I NUOVI MILITARI

Page 1

Piero Ostellino_ Luigi Cafigaris

I NUOVI MILITARI

Una radiografia delle Forze Armate Italiane

RE
ARNOLDO MONDADORI EDITO
1983 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A .. Milano l edi:ione aprile 1981
I nuovi militari

Cento anni fa, von Moltke aveva previsto che «senza guerre la professio ne militare del futuro sarebbe stata molto triste». Nell'èra della politica come cont i nuazione della guerra con altri mezzi, «il soldato di professio ne è stato rid otto a un ruol o che la struttura d i valori della sua società caratterizza com e marginale e disfun z ionale al tempo stesso». Insomma: «il problema d ell'a l ienazione militare può esse re insolubile». Nei corrido i d egli Stati Maggiori, nei quali g li ufficiali superiori si aggira n o come al trettanti cardina li di Cu ria , s i ricono sce che la particolare struttura piramidale e verticist ica d ell'organizzazione sembra fatta apposta, co n le s ue molte strozzature, per creare frustrazioni , senso di in s ic u rezza, risentim e nti . So no pochissimi q uelli che arrivano in cima alla piramide e non è n e ppure detto che siano necessariam e nte i migliori. «Uno dei difetti grav i della struttura delle Forze Armate» di cono molti uffi cial i «è d i ad d es tra re i pr opri qu ad ri per li velli più a l ti di quell i ai quali essi sa ranno po i de stina ti a arriva re.»

D opo alcuni interventi televisivi de i genera li d c i carabini e ri , era pers in o c irco lata al ri g uardo una battuta su i nost ri mili ta ri c he diceva pressap poco così: «Le novità n on so no finite, il be ll o verrà qu ando i carabinieri incom in ceran no a far circol are le barzellette s ui civi li» . Gli italiani si e ran o ac cort i , in sostanza, all ' improvviso c he la figura del mil ita re di carri era era almeno in parte cambiata e che «il foro in c u i si

Introdu zione
7

intrecci ano le questioni militari e quelle politiche non è circoscritto ai (so li) problemi st rategici , ma comp rende l'intera società». In somma: i militari sono tornati di moda, probabi l mente, come sempre succede, persino al di là dei loro efTettivi meriti.

Dal giorno del rapimento dell'onorevole Moro, la nostra classe politica aveva fatto del terrorismo il principale, se non il solo refe rent e del processo decisionale e persino delle stesse istituzioni, subordinando ogni iniziativa alla « lotta al terrorismo» e con il pe ri colo di bloccare il primo e snaturare le seconde. C'era voluto un militare- il comandante generale dei carabinieri- per dire al Paese e alla sua classe politi ca che il terrorismo non e ra tutto, che a esso occorreva rispondere con la ragione e con l'iniziativa politica, olt re che co n le misure di polizia. Un sondaggio di opinione successivo aveva dato ragion e, infin e, a l milit are, e torto a politici e opinion makers troppo emot i v i, rivelando che gli itali ani ponevano al prim o posto fra i mali nazionali l'incapacità della classe politica, co n una pe rcentuale del32% degli intervistati, e so lo al quarto il terrorismo, con una percentuale d e l 9.

Ma dove la «Sortita» d e l comandante generale dei ca rabinieri aveva fatto sensazione e ra stato so prattutto all ' interno delle Forze Armate; non pochi fra i s uoi stessi co ll eg hi n on aveva no nasco s to, infatti , il loro disaccordo, se non s ull e sue opinioni, certo s ul fatto che fossero state esp resse pubblicamente. Il fatto stesso che un mi litare avesse es press o pubblicamente o pini o ni «politiche», rompe ndo il tradizion a le riserbo de ll e Forze Armate su tali argome nti , rapprese ntava qualcosa di più della se mpli ce eccez ione a un a rego la di com po rtam ento che si riteneva invio labile. Significava il n pudio della classica dottrin a amminis trati va secondo la quale il processo di forma zio ne delle decisioni p ol it icheaffida to alla res ponsabilità di attori p o liticamente eletti -è se mpre se parato, e tal e d eve rimanere, da ll 'esec uz ione dell e decisioni stesse, affidate alla responsabil ità di attori amm ini s trati v i nominati alla bisogna.

Se si pe nsa , poi , c he è s u tale dottrina che le nostre Forze Armate a veva no trovato storicamente un modus vivendi

8

con il potere politico e che se mpre su d t essa, quando si era trad otta in ve ra e propri a ac qu iesce nza ne i confronti dei pol itici, si erano spesso fondat e le fortune profess ionali di molti uffi ciali superiori, si capisce bene quale portata «rivolu zionaria» avesse avuto l'iniziativa del comandan te general e dei carabinieri agli occhi di mo lti fr a i s uoi stessi colleghi.

D'a ltra part e, la teo ria della separazio ne fra «politici» e <<tecni ci» - che a lcuni attribuiscono se nza mezzi termini all '«in cultura ita li ana» - ha retto assai male alle pro ve dell a storia e altrettanto mal e sembra adattarsi alle nuov e rea lt à soc iali. Ha scritto Lidd ell Hart, a prop osito dello Stato Maggiore tedesco, che ne ll ' ultima guerra molt i tragici errori si sarebbero potuti evi ta re se i militari non avessero sce lto di rin chiudersi nella se mpli ce e più co mo da fun zio ne esecutiva e aves se ro compreso, in vece, pur se nza «fare politi ca », il significato po litico delle azioni che ad essi venivano richieste.

«La nozion e stes sa di plurali s mo politico implica che il po te re ne ll a soc ie tà sia distribuito e che le società avanzate sian o cara tt eri zza te dall'esistenza di organ izzaz ioni alta mente complesse e differe nzia te che associano espe rt i e non esperti , addetti al processo decisiona le e addett i all'applicazione delle de cisio ni pres e.. . Il militare di carriera nell e società industrializzate è altamente s pec ializza to nell e scienze ma nageria li . Egli sa di co ndi vid ere co n le autorità non so lo la concez io ne d ella strategia, ma anche la partecipa zion e nella forma zion e d ell a po litica d i sic urezza na z ional e. » '

Nei tes ti di sociologia c'è sc ritt o che la moderna professione militare oscilla, seco ndo le circostanze, fra due «mod elli» : q ue ll o ist it uziona le e quello occupazio na le. Il primo ri guard a la fun z ion e del mil itare di professio ne come «guerri ero», c ioè colu i che è is t ituziona lm ent e pre posto alla «gestion e de lla vio lenza». Il seco nd o riguarda la funzione del militare di professio ne come «t ec nocra te», cioè co lui che

1 Amo s Pcr lmuttcr, The Politica/Jnjluence ofthe Military, Yalc Uni versity Press 1980.

9

esercita un mestiere socialmente utile. I testi di sociolog ia dicono anche che, soprattutto nei Paesi in c ui la prospettiva di una guerra non rappresenta una reale alternativa politica, la professione militare entra in crisi di identità quando, continuando a osci llare fra un modello e l'altro, non riesce a identificarsi , neppure agli occhi della gente, né con l'uno, né con l'altro. È quanto è accaduto anche all e Forze Armate italiane. Quando i nostri militari si chiedono «se era proprio necessario che venisse il terremoto affinché la gente si accorgesse dell'esistenza delle Forze Armate», in fondo. manifestano ind irettamente il malessere che procura loro tale crisi di identità. Poic hé il valore di una professione e il prestigio dei suoi membri dipendono dall ' importanza che la società attribuisce alle loro prestazioni, i nostri militari rivelano , così, di non senti rsi suffic ientemente apprezzat i, o comunque di non esserlo· per quanto essi valgono o credono di valere.

Da pochi anni soltanto, accanto alle materie tradizionali, sono comparse nei programmi di studio delle Accademie militari e delle scuole di guerra la socio logia, la psicologia generale e applicata, la strategia globale, e altre scienze socia li che fin o a ll' a ltro ieri erano considerate «inutili» alla formaz ione di un buon ufficiale. Gli ufficiali italiani con un curriculum internazionale degno di q ues to nome sono ancora me no del IO%, anche se è dove roso aggi un gere che molti nostri addetti militari presso le nostre ambasciate all'estero, così come gli ufficiali destinati all'estero per segu ire corsi di qualificazione o pe r prestare serviz io presso enti e comandi int er naziona li , sono di primissimo ordine. Ma l' esigenza di mandare all'estero gente preparata è stata la prima sp inta verso la modernizzazione della carriera. «Ci siamo sp rovincializzati entrando nella NATO» dice il genera le Poli .

Una seco nda sp inta verso l'acquisizione di una strum enta zione cultura le che consentisse ai vert ici delle nostre Forze Armate di capire meglio quello che stava accadendo lo ro int orno è ve nuta , dopo il '68 e negli a nni Settanta, dalla «contestazione giovanile». Fra i primi a farne le spese sono stati, infatti , proprio i mili tari di car rie ra e in un modo

IO

tutt'affatto singola re. «Hanno cominciato col rifiutare il ranci o» ricordano, oggi, gli ufficiali c he hanno vissuto quell'epoca in un a posizione di comando «e noi, c he eravamo c ulturalm ente rima sti , fino a quel momento , chiusi nelle nostre caserme, abbiamo identificato semp li cemente la contestaz ione con la bassa qualità d e l cibo. Abbiamo migliorato il ran cio. Ma la contestazione è continuata. A questo punto, abbiamo capito che il problema era politico.»

Così , i militari, come dicono essi stessi, hanno messo il naso fuor i dalle case rm e. E hanno fatto due importanti scoperte. La prima: che le carenze della società civile, per non parl are di qu ella politica , era no più grandi di quanto essi non avessero immaginato fino ad allora. La seconda: che tutto sommato, malgrado tutto, loro , la loro struttura , la loro organizzazione, insomma, le Forze Armate, erano una delle p oche cose che ancora funzionavano abbastanza decentem ente n e l Paese. «Al prossimo terremoto» dicono, ora, toccando ferro «interverremo senza aspettare che si muova la macchin a civile. Così eviteremo danni peggiori , ritardi e 1'accusa, c he almeno in un primo tempo ha coinvolto anche no i che non ne avevamo colpa, di insufficienza e di inefficienza.»

«Noi militari» si dice allo Stato Maggiore «ci troviamo n e lla condizione privilegiata di poter osservare la società attraverso il campione del reclutam ento. Ora, ci stiamo attrezzando c ulturalm e nte a fa rl o in modo scientifico.» In rea l tà, ciò che aveva consentito alle Forze Armate di conse rvare una maggiore efficienza , rispetto alla società civile, e ra, innan z i tutto , il fatto c he alloro interno non fosse entr a to in crisi in modo altrettanto grave il «principio di autorità», e, in secondo luogo , il particolare metod o di lavoro pro prio di un a organ izzazione fort e men te gerarchizzata, ma anche a ltretta nto fortemente imbev uta di «spirito di corpo», cioè eticamente e istit uzionalmente inclinata al so lidarismo, qual è la «società militare».

Il concetto stesso d i «comando» è mutato , così come ne è mutato l'ese rciz io pratico, adattandosi alle con di z ioni di una d e mocrazia articolata e confl itt uale come la nostra. Ma il

Il

«rapporto gerarchico» rimane un «rapporto istituzionale», in c ui l'autorità è strettamente associata al grado rivestito, indipend entemente dalle strutture, dalle unità o dagli enti in cui ciascun militare presta servizio. Né sarebbe possibile rinunciarvi senza mettere in pericolo l'esistenza stessa delle Forze Armate. «Non bisogna dimenticare» dicono all'unisono i nostri ufficiali «che noi siamo gente che, da un momento all'altro, potrebbe trovarsi nella condizione di dover dire ad altra gente che è venuto il momento di andare a morire.»

Per quanto attiene al metodo di lavoro, dice il generale Cappuzzo: «Tutto quello che io so, l'ho acquisito dal sistema nel quale sono finora vissuto. Al massimo potrei dire che, da parte mia, mi sono limitato a dare una certa sistematicità all'aria stessa che ho respirato qui dentro». Quello che lui e altri come lui hanno appreso dall'ambiente è l'abitudine al la voro di gruppo, che non fa parte né delle discipline scolastiche, né delle tradizioni sociali del nostro Paese, nonché una certa metodologia interdisciplinare, e poi, via via che le moderne tecniche managerial i entravano nei programmi delle Accademie e delle scuole di guerra, lo studio dci meccanismi di gestione delle crisi, di pianificazione, di quelli previsionali, di comando e controllo, le teorie dei giochi, la formulazione di modelli operativi, di simulazione, ecce te ra .

Insomma: quella cultura empirica che nei Pa esi anglosassoni esce dalle univ ersità, qui da noi si è affacciata alla ribalta di un Paese malato di panfilosofismo uscendo dalle scuole di guerra delle nostre Forze Armate. O almeno questa è stata la sensazione che molta gente ha avuto ascoltando alla telev isione alcuni gene ra li parlare di terrorismo e d ei modi di combatterlo. L'impatto sul Paese, e soprattutto sulla «società politica», è stato forte. Non a caso, all'esterno delle FF.AA., da parte di qualcuno, si è voluto vedere nella reazione sostanzialmente positiva dell'opinione pubblica un seg no di qu ei tempi che van no sotto il nome di «riflusso». Qualcun altro ha creduto, add irittura, di scorgervi la maliziosa volontà di contrapporre una «società militare», relat ivamen te efficiente e moderna, a una «società politica» che sembra, in ve -

12

ce, arenarsi spesso nelle secche di una cultura invecchiata , prevalentemente di tipo ideologico, e inefficiente, che usa un lin guaggio e l usivo e disancorato dalla realtà di tutti i giorni. Inu tile dire che sia la prima , sia la seconda interpretazione, oltre che inesatte, non giovano né alle Forze Armate , né a l Paese.

In realtà , se sorpresa e persino fiducia erano in qualche modo giustificate dal fatto che non era mai accaduto che esponenti di primissimo piano dell e nostre Forze Armate esprimess e ro tanto chiaramente, effi cacemente e soprattutto pubblicam e nt e le loro con v inzioni sulla società civile, l'opinion e che i consensi da e ss i raccolti fossero il riflesso di una tend e nza ge nerale o , peggio, di spint e particolari verso soluzioni autoritari e appare d e l tutto infondata a lm eno per due buone ragioni. La prima è che sullea li smo delle nostre Forze Armate ne l loro complesso- malgrado i casi iso lati d i «deviazioni» di certi servizi o della P2- nessuno sembra avere fondati m o ti v i di dubitare . La seconda è che le convinzioni espresse dai generali dei carabinieri sono apparse , nella circostan za , l'espre ssione di una c ultura d e mocratico-liberale ben più solida di quella che fino a quel momento sembrava aver guidato le azioni di almeno una parte della classe politi ca e la penna di non pochi opinion makers di fronte a l fenomeno del te rrorismo e a i modi più opportuni di combatterlo.

Da parte d e lla «società militare» non c'è alcuna vo lontà di «supplenza» rispetto alle caren z e della «società civi le» o della «società po l itica». Anz i. «Noi» si dice <<non offriamo e neppure vogliamo offrire una ideologia. Offriamo un m e t odo di lavoro , che nasce dalla natura stessa della nostra organizza z ione, dai suoi compit i operativ i e dall'esperienza empirica. Quando si ragiona in termini culturali c'è coerenza , quando si ragiona per pura opportunità politica, senza punti di ri ferim e nto , ancoraggi con la realtà , non solo non c'è coerenza , ma subentra il tentativo di soddisfare pseudointeressi che finiscono inevitabilm e nte col danneggiare gli s tessi che cercano di perseguirli.»

Naturalmente, non sono tutte rose e fiori. Il «riposo del

13

guerriero» non produce, sempre e automaticamente, lo scienziato soc ial e co n le stellette in grado di affrontare probl e mi di co ndotta , di gestione, di organizzazione con le metodo logie scientifiche più aggiornate e seguendone costantemente l'evo luz ione. Ci sono anche qu e lli , e sono la maggioranza, che si insabbiano in pro v in c ia, in una d e lle innum e revo li <<fortezze Bas tiani» di qu e l «deserto dei tartari» c he di venta in qu es ti casi la carriera. Ci sono quelli c he si lasciano trascinare dalla corrente, limitandosi ad «atta cc are il mulo d ove v uo le il padrone» (cioè il s uperiore diretto o la classe po liti ca). Ci sono, infin e, le difficoltà este rne.

«La ri cerca di una nuova identità da parte delle ForLe Armate» di ce un ge ne rale d ell'Aero na uti ca «va armonizzata co n la realtà sociale che ci circo nda . Non possiamo tend e re all'efficienza in un contesto di in e ffici e nza. Quindi, la nostra ricerca di effic ienza s i riflette anche all'esterno.» E qui arrivano i guai. «No i» aggiu nge l' uffi cia le «Sapp iamo in lin ea di mass ima quali so n o i no stri o biettivi istituzionali: la sicurezza del Pa ese all'interno d e lle sue alleanze e nel quadro dell'indirizzo genera le della politica nazional e formulata dal Pa rlam ento. D 'alt ra parte, la nostra è un'organi zzaz ion e finali zzata a certi obiettivi che presuppongono la ma ssi ma effic ie n za e, quindi , è un'organizzazione che fini sce co l pagare più direttamente la mancanza di stabilità p o liti ca e soc iale.»

«Solo un quadro di marcata stabi lità inte rna e di ampio consenso verso l'azi o ne gove rnativa» dicono molti uffi c iali, ancor più espl icitam e nte «può dare spazio e credibilità sia alla politica di difesa, sia alla politica estera, c he di quella della di fesa è il naturale pres upposto .» In somma: all'interno d e ll e no stre Forze Armate, rimane forte il mito e inaudiano del «buon Governo», così co me qu e ll o di una autorità che sappia fi ssa re gli obiett ivi d e lla propria politica este ra e definire gl i a mbiti entro i qu a li le Forze Armate dovrebbero sostenere coere nteme nte tali obiettiv i e svo lgere la loro funzione. «Se il messa gg io politi co di un Paese è confuso» si l ri co rda vo le nti e ri , citando i classici d e lla strategia <<tutte le fun zio ni militari pe rdono di efficac ia.»

14

Ma qua l è il messaggio, in termini di «valori», che a loro volta le Forze Armate trasmettono ai loro membri? Non appena entrati in Accademia, i giovani vengo n o so ttop ost i a una «terapia d'urto» di valori tradizionali: patria, senso del d O\ ere c della «m issione», onore. d isc ip l i n a, spirito di co rpo. La ragion e è facil m ente comprensibile. Si tratta di valori in gran parte obsoleti nella società c i vile. ma anche di va lori del tutt o p ecu liari a l modello della profess ion e militare. n e lla quale i giovani stanno per essere in ser iti per d1 ventarc, innanzi tutto, dci «guerrieri>>.

C'è chi lamenta, al riguardo. di «essere il sacerdote di una religione alla quale "gli altri" non credono più». E si tratta pre valentemente degli ufficiali più anziani o di quelli più tradizionalisti . Ma c'è anche chi lamenta, a causa di questo parti colare tipo di prepara1ione. «un eccesso di moralismo n el valutare soprattutto noi stessi». o respinge la retorica tradizi onale come «corpora ti va». «fuorviante». «pseudovalore». Scandali11a rsi del fatto che i nostri militari di professione siano prevalentemente imbevuti di nazion a lismo se mbra, p eraltro. un controsenso.

È dalla stessa natura dei suoi obiettivi -la difesa nazionale -che na sce il nazionalismo del militare di professione. L'a dstesso è volto a creare un forte senso di identità n azionale e a individuare «un nemico». C hied e re alle Forze Armate di rinun ciare a questi valori equivarrebbe a chiedere alla Chiesa di rinunciare a c redere in Dio. Poich é a fissare i «ruoli» degli angeli e dci demoni so no . per le nostre Forze Armat e, la Costituzione repubblicana, i sistem i di alleanze nei quali siamo in seri ti e la politica es t era uffi c iale, non è difficil e immaginare c hi sia n o. per il militare di professione italian o, gli angeli e i demoni nel panorama ideologico e politico interno e int ernationa le.

Man mano che il militare procede n e lla carriera e si immerge nella routin c qu otidiana, a emergere, però, è il mod ello occupazionale. cioè quello secondo il quale egl i è un «te c no crate» che esercita un m estiere socia lm en t e util e: si attenua il «senso di missione», il co ncetto di sacrificio personale. non più associato a quello di patr iottismo, perd e ogn i

15

significato. È a questo punto che, come accade in tutte le professioni , ma a maggior ragione in quella militare, nascono le prime frustrazioni , si manifesta la crisi di identità. Il militare di professione- alla ricerca di un nuovo tipo di gratificazione- chiede alla società d'essere «riconosciuto», invoca un «riconoscimento» che la società tende inv ece a negargli perché non gl i riconosce più la funzione di «guerriero» e non gli riconosce ancora quella di «tecnocrate».

È questa la ragione per la quale la stragrande maggioranza dei nostri militari respingono sia le «tentazioni restauratrici», sia le «tentazioni sindaca li» , cioè la totale identificazione nel mod ello «eroico» del «guerriero», che li isolerebbe dal resto della società, ovvero l'adozione a ltrettanto totale del modello occupaz iona le, che trasferirebbe all'interno delle Forze Armate le tensioni proprie della «società civile».

«Le Forze Armate» ha scritto il colonnello Carlo J ea n «sono un'organizzazione autoritaria, ma esistono nell'ambito e sotto il contro ll o di una società democratica. Il sindacato militare creerebbe le condizioni per alterare questo equi librio... Chi parla di militarismo in Italia, come pericolo per le istituzioni democratiche, non ha idee ben chiare. Ma meno ancora ce l'ha chi sostiene il sinda cato militare come strumento di democratizzazione deJle Forze Armate... Imperativi funzionali e aspirazioni social i e psicologiche non possono essere massimizzati simultaneamente. Tra t entazio ni res tauratrici e tenta zion i sindacali deve affermarsi sempre più una precisa strategia riformatrice.»

Né solo «guerriero», né so lo mana ge r, ma «guerriero e manager» , il militare di professione italiano vive, così, la sua crisi di id entità alla ricerca di un ruolo credibile.

Nelle grandi democrazie occide nt a li , i militari di professione tend o no a massimizzare il proprio ruolo nel processo decisionale pol iti co, cioè cercano di «contare di più» nella formulazione delle decisioni che riguardano la sicurezza na z ional e. Il fenom eno è inn egab il e e attiene a quella a rticolazione socia le che rappresenta la base stessa di ogni democrazia «reale». Né l'a tteggi ame nto dei militari può dirsi illegittimo, in quanto è esso stesso la manifestazione di quel

16

pluralismo «di funzioni», oltre che politico, che rappresenta la condizione del corretto funzionamento delle istituzioni in un a democrazia matura.

Negli Stati Uniti , è lo stesso sistema politico e di governo che spinge i militari di professione non so lo a «parlare ad a lta voce», ma anche a stabilire rapporti di collaborazione con le fo rze po li tiche e con altri gruppi sociali che, da parte loro, fann o alt rettanto, per premere sul presidente attraverso il Congresso. Poiché, secondo l'etica politica americana, il modo migliore per risolvere i problemi è quello di parlarne pu bb licamente, è la stessa cultura po lit ica dominante che in coraggia que ll a che il pragmatismo ang losassone ha definito, con un apparente paradosso, l'«insubordinaz ione legali zzata».

«Il ri sultato» scrive uno studioso americano di sociologia milit are «è che si ha l'impressione di una forte influenza mil itare sul Governo , mentre si tratta , in realtà , so lo di una grande quantità di inevitabile baccano.» Insomma: il «compl esso militare-industriale», denunciato da Galbraith e ca ro alla propaganda antimilitarista di tutto il mondo , es iste, ma è an che fisio logico a un sistema a ll 'interno del quale coes istono forti spinte e potenti grupp i di segno con trar io.

La stessa cosa accade in Gran Bretagna, anc he se il sistema di governo inglese - che si concreta in un gabinetto espressione di un a maggioranza parlamentare, piuttosto che in un presidente con trapposto a un Co ngresso- attenua le poss ibilità pe r i militari di organizzare una pressione par lamentare sul Governo. In ogni caso, sia negli Stati Uniti, sia in Gran Bretagna, la lobby milit a re esercita la sua funzione di «grupp o di pressione» nei confro nti de ll 'esecu ti vo uni cament e pe r le materie di s tretta natura professionale, evita ndo di sconfi nare in altri campi .

Che la presenza di militari di professione consapevoli del propri o ru o lo e della propria funzione nel processo di forma zione delle decisioni che ri guardano la sicurezza nazio nale, ma anche atte11ti a no n in vadere gli a mbiti di autonomia propri dell a soc ietà politica e di quella civi le (bonapartismo}, sia un fattore di equ ilibrio po litico è dimostrato, del resto,

17

dalla stessa esperienza storica. «È una circos t anza ironi ca» ha sc ritto Liddell Hart, a questo proposito «che le potenze occidentali , quand o ne l 19 19 imposero lo scioglime nt o del grande Stato Magg1orc Generale ( te desco) per assicurarsi contro i l pericolo di una nuova guerra. avessero soppresso un sistema c he poteva costit uire nei confront i d i un uomo dello s tamp o di H itlcr un freno più efficace dell'organismo tecnico e apolitico che lo sost i tuì.»

Da n oi accade ancora il contrario. Il termine «gruppo di pressione». associato alle For.1 e Armate. evoca. in molti n ostri ufficiali superiori. inconfcssabili peccati di superbia corporativa e a lim enta, conseguenteme nte . la tenden;a a n egare l'esisten?a di un analogo fenomeno in Italia. anche qu ando esso si manifesta . sia pu re timidamente. Ciò nella s peranza di esorcizzarne gli efTetti. anche quando essi potrebbero rivelarsi benefici per il processo di fo rma;ione delle decis ion i riguardanti la sicureZI.a na1-ionalc .

Nel umore di essere accusati. sopra ttutto da parte di una ce rt a. superficiale propaganda di sinistra, di cos tituire, o di voler cost itu ire, un «compless o militare-industriale». molti n ost r i uffi cia li superiori manifestano. ne i confronti d e lla c la sse politica. una sudditanza cul tura le c p sicologica e ostentano u n distacco dalla politica come «cat egori a della cultura» che non hann o alcuna giust ifi cazione e che si tras form ano obiettivamente in un «peccato di omissione» in te rmin i di partecipa;ione al processo decisional e. Es si. piu tto s t o c h e rivendicare il proprio ruolo c la propria fumionc n el pro cesso di formazione della politica di S1cureua na;ional e, se mbra che prefe riscano co mportarsi come quel tale che, dopo una seduta psicoanalitica, si e ra ritenuto rassicurato n el se ntirsi dire dall'analista: «St ia pure tranquillo. Lei non ha aku n complesso. Lei è proprio inferiore».

