comunque. a meno d'avere una notevole superiorità di forze. non la si poteva avanzare né al Tagliamento né tantomeno all'Isonzo. Di conseguenza per il possesso di Venezia diventava fondamentale non il mantenimento del Friuli, ma proprio la tenuta di Trento e della Valsugana; e non c'è da stupirsi se il 3 ottobre Venezia fu dichiarata in stato d ' assedio: si trattava di una misura cautelativa in vista dell'ormai evidente e prossimo sfondamento austriaco. Mentre il 5 ottobre ìJ Viceré tentava di concentrare a Verona una nuova massa di manovra - la neocostitu.ita 2" Divisione di Riserva di 4.000 uomini - e chiamava alle armi 15.000 co-

44 Palombini (Y) e Lecbi (6"). riunite nella lll Luogotenenza del generale Pino e la Divisione Bonfanti (Riserva).


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scritti. gli Austriaci accentuarono la pressione contro Gifflenga obbligandolo a evacuare Trento il 16 e costringendo Eugenio de Beauharnais ad ordinare il ripiegamento di tutto il dispositivo difensivo sulla linea dell'Adige. Gifflenga si ritirò combattendo ma non poté certo impedire al nemico di sboccare in pianura e raggiungere Marostica. Là le truppe austriache provenienti dal Trentino si unirono a quelle in arrivo dal Piave e, pur ralleotate da una breve controffensiva franco-italiana su Bassano, poterono staccare colonne in direzione del Garda e di Brescia. Nel frattempo, mentre Venezia veniva bloccata e Trieste cadeva il 31 ottobre, in Dalmazia le cose erano peggiorate tanto da ridurre le piazze controllate daglj Italici e dai Francesi alle sole Zara, Lesina, Cattaro e Ragusa. Il 4 novembre il Corpo d'Osservazione, ridotto a 40.000 uomini, era attestato sul!' Adige, dal Garda al Po. Eugenio cercò di controbattere l'avanzata avversaria con delle puniate offensive della Divisione Palombini. Dopo un successo a Caldiero, la situazione riprese a peggiorare, sia per uno sbarco alla foce del Po di truppe austriache e inglesi dirette ad occupare Ferrara e Rovigo, sia per l'avanzata da sud delle truppe napoletane, non più alleate, ma non ancora nemiche dichiarate, e comunque giunte ad occupare Roma e, ai primi di dicembre, Ancona, primo obiettivo dell'espansione vagheggiata da Mural. L'arrivo delle truppe di Severoli dalla Spagna e di Zucchi e Fontanelli dalla Gennania diede la possibilità di costituire una 6• Divisione forte di 3.000 uomini, data proprio a Zucchi. Ma l'atteggiamento sempre più ostile di Murat, la caduta di Cattaro e Ragusa ed il conseguente disimpegno di altre forze nemiche, indussero il Viceré a ripiegare fino al Mincio. Di nuovo, ai primi di gennaio, la ritirata fu seguita da un ripensamento e da una puntata offensiva contro gli Austriaci nella zona di Salionze e Cavalcaselle, tra Peschiera e Verona; ma il 15 gennaio arrivò la doccia fredda della dichiarazione di guerra di Murat. Sotto la spinta di tanti nemici, i Franco-Italici si concentrarono nella Pianura Padana mantenendo qualche posizione sulla riva destra del Po come base di partenza di una controffensiva. Ma in marzo la situazione sul Mimcio peggiorò ancora e li obbligò a sguarnire la linea difensiva padana, mentre diventava indifendibile il settore toscano. Mentre Napoleone veniva respinto attraverso la Francia e il 31 marzo gli AJJeati entravano trionfalmente a Parigi suggellando la fine del Primo Impero, il Regno Italico resisteva ancora in una lenta agonia aggravata dal crescente numero di nemici. I reparti austriaci operanti nell'Italia Centrale erano stati infatti coadiuvati dall'azione d'un corpo anglo-borbonico. Agli 8.000 fra Corsi, Italiani di altre regioni, Greci, Inglesi ed Hannoveresi militanti sotto la bandiera britannica, Ferdinando IV aveva aggiunto 5.000 uomini45, riducendo i soldati di pronto impiego in Sicilia a un paio di migliaia. La divisione così formata era scesa in campo a fianco degli Austriaci e del nuovo e inatteso alleato Gioacchino Mural. Rimandando al futuro la questione del comportamento da tenere verso di lui e limitandosi ad usufruire delle sue truppe, Lord Bentinck e Ferdinando rv il 9 marzo sbarcarono a Livorno i loro reparti. Il primo risultato fu una rissa in città fra i borbonici e i murattiani, inducendo Bentinck a indirizzare i secondi verso l'Emilia e portare i primi con sè in Liguria. Stanchi e demoralizzati perché certi dell'incombente fine, i Francesi si fecero respingere senza troppa resistenza fino a Genova, dove erano decisi ad opporsi sperando in una riedizione del 1799. Raggiunta dagli Anglo-Siciliani il 12 aprile 1814, dopo sei giorni di accanitissimi combattimenti, la sera del 18 la città era costretta a capitolare, salvo il permesso accordato alla guarnigione di riparare in Francia e, mentre arrivava il convoglio che portava da!Ja Spagna la

45 Battaglione Siciliano delle Guardie Rea.li. 2°, 3° e 4° Reggimento Estero. uno Squadrone del 2°

Reggimento Cavalleria, una batteria da montagna ed una compagnia di Pionieri.


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Brigata borbonica e le unità britanniche di rinforzo, gli Anglo-Siciliani proseguivano lungo la Riviera, staccando la colonna del maggiore Della Rocca all'investimento di Savona, che si arrese il 25 aprile 1814. Quando ciò avvenne, già da nove giorni era stata conclusa la convenzione di Schiarino Rizzino che aveva posto fine al conflitto. I Francesi avrebbero potuto rientrare in Patria; gli Italici sarebbero rimasti a presidiare i territori in loro possesso, gli Austriaci sarebbero entrati nel Regno d'Italia attraverso Brescia e Cremona ed avrebbero occupato Osoppo, Palmanova Legnago e Venezia, la quale, ancora difesa da 11.000 uomini dell'Esercito e della Marina, avrebbe ricevuto dal Vìceré l'ordine di arrendersi. Infine una delegazione del Regno si sarebbe recata in Francia al quartier generale alleato per sentirne le decisioni in merito aU 'Italia. Con ciò la guerra era finita; il Tiranno era sconfitto e la parola passava ai diplomatici, nella speranza che i sovrani italiani ne avessero d'abbastanza abili da poter far loro recuperare i rispettivi regni. Era finito l'Impero, era finito il Regno Italico, cominciava la Restaurazione.



CAPITOLO XXVI

GLI ITALIANI RESTAURATI: DALLE GIUNTE DI BUON GOVERNO ALL'ANNO DE PORTENTI:

1816-1847.

I) La Restaurazione e i suoi eserciti: 1814 - 1815 La Restaurazione fu un disastro per i nobili e i borghesi che avevano parteggiato per i Francesi perché riportò, o pretese di riportare, tutto a come era prima. Volle cioè privare del potere acquisito una classe che ad esso aveva teso e che, una volta privatane, ad esso avrebbe ripreso a tendere con tutte le sue forze. Come l 'esercito era stato il principale puntello dello scomparso Regno rtalico, così ora l'esercito, anzi gli eserciti. della Restaurazione sarebbero stati i custodi della volontà di rivincita della borghesia. Non a caso in essi militavano, dove più e dove meno. i militari ex-napoleonici molti dei quali sarebbero stati alla testa dei moti insurrezionali del 1821 - come a Napoli Morelli e Sii vati - del 1831 - come Zucchi - o vi sarebbero stati pesantemente coinvolti, come l'erede al trono di Sardegna: Carlo Alberto. Quando poi fosse arrivato l' anno dei portenti. l'incredibile 1848, i motivi di base dell'insurrezione sarebbero stati gli stessi del I 796: la classe ricca, privata dell'esercizio del potere politico nel 1814, avrebbe voluto riavere almeno ciò che aveva conquistato ali 'inizio del secolo. E quando un Sovrano avrebbe accettato il compromesso di garantirle il potere politico, essa gli avrebbe fatto avere la corona d'Italia. Il beneficio sarebbe stato ambivalente. Tanto i Savoia avrebbero guadagnato in termini di accrescimento di potere e tanto avrebbe guadagnato la borghesia, che sarebbe passata nuovamente dalla mancanza alla pienezza del godimento del potere politico, per di più con un'ampiezza maggiore che nel periodo napoleonico, perché non avrebbe più dovuto dipendere dall'esterno e perché avrebbe dominato su tutta l'Italia anziché su una limitata porzione di essa. Ma il potere dopo l'Unità avrebbe dovuto essere cementato, cosa non facile a farsi in un Paese in cui la ridotta classe colta era unita fin dal Medioevo, ma la preponderante classe bassa era analfabeta e incapace di comprendere concetti astratti, pressata com'era innanzitutto dal bisogno di nutrirsi e ripararsi. Ad essa occorrevano pochi, semplici e chiari simboli che spiegassero che si era tutti uniti. Occorrevano punti di riferimento immediati e comprensibili: e i più chiari e semplici sarebbero stati tre, strettamente connessi: il Re, la bandiera e l'esercito. Dopo l'Unità il primo magari resta un ' immagine favolosa, lontana e quasi magica, ma la seconda ed il terzo appaiono concretamente sotto gli occhi di tutti. L'Italiano, da qualsiasi parte del nuovo Regno provenga, vede ovunque lo stesso tricolore, le stesse uniformi e le stesse imposizioni disciplinari applicate a tutti. La Patria è la bandiera; la bandiera è onorata da tutto il Reggimento e da tutto l'Esercito. li Re è il comandante dell'Esercito; e come tale appare di persona e nei ritratti, vestendo sempre l'uniforme che. a differenza dei suoi predecessori del Secolo diciottesimo, non è la divisa di un solo Corpo o Reggimento, ma è l'uniforme blu comune a tutti. Il Re diventa dunque. visto di persona o attraverso i ritratti, qualcosa di concretamente riconoscibile: un ufficiale come quelli del Reggimento in cui il paesano analfabeta presta servizio, che indossa la medesima uniforme blu del soldato e le medesime stellette. È quin-


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di anche lui un soldato dell'Esercito e anche lui come tutti gli altri onora sicuramente la Patria, rappresentata dalla bandiera, sulla quale del resto spicca lo stemma della monarchia. E grazie a questo intreccio di stemma, bandiera, sovrano ed Esercito, il contadino settentrionale, il pescatore meridionale e il pastore dell'Italia Centrale trovano un comune riferimento che rende concreta l' idea di Patria e d'Unità. Di nuovo l'esercito, il Regio Esercito adesso, è il mezzo principale di mantenimento del potere; ma questa volta opera su tutto il territorio nazionale e quindi con maggiore efficacia. Il Regio Esercito del quale il Re è il primo soldato ed il comandante diretto, la cui bandiera è solo quella nazionale, il Regio Esercito che imprime il suo marchio sull'Italiano attraverso la chiamata alle armi e il servizio di leva. portandolo in giro per la Penisola per quattro, poi tre e infine due anni è, più della scuola (assai poco frequentata), più di ogni altra cosa, il retaggio comune, semplice, immediato e chiaro, al quale tutti possono fare riferimento senza fatica, prima con fastidio, poi, congedati, con una nostalgia che cresce quanto più passa il tempo e la giovinezza si allontana. Cosi l'Esercito diventa l'incarnazione simbolica e sintetica della Patria, l'Esercito diventa il cemento dell'Unità, il custode e l'anima dello spirito nazionale e, come recitava l'ultima frase del giuramento militare, del "bene inseparabile del Re e della Patria." Senza questa premessa non si può comprendere quanto avvenne in Italia dopo il 1814. La scomparsa del Regno d ' Italia e delr lmpero francese lasciò gli Italiani del Centro e del Nord sotto il "paterno" e provvisorio regime dell'occupazione austriaca. Il primo provvedimento dei governatori militari imperiali fu, dovunque, la creazione di una Guardia Urbana, che provvedesse ad un minimo di tutela dell 'ordine pubblico, e di una Giunta, o Commissione, del Buon Governo preposta alle attività di polizia e dalla quale dipendevano le forze di gendarmeria, denominate Carabinieri, o Dragoni, o Cacciatori, a seconda dei tempi e dei luoghi. I militari italiani che avevano prestato servizio negli eserciti italico e francese rimasero "tra color che son sospesi" per breve tempo, perché i vecchi sovrani si affrettarono a ricostituire i rispettivi eserciti, consentendo loro di arruolarvisi. Come tutti i periodi di transizione, quello del 1814-15 non fu molto tranquillo. Il Congresso di Vienna dichiarò di voler ripristinare lo statu quo ante, ma quando le trattative terminarono, l'Italia si trovò ad avere una fisionomia assai diversa da quella del secolo precedente. Venezia era stata assorbita dall'Austria e, unita al Ducato di Milano, costituiva ora il Regno Lombardo-Veneto. Ragusa era scomparsa. Malta era finita in mano agli Inglesi e ci sarebbe rimasta. Napoleone regnava sul! 'Elba, sua moglie Maria Luigia si era fatta assegnare a vita il ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, mentre i suoi legittimi sovrani, i Borbone-Parma, erano stati sistemati a Lucca, trasformata per l'occasione da Repubblica in Ducato, ma col diritto di reversibilità al Granduca di Toscana quando, alla morte di Maria Luigia, fossero tornati a Parma. n Papa aveva perso Benevento; Massa e Carrara erano state ricostituite in Stato indipendente, retto da Maria Beatrice d'Este, ma a condizione che alla sua morte entrassero a far parte del Ducato di Modena. Infine di tutti i sovrani italiani tre non erano per niente soddisfatti di come andavano le cose. Vittorio Emanuele I di Sardegna aveva acquistato la Repubblica di Genova, ma non aveva riavuto indietro la culla della dinastia, il Ducato di Savoia, rimasto in mano alla Francia di Luigi XVill; Ferdinando IV di Borbone era in Sicilia e là sembrava costretto a restare dall'atteggiamento condiscendente delle potenze verso il suo diretto avversario - Murat - al quale il voltafaccia contro Napoleone sembrava aver assicurato il trono di Napoli; ma il terzo, proprio re Gioacchino, non si sentiva sicuro e voleva aumentare il proprio potere, ma non era né un buon politico né un abile giocatore d'azzardo. Mentre a Vienna il Congresso si dava alla beJla vita e a Parigi il Re sonnecchiava, all'Elba l' Imperatore attendeva il momento propizio a ricominciare. Nel marzo del 1815 giudicò che fosse arrivato e salpò verso la Francia. L'ultima avventura napoleonica, cominciata su un brigantino nella rada di Portoferraio e terminata quattro mesi dopo su un vascello inglese nel por-


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to di Tolone, diede il tocco finale all'Italia restaurata, donandole l'aspetto che avrebbe mantenuto nei quarantacinque anni seguenti.

II) Il tentativo di Mural

Quando Napoleone giunse a Parigi dando inzio ai 100 giorni, Mural pensò di giocare le proprie carte lanciando una specie di guerra parallela contro l' Austria. Per accordarsi con essa aveva già abbandonato nel 1814 il morente Primo Impero, ed era intervenuto addirittura contro il Regno Italico, perché ciò che più gli importava era salvarsi il trono di Napoli, possibilmente ampliandolo al resto d'Italia. Ma le cose ora sembravano destinate ad andare in modo diverso; e poteva darsi che si verificasse una nuova Marengo. Non aveva compreso che il sole d' Austerlitz era al tramonto e che pure lui - solo un satellite dell'astro napoleonico, delta cui luce riflessa aveva brillato - era destinato a spegnersi. Fiducioso nelle proprie capacità di condottiero, non tenendo conto d'essere un trascinatore di uomini, magari un passabile tattico, ma certo non lo stratega che sarebbe occorso per battere gli Alleati con forze ridotte come le sue, Mural marciò verso nord, con cinque divisioni: tre di Fanteria di Linea, una di Cavalleria ed una della Guardia. Raggiunto e passato il Metauro, il 28 marzo avanzò su Bologna, staccando la Guardia sulla propria sinistra per cacciare gli Austriaci cli Nugent dalla Toscana e preparandosi a proseguire verso Modena. Sperando di far leva sull'antipatia verso i Governi restaurati. emanò un proclama, datato 30 marzo 1815 da Rimini, chiamando alle armi tutti gli Italiani "per l'indipendenza dell' Italia", della quale sperava di diventare sovrano. Gli risposero in pochi, tant'è vero che le sue truppe non superarono mai i 35.000 uomini e 56 cannoni e, per completarne i quadri, già nelle Marche dovè ricorrere a leve forzate, mentre gli Austriaci e tutti i Governi restaurati facevano affluire in gran fretta le loro unità in Emilia. Il primo scontro serio si verificò sul Panaro il 4 aprile. Al ponte di Sant' Ambrogio lo attendevano i 9.000 austriaci del generale Bianchi e il neocostituito Battaglione di Linea ducale modenese, il quale, composto perlopiù da soldati ex-italici o ex-napoleonici «non oppose quella resistenza che avrebbe dovuto e dimostrò un contegno tale da lasciar dubitare se partecipasse più pei Napoletani o per gli Estensi»i. Le truppe napoletane - 8.000 uomini al comando del generale Carrascosa - attaccarono. Grazie alla carica dei pochi cavalieri del generale Filangieri, presero il ponte e, inflitte al nemico perdite per un migliaio tra morti e feriti, lasciarono sul terreno 700 dei loro, ma si aprirono la strada in direzione di Modena, mentre il generale Pepe batteva l'altro contingente austriaco del generale Stefanini a Spilimbergo. Poi proseguirono verso Ferrara e Reggio. Preoccupato, il comando alleato inviò ulteriori rinforzi, elevando l'armata a 55.000 uomini e 64 cannoni, Italiani inclusi1, e disponendo dell'eventuale sostegno della ricostituita Armata Sarda, in via di spostamento verso la zona d'operazioni.

i CEsARr. «Milizie Estensi». in "Memorie Storiche Militari", Roma, SMRE, fase. ID, 1914, pag. 185. 1 Nelle file delle truppe austriache mandate contro Mural si trovavano anche sia il Battaglione di Linea modenese che il reggimento di fanteria parmense Maria Luigia. Quest'ultimo, forte di soli 537 uomini e comandato dal colonnello Bianchi, reduce napoleonico del 3° Leggero italico, fu contratto a battaglione ed inquadrato nella brigata austriaca Geppert, in avanguardia alla divisione Neippetg. Prese parte a tutto il conflitto e, anche se non venne molto impegnato in combattimento, a detta degli stessi Austriaci si comportò decisamente bene. Tenninò la campagna a Salerno, dove rimase tre settimane di guarnigione. I Modenesi invece, agli ordini del colonnello Stanzani, dopo aver partecipato alla battaglia di Tolentino aJ comando del generale Starkemberg, puntarono su Foggia e vi rimasero di presidio per qualche mese.


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Con questo Murat si trovava ad essere minacciato da tutte le parti. Infatti in Toscana Nugent si era sottratto alla scontro campale colla più forte Guardia Reale napoletana di Lechi e costituiva sempre una minaccia. A sud la squ.adra dell'ammiraglio Campbell stava costringendo la Regina a cedere agli Anglo-Siciliani la flotta e l'Arsenale. Infine non si vedeva alcun appoggio diplomatico dall'estero; gli Italiani non si erano sollevati e la situazione diventava disperata. Per evitare la disfatta immediata, Murat decise di ripiegare e andò ad attestarsi a Fano. Gli Austriaci lo inseguirono dividendosi in due colonne. La prima. comandata da Bianchi e comprendente i Modenesi. entrò in Toscana per far massa con Nugent e minacciare i Napoletani di fianco. La seconda, agli ordini del generale Neipperg, costituita dal grosso e inquadrante i Parmensi. inseguì Murat scendendo verso l'Adriatico. Il 19 aprile agganciò e sconfisse la sua retroguardia e parte del grosso poco oltre Forlì, sul Ronco, dove l'attacco risolutivo fu sostenuto dalla Brigata Geppert, comprendente il panncnsc reggimento Maria Luigia. Mural si ritirò ulteriormente su Ancona e si fermò a Tolentino, intenzionato a battere i 15.000 austro-modenesi del corpo nemico di Bianchi in arrivo dalla Toscana. per poi affrontare quello di Neipperg. Aveva 12.000 uomini e aveva sconfitto il nemico il 2 maggio in uno scontro d'avanguardic a Pollenza, perciò era piuttosto fiducioso. li 3 diede battaglia, ma la perse; e l'esercito napoletano riprese la ritirata, ormai senza nessuna speranza. Battuta ancora la sua retroguardia a Castel di Sangro il 13 maggio, re Gioacchino vide lievitare le diserzioni, tanto che al! 'arrivo a Capua quattro giorni dopo. gli rimanevano circa 5.300 fanti e 2.500 cavalieri. Capì di non poter continuare a combattere. Accettò di rendere la corona ai Borboni e, col trattato di Casalanza del 20 maggio 181 5. la Maestà di Ferdinando IV (Dio guardi) tornò sul suo trono di Napoli. Gioacchino fuggì in Francia, ma Napoleone, impegnato nella preparazione della campagna che sarebbe finita a Waterloo, rifiutò di riceverlo. Allora passò in Corsica, vi rimase tranquillo per qualche tempo poi, illuso come non mai, ebbe la pessima idea di sbarcare in Calabria per fomentare una rivoluzione che lo riportasse sul trono. Arrestato e portato davanti a un tribunale militare. borbonico fu condannato a morte mediante fucilazione «Mirate al petto, salvare il viso», furono le sue ultime parole. Con lui l'Era Napoleonica in Italia moriva definitivamente.

III) Le mura di Grenoble

Se gli anni della permanenza in Sardegna per i Savoia erano stati duri, lo stesso poteva dirsi per i Piemontesi. «Mafi11almen1e venne pure quel giorno benedetto dalla gran nuova che Napoleone non era più nostro padrone, e che eravamo o stavamo per tornare liberi ed indipendenti! Chi non ha veduto Torino in. quel giorno non sa cosa sia l'allegrez::.a d'un popolo portata al delirio»ii. Vittorio Emanuele sbarcò a Genova e rientrò nella sua capitale. «li 20 maggio2 finalmente arrivò questo Re tanto annun:iato e benedetto. lo mi trovavo in ra11go3 in Piau.a Castello. ed ho ben presente il gruppo del Re col suo stato maggiore. Vestiti all'uso antico colla cipria, il codino e certi cappelli alla Federico I/, tutt'insieme erano figure abbastanza buffe; che però a me, come a tutti, parvero bellissime e in piena regola; ed i soliti «cris mille jois répétes» accolsero questo buon principe in modo da togliergli ogni dubbio su/l'affetto e sulla simpmia de· suoi fedelissimi Torinesi»'''·

iì M. D' AzEGuo: «I miei ricordi», Varese, Feltrinelli, 1963, cap. 9. pag. 110. 2 1814.

3 Nel!' appena costituita Guardia Urbana.

iii D' AzEGuo, op. cit., pag. 116.


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Mentre a Vienna si apriva il Congresso che doveva ristabilire i confini degli Stati europei. il Re di Sardegna diede ordine di ricostituire immediatamente l'esercito, cominciando, per la Fanteria, dai primi battaglioni dei 10 disciolti reggimenti d'ordinanza4 e formando 7 battaglioni di Fanteria leggera5 e la Legione Reale Piemontese, poi ridenominata Legione Reale Leggera. La Cavalleria segul lo stesso schema, costituendo i primi squadroni di 6 reggimenti6 aggiunti aJ Reggimento Cavalleggeri di Sardegna Il Corpo Reale d'Artiglieria venne articolato su un Reggimento d'Artiglieria a piedi. Artiglieria a piedi provinciale, Artiglieria volante 7 e Artiglieria Reale di Sardegna, per un totale di dodici compagnie d'arma, quattro d'artiglieria volante e due di specialisti più il Corpo d'Artiglieria della Sardegna. L'armamento era però molto eterogeneo, con materiale sardo del secolo precedente, francese, inglese e di altra provenienza, sia in ferro che in bronzo. Il Genio tornò, come prima di Napoleone, ad avere solo ufficiali. Stessa cosa per la Sanità: tutti e solo chirurghi. Le mansioni di polizia vennero affidata al nuovo Corpo dei Carabinieri Reali, creato colle Regie Patenti del 13 luglio 1814. Completava il quadro il Corpo degli Invalidi, composto da Veterani ed lnvalidi degli eserciti sardo, genovese e francese ed articolato su uno Stato Maggiore e ventiquattro compagnie presidiarie distribuite in tutto il Regno, che nel 1820 sarebbero state riordinate in due Battaglioni detti "d'Invalidi della Real Casa". Apparentemente l'esercito era pronto; ma la sua ricostituzione non era risultata facile come potrebbe sembrare. <<Si raccoglievano i reduci del 'esercito francese, si nominavano gli 1ifficialì rimettendo in piedi tutti gli amichi,Juor d'esercizio da lllnt'anni. È poi celebre il metodo che s'usò allora per coprire i posti nelle varie amministrazioni, come dello stato militare. Si prese l'Almanacco di Corte e il Palmaverde dell'anno della partenza del re (1798). Ognuno rioccupò il .mo impiego d'allora, meno i morti nel frattempo (osservazione che forse poteva lasciarsi alla sagacità del lettore). Ma gli antichi, anche senza parlare de' morti, non potevano bastare, e convenne chiamar de' giovani ... Quanto ai reduci dagli eserciti francesi, essi furono ammessi perdendo un grado; il caporale wmò soldato; il sergente tornò caporale, e su su fino ai capitani o colonnelli che fosse ... A noi cavalierini, dato senza merito; tolto a loro quel che s'erano comprati col loro valore ed il loro sangue»ìv. «Era una curiosa maniera la nostra di formare 1111 reggimento! I nostri superiori, uomini de/l'altre volte, aveano scordato tutto, noi giovani non s'era ancora imparato nulla ...ed i nostri inferio,i, i forieri ed i bassi ufficiali e soldati, usciti quasi twti dalla prima scuola del mondo ed avendo il mestiere sulla punta delle dita, ridevano di noi per di dentro. i11 nostra presenza, e per di fuori in nostra assenza ... E mi faceva poi più rabbia il vedere che... i superiori, che avrebbero dovuto vergognarsi di comparire, pareva, a vederli, che Napoleone l'avessero vinto loro! Certo, ad avere la testa piena di riviste, delle parate, delle manovre di Napoleone, riusciva amaro veder il nostro maggiore, la Domenica, quando il reggimento si metteva in rango

4 Guardie, Savoia, Monferrato. Piemonte, Aosta, Cuneo, Saluzzo. Alessandria. Genova e della Regina, oltre, naturalmente, al preesistente Sardegna. 5 Lombardi, Oneglia, Piemoniesi, Cacciatori di Savoia, Cacciatori di Nizza, Cacciatori Italiani, Cacciatori della Regina 6 Dragoni di Sua Maestà e della Regina. Cavalleggeri di Sua Maestà e di Piemonte. Piemonte Reale e Savoia Cavalleria. 7 L' Artiglieria volante doveva essere quella che fu poi definita Voloire, cioè un reparto d ' artiglieria che sfruttasse a fondo i propri cavalli per portarsi a ridosso del nemico. scaricargli addosso i pezzi e ritirarsi immediatamente. Per allora, anche a causa dell'improvviso conflitto contro la Francia, non se ne fece nulla e l'artiglieria a cavallo che, va sottolineato, si sarebbe differenziata da quella nonnale solo per le modalità d'impiego operativo, non per le dotazioni in uomini e cavalli, sarebbe nata solo vent'anni dopo. iv O' A7..ECLI0, op. cii., cap. I I, pagg. 133-4.


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per andare a messa, imbrogliarsi p.er fargli aprir le file! Vedere in Piazza d' Arme il colonnello (avendo poca memoria, si scriveva su unfoglioli,w i movimenti ed i comandi, e lo scordava poi sul suo tavolino) vederlo cercarsi per le tasche e poi voltarsi ai vicini e gridare: «Padroni, 'l papè? Chi elo ca la pià l'papè?» La teoria ed il comando erano i medesimi del 'esercito francese; ma i nostri zucconi di corte, naturalmente, non erano venuti di Sardegna per subire i capricci dell'usurpatore. Volevano fare di più e meglio. Composero una nuova teoria col comando in italiano8 e fin quì, va a meraviglia; ma le altre innovazioni o invenzioni bisognava vedere!»•. La citazione è lunga ma ha il pregio di fornire un ritratto vivo e completo delJa rinascente Armata Sarda nel 1814. La ricostituzione dei quadri di comando cogli ufficiali sconfitti nel '96 portò ad una sclerosi totale degli alti gradi i quali, ovviamente, non mancarono di favorire la carriera di chi la pensava come loro, non tanto in termini politici, quanto, sopratutto, in termini professionali. II patrimonio tecnico-professionale accumulato da quanti avevano militato negli eserciti del Primo Impero si dissolse sterilmente, soppiantato da un sistema che, già superato nel '96, resuscitava ora, risultando ancor più disastrosamente inadatto. Per rimediare a quegli inconvenienti si sarebbe dovuto eliminare in blocco ogni ufficiale che non avesse servito coi Francesi. Ma questo avrebbe reso l'esercito politicamente inaffidabile; e non era una prospettiva piacevole. specie nel ' 14 e nel '15 quando, sia aJJ'interno che all'esterno la situazione era alquanto mutevole. Così il primo conflitto di scelta fra un esercito politicamente sicuro ed uno professionalmente valido vide prevalere le considerazioni di palazzo su quelJe tecniche. I militari capirono che dovevano essere fidati prima che capaci e che, ai fini della carriera, contavano più le manovre di corridoio che quelle sul campo. Mettere in discussione gli ordini ed i regolamenti era, prima che un atto d'insubordinazione, una dichiarazione di guerra all'ordine, restaurato allora e costituito poi, e come tale denotava l'inaffidabilità dell'ufficiale e la sua «pericolosità», determinando l'immissione della sua carriera su un binario morto. I guai delle campagne risorgimentali derivarono proprio dai guasti prodotti dalla Restaurazione. r giovani subalterni del '14 furono i generali del '48. Gli allievi dell'Accademia di Torino, della quale già Alfieri aveva parlato malissimo, e diventata Regia Accademia Militare il 2 novembre 1815, uscirono dall'Istituto con una mentalità spenta e chiusa, che era il frutto dell'ottusità degli "zucconi di corte venuti di Sardegna", contrari ad ogni innovazione perché apportatrice della rivoluzione giacobina. Cosi nacquero le sconfitte del 1848 e del l 849; e ancora quelle del '66. Né l'immissione in servizio dei generali e dell'ufficialità napoletana, dopo il '61, modificò il quadro, perché capirono subito come era bene comportarsi. Ma, tornando alla Restaurazione, il problema del predominio dell'orientamento legittimista all'interno dell'esercito era comunque una conseguenza dell'atmosfera nazionale, a sua volta influenzata da quella internazionale. Le Potenze vincitrici erano decise a modificare drasticamente la carta d'Europa; e Casa Savoia aveva rischiato seriamente di non recuperare il Piemonte, come d'altronde i Borboni di lasciare Napoli a Murat. Ora. a parte la continua opera dell'ambasciatore sardo de Maistre e del generale Paolucci presso lo Zar. la salvezza per Vittorio Emanuele I era consistita nella presenza di Talleyrand al Congresso di Vienna. Partendo dall'assunto che ogni questione andasse risolta secondo il principio della legittimità, il Principe aveva enumerato in ordine d'importanza i quattro interessi

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Si ricorda che, fino all'unità d'Italia, il Regno di Sardegna fu ufficialmente bilingue. I comandi, la corrispondenza, gli atti e i regolamenti dell'esercito furono emanati, per tutto il 700, indifferentemente in Italiano e in Francese, con una netta prevalenza di quest'ultimo, che era la lingua in cui si esprimevano di solito sia il Re. fino a Vittorio Amedeo m, che la nobiltà, da cw proveniva la gran parte degli ufficiali. L'uso esclusivo dell'Italiano come lingua di servizio dell'Annata Sarda risale appunto alla Restaurazione. v D'AzEOLIO, op. cit., cap. 11, pagg. 137-139.


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principali deUa politica francese e il primo era «Impedire all'Austria di/are re di Sardegna un pri11cipe della propria casa»vi, Manovrando abilmente, Talleyrand era poi divenuto l'arbitro della prima parte del Congresso, riuscendo a far prevalere il proprio punto di vista su tutte le questioni, salvando lo Stato ai Savoia ed ampliandoglielo coll'aggiunta dei territori della scomparsa Repubblica di Genova. n regno sabaudo, al pari dell'Olanda, accresciuta delle Fiandre ex-Austriache, era ora uno Stato-cuscinetto fra l'Austria e la Francia, utilizzabile da parte austro-inglese come primo fronte contro una futura eventuale ripresa dell'espansionismo francese; ma anche dalla Francia in funzione anti-asburgica. Per questo era fondamentale che tornasse a Torino il Re legittimo e non un Asburgo, il quale avrebbe agito in senso antifrancese e la cui presenza avrebbe inoltre aggravato e reso definitivo il predominio austriaco sull'Italia. A scanso d'imprevisti, il 3 gennaio 1815 Talleyrand riuscì a mettere in piedi un'alleanza militare fra Austria, Francia ed Inghilterra, invitando Sardegna, Baviera, Hannover ed Olanda ad accedervi. Questo però significava che i Savoia erano nuovamente intrappolati fra due Potenze alleate tra di loro e che non sarebbero stati in grado di condurre una politica estera autonoma. Ancora una volta l'acquisizione di Milano sfumava all'orizzonte; e in più Chambéry e Annecy restavano in mano francese. 1100 giorni di Napoleone furono provvidenziali almeno dal punto di vista territoriale. «Vittorio Emanuele, benchè vecchio e poco in salme, si mostrò della Casa onde era nato; e disposto a montar cavallo, diede ordine affinché il nostro piccolo esercito si mettesse in movimento»"". L'Armata Sarda, I 5.000 uomini con poca cavalleria, perché solo i cavalleggeri erano già montati, puntò dapprima verso la Pianura Padana, dove si profilava la minaccia di Mural. Poi, scomparso tale rischio, al comando del vecchio generale de la Tour, ben lieto di far pagare ai Francesi l'armistizio di Cherasco, riattraversò il Piemonte ed entrò in Savoia. L'Annata era stata colta ancora in fase d'organizzazione. Al ritorno in Francia di Napoleone i reparti erano ancora tutti sul piede di pace, mentre procedeva lentamente la costituzione dei secondi battaglioni reggimentali. Così, per ottenere che almeno i primi battaglioni raggiungessero l'organico di guerra, fissato a 750 uomini, vi fu convogliato quasi tutto il personale dei secondi. Dopo una sosta di sei giorni a Torino, per partecipare alla parata in onore del Papa in viaggio di ritorno a Roma, il grosso parti per Rivoli e arrivò in Savoia alla fine di giugno. C'erano già stati degli scontri fin da marzo; ma di lieve entità, perché i Sardi erano pochi ed i Francesi, la maggior parte dei quali era stata concentrata in Belgio, erano stati capaci di farli retrocedere di qualche chilometro ma non di sopraffarli. Ora, due settimane dopo la battaglia di Waterloo, incominciava la guerra vera sulle Alpi. Insieme alle avanguardie di de la Tour arrivarono quelle degli 85.000 austriaci (tra i quali. anche i 1.290 uomini del Reggimento parmense Maria Luigia ed i Modenesi del Battaglione di Linea Estense reduci dalla campagna contro Mural) dei generali Bubna e Frimont, che respinsero i nemici da tutte le località occupate fino allora, inducendoli a firmare un armistizio valido fino al 2 luglio. Ciò consentì al grosso alleato di entrare in linea senza essere disturbato e convinse i Francesi del generale Suchet a ripiegare per coprire Lione, schierandosi, dal Giura alla Grande Chartreuse, lungo il corso del Rodano. Al termine della tregua gli Alleati attaccarono attraverso il Giura, sfondarono, presero Chambéry e si divisero in due colonne. La prima, tutta austriaca, fu destinata alla rottura della, linea nemica a Pont de Beauvoisin; la seconda, austro-sarda, andò ad assediare Grenoble. Giunvi Talleyrand: «Promemoria», rip. in D. CooPER, «Talleyrand», Verona, Mondadori, 1974, pag. 170. vii D'AzEauo, op. cit., cap. 12. pag. 144.


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tevi il 5 luglio, il 6 le truppe alleate, articolatesi su due colonne d'assalto, ne investirono i sobborghi di Saint Joseph e di Trois Cléìitres. Respinto un tentativo di sortita dalla carica della CavaUeria e dei Carabinieri Reali. che là ebbero il loro battesimo del fuoco, vennero conquistate le due borgate. La piazza stipulò allora un armistizio di tre giorni, allo scadere del quale si arrese e fu occupata Poi le truppe si mossero in direzione di Lione ma, poiché cadde prima del loro arrivo. cambiarono strada ed andarono ad assalire le fortezze di Barraux. Montdauphin, Gap e Briançon. Gli altri contingenti italiani, inquadrati nella Divisione Neipperg, non ebbero il tempo d'entrare in azione: i Parmensi giunsero solo il 24 agosto e vennero mandati a bloccare Antibes, rimanendovi fino al 15 ottobre: gli Estensi rimasero all'interno della Provenza, entrarono a Avignone e. cessate le ostilità, tornarono a Modena il 21 novembre 1815. Il grosso del contingente sardo rimase in Savoia fino ai primi di novembre, quando rientrò a Torino. Grazie all'intervento in guerra Vittorio Emanuele fu in grado di concludere una pace separata coUa Francia, riacquistando la porzione della Savoia che non aveva avuto nel 1814. Il Congresso di Vienna terminò i suoi lavori nel 1815; e due furono i risultati politici importanti che ne scaturirono. li primo, seguendo la linea di Londra, fu il ritorno all'equilibrio fra le Potenze continentali. U secondo invece fu la suddivisione degli Stati in due ordini. Quelli del Primo Ordine - Inghilterra, Prussia, Russia, Francia ed Austria - si riservarono il diritto di decidere fra loro ogni questione, escludendo dalle consultazioni tutti gli altri, gli Stati del Secondo Ordine, i quali sarebbero stati unicamente avvertiti delle decisioni prese; e solo se e quando li avessero toccati. Ciò significava il crollo del Regno di Sardegna ad un livello d ' importanza paragonabile a quello antecedente la Guerra di Successione Spagnola. Lo Stato sabaudo restava indipendente, ma perdeva qualunque possibilità di tornare ad impersonare quel ruolo di protagonista degli affari italiani che Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III avevano rivestito.

IV) Lo Stato Pontificio

Il trionfale ritorno della Santità di Nostro Signore Pio VIl nell'Urbe chiuse la lunga parentesi rivoluzionaria ed ateista ma, come accadde nel resto d'Italia, venticinque anni di dominio o di influenza non potevano essere cancellati e, anzi, più ci si provava e meno ci si riusciva, specialmente a Roma e nello Stato Pontificio. li problema maggiore che si era presentato all'amministrazione organizzata dai Francesi in Italia era stato quello di reperire le persone idonee a coprire le cariche civili. In un periodo in cui, come in tutta Europa, l'analfabetismo era molto diffuso, bisognava accontentarsi di quel che c'era, senza stare a guardare troppo a chi i funzionari o gli impiegati erano veramente fedeli; se a Napoleone o al sovrano spodestato, comunque pronti a voltar gabbana alla prima occasione. La stessa difficoltà si presentò ai governi restaurati e, quasi tutti, si comportarono come avevano fatto i Francesi: lasciarono al loro posto i funzionari trovati nei gradi minori, ripulirono come poterono i gradi maggiori, riorganizzarono l'esercito ammettendovi a certe condizioni anche i reduci napoleonici, incrociarono le dita e sperarono che tutto sarebbe tornato come prima. Questo si poteva fare in tutti gli Stati italiani meno uno, perché nello Stato Pontificio tutti i funzionari di un certo livello erano preti, o almeno abati che avessero ricevuto gli ordini minori, ed ai laici non era mai stato consentito di far la benchè minima carriera senza indossare la veste talare. Di conseguenza, quando col Papa tornarono i reverendissmi ed eminentissimi cardinali, quelli di loro che si riconoscevano nella fazione detta degli "Zelanti" , risalente al primo quarto del Settecento, puntarono alla cancellazione di quella che in Francia veniva ades-


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so definita "la rivolta dei venticinque anni", durante la quale, nel 1793, era in.iziato il regno della maestà cristianissima d.i Luigi XVJil (ora nel ventiduesimo anno) . .U ripristino dell'antico sistema componava l'espulsione d.i tutti i la.ici dagli incarichi direttivi. Questo mitigò alquanto l'entusiasmo per la Restaurazione del sacro potere; e il malcontento implicò da parte del governo la risposta più ovvia: fu potenziata la poliz.ia e si riorganizzarono le forze armate sotto il controllo ecclesiastico, dando la preferenza per l'arruolamento agli elementi politicamente sicuri. Così al termine della ricostituzione, nel 1816, l'esercito pontificio si art.icolò su un comando centrale, che riprese il nome (e le vestì talari) della Congregazione Militare. Ad essa sottostavano i Corpi: delle Guardie Nobili; delle Guard.ie Svizzere di Santa Sede; dei Carabinieri. su due reggimenti (il secondo divenne operativo nel 1817): d'Artiglieria, su sei compagn.ie, e del Genio che, come nei ducati padani e nel Regno di Sardegna, venne formato solo da ufficiali e impiegati. Aggiungendo tre reggimenti ternari di fanteria di Linea (ognuno con propria banda e Stato Maggiore), uno d.i Dragoni su quattro compagnie e, dal J 819, un Battaglione dei Veterani l'esercito era pronto. Per avere il quadro completo delle armi papali, si potevano loro sommare il Corpo della Guardia di Finanza e la milizia provinciale pontificia. da mobilitare in caso di guerra e composta da 19 reggimenti a piedi e J9 squadroni. Ma, prescindendo da quest'ultima, i cui militi mobilitabili si aggiravano sui 9.000, la forza dell 'esercito di Sua Santità andava dai 6.000 ai 7 .000 uom.in.i - pressappoco come prima di Napoleone - e tale sarebbe rimasta fino al 1848.

V) Il Granducato di Toscana Nel febbraio del I 814 il granduca Ferdinando lIT d' Asburgo-Lorena tornò a Firenze. Anche qui, come negli altri Stati della Penisola, grandi furono le manifestazioni di gioia per la Restaurazione. Era ancora ben vivo il ricordo dell'ottima amministrazione di Pietro Leopoldo e tutti speravano altrettanto dal figlio. Ferdinando non smentì le aspettative; forse anzi le superò, rendendo celebre il suo periodo per una m.itezza ed una tolleranza senza uguali nel resto d'Italia. La spedizione murattiana del 1815 non provocò cambiamenti, come non ne provocarono i moti del 1821. Quando Ferdinando morì, nel giugno del 1824. gli successe Leopoldo II, che avrebbe retto le sorti del Granducato fino all'Unità, ma la politica fiorentina non mutò: tranquillità assoluta sia ali' interno che ali 'estero, almeno fino al 1847. All'ombra dell'aquila bicipite austriaca, l'esercito granducale rinacque a nuova vita. Prendendo spunto dall'ordinamento del 19 aprile 1800, venne organizzata una Segreteria di Guerra. a cui erano sottoposti lo Stato Maggior Generale e la Direzione dell 'Amrnini~trazione Militare. Quest' ultima si occupava dell'amministrazione a livello centrale e da essa dipendevano i Commjssari di Guerra preposti al controllo dell'amministrazione nei reparti. Lo Stato Maggior Generale comprendeva il comando delle truppe, affidato ad un Tenente Generale o ad un Maggior Generale, e sovrastava le Autorità Territoriali, i Comandi di Piazza, i Govern.i militar.i dell'Elba e di Livorno, il Superiore Comando del Compartimento di Grosseto ed i Consigli di Guerra. La parte operativa si articolava in Corpi di Palazzo, Fanteria di Linea, Real Corpo d' Artiglieria, Real Corpo dei Dragoni e Veterani. I Corpi di Palazzo si dividevano in una Real Guardia del Corpo, composta di Guardie Nobili e gentiluomini al servizio del Sovrano e una Guardia Reale del Corpo o ''Real Corpo degli Anziani all' imperial regio palazzo Pitti'', formata da vecchi ufficiali e sottufficial.i. La Fanteria comprendeva un battaglione di cacciatori a piedi, arruolato nel I 814 per fronteggiare Murat, e due soli reggimenti: il 1° Real Toscano ed il 2° Real Ferdinando, ognuno su Stato Maggiore e minore, tre battaglion.i di fucilieri ed una divisione di due compagnie d.i grana-


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tieri. L' Aniglieria aveva un Comando e Direzione d'Artiglieria. due battaglioni Cannonieri Guardacosle: uno Continenlllli ed uno Sedenlari dell'Elba. I Dragoni, non molti, già nel 1816 vennero trasformali in Reali Cacciatori a Cavallo. mentre i Veterani costituivano un Battaglione. Anche qui, come nel resto d 'Italia. i militari erano tutti ex-napoleonici, quindi gente esperta e per niente ben disposta verso la dinastia asburgica regnante. Nonostante questo, però. non vi furono difficollà né tenlativi rivoluzionari e l'esercito si evolvè lentamente, con piccole modifiche. Nel 1817 venne ricostituita la milizia, detta Corpo dei Cacciatori Volontari di Costa e di Frontiera, articolata su cinque battaglioni (tre per la costa e due per le frontiere terrestri) da attivare in caso di guerra. Nel 1824 il 1° Fanteria assunse il nome di Real Leopoldo, in onore del nuovo Granduca, nel 1840 fu costituito il Corpo della Real Guardia di Finanza, cinque anni dopo venne istituito quello dei Reali Carabinieri, nato dal vecchio Battaglione dei Cacciatori, al quale fu demandata la vigilant:a delle campagne e delJ'esterno delle c ittà. Nel 1847 fu organizzata una Compagnia del Treno seguita, nel 1848 da due compagnie cacciatori (una per ogni reggimento di Linea) e dalla riorganizzazione dei Reali Carabinieri nel corpo scelto denominato Reggimento Veliti Toscani. Nel 1849. poi, sarebbe stato formalo un 3° Reggimento Fanteria di Linea ed elevato a Reggimento, su quattro squad roni. il Corpo dei Cacciatori a Cavallo.

VI) Il Ducato di Lucca

L'antica Repubblica di Lucca era stata travolta dall'ondata napoleonica e, se dopo la Restaurazione ricomparve ancora per un trentennio sono forma di Ducato. lo si dovette esclusivamente alla necessità di tr0vare una dignitosa e provvisoria sistemazione ai Borbone-Panna. spodestati dall'Imperatore d'Austria per assicurare un trOno a sua figlia Maria Luigia. Trattative laboriosissime svoltesi per un biennio tra Vienna e Madrid. tutrice degli interessi della duchessa Maria Luisa di Borbone, stabilirono infine nel novembre 1817 la dinastia nel piccolo Stato. colla cenezza di rientrare a Panna alla mone di Maria Luigia ed a condizione di cedere allora Lucca al Granduca di Toscana. Nel 1824 sali al trono il giovane duca Carlo Lodovico. li suo comportamento stravagante fu causa di limitati disordini negli anni 1846-47 cdi spese tali da indurlo, per pagare i debiti. a cedere lo Stato al Granduca di Toscana dietro esborso di un 'ingente somma nel settembre 1847. In tutto questo l'esercito ebbe una parte di semplice rappresentanza. Non vi furono mai problemi di pubblica sicurezza - neanche nel 1821 e nel 1831 - prima del periodo finale di Carlo Lodovico; e di conseguenza, s ia per le dimensioni ridotte dello Stato, che per l'assenza di minacce provenienti dall'esterno, non fu mai necessaria una forza consistente. Prescindendo dalla Compagnia Guardacoste. creata nel 1816 dagli Austriaci con funzioni anticontrabbando. l'organizzazione militare lucchese, fu stabilita coi decreti del 28 febbraio e del 27 aprile 1818. Si componeva di una Reale Segreteria di Guerra e di una Direzione Generale della Forza Armata a cui sottostavano un Comando Generale delle Milizie e Piazze, un Consiglio d'Economia Mili.Lire. un Consiglio di Guerra Permanente, la Real Guardia Nobile del Corpo, la Real Guardia di Palazzo, o Guardia dei Trabanti, i Comandi di Piazza di Lucca, Camaiore e Viareggio, il Corpo dei Reali Carabinieri, a piedi e a cavallo: il Battaglione di Fanteria Maria Luisa, su una compagnia granatieri, due fucilieri, una cacciatori (o moschettieri), una veterani e invalidi ed una banda militare; i Reali Cannonieri, tutti di milizia. su due compagnie, ed il Corpo dei Pompieri. A questi reparti, tutti piuttosto piccoli, spettavano mansioni più di polizia che di guerra. I Reali Carabinieri, poi divenuti Real Gendarmeria, come altrove. svolgevano l'attività di polizia, spesso aiutati dai moschettieri del Maria Luisa. A questi ultimi ed ai commilitoni della compagnia granatieri era inoltre affidata la guardia al Sovrano; ai fucilieri, stanziati a Lucca e


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Viareggio, spettava il servizio alle porte cittadine, mentre toccava agli invai.idi quello suJJe mura e negli uffici. Le compagnie dei ReaJi Cannonieri si occupavano del presidio costiero e dei forti. Le unjche variazioni di rilievo si ebbero nel 1824, quando il Battaglione assunse il nome di "Carlo Lodovico", e nel 1831, anno in cui il propagarsi dei moti rivoluzionari indusse il governo a costituire una Guardia Urbana, articolata in Guardia di Lucca e Guardia Povinciale di Borgo a Mozzano, Camaiore e Viareggio ed alla quale furono ascritti tutti i cittadini fra i 21 ed i 55 anni. Si trattò comunque solo di un sotterfugio per evitare di dover ricorrere agli Austriaci in caso di disordini. Dal 4 ottobre 1847 tutto rcsercito venne poi progressivamente integrato in quello Toscano. a partire dalla compagnia granatieri, subito chiamata a Firenze daJ Granduca ed accolta ovunque con applausi trionfali, a testimonianza di quanta gioia avesse arrecato ai Toscani l'annessione di Lucca9.

VII) O Ducato di Parma e Piacenza Come già accennato, l'arrivo degli Austriaci nella Pianura Padana coincise coll'ascesa al trono di Parma di Maria Luigia d'Asburgo. Sancita la situazione dall'articolo m del Trattato di Parigi del 1817, Parma, Piacenza e Gusatalla godettero di un trentennio di pace il cui ricordo sarebbe rimasto "monumentum aere perennius". Trattandosi di uno Stato satellite dell'Austria. l'esercito di grande non ebbe né dimensioni né importanza. Per un'eventuale difesa del Ducato e della Pianura Padana era previsto l'intervento delle truppe imperiali stanziate nel Lombardo-Veneto e la Duchessa era tanto d'accordo da consentire l'acquartieramento di presidi austriaci entro i confini dei suoi Stati. Cosl le truppe ducali non passarono mai, sotto di lei, le 2.000 unità e mai brillarono per fermezza e spirito aggressivo. La rinascita dell'esercito parmense era cominciata nel 1814, alla partenza dei Francesi, coll'organizzazione di un battaglione di Guardia Urbana di circa 500 uomini e di un Corpo dei Carabinieri, deputato alle mansioni di polizia. Dal giugno dello stesso anno la struttura militare sarebbe stata oggetto di numerosi studi e progetti durati un triennio. Intanto l'esercito si strutturava su tre battaglioni - due del Reggimento Maria Luigia ed un terzo di Veterani al seguito del Reggimento - più un Corpo di Dragoni, dapprima su una, poi su due compagnie, per la tutela dell'ordine pubblico. Dopo le due campagne, contro Murate contro la Francia, il Maria Luigia venne riportato aJl'organico di pace, contraendolo a l.320 uomini su due battaglioni di due compagnie granatieri, aJtrettante di cacciatori ed otto di fucilieri. A queste truppe si aggiungeva poco altro. Nel 1816 la forza dell'Esercito DucaJe ammontava a 1.808 uomini 10. Anche a voler contare i 115 tra guardie d'onore ed alabardieri della Duchessa, dipendenti dalla 9 Vi fu una sola eccezione. nata da una questione territoriale. Poiché non era stato chiarito a chi spettasse il possesso di Pontremoli, che i trattati non comprendevano nelle cessioni effettuate al Granduca di Toscana, Carlo Ludovico vi concentrò le "truppe rimaste fedeli", assommanti a ben cinque Reali Carabi• nieri, i quali garantirono il mantenimento dell'ordine pubblico. Furono pagati direttamente da Carlo Ludovico fino a quando, nella primavera seguente non furono integrati nelle forze pannensi. Nella storia d'ltal ia questo dei Carabinieri a Pontremoli resta un caso unico di potere personale, poiché per quasi sei mesi non vi fu alcun autorità statale di nessun genere a cui la cittadina facesse capo, dal momento che il Duca, dopo la cessione del Ducato di Lucca, era un semplice privato. IO Cioè 1.320 fanti del Maria Luigia, 177 Veterani al seguito del predetto Reggimento, 257 Dragoni, 11 effettivi del Dipartimento Militare, 2 del Genio e Artiglieria, che era il comando dal quale dipendevano le due Anni, formate solo da militi mobilitabili in caso di guerra; 2 commissari di guerra. 20 impiegati delle piazze e 19 dei castelli.


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corte e non dall'esercito. s1 arrivava solo a 1.923 mililari alle armi. Del resto non ne occorrevano molti di più, perché la sicurezza del Ducato. come di tulta l'Italia nordorientale era garantita dalle truppe imperiali, che avevano ottenuto nel 1817 una propria guarnigione nella fortezza di Piacenza. Questi reparti rimasero in vita sen73 grossi cambiamenti fino al 1831, quando la rivoluzione scoppiò anche a Panna. Per la verità fu un moto molto poco rivoluzionario, visto che gli insorti inneggiavano alla Duchessa e si accontentavano di chiedere l'eliminazione del scgrelario di Stato. Maria Luigia preferì abbandonare la capitale e, scortata dalle quanro compagnie dei granatieri e dei cacciatori, si rifugiò a Piacenza. Rispedì indietro la scorta cd attese gli Austriaci. Il loro intervento fu abbastanza rapido e, a parte uno scontro a Fiorenzuola. in cui 500 imperiali attaccarono e misero in fuga un centinaio di Guardie Nazionali e 50 uomini del Maria Luigia, non ci fu alcuna resistenza. Ciò permise alla Duchessa di mantenere il trono; ma l 'esercito fu sciolto, lasciando in vita i soli Dragoni, ridenominati Gendarmi e posti al comando d'un ufficiale superiore austriaco. Ali ' Austria venne affidato il compito di provvedere alla sicurezza militare del Ducato con i propri reparti. Ma. passata la crisi rivoluzionaria, le truppe del Lombardo-Veneto vennero rapidamente contratte per motivi finanziari, passando da I04.000 a soli 62.000 uomini fra il 1831 ed il 1836. Per questo motivo Vienna nel 1836 impose la ricostituLione di un esercito parmense con una struttura che sarebbe rimasta immutata fino al ritorno dei Borbone-Panna: due battaglioni di fanteria, il 1° di 660 ed il 2° di 628 uomini, anziché un Reggimento; un Corpo dei Pionieri di 110 effettivi: 260 Dragoni, 141 Sedentari, un Drappello di Puni7.ìone di 16 uomini; 52 addetti alla scuola militare e 7 addetti alle carceri. Aggiungendo 55 Guardie d'onore. 72 alabardieri e gli ufficiali dei comandi, si otteneva una forza che nel 1846 ammontava a poco più di 2.00011 effettivi con 4 cannoni da 6 libbre e 2 obici da 7.

Vili) Il Ducato di Modena Nel luglio 1814, preceduto da un bando del governatore militare austriaco, Maresciallo Bcllegarde, che ne annunciava il ritorno, il trentacinquenne Francesco IV d 'Este tornò nei suoi Stati. Come al solito si cominciò col costituire la Guardia Urbana, più o meno della forza di un battaglione, metlendo poi in piedi un Battaglione di Linea, un minuscolo Corpo del Genio ed un Corpo di Dragoni preposto alle funzioni di gendarmeria. Al termine delle ostilità I·esercito venne messo agli ordini dell'arciduca Ferdinando d"Este, fratello del Sovrano. Questi, a differenza di quanto si faceva in tutta Italia, decise di non arruolare chi avesse servito nelle armate napoleoniche e di eliminare progressivamente i militari ex-francesi ed ex-italici g ià passati al servizio estense. Ne derivò una forza armata piccola ma fedeliss ima, insufficiente a provvedere alla sicurezza militare dello Stato, che contava infatti sulJ ' intervento austriaco, ma bastante alle necessità di polizia e di repressione, come si vide nel 1821. Dal gen naio 1816 al novembre 1830 si aggiunsero ai già citati corpi una Guardia Nobile d"Onore, una Compagnia di Veterani e un minuscolo Corpo d'Artiglieria. Nel 1830 Francesco IV temendo che la rivoluzione di luglio dalla Francia si propagasse in Italia. decise di incrementare le forze armate ed ordinò la costituzione di due compagnie, una di granatieri e una di fucilieri, da inquadrare nel Battaglione. Contando poi sulla fedeltà delle popolazioni dell'Appennino, ordinò all"ingegner Sigismondo Ferrari d 'organizzare un corpo ausiliario di volontari. Prendendo esempio dalla Landwebr austriaca. alla fine del 1830 nacquero quattro 11 Per sicurcua. nel 1839 Vienna aveva imposto l'incorporazione di 250 Austriaci nelle truppe ducali e l'esclusione degli Italiani dal comando in capo, che fu tenuto successivamente da due Austriaci e da uno Svizzero.

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compagnie di circa cento uomini l'una, che presero il nome di Bersaglieri del Frignano e furono stanziate a Montese, Pavullo (comando e deposito), Pievelago e Sestola. Mentre si stavano preparando le loro uniformi, il 3 febbraio 1831 scoppiò la rivoluzione a Modena. Ferrari il 4 ricevè ordine di portarvisi col maggior numero d'uomini possibile; ne radunò 132 e vi arrivò il 5, quando la guarnigione incominciava a bombardare dalla cittadella. L'ordine venne ripristinato senza che i Bersaglieri sparassero un solo colpo ma il Duca decise di compensarli per la solerzia e l'attaccamento dimostratogli sciogliendoli e dando loro la preferenza nell'arruolamento, stabilito il 2 I marzo 1831 , dei Reali Cacciatori Scelti del Frignano, modellati sui cacciatori tirolesi lasciatigli dal contingente di soccorso austriaco per garantire l'ordine pubblico. I Cacciatori Scelti costituirono un battaglione di 600 uomjni e. vista la buona prima prova fornita a Porretta a tutela dell'ordine, ebbero come colonnello il secondogenito del duca, principe Ferdinando Carlo Vittorio d'Austria-Este. Dal 1832 e fino alla primavera del 1848 non vi furono grandi cambiamenti. L'esercito estense restò composto da: un Supremo Comando Militare, comprendente Economato, Auditorato, ufficiali addetti allo Stato Maggiore e Cappellani Militari; otto Stati Maggiori delle Piazze; la Guardia Nobile d'Onore ed i Trabanti, entrambi per il servizio a palazzo ducale, il Corpo dei Reali Dragoni, il Reale Battaglione Estense di Linea, su Stato Maggiore e sei compagnie, due delle quali di granatieri: il Corpo Reale del Genio, il Corpo Reale d'Artiglieria e Divisione d'Armeria, il Corpo Reale dei Pionieri; la Compagnia dei Reali Veterani e i Reali Cacciatori Scelti del Frignano, su Stato Maggiore, una compagnia deposito e cinque operative. 111845 vide La costituzione di due comandi superiori militari (della Città e Provincia di Reggio e delle Truppe e Forti nel Massese); di una Reale Compagnia Artiglieri delle Torri di Brescello, del Reale Treno d'Artiglieria e della Milizia di Volontari Estensi. Quest ' ultima si articolava su due reggimenti (delle provincie di Modena e di Reggio), quaternario il primo e binario il secondo; su un Reggimento Cacciatori Militi-Volontari delle Montagne, binario, e su un Battaglione Autonomo de' Militi-Volontari oltre l'Appennino nel Ducato di Massa e nella Lunigiana, su sei compagnie. Tutto l'esercito comprendeva al massimo 2.400 uomini, i cui ufficiali erano preparati nella Accademia Nobile Militare Estense. Creata a Modena il 28 dicembre 1821, l'Accademia doveva educare i giovani nobili all'a5soluta fedeltà alla dinastia, regnante per diritto divino, renden doli buoni e fedeli ufficiali. Le condizioni per l'ammissione consistevano nell'aver 17 anni, buona condotta morale e religiosa ed aver terminato un corso di studi filosofici. Le materie. nonostante il nome dell 'lstituto, erano ben poco militari: belle lettere, giurisprudenza, cosmografia, matematica, etica generale, disegno, Tedesco, Francese. equitazione, danza e scherma. Gli allievi avrebbero imparato il resto, cioè le materie militari, per caso. di sfuggita o ai reparti.

IX) n Regno deUe Due Sicilie Il 25 maggio 1815 le truppe borboniche rientrarono a Napoli. appena occupata dagli Austriaci del Maresciallo Bianchi, trovandosi davanti alla già fim,ata convenzione di Casalanza, con cui si garantivano ai militari murattiani il riconoscimento dei gradi e il mantenimento in servizio nell'esercito reale di Ferdinando IV. Per questo motivo e per l'impegno preso con Vienna di mantenere in armi un contingente di pronto impiego di almeno 25.000 uomini, Ferdinando pianificò una forza di pace di ben 60.000 effettivi. L' esercito dell'amalgama, come fu chiamato poi, presentava parecchie disparità che si tentò di appianare, senza troppo successo, a differenza della Marina, la cui quasi totalità era "siciliana".


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Bene o male la crisi venne superata arrivando a mettere in linea nel giugno del 1820, con parecchi mutamenti avvenuti nel corso degli anni, una Guardia Rea1e12. Fanteria su 18 reggimenti nazionali 13, uno Estero, 5 Battaglioni bersaglieri, due provvisori e 7 Battaglioni Fuci Iieri; una Cavalleria di 4 divisioni di Gendarmeria Reale, 4 reggimenti di Linea e uno di Dragoni, più tre Divisioni - ognuna pari a circa 200 uomini - di Cacciatori a Cavallo, una delle quali di Cacciatori Esteri. L'Artiglieria allineava due Reggimenti - Re e Regina - Pompieri e Artefici: Esistevano poi un Corpo dei Pionieri, i reparti di Veterani e d'Invalidi, gli Artiglieri Litorali, le Scuole, il Treno e i sedentari, per un totale di 42.778 effettivi, di cui però solo 30.953 realmente presenti14. Ad essi era affiancata la Milizia, la cui forza iscritta sarebbe ammontata nel settembre del medesimo anno all'elevatissima cifra di 219.000 uomini, la metà dei quali destinata a costituire la riserva dell'esercito. In realtà la crisi economica del 1820 aveva portato ad una contrazione del!' organico - ad esempio i Reggimenti di fanteria scesero a 12 - resa necessaria dagli ammutinamenti e dalle diserzioni; e in seguito si sarebbe dovuto ricostruire completamente l'esercito dopo il suo crollo di fronte all'invasione austriaca. Al suo rientro a Napoli nel 1821 al seguito delle truppe della Santa Alleanza, Ferdinando decise di fare pulizia. Nominò una commissione composta esclusivamente da ufficiali rimasti con lui in Sicilia durante il periodo napoleonico e, nel maggio del 1821, la incaricò di esaminare il comportamento tenuto da tutti i militari dal 1799 in poi. Chi non fosse stato sempre fedele andava eliminato. L'esercito fu sciolto e ricostituito ex-novo. Il 19 gennaio 1822 furono rimessi in piedi i primi quattro reggimenti di fanteria e in agosto i primi due di cavalleria, mentre vi venivano convogliate le nuove reclute. In ottobre venne riordinata 1· Artiglieria e sciolto lo Stato Maggiore dell'Esercito. Non bastando più i volontari, si ripristinò la leva nel marzo 1823 e grazie ad essa nel giugno 1824 le forze ammontavano a 23.307 uomini e 2.439 cavalli, su 8 Reggimenti di Fanteria di Linea, 4 Battaglioni Cacciatori, e 4 Reggimenti di Cavalleria. Infine venne dato un notevole impulso alle innovazioni tecniche, mettendo in mare navi a vapore, sia civi li - nel 18 l 9 - sia militari e, in seguito, inaugurando la prima ferrovia italiana, vista però più che altro come mezzo di trasporto delle truppe fra le residenze reali di Napoli e Portici. A ogni modo il personale preposto all'esercizio delle poche linee borboniche, tutte in Campania, sarebbe stato militarizzato Nel 1825 Ferdinando morì e suo figlio Francesco I ritenne utile ricorrere. come già in passato la dinastia aveva fatto, all'arruolamento di stranieri, capitolando di nuovo truppe svizzere. Così nel l 826 vennero completali tre reggimenti svizzeri, furono portati da binari a ternari i reggimenti nazionali di Linea, e riordinati il Genio e l'Artiglieria. Sotto il comando in capo del principe ereditario Ferdinando, appassionatissimo di cose militari, l'esercito visse una lenta ma sicura evoluzione. Sarebbe stata interrotta solo dagli avvenimenti del 1848 e dal conseguente arroccamento di Ferdinando su posizioni di estremo conservatorismo, delle quali l'Esercito e la Marina sarebbero stati i custodi.

12 Articolata su Guardie del Corpo, due compag,ùe Alabardieri, un reparto di Pionieri e Cacciatori a Cavallo, una coppia di Reggimenti Granatieri, una di Reggimenti Cacciatori a piedi ed una di Reggimenti Cavalleggeri, una Compagnia di Polizia del Palazzo, uno Squadrone di Artiglieria a Cavallo e uno Squadrone Fucilieri. 13 Reggimen1i: Re, Regina, Principe, Principato, Borbone, Real Famese, Real Napoli, Real Palenno, Principe Leopoldo, Real Corona. Marsi , Sanniti, Calabri, Bruzii, Siracusa. Catania. Agrigento, Trapani. 14 La Fanteria aveva 18.938 uomini invece dei 25.928 previsti. la Cavalleria 2.149 invece di 2.753. l'Artiglieria 834 invece di 2.384, la Guardia 4.499 invece di 5.231; i Pionieri erano 323 dei 673 previsti, il treno aveva 277 uomini e non 384. i Sedentari erano 3.933 invece dei 5.425 necessari.


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X) Il Regno di Sardegna Terminata la campagna contro la Francia, in linea col ripristino dello stile antico anche sotto il profilo ordinativo, si tornò alla ripartizione fra unità provinciali e d'ordinanza, arruolando queste ultime con una ferma di otto anni. Nel I 815 i Reggimenti di Fanteria si articolarono su uno Stato Maggiore e due battagHoni, formati da una compagnia granatieri e sei di fucilieri. Ma l 'anno dopo fu deciso che i reggimenti, in caso di guerra, si scindessero in due, aumentando poi fino ad un complesso di quattro battaglioni, in modo da avere due reggimenti, in ognuno dei quali almeno la metà del personale fosse già addestrata. Per questo motivo i reggimenti provinciali furono sciolti ed i loro effettivi ripartiti fra quelli d'ordinanza, che assunsero, in tempo c colla forza di pace, il nome di brigate. L'esercito tornò in breve tempo ad una certa consistenza, articolandosi su 11 reggimenti di fanteria di linea, 8 di fanteria leggera, 7 di cavalleria più artiglieria e servizi. L' Artiglieria dal 1816 si componeva d ' un Reggimento d'Artiglieria, un Battaglione del Treno ed un Battaglione di Sardegna, mentre nel 1820 avrebbe raggiunto la forza di una Brigala su otto compagnie di presidio, una di linea ed una leggera con treno e tecnici. Il Genio nel 1815 disponeva di una Compagnia Zappatori. Nel 1816 avrebbe avuto uno Stato Maggiore, un Battaglione Genio Militare ed una Classe del Genio Civile. L'anno dopo sarebbe stato ridotto a due compagnie di zappatori e minatori per diminuire fino a solo una quarantina di ufficiali nel 1822, salvo un nuovo aumento nel 183015.

XI) "Soffermati sull'arida sponda...": i moti del '20 e del '21

li 1821 fu un anno di rivoluzione in quasi tutta Italia; le rivolte erano cominciate già l'anno prima. Gli scontenti della Restaurazione si erano lemamente agglomerati in società segrete, confluite poi tutte nel mare magnum della Carboneria. Sotto il più completo segreto, con rituali presi dalla Massoneria e con un allegorico e poco convincente gergo da carbonai - da Là il nome - la Carboneria aveva cominciato a complottare presto e, quando le era sembrato giunto il momento adatto, era uscita allo scoperto con moti insurrezionali di varia entità. 11 primo focolaio era stato a Napoli, anzi, a Nola; il più pericoloso in Sicilia. Nel 1815 Ferdinando vi aveva annullato la costituzione del 1812. nella pratica ormai del tutto disattesa, e nel 1817 aveva annientato i privilegi del Reame - il che in sostanza significava dell'aristocrazia - unificandolo con quello di Napoli nel nuovo Regno delle Due Sicilie e mutando l'ordinale dinastico che accompagnava il suo nome da IV in I proprio per sottolineare il nuovo corso politico. Era una vittoria dell'accentramento statalista da lui voluto; lo stesso al quale aveva mirato anni prima mandando a Palermo il viceré Caracciolo. Naturalmente, i nobili non potevano esserne lieti e, quando scoppiò la rivoluzione in terraferma, ne approfittarono. Perché la rivoluzione? Gran parte dei motivi andava ricercata nelle forze armate. Dopo il Trattato dj Casalanza, i militari ex-murattiani erano stati ammessi nell'esercito borbonico senza perdere nulla, caso pressoché unico in ltalia.

15 Nel 1817 con un trattato il Principe di Monaco accettò la protezione sarda. Ammise nel Principato una guarnigione piemontese di circa 250 uomini, ricevè il grado di Maggior Generale nell'Annata Sarda (onorario) e ridusse le sue truppe a 14 guardie e 20 gendarmi. La presenza piemontese sarebbe cessata al momento del passaggio della Contea di Nina alla Francia.


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Questo era l'aspetto militare della sanatoria compiuta da Ferdinando in tutti i rami dell'amministrazione e della vita del Regno. La carenza di persone capaci di compiere il lavoro amministrativo e il ridottissimo numero di istruiti non gli permettevano di fare altrimenti. Disgraziatamente, dovendosi barcamenare fra esigenze contrarie - quelle dei suoi fedeli reduci dalla Sicilia e quelle degli ex-rnurattiani - pensò di far bene a tenere tutto fermo. E l'immobilità creò scontento nelle province e, soprattutto, nell'Esercito. Dopo il 1815 non ci furono promozioni, né aggiornamenti di paga e cosl, quando nella lontana Spagna il nipote Ferdinando VTI concesse la costituzione in seguito all'insurrezione delJe truppe, l'esempio fece scuola nell'esercito dello zio e trovò un terreno fertilizzato dal malcontento. Il 2 luglio 1820 i sottotenenti Morelli e Silvati sollevarono il loro reggimento - Reggimento di cavalleria Borbone di stanza a Nola - al grido di "Viva la libertà e viva la Costituzione!" Da Napoli venne mandata truppa a reprimere il moto; ma il contagio rivoluzionario si estese al resto delle truppe con tale rapidità da costringere Ferdinando a nominare di nuovo il proprio figlio Vicario del Regno e a imitare il nipote di Madrid, concedendo la ··costituzione di Spagna". In ottobre si radunò un Parlamento e intanto la Sicilia insorgeva. Da Napoli mandarono il generale Florestano Pepe con 10.000 uomini e l'incarico di mettere le cose a posto. Ma il 25 settembre il popolo palemlitano assali le carceri, liberò i detenuti, si armò e si dispose a impedire l'ingresso delle truppe in città La giornata passò in scontri non decisivi, interrotti dalla notte e ripresi la mattina del 26 quando, grazie anche all'arrivo della flotta. le truppe regie finalmente entrarono. Combatterono duramente casa per casa e vinsero, anche se occorsero vari giorni - fino al 5 ottobre - per prendere in mano la situazione. Pepe ci riuscì sopratutto largheggiando in promes~e e accettando, per conto del Governo, la concessione della Costituzione di Spagna alla Sicilia. Ma da Napoli il Parlamento lo sconfessò. Allora diede le dimissioni - sarebbe rientrato in servizio solo nel 1848 - e fu sostituito dal generale Pietro Colletta. quello che sotto Murat aveva preparato il piano della conquista di Capri. La situazione peggiorò. La Sicilia piombò nel disordine; ma per il momento il problema maggiore del Re era quello degli avvenimenti continentali. per sistemare i quali occorreva l'aiuto dcli' Austria. L·Austria era preoccupata. Moti e congiure erano venuti alla luce un po' dovunque, sia nei suoi domini sia negli Stati italiani, e occorreva mettere ordine. cominciando col capire cosa ne pensavano i vari sovrani. Convocato un congresso a Lubiana. Metternich ci vide arrivare Ferdinando, unica testa coronata fra tanti ambasciatori e ministri, ufficialmente venuto a difendere la costituzione questo aveva detto al Parlamento napoletano per spiegare la sua partenza - in realtà a chiedere r intervento militare austriaco. Fu prontamente concesso. L'Austria non poteva permettersi di vedere l'idra giacobina rialzare la testa. La rivoluzione le era già costata venticinque anni di guerre ed umiliazioni; e le truppe del generale Frimont marciarono verso Napoli. li Governo parlamentare napoletano cercò di correre ai ripari. Radunò 12.000 uomini fra regolari e militi. ne affidò il comando al generale Guglielmo Pepe, fratello di Florestano, e li spedì al confine. Il 7 marzo a Rieti l'esercito napoletano attaccò le truppe dei generali Geppert e Walmoden ma, colto di lato, si sfasciò dopo un breve scontro costato una cinquantina di morti per parte. La consapevolezza di combattere contro il Re, l'alta percentuale di militi e l'azione disgregatrice degli agenti legittimistici avevano ponato alla sconfitta. Lasciati 700 uomini in retroguardia per rallentare il nemico nelle gole di Antrodoco, Pepe si ritirò all'Aquila con pochi uomini, mentre il resto dell'esercito si liquefaceva. Davanti al disastro - del quale certo non era insoddisfatto - il principe ereditario Francesco, Vicario Generale del Regno, ordinò al governatore dì Napoli, Pedrinelli, di raggiungere il


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comando austriaco e sottoscrivere la resa. Firmato l'armistizio a Capua il 20 marzo 1821, il 23 ad Aversa venne siglata una convenzione con cui si consentiva l'ingresso degli Austriaci nella capitale, consegnandone loro i forti, meno il Castelnuovo, e facendone uscire le milizie nazionali, destinate a porsi agli ordini del generale Frimont. Le truppe austriache si diressero poi in Sicilia; il cui Governo provvisorio, privo d'un esercito, si arrese subito. lnfine, mentre da Napoli venivano espulsi 400 "faziosi", tra i quali Guglielmo Pepe, il 6 ottobre veniva firmata la seconda convenzione d'Aversa. Era lo strumento con cui i membri deUa Santa Alleanza - Austria. Prussia e Russia - regolavano con Napoli le modalità d 'occupazione. Sarebbero rimasti nel Regno 42.000 austriaci, da ridurre a 30.000 quando fosse stato possibile ritirare quelli mandati in Sicilia. Sotto la loro protezione la Corona avrebbe riorganizzato l'esercito, poi ne sarebbero rimasti al massimo 25.000, i quali comunque non sarebbero partiti dal Regno prima di tre anni. Il governo borbonico avrebbe pagato 57.000 fiorini austriaci al mese per le spese di mantenimento, calcolate dal giorno in cui le truppe avevano varcato il Po; il che implicava il versamento al tesoro di Vienna di 4.000.000 di fiorini in cinque rate. A dire il vero tale cifra corrispondeva a 70 mesi d'occupazione, cioè a 5 anni e 10 mesi; e forse per questo gli Austriaci sarebbero restati nelle Due Sicilie fino al febbraio 1827. La rivolta delle Due Sicilie e l'intervento austriaco furono la causa indiretta del moto insurrezionale del Piemonte. Il contrasto fra le idee patriottiche e liberali, sostenute dagli affiliati alla Carboneria, molti dei quali avevano un tempo combattuto assieme ai Francesi, e le tesi reazionarie ufficiali, esposte per conto del re Vittorio Emanuele dal ministro San Marzano al Congresso di Lubiana. esplose nel medesimo mese di marzo in cui gli Austriaci entravano a Napoli. Convinti dell' impossibilità d'un intervento in Piemonte degli Austriaci, proprio perché impegnati a Napoli, il 6 marzo alcun.i membri 16 della setta dei Federati, affine alla Carboneria, si erano recati dall'erede al trono, il ventitreenne principe Carlo Alberto di Savoia-Carignano e gli avevano detto che tutto era pronto per un moto armato: reggimenti interi avrebbero chiesto al Re la costituzione e la guerra di liberazione contro l' Austria. Carlo Alberto, che aveva già avuto contatti coi Federati nell'anno precedente, s·era detto favorevole ed aveva promesso di parlare al Re, sperando anche di poter frenare ed incanalare i patrioti; ma Vittorio Emanuele rifiutò seccamente qualsiasi concessione. Si era ad un punto morto ed i Federati passarono ali' azione. Nella notte fra I' li e il 12 marzo 1821, militari dei reggimenti di fanteria Monferrato. Genova, Alessandria e Saluzzo e dei reggimenti di cavalleria Dragoni del Re. Dragoni della Regina, Cavalleggeri del Re e Cavalleggeri di Piemonte insorsero. La guarnigione della cittadella di Alessandria impiccò il proprio comandante e innalzò, come quella di Torino, la bandiera carbonara. Vista la situazione, il Re abdicò in favore del proprio fratello Carlo Felice, che era a Modena, affidò la reggenza a Carlo Alberto e. scortato dai militari di cavalleria del Savoia, partì per Nizza. Il 13 marzo il Principe di Carignano concesse la costituzione. salva l'approvazione del re Carlo Felice; ma ne fu invece sconfessato già il 16 e ne ricevè ordini severi. Tn base ad essi i reggimenti fedeli si concentrarono intorno a Novara, al comando del generale de la Tour. Poi, unitisi agli Austriaci del generale Bubna, attesero, affrontarono in battaglia e dispersero i reggimenti ribelli, battendoli 1'8 aprile.

16 Fra loro era il capitano Santorre di Santarosa. comandante della compagnia delle Guardie provinciali in cui era stato trasferito da un anno il sottotenente Massimo d'Azeglio, già di Piemonte Reale.


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Rientrate a Torino, le truppe reali parteciparono ad una «rassegna di parata», proseguendo poi per Genova e Nizza, dove sedarono i moti scoppiativi. Il caso di Genova fu particolarmente difficile. poiché sul tentativo carbonaro s'innestò una componente indipendentista che mirava a ripristinare l'antica Repubblica. li Governo del Re usò la mano pesante e fece bombardare la città da terra e dal mare, riducendola presto alla più completa sottomissione. Segul un'ondata di processi e di condanne in tutto il Regno. I reggimenti ribelli furono sciolti e sostituiti dai nuovi Casale, Pinerolo, Acqui e Savona di fanteria; mentre si contrasse la cavalleria ai soli militari fedeli, concentrandoli nei reggimenti Piemonte Reale. Dragoni del Genevese, Cavalleggeri di Piemonte e Cavalleggeri di Savoia.

Xfl) I Moti del 1830-31 Passata l'ondata rivoluzionaria, i governi italiani ripresero a pensare ai propri casi, il principale dei quali era ancora costituito dalla pirateria mediterranea. Contro di essa. in particolare contro la Reggenza di Tripoli, vennero effettuate delle spedizioni navali - dal Regno di Sardegna nel 1825 e da quello delle Due Sicilie nel 1828 - con un certo successo. L'Italia però continuava ad essere poco tranquilla. l nuovi nemici del trono e dell'altare, i Carbonari, si erano rivelati nel 1821. erano stati sconfitti ed esiliati; ma ora qualcosa era cambiato. Cominciavano a diffondersi gli scritti di un genovese sconosciuto, Giuseppe Mazzini, il quale parlava apertamente d'Italia una e repubblicana e gettava così il seme di quella coscienza nazionale ed unitaria mancata fino ad allora. r moti del '21 infatti erano falliti perché scoordinati: ed erano stati scoordinati perché non erano chiare le idee sui risultati da ottenere. Nelle "vendite" - come si chiamavano i gruppi degli affiliati alla Carboneria - si era parlato di monarchie costituzionali, di repubbliche di varie tendenze, di insurrezioni, di libertà, di socialismo, di tutto e di nulla. Insomma: delle forze c'erano state. ma era mancato loro il catalizzatore; ed ora Mazzini lo stava creando mediante la sua Giovane Italia. Adesso e grazie a lui si cominciò a parlare seriamente d 'unità. Ci si rifece ai modelli antichi ma. e questo era più pericoloso, specie per l'Austria, pure a quelli recenti anche perché l' unico caso di unione nazionale, l'unico esempio di Regno d'Italia che si fosse chiamato così, dai tempi di Alboino in poi era stato quello di Napoleone. E un sintomo significativo di questo richiamo a un passato assai prossimo, al quale tanti Carbonari avevano partecipato, fu la diffusione della bandiera del Regno Italico. Nei moti del '21 era stato usato un tricolore. è vero, ma si era trattato di quello carbonaro: azzurro, nero e rosso. Ora invece si tornava al verde bianco rosso della Cisalpina. Fu un ulteriore segno della maggior pericolosità dei moti del 1831 rispetto ai precedenti. Il '3 1 allarmò perché dimostrava che il '2 1 non era stato un caso, semmai un primo tentativo. Poi perché si videro generali ex-italici, come Zucchi. schierati contro il potere costituito. E questo testimoniava la fine della cooperazione e il distacco definitivo della categoria dei "napoleonici" dai Governi restaurati, perché rifiutavano di concedere l'evoluzione politica, cioè la spartizione del potere colla classe che l'aveva parzialmente esercitato sotto Napoleone. Per questo nel '21 Pepe era stato dalla parte della corona - e ci sarebbe tornato nel '48 - e per questo adesso Zucchi si schierava contro i.I Papa. In più bisognava guardare con sospetto la Sardegna. Carlo Felice era morto nell'aprile 1831, ultimo del ramo primogenito di Casa Savoia, e aveva lasciato erede, con molte esitazioni per la parte che aveva avuta nei moti del '2 1, Carlo Alberto. Con lui saliva al trono quel ramo della famiglia, incominciato due secoli prima col Principe Tommaso, che aveva dato alla


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storia il principe Eugenio e che avrebbe unificato l'Italia; con lui saliva al trono un ex-ufficiale napoleonico, un ex-amico dei Carbonari, un uomo, insomma. che Vienna avrebbe fatto bene a tener d'occhio. Già nel 1830 il fermento politico era dappertutto in Europa, ma l'esplosione si ebbe con la rivoluzione parigina di luglio e coll'avvento alle Tuiléries del ramo cadetto dei BorboneOrléans. I fatti di Francia diedero l'avvio a quelli d'Italia. Si verificarono moti di Carbonari e Mazziniani a Modena, Bologna, Parma e nelle Marche, ma i più pericolosi furono quelli dell'Emilia. Estesisi a tutte le Legazioni pontificie, determinarono l'arresto del cardinal legato Benvenuti e la creazione d'un Governo Provvisorio delle Province Unite e d'un Esercito Nazionale, alla cui testa fu messo il generale Zucchi nominato ministro della guerra. I generali Sercognani ed Annandi - già colonnelli napoleonici - alla fine di febbraio avanzarono verso Roma coll'avanguardia dell'Esercito Nazionale. Sercognani ne era stato nominato comandante e aveva radunato nelle Marche circa 2.000 uomini, ex-militari pontifici, ai quali si aggiunsero un migliaio di volontari emiliani e romagnoli. Si fermarono poco oltre Temi, occupando, come d'ordine del Governo Provvisorio di Bologna, tutta la riva sinistra del Tevere. Sapevano che la popolazione dell'Urbe era contraria alla rivoluzione e preferivano attendere un'eventuale sollevazione interna fomentata dai liberali locali, poiché 3.000 uomini non sarebbero certo riusciti a controllare una città grande come Roma. Mentre stavano fermi cominciò la reazione austriaca. n 19 marzo il generale Frimont mosse i suoi 23.000 soldati da Modena e da Ferrara. li Governo Provvisorio riparò ad Ancona portandosi dietro il Cardinal Legato; Zucchi invece ordinò il concentramento dei rimanenti 5.000 uomini dell'Esercito Nazionale a Rimini. Agganciato il 25 marzo dalle unità del generale Geppert e respintele tre volte con lievi perdite, poté proseguire su Fano. Contava di passare l'Appennino al Furio e unirsi a Sercognani per proseguire poi su Roma ed era convinto che la Francia non avrebbe permesso agli Austriaci di entrare nell'Italia Centrale, attribuendo a questo motivo la presenza del contingente francese sbarcato nelle Marche. Ma le cose non stavano così e proprio l'intervento francese convinse il Governo Provvisorio dell'impossibilità di resistere. Si giunse quindi ad una convenzione col cardinal Benvenuti, ottenendo la piena amnistia in cambio dello scioglimento immediato dell'esercito e del ristabilimento del Governo Pontificio. Austria e Francia avrebbero garantito il ritorno alla nonnalità, ma mentre la prima avrebbe ritirato i suoi presidi nel corso del L83 I, la seconda avrebbe conservato un proprio contingente in Ancona dal 1832 fino al 1838. La precauzione non sarebbe stata infondata. perché i torbidi in Italia sarebbero continuati. Nel 1834 sarebbe stata scoperta dalla polizia sarda una trama rivoluzionaria organizzata dai seguaci della Giovane Italia di Giuseppe Mazzini; e tra gli scampati all' arresto ci sarebbe stato il marinaio della squadra sarda Giuseppe Garibaldi. L'anno seguente. colonne armate di repubblicani, guidati dal generale Ramorino e dallo stesso Mazzini, sarebbero entrate in Savoia 17 venendo però rapidamente disperse dalle truppe regie. E ancora si sarebbero verificate sommosse in Sicilia, Abruzzo e Calabria nel 1837 e nel 1841 e poi a Cosenza nel 1844 ed a Rimini nel 1845.

l7 In quell 'occasione sarebbe stata attribuita al Carabiniere Reale Scapaccino la prima Medaglia d'Q. ro al Valor Militare. decorazione individuale e colleuiva ristabilita da Carlo Alberto nel I83 l dopo la parentesi napoleonica. Scapaccino era stato circondato dai Mazziniani e minacciato di morte se non avesse inneggiato alla Repubblica. Gridò: "Viva il Re!" e fu ucciso.


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Xli) Esercizio americano: I.a Legione Italiana di Garibaldi

Sfuggito all'arresto, Garibaldi si imbarcò e andò in America Latina dove si trovò coinvolto nel! 'insurrezione della Repubblica del Rio Grande del Sud contro l'Impero del Brasile. Non aveva mai combattuto prima d'allora e la sua folgorante carriera cominciò per sbaglio: La Repubblica aveva bisogno d'un comandante di mare esperto al quale affidare un'imbarca?ione con.ara. Da corsaro Garibaldi si trovò qualche volta a dover operare a terra e. insensibilmente, si trasformò in generale. Pu allora, parliamo degli anni successivi al 1836. che s i formò come soldato di terra e lo fece in un ambiente molto diverso da quello europeo. Le differenze di orografia. necessità, alimentazione e armamento. in una parola. la diversa vita che si faceva là implicavano un diverso modo di concepire e fare la guerra, intesa semplicemente come un'applicazione al combattimento delle abitudini d'una popolazione. li modo di combattere dei Sudamericani era quello tradizionale, già impiegato due secoli prima in~ieme ai Napoletani e agli Spagnoli contro gli Olandesi. La caratteristica principale delle formazioni brasiliane, sia a piedi sia a cavallo, era l'estrema mobilità, dovuta ad una concomitanza di vari fattori: l'abitudine di mangiare prevalentemente carne, la possibilità di trovarne molta e facilmente e l'implicita inutilità dei carriaggi, particolare più volte sottolineato da Garibaldi nelle sue memorie a proposito di varie azioni, rimarcando che un esercito europeo non le avrebbe sapute e potute svolgere proprio perché rallentato dalle salmerie. Un secondo fanore, conseguente al primo, era la mancann pressocchè totale d'equipaggiamento. almeno secondo i canoni europei: un mantello e una lancia erano sufficienti a coprirsi; un coltello era quanto serviva per la cucina - a base di carne arrostita - e le buffenene consistevano in una cartucciera e. a voler esagerare. m un tascapane. TI terLO fattore consisteva in un 'ottima aderenza al terreno, naturale a gente abituata a convivere con una natura ben diversa da quella europea e capace d'adeguarvisi e valersene il più possibile. La capacità di manovra sfruttando il terreno con estrema elasticità aveva a suo tempo sconcertato gli Olandesi, 1 cui reparti, avanzando in ordine chiuso, improvvisamente si ritrovavano davanti il vuoto e addosso una pioggia di proiettili di ogni genere; ed avrebbe sconcertato ancora di più gli Austriaci, i Napoletani., i Francesi e i Tedeschi una volta ttasferita in Europa. Infatti, se si esaminano le operalioni garibaldine in Italia e in Francia dal 1849 al 1871 si notano subito due cose. La prima è proprio l'elasticnà con cui le truppe avanzavano e si ritiravano anche più d'una volta nel corso del medesimo scontro. appoggiandosi al terreno e sfruttandone ogni risorsa contro il nemico, approfittando della minima occasione per lanciargli contro delle colonne d'attacco compalle e veloci, tamo nell'avanzare quanto nel ripiegare. Varese e San Fermo ne sono ottimi esempi; ma anche a Digione. contro i Tedeschi e in mezzo alla neve, fu applicato il medesimo elastico sistema con successo e col risultato - unico in tutta la Guerra Franco-Prussiana - di strappare al nemico la vittoria e una bandiera. La seconda cosa che si nota è l'assenza della cavalleria. Garibaldi non la usò, mai o quasi mai. È vero che si trattava di un'Arma costosa e le formazioni da lui comandate in Italia generalmente avevano tanto entusiasmo e pochi soldi. ma c·era pure un altro motivo. In America aveva imparato a fame a meno perché aveva visto che la fanteria poteva batterla. È un quarto, paradossale, fattore della tattica garibaldina. In paesi in cui il cavallo era tutto - e lui stesso ammetleva «se11::a .. ; impossibile nulla imprendere in quei paesi e.uen::.ialmente cavallereschi,.""• - mcredib1lmente esisteva la predominanza della fantcna sulla cavalleria. È stranissimo ma questo risulta dalle memorie di Garibaldi in modo inequivocabile. Ogni volta che la fanteria compariva sul campo di battaglia, riusciva a prevalere, laddove in Europa si verifica"" GARIBALDI. "Memorie... Torino. Einaucli.1975. pag. 144.


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va quasi sempre l'esatto contrario. Il primo scontro in cui Garibaldi si trovò contro la cavalleria consistè in un attacco di sorpresa vibratogli da 180 cavalieri ai quali lui. chiuso in un magazzino, poté opporre solo 14 uomini, incluso sè stesso, ma dopo sei ore di combattimento fece ritirare il nemico. Può sembrare un caso, ma non lo fu: e le operazioni degli anni successivi, sia contro i Brasiliani sia contro gli Argentini. l'avrebbero confermato: tutte le volte che la fanteria entrava in campo, la cavalleria nemica non riusciva a vincere. Si arrivò ali 'estremo 1'8 febbraio del 1846 a Sant'Antonio, dove Garibaldi con 186 Legionari Italiani e un centinaio di cavalieri uruguaiani venne assalito da 300 fanti e 900 cavalieri argentini. Rifiutò il ripiegamento; gli Uruguaiani scapparono tutti meno una mezza dozzina. ma lui batté il nemico scompaginandone la fanteria - che avanzava in linea - con una scarica a bruciapelo, un fulmineo contrattacco in colonna alla baionetta e resistendo alle cariche della cavalleria per otto ore, fino a disimpegnarsi portando via tutti i feriti. È quindi in Sudamerica che Garibaldi imparò a combattere e, con lui, i circa sessanta membri della Legione Italiana che l'avrebbero seguito in Italia nel 1848 e molti dei quali. a partire da Giacomo Medici, sarebbero stati con lui nel '59, nel '60 e negli anni successivi 18. La Legione - inizialmente di 500 uomini circa, aumentati in seguito ma mai saliti oltre i 700 - ebbe un esordio infelice il 2 giugno 1843 in una sortita contro gli Argentini che assediavano Montevideo. Garibaldi corse ai ripari e, una settimana dopo, la mattina del 10 giugno, la guidò all'attacco al Cerro in colonna e per sezioni « ... la Legione italiana doveva vincere in quel giorno: essa lo aveva giurato e mantenne il giuro»ix scrisse poi. Nell'intricata situazione dell'Uruguay di quegli anni, la guerra contro l'Argentina continuò a lungo. E la Legione italiana combatté, con o senza Garibaldi - spesso impegnato a comandare la piccola flotta della Repubblica - distinguendosi e senza mai essere sconfitta a Tres Cruces il 28 marzo del 1844. e al Passo della Boyada il successivo 24 aprile. Poi. di nuovo sotto Garibaldi, nella spedizione del Salto, intrapresa alla fine del 1845 coll'appoggio militare francese e inglese e il cui ultimo scontro di rilievo fu, dopo quello già ricordato di Sant' Antonio, la battaglia del 20 maggio 1846 sulle sponde del Daymàn, nella quale Garibaldi per sfiancare e disorganizzare la cavalleria avversaria si avvalse della fanteria, al riparo della quale. inoltre, consentì alla propria cavalleria di riordinarsi ogni volta che ne aveva bisogno. Sopravvenuta una rivoluzione ed una paralisi dell'attività bellica, Garibaldi, pur chiamato al comando dell'Esercito Uruguaiano, restò sostanzialmente inattivo fino al principio del 1848, quando arrivarono le notizie delle prime riforme io Italia. accolte con grande emozione: «In tale stato di cose si decise di riunire un pugno dei nostri migliori, i mezzi di trasporto, e veleggiare per l'Italia»•.

XIV) L'Armata Sarda di Carlo Alberto: 1831 - 1847 Fio dalla sua salita al trono Carlo Alberto, animato da un profondo risentimento contro l' Austria, aveva cominciato a valutare le possibilità di cacciarla dalla Lombardia e far tornare la Sardegna preminente fra gli Stati italiani. 18 Ed è <lai Sudamerica, come si sa, che venne la camicia rossa. Quando Anzani e Garibaldi organizzarono a Montevideo la Legione Italiana, fonnata da volontari scelti fra gli oltre 4.000 connazionali residenti nella città, sia loro sia il Governo della Repubblica ritennero di accettare l'offerta, giudicata vantaggiosa, di una partita di camicie di lana rossa, destinate in un primo tempo agli inservienti dei macelli argentini. Si otleneva cosl il triplice scopo di coprire bene i soldati, dar loro un'uniforme e aiutare l'economia della Repubblica; e l'affare fu concluso. i1l GARIBALDI, op. cit., pag. 127. x Idem, pag. 180.


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Poiché il suo predecessore aveva curato la Marina. ma non l'Esercito, e visto che era proprio il secondo ad essere fondamentale contro una potenza terrestre come quella degli Asburgo, Carlo Alberto lo riorganizzò. Nel dicembre 1830 parti la Riforma Paolucci, in seguito alla quale i reggimenti di Fanteria si articolarono su uno Stato Maggiore e due battaglioni: uno di scelti ed uno adibito a Deposito Reggimentale, cioè alla ricezione, equipaggiamento e addestramento delle reclute e dei richiamati. visto che dal 1816 era stata introdotta nel Regno la coscrizione obbligatoria. La forza complessiva del reggimento era di 105 ufficiali e 2.990 tra sottufficiali e truppa in pace, a fronte dei 1.094 del novembre 1821. da elevarsi a 4.069 in guerra per la fanteria di linea, mentre la leggera, che alla fine del '21 contava 1.550 uomini per reggimento e che nel '26 era scesa a 1.200. sempre restando su due battaglioni, rerncrementò i propri effettivi fino a 1.600 per reggimento. Ma le idee di Paolucci vennero poi abbandonate parzialmente e. a partire dal 1831, le riforme19 si susseguirono vertiginosamente. Soppressa la carica di lspeuore Generale dell"Esercito e sostituitala colla Regia Segreteria di Stato per gli Affari di Guerra e Marina, nacque il Real Corpo di Stato Maggiore della Reale Armata. dal quale, in tempo di guerra, dipendevano direttamente tutti i reparti che non fossero di Fanteria e di Cavalleria. La Fanteria soppresse le unità leggere, numerò i propri reggimenti come 1° e 2° col nome della brigata d'appartenenza e ne mutò la composizione, passando da due a tre battaglioni. ognuno su una compagnia di granatieri, una di cacciatori e quattro di fucilieri . L'anno seguente toccò ai terzi battaglioni trasformarsi in Deposito Reggimentale. Seguirono altri mutamenti, come la conversione delle compagnie scelte e di carabinieri in analoghe unità di granatieri e cacciatori, e lentamente si tornò più o meno a quella che era stata la struttura proposta dalla riforma Paolucci nel 1830. Nel 1839 la Fanteria passò dalle brigate di un solo reggimento, comandate da un colonnello, a quelle, poste agli ordini di un maggior generale. formate da due già in tempo di pace, la forza dei quali fu stabilita a 1.085 uomini ciascuno, da elevarsi a 3.385 in guerra. Infine, coll'eccezione della Granatieri Guardie, le brigate di fanteria, 9 in tutto. ricevettero una nuova numerazione ordinale, dall' I al 1820 per i reggimenti che le componevano, i quali, a coppie, avevano anche lo stesso nome della brigata d'appartenenza21. Nel 1836, su proposta del capitano dei Grana1ieri Guardie Alessandro La Marmora, fu istituito un corpo di fanteria leggera. denominato Corpo dei Bersaglieri, che doveva sostituire i reparti cacciatori, soppressi nel ·3 I. La Cavalleria nel 1832 venne riordinata. Nove anni prima era stata alleggerita la forza e aumentato ad otto il numero degli squadroni dei reggimenti eavaUeggeri. Nel 1828 era stato costituito il Reggimento Dragoni di Piemonte, nel '30 era stato portato l'organico dai reggimenti a 900 uomini e 784 cavalli ed era stato ricostituito il Reggimento Aosta Cavalleria. Le riforme albertine ridussero l'organico da otto a sci squadroni effettivi, più uno deposito da costituirsi in caso di guerra, elevarono la forza degli squadroni a 5 ufficiali e 123 uomini, 100

19 Una novità fu. proprio in queU'anno, la composi2ione deUa Marcia Reale. Serina dal maestro Giuseppe Gabeni. capomusica del l • Reggimento fanteria Savoia. doveva in origine accompagnare la comparsa del Re in mezzo alle lruppe; in breve però soppiantò l' Inno Sardo e divenne l' inno nazionale del Regno d'ltnlia, venendo sostituita dall'Inno di Mameli nel 1946. Fu eseguita ufficialmente l'ultima volta. per errore, da una banda militare inglese prima del.la partita di calcio fra le nazionali inglese e italiana nel 1948; viene tuttora ~uonata come peuo tradizionale a New York. nel quartiere di Little ltaly. nel Columbus Day e in occasione della festa di San Gennaro. 20 Per un breve periodo però gli ordinali reggimentali furono semplicemente «pri mo» e «secondo» seguiti dal nome del reggimento. 2 1 Risultando quindi 1° e 2° Savoia. 3° e 4° Piemonte. 5° e 6° Aosta. 7° e 8° Cuneo. 9° e 10° Regina, 11° e 12° Casale. 13° e 14° Pinerolo. 15° e 16° Savona, 17° e 18° Acqui


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dei quali a cavallo, in tempo di pace ed a 5 e 145, di cui 20 appiedati, in tempo di guerra, portando a 38 ufficiali e 901 cavalieri, 126 dei quali a piedi, la forza di guerra. L'Artiglieria ebbe un mutamento non irrilevante. Le quattro compagnie d'Artiglieria leggera, 1'8 aprile 1831. vennero suddivise in due di Artiglieria leggera e due a cavallo (otto pezzi inglesi da 8 libbre, 4 ufficiali, 196 fra sottufficiali ed artiglieri e 176 cavalli)22 mentre nel 1833 i I treno fu sciolto in quanto tale ed inglobato nei singoli reparti del Corpo, che vennero cosi a disporre direttamente dei conducenti e dei cavalli necessari. A partire dal 1839 il dispositivo militare sardo andò assumendo un nuovo assetto, esercitandosi ad operare nella Pianura Padana, quindi in funzione di un eventuale impiego contro l'Austria anziché, come in passato, in montagna, cioè in vista d'un' azione contro la Francia. In realtà già nel 1833 le truppe di tutte le Armi avevano iniziato ad addestrarsi in modo differente durante i Campi d'Istruzione, voluti da Carlo Alberto, che si svolgevano sempre nello stesso luogo ed ai quali i reparti partecipavano a rotazione. Negli anni '40 apparentemente e formalmente la forza di terra risultava omogenea e ben articolata, ma in realtà era minata dalle carenze di due settori fondamentali per il successo di ogni campagna di guerra. Il primo era quello logistico e d'intendenza che, rivelatosi già inadatto durante la spedizione del '15 nel Delfinato, doveva venire corretto solo dopo la Guerra di Crimea. li secondo, infinitamente più importante, era lo Stato Maggiore. Già s'è detto quale fosse la mentalità corrente negli alti gradi sardi, protesa alla regolamentazione di ogni singolo e minuto atto più che allo studio della guerra ed alla sperimentazione delle innovazioni per vincerla. Ebbene, lo Stato Maggiore risentiva in pieno di questa distorsione. Da esso dipendevano l'Intendenza generale dell'Armata, il comando delle Guide, dei Carabinieri Reali, del!' Artiglieria, dei cannonieri conducenti e degli Ingegneri. gli ufficiali medici, quelli dei servizi. i cappellani e, addirittura, gli specialisti fotografi ma, ed ecco l'errore fondamentale, non lo studio, la pianificazione e l'esecuzione del1e operazioni. In altre parole: lo Stato Maggiore coordinava, ma non comandava le grandi unità23, che erano alle dipendenze del Re e non del Capo di Stato Maggiore, inteso quindi come una sorta di capo dei servizi e nulla più. Ne derivava che, in assenza del sovrano. mancava il punto di riferimento ed i comandanti di corpo d'annata si sentivano autorizzati ad agire autonomamente, il che significava di solito scoordinatamente, con risultati pesantissimi. Inoltre. poiché ognuno tendeva a primeggiare nei confronti dei colleghi, conseguenza questa dell'autonomia, nascevano invidie, rancori e gelosie che portavano a decisioni motivate dall'amor proprio e dall'orgoglio anziché dalle contingenze tattiche o, peggio, strategiche; e questi particolarismi, che costarono la campagna del '48 e quella del '66, furono stroncati solo da Cadoma coi famosi «siluramenti» della I Guerra Mondiale. Del resto «mutato nomine, de te fabula narracur»•i, è singolare vedere come la lezione impartita dal passato non sia stata recepita in seguito per lungo tempo. Infatti, fino alla riforma Spini del 1997, la situazione delle Forze Armate Italiane rimase esattamente la stessa del periodo albertino, poiché le leggi della Repubblica prima d'allora non avevano mai dato al Capo 22 Gli uomini delle batterie a cavallo ricevettero una mantella corta, molto adatta ad essere indossata in arcione. Vedendola fluttuare e sbattere dietro di loro quando passavano al galoppo, la gente trovò una rassomiglianza fra quella e le ali dei pipistrelli e diede scherzosamente ai soldati il nome dialettale di pipistrelli, in piemontese "Rata voloira" - topi volanti-che poi, ridotto a "voloira". sarebbe rimasto il soprannome delle batterie a cavallo. 23 Sono Grandi Unità quelle composte da più unità, cioè reggimenti o battaglioni, comandate da un ufficiale generale, che si dividono in «elementari» (brigate e divisioni) aventi un organjco fisso, generalmente articolato su due unità del livello inferiore, e immutabile e così chiamate perché compongono le altre, dette «complesse» (corpi d'armata ed armate) il cui organico è invece variabile.

xi ORAZIO: «Satire». I, 1,6 9.


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di Stato Maggiore della Difesa il comando delle tre componenti delle Forze Armate. ma solo il loro coordinamento. Tornando al re Carlo Alberto ed alla sua politica, occorre dire che seguì una rotta costellata di riforme tali da far lentamente accentrare su di sè e sulla Sardegna lo sguardo di tutti gli Italiani che speravano in un rivolgimento politico. Nel 1845. Massimo d'Azeglio, di ritorno da un lungo viaggio attraverso l'Italia, chiese di parlare al Re per metterlo al corrente di quanto aveva visto e udito. «Domandai un 'udienza e l'ebbi presto ... entrai in quella sala che è dopo l'anticamera «di parata», e mi trovai alla presenza di Carlo Alberto, che stava ritto presso /a finestra e che, risposto co11 1m cenno cortese del capo alla mia riverew;;a, m'accennò uno sgabello nel ,·ano de/finestrone, mi vi fece sedere, ed egli mi si pose di faccia»•"· D'Azeglio gli espose tutto quello che sapeva sulla situazione italiana, riferendo quanto aveva fatto e detto lui stesso venendo a contatto coi vari patrioti incontrati nel suo giro. «Ora la Maestà Vostra mi dirà se approva o disapprova q11el che ho fatto e quello che ho detto». Tacq11i ed aspettai la risposta. che laffaionomia del Re mi prometteva non acerba; ma che, quanto a/l'importante, m'immaginavo dovesse essere tm ibis redibis, da saperne dopo tanto come prima. Invece, senza pumo dubitare, né sfaggire il mio sguardo, ma fissando invece i suoi occhi ne 'miei, disse tranq11illo, ma riso/1110: «Faccia sapere a que' Signori che stiano in quiete e non si muovano, non essendovi per ora nulla da/are; ma che siano certi che, presentandosi /'occas1011e, la mia vita, la vita de 'miei figli, le mie armi, i miei tesori, il mio esercito, 111110 sarà speso per la causa italiana .... ». Con quelle parole e tramite d'Azeglio, Carlo Alberto accettava il patto che laborghesia italiana gli offriva: la corona d'Italia in cambio della partecipazione al potere politico garantita da una Costituzione. Tutto stava a trovare l'occasione. Continuava d'Azeglio: «Chi m'avesse detto che quella grande occasione così /omana d'ogni previsione nel '45, e che ambedue dovevamo disperare di vedere mai era da Dio stabilita per tre anni dopo?..Come si può credere uscii dal pala-::.zo con 1111 tumulto nel cuore sul quale volava ad ali tese 111,a grande e splendida speran::,a»'"'· E venne l'anno de' portenti.......

xi, o· A7EGLIO. op. cit.. cap. 16, pag 539 e segg. •m Idem, pag. 543.


CAPITOLO XXVII

L'ANNO DE' PORTENTI: 1848

nMarzo: Le Cinque Giornate Il 1847 era stato, in Europa, un anno denso di tensioni, che facevano presagire qualche grosso sviluppo, forse rivoluzionario. per il nascente 1848. E le attese non andarono deluse, perché la ventata d ' irrequietezza del ' 47 si tramutò in una furiosa tempesta che si abbatté su tutti i troni dell'Europa continentale. A Parigi la folla invase le Tuileries e proclamò la repubblica, mentre Luigi Filippo riparava all'estero. J Napoletani si misero in moto contro i Borboni e il 29 gennaio Ferdinando II concesse la Costituzione. L'8 febbraio i Torinesi acclamarono Carlo Alberto che aveva promesso lo Statuto. promulgato poi il 4 marzo. Il 14 febbraio il papa Pio IX si unì al gruppo dei Principi costituzionali, seguito dal Granduca di Toscana tre giorni dopo. ll 13 marzo i moti popolari a Vienna determinarono l'lmperatore d'Austria ad allontanare dal governo l' anziano Metternich, universalmente considerato l'incarnazione del principio assolutista, ed a promettere le attese riforme politiche. Cinque giorni più tardi insorse Berlino. Il medesimo giorno i Milanesi iniziarono gli scontri coi 20.000 austriaci del feldmaresciallo conte Radetzky, che il 22 marzo sgomberò la città. La stessa cosa successe a Venezia. Insorta tutta la Lombardia, cacciati i duchi da Modena e Parma, gli sguardi si volsero al Regno di Sardegna, l'unico che, oltre ad avere un buon esercito, offrisse una certa garanzia, intervenendo rapidamente, di riuscire ad incanalare in senso istituzionalmente monarchico le tendenze più rivoluzionarie e repubblicane che già s"erano andate manifestando. Carlo Alberto rispose all'appello dell'aristocrazia milanese e scese in campo anche se aveva come obiettivo principale non l'unificazione dell'Italia ma, più modestamente, l'acquisizione del regno Lombardo-Veneto poiché, escludendone gli Austriaci, avrebbe distrutto la loro influenza politica suUa Penisola. sostituendola con la propria. In tal modo sarebbe divenuto il più importante e rilevante membro di queUa confederazione fra gli Stati italiani presieduta dal Papa che da anni veniva ipotizzata. Era in sostanza il ritorno alla politica di Vittorio Amedeo Il e Carlo Emanuele ID, nel rispetto dei diritti che i legittimi sovrani d'Italia potevano vantare sui loro Stati. Prova ne fu il fatto che. all'indomani della caduta di Peschiera, quando tutto sembrava avviarsi ad una fine rapida e fortunata, egli venisse proclamato re della sola Alta Italia, non di tutta la Penisola. Al momento d ' iniziare la campagna, il 25 marzo l 848, l'Annata sostituì le bandiere modello 1832, consistenti in una grande croce bianca in campo rosso quadrato, di un metro e venti di lato, con quelle tricolori. Quadrate, col lato di un metro e trentacinque erano divise in tre bande verticali di pari dimensioni, verde, bianca e rossa. col.lo scudo sabaudo. bordato d'azzurro al centro del campo biancol e aderente agli altri due, a simboleggiare l'unione delle idee e delle speranze italiane sotto la guida di Casa Savoia. Nessun cambiamento per le uniformi e l'equipaggiamento. rimasti quelli sanciti dal regolamento del 1843. I E ci furono discussioni a non finire perché , araldicamente, la bordatura dello stemma si usa solo per i rami cadetti o collaterali di una famiglia; mai per il ramo principale.


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L'Armata Sarda.al comando di Carlo AJbeno, era composta dai due corpi d'armata, dei generali Bava e De Sonnaz. Ognuno era su due divisioni (D' Arvillars, Garetti di Ferrere, Broglia di Casalborgone e Federici, poi sostituito daJ Duca di Genova, secondogenito del Re) alle quali se ne aggiungeva una quinta, di riserva, comandata dal duca di Savoia, l'erede al trono Vittorio Emanuele. Ogni divisione era anicolata su due brigate binarie di fanteria, due reggimenti di cavalJeria. un battaglione bersaglieri, artiglieria e servizi. Compresi gli Stati Maggiori reggimentali, le brigate raggiungevano i 6.760 effettivi ciascuna e l'armata allineava in rotale 55.000 uommi con 120 pezzi d'artiglieria. A loro s'aggiungevano due divisioni pontificie: una regolare, comandata dal generale Durando, ed una di volontari, del generale Ferrari. per una consistenza complessiva di soli 7 .000 uomfoi più 9.000 fra Bolognesi e Guarrue Civiche romane. Completavano le forze italiane 7.000 toscani fra regolari e volontari, 3.000 volontari modenesi e parmensi, 2.000 lombardi e due divisioni regolari napoletane. condotte da Guglielmo Pepe. che erano però ancora in marcia verso nord. Complessivamente, dunque, 98-100.000 uomini, prevalentemente appiedati e privi di un efficiente coordinamento. che si rimettevano comunque rutti agli ordiru del Re di Sardegna. Dall'altra pane Radetzky, appoggiatosi alle fortezze del Quadrilatero, disponeva di due corpi d'annata: il I, quello di Milano, del feldmaresciallo Netolicky. con 40.000 uomini, e a Padova il II, di 30.000, del feldmaresciallo D' Aspre. U 29 marzo Carlo Alberto fece pervenire alle truppe l'ordine di radunata al Ticino. Mancavano i piani di mobilitazione e quelli di guerra. Le forze sarde erano ancora nelle proprie guamigioru, il che significava fino a 15 giorni di marcia per raggiungere il confine ed il Ministro della Guerra prevedeva di non poter arrivare a disporre di 25.000 uomini sul Ticino prima del 30 marzo. Prevalsero le considerazioru poliuche e si decise ugualmente l'attraversamento della frontiera colle poche truppe presenti. n 26 il generaJe Bes marciò su Milano con 4.000 uomini, mentre il suo collega Troni, con altrettanti. passava per Pavia rureno a Lodi e seguito dal grosso.

Il) Aprile: Pastrengo e Santa Lucia Posto l'esercito in modo da tenerlo fuori del raggio d'azione delle guarnigioni di Peschiera e Mantova, Carlo Alberto iniziò le operazioni distruggendo 1'8 aprile gli avamposti nemici di ponte di Goito2. Borghetto e, il 9, di Monzambano. muovendo poi in direzione del Veronese e staccando sulJa sinistra la 4' Divisione per assediare Peschiera. U 28 occupò le alture fra il Mine io e l'Adige. tra Santa Giustina e Custoza, spingendo la destra fino a VilJafranca. Rade12ky, facendo perno su Verona. decise d1 coprirsi la dei.tra e l'Adige. lungo il quale dovevano giungere i rinforzi, e dislocò tra Piovenano e Pa~trengo la Divisione Wocber, forte di 7.500 uomini, 12 cannoni e 3 racchcncJ. Vistosi minacciare la sua ala sinistra. con 13.500 uomini Carlo Albeno attaccò e prese Pastrengo il 30 aprile, poi decise d'investire la fortezza di Verona. Ordinò una ricognizione di tutta l'Armata sotto ru essa, sperando d'indurre Radetzky, coi suoi 26.000 uommi. ad accettare uno scontro in campo apeno, al quale avrebbe dovuto fare eco entro le mura un'insurrezione che avrebbe intrappolato i nemici tra due fuochi. La ricognizione era in realtà un attacco vero e proprio. strategicamente fondamentale per la riuscita della guerra. La presa di Verona avrebbe tagliato oriuomalmente in due lo schiera-

2 Dove ebbero il battesimo del fuoco i Bersaglieri. 3 Apparecchi per il lancio di razzi illuminanti ed incendiari.


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mento austriaco, portando le truppe sarde a congiungersi a quelle venete e pontificie e isolando le unità nemiche attestate sul basso Po, a Mantova e Legnago. Bloccando tutte le vie, fluviali e terrestri, per le quali avrebbero potuto ricevere rinforzi, le ultime due fortezze del Quadrilatero sarebbero facilmente cadute e, con esse, anche le possibilità austriache cli vincere la guerra. Prendere Verona significava aver vinto la campagna per tre quarti. I Sardi mossero su sei colonne dagli accampamenti, il 6 maggio, con 20.000 uomini e 70 cannoni, articolati nelle divisioni 3• verso Crocebianca, 1• su San Massimo e 2• a Santa Lucia, colla riserva dietro la 1• Divisione. Ma lo scoordinamento delle colonne sarde e la mancata insurrezione cittadina - Radetzky aveva destinato ben 10.000 dei suoi soldati alla sicurezza interna - indussero il comando sardo a ordinare il rientro negli accampamenti. Il movimento, già reso difficile dalla gran quantità di truppe concentrate a Santa Lucia, fu aggravato dalla decisione di Radetzky di far uscire altri reparti dalla città per disturbare la ritirata che si stava iniziando; e fu solo grazie ai ripetuti contrattacchi della Brigata Cuneo, in retroguardia, che si poté effettuare lo sganciamento senza danni. La campagna era virtualmente persa, sia perché era stato mancato l'obbiettivo strategico più importante, sia perché l'iniziativa passava insensibilmente dalle mani di Carlo Alberto a queJJe dì Radetzky. Infatti, dopo quella battaglia, che fu il battesimo del fuoco del futuro imperatore Francesco Giuseppe, entrambi gli eserciti sostarono per circa tre settimane. I Sardi. afflitti anche da un inefficicnle servizio cli vettovagliamento, perché attendevano la caduta di Pesch.iera per utilizzare la 4" Divisione. Gli Austriaci perché aspettavano l' arrivo dei rinforzi che, condotti dal generale Nugent. battuti i Pontifici alla Comuda, nell' ultima settimana di maggio portarono le forze di Radetzky a 60.000 uomini.

ill) Maggio: Curtatone, Montanara, Goito e Peschiera

Il 27 maggio Radetzky decise di mettersi in moto con 40.000 soldati. Poiché riteneva forti le posizioni occupate dai nemici davanti a Verona, scartato l'attacco frontale, decise di aggirarle da sud, con una marcia che, passando per Mantova, attraversando il Mincio e risalendo a nord, Lo avrebbe portato a tagliare le comunicazioni fra l'Annata Sarda e Milano ed a sbloccare Peschiera. Nella notte fra il 27 ed il 28 le truppe austriache, divise in tre colonne, effettuarono unarischjosa marcia, presentando il fianco alle posizioni sarde di Villafranca, senza però riceverne alcun danno. Solo nella mattinata del 28, quando ormai anche l'ultimo austriaco era entrato a Mantova, arrivarono al comando del I Corpo sabaudo le prime notizie di quanto era avvenuto. La congiuntura era critica dato che tra gli Imperiali e i Sardi c'era ora il Mincio. il Comando Supremo ordinò a Bava di affrettarsi a passare sulla riva destra del fiume con tutte le forze disponibili e di avvertire il generale toscano De Laugier che. effettuata un'azione ritardante coi suoi uomini, ripiegasse poi su Goito, dove avrebbe trovato le truppe sarde. L'impresa era tutt'altro che facile, specie considerando che Radetzky aveva lasciato a Verona 20.000 uomini col compito di eseguire azioni dimostrative. Bava riuscì comunque a raggranellare 5 brigate di fanteria4 , 4 reggimenti di cavalleria, 4 batterie e mezza ed un po' di bersaglieri, facendo loro passare il Mincio nella notte fra il 28 ed il 29 e concentrandoli a Volta. Radetzky riprese l' avanzata il 29 mattina e andò a cozzare contro i militari di De Laugier schierati sulla linea Curtatone-Montanara. Cinquemila toscani e napoletani con 3 cannoni

4 Aosta. Granatieri Guardie, Cuneo, Acqui e Casale.


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Cl Italiani •

Austriaci lA ba11a~lia di Goito dl'I 30 maggio /848. 1• Gue"a d'huJipe,uJen:;tJ Combattimento di Goiw (30 magg,o 1848); I) Aosta Cavaller,a; 2) Guardie: 3) Brigata Cuneo: 4) Brigata Aosta: 5/ Brigata Casale; 6) Brigata Acqui; 7) Gmom e Savoia Cavalleria; 8) Ni:,:,a Cavalleria; 9) Napo/ewni.


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bloccarono 40.000 austriaci per sette ore, infUggendo loro perdite per circa 800 uomini ma lasciando sul terreno 700 tra morti e feriti ed un migliaio di prigionieri. Poiché la loro resistenza - retta prevalentemente dal 10° di Linea napoletano - era stata molto più dura di quanto non avesse immaginato, Radetzky fu costretto a far riposare le proprie truppe fino a tutto il mattino del 30, ordinando solo a mezzogiorno di riprendere l"avanzata. Nelle sue intenzioni doveva raggiungere la zona di Goito per riordinarvisi ed attaccare poi. il 31, i Sardi, che supponeva ancora fermi a Volta. Invece la situazione era cambiata. Bava, sapendo che i Toscani e i Napoletani, il cui grosso in ritirata era arrivato a Goito, erano stati battuti il giorno avanti, ma non vedendo comparire gli Austriaci, né sapendo dove potessero essere, aveva fatto avanzare di circa 10 chilometri tutti i suoi uomini fino a farli attestare sulle alture subito a sud della cittadina5• Poco dopo le 14 i reparti avanzati di Aosta Cavalleria ebbero i primi contatti cogli ussari imperiali e segnalarono poi a Bava ravvicinamento di grosse forze nemiche. colle cui avanguardie si scontrarono per circa un 'ora e mezza. Alle 15,30 la testa della colonna austriaca di destra, che avanzava tranquillamente in ordine di marcia. entrò nel raggio d'azione dell'artiglieria sarda. Subito tutti i pezzi aprirono il fuoco. Sotto una grandine di proiettili gli Imperiali si schierarono in ordine di battaglia, tentando di controbattere coi propri cannoni, che però saltarono uno dopo l'altro sotto il tiro preciso di quelli sardi. Fissati delle brigate Cuneo, Casale ed Acqui e sopravanzati sulla sinistra dalla Granatieri e dal!' Aosta, gli Austriaci dei generali Benedek e Wohlgemuth, poiché la Brigata Strassoldo non arrivava, né si faceva vivo l'altro corpo d'armata, alle 19 si ritfrarono evitando di stretta misura l'accerchiamento. Fu u.n grande successo tattico, purtroppo non sfruttato perché Bava non aveva lanciato seriamente all'inseguimento del nemico i suoi 4 reggimenti di cavalleria. Per questo, dopo la sconfitta, Radetzky poté restare fermo due giorni prima d'ordinare il rientro di rutta l'armata oltre il Mincio. Intanto. caduta Peschiera proprio il 30 maggìo, il Comando sardo aveva deciso non solo di assediare Mantova. per impadronirsi saldamente di tutta la linea del Mincio, ma anche di estendere il fronte fino all'altopiano di Rivoli e Nora. In questo modo però lo schieramento si allungò e indeboll troppo e, a causa delle truppe necessarie alle operazioni sotto Mantova, risultò decisamente statico, facendo perdere definitivamente a Carlo Alberto ogni possibilità d'iniziativa ed impedendogli qualunque seria offensiva. Radetzky ne approfittò. Sapendo che i Napoletani erano stati richiamati al sud e, vedendo che i Sardi erano immobili, decise d.i assicurarsi le spalle. Fra il 4 e il 9 giugno, mosse circa 22.000 uomini contro i 1.0.500 veneti e pontifici stanziati intorno a Vicenza, sconfiggendoli il 10. Con un armistizio impegnò i Pontifici a ripassare nelle Romagne e a non riprendere le armi prima di tre mesi, poi si volse nuovamente ad ovest.

IV) Luglio: Custoza

Il 19 luglio uno scontro a Governolo terminò colla vittoria dei Sardi; ma non era che la fine dei successi italiani prima di quell'operazione ad ampio respiro che prese poi il nome di battaglia di Custoza.

5 In prima linea aveva, da sinistra a desrra. le brigate Casale. Cuneo e Granatieri Guardie; in seconda la Acqu i e la Aosta. dietro le quali erano di riserva Genova. Savoia e Nizza Cavalleria: in avanti i bersaglieri e le pattuglie di Aosta Cavalleria; a copertura di Goito, all'estrema sinistra, i Napoletani. sull'altra sponda del Mincio i Toscani reduci da Curtatone e Montanara.


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All'inizio dell'ultima decade di luglio la distribuzione delle forze in campo era pressappoco la seguente. A nord i Sardi avevano sempre il II Corpo di De Sonnaz, che si stendeva da Rivoli a sud di Villafranca, fronteggiando Verona. Il I Corpo a sud, intorno a Mantova, rinforzato dalla Divisione di riserva e da quella lombarda del generale Perrone, era separato dall'altro da un vuoto di circa 10 chilometri, presidiato dal solo 17° fanteria Acqui. li Mincio era guardato dalla divisione lombarda del generale Visconti. Radetzky disponeva, oltre ai tre corpi d'armata di Verona. di un corpo d'armata di riserva, degli 8.000 uomini del nr Corpo di Thurn a Rovereto, dei 16.000 del II Corpo di Welden in Veneto e. eventualmente, della guarnigione di Legnago. Forte della propria superiorità numerica e libero di muoversi, il Feldmaresciallo decise di attaccare le alture antistanti Verona, in direzione di Peschiera, per aprirsi la strada fino al Mincio. Preceduto da un'azione dimostrativa, fatta il 22 luglio da Tburn contro l'estrema sinistra del li Corpo sardo a Rivoli, il giorno seguente Radetzky ordinò d'attaccare Sona, al I Corpo, e Sommacampagna al Il. tenendo il III di riserva. Pur avendo compreso la minaccia imminente e nonostante avesse prontamente fatto ripiegare la propria sinistra da Rivoli a Sona, De Sonnaz non disponeva di truppe sufficienti a reggere l' urto e, respinto, si attestò sulle alture ad est del Mincio. Saputo dello scontro, nelJa notte i Sardi del I Corpo finirono di concentrare a Villafranca i due terzi delle truppe operanti contro Mantova e decisero di ordinare alle unità sul Mincio di fermare gli Austriaci quando fossero arrivati al fiume. Poi. mentre fossero stati fissati col fronte al fiume, alle loro spalle sarebbe giunto il I Corpo e, scissosi in due, li avrebbe assaliti da sud e da est accerchiandoli. Ma la manovra, benchè ben congegnata e complessivamente abbastanza ben eseguita, franò davanti alla superiorità numerica nemica. Dovunque si dirigessero. i Sardi trovavano ad attenderli Austriaci in quantità doppia. Così la battaglia restò indecisa fino a tutto il 24. quando Radetzky temè addirittura che Carlo Alberto gli stesse per tagliare le comunicazioni con Verona. Ma il 25 luglio la sproporzione di forze giocò a definitivo sfavore dei Sardi, i quali non riuscirono a prendere Valeggio né a tenere il centro della propria linea e furono costretti a ritirarsi. Davanti al quadro generale della situazione, Carlo Alberto dispose il ripiegamento su Goito. unico passaggio rimastogli per varcare il Mincio. Ritiratosi sulla sponda destra, il 27 tenne un consiglio di guerra nel quale decise di retrocedere non verso Pavia, scelta militarmente migliore, ma su Milano, per «soccorrere i bravi Milanesi»i. fl 4 agosto l'Armata Sarda era disposta fuori della città per fronteggiare gli Austriaci. Questi, provenienti da Lodi, assalirono la linea difensiva, posta davanti alle porte Vigentina, Romana e Vittoria e. dopo cinque ore di lotta, prevalsero. Ottenuto un armistizio di tre giorni per poter rientrare in Piemonte, il Re incaricò il suo Capo di Stato Maggiore di firmarne un secondo, valido fino alle 12,00 del 20 marzo 1849. La campagna era finita; la Lombardia era di nuovo saldamente in mano austriaca.

i Carlo Alberto. rip. in CATALDI; «I Granatieri di Sardegna». Roma. Ass. Naz. Granatieri, 1989, pag. 99.


CAPITOLO

xxvm

DALL'ARMISTIZIO DI SALASCO A VILLAFRANCA: 1848- 1859

I) La campagna del 1849

Poicbé nel corso dell' autunno e dell'inverno del 1848 la situazione diplomatica. nonostante una mediazione franco-inglese, non sembrò poter condurre alla pace colla Sardegna, Radetzky si preparò alla ripresa delle operazioni per la primavera del 1849. Dispose 25.000 dei suoi 95.000 uomini davanti a Venezia e, conscio di non poter avere rinforzi dall'Austria, impegnata a domare la rivolta ungherese, decise di attaccare. Carlo Alberto da parte sua aveva provveduto a rinforzare l'esercito, formando nuovi reggimenti coi volontari italiani, chiamando alle armi le classi 1828 e 1829 e trattenendo i richiamati che si sarebbero dovuti congedare. Così l'Armata Sarda raggiunse 80.000 effettivi, ripartiti in 7 divisioni 1, cbe però erano di scarsa qualità per la poca preparazione dei quadri. Poiché per di più i generali sardi avevano perso prestigio cogli insuccessi della campagna appena finita e alimentavano La cattiva impressione cbc si aveva di loro con una ridda di polemiche, il Re fu indotto ad affidare la carica di Capo di Stato Maggiore ad uno straniero c, dopo il rifiuto di tre generali francesi, tra cui Lamoricière, il polacco Albert Cbrzanowski accettò. Lasciato senza istruzioni dal Ministero della Guerra, convinto dai generali sardi che Radetzky si sarebbe nuovamente cbiuso nel Quadrilatero, Cbrzanowski optò per l' invasione della Lombardia. Scaduto l'armistizio, la divisione del Duca di Genova varcò il Ticino puntando su Magenta; e subito giunsero notizie discordanti. Gli Austriaci avanzavano su Pavia, dicevano alcuni; altri sostenevano che fossero in ritirata verso Lodi. Di certo c'era che non si vedevano. La ridda di voci convinse il generale Ramorino a dare ordini che si sarebbero rivelati disastrosi per l'esito della campagna. Sicuro che gli Austriaci intendessero entrare in Piemonte da sud, spostò la sua divisione, schierata lungo il Ticino all'altezza di Pavia, dalla riva sinistra alla riva destra del Po; ma commise tre mancanze gravissime. Non avvertì il Comando Supremo di quanto stava facendo, lasciò di fronte a Pavia solo poche centinaia di uomini, insufficienti a difendere il settore, e, sopratutto, smontò il ponte militare che varcava il Po a Mezzana Corti, precludendosi così la possibilità di tornare celermente davanti alla città. Il risultato fu che gli Austriaci attraversarono il Ticino senza difficoltà proprio a Pavia, batterono e d ispersero le poche truppe sarde presenti a Cava e separarono completamente Ramorino dal resto delJ' Armata, concentrata intorno a Novara ed in pieno movimento verso la Lombardia. Saputolo in serata, Chrzanowski destituì Ramorino ed ordinò il dietro-front al grosso per farlo concentrare rutto a sud di Novara fra Mortara e Vigevano, e bloccare il nemico, che avanzava verso nord su due colonne parallele. Il 21 le divisioni di testa sarde incontrarono gli Austriaci della colonna destra alla Sforzesca, respingendoli, ed a Mortara. Qui la 1• Divisione di Durando e la Divisione di Riserva del

I Durando, Bes, Perrone, Duca di Genova, La Marmara. Ramorino e Duca di Savoia


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Principe Ereditario, che la seguiva, attraversata la città, si disposero a sud ed ebbero l'ordine di accamparsi. Ma poiché il Comando non preordinò alcun servizio di sicurezza, al tramonto furono attaccate di sorpresa dalla colonna nemica di sinistra e si sfasciarono, ripiegando all'interno dell'abitato. Penetrativi gli Imperiali, si accese una confusa lotta per le strade, alla cieca, finché i Sardi non uscirono dalla città ritirandosi ulteriormente su Vigevano, Novara e Vercelli. Appresa la notizia, Chrzanowski pensò d'accorrere là coi 30.000 uomini che erano a Vigevano ed assalire gli Austriaci ma, dissuaso dai generali, ordinò la ritirata verso Novara, dove terminò di concentrare l' Armata il 22 marzo. Intanto Radetzky aveva appena finito di fare la stessa cosa intorno a Mortara e, non ben certo della direzione seguita dal grosso dei Sardi, prescrisse ai suoi di avanzare su un largo fronte e di tenersi pronti ad accorrere tutti dove fosse stata incontrata una forte resistenza. Il 23 marzo gli Austriaci mossero guardinghi, senza sapere che poco a sud di Novara li attendevano 50.000 sardi, schierati su una posizione lunga circa tre chilometri e favorevole alla difesa. lniziata alle 11.00. la battaglia rimase indecisa fino a sera. quando arrivò sul campo anche l' ultimo corpo austriaco che permise a Radetzky di sferrare l' attacco definitivo. Il Comando sardo ordinò la ritirata attraverso la città e, ovviamente, si crearono subito degli ingorghi stradali dappertutto. Solo la strenua resistenza della Divisione di Riserva impedi la rotta completa dell'esercito. Dopo quest'ultima sconfitta il Re abdicò in favore del suo primogenito Vittorio Emanuele, poi, conscio dell' odio austriaco nei suoi confronti e sicuro che la sua uscita dalla scena politica avrebbe mitigato le cond.izioni d'armistizio. si ritirò in esilio in Portogallo. Là visse ancora pochi mesi, spegnendosi ad Oporto il 28 luglio 1849. Ottenuta una tregua, il nuovo Re incontrò Radetzky a Vlgnale e gli fece un·impressione tanto buona da strappargli delle condizioni inaspettatamente favorevoli, tali da far dire a Vienna che Radetzky sapeva comandare ma non sapeva negoziare. Nonostante questo, il Regno di Sardegna fu costretto a mettere in moto ogni arte diplomatica ed ogni appoggio, personale ed internazionale, per ridurre l'ammontare dei danni di guerra da pagare ali' Austria dall'esorbitante cifra di 200 milioni a quella più accessibile di 75. Non poté però evitare di cedere la cittadella di Alessandria come garanzia a termine e di sobbarcarsi del mantenimento di 20.000 uomini e 2.000 cavalli, che gli Austriaci fecero stazionare là e nel Novarese fino alla firma del trattato di pace, avvenuta a Milano il 6 agosto 1849. Vittorio Emanuele avrebbe potuto ottenere delle condizioni di pace ancora migliori se avesse accondisceso alla proposta austriaca di revocare lo Statuto. Non lo fece, ci guadagnò il soprannome di Re Galantuomo - perché teneva fede alla parola data - e soprattutto lanciò un segnale chiarissimo alla borghesia liberale: i Savoia, benché sconfitti, sarebbero stati ai patti. bastava aspettare.

II) La Sicilia

L' Anno de 'Portenti s · era annunciato i aie pure per le Due Sicilie. Di nuovo i guai erano cominciati a Palermo, il 12 gennaio 1848 compleanno del re Ferdinando (Dio guardi). Il 4 febbraio le truppe reali - pessimamente dirette dal generale de Saget, che le aveva consegnate in caserma il primo giorno della rivoluzione. lasciando mano libera ai ribeW - si erano imbarcate per Napoli. Dal bombardamento della capitale siciliana Ferdinando aveva ricavato solo il nomignolo di "Re Bomba" e tutto quel che gli restava ora era la cittadella di Messina. D'altra parte pure in terraferma il moto si era allargato rapidamente, prima alla capitale e poi al Cilento, obbligandolo a concessioni, fino alla promessa della Costituzione, promulgata il 20 febbraio.


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Il 13 marzo era poi stata istituita la Guardia NazionaJe, sotto la supervisione di vecchi generali murattiani. Il I 7 infine si era arrivati aJ colpo di spugna sul passato, richiamando in servizio gli ultimi ufficiali e funzionari espulsi nel 1821. Sull'onda dell'esallazione popolare si era deciso di mandare io Lombardia un contingente formato dal 10° Reggimento Fanteria di Linea e da un battaglione di volontari. Successivamente, richiamato dall'esilio Guglielmo Pepe e nominatolo "Comandante in Capo del Corpo di Truppa destinato a marciare per la Lombardia" erano state messe a sua disposizione due divisioni2, instradandole a nord per l'Abruzzo e l'Emilia. Ma il problema principale restava quello siciliano; e Ferdinando non lo perdeva di vista, così come non intendeva continuare ad impegnarsi contro l'Austria, specie dopo che il Papa aveva detto con sufficiente chiarezza di non volerla combattere. Da qui ordini ambigui o segreti inoltrati sia all'ammiraglio De Cosa, comandante della squadra inviata in Adriatico, sia a Pepe di non impegnarsi contro gli Austriaci. a dispetto delle disposizioni impartite dal governo liberale. Il 15 maggio 1848 la situazione politica napoletana precipitò e si arrivò alla repressione. Da quel momento Ferdinando capì di potersi fidare delle Forze Amiate per riappropriarsi del potere e mantenerlo - del resto la Costituzione era stata accolta con corretta freddezza dai militari, nei quali la devozione al Re era forte - anche se la fazione liberale si sarebbe staccata dalla dinastia. accentrando ogni sua attenzione sul Piemonte. Richiamate le truppe dall'Emilia - solo una piccola aliquota avrebbe disubbidito seguendo Pepe a Venezia-Ferdinando si apprestò a liquidare la partita colla Calabria e la Sicilia. La prima venne risottomessa ai primi di luglio. Per la seconda occorse una maggiore organizzazione. Messina era rimasta l'unico punto d"appoggio regio netrlso.la; e da là dunque occorreva cominciare. Le forze insurrezionali siciliane erano composte essenzialmente da volontari, per di più con una forte sproporzione di ufficiai i rispetto ai sottufficiali ed alla truppa. Nel caso specifico quelle che assediavano Messina dal 24 febbraio erano composte da popolani locali inquadrati in formazioni irregolari, tenaci, coraggiosi e assolutamente antinapoletani: ma militarmente impreparati. Alla fine d'agosto Ferdinando aveva concentrato intorno a Reggio Calabria circa 14.000 uomini a cui ai primi di settembre ne furono aggiunti altri 4.000, imbarcati a Napoli, e posti tutti agli ordini del miglior ufficiale dell'esercito borbonico, il tenente generale Carlo Filangieri. Avendo a disposizione una flotta di 11 navi da guerra e 6 trasporti, Filangieri effettuò una prima puntata offensiva la notte dal 2 al 3 settembre. La mattina del 6, con una bella manovra anfibia a Contessa, poco a sud di Messina, sbarcarono i Fallii di Marina e. dopo di loro, sei battaglioni di fanteria. Rinforzati da altri tre, effettuarono quattro attacchi con l'appoggio del fuoco navale prima d' impadronirsi del villaggio. Il giorno successivo Filangieri avanzò verso Messina. Superò una resistenza durissima da parte dei Siciliani, assaliti anche dalle truppe della cittadella, e alla fine degli scontri si assicurò la città, pur se ridotta a un mucchio di macerie fumanti. Le perdite borboniche ufficialmente ammesse furono 7 ufficiali e 273 soldati morti e 34 ufficiali e 748 soldati feriti3.

2 La I• al comando del tenente generale StateUa comprendeva due battaglioni del 7° e del 9° di Linea, uno del!' 11 °. il 2° Bauag lione Cacciatori. il 1° Reggimento Lancieri. il 1° e 2° Dragoni, due batterie d'artiglieria, due compagnie di zappatori e due ambulanze, oltre aJ I0° di Linea già in Lombardia. La 2' Divisione del brigadiere Nicoletti, si articolava sul 1° ed il 12° di Linea ed un battaglione del 5° e dell'8°, il 3° Battaglione Cacciatori, una baneria ed una compagnia zappatori J Altre fonti borboniche parlano di 367 morti e 1.737 feriti: e gli ammiragli comandanti le squadre francese ed inglese presenti in po110 le stimarono complessivamente in 3.000 uomini.


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L'interposizione franco-inglese bloccò per il momento la riconquista del resto della Sicilia; e Ferdinando ne approfittò per sciogliere progressivamente le Guardie Nazionali di quasi tutto il Regno, rafforzando al tempo stesso l'Esercito. Mentre nell'Italia del Nord si riaccendeva la Prima Guerra d'Indipendenza, a Roma veniva proclamata la Repubblica e Pio IX si rifugiava nel Regno, ospitato a Gaeta. Questa era una seconda seccatura per Ferdinando; ma non si fece distrarre e seguì il programma che aveva in testa: prima la Sicilia. Bloccato da Filangieri un tentativo di avanzata dei Siciliani, i Napoletani contrattaccarono con due divisioni. agendo di conserva con una squadra navale mista, a vela e a vapore. Nonostante le forti posizioni naturali occupate, gli insorti non erano in grado di resistere. Il 2 aprile cadde Taormina. poi Catania, dopo una djfesa di due giorni. Infine le truppe reali si avvicinarono a Palermo e, dopo lunghe trattative, il 15 maggio 1849 vi entrarono vittoriose.

(Il) La Leonessa d'Italia, la Repubblica Romana e il Leone di San Marco: 1849

Intanto al nord, liquidata la partita coi Sardi, l'esercito austriaco veniva impegnato nello spegnimento dei focolai di rivolta che ancora ardevano in Lombardia; tra i quali il più difficile da estinguere era quello di Brescia. La città era stata rioccupata - come le altre-dopo la fine della campagna del '48. ma quando Carlo Alberto aveva ripreso la guerra. la popolazione era tornata alle armi - era il 22 marzo 1849 - e si era sollevata. Sventura volle che non poté, o non seppe, impedire alla guarnigione austriaca di rifugiarsi nel castello, dominante tutta la città, da cui il comandante Lesbk aprì il fuoco con 14 pezzi, resistendo fino al mattino del 26. Il 26 arrivarono da Mantova i rinforzi condotti dal generale Nugent, ma i loro assalti furono tutti respinti. Venne allora da Padova con altri 3.000 uomini e una batteria di mortai il generale Haynau ed intimò la resa a discrezione. Ottenuto un secco rifiuto, lanciò i suoi in avanti. La resistenza, animata da Tito Speri fu durissima4 e costò la vita a Nugent. Solo il 2 aprile, dopo dieci giorni d'insurrezione e oltre 48 ore di bombardamento continuo, la città cadde e fu vittima di repressioni tanto feroci da fruttare ad Haynau il soprannome di " Jena di Brescia". Mentre la Lombardia veniva cosi benignamente pacificata dal "Paterno Reggime Austriaco", altri combattimenti si svolgevano nel Lazio. Nell'inverno del 1848 Pio IX aveva consentito alla formazione d ' un governo di tinta liberale e moderata. A capeggiarlo aveva messo l'avvocato Pellegrino Rossi, il quale aveva chiamato al Ministero della Guerra il generale Carlo Zucchi. li 15 novembre 1848 Rossi era stato ucciso; la situazione politica era degenerata e nella notte dal 24 al 25 novembre Pio lX aveva abbandonato Roma per Gaeta cercando aiuto dalle potenze cattoliche per ripristinare il potere temporale. Al suo posto era adesso la Repubblica Romana, proclamata 1' 8 febbraio 1849, alla cui testa era un triumvirato formato da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini. Infine era entrato in scena Garibaldi. Giunto in Italia troppo tardi per partecipare alla prima parte della campagna del 1848, era stato invitato ad andare in Sicilia e, nel dirigervisi, colto in Romagna dalJa proclamazione della Repubblica Romana, gli era stato chiesto di raggiungere l'Urbe, anche se con molta circospezione da parte dei Triumviri, perché «In Roma dominava sempre lo stesso spirito ... L'Italia non avea bisogno di militi, ma di oratori e paTteggiatori, dei quali si poteva dire .. "Or superbi, or umili, infami sempre»i.

4 Ci fu pure chi, non avendo altra arma, si diede fuoco avvinghiandosi poi ad un nemico per usLionarlo a morte. i GARIBALDI, op. cit., pag. 215.


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Assedio di Roma 1849

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Trincee

aperle dalle orli= ylierie Francesi Pianta de/l'assedio di Roma della primavera 1849

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Non lo gradivano, ma aveva bisogno dj lui e deUa sua Legione, forte io quel momento di 1.200 uomini, per coprire Roma dall'offensiva francese. Infatti ali 'appello di Pio IX avevano risposto Napoli, Francia, Spagna ed Austria, mandando dei contingenti. Tra il 24 ed iJ 25 aprile 7.000 francesi al comando del generale Oudinot sbarcarono a Civitavecchla, mentre, date disposizioni per la Sicilia, Ferdinando Il si metteva a capo d'una Divisione5 e muoveva su Roma per cooperare con loro. li 29 aprile Oudinot era davanti all'Urbe, deciso ad investirla da nord, Limitatamente al tratto retrostante Trastevere ed il Vaticano: « ... egli attaccò non in altra guisa che se non vi fossero stati baluardi, e se questi fossero stati guemiti con bimbi.... I Francesi giunti sollo le nostre posizioni dei Casini furono ricevuti dai fuochi incrociati dei nostri posti .. ma giunti a noi rinforzi da dentro, si caricò il nemico con vigore sinchè voltò in ritirata precipitosa. Il cannone delle mura ed una sortita dei nostri... completarono la vittoria. li nemico lasciò alquanti morti6 e varie centinaia di prigionieri, ritirandosi sconquassato e sen:afermarsi sino a Castel di Guido»ii, cioè indietreggiando di circa 20 chlJometri. Oudinot domandò una tregua: Garibaldi inoltrò il parlamentare al Triumvirato accompagnandolo con un parere negativo: accogliere la richiesta avrebbe consentito al nemico di ricevere rinforzi. prepararsi meglio ad un nuovo attacco e conservare l'iniziativa, mentre «Noi avressimo potuto. profittando della sua debolezza e della sua paura, ricacciarlo in mare: e poi avressimo fatti i comi»iii. Non gli fu data retta e venne commesso il primo degli errori che avrebbero portato alla caduta della Repubblica. «Se Mazzini - e non si deve incolpare ad altri - avesse avuto la capacità pracica, com'era prolisso nel progettare movimenti ed imprese; e se avesse poi - ciocchè pretese sempre dì avere - il genio di dirigere le cose di guerra; se, di più, egli si fosse tenuto ad ascoltare alcuni de'suoi che dai loro antecedenti si potevan supporre conosciwri di qualche cosa, egli avrebbe commesso meno errori, e, nella circostanza che sto narrando, avrebbe potuto, senò salvare l'Italia, almeno ritardare la catastrofe romana indefinitamente»ivcommentò amaramente Garibalru. Comunque le forze romane adesso erano libere di affrontare i Napoletani. Su consiglio di Garibaldi il 9 maggio si verificò il primo scontro a Palestrina, inutilmente attaccata dru Borbonici, che a notte, persa una trentina di uomioj, si ritirarono. Poiché nei giorni successivi Oudinot fece sapere a Ferdmando di dover rifiutare il suo appoggio per motivi politici, il I 7 i Napoletani incominciarono a ripiegare. IJ 19 l'avanguardia degli 8.000 romani comandata da Garibaldi li agganciò a Velletri. ingaggiando un nuovo scontro protrattosi per tutta la giornata Nonostante l ' impegno c la combattività djmostrate da entrambe le parti, le perdite furono molto basse ed i Napoletani poterono dis impegnarsi senza troppi danni, ritirandosi poi ordinatamente verso sud con una trentina di prigiorueri. li comandante in capo delle fone romane, generale Pietro Roselli, decise di rientrare a Roma col grosso, ma incaricò Garibaldi di invadere il regno ili Napoli. Era una buona mossa; ma quando le truppe arrivarono a Rocca d'Arce, quando <<tutto infine presagiva molta probabilità di successo nello spingersi audacemente avanti. Ebbene, un ordine del governo romano ci richiamava a Roma, minacciara nuovamente dai Francesi .... Se colui che, dietro il mio parere. mi lasciava marciare e vincere a Palestrina, se egli, poi, non so per qual motivo. mifacea marciare a Velletri agli ordini del generai in capo Rose/li; se Ma::.zini, infine, il cui voto era assolutamente incontestabile nel Triumvirato, avesse voluto capire che aneli ·;o dovevo sapere qual-

5 La Divisione napoletana aJlineava 6.738 fanti. 1.687 cavalieri - ufficiali esclusi - e ben 52 pezzi d ' artiglieria, destinati all'asseclio di Roma. 6 Trecento morti, 150 feriti e 365 prigionieri. a fronte di 200 tra morti e feriti italiani. ii GAIH8ALDI, op. cit., pag. 222-223. iii Idem, ivi. iv Idem, pag. 233-234.


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che cosa di guerra, avrebbe potuto lasciarlo, il generale in capo, a Roma, incaricarmi solo dell'impresa ... e lasciarmi invadere il Regno napoletano»v. Ad ogni modo, per prevenire possibili attacchi, l'esercito borbonico a fine maggio, grazie anche all'arrivo di truppe resesi djsponibili dalla Sicilia, si era schierato su due Divjsioni, una a San Germano nei pressi di Cassino e l'altra nella zona di Gaeta, forti complessivamente di 14.500 fanti, l.500 cavalieri e 28 pezzi d'artiglieria, in modo da poter proteggere pure lo sbarco - proprio a Gaeta - del Corpo di spedizione spagnolo. Ma non avevano più nulla da temere. Mentre la Repubblka aveva circa 11.0007 uomini con 108 pezzi, per presidiare 30 chilometri di fortificazioni, Oudinot aveva portato i suoi a 30.000 con 76 cannoni e, 48 ore prima della scadenza dell'armistizfo, aveva attaccato le posizioni del Gianicolo. dalle quali si dominava la città, prendendole la mattina del 3 giugno8. Rientrato in città, Garibaldi lanciò contro di esse tutte le migliori forze a sua disposizione. La chiave era il Casino dei Quattro Venti che fu attaccato «non con bravura, ma con eroi.l'mo, dalla prima Legione Italiana al principio, dai bersaglieri di Manara poi, e finalmente da vari altri corpi, successivamente sostenuti dalle artiglierie delle mura.fino a notte chiusa ... ma.finalmente, sopraffatti dal numero sempre crescente, i nostri.furo,w obbligati alla ritirata ... il 3 giugno decise della sorte di Roma»vi I combattimenti sarebbero proseguiti fino al 30, quando cadde l'ultima posizione dominante. Il Vascello, crivellata dru colpi e ridotta ad un ammasso di macerie. Allora Oudinot poté piazzare le sue artiglierie in modo da dominare l'intera città e intimare la resa. pena la distruzione. Alle I 2 del medesimo giorno fu firmata la tregua; il 3 luglio alle quattro del pomeriggio i Francesi entrarono a Roma_ La mattina Garibaldi era uscito dalla città diretto a Tivoli con 4.000 uomini, deciso a non arrendersi e a raggiungere Venezia. Ma «lo m'accorsi ben presto che non c'era voglia di conri1111are nella gloriosa e magnifica impresa»•iì perché strada facendo la colonna si disfece, tanto da ridursi a 2.500 uomini in sei giorni. Svicolando tra le unità spagnole, austriache e francesi. Garibaldi raggiunse San Marino, dove sciolse la sua colonna, cercando poi di raggiungere Venezia con circa 250 uomiru. Braccato dalla squadra austriaca al largo del Delta del Po, riuscì a prendere terra giusto in tempo per veder morire sua moglie a Mandriole, nei pressi di Ravenna. Sfuggito alla cattura con un lungo viaggio attraverso l'Appennino e la Toscana, riparò a Genova e ricevè l'intimazione d'andare ali 'estero, per evitare complicazioni politiche. Si sottomise e lasciò l'Italia. Sarebbe tornato nel 1854 dopo aver soggiornato in Africa ed America ed essersi recato fino in Cina e neUa Nuova Zelanda. Mentre Garibaldi rientrava a Genova, si consumava l'esistenza dell'ultima repubblica quarantottesca: quella di Venezia. Espulsi gli Austriaci nel maggio 1848, dichiaratasi annessa al Piemonte il 5 luglio ed erettasi a Repubblica I' 11 agosto dopo la notizia dell'armistizio Salasco, Venezia, guidata da Daniele Manjn, disponeva per la propria difesa dei legni minori della lmperialregia Veneta Marina e di circa 20.000 uomini - 3.000 dei quali italiani appartenenti in precedenza alla guarnigione austriaca - il cui comando era stato affidato a Guglielmo Pepe. La Laguna era stata bloccata da terra dru 10.000 uomini del generale Welden a partire dal 12 giugno, ma dopo la fine della guerra contro il Piemonte nell'aprile 1849, Radetzky era arri-

v GARIBALDI, op. cit., pag. 227.

7 L'esercito romano si componeva di 7.950 fanti e 2.760 uomini tra artiglieria e cavalleria. apparte-

nenti sia a unità regolari pontificie, sia a reparti di volontari. 8 Fin dal 30 aprile Garibaldi ed Avezzana avevano stabilito di far fortificare quella zona, ma dopo l'uscita di Garibaldi da Roma. Avezzana era staio mandato ad Ancona e nulla era stato fatto. vi GARIBALDI. op. ciL, pag. 232. vii Idem, pag. 236.


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vato con altri 20.000 ed aveva assunto personalmente il comando delle operazioni, mentre la squadra imperialregia bloccava la città dal mare. Per prima cosa Radetzky attaccò la testa di ponte di Marghera, difesa da 3.000 uomini e 80 cannoni, al comando di ufficiali napoletani che avrebbero poi fatto parlare di sè, come Cosenz, Sirtori e Mezzacapo. Vistala battuta da 50 cannoni, poi aumentati fino a 150, e nonostante una sortita effettuata il 9 maggio, dopo ventidue giorni di bombardamento Manin fu costretto ad ordinare l'abbandono della posizione, effettuato ordinatamente nella notte sul 27. Giugno fu un susseguirsi di attacchi e contrartacchi per il possesso dei forti di terra e di mare. Gli Austriaci tendevano a chiudere ogni via di rifornimento per prendere La città per fame; e gli Italiani facevano di tutto per impedirglielo. Dopo aver sperimentato, senza grande successo, un bombardamento usando palloni aerostatici, in luglio Radetzky aveva comunque raggiunto l'obbiettivo di affamare Venezia. Nonostante questo la resistenza proseguì fino al 22 agosto 1849 quando, coi magazzini vuoti, Manin si dovè piegare alla trattativa, firmando la resa il 24 e accettando la sottomissione assoluta della città, la consegna delle armi e dei materiali, l'ingresso degli Austriaci per l'indomani e l'uscita di lutti i militari italiani e dei 40 cittadini veneziani condannati aJJ'esilio. La Prima Guerra d"Indipendenza era finita: cominciava la tregua dei dieci anni.

IV) Intervallo: La riorganiz1.azione del Regno di Sardegna Appena salito al trono, Vittorio Emanuele f1 si trovò a dover fronteggiare una complicata crisi politica, caratterizzata da grandi irrequietezze. Appoggiandosi alla fazione savoiarda, la più conservatrice del Regno, il Sovrano riuscì a reprimere i moti popolari, usando anche le maniere forti, come a Genova in aprile, e a tranquillizzare l'Austria. che non aveva visto di buon occhio il mantenimento in vigore dello Statuto. Sono il Ministero d ' Azeglio si tornò alla politica moderata e liberaleggiante. La svolta progressista si ebbe coll'avvento del conte di Cavour alla guida del governo. A partire dal 1852 Cavour si avvicinò politicamente a Francia e Gran Bretagna, riprese la politica riformatrice di Carlo Alberto. riordinò e potenziò la rete di comunicazioni. pareggiò il bilancio, soppresse i privilegi goduti da civili, militari ed ecclesiastici ed avocò aJJo Stato l' istruzione scolastica. Riformò anche l'esercito con una serie di provvedimenti presi fra il 1849, in seguito alla sconfitta e poi parzialmente revocati, ed il 1855. Già nel 1846 il settore degli esplosivi era stato rivoluzionato dalla nitroglicerina, inventata dal piemontese Sobrcro. Nello stesso anno il capitano Cavalli aveva fatto effettuare, in Svezia, le prime prove del suo rivoluzionario cannone a canna rigata, che però sarebbe entrato in servizio solo al tempo della Seconda Guerra d'Indipendenza. Ora, nel 1857, l'esercito adottò il fucile a canna rigata modello 1854, con paJJottola cilindrica ogivale, e cambiò le uniformi. Scomparsi i colbacchi - tranne che per le Guide - le cordelline e tutti gli altri ornamenti, la nuova tenuta prevedeva - per tutti, eccettuati i Dragoni - un cheppì blu scuro da rivestire con un'incerata nera in campagna. sormontato da un pennacchietto sferico colorato; un cappottane grigio, lungo fino a metà gamba, le cui falde veni vano rivoltate e fissate all'indietro come le uniformi del secolo precedente. La giubba, generalmente sempre coperta dal cappotto, d'estate come d'inverno, era blu con patte del colore distintivo della brigata o dell' Arma o Reggimento d 'appartenenza, come il colletto. La sciarpa azzurra continuò a distinguere gli ufficiali, ma portata a tracolla, dalla spalla destra al fianco sinistro9 anziché in vita. 9 Indossata al contrario. cioè dalla spalla sinistra al fianco destro. distingueva, e distingue, gli ufficiali in servizio di Stato Maggiore.


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Comparvero i gradi sul cheppl; un gallone piccolo: sottotenente; due: tenente; tre: capitano. Uno grosso con sopra uno piccolo: maggiore; con due: tenente colonnello; con tre colonnello. La greca d'argento indicava, con un gallone il maggior generale, con due il tenente generale. Riorganizzata l'Armata, se ne doveva ricostruire il prestigio; e l'occasione si presentò colla guerra di Crimea.

V) La guerra di Crimea: 1854-1857 Fin dai tempi di Pietro il Grande uno degli obiettivi principali della politica russa era consistito nel raggiungimento d'uno sbocco diretto sul Mediterraneo; e l'unico ostacolo a ciò era - da sempre - l'Impero turco. Nel 1828 i Russi avevano fatto un primo tentativo di forzamento, fallito per l'intervento di Francia ed Inghilterra. Londra guardava infatti con attenzione ogni accenno espansionistico dei Russi, conscia di avere in loro i più diretti avversari del proprio dominio asiatico e della "Balancc of Powers''. Quando. nel 1853, si verificò un secondo tentativo, la Gran Bretagna e la Francia decisero di sostenere la Sublime Porta. li casus belli fu dato dalla ripulsa delJa richiesta al Sultano, tramutata in un ultimatum dall'inviato Principe Mensikov, di riconoscere ufficialmente allo Zar il diritto di proteggere i 12 milioni di cristiani ortodossi presenti nell' Impero Ottomano. U 3 luglio 1853 l'armata russa invase la Moldavia e la Valacchia, ma il 4 novembre fu fermata a Viddino dai Turchi. mentre. il 30 dello stesso mese. la flotta russa distruggeva a Sinope li delle l 2 navi di quella turca. Ritenendo imminente una vittoria russa. Londra e Parigi entrarono in guerra nel marzo 1854: e cosl 52.000 franco-inglesi sbarcarono ad Eupatoria, in Crimea, per assediare e conquistare la base della flotta russa del Mar Nero: Sebastopoli. Ben presto l'assedio si rivelò tutt'altro che facile da condurre. [I prolungarsi della campagna e le perdite elevate ridimensionarono la sicurezza di vittoria dei belligeranti; e tutti i loro governi si dettero da fare per rafforzare la propria posizione politica e militare. Poiché delle Potenze definite di Primo Ordine dal Congresso di Vienna la Prussia si era defilata, restava solo l'Austria da poter coinvolgere nel conflitto; e quindi il centro dell'attività diplomatica si spostò a Vienna. I Russi avevano mantenuto ottimi rapporti cogli Asburgo. Li avevano aiutati a reprimere la rivolta ungherese del '49 e, in seguito, grazie all'opera del primo ministro austriaco Schwartzenberg, le relalioni erano rimaste ottime. Ma Schwartzenberg. che oltre alla politica estera aveva curato attentamente anche le finanze e le forze armate, era morto nel 1852. Disgrazia aveva voluto che a sostituirlo nelle funzioni di Presidente del Consiglio fosse stato lo stesso Imperatore; e Francesco Giuseppe, sul trono dal 2 dicembre del I 848, non era preparato a governare. Cresciuto alla scuola di Metternich, ne aveva assorbito lo spirito reazionario, ma non l'abilità ed acutezza diplomatica; e questo lo portò a commettere due grandi errori in un sol colpo. n primo consistè nel non scendere in campo con la Russia contro la Turchia, perché quest'ultima era preferibile come confinante a causa della sua debolezza. La scomparsa della Sublime Porta avrebbe determinato necessariamente una spartizione dei Balcani fra Vienna e San Pietroburgo. Ma il passo seguente sarebbe stato un salto nel buio di fronte ad una Russia imbaldanzita, potente e tesa aJ predominio sugli Slavi, che abitavano ancbe una gran parte dell'impero asburgico. Se non ci si poteva alleare allo Zar non si poteva neanche combatterlo. A parte la diffidenza di Francesco Giuseppe verso la crescente potenza di Napoleone III e del Secondo Cmpero


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francese, c'era il rischio d'un'invasione russa; e la difesa del confine orientale della monarchia danubiana, piatto come un biliardo, avrebbe assorbito imponenti masse di uomini. Così Francesco Giuseppe non si schierò e deluse le aspettative di tutti i belligeranti. Ma fece anche di peggio, perché mobiJjtò un'armata d'osservazione sul confine orientale, obbLigando i Russi a fare altrettanto per seguirne i movimenti ed indebolendo così il fronte di Crimea. Poi, nel giugno 1854. con un ultimatum intimò allo Zar di lasciare i territori occupati all'inizio della guerra. Anche il secondo errore era compiuto. Con una sola mossa l'Imperatore svuotò le casse dello Stato per pagare l' armata d'osservazione, perse definitivamente la benevolenza russa e quella degli Alleati, che avrebbero preferito un intervento vero e proprio, rimase isolato diplomaticamente e facilitò la strada a Cavour. Intanto, data la necessità di trovare da 10 a 15.000 uomini da impiegare in Crimea, Londra10 e Parigi avevano intavolato trattative col Governo sardo. Alla fine Torino s' impegnò a partecipare con almeno 15.000 soldati e chiese, ma senza ottenere in tal senso alcuna garanzia, di vedere i propri plenipotenziari al congresso di pace con un peso decisionale pari a quello delle Potenze dichiarate del Primo Ordine al Congresso di Vienna. Concluso l'accordo, partirono due divisioni e mezza, cioè 5 reggimenti provvisori di fanteria su 4 battaglioni, 4 battaglioni di bersaglieri. I reggimento di cavalleria su 6 squadroni, 3 brigate d ' artiglieria11 ed I battaglione provvisorio del genio; tutte unità di formazione. Comandante del piccolo esercito il generale Alfonso La Marmora. divisionari i generali Durando ed Alessandro La Marmora1 2. Dal 9 maggio il corpo di spedizione sardo, forte complessivamente di 1.038 ufficiali e 17.020 13 fra sottufficiali e truppa 14, cominciò a sbarcare in zona d 'operazioni e il 25. occupata la zona di Kamara, sulla sinistra del fiume Cernaia, i Sardi vi si accamparono. Seguirono due mesi e mezzo d'inattività, rotta solo da due ricognizioni. il 3 giugno ad Alsù ed il L7 a Ciorgun. In entrambi i casi il contatto fu solo visivo; ci fu un Lieve scambio di fucilate e nessuna perdita da entrambe Le parti La calma fini col ferragosto, quando il Comando sardo fu infom,ato dell'imminenza d' un attacco russo, entro il 17 di quello stesso mese, contro le linee lungo la Cernaia. In quel settore la destra dello scliieramento alleato era occupata appunto daJJe trnppe piemontesi, la cui posizione principale era sul più alto rilievo della zona, il Monte Hasford. Situato alla confluenza di valli e strade, era la chiave della linea ed era stato fortificato solidamente e rinforzato da un avamposto, lo Zig-Zag 15, sull'altura dall'altra parte del fiume. Il I 6 agosto alle 3 del mattino, usciti da SebastopoLi avvolti in una fitta nebbia, 60.000 russi avanzarono contro le posizioni alleate tenute da 40.000 tra Sardi e Francesi. Questi ulti_rni erano l'obiettivo dell'attacco. I Russi procedevano tranquillamente quando, poco prima delle 4, incapparono nello ZigZag. I 350 fanti e bersaglieri che vi si trovavano ressero per un'ora. Erano pochi; ma per cacciarti occorsero due divisioni: addio sorpresa. Il campo sardo entrò in allarme. Le batterie aprirono il fuoco a tiro accelerato per coprire l'ordinato ripiegamento dei difensori dello Zig-Zag; ed il rombo dei cannoni avvertl i Francesi che l'atteso attacco nemico era cominciato. 10 Nel 1855 venne pure fom1ata una Legione Anglo-Italiana. su più reggimenti. basata a Malta e sciolla nel 1856.

11 Si ricordi che. all'epoca. la definizione «brigata d'artiglieria» corrispondeva all'insieme di batterie definito in seguito «gruppo d'artiglieria». 12 li fondatore dei bersagljeri morirà però di colera il 7 giugno e verrà sostituito dal generale Trotti. t3 Così in JAEGER: «Le mura di Sebastopoli»: Cles, Mondadori, 1991; ma il quadro organico coevo conservato al Museo Storico della Fanteria dà un totale di 18.061 uomini, cioè 3 in più. 14 18.061 soldati più 2.574 marinai e 3.447 complementi giunti in seguito, per un totale di 24.082 militari sardj impegnati in Crimea. 15 Chiamato anche «Opera Cadoma» dal nome del suo realizzatore. il maggiore Raffaele Cadoma.


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Alle 7 i Russi, seguendo i loro piani, deviarono verso la propria destra ed assalirono le posizioni francesi di Fiediucine con tutte le loro forze. Aprì iJ fuoco anche l'artiglieria francese massacrando gli attaccanti, mentre le brigate sarde Mollard e Montevecchio guadavano la Cernaia per assali.re i nemici che presentavano loro il fianco. Fanti e bersaglieri avanzarono e riconquistarono lo Zig-Zag. Erano circa le 8 e mezza del mattino e gli Alleati tenevano di nuovo la riva sinistra del fiume sotto un vivace fuoco nenùco. «Un battaglione di piemontesi, preceduto da una compagnia di bersaglieri, avanzò in be/l'ordine come se si trovasse in parata, e in breve tempo caccìò i fucilieri dalle loro posi:ioni. Si spinse anche oltre, avanzando verso l'altopiano; ma poiché era stato deciso di 11onfor:are le alture, si limitò a seguire il nemico. che era già in piena ritirata»v,ii. I Russi avevano perso 2.273 morti e 1.742 dispersi, i Francesi poco più di 1.500 tra morti e feriti ed i Sardi 14 morti e 15 feriti gravi: una buona vittoria. Dopo la presa del forte di Malakoff, posizione chiave delle difese di Sebastopoli, 1"8 settembre si arrivò all'armistizio ed alla convocazione della conferenza di pace per il 25 febbraio 1856 a Parigi. Fu un periodo decisivo per Cavour e per le sorti d'Italia. Era ancora in sospeso la partecipazione sarda aJ congresso e i precedenti erano pessimi. La Sardegna non era stata convocata alla Conferenza di Vienna del 1855 ed aveva salvato la faccia solo grazie allo scioglimento della conferenza stessa, avvenuto prima che ne iniziassero i lavori. Ancora nel gennaio 1856 il barone Tecco non era stato invitato ai colloqui fra il governo turco e i diplomatici europei; e lo stesso ministro degli esteri francese, Walewski, aveva detto che i delegati sardi sarebbero rimasti fuori dall'aula del congresso. A quel punto si dimise d'Azeglio, plenipotenziario designato per la conferenza di pace, e partì Cavour. Per sua fortuna sia il ministro degli esteri inglese, Clarendon, che Napoleone l1I dichiararono che la Sardegna, in quanto belligerante, doveva essere ammessa a pari cogli altri partecipanti. Era già un enorme risultato. Dopo 40 anni Torino rientrava nel giro delle Grandi Potenze, addirittura precedendo la Prussia, invitata solo dopo l'inizio dei lavori. Il congresso terminò colla firma della pace il 30 marzo del 1856; ma le sedute continuarono per definire alcuni problemi di comune interesse, fra i quali la situazione itaJiana. Pur uscendo deluso dalla conferenza, perché non aveva ottenuto gli auspicati compensi territoriaJi, Cavour aveva comunque raggiunto due obbiettivi di grandissima importanza, al secondo dei quali la politica sabauda aveva mirato da Vittorio Amedeo II in poi. La Sardegna era stata riconosciuta dalle Grandi Potenze come una loro pari, come ai tempi di Carlo Emanuele IIl, ma pure come l'interlocutrice primaria per gli affari italiani: cosa mai accaduta prima. L'8 aprile 1856 Cavour aveva conseguito una vittoria diplomatica di tale portata da consentirgli in seguito l' unificazione d"ltalia, aveva cementato i buoni rapporti esistenti con Gran Bretagna e Francia, ne aveva allacciati coi Russi e coi Prussiani ed aveva visto quanto ormai fosse isolata l'Austria.

VI) «A sedici anni io ero soldato ...»i, il prologo della guerra del '59.

L"Austria era entrata in crisi; tutto l'apparato dello Stato risentiva di un decadimento, perché dalla bufera del 1.848 l'Impero era uscito vittorioso ma sfinito. Certo, era ancora fra i più grandi del globo, il suo esercito era il terzo d'Europa - e a!Jora voleva dire il terzo del mondo - e la sua influenza si faceva sentire pesantemente daJ Baltico al Mediterraneo e dal Reno alla Vistola. L'economia e la rete di comunicazioni si erano svi-

vi,i W.H.. Russel. rip. in P.G. JAEGER «Le mura di Sebastopoli»,cap.XXV, pag.313. i, Primo verso della canzone <<La bela Gigugin» di A. Giona ..


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luppate e rinnovate, Vienna era una delle più brillanti ed affascinanti capitali europee, ma esistevano molti problemi Intanto perdurava l 'isolamento internazionale dovuto all'infida posizione tenuta nella guerra di Crimea. Poi il tradizionale pilastro, l'esercito, era in piena decadenza. Ancor prima della morte di Radetzky, avvenuta nel 1857, le forze armate avevano infatti cominciato a riempirsi di ufficiali impreparati, che ottenevano i gradi per i loro titoli o per acquisto. I magazzini erano vuoti, perché l'Intendenza era disorganizzata; i piani di mobilitazione non tenevano conto delle ferrovie nazionali, e fin lì pazienza, né di quelle dei probabili nemici; e tale errore sarebbe stato presto pagato caro. Infine non c'era denaro per mantenere le forze armate al necessario livello d'efficienza perché le finanze versavano in gravi condizioni. Colpite duramente dalla mobilitazione dell'armata d'osservazione durante la guerra di Crimea, erano ormai in uno stato tale da indurre il ministro competente ad esclamare durante un banchetto: « Voglia lddio mantenere l'esercito austriaco, perché il ministro delle firumze non è più in grado di farlo»•. Il giorno dopo tutta Vienna rideva di quella tragica realtà scambiandola per una battuta di spirito. L'Impero cercò l'appoggio della Potenza più affine: ma il reggente di Prussia, Guglielmo. fece sapere cbe il conto da pagare sarebbe stato salato: La cessione del comando delle truppe della Confederazione Germanica sul Reno. Significava passare a Berlino il ruolo di capofila degli Stati tedeschi per mantenere il quale Maria Teresa aveva combattuto la Guerra di Successione Austriaca. Cosi Francesco Giuseppe si rivolse alla Confederazione Germanica, di cui era presidente; ma ne ricavò solo parole, mentre Cavour tesseva la rete in cui presto l'avrebbe avvolto. Il Primo Ministro sardo aveva ormai quasi terminato il suo lavoro e gli mancavano solo pochi ritocchi per completarlo. L' importantissimo risultato politico del Congresso di Parigi aveva fatto risplendere il prestigio del Regno in tutta la Penisola, attraendo r attenzione di tanti patrioti indipendentemente da. o spesso malgrado, le loro idee sulla forma istituzionale da dare all'Italia una volta unita. Sull'onda crescente dell'entusiasmo, gli antichi Carbonari, i Repubblicani, i Mazziniani, i patrioti d 'ogni tendenza si raggrupparono nella Società Nazionale, di cui nominarono presidente Daniele Manine vice presidente Giuseppe Garibaldi. Cavour, a dire il vero, non riteneva possibile l'unità della Penisola. Convinto che l'Italia non fosse in grado di «fare da sè>> e che necessitasse dell' aiuto francese, mirava solo alla costituzione d'un regno dell'Italia settentrionale, comprendente il Lombardo-Veneto, i ducati di Modena, Parma e Piacenza e, eventualmente, le Legazioni, in sostanza era ancora il vecchio obbiettivo sabaudo risalente a Vittorio Amedeo rr e Carlo Emanuele III. Comunque sia, la Società Nazionale poteva essere pur sempre un ottimo strumento per la realizzazione dei suoi disegni; ed egli L'alimentò e la protesse. Intanto il Lombardo-Veneto dava sempre più spesso segni d'insofferenza. Ne erano segni eloquenti prima la sottoscrizione per !"erezione a Torino di un monumento aU' Armata Sarda e poi la raccolta di fondi per dotare la cittadella di Alessandria di 100 cannoni. Ma a Vienna si sottovalutava la cosa; e neppure quando Francesco Giuseppe. nel viaggio compiuto nelle provincie italiane nel 1857-58. ricevè delle accoglienze gelide, ci si rese conto della portata del pericolo incombente. L'estate seguente, il 2 1 luglio 1858, Napoleone III e Cavour. incontratisi segretamente a Plombières col pretesto di un soggiorno termale, stabilirono il patto d'alleanza. Cedendo alla Francia Nizza e Savoia, il Regno di Sardegna avrebbe acquisito il Lombardo-Veneto. Parma, Piacenza. Modena, le Legazioni e Le Marche fino ad Ancona. Subito dopo sarebbe entrato a far parte di una confederazione, presieduta dal Papa, comprendente il Granducato di Toscana, il Regno delle Due Sicilie e lo Stato Pontificio. • Rip. in F. HERRI!: «Francesco Giuseppe», Milano, Rizzoli, t 982, cap. «Solferino», pag. 137.


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Rassicurato sull'automaticità dell"intervento francese in caso d'aggressione austriaca, tornato a Torino Cavour ebbe un colloquio col conte milanese Cesare Giulini e gli espose il suo progetto: indurre i proprietari terrieri lombardi a mandare, al momento deUa prossima chiamata di leva austriaca nel Lombardo-Veneto, i propri contadini coscritti in Piemonte. <<Se venissero» aveva concluso Cavour «io li accolgo nei reggimenti piemontesi .... l'Austria mi chiederà l'estradizione o il loro disarmo... io rifiuterò; l'esercito austriaco allora invaderà ìl Pienwnte»xì_ L'esca per attirare i volontari sarebbe stata la migliore: Garibaldi sarebbe stato chiamato a Torino nel febbraio del 1859 e nominato dal Re Maggior Generale e comandante dei volontari. Avute assicurazioni da Giulini, Cavour fu tanto certo della riuscita dei suoi piani da dichiarare al diplomatico inglese Odo Russe! che avrebbe costretto l'Austria a dichiarare guerra alla Sardegna «nella seco11da sertimana di maggio del 1859 »xii_ Il primo segnale della tempesta che si stava avvicinando lo diede l'Imperatore dei Francesi, quando al ricevimento di capodanno del 1859 alle Tuileries, disse al barone Hiibner, imperialregio ambasciatore a Parigi. davanti a tutto il corpo diplomatico: «Mi dispiace che i nostri rapporti non siano cosi buoni come vorrei che fossero; la prego però di riferire a Vienna che i miei sentimenti personali nei riguardi dell'Imperatore sono sempre gli stessi»xi11 • Tutte le cancellerie europee capirono al volo quel che Francesco Giuseppe non comprese. La City di Londra rifiutò di concedere all'Austria un prestito di 4 milioni di sterline; alla borsa di Francoforte i titoli austriaci crollarono da 81 a 38 fiorini; furono restituiti tutti gli effetti austriaci e disdetti i crediti esteri. Allora Vienna si allarmò e ordinò l'immediato invio di un corpo d'armata e di 6 battaglioni di Croati in Lombardia. Poi arrivò il secondo segnale. Il IO gennaio 1859 Vittorio Emanuele 11, aprendo la sessione del Parlamento, disse: «Nel mentre rispettiamo i tra1tari, non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d'Italia si leva verso di noi.»"•. L'eco degli applausi lunghi e scroscianti che avevano salutato quelle parole giunse rapidamente a Milano. Poche sere dopo, alla Scala «Si rappresentava la "Norma" e appena i sacerdoti druidici intonarono il coro possente del "guerra guerra", tutto il pubblico scattò in piedi: dai palchetti le signore sventolavano ifau.oletti e tutti a una voce, a11zi con un urlo formidabile, si gridò "Guerra! Guerra.'" Il coro fu fatto ripetere più volte fra un entusiasmo frenetico. Gli ufficiali della guarnigione ....guardavano nei due palchetti riuniti di prima fila ove stava il generale Gyulai con parecchi ufficia/i superiori. Questi capirono ben presto di cosa si trattasse e si misero ad applaudire essi pure il "guerra guerra" ... li segnale dato da Gyulaiju subito seguito da ttmi gli ufficiali che si rizzarono in piedi e fissando il pubblico. applaudirono fragorosamente»'". li l 8 fu fimiato a Torino il trattato d'alleanza tra Francia e Sardegna. Un tentativo di mediazione dell'Inghilterra, preoccupata dal possibile accrescimento dell'influenza francese in Europa determinato da una guerra vittoriosa, falll per l'ostinazione austriaca, che poi era quella dell'Imperatore. Francesco Giuseppe stava perdendo la pazienza. Siccome ne aveva poca, ad aprile l'aveva già esaurita e, il 19 di quel mese, impose al Consiglio di Stato di spedire un ultimatum a Torino. Appena ricevutolo, « ..Cavour il giorno 23 aprile convocava il Parlamento per esporre gli avvenimenti e chiedere i pieni poteri ... I deplltati ... elessero la commissione ... che proponeva unanime l'approva::.ione della proposta. Fu. un'acclamazione generale; tutti i deputati sorsero

"Cavour. rip. in: E. V1scONT1 VENOSTA. «Ricordi di gioventù», Milano, Rizzoli. 1959 cap. XXV. pag. 283. xii Cavour, rip. in HcRRE: op. cit .. cap. cil., pag. 145. xiii Napoleone

m, rip. in HERRc: op. cit., cap. cit., pag. 147.

xiv Vittorio Emanuele li, rip. in: VJSCONTI VENOSTA, op. cit., cap. XXVl, pag. 285.

xv VISCONTI VENOSTA, op. cit.. ivi.


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in piedi, ne/l'attitudine solenne di gente forte e risoluta; il pubblico dalle tribune acclamava, sventolava i Jazz.o/etti, si gridava, si piangeva; era un delirio, unafebbre»••i. «Aleajacta est>> - esclamò Cavour - «esco dalla tomaia dell'ultima Camera piemontese: la prossima sarà quella del regno d 'Italia. Abbiamo fatto della storia»x•ii; aggiungendo da buon italiano: «E ora andianw a pranzo». Il 26 il Governo del Re, presa nota del) 'ultimatum con cui 1· Austria gli intimava lo scioglimento dei corpi di volontari e la riduzione dell'esercito alla forza del tempo di pace, rispose che: «Avendo la Sardegna acceuato il principio del disarmo generale come era stato formula to dal/"Jnghilterra, coll'adesione della Francia, della Pnw1ia e della Russia, il Governo sardo non ha altra risposta da dare»x•iii. Francesco Giuseppe, che aveva cominciato a dubitare d ' aver co=esso un errore già subito dopo l'inoltro dell'ultimatum, per tranquillizzarsi aveva deciso di andare a chiedere il parere del suo antico maestro. Jl principe di Metternich, pur lontano dalla politica attiva da IO anni. non mancava di seguirne attentamente le vicende e sapeva bene cosa stava succedendo. Quando vide l'Imperatore, che si era recato a visitarlo, la prima cosa che gridò fu: «in nome del cielo, nessun ultima1um al Piemonte!»•i• «È stato spedito ieri.»" fu raccorala risposta del Sovrano. Iniziava il crollo dell'Austria.

VII) «Dàghela 'vanti un p~o, delizia del mio core>0xi: la campagna del '59 L'Armata Sarda entrò in guerra con un entusiasmo di cui oggi resta solo una pallida e lontana eco, che però è percepibile in tutti i luoghi dove si combatté. Fu veramente la riscossa di un popolo, preparata con costanza e tenacia. L'esercito era stato curato a dovere. La ferma delle tmppe provinciali era stata elevata a cinque anni, mantenendo ad otto quella dei soldati d'ordinanza. Era stato rinnovato l'addestramento tattico, coll'occhio rivolto a una miglior aderenza al terreno e a una maggior cura degli effetti del fuoco. C'era stata pure una notevole attenzione agli ultimi ritrovati tecnici. Si era saggiato ruso del telegrafo elettrico - anche se sarebbe stato impiegato largamente soltanto l'anno seguente per mantenere in contatto i Corpi d'Armata in marcia contro il Regno di Napoli - sperimentandone anche di ottici di nuovo tipo. Ma quel che importava non era tanto la quantità di postazioni e di linee impiantate, linee che sarebbero nate solo nel 1866, quaDdo il Genio ne avrebbe stese per 325 chilometri, trasmettendo 12.000 telegrammi da ollre I .000 postazioni telegrafiche nel corso della breve campagna di guerra di quell'anno, era sopratutto la mentalità, aperta al progresso e curiosa delle novità, che permeava il Piemonte di allora. La tattica e l'armamento erano ancora in gran parte quelli del periodo napoleonico. A Montebello le truppe alleate sarebbero andate all'attacco in ordine chiuso destando ammirazione e compiacimento nei comandi per la precisione dei loro movimenti, ma la Crimea aveva dimostrato a quali livelli di potenza fosse ormai giunta l'artiglieria: e l'aumento della capacità di fuoco implicava notevoli problemi logistici, specie in ternùni di movimento dei rifornimenti. Ad essi la tecnologia stava fornendo adeguate soluzioni sia attraverso la produzione industria-

xvi VISCONTI VENOSTA, op. cii., cap. XXIV, pag. 285 ivi. xvii Cavour, rip. in VISCONTI VENOSTA, ivi. xviii Rip. in HERRE, op. cit. pag. 150. •ix METTERNICH. rip. in H ERRE. op. cit., cap. cit.. pag. 151 . xx PRANCESCO GIUSEPPE, rip. in HERRE. op. cii. pag. 151. xxi Secondo verso della canzone cit. di A. Giorza.