Dice un alto ufficiale dello Stato Maggiore: «Noi, intendo dire n o i come Ministero della Difesa. siamo l'unico Dicastero convinto di non avere diritto a una propria politica, ma, al contrario. di avere una fun;ionc puramente esecutiva, soggetta , pe r di più. non solo alle direttive. ma agli interessi perso n ali e di partit o del mini stro del momento». Il ri su ltato,

18

aggi.unge lo stesso ufficiale , è che «a occuparsi di politica militare finisce con essere il Ministero degli Esteri, che della politi ca militare percepisce soltanto queg li aspett i che riguardan o le relazioni internazional i e che non sono sempre i più ril evanti».

«In passato.» dicono, a questo proposito, gli spec ia list i am ericani di questioni militari «la politica d i sicurezza na zionale era elaborata dalla diplomazia. Nel mondo attuale essa è diventata materia di collaborazione interdisciplinare fra d ifferenti agenzie , civili e militari.» Ma l'Italia non sembra essersi ancora messa al passo con i tempi. La prova del «ritardo» italiano in questo campo è offerta, del resto, dal nu mero deg li ufficiali che in Italia , negli Stati Unit i, nella Repu bblica Federale Tedesca , in Gran Bretagna e in Francia sono preposti alla elaboraz ione della politica militare dei loro ri spett ivi paesi e che è di uno a quaranta con gli Usa e di uno a quindici co n i nostri alleati europei.

<d politici» d ice un generale «a due ste ll e» «devono lasciarci parl are e noi dobbiamo parlare fuori dai denti. Se i politici pre tendo no che noi d iciamo lo ro solo que ll o che voglio no sentirsi dire , ebbene, devono anche sape re c he a soffrirn e è an che l' effic ienza della nostra o rga ni zzaz ione. Ognuno dev e avere il dir itto di dire quello che pensa al suo li ve llo di compe tenza. Poi. i politici decidano chiara mente quello che si deve fare.»

Ma la difesa di quella «imprenditorialità chiamata sicurezza» si scontra. a ll 'interno delle stesse Forze Armate, con la diffi coltà di sviluppare un vero dialogo interforze, cioè è osta co lata da ll e gelos ie che int ercorron o fra esercito, marina e avia zione. All'esterno delle Forze Armate, nei rappo rti co n la classe politica , essa è vanifica ta dall'«amore per il quieto viv ere» della maggioranza degli stessi vertici militari.

Ha sc ritt o, al ri guardo, un o stu di oso francese: «Vi sono colonn ell i brillanti, apparentemente sincer i nelle criti che che essi for mul ano e che, da un momento all'altro , divengono opa chi e conformisti». Allo Stato Magg iore c'è c hi sostiene che tale momento si ve r ifica abitualmen te in coi nci denza con l'attesa promozione a gene ra le , quando al «senso della

19

missione» suben tra la va lutazione d e l ri sc h io in te rmini di carriera.

Occorre, infatt i, n on dim e nticare che «l'lo diviso» d e l militare di professione, fra la natura di «guerriero» e la funzione di <<tecnocrate» appartenente a una burocrazia, comporta anc he una sciss i one della personalità c he s i rifl ette sui suoi comportamenti esterni. In qua nt o «guerriero», il milita re di profess ione d eve rispondere a qu e lla ent ità eticopolitica e astratta c he è lo Stato. Ma in quanto «tecnocrate» c he eserc ita un m esti ere inquadrato in una struttura burocratica, egli deve ri spondere al Governo, cioè a una en ti tà ben concreta, in grado di gra t ifica rl o o penalizzarlo m ateria lmente a seconda de l grado di consenso c he egli è disposto a garantire a chi d etiene il pote re in quel momento.

D'altra parte, i sociologi de ll a professione militare sostengono c he «gli ufficiali super iori nelle m oderne soc ietà postindustriali gua rd a n o alla formula z ion e della politi ca di s ic urezza nazio nale co m e a qualcosa d i ben più import a nt e d e ll a salvagua rdi a degli interessi corp o rativi d e lla profess io n e». In so m ma: le aspetta ti ve de ll ' uffi ciale di ca rri era n e i co nfro nti della propria professio ne e d e ll a soc ietà militare s tarebbero cambiando. Se ciò cor ri spondesse vera mente alla realtà, s i tratt e rebbe di un camb iamen to fondamentale ne ll 'orie ntam en to del militare di professione.

Forse, dicono o ra gli ufficiali più aperti d e lle no s tre Forze Armate , a conciliare la cont ra ddizio ne fra la co ncezio ne «eroica», fonda m e ntalm en te es tran ea alla cu lt ura dominant e n e lla società, e quella occ up az ionale, gravi d a di co nt e nuti s ind acal i d es tabilizzanti p e r la profess ion e stessa, e a r idare un senso di id en tità al m ilitare di carr iera, può effe tti va m e nt e co nc o rrere la rilevanza politica che l'uffi c ial e moderno ha la p ossibilità di assu m e re n e l processo di form az ion e d e ll e d ecisio ni che rigu arda no la sic urezza nazion ale. D 'a ltra part e, ess i agg iun gono sub ito d opo, ciò può av venire a una sola condizione: c h e a voleri o s iano , innanzi tutto , i militari stess i.

Il rifiuto della politica ri ve la , qualche volta, un inte resse pol iti co di segno negativo , c ioè il rifiuto puro e semplice non

20

d e ll a po li tica i n quanto ta le, ma del processo politico così co m e s i realizza nelle società democratiche. Non sembra , qu es t o, il caso dei militari italiani. Ma la riluttanza a esp rim ere una politica mi l itare può anche significare l'accetta zion e in co n scia di una concez ione totalizzante della società e del p rocesso politico, cioè la rassegnata concessione di una delega in b ianco alla classe pol i tica , che è la nega zio ne stessa di una soc ietà articolata e autenticamente pluralistica.

È convinzione degli elementi «riformisti» che la tenta zion e di ri nchiuders i nuovamente in una concezione «eroica» d e ll a p rofessione e quella di aprirla, invece, alle tensioni presenti ne ll a società affondi no entrambe le loro radici anche «n e ll a non elevata fiducia nella gerarchia, nella sensazione di un a continua erosione di prestigio e di posizione sociale, nella frustrazione che provoca l'impressione di sacrificarsi per d ella ge n te che non solo se ne frega, ma che considera con iron ia quanto viene fatto».

In co nclus ione. Fra mol t i ufficial i superiori della generaz io ne di m ezzo, c he hanno oggi il g rado di tenente colonnello, co lonnello o generale di brigata, si sta diffondendo l'opinione c he, qualche volta, «ubbidir tacendo» non equ i va le a fare g l i int e ressi de ll o Sta t o, ma solo della sua classe politica (o dei gradi pi ù e levati de ll a gerarchia). Il che, si aggiunge, fa tutta la di ffe renza fra uno «Stato di diritto» e lo «Stato dei partiti» e d e ll e loro cl ie n tele.

21

Perché le Forze Armate?

Nel XX seco lo, dopo ogni guerra vinta o persa , la reazione imm ed iata dei Pa es i eu ropei è stata di m ette re in discussione le Fo rze Armate , accusate di essere le so le responsabili delle guerre e non già le semp lici esecut rici di una volontà politica. Sembra quasi inevitabile in tali c ircostanze che «la difesa ven ga identificata con il militari smo e la pace co n la rinuncia alla difesa». 1 Rifiutato il si ws pacem para bellum, perc hé imp opolare, s i opta spesso per una scelta più comoda anche se di dubbia efficacia: si vis pacem nega bel/um. Negli anni successivi al conflitto, le rea z ioni dei Paes i occidentali non sono, però, state tutte ugua li . In quelli con forti tradi zion i mili tari e consci d e l proprio peso internazionale s i è sviluppata a poco a poco una tendcpza a rivalutaré lo strumento mil itare da parte d e l mondo politico e d e lla cul t u ra. Questo sforzo politico e concettuale ha consentito di mantenere in vita, con un certo consenso naz ionale, un patrimonio spiritua le e politico-mi li tare di riconosciuta imp ortanza. Non così in Italia, almeno fino a pochi anni fa. Le Forze A rm ate, abbandonate a se stesse per troppi a nni , so no state dapprima aggredite da politici e mass-m edia (negli anni Settanta) e, infine, accettate, con i l proposito di cambia rl e, ma sen za che

1 J o hn Downey. The Management of the rlrmed Forces. McGraw-Hill Book Compan y (UK) Ltd, Berkshn-e, England 1977.

I
23

si sapesse dire a che cosa esse effettivamente dovessero se rvire. Forze Armate, perché? La domanda, se ri volta a un campione suffic ientemente rappresentativo della comunità nazionale, provocherebbe, probabilmente, una serie di risposte che andrebbero dall'«a niente!» del qualunquista animato da puro spirito dis t ruttivo, all'altrettanto ovvio «per la di fesa della Patria» del tradizionalista conv into , ma anche poco informato. Fra i due estremi si collocherebbe po i una vasta schie ra di persone che accettano le ForLe Armate così come sono, per i legami che esse hanno stab il ito con la società nei cento ann i e più della nostra storia. Il loro è un sentimento sincero, ma scarsamente consapevole della funz ione che le Forze A r mate dovrebbero assolvere. l dubbi su ll a necessità de ll 'esistenza delle Forze Armate continuano a resta re. Anche le più alte personalità militari, mosse da l desiderio di n on allarmare la gente, c he non a m a le cattive notizie, han no cont ri buito, sia pure in buona fede, a intorbidire le acq ue. Infatti , avendo sostenuto pubblicamente che il tempo dei conflitti armati è ormai tramontato per l'Europa , e soprattutto per l'Italia, ogn i volta che sono s tate cost rette a chiede re maggiore efficienza per le Forze Armate h an n o dovuto appellars i agli obblighi collettivi dell'A llea nza atlantica c ui appa rti ene il nostro Pa ese o a c hi amare in causa la «deterrenza», un concetto fami liare solo agli addetti ai la vor i.

Ora, c he l'All ea nza atlant ica, consapevo le dell'esistenza di un ri sc hio nucl ea re, n e l caso -di un suo conflitto con l'Est europeo e della gravità di tale even ienza, abbia elevato la «deterrenza» a obietti vo strategico prim a ri o è un fatto i ncontrovertibile, così come lo è quello co n segue nte che la deterrenza non è solo una questione di psico-strategia, ma è subordinata alla reale capacità di difendersi. Molti error i di impostazione attuali sono dovu t i al fatto che si è per troppo te mpo parlato in termini di «deter re nza pura». Come scrive Robe rt Legvo ld «per gl i Stati Un it i, la deterrenza è un 'esp licita costruzione intelle ttuale, in ventata dai civil i, che trae le s ue rad ici psicologiche dalla teoria de i gioch i, non dalla teo-

24

ria organizzativa della scienza militare». 1 Non così per i sovietici , per i quali la det e rrenza è so lo la conseguenza della capacità di difesa. È anche un fatto che continuando a parlare di «dissuasione», perché suona più gradevole di «difesa», si corre il rischio di rendere assa i vago il compito delle Forze Armate. Sarebbe assai più semp li ce e chiaro spiegare che per le Forze convenz ionali e nucleari del campo di battaglia, «deterrenza» e difesa coincidono. Tanto è maggiore la capacità difensiva , tanto è più probabile che l'avversario venga dissuaso dall'aggredire. Me ntre il concetto di «deterrenza» è denso di significati psico-politici di diffi c ile comprensione e valutazione, quello di «difesa» è militarmente chiaro. Ai reparti , poi , il problema dovrebbe esser posto in modo ancor

più esplicito: «questo è il vostro potenziale avversario , questi i suoi procedimenti , questi altri gli intendimenti del vostro Pa ese, ponet ev i in grado di saper rispondere in termini operati v i». Le sottigli ezze della «deterrenza» unite alla definizione vaga della minaccia e dell'intendimento politico, impediscono uno sforzo operativo efficace e rendono meno comprensibile la fun zione delle Forze Armate.

Non di rado, poi , si ricorre alla facile imma gin e della Difesa quale assicurazione contro i rischi di un con flitt o. Ma chi è disposto a pagare un assicuratore che continua a negare la possibilità di infortuni ?

Gioverebbe alla chiarezza una maggiore profondità co ncettuale del problema della difesa, ma finora il nostro Paese non ha dimostrato di possedere la preparazione strat egica e la maturità politica che un tale sforzo richiederebbe. Il Paese e anche le stesse Forze Armate non tro va no perciò risposta all'interrogativo: «Forze Armate , perché?». Questa estra neità de l Pa ese ai problemi della s icurezza è facilmente riscontrabile scorrendo più di trent'a nni di dichiarazioni ufficiali e uffi ciose o di serviz i giornalistici , do ve la vac uità delle afferma zio ni e dei giudizi dimostrano la superficialità di preparazione in tema di difesa. Una facile verifica si può ottenere

1 Roben Legvold . «Strategie Deterrence and SALT - Soviet and American ViewS>>. vol. XX l. n. l. gennaio-febbraio 1979, edito dalr ln temational l nstitute of Strategie Stud•es di Londra.

25

scorrendo rapidamente le di chiarazio ni programmatiche dei no stri numero si governi. Alla difesa , in te rmini chiari e concreti. n on acce nna ness uno .

Afferma Dome ni co Bartoli: «Molti mini stri considerano le forze militari con sospetto, oppure co me voci di spesa nel bilan cio dello Stato rese in ev itabil i sia dall'opportunità di mant e nere occupata una co ns id erevo le mas sa di dipend e nti , anche a scopi clientelari, sia da cert i obblighi internazi o na li che non s i possono dimenticare d e l tutto. Dell 'e fficienza mil ita re poc hissi mi dei politici sembrano occuparsi».'

Scriveva D e Gaulle c he, nella Francia fra le due gu e rre , «tra quelli c he esprimono l' op ini o ne pubblica e, ne llo stesso tempo, la dirigono molti traducono in omaggi co n ve nzionali c in fiacche proteste la lo ro saz ietà e la loro indifferenza. Certi rivestono di ironia la loro malevolenza e i lo ro rimorsi». 2 Un altro Pa ese, oltre cinquant'anni di differenza, ma l'atteggiam e nt o è lo stesso.

Questo a lternarsi di omaggi formali e episod ic i e di critiche severe. m a superficiali e altrettanto occasiona li , rende an c ora più difficile la co mpre ns ione del proble ma. In fondo , il Pa ese è giusti fi cato, se ignora la fun zio ne d e lle Forze Armate , dal fatto che tale fun z io ne è ignorata o trascurata dalla s ua stessa classe pol it ica . Ciò c he d efi ni sce infatti lo scopo di una forza milit are è l'obie tti vo politico d e l Pa ese cui essa appartiene. Le Forze Armate no n sono altro che lo strumento indispensabile per fa r p oliti ca. Quattro p osso no es sere gli obietti v i politici: minac c iare la sov ra nità territoriale o politicomilitare altrui; tut e lare la propria; sos tenere gli interessi internazionali de l Pa ese; e, infin e, di sporre di un jeto n de prhence in più ne l co ntes to p ol itico internazionale. Ogni Pa ese. scelti i pro pri obietti v i po litici , dev e però concre tarli in un a po liti ca di difesa na ziona le 1 il più chiara possibile , c he consenta di tradurre gli impegni politici in esigenze militari.

1 Domenico Bartoli . Gli anni della tempesta - All'origine del malessere italiano. Editoriale Nuo,·a. Mtlano 1981. p 88.

2 Charles dc Gaulle. U.• fil de /'épée. Berger-Levrault. Paris 1944 (trad it Il fìlo della s{lada. Edizioni del ((Borghese». Milano 1964).

1 Vedt grafico fuori testo.

26

Questo sforzo pol it ico-st ra tegico, in Italia , non è mai stato compiuto: la no stra politica di difesa è se mpre rimasta a un li vell o di gener icità tale da non offrire alcu na indicazione valida per lo strumento militare. Come si fa a dire, infatti , se disponi amo di t roppo o di troppo poco, se non ci preoccupiam o prima di stab ilire a cosa lo strumento militare debba servire? Esclusa l'ipotesi di un obiettivo po liti co «offensivo», rim aneva da scegliere il modo migliore per assicu rare la difesa d ella n os t ra sov ran ità nazionale. Politicamente, si è scelta la stra da giusta, aderendo all'Alleanza atlantica. Ma non basta. Nell'Alleanza, orga ni sm o plurinaz ional e e non supernazionale. il gioco politico-militare è abbastanza ape rto. An che se i Paesi dell'Alleanza sono fo rm a lm e nt e tutti sullo stesso piano, le differenze in te rmini di peso po liti co sono considerevoli. Co nta indubbiam ente di più c hi ha una linea politico-militare c hi a ra e un o strume nto militare adeguato a sostenerla. Non sono certo gli occasionali gesti di solidarietà pe r gli indirizzi co ll ett ivi a co nferi re prest igio e peso po liti co. Ma questo se mbra un aspetto d i fficilmente comprensi bil e per i l nostro Paese che preferisce. invece, un impegno politico-militare estempora neo, raram e nte autonomo e a rimorchio delle ini zia ti ve altru i. Il « prese nzia lismo» mil itare e diplomati co sostituisce così la più impeg nativa «pres enza» e un discontinuo «attivismo» simula una seria atti v ità .'

Le ForLe Arm a t e, in tal e gioco, diventano perciò so lo un tribu to do v uto verso l'impeg no co ll ett ivo o un serbato io politico-militare cui attinge re occasiona lm ente pe r g uadagnare il plauso di qualche alleato. Il d esiderio di a ve r un eccelle nte vo t o di b uo na condotta supera quello d e ll'aspirazione a una politi ca militare che meriti ri spe tto in ogni occasion e .

Qu esto modus operandi è p e rò a ssa i rischioso sia i n termini po liti ci sia militari. Sul piano p o li tico si acce ntua n e l co n sesso inte rna zio nal e l'immagine d i un Pa ese privo di

1 Vedi Comitato di Redazeone di Diplomazia '80. «Quali le alternative possibili?>. su «Pohuca l nterruuionale», febbraio 1982.

27

identità politi co -militare, alla costante ric erca della linea di minor rischio e di massimo co nse nso, inclin e alle soluz ion i che sono co ll egia li o a lm eno in lin ea co n le tendenze dei Paesi che contano di più. Sul piano militare si cos tringe invece il nostro Pa ese a l ruolo rassegnato di ch i affida ad altri la pro.. pria sic urezza, ne lla co nvin zio ne che in caso di difficoltà l'a iuto debba venir da «fuori» c che il nostro sforz o militare sia il pedaggio da pagare perché ciò avve nga, quasi un element o cata lizzatore per l'i nt ervento altrui. Questa concezione subordinata de l no stro ru o lo , nell 'a mbito delle alleanze, ci ha penalizzat o tant e vo lt e nella nost ra storia da co nsigliare un magg ior rea li s mo. Ma il radicato «provincialismo» della nostra politica di difesa, oltre che il desiderio di una politica es tera «di basso profilo», se mbrano sos pin gere il Paese sulla strada già percorsa se nza successo per tanti seco li. Machiave lli , che di politica di difesa se ne int end eva, ha scritto che «senza ave re buone ar mi , nessun Prin ci pat o è sic uro; anzi è tutto o bbligato alla fortuna no n avendo virtù che nelle avversità lo difenda» . 1 An c he e for se soprattutto all'interno di una alleanza , so lo una prese nza co ntinu a, forte , intelligente può assicurare la sicure zza militare e il pes o po liti co cui ogni na z ion e dovreb be aspi ra re in relaz io ne alle proprie possib ilit à e a l proprio ruolo st rategico. È assai dubbio . perciò, che la nostra politica di difesa, in ce rta , ma l definita e sub o rd ina ta abbia ben se r vito il Pa ese. Si è, altresì , trascurato di guarda re se riam ente al di fuori dell'area della NATO, per co nsta tare se non in so rge sse ro altri motivi di preocc upazione strategica e quindi altri imp egn i militari . Il des id erio di piacere e co mpiacere ha pri va to , all'origine, della necessa ri a ch iarezza la nostra analisi della situazione mediterran ea . Ma occorre comp rendere che in termini politi co-militari , una scelta di campo è indi spe ns abile. Come ha sc ritto un anonimo fra ncese, «l' essere a favore ha un valore solo se si sa anch e essere co ntro».

In conclusione, ancor oggi per le no stre Forze Armate è

28
1 Niccolò Machia vclli. Il capo X III , Mondadori. Milano 1949.

difficile comprendere cosa ci si attenda da loro come strumento militare al servizio della politica del Paese. Questa in sufficiente definizione del proprio ruolo politico-mi litare è perci ò una delle prim e cause della «crisi di identità», di cui esse sofTrono .

Il vuoto nella po litica di difesa sembrerebbe giust ifi care il giudi z io di ch i, come Rochat , sostiene che le Forze Armate Italiane servano uni came nte al «mantenimento dell'ordine pubbli co e alla conservazione del potere di classe... oltre che di sostegno a una generica politica di prestigio internaz ionale».1 Ma se si può esse r d'accordo sulla «generica politica di prestigio internazionale» che sembra ancor oggi tutto quanto sa immaginare la nostra classe politico-diplomatica, l'ipotesi che le FF.AA. se r vano unicamente come sostegno dell'«ordi ne pubblico e alla conservazio ne del potere di classe», sembra invece del tutto arbitraria. È vero che, in passato, come sostiene il genera le Liuzzi «si usava ri correre, per esigenze di scarso rilievo e vorrei dire a ogni stormir di fron da a repart i delle var ie armi deii 'Ese rcito», 2 ma questa tendenza è ora quasi del tutto scomparsa, sia per il notevo le potenzia mento delle forze di pol izi a , sia pe r la «sagg ia» riluttan za dei cap i militari nell ' imp eg nare l'Esercito in compiti troppo ch iaramente «politici». Lo stesso genera le Liu zzi ha scritto che è importante c he le Forze Armate siano tenute «il più lonta no possibile da manifestazion i brutali di lotta fra partiti e fazion i e di sovve rsiv is mo contagioso».J Ma è anche vero , si aggiunge negli ambienti militari , che la prese nza de ll' Esercito in certe ci rcostanze di «ordine pubblico» del passato ha cont ribu ito notevolmente a ca lm a re i bollenti spiriti e che, co munque, mai l'Ese rcito ha supe rato i suo i limiti , dando indiscutibile pro va della sua democrat icità. In ogni caso, anc he amm esso, per assurdo, che le Forze Armate si fosse ro efTettivamente viste come Rochat o altri le dipingono , la loro crisi di identità sa rebbe stata almeno evitata. Esse avrebbero avuto un ' ident ità sbagliata, di t ip o <datino-

1 Gio rgio Rochat, L ·antimilitarismo oggi. Ed. Claudiana, Torin o 1973. 2 Giorgio Liuzzi. Italia dijèsa?. Volpe. Roma 1963.
29
3 l bid.

americano», ma pur sempre un'identità. Ma questo non è accaduto. Id entificare poi nelle Forze Armate uno strumento per «la conservazione del potere di classe», quando la proletarizzazione dei Quadri, soprattutto nel nostro Esercito, è pressoché totale, è oggi del tutto anacronistico. Non si vede, infatti, come delle Forze Armate proletarizzate 1 potrebbero essere ancora lo strumento di conservazione del potere di una classe a esse estranea. È vero, piuttosto, il con trario: che la crisi delle FF.AA. si è accentuata proprio perché la classe politica non ha saputo offrire loro un ruolo chiaro, né all'esterno, né all' interno del Paese, così come è mancato, da parte dello stesso Paese, un consenso, nei loro confronti, di ordine morale, tradizionale.

Anche in questo campo, si sono commessi, infatti, seco ndo i nostri ufficiali, errori assai gravi che han lasciato cicatrici profonde nelle Forze Armate. Concluso il secondo conflitto mondiale, si sono perseguite, per ragioni politiche o addirittura partitiche, due tendenze contrapposte: colpevolizzare le Forze Armate da un lato e mitizzare la Resistenza d a ll'altro. Dicono gli uomini delle nostre Forze Armate: sm inuendo il co ntributo delle forze militari «regolari» durante il conflitto e durante la stessa Resistenza e nella guerra di Liberazione, mentre si esaltava a dismisura l'immagine del «partigiano», s i è svilita la figura del soldato di «professione» a tutto vantaggio di quella del guerr iero «irregolare», esp ress ione del popolo. Per troppi anni, aggiungono molti nostri ufficiali, le Forze Armate sono state poste in ombra in ogn i occasione, mentre le celebrazioni per la Resistenza si moltiplicavano in ogni parte del Paese, anche dove si ha motivo di c rede re che i partigiani fossero stati pochi o addirittura inesistenti. Con ciò s i so no commess i due gravi torti: avvilire arbitrariamente le Forze Armate e, contemporaneame nte, sminuire di significato e di serietà un fenomeno di grande rilevanza politica e morale come la Resistenza. Come ieri c'era stata la fioritura degli «antemarcia», cosi oggi c'è stata quella d e i

1 Vedi le conclusioni del lavoro di Gianfranco Pasquino, «The Italian Army Some Notes on su «Armed Forces and Society,., vol. Il , n. 2, febbraio 1976.

30

«partigiani combattent i». Da alcune parti politiche si è, poi , lam entata l' assenza di partecipazione militare alle cerimo nie celebrative della Resistenza. Ma -ci si chi ede nell'ambito dell e nostre FF.AA. - come si poteva pretendere che i militari fossero presenti solo per solennizzare chi poneva la massima cura nel negare loro il diritto stesso di esiste re, oltre che nello svilire il loro ruolo nella storia del Paese? È vero che c'è stato un avvicinamento fr a Forze Armate e esponenti della Resistenza, negli ultimi ann i, ma - si rammarican o alcuni nostri ufficiali- si è verificato, purtroppo, troppo tardi. Così, le FF.AA. sono entrate sulla scena ce lebrativa del Paese per la porta di servizio e non per quella principale, quasi ammesse più per generosità altrui che per proprio diritto.

Del resto, anche in Francia è avvenuto qualcosa di analogo. Scrive Planchais che «la Resistenza non fu solo antimilitari sta ma , agli occhi di molti , fu l'antimilitarismo personificato , la rivincita del soldato sul capitano, del civ ile sul soldato». 1 In altre parol e, da noi come oltreconfine, la polemica antimilitarista di una parte d ella Resistenza è stata un fenomeno ind otto dall'interesse politico del mom ento, e non già la legittima conseguenza di un 'aute ntica conv in z ione nazional e. Non è stato certo un fatto spontaneo. Altrettanto dannosa- aggiungono i nostri uffi ciali - è stata la tende nza dei nostri mass-media , cinema in testa, a ridicoli zza re la figura del soldato italiano e, in particolare, dell 'ufficiale, contribuendo note volme nt e a quell'inclinazione denigratori a all'estero , nei confronti delle no stre FF.AA. di cui qualche volta ci ris entiamo, ma de lla cui genesi siamo i primi responsab ili. Una immagine retoricamente eroica del «partigiano» e una , altrettanto retoricamente, cialtrona del regolare, sembrano tutto quanto il Paese ha saputo produrre in tema di cultura milita re. Pochi- sostengono i nostri ufficiali- hanno tentato, finora, a oltre tren tacinqu e anni dalla fine della guerra, di stahilire con c hiarezza e obiettività quale sia stato il ruolo d ell e Forze Armat e nel secondo conflitto mondiale. Né tantom eno le Forze Armate hanno chiarito al Paese, in

31
1 Jean Planchais, Le malaise de I'Armée, Buchet-Castel, Paris 1959.

modo storicamente inoppugnabile, la crisi dell'8 settembre, assai più grave di una guerra perduta.