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le, capace di sfornare quantità di materiali e viveri impensabili fino a pochi anni avanti, sia sfruttando le ferrovie per inoltrarli al fronte. Quella delle ferrovie non era del tutto una novità per l'Armata Sarda, perché la prima - anche se a trazione animale - era stata costrnita proprio in Crimea, sotto la direzione del maggiore Raffaele Cadorna. A quel primo e minuscolo esperimento era seguita l' organizzazione del traffico della rete ferroviaria piemontese in funzione della guerra e la sua connessione al sistema dell'intendenza militare, che era stata riorganizzata alla perfezione ed era in grado di rifornire tutte le truppe in campagna senza gli inconvenienti verificatisi durante le ultime guerre. Questo ben organizzato apparato logistico era pronto a sostenere entrambi gli eserciti alleati, il sardo subito, il francese quando fosse arrivato. Al primo. pari a un terzo della forza alleata totale prevista per la campagna. spettava il compito di fermare, o almeno ritardare, l'avanzata austriaca. Era articolato ora su I divisione di cavalleria e 5 miste, ognuna delle qual i era formata da 2 brigate di fanteria - entrambe di 2 reggimenti quaternari - l reggimento di cavalleggeri, 2 battaglioni di bersaglieri. artiglieria, genio e servizi. Nel frattempo il nemico muoveva con molta circospezione i suoi 160.000 uomini, di cui 120.000 combattenti, divisi in 5 corpi d'armata e comandati dal Feldzeugmeister Gyulai. Di lui si sapeva che non era un'aquila, ma non lo si credeva tanto incompetente quanto dimostrò. Intanto non concentrò al confine le sue forze. benchè sapesse dell'ultimatum del 19 aprile. Quando finalmente s i mosse avrebbe fatto ancora in tempo ad agganciare i Sardi prima che si unissero ai Francesi, che non avevano ultimato le operazioni di sbarco a Genova e stavano appena valicando le Alpi, ma di nuovo fu troppo lento. Bene o male il 29 aprile le truppe austriache varcarono il Ticino; e sprofondarono nella melma del Vercellese, allagato per ordine di Cavour. Dopo tre incerti tentativi offensivi. fra il 4 ed il IO maggio, Gyulai seppe che orn1ai gli Alleati si erano riuniti tra Casale, Alessandria, Voghera e Tortona e lasciò perdere ulteriori mosse. Grazie ai trasporti ferroviari, usati per la prima volta in una guerra. i reparti francesi e i rifornimenti erano arrivati più rapidamente di quanto gli Austriaci non si fossero aspettati.

Vill) Montebello, Palestro, Magenta Ultimata la concentrazione delle proprie forze, Napoleone III assunse il comando supremo dell'armata alleata ed ordinò l' invasione della Lombardia, seguendo pressappoco la stessa strada battuta da Carlo Alberto dieci anni p1ima. La mossa in quel momento era rischiosa, poiché poteva essere effettuata solo compiendo una marcia avendo il nemico sul fianco destro e risultava neutralizzabile da Gyulai con dei semplici spostamenti del suo grosso. Come s'è detto il Feldzeugmeister non era un'aquila. ma in questo caso superò qualsiasi aspettativa. Infatti rimase fem10 e compì solo due tentativi di disturbo, che si risolsero nelle vittorie alleate di Montebello, il 20 maggio, e di Palestro, il 30 e 31. Dopo quegli insuccessi, indeciso e incerto, fini per ripiegare oltre il Ticino. varcandolo in tre punti fra Vigevano e Pavia, e convergè su Milano, da dove, contemporaneamente, un altro dei suoi corpi d'armata doveva uscire per venire ad attenderlo a Magenta. Scontratosi proprio a Magenta, il 4 giugno, colle truppe alleate. che ottennero un buon successo tattico, Gyulai. scoraggiato, optò per il ripiegamento verso il Quadrila1ero, mentre i Franco-Sardi entravano a Milano e poi, 1'8 giugno agganciavano e battevano una retroguardia nemica a Melegnano.

IX) Varese, San Fermo, Solferino e San Martino

Dopo due giorni di sosta, l'armata alleata proseguì l'avanzata, mentre Garibaldi imperversava nella Lombardia settentrionale.


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la battaglia di San Marti110 24 giugno I 859. 2" guerra d' /ndipenden:.a


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<<lo ero stato chiamato dal Re al suo quartier generale di San Salvatore. Egli mi ricevette benevolmente, mi diede delle istruzioni e delle facoltà larghissime ... di portarmi ... sulla destra dell'esercito austriaco per incomodarlo»xxii. Trattandosi di Garibaldi chiaramente i politici e La Mannora cercarono di rendere inesecutivi quegli ordini, benchè scritti. Ma Vittorio Emanuele Il, che «di coloro che l'attorniavano nel '59 non era certo il peggiore»•xiii si intendeva a meraviglia con Garibaldi e gli «inviò un second'ordine di marcia verso il Lago Maggiore per operare sulla destra dell'esercito austriaco. Ciò non piacque forse alla camarilla, ma a me moltissimo: e mi trovavo quindi libero nelle mie manovre, posizione che mi valeva un tesoro»niv Così i suoi 3.000 Cacciatori delle Alpi, lasciati i carriaggi in Piemonte, gli zaini a Biella e applicando in pieno la tattica da lui appresa in America, sbaragliarono i circa 40.000 uomini del generale Urban, prima a Varese e poi a San Fermo aprendosi la strada per la Valtellina e scendendo fino a Bergamo e Brescia. dove arrivarono il 13 giugno 1859. lntanto, oltrepassato il Mincio, Gyulai aveva ordinato la sosta al grosso. Fu il suo ultimo atto, perché il 18 giugno Francesco Giuseppe lo esonerò dal comando dell'esercito d'ltal.ia, assumendolo di persona. Mentre teneva d'occhio gli Alleati in avvicinamento a Peschiera. l'Imperatore fu informato che era in arrivo da sud il Corpo franco-toscano di Napoleone Gerolamo Bonaparte e ne sopravvalutò la consistenza a 60.000 uomini. Preoccupato, decise d'attaccare Napoleone lii prima che i Franco-Toscani gli si unissero e ordinò di passare sulla riva destra del Mincio per muovergli contro. Così. la mattina del 23 giugno, i Francesi scoprirono truppe austriache davanti a loro sia sulle alture. da Pozzolengo per Solferino fino a Cavriana, sia in pianura, in posizioni tatticamente forti, a Guidizzolo e Medole. Napoleone lll le ritenne delle retroguardie e. non immaginando che il nemico si fosse voluto porre tra le forti posizioni alleate ed il fiume, inguadabile, ordinò l'avanzata per l 'indomani. Il risultato fu un ·inattesa battaglia d'incontro fra 130.000 alleati e 150.000 austriaci, schierati lungo I 2 chilometri di fronte, dalle colline di San Martino, a sud del Garda, fino a Solferino. I movimenti alleati incominciarono alle 3 del mattino del 24 giugno 1859, quando 80.000 francesi mossero verso Solferino. Cavriana, Medole e Guidizzolo senza sapere che erano tenute da 90.000 austriaci. Più a nord le divisioni sarde marciarono verso Pozzolengo, altrettanto ignare di cosa le aspettava. Convergendo la 5" Divisione sarda da nord-ovest lungo la riva meridionale del lago di Garda; la 3• da ovest, seguendo la ferrovia Milano-Venezia e. da sud-ovest, la 1•, seguita da!Ja 2•, si trovarono davanti, attestato sulle alture di San Martino, !"VIII corpo del generale Benedek, sostenuto da due brigate del V. Non sapendo del movimento in avanti ordinato da Francesco Giuseppe, la 1° e la 3' divisione arrivarono contemporaneamente davanti a quelle che supposero essere delle ridotte aliquote avversarie, rispettivamente alla Madonna della Scoperta ed alla poco distante collina di San Martino e le attaccarono. Questo comprensibile errore di valutazione dei comandanti, unito alla formazione di marcia scaglionata per cui i reparti sardi arrivarono sulla linea del fuoco eccessivamente distanziati l'uno dall'altro, causò un susseguirsi di prese e perdite del ciglio dei due rilievi durato fino a sera senza essere risolutivo.

xxii GARIBALDI. op. cit. pag. 273.

••ìu Idem, pag. 274. x.,cjv lvi.


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Alla fine, per rimediare, il Comando sardo ordinò il concentramento delle forze ma, prima che venisse ultimato, la Brigata Aosta entrò in azione con un attacco avvolgente contro il settore sinistro avversario a San Martino, inchiodandolo sul posto ed impedendo a Benedek di mandare aiuti verso il fronte di Solferino da dove gli chiedevano urgentemente rinforzi. Progressivamente la Aosta fu rinforzata dalia Pinerolo e poi dalla Cuneo finché, poco prima del tramonto, Vittorio Emanuele ordinò l'assalto generale sulla linea San Martino-CorbùLa Contracania 16 e vinse. SuUa cresta di San Martino appena conquistata vennero portati rapidamente i cannoni, che fulminarono gli Austriaci, obbligandoli ad un lento ripiegamento, accelerato poi dalla carica dei Cavalleggeri del Monferrato. Alle 21 cessò il fuoco sul nemico in ritirata; ed alle 22 il generale Fanti entrò a Pozzolengo. I Sardi avevano perso 5.500 uomini, gli Austriaci circa 1.800 a San Martino e 21.500 a Solferino. i Francesi 12.700.

X) Da Vìllafranca alla Lega delJ'ltalia Centrale Durante la notte gli Austriaci riattraversarono il Mincio, per appoggiarsi al Quadrilatero e concentrarsi intorno a Verona. Tra il 25 ed il 30 giugno gli Alleati avanzarono lentamente fino al Mincio, badando più a far riposare i soldati che ad inseguire il nemico. Mentre una parte dell'esercito sardo poneva 1•assedio a Pescb.iera dal 1° luglio, Garibaldi entrava in ValtelJina raggiungendo lo Stelvio coi suoi volontari che, ridottisi a 1.800 per le perdite subite, erano poi aumentati fino a 12.000 in meno di due settimane per l'enorme afflusso di nuove ed entusiaste reclute. Però il 6 luglio, giorno fissato per la ripresa dell'avanzata oltre il Mincio, le truppe, pronte a marciare, furono ricondotte negli accampamenti. Poco dopo le 18,30 una carrozza partì dalle linee francesi diretta a Verona: portava il generale Flcury, latore d'una lettera con cui Napoleone ID chiedeva la pace a Francesco Giuseppe. La situazione internazionale non era delle migliori. In primo luogo c'era l ' atteggiamento degli Stati tedeschi che, preoccupati dalle vittorie francesi, all' inizio dell'estate avevano ammassato sul Reno, tra Colonia e Coblenza, un esercito di 400.000 uomini, ai quali Parigi non poteva in quel momento opporne più di 180.000. Poi e' era un problema dì politica interna, dovuto ali' impressione negativa della campagna sulla forte fazione clericale francese. Infatti il principio della guerra aveva provocato una catena di sollevazioni in tutta l' Italia centro-settentrionale. Via il Granduca da Firenze, via gli Austria-Este da Modena, via i Borbone-Parma. fuori il Cardinal Legato dall'Emilia e dalle Romagne. Lo stesso Soglio Pontificio era dunque. se non minacciato, quantomeno impoverito dei suoi territori, con grave scandalo dei cattolici francesi , che ne davano la colpa all'imperatore Napoleone. Ora, se era vero che ad un certo punto era stata anche ventilata l'ipotesi di un regno dell'Italia centro-settentrionale per il principe Napoleone Gerolamo. era altrettanto vero che gli Italiani non sembravano volerne saper nulla, visto che si facevano governare da commissari del Re di Sardegna in luogo degli spodestati sovrani. A che erano dunque servite le migliaia di morti che la Francia aveva profuso sui campi di Lombardia? D'altra parte neanche a Vienna le cose andavano bene. Nessuno, era disposto ad aiutare l'Austria. La Prussia manteneva irremovibile la condizione della cessione del comando delle truppe della Confederazione; e la sua ascesa ad un ruolo paritario a quello di Vienna sulla sce-

16 Precedute dal fuoco delle artiglierie divisionali, avanzarono, da destra a sinistra, la Brigata Pinerolo, l'VJll Battaglione Bersaglieri, la Aosta. il I Bersaglieri. le Brigate Casale, Cuneo ed Acqui e iJ V Bersaglieri. I morti furono 691. i feriti 4.830.


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na germanica incuteva ali' Asburgo tante preoccupazioni quante l'esercito confederale sul Reno al Bonaparte. Mossi fondamentalmente da queste ragioni, i due Imperatori s'incontrarono dunque a Villafranca e si accordarono per mettere fine al conflitto. Vienna usciva dalla guerra in condizioni meno sfavorevoli di quanto si sarebbe creduto. Si limitava a perdere la Lombardia, conservando però Mantova e Peschiera; mentre i principi italiani, tutti imparentati cogli Asburgo, avrebbero riottenuto i loro troni dietro concessione di un'amnistia generale. U Veneto rimaneva austriaco, ma sarebbe entrato a far parte della progettata confederazione italiana presieduta dal Papa, se e quando fosse stata organizzata, consentendo a Francesco Giuseppe di continuare ad avere un ruolo rilevante nello svolgimento degli affari della Penisola. Un simile assetto sarebbe andato benissimo a Carlo Emanuele m, ma certo non a Vittorio Emanuele II che però, meno impulsivo e miglior politico di quanto lo si ritenesse, capì subito di doverlo accettare perché non era in grado di proseguire la guerra da solo. Chi non si diede pace fu Cavour il quale, dopo una memorabile scenata fatta al Re, diede le dimissioni e cominciò subito a muovere tutte le pedine di cui disponeva e specialmente la Società Nazionale. Così, non appena i commissari sardi in obbedienza al trattato di pace lasciarono l'Italia centro-settentrionale, si formò una lega militare fra Toscana, Emilia e Romagna che, forte di circa 60.000 uomini, mise i Francesi e gli Austriaci davanti all'alternativa di lasciare le cose come stavano o cominciare un'altra guerra. La Francia non era contenta e l ' Austria nemmeno. Londra però vide la buona occasione ed intervenne diplomaticamente, ritenendo più utile alla stabilità della "Balance of Powers" uno Stato italiano privo dell'influenza francese od austriaca. Coll'intervento .inglese arrivò la soluzione. Napoleone Jll accettò il compromesso offertogli da Torino e appoggiato da Londra. Nizza e Savoia, in cambio non del Lombardo-Veneto ma dell 'ltalia centro-settentrionale, bastavano a dimostrare ai Francesi che la guerra aveva portato dei risultati concreti, anche se politicamente inferiori a quelli attesi. Il 16 gennaio 1860 Cavour tornò alla testa del governo e, coi plebisciti delr 11 e 12 marzo di quell'anno, nacque un nuovo Stato. Restava da vedere quanto si sarebbe accresciuto. Non c'erano invece dubbi sulla persona a cui sarebbe toccato farne le spese: era il turno di Sua Maestà Francesco U di Borbone (Dio guardi) per grazia di Dio re delle Due Sicilie.



CAPITOLO XXIX

1 MILLE, IL '61 E L'UNITA'

I) Da Quarto a Palermo

<<Nell'aprile di quell'anno [1860] vidi per la prima volta e conobbi il Crispi. Lo conobbi negli uffici della «Perseveranza» ov'egli andava a. scrivere delle corrispondenze e dei telegrammi che venivano dalla Sicilia e nei quali erano amplificati fatti e notizie sui successi e su/l'estendersi di alcuni moti ri voluzionari dell'isola. Egli faceva capo alla « Perseveranza» appunto perché le sue notizie fossero meglio credute, e anche perché vi erano premurosamente accolte. Quei mori, in realtà, languivano, e si temeva che i borbonici in breve disperdessero gli ultimi insorti. Ma il Crispi, che meditava la spedizione in Sicilia, e voleva indurre i suoi amici a parteciparvi, e prima di tutti Garibaldi, era in temo a convincere che la rivoluzione siciliana rrionfava e che s'aspettavano solo soccorsi e volonrari»i. Questa la situazione siciliana dell'aprile 1860. Il 4 di quel mese s'era verificato un principio d' insurrezione a Palcm10; ma la polizia, informata per tempo della cosa, l'aveva soffocato sul nascere. Pressappoco lo stesso era capitato a Messina. Di fatto la Sicilia era stata pacificata, ma. nonostante quei fallimenti, l'anima dell'insurrezione, il palermitano Rosalino Pilo, giocò una carta pericolosa. Alla testa di poche centinaia di uomini si organizzò sulle alture intorno a Palermo e riuscì a tenere in vita il morente fuoco rivoluzionario. Poi mandò a Gruibaldi e ad altri lettere in cui scriveva d'avere ingenti masse d'armati colle quali minacciava Catania e d'aver saputo che alcune città erano insorte. Sulla scorta di queste lettere, sconsigliato da molti e spinto dal solo Crispi. Garibaldi parti finalmente per la Sicilia il 5 maggio sui vapori Piemonte e Lombardo «rubati» alla Società Rubattino. La situazione interna ed esterna del Regno delle Due Sicilie in quel momento era difficile: l' unica politica atta ad evitare il crollo della dinastia sarebbe stata quella dell ' intervento a fianco del Piemonte contro l'Austria, ma Ferdinando non l'aveva seguita e Francesco Il. succedutogli da circa un anno. non aveva l'energia e il coraggio di cominciarla adesso. A suo tempo Ferdinando, incolto e rozzo ma tutt'altro che sciocco, aveva capito che orinunciava a gran parte del potere, o congelava la situazione con un regime di polizia di cui l'Esercito era il puntello maggiore. Aveva curato molto anche la Marina - perché, come usava dire. il Regno era circondato da tre parti dall'acqua salata del mare e dalla quarta dall'acqua santa dello Stato Pontificio - ma difficilmente, per non dire mai, i provvedimenti restrittivi riescono a fermare l'evoluzione politica: e Napoli non fece eccezione. L'Esercito aveva già manifestato un certo malcontento colla rivolta dei fedelissimi e privilegiatissimi Reggimenti svizzeri, pilastro della dinastia. Qualche focolaio insurrezionale si era avuto in Sicilia ed era stato soffocato nel sangue: ma era chiaro che la vittoria francosarda in Lombardia avrebbe potuto far esplodere il vulcano. L'unica speranza risiedeva nelle frontiere d'acqua. salata o santa. Alle seconde avrebbe badato il Papa colle sue armi spirituali - visto lo scarso peso di quelle temporali - alle prime la Marina Reale. • VISCONTI V ENOSTA. op. cit., cap.

xxxv. pag. 395.


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Quando a metà aprile del 1860 l'ambasciatore a Torino comunicò la notizia della preparazione dell'impresa garibaldina, il Governo non perse tempo e potenziò la flotta. Nelle acque siciliane vennero fatti incrociare 14 tra legni e vapori e due rimorchiatori per intercettare Garibaldi e furono messi in allarme i semafori costieri. L' 11 maggio 1860, poco dopo mezzogiorno. il semaforo di Favignana segnalò a quello di Trapani-La Colombara due vapori sospetti in rotta verso est. L'allarme non raggiunse le navi napoletane cosicché, quando alle 12,45 il Piemonte e il Lombardo entrarono nel porto di Marsala, la più vicina di esse, la pirocorvetta Stromboli, era ancora a 10 miglia di distanza e si era accorta dj loro solo per caso. Scesi a terra, i I .089 garibaldini. più sbrigativamente ribattezzati "I Mille", si diressero a Salemi portandosi ilietro tre cannoni. I Borbonici più vicini erano quelli della colonna Landi. ad Alcamo per disarmare la popolaùone. Saputo dell'avvicinarsi di Garibaldi e della decisione del comando di Palermo di concentrare rutti i reparti intorno alla città, Lanili scelse una via di mezzo restando a Calatafimi colle riserve e wvidendo i suoi in tre colonne, spingendole poi in ricognizione in tre direzioni differenti. Quella del maggiore Sforza, dj circa 1.800 uorruni e due cannoni, il 15 maggio 1860 s'imbatté nei Mille a poca distanza da Calatafimi, li attaccò, fu contrattaccata alla baionetta sulle penilici di Pianto dei Romani e resistè fino a quando, priva di rinforzi, non dovè retrocedere nella cittailina, lasciando i Garibaldini padroni del campo. La lotta era stata assai dura e Garibalw avrebbe poi scritto che il nemico aveva «difese le sue posizioni con una tenacità ed un valore degni d'una causa migliore» sottolineando come «Lo vittoria di Calatafimi. benchè di poca importanza per ciò che riguarda gli acquisti ... /11 d'un risultato immenso per l'effetto morule, incoraggiando le popolazioni e demoralizzando l'esercito nemico ... fu incontestabilmente decisiva per la brillante campagna del '60. Era un vero bisogno iniziare la spedir.ione con uno strepitoso fatto d'armi»;;, L'obbiettivo seguente era Palermo e Garibaldi vi andò con tutti i suoi; ma «per una decina di giorni si doveva mantenere sulle alture ad es/ di Palermo, tra continue marce e contromarce, tallonato da vicino, ma non troppo, dalle colonne dei Cacciatori e dei Carabinieri Esteri, appena sbarcati, agli ordini del Colonnello svizzero von Mechel e del Maggiore Beneventano del Bosco.forse gli ufficiali pùì energici e motivati che la compagine militare borbonica riuscirà ad esprimere nel corso dell'intera campagna,,iii. Depistatili staccando dal grosso le salmerie e facendogliele inseguire, Garibaldi scese a Palermo, dove entrò il 27 maggio con uno scontro a Porta Termini ed al Ponte dell'Ammiraglio scatenando l'insurrezione popolare. Dopo tre giorni di combattimenti nelle strade. la mattina del 30, quando la situazione era ancora indecisa e le munizioni dei Garibaldini stavano finendo, il comandante borbonico della piazza, il settantatreenne Lanza, demoraljzzato, chiese una tregua e l'ottenne, proprio nel momento in cuj le colonne di von Mechel e del Bosco arrivavano alle spalle di Garibaldi. Quest'ultimo sì preparava a fronteggiare il nemko su due fronti ma. per sua fortuna, la demoralizzazione di Lanza aumentò fino a fargli prolungare l'armistizio e. infine, a lasciare la città wetro autorizzazione w Francesco Il, timoroso w inimkarsi l'lngbilterra e la Francia con un orwne ili bombardare Palenno da terra e dal mare. La città fu evacuata il 7 giugno, tra l'indignata delusione dei militari di truppa; e fu il segnale per l' estensione della rivolta alla Sicilia meridionale ed orientale. che costrinse i Borbonici a concentrarsi intorno a Milazzo e Messina. Intanto dall'Italia Settentrionale stavano cominciando ad affluire rinforzi. coi quali Garibaldi creò l'Esercito Meridfonale. poi mosse verso Milazzo.

ii GARIBALDI. op. cit. pagg. 322-324. ,ii P. CROC1A,,1. "L'=rcitO napoletano dal 1833 al 1860''. Roma. USSME. 1999. Tomo I, pag. 40.


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Il Maresciallo Clary, l'ufficiale più elevato in grado rimasto in Sicilia. in luglio fece uscire da Messina del Bosco - ora colonnello - perché proteggesse Milazzo tenendosi, però, sulla difensiva. L'ordine era suicida ma andava eseguito. Così del Bosco dovè aspettare l'attacco nemico attestandosi sulle migliori posizioni che poté trovare. 1120 luglio, all'alba, si accese la battaglia tra circa 4.500 borbonici ed altrettanti Garibaldini e, dopo una giornata di combattimenti «La vit10riafi.1 completa... n trionfofi.1 compralo a ben caro preuo.. i risultati nefiirono stupe11di»1v. I Napoletani furono costretti a ch iudersi nella cittadella e, in troppi, il 27 luglio dovettero capitolare. Garibaldi aveva in mano tutta la Sicilia meno Messina, Siracusa ed Augusta e, tralasciando le altre due, si diresse subito verso la prima per prenderla e passare poi lo Stretto.

II) Da Milazzo al Volturno: l'Esercito M eridionale e quello d el Re (Dio guardi)

Una settimana dopo il Generale Medici si presentò davanti a Messina coi 4.000 uomini componenti la sua divisione. Clary stipulò con lui una convenzione, impegnandosi a rinchiuders.i coi suoi soldati nella cittadella e a non sparare contro la città e i Garibaldini, i quali a loro volta si impegnavano a non assediarlo e a non tagliargli i viveri. Per Garibaldi era un'ottima soluzione. perché neutralizzava le truppe nemiche e gli consentiva di passare lo Stretto senza alcuna preoccupazione. Svicolando tra le navi borboniche, la cui passività lo aiutò moltissimo, sbarcò in Calabria; e qui le cose assunsero un aspetto d ·assoluta incredibilità. Vi si trovavano 18.000 uomini. I loro generali li fecero arrendere dopo deboli e scollegate resistenze. A tutt'oggi ancora non si riesce a capire cosa sia veramente successo durante la campagna dei Mille; quali siano state le reali ragioni di uno sgretolamento così rapido dell'apparato militare napoletano. S'è parlato d'inefficienza, ma da sola non spiega la mancata difesa della Calabria o di Palermo. S ' è data la colpa, o il merito, ad emissari sardi incaricati di convincere i comandanti borbonici a tradire. S "è ipotizzato che lo sfascio dell'esercito sia stata la conseguenza d ' un'azione della Massoneria, alla quale furono affiliati quasi tutti i più eminenti personaggi del Risorgimento, tesa a distruggere quello che era considerato il braccio armato del Papa, cioè appunto il Regno di Napoli. L'unica spiegazione accettabile sembra essere quella implicitamente sostenuta da Piero Crociani nel libro ·'L'esercito napoletano dal 1833 al 1860'". In sostanza gli alti gradi napoletani avrebbero manovrato male, o meglio, non avrebbero manovrato affatto le proprie truppe, perché si sarebbero resi conto di trovarsi davanti ad un problema politico molto più grande di quello militare. Si trattava di capire se il Regno delle Due Sicilie aveva l"energia per sopravvivere in quanto tale o sarebbe stato assorbito dai Savoia. Per capirlo bisognava stabilire quanto Francesco II fosse determinato a salvarsi il trono. Ma la risposta era evidente: il Re si faceva trascinare dagli eventi e non tentava neppure di dominarli, dunque era rassegnato a perdere la corona, quindi era inutile resistere mi litarmente e, anzi, era meglio cercare contatti ed atteggiamenti tali da consentire di trasferirsi armi, grado e bagagli nella nuova realtà militare, destinata a nascere dopo l'unione delle Due Sicilie al resto d"Italia sotto i Savoia Dopo aver rinunciato all'idea di una battaglia campale nella pianura del Sele - che avrebbe consentito in caso di sconfitta !"attestamento sulle posizioni di Cava dei Tirreni a copertura della capitale - il 6 settembre Francesco II lasciò Napoli per raggiungere le truppe a Caserta e Capua. Ordinò alla Marina di seguirlo; ma solo una nave - e dopo ventiquattr'ore - uscì dal porto di Napoli, nel quale del resto stazionava la squadra sarda dell'ammiraglio Persano. iv GARIBALDI. op. cit. pag. 347.


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Quanto a Garibaldi. corse così pochi rischi ad avanzare che a Napoli ci amvò in treno l' indomani, con soli sei dei suoi piil fidi collaboraton 1 ed ebbe un'accoglienza travolgente. Lo stesso giorno l'Esercito Napoletano fu provvisoriamente riordinato su tre Divisioni di fanteria - due binarie cd una ternaria - ed una di cavalleria, pure ternaria. Contando le guarnigioni di Capua, Messina e Gaeta e le truppe stan,iate in Abruuo, Francesco Il aveva ancora circa 40.000 uomini, il grosso dei quali era schierato sulJa destra del Volturno con una testa di ponte - Capua - sulla sinistra. Lentamente sulla medesima sponda affluiva intanto l" Esercito Meridionale, onnai di circa 20.000 effettivi. che tra il 19 ed il 21 settembre saggiò la resistenza borbonica a Roccaromana, Pontelatone, Capua e Caiazzo. dove il generale garibaldino Tìirr tentò di passare il fiume. Francesco Il esitava. Aveva affidato il comando dell'esercito al generale Ritucci, ma aveva fatto stilare il piano di battaglia al generale francese Lamoricière, comandante l'eserci to pontificio. Era semplicemente una manovra a tenaglia - dai movimenti complicati dal terreno aspro - con una branca. la destra, che da Capua doveva raggiungere Santa Maria Capua Vetere e poi Caserta. unendovisi alJ'altra. la sinistra. destinata ad arrivarci attraverso i ponti della ValJe e di Maddaloni. Per l'operazione venivano messi in campo 25.000 uomini. perdendo il vantaggio numerico ottenibile diminuendo l'enorme guarnigione di Gaeta. Dall'altra parte i 20.000 garibaldini potevano operare per lince interne dentro un semicerchio il cui centro era Caserta. All'alba del I O ottobre cominciò l'attacco. Garibaldi spedì in linea ogni uomo disponibile. Grazie alla strenua resistenza di Pilade Bronzetti a Castel Morrone e sfruttando la scarsa sincronia dei movimenti dei nemici. li obbligò a rientrare a Capua, vincendo la battaglia e dimostrando ai suoi detrattori di saper comandare anche grandi contingenti di truppa. I Borbonici restarono indecisi ancora un po' sul da farsi. non presero provvedimenti. continuarono a sperare in un intervento francese od austriaco; e fu la fine, perché arrivò l'Armata Sarda.

!Il) L'Armata del Re e quella del Papa

Mentre i Mille combattevano. Cavour da Torino teneva d'occhio le reazioni estere alla loro impresa. perché man mano che avanzavano ver..o nord aumentavano i rischi. Parlando a Napoli. Garibaldi aveva detto che avrebbe marciato su Roma, cacciandone i Francesi e proclamandovi Vittorio Emanuele re <.l'Italia. Il minimo che poteva capitare con un programma del genere era la guerra colla Francia c. trovandosi impegnati. con chi sa quali risultati, contro di essa. era prevedibile che pure l"Austria sarebbe scesa in campo. magari col pretesto d'intervenire a difesa del Papa. C'era poi il problema dell'esercito borbonico. Garibaldi in passato aveva già dimostrato di essere un ottimo generale e anche ora. in Sicilia, era passato di vittoria in vittoria; ma le truppe che si era trovato contro avevano combattuto su un terreno reso, in certi casi. pericoloso dall'ostilità popolare ed erano state utilizzate male. alla spicciolata e senza convinzione. Ora però Francesco Il aveva ancora a disposizione 40.000 uomm1, a1 quali s1 opponevano solo 25.000 garibaldini; e restava l'incognita delle truppe pontificie. Per tutte queste ragioni Cavour decise di muoversi. Aiutando apertamente Garibaldi ne avrebbe legittimato l'operato. ergendosi al tempo stesso a garante del mantenimento dell'impresa entro i limiti di una certa legalità istituzionale. Avrebbe mostrato al mondo che il Governo del Re non stava colle mani in mano e, contemporaneamente, avrebbe in un primo tempo impegnato i Pontifici, impedendo un loro eventuale coinvolgimento a favore del Borbone, pas1 Mi~sori. Canzio. Nullo. Basso. Mano e S1agncni.


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sando in un secondo momento a rinforzare i Garibaldini, alleggerendoli dalla pressione che la reazione militare napoletana andava certo preparando e infine mettendoli da parte, sia militarmente sia politicamente. Ancora una volta era necessario l'appoggio francese, sotto forma però di non-intervento. Messo di fronte alla preoccupante possibilità, sapientemente agitata, di un'iniziativa mazziniana per spodestare il Pontefice. Napoleone III brontolò che si facesse pure la guerra, ma in fretta. Restavano due sole difficoltà. La prima era l'Austria, il cui atteggiamento era minaccioso, che però non poteva essere attaccata senza rischiare di perdere tutto quel che si era guadagnato fino a quel momento. Non c'era quindi che metterla di fronte al fatto compiuto, terminando prima che avesse avuto il tempo di organizzarsi. Tutto dipendeva dunque da quanto sarebbe occorso ad eliminare la seconda difficoltà, cioè l'esercito pontificio. Le truppe del Papa continuavano a non godere d'una buona reputazione militare, ma da qualche tempo era stato fatto un grosso sforzo per migliorarle. Dotate ancora di cannoni a anima liscia. ma di nuovi fucili; rinforzate da reparti levati all'estero. in Svizzera, Belgio, Austria. Francia ed Irlanda, erano diventato più efficienti. Potevano reprimere con facilità i moti rivoluzionari, come quello di Perugia avvenuto proprio nel settembre del '60. ma era ancora da dimostrare che fossero in grado di competere coll'Armata Sarda. Cogliendo come pretesto proprio la presenza di reparti formati da stranieri negli Stati papali, il governo di Torino inviò a quello di Roma una nota ultimativa chiedendone lo scioglimento. L' 11 settembre il Segretario di Stato, cardinale Antonclli, rispose negativamente. Allora Vìttorio Emanuele, ricevendo due delegazioni, delle Marche e dell'Umbria, che domandavano protezione, affermò che glie! 'avrebbe accordata ed ordinò alle truppe di passare la frontiera. L'Armata Sarda aveva incorporato numerose unità. già esistenti o di nuova formazione, arruolate nei territori appena liberali ed in quelli annessi, od appartenenti ai disciolti eserciti dell'Italia centrale. Già raccolta fin dai primi di settembre, all'inizio della campagna era divisa in due corpi d'armata: il JV, comandato da Cialdini, accantonato sulla costa adriatica e composto da tre divisioni: la 4', la 7• e la 13"; il V, agli ordini di Morozzo della Rocca, schierato in provincia di Arezzo. a ridosso del confme umbro, articolato invece su due sole: la 1• - la Divisione Granatieri - e la Divisione Speciale di Riserva. A questo apparato organicamente imponente corrispondevano in realtà solo 30.000 uouùni, poiché la maggior parte dei reggimenti era ridotta, invece dei quattro regolamentari. a due o tre battaglioni, che per di più avevano solo la nonnale forza di pace di 600 effettivi l'uno. Le unità pontificie, comandate dal generale Lamoricière, disponevano di 20.000 uomini, la metà dei quali era però chiusa nei vari presidi. lJ rimanente era stato spezzettato in tre colonne mobili. disposte sulla linea Macerata-Foligno-Temi e affidate ai generali Schmidt, De Courten e Pimodan. Le truppe sarde si mossero rapidamente, secondo i piani, a partire dal!' 11 settembre. li IV Corpo scese verso Pesaro e Fano, occupandole dopo un breve scontTo, mentre il V avanzava in Umbria, facendo entrare la propria avanguardia a Città di Castello. Sperando nelrintervento austriaco e temendo di rimanere c ircondato dai corpi sardi. Lamoricière optò per il ripiegamento entro la piazza di Ancona, presidiata da 2.000 uomini. Cialdini intanto aveva sconfitto alcuni reparti di De Courten il 13 settembre a Sant' Angelo ma, non essendo riuscito ad impedir loro d'entrare in Ancona. aveva deciso di bloccare almeno Lamoricière il quale nel frattempo si era unito alla colonna Pimodan. Contemporaneamente il V Corpo. giunto nella notte fra il 13 e il 14 nelle vicinanze di Perugia. difesa dai 1.800 uomini del generale Schmidt, l'assalì all'alba e. dopo una giornata di combattimenti nell'abitato, a tarda sera ne ottenne la resa.


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Il 16 il V Corpo entrò a Foligno e, staccata verso Spoleto una colonna, proseguì per Tolentino, dove giunse il 19, puntando a nord per chiudere i Pontifici tra sè ed il corpo di Cialdini. Intanto Lamoricière, uscito da Loreto e diretto ad Ancona con 6.800 uomini divisi in due brigate, il 18 settembre aveva dovuto accettare battaglia sulle alture di Castelfidardo. L'aveva fronteggiato il IV Corpo al completo, forte di 17 .000 uomini e 42 cannoni. Il combattimento vero e proprio s'era però svolto alle Crocette e aveva coinvolto solo circa 1.500 dei 6.800 pontifici e 16 cannoni delle brigate Pimodan e Lamoricière, attaccati e battuti dai 4.800 uomini e 14 pezzi della Brigata Regina, del Reggimento Lancieri di Novara, dei battaglioni Bersaglieri XI, XII e XXVI e di due batterie e una sezione d'artiglieria. Dopo un breve successo iniziale contro i bersaglieri, i reparti esteri del Papa, contrattaccati dalla Regina s'erano sbandati, lasciando 88 morti e 600 prigionieri sul campo; 3.000 superstiti si rifugiarono a Loreto, dove furono catturati la stessa notte; 3.000 vennero rastrellati poi nelle campagne col concorso dei reparti del V Corpo, appena arrivati da Tolentino, ed i rimanenti riuscirono a salvarsi entro le mura d'Ancona. Riunitisi, i due corpi sabaudi arrivarono sotto la città, la bloccarono e, di conserva colla flotta, ne cominciarono l'assedio, terminato dopo forti bombardamenti da terra e dal mare, il 29 settembre, quando i 350 ufficiali e 7.000 soldati della guarnigione si arresero. li 7 ottobre l'Armata Sarda, sostituita la 13" Divisione colle Brigate Aosta e Re2, che però dovevano essere inviate a Napoli via mare. si divise nuovamente in due colonne e mosse verso sud. Il IV Corpo, col Re, scese, per Pescara e Chieti, a Castel di Sangro. Là si congiunse al V che, ripassato da Città di Castello e Perugia, aveva attraversato Spoleto, Rieti e Sulmona. Da Castel di Sangro. via Isernia, Venafro e Mignone, dopo un primo vittorioso scontro coi Borbonici al Macerone il 20 ottobre, le unità sabaude raggiunsero la zona di Teano, dove il 26 il Re incontrò Garibaldi.

IV) Dal Volturno a Gaeta Aggirate sul fianco sinistro e minacciate alle spalle, le truppe napoletane abbandonarono la linea del Volturno e ripiegarono su Capua e Gaeta. TI IV Corpo, ridotto oni alle sole 4• e 7• divisione. per complessivi 16.000 uomini, raggiunto il fiume il 29 ottobre, staccò in avanti quattro battaglioni bersaglieri e tre reggimenti di cavalleria Ma la ricognizione che dovevano effettuare fu bloccata dai I0.000 napoletani del Maresciallo Colonna schierati sulle alture di Minturno. Allora il Comando sardo ritenne più opportuno operare lungo la costa, in modo da valersi dell'appoggio della flotta; e r iniziativa passò al V Corpo. La squadra francese, mandata in osservazione da Napoleone m, s'oppose ai movimenti di quella sarda, lasciandole il passo solo dopo espliciti ordini dell'Imperatore, sollecitato da Vittorio Emanuele e, nella piovosa notte fra il I O ed il 2 novembre, le navi dell'ammiraglio Persano, favorite dall'oscurità ed avvolte dalla nebbia, ne presero il posto ed aprirono il fuoco sui reparti napoletani accampati sulla costa, senza comunque infligger loro molti danni. Per questo la mattina del 2 novembre le forze borboniche ebbero l'ordine di ritirarsi dal basso Garigliano in direzione di Mola di Gaeta (poi denominata Formia), Castellone e Gaeta, lasciando pochi uomini a guardia del ponte sul Garigliano. 11 3 la 1• Divisione del generale De Sonnaz attese che i Napoletani avessero terminato la ritirata poi, sospettando che il ponte fosse minato. ne gittò uno di barche, attraversò, vivamente contrastata fino all'ultimo dalla scarsa retroguardia borbonica del 5° Cacciatori, e si preparò ad assalire il nemico a Mola di Gaeta.

2 La ex-Savoia. che aveva cambiato nome in seguito alla cessione di

quel Ducato al.la Francia.


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Là si erano radunati i 10.000 svizzeri e bavaresi del generale Salzano e. disposti più indietro. sulla strada per Itri, gli altri 10,000 uomini del generale RoggerL Oltrepassata facilmente la linea d'osservazione nemica sull' Acquatraversa, la Divisione De Sonnaz si scontrò violentemente coi Napoletani della linea di resistenza, li fissò, sfondò la loro ala sulle alture e prese di rovescio tutto il loro schieramento. Poi venne l'assalto generale su tutta la linea; ed anche Mola di Gaeta fu presa all'arma bianca. I Napoletani ripiegarono su Castellone per riorganizzarvisi; ma furono raggiunti, agganciati e nuovamente volti in ritirata. A quel punto Dc Sonnaz preferì non inseguire ulteriormente il nemico. Le truppe erano euforiche ma stanche; i reparti di Cialdini non sarebbero arrivati prima del giorno dopo a causa del pessimo stato delle strade; e c'era pur sempre nelle vicinanze il corpo del generale Roggeri. Questi però, dopo la notizia della capitolazione di Capua, avvenuta il 2 novembre, e l'insuccesso di Salzano a Mola di Gaeta, ricevè dal Re l'ordine di ritirarsi verso la frontiera pontificia, passò Itri, Terracina e Fondi e riusci a consegnarsi con tutti i suoi uomini ai Francesi di presidio al confine papale. Francesco 11 rimase chiuso entro Gaeta con 12.000 uomini, la corte ed il corpo diplomatico accreditato presso di lui. Cinta d'assedio dai 16.000 soldati delle brigate Regina, Savona, Como e Bergamo. bloccata dalla flotta dell'ammiraglio Persano. sottoposta a terribili bombardamenti da terra e dal mare, coi nuovi cannoni rigati modello Cavalli. la città resse fino al 12 febbraio 1861, quando il Re s'imbarcò con la famiglia ed i suoi fedeli sulla corvetta francese Mouette, diretta a Civitavecchia. Sei giorni dopo. mentre ancora resistevano le piazzeforti borboniche di Civitella del Tronto e Messina, il Parlamento di Torino si riunì come parlamento del Regno d'Italia, proclamandone Vittorio Emanuele Il re per grazia di Dio e volontà della Nazione.

V) L'Esercito Italiano, l'Aspromonte e il Brigantaggio: 1861 - 1865 Il nuovo Regno dovè affrontare, fra le tante, la delicata questione dell'ordinamento delle forze armate. La nuova Marina - la terza del mondo dietro quelle inglese e francese colle sue 106 navi a vela e a vapore - non diede grosse difficoltà. Per l'Esercito fu diverso. La scomparsa Armata Sarda aveva assorbito i contingenti degli altri eserciti italiani, di quello austriaco d'Italia e di quello garibaldino. gli effettivi dei quali differivano dai suoi per levata, formazione, addestramento, efficienza e regolamenti. Considerando le difficoltà tecniche del mantenimento dei reggimenti non sardi ed il rischio che vi resistessero elementi nostalgici, specie nei contingenti toscano e napoletano, si decise di scioglierli, fondendoli colle unità sabaude preesistenti o formandone di nuove. Così alle IO brigate di linea dell'Armata Sarda se ne aggiunsero via via 4 toscane, 5 lombarde, 7 emiliane. I garibaldina, 5 napoletane e 5 di nuova formazione, per un totale di 72 reggimenù di fanteria e 42 battaglioni di bersaglieri, mentre la cavalleria aumentava fino a L9 reggimenti. Ogni brigata seguì la struttura binaria; e i reggimenti furono articolati su 4 battaglioni quaternari. L'ordinamento del 1862 articolò l'Esercito su 6 corpi d'armata. per un totale di 20 divisioni, formate ognuna da due brigate di granatieri o di fanteria di linea, due battaglioni di bersaglieri, un reggimento di cavalleria. artiglieria, genio e servizi. Ma l'incorporazione dei militari, specialmente garibaldini e delle Due Sicilie, fu tutt'altro che indolore, perché vennero trattati come i soldati ex-napoleonici al tempo della Restaurazione, perdendo un grado all'atto della presa in forza nel nuovo esercito. Il provvedimento era giustificabile nel caso dei Garibaldini, i cui reparti erano stati esuberanti di ufficiali, ma non lo era affatto per i Napoletani, molti dei quali comunque preferirono lasciare il servizio attivo; mentre i soldati semplici rifiu-


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tavano l'arruolamento neIJ'esercito di VHtorio Emanuele Il perché Francesco Il non li aveva sciolti dal giuramento prestatogli. Poi si spostarono da Ivrea a Modena i corsi d'istruzione per gli ufficiali di Fanteria aggiungendovi, tre anni dopo, anche i colleghi di Cavalleria, mentre artiglieri e genieri continuarono a formarsi a Torino. Infine cambiò la bandiera: ora lo stemma era staccato dalle bande laterali ed era sormontato dalla corona reale. Non vi furono altri cambiamenti e l'Esercito restò nella sostanza quello Sardo del Risorgimento. I suoi quadri, colle pochissime eccezioni entrate in servizio dopo il 1861, avevano preso parte alle campagne di Crimea e per l'Indipendenza e consideravano Garibaldi come un eroe. Ci si può dunque facilmente immaginare quale trauma rappresentò per loro lo scontro deU' Aspromonte. Tornato in Sicilfa, il 19 luglio 1862 Garibaldi radunò circa 3.000 volontari nei boschi della Ficuzza, sopra Palermo. «Roma o morte!» fu la parola d'ordine. Presero la via di Catania, salirono su due piroscafi e si diressero alla volta della Calabria. Sbarcati il 25 agosto a Melito di Porto Salvo. marciarono verso nord cercando di evitare lo scontro coi soldati regolari. Non è chiaro del tutto se ancora una volta, come nel 1860 e come sarebbe poi stato nel 1867 a Mentana, Garibaldi avesse l'incoraggiamento ufficioso del Governo o del Re. È certo però che l'atteggiamento assolutamente contrario di Napoleone III indusse il presidente del Consiglio Urbano Rattazzi a emanare ordini severi: Garibaldi doveva essere fermato. Il generale Cialdini incaricò il colonnello dei bersaglieri Emilio Pallavicini di Priola di partire con una colonna e non accordare altro che la resa a discrezione. Il 29 agosto i 2.380 uomini3 di Pallavicini intercettarono i volontari garibaldini - ridotti a circa 1.500 - e avanzarono «risolutamente su di noi, e cominciò il solito "fuoco avan:.aw" ... 11oi non rispondemmo. lo ordinai che 11011 si facesse fuoco, e tale ordine fu ubbidito, merw che da poca gioventù bollente alla nostra destra»' per cui si ebbero 5 morti e 23 feriti fra i regolari e 7 e l 8 feriti tra i volontari, compreso Garibaldi4 • Arrestato, fu imbarcato e trasferito al forte del Varignano, fuori La Spezia, e da là prima a Pisa e poi a Caprera, dove - salvo un trionfale viaggio a Londra nel 1864 - sarebbe rimasto fino al 1866. Ma il problema più grave che l'Esercito Italiano stava affrontando era quello del brigantaggio. ll fenomeno era esistito per anni, endemicamente. specie nel Regno delle Due Sicilie; e la guerra del '60 - '61 l'aveva aggravato dandogli una colorazione politica. I primi casi di sollevazione filoborboaica si erano verificati già nel tardo autunno del J 860 ed erano stati repressi duramente. Però il rientro degli ex-militari napoletani e la pubblicazione del bando con cui li si chiamava ad ultimare il servizio di leva nell'Esercito Italiano avevano provocato un ingrossamento delle file brigantesche, facendole diventare un tutt'uno coi partigiani della deposta dinastia. Di conseguenza sia la resistenza di Gaeta che le sovvenzioni poi spedite da Roma da Francesco II alimentarono il fuoco della più feroce guerra civile che l'Italia avesse mai conosciuto. In sostanza si trattava della stessa cosa capitata nel 1799 e ancora nel 1806 contro i Francesi: la guerra per il Re noto contro quello venuto da fuori , il tutto aggravato dalla visione e dall 'interpretazione locale degli avvenimenti. Non a caso avrebbe scritto in un suo rapportovi 3 Erano il VI Battaglione Bersaglieri, due compagnie del X.XV, due battaglioni del 4° Reggimento fanteria Piemonte. tre appartenenti ai reggimenti fanteria 5° Aosta e 27° Pavia, mezza batteria da montagna ed un drappello di Carabinieri Reali. ' GARl8ALOI. op. cii., pag. 383. 4 Ricevé due colpi - uno all'anca sinistra ed uno al malleolo del piede destro -come pure fu ferito suo figlio Menotti. vi U rapporto, del 1862. è in AUSSME. nel Fondo Brigantaggio, che al momento della consultazione era in riordino parliale, per cui non si può essere più precisi di così quanto a indicazioni archivistiche.


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un ufficiale italiano che per i soldati italiani il problema maggiore, tra gente abituata a vedere nei cosiddetti ·'galantuomini" - i borghesi proprietari di terre - i propri peggiori nemici, era quello di essere militari del "Re Galantuomo"! Come se ne potevano fidare i popolaui? Se era galantuomo doveva per forza essere un nemico; e altretranto nemici i suoi soldati. Inoltre non bisognava dimenticare come i Borboni fossero sempre sopravvissuti a tutti i rivolgimenti politici e militari e fossero sempre ritornati. All'invasione del 1798 era seguita la Restaurazione del 1799; aU"invasione del 1806 aveva tenuto dietro la Restaurazione del 1815; il 1821 e ra terminato colla vittoria della Dinastia: e allora, perché adesso il Re (Dio guardi) non avrebbe dovuto trionfare? Magari dopo anni come al tempo dei Francesi? Così mentre il IV Corpo stava ancora assediando Gaeta. nel gennaio 1861 si verificarono scorrerie a Tagliacozzo, Scurgola ed altre cittadine abruzzesi da dove i piccoli presidi italiani erano stati ritirati; e toccò al V Corpo effettuare le prime azioni per il mantenimento dell'ordine pubblico. Della Rocca. ora comandante militare delle Due Sicilie, dapprima concentrò le proprie forze per impedire che potessero essere attaccate con successo dagli insorti, poi diede corso alla reazione. Fioccarono le fucilazioni, tanto che da Torino gli scrissero di ridurle; e allora «le prigioni e le caserme rigurgitarono. il numero dei carcerati crebbe a dismisura, e cosi pure crebbero i disordini, specie dopo la presa di Gaeta»•ii. 1 soldati battevano le campagne in una vera e propria guerra, fatta di agguati, combattimenti in campo aperto, spedizioni punitive e pesantissime rappresaglie dall'una e dall'altra parte. È difficile dire a quanto possano essere ammontate le perdite ma, considerato quanto emerge dalle carte del Fondo Brigantaggio dell'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito e dalle fonti a stampa note, sembra di poterle quantificare in non più di 20.000 morti, dalla distruzione della colonna Nullo nel 1860 a tutto il 1864 e comprendendovi pure i morti dell'Esercito napoletano durante la fase finale della campagna del 1860-61. Le truppe vennero ripartite su tutto il territorio dell'Italia Meridionale ed impegnate in controlli effettuati mediante colonne mobili. Composte da elementi appartenenti alle armi di Fanteria, Cavalleria e dei Carabinieri Reali e da Guardie Nazionali, in proporzioni variabili a seconda del luogo e del periodo, le colonne operarono con durezza estrema. risolvendo i casi dubbi sempre e solo colla pena di morte mediante fucilazione. Lentamente la situazione migliorò, anche per la collaborazione, prima imposta e poi spontaneamente ottenuta dalla popolazione e per il sempre minore appoggio ai briganti, mutato, a partire dal 1863 nelle prime reazioni popolari contro di essi. Le operazioni maggiori contro il brigantaggio avevano richiesto l' impiego di 90.000 uomini dell'Esercito di campagna e terminarono grossomodo nel 1865, quando la questione si ridusse tanto da poter essere lasciata ai soli Carabinieri Reali. Da allora il fenomeno decrebbe sensibilmente. Resistè nello Stato Pontificio - le cui truppe erano guardate dai briganti con assoluto disprezzo per la loro pusillanimità5 - nonostante alcuni tentativi di cooperazione cogli Italiani e, sopratutto, resistè in Sicilia. dove fu poi indicato come "Malandrinaggio", rendendo necessaria la presenza di truppe - perlopiù Bersaglieri - in appoggio ai Carabinieri Reali flno all'ultimo quarto del XIX Secolo.

,;, DF-1. LA ROCCA, «Autobiografia d 'un veterano», rip. in P. G. lAEGER, «Francesco TI di Borbone ultimo re di Napoli», Milano, Mondadori. 1982, cap. XV. pag. 234. S Ri sulta da deposizioni di testimoni come nel 1866 una douina di briganti operanti nel Frusinate fossero fuggiti dopo un brevissimo scambio di colpi con cui avevano messo in fuga un'intera compagnia del I O Reggimento di Linea pontificio. Ln seguito avevano affermalo ad un'ostessa che erano scappati perché avevano creduto d"essere incappati nei bersaglieri italiani, dato che non avevano la minima paura dei Pontifici. In compenso erano i militari regolari pontifici ad avere il terrore dei briganti. a differenza della Gendarmeria e della Finanza che facevano il possibile per combatterli.



CAPITOLO XXX

LA III GUERRA D'INDIPENDENZA: 1866

I) Premesse necessarie a una cattin figura

I primi anni del Regno d'Italia non furono dei più facili. Il nuovo Stato contava 27 milioni d'abitanti e comprendeva tutta l'Italia meno le regioni poi denominare Veneto, Friuli Venezia Giulia. Trentino Alto-Adige. Istria e Lazio, sotto dominio austriaco le prime, pontificio l'ultima. Il debito pubblico del Regno toccava i 2.450 miJioni di lire del tempo (iJ che dimostra come il deficit dello Stato sia una sana, radicata ed antica istituzione nazionale) assorbendo il 30% delle entrate. Un altro 25% serviva a mantenere le Forze Arrnate1 e il resto era usato per far fronte a tutte le altre necessità. Esisteva un gran quantità di problemi da risolvere, nati dal fatto che le regioni italiane avevano dovuto cambiare forzatamente molte cose. dai codici aJle monete, passando per le unità di misura. In più non si era riusciti ad avere una Banca NazionaJe unica ed erano restati in funzione ben cinque istituti di emissione, che poi erano quelli degli scomparsi Stati italiani, cui se ne aggiunse un sesto dopo il 1870; situazione anomala che durò fino aJlo scandaJo della Banca Romana. Pian piano tutti gli abitanti della penisola italiana andavano scoprendo che il nuovo Regno aveva in serbo per loro parecchie sorprese, tutte sgradite, a cominciare da un più pesante carico fiscale e terminando colla coscrizione obbligatoria generale a lunga ferrna. Al Sud fu accolta come una disgrazia da evitare dandosi alla macchia; e i renitenti si unirono alle bande di briganti. In più l' Italia era tutta da costruire. Al Sud praticameme non c'erano strade, né ferrovie, né scuole. Al Nord, invece, due anni d ' istruzione obbligatoria, una rete ferroviaria buona in Lombardia, Piemonte e Liguria; ma inesistente nelle aJtre regioni. Scoraggiante la situazione produttiva: le fabbriche, tranne qualche eccezione. erano al Nord e non esistevano né industria pesante né grandi cantieri navali, tant'è vero che le prime corazzate italiane furono costruite in Inghilterra e negli Stati Uniti. Politicamente poi regnava un notevole disorientamento. Cavour era morto poco dopo la proclamazione del Regno, lasciandosi alle spalle una Nazione cattolica. governata da cattolici, ma dotata di leggi fortemente anticlericali, la cui ispirazione era stata dettata dagli eventi politici. Per debolezza interna, per le ingerenze del Re e per i conflitti parlamentari fra la Destra e la Sinistra. il Governo, affidato al barone Ricasoli nel giugno 1861. inaugurò un'altra tradizione italiana dimettendosi nel marzo 1862. Seguì il ministero Rattazzi, che crollò dopo lo scontro del!' Aspromonte, e fu sostituito da Farini; ma solo per tre mesi, perché poi Parini impazzì e fu persuaso a dimettersi. Gli successe Minghetti; e con lui si aprì la questione della capitale.

1 A partire dal 1861 riprendendo quanto fatto prima da quella Sarda, la Marina rese stabile la propria presenza nelle acque del Sud America mantenendo uno stazionario fisso all'estuario del Rio della Plata e creando, nel 1865. su istanza del ministro della Marina Angioletti, la Divisione Navale dell'America Meridionale, forte di cinque legni, a tutela degli interessi dei connazionali ivi residenti.


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Già da tempo gli Italiani protestavano per il carattere eccessivamente piemontese dell'apparato statale. Leggi piemontesi, sistemi piemontesi, Costituzione piemontese e. sopratutlo, una capitale piemontese, decentrata rispetto al resto della Nazione e legata forse più alla Francia che ali 'Italia. Il bolognese Minghetti. rendendosi conto della necessità di sceglierne al più presto un'altra, riuscì a sfruttare al meglio la situazione internazionale. Era il 1864 quando indusse Napoleone lii a firmare la Convenzione di Settembre. La Francia s'impegnava a lasciare entro due anni Roma, dove manteneva una guarnigione dal 1849, purchè l'Italia s'impegnasse a non assalire il Papa. a difenderlo da ogni eventuale aggressione ed a spostare la capitale da Torino a un'altra città. La scelta cadde su Firenze e costò 23 morti e centinaia di feriti per i disordini che scoppiarono a Tonno quando si ,cppe dell'imminente trasferimento. In questo modo Mingheni. che non aveva la minima intenzione di rinunciare a Roma, aveva eliminato il primo e più consistente ostacolo. coMituito dalla presenza militare francese sul Tevere. che avrebbe implicato l'intervento automatico di Parigi in ogni questione territoriale fra l"Italia ed il Pontefice. Ora il rischio di complicazioni colla Francia era più remoto c. con un po' di fortuna, si poteva aspettare una buona occasione per mettere le mani su Roma e sul Lazio. L'altro obbiettivo territoriale immediato del Governo era Venezia; ed anche per quello non c·era molto da attendere. L"Auwia continuava ad essere afnitta dalla crisi finanziaria e da difficoltà di politica interna ed estera. In particolare in quel periodo si stava profilando uno scontro coi Prussiani in seguito alla questione dello Schleswig-Holstein. Dunque il nemico dell'Italia era diventato anche quello della Prussia. decisa ad ottenere la preminenza in Germania. Bismarck cercò quindi appoggio a Firenze, più che altro perché l'intervento dell'Esercito Italiano avrebbe distratto qualche decina di migliaia di Austriaci dalla Boemia. Parimenti Vienna. rendendosi ben conto del pericolo. offri all'Italia quanto avrebbe comunque perso. cioè il Veneto, in cambio della neutralità. Ma per un malinteso senso dell'onore l'offerta venne respinta. Bisognava tener fede a1 patti già presi con Berlino e poi, secondo La Marmora, il conflitto avrebbe certamente riunito anche il Trentino alla Patria. Fu così che nell'aprile del 1866 venne firmato un trattato segreto colla Prussia, mediante il quale l'Italia avrebbe ottenuto il Veneto in cambio del proprio intervento in guerra; e fu il primo errore della campagna. A che ~erviva fare una guerra per prendere quanto si poteva ricevere restando neutrali ? Il secondo fu commesso dividendo l'Esercito Italiano in due corpi separati e nel riporre troppa lìducia in certi generali. La Marmora era un buon gregario e fino allora aveva dato dignitose prove, in seguito alle quali era stato considerato. a torto, come si vide poi, un bravo generale. Cialdini si era comportato passabilmente nel '59, alla testa della 4° Divisione, e si era costruito una fama durante la campagna del '60 - '61 ma, e questo era grave, era estremamente insofferente ed indisciplinato. Per tali motivi. quando si oppose alla ventilata invasione del Veneto attraverso il Mincio cd il Quadnlatero. non si trovò di meglio che tacitarlo, affidandogli un corpo d'armata di 8 divisioni per attaccare dall'Emilia attraverso il ba~so Po, oltretutto agendo in modo totalmente indipendente da La Marmora, che pure era il Capo di Stato Maggiore. Questi. al comando delle altre 12 divisioni. componenti il I, Il e l1J Corpo d'Armata, si mosse dalla Lombardia verso est. «Qu, io devo dare ,:iusti:.ia al Re» - avrebbe scritto poi Garibaldi, chiamato a comandare i volomari come Tenente Generale dell'Esercito - «sino dai primi momenti i11 c11i si comu11icava la rna inten:.ione di propormi al comando dei volontari. e8li mi partecipava l'idea di gertarci sulle coste dalmate. per c11i mi sarei inteso col/'ammira,:lio Persano, e si disse che raie


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determinazione fu assolutamente combattuta dai suoi generali, e in particolare dal generale La Marmora»i. Difficile dire se l'idea fosse buona o meno, certo Vittorio Emanuele sembrava se non più preparato, almeno più fantasioso e aggressivo dei suoi generali.

II) Scontro d'avanguardie a Custoza Ad ogni modo l'Esercito Italiano affrontò la sua prima prova con una forza che ascendeva, compresi i volontari di Garibaldi, ad oltre 250.000 uomini. L'arciduca Alberto, comandante delle forze austriache in Italia, invece ne aveva solo 80.000, dato che il grosso delle truppe imperiali era impegnato contro la Prussia, e contava di utilizzarli dal Quadrilatero contro il fianco sinistro degli Italiani. che immaginava avanzanti dal Po verso il basso corso dell'Adige e il Friuli. Il 23 giugno La Marmora varcò il Mincio marciando da ovest a est e, senza saperlo, colse di sorpresa l'Arciduca perché, invece di puntare poi a sud come quello s'aspettava, pensando che avrebbe fatto massa con Cialdini, ordinò di marciare verso nord-est, attraverso il Quadrilatero, allargando progressivamente le proprie forze a ventaglio. Gli avamposti austriaci, ritiratisi prontamente, avevano avvertito il loro comando delrarrivo degli Italiani e l'Arciduca. supponendo di poterli cogliere in crisi di movimento attraverso il Mincio, decise di avanzare. La Marmora intanto. sicuro che il nemico sarebbe restato sulla difensiva, non predispose un efficace servizio di ricognizione e di avamposti. Di conseguenza, la mattina del 24 giugno 1866 i due eserciti ingaggiarono, inaspettatamente per entrambi, una battaglia d'incontro su un fronte lunghissimo. il cui centro era pressappoco a Custoza. L'estensione della linea fece sì che solo una parte dell'Armata venisse impegnata in combattimento. Così la superiorità numerica complessiva si tramutò in un 'inferiorità numerica locale che alla fine costò la battaglia, anche perché La Marmora si rese irreperibile, avendo preferito aggirarsi per i vari Corpi anziché rimanere collo Stato Maggiore. Alla fine. quando la Divisione del generale Govone avrebbe potuto salvare la giornata semplicemente ricevendo rinforzi, il principe ereditario Umberto e Nino Bixio supplicarono il comandante del Corpo d'Armata, l'irremovibile Della Rocca di permettere loro dì soccorrerlo colle divisioni 16' e 7• di cui erano comandanti, ma non ci fu verso: spaventato da una carica di cavalleria subita al mattino, Della Rocca preferì tener ferme tre divisioni. attenersi alla lettera degli ordini d'operazione ricevuti e inviare a Govone non l'atteso rinforzo ma l'ordine di ritirata. confermato poi da una staffetta di La Marmora. Il Re avrebbe voluto lanciare un contrattacco. Probabilmente avrebbe salvato l'esito della battaglia, ma era un Re costituzionale e non esercitava più il comando effettivo: erano passati i bei giorni di Goito e San Martino. Così, privo di aiuti, a sera il lfl Corpo ripiegò su Goito coperto dalla 7• Divisione di Nino Bixio, che lasciò il campo intorno alle 21,30, ponendo fine allo slegato pasticcio tattico che va sotto il nome di seconda battaglia di Custoza. Avrebbe commentato Garibaldi: <<Meditando pacatamenre sulle cause del rovescio del nostro esercito, e lasciando da parte l'incapacità di certi comandi... si può arditamente stabilire esser difettoso il piano di campagna adouaro sino dal principio ... Minacciare su vari punti con divisioni o al piLÌ con corpi d'esercito, poi con una massa di circa cento ottanta mila uomini dar il colpo decisivo al forte dell'esercito nemico. questo sembrami il primo errore commesso dal nostro generale in capo.

i GARIBALDI, op. cit., pag. 388.


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Le foci del Po, io credo fosse il punto piiì adeguato per il passaggio del grande nostro esercito, ove si potevano avere quanti se ne volevano, piroscafi e barche.... Accorrendo il nemico per combatterci, egli non avrebbe avuto almeno il sostegno del terribile quadrilatero>>ll. Nonostante la battaglia fosse stata tutt'altro che decisiva, anzi, del tutto marginale, col tipico autolesionismo italiano ci si affrettò a definirla catastrofica e a fame il pretesto per tutte le polemiche possibili. La Mannora si ritirò fin sull'Oglio. Cialdini, raggiunto dalla notizia della battaglia, ripassò il Po e tornò in Emilia. La magra figura di Custoza diventava cosi una figuraccia, non giustificabile dall'entità e dai risultati dello scontro. Di nuovo Garibaldi commentava: <<L'esercito principale si ritirava dal Mincio all'Oglio, e si ritirava dopo d'essersi battuto. E l'esercito di destra, cioè del Po, perché si ritirava? Con novanta mila uomini ed un fiume come il Po davanti al naso, quell'esercito si ritirava, inseguito da chi? li nemico avea ottanta mila uomini sul Mincio, e benché vittorioso ... quegli ottanta mila uomini dovevano esser almeno menomati e stanchi. E perché ritirarsi dal Po sino all'Appennino? lo non me ne posso dar ragione»m. Bene o male si riprese l'offensiva dopo una ventina di giorni, seguendo però adesso il piano di Cialdini. La sua massa di manovra fu rinforzata a spese di quella di La Marmora, ridotta a 6 divisioni e destinata a compiti d'osservazione, all'investimento del Quadrilatero ed alla sorveglianza delle linee di comunicazione dell'armata proveniente dal Po. Così Cialdini avanzò risolutamente verso nord, agganciando però il nemico in ritirata solo il 25 luglio a Versa. sul Torre, oltre l'Isonzo. Sconfitti, gli Austriaci ripararono oltre lo Iudrio, mentre un loro parlamentare si faceva avanti per comunicare che Austria e Prussia avevano concluso l'armistizio: la guerra era finita.

IIl) Garibaldi in Trentino

Intanto Gariba.ldi aveva coperto la Lombardia dopo Custoza, poi aveva sconfitto gli Austriaci sei volte in 18 giorni e infine era entrato vittorioso nel Trentino. Dopo aver battuto il nemico in una dura battaglia a Bezzecca il 3 luglio, aveva in mano la regione e doveva solo avanzare. «Non si terrà tale asserzione per esagerata, quando si sappia che il 25 luglio, giorno in cui cifu imposta la sospensione d'armi, non si trovavan più nemici sino a Trento; che Riva si abbandonava gettando i cannoni de/la fortezza nel lago; che per due giorni non si poté trovare il generale nemico, a cui si doveva partecipare la sospensione; infine che il generale Kuhn, comandante supremo delle forze austriache 11el Trrolo in un ordine del giorno annunciava che, non potendo difendere il Tirolo italiano, si ripiegava alla difesa del Tirolo tedesco. In quel giorno il generale Medici, dopo i suoi brillanti fatti d'armi nella val Sugana, trovavsi a pochi chilometri da Trento. li generale Cosenz lo seguiva colla sua divisione, e cerro in due giorni noi potevamo effettuare la nostra giunzione sulla capitale del Tirolo con cinquanta mila uomini.... cosa non avressimo potuto tentare! .... Un ordine del Comando supremo del/'e• sercito intimava la ritirata ... lo rispondevo ''Ubbidisco"»iv 2_ E nonostante le vittorie di Garibaldi e Medici, la campagna venne considerata fallimentare. L'impressione fu confermata dalla pessima prova data dall'ammiraglio Persano a Lissa, a ulteriore conferma dello scoordinamento nelle Forze Armate e della necessità di concentrare in una sola persona le redini del comando. Ci si sarebbe riusciti, e per le sole forze di terra, solamente cinquant'anni dopo.

,i GARIBALDI, op. CÌL, pag. 391-92. iii idem, pag. 390.

,v Idem, pag. 398-99. 2 Per essere precisi, al le I0, 15 del 9 agosto 1866 Garibaldi spedì a La Mam10ra il telegramma ''Ho ricevuto il dispaccio n. 1073. Obbedisco".


CAPITOLO XXXI

LO STATO E L'ESERCITO DEL RE GALANTUOMO E DEL RE BUONO: 1867 - 1899

I) L'insurrezione di Palermo Il 16 settembre I 866 scoppiò una rivolta popolare a Palermo; e la città cadde in balia dj un numero d ' insorti valutabile fra i 15 ed i 20.000, passabilmente armati e dotati anche di qualche cannoncino. A loro il sindaco ed il prefetto potevano opporre solo l.878 uomini, un quarto dei quali reclute, fra soldati dei depositi, artiglieri. guardie daziarie, doganali e di polizia, Carabinieri Reali e pompieri. Le truppe regie, asserragliatesi nel Palazzo Reale. al porto, nel carcere della Vicaria, contenente 2.000 prigionieri, nel forte di Castellammare, dove ce n'erano altri 400, nel palazzo delle Finanze ed ai Quattro Venti resisterono chiedendo immediatamente aiuto a Firenze prima che il telegrafo fosse tagliato. Il 18 giunsero da Napoli una nave militare ed un trasporto con un battaglione del 52° Fanteria Umbria, mentre da Taranto stava arrivando a tutto vapore la squadra dell'arnrruraglio Riboty. Rinforzata e rifornita via mare. la guarnigione iniziò il 19 le operazioni prelimjnari per riprendere la città. Il mattino seguente arrivarono, sempre via mare, altri reparti di fanteria di linea e dei bersaglieri; e si decise di riconquistare Palermo nella successiva giornata, effettuando un rastrellamento delle propaggini del Monte Pellegrino per impedire che i rivoltosi potessero accerchiare le truppe in azione in città. Le operazioni cominciarono la mattina del 21 e furono decisamente impegnative. Si combatté casa per casa, superando barricate ed ostacoli di ogni genere: ma nella notte la rivolta era praticamente finita. Dopo tante traversie sembrava proprio che fosse venuta un po' di tranquillità quando scoppiò l'epidemia di colera del 1867. durante la quale l' Esercito si prodigò a soccorrere le popolazioni delle zone infette. Le difficoltà furono molte. specie al Sud, dove oltre a dover rintracciare e seppellire i cadaveri, occultati dai parenti o abbandonati, spesso le truppe venivano accusate di "spargere il colera" e fatte segno ad atti d'ostilità, che sfociavano in aggressioni, imboscate e assedi di casermette dj paese.

II) Mentana Nel medesimo 1867 fu effettuata la spedizione garibaldina su Roma, infaustamente conclusasi a Mentana. Garibaldj avrebbe scritto poi, significativamente, «lo ne assumo ... la maggior parte delle responsabilità»i ammettendo implicitamente l'accordo col Governo. Ancora una volta, l'ultima, avrebbe rivestito i panni dell'avventuriero incontrollabile. pronto a farsi da parte se avesse vinto, a pagare di persona se avesse perso. i GARIBALDI, op. cit.. pag. 400.


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Rattazzi era pronto a chiudere rutti e due gli occhi, ma quando seppe della concentrazione dj 40.000 francesi a Tolone, segno sicuro d"un intervento a favore del Papa ove necessario. corse ai ripari facendo arrestare Garibaldi a Sinalunga e trasferendolo a Caprera. Ma Garibaldi ne fuggì di notte, scivolando in una barchetta tra le navi incaricate dj sorvegliarlo. Raggiunse Livorno, poi, tra grandi acclamazioni del popolo, Firenze e, su un treno speciale, Terni, da dove arrivò il 23 a Passo Corese. Là erano i volontari guidati da suo figlio Menotti li 24 assalirono Monterotondo, respinsero una colonna di soccorso di 2.000 pontifici provenienti da Roma e un'ora dopo conquistarono la cittadina, comportandovisi in modo poco disciplinato. Il 28 Garibaldi li condusse verso Roma, avanzando il 30 fino al Casino dei Pazzi. non lontano dal ponte Nomentano. Lo stesso giorno sbarcò a Civitavecchia l'avanguarrua dei 9.000 uomini componenti la prima delle due divisioni francesi mandate a soccorrere il Papa, che furono prontamente trasferite a Roma per ferrovia. Garibaldi a quella data disponeva di circa 6.000 volontari. però era senza artiglieria e troppo a!Jo scoperto nella campagna, su posizioni non facili da tenere. Per questo decise di rientrare a Monterotondo; ma tra la notizia dell'arrivo dei Francesi, la demoralizzazione prodotta dalla mancata sollevazione di Roma e l'opera degli agenti mazziniani a lui contrari che dicevano «Se non si va a Roma, meglio tornare a casa»ii le diserzioni comfociarono ed aumentarono rapidamente. Decise allora di spostarsi a Tivoli muovendosi il 3 novembre, ma la marcia cominciò in ritardo e, appena intrapresa, fu interrotta da!J'arrivo dei Pontifici. Impegnato il combattimento, i Volontari riuscirono a mettere in crisi i nemici e a tenere bene fino verso il tramonto; ma intorno alle quattro del pomeriggio arrivarono i 9.000 francesi del generale de Failly e, tra l'inferiorità numerica, la stanchezza e la superiorità di fuoco data al nemico dal nuovo fucile Chassepot a retrocarica, finite le munizioni entro un'ora.il grosso dei Volontari si ritirò. Ai Francesi la battaglia era costata 2 morti e 38 feriti, ai Pontifici 30 e L03, ai Garibaldini 150 morti, 240 feriti e ben 1.600 prigionieri: un disastro. Garibaldi raggiunse Corese dove fu accolto dalle truppe italiane con molta deferenza, il che non impedì al Governo di farlo arrestare dai Carabinieri Reali a Figl.ine Valdamo. I Pontifici radunarono i prigionieri e le anni e I.i portarono a Roma. I primi finirono in carcere; le seconde vennero orgogliosamente esposte sormontate da cartelli recanti la scritta evangelica "Non praevalebunt." Tre anni dj pazienza e avrebbero prevalso.

III) La presa di Roma

Nel 1870 lo scoppio della guerra franco-tedesca aprì la porta alJ' acqufaizione di Roma. Il crollo del Secondo Impero francese verificatosi a Sedane il richiamo della guarnigione da Roma permisero al Governo del Re di ordinare l'avanzata al IV Corpo d'Esercito del generale Raffaele Cadorna. Erano 50.000 uomini articolati su 6 divisioni, i quali dovevano scendere sulla città seguendo le vie consolari e circondandola completamente. Il 10 settembre Cadoma passò il confine, batté una prima resistenza pontificia a Civ.ifa Castellana e il 19 collocò le proprie truppe intorno alle mura dell'Urbe, difesa da 160 pezzi e 15.000 tra italiani e stranieri agli ordini del generale Kanzler. Alle 5,30 del 20 settembre Cadorna fece aprire il fuoco aJle artiglierie, concentrandone lo sforzo maggiore sul tratto di mura compreso fra le vie Salaria e Nomentana. Dopo 4 ore di bombardamento luogo tutta la cinta muraria, la difesa era ridotta a tre centri dj fuoco di fanteii GARIBALDI, op. ciL, pag. 413.


L'OTTOCENTO

M:' MARIO

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DIVISIONE

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L'aNacco italiano a Roma il 20 settembre i 870


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ria, la cui attività non pregiudicava l'assalto finale. Alle 10,20, aperta una breccia larga 30 metri nelle mura a destra di Porta Pia. Cadoma lanciò all'attacco la 12• Divisione 1, sfondò le difese, penetrò in città; e i Pontifici alzarono bandiera bianca2. Cadoma aveva perso 32 morti e 143 feriti; Kanzler 20 e 49. L'Esercito llaliano. entrato proprio dalla strada lungo la quale tre anni prima era venuto avanti Garibaldi, era stato lo strumento mediante il quale la Chiesa Cattolica perdeva ogni pastoia temporale e - nolente - diventava molto più evangelica riducendosi alla sfera meramente spirituale. Le vie del Signore sono imperscrutabili.

IV) Garibaldi a Digione La sconfina di Sedan e la cattura di Napoleone ITI avvenute il 2 settembre 1870 portarono al crollo del Secondo Impero e al Governo P rovvisorio da cui poi sarebbe nata la Terza Repubblica. Già: la Repubblica ! Non d voleva altro per ridestare l'Eroe dei due Mondi « ...ed io il 6 offrii i miei servigi a quel governo .... stette u,1 mese sen::a rispondermi .. Solo in principio di ottobre seppi che sarei stato accolto 111 Francia»"'· Con pochissimo entusiasmo - era pur sempre un personaggio scomodo - le autorità francesi gli affidarono l'Esercito dei Yosgi, una splendida grande unità complessa che non esisteva ancora, nella quale dovevano con vergere tutti i volontari francesi e stranieri. Partire da nulla non era certo una novità per Garibaldi e si mise all'opera alacremente. Come sempre, il suo nome attraeva volontari da ogni parte del mondo - "i generosi" come li chiamava lui - e anche stavolta ne raccolse parecchi e li adoperò per coprire Dole dall'ala sinistra dell'esercito pru\siano avan7ante su Parigi. Riuscì tanto bene che alla fine di ottobre, quando gli fu detto di spostarsi nel Morvan per proteggere le acciaierie Creusot, aveva a disposizione già 4.500 uomini, anche se male armali e peggio equipaggiati. Un mese dopo. tra Italiani, Spagnoli, Greci, Polacchi e Francesi, i suoi volontan erano saliti a 10.000, aumentando a 18.000 in dicembre e toccando il massimo - poco meno di 20.000 - nel gennaio 1871. Divisili in quattro brigate "di tipo garibaldino" - dunque d'organico abbondantemente inferiore rispetto a quelle regolari - poi salite a cinquel, messa in piedi una cavalleria embrionale e un minuscolo parco d'artiglieria, Garibaldi si apprestò a combattere, con una certa preoccupazione per l'am1amento individuale, «giacchè anche in Francia ci erano toccati i soliti ferracci»••. «Con tale organi::;::;a=ione un po' improvvisata noi movemmo verso la metà di novembre per Arnay le Due e la valle dell'Ouche, che scende a Dijon ove si trovava l'esercito prussiano di Werder. che minacciava la vallata del Rodano ..... li sedicente esercìro dei Vosges, in numero dai sei agli otto mila uomini tutto compreso. marciava dunque contro l 'esercito vittorioso di Werder dì circa venti mila uomini <'011 molta artiglieria e cavalleria »'. 1 La Divisione attaccò su due colonne. La prima era formata dal 39° Fanteria Bologna, la ~econda dal Xli Battaglione Bcr;aglieri e dal [I del 41 ° Fanteria Modena. Contemporaneamente intervenne una tena colonna. fornita dati' 11• Divisione e composta dal XXXIV Battaglione Ber.aglieri e dal 19" Fantena Brescia. 2 Le truppe pontificie vennero concentrate nella Ci11à Leonina. corrispondente all'attuale Vaticano più Castel Sw1t' Angelo, ed uscirono da Roma al mattino del 21 settembre. I militari stranieri furono rimpatriati; quelli italiani poterono scegliere fra 11 congedo e il passaggio nell'Esercito Regio. 11 • GARIBALDI. op. cit. pag. 426. 1 Comandate la I dal generale polacco Bosak, la Il dal colonnello francese Delpech e. poi, dal colonnello Lobbia. la lii da Menotti Garibaldi. In IV da Ricciotti Garibaldi. Capo del Quartier Generale e poi comandante della V Brigata, quando fu costituita. Stefano Canzio. il quale as~un,e l'interim pure della I dopo la morte dJ Bosak nel 1871. "GARIBAIJ>I. op. ciL, pag. 433. • Idem, pag. 431 - 432.


L'O'ITOCENTO

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Digione si era arresa poco prima dell'arrivo di Garibaldi, così l'Esercito dei Vosgi le si avvicinò guardingo e, dopo un piccolo scontro sostenuto dalla I Brigata il 25, la mattina del 26 novembre ebbe la sua prima battaglia - d'incontro - con una colonna prussiana a Lentenay. «Il combattimento ... non fu gran cosa per i risultati, ma per il contegno dei nostri militi ... fu brillantissimo»v•. Garibaldi decise d'approfittare della situazione favorevole per tentare subito

un colpo di mano notturno contro Digione. Nonostante la sua inferiorità numerica di 1 a 4 contro un avversario trincerato. riuscì a causare un notevole scompiglio nelle file avversarie, ma la resistenza fu troppo forte e dovè ritirarsi. L'ordine fu eseguito male dai volontari - molti di loro erano alle prime armi - e la mattina dopo l'Esercito dei Vosgi era sparso tra Lentenay dov'era giunto il grosso - Sombernon, Arnay le Due e Aurun. Werder partì alJ'inseguimento, raccolse un mediocre successo contro l'affaticatissima retroguardia dei Garibaldini e non poté impedir loro il concentramento ad Autun. Allora decise d'avanzare ancora e di attaccarli proprio ad Aurun. Ci arrivò la mattina del 1° dicembre e se la sorpresa non fu completa lo si dovette a Garibaldi. «Era verso la metà della giornata, ed io usciva come al solito, in carrozza, per fare una passeggiata. Nulla scoprendo dal sito ov'ero disceso per osservare, tornai verso la carrozza ... avevo un piede sul gradino della carrozza e stavo per sedennivi quando, l'occhio ad Autun, scorsi nel basso della città ... una testa di colonna nemica, che s'avanzava lentamente, e se avesse continuato a progredire... l'esercito dei Vosges, io arrossisco al rammentarlo, avrebbe subìto una di quelle sconfitte da far paura»vi,.

Diede l'allarme e respinse i Prussiani con un bombardamento d'artiglieria ed un contrattacco di fanteria, improvvisati quanto efficaci. li resto del mese trascorse tranquillamente, perché bisognava solo coprire i Corpi dei generali Crousat e Bourbaki. Per fronteggiare questi ultimi i Prussiani abbandonarono Digione; e Garibaldi vi entrò coi suoi. Tentò di appoggiare le operazioni dei Francesi, ma era troppo inferiore di forze rispetto aJ nemico e, dopo una puntata su ls-sur-Tille. si rese conto che la miglior cosa era tenere la città fortificandola. Mentre Bourbaki veniva respinto verso la Svizzera e i Tedeschi operavano contro Belfort, il 21 gennaio 1871 arrivò a Digione la brigata prussiana del generale von Kettler - 4.000 fanti, 260 cavalieri e 12 pezzi -e «L'attacco fu formidabile: io vidi in quel giorno soldati nemici, come mai avevo veduto migliori ... Eranfamosi soldati/»viii_

La battaglia durò tre giorni. li primo si combatté dieci ore. dalla mattina al tramonto. Nella notte i Prussiani minacciarono di bombardare la città se non si fosse arresa all'alba: e Garibaldi venne tirato giù dal letto e pregato di autorizzare la resa. Non rispose nulla; ma «A sessanta quattro anni, ed avendo veduto un po ' di mondo, non è poi tanto facile essere corbel/ati»i•. Fece una ricognizione, constatò d'aver ragione. tenne duro nella seguente giornata del 22

e il 23. nonostante Kettler avesse ricevuto rinforzi, respinse gli attacchi dei Tedeschi lanciando contro di loro le unità di Ricciotti e Canzio a Pouilly e di Menotti a Langres4 e battendoli definitivamente con una carica di cavalleria. «In tal modo la quarta brigata, cui si doveva il primo onore della pugna ... nel respingere i reiterati assalti del 61 ° reggimento prussiano ... pervenne a togliergli la bandiera, lasciata sepolta sotto un nwnte di cadaveri»•. Fu l'unica presa ai Tedeschi in tutta la guerra; e non dai Francesi.

vi GARJBAWI, op. cit.. pag. 436. vii Idem, pag. 441. v,ii Tdem, pagg. 446-7.

ix Idem, pag. 448. 4 La V Brigata aveva in quel periodo meno di 300 effenivi; la rv circa 1.000. Tra tutt'e due arrivavano quindi si e no a metà della forza del 61 ° Reggimento Fanteria prussiano di cui conquistarono la bandiera. x Garibaldi, op. cit., pag. 451 .


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L'armisti1io e la capitolazione di Parigi segnarono la fine del conflitto; e l'Esercito dei Vosgi si ritirò. Premuto da tutte le parti da forze soverchianti, Garibaldi ordinò la ritirata abbandonando Digione nella notte dal 3 I gennaio al l O febbraio. Poi il 12 si recò a Bordeaux ali" Assemblea Nazionale, dove era stato eletto deputalo da ben sei collegi, ma l'indomani i deputati della Destra gli impedirono di parlare e lui abbandonò l'aula per tornare a Caprera. L'8 marzo venne proposto l'annu llamento della sua elezione, perché non era cittadino francese. Victor Hugo lo difese e il tumulto salì alle stelle quando finalmente Hugo disse la temuta verità: non lo volevano perché «Fra tulli i generali che comba11erono per la Francia, Garibaldi è il solo che 11011 sia mai stato vimo»xi.

V) li Regno e l'Esercito: politica generale e vita quotidiana aJ sen izio di Sua Maestà iJ Re Dopo la presa di Roma il Regno provvide al proprio assestamento politico, economico e sociale. Gli squilibri erano forti e di conseguen1;a il periodo che segul fu alquanto travagliato sia nelle questioni interne che in quelle internazionali. Poiché a suo tempo il Regno sardo era entrato nel ristretto ambito delle Poten1;e del Primo Ordine, non vi era nulla di strano che anche la nuova Nazione, rappresentata aJrestero dai diplomatici sardi, vi rientrasse, anche se magari più come una sorta di estensione del vecchio Stato sabaudo che altro. Occorse del tempo per arrivare al riconoscimento ufficiale del Regno da parte di alcuni Stati, anche perché la presa d1 Roma. non era stata vista con favore dalle Nazioni cattoliche ma. intorno al 1878, l'ltalia era ormai saldamente fra le principali nazioni del mondo, pur venendo spesso indicata come «L'ultima delle Grandi Potenze» per la sua recente nascita e per la sua debolezza. B isognava rinforzarsi e occorreva quindi sostenere la neonata industria nazionale. concentrata nel Nord. Così il Governo inaugurò una politica protezionista. gravando i manufatti esteri. importati perlopiù dalla Franci a, con dazi tali da rendere più convenienti sul mercato interno i prodotti nalionali. La Francia rispose con pesanti imposte d"entrata sui prodotti agricoli italiani ed il risultato fu duplice: iniziò l'impoverimento del Meridione da cui partiva l'esportazione di quei beni e ciò determinò il principio dell'emigrazione verso l'America. La tensione economica a lienò le buone relazioni esistite fino ad allora fra Roma e Parigi e provocò per contrasto, e grazie alla tedescofilia del re Umberto J5 e del presidente del Consiglio Crispi, l'avvicinamento alla Germama. Ma l'attrito colla Francia portò anche numerose preoccupazioni di carattere militare, che accentuarono problemi preesistenti ai quali erano state date solamente soluzioni parziali. Già negli anni successivi alla presa di Roma s'era dovuto provvedere alla riforma delle Forze Armate. lnfalli l'Esercito che era entrato a Porta Pia era ancora quello delle campagne risorgimentali, con tutli i difen i di amalgama che le immissioni del personale non piemontese gli avevano portato, ed urgeva rimediare almeno in parte. inoltre accanto alla struttura deU "Esercito ne esisteva un'altra. risalente concettualmente alla Rivoluzione Francese: la Guardia Nazionale. Riapparsa nel 1848 e rimasta in vita nel Regno di Sardegna, si era riestesa al resto d' Italia, dopo l'Unità, arrivando a formare nel 186 1 220 battaglioni mobili. con un organico complessivo di 650.000 uomini. I suoi membri - tutti volontari - erano armati ed equipaggiati in modo molto vario, perché le relative spese andavano sostenute dai comuni d'appartenenza, ed erano destinati esclusivamente al mantenimento

x, Rip. in G. SACEROOTE. "La vita di Giuloeppe Garibaldi", pag. 916. 5 Salito al trono nel 1878 e morto assassinato nel 1900, era soprannominato il Re Buono per i soccorsi portati alle popolazioni colpite dal colera.


L'OTTOCENTO

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dell'ordine pubblico. Dopo il 1866 però l'istituzione era andata perdendo vigore; erano diminuiti i volontari e intorno al 1876 sarebbe scomparsa del tutto. Per ovviare a questo. a partire dal 1871, il complesso di disposizioni conosciuto come «Riforma Ricotti-Magnani». dal nome del Ministro della Guerra che la effettuò, cercò cli dare all'Italia uno strumento militare flessibile. rapidamente mobilitabilc ed efficiente, avvicinandosi il più possibile al modello costituito dall'esercito prnssiano vittorioso in Francia. Una raffica di disposizioni cli ogni genere, molte delle quali revocate entro poco tempo, si abbatté sul1'Esercito Italiano, che cambiò aspetto e nome, diventando Regio Esercito Italiano: forse non migliorò in tutto, ma alla fine risultò più uniforme ed organizzato. Si cominciò col dividere gli abili alle armi in tre grandi categorie, alle quali corrispondevano altrettante entità militari: le classi alle armi. quelle congedate da poco tempo e ancora fresche d'addestramento e le classi anziane. Le prime due classi andavano raggruppate rispettivamente nell'esercito permanente e nella istituenda Milizia Provinciale ed avrebbero costituito l'esercito di campagna. Le altre sarebbero state inserite nella Milizia Territoriale. Ispirandosi al sistema germanico della Landwebr - l'esercito territoriale- il 19 luglio 1871 venne formato l'esercito di 2• linea territoriale, denominato Milizia Provinciale, articolato su 960 compagnie di fanteria di linea, 60 di bersaglieri e IO di zappatori del Genio, incominciando a formarle nel gennaio 1872. La legge del 30 settembre 1873 mutò la Milizia da Provinciale in Mobile e le diede 60 compagnie d'artiglieria, alle quali nel 1874 sarebbero state aggiunte pure le compagnie alpine. La legge del 30 giugno 1876 relativa alle milizie comunali e territoriali provvide alla costituzione della Milizia Territoriale. Distinti dalle truppe stabili per avere sul berretto la s ig la MT - ironicamente reinterpretata dai militari dell'esercito di campagna come "Milizia Tenibile" poi divenuto "La Terribile" per eccellenza, o ancora con epiteti il più benevolo dei quali era "Mostarda e Torrone" - i Tenitoriali fo□navano 1.440 compagnie di fanteria di linea e 100 d'artiglieria da fortezza. Le prime componevano 300 battaglioni; delle seconde, 35 costituivano 16 brigate (cioè dei gruppi d'artiglieria) e le altre restavano autonome. Sempre il 30 settembre 1873 il Regio Esercito passò dalla precedente struttura territoriale del gennaio '71, articolata su 4 Comandi Generali di Corpo d 'Esercito e 16 Comandi di Divisione, alla nuova, divisa in 7 Comandi Generali, sempre formati da 16 Comandi di Divisione territoriale. che prendevano il nome della città in cui avevano sede. li decreto del 22 marzo 1877 riparti poi le forze di terra in IO Comandi di Corpo d'Armata, portati a 12 su 24 divisioni colla successiva legge dell'8 luglio 1883, la quale stabilì l'assetto organico del Regio Esercito per i seguenti 40 anni. Riguardo l'organico della Fanteria, col Regio Decreto del 13 novembre 1870, formalmente soppressa la brigata binaria, (che di fatto. pur non chiamandosi più brigata, continuò a sopravvivere come formazione di due reggimenti agli ordini di un maggior generale fino alla sua ricomparsa nel 1877) si era contratta la forza dei reggimenti a 61 ufficiali e l.280 uomini, da raddoppiarsi in caso di guerra. divisi in tre battaglioni quaternari; e tale assetto rimase in vigore fino al 1923. Alla fine della ristrutturazione l'Arma aveva cambiato aspetto venendo ad essere costituita da I brigata di Granatieri, 47 di Fanteria di Linea, 12 reggimenti di Bersaglieri e 6 dei neocostituiti Alpini, arruolati su base territoriale a partire dal 18726, per un totale di 114 reggimenti appartenenti a 4 diversi corpi.

6 lstiruite col Regio Decreto del 15 ottobre 1872 su proposta del capitano Pcrrucchetti. le truppe alpine, inizialmente di sola Fanteria. allinearono 15 compagnie, costiruite nel marzo 1873 e raggruppate in 4 Reparti Alpini. Saliti a 7 - in totale 24 compagnie - colla legge del 30 settembre 1873, nel 1875 i Reparti furono tramutati in Bauaglioni con sede - seguendo gli ordinali - a Cuneo, Mondovì. Torino ( 3° e 4°)


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La Cavalleria. col riordinamento del 1872, fu articolata in 24 reggimenti e restò formalmente ripartita in Dragoni - i primi quattro reggimenti - Lancieri e Cavalleggeri. facendo scomparire gli Ussari ed uniformando sia le divise - per tutti la stessa, colla sola eccezione dei reggimenti Nizza, Savoia, Genova e Piemonte Reale, i quali si distinguevano per il tipico elmo metallico crestato - sia l'armamento. poiché ai primi dieci reggimenti venne data, oltre alla carabina ed alla sciabola, la lancia, indipendentemente dalla specialità d'appartenenza. L'Artiglieria era s1ata ripartita in varie specialità già a partire dal 1861. Aveva infatti un Comitato d'Artiglieria, un I O Reggimento Operai, tre da PiaLZa (ordinali dal 2° al 4° incluso) su tre brigate da 6 batterie l'una. quattro da Campagna (5°, 6°, 7° e 8°) su 16 batterie da 6 cannoni di bronzo ad anima liscia calibro 90 millimetri, un 9° Reggimento Pontieri su due brigate di quattro compagnie ciascuna. Istituito nel 1863 il 10° Reggimento - da campagna- ed introdotti i pezzi rigati ed i proiettili oblunghi, il 13 novembre 1870 i reggimenti da Piazza furono sciolti c se ne costituirono otto misti da campagna e da fortezza, poi elevati a dieci. sopprimendo pure il Treno d'Armata e ridistribuendone fra loro i traini e i mezzi. Infine. nel 1877, fu creata la Brigata Artiglieria da Montagna. dalla quale sarebbe nato. dieci anni dopo, il 1° Reggimento Artiglieria da Montagna. LI Genio fu ristrutturato completamente; ma occorse più tempo. Fino al 1867 aveva due Reggimenti Zappatori, sciolti i quali e costituito a Casale Monferrato un Corpo Zappatori del Genio. si scese da 48 a 28 compagnie. raggruppate in brigate. La Riforma Ricotti non fece altro che tener conto delle esigenze evidenziate dalla breve campagna del 1870 prendendo subito 1 necessari rimedi. Nel 1871 venne forrnato il primo reparto del Genio Ferrovieri - solo 60 uomini - stan1iandolo a Casale. elevato a Compagnie ferrovieri nel 1872 e a Brigata7 Ferrovieri del Genio nel 1873. Nel medesimo anno i Pontieri vennero staccati dall' Artiglieria e inquadrati nel Genio. prima come due brigate in altreuanti reggimenti, poi come Reggimento vero e proprio. Ciò pose le basi per l'espansione che avrebbe portato l'Arma ad allineare vari reggimenti. ognuno relativo ad una singola specialità: Telegrafisti a partire dal 1883, Ferrov.ieri, Pontieri, Minatori dal 1886, Lagunari dal 1887. Radiotelegrafisti nel 1907. e poi ancora Aerostieri, nati come sezione del 3° Reggimento fin dal 1885 coi due palloni Africo e Torricelli da 540 metri cubi. Cambiò l'armamento dell'Esercito, prima coll'adozione, nel 1867, del nuovo fucile a retrocarica «Carcano» modello l860. poi coll'introduzione in sua vece del «Vetterli» modello 1870 ed infine colla modifica di quest'ultimo mediante l'applicazione di un serbatoio che ne consentiva il caricamento multiplo (Vetterli-Vitali modello 70/87). Anche l'uniforme ebbe numerosi mutamenti. il più importante dei quali fu, nel 187 I. I 'introduzione dell'uso delle stellette a cinque punte, di metallo bianco. che sarebbero state poi sempre il distintivo di tuni i militari italiani. portate sul bavero, o sul colletto o sulle mostrine8. Però per un decennio, a partire proprio dal 1871, scomparvero le mostrine di tutti i generi. sia di Fanteria che di Cavalleria. ed i reggimenti si dovettero distinguere solo grazie al numero, portato sul cheppl fino a quando la disposizione fu revocata e le mostreggiature. nel 1879, non ricomparvero sulle uniformi. Per il resto la giubba, blu prussia, fu accorciata fino a poco sotto le anche. Gli ufficiali la portavano chiusa da due file di 7 bottoni argentei (dorati su giubba nera se erano d'Artiglieria o del Genio), sorrufficiali e truppa da una sola. centrale.

Como, Verona e Treviso. poi mutata in Conegliano. Nel 1878 i bauaglioni sarebbero saliti a IO e le compagnie a 36 e infine, colla legge del 29 giugno 1882 sarebbero stati c~lituiti i primi 6 Reggimenti Alpini. 7 Ovviamente il 1enmne Brigata indicava non la Grande Unità elementare, ma, ..econdo la terminologia ottocentesca d'artiglieria, il livello di battaglione. 8 Regio Decreto 13 dicembre 187 I. che ordina all'Esercito ed all'Armata di portare. come segno caratteristico della divisa miliiare. le stellette a cinque punte suJ bavero della rispettiva divisa militare; a firma S.M. Vinorio Emanuele Il. geo. Cesare Ricotti, amm. Augusto Riboty.


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1 gradi, oltre ad essere contrassegnati dagli sbalzi sulle spalline dell'alta uniforme degli ufficiali, vennero anche indicati da stellette a cinque punte, portate sulle spalline dell'uniforme di servizio, e da galloni a V rovesciata, cuciti al disopra dei paramani, o dai «fiori» o «nodi austriaci» alti fino al gomito e in filo rosso, che per gli ufficiali diventavano argentei ed arrivavano a metà del braccio. U cheppì diventò più basso e si adornò dei galloni di grado, d'una cordellina, rossa per la truppa e d'argento per gli ufficiali, e. sulla fronte, d'una stella a cinque punte, sormontata da un pennacchietto rosso. I pantaloni erano celesti, con bande rosse laterali per gli ufficiali o la «-pistagna», una sottile riga, pure rossa, che correva lungo la cucitura esterna della gamba, per la truppa. Sotto spuntavano te ghette bianche, nelle quali i calzoni venivano infilati colla tenuta da guerra. Gli ufficiati portavano stivali, neri ed atti fin sotto il ginocchio. Ma sotto quelle bette uniformi - e spesso anche sopra - le rappezzature si sprecavano. Infatti, a leggere le memorie del generale De Bono, il quadro dato dal Regio Esercito di quegli anni è ben poco idilliaco, perché le paghe erano basse, terribilmente basse, e bastavano appena a mantenere il decoro esteriore degno d'un militare. La vita degli ufficiali e dei sottufficiali era resa quasi stentata dalle alte spese d 'affitto necessario per i continui trasferimenti, che potevano ammontare tranquillamente a una ventina in quarant'anni di servizio -e di mantenimento detta famiglia. Per formarne una, l'ufficiale ne domandava il permesso a Sua Maestà. ma doveva dimostrare che la futura moglie aveva di che vivere decorosamente, che insomma non si trattava d'un 'arrampicatrice sociale priva di mezzi. Per questo occorreva un atto notarile di stima dei beni della promessa sposa, senza il quale il permesso non veniva dato. Spesso l'ostacolo era aggirato gonfiando il valore della dote, o contraendo il solo matrimonio religioso e per questo, in occasioni delle nozze dei Principi Ereditari - quelle d'Umberto e Margherita nel I 868 e quelle di Vittorio Emanuele ed Elena nel 1897 - si ebbero delle sanatorie delle situazioni irregolari, ma furono largamente insufficienti a rimediare all'estensione del fenomeno. Altro problema era quello del vitto. Si consideri che alla fine del secolo XIX la paga d·un subalterno9 ammontava a 150 lire mensili, che però fra ritenute e tasse spesso e volentieri si riducevano a circa 90. Scòveva De Bono riferendosi agli anni intorno al 1890: «Chi riceveva cinquanta lire mensili dal/a famiglia era ritenuto un signore. Chi ne avesse ricevute cento (ne ho conosciuto soltanto uno) era considerato 1111 Creso. Dopo il i 5 del mese costui era assillato dagli amici che gli chiedevano le cinque o magari le due lire in prestito»•ii anche se poi ammetteva che «Debiti se ne facevano pochini»•iLl. M a quando si cominciavano a detrarre dalla paga mensile le 15 o 20 lire necessarie per l'alloggio di uno scapolo - ed era ricordato come una sorta di mito l'affittacamere di Verona che dava le stanze a 7 Lire al mese - e le circa 50 destinate al vitto, ecco s fumato per metà lo stipendio dell' ufficiale celibe; immaginiamoci le difficoltà per quello ammogliato. Per questo motivo i Circoli militari, poi Circoli Ufficiali, erano frequentatissimi: non solo offrivano buoni pasti, a prezzi più che accessibili e serviti in un ambiente decoroso, ma mettevano a disposizione di tutti i frequentatori Libri e giornali - altra spesa evitata - e magari l 'accesso a teatro nei posti affittati dal Reggimento per la stagione. D'altra parte un ufficiale è un gentiluomo, anzi, in Italia era ed è un nobiluomo, perché era ed è insignito della nobiltà perso9 Gli stipendi annui fissati nel 1882 erano i seguenti: generale d 'esercito (corpo d'armata e designato d' armata) lire 15.000 + 3.000 d'indennità; tenente generale (divisione) 12.000; maggior geaerale (brigata) 9.000; colonnello 7.000: tenente colonnello 5.200; maggiore 4.400: capitano 3.200; tenente 2.200; sottotenente 1.800: capomusica di 1• classe 1.222.75; capomusica di 2• classe 1.003. 75: furiere maggiore 1051.21 : fu riere 850,45; sergente trombettiere 815; caporale maggiore 495: caporale trombettiere 460; musicante 438; trombettiere 402: appuntato 383,50; zappatore 383,50: soldato 365. xii E. DE BONO, «Nell'esercito nostro prima della guerra,,. Milano. Mondadori. 1931 , pag. 150. xiii Idem.


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nale. ed è lenuto a comportarsi come lale. Avrebbe poi scritto Rodolfo Graziani nella propria auoobiografia, parlando del periodo 1905-1908 in cui fu subalterno al 1° Granatieri: «Bisognava essere eleganti,frequentare, andare al Salone Margherita, alle corse dei cavalli, al ri.1torante....servo110 divise per l'estate e per L'inverno, da campagna e di gala»•lv. Insomma un alto tenore di vita. che non tutti polevano permettersi. Rispetto agli Ufficiali ed ai Sottufficiali. in proporzione la truppa stava molto meglio. L.l cifra giornaliera stamiala per la razione viveri del singolo soldato ammontava a 33 centesimi, coi quali l'Intendenza riteneva d'aver messo in grado i Reggimenti di provvedere a sufficienza, «sicchè di rado si poteva uscire dal consueto ménu di pasta al lardo e carne fessa, col brodo per la classica -;;Jppa•"· ai quali s1 aggiungeva l' altrettanto classica mezza pagnotta, più il pane per "l'ottavo da zuppa·•. Solo ai tempi del ministro Pelloux, nel 1891, la spesa sarebbe stata aumentata a 38 centesimi, consentendo l'introduzione di mirabilie culinarie quali la pastasciutla e lo spezzatino in umido. Per questo i soldati, che percepivano in paga 1'2 lira, la cinquina - detta così perché corrisposta ogni cinque giorni a dieci centesimi al giorno - di solito la spendevano tuna nella cantina reggimentale in por7ioni "piccole di spezzatino" da 20 centesimi. vino, rarissimi caffè e ancor più rari bicchierini di anice. Di altri liquori neanche a parlarne. Si può pensare che stessero male: niente di tutto questo. Le condizioni del popolo erano così poco floride che la vita militare, benché tanto denigrata per la disciplina. gh orari rigidi e le fatiche quotidiane. era in realtà una specie di piccolo paradiso in cui il bracciante, l'operaio od il pastore trovavano tre pasti al giorno, biancheria pulita ogni settimana. qualche soldino in tasca- col passare degli anni la paga sarebbe aumentata fino a una lira al giorno - la possibilità di istruirsi presso le scuole reggimentali appositamente istituite e. nel complesso. condizioni di vita d1 qualità molto superiore a quella a cui erano abituati, così da penneuere a Giovanni Verga nel suo "I Malavoglia" di far ricordare con nostalgia a Ntoni Malavoglia il periodo trascorso sotto le armi senza timore dj smentite. Era la verità, anche se nessuno lo ammetteva. Sopratutto non lo ammettevano i politici. Ma questo perché ai loro occhi l'Esercito e la Marina erano delle entità da cui - in quanto apolitiche per definizione - si poteva cavare ben poco dj elettoralmente redditizio. Potevano infaui ~olo impiegare i militari m funzioni di ordine pubblico, ad esempio per sgomberare le terre dei propri grandi elettori dalle folle affamate che cercavano di occuparle, o scortando i "lavoratori volontari" - dall'altra parte ribattezzati "crumiri" - che si prestavano a lavorarle durante gli scioperi. arrivando. eventualmente a far sparare sugli scioperanti, come accadde ad esempio a Milano nel 1898. Ma questo non rendeva le Forze Armate eleuoralmente utili. Meglio quindi sarebbe stato ridurle e deviare il denaro così rispanniato in operazioni politicamente vantaggiose a favore dei propri collegi elettorali. E qui riemergeva un problema grave. tipico della ristretta mentalità dei politici italiani. che sarebbe poi riapparso in tutta la sua interezza dopo la Il Guerra Mondiale. L.l provenienza dei Deputati dalla provincia, la loro poca cultura e la scarsa o nulla conoscenza sia del mondo sia delle lingue straniere. l'instabiUtà dei governi e delle coalizioni di maggioranza, li inducevano ad accentrare l'attenzione sui propri collegi elettorali: erano fondamentali per la rielezione nel caso di caduta del Governo. la cui breve vita non era un'eventualità ma una certena. Dunque occorreva tener buoni gli eletlon - pochi all'inizio. quando il voto era censitario, poi sempre in aumento fino alla legge sul suffragio universale sotto Giolitti - favorendone gli interessi particolari anche a scapito di quelli nazionali. L'energia dei Deputati - i Senatori erano nominati a vita dal Re e dunque non rischiavano di perdere il seggio - si concentrava quindi ~u due questioni: le beghe della coalizione su cui s1 reggeva il Governo e quelle del collegio in cui erano stati eletti.

xiv R. GRAZIANI. • Memorie». rip. in A. COVA, «Gra1iani: un generale per il Regime•. pag. 66.

"' Dt Boso, op. ciL. pag. 207.


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Tutto era considerato solo in funzione di queste esigenze e ogni altra cosa passava in seconda linea. In più la scarsa cultura e la mancanza di conoscenza del mondo, faceva proporre - specialmente dopo l'avvento al potere della Sinistra, garibaldina. accesamente nazionalista e difficilmente controllabile - progetti che erano irrealizzabili, perché avanzati senza commisurare agli obiettivi i mezzi e le capacità esistenti. Per questo molti problemi internazionali - peraltro prevedibilissimi a condizione di dedicare un minimo d'attenzione alla politica estera - sorgevano all'orizzonte sempre come una sorpresa e, per questo motivo. la classe politica che li aveva ignorati fino all'ultimo momento non riusciva mai a risolverli in modo soddisfacente. Ne conseguivano inoltre sia l'incomprensione del fenomeno coloniale, sia iniziative improvvise. improvvisate, velleitarie e destinate al fallimento. I politici italiani non si rendevano conto che gli imperi altrui erano nati come allargamento delle basi corrunerciali d'oltremare da cui provenivano le materie prime e verso cui viaggiavano i prodotti lavorati; né che questo non valeva per l'Ttalia, per la semplice ragione che non esistevano, a metà dell'Ottocento. imprese italiane di dimensioni e capacità tali da giustificare l'impianto di basi commerciali o industriali in Africa o in Asia. Solo quando i territori ancora disponibili vennero ridotti al lumicino, i politici si riscossero ma, impreparati come erano, non compresero del fenomeno altro che l'aspetto esteriore: le Grandi Potenze avevano un impero coloniale, dunque, se l'Italia - che era una Grande Potenza10 - voleva continuare ad essere riconosciuta come tale cd essere trattata su un piede di parità, doveva avere delle colonie. Il ragionamento era sbagliato perchè sbagliate ne erano le premesse; ma la ristrettezza di vedute ed il nazionalismo non lo fecero capire e, senza tener conto dell'esistenza di Grandi Potenze -Austria, e Russia - che restavano tali pur non avendo colonie, mentre nessuno avrebbe posto fra i "Grandi" la Danimarca. o il Portogallo che invece ne possedevano, i Governi italiani improvvisamente decisero che l'Italia doveva crearsi un impero. Era il 1884 ed ern già tardi. Con un po' d'attenzione ed un minimo di serietà nell'erogazione dei mezzi ci si sarebbe ancora potuti riuscire; da parte dei politici mancarono l'una e l'altra e ne venne fuori Adua.

10 Al di là del fatto che il Regno di Sardegna fosse rientrato nell'ambito delle Potenze di Primo Ordine col Congresso di Parigi alla fine della Guerra di Crimea e che l'Italia - considerata come un ampliamento del Regno di Sardegna - vi fosse rimasta, la conferma, o se vogliamo, la consacrazione del nuovo Stato a Potenza di Prim'Ordine, si ebbe coll'invito, sostenuto dall'Lnghilterra. a che l'Italia nel 1867 partecipasse alla concertazione diplomatica internazionale dalla quale nacque il Lussemburgo.



CAPITOLO XXXII

DA ASSAB A PECHINO: 1884 - 1900

I ) Assab e la "Primogenita"

Nel 1869 le Camere di Commercio avevano proposto di costruire un porto nel Mar Rosso come scalo per i vapori mercantili diretti daU" ltalia all"Asia. L'idea di stabilimenti extraeuropei non era del tutto nuova - pure Cavour se ne era occupato; ma più per alloggiarvi una colonia penale che per fini di penetrazione economica 1- e il Governo del Re, come al solito, usò un paravento. la ditta Rubattino - la stessa cui erano appartenute le navi usate dai Mille per arrivare in Sicilia - quando incaricò il missionario Lazzarista Giuseppe Sapeto di cercare e, eventualmente, acquistare una zona nelle vicinanze dello stretto di Bab el Mandeb. Sapeto andò, si soffermò sulla costa eritrea, la valutò insieme al contrarnrniraglioActon e il 15 novembre 1869, per 6.000 talleri di Maria Teresa, ne affittò per dieci anni un primo lotto dai sultani Ibrahim ed Hassan. A quello seguirono altri contratti e, nel 1880, la fascia ufficialmente appartenente alla Rubattino si estendeva per 36 miglia ed aveva una profondità da 2 a 6 verso l'entroterra. Egitto e Inghilterra si fecero sentire. Al primo non si diede retta; alla seconda si rispose di non aver mire politiche e, piano piano, la presenza italiana si allargò fino a toccare il confine dello stabilimento francese di Gibuti. Poi, tra errori politici di ogni genere commessi dal Governo e incidenti diplomatici coll' Egitto e la Turchia, si arrivò alla convenzione anglo-italiana del 1882 con cui Londra riconosceva la proprietà italiana di Assab, segnando il passaggio a un più amichevole atteggiamento nei confronti.di Roma. atteggiamento dovuto al riaccendersi dell'espansione francese in Africa, per cui per l'Inghilterra vi era preferibile avere un vicino debole come l' Italia. U massacro della spedizione di Gustavo Bianchi avvenuto in ottobre e il consenso scritto della Gran Bretagna all'espansione fecero sl che nel 1882 il Governo, timido e irresoluto quanto lutti i precedenti e molti dei successivi, si decidesse a far sbarcare il lenente colonnello Saletta con 800 bersaglieri a Massaua, occupandola il 5 febbraio ed espellendone gli Egiziani. Sostenuti da una Divisione Navale di ben 15 unità tra maggiori e minori, gli Italiani in estate proclamarono il protettorato sulla costa da Assab a Massaua; e a dicembre arrivò il generale Gené per assumerne tutti i poteri civili e militari. Finalmente l'ltalia aveva una colonia: era nata "L1 Primogenita".

1 Tranandosi di una colonia penale. non importava dove fosse, perciò non ci si deve stupire nell'apprendere che il Governo condusse trattative per acquistare o affittare terreno di volta in volta in Indonesia, alle Maldjve. alle Nicobare. a Socotra. nella Nuova Guinea. nelle Filippine. a Sumatra. nelleAntiUe. nelJe AJeutine. in Groenlandia e nelle Falkland-Malvine, a Giava, Makassar. Oaya. Pontialc e in una mezza dozzina di altre località.


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Il) La guerra dell'87 e il Corpo Speciale d'Africa

Già nel settembre del 1885 Saletta aveva arruolato indigeni, organizzandoli militarmente in due Orde. La prima. l'Orda Esterna, di 500 uomini. era destinata alle operazioni, l'altra. l'Orda Interna, ne contava solo 94 con mansioni presidiarie. Il generale Gené nel 1886 le divise in 68 buluk - equjvalenti come forza a un plotone armandone la truppa con moschetti Vetterli senza bruonetta, ordinamento ufficializzato col decreto del 15 giugno 1886. Ben presto gli effettivi eritrei raggiunsero la ragguardevole cifra di 2.000 e furono posti agli ordini di un ufficiale superiore italiano - il primo fu il colonnello Begni - ricevendo il battesimo del fuoco. Nel gennaio del 1887 infatti Gené decise d'espandere la zona d'occupazione, mandando una centuria indigena a Uaà. ll Negus Neghesti - il Re dei Re - Giovanni d'Etiopia, protestò tramite il Ras - il generale - Alula e intimò lo sgombero da Uaà. Per tutta risposta Gené sped1 rinforzi. Mandò il maggiore Bonetti a rinforzare Uaà e occupare Saati con due compagnie di fanteria, due sezioni d'artiglieria e una banda irregolare e il tenente colonnello De Cristoforis a impadronirsi di Moncullo con tre compagnie di fanteria. una sezione d'artiglieria e due buluk indigeni. Il 25 gennruo Ras Alula attaccò Saati. Sonetti lo fece avvicinare, a 300 metri ordinò il fuoco e lo proseguì a ritmo accelerato per quattro ore, uccidendogli 200 uomini e facendolo ritirare. L'indomani però ras Alula sorprese presso la collina di Dogali la colonna dj 500 uomini con cui De Cristoforis scortava un convoglio di rifornimenti diretto a Saati. L'assalì e, seppure al prezzo di oltre mille morti, la sterminò2 dopo una dura battaglia, durata ore e sostenuta dagli haliani in perfetto ordine chiuso3. Bonetti allora ripiegò su Massaua, Uaà fu abbandonata, scoppiò una vera e propria guerra e nel novembre 1887 sbarcarono a Massaua i 13.000 uomini del generaleAsinari di San Marzano, i quali avanzarono verso l' interno lentamente, per permettere la costruzione di una ferrovia, rioccupando Saati il I O febbraio 1888. U 24 marzo si avvicinò il Negus, con forz.e imponenti. Impressionato però dall'apparato militare italiano, preferl intavolare trattative, fallite le quali e mancando di viveri e acqua, il 3 aprile si ritirò. li corpo di spedizione rimpatriò in maggio, ma la prova di forza cogli Etiopici era stata superata e si poteva proseguire nell'allargamento dell'occupazione coi mezzi locali. Battuti gli Abissini a Makatal in luglio e fallito il tentativo di prendere Saganeiti 1' 8 agosto4 , il 2 giugno I 889 due colonne, sostenute da bande indigene, occuparono Cheren. L'arrivo del generale San Marzano aveva portato una riorganizzazione delle truppe in Colonia. Gli indigeni dell'Orda Esterna erano stati riuniti in due reparti a livello battaglione detti "Halru", comprendenti ognuno prima tre, poi quattro Tabur - compagnie - a loro volta suddivise dal 1890 in "nusf-tabur"' cioè mezzi Tabur - e 8 buluk. Tutti i reparti erano comandati da ufficiali italiani, col grado di Sangiak - se a capo degli Halai - e di Bimbasci per i Tabur. Questi ultimi in seguito furono articolati in tre centurie - comandate da un tenente italiano con in sottordine un ufficiale indigeno detto Ius Bascì - ripartite in tre Buluk, comandati ognuno da un Buluk Bascl cui rispondevano tre Muntàz. cioè caporali.

2 U giorno dopo la colonna di soccorso mossasi da Massaua recuperò sul campo un'ottantina di feriti, sopravvissuti perché creduli morti. 3 Tanto che un testimone raccontò che erano caduti allineati. 4 Perdendo 5 ufficiali e 350 dei 400 ascari e 200 irregolari mandativi.


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Così il Corpo Speciale d'Africa - questa la denominazione dal IO luglio 1887 - fu modificato e regolarizzato nel giugno 1889>, ancora nel 1890 rendendo autonomi i quattro battaglioni e diventò, I' 11 giugno 189 I, Regie Truppe d'Africa, aumentando progressivamente la propria consistenza fino a cinque battaglioni di fanteria - otto nel 1896 - due batterie e due squadroni per un totale di 90 ufficiali italiani, 49 sottufficiali indigeni, 4.860 ascari e circa 2.000 irregolari delle bande. Abituati a dormire all'addiaccio, a soffrire sete e fame, a correre per chilometri senza fermarsi, ottimi combattenti. disciplinati e leali, nel complesso gli ascari eritrei sarebbero rimasti nella memoria di quanti li avrebbero conosciuti o comandati come soldati del tipo migliore, con caratteristiche di leggerezza ed elasticità d'impiego in tutto simili a quelle delle unità garibaldine. li loro arruolamento era per un anno, rinnovabile fino al 36° anno d'età, volontario e concesso solo dopo un severo esame delle capacità fisiche del candidato. il quale ali' incorporazione doveva essere d'età compresa tra i 16 cd i 30 anni e dimostrare di poter correre per 50 o 60 chilometri alla velocità di 8 chilometri l'ora. I numerosissimi aspiranti accorrevano - dall'Eritrea, dal Sudan. dall'Etiopia - attratti in primo luogo dal poter divenire guerrieri e possedere un fucile, poi dalla possibilità di avere il fez in Lesta, distintivo di condizione sociale altolocata, infine dalla paga- nel 1895 I lira e mezzo per un ascari; 1. 95 il Muntàz; 2,35 il Buluk Basci; 5, un attendente ed una razione di foraggio da 30 centesimi lo lus Basci - considerata altissima e unita alla razione quotidiana di 1/2 chilo di farina. Utilizzata per cuocere su pietre roventi la burgutta - impasto di farina e acqua talvolta condito col berberi. cioè la polvere di peperoncino rosso - ed accompagnata da un po' d'acqua o da un sorso di caffè (senza zucchero perché costava troppo) costituiva l'alimentazione dell'ascari, integrata talvolta, se si aveva la fortuna di trovarne, da carne bovina od ovina.

fil) I Dervisci e Cassala: 1890 - 1897

Sistemati per il momento gli affari coll'Etiopia, apparve a nord un nuovo nemico. Nel corso degli anni '80 il Sudan era stato travolto dall'insurrezione del Mahdi il quale. alla testa dei cosiddetti Dervisci, se n'era impadronito, aveva presa Kartum uccidendone la guarnigione egiziana ed il comandante inglese Gordon ed aveva poi allargato la propria sfera d ' influenza, occupando nel luglio 1885 anche Cassala, poco a nord dell' Eritrea. Poi i Dervisci cominciarono a oltrepassare i propri confini meridionali, urtando prevalentemente l' Etiopia, ma toccando pure l'Eritrea, contro la quale nel 1890 effettuarono una spedizione assalendo i Ben.i Amer. sottomessi all'Italia. Da Massaua venne ordine al capitano Gustavo Fara di intercettarli e lo si fornì di larghi mezzi: una compagnia e mezzo di ascari. cioè 6 ufficiali e 230 uomini. Fara andò ad aspettare i Dervisci - un migliaio. di cui 600 armati di fucile - ai pozzi di Agordat. tappa obbligata per rifornirsi d'acqua. e la mattina del 27 giugno li batté, uccidendone 200 e liberando i 400 Beni Amer che avevano fatto prigionieri. Poi venne costruito un fortino ad Agordat, ci si piazzò una compagnia e per due anni abbondanti i Dervisci restarono tranquilli, salvo un' incursione intercettata dal maggiore Hidalgo a Sarobeti nel giugno del '92, che costò loro 150 uomini e tutto quel che avevano depredato. Ai primi di dicembre del 1893 però arrivarono notizie allarmanti: gli 8.000 Dervisci - tutti armati di fucile - del cosiddetto Corpo del Ghedaref. presente a Cassala, stavano preparandosi a entrare in Eritrea.

s Divenendo un Reggimento su quattro battaglioni di quattro compagnie l'uno, con uno squadrone esploratori, una batteria da montagna due buluk di zaptiè- Carabinieri Reali indigeni - e un paio di compagnie di scorta interna, per un t0tale di 95 ufficiali e 3.265 uomini.


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Da Massaua vennero le solite grandiose misure difensive - si raddoppiò il presidio di Agordat portandolo a ben due compagnie e rinforzandolo con qualche banda irregolare del Barca - e si commise il comando "di tutte queste truppe'· al tenente colonnello Cortese, comandante la zona di Cheren. Quando si seppe che davvero i Dervisci stavano venendo, si cominciò a fare sul serio e, approfittando dei cinque giorni loro necessari per arrivare da Cassala, si riunirono ad Agordat 7 compagnie di Ascari, 2 squadroni. altrettante batterie e 3 bande del Barca. Arrivò il colonnello Ari mondi - sostituto del Governatore - per prenderne il comando e apprese che i nemici. intanto aumentati a 10.0006 , sarebbero partiti il 12. li 20 dicembre i Dervisci arrivarono e. a mezzogiorno e mezza delrindomani, Arimondi ordinò d'attaccarli, bencbè fosse inferiore di forze in proporzione di circa I a 4,57. la meno di mezz'ora fu contrattaccato, perse i cannoni di una delle due batterie, fece intervenire le riserve e attaccò di nuovo. Dopo un'altra ora e mezzo aveva riconquistato i pezzi e disfatto il nemico. che fu inseguito per tre ore e poi lasciato alle imboscate delle popolazioni locali. L'emiro Ahmed Alì restò sul campo insieme a più di mille& dei suoi; e altri 2.200 sarebbero mancati ali' appello al rientro a Cassala. Arimondi aveva perso I 07 morti e 123 feriti9 ed era il secondo comandante europeo ad aver battuto un esercito derviscio 10. Rientrato in Eritrea, iJ governatore Baratieri decise di provare a prendere Cassala per por fine al rischio d'incursioni. Nel luglio approntò una colonna di poco più di 2.500 uomini e il 12 uscl da Agordat diretto a Cassala insieme ad Arimondi I Dervisci disponevano di 1.000 fanti e 600 cavalieri appoggiati da qualche cannone. Furono colti completamente di sorpresa dall'assalto condotto dal maggiore Hidalgo all'alba del 17 luglio 1894 e totalmente disfatti colla successiva carica di cavalleria. perdendo la città, 2 cannoni e alcune centinaia di morti e di feriti a fronte di 18 ascari e un ufficiale itaJiano caduti. Cassala fu annessa alla Colonia e vi fu lasciato di presidio un battaglione con 2 cannoni. Un paio d'anni dopo, contemporaneamente alle operazioni etiopiche contro MacaUè e spinti da ras Mangascià, i Dervisci pensarono di potersi fare avanti tranquillamente e con 8.000 uomini attaccarono nuovamente Cassala. 11 presidio - Battaglione indigeno Hidalgo forte di 1.200 uomini, con 6 cannoni e 2 mitragliatrici - se li trovò davanti il 22 febbraio 1896. sostenne un primo scontro d 'avanguardie a Sabderat 1'8 e il 9 marzo, segnalò la cosa al governatore Baldissera e ne ottenne la colonna di rinforzo del colonnello Stevanil 1 e una carovana di 600 cammelli di rifornimenti. Intanto i Dervisci avevano assediata Cassala con doppi ordfoi di trincee e palizzate e avevano posto alcune aliquote a guardare la via d ' Agordat. Nella notte dal 31 marzo al l 0 aprile Stevani staccò il VI Indigeni dalJa colonna, gli ordinò d' attirare l' attenzione del nemico e con un lungo giro entrò a Cassala. Vi si organizzò con HidaJgo e. dopo un'ora, aJle 3,30 del mattino, effettuarono una sortita improvvisa. prendendo alle spalle i Dervisci. in quel momento 6 L'emiro Ahmed Alì aveva raccolto 9.500 fanti -4.000 uomini armati di lancia. 4,500 di fucile e dotati di qualche mitragliatrice, una delle quali fu presa poi dagli Italiani ad Agordat - e circa 500 cavalieri. Tutti erano combattenti esperti. 7 Aveva a disposizione il Battaglione indigeno di formazione del maggiore Galliano (composto dalle compagnie 3• e 4• del lii Indigeni e 3' e 4' del IV). tutto il II Indigeni - 4 compagnie - due batterie da montagna da 4 pezzi l' una, due squadroni di cavalleria indigena e le bande del Barca. per un totale di 2. 181 uomini, cioè 42 ufficiali, 33 nazionali e 2.106 indigeni. 8 Dei quali circa 700 erano fucilieri. Tanti infatti furono i fucili raccolti sul campo. insieme ad I mitragliatrice e 72 bandiere. 9 Ufficiali: 3 morti e 2 feriti; truppa nazionale: I morto; truppa indigena: I04 morti e 121 feriti. IO li primo era stato sir Herbert Stewart con 1.200 inglesi contro I0.000 dervisci ad Abu Klea il 17 gennaio 1885: ma era caduto in combattimento due giorni dopo. 11 Aveva i Battaglioni rn, Vl , VO e VIIJ. una compagnia del Il e mezza batteria da montagna.


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impegnati a combattere contro il VI Indigeni, li respinsero al loro campo di Tucruf, dove li assalirono alle sei della mattina seguente, battendoli ancora e costringendoli a ripiegare verso l' Atbara12• Ora la situazione era nel complesso più che sostenibile. È vero che nel gennaio del '97 i Dervisci compirono una nuova incursione arrivando fino ad Agordat con 5.000 uomini, ma fu sufficiente concentrare contro di loro altrettanti soldati per indurH a ritirarsi in fretta e senza combattere Questo però convinse il Governo a compiere un passo discutibile. Privo d'una politica estera e coloniale. sotto l'effetto negativo della sconfitta di Adua, a torto timoroso d'inimicarsi l'Inghilterra alla quale in pratica i Dervisci a loro tempo avevano tolto Cassala e, sopratutto, abilissimo nel liberarsi dei problemi invece di cercare di risolverli, nel 1897 preferì restituire la città agli Inglesi, affernrnndo che era previsto dal trattato del 1891. Londra restò sorpresa, accettò graziosamente il dono inaspettato; e il confine dcli "Eritrea retrocedè di 32 chilometri verso est.

IV) Menelik e Adua Nel resto della Colonia dal l888 al 1894 la situazione era stata abbastanza tranquilla. Tolti piccoli scontri causati da tentativi di razzie, come a Halat nel '91, sembrava non ci fossero difficoltà nell'ampliare l'occupazione. Del resto sul trono abissino sedeva il negus Menelik, salitovi coll'aiuto degli Italiani, e con lui era stato stipulato nel .1889 il trattato d'Uccialli, in base al quale l'Etiopia sarebbe divenuta un protettorato italiano. Almeno, questo era quanto si ricavava dalla versione italiana; ma in quella amharica il testo differiva abbastanza da vanificare ogni pretesa del Governo di Roma. Poi, nel i 894, il figlio del defunto negus Giovanni - Mangascià, ras del Tigrai - cambiò completamente la propria politica, mostrandosi amico di Menelik e sobillando alcuni capi eritrei a ribellarsi all' Italia per dare poi a lui la Colonia. Fatto prigioniero il residente italiano a Saganciti in dicembre, gli Etiopici vennero subito attaccati dal IV Battaglione Indigeno del maggiore Toselli e, dopo essersi disimpegnati, mentre alcunj giorni dopo cercavano dj sopraffare la compagnia di presidio ad Halai, furono riagganciati alle spalle da Toselli e distrutti. Domata la rivolta, il governatore generale Baratieri decise di marciare su Adua per intimorire Mangascià. Radunata ad Adi Qualà il giorno di Natale una colonna di circa 3.900 uomini 13, il 28 dicembre entrò ad Adua fermandovisi quattro giorni e tornando poi ad Adi Ugri. Mangascià gli sfuggì, aspettò che ripartisse e I'8 gennaio 1895 si avvicinò al Belesà, il confine meridionale della colmùa, entrando nella regione del!' Acchelè Guzaj il 12 con 19.000 armati. Lo stesso giorno Baratieri lasciò Adi Ugri e, traversato il Mareb, raggiunse Coatit per prenderlo di fianco. Ingaggiato il combattimento il 13, seppe sventare un pericoloso tentativo d'accerchiamento e dopo una seconda giornata di scontri, costrinse Mangascià a ritirarsi a Senafè. Ve lo raggiunse l'indomani con una marcia forzata di 40 chilometri, l'assalì di sorpresa e lo mise in rotta. uccidendogli circa 2.000 uomini, in aggiunta al migliaio già perso a Coatit.

12 [ Dervisci ebbero un migliaio di morti: gli ltaHani persero, dall'inizio dell'assedio alla fine della battaglia di Tucruf. 149 morti e 331 feriti, di cui la metà de.i primi e circa un quinto dei secondi nella giornata di Tucruf. 13 Battaglioni indigeni II (Hidalgo), Il] (Galliano) e IV (Tosclli). la batteria da montagna indigena del capitano Ciccodicola. un plotone di cavalleria indigena, Bande irregolari dell'Acchelè Guzaj e del Seraè.


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Mangascià non si diede per vinto. Radunò nuovi guerrieri e domandò aiuto al Negus, mentre il Governo italiano premeva per un allargamento delJa colonia nel Tigrai; e Baratieri occu-

pava Adigrat. il 25 marzo del 1895 e Adua stessa il l 0 aprile. Questa era una vera invasione e Menelik ovviamente non poteva né consentirvi né lasciare uno dei suoi maggiori Ras nei guai in cui si era cacciato. Baratieri lo sapeva e, profittando della pausa forzatamente imposta alle operazioni dall'arrivo della stagione deUe piogge che sarebbero durate fino a settembre, andò a Roma a sollecitare aiuti, ordinando ad Arimondi di cercare intanto una soluzione pacifica deUa vicenda. n Governo Crispi avrebbe voluto un grande successo. senza sborsare una lira per motivi di deficit, ma davanti alla minaccia di dimissioni di Baratieri, acconsenti ad inviare rinforzi, senza preoccuparsi di sapere quanto potevano costare una spedizione di truppe nazionali ed il loro mantenimento in colonia. Se ne sarebbe accorto nel momento peggiore, cioè all'atto di cominciare le operazioni. Baratieri tornò in Africa a settembre per sentirsi annunciare da Arimondi il rifiuto di Menelik ad ogni trattativa e la presenza di ras Mangascià nel Tigrai, ad Antalò, con parecchi armati sulla sinistra a Debra Ailà. Non si stupì troppo - fin dalla primavera aveva previsto di dover riprendere le operazioni in ottobre - e, radunate le truppe disponibili ad Adigrat, il 7 ottobre marciò su Antalò. lJ 9 ottobre a Debra Ailà circa 1.300 tigrini furono battuti e messi in fuga dall'avanguardia italiana. Mangascià si spostò più a sud; e Arimondi esegui una ricognizione in forze al1' Amba Alagi. Baratieri aveva compiuto una bella dimostrazione militare; ma si rendeva conto di doversi attendere un inasprimento della situazione, per questo congedò la milizia mobile coloniale14 ed arruolò due nuovi battaglioni di fanteria - VII ed VIII - stabilendo poi in novembre delle postazioni avanzate lungo la pista da Adigrat al Lago Ascianghi. La prima venne situata vicino a Macallè, costruendo un fortino sulla collina di Enda Jesus, a I I 5 chilometri da Adigrat; l'altra sul!' Amba Al agi, 74 chilometri al.tre MacalJè, alJ'estremo lembo meridionale del regno di Mangascià, destinandovi il maggiore Toselli con un bal!aglione ed una batteria da montagna. Nelle intenzioni di Baratieri entrambe le postazioni dovevano servire come avamposLi, da abbandonare all'arrivo di ingenti forze etiopiche per concentrare i reparti in vista di una battaglia forse decisiva. Infatti a metà ottobre Menelik si era mosso verso il Tigrai cou 30.000 uonùni, preceduto da un'avanguardia comandala da ras Maconnen. Arrivato al Lago Ascianghi, Maconnen chiese a Toselli di lasciarlo passare. La domanda fu posta in toni abbastanza concilianti, entrambe le parti avrebbero preferito la trattativa a quella che gli Etiopici copti- con dolore - chiamavano "una guerra tra Cristiani"; ma l'inframmettenza del Governo, il quale pretendeva di condurre negoziati parai leli a quelli di Baratieri, scavalcandolo e tenendolo all'oscuro, causò ritardi, equivoci e incertezze tali da far arrivare i primi di dicembre in una gran confusione. Per prevenire il peggio, Arimondi ordinò il concentramento delle truppe a sua disposizione a Macallè; mentre Baratieri si preparava richiamando la milizia mobile e le bande e spediva ad Adigral le truppe presenti a Cher,e n ed Asmara: 5 battaglioni e J batteria da montagna. Intanto il dispositivo etiopico si era rafforzato. D 'altra parte l'lmpero aveva un' organizzazione rozza ma passabilmente efficiente a condizione di disporre d'un po' di tempo. 11 Negus chiedeva ai Ras di accorrere cogli armati che erano in grado di radunare; poteva volerci un mese, ne potevano occorrere tre, ma alla fiae, lentamente, da ogni angolo dell'Etiopia le genti di tutte le razze che la popolavano venivano colle proprie armi, salvo spa,ire dopo la fi14 La milizia mobile era stata organizzata dal generale Arimondi nel 1894 su 8. poi 6, compagnie; a essa si affiancava il Chilèt, la riserva comprendente tutti gli abili alle anni della Colonia.


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ne del conflitto. Cosl in dicembre Menelik aveva in avanguardia Maconnen con 30.000 uomini e con sè circa 80.000 armati raccolti dai Ras. Baratieri a tutto questo poteva opporre I .500 uomini con Toselli sull'Amba Alagi in avamposto, 2.600 con Arimondi a MacaUè e 5.000 in concentramento ad Adigrat, mentre dall'Italia stavano partendo rinforzi. Il l O dicembre gli Etiopici avanzarono sull'Amba Alagi. Il 4 Toselli domandò ordini e rinforzi. Arimondi gli promise i secondi; ma Baratieri - fedele al proprio disegno strategico di riunire le forze - prescrisse ad Ari mondi di far ripiegare Tosell.i. Arimondi però lasciò trascorrere 12 ore•s prima di inoltrare il messaggio; e quando si decise era troppo tardi perché potesse arrivare. Alle 7 del mattino del 7 dicembre Toselli fu assalito da 15.000 abissini, resse per oltre cinque ore, convinto che stesero arrivando i rinforzi, poi, alle 12,40, premuto da tutti i lati e con poche munizioni, diede ordine di ritirata. La diminuzione del fuoco d'artiglieria permise al nemico di venire avanti e distruggere la colonna; e Toselli cadde coprendo il ripiegamento dei superstiti. Intanto la sera del 6 Ari mondi aveva ottenuto l'autorizzazione di Baratieri ad avanzare per coprire la ritirata di Toselli dall'Amba Alagi e, nel pomeriggio del 7, era giunto a 20 chilometri dall'Amba - ad Aderat - con circa 1.500 uomini. Improvvisamente si vide arrivare addosso sia gli scampati di Toselli, sia gli Abissini che li inseguivano. Coprì i primi, aprl il fuoco sui secondi e tenne la posizione per circa due ore, finché non fu certo d'aver radunato tutti i superstiti, poi ripiegò. Decise di seguire le disposizioni di Baratieri e tornare ad Adigrat per unirsi al grosso in via di concentramento; ma prima lasciò- contravvenendo a quanto il suo superiore voleva - 4 compagnie col maggiore Galliano nel fortino di Macal!è. Non fu una buona idea perché il forte non era finito cd era privo d'acqua. Galliano fu bloccato e assediato. Tenne fino al 22 gennaio, quando ricevè l'ordine di lasciarlo. Ne uscì coll'onore delle armi e la facoltà di riunirsi a Baratieri con tutta la guarnigione. Intanto quest'ultimo si era fermato tra Adigrat e Edaga Amus con poco più di 20.000 uomini, spostandosi poi in avanti su ottime posizioni quando l'armata abissina si concentrò nella conca di Adua. Entrambi gli eserciti avevano difficoltà d'approvvigionamento. L'italiano perché le dure condizioni climatiche degli altipiani avevano falcidiato i muli delle salmerie, facendo sostenere all'Intendenza la necessità di ripiegare di almeno tre tappe, meglio se quattro, pena l'impossibilità di far arrivare i rifornimenti. L'etiopico invece era troppo numeroso per poter resistere a lungo sulle risorse della zona. Si provò a trattare; ma Roma insisteva nel volere il protettorato sull'Etiopia e il dominio del Tigrai; e Menelik non cedeva su nessuno dei due punti. Entrambi i contendenti avrebbero voluto farsi attaccare dal nemico sulle posizioni occupate; ed entrambi attendevano. li calo dei viveri costrinse Menelik a ordinare a Mangascià di abbandonare la zona; Baratieri da parte sua prese in esame l'idea di ritirarsi a Mai Maret. Menelik non voleva e cercò d'evitarlo. In una ridda di informazioni false e incertezze sui movimenti nemici, Baratieri convocò il 29 febbraio tutti i comandanti di brigata, sentiti i quali decise di avanzare la mattina dell'indomani - I O marzo 1896 - entrando in combattimento solo se il nemico avesse attaccato. Tra distacchi in sicurezza e a presidio delle retrovie, il giorno della battaglia Baratieri allineava 17.696 tra ufficiali, sottufficiali e truppa, nazionali e indigeni, 14.519 dei quali di fanteria, senza cavalleria ma con 56 cannoni. Menclik aveva non meno di 80.000 uomini a piedi. 8.600 a cavallo - tutti armati di fucile16 oltre che di armi bianche - e 46 cannoni. I suoi conoscevano ìl terreno e la loro superio-

ts Ricevuto il telegramma di Baratieri alle 19 del 5 dicembre. lo inoltrò solo alle 7 del mattino del 6. 16 Tra acquisti fatti e regali ricevuti dal 1885 al 1895, Menelik aveva, al settembre 1895. 189.000 fucili a retrocarica, 35 cannoni Hotchkiss e 4 mitragliatrici.


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rità numerica era di 5 a .I, che saliva a 6 a 1 se si detraevano dal totale i militari italiani non ili fanteria. La scarsa conoscenza del terreno fu alla base del disastro italiano. Le colonne persero il contatto. diedero origine a tre scontri separati in tre ruverse vallate, non poterono sostenersi a vicenda e, finite le munizioni furono travolte. Inseguite e premute dalla cavalleria nemica, si diressero verso Adi Caiè. Menelik però non spinse a fondo l'inseguimento. Pago d'aver respinto l'offensiva - gli Italiani avevano perso oltre 5.700 uomini 17 - si ritirò subito verso Maca.llè e lo Scioa, portandosi dietro i prigionieri 18, tra i quali il generale Albertone. Del resto neanche le sue perdite erano state leggere; benché non si conoscesse il numero esatto dei suoi guerrieri. si potevano valutare i caduti da 5.000 a 7.000 e i feriti a non meno di 10.000. Mentre il Corpo ili Spedizione disfatto tornava verso la costa. sbarcava a Massaua il 4 marzo il generale Ba.ldissera, incaricato già da tempo di rilevare il comando e il governo della Colonia. Appreso l'accaduto, radunò tutte le forze disponibili - circa 18.000 uomini - e si apprestò a soccorrere Adigrat, il cui presidio, comandato dal maggiore Prestinari, era assediato da circa 12.000 abissini. Man mano che arrivavano i rinforzi, Baldissera si trovava sempre più forte e a metà marzo aveva 41.000 uomini Parte di questi fu spedita a liberare Cassala dall'offensiva dei Dervisci; circa 17 .000, articolati in due divisioni, furono mandati a sbloccare Adigrat il 4 maggio. Dopodichè arrivarono da Roma gli ordini di sospendere le ostilità e, in giugno quelli relativi al rimpatrio del Corpo di spedizione, lasciando in Eritrea 3 battaglioni, 2 batterie da montagna e una compagnia del Genio. La pace fu conclusa a metà o ttobre, abolendo il Trattato di Uccialli, stabilendo il confine dell'Eritrea grossomodo sulla linea del fiume Mareb e pagando IO milioni al Negus. Da quel giorno l'Italia coll'Etiopia avrebbe pazientato quarant'anni.

V) La Somalia

Come già era successo trent'anni prima per Custoza, la sconfitta di Adua non fu considerata un incidente di percorso ma un'occasione per mettere in crisi il Governo. Amplificato in un disastro senza precedenti, quello che era un semplice rovescio coloniale delle dimensioni e del genere in cui erano incappate - o stavano incappando - più o meno tutte le potenze coloniali, Adua avrebbe impresso un marchio di fuoco d'inferiorità nella coscienza degli Italiani. Nonostante questo il Governo, contrariamente a quanto si ritiene comunemente, non lasciò del tutto la politica colonia.le, tant'è vero che subito dopo la sconfitta in Eritrea cominciò l'espansione in Somalia. Cominciata il 28 maggio 1885, quando si erano raggiunti col sultano di Zanzibar degli accordi per stabilire stazioni commerciali italiane nel Benadir, era stata proseguita sulla scorta delle esplorazioni effettuate dal capitano d'artiglieria Vittorio Bottego. Quattro anni dopo, i sultani di Obbia e dei Migiurtini avevano ottenuto la protezione italiana. Nel '92 era stata fatta una convenzione per l'affitto dei porti di Brava, Merca, Mogadiscio e Uarsclick e nel 1896 l'Italia era entrata in possesso del Benadir.

17 Ufficiali 259: truppa nazionale 3. 772, truppa indigena circa 1.600; prigionieri nazionali 2. 706. 954 dei quali morti durante la prigionia. 18 Sarebbero stati 2.706 nazionali ed un numero imprecisato di indigeni. Dei primi sembra che 954 (cfr. Bourelly, «La battaglia di Abba Garima». appendice relativa ai prigionieri) siano moni di stenti o uccisi durante la prigionia. Ne rimpatriarono I. 752. 252 dei quali fuggiti durante i trasferimenti o dai luoghi dove erano tenuti. Per quanto riguarda gli indigeni. i conti non sono chiari perché sul campo non si riusci a distinguerne sempre i cadaveri. spogliati di tutto, da quelli nemici. di conseguenza non si sa con prec isione quanti siano stati uccisi, quanti s.i ano stati catturati e quanti invece possano essere fuggiti.


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Gli eccidi di Lafolè e di Lugh, compiuti da bande abissine, fornirono il motivo per trasferirvi due compagnie di ascari eritrei con cui iJ nemico fu respinto e, dopo la loro partenza nel dicembre del '97, si organizzò un embrionale apparato militare, passando dall'iniziale forza di 350 ascari arabi irregolari del 1885, agli 800 di quell'anno.

VI) Missioni aU'estero: La Canea e la Cina 1897 - 1900

Le campagne coloniali, con tutto il loro deludente esito, viste in prospettiva e con oggettività dimostrano che i generali italiani non erano peggiori degli altri e che, anzi. rientravano nella media dei colleghi europei quanto a competenza; e la Prima Guerra Mondiale lo avrebbe confermato. Infatti, se è vero che l'impiego delle truppe era stato disastroso contro l'Etiopia, che però era uno Stato e per di più dotato di un esercito, anche se certo non paragonabile a quelli europei, è anche vero che non era stato peggiore di quello fatto dai Britannici contro gli Zulu del!'Africa Meridionale, o i Pathani dell'India settentrionale; mentre decisamente migliore era risultata la prova sostenuta battendo quegli stessi Dervisci che avevano cacciato gli Inglesi daJ Sudan e che Londra non sarebbe riuscita a sconfiggere prima del 1899. Iatanto l'attenzione delle Potenze s'era spostata su due questioni: la crisi di Creta e larivolta dei Boxers in Cina. Creta era insorta nel gennaio 1897 contro il dominio turco. I primi moti erano stati a Candia tra Mussulmani e Cristiani, quelli più violenti a La Canea, dove l'intervento dei marinai della Regia Nave Ema salvò oltre l.200 cristiani 19. Allarmate, le Potenze mandarono squadre - tra le quali la l • Divisione Navale del vice ammiraglio Canevaro20 - per controllare la situazione, specie per il profiJarsi d'un intervento greco a favore degli insorti cristiani e per il conseguente rischio d'un conflitto greco-turco. D'accordo con Costantinopoli, le Potenze stabilirono d'occupare l' isola con contingenti misti e di collocarne uno internazionale a La Canea, costituendo un Consiglio degli Ammiragli che fu presieduto da Canevaro. Ali' Italia toccò il comando del contingente de La Canea, formato da 250 marinai russi, austriaci, inglesi. italiani, francesi e tedeschi, però J' intervento e le note diplomatiche successive non bastarono a distogliere i Greci dalla guerra che stavano lanciando. A complicare le cose si ebbe una ventata di filellenismo in tutta Europa. da dove arrivarono volontari per combattere contro i Turcbi. Tra di loro spiccava Ricciotti Garibaldi, il quale ottenne il comando d'una brigata di volontari comprendente molti Italiani e si distinse nella battaglia di Domokos del 17 maggio 1897. L'unica possibilità di circoscrivere la guerra consisteva nel mandare subito a Creta dei forti contingenti di truppe; cosicché la Turchia e la Grecia furono costrette a misurarsi per terra, dove la prima ebbe rapidamente il sopravvento. Dall'Italia intanto partì un Corpo di Spedizione21 di circa 1.400 uomini, che fu ripartito tra Hierapetra, Candia, Halepa. Subachi, Acrotiri e La Canea22; sempre dotata di presidio in-

19 Navi delle Potenze erano presenti nelle acque cretesi fin dal 28 maggio 1896, quando erano giunte le prime tre: la francese Neptune, l' inglese Hood e l'italiana Piemonte. 20 La squadra italiana allineava 30 delle 87 navi della flotta internazionale, con 6 corazzate su untotale di 19. 21 Al comando del colonnello Crispo. comprendeva: 128 marinai, 600 fanti. 496 bersaglieri del XIT Battaglione de11'8° Reggimento, 126 aniglieri de11'8' Batteria da montagna e 29 Carabinieri Reali. I reparti di fanteria avvicendatisi furono il 1/36° Fanteria, il II/49° Fanteria, il 11/93° Fanteria. 22 Nelle varie località gli uomini rispettivamente stanziati erano: 5, 624. 107, 106. 91 e 446.


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tcmazionale. Contribui a dissuadere la Turchia dall'effettuare lo sbarco progettato nell'agosto 1898. ma rimpatriò poco dopo a causa del disimpegno italo-austro-tedesco dovuto ai contrasti insorti fra le Potenze sulla nomina d'un governatore dj Creta. Restarono nell'isola i Carabinieri Reali, incaricati di orgaruzzare la Gendarmeria Cretese, che fino al 1906 sarebbe stata comandata da ufficiali dell'Arma. Ben più seria. come durata, distanza e impegno militare e logbtico fu invece la campagna in Cina. L'Italia non aveva mai avuto grandi interessi in Cina sempre per il solito motivo: non esistevano contatti commerciali di rilievo e i primi rapporti diplomatici si erano avuti solo nel 1866 grazie al viaggio compiuto dal comandante Vittorio Arminjon colla Regia Nave Magenta. ottenendo il trattamento della nazione più favorita e assicurando la tutela dei missionari italiani. Tutto era rimasto fermo fino al 1898 quando Canevaro, da Ammiraglio divenuto Ministro degli Esteri, aveva ripreso un progetto del suo predecessore Visconti Venosta mandando in Cina la Regia Nave Marco Polo per ottenere una concessione territoriale come ne avevano le altre Potenze, scegliendo a tal fine la baia di San Mun. Ma il Governo Imperiale aveva respinto la richiesta presentata nel mano 1898. inducendo Canevaro ad ordinare all'appositamente costituita Divisione Navale dell'Estremo Oriente, composta dal la Regie Navi Marco Polo ed Elba. comandata dati 'ammiraglio Candi ani e rinforzata poi collo Stromboli. di stazionare nelle acque cinesi. In quel periodo in Cina stava prendendo piede un malconrenro sempre più violento nei confronti dell'Occidente e nella prima vera del J900 esplose nella cosiddetta Rivolta dei Boxers. Alla fine di maggio il Ministro d'ltalia a Pechino chiese prima l'arrivo della Divisione Navale dell'Estremo Oriente a Taku. il porto più vicino alla capitale. e poi un contingente di marinai per l'eventuale difesa della Legazione d'Italia, ricevendo poco dopo 2 ufficiali e 39 marinai 2\ ai quali fu commessa la difesa di parte del quartiere delle Legazioni occidentali e della Cattedrale cattolica24 quando la rivolta scoppiò. Un secondo cot1tingente internazionale, comprendente pure 2 ufficia]j e 39 marinai italiani al comando del tenente di vascello Siriannj, fu instradato per ferrovia verso Pecruno, ma oltre Tien-Tsin, a Lang Fang, circa 40 chilometri dalla capitale, trovò la linea interrotta e non poté avanzare. Giunti i primi rinforzi navali, le Potenze misero a terra altri corpi di sbarco - tra i quali altri 20 marinai col sottotenente di vascello Tanca - i qua]j presero i forti ru Taku, proseguirono ven,o Tien-Tsin e. presala. si riunirono alla colonna tornata indietro da Lang Fang e attesero ulteriori rinforzi per riprendere la marcia su Pechino. Il 21 giugno l'Impero Cinese dichiarò guerra alle Potenze. La risposta giunse subito sotto forma di un Corpo di Spedizione internazionale. del resto già approntato fin dalle prime notizie di minaccia alle Legazioni. che fu diviso in due colonne. una di 12.700 e l'altra di circa 5.000 uomini, e che risalì lungo le due rive del Pei-Ho. raggiungendo Pechino in nove giorni e assalendola e prendendola il 14 agosto2s. Due settimane dopo arrivarono in città altre due compagnie da sbarco e il 29 agosto le truppe di tcrra26 del colonnello Garioni, portando da 578 a 2.543 gli effettivi italiani in Cina,

23 Si portarono dietro un cannoncino da 37, che fu l'unico pezzo d'artiglieria presente nelle Legazio•

ni durante l'assedio. 24 La 10na del Pe Tang, dove si trovava la Cattedrale e si erano rifugiati 3500 cristiani cinesi e 40 re ligios1 ocrnlentali, fu difesa per 55 gìom, dal sottotenente di vascello Angelo Olivieri con 11 marinai ila• lianì e 40 francesi, il cui ufficiale, suo parigrado. fu ucciso nei primi giorni. 25 Dei 40 marinai e 2 ufficiali italiani a Pechino, 13 morirono e 16, tra cui entrambi gli ufficiali. furo no feriti. 26 111 battaglione d, fanicria, il I Ber.;aglieri. una batteria d' artigliena da montagna. un plotone cavai-


L'OTTOCENTO

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su 65.610 delle forze internazionali27• Affidato il comando di queste ultime al feldmaresciallo tedesco von Waldersee, si cominciarono le operazioni in grande stile in settembre. L'8 ottobre gli Occidentali uscirono da Tien tsin e marciarono contro il villaggio di Tu Hin, 30 chilometri a sud-ovest, su tre colonne, delle quali la centrai.e era comandata dal colonnello Garioni. Poi proseguirono su Tu Lin, devastata il 10. In seguito occuparono i forti di Pei Tang, a circa 20 chilometri da Ta ku, verso nord, in modo da rendere pienamente controllata la base d'operazioni del contingente internazionale. Contemporaneamente un'azione anfibia proposta e pianificata dall'ammiraglio Candiani il 2 ottobre permise a una colonna di 2.270 uomini28 d'occupare i forti di Shan Hai Kuan, Pei Ta Ho e Sciu Kuan tao, località costiere per le quali passava la linea ferroviaria da Tien Tsin alla Manciuria. Successivamente giunse notizia di massacri compiuti dai Boxers a Pao Ting fu, l40 chilometri a sud-ovest di Pechino; e il 12 ottobre vi si indirizzarono due colonne composte da distaccamenti francesi, inglesi, italiani e tedeschi, per un totale di 20.000 uomini e 30 pezzi d'artiglieria. Il 19 la città venne presa e dopo dieci giorni di permanenza, le truppe occidentali rientrarono alle basi staccando però una colonna italo-tedesca al comando di Garioni per prendere Cu Nan Scian. Superata una debole resistenza il 2 novembre e disarmatane la guarnigione il 3, il 4 Garioni ripartì per Pechino senza incidenti. Intorno alla metà del mese Waldersee seppe della presenza di grosse masse cinesi a un centinaio di chilometri da Pechino, vicino a Kalgan. Vi mandò 1.320 fra tedeschi, austriaci e italiani - 600 al comando del lenente colonnello Salsa - che dopo un primo scontro vittorioso a Huai Lai, entrarono il 19 novembre a Kalgan. la pacificarono e tornarono a Pechino. Lungo la strada Salsa apprese di una strage di Cristiani fatta dai Boxers a Yung Ming e deviò in quella direzione con due sue compagnie, uno squadrone tedesco e un plotone di marinai austriaci. Il 28 vi entrò di sorpresa, riportò l'ordine e il 4 era di nuovo a Pechino, dopo una marcia di 490 chilometri in 23 giorni con un tempo assai brutto e bassa temperatura. L' inverno interruppe le operazioni; e la minaccia di riprenderle su scala più vasta nella seguente primavera convinse il Governo imperiale ad accettare un armistizio nel febbraio 1901 e la pace col trattato del 7 settembre del medesimo anno. l'Italia ne uscì con un premio di consolazione, altamente simbolico ma economicamente irrilevante. Ottenne in perpetuo, a decorrere dal 7 giugno 1902, 457.800 metri quadri - neanche mezzo chilometro quadrato - a Tien tsin, dove il Governo Cinese consentiva «di cedere in proprietà al Governo italiano come Concessione un 'estensione di terreno sulla riva sinistra del fiume Pei ho, nella quale il Governo italiano eserciterà piena giurisdizione nello stesso modo stabilito per le Concessioni ottenute da altre Na:ioni»•. Era una fetida striscia di terra paludosa, con 16.000 abitami stipati in baracchette di fango e paglia tritata, fra cimiteri. pozzanghere e saline, dove il Governo del Re aveva il diritto di mantenere un presidio. come del resto nella propria legazione a Pechino e nel forte di Shan hai Kuan. A partire dal settembre 190 l ed entro il 1905 il contingente del Regio Esercito fu rimpatriato. venendo progressivamente rilevato dal personale della Regia Marina, cui rimase il com-

leggeri esplorante, una batteria mitragliatrici, un distaccamento misto del Genio. un Ospedaleno da Campo. un drappello di Sussistenza ed una sezione Carabinieri Reali al comando del colonnello Garioni. per un complesso di 1.965 uomini - 83 gli ufficiali - e 178 quadrupedi, mentre la Divi~ione Navale dell'Estremo Oriente saliva a 7 navi al comando dell'ammiraglio Candiani. 27 Si trattava di: due divisioni giapponesi. una divisione anglo-indiana. due brigate francesi. tre tedesche, 4.000 russi. 6.000 americani: gli Austriaci si limitarono a mandare cinque navi leggere. 28 Erano 1.000 francesi, 800 tedeschi e 470 italiani. i Rip. in MICHELE CATALANO, ..Tien tsin e la concessione italiana·•. in "Le vie d'Italia e del mondo", Anno IV, n°5, Maggio 1936. XIV E.E. pag. 526, nota I.


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pito di rappresentare l'Italia in Estremo Oriente sia a terra nei citati tre distaccamenti, sia in mare colle navi mantenute in permanenza nelle acque cinesi. La Marina si assumeva un onere non indifferente, ma era l'unica in grado di farlo. Del resto in quegli anni viveva un periodo fortunato. Se poco tempo dopo 1'unità d'Italia aveva dovuto ridimensionarsi, radiando le navi a vela, in seguito grazie all'impulso di uomini come Saint Bon e Benedetto Brin aveva potuto recuperare rapidamente forza e capacità. Brin sopratutto fu quello che diede la sua impronta alla Marina. Geniale progettista di navi corazzate come il Duilio e il Dandolo, o leggere come il Tripoli e il Folgore, che, studiate nel 188 I, dovevano entro IO anni portare ai cacciatorpediniere, Brin fu l'organizzatore dell'Accademia Navale, da lui spostata a Livorno, e il creatore dell'industria meccanica e metallurgica navale, favorendo la nascita delle Acciaierie di Temi, del silurificio di Venezia e dell'Ansaldo di Genova. Anche grazie a lui la Regia Marina nel 1896 si dotò del suo primo sommergibile, il Delfino. E grazie al fervido clima di studi da lui incoraggiato, nel 1903 l'ingegnere capo del Genio Navale Vittorio Cuniberti lanciò il progetto della corazzata moderna: il tipo «dreadnought», detto anche «nave di Cuniberti», che per primi adottarono gli lnglesi. Ma, tornando al 1900, proprio mentre si combatteva in Cina contro i Boxers, il 29 luglio 1900 Umberto I venne assassinato a Monza. Si chiudeva l 'era del fasto di corte e delle repressioni a colpi di cannone; cominciava il nuovo secolo con un nuovo re.


PARTE

QUINTA

IL NOVECENTO



CAPITOLO

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NUOVO SECOLO E NUOVO RE: 1900 - 1910

I) Il nuovo Re e il Regio Esercito

Intelligente, calcolatore, freddo, chiuso. coltissimo e pratico, il nuovo re Vittorio Emanuele m inaugurò un inaspettato periodo di liberalità politica, che dopo rera autoritaria di Umberto e Margherita sembrò una sorta di felice età dell'oro. Grazie all'oculata attività di Giolitti, che attutì gli attriti sociali da cui il regno precedente era stato pesantemente segnato, la Nazione conobbe un periodo di sviluppo commerciale e industriale, funestato però da alcune delle più disastrose catastrofi naturali di tutto il secolo, che videro il Regio Esercito impegnato nei soccorsi con gran parte delle proprie forze tre volte, fra il 1907 ed il 1915, in operazioni a favore delle popolazioni colpite. li primo intervento fu quello effettuato in seguito al terremoto del 23 ottobre J 907 in provincia di Reggio Calabria. Un anno dopo, il 28 dicembre 1908, si verificò il terremoto calabro-siculo, così disastroso che non si è mai stati in grado di stabilirne con esattezza il numero delle vittime, valutandolo intorno alle I 00.000. L'ultimo fu quello della Marsica, del l 3 gennaio 1915, coll'epicentro nella conca del Fucino. Nel frattempo le Forze Armate avevano compiuto notevoli passi in campo tecnologico. L'invenzione della radio fatta da Marconi, al quale la Regia Marina aveva subito messo a disposizione la Regia Nave Carlo Alberto per i primi esperimenti di trasmissione, e la comparsa dei dirigibili e degli aeroplani erano gli aspetti più visibili di quanto stava accadendo; ma sul piano delle innovazioni negli anni fra il 1900 ed il 1912 il Regio Esercito si trovò all'avanguardia, in Europa e nel mondo. Altre fra le invenzioni più recenti, ad esempio gli autoveicoli, erano entrate a far parte dell'equipaggiamento delle forze italiane, che così, nel 1911, sarebbero risultate fra le più moderne, tanto per il tipo di mezzi quanto per il modo in cui venivano sperimentati ed impiegati. l primi due grandi conflitti del secolo XX, l'anglo-boero del 1899- 1901 ed il russo-giapponese del 1.904-5, non avevano visto utilizzare niente di diverso, a parte la reintroduzione delle bombe a mano, da quanto era stato adoperato in lutto il mezzo secolo precedente. Coll' impresa libica del 19ll all'Italia sarebbe toccato dare il via a enormi novità in campo militare. Per la prima volta la mondo sarebbero stati trasportati su automezzi i rifornimenti e le truppe, usate le autoblindo e la radio. adoperati gli aeromobili. oltre che per la ricognizione e la direzione del tiro d' artiglieria, per il bombardamento del nemico, effettuato indifferentemente da dirigibili ed aeroplani. Di nuovo le Forze Armate italiane si sarebbero dimostrate le maggiori fautrici e stimolatrici del progresso tecnico nazionale, segnalandosi nel mondo per la duttilità ed inventiva di alcuni loro membri. Un altro apporto fondamentale sarebbe stato poi fornito in campo uniformologico quando, nel 1906 gli alpini avrebbero compiuto i primi esperimenti di tiro e di manovra adoperando la nuova uniforme 1:,,rigia ideata dal milanese Luigi Brioschi nel 1905, e la cui adozione avrebbe visto l'approvazione dello stesso capo di Stato Maggiore generale Saletta.


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L'esperimento destò notevole interesse nell'Europa continentale 1 e fu alla base delle adozioni di uniformi io tinta neutra in Russia, Austria e Germania. Solo la Francia avrebbe conservato la tenuta blù dai pantaloni rossi, con letali coseguenze per le sue truppe nell'estate del 1914. Il Regio Esercito però avrebbe dovuto aspettare fino al 1908 - secondo la solita prassi per cui gli Italiani inventano una cosa ma sono poi tra gli ultimi a farne uso - per adottare ufficialmente l'uniforme grigioverde 2 , adoperata a partire dal 1909 e destinata a convivere con quella blu fino al 1915.

II) I Bimal della Somalia

n 1902 fu l'anno della riorganizzazione dell'apparato militare coloniale. n 30 marzo venne infatti costituito il Regio Corpo di Truppe Coloniali - che poi gli "Africani", cioè gli Ita.liani delle Colonie avrebbero conosciuto come "il Regio Corpo" - nel quale venivano inquadrate le unità presenti in Eritrea e in Somalia. Fem1a restando la situazione eritrea, la Somalia vide parecchi cambiamenti. Nel 1902 la sua guarnigione ammontava a 1.100 uomini. Riorganizzati nel corso dell'anno seguente sul modello eritreo, il l5 aprile 1904 diventarono "Guardie del Benadir", articolati su un Comando, 6 compagnie da 114 uomini l'una - poi divenute 12 da 100 - e una milizia ausiliaria. Quando nel 1907 il Benadir passò allo Stato e vi fu nominato un governatore, i militari entrarono a far parte del Regio Corpo di Truppe Indigene, su tre compagnie di fanteria - elevate a cinque dal giugno- con 5 ufficiali nazionali e 446 indigeni l'una e una compagnia cannonieri con I ufficiale e 90 cannonieri. Il totale degli effettivi sarebbe salito a 3.500 nel 1908 dopo l'occupazione dello Uèbi Scebèli e !"erezione del territorio a Colonia col nome di Somalia Italiana. La Somalia, all'epoca occupata solo in minima parte fom1ando una specie di triangolo colla base sulla costa, non ebbe una vita tranquilla grazie ai Bimal. abitanti tra il litorale ed il basso corso dello Uèbi Scebèli. lncitati alla rivolta dal Mullah Pazzo i cui seguaci in quel momento stavano insanguinando la Somalia inglese, e a differenza di altre etnie. limitatesi a reagi.re dandosi al brigantaggio, i Bimal nella primavera del 1904 insorsero in massa e bloccarono la città di Merca. Per ristabilire le comunicazioni, in maggio da Mogadiscio venne fatta avanzare una colonna di 200 uomini. Assalita lungo il tragitto a BanzaJè e poi ad Addadei. potè entrare a Merca, ma non uscirne: nè si poterono mandare rinforzi via mare a causa dei monsoni di sud-ovest. che ostacolavano l'approdo. Non appena cessarono, arrivarono rifornimenli e istruttori, coi quali le truppe arruolate sul posto furono rapidamente messe in grado di rompere l'assedio, battendo poi i Bimal in numerosi piccoli scontri e costringendo quelli residenti vicino alla costa ad accettare la pacificazione. Nel corso del 1905 le operazioni furono proseguite nell'interno, affrontando e sconfiggendo i Bi mal a Gilìb, il 26 agosto, e a Nellèt, il 14 ottobre, imponendo loro il dominio italiano e tenendo tranquille le altre popolazioni. Ma già nel 1906 rincominciarono le irrequietezze e nel 1907 si tornò a imbracciare le armi. In febbraio infatti si doveva tenere un gran conciliabolo dei Birnal sulla costa tra Mogadiscio e Merca. Ospite non invitato, il Governo della Colonia decise ugualmente di partecipare con due colonne di ascari. Partite il 5 dalle due città e riunitesi ai pozzi di El-Bokol, le truppe - 600 uomini e 5 ufficiali agli ordini del tenente St.reva - intervennero alla riunione disperdendo i convenuti e ritirandosi poi a Danane per accamparvisi. Assaliti nella notte dal 9 al IO feb1 2

La Gran Bretagna aveva adottato come tenuta di servizio l'uniforme cachi già dal 1902. Circolare n° 458 del 4 dicembre 1908.


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braio da circa 2.000 Birnal e 500 Hintera, gli ascari Li misero in fuga uccidendone 191 e impressionando tanto i ribelli da convincerne la maggior parte a sottomettersi. La calma durò un anno. Nel 1908 i Bimal ricominciarono e il governatore Carletti destinò due centurie della compagnia di Mogadiscio a costruire un forte a Danane, coperte a distanza da altre due a Gondersci. I lavori inquietarono i Bimal e li spinsero un nuovo conciliabolo stavolta di 7 .000 guerrieri - e a mandare ambasciatori alle cabile non intervenute. Il Governo della Colonia mandò una colonna di 130 ascari comandata dal capitano Vitali a battere tutta la costa da Merca a Danane, facendo inoltre stazionare la Regia Nave Staffetta in appoggio davanti a Merca. Il 29 febbraio la tribù dei Soliman assalì una cabila di Bimal filoitaliani nei pressi di Gilìb; la Staffetta intervenne aprendo il fuoco su di loro. Vitali accorse da Dongàb, il 7 marzo attaccò e distrusse i ribelli in tre quarti d' ora di combattimento e rientrò alla base. Lungo la strada cadde in un imboscata. dalla quale uscl con una sparatoria nutrita e un vittorioso assalto alla baionetta, che a lui costò un ascaro morto e 4 feriti e ai Bimal 400 morti. Arrivato a Merca, ne dovè ripartire subito per Mcllèt, dove disperse i Bimal. Poi, calmata la regione, il 15 marzo Vitali ritornò a Danane e, sotto la copertura delle Regie Navi Volta e Staffetta, riprese e ultimò l'erezione del forte. L'estate non fu tranquilla. I Bimal strinsero nuovamente Merca e, coadiuvata dalla squadra navale3, I' 11 luglio ne dovè uscire la colonna mobile del maggiore Di Giorgio, raggiungere Mellèt, sconfiggervi i ribeUi, rientrare a Merca e fare la stessa cosa il giorno dopo. uccidendone circa 600 e convincendo i rimanenti a sottomettersi di nuovo. Il 22 agosto Di Giorgio concentrò a Danane 1.500 uomini4, 4 cannoni e 8 mitragliatrici e. effettuate delle ricognizioni, il 25 si diresse verso Barirè, sull' Uèbi Scebèli, occupandola e lasciandovi un presidio. li 30, nel corso di un ' altra ricognizione, le truppe, assalite dai Bimal Hintera nei pressi di Merere, ne ebbero ragione rapidamente, uccidendone un centinaio. Il 2 settembre fu occupata Afgòi stabilendo anche là un presidio e , il 6, la colonna potè rientrare a Mogadiscio: il dominio italiano in Somalia era ormai assicurato.

J Regie Navi Volta, Caprera e Srajfeua. 4 Quattro compagnie di ascari arabi da 200 uomini l'una. altrettante di ascari eritrei da 150 runa, una batteria di 4 pezzi da 75 da sbarco, una batteria di 8 mitragliatrici e salmerie cammellate.



CAPITOLO XXXIV

«SAI DOVE S'ANNIDA PIÙ MAGICO IL SOL?>>i LA GUERRA DI LIBIA: 1911-1912.

I motivi per cui l'Italia «andò» in Libia furono essenzialmente dovuti al solito errore: tutte le Grandi Potenze avevano possedimenti coloniali, dunque bisognava averne. La Gem1ania aveva dato l'impressione, colla crisi di Agadir. di voler occupare ogni territorio africano ancora disponibile. Così, per prevenire eventuali concorrenti e consolidare il proprio stato di Grande Potenza, abbondantemente inficiato dalla sconfitta di Adua, il Regno d'Italia decise di prendersi la Libia, avanzando per il proprio gesto le più varie giustificazioni. Rimanendo ai fatti: il Governo del Re presentò a quello del Sultano un ultimatum estremamente duro. Nonostante la Turchia l'avesse sostanzialmente accolto, dicendosi pronta a dare alJ'Italia tutte le garanzie che avesse desiderato a salvaguardia della propria espansione economica in Tripolitania, Giolitti, rendendosi conto che la Nazione voleva una guerra con cui cancellare lo scacco di Adua, non si accontentò. L'agenzia Stefani comunicò quindi che: «Non avendo il Governo ouomano accettate le domande contenure nell'ultimatum, l'Italia e la Turchia sono da oggi, 29 settembre alle 14.30, in istaro di guerra. Sarà immediaramente notificato alle Potenze neutrali il blocco di tutta la costa della Tripolitania e della Cirenaica»ii. Toccava alla Marina; ed era già all'opera. Alle 14,30 in punto una squadriglia di cacciatorpediniere aveva distrutto una torpediniera turca al largo di Prevcsa, mentre la 2• Squadra dell'ammiraglio Faravelli era davanti a Tripoli dalla sera del 28. Vi rimase, inattiva per la mancanza del corpo di spedizione del Regio Esercito. fino al 3 seguente. Quel giorno: «alle 15,30..... si ode il primo colpo di cannone della Benedetto Brin che tira sul molo.»ìi Il giorno appresso nuovo bombardamento; e ancora niente Esercito. A quel punto, davanti alla necessità di prendere possesso della città. il 5 ottobre Faravelli fece sbarcare J.600 marinai, ordinati su due reggimenti. che per una settimana marciarono instancabilmente su e giù per Tripoli, dai forti al porto e viceversa, per dare l'impressione di essere più di quanti non fossero in realtà. E le unità di terra? L'8 ottobre, stando al Corriere della Sera, il corpo di spedizione era «quasi pronto». Il 10, finalmente, 19 piroscafi, scortati da tre incrociatori e 11 torpediniere, sbarcarono i circa J0.000 uomini del primo scaglione. ai quali ne te,mero dietro altrettanti due giorni dopo. Perchè tanto ritardo ? Si erano verificati vari inconvenienti concatenati. Il primo era stato la lunga incertezza del governo Giolitti. Ne era conseguito che lo Stato Maggiore, avvisato in ritardo l, s'era trovato in crisi d'effetlivi, avendo appena regolarmente congedato la classe 1889 e non disponendo ancora della 1890, che comunque sarebbe servita a poco perchè priva d'addestramento. Si dovette allora richiamare la I 888, ma ci si riuscì solo il 23 settembre, sei gior-

Primo verso della canzone «Tripoli Bel suol d'amore» di Arona e Corvetto. Rip.in P. Maltese, «La terra promessa». Cles, Mondadori, 1977. parte I, pag. 99. 1 Sappiamo dal generale De Ros.si. allora colonnello, che appena alla metà di settembre il capo di Stato Maggiore, Pollio, iniziò seriamente lo studio di uno sbarco a Tripoli. 1

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ai prima dell'apertura delle ostilità. U ritardo nella mobilitazione causò quello della formazione del corpo di spedizione - il cui ordine di mobilitazione venne pubblicato il giorno prima dell'entrata in guerra - e. di conseguenza, quello della sua partenza dali 'Italia. Pallio godeva di un'ottima fama. professionale, quindi nessuno aveva sollevato obiezioni quando era giunto alla conclusione che bastassero 20.000 soldati a prendere e mantenere la Libia. Effettivamente, considerando che la guarnigione ottomana in Tripolitania e Cirenaica ammontava a poche migliaia fra regolari e Arabi, sulla carta la questione poteva dirsi risolta. Ma il ritardo di 12 giorni con cui i trasporti giunsero a Tripoli consentì alla guarnigione nemica di ritirarsi tranquiJlameate nell'interno per organizzarvi la guerriglia e cambiò tutto. L'occupazione del litorale procedè senza difficoltà sotto la protezione dei grossi calibri navali fino all'ultima settimana d'ottobre. «Tripoli-23 ottobre-sera» l'Agenzia Stefani comunica: «La notte è n·ascorsa tranquilla. Stamane si è pronunziato un attacco su diversi punti da parte di nuclei di cavalleria araba, con qualche regolare wrco. L'attacco era già stato respinto ovunque verso le 9,30»iii, Ma intorno a Sciara Sciat l' 11 ° Bersaglieri era stato accerchiato - le linee difensive italiane là non arrivavano fino al mare - ed aveva perso 105 morti e 130 feriti in combattimento. A questi ne andavano aggiunti altri 250 che, catturati, erano stati torturati a morte. Riconquistata subito la posizione, i militari italiani avevano dato inizio ad una serie di durissime rappresaglie. Ma era evidente che bisognava allargare l'occupazione e quindi aumentare il corpo di spedizione. Lo Stato Maggiore reagì tempestivamente, inviò numerosi rinforzi e cominciò l'espansione. 3 Il 26 ottobre la 3 Divisione del generale De Chauraad, assalì il colle di Henni, raggiungendo senza difficoltà i propri obbiettivi e lamentando solo un morto ed un ferito. In tal modo era consolidato il controllo sull'immediato retroterra tripolino e si poteva passare alla conquista della fascia desertica. Per questo, il 4 dicembre, gli Italiani mossero con un imponente spiegamento di forze verso l'oasi di Aia Zara, distante da Tripoli 9 chilometri. Contrastati da un indeciso fuoco d'artiglieria nemico, alle 7 del giorno seguente la presero, l'oltrepassarono e, dopo un'ulteriore avanzata a sud, vi rientrarono attestandovisi per alcuni giorni. Il I 9 un battaglione del 2° Granatieri, con due dell' 11 ° Bersaglieri ed una sezione di artiglieria da montagna uscirono dal campo alle due e mezza del mattino e si spinsero sotto la pioggia fino all'oasi di BirTobras, un incrocio di carovaniere distante circa 18 chilometri da Aia Zara, per liberare alcune famiglie arabe alle quali i Turchi impedivano di sottomettersi. Arrivata sul posto intorno alle Il, la colonna venne coinvolta in un combattimento, che però volse a suo sfavore, tanto che, alle 16, gli Italiani si dovettero ridurre a far quadrato su un' a'ltura per difendersi meglio. disimpegnandosi solo grazie all'arrivo dei rinforzi chiamati da Tripoli. Altre difficoltà si ebbero alla presa ed occupazione di Gargaresch il 18 gennaio 1912. quando l'avanguardia italiana, minacciata d'accerchiamento, dovè ripiegare a scaglioni di compagnia fino al margine dell'oasi prima di riorganizzarsi e contrattaccare vittoriosamente. Estesa l'occupazione al litorale orientale prendendo Bengasi, Tobruk, Homs e Misurata, dopo altri combattimenti vittoriosi ma non risolutivi alle Due Palme e a Zan.wr2 , fu fatto par-

'" Rip. in MALTESi;, op.cit.. parte I, pag. 117. 2 Qui fu il banesimo del fuoco della Regia Guardia di Finanza. Essa, che traeva le proprie origini sia dai Corpi omoninù di alcuni Stati preunitari, sia dalla Legione delle Truppe Leggere istituita in Piemonte nel 1781, era nata come tale solo il 19 luglio I 906, oueaeodo le stellette l'anno seguente e la bandiera il 2 giugno 1911. In precedenza molti Finanzieri avevano combattuto. ma sempre come volontari, a titolo personale e nelle formazioni più diverse in tutti i moti e in tutte le campagne risorgimentali eccezion fatta per il Corpo delle Guardie di Finanza del Governo provvisorio lombardo costituito il 9 maggio 1848, impie-


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tire da Tripoli un convoglio navale diretto prima a Zuara, dove fu compiuta un'azione dimostrativa, e poi sulla punta di Macabe2, una lingua di terra stretta e lunga che chiude verso est la baia di Ferua, a poca distanza dal confine tunisino. Respintovi un attacco nemico e costituitovi un campo, il 28 giugno le truppe italiane da Ferua attaccarono e conquistarono la collina di Sidi Said e il 14 luglio due colonne marciarono contro Sidi Alì, un piccolo centro costiero ad una decina di chilometri, prendendolo dopo una dura resistenza e grazie al fuoco delle navi. Intanto l'ostinata ed elastica resistenza degli Arabo-Turchi aveva convinto gli Italiani che l'unica soluzione per vincere il conflitto consistesse nel tagliare i rifornimenti di armi da Costantinopoli alla Libia e nell'avvicinare la guerra alla Turchia. Per questo motivo fu approntato un Corpo di Spedizione destinato a sbarcare a Rodi e nel Dodecanesol. Si trattava d'un 'ottima base per minacciare i Dardanelli e muovere contro qualsiasi punto delle coste dell'Impero Ottomano per avere una carta in più al momento delle trattative. Il trasbordo delle truppe non presentava difficoltà, perchè la Regia Marina aveva spazzato via la marina turca dal Mediterraneo e dal Mar Rosso, affrontandone e battendone le squadre a largo di Beirut e a Cunfida e costringendone le superstiti unità a rifugiarsi nel Mar Nero. a riparo degli sbarramenti dei Dardanelli. Perciò, scelta Stampalia come base d 'operazione, il 26 aprile un convoglio scortato dalla 2" Divisione Navale vi sbarcò un contingente d'occupazione, adoperandola poi come perno per il successivo attacco a Rodi. Là il generale Ameglio prese terra il 4 maggio nella baia di Calitea con circa 7.000 uomini4 e ricacciò nell'interno il presidio turco di circa 1.500. Poi, il 15, uscl da Rodi col grosso via terra, mandando contemporaneamente un terzo delle sue forze a sbarcare alle spalle del nemico, circondandolo a Psitos e ottenendone la resa dopo un breve scontro avvenuto il 16. L'arcipelago era preso e dopo quattro secoli - si disse riferendosi ai cavalieri di Rodi sconfitti nel 1522 - gli Italiani erano tornati. Mentre occupava tutte le isole minori con reparti da sbarco, la Regia Marina si era preoccupata pure dei Dardanelli, sperando di poterne far uscire la flotta turca per distrnggerla. Il primo tentativo era stato effettuato il 18 aprile, ma come ai tempi dei Veneziani, i Turchi non si erano mossi e ci si era dovuti accontentare di bombardare i forti. riducendone due al silenzio. Dopo l'occupazione del Dodecaneso si decise di provare a forzare gli Stretti col naviglio sottile, sperando di farlo giungere a silurare le navi nemiche. Nella notte dal 18 al 19 luglio, il capitano di vascello Enrico Milio guidò cinque torpediniere attraverso gli sbarramenti dei Dardanelli. Nonostante fosse stato scoperto subito. proseguì sotto le cannonate nemiche fino ad avvistare le unità turche alla fonda a Nagara: ma tra le ostruzioni, le mine, le cannonate e i riflettori che spazzavano il mare mettendo in piena luce le sue torpediniere, decise di non andare incontro alla sicura distruzione e, svicolando fra le granate, tornò indietro con pochissimi danni agli scafi e nessuno al personale. Dai tempi di Morosini nessuno aveva più provato una cosa del genere; e nessuno mai sarebbe riuscito a venir fuori dai Dardanelli senza danni. La minaccia alla capitale. la perdita della Libia, l'imminente scoppio della guerra contro Greci, Bulgari, Serbi e Montenegrini convinsero la Turchia a cedere e a sottoscrivere la pace

gato in Val Sabbia e confluito nel Battaglione Bersaglieri Manara nel 1849. Il battesimo del fuoco della Finanza a Zanzur fu con una compagnia mobilitata. iv Rip. in MALTESE>, op. cit., paragrafo «Sciara Sciar», pag. 147. 3 Le dodici isole che lo compongono ,ono: Stampalia, Cbarki, Scarpanto, Caso. Tilo, Nisiro. Calim• no, Lero. Patrno, Simi, Lipso e Cos. 4 Reggimenti 34° e 57° Fanteria, 4° Bersaglieri, Btg Alpino Fenestrelle. 4 batterie d'artiglieria, un plotone del Reggimento Ussari di Piacenza, aliquote del Genio e dei servizi.


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di Losanna del 18 ottobre 1912. L'Italia si assicurava la Libia e tratteneva iJ Dodecaneso in attesa di ulteriori accordi. La guerra era vinta - si disse - ma non era vero, perchè non terminarono i combattimenti. Gli Arabi avevano proclamato la guerra santa contro gli Italiani cristiani e l'avrebbero proseguita a lungo. Così le truppe italiane si trovarono impegnate in un esasperante stillicidio di scontri protrattosi dal 1913 al 1923, al quale cercarono di porre freno costruendo fortini lungo la costa e nell' immediato retroterra. Complessivamente la passeggiata militare che Po11io credeva di far effettuare alle sue truppe si era risolta ben diversamente dal previsto. Lo Stato Maggiore ed i comandi di grande unità avevano dimostrato una certa pesantezza nel condurre le operazioni. Eppure, sulla base dell'esperienza fatta in Eritrea contro i Dervisci. avrebbero dovuto sapere che le operazioni in colonia avevano successo solo quando erano rapide ed elastiche. Non ne fecero; e tra l'assenza di piani preordinati, la carenza di organfazazione nella mobilitazione delle varie classi, i tempi morti fra la partenza dei congedati e l'arrivo dei richiamati e dei coscritti ai reparti impegnati in prima linea, la mancanza d' iniziativa, originata dei generali e la lentezza nei movimenti, si arrivò alla paralisi. Di conseguenza il Regio Esercito riuscì a tenere sotto controllo, e grazie poi ai cannoni delle navi, il solo litorale fino a poco più di 10 chilometri di profondità. Ma quando nel 1915 iJ supporto della Regia Marina venne a mancare e gli effetti vi del corpo di spedizione furono ridotti, la presenza militare italiana si restrinse quasi alla sola Tripoli.


CAPITOLO XXXV

POLLIO E CADORNA: 27 GIUGNO 1908-24 MAGGIO 1915

Il 27 giugno 1908, il tenente generale 1 Saletta, Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito Italiano, lasciò la carica per raggiunti limiti d'età. Il più indicato a succedergli, per anzianità e competenza tecnica, era, a detta di tutti, il tenente generale Luigi Cadoma, del quale si conosceva bene la volontà d'accentrare i poteri di comando e controllo nelle proprie mani, se fosse stato nonùnato Capo di Stato Maggiore. Nel marzo 1908, se ne era avuta un'ulteriore conferma. Quando l'aiutante di campo del Re, generale Brusati, gli aveva chiesto di chiarire le sue intenzioni, che si diceva consistessero nella esclusione del Sovrano dall'esercizio attivo del comando in guerra, Cadoraa, citando il proprio padre Raffaele, che aveva conquistato Roma nel '70, aveva risposto: « ....è assolutamente necessario che non si rinnovino i fatali dualismi e peggio delle guerre passate e spe-

cialmente del 1866. Ho assorbito talmente da mio padre questo concetto ...che i due concetti dell'unità d'azione, e quindi della cooperazione di tutti verso l'unico scopo sono diventati, si può dire, i due poli della mia azione nei comandi che ho retto e che reggo» 1• Niente di strano che dopo una simile risposta avesse cominciato a circolare nelle alte sfere il nome del generale napoletano Alberto Pollio come eventuale nuovo Capo di Stato Maggiore. Non è però molto chiaro quali siano stati i veri motivi che indussero a preferire Pollio; certo non la questione del comando attivo del Re, visto che già Vittorio Emanuele II non lo aveva esercitato; ma forse può essere avanzata un ' ipotesi. Pollio era, come si sa, coltissimo, brillante, autore di opere militari di gran valore, ma era sopratutto un convinto triplicista. li 1908, ormai lontano, a parte i problemi causati a livello internazionale dall'annessione austroungarica della Bosnia-Erzegovina, fu l'anno in cui si andò più vicini allo scoppio di quella guerra che doveva poi esplodere ugualmente nel ' 15. Infatti, dal 1906, a capo delle forze armate austroungariche era stato posto il generale Franz Conrad von Hotzendorff, che contava di distruggere mediante un attacco preventivo le Potenze da lui giudicate pericolose per la sopravvivenza della duplice monarchia, cioè la Serbia, il Montenegro, l'Italia e la Russia. Sosteneva infatti che fosse necessario aggredirle una dopo l'altra, o almeno attaccare subito le prime tre, altri.menti l'Austria se le sarebbe trovate culle contro in un giorno non lontano e con esiti fatali, perchè non sarebbe mai stata in grado di combatterle unite. Per quanto riguardava l · Italia. bisogna ammettere che, se alla base delle intenzioni di Conrad c'erano motivi di risentimento personale, vi erano ancbe valutazioni, oggettivamente non sbagliate. sull'orientamento politico di Roma. Infatti, dopo un quarto di secolo di rapporti poco cordiali, l' Italia dal 1896 aveva intrapreso un riavvicinamento alla Prancia. Eliminando quei contenziosi doganali e coloniali che le

I Si ricorda che fino a tutta la Prima Guerr<1 Mondiale i gracli di generale di corpo d'armata e d'armata non esistevano in quanto 1ali; e le Grandi Unità complesse erano rette da tenenti generali, «designati cli corpo d'armata» e «designati d'annata». i Cadoma. rip. in G. ROCCA, «Cadoma», Milano, Mondadori. 1985, cap. «Così si comanda», pag. 39.


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avevano opposte per anni, le due Potenze si facevano un reciproco favore poli1ico. La Francia mirava ad indebolire la Germania d ,minuendo la Triplice Alleanza di un membro, forse non molto pericoloso, ma ~empre in grado di distrarle truppe sulle Alpi, a rutto vantaggio dei Tedeschi sul Reno2. L'Italia tendeva invece a riacquistare quella libertà di movimento che aveva perso colla politica filogennanica di Crispi. In questo la Francia tornava assai utile, poichè era alleata alla Russia ed aveva un· «Intesa cordiale» colla Gran Bretagna la quale, pur mantenendosi equidistante dai due blocchi continentali. era preoccupata dalle mire espansionistiche dell'imperatore Guglielmo II. Ma, anche senza il riavvicinamento a Parigi. a Roma tirava un'aria assai diversa da prima. Vittorio Emanuele Ill, già poco incline ai Tedeschi per conto proprio, non sopportava assolutamente il Kaiser, aveva buoni rapporti personali colla Russia, per via della regina Elena, cresciuta alla corte degli zar, e ne manteneva di altretlanto buoni col re d'Inghilterra Edoardo VII. Politicamente il colpo più grosso alla saldezza della Triplice era stato vibrato nel I 902, quando il ministro degli Esteri, Prinetti, aveva garan1ito all"ambasciatore francese che, se Parigi fosse stata attaccata dagli altri due membri dell'Alleanza, Roma, intendendola come puramente difensiva, sarebbe restata neutrale. Era la «politica dei giri di valzer», come la definirono i Tedeschi, che consentiva ali' Italia di mantenersi in equilibrio fra i due blocchi contrapposti in modo da ritrovare un proprio spazio di manovra. Ad essa s'era aggiunto però anche un progressivo aumento dell'attività dell'Ufficio Informazioni dello Stato Maggiore del Regio Esercito contro l'Austria, proprio a partire dal 1902. Tanto per citare alcuni esempi: dalle ricognizioni oltre confine ordinate nel 1902. si era passati al riconoscimento della costa istriana e dei forti di Pola e Brioni e all'osservazione clandestina delle manovre di sbarco austriache dell'estate 1903. L'anno seguente altre ricognizioni in Trentino, alle quali. nel settembre 1905, era seguito lo spionaggio delle manovre austriache. sempre in Trentino. Le attività di spionaggio, anche se dirette contro i propri alleati, rientrano nelle cose normalmente accettate; e forse a Vienna non ci se ne preoccupava più di tanto. Ma l'occhieggiamento di Roma verso Parigi e San Pietroburgo induceva Conrad a ritenerla infida: e quindi meritevole di essere distrutta al più presto per la sicurezza dell'Impero. Le manovre austroungariche del 1907 furono il primo segnale d'allarme. Di nuovo furono tenute verso il Trentino, ma questa volta con due differenti scopi. Apparentemente si trattava di provare l'uso delle mitragliatrici e degli apparati radiotelegrafici. In realtà mascheravano il raddoppiamento delle capacità ferroviarie del nodo di Klagenfurt, deputato al concentramento dell'esercito in caso di guerra contro l' Italia, portandolo fino ad una potenzialità ricettiva che la relazione stesa per il Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito dall'Ufficio Informazioni valutò a non meno di 400.000 uomani. D'altra parte, lo S.M.R.E., convinto che il più probabile piano austriaco dovesse consistere in un rapido concentramento ferroviario delle grandi masse di cavalleria, stanziate perlopiù sul confine orientale dell'Impero, per farle irrompere nella Pianura Veneta e travolgere completamente il dispositivo militare italiano, stava correndo ai ripari. Aveva infatti già intrapreso. neu·ouobre del medesimo anno. il riconoscimento e la valutazione del movimento ferroviario austroungarico, effeuivo e potenziale, e della consistenza e locai inazione delle forze di cavalleria stanziate verso il confine russo. Se non accadde nulla di pericoloso per l'Italia a livello internazionale, fu solo grazie al1·opposi1ione di Francesco Giuseppe. Ma intanto qualcosa dei preparativi di Conrad era trape-

2 È famosa la frase di Bismarck. secondo il quale sarebbe bas1a1a la presenza di un solo lamburmo italiano i.ulle Alpi per attrarvi subito un intero corpo d'armata francese dal Reno.


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lato e, anche se il Ministero degli Esteri italiano reputava la cosa assolutamente infondata, il Governo, visto quanto gli comunicava invece lo spionaggio militare, si preoccupò non poco. In quest'ottica Roma non poteva far quindi nulla di meglio, per tentare ili rassicurare i suoi alleati, che mettere a capo del proprio esercito un generale il quale, oltre ad essere politicamente sicuro, convinto assertore com'era della Triplice, avesse anche ottime relazioni personali, e magari familiari, con essi; e Pollio godeva di gran credito nei circoli militari tedeschi ed aveva sposato una baronessa austriaca. Se poi si trattava di una persona colta, preparata e non intenzionata a fomentare difficoltà o discordie, come invece Cadoma avrebbe certamente fatto accentrandosi il comando effettivo, tanto meglio per tutti. E se infine si pensava al ruolo ricoperto nel Risorgimento dal padre di Cadoma, si poteva immaginare che effetto avrebbe potuto avere a Vienna la sua nomina. Ma la cosa importante fu che Pollio risultava gradito ai Tedeschi, i quali avevano bisogno dell'Italia in funzione antifrancese ed ai quali, nel 1913, proprio Pollio avrebbe promesso l'invio di 5 corpi d'armata sul Reno in caso di guerra contro la Francia ed il concentramento sulle Alpi di tutto il resto del Regio Esercito. Se Berlino gradiva, Vienna doveva adeguarsi. Quindi quella ili Pollio era senza dubbio la scelta migliore. Nella peggiore delle ipotesi, nel caso cioè che la condanna fosse solo stata rinviata ma non annullata, dava almeno abbastanza tempo per organizzarsi un po'. E difatti. nella primavera del 1908. l'Ufficio Informazioni era riuscito sia a mettere in piedi la rete di spionaggio del sistema ferroviario orientale austriaco, in modo da poter conoscere ogni movimento verso ovest delle unità nemiche, specie ili cavalleria, sia ad abbozzare una rete di confidenti che segnalassero n1tti i movimenti navali di truppe in Dalmazia dove, vista la carenza di strade, si trasferiva quasi tutto per mare3. Per questi fatti, si può ritenere con una certa fondatezza che il motivo della scelta del generale Pollio sia stato politico e non militare. Non fu sufficiente a calmare del tutto le acque basti pensare alla richiesta di Conrad, avanzata pochi mesi dopo. d'approfittare dell'impegno del Regio Esercito al sud, in seguito al terremoto di Messina del 1908, per attuare l'auspicata guerra preventiva - ma certo fu un fattore ili stabilizzazione nei rapporti fra l'Italia e le sue alleate di allora, che permise l'evoluzione della politica estera nazionale verso il disimpegno e il naturale sbocco della primavera del 1915. Del resto. se Pollio aveva dei difetti, Cadoma ne aveva di più. A parte il fatto - gli rù1facciavano - di non essere nemmeno riuscito a vincere le manovre estive del 1911, facendosi battere da Caneva, che aveva ottenuto così e per questo il comando del corpo di spedizione in Libia. aveva già esplicitamente detto quali fossero le sue concezioni operative; e non c'era da stare ali.egri. Nel suo studio sull'istruzione tattica, pubblicato a Napoli, aveva delineato, in modo rigido e preordinato, la condotta che avrebbe poi imposto alle truppe sull'Isonzo e quella che si attendeva dal nemico. Dimenticava che però il nemico, chiunque sia, non reagisce mai come ci si aspetta e quindi quanto meno si preordinano i particolari della sua risposta ad una nostra azione, tante più possibilità si hanno di pararla. Passando su tutto questo, Cadoma in pratica presumeva che nulla fosse meglio dell'attacco frontale per vincere una battaglia, in qualunque condizione di tempo, di terreno, di durata e

3 (n più, a partire dal 1910, il colonnello Redi, capo del servizio controspionaggio austroungarico e spia al soldo dei Russi , aveva offerto i propri servigi all'addetto militare italiano a Vienna. Indirizzato al locale agente di collegamento dell'Ufficio Informazioni dello S.M.R.E., Redi, sotto la sigla K.K.. cominciò a fornire informazioni per posta e continuò fino al 1913, anno in cui, scoperto, accettò di suicidarsi per evitare all'esercito imperiale uno scandalo enorme. che comunque scoppiò ugualmente. Subito dopo essere stato scoperto Redi inviò a Roma una cartolina, in data 25 maggio 1913, su cui per comunicare la cessazione della sua attività. scrisse "Bi11 verrate11 u11d ver/ore11 K. K. " (mi sono tradito e perduto K. K.).


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di rapporto di forze essa si combattesse. Dunque una strategia aprioristicamente rigida, un po' troppo basata sulle tattiche offensive napoleoniche e su quella scuola il cui miglior esponente. Federico il Grande, diceva che per vincere tre cose occorressero: «Attaccare, attaccare, attac-

care sempre!». U 28 giugno del 19 [4 l'erede ai troni d'Austria e d'Ungheria fu ucciso a Sarajevo. O Al mattino del I luglio, a Torino. Poli io morì improvvisamente per un attacco cardiaco; e questa volta il Regio Esercito ebbe, come Capo di Stato Maggiore, il tenente generale Luigi Cadoma. Piemontese, apolitico. non sgradito al Re, sessantaquattrenne, sicuro di sè e fino ad apparire presuntuoso ed insofferente di qualsiasi critica o rilievo, cattolico e clericale4 in un ambiente permeato di massoni, il nuovo comandante dell'Esercito si trovò a dover fronteggiare l'impreparazione dei politici e dei .militari, lui compreso. davanti alla guerra mondiale che stava scoppiando. Negli ultimi dieci anni la situazione europea non aveva fatto altro che deteriorarsi. La Russia, visti bloccati i suoi tentativi espansionistici in Asia ad opera del Giappone nel 1905, si era concentrata sull'Europa. Proponendosi come guida e protettrice cli tutti i popoli slavi, alimentava il desiderio d'indipendenza e di crescita delle piccole nazioni balcaniche, i cui due diretti avversari erano gli stessi contro i quali non poteva scendere apertamente in campo senza causare una guerra di enormi proporzioni. L' Austria, strettamente legata alla Germania. non poteva essere assalita direttamente, ma poteva essere indebolita mediante un aumento del1' influenza russa. che avrebbe provocato certamente dei movimenti politici centrifughi nelle zone slave del dominio asburgico. E dunque era stato pure per prevenire i Russi che Vienna aveva consolidato il proprio possesso della Bosnia. caricandosi di parte del peso che l'altro secolare avversario dell'espansione zarista, l'lmpero Ottomano, non poteva più reggere a lungo5. Ma la picconata che doveva rivelarsi definitiva per lo smantellamento dell'assetto balcanico era stata quella inferta dagli Italiani. La guerra di Libia aveva infatti costituito la dimostrazione che la Sublime Porta. «il malato del Bosforo», poteva essere scarnificata quando era ancora in vita, senza che le Grandi Potenze intervenissero ad impedirlo. CostantinopoJi6 aveva appena finito di perdere la Libia ed il Dodecaneso che si era ritrovata aggredita da _Greci, Bulgari, Serbi e Montenegrini, resi sicuri dall'ombra della bicipite aquila imperiale russa, ai quali dovè lasciare quasi tutto il territorio che ancora possedeva in Europa7. E questo accrescimento della potenza slava - rappresentata nei Balcani dalla Serbia, sostenuta dalla Russia - provocò. come previsto. una certa tensione ai confini meridionali della monarchia danubiana, tensione che a un certo punto esplose incontrollatamente nell'assassinio di Francesco Ferdinando a Sarajevo.

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E non fu un caso se, dopo la loro scomparsa dai reparti e la Iimitazione della loro attività agli Ospedali, col principio della guerra ricomparvero i Cappellani Militari, soppressi nell'ultimo quarto del secolo precedente. 5 Un sintomo di questi contrasti fu la dimostrazione navale seguita alle tensioni sviluppatesi nel Cossovo, nella zona di Salonicco e in quella di Monastir nel 1905. in seguito alle quali una squadra navale italoanglo-austro-franco russa (RRNN Garibaldi e Ostro) il 26 novembre aveva sbarcato 626 fanti di marina tra cui 107 italiani - nell'isola di Metelino, ripetendo lo sbarco a Lemno il 5 dicembre per indurre il Governo turco a seguire gli ammonimenti delle Potenze. La squadra lasciò Metelino il 19 dicembre 1905. 6 Incidentalmente la Guerra di Libia mise fine alla riorganizzazione della Gendarmeria Macedone incominciata dall'Italia nel I904 e portata avanti fino appunto al 1911 da ufficiali e sottufficiali dei Carabinieri Reali. 7 Ad aiutare la Grecia accorsero parecchi volontari. Tra di essi Ricciotti Garibaldi, il quale inquadrò militarmente 10.000 volontari europei - tra cui 2.000 italiani -e ne assunse il comando. guidandoli in battaglia contro i Turchi e distinguendosi particolarmente a Giannina.


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L'Austria-Ungheria inviò un ultimatum a Belgrado. La Serbia, sicura dell'appoggio dei Russi e seguendone le disposizioni. respinse le ingerenze di Vìenna. Fu l'ambasciatore d' Austria a Belgrado, von Giesl. che ruppe le relazioni fra i due Paesi: « ... un imperiale e regio diplomatico di seconda classe, che 11011 avrebbe mai osato prendere da solo la pilÌ piccola decisione, difronte a una questione di tale importanza aveva deciso improvvisamente di sua iniziativa creando il/atto compiuto»". Restava solo una possibilità; che Francesco Giuseppe non accettasse quel fatto compiuto; ma. come sappiamo dal suo aiutante, generale barone von Margutti, ciò non accadde: <<L'Imperatore nel Luglio del 1914 si è deciso alla guerra basa11dosi sulla situazione esistente»ii,, a lui quindi la responsabilità di aver scatenato la guerra: 25 luglio, l'Austria-Ungheria mobilita e il 28 dichiara guerra alla Serbia: 30 luglio, la Russia mobilita; l • agosto, l'Impero germanico le dichiara guerra: Francia e Germania mobilitano; 3 agosto: i Tedeschi dichiarano guerra alla Francia ed entrano in Belgio: 4 agosto, l'Inghilterra. visto che le truppe del Kaiser sono sulla Manica, entra in guerra, ufficialmente per «salvare il povero Belgio», ma in realtà per continuare, come sempre negli ultimi duecent'anni, ad impedire che una Grande Potenza navale s"installi sul Canale: 6 agosto: l'Austria-Ungheria dichiara guerra alla Russia; 11: la Francia fa lo stesso nei confronti dell'Austria, seguita, il giorno dopo, dalla Gran Bretagna. In tutto questo caotico incrociarsi di note ed ultimatum sui tavoli delle cancellerie europee. il capo del Governo italiano, Salandra, ed il ministro degli Esteri, Marchese di San Giuliano, non avevano perso tempo a cavarsi dai guai. Il 24 luglio, appena saputo dell"ultimatum inviato da Vienna a Belgrado, avevano convocato l'ambasciatore tedesco Flotow, che era come loro a Fiuggi a passare le acque e gli avevano comunicato che, poichè la Triplice era un'alleanza difensiva e l'Austria-Ungheria stava effettuando una mossa aggressiva. l'Italia si dichiarava non disposta ad appoggiarla. Cadorna però non sapeva ancora nulla della posizione governativa e, visto il susseguirsi degli avvenimenti. aveva provveduto intanto a prendere visione degli impegni sottoscritti da Pollio, che prevedevano l'invio dei famosi 5 corpi d'armata italiani sul Reno ed il concentramento sulle Alpi occidentali di tutto il resto del Regio Esercito. Quando venne a conoscenza della dichiarazione della neutralità italiana, stupito, andò da Salandra. «Gli dico: «La neutralità che ha dichiarato significa che la guerra colla Francia 11011 si farà mai pi,,». Mi risponde «Si» «Allora - dico io - che cosa debbo fare ?» Mi guarda. «Debbo preparare la guerra contro l'Austria?» «Questo è evidente». Mi dice «Si, sta bene»iY_ Il Regio Esercito non era in condizioni ottimali. L'impegno in Libia aveva logorato i materiali e parecchi tipi di dotazione andavano ricostituiti o creati dal nulla. Carenti in artiglierie pesanti. in mitragliatrici. vestiario e buffetterie, le truppe italiane potevano però contare su un'ottima artiglieria da campagna e da montagna ed un'enorme superiorità numerica. Solo che, come nel 1848 e nel 1911, la guerra fu dichiarata quando l'esercito non era ancora concentrato. Fu commesso l'errore che era stato evitalo da Carlo Alberto ma che sarebbe statoripetuto nel '40: si ritenne che fosse necessario armare tutti prima di cominciare a combattere seriamente, invece di sfruttare l'occasione attaccando, magari anche solo con mezzo esercito, il nemico già impegnato su altri fronti. Fra il 4 maggio ed il 15 giugno 2.500 treni provvidero alla mobilitazione ed altri 4.500 alla successiva radunata delle truppe; ma i servizi principali furono in grado di funzionare solo dal 9 giugno, cioè oltre due settimane dopo l'inizio delle operazioni.

ii F., HERRE. op. cii., cap. «La caduta», pag. 443. iii Montenuovo, rip. in A. dj MARGUrn, ·'L'imperatore Francesco Giuseppe", Milano, AgneUi, 1931. pag. 221. iv Cadoma, rip. in ROCCA, op. cit., cap. Ili, pag. 47.


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AU"impreparazione dei militari fece eco quella dei diplomatici, che firmarono il Patto di Londra chiedendo molto meno di quanto gli Alleati, in piena crisi, specie sui Dardanelli, sarebbero stati disposti a concedere pur di vedersi aprire un altro fronte contro gli Imperi Centrali: non fu chiesta Fiume; ci si limitò a domandare qualche generica rettifica di confini in Africa e non si avanzarono pretese chiare sul Medio o sull'Estremo Oriente. «In nuce>► la politica estera dei successivi venticinque anni fu decisa il 26 aprile 1915 dai diplomatici forse più sprovveduti che l'ltal.ia avesse mai avuto. SaJandra poi, preoccupato dall'acceso neutralismo del Parlamento, che era dunque favorevole aJ suo avversario Giolitti, lasciò trapelare il meno possibile; e così soltanto pochi giorni prima dell 'entrata in guerra Cadorna seppe che il Governo s'era impegnato a partecipare al conflitto entro il 26 maggio. Il 24 maggio il Regio Esercito mosse oltre la frontiera, articolato su 4 armate ed una riserva, comprendenti 14 corpi d'armata per un totale di 4 divisioni di cavalleria. 35 di fanteria di linea, 1 di Bersaglieri e 2 gruppi alpini. Un milione e mezzo d'Italiani e 1508 navi costituivano la spada con cui la Casa di Savoia si apprestava, per la quarta volta in settant'anni, a scendere in campo contro quella d'Asburgo per il loro ultimo e mortale duello.

7 Al comando di Luigi Amedeo di Savoia-Aosta, duca degli Abruzzi (capo di S.M. L'ammiragljo Thaon ili Revel) la flotta era costituita da 3 corazzate dreadnought, 8 pre-dreadnought (definite incrociatori corazzati), 9 incrociatori pesanti, 8 leggeri, 33 cacciatorpediniere, 69 torpediniere e 20 sommergibili. Il naviglio era diviso in due squadre: una di tre. l' altra di due divisioni navali, alle quali si aggiungevano una divisione speciale comprendente le navj più vecch ie e la divisione navale d'Albania.


CAPITOLO XXXVI

LA GRANDE GUERRA: 1915- 1918

I) "Il Piave mormorava.....:i 1915 Vestiti in grigioverde - l'uniforme adottata dal Regio Esercito nel 1908, composta da giubba monopetto a bottoniera coperta e colletto rigido, pantaloni al ginocchio, mollettiere e berretto a visiera di tela - e dotati. per l'armamento individuale, del famoso fucile modello 1891 e baionetta, gli Italiani andarono in guerra con un notevole entusiasmo. Non solo tutti erano convinti di poterne uscire in breve tempo, nonostante la diversa esperienza maturata sul fronte occidentale da Franco-Inglesi e Tedeschi; ma si trattava soprattutto della guerra contro la nemica ereditaria. L'Austria contro cui avevano combattuto i nonni, che aveva sovrastato minacciosa i padri, ora era affrontata dai figli dei combattenti del Risorgimento - se erano ufficiali superiori - e dai nipoti - subalterni e truppa - io quella che fu definita ed era sentita veramente come la Quarta Guerra d'Indipendenza. L'interventismo e il volontarismo furono certamente appannaggio di minoranze; ma erano trasversali alJ'arco politico, tanto da far espellere il direttore dell'organo socialista "L'Avanti" - Benito Mussolini - per essersi pronunciato contro la pace ed a favore della guerra. E molti furono gli esponenti della cultura e della politica ad accorrere alle armi. Non rimase a casa neanche un intellettuale italiano I. Scrittori come Ardengo Soffici, i fratelli Stuparich, Carlo Emilio Gadda, Giuseppe Ungaretti e Scipio Slataper, pittori come Balla, Boccioni e Rosai, socialisti convinti e notissimi come Mussolini, Battisti c Bissolati sarebbero accorsi al fronte con Marinetti e Arturo Toscanini. Ma tra tutti avrebbe spiccato il Vate d'Italia, il trascinatore delle folJe, l' idolo della giovane generazione. l'Immaginifico Gabriele D'Annunzio. "Fante tra i Fanti" sul Carso, poi - specie per i grattacapi che procurava ai comandi superiori per il rischio che ci rimettesse la pelle - passato alla Marina come ideatore e animatore di ardite incursioni, sperimentatore degli aerosiluranti fu, infine, aviatore spericolato egli stesso, tanto da rimetterci un occhio in atterraggio. Tmti, grandi e piccoli, dai Principi Reali - come Amedeo di Savoia, primogenito del Duca d'Aosta che barò sull'età pur di farsi arruolare come artigliere semplice - agli analfabeti più umili, risposero alla chiamata e accorsero dai quattro angoli del mondo. Impressionante fu. specie per gli Alleati franco-inglesi, constatare la quantità di emigrati italiani che. pur essendo consci dei rischi mortali a cui andavano incontro, tornarono dall'Europa, dal l'Africa e dall'America per arruolarsi e combattere ·'per il bene inseparabile del Re e della Patria". Tutti vennero; e furono inquadrati in quattro arrnate. Di esse due, la 1• e la 4•, dovevano operare contro il Trentino e due, la 2• e la 3" oltre lo Iudrio, sul Carso e sulJ · Isonzo.

i Primo verso della canzone «La leggenda del Piave,, di E.A. Mario. 1 A differenza di quelli austriaci, la maggior parte dei quali o cercò l'esenzione, o si fece assegnare

agli uffici, come Rainer Maria Rilke o Stefan Zweig.


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I piani di Cadorna erano improntati ad una decisa offensiva, per superare le Alpi Orientali. sfociare in Slovenia e congiungersi ai Serbi provenienti da sud e ai Russi in arrivo da est. Il procedimento tattico cardinale per conseguire questo ampio risultato strategico era, come accennato, l'attacco frontale, già esposto nella sua citata opera d'anteguerra ed assunto ai fasti più alti colJa circolare n.191 del 25 febbraio 1915, intitolata appunto «Attacco frontale ed ammaestramento tattico»2. Restava da vedere se ciò fosse realizzabile: e qualunque persona meno cocciuta e più pragmatica del Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito non avrebbe esitato a rispondere di no a tale domanda. Due elementi in possesso di tutti erano in grado di fornire una buona chiave d'interpretazione del futuro. L'armamento, intanto, tutt'altro che consistente per quanto atteneva alle dotazioni dei reparti di fanteria: mancavano le bombe a mano e mancavano le mitragliatrici: per le seconde la produzione nazionale non consentiva di superare le 50 unità al mese e, all'entrata in guerra, si poterono armare solo 303 sezioni mitraglieri di battaglione su 618. Alla scarsezza di armi andava aggiunta la comparsa della guerra di trincea, cui nessuno degli eserciti del mondo era preparato e che richiedeva attrezzature ed impoMazioni tattiche nuove. L'impantanamento subito da Tedeschi e Franco-Inglesi non poteva essere preso come un caso. Se si era verificato su un terreno privo di grandi rilievi naturali come le Fiandre, a maggior ragione ce lo si poteva e doveva aspettare su quello friulano, accidentati~simo ed incorniciato dalle alte montagne del confine italo-austriaco. Ma, paradossalmente, nè il Comando supremo italiano nè. ed è ancora più incredibile, quello austroungarico, presero in considerazione tale eventualità. Cadoma, a chi gh aveva chiesto come e cosa prevedesse per l'andamento delle opera110ni, aveva risposto: «Tutt'al pitì sverneremo a Lubiana»". E Conrad aveva deciso di non opporre resis1enza, ma di concentrare il suo grosso proprio nella conca di Lubiana per attendervi gli Italiani e distruggerli in un'enorme battaglia campale. Per riuscirvi il Capo di Stato Maggiore austriaco aveva però bisogno di altre IO divisioni e, poichè i Tedeschi, ai quali le aveva chieste, non gliele avevano concesse dovè cambiare i propri piani e scegliere la guerra di logoramento. Appoggiandosi ad un terreno favorevolissimo e rinforzato da opere fortificate, le truppe austroungariche avrebbero retto per oltre un triennio, senza troppe difficoltà: mentre le fanterie italiane si sarebbero dissanguate in assalti poderosi. che sarebbero costati la vita di 502.289 fanu su 680.000 morti di tutte le Forze Armate. Come s'è detto, i piani di Cadorna erano improntati all'offen\iva; ma net primissimi giorni i comandanti in subordine non seppero eseguirli colla rapidità ed il coordinamento necessari. perdendo l'occasione di arrivare a Trieste. Ben presto le posizioni avversarie s i rivelarono molto ben munite. protette da fasce di reticolati profonde fino a 25 metri e rinforzate da artiglieria leggera. E per carenza dì munizioni i cannoni italiani non riuscivano ad aprire nel filo spinato varchi tali da consentire il passaggio alla fanteria attaccante. Si decise allora di provare ad usare le pinze tagliatili. Se ne distribuirono 20 per compagnia. ma si constatò che neanche intaccavano il filo spinato e servivano solo a far uccidere i volontari che le dovevano adoperare.

2 Scriverà nel proprio diario ( « 1915- 1919: diario di guerra». Milano, Mursia. 1996. pag. 169) ~otto Castagneviu.a. il 17 agosto 1917, il tenente del Genio Lanciafiamme Paolo Caccia Domìnioni: «Cè i11 ,:i• ro, da q11ah-he 1empo. 11n noin.10 pestilen:iu/e librelto i111110/ato "AJtacrnJromale e am111ae.1trame1110 1111tico ": c'è .fcriuo dentro come bisognafart a prendere la pim:ione. E allora possiamo anche dimemicare che il colle obiettiva è jianche,:giato da due val/011cel/i aperti e ben visibili fino in fondo, molto meno for• tificati. c·he vembrano messi lì apposta per l'aggiramento» 11 Cadoma, rip. in F BANOINI, «Il Piave mormorava ..... , Milano. Longancsi. 1965. pag. 48.


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Vista la nullità dei risultati, dalla fine di giugno si passò ai tubi di gelatina esplosiva. Di ferro, cavi, lunghi da 6 a 8 metri, contenevano una carica di gelatina, la cui deflagrazione distruggeva il filo spinato. Durante la notte le squadre strisciavano fino ai reticolati nemici e vi spingevano sono i tubi, poi ne accendevano la miccia, di solito con un sigaro. tenuto fino allora in bocca dalla parte accesa per evitare che il nemico ne vedesse il bagliore. I risultati, certo migliori di quelli ottenuti colle pinze tagliafili, non erano comunque rallegranti, visto che la profondità dei passaggi aperti nei reticolati non era quasi mai tale da consentirne il superamento. Già durante la J Battaglia dell'Isonzo, gli uomini delle prima ondata che si avventarono verso i varchi non riuscirono a passare, perchè i reticolati, o erano rimasti intatti o, peggio, erano apparentemente devastati, ma in realtà aggrovigliati e resi ancora più impraticabili dal bombardamento preparatorio dell'artiglieria. Il 7 luglio tenninò la I Battaglia dell' lsonzo il cui obbiettivo - mancato - era consistito nell'apertura della strada per Trieste e Lubiana; e poco dopo cominciò la seconda, nella quale furono impegnate la 2', la 1" e la 4' Annata, spostando la pressione dal mare verso l'interno. Ma quando anch'essa tenninò si vide che l'andamento delle operazioni era stato alquanto deludente. Nelle due battaglie deU 'Isonzo erano caduti 56.813 italiani contro 57.038 austriaci; e gli. unici risultati concreti. peraltro assai ridotti, erano stati ottenuti dalla 3• Armata coll'attraversamento del canale Dottori e la presa di Monfalcone. In tutti gli altri settori la durissima resistenza nemica era costata un elevato numero di vite per niente. I problemi che nelJ'autunno, si presentavano a Cadoma però non consistevano solo nel superamento delle difese avversarie, ma anche nel convincere la Nazione che non si poteva agire meglio di lui e nell'alleggerire gli Alleati. La Russia aveva subito la pesante sconfitta di Tarnow-Gorlice, che aveva portato i Tedeschi ad avanzare inarrestabilmente verso est. La Bulgaria era allora entrata in guerra a fianco degli Imperi Centrali e, anche grazie al suo intervento, la Serbia era crollata ed il suo esercito si era salvato dalla distruzione solo grazie all ' intervento della Regia Marina, che lo aveva imbarcato quasi al completo sulle proprie navi trasportandolo in salvo oltre l ' Adriatico. Ora l'unico modo di alleviare la vittoriosa pressione nemica all'est, concentrata solamente sulla Russia, era quello d'impegnare ad ovest gli Austro-Tedeschi. Di conseguenza il 20 settembre i Francesi attaccarono nell'Artois e nella Champagne, andando però incontro a perdite elevatissime senza risultati. Agli Italiani era stato chiesto di mettersi all'opera per attrarre forze austriache sull'Isonzo. Poichè gli occorreva un successo prestig ioso per rialzare il morale delle truppe e la fiducia nutrita in lui dal Governo e dal Paese, Cadorna decise di tentare ancora il forzamento delle difese austriache sul Carso per un risultato di gran risonanza. L'obbiettivo strategico delJa Terza Battaglia dell 'lsonzo, iniziata il 18 ottobre e che sarebbe durata fino al 4 novembre. con 290.000 uomini e 1.363 cannoni contro 105.000 austriaci e 625 pezzi, sarebbe stato la presa di Gorizia. Per raggiungere la città occorreva però oltrepassare una formidabile Linea difens iva, che andava dal Monte Sabotino, a nord, attraverso la catena collinosa di Peuma ed Oslavia. fino al Podgora, a sud, dove i Veneziani avevano combattuto gli Austriaci trecent'anni prima. L'operaz ione fu assegnata al VI Corpo d'Armata, che affidò la presa del Sabotino alla 4• Divisione, alla quale toccò il compito più ingrato, cioè l'attacco del fortino del Sabotino verso San Mauro. che era sostanzialmente il perno dell'intera difesa. Protetto da trincee e reticolati a non finire. il settore era stato reso ancora meno praticabile da grandi ed estesi vigneti, tra i cui pali gli Austriaci avevano teso filo di ferro in gran quantità per rallentare l'avvicinamento. La sera del 27 ottobre ai primi battaglioni dei due reggimenti1 incaricati dell'azione foro3 Erano il I O e il 2° Granatieri di Sardegna.


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no distribuite 300 bombe a mano. 6 tubi esplosivi, 8 pinze tagliafili e, per la prima volta, 40 elmetti metallici del modello francese «Adrian»4 • All'alba del 28 l'artiglieria italiana aprl il fuoco con un'intensità senza precedenti; ma gli attacchi non ebbero risultati, infrangendosi senza speranza contro il filo spinato. Li si ripetè ininterrottamente nei giorni seguenti. La truppa era in condizioni disastrose: il colera impazzava fra i soldati; la pioggia continua aveva reso il campo di battaglia un pantano e le trincee fossi. Il freddo era intenso cd i reparti provati e assottigliati. È di quel periodo un rapporto in cui il generale Capello, comandante del VI Corpo d'Armata, scrisse d'aver visto «no11 degli uomini, ma dei pezzi di fango ambulanti, che faticosamente si trascinavano verso il nemico. Ad essi non mancava la volomà ...ma...laforzafisica»iii e che i rincalzi erano «truppe che vivono da giorni nell'acqua e nelfango»iii. Ad ogni modo i «pezzi di fango ambulanti» saltarono fuori dalle trincee urlando «Savoia!»e sguazzarono più in fretta che poterono su per il Sabotino. Come sempre capitava, caddero subito quasi tutti gli ufficiali e i sottufficiali. I plotoni vennero ad essere comandati dai caporali; e ancora una volta l'attacco s'infranse sui reticolati. 11 2 novembre fu l'ultimo tentativo. Fra morti, feriti e dispersi mancavano all'appello 67.000 italiani. Nella 3" Armata le perdite si aggiravano sul 30 % degli effettivi. Sabotino, San Michele, Sei Busi. OsJavia, Quota 188. Calvario. Trincea dei razzi, Trincea delle celle, Trincea delle frasche: ogni nome un cimitero. Ma Cadorna insistè. II 9 novembre i comandanti della 2• e 3' Armata ricevettero l'ordine d'operazioni n. 21, che imponeva Ja ripresa degli attacchi sugli stessi obbiettivi per la mattina seguente. Dieci novembre 1915: inizia la Quarta Battaglia dell'Isonzo. Nebbia e nubi basse. pioggia gelida a torrenti e vento freddo imperversavano sui fanti italiani all'attacco; I 6 novembre, J 7 novembre. I8 novembre, 19 novembre: attacco su attacco, morti su morti contro reticolati inestricabi Ii. Quando di nuovo constatò la totale inutilità degli sforzi e si rassegnò ad accettare la sconfitta, Cadorna, utilizzandolo, si disse, come capro espiatorio trasferì ad un comando operativo il capo della sua «segreteria», detta «il comandissimo», che era il ristretto ambito dello Stato Maggiore del Regio Esercito che pianificava le operazioni. Era un "siluramento", cioè, seguendo l'esempio dato da Joffre in Francia fin dall'estate del 1914, una di quelle sostituzioni di comandante fatta ogni volta che, a giudizio di Cadoma, un generale si rivelava non all'altezza del compito affidatogli.

TI) 1916: Coorad, il Ceogio e "Santa Gorizia"

Nonostante le terribili prove del primo semestre di guerra, aggravate dal vestiario inadatto - nessun esercito europeo tranne quello russo era dotato d'indumenti per superare la stagione rigida, sopratutto in alta montagna - l'invernata 19 I 5- 1916 trovò gli l taliani con un morale piuttosto buono, che veniva ulteriormente elevato da qualche atto di sfida all'avversario, dalle gare di pattuglie al furto di oggetti ai danni del nemico. Questi piccoli fatti, comuni in tutti i

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Fino allora l'unico copricapo, identico per quasi tutti i reparti dell'esercito, era staio il berretto di tela con visiera. Per quanto riguarda le bombe a mano questa è la prima banaglia in cui gli llaliani le usarono; e può essere interessante notare che non si trovano cenni in merito all'uso di tali anni da parte degli Austriaci fino a tutto l'autunno 1915. mentre invece se ne parla a partire dall'inverno 1916. iii Capello, rip. in RoccA. "op. cit.", cap. «Toh le trincee». pagg. 102-3 e in M. StLVESTRI. «Isonzo 1917», Torino, Einaudi. 1965, cap. «Cosl combatteva l'esercito».


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settori di tutti gli eserciti su ogni fronte, venivano corroborati da un altro evento, cioè la visita che Vittorio Emanuele III compiva ai reparti, sempre all' improvviso. Unico tra i capi di Stato alleati a trascorrere la guerra sempre al fronte, tranne che per brevi licenze, il Re era molto ammirato e benvoluto dai soldati. Quasi nessuno di loro l'aveva mai visto prima del conflitto e, nonostante fosse alquanto impacciato e chiuso, bastava il fatto che si trovasse fra loro, nello stesso fango. per farlo sentire vicino come qualsiasi fante. «Salva il re che dimesso l'ermellino e la porpora come il fantaccino renduto in panni bigi, sfanga 11elfosso e va calzato d 'uosa»iv avrebbe cantato D'Annunzio in quel periodo, consacrando colla sua musa - non al meglio delle sue possibilità a dire il vero - l'appellativo di "Re Soldato" che Vittorio Emanuele ID avrebbe meritato colla sua diuturna presenza in prima linea per 41 mesi di guerra. Le sue visite si svolgevano più o meno sempre nello stesso modo. Ispezionava il settore, dava un 'occhiata alle postazioni nemiche, girellava qua e là, parlava con qualche soldato terminando il breve scambio di battute offrendo un sigaro o una moneta da cinque lire. teneva a rapporto il comandante di reparto e ripartiva sulla sua automobile nera. Niente di straordinario: capitava lo stesso in tutti i reggimenti di prima e di seconda linea; ma sembrava comunque, ed era per chi ci si trovava. un grande e memorabile avvenimento. Inframmezzato da questi piccoli fatti l'inverno passò. La relativa calma che regnava sui due fronti, francese e italiano. aveva indotto i comandi alleati a ritenere gl.i Imperi Centrali in difficoltà e dunque a programmare a lunga scadenza le operaz ioni più importanti. Da parte austro-tedesca la situazione era invece considerata in tutt'altro modo. Era indubbio che gli Alleati fossero stati contenuti brillantemente in tutta l'Europa Occidentale, battuti nei Balcani e in Russia e costretti alla ritirata dai Dardanelli con gravi perdite. Evidentemente era giunto il momento di colpire violentemente a ovest prima che arrivassero rinforzi dai territori dell'Impero britannico. Non era un'impresa facile e, per avere la sicurezza di riuscire. sarebbe occorsa l'unione delle forze e la loro concentrazione su uno solo dei due fronti occidentali. E qui iniziarono le divergenze. Falkenhayn aveva preparato un attacco su Yerdun. Secondo lui avrebbe provocato una battaglia di logoramento enorme, al termine della quale l'intervento delle riserve avrebbe spazzato via i Francesi, spezzandone il fronte e consentendo ai Tedeschi la ripresa della guerra di movimento e la conquista di Parigi. Conrad invece voleva che le truppe germaniche concorressero allo sfondamento delle linee isontine, eliminando l' Italia dal conflitto e portando gli Austro-Tedeschi sulle Alpi occidentali e la Francia al collasso. Nessuno dei due la cedette all'altro e, dopo lunghe discussioni, decisero di agire ognuno per proprio conto; per fortuna degli Alleati. perchè mancò poco che sia l'attacco di Yerdun che la Strafexpedition di Conrad avessero successo. Cominciarono i Tedeschi il 21 febbraio 1916, con una violenza ed una capacità di fuoco inaudite. Mentre Yerdun macellava vite nei suoi campi devastati dai gas e dalle granate, sul fronte italiano era tutto tranquillo e la vita di trincea era così descritta dalla Medaglia d' Oro Carlo Stuparich: <<26 febbraio 19 I 6. La notte che siamo andari agli arnmposti (23 febbraio) sarà

memorabile; qualcosa di leggendario. Bufera di neve e acqua che voleva portarci via. Poi mangiare, dormire, respirare 11el fango fra il fango sul fango sotto il fango. FANGO .. .. Ma questi uomini sono così eroici da accettare con sorriso e buona volontà di essere più bestie delle bestie. E per la guerra moderna è necessario. Qui sta gran parte della viru컕.

iv G. D'ANNUNZIO «Per il Re». primi 4 versi. v C. STUPARICH, in. «Tutta la Guerra». a cura di G. Prezzolini, Milano. Longonesi. 1968, pag. 29 1 -

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Gli farà eco un anno dopo Paolo Caccia Dominioni: « .. Un'immensa distesa di cenci puzzolenti, di barattoli vuoti. di bucce di limone, di escrementi, su cui volteggia110 nuvole di mosche. Mucchi di baracchini sconquassati a ridosso dei pendii. tende sbiadite e squarciate, rivendite di vivandieri: e croci. croci, croci di ogni forma. Colonne di autocarri, di prolunghe, di salmerie,jormicolio umano su due strade parallele e polverose, gridio mulridialettale. Questo è il Vallone di Doberdò... Questo è il Carso atroce e micidiale. Non un albero che non sia mutilato, non un muretto che sia intatto, e ancora rottami e cenci e croci. li terreno è crivellato da buche di granata. Residui di trincee e di reticolati e di ossa: avanzi umani che forse furono sepolti ma che la granata è venuta a ricercare sotto terra per riporrarli al sole.... L'altopiano, se non ci fosse qua e là il fumo delle esplosioni, apparirebbe abbandonato, come se la vita fosse stata soppressa di colpo; ma quale febbrile agitazione sul fondo delle doline .' La dolina è ospedale, cimitero, mensa, comando, uf/icio ... »vi_ «Trincea. Abominevole carnaio di putredine e di feci che la terra rifiuta di assorbire, che l'aria infuocata non riesce a dissolvere. Il ianfo di cadavere lo ingoiamo col caffè, col pane e col brodo»vii. Prosegue Stuparich: «J rifornimenti, tutto il movimento (cambio d'avamposti, rancio eccetera) avviene di notte. Le nolfi sono di pece. Si.figuri tre quattro cinque colonne che vanno per la stessa strada in sensi diversi. I rij/euori battono molto e qualcosa danno di luce. Gli austriaci lanciano molti razzi luminosi, sparano tutta la notte, colpiscono a casaccio parecchi dei nostri lavoratori. L'artiglieria brontola più di giorno. Ma se appena si ha il sentore di un attacco nemico, ecco l'infemo>>viii. E dopo l'attacco, dice Caccia Dominioni «Abbiamo un nuovo guaio: i/fetore fortissimo dei cadaveri in decomposizione. Molti sono stati sepolti: moltissimi sono in posizioni dove non si può andare nemmeno al buio. Altri sono sotto frane di baracchini e di ricoveri, tanto che non si riesce a capire di dove viene la puzza. a meno di trovare qualche piede o qualche mano che esce dalle rovine. Dappertutto corpi straziati, dissanguati, deformi; e anche osceni: corpi che fino a poco fa erarw gagliardi e vivaci»ix. La battaglia di Verdun stava volgendo a sfavore dei Francesi e il loro Comando, temendo che il fronte cedesse, chiese a quello italiano di attaccare sull'Isonw per attrarvi forze austro-tedesche. L' 11 marzo, con un tempo infame, scattò la 5" Battaglia dell'Isonzo. Gli Austriaci stavolta avevano fatto un salto di qualità in fatto d'armamenti. Per la prima volta adoperarono mazze ferrate e lanciafiamme. Nel complesso ci furono i soliti minimi guadagni di terreno: il successo maggiore fu la conquista dell'Adamello da parte degli Alpini; e la Battaglia si trascinò avanti per circa un mese. Poi, il 15 maggio 1916, cominciò Ja Strafexpedition. Conrad, come è già stato accennato, mirava allo sfondamento del fronte per sfociare nella pianura veneta ed eliminare l'Italia dal conflitto. Il suo piano prevedeva un attacco dal Trentino che, rompendo le linee fra la Val Lagarina e la Valsugana, portasse le truppe in pieno Veneto, alle spaUe delle armate italiane presenti in Friuli sull'Isonzo, accerchiandole e distruggendo così l'intero Regio Esercito. Poichè le unità già impegnate contro l'Italia non erano sufficienti ed i Tedeschi non collaboravano, Conrad dovè sguarnire il fronte russo, spostando 13 divisioni, molta artiglieria e vari reparti minori in Trentino e portando così a 40 il numero delle divisioni sul fronte italiano. Diciotto formarono il Gruppo d'Armate dell'arciduca Eugenio. articolato sulla 3• del generale Kovess e sull' 11• del parigrado Danke: in totale aveva 189 battaglioni. 18 reparti di Standschi.itzen e 1.477 pezzi d'artiglieria, 1.193 dei quali in linea, ed era destinato ali 'attacco dal Trentino-I.

vi PAOLO CACCIA DOMINION!, "1915-1919", 13 agosto 1917. pag. 160. vii Idem, 27 agosto I917, pag. 18 I. viii C. STIJPARICH, in «Tulla la Guerra», pag. 294-5.

1• Idem. 22 agosto 1917, pag. 176.

s Almeno questi sono i dati che il geneTale Faldella ha desunto dalla relazione ufficiale austriaca.


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A fronteggiarlo era la 1• Armata del generale Pecori Giraldi, la quale, stando alla relazione ufficiale italiana, al 14 maggio, fra la Val Lagarina e la Valsugana, comprese le riserve, disponeva di 155 battaglioni del Regio Esercito, della Regia Guardia di Finanza6 e della Milizia Territoria1e7 e 775 pezzi d'artiglierias. Nonostante tutti i segni premonitori. le informazioni raccolte da Cesare Battisti, che era ufficiale del servizio informazioni della 1• Armata.e queLie date dai disertori e dai prigionieri, Cadoma continuava a non credere ad un'offensiva nemica dal Trentino. Prese qualche provvedimento, mandò dei rinforzi, ma non poteva convincersi che Conrad avrebbe attaccato là. Fece male, fece bene, avrebbe potuto far meglio: non ha più importanza. Quel che conta è che al mattino del 15 maggio 1916 fu sferrata l'offensiva. il fronte italiano, attaccato subito sulla sinistra, in Val Lagarina e Val Terragnolo, in cinque giorni retrocesse lentamente fino al Passo Buoie ed al Pasubio, dove si attestò. Sulla destra, in Valsugana, la difesa indietreggiò fino alla linea Caldiera - Monte Cima - Cima d'Asta. Il 20 maggio gli Austriaci, col UI Corpo, assalirono il centro, tenuto dalla 34' Divisione, fra l'Astico ed il Brenta in direzione degli Altipiani. La resistenza italiana, fino allora tenace ma scoordinata, si andava organizzando. Le riserve e le tmppe disponibili affluivano rapidamente. Nella notte dal 20 al 21. Cadorna decise di costituire nella pianura vicentina una 5• Armata, dandola al generale Frugoni, già titolare della 2• e affidando al Duca d'Aosta il comando di tutto il fronte giulio. In quindici giorni dovevano nascere 4 corpi d arrnata binari, per un totale di 179.000 uomini e 35.600 quadrupedi, concentrandoli con tutti i mezzi disponibili, dai treni alle biciclette, nel triangolo Vicenza-Padova-Cittadella. Con una manovra logistica colossale, rapidissima e perfetta, il Comando su premo, ci riusci in soli 12 giorni e approfittò dei tre successivi per approntare un quinto corpo d'armata. Ma intanto bisognava sbarrare la strada al nemico; e furono fatte affluire truppe a rallentarlo attestandole il 22 al centro dell'Altopiano dei Sette Comuni. Era la zona che va da Monte Cengio a Cesuna, mediamente oltre i 1.000 metri di altitudine, su 14 chilometri di fronte, priva di opere difensive, protetta da due sole batterie da campagna sul Monte Busibollo ed al vertice della rotta che avrebbe portato il nemico in Veneto. Era un compito enorme: ai difensori toccava bloccare gli Austriaci in arrivo al fine di permettere al Comando Supremo la costituzione, proprio alle loro spalle. della 5" Armata, che non si prevedeva di aver pronta prima del 4 giugno: quasi due settimane. Se avessero fallito, la s• Armata sarebbe stata raggiunta e distmtta ancora in fase di formazione e per l'Italia sarebbe stata la fine della guerra. Fino al 30 non si verificarono grossi scontri. Il nemico si era infatti concentrato lontano. contro le ali. Dal 23 al 28 maggio aveva attaccato cinque volte il Pasubio, cardine dell'ala sinistra, ed era stato sempre sanguinosamente respinto dai fanti delle brigate Sicilia e Taro. Altrove non era stato diverso. Le truppe italiane tenevano, rigide sulle ali, aggrappate al terreno colle unghie e coi denti; più flessibili in pianura. dove il fronte continuava a dilatarsi ma non si spezzava. Il 27 gli Austriaci erano ad Arsiero, ma tanto a corto d'uomini da dover chiamare altre unità dal fronte russo. Il 28 entrarono ad Asiago. Bastava ancora uno sforzo per sfondare: 5 0

6 La Regia Guardia di Finanza nella I Guerra Mondiale avrebbe superato i 32.000 uomini. destinandone circa un terzo - su 18 battaglioni e 2 compagnie autonome - alle operazioni in prima linea in Italia e in Albania. 7 Rispettivamente: 120 dell'Esercito, 6 della Finanza e 29 Territoriali, 39 dei quali in riserva d'armata. 8 È comunque un dato su cui le fonti divergono. perchè non specificano mai se calcolino i pezzi effettivamente presenti in prima linea, o tutti quelli dell'Armata. ragion per cui. Ulnlo per fornire degli esempi, Maravigna ne dà 720, Tosti 1.30 I, Cadorna 851. Bandini 733.


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soli chilometri alla vittoria per il XX Corpo d'Armata austriaco, coi suoi 300 pezzi; 5 chilometri ed il velo di truppe costituito dai reparti delle brigate Granatieri di Sardegna9 , Catanzaro, Modena e Pescara con scarsa artiglieria. n 23 gli Austriaci avevano iniziato i tiri d'inquadramento verso le posizioni italiane, intensificandoli giorno dopo giorno ed accompagnandoli ad una crescente attività di pattuglie fino a tutto il 29. E sorse la mattina del 30 maggio. La data era di buon auspicio: il 68° anniversario di Goito; ma le previsioni erano nere. Assalendo progressivamente tutta la linea, gli Austriaci la fissarono, schiantandosi ripetutamente contro il Cengio. li 3 giugno. preceduto dalla preparazione di 300 pezzi d'artiglieria, fu vibrato un attacco a fondo contro la zona del Busibollo. presidiata solo dal 1/2 granatieri e dalla 10• Compagnia del I Geniolo con due mitragliatrici. La linea tenne per miracolo, ma il Cengio cadde. Già il giorno prima però, cioè il 2, Cadorna aveva potuto «diramare il primo ordine in previsione dell'impiego della 5° armata per la controffensiva contro le ali dello schieramento nemico»•. Intanto gli Austriaci erano in una situazione precaria. «Nei primi giorni di giugno, prima che s'iniziassero gli avvenimenti sulla metà meridionale del/a fronte orientale (offensiva Brussilov) fu evidente che non si poteva procedere nell'attacco, nè era possibile mantenersi nella posizione da esso raggiunta ...»•i. L'accennata offensiva russa scatenata da Brusilov il 4 giugno aggravò lo stato delle forze austroungariche, le cui 4° e 7• Armata persero complessivamente 186.000 morti e feriti e 80.000 prigionieri in cinque giorni. Conrad volle ugualmente ins istere sul fronte veneto fino al 15 giugno. Il 16 parti la controffensiva italiana, che segnò subito qualche progresso, favorita anche dal fatto che, nel pomeriggio del medesimo giorno. il Comando supremo nemico ordinò alle proprie unità di ritirarsi verso nord e stabilirsi su una forte linea difensiva già predisposta. Il movimento fu ultimato, con lentezza, solo nella notte fra il 24 ed il 25 giugno. La Strafexpedition, la Spedizione Punitiva, era fallita; ma aveva inflitto perdite terrib.ili al Regio Esercito. Se il numero dei morti era pressappoco pari. 6.187 italiani contro poco più di 5.000 austriaci, il divario aumentava passando ai feriti, 28.544 a 23.000, e diventava enorme quando si arrivava ai dispersi, cioè ai morti non rintracciati ed ai prigionieri: 41.401 contro 2.000; troppi per un esercito che si era difeso. Complessivamente gli Italiani avevano perso l'equivalente di quasi 14 brigate di fanteria a fronte di sole 5 avversarie. Nell'ultima settimana di giugno la controffensiva della 1• Armata italiana riprese, consumando in terribili quanto poco fruttuosi assalti altri 72.000 tra morti, feriti, dispersi e prigionieri contro 50.000 perdite austriache. Fra i catturaci Cesare Battisti e Fabio Filzi, che vennero impiccati a Trento. come già Damiano Chiesa poche settimane prima. La 3• Armata intanto effettuava sul Carso delle "operazioni di concorso alla controffensiva nel Tremino" fino al 29 giugno. Ma, dall' inizio di luglio. stabilizzatasi ormai la situazione sul fronte trentino. Cadorna tornò al progetto che dall'anno precedente voleva realizzare e organizzò un'offensiva della 3° Armata contro Gorizia.

9 Di quelle qui citate fu l'unica presente con tutti i suoi uomini: deUe altre c'erano solo alcuni battaglioni.

IO I genieri erano 205. La 70' non era mai stata al fuoco ed era casualmente presente, inviata come rinforzo per !"apprestamento delle opere difensive. [ suoi componenti.armati in gran parte col vecchio Vetterli Vitali 70/87. erano dotati di poche cartucce. nè potevano averne dai granatieri perchè il fucile modello 9 I richiedeva un differente munizionamento. • E. FALDELLA, «La Grande Guerra». 2 voli. Milano. Longanesi, 1978. pag. 210. xi FALKENHAYN. rip. in E.. FALDELLA, op. cit.. cap. rv. pag. 210.


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In una settimana 3.000 treni fecero la spola fra Udine, Vicenza, Venezia, Thiene, Castelfranco e l'Isonzo, trasportando 302.884 uomini, 150 cannoni. 57.134 quadrupedi e montagne di munizioni di ogni tipo e calibro. senza che il nemico riuscisse a rendersi conto della consistenza e degli obbiettivi dell'attacco in preparazione. Anzi, Conrad non riteneva possibile a.1cuna offensiva degli Italiani prima della metà d'agosto, convinto che non fossero in grado di rischierarsi da.I Veneto al Friuli prima di allora e che, comunque, avessero subito perdite troppo elevate per poter attaccare. Invece, su un fronte di 11 chilometri, il Duca d'Aosta potè porre in linea il Y1 e l'XI Cor• po, per un totale di 6 divisioni e l .329 bocche da fuoco di tutti i calibri, con in riserva altre due divisioni, una brigata ed 80 pezzi d'artiglieria. Preceduta di due giorni da un attacco preliminare nel settore di Monfalcone, la battaglia per Gorizia prevedeva in un primo tempo l'espugnazione dei rilievi antistanti la città da nord a sud, il Sabotino, Oslavia ed il Podgora, da parte del VI Corpo d'Armata; e di quelli tra la medesima città e Monfalcone, cioè il San Michele e Doberdò, ad opera dell'Xl. L'attacco diversivo contro Monfalcone iniziò il 4, con una violenza tale che gli Austriaci non si resero conto che si trattava solo di un'azione secondaria. Cominciarono a pensarlo il S; poi, alle 7 del mattino del 6 agosto. il fuoco tambureggiante simultaneo dei 530 pezzi del VI Corpo d'Annata tolse loro ogni dubbio. Dopo un 'ora entrarono in azione anche 390 bombarde. Il loro tiro doveva distruggere i reticolati e ogni trenta minuti veniva sospeso per consentire alle pattuglie della fanteria di uscire a verificarne gli effetti. Alle 16 scattarono i fanti. I primi avevano un segnale, dei dischi bianchi sulla schiena, che le artiglierie seguivano attentamente allungando il tiro parallelamente al procedere dell'assalto. Con questo sistema, in soli 40 minuti il Sabotino fu aggirato e preso e le avanguardie iniziarono a scendere verso Sa.teano e Gorizia. Più dura la resistenza sul Peuma, sul Podgora e sul Grafenberg, dove comunque, dopo mischie feroci, i difensori doverono indietreggiare, pennettendo a.Ile pattuglie avanzate italiane di raggiungere i ponti di Lucinico e Peuma. Sul San Michele gli Austriaci fecero l'impossibile per non cedere; ma a sera, sulle quattro vette della montagna, erano sa.ldamente attestati i fanti delle brigate Catanzaro, Brescia e Ferrara. L' 8 le unità del VI Corpo crearono e consolidarono un'altra testa di ponte sulla sinistra dell'Isonzo. Alle 6 del 9 il sottotenente Baruzzi, del 28° Fanteria Pavia, innalzò un piccolo tricolore sulla stazione ferroviaria di Gorizia: era stato il primo ad arrivarci. li I Ogli Austriaci si ritirarono da tutto il fronte su una linea difensiva arretrata. già parzialmente predisposta a oriente di Gorizia. Là irrigidirono la loro resistenza. Tl Comando d'Armata ordinò d'insistere e, nella giornata del 14, gli attacchi vennero proseguiti; ma il risultato fu un inutile massacro. Il 25 agosto la Sesta Battaglia dell'Isonzo era finita; stava per iniziare la Settima.

ID) Da Gorizia a Caporetto: 1916- 1917

La presa di Gorizia ebbe una ripercussione immensa in Europa. Era l'unica grande vittoria che gli Alleati avessero conseguito dall'inizio dell'anno e fu così magnificata ovunque a fini propagandistici come segno della crisi degli Imperi Centrali, che la Romania decise di entrare in guerra, aprendo un altro fronte contro di loro. Sotto il profilo strategico il risultato della battaglia non era un granchè. Era stata presa una grande città, d'accordo; ma l'unico vantaggio che se ne poteva trarre consisteva nella rettifica del fronte giulio che, così accorciato, era più difendibile. Per il resto non c'era da stare allegri. Gli Austriaci avevano perso 70.000 uomini. ed in questo i due contendenti erano pari. ma si erano ritirati senza troppi incidenti su una linea sai-


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TRIEST I Guerra Mondiale: le linee italiane prima e dopa la presa di Gori:ia nell'ugosro /9/6.


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da almeno quanto quella abbandonata ed i cui punti forti sarebbero risultati imprendibili quanto i precedenti, facendo risuonare lugubremente i loro nomi: San Marco, San Gabriele, Monte Santo, Vodice e, verso Trieste. l'Hermada. Infine, delle due teste d.i ponte che avevano sulla riva destra dell' Isonzo, gli lmperialregi ne avevano conservata una, quella di Tolm.ino da cui. quattordici mesi dopo. sarebbe partita l'offensiva d.i Caporetto. Cadoma non sembrò rendersi conto che la presa di Gorizia era stata possibile principalmente per l'abbandono dell'attacco frontale (il Sabotino, perno del sistema, era stato assal.ito da due colonne che si erano congiunte alle sue spalle, ai ponti di $alcano, facendolo cadere per manovra; mentre, in due anni di attacchi frontali, le 14 brigate che vi si erano avvicendate non avevano potuto concludere nulla) e pianificò tutte le cinque successive battaglie isontine sempre e solo alla luce della sua tattica preferita. Anzi, considerando quello di Gorizia un successo che prova va quanto indebolito fosse l'esercito austroungarico. decise di non perdere tempo e di affrettarne il logoramento con la VII Battaglia dell'Isonzo. Ne cavò poco, ma davanti agli scarsi risultati ottenuti - piccoli successi intorno al Veliki e nell'ansa del Vipacco decise d'insistere e lanciò !"VIII e poi la IX Battaglia dell' lsonzo, i cui risultati si condensarono nell'allargamento dell'occupazione intorno a Gorizia e nell'avanzata fino a Castagnevizza. In due mesi gli ltaliani avevano proceduto di circa cinque chilometri perdendo 85.000 uomini ed ottenendo dei vantaggi puramente tattici. I mesi che seguirono trascorsero senza grandi novità, tranne una piccola modifica all'organico quando venne ridotta la forza delle compagnie da 225 a 200 militari 11. Alla fine di maggio del 1917. scattò la Decima Battaglia dell'Isonzo. Sei mesi prima, nel novembre 1916, si era tenuta a Chantilly una conferenza dei capi alleati, i quali avevano fissato il programma per il I 9 I7. Questo prevedeva delle offensive contemporanee che mettessero in crisi gli Imperi Centrali, impedendo loro d.i pararle coi consueti spostamenti di truppe da un fronte all'altro. Andavano compiute entro la prima quindicina di febbraio; e la complessiva superiorità dell'Intesa, 450 divisioni contro 350, avrebbe certamente permesso una prevalenza tale da portare alla vittoria. Ma i Tedeschi riuscirono a prevenire gli Alleati effettuando un'improvvisa ritirata strategica che rese il loro fronte occidentale più compatto. Ed i Franco-Inglesi dovettero interrompere la preparazione della programmata offensiva, spostare tutto il dispositivo in avanti di 12 - 45 chilometri, a seconda dei settori, e ricominciare da capo. Finalmente il 9 aprile iniziò, sul fronte tenuto dagli Inglesi, la battaglia dell' Aisne. Un mese dopo era fallita, al prezzo di centinaia di migliaia di morti, e veniva disinvoltamente trasformata dalle fonti ufficiali in una serie di «operazioni con obbiettivi limitati»•H. Ad est i Russi erano fermi a causa della rivoluzione che, nel marzo, aveva portato aJrabdicazione dello Zar e alla Repubblica guidata da Kerensky; il fronte greco era immobile come al soUto e quello del Medio Oriente era troppo lontano per influire sulle operazioni in Europa; restava dunque il fronte italiano. la cui importanza aumentava di giorno in giorno per un motivo: era l'unico, in quel momento, capace d'assorbire l'attenzione degli Imperi Centrali Se ciò non fosse accaduto, i Tedeschi avrebbero potuto avere la disgraziata idea di attaccare il fronte francese; e sarebbe stata la fine. l nfatti !"esercito francese, stanco dei continui massacranti attacchi in cui era stato lanciato, si era progressivamente ammutinato, o meglio, si rifiutava di combattere, tanto che all'inizio

I I Ciò comportò un aumento dei reggimenti; la sola fanteria di linea costitul, nel corso dell'anno. ben 24 brigate per un totale però di 53 reggimenti anzichè 48. percbè quattro di esse erano ternarie ed alla preesistente Brigata Liguria ( 157° e 158°) venne aggiunto il 165° Fanteria. che poi. nel febbraio 1918. diventò 208° Fanteria Taro. J<ii M. CARACCIOLO, «Sintesi storico-politica della guerra mondiale», Torino, Schioppo, 1930, pag. ISO.


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di giugno al governo erano rimaste solo due divisioni assolutamente sicure sui 2.600.000 uomini componenti le forze di terra. Gli Alleati accolsero quindi con sollievo gli annunci dell'entrata in guerra degli Stati Uniti, il cui potenziale bellico sarebbe però stato disponibile solo dopo qualche mese, e del principio della X Battaglia dell'Isonzo. il 12 maggio 1917. JI piano di Cadorna prevedeva che la «Zona di Gorizia» - un'armata comandata dal generale Capello e formata dai Corpi 11,VI, VIII e XXIV - dopo un bombardamento di tre o quattro giorni su tutto il fronte da Tolmino al mare per disorientare il nemico, attaccasse da Tolmino al Monte Santo attirando su di sè le riserve avversarie. Poi Capello nel giro di 48 ore doveva restituire 200 pezzi d'artiglieria alla 3" Armata. le cui 16 divisioni avrebbero assalito frontalmente il Carso e I' Hermada. Obbiettivo finale: Trieste. Il 12 maggio i 1.288 pezzi a disposizione di Capello aprirono il fuoco con una violenza tale che. quando la fanteria attaccò, riuscì ad allargare la testa di ponte di Plava e ad occupare tutta la riva sinistra dell'Isonzo. il Kuk. il Vodice e, colla Brigata Campobasso, a mettere brevemente piede in cima al Monte Santo. Gli Austriaci concentrarono là tutto quello che poterono dei loro 4 corpi d'armata e 1.325 pezzi, sbilanciandosi e facendosi cogliere indeboliti dall'attacco che la 3• Armata iniziò il 23 maggio, col tiro di 1.280 bocche da fuoco di ogni calibro. Ma anche la Decima Battaglia dell'Isonzo, terminata il 7 giugno, si risolse in un nulla di fatto costato 133.757 uomini 12. Dopo un arretramento iniziale di 4 o 5 chilometri, gli Austriaci avevano fatto affluire un quinto corpo d'armata ed erano riusciti a riconquistare quasi tutto quello che avevano perduto nel settore destro del Carso, con un numero di caduti di gran lunga inferiore a quello degli Italiani: «solo» 75.700. Cadorna non si diede per vinto. Mentre organizzava un'ulteriore offensiva. la 6• Annata assalì l'Ortigara con 4 divisioni: gli alpini della 52• divisione arrivarono in cima al monte il 19 giugno, dopo nove giorni di combattimenti, ma ne furono scacciati il 25 a prezzo di gravi perdite da entrambe le parti 1J. Intanto gli Inglesi avevano attaccato nelle Fiandre, il 7 giugno, dopo ben sedici giorni di continua preparazione d'artiglieria. Il 1° luglio anche il fronte orientale si rimise in movimento per il canto del cigno dell'armata ex-zarista. In 18 giorni cacciò gli Austriaci dalla Galizia; ma per poco, perchè l'intervento dei Tedeschi la restituì aglj Imperi Centrali insieme alla Bucovina. Il 31 i Tedeschi dovettero fermarsi per concentrare i propri uomini ad ovest, dove era cominciata la sanguinosa offensiva franco-inglese di Ypres. Sarebbe durata fino al IO novembre ed avrebbe tolto la vita a 450.000 soldati britannici.

12 Cioè 111.873 morti e feriti negli attacchi fino al 30 maggio e 21.884 persi nel contrattacco ausl.riaco, iniziato il 4 giugno 19 I 7. 13 Il 29 luglio alla presenza di Vittorio Emanuele ll si svolse a Sdricca di Maozano la prima esercitazione a fuoco della nuova specialità degli Arditi. Ideali dal tenente Bascggio ai primi del 1916, ma costituiti dal capitano Bassi - su autorizzazione del generale Santernecchia comandante la Brigata Taranto-gli Arditi erano tutti volontari. Addestrati con estrema durezza. ben equipaggiati, decisi a tutto, erano inquadrati in Reparti d" Assalto comprendenti una compagnia quaternaria, una sezione mitragliatrici ed una lanciafiamme. Ogni Corpo d'Armata ne aveva uno. aumentabile fino alla consistenza di un battaglione. Nel giugno I 9 I 8 la maggior parte dei Reparti d" Assalto venne riunita a formare la I• e la 2' Divisione d' Assalto. distinte dalle fiamme nere al colletto e riunite nel Corpo d" Armata <l'Assalto. Sciolte le Grandi Unità dopo il 1920, la Specialità venne contratta a plotoni reggimentali, identificandosi non più per le mostrine ma per un distintivo portato al braccio sinistro. Dopo la Seconda Guerra Mondiale - durante la quale erano stati ricostin1iti alcuni reparti d'Arditi a livello battaglione - la specialità divenne una specializzazione personale - identificata da un distintivo pettorale smaltato - ottenuta mediante un apposito "Corso d' Ardimento" sostenuto presso la Scuola di Fanteria di Cesano.


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ln Italia, il 17 agosto. i 2.380 cannoni e 1.199 bombarde della 2" Annata iniziarono il tiro di preparazione per le 21 divisioni di fanteria destinate all'attacco degli altipiani di Temova e deUa Bainsizza. Poche ore dopo, ali' alba del 18, il fronte della 3• Armata fu scosso dal boato di altri 1.363 cannoni e 638 bombarde che tiravano sulle postazioni austriache del Carso. Nella notte fra il 18 ed il 19 cominciò il forzamento dell'alto corso dell'Isonzo da parte della 2• Armata. Dopo una lotta accanita il XXIV Corpo del generale Caviglia sfondò irrimediabilmente le difese nemiche e le fanterie italiane dilagarono. Avvolte e aggredite, caddero come castelli di carte tutte le posizioni che erano sembrate tanto imprendibili: Monte Santo, Kobilek, Oscedrik e Jelenik. Quasi 20.000 prigionieri, con 125 cannoni e 200 mitragliatrici si ammassarono nelle retrovie, mentre la fanteria inseguiva il nemico in piena ritirata. li 19 partì l'attacco della 3' Armata; ma gli Austriaci se l'aspettavano e fu un altro massacro, pure se nel complesso l'azione riscosse l'elogio del Duca d'Aosta.

IV) Disfatta e miracolo: 1917 - 1918 L' Austria era in ginocchio. Scrisse Hindenburg, capo di Stato Maggiore dell'esercito imperiale germanico: «li nostro alleato ci dichiarò che non avrebbe avuto più la forza di resistere a un dodicesimo attacco sulla fronte delrlsonzo ..[Si trattava} del crollo di tutta la resistenza austroungarica»•iii. Aggiunse il quartiermastro generale Ludendorff»: Al principio di settembre continuò la lotta:fu un nuovo successo dell'esercito italiano .... il loro [degli Austriaci} ,rwrale era tanto basso che nei circoli competenti ...emrò la convinzione che le armate austroungariche non avrebbero sostenuto la continua:.ione della battaglia»•"'· Cadoma ce l'aveva fatta! L·ultimo sforzo gli era costato 18.794 morti, 89.193 feriti e 35.087 dispersi, dei quali circa la metà prigionieri; ma gli Austriaci avevano perduto qualcosa come 110.000 uomini e la Bainsizza. In più, dal 4 al 12 settembre, gli Italiani del VI ed Vlll Corpo d'Armata avevano attaccato il Veliki, il San Gabriele ed il San Marco perdendo quasi I 5.000 uomini; e queUa era la continuazione del1a lotta di cui parlava Ludendorff. Ma il 18 settembre Cadoma aveva ordinato di passare alla difensiva. Non sapeva, non poteva sapere cbe il nemico era al lumicino e. di fronte alle terribili perdite subite ed agli scarsi risultati ottenuti, non si era sentito d' insistere. Gli al1eati franco-inglesi che, impantanati a Ypres in una lotta senza speranza, avrebbero voluto un ulteriore attacco italiano per distogliere unità tedesche dal fronte delle Fiandre. appreso l'ordine di Cadoma, per ripicca ritirarono dall' Italia tutte le loro forze, poche per la verità: solo artiglieri con neanche 100 cannoni, la maggior parte dei quali inglesi. Un breve periodo di calma scese sull'Isonzo. Cadoma, davanti alla dissoluzione dell'esercito russo, si era reso conto che gli Austriaci potevano irrobustire il fronte italiano, mentre i Tedeschi, impegnati conrro gli Inglesi nelle Fiandre ma, in quel momento, non sul fronte francese vero e proprio, potevano contribuire ad un'azione sul Carso o sull'Isonzo. Il pericolo era concreto, visto che il Governo del Re aveva dichiarato guerra alla Germania nell 'cstate del '16. Ad ogni modo la cessazione delle offensive, secondo il Capo di Stato Maggiore. doveva servire al Regio Esercito per ripianare il materiale consumato, riempire i vuoti nelle file e. quando possibile, vibrare un altro colpo, probabilmente decisivo.

xiii HINDENBURG. «La mia vita». rip. in CARACCIOLO. op.cit.. pag. 151. xiv LVDENDORFF, «Memorie», rip. in CARACCIOLO, op. cit. ivi.


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J Tedeschi, dal canto loro, erano molto preoccupati. Morto Francesco Giuseppe nel dicembre 1916, il nuovo imperatore Carlo I aveva subito manifestamente cercato l'armistizio e la pace separata cogli Alleati. Ora, dopo le due sanguinose sconfitle estive, a maggior ragione ci si poteva attendere uno sganciamento austriaco. Occorreva dunque agire in fretta. perchè era evidente che gli sforzi degli Italiani miravano ad aprirsi la strada di Trieste, la cui caduta avrebbe avuto una tale importanza da provocare, forse, il crollo dell'Austria-Ungheria e, di conseguenza, l'eventualità dell'apertura d'un fronte italo-tedesco addirittura in Baviera. Così, in Italia, le divisioni degli Jmperi Centrali salirono a 37 coll'arrivo sull'Isonzo di 7 tedesche dalla Francia e di altrettante austro-ungariche dall'est; mentre i pezzi d'artiglieria raddoppiavano, passando da 2.044 a 4.126. Il resto si sa e non vale troppo la pena di tornarci su con dovizia di particolari. La 14" Armata del generale von Below. composta da 248.000 uomini di 7 divisioni tedesche ed 8 austriache, dopo un'intensissima e rapida preparazione d'artiglieria, il 24 ottobre 1917 assali e sfondò il fronte presidiato dai 117.000 soldati dalla 2• Armata italiana. Eseguendo il loro piano, gli Austro-Tedeschi, superate la prima e la seconda linea italiane, sfilarono rapidissimi per i fondovalle. lasciandosi dietro i presidi nemici sulle montagne e gettando nel caos le retrovie. Alle 15 del 24 erano a Caporeuo. A sera l'avanzata continuava ancor più veloce. Il 25 furono superati i tentativi di resistenza imbastiti sul Globokak e sul Kolovrat; il 26 cadde Monte Maggiore. Le strade erano intasate dalle truppe in ritirata e dai civili in fuga. Regnava il disordine più totale. Gli Austro-Tedeschi erano così rapidi che non si sapeva dove fossero arrivati, nè quali u11ità della 2• Armata esistessero ancora e dove. Capello, ammalato, aveva dovuto cedere il comando a Montuori, che non sapeva dove sbattere la testa. Badoglio, comandante del XVII Corpo e principale responsabile del disastro, era scomparsol4, Il pericolo era enorme: gli Austro-Tedeschi stavano scendendo dritti verso la pianura veneta cd il mare, lasciandosi a sinistra parti della 2• Armata e tutta la 3", cioè, complessivamente, metà del Regio Esercito. Quando il movimento fosse stato ullimato, tutte quelle truppe sarebbero risultale accerchiate e perse irrimediabilmente. Davanti al disastro incombente, Cadorna prese l'unica decisione militarmente logica e il 27 ordinò la ritirata di tutto l'esercito fino alla sponda destra del Tagliamento. lanciando la cavalleria contro il nemico per ritardarne l'avanzata. Nel frattempo il caos aumentava. Il 27 i Tedeschi erano a Corrnons. Il Comando Supremo italiano lasciò Udine nel pomeriggio delJo stesso giorno. L'indomani ci entrarono gli AustroTedeschi. Intanto le truppe della 2° Am1ata si ammassavano verso il Tagliamento. intasando le strade e sopratutto i ponti. senza che nessuno indicasse loro su quale dovevano passare. quali bisognasse difendere e quali si potessero distruggere. Cosi la Brigata Bologna tenne per tutto il 31 ottobre e la mattina del l O novembre i ponti di Pinzano, senza sapere che ormai non occorreva più conservarli perehè le truppe del settore erano completamente defluite. Ma nessuno avvisò i fanti; ed essi continuarono a combattere finchè non udirono il boato delle cariche che facevano saltare i ponti alle loro spalle, tagliandoli fuori e non lasciando loro altra scelta che la resa per mancanza di munizioni.

14 E quando fu completata l'inchiesta sui fatti di Caporeuo si constatò che era stata stralciata la sua posizione. Successivamente, dopo il 25 luglio 1943. Badoglio fece prelevare dall 'Archivio Centrale dello Stato i documenti della Commissione d'inchiesta che lo riguardavano. tant'è vero che ancora oggi a chi va a cercare i faldoni n° 83, 84 e 85 viene risposto che non sono disponibili; ma se si riesce ad arrivare allo scaffale, si trova un avviso del 1943 che dice che i 1.re faldoni sono stati prelevati <l 'ordine di S. E. il maresciallo Badoglio capo del governo. Non si sa che fine abbiano fatto.


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Al contrario, la quasi totalità dei resti della 2• Annata si trovò a dover passare sui ponti di Codroipo, che invece vennero distrutti prima del necessario, alJe 13 del 30 ottobre, abbandonando in mano agli Austriaci decine di migliaia di uomini e centinaia di cannoni, incolonnati sulle strade in attesa di traversare il fiume. Il XXJV Corpo fu invece salvato dal suo comandante. Caviglia in teoria avrebbe dovuto aspettare e traversare il Tagliamento a Codroipo. Infischiandosi degli ordini, discese lungo la riva sinistra del fiume e, arrivato a Latisana alle 2 di notte del 3, trovò liberi e intatti i ponti su cui era passata poco prima la 3• Armata al completo15. Cadoma stava meditando di resistere sul Tagliamento quando seppe che le avanguardie avversarie erano già riuscite a varcarlo nella notte fra il 2 ed il 3 novembre ricostruendo il parzialmente distrutto ponte ferroviario di Comino. A quel punto si rassegnò all'inevitabile ed ordinò la ritirata al Piave. Già il 27 aveva indicato questa possibilità, che ora diveniva reale, ma. memore degli insegnamenti napoleonici, aveva studiato quella linea fin dal 1916 quando. dall'alto d'una montagna, !"aveva indicata agli ufficiali del suo Stato Maggiore, cresta per cresta, ansa dopo ansa, soffermandosi su ogni paese e su ogni isolotto e tem1inando colle parole: «Signori, in caso di disgrazia, ci difenderemo qui»xv. Furono diramati gli ordini. La 4" Am1ata lasciò il Cadore e le truppe iniziarono a muoversi, di nuovo col nemico alle calcagna, riuscendo a traversare il Piave e ad attestarvisi. La riùrata era proprio finita. Di 45 divisioni in linea sull'Isonzo due settimane prima, ne erano arrivate sul Piave solo 29 in grado di combattere. Le altre si erano sfasciate dopo aver tentato di resistere: 20.000 morti e 40.000 feriti testimoniavano la durezza degli scontri di quei 16 giorni, a riprova del fatto che il Regio Esercito non si erano dato alla fuga ma aveva tentato tutto per fermare il nemico. La rapidissima avanzata austro-tedesca aveva avviato ai campi di prigionia un numero d"Italiani che non era ancora esattamente quantificabile e che si aggirava sui 350.000, quasi tutti rimasti imbottigliati sulle strade a causa dell'interruzione dei ponti, o accerchiati sulle montagne dagli avversari che avevano avanzato nelle valli. Insieme a loro erano caduti in mano nemica 3.152 pezzi d'artiglieria, circa un terzo delle armi portatili, i magazzini della Sussistenza, enormi quantità di munizioni e parti di ricambio e quasi tutto il materiale fisso degli aeroporti. Per contro il colpo non era stato mortale. anzi, era meno grave di quel che ci si sarebbe potuti attendere. lntanto le truppe dell" ala destra della 2• Armata e di tutta la 3" non erano state accerchiate. cosa che non sarebbe stata troppo difficile agli Austro-Tedeschi se avessero subito marciato da Udine verso il mare. Poi c'erano 400.000 sbandati che, con un po' di pazienza, potevano essere rimessi in condizione di combattere e rientrare al fronte in tempi relativamente brevi. lnfine le linee di rifornimento italiane si erano accorciate tanto quanto si erano allungate quelle austriache le quali. oltretutto. non erano neanche immediatamente utilizzabili a causa delle interruzioni sulle strade e sulle ferrovie verificatesi in due anni e mezzo di guerra dove avevano intersecato il fronte. 15 Al 26 ottobre 191 7 si trovavano in 1,ona 120 locomotive e 4.000 carri ferroviari di vario genere. Dalll l'urgenza dell'evacuazione. il colonnello Oscar Spinelli. capo del servizio ferroviario della 3' Annata da San Giorgio di Nogaro prese la coraggiosa decisione di ordinare l'avvio dei treni a '"distanza di segnale". cioè senza rispettare il previ$tO intervallo di dieci minuti fra un convoglio e l'altro. Rischiava la fucila.,;ìone anche per un solo incidente ferroviario che si fosse verificato in seguito a tale ordine, contrario a !Utli i regolamenti. Andò bene. Graz.ie a lui i ferrovieri civili e militari riuscirono a spostare in ventiquattr·orc a Cervignaao tuuo que llo che era a Gradisca. Sagrado, Ronchi. Villa Vicentina e Aquileia. Tra il 28 e il 29 il traffico si spostò sempre più verso l'imemo e il 30 la quasi totalità del materiale era oltre il Tagliamento. Faceado la spola in continuazione. 104 treni avevano salvalo la 3' Annata. ,v Rip. in BANOINI, op.cii., pag. 124.


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Anche se meno grave di quanto sarebbe stato possibile, era comunque era un bel disastro e, chiaramente, scoppiarono le polemiche contro lo Stato Maggiore. Cadorna si era difeso fio dal primo momento col noto comunicato del 29 ottobre che inizia con: «La mancata resistenza di riparti della Il Annata vilmente ritiratisi senza combaTTere, o ignominiosamente arresisi al nemico, ha permesso alle forze austrogermaniche di rompere la nostra ala sinistra sulla fronte Giulia»"; ma non servl a salvarlo: se ne doveva andare. n Paese non aveva più fiducia in lui; e gli Alleati dichiararono che non avrebbero fornito alcun aiuto finchè Cadoma fosse rimasto a capo del Regio Esercito. ln realtà il suo operato non era stato peggiore del loro, anzi. Visto attraverso gli anni si può dire che agì certamente male, ma senz'altro meglio dei suoi omologhi francesi, inglesi ed austriaci. dati i risultati che ottennero; solo che lui ebbe la disgrazia di perdere di colpo una considerevole porzione di territorio nel corso di una guerra in cui le conquiste erano limitatissime e le avanzate alleate si misuravano in metri anzichè in chilometri. Ma accanto alla crisi di fiducia, e ben mascherato da essa, era anche in atto un tentativo francese di assumere il comando del fronte italiano. Nel corso dei mesi precedenti era stata infatti avanzata l'ipotesi di un coordinamento delle azioni degli Alleati, ma era rimasto in sospeso il problema di chi dovesse essere il coordinatore; e ad aggiudicarsi quella carica miravano appunto i Francesi, mediante una politica dei piccoli passi. Nei Balcani l'armata alleata era agli ordini di un loro generale fin dall'inizio; e in Francia, ovviamente, avevano larga voce in capitolo, anche se miravano ad averla esclusiva a danno degli Inglesi. ln Italia, invece, Cadorna si era sempre sottratto al coordinamento e non aveva neanche mai dato molta retta alle pressioni che gli pervenivano d'oltr' Alpe perchè attaccasse sull'Isonzo ogni volta che il fronte francese entrava in crisi. Ora, dopo una catastrafe come quella di Caporetto, Foch pensò che fosse giunta la buona occasione di sbarazzarsi del suo cocciuto collega italiano barattando l' aiuto alleato colla sua testa. Così, fra il 30 ottobre ed il 2 novembre, 4 divisioni francesi e 2 britanniche passarono le Alpi, ma non vennero mandate in linea perchè Foch, come spiegò lui stesso a Cadoma, non voleva che fossero impiegate «a spizzico in una regione satura di truppe italiane, 1alune in corso di riorganizzazione».vii ragion per cui furono dislocate nella zona di Brescia per parare un' eventuale offensiva contro il Garda. Praticamente privo delle unità alleate, Cadoma estese il fronte della 4• Armata ed attese il colpo che prevedibilmente sarebbe stato vibrato sul Piave e sugli Altipiani dagli Austro-Tedeschi. Il 6 ed il 7 si svolse a Rapallo il convegno dei capi alleati, politici e militari, nel quale, presente il sottocapo di Stato Maggiore Porro ed assente Cadoma, i Franco-Inglesi negarono qualsiasi aiuto se non fosse stato prima cambiato il Capo di Stato Maggiore italiano, r rappresentanti del Governo accettarono. Il giorno dopo, a Peschiera, il Re ratificò la loro decisione e Cadorna lasciò la carica. 11 primo passo per la realizzazione del piano francese era dunque compiuto, ottenendo la sostituzione di Cadoma in cambio degli aiuti; il che già contravveniva all'impegno assunto dagli Alleati nella precedente primavera d'inviare incondizionatamente truppe in Italia se i Tedeschi l'avessero attaccata insieme agli Austriaci. Un'altra sconfitta italiana ed i Francesi avrebbero messo le mani sullo Stato Maggiore del Regio Eserci10. lntanto, fra la sorpresa di tutti e scavalcando tutti i generali designati d'annata, o di corpo d ' armata ma più anziani di lui. il comandante del XXlll Corpo, generale Armando Diaz, fu nominato successore di Cadoma il 9 novembre 1917.

xvi Rip. in M. SILVESTIU, op. cit., cap. 8. pag. 458. xvii E. FALDELLA, op. cit.. pag. 286.


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Il vero motivo della sua designazione è ancora ignoto. Tutto ciò che si sa è che fu un' idea di Vittorio Emanuele ill; ma come gli s ia venuta e perchè vi sj sia soffermato resta nel campo delle teorie. L'ipotesi più attendibile è forse quella avanzata da Franco Bandini. Nel suo «Il Piave mormorava» sostiene che la scelta fu casuale e dovuta a ragioni non militari ma politiche. Occorreva, dice, un generale che potesse essere bruciato con facilità da un'ulteriore sconfitta, senza compromettere nè il Duca d'Aosta, al quale il Re contava di lasciare il trono in caso di disfatta, né i più alti gradi dell'esercito, sicuramente affidabili in caso di crisi politica. Se poi la scelta si fosse rivelata felice. tanto meglio per tutti. Quel che è certo è che il più stupito fu proprio Diaz. Si trovò subito sotto pressione. Neanche 24 ore dopo la sua nomina Conrad lanciò 7 divisioni contro l'Altipiano di Asiago. Fu respinto dopo due giorni. Ritentò fra il 12 e il 16, ma non concluse nulla. li 13 le 9 divisioni del generale Krauss attaccarono le 4 italiane che difendevano il monte Grappa ma, a parte qualche guadagno minimo, non riuscirono a far niente. Più a sud Boroevic provò ad oltrepassare il Piave, ma potè conquistare solo una testa di ponte nell'ansa di Zenson. Intanto, l' 11. Diaz aveva saputo, con una certa sorpresa, che non avrebbe potuto utilizzare le divisioni alleate, pcrchè i rispettivi governi ne avevano vietato l'intervento finchè le truppe italiane non si fossero &mostrate capaci di tenere il fronte. A parte il timore di un nuovo sfondamento, nel qual caso i Franco-Inglesi non volevano essere coinvolti in un caos come quello della ritirata dal Friuli, c'era, ancora una volta, il desiderio francese di mettere le mani sul comando supremo italiano. Lo si vide il 18, quando «gli Alleati proposero di assumere il comando de/lafrontefra il Posina e il Brenta. prendendo ai loro ordini cinque divisioni italiane. La proposta.fu respinta perchè pretendevano di rimanere autonomi»•vui. Quattro giorni dopo il XXVII Corpo d"Armata rientrò in linea, col VI di rincalzo. Erano i primi soldati della sconfitta 2• Annata a tornare a combattere. Lo stesso giorno Conrad riprese l'offensiva sull'altopiano di Asiago, lanciando, sotto gli occhi dell 'imperatore Carlo. 33 battaglioni contro soLi 11 italiani; ma fu respinto e l' indomani considerò l'offensiva fallita e propose di sospenderla. Bisognava ancora far avanzare i depositi, i magazzini e quasi tutti i grossi calibri prima di poter avere qualche speranza di successo e. poichè ci sarebbero voluti almeno una decina di giorni. per il momento era meglio fermarsi. La battaglia d'arresto era terminata. I Francesi ci rimasero male. Proprio il 24 il loro comandante in Italia, generale Fayolle, aveva scritto: «La prima crisi che si prepara consentirà di mettere le mani sul comando italiano»•ix e ora non c 'era più niente da fare, perchè la crisi era stata brillantemente superata. Più sportivi dei Francesi, gli Inglesi chiesero a Diaz di andare in linea sul Montello; ma poichè non avevano specificato se avrebbero accettato di dipendere da lui, non ricevettero risposta. li 26 il generale Plumer «pregò di dare ordini»" e il Comando Supremo gli ordinò di andare sul Montello dal 4 dicembre. A Fayolle, messo dagli Inglesi davanti al fatto compiuto, non restò altro da fare che adeguarsi; e i Francesi furono destinati al settore Tomba-Monfenera. Il 4 dicembre gli Austro-Tedeschi ripartirono: 44 battaglioni e 500 cannoni assalirono i 36 battaglioni italiani che, con 160 pezzi d ' artiglieria, presidiavano gli Altipiani, respingendoli prima sulle alture della Val Frenzela e poi, la vigilia ed il giorno di Natale, prendendo il Col del Rosso cd il Monte YalbeUa; ma senza riuscire a spezzare il fronte. L" 11 Krauss attaccò il Grappa ed occupò l'Asolone. mentre Boroevic si ributtava contro il Piave già da due giorni. Il 18 entrambi si fermarono. Boroevic , in particolare, non aveva gua-

wii, PALDELLA, op. cit.. pag. 286. "" Rip. in FAI.DELLA, op. ciL., pag. 286. "Ibidem.


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dagoato nulla ed era, anzi. cosl pressato dagLi Italiani che abbandonò l'ansa di Zenson il 27 dicembre. 11 primo urto dopo la battaglia d'arresto era stato retto bene; ora toccava al 1918. li nuovo anno non si presentava sotto i migliori auspici per l'Intesa. La Russia, sconvolta dalla rivoluzione bolscevica, si era arresa. Col trattato di Brest-Litovsk del 15 dicembre 1917 aveva dato agli Austro-Tedeschi la vittoria assoluta ad oriente. Ora, da quello che era stato il fronte russo. affluivano verso l'Europa Centrale viveri. materiali bellici e non. ma. sopratullo. le divisioni che, non più necessarie ad est, venivano a rinforzare l'ovest. Infine la Romania era stata liquidata da un pezzo, l'Jtalia aveva subito un colpo terribile. il fronte balcanico era fermo: anche se gli Stati Uniti erano entrati in guerra a fianco degli Alleati le loro truppe giungevano troppo lentamente. Al principio dell'anno erano arrivate in Europa solo 6 delle 42 divisioni americane preannunciate ed il loro ritmo di sbarco era di appena una al mese. A Versailles i capi alleati, calcola111do di poter disporre di un numero di divisioni inferiore a quello degli Imperi Centrali, decisero di tenersi sulla difensiva per tutto l'anno. attendendo i contingenti americani e prevedendo l'offensiva per il 1919. Ovviamente dall'altra pane le cose erano considerate favorevolmente. La pace definitiva colla Russia era stata firmata il 3 marzo. Da quel momento Hindenburg aveva cominciato a preparare quello che riteneva l'attacco conclusivo sul fronte france~e. Sapeva di doversi affrettare, perchè bisognava vincere prima dell'arrivo del grosso delle tnippe americane, ma poichè non se ne prevedeva lo sbarco che in autunno, calcolò che i sei mesi di tempo che aveva davanti fossero sufficienti. Chiese. come già nel' 16. un aiuto agli Austriaci. ma da Vienna risposero che non erano in grado di fornirglielo perchè il fronte italiano era di nuovo in fermento. Il 27 e 28 gennaio il 10° Gruppo Alpini aveva riconquistato il Cornone in VaJ Frenzela; la Brigata Sassari aveva ripreso Col del Rosso e la IV Brigata Bersaglieri la cima di Monte Valbella. Le tre grandi unità avevano così consolidato le difese orientali delr Altopiano di Asiago e. fattore psicologicamente imponante, avevano catturato 2.500 prigionieri, i primi dopo Caporetto.

V) r soliti dimenticati: TAIF, Francia, Palestina, Salonicco ed Albania: 1916 -1918

Oltre che in Friuli e Trentino, gli Italiani combattevano su vari fronti. Anche non europei. Di questi il più impanante era quello francese, dove operavano le TAlF e il nCorpo d'Armata. Sotto la denominazione di TAIF - Truppe Ausiliarie In Francia - vengono spesso impropriamente raggruppati sia i 60.000 militari italiani reduci di Caporeno mandati su quel fronte a pani re dal gennaio 1918 per lavorarvi - le TAIF vere e proprie - sia il Il Corpo d" Armata, arrivato in Francia a metà dell'aprile 1918. Per quanto riguarda i primi, i Francesi avevano chiesto. cd otteonuto nel gennaio 1918. una sona di ..do ut des" per l'aiuto prestato dopo Caporetto all'Italia. Si trattava di 40.000 non idonei al servizio rn linea e di 20.000 idonei, destinati però ad essere progressivamente sostituiti da altrettanti non idonei. I soldati sarebbero stati anicolati in unità. centurie, compagnie, nuclei e raggruppamenti al comando dell'ispettore generale Tarditi ed impiegati seguendo le direttive tecniche dei Comandi francesi. Dopo aver rimandato in Italia 5.000 soldati e 200 ufficiali assolutamente non adatti all'impiego, Tarditi organizzò al meglio quegli uomini e vi riuscì così bene da imlurre i Francesi a domandare che venissero armati per impiegarli in linea. Ma lo Stato Maggiore del Regio Esercito rispose d1 no. ln Francia esisteva già un intero Corpo d'Annata italiano - il Il. sulle Div"ioni 3• e 8" - e non era proprio il caso di aumentare lo sforzo bellico nazionale a vantaggio di Pangi, anche se nell'estate del 1918 circa 2.000 uomini deUe TAIF vi sarebbero stati convogliati.


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1111 Corpo d'Annata era stato trasferito a partire dal 12 aprile 1918 dall'Italia ed includeva - fra le proprie Grandi Unità - la Brigata Alpi, comandata da Peppino Garibaldi 16, nipote dell'Eroe dei Due Mondi. Questi nell'autunno del 1914, seguendo la tradizione di famiglia. aveva organizzato a Montmélian un reggimento di volontari italiani 17, forte di 2.500 uomini. offrendolo alla Francia e facendosi mandare in linea in dicembre. Ricevuto il battesimo del fuoco nel settore delle Argonne il 26 dicembre al prezzo di 40 morti e 150 feriti. i Garibaldini avevano perso altri 300 uomini nello scontro del 6 gennaio 1915. in cui erano stati impegnati i loro battaglioni Il e III. Poi d'Italiani non si era più parlato fino alla primavera del 1918 quando, arrivati tutti in Francia entro il 27 aprile, i soldati italiani andarono in linea nella seconda decade di maggio nelle Argonne. Il 7 giugno il Il Corpo venne trasferito alle dipendenze della 5" Armata britannica sull' Ardre. ad ovest dì Reims ed entrò in Linea tra I' 11 ed il 13. Dopo le prime operazioni, rinsanguato da 2.000 uomini delle TAIF e da complementi prelevati dai reparti di marcia. il II Corpo tornò in linea fra 1'11 e il 15 agosto di nuovo nelle Argonne, passando poi sull 'Aisne nella prima decade di settembre, fronteggiando lo Chemin des Dames. Partecipò a tutte le operazioni principali sul fronte francese e toccò la Mosa subito prima dell"armistizio. Aveva contribuito alla vittoria in Francia con 16.502 tra morti e feriti. La Francia ne aveva avuti si e no 500 in Italia. Italiani e Francesi erano presenti pure su altri fronti. Nel 1917 il generale inglese Allenby aveva portato la guerra dall'Egitto nel Medio Oriente; e Londra aveva ottenuto l' invio di un contingente italiano e d'uno francese in Palestina. Era una partecipazione poco più che simbolica e quindi entrambi i contingenti furono a livello battaglione. Quello italiano, denominato genericamente Distaccamento italianois. era composto inizialmente dal Battaglione del maggiore Francesco D'Agostino. rimasto in comando fino al luglio 1918. ma si ampliò progressivamente19 nell'arco dei 29 mesi di permanenza in Asia Minore al comando del nuovo comandante tenente colonnello Pesenti; e infine fu denominato Corpo di Spedizione Italiano di Palestina. Inserito nel XXI Corpo d'Armata britannico, partecipò in prima linea alla battaglia di Bir-es-Seba, o terza battaglia di Gaza, incominciata il 31 ottobre 1917 appunto lungo l'Uadi Gaza, per aprire la via di Gerusalemme alle truppe alleate. Caduta Ascalona il 9 novembre. i Turchi si ritirarono incalzati dalla cavalleria britannica ed australiana, abbandonando pure Giaffa il 16, mentre il Corpo italiano veniva lasciato a difendere le linee di comunicazione. Premuti su tutto il fronte, i Turco-Tedeschi abbandonarono Gerusalemme, nella quale entrò Allenby l' 11 dicembre dalla Porta di Giaffa, ai lati della quale erano schierati due plotoni di rapprescntanz.a, uno francese ed uno italiano20.

16 All'entrata in guerra dell' Italia era tornato in Patria ed aveva assunto il grado di colonnello. Era stato lui a piantare la bandiera italiana sulla vetta del Col di Lana il 7 novembre del 1915, 17 Oltre a lui, vi militavano Bruno - caduto il 26 dicembre - Costante - morto il 6 gennaio 1915 - e Ricciotti Garibaldi. 18 La denominazione di Corpo di Spedizione Italiano di Palestina venne assunta molto tardi, nel giugno 1919, quando era ormai vicino il rimpatrio. 19 Inizialmente allineava una compagnia Bersaglieri di 5 ufficiali e 341 soldati con un vivandiere. un cavallo e 40 muli e una di 6 ufficiali e I02 Carabinieri Reali con 5 cavalli. Ad esso furono affiancati i 140 militari della Compagnia Cacciatori di Palestina, formata a Porto Said il IO dicembre 1917 arruolando italiani residenti in Egitto - tutti volontari - agli ordini del capitano Felice Mercuri. Successivamente il Governo italiano ordinò l'arruolamento obbligatorio per gli Italiani delle classi dalla 1896 alla 1900 incluse. residenti in Egitto, formando il Battaglione Cacciatori di Palestina che venne rinforzato da un plotone di Carabinieri a cavallo. l servizi restarono minimi: ufficiale medico, ufficiale veterinario e uffic iale d'amministrazione, un'automobile e due autocarri. 20 Il reparto italiano di rapresentanza era formato da SO bersaglieri e IO carabinieri, mossisi su Gerusalemme il 7 dicembre.


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La guerra restò di posizione fino al settembre 1918, quando il 19 Allenby attaccò e sfondò l'ala sinistra avversaria. I Turchi crollarono in rotta e si diresse verso Damasco, caduta in mano aglì Alleati il 1. 0 ottobre, come Beirut r8 e il 26 Aleppo, dove furono alzate le bandiere inglese, francese ed italiana. La guerra in Palestina era finita. Il Corpo di Spedizione italiano vi sarebbe restato fino ali 'agosto 1919. quando sarebbe rimpatriato2 ' per essere sciolto a Napoli in novembre. L'offensiva finale di Allenby aveva preso il via il medesimo giorno dell'attacco decisivo scatenato su un altro fronte dimenticato, dove operavano moltissimi Italiani: quello balcanicoalbanese. Al principio della Grande Guerra il territorio albanese, creato nel 1913 dopo la seconda guerra balcanica, era stato occupato da Serbi. Montenegrini e Greci, lasciando agli Albanesi solo Valona ed il suo territorio. Nell'autunno 1914 l'Italia era intervenuta a sostegno dell'autonomia albanese - in modo da evitare l'insediamento d'un'altra Potenza sull'altra riva del Canale d'Otranto -e in dicembre aveva fatto occupare l'isolotto di Saseno dalla Marina e la città di Valona dal I0° Bersaglieci22. Quando nel 1915 l'esercito serbo crollò, l'Albania divenne l'unica via per rifornirlo; e la Regia Marina se ne assunse l 'onere, stabilendosi a San Giovanni di Medua e garantendone la copertura nei confronti della vicina base austriaca di Cattaro. Quando poi i Serbi furono respinti in Albania, l'ltalia ebbe dai governi dell'Intesa il compito di salvarli - ne sarebbero stati portati via 156.000 con 10.000 quadrupedi e circa 23.000 prigionieri da loro fatti agli Austro- Ungarici - e riorganizzarli e provvide in primo luogo a creare una copertura militare della zona - il Corpo speciale d 'Albania23 - estendendola fino a Durazzo nel dicembre del 1915. Dopo i Serbi arrivarono gli Austriaci. Durazzo fu investita ed evacuata nel febbraio del '16 e tutte le forze del Corpo speciale furono concentrate a Valona sotto il comando del generale Settimio Piacentini, assumendo la denominazione di XVI Corpo d'Armata. A Valona fu allestito un enorme campo trincerato - 160 chilometri di trinceramenti - distaccandone unità per stabilire una nuova base a Santi Quaranta, in modo da controllare il canale d'Otranto e eventualmente congiungersi alle truppe alleate affluite in Macedonia. Quella dell' intervento in Macedonia era stata una necessità alla quale Lutti gli Stati Maggiori alleati si erano piegati "obtorto collo" per evitare che i porti di Salonicco e della Grecia cadessero in mano agli Imperi Centrali, data la minaccia bulgara e l'arretramento russo in seguito alla disfatta di Tamow-Gorlice. Il Regio Esercito concorse alle operazioni a partire dal 1916 con una sola divisione - la 35" - inviata a rinforzare il corpo anglo-franco-serbo di 220.000 uomini. che dal settembre del 1915 era presente in Macedonia, o meglio, su un lungo fronte che traversava la penisola balcanica dal confine albanese ai Dardanelli, col comando nel campo trincerato di Salonicco, fronteggiando i 280.000 austro-germano-turco-bulgari del generale tedesco von Scholtz.

21 Il distaccamento Carabinieri Reali di Gerusalemme invece restò fino al 1921, imbarcandosi per l'I talia da Giaffa solo il I O marto. 22 Nel 1913 l'espansione montenegrina aveva minacciato di destabilizzare l'area albanese. La Conferen1.a di Londra aveva, nel maggio di quell'anno. creato uno stato albanese reuo da un sovrano gradito ali' Austria, insediatosi nel marzo 1914. L'opposizione degli Epiroti comportò il crollo della dinastia dopo l'attentato di Serajevo e, quando il 28 ottobre truppe greche sbarcarono a Santi Quaranta. la Regia Marina ricevè l'ordine di agire. Saseno e Valona vennero occupate da battaglione da sbarco comandato dal capitano di fregata Ciano e forte di circa cinque compagnie fomite dalle Regie Navi Sardegna, Etna, Piemome. 23 Brigata Savona - Rgg.ti 15° e 16° Fanteria - C.do Brigata Verona ed 85° Fanteria, 47° e 48° Reggimento della Miliz ia Territoriale, uno Sqd Cavalleria, 3 batterie da montagna, 2 da campagna. 7 da posizione. Genio e servizi, il tutto al comando del generale Bertotti.


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Qualunque fosse il loro piano, dopo sette mesi d'inattività gli Alleati furono attaccati il 22 agosto 1916, ressero passabilmente ed eseguirono una controffensiva, che vide la divisione italiana, attestata sul Kruscia Balcan, agire cogli Inglesi dell'ala destra nell'attacco diversivo, effettuato per appoggiare il sostanzialmente fallito tentativo di sfondamento fatto al centro da Francesi, Russi e Serbi. L'arrivo dell'inverno sospese ogni operazione in grande stile fino al settembre 191 8, limitando l'attività bellica ad azioni locali alquanto dure. La 35•, schierata a difesa dell'ansa della Cerna, tra Novale e Mekovo, fu impegnata il 12 e il 27 febbraio in combattimenti di trincea e in un colpo di mano contro quota 1.050, effettuato in agosto. Gli eventi degli altri fronti europei distolsero da quello balcanico aliquote di truppe alleate, solo lentamente sostituite in linea da grandi unità greche, intervenute in seguito al colpo di Stato di Venizelos del giugno 1917, e questo spiega in gran parte la sostanziale stasi operativa protrattasi fino al settembre del 1918. Dopo la giunzione del 17 luglio fra l'Annata Francese d'Oriente e il XVI Corpo d'Armata italiano d'Albania a Baka. si preparò un'operazione congiunta nel cui ambito il XVI Corpo, con un sostegno francese sulla destra, attaccò in direzione di Elbassani e Durazzo, attirando le truppe nemiche verso il mare e permettendo alle unità alleate della Macedonia di scatenare l'offensiva con maggiori possibilità di successo. Il XVI Corpo si spinse in avanti come previsto; ma nella seconda metà di luglio - fiaccato dal caldo, con 19.000 ricoverati per malattia e privo di rincalzi - ripiegò attestandosi un po' più a nord della sua originaria base di partenza Adesso sarebbe toccato al fronte macedone, ma il generale Franche! d'Esperey impiegò due mesi a superare l'opposizione dei governi alleati alrimpresa. Perciò soltanto il 15 settembre i suoi 200.000 uomini poterono sfondare il fronte tenuto da 205.000 nemici, allargando la falla apertavi e raccogliendo migliaia di prigionieri. La 35' pure questa volta ebbe un ruolo di fiancheggiamento. Destinata ad azioni dimostrative fin dal 14 settembre, si attirò un attacco nemico il 21, respingendolo, avanzando a sua volta con una divisione greca cd una coloniale francese e minacciando d'accerchiamento gli avversari nel settore di congiunzione fra la 3' Armata bulgara e l' 11• tedesca. Deviata verso ovest per tagliare la ritirata al nemico proveniente da Monastir, il 24 incontrò una dura resistenza alla stretta della Cema e sulle alture di Kruscevo e del Dragbisctz. superandola il 26. Lo stesso giorno i Bulgari domandarono l'armistizio, che fu concluso il 29 ed entrò in vigore il 30. Soli, gli Austro-Tedeschi cercarono di far affluire rinforzi; ma giunsero tardi, servirono a poco e non impedirono il collasso degli Imperi Centrali sul fronte balcanico. Nel frattempo, infatti, si era mosso anche il XVI Corpo d'Armata, attaccando e disarticolando gli Austriaci e anticipando i Francesi nell'occupazione d'Elbassani. Poi prese Durazzo e, con notevoli difficoltà logistiche, arrivò a Scutari, facendone sgomberare il nemico, e a Cattaro, dove la Brigata Barletta sbarcò per ricevere la resa di circa 100.000 austriaci. Era stata una vera corsa contro il tempo, fatta non tanto per distruggere il nemico, quanto per evitare che i Serbi, o i Francesi. s'impadronissero dell'Albania per poi ottenerla in sede di trattative di pace, mentre l'Italia la voleva indipendente per garantirsi il controllo del Canale d'Otranto, cioè in sostanza del traffico in Adriatico, come un tempo era stata costante preoccupazione dei Veneziani.

VI) "Di noi tremò la nostra vecchia gloria, tre secoli di fede e una vittoria."""; 1918

Tra il febbraio cd il marzo I 918 la riorganizzazione del Regio Esercito poteva dirsi conclusa. xxi D'ANNUNZIO. dedica ai Granatieri di Sardegna della «Leda senza cigno».


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Favoriti dalJ 'inattività che regnava sul fronte a causa del maltempo, i comandi superiori poterono rinforzarsi senza temere di vedersi sciogliere dal fuoco della battaglia i reparti appena ricostituiti. Tornarono al fronte 104 reggimenti tra fanteria di linea, alpini e bersaglieri. 47 battaglioni complementari, 812 compagnie mitragliatrici, 69 di zappatori e varie di altro genere. L'artiglieria venne rimessa celermente in sesto. Nel!' ottobre del 1917 aveva avuto in linea 7.138 pezzi di ogni calibro, perdendone 3.152 nei giorni di Caporetto. Fortuna volle che fra luglio e novembre l'industria ne avesse costruiti 1.994, che non erano stati ancora consegnati e che andarono subito a rimpiazzare un po' meno della metà dei perduti. Occorreva però procurarsi i 1.200 che mancavano e sostituire quelli conservati ma danneggiati. Gli stabilimenti, coordinati dal generale Dallolio, uno dei migliori esperti che l'Italia abbia mai avuto, ci riuscirono in tempi relativamente brevi e con una trovata molto semplice. Nel corso degli anni precedenti erano stati fabbricati molti più proietti di quanti non se ne fosse potuti caricare di esplosivo. Ora. profittando dell'atteggiamento difensivo e del diminuito fabbisogno giornaliero di munizioni del Regio Esercito, si provvide a caricare i circa 8 milioni24 che erano già costruiti, si tlettè la produzione adeguandola alle esigenze del momento e si utilizzò il metallo rispanniato per fare le nuove bocche da fuoco. A fine aprile erano state ultimate 471 batterie complete, la cui forza andava da due a sei pezzi a seconda del calibro, ed era stata costituita una riserva di 682 bocche da fuoco di vario genere. Nei sei mesi che andarono dal 1° dicembre 1917 al 31 maggio 1918 la produzione complessiva superò le 4.000 unità. Anche il sistema dei trasporti era stato incrementato. Ad ottobre del 1917 il neonato Corpo Automobilistico contava 71.700 uomini con 25.000 automezzi di ogni tipo. A gennaio, nonostante le perdite dovute alla ritirata, le cifre erano salite a 82.000 e 25.800. A giugno sarebbero andate ancora più su: 102.500 militari e 29.800 macchine, per toccare l'apice, 118.000 uomini e 37.700 autoveicoli, all'atto dell'armistizio. La Fanteria aveva ricevuto la maggior parte deUe cure. visto che era l'Arma che aveva sofferto di più. L'armamento delle sue unità era stato potenziato nel corso del conflitto, mentre ne era stato contratto l'organico. facendo scendere progressivamente la forza delle compagnie fino a 145 uomini. Completata ormai da due anni la dotazione di armi alle sezioni mitragliatrici di reparto, i battaglioni avevano via via immesso nel proprio organico la compagnia mitTagliatrici. la sezione lanciatorpedini, su 6 amli, che nel ' 18 si tramutò in sezione lanciabombe con materiale britannico Stokes, due sezioni pistole mitragliatrici (ognuna su due Villar Perosa calibro 9) raddoppiate dopo poco tempo, mentre i reggimenti avevano ricevuto sia le sezioni lanciafiamme che il reparto cannoni da 37 su 4 pezzi. Gli Austriaci avevano dunque ragione a preoccuparsi cd è comprensibile che abbiano rifiutato di maDdare ad Hindenburg le divisioni che aveva loro chiesto per il fronte occidentale. li guaio fu che così facendo venne ripetuto l'errore del 1916. quando il mancato accordo fra Conrad e Falkenbayn aveva dato vita alle due distinte offensive di Verdun e degli Altipiani e, come allora, mancò poco che gli Imperi Centrali vincessero. Di nuovo incominciarono i Tedeschi. Il 21 marzo 6.000 cannoni aprirono il fuoco sugli 80 chilometri del fronte francese compresi fra Croisilles e La Fere, in Piccardia. Dopo solo 5 ore di preparazione, 63 divisioni germaniche attaccarono. La 3° Armata britannica indietreggiò; ma le 17 divisioni della 5• si sfasciarono peggio delle «colleghe» italiane a Caporetto, squarciando il fronte per 15 chilometri e consentendo ai Tedeschi di puntare su Amiens, la cui presa avrebbe separato i Francesi dagli Inglesi. 24 Corrispondenti alla produzione italiana dei primi 8 mesi di guerra. Le cifre dei materiali sono tratte dal volume di M. Mazzetti. «L'industria italiana nella grande guerra». Roma, USSME, 1979.


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Bruciate le riserve in un batter d'occhio, mentre le strade s'intasavano di civili in fuga e di sbandati, accorsero 50 divisioni francesi che. il 4 aprile, riuscirono a chiudere la falla. Prezzo pagato dai Britannici: la cessione a Foch del comando unico del fronte occidentale; un passo in pii\ sulla strada dell'accentramento in mano ai Francesi del comando di tutti gli eserciti alleati. Mentre il conto dei morti e dei feriti era appena all'inizio ed i primi 90.000 inglesi venivano avviati ai campi di prigionia in Gennania, il 9 aprile le truppe del Kaiser attaccarono sulla Lys. Di nuovo la linea saltò, mentre le riserve ed i rincalzi alleati si liquefacevano. Quando finalmente i Tedeschi si fermarono. altri 204.000 inglesi mancavano all"appello e 24.000 di loro erano prigionieri. Con la disponibilità delle divisioni austriache sarebbe stato possibile vibrare un terzo colpo e con ogni probabilità Amiens sarebbe caduta, gli eserciti alleati sarebbero stati separati e battuti e le truppe imperiali avrebbero fatto ingresso a Parigi. Agendo da deterrente verso l'Austria, la minaccia italiana sul Piave non lo aveva consentito. Intanto l'Imperiale e Regio Stato Maggiore stava preparando la sua offensiva. Nuclei di ufficiali erano stati mandati presso l'esercito tedesco per apprenderne i sistemi d'operazione. Si era curato particolarmente l'addestramento dei militari di truppa ed erano state richiamate dalla Russia 21 divisioni, portando a 58 quelle sul fronte veneto, appoggiate da oltre 7.000 pezzi e 540 aerei. Mai Vienna aveva avuto tante forze in Italia. Diaz invece aveva in prima linea 37 divisioni, di cui due inglesi e una francese, e di riserva altre 19, delle quali una inglese, una francese ed una cecoslovacca. In totale 56, con 7.000 cannoni, 560 aeroplani italiani ed un centinaio franco-inglesi. Il 23 marzo del 1918 l'imperatore Carlo aveva approvato il piano elaborato dal suo Stato Maggiore riguardo al fronte italiano. In mare un'azione per distruggere la squadra italiana d'Ancona; a terra una tenaglia. Le forze austroungariche erano divise in due gruppi d'armate binari. IJ primo, forte di 35 divisioni, agli ordini di Conrad von Hotzendorff, doveva assalire dal Trentino il fianco sinistro degli Italiani fissandolo e, eventualmente ma non necessariamente, sfondandolo per prendere alle spalle le loro lli1ee sul Piave. Contemporaneamente doveva scattare l'attacco frontale del secondo gruppo armate, comandato da Boroevie e forte di 23 divisioni. Presi fra i due gruppi, i difensori sarebbero crollati. consentendo alle truppe austroungariche di raggiungere l' Adige e con esso i due obbiettivi dell'offensiva: quello strategico, Verona, e quello di prestigio, cioè Venezia, difesa dalla 3" Armata. I preparativi erano stati di tale consi.stenza che, come quasi sempre avviene, qualcosa trapelò oltre le lince. Non tutto, come si affem1ò poi, ma abbastanza da mettere in allarme il Comando Supremo italiano ed indurlo a predisporre le necessarie contromisure. Tanto pessimismo non era però condiviso da Foch, il quale da Parigi scrisse due lettere a Diaz. dichiarando che le truppe austriache erano ben lontane dall'essere preponderanti rispetto alle italiane e pertanto era necessario che il Regio Esercito passasse all'offensiva. Ad entrambe le lettere il Capo di Stato Maggiore rispose di essere certo delle proprie informazioni e di non voler logorare le truppe prima del tempo. La seconda risposta fu scritta da Diaz il 28 maggio. JI giorno prima i Tedeschi avevano lanciato un'offensiva sullo Cbemi.n des Dames25, sfondando il fronte francese e superando gli obbiettivi prefissati. cioè il raggiungimento della linea Soissons-Fismes, arrivando nuovamente sulla Marna. a soli 60 chilometri da Parigi. 1 Francesi avevano perso 85.000 prigionieri e 1.200 cannoni ed il loro governo stava progettando di abbandonare la capitale. Mentre si svolgevano le ultime battute di quest'enorme operazione che, sospesa il 3, era stata ripresa il 9 giugno con un'ulteriore avanzata di 13 chilometri e la cattura di altri 13.000 prigionieri e che sarebbe stata arrestata dalla durissima resistenza oppostale prevalentemente

25 Nota anche come offensiva dell' Aisne, o di Chiìteau Thierry.


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dal II Corpo d'Armata italiano dal 22 a l 24 giugno 1918, pressato dagli avvenimenti Foch tentò in ogni' modo di ottenere un attacco d.i alleggerimento da parte degli Italiani sul Piave. Il 12 giugno scrisse in una terza lettera a Diaz « ..che non avendo avuto luogo l'offensiva austriaca, se ne poteva escludere l'eventualità. L'offensiva italiana doveva perciò essere sferrata a breve scadenza»ui;_ Contemporaneamente il Presidente della Repubblica francese convocò l'Ambasciatore del Re, ribadendogli tutto ciò che Foch aveva scritto. Diaz non rispose neppure; all'alba di quello stesso 12 giugno le artiglierie del Gruppo AImate Conrad avevano iniziato il fuoco di preparazione per !"attacco sugli Altipiani, nome in codice: «Operazione Valanga». Controbattuto tanto efficacemente da essere sospeso già aJle 5.30 del mattino del 12, alle 3,30 dell'indomani il fuoco austriaco riprese e dopo mezz'ora la fanteria partl all'attacco, bersagliata selvaggiamente dai cannoni italiani. Fu massacrata. «la sconfiua austriaca fu totale e il col.JJnnello Marchetti raccolse da prigionieri e disertori particolari impressionanti delle ripercussioni che essa ebbe: «Intieri battaglioni di marcia ruppero le righe sotto l'impressione del disastro e delle notizie portate dalle prime linee da fuggiaschi atterriti dal nostro inaspettato tiro del 'artiglieria, prima che s'iniziasse il movimento delle fanterie. A Monte Zingarella due battaglioni di marcia del 2° Schiit::.en si autosciolsero. I fuggiaschi affluirono numerosissimi in Valsugana, dove furono fatti arresti in massa dalla gendarmeria da campo che sbarrava le comunicazioni. Un battaglione di marcia del 79° fanteria, arrivato a Levico, al momento di partire per gli Altipiani abbandonò anni e bagagli, sparpagliandosi per la campagna. A Trento giunsero dal fronte, in pieno disordine, reparti frammischiati delle varie armi. Nella lontana Innsbruck e dintorni furono rastrellati circa 8.000 uomini disannati e senza equipaggiamento che erano risaliti lungo la Valle dell'Adige e avevano varcato il Brennero»uiu_ Per gli Austriaci sui monti era andata male e sul Piave non andava bene. Boroevic aveva attaccato con foga ed era riuscito ad ottenere alcuni buoni risultati che lo facevano ben sperare. li Montello sembrava sul punto di cadere e due teste di ponte erano state create sulla riva destra, farcendole con 8 divisioni. Ma Diaz, constatato che il successo difensivo sugli Altipiani aveva cancellato ogni rischio, fece affluire le riserve, a sostegno dei terribili contrattacchi che tutta la linea difensiva italiana lanciava in continuazione, sostenuta dall'artiglieria con un'intensità di tiro e una coordinazione senza precedenti. n 19 Boroevic chiese di poter ritirare il suo stremato gruppo armate sulla sinfatra del fiume e, avuto il permesso, effettuò il passaggio nella notte fra il 22 ed il 23 giugno, limitandosi a conservare una sola testa di ponte sul basso Piave. Con!Io questa il Comando Supremo italiano decise di agire a partire dal I O luglio; e gli scontri nel settore continuaròno fino al 6, quando gli Austriaci cedettero e ripiegarono, permettendo l'avanzamento del fronte di 6 chilometri. Commentò un ufficiale italiano: «la gran battaglia è finita ... abbiamo vinto: e son torme di prigionieri sporchi e magri, son lunghe lente file di feriti .... E sappiamo allora cosa ha fauo l'artiglieria, flirta l'artiglieria: prima dell'elogio dei comandanti ce lo dicono /e fanterie che passando salutano i cannoni con alte grida festose»xxiv e per questo la data della Battaglia del Solstizio sarebbe divenuta quella della festa del!' Aima d' Aitiglieria. In più il 1918 portò risultati di grande rilevanza pratica e morale sia in mare sia in aria. Tn mare i MAS - Motoscafi Aimati SVAN - della Regia Marina avevano respinto un attacco navale austriaco a Cortellazzo e, dopo la Wien nel 1917, avevano affondato altie due corazzate ne-

xxii FALDELLA. op. cit.. pag. 346. mu Idem, pagg. 359-360. xxiv G.M. SANGIORGI, "75 m/m",

Milano, Agnelli, 1931, pag. 232.


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miche: la Santo Stefano a Premuda, facendo fallire l'incursione austriaca destinata a distmggere la squadra italiana d'Ancona, e la Viribus Unitis26, silurata violando la base nemica cli Pola. In aria l'anno era cominciato con una grande vittoria nel più grande scontro aereo mai visto sul fronte italiano, svoltosi nei primissimi giorni di gennaio, ed avrebbe toccato l'apice col "Volo su Vienna" di D'Annunzio, il cui maggior effetto fu propagandistico e risiedè nell'inondare la capitale austriaca di volantini anziché di bombe. Intanto in Francia. in luglio, i Tedeschi avevano tentato la loro terza offensiva. Grazie al sacrificio del II Corpo d'Armata italiano - 9.334 morti e feriti - che aveva impedito la presa cli Epernay e l'accerchiamento di Reims, Foch l'aveva bloccata ed aveva poi deciso di attaccare continuamente per logorare il nemico. Utilizzando la gran quantità cli Americani. che sbarcavano ora al ritmo cli 2-300.000 al mese, gli Alleati cominciarono la riconquista dei territori persi con la seconda offensiva germanica. bersagliando il nemico con un'ininterrotta serie cli battaglie locali, che sarebbero durate fino all'armistizio e che sono complessivamente note come Battaglia di Francia. Il 14 agosto il Consiglio dell'Impero germanico. presente il Kaiser, decise di passare alla difensiva strategica, attuando poi, fra il 4 ed il 22 settembre, il ripiegamento sulla linea Siegfried, mentre se ne completava più indietro una seconda, detta Hermann Hunding. Queste notizie sul favorevole andamento della guerra al fronte francese. le voci, sempre più consistenti, relative al peggioramento delle condizioni interne dell'Austria-Ungheria e l'annuncio dell'attacco alleato contro la Bulgaria decisero il Comando Supremo italiano apredisporre l'offensiva sul Piave. A dire il vero gli Alleati. in particolare i Francesi, insistevano già da tempo per una ripresa dell'attività sul fronte veneto, sia perchè avrebbe utilmente coadiuvato lo sforzo che stavano compiendo colla Battaglia di Francia. sia perchè l'Austria aveva mandato alcune divisioni in rinforzo alla Gennania. Diaz avrebbe forse potuto attaccare con successo in estate, subito dopo l'offensiva nemica. ma allora la situazione non era, almeno in apparenza. tanto favorevole. Dopo la battaglia del Piave gli Austro-Ungarici si erano ritirati, questo è vero, però per poter avanzare efficacemente sarebbe stato necessario innanzitutto modificare lo schieramento dell'artiglieria, passando da quello in profondità servito alla difesa ad uno avanzato. In secondo luogo le perdite italiane fra giugno ed ottobre erano state elevatissime, tanto che quando il Regio Esercito mosse finalmente all'attacco, contava 192.000 uomini meno di quanti ne avesse avuti in giugno, poiché dopo iJ dissanguamento imposto da Cadorna non era stato possibile ripianare simili vuoti con faci lità e non ci si poteva aspettare nulla dagli Alleati, nè franco-inglesi, che avevano ridotto i loro contingenti in Italia, nè americani, i quali avevano in Europa un milione e mezzo di soldati. è vero, ma tutti destinati alla Francia; in Italia ce n'era solo un reggimento. Infine restava lo spauracchio delle precedenti avanzate: molti risultati al principio, poi il cozzo contro imprendibili posizioni montane, la stasi e, magari. un'altra Caporetto. Per tali motivi Diaz temporeggiò fino al 25 settembre quando, alla luce del favorevole andamento generale del conflitto, il presidente del Consigl.io. Orlando, cominciò a tempestarlo perchè attaccasse. Il 29 il Capo di Stato Maggiore si decise. La Bulgaria aveva firmato l'armistizio e gli Austro-Tedeschi avevano distolto varie divisioni dai rispettivi fronti per imbastire una linea difensiva ai confini sud-orientali dell'Impero asburgico. Il momento era propizio, anzi, a posteriori, si può affermare che fosse il più propizio in assoluto. Le forze austro-ungariche in Italia ammontavano a 57 divisioni e mezza, con 6.030 pezzi e 564 aeroplani, ed erano articolate in tre gruppi d'armate: quello del Trentino, ora comandato dall'arciduca Giuseppe, binario, come l'altro di Boroevic sul Piave ed il nuovo Gruppo d' Armate di Belluno, incaricato della difesa tra Piave e Brenta e sottoposto a von Goglia. ln totale però solo 36 divisioni e mezza erano in prima linea. perchè l'Imperiale e Regio Stato Maggiore 26 Furono le uniche tre corazzate affondate alle Marine degli Imperi Centrali in tutto il conflitto.


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aveva schierato le proprie forze prevalentemente in difesa, sulle due Linee all'uopo predisposte: la Kaiserstellung, profonda da 2 a 3 chilometri, e la Konigstellung. in via dj completamento. DaJl'altra parte Diaz aveva, da sinistra a destra, le armate I', 6°, 4', 12', 8", 10' e 3'. La 12" e la 10", rispettivamente agli ordini del generale francese Grazjani e dell'inglese Lord Cavan, contavano pe.rò una 3 divisioni italiane ed I francese e l'altra 2 divisioni italiane e 2 britanniche. Complessivamente Diaz, su 57 divisioni che aveva, ne potè mettere 22 in prima linea e 16 in seconda. con 4. ISO pezzi ed oltre 600 bombarde e nella terza settimana dj ottobre tutto il dispositivo era pronto27 per quella che è passata aJla storia come la battaglia di Vittorio Veneto. L'onore del primo colpo spettò alla 4• Armata, le cui 9 divisioni attaccarono gli Austriaci sul Monte Grappa il 24 ottobre 1918. a un anno esatto dall'offensiva di Caporetto. SutraJtopiano di Asiago entrarono in azione gli uomini della 6". mentre quelLi della 12" attaccavano sul Piave. Il 25 cd il 26 il fiume in piena arrestò le operazioni lungo tutto il suo corso, mentre la 4• Armata continuava a combattere, passando sul Grappa da una mischia sanguinosa all'altra coi tenacissimi difensori. Nella notte fra il 26 ed il 27 il Genio gittò ponti e passerelle sotto un fuoco d'inferno, consentendo alle armate 8", I0'e 12' di traversare il Piave e costituire delle teste di ponte, rispettivamente verso Semaglia. Valdobiaddene ed Ormelle. Gli Austriaci si difesero con tutte le forze su tutta la linea, concentrando il fuoco delle loro artiglierie sui ponti appena gettati e che il Genio doveva continuamente ricostruire per gli effetti delle cannonate e della piena. Il 28 Caviglia fece passare il XV1Il Corpo sui ponti usati dalla 12' Armata e lo fece convergere sul nemico, consentendo l'ampliamento delle teste di ponte. Nella notte il Genio gittò un'altra serie di ponti per i rinforzi che permisero di prendere Susegana e minacciare Vittorio Veneto. Davanti a una simile situazione Boroevic, nel pomeriggio stesso del 29, ordinò la ritirata sulla seconda Linea difensiva. U giorno seguente 1'8• Armata forzò la stretta di SerravaJle, la IO" arrivò sul Livenza, la 12• prese la strettoia di Quero e la 3", ricevutone l'ordine, passò il Piave. ll 31 ottobre 1918 l'avversario contro cui gli Italiani si battevano da oltre cent'anni, l'Imperiale e Regio Esercito Austro-Ungarico, si sfasciò per sempre. Alle 15.1 S del 3 novembre la I• Armata entrava a Trento in un tripudio di popolo, mentre bersaglieri e marinai sbarcavano a Trieste tra scene indimenticabili. Alle 15 dell'indomani la guerra sul fronte italiano finiva. La sera del 4 in ogni città d'Italia sede di Prefettura o di Comando militare la gente si accalcò nelle strade e nelle piazze per la lettura del bollettino. Era noto che il 29 ottobre si erano presentati dei plenipotenziari austro-ungarici, che erano in corso delle trattative e che le unità italiane erano irrefrenabilmente proiettate in avanti, per cui tutti sapevano che quello poteva essere il bollettino definitivo. Nei giorni precedenti i giornali erano andati a ruba: non si riusciva quasi nemmeno a consegnarli alle edicole e le manifestazioni di gioia per la vittoria erano già scoppiate dovunque; ma quella sera fu indimenticabile. Più o meno dappenutto la folla accolse con un silenzio carico di trepidazione la lettura pubblica del famosissimo bollett.ino di guerra numero 1268, diramato alle 12 del 4 novembre 1918, che cominciava colle parole: «La guerra comro I 'Austria-Ungheria che, wtto /'alta guida di Sua Maestà il Re - Duce Supremo - l'Eserciw Italiano, inferiore per numero e per me:.zi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi è vinta»"'. A questo punto un boato di

2 7 11 piano venne preparato dall'allora maggiore Ferruccio Parri, che venticinque anni dopo sarebbe divenuto il capo della Resistenza italiana. e fu da lui passato al tenente colonnello Ugo Cavallero, il quale lo presentò a Diaz per rapprovazione. xxv Rip.in. L. GRATl'ON, «Armando Diaz nell'ultimo anno della Grande Guerra» Roma, Rivista Militare, 1994, pag. 75.


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gioia. «La gente sembrava matta; urlavano, saltavano, battevano le mani, non si capiva più n111/a,.,v.vi. Era veramente finita, era la vittoria; e le conseguenze furono incalcolabili. Si è detto che i plenipotenziari austro-ungarici si erano presentati alle lloee italiane il 29 ottobre, latori di una richiesta di armistizio. Il Comando Supremo aveva fatto loro presenti le proprie condizioni: erano previste e furono accettate subito tutte, meno una, che riguardava l'immediata messa a disposizione del Regio Esercito e degli Alleati delle reti di comunicazione dell'i mpero. Il nodo era serio, l'imperatore Carlo aveva garantito a Guglielmo Il che su quello non avrebbe ceduto, ma gli Italiani insisterono. Allora il generale Weber mandò a Trento due ufficiali perchè per telefono chiedessero ordini a Vienna. Dopo il Consiglio della Corona del 2 novembre, dalla capitale giunse risposta affermativa; e l'armistizio fu sottoscritto accettando quella e le alrre condizioni: ritirata dai territori occupati e da quelli che spettavano all'Italia in base aJ Patto di Londra, restituzione dei prigionieri e cessione di gran parte del materiale d'artigli.eria e della flotta. 11 4 Diaz telegrafò a Parigi comunicando che, se i Tedeschi non si fossero arresi, gli Italiani avrebbero marciato contro di loro da sud-est. lotanto lo Stato Maggiore del Regio Esercito cominciava a pianificare l'invasione della Germania attraverso l'Austria occidentale e l'Altopiano Bavarese. Sempre il 4 l'Agenzia Stefani comunicò che: «...La prepotente coalizione che scatenò questa terribile guerra ....non ancora è però completamellle domata. Resta in piedi l'avversario sul qllCl/e ricade la maggiore e più sang1tinosa responsabilità della guerra: la Germania ....ln questafase finale e decisiva l'Italia terràfermameme il suo posto d 'onore..... è debito d'onore per l'Italia, ed essa lo manterrà con saldezza e con fede, di restare a/fianco dei suoi alleati. Noi non deporremo che tutti insieme le armi allorchè la vittoria avrà coronato i nostri sjorzi»"vii. Per quanto «privata» fosse la Stefani, anche i più sprovveduti sapevano che era l'agenzia ufficiale del Governo italiano e che un suo comunicato era una manifestazione di volontà del Re e dei suoi ministri. Per i Tedeschi era un guaio enorme. Appena il 28 ottobre, il generale Gallwitz aveva affermato: «... gli avversari sono stanchi, hanno subito molte perdite. Però, se l'Austria facesse pace separata, la situazione sarebbe disperata»XJ<viii_Avrebbe poi scritto Ludendorff: «Nell'ottobre 1918, ancora una volta sullajrome italiana rintronò il colpo mortale. A Vittorio Veneto l'Austria non aveva perduto una battaglia, ma aveva perduto la guerra e se stessa, trascinando la Germania nella propria rovina. Senza la bartaglia distruttrice di Villorio Veneto noi avremmo potuto, in unione d'anni con la Monarchia austroungarica, continuare la resisten:.a disperata per tutto l'inverno, avere in tal modo il tempo e la possibilità di conseguire una pace meno dura, perchè gli Alleati erano molto stanchi»xxi•. Effettivamente sia il primo ministro britannico Lloyd George che il governo francese indurirono immediatamente le condizioni di resa da imporre alla Germania non appena vennero a conoscenza dell'entità del crollo austriaco2ll.

.uvi Testimone oculare, La Spez.ia, 4 novembre 1918.

uvii Rip. in, «Il Momento», Torino, Martedì 5 nov. 1918, l' pagina. 5" colonna. xxviii Rip. in. CARACCIOLO, op. cit., pag. 187. "'"'Rip. in FALOELLA, op. cit., pag. 376. 27 U piano venne preparato dall'allora maggiore Ferruccio Parri, che venticinque anni dopo sarebbe divenuto il capo della Resistenza italiana. e fu da lui passato al tenente colonnello Ugo Cavallero, il quale lo presentò a Diaz per l'approvazione. 28 Basti un esempio: fino all'inizio di novembre Lloyd George aveva sempre respinto la richiesta dell'Ammiragliato britannico d'inserire la consegna dell'intera flotta gem1anica fra le condizioni di resa. poichè era convinto, e con ragione, che una tale imposizione sarebbe bastata da sola a dissuadere i Tedeschi dall'annistiz.io. Quando arrivò il telegramma di Diaz., egli, rendendosi conto che la guerra era onnai vinta,


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Da parte sua l'imperatore Guglielmo non aveva scelta: o proseguire la guerra ad oltranza o arrendersi subito. La prima possibilità era un assurdo. Era vero sia che solo un minimo tratto di territorio tedesco nei pressi del confine franco-svizzero era stato perso, mentre due terzi del Belgio e tutta la fascia settentrionale della Francia erano ancora occupati, sia che le truppe imperiali reggevano abbastanza bene; ma l'apertura di un fronte in Baviera sarebbe stata troppo. Non c'erano più soldati altro che per tenere la linea dall'Olanda alla Svizzera. Un attacco da sud avrebbe portato al crollo ed all'invasione della Germania; e questa non era un·eventualità ma la realtà. Poichè gli Italiani avevano rifiutato di ammettere ai colloqui il plenipotenziario tedesco presentatosi insieme a quello austriaco il 29 ottobre, il che significava che non volevano una pace separata colla Gem1ania (e la nota della Stefani l'aveva confermato), era evidente che o si accettava subito l'armistizio a qualsiasi condizione, o il Regio Esercito avrebbe marciato su Monaco di Baviera. con conseguenze inimmaginabili. L'Imperatore lo capì. come l'avevano capito i capi alleati anche se poi si sarebbero presi tutta la gloria della vittoria. negando all'Italia il ruolo fondamentale che aveva ricoperto, e 1' 8 novembre abdicò e se ne andò. aprendo la porta alla pace. Ma i Tedeschi non capirono. Non erano stati sconfitti sul campo, nè sul mare. L'esercito era ancora forte. dunque perchè arrendersi ? La Germania era stata tradita, ecco la verità, l'unica possibile spiegazione. li seme della guerra futura fu gettato così e fu concimato ed irrobustito dalle durissime clausole del trattato di Versailles. Quando alle 11 dell' 11 novembre 1918 il cannone finalmente tacque sul fronte occidentale29, c ' erano già tutte le premesse per affemmre che presto avrebbe fatto nuovamente sentire Ja sua voce.

accolse il desiderio del!' Ammiragliato; e la flona tedesca. pur di non consegnarsi ai vincitori, si autoaffondò sotto gli occhi degli Lnglesi nella base britannica di Scapa Flow. 29 LI IO ottobre era stata ripresa l'offensiva da parte del Il Corpo d' Armata a nord dell' Aisne e lo Chemin des Dames fu raggiunto, arrivando colle punte avanzate fino al fiume Ailelte. Ripartita il 12, la Grande Unità italiana si fermò. con tutta la IO' Armata. solo davanti alle fortificaz.ioni delle paludi di Sissonne. 115 novembre i Tedeschi si ritirarono; e gli Italiani avanzarono dai 12 ai 17 chilometri oltrepassando i fiumi Hurtaut, Serre ed Aube. Nella notte dal IO all ' 1I le pattuglie italiane entrarono a Rocroy e, con uno sforzo esrremo, alle 11 dell' 11 novembre 1918 la bandiera italiana fu piantata sulla sponda della Mosa.



CAPITOLO XXXVII

DA VITTORIO VENETO ALLA GUERRA D'ETIOPIA: 1918- 1935

I) "Eja carne del Carnaro...",1 D'Annunzio a Fiume: 1919 La mattina del 17 novembre 1918 alcuni reparti 1 italiani entrarono a Fiume come forza d'occupazione interalleata, insieme a militari statunitensi. Detto così sembra essersi trattato di ordinaria amministrazione; ma non lo fu. La questione di Fiume era, e sarebbe restata per alcuni anni, una delle più spinose per la diplomazia italiana. Le sue radici affondavano nel Patto di Londra, il quale aveva previsto la cessione all'Italia di tutta l'Istria fino alla linea Monte Nevoso - Volosca. includendo Cherso, il Quarnarolo e Pago, ma non Fiume e Veglia. Dopo il crollo dell'Austria-Ungheria la città era stata occupata dai Serbo-Croati i quali, in quanto Serbi, erano dalla parte dei vincitori e favoriti dalla Francia, tesa a crearsi una sfera d'influenza politica nella zona danubiana. Poichè la popolazione della città, a larghissima maggioranza italiana, aveva chiesto di unirsi all'Italia fin dal 30 ottobre 1918, era stato deciso che le forze interalleate dovessero entrarvi per estrometterne i Serbo-Croati e garantire l'ordine pubblico fino alle decisioni della conferenza di pace. Solo che per l'Italia le cose si misero assai male. Incominciarono gli Alleati franco-inglesi col farle presente, e non si poteva dar loro torto, che Fiume non era fra i territori spettantile in base al Patto di Londra; e continuarono gli Americani tirando fuori i 14 punti di Wilson, secondo i quali Roma avrebbe perso pure mezz.a Istria. Le discussioni si trascinavano da un pezzo a Versailles; e l'atmosfera a Fiume diventava sempre più tesa, anche perchè i militari francesi non facevano mistero della loro simpatia per la neonata Jugoslavia. Il 2 luglio 1919 alcuni soldati francesi ubriachi tentarono di strappare le coccarde tricolori che due ragazze portavano addosso. In loro difesa intervennero alcuni cittadini e, secondo alcune testimonianza, anche qualche militare italiano. La lite degenerò in zuf. fa e la zuffa in lotta. Cominciò la caccia ai Francesi per tutta Fiume ed il circolo croato fu assalito e distrutto. Le truppe regie intervennero e riuscirono a sedare con difficoltà il tumulto, ricordato come «i Vespri Fiumani». U S luglio ci furono altri scontri, con fucilate, bombe a mano e alcuni feriti. Il giorno dopo, gli scontri ricominciarono a Porto Baros, nei pressi dei magazzini francesi. presidiati da soldati francesi ed annamiti. Reparti di marinai sbarcarono dalle Regie Navi Dante Alighieri, Emanuele Filiberto e San Marco per interporsi e riportare la calma; ma dai magazzini partirono numerose fucilate contro la compagnia da sbarco del San Marco. 1 marinai risposero al fuoco. attaccarono e distrussero il presidio. I Franco-Annamiti ebbero 9 morti e 11 feriti, gli Italiani 3 feriti.

i Ritornello della «Canzone del Carnaro» di G. D'Annunzio.

1 l due reggimenti Granatieri, il gruppo mitragliatrici di brigata. due degli analoghi gruppi divisionali, la 4' e 5' squadriglia autoblindornitragliatrici. il 6° Artigljeria da campagna ed uno squadrone del Reggimento Piemonte Reale Cavalleria.


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Sul! 'accaduto la Conferenza di Parigi ordinò un'inchiesta, i cui risultati furono condensati in un documento di 8 punti e 2 clausole che, al terzo, prevedeva la riduzione del contingente italiano. A quest'ultimo apparteneva la Brigata Granatieri di Sardegna e, poichè i suoi rapporti colla cittadinanza erano ottimi, si decise di spostarla intorno a Trieste facendola rilevare dalla Brigata Regina.; ma fu un errore grave, che innescò la Marcia di Ronchi. Dopo il trasferimento alcuni ufficiali del 2° Granatieri presero contatto col Consiglio Nazionale di Fiume e con D'Annunzio - in quel momento a Venezia - chiedendogli di intervenire a salvaguardare I' italianità di Fiume ed ottenendone un assenso di massima. L'Immaginifico studiò a fondo la questione, parlò col generale Graziali, ex-comandante del corpo d'occupazione interalleata e fissò la data dell'intervento con attenzione ai movimenti militari alleati, pur affermando: «Vedete, io sono un po' superstizioso e credo nella fortuna. assidua di certe date; posdomani è il dieci; bisognerebbe rimandare l'azione all'undici, è 1111 giorno fortunato per me: il giorno di Buccari»iì Fu fatto; e alle 13,30 dell'll D'Annunzio, in uniforme di tenente colonnello del Reggimento Lancieri di Novara, lasciò Venezia. All'alba del 12 si formò una colonna che partì diretta a Fiume, ingrossandosi per via. Raccolse reparti della Brigata Sesia, altre autoblindo, superò senza ostacoli uno sbarramento a Castua. e arrivò a Cantrida. Il generale Ferrero volle parlamentare. Non fu ascoltato. L'autoblindo di testa accelerò, sfasciò la barra di confine, puntò sulla città, seguita dalla colonna e, alle 11 e 45, tra applausi deliranti, le truppe entrarono a Fiume. Tale era l'entusiasmo popolare che impiegarono un'ora a percorrere Viale XVII SeHembre ed a raggiungere Piazza Dante, sotto un lancio continuo di fiori e d · alloro e lo svento Iio delle bandiere. Con le sue composite truppe D'Annunzio costituì un piccolo esercito e rimase in attesa degli eventi. Aveva scatenato una tempesta politica senza eguali. Stati Uniti, Inghilterra e Francia, le cui truppe avevano lasciato Fiume, protestarono duramente. li Governo del Re fu preso fra l'eco suscitata in tutta Italia dalla Marcia di Roncbi e gli obblighi internazionali. Incapace di risolvere la questione, nel giugno del '20 Nitti lasciò il posto a Giolitti. che firmò colla Jugoslavia il Trattato di Rapallo del 12 novembre 1920. costituendo lo Stato Libero di Piume. Non si annetteva la città, ma si impediva ad altri di farlo e si creava uno staterello che un giorno forse si sarebbe potuto riunire alla madrepatria. Inoltre l'accordo toglieva alle altre Grandi Potenze ogni possibilità di protestare, dato che la stessa Belgrado l'aveva accettato. D'Annunzio reagì nel modo più coerente, che per Giolitti era quello sbagliato: rifiutò di riconoscere il Trattato di Rapallo; e la parola passò alle armi. Il generale Caviglia ebbe l'ordine di far eseguire il Trattato e, il 21 dicembre I920. le forze regie bloccarono la città dal mare e da terra, per evitare un intervento militare degli Alleati che avrebbe fatto perdere quanto si era ottenuto e si sperava di ottenere in futuro. li 22 dicembre la Reggenza del Carnaro. proclamata dal 6 settembre, dichiarò guerra al Regno d ' Italia. Caviglia mosse i suoi uomini e si ebbero scontri poi ricordati come il «Natale di sangue». li 28 D'Annunzio dichiarò di rimettere il potere nelle mani del popolo fiumano e partì per Venezia, mentre ai cittadini non restava altro che firmare la resa il 31. Apparentemente la questione era chiusa; in realtà tutto stava cominciando, per Fiume e per l'Italia. L'azione innescata dai Granatieri di Sardegna era stata dirompente. Aveva infatti dimostrato che pochi uomini decisi ed armati erano in grado di muoversi come volevano. Senza la loro iniziativa probabilmente l' intera vicenda non si sarebbe verificata e la città non sarebbe divenuta parte del Regno, come fu di fatto dal 1923 e giuridicamente dall'anno seguente. Ma sopratutto la Marcia di Roncbi aveva svelato quanto il regime liberale fosse lontano dai sentimenti della massa popolare e borghese ed espressione solo d'una modesta minoranza. "Rip. in F. GBRRA, «L'impresa di Fiume», 2 voli., Milano, Longanesi, 1978, pagg. 75-6.


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Le sinistre avevano avversato l'avventura fiumana. Monarchici, Nazionalisti ed il nuovo movimento fa~cista l' avevano appoggiata ed applaudita, almeno fino a un certo punto. Nessuno aveva realmente capito e condiviso la posizione del Governo ed il Governo non aveva compreso d'essere totalmente isolato e dunque politicamente morto. Si è detto da più parti che se D'Annunzio avesse tradotto in rea.ltà il proposito di estendere alla Nazione intera il suo esperimento fiumano, sicuramente ci sarebbe stata una rivoluzione. Non era un politico e non lo capì; ma uno dei suoi sostenitori, che era un finissimo politico, un istintivo dotato della capacità di comprendere gli Italiani come nessuno prima e dopo di lui, aveva visto e capito. r militari di Ronchi erano stati, inconsciamente e casualmente, gli stampatori del testo su cui Benito Mussolini lesse che era giunta la sua ora. Pochi soldati, senza saperlo, avevano fatto scivolare l'Italia, l'Europa e il mondo su una nuova stTada.

Il) Il Dopoguerra La questione di Fiume era stata resa possibile dal caos in cui era rltalia dalla fine del conflitto. Due i fattori che lo avevano originato. Il blocco delle forniture industriali per la guerra dopo l'armistizio aveva provocato un' improvvisa contrazione della produzione e quindi una valanga di licenziamenti. Poichè però gli operai avevano goduto dell'esenzione dalla chiamata alle armi, salvo una minoranza arruolata nei corpi tecnici. la loro disoccupazione era un fenomeno grave, ma indipendente da quello molto più vasto dell' imrnissione improvvisa sul mercato del lavoro di milioni di giovani reduci congedati, appartenenti alla borghesia, da cui erano stati tratti gli ufficiali di complemento, ed alla classe contadina. che aveva fornito i soldati. Gli uni e gli altri non potevano essere trattenuti in servizio perchè non lo volevano e perché lo Stato era finanziariamente esausto. La guerra era costata 148 miliardi di lire, cioè dieci volte più del previsto. Le casse erano vuote e la prima cosa da fare era ridurre le spese e, poichè te maggiori erano quelle militari, si doveva t0mare alla forza d'anteguerra. Per questo al termine del conflitto erano state subito smobilitate le classi anziane, riorganizzando la Fanteria col! 'Ordinamento Albricci, tornando alla forza di pace. Le divisioni erano restate ordinate quatemariamente ed in numero lievemente superiore a prima della guerra, poichè non erano state sciolte le brigate Sassari. Arezzo, Liguria ed Avellino, decorate di medaglia d'oro al valor militare. La situazione finanziaria era però così grave che già nel 1919-20 si tornò a modificare l'organico reggimentale coli 'Ordinamento Bonomi. Dunque la forza, che al 21 novembre 1919 era già scesa da 119 brigate a 53. per un totale di !06 reggimenti, ognuno su un comando, tre battaglioni e un deposito, il 20 aprile 1920 fu ulterionnente ridotta a 51 brigate binarie, i cui reggimenti constavano d'un comando, due battaglioni effettivi ed uno quadro, cioè privo di soldati. L' enom1e massa di congedati liberata da tali riduzioni si rovesciò sul Paese per trovare un' occupazione e si aggiunse ai licenziati dalle industrie. Il costo del lavoro cadde a livelli minimi per eccesso di offerta; il prezzo del pane fu calmierato; il cambio col dollaro precipitò dalle 6,34 Lire del 1918 alle 18,47 del primo semestre del '20 per oltrepassare le 26 nell'ottobre 1922. I prezzi lievitarono, gli stipendi rimasero fermi e l'Italia conobbe uno spaventoso periodo di recessione. n malcontento acuì la tensione politica ed accentuò l'isolamento del Governo. favorendo il Partito Socialista ed il nuovo Partito Popolare di don Sturzo. Entrambi si proponevano al popolo come i più adatti a rappresentarlo ma, mentre i Popolari erano gente pacifica, i Socialisti erano cosi frammentati da non riuscire a controllare le loro fazioni più violente. Queste in breve tempo si fecero sempre più pericolose e, già nel '19 - '20, si cominciò a parlare di rivoluzione rossa, instaurazione della repubblica sovietica e soppressione della proprietà privata.


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La borghesia si spaventò, si vide minacciata dalla stessa violenza che aveva devastato la Russia e l'Ungheria provocando centinaia di migliaia di morti e cercò protezione. Lo Stato liberale non era in grado di garantirla, i Popolari non erano dei violenti: non rimaneva che una forza. A quella la borghesia si appoggiò e quella fece sua per salvarsi dai Bolscevichi. Così il Fascismo fu la risposta armata che la borghesia italiana diede alla minaccia della rivoluzione socialista. Mussolini dovè scegliere fra il mantenimento del suo origmario programma - popolare e repubblicano -e l'adeguamento ai desideri della borghesia. Scelse la seconda strada e fu premiato da un aumento di consensi e finanziamenti tale da metterlo in condizione di tentare il grande salto. Così il movimento rivolu.donario e repubblicano, che voleva dare la terra ai contadini. si trasformò nel partito dell'ordme. ordine che oltretutto dimostrava di saper imporre e mantenere. Le cooperative rosse distrutte, le camere del lavoro devastate, le sezioni socialiste incendiate erano la prova che i Fascisti facevano sul serio; e incontravano favore. Mentre l'Italia attraversava un periodo buio. rischiarato solo dai lampi degli spari e dalle fiamme degli incendi che testimoniavano gli scontri fra Fascisti e Socialisti, la vita nelle Forze Armate trascorreva nelle missioni all'estero tipiche dei grandi dopoguerra del ~colo ventesimo.

Ili) Gli Impegni all'estero 1918-1922 Il crollo degli Imperi Centrali e della Turchia e la guerra civile in Russia avevano obbligato le Potenze vincitrici a impiegare le proprie truppe nelle più disparate parti del globo per riportarvi la pace o per tutelarvi i propri interessi. Le forze armate italiane si trovarono così impegnate in Europa - Germania, Austria. Bulgaria, Dalmazia, Cecoslovacchia, Murrnania, Albania, Romania - in Anatolia, a Gerusalemme e in Estremo Oriente. Sappiamo che il Regio Esercito si trovava da lungo tempo in Albania. perché per Roma era fondamentale il controllo del Canale d'Otranto. Dopo la fine della guerra però l'atteggiamento delle popolazioni locali si era andato facendo progressivamente ostile. Si rimproverava all"Italia di non tener fede al proclama di Argirocastro, con cui aveva dichiarato di voler rendere l'Albania indipendente sotto la propria egida e, lentamente. si andava accendendo la guerriglia. Roma voleva evitare l'instalhvione in Albania di un"influenza, o peggio di una paniale o totale occupazione, greca o serba: e per questo motivo le truppe non erano state mosse. Ma ora. davanti al complicarsi della situazione. il Governo del Re decise di mantenere solo Valona. strategicamente rilevante, e lo rese noto ufficiosamente con una nota dell 'Agenzia Volta del 10 maggio 1920. E ncordando che il Regio Esercito era a Valona sia in forza del Patto d1 Londra. sia in seguito al recente nulla osta alleato rilasciato il 9 marzo I 920. annunciò il ritiro delle truppe per motivi finanziari. Nel mese di maggio i reparti cominciarono a lasciare i presidi. ma molti di essi furono attaccati dagli Albanesi. le cui bande s1 ingrossavano ed armavano sempre più. Venne investito il forte d1 Tepeleni, il cui presidio - un battaglione dell'86° Fanteria - fu assalito da oltre 2.000 uomini: gli insorti catturarono a Desciai una batteria da montagna, i presidi di quota 115 e di Giorrni e, dopo averlo isolato facendo saltare il ponte di Kimara, un battaglione di Bersaglieri. La noue del 6 giugno venne assalito il campo trincerato di Valona e. mentre si facevano affluire rinforzi dall'Italia. la città stessa fu attaccata all'alba dcli' 11 giugno da circa 6.000 albanesi. Alla loro azione corrispose un"insurrezione nei quartieri mussulmani, prontamente domata mentre pure l'attacco veniva respinto. Si sarebbero dovuti mandare altri rinforzi: ma il 26 giugno 1920 agitatori comunisti provocarono l'ammutinamento di militari del battaglione del)" 11 ° Bersaglieri destinato a partire da Ancona per Valona. L'ammutinamento fu stroncato

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immediatamente; ma i parlamentari socialisti chiesero a gran voce alla Camera l'abbandono dell'Albania e, tra l'incertezza della situazione interna -era pur sempre in atto la crisi fiumana - e la debolezza in cui si dibatteva l'esecutivo, il 29 giugno Giolitti annunciò l'inizio di trattative per lo sgombero dell'Albania, affermando che le truppe sarebbero restate a Valona solo fino a quando gli Albanesi non fossero stati pienamente in grado di presidiarla da sé. U 3 agosto 1920 venne firmato a Durazzo col governo albanese, appositamente riconosciuto, l'accordo con cui l'Italia consentiva a rimpatriare immediatamente le proprie truppe, conservando soltanto lo strategicamente rilevante isolotto di Saseno, il quale, dominando l'ingresso alla Baia di Valona, permetteva il controllo della sponda orientale del Canale d'Otranto. In quel momento, a parte la questione albanese, le truppe italiane avevano in corso parecchie altre missioni. In ordine cronologico, il primo intervento era stato quello in Murmania. Nell'estate 1918 i Tedeschi si erano diretti in Carelia con 4 divisioni e, appoggiati dai Finlandesi, avevano puntato sui porti russi di Murmansk e Arcangelo sulla costa del Mar Bianco. Le Potenze alleate avevano organizzato allora un Corpo di Spedizione al quale I'ltalia partecipò coi 1.358 uomini del colonnello Sifola2 , sbarcandoli il 2 settembre a Murmansk e dislocandoli là e a Kola. Respinti parecchi attacchi dei Bolscevichi lancil).ti nel corso dell'inverno contro la ferrovia Pietrobrgo-Kola, gli Alleati estesero la propria linea difensiva da Kandalaschka a Nioutschka, presidiata da fnglesi e Francesi e coi 220 italiani della "colonna Savoia" in riserva. In primavera il dispositivo alleato allargò la propria zona d'occupazione. La colonna Savoia venne rinforzata dalla Compagnia Mitragliatrici e da elementi del Genio e fu impiegata come colonna centrale d'assalto cinque volte fra il 20 giugno e il 5 luglio 1919. comportandosi molto bene e subendo alcune perdite. Il resto dell'estate passò in trattative, in seguito alle quali gli Americani ritirarono le proprie truppe, gli Anglo-Francesi ridussero le loro e l'Italia il 9 agosto 1919 richiamò le sue, facendole arrivare a Torino il 27 e sciogliendo formalmente il Corpo di spedizione il 12 settembre. Contemporaneamente a quello diretto in Munnania era partito un altro corpo di spedizione, mandato però in Manciuria per concorrere al controllo alleato della ferrovia transiberiana, in appoggio alle formazioni "Bianche" russe contro i Bolscevichi. Giunto nella tarda estate del 1918, il 6 settembre assunse la denominazione ufficiale di Regie Truppe Italiane in Estremo Oriente3 inglobò 900 uomini del Battaglione lrredenti4 presente a T ien-Tsin e venne desti-

2 Il corpo di spedizione comprendeva 30.000 uomini, appartenenti a una divisione di fanteria ed una sezione aeronautica britannica, un reggimelllo careliano, un battaglione americano, uno serbo. uno di fanteria francese con una cp. sciatori ed un gruppo artiglieria. le legioni volontarie Anglo-Slava e Franco-Slava e, per l'Italia, il IV/67° Fanteria Palermo. una cp. Complementi, la 389' cp. Mitragliatrici, la 165' sez. CC.RR, un reparto misto del Genio, un nucleo di Sussistenza e l'Ospedaleuo da Campo n.0 346. In totale: 42 ufficiali e 1.312 uomini. 3 Al comando del tenente colonnello Gustavo Fassini Camossi erano 50 ufficiali e circa 1.500 uomini appartenenti a: due btg di fonnazione comprendenti anche i militari della Legione Redenta e un cp. dell'85° fanteria. due sezioni mitragliatrici, una d'artiglieria da montagna, la 159' CC.RR. e aliquote dei servizi e delle salmerie. 4 Nel 1916 era stata costituita la Missione Militare Italiana incaricata di trovare e rimpatriare gli Italiani irredenti, militari austro-ungarici prigionieri di guerra in Russia. Tra il settembre del 1916 e il gennaio 19 I 7 ne erano stati identificati e mandati in Italia oltre 4.000. Quando nel 1917 scoppiò la rivoluzione, altri 3.000 erano nel campo siberiano di Kirsanov in auesa di partire. Il maggiore dei Carabinieri Cosma Manera. appartenente alla Missione Militare, provvide a inquadrarli in tre battaglioni quaternari e a spostarli con molte difficoltà a Vladivostock. Ma, trovato impossibile l'imbarco, li condusse via terra a Tien-Tsin, dove furono accasermati nella Concessione Italiana mandandone una parte nella Legazione di Pechino, là riceverono armi ed equipaggiamento e furono ufficialmente riconosciuti. nell' aprile 1918. come appanenenti alle Forze Armate italiane. Una parte rimpatriò, un'altra venne inserita nel Corpo di Spe-


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nato alla sicurez.z.a delle linee di comunicaz.ione alleate. Nella primavera del 1919 ripresero le operazioni e in maggio gli Italiani concorsero con quattro compagnie di fanteria e la sezione da montagna all'azione delle divisioni cecoslovaccbe5, impegnandosi in combattimento cinque volte fra il 17 maggio ed il 20 giugno sempre con successo. Poi, tra il 6 e I'8 agosto 19 I 9, il Corpo lasciò Krasnojarsk e rimpatriò via Harbin e Mukden6 lasciando dietro di sé 25 morti: due in combattimento, due per incidenti e 21 per malattie. In Europa intanto la guerra era terminata e il Regio Esercito aveva inviato a Vienna una Missione Militare, preposta alla sorveglianza dell'Austria ed al vettovagliamento della città mediante la distribuzione dei viveri inviati in treno dall'Italia. Oltre ad essa esistevano truppe nei territori occupati pro-tempore e, dal 1919 aJl'ottobre 1921. a presidio della zona di Klagenfurt e Villaco, di cui gli Jugoslavi avevano tentato d'impadronirsi. Infine 200 Granatieri furono staccati dal contingente in Alta Slesia nel novembre del 1921 per la sorveglianza del plebiscito del Burgenland. conteso fra Austria ed Ungheria. In Ungheria venne mandato nel maggio 1919 il generale Mimbelli con un seguito cli 200 militari per partecipare all'opera della Commissione Interalleata di Controllo per il disarmo e la smobilitazione delJe forze ungheresi, che restò là fino al febbraio 1920. Meno consistente l'intervento in Germania, dove operarono sia gli ispettori italiani - 21 su 331 - della Commissione lnteralJeata di Controllo del disarmo tedesco, sia i 3 ufficiali italiani incaricati di sorvegliare il plebiscito della Prussia Orientale, insieme a colleghi inglesi e francesi e coadfovati da repani inglesi, francesi e italiani7• Nella neonata Repubblica Cecoslovacca era stato mandato il Corpo d'Armata cecoslovacco. Binario, comandato dal generale Piccione e dai divisionari Rossi e Boriani, era forte di circa 24.000 uomini, dei quali 136 ufficiali e 1.031 sottufficiali e soldati erano italiani, ed era stato formato nel corso del conflitto, arruolando i Cechi e gli Slovacchi catturati sul fronte italiano e disposti a combattere contro l'Austria in previsione della loro indipendenza nazionale. Alla fine del conflitto l'Italia e la Francia avevano deciso di subentrare politicameme alla scomparsa Austria nell' Europa Centnle e avevano spedito in Cecoslovacchia le truppe disponfoili. Ma i Cecoslovacchi si dimostrarono molto più disposti a ricevere i Francesi che gli Italiani, nominando proprio Capo di Stato Maggiore il generale francese Pellé. Perciò prima il Corpo d'Armata proveniente dal l'Italia venne stanziato in Slovacchia, poi s i verificarono attriti crescenti colle autorità locali, infine si decise di spostarlo in Boemia, ma il governo di Praga rifiutò, venne meno agli accordi già presi e. di fronte all'inutilità degli sforzi diplomatici, Roma decise il rimpatrio del personale militare italiano. anche se a metà del giugno I 920 fu schierato in Cecoslovacchia il Battaglione Alpino Monte Baldo, con un battaglione inglese ed uno francese incaricati di sorvegliare il plebiscito sull'assegnazione di Teschen a Cecoslovacchia o Polonia Più o meno nello stesso periodo cessò la presenza del contingente in Romania: occupata dai Bulgari la parte settentrionale della Dobrugia alla fine del 1918, era intervenuta una divisione inglese a disarmarli, restandovi come presidio. Le erano subentrati reparti francesi nel

dizione italiano. Un nuovo problema si presentò poi, quando si seppe di altri ex-prigionieri irredenti abbandonati in Siberia. Richiamato Manera. gli si affidò il compito di trovarli e inquadrarli, compito assolto tanto bene da condurre alla costituzione della Legione Redenta - 1.700 uomini su 8 compagnie - accantonata nella Baia di Gomostai. Nel complesso il solo Manera sarebbe riuscito a riportare in Italia ben l0.000 irredenti. 5 Anch'esse formate da ex-militari austriaci, dopo lo scoppio della Rivoluzione bolscevica si erano d.irette a est per cercare di tornare in Europa. 6 L'ultimo scaglione rientrò in llalia, a Napoli, il 2 aprile 1920 e il Corpo fu sciolto ufficialmente il l5. L'arrivo avvenne nel più completo anonimato. infatti. per non avere noie dai Socialisti, il Governo aveva da poco smentito ufficialmente la presenza di LrUppe italiane in operazioni comro i Bolscevichi. 7 Battaglione di formazione del 38° !Fanteria Ravenna ad Allenstein. XLIX Bauaglione Bersaglieri a Marienwerder e nuclei Carabinieri Reali in entrambe le zone.


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gennaio 1919 e, in estate, la Brigata Ivrea, i cui uomini originariamente erano stati dislocati in Bulgaria - a Viddino, Lom Palanka e nella stessa Sofia - e sarebbero restati fino all'ottobre 1923, mentre nella Tracia bulgara sarebbe rimasto - ad Adrianopoli - un Battaglione, poi ridotto a una compagnia, del 62° Fanteria Sicilia fino all'entrata in vigore del trattato d.i Sèvres. A Gerusalemme era restato un piccolo reparto di Carabinieri Reali, appartenente alla guarnigione internazionale comprendente Gendarmi francesi e Polizia Militare britannica istituita d.a Allenby nel 1919. ma fu ridotto a una guardia al consolato quando nel 1920 la Gran Bretagna ebbe il mandato sulla Palestina e il contingente internazionale fu sciolto. L'ultimo contingente fuori area al termine della guerra fu quello destinato all'Anatolia. L'accordo di San Giovanni di Moriana dell'aprile I917 aveva stabilito l'assegnazione ali 'Italia d'un' area d'influenza in Asia Minore comprendente Smirne e Aydin. Per prevenirne l'occupazione d.a parte dei Greci. i quali avrebbero formalmente chiesto quella zona alla Conferenza di Pace nel febbraio 1919, fin dal dicembre 1918 lo SMRE aveva predisposto lo sbarco in Anatolia del contingente8 originariamente destinato a rinforzare il Corpo di Spedizione Italiano di Palestina. Intanto Francia e Inghilterra avevano deciso di limitare e, se possibile eliminare ogni presenza italiana in Asia Minore e appoggiavano le richieste greche. Da Roma si rispondeva ricordando il Trattato di San Giovanni di Moriana e l' accordo Diaz-Wilson per cui gli [taliani dovevano presidiare la città anatolica dì Konya. Contemporaneamente venne dato ordine al generale Battistoni di procedere agli sbarchi previsti non appena si fosse saputo d'un'entrata dei Greci a Smirne. Il 2 maggio I919 reparti della Regia Marina presero terra ad A dalia e entro il 1O maggio gli Italiani avevano occupato quattro porti senza alcuna reazione turca, sbarcando poi pure in quello di Scalanova il 15 ed allargando l'occupazione nel mese di giugno, fino a controllare la fascia compresa fra Adalia e la foce del Menandro, inclusa Alicamasso. A Versailles gli Alleati protestarono, anche perché il 25 aprile era arrivato a destinazione il "Reparto Speciale italiano di Konya"9 che doveva presidiarla. Il Governo si barcamenò e non diede loro risposte nette, né istruzioni chiare al comando del Corpo di Spediz ione, limitandosi a tramutarne il nome in "Corpo di Spedizione italiano nel Mediterraneo Orientale". Intanto era scoppiata la guerra fra Grecia e Turchia, la prima appoggiata dall'Inghilterra; la seconda dall'Italia. Tale atteggiamento implicava la restituzione alla Turchia delle zone occupate e. entro la fine del conflitto. così sarebbe stato. Infatti il Corpo di Spedizione venne progressivamente ridotto nella primavera del 1920 e nel gennaio del '21 e ritirato nel Dodecaneso nel maggio 1922, lasciando solo il 313° Fanteria a partecipare ali' occupazione internazionale d.i Costantinopoli 10. Poiché infine 1' 8 marzo 1921 a Spalato era stata fim1ata - e poi eseguita - la convenzione italo-jugoslava per lo sgombero della Dalmazia11, dando all'Italia la città di Zara e il suo terri-

8 Composto dal 4° Reggimento Speciale - ternario - dal 1/34° Fanteria Livorno, dal XXXl/4° Bersaglieri, 7 sezioni mitragliatrici. I gruppo Libici, e reparti del Genio, della Sanità e dei Servizi. Vennero poi aggiunti altri reparti della 33" Divisione: Brigata Livorno al completo, resto del 4° Bersaglieri, un Gruppo Squadroni del 20° Cavalleggeri di Roma, artiglieria. Carabinieri e. Servizi e il contingente sali a I 5.000 uomini. 9 Il tenente colonnello De Bisogno aveva a disposizione il 1/134° Fanteria Benevento, - quaternario la 322° e 1199' compagnia mitragliatrici. due reparti del Genio Zappatori e servizi vari. per un totale di 28 ufficiali, l. 187 sottufficiali e soldati, 146 quadrupedi, 48 carrette e 7 automezzi pesanti. IO Costantinopoli e gli Stretti erano stati presidiati dopo la vittoria da truppe interalleate. Gli Italiani vi avevano mandato il lll/62° Fanteria Sicilia, poi rinforzato col 313° Fanteria. e 154 Carabinieri Reali, inquadrati nella Gendanneria italo-anglo-francese comandata dal colonnello Caprini dei Carabinieri. L'occupazione durava dal dicembre del I 9 I 8 e sarebbe terminata neu· ottobre 1923. 1t Le città istriane, dalmate e montenegrine di Fiume. Pola. Spalato, Sebenico, Zara. Ragusa. Antivari, Cettigne, e Canaro erano state presidiate da unità jugoslave, francesi, inglesi. americane e italiane dalla fine del conflitto.


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torio, l'ultimo contingente 12 fuori area fu quello mandato in Alta Slesia 13 nella primavera del 1919 per sedare, insieme a reparti alleati, i disordini seguiti al plebiscito che doveva decidere l'appartenenza della regione alla Germania od alla Polonia e che sarebbe rientrato in Patria nel luglio del 1922.

IV) La Marcia su Roma e la prova di Corfù: 1922 - 1923 L'estate del 1922 segnò la fine della vecchia ltalia liberale uscita dal Risorgimento. A capo del governo era l'onorevole Facta. sul cui nome era caduto l'incarico dopo una crisi ministeriale lunga e snervante. Mussolini era all'opposizione e preparava la Marcia su Roma. «E per ottenere un più largo consenso nella borghesia.filo-fascista, Mussolini abbandona la tendenza repubblicana e si dichiara monarchico. È l'uovo di Colombo»iii. Sicuro del fatto suo, concluse il congresso fascista di Napoli coll'ordine di marciare su Roma. Scriverà poi Leo Longanesi, fascista della prima ora: <<li piano è molto infantile ... Tutto è contemplato ..mlvo una cosa: la resistenza dell'avversario ... Ma tutti credono che le camicie nere siano davvero temibi/i ...Nulla di più inesatto: l'amzatafascista non esiste; è una massa festante, abituata alle adunate e ai congressi, completamente disarmata, ma sicura di non incontrare alcuna seria resistenza ...»i•. Siccome. però, tutti erano convinti che i Fascisti fossero realmente ben armati ed organizzati, a Roma ci si preoccupò moltissimo e il Re, rientrato in città la sera del 27 ottobre, disse a Facta che si rifiutava di prendere qualsiasi decisione sotto la pressione dei moschetti fascisti. Durante la notte la situazione peggiorò. Le prefetture e gli uffici telegrafici di mezza Italia venivano occupati. le linee ferroviarie erano interrotte e gli alti gradi del Regio Esercito non sapevano come comportarsi. Alcuni si opponevano ai Fascisti, altri no. A Roma i generali Badoglio, capo di Stato Maggiore, e Pugliese, comandante del presidio, entrambi contrari a Mussolini, decisero per la Linea dura e diedero l'allarme. Avevano 28.000 uomini a disposizione e si valutava la massa della Camicie Nere in arrivo a non più di 25.000. Alle 23 la guarnigione cominciò a muoversi per andare a presidiare i punti d'accesso alla capitale e quelli nevralgici, insieme a reparti della Guardia Regia 14 e dei Reali Carabinieri. Le stazioni vennero sgomberate e guarnite, mentre reparti di fanteria e di bersaglieri salivano sui treni, diretti a rinforzare i posti di blocco intorno a Roma. A mezzanotte e mezza il generale Pugliese ebbe ordine dal Ministero dell'interno di assumere tutti i poteri militari e civili. Pattuglioni dell'Esercito giravano per le strade e le porte erano presidiate. AIJe 6 del 28 ottobre, Pacta riunì il Consiglio dei Ministri, che decise di promulgare lo stato d 'assedio; ma fu revocato in seguito al rifiuto di Vittorio Emanuele III di firmarlo.

12 135° Fanteria Campania, !Il/32° Fanteria Siena. 1/62° Sicilia, Ll/2° Granatieri di Sardegna. con un gruppo artiglieria, Carabinieri Reali, Genio. Trasporti. Sanità e Servizi, al comando del colonnello Salviani. 13 TJ contingente internazionale comprendeva I 5.000 francesi, 4.000 italiani e 1.000 inglesi. iii L. LoNGANESI, «In piedi e seduti». Milano, Longanesi, 1980, pag. 85. lv Idem. pagg. 86-7. 14 So110 questo nome andava comunemente la Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza. Istituita da Nitti nel 1919 sopprimendo il preesistente Corpo delle Guardie di Città. era presente in tutte le maggiori città e preposta al mantenimento dell'ordine pubblico e al disbrigo de!Je attività di polizia an1ministrativa e giudiziaria, escluse però que!Je investigative. Apparteneva al Ministero dell'Interno, ma faceva parte delle Forze Armate - i suoi membri avevano le stellette - e, organinata su un Comando Generale, retto da un Tenente Generale, e 7 Legioni, allineava 377 ufficiali e da 21 a 25.000 tra sottufficiali e guardie, a seconda del periodo.


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Mussolini ebbe l'incarico di formare il nuovo Governo. Si presentò al Re, la mattina del 30, poi varò il ministero e infine, a sera, si àcordò di dare l'ordine d'eseguire la Marcia su Roma, che si svolse in piena tranquillità, a partita vinta, mentre il Regio Esercito rientrava nelle caserme. La prima crisi internazionale in cui il governo di Mussolini si trovò fu quella seguita il 27 agosto 1923, quando il presidente della Commissione Militare Internazionale per la delimitazione dei confini tra Albania e Grecia, generale Tellini, altri due ufficiali e due civili italiani appartenenti alla commissione vennero uccisi in un agguato, teso loro da un banda greca sulla strada da Giannina a Santi Quaranta. Roma protestò e chiese soddisfazione e riparazioni; Atene nicchiò e il 3 1 agosto una squadra della Regia Marinal5 bombardò Corfù, sbarcandovi un primo contingente di 1.000 uomini, seguito da un secondo di 7.000 il 2 settembre e ponendo l'isola sorto il governatorato dell'ammiraglio Simonetti. Davanti a tanta decisione la Grecia si piegò; e il 29 settembre il contingente rientrò in Italia16. A Roma in realtà sarebbe convenuto tenersi Corfù, sempre per una questione di controllo strategico dell' Adriatico - del resto era o non era stata la porta del Golfo di Venezia? - però dal momento in cui la Grecia aveva accettato un componimento, non era possibile continuare nell'occupazione. Si doveva attendere una nuova opportunità.

V) La Regia Aeronautica e la Milizia: 1923 Il 1923 fu il primo anno di stabilità interna per l'Italia e, sotto il profilo militare, produsse due rilevantissime novità: la Regia Aeronautica e la Milizia. Lo sviluppo delle forze aeree durante la guerra mondiale aveva posto il problema del loro assetto e impiego. In tutto il mondo erano inquadrate tanto nella Marina quanto nell' Esercito. ma più o meno dappertutto ci si domandava se non fosse il caso di renderle autonome: e in Ingh.ilterra si era proceduto in questo senso già il I O aprile del 1918. In Italia il dibattito era stato acceso. L' Aeronautica nell'aprile del 1920 era diventata un ' Arma dell'Esercito; ma alla fine prevalsero le tesi ispirate alle teorie del generale Giulio Douhet e si decise di tramutarla nella terza forza armata. Col Regio Decreto 11. 62 del 24 gennaio 1923 fu costituito il Commissariato d' Aeronautica, preposto al problema aereo in tutti i suoi risvolti, civili e militari. Alle proprie dipendenze ebbe la Regia Aeronautica. nata ufficialmente col Regio Decreto n. 0 645 del 28 marzo 1923, strutturata su un Comando Generale, da cui dipendeva il Reparto di Volo preposto all'impiego dei mezzi - dirigibili ed aeroplani - e tre Direzioni Superiori - del Genio e delle Costruzioni Aeronautiche, del Traffico c dell' lstruzione, dei servizi Amministrativi e del Personale - destinate a sollevare il Comando Generale dalle incombenze tecniche ed amministrative. La difesa aerea terrestre - la contraerea - rimase competenza del Ministero della Guerra; e gli Aerostieri furono concentrati nel Genio Militare. Invece i dirigibili dell'Esercito e della Marina, come pure tutti gli aeroplani e gli idrovolanti, in Italia e nelle colonie passarono alla Aviazione, venendo ripartiti in altrettante Specialità 17. 0

15 Regie Navi Cavour, Giulio Cesare, San Marco e Premuda, con scorta di cacciatorpediniere e sommergibili. 16 La Commissione riprese il proprio lavoro sono la presidenza del generale Oav.era e lo terminò nel

1926. l7 Si ebbero quindi Stormi Aeroplani, Stormi Idrovolanti, Gruppi Dirigibili, Gruppi e Squadriglie Aeroplani ed Idrovolanti. La ripartizione successiva fu secondo le modalità d'impiego degli apparecchi: ri cognizione tattica e strategica. caccia leggera e pesante. bombardamento ecc.. mentre sotto il profilo organico e di livello di comando si strutturò la Forza Armata in sezioni (equivalenti al livello di comando dei


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L'autonomia delle forze aeree era cosa estremamente moderna ed avanzata; ma l'esclusiva sui mezzi aerei di cui godeva la Regia Aeronautica avrebbe poi impedito alla Regia Marina di avere delle portaerei, o almeno una propria aviazione imbarcata. Per il momento, nonostante la Gran Bretagna se ne fosse già dotata, la cosa non sembrava rilevante. Lo sarebbe stata di lì a meno di vent'anni; e si sarebbe raggiunta una soluzione solo negli anni '80 del secolo. L'altra novità militare, destinata però a soli vent'anni di vita, fu la Milizia. Desideroso di eliminare la Guardia Regia a lui ostile e di mantenere invece in vita la struttura militare fascista, il 14 gennaio 1923 Mussolini aveva convogliato le squadre d'azionels nella neoistituita Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Articolata su un Comando Generale, 15 Comandi di Zona, 158 Legioni 19, salite da ultimo a 180, e 3 magazzini centrali, la Milizia sarebbe stata riorganizzata nel 1929 dopo la costituzione dei Battaglioni Camicie Nere e l'assegnazione di due di essi ad ogni divisione di fanteria del Regio Esercito, stabilendone le forze a 135 legioni e 300.000 uomini e costituendo le Milizie Speciali: Ferroviaria. Postelegrafonica, Portuaria, Confinaria, Forestale, della Strada, Marinara, per la Difesa Antiaerea Territoriale, Universitaria. le cui mansioni, tranne che per le ultime tre, erano quelle normali di Polizia. Pur facendo parte delle Forze Armate dello Stato e giurando fedeltà ancbe al Re, i Militi portavano sul bavero non le stellette ma i fasci littori; e i gradi dei loro ufficiali erano ispirati a quelli delle legioni romane - Capomanipolo per i subalterni, Centurione invece di Capitano, Seniore il comandante di battaglione, Console quello di Legione, equiparato ai Colonnelli; Console Generale, Luogotenente Generale e Comandante Generale per i livelli di brigata, divisione e corpo d'armata. Capillarmente diffusa su tutto il territorio metropolitano, presente in Africa, profondamente inserita nel tessuto sociale della Nazione ed abilitata a controllarlo fin nei minimi dettagli, la nuova Arma appariva una forza imponente, omogenea e pienamente capace di attuare la minacciosa frase mussoliniana: «chi tocca la Milizia avrà del piombo».