Nella prima guerra mondiale un legame fra Esercito e Pa ese si era finalmente creato. Poi, si è fatto di tutto per disintegrarlo, ma ciò facendo non si sono danneggiate solo le Forze Armate , ma anche il Paes e, che è stato privato artificiosamente di uno dei suoi principali punti di riferimento. Ra gioni storic he, religiose , culturali , sociali t> politiche hanno costanteme nte imQedito che in Italia si formasse una seria coscienza nazionale. È sempre mancato qualcosa che unisse le ent ità regionali in nn comune sent im ento autenticamente naz ionale. La crisi dell'Italia - dicono i nostri ufficiali - è anche una crisi di vuoto morale.

Dalle proposizioni imp eriali stich e «da superpotenza» dell ' anteguerra , siamo passati a un altrettanto paradossale e mistificante «spirito universale» , non complementare, ma sostitutivo di quello nazionale. La negazione del concetto di «Patria», sembrava dover rendere più agevole l'inserimento in «Patrie» più grandi , in grado di risolvere problemi che, da soli, non volevamo o potevamo affrontare. Ancor oggi riesce difficile per molti in Italia comprendere che anche una costruzione politica flessibile come «l'Europa delle Patrie» proposta da De Gaulle trovi difficoltà a nascere a causa delle fortissime identità nazionali dei Paesi europei che contano. Addirittura impensabile è la «Patria Europa» che molti auspicano nel nostro Paese, ma nella quale pochi sembrano credere altrove. Ancor oggi si fatica da noi a comprendere come l'ideologia nazionale sia insostituibile e come alle allean ze politico-militari siano proprio i Paesi più coscienti della propria sovranità a conferire solidità e sostanza.

Dovunque, lo spirito nazionale è più vivo che mai, indispensabile legame fra la realtà della nazione e il più vasto contesto internazionale. Solo da noi c'è chi continua a sostenere un internazionalismo di maniera , che provoca inevitabilm ente confusione all'interno delle Forze Armate , ancora ispirate alla Triade clausewitziana: la forza degli eserciti , il ta lento dei capi, lo «spirito nazionale».

Senza un forte , motivato e riconoscibile spirito nazionale,

32

-si di ce, dunqu e, negli a mb ien t i delle n ostre Forze Armateil Paese diffi cilmente sarà in g rado di esprime re capi pol iti comilitari di pres tigio e le sue Forze Armate non potranno aspirare a diventare un a realtà ri conosciuta. La c redibi lità della forza militare dipende , infatti, oltre c he d a i m ezz i di cui essa dispone , rlagli uomini che la costitu iscono, d a ll a ch iarezza e fe rm ezza po lit ica di ch i la governa e dalla solidità del consens o del quale potere politico e Forze Armate possono godere all'interno d e l Paese.

Se la tecnologia può prescindere da un profondo consenso na z ional e , l'uo mo «mil i tare» no n può sop ravvivere in un vuoto ideologico e politico. Una sce lt a e t ico-polit ica c he lo leghi alla realtà del Pa ese gli è indi spe n sab il e. Nella società attuale , più sorda di quella passata alle tradizioni e alla storia , sembra più accettabile un rapporto di tipo n o rm at i vo con il Pa ese, c ioè una fedeltà legata a una concezio n e prescritti va degli obblighi indi vid uali nei con fronti della co ll ettività naz ional e. La fedeltà simbolica, di natura romantica e tradizi onale, cioè l' «amordi Patria», se mbra ormai pa trimonio di po c hi . Cercare di ripri stin a rla a liv e llo di ma ssa è tutt 'altro c he semplice, e forse n on sarebbe n e ppure indispensabil e. Sostituendo la parola «Patria» co n l'espressione «s e nso d e l dovere» n o n si s minui sce il s ignifi cato dell'impegno. Tutt'altro: negli Stati Uniti, un ' ind agi ne effettuata dopo il secondo conflitto mondi a le fra i ve te rani di guerra ha dim ostra t o c he chi si era battuto bene, lo a veva fatto principalme nte pe r se nso del dovere (46%). So lo il 5% h a fornito come motiva z ione il pat ri ottismo. E s i trattava di tre ntacinque anni fa, quando i valori nazionali di tipo simboli co e rano ovunque ancora vivi! È c hiaro, però, c he i l concetto di senso del dovere implica una fort e coesione fra la sfera politica, quell a militare e il resto del Pa ese. Le ist i tuzioni , cioè, devono essere qualcosa di cred ibil e e ri spe ttato. Da noi , con la crisi di cre dibilità di istituzioni a vo lte troppo c hi acchierate, è man cato anc he un qualsiasi tentativo politi co di stabilire un rapp orto so lido fra Paese e Forze Armate. Si è gua rd ato all e Forze Armate come a un corpo «estraneo» da co ndizionare, an z ich é come a uno strumento na z ion a le d e l quale

33

verificare l'efficienza; si è rinunciato ad accertarne la credibilità politico-strategica, per spostare l'attenzione su ll 'aspetto politico-sociologico del problema. Significati vo, al riguardo, è quanto avvenuto all'inizio degli anni Settanta, quando, scrive Il ari, si è vista« da un lato l'esplosione anche in forme inqui e tant i della crisi latente delle FF.AA. e dall'altro una comp leta revisione della strategia nei loro confronti tanto dei comunisti quanto dei gruppuscoli».' Le richieste di finanziamento per gli ammodernamenti del settore militare non vengono più contrastate da sinistra purché le ForLe Armate s ian o disposte a offri re modifiche sostanzia li nel campo disciplinare.

Sempre da sinistra si auspica che la politica militare sia «moderna ... e costantemente sottoposta al dibattito e al controllo delle assemblee elett i ve». 2 Sono richieste inoppug nabili, purché i dibattiti e il controllo riguardino anche temi di c redibilità operativa e di funzionalità strategica.

L'interesse critico verso le Forze Armate della si nistra ha avuto il merito di ris vegliare dal loro letargo i vertici militari e le fo rze di governo. Così, dopo il J 975, la c riti ca e il dissenso nei confronti d elle Forze Armate hanno perso rapidamente forza , grazie anche a l fatto c he le riforme predisposte in quell'epoca procedevano nel loro corso. Da allora, i probl emi delle Forze Armate sono stat i trattati e risolti nel più civi le contesto delle istitu zio ni politiche. Cionondimeno, provve dimenti tecnici in campo amministrativo, finanziario , e pe r il poten z iamento tecnologico sono ancora introdotti senza una chiara motivazione di fondo. Sembra quasi c he si voglia mant enere v i vo con le Forze Armate un rapporto di do ut des, dove al do politico, nel campo dei finanziamenti e degli approvvigionamenti, deve corrispondere un des militare nel settore della disciplina e della formazione del personale. All'immobilismo militare dei vecchi tempi si è sostituita una dinamica «politico-militare», scarsamente

• Virgilio Ilari, « Inquietudini per l'Esercito», in «L'Europa», n. 9, 1975. z Arrigo Boldrini e Aldo D'Alessio, Esercito e Pol111ca in Italia, Editori Riun iti . Roma 1974.

34

produtt iva per ridare efficacia alle Forle Armate. Il rapporto diretto stab ili tosi in alcuni casi fra la base e i partiti politici, in occasione di particolari istanze di ordine economico o di carriera, ha finito col configurarsi agli occhi di molti ufficiali come un rifiuto del rapporto tradizionale all'interno delle Forze Armate su cu i s i basa la disciplina militare.

Oggi, nonostante le riforme, si parla ancora spesso delle Forze Armate come di una eredità scomoda, antieconomica, inutile, patetica e così via. Non le si accusa più di essere antid emocrat iche o antisociali, ma per i nostri ufficiali si tratta di una consolazione assai magra. Il problema della difesa nazionale, dopo essere stato seriamente affrontato agli ini zi degli anni Cinquanta, è stato riafTrontato con una certa chiarezza dal ministro della Difesa agli inizi degli anni Ottanta, ma incontra ancora molte difficoltà ed è ben !ungi dall 'essere risolto. Caduta la vecchia pregiudiziale di una loro presunta pericolosità per la stabilità democratica del Paese, sembra che il problema maggiore sia ora di limitarsi a far sopravvivere le Forze Armate con il minor dispendio di ri sorse possibile. Anziché un modello di difesa adeguato alla funzion e geostrategica del Paese e proporzionato alle sue dim ensioni geopolitiche e socio-economiche, pare che si vogl ia proporre un modello «tuttofare» su l piano na zio nale e «a economia», destinato, cioè, a costar poco, a servire a no n precisate funzioni di sicurezza e a giustificare la propria esisten za attraverso l'ofTerta di prestazioni all'ambiente civ il e. In qu esto gioco che è certamente più politico che non strategico, l'att e nzion e si concentra soprattutto sull'Esercito che, guard a caso è tra le Forze Armate qu e lla mf\ggiormente legata all e son i della politica interna del Paese . Come per le loro consorelle francesi negli anni Sessanta, anche per le Forze Arm ate italiane pare si possa dire che «per quanto ridotte esse siano, sono pur se mpre troppe. Per ridurre la spesa si deve quindi finanziarle il me no possibile».

1 Il risultato è c he la scarsi tà deUe risorse disponibili ha in coraggiato i militari a

1 J . Plan cbais. op. cit. 35

trascurare gli aspetti politico-militari per concentrarsi su quelli tecnici.

La conseguente ossessione per gli aspetti puramente tecnici c per gli interessi strettamente corporativi che ancor oggi sembra ispirare il comportamento dei Quadri delle nostre Forze Armate c che impedisce loro di vedere con chiarezza gli aspetti politico-strategici del proprio compito, è- secondo gli ufficiali più giovani- una lacuna assai grave. Ha scritto Liddell Hart: «Quando i soldati si concentrano su scop i militari e non imparano a ragionare in termini di grande strategia, sono più inclini a dare ascolto ad argomenti politici che pur sembrando giusti dal punto di vista della strategia pura. impegnano la politica a superare il punto dove dovrebbe fermarsi». Quanto diceva Lidd ell Hart per il tempo di guerra si può estendere-aggiungono questi stessi ufficiali- a l tempo di pace: solo militari in grado di pensare in termini politici e strategici possono fare gli interessi delle Forze Armate e del loro Paese, contribuendo costantemente a rettificare tend enze politiche di dubbia validità. Ma - si fa notare- allora come oggi si insiste sugli aspetti tecnici, ossia su tutto ciò che sembra quantitativamente rappresentabile e dimostrabile.

Come se tutto ciò non bastasse, la reticenza del mondo politico nell'individuare chiaramente il potenziale aggressore, per ragioni interne di equilibrio c di pace sociale, soprattutto negli anni Sessanta e nella prima metà dei Settanta, avevano conferito a ogni discorso sulla minaccia al t erritorio nazionale un carattere vago e ripetitivo, e una ben scarsa capacità di convinzione, rendendo del tutto irriconoscibile la funzione «difensiva». Il «peso politico internaziona le» d e l pote re militare era allora ancora meno chia ro , dato che il no stro Paese persisteva, in termini di politica estera, nella ri cerca di un ruolo minore, che non comportasse rischi e iniziative. Così la crisi di identità delle nostre Forze Armate era diventata più forte che mai e il loro tessuto co nn ett ivo aveva incominciato a sgreto lars i. Diventata meno accetta e credibile la propria immagine strettamente «militare», quella tradizionale del «guerriero», le Forze Armate si erano

36

messe alla ricerca di una nuova immagine più gradita: di fronte all' imprepa raz ione del settore civi le in termini ma croorganizzativi e di pronto intervento, le Forze Armate si erano offerte non tanto di fornire unicamente il proprio concorso. quanto di sostituirsi completamente al serviz io civile stesso. Con l'eccellente proposito di assicurare quella continuità di rapp o rti con la popolazione c i vile che la professione mili tare non offre, si era passati a una attività in campo civi le a tutti i costi, anche quando non era necessaria o richiesta e comportava l'utilizza zio ne di materiali preziosi e di personale ad altissima qualificazione addestrati va per operazioni di scarsa rilevanza. Ma non basta. Posto in secondo piano , anche dai vertici militari , il compito più strettamente «militare» delle FF.AA. , l'addestra mento al combattimento e l'acquisi z ion e della capacità operativa, ne erano state esaltate, come primarie, altre funzioni: quella soc iale, educativa, moral e, culturale. In omaggio a una irreal is ti ca concezione «poli vale nte», militare e civile, delle Forze Armate, ci si è dim ent icati, cos ì, che, con un personale preminentemente di leva, è già un miracolo che si riesca a raggiungere un accettabil e livello di preparazione in campo ope rat i vo.

Non pochi tra i vertic i militari, consc i di esser più graditi nell a veste d i soccorritori, educatori, uomini di cultura ecc. ecc. che in quella di opera t ori militari hanno finito col dedicare la maggior parte dei lo ro sforzi a questi setto ri . Sui reparti si è perciò accum ulato un caotico ca le nd a rio di imp egni che oltre ad essere deviante ne ll e sue fin a lità, ha sottoposto quadri e truppe a un ca ri co di lavoro eccessivo. Tale disp onibi lità delle Forze Arm ate n ei co nfronti del settore «civile» è stata esasperata dall'ambiente civi le stesso che ha molti plicato le sue richi es te , in cambio di un po' di popolarità per i cap i militari che sperano di veder così migliorate le loro prospettive di carriera. In o ltre, il fatto stesso c he la «smilitarizzazione» di alcuni servizi abbia comportato un not evo le beneficio economico pe r gli ex militari c he vi erano impi egati, ha provocato, a ll'int erno delle FF.AA. , un certo sconcerto e forte risentimento. È ine vitabile- commentano molt i uffic ia li - che, in qu esto contesto, gli stessi militari non

37

si ricordino ch i ess i siano o che cosa debba esser loro richiesto. ridare vigore alle Forze Armate e restituire loro l'id entità- essi aggiungono- occorre conferire nuovo prestigio alle loro funzioni principali, la difesa del Paese e la tutela dei suoi interessi politici. Le a ltre funzioni, tanto reclamizzate finora, sono tutt'al più funzioni complementari, va lid e solo dopo ave r soddisfatto l'esigenza principale: la forma zione del combattente. Cosa..chicdere dunque alla nuova identità delle Forze Armate? Una sicura tutela della sovranità nazionale, sia nel contesto difensivo alleato, sia ne lle aree di responsabilità difensiva autonoma. Non basta, infatti , difendersi dalle minacce principali provenienti da est e contemplate dalla difesa atlantica se poi si lascia spaz io alle minacce minori nelle arce mediterranee dove la NATO non può intervenire come tale.

Uno strumento opera l ivo , in grado di soddisfa re ambedue le esigenze, rappresenterebbe un ecceziona le sostegno alle iniziative del nostro potere politico. Ancor oggi chi non ha una forza militare credibile trova difficile ottenere un riconoscimento politico adeguato. Scrive Panebianco che «uno Stato su cui connu is cano tutte le identificazioni nazionali, dotato di una casta burocratica e di Forze Armate efficienti e prestigiose, con un esecutivo forte e stabile, capace di sv iluppare con coerenza e continu ità i propri programmi, ha evidentemente molte più possibilità di muoversi con autorevolezza su lla scena internazionale di uno Stato carente sotto tutti questi aspetti».

1 È chiaro- dico no i nostri ufficiali -che non basta ridare v italit à alle Forze Armate se Governo e Paese rimangono traballanti e dissociati, così come anche se il Paese ritrovasse la sua coerenza e unitarietà politica rimarrebbe ugualmente un Paese incompleto se non disponesse di Forze Armate all'a ltezza del loro compito.

38
1 Angelo Pancbianco. «Una politica di basso profilo». in «Politica Internazionale». rebbrato 1982

L'uomo militare

Il rapporto fra uomo e tecnologia

Il massicc io impatto del mondo tecnologico, sia sul m o ndo civile, si a su qu e ll o militare, ha posto in ombra «l'uomo» che, da vero protagonista della storia, è stato rel egato nel ruolo di subordinato co mprimario d e lla realtà industriale. Le stesse strategie occidentali degli anni Cinquanta che assegnavano all'arma nucleare una fun z ione indiscutibilm e nte prim aria, lasciando alle forze convenLionali il ruolo di «filo d'in c iampo» , 1 senLa affidare loro una vera missione di ss uasiva/difensiva, se mbrava no co nfe rmare pe r sempre tale te nd e nza. Sempre più tecnologia, sempre m ezzi più sofisticati e pot enti, apparivano a ll o ra la migliore risposta a una realtà in costante evoluzione. Ma le macro-dimcnsioni della tec nol ogia c del progresso industriale hanno dimostrato rap idamente i loro s tessi limiti . La crisi e ne rge tica , la difficoltà dei rapporti Nord-Sud, la recessione in atto nel mondo occ identale , hanno fatto co mprend e re alle società più avanzate che il rapporto fra l'uomo e la macc hina , per quanto evo luta sia quest'ultima , d eve esse r ricondotto ai valori precedenti, restituendo all'uomo il ruolo di protagonista. Scrive ServanSchreiber2 che n elle soc ie tà industriali più evolute, si è avviato un energi co processo di rivalutazione del fattore

1 «Trip-wire Forces.»

2 J ea n-JacquesServan-Schreiber, Ladéfi mondial. Faya rd , Paris 1980(t rad. IL La sfida m ondiale, Mon d adori, Milan o 1980).

II
39

«uomo» attraverso un riesame delle condizioni più favorevoli per un suo impegno a favore della società. Anche nei rapporti internazionali e soprattutto nel difficile rapporto Nord-Sud, come conferma il Rapporto Brandt, solo l'uomo, sostenuto dal progresso tecnologico e industriale, sembra essere in grado di dare risposta ai quesiti finora irrisolti, nonostante l'impiego di risorse finanziarie, tecnologiche e industriali ragguardevoli. Nel mondo industriale e in quello del lavoro , la società incontra sempre maggiori difficoltà nel risolvere i suoi infiniti problemi nel contesto di una realtà socio-politica che spesso ha estraniato l' uomo dal progresso, relegandolo in una condizione passiva rispetto al suo stesso lavoro. Altrettanto è avvenuto nel mondo militare, dove le dimensioni dell'impegno tecnologico sono ancor più rilevanti che nel mondo civile.

Il «sistema d'arma» ha così ricevuto più attenzione del personale, anche perché la padronanza della macchina sembrava assai più semplice che non la padronanza dell'uomo. Agli inizi degli anni Sessanta, il trasferimento integrale delle norme di gestione dell'industria all'ambiente militare, ha contribuito a accelerare il processo di alienazione dell'uomosoldato e la ricerca di soluzioni tecnologiche per ogni problema è diventata un fatto costante. Ma come nell'industria, la tecnologia ha rivelato assai presto i propri limiti, mentre il militare «guerriero» sembrava sempre più a disagio in un ambiente che di lui si curava sempre meno. Scrive Hauser: «l responsabi li della politica di difesa decisero allora che l'incremento delle spese in conto capitale poteva non solo compensare la mancanza di personale, ma anche la sua insufficiente qualità». 1 A spingere in questa direzione contribuivano inoltre sia l'industria «militare», che vedeva un futuro più prospero in questa accentuazione della componente <<tecnologica», sia l'ambiente politico, cui non sfuggiva il suo significato in termini di occupazione e di ritorni economici. Tale politica si è dimostrata , però, ben presto velleitaria in tutti i

40
1 William Hauser. The Wtllt o FtJ?ht. citato in Sa m Sarkesian (a cura di). Combat t..1fectireness. Sage. Beverly Hills l 980.

sensi e soprattutto in quei confronti armati, dove lo strapotere tecnologi co è apparso del tutto inadeguato contro forze relativament e rustiche ma fortemente motivate ideologicamente. T o use a hammer t o smash a pea (usare un martello per schiacciare un pis e llo) è risultato non solo costoso, ma anche in efficace, prima in Vietnam e ora in Afghanistan. In ogni circostanza, solo l'uomo addestrato indi vi dualmente e collettivamente sembra in grado di offrire la risposta più adeguata. A contribuire alla riscoperta dell'uomo-guerriero ha concorso, inoltre, la perdita di credibilità della garanzia nucleare, della extended deterrence , totalmente inefficace là do ve gli interessi v itali delle superpotenze non sono in gioco. Bene lo hanno compreso gli Stati Uniti, varando la loro ambiziosa «Forza di Intervento Rapido», che non solo è dotata della tecnologia più aggiornata, ma si affida altresì a personal e di alta preparazione operativa. E m egl io ancora sembrano averlo com preso le m edie potenze come la Francia e la Gran Bretagna, che non hanno mai rinunciato a una capacità di intervento es terno , 1 attraverso le loro unità di élite. L'e s perie nza e la professionalità dei royal marines, dei paracaduti sti , d ella fant eria da sbarco, della Legione Straniera , si sono rivelate assai prez iose in più di un'occasio ne. In rea ltà, ogni conflitto e più ancora og ni operazione limitata n on potrebbe ro essere condotti efficacemen te attraverso il solo impi ego della pot e nza di fuoco , senza cioè una forza operativa che ne sappia far buon uso e nel quadro di una d irez ione politico-militare adeguata. Il.fìrepower è solo uno st ru mento e nep pure il so lo a disposizione del combattente. Nelle Falkland , a esempio, la tecnologia ha consentito all' Argentina di infliggere pesanti perdite al corpo di spedizione britannico , ma il successo non poteva non andare a chi ha saputo più accortamente le operazioni militari e, soprattutto, disponeva di uomini m eg lio preparati.

I Paesi minori stanno ancora cercando la via da seguire. Alcuni , come il nostro , da tempo abituato a risolvere i propri

41
1 Nel Libro Bianco. The Falklands Compaign, edito il 15 dicembre 1982, il Governo britannico annuncia il potenzia mento della propria Forza d'intervento.

problemi nell'ambito dell'Alleanza cui appartiene, continuano a insistere sulla via «tecnologica» per migliorare il proprio contributo operativo, ignorando. però. che l'Alleanza atlantica. pur valida nel contesto Est-Ovest, è diventata una coperta troppo corta in un mondo caratterizzato da un elevato li vello di conflittualità. Solo la disponibilità di proprie forze. costituite da uomini all'altezza del loro compito può. infatti, rappresentare una sicura garanzia per tutte le occasioni.

Nei Paesi emergenti, poi, ci si è spesso illusi di possedere delle forze militari efficienti quando invece si disponeva solo di un vasto e costoso arsenale di armi e di meai sofisticati, che si è rivelato del tutt o non appena si è giun ti a ll a prova dei fatti. La prevalenza dell'arma sull'uomo ha conferito inevitabilmente un carattere episodico ai combattenti, ogni arma ha cercato il suo be rsaglio che fosse però chiaro lo scopo del combattimento. L'intelligenza operativa è stata sostituita dalla pura e semplice distruzione. Trascurare l'u omo e privilegiare la tecnologia significa, perciò, rinunciare non solo al successo finale, ma anche al controllo politico-mi litare delle operazioni. Non è infatti possibile giungere a una soluzione razionale di una qualsiasi vertenza militare so lo forzando la mano all'avversario per mezzo di una somma di distruzioni prive di senso tattico o strategico.

f Una forza combattente impostata suJI'uomo è invece il so lo strumento che consenta la concentrazione ottima le degli sfol7i e l'economia delle forze. Le distruzioni. le perdite di vite umane sono decisamente inferiori quando è l'uomo ad asservire la tec nol ogia e non viceve rsa. Clau sewitz aveva bene individuato i tre punti fermi della forza militare di una nazione: «le forze morali. le forze vive, le forze materiali». Solo la forza morale può sostcncre.l'uomo e solo l'uomo può impiegare le forze materiali secondo la ra gion politica, la conoscenza profonda dell'avversario e quella dell'arte della guerra. L'uomo è quindi due volte protagonista della lotta armata. sia come estensione della forza politica e morale del Paese, sia come gestore razionale delle forze materiali. Solo l'uomo può far sì che <de forze materiali e morali si mesco-

42

lino in modo tale che nessun processo chimico possa disso lverne i legami».' Contra riam ente a quanto spesso si sostiene, il ruolo dell'uomo viene esaltato e non morti lì ca to dal rapport o politica-tecnologia. La maggiore complessità del compito richiede, infatti, ora più che mai che il personale delle Forze Armate sia moralmente, culturalmente e professionalmente all'altezza dci suo i compiti. Tanto più comp lessa, costosa c distruttiva è la tecno logia, tanto più indispensabile è che l'uomo sia in grado di controllarla in relazione al fin e politi co e militare che egli si propone di raggiungere. Qua si ovunque , l'importanza dell'uomo militare è dunque ora ri conosciuta come prioritaria. Non altrettanto si può dire da noi dov e lo strumen to militare è ancora oggetto di polemica po litica c la sua efficienza passa spesso del tutto in seco ndo piano . Il processo chimico, auspicato da Ra ymond Aro n, fra forze morali e materiali non ha alcun modo di verifica rsi. Scrive Planchais che «le Fort:e Armate, cos tant emente aggredit e dal progresso tecnologico, no n deb bono trasc urare il valore umano e personale degli uomini che ne fan parte». 2 Un analista americano scriveva , alcuni anni fa, che «una maggiore prontezza ope ra ti va potrebbe essere ottenuta aumentand o le ri sorse necessarie per attrarre, motivare e trattenere la ge nt e... piuttosto c he destinare fondi per l' acquisto di mat erial i sempre più complessi». Attrarre, moti va re e tratte nere so no indubbiamente i t re momen ti principa li di un a efficace politica del personale. È infatti ev id ent e che non basta attrar re persona le di liv ello elevato, ma occorre anch e ev itare che tal e sforzo sia va nilìcato poi dal parallelo esodo d egli eleme nti più capaci e motivati. Un'indagine sui moti vi d i prematuro congedamento dei Quadri delle nostre Forze Arm ate dimostre rebbe che, nella ma ggior parte dei casi, è «l ' insoddi sfazione professionale» e non la ricerca di maggiori compe nsi a moti varne la defezione. In som ma: mo lta gente la scia la carriera militare, che pur aveva aiTrontato co n entu-

1 Ra ymond Aron. Penser la C'lausc>u·it:. vol. l. La morale et la phisique; vol. I l. L 'a,f(e p/anetaire. Gallimard. Paris 1976.
43
2 J. Planchais. op. cit.

siasmo, perché demotivata. Per le Fo rze Arm ate i danni sono e le vati . Un persona le be ne addestra to costa, infatti , sforzi, denar o e tempi addestrativi co nsiderevoli. Quand o a abbandonare la car r ie ra è personale a ltamente motivato, a esse rn e inta cca to è anche il patrimonio moral e dell e Forze Armate. Secondo Down ey, «la complessità della difesa mod erna e le co nosce nze che essa ri chi ede, implica no che le Forze Armate non posso no esse re più dirette da personale mal pagato ed est raniato dalla società». 1

AITrontare co n s uffi cie nte e las t icità pol it ico -culturale il probl e ma de lla rivalutazione del ruolo de i milit a ri , signifi ca, però, dicono mo lti uffici a li delle nostre Forze Armate, operare una ri gida selez ione merito cra tica. L'albero mili tare per mant enersi vivo e vital e deve esse re costan teme nte potato senza troppe titub anze, dei ram i secchi o mal ati.