VI) La riconquista delle colonie: Libia e Somalia, 1922-1932 Dopo la pace di Losanna, come sappiamo, i combattimenti in Libia non erano cessati. Tanto in Tripolitania quanto in Cirenaica le operazioni continuarono per anni, impegnando le divisioni 2•, 4• es• dall'aprile del 1913 alla fine del 1914. Ciò che gli Italiani non compresero fu che l'insurrezione in un primo tempo non aveva un vero e proprio capo. Ma, a forza di cercarne uno, lo identificarono col Gran Senusso Ahmed-esc-Scerif; e tale riconoscimento fece sì che gli stessi Arabi finissero per considerarlo tale. Era lo stesso errore compiuto dai Francesi e dagli SpagnoH in Marocco; e come in quel caso, l'errore alla lunga aggravò la situazione. Nell'inverno 1914 i generali italiani ritenevano d"essere a buon punto, tant'è vero che avevano incominciato l'occupazione del Fezzan - la parte meridionale della Libia - affidandola al colonnello Miani, quando cominciò la Grande Guerra e gli effettivi vennero ridotti al minimo. Ne approfittarono i ribelli libici e, unitisi ai Turchi. cercarono di sfruttare il confuso abbandono dei presidi eseguito fra il maggio e l'ottobre del' 15 per affermare che gli [taliani stavano per evacuare la Cirenaica intera e per respingerli - in Tripolitania - verso la costa, lasciando loro soltanto le città di Homs e Tripoli col territorio adiacente.

plotoni) squadriglie (compagnie). gruppi (banaglioni), stormi (reggimenti), Brigate aeree. Divisioni aeree e Corpi d'Armata aerei. 18 Precedentemente ripartite io un comando Generale composto da tre membri - De Vecch i, De Bono e Balbo - 12 Comandi di Zona ed un numero di Legioni variabile da un Comando Zona all·altro. Queste ultime si dividevano in tre coorti, ognuna di tre centurie su tre manipoli di tre squadre l'uno. 19 Erano 141 Legioni con 487 coorti, 2 Legioni libiche, 14 Ferroviarie e I Portuaria.


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Le due parti settentrionali della Libia ebbero però vicende diverse fino agli anni'30. Mentre in Tripolitania la reazione militare italiana si manifestò fin dal 1917, sia pure con alti e bassi, in Cirenaica si trovò un modus vivendi. Infatti il Gran Senusso si era fatto convincere a mostrarsi ostile pure agli Inglesi, ne era stato sconfitto e si era piegato a piìì miti consigli, avvicinandosi all'Italia e raggiungendo l'accordo di Zuetina, col quale la situazione in Cirenaica veniva cristallizzata fino alla fine del conflitto mondiale. Dopo il novembre del 1918 arrivarono in Tripolitania due divisioni ordinarie - la 38" e 1'81• - e la I• d'Assalto, colle quali si costrinsero i ribelli a chiedere la pace. Ma a partire dal 1919 il Governo itaJiano, o meglio, la serie infinita di deboli e instabili governi succedutisi a Roma, preso dalle continue beghe di maggioranza e dalle dispute elettorali, preferì, come al solito. ignorare tutti i problemi esistenti col solito espediente di rimandarli mediante provvedimenti provvisori. Ai Libici bastava agitarsi un po' e subito Roma dava quanto clliedevano, purchè tacessero. Prima venne concesso lo statuto libico, poi la convenzione di Agedabia stabilì che i Senussi avrebbero tollerato gli Italiani solo sulla costa. Nel 1920 si concluse il Patto di Er-Regima, con ulteriori concessioni: i Libici non l'osservarono e vollero gli accordi di Bu-Mariam del '21, dai quali nacquero i "campi misti", cioè i presidi in cui convivevano militari itaJiani e guerrieri senussi, finchè nel dicembre di quell'anno il Gran Senusso Idris accettò l'investitura ad emiro della Tripolitania offertagli dalle popolazioni. L'avvento di Mussolini aJ governo implicò quello di Federzoni alle Colonie e la fine della politica dei cedimenti. A Tripoli c'era già un energico governatore - l'Eccellenza Volpi - il quaJe aveva dato una prima prova di forza facendo rioccupare Misurata l' 11 febbraio del '22, fronteggiando senza timori il riaccendersi della rivolta e procedendo alla riconquista del Gebel e all'occupazione di Garian, portate a termine entro il 17 ottobre. Ora si cominciava a pensare pure alla Cirenaica. A Bengasi arrivò il 30 gennaio 1923 l'Eccellenza generale Bongiovanni come Governatore Militare, il cui primo atto consistè nel diramare ordini segreti per la soppressione dei sei campi misti e la cattura dei Libici che vi si trovavano. La mattina del 6 marzo gli ordini furono eseguiti, mentre lui convocava il parlamentino cirenaico ed annunciava la fine del regime allegro, denunciando senza mezzi termini la continua e sleale inosservanza dei patti da parte dei Senussi. Questi, impressionati, cercarono di radunare subito le loro forze intorno ad Agedabia, loro capitale. Intanto le truppe italiane rastrellavano ampie zone di territorio, ingaggiando combattimenti e respingendo i ribelli verso il sud bengasino. Poi avanzarono contro Agedabia, che presero il 21 aprile all'alba. Impadronitosi della città. il Governatore annunciò la decadenza di ogni patto fino allora concluso e diede inizio alla guerra di riconquista - o meglio - di vera e propria conquista della Cirenaica. Nel frattempo in Tripolitania si stava rapidamente mettendo in luce un giovane colonnello. Rodolfo Graziani era un ufficiale di complemento passato in servizio effettivo nei primi anni del Secolo. Dopo un lungo periodo in Eritrea, era stato in Libia nel '13, poi aveva fatto una rapida carriera sul Carso e ora, tornato in Africa, appariva come uno dei più abili ed efficienti comandanti sul campo. A lui si doveva il rientro degli Italiani sul Gebel, a lui l'occupazione di Giado e NaJut e - in cinquanta giorni - del Gebel occidentale, a lui, infine, l'impiccagione per tradimento del capo libico Chalifa -Ben-Ascar, primo segno di come sarebbero stati trattati i ribelli. Sfruttando le rivaJità fra le tribù, fornendo loro provviste e medicinali, adoperando efficacemente le proprie truppe in colonne motorizzate e cammellate sostenute dall' aviazione e adoperando tutte le armi allora consentite, nel 1922 Graziani riprese il Garian, iJ 6 febbraio 1923 Tahruna, il 26 Misurata e, nel dicembre, la regione di Orfella e poi Ghadames. Alla fine del 1924 la Tripolitania settentrionale era tutta conquistata, Graziani era promosso generale, il Go-


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vematorato era assunto dal generale e quadrumviro Emilio De Bono ed era comparso un nemico: Omar-el-Muktar, che secondo Graziani era un seguace del senusso Idris e l'ispiratore e organizzatore delle prime azioni contro gli Italiani nel 1923. Sistemata la Tripolitania, Graziani preparò la conquista deUa Sirtica e del retrostante Fezzan, zone difficili, desertiche e quasi prive d'oasi e pozzi. Intanto si combatteva anche in Cirenaica dove le operazioni erano complicate dalla non ancora definita frontiera coll'Egitto. Il problema fu risolto col trattato del 6 dicembre 1925, mentre le truppe continuavano i rastrellamenti, perseguitavano i contrabbandieri d'arrni e preparavano l'occupazione di Giarabub. Questa era un ' oasi importante non solo perchè di nuova acquisizione - il possesso era stato riconosciuto ali 'Italia solo col trattato del 6 dicembre - ma per essere la capitale della Senussia dal 1856. Di essa si avevano vaghe notizie perchè pochi erano gli Europei arrivatici e pochissimi - solo tre - gli Italiani, due dei quali, il maggiore Lami e il sottotenente Alfisi accompagnando il Gran Seuusso per ordine del Governo nel 1919 e nel 1922. Mettendo insieme i loro rapporti e l'esperienza del maggiore Lami, nel 1926 fu decisa I' occupazione, effettuata partendo da Bardia. Varcando 300 chilometri di deserto e vincendo un combattimento fuori dell'oasi, il 7 febbraio la colonna20 al comando del colonnello Ronchetti se ne impadronì, effettuando sotto il profilo propagandistico un colpo tanto buono da permettere l'accelerazione della sottomissione dei Libici e l'abolizione dello Statuto della Cirenaica. Nel dicembre 1926 il ministro Federzoni presentò il suo piano di operazioni per ultimare la conquista della Libia e, approvatolo in linea di massima, lo si applicò a partire dal gennaio 1928. In primo luogo - tardi perchè la parte maggiore del lavoro era stata ormai svolta - le operazioni da svolgere in Cirenaica e Tripolitani a furono coordinate da un comando unico. Poi fu nonùna10 governatore il Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio e nel sud ci si avviò alla fine della conquista. In Tripolitania era ancora Graziani a dirigere le operazioni, potendo vantare fra i suoi subordfoati un ufficiale d'eccezione - Sua Altezza Reale Amedeo di Savoia-Aosta, duca delle Puglie e futuro duca d'Aosta che comandava il I Raggruppamento Sahariano Tripolitano - e parecchi ufficialj capaci come i colonnelli Lorenzini e Nasi. Si comfociò con un ottimo risultato propagandistico e politico: la sottomissione spontanea del senusso Saied Mohammed, presentatosi il 2 gennaio. Il 1928 vide quindi l'occupazione del resto della Tripolitania in vista di quella del desertico Fezzan, preparata fino al termine dell'estate del '29 e cominciata colla presa di Sebha il 5 dicembre. &presa Murzuck il 21 gennaio 1930, dopo 15 anni dal suo abbandono, Graziani entro la fine di febbraio passò a rastrellare le oasi dove si erano arroccati gli ultimi ribelli. Una sua colonna intercettò ed uccise in combattimento l'ultimo capo avversario il 12 marzo 1931 nell'Uadi Besculuk; e la Tripolitania ed il Fezzan si poterono dire completamente sottomessi. Restava la Cirenaica. L' I J gennaio 1930, su proposta di Badoglio, Graziani vedeva ricompensati i suoi meriti colla nomina a Vice-Governatore e si trasferiva in Cirenaica per ultimare la pacificazione e prendere l' ultimo capo senusso: Omar-el-Muktar. Si trovava a Cufra; e Graziani pianificò e diresse la presa di quell'oasi con la sua solita competenza e abilità, affidandone la realizzazione al generale Franchetti, che la conquistò il 19 gennaio del 1931. Omar-el-Muktar riuscì a fuggire. Graziani gli fece terra bruciata intorno e, per impedire fin il minimo contatto fra i ribelli e l'Egitto. propose e fece costruire in sei mesi un impraticabile reticolato di oltre 300 chilometri dal mare a Giarabub per chiudere la frontiera21.

20 La componevano 91 ufficiali, 731 nazionali, 1.645 ascari eritrei, 36 automezzi armati. 305 autocarri da trasporto, 115 quadrupedi. 4 pezzi da 65 e 60 mitragliatrici. 21 Per il quale occorsero 2.500 operai. 1.200 soldati, più di 17 milioni di lire del tempo e ben 49.980 chilometri e 928 metri di filo spinato.


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Privo di rifornimenti, braccato dalle colonne mobili e dalla ricognizione aerea, Omar-elMuktar fu catturato l' 11 settembre 1931 all'Uadi el Cuf e giustiziato. La sua esecuzione scatenò un putiferio da parte dei comitati panislamici di tutto il Medio Oriente e una violenta campagna di stampa contro l'Italia e i suoi metodi in Libia; ma Graziani non se ne curò e Mussolini nemmeno. L'importante per loro era il risultato: la ribellione era terminata e la Libia era sottomessa. In Somalia si era proceduto con altrettanta decisione e maggiore rapidità. Dal 1908 la Colonia era rimasta sostanzialmente tranquilla. eccettuata qualche piccola ribellione e alcuni scontri di modesta entità occasionati nel 1912 dalla guerra di Libia: a Balad in gennaio, a Scidle in mano, a Mahaddei Uein in giugno. Nel 1913 il presidio era aumentato a 4.000 uomini22 e se ne erano potute trarre tre compagnie somale, destinate, insieme ad una eritrea, a costituire un battaglione operante in Tripolitania - il l Benadir-seguito poi nel 1914 dal II e dal m. Il 15 luglio 1924 la Gran Bretagna aveva ceduto aJrltalia i 91.000 chilometri quadrati del territorio sulla riva destra del fiume Giuba come adempimento della parte del Patto di Londra che prevedeva "rettifiche di confine in Africa". Ribattezzatolo Oltregiuba e presone possesso il 29 giugno 1925, l'Italia vi destinò poco meno di 2.000 uomini23, i quali raggiunsero i nuovi presidi la mattina del 29 giugno, occupando poi le altre località nel mese successivo. Poiché nel frattempo si erano avuti degli attriti coi sultani di Obbia e dei Migiurtini, il Governo decise di occupare le località maggiori, concretando la propria sovranità. Per questo, fra il 1925 ed il 1927 10 compagnie di fanteria, colle relative aliquote di artiglieria e servizi e l'appoggio di una squadra navale di sette unità24 operarono contro i 4.000 armati di Obbia ed i 7 .000 dei Migiurtini. Il l O ottobre il governatore e quadrumviro conte De Vecchi di Val Cismon diede il via alle operazioni imbarcando sul Firenze il Il Benadir per Hordio, che occupò il giorno stesso e tenne, sostenendo alcuni combattimenti, col sostegno delle Regie Navi San Giorgio e Campania, appartenenti alla Divisione Navale deU'Oceano Indiano del contrammiraglio Conz. Sempre il 1° ottobre era stata intrapresa dal I Benadir l'occupazione del sultanato di Obbia, presa il 25. La situazione in Migiurtinia rese però necessario spostarvi il Battaglione e impiegare pure il m Eritreo. Ma soltanto nel gennaio 1926 , dopo aver occupato il Nogal, si potè ultimare la conquista della Migiurtinia, a partire dalla valle del Darror. mentre venivano immessi in servizio il N ed il V battaglione Benadir e si arruolava il VI. li 1926 trascorse fra scontri di guerriglia fino al 5 ottobre, quando i 63 dubat2S di presidio a Gardò vennero assaliti e massacrati - se ne salvarono solo tre che, feriti gravemente. si erano finti morti - e il Comando del Regio Corpo concentrò nella zona tre battaglioni, spostandone un quarto - il 111 Eritreo - su Boriala per occuparla.

22 12 compagnie indigene, una cannonieri, due sezioni mitragl.iatrici. cinque centurie e due reparti presidiari, una centuria scorta carovane, un corpo speciale di pol.izia. 23 Erano 350 ascari - quasi tuni arabi - già appartenenti al Regio Corpo Truppe Coloniali della Somalia, 500 arabi yemeniti, circa 200 amhara e circa 900 Somali del Giuba. Inquadrati, formarono 16 centurie di fanteria, ripartite in 6 compagnie, 15 sezioni mitragliatrici. una sezione d'artiglieria da 70 da montagna cammellata e una compagnia su quattro sezioni di pari calibro da posizione. T servizi comprendevano: una direzione d'Artiglieria, una sezione radiotelegrafica con quattro stazioni campali e un autodrappello. 24 Due incrociatori, quattro vedette e la nave stazionaria. 25 I Dubat, derivati dai piccoli gruppi armati appartenenti ai maggiorenti somali, inizialmente costituirono delle bande - nove, ognuna di 33 graduati e 345 uomini - riunite poi nel 1934 in sei Gruppi Dubat sottoposti ad un comando di reggimento. Saliti a 9.000, furono divisi in cinque Raggruppamenti-Bande nell'ottobre 1935.


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Presa poi Scusciuban nel gennaio 1927, i ribelli furono definitivamente battuti e, il 28 febbraio, l'Eccellenza De Vecchi potè dichiarare compiuta l'occupazione dei due sultanati e completato lo stabilimento del dominio italiano in Somalia.

VII) La riforma del 1926

Il 2 aprile 1925 Mussolini illustrò al Senato «li problema globale della difesa miliiare della Nazione»', asserendo che la spesa prevista per il 1925-26 era di 3 miliardi e 552 milioni di lire, pari al quintuplo dello stanziamento del 1913-14. Di essi 450 erano destinati alla Regia Aeronautica, la quale allineava 80 squadriglie per un totale di 882 apparecchi efficienti, che salivano a 1.786 calcolando le riserve e a 2. 166 computando pure quelli in costruzione e riparazione, mettendo l'Italia al secondo posto nel mondo dietro alla Francia e davanti a Gran Bretagna e Stati Uoiti. Il resto della cifra in bilancio andava ripartito fra la Regia Marina e il Regio Esercito. La prima però non poteva superare il limite di 175.000 tonneJiate complessive di dislocamento stabilito alla Conferenza di Washington2~ conclusasi il 6 febbraio 1922, per cui le spese - benchè destinate ad aumentare - erano abbastanza facili da programmare. Restava il Regio Esercito. La questione principale in quel momento consisteva nell'accettare o meno l'idea di "Nazione Armata", caldeggiata da parecchi generali. Si sarebbe trattato di ridurre l'esercito ad un nucleo permanente molto piccolo, destinato a formare i quadri e a fornire la prima difesa, ad esso avrebbero fatto da contraltare un'organizzazione premilitare per i giovani in età scolare e un gran numero di quadri in congedo, mantenuti in addestramento con richiami periodici. «La Nazione armata? Sono contrario" disse Mussolioi affossandone definitivamente il progetto "Non vorrei che alla Nazione armata in tempo di pace corrispondesse la Nazione disarmata in tempo di guerra»vi. Restava il problema di come adeguare il Regio Esercito alle esigenze del tempo. A dire il vero già il precedente Ordinamento Diaz del 7 gennaio 1923 aveva apportato alcune innovazioni in una parte dei 102 reggimenti di fanteria, trasformando uno dei loro battaglioni fucilieri in battaglione armi d'accompagnamento, su una compagoia comando, tre di armi leggere. una di armi pesanti ed uno stato maggiore. Nel 1925 tale tipo di battaglione era statO esteso a ognuna delle 51 brigate; ma questi mutamenti, fermandosi appunto a livello brigata. avevano toccato la sola Arma di Fanteria. Invece la Legge n.396 dell' 11 marzo 1926 elevò il numero dei corpi d ' armata da IO ad 11 e cambiò l 'assetto delle divisioni, interessando quindi tutte le Armi ed i Corpi del Regio Esercito. La divisione di fanteria, da quaternaria che era, formata cioè da 2 brigate per complessivi 4 reggimenti. artiglieria, genio e servizi, fu ridotta a ternaria, sciogliendo una delle brigate che la componevano ed aumentando la forza dell'altra da 2 a 3 reggimenti più un comando brigata.

v Mussolini, "La rifonna militare". discorso pronunciato al Senato del Regno il 2 aprile 1925, rip. in

M USSOI.INJ. '"Discorsi", Roma. 1939, pag. 67. 26 Come tutte le altre potenze contraenti - USA, Gran Bretagna. Francia e Giappone - l'Italia si era

impegnata a non costruire navi di linea di tonneUaggio superiore alle 35.000 tonnellate, a non armarle con calibri superiori al 406, a non varare portaerei dislocanti più di 27.000 tonnellate l"una e a dotarle di pezzi non eccedenti il 203. Agli Stati Uniti e all' Inghilterra era consentito un tonnellaggio complessivo delle rispettive flotte cli 525.000 tonnellate, 135.000 delle quelli potevano essere dedicate alle portaerei; il Giappone ne aveva ottenute 315.000 e 81.000; Francia e Italia a testa 175.000 complessive, di cui un massimo di 60.000 utilizzabili per le portaerei. Erano restate libere le costruzioni di naviglio leggero e cli sommergibili. vi MUSSOLINI, op. CÌL. pag. 71.


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La forza del reggimento però risultò variare da 2 a 3 battaglioni. Quelli composti da 3 avevano le salmerie rinforzate ed un organico di 67 ufficiali, 1.960 fra sottufficiali e truppa e 165 quadrupedi, mentre gli altri disponevano di salmerie d'addestramento e di una forza di 51 ufficiali, 1.300 tra sottufficiali e soldati e 51 quadrupedi. Organicamente il reggimento era composto da un comando, 2 o 3 battaglioni e un deposito. Il battaglione constava di un comando. 3 compagnie di fucilieri e una di mitraglieri. Le compagnie erano articolate, se fucilieri, in una squadra comando, una squadra salmeria, tre di fucilieri ed una di mitragliatrici leggere. Se erano di mitrnglieri avevano un plotone comando e due di mitraglieri su due squadre di mitragliatrici pesanti. Complessivamente, quindi, ogni reggimento aveva da 24 a 36 mitragliatrici leggere e da 12 a 18 pesanti. Quando fu pienamente attuata la riforma, le divisioni di fanteria risultarono 29 di linea e 1 di granatieri, per un totale di 90 reggimenti, cioè 12 meno di prima. Poche le modifiche agli armamenti, limitate all'adozione, l'anno seguente, del tromboncino per fucile e della mitragliatrice Fiat modello 1926. Da ricordare invece la costituzione di una nuova specialità della Fanteria: i Carristi.

VIII) Ferrea mole, ferreo cuore ... nascono i carristi I carri armati erano un'invenzione inglese risalente alla Guerra Mondiale; e il Regio Esercito se n'era interessato fin dal 1917; ma non era riuscito ad ottenerne dagli Alleati prima della fine del conflitto27 e si era limitato a creare, il 1° settembre 1918, un Reparto Speciale Carri d'Assalto aggregato al I O Parco Trattrici di Verona. Nel gennaio 1919 i carri erano stati convogliati nella Batteria Autonoma Carri d'Assalto, su due sezioni, una delle quali era stata mandata in Libia ed impiegata a Misurata, tornando poi in Italia e passando a Nettuno, presso Roma, come Compagnia Autonoma Carri d'Assalto. Poco dopo erano entrati in linea i carri Fiat 3.000 (ridenominati nel 1930 carri 21/30, quando vennero dotati di un cannoncino calibro 30), armati di due mitragliatrici Sia da 6,5 e, i1 7 gennaio 1923. era stato costituito a Roma il Reparto Carri Armati, al quale nel 1924 se ne aggiunse un secondo. La legge del 1 ° marzo 1926 li tramutò in Centro di Formazione Carri Armati - su un deposito e cinque battaglioni, ognuno di due compagnie forti di 9 carri ciascuna - riuniti il 1° ottobre 1927 in Reggimento Carri su tre battaglioni: uno, insieme al comando reggimentale a Bologna, uno a Codroipo e il terzo a Udine. Restava da decidere chi si dovesse occupare delle neonata specialità: e non fu facile. Si provò ad affidarla ali' Artiglieria; ma non voleva occuparsi del tiro in caccia tipico dei carri. Si bussò alla porta del Genio; ma c'era troppa agilità tattica per i suoi gusti; si domandò alla Cavalleria: non voleva rischiare di cambiare i cavalli coi cingoli. Alla fine, come sempre capitava, li si sarebbe scaricati al solito Refugium peccatorum - la Fanteria. Nel 1933 sarebbero poi cambiate le uniformi. Le veccbie divise della Grande Guerra avrebbero lasciato il posto alle nuove gi ubbe a quattro bottoni. I gradi sulle manicbe sarebbero divemati simili a quelli dell'Aeronautica e della Marina. Il colletto si sarebbe aperto, con un bavero sui cui erano cucite le mostrine ed il colore del quale variava a seconda den · Arma, Corpo o, per la Cavalleria. Reggimento d'appartenenza. I pantaloni. allungati fino a mezza gamba, avrebbero lasciato meno spazio alle intramontabili e fastidiose mollettiere. Sarebbe com-

27 I primi 5 carri Renault l8 furono concessi nel maggio 1918 e presentati alle autorità a Piacenza nel h1glio del medesimo anno dal capitano Bennicelli, mentre s i sperimentava il carro italiano Fiat 2.000, un mostro di 60 tonnellate. con IO uomini di equipaggio e armato di un obice da 65 e sette mitragliatrici. Notevole la produ7ione di autoblindo, regolarmente entrate in servizio ben prima della fine della guerra.


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parsa la bustina grigioverde; e l'elmetto del Piave sarebbe stato sostituito dal praticissimo e resistentissimo modello 1933, poi sostanzialmente copiato dagli eserciti statunitense e sovietico, la cui robusta ed elegante forma sarebbe sopravvissuta per sessant'anni.

IX) Due anni intensi

Gli anni '30 costituirono il periodo aureo delle forze Annate del Regno e del Regio Esercito in particolare. Ai successi nella Coppa Schneider e dei voli intercontinentali isolati di De Pinedo, Ferrarin e Del Prete ed agli alterni risultati delle trasvolate polari di Nobile col Norge - il suo equipaggio fu il secondo a raggiungere il Polo Nord2~ nella storia dell'uomo29- e coll'ltalia negli anni '20 seguirono un deciso orientamento della Regia Aeronautica verso i mezzi più pesanti dell'aria - gli aeroplani - e una serie impressionante di primati del mondo - da quelli di velocità. fino a quelli di altitudine - coronati dai grandiosi successi delle Crociere Transatlantiche di Italo Balbo. Se ne ebbero anche risultati pratici, colla vendita d'aerei e anni in America Latina, seguita dall'invio d'una missione militare a seguire la guerra del Chaco tra Paraguay e Bolivia. Ai successi militari ne facevano eco di civili altrettanto prestigiosi, non ultima la conquista del nastro azzurro da parte del Rex nel L934, elevando la considerazione dell'Italia in un mondo che aveva tentato d'organizzarsi costituendo la Società delle Nazioni. Un guerra mondiale vinta, le colonie pacificate, una politica estera decisa, il ruolo di protettrice della pace europea nei confronti del revanscismo tedesco, un regime autoritario che l'aveva preservata dai disastrosi effetti delle crisi economica del 1929, facevano dell' Italia una Nazione guardata con rispetto, o con ammirazione, a seconda degli osservatori. Lo strumento principale della politica mussoliniana era sempre costituito dalle Forze Armate; ed il nerbo di esse, per quanto si potesse affermare la vocazione marinara della Nazione e la novità dell' Arma Aerea, era e restava il Regio Esercito. L'artefice del continuo ammodernamento della sua struttura era un generale tanto deciso a seguire la strada della serietà e dell'efficienza, da non aver paura di scontrarsi coi quadri più alti della politica e del Partito Fascista. Duce induso. L'Eccellenza Federico Baistrocchi lottò per anni contro "le necessità politiche" presentatesi di volta in volta e riuscì a forgiare uno strumento militare valido. Lo potenziò e riorganizzò col Regio Decreto I 723 dcli' ll ottobre 1934, meglio conosciuto come Ordinamento Baistrocchi, che istituì i Comandi Superiori Alpini. 3 divisioni celeri ed elevò il numero delle divisioni di fanteria, portandolo a 31 e dando ad ognuna un nome, che poi era spesso quello della sua brigata di fanteria. Ogni reggimento di fanteria ricevè una sezione di cannoni da 65/17 che, successivamente, si trasformò in batteria d'accompagnamento, passando così da due a quattro pezzi. U seguente anno 1935 fu denso di avvenimenti sotto tutti i punti di vista.

28 Nel giugno del 1900 il comandante Cagni della Regia Marina. appartenente alla spedizione di Luigi Amedeo di Savoia Aosta, Duca degli Abruzzi. era arrivato a issare il tricolore a 86° e 34' di latitudine nord. 29 Nel 1997 Roben Bryce, sull'analisi dei documenti di Frederick Cook e Roben Peary. finalmente resi consultabili, dimostrò che il primo era arrivato poco ollre 86° e 47' nel I 908, il secondo poco più in là. Quindi. poiché entrambi avevano mentito. soprammo Peary al quale venne ufficialmente riconosciuto il primato, la gloria di aver toccato il Polo Nord per primo va a Byrd. Secondi furono Amundsen ed i militari italiani che. insieme a lui e a Nobile che l'aveva costruito, volarono fin là col Norge nel giugno del 1926. Gran parte di loro avrebbe poi panecipato alla sfonunata spedizione del I 928. in cui I' /Jalia, di ritorno dal Polo. sarebbe precipitato sulla banchisa.


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Intanto l'armamento della Fanteria fu ulteriormente ampliato e migliorato, provando e adottando il mortaio da 81 e que!Jo d'assalto da 45 «Brixia», la mitragliatrice Fiat modello 35, il cannone mitragliera da 20, il pezzo anticarro da 47/32, le bombe OTO e Breda e la rossa bomba a mano SRCM 35 che, come la pistola Beretta 34 calibro 9 corto, sarebbe restata in servizio per 55 anni. Nello stesso anno arrivarono i nuovi mezzi corazzati, armati con una coppia di mhragliatrici: i carri veloci L 3. a!Jora moderni ma purtroppo restati in servizio fino al 1943. Dal punto di vista politico l'anno, che si aprì colla questione della Saar e si chiuse con una guerra fra Italia ed Etiopia, segnò un radicale cambiamento negli equilibri europei. Dal 1933 Hitler era cancelliere del Reich. Per riuscire nella sua politica che, seguendo rigidamente il programma già esposto nel suo «Mein Kampf», mirava a dare il primato assoluto nel mondo alla Germania, il Fuhrer voleva innanzitutto riottenere ogni lembo di terra perso col Trattato di Versailles. Successivamente avrebbe cercato, cioè preso, il proprio spazio vitale ad Est e, infine, avrebbe dominato il globo: «Hewe ist unser Deutschla11d, Morgen die Welt !» - «Oggi è nostra la Germania. domani il mondo!»-. Il primo passo, la riunificazione delle terre tedesche, era assai lungo da compiere e poichè sarebbe andato a turbare irrimediabilmente l'assetto continentale stabilito, fu articolato in tempi diversi. li primo era la riacquisizione dei territori ex-germanici non appartenenti ad altri Stati; il secondo la «liberazione» delle terre inserite ormai da anni in altre Nazioni. I primi due obbiettivi territoriali di Hitler furono dunque la Saar e La Repubblica Austriaca. La prima sotto mandato della Società delle Nazioni, la seconda indipendente. Il dominio di Vienna era orn ridotto a circa due terzi della sola z.ona di Lingua tedesca dello scomparso impero. Ma fin dal periodo antecedente il 1914 si era delineata una politica tendente all'unificazione di tutti quei territori sotto l'egida berlinese. Tale aspirazione, frustrata sia dagli Asburgo che dagli Alleati, era ancora viva; ma era guardata con enorme sospetto, specialmente dall'ltalia, la quale riteneva, fondatamente. che la costituzione di un blocco pantedesco al cLi là delle Alpi avrebbe ripresentato tutti i pericoli ritenuti definjtivamente sepolti colla battaglia di Vittorio Veneto. Per questo Mussolini era un accanito sostenitore de!J'indipendenza austriaca, come, del resto, di quella ungherese, ed appoggiava il cancelliere Dollfuss, il quale a sua volta si opponeva alla tendenza unionista sostenuta dai Nazisti austriaci. Quando, il 25 luglio del 1934. questi ultimi lo uccisero e tentarono un colpo di stato, la reazione italiana fu immediata e pesante. Mussolini schierò due divisioni al Brennero, minacciandone l'intervento a garanzia dell'indipendenza austriaca. Hitler, costretto a sconfessare i suoi uomini di Vienna, si rese conto di due cose. La prima era che, essendo la Germania ancora militarmente debole, era meglio agire rispettando, almeno apparentemente, le regole delle Nazioni democratiche. La seconda che poichè in tutta Europa si era mossa contro di lui solo l'Italia, evidentemente essa era l'unica Potenza militarmente forte e decisa. Occorreva neutralizzarla e il modo migliore poteva essere quello di allearsela. Stabilito questo, rimaneva solo da aspettare l'occasione adatta. Per quanto concerneva la Saar, occupata per lungo tempo dai Francesi. in quel momento era sotto un regime internazionale. Infatti era stato stabilito che solo dopo I 5 anni. che scadevano il 31 dicembre 1934, i Saarresi avrebbero potuto decidere con un plebiscito se restare sotto il regime internazionale, diventare francesi o tornare tedeschi. Nel 1934 il Consiglio della Società delle Nazioni aveva nominato un Comitato dei Tre, presieduto dall'ambasciatore italiano barone Aloisi30, che doveva occuparsi dello svolgimento

30 Da ufficiale di Marina. durante la guerra, aveva violato l'ambasciata austroungarica in Sviu.era per conto del STM, impadronendosi dei cifrari dei nemici e perme!lendo la distruzione della loro rete di sabotaggio in Italia.


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del plebiscito. Per garantire l'ordine pubblico, la Società delle Nazioni decise di far affluire un corpo internazionale di 3.300 uomini. L'aliquota maggiore, 1.500 uomini. fu data dalla Gran Bretagna, cui spettò il comando del1'operazione. Ad essa si aggiunsero due piccoli contingenti, svedese ed olandese, entrambi di 250 ed un quarto comandato dal generale di brigata Visconti Prasca, di 1.300 italiani, ai quali31, partiti fra il 10 ed il 21 dicembre 1934, diretti al settore Saarbrucken-Landkreis e Saarlouis, spettava il presidio di 320 seggi. Si votò il 13gennaio 1935 ed il risultato, oltre il 90% dei consensi, fu a favore della riunificazione al Reich. Forte del clamoroso successo ottenuto, Hitler decise di saggiare la capacità di reazione di Francia e Gran Bretagna e, il 16 marzo, annunziò il ripristino della coscrizione obbligatoria in Germania e l'aumento della Wehrmacht a 36 divisioni. Poichè gli Alleati europei si limitarono a delJe vivaci proteste, il risultato potè dirsi buono: nessuno si era veramente mosso. Così nel giugno 1935 il Fiihrer mise allo studio la rimilitarizzazione della Renania, pensando di attuarla nel febbraio 1936, senza sapere che la sorte, grazie ali 'Etiopia, stava per donargli la desiderata alleanza italiana.

3 1 Composto da un Reggimento di formazione dei Granatieri di Sardegna. un Battaglione di Carabinieri Reali. uno squadrone carri veloci de l 19° Reggimento Cavalleggeri Guide ed aliquote del Genio Radiotelegrafisti, della Sanità e del Servizio Automobilistico.


CAPITOLO XXXVIII

«SE TU DALL'ALTIPIANO GUARDI IL MARE.... »' L'ANNO DELL'IMPERO: 1936.

I) "Coll'Etiopia abbiamo pazientato quarant'anni, ora basta!"" Dopo Adua gli Etfopici erano restati tranquilli fino al 1912, quando avevano preso in considerazione l'idea d'attaccare l'Eritrea approfittando dell'impegno italiano in Libia. Negli anni seguenti, si erano verificati una mezza dozzina di atti ostili, con spedizioni forti anche di 50.000 uomini, l'ultimo dei quali nel 1931 contro la SomaJia. ll Governo del Re non era restato del tutto fermo. Il 4 giugno 1930 il ministro della Guerra Eccellenza Gazzera aveva comunicato al Duce che il Ministero degli Esteri riteneva sufficiente il Regio Corpo Truppe Coloniali a proteggere le colonie, però, concludeva, <<tenuto conto di quanto sopra ... ho disposto perché sia messo subito allo studio l'invio di rinforzi in Eritrea per l'eventualità di complicazioni in Etiopia che conducano ad un conflitro localizzato fra questo stato e /'Eritrea-Somalia» 1ii. Ad ogni modo vi furono dei ritardi e, anche se nel 1932 il colonnello Ruggiero aveva già preparato il piano d'operazioni che poi sarebbe stato applicato nel 1935, prevedendo di ultimare il conflitto entro sette mesi, come poi accadde, il rinforzo delle colonie italiane non potè incominciare prima del 1934, anno in cui si verificarono tre incidenti di una certa rilevanza a Gondar, Harare Ual Ual. In quest'ultima località la guarnigione di soldati coloniali, rapidamente rinforzata da due carri armati e due aerei, riuscì a respingere, infliggendo loro gravissime perdite, un tentativo di impossessarsi dei locali pozzi fatto dagli Etiopici, imbaldanziti dalla presenza e dall'esplicito appoggio di una missione militare inglese. I primi due incidenti non modificarono l'orientamento prevalentemente difensivo del Comando militare; ma !"ultimo, il più grave, fece comprendere a Mussolini che la guerra era il modo più rapido di risolvere la questione una volta per tutte. Mentre la Società delle Nazioni indagava sui fatti di Ual Ual, il Duce, il 30 dicembre 1934. preparò una memoria in cui fissava aU 'ottobre 1935 il principio delle operazioni per la distruzione dell'esercito etiopico e la conquista dell'Impero. Diplomaticamente la questione era stata intanto affrontata a Ginevra, ma il tempo impiegato nelle discussioni serviva solo a rafforzare le colonie italiane in vista della guerra senza interferenze o proteste. Così io dieci mesi l'Eritrea vide realizzare le infrastrutture necessarie alla permanenza del corpo di spedizione che andava sbarcando; e le truppe1 nella Colonia lievitarono ai 165.000 uomini e 36.000 quadrnpedi della fine di settembre del l935.

i Micheli-Ruccione. «Faccetta nera», I" verso. "MUSSOlJNl, discorso del ottobre 1935. in MUSSOLINI , discorsi. pag. 343. iii S.E. il ministro della Guerra genera.le Gazzera al Capo del Governo, "Predisposizione per !"eventuale costituzione di grandi unità O.M.", del 4 giugno 1930. in A.C.S.. Presidenza Consiglio dei Ministri, 1928-30. Fase. I. sottofasc 2-2. prot. 8717. 1 Precisamente il Regio Corpo Truppe Coloniali dell' Eritrea aveva avuto prima d"allora: un Comando del Regio Corpo su Stato Maggiore ed uffici vari. Comando Artiglieria e Comando Genio, 5 battaglioni


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U progetto originario del 1934 per la difesa dell'Eritrea aveva previsto solo 20.000 uomini. Ma il progressivo peggioramento della situazione li aveva fatto salire in aprile ad un corpo d"armata ternario, completo di tutti i servizi, sostenuto da 100 aeroplani, circa SO carri armati e una quarta divisione, mobilitata in Patria e pronta a muovere. Quando poi fu decisa la guerra le unità vennero raddoppiate; ed una serie ininterrotta di convogli cominciò a fare la spola fra i porti italiani e quello di Massaua, scaricando uomini, quadrupedi, mezzi e rifornimenti, lasciando alla Somalia una funzione di fissaggio. Il 3 ottobre, in seguito a precisi ordini da Roma, De Bono, governatore dell'Eritrea ecomandante del fronte settentrionale, alle S,SO del mattino diede il via alle operazioni. Le divisioni Sabauda e XXVIlJ Ottobre, del I Corpo d'Annata, presero Adigrat, seguita, il 6, da Adua, ove erano entrate la Gavinana e la XXI Aprile del II Corpo di Maravigna. 111S ottobre le truppe italiane entrarono ad Ax.um. Le cose stavano andando bene. C'erano stati pochi scontri d'avanguardia e la guerra sembrava una passeggiata. In effetti gli Abissini non si fecero vedere, o quasi, per tutto il mese di ottobre. Ai primi di novembre però le truppe italiane avevano davanti quattro armate avversarie. A sud di Adua quella di ras Sejum, di 30.000 uomini e, intorno a Macallè, i circa 4S.000 uomini di ras Cassa, ai quali si sommavano i 43.000 di ras Immirù, in arrivo dal Goggiam, e gli 80.000 di ras Mulughietà, provenienti dall'interno. Imponenti le cifre, ma tutt'altro che attendibili, poichè le truppe etiopiche erano rimaste, come quarant' anni prima, degli insiemi di bande levati dai vari ras, coi noti lunghissimi tempi di radunata. Altrettanto lunghi risultavano però i tempi necessari agli Italiani per avanzare. Mancavano strade e piste, mancava l'acqua, mancava rutto; e quel tutto doveva essere caricato a Massaua e fatto arrivare alle unità in linea attraverso centinaia di chilometri. Centomila operai e soldati erano necessari per l'apertura e manutenzione delle piste su cui 10.000 autocarri facevano la spola per rifornire le truppe - 197.000 uomini dall'inizio di novembre - i 700 cannoni ed i 200 tra carri armati ed autoblindo del corpo di spedizione sul fronte nord. l tre corpi d'armata che lo componevano, il II di Maravigna a destra. quello eritreo di Pirzio Biroli al centro ed il I di Santini a sinistra, stavano avanzando lentamente verso sud. nel Tembien. Troppo lentamente, secondo Mussolini. che da Roma tempestava De Bono di telegrammi perchè facesse in fretta. Dal canto suo il vecchio Quadrumviro rispondeva tranquillamente facendo presenti le difficoltà che incontrava. Il Duce brontolava perchè non si marciava su Macallè; e De Bono ribatteva: «Siamo giunti al limite dei ripieghi. Alimentare una linea di tappa quale est quella da Asmara a Macallè. sempre minacciata, specie sul.fianco destro, in una colonia dove all'infuori della carne in piedi non esiste niente. ma proprio niente, est compito che fa almeno agitare i capelli a coloro che ne hanno. Questo, caro capo del governo, io siimo doveroso di dirti anche per metterti in guardia contro qualche faciloneria che potrebbe esserti riferita da Lessona e magari anche da Badoglio»iv_ Mussolini aveva però bisogno di successi militari per irrobustire la sua posizione sul piano interno e internazionale. La congiuntura diplomatica non era delle migliori. La Società delle Nazioni aveva messo l'Italia sotto accusa in quanto assalitrice di un altro Stato membro ed aveva decretato contro di

indigeni eritrei.una compagnia costiera. uno squadrone indigeni. 3 batterie d'artiglieria da montagna , 2 compagnie cannonieri indigeni. una batteria autoportata indigeni, una compagnia Genio, una sez.ione automobilistica. un drappello treno, ua drappello serviz.i presidiari,un deposito reclutamento per la Libia e 8 bande armate. iv DE BONO. rip. in L. P1GNATELLI, «La guerra dei sene mesi». Milano. Longanesi. 1972, pag. 82.


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essa una serie di sanzioni economiche il cui risultato fu quasi nullo perchè non comprendevano il petrolio. A dire il vero i governi di Parigi e, soprattutto, di Londra erano in una situazione alquanto complessa. Non potevano fare a meno di condannare una così patente violazione delle norme internazionali come una guerra d'aggressione, senza perdere completamente la faccia davanti ai propri elettori ed al mondo. ma non volevano neanche perdere l'appoggio militare italiano contro la Germania. Del resto non solo il fronte sanzionista non comprendeva tutti i membri della Società, visto che Albania. Austria ed Ungheria, strettamente legate a Roma, avevano votato contro e la Svizzera si era astenuta, ma la stessa Società non includeva gli Stati Uniti e la Germania, ai cui mercati poteva quindi rivolgersi l'ltalia per sopperire a tutte le proprie necessità. Di conseguenza la guerra, danneggiando econonùcamente le democrazie, incrinando il fronte antitedesco e mettendo in difficoltà i governi di fronte ai loro elettori. costituiva un impaccio che andava risolto al più presto e in qualsiasi modo. Si tentò la via del compromesso, ma fallì per diverse ragioni. A quel punto ci si rassegnò e si rimase a guardare chi dei due l'avrebbe spuntata, bea sapendo che, terminata la guerra, le cose sarebbero state aggiustate. Infatti, se l'Etiopia avesse vinto, come tutti pensavano considerando le asperità del terreno su cui gli attaccanti dovevano muoversi, l'Italia sarebbe rientrata nei ranghi. Se invece fosse stata Roma a vincere si sarebbe potuta far calmare la tempesta e poi, come avvenne nel '38, riconoscere il nuovo stato di cose senza dare troppo nell 'occhio. In entrambi i casi, prima si finiva e meglio era. Per ottenere una rapida fine del conflitto, o almeno per dame l'impressione. Mussolini voleva risultati tangibili, cioè vittorie ed occupazioni di città e intimò: «Per sincronizzare Le esi-

genze politiche con quelle militari ti ordino di riprendere l'azione: obiettivo Macallè-Taca~è la mauina del 3 novembre. ll 3 ottobre andò bene, adesso andrà meglio. Rispondi»v. E a De Bono non restò che muovere i 40.000 uomini di Pirzio Biroli, i 60.000 di Santini e la «colonna dancala» del generale Mariotti in direzione della cittadina. Mentre le truppe di Mariotti, cadute in un'imboscata a Monte Gundi. arrivarono con 5 giorni di ritardo. le colonne dei due corpi d'armata si aprirono a tenaglia e si richiusero sulla capitale del Tigrai al le IO del mattino dell '8 novembre.

Il) La crisi dì Passo Uarieu

Poco tempo dopo il Il Corpo d'Armata raggiunse i guadi del Tacazzè e vi s'installò. L'ordì.ne del Duce era staio eseguito, ma tutto il fronte ora si trovava in pericolo. L'ala sinistra era troppo sbilanciata verso l'esterno e quasi isolata. I rifornimenti, che dalla base di Senafè raggiu.ngevano Adigrat dopo 80 chilometri di pestifere piste, ora dovevano superarne altri 120 per arrivare fino al li Corpo suJ Tacazzè. In più, se gli Etiopici avessero attaccato in forze, avrebbero potuto sfondare, piombare su Macallè con tutti i suoi depositi, distruggerli ed accerchiare l'armata italiana. Lo tentarono una prima volta il 15 dicembre e mancarono il successo di un soffio. Disfatto il Gruppo Bande del maggiore Criniti distruggendone tutti i carri armati e le autocarrcttc. i guerrieri di ras Immirù diedero il via alla fase veramente combattuta della guerra.che proseguì con scontri violenti ad Abbi Addi, capoluogo del Tembien, contro gli armati del degiac Hailù Chebbedè. Seguì la presa dell'Amba Tzellerè da parte italiana il 22, il ripiegamento dalle zone conquistate fin sulla posizione di Passo Uarieu - deciso dal comando sul campo per mancanza di

v Mussolini B.. rip. in P1GNATELLI. op. cit.. pag. 83.


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forze sufficienti a presidiarle - e la «battaglia di Natale», sostenuta con successo dalla colonna Ajmone Cat. Intanto De Bono era stato sostituito da Badoglio subito dopo la presa di Macallè. perchè s'era rifiutato di occupare l'Amba Alagi, assolutamente indifendibile ma legata all'eroica resistenza sostenutavi dal maggiore Toselli nel 1896. Il nuovo comandante era stato fortemente contrario alla guerra d 'Etiopia, ma, in seguito a un breve viaggio in Eritrea col sottosegretario alle colonie Lessona nell'autunno del '35, si era reso conto che si trattava di un conflitto facile da vincere. Al ritorno a Roma aveva, per dirla con De Bono, riferito molte «facilonerie» al Duce, mettendo se stesso in ottima luce e l'anziano Quadrumviro in pessima. Mussolini gli aveva dato retta e l'aveva messo al posto di De Bono a metà novembre. Due mesi dopo, Badoglio, che aveva chiesto altre due divisioni e ne aveva ricevute tre dall'Italia, intraprese la prima battaglia del Tembien, che, nelle sue intenzioni, doveva sbarazzarlo degli avversari. Dopo un successo iniziale italiano, il 21 gennaio gli Etiopici misero in crisi tutto il dispositivo attaccando e costringendo alla ritirata il Gruppo Battaglioni Camicie Nere del console generale Diamanti. I militi, pressati da tutte le parti, si rifugiarono nelle posizioni di Passo Uarieu, tenute dalla Ottobre, senz'acqua e con gravi perdite. Se avessero ceduto, agli Abissini si sarebbe aperta la strada di Hausien e vi sarebbero arrivati prima dei rinforzi italiani che vi stavano accorrendo, tagliando fuori Macallè, il Comando Superiore, 70.000 uomi11i e 300 cannoni. Ma le Camicie Nere tennero; e la situazione fu ristabilita alla pari. Gli Etiopici non avevano sfondato e gli Italiani non erano riusciti a cacciarli dal Temhien come Badoglio si era proposto: 8.000 etiopici, 665 italiani e 417 eritrei erano restati sul terreno a pagare l' errore commesso per aver dovuto dare troppa retta ai politici e troppo poca ai tecnici. Bisognava ricominciare da capo; ed era tutto più difficile. Agli Abissini già presenti s'erano aggiunti ora gli 80.000 di ras Mulughietà e, per sloggiarli, occorreva impadronirsi di due forti posizioni molto distanti fra di loro: l'Amba Aradam e l'Uorc Amba.

x.xvm

ID) L'Amba d'Oro e il LagoAscianghi La manovra venne articolata in più fasi. Iniziò lunedì 10 febbraio coll'avanzata del I e del neocostituito m Corpo d'Armata nazionale verso l' Amba Aradam. li giorno dopo il I continuò! 'avanzata, mentre il m restava fermo. Mercoledì 12 entrambi si rimisero in moto ed ultimarono, non senza contrasti, l' attestamento nella zona di partenza del.l'attacco, sulle falde dell'Amba Aradam. Due giorni di sosta poi, il 15. l'attacco e la presa della montagna. Subito dopo, il III Corpo aprì sulla propria destra una pista di 80 chilometri per spostarsi nella regione di Daela e portarsi alle spalle del nemico, concentrato intorno ad Abbi Addi di fronte a Passo Uarieu e al Corpo d'Armata Eritreo. Il 27 febbraio, mentre a sud-est il I assaliva l' Amba Alagi, i due corpi d'armata, Jll ed Eritreo, muovendo l' uno verso l'altro presero tra due fuochi le armate dei ras Cassa e Seium. Nella notte fra il 26 ed il 27, 120 rocciatori tra alpini, ascari e militi scalarono I'Uorc Amba, l'Amba d'Oro. Alle 6, sfilando silenziosamente sotto il naso delle sentinelle abissine addormentate, erano in cima con pochi viveri, 7 mitragliatrici leggere e due giorni di munizioni. Un'ora dopo, all'alba, i battaglioni del Corpo Eritreo vennero giù da Passo Uarieu per aggirare l'Uorc Amba. Mentre il grosso impegnava gli avversari davanti al passo, altri 3 battaglioni, sul late, opposto, attaccarono Debra Hamsa. Gli Etiopici reagirono duramente. Lanciarono 14 contrattacchi. tutti respinti, contro gli Italiani arroccati in cima all' UorcAmba. e impegnarono quelli in pianura in duri scontri vicino a Enda Semlet ed al costone di Zebandas, dove il Corpo


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Eritreo dovè inviare tutte le riserve. Contemporaneamente i tre battaglionj spediti contro gli armati del degiac Mangascià Yilma a Debra Hamsa furono costretti a ripiegare fino a Passo Uarieu. Qui però la controreazione italiana fu così forte da spezzare in due le forze nemiche e volgerle in fuga con gravi perdite. Il giorno seguente le azioni furono limitate; e i due Corpi d'Armata continuarono a marciarsi incontro, congiungendosi il 29 ad Abbi Addi. Le armate dei ras Cassa e Sejum erano disperse e avevano avuto 8.000 tra morti e feriti, contro i 34 ufficiali, 359 nazionali e 188 ascari persi dagli Italiani. Nel frattempo si svolse, con grosse difficoltà ed una buona dose d'imprudenza, la battaglia dello Scirè contro le forze di ras lmmirù le quali, dopo una settimana di scontri, battute finalmente iJ 5 marzo, si dissolsero, come sempre accadeva alle armate etiopiche sconfitte. La serie di operazioni, iniziata il 10 febbraio sull'Amba Aradam e appena conclusa, nota nel suo insieme come battagUa del Tigrai. aveva distrutto le forze nemiche, la5ciando al Negus la sola sua armata personale. Badoglio ordinò allora di spostare in avanti tutti i magazzù1i, fra il 4 e il 12 marzo. per consentire ai suoi 4 corpi d'armata d'avanzare a sud. agganciarla e batterla Il 28 marzo tutto era pronto e Badoglio comunicò ai suoi sottoposti d ' aver fissato al 6 aprile la data dell'avanzata contro l ' armata di Hailè Selassiè. L' Imperatore però si mosse prima e andò a cozzare contro le linee itaUane, alle S,45 del mattino del 31 marzo, nella zona intorno a Mai Ceu. La battaglia. detta anche «del Lago Ascianghi», fu combattuta duramente da entrambe le parti ma. nonostante il loro valore, alle 17.30 gli Etiopici vennero definitivamente respinti. L' ultimo esercito abissino del fronte nord, sconfitto, scomparve e lasciò libera la via per la capitale. Badoglio aveva dato ordine di predisporre gli autocarri per un ' autocolonna capace di trasportare una divisione ed i rifornimenti che potevano occorrerle fino ad Addis Abeba. L'intendente generale, Dall'Ora, sottraendoli al traffico ordinario fra Massaua ed il fronte ne aveva raggranellati 1.725, molti dei quali civili e guidati dai loro proprietari, e li aveva concentrati nelle retrovie, muovendoli poi verso la piana di Enda Chercos, a sud del Passo di Alagi. Trasferitasi a Quoram, l'autocolonna fu scaricata delle 35 giornate di viveri e IO di foraggio che aveva portato fin lì. Fu costituita una base logistica e gli automezzi vennero assegnati alle truppe destinate all'avanzata, già pronte a muovere su Dessiè, dove giunsero fra il 24 e il 25: erano 10.000 nazionaJi, altrettanti eritrei, I I batterie e uno squadrone carri veloci.

IV) Il litro di Neghem e i caterpillar Nel frattempo Graziani aveva condotto una buonissima campagna sul fronte sud, utilizzando aJ meglio le ridotte risorse della Somalia2. Teoricamente gli sarebbe toccato restare sulla difensiva - e infatti aveva a disposizione i 12.000 nazionaU della Divisione Peloritana e 20.000 indigeni, 200 autocarri e 30 cannoni : mente in confronto al Fronte Nord; ma non voleva saperne. Gli si obbiettava l'impossibilità di muoversi per mancanza di strade e per l'impossibilità di trasportare tonnellate di rifornimenti? Rispondeva proponendo l'acquisto in America dei trattori cingolati - i caterpillar - e degli autocarri pesanti prodotti daJla Ford, perché i primi: «vanno piano, però marciano con ogni tempo su ogni terreno»• e «50 trattori con /00 rimorchi trasportano 20.000 quintali»•i i quali

2 Prima della guerra la guarnigione della Somalia constava di un Comando, 6 battaglioni di fanteria indigena, 7 sezioni mobili d 'artiglieria cammellata, I compagnia cannonieri su 10 sezioni d'artiglieria da posizione. 2 squadriglie autoblindate. I compagnia presidiaria e I squadriglia d'aeroplani per ua totale di circa 9.000 uomini, di cui 134 ufficiali. 48 souufficiali e 6.753 indigeni. ai quali si sommavano Carabinieri Reali e Zaptiè e 8 bande armate a disposizione dei commissari regionali. • i Rip. in COVA, «Graziani. un generale per il regime», Milano, Newton Compton, 1987, pag. 133.


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equivalevano a 30 giornate di viveri per 30.000 uomini, pari al carico di 1.000 autocarri, col vantaggio di abbisognare, con due turni di guida per caterpillar. di soli I00 autieri. Mussolini, entusiasta, autorizzò l'affare e gli aumentò le truppe a 50.000 uomini, mandandogli due divisioni Libiche e le Camicie Nere della Tevere 3 . A fronteggiarli c'erano l'armata del Sidamo, o del sud ovest, di ras Destà Damtù forte di 40.000 uomini e i 30.000 di quella dell'Ogaden del deggiac Nasibù Zamauel. Dopo una lunga serie di «Sul fronte somalo nulla da segnalare» sui bolJettini e l'annuncio di tre azioni su Dagnerrei, occupata il 18, Callafo, il 20 e Gheledi il 21. era di nuovo calato il silenzio fino al 7 novembre. quando era stata presa Gorrahei, I nemici del presidio erano stati inseguiti traversando il Faf in piena e la vittoria aveva consentito di controllare tutto l'Ogaden. Passate due settimane. l'avanzata aveva compiuto un nuovo balzo di 100 chilometri grazie all'attacco vibrato da una colonna celere su Dolo, estendendo la zona occupata fino a Amino, sul Ganale Doria, e ad Areri. Poi Graziani si era fermato per organizzarsi meglio. Ovviamente la cosa aveva richiesto un certo tempo, per cui non si era mosso fino ai primi di gennaio del 1936, approntando la base di partenza dell'attacco nella zona Dolo-Oddo-Malca Rie. cioè là dove sfociano nel Giuba tutti i fiumi della regione, mentre davanti a lui, fra il Ganale Doria ed il Daua Parma si era venuto a piazzare ras Destà Oamtù con soli 15.000 uomini; gli altri erano rimasti sparsi lungo i 400 chilometri di percorso, spezzonati dagli aerei e distrutti dalle fatiche. Graziani Li lasciò tranquilli i nemici fino al 12 gennaio, poi fece avanzare le sue unità come quattro dita di una mano: ad ovest lungo il Daua Parma, a nordovest verso Neghelli, a nord risalendo il Ganale Ooria e a nordest seguendo l'Uebi Gestro. Ne derivarono la vittoriosa battaglia del Gana le Dori a e un· avanzata in sei giorni fino a Filtù - 230 chilometri da Dolo - proseguendola in direzione di Neghelli. Si trattava di un villaggio - pure se era la capitale dei Galla Borana - situato a 1441 metri d'altitudine e il 20 gennaio 1936 le avanguardie di cavalleria vi entrarono, precedendo le lente colonne - avanzavano a 8 chilometri l'ora - dei caterpillar su cui erano stipati pezzi di ricambio, munizioni, viveri e acqua in ragione di un Litro al giorno a testa: il famoso "Litro di NegheUi", che sarebbe assurto a simbolo delle privazioni che il soldato italiano sapeva sopportare. Fu una sorpresa che diede a Graziani una celebrità senza pari in Italia, nùgliaia di messaggi di congratulazioni, il titolo di Marchese -di Neghelli ovviamente - e l'annuncio di Mussolini che «Vostra Eccellenza troverà ad Harrar il bastone di Maresciallo d'ltalia»vii Ma questo era qualcosa di diverso da un semplice telegramma di congratulazioni: era un ordine d'operazioni. «Se avessi a disposi::.ione due divisioni motorizwte potrei occupare Addis Abeba. Invece devo andare ad Harrar. Addis Abeba non si tocca ... proprietà privata di Badogliof>,viii scrisse Graziani il 22 gennaio nel suo diario. lnfatti era così. La via della capitale era aperta e una colonna celere era già stata spinta avanti per 70 chilometri su Uadarà, mentre erano state impartite disposizioni per l'approntamento d'una nuova base aerea e il 22 Graziani aveva abolito la schiavitù nell'intero territorio. Infine il 26 le Camicie Nere della Milizia Forestale e le autoblindo dell'autocolonna del generai.e Agostini risalendo lungo il Daua Parma avevano occupato Malca Murri. completando la vittoria. Ras Destà Damtù aveva perso oltre l0.000 morti e le sue forze erano state tagliate in due e allontanate dai pozzi d · acqua. Il 28 l'Aviazione della Somalia italiana poteva già rischierarsi a Neghelli, cioè a soli 440 chiJometri da Addis Abeba - tre ore di volo - e ai primi di febbraio l"avanzata riprese. Stavo!-

3 Al 3 ottobre Graziani aveva 112 pezzi d'artiglieria, 100 caterpillar. 1.800 autocarri. un migliaio dei quali Ford con pneumatici adatti ai terreni rotti e fangosi. 70 carri armati e 76 aerei. vii Rip. in COVA. op. cit.. pag. 133. viii Idem, pag. 159.


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ta però verso est, per eseguire l'ordine del Duce. TI 30 marzo fu bombardata Harrar, il 6 aprile Sassabaneh, il 10 altri bombardamenti resero evidente l'intenzione di Graziani di eseguire gli ordini - Sassabaneh era circa 550 chilometri a nordest di Neghelli e a ci rca 120 dal confine coUa Somalia Inglese - e andare ad Harrar. Messesi in moto il 15, le sue punte avanzate ci sarebbero entrate 1'8 maggio sotto una pioggia torrenziale dopo aver battuto ripetutamente gli Abissini del deggiac Nasibù, aver traversato il Giarer in piena su un ponte da 25 metri - il sedicesimo del genere gittato dal Genio dal principio della campagna - e aver raggiunto Giggiga il 5 maggio sera. Infine il 9 a Dire Daua, sulla ferrovia Gibuti-Addis Abeba si ebbe la congiunzione colle truppe del fronte nord. La guerra di Graziani era finita, come del resto quella di Badoglio.

V) Il Termaber

Infatti Il 23 aprile Badoglio aveva dato l'ordine di procedere su Addis Abeba con tre colonne. La prima, costituita daUa I Brigata Eritrea del generale Gallina, e la seconda, composta dal Gruppo Battaglioni Eritrei del tenente colonnello De Meo, dovevano muovere a piedi, mentre la terza, autocarrata. agli ordini del generale Gariboldi. avrebbe viaggiato sulla cosiddetta Strada Imperiale, una polverosissima carrareccia piena di buche ed interruzioni. La «Colonna della ferrea volontà» del generale Gariboldi, formata prevalentemente da.I personale deUa Divisione Sabauda e del Gruppo Battaglioni Nazionali, mosse il 26, due giorni dopo le truppe appiedate. Il 28 parti il Comando Superiore, con un'altra autocolonna e raggiunse quella della «ferrea volontà», che si era fermata al Passo del Termaber. In un punto in cui uno stretto tornante saliva verso la cima, gli Etiopici avevano provocato una frana di 1.000 metri cubi di materiale e un dislivello di 500 metri. Per Badoglio era un guaio. Aveva garantito che sarebbe entrato in Addis Abeba il 2 ed il programma rischiava di saltare. Il tenente colonnello Lami, comandante del Battaglione Genio, promise il miracolo di riparare il passo in ventiquattr'ore. E ventiquattr'ore dopo, fra l'incredulità di tutti gli alti gradi, le prime macchine varcavano il Termaber, Lami veniva promosso per merito di guerra e il Genio aggiungeva un magnifico successo tecnico alla lunga serie dei suoi allori. La mattina del 4 anche gli ultimi automezzi erano oltre il passo, mentre le truppe a piedi, che non avevano problemi di strade accidentate, erano om1ai prossime ad Addis Abeba. Badoglio diede ordine ai suoi veicoli di superare quelli di Gariboldi, più lenti, preparò un laconico messaggio per il Duce e puntò verso la città col suo battaglione misto. Alle otto di sera, accolto da uragani di acclamazioni, Mussolini parlò dal balcone di palazzo Venezia ad una folla strabocchevole che gremiva quella e le alrre piazze d'Italia: «Camicie nere della Rivoluzione, uomini e donne di tutta Italia, Italiani e amici del/'ltalia al di là dei monti e al di là dei mari, ascoltate! Il Maresciallo Badoglio mi telegrafa: Oggi 5 maggio. alle ore 16, alla festa delle truppe vittoriose, sono entrato in Addis Abebà. Durante i trenta secoli della sua storia, l'Italia ha vissuto molte ore memorabili, ma questa di oggi è certamente una delle pùì solenni. Annuncio al Popolo ltalia110 e al mondo che la guerra è.finita. Anmmcio al Popolo Italiano e al mondo che la pace è ristabilita»ix. La guerra era finita, cominciava la guerriglia; la pace era ristabilita; ma solo ad Addis Abeba. Il resto dell'Impero era ancora da conquis1are; e non si poteva farlo prima dell'autunno, termine dell'appena iniziata stagione delle piogge, che stava rapidamente rendendo impraticabile tutta l'Etiopia.

ix MussouN1, rip. in «li Popolo d'Italia», Milano, 6 maggio 1936 XIV E.F., 171 ° giorno dell'assedio economico. I• pagina.


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Fino allora era andato tulio bene, ma Badoglio sapeva bene quante difficoltà stavano per iniziare. Per questo diceva con modestia: «Sono venuto qui per fare la guerra, credo di aver fatto bene, il mio Re e il Duce debbono essere soddisfatti; ora ritorno»•. Il 9 fu proclamato l'Impero e luj ricevette la nomina a vicerè d'Etiopia. li 20 arrivò il suo successore, Graziani, giunto in volo dal fronte sud. Il 21 finalmente partl in aereo diretto in Eritrea4. Il 25 compl il suo ultimo atto ufficiale io Africa Orientale inaugurando il tronco stradale Nefasit-Asmara. «Tu questa volta», gli disse Bottai, «per inaugurare una strada, an:::.ichè wgliare il nastro, tagli la corda»•i. Era vero infatti; cd era tempo. Già durante la ~ua permanenza nella capitale si erano avuti i primi segnj di quanto superliciale fosse la vittoria, con attacchi alla ferrovia. li 28 luglio fu attaccata Addis Abeba da quattro parti e si verificarono alcune infiltraz.1oni. Dopo tre giorni di combattimenti i ribelli si ritirarono, ma la situazione restò pericolosa. Per questo motivo, nonostante il terreno circostante fosse ridotto ad una palude in cui i cavalli sprofondavano fino alla pancia, iniliarooo i pattugliamenti esternamente alla cinta fortificata, spingendoH a una decina di chilometri ili distanni. Non era che l'inizio.

• Badoglio, rip. in, Q. ARMELL.INI, «Con Badoglio in Etiopia», Milano. Mondadori, 1937, pag. 267. • «A me, per la l'erità. la sua par1e11~a è pana una fuga» scri~,e Oraziani nel proprio diario dopo averlo accompagnato all'aeropcmo. rip. in COVA. op. cit.. pag. 162. " Bottai. rip. in ARM.EUJNI, op. cit.. pag. 274.



CAPITOLO XXXIX

ALLA CONQUISTA DELL'IMPERO: A.O.I. 1937 - 1939

I) il primo ciclo operativo: luglio 1936-luglio 1937

La legge del I O giugno 1936 divise l' Impero in sei parti, stabilendo ad Addis Abeba la residenza del Yicerè. L'Eritrea, col confine spostato verso sud oltre l'Amba Aradarn e Sardò, fino a Cobbò e al lago Abbè. divenne uno dei Governatorati dell'Africa Orientale Italiana - più nota come AOI - insieme alla Somalia - ora inglobante tutto l'Ogaden. Gli altri erano Addis Abeba - limitato alla città ed al suo immediato circondario e dipendente direttamente dal Vicerè - e, intorno ad essa ed circondandola completamente come i petali il centro d'un trifoglio: da sud a est l' l'Harar; da sud a ovest il Galla e Sidama; da ovest a nord l'Amara. Solo Eritrea, Somalia e parte dell'Harar erano completamente sotto controllo. Il resto era tutto da conquistare; ed occorrevano soldati e ancora soldati. Le divisioni nazionali erano rimpatriate dopo la guerra; quelle di camicie nere erano state sciolte. Occorreva pertanto provvedere alla guarnigione stabile dell'Africa Orientale e, ferma restando l'idea mussoliniana di costituire un'Annata Nera coi nativi, era opportuno avere anche un minimo di nazionali, con funzioni sia militari sia di polizia. Alle prime avrebbe provveduto la Divisione Speciale Granatieri di Savoia1. alle seconde la Polizia dell'Africa Italiana - la PAI - entrambe create appositamente ed esclusivamente per il servizio nell'Impero. La prima era stata formata a parti.re dal 12 ottobre 1936 ed era stata sbarcata a Massaua nel novembre 1936 per essere stanziata ad Addis Abeba. La seconda, nata per soddisfare l'esigenza del Ministero delle Colonie di disporre di una propria forza di Polizia. senza dover ricorrere né ai Reali Carabinieri e agli Zaptiè, né alla Miliz.ia, venne istin1ita nel dicembre 19362 • L'attacco ad Addis Abeba era stato il principio e in proposito Graziani non si faceva più illusioni di Badoglio. In settembre fece quindi uscire parecchie colonne verso le province anco-

I Articolata su due reggimenti ternari - 10° ed l 1° Granatieri di Savoia, i cui terzi battaglioni erano però rispettivamente di Alpini (Battaglione Uorc Amba) e di Bersaglieri - una batteria d'accompagnamento ed un deposito. ai quali in seguito si sarebbero aggiunti reparti di Cavalleria (XV Gruppo Squadroni Cavalleggeri di Neghelli), della Milizia e di altri Corpi e Servizi. aveva anch' essa come segno distintivo gli alamari dei Granatieri, azzurri però. 2 Istituito dal R.D. n. 2374 del 14 dicembre 1936. il corpo della Polizia Coloniale - questo il nome iniziale, cambiato il 15 maggio 1939 in Corpo di Polizia dell"Africa ltaliana- faceva parte delle Forze Armate dello Stato (ma portava al colletto i fasci anziché le stellette) e fece giungere i suoi primi uomini nell'Jmpero nel dicembre 1937. fl primo bauaglione completo ad arrivare fu il Savoia, giunto ad Addis Abeba il I 8 febbraio 1938. Composta da nazionali, ascari e guardie libiche, la PA1 arrivò a schierare in Africa, tra nazionali e indigeni, 7.672 uomini: 6.345 in Africa Orientale e 1.327 in Africa Settentrionale, ripartiti fra le questure di Addis Abeba. Asmara, Mogadiscio, Gondar, Harar. Gimma e Tripoli.


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ra da sottomettere delegando ai generali nominati Governatori il compito di portare la pace mussoliniana neU 'Impero. Così il generale Nasi si occupò del!' Harar, Pirzio-Biroli dell' Amhara, Geloso del Galla e Sidama. L' 11 ottobre venne poi fatta partire da Addis Abeba la colonna Malta - la I Brigata Eritrea - per impadronirsi del sud-ovest con una manovra a tenaglia imperniata sulle conquiste di Lechemti3 e Gimma. Appoggiati dai circa 1.000 uomini di Abba Giobir, gli ltaliani presero facilmente la cittadina. Il 3 novembre si mosse su Gimma la colonna Princivalle, battè e uccise il deggiac Balcha e proseguì per unirsi a Malta, mossosi da Lechemti iI 14 e sostituitovi I' indomani dall ' Vill Brigata Eritrea del generale Tessitore. Il 17 cadde Gimma: il 26 Malta arrivò a Gore e l'operazione sembrò aver avuto pieno successo. Nel frattempo il generale Navarrini era uscito da Negbelli il IO novembre, aveva traversato la foresta dell'Udarà e, in cinque giorni aveva raggiunto Irgalem, mentre Geloso marciava verso Uondo e da Addis Abeba partiva il 23 la colonna Tucci per partecipare alle operazioni. Graziani aveva fretta di vedere dei risultati, specie dopo la brutta figura avvenuta in ottobre, quando il treno su cui viaggiava Sua Eccellenza iJ ministro Lessona era stato assalito dagli Etiopici. E nella terza settimana di dicembre, quando fu presa anche Ficcè, potè affermare che tutti i punti chiave dell' ovest erano presi e tutti i principali capi etiopici erano stati neutralizzati. Graziani poteva ora dedicarsi al sud-est. Ci andò di persona, atterrando a lrgalem il 7 gennaio 1937 per seguire le colonne Navarrini, Pascolini e Zambi11i che dovevano agire sotto Nasi, sostenute da un'ulteriore colonna, forte di 3 battaglioni, al comando di Cubeddu. Il 31 gennaio Pascolini attaccò sul Ghedeb; il 2 febbraio Cubeddu fece lo stesso sulJ'Ussota ed entrambi poterono vantarsi di aver vinto. L'8 gli oltre 2.000 etiopici in ritirata vennero intercettati dalJe bande Ravazzoni e Pellizzari e, ulteriormente battuti, abbandonarono rHarar per la zona di Addis Abeba, dove però li aspettavano le colonne Gallina e Natale. Braccati da queste, dalla III Eritrea e dalle camicie nere del console generale Mischi, il 17 febbraio furono agganciati e dispersi definitivamente. Sembrava tutto finito. Ma due giorni dopo Graziani venne gravemente ferito in un attentato ad Addis Abeba. La reazione fu tragica: in tutta la città camicie nere e civili ebbero mano libera contro gli Etiopici e i morti si contarono a centinaia. Ne derivò un inasprimento della guerriglia, anche se non subito, che sarebbe costato a Graziani il vicereame. Per il momento le cose sembrarono procedere ancora relativamente bene e, in marzo, Cubeddu potè neutralizzare i resti delle bande armate etiopiche del sud e comunicare a Nasi di aver terminato il proprio compito.

Il) L'intermezzo cinese e l'Armata Nera: 1937

Nel luglio 1937 l'espansionismo giapponese portò allo stato di guerra in Cina. Vedendo minacciati i propri interessi, le Potenze Occidentali che ancora vi avevano concessioni decisero un'azione comune, senza peraltro dichiararsi contro il Giappone. Considerata insufficiente la presenza del Battaglione Italiano in Cina4 • Roma decise d'incrementarvi le proprie forze e, il 28 agosto 1937, il I battaglione del 10° Granatieri di Savoia -

3 Una missione militare italiana giunta in aereo a Lechemti il 27 giugno 1936 e comprendente il generale Magliocco comandante l'aviazione e la triplice M.O.V.M. Locatelli era stata completamente massacrata. 4 Ridotta la presenza militare italiana in Cina, ritirando i 250 marinai del distaccamento nel 1915 e lasciando solo un 'aliquota di rappresentanza. dal 19 18 vi era ricomparso uno stazionario italiano - la Regia Cannoniera Caboro- alla quale s i erano aggiunte le Regie Navi Carlotto - appositamente costruita e varata a Sciangai - Libia, e dal I O gennaio I 925, San Giorgio. costituendo la Divisione Navale dell'Estremo


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24 ufficiali, 45 sottufficiali e 672 uomini - s'imbarcò a Massaua sul Conte Biancamano diretto a Sciangai. Giuntovi il 15 settembre insieme al Regio Incrociatore Montecuccoli su cui viaggiavano i marinai cli rinforzo al San Marco, insieme a loro, a 1.400 americani e 2.500 inglesi, costitul il contingente internazionale incaricato di vigilare sugli interessi delle Potenze in Cina, rientrando in Africa il 28 dicembre 1938. Qui nel frattempo l'organizzazione militare dell'Impero aveva subito un grosso mutamento. Il 22 febbraio 1937, incurante dell'attentato subito da Graziani tre giorni prima e della difficilissima situazione etiopica, Mussolini aveva ordinato di aprire gli arruolamenti dei primi 100.000 uomini deU' Armata Nera, cioè dell'esercito indigeno destinato a difendere l'Impero, stabilendo di elevarlo a 300.000 effettivi entro l'inverno 1940-41. E contro le aspettative di molti, il reclutamento procedè spedito, fornendo in breve una gran massa di manovra da impiegare subito - e con buoni risultati - nelle operazioni di Polizia Colonialc5.

111) Il secondo ciclo operativo: luglio 1937 - luglio 1938

Le grandi piogge del 1937 portarono il riaccendersi della rivolta. Alla fine di luglio del 1937 vennero assaliti quasi simultaneamente i presidi a Debra Tabor e Bahar Dar. Entro un mese tutto il Goggiam era di nuovo da conquistare e le guarnigioni avevano evacuato Biccenà, Buriè e Dembeccia concentrandosi a Debra Marcos, mentre quella di Engiabara ripiegava su Dangila. Poi la rivolta si diffuse a nord e lungo il confine sudanese, mentre venivano attaccate la colonna De Laurentis a Debrà Tabor e la Banda Uollo leggia a Mata. Le grandi piogge non permisero di reagi.re a fondo fino all'autunno. Ma l'autunno portò un cambio al vertice. La politica di feroce repressione attuata da Graziani dopo l'attentato era divenuta decisamente insostenibile. Mussolini, preoccupato, specie perché stava lentamente ottenendo il riconoscimento ufficiale dell'acquisizione deu·1mpero da parte dei Paesi esteri, aveva proposto al Re-Imperatore la nomina del duca Amedeo d'Aosta a vicerè e, dal canto suo, dopo molte incertezze e nonostante l'opposizione di Badoglio, aveva affidato al generale Ugo Cavallero il comando delle truppe in Africa Orientale, mentre Graziani veniva richiamato a Roma. Il 12 gennaio 1938 Cavallero assunse il comando. La situazione militare non era delle migliori6. Le guarnigioni reggevano bene; ma più che reggere dovevano reagire con forza. Ca-

Oriente dell'ammiraglio Conz. La fluidissima situazione cinese infatti aveva imposto sia lo sbarco di marinai, sia la permanenza di un reparto stabile di una certa consistenza. Per questo, su istanza dell'addetto navale a Pechino capitano di corvetta Angelo Jachino, il 5 marzo 1925 era stato ufficialmente costituito a Tien Tsin il Battaglione Italiano in Cina, mettendolo al comando del capitano di corvetta Alberto da Zara, a.r ticolandolo su tre compagnie del Battaglione San Marco e dotandolo di due pezzi da sbarco da 76 e una sezione aeronautica di un aereo e nove uomini. Solo nel 1929 le Potenze cominciarono a diminuire le rispettive forze - assommanti a 27.414 uomini, 426 dei quali italiani - e il Battaglione Italiano rimase tranquillo fino a tutto il 1931 . Nel 1932 la tensione cino-giapponese sali di nuovo. Fu ricostitt1ita la disciolta Divisione Navale dell ' Estremo Oriente -RRNN Trenro. Espero. Libia. Carlo/lo e Caboto-dandola ora all'ammiraglio Domenico Cavagnari e si tennero in Cina 365 uomini con una sezione di 4 autoblindo, ripartiti fra Pechino, Shan Hai Kuan. Tien Tsin e Sciangai. Nuovamente contratto nel 1933 grazie alla cessazione della tensione ci no-giapponese, il Battaglione, che sarebbe esistito fino al 10 settembre I 943, e la Squadra vennero nuovamente ridotti. s Al novembre 1937 le truppe regolari nell 'lmpero ammontavano a 66.054 uomini: 25. 784 nazionali e 43.270 indigeni. 6 Secondo Cavallero. al principio dell'anno i battaglioni presenti in A.O. erano: 14 nazionali, 53 di Camicie Nere. 83 indigeni, ai quali si aggiungevano 9 Gruppi Bande, 57 Bande irregolari e 6 Groppi squadroni di Cavalleria Coloniale, cfr. U. CAVALLERO, Gli avvenimenti militari nell'Impero, Roma. lPZS. 1940.


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vallero predispose attacchi su larga scala contro le formazioni ribelli. procedendo per settori. Cominciò dal Galla e Sidama e precisamente dalla zona a cavallo della strada da Addis Abeba a Lechemti, impiegando i reparti tanto coloniali quanto della Granatieri di Savoia. Il 20 partì l'attacco ed ebbe pieno successo. Agganciate e battute, le bande etiopiche furono spinte verso iJ Nilo Azzurro ed obbligate a traversarlo, passando nel Goggiam, la parte meridionale del Governatorato dell'Amhara. Il Goggiam era di fatto sotto l'influenza di quattro diversi capi ribelli con migliaia di armati a loro disposizione; e contro di loro Cavallero in mar.i:o lanciò circa 60.000 uomini, che dovevano spingerli dal Nilo Azzurro verso il confine sudanese o la distruzione. Poiché, uscendo dalla sponda sud del Lago Tana, il Nilo Azzurro compie un semicerchio girando lentamente verso ovest, la manovra sarebbe stata un lento ed enorme accerchiamento, che avrebbe progressivamente stretto gli Etiopici in una morsa. Così fu entro la prima decade d'aprile; e per la metà di maggio il Goggiarn era sotto il controllo d'una ventina di battaglioni sparsi in 23 guarnigioni. Il 1° giugno Cavallero potè dedicarsi ali' Ancoberino - la regione dominata dal monte Ancober e incentrata sull'omonima città, rispettivamente a un'ottantina e a circa 125 chilometri da Addis Abeba - per accerchiarvi e distruggere le bande di Abebè Arcgai e di altri capi meno noti. Dopo alcuni scontri vittoriosi, r 11 Cavallero disseminò sette guarnigioni - tutte di due battaglioni7 - nella zona, mentre la colonna Rean inseguiva Abebè Aregai. L'avevano quasi preso quando, il 24, cominciarono le grandi piogge e il terreno diventò impraticabile. Ci fu ancora uno scontro il 29 fra i ribelli e la colonna Scavone; ma il 4 luglio si dovettero richiamare le truppe e sospendere le operazioni fino al termine della stagione umida.

IV) U terzo ciclo operativo: 1938 - 1939 La ripresa delle operazioni all'arrivo del periodo asciutto non fu più su vastissima scala. sia perché la politica del Duca d'Aosta stava riavvicinando le popolazioni all'Italia, sia perché i costi erano stati altissimi e non sembravano proporzionati ai risultati. Infatti il Regio Corpo Truppe Coloniali controllava le zone abitate e quelle lungo le strade, ma non l'interno. Teoricamente questo sarebbe stato un compito delle Bande irregolari, ma su di esse non si poteva fare completo affidamento perché, per quanto sicuri fossero i loro comandanti - tutti rigorosamente italiani - spesso alcuni membri mantenevano contatti coi ribelli, vendendo loro armi e informazioni. Infine durante la stagione delle piogge le comunicazioni diventavano difficilissime e certi presidi restavano tanto isolati da poterli rifornire solo con aviolanci. Comunque fosse, nella prima decade di novembre del 1938 si ricominciò. La cattura di cinque ufficiali italiani recatisi dagli Etiopici per parlamentare obbligò però il governo vicereale a un rallentamento dell'attività nel settore, cosicchè Cavallero, per non perdere tempo, decise di riprendere la caccia ad Abebè Aregai. Il 1° ottobre diede il via ad un nuovo ciclo operativo nell'Ancoberino impiegando i Gruppi Bande Criniti, Farello e Rolle. Dopo tre grossi scontri. nella terza settimana d'ottobre Abebè Aregai riuscì a rifugiarsi nel Mens, un altopiano all'interno dello Scioa, ampio circa 1.300 chilometri quadrati e a circa 3.000 metri d'altitudine. Cavallero lo fece inseguire e volò a Debra Sina per dirigere personalmente le operazioni. li 30 ottobre fece entrare nel Mens quattro colonne contemporaneamente, ma gli scontri - pur vittoriosi - non furono risolutivi. 7 Nel frattempo ! 'arruolamento per l'Armata Nera aveva dato i primi risultati e Cavallero aveva a disposizione circa 28.000 nazionali e ben l25.000 indigeni.


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Anche per questo a metà dicembre le operazioni nel Mens furono sospese e la Banda Rolle venne trasferita nello Scioa occidentale per rendere sicura la strada cLi Gimma. Vi combattè per tutto il mese ma non raggiunse risultati definitivi. Non c'era da stare molto allegri: i 63 battaglioni impiegati non erano riusciti a chiudere la partita e i costi delle operazioni erano ormai decisamente alti. Nel 1936-37, incluse però le spese per la guerra contro il Negus, erano spariti l 7 miliardi c 519 milioni di lire, nel successivo esercizio del 1937-38- relativo quindi solo alle operazioni antiguerriglia - erano stati spesi 9 miliardi di lire, pari a più del doppio del denaro impiegato per le spese d'amministrazione dell'Impero - 4 miliardi e 100 milioni nel medesimo esercizio 1937-38- senza vedere risultati concreti. Certo. Cavallero non aveva vinto nel senso di distruzione del nemico; ma fuori d'Italia la si pensava diversamente. Scrisse infatti il Capo del Dipartimento Egiziano8 del Foreign Office al Ministro degli esteri Lord Halifax: «Non si può assolutamente dubitare del fatto che le forze italiane abbiano ora il controllo completo de/l'Eriopia»9. Ad ogni modo, per l'esaurimento dei ribelli e per ridurre gli attriti e le spese, nell'annata 1939-1940 il Duca d'Aosta raggiunse un modus vivendi che di fatto rese l'Impero abbastanza tranquilto 10. Lo sarebbe stato per poco. perché la guerra mondiale stava per travolgerlo.

8 Era il dipartimento preposto ali· Africa Orientale. nella cui sfera ricadeva l' AOI.

9 Memorandum del febbraio 1939 a Lord Halifax sull'Etiopia, rip. in MOCKLER. "Il mito dell'Impero'', Milano, Riizoli, 1977, pag. 270. IO Lo stesso Abebè Aregai venne scortato da un ufficiale d'ordinanza del Duca ad un colloquio segreto col Duca d'Aosta, tenutosi nel palazzo vicereale, colloquio dal quale risultò un compromesso tale da far virtualmente cessare l'insurrezione annata. L'informazione venne pubblicamente fornita a Roma I ' 11 maggio 1997, alla rievocazione di S.A.R. Amedeo di Savoia Duca d'Aosta, dal generale di Squadra Aerea Flavio Danieli - all'epoca aiutante di volo del Duca d'Aosta - il quale, senza nessun preavviso, si vide comparire davanti nelranticamern del Duca un ufficiale italiano ed un Etiope, apprendendo subito dopo che si trattava di A bebè Aregai.



CAPITOLO XL

"NO PASARÀN !" ...E SIAMO PASSATI: "OLTREMARE SPAGNA" 1936 - 1939.

I) La Missione Militare Italiana in Spagna

La fine della guerra d'Etiopia portò con sè quella dell'equilibrio europeo nato a Versailles nel 1919. Approfittando dell'incrinatura verificatasi fra glj Alleati, Hitler procedè alla rimilitarizzazione della Renania nel marzo 1936 e proseguì nella sua azione diplomatica d'avvicinamento all'Italia. In questo senso un'ulteriore opportunità gli fu offerta dallo scoppio della Guerra Civile Spagnola, poichè si trovò affiancato a Mussolini nel sostenere i Nazionalisti di Franco, mentre il governo repubblicano cercava appoggi a Londra, Parigi e Mosca. Il "pronunciamiento militar", organizzato daj generali spagnoli il 17 luglio 1936 era riuscito benissimo nei territori d'oltremare, ma solo parzialmente in quelli metropolitani, dove larghe porzioni dell'esercito, la quasi totalità della marina e tutta l'aeronautica si erano mantenute fedeli al legittimo governo della Repubblica. Questo significava che, se non si trovava il modo di trasferire sul continente europeo le truppe insorte, le zone della Spagna cadute nelle mani dei ribelli sarebbero siate ben presto riportate in quelle di Madrid. L'errore commesso dal governo legittimo consistè nel chiedere ufficialmente aiuto a quello francese; e l'errore commesso dal Primo ministro francese Blum consistè nel concederglielo ufficialmente e platealmente, senza aver prima sentito il parere del Parlamento o del Governo. Nei tre anni precedenti i rapporti franco-spagnoli erano stati ottimi e, in seguito alla tensione derivata dalla campagna d'Etiopia, era stato firmato un accordo militare: passaggio libero e illimitato sul suolo spagnolo alle truppe francesi destinate al Nord-Africa in caso di guerra contro l'Italia. La cosa non era piaciuta a Roma, ma sarebbe rimasta senza conseguenze se non avesse avuto una sorta di seguito nella promessa di Blum di inviare armi, materiali e uomini in soccorso al governo spagnolo contro i Nazionalisti. Nè servì il successivo sganciamento ufficiale della Francia, perchè se era vero che significava il non intervento dell'esercito francese a fianco della Repubblica. comportava comunque un forte appoggio ufficioso a quelli che vennero definiti "I Rossi". D'altra parte Roma rischiava di vedere in mano ad una potenza ostile anche il controllo del secondo accesso dal Mediterraneo all'oceano. Il fatto che Suez fosse in mani anglo-francesi poteva non essere troppo importante finchè la sponda opposta a Gibilterra I restava in possesso della Spagna; ma se la Spagna fosse diventata una specie di protettorato francese, anche l'uscita verso l'Atlantico sarebbe stata vigilata dalle due più accese potenze sanzioniste, dun-

1 Per tutelare gli interessi dei connazionali nella città internazionale di Tangeri, vi furono sbarcati ncll'aunmno del 1936 53 uomini del San Marco con 6 mitragliatrici. [I piccolo contingente fu dimezzato a I ufficiale, 2 sottufficiali e 25 uomini nell'aprile del 1937 e definitivamente richiamato nel dicembre 1938.


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que nemiche. Bisognava evitarlo; e il Duce. su forte pressione di Ciano, autorizzò, anzi ordinò. l'inizio dell'operazione OMS - Oltre Mare Spagna- a favore dei Nazionalisti. Morto il capo designato della sollevazione, generale Sanjurio. in un incidente aereo nelle prime ore della rivolta, il comando e il potere politico erano passati ai generali Francisco Franco ed Emilio Mola. Poichè il secondo era nel nord del Paese, in pratica fu il primo ad assumere sia il comando della sollevazione sia la veste d'interlocutore coll'estero. Le potenze democratiche si erano schierate colla Repubblica o, come la Gran Bretagna, si erano defilate; e Franco si rivolse agli Stati antidemocratici retti da reginù di destra. Ottenne aiuti dal Portogallo e dalla Germania e, il 21 luglio, inviò a Roma una delegazione. spedendo il giorno dopo anche un telegramma nel quale chiedeva che gli fossero mandati 12 aerei, che gli consentissero di raggiungere al più presto le sacche nazionaliste sparse in tutta la Spagna. Franco teneva moltissimo all' i11dipendenza formale e sostanziale sua e della sua Nazione. come del resto a Mussolini premeva non far apparire l'Italia ufficialmente coinvolta nel conflitto, ragion per cui tutti furono d'accordo nell'inviare a Franco la M.M.l.S. - Missione Militare Italiana in Spagna - diretta dal tenente colonnello Emilio Faldella e nel far arruolare fittiziamente i militari italiani inviati in Spagna nel "Tercio'', la Legione Straniera spagnola. I primi furono gli equipaggi dei 9 bombardieri S. 8lgiunti da Cagliari Elmas il 30 luglio e entrati in azione contro la flotta repubblicana nello stretto di Gibilterra nel pomeriggio del 4 agosto. Fu un grande successo degli uomini della Regia Aeronautica, che in quel momento costituivano tutte le forze aeree dello schieramento nazionalista cd ebbe come risultato la scomparsa della flotta nemica dalle acque dello stretto. Ciò conscntl ai Nazionalisti di trasbordare le truppe sul territorio metropolitano2. La rivolta era finita; cominciava la Guerra di Spagna. Le truppe di Franco puntarono direttamente su Madrid, giovandosi del sostegno degli aerei italiani. che andavano aumentando di numero. Il 29 settembre arrivarono i primi uomini del Regio Esercito, trasportati dalla Ciuà di Bengasi3. Teoricamente sarebbero stati degli istruttori per le reclute dell'armata nazionalista. In pratica, vista la tremenda carenza di truppe e il lungo tempo necessario per un buo□ addestramento, gli Italiani si dichiararono disposti a arruolarsi nel Tercio ed entrare in combattimento. Ebbero il battesimo del fuoco il 21 ottobre nell'attacco a Navalcamero, 32 chilometri a sud di Madrid. Dopo un forte fuoco di preparazione dei cannoni italiani, le truppe marocchine attaccarono precedute dai carri italiani. che sfondarono le difese repubblicane ed espugnarono il centro abitato. aprendo così all'annata nazionalista la strada della capitale. Ma il successo non potè essere sfruttato perchè mancavano rinforzi; e Franco perse una prima occasione di fi nire rapidamente la guerra.. n 24 ottobre gli haliani paneciparono allo scontro vittorio~o di Borox. vinto grazie ai carri veloci, i quali cinque giorni dopo incontrarono per la prima volt.a i pesanti carri repubblicani di fabbrica/ione sovietica a Serena. uscendone vincitori. Nel frattempo il grosso dcli' Armata spagnola d ·Africa stava sbarcando nel sud. mettendo lentamente Franco in condizione di attaccare Madrid. 1115 novembre i Nazionalisti raggiunsero la periferia della capitale. Le punte coraa,ate italiane- in appoggio alla colonna Cabanillas dal forzamento del Manzanarre - penetrarono nella città univermaria. mentre l'artiglieria bombardava il Parco dell'Ovest.

2 Gli aerei 1taliam e tedeschi, questi ultimi appena giunti. trasbordarono dal Marocco alla Spagna 3.750 uomini e alcune batterie da montagna. effettuando il primo trasporto aereo al mondo di truppe destinate a un teatro opera1ivo. infatti quello che la Regia Aeronautica aveva eseguito in Etiopia. si era svolto dopo la fine delle ostilità, mentre quello da A1izia. in Libia. nel 1923 aveva nguardato I civili. 3 Erano circa 200 ufficiali. sottufficiali e militari specializzati di otto batterie da 65/17, tre sezioni anticarTO da due pezzi l'una, una setione del Genio Radjotelegrafisti ed una compagnia carri veloci composta da 7 carri nom1ali e tre carri lanciafiamme.

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L'operazione su Madrid venne però portata avanti a rilento. si preferì il gesto altamente simbolico di deviare su Toledo per salvare i difensori dell'Alcazar e si perse l'occasione di prendere la capitale. Il fronte si stabilizzò, specie davanti a Madrid e risultò anzi frazionato in tutta la Spagna.

II) D C.T.V. L'inverno 1936-37 venne destinato alle operazioni per l'accerchiamento di Madrid. Ma le forze nazionaliste non erano sufficienti e a metà dicembre del 1936 l' Italia decise di inviare circa 40.000 uomini. «Quien lo pidio?» - chi l'ha chiesto?- domandò Franco; e aggiunse: «Prima di mandare trnppe in un paese amico occorre chiedere il pennesso»i. R estava il fatto, incontrovertibile, che le sue truppe non potevano fare a meno dell'aiuto italiano, nè per numero nè, in quei primi momenti, per capacità, trattandosi quasi esclusivamente di unità coloniali, pressocchè prive di artiglieria, senza carri armati. senza aerei nè piloti e con una marina ridotta ai minimi termi1ù. D 'altro canto in Italia l'arruolamento per l'impresa spagnola stava riscuotendo un certo successo. Attirati dal premio d'ingaggio di 300 lire e dalla paga giornaliera di 20, alla quale l'Esercito nazionalista aggiungeva 3 pesetas, i volontari accorrevano numerosi4 • Inoltre pesava molto l'aspetto religioso. 1 Repubblicani massacravano preti e religiosi, devastavano le clùese e irridevano la Fede Cattolica in tutti i modi. E negli altri Paesi europei più cattolici Portogallo e Italia - non si poteva negare che ciò avesse un impatto terribile sull'opinione pubblica, spingendola a far di tutto per il trionfo della "Cruzada", come la chiamarono i Franclùsti, la Crociata in difesa della Religione contro i Bolscevichi atei. Per quanto riguarda gli Italiani, è vero che il primo contingente per la Spagna era stato formato con gente originariamente destinata a lavori per colonizzare l'Africa Orientale: ma è pure vero, a differenza di quanto sostenuto per anni da parecchie parti, che a tutti fu esplicitamente detto che potevano non andare in Spagna; e praticamente tutti accettarono volontariamente di cambiare il maneggio della vanga in Etiopia con quello del fucile in Spagna. J primi 3.000 volontari arrivarono a Cadice il 22 dicembre del 1936; ma, proprio perché destinati in origine a lavorare in colonia. non erano gente scelta, visto che fra loro c'erano anche ultrac inquantenni e giovanissimi che non avevano mai preso in mano un fucile. Ad ogni modo con loro e con quanti li seguirono furono organizzate la I Brigata Volontari, al comando del generale Rossi, e le brigate Frecce Nere e Frecce Azzurre. queste ultime rispettivamente al comando dei colonnelli Piazzoni e Guassardo e costituite con ufficiali e sottufficiali italiani e militari sia italiani sia spagnoli. L'aumento degli effettivi italiani elevò il livello di comando; e la MMJS passò al generale Roatta, presente sotto il falso nome di Mancini, sempre perché bisognava far finta di essere civili volontari. In febbraio gli Italiani andarono in linea al di qua delle Sierras contornanti Malaga, allineando 13 battaglioni divisi in tre colonne e partecipando alla battaglia di Malaga. incominciata il 5 e finita il 7 febbraio 1937 con una disastrosa rotta dei Repubblicani, inseguiti, agganciati e battuti ancora a Motril.

i Franco al tenente colonnello Faldella, rip. in S. ATTANASIO, «Gli italiani e la guerra di Spagna», Milano. Mursia. 1974, pag. 107. 4 I rapporti conservali nel rela1ivo fondo A USSME parlano chiaro. Ali" Aquila, t.anto per fare un esempio, i volontari si presenlarono a centinaia; a Campobasso superarono il migliaio. tanto che li si dovette far donnire per terra nel cortile della caserma destinata a cemro d'arruolamento.


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Era un inizio brillante; e la combattività dei volontari convinse il comando spagnolo a impiegarli nelle operazioni per Madrid. A dire la verità, tanto gli Spagnoli erano contenti di come combattevano gli Italiani, tanto gli Italiani erano stupitj dal modo spagnolo di far la guerra. Si cominciava la mattina, si sparava fino al rancio dj mezzogiorno. poi si sospendevano le operazioni. Qualche volta si eseguiva un'azione nel pomeriggio. La sera si lasciava la linea pressocchè sguarnita; i cannoni venivano fatti tacere e la notte passava nel silenzio più assoluto. Il giorno dopo si ricominciava. Agli Italiani che avevano "fatto" l'Etiopia o la Grande Guerra sembrava una situazione assurda; una farsa. E lo stupore era pari in campo repubblicano. Gli Spagnoli lealisti "combattevano" come i Nazionalistj; e i volontari venuti in loro aiuto da tutta Europa, tra i quali gli Italiani antifascisti del Battaglione Garibaldi comandato da Randolfo Pacciardi, molti dei quali reduci della guerra mondiale, erano allibiti da questo stranissimo modus operandi. Non fu quindi un caso che il comando franchista e quello repubblicano considerassero unità scelte - d'urto - quelle straniere a loro disposizione e le impiegassero in tutte le offensive come punte avanzate d'attacco. Tra i Repubblicani la presenza italiana era piuttosto ridotta - il citato battaglione Garibaldi comandato da Pacciardi e la Legione Italiana costituita in seguito, però con pochi Italiani nelle sue file - ma era di altissimo livello e grande importanza politica. L'alleato principale della Repubblica - l'Unione Sovietica - aveva come obiettivo la vittoria e il mutamento della Spagna in una nazione comunista. Per questo motivo i Comunisti dichiararono che per prima cosa occorreva vincere la guerra senza preoccuparsi delle differenze di opinione. Ma - e questo non lo dissero. lo fecero - dovevano sottomettere, o eliminare, tulte le formazioni e le persone cbe non potevano controllare, perché la vittoria contro i Fascisti doveva essere comunista. Lo stesso schema sarebbe stato poi applicato - quando possibile - durante la Resistenza in ltal ia; e non c'è da stupirsi se si pensa cbe il rappresentante ufficiale di Stalin in Spagna - un italiano chlamato Alfredo - era Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano ed uomo di assoluta fiducia del dittatore sovietico. Dal suo assenso dipendeva ogni mossa della Repubblica e delle formazioni militari, specie comuniste ed era ben coadiuvato da Luigi Longo, altro noto esponente comunista, il quale sarebbe diventato Ispettore delle Brigate Internazionali. Fu quindi per eseguire gli ordini di Stalin che a Barcellona, fra il 3 e il 7 maggio 1937 vennero massacrati dai Comunisti i miliziani trotzkisti e anarchlci aderenti al POUM; e fu sempre per ordine di Stalin che la flotta tedesca che partecipava al blocco delle coste spagnole5 non fu bombardata. In campo nazionalista, dopo il successo dj Malaga, gli Italiani tramutarono la I Brigata in I• Divisione «Dio lo vuole» - era stato il motto della Prima Crociata nell'XI Secolo, tanto più era valido adesso per quella del XX - sempre al comando del generale Rossi; e coi nuovi volontari giunti dall'rtalia formarono le divisioni 2• «Fiamme Nere» del generale Coppini e 3" «Penne Nere», del parigrado Nuvoloni, affiancando loro il IV e il V Gruppo Autonomo Camicie Nere dei consoli Gidoni e Francisci6, poi riuniti nel raggruppamento «XXill Marzo» sotto Francisci. Infine, tra il 6 e l' 11 febbraio. sbarcò a Cadicela divisione «Littorio», comandata dal generale Bergonzoli.

IIl) Guadalajara

Insieme a Bergonzoli arrivarono le istruzioni delle Eccellenze Pariani ed Anfuso per l'Ec-

5 Decretato dalla Società delle Nazioni per impedire l'afllusso di materiali bellici alle due parti in lotta, il blocco delle coste fu affidato alla Regia Marina ed alla Kriegsmarine per il litorale della Repubblica: alia Marine Natiooale e alla RoyaJ Navy per quello in mano ai Nazionalisti. 6 I Gruppi autonomi constavano di tre battaglioni.


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celleaza Roatta/Mancini. Premessa l'assunzione del comando di tutte le unità italiane, le quali avrebbero formato il CTV - Corpo Truppe Volontarie - ed avrebbero dovuto agire unite (meno le Brigate Frecce, in quanto cli nazionalità mista). gli si prescriveva cli operare sulle clirettrici Cordova- Albacete-Valenza, Guadalajara-Madrid e Teruel-Valenza. Ne nacque un grave problema politico e, "io auce". la vittoria franchista della guerra di Spagna. Il comando nazionalista aveva già individuato le proprie linee d' azione e intendeva riprendere l'offensiva su Madrid. operando in modo assai simjle a quello prescritto da Pariani al CTV. Ma l'esposizione degli ordini cli Roma, prudentemente presentati come "suggerimenti" da Faldella, perché Roatta, ferito nel corso della battaglia cli Malaga il 10 febbraio era rientrato in Italia per curarsi, scatenò un putiferio. Franco non era disposto ad accettare interferenze estere nella condotta della guerra e reagi malissimo. li l5 febbraio. due giorni dopo il colloquio con Faldella, prescrisse al CTV un'offensiva su Siguenza- Guadalajara di U a ua mese. Sia stato un caso, sia stato voluto, fatto sta che in seguito al vittorioso contrattacco repubblicano sviluppato il 18 febbraio, vennero fatte sul CTV fortissime pressioni perché entrasse subito in linea. Prima Milhin Astray, il famoso fondatore del Tercio, poi lo stesso Franco, ne chiesero l'intervento e non si potè dire di no. Cosi gli Italiani si ritrovarono sulla Carretera de Francia, con un tempo infame - neve, ghiaccio e niente appoggio aereo per il maltempo sulle basi nazionaliste - per la battaglia di Guadalajara, il cui insuccesso, propagandato in tutto il mondo dalla Repubblica, avrebbe infuriato Mussolini a tal punto da fargli intensificare l'appoggio diplomatico e militare a Franco fino a determinarne il successo. Molto in breve, 1'8 marzo 1937 il CTV attaccò lungo la Carretera de Francia - la strada che da Madrid portava a Guadalajara, Saragozza e in Francia - con due divisioni 2• e 3•, i Gruppi Banderas 4° e 5°, un battaglione carri L, autoblindo e motomitragliatrici, avendo in riserva le divisioni I• e Littorio7, 180 cannoni e 80 aerei italiani in appoggio e circa 50 chilometri di avanzata da fare. Innegabilmente quella di Guadalajara fu una battaglia persa dal CTV, la prima e l'unica, anche se è difficile considerare veramente perduta una battaglia combattuta senza appoggio da parte degli alleati, senza copertura aerea a causa del maltempo, sotto l'imperversare dell'aviazione nemica - le cui basi invece erano praticabili - alla fine della quale si era avuta comunque un'avanzata del fronte di 20 chilometri e l' unico terreno perso erano 15 dei 35 chilometri inizialmente presi al nemico. Come già accennato, la propaganda repubblicana ed antifascista portò la vittoria al settimo cielo e la definl la prima di una lunga serie al cui termine sarebbe stato distrutto il Fascismo. «Oggi in Spagna, domani in Italia», disse Rosselli alla radio. <<No pasaràn!» gridò fiduciosa la "Pasionaria" Dolores Ibarruri alle folle repubblicane. In realtà l' unica cosa certa era che la sconfitta avrebbe consentito a Franco di impedire agli Italiani di mettere ancora bocca nella condotta della guerra: ragion per cui era più che lecito dubitare che il minimo apporto fornito dagli Spagnoli durante la battaglia fosse stato voluto dall'alto. Comunque da Roma vennero ordini drastici. Rimpatriati i generali Nuvoloni, Rossi e Coppini; Roatta, sostituito da Bastico alla testa delle truppe italiane, fu relegato al comando della Agrupaciòn Legionaria e l'Eccellenza Teruzzi venne a riorganizzare il CTV. Eliminati e rimandati in Italia i fisicamente inadatti alla guerra, ritirato il fucile Yetterli/Vitali e sostituitolo col '91, aumentate le dotazioni e rinsanguato dai nuovi complementi, il CTV fu rapidamente in grado di riprendere le operazioni, scendendo in campo ai primi d'aprile nei Paesi Baschi. a dimostrazione di quanto poco era stato toccato dalla sconfitta.

7 La Littorio era binaria - cfr. capitolo "Pariani, Badoglio e la divisione binaria'· - le altre constavano di 3 gruppi di 3 banderas - circa 600 uomini l'uno - per un totale di circa 5.400 uomini per divisione.


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IV) Bilbao, Santander e il fronte del Nord Lasciata la pressione su Madrid, Franco aveva deciso di assalire i Paesi Baschi per privare il nemico delle loro risorse industriali. Il 31 marzo cominciarono le operazioni delle brigate nazionaliste navarresi, coadiuvate dall' Agrupaciòn Legionaria - Frecce Nere su 6 battaglioni - dalla XXIII Marzo col 4° e 5° Gruppo Banderas e dal!' Artiglieria e daU-Aviazione Legionaria. come erano chiamate l'artiglieria pesante e il contingente aeronautico italiani&. li 5 aprile le "Frecce., andarono in linea e, dopo un mese di scontri e un ·intrepida difesa del Battaglione repubblicano Pozzuoli a Bermeo, lentamente la situazione si sbloccò a favore dei Nazionalisti, permettendo loro d'avvicinarsi alla cintura difensiva fortificata di Bilbao: il "Cinturòn de hierro" - il cinturone di ferro. Il 20 maggio l' Artiglieria Legionaria riuscì a collocare due pezzi da 305 sul monte Gondrarnendi cominciando subito a bombardare il porto di Bilbao. Dopo altre tre settimane di combattimenti, stroncato il contrattacco dei quattro battaglioni repubblicani comandati dal bolognese Nannetti e dopo una lunga sosta. cominciò l'attacco al Cinturòn, coll'appoggio di 70 bombardieri e 50 caccia, sfondando il 18 giugno e raggiungendo la foce del fiume. L'indomani fu presa Bilbao, catturandovi 7 battaglioni nemici ed obbligando gli altri aritirarsi su Santander. Temendone la caduta, i Repubbl icani lanciarono un attacco diversivo a Brunete, sul fronte di Madrid. per attirarvi le forze nazionaliste; ma persero grazie al pronto rischieramento delr Aviazione Legionaria, che in 20 giorni distrusse 100 loro aerei e stroncò dal cielo qualunque tentativo offensivo. Riconcentrate le forze al nord - ogni volta che la lotta cambiava fronte, occorreva spostare l'Aviazione Legionaria. la tedesca Legione Condor e l'Artiglieria Legionaria a sostegno dei Nazionalisti impegnati in quel momento - il 14 agosto cominciò la battaglia di Santander. Fu un'operazione da manuale. Appoggiati dal fuoco di 200 cannoni e da 100 aerei, Legionari e Nazionalisti avanzarono sistematicamente. Il 16 le difese nemiche crollarono e venne presa Reinosa, consentendo l'unione al passo di Haro delle colonne attaccanti e la cattura di L0.000 prigionieri. Il 19 si procedè aJJa vera e propria offensiva su Santander, arrampicandosi sulla Cordigliera Cantabrica. Man mano i combattenti salivano di quota per superare l'Escudo, su cui si trovavano le maggiori fortificazioni nemiche, lottando nella nebbia e nella pioggia e avanzando lungo la strada disseminata di interruzioni, ogni curva della quale« ... era uno strenuo combattimento. I Baschi facevano saltare in aria la strada e cercavano di ritardare l'avanzata legionaria con un nutrito fuoco dì semoventi. Il genio riparava in fretta e furia le interruzioni e l'avanzata continuava»ii. Scrisse poi il generale repubblicano Ulibarri "Il nemico attaccò furiosamente con grande impiego d'artiglieria, carri d 'assalto e grandi quantità di uomini, riuscendo ad avanzare e conquistare le nostre posizioni fortificate sull'Escudo, piantando su di esse la bandiera italiana"iii. Il 21 cadde Ontaneda e fu interrotto il rifornimento idrico a Santander. Il 24 i Baschi offrirono la resa; ma non fu accettata. Bastico intanto aveva consentito a Roatta di permettere l'imbarco di esponenti militari e politici baschi su due navi inglesi, invece di consegnarli ai Franchisti. La ragione era nell'opposto trattamento riservato ai prigionieri dagli Italiani e dai Nazionalisti. I primi seguivano le convenzioni internazionali; i secondi li processavano e li fucilavano. Era vero che i Repubbli-

8 La prima, comandata dal generale Manca. arrivò ad allineare 1.604 bocche da fuoco di vario calibro; la seconda contava 3 Stormi e 2 Gruppi da bombardamento. I Stormo e 2 Gruppi da caccia, I Squadriglia d·assalto, I Gruppo da ricognizione. ii S. ATfANASIO op. cii., pag. 167. lii Rip. in ArrANASIO. op. cit., ivi.


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cani si erano macchiati in tutta la Spagna di crimini di un'efferatezza inaudita, non guardando al sesso e all 'età dei prigionieri; era vero pure che nessun legionario o nazionalista da loro catturato era certo di rimanere vivo e anzi per molti la morte diventava una gradevole via d'uscita; ma era pure vero che i NazionaJisti avevano la mano tremendamente pesante. Basti pensare che alle rimostranze avanzate dal Comando del CTV per i massacri di prigionieri, Franco aveva risposto di aver fatto lavorare i giudici militari con un'attenzione tale da arrivare, in certi casi limite, perfino al 30% di assoluzioni. Cosa si voleva di più? Che si lasciassero in vita tutti i prigionieri repubblicani? Per questo motivo. quando seppe del permesso accordato a Roatta, Franco s'infuriò, ottenne lo sbarco e la consegna dei Baschi: e Bastico venne rimpatriato. Intanto continuava l'avanzata vittoriosa su Santander dove. alle 9,40 del 26 agosto 1937, entrarono per prime le colonne italiane, accolte nel centro della città dalla popolazione con tricolori improvvisati e un tripudio di ovazioni e di grida di ·'Han pasado! Han pasado!" - Sono passati! Sono passati! Anche le Frecce Azzurre avevano continuato a combattere, a Fuenteovejuna, il 14 aprile e ancora il 21: in giugno erano state impiegate in Estremadura ed erano poi passate sul fronte aragonese, dove il 24 80.000 repubblicani avevano lanciato un 'offensiva su Saragozza. Per contenerla affluirono rinforzi, fra i quaJi le Frecce Nere e, come sempre, Artiglieria e Aviazione Legionaria e Legione Condor. La battaglia si incentrò su Belchite, assediata dai "Rossi". che cadde il 6 settembre. L' 11 la Divisione Frecce andò in linea. Il 24 attaccò a Zuera per ristabilire le comunicazioni fra Huesca e Saragozza. vincendo e dando un apporto fondamentale alla vittoria della battaglia da parte nazionalista. Con la fine dei combattimenti sul fronte aragonese il Comando nazionalista potè concentrare le proprie forze sulle Asturie9, il cui settore crollò per un'insurrezione interna consentendo l'ingresso dei Franchisti a Gijon quasi senza sparare. «Il fronte del Nord è scomparso» comunicò il Quartier Generale nazionaJista, trovandosi a disporre di 600.000 uomini.

V) Da Teruel a Huesca Franco decise di tentare un nuovo attacco contro Madrid; ma i Repubblicani lo prevenne-

ro con un attacco su Teruel, lanciato con 100.000 uomini il 15 dicembre I937. Con una temperatura di 20 sotto zero, i "Rossi" ottennero un buonissimo successo e bloccarono la cittadina in modo tale cbe solo il 30 i "Neri" furono in grado di cominciare a reagire concretamente, faceudo affluire l'Aviazione e l'Artiglieria Legionarie. Il freddo rigidissimo però rallentava le operazioni e per questo il 7 gennaio 1938 Teruel si arrese. Ciò uon convinse i Nazionalisti ad abbandonare la partita, che fu ripresa il 19 febbraio, ma li indusse a considerare più utile un attacco contro la Catalogna in direzione della costa mediterranea, per eliminare le future offensive avversarie tagliando in due il territorio della Repubblica. li 9 marzo entrarono in azione 15 divisioni, fra le quali le italiane Littorio. Fiamme Nere, XXIII Marzo e Frecce alle quali spettava il settore Rudilla-Funfria-Anadon. Superata la 34• Divisione repubblicana, il IO il CTV prese Muniesa. il 13 la XXIIl Marzo entrò ad Andorra, mentre Bergonzoli 10 , ferito, era rilevato dal generale Frusci, già a capo delle Frecce Nere.

9 impiegandovi la divisione spagnola Grado, la XXJil Marzo. 3 compagnie carri. 6 gruppi artiglieria

e 30 aerei. to La notizia fece gran piacere ai Repubblicani. i quali avevano posto sulla testa di Bergonzoli una taglia d.i 50.000 pesetas. reputandolo un coraggioso e pericoloso trascinatore di uomini. come aveva dimo-


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Stabilite tre teste di ponte sul Rio Guadalope, i Legionari ripresero rapidamente l'offensiva, travolgendo 7 brigate nemiche e la famosa Divisione d'Urto Lister, una delle unità migliori dell'esercito repubblicano, messa in ritirata dalla XXIII Marzo. Il 19 l'avanzata continuò trionfalmente colla presa di Huesca, mentre i Nazionalisti entravano a Lerida. li 26 la Frecce attaccò e prese il Mirablanch: il 31 dopo quattro ore cli mischia i Legionari travolsero la XV Brigata lntemazionale a Calaceite. Il 1° aprile superarono il fiume Matarraiia e l'offensiva proseguì verso il mare. Alla strettoia di Cherta il CTV ebbe perdite fortissime, ma ciò non gli impedì di entare a Tortosa il 19. In cinque settimane i Legionari italiani avevano preso tre città, una cinquantina di centri minori e 10.000 prigionieri. La foce del1'Ebro e il mare erano stati raggiunti al prezzo di 3.000 fra morti e feriti e la Repubblica era tagliata in due: la Catalogna a nord; Madrid a sud.

VI) "Siamo passati e vi dico che passeremo" La sera del 26 gennaio 1939 Mussolini aveva parlato a Roma a una folla non meno euforica di lui per le grandi vittorie di Spagna e per la presa di Barcellona dicendo: «La parola d'ordine dei "rossi" era questa: No pasaràri ! Siamo passati e vi dico eh.e passeremo» 1v. Ed effettivamente ormai si era a.Ila fine. li governo legittimo cercava riparo in Francia e nulla poteva più salvare la Repubblica Nella seconda metà di marzo i Nazionalisti provvidero a Liquidare i resti dell'apparato repubblicano. mandando mezzo milione di soldati all'attacco in Castiglia il 26. Col CTV in prima linea e al centro dello schieramento, i ''Neri" avanzarono su un lungo fronte che andava dalla Castiglia alla Sierra Morena, sfondando subito e catturando 30.000 prigionieri già il primo giorno. Il 28 marzo i Legionari presero Aranjuez e a sera Guadalajara. La sconfitta del 1936 era vendicata e l'accerchiamento di Madrid completato. Nella capitale entrarono i Nazionalisti ed una colonna legionaria il 29 marzo 1939. mentre il grosso del CTV prendeva AJbacete e, l'indomani, il generale Oambara occupava Alicante. Il JO aprile 1939 il Quartier Generale nazionalista comunicò: «En e/ dia de h.oy, cautivo y desarmado e/ Ejercito rojo, nuestras tropas victoriosas han alcanzado sus ultimos objetivos. L<, guerra ha terminado»•. Al costo di 6.000 morti e 16.000 feriti i Legionari italiani si erano coperti di gloria e di vittorie convincendo Mussolini della potenza militare del! ' Italia. Sia per questo sia per mantenere buoni rapporti con il nuovo Governo di Madrid, il Duce donò al Caudillo tutti i mezzi e gli armamenti pesanti italiani trasferiti fino a quel momento in Spagna: era un salasso spaventoso, specie per un esercito che tra Africa ed Europa era ininterrottamente in guerra dal 1935. Ma il Duce non se ne preoccupò. L' avventura spagnola era finita bene e « ..indicando l'atlante geografico aperto sulla pagina della Spagria» disse << •• è stato aperto così per tre anni. Ora basta. Ma so già che devo aprirlo in un 'altra pagina». Commentava Ciano: «Ha in cuore l'Albania»vi.

strato a Guadalajara e a Santander. Quando lo seppe, lui lasciò l'ospedale e si fece vedere in prima linea. vestito della suà solita sahariana bianca, passeggiando allo scoperto perché tutti sapessero che era vivo. iv Rip. in ATIANASIO, op. cii., pag. 285. ' Idem, pag. 264. vi G. CIANO. "Diario". Milano, RizzoUi, 1989 pag. 19.


CAPITOLO XLI

"OLTREMARE TIRANA" 1939

Lentamente l'Asse Roma-Berlino, da una vaga amicizia si era tramutato in una vera e propria alleanza, prima mediante l'adesione dell'Italia al Patto Antikomintern. nel 1937, poi col nulla osta di Mussolfoi ali 'annessione del l'Austria al Reich nel 1938 e infine colla questione dei Sudeti, infelicemente risolta nel medesimo anno a Monaco. Dopo lo smembramento della Cecoslovacchia, conseguito appunto col Patto di Monaco, i Tedeschi avanzarono nuovamente l'offerta d'una vera e propria alleanza. Già prima Ribbentrop, nell'estate del '38, aveva proposto di trasformare il Patto Antikomintem in una triplice alleanza difensiva che, rifiutata. fu nuovan1ente suggerita in settembre durante i colloqui di Monaco e, in ottobre, a Roma. La terza volta il Reichsminister fu abbastanza esplicito ed accennò all'eventualità dello scoppio d'una guerra contro le democrazie occidentali nella seguente estate del 1939. La politica tedesca aveva degli obiettivi chiarissimi, che chiunque si fosse preso la briga di leggere "Mein Kampf' non avrebbe potuto non scoprire. li principale di essi consisteva nell'allargamento verso Oriente - cioè ai danni dell'Unione Sovietica - acquisendone il territorio e le risorse e distruggendo la minaccia bolscevica. Qui c'era un primo punto di contatto fra la politica tedesca e quella nipponica, il cui espansionismo in Estremo Oriente era ostacolato, come quarant' anni prima, proprio dai Russi, con in più il problema che la guerra non dichiarata contro di loro in Siberia, stavolta i Giapponesi l'avevano persa e anche pesantemente. Per la famosa regola secondo la quale "il nemico del mio nemico è mio amico", Berlino e Tokio non potevano fare a meno di avvicinarsi in funzione antisovietica; e da là era nato il Patto Antikomintem, al quale la Germania proponeva ora di far aderire pure l'Italia. Questo però comportava una deviazione rispetto alle finalità antisovietiche del Patto, perché Roma era in buoni rapporti con Mosca, mentre ne aveva di pessimi con Londra e Parigi. Vedeva quindi la propria adesione in funzione prevalentemente antibritannica. mentre per i Tedeschi gli Inglesi non erano nemici e per i Giapponesi non lo erano in modo immediato. Certo, la Gran Bretagna era la prima potenza del mondo - il che implicava che prima o poi si sarebbe scontrnta colla Germania decisa a scalzarla - ed aveva i suoi maggiori possedimenti in Asia. cioè là dove il Giappone intendeva espandersi; ma poiché l'obiettivo primario del Patto era l'URSS, tutto sommato per il momento Londra poteva anche non preoccuparsene troppo. Dal punto di vista di Hitler. allargare all'Italia la prima alleanza messa in piedi dalla Germania nazista significava cominciare a legare al carro tedesco il cavallo italiano: e il gioco valeva tanto la candela, in funzione del futuro, da fargli anche accettare di dare al Patto Antikomintem un' implicita e non voluta valenza antibritannica. Finchè la valenza fosse stata implicita anche il Giappone sarebbe stato d'accordo; ma non si doveva andare oltre, almeno per il momento. Però da Roma le cose erano viste in tutt' altro modo: l'alleanza col Giappone e la Germania doveva servire a minacciare l' Inghilterra. Il problema era semmai dove fermarsi. Secondo alcuni settori della diplomazia l'obiettivo da raggiungere poteva essere limitato ad ottenere il riconoscimento inglese dell'Impero in Africa Orientale - riconoscimento al quale sarebbe se-


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guito a ruota quello francese - e, magari, con adeguate minacce, ad avere poi guadagni territoriali da stabilire, prevalentemente a danno della Francia. Secondo Mussolini invece era il primo atto della lotta tra i popoli giovani - italiano, tedesco e giapponese - contro qnelli vecchi - inglese e francese - per prenderne il posto nel dominio del mondo mediante una guerra: «li Duce, - avrebbe scritto Ciano il 2 gennaio 1938 nel suo diario - intende farsi dei giapponesi degli alleati militari contro la Gran Bretagna». Si delineavano dunque due politiche italiane diverse: ma che fino a un certo punto, cioè fino al momento dello scoppio dell'eventuale guerra contro l'Inghilterra, potevano collimare. Per la realizzazione dell ' una e dell'altra era comunque necessario Legarsi strettamente al Giappone, assai riluttante però, proprio per la diversa funzione - antisovietica e non antibritannica - da lui data all'alleanza. Il miglior modo per convincerlo consisteva nel dimostrarglisi amici e nel dargli qualcosa. Gli fu offerto il riconoscimento del Manciukuò - la parte della Cina settentrionale occupata dai Giapponesi nel 1937 - e gli si sacrificò l'amicizia esistente fra Italia e Cina e cementata da grosse forniture di armi italiane al governo cinese e da una missione aeronautica italiana. La strada però restava lunga. Solo I' l I maggio 1938 Ciano avrebbe potuto scrivere: «Il Giappone si/a sempre più sotto per rinforzare i legami militari con noi. Anche il Duce è d'accordo». - né c'è da stupirsene visto che ciò andava esattamente nella direzione che Mussolini voleva: verso l'alleanza militare per distruggere l' Inghilterra - e soltanto grazie all'opera del viceministro della guerra generale ldeki Tojo. il quale avrebbe portato decisamente il Giappone verso la guerra. si sarebbe giunti alla firma del Patto tripartito con Italia e Germania il 27 settembre 1940. Per il momento però, nell'estate del '38, la situazione era ancora in evoluzione. Solamente in dicembre Mussolini, che aveva sempre respinto l' ipotesi dell'aUeanza tedesca, si decise a accettarla ed ordinò al Ministro degli Esteri di scrivere in tal senso a Ribbentrop. Allo stesso tempo decise di rafforzare la posizio111e italiana rispetto alla Gemrnnia mediante un intervento nei Balcani ed ordinò l'occupazione dell'Albania. Come sappiamo, col trattato di Amicizia di Tirana del 1926, l'Albania era rimasta indipendente dal l'Italia solo di nome, ma il Duce volle rendere quanto più possibilmente tangibile tale dipendenza. Il 4 aprile 1939 il generale Pricolo ricevette l'ordine di spostare subito sui campi di Grottaglie, Brindisi e Lecce i reparti di volo della Regia Aeronautica costituenti la Squadra A, di cui era stato designato comandante. Fu l'ultimo ad essere avvisato; anche se il comandante dei reparti del Regio Esercito destinati all'operazione. generale Guzzoni, aveva saputo cosa lo attendeva solo perchè aveva casualmente incontrato un capitano di Stato Maggiore alla stazione di Padova mentre si accingeva a partire per Roma per ricevere l'incarico. li corpo di spedizione che si andava radunando comprendeva 22.000 uomini, 64 cannoni, 125 carri veloci, 860 automezzi e 1.200 motociclette ed era articolato su tre scaglioni. Di quest.i l'unico effettivamente impiegato fu il primo, formato da 1 634 ufficiali e 12.490 fra sottufficiali e truppa, articolato su quattro colonne, da sbarcare a Durazzo, San Giovanni di Medua, Valona e Santi Quaranta. La principale era la prima2, destinata a puntare poi su Tirana, al comando del generale Messe.

1 12 battaglioni ber~aglieri (9 cicl isti, I motociclisti, I misto ed 1 autotrasportato), un reggimento di formazione di Granatieri di Sardegna, dal J Battaglione del 47° fanteria Ferrara, dall'VTII e X Battaglione carri leggeri. da un gruppo squadroni carri veloci. dal Battaglione Grado del San Marco - all'epoca composto da sei battaglioni - dal XL e LXXVJ Battaglione Camicie Nere e da repruti del Genio Radiotelegrafisti e dei servizi 2 Era costituita da un reggimento ed un gruppo tattico di Bersaglieri per complessivi 5 bauaglioni. un


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Alle 11 del 6 i primi bastimenti cominciarono a partire per le destinazioni più lontane: Valona e Santi Quaranta. Alle 18,30 anche gli altri lasciarono Brindisi. Alle 4,50 del mattino dopo, le navi che trasportavano la colonna Messe entrarono nella rada di Durazzo; e cominciarono le difficoltà. li piroscafo Palatino, su cui si trovava il XVII/2° Bersaglieri, che doveva sbarcare per primo ed occupare la città, era in ritardo a causa della nebbia. Il Toscana non poteva entrare in porto: pescava troppo; ma nessuno ci aveva pensato. La nave Miraglia non poteva scaricare i carri armati perchè le era passato avanti l'Aquitania che, pur facendo parte dell'ultimo scaglione, aveva già attraccato e stava facendo scendere a terra i fanti del 47° i quali, invece di essere gli ultimi e limitarsi a presidiare Durazzo, furono i primi e se la dovettero conquistare. Dopo una breve resistenza, alle 9 la città era in mano agli Italiani; ma lo sbarco di materiali, veicoli e carburanti procedeva lentamente, sia per l'eccessivo pescaggio di parecchie navi, costrette quindi a scaricare in rada su barche e zatteroni che facevano la spola colle banchine, sia perchè, calata la notte, la scarsa illuminazione del porto complicava ogni movimento. Intanto due parlamentari albanesi avevano proposto una tregua. Da Roma Mussolini la respinse: e le truppe proseguirono le operazioni. Mentre le altre colonne avanzavano senza difficoltà, quella di Messe uscì da Durazzo. All'alba passò l' Arzen, intanto che i bombardieri della Regia Aeronautica martellavano il bivio di Vorra, poi, messi in fuga alcuni nuclei albanesi, si accinse a rifornire i propri automezzi. Ma non potè farlo, perchè erano stati inviati da Durazzo fusti di gasolio anzicbè di benzina. ed ora la quasi totalità degli autoveicoli e tutti i carri armati erano bloccati. Si ordinò ad uno dei battaglioni ciclisti di avanzare ugualmente senza perdere tempo. Poi, scolando i serbatoi, si mise insieme abbastanza benzina da rifornire almeno una compagnia motociclisti ed un battaglione carri e lanciarli dietro a loro. Alle 8,45 un nucleo meccanizzato puntò decisamente su Tirana. di conserva con una compagnia motociclisti del XXVUI Bersaglieri, mentre la Colonna Messe rimetteva in moto leprime unità rifornite. Alle 9,30, sconvolte e distrutte le poche difese incontrate lungo la strada, gli Italiani entrarono in città. Nel frattempo sull'aeroporto si posavano i primi dei circa 100 bombardieri S.81 che, decollati da Grottaglie alle 9,05 e scortati dai caccia, trasportavano i Granatieri di Sardegna. Quaranta minuti dopo, alle 10, IO, le avanguardie della colonna Messe arrivarono nella capitale. La sera del 10 aprile l'occupazione dell'Albania era completata e l'esercito albanese, 50.500 uomini, di cui 4.000 gendarmi e 1.500 guardie confinarie, con 16 batterie, era dissolto. Nonostante l'improvvisazione, avvertita sopratutto nell 'aerotrasporto3 , "Oltre Mare Tirana" era finita, al modico prezzo di 12 morti ed 81 feriti

reggimento carri, una batteria d'accompagnamento da 65/l7 del 3° Granatieri. una da 20 del 14° Art.iglieria, dal 1/47° fanteria e dal reggimento Granatieri di Sardegna del colonnello Mannerini. destinato ad essere aerotrasportato direttamente a Tirana quando le altre unità ne avessero preso il campo d'aviazione. 3 Il colonnello Mannerini era rimasto assai sorpreso neJrapprendere che l'imbarco sugli aerei doveva essere effettuato collocando i soldati a diretto contatto coi portelli d'uscita delle bombe. Sarebbe bastata una svista e qualche velivolo si sarebbe potuto perdere i granatieri, oltretutto privi di paracadute e di salvagente, nell'Adriatico. Di conseguenza si preoccupò di arrangiare un'artigianale intercapedine di tavole di legno fra i piedi dei soldati e i suddetti portelli. Poi ci fu il problema che gli S.81, che pure erano tra i bombardieri più grandi di cui disponesse la Regia Aeronautica. non lo erano abbastanza da portare gli equipaggiamenti troppo ingombranti e le anni pesanti. così i due battaglioni partirono colle sole armi individuali e leggere. Ma il colmo fu quando. arrivati a Tirana, scoprirono che tra i materiali troppo pesanti per essere trasportati in volo erano rientrate anche le cucine da campo ed i viveri e quindi dovevano stringere la cinghia fino a quando tutta quella roba non fosse arrivata via mare.


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Il 12 aprile l'Assemblea Costituente del Regno d ' Albania offrì la corona a Vittorio Emanuele Ili e si formò una Guardia Reale Albanese, articolata su due battaglioni, acquartierati a Roma e inquadrati nella Divisione Granatieri di Sardegna. Subito dopo si provvide alle forze armate, ponendo le basi di un nuovo esercito, una marina e un'aeronautica, istituendo la Milizia ed estendendo i Carabinieri ali' Albania, come la Guardia di Finanza. Si partì dal concetto di rendere il nuovo Regno un cuneo militare italiano nel Balcani, giovandosi delle sue risorse umane e petrolifere, ma ci si scontrò con difficoltà di lingua, formazione, infrastrutture e, soprattutto, di tempo. Ad ogni modo, nel 1940 le forze armate sarebbero state apparentemente pronte. La struttura militare del Regno si sarebbe articolata su sei battaglioni dell'esercito, quattro batterie da 75/13 e uno squadrone di cavalleria. Tutte queste unità sarebbero state già nel 1939 aggregate a quelle italiane: i battaglioni, abbinati, come terzi reggimenti a tre divisioni italiane; le batterie a quattro reggimenti d' artiglieria. lo squadrone ai Lancieri d'Aosta. Furono poi creati due battaglioni di mitraglieri contraerei. mentre la Regia Guardia di Finanza assorbiva la Guardia di Confine albanese e i Carabinieri Reali incorporavano la Gendarmeria.


CAPITOLO XLII

LA GUERRA COI TEDESCH I 1940-1943

I) Pariani, Badoglio e la divisione binaria: 1937 -1939

La presa dell'Albania era stala carente sotto il profilo organizzativo; ma il problema non era consistito tanto nella realizzazione quanto nella mancata preparazione. I motivi di questa andavano però cercati innanziturto nelle indecisioni del potere politico; e solo poi in un·eventuale disorganizza1ione degli Stati Maggiori. Si era ripetuta la situazione immediatamente precedente la Guerra di Libia e quella mondiale. La mancanza di quella chiarezza di obiettivi politici, che è fnmo di un piano preordinato e ben determinato. era già dt per sè destab1linante. I suoi effetti negativi potevano essere assorbiti da una struttura militare efficienLe ed elastica, ma a costi elevati in terrnini di lavoro degli Stati Maggiori. Questi infatti, per essere pronti a tutto, avrebbero dovuto predisporre una quantità pressocchè infinita di studi operativi, che tenessero conto di tutte le possibili forme d'intervento almeno in ogni territorio confinante con quelli sottoposti al dominio italiano, senza però sapere nulla dell'eventuale azione. Tale lavoro, di per sè già imponente, diventava difficilissimo se non si sapeva quale atteggiamento tenere - offensivo o difensivo - e risultava impossibile se non si aveva stabilità d'organico nelle Forze Arrnate. 11 primo elemento, !"indecisione politica, esisteva. O Duce non sapeva se e quanto restare gerrnanofùo. Ciò originava disposizioni contraddittorie ed obbligava gli SLati Maggiori a provvedimenti tampone che, con un po'di fortuna e molta adattabilità, portavano poi al risullato voluto, anche se con un dispendio di risorse di gran lunga superiore al necessario. L'aspetto politico aveva sempre il sopravvento su quello militare; e la Guerra d'Etiopia ne era stato un primo e lampante esempio. Per avere successi dai nomi altisonanti era stato privilegiato il fronte nord, il più difficile, quando sarebbe stato molto meglio operare dalla Somalia, il cui terreno pianeggiante avrebbe perrnesso. come Graziani aveva dimostrato e gli Inglesi avrebbero poi confermato, lo sfruttamento della superiorità automobilistica italiana, annullata invece dall'accidentatissimo terreno del Tigrai e del Tembien. 11 Regio Esercito in Etiopia aveva dato un'ottima prova. L'organizzazione dell'Intendenza e dei rifornimenti era stata decisamente buona!; le truppe si erano battute bene ed avevano smentito tutte le previsioni degli Stati Maggiori esteri, secondo i quali le difficoltà del terreno le avrebbero inevitabilmente condotte alla sconfitta. La seconda prova. la Spagna. era già stata un campanello d'allarme; ma cm doveva sentirlo o non l'udì o non vi badò. Proprio in quel periodo si verificò un secondo fatto destabilizzante, cioè la riforma degli organici nota come Ordinamento Pariani, che introdusse la divisione binaria e fece saltare tutto quello che poteva esistere in materia di piani predisposti. U presuppoMO da cui panl Pariani, capo dt Stato Maggiore del Regio Esercito e sottosegretario alla Guerra, era che, essendosi la

1 Si verificarono dei casi sporadici di errore negli approvv1g1onamenti aviolanciando i viveri un po' pn) indietro di dove le uuppe ai quali er~no desunate s1 trovavano.


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divisione ternaria dimostrata pesante e di difficile impiego in Etiopia, era necessario snellirne la strutturd per renderla più rapida ed efficiente. Naturalmente il presupposto era errato, per un motivo assai semplice: era vero che il terreno su cui le truppe metropolitane si erano arrampicate in Africa Orientale era inadatto alla divisione ternaria di fanteria; ma l'Etiopia settentrionale era uno - ed uno dei più difficili- fra i tanti teatri d'impiego possibili, non l'unico. A quella morfologia era risultata più adatta la divisione alpina o la coloniale. ma già sul fronte sud la divisione ternaria si era dimostrata valida come al solito. In realtà la binaria non era concettualmente sbagliata. non in assoluto, ma era in anticipo sui tempi. Sarebbe stata una scelta valida se all'epoca fossero esistite anni capaci di sviluppare un volume di fuoco molto più grande, ma non ce ne erano e si ripeteva quanto era accaduto colle riforme organiche di Vittorio Amedeo lll nell'ultimo quarto del Seuecento: l'idea era buona ma non esisteva la tecnologia necessaria a dimostrarlo. Convinto delle sue teorie. durante la Guerra di Spagna Pariani aveva deciso d'effettuare una prova sul terreno. Un primo saggio, giudicato soddisfacente, era stato compiuto nelle manovre del '37 in Sicilia. Ora la Littorio. del C.T.V.. impostata binariamente, cioè su due soli reggimenti di fanteria più uno d'artiglieria e i servizi, fu impiegata in Catalogna con risultati eccellenti. Purtroppo però il terreno su cui aveva operato. con poche strade e accidentatissimo, era molto simile a quello del Temb1en e dunque, in termini generali, assai poco significauvo. In più vennero commes~1 moltissimi altri errori di valULazione. Intanto, basandosi sull'esperimento della Littorio, fu proposto d'eliminare i circa 500 automezzi complessivamente in dotazione alle divisioni di fanteria. lasciando solo quelli d'artiglieria, perchè rallentavano il movimento sui terreni privi di strade. L'autonomia della divisione. diminuita da un simile provvedimento, sarebbe poi risultata ulteriormente inficiata dal proposto accentramento al Corpo d'Annata di tutti i servizi, meno una sezione di Sussistenza ed una di Sanità. Quindi, ogniqualvolta fosse stato necessario un intervento anche minimo. ma su grandi distanze. si sarebbe comunque dovuta mettere in moto tutta la struttura del Corpo d'Armata, perdendo in agilità e rapidità e ottenendo esattamente il contrario di quanto ci si aspettava dalla binaria. Ma In guerra di Spagna portò altri due errori. li primo consistè nel ritenere ancora idonei alla guerra degli aeroplani che ormai non lo erano più, lasciandoli a costituire il nerbo della Regia Aeronautica li secondo fu la sopravvalutvione dei meui corazzati italiani, reputandoli all'altezza dei moderni criteri di guerra. Se era vero che i Fiat C.R.32 si erano dimostrati i dominatori dei cieli di Spagna. era anche vero che però gli L 3 del Regio Esercito avevano dato fondo a tutte le loro risorse per poter sostenere il confronto coi carri repubblicani di costruzione sovietica. Già durante la guerra in Africa, gli Etiopica avevano scoperto che era sufficiente battere con grossi sassi le canne delle mitragliatrici dei carri per piegargliele e renderli inoffensivi. Ora. in Spagna, i carri italiani erano riusciti a prevalere solo per la perizia degli equipaggi nello sfruttarne a fondo la manovrabilità, ma i carristi si erano resi ben conto di quanto deboli fossero per blindatura, annamento. velocità ed autonomia. Eppure non furono, o quasi, presi provvedimenti; e quei pochi non risolsero la ~ituazione; an1:i: Badoglio, capo dello Stato Maggiore Generale, parlando agli ufficiali della Scuola di Guerra di Torino nella primavera 1940, si vantò d'aver fatto rispanniare lo Stato. opponendosi alla costruzione di carri armati moderni. Tutto questo si doveva a due fattori fondamentali. Il primo era la mentalità degli alti gradi italiani. L'esperienza del 15-18 aveva fissato il pensiero dei generali italiani sulla guerra di montagna facendo loro dimenticare che esistevano altri tipi di teatro. Badoglio. in particolare, era restato così colpito, che negli anni in cui ebbe i comandi supremi ordinò agli uffici operazioni di preparare piani di ogni genere, contemplando però tre sole eventualità: guerra contro


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la Francia. contro la Jugoslavia o contro entrambe?. Tutt'e tre implicavano la guerra in montagna, e le specifiche emanate dallo Stato Maggiore in materia d'armi e mezzi si regolarono di conseguenza. Dunque non vi furono più richieste per bombe a mano a tempo, perché la Grande Guerra aveva dimostrato che. attaccando contro posizioni più elevate. facevano in tempo a rotolare indietro colpendo chi le aveva lanciate e furono previste solo bombe a percussione: chi avrebbe potuto immaginare che sarebbero state inutili nella neve russa, dove sarebbero affondate senza esplodere? Le artiglierie, per quanto pesanti. dovevano tutte essere dotate di carrelli dal passo minimo che, fissati sotto l'asse, permettessero di trasportarle pure sulle strette stradine di montagna. Infine, e questo fu l"aspetto più tragico, poiché in montagna i carri armati medi e pesanti non si potevano usare, si fece a meno di loro e. ovviamente. delJ'annamento controcarro, perché nenuneno il nemico ne avrebbe potuti impiegare. li secondo fattore disa~trosamcnte determinante fu il generale Cavallero. Chiesto e ottenuto il congedo subito dopo la Grande Guerra, Cavallero era stato direttore centrale della Pirelli. nel Gruppo Credito Italiano fino al 1925. quando Mussolini raveva richiamato per farne il suo sottosegretario alla Guerra. Insieme a Badoglio, rientrato dall'ambasciata in Brasile per divenire Capo di Stato Maggiore dell'Esercito e poi Capo di Stato Maggiore Generale. aveva organizzato la riforma del '26. Entrato in contrasto con Badoglio, aveva nuovamente lasciato il servizio nel ·29 ed era tornato al Gruppo Credito Italiano che. col benestare del Duce. lo nominò nel medesimo anno presidente dcli' Ansaldo. Grazie a Cavallero e ai suoi contatti nel mondo militare e politico, in breve tempo l'Ansaldo riprese le sue ingenti forniture aUe forze annate, cominciando colle navi e proseguendo coi cannoni. Nel 1933, l'anno in cui l"Ansaldo produsse il Carro Veloce L 3, Cavallero le fece stringere un accordo decennale riservato colla F,at, per cui le due ditte in pratica si garantirono il monopolio del mercato dei corazzati in ltalia. Travolto dallo "scandalo delle corazze" nato dalla scoperta di forniture di corane malfatte alle Forze Armate, Cavallero lasciò l'Ansaldo e, come abbiamo visto. nel 1937 rientrò in servizio destinato ali' AOI in sostituzione di Graziani alla testa delle truppe. Quando però assurse ai vertici del Regio Esercito. nel 1941. ricominciò a prestare orecchio ai vecchi amici dell'industria. Quest'ultima, non indirizzata dagli alti vertici militari, intanto aveva sfornato una serie di prototipi di mezzi alcuni dei quali erano a dir poco ridicoli (come la motoblinda Guzzi: un triciclo monoposto. armato di m11ragliatrice e blindato, il cui conducente avrebbe dovuto. forse, sparare e guidare allo stesso tempo); e rutto ciò che si era avuto nel campo dei corazzali erano stati i carri medi l I/39. caratterizzati da due mitragliatrici in torretta - dunque girevoli su 360 gradi - cd un cannone in casamatta, cioè disperatamente fisso in avanti: esattamente il contrario di ciò che s1 sarebbe dovuto fare. Ma era stato solo l'inizio. perché dal 1941 si sarebbero avute la nnuncia a costruire in Italia il buonissimo carro ecco Skoda 21, la rinuncia all'acquisto delle licenze di costruzione dei carri tedeschi Panzer l1l. IV e Panther. dovuta alla necessità di far partecipare alla produzione anche l'Alfa Romeo, I 'OTO, la Reggiane e la Lancia, cosa che avrebbe annullato il duopolio Fiat-Ansaldo creato da Cavallero e. infine. il rifiuto di far cowuire su licen.ta in Italia gli ottimi motori tedeschi Maybach per carri armati, accogliendo invece il mai rcahaato progetto dell'Ansaldo di mettere a punto un motore italiano per il nuovo carro nazionale P 40.

2 Lu Regia Aeronautica non fu da meno. Mussolmi stesso alla fine del 1928 e ai primi del 1929 le chiese lii prepararsi in tal senso e l'allora sottocapo di Stato Maggiore Francesco Dc Pinedo preparò, e nel febbraio 1929 prescn1ò. quelle che sarebbero ~tate le prime dire1tive d'impiego delle forze aeree italiane: r··Jpote~, di guerra sulla fronte ovest. ipotesi di guerra ~ulla fronte e~,. ipotesi d1 guerra sulle due fronti" e le "Diremve per l'imp,ego coordinato delle unità dell'armata aerea"


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Tornando alla divisione binaria, per le possibilità di carriera che dava e probabiJmente anche grazie alla mentalità "di montagna" forgiata dalla Grande Guerra, l'ordinamento Pariani, sentiti 65 generali, fu approvato nonostante il parere sfavorevole di 6 di loro, tra i quali Badoglio, che però non fecero nulla per osteggiarne l'entrata in vigore. Così il Regio Esercito camb.i ò n uovamente aspetto, col Regio Decreto del 22 dicembre 1938. Le divisioni di fanteria vennero affiancate da quelle celeri, fonnate da due reggimenti di cavalleria, uno di bersaglieri, uno d'artiglieria, un gruppo squadroni carri, una compagnia genio ed i servizi. Poi nacquero le divisioni alpine, che erano grandi unità di fanteria formate solo da truppe alpine; e quindi prive di automezzi e dotate di soli muli; quelle motorizzate, articolate su una coppia di reggimenti di fanteria, uno di bersaglieri, uno d'artiglieria. un battaglione mitraglieri, uno del genio e i servizi, che però erano poche e dovevano essere impiegate solo come riserva d'Armata o del Comando Supremo. Infine vennero istituite la divisione corazzata - un reggimento carri, uno di bersaglieri, uno d'artiglieria, una compagnia genio e i servizi - e, finalmente, la perla delle grandi unità: la divisione autotrasportabile, che si distingueva daJJa motorizzata perchè, priva di automezzi propri. «poteva», all'occorrenza, essere autoportata coi veicoli fomiti da altri, cosa che, a quanto pare, nella mentalità degli organizzatori per tutti i rimanenti tipi di analoga grande unità non era possibile. Le rimanenti divisioni. che poi costituivano la maggior parte del Regio Esercito, erano di fanteria ed il loro organico, sancito dal! 'Ordinamento Pariani, era il seguente: due reggimenti di fanteria (entrambi su 3 battaglioni di circa 450 uomini l'uno, una compagnia mortai da 81 ed una compagnia cannoni d'accompagnamento da 47/32), un reggimento d'artiglieria articolato su un gruppo da 100/17, uno da 75/27 ed uno da 75/13; un battaglione mortai su due compagnie da 81 ed una da 45; una compagnia controcarri divisionale, armata coi cannoni da 47/32 e, aggiunta in seguito per irrobustire la scarna consistenza della grande unità, una legione di Camicie Nere su due battaglioni. Forza della compagnia: 150 uomini In seguito a tale ristrutturazione, il 10 giugno I 940 le divisioni sarebbero arrivate al numero di 93; ma a tanta imponenza faceva riscontro una situazione d'armamento a dir poco deficitaria. Qui però occorre sfatare un luogo comune. Gli armamenti italiani non erano qualitativamente peggiori di quelli inglesi, tedeschi o francesi; tutt'altro. li punto è che non c'erano; o meglio. ce n'era una quantità inferiore a quella prevista. Gli altri eserciti europei erano arretrati quanto quello Regio, e per provarlo è sufficiente confrontare con quelli italiani le caratteristiche dei loro armamenti in uso nel 1939. li problema fu che le altre Nazioni riuscirono ad adeguarsi rapidamente alle nuove esigenze belliche e l'Italia invece no. Difficoltà nella produzione industriale e mancanza di materie prime fecero la loro parte, questo è certo, ma il desiderio degli industriali d'evitare le spese d'innovazione degli impianti, la mentalità arretrata di chi commissionava alle fabbriche armamenti inadatti, magari anche di poco, ai bisogni della guerra furono due cause della sconfitta3• Una terza fu il metodo d'impiego dei reparti, non tanto a livello tattico quanto piuttosto strategico; ma qui il discorso si dilata.

3

Basti un esempio: Dino Campini, c he fu ufficiale carrista in Africa Seuentrionale, dopo la guerra scrisse di non aver mai capito perchè le fabbriche e chi commjssionava loro i lavori si ostinassero a produrre il carro M 13/40. Sarebbe stato rnegl io, diceva. concentrarsi nella produzione del semovente da 75/18 perchè, essendo un M 13/40 privo di torrena, poteva essere costruito più rapidamente e con mfaore spesa (risparmiando appunto sull'assenw della torretta), risultava più basso. e dunque più difficile da colpire, e era annato con un buon cannone da 75, assai efficace, anzicbè coll"inutile pezzo da 47, i cui proietti rimbalzavano sulle corazze dei carri nemici.


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Nella tarda primavera del '40 Mussolini scoprì finalmente quanto debilitato fosse il Regio Esercito; e tale consapevolezza, unita alla sicurezza che i Tedeschi avrebbero vinto la guerra, lo indusse ad una decisione fatale. Ordinò di mantenersi sulla difensiva dovunque meno in Africa Orientale, dove però l'offensiva era prevista solo come prevenzione di possibili attacchi dalle colonie inglesi e francesi. Gli effetti furono disastrosi, non tanto a breve quanto a lungo termine, poichè l'atteggiamento difensivo, sempre sbagliato se all'inizio di una guerra, specie poi contro un avversario già impegnato da un altro contendente, e la sopravvalutazione del nemico, impedirono, per esempio, la presa di Malta nei primi giorni del conflitto. D'altra parte bisogna ammettere che la decisione di Mussolini poteva trovare delle giustificazioni. Quanto era possibile l'offensiva? Obbiettivamente, sui grandi spazi del deserto libico, come poteva muoversi rapidamente la divisione binaria se doveva ogni volta chiedere i mezzi all'autocentro del Corpo d'Armata? A cosa servivano i mezzi corazzati se venivano usati, secondo la filosofia dello S.M.R.E., spezzettandoli in piccole unità anzichè in massa, come sostenevano, ma a voce, non per iscritto, i comandanti carristi? Ed ammettendo pure che le divisioni avessero sempre avuto automezzi a loro disposizione e che i carri fossero stati usati tutti insieme, come potevano fronteggiare, le prime la mancanza dei fùtri antisabbia ed i secondi l'assenza delle radio di bordo? Così si era andati avanti fino al '40. Per dimostrarsi all'altezza della carica che rivestivano e, possibilmente, del grado superiore, i responsabili avevano sempre dichiarato che tutto era in perfetta efficienza fascista. La divisione binaria ne è un esempio. Danneggiava l' esercito; ma era gradita al Regime percbè, a parità d'effettivi, aumentava il numero delle grandi unità e dava un immagine di potenza. La preferenza data alla scelta politica a scapito di quella tecnicamente valida faceva riaffiorare la mentalità degli "Zucconi di corte" della Restaurazione che, evidentemente perpetuatasi, colpiva ancora a distanza di centovent'anni.

li) Fronte occidentale 1940 Proseguendo nella sua politica e ottenuta la definitiva spaccatura degli Alleati della Grande Guerra colla firma del Patto d'Acciaio. che ponava l'Italia militarmente a fianco della Germania, Hitler passò all'ultima fa-,e di riacquisto dei territori ex-tedeschi volgendosi contro la Polonia. Nel gennaio 1939, il primo ministro inglese Chamberlain aveva compiuto un fallito tentativo presso l'Italia percbè fossero rispettati gli accordi stretti a Monaco nell'autunno precedente. In seguito Londra e Parigi avevano compreso che la politica dell'accordo non era possibile colla Gennania, che l'Italia era persa e si erano armate. Sicuri di poter recuperare il divario esistente fra loro e i Tedeschi nel campo bellico, i Franco-Inglesi garantirono ai Polacchi che sarebbero scesi .in guerra al loro fianco. Hitler non ci credè e, assicuratosi l'appoggio sovietico, ordinò alle sue armate di puntare oltre confine all'alba del l O settembre 1939. Londra e Parigi dichiararono guerra ma, prima d'un loro intervento concreto, la Polonia non esisteva più. Con una certa sorpresa la Germania constatò che però la scomparsa della Polonia rendeva gli Alleati ancora più decisi a continuare le ostilità. Avendo appreso che contavano di bloccare gli approvvigionamenti tedeschi di ferro, Hitler occupò rapidamente la Danimarca e la Norvegia e, poichè gli Anglo-Francesi insistevano, decise di distruggerli per garantirsi le spalle prima di assalire il suo vero obbiettivo, cioè l' Unione Sovietica. Così, nella primavera del 1940, le armate del Reich dilagarono a Occidente e dissolsero gli eserciti olandese, belga. francese ed inglese con una travolgente e rapidissima sequenza di vittorie.


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Mussolini era incerto. Da un lato, sentendosi relegato ad un ruolo minore dalla neutralità italiana, avrebbe voluto intervenire e riacquistare le vesti del protagonista della scena europea. Dall'altro, conscio della debolezza delle forze annate nazionali, non si sentiva propenso a combattere. L'offensiva tedesca in Francia gli tolse ogni dubbio. La Germania era imbattibile; la sua guerra-lampo avrebbe portato ad una soluzione del conflitto tanto rapida da escludere un eventuale ed improbabilissimo intervento americano: e dunque l'Italia poteva tranquillamente schierarsi coi Tedeschi e godersi i frutti della vittoria senza sparare un colpo. ln effetti le armate franco-inglesi in rotta giustificavano questa valutazione; e nessuno può negare che essa fosse la più realistica. Mussolini aveva fatto i conti bene, era convinto dell'invincibilità della Germania, desiderava evitare a.ll'Italia d'essere schiacciata dal Reich che sarebbe durato mille anni e decise di scendere in campo. Aveva tutto da guadagnare: Savoia, Corsica. Nizza, Gibuti. la Tunisia e, a quanto si poteva ragionevolmente prevedere, niente da perdere. li 30 maggio il Duce scrisse al Fuhrer preannunciandogli la propria partecipazione al conflitto e, il 10 giugno 1940 pronunciò il discorso famoso. che terminava con: «Popolo italiano. corri alle armi e dùrwstra la ma tenacia, il tuo coraggio, il 1110 ,,a/ore»•. Cominciava !"ultima guerra del Regio Esercito Italiano: e cominciava coll'ordine di non sparare: atteggiamento difensivo su tutti i fronti, meno in Africa Orientale e sul mare. A tutt'oggi l' unica spiegazione plausibile di quest'ordine assurdo. che in quei frangenti era a dir poco criminale, sembra essere quella fornita da Pierpaolo Battistelli nel suo "I rapporti militari italo-tedeschi 1940-1943". Secondo Battistelli. consci dell'impreparazione italiana, i vertici militari nazionali avrebbero deciso di muoversi solo se e quando i Tedeschi si fossero mossi. In questo modo avrebbero sfruttato !"indebolimento nemico dovuto alla concentrazione di risorse contro i Tedeschi e sarebbero apparsi come attivi belligeranti agli occhi dell'alleato, raggiungendo il massimo risultato col minimo sforzo. Non è possibile riassumere qui compiutamente le tesi di Battistelli, ma re:.ta il fatto che gli esempi da lui illustrati sono quanto mai convincenti: l'attacco alla Francia avvenne solo quando la Germania la stava combattendo: alla pausa operativa tedesca dell'estate 1940, fece eco !"inazione italiana in Africa Settentrionale. dove le cose si mossero soltanto quando i Tedeschi cominciarono a pianificare l'operazione "Leone Marino" per conquistare l'Inghilterra; idem per la Grecia. Ogni volta che i Tedeschi si muovevano poteva essere quella decisiva per la fine vittoriosa del conflitto: e l'Italia doveva farsi trovare impegnata quel tanto che bastasse a dire che anch·essa aveva combattuto lealmente e godeva il diritto di sedersi al tavolo dei vincitori. Non si poteva perdere una simile occasione: bisognava esserci e, per esserci, biso1,'Tlava almeno far finta d'aver combattuto. Con quali forze? L'Aeronautica allineava 1569 aerei, cioè 995 bombardieri, e 574 caccia: la Marina 8 corazzate, 30 incrociatori, 62 cacciatorpediniere, 73 torpediniere, 122 sommergibili, 2 navi scuola e 343 unità minori e ausiliarie. li Regio Esercito era diviso nei 3 Comandi di Gruppo d'Armate, Ovest, Est e Sud e nei Comandi Superiori detr Africa Orientale. della Libia e detr Egeo. 1n totale esistevano 9 annate. composte da 26 corpi d'armata. articolantisi su 75 divisioni. 28 brigate coloniali e reparti minori. Più precisamente: I divisione, la Regina, era nell'Egeo; 5, raggruppate nel XXVI Corpo d'Annata. dipendente direttamente dallo S.M.R.E., erano in Albania: 14 (9 di fanteria, 3 di camicie nere e 2 libiche) in Libia formavano i corpi d'annata X, XX e XXI delle armate 5• e IO"; 2. una speciale, la Granatieri di Savoia. ed una in via di formazione, la Afri. ca, con 28 brigate coloniali ed unità minori costituivano la guarnigione dcli' Africa Orientale. Le rimanenti 53 erano stanziate in Italia e precisamente: 2 in Sicilia, 2 in Sardegna e 49 e un raggruppamento da montagna nella Penisola, a formare le armate 1•, 2•, 3'. 4". 7• s• e quella detta «del Po». in via di costituzione. In totale 1.746.000 uomini4 • dei quali ne erano stan1 Mussolini. rip. in B.P. BoscHESI, «L"ltalia nella a Guerra Mondiale I0Nl/1940 -25Nll/1943•. pag. 8. • Fonte: VJRGIUO ILARI. "Storia del !>enizio militare in halia··. voi rv. Nel totale SODO incluse la MiJj. zia, la Milizia Contraerea. la Polizia dell'Africa Italiana, la Regia Guardia di Finan,a oltre, naturalmente. i Reuli Carabinieri.


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ziati 199.9735 nell'Impero. In che condizioni? Dal rapporto che il Maresciallo Graziani, capo di Stato Maggiore del Regio Esercito presentò al Duce il 25 maggio 1940 sull'efficienza dell'Esercito stesso, risultavano le seguenti amare realtà: «...le due divisioni corazzate sono tali solo di nome (disponendo quasi esclusivamente di carri leggeri) quelli medi disponibili (M.11) sono 70; i carri pesan1i ed autoblindo non esistono. Le divisio11i di fanteria, anche considerandovi inclusa la /egio11e cc.nn. divisionale, hanno un numero di battaglioni inferiore alle divisioni francese e jugoslava (circosta11za che si aggrava per il fatto che su 2 battaglioni di deue legioni se ne può in genere - per dijeuo di do/azioni - mobilitare ora solo uno, senza la compagnia mitraglieri prevista al comando di legione divisionale e non si può mobili/are la compagnia mitraglieri in organico ai ba/taglioni cc.nn. di copertura); - posseggono solo tre gruppi di arliglieria di fronte ai cinque - di cui due di medio calibro - delle divisioni avversarie; - non posseggono. come queste, un reparto d'esplorazione; - han.no un organico ( e sopratutto una dotazione reale ) di armi di accompagnamento ed amicarro nelfamente inferiore alla divisione francese .... in definitiva l'Esercì/O non possiede quei mezzi corazzati e queil'attrezzarnra generale moderni che hanno consentito la recente rapida penetrazione germanica. E si può dire che non possieda artiglieria contraerea»ii, li rapporto proseguiva indicando, fra l'altro, che le deficienze nel parco mezzi erano tali (ne mancava circa la metà nonostante le requisizioni) da impedire la guerra cli movimento; che il munizionamento della Fanteria era quasi a posto, mentre quello dell'Artiglieria era deficitario e che i carburanti potevano bastare per non più di sette-otto mesi. Ma chi poteva immaginare, nel maggio del '40, che la guerra sarebbe durata più cli sei mesi? Non certo Mussolini che, visto il collasso della Francia, decise di attaccarla per poter partecipare al.l e trattative di pace e trame vantaggi territoriali. ll 21 giugno le armate 1• e 4° componenti il Gruppo d 'Annate Ovest, forte cli circa 300.000 uomini e comandato dal Principe di Piemonte. sulle Alpi Occidentali andarono all'attacco. Durò quattro giorni e fu un fallimento tale che Mussolini, a cui già il 20 era pervenuta la richiesta di armistizio della Francia, decise di non poter chiedere nulla più della piccola zona effettivamente occupata sulla Riviera e la smilitarizzazione di una striscia acliacente, profonda SO chilometri. Poi, per proseguire la lotta contro l'Inghilterra. Mussolini avrebbe inviato il Corpo Aereo Italiano sulla costa della Manica per farlo partecipare all'offensiva aerea germanica. ottenendo pure di costituire a Bordeaux una base - Betasom - per i sommergibili italiani destinati a operare in Atlantico.

m La guerra in Africa Orientale: 1940 - 1941 Anche l'Africa Orientale era in guerra. anzi, a dire la verità, continuava ad esserlo. Solo che ora, dal 10 giugno, aumentavano i nemici, poichè ai ribelli si sommavano Francesi ed Inglesi e era necessario combattere su più fronti agendo offensivamente, almeno così ordinava Roma.

5 Fonte: come sopra; però bisogna far presente che. secondo l'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. i militari italiani ed indigeni in A.O.I. sarebbero stati 280.000 al 10 giugno del '40. Siccome la pubblicazione di Ilari può anch'essa essere considerata ufficiale (edita dal Centro Alti Studi della Difesa), ma posteriore e più dettagliata, riporto i suoi dati ritenendoli più precisi. ii Graziani, rip. in M. MONTANARI, «L'Esercito italiano alla vigilia della 2' Guerra Mondiale», Roma, USSME, 1982, pagg. 503-4.


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Al comando delle truppe era stato nominato il generale Trezzani, buon teorico di tattica e benvoluto da Badoglio. Trezzani, preso atto della situazione6 e degli ordini di Roma, aveva diviso la struttura militare dell'impero in tre scacchieri: Nord, Est e Sud, presidiati, come s'è detto, da una divisione speciale, 8 battaglioni camicie nere, 28 brigate coloniali e varie unità minori. Arruolando i civili nazionali presenti in Africa Orientale7, il totale delle truppe salì a 324.000 uomini, di cui 54.000 italianis. con una compagnia carri medi. uno squadrone carri veloci. una squadriglia autoblindo e circa 200 aerei. La guerra in Africa Orientale ebbe però delle caratteristiche peculiari che, sommandosi ai noti problemi del Regio Esercito, determinarono il collasso dell'Impero in tempi brevi. Intanto gli inglesi avevano infiltrato in Etiopia fin dal 1935 alcuni loro agenti segreti, Italiani al loro servizio. facendoli arruolare fra i volontari legionari. 1n secondo luogo il rilassato clima politico coloniale aveva attirato nell'Impero numerosi dissidenti, alcun.i dei quali, già I' 11 giugno, iniziarono a complottare per accordarsi cogli Inglesi e cercare di far cadere il Fascismo almeno in Africa Orientale, magari per mezzo di una pace separata fra il Duca d'Aosta e Londra. Infine bisogna ricordare che le unità presenti erano numerose, ma non ben dotate e9 nel complesso non furono ben comandate. Alcuni sostennero che, nonostante gli ordini, non c'era volontà dì colpire, un po' perchè si tendeva a lasciar correre ed un po' perchè sì pensava, forse non del tutto a torto, che I' AOI, isolata com'era, sarebbe caduta inevitabilmente e che quindi fosse meglio difendersi anzichè attaccare. Ma altri attribuiscono gran parte, o la totalità, della colpa dell'inazione agli ordini provenienti da Roma, che avrebbero legato le man.i al Duca d' Aosta. Il problema fu, caso mai, che le truppe italiane erano poco mobili e che alla lunga gli Inglesi ne avrebbero saputo profittare. Per gli autocarri c'erano pochi pezzi di ricambio, da tre a sei mesi di nafta e di benzina e niente gomme di scorta. Ogni volta che si mandava un'autocolonna a portare rifornimenti alle truppe operanti in Somalia e Kenya, si doveva dare per scontata una perdita di due autocarri, cannibalizzati per rimettere in sesto gli altri. usurati dalle migliaia di chilometri percorsi. Sia come sia, a dispetto del pessimismo dei comandanti, suffragato ed alimentato da informazioni del Servizio Informazioni Militari che gonfiavano all' inverosimile le forze avversarie, le truppe nazionali ed indigene appena si misero in moto conquistarono, in Kenya il saliente compreso fra Moyale ed El Uach: al confine fra Sudan e Kenya la sponda nordoccidentale del Lago Rodolfo; ed in Sudan Kurmuk, Gallabat e Cassala. Se gli alti comandi avessero tenuto gli occhi aperti. si sarebbero resi conto che le vittorie colte nell'estate 1940 indicavano la presenza d'un avversario debole; ma non fu cosi. La presa

6 Secondo De Bia~e. J'AOI al giugno ,del 1940 disponeva di 16.000 veicoli, di cui 1.625 autocarri, 984 cannoni, 275 mortai, 3 milioni e mezzo di proiettili. 4.000 mitragliatrici pesanti, 5.000 leggere, 672.800 fucili, 1.075.000 bombe a mano e ben 16 milioni e mezzo di cartucce. Ci limitiamo ad osservare che tali cifre. certamente impressionanti in assoluto, diventano ridicole se messe in relazione alla forza mobilitata. Infatti. data la forza di 324.000 uomini, si ba: un autocarro ogni 199 uomini, cioè si e no uno per compagnia (gli altri veicoli non sono rilevanti in una guerra)_ Per ogni soldato: 3 bombe a mano e 50 canucce. Se poi dal monte canucce ne deduciamo anche solo 200 per ogni mitragliatrice, la dotazione individuale, e non facendo le necessarie differenze fra cartucce da pistola e da fucile, scende a 45 a testa. senza la possibilità di ricevere rifornimenti dalla Madrepatria. Tre bombe a mano e 45 colpi a testa per la durata d 'un' intera guerra! 7 Si formarono un'altra divisione, la Africa. e vari battaglioni camicie nere. 8 Va ricordato che sull'effettiva consistenza delle for.GC dell'Impero il balletto delle cifre è tale da scoraggiare chiunque. andando dai 598.(X)() dichiarati dall'Intendente generale di allora ai 280.000 indicati da SME Ufficio Storico. 9 Resta comunque il fatto che nel giugno 1940 gli Alleati non potevano opporre aU ' Africa Orientale altro cbe circa 40.000 uomini. nessun mezzo corazzato e un centinaio di aerei contro i circa 300 della Regia Aeronautica.


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della Somalia Britannica, ultimata dal generale Nasi con 40.000 uomini contro 13.000 britannici il 19 agosto, non solo non insegnò nulla ma, addirittura, fu criticata. La si disse inutile e dispendiosa, perchè aveva logorato risorse meglio impiegabili in Sudan. Forse era vero. ma a parte il fatto che, una volta tanto, le truppe italiane si erano liberate di quella che poteva diventare una pericolosa testa di pome nemica, a parte il fatto che l'effetto psicologico di tale vittoria, ottenuta contro truppe nazionali inglesi, sul morale degli Italiani e degli stessi Britannici fu tale da costituire già solo di per sè un'ampia giustificazione all'operazione, il risultato concreto fu che « ...quando gli Italiani spensero il faro sull'estremità del Corno dell'Africa, a Capo Guardafui, tutti i convogli inglesi dovettero portarsi ad est di Socotra, aggiungendo così 200 miglia alle loro rotte e qualche giorno alla durata del viaggio: soltanto questo ritardo era un vantaggio rilevante ai fini dello sforzo bellico dell'Asse»iii_ Caso mai si sarebbe dovuta raggiungere anche la costa sudanese del Mar Rosso, occupando Suakim in modo da impedire, o almeno rendere difficile. l'invio di rinforzi nemici dalla Penisola Arabica. Ma anche in questo caso, al tenente Guillet, comandante del Gruppo Bande Amhara, che aveva proposto l'operazione, venne risposto che Roma non consentiva. In settembre Graziani invase l'Egitto. Sarebbe stato il caso d'assalire il Sudan daJI' Africa Orientale; ma non fu fatto e gli Italiani restarono fermi fino a novembre. Intanto gli Jnglesi si rinforzavano facendo affluire truppe imperiali, sudafricane e nazionali in Kenya e, usando proprio quei porti che GuilJet avrebbe voluto occupare, in Sudan. Fecero il primo tentativo il 6 novembre contro Gallabat. In ottobre avevano fatto arrivare in Sudan la X Brigata di fanteria indiana, 2 battaglioni appoggiati da un reggimento d'artiglieria con 24 pezzi e da 11 carri armati che, insieme alle truppe sudanesi ed inglesi, dovevano prima riconquistare Gallabat e poi prendere Metemma. La prima parte del piano riuscl, ma la seconda no; e i 3 battaglioni italiani del colonnello Castagnola respinsero l'attacco, riprendendo Gallabat e distruggendo metà dei carri nemici10. Era una vittoria di gran risonanza a livello africano, ma di nuovo non fu sfruttata in alcun modo; e le forze italiane continuarono a restare ferme. Non così gli Inglesi, i quali il 18 dicembre cominciarono a farsi sentire in Somalia. Davanti all'incombente minaccia, i I Duca d'Aosta ratificò l'analisi de!Ja situazione fatta dal generale Trezzani e, considerando la superiorità nemica in aerei, mobilità e mezzi corazzati, il 24 dicembre 1940 accettò il suo schema difensivo, articolato sulla costituzione di un ridotto in ogni scacchiere. Là si sarebbero dovute concentrare tutte le risorse per esercitarvi l' ultima resistenza quando fosse venuto l'attacco inglese. Non tardò. In Africa Settentrionale la vittoria di Wavell su Graziani permise il distacco verso sud dell'intera 4• Divisione indiana con artiglierie. automezzi e carri armati. Dal Sud Africa affluirono in Kenya due divisioni; ed il piano britannico - offensiva da nord per Cassala verso l'altopiano etiopico e, da sud, lungo la rotta seguita da Graziani nel 1936, verso Addis Abeba - scattò nel gennaio I 941. Il 19 il Generale Nasi decise saggiamente di abbandonare Cassala e ritirarsi in Eritrea per accorciare le proprie linee; ma le truppe nemiche gli vennero dietro rapidamente. Seguendo la strada da Cassala ad Asmara, il primo ostacolo sul cammino dei Britannici era il forte di Cherù, nel settore comandato dal generale Fongoli, contro il quale stava avanzando la 4• Divisione indiana. Per consentire al grosso di ritirarsi, il generale FongoLi le lanciò contro i cavalieri del Gruppo Bande Amhara del tenente Guillet: «Attaccai, arrivai addosso alla fanteria. Erano Surrey Yeomanry, avevano anche un Reggimento d'Artiglieria .... / carri non potevano spararci e le blindo nemmeno. 1 cannoni lo stesso. Tornai indietro e caricammo di nuovo; non sapevo quan-

iii ANTHONY MOCKLER, op. cit., pag. 358.

10 Mentre la Regia Aeronautica abbatteva tutti i velivoli nemici del senore senza riportare perdite.


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to dovevo reggere per far arrivare la fanteria in salvo sulla montagna ... Ma dopo la guerra sir William Savory ... disse. .. che lo ero il motivo per cui invece di catturare 15.000 uomini ne aveva poruti prendere solo I .OOO»i•. Nella notte, però, la colonna in ritirata venne intercettata. Di nuovo Guillct salvò la situazione «..e limitai di nuovo le perdite. Ma perdemmo tutti i cannoni e i mezzi della colonna»•. Dopo un 'accesa battaglia, Agordat cadde e ora. per procedere verso l'altopiano etiopico, i Britannici dovevano superare un crinale montuoso lungo 240 chilometri il cui unico passaggio praticabile da forze motocorazzate era Cheren. Il generale Camimeo, coadiuvato dal generale Lorenzini, anima della difesa, assunse il comando della piazza. Profittando dell'interruzione causata dalle retroguardie della 4• Divisione coloniale, che in ritirata da Agordat avevano fatto saltare alle proprie spalle il ponte Mussolini, sul Barca. fermando gli Inglesi per 8 ore, Carnimeo aveva gettato una manciata d'uomini sulle cime facendoli lavorare a rotta di collo ed ordinato al Genio di far precipitare un lungo tratto cli roccia sulla strada incassata nella stretta di Dongolas. in modo da ostruirla completamente. Gli Inglesi non potevano aggirare la città a nord, pcrchè il terreno lassù non avrebbe permesso il passaggio dei loro mezzi. e non potevano provare a sud, perchè l'unico valico, oltre a essere così aspro da aver costretto gli stessi Italiani in ritirata ad abbandonare i propri veicoli. era ora sbarrato e presictiato da una brigata coloniale. L' unico accesso a Cheren era la strada, bloccata dalle rocce franate e dominata dai rilievi circostanti, tutti saldamente in mano agli Italiani. Dunque bisognava prima arrampicarsi sui monti, poi prenderne le cime, altrimenti non si sarebbe potuto iniziare lo sgombero della rotabile. e infine, ultimato il lavoro, di riapertura della strada avanzare su Cheren, per la cui d1fesa Carnimeo poteva contare, sull' 11 ° Granatieri di Savoia, sulla V ed XI Brigata Coloniale, sul TV Gruppo di Cavalleria Coloniale, sul m Gruppo Squadroni, pure di Cavalleria Coloniale e sui Gruppi Artiglieria V, CIV e CVl, per un totale di 12.000 uomini. Di fronte a loro le Divisioni anglo-indiane 4" e 5", più una brigata senegalese su 3 battaglioni, 6 battaglioni fra Sudanesi, Inglesi, Indiani, Yemeniti ed Egiziani, artiglieria, corazzati ed unità varie: complessivamente 51.000 uomini. La lotta cominciò iJ 3 febbraio e proseguì in un incessante infuriare di attacchi e contrattacchi fino alla terza settimana di marzo, mentre la RAF aumentava le proprie forze e la Regia Aeronautica vedeva crollare le sue a soli tre apparecchi. Lentamente gli Inglesi riuscirono a prendere le montagne dominanti la stretta di Doagolas e a cominciare lo sgombero dei detriti. Il 26 marzo gli Italiani effettuarono l'ultimo attacco della battaglia di Cheren: ma le cannonate nemiche li costrinsero a ripiegare; cd il Comando dello Scacchiere EritTeo ordinò laritirata di tutte le forze da Cheren verso Teclesan. AJJ'alba del 27 i primi corazzati britannici superarono la strettoia di Dongolas, ormai Liberata, ed alle 8 entrarono a Cheren, dopo 55 giorni di scontri, trovandola vuota. Da Addis Abeba venne fatta muovere l'ultima riserva dell 'lmpero - il resto della Granatieri di Savoia - attestandola nella zona di Ad Teclesan il 28 marzo. L'offensiva britannica superò anche quella linea di resistenza e la ritirata proseguì per Asmara su Massaua, dove gli Italiani arrivarono il 2 aprile sera. Affidata al contrammiraglio Bonetti, la piazza di Massaua si stava preparando a resistere, ma aveva pochissime forze. Tra reduci da Cheren, Regie Guardie di Finanza. Marinai e Camicie Nere arrivava si e no a 3.000 uomini con tre batterie da 77/28 ed una da 120.

"Testimonianza del generale barone Amedeo Guillet, rilasciata alfaurore il 30 maggio 1996. ,. Idem.


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Il 3 la 5• Divisione anglo-indiana, rinforzata da unità della Francia Libera, si avvicinò alle linee italiane e fu bombardata. poi, nel pomeriggio del 5. gli Alleati intimarono la resa; ma Roma ordinò la resistenza ad oltranza. L'apparato difensivo era debolissimoll: due soli carri leggeri, niente mezzi anticarro, niente aerei; la difesa più consistente era costituita dai campi minati. All'alba dell'8 iniziò l'attacco finale. Dopo una disperata resistenza i settori sud ed ovest furono sfondati e gli Inglesi puntarono sulla cinà. A nord invece la lotta fu lunga e ferocissima. Intanto, poichè gli Inglesi e la Legione Straniera si avvicinavano alla città, il Comando della Piazza diede il segnale della distruzione degli impianti e dell ·autoaffondamento dei mercantili. Tra i boati delle esplosioni le unità subacquee e di superficie della Regia Marina uscirono per f"ultima volta dal porto per tentare di rientrare in Patria. La piazza di Massaua si arrese; ma il settore nord no e continuò a combattere finchè gli Alleati non chiesero al comandante della Piazza, già prigioniero, di ordinare la resa anche a esso. E solo allora gli ultimi difensori di Massaua deposero finalmente le armi. alle 13.30. La colonia primogenita ern persa. Non era andata meglio in Somalia. Provenienti da sud, gli Inglesi vi erano entrati contemporaneamente all'offensiva vibrata contro l'Eritrea nel mese di febbraio. U LO la pressione delle truppe britanniche e sudafricane aveva obbligato gli Italiani ad abbandonare Afmadu ed attestarsi sulle rive del Giuba. Il fronte era però troppo lungo per poterlo presidiare bene, cosicchè il nemico aveva potuto superarlo in vari punti. vincere uno scontro a Gobuin e impadronirsi di Chisimaio. I generali Santini e De Simone aveva cercato di tenere almeno il Giuba, ma in una settimana di combattimenti erano stati respinti. perdendo pure Mogadiscio il 25 febbraio e ritirandosi in Etiopia. Tentata e persa la battaglia d'arresto a Passo Marda, De Simone era stato costretto a rinchiudersi a Dire Daua, dove si sarebbe arreso il 29 marzo. A metà mese gli erano stati inviati rinforzi per imbastire una linea difensiva sul fiume Auasc; ma I'Harar si stava sfasciando. I soldati africani delle truppe coloniali, di fronte all'incombente disfatta, disertavano a centinaia al giorno e, mentre il nemico avanzava. agli Italiani, le cui file s'assottigliavano sempre di più, non restava cbe ritirarsi. combattendo senza il minimo appoggio aereo. lJ I O aprile le unità italiane si riunirono, formando una colonna di cinque scaglioni per ripiegare su Sciasciamanna, lasciando sull' Auasc un'aliquota di copertura, che fu assalita e sconfitta rapidamente. Ormai al nemico era aperta la strada per Addis Abeba; e la città fu sgomberata rapidamente, mettendo i pochi militari rimasti vi nei fortini circostanti, per difenderla dalle decine di migliaia di ribelli etiopici in arrivo. Quando già sembrava che niente potesse impedir loro di entrarvi e massacrare i 10.000 civili italiani che vi si trovavano, furono mitragliati, spezzonati a bassa quota e dispersi dagli aerei britannici. Poi, alle 10,30 del 6 aprile, la I Brigata sudafricana arrivò ad Addis Abeba e ricevè la resa del presidio. Il Duca d'Aosta intanto si stava ritirando verso nord, dopo aver lasciato i poteri e la cassa dell'Impero al Comitato Italiano di Addis Abeba. In seguito ad una battaglia durata dal 17 al 26 aprile nei pressi di Combolcià, il I O maggio si arroccò sutt · Amba Al agi, gesto altamente simbolico ma militarmente poco utile. Già la sera del1'8 la guarnigione, fiaccata dalle diserzioni dei militari indigeni e dagli attacchi nemici, era ridotta a circa quattro battaglioni nazionali, con pochi pezzi di piccolo calibro a corto di colpi.

11 Constava. da nord a sud passando per ovest, di due compagnie Granatieri di Savoia e del gruppo mobilitato della Regia Guardia di Finanza, forte di altre 4, che componevano il settore nord, di due battaglioni di marinai del Corpo Reale Equipaggi Marittimi e del CXXXVI Battaglione Camicie Nere. intervallati da qualche unità minore di ascari.


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I giorni seguenti videro continui tentativi di penetrazione avversaria. Il 14 maggio un potentissimo attacco permise al nemico di portare le proprie artiglierie su posizioni da cui potè colpire ogni tratto dell'Amba. Per tre giorni, segnati da bombardamenti aerei e terrestri la guarnigione resistè; poi, il 17, il Duca d'Aosta decise la resa, conclusa il 19 maggio. Non restava altra scelta, specie visto che gli Inglesi avevano fatto infiltrare nel sistema difensivo italiano, a caposaldi, qualcosa come 40.000 guerriglieri etiopici e minacciavano di scatenarli al massacro degli Italiani quando avessero finito le munizioni se non avessero accettato la resa 12• Il presidio ebbe gli onori militari: se li era meritati. In 17 giorni la sola artiglieria britannica l'aveva bombardato con 35.000 colpi. Il giorno dopo, gli Inglesi, colla loro nota correttezza, sequestrarono agli ufficiali italiani le pistole che, durante le c-rattative di resa, avevano promesso di lasciar loro «permanentemente». Ora restavano solo due centri di resistenza incentrati su Goadar - nel Amhara - e Gimma, nel Galla e Sidamo. Entrambi contavano 40.000 uomini; il primo dipendeva dal generale Nasi, il secondo dal generale Gazzera. Gazzera resse per tre mesi contro due divisioni nemiche; il 2 l giugno perse Gimma eripiegò verso ovest, arrivando alla frontiera, dove urtò le truppe belghe del generale Gilliaert e, il 3 luglio 1941. dopo un ultimo combattimento nei pressi di Gore. dovè chiedere la resa. Nasi resistè più a lungo - sette mesi - fino a novembre. Impegnato e battuto dai nemici il 4 luglio a Debra Tabor e ancora il 27 settembre al Passo Uolchcfil, fu costretto a chiudersi in Gondar circondandola di caposaldi. Gli Inglesi li attaccarono in novembre e incontrarono una resistenza disperata e durissima, come a Celgà e Qukuaber, dove i Carabinieri Reali italiani e gli Zaptiè indigeni del maggiore Serranti, secondo la miglior tradizione dell'Arma - «Usi obbedir tacendo e tacendo morir» si fecero massacrare pur di non cedere. Ridotto a 22.000 uomini senza rifornimenti e con poche munizioni, il 28 novembre Nasi venne attaccato per l'ultima voi la. Battuta da un terribile bombardamento aeroterrestre dal.le 4 del mattino, Gondar resistè una dozzina di ore prima di vedere le proprie difese sconvolte e distrutte più e peggio di quamo era accaduto a Massaua. Nel primo pomeriggio Nasi constatò inutile ogni resistenza. I corazzati nemici erano ormai entrati in città e le munizioni erano finite: non restava che la resa. Alle 14 del 28 novembre 1941. Anno XX dell'Era Fasc ista e VI dell'Impero, la guerra regolare in Africa Orientale era finila, ora comjnciavano quella segreta e quella delle bande, che sarebbero proseguite fino al 1946.

IV) Della guerra per bande: 1941- 194613

Questa è una storia che fino ad ora non è mai stata raccontata e cominc ia il giorno della partenza del Duca d'Aosta per l'Amba Alagi, quando lasciò al Comitato Italiano di Addis Abeba i poteri civili e la cassa dell'Impero, contenente circa 250.000 slerline inglesi d'oro. AJ Comitato Italiano spettava la tutela degli interessi dei civili nazionali nei confronti degli Inglesi e degli Etiopici e il coordinamento dell'attività dei Comitati Italiani di zona, sparsi in tutte le province dell'Impero. Era una struttura che doveva sostituire quella comunale per la

12 lnfonnazione fornita a Roma I' I Umaggio 1997, alla commemorazione di S.A.R Amedeo di Savoia duca d' Aosta, dal generale di Squadra Aerea Flavio Danieli, all 'epoca aiutante di volo del Duca d ' Aosta e quindi presente nel suo Stato Maggiore ali ' Amba Alagi. 1 3 A parte pochi cesti - sui generali Guillet e Bastiani - le fonti di questo capitolo sono orali e consistono prevalentemente nel colloquio avvenuto a Bagolino (Bs) il 28 luglio 1989 col geometra Savelli e in quelli avuti col generale ambasciatore Guillet a Roma nel giugno e luglio I 996.


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parte amnùnistrativa e non ebbe difficoltà a farsi riconoscere ufficialmente dagli Inglesi e dagli Etiopici. Ad esso facevano capo tutti gli Italiani rimasti in Addis Abeba, civili e militari, questi ultimi nascosti in vari luoghi. la maggior parte nel vecchio Ghebbì imperiale. L'attività del Comitato era doppia: apparentemente si occupava d'amministrazione, in realtà era il punto di riferimento, finanziamento e, per quanto possibile, coordinamento della superstite attività militare e informativa italiana. A questo serviva la cassa dell'Impero lasciatagli dal Duca d'Aosta: a finanziare le bande italiane sparse nel territorio per consentir loro di continuare a combattere. li primo presidente durò poco, perchè gli [nglesi lo fecero decadere e accettarono il geometra bresciano Angiolino Savelli, all'epoca agente del Servizio Informazioni della Regia Marina, al quale era stato affiancato un sottufficiale radiotelegrafista della Marina. Cominciò così una strana vicenda, destinata a durare fino al 1946. Alla luce del sole e agli occhi del mondo Savelli era un collaborazionista; in segreto continuava a prendere ordini dalla struttura militare clandestina e amministrava la cassa dell' Impero, che gli Inglesi cercavano senza sapere che costituiva il fondo della ditta di lavori stradali da lui appena costituita. Essendo un tecnico del quale il reinstallato governo imperiale aveva bisogno per riparare i danni subiti dalla rete stradale, poteva muoversi in tutto l'Impero, senza restrizioni, raggiungendo così gli emissari delle bande e della rete informativa italiana sparsi nelle varie province, tenendo i contatti ed erogando i finanziamenti di volta in volta necessari. Delle bande che operarono allora, le più note sarebbero rimaste quelle comandate del tenente Amedeo Guillet e dal sergente maggiore Angelo Bastiani, seguite da quelle di Guido Costabile e del muntaz dei Carabinieri Alì Gabrè. che avrebbe resistito fino al 1946 prima di venire a patti cogli Inglesi. Sparse su un territorio vastissimo, si lanciarono in azioni di disturbo e di guerriglia senza farsi illusioni di vincere la guerra, ma sapendo di distrarre forze nemiche dall'Africa Settentrionale, tenendo in piedi reti di informatori e sottraendo, intere zone al dominio nemico. Tutto questo dovè sempre più basarsi sulle risorse locali a partire dalla primavera del 1942, perché Ja situazione del Comitato Italiano 14 cominciò a peggiorare. Quando le operazioni in Africa Settentrionale volsero al peggio per loro, i Britannici decisero di passare alle maniere forti e di internare tutti gli Italiani. Ma al Negus pareva opportuno mantenere un contatto colle Potenze del!' Asse, proprio perchè poteva sempre darsi che vincessero la guerra. Per questo motivo, dopo la retata, chiese ed ottenne da Londra la liberazione di 500 Italiani, scelti nominativamente, tra i quali Savelli. ufficialmente perchè necessari al riattamento delle infrastnttture. Mentre Rommel avanzava verso il Nilo. Hailè Selassiè ebbe due colloqui segreti con Savelli e gli disse di comunicare a Roma che si offriva di cedere il potere effettivo sull'Etiopia in cambio di un formale mantenimento del trono: un protettorato italiano gli sembrava la soluzione migliore. A quanto si sa, Roma prese nota della richiesta del Negus e promise di tenerla nella dovuta considerazione. El Alamein segnò la fine delle speranze di vittoria. L'abbandono dell' Africa Settentrionale e Io sbarco in Sicilia furono altrettanti segnali dell'imminente disfatta15. L' attività clandestina però continuò, anche se ridotta. Parecchie bande, come quella di Guillet avevano dovuto essere sciolte per esaurimento e del resto le risorse del Comitato calavano, perchè la progressiva ultimazione dei lavori faceva diminuire le entrate e, con esse, la consistenza della Cassa dell'Impero. Quando, nel 1946, si ebbe notizia dei preliminari di pace,

14 Per rigore di cronaca, va detto che tanto G. Costabile che A. Guillet banno detto di aver sentito dire che c·era chi riforniva le bande, ma che le loro non avevano mai ricevuto sostegni di nessun genere. 15 La sera del 26 luglio 1943, Savelli fu convocato dagli lnglesi e. dopo alcune frasi dì nessuna importanza, sbalordl nel sentirsi dire "Sappia che il "nostro" Badoglio ha arrestalo oggi il "vostro" Mussolin;".


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il fondo rimasto scomparve del tutto. insieme alla ditta, nella nazionalizzazione voluta dal governo etiopico. Mentre alcune deUe bande rimaste cessavano spontaneamente di combattere ma non quella di Alì Gabrè - ed andavano a consegnarsi agli 1nglesi, mentre l'Eritrea incominciava la sua ribellione all'incorporazione nell'Impero Etiopico, Savelli riuscì a passare al Cairo e da là a Roma, colle tasche tanto vuote che potè arrivare a casa sua solo facendo l'autostop; ironia della sorte: lo ebbe da u na jeep militare americana. In seguito poco si sarebbe saputo della guerra delle bande; invece della storia del Comitato Italiano e della Cassa dell ' Impero nulla sarebbe più trapelato fino ad ora.

V) "Spezzeremo le reni alla Grecia!"vi Mentre in Africa Orientale terminavano i combattimenti di Cheren e di Massaua, in Europa finiva vittoriosamente la tonnenl!atissima campagna di Grecia, che il Regio Esercito aveva iniziato il 28 ottobre 1940. Due i motivi principali alla base dell'attacco alla Grecia: uno politico ed uno militare, indipendenti fra di .loro. U primo si concretò quando, il 12 ottobre 1940, giunse a Roma la notizia dell'insediamento a Bucarest d'una missione militare tedesca 16, mossa dettata da necessità oggettivamente consistenti, ma sgradita a Mussolini. La Germania s'installava a ridosso dei Balcani, che, nei piani dell ' Asse. nei dopoguerra sarebbero toccati alla sfera d'influenza italiana, e si affacciava sul Mar Nero, mettendo le mani sulle ricche risorse granarie e petrolifere della Romania. alle quali il Duce, anche se copertamente, mirava da tempo. Una simile mossa, inoltre, offriva ai Paesi balcanici la possibilità di giostrare fra Roma e Berlino sottraendosi all' influenza che Mussolini sognava d'imporre loro ed indebolendo la posizione politica dell ' Italia rispetto alla Germania. Dunque, come all'occupazione dei Sudeti e allo smembramento della Cecoslovacchia si era risposto prendendo l'Albania, così ora la risposta all'ingresso dei Tedeschi a Bucarest sarebbe stata data da quello degli Italiani ad Atene. Il secondo motivo era costituito dai rapporti che l'Eccellenza De Vecchi di Val Cismon spediva a Roma dal Dodecaneso di cui era governatore, facendo presente come i Greci, violando le regole internazionali di neutralità, consentissero l'uso delle proprie acque territoriali e dei porti alle unità inglesi mercantiU e militari, che vi si rifornivano tranquillamente aumentando così il loro raggio d'azione. Queste due ragioni originarono l 'Esigenza G - Grecia - che Mussolini prospettò allo Stato Maggiore Generale, il quale, a sua volta, la passò alle tre Forze Armate perchè ne studiassero la fattibilità e si pronunciassero in merito. I tre Capi di Stato Maggiore si dichiararono molto scettici sulla possibilità d'intraprendere una simile campagna e di concluderla facilmente ed in tempi brevi. Il Regio Esercito fece notare che l'assoluta mancanza di ferrovie sul territorio albanese rendeva necessari, oltre a quelli delle unità da impiegare, 500 autocarri per decongestionare i porti ed altri 1.250 per rifornire le division.i operanti al fronte; che i predetti automezzi potevano solo essere prelevati da quelli destinati all' armata d.i Graziani in Libia e che le truppe presenti in Albauia non erano neanche numericamente pari a quelle greche. La Regia Marina fece rilevare la carenza degli approdi sull'altra sponda dell ' Adriatico e la loro ridotta capacità ricettiva, per cui lo sbarco di unità italiane in Albania e, eventualmente, in Grecia Settentrionale sarebbe stato lungo difficile. La Regia Aeronautica comunicò che gli apparecchi a sua disposizione erano più che sufficienti per le necessità della campagna in esame; ma, alla domanda se fosse possibile aerotra-

vi B. MussOLINt, "Discorso alle gerarchie del Partito Nazionale Fascista", Roma, .18 oovembre 1941. 16 IJ punto di vista di Hitler viene esaminato nel paragrafo Vll di questo capitolo.


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sportare le truppe che la Marina diceva di non poter sbarcare, rispose che i velivoli in dotazione consentivano solo il carico di uomini ed armi leggere; niente quadrupedi, servizi ed armi pesanti 11. Badoglio tagliò corto: «// Duce ha giudicato e dichiarato che per lui è di somma importanza l'occupazione della Grecia. Quindi non si discwe»vii. E. ricordando la sorte di De Bono all'epoca di Passo Uarieu, nessuno discusse. Il 28 ottobre, alle 6 del mattino, i 105.000 uomini dei Corpi d' ArIData XXV e XXVI e del Raggruppamento Litorale - quest'ultimo pari a una brigata - varcarono la frontiera greco-albanese. 11 5 novembre l'avanzata italiana, già difficile per la brutte condizioni meteorologiche e per le asperità del terreno, rallentò. Il 6 i Greci attaccarono Corcia. Furono respinti; ma era evidente che l'iniziativa stava passando a loro e, visto che nè la Bulgaria nè la Turchia li attaccavano, come avevano in un primo tempo temuto, trasferirono in fretta quante più truppe poterono dai confini orientali al fronte albanese e attesero: non successe nulla; l'offensiva italiana, a corto di rifornimenti. era esaurita. Sulle prime i Greci non si mossero, poi, sorpresi, effettuarono qualche cauta puntata qua e là e, constatato che gli invasori erano e restavano fermi, organizzarono la controffensiva. Se ancora avessero avuto dubbi. la notizia della sostituzione del comandante italiano, Visconti Prasca, col generale Soddu, diramata ufficialmente I' 11 novembre glieli tolse. Non si cambiano i generali che vincono; solo quelli che perdono. Soddu, arrivato il 9 a capo delle truppe operanti, ammontanti ora alle due Armate 9• ed 11• forti complessivamente di 9 divisioni e unità minori, si trovò subito attaccato dalle 13 divisioni, 3 brigate ed 1 gruppo tattico dei Corpi L Il e IIl del Comando d'Armata ellenico di Samo. Le quattro divisioni componenti la 9' Armata - Piemonte. Arezzo, Parma e Venezia - furono impegnate da altrettante divisioni greche, più consistenti di loro perchè ad Atene Pariani non aveva avuto influenza, che, fra il 14 e il 18, s'impadronirono di alcune posizioni della Parma, eliminando il saliente che essa teneva fra Dardha e Hocisti. La 9' entrò in crisi. Già il 19 mattina i suoi reparti erano notevolmente frammischiati. La crisi s'accentuò e, fra il 21 e il 23 novembre, dovette ripiegare di circa 30 chilometri, spostando la sinistra dal lago di Presba a queUo di Ohrida e la destra dal Monte Gramos al Mietes. Vistasi scoperta sul fianco sinistro, fu costretta a ritirarsi anche I' 11" Armata del generale Geloso, che teneva lo schieramento dal centro al mare. I Greci la premerono continuamente e riuscirono anche ad aprire un varco fra la sua linea e quella della 9• nella valle dell'Osum. Intanto anche il Raggruppamento Litorale era stato assalito tra il 15 e 16 dall '8' Divisione ellenica, riuscendo a pararne tutte le azioni col solo 3° Reggimento Granatieri. La notte fra il 16 e il 17 gli giunse però l'ordine di ritirarsi, conseguenza della crisi della 9• Armata, e si attestò sulla linea lungo la strada da Delvino a Porto Edda - Santi Quaranta, approssimativamente 50 chilometri a nord dell'abbandonato confine. La situazione italiana era tremenda. L'armata d'Albania, era numericamente inferiore a quella nemica, comprendente ora la quasi totalità dell'esercito ellenico, e pur disponendo di grandi riserve in Italia, non era in grado di riceverle rapidamente perchè la capacità ricettiva dei porti albanesi era minima. Nelle condizioni migliori si era riusciti a far sbarcare tre divisioni in un mese; ma era stato un caso limite. La media era in realtà di due sole, insufficienti sia a ripianare le perdite, sia a raggiungere la parità coll'avversario.

17 Badoglio. quando si venne a questa domanda, menzionò il caso del reggimento granatieri aerotrasportato a Tirana, ricordando che era «rima.wo senza mangiare per 11011 so quanto tempo» ed eliminò ogni tentativo di e..arninare ancora la questione dell'aerotrasporto. vii P. Badoglio, rip. in, «Verbali delle riunioni tenute dal Capo di Stato Maggiore Generale», Roma. USSME, 1983, Voi. I, seduta del 17 ottobre 1940. pag. 101.


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Per tentare di fermarne l'avanzata, gli Italiani impegnavano, giustamente, quasi tutti i relativamente pochi uomini disponibi.li nello sbarramento delle vie di facilitazione nei fondoval le. Dopodichè i Greci, prima fissavano i difensori nelle vaUate, poi, una volta impegnatili a fondo, profittando del fatto che le catene montuose della zona avevano un andamento nordsud e attraversavano perpendicolarmente il fronte, vi facevano arrampicare altre loro unità che, passando di cima in cima, sopraffatti i pochi difensori delle creste, aggiravano dall'alto le postazioni degli Italiani nelle valli, calando alle loro spalle e costringendoli a ritirarsi per non essere accerchiati. Al Comando italiano quindi non restava che tentare di tamponare le falle con tutto quello che aveva sottomano, fossero truppe appena sbarcate, o unità, o loro aliquote, attestate in settori nei quali la pressione avversaria era più contenuta. Così i reparti delle divisioni che arrivavano dall'Italia venivano immediatamente lanciati in linea, un battaglione qui ed un gruppo là, senza attendere i servizi, senza conoscere nè l'andamento del fronte nè le antistanti forze nemiche, provocando situazioni grottesche in cui i comandi divisionali non sapevano dove fossero i loro reggimenti e quelli di reggimento non conoscevano l'ubicazione dei propri battaglioni, sciogliendosi come cera al fuoco, vinti dalla disorganizzazione più che dall'avversario. L'l l dicembre l' I I• Armata sì attestò sulla nuova linea arretrata. Stava per cominciare un calvario di 40 giorni, che sarebbero stati i più duri dì tutta la campagna. Fra le montagne albanesi incappucciate di neve e il freddo intenso che rendeva ancor più difficili le operazioni, i Greci tentarono di puntare a nord; e gli Italiani cercarono d'imbastire una difesa stabile, mentre a Roma il Duce silurava Badoglio, perchè il 15 novembre aveva detto al Capo di Stato Maggiore germanico Keitel d'essere sempre stato contrario all'impresa greca, affermando poi che «Tanto lo Stato Maggiore Generale quanro lo Stato Maggiore del1'Esercito 11011 sono entrati in questa organizzazione che si è svolta in modo nettamente contrario a tutto il nostro sistema, che si impernia sul principio di preparare bene e poi di osare)>vw.

Sulla costa, intanco, i Greci avevano sfondato il fronte nel settore della Divisione Siena, obbligandola a ritirarsi di oltre IO chilometri in cinque giorni, mentre sul fronte dell' 11 • Armata il loro I Corpo impiegava la 4• Divisione contro il Kurvelesh, per superarlo e andare a tagliare la strada fra Valona e Tepeleni a nord di quest'ultima. Nonostante la strenua resistenza i difensori furono costretti a cedere in alcuni punti; e la loro resistenza si concentrò a nord del Kurvelesh. La vigilia di Natale i Greci attaccarono e furono respinti con forti perdite. Poche migliaia di soldati ridotti a straccioni, febbricitanti, colle scarpe sfondate, senza viveri e con poche munizioni tennero il fronte disperatamente per un settimana. U 30 si eombattè per tutta la giornata. Capodanno vide un ulteriore attacco ma senza esito. La linea aveva tenuto e avrebbe continuato a tenere per tutto il mese di gennaio, a dispetto degli ostinati sforzi dei Greci di aprirsi la strada d.i Klisura - presa - e Perati. non raggiunta. Poi, respinta una controffensiva italiana su Klisura il 26 gennaio, il 9 febbraio i Greci attaccarono lungo le valli della Vojussa e del Drìn, tenute da elementi del XXV Corpo d'Armata. per aprirsi la strada su Tepeleni, Valona e Berat. La lotta, lunga e durissima, si concentrò intorno allo Scindelì ed al Golico, il monte che sbarra le due valli. Il 12 febbraio fu il giorno del loro ultimo tentativo d'aprirsi la strada perTepeleni. Respinti ancora, desisterono definitivamente. Sotto gli occhi di Mussolini, il 9 marzo gli Italiani passarono all'offensiva in Val Deisnizza con 6 divisioni, ma dopo cinque giorni ripiegarono sulle basi dì partenza senza successo.

viii Badoglio, rip. in BosCHF..SI. op. cìt., pag. 35.


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Intanto, a Vienna, il l O del mese era stato firmato il trattato che sanciva l'adesione bulgara al Tripartito, permettendo ai Tedeschi di venire in aiuto agli Italiani passando sul territorio bulgaro ed attestandosi al confine greco. Il 20 marzo la Jugoslavia aderì al Tripartito ma, nella notte fra il 26 e il 27. un colpo di stato fomentato dagli Inglesi rovesciò i1 governo filotedesco di Belgrado e lo sostitul con uno favorevole agli Alleati. II colpo era grave. L'Asse veniva a trovarsi con una Nazione nemica all'interno dei Balcani la quale, non solo poteva minacciare i confini dell'Italia, della Bulgaria e del Reich, ma anche le spalle delle truppe operanti in Albania. Hitler non perse tempo e. già nelJa giornata del 27. ordinò d'assalire e distruggere la Jugoslavia, mentre, alle 5,15 del 6 aprile, i Tedeschi entravano anche in Grecia, incontrando una resistenza minima, perché tutto l'esercito elJenico era concentrato contro gli Italiani. Terminate in soli 12 giorni le operazioni contro Belgrado, i Tedeschi rivolsero tutto il loro sforzo contro i Greci. In 15 giorni. li costrinsero ad arrendersi, estendendo le loro operazioni fino a Creta, presa nel maggio, mentre dall'Egeo vi sbarcava un corpo di spedizione italiano di 2.585 uomini della Divisione Regina 18, appoggiato da una squadra navale di IO unità leggere19. Tornando agli Italiani in Albania, rimasero più o meno fermi per tutto marzo, progettando poi un'offensiva concomitante con quella tedesca per la seconda decade d'aprile. Il 13, domenica di Pasqua, vennero impartite le ultime disposizioni, poi cominciò l'attacco. All'alba del 15 le avanguardie dell' 11• Armata raggiunsero i1 Trebescines, prendendolo nella seguente giornata del 16, respingendo i Greci su Klisura. Mentre le truppe italiane arrancavano verso il confine greco-albanese, i Tedeschi entravano a Larissa e Trikala, muovendo poi su Gianina. situata ad una quarantina di chilometri dal medesimo confine, occupandola il 21. La guerra era finita. Ali· indomani della vittoria un reggimento di rappresentanza, composto da tre battaglioni di formazione di granatieri, di fanti e di alpini, si trasferì in autocarro ad Atene per partecipare alla parata delle truppe tedesche svoltasi il 3 maggio davanti al feldmaresciallo List. Ma era una vittoria amara. L'imprevidenza del Duce aveva fatto pagare al Regio Esercito un prezzo terribile: 13.755 morti. 25.067 dispersi, 50.874 feriti, 13.368 congelati e 52.108 ammalati gravi ricoverati in luoghi di cura; totale: 155.172 uomini fuori combattimento: gli effettivi d ' un' intera armata. Il 25 giugno le autorità germaniche in Grecia passarono i propri poteri a quelle italiane; il generale Geloso. assunse il comando del territorio occupato, comprendente Epiro, Tessaglia. Eubea, Attica, Peloponneso e le isole Cicladi, Sporadi settentrionali e lonie, e dovè spezzettare le proprie unità in una miriade di piccoli presid.i, specie costieri, dove sarebbero rimaste fino al settembre 1943.

VI) La guerra in Jugoslavia: 1941 -1943 Dal 27 marzo 1941 a Belgrado non c' era più un governo favorevole all'Asse. Come già accennato. la cosa provocò !"immediata reazione tedesca ed una più lenta risposta italiana, anche se Roma era molto più direttamente interessata a causa della minaccia ora rappresentata dalla trnppe jugoslave per l'Albania. Le unità della 2• Armata del generale Vittorio Ambrosio, che avevano assunto lo schieramento di sicurezza al confine giulio fra il 6 ed il 26 marzo, passarono a quello offensivo tra il 27 marzo ed il 5 aprile.

18 Con 6 cannoni da 65117. 6 da 47/32. 13 Carri L 3, 3 automobili. un autocarro leggero, 9 motociclette e 205 muli. 19 Regio Cacciatorpediniere Crispi, Regie Torpediniere Libra. Lince e Lira e 6 MAS.


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L'indomani iniziarono le ostilità. I Tedeschi entrarono in Jugoslavia dall ' Austria, dall' Ungheria insieme agli Ungheresi e dalla Bulgaria. Dopo alcuni combattimenti d'avanguardia verificatisi il 9, gli Italiani l' 11 puntarono a est per congiungersi alle truppe germaniche a Karlovac, dopo aver preso Lubiana. Co11tempora11eamente il grosso si stese lungo il litorale dalmata, lanciando la divisione corazzata Littorio verso il sud. Dal 13 al 15 le truppe, fra le cui colonne. con grande entusiasmo dei soldati, si aggirava in macchina il re Vittorio Emanuele ID, continuarono l' avanzata. mentre il minuscolo presidio di Zara che. secondo gli ordini. sarebbe dovuto rimanere chiuso in difesa. uscito invece dalla città agli ordini del generale Giglioli spazzava via le preponderanti unità nemiche del settore, puntando a sud, verso Sebenico, e ad est in direzione di Knin, che occupò il 15, poco prima che vi entrassero i Tedeschi. Il 16 le unità della 2" Armata sostarono tutte, ad eccezione delle divisioni Torino, che superò Spalato e Drinac ed arrivò fino a Ragusa, già occupata dalle truppe provenienti dall ' Albania, e Littorio, la quale, presa Mostar, puntò a sud, verso Trebinje, dove si congiunse ad una colonna della Divisione Marche, arrivata anch' essa dall' Albania. Il 18 la campagna era conclusa e l' esercito jugoslavo, che all' inizio delle ostilità contava 1.400.000 uomini, non esisteva più. Attaccato da tutte le parti. era crollato in 12 soli giorni. Anche nel settore del confine albanese, dove era stata più grave la minaccia, le divisioni jugoslave che vi si trovavano, forti complessivamente di 130.000 uomini, non avevano potuto far nulla. Dapprima ingannate dalla trasmissione dell'ordine di non attaccare, diramata dal S.l.M. usando la loro cifra e le loro frequenze. e poi validamente contrastate dalle numericamente inferiori unità italiane, tra le quali si distinse particolarmente il 31 ° Carristi della Divisione Corazzata Centauro, arrivate al 15 aprile, assalite brillantemente proprio dalla Centauro e dalla Messina. cominciarono a sfasciarsi e crollarono definitivamente nei due giorni successivi. Il 17 aprile il Sottocapo di Stato Maggiore ed il Ministro degli Esteri del Regno di Jugoslavia firmarono lo strumento di capitolazione, preparato a Belgrado dal generale von Weichs in accordo coll'addetto militare italiano; e altri 6.028 ufficiali e 337.684 uomini si arresero alle truppe dell'Asse, ponendo termine alla vittoriosa campagna. Ma circa 300.000, in prevalenza Serbi, erano sfuggiti alla cattura, a causa soprattutto della rapidità dell'avanzata, che aveva impedito alle truppe tedesche, ungheresi e italiane di curarsi troppo di ciò che si lasciavano dietro, ed ora il colonnello Mihailovic, uno dei protagonisti del colpo di stato del 27 marzo, cominciava a riorganizzarli per dare vita ad una guerriglia durissima, crudele e spietata quant ' altre mai, che sarebbe terminata solo nel 1945. La Jugoslavia intanto fu spezzettata fra i vincitori - Ungheresi, Tedeschi, Bulgari e Italiani - che si annetterono alcune porzioni di territorio, costituirono il Regno di C roazia, la cui corona fu data ad Aimone di Savoia-Aosta, fratello del Vicerè d'Etiopia, e divisero il resto in due parti, più o meno di pari estensione, separate da una linea di demarcazione che correva da nordovest a sud-est, cioè dalla Slovenia, spartita ora fra Roma e Berlino, al Cossovo, riunito ali ' Albania. Il tratto più occidentale, dal mare verso l' interno, era occupato dagli Italiani; ai Tedeschi toccò quello dai confini orientali dell"ex-Stato fino alla linea di demarcazione e, fra questa e la zona italiana, restò una fascia demilitarizzata, profonda da SO a 100 chilometri, che andava da Karlovac, subito a sud della Slovenia ora italiana, fino al confine occidentale del Montenegro, eretto a regno autonomo. La 2' Armata ebbe la giurisdizione sui territori occupati, dal confine italiano in Istria fino più o meno all' altezza di Sarajevo, dove cominciava il settore affidato alle truppe d'Albania. Apparentemente l' ·'Ordine Nuovo" delle Potenze dell ' Asse era saldamente instaurato. In realtà, com'era già avvenuto nel ' 36 in Etiopia, la vera guerra era solo al principio.


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Per comprendere quello che accadde alle unità italiane d'occupazione fra il maggio 1941 ed il settembre 1943. occorre tener presente la ~ituazione politica jugoslava e le conseguenze che ebbe sulla presenza militare italiana. Qui basterà dire che l'attività delle nascenti bande. organizzate dal serbo Mihailovic. s'intersecò colle bestiali persecuzioni intraprese dal governo croato di Ante Pavelic ai danni di Serbi, Ebrei e Mussulmani per mezzo delle formazioni degli Ustasci. Tait ferocissime azioni incontrarono una certa approvazione da parte germanica e la netta riprovazione dei militari italiani. che fecero tutto il possibile per salvare i perseguitati, mettendosi apertamente contro i Croati e i Tedeschi in moltissime occasioni. Parallelamente, per sfuggire ai massacri, i Serbi residenti nella zona della Lika si am1arono e cominciarono a combattere gli Ustasci. La lotta s'inasprì. raggiunse vette d'inaudita crudeltà e, indirettamente. favorì la nascita delle formazioni comuniste di Tito, consentendo loro d'esercitare una forte propaganda contro Pavelic e contro le Potenze dcli' Asse che l'avevano messo al potere. Gli Italiani rimasero più o meno fuori della mischia per i primi mesi. Infatti Mihailovic, serbo, operava prevalentemente nella zona d'occupazione tedesca. I Serbi e i Croati si scannavano a vicenda; ma i primi avevano bisogno degli Italiani per essere protetti dai secondi, i quali, a loro volta, si reggevano in piedi solo grazie alle truppe dell'Asse. E tutto sarebbe andato avanti così se non fossero entrati in scena i partigiani titini. che combattevano indifferentemente contro Italiani. Tedeschi. Croati, Serbi e uomini di Mihailovic distinguendo solo i comuniMi dai non-comunisti. I fronti furono due ben distinti: il primo in Montenegro. il secondo nel territorio croato e sloveno. Il Montenegro - eretto in Mato autonomo guidato da una reggenza - si ribellò inaspettatamente il 13 luglio 1941. I piccoli presidi territoriali dei Carabinieri Reali e della Regia Guardia di Finanza vennero assaJiti e distrutti da for"le dieci volte superiori dopo lunghe resistenze. La Divisione Messina risultò insufficiente a fronteggiare l'estensione della rivolta e il 18 affluirono le divisioni Puglie, Firenze e il Gruppo Skanderbeg - formato da truppe albanesi - al completo. la Divisione Pusteria quasi al completo ed aliquote della Taro, Marche. Cacciatori delle Alpì e Venezia. Lnsieme alla Messina cd ai Grnppi Alpini Valle I O e 2°, nel giro di tre settimane distrussero i ribelli e, entro il 12 agosto, ripristinarono l'ordine, pur non potendo evitare la sopravvivenza di bande partigiane qua e là. In Slovenia e C roazia le prime azioni partigiane contro gli Italiani si ebbero al principio dell'estate del 1941, mantenendosi però ancora su un basso profilo. Infatti la massa era rivolta contro i Croati, il cui Governo in settembre chiese, colla cosiddetta Nota Z. che le truppe italiane entrassero nel suo territorio per contribuirvi aJl'eliminazione delle bande partigiane. Le unità del Regio Esercito, la cui Colonna Salvatores aveva attaccato e distrutto delle formazioni comuniste nella regione di Drvar fra il 7 ed il 26 settembre, arrivarono il 5 ottobre e riuscirono a portare una certa tranquillità nella lOna che controllavano, cioè quella parte della Croazia situata ad ovest della linea di demarca1ione. fra i settori tedesco e italiano. Non capitarono altre azioni rilevanti per tre mesi; ma le grandi unità italiane dovettero provvedere al mantenimento della sicurezza in tutta la Slovenia, sparpagliando qua e là i soldati a presidiare paesi, villaggi. strade, ferrovie, ponti e stazioni. costituendo una miriade di presidi, molle volte del tutto isolati, la cui consistenza era spesso di una o due squadre. In dicembre venne assediata e bloccata la guarnigione di Korrnica. Rifornita per tre mesi con aviolanci. dopo alcuni infmnuosi tentativi. potè essere i.bloccata solo in mano coll"Operazione K. Aumentavano intanto i sabotaggi e le aggressioni ai danni di militari isolati, cosl vennero disposti una serie di rastrellamenti in gennaio, ottenendo un caJo dell'auività partigiana fino ad aprile.


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Il 20 di quel mese scattò in Croazia l'operazione antiguerriglia Trio, studiata e diretta dal generale Roatta. che il 15 maggio si risolse in un successo tattico delle truppe italiane. tedesche e croate. Ciò però non condusse a grandissimi risultati, poichè i partigiani comunisti continuarono ad operare attivamente, tanto che alla fine della primavera si calcolava che in Slovenia ne fossero presenti almeno 12.000, inquadrati in brigate poste sotto un unico comando. Contro di loro, precedute da un'azione preliminare compiuta dalla Divisione Granatieri di Sardegna, il 12 scattarono le Grandi Unità dell'Xl Corpo d'Armata, sostenute da reparti del V e da formazioni anticomuniste locali. Articolate su 4 colonne per altrettante direttrici, le divisioni Granatieri di Sardegna, Cacciatori delle Alpi, Macerata e fsonzo e il Raggruppamento Fabbri, comprendente due battaglioni della Divisione Re ed uno della Guardia alla Frontiera, combatterono fino al 7 agosto. La Granatieri, la Cacciatori, il Fabbri e le Guardie alla Frontiera convergerono sul Monte Krim, che era una munita e forte base partigiana. I partigiani superstiti ripiegarono in fretta nella zona di Kocevje, dove si congiunsero agli scampati alle azioni condotte a Ribnice dalla Macerata ed a Podsrenice dalla Isonzo. Subito dopo arrivarono a Kocevje anche la Granatieri di Sardegna e la Cacciatori delle Alpi che, col concorso di reparti della Macerata e del Raggruppamento Fabbri. piombarono sui partigiani disperdendoli nuovamente. A metà mese la zona di Kocevje era stata rastrellata a dovere e il Comando del Corpo d' Armata ordinò di passare alla seconda fase. Il 14 agosto le quattro colonne ital.iane assalirono concentricamente il Kocevski Rog, un rilievo molto ben difendibile su cui si erano rifugiati il grosso dei partigiani comunisti e tutto lo Stato Maggiore della Zona Slovena dell'annata di Tito. Liquidatolo con forti perdite da parte nemica, gli Italiani mandarono una porzione delle loro truppe ad eliminare i reparti avversari presenti a nord del fiume Krka. Il grosso invece fu fatto rientrare in Italia attraverso la Croazia, fino a Fiume. Nonostante quell'imponente azione estiva c'erano ancora partigiani in giro. Il V Corpo d ' Armata operò tra I' L1 e il 20 giugno su Bibac e in autunno effettuò rastrellamenti a Skare, Brlog e Zuta Lokva. I Corpi VI e XVUl invece eseguirono le operazioni Alfa e Beta, per riprendere le zone di Prozer e Livno. perse dai Croati. Il 1943 vide l'organizzazione ed esecuzione dell'Operazìone Weiss. Su pressione dei Tedeschi e approvata da Mussolini nonostante il parere contrario del generale Roatta, che sconsigliava di lanciarla in inverno, scattò il 15 gennaio e portò all'accerchiamento delle unità partigiane entro il 20 febbraio ed alla loro distruzione per la fine d'aprile. Parteciparono le Divisioni Sassari, Re, Lombardia e Murge 20, subendo perdite per circa 2.200 morti e feriti. In maggio il V Corpo d'Armata effettuò rastrellamenti a Gospic, in giugno a Zuta Lokva, mentre ne faceva anche l'Xl, passando in agosto a Trebenje e Novo Mesto, e il XVIII ad Almussa, nella penisola di Sabbioncello, a Segna e Bencovazzo. Poi venne settembre.

VIl) Il CSIR e I'ARMIR: 1941 - 1943 Nella tarda estate del 1940 Hitler si trovò davanti al problema dell'Unione Sovietica che, rassicurata dal patto concluso l'anno prima ai danni della Polonia, andava facendosi più esigente e spostava le proprie frontiere sempre più ad ovest.

20 Altissime le perdite del Ul/259° Fa.nteria Murge che, privo di dispositivi <li sicurezza, vide i suoi soldati sterminali dai partigiani - alcuni dei quali in uniforme italiana - a Prozor durante la locale fiera. Fu inviata a soccorrerlo una colonna fonnata dal lln60° Murge e da una batteria del 32° artiglieria Marche. Accerchiata. accettò di arrendersi a condizione d'aver salva la vita per i sopravvissuti, ma i partigiani ae fucilarono tutti e 31 gli ufficiali.


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Ora. se si fosse limitata, come poi fece, ad inglobare le tre Repubbliche baltiche e ad assalire la Finlandia, il Fuhrer non si sarebbe preoccupato troppo ed avrebbe atteso di sconfiggere la Gran Bretagna prima di volgersi, come già pianificato da lungo tempo, contro di essa. Gli attriti iniziarono in seguito all'annessione sovietica di parte della Romania. Grazie a un durissimo ultimatum, che Bucarest aveva accettato solo perchè Berlino e Roma avevano comunicato che non sarebbero intervenute in suo favore, Mosca rischierò i propri aerei a trenta minuti di volo dai pozzi petroliferi di Ploesti, dai quali veniva la quasi totalità dei carburanti per le forze armate del Reich. La situazione poteva farsi pericolosa ed Hitler, deciso a porre un freno diplomatico ai suoi alleati sovietici, raccolse una richiesta avanzatagli dalla Romania e vi inviò una missione militare, dichiarando nel contempo che la Germania avrebbe protetto Bucarest da ulteriori diminuzioni, politiche o territoriali, senza specificare contro chi tale protezione fosse rivolta. L'allusione era trasparente, ma non esplicita; così Molotov, ministro sovietico degli Esteri, andò a Berlino per sondare il Fuhrer e. senza rendersene conto, ne fu a sua volta sondato, instillandogli la cenezza che le politiche estere dei due Paesi erano ormai in rotta di collisione. Per questo motivo, nell'autunno 1940 Hitler decise d'invadere l'Unione Sovietica e trasferì moltissimi reparti dall'Europa Occidentale a quella Orientale, rimandando sine die l'invasione delle Isole Britanniche. L'inverno ponò l'aggressione sovietica alla Finlandia, risoltasi in una tale prova d'inefficien1a da incoraggiare ulteriormente il Fuhrer nella decisione presa. Il suo piano prevedeva un'invasione della Russia Bianca e dell'Ucraina in maggio, la distruzione delle armate sovietiche mediante la guerra-lampo durante l'estate e la presa di Leningrado e Mosca in autunno. prima della neve. La caduta della capitale avrebbe fatto certamente finire la campagna e la guerra. La Wehrmacht sarebbe allora tornata nuovamente ad ovest ed avrebbe chiuso definitivamente la panita cogli lnglesi entro breve tempo. Quando il piano fallì, di pochissimo, i Tedeschi accamparono la scusa meno seria di tutta la guerra, sostenendo che il ritardo con cui erano giunti davanti a Mosca. non riuscendo a prenderla perchè la neve di dicembre li aveva bloccati, era dovuto esclusivamente al tempo che avevano perso in primavera per tirare fuori dai guai gli Italiani in Grecia; e che quindi la colpa della sconfitta era da ascriversi tutta unicamente a loro. Ma esistono tre prove che dimostrano la falsità di tale affermazione. La prima, è fornita da Basi! Liddell Hart, il quale dimostra che l'opera1ione che, caso mai, portò ad una deviazione di consistenti forze germaniche nei Balcani fu quella contro la Jugoslavia. decisa e voluta esclusivamente da Hitler, non da Mussolini. A questa, importante ma non fondamentale. si unì un altro fattore determinante che, anche da solo, sarebbe stato più che sufficiente a ritardare i Tedeschi: « . .. anche il tempo atmosferico giocò un molo importante nel 1941, e ciò fu accidentale. Ad esr della linea BugSan in Polonia, le opera:ioni terrestri furono ridotte.fino a maggio poichè la maggior parte delle strnde sono fangose e la campagna generalmente è allagata. I molti.fiumi privi di regola::.ione del corso generano acquitrini. Pitl ad est si va e pii) questi svantaggi diventano accemuati, particolarmente nelle estese regioni delle paludose foreste di Rokitno ( Pripet) e della Beresina. Anche in tempi normali il movimenro è molto ridouo prima della metà di maggio, ma il /941 fu 1111 anno eccezionale. L'inverno era durato pitì a lungo. Ancora a/l'inizio di giugno il Bug era straripato oltre le sue rive per miglia. Condizioni similì prevalevano piii a nord. Il generale 11011 Manstein, che allora comandava 1111 corpo cora:,::.ato di puma nella Prussia Orientale, disse che vi caddero pesanti piogge d11rante la fine di maggio e l'inizio di 11ittg110. È evideme che se l'invasione fosse stata lanciata prima le prospettive sarebbero state poche, e come disse Halder, è molto dubbio che una data pit) anticipata potesse essere 11tile, a prescindere completamente dall'ostacolo nei Balcani. Le condi::.ioni atmosferiche del 1940


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erano state tutte troppo favorevoli all'invasione dell'Ovest, ma quelle del /94/ operarono contro l'invasione dell'Es,-.,.u.. Infine, terza prova, i Tedeschi erano così sicuri d'arrivare a Mosca partendo a fine giugno daUa Polonia che. non solo non predisposero equipaggiamenti invernali. mancanza che causò migliaia di morti per assideramento nelle loro file davanti alla capitale sovietica, ma programmarono il suo investimento, Operazione Typhon, per il 15 settembre 1941. anche se poi riu~cirono a cominciarla solo il 2 ottobre. Ma quel ritardo non è certo imputabile agli Italiani. Tornando all'ini1.io della campagna: Mussolini fu avvisato da Hitler dell'Operazione Barbarossa solo la sera del 21 giugno, mossa molto scorretta ai sensi del Patto d'Acciaio, e decise che il prestigio nazionale gli imponeva di partecipare, anche se i Tedeschi non gliel"avevano chiesto. Il Regio Esercito era sotto sforzo già da tempo, impegnato contemporaneamente su tre fronti, i due africani e quello jugoslavo, e non poteva fornire grandi quantitativi d i uomini né di mezzi. Militarmente era una sciocchezza spedire un corpo d"armata su un quarto fronte, così lontano e difficile da rifornire, e sarebbe stato meglio tenere gli uomini in Italia ed inviare i mezzi in Libia, dove ce n'era sempre bisogno. Ma, ancora una volta, le considerazioni politiche prevalsero su quelle tecniche. Già il 15 giugno il Duce aveva ventilato la necessità di costituire un corpo d'armata ternario. destinato ad operare in Russia. Il 30 giugno Hitler accettò il concorso alle operazioni che Mussolini gli offriva; e in luglio partì il XXXV Corpo d'Armata. ribattezzato Corpo di Spedizione Italiano in Russia, articolato sulle divisioni Pasubio. Torino e 3• celere. col XXX Raggruppamento Cavalleria e la Legione Camicie Nere Tagliamento. In totale 60.900 uomini con 5.500 automezzi e 4.600 quadrupedi, appoggiati da 89 aereill e comandati dal generale Zingales. quasi subito sostituito per motivi di salute dal cinquantottenne generale Giovanni Messe. Impegnato dapprima con la sola Pasubio in Ucraina, poi progressivamente con tutte le proprie Grandi Unità, il CSIR combattè bene a fine settembre nella vittoriosa battaglia di Dnepropetrovsk, dove furono distrutte tre divisioni sovietiche. U Doepr fu traversato dalle divisioni Torino e Pasubio, che nel corso della battaglia di Kiev si chiusero a tenaglia su Petrikovca catturando oltre 10.000 prigionieri. Proseguendo nell'avanzata. le t11.1ppe italiane entrarono nel bacino del Donec. Alla fine di ottobre l'avanguardia - 1'80° Fanteria Roma della Pasubio - superò Stalino e conquistò Gorlovka il 2 novembre. L'arrivo dell'inverno vide il fallimento dell'offensiva tedesca davanti a Mosca e la ritirata ed il consolidamento delle linee dell'Asse sotto la spinta della controffensiva sovietica. Il CSIR alla fine di dicembre venne respinto dalla proprie posizioni e lottò una settimana prima di potervi ritornare. Nel complesso aveva combattuto bene e per questo Mussolini decise che sarebbe stato politicamente opportuno allargare la partecipazione italiana, aumentando la consistenza del corpo di spedizione fino al livello d'armata. I Tedeschi erano d'accordo perchè avevano bisogno di uomini; e cosi il CSlR tornò ad essere ìl XXXV Corpo d'Armata. inquadrato nell'8" Armata del generale Italo Gariboldi, nota come ARM.l.R. - Armata Italiana in Russia - e forte di ben 227.000 uomini. 16.700 autoveicoli, 960 cannoni, 380 pezzi da 47, 19 semoventi e 55 carri L. Oltre al XXXV erano in linea i corpi d'Armata Alpino - divisioni Julia, Cuneense e Tridentina - e Il, comprendente le divisioni Cosseria, Ravenna e Sforzesca, alle quali se ne aggiungeva una quarta. la Vicenza. completamente priva d'artiglieria22 perchè destinata al servizio di sicurezza delle retrovie.

i> B. LIDDElL HART. «History ofthe second World War», Loadoo. Pan Book.s, 1970, cap. 11, pag. 140.

2 1 Allineati dai Gruppi XXII caccia e LXI da ricognizione. 22 A dire il vero pare che almeno un cannone !"avesse.


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Messe non fu d'accordo sull'incremento del dispositivo italiano. Al di là dell'ottimismo dei comunicati ufficiali - egli disse a Cavallero il 30 maggio e a Mussolini il 2 giugno - i rapporti coi Tedeschi erano tutt'altro che buoni, le perdite erano state alte, i mezzi corazzati non erano all'altezza della situazione e quelli motorizzati non bastavano. «Non possia11w essere da meno della Slovacchia» rispose Mussolini, «Al tavolo della pace peseranno pilÌ i 200.000 delL'ARMIR che i 60.000 del CSIR»•. L' ARMIR fu schierata sul Don. ln luglio venne impiegata nelle operazioni svolte nel bacino del Donec e prese la città di Krasnij Lutsch - conquistata dal 53° Fanteria Umbria della Sforzesca2J- affrontando poi i Russi nella battaglia di Serafirnovic. I Sovietici stavano però preparando un forte controffensiva. Il 12 agosto stabilirono una testa di ponte sulla riva destra del Don. Il loro intento era quello di creare una testa di ponte nella terra di nessuno per farvi affluire consistenti truppe. che poi si aprissero la strada attraverso le linee italiane, arrivando a Rostov ed avvolgendo le truppe dell'Asse. Quella che è conosciuta come la Prima Battaglia del Don cominciò così: con una puntata dei Sovietici contro la Sforzesca, i cui uomini spararono tutto quel che avevano sulle chiatte che traversavano il fiume cariche di nemici. Dopo una prolungata resistenza, premuto da forze quadruple, iJ fronte della Divisione si sfasciò. Alcune unità crollarono in rotta; ma i Granatieri della compagnia controcarro. i Bersaglieri del 6°, un'aliquota di Camicie Nere ed i Fanti del 53° ripiegarono nel caposaldo apprestato in gran fretta sulla collinella di Jagodnij che, con quello altrettanto provvisorio sito a Tschebotarewskj. costituiva l'unica possibilità di trattenere l'avanzata delle divisioni nemiche 14", 197" e 203" fino all'anivo dei rinforzi. Il giorno dopo - il 20 - l'azione avversaria s'allargò al resto del 11 Corpo, interessando anche i settori della Ravenna e della Cosseria, perchè lo sfaldamento della Sforzesca aveva aperto un varco fra il XXXV Corpo italiano e il XVIII germanico, e la situazione diventò ancora più critica quando il caposaldo di Tscbebotarewskj cadde. A quel punto i Sovietici dovevano solo distruggere Jagodnij per avere la strada completamente libera. Ma Jagodnij resistè. Assaliti il 20, i difensori contrattaccarono il 21, il 22 ed il 23. li 24 vennero bombardati da un intenso fuoco di mortai e poi aggrediti dal nemico. Esaurite le munizioni contrastarono i Russi alla baionetta, con poche speranze. Si salvarono solo grazie all'arrivo d'un battaglione di motociclisti della Divisione Celere, che l' ARMIR aveva spedito colla Ravenna a tappare la falla. Lo stesso giorno la cavalleria italiana registrò la sua penultima carica24 nei pressi di Isbuscenskij, dove il Il ed il III squadrone di Savoia Cavalleria assalirono i Sovietici per arrestarne l'avanzata. A dispetto dell'enorme superiorità nemica in uomini e mezzi, specie corazzati, il dispositivo italiano sul Don si dilatò ma non si spezzò; I' ARMIR proseguì a combattere fino alla fine del mese, quando i Russi abbandonarono l'impresa dopo aver perso il 50% degli effettivi impiegativi. li 10 settembre fecero un nuovo tentativo, stavolta contro le linee dell'estrema ala destra della Cosseria e della Ravenna. In un primo tempo riuscirono a creare una testa di ponte di circa 6 chilometri quadrati sulla riva destra del Don, intorno a Dubowikof, ma poi vennero respinti; e gli Italiani ripristinarono la situazione antecedente l'attacco. Considerate sul piano strategico, le azioni sopradescritte facevano parte dell'insieme di tentativi sovietici volti ad ostacolare l'offensiva tedesca contro Stalingrado; ma fallirono e, al 18 novembre, le truppe dell'Asse occupavano stabilmente una lunga linea. li loro fronte anda-

• Rip. in BOSCHESI, op, c ii .. pag. 109. 23 I primi soldati italiani ad entrarci- un'ora e mezzo prima del 53° - furono però un caporale e tre Granatieri della 121 • Compagnia Cannoni controcarro Granatieri di Sardegna, aggregata alla divisione Sforzesca. 24 L'ultima sarebbe stata a Poloj, in Croazia. nella primavera del 1943.


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va da Ore! verso est-sud-est, attraversando la steppa fino a Voronez, sul Don. Da là, seguendone il corso, scendeva verticale lungo il fiume, curvava a sud-est fino alla confluenza col Cir, proseguiva, di nuovo orizzontalmente, verso Stalingrado e piombava poi quasi verticalmente verso sud, disegnando un enorme saliente quadrato, esteso ad oriente della linea Voronez-Mar d'Azov. Da Voronez a Rossosc, lungo il Don, era schierata la 2• Armata ungherese. Alla sua destra, da Rossosc verso est, si trovavano prima l'ARMIR, nell'ansa del Don, poi la 3" Armata rumena, nel tratto orizzontale del fiume verso Stalingrado e, infine, intorno e dentro la città situata alla confluenza del Volga e del Don, la 6" Armata tedesca del generale Paulus. Contro questo enorme saliente, che lo Stato Maggiore germanico, giudicandolo difficilmente difendibile, avrebbe voluto abbandonare e che Hitler invece si ostinò a mantenere, il 19 novembre 1942 scattò l'offensiva sovietica. La prima fase, nome in codice "Urano", che sarebbe terminata il 12 dicembre, portò allo sfondamento delle due armate rumene, 3• e 4", che tenevano lo schieramento dell'Asse rispettivamente a sinistra e a destra della città, provocando l'accerchiamento cli 250.000 tedeschi. Nelle prime ore del mattino del 16 dicembre, dopo tre giorni di bombardamenti di preparazione e di attacchi di prova, scattò l'Operazione Saturno, con cui i Sovietici miravano aprirsi la strada di Rostov, sbarrata dalle truppe ungheresi e italiane. Dalla testa di ponte di Verch Marnon 15 divisioni e più di 100 carri armati si rovesciarono contro la Cosseria e la Ravenna, mentre il fiume ghiacciato consentiva il passaggio dei corazzati che puntavano sulle linee della Sforzesca. Premuto da un attaccante più forte per 9 a I, il 17 dicembre il fronte italiano cominciò a sgretolarsi. Il 19 le divisioni ricevettero l"ordine di ripiegare e l'eseguirono combattendo come poterono, cercando di sfuggire a piedi a un nemico che viaggiava sui carri armati. Con perdite spaventose, le divisioni Torino, Cosseria, Pasubio e Ravenna puntarono sul Donez per passarlo a Voroscilovgrad - 150 chilometri a piedi, con temperature fra i IO ed i 35 sotto zero - e riuscirono a sottrarsi all'accerchiamento sovietico la vigilia di NataJe25. La Sforzesca, la Celere e un 'aliquota di Rumeni scesero verso sud-ovest e raggiunsero il Donez più o meno alla confluenza colla Kalitva. Il Corpo d'Armata Alpino - Julia, Cuneense, Tridentina e la Divisione Vicenza - ebbe ordine di restare sul Don per proteggere a distanza il deflusso del resto dell' ARMLR attraendo su di sè l'attenz.ione dei Sovietici. Nella seconda decade di gennaio le divisioni italiane ultimarono il ripiegamento ed i loro resti furono riorganizzati come si poteva. intanto gli Alpini erano stati attaccati. Dopo tre giorni di resistenza, il 17 gennaio 1943 ricevettero l'ordine di ripiegamento; e non c·era nessuno a coprirli. Lo eseguirono insieme a reparti tedeschi, ungheresi, rumeni e spagnoli: ma le unità corazzate sovietiche - due armate e tre corpi d'armata corazzati26 _ piombarono loro addosso e li spezzarono in due tronconi. Nel primo c'era la Tridentina; nel secondo le altre divisioni italiane: 350 chilometri cli steppa gelata le dividevano dal nuovo fronte dcli' Asse. Tormentati dalla fame e dal freddo che toccò i 45 sotto zero, privi di mezzi, d.i medicinali e di munizioni, con centinaia di feriti e migliaia di ammalati e congelati da trasportare, gli Alpini camminarono verso ovest, assaliti in continuazione dalle forze nemiche che cercavano di sbarrare loro la strada per accerchiarli. li 26 gennaio arrivarono a Nikolajevka e ci trovarono i Russi. I battaglioni alpini Tirano. Edolo e Vestone e il Gruppo Artiglieria Valcamonìca de1Ia Tridentina - quasi gli unici reparti rimasti efficienti, attaccarono per tutta la giornata sotto gli occhi disperati dell'intera colonna

25 Tanto per fornire degli esempi: la Ravenna arrivò a Voroscilovgrad dopo aver perso 8.000 dei suoi soldati, la Cosseria, ridotta a circa 6.000 uomini. 26 Armate I' e 6' e corpi d'annata corazzati XVII, XXJV e XXV.


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in ritirata, ferma sul costone sovrastante la città. Al tramonto furono respinti; e venne il momento del loro comandante, il generale Rcverberi, che saltò sull'unico blindato tedesco ancora in grado di muoversi «Tridentina ..! Tridentina avanti/" gridò ... No11fu Lasciato avanzare solo; i suoi alpini, riserva disarmata, si gettarono avanti seguendo il carro ... Jddio lo lasciò in piedi, gli consentì di guidare gli alpini.fin sulle difese nemiche. di travolgerle in uno slancio furibondo, di rovesciare i cannoni fumanti, di porre in.fuga i russi conquistando Nikolajewka e aprendo il varco entro cui dal costone, come richiamata dalle soglie della morte, irruppe la marea d'11omini»xi, Fu anche per questo che il bollettino sovietico numero 630, annunciando la disfatta delle forze dell'Asse sul Don. avrebbe affermato: «Soltanto il corpo d'Armata Alpino italiano deve considerarsi imbattuto sul suolo di Russia». Il 30 gennaio i superstiti uscirono dalla sacca; nella notte dal 2 al 3 febbraio arrivarono gli ultimi sbandati. poi più nessuno. Mancavano all'appello in 84.830 e altri 29.690 erano feriti, ammalati o congelati: in totale I' ARMIR aveva perso 114.520 uomini. Stando ai Sovietici, 80.000 italiani erano loro prigionieri; ma dopo la guerra ne sarebbero tornati soltanto circa

10.00021. In marzo 1'8° Armata fu sciolta e le sue unità. o meglio, i loro poveri resti, rimpatriarono. Prima di partire - scrisse un caporale d'un battaglione controcarro - «li XXXII fa schierato in direzione della steppa dove l'ARMJR lasciava 85.000 soldati tra caduti e dispersi... Rimanemmo per cinque minuti sul «Prese111at'Arm» in silenzio, in onore dei caduti, e per compagnia salimmo sugli automezzi in direzione di Gomel. da lì sulla tradotta attraversammo la Polonia, la Germania, /'Ungheria e, attraverso il valico del Tarvisio, scendemmo ad Udine. Il primo trauma che subii, fu che appena scesi dai vagoni, cavalli 8 e uomini 40, fummo presi d'assalto da una.folla di gente disperata, erano i congiunti dei soldati del/'ARM!R che. con delle fotografie in mano ci chiedevano se avevamo visto questo o quello ..... juggii verso la caserma confllmacìale perchè non resistevo a tanta disperazione»•ii_

VIl1) Alessandria lll Chilometri

Nella medesima primavera del 1943 arrivò anche la conclusione della guerra in Africa Settentrionale. Dopo la dichiarazione di guerra, il governatore della Libia, maresciallo dell'Aria e quadrumviro eccellenza Italo Balbo aveva cominciato a organizzare, molto lentamente, l 'attacco all'Egitto, sollecitando l'invio di armi e truppe. Morto per l'abbattimento del suo aereo il 26 giugno, dietro suggerimento di Badoglio era stato sostituito il 29 da Graziani28, il quale, il 3 luglio, ebbe da Badoglio l'ordine di attaccare per il 15. Ma Graziani tentennava, domandava

xi BEDESCHJ G. •·centomila gavette di ghiaccio". Milano, Mursia, 1978, pag. 288. 27 Dai tabulati consegnati dai Russi agli Italiani nel quadriennio 1992 -

J996 sarebbero risultati registrati come prigionieri solo 64.400 militari - molti dei quali però presi nel I945 dai campi di concentramento germanici - sparsi in circa 400 tra ospedali e campi di prigionia. Nel 1996 sarebbero stati resi noti i risultati di anni di lavoro svolto nell'ex-URSS dal Commissariato Generale Onoranze Caduti in Guerra del Ministero della Difesa italiano. dai quali si ricavava la certezza del luogo di decesso di poco più di 41.600 prigionieri presi dai Russi e di un altro migliaio trasferiti dalla prigionia tedesca a quella sovietica nel '45. Degli altri nulla si sa di preciso. Molti morirono p0co dop0 la cattura, uccisi dai guardiani o dal freddo e dalla fame, tanti altri - ma non vennero registrati dai Sovietici - nei 170 campi noti, moltissimi nei 230 campi di cui non si conosce più l'ubicazione. xil BER!Nl B .. «La 121• compagnia cannoni da 47/32 Granatieri di Sardegna». Roma, 1984, pag. 48. 28 Restò Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito ed affidò il disbrigo delle pratiche correnti al suo Sottocapo Roana.


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automezzi e, il 18 agosto, coi generaJi29 presenti in Libia dichiarò« .. . che nelle condizioni attuali non è possibile un'offensiva degna di questo nome, ma solamente svolgere piccole operazioni tendenti a mantenere il prestigio sull'avversario»xiii «Tenetevi pronto tra 1'8 e il IO seTtembre»•iii rispose Badoglio. Com due giorni di ritardo, il 12 Oraziani si mise in moto coi Corpi d'Armata XXI, XXIIl e XXVIlI, il Gruppo Divisioni Libiche e il Raggruppamento Motorizzato Ma letti. L'inizio fu promettente. Nonostante una temperatura di 56° e procedendo di soli 20 chjfometri al giorno a causa dei campi mrnati, il 18 le sue punte erano 100 chilometri oltre il confine egiziano, a Sidi el Barrani. Ma là le fermò per carenza d 'acqua, benzina30 e automezzi e per la preoccupazione che gli Inglesi potessero resistere a lungo a Marsa Matruh, 130 chilometri più in là. «Speravamo che avrebbe tentaJo di avanzare fino nei pressi di Marsa Matruh, poiché gli avevamo preparato una controffensiva coi.fiocchi di tutte le nostre forze corazzate»x1v disse poi il generale inglese O'Connor, che comunque approfittò della pausa per completare gli effettivi e preparare l'Operazione Compass: il contrattacco con 36.000 uomini su due divisioni. Lo lanciò la matt.ina del 9 dicembre 1940. Per gli Italiani fu una sorpresa completa: «Alcuni si arresero immediatamente. Ma nel suo complesso l'Esercito Italiano si battè bene. Vedendo per la prima volta i carri... pesantemente corazzati3 1, gli Italiani li attaccarono con bombe a mano e mitragliatrici. Gli artiglieri italiani combatterono finchè n{)njurono tu/li morti o feriti. Il generale Ma/etti... fu colpito a morte mentre, ancora in pigiama, sparava con la mitragliatrice {fu/l'imboccatura del suo rijugio»xv. Sfruttando la loro maggiore mobilità, in tre giorni gli fnglesi della Western Desert Force liquidarono la partita, dichiararono d'aver preso 38.000 prigionieri, 73 carri e 237 cannoni perdendo solo 624 uomini e proseguirono verso ovest. Con un'ampia mossa aggirante tagliarono la litoranea e chiusero 45.000 uomini della 10• Armata entro Bardia. Li comandava Bergonzoli e resistè; ma dopo 20 g.iomi, all'alba del 3 gennaio 1941 gli Australiani della 6" Divisione aprirono dei varchi nelle difese. «Oli Italiani si battevano bene e contratraccavano»•vi, poi furono bombardati simultaneamente dall 'aria - La V Squadra Aerea aveva ormai solo 115 aerei contro 800 - e dal mare. li giorno dopo lo schieramento di Bergonzoli fu tagliato in due e la città cadde. lasciando in mano al nemico 400 cannoni, l3 carri medi. 115 leggeri e 706 autocarri.

2 9 Gariboldi, Berti, Giordano, Bergonzoli, Pitassi Mannella, Gallina. Dalmazzo. Tellera e Pozzo. • ìii Rip, in BOSCHl!Sl, op. cit pag. 21. 30 Per di più i carburanti destinati alle tn1ppe operanti erano spesso mescolati ad acqua. La fondatezza

della voce sarebbe stata accertata da una prima inchiesta della Legione Carabinieri Reali di Tirana, in merito alla presenza di acqua nella benzina posta in vendita dall'AGIP- si parla di 110 tonnellate, pari a 110.000 litri- il cui rapporto (in AUSSME. Comando Supremo. CCRR. FFAA Albania, B. 3040. C.3), prot. 2001/8 dell '8 gennaio I 941, al Regio Avvocato presso il Tribunale di Guerra, 1'11 gennaio veniva inoltrato al Comandante Generale dell 'Arma, con riservata e personale pro!. 85/6 dal Vicecomandante Generale Agosrinucci. il quale rilevava « .. le gravi irregolarità riscontrate a carico dei dirigenti dell'AGlP - sia in Albania che in Italia - che denotano da parte di essi completa incomprensione dei doveri di chi è preposto alla direzione dell'importante problema della fornitura del carburante del momento particolarmeme grave che {lftraversiamo ...» e concludeva: «Ritenendo indispensabile l'autorevole interve1110 del Capo del Govemo. trasmetto rapporto ed allegati in duplice esemplare. ajjinchè uno di essi possa essere a lui consegnato». xiv CORREI..LI BARNETI, «I generali del deserto», Milano, Longanesi, 1964, pag. 22. 3l I proiettili anticarro da 47 rimbalzavano sulle corazze dei carri britannici Mathilda, che i carri italiani non erano in grado di distruggere. xv O'CoNNOR. rip. in Carrelli Barnen, "op. cit.", pag. 45. ,vi C0RRELl,.I BARNETT, op. cit, pag. 57.


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La mossa successiva fu su Tobruk: cadde al diciottesimo giorno - il 22 gennaio - facendo prendere agli Inglesi 25.000 prigionieri, 208 cannoni, 23 carri medi e circa 200 autocarri. L'offensiva proseguì verso ovest. ma non riuscì a intrappolare il generale Babini. Graziani intanto aveva ordinato l'evacuazione della Cirenaica e O'Connor decise ditagliare attraverso il deserto per andare ad aspettare il 5 febbraio a Beda Fomm la I o• Armata in ritirata. Le sue punte arrivarono in tempo per bloccare la litoranea - la Via Balbia - prima dell'arrivo degli Italiani. Lo sbarramento inglese, progressivamente rinforzato. fu attaccato disperatamente; ma la mattina del 7 febbraio la 10• Armata era annientata. n suo comandante - generale Tellera - era morto e il nemico aveva preso altri 20.000 prigionieri, 112 carri medi. 216 cannoni e circa 1.500 automezzi Graziani aveva perso 134.000 uomini, quasi 1.000 chilometri lineari di territorio e 360 carri armati facendoli pagare al nemico solo 486 morti e 1.225 feriti. Fu rilevato nel comando da Gariboldi e rientrò in Italia I' Il febbraio, incrociando I' Afrika Korps germanico - due divisioni - agli ordini del generale Rommel, giunto a Tripoli il 12. Raccolte le forze italo-tedesche ed assunto il comando sul campo - quello superiore restava a Gariboldi - Rommel saggiò gli avversari e il 24 marzo lanciò un attacco in direzione di El Agheila - subito oltre il confine cirenaico. Travolse il nemico e, già che c'era, proseguì verso est a tutta velocità senza curarsi delle istruzioni e degli obbiettivi fissati per l' operazione. Marsa el Brega, Agedabia e Bengasi furono riprese in un crescendo impressionante di vittorie. Catturati i generali Neame e O ' Connor, Rommel irradiò le sue unità verso la Marmarica. Lasciatasi alle spalle Tobruk con una guarnigione inglese e superato il passo di Halfaya, il 15 aprile gli Italo-Tedeschi erano nel deserto egiziano ed avevano due problemi: prendere Tobruk e ricevere i rifornimenti necessari. Per l'uno e l'altro non ci fu nulla da fare. La città resistè e quanto ai rifornimenti il discorso era complesso. Non arrivavano perché la Regia Marina non era stata in grado di assicurarsi il completo dominio del Mediterraneo, subendo delle gravi perdite a Capo Matapan e infliggendone alla Royal Navy solo grazie ai mezzi sottili ed ai sommergibili. Ma la vera spina nel fianco era e sarebbe restata Malta, da dove gli aerei inglesi potevano colpire i convogli italiani, già minacciati dal naviglio subacqueo e di superficie britannico. Contro di essa sarebbero stati lanciati attacchi aerei a ripetizione e incursioni di mezzi sottili della Regia Marina, ma senza un 'invasione terrestre non sarebbe mai stata neutralizzata. A tal fine sarebbe stata progettata l'Operazione C 3, creando appositamente nel 1941 una Divisione Paracadutisti32, tutta di volontari, che poi sarebbe stata deviata in Nord Africa all'annullamento dell' operazione. Cosi Malta non sarebbe stata presa e sarebbe restata uno degli elementi di maggior condizionamento della guerra in Africa Settentrionale. Intanto il generale Bastico aveva sostituito Gariboldi in Libia ma non c'erano stati cambiamenti di rilievo nella condotta delle operazioni. Poi gli Lnglesi avevano attaccato Halfaya il 15 giugno perdendo 99 dei 104 carri impegnati.

32 L'organizzazione del Corpo era cominciata nel 1938 coi paracadutisli libici, inquadrati da ufficiali nazionaLi, i quali effettuarono i loro primi lanci a Castelbenito senza equipaggiamento specifico, addirittura colle mollettiere e i sandali. Fra il 1938 ed il 1940 vennero adoperati tre tipi diversi di paracadute e si cominèiò ad adattare J"equipaggiamento alle specifiche del Corpo. Nella primavera del 1939 venne istituita a Tarquinia la Scuola di Paracadutismo, inizialmente sotto il controllo della Regia Aeronautica. poi passata al Regio Esercito. Nel giugno 1940, esistevano un Reggimento Fanti dell'Aria e un Battaglione Nazionale Paracadutisti. Nel 1941 i Paracadutisti avevano partecipato all'occupazione di Cefalonia, Zante, Itaca e della Jonie. Nel complesso. dopo aver interrotto la formazione della Divisione Paracadutisti Ciclone, i Paracadutisti formarono due divisioni - Folgore e Nembo - del Regio Esercito, i Reparti ADRA -Arditi Distruttori Regia Aeronautica - e i Nuotatori Paracadutisti del Battaglione San Marco della Regia Marina.


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Rommel però non aveva sfruttato il successo. Era restato fermo per mancanza di rifornjmenti, sistematicamente affondati dal nemico fra la Sicilia e Tripoli - alla fine d 'ottobre gli erano arrivate solo 8.000 delle 60.000 tonnellate promessegli - e non riusciva a prendere Tobruk, mentre gli Inglesi avevano elevato il loro dispositivo. anche grazie alla fine dei combattimenti in Africa Orientale ed allineavano due corpi d'armata - XUI e XXX - costituenti 1'8° Annata, con 724 carri armati e 1.311 aerei contro 438 e 490 degli Italo-Tedeschi. Il 18 novembre il comandante britanruco Cunningham lanciò l'Operazione Crusader per rinforzare Tobruk e riprendere la Cirenaica. Con un rapporto di 4 a 3 in carri armati e quasi l al in uomini - 118.000 contro circa 100.000-dopo un buon successo iniziale a Sidi Rezegh, alle 11 del 19 novembre gli Inglesi della XXIl Brigata Corazzata urtarono la Divisione Corazzata Ariete intorno a Bir el Gobi, perdendo 52 carri al primo attacco e distraendo verso di essa gran parte delle loro forze destinate all'avanzata principale. Ciò permise ai Tedeschi ili indovinare l'obiettivo dell'offensiva, concentrarsi e contrattaccare. Al mattino del 22 novembre Rommel unì le sue divisiolli all'Ariete e riprese Sidj Rezegh. Ventiquattr'ore dopo Cuonigham scopriva di aver perso circa 18.000 uomini. d'essere rimasto con 30 carri efficienti su 257 e di non saper cosa era successo di un altro centinaio. li comandante in capo britannic,o per il Medio Oriente generale Auchinleck lo esautorò, prese il comando ed ordfaò di resistere e contrattaccare. Logorato dal nemico, il 4 dicembre Rommel seppe da Roma che non gli sarebbero più giunti rifornimenti per mare fino al tem1ine del mese, cioè finchè non fosse stato schierato in Sicilia il X Corpo Aereo Tedesco a protezione delle rotta per Tripoli, e decise di ritirarsi dalla Cirenaica tra il 7 e l '8. Il ripiegamento fu luogo, fino a El Agheila, e terminò il 6 geonajo, mentre gli Inglesi liquidavano le sacche di resistenza del]' Asse restate indietro. Ma il 21 gennaio le truppe italo-tedesche33 diedero inizio alla controffensiva. Alle 2 del mattino mossero da El-Agheila, costringendo i Britannici a ripiegare su Agedabia. U XX Corpo italiano e la 90' Divisione leggera tedesca puntarono allora su Bengasi e vi entrarono il 29. Gli Inglesi avevano perso 370 carri in una manciata dj giorni ed erano stati costretti ad abbandonare la Cirenaica. Rommel non voleva perdere tempo e riaffrontò Tobruk. Poteva farlo perché non solo la Regia Marina aveva raggiunto la superiorità coll'incursione ad Alessandria del 18 dicembre affondando due corazzate e una petroliera nemiche, ma l'aveva pure mantenuta e si preparava a vibrare un nuovo colpo colla vittoriosa Operazione Mezzo Giugno contro i convogli diretti al rifornimento di Malta. Per questo due scortatissimi convogli italiani avevano potuto portare a Rommel i rifornimenti necessari. El 26 maggio i suoi 90.000 italo-tedeschi con 560 carri e 704 aerei diedero il via alla travolgente offensiva che li avrebbe condotti fino ad El Alamein. Il nuovo comandante dell'8' Annata britannica, Ritchie, poteva opporre loro oltre 100.000 uomini, 849 carri e 320 aerei, ma fu travolto nell'operazione d'ampio respiro di Ain el Gazala. nel corso della quale i 240 carri dell'Ariete investirono a sud il forte di Bir Hacheim, tenuto daj Francesi. A nord Rommel s'avvicinò a Tobruk, lanciandole contro le divisioni corazzate tedesche 15" e 213 ed il XXI Corpo d ' Armata italiano al completo il I 9 giugno. Nella giornata del 20 i nemici, pressati dalle divisioni italiane e tedesche. bombardati dal cielo e da terra ed impossibilitati a ricevere qualunque ajuto dal loro grosso, respinto fino alla

33 Le truppe dell'Asse formavano tre blocchi sotto il comando del generale Bastico: il primo. dipen• dente direttamente da Rommel, comprendeva il XX Corpo d 'Armata motorizzato con le divisioni coraz• zata Ariete e motorizzata Trieste: il secondo, agli ordini di Ctiiwell. allineava i Corpi d'Armata italiani X - divisioni Pavia e Brescia - e XXI - divisioni Trento e Sabratha - la XV Brigata motorizzata tedesca e due reggimenti della 90' Divisione Leggera tedesca; il terzo - il vero e proprio Afrika Korps includeva il resto della 90'. le di visioni corazzate I 5' e 2 I' e tre reparti esploranti.


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frontiera egiziana, resisterono ben poco. A sera appiccarono il fuoco ai magazzini ed ai depositi per distruggerli e alle 7 ,30 della mattina seguente offrirono la resa agli Italiani. Alle 9 ,40 il generale Klopper, comandante della piazza, si arrese al generale Navarrini, comandante del XXI Corpo, insieme a 33.000 sudafricani, indiani ed inglesi, lasciando nelle mani delle forze dell'Asse centinaia di veicoli, I 0.000 tonnellate di carburanti e montagne di viveri ed equipaggiamenti. Dall'inizio dell'offensiva 1'8" Armata britannica aveva perso circa 400 pezzi d'artiglieria, oltre 45.000 prigionieri sui 100.000 effettivi avuti al principio ed era rimasta con un centinaio di carri armati. E non era fmita. Già la sera del 21 l'Armata Corazzata Italo Tedesca si rimise in movimento e, dopo una breve sosta, al mattino del 22 ripartì in direzione di Bardia. IL suo obbiettivo era ora Sidi el Barrani, che fu raggiunta attraverso il ciglione di Sollum il 25. Fatta un'altra brevissima sosta. l'ala sinistra dello schieramento dell'Asse puntò verso Marsa Matruh. Là i carri del generale Ritchie vennero nuovamente agganciati e poterono liberarsi solo a prezzo di gravi perdite, correndo poi ad attestarsi sulla verticale El Alamein-Depressione di Qattara. dove furono rinforzati da due divisioni, la 9• australiana e la 4• indiana, appena arrivate. D 1° luglio le avanguardie dell 'ACIT arrivarono alle Porte del Paradiso, in arabo: El Alamein. Erano solo 4.400 uomini con 41 carri e 71 pezzi, ma Rommel li scagliò ugualmente contro le posizioni nemiche sperando di poterle sfondare. Non riuscì: era ormai nella propria area di sfinimento strategico34. Davanti a lui tutto il dispositivo britannico si andava irrobustendo rapidamente, a differenza del suo che, logorato dall'avanzata, non riusciva neanche a ricevere dall'Europa i rifornimenti necessari a ripianare le perdite ed i consumi di materiali e di carburante. Bisognava spostare in avanti tutte le basi e le strutture d'appoggio. sia terrestri che aeree. I rifornimenti dovevano percorrere oltre 400 chilometri prima di giungere alla nuova linea in Egitto e, a causa dell'aumentata attività della RAF, non era neanche detto che arrivassero a destinazione. Il 7 luglio la fanteria di Rommel di fronte ad El Alamein ammontava a si e no 5.000 uomini. Il l 7, quando quasi tutta l'Armata Corazzata Italo-Tedesca era ormai arrivata. le sue 4 divisioni corazzate disponevano complessivamente di 58 carri armati ed erano bloccate colle punte più avanzate a l 11 chilometri da Alessandria e dal delta del Nilo. Gli Inglesi si facevano sempre più aggressivi man mano che ricevevano rinforzi, sottoponendo le truppe italo-tedesche ad un'intensa attività di disturbo con bombardamenti aerei e terrestri, incursioni d'autoblindo e di pattuglie. Il resto del mese e quello seguente furono trascorsi dalle unità deU · Asse alternando lavori di rafforzamento delle posizioni a attacchi, contrattacchi, bombardamenti ed uscite di pattuglie su tutto il fronte. da Qattara al mare. Il 30 agosto Rommel. che nel precedente mese di luglio aveva seriamente pensato di arretrare, ricevè da Berlino l' ordine di non cedere assolutamente terreno e passò all'offensiva, sperando di sfondare prima che il nemico si fosse rafforzato troppo. Ma, dopo quattro giorni di combattimenti, constatò il fallimento della sua mossa e ripiegò sulle basi di partenza. Settembre non portò novità. Le due Annate continuavano a fronteggiars.i. Sempre più forte quella britannica e, di conseguenza. sempre più debole l'italo-tedesca. Anche le prime tre settimane d'ottobre furono d'ordinaria amministrazione. Cannonate, pattuglie. caldo feroce, mosche, ghibli, sabbia che si attaccava a tutto e a tutti infilandosi ovunque, malattie. lavori di trinceramento. Poi, il SIM comunicò che il nemico avrebbe attaccato dopo il 20; e infatti s'intensificò, in quella e nelle notti seguenti, l'attività di pattuglia su tutta la linea.

34 Si chiama così la zona oltre la quale l'offensiva si spegne per stanchezza o insufficienza deUe truppe attaccanti, mancanza o difficoltà di rifornimento delle medesime e miglioramento della resistenza nemica, che diventa più forte della capacità offensiva degli assalitori.


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In realtà agli Inglesi non sarebbe servito. Sapevano che l'imminente sbarco angloamericano in Marocco, poi effettuato 1'8 novembre, avrebbe preso gli Italo-Tedeschi aUe spalle obbligandoli a ritirarsi. Ma il nuovo comandante britannico Montgomery riteneva politicamente fondamentale una vittoria inglese prima deU 'arrivo degli Americani. Occorreva per poter dire che la Gran Bretagna aveva già vinto da sola in Nord Africa. Per questo fu scatenata l'offensiva di El AJamein. 11 23 un forte bombardamento aereo ne preannunciò l'avvicinarsi. La stessa sera, alle 21,30, i 939 cannoni dell'8° Armata aprirono il fuoco su tutto il fronte dando inizio all'Operazione Piede Leggero ed alla battaglia di El Alamein. Dopo soli venti minuti di fuoco, avanzarono i pionieri, che aprirono nei campi minati i primi varchi per i carri armati e la fanteria. Respinti perdendo 600 uomini e 120 carri nel settore meridionale, gli Inglesi assalirono con tre divisioni - la 9" australiana, la 51• britannica e la 2• neozelandese del XXX Corpo d ' Arrnata - il settore settentrionale delJ 'Asse, tenuto dalla Trento. Nessuna delle tre riuscì a sfondare ed a raggiungere gli obbiettivi previsti; ma le truppe italo-tedesche ne uscirono a stento, tanto che il 26 il comando della Trento dovette far ripiegare i mezzi ed i materiali coprendo il movimento con un'azione dei carri della Littorio. Il 27 l'attacco britannico iniziò ad estendersi anche al settore della Bologna, aggredita dalla 4° Divisione indiana e dalla 1• sudafricana. L' indomani la situazione peggiorò ulteriormente: e ancora nei giorni seguenti. Poi, nella notte del 1° novembre, gli Inglesi lanciarono l' Operazione Supercarica, che disarticolò ancor di più le linee settentrionali dell'Asse. Intervennero allora i corazzati del!' Ariete35 e della 21 • Divisione germanica in soccorso dei superstiti della Littorio e della 15". A sera l'ACIT disponeva di soli 187 carri, 155 dei quali erano italiani. quindi molto inferiori a quelli nemici, e teneva in piedi ancora un simulacro di fronte. Rommel però, conscio della precarietà della situazione, nelle prime ore del mattino del 3 novembre ordinò il ripiegamento verso El Fuka. Mentre il settore settentrionale si ritirava lungo la costa premuto dai nemici, più a sud cominciava la tragedia delle divisioni italiane dei settori centrale e meridionale che, prive di automezzi. si dovevano muovere a piedi nel deserto in cui scorrazzavano i carri armati inglesi. Accadde quello che si sarebbe verificato di nuovo di Il a poco più d 'un mese sulle steppe gelate della Russia. Gli Italiani si spostavano troppo lentamente e venivano agganciati, accerchiati e, dopo resistenze più o meno lunghe, a seconda dei casi, annientati e catturati. La Brescia, la Bologna, la Pavia, la Trento, la Littorio scomparvero nel deserto, tra il fumo e le fiamme dei carri incendiati e delle cannonate che distruggevano i loro scheletriti ranghi. L' Ariete disponeva ancora di 111 carri e 12 semoventi 36 . La mattina del 3 novembre venne investita dall'8" Armata con altrettanti carri. ma molto più pesanti. Contrattaccò e si spezzettò nel deserto. Alle 15,30 mandò a Rommel il messaggio d'addio: «Carri armati nemici fatta irruzione a sud della Ariete, con ciò Ariete trovasi accerchiata. Trovasi a circa cinque chilometri nordovest Bir e/ Abd. Carri Ariete combattono»xvii_ Chi l'aveva trasmesso non sapeva che «nella notte combaflevano ancora undici carri superstiti, tutti della compagnia del Tenente Arbib Pascucci, XIII Battaglione. Il Tenente è stato ucciso e l 'ultimo carro si è incendiato prima dell'alba»31 •vili_

35 La cui linea carri era ridotta a soli 120 mezzi. 36 Dei primi, gli M 13, il capo degli interpreti tedeschi presso il XX Corpo, donor Monzel. aveva det-

to: «La probabilità di rnpravvivere, durante un attacco, in uno di tali carri - dal momemo che con tali me:-.zi non si poteva minimamente parlare di successi militori - stava al di là della sfera cui appartiene il valore come fatto morale». xvi, Rip. in CACCIA DoMIN'IONI, " El Alamein 1933-1962", Milano. Longanesi. 1971 , pag. 251. 37 Gli ultimi 6 malaadatissimi carri del Xli avrebbero avuto la presunzione di difendere la stazione di Fuka il 6 novembre contro le divisioni corazzate britanniche l', 7' e 10• segnando la fine dell'Ariete. xviii CACCIA DoMINIONl, op. cii., pag. 252.


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La Folgore sparò letteralmente fino all'ultima cartuccia, poi il 6 novembre, restata solo con baionette e bombe a mano per i 34 ufficiali e i 272 sottufficiali e paracadutisti superstiti, si schierò in riga, rese gli onori al comandante, li ebbe dagli Inglesi e si arrese38: dal! 'Italia erano venuti in 5.000. I pochi reparti cbe scamparono, prevalentemente appartenenti al settore settentrionale, si diressero verso Marsa Matrub, l'oltrepassarono e, per Sollum, Halfaya, Tobruk, Ain el Gazala, Dema, Barce. Bengasi, En Nufilia, il 15 novembre si fermarono ad Es Sultan, dove il XXI Corpo d'Armata si stava riorganizzando. Intanto La situazione dell'Asse in Africa Settentrionale era peggiorata ancora. L'8 novembre gli Anglo-Americani erano sbarcati in Marocco e in Algeria. Gli Italo-Tedeschi, serrati fra 1'8' Armata a est e gli Anglo-Americani ad ovest, non poterono far altro cbe difendersi, in vista della ormai certa e prossima fine. La prima reazione di Roma e Berlino fu l'occupazione della parte ancora libera della Francia, della Corsica e de!r Africa Settentrionale Francese, concentrando truppe e materiali specialmente in Tunisia, mentre Rommel, incurante degli ordini che il Comando italiano gli impartiva percbè imbastisse una difesa della Libia e convinto che la guerra in Africa fosse persa, si ritirava sempre più a occidente, abbandonando agli Inglesi Tripoli e tutta la Tripolitania. Il 26 gennaio 1943 le retroguardie italiane raggiunsero la zona del Mareth, in Tunisia, attestandosi nelle opere fisse francesi del settore, riattandole e rinforzandole durante tutto il mese di febbraio e la prima settimana di marzo, mentre Rommel si volgeva ad Occidente e cercava di ributtare a mare gli Anglo-Americani. IJ 14 febbraio attaccò e travolse gli Americani al Passo di Kasserine, mantenendo poi l'iniziativa per tutta la settimana. Subito dopo diede il via all'Operazione Capri destinata a ritardare il congiungimento dell'8" Armata, ferma davanti al Mareth, colle forze anglo-franco-americane provenienti da ovest. Ma gli andò male. Arrestato dal violentissimo fuoco di sbarramento dell'artiglieria britannica dovette sganciarsi già il 6, mentre gli Inglesi premevano sulla linea del Mareth per sfondarla. Ben presto la loro manovra si delineò come un aggiramento sulJa destra dell'Asse e raggiunse una tale minacciosità da indurre il comando della l'Armata italiana ad ordinare l'arretramento sulla linea dell'Uadi Akarit, raggiunta il 26. La manovra fu tutto sommato un successo. Il generale Messe, al comando dell'Armata dal 20 di febbraio, era riuscito ad arrivare senza grossi danni su un fronte lungo solo 11 chilometri e dotato di tre posizioni che dominavano completamente lo schieramento avversario. Montgomery, conscio che la sua superiorità in uomini e mezzi sarebbe stata notevolmente ridimensionata da un attacco diurno contro le nuove linee italiane, ordinò una nuova offensiva per la mezzanotte del 5 aprile. All'alba gli Inglesi assalirono la giunzione fra le divisioni Trieste e La Spezia, riuscirono a sfondare e poi, vistisi contenuti, si rivolsero a destra e continuarono a progredire. A sera von Arnim, cbe aveva sostituito Rommel alla testa dell'Afrika Korps, decise la ritirata delle truppe dell'Asse, nonostante i] parere contrario di Messe. Gli Italo-Tedeschi, che in due battaglie avevano perso 17.000 uomini e moltissimo materiale, riuscirono nuovamente a sganciarsi dall' accerchiamento che i Britannici, provenienti da est, e gli Anglo-Franco-Americani, in arrivo da ovest, stavano tentando ai loro danni e la l'Armata, riempita di mine la strada su cui si ritirava, sfilò davanti agli Alleati in direzione di Sfax, Susa ed Enfidaville. Sei giorni più tardi l'artiglieria britannica aprì i] fuoco per preparare l'attacco della fanteria contro Takruna - un piccolo rilievo dalle pendici aspre, sormontato da un villaggeno - che, con Enfidaville. costituiva l'ultimo ostacolo fra 1'8° Armata e Tunisi. Dopo otto ore e mezzo di bombardamento preparatorio, annientato il caposaldo di Dj Bir. i fanti neozelandesi della 2"

38 LI latore della richiesta di resa. presentandosi agli Inglesi. disse: «Premesso che non abbiamo più munizioni , né armi. ci arrendiamo».


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Divisione, appoggiati dal frenetico fuoco dei loro cannoni, impegnarono i difensori italiani, sostenuti da una ridotta aliquota germanica, per tutta la giornata del 20. All'alba del 21 attaccarono di nuovo ed impegnarono tutti i capisaldi, riuscendo lentamente a sloggiarne i difensori. Gli ultimi centri di fuoco combatterono ancora fino al pomeriggio del giorno seguente. Dei circa 900 italiani complessivamente impiegati a Takruna ne uscirono illesi si e no 50. L'8" Armata non aveva avuto però il successo che si aspettava. Era vero che aveva conquistato Takruna ed EnfidavilJe, ma nolil era riuscita ad oltrepassarle ed era ferma alle pendici del Gebel Garci, 500 metri sul livello del mare, ancora saldamente in mano agli Italiani. Messe aveva vinto la battaglia difensiva39 pur trovandosi in condizioni di assoluta inferiorità, grazie al grandissimo valore dei suoi soldati, fatto riconosciuto dallo stesso generale Alexander che scrisse poi: « ...notammo che gli Italiani si battevano particolarmente bene, molto meglio dei Tedeschi ... »xix. Comunque Montgomery poteva permettersi di non aver fretta e rimase fermo ad aspettare che altri facessero il lavoro di cui non era capace. La t • Armata inglese, comprendente anche Americani e Francesi, aveva infatti attaccato il fronte occidentale, tenuto dai Tedeschi di von Am.im. sfondandolo irrimediabilmente il 6 maggio. li 7 gli Alleati entrarono a Tunisi e Biserta. L'8 l'Alto Comando dell'Esercito Tedesco4-0 comunicò che l'Africa sarebbe stata definitivamente abbandonata, evacuando i 30.000 italiani ed i 3 l.000 tedeschi che ancora vi si trovavano. Non fu possibile. Il lO gli Alleati erano gjà alle spalle della I• Armata italiana, mentre I' Afrika Korps era tagliato in tronconi e il XXI Corpo d'Armata italiano, finite le munizioni, si doveva arrendere. L' 11 la 90• Divisione tedesca fu annientata a Bou Ficba dalle preponderanti unità corazzate alleate. Alle 18 von Arnim si arrese con tutte le truppe germaniche d'Africa e mandò un ultimo messaggio di saluto a Messe dicendo fra l'altro: «Truppe italiane, specialmente arziglieria, si sono battute magnificameme, degne loro glorie»xx. A sud il XX Corpo d'Armata si difendeva ancora disperatamente, non per la vittoria ma solo per l'onore, comunque già salvo da un pezzo. Il 12 il Comando Supremo italiano ne autorizzò la resa. «Oggi è stata 1111a giornata grandiosa per la nostra artiglieria. Hanno sparato tutto ciò che avevano ancora. Poi, prima di sera, si son sentite delle detonazioni diverse: i pez.zi, esaurite le munizioni venivano fatti saltare>>•xi. «J 3 maggio 1943. È la.fine! Col Quartier Generale del XX corpo d'armata, mentre il capitano Morani grida: «Viva l'Italia! Viva il Re!» termina la nostra guerra in Tunisia»x•ii_

39 Una battaglia può definirsi vinta solo quando l'auaccante abbia distrutto la capacità operativa dell'avversario od abbia raggiunto gli obbiettivi che si era prefissati. In queso caso Montgomery non aveva ottenuto nessuna delle due cose, per cui il vincitore era Messe, che era riuscito ad impedire lo sfondamento della via di Tunisi e la distruzione della propria armata. xix Alexander. rip. in, BAUER «Storia Controversa della Il Guerra Mondiale», Novara. De Agostini, 1976, Voi. IV, pag. 317. 40 O.K.W.: OberKommando der Wehnnacht. xx VoN ARNIM. rip, in, «BAUER, op. cii.», voi. cit. pag. 321. xxi G. BERTO, «Guerra in camicia nera». Milano, Longanesi, 1967, pag. 211. xxi, Diario del rv Btg. e/e Granatieri di Sardegna. pag.1 15, ultimo giorno.


CAPITOLO XLIII

LAGUERRAAITEDESCIB: 1943-1945

I) Dallo sbarco in Sicilia alla difesa di Roma: 1943 Conquistata r Africa Settentrionale, gli Alleati non persero tempo e, presa rapidamente Pantelleria dopo sei giorni di bombardamenti aerei, puntarono sulla Sicilia senza essere contrastati dalla Regia Marina, il cui Stato Maggiore molto a corto di carburante riteneva più opportuno conservare le navi come '•flotta in potenza", per avvalersene in un'eventuale sede negoziale. Del resto fino a quel momento la Marina aveva perso oltre 35.000 morti. 87 navi di vario tonnellaggio, 85 sommergibili e aveva dovuto porre in disarmo per mancanza di combustibile tre delle sue corazzate. Gli Inglesi allineavano 1'8• Armata al completo, gli Americani la 7'. In totale nell'Operazione Husky erano impegnati 467.000 uomini, 14.000 veicoli, 600 carri armati, 1.800 cannoni, 2.500 navi da trasporto. 400 mezzi da sbarco e 750 navi da guerra. La Sicilia era presidiata dalla 6• Armata, dal 30 maggio al comando del generale Guzzon.i. Erano 230.000 italianil, che salivano a 315.000 includendo le forze della Marina e dell'Aeronautica - e circa 40.000 tedesch.i, con 800 aerei della Luftwaffe e 700 della Regia Aeronautica. Guzzoni notò subito le manchevolezze dell'apparato difensivo, domandò a Mussolini altre due divisioni motorizzate come minimo - e, indovinando in pieno, individuò, nel settore sud-orientale dell'isola la zona dello sbarco. Vi destinò le forze italiane, ma non le tedesche, perché il Feldmaresciallo Kesselring era convinto che fosse meglio tenerle al centro e a ovest; e per questo motivo aveva ordinato lo spostamento verso occidente della 15• Divisione Granatieri Corazzati. Sarebbe stata una delle cause della sconfitta subita poi a Gela e della successiva perdita del!' isola. Tra il 18 giugno - da Lisbona - e il 5 luglio, il Serviz.io Informazioni Militari raccolse dati sufficienti a stabilire che la Sicilia sarebbe stata attaccata, da chi e quando. I Tedeschi obiettarono che tali infonnazioni potevano essere attendibili, ma che loro si aspettavano sbarch.i simultanei pure in Grecia e Sardegna. Alle 12,45 del 7 luglio Guzzoni fu avvisato dallo SMRE dell'imminenza dello sbarco e, alle 19 del 9, grazie ai ricognitori sapeva che era orma.i questione di pochissime ore. Preceduti da lanci di paracadutisti nella notte, all'alba del 10 gli Alleati sbarcarono. Avvertito a mezzanotte e un quarto di quanto stava accadendo, all'una del mattino del 10 Guzzoni aveva già dato l'allarme a tutte le sue unità facendole affluire verso la costa tra Gela, Licata e Siracusa, fano demolire i moli di Gela e Licata di cui il nemico contava di servirsi e ordinato di contrattaccare. Non sapeva però che il Governo statunitense aveva preso accordi colla Mafia italiana tramite quella italo-americana: anche se lo avrebbe ammesso soltanto dopo oltre quarant'anni2.

I Corpi d" Armata Xll- divisioni Assietta. Aosta e divisioni Costiere 202', 207'. 208', appoggiate dal Gruppo corazzato tedesco Ens - e XVI - Divisione Napoli, le costiere 213' e 206', le brigate costiere XVJTI e XIX - più la Divisione Livorno in riserva d'Armata e le divisioni tedesche Hennann Géiring e 15 - Panzergrenadieren. 2 Grazie a Lucky Luciano, gli Americani avevano preso contatto con Calogero Vizzini. considerato il


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In cambio di scarcerazioni, immunità e nomine nell 'apparato amministrativo locale durante l'occupazione, i mafiosi a piede libero si erano impegnati a sabotare l' apparato difensivo italiano, in larga parte composto da Siciliani, premendo sui soldati perché disertassero. Così quando I'8° Armata al completo prese terra addosso alla 206• Divisione Costiera italiana, sparpagliata lungo 132 chilometri di litorale, non ci fu storia: gli Italiani - inferiori al la sola prima ondata nemica per 1 a 3 e senza carri armati - furono annientati. Augusta e Siracusa furono poi abbandonate dai loro difensori; e 1'8° Armata puntò su Catania. Montgomery voleva entrarci subito; ma ebbe bisogno di 23 giorni di durissimi combattimenti per riuscirci, perchè Guzzoni aveva rafforzato il settore a sud della città dandolo al generale Passalacqua, che resse benissimo. La 7° Armata americana sbarcò a sud di Gela, dove però lottò duramente contro le unità costiere3 e fu contrattaccata dalla Divisione Livorno con circa 50 antiquati carri armati. «Gli ordini prontamente impartiti dal generale Guzzoni alla Divisione Livorno furono eseguiti con sorprendente rapidità. Se anche la Divisione Hermann Goering avesse attaccato non appena ricevuti gli ordini, il 1O luglio, è quasi certo che le forze italo-tedesche avrebbero ricacciato in mare gli americani, ma poiché il grosso della divisione dovè essere richiamato da Caltagirone, non entrò in azio11efino ai giorno successivo e nonostante i loro coraggiosi tentativi gli italiani dq soli non erano abbastanzaforti»i. Guz.zoni chiese subito il concentramento delle unità tedesche e l'unione della 15• Divisione alla Livorno per contrattaccare ancora. J Tedeschi arrivarono in ritardo all' appuntamento; e il generale Chirieleison non li aspettò. Lanciò i fanti all'assalto allo scoperto verso Gela, coadiuvato da un bombardamento della Regia Aeronautica sulla testa di sbarco, ma fallì col 50% di perdite. Quando finalmente i carri germanici apparvero e attaccarono furono battuti dal fuoco navale. Guzzoni ordinò di reiterare i contrattacchi. Alle 11 ,30 la 6" Armata italiana intercettò un messaggio in cui Patton diceva di tenersi pronti a reimbarcarsi; ma gli Americani ressero grazie al fuoco navale e, alla fine, poterono raggiungere i loro obiettivi. Allora, davanti alla lentezza degli Inglesi ancora bloccati fuori Catania, il generale Patton decise di muoversi autonomamente, puntando verso Palermo e, da là, su Messina, per precedervi Montgomery e tagliare la ritirata alle truppe dell'Asse. La Divisione Assietta tentò di sbarrare la strada alla 7• Armata - 1 a 20, come poteva riuscirci? - e Palermo fu raggiunta e presa rapidamente. Nonostante il generale Molinero ne avesse predisposto la difesa, cadde quasi senza combattimenti nel giro di sei ore, lasciando agli Americani 10.000 prigionieri, in gran parte dei comandi e dei servizi. Proseguendo l'avanzata verso Messina, la 7" Armata Americana fu rallentata a Troina, dove il 4 agosto i militari della 15" Divisione tedesca e della Divisione Aosta contrattaccarono ben 24 volte; ma alla fine la 7' raggiunse Messina e costrinse i resti delle unità dell'Asse a ripassare lo Stretto e ad attestarsi in Calabria. La ritirata italo-tedesca incominciò intorno al 10 e fu ultimata nella notte dal 16 al 17 agosto. «Fu una delle più clanwrose ritirate per mare di tutta la guerra, da allineare con Dunkerque e Guadalcana/. Per la verità, molto meglio di Dunkerque dove il corpo di spedizione fu costretto a distruggere o ad abbandonare la maggior parte del suo equipaggiamento. I tedeschi evacuarono 39.569 uomini... 9.605 veicoli, 47 carri armati, 94 cannoni... Gli italiani pas-

capo della Mafia siciliana. concedendogli qualsiasi cosa: ad esempio solo in provincia di Palermo la Mafia onenne i sindaci di 76 paesi su 82 dopo l'occupazione americana. L'appoggio si concretò non solo nell'incitamento alla diserz.ione nei confronti dei militari. ma nell 'uccisione degli ufficiali delle divisioni Aosta e Assietta che erano decisi a resistere e nella guida dei reparti americani attraverso la pane occidentale dell' isola. 3 Per esempio il CDXXIX Battaglione Costiero ebbe perdite del 45%. i H. PoUND, "Sic ilia", Mila.no, Longa.nesi, 1964, pag. 141.


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sarono ... con: 62.000 uomini, 227 veicoli, 41 cannoni e 12 muli (!)»ii. Restavano in Sicilia 8.603 morti (4.278 italiani e 4325 tedeschi) e 132.000 prigionieri, presi insieme ai rottami di 260 carri distrutti e 500 cannoni. Gli ALieati avevano perso 4.299 morti e 3.242 dispersi. L'obiettivo successivo fu la Calabria, dove gli Inglesi sbarcarono il 3 settembre, preparandosi allo sbarco seguente che sarebbe stato effettuato a Salerno il 9. Intanto, presa la Sicilia i bombardieri anglo-americani poterono rischierarvisi e raggiungere facilmente tutte le città italiane, aggravando quindi la situazione militare e politica del Regno. Fino al 1943 l'Italia era stata toccata marginalmente dalla guerra, a parte alcune incursioni aeree d'entità relativamente ridotta; ma ora le cose cambiavano. Perso l'Impero, persa parte del territorio metropolitano e bombardato il resto, constatata l'incapacità dei Tedeschi di vincere la guerra ed il loro sempre più evidente proposito di difendere la Germania in Italia, i vertici politici e militari avevano cercato, fin dal principio dell'anno, di fare in modo che Mussolini si sganciasse da Hitler e ponesse termine al conflitto con una pace separata. Visto che il Duce era invece sempre più succube di Hitler e totalmente incapace anche solo di far presenti le esigenze e gli interessi italiani, le speranze cominciarono a convergere sul Re. Per comprendere ciò che accadde e per quale motivo: e perchè solo allora e non prima, bisogna perdere un po' di tempo a considerare la particolarissima situazione istituzionale in cui l'Italia si trovava allora. Il Partito Nazionale Fascista, che aveva accentuato in tutti i modi la preminenza della propria immagine su quella dello Stato, aveva mirato all'esaltazione, tipica di ogni dittatura, della figura del Capo, cioè Mussolini. Ma l'operazione propagandistica, veniva invalidata dall'insopprimibile presenza di un alter ego di grande prestigio: il Re. Mussolini restava, formalmente, una persona alla quale Vittorio Emanuele 111 aveva delegato alcuni dei propri poteri e alla quale, almeno in teoria, nulla impediva che li potesse togliere se e quando lo avesse ritenuto opportuno. Questa la teoria; ma la pratica qual era? In altre parole: se il Sovrano avesse deciso di riprendersi i poteri, avrebbe avuto la capacità, cioè la forza, di farlo? Cosa sarebbe accaduto se Mussolini, messo davanù ad una simile eventualità, si fosse rifiutato di restituirglieli? Il problema era tutt'altro che accademico. I tradizionali pilastri della monarchia sabauda erano tre: il popolo, l'apparato burocratico dello Stato e le Forze Armate. Di questi: il primo era. a quanto si poteva vedere, tutto fascistizzato. La capillare opera di propaganda del Regime sembrava aver avuto pieno successo. Milioni d ' Italiani erano iscritti al P.N.F. Era difficile dire quanto lo fossero per convinzione e quanto per opportunità; e non era possibile capire da che parte il popolo si sarebbe schierato in caso di scontro fra Monarchia e Partito. L'entità della reazione di gioia seguita ai fatti del 25 luglio fu una sorpresa per tutti perchè, dopo ventun'anni d'imbavagliamento del dissenso e di magnificazione della vastità del consenso politico. nessuno aveva più modo di comprendere la realtà della situazione. Lo stesso discorso valeva per la burocrazia. L'apparato statale era ormai composto solo da funzionari iscritti al Partito. Cosa ci si poteva aspettare da loro? Restava l'ultimo pilastro, il più vecchio, il più. sicuro, il più forte. Per quanto interessava la soluzione d ' una crisi istituzionale interna ciò che contava era il controllo del territorio, che solo le truppe di terra potevano garantire. Ora, nelle Forze Armate in generale e nel Regio Esercito in particolare, il personaggio più importante in assoluto era e restava il Re [mperatore. Al secondo posto veniva Sua Altezza Reale Umberto di Savoia, principe di Piemonte, erede al trono, generale d'armata ed ispettore dell' Arma di Fanteria; poi. terzo, il Duce.

ii POl'ND. op. cit., pagg. 333-334.


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Ma il problema era che anche questo pilastro era reso poco sicuro da due fattori, esterni a esso ma decisivi: la guerra e la Milizia, che faceva da contraltare al Regio Esercito. Fra le due parti non correva buon sangue poichè l'uno guardava all'altra come un professionista ad una dilettante presuntuosa, venendone ricambiato col rimprovero d'essere poco fascista, cioè, implicitamente, poco patriottico e poco italiano, perchè apolitico e dunque, dal punto di vista del Partito, inaffidabile. Ciò era ovviamente una garanzia di lealtà al Re ma. essendo le Forze Armate impegnate a fondo in una guerra, quanto le si sarebbe potute adoperare contro il Fascismo in caso di crisi, specie se la Milizia avesse rivolto le armi contro la Monarchia? Questa naturalmente era un'eventualità, ma si faceva più concreta man mano che si avvicinava la fine del conflitto, qualunque potesse essere. Infatti, in caso di sconfitta, ci sarebbe stata sicuramente una crisi istituzionale; e la Corona per sopravvivere avrebbe potuto giocare solo la carta della dissociazione dal Partito, riversando su di esso tutte le responsabilità dell'entrata in guerra e della cattiva condotta della medesima. L'operazione non sarebbe certo stata indolore ed avrebbe visto la sopravvivenza solo della più forte delle due parti, cioè della meglio armata. Ma se invece l'Asse avesse trionfato, paradossalmente la Monarchia sarebbe stata altrettanto e forse più in pericolo che nel caso di una sconfitta; e questo perchè era da lungo tempo in atto una lotta sotterranea fra essa ed il Regime. U Fascismo, da anni, tendeva a relegare in secondo piano la Corona con atti piccoli ma significativi: ad esempio l'innalzamento di «Giovinezza» al rango di inno nazionale, da suonare dopo la «Marcia Reale». questo si, ma riducendo quest' ultima a così poche battute da farla sembrare l'introduzione all'altra. Ancora: il conferimento paritario, al Re e al Duce, del grado di Primo Maresciallo dell'Impero, a simboleggiare l'uguale importanza gerarchico-militare delle due persone, prodromo dell'estorsione, chè tale era stata, al Sovrano della delega a Mussolini del comando supremo in guerra. Si trattava di fatti apparentemente minimi. ma che, oltre ad avere un enorme peso istituzionale, concretavano esteriormente il desiderio di Mussolini di eliminare la Monarchia e rimanere l'unico e indiscusso capo della Nazione; e nella realizzazione di questo desiderio avrebbe sicuramente ricevuto il sostegno di Hitler, che si era sempre proclamato suo allievo, amico ed ammiratore e che aveva spesso lasciato trasparire una forte insofferenza per la monarchia italiana. Ora, poichè il Duce aveva appunto dichiarato a più riprese. anche se in forma privata, il suo intendimento d'appoggiarsi al Fiihrer per sbarazzarsi della Corona dopo la guerra e poichè, di solito, i muri intorno ai politici hanno molte più orecchie di quanto non s'immagini e sempre almeno una bocca per raccontare quel che hanno sentito, è molto probabile che il Re si sia reso perfettamente conto di quale rischio correva. La fine vittoriosa della guerra avrebbe portato all'instaurazione dell'Ordine Nuovo e, di conseguenza, alla totale preminenza della Germania sul mondo, ad un rafforzamento del prestigio di Mussolini ed alla concreta possibilità che si sentisse abbastanza forte per eliminare la Monarchia. Vittorio Emanuele lll però agì con una lentezza ed una circospezione tali da far pensare che non avrebbe fatto nulla senza il generale Ambrosio. Infatti gli eventi che portarono alla caduta di Mussoli.ni partirono dal proposito che Ambrosio, succeduto a Cavallero nel gennaio 1942 alla testa del Regio Esercito e, sempre a Cavallero, nel febbraio '43, allo Stato Maggiore Generale, formulò, appunto nei primi mesi del 1943, per togliere di mezzo il Duce, condicio sine qua non era possibile sganciarsi dalla Germania e concludere una pace separata cogli Alleati. Sia come sia, tra febbraio e luglio, man mano che la sconfitta si materializzava all'orizzonte, maturava il colpo di Stato militare. La notizia della convocazione del Gran Consiglio del Fascismo si inserì nella preparazione della congiura e ne determinò la data. U 24 luglio Badoglio, assente dalla vita pubblica da due anni, fu informato che avrebbe dovuto prendere il posto di Mussolini, ma non gli fu specificato quando. Poi il generale Castellano, longa manus di Ambrosio, convocò il generale Ruggiero, comandante della Granatieri di Sardegna, e gli ordinò di staccare dalla sua Divisione, collocata in difesa costiera, alcuni reparti da inviare a Roma.


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Ruggiero ubbidì; ed il 25 mattina giunsero in città due battaglioni di granatieri, che furono dislocati uno intorno al Viminale e l'altm fuori di Villa Savoia, residenza privata del Re. Il Gran Consiglio iniziò alle L7 di sabato 24 luglio e terminò alle 2 del mattino del 25. Alle 3 Grandi, estensore deU"ordine del giorno che aveva posto Mussolini in minoranza, informò il duca Acquarone, ministro della Real Casa. che, a sua volta, alle 6 riferì al Re. Quando Vittorio Emanuele III apprese l'inaspettato esito della riunione - 19 voti favorevoli a Grandi, 8 contrari ed un astenuto - comprese che il Partito Fascista era così spaccato da non essere in grado di sostenere una prova di forza colla Corona e decise di chiudere la partita. Alle 17 Mussolini arrivò a Villa Savoia. Ne uscl venti minuti dopo. chiuso in un'ambulanza e scortato dai Reali Carabinieri. Alle 22,45 il giornale radio comunicò che: «Sua Maestà il Re e Imperatore ha accettato le dimissioni dalla carica di capo del governo, primo ministro segretario di Stato del cavaliere Benito Mussolini ed ha nominato primo ministro segretario di Stato il cavaliere maresciallo d'Italia Pietro Badoglio»iii_ E fu il tripudio popolare, ma la guerra continuò. Nei 45 giorni seguenti, il Governo del Re prese contatto cogli Alleati ed arrivò rapidamente alla firma dell'armistizio di Cassibile, il 3 settembre, trovandosi, a questo punto, davanti al problema di come comportarsi coi Tedeschi. Dopo l'arresto di Mussolini la Wehrmacht aveva subito inviato in Italia altre 6 divisioni. raddoppiando quindi i propri effettivi, e poi altre ancora. Hitler era convinto che la Corona avrebbe fatto la pace separata e si preparava a garantirsi il possesso della Penisola con tutti i mezzi. A tanta decisione dei Tedeschi gli [taliani opponevano il più completo smarrimento. Il Regio Esercito, numericamente fortissimo - aU'8 settembre contava 3.700.000 uominiera sparso ai quattro venti. L' 11 • Armata presidiava la maggior parte del territorio ellenico; la 2° era in Croazia e Dalmazia; la 9" in Albania e nella Jugoslavia meridionale. Altre unità erano nell'Egeo e, dal novembre 1942, in Provenza e in Corsica. Cosa avrebbero dovuto fare alJ'atto della pubblicazione dell'armistizio? Era veramente un salto nel buio, perchè mai prima d'allora era capitata nel mondo una cosa del genere. L' unico accostamento che si tentò di fare fu col capovolgimento di fronte di Vittorio Amedeo Il nel 1703; ma il paragone non reggeva. Allora i Savoia erano stati corteggiati, sollecitati ed allettati in tutti i modi dagli Alleati, che poi a ve vano mantenuto le proprie promesse. Ora invece era stata intimata ed accettata la resa senza condizioni, anche se temperata da promesse verbali, che poi però non sarebbero state mantenute. Nel 1703 l'esercito ducale era diviso in due parti: una in Piemonte ed una in Lombarctia, e si era salvato dalla distruzione per un soffio. Cosa sarebbe successo ora a quello regio che era diviso in otto parti? Per condurre in porto felicemente una simile operazione sarebbe occorso un abile equilibrista, deciso, rapido e spregiudicato; e si affidò tutto a Badoglio, che non si dimostrò all'altezza deUa situazione e si defilò - dissero i maligni - come a Caporetto e dopo la presa dell'Impero. Premesso che all'atto della resa le 49 divisioni e reparti vari del Regio Esercito dipendevano dallo Stato Maggiore Regio Esercito se stanziate in Italia, Slovenia (considerata territorio metropolitano perchè annessa), Croazia, Corsica e Provenza; e dallo Stato Maggiore Generale - insieme alla Regia Marina ed alla Regia Aeronautica - se stanziate in Erzegovina, Montenegro, Albania, Grecia ed Egeo, la storiografia ufficiale sostenne in seguito che quanto era accaduto dopo l' armistizio andava imputato all'equivoco in cui Badoglio, Ambrosio e Castellano erano caduti riguardo alla data di pubblicazione dell'armistizio stesso. E disse pure che, comunque. lo Stato Maggiore del Regio Esercito « ..aveva fatto pervenire alle Grandi U11i1à dipendenti ... disposizioni precise e tutto sommato tempestive: memoria 44/0P del 2 setiii Rip. in P. MONELLI, «Roma 1943». Cles, Mondadori, 1979. pag. l IO.


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tembre /943, marconigramma 11/35708 del 5 settembre, memoria 45/OP del 6 settembre.fono a mano 36415 del giorno 8»iv, Ora, è abbastanza vero che le disposizioni arrivarono ad una parte dei comand.i, venendo diffuse talvolta fino al livello reggimentale. ma è altrettanto vero che non vennero attuate. Sul come e perchè ciò avvenne molto è stato scritto in opere specifiche e dunque non è il caso di tornarci sopra. Ma va notato che da molte parti si sostenne, anche su pubblicazioni ufficiali. che lo Stato Maggiore Generale emanò «disposizioni tardive, sostam:.ialmenie inattuabili e che in taluni casi nemmenr> giunsero a destinazione»' e che il testo della famosa 44/0P, restato pressocchè sconosciuto al grande pubblico per decine d 'anni, era assai oscuro. Per ragioni di segretezza. infatti, essa doveva essere, e fu, distrutta dai destinatari subito dopo la lettura. Caso volle che poi, di tutti i comandi di grande u.nità complessa che la riceverono, solo pochi riuscirono a sopravvivere alla bufera; e tra questi ce ne fu uno del quale sappiamo tutto, cioè quello della Corsica. Al di là di qualunque commento e polemica, vale la pena riportare il contenuto delle «disposizioni precise e tutto sommato tempestive»4 che giunsero laggiù in quei giorni. Ce lo dice il generale De Lorenzis, già comandante del glorioso 31 ° Carristi, che all'epoca era il generale di brigata a capo della fanteria della Divisione Friuli, stanziata in Corsica: «Soltanto il 4 settembre egli5 poteva prendere visione della famosa «Memoria 44» (portatagli da Roma da un ufficiale di Stato Maggiore) nella quale peraltro non si faceva parola di alcuno piLì o meno prossimo armistizio. Si accennava però alla probabile eventualità di aggressir>ni tedesche, suggerendo misure di precau:.ione per opporvisi (disposizioni protettive per evitare sorprese e distruzioni o inutilizzazione di magazz,ini, depositi, manufatti eccetera). Un indubbio preallarme dunque nei riguardi dei Tedeschi6, ma nulla di phì. la «Memoria 45», di pitì chiaro indirizzo e orientamento gli giungeva soltanto il 10 sertembre, due giorni dopo l'annuncio dell'armistizio, quando gli Italiani in Corsica erano già in guerra coi Tedeschi. E solta11to il mattino del giorno / I gli perveniva (per tramite del Coma11do Marina) un telegramma di definitiva chiarificazione afirma ge11erale Roatta: «Considerate Tedeschi come nemici.» Quale tempestività»!•• Se questo fu quel che accadde per comunicare gli ordini alla Corsica, si può facilmente immaginare il caos in cui poterono trovarsi altri comandi, a partire da quello della Piazza di Roma. Alle 17.45 la Reuter diede notizia dell'armistizio intercorso tra gli Alleati e l'Italia. Alle 19,45 Badoglio lesse ai microfoni deU-E.I.A.R. il comunicato italiano; e cominciò la catastrofe. TI messaggio del Maresciallo era stato molto generico perchè aveva solo parlato di reagire a tutti gli attacchi da qualunque parte fossero venuti; ma cosa si dovesse fare veramente nei confronti dei Tedeschi e degli Alleati non l'aveva detto. Quel che avvenne a Roma è sintomatico. Alla difesa esterna della capitale erano preposti la Divisione Piacenza del XVII Corpo e il Corpo d'Armata motocorazzato del generale Carboni. composto dalle divisioni corazzate Ariete e Centauro7• dalla Piave - motorizzata - e dalla Granatieri di Sardegna. iv N.N. in «Quadrante», n. 5/6 del 16 mano - 5 aprile 1988, pag.30. v Idem, ivi. 4 Un' altra ricostruzione della 44/0Pè data da Paolo Monelli nel suo «Roma 1943». però è indirena e basata su quanto gli fu detto da chi la lesse o ne ebbe notizia. 5 Si parla del generale Magli, comandante del VII Corpo d ' Armata, cioè delle truppe d 'occupazione della Corsica, rientrato da Roma il giorno prima e completamente all' oscuro dell'imminente armistizio, nonostante avesse avuto numerosi contatti coi più alri gradi dello S.M.R.E. 6 fooltre. per maggior segretezza, nel testo della 44/OP non si parlava che di «Comunisti», col quale tenni.ne si volevano indicare però i Tedesc hi, tanto per la chiarezza e la precisione. •i G. De Lorenzis, «Dal primo all 'ultimo giorno», Milano. Longanesi. 1971, pag 259. 7 Centauro era il nome col quale era stata ribattezzata la Littorio dopo il 25 luglio ed il conseguente assorbimento della Milizia nell ' Esercito, meno la Forestale, da cui nacque il Corpo Forestale dello Stato.


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La difesa interna era affidata al Corpo d'Armata di Roma. comandato dal generale Barbieri, formato dalla Divisione Sassari e dai reparti del presidio. consistenti in una ventina di battaglioni addestramento. nel Genova Cavalleria, nei depositi reggimentali e nelle forze di polizia (Reali Carabinieri, Regia Guardi.a di Finanza e Polizia dell'Africa Italiana). A tutte queste unità, che già in agosto erano state poste agli ordini del generale Roatta, la sera dell '8 furono aggiunte le divisioni di fanteria Re e Lupi di Toscana, provenienti dalla Croazia come la Sassari, e gli elementi, presenti nel settore litoraneo antistante Roma, delle divisioni costiere 220° e 221" del XVIl Corpo, che però erano sparpagliate in minuscoli presidi ed osservatori lungo un tratto di costa di 310 chilometri, da Tarquinia al Volturno. La Granatieri e la Piave erano schierate intorno alla città, da sud per ovest a nord. Cìrca 50 chilometri a nord della Piave, nella zona di Manziana e Monterosi, oltre il Lago di Bracciano, era stata posta l'Ariete a sbarramento della Via Cassia; mentre ad oriente di Roma, fra Tivoli e Guidonia, era situata la Centauro. A queste forze i Tedeschi potevano opporre: la 3" Divisione Corazzata, stanziata presso Viterbo, la 2• Divisione Paracadutisti, fra Pratica di Mare ed Ostia, quindi non molto lontana da Roma, che fu rinforzata da alcuni battaglioni trasferiti in volo dalla Francia nella notte fra il 9 ed il 10, e infine alcune migliaia di soldati dei comandi, dei servizi e della sanità. In totale quindi otto divisioni italiane più l'equivalente di almeno altre due, concentrate, per un complesso di 100.000 uomini, dei quali 66.000 combattenti, fronteggiavano due divisioni tedesche più si e no l'equivalente di una terza, lontane fra di loro e sparpagliate. Non sarebbe dovuto essere difficile tenere Roma, distruggere le unità nemiche e bloccare la ritirata di quelle presenti nel! ' Italia Meridionale; ma non successe, perchè al momento cruciale mancò il comando e coordinamento proprio da parte del vertice delle Forze Armate. Se ne erano andati tutti: il Re, il Principe ereditario, Badoglio e il Governo. Nella notte dall'8 al 9 avevano lasciato la capitale diretti a Pescara. dove si erano imbarcati per la Puglia. A Roma il Ministero della Guerra e gli Stati Maggiori, rimasti privi dei loro vertici e totalmente al.l'oscuro del contenuto degli accordi d'armistizio e delle disposizioni della 44/OP, non furono in grado di fornire la minima spiegazione a chi, per telefono od a voce, gliene chiedeva dalla Francia, dalla Jugoslavia, dalla Grecia, dalrltalia e dalla città stessa. E per di più il generale Carboni scomparve, lasciando il proprio Corpo d'Armata privo di quegli ordini e di quel coordinamento che avrebbero impedito la caduta della capitale e sicuramente cambiato il corso della guerra per l' Italia. Il risultato fu che le divisioni dovettero agire improvvisando e attenendosi, almeno in un primo tempo, alla disposizione assurda di non aggredire i Tedeschi. Il settore più interessato ai combattimenti fu quello della Granatieri di Sardegna, che occupava una linea di 22 chilometri, che andava dalla Via di Boccea, a nord di Roma, per l' Aurelia, scavalcando il Tevere, attraverso I.a zona dell'Esposizione Universale di Roma (EUR), fino a sud e a est, oltre la Via Prenestina, verso la Nomentana, fronteggiando quindi la 2' Divisione Paracadutisti tedesca. Nella notte fra 1'8 ed il 9, subito dopo la trasmissione della notizia dell'armistizio, il comando germanico diramò la parola in codice «Achse», Asse, che indicava l 'ordine d'assalire le truppe italiane. La 3• Divisione Corazzata si mise lentamente in moto verso sud. La 2• Paracadutisti, dopo aver aggredito alcuni posti tenuti da militari delle divisioni costiere, iniziò a disarmare la Piacenza, mentre i comandi germanici fuggivano precipitosamente da Roma. Intanto a nord, oltre il Lago di Bracciano, l'Ariete, che all'una del mattino del 9 aveva ricevuto l'ordine di mandare alcuni repartiS alla Granatieri di Sardegna, dall' alba aveva intercettato e fissato la 3• Corazzata tedesca, infliggendole consistenti perdite in uomini e mezzi. Lo scontro era in pieno svolgimento e volgeva al meglio quando giunse uno stranissimo ordine di Carboni secondo il quale, poichè Roma non poteva essere difesa, il Corpo Motocorazza8 L'8° Reggimento Lancieri di Montebello ed un gruppo di semoventi da 105/25.


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to doveva ripiegare su Tivoli a scaglioni, e questo mentre la Divisione Re avanzava proprio per contrastare i Tedeschi. Alle 15 del 9 giunse l 'ordine di ripiegamento anche per il resto dell'Ariete, che però, eseguendolo, avrebbe lasciato via libera al nemico. Allora i comandanti delle Divisioni del Corpo Motocorazzato cercarono una conferma della disposizione, che sembrava loro pazzesca; ma intanto Carboni era scomparso. Alla Piave non restò che ubbidire. La Granatieri invece, appena giunti i rinforzi, al1 'alba, aveva attaccato e riconquistato le posizioni perse durante la notte, respingendo puntate di carri nemici. Al mattino del 10 finalmente ricomparve Carboni che, a quanto sembra, aveva tentato, senza riuscirvi, d'unirsi a Badoglio nella fuga verso Pescara ed aveva poi girovagato qua e là. Ma nel frattempo la situazione si era fatta più critica. Mentre entravano in azione uomini del 4° Carristi, guastatori, fanti della Sassari, camionette d'assalto, un gruppo squadroni del Genova Cavalleria cd altri militari9, la linea difensiva arretrava continuamente verso Porta San Paolo. dove si attestò definitivamente. Contemporaneamente la Piave e l'Ariete, ricevuto rispettivamente alle 10 ed alle 10,45 l'ordine di Carboni di rientrare a Roma ed appoggiare la Granatieri, stavano muovendo da Tivoli, la prima per attraversare la città e rinforzarne le difese, la seconda per dividersi in due e puntare al sostegno del settore sud della Granatieri e alI'aggiramento della 2• Paracadutisti. Alle I 8 la testa della Piave arrivò al ponte Salario e, subito dopo aver distrutto un reparto tedesco che si era dato al saccheggio, fu fermata dall'ordine di cessare il fuoco e deporre le armi; lo stesso che bloccò l'Ariete mentre stava per entrare in contatto col nemico. Carboni, dopo aver tenuto un comportamento che gli sarebbe costato un processo a guerra finita. sotto la minaccia di un bombardamento aereo della capitale aveva raggiunto coi Tedeschi un accordo che ne faceva una città aperta: 10 divisioni italiane erano state sconfitte dalla disorganizzazione. In base al documento firmato il I O settembre, le unità del Regio Esercito, eccezion fatta per la Piave, destinata a presidiare Roma e ridotta però a soli 4 battaglioni di 1.000 uomini ciascuno, dovevano essere sciolte. Il capitano Bladier, delJo Stato Maggiore del Regio Esercito, la mattina stessa dell' 11 si

9 Qui sorge 1m'altra questione controversa. Quella dei civili che parteciparono aj combattimemi di Porta San Paolo. La larga maggioranza dei militari di ogni grado appartenenti alla Granatieri ha sostenuto in segujto che di civiJj non si vide neanche l'ombra. smentendo seccamente che ve ne fossero mai stati in prossimità della linea del fuoco. AJtri banno invece affermato di non poter esserne tanto sicuri. Allora, in occasione del cinquantenario dei combattimenti. il Centro Studi dell'Associazione Nazionale Granatieri di Sardegna condusse un'alleatissima indagine. Vennero interrogati tutti i superstiti deUa Divisione che si riuscirono a trovare e ne risultò che l'unico civile visto combattere era un gelatajo che aveva .lasciato il suo carrettino in Via Marmorata (che va da Porta San Paolo al Tevere) per prendere un fucile e sparare. All'obiezione, avanzata da alcuni componenti del Centro Studi. che pure risultavano esserci stati dei civili morti, donne e uominj, vennero svolte delle indagini capillari. Un incaricato. il generale Ubaldo Perrone Capano, si recò ali 'anagrafe ed al Policlinico Umberto I dj Roma e verificò. (sui normali registri d'archivio, accessibiJj al pubblico) nome per nome, la data ed il motivo della morte di tulli i civili che si dicevano presenti e combattenti a Porta San Paolo. Il risultato fu sorprendente: non solo non risultarono civili morti per ferite d'arma da fuoco, ma si scoprì che parecchi erano deceduti vari giorni dopo gli scontri. e cbe, addirittura, moltissimi di loro non potevano neanche esserci stati (e tra loro tulle le donne), perchè in realtà erano s tati feriti durante il bombardamento americano di Roma del luglio e da allora er.mo rimasti sempre in Ospedale. Stando cosi le cose. se ne può dedurre che il merito dei combattimenti spelli solo ai militari. L'idea che vi fossero civili nacque forse per motivi di propaganda e, probabilmente, dau·errata interpretazione di fotografie in cui si vedono granatieri e uomini in borghese, anche se non in comballimento, scattata appunto vicino a Porta San Paolo. Ma i reduci della Divisione ne hanno iucontestabilmente identificato uno da molti annj per il tenente Raffaele Persichetti, Medaglia d'Oro ed invalido della campagna di Grecia, morto appunto in quei combattimenti, ufficiale fuori servizio come gli altri.


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recò alla Caserma Umberto l di Roma. «Ma della caserma non è rimasto che il nome scolpito sui muri. E' una bolgia. Nel cortile è ammucchiata una catasta di armi che verranno poi caricate su autocarri. Dovunque il caos è generale, lo sfacelo completo. Dal portone escono militari a frotte con strane combinazioni d'indumenti metà civili e metà militari. Ognuno si avvia verso il suo destino ....»vu_

ll) L'8 settembre del Regio Esercito Lo sfascio romano fu uno dei tanti episodi che segnarono le tragiche giornate del settembre 1943, ma non il più doloroso; e per convincersene è sufficiente guardare quel che capitò specialmente in Grecia, Dalmazia e nelle isole Ionie. Alla sera dell'8 settembre, quando la radio trasmise il messaggio le truppe presenti ad Atene misero le caserme in stato di difesa ed aspettarono ordini che. a giudicare dalle intenzioni espresse dal Comando Piazza, sembra dovessero essere d'attacco. Davanti alla dispersione delle proprie forze ed alla concentrazione di quelle avversarie, nei due giorni seguenti l'atteggiamento del Comando d'Atene mutò da bellicoso in dubbioso e determinò infine la sottoscrizione di un accordo coi Tedeschi. In esso si stabiliva che I' 11• Armata avrebbe lasciato la Grecia, facendo partire le proprie truppe, colle sole armi individuali, in ferrovia alla volta dell'Italia già la mattina dell' 11 settembre. Poche ore avanti la partenza del primo convoglio arrivò l'ordine di limitare la detenzione delle armi ai soli ufficiali. Vista la mala parata e subodorando il tradimento alcuni comandanti provvidero ad occultare almeno le bandiere reggimentali prima di partire. Giunti in Austria il 19 settembre, i treni, anzichè proseguire per l'Italia, furono dirottati verso la Germania Settentrionale e scaricarono i militari italiani nei campi di prigionia. Nel resto della Grecia si erano avuti comportamenti diversi, a seconda dei rapporti di forza, della buonafede dei comandi di fronte alle menzognere promesse dei Tedeschi e delle armi e dei mezzi disponibili. Ad esempio la Divisione Pinerolo. con aliquote della Casale e della Forlì, coi Lancieri d"Aosta e gli Alpini del Gruppo Manfredini combattè a lungo sui monti delJ"Epiro e della Tessaglia, riuscendo a sottrarsi alla cattura Le isole dell 'Egeo vennero ripulite ad opera delle divisioni Cuneo e Regina e tenute fino all'arrivo tutt'altro che tempestivo degli Alleati, la cui lentezza permise ai Tedeschi di sopraffare la guarnigione di Lero e di massacrare la Acqui che, a Cefalonia. aveva resistito per giorni, sparando fino all'ultima cartuccia prima d' arrendersi credendo alla promesse degli ex-alleati. Nei Balcani, unità delle divisioni Brennero, Bergamo. Marche. 2• Celere, Venezia e Tridentina passarono dalla parte dei ribelli jugoslavi ed albanesi. La Emilia, rifiutatasi di cedere ai Tedeschi le proprie armi, i depositi e le posizioni che aveva alle Bocche di Cattaro, passò all'offensiva, liberò la zona dai nuovi nemici poi, contrattaccata, dopo aver constatato che non arrivavano rinforzi nè italiani nè anglo-americani, s'imbarcò ordinatamente e rientrò in Puglia attraverso l'Adriatico.

ill) I resti di quello che fu un esercito : autunno 1943 Nell'Italia peninsulare i Tedeschi erano stati cacciati solo dalla Puglia e dalla Basilicata e, trattenuti per due giorni dalla Divisione Alpina Alpi Graie sui monti della Liguria, non erano

vii G. BLADTER, «Per il Duce, per il Re... », Milano, Longanesi, 1972. pag. 247.


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riusciti ad impedire la partenza della flotta per Matta to, mentre aliquote di volo della Regia Aeronauticall riparavano in Sardegna o negJi aeroporti in mano agli Alleati. Completamente differente da tutte le altre fu invece la storia del presidio della Corsica. L'8 settembre vi sì trovava con funzioni antìsbarco e difesa costiera il VLI Corpo d' Armata12 del generale Magli, sostenuto dalla brigata motocorazzata rinfor1,ata tedesca SS Reìchsfiihrer come massa di manovra stanziata al centro dell'Isola. Senza contare il personale della Regia Aeronautica e della Regia Marina, gli Italiani erano circa 74.000, però, come al solito, poco mobili, dispersi qua e là e dotati, oltre che delle artiglierie di corpo d'armata, d'una compagnia d'autoblindo, d ' un battaglione carri leggeri e d'un gruppo di semoventi L 6 da 47 /32. 1 Tedeschi erano pochi ma, a parte il fatto che la loro brigata corazzata, forte di 5.000 uomini, era molto superiore agli Italiani in mezzi blindati - aveva 30 carri fra medi e leggeri e 54 semoventi - avevano in Corsica reparti di fanteria, artiglieria e dei servizi stanziati in tutti i centri principali e, dal 10 settembre, era cominciato lo sbarco della 90• Divisione Corazzata. proveniente dalla Sardegna, che elevò il loro numero ad oltre 40.000, ottimamente armati. Già a mezzanotte dell'8 i Tedeschi attaccarono il porto di Bastia. La reazione italiana fu immediata. Il porto fu rioccupato alle 8 del mattino del 9, al prezzo di 127 fra morti e feriti dell'Esercito e della Marina; mentre a largo la Regia Torpediniera Aliseo attaccava ed affondava due cacciasommergibili e sette motozzattere nemiche cariche di soldati. 1 Tedeschi allora decisero di trattare per dare tempo alla 90'' di arrivare. Quando, il mattino dopo, Magli ricevè la Memoria 45/0P e seppe che la 90° Corazzata stava sbarcando a Bonifacio, decise d'attaccare e, vista la dispersione delle sue truppe, 1'11 fissò l'inizio delle operazioni alle 6 del 13 settembre, ordinando che nel frattempo venissero compiuti tutti i movimenti ed i rischforamenti necessari. I combattimenti cominciarono però già il giorno seguente e si protrassero per una settimana, durante la quale la poco mobile guarnigione italiana riuscl ad impedire ai Tedeschi di concentrare le loro forze e, controllando saldamente le vie di comunicazione interna e la maggior parte dei porti, li lasciò in possesso solo di alcune sacche di territorio. li 18 sbarcarono gli ultimi soldati della 90", ma da quattro giorni quattro battaglioni di fanteria, uno squadrone carri leggeri ed una sezione genio del I Corpo d ' Armata francese, tutt'ora inattivi, avevano cominciato a prendere terra ed a concentrarsi intorno ad Ajaccio. Il 17 era arrivato il loro comandante, generale Martin, il quale, concertato col generale Magli i.I programma operativo da seguire, mosse le proprie truppe, unendole a quelle italiane a partire dal 21. Cosi, occupate le località del sud ancom in mano al nemico, i Francesi e gli Italiani concentrarono i loro sforzi su Bastia il 29; e i Tedeschi s'imbarcarono nella notte fra il 3 e il 4 ottobre mettendo termine ai combattimenti. In un mese il VII Corpo d'Armata aveva perso 2.954 uomini fra morti, feriti e dispersi, mentre si valutavano a circa 2.000 i caduti nemici, metà in mare e metà a terra.

IO [1 64,74% di essa - 5 corazzate, 9 incrociatori, 11 cacciatorpediniere. 22 torpediniere, 19 corvette e 37 sommergibili, pari a 261.601 tonnellate - riparò a Malta. Il 24,57% - 99.280 tonnellate - fu autoaffondato o sabotata nei porti. il restante 10,68% fu affondato dai Tedeschi nel corso del trasferimento a Malta. 11 24 settembre venne siglato J'accordo De Courten-Callagban per la collaborazione navale; e la Regia Marina. cbe non aveva mai amminato la bandiera italiana, riprese il servizio. contro i Tedeschi. 11 Nei campi di volo alleati o italiani del Sud affluirono 246 apparecchi di tutti i tipi. un centinaio dei quali in grado dj combattere. Con loro arrivarono l.200 militari della Regia Aeronautica e altri 800 passarono le linee prima del giugno 1944. La cooperazione cogli Alleati incominciò I' 11 sellembre cogli idrovolanti dell'Egeo. Lo stesso giorno si ebbe il primo scontro fra i bombardieri italiani e la caccia tedesca. L'indomani partl rattività operativa di guerra dei reparti di volo basati o rischierati in Puglia. 12 Articolato sulle divisioni Friuli, rinforzata da un raggruppamento della Milizia, Cremona. 225' e 226• costiera. dal Raggruppamento Sud e dal 182° Reggimento Costiero non indivisionato.


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A questo punto i Francesi. d'intesa cogH Alleati anglosassoni, stabilirono che le truppe italiane dovevano passare in Sardegna, ma lasciando in Corsica tutte le artiglierie col relativo munizionamento, i quadrupecli, gran parte degli automezzi, la totalità delle armi di reparto, il contenuto dei depositi e dei magazzini ed un'aliquota di genieri e di altri soldati, che risultò poi ammontare a 7.000 uomini, da destinare ai lavori di risistemazione ed ampliamento. specie dei campi d'aviazione. Le truppe passarono cosi in Sardegna intorno alla metà d'ottobre e vi restarono per qualche mese, in attesa d'essere impiegate sul Continente. che era nel caos. Lo sbando in cui si trovavano le Forze Armate e la Nirlione nell' autunno del 1943 più che organizzativo era morale. Dopo sei anni di alleanza e più di tre di guerra insieme, per molti Italiani era difficile vedere i Tedeschi come nemici. Nè era facile accettare l'idea che gli avversari contro i quali ci si era battuti fino al giorno prima, o che erano stati considerati dei ribelli, autori per di più di efferate atrocità nei Balcani, fossero diventati degli alleati e degli amici. Per cosa bisognava battersi? Per l'onore d'Italia e per il proprio, diceva qualcuno. Ma l'Italia vera qual era? Quella, che tutto sommato non aveva fatto una bella figura. rappresentata dal Governo del Re fuggito al Sud. o quella accodata ai Nazisti e votata a sicura fine nel Nord? Fu una decisione terribile che ognuno dovè prendere. In ogni situazione possibile, dalla cobelligeranz.a cogli Alleati, con tutto ciò che il termine implicava, alla collaborazione coi Tedeschi, passando per tutte le sfumature della resistenza, politica o militare. attiva o passiva, e per le durezze dei campi di prigionia germanici, che s'andavano riempiendo, ed alleati, che non accennavano a vuotarsi, ogni militare si trovò a dover combattere la sua guerra personale. a volte con altri, più spesso da solo, prima colla propria coscienz.a e poi contro chi essa gli aveva additato come nemico. Per quanto la riguardava, la maggioranza degli Italiani si schierò col Governo del Re ecogli Alleati ed attese d'esser liberata dall'occupazione nazista. Badoglio avrebbe voluto partecipare subito alle operazioni, inviando alcuni reparti al fronte; ma gli Anglo-Americani non lo permisero, sia per motivi di scarsa fiducia politica sia per le manchevolezze dell'apparato militare italiano. ln effetti la situazione era delle peggiori. In seguito all'armistizio i Tedeschi avevano catturato circa 820.000 uomini13; ed un paio di milioni d'altri erano irreperibili, perchè uccisi qua e là, catturati dai partigiani, nascosti dai civili, o in lotta contro le truppe germaniche per proprio conto, come partigiani o come unità mjlitari, ma isolati dallo Stato Maggiore Generale. In sostanza le truppe di terra su cui lo Stato Maggiore del Regio Esercito poteva contare alla fine cli settembre erano: la 7" Armata, stanziata nell'Italia Meridionale coi corpi IX e XXXI, rispettivamente in Puglia e Basilicata ed in Calabria; le forze armate della Sardegna, composte dai corpi d'armata XIII e XXX, equivalenti dunque ad un'altra armata, ed il VII Corpo della Corsica, per un ammontare di 420-450.000 uomini. Ma erano tutte in conclizioni disastrose. perchè avevano dovuto cedere agli Alleati la maggioranza dei propri automezzi, gran parte del materiale d'artigHeria e la quasi totalità dei quadrupedi. Mancavano di benzina - male minore perchè se ne poteva avere dagli Anglo-Americani - uniformi, calzature e buffetterie - e si sopperì distribuendo le divise coloniali giacenti nei magazzini e sostituendo, in alcuni reparti, gli zoccoli alle scarpe- munizioni e parti di ricambio. E qui erano i guai più gravi, perchè tutte le fabbriche erano al Nord, quindi in mano ai Tedeschi, e dunque l'unica cosa che si poteva fare era frugare in tutti gli anfratti, nei magazzini semidiroccati e nei convogli bombardati che gia-

13 Di questi: circa 50.000 aderirono. a vario litolo, alla Repubblica Sociale, come militari o come lavoratori in Germania; 150.000, scelti in modo abbastanza casuale. furono destinati dai Tedeschi a formare delle unità di lavoratori. da impiegarsi nei luoghi di cattura come manovalanza nelle retrovie della Wehrmacht; i restanti, cioè 14.033 ufficiali e 599.060 tra sottufficiali e truppa, finirono in campo di prigionia come «internati militari», neologismo creato apposta per loro.


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cevano distrutti lungo le ferrovie, alla ricerca di riservette e lotti di munizioni che si fossero salvati e di qualunque pezzo di ricambio che si potesse recuperare. Il 15 settembre il Governo del Re aveva costituito, con un ottimismo incredibile e con una totale incomprensione della realtà, il LI Corpo d'Annata, formato dalle divisioni Piceno, Legnano, 209" e 2 10• Costiera, dalla XXXI Brigata Costiera e dalle piazze di Taranto e Brindisi e destinato ad agire in prima linea cogli Alleati. A parte la sopravvalutazione delle scarse possibilità operative del Regio Esercito, il Governo non si rendeva conto che, grazie ai pasticci politici combinati dall'agosto in poi, culminati nell'equivoco sulla data d'annuncio dell ' armistizio e nell'improvviso crollo di tutta la struttura militare, gli Alleati non avevano la minima fiducia negli Italiani. Potevano permettersi di schierarli in prima linea col rischio di vederli cedere di nuovo o, peggio. di far causa comune coi Tedeschi? Certamente no; e dunque era meglio che dessero ciò che veniva loro richiesto e non pretendessero altro, accontentandosi della loro posizione di Paese sconfitto e non troppo duramente occupato. Ciò che venne domandato fu, in ordine d'importanza: la dichiarazione di guerra alla Germania, che era un ottimo colpo propagandistico, necessario specialmente dopo la liberazione di Mussolini e la sua ricomparsa sulla scena politica, e l' utilizzazione del Regio Esercito per il riattamento della rete di comunicazioni, lo scarico delle navi nei porti e ogni tipo d.i attività non di combattimento, dal condurre i muli e gli automezzi, al taglio della legna, alla mietitura del grano. Per questo motivo le unità italiane furono riorganizzate e strutturate come divisioni di retrovia, dotate si e no dell'armamento individuale e. successivamente, nel '44, anche come divisioni addette alla sicurezza interna dotate pure di armi di reparto, comunque tutte leggere. Naturalmente Badoglio protestò, specie presso gli Americani, i quali sembravano meno maldisposti degli Inglesi ad ascoltarlo; ma non ottenne che vaghe assicurazioni. E non avrebbe avuto altro se non fosse esistita, da parte alleata, una necessità propagandistica di far seguire i fatti alle parole della dichiarazione di guerra del Regno d' Italia alla Germania. Questa era avvenuta il 13 ottobre 1943 ed era stata un buon colpo per gli Alleati. ma sul piano politico-propagandistico i Tedeschi erano ancora in lieve vantaggio. Infatti, oltre ad opporre alla struttura politica cobelligerante del Sud un apparato politico come la Repubblica Sociale nel Nord, avevano avuto anche una pubblica dichiarazione ufficiale di Mussolini che l'Italia avrebbe continuato a combattere; e a questa aveva fatto seguito la costituzione delle Forze Armate della Repubblica. Dato che ciò poteva essere sfruttato - e lo fu - dalla propaganda nazista come testimonianza concreta di una volontà del popolo italiano di lottare contro gli Alleati e, di conseguenza, come una delegittimazione del Governo del Re e dei suoi atti, occorreva sia avere la dichiarazione di guerra alla Germania. da contrapporre a quella, rilasciata da Mussolini, che l'Italia continuava a combattere insieme all'alleato tedesco, sia la partecipazione di un contingente del Regio Esercito alle operazioni, fatto che rendesse tangibile la volontà nazionale affermata dal Regno dichiarando guerra ai Nazisti. Così il 4 novembre gli Alleati, che pure si erano mostrati estremamente scettici sulle possibilità d'impiego di una Grande Unità italiana, premuti dalla necessità di apparire non gli invasori ai quali si opponeva l'esercito della Repubblica Sociale, ma i liberatori al cui fianco combatteva l' esercito del Re, fecero sapere al 1° Raggruppamento Motorizzato, creato in Puglia il 26 settembre 1943. che doveva prepararsi a muovere verso nord. Tra i loro prossimi nemici ci sarebbero stati gli altri l talia11i, quelli col gladio e le fronde.

IV) Gli Italiani col gladio e le fronde

Era il Iimpido pomeriggio del 12 settembre 1943 quando gli alianti scesi su I Gran Sasso scaricarono i paracadutisti tedeschi che liberarono Mussolini.


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Trasferito in Austria nella notte, dopo essersi incontrato con Hitler, coi più alti gerarchi nazisti e con alcuni fedelissimi capeggiati da Pavolini, il 18 settembre il Duce parlò agli Italiani dai microfoni di Radio Monaco, dicendo fra l'altro: «.. .i nostri postulati sono i seguenti: I Riprendere le armi a.fianco della Germania. del Giappone e degli altri alleati. Solo il sangue può cancellare una pagina così obbrobriosa nella storia della patria. 2 Preparare senza indugio la riorganizzazione delle nostre forze armate attorno alle formazioni della Milizia ....»vili_ Nascevano cosl le Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana, le cui truppe di terra, divise fra la Milizia, trasformata in Guardia Nazionale Repubblicana e comandata da Ricci, e l'Esercito Nazionale Repubblicano, agli ordini del maresciallo Graziani, dovevano, nelle intenzioni del Duce, riprendere la guerra contro gli Alleati e lavare la vergogna del tradimento dell'8 settembre, combattendo fino alla vittoria dell'Asse. Ma qual era la funzione della Repubblica Sociale? Al di là delle questioni di propaganda, in sostanza ai Tedeschi occorreva in Italia uno stato-fantoccio, come un tempo avevano fatto i Francesi di Napoleone colla Cisalpina, che sotto la loro supervisione tenesse tranquilla l'arca produttiva della Pianura Padana, garantisse lo svolgimento dei servizi. l'ordine pubbHco e la sicurezza delle comunicazioni, fornendo manodopera, alimentari e prodotti lavorati o semilavorati al Reich1 4 . Per avere successo - e lo ebbe, tant' è vero che la RSI sarebbe divenuta la prima controparte economica della Germania - era necessario disporre di una forza armata locale che liberasse le forze tedesche dalla massa delle funzioni antiguerriglia cdi presidio. Poi, occasionalmente, si sarebbe anche potuto verificare il caso d'un impiego in prima linea dei reparti italiani, come un tempo di quelli cisalpini da parte francese. Quanto era possibile? A dire il vero, se l'esercito regio al Sud era in cattive condizioni, quello repubblicano al Nord non stava meglio. Afflitto dalla mancanza di oggetti di casermaggio, uniformi. buffetterie, armi ed automezzi, era una struttura appesantita, almeno inizialmente, da uno spropositato numero di ufficiali: 62.000 con 300 generali. Ai loro ordini era posta una truppa alquanto eterogenea, proveniente dalle dissolte unità del Regio Esercito, dai campi di prigionia tedeschi e polacchi e dalla chiamata alle armi delle classi di leva, fatta nel '44 dal governo di Salò, il cui ammontare può essere stimato (ma non esattamente valutato, a causa dell'imprecisione dei dati, dovuta al continuo stillicidio di disertori, che si univano ai partigiani o tornavano alle proprie case) a 9.000 ufficiali e 24S.000 uomini. L'uniforme fu quella tradizionale grigioverde, recante sul bavero le mostrine su cui, unico mutamento, le stellette a cinque punte del Regio Esercito erano state sostituite dal gladio romano circondato da una corona di fronde di quercia. distintivo dell'Esercito Nazionale Repubblicano 15• Le reclute destinate all'Esercito Nazionale Repubblicano venivano radunate nel Centro Costituzione Grandi Unità di Vercelli per andare poi in Germania ad inquadrarsi nelle 4 divisioni che vi si stavano addestrando ed equipaggiando. Di esse16, forti complessivamente di S7.498 uomini, i Tedeschi avevano bisogno - come abbiamo detto - in funzione antipartigia-

viii B. MUSSOUNI. rip. in G. PANSA, «O gladio e l'alloro», Milano, Mondadori, 1991, pag. 5. 14 Alcuni industriali patteggiarono apertamente coi Tedesclli, promettendo cli rispettare - e mantennero l'impegno - le quote di produzione imposte a condizione di non vedersi trasferire operai e impianti in Germania. Del resto si sapeva che il Governo del Sud avrebbe fatto l'impossibile per ottenere dagli Alleali l'incolumità degli impianti industriali del nord - e infatti gli ufficiali italiani paracadutati al nord avevano prevalentemente il compito di comunicare al sud quali obiettivi industriali non fos~ero militarmente rilevanti, così da permettere agli Alleati di concentrare i bombardamenti aerei altrove, all'industria di salvarsi e, indirettamente e non volendo. ai Tedeschi di sfruttarne le capacità. 15 La bandiera della Repubblica Sociale fu il tricolore italiano senza lo stemma e la corona dei Savoia (solo per le Forze Annate era prevista una variante con, al centro della banda bianca, l'aquila romana appollaiata ad ali spiegate sul fascio littorio). l'inno nazionale fu l'lnno di Mameli. 16 Le quattro divisioni erano l'Italia, la Liuorio, l'alpina Monte Rosa e la San Marco di fanteria di marina.


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na. E ancbe per questo fu decisa la costituzione del CARS - Centro Addestramento Reparti Speciali - articolato su un Comando, un tribunale militare di guerra, un nucleo di Sanità e tre reggimenti Cacciatori degli Appennini, destinati alla guerra antipartigiana. Accanto all'Esercito, alla Marina ed ali' Aeronautica, la Repubblica schierava altre tre entità militari: la Guardia Nazionale Repubblicana, le Brigate Nere e la X Flottiglia MAS. La prima, come già accennato, era stata costituita sulle ceneri della Milizia da Renato Ricci. Già luogotenente generale della Milizia, Ricci voleva una forza che fosse al tempo stesso. esercito e polizia. militare e politica. Il suo progetto si scontrò con quello d'un esercito apolitico, voluto dal maresciallo Graziani e ne uscì ridimensionato in un 'entità composta da personale proveniente dalla Milizia, dalla PAI e dai Carabinieri Reali, con «compiti di polizia interna e militare»i•. Ma su 140.000 guardie, i 44.198 17. Carabinieri si sarebbero presto rivelati dei sabotatori. mentre gli agenti della PAI - circa 2.000 e tutti a Roma - sarebbero stati impiegati poco e solo nell'Urbe. I restanti erano così male armati es.i ritenevano tanto poco pagati da preferire la diserzione al servizio, costringendo Mussolini a silurare Ricci .il l 9 agosto del '4418. Le Brigate Nere invece erano nate resuscitando le vecchie squadre d'azione già nell'ottobre 1943. Fatte confluire nella GNR, alla crisi di quest'ultima, nella primavera del 1944, il segretario del Partito Fascista Repubblicano Pavolini riuscì a convincere Mussolini e i Tedeschi dell'opportunità di armare il Partito stesso, formando delle Brigate Mobili coi Fascisti di sicura fede. li 21 giugno Mussolini ordinò, con esecutività 1° luglio, la costituzione del Corpo Ausiliario d'Azione delle Camicie Nere, trasformando le federazioni provinciali del Partito Fascista Repubblicano nelle 34 brigate del Corpo, con 22-30.000 uomini, 3.000 dei quali nelle cinque brigate mobili. Nel complesso rappresentarono un insieme di uomini difficili da inquadrare, violenti, pericolosi, spesso dediti al saccheggio e poco affidabili sul piano militare. Terza ed ultima la X flottiglia MAS. Sorpresa dall'armistizio alla Spezia sotto il comando del capitano di fregata Junio Valerio dei Principi Borghese, la Decima aveva alle sue spalle una lunga tradizione di valorose incursioni, quasi sempre coronate dal successo, fatte con pochi mezzi e molto coraggio ad Alessandria d'Egitto, Malta Suda e Gibilterra. I colpi più gravi subiti dalla flotta inglese in Mediterraneo erano opera sua, in quel momento i suoi uomini stavano operando nel Mar Nero contro i Sovietici ed era allo studio un'incursione nel porto di New York. Ma l' armistizio spazzò via tutto. La Decima rimase isolata. Chi volle ebbe il permesso d · andarsene; e Borghese restò nella propria caserma con un quarto dei suoi circa 400 uomini e il tricolore innalzato, finchè il 14 settembre i Tedeschi non si ricordarono di lui. Cosa voleva fare? Combattere per l'onore e per il bene inseparabile del Re e della Patria nella tradizione della Decima. Passando sulla devozione al Re i Tedeschi stipularono con lui un vero e proprio trattato d'alleanza. La Decima Flottiglia MAS, conservando bandiera ed uniforme italiana, avrebbe combattuto come alleata alla dipendenze operative dei loro comandi. E come alleata la Decima si comportò, costituendo l'unico caso di trascinante entusiasmo nella Repubblica Sociale. I volontari affluirono a migliaia. Dei primi, ben l.800 vennero deviati d'ufficio in Germania per entrare a far parte della costituenda Divisione San Marco, ma nonostante questo ne arrivarono ancora talmente tanti da diventare oltre 4.000 prima della fine dell'anno e quasi 30.00019 nel corso del 1944.

ix Decreto del!' 8 dicembre 1943. n. 9 I 3. 11 Dato del 1° marzo 1944. 18 Al tempo stesso veniva annunciala la costi1uzione di due divisioni antiaeree e antiparacadutisti -la

Etna e la Vesuvio - sempre nella GNR. 19 Questo secondo la tradizione, ma i pili recenti studi di Pie(J)aolo Battistelli, condotti negli archivi italiani e tedeschi, ridimensionerebbero l'organico della Decima a poco pili di 6.000 uomini.


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Guardati con invidia e con ostentata antipatia dalle altre unità della Repubblica - «Noi siamo fedeli a Borghese, vogliamo la Casa Savoia, noi siamo dei figli di t.. .• noi siamo la Decima Mas)>, come li beffeggiavano le Camicie Nere dei Battaglioni M - i militari della Decima furono - tra i pochi della Repubblica - i primi a poter andare in linea e gli ultimi ad abbassare le armi, certi della sconfitta ma decisi a far finta di credere che si potesse vincere ancora: «Decima flottiglia nostra. che sfidasti l'hzghilterra, vittoriosa ad Alessandria. Malta Suda e Gibilrerra, vittoriosa sopra i mari, ora pure sulla terra, vincerai!». li primo impiego al fronte delle unità della Repubblica fu quindi loro, o meglio, del loro Battaglione Barbarigo di fanteria di marina, inviato a Roma il 23 febbraio per il fronte di Nettuno, seguito dal battaglione paracadutisti. Gli Anglo-Americani erano sbarcati ad Anzio e Nettuno il 22 gennaio20 ma c'erano rimasti impantanati. «.Americani resistete che veniamo a liberarvi» aveva scritto qualche bello spirito sui muri dell'Urbe, vista l'acerrima resistenza delle truppe tedesche. E nella fornace della pianura laziale era stato gettato il Barbarigo, che avrebbe combattuto fino all' entrata degli Alleati a Roma, il 4 giugno 1944, rientrando poi alla Spezia. Borghese obiettò ai Tedeschi che se i risultati del Barbarigo non erano stati ottimi lo si doveva all'averlo inquadrato in una Grande Unità germanica - nel caso specifico la 175' Divisione fanteria - e ottenne da Kesselring il permesso di elevare la Decima da Flottiglia a Divisione con anzianità 1° maggio [9442 1• Ma le cambiarono la destinazione: non più il fronte, né la Venezia Giulia per difenderla dagli Jugoslavi, bensì il Piemonte in funzione antipartigiana. Così la Decima fece la stessa fine della Littorio - che operò prima nella zona di Voghera, Tortona e Castel San Giovanni, nel tardo autunno 1944, e poi nel Cuneese e nella Val d ' Aosta fino alla Liberazione - e della San Marco, spedita insieme alla Monte Rosa sulla Riviera Ligure e là rimasta, partecipando a qualche rastrellamento, fino alla fine della guerra. In definitiva, tolto lo schieramento e l'impiego in combattimento di pochi reparti delle Divisioni Monte Rosa e Italia, comportatisi più che dignitosamente a Gallicano e in Garfagnana fra il settembre del 1944 e l'aprile 1945. e dei battaglioni della Decima in Emilia, schierati pure di fronte ai Gruppi dì Combattimento del Regio Esercito tra Bologna e il delta del Po, le Grandi Unità della Repubblica Sociale svolsero il compito militarmente migliore difendendo i confini orientali contro i partigiani jugoslavi e la Val d'Aosta, insieme al CLNAl, contro i Francesi. Delle altre Forze Armate, la Marina Repubblicana potè fare ben poco, perché era ridotta ai soli mezzi sottili; l' Aeronautica Nazionale Repubblicana - 3 Gruppi da Caccia, uno di Aerosiluranti e 2 da Trasporto - eseguì alcune vittoriose incursioni contro la flotta anglo-americana sulle coste tirreniche, ma con grandi difficoltà a causa dei continui sabotaggi agli aerei. L'aprile del 1945 segnò il tracollo definitivo. I Partigiani improvvisamente aumentarono dai circa 75.000 che avevano fatto la Resistenza22 agli oltre 200.000 che dichiararono d'averla fatta. I Tedeschi pensarono a salvarsi e si prepararono alla resa, ponendo termine alle trattative separate, condotte tanto col CLN quanto cogli Alleati all'insaputa di Mussolini. li Duce cercò di fuggire e fu catturato e giustiziato per ordine del Partito Comunista Italiano, mentre l' apparato del Partito Fascista Repubblicano si liquefaceva completamente. 20 Nella zona, in seconda linea. esisteva pure un"unità italiana. Era la 5• Compagnia Studenti Volontari in Roma, costituita tra la fine d 'ottobre e l'inizio di novembre del 1943. presso il 54° Comando Provinciale, il 15 gennaio 1944 era stata destinata poco fuori Velletri, lungo la Vìa Appia. 21 Articolata sui battaglioni: Barbarigo, Lupo, Nuotatori Paracadutisti, Fulmine, Sagittario, Valanga. 22 In particolare l'autore ricorda un colloquio avvenuto nel giugno 1982 col Professor G. Montalenti. ordinario di fisica al Politecnico di Torino, ex-ufficiale dell'artiglieria alpina, partigiano, vecchio amico di Sandro Pertini e primo prefetto (social.ista) di Torino all'alt.O della Liberazione, il quale brontolò «Prima del 25 aprile in tutto il Piemonte a fare i partigiani eravamo quattro gatti, poi di colpo j'iamo divelllati migliaia».


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Disorientati, privi di ordini, abbandonati ancora una volta dagli alleati germanici, i militari della Repubblica Sociale cercarono di concentrarsi e di arrendersi ai nemici dai qua)j potevano sperare di non essere fucilati. A qualcuno andò bene, a molti aJtri no. Basti pensare che in base ai calcoli più attendibili23, su circa 25.000 morti delle Forze Armate Repubblicane, ben 15.000, per lo più disarmati, caddero dopo il 25 apriJe 1945. Dei superstiti alcuni poterono tornare subito a casa, la maggior parte finì in campo di prigionia in attesa di processo per tradimento. Così terminò la storia di tutti quegli Italiani che ritennero di servire l'onore d'Italia ed il proprio militando nell'esercito col gladio e le fronde.

V) La Resistenza

Lo sbandamento delle Forze Armate fu il diretto responsabile della nascita delle formazioni partigiane. Molti militari non si rassegnavano all'idea di posare le armi e, accordatisi con le entità politiche rinate nel breve intervallo fornito dai 45 giorni del Governo Badoglio, incominciarono la lotta contro il nuovo nemico invasore. Ali 'estero operarono coi partigiani locali in Grecia. Jugoslavia e Albania. ln Germania diedero vita a un'orgogliosa ed eroica resistenza: maltrattati, affamati, privi pure dell' umile qualifica di prigionieri di guerra perché avevano "tradito il Reich". morirono d i stenti a decine di migliaia pur di non arruolarsi coi Tedeschi e di non aderire alla Repubblica Sociale, fedeli al giuramento prestato e al loro onore. Ma la Resistenza principale, ovviamente, fu quella combattuta in Italia; e cominciò subito. Napoli cacciò da sola dei Tedeschi in quattro giorni di combattimenti cominciati il 27 settembre 1943 ed accolse gli Alleati quando si era già liberata. ln Piemonte, in Toscana, in Emilia, in Veneto, in Lombardia, le formazioni partigiane formate da militari, da civili o da entrambi - agirono con decisione. Per i loro membri fu una guerra oscura, priva di gloria, costellata di fame, privazioni e sacrifici. dominata dalla certezza della morte per impiccagione una volta catturati, magari dopo atroci torture da parte dei Tedeschi o degli aguzzini della banda Koch. Ci furono risultati di rilievo, come la creazione della Repubblica Partigiana dell'Ossola dalla breve vita, e l'insurrezione di Firenze; e reazioni atroci da parte tedesca, come le impiccagioni in massa avvenute a Bassano del Grappa o i massacri compiuti dalle colonne delle SS nella marcia da Sant' Anna di Stazzema a Marzabotto nell'agosto 1944. Nel complesso l' organizzazione della Resistenza si articolava sul Comitato di Liberazione Nazionale, creato a Roma il 9 settembre 194324. Ma dopo la dichiarazione di guerra del Regno d'Italia alla Germania, il CLN, tendenzialmente repubblicano. temè una preponderanza monarchica. In novembre prese accordi in Svizzera coi rappresentanti degli Alleati e, davanti alle loro perplessità, rendendosi conto di dover accentuare la propria attività, diede maggiore autonomia ai CLN regionali, estendendo nel 1944 la giurisdizione di quello milanese a tutta l'Italia Settentrionale col nome di C LNAI: Comitato di Liberazione Nazionale per l' Alta Italia. Le formazioni partigiane dipendenti dal CLN e dal CLNAI avevano nomi diversi a seconda del)' ideale poli tico di riferimento. Quelle comuniste erano chiamate "Brigate Garibaldi", il Parti-

23 I calcoli ovviamente divergono dalle centinaia di migliaia asserite da Giorgio Pisanò, alle poche migliaia computate dalle fonti partigiane. li dato più attendibile. frutto di un'attenta analisi comparata, è ancora una volta quello fornitomi da Virgilio Ilari il 30 maggio 1998. 24 Ne furono membri Scoccimarro e Amendola del Partito Comunista Italiano. Romita e Nenni del Partito Socialista Italiano, La Mal fa e Fenoaltea del Partito d'Azione, De Gasperi della Democrazia Cristiana, Ruini della Democrazia del Lavoro. Casati del Partito Liberale Italiano.


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to d'Azione aveva messo in campo le formazioni di "Giustizia e Libertà". i Socialisti quelle "Matteotti", i Repubblicani le "Mazzini", tutti gli altri rientravano nelle formazion.i "autonome." Come già era successo io Spagna al tempo della guerra civile, anche ora in Italia i Comunisti decisero di prendere La guida sul campo della lotta partigiana, o escludendo le formazioni che non riuscivano a controllare, o agendo autonomamente senza curarsi troppo delle conseguenze. Ne derivarono fatti di un'inaudita gravità, come il massacro dei partigiani non comun.isti fatto da loro a Porzus, in Friuli e, l'attentato di Via Rasella a Roma. Le conseguenze di quest'ultimo erano particolarmente gravi perché toccavano direttamente le Forze Armate a causa della situazione creatasi in precedenza nella Capitale e nell'Italia Centrale. Infatti già nei primi giorni di settembre intorno al generale Cadorna, ex-comandante della Divisione Ariete, si era raccolti parecchi validi ufficiali i quali stavano organizzando il fronte militare clandestino. Dopo aver incontrato alcuni esponenti politici liberali, azionisti e socialisti, a fine mese Cadorna aveva ordinato al generale Fenulli di compilare un progetto d'organizzazione militare clandestina e, visto che l'avevano espressamente chiesto, prendere contatto coi Comunisti «per concorrere al coordinamento di tutle le forze che si .schieravano per la resistenza... ma quando (Fenulli) tentò di passare dalla teoria alla pratica, urtò contro una ermetica diffidenza che voleva nascondergli entità e qualità delle/orze da impiegare: .si ritirò in breve scoraggiato e cercò di battere altre .strade»•. Le altre strade erano quelle dei militari. L'8 ottobre Cadorna si incontrò col colonnello Montezemolo, uno dei migliori ufficiali del Regio Esercito. il quale aveva preso contatto col Governo di Bari ed era il rappresentante a Roma del Comando Supremo italiano. Conducendo insieme a Cadorna una fattiva opera di mediazione politica fra i partiti e i militari a Roma. Montezemolo riuscì in breve tempo a mettere in piedi un'estesa rete militare clandestina, fe. dele alla Monarchia e dedita prevalentemente al sabotaggio ed alla raccolta d' informazioni, alle quali gli Alleati tenevano molto. Contemporaneamente il CLN aveva creato una Giunta Militare, in cui sedevano il rappresentanti dei tre partiti di destra, Brosio, e quello dei tre di sinistra, Bauer. Quest'ultimo, incontratosi con Cadorna, si mostrò «preoccupato de/l'atteggiamento "reazionario" assunto dalle fomiazioni militari capeggiate dal col. Momezemolo»•i e Cadoma lo fece incontrare con Montezemolo per «costituire un organismo unico direllivo»•ii. Cadoma ebbe in seguito un abboccamento col generale Chieli, formalmente passato alla RSI, che gli garantì il suo pieno appoggio e "Consigliò poi a me e al col. Montezemolo la maggior prudenza, in quanto i tedeschi erano al corrente dei nostri maneggi. .. Intanto il col. Monte::.emolo lavorava tenacemente a organizzare il suo fronte clandestino, temando di estender/o a tutte le regioni d'Italia. Roma aveva un suo centro militare ed un comando delle bande esterne ... ed ebbe nome "Raggruppamenti dell'Italia Centrale" rispettivamente dislocati nel Viterbese, nei Ca.stelli Romani, nell'Abruzzo e nella zona di Monte Amiata. .. Verso la metà di dicembre il col. Montezemolo mi venne a trovare e con evidente soddisfazione mi mostrò una circolare (11. 333 op. del 10 dicembre '43) emanata dal Comando Supremo, nella quale si impartivano direlfive per l'organizza::.ione e la condo/la della guerriglia. L'intero territorio nazionale era diviso per regioni e per ciascuna ve11iva costituito un "Comando delle bande militari" . La circolare preme/leva che i partiti politici antifascisti avevano avuto buone iniziative nel campo del movimento della resistenza, ma che la loro attività era spesso più rivolta al conseguimento dei propri scopi politici interni che non alla guerra esterna .. . Si imponeva quindi una organizzazione verameme militare delle bande agli ordini del

• CADORNA R. "La riscossa - dal 25 luglio alla Liberazione", Milano, Rizzoli, 1948. pag. 83. xi Idem. pag. 93. xii Idem. ivi.


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Comando Supremo... Dissi a Mo11tezemolo che vedevo nella circolare rispecchiate le sue idee..».tiii Considerando queste idee e il fatto che nel gennaio 1944 solo a Roma si valutassero a I0.000 i militari del fronte clandestino•i•, si capisce quale enorme importanza rivestisse il colonnello Montezemolo e che colpo sia stato il suo arresto, avvenuto il 22 gennaio 1944. E come se non bastasse, oltre a lui, fra il 18 e il 22 gennaio anche molti altri esponenti del fronte militare, tra i quali il generale Feoulli, erano stati presi dai Tedeschi e rinchiusi nel carcere romano cli Regina Coeli. Ora, a dispetto delle chiarissime disposizioni emanate dal CLN e dallo stesso Mootezemolo, che vietavano ogni attentato contro i Tedeschi a Roma onde evitare rappresaglie - particolarmente pericolose dato anche il gran numero di capi politici del CLN presenti nella capitale. tra cui Soleri, Ruini, Bonomi e Casati - il 23 marzo del 1944 un nucleo partigiano comunista fece esplodere una bomba mentre una colonna di SS altoatesine impiegate in mansioni di presidio passava per via Rasella. Morirono subito 32 soldati e un altro poi per le ferite. Hitler ordinò una rappresaglia se gli autori dell'attentato non si fossero presentati o non fossero stati trovati. Non si presentarono; e le SS chiesero al direttore cli Regina Coeli, Carrettazs, di consegnar loro dieci detenuti politici per ogni morto. Fra i 335 consegnati - cinque in piò- vi fu tutto lo stato maggiore partigiano del Partito d'Azione. un gruppo di 56 - secondo altri 68- militanti comunisti dei gruppi di Bandiera Rossa - che il Partito Comunista Italiano detestava in quanto "autentici banditi rrotskisti""' - oltre 40 militari. tra i quali Montezemolo e FenuJli26. Tutti furono uccisi con un colpo alla nuca nella cave di sabbia sulla via Ardeatina27. L'impressione fu enorme tra i partigiani, militari o no; e molti cli loro, pur non avendo alcuna prova, si convinsero che si fosse trattato di una mossa fatta appositamente dal Partito Comunista per decapitare le strutture clandestine concorrenti - specie queUe militari - e togliere loro il primato sulle sue formazioni politiche28. Dopo la Liberazione di Roma. avvenuta il 4 giugno 1944, Vittorio Emanuele III trasferì i propri poteri al Principe di Piemonte nominandolo Reggente del Regno e, dimessosi Badoglio. si formò un Governo presieduto da Bonomi. il quale raggruppava tutti i partiti ecostituiva l'espressione diretta del CLN29. Diretta conseguenza del nuovo clima politico fu la creazione a Milano del Corpo Volontari deUa Libertà, incaricato di militarizzare e riorganizzare le unità partigiane dipendenti dal CLNAI. Agli ordini dapprincipio del Comando

xiii CADORNA, op. cit., pag. 95. <iv Bollettino d"infonnazioni del Comando Supremo del 15 gennaio 1944.

25 Dopo la guerra, nel corso del processo contro il questore fascista di Roma Caruso. Carretta venne aggredito e linciato da una folla di parenti di vittime delle Fosse Ardeatine eh.e lo accusavano di aver completato le liste dei condannati a morte con detenuti non politici e non condannati a morte, per salvare. si disse, i detenuti politici più importanti allora presenti a Regina Coel.i. xv MASSIMO CAPRARA, "Luce agghiacciante su quella bomba'', su "TI Giornale", Milano 3 luglio 1997. pag. I e 6. 26 Dei rimanenti. 11 sono ancora da identificare, 75 erano ebrei. 2 erano incarcerati per spionaggio, gli altri erano c ivili condannati per reati comuni. Il PCI non ha mai reso noto il numero dei membri dei suoi membri o dei G AP morti alle Ardeatine. Non si sa nemmeno se ce ne siano stati. 27 Fra gli altri misteri quello del 336° cadavere rinvenuto. la cui presenza, rivelata dal medico legale Professor Attilio Ascarelli nel corso del processo Caruso nel settembre del 1944, fu confermata dai documenti realtivi alla composizione delle salme. 28 E questa è l'opinione di alcuni appartenenti ad essa, che desiderarono rimanere anonimi, espressa in colloqui coll'autore in vari anni fra il 1986 ed il 1998. Tra di essi un diplomatico, un paio di generali, un architetto appartenuto ai GAP e una staffetta partigiana dei medesimi. incaricata di tenere i contatti coi detenuti a Regina Coeli e internatavi per un breve periodo. 29 Coll' eccezione dei Repubblicani. che non accettavano di sedere in un Governo del Re, ma volevano l'immediata proclamazione della Repubblica.


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Generale dei Volontari della Libertà, passò a quelli del generale Cadoma, con vicecomandanti Ferruccio Parri e Luigi Longo dei partiti d'Azione e Comunista in riconoscimento della loro attività militare, «per consacrare il vincolo di solidarietà fra le forze volontarie e il rinascente esercito iraliano»••i. Ma l'attività del CLNAI, pur ricevendo sempre maggiori riconoscimenti, fino alla rappresentanza ufficiale del Governo del Re nelJa lotta antinazista e antifascista, da sola non sarebbe mai stata sufficiente a liberare l'Italia. Già dal1'estate del 1944 i Tedeschi e le Brigate Nere avevano intrapreso ampi rastrellamenti in Lombardia, Emilia, Liguria e Piemonte, deportando decine di migliaia di persone in Germania e obbligando i partigiani a passare alla difensiva, in attesa dell'offensiva finale degli Alleati, che avrebbe messo fine alla campagna d'Italia, cioè alla guerra di Liberazione.

VI) La Guerra di Liberazione: 1943-1945

Jntanto le forze regolari avevano avuto una vita dura, affrontata con molto coraggio e spirito di sacrificio Esaminato più volte dagli Alleati per stabilire se e quanto potesse reggere sul campo, con uno spostamento di 400 chilometri il I Raggruppamento Motorizzato)O era passato da San Pietro Vemotico ad Avellino. Là moltissimi avevano disertato, molti si erano arruolati per ottenere le spartane dotazioni di casermaggio e poi disertare, molti altri invece erano venuti per combattere e rimasero31 . Bene o male, con tanta volontà e pochissimi mezzi, il I Motorizzato andò in linea davanti a Cassino. Il 6 dicembre del 1943 ebbe dagli Americani l'ordine di prendere Monte Lungo e Monte Sammucro 1'8, attacco che però ebbe successo solo al secondo tentativo, il 16 dicembre. L'operazione non ebbe chissà quale rilievo militare ma - come Calatafuni per i Garibaldini - fu decisiva perché diede agli Italiani la consapevolezza di poter vincere e contribuire fattivamente alla Liberazione. Il 21 dicembre il I Motorizwto venne ritirato a Sant' Agata dei Goti e tornò in prima Linea solo nel febbraio del l 944. Avrebbe poi scritto in proposito il generale Poli: «Fine dicembre '43 - gennaio e febbraio '44 segnano un periodo oscuro di cui poco o nulla si ama parlare se 11011 per dire che il Raggruppamento era a riposo, tranne l'Artiglieria data in appoggio ai marocchini nella zona di Acquafondita. Ma tutto ciò era un modo eufemisrico per dire che il Raggruppamento, in piena crisi, perché fiaccato da una prova del fuoco durissima, si stava smembrando. Lo Sraro maggiore de/l'Esercito lo ignorava, mentre sarebbe staro indispensabile rivitalizzarlo, ma non era certo il problematico e remissivo comandante Generale Dapino l'uomo adatto»xvii. Per fortuna nel gennaio 1944 venne nominato Capo di Stato Maggiore il Maresciallo Messe, il quale mise alla testa del Raggruppamento il generale Utili, da lui apprezzato per averlo personalmente conosciuto e visto all'opera in Russia. xvi Rip. in BAUER, op. cit, Voi. VW, pag. 298. 30 Creato col foglio n. 761 Op. del 26 settembre 1943 a firma del generale De Stefanis, era comanda-

to dal generale Dapino e composto da: 67° Fanteria Legnano su due battaglioni, LI Battaglione Bersaglieri Allievi Ufficiali, V Battaglione Controcarri - su plotone comando e due compagnie - Reggimento Artiglieria da campagna Mantova, XII Gruppo Artiglieria da 105/28, Gruppo Obici, aliquote del Genio e dei Servizi, 51' Sezione di Sanità. 3 1 Fra di essi è doveroso ricordare il giovanissimo Luigi Poli, che quarant'anni dopo sarebbe diventato Capo di Stato Maggiore dell'Eserciro Italiano e, poi, Senatore della Repubblica e Presidente dell'Associazione Reduci Guerra di Liberazione. xvii Lu1G1 Pou, "Secondo Risorgimento: la riorganizzazione delle Forze Annate", su "Rivista Militare''. n. 3, 1994.


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Il quarantottenne Utili riorganizzò da cima a fondo il I Motorizzato attingendo a piene mani alle risorse umane migliori di cui il Regio Esercito disponesse e, quando tornò in linea, il Raggruppamento aveva cambiato composizione e aspettoJ2. Ribattezzato Corpo Italiano di Liberazione e destinato alle dipendenze del Corpo di Spedizione France~e nel settore delle Mainarde. il 30 marzo 1944 con un'operazione da manuale s'impadronì del Monte Marrone. In seguito, dopo aver occupato Picinisco grazie al IX Arditi, il CIL slava già sperando di entrare a Roma. quando gli Inglesi, alle cui dipendenze si trovava ora, lo dirottarono verso l' AdriaticoJJ. Su proposta di Utili. gli Alleati autorizzarono un aumento degli organici a 25.000 effettivi, articolati su una Divisione - la Paracadutisti Nembo - due Brigate34, un Comando Artiglieria, un battaglione Genio e i Servizi: in sostanza la struttura di un Corpo d'Armata binario. L"8 giugno I944 il CIL, posto fra il X Corpo britannico ed il U polacco, ripassò alroffen~iva guadagnando circa 200 chilometri in tre mesi. tallonando il LXXVI Corpo tedesco in lenta ritirata. Chieti fu liberata dai Paracadutisti, I' 11 toccò a Sulmona, il 13 all'Aquila, il 15 a Teramo e, superate a fine mese Tolentino e Macerata, il CIL proseguì verso Filottrano, presa dalla Nembo il 9 luglio dopo un duro combattimento. Raggiunto Corinaldo, il C IL piegò verso l'interno, superò il Metauro e si spinse fino a Urbania. seminando la strada dei propri automezzi, già in cattive condizioni e definitivamente logorati dalla guerra di movimento, e tracciando la via della rinascita del Regio Esercito fino al 24 settembre 1944, quando fu sciolto e lasciò il posto ai Gruppi di Combattimento. Questi ultimi erano nati dalla decisione alleata di consentire una maggior partecipazione italiana alle operazioni. Infatti gli sbarchi nella Francia Meridionale e in Grecia avevano distratto parecchie grandi unità alleate dal fronte italiano. per altro ridotto a un ruolo secondario a causa dell'asperità del suo terreno, e bisognava riempire i ranghi in qualche modo. Intanto si misero in linea unità partigiane, come la XXVIII Brigata Partigiana Garibaldi "Mario Gordini'', o la Brigata Partigiana abruzzese "MaieJJa", dotata d'una propria bandiera e che avrebbe combattuto come unità militare autonoma fino alla fine del confliuo. Poi, il 23 luglio 1944, il generale Berardi, capo di Stato Maggiore del Regio Esercito, fu informato dal generale Browning, capo delJa Missione Militare Alleata di Controllo, che il Maresciallo Alexander aveva richiesto la costituzione di un paio di gruppi di combattimento, organicamente simili alle divisioni binarie italiane. Fissatane la forza a circa 9.000 uomini e decisane la composizione, si passò a vestirli ed armarli con materiale tutto di provenienza britannica, a differenza del ClL, che usava ancora armi e divise nazionali. A questa snaturalizzazione esteriore, si aggiunse una pesante ingerenza da parte inglese. colla creazione di vari Direttori dell · Addestramento Militare - D.M.I. - i quali dovevano su-

32 Comprendeva infatti il 68° Reggimento Fanteria Legnano. i battaglioni Piemonte - degli Alpini XXIX e XXXIJ Bersaglieri, CLXXXV Paracadu1jsti Nembo, il IX Reparto d' Assalto e I' 11° Reggimento Artiglieria. Jl Gli Alleati - in particolare il maresciallo Alexander - non gradivano ridea di far entare gli Italiani nell'Urbe. U 4 giugno ci arrivarono le loro avanguardie e il 7 giugno una compagnia del 67° Fanteria. appartenente ora alla 2 I o• Divi,ione Ausiliaria, inquadrata nella 5• Am1ata Americana del generale Clark. riuscl a giungere di nascosto in autocarro fino a Piazza Venezia. Scese a terra e, preceduta dalla musica e dalla bandiera di combattimento, andò a montare di guardia al Quirinale. mettendo gli Alleati davanti al fatto compiuto. "' La Nembo allineava i Reggimenti Paracadutisti 183° e 184° e il 184° Artiglieria. La I Brigata era composta dai Reggimenti 4° Bersaglieri e 3° Alpini - bauaglioni Piemonte e Monte Granero-dall'LXXXV Battaglione Paracadutisti e dal IV Gruppo Artiglieria someggiata: la Il comprendeva il 68° Fanteria Legnano. il IX Reparto d'Assalto. il Reggimento San Marco sui battaglioni Bafile e Grado. lo Squadrone Volontari Guide e il V Gruppo Artiglieria someggiata. Il Comando Artiglieria inquadrava prevalentemente I' 11 ° Reggimento.


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pervisionare l'attività degli Italiani e riferire quando fossero stati pronti ad essere impiegali. A quel punto avrebbero lasciato il posto alle Unità Britanniche di Collegamento - B.L.U. - che avrebbero assunto il controllo e la direzione dell'addestramento e la supervisione di qualsiasi atto amministrativo, costituendo il canale principale della trasmissione degli ordini fra i comandi alleati e le truppe italiane da essi dipendenti. Dal punto di vista della forza la partecipazione italiana alla guerra aumentava il proprio peso; ma rispetto al CIL era evidente un notevole regresso, sia sotto il profilo dell'autonomia d'impiego, poichè, per quanto male in arnese, il Corpo Italiano di Liberazione era sempre stato trattato come una normale Grande Unità alleata. senza inquadratori. supervisori o controllori, sia perchè era sempre stato impiegato unitariamente, mentre, per l'opposizione di Alexander, i sei Gruppi di Combattimento non furono concentrati in un solo corpo, ma distribuiti fra .le varie grandi unità alleate come normali divisioni. La cancellazione di un'entità militare italiana unitaria aveva anche un altro significato. Agli Alleati faceva comodo poter disporre di oltre 50.000 uomini del Regio Esercito in prima linea, ma non li volevano raggruppati insieme anche per il fastidio politico che ne sarebbe derivato. Cinquantamila uomini fanno un corpo d'annata; e un corpo d'annata è teoricamente in grado d'ingaggiare, condurre e, eventualmente, vincere una battaglia completamente da solo. Un corpo d'armata, composto esclusivamente da Italiani avrebbe sicuramente operato bene contro i Tedeschi, ma avrebbe dimostrato che il merito della Liberazione non era tutto degli Alleati (e fu anche per questo che Alexander cercò in ogni modo d'incanalare le unità partigiane e ridurne l' attività dicendo che lo «infastidivano»; dimostravano che gli Italiani erano capaci di liberarsi da soli, avendo le armi adatte). E, peggio, agendo coll'autonomia che ogni corpo d'armata ha, il CIL, sarebbe in pratica assurto alla condizione di esercito alleato a tutti gli effetti, sollevandosi dallo stato di cobelligerante, che peraltro gli Alleati s'inventarono apposta per l' Italia, prima non se n'era mai sentito parlare. Tn tal modo avrebbe acquisito per sè e, sopratutto, per il Governo del Re, il diritto di partecipare alle lrattative di pace, quando la guerra avesse avuto termine, su un piano se non paritario cogli altri AJJeati, almeno superiore a quello di rappresentante di un Paese nemico e sconfitto. Il CIL, dimostrandosi capace di combattere bene ed aumentando i propri organici, aveva già imboccato quella strada, per questo andava soppresso. Per indorare la pillola della sua eliminazione, e per non prestare iJ fianco ai contraccolpi propagandisticamente negativi della scomparsa del contingente italiano dal fronte, gli Anglo-Americani ebbero la trovata di aumentarne l'entità numerica. parando in anticipo qualunque critica riguardo alla collaborazione militare, ma di frazionarlo fra i loro corpi d'armata, lasciandolo privo di quell' autonomia, e della conseguente dignità di esercito Alleato a tutti gli effetti, che di fatto stava per raggiungere e, anzi, togliendogli anche tutta quella che aveva avuto e di cui aveva dimostrato di saper fare troppo buon uso. Eliminato il ClL, restavano le unità partigiane, utilissime, si. ma irregolari; e quindi il Governo del Re non poteva chiedere agli Alleati di riconoscere come da lui derivata ed ispirata la loro partecipazione alla guerra, giovandosene poi per ricavarne un miglioramento della propria posizione in sede di trattative di pace. O meglio, poteva anche avanzare una simile richiesta, motivandola col fatto che il comando a cui tutti i partigiani si rimettevano era alle dipendenze dello Stato Maggiore Generale, ma sicuramente gli sarebbe stato risposto che i partigiani non erano un esercito. ma solo dei privati senza titolo di rappresentanti d'una Nazione, e quindi che la richiesta veniva respinta. Ricapitolando: non riconoscendo alcun valore ufficiale alla guerra ed alle forze partigiane ed impedendo che di fatto si ricostituisse un esercito italiano che combattesse come entità autonoma, gli Alleati privavano il Governo del Re dell'unico strumento che gli avrebbe dato la possibilità di contare qualcosa politicamente. Mantenendolo così al livello di nemico sconfitto, al quale oltretutto facevano il grande onore d'essere ammesso a battersi insieme a loro. si lasciavano la più ampia libertà d' imporre all'Italia le condizioni di pace che avessero preferi-


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to, per dure che fossero, senza che il Governo regio potesse avanzare la minima obiezione o vantare alcun diritto. Un esercito nazionale è veramente tale solo quando s'inserisce autonomamente nel quadro delle operazioni, concertandole cogli altri Alleati. Agli Italiani. che coi Gruppi di Combattimento non andavano oltre il livello divisione, era di fatto negata la possibilità d'influire sulle scelte operative, dunque non erano considerati un esercito, quindi il Governo del Re non aveva voce nella condotta del conflitto, pertanto non poteva aver diritto decisionale; in niente. Aveva perso e basta. E poichè chi perde una guerra non ha altra possibilità che fare quanto gli dice il vincitore, non restò che adeguarsi. Utilizzando le divisioni Friuli e Cremona cosl ben comportatesi in Corsica contro i Tedeschi, e reimpiegando i militari del CIL nel Folgore e nel Legnano, fra il 20 settembre ed il 10 ottobre 1944, il Regio Esercito allestì i gruppi di combattimento Friuli, Legnano, Folgore, Cremona, Mantova e Piceno. Agli ordini di un generale di divisione35, ogni Gruppo di Combattimento allineò 432 ufficiali ed 8. 758 fra sottufficiali e truppa36. Il loro addestramento era completamente diverso da prima, perché la varietà, novità e quantità delle armi e dei mezzi ruotati e cingolati ora in dotazione rendeva lo svolgimento delle operazioni completamente diverso da quello classico del Regio Esercito. Il fucile '91 lasciò il posto all'Enfield 303, gli anticarro da 47/32 furono sostituiti dai pezzi britannici da 6 libbre, mentre l'artiglieria ricevè i cannoni da 17 e 25 libbre. Comparvero i nuovi mortai da 60 e da 81. pure inglesi, nuove anni automatiche come il fucile mitragliatore Bren, i moschetti automatici Thompson e Sten e la mitragliatrice Vickers, e nuovi mezzi quali le Jeep americane ed i carri cingolati da trasporto che, a dire il vero, assomigliavano molto - ma in meglio - agli L 3. D'italiano le uniformi conservarono solo la bustina, i contrassegni di grado, le mostrine colle stellette e la striscia tricolore, portata sulla spalla sinistra al disopra dello scudetto di Gruppo, distintivo dei reparti italiani. li 24 novembre il Gruppo di Combattimento Friuli fece sfilare per Roma, tra la commozione generale, una colonna autocarrata di rappresentanza. poi si diresse a nord e si concentrò in Toscana, trasferendosi infine a Forlì, dove fu inquadrato nel V e poi nel X Corpo britannico, entrando in linea ai primi di febbraio. Più o meno contemporaneamente anche gli altri Gruppi di Combattimento affluirono al fronte: il Legnano assegnato alla 5° Annata americana, il Folgore al XIIl Corpo dell'8" Armata britannica, come il Cremona, inserito nel I Corpo canadese. Gli Alleati stavano per vibrare il colpo definitivo alle forze germaniche in Italia: 22 divisioni e 7 brigate delle Nazioni Unite e del cobelligerante Regno d'Italia ne fronteggiavano 20 dei Tedeschi, alquanto logorate, sul fronte Appennino-Senio. Alexander voleva infrangere la loro linea tanto sulle montagne quanto sul fiume, per poi accerchiarli a sud del Po ed avanzare su Verona. Quando le sue truppe fossero giunte ali' Adige, avrebbero tagliato le comunicazioni fra il Gruppo Armate C della Wehrmacht ed il Brennero e non avrebbero lasciato al nemico altra scelta che la resa. 35 I primi quattro erano comandati dai generali Primieri (Cremona), Utili (Legnano), Scattini (Friuli). Morigi (Folgore). 36 Articolati su un Comando - Quartier Generale e due sezioni di Reali Carabinieri - due reggimenti di fanteria - ognuno su una compagnia comando, una mortai da 76 ed una controcarro da 57/50 e tre battaglioni, ciascuno dei quali articolato su tre compagnie di fucilieri ed una d 'anni d' accompagnamento un reggimento d'artiglieria da campagna - su un reparto comando e sei gruppi: quattro di due batterie da 88 (pezzi da 25 libbre); uno anticarro su due batterie da 76 (17 libbre) ed uno contraereo su una coppia di batterie da 20 - un battaglione misto del genio su due compagnie artieri ed una teleradio. I servizi consistevano in u.na sezione di sanità, un ospedale da campo, un nucleo chirurgico un'ambulanza radiologica, una compagnia trasporti e rifornimenti , un parco mobile materiali d'artiglieria e genio e nelle offici.ne meccaniche mobili.