Molti Paesi occidental i dispongono a ll ' inte rno delle loro Forze Armat e di meccan is mi per il rinno va me nto costan te de l perso nal e. Che lo si c hiami , co me in Gran Bretagna , redundancy (esubera nza) o up or out (su o fu o ri) , come negli Sta t i Un iti , il se nso è lo stesso: l'orga ni zzaz ione per la propria sopravvivenza deve mante ners i gio va ne ed e ffi ciente. Si tratta d i mecca nismi non sempre perfe tti , la cu i a ppli caz ione, proprio perché la sci ata all'uomo, s uscita, a vo lt e, qualche perpl ess ità , ma che cionondime no co ns ent o no all ' albero militare di mantene rsi giova ne e v ital e . Da noi , in vece, si lamentano i nostri uffi cia li più se nsibili al problema, no n so lo no n c'è selez io ne, ma si sopportano in ade mpi enze, si tra tt engo no arbitrariamen te in se r vizio perso ne oltre i limiti d'età, ecce tera , ecce te ra.

Agg iungono g li stess i uffi cia li : quando le ri so rse sono limitate , di s tribuirle fra tutti , fr a chi merita e chi d eme rita , è un pess imo impi ego non so lo de l pubbli co denaro, ma anche del potent.ia le umano de ll 'o rga nizza zio ne . Ma , in realtà , lo spregiudicato ri corso a sis te mi clien te li stic i e assi s tenziali proprio de lla nostra pubbli ca ammin istraz ion e ha finit o col co nta gia re anche l'ambi ente militare.

1 J. Downey. op. eu. 44

Forze di leva o personale volontario?

Di tanto in tanto, si prospetta nel nostro Paese l'ipotesi dell'adozion e di un reclutam e nto su base volontaria in sostituzion e dell'attuale sistema di leva. In altri Paesi , come in Gran Bre tagna , Stati Uniti, Canada e Lussemburgo, tale soluzione è stata già da tempo attuata. l motivi d e lla sce lta sono stati principalmente tre: di ordine sociale, funzionale e politico-militare. Socialmente, sembra ormai impossibile ne i Paesi democratici a alto tasso di sviluppo imporre al c ittadino l'obbligo di un servizio ininterrotto per alcuni mesi o anni in favore dello Stato. Ovunque, il rapporto diritti l doveri , è entrato in crisi. Il servizio militare, in particolare, ri sente sia de ll a attenuazione dei valori nazionali , sia della relativa evanescenza della funzione d e lle Forze Armate. La tesi che uno strumento militare d ebba accrescere costantem ente la propria forza pur nella eventualità di non doverla mai impi egare è compresa e digerita da pochi a l di fuori del mond o degli addett i ai lavori.

È in evitabile, perciò, che i l cittadino non ravvisi alcuna compatibil ità fra i propri interessi personali, la sua fam iglia, il suo lavoro, i suoi impegni soc iali e le prestazioni che gli vengono ri c hieste. A co nfondere ulter iormente le acque intervie ne poi la cultura a nti-mili tarista in forte espans ion e c he n o n trova un'adeguata controparte in chi si occupa di problemi militari. È, quindi , in evitabile che si prema da m olte parti per l'esonero dall'obbligo del servizio, o per ridurlo o rende rl o meno impegnativo.

Sotto l'aspetto funzionale, in vece, d e pone a sfavore d e l sistema di leva la convinzione c he sia poco proficuo impiegare strument i operativi sempre più complessi e materiali costosi e di alto contenuto tecnologi co affidandoli a ll e mani in es perte d i un personale in cont in uo e frequente avvice ndamento. Infatti, secondo gli esperti, l' impiego di materiali, sfruttati ai limiti bassi delle loro capacità potenziali, ha anche un effetto nocivo sulla preparazione dei Quadri, che, coinvolti ne l far superare le elementari e le medie tecnologico-tattiche a success i v i scaglioni di reclute, sono costretti essi

45

stessi a rinunciare all'università d e l combattimentò. Quale industria accetterebbe di rinnovare annualmente il proprio personale, utili zzando la sua permanen za per compiti addestrativi anziché produttivi? Forze volontarie, inv ece, dovrebbero consentire una più equilibrata ripartizion e fra carico addestrativo e vantaggio operativo, una migliore qualificazione dei Quadri , oltre c he un efficiente mantenim e nto e un impiego più razional e dei mat eria li più costosi e più complessi. Bastere bbe pe nsare al «tormento» subito da un carro armato , del va lore largament e s up e riore al miliardo , costretto non solo a fr equ e nti cambi di mano , ma anch e a essere impi ega to pe r l'adde s tram e nt o alla guida oltre che per ragioni opera tive . 1 Chi in Italia pe n se re bbe di affidare una Ferrari , acquistata con i ri sparmi di tutti , a chi deve far sc uola g uid a per ottenere la patente? Eppure, n e lle Forze Armate , si è cos tre tti a volte a fare di peggio. Pe r quanto riguarda , poi , il li ve llo di pre paraz ion e delle Forze Armate costituite da p e rsonale di lev a rispetto a qu e lle su bas e volontaria , il rapporto è più o m e no lo stesso che intercorrerebbe fra una squadra di dil e ttanti e la Na z ionale che ha vinto i recenti campionati d e l mondo. Pallon e, maglie , scarpe, campo di gioco sarebbero gli s tes si, ma il ri s ultato sarebbe dettato dal diverso livello di professi onalità d e lle due formazioni. Sotto l'aspetto del costo- e fficacia non vi è dunque alcun dubbio che Forze Armat e, su base co mpletamente volontaria , sarebbero più valid e c he non le forze di leva. Pe rciò, se si superassero i timori di un a parte (sempre più esigua) del nostro mondo politico, che un corpo di «pretoriani» potrebbe minacciare lo Stato democratico , la soluzione dovrebbe essere scontata .

2 Del resto , l'accusa di «pretorianismo» rivolta ai militari di professio ne non è seriamente sostenibile, almeno per quanto ri g uarda il mondo o cc identale. Chi ha studiato il problema ha co ncluso che tale scelta è d e l tutto compatibi le con i sistemi democratici: «professionismo e

1 In Israe le. dove il servizio di leva dura tre anni. il capocarro sarà un «ufficiale» pe r m assimizzare l'efficacia di impi ego d el carro.

2 Vedi, per esempi o. Giangiulio Ambrosini, «< corpi separati», in AA.VV., Italia contemporanc>a, Einaudi , T orino 1976.

46

pretorianesimo non sono sinonimi. Un vero professionista rappresenta di rado una minaccia per la società civile».'

D'altra parte, nessuno, anche da noi, sembra credere che gli oltre 230.000 professionisti nei carabinieri, nella polizia, n e ll a finanza, rappresentino una minaccia per lo Stato democratico. Se mai, può valere chiedersi che cosa, invece, accadrebbe se questi corpi fossero costituiti da forze prevalentemente di leva! Quindi perché mai 200.000 militari professionisti dovrebbero , invece, costituire un dramma per la n ostra democrazia? Se si guarda poi all'esperienza di altri P aesi è possibile constatare che le Forze Armate occidentali su base volontaria non hanno mai minacciato l'integrità dello Stato. Un rischio vi potrebbe essere solo se venisse favorita la «sindacalizzazione» delle Forze Armate , cui si accompagnasse lo sgretolamento della coesione, della discip lina, dello spirito di corpo, dell ' unitarietà de l tessuto militare. Sostiene Car lo J ean che «i l pericolo che comporta un sindacato dei militari per la società civile è molto maggiore delle sue imRii cazioni negative sull'efficienza dell'apparato militare».2 È ch iaro, infatti , che militari «volontari», professionalm ente e moralmente demotivati , oltre che fortemente sindacalizzati, sarebbero più facilmente strumentalizzabil i da q uesta o quella parte politica. Quale garanzia offrirebbe un apparato militare che dovesse accogliere sulla linea si ndacale istan ze a ntit e ti c he alle dr:cisioni ass unte sull a linea di comando? In questo caso sì che si potrebbe pa rlare di «pretorianesimo»! Co n la Legge dei Prin cipi, del 1978, si è affrontato bene il prob lema della rappresentanza militare, attraverso la c reazione d i Consigli ai vari l ivelli, indipendenti d a ll a lin ea di comando , ma in costante contatto con essa. La legge ha il merito di liberare i comandanti dalle istanze di carattere socio-economico più pressanti, co nsen te nd o loro , so lo c he lo vog lian o, di dedicare più tempo agli aspetti più stre ttam e nte professionali della loro funzione. l ri schi non

1 Ala n Ned Sabrosky, Cho1ces m Defence Manp ower Pollcy A Cril/cal sa/, Philadelphia Foreign Policy Research lnstllute 1978.

1 Carlo Jean. Tenta=IOni restauratrici e tema:!l ont sindacali nella professione mlluare, Il Mulino, Bologna 1981.

47

mancano. Quello più grave potrebbe essere rappresentato da un'eventuale ingerenza delle rappresentanze in settori squisitamente militari , o da un loro tentativo di «partiticizzare» le proprie funzioni. La tentazione può esse rci, ma sarebbe disastrosa.

La scelta «volontaria» presenta , però, un altro rischio grave , per la credibilità operativa delle FF.AA. Se si passasse infatti al servizio «volontario» senza provvedere in tempo a creare un sistema efficace e indolore di ricambio degli effettivi ci si ritroverebbe, dopo un certo tempo, ad avere dei soldati troppo vecchi per fare i soldati, tutti desiderosi di far carriera, di un lavoro tranquillo e in grado di bloccare con la loro presenza le nuove, indispensabili immissioni. Anziché avere una «gerontocrazia» militare, il Paese si troverebbe ad avere una «gerontocategoria», destinata a invecchiare ulteriormente co n il tempo.

Sotto il profilo politico-militare, è facile rilevare che delle Forze Armate formate da «volontari» potrebbero liberare i Governi dalle ambasce che procurano loro le reazioni dell'ambiente politico e sociale a ogn i impiego fuori dei confini nazionali del personale di leva. In sostanza, le forze di leva, nei Pa esi occidentali, sembrano utilizzabili solo per impieghi st rettamrnte collegati alla difesa del Paese. Per tutto il resto, occorrerebbero forze vo lontarie. Es se, non ponendo vincoli alla propria utilizzazione, accrescerebbero obietti vame nt e l'autonomia decisionale del Governo per quanto riguarda gli impe gni da assumere nel quadro della politica interna z ionale del Paese. Del resto diventa sempre più difficile se non addirittura sconsigliabi le, per un Paese come il no stro sottrarsi a tali impegni, come dimostra la partecipazione a operazioni di pace come l'impi ego di un nostro reparto elicotteri nell'Uni fil in Libano, l'impegno nel Sinai, e qu ello più recente ancora nel Libano. In tutti e tre i cas i si sono dovuti utilizzare reparti composti di soli professionisti o prevalentemente di professionisti. Il personale di leva era rappresentato da militari che si erano offerti volontariamente, con la sola eccezione degli effett ivi di leva appartenenti alle unità special i. Nei casi, in vece, in cui fosse necessa rio

48

l'impi ego di reparti per operazioni militari co me, ad esempio, quello a garanz ia della neutralità di Malta, la forza di intervento dovrebbe essere possibilmente tutta costituita da professionisti. Di tali forze ne abbiamo già, ed eccellenti, ma non sufficienti per far fronte a tutti i casi di possibile impegno. In conclusione, nessun reparto costit uito da soldati di leva potrebbe avere la stessa prontezza ed efficac ia dimostrata dai «professionisti» di pronto intervento francesi e inglesi in var ie occasioni. Nella guerra delle Falkland, solo forze «volontarie» avrebbero potuto agire co n tanta effic ienza, prontezza operativa e consenso politico, in condizio ni operative e ambientali difficilissim e.

Se si volesse dunque propendere per una maggiore utilizzazione di forze professionistiche, occorrerebbe prima valutarn e le controindicazioni e le difficoltà di realizzazione. Si tratte rebbe, infatti, di stabi lire oltre ogni ragion evole dubbio se le Forze Armate riu sc irebbero a reclutare personale adeguato per qualità e quantità alle proprie esigenze. La competi z ione con gli altri Corpi che già rec lut ano personale di carriera sarebbe assai severa, in quanto questi ultimi sono già in grado di o ITri re più incentivi morali, finanziari e socia li. Le Forze Armate finir ebbe ro con attrarre meno giovani dei Corpi di Poli z ia che, oltre che godere di un miglior trattamento eco nomi co, operano quotidi aname nte all 'interno della società e per la soc ietà, riscuotendone l' immediato e continuo apprezzamento. Il loro isolam ento , già insito nel tipo di attività che svolgono, potrebbe aumentare, in quanto esse non usufruirebbero del positivo ricambio che la continua immissione dei giovani di cultura, provenienza e estrazione sociale diversa, indubbiamente provoca. Si potrebbe forse giungere a un a rischiosa «ghettizzazione» delle Forze Armate.

Meno valide sembrano, in vece, le obiezioni di carattere operativo di ch i sostiene come la leva sia indispe nsabile per disporre di un serbatoio di «riservisti» più ampio possibi le. Una tale riserva , tan to ampia quanto poco addestrata, sarebbe difficilmente equipaggiabi le con mat eria le decente. Se si pensa, inoltre, che non meno di dieci settimane sarebbero nec essarie per ridare ai riservisti meno anziani un minimo di

49

capac ità operativa, si può comprendere quanto essi servirebbero a ben poco in un'epoca in cui i conflitt i generali o limitati vanno affrontati con le forze di cui già si dispone o che sono rapidamente impiegabili. Non basta lasciare i riservisti a casa a invecchiare. Occorre aggiorna re l'addestramento per continuità, come fanno gli altri Paesi. Gli israeliani, pur contando su personale di riserva che ha la sc iat o il servi7iO dopo tre anni di forte addestramento, ri chi amano ogn i anno i propri riservisti per un periodo di addestramento di trenta giorni. Assai più validi, invece, sarebbe ro i riservisti che hanno lasciato il servizio dopo almeno tre anni di addestramento come professionisti. Pochi, ma buoni.

Una soluzione di compromesso

Come sempre succede quando due soluzioni hanno un pari numero di preg i e di difetti, la soluzione migliore sta, forse, nel mezzo. Tale terza soluzione, che è poi que ll a adottata da Paesi come Francia, Germania. Belgio, Danimarca, O landa, prevede una forma mista di reclutamento: il «volontariato» per i Quadri c gli incarichi di maggiore comp lessità, le «forze di leva» negli altri casi. Una sce lta più economica è quella adottata dal Patto di Varsavia, all'interno de l qua le i singol i Paesi membri prevedono un serv izio di leva di grande impegno e della durata media di oltre du e anni. Ma è dubbio che questa so lu7ione sarebbe molto popolare ed applicabile presso di noi.

Come soluzione di compromesso, il 50% di professionist i e il 50% di leva dovrebbe andar più che bene. Si potrebbero, così, cost itui re alcune unità specia li. formate da so li professionisti, aumentando. contemporaneame nte, il num ero di professionisti nelle altre unità. Alle prime oltre che ai normali compiti di difesa del territorio nazionale, propri delle «unità miste», potrebbero esse re assegnate le operazioni oltre i confini. L'integrazione fra forze di leva e volontari all'interno delle unità miste dovrebbe essere più st retta possibile in modo da evitare paratie stagne fra le due ca tegorie.

50

Da scartare del tutto sembra la soluzione proposta da alcuni di concentrare i «professionisti» nella componente operativa, lasciando al personale di leva i compiti di sostegno e i servizi, in quanto disastrosa disciplinarmente, m oralmente, socialmente e professionalmente. Inv ece, come già avviene a bordo delle nostre navi, dove personale di leva opera a fianco di quello «volontario» , così anche nei teams dell'Esercito entrambe le categorie dovrebbero essere parte della fona combattente. A esempio . dei quattro componenti dell'equipaggio del carro, solo tre, il capocarro, il pilota e il cannoniere dovrebbero essere «volontari», mentre il radiofoni sta potrebbe essere di leva. La presenza di tre professioni sti assicurerebbe un impiego e manutenzione efficaci di un m ezzo costoso e complesso.

Naturalmente ciò ridurrebbe il personale da reclutare annualmente. con i l rischio di creare nella società una più profonda frattura fra i «presce lt i» e gli «esentati». Il problema potrebbe essere risolto con un servizio nazionale c he i mp egni anche quelli non c hiam ati a prestare servizio militare, tranne beninteso le eccez ioni previste per legge, a favore della collettività.

S ervizio nazionale e servizio selettivo

Il serv iz io n azionale dovrebbe prevedere, a l suo interno, un «servizio se lettivo». vo lto a sodd isfare solo le esige nze di reclutamento delle Fone Armate. Il servizio militare rappresenterebbe perciò solo la principale fra le varie possibilità di impi ego dei contingenti annu i. Quelli non prescelti per il servizio militare verrebbero destinati a servizi di pubbli ca utilità che spesso lamentano l'indisponibilità di mano d'opera soprattutto in casi di emergenza, come quello d e lla protezione civile. Perché questo s istema funzioni occorrerebbe però che alle Fof7e Armate fosse riconosciuto un diritto pri oritario di se lezione per la maggiore ril eva nza del loro compito. Sarebbe ri schioso. infatti , impegnare le Forze Armat e in una competizione con le altre amministrazioni d e llo

51

Stato nella sce lta de l personale; a esserne penalizzato sarebbe sop rattutto l'Esercito, già ora fanalino di coda fra tutti i corpi armati dello Stato nel reclutamento de l personale di leva.

Infatti, già ora carabinieri, polizia, guardia di finanza, agenti di custodia e vigili del fuoco hanno la precedenza sull'Esercito ne ll 'assegnazione del personale di leva per le proprie forze ausiliarie.

La Marina, che ha una leva di mare indipendente, recluta i l proprio persona le con precedenza rispetto alle altre forze nelle località marine. Quanto rimane è per l'Esercito cui attinge l'Aeronautica «a scelta o a domanda». In conclusione, se ai coscritti destinati prioritariamente agli altri corpi armati si sommano gli obiettori di coscienza e i terremotati, già ora prima che l'Esercito prelevi il suo contingente, oltre l 00.000 giovani sono dispersi per altri lidi. Se poi si tiene conto di altre selezioni nell'ambito dell'Esercito stesso, come quella della leva di montagna per le truppe alpine, quella dei paracadutisti, ecc. ecc., risulta che alle truppe di pianura, meccanizzate e corazzate, che dovrebbero più delle altre sostenere il peso di una lotta a difesa dei nostri confini, non arriva certo il meglio.

È ovvio, ino ltre, che non dovrebbe essere concesso ai giovani di optare per il servizio civile anziché per quello militare, a l di fuori dei casi di inoppugnabi le va l idità dell'obiezione di coscienza. In ta l caso, infatti, a causa dello scarso e nt usiasmo dei giovani per il servizio militare e de l fatto c h e esso è obiett i vamente più impegnativo, scomodo e vinco lante, la so l uzione «civile» sarebbe, per la massa, quella favorita. Pe r rendersene conto è sufficiente osservare le difficoltà nel reclutamento degli ufficiali d i carriera pe r l'Eserc i to. Se non si riconoscesse loro un diritto di priorità nella selezione del personale di leva, te Forze Armate e l'Ese rcito, in partico lare, sarebbero costretti ad assorbire parte del personale in eccesso dalla massa di quelli che hanno optato per il se r v izio civi le. È facile immaginare quali pressioni ve rrebbero esercitate per esentare i soliti raccomandat i di ferro dall'obbligo mi l ita re. H a scritto Charles Moskos, a proposito del reclutamento statunitense: «che tipo di società è questa che con-

52

sente a m e mbri pri v il egiati di sottrarsi all'obbligo della sua difesa?». La nostra società tollera l'esistenza di un largo st rato di imb oscat i, che o riescono a sottra rsi all'obbligo del servizio militare, o a viverlo nel modo meno imp egnativo. In te mp o di pace, ciò compo rta solo minore disagio e magg iori pri vilegi ma , in caso di ope razioni di combattime nt o, la differenza sarebbe assa i maggiore , in quanto si tratterebbe di ri schiare la vita, ovvero di riman ere nelle retrovie, se non addirittura a casa. Occorrerebbe, perciò, che lo Stato rius c isse a far sì che a prestare se rvizio nelle Forze Armate , fossero tutt i i giovani ritenuti idon e i, se nza distinzion i di classe e a prescindere dalla loro condiz ione sociale o sostegno politico.

Ciò n o n solo concorr e rebbe alla efficienza delle Forze Armate, ma sarebbe anche e soprattutto un a tto di giustizia e una dim ost razione di maturità civile. Ma , se si vuole che apres tare il se rv iz io militare sia no i giovani migliori , occorre che s ia loro ofTerto qualcosa in cambio. Non c'è dubbio , infatti , c he gente in grado di o ITri re un alto re ndimento in co ndizi o ni di disagio ed anche di ri schio durante la vita militare, ha certamente qualcosa in più d a o!Trire alla società di ch i in vece s i è rifi u ta to di impegnarsi. Se la partecipazion e a ll 'obb ligo cos titu ziona le in m odo i mpegnato e responsab il e è dimostrazione di coscienza d e mocratica, uno Sta to d emoc ratico dovrebbe premiare chi tal e obbl igo sod di s fa rispe tto a c hi se ne sott rae. Ai giovani c he se rvono con impegno ne ll e Forze Arm ate si potrebbe, a esempio, riconoscere un trattamento pri v il egiato per l'a mmissione in carriera nelle amministraz ioni dello Sta to, a comincia re da quella d e lla difesa. C h e q ues ta sia la strada da seguire è dim ostra to dalla ferma «speciale» d e i ferrovieri per l'Esercito: ogn i anno, le domande superano di ci nqu e volte i posti, m a i militari sa nno c he dopo i l servizio di leva, se lo vorra nno , p ot ra nno esse re a mme ss i ne lle Fe rrovie d e ll o Stato. Le Forze Armate si sta nn o adope rando per far ricon oscere in ambito c i v ile le specia lizzazion i conseguite durant e la vi ta militare. Il probl ema non è sempre di facile so luzion e perché alcune spec iali zzazio ni non sono «spendibili» ne ll a v ita civi le: l'assal tatore, il ca nnoniere, eccetera , eccetera.

53

Un semp re migliore rapporto fra Forze Armate e mondo del lavoro consentirebbe a molti giovani dì vedere nel serv izio di leva un 'esperiem:a diversa. ma ugualmente valida e com unque non un'interruzione traumatica del loro iter professionale. Servizio nazionale e servizio civile

Il serv izio nazionale dovrebbe prevedere l'assegnazione del surplus di giovani non impegnati nelle Forze Armate a organizzazioni c i vili gestite e organizzate su linee ben ch ia re e funzionali. Una tale massa d i giovani non potrebbe realistica m en te esse re abbandonata a se stessa o inquadrata in un orga ni smo privo di un'intelaiatura organizzativa e di impiego adeguata. Sarebbe. a esemp io, abbastanza singolare che i «militari» fossero sottoposti alla disc i plina militare mentre i «civili» fossero inquadrati in organismi assim il ab ili a «comuni» gestite co n criteri spontaneist ici. Ancor meno plausibile sarebbe l'invio dei giovani del servizio civile in Paesi in via di svi lupp o, dove la mano d'opera certo non scarseggia e ai quali non serve affatto l'aiuto fornito da giova ni in espert i . Per sopperire alle carenze o rganizzati ve del nuo vo serv izio civile, si potrebbe attingere almeno in un primo tempo ai Quadri delle Forze Armate c he non v i trovano più soddisfacente impiego pur avendo una qu alificazio ne professionale di tutto rispetto. Questo sistema ha dato ottimi ri s ultati nei casi di richiamo in servizio di personale militare già i n pens ione in occasione de i terremoti. Si tratte rebbe so lo di istituzionalizzarlo. Tali o rganism i di «servizio c ivil e» dovrebbero esse re s tretta m e nte collegat i alle a mmir,istraz ioni locali , anche allo sco po d i ev ita re la nascita di bara cco ni verticis tici , destinati a produrre problem i di carriera, di gradi, ecce te ra , eccete ra.

Inquadra ti in organismi comp leta m e nte civi l i, qu est i Quadri sarebbero, inoltre, i cana li idea li per facilitare la coo perazione, in occasione delle cala mità nat urali , co n i reparti militari di cu i co noscono bene le procedure e i moduli orga-

54

ni zzativi. Sarebbe, questo, un passo importante per risolvere i problemi della difesa civile, affiitta più da una carenza di Quadri qualificati che da una inadeguatezza di finanziamenti e di infrastrutture. In altri Paesi, personale militare in congedo è già impegnato con frequenza e proficuamente dalle amministrazioni locali per scopi di protezione civile. Per la difesa «regionale» del territorio, vi sarebbe poi un altro vantaggio. Ai giovani in servizio civile potrebbe esser impartita una elementare istruzione militare. Una massa di personale con un addestramento solo di base non consentirebbe certamente di assimilare la nostra Difesa a quella «totale» di tipo jugoslavo, ma assicurerebbe quanto meno un minimo di capacità di difesa dei punti sensibili, quali installazioni, strutture, eccetera, eccetera.

Ciò esonererebbe l'Esercito da questi compiti per i quali, del resto, del personale più addestrato sarebbe sottoimpiegato. Un minimo di addestramento, l'inquadramento da part e di personale già appartenente alle Forze Armate, l'assimilazione di procedure e moduli organizzativi tipici del mond o militare, renderebbero queste unità estremamente utili in qualsiasi eme rgenza. Un «servizio civi le» impegnato non dovrebbe poi durare più di quello militare, purché un imp egno reale sia garantito.

Ra zionalizzazione delle strutture per un migliore impiego del personale

L'ammin istrazione militare, ne lla sua progressiva burocrati zzazione. ha ubbidito fedelmente alla legge di Parkinson, creando più posti direttivi e quindi più posti esecu ti vi: se ogni dirigente deve averne altri due alle sue dipendenze, il num ero degli esecutivi che li devono servire cresce rapidamente. Autisti, dattilografi, piantoni, archivisti, eccete ra , eccetera, proliferano felicemente.