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Mentre il V ed il II Corpo polacco dell'8" Armata britannica già avevano cominciato il forzamento del Senio, col Cremona che apriva loro la strada verso Argenta e Bologna il 9 aprile 1945, il Friuli attaccò e prosegul l'azione di conserva colla divisione Carpatica polacca. Liberato Castel Bolognese nel corso della notte seguente, la mattina del 12 si divise in due sottosertori, a destra in contatto coi Polacchi, a sinistra col Gruppo di Combattimento Folgore. Superato il Santerno e liberata Imola, [talianì e Polacchi combatterono per 36 ore davanti a Castel San Pietro. Alla sera del 17 aprile nuovo arresto. Poi, impiegata la giornata del 18 bombardando il nemico, i comandanti del Friuli e del Folgore decisero di effettuare un attacco convergente su Varignana. li 20 tutta la linea si rimise in moto. continuando ad avanzare lungo la Via Emilia in direzione di Bologna. Alle prime luci del 21 due compagnie, passato il Savena, comunicarono che i Tedeschi avevano lasciato sia la linea che la città, nella quale entrarono quindi gli Italiani ed i Polacchi fra grandi manifestazioni di gioia della popolazione. Poco dopo arrivò il Legnano, che avanzava verso nord e che il 28 aprile entrò a Milano cogli Americani della 1• Divisione Corazzata, trovandosi davanti al cadavere di Mussolini a piazzale Loreto, mentre l'indomani il Cremona avrebbe raggiunto Venezia. Lo stesso giorno i generali Wolff e von Senger firmarono a Caserta la resa delle forze dell'Asse del fronte sudoccidentale. L'S• Armata intanto proseguiva, ma rigorosamente senza gli Italiani, verso Trieste. Monfalcone e Gorizia per precedervi gli Jugoslavi, mentre gli Americani avanzavano sul!' Austria e intimavano ai Francesi provenienti dalle Alpi occidentali di fermarsi. in base all'armistizio di Cassibile che non dava loro la possibi]jtà di occupazioni in Italia. Intanto i militari della RSI cercavano di resistere alle preponderanti forze jugoslave in Carnia, Istria e Dalmazia, ignari degli accordi che prevedevano di limitare l'avanzata angloamericana all'immediato retroterra triestino ed alla destra dell'Isonzo. Così Gorizia, difesa per 19 mesi vide l'arrivo dei Neozelandesi e la cessazione della loro avanzata il 29 aprile37. I presidi delle isole - Cherso, Lussino, Veglia, Neresine - erano stati assaliti nella seconda decade di aprile in preparazione all'attacco a Fiume. Il 25 gli Jugoslavi attaccarono Laurana. Furono respinti dai 130 marò della Compagnia D' Annunzio della Decima MAS. Contrattaccarono e obbligarono i circa 40 marinai superstiti a ripiegare al bivio Francici-Mattuglie. Da Fiume, presidiata da circa 4 .00038 militari italiani e un' aliquota tedesca, giunsero rinforzi. I Partigiani vennero respinti e i loro attacchi dei giorni successivi furono contenuti fino alla fine del mese quando, dopo aver dovuto ordinare il ripiegamento sulla seconda linea difensiva, il

37 Per 19 mesi era stata difesa dal I Bersaglieri Volontari Fiamme Cremisi, i cui superstiti vennero catturati dagli Jugoslavi. Di loro, 91 furono chiusi in una caverna il cui ingresso fu fatto saltare; parecchi altri vennero uccisi a fucilate o a bastonate subito nella marcia verso i campi di concentramento; tutti gli altri, meno un centinaio, morirono per i maltrattamenti subiti in prigionia. Gli scampati, nell'estate del 1947. ebbero il permesso di tornare in Italia a condizione di sfilare per Spalato imbracciando una bandiera rossa. Rifiutarono. Li salvò il loro cappellano, padre Guerrino Fabbri, che accettò di prenderla in mano. 33 35° Comando Militare Provinciale- circa 100 effettivi - Compagnia di Sussistenza Fiume di 150 uomini , 130 della Compagnia Autieri di Manovra, 270 totali della 1• e 2• Colonna di Salmerie/Carreggio, Battaglioni Genio I Costruttori e V Artieri, una compagnia del XIV Battaglione Alpini D.C.. 220 uomini delle due Compagnie Presidiarie del XVII Battaglione Misto D.C., i Gruppi Artiglieria PC IX - 450 uomini di 6 batterie da 90/53 antiaerei e 76/40 - e XJJ - 340 uomini con pezzi da I00/17 e 75/27 parte dei quali fu però avviata a Trieste prima del 30 aprile - 3° Reggimento MDT Camaro su due battaglioni per circa 1.500 uomini, Compagnia Autonoma MDT Confinaria Fiume, anche qui poche decine di uomini della GNR appartenenti ai Comandi Stazione di Fiume e Mattuglie della 5' Legione Ferroviaria, alla Coorte della I' Legione della Montagna e delle Foreste, al distaccamento della 3' Legione Portuaria e della Postelegrafonica, Comando Marina con circa 70 uomini. Compagnia D'Annunzio della Decima MAS - ridotta a 130 dei 250 effettivi per i distacchi fatti a Laurana e Lussino.


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Comando germanico stabilì la ritirata su Trieste. Non ci arrivarono tutti, perché alcuni reparti vennero intercettati e distrutti a Pisino e Buie dagli Jugoslavi. che ovviamente non parlavano nemmeno di fare prigionieri altro che per mandarli a morire nei campi di concentramento. La maggior parte degli Italiani restò però a Fiume e resse ai continui attacchi nemici fino al 2 maggio. Dopo quella data si sa soltanto che i superstiti si arresero e, quando furono fortunati, vennero fucilati subito, se no furono massacrati nelle foibe, annegati in mare, o portati a morire nei campi di prigionia Non si sa quanti siano scampati. A Capodistria si concentrò il 2° Reggimento MDT - poco più di l.000 uomini - con militari sparsi di altre unità e - fortunato - si arrese al locale C LN. A Pola i circa 1.500 di vari reparti della Marina e delle Forze di terra39 ressero fino al 6 maggio prima d'essere anruentati. Intanto Trieste, presidiata come Gorizia dalle appositamente costituite Guardie Civiche4ii costituite nel gennaio 1944. aveva visto nelle sue strade i partigiani del CLN e Jugoslavi combattere contro i Tedeschi il 30 e 31 aprile, ma il IO maggio vi arrivò la 2" Divisione britannica, installò il Governo Militare Alleato4 ' e impose agli Jugoslavi di ritirarsi, da là e dalJ' Austria meridionale. li 2 maggio i resti della guarnigione di Berlino s'arresero ai Sovietici; il 3 capitolarono le truppe tedesche delJa Germania del Nord, il 7, a Reims, le Forze Armate del Hl Reich si arresero definitivamente, cessando le ostilità in Europa a partire dalle 23,0J dell'8 maggio 1945. All'Italia la guerra era costata tutti i territori d'oltremare, l'Istria, Zara, danni incalcolabili al territorio e mezzo milione di morti4 2. Poco più di 3 mesi dopo gli Americani sganciarono sul Giappone due nuove armi: le bombe atomiche e la guerra terminò anche in Estremo Oriente. Gli Alleati mutarono l'alleanza militare in coordinamento politico col nome di Nazioni Unite, dando ai 5 membri più importanti (USA. URSS, Cina, Francia e Inghilterra) un potere maggiore degli altri e un posto permanente al vertice, nel Consiglio di Sicurezza. Si instaurava la pace e, mentre le Potenze di prima della guerra o scomparivano sconfitte. o, come Francia e Inghilterra, venivano lentamente relegate in secondo piano cominciando a perdere le loro colonie, Stati Uniti e Unione Sovietica si spartivano l'Europa il mondo e iniziavano un nuovo duello, che sarebbe durato 44 anni.

39 Poche decine del 34° Comando Provinciale e del 97° Distretto Militare, i 120 uomini della Compagnia Fanteria Presidiaria. i circa 1()0 della compagnia Istriana del 2° MDT col sostegno dLdue gruppi d 'artiglieria - LI Xlii, con 350 uomini e 3 batterie da 149/50, e il xrv con altrettante da 149/13 e 280 uomini che però ripiegò su Trieste il 29 aprile - poche decine di uomini della GNR appartenenti al Comando Stazione della 5• Legione Ferroviaria, alla Coorte della I' Legione della Montagna e delle Foreste, al distaccamento della 3' Legione Portuaria. qualche centinaio di marinai del Comando Marina, i 140 fra medici e infermieri dell'Ospedale della Marina e i 150 delle batterie costiere, la Compagnia Sauro della X MAS forte di 300 effettivi, con 5 sommergibili CB. 40 La guardia Civica di Trieste allineava 14 compagnie per un totale di 56 ufficiali e I.260 gregari. 41 Dopo la guerra La Venezia Giulia sarebbe restata occupata fino al settembre 1947; ma Trieste sarebbe stara costituita in Territorio Libero - diviso nelle due zone A, sotto controllo anglo-americano, e B jugoslavo, poi divenuta jugoslava - sotto Governo Militare Alleato fino al 1954. 42 Su oltre 470.000 morti, circa 220.000 furono i caduti delle forze regolari in combattimento, 40.000 - divisi tra 21.000 morti e 19.000 dispersi - quelli dei militari resistenti, 28.368 - di cui 623 donne - i caduti del Corpo Volontari della Libertà, circa 35.000 i morti delle Forze Armate della RSI, circa 74.000 i civil i - 14.350 uccisi dai nazifascisti o dai partigiani, 60.000 nei bombardamenti - e 73.000 i morti e dispersi fra gli internati militari ilaliani in Gem1ania.


CAPITOLO XLIV

LAGUERRAFREDDA: 1946-1989

I) U dopoguerra

n giorno in cui la guerra finì le forze armate italiane si trovarono in una situazione strana. Terminavano la guerra dalla parte dei vincitori, ma erano sconfitte e in quanto tali dovevano prepararsi a dei consistenti tagli. La più colpita fu la Regia Marina. All'8 maggio 1945 allineava 64.000 uomini, 5 corazzate (delle 8 in linea al principio del conflitto solo la Roma era stata affondata, dai Tedeschi e dopo 1'8 settembre), 19 incrociatori, 11 cacciatorpediniere, 39 sommergibili, 22 unità di scorta, 19 corvette, 44 unità veloci costiere 56 dragamine, 19 motozattere da sbarco, 2 navi scuola, J nave appoggio e trasporto aerei e circa l 40 unità ausiliarie, costiere e d · altura. Era una flotta piuttosto consistente ed era impossibile che gli Alleati la lasciassero a un Paese sconfitto. Se anche l'avessero fatto, le difficoltà di bilancio del dopoguerra avrebbero comunque implicato forti tagli. In attesa deBa fine della guerra, la Regia si era preparata a una partecipazione al conflitto contro il Giappone, costituendo nel luglio 1945 il Comando Superiore Navale in Oceano Indiano (un cacciatorpediniere. una nave coloniale e due sommergibili) operante fra Colombo e Trincomalee ma che non entrò mai in combattimento e fu sciolto in agosto. Contemporaneamente si era ipotizzata la riorganizzazione della flotta su 2 corazzate moderne, 7 incrociatori e 9 caccia, mantenendo tutto il naviglio minore esistente, la maggior parte dei sommergibìli e ristrutturando alcune cisterne come portaerei leggere. Ma il trattato di pace avrebbe cancellato tutti questi sogni. La Regia Aeronautica aveva termfoato la guerra con 3 raggruppamenti, comprendenti I 5 gruppi. Dieci di essi - 2 da caccia, 4 da bombardamento e trasporto, 4 di idrovolanti - avevano inquadrato i 246 velkoli che erano riusciti a raggiungere il sud; gli altri cinque - 2 da combattimento al suolo, l da caccia e 2 da bombardamento medio - erano stati approntati con materiale fornito dagli Alleati. Infine, il giorno in cui la guerra finì, il Regio Esercito era composto fondamentalmente da tre tipi di grande unità: i Gruppi di Combattimento. le Unità Ausiliarie e le Truppe per la Sicurezza Interna. 1 Gruppi di Combattimento erano i già noti Friuli, Legnano, Folgore, Cremona e Mantova (perchè il Piceno, dal 27 gennaio 1945 s'era trasformato in Comando Divisione Piceno - Centro Addestramento Complementi per le Forze Italiane di Combattimento, con sede a Cesano di Roma, dove successivamente si sarebbe mutato nella Scuola di Fanteria dell'Esercito Italiano) e costituivano la branca operativa regolare delle Forze Armate di terra, mentre quella irregolare erano i partigiani. Le Truppe per la Sicurezza Interna erano quelle destinate a compiti di ordine pubblico e constavano di 3 divisioni quaternarie, prive d'artiglieria 1: la Calabria a Cagl.iari e Sassari, la 1 O meglio: avevano un reggimento d'artiglieria ognuna. ma privo di pezzi. Cfr. DE LORENZIS. op.cit. a proposito della Sabauda.


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Sabauda a Messina, Enna e Catania e la Aosta a Palermo. Le Grandi Unità Ausi liarie, infine, erano le divisioni 205', 209", 2 10", 227•, 228", 230•, 231• ed il Comando Italiano 212.

Il) "Separare bisogna": la guerriglia separatista siciliana La necessità di truppe addette alla sicurezza interna, incarico che liberava consistenti aliquote alleate permettendone l'impiego al fronte, era apparsa subito, entro la fine del 1944, quando si erano manifestate tendenze separatiste in Sicilia. Il movimento secessionista aveva trovato il proprio teorico in Finocchiaro Aprile il quale, a partire daJ tardo autunno del 1944, aveva cominciato a pretendere l'indipendenza siciliana domandando appoggio all'InghiJterra. Ma dietro la facciata delle rivendicazioni autonomiste si nascondeva fra l' aJtro un notevole interesse della Mafia, che si sarebbe resa padrona dell'isola. Sia come sia, resta il fatto che gli Inglesi, ai quaJi spettava ancora la supervisione dell'ordine pubblico della Sicilia e che vi mantenevano parecchi reparti, ebbero un atteggiamento non esattamente favorevole al legittimo Governo del Re La miccia che diede fuoco alle polveri fu il richiamo alle armi di parecchie classi entro il 30 dicembre 1944. Fomentata, finanziata ed armata da elementi comunisti, la folJa assalì il Distretto Militare di Catania. La I Brigata della Sabauda intervenne immediatamente e ripristinò l'ordine pubblico. AJtri disordini si preannunciarono a Siracusa. La II Brigata presidiò la città e sedò un principio di sommossa. Subito dopo, però, scoppiò una vera e propria rivolta a Ragusa, dove persone ignote giunte da Palermo distribuivano armi, munizioni e un soldo giornaliero a chi si dichiarava disposto ad insorgere. Il Distretto fu assalito ed incendiato da una folla di armati e vennero assediate la caserma dei Carabinieri Reali e la Prefettura, difesa da un plotone di Fanteria. Il Comando Militare della Sicilia reagì inviando una compagnia autocarrata. ma questa venne assalita da centinaia di insorti, dotati di mitragliatrici pesanti e di un mortaio e, restata senza munizioni, si arrese. Il giorno dopo il generale Ronco assalì Ragusa da due parti con tre battaglioni e dopo un breve scontro a fuoco ripristinò l'ordine. Dopo questa prova di forza cessarono dappertutto tumulti e attentati; i richiamati si presentarono ai Distretti e per il IO gennaio tutto sembrava rientrato nella normalità. Ma in seguito i disordini si riaccesero, Si formò il cosiddetto Esercito Volontario dell'Indipendenza Siciliana - E.V.J.S. - e il Regio Esercito dovette intervenire nuovamente. Ancora una volta toccò alla Sabauda. Si ebbe una dura guerriglia con scontri in campo aperto e l'uso di armi pesanti e artiglieria, in particolare il 29 dicembre 1945, quando fu disperso il cosiddetto «Esercito d'Oriente» dell 'EVIS. Lo spezzettamento dell ' EVIS diede inizio aJla seconda fase della guerriglia, inaugurata dai rastrellamenti del 5° Fanteria Aosta a Montelepre. Ma dalla primavera del 1946 l'impiego dell'esercito di campagna cessò; la rivolta fu ridotta a un fatto di delinquenza comune - e del resto I.a collaborazione del noto bandito Salvatore Giuliano gettava non poche ombre sui veri fini dell ' EVIS - e la questione passò ai Reali Carabinieri che, con metodo tempo e calma, ne avrebbero avuto ragione.

ill) D nuovo esercito, la Repubblica e il trattato di pace

A partire dall ' estate 1945, il Regio Esercito cominciò a congedare le classi più anziane, chiamando alle armi quelle del '24 e del '25, in modo da contrarre gli organici dai 360.000 ai 140.000 uomini previsti dai programm.i alleati. In ottobre iniziò lo scioglimento delle Unhà Ausiliarie. Entro il 31 dkembre esisteva ancora la sola 205• Divisione; ed i reparti delle altre ancora non sciolti erano passati ai vari Rag-


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gruppamenti Amministrativi, mentre i Gruppi di Combattimento, che dal 15 ottobre avevano riassunto l'appellativo di divisione, erano accantonati in varie zone dell'Italia Settentrionale. Il seguente mese di novembre segnò il principio della rinascita di vecchi e gloriosi reparti scomparsi nel turbine dell'armistizio colla ricostituzione del 9° Reggimento Fanteria Regina. Nel 1946 fu la volta del 3° Bersaglieri. del 4°, 6° ed 8° Alpini e del I O Granatieri. Intanto l'Esercito Italiano, non più Regio dal giugno 1946 in seguito al Plebiscito che aveva sancito l'avvento della Repubblica, aumentava lentamente la propria consistenza e tornava ad assumere un carattere meno provvisorio ed un po' più tradizionale, ad esempio riadottando l'elmetto modello '33 al posto della «padella» inglese. Sul piano politico il 1946 aveva ponata la già accennata novità del cambiamento istituzionale da monarchia a repubblica. A dire il vero Casa Savoia era sembrata parteggiare per la propria sconfitta. Umberto Il, salito al trono definitivamente in maggio dopo l'abdicazione di Vittorio Emanuele TJI, aveva concesso molto più di quanto ci si sarebbe attesi. Le clausole armistiziali effettivamente avevano fatto cenno alla possibilità che il popolo italiano decidesse se cambiare la forma istituzionale, ma non si era stabilito alcun termine. Fu quindi a dir poco sorprendente sentir dire da re Umberto che non solo il Plebiscito istituzionale si sarebbe svolto nel 1946, ma che addirittura, se la monarchia avesse vinto con uno scarto ridotto, sarebbe stato ripetuto entro un anno. Da parte monarchica si considerò la cosa come un tentativo di suicidio politico e si obbiettò che oltretutto non si poteva considerare veramente valida una votazione alla quale non potevano partecipare le centinaia di migliaia di militari italiani ancora in prigionia all'estero. li 2 giugno 1946 si andò alle urne, per la prima volta col suffragio universale esteso alle donne, e si attesero i risultati delle varie sezioni elettorali, la cui collazione era affidata al Ministero dell'Interno, retto dal socialista e repubblicano Romita. Per primi furono comunicati quelli dell' Italia Meridionale -e questa dell'arrivo dei risultati elettorali del sud prima di quelli del nord sarebbe stata l'unica volta in tutta la storia della Repubblica - e si seppe che la Monarchia era in vantaggio. Poi. nella notte, man mano che pervenivano i risultati delle sezioni dell'Italia Settentrionale, si seppe che la Repubblica aveva vinto con un vantaggio di circa due milioni di voti. La Corte d i Cassazione comunicò ufficialmente i dati; Umberto Il sciolse Le forze armate dal giuramento di fedeltà e partì per l'esilio in Portogallo, ritirandosi a Cascais, dove sarebbe morto nel 1982. La neonata Repubblica Italiana ebbe nell'avvocato Enrico De Nicola il suo Capo Provvisorio dello Stato e il Governo si trovò davanti ai tremendi impegni del dopoguerra e della ricostruzione. I primi furono quelli della stipulazione e ratifica del trattato di pace, che imposero all'Italia la cessione di tutte le colonie - ad eccezione della Somalia. datale però in amministrazione fiduciaria per conto delle Nazioni Unite - del Dodecanneso, passato alla Grecia; di alcune zone del confine occidentale a vantaggio della Francia; dell'Istria, della Dalmazia e di parte della Carnia, dove gli Jugoslavi avevano massacrato barbaramente migliaia di civili italiani, cacciandone altre centinaia di migJjaia. Uscita dal novero delle Potenze di primo piano, esclusa non solo dal ristretto consesso dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma anche dal novero delle medesime fino al 1955, la Repubblica Italiana entrò in un letargo politico i.ntemazionale cbe sarebbe durato a lungo. L'unico vantaggio avuto dalla firma del durissimo trattato di pace, che cancellava tutte le promesse fatte dagli Alleati fin dall'agosto del '43, fu la fine dell'occupazione e, con essa, del diretto controllo dell'operato delle Forze Armate Italiane. Preceduto da conferenze interalleate a Parigi e New York, il trattato di pace fu imposto al1'ltalia per la firma il IO febbraio 1947. Prescindendo dalle riparazioni economiche e dalle cessioni territoriali. le condizioni in cui


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il trattato lasciava l'apparato militare italiano erano tragiche. Premesso l'obbligo di smantellare tutte le fortificazioni ai confini con Francia e Jugoslavia. venendo al dettaglio, si imponeva una forza di 300.000 uomini senza annamenti realmente efficaci. L'Esercito poteva allineare non più di 185.000 uomini e 65.000 Carabinieri, senza anni autopropulse né cannoni di gittata superiore a 30 chilometri e con non più di 200 carri armali medi. L'Aeronautica poté avere 25.000 uomini, non più di 200 fra caccia e ricognitori armati e solo 150 aerei da trasporto, addestramento, collegamento e salvataggio disarmati. Vietati missili e bombardieri. La Marina ebbe il trattamento più duro. Già scesa a 35.000 uomini, si vide imporre il congedo di altri 10.000, meno un· aliquota di 2.500 destinata allo sminamento. Il naviglio doveva essere ridollo a 67.000 tonnellate. Sarebbero restate due vecchissime corazzate, 4 incrociatori, altrettanti caccia, 16 torpediniere. 20 corvette, 35 dragamine, 8 vedette antisommergibili e 74 navi ausiliarie. Tutto il resto doveva essere ceduto come bollino di guerra o demolito. Infine era vietato il possesso di sommergibili. La Marina minacciò l'autoaffondamento. Il Governo fece tutto il possibile e riuscì ad evitare la consegna tramutandola in demolizione. Solo l'URSS e la Jugoslavia insisterono per avere la loro quota di navi e alla fine, insieme alla Grecia, la ricevettero; la Francia rinunciò a metà delle navi e gli Anglo-Americani a tutte. La ratifica del trattato lasciò ali' Italia una nona adatta si e no a scortare i convogli e un· Aeronautica incapace di offensive. Ma gli Stati Maggiori seppero correre ai ripari almeno per limitare i danni. Così. mentre il limite numerico degli aerei da bombardamento e trasporto veniva aggirato sostituendo sugli apparecchi le coccarde italiane con quelle dell'Ordine di Malta, la Marina mantenne in vita i sommergibilisti ricorrendo ai trucchi più vari. per evitare la dispersione delle loro conoscenze e capacità.

IV) L'Italia e la NATO

Dopo la firma del trattato di pace ed il ritiro delle truppe alleate si pose al Governo della Repubblica il problema della garanzia del territorio nazionale da offese esterne, tutt'altro che improbabili specialmente da parte jugoslava. Bene o male gli Angloamericani avevano protetto le regioni nordorientali, ma come ci si doveva regolare dopo la loro partenza? Il Governo De Gasperi non aveva un atteggiamento chiaro e sembrava intenzionato a rimanere in una sorta di neutralità equidistante dai due blocchi in corso di formazione. La situazione era fluida sia a livello nazionale, ancbe per la mancanza della nuova Costituzione senza la quale non si poteva consolidare l'ordiaamento repubblicano, sia a livello internazionale, dove cominciavano ad apparire le prime forti tensioni fra Angloamericani e Sovietici. Incerto sul da fare, il Governo nel 1947 domandò agli Stati Uniti se ernno disposti a fornire all'Italia materiale militare e copertura in caso di attacchi. Washington rispose si alla prima richiesta e no alla seconda. predisponendo l'invio di mezzi e armi. Poichè tutto sommato l'Italia rientrava nella sfera occidentale e colla richiesta avan1ata agli USA sembrava volervisi collocare stabilmente, Gran Bretagna, Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo le offrirono di entrare 1\ell'alleanza militare organizzata fra di loro e nota come Patto di Bruxelles. Roma rispose di no. adducendo la perdurante incertezza della situazione istituzionale. Gli Alleati decisero dì aspettare e, nella terza settimana dell'aprile 1948. vista l'assoluta vittoria ottenuta dalla Democrazia Cristiana nelle elezioni politiche, rinnovarono l'offerta. Ma il 27 Roma la respinse e così facendo si alienò le simpatie occidentali. Subito dopo il Governo rifiutò di ricevere gli aiuti militari americani, domandati un anno prima e ormai sul punto di partire, e si alienò pure i vertici statunitensi, i quali decisero di fare i loro piani e le loro alleanze senza più contare sul!' Italia.


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L"orientamento neutralista del Governo italiano, ispirato da settori della predominante Democrazia Cristiana e visto tutto sommato cli buon occhio dal Partito Comunista. peccava però d'irrealizzabilità, perchè per dissuadere eventuali aggressori mancavano tanto le armi quanto il denaro per comprarle. Dopo aver pasticciato la politica estera riuscendo a isolare completamente la Nazione, il Governo cercò di rimediare passando la patata bollente ai militari, coinvolgendo i Capi di Stato Maggiore Generale Trezzani, dell'Esercito Marras e della Marina Maugeri. In particolare Marras fu incaricato di recarsi in Germania con fumosissime istruzioni da cui emergeva che doveva domandare al generale Clay, comandante delle Forze Alleate in Europa, quali fossero i suoi piani in caso di offensiva sovietica: se le truppe americane in Austria avrebbero ripiegato verso la Germania o verso l'Italia e se, in caso di attacco all'Italia dall'Est, ci si poteva aspettare una loro collaborazione. Ovviamente Clay si limitò a fare ciò che Marras aveva predetto e il Governo non aveva voluto credere: rispose che non si potevano dare informazioni simili a chi non era un alleato; e quindi prima andava chiarita la posizione italiana mediante contatti al massimo livello fra Roma e Washington e poi si sarebbe visto il da farsi. A questo punto il Governo cercò un'alleanza bilaterale cogli Stati Uniti. sperando sempre di poterne ottenere la protezione del territorio nazionale senza dover riorganizzare Forze Armate realmente efficienti. Sembrò poterci riuscire quando il generale Marras venne invitato a Washington, ma gli Stati Uniti volevano semplicemente sapere cosa erano disposti a fare gli Italiani. Mentre il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito cercava di raggiungere risultati concreti, il Governo riuscì a vanificare ogni suo sforzo. Era venuto a Roma nell'autunno del 1948 il Segretario di Stato americano generale Marshall il quale, ricordati agli Italiani i loro precedenti tentativi di contatto, si era detto disposto a sentire cosa chiedevano. Ma tale era la miopia dei poljtici e la loro presunzione dell'importanza dell'Italia da far loro assumere un atteggiamento assai freddo. come se la mancata ricerca d'un alleanza con Roma da parte degli Stati Uniti fosse un'offesa. Era insomma lo stesso atteggiamento che già nel 1943 il generale Utili aveva stigmatizzato come lontano dalla realtà: i politici non si rendevano conto d'essere a capo d'una Nazione sconfitta, priva di prestigio, credito e considerazione nei circoli internazionali e erano convinti d'essere desideratissimi, mentre inutilmente i militari e i diplomatici, a contatto colla sgradevole realtà delle cose, tentavano di far loro aprire gli occhi. Contemporaneamente era cominciata la Guerra Fredda col blocco sovietico di Berlino e la situazione generale si andava rapidamente deteriorando. Il Governo, completamente isolato, si rese conto troppo tardi del rischio di tornare a vedere il territorio nazionale ridotto a un mero teatro di scontro fa opposti avversari e nel dicembre 1948 rispedì il generale Marras a trattare cogli Americani. Ma a Washington l'irritazione nei confronti dell'Italia era salita alle stelle dopo la visita cli MarshalJ a Roma e la risposta fu che difficilmente l'Italia avrebbe potuto contare su aiuti militari, perchè molti erano i paesi, assai più credibili e affidabili, che in quel momento ne domandavano. Illudendosi di poter ottenere qualcosa bussando ad altre porte, Roma si rivolse a Parigi. ma tutto ciò che ne ebbe fu il freddo invito ad aderire al costituendo Consiglio d'Europa. Intanto si stava preparando l'Alleanza Atlantica ed era evidente che rltalia ne sarebbe rimasta fuori perchè l'incapacità dei suoi politici le aveva alienato ogni possibile amicizia a Occidente; e così sarebbe stato se, nel gennaio del 1949. la Francia non avesse posto un ultimatum agli altri membri della costituenda alleanza: cooptassero l' Italia o Parigi avrebbe posto il veto all'ingresso della Norvegia. I motivi di questo improvviso cambiamento, verificatosi a totale insaputa dell'Italia, erano dovuti a due motivi: da un lato c·era il desiderio di Parigi d'estendere l"ombrello della protezione americana a11· Algeria - dichiarata territorio metropolitano francese - abbassando il con-


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fine sud deU' Alleanza grazie all'ingresso dell'Italia. Dall' altro c'era un accorgimento strategico: la Francia puntava a difendere i propri confini da un'eventuale invasione sovietica combattendo - e facendo combattere la NATO - lontano da essi, quindi sul territorio degli Stati confinanti. Per la Germania il problema non si poneva perchè vi si trovavano le truppe d'occupazione; ma il confine meridionale sarebbe stato investito subito, a meno cbe l' Italia non fosse entrata a far parte dell'Alleanza. Gli altri non volevano; Parigi allora ricorse al ricatto già accennato. La Norvegia era fondamentale per la protezione delle rotte atlantiche dalla minaccia della Marina sovietica; opporsi al suo ingresso significava indebolire moltissimo l'Alleanza. Le discussioni in merito furono accesissime e, alla fine, si demandò la decisione al Presidente americano. Truman ponderò la cosa e, pur dicendo chiaramente di preferire un'Alleanza Atlantica senza l'Italia, concluse che fosse meglio non mostrare incrinature nel fronte occidentale e garantirne il più possibile la protezione strategica, ragion per cui accettò l'ultimatum francese. Nessun alleato fu contento, coll'ovvia eccezione della Francia. L'lnghiJterra fu cosl contraria da intimare ed ottenere l'esclusione degli Italiani dai lavori preparatori dell'Alleanza: Roma avrebbe potuto solo mandare un proprio rappresentante a sottoscrivere l'adesione. Dopo una tumultuosissima seduta, caratterizzata da risse fra i parlamentari, le Camere della Repubblica nel marzo 1949 ratificarono il Trattato e l'Italia potè entrare nell' Al.leanza Atlantica, nonostante la perniciosa incapacità dei suoi politici. trovandosi ad essere uno dei due settori di frontiera dello schieramento occidentale verso oriente. Per questo motivo l'ampliamento delle Forze Armate potè essere perseguito rapidamente e senza difficoltà, a differenza di quanto accadeva in Germania.

V) La rinascita delle Forze Armate L'Esercito già nel 1948, aveva previsto la costituzione di 8 divisioni ternarie di fanteria2, 3 divisioni binarie di fanteria motorizzata e 6 brigate: 3 corazzate e 3 alpine. La prima divisione di fanteria ad essere ricostituita era stata, già nel '48, la Granatieri di Sardegna. Fu seguita, entro il 1951, dalle di visioni Aosta, Avellino, Trieste e Pinerolo, dalle brigate alpine Julia e Tridentina e da quelle corazzate Ariete e Centauro, le quali si aggiunsero alle preesistenti divisioni Friuli, Cremona, Legnano, Mantova e Folgore. Sempre nel '5 1 furono istituiti l' Aviazione Leggera3 e i Lagunari, mentre i Paracadutisti erano stati riuniti fin dal 1947 nel Centro Militare di Paracadutismo. Fra il 1951 ed il 1953 le grandi unità corazzate furono ampliate, elevando l ' Ariete e la Centauro al rango di divisioni e creandone una terza, la Pozzuolo del Friuli, mentre le brigate alpine salivano a 5 colla nascita della Taurinense, dell'Orobica e della Cadore.

2 Una d'immediato impiego. tre di pronto impiego e quattro da completare affatto dell'impiego. 3

Creata il 10 maggio 1951 come Reparto Aerei Leggeri presso la Scuola d'Artiglieria di Bracciano. l'Aviazione Leggera dell'Esercito -ALE - non potendo avere aerei propri per la famosa disposizione mussoliniana per cui tutti i mezzi ad ala fissa dovevano appartenere solo al)" Aeronautica, fu costretta a dare ai propri apparecchi - i primi furono i Piper L-18 C- un 'immatricohuione civile fino al 1967. Ricevuti gli ehcotteri - AB 47 G - nel 1956, nel 1957 il Reparto Aerei Leggeri venne ribattezzato Aviazione Leggera dell'Esercito, trasferendosi a Viterbo e ricevendo la bandiera di guerra nel 1958. Articolata su un Centro Aviazione Leggera Esercito retto da un Maggior Generale, (secondo la terminologia di allora; dal 1999 il grado è quello di Brigadiere Generale) lentamente ampliò linea di volo e mansioni. adottando aerei leggeri da trasporto, elicotteri pesanti birotori e elicotteri d'attacco. Nei primi anni '90 il CALE avrebbe avuto alle proprie dipendenze 4 Raggruppamenti di volo - uno per ogni Corpo d'Armata - 6 Gruppi Squadroni assegnati uno ad ogni Regione Militare o Brigata Autonoma, e 4 Reparti Riparazione Aviazione Leggera Esercito - RRALE - a Viterbo, Bologna. Bergamo e Bracciano.


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In definitiva, nel 1953, l'Esercito Italiano aveva superato il programma stabilito nel 1948, poichè allineava 7 divisioni di fanteria, 3 di fanteria motorizzata (Folgore, Aosta e Trieste}, 3 corazzate e 5 brigate alpine. In più, per fronteggiare le nuove esigenze operative, il 1° giugno di quell'anno i Trasmettitori erano stati separati dal Genio, costituendo Arma a sé: e avrebbero raggiunto entro la fine del decennio la forza di 22 battaglioni, altrettante compagnie autonome e varie unità minori. Di pari passo col riordinamento organico procedettero quelli degli equipaggiamenti e delle dottrine d'impiego. Per i primi il discorso è relativamente breve. Fermo restando 1·uso di uniformi e buffetterie di tipo britannico. dell'elmetto modello '33 e della solita bustina, lievemente modificata, le anni e I mezzi della Fanteria subirono numerose variazioni. a materiale inglese scomparve progressivamente, lasciando il posto ad armi amencane4. od italiane più o meno nuove mentre rimaneva ancora in servizio il pezzo anticarro inglese da 6 libbre, sostituito poi dai cannoni senza rinculo da 57, da 75 e, più tardi, da J06 millimetri. a parco autoveicoli fu quasi interamente rinnovato con mezzi di produzione nazionale, a differenza di quello dei veicoli protetti. cioè blindatt. e corazzati che restò basato sui carri americani Sherman M 4. Pershing M 26 e Chaffee M 24, per le unità carriste, e sugli Halftrack americani ed i Brcn Carrier britannici, rispettivamente per i bersaglieri e la fanteria, granatieri inclusi. Sul piano dottrinale lo Stato Maggiore dell'Esercito ini1iò la pubblicazione di Circolari che chiarissero la sua dottrina tattica e strategica e rispondessero ai più urgenti problemi della difesa nazionale. Dopo la Circolare n.0 3000 «Organizzazione difensiva» del 1948, col mutato atteggiamento operativo - da difensivo della neutralità auspicata dal governo cli allora a offensivo dopo l'entrata nell'Alleanza Atlantica - e coll'aumento delle forze disponibili si passò ai nuovi e più flessibili schemi delle circolari serie 2000. come la 2600 «Lineamenti di impiego della Divisione di fanteria». Restarono in vigore fino alla metà degli anni '50, quando l'intr<r duzione delle armi nucleari tattiche e la teorizzazione in sede NATO della diffusione del loro impiego fino a livello battaglione portarono alla pubblicazione della serie 600. Per le mutate esigenze tattiche e strategiche. nel l 958 cominciò un ulteriore riordinamento organico delle varie Armi che, nell'arco di sei anni. portò a notevoli modifiche anche nel campo degli equipaggiamenti. Le divisioni furono trasformate in vario modo. Tre di esse divennero Grandi Unità di Fanteria di Pianura le quali in vista del loro impiego in piano dovevano risultare più potentemente armate. Ragion per cui la Granatieri nel 1959, la Folgore e la Legnano sostituirono un reggimento di fanteria con uno corazzato. Le altre divisioni si ripartirono in due Grandi Unità di Fanteria di Montagna ed in cmque brigate per la difesa del territorio, che furono la Cremona e la Mantova. restate su tre reggimenti di fanteria ma rinforzate da un battaglione carri, e le Avellino, Friuli, Aosta, Pinerolo e Trieste. Per adeguare armi e mezzi ai nuovi compiti delJe Grandi Unità, nel 1964-65 vennero introdotti i missili anticarro filoguidati Mosquito, Cobra e SS 11 e s'ini1iò la sostituzione dei carri Sherman e M 26 cogli M 47. I veicoli protetti furono aumentati facendo cominciare a entrare in linea 1.500 VTT M 113. di produzione americana, e 500 AMX 12, di fabbricazione francese, e infine si assegnarono ai fanti i primi F.A.L. BM 59 (Fucile Automatico Leggero, ribartezzato dai soldati "Fucile Apparentemente Leggero". Beretta Modifica 59). la mitragliatrice tedesca MG 42 modifica 59 cd i mortai da 81 e 120. Successivamente vennero acquistati i carri tedeschi Lcopard I e quelli americani M 60 e fu abolita la differenza fra le Grandi Unità di Pianura e quelle di Montagna. Cambiarono anche le uniformi. La tenuta all'inglese scomparve ed al suo posto s'indossò una serie di divise di stile genericamente occidentale. con una certa impronta nazionale, tre invernali e tre estive. Sostanzialmente identiche a quelle della truppa le uniformi degli ufficiali,

• Come il fucile Garand. la carabina Winchester, il bazooka da 60. la mitragliatnce Browning da 12.7 ed il fucile mitragliatore BAR.


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tranne che per l'uso della sciabola. sospeso però dalla fine della guerra al I 960. e della sciarpa nei servizi armati e nella grande uniforme. Nello stesso periodo la Marina, svincolata~i dalle limitazioni del trattato di pace, aveva ripreso a crescere. Al principio degli anni '60 allineava 178 unità, pari a 125.000 tonnellate di naviglio combattente e 50.000 di naviglio ausiliario, 48 aerei antisommergibili e 30 elicotteri. Nel 1972. dopo la radia,ione delle unità più vecchie avrebbe allineato 44.000 uomini e 3 incrociatori lanciamissili, 4 caccia, 10 fregate, 8 corvette, 7 motosiluranti, 7 motocannoniere, 41 dragaminè, 10 sommergibili, 2 navi da sbarco e 5 da trasporto. più 7 caccia, 20 corvette e 20 dragamine di vecchio tipo. li tutto era raggruppato in 4 divisioni navali, I Comando Dragamine, l Sommergibili e I Subacquei e [ncursori più 3 centri elicotteri. L'Aeronautica aveva costituito nel I 959 2 brigate missilistiche, armabili con testate nucleari, e grazie a un notevole sforzo nel 1972 avrebbe potuto disporre di oltre 70.000 uomini e 35 gruppi di volo. Di questi: 22 sarebbero stati da combattimento, 5 da addestramento, 3 da trasporto medio, 2 di soccorso aereo. I elicotteri. I da trasporto e I radiomisure, schierati su 23 basi principali e difesi da 13 gruppi missili. Nei vent'anni trascorsi dalla fine della guerra s'erano quindi verificati molti cambiamenti, ma la struuura di comando delle Forze Armate risentiva ancora di parecchie storture. Fra il 1962 ed il 1965 varie leggi riorganizzarono in chiave interforze l'apparato militare italiano. Furono introdotte le cariche di Capo di Stato Maggiore della Difesa e di Segretario Generale della Difesa. Preposti l'uno all'area tecnico-operativa e l'altro a quelJa tecnico-amministrativa, erano di pari importanza ed entrambi alle dirette dipendenze del Ministro. Ma rimanevano dei puri e semplici coordinatori perché non avevano un'effettiva superiorità gerarchica nei confronti il primo dei Capi di Stato Maggiore di Forza Armata e il secondo dei Direttori Generali, 1 quali, tutti. n spondevano dirertamente e solo al Ministro del loro operalo. In sostanza era stato aggiunto un anelJo in più, ma sembrava perdurare la mentalità degli "Zucconi di Corte" della Restaurazione. visto che il Capo continuava a coordinare senza comandare.

VI) L'Ospedale in Corea, il Mandato in Somalia e l'eccidio dj Kindu: Le Missioni ONU fino al 1989 L" ammissione dell'Italia nella NATO nel 1949 influenzò quella alle Nazioni Unite nel 1955: e le Forze Armate Italiane cominciarono subito a fornire uomini e mezz.i per le missioni di osservazione e interposizione. Le più conosciute furono UNC - United Nations Corea - cioè la partecipazione alla guerra di Corea coll'invio d'un ospedale da campo e d'una sessantina fra ufficiali medici. sottufficiali e militi e ONUC - Opérations des Nations Unies au Congo - nel Congo ex-belga. funestata il 15 novembre 1960 dal tragico eccidio di 13 aviatori italiani della 46• Aerobrigata a Kindu5,scambiati per Belgi e massacrati dai rivoluzionari. In realtà ce ne furono molte altre. Una delle più vecchie fu I'UNTSO - United Nations Truce Supcrvision Organization / Organizzazione d1 Supervisione della Tregua delle Nazioni

5 Su 22 italiani morti l'Aeronautica Militare ne ebbe altri 8 in tre incidenti aerei nel corso del medesimo intervento; il venuduesimo fu un caporale del Corpo Militare della Croce Rossa. li contingente italiano comprendeva un distaccamento aereo d1 10 CIJ9 e un ceminaio d1 avieri addetti, inclusa una squadra della VAM - Vigilanza Aeronautica Militare - un Ospedale da campo del Corpo Militare della Croce Rossa e a lcuni osservatori dell'UNMO appositamente di>taccati. Dopo h1 fine del con nino, istruttori italiani provvidero alla formvioni di piloti e tecnici dell"aviazione zairese fra il 1964 e il 1973. lnoltre l'Aeronautica aveva prestato 5 caccia Sabre Mk 4 ai piloti filippini 1mpegna1J nella missione congolese per conto dell'ONU.


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Unite - incaricata di vigilare nell'arco di vari decenni sulla fragile tregua arabo-israeliana stabilita dal 1948, estendendo la propria attività anche ad altri teatri quando si rendeva necessario, adoperando gli Os~rvatori dell'UNMO - United Nations Military Observers / Osservatori Militari delle Nazioni Unite. L'aliquota italiana. mediamente 8 o 9 osservatori su circa 200. ebbe a lamentare un morto - il capitano Olivieri - durante la guerra del Kippur nel 1973. Dal 1961 militari italiani entrarono a far parte dell'UNMOGlP, cioè il Gruppo degli Osservatori Militari ONU in India e Pakistan, fornendo inoltre un appoggio aereo con un C47 del 306° Gruppo dcli' Aeronautica dal gennaio 1957 all'agosto I 963 e vedendo il comando della Missione affidato al generale Alfonso Pessolano dal dicembre 1994 al marw 19966. Un'altra missione la UNOGIL- United Nation Observation Group in Lebanoo - venne mandata in Libano nel giugno 1958. articolata su 100 osservatori di 22 nazioni, tra cui l'Italia. Aumentati fino a 5007 in settembre per pattugliare i confini libanesi - meno quello con Israele ricadente sotto la responsabilità di un 'altra missione ONU - furono rinforzati da I 0.000 Marines americani e poi ritirati Nel 1962 la guerra civile nello Yemen del Nord portò alla costttuzione delrUNYOM Osservatori Militari ONU nello Yemen - tra cui alcuni Italiani, giunti nel luglio 1963 e rimasti fino al settembre I964. Nel 1979 le nazioni Unite, su richiesta del Governo libanese. diedero il via alla Missione UNIFIL: United Nation Interim Force In Lebanon - Forza Interinale delle Nazioni Unite In Libano. La partecipazione italiana si concretò in un nucleo elicotteri interforze - ltalair - forte di 52 elicotteristi. mezza dozzina di carabinieri (per il reparto multinazionale di Polizia Militare) e 4 elicotten AB 204, poi sostituiti da 6 AB 205 e infine ridotti a 48 e 44 uomini. Un discorso a parte merita la prima missione in Somalia. Dal 1950 la Repubblica vi aveva un mandato esercitato per conto delle Nazioni Unite tramite l 'Amministrazione Fiduciaria Italiana in Somalia -AFIS - per preparare il Paese ali' indipendenza. Sotto il profilo militare si provvide con un contingente schierato nel febbraio 1950 e restato fino al dicembre 1955, denominato Corpo di Sicurezza della Somalia9• con una riserva di due banaglioni di Carabinieri in Italia. Al comando del generale Arturo Ferrara, rilevò gli Inglesi presenti dal '41 prendendo terra a Mogadiscio in febbraio. dopo indecisioni e perplessità da parte del Governo superate grazie al decisissimo intervento dei generali Trezzani. Marras e Ajmone Cat. Al CSS venne affiancato un Gruppo Territoriale Carabinieri al quale spettava la formazione del Corpo di Polizia Somala, mentre il CSS, oltre a garantire la sicurezza interna della Somalia. doveva addestrarne le Forze Armate 10. Fu facile, perchè molte reclute avevano già servito nel Regio Corpo Truppe Coloniali e, dopo un .. ripai;so" poterono prendere servizio. Così già nell'estate del 195 I si potè ridurre il CSS a 2.021 uomini, scendendo a I. I08 a fine anno e a 692 nell'estate del '53, quando il comando fu assunto dal colonnello Nani 111° gennaio 1956 il

6 in quest'ambito va registrata la presenza di osservatori italiani distaccati da UNMOGIP per la mis sione UNTPOM. sempre relativa alle tensioni indo-pakistane ma 6voltasi dal settembre I 965 al gennaio 1966 lungo tutto il confine, anziché nel c:olo Kashmir come UNMOG[P. 7 L'apporto italiano consistè in 27 osservaton dell"Esercito, IO della Manna e una sezione eliconeri AB 47G con 11 ufficiali e 5 sottufficiali del 15° Stormo Elicotteri. 8 Uno di questi precipitò il 6 agosto 1997 causando la morte di 4 militari italiani e uno irlandese. 9 Inizialmeme gli Inglesi avevano indicato in 6.766 gli effettivi necessari. All'arrivo 11 CSS ne comprendeva 5.684, di cui 4.806 dell'Esercito e cioè il 75° Fanteria Napoli. su 4 bauaglioni. I batteria d"artiglicria con 4 obici da 100117, I battaglione. 4 compagnie e 2 nuclei autocarrali dei Carabinieri. 2 compagnie del Genio. 622 automezzi e 48 autoblindo St.aghound prestate da vari reparti di cavalleria. La forn navale era su una nave appoggio- CherJo-e 5 motovedette con 157 uomini. C"erano po, 40 Finan11eri. e un"aliquota dell"Aeronautica Militare comprendente 581 uomini. 4 caccia Mustang P 51. 6 aerei da trasporto Dakota C47 e C 53 e 3 aerei leggeri Stimson L 5. IO Però gli Inglesi si riservarono la formazione degli ufficiali del costituendo esercito somalo.


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CSS fu sciolto, lasciando solo - e fino al dicembre 1959- 51 istruttori per le locali forze di polizia. Poi la Somalia diventò del tutto autonoma, pur mantenendo forti contatti con Roma. Non vi furono altri interventi italiani in ambito ONU fino al 1988, quando il ritiro dei Sovietici dall'Afghanistan lasciò il Paese devastato e infestato dalle mine. L'ONU organizzò allora il programma UNOCA, dal quaJe derivò l'operazione Salaam, destinata alla bonifica delle zone minate, alla quale l'Italia partecipò con 8 ufficiali istruttori del Genio. Poi alcuni osservatori parteciparono alla missione UNIIMOG - United Nations Iran Iraq Observer Group - eseguita dopo la cessazione delle ostilità fra le due nazioni nell'estate 1987. L' ultima operazione ONU a cui l'Italia partecipò entro la fine del l 989 fu UNTAG, consistente nel portare all' indipendenza l'ex-colonia tedesca delJ' Africa Sud Occidentale, rimasta sotto mandato sudafricano dalla fine della I Guerra Mondiale. Nell' ambito del contingente internazionale di 4.200 caschi blu, 300 osservatori e 1.500 poliziotti ONU, operarono 8 elicotteri AB 205, 92 uomini del!' ALE e 8 Carabinieri.

Vll) Le aJtre operazioni all'estero dal 1973 al 1989 L'Eseroito e le altre forze Armate parteciparono ad operazioni anche in ambiti differenti da quello delle Nazioni Unite. A parte l' intervento di elicotteri e di una squadra di 4 unità' 1 in Tunisia in seguito all'alluvione che la sconvolse nel 1973, la Marina Militare realizzò la prima operazione degna di nota intervenendo a largo di Malta contro unità libiche che tentavano d ' estendere il controllo di Tripoli su una parte della piattaforma continentale in corso di sfruttamento da parte italiana. In seguito a ciò la Repubblica di Malta stipulò un accordo di cooperazione militare coll' Italia, allargandolo poi ad altri Paesi tra cui URSS, Stati Uniti e Gran Bretagna, prevedendo lo stazionamento di unità navali italiane nel porto di La Valletta e la presenza nell' isola d ' una delegazione d ' esperti militari italiani, parte, quest'ultima, che sarebbe restata in vigore per decenni. Occorsero ancora sei anni prima che la Marina Militare compisse un'altra operazione in grande stile nel 1979, questa volta umanitaria, inviando una squadra 12 nel Mar Cinese Meridionale a salvare un migliaio di profughi in fuga dal Vietnam occupato dai Comunisti del Nord. Nel 1981 il negoziato israelo-egiziano mediato dagli Americani, portò alla creazione della Multinational Force and Observers - MF&O - stanziata in quattro punti 13; uno al confine israeliano e tre nella penisola del Sinai. L'Italia ne avrebbe fornita la componente navale - la Coastal Patrol Unito Unità di Pattuglia Costiera - fin dal principio, coi 4 dragamine1 4 del 10° Gruppo Navale - in totale 90 uomini d'equipaggio - giunti in zona nell' aprile 1982 e impiegati come pattugliatori costieri addetti alla sorveglianza della libertà di navigazione nello stretto di Tiran - l'ingresso meridionale del Golfo di Aqaba - basandoli a Sharm el Sheik. L' operazione doveva essere conclusa nel 1999, dopo la graduale sostituzione delle navi con unità più moderne della classe Esploratore1s, ma sarebbe stata prolungata oltre il 2000. Poi, nel 1982 si profilò la necessità di una missione internazionale in Libano. Si trattava di fornire una copertura militare alla riorganizzazione di un governo nazionale efficiente e sottratto alle pressioni israeliane, siriane e palestines i. Jn teoria la missione italo-franco-america-

II

Navi Vittorio Veneco, Andrea Dorio, Indomito e Impetuoso.

12 Navi Vittorio Veneto, Andrea Daria, Stromboli.

13 Gli altri settori sarebbero stati presidiati da un battaglione delle Isole Figi. uno colombiano ed uno americano. 14 Dragamine Bambù, Mango. Mogano e Palma. 15 Pattugliatori Esploratore, Sentinella. Staffetta e Vedetta: 2 ufficiali e 12 uomini di equipaggio ognuno.


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na, denominata MNF - Forza MulliNazionale - doveva durare pochi mesi e limitarsi a garantire la tranquillità dell'evacuazione dei 9.000 miliziani palestinesi dell'OLP. dei 2.600 del ALP e di 3.600 soldati siriani. Il nucleo avanzato italiano partì da Taranto il 20 agosto 1982. raggiungendo Beirut il 23, seguito do po due giorni dal grosso 16. Le truppe ripartirono I' 11 settembre 1982 17 ; ma l' uccisione del presidente libanese Gemayel e la sanguinosa incursione israeliana nei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila verificatasi subito dopo la partenza del contingente internazionale. indusse a mandarne un secondo18• Arrivato il 23 settembre col nome di MNF li, stazionò in Libano fino al 6 marzo 1984 19. li Corpo italiano subi un bombardamento il 22 settembre 1983 da parte delle milizie mussulmane druse - vennero persi 4 autocarri, un'autoblindo e saltò il deposito munizioni del battaglione paracadutisti, ma non ci furono né feriti né morti - e partecipò ai soccorsi ai militari francesi e statunitensi restati vittime dei due attentati dinamitardi del 23 ottobre 1983. costati agli uni 85 e agli altri 230 morti. Vista però l'assenza dei risultati politici sperati, il grosso del contingente ripartì il 20 febbraio 1984 e l'Italia ritirò le ultime aliquote del Battaglione San Marco il 31 marzo. Nel 1984 l'esplosione di mine e torpedini di provenienza non identificata minacciò il traffico nel Canale di Suez. Il Governo Egiziano chiese a Gran Bretagna, Francia, Italia, Olanda e Stati Uniti di inviare unità per una campagna di bonifica; e la Marina Militare rispose coi tre dragamine20 e la nave appoggio costituenti il 14° Gruppo Navale, coadiuvalo da un reparto di sommozzatori. Nel 1988. infine, la guerra fra lran e lraq portò ad attacchi ai mercantili neutrali in navigazione nel Golfo Persico. Quando il mercantile nazionale Jolly Rubino venne assalito, Roma reagì inviando nella zona il 18° Gruppo Nava1e21. che, insieme a navi inglesi, francesi, belghe e o landesi, tramite un comando UEO a Londra cooperò colle unità americane compiendo 82 servizi di scorta e 22 operazioni di sminamento Ma il problema vero. la radice di tutti questi conflitti locali, consisteva nella guerra non guerreggiata; nella seconda Guerra Fredda della storia, che sarebbe terminata proprio in quell'anno.

Vill) La Guerra Fredda Prima della fine della Il Guerra Mondiale. Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica si accordarono per spanirsi la Germania e l'Europa. All'URSS toccò tutta l'Europa Orientale. meno la Grecia. una porzione della Germania sonfitta e una parte di Berlino, lasciando agli An-

16 Si trattava di circa 800 uomini del 2• Battaglione Bersaglieri Governolo, un plotone di C!Lrabinieri. uno del Genio. Servizi e un'aliquota del Battaglione San Marco. 17 Gli uomini per via aerea. meno quelli addeni ai mezzi, che 1ornaroao via mare sulle navi Caorle e Buono Speran~a. 18 Al quale, oltre a Francesi, lla liani e Americani. presero parte anche 96 militari inglesi. 19 Vi prestarono servizio 8.345 militari - 8.215 tra ufficiali, so1tuflìciali e trnppa e 130 infermiere volon1arie della Croce Rossa Italiana - appartenenti ai battaglioni Bersag lieri 2° Governo lo. 3° Ccrnaia, 10° Bezzecca. al 67° Fanteria Meccanizzata Montelungo. ai banaglioni Paracadutisti I° Carabinieri Tuscania. 2° Tarquinia. 5° El Alamein. 9° d'assal10 Col Moschin. al battaglione San Marco, a uno squadrone dei Cavalleggeri di Lodi, a un battaglione logistico, un Ospedale da Campo, un plotone Carabinieri e un Comando con compagnia Comando e Trasmissioni. Furono impiegati 186 autocam. 125 autovenure. 97 cingolati tipo M 113, 6 autoblindo e altri 60 automeni di vario tipo. La Marina adoperò'.! incrociatori - Veneto e Doria - i cacciatorpediniere Ardito, A11dace e lmrepido, le fregate Peneo. lupo Ona e Sagittario, le navi anfibie Caorle e Grado e il riforni1ore di squadra Stromboli. Si ebbero a lamentare un morto e 75 feriti. 20 Dragamine Castagno. Frassino e loto e Nave Cave~:ale. 21 Vi ,i alternarono 11 fregate delle classi Lupo e Maestrale. 6 cacciamine classe Lerici e Castagno. 2 rifornitl>ri classe Srrombol, e la nave appoggio Anteo.


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glo Americani il resto d'Europa. circa due terzi della Germania e circa metà di Berlino. Ma nel 1948 Stalin decise che era necessario eliminare gli Anglo-Americani dalla ex capitaJe tedesca per poter assumere il controllo assoluto della parte d'Europa assegnatogli nelle tre conferenze di Teheran, Jalta e Potsdam negli anni 1943, ·44 e '45. Ordinò allora il blocco di Berlino per privare dei rifornimenti le locali guarnigioni degli alleati occidentali, indurle ad evacuare la città; ma fallì di fronte all'organiuazione di un imponente ponte aereo anglo-americano di rifornimento. D'altra parte l'URSS non aveva il coraggio di premere mili1annente sugli ormai ex-alleati, sia perché era giunta alla fine del conflitto aJ limite delle sue risorse umane, sia per paura d'una ritorsione nucleare da parte statunitense. Le cose cambiarono quando esplose l'atomica sovietica nel 1949 e. nel medesimo anno, i Comunisti presero il potere in Cina. Entrambi gli avvenimenti furono alla base dell'attacco nordcoreano del 1950 alla Corea del Sud ed alla successiva espansione dell'influenza sovietica nel mondo. Presentandosi come amica dei popoli oppressi dal colonialismo. Mosca aiutò i movimenti di liberazione e le nuove Nazioni che man mano comparivano. costituendovi o rinforzando una presenza politica a lei favorevole. La morte di Stalin. l'avvento di Krusccv e la destalinizzazione furono altrettanti segnali di cambiamento lanciati all'Occidente, rapidamente smentiti daJla durissima repressione dell'insurrezione ungherese del 1956. Nel medesimo anno falll il tentativo anglo-francese di occupare il Canale di Suez, nazionalizzato dagli Egiziani. L'immediato intervento diplomatico dell'URSS, che impose la ritirata minacciando l'uso di "armi moderne", e degli Stati Uniti. che sconfessarono l'impresa dei due alleati, fecero capire chiaramente che il mondo era diviso ormai fra due sole Superpotenze. Lo scontro doveva essere fra di loro; ma sarebbe stato indiretto, marcato di tanto in tanto da conflitti fra una di esse e una potenza minore, mai fra tutt'e due. Avrebbe vinto quella capace di ragg.iungere per prima la superiorità assoluta rispetto all'altra. Come già accennato, i Sovietici erano arrivati al 1945 al limite delle loro risorse umane e. quando ebbero ricostituito un minimo di riserve, avrebbero anche potuto lanciare un attacco distruttivo per conquistare l'Europa Occidentale, ma avevano il problema della reazione nucleare americana. L'acquisizione della capacità nucleare nel 1949 non diede loro la superiorità assoluta, perchè non erano comunque in grado di colpire gli Stati Uniti. Si concentrarono allora sulla missilistica e, quando ne annunciarono i risultati, culminati colla messa in orbita dello Sputnik, implicitamente resero noto di essere ormai capaci di colpire anche il continente americano con dei missili a lunga gittata annali di una carica nucleare. Di fronte a tale minaccia ed a quella più classica delle loro imponenti forze convenzionali ammassate nell'Europa Orientale. g li Stati Uniti si trovarono in difficoltà. Da un lato erano ancora indietro nella missilistica.dall'altro le condizioni politiche degli alleati europei, tutti più o meno fortemente condizionati da componenti di sinistra - alcune delle quali. come in Francia cd Italia, esplicitamente legate a Mosca - rendevano sempre più difficile far accettare aJle popolazioni i lunghi periodi di leva ed ai governi le forti spese militari per mantenere in piedi un apparato convenlionale paragonabile a quello sovietico. Per questo nei primi anni Sessanta, appena raggiunta una sufficiente capacità missilistica, gli Americani cambiarono radicalmente le dottrine della NATO. In caso d'attacco dall'Est, qualunque ne fosse stata l'entità, la risposta sarebbe stata subito nucleare. Mosca rispose nell'autunno del 1962 tentando d'installare propri missili a Cuba per poter meglio colpire il suolo americano, ma davanti al decisissimo atteggiamento di Washington dovette rinunciare. La Crisi di Cuba determinò la svolta della politica sovietica. Dimesso Kruscev, il potere passò a Leonid Breznev, già commissario politico incaricato della repressione in Ungheria nel 1956, sotto il quale URSS accantonò l'idea dello scontro diretto e favorì quella delraccer-

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chiamento. Mirava a insediare in tutti i Paesi del Terzo Mondo - in Africa, Asia e America Latina - dei governi comunisti, o quantomeno filosovietici, in modo da tagliare alla fonte l'approvvigionamento delle materie prime per l'Occidente e farlo crollare per esaurimento. Tale politica, perseguita con attenzione nell'arco di un ventennio. comportò delle spese enormi in termini di acquisti di beni a prezzi maggiorati dai Paesi del Terzo Mondo, per tenerli politicamente legati, e vendite, ai medesimi e per lo stesso motivo, di beni sovietici a prezzi inferiori a quelli di costo. Altre spese vennero per dotarli di armi e consiglieri militari - spesso varie migliaia -e altre ancora furono assorbite dall'apparato sovietico, classico e nucleare. L' allineamento dei missili interconLinentali da parte delle due Superpotenze sostanzialmente non mutò il quadro di stallo: entrambe erano in grado di colpirsi ed entrambe erano incapaci di annullare l'attacco avversario. Lentamente la sproporzione convenzionale in Europa aumentava a vantaggio dell'URSS - solo in campo navale restava una certa supremazia occidentale - e lentamente l'influenza sovietica aumentava nel mondo. Allora. preoccupata da quello che appariva un sostanziale dispimpegno americano, la Germania Occidentale mise gli Stati Uniti di fronte all'alternativa: o compivano un passo concreto per assicurare la protezione dell'Europa, o la Repubblica Federale tedesca avrebbe scelto la via della più assoluta neutralità. Spaventati, gli Americani si misero in movimento. La loro mossa decisiva fu in due tempi. Il primo consistè nell'allineare i missili da crociera - meglio noti come "Cruise" - armati con testata nucleare, che volavano tanto bassi da raggiungere l'obiettivo sfuggendo ai radar e, grazie alla loro guida intelligente, evitando gli ostacoli naturali o artifaiali. TI loro unico svantaggio consisteva nella gittata: non erano intercontinentali. quindi andavano necessariamente basati in Europa, dunque sul territorio degli alleati europei; e se ne domandò il benestare ai governi britannico. olandese. tedesco federale e italiano. E qui l' Italia svolse un ruolo decisivo. L'Unione Sovietica aveva fatto scatenare una durissima campagna di propaganda ai Partiti Comunisti occidentali contro la minaccia per lei letale dei missili Cruise, facendoli definire destabilizzanti e apportatori della guerra nucleare. Il governo olandese appariva propenso a rifiutare l'installazione, quello tedesco dichiarava che avrebbe accettato solo dopo il consenso ufficiale d'un altro alleato. Londra avrebbe accettato, ma comunque i missiJi sul suolo britannico non avrebbero costituito una minaccia gravissima per l'URSS a causa della gittata. Quelli veramente pericolosi erano i Cruise da collocare in Italia e Germania. Nonostante le fortissime pressioni della piazza e de!Ja stampa. il governo italiano non perse la testa. Ottenuta dagli Stati Uniti la formale promessa di essere cooptato nel ristretto Gruppo dei Paesi più industrializzati del mondo in cambio dell'assenso all'installazione, nel dicembre del 1978 portò la questione davanti alle Camere. In una memorabile seduta, seguita con apprensione da tutta l'Europa Occidentale e dalle due Superpotenze il Parlamento votò a favore. L'assenso italiano si trascinò dietro quelli tedesco ed olandese - dato che i missili sarebbero stati comunque piazzati in Italia. non aveva senso, politican1ente e militarmente parlando, continuare a negarne l'installazione, perché un'eventuale risposta avrebbe comunque colpito tutti gli Europei - e i cosiddetti ·'Euromissili'' divennero la minaccia più pericolosa per l'Unione Sovietica, perchè potevano colpirla senza esserne intercettati. Subito l'URSS corse ai ripari approntandone di simili; ma arrivò la seconda mossa americana: il cosiddetto "Scudo Stellare". Si trattava di un sofisticatissimo progetto per un sistema di avvistamento, intercettazione e distruzione dei missili intercontinentali nemici durante il loro passaggio al di fuori del1'atmosfera terrestre, cioè prima, o al principio, della caduta verso l'obiettivo, in modo da evitare qualsiasi contaminazione nucleare sulla terra. L'URSS era sostanzialmente battuta. Una volta realizzato lo scudo stellare. non avrebbe potuto colpire nuclearmente gli Stati Uniti perché avrebbe visto sistematicamente distrutti tutti i propri missili intercontinentali durante il viaggio e senza danni per l'avversario. Non avreb-


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be potuto difendersi da un attacco nucleare americano lanciato cogl i inintercettabili Cruise. Non avrebbe, infine, potuto lanciare un attacco convenzionale in Europa, perché in base alla dottrina NATO la risposta sarebbe stata nucleare e si sarebbe ricaduti nelle due precedenti situazioni. Preso atto di tutto questo. del fai li mento economico a cui la politica brezneviana dell 'accerchiamento e l'economia comunista avevano portato l'Unione Sovietica e di quello nùlitare verificatosi nei circa dieci anni di occupazione dell'Afghanistan, il nuovo Segretario del Partito Comunista Sovietico Mikhail Gorbacev trasse le opportune conseguenze: l' URSS aveva perso la Guerra Fredda. Allora annunciò la ritirata dall'Europa Orientale, ridimensionò l'apparato militare, consentì la riunificazione tedesca e la distruzione del Mare di Berlino che dal 1963 tagliava in due la città ed era il simbolo tangibile del.la separazione fra Est e Ovest. Poi sciolse il Patto di Varsavia, l'alleanza militare antioccidentale formata dai paesi dell'Europa Comunista. Ma questi atti innescarono il processo di disgregazione tipico degli stati sovranazionali vinti. L'Unione Sovietica si sfasciò in tanti Stati quante erano le Repubbliche di cui era stata composta e lasciò la sua eredità alla più estesa di esse, quella Russa. Il crollo dell'URSS lasciò un vuoto di potere in quella parte del mondo -Asia e Africa sopratruno - cbe era stata strettamente legata a Mosca. La cessazione degli aiuti economici e la fine del sostegno politico militare provocarono in molti di essi il dissolvimento della struttura statale preesistente sostenuta dai Sovietici. In altri la fine del controllo sovietico generò una situazione più grave, con scontri tra fazioni armate e guerre civili i cui effetti minacciarono la stabilità dei Paesi vicini. Rimasti l'unica super potenza gli Stati Uniti furono costretti a intervenire per mantenere il loro predominio e cercarono di tappare le falle più grosse che si aprivano adoperando in particolare l'ONU e chiedendo agli alleati della NATO di partecipare. Dei quattro principali membri dcli' Alleanza. Tolta la Gran Bretagna, la Francia era uscita dalla struttura militare negli anni '60, la Germania aveva appena recuperato i suoi territori orientali, fino a poco prima soggetti all'URSS e stava impiegandovi somme enormi per metterli in grado di fuazionare; l'Italia stava vedendo accentuarsi i propri problemi finanziari a causa di complicazioni politiche interne. La classe politica dominante venne infatt.i travolta da inchieste giudiziarie su illeciti finanziari e determinò un'instabilità interna, e quindi un'inaffidabilità esterna, notevole, che cessarono parzialmente solo nel 1992, prima coll'avvento del governo Berlusconi, di centro-destra, poi, travolto quest'ultimo da una manovra di palazzo, da otto anni di governi, non molto stabili, ma almeno espressione, di una medesima maggioranza di sinistra. Come al solito, le beghe parlamentari distrassero l'attenzione dai problemi più urgenti, sistemati con provvedimenti temporanei, e non consentirono un'azione seria nei confronti di alcune questioni, prime fra tutte l'immigrazione clandestina, accentuatasi dopo la fine della Guerra Fredda, l'apertura delle frontiere nei paesi ex-comunisti e lo sfascio in cui versavano. Non controUata e poco osteggiata dalla maggioranza di sinistra, l'immigrazione determinò un aumento della criminalità in Italia, obbligando ad aumentare le risorse destinate alla Polizia a scapito di quelle per la Difesa. Da qui la necessità d'intervenire. a più riprese in Albania e. su richiesta dell'ONU, in decine di Paesi europei ed extraeuropei per limitare a risanare i disastri dovuti al crollo dell'URSS. La seconda Guerra Fredda era finita e, come la precedente di duccent'anni prima, col.la vittoria del contendente economicamente più forte. Cominciava il dopoguerra.


CAPITOLO XLV

IL TERZO DOPOGUERRA DEL SECOLO VENTESIMO

I) La riorganizzazione delle Forze Armate Italiane: 1975 - 1989

La riforma della previdenza sociale varata negli Anni '60. basata su previsionj troppo ottimistiche sul tasso di crescita del Prodotto Interno Lordo e smentita dai fatti, richiese sempre più denaro pubblico e obbligò lo Stato Italiano sia a concentravi risorse sempre maggiori, sia a reperirle mediante una progressivamente crescente emissione di titoli del debito pubblico. L'indebitamento, ulteriormente aggravato dalla crisi economica e dalla pessima amministrazione seguita alla crisi petrolifera dei primi anni '70 indusse a tagliare tutte le spese ritenute non necessarie. Fra cLi loro - e al primo posto - quelle militari. I motivi che inducevano i politici a tale passo erano in parte, a livello personale, gli stessi già illustrati per il periodo umbertino e in parte nuovi, diversi a seconda dello schieramento d'appartenenza. La maggioranza di governo, incentrata sulla Democrazia Cristiana. continuava nella sua politica considerando cardine del mantenimento del potere il possesso del Ministero dell 'Interno e, di conseguenza, quello dell'apparato di polizia. Non riteneva utili le Forze Armate altro che come scotto da pagare - colla minor spesa possibile - per restare nella NATO e godere della garanzia militare americana nei confronti dell'URSS. L'opposizione, incentrata sul Partito Comunista, aveva un atteggiamento più articolato. Da un lato il Partito trovava la sua ragion d'essere nella lotta al Fascismo e dichiarava di proseguirla ancora contro ogni manifestazione ad esso connessa. Poiché il Fascismo era stato militarista ed aveva coltivato il culto risorgimentale della Patria e delle sue tradizioni guerriere, tutto ciò che vi si riferiva era ipso facto Fascista, dunque non Comunista e, secondo la propaganda comunista, essendo il Comunismo sinonimo cli progresso, dunque di apertura mentale e di cultura, chiunque si dichiarasse fedele ai valori patriottici e nazionali era un fascista, pertanto un nemico, retrogrado e incolto. Di conseguenza, anche se avevano combattuto contro i1 Fascismo, le Forze Am1ate, in quanto custodi dei più alti valori nazionali erano un'istituzione bollata come fascista, quindi nemica, dunque da abbattere riducendone progressivamente l'efficienza. Ma vi erano anche altri motivi. Intanto la posizione rigidamente filo-sovietica del Partito Comunista Italiano, solo apparentemente temperata dalle dichiarazioni rilasciate negli anni '70 dalla sua segreteria - e la loro inconsistenza si sarebbe vista al momento della votazione parlamentare sugli euromissili - induceva il Partito a desiderare l'indebolimento delle Forze Armate in quanto indebolimento della NATO nella sua globalità, per ottenere, anche se indirettamente, il rafforzamento della posizione sovietica nel mondo. Poi esisteva la necessità di togliere il potere alla Democrazia Cristiana. Lo si poteva fare in due modi: il primo consisteva nell'accrescere il potere dei sindacati, dominati dal PCI. così da poter usare come arma di trattativa la capacità cli paralizzare il Paese mediante scioperi parziali o generali 1. 11 secondo, seguendo le teorie di Gramsci e Togliatti, nell'impadronirsi delle I Può essere vista in quest" ottica la smilitarizzazione dei controllori del traffico aereo, appanenenti all'Aeronautica Militare, avvenuta al tempo del Presidente Pertini, il quale vietò che venissero perseguiti per insubordinazione quando scioperarono e di fauo decretò la loro uscita dalle Forze Armate.


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coscienze estendendo il controllo del Partito sulle scuole e sulle Università, in modo da formare in senso marxista i giovani destinati alle posizioni chiave. Ma i più solidi piJaslri del potere governativo erano nel sistema composto dalla magistratura, dal Ministero dell'Interno e dalle Forze di Polizia tra cui la Polizia - Corpo Guardie di Pubblica Sicurena - istituita nel 1946. totalmente militarizzate e. in caso d'emergenza. sostenibili dall'Esercito vero e proprio. Qui il problema andava affrontato in modo diverso. Non era possibile contare sulla conquista del Ministero. quantomeno non in tempi brevi - e infatti sarebbero occorsi cinquant'anni perché un Comunista vi arrivasse - dunque bisognava esercitare un approccio indiretto. La magistratura andava staccata dall'esecutivo il più possibile: e infatti il PC I si fece paladino della sua autonomia, contando di diventarne il referente politico e di poterla poi influenzare mediante raggruppamenti professionali creati ad hoc e da esso ispirati. Le forze di polizia richiedevano invece un intervento diverso. Il primo passo doveva essere la loro smiJitarizza1ione, il secondo la creazione di sindacati tramite i quali si sperava di controllarle. Per prudenza sarebbe inoltre stato bene relegare nelle campagne i Carabinieri, eliminandoli dai centri urbani dove più alti erano i consensi al PCI e maggiori le occasioni di fomentare movimenti di piazza con cui premere sul governo. Era infatti evidente che l'Arma, seppure avesse mai accetlato d'essere smilitarizzata, sarebbe restata sempre "fedelissima" ai suoi principi - reputati dai Comunisti in contrasto coi propri - e grazie alla propria capillare ramificazione sul territorio, assai superiore a quella della Pubblica Sicurezza, sarebbe stata un'avversaria formidabile. Ed ceco che, lentamente, approfittando d'ogni occasione e valendosi dell'attivismo del Partito Radicale e della confusa situazione del periodo del terrorismo, si giunse alla smilitarizzazione cd alla sindacalizzazione della Pubblica Sicurezza, tramutandola in Polizia di Stato. Si fecero poi dei cauti sondaggi, dbtanziati nel tempo. per far M:guirc la stessa strada alla Guardia di Finanza ed all'Arma dei Carabinieri. Ma i componenti di entrambe ad ognj tentativo cli solito esercitato tramite la stampa - avrebbero risposto cli non voler lasciare le stellette. Ad ogni modo, nonostante i tagli , aJla fine del 1980 l'Esercito Italiano costituiva una Forza Armata rispeuabilc. Costava 1.500 miliardi di lire all'anno. aveva 4 divisioni e 13 brigate, con oltre 270.000 uomini 2 , 1.200 carri armati3, 5.000 veicoli blindati da combattimento e 57 Gruppi d'artiglieria e missili. Sostanzialmente stabili Aeronautica e Marina rispeuo al passato. Nella prima metà degli anni '70 era però esploso il fenomeno del terrorismo politico; e dal punto di vista militare le sue ripercussioni sulle Forze Armate sarebbero state due. Quella immediata consistè nella deviazione di ulteriori risorse finanziarie pubbliche sull'apparato di polizia per potenziarlo, quindi in una diminuzione dei fondi destinati alle Forze Armate. Quella a lunga scadenza si rivelò poi. nel corso degli anni '80, quando ci si accorse che la concentrazione degli sforzi contro il terrorismo aveva lasciato crescere prcssocchè indisturbata lacriminalità organizzata, permettendole d'estendersi a tutta la Campania, alla Puglia un tempo indenne. al basso Lazio e di stabilire impressionanti rantlficazioni m tutto il reMo della Penisola. Questa situazione venne ulteriormente complicata da altri fattori. Uno fu l'intensa propaganda delle sinistre a favore della liberalizzazione delle droghe, che ne favori direttamente il crescente smercio e fece salire i profitti e l'estensione delle organizzazioni criminali. Un altro. derivato dal primo. consistè nell'aumento del tasso di criminalità a cui si accompagnò una diminuzione delJa repressione. perché, sempre le sinistre, aiutate da ampi settori della maggioranza governativa di centro, favorirono la crescente depenalizzazione dei reati, l'aumento delle garanzie per gli imputati, l'introduzione dei regimi di semilibertà, dei pennessi per buona condoua e degli arresti domiciliari e, motivandole coll'eccessivo affollamento delle carceri. la proclamazione cli indulti ed amnistie.

2 Circa 20.000 ufficiali. il 10% dei quali di complemento di prima nomina, 26.000 sottufficiali (circa 2.000 dei quali di complemento) e 225.000 uomini in servi,io di leva per 12 mesi. 3 Erano 900 cam Leopard, 100 M 60 A, e circa 200 altri carri di modello piil vecchto, come gli M47.


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L'ovvia conseguenza fu un drastico aumento della criminalità, la paralisi della magistratura penale, la concentrazione delle Forze di Polizia in ruoli di prevenzione mediante una maggior presenza sul territorio e, implicitamente, la necessità di potenziarne gli organici. Contemporaneamente la riduzione dell'orario di lavoro medio ottenuta dai sindacati per la Polizia di Stato venne, per un ovvio principio di equità, estesa ai Carabinieri ed alla Guardia di Finanza, rendendo necessario a parità di compiti da svolgere, un ulteriore aumento dell'organico. Questo portò la consistenza numerica delle Forze di Polizia - inclusivi i Carabinieri - a superare quelJa delle tre Forze Armate, richiese altro denaro e, a fronte del continuo peggioramento del debito pubblico, obbligò a tagliare il bilancio in vari settori, tra i quali la Difesa. Al tempo stesso i miglioramenti salariali ottenuti per via sindacale dalle Polizie e non strettamente connessi al loro servizio d'istituto, andando a toccare r Arma dei Carabinieri vennero reclamati anche dal resto dell' Esercito4 • Così nel 1987 il Governo concesse un aumento degli stipendi ad ufficiali e sottufficiali, salvo poi scoprire non solo di aver ridotto i fondi globalmente destinati alle Forze Armate, ma che la quota relativa al trattamento economico del personale stava diventando eccedente rispetto a quella destinata ali ' armamento ed alla sperimentazione. Per di più, constatata l'insufficienza numerica delle Forze di Polizia a fronteggiare la crescente criminalità ed accogliendo le istanze di parecchi sindaci dell'Italia Meridionale e della Sardegna, nel 1991 si destinò l'Esercito a presidiare zone urbane - a Napoli coll'Operazione Partenopee a Palermo coi "Vespri Siciliani" - ed extraurbane - in Aspromonte e in Sardegna coll'Operazione Forza parisS- rendendolo sempre più. di fatto e nella mentalità comune, un 'appendice delle Forze di Polizia. Quando nel 1989 si arrivò al crollo del blocco comunista, la Repubblica ritenne erroneamente. come tutti i Paesi occidentali, che la scomparsa della minaccia militare dell'Est fosse una ragione sufficiente a giustificare un'immediata riduzione delle proprie forze. Il loro livello qualitativo dal punto di vista delle armi e dei mezzi era già molto scarso e l'assetto organico su 24 brigate era sempre stato indicato dai generali come il minimo indispensabile; ma n<r nostante questo si cominciarono a sciogl.iere reparti, enti logistici e depositi. Mentre per depositi ed enti il provvedimento fu buono, perchè mirava ad eliminare parecchie strutture costose ed inutili, la riduzione dei reparti operativi venne inaspettatamente - per i politici - a coincidere col periodo di maggior impegno mifaare che l' Italia avesse mai conosciuto dalla fine della guerra mondiale in poi, grazie alla fine della Guerra Fredda. Nel 1991 si aggravò ulteriormente la situazione finanziaria dello Stato e furono nuovamente rimandati gli investimenti militari. Contemporaneamente. oltre ad impiegare l'Esercito contro la criminalità organizzata, il Governo si trovò a dover intensificare gli impegni all'estero. Si fece fronte con quello che si aveva a disposizione, ma la crisi valutaria dell'autunno 1992, che investì il Sistema Monetario Europeo e causò un inasprimento della politica fiscale e di spesa del Governo, frno allora molto rilassata, provocò anche un rinvio sine die dell' acquisizione di nuovi equipaggiamenti e sistemi d'arma. con grandissimo allarme degli Stati Maggiori delle tre Forze Armate. Per dare un"idea della situazione. basterà dire che nel 1992 l'Italiano risultava l'unico dei grandi eserciti in ambito NATO ad avere ancora armi individuali calibro 7,62. mentre gli altri erano già da tempo passati al più pratico 5,56; che il carro armato più avanzato di cui disponeva era ancora il Leopard I, ormai due generazioni indietro rispetto allo statunitense Abrams

4 Fu fatto col cosiddeno "sciopero delle mense·· dei primi mesi del 1987. partito dalla Città Militare della Cecchignola di Roma e consistente semplkemente nel trascorrere l'intervallo del pranzo andando a passeggio per le Caserme anziché a mensa. restando quinru nella piena osservanza dei codici e della disciplina militari. 5 Si inviarono 7.000 uomini in Sicilia. a sostegno delle forze di Polizia - Operazione Vespri Siciliani - oltre alla citata "Forza paris" in Sardegna che vide l'impiego di varie brigate. a rotazione. una per volta.


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(od all'italiano Ariete. non acquistato a causa dei tagli di bilancio ed i cui primi esemplari sarebbero entrati in linea solo nella primavera del 1998) e che gli unici cambiamenti realmente verificatisi nel campo delle armi di fanteria, dal 1965 in poi, erano stati l'introduzione del sistema anticarro Tow al posto del missile Cobra, radiato nel 1986, e l'adozione della pistola Beretta a canna lunga, dal caricatore bifilare, consegnata alle truppe a partire dal 1987-88. Nel frattempo gli Stati Maggiori avevano cercato di far buon viso a cattivo gioco mediante riorganizzazioni di portata più o meno ampia. Messa allo studio nel I 973, nel 1975 era stata varata una riforma organica che portò ad un cambiamento radicale6. Teoricamente sarebbe dovuta andare in porto entro il 1975, e ufficialmente fu così, ma in realtà fu seguita da moltissimi ulteriori assestamenti, dovuti sia alle continue riduzioni del bilancio della Difesa, sia ai mutamenti relativi alla forma e durata dell'arruolamento del personale. Questa raffica di modifiche sarebbe continuata fino all'enunciazione della bozza del cosiddetto «Nuovo Modello di Difesa» elaborata nel I 991, la quale avrebbe evidenziato che l'unica idea chiara dei politici in materia di Difesa consisteva nel tagliare ulteriormente il già magro bilancio delle Forze Armate; e infatti sarebbero cominciati subito gli scioglimenti dei reparti per la riduzione dell 'Esercito a sole I 9 brigate. Alla fine del 1975 l'assetto era totalmente cambiato, a causa della scomparsa della struttura reggimentale7 e della conseguente creazione di un nuovo tipo di brigata. Questa infatti non era più un insieme di due reggimenti di fanteria, ma un 'entità alquanto composita. Scomparsa anche la divisione, ora la brigata dipendeva direttamente dal corpo d ' armata e si strutturava su due battaglioni di fanteria, motorizzata, o meccanizzata, od alpina; uno, pure di fanteria, destinato esclusivamente all'addestramento delle reclute; un gruppo d'artiglieria, un battaglione carri (non per le unità alpine e paracadutiste), uno logistico, formato da personale del Corpo Automobilistico, della Sanità, della Sussistenza e del Commissariato, uno di Bersaglieri (per le sole meccanizzate e corazzate), un Reparto Comando e Trasmissioni, una Compagnia Genio e una Controcarri. Una struttura nel complesso flessibile e adatta a fronteggiare gli impegni nazionali e internazionali in arrivo.

mL'Italia e le forze multinazionali Come si è visto fin qui, gli impegni internazionali del secondo dopoguerra furono tanto vari da richiedere una flessibilità d'intervento notevole. Per non muovere ogni volta i più pesanti organismi delle Nazioni Unite e della NATO, i Paesi del mondo ricorsero sempre di più ad accordi locali di area scavalcando i limiti delle preesistenti alleanze militari e costituendo apposite forze d'impiego rapido. L'Italia costituì fin dal I O gennaio 1986 la Forza d ' Intervento Rapido8 - FIR - entità interforze agli ordini d'un Generale di Divisione comprendente le brigate di Fanteria Friuli e di Paracadutisti Folgore, una compagnia dcli ' 11 ° Trasmissioni Leonessa, i raggruppamenti di

6 L"Esercito allineava allora 5 divisioni di fanteria (Granatieri di Sardegna, Cremona, Legnano, Folgore e Mantova), 2 corazzate (Ariete e Centauro), 4 brigate di fanteria (Aosta, Pinerolo. Friuli e Trieste, tutte motorizzate), 5 alpine (Julia. Cadore. Orobica. Taurinense e Tridentina), una, la Folgore, di Paracadutisti, un Comando Truppe Trieste, un Reggimento Lagunari e 3 reggimenti (52° Alpi, 53° Umbria e 73° Lombardia) di Fanteria d'Arresto 7 I reggimenti, contratti a battaglioni, pur mantenendo le mostrine ed il numero tradizionali, quasi sempre mutarono il proprio nome. lasciando per la maggior parte i vecchi e gloriosi appellativi di città e di regioni per quelli delle battaglie vittoriose a cui avevano preso parte nell'ultimo secolo e mezzo. 8 Contemporaneamente venne costituita la FoPI - Forza di Pronto Intervento - costituita prevalentemente da unità del.la Brigata Acqui e finalizzata agli interventi di Protezione Civile.


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Fanteria di Marina San Marco e dell'Aviazione dell'Esercito Antares, unità anfibie della 3" Divisione Navale e aeree della 46" Aerobrigata. La FIR sarebbe rimasta in vita una decina d'anni, scomparendo col Nuovo Modello di Difesa. Quanto alle forze congiunte d'intervento, l'Italia partecipava a parecchie. La più vecchia era l'AMF, cioè la forza mobile di reazione rapida deUa NATO, alla quale l'Italia forniva un contingente di 1.600 uomini - su un totale di circa 6.000 - tratto dalla Brigata alpina Cuneense, composto dal Gruppo Tattico Susa9 . Ad essa si accompagnò, dal 1991, la Forza di Reazione Rapida della NATO, dell'entità di un'Armata binaria articolata su 4 divisioni, una di queste, mista e nota come MND, doveva essere formata da reparti ital iani, greci, turchi e spagnoli. Dopo numerose modifiche l'entità della forza salì a 10 divisioni e l'Italia mise a disposizione ben 5 brigate 10 con la possibilità d'una sesta. formando una 3• Divisione Meccanizzata italiana, comprendente le brigate Friuli e Legnano e una brigata aviotrasportata portoghese, e inquadrando una brigata nella MND e un'altra nella I• Divisione Corazzata britannica. Il 9 novembre 1996 venne costituita a Fircn,,e EuroFOR, la Forza Operativa Rapida Europea, composta da unità italiane, francesi, spagnole, greche e portoghesi, il cui comando, a rotazione fra i vari Paesi, fu posto stabilmente a Firenze. Composta da una brigata di ogni Stato membro - per l' Italia la Meccanizzata Friuli - previde di contare su non meno di 10.000 uomini. Ad essa fece riscontro a livello navale l'italo-franco-ispano-portoghese EuroMarFor. da attivare però solo in caso di crisi e composta da un Gruppo Navale dotato di portaeromobili fornito da ogni Stato membro••. Altra componente navale fu la FAIS - Forza Anfibia ItaloSpagnola - decisa a Bologna l' 11 settembre 1997 e formata dal Gruppo San Marco e dal Tercio de la Armada. Dal punto di vista navale, l'halia partecipò fin dal 1969 alla forza NATO da attivare solo in caso di necessità denominata NAVOCFORMED, mutata in permanente col nome di STANAVFORMED12 a partire dalla guerra del Golfo. L'ultima nata del secolo XX fu la MCMFORMED, cioè la Forza ControMisurc Mine del Mediterraneo - Mine Counter Measures FORces MEDiterranean - della Nato. prevista fin dalla trasformazione di NAVOCFORMED in STANAVFORMED e creata il 27 maggio 1999 a La Spezia, allineando da 4 a 6 cacciaminc, fomiti a rotazione da otto paesi Il e il cui primo comandante fu il capitano di fregata Cassotta.

llI) Le operazioni ONU dopo il 1989: la Somalia, la Jugoslavia e l'attivazione dell'UEO li crollo del Muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda portarono il mondo, come in ogni dopo-guerra mondiale che si rispetti. a conoscere un lungo e travagliato periodo. (I caso di maggior portata fu quello dell'invasione del Quwait da parte dell'Iraq. In un certo senso si trattò d'un·appendice della guerra che aveva opposto Damasco all'lran, sia perché si svolse a ridosso di essa, sia perché Baghdad contava di aumentare le proprie risorse economiche inglo-

9 Battaglione alpino quaternario 3 cp fucilieri e una monai Susa. 104• batteria da montagna del Gruppo Artiglieria Alpina Pinerolo su 6 peui da I05/ l4. Compagnia Sanità aviotrasponatn. LO Coraa,ate Ariete e Pozzuolo del Friuli, Meccani nate Friuli. Garibaldi e Legnano con, in alternativa l'Alpina Julia. 11 Fino all'ottobre 1998 si calcolava però la con~1stenza di EumMarFor a I ponaemmobili, 3 cacciatorpediniere, 4 fregate, 3 fregate leggere. 4 cacciamine. I sottomarino convenzionale e I nucleare. 2 navi supporto e 3 d'assalto anfibio. l2 Composta da IO navi. 8 tra fregate e cacciatorpediniere e da un paio di rifornitori di squadra. americane, italiane. turche. greche. inglesi, olandesi. spagnole. tedesche. e, salruariamente, francesi e ponoghesi. 13 halia. Spagna. Belgio. Grecia. Germania, Turchia. Gran Bretagna e Stati Uniti


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bando e sfruttando quelle petrolifere quvaitiane. La minaccia d' un'alterazione del mercato petrolifero mondiale. unita alla violazione internazionale compiuta nei confronti d' un Paese Membro, fu tanto forte da portare nell'autunno del 1990 alla condanna inflitta dall'ONU e alla conseguente operazione di Polizia Internazionale definita MNF/Kuwait - Multi National Force/Kuwait. Dopo la Corea era la prima volta cbe le Nazioni Unite entravano in guerra contro una nazione e, col contributo di oltre 30 paesi, misero in campo circa 700.000 uomini, 3.000 carri am1ati, 2.000 aerei da combattimento, altrettanti elicotteri e 223 navi. L'Italia dovè prima far votare al Parlamento la dichiarazione di guerra, poi partecipò attivamente con la forza fina.lizzata aerea ·'Locusta" - 10 caccia multiruolo Tornadol4 dell'Aeronautica Militare, sostenuti da alcuni aerei da trasporto - basata ad Abu Dhabi, negli Emiratj Arabi Uniti, e col 20° Gruppo Navale 15. Infine un reparto di volo dell'Aeronautica dotato di caccia F 104 venne rischierato in Turchia nel quadro delle misure alleate di prevenzione di attacchi iracheni verso Nord. Mentre gli Iracheni venivano sconfitti coll'Operazione Tempesta nel Deserto, l'Italia fu minacciata da loro di attentati terroristici di ritorsione; e per questo motivo l'Esercito fu destinato a presidiare i punti nevralgici del territorio nazionale. Terminata la campagna di guerra nel febbraio '91 e liberato iJ Quwait, I" attenzione internazionale si spostò al confine turco-iracheno, nel Curdistan, i cui abitanti dovettero essere curati e protetti dalle violenze del governo di Baghdad. A quella operazione, denominata MNF/Curdistan "Provide Comfort" 16, l'Esercito Italiano partecipò dal 3 maggio al 1 agosto 1991 coll'Operazione Airone, inviando un contingente di oltre 1.500 uomini 17 e cooperando con alcuni osservatori alla missione UNIKOM - Missione d'Osservazione lraq-Quwait delle Nazioni Unite - integrandola con sminatori del Genio. Il grosso dei militari dell 'Operazionc Airone rientrò entro iJ 17 luglio '91; gli ultimi 200, precauzionalmente ridispiegati a SiJopi, in Turchia, come «Airone 2,>, il 9 ottobire. UNIKOM invece prosegul e, dal dicembre 1996 al dicembre 1997 il comando fu affidato al generale Giuseppe Santillo. Infine un paio di ufficiali parteciparono alla missione UNSCOM incaricata di sorvegliare il disarmo iracheno. Nel settembre del J99 I, dopo aver mandato in maggio alcuni Carabinieri a partecipare alla ONUSAL, preposta al controllo degli accordi fra governo e guerriglieri in Salvador ed alle successive elezioni politiche, se ne mandarono altri 10 in Guatemala per lo stesso motivo in settembre colla MlNUGUA - Mlsion de Naciones Unidas para el respeto de los derechos umanos en GUAtemala - rimasta attiva fino al marzo 1998. fntanto, mentre si svolgevano le operazioni militari contro l'Iraq. nel gennaio 1991 in Somalia era crollato il regime del presidente Siad Barre ed era scoppiata la guerra fra opposte fazioni. Le potenze occidentali provvidero rapidamente all'evacuazione dei loro cittadini inviando contingenti navali e aerei. La stessa cosa dovettero fare poco dopo quando, tra maggio e agosto, cadde in Etiopia il regime comunista di Menghistu. L"Italia coll'Operazione lppocam14 Uno di essi fu abbattuto dagli Iracheni e i due membri dell"equipaggio. fatti prigionieri. rientrarono in Italia alla fine delle ostilità. 1; Allineava la nave appoggio San Marco e, a rotazione, le fregate Audace, lupo, Libeccio. Orsa, Sagirrario. i rifornitori Stromboli e Vesuvio. Le perdite si limitarono a un marinaio, morto in circostanze non chiarite durante una sosta a terra al principio del viaggio di ritorno dopo la fine delle operazioni. LI 20° Gruppo partec ipò infine alla forza internazionale per lo sminamento del Golfo Persico, allineando appositamente la fregata Maestrale, i cacciamine Mila-:;:;o, Sapri e Vieste e la nave appoggio Tremiti, che rientrarono il 20 luglio 1991. 16 In totale erano 28.770 uomini di 13 nazioni. 17 Erano 170 ufficiali dell'Esercito e 8 dell"Aeronautica, 370 souufficiali dell'Esercito e 13 dell'Aeronautica. 950 soldati e 8 infermiere del.la CRI, divisi in un baltaglione paracadutisti. un battaglione logistico alpino e, successivamente. un ospedale da campo ed un reparto di formazione comprendente militari di varie Brigate, con 400 autoveicoli e 8 elicotteri.


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po Somalia dal 2 al 5 gennaio I 991 deviò sulla Somalia 2 delle navi di ritorno dal Golfo Persico per avvicendamento e organizzò un ponte aereo con un nucleo paracadutisti incursori e 8 aerei della 46' Aerobrigata per portare in salvo 320 civili italiani, ripetendosi coll'Operazione Ippocampo Etiopia dal 26 maggio al 2 agosto dello stesso anno. Le Nazioni Unite si occuparono delle vicende somale; ma videro completamente disattese le loro risoluzioni e minacciato dalla guerriglia il contingente di osservatori mandato a Mogadiscio come UNOSOM, in seguito ai cui rapporti si stabilì un intervento militare di maggior consistenza. La Somalia era considerata territorio di competenza dell'Italia in quanto sua vecchia colonia. Aveva ricevuto una lunga collaborazione militare sotto forma di aiuti in denaro e armi e formazione degli ufficiali; e l'Italia non era stata per nulla contenta di vedersi esclusa da UNOSOM. Ne era derivata una crisi diplomatica senza precedenti con Washington al tem1ine della quale Roma fu chiamata a partecipare alla nuova missione che si andava preparando. Infatti in seguito al fallimento di UNOSOM, l'ONU nel dicembre 1992 lanciò l'operazione UNTTAF - Forze Finalizzate Unificate delle Nazioni Unite - riunendola nel marzo 1993 a UNOSOM e dando vita ad UNOSOM Il. UNITAF, nota anche come "Restore Hope" - Ripristinare la Speranza - aveva a disposizione 45.000 uomini con un sostanzioso appoggio aeronavale, fomiti dagli Stati Uniti - 28.000 - e da altri 22 Paesi. Il contributo italiano era uno dei più consistenti: 3.500 uomini con 20 carri armati, 40 autoblindo, 600 automezzi e 20 elicotteri 18• Sostenuti dal 24° Gruppo Navale 19 e da uomini e mezzi della 46• Aerobrigata, del 31 ° Stormo e del l 5° Stormo Ricerca e Salvataggio dell" Aeronautica Militare, i militari italiani dell'Operazione [bis - divenuta «Ibis li» dopo la conversione di UNITAF in UNOSOM Il- ebbero l'incarico di presidiare uno dei cinque settori di Mogadiscio e il rettangolo di 50.000 chilometri quadrati retrostante la fascia costiera da Balad a Obbia, staccando un'aliquota più all'interno a Belet Uen. L"incarico fu tutt'altro che facile, basti pensare che vennero sostenute 232 azioni di fuoco, alcune delle quali comportarono perdite20 ma, nonostante pochissime sgradevoli siruazioni venute a galla però solo alcuni anni dopo, venne svolto bene e costituì un buonissimo banco di prova sul terreno di parecchi sistemi d'arma - come l'autoblindo Centauro - e schemi operativi. Oli scontri a fuoco furono occasione di polemiche, specie fra Italia e Stati Uniti, sulla politica dell ' operazione. Roma optava per la ricerca di un accordo negoziato fra i vari capi fazione. Washington voleva una soluzione di forza e premeva sulle Nazioni Unite in questo senso. Al contingente italiano vennero quindi mosse accuse, presto dimostratesi false, di non aver soccorso i militari ONU caduti in un agguato a Mogadiscio e di non operare colla dovuta decisione. Davanti alla scelta dell'ONU di seguire la linea dura, il Governo di Roma decise di rischierare i propri uomini fuori Mogadiscio, spostando il comando a Balad e attendendo gli avvenimenti.

I& I reparti si avvicendarono in Somalia ogni sei mesi e furono fomiti dalla Brigata Paracadutisti Folgore - tutta - dalle brigate meccanizzate Legnano - meno l'artiglieria - Friuli - limitatamente al 6° Bersaglieri e al 78° Fanteria - Gorizia, con un nucleo chirurgico, e Granatieri di Sardegna, con due compagnie. dalle brigate corazzate Ariete - due compagnie - e Centauro - una compagnia e reparti di Sanità da aliquote dei reggimenti Lancieri di Novara, di Montebello e di Firenze. dei Cavalleggeri Guide e della Brigata Pozzuolo del Friuli. Furono infine presenti il I O Reggimento Antares dell'Aviazione dell'Esercito e aliquote dell ' 11 ° Trasmissioni Leonessa, 7° Trasporti Monte Amiata e della CRI. ln totale in Somalia si avvicendarono 14.326 militari dell'Esercito, dell'Aeronautica, della Marina e della Croce Rossa Italiana (rispettivamente 11.624, 1.724. 734 e 112), con una presenza media a terra (esclusi quindi gli equipaggi

delle navi) di 2.226. 19 Navi: Vittorio Veneto, (poi sostituita da Grecale), San Giorgio, San Marco e Vesuvio. 20 Si ebbero 13 militari e 2 civili morti - 6 in scontri a fuoco e 9, tra cui i civili, giornalisti della RAI - in incidenti o agguati. I feriti furono 169, dei quali 107 in combattimento.


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La linea dura, come previsto dagli Italiani, portò ad un rapido aumento delle azioni contro i militari dell'ONU a Mogadiscio e fu oggetto di pesanti critiche sulla stessa stampa americana, che rivalutò esplicitamente la linea suggerita da Roma. Infine, dopo le forti perdite subite dal contingente statunitense, il presidente Clinton ne annunciò il ritiro il 3 I ottobre 1993, decretando l'insuccesso e il termine del.la missione. Italfor Ibis Il venne ritirato tra il 16 gennaio e il 21 marzo 1994 sotto la protezione del 25° Gruppo Navale21 dirigendo i mezzi via mare direttamente verso il Mediterraneo e gli uomini a Mombasa, da dove proseguirono in aereo per I'[tali a. Nel 1994 La guerra civile scoppiata in Ruanda portò ali 'allestimento di diverse missioni ONU, ma l'Italia partecipò solo a quella denominata "Ruanda/Silver Back" mediante l'Operazione Ippocampo Ruanda, consistente nell'evacuazione per via aerea22 di cittadini occidentali riparati a Entebbe, proteggendo dal IO marzo le zone d'atterraggio insieme a militari di altri paesi con 112 uomini del 9° Paracadutisti Col Moschine 65 Incursori della Marina. Il I 0 giugno ne venne effettuata una seconda, di minori dimensioni - l'Operazione Entebbe - condotta solo da forze speciali francesi, belghe e italiane - 18 incursori della Folgore. 6 ufficiali medici, 3 sottufficiali infermieri, 6 infermiere della Croce Rossa e 4 aerei da trasporto dell'Aeronautica - per portare in salvo decine di orfani ruandesi in Uganda2J. Dopo l'invio, nel febbraio 1995, nell 'ambito dell'operazione UNAVEM ili di 5 sottufficiali artificieri per la bonifica di aree minate in Angola al termine del lungo periodo di guerriglia innescatovi dall'UNJTA, l'impegno maggiore delle Forze Annate italiane a sud dell'equatore fu per ONUMOZ in Mozambico. Cessatavi la guerriglia coll'accordo raggiunto a Roma il O I dicembre 1990 e la pace siglatavi il 4 ottobre 1992 fra governo e guerriglieri della ReNaMo. fu costituita una COmmissione Mista di VErifica - COMlVE/JVC - alla quale l'Italia partecipò con 2 ufficiali osservatori. La COMIVE cessò l'attività nel dicembre 1992, quando il 16 le Nazioni Unite diedero iJ via ali' operazione che, protrattasi fino al dicembre 1994, doveva garantire la tranq11illità nel Paese prima, durante e dopo le elezioni, controllando l'osservanza della tregua e il disarmo delle due parti. La missione, comandata dal generale Aldo Ajello, si appoggiò a un contingente di 6.700 uomini fornito da 13 paesi. L' Italia vi mandò - coll'Operazione Albatros e sotto gli ordini prima del generale Luigi Fontana, poi del parigrado Silvio Mazzaroli - 1.030 militari, cioè un reparto di Carabinieri, il Battaglione Alpini Susa, la Compagnia Alpini Paracadutisti Monte Cervino, reparti del Genio e dei Servizi ed un'aliquota dell' AVES24 di 11 elicotteri, uno dei quali precipitò causando La morte dei due piloti. Terminata «Albatros», il ripiegamento del contingente diede vita il 2 maggio 1994 ad «Albatros 2», cioè al mantenimento in loco, a Beira, d'un contingente di 230 uomini del reparto di sanità e d'un unità di sostegno. Nella primavera del 1993 fu eseguita in Cambogia l'operazione UNTAC-Autorità Temporanea delle Nazioni Unite in Cambogia - per farvi svolgere le prime elezioni libere, ponendo fine alla guerra civile che aveva distrutto quel paese negli ultimi vent'anni. L'Italia partecipò con un Osservatore Militare e 80 Carabinieri per il contingente ONU di Polizia. Tornando all'Africa, nel 1997 furono mandati 12 paracadutisti della Folgore a rinforzare il presidio dell'ambasciata italiana a Kinshasa nel corso dei disordini nello Zaire terrninati poi colla caduta del regime del presidente Mobuu1.

l i Portaereomobili Garibaldi, fregata Scirocco, Navi San Marco, San Giorgio e Stromboli.

12 La 46' Brigata Aerea operò con 3 apparecchi da trasporto. 23

Per l'emergenza ruandese era stata progettata. ma poi non realizzata, l'operazione ONU Ruanda/MNF. alla quale l'Italia avrebbe dovuto partecipare con 600 uomini sui 10.000 complessivamente previsti. 24 Aviazione Esercito, nuovo nome assunto dall'Aviazione Leggera dell'Esercito nella seconda metà degli Anni '90, prima di diventare Cavalleria dell'Aria.


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Infine nel 1998 restavano ancora in atto le missioni MINURSO nel Marocco ex-spagnolo, alla quale partecipavano 5 Osservatori Militari Italiani e quella in Jugoslavia.

IV) Ritorno in Jugoslavia

Quest'ultima fu forse la più complessa operazione mai effettuata dalle Nazioni Unite, non tanto per la durata o l'entità delle forze militari schierate, quanto per le complicazioni politiche, diplomatiche, religiose, razziali e militari. All'indomani della morte del Maresciallo Tito erano apparse subito delle tendenze centrifughe che avevano evidenziato la congenita debolezza della Jugoslavia. Il crollo del sistema orientale portò alla proclamazione dell'indipendenza delle Repubbliche di Slovenia e di Croazia, il cui esempio, di 11 a poco, fu seguito dalle altre entità politiche. Ma la composita popolazione jugoslava, mescolata durante gli anni antecedenti la 11 Guerra Mondiale ed ancor più sotto Tito, ag1 esattamente come ai tempi dell'occupazione dell'Asse. I Croati, i Serbi e i mussulmani bosniaci ricominciarono a combattersi. per gli stessi motivi e adottando le stesse tecniche terroristiche degli Ustasci e dei partigiani del 1941 -45, solo che adesso le chiamavano "Pulizia Etnica". Cambiato il nome non era cambiata l'entità dei massacri; e l'ONU, con molta lentezza. intervenne. La situazione era assai complessa. La Repubblica Serba sosteneva i Serbi di Bosnia contro i Croati. suoi nemici anche sul confine settentrionale, ed i mussulmani. l Croati ce l'avevano con entrambe le etnie, ma a Livello locale non disdegnavano, di tanto in tanto. di allearsi all'una o all'altra contro la rimanente. La complicazione religiosa, come al tempo degli Ustasci, si faceva sentire. In più, a detta di molti, se era evidente un appoggio russo ai Serbi. nella migliore tradizione di San Pietroburgo, appariva un certo sostegno statunitense - o tedesco - a favore dei Croati, sostegno che però veniva mitigato da quello dei Paesi mussulmani a favore dei correligionari bosniaci. In tutto questo pasticcio, l'unica cosa chiara era che alcune fazioni dichiaravano di non voler vedere arrivare come caschi blu né Tedeschi, né Italiani. perché erano stati nemici cinquant' anni prima. Poggiando su queste affermazioni, le Nazioru Unite accolsero le pressioni statunitensi per un'esclusione dell'Italia dalla formazione dei contingenti e mandarono reparti25 di vari Paesi, ma con istruzioni talmente restrittive relativamente alla possibilità di reazione. da renderli più ostaggi che interpositori e disannatori degli eserciti jugoslavi. Nel luglio 1992 l'Italia cominciò a partecipare con mezzi aerei a due operazioni. Una fu "Provide Promise", nata per rifornire le popolazioni; ma dopo l'abbattimento di un G 222 dell'Aeronautica Militare avvenuto il 3 settembre in Bosnia, colla morte di tutto l"equipaggio. Roma ridusse l'intervento alla disponibilità dell'aeroporto di Ancona-Falconara e ali' installazione - nell'ambito però dell'Operazione IRMA - d'un ospedale della Croce Rossa. La seconda attività aerea fu la Missione di Monitoraggio delle Comunità Europee - denominata pure Missione di Monitoraggio dell' Unione Europea in Jugoslavia - che vide schierati da 6 n 8 elicotteri italiani, francesi e olandesi con una speciale livrea bianca. Quelli italiani avevano da 50 a 80 uomini addetti. Tutto andò bene fino al 7 gennaio 1992, quando un aereo da caccia jugoslavo attaccò in Croazia uno degli elicotteri italiani e lo abbattè, causando la morte di 4 militari italiani e di uno francese26. Parigi e Amsterdam ritirarono allora i propri contingenti elicotteristi e la missione continuò coi soli mezzi italiani.

2S In occasione dell'invio del suo contingente, l'Esercito Francese domandò ufficialmente a quello Italiano una documentaz.ione il più p<>ssibile completa sulle operazioni condotte dal Regio Esercito in Jugoslavia nel 1941-43 per farsi un ' idea delle difficoltà da affrontare e del modo di risolverle. 26 Il recupero delle salme e il loro rimpatrio furono oggetto d 'un tentativo di speculazione p<>litica da


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Intanto, dopo le polemiche giustamente sollevate a proposito della forzata passività dei casch i blu, le Nazioni Unite si erano rese conto di dover cambiare atteggiamento, perché la guerra divampava sempre più ferocemente e le loro risoluzioni restavano lettera morta. Si era già pensato di attivare l'Unione dell'Europa Occidentale: e i l suo primo intervento fu navale: una squadra anglo-franco-italiana di 9 navi - 4 delle quali italiane27 - si diresse nella seconda metà di novembre del 199 I verso Ragusa. l'antica repubblica italiana sul litorale dalmata, ora appartenente alla Croazia e premuta dall'assedio jugoslavo, per l' Operazione Margherita, consistente nello sbarco di aiuti e nell'evacuazione di profughi28 . Ad essa la Marina Militare fece seguire, tra il 1993 e il 1996, altre 21 missioni umanitarie nei porti della Repubblica di Croazia. Ma l'impegno navale non si limitò a questo. L'ONU, non sapendo come regolarsi colla guerra in Jugoslavia e non desiderando rendere diretto l'intervento, tentò di aggirare l'ostacolo mediante l'instaurazione d'un divieto di commercio dei materiali di rilevanza militare. Per terra non vi furono eccessive difficoltà a farlo rispettare; per aria si provvide con varie operazioni aeree, alle quali l' Italia fornì sostegno logistico rendendo disponibili 21 basi aeree e alcune aerocisterne per il rifornimento in volo. Nel 1995 però si dovè agire offensivamente contro i Serbi coll'Operazione Deliberate Force, cui l' Aeronautica Militare partecipò con 14 dei 77 aerei impegnati. Per acqua il discorso fu diverso a seconda che si trattasse di mare o di fiume. In mare si demandò alla NATO e ali "UEO il controllo. Le due organizzazioni avviarono due operazioni distinte e coordinate il IOluglio 1992. denominandole rispettivamente "Maritime Monitor'' e "Sbarp Vigilance" e tenninandole il 22 novembre, controllando il traffico attraverso il Canale d'Otranto e sulle coste del Montenegro. Subito dopo, cioè a partire dal 22 novembre 1992, furono rese più rigide le regole d'ingaggio e controllo e si diede il via alle operazioni Maritime Guard e Sbarp Fence, terminate il 15 giugno 1993. Due giorni prima NATO e UEO avevano finalmente deciso di riunire le proprie forze nell'Operazione Sharp Guard, iniziata lo stesso 15 giugno ed evolutasi poi in un blocco navale vero e proprio dal 23 settembre 1994. adoperando le unità, mediamente 24, di STANAVFORLANT, STANAVFORMED e WEUCONMARFOR, fornite da 12 Paesi, 9 dei quali davano anche un appoggio aereo riunito nella Forza Finalizzata Combinata. o Combined Task Force, 431. In più, dal 4 settembre 1991 al 3 dicembre 1993, l'operazione coincise con quella italiana "Albanian Gaard", definita da un accordo bilaterale fra Roma e Tirana e condotta dal 22° Gruppo Navale29 a controllo delle acque territoriali albanesi. Restava da controllare la frontiera fluviale dell'ex-Jugoslavia; ma Romania, Bulgaria e Ungheria ebbero difficoltà e chiesero l'aiuto dell'UEO. Fu concesso nel maggio 1993 e si diede il via a.ll'Operazione Danube o "Enforcement Danubio" impiegando lungo il Danubio 240 uomini e 7 motovedette delle polizie di frontiera, o doganali, di 8 Paesi membri. La Guardia di Finanza 30 ebbe il comando dell'operazione, durata fino aH'estate 1996 e partecipò con 2 motovedette e 82 uomini, dislocati a Calafat, in Romania - una delle tre principali aree di controllo - e, in un piccolo nucleo ispettivo, a Mohacs, in Ungheria.

parte dei Croati, che volevano sfruttare la cosa a scopo propagandistico. Si dové all'abilità e decisione del tenente colonaello Riccardo Treppiccione, capo della missione italiana incaricata di riportare in Patria i poveri resti, se l'impresa, eseguita clandestinamente e forzando un posto di blocco croato, poté essere portata a tennine senza complicazioni politiche e inasprimenti della tensione croato-serba. 21 Euro, Driade, San Marco e Simeto. 28 Si noti che la quasi totalità degli lla liani ancora residenti a Ragusa, nonostante gli avvenimenti degli ultimi cinquant'anni, dichiarò di non voler lasciare la città perché, come disse un'anziana signora «proprio questo vorrebbero i Croati», alludendo alla politica di assimilazione forzala portata avanti con tutti i mezzi dalla neonata repubblica. 29 MTC Pantelleria e 4 motovedette della Guardia Costiera. 30 Contemporaneamente la Guardia di Finanza fornì pure 2 ufficiali dal I O aprile 1994 al 19 marzo I 996 alla Missione ICFY /ICFYM, inserendoli nel contingente di 200 osservatori doganali operanti in Ser-


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Nel 1994 venne affidata all'UEO l"amministrazione di Mostar e vi si mandò un contingente internazionale di Polizia comprendente pure 26 Carabinieri, poi ridotti a IO, rimasti là fino al 15 ottobre 1996, quando furono rilevati dalJa IPTF: la Forza Finaliuata Internazionale di Polizia. Questa a sua volta operava nell'ambito dell'UNMIBH - Missione delle Nalioni Unite in Bosnia Erzegovina -e in essa vennero inseriti, a partire dal luglio 1997, 23 Carabinieri destinati al corridoio della Po~avina a Brckoll. Intanto l'impiego della NATO si era rivelato efficace e. per questo, a partire dal 1995. essa rilevò le forze delle Nazioni Unite. 11 21 dicembre l'ONU autorizzò la costituzione di 1-FOR (Forza d'Esecuzione) affidandole il compito di controllare il rispetto della linea di demarcazione fra le opposte fazioni jugoslave, pattugliare i 4.300 chilometri quadrati dell'area smilitarizzata e garantire il disarmo e il ritorno alla normalità in runa la zona. Le forze che la componevano ammontavano a 60.000 uomini, articolati su un Corpo d'Armata e tre divisioni multinazionali: una, la Nord, a comando americano, una di Sud-Ovest, inglese, e una, quella di SudEst, prevalentemente formata dalla 61 Divisione francese. col quartier generale a Mostar e inglobante anche il contingente italiano. Quest'ultimo era formato da 2.300 uomini32 e costituiva il grosso di una Brigata Muhinalionale a comando itahano comprendente pure 960 portoghesi e 700 egiziani. Nell'agosto del 1996 il contingente aumentò coll'invio di un reparto del Genio Ferrovieri per il ripristino della linea ferroviaria. 1-FOR disponeva d'un appoggio logistico in Italia articolato su 27 aeroporti militari e civili, 10 porti e numerose caserme, basi logistiche e scali ferroviari. Un efficace sostegno navale era assicurato dalla "Decisive Enhanccmcnt". Ad essa appartenevano la Forza Finaliuara Task Porce 436, articolata in due squadre italo-greche, e la "Diligent Force". La prima era formata dai Task Groups 436.01 - 2 fregate italiane e una ellenica - e 436.02 - una nave supporto e 4 cacciamine 11aliani e 2 cacc1arnine greci coll'incarico d1 sminare le acque della Dalmazia. La seconda. approntata come appoggio lontano, era presente nclJ' Adriatico Meridionale e constava di navi da sbarco con forze anfibie italiane cd americane. Il 20 dicembre 1996 I-FOR terminò il proprio incarico e fu sostituita da S-FOR - Forza di Stabilizzazione - con un ridimensionamento dei contingenti. L'Italia contra.,i.e quello tcrre~tre a 1.800 uornini33 e quello navale che. ferma re~tando la componente anfibia - ora denominata SFR (Forza di Riserva Strategica) e integrata da reparti olandesi, polacchi, turchi e romeni vide l'articolazione del Task Group 436.0 I su due coppie di fregate - fornite a rotazione da tutti i Paesi - di cui una operativa e l'altra di riserva. mentre il Task Group 436.02 scendeva a 4 cacciarnine - due operativi e due di riserva - allargando la partecipazione alla Turchia. Sotto il profilo operativo comunque il contingente S-FOR ebbe da fare quanto il precedente. ln particolare la Brigata a comando italiano34 reperì e distrusse 13 tonnellate di materia-

bia per controllare l'applicazione del divieto di commercio di materiali militarmente rilevanti; e altri due alla SAM - Missione d' As,istenza Sanzioni - iniziata nel1'011obrc 1992 e terminarn il 30 giugno 1996. distaccando un altro ufficiale al SAMCOMM. il coordinamento della SAM si1ua10 a Bruxelles. 11 Per un incidente \tradale vi morl il comandante del contingente ita.liano. colonnello dei Carabinieri Fenoglietti, nel dicembre 1995. 32 Con artiglieria i,Cmovente. carri armati. paracadutisti. bersaglieri, reparti speciali. battaglione logistico. 33 Seguendo il normale avvicendamento. dal gennaio 1997 i cont7 Lati vennero rimpatriati e i Bersaglieri e gli Alpini furono sostituiti dal 151 ° Reggimento Fanteria Sassari. dal 3° Alpini. da un 'aliquota del Battaglione San Marco, una del 19° Cavalleggeri Guide, 4 elicotteri AB 205 del 26° Gruppo Giove dcli' AVES. artiglieri e reparti speciali. Poi. in 011obre, la Brigala Garib,ildi fu sostituita d,ùla Taurinense. Toccò in !.tguito alla Friuli, rilevata dalla Ariete, a sua volta sostituitt, dalla Folgore. che ebbe il cambio dalla Sassari. :l4 Le perdite italiane ammontarono a due morti. uno per lo scoppio d'un ordigno esplosivo e l'altro in un incidente stradale.


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le bellico e, coli 'Operazione Tulipano Nero, riprese dei mezzi militari catturati a Sebrenica al contingente ONU fornito dall'Olanda. Nel complesso, fra I-FOR e S-FOR, si avvicendarono in Bosnia non meno di 20.000 italiani di 6 diverse brigate. In seguito, quando sembrò che si potesse arrivare al disarmo delle nuove repubbliche nate sulle ceneri della Jugoslavia, venne ilùziata la missione OSCE-CSBM, incaricata di sovrintendere alla distruzione dei materiali militari. Diretta, dalla metà di novembre del 1997, dal generale Carlo Jean e attuata da osservatori di 12 nazioni, inclusi gli Italiani, fu destinata a operare almeno fino alla Conferenza di Revisione del Meccanismo di Disarmo prevista per il giugno 1998. Ma nell'estate del 1998 nuove nubi di tempesta si addensarono sulla ex-Jugoslavia, come ormai era comunemente chiamata. Lo sfaldamento della Repubblica titoista, l'evidente desiderio americano di eliminare qualunque possibilità d'accesso al Mediterraneo ai Russi tramite i Serbi e la presenza occidentale in Albania indussero gli Albanesi del Cossovo ad agitarsi. Belgrado reagi nel suo solito modo e cominciò la "pulizia etnica" serba contro gli Albanesi. Le Nazioni Unite si agitarono, ottennero dall'OSCE l'invio d'una missione d'osservazione OSCE/KVM - alla quale parteciparono osservatori italiani, e chiamarono la Serbia al tavolo della trattativa, chiedendole di trovare una soluzione insieme all' UCK, l'organizzazione politico-militare degli Albanesi del Cossovo. Per Belgrado fu quasi un ultimatum, che divenne tale a tutti gli effetti quando nel febbraio del 1999 le posizioni politiche sue e dei Cossovari s'irrigidirono: l'alternativa offerta era fra la cessazione dei massacri e l' accettazione delle richieste albanesi, cioè sostanzialmente dell'indipendenza cossovara, e la guerra. Era il 23 febbraio e solo grazie alla mediazione ilaliana gli Stati Uniti avevano accettato di differire il termine di scadenza dell'ultimatum, inizialmente previsto al 20 di quel mese. I contatti seguenti non portarono a nulla. Belgrado venne informata d'aver tempo per rispondere fino al 24 marzo I 999, dopodiché sarebbe scattata l'azione militare. Per evitare i disastri visti in Bosnia, stavolta le operazioni sarebbero state eseguite dalla NATO. Del resto fin dall' Il ottobre 1998 tutti i Paesi membri dell'Alleanza Atlantica avevano acconsentito all'effettuazione di attacchi aerei contro la Jugoslavia da parte della NATO in caso di fallimento delle trattative. Non essendo state accettate le condizioni dell'Occidente, puntualmente nella notte dal 24 al 25 marzo 1999 scattò l'operazione DETERMINED FORCE, cioè l'attacco aereo contro la Jugoslavia; e su una parte dell'opinione pubblica italiana il colpo fu notevole. Mentre la maggior parte della popolazione sostanzialmente non si curava affatto della guerra, linùtandosi a informarsene tramite giornali e notiziari radiotelevisivi, la nùnoranza composta dalla sinistra entrò in subbuglio. U Governo D' Alema si trovò in una situazione difficilissima. La sua base elettorale. composta dalla sinistra italiana e formata da Comunisti di vari generi. era tradizionalmente a favore dei compagni jugoslavi - in quanto ex-Comunisti - e antiamericana. Ma ascoltare la propria base avrebbe comportato per il Governo la necessità di non partecipare al conflitto, rinunciando in modo plateale al ruolo che gli altri Alleati si aspettavano di veder ricoprire dall'Italia, con probabili gravi ripercussioni in sede internazionale, ad esempio per la riorganizzazione del direttivo delle Nazioni Unite o nell'ambito della NATO, la presidenza del cui conùtato militare dal 6 maggio sarebbe stata ricoperta dall'ex-capo di Stato Maggiore della Difesa Italiana amnùraglio Guido Venturoni. Infine non bisognava dimenticare che la principale base di partenza per gli attacchi aerei contro la Jugoslavia era la penisola italiana, ragion per cui era logico aspettarsi azioni di ritorsione da parte di Belgrado, mediante attacchi agli aeroporti e alle linee di comunicazione: si poteva restare inerti a farsi assalire contando sulla protezione militare altrui per respingere la minaccia? Per questi motivi era necessario partecipare al conflitto, ma non lo si poteva fare senza rischiare di veder crollare la maggioranza governativa, ampi settori della quale erano dichiaratamente contrari all' intervento, apertamente filojugosla-


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vi e indicavano come false e pretestuose le informazioni sul genocidio degli Albanesi del Cossovo. li Governo decise d'aggirare l'ostacolo: partecipò ma non lo ammise. Sfruttò l'automatismo dell'intervento previsto fin dall'origine dell'Alleanza Atlantica per cui, una volta dato l'assenso di massima da parte dei singoli governi, cosa accaduta I' 11 ottobre 1998, dietro ordine del Segretario Generale e del Consiglio del Patto scatta l'intervento delle forze nazionali precedentemente messe a disposizione della NATO. Per questo non fu votato in Parlamento l'intervento armato, come invece era stato fatto al tempo del Quwait seguendo il dettato costituzionale. E, per evitare polemiche, la stampa non ebbe alcuna informazione su quanto stavano facendo i militari italiani. Ufficialmente l'Italia non era coinvolta in modo attivo e si limitava a fornire l'uso di porti, aeroporti e infrastrutture a.ll'Alleanza Atlantica. Solo a fine marzo cominciò a trapelare qualche notizia e lentamente si seppe che già alle prime battute. il 24 marzo notte, due aerei italiani erano dovuti intervenire per coprire una falla nell'apparato difensivo alleato: poi, gradualmente, emersero altre informazioni e, davanti alle pressioni della stampa, finalmente non il Governo, ma fonti dell'Aeronautica Militare. dichiararono ufficialmente che gli aerei italiani. in particolare del 50° e 102° Stormo, erano impegnati in operazioni contro e sulla Jugoslavia. Imbarazzato. di fronte alle richieste di spiegazione e alle minacce di c risi provenienti da settori dell'estrema sinistra. il Governo. che fino a quel momento aveva negato la partecipazione di mezzi nazionali ad azioni offensive, disse che si era trattato di missioni di "difesa avanzata" e. alla fine. saltò fuori che su 420 aerei inizialmente schierati dall'Alleanza. 42- il 10%- erano italiani, dal Tornado di vari tipi agli F 104, mentre almeno due navi, le fregate 'Zeffiro e Libeccio. erano coinvolte nei movimenti navali. Aggiungendo a questo l'uso immediato degli aeroporti italiani di Aviano, Cervia. Pratica di Mare. Brindisi. Gioia del Colle, Istrana, Piacenza. Amendola. Grazzanise e Ghedi. quello successivo degli aeroporti di Trapani e Decimomannu, la disponibilità dei porti italiani e l'uso delle infrastrutture nazionali da parte dell'Alleanza, l' impegno fu tutt'altro che di basso profilo. Inizialmente i vertici dell'Alleanza si erano detti certi di poter piegare la Jugoslavia entro un massimo di tre settimane con attacchi mirati di alta precisione. In realtà tale tattica. fatta adottare alla NATO dagli Stati Uniti e carattcriuata da una lenta intensificazione degli attacchi si dimostrò tutt'altro che risolutiva e, a metà aprile, davanti alle polemiche per la durata del confliuo. si decise d'incrementare le forze alleate. n numero degli aeroplani aumentò dai 420 iniziali a 780 - 12 maggio - dei quali 550 americani, 176 di altri alleati e 5435 italiani, per avviarsi poi a quota 1.000. Parte di essi fu schierata in Ungheria, e si cominciò a parlare dell'eventualità, fino allora recisamente e pubblicamente scartata, d'un intervento terrestre, ipotizzando una forza di almeno 33.000 uomini, che ben presto. sempre a livello di ipotesi, lievitarono a 100.000 e poi a 150.000: 90.000 americani e 60.000 degli altri membri della NATO. L'idea non piaceva molto a nessuno. In particolare agli Europei. i quali non solo non avevano forze sufficienti, ma non desideravano andare a impelagarsi in una probabile guerriglia dalle elevate perdite. Man mano che il tempo passava e si avvicinava il momento di muovere le truppe terrestri, la NATO preparava lentamente le sue forze. contando di servirsi di quanto aveva già nei Balcani. Le basi di partenza considerate erano tre: Bosnia, Albania e Macedonia; e in tutt'e tre l' Italia manteneva dei contingenti. Di quello in Bosnia si è già detto. Ma, dovendo operare nel Cossovo, la Bosnia non consentiva movimenti celeri e sicuri e le direttrici preferite sarebbero state altre: dal Montenegro e dalla Macedonia.

35 Dopo i 42 iniziali. che al 3 maggio avevano effettuato 250 sortite. (neanche tante se paragonate alle 700 dei 36 apparecchj belgi e olandesi) 11 12 maggio il Ministero della Difesa mi;e a djsposizione dell' AJleanza altri 12 aerei fra Tornado, Hanier e AMX).


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In Albania gli Italiani erano tornati in forze nel gennaio 1997, perché si erano verificali dei terribili disordini, motivati con ragioni di ordine economico, che avevano portato ad oltre 2.000 tra morti e feri1i ed alla crisi completa dell'apparato statale. Dalla S-FOR erano stati distaccati elicotteri e reparti speciali italiani, inglesi, francesi e tedeschi che avevano evacuato moltissimi civili - i soli Italiani ne portarono via oltre 1.500 - coll'Operazione Albaneo. li 24 marzo forze italiane avevano sbarcato soccorsi per la popolazione a Dura210, mentre l'OSCE e l'Unione Europea inviavano osservatori per decidere cosa fare. Dopo lunghe discussioni aveva prevalso la proposta ita liana e francese di un intervento militare per riportare la pace e, vista l'opposizione britannica all'impegno come UEO, si era deciso d'organizzarla come Forza Multinazionale di Protezione, chiamando l'operazione Alba - ma per gli Italiani in pratica fu «Pellicano il» - ed affidandone il comando al generale Alessandro Forlani. Cosl 7.000 uomini di l l Paesi - 2.800 gli Italiani, poi elevati a oltre 3.300 in vista delle elezioni albanesi del 29 giugno e 6 luglio 199736 - erano arrivati per riportare l'ordine e sovrintendere alle elezioni. Effettuate queste ultime. come d'accordo, il 18 luglio era cominciato il ripiegamento37 del contingente, ultimato il 12 agosto 1997, lasciando soltanto i marò del San Marco a presidio della base del 28° Gruppo Navale a Saseno e la sessantina di ufficiali di Polizia di 14 Paesi, tra cui 9 italiani della Polizia di Stato, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza38 - richiesti dal Governo albanese come istruttori della propria Polizia. Quando nell'estate del 1998 erano arrivati al confine albanese i primi gruppi di profughi dal Cossovo, la questione d'un intervento umanitario non era stata risollevata, ma in seguito. davanti a un afflusso tanto massiccio da toccare e superare le 200.000 unità, il governo e le organizzazioni civili di volontariato avevano cominciato a muoversi. li 30 marzo 1999 nave Sa11 Marco aveva scaricato a Durazzo un primo convoglio di soccorsi italo-svizzeri. dando il via alla missione umanitaria italiana Arcobaleno. Mentre l'esodo albanese dal Cossovo superava le 560.000 unità. calcolate nell'arco degli ultimi dodici mesi, e puntava verso il milione, le nazioni del mondo si mobilitavano per far giungere i soccorsi piÌI necessari e l'intervento italiano si evolveva lentamente verso il ritorno in Albania di una forza militare con compiti umanitari. Il 3 aprile partiva ufficialmente la missione Arcobaleno, con 220 volontari dell'Associazione Nazionale Alpini già sul posto, mezzi e uomini della Protezione Civile e un consistente supporto da parte delle Forze Armate39. Contemporaneamente la NATO varò in Albania l'O-

36 L'Esercito impiegò uomini e elicotteri d'auacco e da trasporto dell' AVES: la Marina il 28° Gruppo Navale con le Navi Caprera. Capri. Pa11tel/eria, Tremi1i e 8 motovedeue della Guardia Costiera; l' Aeronautica distaccò circa 90 uomini all'aeroporto di Tirana e impiegò 3 Hercules C 130 e altrettanti G 222. Tanto la Marina quanto l'Aeronautica mantennero inoltre forze per la sorveglianza aeronavale lon1ana delle acque albanesi, coinvolgendo anche la Guardia di Finanza. 37 Alcune fonti della stampa i1aliana espressero dubbi sulla stabilizzazione della situazione albanese e sull'opportunità di ritirare le forze occidentali; ma. ufficiosamenle. si seppe che colla fine d'agosto sarebbero tenmnali i fondi stanziati nell'esercizio finanziario 1997 per le missioni all'estero e che. comunque. non sarebbe slato possibile assicurare la rotazione dei rcpani, a causa della riduzione dell'organico avviata dal Nuovo Modello di Difesa. JS Pcn) la Guardia di Finanza sarebbe reslala a Durano e Saseno ancora per anni con almeno 130 uomini e 12 unità navali. tra vedette veloci e velocissime classe V.5000 e V.6000 (oltre 73 nodi orari) e guardacosle veloci. in strctla cooperaz.ione coi repani elico1teris1ici. 39 Allestita una tendopoli i 500 tende. gli Italiani allinearono un complesso di 5 clicoueri militari. 30 ufficiali medici, 180 militari della Sanità Militare (Brigata alpina Taurinense e 24° Gr. Logistico) e oltre 600 volontari di varia provenienza. LI corpo militare della Croce Rossa partecipò con altri 7 medici. 22 infermiere. 160 volontari e una sessantina d 'automeuì. A questi, nell'ultima decade d ' aprile l'Associazione Nazionale Alpini aggiunse altri 120 volontari e 40 mezzi.

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perazione Allied Harbour - Porto Alleato - per assicurare la sicurezza dei profughi ospitati in 11 diversi campi, impiegandovi 8.000 uomini di 14 Paesi membri. L'ltalia fornì il vicecomandate - generale Pietro Frisone - e partecipò con un primo contingente di altri 180 alpini della Taurinense, ai quali vennero aggiunti poi 130 uomini del Reparto Logistico Dolomiti, seguiti il 13 aprile da altri 500 alpini del 9° Reggimento della medesima Brigata da aliquote delle trasmissioni e dei servizi logistici del 24° Reggimento Logistico di Manovra e 160 carabinieri. Ad essi40 il 28 aprile si aggiunsero 300 marinai del San Marco con altri 50 mezzi, sbarcati da Nave San Giorgio, mentre in Adriatico la Marina staccava il caccia Ardito a protezione della nave d'assalto americana USS Kearsarge e dislocava la 2' Divisione Navale dell'ammiraglio Luciano Zappata e la portaeromobili Garibaldi con il suo Gruppo di volo41 • ln Macedonia invece la NATO aveva schierato una Forza d'intervento Rapido. alla quale a partire dal 9 dicembre 1998 l'Italia aveva dato 1.200 uomini della Brigata meccanizzata Bersaglieri Garibaldi42 e il vicecomandante, generale Giuseppe Giovannetti. Entrati in allarme fin dal principio del conflitto, fra NATO e Serbia i militari italiani avevano notato una certa attività di rilevamento e ricognizione delle loro posizioni da parte dei soldati serbi, ma non si era verificato nessun incidente di rilievo. Nel complesso verso la fine d'aprile le forze occidentali in Macedonia, al comando del generale inglese Jackson, erano arrivate a 14.000 uomini prevalentemente inglesi, italiani, tedeschi e francesi43 ed aspettavano un ulteriore rinforzo anglo-tedesco di altri 2.000 soldati. Al 21 aprile l' Italia schierava complessivamente in Macedonia e Albania 3.300 militari, con un impegno di spesa di 600 miliardi per il I 999; ma il 14 maggio venne deciso d'aumentarli, aggiungendo agli 800 alpini e marò già presenti in Albania44 altri 1.800 uomini. Il I O giugno a Bruxelles venne decisa la costituzione della Forza per il Cossovo - K-FOR: Kossovo FORce - prevedendo di strutturarla su un contingente di 47.868 uomini, mentre il giorno seguente cominciava a profilarsi da parte di Belgrado la completa accettazione del piano di pace proposto dagli Otto Grandi. Il 3 infatti il Parlamento serbo la votava a larga maggioranza e il 5 si aveva il primo incontro fra le delegazioni militari delle due parti. in una zona del confine macedone presidiata dalle truppe italiane. Dopo inconcludenti discussioni ed una ripresa dei bombardamenti aerei, finalmente il 9 si arrivava alla fine delle ostilità, dopo 79 giorni di guerra, 78 dei quali di attacchi aerei, per un totale di 34.500 missioni, 1.200 delle quali effettuate da apparecchi italiani. Colla cessazione delle ostilità incominciò automaticamente la Missione Joint Guardian Guardiano comune - cioè l'operazione K-FOR45 per il presidio del Cossovo.

40 Allied Harbour sarebbe terminata neU'agosto 1999 e il complessivo contributo italiano sarebbe stato di 2.500 uomini: 254 ufficiali, 546 sottufficiali, 1.550 volontari di truppa e 150 carabinieri. 4 1 Composto in quel caso da 6 aerei Hanier a decollo verticale e 4 elicotteri. 42 Il primo nucleo-130 uomini dei servizi e del Genio - parti appunto il 9 dicembre su Nave San Giorgio, per una missione per la quale si prevedeva di impegnare non più di 250 uomini e 20 elicotteri. Quando iJ confli tto in Cossovo s'inasprl, venne ampliato anche il contingente italiano e alla fine si trovavano in loco le strutture logistiche e di comando della Brigata Garibaldi, agli ordini del generale Mauro Del Vecchio, e del1'8° Reggimento Bersaglieri, cbe 1'8 giugno. dopo sei mesi di missione, venne rilevato dàl 18° e da aliquote di fanti del 151° Sassari. 4) Al 12 maggio erano in Macedonia 3.800 inglesi. 3.200 tedeschi, 2.700 francesi e 1.200 italiani. 44 A settembre del 1999 il 28° Gruppo Navale, sempre basato a Saseno, inquadrava le navi Lipari. Capri, Gorgona e Tirso della Marina e varie motovedette delle Capitanerie di Porto, cooperando coi mezzi navali deUa Finanza nell'espletan1ento dell 'Operazione Albania Il per il controllo delle coste albanesi e l'arginamento dell'immigrazione clandestina e del contrabbando verso l' Italia. 45 Comprendente oltre 60.000 uomini, cioè 13.000 inglesi, 10.000 russi, 8.000 tedesch i, 7.000 francesi, altrettanti americani, 5.000 italiani, 2.000 olandesi, 1.200 spagnoli, I. 100 belgi, l .000 greci, 850 nor-


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V) Le altre operazioni di pa.ce: 1989 - 2000

Tolta la partecipazione con alcuni ufficiali al gruppo organizzatore-IOPG - dell'operazione dell'OSCE per il Nagomo Karabakh e il Nachichevan, territori contesi fra le repubbliche ex-sovietiche dell'Armenia e dell'Azerbaigian, lo sforzo italiano per il mantenimento della pace si sviluppò anche al di fuori dell' ambito delle organizzazioni internazionali. Nell' estate del 1990, crollato il regime comunista installatosi a Tirana dal 1945, spinti dal bisogno, decine di migliaia di profughi albanesi tentarono di siabilirsi in Italia. Approdati in Puglia in agosto, furono rispediti indietro quasi subito, dopo alcuni giorni di grande tensione sfociati in scontri, per fortuna senza vittime, colle truppe e ]e forze di polizia. La questione andava risolta alle radici; ed il Governo di Roma si impegnò a fornire a quello di Tirana sia gli aiuti alimentari di cui aveva necessità, sia i mezzi e gli uomini per distribuirli. L'impresa, conosciuta come Operazione Pellicano incominciò il 16 settembre, durò fino al 3 dicembre 1993 e fu svolta da un battaglione di formazione dell'Esercito, composto da volontari che agivano privi di armi. Nell'aprile 1994 lo scoppio della guerra civile nello Yemen portò alJ'OperdZione Ippocampo Yemen, con Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, per evacuare via aerea i residenti stranieri. Nello stesso anno, in seguito ai disordini verificatisi in Israele, a Hebron, e al massacro di Palestinesi fatto da un colono ebreo. coll'accordo del Cairo del 31 marzo si stabilì di mandare sul luogo 120 osservatori di polizie occidentali, inquadrati nel TIPH - Presenza Internazionale Temporanea a Hebron - forniti da Italia (30 Carabinieri e 2 esperti civili degli Esteri), Norvegia e Danimarca.. La missione terminò già in luglio; ma venne riesumata come TIPH II nel gennaio 1997, allargandola a Svezia, Svizzera e Turchia ed elevando il contingente a 200 uomini - 50 norvegesi e 30 militari per ognuno degli altri Paesi46. Poi si aprl un nuovo caso, stavolta in Estremo Oriente. Nel 1976 l' Indonesia aveva occupato la parte orientale dell'isola di Timor, un tempo colonia portoghese. Lisbona aveva protestato e aveva sostenuto diplomaticamente le rivendicazioni autonomiste degli abitanti, per la massima parte cattolici, nei confronti del governo mussulmano indonesiano. Nel maggio del 1999, complice la crisi economica e politica dell'Indonesia. il Portogallo ottenne per Timor Est il diritto di autodeterminazione. Le votazioni del 30 agosto diedero la vittoria agli indipendentisti e scatenarono l'indomani una rappresaglia dei mussulmani, che massacrarono migliaia di cristiani in un 'edizione asiatica delle pulizie etniche serbe. Portogallo e Australia chiesero alle Nazioni Unite d 'intervenire e , dopo alcune esitazioni, nella prima quindicina di settembre venne fatto partire un contingente di caschi blu. Il 15 il Senato italiano approvò la partecipazione delle Forze Annate nazionali alla missione INTERFET - INTERnational Force East Timor, Forza Internazionale a Timor Est- per l'operazione "Stabilise" - Stabilizza - , decidendo l'invio a Timor di 500 tra paracadutisti 47 e marinai del San Marco. Preceduti da un'avanguardia di una cinquantina di uomini giunti in aereo dopo un breve periodo d'ambientazione in Australia, i paracadutisti furono seguiti il 23 ottobre dal grosso e dai mezzi, trasportati dal

vegesi, altrettanti danesi. tre contingenti di 800 canadesi, finlandesi e polacchi, 350 ungheresi, 290 portoghesi, 250 austriaci, altrettanti romeni, 150 cechi e ancora piccoli contingenti (da 30 a 100 uomini l'uno) bulgari, lettoni, lituani, macedoni. slovacchi, sloveni, svedesi, ucraini. turcl:u, islandesi. lussemburghesi. e degli Emirati Arabi. 4 6 L' Italia foml 30 Carabinieri, I ufficiale delle Trasmissioni ed un 'Tnfermiera Volontaria della Croce Rossa. 47 Gruppo Tattico della Brigata Folgore, composto da paracadutisti e Carabinieri del RgL Par. Tuscania, con 83 mezzi. 12 dei quali erano cìngolati da combattimento VCC 2, e 5 mezzi di supporto logistico (gru, ambulanza, frigorifero ecc.).


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San Giusto, inquadrandosi nel contingente delle Nazioni Unite, forte di 7.500 uomini fomiti da 18 nazioni sotto comando australiano e rientrando in Italia ai primi di marzo del 2000.

VI) L'Italia e la politica mondiale degli Stati Uniti La fine della Guerra Fredda aveva portato numerosi altri cambiamenti. A partire dal crollo dell'Unione Sovietica nel 1990, gli Stati Uniti avevano deciso di modificare la loro politica internazionale per vari motivi. Era necessario un drastico taglio delle spese militari, specie di fronte all'impressionante deficit del bilancio federale, ma proprio in quel momento le necessità d 'intervento stavano subendo un drastico aumento da fronteggiare in qualche modo. Il vuoto politico creatosi nel mondo dalla scomparsa dell'URSS doveva essere riempito in fretta, prima che i Russi avessero il tempo di riorgani21..arsi; ma i costi erano eccessivi per i soli Americani. La guerra del Golfo e la crisi somala evidenziarono loro due cose: che non potevano più agire in prima persona senza veder sfumare in armamenti e truppe somme altissime e che poteva essere politicamente più pagante, per questioni di prestigio, non assumersi la responsabilità della gestione diretta delle crisi, per evitare il fastidio di doversi riconoscere battuti da un qualunque capo guerrigliero somalo. Così gli Stati Uniti decisero d'agire sempre più per interposta persona, cioè tramite l'ONU. Questo rispondeva ad una teorizzazione pubblicamente esposta solo qualche tempo dopo quando, nella primavera 1995, le grandi linee della strategia americana furono illustrate dal Segretario di Stato Warren Christopber sulla rivista "Foreign Policy". Indicando la situazione successiva al crollo dell'URSS come un'eccezionale opportunità presentatasi agli Stati Uniti per modellare il mondo secondo i loro interessi, Christopher affermava che, a fronte di varie minacce contro la pace e la prosperità della comunità internazionale, e quindi in sostanza contro gli interessi americani, la strategia di Washington doveva basarsi su quattro grandi principi: la conservazione della supremazia mondiale; il mantenimento di produttive relazfoni politico-economiche cogli altri Stati più potenti della terra; la fo11dazione di nuove istituzioni per la cooperazione, o la riorga11izzazione ed il riadattamento di quelle già esistenti; il sostegno della democrazia e dei diritti umani secondo gli interessi e gli ideali americani. Christopher sosteneva che per riuscirvi occorresse consolidare un sistema commerciale globale e aperto; sviluppare un nuovo sistema di sicurezza in Europa; promuovere una pace generale, duratura e completa nel Medio Oriente; lottare contro la diffusione degli armamenti di distruzione di massa. cioè quelli nucleari, batteriologici e chimici e, infine, reprimere la criminalità internazionale dedita al commercio degli stupefacenti ed al terrorismo. La Guerra Fredda aveva evidenziato come la forza vincente ormai fosse non più militare ma economica e, poiché dopo l'America i due Stati economicamente più forti nel mondo erano la Germania ed il Giappone ad essi bisognava stringersi. Per il resto l'organizzazione principale per la promozione della cooperazione restava l'ONU, il cui centro decisionale, cioè il Consiglio di Sicurezza, evidentemente avrebbe continuato a mantenere il suo esclusivo rilievo. Immediatamente dopo le Nazioni Unite si potevano collocare la NATO e il G7. I fatti dell'ultimo decennio del secolo permettono di affermare che gli Stati Uniti avessero ipotizzato uno schema piramidale al cui vertice ponevano se stessi, unica superpotenza mondiale. Sotto di loro due "Proconsoli", Germania e Giappone, ognuno dei quali in posizione immediatamente subalterna agli Stati Uniti, ma notevolmente superiore rispetto alle nazioni presenti nell'ambito intercontinentale a lui affidato da Washington. Più in dettaglio: la prima sarebbe stata incaricata di tenere a bada colla sua influenza la zona composta da Europa e Africa bloccando la Russia. Il secondo avrebbe dovuto fare la medesima cosa in Asia e Oceania. L·investitura ufficiale del Giappone fu sancita nel 1996, col cosiddetto "Trattato di aUeanza per il


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XXI Secolo". concluso a Tokio il 17 aprile. In base ad esso gli Stati Uniti si associarono il Giappone nel controllo dell'Asia Sudorientale con un' implicita funzione anti-cinese. I vantaggi che da tutto questo avrebbero ricavato i due proconsoli consistevano in una crescita di potere nella zona intercontinentale assegnata e nell'ammissione al ristretto circolo del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, come membri permanenti dotati cli diritto di veto. L'Italia restava fuori da tutto questo perché le sue debolezze strutturali, politiche e finanziarie la rendevano poco affidabile. In più a partire dai primissimi anni '90 le inchieste giudiziarie sulla corruzione stavano facendo strage della vecchia classe politica di maggioranza, aprendo la strada a una preoccupante instabilità governativa. In un periodo in cui la fragilità degli esecutivi italiani era ancor più accentuata che in passato, quanto si poteva fare affidamento sull'Italia? I suoi governi, ammesso che ne arrivassero di stabili, sarebbero stati disposti ad assumersi incarichi di pacificazione e intervento militare all'estero secondo le direttive concordate, o stabilite, a Washington? E, se pure ciò fosse avvenuto, ribaltando l'atteggiamento di disimpegno assunto fin dal 1948 e sostanzialmente mantenuto in seguito, l'Italia sarebbe stata in grado d' affrontare gli alti costi finanziari insiti nel ruolo di potenza mandataria? Una risposta a questi interrogativi poteva essere data dal tiepido atteggiamento italiano nei confronti delle richieste di contingenti da mandare all' estero. Invocando motivi finanziari e, più raramente, politici, Roma continuava a mantenersi su un bassissimo profilo, limitando le proprie partecipazioni al minimo. Ora, specie in una situazione così fluida come quella del Dopoguerra Fredda, la cosa era anche più dannosa di prima. Si decise quindi di fare a meno dell'ftalia, non ammettendola nel Consiglio di Sicurezza e , appena possibile, restringendo il G 7 in modo da escluderla. o meglio in modo da ridurlo alle sole potenze scelte come Proconsoli. Quest'ultima ipotesi venne lanciata in modo strisciante in occasione del vertice di Denver del 1996, facendone suggerire da non meglio identificate fonti diplomatiche americane il restringimento ai soli tre paesi più economicamente rilevanti dei tre Continenti interessati, cioè, guarda caso, Stati Uniti, Giappone e Germania. Le vivaci proteste di Canada, Italia, Gran Bretagna e Francia - e le ultime due avevano seggi stabili e diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite - portarono all' immediato abbandono dell'idea e fecero concentrare gli sforzi americani sull'ammissione in tempi brevissimi di Germania e Giappone al Consiglio di Sicurezza. La cosa però non andava bene all'Italia. L'ultimo Governo Andreotti s'era allineato a favore della Germania, ad esempio sulla questione dello smembramento della Jugoslavia. Ciò aveva favorito i Tedeschi, indebolito i Russi, dei quali la Serbia era l'avamposto e, in definitiva, aveva portato le cose avanti come gli Americani volevano. Ma in Somalia le opinioni avevano cominciato ad essere differenti; ed era rimasto un primo solco fra Roma e Washington. Davanti all ' esclusione dal Consiglio di Sicurezza, Roma, inaspettatamente, aveva risposto. li colpo più pesante era arrivato poi agli Stati Uniti in sede ONU proprio al momento delle prime discussioni per l' ampliamento del Consiglio di Sicurezza mediante la presentazione di un piano italiano, giudicato molto interessante dai Paesi del Terzo Mondo. Poi ne giunsero altri: il primo fu il veto espresso dal Governo Berlusconi all' ammissione di Slovenia e Croazia nell'Unione Europea, che implicò un temporaneo mancato rafforzamento della Germania. Il secondo avvenne al Cairo alla Conferenza ONU sul controllo della popolazione. dove I' ltalia fu l'unico Paese industrializzato che non solo non si astenne o non si allineò cogli USA, ma addirittura si mise contro di loro apertamente e riuscì a bloccarne il piano mobilitandogli contro tutto il Terzo Mondo, nazioni islamiche in particolare. Infine il rappresentante italiano all'ONU fu capace d'ottenere un'altra serie di successi, prima facendo entrare l'Italia nel Consiglio di Sicurezza come membro non permanente con ben 167 voti favorevoli su 170 votanti, poi accordandosi coi Paesi del Terzo Mondo per rallentare e infine affossare i tempi brevissimi voluti dagli Stati Uniti per la riforma del Consiglio di Sicurezza, che nel giugno 1998 fu rallentata dalle dichiarazioni della maggior parte dei Paesi di volerla affrontare con notevole ponderazione.


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Fu un gran successo deUa diplomazia italiana, ma ottenuto anche grazie alla promessa di mettere a disposizione delle forze di pronto impiego delle Nazioni Unite uno o due reggimenti di fanteria col relativo supporto di trasmissioni, genio e Aviazione dell' Esercito, un battaglione logistico, una o due unità anfibie, due fregate, da 6 a 8 aerei da trasporto e da 8 a 10 elicotteri Ricerca e Salvataggio. Ancora una volta sarebbe toccato alle Forze Armate sostenere la Nazione; ma per farlo avrebbero dovuto avere una consistenza numerica e qualitativa sufficiente e il Governo avrebbe dovuto mettere a loro disposizione i fondi necessari, passando dal teorico I ,59% del Prodotto Interno Lordo del 1998 - che in termini reali era un magro 1,07% - al 2%, pari a 40.000 miliardi di lire 1998, in modo da reggere il paragone con Francia, Germania e Gran Bretagna. Non solo non avvenne, ma nel 1999 per la funzione strettamente di difesa vennero stanziati fondi pari ad appena l' l % del Prodotto Interno Lordo- di per sé pure in diminuzione - che sommati a quelli del resto del bilancio, raggiungevano I' 1,45%, con un calo dello 0,14% rispetto all'anno precedente. In termini monetari quindi si aveva una flessione notevole, passando dai 31.060 miliardi di 1ire48 del 1997, attraverso i 30.987 del 1998 ai 30.834 del 1999, perdendone cioè 126 in meno di tre anni. Per di più ciò avveniva a fronte di crescenti spese di personale e con un'inflazione media almeno del 2% annuo, solo per compensare la quale sarebbe stato invece necessario stanziare nel 1999 circa 31.500 miliardi di lire.

Vll) Il Nuovo Modello di Difesa, la riforma del 1997, la riduzione del 1999 e la pianificazione integrata alle soglie del XXI secolo A tutto questo, come abbiamo già detto, si doveva provvedere col Nuovo Modello di Difesa. Nel 1992 l'Esercito aveva subito un'altra modifica organica ricostituendo i reggimenti, facendoli consistere però in entità monobattaglione o monogruppo. Vennero fatti pure altri piccoli cambiamenti, come per esempio dal ministro Andò nel dicembre 1992 relativamente alle funzioni del Capo di Stato Maggiore della Difesa, ampliate ma non ancora abbastanza da dargli il comando effettivo delle Forze Armate. Ma fino alla legge 549 del 1995 in pratica non si poté parlare nemmeno d'un inizio di riforma. Mentre il Ministero e il Governo restavano inerti, lo Stato Maggiore della Difesa avviò degli studi su quanto stavano facendo gli altri Paesi europei, specie sotto il profilo dei quadri ed allargò le ferme prolungate49 delineando meglio il cosiddetto Nuovo Modello di Difesa, per il quale si prevedeva di scendere dai 320.354 militari del 1995 ai non più di 250 - 225.000 uomini delle tre Forze Armate del 2000. Le mutate esigenze militari seguite alla scomparsa del Patto di Varsavia ed alle crescenti tensioni nelle aree balcaniche, mediorientali e africane rendevano utile un rischieramento del grosso del dispositivo dal Nord Est, dove era stato a sbarrare la soglia di Gorizia per oltre qua-

4 8 Si ricorda che un Euro equivaleva a 1936,27 lire italiane. 4 9 La prima ferma prolungata per la truppa - i Volontari a Ferma Prolungata - era stata istituita nel 1987, durava due anni ed al termine si poteva passare in Servizio Permanente Effettivo come sottufficiali. [n sostanza aveva sostitu.ito la vecchia ferma dei sottufficiali dj complemento, che diventavano sergenti al decimo mese del servizio di leva e restavano come tali in servizio per due anni, colla necessità di superare un concorso per la promozione a sergente maggiore e il passaggio in SPE. 1 VFP furono sostituiti da due djverse figure: i VFB e i VSP. I primi - Volontari a Ferma Breve - prestavano servizio per due anni. al termine dei quali potevano accedere per concorso ai ranghi dei VSP o congedarsi. I secondi - Volontari in Servizio Permanente - provenivano dai primi, potevano rimanere in servizio fino al compimento del 56° anno d'età ed avevano uno sviluppo di carriera in tutto pari, salvo che nelle denominazioni dei gradi, a quello dei Carabinieri semplici e delle Guardie di Finanza, potendo coprire i gradi di I° Caporal Maggiore, Caporal Maggiore Scelto. Caporal Maggiore Capo e Caporal Maggiore Capo Scelto.


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Teatri in cui gli Italiani hanno combattuto fra il 1494 e il 1999. Le navi italiane hanno combattuto negli oceani Atlantico e Indiano e nei mari Mediterraneo, Nero, Giallo, Rosso e dei Caraibi e nel Golfo Persico.

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rant'anni, al Sud. In più le forti pressioni della sinistra e di ampi settori cattolici a favore dell'obiezione di coscienza e dell'equiparazione del servizio civile a quello militare, la riduzione - fatta per raccattare voti - della durata del servizio di leva a soli LO mesi colla necessità d'ampliare la componente professionale, l'asserita -da parte dei politici - inutilità di mantenere una struttura militare ampia - le guerre erano finite, no? - e la necessità di lunghi addestramenti per poter utilizzare bene alcuni sistemi d' arma50 rendevano sempre più necessario riorganizzare le Forze Armate. Ad ogrù modo, preceduta dalla legge 549/95 che consenti al Governo la più ampia libertà d'iniziativa per la ristrutturazione delle Forze Armate, l' 11 febbraio 1997 venne approvata la legge numero 25 51 - o Legge Spini - con cui si riusciva, finalmente, a raggiungere l' unificazione del Comando delle Forze Armate attribuendolo al Capo di Stato Maggiore della Difesa. Da essa scaturi in giugno un programma di riorganizzazione fortemente sostenuto e voluto dal Capo di Stato Maggiore dell'Esercito generale Francesco Cervoni, che lo attuò nel dicembre dello stesso anno. Le componenti operative. formative e tecnico-logistiche vennero riunite e diedero vita al Comando delle Forze Terrestri - ComFoTer - e ai tre Ispettorati: delle Scuole, Logistico e delle Armi. Il primo continuò ad occuparsi delle scuole e dei reparti di formazione di ogni tipo, compresi i Reggimenti Addestramento Volontari; 52 il secondo si strutturò su due Comandi Territoriali - Nord e Sud - e 4 dipartimenti con competenza per materia; nell 'uJtimo confluirono tutti i precedenti ispettorati d'Arma riducendo il loro personale del 30% e portando nel 1998 le Forze Armate a 289.537 rnilitari.53 Il Comando delle Forze Terrestri fu posto a Verona e coincise con quello NATO delle Forze Terrestri Alleate del Sud Europa, affidandolo a un Generale d'Armata. Fu strutturato su un Comando di Supporto54 - pure a Verona -e quattro diverse entità operative, a livello di Corpo d'Armata, ottenute scioglìendo e riorganizzando la struttura preesistente e complessivamente forti di 13 Brigate. La prima fu il Comando delle Forze di Proiezione, fissato a Milano e comprendente le Brigate: meccanizzata Garibaldi, paracadutisti Folgore e meccanizzata, ma in corso di trasformazione in aeromobile, Friuli. Ad esse si affiancavano altre unità a livello reggimentale: il Reggimento Lagunari Serenissima, il I 00 Genio, il 1° Trasmissioni e il 3° AVES: gli ultimi tre, insieme al Reparto Comando, dipendenti dal Vice Comandante, a differenza delle altre unità, poste agli ordini diretti del Comandante delle Forze di Proiezione. Struttura analoga per le altre componenti: Comando delle Truppa Alpine55, a Bolzano, e I O e 2° Comando delle Forze di Difesa. rispettivamente forti di 3 e 4 Brigate e situatj a Vittorio Veneto e a Napoli.

50 Basti come esempio la necessità di IO mesi d'addestramento per rendere pienamente efficiente l'equipaggio di un blindato Centauro: e questo in un periodo in cui la durata del servizio di leva calò da 12 a IO mesi. 0 51 Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 24 febbraio 1997 come Legge 18 febbraio n. 25 "Attribuzioni del Ministro della difesa, ristrutturazione dei vertici delle Forze armate e dell'Amministrazione della difesa". 52 l Reggimenti Fanteria 17° Acqui a Sora. 235° Piceno ad Ascoli, 80° Roma a Cassino, 85° Verona a Montorio Veronese. 53 Esclusi però i Carabinieri, per cui l'Esercito ne aJJineava 185.750, la Marina 40.040, l' Aeronautica 63.747. Gli ufficiali erano 30.715 - 24.068 effettivi e 6.647 di complemento - i sottufficiali 75.998. di cui 7.340 sergenti. e su 179.814 militari di truppa delle tre Forze Annate, esclusi i 3.370 allievi. eranol44.7l2 i soldati di leva, 8.598 i VSP e 26.504 i VFB. I dipendenti civili della difesa ammontavano a 45.155. 54 Comprendente i Comandi Artiglieria Contraerei, Artiglieria, Genio, Supporto Logistico e I' 11 • Reggimento Trasmissioni. 55 Brigate Taurinense, Julia e Tridentina e Centro d'addestramento: agli ordini del Vice Comandante ùwece il Reparto Comando. il 2° Genio, il 2° Tra.~missioni, il 4° AVES Altair e il Battaglione Alpini Paracadutisti Monte Cervino.


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La citata struttura verticale si accompagnava parzialmente ad un 'organizzazione orizzontale che suddivideva le Brigate nei cosiddetti "Pacchetti di Capacità". a seconda dei fini bellici loro attribuiti. Così, mentre la Forza di Proiezione era destinata in blocco alle operazioni all'estero e quindi a ricevere il miglior equipaggiamento e a comporsi esclusivamente di militari professionisti, le brigate alpina Taurinense, meccanizzata Centauro, corazzata Ariete e di Cavalleria Pozzuolo del Friuli, appartenenti quindi tanto alle Forze di Difesa che al Comando delle Truppe Alpine, costituirono il Pacchetto di Reazione. Si trattava di reparti, formati da personale di leva destinato a essere progressivamente sostituito con quello professionista o a ferma breve, messi a disposizione del Corpo di Reazione Rapida della NATO e utilizzabili, dopo le tre Brigate del primo Pacchetto, in missioni all'estero. Infine il terzo Pacchetto - Brigate alpine Julia e Tridentina, blindate Granatieri di Sardegna, Aosta e Sassari, meccanizzata Pinerolo - era composto da personale di leva. da impiegare prevalentemente nella difesa del territorio. Questo non impediva una sua proiettabilità ali 'esterno del territorio nazionale, ma era dotato di armamento relativamente leggero, con una forte componente controcarri ed un'elevata mobilità stradale. Infine venne preannunciata una ristrutturazione dell'apparato territoriale. Le 7 Regioni Militarj56 originarie scesero ufficialmente a tre - Nord, Centro e Sud - ma in pratica a 6, perché furono costituiti 2 Comandi Autonomi a livello divisionale per la Sicilia e la Sardegna e un Comando per Roma. Contemporaneamente fu annunciata la soppressione di due Sezioni di Distretto Militare, 18 di Magazzino, una di Rifornimento. due Depositi di Munizioni, nove delle 19 Direzioni Generali e tre dei 5 Uffici Centrali del Ministero della Difesa, chiarendo la necessità di ridurre d'un terzo i 36 enti dell'area tecnico-industriale. Benché ancora incerto, quello del 1997 si rivelava come il primo serio tentativo di riassetto compiuto dopo la riforma Ricotti Magnani. Si trattò comunque di un primo passo al quale fecero seguito altri provvedimenti. n "Documento di riferimento per la pianificazione" emanato nel 1998 e la successiva "Direttiva di Forza Armata sugli obbiettivi di pianificazione fino al 2005 e gli obiettivi di programmazione per gli anni 1999-2012" chiarirono definitivamente la strada su cui era stato avviato l'Esercito Italiano, conforme alla direttiva ministeriale emanata nel 1999 che prevedeva Forze Armate esclusivamente professionali e ipotizzava l'autonomia dcli' Arma dei Carabinieri, tramutandola nella quarta Forza Armata e ponendola alle dirette dipendenze del Capo di Stato Maggiore della Difesa. Nella sostanza si tratlava di passare da un modello misto, cioè da un Esercito del 1998 di 185.750 uomini, su 289.530 di tutte le Forze Armate, Carabinieri esclusi, attraverso uno di 177.267, su 279.620 complessivi delle tre branche, composto da militari professionisti e di leva a uno di 137.000 per finire nel 2005 con uno di 128.000 professionisti57 in servizio permanente e il resto in ferma breve, triennale o annuale, comprendendovi a partire dàl 2000 ed entro il 2002 una componente femminile58 pari al 15% della forza ed esclusa dall'impiego in prima linea, come del resto accadeva sia in Gran Bretagna e in Francia. 56 La preesistente struttura era imperniata sui Corpi d'Armata ill, IV e V, al nord per sbarrare la frontiera nord-orientale, e su 7 Regioni Militari - i vecchi CoMiLiTer, i Comandi Militari Territoriali degli Anni '60 - cioè la Nord-Ovest col comando a Torino. la Nord-Est a Verona, la Tosco-Emiliana a Firenze. la Centrale a Roma, da cui poi dal 1986 si sarebbe lentamente staccata la Sardegna facendo Regione Militare a sé, la Meridionale a Napoli e la Sicilia. 57 La flessione finale da 137.000 a 128.000 doveva ottenersi eliminando 50 ufficiali - da 12.050 a 12.000 - 1.500 sottufficiali - da 27.500 a 26.000- e 7 .450 militari di truppa. da 97.450, 47.470 dei quali volontari e il resto di leva, a 90.000 professionisti, 45.000 dei quali in Servizio Permanente Effettivo e il resto in ferma breve annuale o lriennale. 58 Le prime donne italiane a indossare un'uniforme militare erano state le ausiliarie della Repubblica Sociale Italiana. fl Regio Esercito aveva fatto un tentativo organizzando un reparto femminile al Sud, ma


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La flessione doveva essere raggiunta mediante un'ampia riorganizzazione del settore logistico-amministrativo, accorpando il maggior numero di enti di tutti i livelli le cui funzioni fossero uguali, simili o complementari e riducendo al minimo le strutture di reclutamento e addestramento del personale. Restava prioritaria la finalità operativa delle Forze Armate, alle quali venivano affidate cinque "missioni interfon:e", che in ordine d'importanza venivano identificate: nella difesa degli spazi nazionali (concetto molto più ampio di quello di "territorio nazionale") e delle vie di comunicazione aerea e marittima; nella difesa collettiva dell'Alleanza Atlantica; nella partecipazione ad operazioni multinazionali a supporto della pace; nell'intervento per salvaguardare le libere istituzioni e il bene della collettività nazionale in caso di pubblica calamità. La struttura organica basata su forze di proiezione, reazione e presenza e sorveglianza rimaneva immutata su tre comandi divisionali - due alle prima e uno alle seconde - due Comandi Operativi Intermedi. sostanzialmente equivalenti a quelli di divisione, per le ultime e mantenendo il complesso di 13 brigate, secondo lo schema di quattro alle prime, cinque alle seconde e quattro alle ultime forze. L'intera struttura delle Forze Armate veniva comunque finalizzata agli obbiettivi da raggiungere. Per questo furono introdotti i concetti di modulo d'impiego e di serbatoio di capacità. I secondi dovevano essere gli insiemi di base di risorse materiali e umane da adoperare per la costituzione dei primi, i quali erano dei raggruppamenti di forza ed entità variabile e non predefinita, organizzati di volta in volta in funzione dell'obbiettivo da perseguire e dei tempi e modi di perseguimento ipotizzati. Questo sistema avrebbe permesso di impiegare solo le unità e i mezzi necessari allo svolgimento di una missione, con un considerevole risparmio in termini di uomini e denaro. Un esempio era quello della cosiddetta Divisione per l'Europa, cioè della Grande Unità Elementare che l'Italia si era impegnata a fornire per la comune difesa europea. Non era «l'indicazione d'un'unirà organica, ma l'espressione d'un "concetro" che si concretizza nella disponibilità complessiva di un insieme di/orze in grado di esprimere un contingente a livello divisionale (con 2 Brigate e unità di supporto) sufficientemente flessibile i11fu11zione dello scenario (1 o 2 teatri con caratteristiche ambientali ed operative differen-;;.iate) e sostenibile per periodi prolungati (capacità di rotazione delle forze) cioè in grado di soddisfare qualsiasi esigenza di sicurezza fuori dai confini nazionali...che potrà nel complesso attingere ad un serbatoio di forze costituire nella situazione a regime , da 2 Comandi Operativi Intermedi, 8 Brigate e relative unità di supporto»S9_ Nel 1999 era ancora presto per definire nei particolari come sarebbe stata tale struttura modulare, ma veniva comunque ipotizzato di lasciare le 13 brigate agli ordini dei due Comandi di Difesa per l'impiego sul territorio nazionale (accezione a sua volta più ampia di quella di territorio metropolitano) passandole a quelli dei due Comandi delle Forze di Proiezione nel caso di missioni fuori del territorio nazionale, per cui i predetti Comandi delle Forze di Proiezione in linea di principio si sarebbero dedicati solo alla pianificazione e alla condotta delle operazioni, ma non avrebbero avuto truppe alle loro dipendenze altro che in caso di attivazione, per trasferimento e solo per la durata dell'operazione. Le componenti d'artiglieria, genio e logistica sarebbero state accentrate il più possibile nella parte di supporto generale e strategico, mantenendo però i reparti di supporto tattico di-

la riorganizzazione del 1946 l'aveva fatto sparire. In seguito, prescindendo da quelle arruolate nella smilitarizzata Polizia di Stato e dalle infermiere Volontarie della Croce Rossa, sempre presenti in tutti i teatri d'impiego delle Forze Armate Italiane. le prime donne a ricevere le stellette sarebbero state quelle del Corpo Agenti di Custodia e, dagli anni '80. del Corpo Forestale dello Stato. 59 FRANCESCO CERVONI, "L'Esercito Italiano alle soglie del XXI secolo", su "Rivista Militare" . n• 5, sett/ott. 1999.


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staccati presso le varie brigate, mentre l'Aviazione dell'Esercito, potenziata e ridenominata Cavalleria dell'Aria, dal I O giugno 1999 veniva fatta confluire nell'Arma di Cavalleria, insieme ai reparti carristi sottratti alla Fanteria. Del resto per la componente corazzata, ridotta allo stretto necessario, veniva ipotizzata una crescita, che invece per la Cavalleria dell'Aria era esattamente pianificata in modo da farle allineare entro il 2015 circa 260 tra elicotteri e aerei. In sostanza questo schema ebbe il proprio collaudo nella primavera 1999, colla simultanea dislocazione nei Balcani di tre brigate - una in Albania, una in Bosnia e una in Macedonia nel corso della guerra del 1999 fra la NATO e la Repubblica serba di Jugoslavia. Per quanto riguardò l'Italia, a parte difficoltà di ordine finanziario dovute a carenze di programmazione da parte del Governo, sotto il profilo militare sembrò andare tutto bene. Si trattò però d'un conflitto piuttosto anomalo, perché fu limitato all'intervento aereo. La mancanza dei combattimenti terrestri e la limitazione dell'uso della componente terrestre al solo controllo del territorio dopo la pace lasciò parecchie incognite. In particolare ci si domandò cosa sarebbe successo se si fosse verificata una ripetizione della guerriglia jugoslava che il Regio Esercito e la Wehrmacht avevano dovuto combattere dal 1941 in poi: anche coll'appoggio di armi avanzatissime, sarebbe stato sufficiente non il ridotto dispositivo presente, ma quello di oltre 60.000 uomini ipotizzato dalla Nato, a fronteggiare un'emergenza analoga se si fosse presentata? Molti non poterono fare a meno di pensare che, al di là della validità delle armi tecnologicamente superiori, sia gli Americani in Vietnam negli anni '60 che i Sovietici in Afghanistan a partire dal 1979 non erano stati in grado di reggere e che quindi potesse essere ancora valido l' ammonimento che nel Secolo diciottesimo aveva lanciato il Principe Eugenio di Savoia: «un grosso capitale e 200.000 soldati ben addestrati sarebbero la miglior garanz.ia»OO. Lo stesso discorso valse per la Marina e l'Aeronautica. Entrambe dovevano prepararsi alla scomparsa del personale di leva stabilizzando le loro forze sui 40.000 uomini - da 40.040 del 1998 a 40.000 del 1999 - la prima; la seconda riducendole dai 63.747 del 1998 ai 62.353 dell'anno seguente, passando ai 60.000 del 2001 per terminare ai 55.000 del 2005. L'Aeronautica si riorganizzò nel 1999 riducendo la struttura centrale a un ufficio del Capo di Stato Maggiore, cinque reparti - Pianificazione generale, Affari generali, Ordinamento e Personale, Operazioni e Addestramento, Logistica - una Direzione Generale del Personale Militare, un Reparto Generale Sicurezza e tre ispettorati: Forze aeree, Sicurezza del voi~ Aviazione per la Marina. Le tre preesistenti Regioni Aeree vennero progressivamente atrofizzate, passandone le competenze al neocostituito Comando di Squadra, responsabile della preparazione della forza aerea, e al Comando Operativo Forza Aerea, che ne avrebbe dovuto dirigere l'impiego. Addestramento e logistica ebbero le loro funzioni accentrate nei comandi Generale delle Scuole e Logistico. La componente di volo venne ridotta da 20 a 10 basi e da 38 a 32 Gruppi di Volo.61 La Marina ebbe una lieve flessione del naviglio d'altura - da 18 a 16 unità -entro il 2005, basandosi sul quadro minimo previsto dal Nuovo Modello di Difesa di 71 unità62, oltre a quelle minori, 106 velivoli63 un reggimento da sbarco e un reparto incursori, adoperando come ba-

00 Eugenio di Savoia all' imperatore Carlo VI, rip. in W. OPPENHEIMER. op. cit., pag. 174.

61 A Ghedi due Gruppi di Tornado IDS, a Piacenza uno di Tornado ECR, a Istrana due su AMX, a Amendola idem, a Rivolto uno su MB 339 (Pattuglia Acroba1ica Nazionale /CAS), a Grosseto due su Eurofigbter (uno caccia e uno OCU), a Gioia del Colle due su Eurofigbter, a Trapani lo stesso, a Pisa tre da trasporto: due su Hercules C 130 e uno su G. 222, a Sigonella uno antisommergibile su 18 Bréguet Atlantic; uo altro da caccia su AMX e 3 su Tornado: Gruppo per il rifornimento in volo. uno per i trasporti di Stato di 23 apparecchi. 4 Gruppi e 3 Centri Ricerca e Salvataggio (SAR). 62 Erano previste entro il 2005 2 unità portaeromobili/comando. 14 ira cacciatorpediniere e fregate, 16 unità combattenti di seconda linea. 6 sommergibili, 15 cacciamine, 4 navi anfibie, 8 pattugliatori non combattenti, 2 unità di supporto cacciamine, 1 unità SIGINT, 3 rifornitori di squadra e il naviglio minore.


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si principali quelle di La Spezia e Taranto, (quest'ultima in simbiosi con Brindisi), come secondaria quella di Augusta e come ridotte Cagliari e Ancona, mantenendo gli arsenali di Taranto, con sezione staccata a Brindisi, La Spezia e Augusta. Infine venne potenziato il Corpo delle Capitanerie di Porto, riorganizzato l'assetto territoriale e incrementata la componente navale della Guardia di Finanza e previsto un sistema satellitare di controUo detto SAR 2000, articolato su quattro piattaforme satellitari orbitali a sensori radar e tre a sensori ottici, da inquadrare nel più ampio progetto SkyMed Cosmo per il controllo satellitare dell'intero bacino mediterraneo.

VIII) I cambiamenti del 2000 Il 2000 vide l' invio di un contingente italiano nella forza ONU d 'interposizione fra Etiopia ed Eritrea e quattro cambiamenti notevoli, uno fu l' inizio dell'abbandono della leva, approvato dalla Carnera in giugno, dal Senato il 24 ottobre e destinato a rendere del tutto operante la professionalizzazione entro il 2007. Il secondo fu l'ingresso delle donne nelle Forze Armate, aprendo loro innanzitutto le porte delle Accademie militari e la carriera da ufficiale. n terzo fu l'elevazione dei Carabinieri al rango di quarta Forza Annata della Repubblica. Era cominciato con un tentativo di riordinare le forze di Polizia, fatto dal ministro Napolitano applicando il vecchio programma comunista che prevedeva il confinamento dei Carabinieri nelle campagne. Ne nacque una ferocissima discussione e il ritiro del piano e di rifonna che, scomparso come legge, sarebbe riapparso sotto fonna di circolare. Le polemiche ricominciarono e misero il Governo in una situazione imprevista: la maggioranza di sinistra avrebbe voluto ridimensionare i Carabinieri, ma si trovò di fronte a un progressivo indebolimento politico, dovuto alle continue sconfitte elettorali, ad una crescita dell 'opposizione schierata a favore della Benemerita e ad una netta presa di posizione da parte del Comando Generale. Così, dopo molte incertezze e violente discussioni nell'inverno 1999-2000, con la legge delega del 30 marzo 2000, si arrivò a elevare l'Arma dei Carabinieri a1 rango di Quarta Forza Annata. con 116.000 uomini articolati, quanto alla branca territoriale, in 102 comandi provinciali e 4.660 stazioni e con 13 battaglioni mobili blindati, uno di paracadutisti e reparti aerei, navali e speciali di vario genere. Questo fu il maggior cambiamento avutosi nell'ambito militare italiano da molto tempo e, insieme agli altri due - professionalizzazione e componente femminile mutò profondamente l' aspetto delle Forze Armate Italiane, proprio allo scadere del secondo millennio. L' ultimo fu, il 20 novembre 2000, la nascita delle Forze Annate dell 'Uniooe Europea. Subentrò all'UEO una nuova struttura, con uno Stato Maggiore di 120 ufficiali e una forza stabile di 60.000 uomini chiamati a rotazione da un complesso di 180.000, tra cui 30.000 inglesi, 20.000 tedeschi, 20.000 francesi, 20.000 italiani, 10.000 spagnoli, 5.000 portoghesi, 400 aerei. 7 portaerei. e fino a 720 altre navi. E con questo cambiamento si chiude questa sintesi, perché tale è: una sintesi. Infatti molte altre cose fecero gli Italiani. in pace e in guerr~ in cielo, in mare, in terra, che se si scrivessero una ad una il mondo intero credo non potrebbe contenere i libri che si richiederebbero per tramandarle e molte altre ne faranno nei tempi a venire, e quelle certo non possiamo immaginarle, ma di essi sappiamo che dovunque saranno - ne siamo certi - si comporteranno con quella disciplina dedizione e sacrificio che da secoli e secoli distingue gli Italiani in armi.

63 22 Harrier a decollo venicale, 70 elicotteri di vario tipo e 14 velivol i da pattugliamento marittimo. basati sulle unità maggiori e a terra nelle basi di Grottaglie. Catania e Luni.


BIBLIOGRAAA

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BIBLIOGRAFIA RAGIONATA

Sotto la voce "Trattazioni generali" sono poste le opere non strettamente militari che coprono periodi giacenti in almeno due secoli differenti. Sotto la voce "Storie di Armi Corpi e Reggimenti sono collocati i testi relativi alla storia di unità o eserciti che ricadano in più di un secolo. Le storie relative a unità o corpi nati e sciolti nel con;o dello stesso secolo vanno cercati sotto la parte cronologicamente corrispondente; per esempio le unità della RSI si trovano tutte nella parte del '900.