La testa cresce. Quanto è più grossa la testa, si pensa, tanto più importante è l'organizzazione. Ma. a questo punto, Parkinson non sa rebbe più d'accordo: la formula va a ppli cata

55

«alla ro vesc ia». Quanto è maggiore «il num e ro dell e port e da passa re. il num e ro delle centraliniste, il numero de ll e segretari e e lo spessore, in centimetri, dei tappeti» 1 tanto minore è l' importan za dell e istituzioni. Ne ll a ristruttura zion e delle FF.AA. , che è cominciata nell 975 e è ancora in co rso, que sto è il se ttore do ve so no stati apportati i tagli minori.

Gli organi buro crati ci de lle Forze Armate che, per viv ere e pros perare, producono un 'i nfinità di no rm e, presc ri zio ni , tutt e priorita ri e, tutt e vin co lati ve e spesso fra loro in contraddizione , possono ampliarsi pro prio grazie alla di s ponibilità di personal e di lev a. Esso co nse nt e all 'o rgani zzazio ne di ope rare «in eco nomia», senza cos ti apparenti , offrendo infinite occasioni di imboscam ent o ai giovani coscritti. Se l'orga nizzazio ne dovesse contare s u personal e milita re o civ il e di carri era, i tentati vi di dilatarla burocraticamente sa rebbe ro van ifì ca ti su l na scere, co n gra nde so ddi sfazio ne dei reparti operativi che div e nte reb bero anch'essi più s nelli. Infatti, anche nella forma z ion e de i re parti ope rat ivi, la di s ponibilità di personale di leva ha favorito la nascita di organism i e le fantia ci. Due sarebbero i vantaggi: un miglior impi ego del perso nal e e una ridu zio ne del peri colo che <<g li e ffetti perniciosi di qu este creature buro crat iche si ripe rc uotano s ui Corp i». 2 Occorrerebbe però neutralizza re ugualmen te le vecc hi e inc rostaz ioni bur oc ratiche ed ev itare che se ne formino di nuov e. Il fenom eno è peraltro uni ve rsa le. Moskos, lam enta , a proposito d eg li Stati Uniti , «la t end enza a trattene re ogni uomo , ogn i arma, se nza realm ente c hi edersi se i num e ri co rr ispondono alle esigenze». La lotta sì svo lge fr a le Forze Armat e, all'i nt ern o de ll e Forze Armate, a ll ' interno di ogni organo buro cra ti co -amminis trati vo, per quanto piccolo e irril eva nt e. Gli effetti de l fenome no s ul pe rsonale di leva sono evide nti : basterebb e co nt are i giovani so ld ati ch e vagano senza meta per le città, sprofondando in un a noia se m pre più a li enante, per re nd ers ene con t o. Si è già detto che

1 Nonhcote Parkinson. Parkinson s UJ\1' or the Pursuit of Progress (trad. it. LA legge d1 Parkinson, 13om piani. Milano 1966).

1 Pau! Dal ou. «La crise de croissance de l'armée», in «Le Monde». febbra io 1982.

56

la deburocratizzazione avrebb e un efTetto positivo anche sul personale di carriera che trov ere bb e anch'esso diffi co ltà a imb oscarsi. Ma an che nell 'a mbito civile dell e FF.AA., la dife sa a oltranza del posto ha bloccato e insabbiato riform e indi spensabi li per la loro razionalizza z io ne.

A complicare ulte ri o rmente le cose e a op porsi a qualsiasi tentati vo di ra zio nali zzaz ione suben tra no, poi , gli int eressi lo ca li . A giudicare da alcune polemi che parlam en tari e di stampa, si direb be, a ese mpio , c he le ammini st ra zio ni loca li si vogliano liberare de ll a prese n7a di enti e di reparti militari . Ma ciò è vero solo in parte. In realtà , ment re, da un lato, le amministrazioni locali vorrebbero ri sparmiarsi i disagi provo ca ti dall e eserc itaz io ni e recuperare le aree demaniali in uso militare, dall'altro, no n sarebbe ro neppure favorevoli a la sciar partire enti e reparti , sia per moti vi di prestigio , sia per i vantaggi eco no mi ci che la loro prese nza assic ura. Il risult a to è c he ogn i vo lta che se ne ventila lo sciog limento o il tra sferi mento , le proteste po litiche non mancano e spesso il pro vvedimento viene bloccato.

Proporzione fra persona le di carriera o volontario e personale di leva

Si è già accennato alla necessità che il perso nal e «vo lontario» sia più num eroso che non ora. Per stabili re quale dovrebbe essere la prop o rzione corre tta pu ò esse re utile guardare quello che hanno fatto gl i altr i Paesi della NAT0. 1 A d ifTerenza di Gran Bretagna, Canada , Lussemburgo e Stati Uniti , che hanno optato per un servizio tutto «volont a rio» , gli altri Pa es i hann o conservato il servizio di lev a.

In teressanti sono i casi della Francia e della G ermania. Pe r qu anto rigu arda l'A eronautica fran cese e tedesca, le cui dim ens ioni operative so no più prossime al caso itali a no , disp ongono ri s pettivamente de l 65% e del 57% di profess io-

1 l dati «stranieri» sono desunti dal «Military Balan ce 1981-1982», quelli nazionali daii"<<Annuario ISTRID. 1981 -1 982», riferito al 1978.

57

Reclutamento del personale militare dell'Es e rcito' nei Paesi della NATO e del Patto di Varsavia

(Dati desunti da The Milirary Balancl' 1982-1983. edito dall'lnternational lnstitutc ofSt ratcgic Studies di Londra)

/'\'tcionl' Pl't-sona/e mlnntario Pl'rscmale di /l'l'O

1 La percentuale del personale d1 leva nelle altre ForLe Armate è. normalmente inferiore. mentre la durata dell'obbligo di servizio è supcnore.

1 Non nella NATO. ma neU:Alleanza Atlantica.

Percl'nl ua le Durata (mesi) URSS 24% 76% 24 Bulgaria 34% 66% 24 Cecoslovacchia 30% 70% 24 Germania Est 41% 59% 18 Ungheria 42% 58% 18 Polonia 50% 50% 24 Romania 32% 68% 16 Usa. Gran Bretagna. Canada, 100% Lu ssemburgo Belgio 67% 33% 8-10 Danimarca 70% 30% 9 Francia 2 63% 12 Germania 15 Ovest 47% 53% (forse 18 in futuro) Grecia 24% 76% 22 Italia 13% 87% 12 Norvegia 18% 72% 12 Olanda 36% 64% 14-16 Portogallo 76% 24% 16 Spagna 26% 74% 15 Turchia Il % 89% 20

nisti ; la nostra Aeronautica ha oltre il 60%. Per la Marina, la Francia è in testa , con il 75% di profess ioni st i, mentre Germania e Italia seguono rispettivamente con il 60% e il 49%. Un confronto fra la fisionomia politico-militare degli al tri due Paesi e la proporzione di professionisti nelle due Forze Armate, potrebbe far ritenere che per la Francia, Paese non di frontiera e con molti imp egn i oltremare, sia più importante la Marina. mentre per la Germania, che ha impegni opposti, l'Aeronautica sembra privilegiata, così come per l'Italia . Ciò sembra corretto perché il ru o lo strateg ico d e ll ' It a li a è una via di mezzo rispetto agli altri due Paesi. La percentuale di professionisti nelle nostre due Forze Armate è però più bassa che non presso le Forte Armate francesi e tedesc he. Dovrebbe essere corretta, anche se non è ancora critica. La situazione del nostro Esercito è invece allarmante, non solo se la si confronta con i due grandi Paesi eu ropei, ma anche se la si esam in a ne l contesto gene ral e della NATO. L'Eserc ito italiano occupa il penultimo posto in graduatoria con il 13% di professionisti. davanti alla sola Turchia con l'l l% , i cui soldati di leva, però, com p io no un serviz io di venti mesi molto impegnativo. La Grecia ha un serviz io milit a re di ventidue m esi, cioè un a durata intermedia fra quella del nostro ser v iz io di leva e quella minima delle forze volontarie (in media trent asei mesi).

Per raggiungere una percentuale di volontari media, sul 40%, il nostro Esercito do v rebbe assumere oltre 80.000 giovani , tra gua rdo ben lontano dal livello autorizzato finora di 33.000 che, peraltro non è stato neanc he lontanam ente raggiunto. I vo lo ntari ora in serviz io sono c i rca 2000. pari a11'8% d e l totale recluta bile c meno del2% di quello necessario. Una situazion e tanto più grave a fronte di una ferma di leva di dodici mesi, interrotta da frequenti permessi e licenze. Come attrarre una ma ssa m aggiore d i vo lonta ri ne ll 'Ese rci to? l modi sono molti. Qualcosa si sta già facendo ma non è uno sforzo che l'Esercito possa co ndurre a termine con successo da solo. A giudicare da un op uscolo divulgativo lo Stato Maggi o re d ell'Ese rc ito sembra però aver rinunciato a affrontare il problema là dove afferma che <da sol uzion e più accet-

59

tabile rimane quella di un Esercito fondamentalmente di leva, integrato per quanto necessario da un'aliquota di vo lontar i cui affidare gli incarichi più delicati o a più alta specializzazionc».t Perché questa soluzione sarebbe «più accettabile» per chi? Non certo per l'efficienza dell'Esercito. E che cosa si intende per «necessario»? In mancanza di risposte, l'impressione che se ne ricava è questa: dato che il problema è difficile da risolvere , si è rinunciato a risolverlo, fingendo non esista. Naturalmente, le percentuali da sole non bastano a dare un'id ea della rispond enza di un'organizzazione militare ai suoi fini operativi. Occorrerebbe verificare la percentuale di personale volontario assegnata a in carichi legati in qualche modo con l'operatività e non genericamente con la sola amministrazione di pace. Un'altra verifica dovrebbe essere fatta sulla consistenza di vo lon tari per età e grado.

Si constaterebbe sicuramente che la pur bassa percentuale di personale di carriera ha un'età media più elevata di quella media di altri Paesi occidenta li, e assolve da tempo incarichi burocratici. Ciò significa ancor meno Quadri per l' impi ego operativo dove occorre essere, olt re che giovani , anche in ottime condizion i fisiche. In tali condizioni, ridurre la leva prima di aver risolto il problema del volontariato equivarrebbe a condannare a ll o sfascio le Forze Armate, mentre se si riuscisse, invece, a contare su un numero e su una qualità adeguati di volontari, soprattutto nell'Esercito, si potrebbe anche contemplare la possibilità di una qualche riduzione dell'impegno di leva.

I n sosta nza, dicono i nostri uffi ciali, quello che occorre subito è un programma che operi in tre direzioni: razionalizzazione in senso operativo delle tre Forze Armate allo scopo di e limin are le scorie burocratiche; sostanzia le in cremento dei «volontari», inclusi i Quadri di carriera; infine, migliore impiego del personale compreso quello di leva.

60
1 Conoscere l'Esercito, a cura dello Stato Maggiore dell'Esercito.

Impi ego di personale civile e femminile nelle Forze Armate

In altri Paesi , per non distogliere personale militare dagli in ca ri chi più strettamente militari, si è fatto ri corso a personale femminile e si è fatto più assegnamento sul perso nale civile. I due accorgimenti hanno dato qualche buon risultato, ma creato anche seri prob lemi. L'assunzio ne di civili ha comportato dappertutto un maggior costo del la voro e una minor flessibilità d'impiego. La loro si nda ca li zzaz ione, inevitabile, pone inoltre serie remore alla loro sicura disponibilità , in ogni circostanza. E le Forze Armate non possono operare solo in caserma en tro gli orari prestabiliti e so lo nei giorni feriali. Alcune giuste rivendicazioni salariali , quali il per gli straordinari , finiscono col creare inaccettabili disparità di trattamento con i militari che tali compensi diffi cilmen te possono richiedere.

Raram en te il persona le civile è disposto a seguire quello militare in esercitazione, specie in condizioni climatiche avvers e e per periodi prolungati , così come è aleatoria la sua disponibilità in casi di emergenza. Insomma: l' impi ego dei civili è se nza dubbio assai utile purché rimanga limitato a quegli incarichi che non sono strettamente connessi con l'operatività militare: guardie giurate nei depositi , servizi di caserma , autisti , mansioni d ' ufficio , eccetera. I problemi suscitati dall'impiego di personale femminile sono diversi e soprattutto legati alla natura stessa psicofìsica della donna. Moduli di impiego adatti pe r l'uomo non lo sono per le donn e. Non tutte le esperienze fatte da altri Paesi sono poi compl eta mente ripetibili da noi. Le donne «militari» sono certarr.ente prt'zios e nell 'o rganizzazione burocratico-amministrativa in cui la loro maggiore efficienza rispetto all'uomo è accertata. Negli Stati Uniti, con l'immissione delle donne , si è guadagnato in efficienza amministrativa e si è perso in capacità operativa. La disciplina militare cui le donne militari sono sottoposte al pari degli uomini assicura, peraltro, quell 'impegno che i civili difficilmente possono garantire. Non di rado , in passato, nel lodevole tentativo di de-

61

burocratizzare il personale militare e destinarlo a compiti operativi, si è finito, però, col procedere all'assun z ione di p e rsonale civile in soprannumero, che poi non ha avuto e non ha tuttora utile impiego.

Nel 1981 , a esempio, il Ministero della Difesa ha assunto numeroso personal e civile allo scopo di potenziare il servizio di revisione e di riparazione dei mezzi e delle armi. Ma il provvedi mento , socialmente util e sotto il profilo occupazionale , si è rivelato poco opportuno sotto il profilo costoefficacia perché ha reso più pletorica un 'orga nizzazione che, secondo una concezione moderna , sarebbe più conveniente ridurre.!

Molto più util e si è rivelata l'utilizzazione per incarichi burocratici di personale militare c he , per ragioni di età, non è più impiegabile in compiti operativi. Dicono al nostro Stato

Maggiore: prima di assumere personale all 'esterno dell'ambiente militare occorrerebbe stabilire realisticamente come e dove utilizzarlo.

Il reclutamento

Il reclutamento - sostengono i nostri ufficiali - è prima di tutto un problema qualitativo. Il numero da solo non risolve le esigenze, ma le può addirittura complicare. Occorre perciò arruolare personale valido sotto tutti gli aspetti, attraverso una campagna di reclutamento intelligente, indirizzata ai migliori e ai più ambiziosi. De Gaulle diceva che «in una generazione che crede di non dover più combattere, tra i migliori ben pochi si dedicano alla carriera delle armi, tanto più che un 'e poca di pace offre ai soldati una condizione morale e materiale insoddisfacente giudicandoli poco utili. Le forti volontà , gli spiriti arditi, i caratteri temprati scelgono allora naturalmente altre vie che portano al potere e alla considerazione». 2

C. de Gaulle, op. cit. 62
• ISTRID. 1981-198.2>.. 2

I giovani migliori tendono oggi a considerare la carriera milit a re come un a carr ie ra ben sca rsamente a pp e tibil e e c iò è assai più grave che non in passato perché nelle Forze Armate la perc e ntuale di esponenti di famiglie con una tradizione milit are è paurosamente declinata. Ne ll ' imm e d iato dopoguerra, il reclutamento e ra stato relativamente più facile anche se la situazione non era già più confortante. Molti , allora , avevano aderito alla carriera militare senza chie de rsi che cosa potesse loro offrire. La ricostruzion e nel Paese, e soprattutto qu e ll a delle F orze Armate, appariva agli occ hi di molti come un a forma di ri scatto mora le. Poi, però, le considerazioni di caratte re persona le, come il vantaggio economi co, le prospettive di carriera, eccetera, hann o preso il sopravvento su ogn i altra. Il settore civile sem brava offrire di più e di meglio. Ad accentuare il disinteresse verso le Forze Arm ate aveva contr i buito, infin e, la campag na denigratoria esplosa nel Paese. Più delle altre F orze Armate , a fame le spese era stato l'Esercito, a n che perché le sue attività sono obiettivam ente più influ e nti su lla vita del Paese, e quindi più import ant i sotto l'aspetto della politica intern a e, infine, perc hé esso è cos t ituito in larga parte da pe rsonal e di leva. Scrive Planchais c he «l'antimilitarismo tradizionale s i esercita più co modam ente s ugli u ffic iali e sott ufficiali d e ll'esercito c he n o n sul marinaio e s ul pilota».

Le Forze Armate han no te nuto , ma i d an n i al loro prestigio sono stati non indiffere nti , il di stacco con il Paese si è approfondito . Semb rava sem pre più difficile, inoltre, in un mondo in cui s i scambiava la temp ora nea di stensione politi ca internazi o n a!e co n la pace perpetua, c hi edere ai giovan i di <<Servire la Patria in a rm i». La gente si chiedeva che cosa fosse mai la Patria perc hé si dov esse servir la e, infin e, perché propri o in arm i. Le Forze Armate c he, tutto sommato, sembra va no offrire al Paese uno d ei tanti se rv izi c he lo Stato forni sce alla collettività, anche se il più difficile da co mpre nde re, non potevan o ce rto spera re di attrarre il m eglio della giov e ntù .

63

Cosa rappresenta la carriera militare

Cosa la carriera milita re rappre sent i oggi. è un interrogativo cui tutti cercano di dare risposta nel modo più attraente. Negli Stati Uniti dove la ricerca in questo campo trova terreno fertile nella disponibilità organinativa e nell'apertura del mondo accademico per i problemi militari, si è svolto negli anni Settanta un dibattito, i cui più noti esponenti furono Moskos e Janowitz, dagli esit i interessanti. Moskos ha individuato tre peculiarità della carriera militare nel mondo moderno: il senso della missione (S(111 S(10fcal/in g ), ossia la scelta di carattere Idea le; quella «professionale», analoga per motivazioni a quella delle «professioni» del mondo civile e, infine, la scelta «occupazionale», legata a un semplice modello di rapporto di lavoro fra l'uomo c l' organiz7azione.

Queste tre opzion i suscitano agli effetti del reclutamento ciascuna un interesse molto diverso. La pr im a, quella della vocazione «fortemente ideologizzata». se m bra attrarre esigue minoranze soprattutto dove gli ideali nazionali sono poco sentiti c dopo un lungo periodo di pace. La scelta «professionale» è poco attraente perché è difficile «vendere» la carriera militare. in particolare in Italia, come una professione analoga a tante altre.

In oltre, la carriera miliwrc è verticizzata, l'autonomia dci singoli è condizionata dai vincoli dell'organizzazione, e, infine, solo per alcu ni incarichi e per alcuni gradi è pcrcepib il e una qualche analogia con una «professione». C'è da aggiungere che se si dovesse chiedere all'organizzazione militare di distinguere fra «professionisti» e non, la risposta sarebbe in evitabilmente quella di tutte le organizzazioni burocratiche: la professionalità cresce con il grado, anche se l'assioma è tutto da dimost rare.

L'ultima opzione, quella «occupaLionale», ha avuto più s uc cesso delle altre nei programmi di reclutamento. Innanz itutt o perché è la più facile c la meno controversa. Le Forze Armate che, in passato. avevano rinunciato a far conoscere le loro funzioni reali e a un contatto diretto con i giovani se no n all'interno delle caserme, ri conoscono ora che il modello

64

«occupazionale» può essere reclamizzato in modo indiretto e può essere inoltre meglio recepito dai giova ni in cerca di soluzioni per i loro problemi esistenz iali. Uno st ip endio subito, la possibilità di ottenere senza spesa una special izzazione, eccetera, eccetera, sono, pertanto, gl i argomenti più reclami zzati nei bandi di reclutamento, messaggi, opuscoli, e in tutti gli strumenti della pubblicistica moderna impiegati diffu samente dalle Forze Armate.

Le Forze Armate sono entrate così in concorrenza non solo con i corpi armati (carabinieri, polizia, guardie di finanza) che sono in grado di o ITri re migliori condiz ion i socio-economiche, ma anche con il mondo del lavoro. T ale ingresso sul mercato del lavoro, con prospettive occupazionali analoghe a quelle offerte dal mondo industriale, ha finito col dare il colpo definitivo all'atipicità dci militari. Se prima i militari aspiravano ad essere diversi dagli altri, ora, dopo aver adottato l'opzione occupazionale, dimostrano di voler essere uguali. Non si è trattat o già di una integrazione nel mondo civile, cosa che sarebbe oltre tutto auspicabile, ma solo di una forma di mimetizzazione. In Krmini quantitativi, il problema del reclutamento è stato forse risolto, ma a scapito dei valori tradizionali, come lo spirito di corpo, la dedizione, eccetera.

Sarebbe stato forse meglio, soste ngono alcuni nostr i ufficiali, dire chiaramente e con molta franchezza che cosa si voleva e quali sono i pregi e i limiti della carriera accettando il ri sch io del fallimento di una campagna di reclutame nto meglio motivata, anche se meno spendibi le sul piano pubblicitario. Non si è tenuto conto, in sostanza, che nel momento stesso in cui la si contrabbandava come una professione ana loga a tante a ltre, la carriera militare perdeva, agli occhi di molti giovani , gra n parte del suo fascino tradizionale, conservandone, però, gli inconvenienti: com petitiva economicam ente solo nei primi ann i, gravosa e disagevole, sottopost a a una disciplina assa i più rigida. L'imma gine del «civile in uniforme» ha finito col piacere assai meno di quella del «militare» puro e semplice di tipo tradizional e. Solo chi aspira a una vita comoda, infatti , pret end e che la carr iera che si è scelto sia effettivamente comoda, priva di rischi e di

65

responsabilità, senza scosse e che lasci ampi spazi alla sfera del «privato». C'è chi si chiede se non sia questo il motivo per cui giovani dotati di eccellenti caratteristiche psicofisiche e intellettuali, magari anche laureati, preferiscono la carriera del sottufficiale, ritenendo la meno impegnativa di quella dell'ufficiale. Resta il fatto che oggi le domande per i sottufficiali dell'Esercito sono sei-otto volte superiori ai posti mentre quelle per gli ufficiali raggiungono con difficoltà un rapporto di due a · uno.

Se si guarda, poi, ai concorsi per le altre carriere statali, compresa quella «civile» della difesa , il confronto è addirittura catastrofico per le Forze Armate: migliaia di domande per ogni posto, contro le due delle FF.AA. Il capo di Stato Maggiore dell 'Ese rcito, generale Umberto Cappuzzo, ha dichiarato, a proposito della «crisi di vocazioni», che per l'anno 1981-1982 le richieste di ammissione all'Accademia mi l itare di Modena sono state assai inferiori a que lle di dieci anni fa. La selezione diventa così meno rigorosa, anche se gli esperti raccomandano che gli standards qualitativi non dovrebbero mai essere abbassati.

Un somaro, assunto senza diffico ltà nel 1980, potrà diventare uno dei cap i militari nel2010. Più scadenti sono i reclutati, minori sono le speranze di rinnovamento. Incoraggiare i giovani a scegliere la carriera militare offrendo loro prospettive salariali iniziali competitive e una carriera sicu ra , equiva le a creare delle aspettative. Ma se le aspettative vengono poi disattese, è probabile che la gente attenui il suo impegno e si rifugi nella routine. È proprio questo - dicono i nostri ufficiali a proposito della situazione delle Forze Armatequello che succede in una organizzazione, che oltre tutto è estremamente condiscendente e liberale con chi vuoi fare poco. Così nasce l'alienazione dei Quadri militari. Che senso ha- si chiedono gli ufficiali più liberali- aver instaurato dei meccanismi di rappresentan za all'interno delle Forze Armate , attraverso la Legge dei Principi, se po i i Quadri sono così demotivati da non farne un uso appropriato?

«Vi è una sostanziale differenza fra un sistema di reclutamento che attrae i giovani promettendo un lavoro d i tipo

66 /

civile cd un addestramento che vuole trasformarli in militari».1 Infatti è a esempio dimostrato che il rendimento di chi sceglie la vita militare perché la trova conve niente da l punto di vista economico e occupazionale e non perch é lo attrae idealmente, è decisamente inferio re. La correlazione fra spirito di missione e rendimento è assai stretta. Scrive Moskos: «Chi ha una forte coscienza dei valo ri tradizionali militari, ha anche un forte int eresse n ella parte occupazionale de l servi zio. mentre chi difetta nel se nso di mission e ha anche poco interesse di ordine occupaz ional e». Il giudizio è forse un po ' drastico perché spesso avviene il con trario : la conversion e di c hi è arrivato nelle FF.AA. moralm e nte impreparato e si è poi via via motivato, soprattutto se si è venuto a trovare a fian co di gente giusta, nell'ambiente giusto, con i comandanti giusti. Nel campo dell'impiego operativo, poi, il modello «occupazionale» ri evoca la figura del mercenario , e per di più di un mercenario con la vocazione dell'impiegato, quindi infinitamente m eno affidabile di quello ispirato da senso di avventura e dal desid er io di battersi.

Il mod e llo «occupazionale» potrebbe esser va l ido per alcun e categorie della sfera lo gistico-amministrativa territori ale . I n tali casi, propor re come mode llo di militare quello del «guerriero» è inutil e e persino controproducente. Se la domanda è di tipo «civile» chi la deve soddisfa re deve anche esse re simile al fruitore civi le. Del resto, secondo g li espert i , la presenza di una categoria «ci vii-militare» favorisce l'integrazion e fra i due mondi ancora troppo di sta nti l'uno dall'a ltro, quello civile e qu ello militare. Non si può escludere però c he i l risultato sia opposto: gli «Occupazionali» riversa n o sugli o perativi le spinte si ndacali del m o ndo civile. È questo il caso dei controllori di vo lo d e ll'Aeronautica militare che, in vece di avvicinare il mondo militare a quello civ i le, hanno fi nito col rinnegare i valori del primo a favore dei benefici de l secondo. In concl us ion e, è opinione d egli ufficiali più consape vo li della propria funzione, che la professione mil i tare

1 Da vid Segai e J oscph D. Lcngcrmann. Pro.fC'SSional and Institutìonal Consìde· rauon. in Sam Sarkcs•an (a cura di). op. ctt.

67

debba mantenere la sua atipicità e che tale atipicità debba essere sostenuta, incoraggiata e premiata. Un militare che pretendesse di trasferire all'interno della sua professione le peculiarità e le conflittualità della società civi le rappresenterebbe una grave cont raddizion e e una potenziale sorgente di problemi per se stesso e per la collettività, in quanto ben difficilmente sarebbe sensibile a valori come la coesione, la disciplina e lo spirito di corpo che sono invece indispensabili all'ambiente militare. Perciò- secondo molti nostri ufficiali -i programmi di reclutamento dovrebbero essere rivisti in modo da restituire alle Forze Armate la loro immagine genui na , sia pure aggiornata secondo l'evoluzione storica e socio-politica del Paese. Alcuni anni fa i royal marines britannici avevano divulgato un bando di reclutamento in cui si dipingeva come ardua e impegnativa la carriera e si richiedevano ai giovani doti che sono all'opposto di quelle del modello occupazionale: senso della responsabilità, amore del rischio e dell'avventura, spirito di iniziativa, desiderio di coma ndare , eccetera eccetera. La risposta era stata eccezionale, ben oltre il rapporto di venti domande per posto considerato ottimale. È da questo reclutamento che sono usciti i Quadri che hanno di recente combattuto ne ll e Falkland.

Una proposta per il reclutamento

Una possibile so lu z ion e per i problemi del no stro reclutamento potrebbe essere questa:

- Accrescere la selettiv ità d e l persona le. Secondo Sab ro sky «è più imp ortante avere gli uomini giusti che il numero giusto di uomini». ' Sembra fin troppo ovvio, ma ev id entemente non lo è poi tanto, visto c h e, in passato, da parte degli Stati M aggior i s i è prestata più attenzione al seco ndo aspetto che non al primo.

- Finalizzare meglio la selezione per ogni specifico incarico. Trovato l' u omo giusto, dargli l'incarico giusto. Ora, la

• A.N. Sabrosky, op. eu. 68

lezione del personale di leva è ancora troppo pasticciona. Maggiore cura dovrebbe essere posta anche nella se lezione dei «volontari» e dei «Quadri».

- Aum entare la percentuale di «volontari» nelle tre Forze Armate. Nell'Esercito, che sta peggio di tutti, puntare almeno al 40%. Predisporre parallelamente un piano per un efficace impiego del personale. Uomo giusto, incarico giusto, ite r professionale giusto.

- Accentuare la percentuale di «vo lontari» nelle unità di élite e formare quelle a fis ionomia operat i va, di pronto intervento, solo con personale volontario. Quando il persona le di tali reparti non sarà più in età tale da poter essere impiegato per tale funzione, favorirne la destinazione ad altri reparti. Saranno il <<Sale e pepe» dei reparti di linea.

- Evitare politiche di reclutamento su base assistenziale. Non creare aspettative di vita comoda all'atto del reclutam ento, dipingere la vita militare come qu alcosa di realmente imp eg na ti vo.

- Int egrare strettamente le politiche di reclutamento con quelle di formazione e di impiego del personale, tenendo in mente l'ob iett i vo comune: maggiore ope ratività.

- Imporre a tutti i volontari, di qualsiasi categor ia, un «tirocinio» m o l to duro in termini psico-fisici. Evitare, nei primi mesi, uno svilup po troppo accademico dei co rsi. In ce ntrare tutta o quasi l'attenzione s u un impegnativo addestramento «militare». La se lezione «sul vivo» consente una dupli ce salu tare verifica della validi tà della sce lta inizia le da parte dell'organizzazione e da parte dell'ind i v iduo. U n po' come un lun go e impegnat i vo viaggio di nozze prematrimon iale.

- Mi gliorare i rapp ort i co n la società nella fase del reclutamento. Ciò vale sopratt utto per l'Esercito che ha un a massa varia e cospicua da attrarre. Alpini e paracadutisti st muovono già bene. Gli altri corpi possono solo sperare nella loro parte da attingere n el serbatoio comu ne. Molto spesso la loro speranza è delusa. Ce rca re, perciò, il contatto diretto , giocare fuori casa, persona l izzare il reclutamento.

69

Anche nell'Esercito ci sono diversità che contano e no esse r reclamizzate. Il fante non è uguale all'artigliere, il cavaliere non è uguale a l bersagliere, il gen iere non è uguale al trasmettitore e così via. La propaganda deve mettere in lu ce le peculiarità di ciascuno, offrendo ai più interessati fra i giovani la possibilità di partecipare, per più giorni , ad addestramenti delle truppe di campagna. Non si può pubblicizzare la carriera militare come un dentifricio , un lucido da scarpe, una lavatrice. Soprattutto, sembra imp ortante dire la verità. Le Forze Armate- dicono i nostri ufficiali più preparati- servono per evitare la guerra , ma anche per combatterla bene, nel malaugurato caso in cu i essa dovesse scoppiare. Si deve trovare il coraggio di dirla e sostenerla ancorché impopolare, essi aggiungono. I giovani non sono entusiasti di passare qualche mese sotto le armi perc hé no n gli è mai stato offerto nulla di cui entusias m arsi. C hi sostiene c he i giovani sono apatici per natura, fa loro torto e dimostra di non conoscerli e di no n volerli conoscere. Ma occorre avere il coraggio di dire la verità, sen za allarmismi, ma a n c he senza falsi pudori. Plan chais scriveva su i problemi militari c he «l'opinione pubblica è talm e nte abituata a menzogne o a m ezze verità c he si teme che la fra nc hezza non sia per essa un vino troppo fo rte d a sopportare». Nessun Paese co m e l'Italia è stato da c inqu ant'ann i nutrito tanto co n mezze verità in tema di difesa. Prima, nel ven t e nnio , si proclamava una potenza militare che non esisteva, oggi si fa l'opposto. Ciò che si chiedono i nost ri uffi cial i è se non sarebbe ora di provare a dire le cose come stanno.

La selezione

La se lezione è materia di stu di o d e ll a sociologia applicata , e soprattutto della soc iologia militare. Essa co ndi ziona la vita d e ll 'orga ni zzaz ion e in due m o m e nti d e licati ss imi: all ' atto d el re clutam en to di nuovo personale, che d eve soddisfare i ' re qui s iti p si co- fi s ic i ri ch iest i; successivamente, quando d es i-

70

gna gli incarichi o gradua la carriera, in relazione alle doti di ca rattere. intellettuali e professionali di ciascuno. Una selezione efficiente non solo assicura l'immissione di personale giusto, ma consente altresì la combinazione uomo giustoposto giusto , fonte di soddisfazione ne l lavoro e quindi anche garanzia di alto rendimento. La selezione richiede: un 'approfondita indagine per stabilire quale tipo di uomo sia necessario in ogni momento della un sistema di verifica adeguato a correlare con imparzialità e credibilità il potenz iale umano con le esigen1e dell'organizzazione: una valutazione del rendimento in parallelo con la formazione e l' impiego del personal e che consenta di porre in luce meriti e demeriti di ciascuno nell'interesse individuale e collettivo.

Senza una selezione imparziale e accurata si produce appiattimento e frustrazione , avvilendo e mortificando sul piano umano e professionale il potenziale umano disponibile. La selezione è una realtà della vita socio-organizzatìva. Ma se essa non dispone di strumenti di valutazione fondati su ll a meritocrazia e in grado di fornire una chiara e intelligente visione delle reali esigenze dell'organizzazione, essa d i venta cialtrona, patemalistica, clientelare, non affidabile. Selezione significa anche- dicono i nostri ufficiali- poter allontanare dal loro incarico le persone che non siano più ut ilmente impiegabili dall'organizzazione.

Selezione e reclutamento

Il successo o il fallimento di qua lsiasi organizzazione hanno le loro premesse nel momento stesso in cui si recluta nuovo personale. Quanto più tale personale avrà le caratteristiche culturali , morali , psico-fisiche ed intellettuali richieste datl'organizzazione, tanto più facili e proficui saranno la sua formazione e il suo impiego. Una scuderia che decidesse di a ll evare non purosangue, ma brocchi , dovrebbe rinunciare a p riori a partecipare al Grand Prix! Ciò presuppone, però, che l' organizzazione sappia sia che cosa vuole, sia accertare ob iettivamente se i candidati sono in possesso dei requisiti

71

richiesti e che, infine. vi sia sufficiente domanda per poter operare una selc7ione adeguata. In Germania, fra le due guerre, la selezione operata nel reclutamento per l'Esercito aveva raggiunto un'efficienza non riscontrabile altrove. Teams misti di ufficiali, psicologi, psichiatri, avevano stabilito un metodo severissimo di selezione che seguivano poi personalmente, e che, a una analisi condotta negli Stati Uniti, era risultato efficacissimo. La stima della sua accuratezza, 1 variava fra 1'80% cd il 98%. Ma ciò che contava era il fatto che si sapeva bene che tipo di ufficiale corrispondesse meglio alle esigenze di guerra e di pace dell'allora Esercito tedesco. La fisionomia dci Quadri, ufficiali c sottufficiali, delle Forze Armate muta infatti a seconda della natura politico-sociale del Paese cui appartengono e dell'evoluzione delle dottrine politico-militari: sarebbe quanto meno assurdo pretendere che i Quadri delle Forze Armate di un Paese democratico avessero gli stessi requisiti e quindi la stessa fisionomia di quelli selezionati tanto accuratamente dalla Germania nazista. È però indispensabile che si sappia con precisione quali sono i requisiti da pretendere e non si cerchi disordinatamente di sodd isfare esigenze gener iche e che spesso non hanno riscontro con la realtà. Sempre in Germania, allora, la selezione raggiungeva il rapporto di un ammesso ogni venti aspiranti, situazione decisamente favorevole a una scelta severa.

All'Accademia di Modena, dove nascono i Quadri di carriera dell'Esercito, sono pervenute, nel triennio 1978-1980, comp lessivamente 1524 domande per 640 posti, destinati alle var ie armi. Quindi un rapporto domande/ posti, di poco superiore a due a uno. Dopo una selezione fisica e culturale neanche troppo severa, nel corso dei tre anni, si sono registrate ben 14 32, fra rinunce e eliminazioni, che hanno fatto scendere il num ero dei promossi a 92 sui 640 posti disponibili. Completamente diversa la situazione, sempre a Modena, per gli aspiranti carab ini eri: 2586 domande per soli 165

72
' Martin van Creveld. Power- German Military Perfo rmance 1914/945, di prossima pubblicalione.

posti, con un rapporto non lontano dal venti a uno dell'Esercito tedesco d'a nteguerra , e 594 idonei per l'Arma, dei quali solo 158 ammessi (sette posti sono stat i las ciat i scope rti).

L'Esercito a malapena è riuscito a colmare due terzi dei posti non coperti, 432 su una domanda di 640, recupcrando 340 aspiranti nelle file dei non ammessi, ma idone i, degli asp iranti carabinieri, disposti a passare nell e sue file. Da allora il 30% di posti non copert i è diventata una costante.

Tale tendenza , assolutamente opposta a quella degli anni Sessanta , quando l'Arma dei carabinieri tentava di reclutare i suoi ufficiali nelle file degli ufficiali dell'Esercito, rivela da sola il d eterioramento subito dall'immagine dell ' Esercito. E la situazione sarebbe ancora più grave se l'Esercito si proponesse di reclutare, come negli anni Cinquanta, oltre 400 ufficiali effettiv i ogni anno e non i 200 circa di oggi! Sembra lecito il dubbio- sostengono i nostri uffic iali -che per dissimulare la gravità del fenomeno e non riuscendo a co lm a re i vuoti si sia deciso in alto loco che, dopo tutto, di ufficiali ne serviva solo la metà mal grado la gravissima carenza di Quadri preparati nei gradi inferiori! Migliore sembra la situazione della Marina che, ancor oggi, può far leva su una media di circa 9 domande per ogni posto a concorso, pur avendo mantenuto costante il numero dei posti. Negl i anni Cinqua nta , invec e, le domande per la Marina erano all'incirca la metà. Anche l'Aeronautica ha una situazione più favorevole dell'Esercito , ma , in questo caso, a rendere la frequenza dell'Accademia più appetita è l'acquisizione del brevetto di pil otaggìo.

Tre altri c lementi meritano attenzione per valutare se e quanto i sistemi dì reclutamento corrispondano alle esigenze dell e Forze Armate: la rappresentativi là cultu ral e, sociale e regionale dei nu ovi Quadri rispetto al Paese. Rappresenta ti vità culturale. Per l'E serc ito, solo il 35% circa degl i aspiranti a accedere all'Accademia, negli anni fra il 1975 e il 1979, aveva consegui to la maturità scientifica o classica , gli altri provenivano da Istituti T ec nici , Magistrali o Professionali. In oltre, nonosta nte i titoli di studio relativamente modesti, oltre il 50% degli aspiranti aveva già un'età

73

fra i 20 e i 25 anni. Per la Marina, invece, anche in questo caso il rapporto era più favorevole perché, sempre nello stesso periodo , circa il69% dei candidati aveva conseguito la maturità, con una percentuale del 58% a favore di quella scientifica.

Sono dati - dicono i nostri uffi cia li - che dovrebbero far riOettere, tenuto conto che sarebbe logico pretendere dai Quadri delle FF.AA. un livello culturale più elevato, difficile da raggiungere negli Istituti di formazione professionale.

Rappresentatività sociale. Negli anni 1979-1980, la percentuale degli aspiranti provenienti dalle classi medio-alte è stata di poco superiore al l 0% per Marina e Aeronautica, e solo al 5% dell'Esercito. I figli di ufficiali e sottufficial i sono pari , per l'Esercito e Aeronautica, a una media del 13-15%, contro ill8% della Marina. 1175-80% dei nuovi Quadri delle FF.AA. proviene, quindi , da ceti medio-bassi, senza tradizione militare.

Rapprescntatività regionale. Nell'Esercito, nel 1978-1980, la fascia centro-meridionale cop ri va circa 1'85% del totale delle richieste ed il 75% delle ammissioni. Le percentuali per la Marina erano più o meno le stesse.

Sulla base di queste semplici rivelazioni statistiche, sembra, dunque, lecito conciudere che il reclutamento dei Quadri di carriera per le tre Forze Armate sta assumendo un profilo accentuatamente «Occupaz ional e», in quanto attinge prevalentemente a livelli socio-cult urali medio-bassi e nella fascia centromeridionale della penisola. La meridionalizzazione delle FF.AA. ha inoltre- secondo gli stessi responsabili militari - effetti abbastanza destabilizzanti per l'Esercito anche in tempo di pace, perché la maggioranza dei reparti risiede al Nord, mentre i Quadri (meridionali) vorrebbero ri s iedere al Sud. Ciò- si fa rilevare- è tanto più grave ora che la <<mobilità» dei Quadri è in co ntinua diminuzione non solo perché i disagi per chi si muove sono effettivamente assai pesanti, ma anche perché le nuove generazioni di ufficiali sono per indole meno disposte a muoversi e più abitudinarie.

Insomma: ciò che vie ne non di rado contrabbandato da alcuni esponenti politici come una democratizzazione delle

74

ForL e Armate , non è altro che la loro proletarizzazione, ossia l'eson ero dei cet i medio-alti d e ll a società dalla funzione di comando o comunque di responsabilità in pace od in guerra. Ma -aggiungono i nostri ufficiali più preoccupati dell'incidenza del fenomeno su lla credibilità delle FF.AA. -affidare prevalentemente alle classi meno abbienti la direz ione militare, la sciando alle altre classi il solo onere di contribuire indirettamente alle loro spese, tramite il prelievo fiscale, equivale a riconoscere un carattere quasi mercenario al professionismo militare, tutt ' altro che democratico.

Responsabili di questa situazione - aggiungono i nostri uffi ciali - sono le Forze Armate stesse, insieme a l pote re politi co e alle classi abbienti. Le Forze Armate, per non aver saputo o voluto affrontare seriamente il problema, ricorrono a espedienti di caratte re improvvisato e co ntingente per coltnare i vuoti sul piano quantitativo , senza badare alla qualità. E man cato un serio sforzo per informare il Paese della gravità della sit uazione insieme a un'approfondita indagine sui motivi della c ri s i e un piano di az ione a lungo termine pe r affrontarla. Moltiplicando disordinatamente le fonti di reclutamento si è creato di fatto un precariato militare, favorendo , soprattutto nell'Esercito, la nascita di controversie fra le varie categorie, ciascuna impegnata a soste nere i propri int eressi di parte con il non sempre disinteressato appoggio dell e parti politiche. A soffrire d i tale situazione è stata soprattutto la categoria deg l i ufficiali c he, dopo quattro anni di corso, si sono visti senza spiegazioni assai sovente danneggiati dall'immissione improvvisata in carriera di al t re categorie. La classe politica è a sua volta responsab il e del progressivo degrado delle Forze Armate per non aver compreso, secondo i nostri ufficiali, che quello della «democratiz zazio ne» finiva con essere un falso obiettivo a quasi ce ntocinquant ' anni dai tempi in cui Rattazzi si lamentava giustamente che, in Piemonte, bastava esse r nobili per essere amm ess i nell'Esercito e far carriera. La democratizzazione d e ll e FF.AA., già avvenuta e consolidatasi da tempo, si è tra sforma ta , così , in deprofessionalizzazione e demot i vazione. Ciò che molti nostri ufficiali s i chiedono, ora, con inquie-

75

t udine è se non fossero. per caso, proprio questi i reali obiettivi perseguiti al riparo delle preoccupazioni anacronistiche sulla natura democratica dell'ambiente militare.

La responsabilità delle classi socialmente più elevate, consiste- sempre secondo i nostri ufficiali- principalmente nel loro progressivo disinteresse per il «mestiere delle armi». Esse, in sostanza, non avrebbero compreso quanto fosse importante da parte loro continuare a dare il loro contributo alla formazione dei Quadri delle FF.AA. come, in passato, avevano fatto e con onore. Anche se si riconosce che i tempi in cui le grandi famiglie indirizzavano uno dei propri figli alla carriera militare sono finiti e che sarebbe assurdo sperare in un ritorno di fiamma in tal senso da parte delle classi sociali più abbienti, sarebbe quantomeno giusto - aggiungono i nostri ufficiali - che esse fossero rappresentate nelle Forze Armate almeno su una base percentuale prossima alla loro consistenza nel Paese. Sempre che, concludono polemicamente, non si voglia sostenere che nel caso di un eventuale conflitto, nel quale le forze già in armi sarebbero, forse, le uniche a dover com battere, dovrebbero essere in prevalenza le classi medio-basse a sacrificarsi per tutti.

L'immissione di nuovi giovani fortemente motivati e forniti sia culturalmente sia psico-fisicamente dei requisiti necessari avrebbe, si dice, anche un effetto quasi taumaturgico su un'organizzazione che va in letargo anche perché quei pochi che ora vi accedono sono presto assorbiti dalla routine e costretti all'inerzia per sopravvivere. Verso la metà degli anni Cinquanta fu deciso di inviare tutti gli ufficiali di carriera dell'Esercito, appena usciti dai corsi rego lari , presso i Centri di addestramento reclute dove i Quadri erano tanto infeudati e regionalizzati da evitare con cura ogni iniziativa che potesse compromettere il proprio quieto vivere. L'a musso d i giovani ufficia li, carichi di entusiasmo e ben preparati provocò un salutare shock ai Car. Gli stessi soldati di leva seguirono con entusiasmo i nuovi arrivati, nonostante che essi chiedessero loro un impegno assai più gravoso.

Una dose massiccia di giovani ufficiali, preparati e motivati, in grado di affiuire in piccoli teams. e non isolatamente,

76

presso le unità, avrebbe , si assicura, efTetti molto positivi. La tendenza a reclutare a piccole dosi, adottata ora soprattutto dall'Esercito, è decisamente errata e controproducente. Dovrebbe essere cambiata, facendo, però, in modo di creare anticipatamente le condizioni favorevoli per l'affiusso del nuovo personale. A ulteriore conferma che c'è qualcosa che non funziona nei sistemi di reclutamento per la carriera militare concorre la situazione dei sottufficiali dell'Esercito. Le domande , qui, sono circa tre volte superiori a quelle per l'Accademia militare e molte provengono da personale che, per titoli di studio, potrebbe aspirare a diventare ufficiale. La «meridionalizzazionc» della carriera è ancor più forte dato che quelli provenienti dal Centro-Sud sono oltre il 90% del totale (dati su «Annuario ISTRID», per l'anno 1979). Pare che la carriera del sottufficiale sia ora preferita a quella di ufficiale perché meno impegnativa, meno disagiata, maggiormente in armonia con la società civile ai fini di un eventuale rei m piego. Resta il fatto che, in questo settore, almeno sotto il profilo quantitativo, sembra che il reclutamento marci meglio, mentre, sotto il profilo qualitativo, la carenza di richieste per le categorie di comando conferma, in parte, la vocazione occupazionale degli aspiranti.

La selezione e la formazione professionale

Una volta che si è riusciti ad attrarre, nella migliore delle ipotesi, personale di alta qualità e altamente motivato, si è solo all'inizio dell'opera. Anzi, quanto più è valido il personale tanto è più difficile tenerne vivo l' interesse e trattenerlo in serviz io. Si è già fatto l'esempio della scu d e ria di cavall i da corsa: nessun traìner che si ri spetti alleverebbe purosangue pe r limitarsi a farli correre nelle feste parrocchiali! Ma, se la selezione per il reclutamento è poco sodd isfa cente, quella operata attraverso il processo di formazione non è certo migliore. Sarebbe necessario, a esempio, dicono allo Stato Maggiore, c he fossero individu ate meglio le potenzialità morali, intellettuali e attitudina li di ciascuno per indirizzar-

77

ne la formazione. Pochissimi sono in grado di ricoprire con successo incarichi di comando nei gradi elevati e ca ri che dirigenziali, ma, una volta individuati, costoro dovrebbero essere i «predestinati alle cariche di vertice» e sottoposti perciò fin da i primi anni della carriera, diciamo dai trentacinque anni in su, a un iter professionale durissimo che ne mettesse alla prova la resistenza , l' impegno e le capacità negli incarichi più disparati , in modq da scoprire le eventuali d'ombra che non emergerebbero in circostanze normali. E un metodo che , adottato in altri Paesi occidentali , ha dato ottimi risultati e che corrisponde, per molti versi , al s istema di selezione in vigore presso le industrie più competitive per i propri dirigenti , dove solo i migliori superano certe barriere ed emergono. Per gli altri , superate le prime espe ri enze di comando che sono per tutti indi spensabili, nei gradi fino a capitano, sarebbe invece indispensabile stabilire quale tipo di impiego essi possono avere e, di di quale processo formativo essi hanno bisogno. E, infatti, perfettament e inutile e anche dannoso , dicono i nostri ufficiali , allevare come comandanti in erba personaggi che, al solo pensiero dei po chi ri sc hi che comporta il periodo di comando in tem po di pace, rischiano l'esaurimento nervoso. Altrettanto infelice sarebbe l'impiego in funzioni burocratico-amministrative di chi , invece, v iv e bene e rende meglio se impiegato nei reparti operanti. A questo punto , ci vorrebbe, forse , un po' di coraggio e creare due car ri ere parallele, una per l'attività di comando e una per quella managerial e. Le eccez ioni , che consentissero di passare dall'una all'altra, non dovrebbero essere scartate, ma si tratte rebbe pur sempre di eccezioni. Negli Stati Uniti , si tentò qualcosa del genere, con I'Officer Personnel Management System, subito dopo il Vietnam. La riforma doveva creare, appunto, due vie per arrivare al vertice, due vie che, nella nostra organizzazione, dovrebbero id e ntifi cars i con la linea operativa degli Stati Maggiori e con quella tecnico-amministrativa delle direzioni generali e degli organismi da esse funzionalmente dip en denti. Si avrebbe, così, la possibilità di distinguere fra comandante e manager, fatte salve le poche eccezioni rappresentate

78

da quegli uffi cia li in grado di essere credibilmente l' uno e l'altro. L'es perim e nto se mbra procedere ancora faticosamente neg li Stati Uniti , a nche per le dimensioni del problema. Da noi , limitando la partecipazione ai du e indirizzi separati agli uffi cia li dal profilo professionale co mpleto , ossia che abbia no comp iut o tutti i corsi rego lari , la mass a da ori entare in un se nso o nell'altro non s upere re bbe i 500 ufficiali l'anno per le tre Forze Armate, c io è una cifra decisamente regio nevo le . La med ia di amm essi nelle FF.AA. neg li ultimi tre anni è sta ta di 130 sia per la Marina, sia per l' Aeronauti ca, e di 220 per l'Esercito. No n sa rebb e ma le, di co no allo Stato Ma ggio re, che l'Esercito aumentasse almeno di un centinaio di unità gli ammessi , visto che , oggi, recluta meno de l 50% di ufficiali di ca rri era dell a prima metà degli anni Cinquanta, quando ne reclutava o ltre 500, men tre la Marina ha percorso la strada inversa: dai 90 e persi no meno degli anni Cinqu anta ai 130 a ttu a li. Tale ma gg iore recl utamento da parte della Marina consente una migliore selezione durante i corsi d' Acca demia.

Oggi , le Forze Armate, pre parano il loro personale in eccesso all o scopo di pot er di sporre di un ampio serbatoio cu i attingere allorché foss e necessa rio . È un a tendenza comune a mo lti istituti militari. Quando però si sottopone il personale, anche in età matura , a un impegno di aggiornamento professional e gravoso, senza c he esso tro vi poi alcuno sbocco, né in termini di impiego né di carriera , si fin isce co l creare potenzialm ente dei fru strati e degli scontenti. Un minimo di s urpl us è certamente indisp ensabile per va ri ottimi mo tiv i: la rotazion e del personal e per ev itare «infcudamenti» , l'opportunità ch e chi si trovi a collaborare con i vertici sappia come cava rsela, la necess ità di pot er operare una selezione accettabile fra persona le che abbia, per qu a nto possibile, le stesse esperien ze professional i. Ma se il fenomeno assume proporz ioni troppo vistose, si ottiene spesso il risultato opposto. Si prepa ra pe r co llaborare co n gli alti li ve lli ch i non ne ha ne ppure potenz ialmente la ca pac ità o non ne avrà mai l' oppo rtu nità e, ancor pegg io, ne lla selezione, si sceglie non d i rado

79

da un mucchio reso apparentemente omogeneo da un iter comune.

· La formazione, invece, dovrebbe essere severamente seletti va e riguardare una cerchia sempre più ristretta di elementi sicuramente qualificati. Oltre tutto, pochi benissimo è senza dubbio più redditizio che non preparare molti mediocremente. La selezione per la forma zione va intesa in due sensi: uno verticale, che assegna a ognuno, in base alle sue inclina zioni, un tipo di formazione professionale; l'altro orizzontale, che limita i vari live lli di preparazione a personale nella giusta quantità e nella giusta qualità. Assolutamente da evitare, poi, è un profilo di formazione professionale che prescinda dalle doti dell'individuo e dal suo possibile impiego. Una politica del personale sbagliata ha fatt o sì che non di rado venissero inviati a frequentare corsi impegnativi, in Italia e all'estero, personaggi che avevano il so lo merito di essere inutili agli organismi che li avevano in forza, con il risultato che, proprio facendosi forti del numero dei corsi compiuti, alcuni di ess i si sono appellati contro le commissioni di avanzamento che li avevano giustamente ritenuti non idonei alla promozione al grado superiore, e di essere considerati idonei e essere promossi , alle spese di altri mill e volte più meritevoli e con un passato di lavoro molto più impegnativo.