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M. commanda debba d'or in avanti osservarsi da tutti li reggimenti di fanteria (compreso quello di Guardia) che in quelli di cavalleria e Dragoni circa le somme da pagar,;i tanto per gli uomini volon1arii di ricluta che per quelli avessero alLre volte servito nelle truppe della M. S . come pure li Soldati che a cagione de loro congedi limiwti. . . dovessero essere ringaggiati... dell' 11 gennaio 1738. ms in AUSSME, L3-9. Piemonte. ..Regolamento da osservarsi ..... ove verra,1110 alloggiati truppe di S. M. nell'entrante quanieri d'inverno 1745 in 1746" del 16 dicembre 1745. in Duhoin. '·Raccolta. voi XXIX. pag. 963.


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GLI ITALIANI IN ARMI

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INDICI

INDICE DEI NOMI, DEI REPARTI E DELLE NAVI I corpi militari sono sparsi neu · indice secondo l'ordine alfabetico; i reparti sono raggruppati' per nazione e preceduti dalle denominazioni di reparto: Armata, Battaglione (se autonomo). Brigata. Compagnia (se autonoma) Corpo d'Armata Divisione, Gruppo. Reggimento, Squadrone ecc. seguita quaJldO occo.r re d~ specifica di nazionalità tra parentesi e poi dal numero e nome). Le unità Qav.ili e4 aelee sono pi:eçedute dalla serie di parole chiave Marina o Aviazione e dalla specifica di nazionalità e di marina d'appru;teneo.za (es.: Marina (italiana) Regia Marina, t • Divisione Navale). Le o~vi son_o precedute <)alla. parola. Nave se sono navi militari italiane dal 1946 in poi.

Abba Giobir, capobanda etiopico, 538 Abebè Aregai, capobanda etiopico, 540, 541 nota IO Accademia Militare Ducale (estense), vedi Accadenùa di Modena Accadenùa Navale, 462 Accadenùa di Modena, 320, 385 Accademia di Torino, 378 Accademia Nobile Militare Estense. vedi Accademia di Modena Achmet, pascià, 168 Acquarone, duca Pietro, ministro italiano, 593 Acton, John, Edward, ammiraglio e nùnistro napoletano, 296, 328 Adorno Agostino, comandante genovese di Savona, 279 ADRA, Reparti, vedi Aviazione (italiana) Regia Aeronautica, Arditi Distruttori Aeronautica, vedi Aviazione Regia Aeronautica, vedi Aviazione Adriano Vl, papa. 36 A fan de Rivera, Pedro, duca d' Alcalà, vicerè, spagnolo di Napoli, 20 Afrika Korps, 583-589 Agip, 583 nota 30 Agostini, generale italiano, 583 nota 30 Agostinucci, Crispino, generale italiano. 533 Agrupaciòn Legionaria (italiana), 547. 548 Aguares. Cavaliere di Malta spagnolo, 81 Ahrued Alì, emiro sudanese, 454 Ahmed esc Scerif, gran Senusso, 518 Ajello, Aldo, generale italiano, 634 Ajmone Cat. Mario generale italiano, 530. 621 Alba, Ferdinando Alvarez de Toledo, duca d', vicerè spagnolo di Napoli, 66, 67, 68 Albani, Clemente XI papa, 229,230 Alberoni, Giulio, cardinale italiano e ministro spagnolo, 218, 239, 241-243, 254, 262. 263 Albertazzo, generale italiano al servizio spagnolo, 116 Alberti, Pietro Paolo, ufficiale corso, 294 Albertone. Matteo, generale italiano, 458 Alboino d'Ivrea, re d'Italia, 390

Albomoz, cardinale spagnolo. l 29, 130 Albre;, Carlotta d', moglieQ.i. Cesa;e Borgia. 25 Alciati, generale sardo, 321, 322 Aldobrandini, Clemente VW, pafa, 69, 93, 95,

99 Aldobn1.m;lini, G,.ia11fra11cesco, o Giovan l'[\IJ.1cesco, gener.ù,; pontificio, 69., 95, 96, 99 Aldringer, Giov~nni, generale irnperic\le, 122 ALE, vedi Av.i azione Leggera Ales, Stefano, sto.r(co militare italiano, 299 nota 4 Alessandri, Ma.~tro di Campo sabaudo. 94 Alessandro t, zat di Russ.i.a, 11<:di ~om;\l\(,)v, Al~S1\Ildr0 Vl papa, vedi BQl"gia, Alessandro Vl Alexander, sir Harold, maresciallo il\gles.ç, 608, 609,610 Alfa Romeo, società industriale, 55:Z Alfieri, Catalano, gen,;r,ile sabaudo, I56, I 77. 178 Alfieri, Vittorio, scrittore sardo, 378 Alfisi, sottotenente italiano. 520 Ali Muezzin Said, capitan pasçià, 87, t½S Alleanza Atlantica, vedi Organizzazione del l'r~ttato del!' Atlantico del Nord Allenby, sir Edmond. He11ry Hynman, generale inglese, 497,515 Aloisi, PoQipeo, ambasciatore italiano, 525 Alula, ras etiopico, 452 Alviano, Bartolomeo d', condottiero umbro, 24, 28, 31, 34, 35. 72 Amboise, Giorgio. cardinal d'. 28 Ambrosio, Vittorio, generalo italiano, 571 , 592, 593 Ameglio, Giovanni, generale italiano, 471 Amelot, Jean Jacques conte de Chaillou, Ministro francese, 250 Amendola, Giovanni, politico italiano, 604 nota 24 Americhi. Amerigo, capitano al servizio francese, 59 nota 15 AMF vedi NATO AMF Amundsen, Roald, esploratore norvegese, 524 nota 29


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GLI ITALIANJ IN ARMI

Amurad. capitan pascià. 169 Ancajani, Carlo colonnello pontificio. 325 Ancre, Concino Concini d ' . maresciallo di Francia, 108 Andorno. Ghirone Silla San Manino marchese d ·, genernle sabaudo, 243 Andreotti, Giulio, ministro italiano, 644 Anferville, marchese d', 184 Anfuso, Filippo. ambasciatore italiano. 546 Angioletti, Diego, generale e ministro deUa Marina italiano, 435 Angrogna. marchese d', generale sabaudo. 161 Anguissola. conte, G iovanni, generale parmense, 233 Aniello, Tommaso. detto "Masaniello'' , capopopolo napoletano, 142, 143 Anna d'Austria, regina e reggente di Francia. vedi Asburgo, Anna d', Annese. Gennaro. armaiolo napoletano. 147 Ansaldo, società industriale, 557 Anthelme, Giacomo d'. generale francese, 304 Antici, Carlo, ufficiale della milizia pontificia, 326 Antikomintern. pano, 551 Antonelli. Giacomo, cardinale e ministro pontificio, 429 Antonetti. Giulio. maggiore napoletano, 313 Antonio I, duca di Parma. vedi Famese. Anzani, Francesco, patriota italiano. 393 nota 18 Appiani famiglia, 50, SI, 56 Appiani. Alfonso, generale toscano, 83 Appiani, Jacopo V, principe di Piombino. 51 nota 10, 54 Appiani. Jacopo VI , principe di Piombino, 54, 57 Apremont. conte d ', generale sardo. 270 Aragona Casa d'. 13. 25 Aragona, Alfonso J, re di Napoli, 21, 24 Aragona. Federico I, re di Napoli. 25. 28 Aragona, Ferdinando di. re di Spagna. detto " il Cattolico·•, 13. 21, 23, 26, 30, 31, 33. Aragona, don Martino d'. 131 Arbib Pascucci, Luigi. tenente italiano. 586 Arcos. Rodrigo Ponce de Leon, duca d', vicerè Spagnolo di Napoli. 142, 143 Arditi. vedi Reparti d'Assalto Argenteau, Eugenio conte d", generale austriaco. 310 Arimondi, Giuseppe. generale italiano, 454, 456, 457 Armandi, Pietro Damiano, colonnello napoleonico e generale dell 'escrcit0 delle province unite italiane, 391 Austria 3• Armata. 484

4' Armata, 486 7' Armata, 486 11' Annata, 484 14' Armata (ausu·o-tedesca), 492 B ulgaria 3' Armata, 499 Etiopia Armata del Sidamo, 533 Arniata dell' Ogaden. 533 Francia Armata d"Oriente, 499 Germania 6• Armata, 579 11' Armata, 499 Grecia Armata di Sarno, 569 Inghilterra l'Armata, 587, 588 3' Armata. 500 5• Armata. 497 , 500 8' Armata, 584-588. 589. 590,610, 61 I I O" Armata. 507 nota 29 Italia l ' Armata, 479. 481. 485, 486, 505, 560,561, 587.588 2• Armata, 479, 48 J, 482,485, 491-495, 560,571, 593 3' Arn1ata, 479,481,482.486. 490. 493. 505. 560 4• Armata, 479, 48 1,493, 494, 505. 560. 561 5' Arn1ata, 485. 486, 560 6' Armata, 490, 505, 589, 590 7' Annata, 560 8' Armata (per il periodo 1942-1 943 vedi Armata Italiana in Russia), 505, 560. 576. 570 9' Armata. 569. 593 IO' Armata. 505, 560, 582, 583 11' Armata, 569-57 1. 593. 597 12' Armata. 505 Armata del Po, 560 Armata "Zona di Gorizia" 490 Romania 3' Armata. 579 4' Armata. 579 Russia l ' Arn1ata. 579 nota 26 6' Armata, 579 nota 26 Stati Uniti S' Armata, 608 nota 33, 610 7' Armata, 589, 590 Ungheria 2' Armata. 579 Varie e miste Armata Corazzata Italo Tedesca, 585, 586 Armata d'Osservazione (franco-sabauda del 1736). 26 1


INDICI

Armata d'Osservazione dei Pirenei Orientali (napoleonica del 1809), 354 Annata della Santa Fede, 329. 332-338 Armala Grossa della Repubblica di Venezia. vedi Marina, (Venezia) Squadra Pesante Annata Italiana in Russia, 576-581 Annata Patriollica, 321 Armellini, Carlo, patriota italiano, 406 Armero. Luigi, capitano da Mar veneziano, 39 Arminjon, Vìttorio, ammiraglio italiano, 460 ARMIR, vedi Armata Italiana in Russia Amaud, Enrico, capo valdese. 290 Amim, Hans Jiirgen, von, gener.ile tedesco, 587, 588 Aro, conte d', mastro di campo spagnolo, 156 Artiglieri Litorali (napoletani, borbonici), 327 nota 24 Artiglieria Legionaria (itaJjana), 548, 549 Asburgo Casa d', 26, 30. 31 nota 11, 34, 37, 38, 50, 58, 66, 95. IOJ, 103, 105, 107-113, J 15, 122, 123, 126, 129. 141, 148,149,203,207. 253,260,262.265,266.270,279,478 Asburgo, Alberto d', arciduca, 437 Asburgo, Anna d'. regina di Francia, 136, 156 Asburgo. Carlo d', arciduca, 346 Asburgo, Carlo l d', imperatore d'Austria, 492. 495,501,506 Asburgo, Carlo ll d', re di Spagna, 217 Asburgo, Carlo V d', imperatore. 13, 18, 35-45, 47,50,52.53,54,56-58.59,62,64,65,66, 71, 72,80,85, 126,203,231,265. Asburgo, Carlo VI d'imperatore, 217,227,229. 231,241,244.245,248,261,262.265 Asburgo. Eugenio d', arciduca e generale austriaco, 484 Asburgo, Ferdinando d', arciduca. 47, 66 Asburgo, Ferdinando d', arciduca di Stiria e imperatore, 99, l02, 111, 112, 121, 123, 125. 130 Asburgo. Ferdinando d ·. cardinale. 112, 128, 129 Asburgo, Filippo l1 d', re di Spagna, 57, 62, 66, 67.69. 79,81,82,84,89.90,92 Asburgo. Filippo lfI d', re di Spagna. 104, 107. 114, 115 Asburgo, Filippo IV d', re di Spagna, 115, 122. 132, 156, 179 Asburgo. Francesco Giuseppe l, imperamre. 399, 411-421,474,477,492 Asburgo. Giovanni d', detto don Giovanni d' Austria. figlio di Carlo V, 85, 86, 88. 89. 90 Asburgo, Giovanni d', detto don Giovanni d' Austria, figlio di Filippo IV. 143. 144. 148 Asburgo, Giuseppe d', arciduca e generale austriaco, 503

729 Asburgo, Giuseppe Id'. imperatore, 227, 229. 231,266 Asburgo. Leopoldo Id', imperatore. 205. 213, 217. 221 Asburgo, Maria Teresa d', imperatrice, 265. 266. 270.272.287,288.292.4)4,451 Asburgo, Massimiliano l d', imperatore, 13, 2326, 3 l, 32, 35, 36. Asburgo, Mattia. d'. imperatore, 102 Asburgo, Rodolfo TI d'. imperatore, 99 Asburgo-Este, Francesco Ferdinando d', arciduca, vedi Este (Austria-Este) Asburgo-Lorena, Carlo d'. arciduca. 357. 358 Asburgo-Lorena, Ferdinando fil d', granduca di Toscana.323.341,381 Asburgo-Lorena Francesco lT d', imperatore. 358 Asburgo-Lorena, Giovanni d', arciduca, 357,358 Asburgo Lorena Leopoldo 11, vedi Asburgo-Lorena Pietro Leopoldo Asburgo-Lorena, Leopoldo ll di, Granduca di Toscana, detto "Canapone", 381,397 Asburgo-Lorena, Maria Carolina d', regina di Napoli, poi delle due Sicilie, 304, 326,327, 341,367 Asburgo-Lorena, Maria Luigia d', imperatrice dei Francesi e duchessa di Parma, 358, 374. 382-384 Asburgo-Lorena, Pietro Leopoldo I di. granduca di Toscana, poi Leopoldo Il impenitore, 297, 306 Ascarelli, Ani Iio, medico legale italiano. 606 nota 27 Assia-Darmstadt Pbilippsthal Luigi, principe d', generale tedesco al servizio napoletano, 347. 351 Atto di Soggezione (di San Marino alla Santa Sede), 263 Auchinleck, sir Claude. generale inglese, 584 Augerau, Pierre, generale francese. 310, 324 Augusto Il, re di Polonia, vedi Wettin Augusto Lll, re di Polonia, vedi Wettin Austria. Casa d'. vedi Asburgo Casa d' Aves. vedi Aviazione Leggera Avezzana, Giuseppe, generale garibaldino, 409 nota 8 Aviazione (inglese) Royal Air Force, 564,586 Italia RSl Aeronamica Nazionale Repubblicana, 603 Italia Aviazione Legionaria. 548. 549 Regia Aeronauùca, 517, 519, 523, 524, 544 nota 2,553 nota 3,556, 557 nota 2. 564,589,598. 613 Arditi Distruttori Regia Aeronautica, 583 nota 30 Corpo Aereo llal iano, 56 l


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GLI ITALIANI IN ARMI

Squadra Aerea A, 552 V Squadrà Aerea, 583 XXII Gruppo Caccia, 576 nota 21 LXI Gruppo da Ricognizione, 576 'nota 21 Reggimento Fanti del!' Aria, 583 nota 30 Aeronautica Militare, 616,620,627 nota 1,628, 651 46" Aerobrigata, 620, 631, 633, 634 nota 22 15° Stonno, 621, 633 31° Stormo, 633 500 Stomm, 639 102° Stormo, 639 306° Gruppo, 6-21 Fona Aerea Finalizzata "Locusta", 632 Vigilanza Aeronautica 'M ilitare, 620 nota 5 Italia-esercito Aviazione Leggera dell'Esercito, 618. 622 Centro Aviazione Leggera de!l''Esercito, 618 nota 3 ~eparto Aerei leggeri dert'Esercito, 618 nota 3 Germania, Legione Còndòr, 548-, 549 Luftwaffe, X Corpo Aereo, 584 Azeglio, Massiino Taparelli, ma.r chese d', ministro sardo, 389. 3'96. 4 !'o, 413 Azevedo, Gaspare de, generalè spagnolo, i 29 Babini, generale italiano, 583 Baccher, fratelli, ·336 Bàccher, Germaro, ufficiale napoletano, 336 Baccher, Gerardo, ufficiale napoletano, 336 Baciocchi, 'Felièe, cògnà!ò di Nà'pòleone, 352 Badoer, Alvìse, àm'bascia'tore venezià!'lò. 49, 92 Bàdòer, Ba'it>aro. ammiraglio veneziano, 168. 173 Badoglio, Pietro, maresciallo d'Italia. 492, 516, 520, 5-28, 53Ì-535, 537, 556-558, 562. 569, 570,581, 582, 592-595. 599,600.006 Baglioni famiglia·, 30 B-a:glioni. Adriano, capitMo al se'r v,zio senese,

60 Baglioni, Malatesta, capitanò a1 servizio veneziano, 38, 41 Baglioni, Orazio, capitano della cavalleria fiorentina, I05 Baglioni, Ridolfo, generale fiorentino. 50 nota 9, 51, 52, 59, 60, 74 Bagnasco, marchese di, vedi Del Carretto. Carlo Gerolamo Bagni.•cardinale, 132 Bagnolo. conte di, feudatario piemontese, 161 Bagration, principe Pietro, generale russo, 339 Baiard, du Terrai}, cavaliere de. generale francese, 36, 37 Baiona, marchese di, preside spagnolo del Regno di Sicilia. 179

Baistrocchi, Federico, generale italiarro, 524 Baiance of powers, 23-2, 254. 266, 421 Balbi, commissario generale genovese, 247 Balbi, Bernardo provveditore veneziàno, 236. nota 1 Balbiano, marchese, Vincenzo generale sardo. 283 Balbo, Italo, generale e quadrumviro italiano, 518 nota 18. 524. 581 Balcha, deggiac etiopico, 538 Baldirone, generale italiano al serviz'ìo imperiale, 115 Baldissera, Antonio. generale italiano. 454, 458 Balilla. vedi Perasso, Giambattista Balla, Giacomo, pittore italiano, 479 Banca Ròmana, 435 Bm1co di Palermo. 467 Banco di San Giorgio, 72, 77, 184, 279 Bande Banda Pellizzari, 538 Banlla Ravazzoni, 538 Banda 'Rolle, 541 Bande del Barca, 454 Bande del Seraè, 455 nOta 13 Bande del!' Acchelè Guzaj, 455 nota 13 Bande Nere, Giovanni delle, vedi Medici, Giovanni de', detto "delle Bande Nere" Bandioi, Franco. giornalista e storico mii itare italiano, 485 nota 8, 495 Bararieri. Oreste, generale italiano, 454-457 Barba Elettrica. vedi Bergonzoli Barbarigo, Agostì'n o, ammiraglio veneziano, 86, ·88 Barbaro, Marcantonio. ambasciatore veneziano, 84 Barbarossa. vedi Hohenstaufen Federico T B àrbarossa. vedi Kair ed Dfo Barberi'ni famiglia, 132, 137. 138 Barberini, Antonio. cardinale. 118, 138 Barberini, Matteo cardinale, 138 Barberini. Carlo, 123 Barberini, Francesco, 138 Barberini, Taddeo, generale pontificio. 137, 138 Barberini, Urbano VITT, papa. Il 6, 123, 132. 137141, 155 Barbieri, generale italiano, 595 Barbon Bernabò, generale lombardo al servizio imperiale 93 nota 19 Barras, Paul, visconte de, politico francese, 308. 309 Barre. Siad, presidente somalo, 632 Banolini, generale pontificio, 325 Baruzzi, Aurelio, sottotenente italiano, 487 Baseggio, tenente italiano, 490 nota 13 Bassetti Francesco, generale partenopeo. 337


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INDICI

Bassi, capitano italiano, 490 nota 13 Basso. Giovanni, maggiore garibaldino, 428 Bassville, Ugo, diplomatico francese, 324, 326 Bastelica, Sampiero da, detto Sampiero Corso, 64, 65, 77-79, 92 Bastelica. Alfonso da, 79, 80, 92 Bastian.i, Angelo, generale italiano, 566 nota 13. 567 Bastico Enore, maresciallo d'Italia. 547-549, 583, 584 nota 33 Battagia, Francesco, vedi Battaglia Banaglia delle Nazioni, vedi nell'indice dei luoghi Lipsia Battaglia, Francesco, provveditore veneziano, 316,317 Battaglione d'Artiglieria. 320 Battaglione delle Guardie del Corpo Legislativo. 320 Battaglione di Fanteria Leggera, 320, 345 Coloniali eritrei I Indigeni Tu ritto. 454 nota 7 e I I IT Indigeni Hidalgo, 454 nota 7 e I I. 455 nota 13 lii Indigeni Galliano, 454 nota 7 e 11 . 455 nota 13,521 IV Indigeni Toselli, 454 nota 7,455 V indigeni Ameglio, 454 nota 11 VI Indigeni Cossu, 454 nota 11, 455 Vll lndigeni Prestinari, 454 nota 11. 456 VIII Indigeni Gamerra. 454 nota 11, 456 Coloniali Somali J Benadir, 521 U Benadir, 521 UI Benadir. 521 IV Benadir, 521 V Benadir. 521 Vl Benadir, 521 Battaglione imemazionale italiano Garibaldi. 546 Battaglione (RSI) Barbarigo, X MAS, 603 Fulmine, X MAS, 603 nota 21 Lupo, X MAS, 603 nota 21 Battaglione Nuotatori Paracadutisti, X MAS , 603 nota 21 Battaglione Sagittario. X MAS. 603 nota 21 Battaglione Valanga, X MAS. 603 nota 21 Per i Battaglioni esistenti prima del 1861 (vedi anche: Sardegna) I Alpini, 445 nota 6 nAlpini, 445 nota 6 ID Alpini, 445 nota 6 IV Alpini. 446 nota 6 V Alpini, 446 nota 6 VI Alpini. 446 nota 6 V 11 Alpini. 446 nota 6 Battaglione Alpini Paracadutisti Monte Cervino, 647 nota 55

Battaglione Alpino Edolo, 579 Battaglione Alpino Fenestrelle, 47 l nota 4 Battaglione Alpino Monte Baldo, 514 Battaglione Alpino Monte Granero, 608 nota 34 Battaglione Alpino Piemonte, 608 nota 32 e 34 Battaglione Alpino Susa, 631 nota 9, 634 Battaglione Alpino Tuano, 579 Battaglione Alpino Uorc Amba, 537 nota l Battaglione Alpino Vestone, 579 IX Arditi, 608 XVI1 Bersaglieri. 553 xxvm Bersaglieri. 553 XXIX Bersaglieri, 608 nota 32 XXXI Bersaglieri, 515 nota 8 XXXII Bersaglieri, 608 nota 32 XXXIV Bersaglieri, 442 nota I XLIX Bersaglieri, 514 nota 7 LI Bersaglieri Allievi Ufficiali, 607 nota 30 2° Bersaglieri Governolo, 623 nota 16 e 19 3° Bersaglieri Cemaia. 623 nota I9 I0° Bersaglieri Bezzecca. 623 nota 19 Battaglione Bersaglieri D'Agostino, 497 Battaglione Cacciatori di Palestina, 497 nota 19 XL Camicie Nere, 552 nota I LXXVl Camicie Nere. 552 nota I CXXXVl Camicie Nere, 565 nota 11 Vlll Cani Leggeri, 552 nota I X Cani Leggeri. 552 nota l XTTI Carristi. 586 V Controcarri. 607 nota 30 XXXll Controcarro Granatieri di Sardegna, 581 CDXXIX Costiero, 590 l di Fanteria, 460 nota 26 67° Battaglione Fanteria Meccanizzata Montelungo. 623 nota 19 Battaglione Irredenti, 5 I 3 Battaglione P.A.l. Savoia, 537 nota 2 I° Carabinieri Paracadutisti Tuscania, 623 nota

19 2° Paracadutisti Tarquinia, 623 nota 19 5° Paracadutisti BI Alamein. 623 nota 19 9° Paracadutisti d'Assalto Col Moschin, 623 nota 19 LXXXV Paracadutisti, 608 nota 34 CLXXXV Paracadutisti Nembo, 608 nota 32 Battaglione Nazionale Paracadutisti, 583 nota 32 Battaglione San Marco, Fanteria di Marina, 538 nota 4. 543 nota 1. 583 nota 30. 623, 631. 642 Battaglione Bafile, del Reggimento San Marco Fanteria di Marina, 608 nota 34 Battaglione Grado, del Reggimento San Marco Fanteria di Marina, 608 nota 34 I Battaglione Bersaglieri Volontari Fiamme Cremisi (RSI) 61 I nota 37


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OLI ITALIANI IN ARMI

I Genio Costrunori (RSI), 61 l nota 38 V Genio Artieri (RSI), 611 nota 38 XIV Alpini Difesa Cos11era(RSI), 611 nota 38 XVU Misto Difesa Costiera (RSI). 611 nota 38 Battaglione Bersaglieri Bresciani vedi Bersaglieà bresciani Battaglione delle Guardie di Milano. 364 nota 35 Bauaglione Reale Dalmata, 362 nota 33 (Repubblica ligure) Battaglione di Gendanneria. 319 Bauaglione (lombardo) Bersaglieri Manara. 409, 471nota2 Lucca Battaglione Maria Luigia, 375 nota I Battaglione Fanteria Maria Luisa 382 Battaglione Fanteria Carlo Lodovico. 382. 383 Modena Battaglione di Linea, 383 Battaglione di Linea Ducale. 375 nota I Banagliooe di Parma. 237 nota 3 e 8 Banaghone Reale Estense di Linea, 379

Napoli 2" Battaglione Cacciatori, 405 nota 2 3° Cacciatori. 405 nota 2 5° Cacciatori, 430 Battaglione (siciliano) delle Guardie Reali. 370 nota 45 Battaglione (siciliano) Granatieri Reali. 368 Regno di Sardegna Battaglione Cacciatori di Savoia. 366 notn 37. 40 Battaglione d'artiglieria di Sardegna. 387 Battaglione del Genio Militare, 387 Bauaglione del Treno. 387 Battaglione di Marina, 366 Bauaglione fanteria leggera Cacciatori della Regina. 377 nOla 5 Battaglione fanteria leggera Cacciatori di Nina. 377 nota 5 Battaglione fanteria leggera Cacciatori di Savoia. 377 nota 5 Battaglione fanteria leggera Cacciaton hahani. 377 nota 5 Bauaglione fanteria leggera Lombardi. 377 nota

5 Battaglione fanteria leggera Oneglia. 377 noia 5 Battaglione fanteria leggera Piemontc~i. 377 nota 5 I Battaglione Granatieri. 310, 311 rn Battaglione Granatieri. 310 IV Battaglione Granatieri. 305 nota 6 vn Bai.taglione Granatieri. 31 l vm Battaglione Granatieri, 305 nota 4, 31 1 LX Battaglione Granatieri, 305 nota 4 Battaglione (poi italiano) I Bersaglieri, 420 nota 16, 460 nota 26

V Bersaglieri. 420 nota 16 VI Bersaglieri, 432 nOla 3 Vili Bersaglieri, 420 nota 16 Xl Bersaglieri, 430 Xli Bersaglieri. 430,442 nota I. 459 nota 21 XXX Bersaglieri, 432 nota 3 XXVI Bersaglieri, 430 To,;cana Banaglione Cannonieri Guardacoste Continentali, 382 Banagliooe Cannonien Guardacoste Sedentari dell'Elba. 382 Battaglione Veterani. 382 Vari Battaglione di Napoli. 72. 228 Bauaglione di Piemonte. 74. 177. 186 nOla 5. 220 Bauaglione di Savoia. 74. 186 nota 5 Battaglione Italiano in Cina, 538. 539 nota 4 Battaglioni (italiani) Camicie Nere, 5 18, 539 nota 6 Bauagliom M, 603 Banenberg, Edoardo VII dj, re d'Inghilterra e imperatore dell'India. 474 Batteria (coloniale eritrea) Artiglieria da Montagna Cicco<licola. 455 nota 13 ll' Batteria d'Aniglieria da Montagna, 459 nota 21 104' Batteria Artiglieria da Montagna, 63 l noia

9 Batteria Autonoma Carri d' A,~alto, 523 Batt1stelli Pierpaolo. storico militare italiano, 560, 602 nota 19 Battisti. Cesare. politico e tenente italiano. 479, 485.486 Bauistoni. Giuseppe. generale italiano. 515 Bauer. Riccardo, politico italiano, 605 Bava. Eusebio. generale sardo. 398, 399, 40 I Beauhamais, Eugenio, visconte de, principe e vicerè d'Italia, detto "Principe Eugenio", 347, 348,352, 357-363.369.370 Bcauhamai~. G1u~eppina Ta,cher de la Pagcrie, viscontes,a dc. in1peratnce dei Francesi, 309 Beaulieu, Giovanni, barone di, generale austriaco. 309-311, 313-315 Beccaria. Cesare. illuminista italiano. 330 Segni. Giovanni Battista. generale italiano. 452 Belcredi, capitano italico, 362 Belle-Fontaine, commendatore di Malta, 237 nota 5 Bellegarde, Federico Enrico conte di. maresc1allo austnaco, 384 Belle-lsle, vedi Fouquet Belli. Gioacchino, poeta romano, 91 Below. Ottone von. generale tedesco, 492 Bembo. comandante veneL1ano. 171


INDICI

Benedek, Luigi Augusto von, generale austriaco, 401. 419. 420 Benedetto XIV. papa, vedi Lambertini Beni Amer, popolazione eritrea, 453 Bennicelli, capitano italiano, 523 nota 27 Bennigsen, Augusto, conte e generale russo. 361 Bentinck, Lord William Cavendish, generale inglese, 367,370 Bentivoglio famiglia, 29, 30, 39 Bentivoglio, Ercole, 31 nota IO Bentivoglio, Giovanni, 23. 27 Bentivoglio. Ippolito. 100, 101 Benvenuti. cardinale, 39I Bcrardi, Paolo, generale italiano, 608 Berardi. Marco. detto "Re Marcone", capobrigante, 69 Bergonzoli. Annibale, generale italiano, detto "Barba Elettrica", 546, 549, 583 Berlusconi. Silvio, politico italiano, 626, 644 Bersaglieri (sabaudi, poi italiani), vedi Corpo dei Bersaglieri Bersaglieri Bresciani. 345 Bersaglieri del Frignano, 384 Berthier, Luigi , maresciallo di Francia, 319 Berti. Mario, generale italiano, 582 nota 29 Bertotti. Emilio, generale italiano, 498 nota 23 Bertrand, Enrico. generale francese. 363, 364 Berwick, duca di, vedi Fitz-James. James Bes, Michele. generale sardo. 398 Betasom. vedi all'indice dei luoghi Betasom Bianchi. colonnello italico, poi parmense, 375 nota I Bianchi, Federico, duca di Casalanza, generale austriaco, 375. 376. 385 Bianchi. Gustavo. esploratore italiano. 45 I Bibbiena. Bernardo Tarlati, cardinale detto, 35 Bichi. cardinale. 140 Bimal, popolazione somala, 466. 467 Biron, Carlo de Gontaut. duca de. ammiraglio e pari di Francia, 95 Bisaccia, duca di. generale napoletano al servizio spagnolo. 228 Bisignano, principe di, nobile e politico napoletano. 53 Bismarck, Ottone di, ministro tedesco, 436, 474 nota 2 Bissolati, Leonida. politico italiano. 479 Bixio, Nino. generale italiano, 437 Bladier, Giovanni, capitano italiano, 596 Bionde!, Louis Augustin. ambasciatore francese. 244.245 Blum Leon, ministro francese. 543 Boccioni, Umberto pittore italiano, 479 Bogino, Giovanni Battista, ministro sardo. 277 Bolla d 'Oro. 265

733 Bolognino, conte, mastro di campo spagnolo, 135 nota 19 Bonetti Lorenzo, contrammiraglio italiano, 564 Bonctti, maggiore italiano, 452 Bongiovanni, Luigi. generale italiano, 519 Bonneval, Claudio Alessandro conte de. generale francese, 224 nota IO Bonnivet, Guglielmo Goufier de, ammiraglio francese, 36. 37, 63 Bonomi, lvanhoe, ministro italiano, 606 Borbone Casa di, 37, 207, 220, 257. 260. 262. 270.308.309,334.335, 346 Borbone. Armando di, principe di Conti. 157 Borbone, Carlo di, Connestabile di, generale francese al servizio imperiale, 37. 39 Borbone. Carlo Filippo di. conte d'Artois, poi Carlo X, re di Francia. 303 Borbone. Carlo Ludovico di, duca di Parma. 382 Borbone, Carlo VII di, re di Napoli. 244-246, 254- 262, 271-274. 295. 296, 304 Borbone, Cristina di. Madama Reale, duchessa reggente di Savoia, 122. 134, 136, I99 nota I Borbone, Enrico IV di. re di Francia, 91 -95, IO I Borbone, Ferdinando li di. re delle Due Sicilie, detto "Re Bomba" . 397. 404-408, 423 Borbone, Ferdinando IV di, re di Napoli, poi Ferdinando I re delle Due Sicilie, 295. 304, 305 nota 5. 312. 327-329, 335,336 nota 27. 337. 346,347.349,350,367,370.374.376,385389 Borbone. Ferdinando IV di. re di Spagna, 278 Borbone, Ferdinando VU di, re di Spagna, 388 Borbone. Filippo I di, infante di Spagna e duca di Parma. 249, 25 I, 255. 269, 271, 272, 274276 Borbone, Filippo V di, duca d ' Angiò e re di Spa• gna, 217.230.231, 242,244, 257-259, 266, 271 , 278 Borbone. Francesco I di, re delle Due Sicilie. 368. 386,388 Borbone, Francesco Il di, re delle Due Sicilie, 421 -428, 231, 432 Borbone. Luigi di, Delfino di Francia, 214 Borbone, Luigi di. Gran Delfino di Francia, 230 Borbone, Luigi Il di, principe di Condè, detto "Il Gran Condè''. 141, 142 Borbone, Luigi XITI di, re di Francia, detto "li Giusto", 108,109, 115.116. 117. 122. 124. 129. 131, 133, 136, 199 nota I Borbone, Luigi XIV di, re di Francia, detto ''Re Sole". 156, 160, 175, 178. 182, 185, 188, 193,199, 200.203. 206,210,212,214,217. 220,224,228,231 Borbone. Luigi XV di. re di Francia. 244. 250. 253,261,285,288.294


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GLI ITALIANI IN ARMl

Borbone, Luigi XVI di. re di Francia. 303. 326 Borbone. Luigi, Stanislao, Saverio di, conte di Provenza, poi Luigi XVlll, re di Francia, 311. 374. 381 Borbone, Maria Luisa di. duchessa di Panna. poi di Lucca. 382 Borbone-Orléans casa di 391 Borbone-Orléans. anna di duchessa di Savoia. 199nota I Borbone-Orléans Filippo di, duca d'Orléans, 199 nota I. 203 Borbone-Orléans, Filippo di, duca d'Orléans. reggente di Francia, 224-227 Borbone-Orléans, Luigi Filippo l di, re dei Francesi, 397 Borbone-Panna. casa dJ 374. 384 Borghese. Junio Valerio dei principi. capitano di vascello italiano. 602. 603 Borgia Cesare, duca di Valcntinois, dello '"il Valentino". 17, 21. 25. 30. nota 17. 73 Borgia. Ale~sandro VI papa, 21, 24, 28. 29 Borgogna. duca di, vedi Borbone. Luigi di . Delfino d1 Francia Borgogna, duchessa di, vedi Savoia. Maria Adelaide di Soriani. Giuseppe. generale italiano. 514 Boroevic. Svetoz.ar. barone von Bojna. feldmaresciallo austriaco. 495,496,501. 502, 503505 Bosak-Hauke. Giuseppe, generale polacco dell'esercito dei Vosgi. 442 noia 3 Bosco. Ferdinando Beneventano del. generale delle Due Sicilie, 425, 426 Botta Adorno, Antoniouo, generale au,triaco. 281 Bona. Carlo. storico italiano. 61 nota 21. 135 no-ta 18 e nota 19,166 nota 3 Bottai, Giuseppe. politico italiano. 535 Bottego. Vittorio, capitano ed esploratore italiano. 458 Boufflers. Luigi Francesco duca de, generale francese. 220 Bourbaki. Carlo, generale francese, 443 Boxers. 459-462 Bragadin. Andrea. ufficiale veneziano, 86 nota 13 Bragadin. Marcantonio, generale veneziano. 8486,237 Braganza. casa di. 128 Braganza. Antonio. re di Portogallo. 69 Braganza. Enrico n. re d1 Portogallo. 69 Brandon.i. capo politico corso, 25 I Braschi. Pio VI, papa. 323, 324, 326 Brempt. Teodoro Giacinto. barone de, generale tedesco al servizio sardo. 311

Bresciana. Repubblica. vedi ali' indice dei luoghi: Brescia. Repubblica Bresciana Brewev, Leonid, dittatore sovietico, 625 Bricherasio, conte di, generale sardo, 283, 284 Brigantaggio. 433-435 Austria Brigata Benedek. 40 I Brigata Geppert, 375 nota I. 376 Brigata Strassoldo, 40 I Brigata Wohlgemuth, 40 I Francia Brigata Matbieu. 329 I Brigata (garibaldina). 442 nota 3, 443 Il Brigata {garibaldina), 442 nota 3 UI Brigata (garibaldina). 442 nota 3 IV Brigata (garibaldina). 442 nota 3, 443 nota 4 V Brigata (garibaldina). 442 nota 3, 443 nota 4 Gran Bretagna X di Fanteria Anglo indiana. 563 xxn Brigata Corauata. 584 Italia Coloniale eritrea I Eritrea. 534, 538 m Eritrea. 538 VIII Eritrea. 538 V Coloniale. 564 Xl Coloniale. 564 XXVUI Brigata (partigiana Ganbaldi) .. Mano Gordini". 608 Brigata {partigiana) Maiella. 608 Brigata Alpi. 497 Brigata Alpma Cadore. 618. 630 nota 6 Brigata Alpina Cuneense. 631 Brigata Alpina Julia, 6 I 8, 630 nota 6,631 nota IO. 648 Brigata Alpina Orobica, 6 I 8, 630 nota 6 Brigata Alpina Taurinense. 618. 630 nota 6. 637 nota 33, 640 nota 39. 648 Brigata Alpina Tridentina, 618. 630 nota 6. 648 Brigata Arezzo, 511 Brigata Avellino. 511 Brigata Barlena, 499 Brigata Bologna. 492 Brigata Brescia. 487 Brigata Campobasso. 490 Brigata Catanzaro, 486, 487 Brigata Ferrara. 487 Brigata Ivrea. 515 Brigata Liguria, 489 nota I I, 511 Brigata Livorno. 5 I5 nota 8 Brigata Modena. 486 Brigata Pescara. 486 Brigata Sassari, 4%, 511. 637 nota 33. 648 Brigata Sesia. 5 IO Brigata Sicilia, 485 Brigata Taranto. 490 nota I 3


INDICI

Brigata Taro, 485 Brigata Verona, 498 nota 23 Brigata Coranata Ariete, 618. 633 nota 18. 637 Dota 33,648 Brigata Corazzata Centauro. 618. 633 nota 18, 648 Brigata Corazzata di Cavalleria Pozzuolo del Friuli, 633 nota 18. 648 Brigata Corazzata Garibaldi. 631 nota IO. 637 nota 33. 641. 647 I Brigata Volontaria, 545 IV Bnga1.a Bersaglieri. 496 Brigata Meccanizzala Gorizia. 633 nota 18 Brigata Meccani1.zata Legnano. 631, 633 nota 18 Brigata Motori11.ata Aajui, 630 nota 8 Brigata Motoriuata Aosta. 630 no1a 6, 648 Brigata Motorinata Friuli, 630 nOl.a 6. 631. 633 nota 18, 637 nota 33, 647 Brigata Motoriuata Pinerolo, 630 nota 6. 648 Brigata Motorinata Trieste. 630 noi.a 6 Brigata Paracadutisti folgore, 630 nota 6. 633 nota 18,634.637 nota 33,642 nota 47. 647 XVIII Costiera. 589 nota I Xl X Costiera. 589 nota I XXXI Costiera. 600 Regno italico Brigata di Cavalleria Leggera Villata, 359 nota 29 Brigata di marcia Moroni. 364 Brigata fontana. 356 nota 23 IV Brigata, 363 Brigata Mauucchelli. 356 noi.a 23 Brigata Ot1.avi, 341 noi.a 34 Brigata Sevemli. 341 nota 34 Brigata Zucchi, 363-365 RSI Bngate Mobili. 602 Brigate Nere, 602. 607 Resistenza Brigate Autonome. 605 Brigate Garibaldi. 605 Brigate Giustizia e Libertà. 605 Brigate Matteotti. 605 Brigate Mazzini. 605 Spagna Brigata (italo-~pagnola) Frecce Azzurre. 545-550 Brigata (italo-spagnola) Frecce Nere. 545-550 Brigata (internazionale) XV Internazionale. 550 Sardegna Brigata Granatieri Guardie, 394. 399 nota 4. 40 I Brigata Acqui, 399 nota 4. 401. 420 nota 16 Brigala Aosta, 401. 420, 430 Brigata Bergamo. 431 Brigata Casale. 399 nota 4. 40 I. 420 nota 16 Brigata Como. 431

73S Brigata Cuneo, 399. 40 l. 420 Brigata Granatieri di Sardegna, 486,509, 5 IO, 633 noi.a 18. 648 Brigata Pinerolo, 420 Brigata Re. 430 Brigata Regina, 430, 510 Brigata Savoia, 430 nota 2 Brigata Savona, 431, 498 no1a 23 Sud Africa I Brigata. 565 Germania Brigata Motocorazzata SS Reichsfìlhrer, 598 XV Brigata Motorizzata. 584 nota 33 Brignolc, Giacomo Maria. doge di Genova. 319 Brignole-Sale, Giovan Battista. doge di Genova, 276 Brin, Benedetto, ammiraglio e ministro italiano, 462 Brioschi. Luigi, 465 Brissac. Carlo dj Cos~~ I conte dc. maresciallo di Francia, 58, 63, 64 Brocco. Giuseppe. conte di Pietramaggiore, generale napoletano, 328 Broglie. Francesco Maria duca de. generale francese. 260 Bronzeui, Pilade, ufficiale garibaldino. 428 Brosio. Manjjo. politico italiano, 605 Browne. conte Massimiliano. generale irlandese al servizio austriaco, 278 Browning, sir Frederic. generale inglese. 608 Brolo, Giuseppe. maresciallo e dittatore jugoslavo detto "Tito", 572. 635 Brune. Guglielmo, maresciallo di Francia. 321, 322 Brusati, Ugo. generale italiano, 473 Brusilov. Alessio, generale russo, 486 Bruto. Marco Giunio. politico romano, 326 Brycc Robcrt, storico americano, 524 nota 29 Bubna-Lettìtz, Ferdinando conte von. feldmaresciallo austriaco. 379. 389 Bufolini, Nicolò. capitano della milizia fiorentina. 50 nota 9 Buonapartc, Elisa. 352 Buonaparte. Giuseppe. 331, 347, 348, 350, 351. 354 Buonaparte. Luciano. 340 Buonaparte. Luigi Napoleone, imperatore dei Francesi. Napoleone IIJ, 41 I. 413-420, 429, 430.432,436.441 Buonaparte, Luigi, re d'Olanda. 349 Buonaparte, Napoleone Gerolamo. 419. 420 Buonaparte, Napoleone l. imperatore dei Francesi. 64. 153,305, 308-371, 374-377, 379, 381. 390 Buonarroti. Michelangelo. arcbitcno italiano, I7. 41


OLI ITALIANI IN ARMl

736

Buonvisi, Cesare. capilano lucchese, 101 Burlamacch1, Francesco. politico lucchese, 54 Bussi, Papirio. ammiraglio pontificio. 195 nota 3 Bururlin, Demetrio, generale russo. 361 Byrd, Richard esploralOre americano, 5:24 nota 29 Caccia Dominioni di Sillavengo, Paolo, ingegnere e ufficiale italiano, 480 nota 2. 484 Cacciatori delle Alpi, (Sardegna) vedi Corpo dei Caccialori delle Alpi Cadoma, Luigi. maresciallo d'Italia. 395, 473. 475-478.480-483.485,486.489-495,503, Cadoma, Raffaele generale italiano. 412 nota 15, 417,440,441,473 Cadorna. Raffaele. generale italiano 605, 607 Cagni. Umberto, ammiraglio italiano. 524 nota 29 Caiazzo. conte di. condouiero al servi1io milanese. 23 Calabria, duca di, 21 Callaghan, Daniel, ammiraglio inglese, 598 nota 10 Calori, Stremiti conte Giovanni Paolo, colonnello modenese e generale italico, 319 Caluso. marchese di. generale sabaudo. 106 Camicie Nere,516, 518. 530. 533. 537,539, 546550,558,564,577,602,603 Carnpbell, ammiraglio inglese, 376 Campini. Dino, ufficiale e scrittore italiano. 558 nota 3 Campo Volante corso. 289 Canale. ba1lo alla Porta Ottomana, 47, 48 Cancellieri, Filippo, generale napoletano, 35 1 Candiani Camillo, ammiraglio italiano, 460,461 Caneva, Carlo, generale italiano, 475 Canevaro. Napoleone. ammiraglio e ministro italiano, 459. 460 Cantelmo, Rostaino, duca di Popolj e principe di Pettorano. generale napoletano al servizio spagnolo. 222 nota 6 Caniio. Stefano. generale garibaldino. 428. 442 nota 3,443 Capello, capitano da Mar veneziano, 48 Capello. Luigi, generale italiano. 482. 490, 492 Capizucchi. marchese Biagio, generale toscano, 103 Cappello. Rinaldo Felice, capitano pontificio. 263 I\OlO 8 Caprini. Balduino. colonnello italiano. 515 nota

IO Carabinien (pontifici). 381 Carabinieri Reali (Sardi. poi italianj). 337, 395. 432 nota 3,433,439. 440, 459 nota 2 1, 460. 461 nota 26. 476 nota 6,497 nota 19,514 nota 7. 515. 516,526 nota 31,532 nota 2.

554, 560 nota 4. 566. 593,602.610 nota 36. 614,616,621,622.628,629,634,640.648, 652 Caracciolo, Carlo Andrea, marchese di Torrecuso. mastro di campo ~pagnolo, 126 Caracciolo. Domeruco marchese di Villamaina e Capriglia. vicerè napoletano di Sicilia, 367, 387. Caracciolo, duca di Gesso. diplomatico napoletano, 329 Caracciolo. Fabio. dei principi di Forino. maggiore napoletano, 314 Caracciolo, Francesco, ammiraglio napoletano, 336 Caracciolo, Lucio, duca di Roccaromana, generale murottiano e delle Due Sicilie. 337 Caracciolo, Tommaso, mastro di campo ~pagnolo, 109, 118 Carncena. Luigi, marchese de, 135, 156. 157 Carafa. Antonio, generale austriaco, 243 Carafa. Carlo. cardinale, 63. 65 nota 33 Carafa. Giovanni, 65 Carafa. Paolo IV, papa. 59. 63. 65-68 Caraglio, Angelo Carlo Maurizio lsnardi de Castello, marchese di generale sabaudo, 228 Carbone, Tommaso, politico genovese, 89 Carboneria, 387. 389. 390 Carboni, Giacomo, generale italiano, 594-596 Cardona, Ramon Folch de. conte de Albelllo, generale e vicerè spagnolo d1 Napoli. 33-35 Carletti. governatore della Somalia, 467 Carlo Alberto I , Elettore di Baviera e imperatore. vedi Wittelsbach Carlo Alberto I, re di Sardegna, vedi Savoia-Carignano Carlo Emanuele I. duca di Savoia vedi, Savoia. Carlo Emanuele U duca di Savoia. vedi Savoia, Carlo Emanuele lii, re di Sardegna, vedi Savoia. Carlo Emanuele IV. re di Sardegna. vedi Savoia. Carlo I. imperatore d'Austria, vedi Asburgo. Carlo Il. re d'Inghilterra, vedi Stuart Carlo re di Spagna, vedi Asburgo, Carlo Il d'. re di Spagna Carlo III re d1 Spagna. vedi Borbone. Carlo VII di, re di Napoli Carlo 111. duca di Savoia, vedi Savoia Carlo lll, re di Spagna, vedi Asburgo. Carlo VI d', imperatore Carlo W. re di Napoli. vedi Borbone, Carlo VII Carlo IV vedi Lorena Carlo V. vedj Asburgo. e Lorena Carlo VI. imperatore, vedi Asburgo. Carlo VI Carlo VII re di Napoli, poi Carlo lii re di Spagna. vedi Borbone. Carlo VU di,

n.


INDICI

Carlo VTI. imperatore, vedi Wittelsbach, Carlo Alberto I di. Carlo vm, re di Francia. vedi Valois Carlo X, re di Francia, vedi Borbone, Carlo Filippo di, conte d'Artois Carlo Xll. re di Svezia, vedi Wasa, Carlo Ludovico, duca di Parma, vedi Borbone, Carlo Magno, Imperatore, 13 Carnimeo, Nicola generale italiano, 564 Carnot, Lazzaro. politico francese. 308. 309, nota 9 Carpegna, Alessandro conte di, generale pontificio, 63 Carrascosa, Michele, barone di. generale murattiano e delle Due Sicilie, 375 Carrera, Michele, soldato napoletano, 126 nota 13 Carretta, Donato, funzionario italiano. 606 Caruso, Pietro. funzionario italiano, 606 nota 25 Casalborgone. Mario Broglia di. generale sardo Casati. Alessandro, ministro italiano, 604 nota 24,606 Casaulx. Charles, politico marsigliese. 92. 94 Cassa, ras etiopico. 528. 531, S32 Cassinetta, capitano con10. 250 Cassotta, capitano di Fregata italiano, 631 Castagnola. Ezio, colonnello italiano, 563 Castelàr, Baltasar Patino, marchese de. generale spagnolo. 278 Castellamonte, Amedeo di, maresciallo di campo sabaudo, 219 Castellano, Giuseppe. generale italiano, 592, 593 Castello, Paolo da, capitano della milizia di Pietrasanta, 54, 55 Castiglia. Isabella di, regina di Spagna, detta " la Cattolica", I3 Castries, Charles de la Croix, marchese de. generale frnncese, 292 Castropignano, Francesco Eboli, duca di, generale e ministro napoletano, 258, 267 Catinat, Nicolas de, maresciallo di Francia, 188 nota 9,199,200, 206-213, 217,219 Cavagnari, Domenico. ammiraglio italiano, 539 nota4 Cavalleggeri (pontifici), 71 Cavallero, Ugo, generale italiano. 505 nota 27, 539-541.557,577,592 Cavalli, Giovanni, colonnello italiano. 410 Cavan, Lord. generale inglese, SOS Caviglia. Enrico, maresciallo d'Italia, 491,493, 505,510 Cavour, Camillo Senso, conte di, ministro sardo, 410, 412-417. 42 I. 428,435,451 CEF. vedi Corpo di Spedizione Francese Celada, marchese de, generale spagnolo, 129

737 Centro Addestramento Reparti Speciali, 602 Centro Costituzione Grandi Unità, 60 I Centro Addestramento Complementi per le Forze Italiane di Combattimento, 613 Centro Militare di Paracadutismo. 618 Centuria di Marina (Sarda), 366 nota 40 Centuria Leggera (Sarda). 365 Centurione, Andrea, generale genovese, 79 Centurioni Manfredo. generale genovese, 55 Cemide, 266 nota I , 297, 31 S Cervoni Francesco. generale italiano, 647 Cesare, duca di Ferrara e Modena, vedi Este, Ce• va, marchese di, tenente colonnello sardo, 321 Chalifa Ben Ascar, capo libico. SI 9 Charnberlain, NeviUe, ministro inglese, 559 Championnet, Jean generale francese, 327. 328, 330,332,333,337 Cbandler David, 153 nota 2 Chauvelin Gem1ain Louis de, diplomatico francese, 249,253.289 Chavigny, Theodor Chevignard Signor de, diplomatico francese. 133 Chiaramonti. Pio VU. papa. 337,352.379, 380 Chiaus Cubat, ambasciatore turco. 84 Chieli, generale italiano, 605 Chiesa, Damiano, ufficiale italiano, 486 Chigi, nunzio. 148 Chinea. omaggio della, 32 nota I3 Chirieleison. O., generale italiano. 590 Chitèt, 456 Christopher, Warrcn, ministro americano. 643 Chrzanowski. Alberto, generale polacco al servizio sardo. 403. 404 Cialdini, Enrico. generale italiano, 429,431,432. 436-438 Ciano, Costanzo. ammiraglio e ministro italiano. 498 nota 22 Ciano, Galeazzo, ministro italiano. 550 Ciccodicola Federico, capitano italiano, 455 nota 13 Cicinello, Andrea, dei principi di Cursi, mastro di campo napoletano, 180 CIL, vedi Corpo Italiano di Liberazione Cincinnato, politico e generale romano, 326 Ciriè. marchese di, diplomat.ico sardo, 299 Clarendon, Lord,George William Frederick Villiers, conte di, ministro inglese. 413 Clark, Mark Wayne, generale americano. 608 nota 33 Clary, Tommaso, maresciallo delle Due Sicilie, 426 Clausel, Bertrando, conte de, maresciallo di Francia, 323 Clavijo, Miguel De Sada y Artillon, conte cli, ammiraglio spagnolo. 258


738

GLI ITALIANl LN ARMI

Clay. Lucius Dubignon, generale americano, 617 Clemente Vll, papa, vedi Medici, Clemente VII Clemente vm, vedi Aldobrandini Clemente CX, papa, vedi Rospigliosi Clemente Xl, papa. vedi Albani Clemente Xll , papa vedi Corsini Clennont-Tonerre, Signor de, 136 Clinton, generale inglese, 369 Clinton, William, presidente americano, 634 CLN, vedi Comitato di Liberazione Nazionale CLNAJ, vedi Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia Coeuvres. marchese de, generale francese, I I 6 Coigny. Francesco de Franquetot conte de e maresciallo di Francia, 254-256 Colbert, Jean Baptiste. marchese de Seiguelay, 183, 184 Colbert, Jean Baptiste, marchese de Torcy, 184, 230 Colignon, colonnello francese, 320, 321 CollaJto, Rambaldo di, generale italiano al servizio imperiale, 112, 122, 123, 125, 149 Colletta, Pietro, ingegnere. generale murattiano e delle Due Sicilie, 337. 388 Colli Marchini, barone Michelangelo Alessandro, generale italiano al servizio austriaco, sardo e pontificio, 307, 309-31 l , 325 Colloredo, Gerolamo, generale italiano al servizio austriaco. 283, 284 Colonna Ajmone Cat, 530 Colonna Cubeddu, 538 Colonna della Ferrea Volontà, 534 Colonna Gallina, 538 Colonna Malta, 538 Colonna Messe, 553 Colonna Natale, 538 Colonna Navarrini, 538 Colonna Pascolini, 538 Colonna Princivalle, 538 Colonna Rean, 540 Colonna Ronchetti, 520 Colonna Salvatores, 573 Colonna Savoia, 513 Colonna Scavone, 540 Colonna Tucci, 538 Colonna Zambini, 538 RSI

l' Colonna di Salmerie/Carreggio, 61 I nota 38

2' Colonna di Salmerie/Carreggio, 61 l nota 38 Colonna (siciliana, borbonica) Mobile, 368 Colonna (sici liana, borbonica) Stabile, 368 Colonna (spagnola) Cabanillas, 544 Colonna, Anton Francesco, politico corso, 293 Colonna famiglia, 46, 57, 65, 66, 72

Colonna, Fabrizio, capitano al servizio spagnolo, 28. 32. 33, 36 Colonna, Filippo maresciallo delle Due Sicilie, 430 Colonna. Marcantonio, duca di Paliano, ammiraglio pontificio, 18, 60 nota 17. 65 nota 32, 66, 67, 68, 84 nota 9. 85 Colonna, Michele Agostino, principe di Stigliano, colonnello napoletano, 313,314 Colonna, Pirro, capitano al servizio fiorentino, 74 Colonna, Prospero. capitano al servizio spagnolo. 28. 34 Colonna, Stefano, capitano al servizio imperiale, francese fiorentino e pontificio, 42, 74 Comandi Superiori Alpini, 524 I° Comando delle forze di Difesa, 647 2° Comando delle forze di Difesa, 647 Comando delle Forze di Proiezione, 647 Comando superiore del!' Aoi, 560 Comando Superiore dell'Egeo, 560 Comando Superiore della Libia, 560 Comando delle Truppe Alpine, 647, 648 Comando Truppe Trieste, 630 nota 6 Comando Italiano 212, 614 34° Comando Provinciale (RSI), 612 nota 39 35° Comando Provinciale (RSD, 603 nota 38 54° Comando Provinciale (RS[), 603 nota 20 Comitato di Liberazione Nazionale. 603, 604, 606,612 Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, 603,604.606,607 Comitato Italiano di Addis Abeba, 565, 566-568 Commissariato d'Aeronautica, 517 Commissariato Generale Onoranze Caduti in Guerra, 581 nota 27 Commissione Interalleata di Controllo per il disarmo e la smobilitazione ( 1919), 514 Commissione Militare internazionale per la delimitazione dei confini tra Albania e Grecia, 517 Comotto, Giovanni, pittore genovese, 280 nota 18 Italia 70' Compagnia del I Battaglione Genio, 486 121' Compagnia Controcarro Granatieri di Sardegna, 577 389• Compagnia Mitragliatrici, 513 nota 2 Compagnia Alpini Paracadutisti Monte Cervino. 634 Compagnia Autonoma Carri d 'Assalto. 523 Compagnia Cacciatori di Palestina, 497 nota 19 RSI 5' Compagnia Studenti Volontari in Roma. 603 nota 20


739 Compagnia Autieri di Manovra, 6 l l nota 38 Compagnia Autonoma Milizia Difesa Territoriale Confinaria Fiume, 611 nota 38 Compagnia D'Annunzio, X MAS, 611 Compagnia Sauro, X MAS, 612 nota 39 Compagnia di Sussistenza Fiume, 611 nota 38 Compagnia Fanteria Presidiaria. 612 nota 39 Regno Italico 1• Compagnia Zappatori Pompieri della Guardia Reale, 352 nota 14 2" Compagnia Zappatori Pompieri della Guardia Reale, 352 nota 14 4• Compagnia Zappatori, 348 nota 12 Lucca Compagnia Guardacoste, 382 Napoli Compagnia Scelta Provinciale. 327 nota 24 Panna Compagnia delle Reali Guardie del Corpo a Cavallo, 298 Sardegna Compagnia d' Artiglieria Franca, 365 Compagnia degli Invalidi, 365 Compagnia dei Cacciatori Esteri, 365 Compagnia di Grazia pel Servizio di Marina. 365 Compagnia Leggera di Marina. 365 Venezia Compagnia presidiaria delle Isole, 238 nota 8 Compagnia Baldissera, 238 nota 8 Compagnia Foletti. 238 nota 8 Corsica Compagnia Volontaria, Ordine (corso) della 293 Condè, vedi Borbone Conrad, vedi Hotzendorff Contarini, Alessandro, comandante veneziano. 47 Contarini. ambasciatore veneziano, 148 Contarini, Bartolomeo. capitano delle navi venezjano. 167. 195, 196 Conti, vedi Borbone Contingente ltalair. vedi ltalair Conversano, conte di, feudatario napoletano, 158 Conz, Angelo Ugo, ammiraglio italiano, 521 Cook Frederick, esploratore americano, 524 nota 29 Cooper, commodoro inglese, 287 Coppini generale italiano, 547 Coprolu, Ahmcd, gran visir turco, 174 Cordova, Consalvo di, detto ·•n Gran Capitano", generale e vicerè spagnolo di Napoli. 22, 24, 25,28 Comaro. Andrea. ammiraglio veneziano, 174, 236 Comaro, Caterina, regina di Cipro, 31 nota 11 Cornaro, Giacomo. provvedjtore generale da Mar. 193. 194

Cornaro, Girolamo, generale veneziano, 167, 191, 193 Coronato, Bartolomeo, politico genovese. 89, 90 Estensi - Modena Corpo dei Dragoni, 383 Corpo dei Reali Dragoni, 384 Corpo del Genio, 383 Corpo Reale d' Artiglieria e Divisione d' Anneria, 384 Corpo Reale dei Pionieri, 384 Corpo Reale del Genio, 384 Italia Corpo Aereo Italiano, vedi Aviazione (RSI) Corpo Ausiliario d ' Azione delle Camicie Nere, 602 Corpo Agenti di Custodia, 650 nota 58 Corpo Automobilistico, 500 Corpo del Ghedaref, 453 Corpo delle Guardie di Città. SI 6 nota I 4 Corpo di Polizia Coloniale, vedi sotto Corpo di Polizia delr Africa Italiana. 537. 560 nota 4, 595, 602 Corpo di Sicurezza della Somalia, 621 Corpo di Spedizione Italiano di Palestina, 497, 515 Corpo di Spedizione italiano nel Mediterraneo Orientale, 515 Corpo di Spedizione Italiano in Russia, 576. 577 Corpo di Speruzione Francese, 608 Corpo Guardie di Pubblica Sicurezza. 628 Corpo Militare della Croce Rossa vedi Croce Rossa Corpo Speciale d'Africa, 453 Corpo Speciale d'Albania. 498 Corpo Truppe Volontarie. 544-550. 556 Lucca Corpo dei Pompieri, 382 Napoli Corpo dei Pionieri, 386 Parma Corpo dei Dragoni. 383 Corpo dei Pionieri, 383 Sardegna Corpo degli Invalidi. 377 Corpo dei Cacciatori delle Alpi, 419 Corpo Reale d ' Artiglieria, 365 nota 36, 366 nota 37 Corpo dei Bersaglieri. 394, 398 nota 2 Toscana Corpo dei Cacciatori Volontari di Costa e di Frontiera, 382 Corpo d'Armata Austria I Corpo d'Armata, 398, 402 n Corpo d'Armata, 398,402


740

GLI ITALIANI IN ARMJ

m Corpo d'Armata, 402,485 V Corpo d'Armata. 419 Vlll Corpo d "Armata, 419 XX Corpo d'Armata, 486 Canada I Corpo d'Armata. 610 Cecoslovacchia Corpo d 'Armata Cecoslovacco, 514 Francia U Corpo d'Armata, 348 lV Corpo d'Armata (Grande Armata). 352,359, 362,364 vm Corpo d'Armata (Grande Armata), 346 XI Corpo d'Armata (Grande Armata), 364 I Corpo d'Armata, 598 Germania xvrn Corpo d 'Armata, 577 LXXVI Corpo d'Armata, 608 Grecia I Corpo d ' Armata, 569. 570 Il Corpo d'Armata, 569 ID Corpo d. Armata, 569 Inghilterra V Corpo d 'Armata. 6 10, 61 l X Corp0 d'Armata, 608,610 xm Corpo d' Armata, 584, 610 XXI Corpo d'Armata. 497 XXX Corpo d'Armata. per il periodo 1940- 1941 vedi Western Desen Force, 584, 586 ltaha Corpo d'Armata (coloniale) Eritreo, 528, 531. 532 Corpo d' Armata Alpino, 576, 579. 581 Corpo d'Armata d'Assalto, 490 nota L3 Corp0 d' Armata di Roma, 595 I Corpo d'Armata, 436, 528, 531 . 532 li Corp0 d' Armata, 436, 490, 496, 497, 502. 507 nota 29, 528, 532. 576. 577 m Corpo d'Annata. 436,437,532.648 nota 56 IV Corpo d'Armata, 440,648 nota 56 V Corpo d'Annata. 574. 648 nota 56 VT Corpo d'Armata, 481. 482. 487, 490. 491 ; 495.574 vn Corp0 d'Armata, 594 nota 5. 598. 599 VIII Corpo d'Armata. 490,491 LX Corpo d •Armata, 599 X Corp0 d'Annata, 560. 584 nota 33 Xl Corpo d'Annata, 487. 574 XII Corp0 d'Annata, 589 nota I XITI Corpo d'Annata, 599 XVI Corpo d 'Annata. 498, 499, 589 nota I XVII Corpo d'Armata, 492. 594, 595 XVill Corpo d' Armata. 505, 574 XX Corpo d'Armata, 560, 584. 586 nota 36, 588 XXI Corpo d'Annata, 560. 582,584.585, 587. 588

XXill Corpo d'Armata, 494, 582 XXIV Corpo d'Armata. 490,491 . 493 XXV Corpo d'Annata, 569,570 XXVI Corpo d'Armata, 560,569 XXVll Corpo d"Armata, 495 XXVill, Corpo d 'Armata, 582 XXX Corpo d'Armata, 599 XXXI Corpo d'Annata, 599 XXXV Corpo d'Armata (per il periodo 1941-42 vedi CSlR). 576, 581 LT Corpo d'Annata. 600 Corpo d'Armata Motocorazzato. 594-596 Polonia il Corpo d 'Armata, 608, 611 Sardegna I Corpo d'Armata. Bava, 398. 399,402 Il Corpo d'Armata De Sonnaz, 398, 402 IV Corpo d'Armata, 429, 430 V Corpo d'Armata. 429, 430 URSS XVII Corpo d'Armata. Corazzato, 579 nota 26 XXI V Corpo d'Annata Corazzato, 579 nota 26 XXV Corpo d'Armata Corazzato, 579 nota 26 Corpo degli Alpini, 445nota 465. 524 Corpo dei Bersaglieri. 394, 433 Corpo delle Guardie di Finanza del Governo Provvisorio Lombardo, 470 nota 2 Corpo Forestale dello Stato, 594 nota 7. 650 nota 58 Corpo Franco (napoletano. borbonico), 327 nota 24 Corpo Italiano di Liberazioae, 608. 609, 610 Corpo Volontari della Libertà. 606, 6 12 nota 42 Correr. Angelo. generale veneziano, 139 nota 27 Corsini Clemente XD Papa, 245. 263 Corso da Bastelica. vedi Bastelica Conese. Giovanni. generale italiano. 454 Cosacchi. 360. 361 Cosenz, Enrico. generale italiano, 410,438 Cosimo I di Toscana, vedi, Medici Costa, Enrico Giuseppe marchese de Beauregard. generale sardo, 312. 32 l Costabile Guido. avvocato italiano, 567 Coursay, marchese de. generale francese, 288, 289 Credito Italiano, 557 Crenan. conte de. generale francese, 213 Créqui. Carlo I, marchese de. generale francese, 92 Créqui, Francesco, marchese de e maresciallo di Francia, 117,128,124,129. l3 1. 132, 182 Creusot, acciaierie, 442 Criniti. Luigi. maggiore ital iano. 529. 540 Crispi. Francesco. ministro italiano, 423, 444, 456,474

6.


INDICI

Crispo, Alberto, generale italiano, 459 nota 21 Cristina di Francia - Madama Reale - vedi, Borbone, Cristina di Croce Rossa, corpo militare della, 620, 632 nota 17,633 nota 18,634,635,640 nota 39,650 nota 58 Crociani, Piero, storico militare italiano, 326. 426 Cromwell, Oliver, Lord protettore d'Inghilterra, 160 Crousat, Jean. generale francese, 443 Cruise. missili, 625, 626 CruweU, Ludwig. generale tedesco, 584 nota 33 CSIR. vedi Corpo di Spedizione Italiano in Russia Cubeddu, colonnello italiano. 538 Cumiana, conte di. generale surdo. 288 Cuniberti Vittorio, ufficiale di Marina italiano 461

Cuoco, Vincenzo. politico partenopeo, 334 Cunningham, Alan, generale inglese, 584 Cupano. Lucantonio, capitano fiorentino, 50 nota 9 Custine. Adamo Filippo de. generale francese, 304 Cutò. Alessandro Filangieri principe di, generale napoletano, 312-314 Cybo, Alberico, 54 Cybo. Giulio, 54-56 D'Agostino. colonnello italiano, 497 D' Aie ma, Massimo, politico italiano, 638 D'Annunzio Gabriele, scrittore italiano, 479, 483,503,510,511 D' Arcy, ambasciatore francese. 205 D' Aspre, Costantino. barone von Hoobreuk. feldmaresciallo austriaco, 398 Da Mosto, Andrea storico militare italiano. 137 nota 22 Da Mosto, provveditore di Corfù. 237 Da Riva, Giacomo, capitano delle navi, 168 Da Riva, provveditore di Corfù, 237, 238 Da Silva. governatore di Bahia, 126, 128 Da Zara, Alberto. ammiraglio italiano, 539 nota 4 Dall'Ora. Fidenzio intendente generale italiano, 532 Dallemagne. Claudio. barone de. generale francese, 313 Dall'Olio, Alfredo. generale italiano, 500 Damas, Giuseppe Ruggiero conte de, generale francese al servizio napoletano, 328, 329. 332,340,347 Dandolo. Nicolò. ingegnere militare venez.iano, 84 Danieli Flavio, generale italiano, 54 l nota IO, 566 nota 12

741 Dankl, barone Vittorio, generale austriaco, 484 Dapino, Vincenzo Cesare. generale italiano. 607 Daun. Filippo Lorenzo. Wierich conte, von, generale e vicerè austriaco di Napoli, 228-230, 248,254 Davout, Luigi, maresciallo di Francia, 361 De Biase. scrittore militare italiano, 562 nota 6 De Bisogno, colonnello italiano, 515 nota 9 De Bono. Emilio. quadrumviro e generale italiano. 447,518 nota l8, 520, 528-531 De Bucter. Francesco Antonio, brigadiere svizzero al servizio sardo, 305 De Cesare, capoinsorgenza, 337 De Chaurand de Saint Eustache, conte Felice, generale italiano, 470 De Cosa, Raffaele, ammiraglio deUe Due Sicilie, 405 De Courten, Luigi Eugenio, generale sviuero al servizio sardo, 303 De Courten, Conte Raffaele. ammiraglio italiano, 598 nota 10 De Courten, Raffaele. generale svizzero al servizio pontificio, 429 De Courten-Callaghan, accordo, 598 nota l O De Cristoforis, Bartolomeo. tenente colonnello italiano, 452 De Failly. Pietro Luigi, generale francese, 440 De Gambs, Daniele, generale napoletano, 305, 328 De Gasperi, Alcide, ministro italiano. 604 nota 24.616 De Laugier. Cesare, conte di BeUecour. generale toscano, 399 De Lorenzis, Ugo, generale italiano, 594 De Maistre, Saverio, diplomatico sardo, 378 Dc Mediano, Cavaliere di Malta spagnolo, 81 De Meo. colonnello italiano. 534 De Nicola. Enrico. Capo Provvisorio dello Stato, 615 De Pinedo. Francesco, marchese e generale italiano, 524, 557 nota 2 De Rossi, Eugenio, generale italiano, 469 nota I De Saget, Generale delle Due Sicilie, 404 De Simone. Carlo, generale italiano, 565 De Sonnaz d'Habères, Ettore Gerbaix, generale sardo, 398. 402 De Sonnaz d'Habères, Giuseppe Gcrba.ix, generale italiano, 430. 431 De Stefanis, Giuseppe, generale italiano, 607 De Vecchi di Val Cismon. Cesare Maria, quadrumviro, 5 I 8 nota I 8, 521, 522, 568 De Vins. Barone Giuseppe, generale austriaco. 304. 307,309 Degli Oddi, Cesare, generale pontificio, 139 Del Carretto famiglia. 11 3


742

GLI ITALIANI IN ARMI

Del Carretto. Carlo Gerolamo marchese di Bagnasco. J87, 208, 209 Del Carretto. Filippo di Camerano, colonnello sabaudo, 321 Del Monte, Giambattista. 58 Del Monte, Giulio fil. papa, 57, 58 Del Monte, Pietro, condottiero al serviz.io fiorentino e veneziano, 81 Del Nero, Francesco, governatore estense. 269 Del Prete, Carlo, pilota italiano, 524 Del Vecchio. Mauro, generale italiano, 641 nota 42 Della Comia. Ascanio, generale umbro 45, 60 Della Gatta. Carlo, mastro di campo napoletano al servizio spagnolo. 134-136, 14 l Della Margherita. Giuseppe Maria Solaro. conte generalesabaudo,223 Della Motta. Cavaliere di Malta, 81 Della Rocca. Carlo Emanuele Cacherano Osasco conte di Rocca d'Arazzo. 281, 283 Della Rocca. Giambanista. maggiore napoletano. 371 Della Rocca. Enrico Morozzo. generale italiano. 429,433.437 Della Rovere famiglia, 23, 24, 73 Della Rovere, Francesco Maria. duca d'Urbino. 29,35,45.48, 73 Della Rovere, Giulio II. papa, 29, 30, 32-34 Della Torre, commendatore di Malta. 175 Della Torre, Raffaele, nobile ligure, [77 Dello Sbirro. Orazio, comandante pontificio, 67 Delpech Louis, politico colonnello francese, 442 nota 3 Dervisci. 453-455, 472 Des Geneys, Giorgio Andrea, conte e amnùraglio sardo, 322, 366 Des Hayes. Gaspare, barone di Mussano. generale francese al servizio sabaudo. 221 Destà Damtù, ras etiopico. 533 Di Giorgio, Antonino, generale italiano, 467 Di Giovanni, Giorgio, ingegnere militare senese. 60 Diamanti, Filippo, console generale della MVSN italiana, 531 Diaz, Armando, maresciallo d'Italia. 494, 501507 Diaz-Wilson. accordo, 515 Dichat, Giovanni Gaspare, tenente colonnello sardo. 311 Diedo, Marco Antonio, ammiraglio veneziano, 238 Diedo, Pietro, provveditore generale veneziano, 168 Dirigibile Italia, 524 Dirigibile Norge, 524

97° DL~tretto Militare (RSJ), 612 nota 39 Australia 6• Divisione, 582 9" Divisione, 585, 586 Austria Divisione Neipperg, 375 nota I, 380 Divisione Wocher, 398 Francia 6° Divisione, 637 Divisione d'Estrées, 362 Divisione Delzons, 361 Divisione Grenier, 363 Divisione Macdonald, 328 Divisione Massena. 314 Divisione Reynier, 347 Divisione Serurier, 309, 311 Germania 2• Divisione Paracadutistj, 595, 596 3' Divisione Corazzata, 595 15• Divisione Corazzata. 584, 586 I 5' Divisione, Panzergrenadieren. 589 nota I , 590 2 I • Divisione Corazzata, 584, 586 90' Divisione Leggera. 584,588, 598 175' Divisione, 603 Divisione Hem1ann Goering. 589 nota I . 590 Grecia 4° Divisione, 570 8' Di visione, 569 Inghilterra t• Divisione Corazzata, 586 nota 37. 631 2' Divisione. 6 I2 4' Divisione (anglo-indiana), 563. 564. 585. 586 5' Divisione (anglo-indiana). 564, 565 7' Divisione Corazzata, 586 nota 37 IO' Divisione Corazzata, 586 nota 37 51° Divisione. 586 Italia · RSJ Divisione Alpina Monte Rosa. 601 nota 16,603 Divisione Etna, 602 nota 18 Divisione Fanteria di Marina San Marco, 60 I nota 16,602,603 Divisione Granatieri Littorio. 60 I nota 16. 603 Divisione Italia, 60 I nota 16, 603 Divisione Vesuvio, 602 nota 18 Divisione X MAS, 603 Italia CTV 1° Divisione. Dio lo vuole, 546,547 2• Divisione, Fiamme Nere, 546. 547,549 3' Divisione, Penne Nere, 546, 547 4' Divisione, Littorio, 546,547. 549. 556 Divisione Frecce, 549, 550 Italia 2• Divisione, Alpina, Tridentina, 576, 581, 597 3' Divisione, Alpina. Julia, 576. 581


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INDICI

4' Divisione, Alpina, Cuneense. 576-581 5' Divisione, Alpina, Pusteria, 573 6' Divisione, Alpina, Alpi Graie, 597 I' Divisione. d'Assalto, 490 nota 13,519 2' Divisione, d'Assalto, 490 nota 13 Divisione Camicie Nere, Tevere, 533

I' Divisione Camicie Nere, XXIII marzo. 548550 2' Divisione, Camicie Nere, XXVTII Ottobre, 528,530 3" Divisione, Camicie Nere. XXI Aprile, 528 2• Divisione, Celere, Emanuele Filiberto Testa di Ferro, 597 3" Divisione. Celere, Amedeo Duca d'Aosta, 576, 577,579 2' Divisione, 518 2' Divisione, Sforzesca, 576,577, 579 3" Divisione, 470,496, 497 3' Divisione, Meccanizzata, 631 3' Divisione, Ravenna. 576, 577. 579 4' Divisione. 429,436,481,518 4' Divisione, Livorno. 589 nota I, 590 5° Divisione, Cosseria, 576, 577, 579 6' Divisione, Cuneo, 597 7' Divisione. 429, 430, 437 7' Divisione. Lupi di Toscana, 595 8' Divisione, 4%, 497,518 9' Divisione, Pasubio, 576, 579 10• Divisione, Motorizzata Piave, 594-596 11" Di vis.ione, Brennero, 442 nota l, 597 12' Divisione, Sassari, 442,574, 595,596 13' Divis ione, 429,430 13' Divisione, Re, 574,595,596 14" Divisione, Isonzo, 574 I 5' Divisione, Bergamo, 597 16' Divisione, 437 17° Divisione, Pavia, 584 nota 33, 586 18' Divisione, Messina, 572, 573 19' Divisione, Venezia, 569,573,597 20" Divisione, Friuli, 594, 598 nota 12, 6 IO, 618. 619 21' Divisione, Granatieri di Sardegna. 554,574, 592, 594-596, 618, 619, 630 nota 6 22" Divisione, Cacciatori delle Alpi. 573, 574 24' Divisione, Pinerolo, 597,618.619 25' Divisione, Bologna, 586 26' Divisione, Assietta, 589 nota l , 590 27' Divisione, Brescia, 584 nota 33, 586 28' Divisione, Aosta, 589 nota I, 590, 614, 618, 619 29' Divisione, Piemonte. 569 30' Divisione, Sabauda, 528,534,613 nota l. 614 31' Divisione. Calabria. 6 14 32' Divisione. Marche, 572, 573, 597 33' Divisione, 515 nota 8

33' Divisione. Acqui, 597 34' Divisione, 485 35' Di visione, 499 36' Divisione, Forll, 597 38' Divisione, 519 38' Divisione. Puglie, 573 41' Divisione, Firenze, 573 44' Divisione. Cremona. 598 nota 12. 610,618, 619,630 nota 6 48' Divisione, Taro, 573 49' Divisione, Parma, 569 so• Divisione. Regina, 560,571, 597 51" Divisione, Siena, 570 52' Divisione, 490 52" Divisione, Torino, 572, 576, 579 53' Divisione. Arezzo. 569 54' Divisione, Napoli. 589 nota I 56" Divisione, Casale, 597 57' Divisione, Lombardia, 574 58' Divisione, Legnano, 600,618,619,630 nota 6

60" Divisione, Sabratha, 584 nota 33 80" Divisione, La Spezia, 587 8 l • Divisione, 519 l01' Divisione, Motorizzata Trieste, 584 nota 33,

587,618,619 102• Divisione, Trento, 584 nota 33, 586 103' Divisione, Piacenza, 594, 595 113' Divisione, Corazzata Littorio, 572. 586,594 nota 7

13 1' Divisione, Corazzata Centauro. 572,594 nota 7. 618. 630 nota 6 Divisione Corazzata Centauro II, 595 132' Divisione, Corazzata Ariete, 584, 586. 618, 630 nota 6 135" Divisione, Corazzata Ariete, 594-596, 605 152' Divisione, Piceno. 600 153' Divisione, Macernta, 574 154' Divisione, Murge, 574 155' Divisione. Emilia, 597 156' Divisione, Vicenza, 576, 579 Divisione Avellino, 618,619 Divisione Folgore, 618,619,630 nota 6 Divisione Gavinana, 528 Divisione Mantova, 618,619,630 nota 6 Divisione Peloritana, 532 Divisione Pozzuolo del Friuli, 6 I8 183' Divisione, Paracadutisti Ciclone, 583 nota 30 l 84' Divisione, Paracadutisti Nembo, 583 nota 30,608 I 85' Divisione, Paracadutisti Folgore, 583 nota 30,587 202' Divisione, Costiera. 589 nota 1 206' Divisione. Costiera. 589 nota I, 590


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OLI ITALIANI IN ARMI

207' Divisione, Costiera. 589 nota I 208' Divisione, Costiera, 589 nota J 209' Divisione, Costiera, 600 210' Divisione, Costiera, 600 213' Divisione, Costiera, 589 nota I 220• Divisione, Costiera, 595 221' Divisione, Costiera. 595 225' Divisione, Costiera, 598 nota 12 226' Divisione, Costiera, 598 aota 12 Divisione Africa, 560 Divisione Speciale Granatieri di Savoia, 537, 540,560,564 205' Divisione Ausiliaria, 614 209" Divisione Ausiliaria, 614 210' Divisione Ausiliaria. 608 nota 33, 614 227' Divisione Ausiliaria, 614 228' Divisione Ausiliaria, 614 230' Divisione Ausiliaria, 614 231' Divisione Ausiliaria, 614 4' Coloniale, (eritrea) 564 Regno Italico 2" Divisione di Riserva Divisione Bonfanti, vedi Divisione di Rise;va Divisione di Riserva, 357 nota 26, 369 nota 44 Divisione Fiorelli, 357 nota 26 Divisione Fontanelli, 347,356 nota 26. 363 nota 34,364 Divisione Fresia. 364 nota 35 Divisione Lechi, 341. 347, 354-356. 357 nota 26, 359 nota 29, 369 nota 44 Divisione Palombini, 369 nota 44, 370 Divisione Peyri,363 nota 34, 364 Divisione Pino, 346 nota 2, 356, 359 nota 29,362 Divisione Severoli, 357,359 nota 29 Divisione Teulié, 348 Divisione Zucchi (6'), 370 Napoli I' Divisione Statella, 405 nota 2 2' Divisione Nicoletti, 405 nota 2 Nuova Zelanda 2' Divisione, 586. 588 Polonia Divisione Carpatica, 6 ll Russia 14' Divisione, 577 197' Divisione, 577 203' Divisione, 577 Sardegna I" Divisione, 399,403, 419 2' Divisione, 399. 403. 419 3' Divisione, 399,403.419 4' Divisione. 399. 403. 430 5' Divisione, 403,419 Divisìot1e Broglia di Casalborgone, 398, 399 Divisione D' Arvillars, 398. 399

Divisione di Riserva. 403 Divisione (pontificia) Durando, 398 Divisione Federici, 398, 399 Divisione Garetù di Ferrere, 398, 399 Divisione Speciale di Riserva, 398, 429 Divisione (lombarda) Perrone, 402, 403 Divisione (lombarda) Visconti, 402 Spagna Divisione (internazionale) d'uno Lister. 550 34' Divisione (repubblicana), 549 Divisione (nazionalista) Grado, 549 nota 9 Stati Uniti 1• Divisione Corazzata, 611 Divisione Navale, vedi Marina (italiana).Regia Marina, o Marina Militare, Divisione Navale Doctorov, generale russo, 361 Dogliani, Giuseppe Lodovico Solaro di Moreua marchese di, generale sabaudo, I I 7, 132 Dolfin, Daniele, ammiraglio veneziano, 192, 194,197,236 Dollfuss, Engelbert, cancelliere austriaco. 525 Dombrowsky. generale polacco, 345 Doria famiglia, 72, 183 Doria, Andrea, ammiraglio get1ovese, 23. 29. 30. 36,37,39,40,42,43,47-49,5 1,54-57,61. 64,65, 72,89 Doria, Antonio, generale genovese, 39 nota 19 Doria, Filippino, ammiraglio genovese, 40, 72 Doria, Gerolamo. o Giangerolamo. generale genovese, 117, 118 Doria Giannandrea, ammiraglio genovese, 65, 83 nota 7 84 nota 9, 85, 86, 90, 94 Doria, Giannettino, capitano di mare genovese. 51. 54-56 Doria, Giorgio, generale genovese, 79. 80 Doria, Giuseppe Maria, commissario generale di Genova, 290, 293 Douhet. Giulio, generale italiano. 517 Dragut, pirata mussulmano, 64 Dreadnought. 462 Du Paty, magistrato francese, 330 Duca degli Abruzzi, vedi Savoia-Aosta Duhesme. conte Filippo GugLi.e lmo. generale francese. 335. 355 Dupont. Pietro, conte de I ' Etang. generale francese, 340. 345,354 Duquesne, Abramo. ammiragl io francese, 181, 183 Durac, corsaro mussulmano, 174 Durand, colonnello veneziano, 123 Durando. Giacomo, generale italiano, 398, 412 Edoardo VU . re d'Inghilterra, vedi Battenberg, E.I.A.R., 594 Elena, regina d'Italia. vedi Montenegro. Elena


INDICI

Elisabetta regina di Spagna. vedi Famese, Elisabetta Emanuele Filiberto I duca di Savoia, vedi, Savoia Erno, Angelo, ammiraglio veneziano, 301 Enghien, Signor d'. generale francese, 52 Enrico LI, re di Portogallo, vedi Braganza Enrico lll, re di Francia, vedi Valois Enrico IV. imperatore, vedi Hohenstaufen Enrico rv, re di Francia. vedi Borbone Enrico vn, re d'Inghilterra, vedi Tudor Enrico VlTI. re d'Inghilterra. vedi, Tudor Epemon, duca d', 91-93 Ercole TI, duca di Ferrara, Reggio e di Modena. vedi Este Eroe dei Due Mondi, vedi Garibaldi Giuseppe Esercito Nazionale Repubblicano (italiano), 60 I Esercito dei Vosgi. 442-444 Esercito lnfemale, vedi Armata Patriottica Esercito Meridionale, 425-428 Esercito Nazionale (1831). 391 Esercito Volontario dell'indipendenza Siciliana, 614 Espolena, don Bernardo d', ambasciatore spagnolo, 244 Este famiglia. l03, 256 nota 2 Este, (Austria-Este) Ferdinando Carlo Vinorio d', principe, 385 Este, (Austria-Este) Francesco Ferdinando d', arciduca, 476 Este, (Austria-Este) Francesco TV d', duca di Modena, 366,384,385 Este. Alfonso Id', duca di Ferrara, 31-33, 39, 40. 94 Este. A Ifonso principe d' generale modenese, I00 Este, cardinale d', I 56 nota I Este, Cesare d", duca di Modena e Ferrara. 94 Este, Ercole Il d". duca di Ferrara, Reggio e Modena. 63, 66 Este, Francesco Id', duca di Modena. 155- 158. 165 Este, Francesco IU, d', duca di Modena, 267,269 Este, principe Luigi d ' . generale modenese, 100. l01, 125, 130, 135 Este, Maria Beatrice d'. duchessa di Massa e Carrara, 374 Este. Rinaldo W d'. duca di Modena, 218. 232. 233,256 Estrées, cardinale d' 185 Estrées, Francesco Annibale I, duca d", maresciallo di Francia, I 85 Etampes-Valençay. Achi Ile d ·, cardinale e generale francese a.I servizio pontificio. 139 EuroFor, 63 I EuroMarFor. 631

745 Euromissili, vedi Cruise Evens, Cornelio ammiraglio olandese. 181 EVIS, vedi Esercito Volontario dell'Indipendenza Siciliana Fabbri. don Guerrino, cappellano militare italiano. 611 nota 37 Facta, Luigi ministro italiano, 516 FAlS.631 Faldella, Emilio, generale italiano, 484 nota 5, 547 Falkenhayn, Enrico von, generale tedesco, 483, 500 Fanti, Manfredo. generale italiano, 420 Fara. Gustavo, generale italiano. 453 Faravelli, Luigi. ammiraglio italiano. 469 Fardella. Giovan Battista, Maresciallo di Campo napoletano e generale delle Due Sicilie. 313 Farello, colonnello italjano, 540 Parini, Luigi Carlo. ministro italiano, 435 Famese famiglia. 45, 56, 57, 66. 137, 138. 185 Famese. Antonio, duca di Parma. 244, 245 Farnese, Elisabetta, regina di Spagna, 241-244, 254,255,261 Farnese, Francesco, duca di Parma, 218, 232. 233,242,243 Famese. Odoardo I, duca di Parma, 129- 132, 137, 141, 155 Famese, Orazio. 58 Famese. Ottavio. duca di Parma. 45, 56-58 Famesc, Paolo m papa. 45, 46, 50-54, 56, 57, 65 Famese, Pierluigi, duca di Parma, 45, 46, 53. 55, 56 Famese, Ranuccio a, duca di Parma, 155 Fascismo. vedi anche Partito Nazionale Fascista. 333 Fassini-Camossi, Gustavo, colonnello italiano, 513 nota 3 FayoUe, maresciallo di Francia. 495 Federati. 389 Federico I imperatore, vedi Hohenstaufen Federico li di, re di Prussia vedi Hohenzollem. Federico il Grande, vedi Hohenzollem Federico V, elettore palatino, vedi, Wittelsbach Federzoni, Luigi, ministto italiano. 519,520 Felts, Colonna. barone di, generale spagnolo, 68 Fenoaltea, politico italiano, 604 nota 24 Fenoglietti, colorrnello italiano, 637 nota 31 Fenulli. Darclano, generale italiano, 605, 606 Fequières. Charles generale francese, 200 Ferdinando Carlo, duca di Mantova, vedi Gonzaga- Nevers Ferdinando I de'Medici, vedi Medici Ferdinando I re delle Due Sicilie, vedi Borbone Ferdinando IV di. re di Napoli Ferdinando li, re delle Due Sicilie, vedi Borbone


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GLI ITALIANI IN ARMI

Ferdinando li, granduca di Toscana, vedi Asburgo-Lorena Ferdinando IV, re di Napoli, vedi Borbone Ferdinando IV, re di Spagna, vedi Borbone Ferdinando VII. re di Spagna, vedi Borbone, Ferdinando, arcìduca di Stiria, vedi. Asburgo Ferdinando, arciduca, vedi Asburgo Feria. duca di, governatore di Milano. 90 112, 114-120 Femamont, conte de, generale austriaco, 129. I30 Ferrara, Arturo, generale italiano, 621 Ferrari, Andrea, generale pontificio. 398 Ferrari, Sigismondo, ingegnere modenese, 384, 385 Ferrarin, Arturo, pilota italiano, 524 Ferrero, Giacinto, generale italiano, 510 Ferrero. Guglielmo, storico italiano. 308 nota 8 Ferretti, priore di Malta, ammiraglio pontificio, 235, 237 nota 5 Ferri, Ferdinando, uditore giudiziario partenopeo, 336, nota 7 Ferrucci, Francesco, generale fiorentino. 41 Fiat, Società industriale, 557 Fieramosca, Ettore. capitano italiano, 40 Fieschi famiglia, 30, 55, 56. 77, l 83, 184 Fiesch.i, Gerolamo, 55 Fieschi, Gianluigi, 54, 55 Filangieri, Carlo. generale murattiano e delle Due Sicilie, 375. 405, 406 Filiberto Il, duca di Savoia, vedi. Savoia Filippo I, duca di Pam1a, vedi Borbone, Filippo I di, infante di Spagna e duca di Parma Filippo II d'. re di Spagna, vedi Asburgo Filippo lll, re di Spagna. vedi Asburgo Filippo IV. re di Spagna, vedi Asburgo Filippo V re di Spagna, vedi Borbone Filomarino. Ascanio, cardinale arcivescovo di Napoli, 148 Filzi, Fabio, ufficiale italiano. 486 Finoccbiaro Aprile, Andrea, politico italiano, 614 Fiorella, Pasquale Antonio. generale italico, 3 I 9, 347 FlR, vedi Forza d'Intervento Rapido Fisson, Carlo De colonnello toscano. 341 Fitz-James. James, duca di Berwick. maresciallo di Francia, 228, 231 Flangini. Lodovico. ammiraglio veneziano. 238 F!eury. Ercole. cardinale de, ministro francese, 253.254.262 Fleury, Emilio, generale francese. 420 Fleury. marchese de, 16 I Flotow, ambasciatore tedesco, 477 Foch, Ferdinand. maresciallo di Francia. 494. 501-503 Foix. Gaston de, generale francese. 33

Fongoli, generale italiano, 563 Fontana, Luigi, generale italiano, 634 Fontanelli, Achille, generale e ministro italico, 363 nota 34, 3 71 FoPi vedi Forza di Pronto Intervento Forlani, Alessandro, generale italiano. 640 Fomari, Commissario Generale genovese, 78. 79 Forteguerri, Bartolomeo, ammiraglio napoletano, 305 Forza d'Intervento Rapido, 630 Forza di Pronto Intervento, 630 nota 8 Forza di Reazione Rapida. vedi NATO, MND Foscarini, Girolamo, capitano generale da Mar. 169 Foscolo, Leonardo, provveditore generale veneziano, 167, 169, 176 Foscolo. Ugo. poeta e ufficiale cisalpino. 339 nota 31 Poucbet, Josepb, politico francese, 355, 357 Fouquet, Carlo, Luigi. Augusto. de Belle-lsle, maresciallo di Francia, 283 Fouquet, cavaliere de Belle-lsle. generale francese. 283. 284 Fra Diavolo. vedi Pezza, Michele Francesco Ferdinando d'Asburgo. vedi Este (Austria Este) Francesco Giuseppe I. imperatore, vedi Asburgo Francesco I. duca di Modena, vedi Este Francesco I Stefano, duca dj Lorena, granduca di Toscana e imperatore. vedi Lorena Francesco I, re delle Due Sicilie, vedi Borbone, Francesco l, re di Francia vedi Valois Francesco Il. re delle Due Sicilie, vedi Borbone Francesco ID, duca dj Parma, vedi Fa.mese Francesco IV. duca di Modena, vedi Este (Austria-Este) Francesco, duca di Mantova. vedi Gonzaga Franche! d'Esperey. Felice, maresciaUo di Francia, 499 Franchetti. generale italiano, 520 Francia Libera, 565 Francisci, Enrico. console generale della MVSN italiano, 546 Franco. Bahamonde, Francisco, generale e dittatore di Spagna, 543, 547-550 Frediani. Simon Pietro, politico corso, 290 nota

5 Fregoso, Aurelio. politico genovese, 77 Fregoso. Giano. doge di Genova, 30 Fregoso, Ottaviano, generale genovese, 36 Fresia, Maurizio, generale italiano al servizio francese, 364 nota 35 Frimont, conte Giovanni Maria, generale austriaco, 379. 388,389,391 Frisone. Pietro, generale italiano, 641


INDICI

Fronsac, duca de, ammiraglio francese. 141 Frugoni, Pietro, generale italiano, 485 Prundsberg, Georg von, condotùero tedesco, 39 Frusci, Luigi, generale italiano, 549 Puensaldai'ia, generale spagnolo. l 57, 158 Puentes, Pietro Enrico de Azevedo, conte di, governatore di Milano. l OI, ll 3 Fiirstenberg, cardinale, 203 G 7, 643 Gabetti Giuseppe, capomusica I fanteria, 394 nota 19 Gabrè Ali, muntaz eritreo, 567, 568 Gadda, Carlo Emilio, scrittore italiano, 479 Gaffori, Giampietro, politico corso, 287, 289 Gages, Giovanni Thierry du Mont de , generale vallone al servizio spagnolo, 270, 272, 276, 278 Galasso, conte Mattia, generale italiano al servizio imperiale. 112, 122, 125, 149 Galla Borana. popolazione etiopica, 533 Gallas, conte Mattia, generale austriaco, 149 Galliano, Giuseppe, tenente colonnello italiano, 455 nota 13, 457 Gallina. Sebastiano, generale italiano, 534, 538 Galloway, lord Henri De Mascue, generale francese al servizio inglese, 213 nota 8 Gall witz. generale tedesco, 506 Gambara famiglia, 316 Gambara, Gastone, generale italiano, 550 Garat, Domenico Giuseppe, ambasciatore francese, 326, 327 Garibaldi, Bruno, 497 nota 17 Garibaldi, Costante, 497 nota 17 Garibaldi, Giuseppe detto "Peppino", generale italiano, 497 Garibaldi, Giuseppe, generale sardo e italiano, detto "Eroe dei due Mondi", 333. 391-393, 406-409, 415,417,419.420, 423-430, 432. 436,442-444 Garibaldi, Menotti, generale garibaldino, 432 nota 4, 440, 442 nota 3, 443 Garibaldi. Ricciotti, generale garibaldino. 442 nota 3,443,459,476 nota 7 Gariboldi, Italo, generale italiano, 534, 583 Garioni. Vincenzo. generale italiano, 460,461 Gattinara, Mercurino Arborio di, ministro imperiale, 36-38, 46 Gaumont, signore De, Amba.c;ciatore francese, 178 Gauthier. generale francese, 339 Gaz.zera, Pietro, generale italiano, 517 nota 16, 566 Geloso, Carlo, generale italiano, 538, 569, 571 Gemayel, Bechir, presidente libanese, 623 Gendarmeria (ligure), vedi Battaglione (ligure) di Gendarmeria

747 Gendarmeria (lucchese), vedi Real Gendarmeria (lucchese) Gendarmeria (pontificia), 433 nota 5 Gendarmeria Cretese, 460 Gendarmeria della Repubblica Romana, 326 Gendarmeria Italica, 352,353 Gendarmeria Macedone, 476 nota 6 Genè, Carlo, generale italiano, 451, 452 Gennaro, Marcantonio di, MaStro di Campo napoletano al servizio spagnolo, 180 Gentili, Alfonso, capitano genovese, 78 Geppert. generale austriaco, 375 nota 1, 376, 388, 391 Ghislieri, San Pio V, papa. 80, 84 nota 9, 88 Giacomo a, re d'Inghilterra, vedi Stuart Giafferri, Luigi. politico corso, 248, 251 Gianavello, Enrico, combatlente valdese. 160. 161. 200 Giangastone I, granduca di Toscana, vedi Medici Giarello, colonnello corso, 248 Gidoni, Francesco, console italiano, 546 Giesl, Vladimiro, von Gieslingen, ambasciatore austriaco. 477 Gifflenga, Alessandro de Rege, generale francese e sardo. 369. 370 Giglioli , E .. generdle italiano, 572 Gilliaert, generale belga. 566 Ginetti, nunzio. 148 Gioanniti. cavalieri, vedi Malta, Ordine di Giolitti, Giovanni, ministro italiano. 448, 469, 578,510,513 Giorgio J d' , Elettore d ' Hannover e re d ' lnghilterra, vedi Hannover Giorgio JJ d', Elettore d'Hannover e re d'lnghilterra, vedi Hannover Giornali. n Corriere della Sera, 469 L'Avanti, 479 La Perseveranza, 423 Giovane Italia, 390, 391 Giovanna Battista, Madama Reale, duchessa reggente di Savoia, vedi Savoia- Nemours Giovannetti , Giuseppe. generale italiano, 641 Giovanni d'Austria. vedi Asburgo. Giovanni d', detto don Giovanni d'Austria, figlio di Carlo V oppure, figlio di Filippo lV Giovanni, negus d 'Etiopia, 452,455 Gironda, principe di Canneto, maresciallo napoletano, 328 Giuliano, Salvatore, bandito italiano. 614 Giulini, Cesare, nobile lombardo. 415 Giulio Il papa, vedi Della Rovere Giulio m, papa, vedi Del Monte Giuseppe I re di Napoli, poi re di Spagna, vedi Buonaparte


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OLI ITALIANI IN ARMJ

Giuseppe I, imperatore, vedi Asburgo Giustiniani, ambasciatore veneziano, 33 Giustiniani, Francesco, capitano genovese, 65 Giustiniani, Marc'Antonio, doge di Venezia, 193 Giustiniarti, Pompeo, generale veneziano, 105 Giustiniani, Raffaello, generale genovese. 79 Givry, generale francese balì di Malta, 274 Godoy, Manuel, detto "r! Principe della Pace", ministro spagnolo, 349 Goglia, Ferdinando von, feldmaresciallo austriaco, 503 Gonzaga famiglia. 43, 77, 103. 104, 125 Gonzaga. Ferdinando, reggente di Mantova, l03 Gonzaga, Ferrante I, duca di GuastaUa, 43 nota 22. 55-58 Gonzaga Ferrante Il, duca di Guastalla, 121 Gonzaga, Francesco, duca di Mantova. 103 Gonzaga, Francesco, o Gianfrancesco, marchese di Mamova. 23 Gonzaga. Maria. 103, 121 Gonzaga. Vespasiano, 66 Gonzaga. Vincenzo duca di Mantova. l04, 107. 117,120,121 Gonzaga-Nevers famiglia, 121. 122,231 Gonzaga-Nevers. Carlo. duca di Mantova, 120. 121, 124, 125. 148,156 Gonzaga-Nevers, Ferdinando Carlo, duca di Mantova, 188 nota 9. 213, 218, 219 Gorbacev, Mikhail, dittatore sovietico, 626 Gordon, Carlo Giorgio, generale inglese, 453 Gouvion Saint-Cyr, marchese Lorenzo. generale francese. 341 Govone, Giuseppe. generale italiano, 437 Gracia Réal, marchese de, vedi Grazia Reale Gramsci, Antonio, politico italiano, 627 Gran Capitano. vedi Cordova, Consalvo di, Gran Condè, vedi Borbone, Luigi Il di, Gran Parco (italico) d'Artiglieria, 359 Grande Armata (francese). 346 Grandi, Dino. diplomatico italiano. 593 Grazia Reale, marchese di, 260 Graziani, Victor, generale francese, 505 Graziani. Rodolfo. maresciallo d'Italia, 448. 519521. 532-535, 537-539, 555,561. 563. 568. 581-583, 601 Grazioli, Francesco, generale italiano. 460 Gregorio XIII. Buoncompagni, papa. 88, 89 Gregorio XIV, papa. vedi Sfondrato, Gregorio Gregorio XV, papa, vedi Ludovisi Gribeauval, Gian Battista de, ufficiale francese, 308 Grigioni, vedi all'indice dei luoghi «Grigioni» Grimaldi. Carlo, politico corso, 290 nota 5 Grimaldi, Jacopo o Giangiacomo, Commissario Generale. 289-292

Grimani, cardinale, Vincenzo ambasciatore imperiale. 20 I, 204 Grimani, capitano da Mar veneziano. 26, 48 Grimani, Giovan Battista, capitano generale da Mar veneziano, 167 GropeUo. Giovan Battista, conte di Borgone ministro sabaudo, 210-213 Grosso, Francesco. politico genovese, 90 Grouchy, Emanuele, maresciaJlo di Francia, 323 Gruppo (albanese) Skanderbeg, 573 Coloniali Gruppo Battaglioni Eritrei, 534 Gruppo Bande Amhara, 563 Gruppo Bande Criniti, 529, 540 Gruppo Bar1de Farello, 540 Gruppo Bande RoUe. 540 Gruppo squadroni ili CavaJleria Coloniale, 564 Gruppo squadroni IV Cavalleria Coloniale. 564 XV Gruppo Squadroni Cavalleggeri di Neghelli. 537 nota I V Gruppo Artiglieria IV Gruppo (volontario) Autonomo Camicie Nere. poi IV Gruppo (spagnolo) Baaderas. 546, 548 V Gruppo (volontario) Autonomo Camicie Nere, poi IV Gruppo (spagnolo) Banderas, 546, 548 10° Gruppo Alpini, 496 I° Gruppo Alpini Valle, 573 II° Gruppo Alpini Valle, 573 Gmppo Alpini Manfredini. 597 IV Artiglieria Someggiata, 608 aota 34 V Artiglieria Someggiata, 564, 608 nota 34 XTI Artiglieria da Campagna, 607 nota 30 crv Artiglieria coloniale, 564 CVI Artiglieria coloniale, 564 Artiglieria da Montagna Pinerolo. 63 I nota 9 Artiglieria da Montagna Valcamonica, 579 AVES Giove, 637 nota 33 Gruppo Battaglioni Camicie Nere Diamanti, 530 Gruppo Battaglioni Nazionali, 534 Gmppo di Combattimento Cremona, 610. 61 I , 613 Gruppo di Combattimento Folgore, 610. 61 I. 6 I 3 Gruppo di Combattimento Friuli, 610,611.613 Gruppo di Combattimento Legnano, 610, 61 I, 613 Gruppo di Combattimento Mantova, 610, 613 Gruppo di Combattimento Piceno, 610, 613 Gruppo Divisioni Libiche, 582 24° Gruppo Logistico, 640 nota 36 Gruppo Tattico Susa, 631 Gruppo Territoriale Carabinieri in Somalia. 621 RSI IX Gruppo Artiglieria PC. 611 nota 38


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fNDlCI

XJl Gruppo Artiglieria PC, 61 I nota 38

XIII Gruppo Artiglieria PC, 612 nota 39 XIV Gruppo Artiglieria PC, 612 nota 39 Spagna IV Gruppo Banderas V Gruppo Banderas Austria Gruppo Armate Arciduca Eugenio, 484. 485 Gruppo Armate Arciduca Giuseppe. 503 Gruppo Armate Boroevic, 495,501,503 Gruppo Armate Conrad, 50 I, 502 Gruppo Armate von Goglia, 503 Italia Gruppo Armate Est, 560 Gruppo Armate Ovest, 560,561 Gruppo Armate Sud. 560 Germania Gruppo Armate C, 61 O Gruppo Corazzato Ens. 589 Guardia Reale Albanese, 554 Guardia ducale di Mirandola, 298 Guardia alla Frontiera, 574 Guardia di Finanza, (vedi Regia Guardia di Finanza), 628. 636. 640,652 Guardia Regia. vedi Regia Guardia per la pubblica sicurezza Guardia Civica di Gorizia, 6 I 2 Guardia Civica di Trieste. 612 Guardia del Presidente (Italica), 345 Guardia Reale Italiana (Italica), 347 nota 3, 348, 352 nota 14. 353. 354. 357,359 nota 29. 360, Guardia Reale (napoletana. borbonica), 386 Guardia Reale (napoletana, murattiana). 354,360 nota 30,375 Guardia Civica Romana, 398 Guardia di Finanza (pontificia), 324, 38 I. 433 nota 5 Guardia di Finanza (toscana) o Corpo della Real Guardia di Fmanza, 382 Guardia d'Onore, 348, 353, 359 nota 29 Guardia dei Trabanti, vedi Real Guardia di Palazzo (lucchese) Guardia Nazionale piemontese (giacobina), 338 Guardia Nazionale (Cispadana), 319 Guardia Nazionale (Cisalpina), 34 I Guardia Nazionale (italiana), 345,347, 353,433, 444

Guardia Nazionale (ligure), 339 Guardia Nazionale (napoletana), 405 Guardia Nazionale (parmense), 384 Guardia Nazionale (partenopea), 334 Guardia Nazionale (veneta), 3 I 8 Guardia Nazionale Repubblicana, 60 I, 602. 6 I I nota 38 Guardia Nobile di Sua Santità, 66 nota 33. 351 nota 13,381

Guardia Nobile (toscana). 380 Guardia Reale del Corpo (toscana) o Real corpo degli Anziani all'imperial regio palazzo Pitti, 380 Guardia Regia. vedi Regia Guardia per la pubblica sicurezza Guardia Svizzera di Sua Santità, 71,351 nota 13, 381 Guardia Svizzera di Lucca, 298 Guardia Urbana (di Torino). 376 nota 3 Guardia Urbana (lucchese), 383 Guardia Urbana (modenese), 383 Guardia Urbana (parmense), 383 Guardie del Benadir, 466 Guardie del Corpo (estensi), 267 nota 2, 269 Guardie del Corpo (lucchesi) vedi Real Guardia Nobile del Corpo (lucchese) Guardie del Corpo (napoletane borboniche). 259, 386 nota 12 Guardie del Corpo (sabaude), 2 19 nota I Guardie del Corpo (toscane) vedi Real Guardia del Corpo (toscana). Guardia Nobile (toscana), Guardia Reale del Corpo (toscana) o Real corpo degli Anziani all'imperial regio palazzo Pitti. Guardie del Corpo di Parma, vedi Compagnia (parmense) delle Reali Guardie del Corpo a Cavallo Guardie di Città, vedi Corpo delle Guardie di Città Guasco, Ludovico, capitano italiano al servizio spagnolo, 117, 130 Guasconi, Giovacchino, capitano fiorentino al servizio senese, 60 Guassardo. colonnello italiano, 545 Guastaldi, ambasciatore di Genova. 276 Guglielmo !, imperatore di Germania, vedi Hohenzollern Guglielmo 11, imperatore di Germania, vedi Hohenzollem Guglielmo m. re d'Inghilterra, vedi Orange. Guicciardini, Francesco, storico e diplomatico fiorentino. 38 Guidi, marchese Cammillo, ammiraglio toscano, 327 nota 5 Guillet. barone Amedeo, generale e diplomatico italiano. 563, 564, 566 nota I 3, 567 Guindazzo, Antonio, mastro di campo napoletano al servizio spagnolo, 180 Guisa. duca di, vedi Lorena, Enrico di Guisa, duca di, 94 Guisa. Francesco duca di, 63, 66, 67 Gustavo Adolfo, re di Svezia vedi Wasa Guzzoni, Alfredo, generale italiano. 552. 589,

590


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GLI ITALIANI IN ARMJ

Gyulai, Francesco. feldmaresciallo austriaco, 415,417,419 Hailè Selassiè, imperatore d' Etiopia, 532, 567 Hailù Chebbedè, deggiac etiopico, 529 Halai. 452 Halder, Franz, generale tedesco, 575 Halifax, Lord. ministro inglese, 541 Hannover, Giorgio Id', Elettore d'Hannover e re d'Inghilterra, 232 Hannover, Giorgio Il d', Elettore d'Hanraover e re d'Inghilterra, 254, 266, 276, 288 Harcourt, Enrico conte d', ammiraglio e generale francese. 134-136 Hassan, capitan pascià. detto "Mezzomorto", 194. 195,197 Hassan, sultano arabo, 451 Hawke, amnùraglio inglese, 292, 293 Haynau, barone Giulio, generale austriaco, detto "La jena di Brescia", 406 Hidalgo, Stefano, generale italiano, 453, 454,455 nota 13 Hiller barone Giovanni, generale austriaco, 369 Hindeburg, Paul von Beckendorf, feldmaresciallo tedesco, 491, 496, 500 Hintera, popolazione somala, 467 Hitler, Adolf, di11atore tedesco, 525,543,551, 559, 560, 568 nota 16, 571, 574-576, 591593, 60 I, 606 Hogia, Janum, capitan pascià, 235 Hohenstaufen, 13 Hohenzollern, Federico II di, re di Prussia, detto "Federico il Grande'', 18, 152,265,266,275, 277,292,476 Hohenzollem, Guglielmo I di, re di Prussia e imperatore di Germania, 414 Hohenzollern, Guglielmo II di, re di Prussia e imperatore di Germania, 474. 503, 506, 507 Hèitzendorff, Franz, Conrad von, generale austriaco, 473-475, 480,483, 485,487, 495, 500,501 Hilbner, Giuseppe Alessandro barone von. ambasciatore austriaco, 415 Hugo, Victor, scrittore francese, 444 Hussein, pascià turco, 168 lbarruri, Dolores, politica spagnola. detta "Pasionaria", 547 Ibrahim, Serrascbiere turco, 193, 195 Ibrahim, sultano arabo, 45 I Ibrahim, sultano di Turchia, 168 Jdaques, don Alonso, generale spagnolo, 93 nota 19 ldris, gran Senusso, 519. 520 Ilari, Virgilio. professore e storico militare italiano, 604 nota 23 lmmirù, ras etiopico. 528, 529 Imperiali-Lercaro, Francesco Maria, doge di Genova, 185

Infante, Cardinale, vedi Asburgo, Ferdinando d', Innocenzo XI. vedi Odescakhi Innocenzo XIl vedi Pignatelli lnojosa. governatore di Milano, I 03, 104, 106, 107 Invrea, Stefano, politico genovese, 89 IOPG, 642 IPTF.637 Italair, 621 Italico, Regno, vedi nell'indice dei luoghi, Italia, Regno (napoleonico) di, Jachino, Angelo, ammiraglio italiano, 539 nota 4 Jackson. generale inglese, 641 Jacopo V. vedi Appiani, Jacopo VI, vedi Appiani Jaeger, Pier Giusto, avvocato e storico italiano Jahier, Bartolomeo, predicatore, 159-160 Jancoun. signor de, generale francese, 300 Janus Bey, 46, 47 Jean, Carlo. generale italiano, 638 Jena di Brescia. vedi Haynau Joffre. Giuseppe, maresciallo di Francia, 482 Jouben, Bartolomeo, generale francese, 323 K-For, 641 Kair ed Din, pirata mussulmano, dello "Barbarossa", 46-51 Kanzler. Ermanno, generale pontificio. 440. 44 I Keitel, Wtlhelm von, feldmaresciallo tedesco, 570 Kellerrnan. Francesco Stefano Cristoforo, generale francese, 332 Kerensky, Alessandro, politico russo, 489 Kesselring, Albert, feldmaresciallo tedesco. 589. 603 Kettler, Karl Friederich von, generale prussiano,

443 Klenau, Giovanni. generale austriaco, 339 Klopper, generale sudafricano, 585 Koch, banda, 604 Kolhaas, Wilhelm, storico militare, I 66 nota 3 Kèinigseck, Lotario, conte von, feldmaresciallo austriaco, 256 Kèinigsmark. Ottone conte di, generale svedese al servizio veneziano, 192 Kèivess. Ermanno von Kovesshaza. feldmaresciallo austriaco, 484 Krauss, generale austriaco, 495, 496 Kray, Paolo. barone von Krajova, generale austriaco. 338 Kruscev. Nikita, dittatore sovietico, 624, 625 Kuhn. Francesco, barone von Kuhnenfcld. generale austriaco, 438 Kutusov, Michele, generale russo, 360, 361 La Chapelle. capitano francese, 62 La Feuillade, Francesco duca d' Aubusson maresciallo de (morto nel 1691). 175, 181


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INDICI La Feuillade, Luigi visconte d' Aubusson maresciallo e duca de (morto nel 1725), 221-226 La Harpe, Amedeo, generale svizzero al servizio francese, 313 La Malfa, Ugo, politico italiano. 604 nota 24 La Marmora, Alessandro Ferrero de, generale sardo, 394,412 La Marmora, Alfonso Ferrero de. generale sardo, 412, 4 l 9, 436-438 La Meilleraye, Carlo de La Porte de, maresciallo di Francia, 142 La Motte, capitano francese, 28 La Tour d' Auvergne, Henri de, visconte di Turenna, deno" Tu renna", maresciallo di Francia, 135, 136 La Tour Sallier, Giuseppe Amedeo, marchese de, generale sardo, 312, 379, 389 La Valeue, Antoine Marie, colonnello de, ufficiale francese, 133 La Valette, Jean de, Gran Maestro di Malta. 81. 83 La Vieufville, Signor de, generale francese, I99 Labat, Giovanni Battista, padre domenicano francese, 330 Lacointre. generale francese, 30S Lagunari. vedi Reggimento Lagunari Serenissima, 618 Laho:i, Giuseppe, generale italiano al servizio francese, 319. 32S Lalance, Alessandro, capo di brigata francese, 319 Lambertini, Benedetto XIV. papa, 230, 262 Lami, Guido, generale italiano, 520, 534 Lamoricière. Cristoforo J uchault de. generale francese e pontificio, 403, 428-430 Lancia, società industriale, 557 Landi, Francesco, generale delle Due Sicilie, 425 Landwehr (austriaca), 383 Lannes, Giovanni, maresciallo di Francia, 313 Lannoy. Carlo di, vicerè di Napoli, 37. 39 Lansac, Signor de, 58, 6S nota 33 Lanza. Ferdinando, generale delle Due Sicilie, 425 Las Minas, marchese de, generale spagnolo. 278, 283 Latouche-Treville, Luigi, ammiraglio francese, 304 Lauriston. marchese Giacomo, generale francese, 348 Lautrec, Odet, visconte de Foix de, generale francese, 40 Lavardin, ambasciatore francese, 185 Lazzari, Giovanni Battista de, generale sardo. 303,304 Lechi famiglia, 316

Lechi, Giuseppe, generale italico e murattiano, 316,319.376 Leede, Gianfrancesco De Bette, marchese. de viceré di Sicilia, 242-244 Lega Cattolica, 112 Leganez, conte de, governatore di Milano, 213 Leganez, Diego Felipe De Guzman marchese de, governatore di Milano, 130-136 Leger, Giovanni, pastore valdese, 158, 161 2• Legione (cisalpina), 327 7' Legione (cisalpina), 327 Legione Straniera, 565 Legione Camicie Nere Tagliamento, 576 Legione Carabinieri Reali di Tll'llna, 583 nota 30 Legione Redenta, 513 nota 3, S 14 nota 4

RSI I• Legione della Montagna e delle Foreste, 6 I I nota 38, 612 nota 39 3• Legione Portuaria, 61 I nota 38, 612 nota 39 5' Legione Ferroviaria, 611 nota 38,612 nota 39 Legione Cispadana. 319 Legione Condor, 548, 549 Legione Lombarda, 319, 325 Legione Romana, 326. 327. 328 nota 26 Legione dei Campamenti, 303 nota I Legione Reale delle Truppe Leggere, 303 nota I, 304 nota 3, 470 nota 2 Legione Reale Leggera. 377 Legione Reale Piemontese, 377 Legione Anglo-Italiana, 412 nota IO Legione Estense, 298 Legione Italiana. 393, 408 Legione Italica, 345 Legione Volontaria Anglo-Slava, 513 nota 2 Legione Volontaria Franco-Slava, 513 nota 2 Lemery. ambasciatore francese. 131-133 Lemoine, generale francese, 329 Lentulus, generale svizzero, 300 Leonardo, vedi Vinci, Leonardo da Leone X, papa, vedi Medici Leopardi. Monaldo, nobile marchigiano, 325 Leopoldo 1, imperatore, vedi Asburgo, Leopoldo Jl. granduca di Toscana. vedi Asburgo-Lorena Leopoldo ll, imperatore, vedi Asburgo-Lorena, Pietro Leopoldo I di, granduca di Toscana Lèotard, Gian Battista, generale fr.mcese, 321 Lesdiguiéres. Francesco de Bonne duca de, maresciallo di Francia, 92-95, 103, 104, 108, 109,118,120 Lesh.k, colonnello austriaco. 406 Lessona, Alessandro ministro italiano, 528, 531 , 538 Les:iczynska Maria, regina di Francia. 253 Leszczynski, Stanislao, re di Polonia. 241,253,262


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GLI ITALIANI IN ARMI

Leutrum, Federico Guglielmo, barone von . generale tedesco a.I servizio sardo, 274. 275. 277,278.283 Leva, Antonio de, governatore di Milano, 104 Leva, Santo de, governatore di Milano, 64 Leyva, Antonio de, generale spagnolo. 42 Licastro, Giuseppe. capomassa napoletano, 335 Liddell Hart, Basi!. storico e teorico militare inglese, 575 Liechtenstein, Giuseppe Venceslao, principe von. generale austriaco. 277 Lipthay, barone Antonio, generale austriaco. 313, 314 Lisi, Sigmund Wilhelm von. feldmaresciallo tedesco. 571 Livio. Tito, storico romano, 17 Livorno, Carlo Simiana marchese di. poi marchese di Pianezza, generale sabaudo, 177 Lloyd George, David. ministro inglese. 506 Lobbia. Cristiano, colonnello garibaldino e politico italiano. 442 nota 3 Lobkowitz, Giorgio, principe van, generale austriaco, 259,260, 272-274, 276 Locatelli. Antonio, generale italiano. 539 nota 3 Ladrone, Alberico di, generale austriaco, 65 nota 3 1, 93 nota 19 Loffredo, Carlo di, Mastro cli Campo napoletano al servizio spagnolo, 67 Loffredo. Gerardo principe di Migliano. ministro napoletano, 329 Longanesi, Leo, scrittore italiano, 516 Longo, Luigi, politico italiano. 546. 607 Loredan, Antonio, Provveditore Generale Veneto. 327,328 Lorena. Carlo IV, duca di, 174, 175 Lorena, Carlo V duca di. 191. 207 Lorena. Enrico cli, duca di Guisa, 147, 148. 158 Lorena. Francesco I Stefano, g.randuca di Toscana e imperatore, 265 Lorenzini. Orlando, generale italiano, 520. 564 Loriga, Sabina, sociologa italiana, 299 nota 4 Los Velez, Fernando Fajardo marchese de, vicerè spagnolo di Sardegna, poi di Napoli, 181 Louvois, Francesco Michele Le Tellicr, marchese de, ministro francese. 204, 205. 211 Lucania, Salvatore, detto Lucky Luciano. capomafia, 589 nota 2 Luccioni, vedi Lucioni Luciano, Lucky, vedi Lucania Salvatore Lucioni. Filippo Branda. maggiore italiano al servizio austriaco e capo insorgenza. 332 Ludendorff,Enrico,geaeraletedesco,491.506 Ludovisi cardinale, 108 Ludovisi Gregorio XV. papa, 115, 116 Ludovisi. Orazio, generale pontificio. 116

Lufti Bey, 47 Luigi Filippo I, re dei Francesi, vedi BorboneOrléans Luigi Xli, re di Francia, vedi Valois Luigi XlJJ, re di Francia, vedi Borbone Luigi XIV. re di Francia. vedi Borbone Luigi XV, re di Francia, vedi Borbone Luigi XVI, re di Francia, vedi Borbone Luigi XVID, re di Francia, vedi Borbone, Luigi, Stanislao, Saverio di, conte di Provenza Lullino. marchese di, colonnello sabaudo, 94 Luserna, Carlo. conte di generale piemontese, 64 Lusignano Casa di 31 nota 11 Lutero, Martino, 36 Macdonald, Giacomo, maresciallo di Francia. 328,335,336,338,339,360,364 Machiavelli, Niccolò, politico fiorentino. 17. 18. 29 Mack. Carlo barone von Leibericb, generale austriaco al servizio napoletano. 327, 328, 347 Mackau, Armando, ambasciatore francese. 304 Maconnen. ras etiopico. 456, 457 Madruzzo, Aliprando, generale austriaco, 51 Madruzzo, Niccolò, generale austriaco, 60 nota 9 Maffei, Conte Annibale. vicerè sabaudo di Sicilia, 241-243 Mafia,589;590.614 Maggi, Cesare, Mastro di Campo italiano al servizio spagnolo. 41 Magli, Giovanni, generale italiano, 594. 598 Magliocco. Vincenzo. generale italiano, 539 nota 3 Magnifico, vedi, Medici. Lorenzo de'. e Solimano. sultano di Turchia. Mahdi,453 Maillebois, Gian1battis1a Francesco Desmoretz. maresciallo di Francia e marchese de. 249 nota 3. 250. 251. 261, 277 Maillebois, Signor de, ambasciatore francese, 277 Malaspina famiglia, 54, 298 Malaspina, Alberico, 54 Malaspina. Ricciarda, 54 Malatesta, Sigismondo, 39 Malcontenti, 247-251, 287,294 Maletti, Pietro, generale italiano. 582 Malta, colonnello italiano, 538 Malta, Ordine di. 20, 47, 73. 80, 86, 140, 163175, I 91-197, 235,237 nota 5,297.301. 326, 471,616 Malvasia. Cornelio, generale pontificio, 137 nota 21 Mammone, Gaetano. capoinsorgenza, 334. 336, 337 Manara, Luciano, patriota lombardo. 409 Manca di Mores. Ettore, generale italiano, 548


INDICI

Mancini. Laura, 2 I 9 nota 2 Mancini, Olimpia, 2 I 9 nota 2 Manera, Cosma, colonnello italiano, 513 nota 4 Manfredi, Astorre ill. signore di Faenza, 24. 27 Mangascià Yilma, deggiac etiopico, 532 Mangascià, ras etiopico, 454--457 Manin , Daniele. patriota veneziano. 409. 4 IO. 414 Mannerini. Alberto, colonnello italiano, 553 nota 3 Mansfeld, Ernesto Il, conte voo, generale tedesco, 109, 111, 116 Manstein, Erich, Lewinsky von. feldmaresciallo tedesco. 575 Manthonè. Gabriele. generale partenopeo, 336. 337 Maometto IV, sultano di Turchia, 168. 193 Maramaldo, Fabrizio. generale imperiale, 41 Maravigna, Pietro, generale italiano, 485 nota 8, 528 Marboeuf, conte de, generale francese, 294 Marcello, Lorenzo, ammiraglio veneziano. 170,

171 Marchetti, Tullio, colonnello italiano. 502 Marcia di Ronchi. vedi all'indice dei luoghi: Ronchi, Marcia su Roma. 5 I 6. 5 I 7 Marconi, Guglielmo. scienziato italiano, 465 Maresciallo di Sassonia. vedi Sassonia, Maurizio conte di, detto "Il Maresciallo di Sassonia" Margutti, Alberto von, generale austriaco. 477 Mari, Stefano. commissario generale genovese, 287 Maria Carolina. regina di Napoli, poi delle due Sicilie, vedi Asburgo-Lorena Maria Teresa. imperatrice, vedi Asburgo Italia Marina Mi litare, 616. 620. 628 I0° Gruppo Navale, 622 14° Gruppo Navale. 623 18° Gruppo Navale. 623 20° Gruppo Navale, 632 22° Gruppo Navale, 636 24° Gruppo Navale, 633 25° Gruppo Nava.le, 634 28° Gruppo Navale. 640, 641 nota 44 2' Divisione Navale, 641 3' Divisione Navale, 631 Incursori della Marina, 634 Corsica Marina corsa. 250 Genova Stuolo delle Galere. 72. 180. 248. 281, 319 RSI Marina Nazionale Repubblicana, 603

753 X Flottiglia MAS. 602, 603 Comando Marina di Fiume, 611 nota 38 Comando Marina di Pola. 612 nota 39 Ospedale Navale di Pola, 612 nota 39 Regia Marina Divisione Navale dell'America Meridionale, 435 nota I Divisione Navale dell'Estremo Oriente, 460. 461 nota 26, 538 nota 4. 539 nota 4 Divisione Navale d'Albania, 478 nota 7 Divisione Navale dell'Oceano Indiano, 521, 6 I 3 2• Divisione Navale, 471 2• Squadrn Navale, 469 Battaglione San Marco vedi sotto Battaglione Betasom vedi ali' indice dei luoghi Betasorn Corpo Reale Equipaggi Marittimi, 565 nota 11 X Flottiglia MAS. 602 Italica Marina, cisalpina, 320 Marina Reale, 348 Maltese, vedi Malta, Ordine di. Napoli Squadra di Napoli, 71, 81, 84 nota 9, 108, 126. 141, l46nota31 , 164.165, 181,228 Marina Reale {napoletana). 328. 405, 423, 425. 426 Pontificia, 72. 84 nota 9, 119, 164 nota 165. 19 I, I 95 nota 3. 237 nota 5, 330, 334 Sardegna. 71. 8 1, 84 nota 9. 108. 141. 146 nota 31 Savoia, 81, 84 nota 9 Sicilia, 71,8l,84nota 108.141 , 146nota31. 164 nota I Spagna. 81 nota 9, I 19. 141. 146 nota 31, 164 nota I, 237 nota 5 Toscana, 74. 81. 84 nota 9. 34, 129, 164 nota I, 165,191.237 nota 5 Venezia Guardia in Golfo. 46, 73, 140 Guardia in Candia, 73, 163, 176 Squadra Leggera, I 68. I 9 I. I 97. 235, 239 Squadra pesante, 191, !97. 235,239,297 Squadra de' particolari, vedi Squadra del Duca di Torsi Squadra del Duca di Tursi, 40 nota 20, 43. 55. 72. 84 nota 9, 86 nota 13. 108. 228 Squadra del Sauli e Bandinelli, 86 nota 13, 108 Marinetti. Filippo Tomma~o. scrittore italiano, 4 79 Marini. ambasciatore genovese, 184 Mario, Albeno, patriota italiano. 428 Mariotti, Adamo. generale italiano, 529 Marlborough , John Churchill. duca di, generale inglese, 220,221,228,230 Marras. Efisio, generale italiano, 617,621 Marshall. George Catlett, ministro e generale americano, 617


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GLI ITALIANl IN ARMJ

Marsigli, Luigi Ferdinando, generale pontificio, 229.230 Marsili. vedi Marsigli, Marsillac, Conte di, generale spagnolo, 259 Marsin, Ferdinando conte de, maresciallo di Francia, 224, 225 Martelli, Cavaliere di Malta, 81 Martin, generale francese, 598 Martinengo, Francesco, generale sabaudo, 91, 92 Martinengo, Lelio, generale veneziano, 105 Martinengo, Luigi, generale veneziano, 86 nota 13 Martini, Gerolamo, architetto militare italiano, 17 Martinoni, governatore di pialza estense, 269 Masaniello. vedi Aniello, Masini, generale fiorentino, 5 l Massena, Andrea. generale italiano al servizio, francese e maresciallo di Francia. 307,339, 340,347,351 Massimiliano Emanuele. Elettore di Baviera, vedi Wittelsbacb. Massoneria, 387 Mastai-Ferretti, Pio IX. papa, 397. 405-408 Matra, Alerio Francesco, politico corso, 287 Matra, Mario, politico corso, 291-293 Mattei, barone, generale pontificio, 138, 155 Mattei, Luigi, marchese, generale pontificio, 137 nota 21 Matthei, cardinale, 326 Matthews, ammiraglio inglese, 272, 275, 287 Mattia, imperatore, vedi Asburgo Mattioli, conte, diplomatico mantovano, 188 nota 9 Maugeri. Francesco, ammiraglio italiano, 617 Mazzamamma, Ali, 169 Mazzarino, Giulio, cardinale e ministro di Francia. 129,132,136,141,147,156,158,165. 203. 219 nota 2 Mazzaroli, Silvio, generale italiano, 634 Mazzini. Giuseppe, politico italiano, 390. 391, 406-408 Mazlucchelli, Luigi, generale italico, poi austriaco. 356 nota 23 Meazza, governatore genovese. 118 Mecbel, Giovanni Luca von, colonnello svizzero al servizio delle Due Sicilie, 425 Medici Giacomo, generale italiano, 393,426,438 Medici famiglia de', 36, 41. 50, 62, 66, 244, 262 Medici, Caterina de', regina di Francia, 79 Medici, Cavaliere de'. 81 Medici, Clemente Vll de', papa, 18, 37. 39, 59 Medici, Cosimo I de', duca di Toscana, 45, 50-57, 59-62, 64, 67, 73, 74, 78, 79, 84 nota 9, 89 Medici, Cosimo Il de', duca di Toscana, 120,

137-141 Medici, don Giovanni de', 105 Medici. Ferdinando I de', Granduca di Toscana, 92-94, 103 Medici Ferdinando II de ', Granduca di Toscana, 174 Medici, Francesco de', principe, 103 Medici, Giangastone I de'. granduca di Toscana, 244,257,262 Medici, Giangiacomo de', marchese di Marignano, 60, 61 Medici, Giovanni de', detto "delle Bande Nere". 18, 35 nota 17. 36, 39 Medici. Giovanni de '. detto "Il Popolano". 35 nota 17 Medici, Giuliano de'. 35 Medici, Leone X de', papa, 18, 34-36 Medicì, Lorenzo de', 35 Medici, Lorenzo de', detto "il Magnifico", 13 Medici, Maria de'. regina di Francia. 94 nota 20, 103, 108 Medici, Matthias de·. 139 Medici, Piero de', 21 Medici, Pio IV de·. papa, 68. 80 Medici, Tommaso de', ammiraglio toscano. 84 nota 9 Melas. barone Francesco, generale austriaco, 339 nota 32 Melzi d'Eril, conte Francesco, vice-presidente della Repubblica Italiana, 345 Mendoza, Diego de, generale spagnolo. 28 Menelik, negus d'Etiopia, 455-458 Menga, Evangelista, ingegnere militare italiano, 82 Menghlstu, dittatore etiopico. 632 Mensikov, Aleksander Sergeievic, principe. ambasciatore russo, 411 Mercuri Felice. capitano italiano, 497 nota 13 Mercy, Claudio Florirnondo conte d' Argentau. generale austriaco, 243, 256, 257 Messe, Giovanni. maresciallo d'Italia, 552, 553. 576,577,587,589,607 Metternich, Clemente Lotario. principe di, diplomatico e ministro austriaco, 388, 397, 411, 416 4' Mezza Brigata (francese) di Fanteria. 324 nota 21 51' Mezza Brigata (francese) di Fanteria, 324 nota 21 2' Mezza Brigata (italica) di Fanteria di Linea. 341 nota 34 3' Mezza Brigata (italica) di Fanteria d.i Linea, 341 nota 34 2' Mezza Brigata (piemontese) di Linea, 339 Mezza Brigata (piemontese) di Fanteria Leggera. 338 nota 29


INDICI

Meziacapo. Cesare, geaerale italiano, 410 Mezzomorto. vedi Hassan MF&O,622 Miani, Antoaio, generale italiano, 518 Micca, Pietro, minatore sabaudo. 224 Michelangelo, vedi Buonarroti Micheletti spagnoli, 275 Michiel, Marino, ammiraglio veneziano. I 91 nota I Mihailovic, Draza, colonnello jugoslavo, 572, 573 Italia Milizia Mobile. 445 Milizia Mobile Coloniale, 456 nota 14 Milizia Provinciale, 445 Milizia Territoriale, 445, 485 Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, 518,537,554,560 nota 4. 592,598 nota 12. 601,602. Vedi anche: Milizia Confinaria, 5 I 8, 560 Milizia della Strada, 5 I 8 Milizia Ferroviaria, 518 Milizia Forestale, 518, 533 Milizia Marinara, 518 Milizia per la Difesa Antiaerea Territoriale, 518, 560 nota 4 Milizia Portuaria, 518 Milizia Postelegrafonica. 5 I 8 Milizia Universitaria, 5 I 8 Lucca, Milizia.298 Modena Milizia forese, 267 nota 2 Milizia urbana. 267 nota 2, 269 Milizia urbana di Reggio (Emilia) Milizia Volontari Estensi Parma Milizia Suburbana, 232 Pontificia Milizia, 72 Milizia di Rimini, 263 Milizia di Verucchio, 263 Savoia Milizia (sabauda), 274 Sardegna, Milizia, 71. 366 Sicil.i a Milizia urbana di Caltanissetta, 243 Millàn Astray y Terreros, Josè. generale spagnolo. 547 Mille (garibaldini), 425-430. 451 MiJJo. Enrico, ammiraglio italiano. 471 Milosewich. Andrej. generale croato al servizio francese, 319 Mimbelli, generale italiano. 514 Minghetti, Marco, politico italiano. 435, 436 Miollis, conte Sestio Alessandro. generale francese, 340

755 Miovilovich, Giovanni Pietro, colonnello veneziano, 316 Mischi, Archimede, console generale della MVSN italiano, 538 Misseglia, colonnello sabaudo, 243 Missione Arcobaleno, 640 Missione Militare Alleata di Controllo, 6 IO Missione Militare Italiana in Russia, 513 nota 4 Missione Militare Italiana in Spagna, 545-550 Missione di Monitoraggio delle Comunità Europee, 635 Missori, Giuseppe, generale garibaldino, 428 MNF,623 MNF II, 623 Mocenigo, Alvise. capitano generale da Mar. 169 Mocenigo, Alvise Leonardo, capitano generale da Mar, 168, I69 Mocenigo, Domenico. capitano generale da Mar, 194 Mocenigo, Lazzaro. capitano generale da Mar, 170-173 Mola. Emilio, generale spagnolo, 544 Molin, Alessandro. capitano generale da Mar, 174. 191, 192. 195-197 Molin, Filippo. provveditore veneziano di Reti1110. 167 Molina, sergente generale spagnolo, 129 Molinero. generale italiano, 590 Molitor, conte Gabriele, maresciallo di Francia. 348 Mollard. Filiberto, generale sardo, 413 Molotov, Vlaceslav Michailovich, ministro sovietico, 575 Moncada, Ugo de, generale e vicerè spagnolo di Sicilia, poi di Napoli, 33, 37. 40 Moadet, pastore valdese, 159 Mondoa, Davide, capo valdese, 200 Moneglia, Paolo, generale genovese. 55 Monelli. Paolo, giornalista italiano 594 Montalenti, Giorgio, ufficiale e partigiano italiano, 603 nota 22 Montauto, Federico da, generale fiorentino, 59 Montauto. Otto, da, generale fiorentino, 50 nota 9 Montbrun. marchese de, generale francese al servizio veneziano, 175 Montecuccoli. Raimondo, generale modenese al servizio imperiale, 112. 139, 149 Montefeltro, Guidobaldo da, duca d'Urbino, 29 Montemar, Giuseppe de Cazillo, conte de, poi duca de, generale spagno lo, 243, 256, 258261. 266. 269 Montenegro, Elena Petrovich del, regina d'Italia ed' Albania e imperatrice d'Etiopia, 447 Montesquieu, Charles de Secondat barone de, scrittore, 204, 224 nota 10


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GLI ITALIANl IN ARMI

Montevecchio. Giuseppe Roberto Gabrielli dj, generale sardo, 4 13 Montezemolo. Giuseppe Cordero Lanza di. colonnello italjano, 605, 606 Moncfort, Andrea, barone de, generale sabaudo, 50 Montgomery, Bemard Law, maresciallo inglese, 586-588. 590 MonUuc, Biagio di Lasseran-Massencome. signor de. maresciallo dj Francia, 60, 61, 65 Montmorency, Anna. duca di, Conestabile di Francia, 41, 42 Montuori. Luca, generale italiano, 492 Monzel. ufficiale tedesco, 586 nota 36 Morani, capitano italiano, 588 Moreau, Giovanni Vittorio, generale francese. poi al servizio russo, 340 Morelli. Michele, tenente delle Due Sicilie, 373, 388 Morigi. generale italiano. 6 I O nota 35 Morlacchi, popolazione balcanica, 192. 235 Moro, Benedetto, provveditore generale veneziano, 101 Moro, Ludovico il. vedi Sforza Ludovico Morone, cardinale. 90 Morone, Francesco, generale italiano, 36 Morone. Girolamo, diplomatico nùlanese. 38 Moroni, barone Pietro, generale italico, 364 Morosini, Bernardo, capitano delle Navi, 168 Morosini, Francesco, capitano generale da Mar e doge di Venezia, detto ·•11 Pelopounesiaco", 169, 173-176, 191-194, 471 Morosi.ni, Tommaso, capitano delle Navi, L67 Mortemar. G. de Rochechouart marchese d'e. generale francese, 184 Monnier Giancarlo, generale francese, 340 Mulgrave, lord Henry Phipps, generale inglese, 305 Mullah pazzo, 466 Miiller, colonnello svizzero, 114 Mulughietà, ras etiopico, 528. 531 Murat, Gioacchino, maresciallo di Francia e re di Napoli, 311, 331. 340,341,349, 352, 353, 356 nota 25, 363, 370. 374-376, 378. 379. 381,388 Muratti, maggiore genovese, 250 Mussolini, Benito, dittatore italiano, 479. 511. 512,516-538,543,545,547,550,552,553, 555. 557, 559-561. 568. 570. 574-577, 589, 591-593, 601 Mustafà. pascià, 83. 84, 85 Naldi, provveditore veneziano di Corfù. 47 Nani, colonnello italiano, 621 Nani. Giacomo. capitano delle Navi, 30 I Napoleone I, vedi Buonaparte Napoleone 111, imperatore dei Francesi, vedi

Buonaparte, Luigi Napoleone Napoli. Cesare da, generale italiano al servizio spagnolo, 52 Napolitano, Giorgio, politico italiano, 652 Naselli, Diego, principe d'Aragona, generale napoletano e viceammiraglio delle Due Sicilie, 328. 329 Nasi, Guglielmo generale italiano, 520,538,539. 563,566 Nasibù Zamael, deggiac etiopico, 533, 534 Nassau, Maurizio dj, generale olandese, 127. 128 Na.~so Simone, capitano veneziano. 46 Natale, generale italiano. 538 Natale di sangue. 510 NATO, AMF, 631 NATO, MND, 631 NATO, NAVOCFORMED. 632l NATO, STANAVFORLANT, 636 NATO, STANAVFORMED, 631, 636 NATO. vedi Organizzazione del Trattato dell 'Atlantico del Nord Navagero, Antonio, provveditore veneziano de La Canea, 164 Navarina, Paolo, conte di San Sebastiano, colonnello sardo, 284. 285 Navarrini, generale italiano, 538, 585 Navarro, Pedro. generale spagnolo, 28, 39 Navi Austria Santo Stefano, 503 Viribus Unitis, 503 Wìen, 502 Francia. Liberateur d'Italie, 317 Mouette, 43 I Neptune, 459 nota 19 Gran Bretagna Boyne, 367 Hood, 459 nota 19 Italia Aquitania, 553 Buona Speranza, 623 nota 17 Conte Biancamano. 539 Jolly Rubino. 623 Palatino. 553 Rex. 524 Toscana, 553 Nave Andrea Doria, 622 nota 11 e 12, 623 nota 19 Nave Anteo, 623 nota 21 Nave Ardito, 623 nota 19,641 Nave Audace, 623 nota 19,632 nota 15 Nave Bambù, 622 nota 14 Nave Caorle, 623 nota l 7 e 19 Nave Caprera, 640 nota 36


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INDICI

Nave Capri, 640 nota 36, 641 nota 42 Nave Castagno, 623 nota 20 e 21 Nave Caveuale, 623 nota 20 Nave Cherso, 621 nota 9 Nave Driade. 636 nota 27 Nave Esploratore. 622 nota 15 Nave Etrro, 636 nota 27 Nave Frassino, 623 nota 20 Nave Garibaldi, 634 nota 21. 641 Nave Gorgona, 641 nota 42 Nave Grado, 623 nota 19 Nave Impetuoso, 622 nota 11 Nave Indomito, 622 nota 11 Nave Intrepido, 623 nota I9 Nave Lerici, 623 nota 21 Nave Libeccio, 632 nota 15, 639 Nave Lipari, 641 nota 42 Nave Loto, 623 nota 20 Nave Lupo, 623 nota 19 e 21,632 nota 15 Nave Maestrale. 623 nOLa 21 Nave Mango, 622 nota 14 Nave Milazzo, 632 nota I5 e 16 Nave Mogano, 622 nota 14 Nave Orsa, 623 nota 19,632 nota 15 Nave Palma, 622 nota 14 Nave Pantelleria, 636 nota 29. 640 nota 36 Nave Perseo, 623 nota I 9 Nave Sagittario, 623 nota 19,632 nota 15 Nave San Giorgio, 634 nota 21,641 Nave San Giusto, 643 Nave San Marco, 634 nota 21, 636 nota 27, 640 Nave Sapri, 632 nota 16 Nave Scirocco, 634 nota 21 Nave Sentinella, 622 nota 15 Nave Simeto. 636 nota 27 Nave Staffetta, 622 nota 15 Nave Stromboli, 622 nota 12. 623 nota 19 e 21. 632 nota I5, 631 nota 21 Nave Tirso, 641 nota 44 Nave Tremiti. 632 nota 16, 640 nota 36 Nave Vedetta, 622 nota 15 Nave Vesuvio, 632 nota 15 Nave Vieste, 632 nota 16 Nave Vittorio Veneto, 622 nota 11 e 12, 623 nota 19 Nave Zeffiro, 639 Regia Nave Alessandro Volta. 467 Regia Nave Aliseo, 598 Regia Nave Benedetto Brin, 469 Regia Nave Caio Duilio, 462 Regia Nave Campania, 521 Regia Nave Caprera, 467 nota 3 Regia Nave Carlo Alberto, 465 Regia Nave Cavour, 5 l 7 nota 15 Regia Nave Città di Bengasi, 544

Regia Nave Crispi, 571 nota I 9 Regia Nave Dandolo, 462 Regia Nave Dante Alighieri. 509 Regio Sommergibile Delfino. 462 Regia Nave Elba, 460 Regia Nave Emanuele Filiberto, 509 Regia Nave Ermanno Carlotto, 538 nota 4 Regia Nave Espero. 539 nota 4 Regia Nave Etna, 459,498 nota 22 Regia Nave Firenze. 521 Regia Nave Folgore, 462 Regia Nave Giulio Cesare, 517 nota 15 Regia Nave Giuseppe Garibaldi. 476 nota 5 Regia Nave Libia, 538 nota 4, 539 nota 4 Regia Nave Libra. 571 nota 19 Regia Nave Lince, 571 nota 19 Regia Nave Lira. 571 nota 19 Regia Nave Magenta, 460 Regia Nave Marco Polo, 460 Regia Nave Miraglia, 553 Regia Nave Ostro, 476 nota 5 Regia Nave Piemonte, 459 nota 19. 498 nota 22 Regia Nave Premuda. 517 nota 15 Regia Nave Raimondo Montecuccoli, 539 Regia Nave Roma, 613 Regia Nave San Giorgio, 521, 538 nota 4 Regia Nave San Marco. 509,517 nota 15 Regia Nave Sardegna, 498 nota 22 Regia Nave Sebastiano Caboto, 538 nota 4, 539 nota4 Regia Nave Staffetta, 467 Regia Nave Stromboli, 460 Regia Nave Trento, 539 nota 4 Regia Nave Tripoli, 462 Nave napoletana, Stromboli, pirocorvetta. 425 Piroscafo, Lombardo, 423, 425 Piroscafo, Piemonte, 423, 425 Venezia Vascello, Aquila, 197 Vascello, San Lorenzo, l 97 Vascello San Marco. 170 Neame. Percy. generale inglese. 583 Negri. Niccolò de, ammiraglio genovese, 78 Ncipperg, conte Adamo von, feldmaresciallo austriaco, 375 nota I, 376 Nelson. Orazio, ammiraglio inglese, 326, 337 Nenni, Pietro, politico italiano, 604 nota 24 Netolicky, feldmaresciallo austriaco, 398 Neuhoff, Theodor Anton von, detto "Re Teodoro... 249, 250. 387 Ney, Michele. maresciallo di Francia, 364 Nicola I, zar di Russia. vedi Rornanov Nicoletti, brigadiere delle Due Sicilie. 405 nota

2 Nicoletti. generale austriaco. 3 l 3


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GLI ITALIANI IN ARMI

Nitti, Francesco Saverio, ministro italiano, 510, 516 Noailles, Adriano Maurizio duca de, maresciallo di Francia, 260, 261 Noailles. Andrea duca de, maresciallo di Francia, 175, 176 Nobile. Umbeno. generale italiano. 524 Nobili, capitano pontificio, 325 Nocerio, Andrea, capopopolo napoletano, 143 Nonza, Napoleone di, generale genovese. 78 Normanni, 179,229 Nugent. Lavant conte von Westeratb. generale austriaco,375,376.399,406 Nullo, Francesco, generale garibaldino, 428 Nuvoloni, generale italiano, 546. 547 O'Connor, Richard, generale inglese. 582, 583 Oddi, Giacomo, prelato pontificio. 245 Odescalchi, lnnocenzo Xl, papa. 185, 203, 206 Odoardo I duca di Parma, vedi Famese Oldì, Haidar, Capitan Pascià Turco, 168 Olivares, conte duca d', ministro spagnolo, 122 Olivieri, capitano italiano, 621 Olivieri Angelo. ufficiale di Marina. 460 nota 24 Omar el Muktar, capo ribelle libico, 520, 521 Oiiate, Ingazio Velez de Guevara, conte de, vicerè spagnolo di Napoli, 147. 148, 158 ONU Consiglio di Sicurezza. 612. 615, 643, 644 ONU, COMTVE/NC, 634 ONU, ICFYnCFYM, 636 nota 30 ONU, 1-FOR, 637 ONU. lNTERFET, 642 ONU, MINUGUA. 632 ONU. MINURSO, 635 ONU, MNF/Curdistan Provide Comfon, 632 ONU. MNF/Kuwait, 632 ONU, S-FOR/SFR. 637,640 ONU, UNAVEM fil, 634 ONU, UNC. 620 ONU, UNIFIL, 621 ONU, UNHMOG, 622 ONU. UNIKOM, 632 ONU, UNITAF - Restore Hope, 633 ONU, UNMIBH, 637 ONU, UNMO, 620 nota 5,621 ONU, UNMOGIP, 621 ONU, UNOCA, 622 ONU, UNOGlL, 621 ONU, UNOSOM, 633 ONU, UNOSOM II, 633 ONU, UNSCOM, 632 ONU. UNTAC, 634 ONU, UNTAG, 622 ONU. UNTSO, 620 ONU. UNYOM, 621 ONU/Ruanda MNF, 634 nota 23

ONUC,620 ONUMOZ,634 ONUSAL,632 Operazione Airone, 632 Operazione Airone 2°, 632 Operazione AJba. 640 Operazione Albaneo, 640 Operazione AJbanian Guard, 636 Operazione Albatros, 634 Operazione Alfa, 574 Operazione Allied Harbour, 641 Operazione Barbarossa (Rotebarb), 576 Operazione Beta, 574 Operazione Bianco (Weiss). 574 Operazione C 3, 583 Operazione Capri. 587 Operazione Compass, 582 Operazione Crociato (Crusader), 584 Operazione Danubio o Enforcement Danubio, 636 Operazione Decisive Enhancement, 637 Operazione Deliberate Force, 636 Operazione Derermined Force. 638 Operazione Diligent Force, 637 Operazione Enforcement Danubio, vedi Operazione Danubio Operazione Entebbe, 634 Operazione Forza paris, 629 Operazione Husky. 589 Operazione Ibis, 633 Operazione Ibis IT, 633. 634 Operazione Ippocampo Etiopia, 633 Operazione Ippocampo Ruanda, 634 Operazione Ippocampo Somalia, 632, 633 Operazione Ippocampo Yemen, 642 Operazione IRMA, 635 Operazione Joint Guardian, 64 I Operazione K, 573 Operazione Leone Marino (Seelowe), 560 Openrtione Margherita, 636 Operazione Maritime Guard, 636 Operazione Maritime Monitor, 636 Operazione Mezzo Giugno, 584 Operazione Oltremare Spagna. 543-550 Operazione Oltremare Tirana, 551 -553 Operazione Partenope, 629 Operazione Pellicano, 642 Operazione Pellicano Il, vedi Alba Operazione Piede Leggero (Lightfoot). 586 Operazione Provide Promise, 635 Operazione Ruanda/SiJver Black, 634 Operazione Salaam, 622 Operazione Saturno, 579 Operazione Sbarp Guard, 636 Operazione Sharp Vigilance, 636


CNOICJ

Operazione Stabilise, 642 Operazione Supercarica (Supercharge). 586 Operazione TempesSla nel Deserto (Desert Storm), 632 Operazione Tifone (Typhon), 576 Operazione Trio, 574 Operazione Tulipano Nero. 638 Operazione Urano, 579 Operazione Valanga, 502 Operazione Vespri Siciliani, 629 Orange, Guglielmo III d', re d'Inghilterra, 180 (nota [Il), 204. 210. 214 Orange, Filiberto di Chalons. principe d'. generale fiammingo e vicerè spagnolo di Napoli, 40,41 Orda Esterna, 452 Orda lntema, 452 Ordinamento Albricci, 511 Ordinamento Baistrocchi, 524 Ordinamento Bonomi, 511 Ordinamento Diaz. 522 Ordinamento Pariani, 555, 558 Ordinamento Ricotti, vedi Ricotti Magnani, riforma Organizzazione del trattato dell'Atlantico del Nord. 618-621, 624,626,627.629, 636, 638640, 643 Orlando, Vittorio Emanuele, ministro italiano, 503 Orléans, Cavaliere d', ammiraglio francese, 258,

259 Ormea, Carlo Vmcenzo Ferrero di Roasio marchese d', ministro sardo, 267, 270. 275 nota 9 Orsaielli, Eugenio, generale italico, 319 Orsini famiglia. 24. 31 nota IO Orsini, Camilla, generale al servizio fiorentino. 47.57,58 Orsini. Giovanni, generale pontificio, 68 Orsini, Giulio, generale pontificio, 66, 67 Orsini, Lorenzo, generale al servizio veneziano, 39 Orsini, Niccolò, conte di Pitigliano, generale al seivizio veneziano, 31, 59 nota I 5, 60 nota I 6 Orsini, Paolo Giordano, duca di Bracciano, generale al servizio fiorentino e francese, 65, 77

Osasco, Policarpo di Cantarana d', generale sardo, 321. 322 OSCE-KVM, 638 Ospedaletto da Campo n. 0 346, 513 nota 2 Ossuna. Pedro Téllez Giron, duca d', vicerè spagnolo di Napoli, 107, 108 OTO, Società Industriale. 557 Ott, barone Pietro Carlo, feldmaresciallo austriaco, 339

759 Ottavio, duca di Parma, vedi Famese Ottomano, impero, vedi, all'indice dei luoghi: Turchia Oudinot, Nicola Carlo Vittorio. generale francese, figlio del seguente. 408, 409 Oudinot, Nicola Carlo, maresciallo di Francia, 360,364 Pacciardi, Randolfo, politico italiano, 546 Pacioni, Francesco, architetto militare. 17. 222 PAl, vedi Corpo di Polizia dell'Africa Italiana Pallavicini, Emilio di Priola, generale i1111iano, 432 Pallavicini, Tobia, maresciallo di campo genovese al servizio estense, 156. 157 Pallone aerostatico italiano Africa, 446 Pallone aerostati<.'◊ italiano Torricelli, 446 Palombini, Giuseppe. generale italico. poi al servizio austriaco, 356, 369 Palombo, Giuseppe, capopopolo napoletano, 143 Palude, conte Cesare della, colonnello modenese, 267 nota 2 Pamphili. monsignore, 118 Panissera, Francesco conte di Veglio, generale sardo, 300 Panzetti. colonnello modenese, 139 nota 26 Paoli, Clemente. politico corso, 291 nota 5,291 nota 7 Paoli, Giacinto, politico corso, 251 291 nota 7 Paoli, Pasquale, politico corso, 79, 291 -294 Paolo IIl, papa, vedi Farnese Paolo IV. papa, vedi Carafa Paolucci, marchese Filippo, ufficiale modenese, poi generale russo, poi sardo, 378, 394 Paolucci, riforma, 394 Pappenheim. conte Goffredo Enrico. generale tedesco, 116 1° Parco (italiano) Trattrici. 523 Parella, marchese di, ambasciatore sabaudo, !07 Parella. Carlo Emilio San Martino. marchese di, generale sabaudo, I99. 200 Pariani. Albeno, generale italiano. 546, 547,555, 556,558 Parker. Geoffrey, storico militare inglese, 15 Parodi. Maria Antonia. 280 nota 16 Parri, Ferruccio, politico italiano. 505 nota 27, 607 Partenopea, Repubblica, vedi nell' indice dei luoghi: Napoletana Repubblica Partito Comunista Italiano, 603. 604 nota 24, 606,607, 617, 627,628 Partito d'Azione, 333,604 nota 24. 605,606,607 Partito Fascista Repubblicano, 601-603 Partito Liberale Italiano, 604 nota 24 Panito Nazionale Fascista. 3, 511, 524. 591-593, 602


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GLI ITALIANI CN ARM1

Partito Popolare Italiano, 5 I I Partito Radicale, 628 Partito Socialista Italiano. 511, 604 nota 24 Democrazia Cristiana, 604 nota 24,616,617,627 Democrazia del Lavoro, 604 nota 24 Gruppi Bandiera Rossa, 606 Pascolini, generale italiano, 538 Pasqualigo. Filippo, provveditore generale veneziano in Dalmazia, 102 Pasquino, statua romana, 116 Passatacqua. Azzo, generale italiano, 590 Pastore, Gaetano, colonnello napoletano e generale delle Due Sicilie, 368 Patavino, ambasciatore veneziano, 114 Pathani, popolazione dell'India settentrionale, 459 Patto d ' Acciaio, 559, 576 Patton, George Smitb Jr., generale americano,

590 Paulin, Antonio Esclain barone des Aimars, signor de, detto "il Capitano Paolino", ammiraglio francese. 65 Paulus, Friederich von, feldmaresciallo tedesco Pavelic, Ante, politico croato, 572 Pavolini, Alessandro. gerarca fascista. 601,602 Peary, Robert, esploratore americano, 524 nota 29 Pecori-Oiralru, conte Guglielmo, maresciallo d' Italia, 485 Pedrinelli. Gaetano, generale murattiano e delle Due Sicilie. 388 Pellé. Maurizio, generale francese, 514 Pelliizari, tenente italiano. 539 Pelloux, Luigi, generale e minjstro italiano, 448 Peloponnesiaco, vedi Morosini, Francesco Pepe, Florestano, generale murattiano e delle Due Sicilie, 356 nota 24, 362, 388 Pepe, Guglielmo. generale murattiano e delle Due Sicilie, 356, 375, 388, 389, 398, 405,

409 Pepoli. conte Ugo, capitano bolognese al servizio imperiale, 36, 60 nota 19 Perasso. Antonio, 280 nota 18 Perasso. Giambattista. 280 nota 18 Perrone, Ettore generale sardo. 402 Perrone Capano, barone Ubaldo. generale italiano, 596 nota 9 Perrucchetti, Domenico, capitano italiano, 445 nota6 Persano, Carlo Pellioo ili, ammiraglio sardo. poi italiano, 426,430, 431,436,438 Persicheni, Raffaele. tenente italiano, 596 nota 9 Pertini Sandro, presidente della Repubblica ita1iana, 603 nota 22, 627 nota I Pesaro. capitano generale da Mar, 46, 47 Pescara. Diego d' Avalos, marchese di, generale

spagnolo, 33, 36-38 Pesenti, Gustavo, tenente colonnello italiano, 497 Pessolano, Alfonso, generale italiano, 621 Peyri, Luigi, generale italico. 319,356,363 nota 34,364 Pezza, Michele, detto "Fra Diavolo", capoinsorgenza, 334,336,337 Piacentini, Settimio, generale italiano, 498 Piali Pascià, 81 Pianezza, marchese di, generale sabaudo, 13 J, 133, 159, 160 Pianezza, Carlo Simiana, marchese di, generale sabaudo, 177 Piazzoni, Sandro, colonnello italiano, 545 Piccione, Luigi, generale italiano. 514 Piccolomini, Enea, capitano senese, 59 nota 15 Piccolomini, Ottavio, generale imperiale, 112, 120 nota 7, 149 Pico, famiglia, 298 Piella, Agostino, generale italico, 319 Pieracchi, conte, Cristoforo diplomatico pontificio. 324 Pietro L, zar di Russia, vedi Romanov Pignatelli. Francesco, principe di Strongoli, generale murattiano, 356 Pignatelli, Fabrizio, principe di Cerchiara. generale napoletano, 305 Pignatelli, Francesco, conte di Acerra, generale napoletano e vicario del Regno. 328, 329 Pignatelli, Innocenzo Xli papa, 217 Pignatelli, Troilo, rinnegato, 46 Pilo, Rosalino. patriota siciliano. 423 Pimentel, Girolamo, mastro di campo spagnolo. 114, 115. 118 Pimodan, Giorgio, marchese de, generale francese al servizio pontificio, 429, 430 Pinelli, Agostino, commissario generale genovese, 295 nota I pjoo. Domenico. generale italico, 319. 347 Pio IV, papa vedi Medici Pio V. papa e Santo, vedi Ghislieri Pio VI. papa. vedj Braschi Pio VII, vedi Clliaramonti Pio IX, papa, vedi Mastai-Ferretti Pirem, Società industriale, 557 Pirzio Biroli, Luigi, generale italiano, 528, 529. 538 Pisani, Andrea. capitano generale da Mar, 236239 Pisani. Carlo, provveditore straordinario generale veneziano in Terraferma, 195. 255 Pisanò, Giorgio, politico italiano, 604 nota 23 Pitassi Mannella. generale italiano, 582 nota 29 Pizzamano, Domenico. capitano veneziano, 317 Plessis-Praslin, signor du, ammiraglio francese, 142, 156, 182


INDICI

Plumer, lord Herbert Charles Onslow, feldmaresciallo inglese. 495 Poderici. o Poderico, Luigi, generale napoletano al servizio spagnolo, 148 Poli, Luigi. generale italiano, 007 nota 31 Polizia di Stato, 628, 629, 640, 650 nota 58 Pollio, AJberto, generale italiano, 469 nota 1. 470, 472.473,475.476,477 Ponte, Giulio da, cavaliere di Malta. 81 Popoli. conte di, generale napoletano al servizio spagnolo, 66 Popoli duca di, generale napoletano al servizio spagnolo, vedi Cantelmo Porro, Carlo, generale italiano, 494 Pragmatica Sanzione, 265. 285 Preisberg. generale austriaco, 270 Prestinari, MarcelJo, generale italiano. 458 Pricolo, Francesco, generale italiano, 552 Primieri, Clemente, generale italiano, 610 nota 35 Principe della Pace, vedi Godoy Principe Eugenio, vedi Beauharnais, e SavoiaCarignano-Soissons, Francesco Eugenio PrincivaJle, AJdo, generale italiano, 538 Prinetti, ministro italiano. 474 Priocca, Clemente Damiano. cavaliere di, ministro sardo, 327 Priuli. Sebastiano, savio alla scrittura veneziano. 318 Pronio. Giuseppe. capoinsorgenza. 334. 336 Provana di Leynì, Andrea, ammiraglio sabaudo, 83 nota 7, 84 nota 9, 91 Provera, marchese Giovanni. generale austriaco, 310 Pubblica Sicurezza, vedi Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezui Pugliese, Emanuele, generale italiano, 516 Quazza, Romolo. storico italiano, 123 nota 11 Quenada. ammiraglio spagnolo, 327 Querini. Giovanni Antonio, generale veneziano, 86 nota 13 Querini, Pietro, ammiraglio veneziano. 194 Quiroga, generale spagnolo, 116 Radetzky, Giuseppe Venceslao conte von Radetz. feldmaresciallo austriaco, 397-404. 409, 410,414 Radicati di Passerano, conte Alberto. 244 Raggruppamento (CTV) XXlll Marzo. 546 Raggruppamento AVES Antares, 631 Raggruppamento Fabbri, 574 I Raggruppamento Motorizzato. 600, 607 I Raggruppan1ento Sahariano Tripolitano, 520 Raggruppamento Litorale, 569 Raggruppamento Milizia (in Corsica), 598 nota 12 Raggruppamento Motorizzato Maletti, 582

761 Raggruppamento Sud. 598 nota 12 XXX Raggruppamento Cavalleria. 576 Rak6czy, Francesco Leopoldo, principe ungherese, 221 Ramorino, Gerolamo. generale sardo, 391,403 Rangoni, conte Guido, generale italiano al servizio francese. 42, 43 Rangoni, marchese, diplomatico estense, 257 Ranucci, nunzio. 184 Ranuccio Il, duca di Parma, vedi Famese, Rattazzi, Urbano, ministro italiano. 432,435,440 Ravazzoni, capitano italiano. 539 Re Bomba, vedi Borbone, Ferdinando U di Re Buono. vedi Savoia, Umberto I di Re di maggio, vedi Savoia, Umberto Il di Re Galantuomo. vedi Savoia, Vittorio Emanuele Il di, Re Marcone. vedi Berardi, Marco Re Soldato, vedi Savoia, Vittorio Emanuele LTl Re Sole, vedi Borbone, Luigi XIV di, Re Teodoro, vedi Neuhoff, Theodor Anton von, Real Corpo (toscano) d'Artiglieria. 381 Real Corpo (toscano) dei Dragoni, 381 Real Corpo degli Anziani ali 'imperiaJ regio palazzo Pitti, vedi Guardia Reale (toscana) del Corpo Real Gendarmeria (lucchese). 382 Real Guardia di PaJazzo (lucchese), 382 Real Guardia del Corpo (toscana), 381 Real Guardia Nobile del Corpo (lucchese), 382 Reali Cacciatori (toscani) a Cavallo, vedi anche Reggimento (toscano) Reali Cacciatori a Cavallo, 382 Reali Cacciatori Scelti del Frignano, 385 Reali Cannonieri (lucchesi), 382 Reali Carabinieri (toscani). 382 Reali Carabinieri (Sardi, poi, italiani) vedi Carabinieri Rean , colonnelJo ita.liano. 540 Rébenac. Francesco Fequieres de Pas, signore de, ambasciatore francese. 204, 205 Redi, Alfred, colonnello austriaco, 475 nota 3 Reggiane, Società industriale, 557 Reggimenti Austria 2° Schiitzen. 502 79° Fanteria, 502 Corsica Reggimento delJe Guardie, 249 Estensi - Modena Reggimento Cacciatori-Militi Volontari delle Montagne, 385 Reggimento Nazionale del Frignano, 267 nota 2 Reggimento Nazionale della Garfagnana, 267 nota 2


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GLI ITALIANI lN ARMI

Reggimento Nazionale di Modena, 267 nota 2. 269 nota 4 Reggimento Nazionale di Reggio, 267 nota 2, 269 nota 4 Reggimento Della Palude, 267 nota 2 Reggimento Gros 267 nota 2 Francia Reggimento dei Vascelli, 185 Reggimento del Limosino, 208 nota 4 Reggimento delle GuaTdie Francesi, 185 Reggimento di Borbone, 208 nota 4 Reggimento di Champagne, 256 Reggimento di Crosso!, 180 nota 2 Reggimento di Foix, 208 nota 4 Reggimento di Lorena, 208 nota 4 Reggimento di Louvigny, 180, nota 2 Reggimento di Piccardia, 256 Reggimento di Piemonte, 208 nota 4 Reggimento di Rouergue, 208 nota 4 Reggimento La Couronne, 208 nota 4 Reggimento Bersaglieri Corsi, 348 nota IO Reggimento Bersaglieri del Po, 348 nota IO Io• Reggimento Cacciatori, 324 nota 21 28° Reggimemo Cacciatori, 362 7° Reggimento Leggero, 348 nota 11 17° Reggimento Leggero, 348 nota IO 20° Reggimento Leggero. 349 26° Reggimento Leggero, 348 nota 11 32° Reggimento Leggero. 348 nota lO 85° Reggimento Fanteria di Linea, 360 !03° Reggimento Fanteria di Linea, 348 nota 11 107° Reggimento Fanteria di linea, 360 111 ° Reggimento Fanteria di Linea, 347 nota 3. 348 nota 11. 360, 362 113° Reggimento Fanteria di Linea, 362 127° Reggimento Fanteria di Linea, 360 26° Reggimento Cacciatori a Cavallo, 348 nota lO, 534 nota 19 1° Dragoni, 354 nota 19 21 ° Dragoni, 348 nota IO e 11 13° Ussari, 362 Genova Reggimento Ajaccio, 295 nota 1 Reggimento Albenga, 295 nota I Reggimento Bastia. 295 nota 1 Reggimento Bisagno. 295 nota l Reggimento Granaùeri. 295 nota I Reggimento S=ana, 295 nota 1 Reggimento Savona, 295 nota I Reggimento (alemanno) Waren, 295 nota 1 Impero Reggimento Barbon. 242 nota I Reggimento Belgioioso, 307 nota 7 Reggimento Carreras, 242 nota I Reggimento Ussari Arciduca Giuseppe, 3 I 4

Reggimento Daun, 225nota 12,288 nota 3 Reggimento Pallavicini, 274 Reggimento Regal, 225 nota 12 Reggimento Ulani Maszaras. 314 Gran Bretagna Reggimento delle Leve Italiane, 368 Surrey Yeomanry, 563 Italia (vedi anche Sardegna) Reggimento Cacciatori degli Appennini, 603 Reggimento AVES Antares, 633 nota L8 3° AVES, 647 4° AVES Altair, 647 noia 55 Rgt. Carri, 523 I O Artiglieria da Montagna 446 1° Operai d'Artiglieria. 446 2° Artiglieria da Piazza, 446 3° Artiglieria da Piazza, 446 4° Artiglieria da Piazza, 446 5° Artiglieria da Campagna, 446 6° Artiglieria da Campagna, 446, 509 nota L 7° Artiglieria da Campagna. 446 8° Artiglieria da Campagna, 446 9° (artiglieria) Pontieri, 446 10° Artiglieria da Campagna, 446 LI O Artiglieria da Campagna Mantova. 607 nota 30, 608 noia 33 e 34 14° Artiglieria da Campagna. Murge, 553 nota 2 32° Artiglieria da Campagna, Marche, 574 nota

20 184° Artiglieria Paracadutista,Nembo. 608 nota 34 Reggimento Genio Aerostieri, 446 Genio Ferrovieri, 446, 637 Genio Lagunari, poi Reggimento Lagunari Serenissima, 446 Reggimento Genio Minatori, 446 Reggimento Genio Radiotelegrafisti, 446 2° Genio, 647 nota 55 10° Genio, 647 1° Trasmissioni. 647 2° Trasmissioni, 647 nota 55 11 ° Trasmissioni, Leonessa, 630, 633 nota 18, 647 nota 55 I O Alpini, 446 nota 6 2° Alpini. 446 nota 6 3° Alpini, 446 nota 6, 608 nota 34, 637 nota 33 4 ° Alpini, 446 nota 6, 6 I 5 5° Alpini. 446 nota 6 6° Alpini, 446 nota 6,615 8° Alpini. 615 9° Alpini, 641 2° Bersaglieri, 553 3° Bersaglieri, 615 4° Bersaglieri, 4 71 nota 4, 515 nota 8, 608 noia 34


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INDICI

6° Bersaglieri, 577, 633 nota 18 8° Bersaglieri, 459 nota 21,641 nota 42 10° Bersaglieri, 498 11 ° Bersaglieri, 470, 5 I 2 I 8° Bersaglieri, 64 I nota 42 Granatieri di Sardegna (di formazione), 526 nota 31,552 nota I dal l O al 2° Granatieri vedi: Sardegna 3° Granatieri di Sardegna (e d'Albania), 553 nota 2, 553, 569 10° Granatieri di Savoia, 537 nota 1. 538,564 11 ° Granatieri di Savoia, 537 nota I 4° Fanteria Carrista, 596 4° Speciale, 515 nota 8 7° Trasporù Monte Amiata, 633 nota 18 24° Logistico di Manovra, 641 4° Genova Cavalleria, 594. 596 5° Lancieri di Novara, 430, 5 IO, 633 nota 18 6° Lancieri d'Aosta, 554. 597 8° Lancieri di Montebello. 595. 633 nota 18 10° Lancieri di Firenze, 633 nota 18 15° Cavalleggeri di Lodi, 623 nota 19 18° Ussari di Piacenza. 446,471 nota 4 19° Cavalleggeri Guide. 410,526 nota 31,633 nota 18, 637 nota 33 20° Cavalleggeri Roma, 515 nota 8 Dal 1° al l 8° fanteria vedi: Sardegna 17° Fanteria Addestramento Volontari Acqui, 647 19° Fanteria Brescia, 442 nota l 27° Fanteria Pavia, 432 nota 3 28° Fameria Pavia, 487 3 I° Fanteria Carrista, 572, 594 32° Fanteria Siena. 516 nota 12 34° Fanteria Livorno, 471 nota 4, 515 nota 8 36° Fanteria Pistoia, 459 nota 21 38° Fanteria Ravenna, 514 nota 7 39° Fanteria Bologna, 442 nota l 41° Fanteria Modena. 442 nota I 47° Fanteria della Milizia Territoriale, 498 nota 23 47° Fanteria Ferrara, 552 nota I, 553 nota 2 48° Fanteria della Milizia Territoriale, 498 nota 23 49° Fanteria Parma, 459 nota 21 52° Fanteria Umbria, 439 52° Fanteria d'Arresto Alpi, 630 nota 6 53° Fanteria Umbria, 577 53° Fanteria d'Arresto Umbria. 630 nota 6 57° Fanteria Abruzzi, 471 nota 4 62° Fanteria Sicilia, 515,516 nota 12 67° Fanteria Legnano. flJ7 nota 30, (IJ8 nota 33 67° Fanteria Palermo, 513 nota 2 68° Fanteria Legnano, (IJ8 nota 32 73° Fanteria d'Arresto Lombardia, 630 nota 6 75° Fanteria Napoli, 621 nota 2

78° Fanteria Gorizia, 633 nota 18 80° Fanteria Roma. 576 80° Fanteria Addestramento Volontari Roma. 647 85° Fanteria Verona, 498 nota 23, 513 nota 3 85° Fanteria Addestramento Volontari Verona, 647 86° Fanteria Verona, 512 93° Fanteria Messina, 459 nota 21 I 34° Fanteria Benevento, 515 nota 10 135° Fanteria Campania, 516 nota 12 151° Fanteria Sassari, 637 nota 33,641 nota 42 I 57° Fanteria Liguria, 489 nota 11 158° Fanteria Liguria, 489 nota 11 165° Fanteria Liguria, 489 nota 11 182° Costiero. 598 nota 12 183° Paracadutisti Nembo, (IJ8 nota 34 l 84° Paracadutisti Nembo, (IJ8 nota 34 208° Fanteria Taro, 489 nota Il 235° Fanteria Addestramento Volontari Piceno, 647 259° Fanteria Murge, 574 nota 20 2(1J° Fanteria Murge, 574 nota 20 313° Fanteria Pinerolo, 515 Reggimento Fanti dell'Aria. vedi Aviazione, Regia Aeronaut.ica. Reggimento Fanti dell' Aria Reggimento Lagunari Serenissima, 647

RSI 2° Reggimento Milizia Difesa Territoriale Carnaro, 612 3° Reggimento Milizia Difesa Territoriale Carnaro, 6 I I nota 38 Regno Italico l • Reggimento Cacciatori a Cavallo, 341 nota 34. 345, 347 nota 4 2° Caceiatori a Cavallo, 359 nota 29, 364 nota 35 3° Cacciatori a Cavallo, 359 nota 29. 36 nota 35 4° Cacciatori a Cavallo, 363 nota 34 I O Ussari. 341 nota 34, 345 2° Ussari, 34S, 346 nota 2 Reggimento Dragoni di Napoleone, 320, 356 nota 23, 364 nota 35 Reggimento Dragoni Regina, 359 nota 29 I• Leggero, 346 nota 2, 348 nota 12. 356 nota 23, 359 nota 29 2° Leggero, 346 nota 2, 356 nota 23, 363 nota 34 3° Leggero. 359 nota 29, 362 nota 39, 375 nota I 1° Reggimento Fanteria di Linea, 346 nota 2, 348 nota 12, 3S6 nota 23, 364 nota 35 2° Fanteria di Linea. 354 nota 18, 362 nota 33 3° Fanteria di Linea. 347 nota 4, 3S9 nota 29,362 nota 33 4° Fanteria di Linea, 347 nota 4, 349, 354, nota I 8, 364 nota 35 5° Fanteria di Linea, 347 nota 4. 363 nota 34


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GLI ITALIANI IN ARMI

6° Fanteria di Linea. 356 nota 23, 364 nota 35 7° Fanteria di Linea. 352 nota 13, 356 nota 23, 364 nota 35 Reggimento Cacciatori Reali, 356 nota 23 Reggimento Ligure, 347 nota 5 Napoli Reggimento Artiglieria Re. 386 Reggimento Artiglieria Regina, 386 Reggimento Cavalleria Borbone, 388 Reggimento Cavalleria Re, 376 nota I 2, 278 nota 13 Reggimento Cavalleria Rossiglione. 276 nota I 2. 278 nota 13 Reggimento Cavalleria Sicilia. 312 nota 12 O I Reggimento Dragoni, 405 nota 2 2° Reggimento Dragoni. 405 nota 2 Reggimento Dragoni Napoli, 312. 314,328 Reggimento Dragoni Principe, 3 I 2 nota I 2, 312. 314, 368 nota 43 Reggimento Dragoni Re.312, 314, 328 Reggimento Dragoni Regina. 3 I 2 nota I 2, 312. 314 Reggimento Dr.1goni Tarragona, 276 nota 12,278 nota 13. 312 nota 12 1° Reggimento Lancieri, 405 nota 2 2° Cacciatori a Piedi della Guardia Reale IO Estero, 312 nota 14. 368 nota 41 e 43 2° Estero, 3 12 nota 14 I° Fanteria di Linea. 405 nota 2 5° Fanteria di Linea, 405 nota 2 7° Fanteria di Linea, 405 nota 2 8° Fanteria di Linea, 405 nota 2 9° Fanteria di Linea, 405 nota 2 l 0° Fanteria di Linea, 40 I. 405 11 ° Fanteria di Linea. 405 nota 2 12° Fanteria di Linea, 405 nota 2 Reggimento Fanteria Agrigento, 312 nota 14. 386 nota 13 Reggimento Fanteria Borbone, 386 nota 13 Reggimento Fanteria Borgogna. 276 nota 12,312 nota 14 Reggimento Fanteria Bruzii, 386 nota 13 Reggimento Fanteria Calabri, 386 nota 13 Reggimento Fanteria Calabria, 312 nota 14 Reggimento Fanteria Catania, 386 nota 13 Reggimento Fanteria Hainaut, 276 nota 12 Reggimento Fanteria Lucania, 312 nota 14 Reggimento Fanteria Marsi. 386 nota 13 Reggimento Fanteria Messapia, 312 nota 14 Reggimento Fanteria Principato. 386 nota I 3 Reggimento Fanteria Principe, 386 nota 13 Reggimento Fanteria Principe Leopoldo, 329, 386 nota 13 Reggimento Fanteria Puglia, 312 nota I4 Reggimento Fanteria Re. 312 nota 14. 386 nota 13

Reggimento Fanteria Real Borbone, 276 nota 12, 278 nota 13 Reggimento Fanteria Real Campagna, 3 I 2 nota 14 Reggimento Fanteria Real Corona. 386 nota 13 Reggimento Fanteria Real Famese, 312 nota 14, 386 nota 13 Reggimento Fanteria Real Italiano, 312 nota 14 Reggimento Fanteria Real Napoli, 278 nota 13, 312 nota 14,386 nota 13 Reggimento Fanteria Real Palem10, 276 nota 12, 312 nota 14. 386 nota 13 Reggimento Fanteria Reali Presidi, 368 nota 41 Reggimento Fanteria Regina, 276 nota 12. 312 nota 14. 386 nota 13 Reggimento Fanteria Sannio, 312 nota 14 Reggimento Fanteria Reali Sanniti, 368 nota 41 Reggimento Fanteria Sanniti, 386 nota 13 Reggimento Fanteria Siracusa, 312 nota 14,386 nota 13 Reggimento Fanteria Trapani, 386 nota 13 Reggimento I O illirico. 312 nota 14 Reggimento 2° Illirico, 312 nota 14 Reggimento Macedonia, 276 nota 12 Reggimento (svizzero) Tscbudi, 276 nota 12 Reggimento (svizzero) Wirtz. 276 nota I 2, 278 nota 13 Reggimento J ° Cacciatori, 354 nota 18 Napoli - Napoleonici e murattiani I O Veliti. 354 nota 17 2° Veliti. 354 nota 17 2° Leggero. 354 nota 17. 360 nota 30 1° di Fanteria di Linea. 354 nota 17 e 18 2° di Fanteria di Linea, 354 nota 17 3° di Fanteria di Linea. 354 nota 17 4° Fanteria di Linea, 348 nota 8. 354 nota 17 5° Fanteria di Linea, 360 nota 30, 362 6° Fanteria di Linea. 354 nota 17, 360 nota 30. 362 7° Fanteria di Linea, 354 nota J7, 360 nota 30 I• Cacciatori a Cavallo, 348 notà 8, 354 nota 6 2° Cacciatori a Cavallo, 354 nota 17, 364 nota 35 Reggimento Artiglieria. 354 nota l7 Reggimento Artiglieria di Marina, 354 nota I 7 Reggimento Dragoni, 348 nota 8 Parma Reggimento Maria Luigia. 375 nota I, 376. 379. 383 I° Fanteria, 384 2° Fanteria, 384 Reggimento Dragoni, 383 Sardegna - Sa voia Artiglieria Reggimento d" Artiglieria. 387 Reggimento d' Artiglieria a piedi. 377


INDICI

Cavalleria Aosta Cavalleria, 394, 40 I Cavalleggeri del Re. 304 nota 2, 389 Cavalleggeri di Piemonte, 377 nota 6, 389. 390 Cavalleggeri di Sardegna. 366 nota 37, 377 nota 6 Cavalleggeri di Savoia, 390 Cavalleggeri di Sua Maestà, 303 nota l, 377 nota 6 Dragoni del Genevese, 319 nota I , 390 Dragoni del Re, 389 Dragoni della Regina. 303 nota I, 304 nota 2,377 nota 6. 389 Dragoni di Madama Reale, 186 Dragoni di Piemonte, 219 nota l, 225, 394 Dragoni di Sua Altezza. 186 Dragoni di Sua Altezza Reale, 212. 219 nota J Dragoni di Sua Maestà, 311 nota 11, 377 nota 6 Dragoni Leggeri di Sardegna. 365 Fanteria Reggimento Alba, 225 nota 12 Reggimento Alessandria, 377 nota 4, 389 Reggimento Asti. 307 nota 7 Reggimento Carmagnola, 225 nota 12 Reggimento Ceva. 225 nota 12 Reggimento Chiablese. 186, 200. 2 l 9 nota l Reggimento Corsica, 287 nota l Reggimento Croce Bianca, 177, 186, 188. 200. 212,225 nota 12 Reggimento (fanteria) della Marina, J86, 242, 288 nota 3. 303 nota I Reggimento Fossano, 225 nota 12 Reggimento Fucilieri, 219 nota l , 243 nota 3 Reggimento Genevese, 303 nota I. 304 nota 2 Reggimento Genova, 377 nota 4. 389 Reggimento Granatieri Reali, 307 nota 7. 3IO Reggimento Guardie. poi Brigata, (vedi ancbe Brigata Granatieri Guardie e Reggimento Granatieri di Sardegna). 200. 21 1, 219 nota J, 262 nota 2,243. 257. 284. 299. 303 nota I, 304 nota 2, 307 nota 7, 320 nota 13, 339 nota 32. 377 nota 4, 389 nota 16 Reggimento Lombardia, 305 nota 4 e 6 Reggimento Mondovì. 225 nota 12 Reggimento Monferrato, 177,186,200,2 19 nota I, 303 nota I, 339 nota 32, 377 nota 4 , 389 Reggimento Moriana, 303 nota I, 304 nota 2 Reggimento Nizza, 186 Reggimento Saluzzo, 186. 200,219 nota 1. 225 nota 12. 305 nota 6, 339, 377 nota 4, 389 Reggimento Santa Giulia, 225, nota 12 Reggimento Sardegna. 303 nota I, 305, 365, 366, 377 nota 4 Reggimento Savigliano, 225 nota 12 I O Reggimento Fanteria Savoia, (poi Brigata, vedi anche Brigata e Divisione Re), 177, 186. 188, 219 nota I, 242 nota 2, 243, 299 nota