Selezione e impiego

Ammesso che il reclutamento di personale e il successivo processo formativo avessero pieno successo, l'opera non sarebbe ugualmente compiuta se il materiale umano così selezionato e preparato non fosse bene impiegato. La scienza detrorganizzazione sostiene che è sufficiente che il 20% del personale sia capace e motivato perché si realizzino le migliori condizioni per il successo di un organismo. Per quelli militari , poi , un esperto statunitense, J.A. Stockfish, sostiene addirittura che in una unità basta il 6% di personale altamente qualificato per garantire un livello elevato a tutto il reparto.

80

Se così fosse, non ci sarebbero problemi. Nelle nostre Forze Armate, la quantità di personale motivato e qualificatoassicurano i loro capi- supera largamente il canonico 20% e si allinea sui livelli dei Paesi st ranieri più evoluti militarm ente.

La carenza di preparazione assume, invece, dimensioni gravi se si guarda più in profondità. In a l tri termini, in qu anto a potenzialità di élite possiamo ritenerci abbastanza soddisfatti, ma insoddisfacente è i nvece la preparazione della grande massa, decisamente meno qualificata dei corrispettivi livelli esteri . Per é lite- precisano peraltro i nostri ufficiali - n on si d eve intendere però una particolare categoria, un partic0lare grado o incarico, o solo un particolare corpo, ma, in vece, quei personaggi che ovunque nell'organizzazione, qualsiasi sia il loro grado o il loro incar ico, si prodigano e con professional ità anche per gl i altri, guard ati spesso con distacco da tma massa demotivata e poco qu alificata. Si tratterebbe, dunque, di fare in modo, quanto meno, che questa élite di ge nt e capace e di buona volontà sia d estinata dove può meglio operare e condizionare favorevolm e n te il funzionamento dell'intera organizzazione. Maaggiungono i nostri ufficiali -così non è e questo prezioso persona le viene disperso in incarichi spesso poco entusiasmanti, co n l'inevitabile co n seguenza di mortificarne gli sforzi. Quattro sono i motivi principali che impediscono un int e lli ge nte impiego del personale: la supe rfi cia lit à della se lezione; il paternalismo ve rso i più docili; il non approfondim ento delle peculiarità di ogni incarico; la volontà stessa dei responsab ili del personale, attent i a non spiacere ai verti ci m i litari e polit ici.

È giusto e indispensabile - mu gugnano alcun i giova ni colonnelli- che siano i cap i a decidere quale debba esse re la politica di impiego del personale che rientra n e ll e loro più imp o rt a nti prerogative, ma questo non deve s ignificare però, come non di rado è avvenuto in passato , l'adattamento delle scelte di impi ego del persona le a i lo ro cap ri cc i, soprattutto di qu e ll i c he , avendo un posto nella comm issione di valutaz ion e, sono meglio in grado di influ enzarne i singoli responsa-

81

bili. Tale tendenza impedisce alle origini una corretta politica del personale, procrastina le designazioni per i vari incarichi all'ultimo momento, personalizza troppo le scelte. Così, diventa quasi impossibile maritare l'uomo giusto con l'incarico giusto. Se questo ha comunque luo go , ciò avviene assai spesso per caso. Manca, inoltre, la possibili tà o la volontà di liberarsi di chi, una volta assegnato a un incarico, rive la di non esserne idoneo. l mediocri , una volta insediati. non si spostano più , a meno che essi stessi non lo desiderino , mentre più «mobil i» sono gli ufficiali di Stato Maggiore e soprattutto quelli che dimostrano un'autonomia e una indipendenza di pensiero ritenute eccessive dall'ambiente. Una volta piazza to in un posto di responsabilità , un personaggio incolore e m ed iocre - proseguono nelle loro accuse gli ufficiali meno conformisti - ne attrae , come mosch e al miele, altri , con analoghe inclinazioni e della stessa levatura. L'ottusità è contagiosa: creatosi i l club di conformisti, ci si adopera con ammirevole solidarietà e disinvoltura a eliminare gli elementi «difformi», quasi sempre con successo. Poco alla volta, così, le cose che contano passano nelle mani di personaggi abilissimi nel surp/ace. in grado di mortificare anche gli sforzi e le intenzioni più ammirevoli di quanti, e non sono pochi, si battono per un migliore funzionamento delle Forze Armate. D ' altra parte- concludono i «giova ni leoni», insofferenti dell'attuale situazionese però c 'è un settore in cui i miglioramenti sarebbero facili e imm ediati è proprio questo , quello dell ' impiego del personale.

Non sarebbe neanche necessario attrarre subito nuovo personale o cercarlo altrove , basterebbe va lo rizzare quello ottimo che già c'è, ma che spesso è sotto-impiegato. Avere un incarico presso gl i organi centrali deve essere un privilegio da pagare a duro prezzo, in termini di lavoro e di efficienza, non già il premio al «cretinismo zelante».

82

La formazione dei Quadri

Nell'ambiente militare la preparazione dei Quadri ha r icev uto maggiore attenzione che non in quello civile. Ha scritto il generale Liuzzi: «Dopo la guerra mond iale, l'organizzazione addestrati va è stata rifatta su basi ampie e solide» e di ciò va dato merito alla «virtù degli esempi stranieri», ossia di q uei Paesi in cui la metodicità è parte fondamenta le di ogn i organizzazione. Liuzzi riconosceva , giustamente, i progressi «grandiosi» compiuti, ma metteva in guardia contro il «per icolo di disperdere parzialmente il patrimonio» così acquis ito. Purtroppo, i suoi timori si sono rive lati fondati. Non solo, appena cessata l'influenza esterna, la passione per la metodicità è svanita rapidamente, ma anche le successive m odifiche ai curriculum addestrativi non sono state adeguate alle esigenze. Se l'organizzazione addestrativa ha ancora d ime n sioni impressionanti, la qualità lascia spesso a desiderare. Comunque sia- si dice neg l i uffici dello Stato Maggiore - la base addestrati va c'è, si tratterebbe so lo d i adeguar la al p rocesso forma tivo indispensabile per delle Forze Armate m ode rn e. Accademie, corsi tecnico-applicativi, corsi di spec ia l izzazione, cors i di pre-comando, scuole di guerra di Fo rza Armata, istituto interforze, cent ro a lti stud i militari , nulla sembra mancare per la formazione dell'ufficiale. Molto s i è cercato di fare anche ne l settore dei sottufficiali e il panorama addestrativo de i Quadri sembrerebbe completo anche pe rc hé integrato da non infrequenti corsi all'estero: negli ultim i anni, sono oltre duecento gli ufficia l i di carriera che hanno fr equentato corsi di preparazione presso organism i st ranieri. I risultati di alcuni Istituti sono ta l vo l ta eccellenti, almeno a gi ud icare dalle esperienze positive dei nostri Quadri in cors i i mpegnativi a ll 'estero. È anche vero che si è cercato un costante contatto con il mondo civ il e, invita ndone autorevo l i esponenti non solo a tenere occasionati conferenze, ma a tenere, altresì, corsi di u n certo impegno e durata. Sembrerebbe , dunque , che non c i fosse nulla da modificare e che la s i tuazione attuale r isponda alle esigenze. Si potrebbe giungere a tale conclusione anche raffrontando la situazione in

83

campo militare con quella di altri organismi del nostro Paese che assai sovente curano in modo piuttosto approssimativo la preparazione del loro personal e. Ma un raffronto corretto lo si può fare solo con le situazioni di altre Forze Armate. Solo così si può tentare di sapere qual è il reale livello di formazione offerto dalla nostra organizzazione: limitarsi a constatare che da noi le FF.AA. fun zionano meg lio delle Poste è una ben magra consolazione!

È mancata una chia ra programma zione degli studi tale da garantire una progressività di apprendimento nel te mpo. Talvolta, come è avvenuto per l'Esercito alcuni anni fa, il processo formativo ha sottratto troppo tempo all'impiego: alcuni ufficiali sono stati costretti, a esempio, a seguire un corso per l'avan zamento al grado super iore di oltre sei mesi e un corso di Stato Maggiore di circa tre anni a breve int ervallo. Il tempo giusto per la preparazione professionale è indispensabile, ma - ci si lamenta allo Stato Maggiore - è anche indispensabile che ne rimanga abbastanza per impiegare il personale addestrato e trame profitto. Il mondo militare è, o dovrebbe essere caratterizzato dalla continua alternanza di periodi di studio e di pratica, senza squilibri a favore dell ' uno o dell'altra. Poich é così non è, o non lo è sempre, i reparti e i comandi tal volta si difendono, in vian do a i corsi di aggiornamento personale che non sanno come impiegare utilmente. Un altro punto «Critico» è quello relativo al tipo d i materie di insegnamento e al tempo da dedicare a ciascuna di esse. Per quanto riguarda, a esempio, le materie civili si è proceduto a tentoni, di rado colpendo il bersaglio giusto. Sono assenti la politica mi litare, la strategia, la storia militare non già come susseguirsi di fatti militari, bensì come analisi critica delle cause che li hanno prodotti, a l fine di trame i necessari ammaestramenti.

Se Luttwak lamentava che troppi ufficiali statunitensi sapessero di Clausewitz solo che era un tedesco morto tanti anni fa, per gran parte degli ufficiali italiani, e non per colpa loro, Machiavelli è un toscano che scriveva cose immorali e Oouhet, un aviatore che insegnava a distruggere le città. L'approssimazione dei programmi fa sì che il tempo non

84

basti mai. Contemporaneamente. troppe materie sono trattat e a un livello d i generi cità tal e da vani fi came l' in segnamento. Occorrerebbe - riconoscono ormai gran parte dei nostri ufficiali -ch e le tre F orze Armate affrontassero, insieme , meglio di quanto hanno fatto fino a oggi, il problema della formazione d e i Quadri: i probl e mi. da un certo livello in poi , sono infatti sempre più simili e giustificano un approccio comune. Una soluzione idea le- secondo alcunisarebbe quella di incominciare a adottare ta li c rit eri con i corsi di Stato Maggiore, concentrando in un'unica sede i corsi p er le tre Forze Armate. Se si adottasse un 'a rticolazione quadrangolare , con una strutt ura interforze e tre di Forza Armata , si potreb bero agevolmente svolgere, senza i compli cat i sposta menti attuali, sia le attività comuni di insegnam e nto , sia quelle specifiche di ciascuna Forza Armata, co me già accade presso le FF.AA. turch e. Si otterrebbero: unicità di indirizzi per le materie di int eresse generale quali sociologia militare, strateg ia, politica militare, politica di difesa , eccete ra; econom ia di risorse in t e rmini di insegnamento e di a tt rezzature. Si potrebbero sfruttare al massimo le attua li di sponibili tà , m e ttendo a d isposizione delle scuole attrezzature adeguate per le a tti vi tà prati c he, compreso il war gaming. La formazione managerial e dei Quadri potrebbe d ecollare proprio a questo livello e in questa sede, assicurando a tutti lo stesso tipo e lo stesso grado di preparaz io ne. Alt rettan to accadrebbe pe r le procedure di lavoro di Sta to M aggiore e per quelle operative c he ve rrebbero perfezionate in seguito alla con t inua sperimen tazione com un e da parte degli ufficiali delle tre F orze Armate. La preparazione burocrat ico-a mministrativa , c he ancor t roppo rilievo ha presso alcune scuole e in alcun i cors i, ne uscirebbe a ll egge rita. La pe rfezio ne burocratica e la caute la amministrativaosservano i nostri ufficiali- sono fuorvianti perch é asseg nano priorità elevate ad argomen ti c he prioritari, per un milit are, non sono. I noltre, l'insistere come si fa tal volta in alcuni corsi sulle cautele da adottare per ev itare di impegolarsi in ri sch i giu ridi c i, amm ini strativ i ecc. equ i va le ad ab it uare i Quadri a ritenere che sia più importante evitare le gra ne che

85

rischiare in proprio, ma decidere , assumendosene la responsabilità

Nelle scuole di guerra straniere si tende a stimolare l'immaginazione, l'indipendenza mentale, nelle nostre, troppo spesso, si instillano le prime regol e di conformismo legittimato. Sostengono alcuni nostri ufficiali che assai più utile sarebbe favorire la frequenza d e ll e Università civili negli anni del subalternato, ossia durante il periodo in cui oggi si frequentano le Accademie militari , periodo che varia da tre a quattro anni. Sarebbe, cioè, più opportuno, attraverso un processo selettivo intelligente, ridurre a diciotto mesi massimo il periodo presso le Accad e mie e poi suddividerne gli allievi, a seconda d e ll e capacità dimostrate e di quelle poten7iali. in due aliquote: una da in v iare direttamente ai reparti o a corsi tecnici, l'altra da in viare a ll e U niversità presso fa co ltà di interess e per l'organizzazione militare. Ciò avvantaggerebbe, da un lato, i re parti che ri ceve reb bero in anticipo dei comandanti ancora fr esc hi di preparazione militare e evitereb be, dall'altro , la formazione di una massa che, oggi, solo in apparenza è c ulturalment e omogenea, mentre nella realtà è costituita di di versi strati il cui li ve llo di preparazione è spesso agli antipodi l'uno d e ll'altro. Anche se umanamente comprensibile, la ri c hie sta, avanzata negli stessi ambienti d elle Forze Armate, di conferire una «laurea militare» ai fr eq ue ntatori d e i tre -quattro anni d e lle tre Accademie non sembra giustificata agli occhi d egli ufficiali più avveduti. lnnanzitutto, si di ce, pe rché preclud ere bbe la poss ibilità di un primo utili ssi m o contatto fra civili e militari. In secondo lu ogo, perché conferirebbe un dottorato di scarso significato, privo come esso sarebbe di reali riperc ussioni nel mondo d e ll ' impiego civile. Al contrario, chi fosse ammesso a frequentare l' Univ e rsità perché rit e nuto idoneo a misurarsi anche in questa arca, dovrebb e essere obbligato a mantenere un cos tante contatto con l'attività militare, attraverso la partecipazio ne ad attività addestrati ve rego lari. Sarebbe sufficiente esaminare quanto si è fatto all'estero da tempodi co no gli ufficiali favorevoli a qu es to progetto- per rendersi conto che, con gli opportuni adattamenti, sarebbe possibile

86

fare altrettanto da noi. Se poi si teme che i giovani ufficiali, al solo contatto con l'ambiente civile, perderebbero la loro id entità, allora , sarebbe anche b ene aggiungere che di tali ufficiali il Paese non saprebbe proprio che farsene. Un ultimo passo importante dovrebbe essere la preparazione interforze per i vertici o per coloro che si presume siano d estinati a occupare incarichi di vertice. Una volta c'era un istituto militare interforze, che però è stato incautamente soppresso. D'altra parte, se si adottasse la soluzione «interforze» proposta per le scuole di guerra, esso sarebbe. comunque, superfluo. Indispensabile, invece, sembra a molti valori zzare il Centro Alti Studi Difesa (C ASD), 1 non già per affidargli incarichi di studi strategici che non sarebbe in grado strutturalmente di assolvere, ma per assegnargli il compito di preparare efficacemente personale destinato a assumere posti di grossa responsabilità. attraverso l'insegnamento di materie specificamente legate all'attività dei vertic i, quali l'attività e le competenze degli organi tecnico-operativi e tecnico-amministrativi, la gestione delle c risi , la condotta di operazioni interforze, le gestioni di bilancio, Ja programma zione. eccetera, eccete ra . In questa stessa sede dovrebbero inoltre essere trattati. a un livello più elevato. problemi di polit ica di difesa , di politica militare, d i strategia, di condotta della guerra. In somma: mentre i frequentatori dell e scuo le di guerra dovrebbero impadronirsi dei meccanismi operativi delle operazioni intcrforze, presso il CASD si dovrebbero studiare e sperimentare i sistemi di gestio n e della crisi e dei conflitti ai massimi li velli. Naturalmente - dicono i nostri uffi cial i - si dovrebbe però e limin are la tendenza attuale, di cui la Difesa è peraltro il Dicastero meno responsabi le, di spedire al CASO personale <<in parcheggio» o in attesa di congedo. Non addestrare personale dirigente alla gestione d e lle c ri si non è certo una manifestazione di senso di responsabilità. Mantenere in attività un istituto potenzialmente di

87
1 Part ecipano ai corsi del CASO. oltre agli ufficiah delle tre Forre Armate, uffi ctali del corpo di Politia e funzionari dei Dtcasteri degli Esteri, della Difl'sa e degli Int erni.

grande utilità con la sola funzione di area di transito fra un incarico e l'altro per gli ottimi e gli appena buoni, non è certamente una prova di buona amministrazione.

La selezione e la valutazione

Ogni momento della se lezione e della formazione presuppone una valutazione. Altrettanto avviene per l'impiego. È quindi importante che un'organizzazione si cauteli contro le tendenze a vanificare quello strumento della selezione che è la va luta zione.

Tanto più la valutazione è intelligente , obiettiva e moralmente e professionalmente adeguata agli scopi della selezione, tanto migliore è la selezione dei Quadri, dagli ini zi della carriera agli incari ch i di vertice. In tutti gli studi di sociologia militare fatti all'estero la valutazione occupa un posto di primissimo piano. Da noi essa sembra terreno di caccia di pochi «esperti», e qualche volta neppure tanto «esperti». In ambito militare poi tutti sono convinti che la situazione sia tutt'altroche rosea , ma nessuno sembra seriamente intenzionato a porvi rimedio , rovesciando le tendenze attuali, piuttosto che continuare a cercare timidamente di correggerle, come spesso vien fatto, con nuove circolari, nuove norme tanto generiche da risultare non solo inutili ma spesso anche dannose. L' infl azione nelle attribuzioni delle qualifiche è un male di cu i soffrono molti Paesi occidental i. Sorley. a proposito dell'Esercito americano, lamenta le qualifiche «eccessivamente alte» attribuite ai Quadri. Un rapporto deii ' US Army War College ha definito il problema della valutazione infl azionata come «rampante in tutto l'Esercito». Nelle forze britanniche si era anche riscontrato il tentativo di alcuni corpi di favorire la carriera dei propri uffi ciali, con rapporti valutativi troppo generosi, e «mafiosi». Sembra inevitabi le che ovunque l'uomo tenti di favorire chi appartiene a l suo stesso corpo, ch i è più fedele, chi è meglio conosciuto. Il guaio è che per molti, moltissimi , nelle nostre Forze Armate i rapporti di valutazione sono diventati

88

un noioso obbligo da soddisfa re perché così vuole la norma, il che conferisce una spiccata artificiosità al contenuto dei rapp orti stessi.

D'altra parte- dicono molti nostri ufficiali- attraverso il meccanismo della valutazione, intesa come una forma di compenso apparentemente a basso costo, si crea un rapporto perverso di dipendenza verso chi detiene il potere di valutare. Favorire o condannare è abbastanza facile , anche perché nessuno è in grado di contestare il modo con cu i le va lut azioni sono fatte. In un sistema in cui l'appiattimento delle valutazioni una volta che ci si avvicini ai massimi liv elli riduce l'eterogeneo coacervo di ufficiali a una massa artificiosamente omogenea, ogni errore può facilmente costare caro ai fini della carriera. Così, consc i di tale situazione, molti ufficiali dedicano la maggior parte del loro tempo a evitare criti che e ad apparire zelanti, anziché a operare co n spirito di ini ziativa e conv in zione. In un mare di «eccellenti>>-, non pochi dei quali sono in realtà «nella media», molti tendono a procurarsi ri conoscime nti e quindi punti in più, attraverso quell'arte, in cui eccellono sopratt utto i mediocri, che nel gergo militare è chiamata «costruirsi il libretto». Inutil e dire- commentano gli ufficiali non conformisti- che spesso si tratt a di riconoscimenti co ncessi a chi chi ede e a chi piace più che a ch i merita. Fiorisce, così, l'«antimerito crazia». «Da noi,» diceva al riguardo alcuni anni fa uno dei capi dell e FF.AA. «per essere giudicati maturi basta non avere né id ee né iniziative.» È più o meno la s tessa situazione descritta dagli anglosassoni , quando dicono espressivame nt e che, per un ufficiale che vuole far ca rri era, è pericoloso «smuovere le acque» (lo make waves) e «far beccheggiare la barca» (lo rock the boat). L'arma della valutazio ne obbliga, invece, la barca a procedere in uno stagno senza onde, senza burrasche, ma anche senza orizzonti c spazi navigabili. Ai «600 ufficiali di Marina» che, con coraggio e senso della responsabilità, avevano indiri zzato nel 1970 una lettera collett iva al proprio capo di Stato Maggiore per sollevare, non già problemi settoriali e corporativi della categoria, ma obiezioni sulla gestione della Forza Armata , fu applicata con discrezione la

89

legge del taglione. Ave vano fatto beccheggiare la barca, do veva no scendere da bordo! I loro successori hanno appreso la lezione e si guardano bene dal ripetere , anche se con maggiore diplomazia, l'es perim e nto. Altrettanto avviene nell'Esercito e nell'Aeronautica dove - sostengono molti ufficiali- personaggi di scarso rilievo procedono indisturbati verso i massimi gradi, mentre altri assai più validi vengono, se mpre con discre1. ione, rimossi dalla linea ascend e nte. Una fras e che si se nte spesso ripetere ne ll e nostre Forze Armate da chi è addentro ai miste ri del potere è questa: «Per comandare si deve disporre di du e redini, i cordoni della borsa , la documentazione personale». Sempre Sorley commenta che il sistema valutativo, così mal e impi ega to , «ha impedito a molti di formulare critiche n e l timore che ciò venisse a svantaggio delle loro carriere». Nel 19 76, un anonimo aveva scri tto una lettera al «Times», lam e ntando che ne ll'Esercito britannico «i! mod ern o ufficiale di Stato Maggiore può scoprire che una buona parlantina e la capacità di accettare i compromessi sono qualità più utili di quelle tradizionali, quali il coraggio e l'iniziativa». In Francia si rilevava che gli ufficiali più giovani si rend essero co nto del «conformismo dei cap i» e quindi decidessero che era va ntaggioso seguirne l' esem pio. E così - dicono gli uffi c iali delle nostre Forze Armate che cerca no di rompere la crosta di conformismo che li circonda -che si distrugge l'arma migliore e più valida pe r una reale pre parazione, l'unico modo di fare esperienza diretta, cioè la possibilità di imparare commettendo e rrori.

Una piatta prestazione professionale, la costante preoccupaz ione di piacere e compiacere, il rifiuto di correre rischi e di assumere responsabilità sono - si dice amaramente - i mezzi più sicuri per una« brillante» carriera. Le cause sono principalmente due: un sistema di valutazione inadatto a una seria classificazione delle qualità e dei difetti di ciascuno, il rifiuto di molti ufficiali di assum ersi seriamente la propria parte di responsabilità al riguardo . Negli ultimi anni , si è fatto un passo importante, in campo valutativo: una documentazione caratteristica uguale per tutte e tre le Forze

90

Armate. Ogni ufficiale può ora esse re giudicato sulla base di un'ampia categorizzazione di d oti fisiche , morali, int ellettuali e professionali. Ma- sostengono molti nostri uffi cialiciò non basta. All 'in tegraz ion e dei giudizi parziali , tre personaggi, un compi latore e due revisor i, hanno la possibilità di ri empire due pagine con le doti e i difetti dell'ufficiale sotto valutazione. Ma le categorie di giudi zio sono state defi nite con una tale appross im azione da offr ire lo spunto più alla farsa che a una seria va lut azione. A esempio, la prima qualifica , che riguarda le doti fisiche, prevede come oggettivazione massima la qualifi ca di «aitante e distinto» , escludendo a priori che chi è aitante possa, però, non esser distinto o viceversa: Camera e Pa o lo Poli , oggi come oggi , meriterebbero , sulla base di tali cri te ri di valutazione. la s tessa qualifica. Poiché «perle» di questo genere se ne trovano in tutto lo schema val utati vo ci si può immaginare l'imbarazzo di chi cerca di far corrispondere in qualch e modo la rea le figura dell'uomo da valutare alla descrizione che se ne può dare attraverso parametri di giudizio tanto approssimativi. A ulteriore scorno di chi vorrebbe essere va lutato su lla base di criteri più affidabili c'è, inoltre, il fatt o che non è neppure ben chiaro o com unque ben stabilito qu a le va lore abbia ogn i param etro ri spe tto agli altri e se, soprattutto, le doti di carattere siano te nute in giusto conto, che qualsiasi incari co nel grado è giudicato più o meno a llo stesso modo , sia che uno abbia comandato l'unità più compl essa e rischiosa , o che si sia adagiato in un incarico non imp egnativo e più riposante. In somma: per ottenere una buona val utazi o ne, ciò che conta non è perciò aver fatto bene un lavoro diffi ci le, ma dimostrare sulla carta che si è compiuto in qualche modo il proprio obbligo secondo quanto previsto dalla norma. Fenomeno noto come «costruirsi il libretto».

Come se non ba stasse, uno strumento valutativo già di per sé tanto imperfetto viene male impi ega to da chi ne fa uso. Spesso, spessissimo, la descri z ione de ll ' ufficiale così valutat o non corrisponde in alcun modo alla realtà. Se i massimi revisori o le commissioni di valutazione chiedessero di con -

91

stata re l' aderenza delle note caratteristiche alla realtà , anche solo vede ndo l'ufficiale in questione andrebbero incontro a delle sorprese saporitissime. L'«aitante e distinto» molte volte apparirebbe tutt 'a ltro che tal e, perché oberato da qualche decina di ch ili in più del necessario e animato da un sincero odio per lo sport attivo; le sue doti intellettuali e cult urali , descritte con altrettanta approssimazione, si rivelerebbe ro parim en ti discutibili e così via. Per iniziare e per porre riparo alla situazione- suggeriscono alcuni uffi cial i- i comandanti dovrebbero essere giudicati anche per come essi stessi giudicano i propri sottoposti, cosa già prevista dalla norma, ma scarsamente verificabile. P e r le valutazioni da tene nte colonnello in su e gradi equivalenti, sarebbe, inoltre, bene convocare gli inte ressati e interrogarli. I n altri Pa esi occidentali, alcuni rappresentanti della co mmissione possono estendere a tre giorni il periodo de lla convocazione. Da noi può capitare invece che, anche ne l caso delle va lu tazioni più importanti, so lo pochi fra i componenti della commissione di avanzamento conoscano sia pure superficialmen te i giudicandi. Nella documentazione caratte r istica britannica è stata introdotta per i revisori una precisa domanda che suona pressappoco così: «Conosce direttamente l'int eressato, quante volte l' ha visto operare e in che occasione?». Se ciò fosse fatto da noi , molti revisori dovrebbero spesso amme ttere che stanno formulando un giudizio su ll a base di una conoscenza del tutto superficia le del soggetto in esame, avvenuta nel corso di un'esercitazione, di una semplice visita a una caserma, di un avvenimento mondano. Secondo gli ufficial i che auspicano una revisione dell'attuale sistema di va lutazione, dovrebbe anche esser possibile disporre di commissioni di va lut azione ai va ri livelli , quali, a esempio, per l' Esercito, i livelli brigata, divisione, corpo d'armata o, nello Stato Maggiore , qu e llo dei capi reparto. Questi group appraisals consentirebbero di constatare il valore relativo di c iascuno in rapporto all'ambiente in cui opera, e contribui rebbero, inoltre, a ridurre la pressione su ll a commissione di valutazione di vertice. Gli ufficiali da val ut are sa rebbero più facilmente convocabili. Non affatto superfluo sarebbe pre-

92

vedere, altresì, delle prove va lut ative, soprattutto fisiche, allo scopo di constatarne almeno il potenziale psico-fisico. C'è da chiedersi quanti colonnelli, generali, ammiragli sarebbe ro stati promossi se si fossero introdotte delle sia pur modeste prove di efficie nza psico-fisica, come è stato fatto con successo presso le Forze Armate di altri Paesi.