765 4,301 nota I. 304 nota 2,339 nota 32,377 nota 4. 394 nota 21 2° Fanteria Savoia, 394 nota 21 Reggimento Schulemburg, 2 l 9 nota I Reggimento Susa, 303 nota I Reggimento Valdesi, 225 nota 12 Sardegna, poi italiani: fanteria I O Granatieri di Sardegna, 448, 48 l nota 3, 509 nota I. 615 2° Granatieri di Sardegna. 470. 481 nota 3, 486. 509 nota IO, 5IO,516 nota 12 3° Fanteria Piemonte. poi Brigata, poi Divisione. 177, 186,188,200.219 nota I, 243 nota 3. 257,305 nota 6,307 nota 7,339 nota 32, 377 nota 4. 394 nota 21 4° Fanteria, Piemonte, 432 nota 3 5° Fanteria Aosta, poi Brigata. poi Divisione, l 86. I88, 2 19 nota I. 303 nota l, 304, 305 nota 6, 377 nota 4, 21. 432 nota 3 6° Fanteria, Aosta, 394 nota 21 7° Fanteria, Cuneo, poi Brigata, poi Divisione, 377 nota 4, 394 nota 21 8° Fanteria, Cuneo, 394 nota 21 9° Fanteria, Regina. poi Brigata. poi Divisione, 305 nota 6. 377 nota 4, 394 nota 21. 615 I0° Fanteria, Regina. 394 nota 21 11 ° Fanteria. Casale, poi Brigata, poi Divisione. 303 nota I, 305 nota 4, 390, 394 nota 21 12° Fanteria. Casale, 394 nota 21 13° Fanteria, Pinerolo, poi Brigata. poi Divisione. 225 nota 12, 390, 394 nota 21 14° Fanteria, Pinerolo. 394 nota 21 15° Fanteria Savona. poi Brigata, poi Divisione. 390, 394 nota 21 , 498 nota 23 16° Fanteria Savona, 394 nota 21, 498 nota 23 17° Fanteria Acqui, poi Brigata, poi Divisione, 390. 394 nota 21, 402 18° Fanteria Acqui. 394 nota 21 Reggimento Artiglieria a Cavallo, 377, 395 nota 22 l O Reggimento Nizza Cavalleria, 446 2° Reggimento 2° Savoia Cavalleria, 219 nota I. 377 nota 6, 389, 40 I nota 5. 446, 577 3° Reggimento Piemonte Reale, 2 I 9 nota I, 377 nota 6, 389 nota 16,390,446, 509 nota 5, 446 4° Reggimento Genova Cavalleria, 401 nota 5. 446 6° Reggimento Cavalleggeri del Monferrato, 420 Sabaudi esteri Reggimento (siciliano) Gioeni, 243 nota 3 Reggimento (svizzero bemese) Rokmondet. 303 nota I . 304 nota 2 Reggimento (svizzero vallesano) De Courten, 305 nota 6 Reggimento (sviaero) Hackbren. 242 nota 2, 243


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GLI ITALIANI lN ARMI

Siciliani Borbonici Reggimento Guarnigione, 368 nota 41 O I Estero, 368 nota 43 2° Estero. 370 nota 45 3° Estero, 370 nota 45 4° Estero, 368. 370 nota 45 5° Estero. 368 2° Cavalleria, 368, 370 nota 45 Reggimento Reali Presidi, 368 nota 41 Reggimento VaJdemone, 368 nota 4 l Reggimento Valdimazzara, 368 nota 41 Reggimento Valdinoto, 368 nota 41 Prussia 61 • Reggimento Fanteria, 443 Toscana I • Real Leopoldo, 382 I• Real Toscano, 38 I 2° Real Ferdinando, 38 I 3° Fanteria di Linea, 382 Reggimento (li Toscana. 297 Reggimento Reali Cacciatori a Cavallo, 382 Reggimento Veliti Toscani, 382 Venezia Reggimento (alemanno) Fugger, 237 nota 3 e 8 Reggimento (alemanno) Giovane Otting, 237 nota 3 Reggimento (alemanno) Schulemburg, compagnia Kaufmann, 237 nota 3 e 8 Reggimento (alemanno) Vecchio Otting, 237 nota 3 e 8 Reggimento (alemanno) Vecchio Valdeck, 237 nota3e8 Reggin1ento (estero italiano) Barbon, 237 nota 8 Reggimento (estero italiano) Boeri, 237 nota 8 Reggimento ( italiano) Lavezzari, 237 nota 3 Reggimento (oltremarino) Combat, 237 nota 3 Reggimento (oltremarino) Jsy, 237 nota 3 Reggimento (oltremarino) Maina, 237 nota 3 Reggimento (oltremarino) Rosani, 237 nota 3 Stato Pontificio Reggimento in luogo de' Corsi. 182 Reggimento de' Bianchi, 182 1° Reggimento Fanteria, 352 nota 8 O I Reggimento (li Linea, 433 nota 5 Regia Guardia di Finanza, 470 nota 2, 485, 554, 560 nota 4, 564, 564 nota 11. 594 Regia Guardia per la pubblica sicurezza, 516 nota 14,518 Regie Truppe d'Africa, 453 Regie Truppe Italiane in Estremo Oriente. 513 Regio Corpo (li Truppe Coloniali. 466, 527, 540 Regio Corpo di Truppe Coloniali dell'Eritrea, 527 Regio Corpo di Truppe Coloniali della Somalia, 521 nota 23, 532 nota 2, 621

Regio Corpo di Truppe Indigene, 466 ReNaMo,634 Renan, marchese de, generale sabaudo, 120 Renier, Lorenzo, capitano delle Ga.leazze, ad interim capitano generale da Mar, 173 Reparti d'Assalto, 490 nota 13 Reparto Carri Armati, 523 Reparto Logistico Dolomiti, 641 IX Reparto d' Assalto, 608 Reparto Speciale Carri d'Assalto, 523 Reparto Speciale Italiano di Konya, 515 Retz, marchese de, generale francese, 260 Reuter, agenzia di stampa. 594 Revel, vedi Sant' Andrea Reverheri, generale italiano, 581 Rey, Louis Emmanuel. generale francese, 329 Reynier, Gian Luigi Ebenezer, generale francese e min.istro murattiano, 347. 350, 351 Rezzonico, Clemente Xlll, papa, 294 Rhebinder, Otto von, gran maresciallo di Savoia, 229 Ribagorza, Giovanni d' Aragona, conte de, vicerè spagnolo di Napoli. 32 Ribbentrop, Gioacchino von, ministro tedesco. 551 ,552 Ribera, Francesco de, ammiraglio napoletano al servizio spagnolo, 107 Riboty, Augusto. ammiraglio italiano. 439, 446 nota 8 Ricasoli, barone Bettino, politico italiano. 435 Ricci, Renato, console generale della MVSN, 601,602 Richelieu, Armando Giovanni du Plessis, cardinale de, ministro francese, 108. 116, 117, 120- 125, 128, 129, 131-136, 141,148,203, 266 Ricotti-Magnani, Cesare, generale e ministro italiano, 445. 446 nota 8 Ricotti-Magnani, riforma, 445, 446, 648 Rilke, Rainer Maria, poeta austriaco, 478 nota I Rinaldo, duca di Modena, vedi Este Rinuccini, capitano toscano. 92 Ristori, Pierpaolo, generale genovese, 177 Ritchie, Nei!. generale inglese, 584, 585 Ritucci, Giosuè, generale delle Due Sicilie, 428 Rivara. marchese di, generale monferrino dei Gonzaga, 124 Rivarola. Domenico, colonnello sardo, 287, 288 Roana, Mario, generale italiano. 545, 547-549, 574,581 nota 28. 594. 595 Roccaromana, vedi Caracciolo, Lucio Rodio, Giambattista, capoinsorgenza napoletaoo, 334 Rodolfo ID, d' Asburgo, imperatore, vedi Asburgo


INDICI

Roero conte di Revello, generale sabaudo, 210 Ruggiero. Giuseppe de, marchese di Trelingue generale delle Due Sicilie, 431 Rohan-Soubise, principe de, generale austriaco, 347 Rohan , Enrico. duca de. ambasciatore e generale francese, 129, 130, 132 Rojas Borjia, Mastro di campo generale spagnolo, 127 Rolle, colonnello italiano, 540 Roma, Orsini conte di, generale italiano al servizio austriaco. 259 Romanov, Alessandro I, zar di Russia, 349, 360, 378 Rornanov, Anna, granduchessa di Russia, 358 Romanov, Nicola I, zar di Russia. 412 Romanov, Pietro I, zar di Russia, 235,411 Romita, Pier Luigi, ministro italiano, 604 nota 24,615 Rommel, Erwin, feldmaresciallo tedesco detto "La Volpe del Deserto", 567, 583-588 Ronchetti, Riccardo, generale italiano, 520 Ronco, generale italiano, 614 Rondinelli, marchese, colonnello pontificio, 324 Rosa. tenente italico, 362 Rosai, Ottone, pittore italiano, 479 Roselli, Pietro, generale romano. 408 Rosenheim, Luigi Adolfo, Maresciallo di campo napoletano, 351 Rosny, Signor de, generale francese, 95 Rospigliosi, Clemente IX papa, 174 Rosselli, Carlo, politico italiano, 547 Rosselli, Nello, politico italiano, 309 nota IO Rossi, Edmondo, generale italiano, 514, 545-547 Rossi. Pellegrino. ministro pontificio, 406 Rowley, ammiraglio inglese, 276, 277 Rubattino, società di navigazione, 423, 451 Ruffo, di Bagnara, Fabrizio, cardinale e politico napoletano, 329, 333-337 Ruggiero, Renato, generale italiano, 592, 593 Ruggero Vittorio, generale italiano, 527 Ruini, politico italiano, 604 nota 24, 606 Ruiz, de Caravantes, Prospero, brigadiere napoletano, 314 Rukrocl, von, colonnello svi1.zero, 60 Rusca, arciprete di Sondrio, I14 Ruspoli, Famiglia. 332 Russe!, Odo, diplomatico inglese, 415 Ruyter, Michele. ammiraglio olandese. 180, 181 Sabac, governatore tedesco al servizio spagnolo, 134 Saffi, Aurelio, politico italiano, 406 Sagredo, Zaccaria, provveditore veneto, 125 Saied Mohammed, senusso. 520 Saint-Bon, Simone de, ammiraglio e ministro ita-

767 liano, 462 Saint-Olonne, Francesco de, ambasciatore francese. 183 Saint-Paul. colonnello francese, 43 Saint-Paul, conte de, generale francese al servizio veneziano, I 92 Saint-Rémy. Filippo Guglielmo Pallavicini, Barone di, generale sabaudo, 227 Saint-Sirnon, Luigi de Rouvroy duca de, 204,212 Sala, sergente maggiore generale veneziano, 238 Salandra, Antonio, ministro italiano, 477,478 Salasco, armistizio di, 409 Salerno, principe di, generale spagnolo, 51 Saletta, conte Tancredi, generale italiano, 451, 452,465,473 Salsa, Tommaso, generale italiano, 461 Saluzzo, Francesco, marchese di, 41, 42 Saluzzo, Gianluigi, marchese di, 42 nota 21, 43, 56 Salvago, capitano genovese, 82 Salvatores. generale italiano, 573 Salviani, colonnello italiano, 516 nota 12 Salzano. Giovanni, generale delle Due Sicilie, 431 SAM,637 SAMCOMM, 637 Sampiero Corso, vedi Bastelica. Sampiero da, San Gennaro, 258. 333. 337 nota 28,394 nota 19 San Giuliano, marchese di, ministro italiano, 477 San Marzano. ministro sardo, 389 San Marzano, Alessandro Asi nari conte di, generale italiano, 452 San Sebastiano, Anna Carlotta Teresa Canalis, contessa di, 245, 284, 285 San Venceslao, 112 Sanfedisti, vedi Armata della Santa Fede Sanfelice, Giovan Vincenzo, generale napoletano a.I servizio spagnolo. 127, 128 Sanfelice, Luisa, de Molino, esponente partenopea, 336 Sangallo, Giuliano da. architetto militare italiano, 17 Sanseverino, Ferrante, ambasciatore napoletano, 53 Sanseverino, Galeazzo, capitano milanese, 25 Sant' Andrea, Carlo Francesco Tahon marchese di Revel, conte di, generale sardo, 312, 323 Sant' Andrea, Paolo, generale italico, 3 I 9 Sant' Anna, Signor di, generale sabaudo, I 18 Sant' Antonio da Padova, 337 Santa Alleanza, 386 Santarosa, Flippo Derossi conte di, generale sardo, 307 nota 7 Santarosa, Annibale De Rossi conte Santorre di, patriota piemontese, 389 nota I 6


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GLI ITALIANI IN ARMI

Santena. Carlo Ottavio Senso. conte di, generale sabaudo, 225 nota 12 Santemecchia, Ovidio. generale italiano. 490 nota 13 Santillo. Giuseppe. generale italiano, 632 Santini. Ruggero. generale italiano, 528, 529,

565 Santo Stefano. Ordine di 20, 61 nota 22. 74, 81, 165 Santucci, Tommaso. politico corso. 290 nota 5 Sapeto. Giuseppe. missionario ed esploratore italiano. 451 Sarrniento. Juan, generale spagnolo. 49 Sarrniento, Mastro di campo spagnolo. 106 Sarpi, Paolo. frate e politico veneziano. IO I Sassonia, Maurizio conte di, detto "n Maresciallo di Sassonia", maresciallo di Francia, 152, 275 Sassonia, Maurizio di, vedi Wettin, Saulx. contessa de. nobildonna francese. 91. 92 Savelli. Angiolino, geomclra italiano. 566 nota 13.567,568 Savoia Casa di, 31 e 31 nota 11, 43, 50, 95 nota 2 1. 104, 111. 204, 205, 254, 255. 266. 270. 296.320,341.373,376,378,379,404,426, 478,593.ti03,615 Savoia, Carlo Il di, duca di Savoia. 40-42, 50, 51. 53.63 Savoia, Carlo Emanuele I di, duca di Savoia. 9095. 99, 100, l03-113. 115-125, 201 Savoia, Carlo Emanuele n di, duca di Savoia, 131, 133, 134. 157. 159, 173, 177, 178, 185 Savoia, Carlo Emanuele lii di, re di Sardegna, 245, 254-257, 2ti0-262. 266-279. 281, 283. 287, 288.296.298,299.380,397,413.414.421 Savoia. Carlo Emanuele IV di. re di Sardegna, 320-323, 339, 365 Savoia, Carlo FelJce I di, Re di Sardegna, 389, 390 Savoia. don Amedeo di. 91 Savoia. don Felice di. I 31 nota I6 Savoia, don Gabriele di, 177, 178, 187, 188. 199 Savoia, don Maurizio di , 135 nota 19 Savoia Emanuele Filiberto I. di duca di Savoia. detto " Testa di Ferro", 68, 69. 74, 81, 84 nota 9, 90, 187.205.222 Savoia, Emanuele Filiberto di, Generale del Mare del Regno di Spagna, l06 Savoia. Filiberto Il di, duca di Savoia, 24 Savoia. Francesco Giacinto. 131 Savoia. Margherita di. regina d'Italia, 447,465 Savoia. Maria Adelaide di, Delfina di Francia, 214 Savoia. Maurizio di. cardinale. 131. 136 Savoia. Maurizio. Maria, Giuseppe di, duca del

Monferrato. 309 Savoia, Tommaso di, principe di Carignano. 117, 122,131, 133-136, 141 , 148, 155,156, 201, 390 Savoia. Umberto I di. re d'Italia, detto "Re Buono... 437. 444. 447. 462. 465 Savoia. Umberto Il di, re d'Italia, detto "Re di maggio", 561, 591. 595, ti06, 615 Savoia, Vittorio Amedeo I di, duca di Savoia. 118, 122- 125, 129-132 Savoia, Vittorio Amedeo O di. duca di Savoia, re di Sicilia, poi re di Sardegna, 185-188. 199232, 241,244,245,281,285,367,380,397, 413,141,593 Savoia. Vittorio Amedeo lii di, re di Sardegna. 298,303,307.308.311.556 Savoia, Vinario Emanuele I di, duca d'Aosta, poi re di Sardegna, 305. 309, 365-367, 374. 376, 378-380. 389 Savoia. Vittorio Emanuele li di, re di Sardegna, poi re d'Italia, detto "Re Galantuomo.., 401404. 4l0-421, 428-432, 436,437 Savoia. Vittorio Emanuele III di, re d'Italia e d'Albania, e imperatore d'Etiopia. detto "Re Soldato". 447. 465-467. 473-475, 483. 490 nota 13. 494. 495, 506, 516,517. 554, 572, 591-593,595,ti06,615 Savoia-Aosta, Aimone di , duca di Spoleto, ammiraglio italiano e re di Cro:uia. 572 Savoia-Aosta. Amedeo di. duca d'Aosta. generale italiano e vicerè d'Etiopia. 479, 520, 540.541,562,563.565,566,567 Savoia-Aosta, Emanuele Filiberto di, duca d' Aosta, generale italiano, 479, 485. 487. 490. 491,495 Savoia-Aosta, Luigi Amedeo di. duca degli Abruzzi, esploratore e ammiraglio italiano, 478 nota 7, 524 nota 28 Savoia-Carignano Carlo Alberto principe di. poi re di Sardegna. 373, 389-391. 393-404, 406. 410. 417. 477 Savoia-Carignano-Soissons. Francesco Eugenio di. detto "li Principe Eugenio", 20 I, 207213. 217-219, 221-228. 230,236,239,246. 391,651 Savoia-Ncmours, Giovanna Battista. Madama Reale. duchessa reggente di Savoia, 187189, 205 Savory. sir William, generale inglese. 564 Scaglia di Verrua, abate, I 04 Scaglia. Giuseppe Maria, conte di Verrua. colonnello sabaudo, 208 Scalenghe. conte di. generale sabaudo. 43. 124 Scalenghe. conte di, generale sabaudo nipote del precedente, 124. 177


INDICI

Scapaccino, Giambattista, carabiniere reale sardo, 391 nota 17 Scattirtl, generale italiano, 61 O nota 36 Scavane. colonnello italiano. 540 Schipani, Giuseppe. generale partenopeo, 335, 337 Schmidt, generale svizzero al servizio pontificio, 429 Schneider, coppa, 524 Scholtz. von, generale tedesco. 498 Schulemburg, generale austriaco, 281 Schulemburg. Mattia von, generale tedesco al servizio veneziano, 236-238 Schwartzenberg, principe Carlo Filippo, feldmaresciallo austriaco, 359,360,364 Schwartzemberg, principe Felice Luigi. ministro e feldmaresciallo austriaco, 411 Sciarpa, Curcio Gerardo, detto. capoinsorgenza napoletano, 336, 337 Sciarra, Marco, capobrigante napoletano, 69 Sciluc, Mehmet, 86 Scoccimarro, Mauro poliLìco italiano, 604 nota 24 Scotti. marchese, Annibale, diplomatico parmense. 242 Scuola (cisalpina) Militare d'Artiglieria e Genio. 320 Scuola d'Artiglieria, 6 I8 nota 3 Scuola di Fanteria. 490 nota 13 Scuola di Paracadutismo, 583 nota 32 Seignelay. vedi Colbert Sejum, ras etiopico, 528, 531, 532 Selim, Sultano di Turchia, 83 Senantes. marchese di. generale francese al servizio sabaudo, 188 Senetterre, marchese de, ambasciatore francese, 270 Senger und Etterlin, Frido von, generale tedesco, 611 Serbelloni, rnovanni, generale italiano al servizio imperiale, 120 nota 7. 129, 130 Scrcognartl. Giuseppe. colonnello italico e generale delle provincie unite italiane, 391 Serra, marchese, mastro di campo spagnolo, 135 nota 19, 156 Serranti. Alfredo, maggiore italiano, 566 Serravalle, Signor cli, generale genovese al servizio doriano, 90 Sérurier, Giovanni, maresciallo di Francia, 305, 311 Severoli, Filippo. generale italico, 319. 356,371 159" Sezione Carabinieri Reali, 513 nota 3 165" Sezione Carabinieri Reali , 5 I 3 nota 2 5 l' Sezione Sanità, 607 nota 30 Sfondrato. Ercole, duca di Montemarciano, ge-

769 nerale pontificio, 92 Sfondrato Gregorio XIV. papa, 92 Sforza, Caterina. signora di Forll, madre di Giovanni delle Bande Nere, 27, 35 aota J7 Sforza, conte di Santafiora, generale al servizio spagnolo e pontificio, 67 Sforza, Francesco Maria, duca di Milano, 36. 40. 41 Sforza, Ludovico, detto "Il Moro", duca di Milano, 21, 24. 25 Sforza, Massimiliano, 34, 35 Sforza, Michele, maggiore delle Due Sicilie. 425 Sièyes, Emanuele Giuseppe, politico francese, 340 Sifola, colonnello italiano. 513 Sillavengo, vedi Caccia Dominioni Silvati. Giuseppe, sottotenente delle Due Sicilie, 373,388 SIM, 525 nota 30. 562, 572, 585, 589 Simonetti, Diego. ammiraglio italiano, 517 Sinam, pascià turco, 51 nota J0 Sinau, capitan pascià turco, 170 Singa, conte di, colonnello veneziano, 84 Siniawin, ammiraglio russo, 348 nota 9 Sinzendorff, Filippo Luigi conte von. ministro austriaco. 20 I Siri, generalissimo ligure, 321 Sirianni. Giuseppe, ammiraglio e ministro italiano, 460 Sirtori, Giacomo. generale garibaldino, 410 Sisto V, Peretti, papa, 91, 92 Sittoni, colonnello modenese, 139 nota 26 Slataper, Scipio, scrittore italiano, 479 Sobieski, Jan, re di Polonia, I 9 I Sobrero, Ascanio, chimico italiano, 410 Società Nazionale, 414. 420 Soddu, Ubaldo, generale italiano. 569 Soffici, Ardengo. pittore e scrittore italiano, 479 Solaro della Chiusa, generale sardo, 322 Soleri, ministro italiano, 606 Soliman, popolazione somala. 467 Sol imano, U, sultano di Turchia, detto "li Magnifico", 46, 47, 48, 80, 83 Solimano lll, sultano di Turchia. 193 Somma. Scipione, principe di, nobile napoletano, 46 Sornmariva, marchese Annibale, generale italiano al servizio austriaco, 340 Sommari va, Vittorio Amedeo Giuseppe. marchese d' Aix e di, generale sardo, 312 Sommergibile, vedi Nave Soranzo, ambasciatore veneziano. I 02 Sovrano Militare Ordine dei Cavalieri Ospitai ieri di San Giovanni di Gerusalemme, vedi Malta. Ordine di


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GLI ITALIANI IN ARMI

Spannocchi, Piccolomini barone Francesco generale toscano, 340, 341 Spanò, Agamennone, generale partenopeo, 337 Speri, Tito, patriota bresciano, 406 Spinelli, Oscar, colonnello italiano, 493 nota 15 Spini, riforma, 395 Spinola, Agostino, generale genovese, 55, 64 Spinola, Ambrogio, generale genovese a] servizio spagnolo, 112, 120 nota 7, 122. 123 Spuntonieri (napoletani, borbonici), 327 □ota 24 Squadre d'Azione, 518 4' Squadriglia Autoblindomitragliatrici, 509 nota I 5" Squadriglia Autoblindomitragliatrici, 509 nota I Squadrone (siciliano) Cacciatori Reali, 368 Squadrone di Napoli, 71 Squadrone di Piemonte, 74, 186 nota 5 Squadrone di Savoia, 74, 186 nota 5 Squadrone Volontari Guide, 608 nota 34 Stagnetti, Pietro, tenente colonnello garibaldino, 428 Stalin, JosifVissarionovic Dzugasvili, dittatore sovietico, 546, 624 Stampa, generale italiano al servizio austriaco, 245 Standscbutzen, 484 Stanzani, colonnello modenese, 375 nota l Starkemberg, generale austriaco, 375 nota I Statella, Francesco Maria principe del Cassaro, generale delle Due Sicilie, 405 nota 2 Stefani, agenzia di stampa, 469,470,506, 507 Stefanini, generale austriaco, 375 Stengel. Enrico, generale francese, 311 nota 11 Stevani, Francesco, generale italiano, 454 Stewart, sir Herbcrt, generale inglese, 454 nota 10 Strafellpedition, 484, 486 Strassoldo. Carlo conte di, generale austriaco al servizio veneziano, 191 Strassoldo, Giulio Giuseppe, generale austriaco, 401 Streva, Vincenzo, generale italiano, 466 Strozzi, Piero, fuoruscito fiore.nti no e generale al servizio francese, 41. 52, 56, 58-61, 67, 68 Stuart, Carlo, generale inglese, 350 Stuart, Carlo Il, re d'Inghilterra, 203 Stuart, Enrichetta, duchessa d 'Orléans, 199 nota I Stuart, Giacomo Il. re d'Inghilterra, 204, 214, 231 Stuparich. Carlo. scrittore italiano, 479,483,484 Stuparich, Giani, scrittore italiano, 479 Sucbet, Luigi, maresciallo di Francia. 356 nota 25,379 Susa, marchese di, generale sabaudo, 260

Sustago, conte di, vicerè austriaco di Sicilia, 258 Suvorov. conte Pie1ro Alessandro Vassilievic, Rimnikskij, maresciallo russo, 332, 338, 339 Tabur,452 TAIF, vedi Truppe Ausiliarie Italiane in Francia Tallard, Camillo d'Hostun de, maresciallo di Francia, 221 Talleyrand, Carlo Maurizio principe de. ministro francese,340,345,349,355,357,378,379 Tanca, Giambattista, ufficiale di Marina italiano,

460 Tanucci, Bernardo, ministro napoletano, 296 Tarditi, nobile Giuseppe, generale italiano, 496, 497 Targone, Pompeo, architetto militare, 17 Tasso, Carlo, Mastro di campo spagnolo, 184 Tavora, marchese di, Mastro di campo spagnolo, 135 nota 19 Tecco, Romualdo, ambasciatore sardo, 413 Tedesco, conte, generale sabaudo, 159 TeUera, Giuseppe, generale italiano, 583 Tellini, Enrico, generale italiano, 517 Templari, Cavalieri, 80 Teodoro I. re di Corsica. vedi Neuhoff, Theodor Tercio, definizione 71 nota I, vedi Terzo Tercio de la Armada, 631 Teruzzi, Attilio, generale italiano. 547 Terzo Bolognino, 135 nota 19 Terzo di Tavora, 135 nota 19 Terzo di Torrecuso, 126 Terw fisso di Napoli, 71, 228 Terzo fisso di Sicilia, 71, 228 Terzo ordinario di Lombardia. 71 Terw Sarmiento, 106 Terzo Serra, 135 nota 19 Terzo vecchio dei Napoletani la Real Arrnada del Mar Oceano. 71 Terzo vecchio del mare di Napoli. 71 Terzo Visconti, 135 nota 19 Tessé, Renato de Froulay, conte e generale francese, 210-213, 218,219.221. 228 Tessitore, generale italiano, 538 Testa di Ferro. vedi Savoia Emanuele Filiberto I Teulié, Pietro. generale italico, 349, 353 Teutonici. Cavalieri, 80 Thaon di Revel, Paolo, ammiraglio italiano. 478 nota 7 Thermes, Paolo de la Barthe, Signore de, capitano francese, 64, 65 Thun, conte di. commendatore di Malta, 195 nota 3 Thurn, feldmaresciallo auslriaco, 402 TIPH, 642 Tito. vedi Broz Togliatti, Palmiro. politico italiano, 546, 627


INDIO

Tojo, ldeki, ministro giapponese, 552 Toledo, Pietro Alvarez de, marchese di Villafranca, vicerè spagnolo di Napoli, 53, 59 Toledo, Federico Osorio de, marchese di Villafranca, ammiraglio e vicerè spagnolo di Napoli, poi di Sicilia, 179 Toledo, Garcia Alvarez de, marchese di Villafranca, vicerè spagnolo di Sicilia, 81, 82, 83 Toledo, Pietro de, governatore spagnolo di Milano. 107, 108, 109 Topa!, capitan pascià turco, 171 Torcy, vedi Colbert, marchese de, Toscanini, Arturo, direttore d'orchestra italiano, 479 Toselli, Pietro, maggiore italiano, 455-457, 531 Tosti, Amedeo, colonnello italiano, 485 nota 8 Toyras, G. Bonnet, conte de, generale francese, 125 Trautmansdorff, generale austriaco, I 05 Trappiccione, Riccardo, generale italiano. 636 nota 26 Trevico, marchese di. generale napoletano al servizio spagnolo, 67 Trevisan, Camillo, generale veneziano, 105 nota 8 Trezwni, Claudio, generale i1aliano, 562, 563, 617. 621 Trinità, conte della, generale sabaudo, 68, 69 Triplice Alleanza. 474,475,477 Triplice Intesa, 478, 489. 496 Trivulzio, Gian Giacomo, generale milanese al servizio francese. 25, 34 Trotti, Ardingo. generale sardo, 398, 412 Truguet, Lorenzo, ammiraglio francese, 365 Truman. Harry S., presidente americano, 618 Truppe Ausiliarie Italiane in Francia, 496. 497 Tucci, colonnello italiano, 538 Tudor, Enrico VII, re d'Inghilterra, 23 Tudor, Enrico Vlll re d 'Inghilterra, 52 Turenna, vedi La Tour d ' Auvergne Turino, Giovanni da. capitano italiano al servizio francese, 64 Tiirr, Stefano. generale ungherese garibaldino, 428 UCK. 638 UEO, EuroMarFor, 636 UEO. vedi Unione dell'Europa Occidentale UEO. WEUCONMARFOR, 636 Ugonotti, 68. 69. 91. 114, 123 Ulibarri , Gamir, generale spagnolo, 548 Umberto l. re d'Italia, vedi Savoia, Umberto I Umberto Il, re d'Italia, vedi Savoia, Umbeno U Umières. Signor d'. capitano francese, 43 Ungaretti, Giuseppe, poeta italiano, 479 Unione dell'Europa Occidentale. 623,636.637 Unione Evangelica, 111, 112

771 Unione Sovietica, vedi all'indice dei luoghi Russia UNITA, 634 Urban, barone Carlo, generale austriaco, 419 Urbano VU, papa, 92 Urbano Vili, papa vedi Barberini, Urbano vm, Uscocchi, pirati dalmati, 18, 69, 101, 102, 107, ll4 Utiti. Umberto, generale italiano, 607. 608,610 nota 35,617 Uxelles, marchese d', generale francese, 122 Vagnone, Cavaliere di Malta italiano, 81 Val Cismon, Cesare Maria de Vecchi di, generale e quadrumviro italiano, 521. 522, 568 Valavoir, marchese de, generale francese, 180 Valbelle, cavaliere de, generale francese, 180 Valbelle, Giovanni de, commendatore di Malta, 180 Valdesi, 50, 158-161 , 199,200,220.244, 271 Valentino, vedi Borgia Cesare Valfré, Sebastiano, sacerdote piemontese, 225 nota 11 Valier, Andrea, governatore di galeone veneziano, 167 Valois, Casa di, 35, 38, 62 Valois, Carlo VIlI di, re di Francia, 2 I, 22-24 Valois. Enrico l. re di Francia. 56-59. 65, 68, 69 Valois, Enrico m. re di Francia, 91 Valois, Francesco I di, re di Francia, 34, 35, 3740, 42, 43, 47, 50, 51, 55,203 Valois, Luigi XII di. re di Francia, 24, 25, 28-31, 33 Vasto. marchese del, generale spagnolo, 43, 50, 52 Vauban, Sebastiano de la Prestre de, maresciallo di Francia, 17,151,222 Vaudémont, Carlo Enrico di Lorena principe de. detto "il vecchio principe de Vaudémont" , governatore di Milano, 218,2 19 Vaux, maresciallo de, maresciallo di Francia, 294 Velada, marchese de, generale spagnolo. 156 Vendéìme. Luigi, Giuseppe duca de, maresciaJ!o di Francia. 219-222, 224 nota IO Vendéìme, Filippo de, gran priore di Malta. generale francese. 222 Vendramin, provveditore generale veneziano della Morea. 194 Veneroso, Girolamo, commissario generale genovese, 247 Veneta, repubblica, vedi nell'indice dei luoghi. Veneta Repubblica Venier, Cristoforo. sopracom.ito di galera veneziano. 102 Venier, Lorenzo. capitano generale da Mar. 102 Venier, Sebastiano, ammiraglio veneziano, 88


772

GLI ITAUANI IN ARMI

Venizelos, politico greco, 499 Venturini, Ignazio, abate corso, 287 Venturoni, Guido, ammiraglio italiano, 638 Verga, Giovanni, scrittore italiano. 448 Verri, Pietro, scrittore politico milianese, 330 Verrua, vedi Scaglia Vettori, Piero, ammiraglio veneziano. 47 Victor. Claudio Perrin, maresciallo di Francia, 325, 36l Vigliena, Giovanni Emanuele Femandez Pacbeco, duca d'Ascalona e marchese de, vicerè spagnolo di Napoli, 228 Vignolle, Martin, colonnello francese, 324 Villa. Guido, marchese di Cigliano, generale sabaudo, 130, 136 Villa, Gbirone Francesco, marchese di Cigliano, generale sabaudo, 157 nota 2, 173 Villars, Luigi Ettore duca de, maresciallo di Francia. 221, 228, 254, 256 Villena, vedi Vigl iena, Villeroy, Francesco de Neufville duca e maresciallo de, 2 19 Vimercati, Lodovico, generale veneziano, 105. 8 Vinci. Leonardo da, architetto militare, 17, 27 Vins, Signor de, generale francese. 91 Visconti, Bonifacio, barone d'Ornavasso, generale sardo, 402 Visc-0nti, conte Giulio, vicerè austriaco di Napoli, 257. 258 Visconti, Vercellino. mastro di campo italiano al servizio spagnolo, 135 nota 19 Visconti-Prasca. Sebastiano, generale italiano, 526,569 Visconti Venosta, Emi lio, ministro italiano. 460 Vitali, Giuseppe, generale italiano, 467 Vitelli. Alessandro, capitano pontificio, 45, 56, 58 Vitelli, Chiappino. capitano fiorentino. 51, 83 Vitelli, Vitellozzo. capitano italiano al servizio francese, 24 Vittorio Amedeo I, duca di Savoia, vedi Savoia, Vittorio Amedeo U, duca di Savoia, vedi Savoia, Vittorio Amedeo Ul, re di Sardegna, vedi Savoia. Vinorio Emanuele I, re di Sardegna, vedi Savoia, Vittorio Emanuele I di. duca d'Aosta, poi re di Sardegna Vittorio Emanuele Il. re di Sardegna, vedi Savoia, Vittorio Emanuele ID, vedi Savoia, Viva Maria, 330, 331 Vivaldi, Giovanpiero, generale genovese. 79 Vivonne, Luigi Viuorio de Rocbechouart duca de, maresciallo di Francia, 180. 18 1 Viziini, Calogero, capomafia, 589 nota 2 Volo su Vienna, 503

Voloire, vedi Reggimento (sabaudo, poi italiano) Artiglieria a Cavallo Volontari (veneziani) cimarioti, 237 nota 3 Volontari (veneziani) zantioti. 237 nota 3 Volpi di Misurata, conte Giuseppe ministro italiano. 519 Volta, Agenzia di Stampa, 512 Voltaire, Francesco Maria Arouet, scriuore francese, 300 Wade, Giovanni, maggiore napoletano, 347 Waldersee, Alfredo conte von, generale tedesco, 461 Walewski, conte Alessandro Floriano. ministro francese, 413 Wallenstein, Alberto, generale imperiale, 105 Wallis, Oliver generale austriaco, 260 Walmoden,generaleaustriaco,388 Wasa. Carlo Xll, re di Svezia. 241, 253 Wasa, Gustavo Adolfo, re di Svezia, 123 nota 11 WaveU, sir Arcbibald, generale inglese, 563 Weber, generale austriaco, 506 Weichs, barone von, generale tedesco, 572 Welden, Ludovico von, feldmarescialJo austriaco, 402,409 Wellington, Arturo Wellesley duca di, generale e ministro inglese, 350, 356, 359 Werder, Augusto von, generale prussiano, 441, 442 Western Desert Force, 582 Wettin, Augusto Il di, Elettore di Sassonia e re di Polonia. 241, 246, 253 Wellin, Augusto m di, Elettore di Sassonia e re di Polonia, 253, 262, 265 Wettin, Maurizio, principe elettore di Sassonia, 58 Wìdman. David, colonnello pontificio, 155 Wilson, Woodrow. presidente americano, 509 W1IZ,generalepanenopeo.338 Wittelsbach Casa di, 266 Wittelsbach, Carlo Alberto I di. Elettore di Baviera e imperatore. 365, 266 Wiuelsbach, Clemente di, Vescovo Elettore di Colonia, 203 Wittelsbach, Federico V di, Elettore palatino e re di Boemia, 112 Wittelsbach, Massimiliano Emanuele di, Elettore di Baviera, 219, 221 Wittgenstein, principe Luigi Adolfo von, generale prussiano al servizio russo. 360 Wohlgemuth. generale austriaco, 401 Wollf, Karl, generale tedesco, 61 I Wurmser, Dagoberto Sigismondo conte von. generale austriaco, 315 Wiirttemberg. Luigi principe di, generale austriaco, 248,256,257


INDICI

Zambini generale italiano, 538 Zane, Gerolamo, capitano generale delle Galere.

84 Zane, Giacomo. capitano generale da Mar, IO I Zappata, Luciano. ammiraglio italiano, 641 Zaptiè, 453 nota 5, 537, 566 Zelanti, fazione degli, 380 Zeno, Antonio. capitano generale da Mar, 192, 194. 195

773 Zingales, generale italiano, 576 Zinzendorf, Filippo Giuseppe Luigi von, cardinale. austriaco. 230 Zucchi. Carlo, generale italico, ministro pontificio e romano e generale italiano. 363. 364, 370,373,390,391,406 Zulu, popolazione africana. 459 Zumassan, capitan pascià turco, 170 Zweig, Stefan, scrittore austriaco, 479 nota I



77S

INDICI

INDICE DEI LUOGHI, DEI TRATTATI PRINCIPALI E DELLE BATTAGLIE Abba Garima, vedi Adua Abbè, lago, 537 Abbi Addi, 529, 531, 532 Abruz.zo, 40,66-68, 146,228.257, 267,272,328, 329, 334, 340, 391,405,428,605 Abu Dhabi, 632 Abu Klea, 454 nota IO Abukir, 326 Accbelè Guzaj, 455 Acerra, 329 Acquafondita, 607 Acquapendente, 37, 139 Acquatraversa (Gaeta), 431 Acquaviva, 263 Acqui, 104, I 19, 310,321 Acrotiri, 459 Ad Teclesan, 564 Adalia, 515 Adamello, monte, 484 Adda,fiume, 25. 36, 158,227, 313, 338 Addadei, 466 Addis Abeba, 532-535, 537, 538, 540, 563-568 Addis Abeba, vecchio Ghebbl, 568 Aderat, 457 Adi Caiè, 458 Adi Qualà, 455 Adi Ugri, 455 Adige, fiume, 34. 261 , 314, 340, 346, 347, 365, 370,398.437.501, 610 Adigrat, 456, 458. 528, 529 Adrianopoli, 515 Adriatico, Mare, 40, 46, 48, 101 , 102, 105 nota 3, 169,218, 236, 238, 258, 272, 320, 338, 376, 405, 48 I, 5 I 7, 553 nota 3, 568, 597, 608,637, 641 Adua,449, 455-458, 469,527,528 Afghanistan, 622, 626, 651 Afgòi, 467 Afmadu, 565 Africa, 192,214, 409,449, 451 , 456, 459.478, 479, 519,521 , 539,543, 550, 558 nota 3, 560, 567,581-589,625,626,634, 643 Africa Orientale Italiana, 535, 537-541 . 545,551 , 556,557,559-568,584 Africa Sudoccidentale, 622 Agadir, 469 Agedabia, 519,583, 584 Agedabia, convenzione di, 519 Agnadello, 32 Agnedina, 115

Agnello, colle dell', 122 Agordat, 453, 454, 564 Agriata, 77 Aja vedi l'Aia Aiguille, vedi Fenestrelle, ridotta dell' Aiguille Ailette, fiume, 507 nota 28 Ain el Gazala, 584, 587 Ain Zara, 470 Aisne, 489, 497,502,507 nota 28 Aix-en-Provence, 91 Ajaccio, 64, 77, 78. 79, 247.248, 289,291,292, 598 Alagi, passo di, 532 Alarnein, vedi El Alamein Alba, 50, 52,63 nota 27. 103. 104. 121 , 125, 156. 311, 320 Albacete, 547,550 Albania, 478 nota 7,485 nota 6,498, 499, 512, 513. 517, 550, 552-555, 560, 568-572, 593, 604,636, 639, 640-642, 651 Albano Romano, 327, 332 Albenga, 117 Alcamo, 425 Aleppo,498 Aleria, 79, 247,291, 293 Aleria, forte d', 293 Alessandria, 25, 43. 50, 51, 63 nota 27, 109, I I 8, 129, 158,220,227.231, 277, 311-313, 321323, 389, 404.414.417 Alessandria d' Egitto, 83, 163, 168,584, 585, (i()2 Aleutine, isole, 451 nota I Algeri, 19, 50, 77, 81, 168,301 Algeria, 587,617 Alghero, 242, 366 Alicante, 368, 550 Alicamasso, 515 Alkmaar, convenzione di (1799), 339 Allenstein, 514 nota 7 Almussa, 574 Alpi catena montuosa, 304, 525 Alpi occidentali, 37, 41, 42, 52, 93, 94, l03, 104, 121, 124,148,210, 227,228,231, 269, 271, 272,307, 309,314, 323, 334, 338,340, 352, 379,417,474, 475, 477, 483, 494,561,611 Alpi orientali, 480 Alpi, Carniche, 357 Alpi. Cozie, 283 Alpi, Giulie. 357 Alpi, Marittime, 305 Alsazia, 113, 214


776

GLI ITALIANJ IN ARMI

Alsù. 412 Alta Slesia, 514 Altamura, 335 Altipiani, 485, 494, 495, 50 I , 502 Alto-Adige, 26, 58, 346, 438 Ahopiano Bavarese, 506 Amalfi,40 Amantea, 351 Amara, 537,538,540,566 Amba Alagi, monte. 456, 457, 531, 565, 566 Amba Ar.idam, monte, 531, 532, 537 Amba Tzellerè, monte, 529 Amba Uorc, monte. 531 Amburgo, 362 Amendola, 639,651 nota 61 America, 19, 37,214,232,259,283,296.409, 419.444,643 America Latina, 126, 232, 242,295.392, 393, 435 nota l, 479, 625 America Settentrionale, 295. 296, 479 America, vedi Stati Uniti d' Amiata. monte, 605 Amiens. 17,500 Amino,533 Amsterdam, 206. 635 Anadon,549 Anagni, 66 Anatolia. 5 I 2. 5 I 5 Ancober, monte, 540 Ancona.99,258,324,325,340.352,370,376, 391,409 nota 8,414,429,430. 501, 503, 512,652 Ancona, aeropono di Falconara, 635 Ancona, cittadella. 324 Ancona. Montagnolo, 325 Ancona. Pana Pia, 325 Ancona. Punta di San Primiano, 325 Andalusia, 356 Andorra, 549 Andria, 28, 335 Andro, 194, 196 Angera, 285 Anghiari, 27 Anghiera, vedi Angera Angola, 634 Angri. 158 Angrogna, 159, 161 Anguillara, 24 Annécy, 269, 379 Annone.25 Antalò,456 Antibes, 51, 250, 279-281, 380 Antille, 232, 45 I nota 1 Antivari, 239,515 nota li Antrodoco, 388

Anversa, 17 Anzio,67,273,603 AOI, vedi Africa Orientale Italiana Aosta. 210 Appennino, catena montuosa, 29, 121,138,272, 276,335.340,352,384,385,391,409.610 Appenzell, 159 Aqaba, golfo di, 622 Aquila, vedi l'Aquila Aquileia, 493 nota 13 Aquisgrana, 285. 288 Aquisgrana. pace di (I 748), 285, 295 Ar.1gona, 356 Aranj11ez, 550 Aranjuez. Trattato d', (1745), 276 Arcangelo, 513 Arei, 23 Arcipelago (greco). 48, 81, 164, 168, 172, 174, 191,192 Ardre, 497 Arénes. batteria delle, vedi Tolone, batteria Areri, 533 Arezzo, 27,29,60, 138,257,339.340,429 Argenta. 229. 61 I Argentario, promontorio, 39, 62 Argentina, 393 Argirocastro, 512 Argo, 192 Argonne,497 Ariano Irpino, 336 Armenia, 642 Arnay le Due, 442,443 Ame. fiume, 300 Amo, fiume, I 8, 60, 139 nota 24 Arona,321 Arpino, 23 Arr-aial, 126, 127 Arroscia, torrente, 177 Arsiero, 485 Arta, Golfo d' 48 Artois, 230, 48 I Arzen.553 Ascalona, 497 Ascianghi, lago, 456, 532 Ascoli, 67,647 nota 52 Asia. 19,170,214,283.449, 451,476.497, 515, 551, 625. 626, 643 Asiago, 485, 495, 496, 505 Asmara, 456, 528, 535, 537 nota 2, 563, 564 Asolane, monte, 495 Aspem, 357,358 Aspromonte, massiccio dell', 432, 435, 629 Assab, 451 Assietta, colle dell', 283, 285 Assietta, tenaglia della testa del!'. 284


INDICI

Assietta, testa dell' , 284 Asti, 38, 43, 50, 63 nota 27, 106, 107. 109, 119, 132, 134. 210. 277 Asturie. 549 Atbara, fiume, 455 Atene, 192,517,568,569,571,597 Atene, Acropoli, 192 Atene,Partenone. 192 Atlantico, oceano. 543, 561 Attica, 191, 192, 571 Auasc. fiume, 565 Aube, fiume, 507 nota 29 Auerstadt, 348 Augusta (Augsburg), 65, 200. 203 Augusta (Sicilia), 180,181,243,367,426.590, 652 Augusta, Lega di, 200, 20 I, 203-205, 207, 266 Austerlitz, 346-350. 365, 375 Australia, 642 Austria, 25, 26, 102, 104, 105,112,114, 121. 149, 163.203,218,220,221,231,239,242,243, 245.246,253-262,266,267,269,272,275, 276,285,288,292,295,297,303,307-318, 326,331.334,335.337,339,346-348.353. 357,363,365,375, 379,380,383,388-391, 395,405,410,413-421,428.429,438.449, 466,473,474.476.477,491,492,498,501, 503,506,509,512.514,525,551,572,611 Authion. monte, 305, 307 Autun, 443 Avellino, 336. 607 Aversa.53, 145,146,258.389 Aversa, convenzioni d', 389 Aviano. 639 Avigliana, 109, 124,209 Avignone, 71,116. 185,204.309,323,380 Axum,528 Aydin, 515 Azerbaigian, 642 Azizia, 544 nota 2 Bab el Mandeb, 451 Bagbdad,631,632 Bagheria, 242 Bagnaia. 78 Bagnara Calabra. 335 Bagolino, 566 nota 13 Bahar Dar, 539 Bahia, 126- 128 Babia, Convento di San Benedetto, 126 Bahia, forte di Sam 'Antonio. 126 Baia. 228 Bainsizza, altopiano della, 491 Bak.a,499 Balad. 521, 633 Balagna, 78, 293

777 Balcani, 26, 218. 239, 242, 411, 476,483,494. 552,554,568,571,575.597,599,639,651 Baltico, Mare, 413 Balziglia, 200 Banzalè, 466 Bar, 214, 262 Barbarano. 34 Barberino di Mugello. 340 Barca, fiume. 454, 564 Barce, 587 Barcellona. 40. 41, I13,210,212,222,278,355, 356,369,546,550 Barcellonetta, 231 Bard, 221, 227 Bardia, 520, 582, 585 Barge, 63 nota 26 Bari,258,335.341,605 Barirè, 467 Barletta, 28. 132 nota 17, 335 Barra, 337 Barra Grande, 127 Barraux, 380 Barriera. 231. 232 Basilea. 91,159.214 Basilicata, 146, 335,351,597, 599 Ba~sa Lombarda. 330 Bassano del Grappa, 317. 347,370,604 Bassignana, 276 Bastelica. 79 Bastia (Corsica), 64, 77, 78, 79,247.248, 250, 287-294. 598 Bastia, porto di, 598 Bastiglia. vedi Parigi, Bastiglia Battaglia delle Fiaccole, vedi Santa Pelagia Battaglia delle Torce a Vento, vedi Santa Pelagia Bautzen, 363-365 Baviera, 112,219,221,492,507 Baviera, Elettorato, poi Regno di 204, 220. 231. 265,363.379 Baylen, 350, 354, 358 Beato Amedeo, bastione del, vedi Torino Beda Fomm, 583 Beinasco, 224 Beira, 634 Beirut., 471,498,623 Belchite, 549 Belesà, 455 Belet Uen, 633 Belfort, 443 Belgio (vedi anche Fiandre spagnole, fino al 1712, e austriache dal 1712 al 1799). 379. 429.477,507, 616,631 nota 13 Belgrado, 239,477.571, 572,639,641 Belluno,503 Benadir, 458, 466


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GLI ITALIANI IN ARMJ

Bencovauo,574 Bene,51, 134 Benevento, 145, 148,374 Bengasi, 470,519,583,584.587 Berai. 570 Beresina, fiume. 350. 361,575 Bergamo. 314,316,317,345,419,618 nota 3 Berlino, 363, 397,413,436. 475,551, 568, 572, 575,587,617,624,631 Bermeo,548 Bema,91. 199,300,301 Bem:. 92 Betasom, 561 Bezzecca. 438 Biccenà. 539 Bicocca. vedi Pavia. Bicocca Biella. 221. 419 Biestro, 310 Biguglia, 250 Bihac, 574 Bilbao, 548 Bir cl Abd. 586 Bir el Gobi, 584 Bir Hacbeim. forte di. 584 Bir-es-Seba, 497 Bir Tobras. 470 Bisagno. 279 Bisagno, fiume, 43, 183, 184 Biscaglia, 356 Bisetta; 30 I. 588 Bitonto, 258 Bitonto. castello di, 258 Blenbeim, vedi Blindbeim Blindbeirn. 221 nota 4 Blois,24.26,30.31. 108 Bobbio, 159, 160, 199. 200 Bobbio. Vandalino, 199 Bocchetta, 117, 278, 281, 283, 3 IO Boemia. 111, 112, 113, 149,265,266,364.436, 514 Boissel. 159 Bologna, 27, 29, 30, 33, 34, 39, 40, 58, 138, 140, 257,262 nota 7,319,324,374,375.391, 523,603.61 l. 618 nota 3,631 Bologna, Governo Provvisorio di, 391 Bol.s ena. Lago di, 274 Bolzano, 347,352,369,647 Bomporto, 270 Bondeno. 141,229 Bonifacio, 65,247.248, S98 Bordeaux, 444,561 Borghetto, 314,398 Borghi, 63 noia 26 Borgo a Moziano. 383 Borgo San Dalmazzo, 307

Borgo San Donnino, 56 Borgo San Sepolcro, 27 Borgo Val di Taro, 56 Borgoforte, 39 Borgogna, 95 Borgogna. Ducato di. 91 Borgogno, 114 Bormio, 114, 115, 129 Borodino, 360 Borox, 544 Bosco delle Vergini, vedi Gavinana Bosforo, stretto, 163, 164. 476 Bosnia, 191,238,239,476. 635-639, 651 Bosnia-Erzegovina. 473 Boli ala, 521 Bou Ficha, 588 Boulogne, 52, 53, 346 Bourg en Bresse, 95 Bovino. 335 Boyada, passo della. 393 Bozzolo, 260 Bra, 311 Bracciano, 24,618 nota 3 Bracciano, Lago di, 24. 595 Brandenburgo, Elettorato di. vedi anche Prussia. Regno di, 204,217 Brasile, 126, 128. 557 Brasile, Impero del, 392 Brava, 458 Brcko. 637 Breda, 17. 122 Bremba, fiume, 36 Breme. 132 Brennero, passo, 502. 525. 610 Brenta, fiume, 369, 485. 495, 503 Breo, 188 Brescello, 232 Bresci a, 33, 3 14, 316, 3 J 7, 330, 338, 345, 370, 371,406.419, 494 Brescia, Repubblica Bresciana, 316,319,330 Bresse. 95 Brest-Litovsk, pace di, 4% Briançon, 380 Bricchetto. 31 1, 313 Bricherasio. 93 Briga, 307 Brindisi, 24, 32, 46, 47, 258, 552, 553, 600, 639, 652 Brioni, 474 Brlog. 574 Brunete, 548 Brunetta, 339 Brunico, 369 Bruxelles, patto di, 616 Buxclles. 637 nota 30. 641


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INDICI

Bu Mariam, accordi di, 159 Bucarest, 568, 575 Buccari, 102,5 10 Bucovina, 490 Bug, fiume, 575 Bugey, 95 Buie, 612 Bulgaria, 476,481,503,512,515,569,571. 572, 636 Buonconvento, 60, 62 Buondormir, passo del, 274 Burgenland, 514 Buriè, 539 Busca, 63 nota 26 Busibollo, monte, 485, 486 Butrinto, 47, 48, 236, 237 Cabo Frio, 127 Caccia, 78 Cadice, 126,545,546 Cadore, 31,493 Cagliari,39,242,365,366,613,652 Cagliari, aeroporto di Elmas, 544 Caiazzo, 328 Cairo, 119,262,322 Cairo (Egitto), 568, 642, 644 Calabria, 25, 50, 69, 145,146,330,332, 334-336. 347,350,351,353,376,39!,405,426,432, 590,591,599 Calaceite, 550 Calafat, 636 Calamacca, 41 Calamata, I 92 Calatafimi, 425. 607 Calatafimi, Pianto dei Romani, 425 Caldiera, 485 Caldiero, 370 Calimno, 471 nota 3 Calitea. vedi Rodi Callafo, 533 Callonges, 91 Caltagirone, 590 Caltanissetta, 243 Calvario, monte, 482 Calvi, 64, 65,247,248,287,289,292 Camaiore, 382, 383 Cambogia, 634 Carnbrai, 3 I Carnbrai, lega di, 31. 32, 105 Camerino,26,29,45 Cammino di Fiandra, 63, descrizione 113, I 15117. 126, 129,133 Camollia, 39, 59 Campagna Romana, 67, 68 Campania,28, 145,347,386,628 Campione. 34 nota 14

Campo Tenese, 347 Campobasso; 545 Campoformido, pace di, 318,319,326 Campoli, 67 Carnpoloro, 79 Campomorone, 281 Camposanto, 270-272, 276,324 Canada. 295 Canavese, 133, 136 nota 20 Candia, 48, 73, 85, 108, 163-176. 191, 192, 194, 218,459 Candia, bastione Betlem, 165 Candia, bastione del Gesù, 165, 174 Candia, bastione Martinengo. 165, 166 Candia, bastione Panegrà, 165, 174 Candia, bastione Sabbionera, 165, 166, 175 Candia, bastione Sant'Andrea, 165. 166, 174 Candia, forte di San Domenico, 165, 166 Candia, opera Crepacuor, I65 Candia, opera Mulina, 165 Canina. 194 Canissa, 99 Canne,61 Canton Ticino, 34, 35 Cantrida, 510 Capitanata. 335 Capo (Brasile), 127 Capo Brun, ridotta di, vedi Tolone, ridotta di Capo d'Oro, 196 Capo d'Orso, 40 Capo Guardafui, 563 Capo Hellas, 172 Capo Liveri, vedi Capoliveri Capo Matapan, 583 Capo Passero, 243 Capo Sant' Agostino (Brasile), 127 Capo Spada, 164 Capocorso, 77 Capodichino, 337 Capodistri a, 612 Capoliveri, 51, 228 Caporetto,31, 105,489.492,494,496,500,505, 593 Caprera, isola, 432, 440 Capri, isola, 349, 388 Capua, 53, 144, 146. 148, 228, 258. 259, 328, 329,336,337,347,376,389,426,428,430, 431 Carababà, 193 Carassone, 188 Caravaggio. 25, 37 Carcare, 310 Cardero, 63 nota 27 Carelia,513 Carenzana, 106


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GLI ITALIANI IN ARMI

Carignano. 43. 51. 52. 63 nota 26. 210,224 Carinzia. 357 Cariseto, 55 Carlowitz, pace di, l 97 Cannagnola, 63 nota 26. 95. 132,133,209,210, 224. 311,312 Camaro, 31,509 Camaro, Reggenza del. 510 Carnia, 31,611.615 Carpegna. 295 nota I Carpi, 219 Carrara. 54. 319 Carretera de Francia. 547 Carrosio. 118,321 Carso. 479. 481-490. 519

Caruso.300 Casalanza, trattato di, 376, 385, 387 Casale Monferrato, 43. 63 nota 27, 77, 90, 93, 121-125, 134,135,156.183, 188. 200. 204. 205.210.213,417.446 Casalette. 124 Casalmaggiore, 156 Cascais, 615 Caselle, forte di. 79 Caserta. 336, 426. 428. 611 Casinca, 249 Caso, 471 nota 3 CasoH, 60 Cassala. 453-455, 562. 563 Cassano (Grecia), 48 Cassano (Lombardia), I 58, 222 Cassibile, armistizio di, 593 Cassino, 409. 607,647 nota 52 Cassopo, 237 Castagneviua. 480 noia 2, 489 Castalla. 368 Castel Bolognese, 27, 611 Castel Cerino, 357 Castel di Guido, 408 Castel di Sangro. 376. 430 Castel Mola. 180 Castel Morrone, 428 Castel Nuovo, vedi Napoli, Castel Nuovo Castel Renaud. 229 Castel San Giovanni. 603 Castel San Pietro, 122, 138, 611 Castel Sant'Angelo. vedi Roma, Castel Sanl'Angelo Castel Sani 'Elmo. vedi Napoli. Castel Sant'Elmo Castelbenito, 583 nota 30 Casteldelfino. 231, 27 l Castelfidardo, 430 Casteltidardo. Crocette, 430 Castelfranco. 347. 487

Castelfranco Emilia. 155 Castelguelfo, 43, 56 Castellaccio, vedi Genova, forte del Castellaccio Castellaccio. vedi Messina, forte del Castellaccio Castellammare, 439 Castellammare di Stabia, 158, 336 Castelletto, 199 Castelletto, vedi Genova. forte del Castelletto Castelli Romani, 67, 68,273.605 CasteUone. 430,431 Castelluccio. 335 Castelnuovo, 4. 314 Castelnuovo (Cattaro). 193 Castelnuovo (Dalmazia), 197 Castelnuovo (Grecia), 48, 49, 88 Castelnuovo di Reggio, 130 Castelrosso. 173 Castelvecchio di Rocca Barbera, 177 CastigUa, 550 CastigHon del Lago, 138 CastigUone, 251 CastigHone della Pescaia, 62 CastigUone di Garfagnana. 10 I CastigUoae Torinese, 63 nota 26 Castrezzato. 2 I9 Castro (Lecce), 46, 47 Castro(Viterbo,distrutta),45. 137-141, 155. 185, 257 Castrovillari, 347 Casrua, 510 Catalogna, 142,158,210.211, 222,355,356, 549,550,556 Catania, 180. 406,423.432, 590,614,652 nota 63 Catania. Distretto Militare, 6 I4 Catanzaro, 335 Cateau-Cambresis, trattato di, 62. 77 Canaro, 49, 192. 193, 239. 348. 370, 498. 499. 515 nota 11 Canaro. bocche di, 348, 597 Cauro, 79 Cava (Pavia). 403 Cava (Viterbo). 138 Cava dei TttTCni. 145,336.426 Cavalcaselle, 370 Cave, 68 Cavour. 129. 207 Cavriana. 419 Cecoslovacchia. 512. 514,568 Cefalonia, 583 nota 30, 597 Cefalonia. Isola di, 47 Ceglie. 335 Celgà. 566 Cencio. 133


781 Cengio, monte, 485, 486 Centallo, 63 nota 26 Cento, 155 Ceprano, 66 Ceresole d'Alba, 5 I Ceri, 27 Cerignola, 28 Cerigo. 169 Cerna, fiume, 499 Cemaia, fiume, 412, 413 Cerro, 393 Cervera. 256 Cerveteri, 24 Cervia, 30, 39, 639 Cervignano, 493 nota 13 Cervione, 79 Cesana, 94 Cesano di Roma, 490 nota 13. 6 I 3 Cesena, 27 Cesmè, 168 Cesuna. 485 Cettigne, 351. 51 5 nota 11 Ceva, 63 nota 27. li 9, 187, I 88,275 nota 9, 307. 310,311 Chambéry, 95, .133, 134. 221. 245. 269,379 Champagne, 481 Chantilly, 489 Cbarboaniere. torre della, 95 Charki. 471 nota 3 Cbarleville, 17 Cbateau Thierry. 502 Chatila, campo profughi, 623 Chemin des Dames, 497. 502,507 nota 28 Cherasco. 43. 50. 51. 63 nota 27. 105 (trattato del 1630), 133,223,311.313, 379 Cheren.452,454.456,564,568 Cherso, 509, 61 1 Cherso, isola, 61 I Cherta, 550 Cherù, 563 Chianale. 271 Chiari, 219 Chiavari, 90 Chiavenna. 25, 114-116 Chiefalà, 192 Chieri. 43, 50, 58, 63 nota 26. 133, 134 Chiesa Nuova, 263 Chiesa, Stato della, vedi Pontificio, Stato Chieti, 430, 608 Chimera, 46 Chio. 167, 174, 194, 195 Chiomonte, 94. 221 Chisimaio, 565 Chisola. fiume. 211 Chisone. 199

Chisone. Valle del. 205 Chiusano, 63 nota 27 Chiusella, 339 Chiusi. 60 Chivasso. 42. 63 nota 26. 133,221,222. 323 Ciciliano, 46 Cicladi, isole, 571 Cilento, 35 l. 404 Cima d'Asta, 485 Cima, monte, 485 Cina,409,459--462,538,539,552,612.624 Cinquefronde, 351 Cinturon de Hierro. 548 Ciociaria, 327 Ciorgun, 412 Cipro, Isola di, 26, 31, 80, 83. 84. 88, 194 Cipro. Regno di. 31 nota 11 Cipro, Saline, 84 Cir. fiume, 579 Cirenaica.469.470,5 18-520.583,584 Cisalpina Repubblica, 316, 319-323, 341 , 345, 352,353,390.601 Cispadana. Repubblica, 3 I 9 Citara, 336 Citclut. 197 Città della Pieve, 138 Città di Castello. 29. 35,429,430 Cinadella.485 Civita Castellana, 328,440 Civitavecchia, 17, 62,163.276. 352. 408,431. 440 Civitella del Tronto. 67,328,334.336, 347. 349, 431 Civitella in Val di Chiana, 61 Clapier, 200 Climinò. 192 Clissa, 47. 167, 176 Coatìt, 455 Cobbò,537 Coblenza, 420 Codogno, 313 Codroipo, 493, 523 Codroipo, ponti di. 493 Coenzo. 232, 233 Cognac, Lega di, 38 Coira. 115 Col del Rosso, 495 Col di Lana, 497 nota I6 Col di Raus. 305 Col di Tenda. 305 Colberg. 348 Collegno, 225 Collodi,41 Colombo, 613 Colonia. 148. 204, 207, 220, 420


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GLI ITALIANI IN ARMI

Colonia, Elettorato di, 185,203,207,220,231.266 Colorno, 256 Comacchio, 229, 230, 256 Combolcià. 565 Como, 25,446 nota 6 Corno, Lago di, I13, 117 Compiègne, tranato di ( 1768), 294 Condove, 124 Conegliano, 446 nota 6 Conflans. 43, 231 Contluenti,350 Congo, 620 Contessa, 405 Coppet, 300 Corato, 28 Corcia, 569 Cordigliera Cantabrica, 548 Cordova, 547 Corea. 620, 624, 632 Corfù. 46-49, 73, 84, 163. 164, I 9 1, 236-238, 266,334,335, 354, 517 Corfù, baluardo di Sant' Antonio. 237 Corfù, Borgo del Manduchio. 237 Corfù, Fortezza Nuova, 237 Corfù, Isola di, 236. 334 Corfù, Monte d'Abramo, 237 Corfù, Monte San Salvador, 238 Cotfù, porta Raimonda, 238 Cotfù, porta Reale, 238 Corfù. porta Scarpone, 238 Corinaldo, 608 Corinto, 194 Corinto. Golfo di, 192 Corinto, Istmo di. 48. I 93, 194, 196, 197 Corleone, 243 Com1ons, 31, 492 Comino, ponte di. 493 Como d'Africa, 563 Comone. monte. 496 Comuda. 399 Corone, I 92. 238 Correggio. I 56, 158 Corsaglia, fiume, 31O. 311 Corsica, 56, 64, 77, 79, 80, 117. 247-25 I , 276. 287-294.298,376,560.587,593,594,598, 599.610 Corte, 65 Corte, (Corsica), 78. 79. 248, 251, 290, 292, 293 Cortellazzo, 502 Cortemaggiore, 56 Cortona. 27 Cortona a mare, vedi Ortona Cos, 169. 471 nota 3 Cosenza, 335. 350. 35 I. 391 Cosseria, castello di, 310

Cossovo, 476 nota 5,572, 639-642 Costantinopoli, 26, 37. 49, 77, 86, 88, 102, 108. 163, 164, 174,191,193,195,238,315, 459, 471,515 Costanza, lago di, I 13 Crema,3 13,314,316,317 Cremona, 25, 34,156,219,260,3 13,371 Crescentino, 63 nota 27, 108. 119,120,221 Creta, 48, 73, 163-176, 191,459,460,571 Crevacuore, 132 nota 17 Crevalcore, 270 Crevoli, 62 Crimea, 395, 4 11-414. 416,417,432 Croazia, Regno di, 572-574, 577 nota 24. 593 Croazia, Repubblica di, 635, 636, 644 Crocetta (Parma), 256 CroisiUes, 500 Crotone, 335,350 Cu Nan Scia, 461 Cuba, 625 Cufra, 521 Cuneo, 42, 64. 134, 2 IO, 221, 273-275, 31 I, 445 Cuneo, Madonna dell'Olmo, 274,275 Cunfida, 4 71 Curdistan, 632 Curtatone, 399, 40 I nota 5 Custoza, 401,402,437,438,458 Czemow, 348 nota 12 Dacia. 531 Dagnerrei, 533 Dalmazia, 26. 31. 47, 48. 72, 88, 164. 167, 174, 176, 192,193, 197,218,239,242.255,266. 317,318,341,348,351.357,369,370,436, 475,512, 515.593.597.611, 615 Damasco. 631 Danaae. 466. 467 Dangila, 539 Danimarca, 112. 116, 203.204, 449,559,642 Danubio. fiume. 26. I I3, 357, 358. 636 Danzica, 362, 365 Dardanelli. 164, 167- 175. 19 1, 193, I 94, I 96. 197,238,471,478.483, 498 Dardha, 569 Darror, valle del. 52 I Daua Parma, fiume, 533 Daymàn. 393 Debra Ailà. 456 Debr.1 Hamsa. 531, 532 Debra Marcos, 539 Debra Sina, 540 Debra Tabor, 539, 566 Decimomannu. 639 Dego,310 Delfinato, 43, 91, 92, 95 nota 21, 122. 210. 269, 346


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INDICI

Delvino, 569 Dembeccia, 539 Demonte, fortezza di, 274 Denain, 231 Dema, 587 Desciai, 512 Dessiè, 532 Dieci Diritture. 115 Digione, 392, 442-444 Dino, isola, 351 Dire Daua, 534, 565 Dj Bir, 587 Dnepr, fiume, 359,576 Dnepropetrovsk, 576 Doberdò, Vallone di, 484, 487 Dobrugia, 514 Doccia, 26 Dodecaneso.471,472, 476,515.568,615 Dogali, 452 Dole,442 Dolo, 533 Domodossola, 321 Dornokos, 459 Don, fiume, 577-581 Donec, bacino del, 576, 577 Donec, o Donez, fiume. 577, 579 Dongàb, 467 Dongolas, strettoia di, 564 Dora Baltea, fiume, 42 Dora Riparia. fiume, 94, 124. 133,200,225 Dottori, canale, 481 Draghisetl., 499 Dresda.277,363,364 Orina, (o Drin) fiume, 570 Drinac, 572 Drissa, 360 Dronero, 63 nota 26 Drvar, 573 Dubowikof. 577 Due Palme, 470 Due Sicilie. regno delle 387. 389,390. 404-408, 414,416, 421-433 Duino, 105 Dulcigno, 239 Dunkerque, 590 Durazzo, 194,498,499,513,552,553,640 Durenza, fiume. 93 Ovina, fiume, 359 Ebro, fiume, 550 Edaga Amus. 457 Egeo, Mare, 168. 191, 560. 571. 593, 597. 598 nota 11 Egina, 169, 194 Egina, Golfo di, 194 Egina, Isola di, 194

Egitto, 163, 170, 194, 337.340, 451,497.520. 581-587 El Agheila, 583, 584 El Alarnein, 567, 584-586

Elfuka,586 El Uach, 562 Elba, fiume, 362-364 Elba, Isola d', 27, 56, 62, 64, 142,341,374,381 Elbassani, 499 El-bokol, 466 Ernbrun, 210 Emilia, 29, 30, 33, 71, 140, 338. 340. 375. 391. 405.420,421.436,438,603.604.607 Emirati Arabi, 632 Empoli,41 En Nufilia, 587 Enda Chercos, 532 Enda Jesus, 456 Enda Semlet, 53 I Enfidaville, 587, 588 Engiabara, 539 Enna, 614 Enza, fiume, 130, 232. 256 Epemay. 503 Epiro, 88. 571. 597 Er Regima, patto di, 519 Eritrea,451-458,466,472,519,527,528, 535, 537, 563,564,652 Ersekujvar, 17 Erzegovina, 239, 593 Es Sultan, 587 Escudo, monte, 548 Esplugas, 355 Essling, 357, 358 Estremadura, 549 Estremo Oriente, 460-462, 478,512,551,612. 642 Etiopia, 452-459, 525, 526-535, 543. 546, 555, 556,562,565.568,572.632,633, 652 Etruria, Regno d', 341 , 352 Eubea. 191,193,571 Eupatoria, 411 Europa. 17. 19.36.50,58,62, 126,146. 149, 163, 191 -1 93.214,222,230,231,239,241,242, 284. 295, 30 l, 307. 315 nota 16, 323, 327, 338,345,349,357,362-364. 392,397.413, 459,465,476,479,483,487,489,496.51 1, 512,514,525.546,568,575,625,626.643 Exilles. 94. 200. 211,229.283, 284 Eylau, 349 Faenza. 24, 26. 27. 29, 30, 35, 138,229,324,325, 340 Faetano. 263 Faf, fiume, 533 Fagiani, Isola dei , 156


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GLI ITALIANl IN ARMJ

Falkland-Malvine, isole, 451 nota I Famagosta, 84-86 Fano.35.230,276,376,391,429 Favignana, 425 Favria, 63 nota 27 Fenestrelle, 229, 283, 284, 299 Fenestrelle, ridotta dell' Aiguille, 229. 231 Fenile, 159 Ferentino, 66 Fem10, 328 Femey, 300 Ferrara, 93,229,230,256 nota 2,257,319,324, 339,340.370.375,391 Ferua, baia di, 471 Fezzan, 518-520 Fiandra, cammino di, o strada di, o via di. vedi Cammino di Fiandra Fiandre. 480, 490, 491 Fiandre Austriache, 231. 275,285, 379 Fiandre Spagnole. 57, 68, 69, 71, 99. 131, 158, 180. 203,204,210.212, 224 nota IO, 228, 230,231 Ficcè, 538 Fiediucine, 413 Figi, Isole, 622 nota 13 Figline Valdamo, 440 Figueras, 355 Filippine, 451 nota I Filtù. 533 Finale, 89, 113. 247. 278,279.307, 312 Finale, Marchesato del, 11 2, 133. 136 nota 20, 276,285 Finlandia. 575 Firenze, 21, 27-30. 41, 42. 60. 61, 62, 74, 79, 81, 89,93,94, 137-140.339-34),345,381,383. 420,436,439,440.604,631 Firenze. Repubblica di 17, 18, 24, 33. 36. 38, 39, 62 Fismes. 501 Fiuggi, 477 Fiume, 31, 99. 102,369.478. 509,510, 51 I , 515 nota 11. 574,611.612 Fiume Stato Libero di. 5!0 Fiume, Piazza Dante. 510 Fiume, Viale XVTI Settembre, 5 IO Fiumicino. 67. 272 Fiumicino, Isola Sacra, 67 Focea. 168,170 Foggia, 335. 336, 375 nota I Foiano della Chiana. 60 Foligno, 269,341,429,430 Fombio, 313 Fondi, 431 Fontanelle, 56 Forlì. 26. 27, 35 nota 17,138.376, 610 Forlimpopoli, 27

Formia, 430, 431 Fornovo, 23 Fortezza Nuova, vedi Corfù. Fortezza Nuova Fossano, 42, 50. 63 nota 27, 64, 275. 311 Fossato. 27 Franca Contea, 95, 180 Francavilla, 244 Francia. 13. 19. 23-25, 29. 31, 34, 36-38, 41, 49, 50,52.55,57-61,64. 77, 79.89,91-95. 105. 106,108,109, lii, 113-116. 121,123,124, 129,131 .136. 147-149, 151,155.156. 165. 167, 175, 178-189, 199. 203-214, 217-245. 249,253-262,266-285,288,292,295,296, 300,301,309.312,318-370,374,376,379, 380,383,384,387.395,410,411,413-420. 425,428,429,436,442.444.445.466,473475,477,482,492,494,496,497.503,507. 509.514.515,522.526,547,550.552.557. 560,561.587.595.608,612,616-618,623, 624.626.642.644,645 Francici, 611 Francoforte sul Meno, 415 Frascarolo, 130 Frascati. 67 Frassineto, 122 Friburgo, 300 Friedland, 349 Friedlingen, 220 Friuli, 26, 35, 48, 105, 106,167,338.351. 369. 435,437,484,495,496,605 Frosinone, 66, 258 Fucino, conca del, 465 Fuenteovejuna. 549 Fuentes, forte di, 113, 116. 129. 130 Fuka, stazione di, 586 nota 37 Fuka, vedi El Fuka Fuofria, 549 Furio. passo del, 39 l Gaeta.28.40.228,258,259,272,273,305.328, 336,347,349,351.406,409,428,430-432 Galizia, 490 Galla e Sidama, 537, 538, 540, 566 Gallabat, 562, 563 Gallicano, 100, 101,603 Gallipoli, 258 Ganale Doria. 533 Gap, 2!0, 380 Garda, Lago di. 261. 320,370.419, 494 Gardò. 521 Garessio, 177, 307 Garfagnana, 100. 603 Gargaresch, 470 Garian, 519 Garigliano, fiume, 21, 28, 66. 228,230,273.329, 332,430


INDICI

Gassino. 63 nota 26 Gavi, 117, ll8, ll9, 321 Gavinana, 41 Gaya, 451 nota I Gaza,497 Gebel, 519 Gebel Garci. 588 Gela, 589, 590 Gemona. 369 Genazzano. 65 nota 32 Genevese, 91 Genova. Repubblica di, 37, 38, 49, 52, 55, 56, 72. 77, 79. 80. 81, 89. 90, 101, 106, 116-120. 128, 177, 178. 183-185. 187. 217, 247-251. 275,282, 285,287-294.298,319,374,379 Genova,28,30,31,34,36,37.39.40,43,55.57, 64, 65, 72, 77-80, 89. 90, 113, 117. 118, 119, 177. 183- 185,242,244,247,248,276-282. 310,319,321,322,330,339,340,367, 369, 390,409,410,417,462 Genova. forte de Il Faro, 30 Genova, forte de La Briglia, 30 Genova, forte del Castellaccio, 30 Genova, forte del Castelletto. 30 Genova, Porta del Bisagno, 43 Genova, Porta della Lanterna, 280 Genova, Porta di Fazzuolo, 43 Genova, Portoria, 280 Genova, San Benigno, 280 Genova, Torre dello Sperone. 43 Genzano. 68. 274 Gera d'Adda, 227, 254, 255 Gerba, 35 nota 16 Germania, 47, 52, 57, 58, 72, 91, 99, 109, 111, 112, 113, 116, 117, 126, 128. 129. 148, 149, 193,200,204,207,220,221.228.254,259, 261.265,266, 275.277, 283,308,327,337, 340,346,356,357,362-365,370,444,466, 469,474.476.477,491,501,503,506,507, 512.514.516, 525,526,544,551,552,568, 575, 581. 591, 592. 597, 599 nota 13, 600602, 604,607,617.618. 624. 625,631 nota 13,643,645 Gerona, 355, 356 Gersdorf, 364 Gerusalemme, 31 nota IO, 80, 497, 498 nota 21, 512,515 Gerusalemme. Porta di Giaffa, 498 Gesso. fiume, 64 Gex, 95 Ghadames, 519 Ghedeb, 538 Ghedi, 639,651 nota 61 Gheldria superiore, 23 I Gbeledi. 533

785 Giado, 519 Giaffa, 497, 498 nota 21 Giannina, 476 nota 5,517.571 Giappone, 476,522 nota 26,538,551.552, 613, 643,644

Giarabub. 520 Giarer, fiume. 534 Giava, 451 nota I Gibilterra. 122,228,232,242.292,543,602 Gibilterra, stretto di, 180, 543, 544 Gibuù, 451,534,560 Giggiga, 534 Giglio, isola del, 51 Gijon, 549 Gillb, 467 Girnma. 537 nota 2, 538, 541, 566 Ginevra, 91. 99, 100, 299-301, 527 Ginevra, chiesa di San Pietro, 300 Ginevra, Lago di, 300. 303 Gioia del Colle, 639, 651 nota 61 Giormi, 512 Giovi. 281 Giuba, fiume, 521,533. 565 Giulianova, 67 Giura, massiccio, 379 Glatz, Contea di, 285 Globokak, monte, 492 Glogau,362 Gobuin. 565 Goggiam, 528, 539, 540 Gognà, 164 Ooito, 125. 314. 399,401,437,486 Goito, ponte di, 398. 402 Gojana. 127 Golfo di Venezia, vedi Adriatico Golfo Persico, 623. 625 nota 15, 633 Golico, monte, 570 Golym.in, 348 nota 11 Gomel, 581 Gondar. 527, 537 nota 2, 566 Gondersci, 467 Gondramendi. monte, 548 Gonzaga, forte, vedi Messina, forte Gonzaga Gore, 538, 566 Gorizia. 31. 105,352. 369. 486,487.489. 611, 612 Gorl.ice, 481, 499 Gorlovka, 576 Gomostai, baia di. 514 nota 4 Goro, 229 Gorrahei. 533 Gospic, 574 Governolo. 401 Grabusa, isola di, 176, 192, l 94 Gradisca, 102, 103, 105,493 nota 13


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GLI ITALIANI CNARMI

Gmfenberg, monte, 487 Gramos, monte, 569 Gran San Bernardo, 124 Gran Sasso, monte, 600 Gran Serin, 284 Granada, 25 Granatello, forte del, vedi Portici, forte del Granatello Grande Chartreuse, 379 Grappa, monte, 495, 496, 505 Grave, 41 Gravellona, 321, 322 Gravina, 335 Graz, 99 Grazzanise, 639 Grecia, 47, 48, 49, 88, 191,193,218,459.476, 498,515,517,560,568-571,575,589,593, 595,597,604,608,615,616,631 nota 13 Grenoble, 92, 95,210,379,380 Grenoble, Saint Josepb, 380 Grenoble, Trois Clòitres, 380 Grezin, 95 Grigioni, 113-115, 120. 129,132.319 Groenlandia, 451 nota I Groina, 105 Grosseto, 651 nota 61 Gross Beeren. 364 Gross Posnan, 364 Grottaferrata, 67 Gronaglie, 552, 553, 652 nota 63 Guadalajara, 547, 550 Guadalcanal, 590 Guardam.iglio, 313 Guardia (Guardia Piemontese), 50, 69 Guastalla, 158,218,219.246, 256,257.260, 261, 276.383 Guatemala, Repubblica del, 632 Guidizzolo, 419 Guidonia, 595 Guillestre, 210 Guissoni, 251 nota 5 Gundi, monte. 529 Gyor, 17 Halai, 455 Halat, 455 Halepa, 459 Halfaya, 583, 587 Halle. 364 Hanau, 365 Hannover,232,346,348,379 Harar.527.533.534,537,538,565 Harbin, 514 Haro, passo di, 548 Hasford, monte. 412 Hausien, 531

Hebron,642 Henni,470 Herrnada, monte, 489,490 Herrnann Hunding, lfoea fortificata, 503 Hierapetra, 165. 167,459 Hocbstadt. 221. 228 Hocisti, 569 Homs, 470,518 Hordio,521 Hostalrich, 356 Huai Lai, 46 I Huesca, 549, 550 Hurtaut, fiume, 507 nota 29 Idra, Isola, 194, 238 lf, castello e isola d', 92, 94 lgualada, 355 Il Faro. vedi Genova, forte de a Faro lmbro, 238 Imola. 26, 29,138.324, 611 !moschi, 239 Incisa, 25 India, 295,459,621 lndonesia, 642 Inghilterra, 13, 24, 33, 34, 38, 105 nota 9, 106, 116,203,204,206,217,231,242,243,246, 266,269,275,276,283,285,288,292,294, 296,315,326-328,334,339,346,349,358. 363,379,380,410,413,415,416.425,435, 449 nota 10,455,466 nota I, 474,477,515. 521,522,525,526,544,551.560,561,575. 586,612,614,6!6,618,622-624.626,631 nota 13, 642, 644, 645 lnnsbruck, 502 Lntra, 321 lran.622,623.631 Iraq,622,623,631,632 Irgalem, 538 Irlanda, 429 lsbuscenskj, 577 Ischia, Isola, 336 Isère, fiume, 304 lsemia,430 Isola Reale. 285 Isola Rossa, 291 Isola Sacra, vedi Fiumicino, Isola Sacra Isonzo. fiume, 31. 105, 369, 438,475,479. 48 1485, 487-494, 611 Israele, 642 Is-sur-Tìlle, 443 Istrana, 639, 651 nota 61 Istria, 3 17, 341,351.435, 509-511, 572. 611,615 Itaca, isola, 583, nota 30 Italia, 13, 17. 19. 21, 25, 26, 28, 29. 31, 37, 38, 46,47.49.50,52,56,58,66,68,69, 71, 72, 80,82,95,96,99, 101. 103-106, 112, 113,


787 116,120,123,125,129,133,140,148,149, 156. 158,191,206.210, 213,220,221,224, 227.232.242,244,245,253-284,295,296, 298,307-440,444-449,453,457, 458,461. 462.469-496,498,501,506,509,511,513. 515-518, 521-526. 540,541. 543-550, 552, 558-560, 569. 570,576.583. 587,591,595, 597,599,600,605.611,615-623.625,626 Italia. Regno (napoleonico) d'. 316, 348-373. 390 Italia, Regno d', 34 nota 14 Italiana Repubblica ( 1802), 34S, 346 nota 2, 353 Italiana Repubblica, 395. 615-652 Itri , 431 ludrio, fiume. 479 Ivrea. 133. 136. 221. 227. 432 Jagodnj, S77 Jalta, 624 Janowitz, 364 Jelenik. monte, 491 Jena, 348 Jesi, 3S, 230 Jonie, Isole, 236,242,244.318. 334,338,339. S71. S83 nota 38, 597 Judenburg, 346 Jugoslavia. 509. 510. 557. 571-575, 593, 595. 604,616.635-639.651 KaisersteUung, linea fortificata, 505 Kalgan. 461 Kalitva, fiume, 579 Kamara,4 12 Kandalasch ka. 513 Karlovac. 17. 369. 572 Karlstadt, vedi Karlovac Karturn, 453 Kashmir. 621 nota 6 Kassel. 348 nota I 2 Kasserine, passo di. 587 Kehl. 254 Kenya, 562, S63 Kiev, 576 Kimara, ponte di, 512 Kindu, 620 Kinshasa. 634 Kirsanov, 513 nota 4 K.lageofurt,346,474.514 l(lisura, 570, 571 Koia, 193, 197, 572 Kobilek, monte, 491 Kocevje, 574 Kocevski Rog, monte, 574 Kola, 513 Kolovrat, monte, 492 KonigsteUung. linea fortificata. 505 Konya, 515 Kormica, 573

Kosen. 364 Kossovo, vedi Cossovo Krasnj Lutsch, 577 Krasnoi, 361 Krasnojarsk, 514 Krim, monte, 574 Krka, fiume, 574 Kruscevo, monte, 499 Kruscia Balcan, monte. 499 Kuk, monte, 490 Kurvelesh. 570 L'Aia. 206, 2 lO L'Aquila. 146, 334, 388. 545, 608 La Briglia, vedi Genova, forte de La Briglia La Canea, 164,165, 168,169,173.174, 194,459 La Chiusa, 63 nota 26 La Cisterna. 63 nota 26 La Croix, forte de, vedi Tolone, forte de La Croix La Fere, 500 La Goletta, 301 La Hogue, 212 La Rochelle. 122 La Spezia. 30, 39, 67 nota 36. 72, 90,267,278, 339,432,602,603,631,652 La Spezia. fone del Varignano. 432 La Thu.ile, 269 La Valletta. 17. 81, 622 La Vittoriosa, 8 1 Lacedonia, 53 Lafolè, 459 Lagoa, 127 Lagonegro, 351 Lagosta 108 Lahn. 364 Lajazzo. Golfo di, 83 Lambro, fiume, 278 Lamone. ValJe del, 29 Lamorra. 63 nota 26 Landau, 221 Lang Fang, 460 Langhe, 106, 133.205,231 Langres, 443 Lanslebourg, 221 Lanterna, promontorio della, 128, 183 Lanzo, 63 nota 27 Larche, casteUo di, 231 Larenza.54 Larissa, 571 Latisana, 493 Laurana, 611 Lauria, 351 Laurino, 351 Lavis, 357 Lazio,26,68, 139,273,326-328,435,436, 628 Lecce, 552


788

GLI ITALIANl IN ARMl

Leccia, fiume, 78 Lecco,345 Lechemti, 538, 540 Leghe Grigie, vedi Grigioai Legnago, 371, 399, 402 Legnano, 13 Lemboy, ponte di. 364 Lemno, 172, 173, 197, 476 nota 5 Leningrado, vedi San Pietroburgo Lentenay, 443 Lentini, 180 Leoben. trattato di, 317,326 Lepanto. 18. 20, 48, 194, 197 Lepanto, Golfo di, 48, 86 Lerida, 356, 550 Lero, isola, 471 nota 3, 597 Les Marches. 304 Lesina, isola, 370 Levante, vedi Mediterraneo Orientale Levico, 502 Libano, 621-623 Libia, 469-472. 475-477. 518-521, 527, 544 nota 2. 555. 560,568,576, 581-587 Licata. 589 Liegi, 220 Ligure, Mare, 269 Ligure, Repubblica. 319-322, 341 Liguria, 278,279, 339, 351 , 367, 370, 435,597, 607 Lika. fiume, 573 Lilla. 153 nota 2, 230 Lindenau.364 Lione, 17.95, 379, 380 Lipsia, 363-365 Lipso, 471 nota 3 Lisbona. 128. 188,354.589,642 Lissa. isola, 438 Livenza. fiume. 505 Livigno, 129 Livno, 574 Livorno, 21 , 59, 74. 274,328. 340,370, 381.440, 462 Loano, 307,312 Lodi. 25. 38,158. 254, 309,312.319, 331. 398. 402, 403 Lom Palanka. 515 Lombardia, 32. 36, 39, 40, 64, 113. 116. 122, 124. 129-131 , 155- 158, 184.217, 218,220-222, 227.228,242,248.254-256,259-262.266. 267.273,278-281,307,309,312.314, 315. 317, 3 19,338.339,393,397-403.406, 4 15, 417, 420,421.423, 435,436,438.593.604, 607 Lombardia. Amministrazione generale della.315 Lombardo-Veneto, Regno, 132,374,383, 384. 397-410.414,415,42I

Lomellina, 130. 220, 231 Londra,206, 232,266.270,276,346,349,367. 41 I, 412,421,432,451.455. 457. 497,506. 543,551,559,562,567,623 Londra, City, 415 Londra, patto di, 478,506, 509,512,521 Loreaa,58,93.254,261 Lorena, Ducato di. 113. 174. 214 Loreto, 325, 326 nota 23, 430 Losanna. pace di, 472. 518 Lovadina, 357 Lubecca, 348 nota IO Lubiana, 369, 480, 48 I. 572 Lubiana, Congresso di. 388, 389 Lucca. 41, 101 Lucca, Repubblica di, 36, 37, 40, 54, 73, 100, 165, 174,244.276, 298. 338,352, Ducato di, 374. 382 Lucedio. 108 Lucento. castello di, 225 Lucera, 335 Lucerna (Svizzera), 115 Lucerna (Piemonte) vedi Luserna Lucignaoo, 60, 62 Lucinico. 105, 487 Lugh,459 Lugo. 324, 340 Lunéville, pace di, 340. 345 Luni, 652 nota 63 Lunigiana, 54, 244, 245, 385 Luserna, 159. 161 Lussemburgo, 449 nota 10, 6 I6 Lussino. 61 1 Llitzen, 363-365 Luzzara, 219. 257 Lys, fiume, 50 l Macabe.t. penisola di, 47 l Macallè, 454, 456-458. 528, 529. 531 Macallè, forte di, 457 Macedonia, 498, 499, 639,641, 651 Macerata, 429,608 Macerone, 430 Maddalena, Isola della, 294, 365 Maddaloni, 428 Madonna dell'Olmo, vedi Cuneo, Madonna dell' Olmo Madonna della Misericordia, convento della, 283 Madonna della Scoperta, 419 Madrid. 38. 79, 88, 89. 91, 92. 95. l03. 104, l06109. 112. 113, 115. 116, 128, 132. 136, 143. 180, 184.214, 217, 228, 242,243.267, 269. 270,295,349, 354,356,382,388.543-546. 544,547-550 Madrid, Parco dell'Ovest, 544 Magenta, 403,417


INDICI

Maggiore, Lago. 129, 130,321,419 Magnano, 338 Magoaza.203, 207,304.364 Magra, fiume, 278 Mahaddei Uein, 521 Mai Ceu, 532 Mai Maret, 457 Maida, 350 Mainarde, massiccio, 608 Makassar. 45 J nota I Makatal, 452 Malaga, 545-547 Malakov, forte di. vedi Sebastopoli. forte di Malakov Malbosquette, forte di, vedi Tolone. forte di Malbosquette Malca Rie, 533 Maldive, isole, 451 nota I Malojaroslavez. 361 Malplaquet, 230 Malta, 80, 81, 82, 83, 163, 171, 326, 327. 346, 374,412 nota 10; 559,583,584.598, 602. 622 Malta, forte di San Michele, 81. 82 Malta, forte di Sant' Angelo, 8 I Malta, forte di Sant'Elmo, 81, 82, 83 Malta, Manascirocco, 82 Malvasia, 48, 49, 191-197. 235. 236 Malvine, vedi Falkland-Malvine Manciukuò, 552 Manciuria, 46 l, 513 Mandre, 102 Mandriolc. 409 Manduchio, vedi Corfù. Borgo del Manduchio Manfredonia, 258, 335 Manica, canale della, 285. 304. 346,477.561 Manresa. 355 Mantova, ducato di, 40. 121 , 125, 129,218,231, 244,254.261 Mantova, 36, !03, 113, 121, 122, 123, 125, 139 nota 28,148,219,229,255,257.259, 261. 266.277,309,311,314.315.34].345.398. 399,401,402,406, 421 Mantova. Porta Pradella, 125 Mantova, San Giorgio, 125 Manzanarre, fiume. 544 Manziana, 595 Mar Bianco, 513 Mar Cinese Meridionale, 622 Mar d'Azov, 579 Mar Jonio, 192 Mar Nero, 411, 47 l, 568. 602 Mar Rosso, 451,471,563 Marche, 25, 27, 29, 30. 59, 68. 324. 326 nota 23, 337.339,352.375,391,414.429

789 Marchkranstadt, 364 Marciano, 15, 60 Mareb. fiume, 455 Maremma, 59. 60, 61 Marengo, 125.322.332,339,340,350.351,375 Mareth, 587 Mariana, 77 Marienwerder, 362, 5 I 4 nota 7 Marignano (oggi Melegnano, vedi Melegnano) Marina di Patti. 243 Marina Grande, vedi, Sorrento, Marina Grande Marino, 67 Marrnarica, 583 Marna, 501 Marocco.81,586,587 Marocco spagnolo, 518, 544 nota 2, 635 Marostica, 370 Marsa el Brega, 583 Marsa Matruh, 582, 585, 587 Marsaglia, piani della, 21 l , 212 Marsala, 425 Marsica, 465 Marsiglia, 37, SO, 55, 91, 92, 94,183.309 Martina Franca. 335 Martorana. 350 Marzabotto, 604 Masone, 117 Massa. 54, 56, 244. 245, 298, 3 19, 385 Massa e Carrara, Ducato di. 34. 298, 374 Massa Marittima, 60 Massaua,451-454.458.528,532.537,539,564566,568 Mala. 539 Matagrifone, vedi Mottagrifone Matarò, 355 Matarraiia, fiume, 550 Matese Marta Redondas, 127 Mattuglie. 6 I I Mazzo, 129 Medea, 105 Medesano. 23 Medio Oriente, 478,489,497,521.584 Mediterraneo, Mare. 63, 77, 80, 83. 117, 169. 172. 180,181, 194,210,232.276,292,301, 305,346.350,411,413,471,543.583,602, 63 l, 634, 638 Mediterraneo Orientale, 26, 83, 86 nota 12, 89, 108, 163-176, l91-197.218,244,255,266, 33 1 Medole,419 Mekovo. 499 Melegnano, 34. 38 Melfi. 46 Melito di Porto Salvo, 432


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GLI ITALIANI IN ARMI

Mellèt, 467 Melogno, 307 Menandro. fiume, 515 Mens, altopiano del, 540,541 Mentana, 439,440 Merano, 314 Merca, 458, 466, 467 Merere. 467 Merlere, isole, 47 Messina, 81, 85, 148, 179-183. 243. 244. 259. 260.366,404,405,423,425.426,428.475. 590,614 Messina , palazzo di città, 179. I 82 Messina, bastione di San Biagio, 259 Messina, bastione di Santa Caterina, 259 Messina, Castellaccio, 243 Messina, cittadella, 259. 405. 431 Messina. convento di San Basilio. 179. 181 Messina. forte di Mottagrifone, 179, 243 Messina, forte di San Salvatore, 179, 180. 243 Messina. forte Gonzaga. 243 Messi na, palazzo dello Stratico, 179 Messina, stretto di. 426. 590 Mestre, 35 Metauro, 375, 608 Metelino. 169, 194. 195. 197. 476 nota 5 Metemma. 563 Metz, 58 Mezzana Corti, 403 Mietes, monte, 569 Migiurtini. 458. 521 Mignone, 430 Milano. 21, 25, 29, 34, 35, 37, 50, 52, 55, 56, 63, 93, 103, 104. I 17. I 18. 132. 133. 136. 147, 184,219,227.244.255,277,278,3h0,314, 318,321,322,330.352,356.365.379,397399,402,404,415,417.606,611,647 Milano Ducato di, 21. 24, 26. 30. 31, 33. 36, 38. 43, 57. 66, 7 I. 96 nota 23. IO l. 113-ll 7. 121. 129,156,206, 21 I, 217,218,220.223, 229, 231.245,254.255.262,266.283,374.448 Milano. Castello sforzesco. 254, 255, 314 Milano, Piazwle Loreto. 61 I Milano, Porta Romana, 402 Milano, Porta Vigentina, 402 Milano, Porta Vittoria, 402 Milano, Teatro alla Scala, 415 Milazzo, 179. 243, 259. 425,426 Mileto. 351 Milleforche, 305 Millesimo. 262. 310 Milo, 167 Mincio, fiume. 34. 218,219,254,257,313,3 14, 370.398,399,401.402, 419, 420,436-438 Minorca, 232, 242, 293

Minorca, Isola, 242 Minturno, 430 Mirabella, l 67 Mirablanch. 550 Mirafiori. 224 Mirandola. 32, 52, 54, 58. 59, 60, 155. 257, 261. 269,298,324 Missolungi, 19 I Mistrà, 192 Misurata, 470, 519, 523 Mockem,364 Modane. 228,229 Modena,32.34.39,54. 137- 141,257,267,269. 276,319,320.324,375,380,385,389,391. 397,420,432 Modena, Ducato di, 100. 137-141, 156. 158. 174, 218,229,232,298.374,414 Modone. 192,235,236 Mogadiscio, 458,466,467, 537 nota 2, 565, 621. 633,634 Moh.ics. 636 Mola, 32. 259 Mola di Gaeta, vedi Fomùa Moldavia. 411 Molino del Rey. 355 Mombasa. 634 Momigliano, vecli Montmélian Monaco di Baviera, 507. 551. 559 Monaco, patio di, 551, 559 Monaco, principato di, 30. 36, 387 nota 15 Monastero. l 88 Monastir. 476 nota 5 Monastir (Albania), 499 Monbaldone, 131 Moncada,355 Moncalìeri, 43. 50, 63 nota 26. 227. 245,311 Moncalvo, 103 Moncenisio, 200,221 Moncucco. 63 nota 26 Moncullo, 452 Mandolfo, 35 Mondovl. 42. 134. 136 nota 20, 187, 188, 189, 199. 274,275 nota 9,311,314,445 Mondovl, convento degli Zoccolanti, 188 Monfalcone, 105,481 , 487,611 Monfenera, 495 Monferrato, 58. 104, 105, 107- 109. 119, 122. 130.158,205,321 Monferrato, Marchesato del. 40, 43 nota 22. 63, 103. 121, 125,129,220,231 Monginevro, 21, 283 Mongiovino, 140 Monopoli, 32 Monresteil. 92 Montagna Bianca, 112, 123. 149


INDICI

Montalbano, 283 Montalcino,60,61 Montaldo, 187, 188 Montalto, 137 Montanara, 399,401 nota 5 Montdauphin, 380 Monte Baroccio, 35 Monte d'Abramo, vedi Corfù, Monte d'Abramo Monte Filippo, 260 Monte Giardino, 263 Monte Lungo. 607 Monte Maggiore, 492 Monte Marrone, 608 Monte Nevoso, 509 Monte San Giovanni, Rocca di, 21 Monte San Savino, 60 Monte Santo, 489-49 I Monte Sant' Antonio. I 77 Monte Zingarella, 502 Montebello,319,416,417 Montecassino, 258 Montecchio. 34 Montechiarugolo. fortezza di, 233, 256 Montefollonico, 60 Monteforte I.rpino, 337 Monteleone, 350, 35 I Montelepre, 614 Montello, 495, 502 Montemaggiore, 250 Montemurlo, 41, 59, 74 Montenegro.351,572,573,593,636.639 Montenegro, Regno del, 473,476,572 Monrenone.309,3 10 Montepulciano, 59 Monteriggioni, 340 Monterosi. 595 Monterotondo, 258, 272. 440 Montese. 385 Montevideo, 393 Montgat, 355 Monticchiello, 60 Montignoso. 298 Montmélian, 92, 93, 95. 124, 134, 153 nota 2, 208-211, 231, 303, 304, 497 Montone, 33 Montorio, 55 Montorio Veronese, 647 nota 52 Monza,462 Monzambano, 398 Monzon, 120, 132 Monzon, pace di, 120 Moravia, 266 Morbegno, 114, 130 Morea. 176, 191-197,235, 236 Morea, Castello di, 192, 235, 236

791 Moriana,94,95,209,269 Mortara, 158,403,404 Morvan,442 Mosa, fiume, 497,507 nota 29 Mosca,360,543,551,575,576,624,626 Mosella, 244 Mostar, 239, 572, 637 Motril, 545 Motta, 106 Mottagrifone, vedi Messina, forte di Mottagrifone Moutiers, 95 Moyale, 562 Mozambico, 634 Mukden,514 Muniesa. 549 Miinster, 141, 148 Murazzo, 275 Murrnania, 5 I2, 513 Murmansk, 513 Murzuck, 520 Mussolini, ponte, 564 Muzio, ponte di, 177 Nachichevan, 642 Nagara, 471 Nagorno Karabakh, 642 Nalut, 519 Namibia, 622 Namur. 210 Nancy, 58, 262 Nantes, editto di. 199 Napoletana Repubblica, 333-337, 340 Napoli di Malvasia, vedi Malvasia Napoli di Romania, vedi Nauplia Napoli, 19,27,28,35,40,53,54,59,60, 72,103, 108, 113, 130, 141- 148, 158, 179,180,224, 228, 258-260, 271-273, 277,294 nota 9,304 nota 3, 305, 312, 326-329, 332-337, 340, 347,349-351,367,385-389,404,405,408, 426,428, 430, 475, 498, 514 nota 6, 516, 604,629,647 Napoli Regno di (vedi anche Due Sicilie), 21, 23, 25.32,34,35-44,46,48,50,52,65,67,69, 71,113,137, 142- 148, 158,165,180, 181 , 228-231, 246,249.254, 255,257,262,271, 272,276, 295-297, 301. 304. 332-341, 346, 347,352,373-375,377 Napoli, Arsenale, 144, 376 Napoli, Avinaro. 144 Napoli, Carceri di San Giacomo, 146 Napoli, Castel dell'Ovo, 144,228.258, 337 Napoli, Castel Nuovo, 28, 53, 144,228,258,337. 389 Napoli, Castel Sant'Elmo, 53. 144,258,336,337 Napoli, Cbiaia, 147,337


792

GLI ITALIANI IN ARMI

Napoli, Chiesa di Santa Maria della nuova. 144 Napoli, Conciaria, 144 Napoli, Gesù, 147 Napoli, Palazzo Reale, 144 Napoli, Piazza del Mercato. 144, 147 Napoli, Pizzofalcone, 143,337 Napoli, Porta di Chiaia, 146 Napoli, Porto delle galere,144 Napoli, Santa Lucia. 143 Napoli, Sellarla, 144 Napoli, Strada della Corsia, I 44 Napoli. Torrione del Carmine o dei Carmelitani, 144,147,228,258 Napoli, Via Toledo, 145, 146 Narenta, 239 Nauplia, 48, 49, 191-197, 235,236 Navalcarnero, 544 Navarino,88, 192, 235 Navarra, 77 Nawlsk, 348 nota 11 Nebbio, 251, 291, 293 Nedlitz, 364 Nefasìt, 535 Neghelli, 533, 534 Negroponte, 167. 192, 193, 196 Nellèt,466 Nemi, 274 Nepi,45 Neresine, 611 Nettuno, 65 nota 32, 66, 523, 603 New York, 394 nota 19, 602,615 Nicastro, 351 Nicobare, isole. 451 nota l Nicosia, 84, 85 Nieder-Au, 364 Niemen, fiume. 348 nota 11, 362 Nikolajevka, 579,581 Nilo. 567, 585 Nilo Azzurro, fiume, 540 Nimega, 181,203,214 Nioutschka, 513 Nisiro, 471 nota 3 Nizza, 42, 43, 47, 50, 53, 64, 104, 117, 134. 228, 241,275,283,285,304,305-310,389. 390, 421,560 Nizza, Contea di, 42, 136. 269. 272, 274, 307, 312,315,387 nota 15, 414, 421,560 Nizza della Paglia, 103, 104, 311 Nocera. 336 Nocera Umbra, 274 Nogal, 521 Nola, 53,336,337,387,388 Noli, 90 Nonza. 288 Nordligen, 112, 141

Norvegia, 559,617,618,642 Nossen, 364 Noto, 181 Noto. Golfo di, 243 Novak,499 Novara,34,254,255,262.299,323.389.403, 404 Novi, 24, 90, I 19,281 Novigrad, 167 Novo Mesto, 574 Noyon, 35 Nuova Candia, 165, 173 Nuova Guinea, 451 nota l Nuova Zelanda, 409 Nyon, 300 Obbia, 458, 521, 633 Obrassaz. 193 Oceania. 643 Oddo, 533 Ofanto, fiume. 329 Ogaden, 533, 537 Oglio, fiume, 260, 313. 438 Ohrida, 569 Olanda, 105,106, 111-113, 116,117,126,127, 148, 160, 165, 178, 180,200,203,204,206, 217.220,231,232,243,244, 275,283,285, 296,304,309,346,349,379,507.616.623 Oletta. 291 Olinda, 126 Oliveto. 60 Olmetto, 78 Olmo, vedi Vicenza, Olmo Oltregiuba, 52 I Oneglia, 106. 178, 283, 322 Ontaneda, 548 Opera Cadoma, vedi Zig-Zag Oporto, 404 Orbassano. 206, 211, 229 Orbetello, 51, 56, 62, 113. 141, 142. 23 I , 260, 328,329,332 Orciano, 35 Ore!, 579 Orezza, 289 Orfella, 519 Onnea, 322 OrmeUe.505 Ornavasso, 321 Orta, Principato di, 299 Ortigara, monte, 490 Ortona, 258 Orvieto, 21, 27, 138, 140 Oscedrik, monte, 491 Oslavia, 481 , 482, 487 Osoppo, 371 Ossola, Repubblica Partigiana dell ', 604


[NDICI

Ostellato, 229 Ostenda, 17 Ostia, 24, 67, 595 Ostia Antica, 67 nota 35 Ostrovizza, 47 Ostrovoo, 360 Osum. valle dell'. 569 Otranto. 24, 32, 46, 85 nota IO Otranto, Canale di, 498, 499, 512, 5 l 3, 636 Ottobiano, 3 13 Ouche,442 Oudenarde, 230 Oulx, 93,231,283 Ovada, 117, 178 Padalilla, Torre di, 248 Padana. pianura. 25, 36, 37. 39, 42, 63. 123, 126, 139.217,305,324,335,338-340,346,370, 379.383,395,601 Padova,32,35,347,398,406,485,552 Paesi Baschi, 547, 548 Pagani, 336 Pagania, 239 Pago,509 Pago, isola, 102 Pakistan, 621 Palatinato. 230,204.207, 210,266 Palazzolo sull 'Oglio, 314 nota 15 Paleoca5trO, 168 Palermo, 80, 179, 241-243, 259. 260. 328,334, 351,367,387,404,406.423,425,426,432, 439,590.614,629 Palermo, arcivescovado, 181 Palermo, Banco di Palermo, 367 Palermo. Carcere della Vicaria. 439 Palenno, Ficuzza. 432 Palermo, Monte di Pietà, 367 Palermo. Palazzo delle Finanze, 439 Palermo. Palazzo Reale, I 81, 439 Palermo. Ponte del l'Ammiraglio. 425 Palermo, Porta Termini, 425 Palermo, Quattro Venti, 439 Palestina, 84, 163. 497 Palestrina. 68. 408 Palestro. 417 Paliano, 46, 65-68 Pallanza, 321 Palmanova. 105,369,371 Paludella, torre della, 288, 293 Parnsdorf, 364 Pan di Zucchero (Piemonte), 200 Panaro, fiume, 269, 270, 276, 324, 375 Panfilio, 229 Pantelleria, isola, 589 Pao Tmg Fu, 461 Paonia, 248

793 Paraiba, 1.27 Parellara, 256 Parigi, 37. 53, 56. 57. 79. 103, 105, I 15, 116, 120, 121. 125, 129, 130, 132, 136, 140. 146, 156, 182,201,206.260,289,308,311,312,314, 320,324,340,346,355,361,363,370,375, 391, 411 -414, 436,442,444.449 nota IO, 474.483.497,501, 506,510,543,551.559, 615. 617. 618,635 Parigi, Bastiglia. 303 Parigi, Tuileries, 391. 397, 415 Parma, 17, 34, 36, 39. 43, 53. 57, 58, 62. 130, 137-141, 155,229,233,256,267.278. 312, 374,382.383,384,391,397 PannaDucatodi,53. 73, 129.137-141.165,218. 221,242,244-246.254-256.262.263,266. 276.295,296,298,315,341,351,374,383, 384,414 Passarowitz, 239 Passavia, 59 Passerano. 63 nota 27 Passo Buole, 485 Passo Corese. 440 Passo Marcia, 565 Passo Uolchefit, 566 Pastrengo. 398 Pasubio. monte. 485 Patrasso, 192, 235 Patmo, 471 nota 3 Patrimonio di San Pietro. 137, 139 Pa\•ia, 37, 43, 119, 157,158,245,254,313.330, 331,398,403,417 Pavia, Bicocca, 37 Pavone. 63. nota 26 Pavullo, 385 Paxos. 48 Pechino, 460, 461, 513, 539 nota 4 Pechino. Cattedrale cattolica. 460 Pechino, Legazione d'Italia, 460,461 , S 13 nota 4 Pechino, Pe Tang. 460 nota 24 Pechino, quartiere delle Legazioni. 460 Pedonosso, passo di, 114 Pei Ho. fiume, 460, 461 Pei Ta Ho, forte di. 461 Pei Tang. forti di, 461 Pellegrino, monte, 439 Pellice, fiume, 160 Pelopormeso, 192. 571 Penna, castello di, 117 Penta, 79 Perati, 570 Pemambuco. 126- 128 Perosa, 229 Perpignano, 354


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GL.I ITALIANI IN ARMI

Perpoli. 100 Perugia, 29, 30, 35. 45, 54, 140, 258,276,326 nota 23. 429 Pesa, fiume, 41 Pesaro,26,27,276, 429 Pescara, 146,228,258,328,334,336,347,430, 595,596 Peschiera del Garda, 34,314,370, 397-399, 402, 419-421, 494 Petralba, 293 Pelriera di Caccia, 78 Petrikovca, 576 Peuma, I05. 481, 487 Peuma, ponte di, 487 Pharon, o Pharaon, forte del, vedi Tolone Philippsburg, 129,204.214. 254 Piacenza, 34, 36, 39, 43, 53, 56, 58, 63, 66, 139, 218,229,233.246,254,255, 267, 276, 278, 312, 313. 351. 383, 414. 523 nota 27, 639, 651 nota 61 Pian dei Tennini, 100, 101 Piana dei Greci, 243 Pianosa. isola. 27 Pianto dei Romani, vedi Calatafimi, Pianto dei Romani Piattamala, casteUo di, 114 Piave, fiume, 31, 369, 370, 493. 495, 50 I, 502, 503,505 Piazza Armerina, 243 Piccardia, 43. 500 Piccolo San Bernardo, 210, 269.304 Picinisco, 608 Piedimonte, l05 Piemonte, 41-43, 46, 51 , 52. 57-59. 62-64. 68, 69, 90, 92-94, 104 nota 7. 108,117,119, 120123, 125, 128- 136, 155-160. 177. 178, 183, 185- 189, 200, 201, 206, 2IO, 217, 221-227. 229, 245,272,274,276,283, 288,304, 307310, 314. 315. 320. 321 nota 19,322, 323, 330, 332,338, 339,341,351,365,377,379, 389.405,416,419, 423,435, 593, 603,604, 607 Pietra Ligure, 90 Pietralunga, 274 Pietrasanta, 21, 50 nota 9, 54 Pieve di Cadore. 31 Pieve di Tarao, 25 I Pieve di Teco, 177 Pieve Ligure (in Val d'Oneglia), I I 8 Pieve Ligure, monastero di Sant' Agostino. I J 8 Pievelago. 385 Pievi di là dai monti , 78, 79, 247 nota I, 249 nota 2,293 Pievi di qua dai monti, 78, 79, 247 nota 1, 249 nota 2. 293

Piglio 66 Pinerolo. 50,63, 93, 124-126. 131, 148,160, 183, 200, 204, 205,210,211,213,227,229 Pinerolo, forte di Santa Brigida, 210,211 Pinzano, ponti di, 492 Piombino, 27, SO nota 9, 51, 56, 62, 64. 142, 158. 228 Piombino. Principato di, 50, 54, 57, 352 Pioppe, 232 Piovezzano, 398 Pirenei, catena montuosa. 243, 355 Pirenei, pace dei, 158 nota 3, 203 Pireo, 192 Pisa, 18, 21, 24, 29, 32, 41 , 50 nota 9, 54, 74,432, 651 nota 61 Pisino, 611 Pistoia, 41, 54, 140 Pitigliano, I 40 Pitzkendorf, 362 Pizzighettone, 227. 254. 255. 313 Plava, 490 Plezzo, 31 Ploesti, 575 Plombières. 414 Po di Ariano, fiume, 140 Po. delta del. 140, 603 Po. fiume. 32, 35, 39, 42, 43, 130, 133, 135, 137, 139. 140. 156. 157.207,224, 225,256.257, 261 , 267,278,304.313,347, 353, 370, 389, 399, 403,409, 436-438, 610 Podgora, monte, 481. 487 Podstenice, 574 Poggibonsi, 59 Polan 474,503, 515 nota I I, 611 Polesine, 31, 140 Polignano, 32 PoUenza. 376 Polo Nord, 524 Poloj, 577 nota 24 Polonia. Repubblica di. 37, 112, 191. 241, 253. 261 , 315 nota 16. 348. 349, 357,514.516, 559, 574-576, 581 Poltava, 241 Pomégues, Isola, 94 Pont de Beauvoisin, 379 Pontcharré, 92 Ponte d' Enza, 155 Ponte deU ' Abbadia. 137 Ponte della Chiana, 60 Ponte della Noce, 347 Ponte di Goito, vedi Goiro. ponte di Pontechianale, castello di, 271 Pontecorvo, 66 Pontecurone, I 29 Pontedera, 60


INDICI

Pontelagoscuro, 140, 230 Ponlelagoscuro, forte di, 140 Pontelacone, 428 Poncenuovo, 294 Pontestura, 135 Pontiak, 451 nota 1 Pontificio, Stato, 20, 21, 26, 29, 31. 32. 57. 69, 112, 114, 123, 125, 137, 139. 165. 218. 228. 230, 235, 245, 246, 257, 272, 295 nota I , 298.304.329,330,335,338,341,351,380, 414,423,433 Pontremoli, 21, 56,244,383 nota 9 Popoli, 328 Populonia, 62, 142 Pordeoone,31,369 Pornassio, 177 Porrerta. 385 Port Mahon, 292 Port'Ercole, 51. 61. 62, 67 nota 36, 141. 228,260 Porta della Ripa, vedi San Marino. por1a della Ripa Por1a di Giaffa. vedi Gerusalemme. Porta di Giaffa

Porta di Po, vedi Torino. porta di Po Porta Marina. vedi Recanati, por1a Marina Porta Palazzo. vedi Torino, porta Palazzo Porta Pia, vedi Ancona, Porla Pia: Roma. Porta Pia Porta Reale, vedi Corfù, porta Reale Porta Romana, vedi Milano, Porta Romana Porta San Paolo, vedi Roma, Porta San Paolo Porta Termini, vedi Palermo. Porta Termini Porta Vigentina, vedi Milano. Porta Vigentina Porta Vittoria, vedi Milano, Porta Vittoria Portici, 337, 386 Portici. forte del Granatello, 337 Porto Baros. 509 Porto Calvo, 127, 128 Porto Cesenatico, 27 Porto Edda, 569 Porto Longo. 26 Porto Longone, 142, 158,228 Porto Mantovano, fortezza di, 125 Por10 Maurizio. poi Imperia. 11 7 Porto Said, 497 nota 19 Porto. vedi Oporto Portoferraio, 341. 374 Portofino. 39, 90 Portogallo, 13, 69, 126, 128,136.220, 232,235, 330.349.356,363.404.449, 544,545,615. 642 Por1ovecchio, 77, 78,250,292 Por1oveaere. 90 Porziolo, 256 Porzus, 605

795 Posavina, 637 Posen, 363 Posillipo, 147, 148 Posina, 495 Postumia, 31. 369 Potsdam. 624 Pouilly. 443 Poviglio, 232 Pozzolengo, 419. 420 Pra del Tomo, 199 Praga. 112,275,514 Pragelato, 283 Prarustino. 161 Pratica di Mare, 595, 639 Prato, 34. 41, 103 Premuda, 503 Presba. lago di, 569 Ptesburgo,346,348,358 Prevesa,48, 161. 197.469 Priamar, fortezza del 279. 281 Primaro, 140 Primogenita. vedi Eritrea Pripel. paludi di, 575 Procida. 148. 336 Provenza, 42, 43, 50, 53, 91-93, 103, 117, 141 . 229.272.280,293,340,380.593 Province nliriche, 351 Province Unite, Repubblica delle, vedi Olanda Prozer, 574 Prussia, 244, 285 Prussia Orientale, 349, 514, 575 Prussia. Regno di, 244, 253, 254, 285, 292, 296, 303,304,334,346,363,380,389.411,413, 414,416.420,436-438 Psara, 167 Psitos. 471 Puglia. 25, 28, 40, 69, 145. 146. 258,335.350, 595, 597, 598 nota Il, 599, 600, 628 Pultusk, 348 nota 11 Puschiavo. 114 Qattara. depressione di, 585 Quadrilatero. 398,399,403,417,420, 436-438 Quarnaro vedi Camara Quamarolo. 509 Quarto. 365 Quero. 505 Quistello, 257 Qulcuaber, 566 Quoram, 532 Quota 115,Albania,512 Quota I 88, Carso, 482 Quwait, 63 I, 632. 639 Raab,358 Racconigi, 134 Racbdorf. 358


796

GLI ITALIANI IN ARMI

Ragusa (Dalmazia). 108, 348, 370. 374, 515 nota 11,572,636 Ragusa (Sicilia), 614 Ragusa, Distretto Militare, 614 Ragusa. Prefenura, 614 Raimonda, vedi Corfù, pona Raimonda Rarnillies, 228 Rapallo, 21, 90 Rapallo, convegno di, 494 Rapallo, trattato di, 510 Rastadt, congresso di ( 1798), 323. 327 Rastadt, pace di (17 14), 231. 232 Ratisbona, 125,184,357 Ratonneau, Isola, 94 Ravenna, 15,30,33,39,45. 263.409 Recanati , 325 Recanati. porta Marina. 325 Recife, 126. 127 Reggio Calabria. 181. 243,350,351,405,465 Reggio Emilia, 39, 43, 63. 156, 157,2 19, 256, 257.260,319,375 Reggiolo, 260 Regia Repubblica Napoletana, 145-148 Reims, 497. 502. 612 Reinosa. 548 Renanfa, Il 3, 254, 526, 543 Renaud. vedi Castel Renaud, Renno. 79, 113 Reno. Confederazione del. 348, 349 Reno, 180. 203,204.210, 211,214,231.266. 304,309,364,413.414,420.474,475,477 Retirno, isola. 167 Revello, 56, 63 nota 26, 129 Revere, 261 Rezzato. 314 nota 15 Rezzo, 177 Ribnice, 574 Rieti. 388. 430 Rijswijck, pace di, 212, 214 Rimini,26.27,30,39,263,269.347,375.391 Rio della Plata, 393,435 Rio Fom10s0. fiume. 127 Rio Grande del Sud. Repubblica del, 392, 393 Rio Guadalope, fiume, 393, 550 Rio de las Pedrns. fiume, 127 Risano, 49, 197 Riva, 114, 116. 117, 119,120,438 Rivarolo, 63 nota 26, 283 Riviera di Levante, 30,117,279,281.285. 371, 603 Riviera di Ponente, 42. 5 I. 90. 117. 118. 119. 274. 278,279,281,283,285,305,310,561.603 Riviera Romagnola, 140 Rivoli (Torino). 124,210. 225, 245,379 Rivoli (Verona), 40 I, 402

Rivolta d'Adda, 313 Rivolto, 651. nota 61 Robecco, 36 Rocca d'Arazzo, 25 Rocca d' Aree, 408 Rocca di Papa. 46 Rocca Grimalda, 321 Rocca Guglielma. 23, 46 Rocca Massima, 68 Roccabianca, 56 Roccapialta, I61 Roccaromana, 428 Rocroy, 141, 507 nota 29 Rodano.95,99. 100,300,379,442 Rodi. 80, 83, 169. 471 Rodi, baia di Calitea, 471 Rodi, isola, 80, 192, 471 Rodolfo, lago, 562 Rokitno, 575 Roma, 13. 21. 24, 27, 29, 31, 37. 39, 42, 46, 47, 56-58, 62, 63. 65, 67, 68, 88. 95, 99, 101, 112. 123-133, 137-141. 147. 155,179.182, 185.203,206,229,230,244,246,262.272274.294,323-330,337.341,352,370,379. 380,391.406.408,428,429.436,439.440, 444,455.457,458,473-475,509,512,515517, 519,522,528,529,539,541 nota 10. 543,544,547.550-553,562,563,565,567, 568,570,572,575,584,587,592,594,602, 603,605,606,608,610.616-618.623,633, 634,636,644 Roma, Carcere di Regina Coeli, 606 Roma. Casenna Umberto I, 597 Roma. Casino dei Pazzi, 408, 440 Roma. Casino dei Quattro Venti, 408,409 Roma. Castel Sant'Angelo, 21, 27 nota 5. 39, 89, 324, 442 nota 2 Roma. Città Leonina, 442 nota 2 Roma, Città Militare della Cecchignola, 596,629 nota4 Roma. EUR, 595 Roma, Fosse Ardeatine, 606 Roma. Magliana. 67 Roma, Museo Storico della Fanteria, 412 nota 13 Roma, Palazzo del Quirinale, 608 nota 33 Roma, Palazzo Venezia. 534 Roma, Piazza Venezia, 608 nota 33 Roma. Policlinico Umberto I. 596 nota 9 Roma, Ponre Milvio, 274 Roma, Ponte Nomentano, 440 Roma. Ponte Salario. 596 Roma. Porta Pia, 442, 444 Roma, Porta San Paolo, 596 Roma. Salone Margherita. 448 Roma. Trastevere, 408


INDICI

Roma, Vascello, 409 Roma, Vaticano, 51. 88. 93. 123,408,442 nota

2 Roma. Via Ardeatina, 606 Roma, Via Aurelia, 595 Roma, Via Cassia, 595 Roma, Via di Boccea. 595 Roma, Via Marmorata. 596 nota 9 Roma, Via Nomentana, 440, 595 Roma. Via Portuense. 67 Roma, Via Prenestina, 595 Roma, Via Rasella. 605, 606 Roma, Via Salaria, 440 Roma, Villa Savoia, 593 Roma. Viminale, 593 Romagna, 18, 21, 25, 27, 29. 30, 38, 56, 63,230, 257,263,267.324,401,420, 421 Romagnano Sesia, 37 Romana Repubblica (1798), 326 Romana, Repubblica ( 1849), 406-409 Romania, 487. 496,512,514.568. 575. 636 Romelia, castello din 192. 197 Ronchi.493nota 13,510.511 Ronciglione, 45, 137- 141, 257, 332 Ronco, 33, 275 Ronco, fiume. 376 Rorà, 161 Rosas. 355 Rossena. 233 Rossiglione, 117, 118. 281 Rossosc, 579 Rostov, 577,579 Rottofreno. 278 Rovaio, 3 14 nota 15 Roverbella. 314 Rovereto, 402 Roviano (Genova), 43 Roviano (Roma), 46 Rovigo, 319. 370 Ruanda, 634 Rubbia. 105 Rudilla, 549 Russia, 191,253,266.285, 304,326.334. 337. 339,346,347,349, 354-364. 380. 389. 411, 416, 449. 466, 473, 474. 476,477, 481. 483. 496, 501.512, 546,551.559, 574-581, 586. 607.612.616,622,624-627,643 Russia Bianca. 575 S'Hertogenbosch. 17 Saar. 525 Saarbrucken, Land Kreis. 526 Saarlouis. 526 Saati, 452 Sabbioncello, penisola di, 574 Sabotino, fortino del, 481

797 Sabotino, monte, 481. 482,487,489 Sabra, campo profughi, 623 SaccareUo, monte, 307 Sacile. 357 Saganeiti, 452, 455 Sagrado. 493 nota 13 Salbertrand,93.200 Salcano, vallone di. 487, 489 Salemi, 425 Salerno, 40, 146, 335, 336, 375 nota I, 591 Salionze, 370 Salisburgo. 174 Salò, 26 I. 60 I Salonicco, 476 nota 5, 498 Salt, 356 Saluzzo. 43, 56, 63 nota 26, 91, 94. 95, 99, 124. 134, 207,208 Salvador, Repubblica del. 632 Sarnmucro. monte, 607 Samo, 195, 569 Sampeyre, 122 Sampierdarena. 117. 184, 279 San fiume, 575 San Bartolomeo. 161 San Basilio, 351 San Benedetto Po, 220, 221 nota 5, 257 San Benigno, 63 nota 27 San Bernardo, colle di, 307 San Biagio, vedi Messina. bastione di San Biagio San Bonifacio. 248. 289, 292 San Brizio, 125 San Costanzo, 35 San Damiano. 58, 63 nota 26, 121 San Domenico, forte di, vedi Candia, forte di San Domenico San Fermo, 392, 419 San Filippo, 141 San Fiorenzo. 64, 65, 79. 248, 288. 291, 292 San Floriano, monte. I05 San Francesco, castello di, 122 San Francisco, fiume (Brasile), 128 San Gabriele, monte, 489. 491 San Geminiano (San Gimignano). 41 San Gennano. 21 , 328, 409 San Gennano Monferrato, 42, 63 nota 27. 109, 178 San Giacomo. 307. 312 San Giorgio Canavese, 63 nota 26 San Giorgio di Nogaro. 493 aoia 13 San Giovanni Canavese. 160 San Giovanni di Medua, 498, 552 San Giovanni di Moriana, 95, 5 15 San Giovanni di Moriana, accordo di, 515 San Leo. 29, 35


798

GLI ITALIANI IN ARMI

San Lorenzo, 127 San Marco, monte, 489,491 San Marino, 29,263,409 San Marino Repubblica di, 262, 263, 341, 352, 409 San Marino. porta della Ripa, 263 San Manino, 105 San Manino della battaglia. 419, 420, 437 San Martino della battaglia, Corbù, 420 San Manino della battaglia, La Contracania, 420 San Maurizio Canavese, 63 nota 26 San Maurizio, bastione di, vedi Torino, bastione di San Maurizio San Mauro, 481 San Michele (Piemonte), 311 San Michele, monte, 105,482,487 San Michele, vedi Malta. forte di San Michele San Mun, 4(,() San Pedro, 355 San Pellegrino, 293 San Pier d'Arena. vedi Sampierdarena San Piero in Casale, 155 San Pietro Vemotico, 607 San Pietroburgo, 253,360,411,474,513,575, 579,635 San Prospero, 256 San Quintino, 59, 68, 74, 111, 151 San Remo, 247,277,295 nota 1 San Remo. forte di Santa Tecla, 295 nota I San Remo, Pietralunga, 295 nota I San Rocco, 274 San Salvador da Bahia. vedi Bahia San Salvador, Monte, vedi Corfù, Monte San Salvador San Salvatore, 419 San Salvatore, vedi Messina, forte di San Salvatore San Sebastiano, bastione di, vedi Vercelli, San Secondo di Pinerolo, I59 San Selony, 357 San Sisto. 50, 69 San Teodoro, Isola, l 64 San Vmcenzo a Torri, 3 I nota IO San Vincenzo. torre di. vedi Napoli, torre di San Vincenzo Sangone, fiume, 135, 224 Sansevero, 335 Sant' Agata dei Goti, 607 Sant' Albino, 60 Sant' Angelo, 429 Sant' Angelo. vedi Malta, forte di Sant' Angelo Sant' Anna di Stazzema, 604 Sant' Antonio (Corsica), 290 Sani' Antonio (Uruguay), 393 Sant' Antonio, vedi Corfù, baluardo di Sam' Antonio

Sant'Elena, isola, 309 Sant'Elmo, vedi Malta, forte di Sant'Elmo e Napoli, Castel Sant'Elmo Sant'Eufemia, 350 Santa Brigida, forte di, vedi Pinerolo, forte di Santa Brigida Santa Caterina, forte di, 95 Santa Caterina, forte di, vedi Tolone, Santa Caterina, forte di Santa Caterina, vedi Messina. bastione di Santa Caterina Santa Chiara, bastione di, vedi Vercelli Santa Giustina, 398 Santa Maria Capua Vetere, 428 Santa Maria dell'Olmo, vedi Madonna dell'Olmo Santa Maria di Staffarda, 207 Santa Maria Maggiore, 321 Santa Maura, 88, 173, I 9 I, I 92, 197. 236, 238 Santa Pelagia, Golfo di, 174. 175 Santa Tecla. forte di, vedi San Remo, forte di Santa Tecla Santander, 548, 549 Santemo, fiume, 611 Santhià. 63 nota 26, 130 Santi Quaranta, 498,517,552,553,569 Santo Sepolcro, 515 Samo Stefano, 62, 141 Santorino, isola, 169 Sapienza, 238 Sapri, 351 Saracena, 351 Saragozza.356,547,549 Sarajevo, 476,498 nota 22, 572 Sardegna, 20, 39, 64, 181. 228, 239, 242-244, 323,366,589,599.629 Sardegna. Regno di 28, 71. I 41, 23 l. 244, 247, 249,255,262.266,267,275.285,294,299301,303,304,308,309,312,315,341 , 352, 365,376,377,379,380,390,393-404.413421, 444,449 nota lO Sardòn 537 Sarobeti, 453 Sarzana, 21, 89, 118, 119,278,339 Sarzaaello, 21, 89, 118. 119 Saseno. isola. 498. 513. 640, 641 nota 44 Sassabaneh, 534 Sassari, 39, 365, 366, 613 Sassonia, 265 Sava, fiume, 236 Savena, fiume. 611 Savigliano. 42. 50, 51, 63 nota 26, 133 Savoia, 43, 92, 95, 99, 108, 124, 208, 221, 269, 271,285,300,303,304,307,312,315,379, 380,391.414,421,560


INDICI

Savoia, Ducato di, 74, 94, 114-116, 131, 149, 189, 199,204,205.206,217,231,374,421 Savona, 31, 37, 39, 40, 51. 89, 90, 117. 122.124, 133, 177, 183, 278-283, 288,371 Scafati, I58 Scalanova, 515 Scaletta Zanclea, 180 Scapa Flow, 507 nota 28 Scardona, 47, I 93 Scarpanto, 471 nota 3 Scarpone, vedi Corfù, porta Scarpone Scavolino, 295 nota I Schiarino Rizzino, convenzione di, 371 Schiro, 196 Schleitz, 348 nota IO Schleswig-Holstein, 436 Sciaffusa, 159 Sciangai, 538 nota 4, 539 Sciara Sciat, 470 Sciasciamanna, 565 Sciberras, 8 I, 82 Scidle, 521 Scilla, 350, 351 Scindeli, monte, 570 Scio, vedi Chio Scioa, 458,540,541 Scirè, 532 Sciu Kuan Tao, forte di, 461 Scoffera, passo della, 281 Scrivia, 52, 130 Scurgola, 433 Scusciuban, 522 Scutari, 499 Sdille, isole, 167, 172 Sdricca di Manzano, 490 nota 13 Sebastopoli, 41 I. 413 Sebastopoli, fone di Malakov, 413 Sebenico, 167. 515 nota li, 572 Sebeto, fiume. 337 Sebh.a. 520 Sebrenica, 638 Secchia, fiume, 257. 260 Sedan,440,442 Segna, 101,102, 192.197,239,574 Segni, 68 Sei Busi, 482 Sele, fiume. 426 Selva Nera, 231 Seminara, 28 Senafè. 455, 529 Senigallia, 29, 35, 230 Senio. fiume, 325,610,611 Serafimovic, 577 Serbia. 239. 473,476,477,481 Serbia, Repubblica di. 635,639.641. 644

799 Serchio, fiume, 100 Sereiia, 544 Semaglia. 505 Serravalle (Liguria), 118,321,322 Serravalle (Veneto). 505 Serravalle Scrivia, 52,255 Serre, fiume, 507 nota 29 Serrone, 67 Sesana, 283 Sesia. fiume. 106. 221, 352 Sessa, 3 I 2, 336 Sessa, Torre di, 28 Sessola, isola della, 48 Sestola, 385 Sestri, 90 Sestri Ponente, 55, 28 I Sestriere, 284 Sestriere. ponte di, 283 Sette Comuni, altopiano dei, 485 Settimo Torinese, 63 nota 26 Sèvres, Trattato di, 5 IS Sfax, 30 I, 587 Sforzesca. vedi Vigevano, Sforzesca Shan Hai Kuan. forte di, 461. 539 nota 4 Sharrn e! Sheik, 622 Siberia, S 14 nota 4. 55 I Sicilia, 49, 66, 81, 82,181.228, 239. 241-243, 258-260,334,335,347,351,355.367,368, 370,374.386-389.391,405,406,408,423428,432.451,556,567,584,589-591,614, 629 Sicilia, Regno di, 20, 28, 67 nota 38. 71, 141, 231.241,254,256,257.352,363,vedianche Due Sicilie Sidarno, 533 Sidi All, 471 Sidi el Barrani. 582, 585 Sidi Rezegh, 584 Sidi Said, 4 71 Siegfried, linea fonificata, 503 Siena, 29, 31 oota IO, 36. 37. 39-41, 50. 51, 54. 59.60,61,62,65, 74,340,345 Siena, Porta Carnollia, 59 Siena. Porta Ovile, 6 I Siena, Porta Ravaniano, 61 Sierra Morena. 550 Signa, vedi Segna Sigonella, 651 nota 61 Siguenza, 547 Silopi, 632 Simi, 471 nota 3 Sinai, penisola del, 622 Sinalunga, 60, 440 Sinj vedi Segna Sinope, 411


800

GLJ ITALIANI IN ARMI

Siracusa, 181,243,259,260, 426,589,590.614 Siria, 84 Sissonne, paludi di. 507 nota 29 Siviglia, Trattato di, 244, 245. 254 Skare, 574 Slesia, 514, 516 Slesia. Ducato di. 265, 266, 277, 285, 292 Slovacchfa, 514 Slovacchia, repubblica cli, 577 Slovenia. 480, 572, 573. 593 Slovenia, Repubblica di, 365. 644 Smirne. 168,195, 197,5 15 Smolensk, 360 Socotra, 451 nota 1 Sofia. 515 Soissons, 501 Solferino. 419. 420 Sollum. ciglione di. 585, 587 Somalia, 458. 466. 467,615,621, 632-634. 644 Somalia Inglese. 466, 534, 563 Somalia Italiana, 458, 466, 467, 521, 522. 527. 528.532,537,555.562,563,565 Sombemon, 443 Sommacampagna. 402 Somrnariva, 63 nota 26 Sona.402 Soncino, 25, 156 Sondrio, IJ4 Sopotò. Castello di, 84. 88 Sora. 23, 334, 647 nota 52 Sorbolo. 277 Sorrento. 145 Sorrento, Marina Grande, 40 Sospello. 113 Soveria,350 Spagna. 13. 26, 42. 90. I I3, 232, 2559. 276, 350. 354-358,366.368.370,388.543-550,555. 556

Spagna, Regno di, 24. 25, 29, 31-35, 38, 40. 41, 45-49,52,56.62.64,66,68, 71, 72, 74, 79, 84,85,89.90,91,93-95,99, 101 , 103.104, 106, 107, 109.112. 115, 116, 117. 120-122. 124- 136, 141- 148. 155. 156,158. 179-185. 200. 203-214, 217. 220. 231. 241-246. 249. 254,258,262,263.266,267.270-272.276, 277,281,295,301.304,330,349,363,408, 543-550, 631 nota 13 Spalato, 348, 5 I5, 572. 611 nota 37 Spalmadori. Isole, 172, 195 Sparanise, 329 Speyer, fiume, 221 Spezia, Isola. 194 Spezia, vedi La Spezia Spigno, 119 Spilirnbergo, 375

Spinalonga. 176, 192. 236 Spinarda, colle della, 307 Spinetta, 322 Spira,204,304 Spoleto, 326 nota 23, 430 Sporadi. isole, 571 Staffarda. abbazia di Santa Maria di, 207 Stalingrado (Volgogrado), 577 Stalino, 576 Starnpalia, 471 Stanchiò, 169 Stati Uniti d'America, 296,435.490, 496,510, 522,529,532,612,616,617.622-624.625, 626. 631 nota 13, 633.638, 639, 642-645 Stato dei Presìdi, 62, 71, 141, 142, 158,226, 231, 257,260,267.341 Stella, Forte, 105 Stellanello, 177 Stellata, 140, 230 Stelvio, passo dello, 420 Stenino. 362 Stoccolma, 241 Stradella, 52 Strasburgo, I 13 Strigonia, 96 Stromboli. isola. 181 Strongoli, 350 Stura, fiume, 225, 274, 310. 311 Suakim,563 Subachi, 459 Sud Africa, 563 Sud America. vedi America Latina Suda,48, 166, 168.176. 192,236,602, 603 Sudan.453,459,562,563 Sudeti, 551 Suez. Istmo e canale di, 51 nota IO. 324. 543, 623,624 Suio, 28 Sulmona, 430, 608 Sumatra, 451 nota I Superga, colle di, 225 Susa (Tunisia), 30 I. 587 Susa, 41, 63 nota 26, 94, 117. 122-124. 208-211. 221. 228. 323. 339 Susa, cinadella di, 339 Susegana, 505 Svezia. 112, 175. 204, 241, 253, 266. 346. 363. 4IO, 642 Svizzera, 24, 25. 34, 35, 91, 115, 116, 159. 161 , 199, 337,338,346, 429,443.507, 525 nota 30,529,604.642 Tacazzè, fiume, 529 Tagliacozzo, 433 Tagliamento. fiume, 369, 492. 493 Tahruna, 5 19


INDICI

Takruna,587,588 Taku,460 Taku, forti di, 460 Talamone. 51, 62. 141 Talamone, forte di San Luigi, 141 Tana, lago. 540 Tanaro. fiume. 109. 310. 322 Tangeri, 543 nota I Taormina, 180,259,406 Tarantasia, 43, 95, 229. 269 Taranto,258,336,439,600.623,652 Tamow. 481, 498 Taro.fiume,23,351 Tarquinia, 583 nota 30, 595 Tarragona, 357,368,369 Tarvisio. 357, 369 Tarvisio. passo del. 346, 581 Tavemelle. 35 Teano.336.347.430 Teclesan, 564 Teheran, 624 Tembien, 528. 529. 531,555,556 Temesvar. 239 Tenedo, isola. 167. 170, 172, 173, 194, 197 Tepeleni, 512. 570 Tepeleni, forte di, 512 Terarno.67.328,608 Termaber. passo del, 534 Termia. isola, 194. 196. 238 Termini.242,243,259 Termoli. 67 Temi. 328,391.429. 440. 462 Temova. altopiano di. 491 Terra di Lavoro, 329, 334 Terracina. 66. 145. 352, 431 Terranova, 351 Terranova, isola di 285 Terravecchia, 248 Teruel, 547. 549 Teschenn 514 Tessaglia. 57 l, 597 Testa della Nava, 307 Testico. l 77 Tevere, fiume. 67. 272, 274,391,436, 595 Tberrnia, vedi Tennia Thiene. 487 Thonon. 91 Ticino, fiume. 37. 130. 158. 205,285.340, 398. 403,417 Ticino. vedi Canton Ticino Tidone. fiume. 278 Tien Tsin, 460,461,513,539 nota 4 Tien Tsin, concessione italiana, 461, 513 nota 4 Tigrai, 455,456, 529, 532, 555 Tigrè, vedi Tigrai

801 Ttlo, 471 nota 3 Tilsit, trattato di, 348, 349. 357 Timor Est, 642 Tino, isola. 168, 169, 191,196,236 Tiran, stretto di, 622 Tirana, 552, 553, 569 nota 17, 636, 642 Tirana, trattato di amicizia italo-albanese del 1926.552 Tirano, 114, 129 Ttrolo, 219,221,308.369 Tirolo italiano, vedi Alto-Adige Ttrreno.Mare.27,28.62,339 Tivoli, 66 nota 33. 67. 409. 440, 595, 596 Tobruk,470,583,584.587 Toce, fiume. 321 Todi, 27 Tokio. 551, 644 Toledo, 545 Tolenùno 375 nota I, 376. 608 Tolenùno. pace di, 326, 430 Toltnino,489.490 Tolone,51,93, 147. 158.210.228,279.281.305. 309,440 Tolone. batteria delle Arénes, 305 Tolone. forte de La Croix, 228, 305 Tolone, forte del Pharon, o Pharaon, 228. 305 Tolone, forte di Malbosquette. 305 Tolone, forte di Santa Caterina, 228 Tolone, ridotta di Capo Bruu, 305 Tolosa. 357 Tomba, monte, 495 Top-Hanè, 235 Torgiano. 45 Torino, 41-43, 50, 63 nota 26. 67 nota 37. 68, 91, 103, 106, 107. 114, I 15. 117, 120. 121. 129. 131 . 136,148,153 nota 2,160,188,189, 200. 204. 206, 208. 211-213. 220-228, 24 I. 244.254,256,260,261,269-271.276,277. 283,285,297.308-311,322,323.332,339. 376.379,380.379.380.390.412-415,421. 425.428,429,431-433,436.445.476.513 Torino, Arsenale. 322, 323 Torino. bastione del Beato Amedeo. 222 Torino, bastione di San Maurizio. 222 Torino. Cittadella, 17. 134, 206, 222-225. 322. 389 Torino. Politecnico, 603 nota 22 Torino, Porta del Soccorso. 222 Torino, Porta di Po, 338 Torino, Porta Palazzo, 338 Torino, Porta Susa, 323 Torino. Scuola di Guerra. 556 Tomavento, 130 Torraca. 351 Torre Annunziata, l 58


802

GLI ITALIANI IN ARMl

Torre della Paludella. vedi Pa!udella Torre dello Sperone, vedi Genova, Torre dello Sperone Torre di Malta, 350 Torre di San Vrncenzo, vedi San Vrncenzo a Torri Torre Pellice, 159-161 Torre, fiume, 438 Torrione del Carmine, vedi Napoli. Torrione del Carmine Tortona, 43, 63. 117, 118, 254, 255,262.278, 311,313,321,322,417.603 Tortosa, 550 Toscana.29. 32,34,36,51,54.56,64,94, 137144,229,256,329,331.340.352,365,375, 376,409,421,604,610 Toscana, Ducato e Granducato di, 73, 74, 118. 137-141, 165.191,235,242,249,254,262, 267,295 nota I. 297,304,338.341, 381,414 Tours, 32 Tracia, 515 Trafalgar. 346 Trani, 24, 28 nota 8, 32, 335 Transilvania, 80 Transpadana, Repubblica, 319 Traona, 114, 116 Trapani. 243,259,260,639,651 nota 61 Trapani, La Colombara, 425 Trasimeno, lago. 138. 140 Trebbia, fiume. 339 Trebenje, 574 Trebescines, monte, 571 Trebinje, 572 Tremblières, 1()0 Trentino, 26, 31, 99, 113. 121,129,218,219.22 l. 256,261,277,314,315,334,335,338,369. 370,435,436,474,479.484-486,501,503 Trento, 58, 309. 3 11. 345,347.369, 370. 438, 486,502,505,506 Trequanda. 60 Tres Cruces, 393 Treviglio, 25 Trevignano Romano, 24 Treviri, E.lettorato di. 129, 203, 303 Treviso, 32, 34, 340. 446 nota 6 Trieste, 3 I, 102, 258. 260. 369, 480. 481, 489, 490,505,510,611,612 Trikala. 571 Trincea dei razzi, 482 Trincea delle celle, 482 Trincea delle frasche. 482 Trincomalee. 613 Trino, 63 nota, 27, 103. 121. 125. 156, 158 Triora, 118 Tripoli, 19, 81, 168,301,390,469,470.518-520, 537 nota 2. 583, 584. 587. 622

Tripolitania. 469-472, 518-521, 587 Troia, 335 Troina, 590 Tronto, fiume, 272, 352 Tropea, 350 Tscbebotarewskj, 577 Tu Hin,461 Tu Lin, 461 Tucruf, 455 Tunisi, 19, 81,168,301,587,588 Tunisia, 560, 587, 588, 622 Turchia, 19, 37,165,266.334, 411,451,459, 460,469. 471 ,476. 512. 515, 569, 631 nota 3,632,637,642 Tuscania, Chiesa di San Pietro, 18 Tuscania, Museo Nazionale Etrusco, 18 Tuscia. 139 Uaà,452 Uadarà, 533, 538 Uadi Akarit, 587 Uadi Besculuk, 520 Uadi e! Cuf, 521 Uadi Gaza, 497 Ual Ual, 527 Uarieu, passo, 529,531,532. 569 Uarselick, 458 Uccialli, trattato di, 455, 458 Ucraina, 575, 576 Udine,369,487,492,493,523,581 Uebi Gestro. fiume, 533 Uèbi Scebèli, 466, 467 Uganda, 634 Ulma,220,327,347 Umbria, 29, 30, 35, 54. 60 nota 16, 138-140, 274, 337,429 Ungheria, 26, 31, 47, 66, 80. 99, 102, 221, 266, 357,5 12,514,529,572.581.636,639 Unione Sovietica, vedi Russia Uondo,538 Urbani a, 608 Urbano, Forte, 137-140. 230, 324, 339 Urbino. 26, 27, 29, 59,339 Urbino, Ducato d'. 35. 45, 73 Uruguay, 393 Ussota, 538 Utrecht. pace di, 23 1 Vado Ligure, 312 Val Bisagno. 128. 28 I Val Bormida, 279 Val Brenta, 34 Val d'Adige, 31,502 Val d'Aosta. 95,208.304, 309,603 Val d'Elsa. 41 Val Deisnizza, 570 Val di Chiana. 27. 60. 61, 62


803 Val Frenzela. 495 Val Lagarina, 484, 485 Val Marra, 274 Val Monastero, 114, 115 Val Pellice, 199, 223 Val PoIce vera, 117. 184 Val Roia, 117 Val Terragnolo, 485 Val Trompia, 331 Val Varaita, I 22. 274 Valacchia, 239, 411 Valbella, monte, 495 Valcamonica, 32 Valdobiaddene, SOS Valeggio. 34,125,314.402 Valenciennes, trattato di. 307 Valentinois, 25 Valenza(Piemonte).63.129, 130,157,158,214, 220,278.311, 313 Valenza (Spagna), 356. 368, 547 Valle d •Angrogna, 68, 129 Valle d'Oneglia, 118 Valle di Lucerna, vedi Valle di Luserna Valle di Luserna, 68, 129, 159. 160. 321 Valle di Perosa, 125, 126, 160 nota 5, 199 Valle di Perrero, 200 Valle di San Martino, 68, 129, 160 nota 5, 199 Valle Srura, 274 Valle, ponti della, 428 Vallelonga, 243 Val li Veronesi, 219 Vallo Caudino, 328 Valmy.303 Valona,46,47,194,498,512,513,552,553,570 Valona, baia di, S 13 Valsabbia, 330,331.471 nota 2 Valsesia, 220, 23 I Valsugana,369,438,484,485,502 Valtellina, 113-117, 120, 128-132,319,419.420 Valutino, 360 Vaprio, 36 Varadino, 173 Varallo, 231. 345 Varazze. 37 Varese, 392. 419 Varese Ligure, 55 Varignana, 611 Varignano, forte del, vedi La Spezia. forte del Varignano Varo, fiume, 42, 278, 279 Varsavia. 241 Varsavia, ducato di, 359 Vaucelles, 66 Veglia, 509. 61 l Veliki, monte, 489,491

Velletri, 66 nota 33, 273, 328. 408, 603 nota 20 Venafrn, 430 Venaria Reale, 225 Venassino. Contado, 323 Veneta, Repubblica, vedi Venezia Repubblica di Veneto, 26, 32, 261, 317, 329-331, 341,348.402, 421 . 435,436.484,485,487,604 Veneto Dominio di Terraferma. 26, 31, 32, 91, 107, 139 nota 28,255. 315-317 Venezia, 18,32,35,47,49, 104,164,191,201, 224 nota 10, 230, 317. 318, 337, 347, 348. 369-371,397,403.405,409.410,436.462, 487,501.611 Venezia Repubblica di. 20, 24-25, 29-31. 33, 34, 36-43. 45-50, 56, 57, 62, 69, 80, 81. 83-85, 88. 89, 92, 93, 101 , !02, !04-116. 120. 121, 123,126, 137-141, 149, 163-176, 183-185, !91-197,218,235-239,242.244,266,297, 301,3!4-318,331,339,374 Venezia, Arsenale, 73, 84 Venezia, Lido. 316 Venezia, Palazzo Ducale. 25. 84,193,318 Venezia, Rialto, 318 Venezia Giulia, 612 nOLa 41 Venlo, 220 Ventimiglia, 117, I 19, 283 Ventimiglia, castello di. 283 Venzolasca, 78 Verbecca, 193 Vercelli, 42, 50, 63 nota 27, 69, 74, I06, 109, 131133. 156. 221,404,601 Vercelli. bastione di San Sebastiano, 221 Vercelli, bastione di Santa Chiara, 221 Verch Mamon. 579 Verdun.58,483,484,500 Verduno. 63 nota 27 Veroli,66 Verona, 34,338,346,369,370,398,402,420, 446 nota 6,447,501,523,610,647 Verona.Crocebianca,339 Verona, San Massimo. 399 Verona, Santa Lucia, 399 Vcrrua, 63 nota 27, 119, 120, 153 nota 2. 206, 221. 222 Versa, 438 Versailles, 176, 178, 185, l 88, 200, 203, 204. 206,2 12,230-232,251.254,261.266.269, 277,285,287.292,295,296,496.509.543 Versailles, Trattato di, 507, 525 Verucchio, 263 Vervins, 94 Verzuolo, 63 nota 26 Vescovado, 78 Via Appia, 273, 603 nota 20 Via Balbia, 583


804

GU ITALIANI IN ARMI

Via Corriera per Napoli, 273 Via Emilia, 61 I Viadana, 260 Viareggio. 298. 382, 383 Viazma, 361 Vicari,243 Vicenza.34,401,485,487 Vicenza, Olmo, 35 Vico, 187. 188,311 Vico, fortino di, 187, 188 Vicovaro, 67 Viddino, 411. 515 Vienna, 17,102,107,113,116,121.125, 133. 191,206,214,220,221.224,229.232,242. 245,253,254,255,262,265, 270,272,279, 281,308,309,312,325.327.337,339.341. 357,365,382,383,385,389,391,397,404, 411-421, 436, 474-477, 496,501,502,506, 514,525.571 Vienna. Congresso di (1814-1815), 367, 374, 377,378,380.411,412 Vienna, pace di (1738). 262 Viemam, 622, 651 Vietri, 148, 336 Vigevano, 156,220,254,266, 403,404,417 Vigevano,Sforzesca,403 Vignate. 404 VignaneUo,332 Vigone. 42 Villa Formosa de Serinhaém, 127 Villa Vicentina. 493 nota J 5 Villabuona. 125 Villaco, 346,369,514 Villafraaca (Nizza). 50. 191,241,283 Villafranca (Spagna). 357, 369 Vùlafranca Piemonte, 63 nota 26 Villafranca Veronese. 314,398,399,402 Villanova, 63 nota 26 Villar, 69, 159. 160 Villar, Prato della Torre, 69 Vilna, 359-361 Vimeiro, 354 Vinon. 92 Vippacco. 31 Vippacco, ansa di, 489 VJSegrad, 96 Vtstola. fiume, 348 nota 11 ,359.413 Vitebsk, 360 Viterbo, 137. 139,274, 332,595.618 noia 3 Vittoria, 355 Vittorio Veneto, 505, 506, 525. 647 Viù, 63 nota 27 Vizzani, 78

Vladivostok, 513 Vodice, monte, 489, 490 Voghera. 4 I7. 603 Vojussa. fiume, 570 Volga, 579 Volo, 169 Volosca, 509 Volpaiola, 78 Volpia.no, 50. 63 Volta Mantovana, 399, 40 I Voltaggio, 118, JJ9, 281 Volterra, 17, 41 Voltri, 117. 281. 310 Volturno, fiume, 428. 430, 595 Vonirza, vedi Vonizza Vonizza, 191 Voronez,579 Voroscilovgrad, 579 Vorra, 553 Wagrarn, 358 Washington. 616, 617, 625, 633, 643, 644 Washington, conferenza di, 522 Waterloo. 350, 365, 376, 379 Weissenfels, 363 Westfalia, pace dj (1648), 136, 146, 148,203 Winemberg, 364 Worms, 204, 270 Worms. trattato di (1743), 270. 276,287,292 Wunzburg. 362 Xeronero. 191 Yemen. 621,642 Yorktown, 296 Ypres.490 Yung Ming. 461 Zagabria, 99 Zaire, 634 Zante, 236, 583 nota 30 Zante. Ca.naJ w, 47 Zanzibar, 458 Zanzur. 470. 471 nota 2 Zara. 193,348.370,515,572,612 Zebanda.s, costone di, 531 Zemonico, 167 Zenson. ansa di. 495, 496 Zemata, 192 Zig-Zag, 412,413 Zuara, 471 Zucca.rello, l 03, 128, 177 Zuera, 549 Zuetina. accordo dj, 5 19 Zuonigrad. l 93 Zurigo. 114 nota 3, 159 Zuta Lokva, 574


LNDICI

.:

I

805

INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI

1) Battaglia di Fornovo del 6 luglio 1495, p. 22. 2) Il Golfo di Lepanto, teatro della Battaglia del 1571, p. 87. 3) Lo Stretto dei Dardanelli, p. 171. 4) La Battaglia di Torino del 7 settembre 1706, p. 226. 5) La Battaglia di Camposanto (febbraio 1743). p. 268. 6) La Battaglia dell'Assietta del 19 luglio 1747, p. 282. 7) La Battaglia dell 'Authion del 12 giugno 1793, p. 306. 8) La Battaglia di Goito del 30 maggio 1848, p. 400. 9) Pianta dell'assedio di Roma della primavera 1849, p. 407. 10) La Battaglia di San Martino, 24 giugno 1859, p. 418. 11) La Battaglia di Calatafimi del maggio 1860, p. 424. 12) La Battaglia del Volturno, 1-2 ottobre 1860, p. 427. 13) L'attacco italiano a Roma il 20 settembre 1870, p. 441. 14) Le linee italiane prima e dopo la presa di Gorizia nell'agosto I 916, p. 488. 15) La Battaglia di Vittorio Veneto dal 24 al 30 ottobre I 918, p. 504. 16) Africa Orientale Italiana, p. 530. 17) Le posizioni del ARMlR sul Don nell'autunno del J942, p. 578. 18) Il teatro operativo deU"Africa Settentrionale, p. 580. 19) Teatri in cui gli Italiani hanno combattuto fra il 1494 e il 1999, p. 646. 20) Zone delle missioni di pace e d ' interposizione delle Forze Italiane dal 1780 al 2000, p, 649.

I

I

I



807

CNDIQ

INDICE

PARTE PRIMA: lL CINQUECENTO

CAPITOLO I

DALLE COMPAGNIE DI VENTURA ALLA GUERRA DEL CINQUECENTO

p.

15

I) Due armi e mezzo: Cavalleria, Fanteria e Artiglieria, p. 15 - II) Il combattimento, p . 15 - nl) La strategia, i comandanti e la tattica, p. 16 - IV) La "traccia italiana": gli ingegneri militari italiani e l'Europa, p. 16 - V) Machiavelli: teoria della politica, delle milizie e della guerra, p. 17 - VI) Equipaggiamento ed uniformi, p. 18 - VU) I pirati contro l'Italia, p. 19 - VUT) Le squadre delle galere e quelle dei vascelli, p. 19

CAPITOWll

p.

LE RADICI DEL MALE: IL PRIMO '500

21

I) Carlo VW e la Lega Italica: 1494 - 1495, p. 21 - U) li battesimo del fuoco d'Andrea Doria, p. 23 Ili) Fornovo, p. 23 - [V) La guerra baronale del 1496 e il ritorno dei Francesi, p. 24 - V) La posizione veneziana: 1498 - 1513, p. 25 - VI) La prima e la seconda campagna di sottomissione dei feudi della Santa Sede: 1499 - 1500, p. 26 - Vll) La terza campagna di sottomissione e Leonardo da Vinci ingegnere militare: 150 I . 1503, p. 27 - VIlI) La disfida di Barletta: 1503, p. 27 • IX) La battaglia del Garigliano, p. 28 - X) La quarta campagna di sottomissione dei feudi pontifici del 1502 - 1503 e quel che seguì, p. 29 - XI) Il caso di Genova, p. 30 - XII) La guerra austro-veneziana del 1507, p. 3 J · XID) La guerra della Lega di Cambrai: 1509, p. 31 • XIV) Agnadello, p. 32 - XV) La guerra della Lega Santa del 1510, p. 33 - XVI) Ravenna: la prima volta dell'artiglieria da campagna, p. 34 • XVII) Marignano, p. 34 - XVIII) La guerra d'Urbino del 1517. p. 35 - XlX) La breve pace, p. 36- XX) Vaprio, p. 36XXJ) Pavia, p. 37 • XXll) La guerra della Lega di Cognac, o "della seconda Lega Santa" del 1526 1529. p. 38 - XXIlI) Dal congresso di Bologna del 1530 a Gavinana. p. 40 - XXIV) La guerra del Piemonte del 1534 • 36. p. 41

CAPITOLO fil

p.

L'ASSESTAMENTO DELL'ITALIA

45

I) La rivolta di Perugia del 1539 e la guerra del Papa e dei Colonna, p. 45 - ll) La guerra contro i Turchi del 1537-39, p. 46 - Ili) La ripresa del conflitto franco-spagnolo e la guerra in Piemonte: 1541-44, p. 50 - IV) Le congiure del 1547: l'insurrezione di Napoli. la tentata rivoluzione di Lucca, la guerra di Massa, la congiura dei Fieschi e il complotto contro Pierluigi Famese, p. 53 - V) La guerra per Parma e Piacenza, p. 57 - VI) La guerra di Siena: 1553-1559, p. 59 L'assoggettamento del Piemonte: 1552-1559, p. 62 - VrII) La s10ria di Sampiero Corso, p. 64 - IX) La guerra ispano-pontificia del 1556 - 1557. p. 65 - X) Le spedizioni contro i Valdesi e il brigantaggio meridionale, p. 68

vm


808

OLI ITALIANI IN ARMJ

CAPITOLO IV

GLI ESERCITI D' ITALIA

p.

71

[) Le corone del Re di Spagna, p. 71 - Il) Le armi d.i Santa Chiesa, p. 71 - JJI) La Serenissima di Genova. p. 72 - IV) La Serenissima di Venezia, p. 72 - V) Il Sovrano Militare Ordine dei Cavalieri di San Giovanni del Tempio di Gerusalemme, p. 74 - Vl) I ducati mjnori: Parma e Piacenza, Modena. Mantova, Ferrara e Urbino, p. 72 - VIl) Lucca e la Toscana, p. 73 - YJil) La Rinascita dei Savoia: Testa di Ferro e le sue milizie: 1557 - 1600, p. 74

CAPITOLO V

LA SECONDA META' DEL SECOLO

p.

77

m

J) La pace inquieta 1559-1569: Corsica parte seconda, p. 77 L'assedio di Malta del 1565. p. 80 lii) La guerra di Cipro e la gloria di Lepanto: 1570-1573, p. 83 - IV) La guerra civile di Genova, p. 89 - V) l 'intervento sabaudo-pontificio in Francia e la guerra per il Marchesato di Saluzzo: I 5891601. p. 90- Vl) La Campagna d'Ungheria del 1595, p. 95

PARTE SECONDA: lL SEICENTO

CAPITOLO VI

I PRIMI VENT'ANNI

p.

99

I) I Pontifici in Ungheria 1601-1602, p. 99- IT) "L"éscaJade de Géneve" del 1602. p. 99-ill) La guerra della Garfagnana del 1613 fra Modena e Lucca, p. 100 - IV) L'interdetto veneziano del 1605 e la guerra una e trina del I 613-1617: Gradisca, gli Uscocchi e la prima Guerra di Successione di Mantova per il Monferrato, p. IO I

CAPITOLO V11

L'ITALIA DURANTE LA GUERRA DEI TRENT'ANNI

p.

111

I) Le cause, p. 111 - IT) Il primo effetto della guerra in Italia: il Cammino di Fiandra, il Sacro Macello e la prima guerra della Valtellina: 1620- 1626, p. 112 - un La guerra di Genova del 1625, p. 117 - fV) L'assedio di Verrua del 1626. p. 119 - V) Il secondo effetto della guerra in Italia: La successione di Mantova: I 628- I 630, p. 121 - Vl) Intermezzo americano: i Napoletani in Brasile: 1625 - I 640. p. 126 - Vll) [I terzo effetto della guerra in Italia: La seconda guerra della ValtelJina: 1635-1639. p. 128 - VIII) 11 quarto effetto della guerra in ltalia: la guerra dei Principisti e dei Madamisti: 1637-1640, p. 132 - IX) L'assedio di Torino: uno. triplo e infine quadruplo, p. 135 - X) Intermezzo italiano: "De bello inter ecclesiasticos et Ducem Parmae" ovvero La prima Guerra di Castro, J641 - I 644, p. 137 XI) La guerra diretta lnl Francia e Spagna. Primo atto: la spedizione francese contro lo Stato dei Presidi nel 1646, p. 141 - XIl) La guerra diretta tra Francia e Spagna. Secondo atto: De Neapolitano tumultu - La rivolta di Masaniello del 1647-1648. p. 142 - XDI) La pace. p. 148


INDICI

809

CAPITOLO Vlll

TATTICA E STRATEGIA DEGLI ESERCITI DELL'ANTICO REGIME

p.

151

p.

155

CAPITOLO IX

GLI STRASCICID DELLA GUERRA DEI TRENT'ANNI

I) La seconda guerra di Castro del 1649. p. 155 - II) La guerra per le fortezze piemontesi e il lungo conflitto francospagnolo in Italia: 1644-1656, p. 155 - ITI) La guerra ispano-francese nel resto d'Italia e il ritorno a Napoli del Duca di Guisa, p. 158 - IV) Le guerre dei Valdesi dal 1653 al 1663, p. 158

CAPITOLO X

p.

LA GUERRA DI CANDIA: 1645-1669

163

[I principio, p. 163 - U) Le prime operazioni, p. 164 - W) L'assedio di Candia, p. 165 - TV) Le operazioni navali. p. 166

CAPITOLO Xl

UN TEMA OBBLIGATO: LA GUERRA TRA PIEMONTE E GENOVA DEL 1672

p.

177

p.

179

I) Introduzione, p. 177 - Il) Svolgimento, p. 177 - lll) Conclusione, p. 178

CAPITOLO XII

DALLA RIVOLTA DI MESSINA ALLA LEGA D'AUGUSTA: 1674-1688

I) La rivolta di Messina: 1674-1676, p. 179 - ll) Tre quesùoni spinose: "L'affare dei Corsi" di Roma, il bombardamento di Genova. la questione dei privilegi degli ambasciatori, 1662- 1688, p. I 82 - IIO L'esercito sabaudo da Carlo Emanuele ll alla rivolta di Mondovl: 1664-1682, p. 185 CAPITOLO XIII

IL "PELOPONNESIACO": LA PRIMA GUERRA DI MOREA O " DELLA SACRA LEGA" 1684-1699

p.

191

p.

199

p.

203

CAPITOLO XIV

L'ULTIMA GUERRA CONTRO I VALDESI E LA "GLORIEUSE RENTREE": 1686-1689 CAPITOLO XV

LAGRANDEALLEANZA: 1690-1696

I) La finestra di Versailles, p. 203 - O) L'abbazia di Staffarda, p. 207 - Ill) La fortezza di Montmélian. p. 208 - IV) L'assedio di Pinerolo. p. 210 - V) l Piani della Marsaglia, p. 211 - VI) La presa di Casale, p. 213


GLI ITALIANI IN ARMJ

810

P ARTE TERZA: IL SETTECENTO

CAPITOLO XVI

p. 217

LA SUCCESSIONE DI SPAGNA

I) La successione e gli Stati italiani: 1701-1703, p. 217 - Il) Il rovesciamento di fronte: 1703-1705, p. 220 - fil) "Sabaudia .liberata, Io, Triumphe !" Torino 1706, p. 222 - IV) "Cugino mio. l'Italia è nostra.", p. 227 • V) L'Imperatore, il Papa e Comacchio: 1708, p. 229 - VI) La fine della guerra. p. 230 • VIl) La Guerra delle Pioppe: 1711, p. 232 CAPITOLO XVII

LA SECONDA GUERRA DI MOREA: 1715-1719

p. 235

I) "'Venezia non è mai pronta'', p. 23-5 - Il) L'assedio di Corfù, p. 236 - ill) Le operazioni del 1717: le battaglie di Imbro e di Pagania, p. 238 • IV) La battaglia di Pagania del 1718 e la pace di Passarowitz. p. 239 CAPITOLO XVIII

VENT'ANNI DI TENSIONI: 1713- 1733

p. 241

I) l Savoia in Sicilia, p. 241 - 11)) Alberoni e l'Italia: Sardegna e Sicilia, p. 242 - lll) La successione di Panna e l 'abdicazione di Vittorio Amedeo IL p. 244 CAPITOLO XIX

LA PRIMA FASE DELLA RIVOLTA DELLA CORSICA: 1730-1739

p.

247

I) Le cause del malcontento, p. 247 • Il) L'inizio della guerra, p. 248 · ill) Le operazioni combinate: 1731-1739. p. 248 CAPITOLO XX

LA SUCCESSIONE DI POLONIA: 1733-1739

p.

253

I) Il motivo, p. 253 - II) La Sacra Real Maestà di Carlo Emanuele me il Real Infante don Carlo di Borbone, p. 253 • III) La campagna del nord: 1733-1734, p. 254 • IV) La campagna del sud: 1734. p. 257 • V) La sottomissione della Sicil ia, p. 259 - Vl) La can1pagna franco-sarda in Lombardia e la presa dello Stato dei Presidi, p. 260 • Vll) La congiunzione dei tre eserciti alleati e il blocco di Mantova. p. 260 - VUI) Manovre in Veneto, p. 261 - IX) Fuori programma: Alberoni a San Marino, 1739, p. 262 CAPITOLO XXI

LA SUCCESSIONE D'AUSTRIA

p.

265

I) La Pragmatica Sanzione e il voto di Boemia: 1740, p. 265 - Il) La questione di Modena: 1741, p. 267 - IJI) Da Camposanto a Worms: l 742-1743, p. 269 - IV) Casteldelfino: 1743, p. 270 - V) Velletri. Cuneo e Madonna dell'Olmo: 1744. p. 271 - VI) Un anno di guai: 1745. p. 276 - Vll) "Fischia il sasso": 1746, p. 278 - Vlll) La Superba difesa: 1746- 1748, p. 281 - IX) L' Assietta: 1747, p. 283 - X) La Pace: 1748, p.285


INDICI

811

CAPITOLO XXIl

LA RIVOLTA DELLA CORSICA DAL 1740 AL 1769

p.

287

I) Dal ritorno di Teodoro al Trattato di Worms, p. 287 - II) I disordini il Regolamento e la partenza dei Francesi, p. 288 - lii) U ripristinato dominio deUa Serenissima e le "Costituzioni della Nazione Cor-

sa". p. 289 - IV) I combanimenll del 1754, p. 290 - V) 1755: L'arrivo di Paoli e il ritorno d1 Grimaldi. p. 290 - VI) Dall'organizzazione di Paoli al ritorno di Matra, p. 291 - VII ) Dalla ripresa dei combattimenti contro i Genovesi alla cessione alla Francia. p. 293

CAPITOLO XXIll

8) LA PACE APPARENTE E LA GUERRA ESISTENTE: 1748-1792

p. 295

I) La prima guerra fredda: 1748-1789 e l'apparato militare italiano, p. 295 - Il ) Le Reali Truppe di Sua Maestà, p. 296 - llI) Le trionfanti & invitt1ssimc Annate Venete. p. 297 - IV) Gli eserciti minori. p. 297 - V) Le Regie Truppe Sarde. p. 298 - VI) Polizia internazionale a Ginevra, p. 300 - Vll) Le ultime attività anticorsare e la spedizione di Erno, p. 30 I

CAPITOLO XXIV

p.

9) LA RIVOLUZIONE 1792-1799

303

I) Il 1792, p. 303 - U) li 1793 e Tolone, p. 304 - lll) U 1794 e 11 1795. p. 305 - IV) La prima fase di Buonaparte: staccare il Piemonte dall'Austria. p. 308 - V) L'Armistizio, p. 3 11 - VI ) La guerra dei "diavoli bianchi" di Napoli e la seconda fase napoleonica. p. 312 - VIl) La terla fase: cacciare gli Austriaci dall'Italia. p. 3 14 - VIU) Il crollo di un a10ndo: muore San Marco, p. 314 - LX) 1797: Le Repubbliche Ligure. Transpadana. Cispadana e Cisalpina e i loro eserciti. p. 318 - X) Il breve regno di Carlo Emanuele IV: le rivolte del Piemonte e la Guerra Sardica del 1798, p. 320 - XI) La triste fine del pontificato di Pio VI: il Senio. Tolentino e la Repubblìca Romana. p . 323 - Xli) La guerra napoletana del '98, p. 326 - Xill) Le "insorgenze", p. 329 - XIV) "A lu suono de li violini sempre morte a lì giacobini / A lu suono du contrabbascio, viva sempre lu popolo vascio." - La Repubblica Partenopea e la reazione della Santa Fede: il 1799. p. 332- XV) Suvorov. gli Austriaci e Marengo: 1799- 1800, p. 337

PARTE Q UAJtTA: L'OrrocEN'TO

CAPITOLO XXV

L'ITALIA DI NAPOLEONE

p.

345

I) Dalla Repubblica Italiana al Regno d'Italia: 1802-1804, p. 345 - Il) La prima guerra dell'Impero: 1804-1805, p. 345 - !Il) Gli Italiani in Dalma1.ia, Germania e Polonia: 1806-1807. p. 348 - IV) La Resistenza in Calabria e la battaglia di Maida: 1806-1809. p. 349 - V) L'Italia dell ' Impero e la coscrizione obbligatoria: 1808. p. 351 - VI) L'Interminabile guerra di Spagna: 1808-1814. p. 354 - VII) 1809: A~pem-Essling e Wagram, p. 357 - VTII) Gli Italiani in Russia: 1812, p. 359 - LX) Gli Italiani a Li psia: 1813. p. 363 - X) Gli Italiani di Sardegna: 1800-1814, p. 365 - XI) Gli Italiani di Sicilia: 18061815, p. 367- XIJ) La fine del Regno Italico: 1814. p. 369


812

GLI ITALIANI IN ARMI

CAPITOLO XXVI

GLI ITALIANI RESTAURATI: DALLE GIUNTE DI BUON GOVERNO ALL'ANNO DE PORTENTI: 1816-1847 p.

373

l ) La Restaurazione e i suoi eserciti: 1814 - I 8 I 5, p. 373 - 11) li tentativo di Mural, p, 375 - 111) Le mura di Grenoble, p. 376 - IV) Lo SI.alo Pontificio, p. 380 - V) Il Granducato di Toscana, p. 381 - Vl) TI Ducato di Lucca, p. 382 - Vll) Il Ducato di Parma e Piacenza. p. 383 - VITI) TI Ducato di Modena. p. 384 - IX) Il Regno delle Due Sicilie, p. 385 - X) Il Regno di Sardegna, p. 387 - Xl) "Soffermati sull'arida sponda ...": i moti del '20 e del '21. p. 387 - XII) l Moti del 1830-3 l, p. 390 - Xill) Esercizio americano: la Legione Italiana di Garibaldi. p. 392 - XIV) L'Armata Sarda di Carlo Albeno: 18311847. p. 393 CAPITOLO

xxvn

L'ANNO DE' PORTENTI: 1848

p.

397

I) Marzo: Le Cinque Giornate, p. 397 - Il) Aprile: Pastrengo e Santa Lucia, p. 398 - ID) Maggio: Curtatone. Montanara. Goito e Peschiera, p. 399 - IV) Luglio: Custoza. p. 401

CAPITOLO XXVIll

DALL'ARMISTIZIO DI SALASCO A VlLLAFRANCA: 1848-1859

p. 403

m

I) La campagna del 1849, p. 403 La Sicilia, p. 404 - JIT) La Leonessa d'Italia, la Repubblica Romana e il Leone di San Marco: 1849. p. 406 - IV) Intervallo: La riorganizzazione del Regno di Sardegna, p. 4 IO - V) La guerra di Crimea: 1854-1857, p. 411 - VI) «A sedici anni io ero soldato... » il prologo della guerra del '59. p. 413 - VIl) «Daghela 'vanti un passo. delizia del mio core»: la campagna del '59, p. 416 - Vlll) Montebello, Palestro, Magenta, p. 417 - IX) Varese. San Fermo. Solferino e San Martino, p. 417 - X) Da ViUafraaca alla Lega dell'Italia Centrale, p. 420

CAPITOLO XXIX

I MILLE, IL '61 E L' UNITA'

p.

423

I) Da Quano a Palermo, p. 423 - rI) Da Milazzo al Volrurno: l'Esercito Meridionale e quello del Re (Dio guardi}, p. 426 - lrI) L'Armata del Re e quella del Papa. p. 428 - l V) Dal Volturno a Gaeta. p. 430 - V) L'Eserci10 Italiano, l'Aspromonte e il Brigantaggio: 1861-1865. p. 43 I

CAPITOLO XXX

LA ID GUERRA D ' INDIPENDENZA: 1866

p.

435

1) Premesse necessarie a una cattiva figura, p. 435 - TI) Scontro d'avanguardie a Custoza, p. 437 - III)

Garibaldi in Trentino, p. 438

CAPITOLO XXXJ

LO STATO E L' ESERCITO DEL RE GALANTUOMO E DEL RE BUONO: 1867-1899

p.

439


813

INDlCl

l) L'insurrezione di Palermo, p. 439 - Il) Mentana, p. 439 - Ul) La presa di Roma, p. 440 - IV) Garibaldi a Digione, p. 442 - V) li Regno e l'Esercito: politica generale e vita quotidiana al servizio di

Sua Maestà il Re, p. 444

CAPITOLO XXXII

8) DAASSAB A PECHINO: 1884-1900

p. 451

m

I) Assab e la "Primogenita", p. 451 La guerra dell '87 e il Corpo Speciale d'Africa. p. 452 - W) I Dervisci e Cassala: 1890-1897. p. 453 - lV) Menelik e Adua, p. 455 - V) La Somalia, p. 458 - VI) Missioni all'estero: La Canea e la Cina I 897-1900, p. 459

PARTE QUINTA: lL NOVECENTO

CAPITOLO XXXlli

NUOVO SECOLO E NUOVO RE: 1900-1910

p.

465

p.

469

l) Il nuovo Re e il Regio Esercito. p. 465 - TI) I Bimal della Somalia, p. 466

CAPITOLO XXXN

«SAI DOVE S'ANNIDA PIU' MAGICO IL SOL?» LA GUERRA DI LIBIA: 1911-1912 CAPITOLO XXXV

POLLIO E CADORNA: 27 GIUGNO 1908-24 MAGGIO 1915

p. 473

CAPITOLO XXXVI

LA GRANDE GUERRA: 1915- L9l8

p.

479

l) ··11 Piave mormorava ..... : I 915, p. 479 - Il) 1916: Conrad. il Cengio e "Santa Gorizia", p. 482 - UI)

Da Gorizia a Caporetto: I 9 I 6-19 I7. p. 487 - IV) Disfatta e miracolo: I 9 I 7- I 918. p. 491 - V) I soliti dimenticati: TA IF, Francia, Palestina, Salonicco ed Albania: 1916 -1918, p. 496 - VI) "Di noi tremò la nostra vecchia gloria. tre secoli di fede e una vittoria." 1918, p. 499

CAPITOLO XXXVII

DA VITTORIO VENETO ALLA GUERRA D'ETIOPIA: 1918-1935

p. 509

I) "Eja carne del Camaro...", D'Annunzio a Fiume: 1919, p. 509 - Il) li Dopoguerra, p. 511 - lii) Gli impegni all'estero 1918-1922, p. 512 - IV) La Marcia su Roma e la prova di Corfù: 1922-1923. p. 516-V) La Regia Aeronautica e la Milizia: 1923, p. 517 -VI) La riconquista delle colonie: Libia e Somalia, 1922-1932. p. SI 8 - VlI) La riforma del I 926. p. 522 - Vlll) Ferrea mole, ferreo cuore... nascono i carristi, p. 523 - IX) Due anni intensi, p. 524


814

GLI ITALlANI IN ARMI

CAPITOLO

xxxvm

«SE TU DALL'ALTIPIANO GUARDI IL MARE ....» L'ANNO DELL'IMPERO: 1936

p.

527

I) "Coll'Etiopia abbiamo pazientato quarant'anni, ora basta !'", p. 527 - ll) La crisi di Passo Uarieu, p.

529 - lll) L'Amba d'Oro e il Lago Ascianghi, p. 531 - fV) Il litro di Neghelli e i caterpillar, p. 532 V) li Termaber, p. 534 CAPITOLO XXXIX

ALLA CONQUISTA DELL'IMPERO: A.O.I. 1937 - 1939

p.

537

I) il primo ciclo operativo: luglio 1936-luglio 1937, p. 537 - ll) L'intermezzo cinese e l'Armata Nera: 1937. p. 538 - Til) U secondo ciclo operativo: luglio 1937 - luglio 1938. p. 539 - fV) ll terzo ciclo operativo: 1938 - 1939, p. 540 CAPITOLO XL

"'NO PASARÀN !"...E SIAMO PASSATI: "OLTREMARE SPAGNA" 1936 - 1939

p. 543

I) La Missione Militare Italiana in Spagna, p. 543 - n) Il C.T.V. p. 545 - UI) Guadalajara, p. 546 - IV) Bilbao, Santander e il fronte del Nord, p. 548 - V) Da Teruel a Huesca, p. 549 - VI) "Siamo passati e vi dico che passeremo", p. 550 CAPITOLO XLI

"OLTREMARE TIRANA" 1939

p.

551

p.

555

CAPITOLO XLII

LA GUERRA COI TEDESCHJ 1940-1943

1) Pariani, Badoglio e la divisione binaria: 1937-1939, p. 555 - 11) Fronte occidentale 1940, p. 559 lU La guerra in Africa Orientale: l 940- 194 l. p . 561 - IV) Della guerra per bande: 194 l - l 946, p. 566 - V) "Spezzeremo le reni alla Grecia!", p. 568 - VI) La guerra in Jugoslavia: 1941-1943. p. 571 VIl) li CSIR e l'ARMJR: 1941-1943. p. 574 - Vlll) Alessandria 111 Chilometri, p. 581 CAPITOLO XLill

LA GUERRA Al TEDESCHJ: 1943-1945

p.

589

I) Dallo sbarco in Sicilia alla difesa di Roma: 1943. p. 589 - Il) L'8 settembre del Regio Esercito. p. 597 - ill) I resti di quello che fu un esercito: autunno 1943, p. 597 - N) Gli Italiani col gladio e le fronde, p. 600 - V) La Resistenza. p. 604 - VJ) La Guerra di Liberazione: 1943- 1945, p. 607 CAPITOLO XLIV

LA GUERRA FREDDA: 1946-1989

p.

613

I) Il dopoguerra, p. 613 - TI) "Separare bisogna" la guerriglia separatista Siciliana, p. 614 - 11]) Il nuovo esercito, la Repubblica e il trattato di pace p. 614 - TV) L'Italia e la NATO, p. 616 - V) La rinascita delle Forze Annate, p. 618 - VI) L'Ospedale in Corea, il Mandato in Somalia e l'eccidio di Kindu: Le Missioni ONU fino al 1989, p. 620, VIl) Le altre operazioni all'estero dal 1973 al 1989, p. 622 - VIJI) La Guerra Fredda, p. 623


815

GLI ITALIANl IN ARMI

CAPITOLO XLV

IL TERZO DOPOGUERRA DEL SECOLO VENTESIMO

p.

627

I) La riorganizzazione delle Forze Armate Italiane: 1975-1989, p. 627 - li) L' Italia e le forze multinazionali, p. 630 - ill) Le operazioni ONU dopo il I 989: la Somalia, la Jugoslavia e l'attivazione dell'UEO. p. 631 - [V) Ritorno in Jugoslavia, p. 635 - V) Le altre operazioni di pace: 1989-2000, p. 642 - VT) L'Italia e la politica mondiale degli Stati Uni1i, p. 643 - Vlll) li Nuovo Modello di Difesa, la riforma del 1998. la riduzione del 1999 e la pianificazione integrata alle soglie del XXI secolo, p. 645 - Vlll) I cambiamenti del 2000, p. 652

INDICE DEI NOMI, DEI REPARTI E DELLE NAVI CNDICE DEI LUOGlll, DEI PRINCIPALI TRATTATI E DELLE BATTAGLIE INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI

p. p. p.

727 775 805


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