Merita, anche in questo caso, vedere come ci si era regolati , prima della seconda guerra mondiale , nell ' Esercito tedesco , dal quale molti nel dopoguerra hanno tratto utili ammaestramenti. Le classifiche previste erano allora tre: «superiore alla media>>, «nella media», «inferiore alla media». Gl i ufficiali «inferiori alla media» venivano collocat i in congedo. Lo si potrebbe fare anche da noi, dicono alcuni ufficiali del n ostro Stato Maggiore, perché nella catego ria dei «nella media» non mancano, forse , quelli che meriterebbero una va lut azione più bassa , mentre gli altri son tutti «eccellenti più». Presso le divisioni, gli ufficiali tedeschi venivano divisi in sette liste: quelli in grado di essere impiegati agli Alti Comandi, nel servizio di Stato Maggiore, nelle altre branche; quelli particolarmente idonei al settore addestrativo e alla ri cerca; quelli in non buone condizioni di salute; quelli considerati non promovibili; infine, quelli che non assolvevano be n e il loro in carico. Queste li ste e rano un'ottima guida per l'ufficio personale dell'Esercito che, comunque, inviava co ntinuan•ente i suoi ufficiali presso le unità per tastare il polso del personal e. La capacità di valutare era costantemente controllata. Nell'Esercito tedesco di allora, come in altre Forze Armate occidentali di adesso, la consta tazione di er rori di giudizio dava non già origine a platoniche di ch iara zio ni di in soddis fa z ione da parte dei vertici , ma a veri e propri provvedim e nti correttivi che oltre tutto penalizzavano c hi , per superficialità o mancanza di professionalità, aveva c hiaramente sbagliato nel giudicare. Il modo migliore per non esser promosso e ra , ed è ancora oggi in molt e parti, di giudicare male il proprio personale.

Le nostre commissioni di valutazione o di avanzamento, si lamentano che la loro attività sia riconducibile a una «sanzione notarile» dove, sulla somma di dati di carriera

93

incontrovertibili an che se chiaramente contestabili sotto l'aspetto della veridicità, si premiano spesso i mod esti e si penalizzano i migliori. In effetti, se una eccessiva libertà d'azione della commissione aveva dato , in passato, risultati discutibili, perché era servita a favorire chi non disponeva, per esser promosso, neanche dci meriti formali , è incontestabile che oggi, anche delle person e oneste e competenti, riunite in commissione, si trovano a dover riconoscere l'e sistenza di deviazioni che non ri escono o non pro va no neppure a modificare.

l Tribunali Amministrativi Regionali (TAR) che dov evano , nelle intenzioni , portare un po' di giustizia nel sistema, non possono, alla prova dei fatti , far altro che constatare se le norme sono state formalmente applicate. Non di rado avviene , così, che essi fini sca no col favorire personale decisamente modesto che la commissione era in vece riuscita a eliminare , peggiorando ulteriormente la situazione. D' altra parte - si riconosce realisticamente neg li stessi ambienti delle nostre Forze Armate - non è problema che possa con successo essere affrontato dalle so le Forze Armate. È indispensabile che, quanto prima, il probl ema venga affrontato da quanto di meglio le Forze Armate hanno nel settore del personale, ma altresì con il concorso este rno di psicologi, psichiatri , sociologi . L'obiettivo da consegui re , senza esitazioni e mercanteggia menti , dovrebbe essere quello di assicurare un sistema va lut ativo meno autocratico, barocco e soggettivo nella stesura dei giudizi e più obiettivo nei processi di valutazione per le tappe più importanti della carriera, tenendo conto che l'o bi ettivo rimane un ufficiale più utile per la società e per le Forze Armate.

94

Capi militari: guerrieri o managers?

I capi militari

Nessuna organizzazione dipende tanto dai suoi capi, dalle loro qualità morali , intellettuali e professionali, quanto l'organizzazione militare. Tale verità è spesso ignorata in tempo di pace, quando le finalità dello sforzo militare passano in secondo piano rispetto a altri interessi più immediati e meglio comprensibili al cittadino e alla collettività. Ma, come ha scritto De Gaulle, «la preparazione alla guerra è soprattutto la preparazione dei capi e si può afTerware che agli eserciti come ai popoli provvisti di capi eccellenti tutto il resto sarà dato in sovrappiù». Sempre a tale proposito, Machiavelli afTerrnava che è «da addoppiare gloria e laude a quelli Capitani che... prima che venghino alle mani (con il nemico) , è convenuto loro istruire lo esercito loro e farlo buono». Nel capo confluiscono quindi due funzioni: quella di preparare e quella di condurre efficacemente le forze che sono sotto il suo comando. La complessità e la difficoltà di questo compito sono spesso mal percepite perché la professione militare finisce nell'ombra in tempo di pace. L'es igenza di disporre di capi militari che siano all'altezza del compito rispunta drammaticamente nei casi di emergenza. Ma tale disponibilità non sempre è possibile e quando lo è, ciò si verifica solo nei Paesi ricchi di grandi e consolidate tradizioni non solo militari ma nazionali. La scelta e la formazione dei capi è infatti una scelta prima di tutto nazionale, che impegna Governi e Parlamenti, dato che, per citare ancora

III
95

Machiavelli , «Quel Prin cipe che abbonda di uomini e man ca di so ldati debbe solamente, non della viltà d egli uomini, ma della sua pi grizia e poca prudenza dolersi».

Perciò la responsabilità di dare alle Forze Armate cap i degni di questo nome no n può essere lasciata alle so le Forze Armate, qua si che si trattasse di un problema tecnico di loro esclusiva competenza. Tutto il Paese deve assicurare il successo di uno sforzo che si riflette d irettamente sulla sua sicurezza. Sarebbe errato, del resto , considerare esaurita la responsabilità dci ve rtici politico-militari con la selezione di coloro i quali sono destinati ad assumere i più alti in carichi. Ciò fa cendo si commetterebbero due error i: si limiterebbe la selezione ad un gruppo ormai formato e consolidato, correndo contempo raneamente il ri schio che esso non sia all'altezza dei requisiti che gli sono richiesti.

La formazione di un capo militare è un processo continuo, c he prevede stadi di maturazione successiva, ognuno diverso dall'altro, ma tutti egua lm ente indispensabili, per per ve nire a uno sviluppo armonico delle qu a lità morali , intellett uali e profess ionali necessarie a chi è destinato a assumere funzioni di coman do. Dal momento del reclutamento in poi, dunque, ogni sforzo dovrebbe essere ri servato alla cos tru zione di questo difficile edific io a forma piramidale o, come spesso avviene, trapezoidale, che è il Comando. Perché, quindi, si possano conseguire risultati apprezzabili occorre avere chiaramente in mente non solo il prodott o final e, ma anche i vari prodotti intermedi in quanto a ciascun li vello, sia in pace, sia in guerra , al capo militare è richiesto di saper operare in armonia con il disegno glob a le delle Forze Armate e co n le proprie speci fi che attribuzion i. La ricerca di un equilibrio fra le varie funzioni e le varie sollecitazioni provenie nti da una realtà esterna e int erna alle Forze Armate, in costante e rapida evo lu zio ne, non è facile . I tentat ivi di appli ca re acriti ca mente alle FF.AA. espe ri enze tratte dalla tecni ca dirigenzia le este rn a si sono spesso ri vela ti più danno si che utili .

Molti civi li e no n pochi milit ari hanno sostenuto, a ese mpi o, la tesi che la fi gura del comandante potesse considerarsi tramontata e che dovesse esse r sostituita da qu ella del mana-

96

ger. In un Paese in cui la spesa militare è vista con sospetto o con disinteresse, si riteneva che, mutando contemporaneam ente l'identità militare e l'immagine del Comando, si sarebbero create delle Forze Armate più moderne e quindi più accettabili. A contr ibuire a questa deformazione della funzione di Comando era stato altresì l'ingiustificato senso di frustrazione e di inferiorità che molti militari avevano sviluppato nei confront i di un mondo civile che sembrava loro più abile, evoluto, moderno. Perché quindi -s i e rano chiesti molti militari- non imitare il mondo civile tentando di acquisirne almeno in parte la più prestigiosa immagine? Sembrava a molti che sostituendo la sciabola con la valigetta executive e denominando tutte le attività dei Quadri militari attività manageriali anziché di comando, si operasse un effettivo salto di qualità. A accentuare tale tendenza contribuiva, poi, anche il fatto che i militari, pur avendo frequentato per la maggior parte corsi altrettanto impegnativi e di durata pari a quelli universitari, erano, per l'atipicità della loro professione, privi di titoli di laurea e non potevano fregiarsi della qualifica di «dottore», ambito traguardo per la maggior parte degli italiani. È oggi opinione di molti nostri ufficiali che tali comp lessi di una parte della classe militare, o meglio , della parte meno militare di tale classe, abbiano prod otto gravi danni alle Forze Armate anche se la loro in fondatezza è stata più volte dimostrata in tutte le occasioni i n cui le autorità civili si sono avvalse dell'opera dei militari per l'assolvimento di funzioni c he non erano loro proprie e familiari. Molti militari , a contatto con il mondo civile, hanno, così, compreso che non c'erano motivi validi per continuare a soffrire di un comp lesso di inferiorità e che fra i du e mondi, quello della dirigenza militare e quello della dirigenza civi le, era più importante co n servare le diversità che cercare di annullarle.

97

L 'evoluzione dei Quadri e le cause esterne

Fra le cause «esterne» che hanno contribu ito al mutam ento dello status dei Quadri delle Forze Armate nel mondo moderno, due sembrano di ma ggio r rilievo: l'una di ordine politico, l'altra di ordine tecnologico-organizzativo. lnnanz itutto. le società democratiche hanno, per loro natura e vocazione, una propensione spontanea verso tutto c iò che è legato a una concezione edonistica della vita: benessere, libertà individuale, esaltazione dei diritti e offuscame nt o dei doveri. A un potere politico fondato sul consenso è, dunque, arduo far pagare al cittadino un tributo per un o rganismo, come le Forze Armate in tempo di pace, di cui gli è difficile persino comprendere le finalità.

I Quadri militari che dovrebbero. in contraddizione con le tendenze generali della società, educare al sacrificio, a l rischio e al dovere finiscono perciò con essere guardati con indiffere nza e sospetto; il Paese ritiene, quindi, indispensabile «tene rli a distanza», attraverso un rapporto di sudditant.a nei confronti dell'autorità politica che ne riduca l'azione di comando. D'altra parte- dicono molti uffi c ia li- tutto ciò è possibile soprattutto quando i capi militari, spogliatisi dell'abito del «guerriero», indossano i panni dimessi del «burocrate-dirigente», e non quelli di manager. Il seco ndo, in fatt i, a differenza del burocrate, eserci ta anch'egli una attività di comando, non si limita ad amministrare, ma a far sentire la sua influenza sugli altri, conosce bene l'imp orta nza dell'esempio, il valore del «fattore uomo». In un seminario indetto dal Royal United Services In stit ut e di Londra ne l 1977, militari e civili di varia provenienza avevano convenuto c he il man ager, nella sua accezione più completa, si identifica con il capo militare, il leade r, ossia l'uomo che «guida>> e non s i limita a impartire disposizioni. Ma -aggi ungono i nostri ufficiali - non tutti, da noi, sembrano averlo caQito.

E perciò sconfortante sentire cert i capi militari parlare come un puro burocrate civile , ritenendo di compiacere così

98

i politi ci, soprattutto qu ando managers civ il i usano in vece un modulo comportamentale di tipo militare.•

De Gaulle affe rm ava che «l' uomo di Gove rno co ns id e ra il guerriero una mente limitata, s u pe r ba, poco maneggevole... pe rc iò, trann e che n ei momenti di crisi, egl i favori sce nel co mando non sempre i migliori, ma i più docili ...». In e !Tetti, la figura del «guerriero» non si presta a un 'interpre tazio ne addomesticata de ll a funzione militare, e ciò s pi ega perché la ves te de l dirigente sia cons id erata in tempo di pace dal mondo politico un 'opzione sosti t utiva di quella del «guerriero» .

C'è, d'altra parte, anc he ch i sostiene l'esigenza che la fi gu ra del «guerr iero» sia conservata per i gradi p iù bassi , in modo d a lasciar posto alla figura di manager pe r quelli più alt i. In termini funzionali , questa dicotomia a ll'i nterno d ell'organ ismo militare sembrerebbe quasi corretta anc he se, nei gradi medio-a lti, le du e figure, quella di «guerriero» e quella di ma nage r do v rebbe ro coesiste r e. Non è più corretta, invece, qu a nd o la fi gura del man age r serve a gi ust ificare la rinun cia all'azione di comando. In un organismo co me quell o militare, dove l'unitarietà d ei va lori m orali è condiz io ne di so pra vvivenza de ll 'orga ni s mo stesso. è indispensabi le che i vert ici in terpretino la loro funzione anche in termi ni et ico-po liti ci, cioè come un legame sp irituale con ch i da ess i dipen d e. La fun zio n e d ei capi nel le Forze Armate verso i propri s ubalterni assume infatti as petti che sono diffici lm ent e ri scontrabili a ll 'inte rno di un'organizzazione c ivil e. Un fun z ionario civi le può infatti ignorare totalm ent e non solo cosa il su o ca po faccia o dica , ma anche chi esso sia, purché gl i interessi fu nzionali dell 'o rganizzaz ione da cu i dipende siano tutelati. Un mil itare, di q ua lsiasi rango, invece, è lega t o a i s uoi massimi ve rti c i in m odo ass ai più completo ed è quin di es tremamente attento a ll o ro comportamento. Ne è esal tato og niqu al volta essi sono fedeli a ll 'immagine del militare e profondam ente d e presso quando li ved e coi n vo lti, magari in co mbutta con es pon enti de l mondo civile, in azio ni non co nformi

99
1 Robert T ownsend, Up rhe Organizarion. AlfredA. Knopflnc. , New York 1969 (trad . it. W l'orgamzzazione. Mondadori , Milan o 1970).

allo st i le militare. Il capo milita re, infa tti. imperso nifi ca lo sti le militare e la sua è un a respo nsab ilit à e norme.

U n ca p o milit are- sos te ngo no molti ufficiali italiani - ha quindi l'obbligo di conservare intatta la sua imm agine di « gue rri e ro» , a rag ion e d e l valore s imbolico d e lla s ua fun z ione: «nessun capo» si dice «dovrebbe c hi e d e re ai suo i su baite rni ciò che lui stesso non è in grado di fare». Le indagini di numerosi esperti sulla relazione fra le Forze Armat e e i loro ca pi portano tutt e a questa stessa conclusione, cioè che « la capacità dei capi ai più a lti li velli incide sign ifi cativamente sul la sodd isfazione ge ne ral e dei Quadri»' e che «quando l'add es tram e nto , l'educaz ion e c l' esper ie n za della ge rarc hia sono alti anche la coscie n za della legitti mità dello sforzo militare tende ad essere alta», 2 per concludere c he « la principa le legittimazione delle F orze Armate viene dal riconoscimen to che la naz io ne ha dell 'a utorità dei capi militari».J Niente di più n ocivo se mbra perciò esservi - secondo i nostri uffi c ia li- d e l ten ta tivo congiunto, dall'esterno e dall'interno d e ll 'a mbiente milit a re, di scolorire l' immagin e d e i ca pi militari , mortificando la fi g ura del «guerriero» a favor e di quella d e l se mplice m a nager, spogliato del la funzione di comando. Il mondo p olit ico- s i dice- rivelerebbe be n maggiore saggezza se no n temesse d i esal tare i va lo ri g uerrie ri nell'ambi e nt e militare, dal ve rti ce a lla base. in modo da esse re certo che, in ogni mom e nto , quello milit are sia pronto a ri spo nd e re al suo app e ll o . Anziché d e i p a rtn ers remissivi c in co lori , esso disporrebbe. a ltres ì, di collaborator i fede li. int e lli ge nti e cosc ie nti delle grandissime res p onsabili tà d e l loro ruolo. L'in tesa fra m ondo politi co e mondo militare sa rebbe il frutt o d e ll a loro cos tant e di ale tti ca e n o n già d e ll a so tt o missione acritica d e l seco ndo al primo. Sempre De Gaulle ha scritto: «Politi c i e soldat i, i mi gl i or i se rvitori d e ll o Stato, raramente sono i più mall ea bili . Bi sogna che i capi abbiano

1 Anne Hoiberg. Mt!nar.r Sla.ring Poll'er.. in S. Sarkesian (a cura di). op. cit.

2 Stephen D. Wesbrook. The Potential.for. Aftluar.y DISintegrauon. in S. Sarkesian (a cura di). op. cu.

3 lbid.

100

anime da capi ed è un cattivo calco lo allontanare dal potere certi caratte ri perché difficili. Per qualche comodità nei rapporti immediati si rischia di perdere tutto quando arriva il gran giorno».

Le convinzioni di De Gaulle hanno, del resto, trovato conferma anche in altre sedi. Un Semina rio del 1979 ha concluso che « le persone che va n bene per il tempo di pace... non sono necessariamente quell e di cui si ha bisogno in tempo di guerra, quando non ci si può concedere il lu sso di circondarsi di persone gradevoli. Può esser necessa rio avvalersi di personalità assai meno amabili». 1

La dimensione del problema militare ha assunto livelli «macro-organizzativi» tali da rendcrnc la gestione estremamente difficile, soprattutto perché, accanto agli c lementi «ponderabili» , sono prese nti in gran numero fattori del tutto «imponderabili» per la maggior parte attinenti alla «variabile uomo». Sono gli «imponde rabili» che, assai spesso, complicano la v ita dell'ambiente militare. La tendenza prevalente è, perciò, di ignorarli quasi che la scienza militare pot esse essere degradata allivello di pura tec nica organizzati va. In realtà. le inclinazioni meccanicistiche, a quantificare ciò che è misurabil e ed a ignorare tutt o ciò che non lo è, hann o portato, secondo Charles Moskos, «a con fondere la fi sica delle cose con la chimica della gente». Ancor peggio, le cose e la gente sono semb rate entrambi riconducibili a puri modelli mat ematici razionali, capaci di rendere «calcolabili» le loro interrclazioni ed i loro effetti sull'a mbi ente este rno. Tal e approccio, in coraggiato dal progresso tecnologico soprattutto nel campo della ciberne ti ca, si è esteso a tutti i settori dell'attività militare: dalla strategia alla tattica, dalla gestione del personale a quella dci materiali. Sembrava quasi che una volta impostato mat ema ti camente il problema in modo corretto , non rimanesse all'uomo che applicare moduli comportamentali e procedure sugge riti dall'elaborazione automatica dei dati a disposizione. Ma le tecniche «raziona-

1 The Selection ofModern H'arri ors. Seminario presso il Roya l United Services lnstnute di Londra. maggio 1979.

101

leggianti», largamente applicate nel conflitto vietnamita dagli Stati Uniti, hanno dato i risultati deludenti ben noti, nonostante il colossale dispendio di risorse. Così, la letteratura americana success i va a l conflitto v ietnamita ha ricondotto il problema nei suoi giusti termini, ri dando l'importanza che merita alle incognite umane ed alla funzione di comando.

È, perciò , opinione assai diffusa anche nei nostri ambienti militari che la società militare debba, per ritrovare se stessa, recuperare la sua «unicità», pur tenendo conto delle istanze di rinnovamento della società nazionale nel suo comp lesso. Ai li ve lli alti, il coordinamento e la gestione delle attività diventano sempre più impersonali allo scopo di utilizzare nel modo migliore possibile tutte le forze disponibi li . La funzione specialistica, gestita secondo criteri esclusivamente manageriali, può però soffocare la gestione operat i va, che ubbidisce a crite ri largamente più soggettivi. L'adozione di tecni c he astratte e sempre più cent ra li zzate, ridu ce fortemente la coesione dell'ambiente militare e, di co nseguenza, la sua capacità operativa. Attraverso la ricerca dell'efficienza amministrativa, con l'adozione dei moduli civili, si ridu ce l'efficienza operat i va. Aumentando la complessità dell'organizzazione militare e le dimensioni dei problemi da affrontare, la burocrazia interna tende a creare più specializzazione, raz ionalizzazione e standardizzazione, premiando la routine amministrativa. L'organizzazione militare finisce, così, attraverso una tecnica di gest ion e azie nd a le e rrata , perché i mitata acriticamente da altri setto ri , co l modificare sostanz ialmente i beni che produce. Una gestione militare co ncepita per il mercato della vita in tempo di pace, non è quindi più ri sponde n te alle condizion i di mercato dei tempi di crisi e di guerra.

Se il mercato rifiuta il prodotto. scompare anche il profitto. Un'organizzazione militare che produce solo efficienza in tempo di pace, per disgregarsi in tempo di cr isi , è un'organizzazione ass istenziale, che si preoccupa, cioè, unicamente di c reare occupazione e di costituire una base per il potere politi co. L'identificazione del capo militare con il dirigente

102

altam e nte politicizzato, quale lo si v uole ora, diventa, a questo punt o, t ota le.

Pe r evitare tutta questa se ri e di in co n ve ni e nti occorre, perc iò , seco n do i n ostri ufficiali, ricondurre il problema nei suoi giust i termini. L'este n sione della fun zio ne militare al mant e n imento della pace e d e ll a stab il ità sociale e politica comporta un a differen z iazione d e i ruoli (amminis trativo, burocrati co, di sos t egno, della ricerca ... ), a sfavo re del ruolo combattente, c h e può migliorare lo «status professionale» d e l mili ta re a condizione che ogni co mpito, ogni ruolo :;ia int erp reta t o con chiare7J.a.

È ind ispensabile, quindi , che sia m eg li o d efi n i t a l' id e ntità professio n a le di ogni «militare», distinguendo c hi «gu e rri ero» d eve essere da ch i non occorre c he lo sia. In o ltre, ai vari comp iti, alle varie fun z ioni , d ovrebbe essere attribuita l'impor tanza che merita n o n el quadro ge ne ra le d e lla politica di difesa dello Stato. Perciò, il militare anziché in s ist e re ne lla difesa d ella s ua imm agi ne so lo «guerriera», difficilmente sostenibile in molti casi, od optare acriticamente per quella opposta solo «manageriale» , dovrebbe ave re una fi s ionomia più arti cola t a, t ale d a soddisfa re le m o lte plici e co ntradditt o ri e esigenLe di una socie t à moderna e d e mocratica. Anche se il compito è est remamente difficile sa rebbe quindi necessario operare una di st in z ione ben chiara fra gli aspett i del comando e quelli manage riali dell'attività d e i Quadri, per armonizzarne poi le fun z ioni in una visi one c h e d e finisca c hi aramente le priorità da attribuire a ciascuna fun z ione.

Do ve la funzione di co m a ndo d eve prevalere ind iscu tibilm ente su quella mana ger iale è n e ll'ambito d e ll e unità di impi ego fonda m e ntali , all'i nt erno delle quali la coes ione m orale cos titui sce un fattore d eter.n inante d e ll 'o pe ratività. A questo liv e llo il rapporto fra i Quadri e il resto del pe rsonal e è diretto e le a tti vi t à da co ndurre in pace, ma soprattutto in guerra, s i id e ntifican o con la profess ione militare allo stato puro. A qu es ti liv e lli, il «carisma» dei ca pi , l'es e mpio , sono fatti tan g ibili . Il «gue rri ero» inte rpre ta la sua v ita profess ion ale in t e rmini di «co m a ndo , preparazione pe r il combatt im ento e co mb att im ento». La profess ionalità militare a tale

103

li vello e ai livelli inferiori si riferisce , secondo Segai e Lengermann «a un'arca in cui viene virtua lm ente monopolizzata l'esperienza di un corpo di conoscenze che trova scarsa applicazione nella società civile». 1 Questa peculiarità del comando sembra destinata a restare insostituibile fintantoché il confronto con «il nemico» si caratterizza, nonostante l'im piego di meni tecnologici sofisticati, come lotta per la sopravvivenza in termini primordiali , esigendo dai componenti delle singole unità una reciproca dipendenza.

Al contrar io, la spersonal izzazione che potrebbe, invece, derivare da una concezione manageriale dei rapporti a ll 'interno di tali unità sarebbe t anto costosa in termini di solidarietà morale e di efficienza da rivelarsi non tollerabile. Al comandante sono richiesti comportamenti e prestazioni professionali che non hanno alcun punto di contatto con quelli richiesti a un manager. In termini comportamen tali l'esigenza d'essere d'esempio comporta pe r il «comandante-guerriero» l'obbligo di mostrarsi superiore a i suo i uomini non so lo in termini di coragg io fisi co, ma sopra ttutto di coraggio morale. Egli deve dare costantemente prova, secondo Clausew itz, di energia, costanza, fermezza , sensibilità e forza di carattere, caratteristiche che solo in minima parte sono richieste al manager, e in circos tan ze assai diverse. Egli deve riuscire , in condizioni di fatica e di rischio, oss ia in quelle condizioni che, seco ndo Raymond Aro n, rendono «tanto più difficile il compito ct e ll'intelletto», 2 a tener costantemente presente il compito da assolvere e gli uomini sotto il suo comando. Nel momento della decisione egli è spesso solo a scegl iere la via su ll a qua le procedere, perché la linea del comando è quella della solitudine e, quindi, della concentrazione di tutt e le responsabilità in un solo uomo , il capo.

L'a ttività decisionale del manager si colloca, invece, spesso in un contesto collegiale e le decisioni scaturiscono quasi sempre da un'attività di mediazione e quindi dal compromesso. La responsabi lità è condivisa dalla collegialità della

1 David Segai e J oscph D. Lengermann. op. CII.

2 R. Aron. op. cii .. vol. l. cit.

104

decisione. Nell'organizzazione militare ogni livello di comando o direttivo dovrebbe conservare questa capacità di assunzione autonoma della responsabilità. Il capo militare, anche al massimo vertice, dovrebbe poter ignorare le obiezioni della collettività decisionale, ove lo ritenesse indispensabile, per decidere da solo. La ricerca dell'unanimità collegiale a tutti i costi all'interno dell'ambiente militare equivale alla rinuncia alle responsabilità di comando. Secondo Clausewitz, la risolutezza c il coraggio diventano tanto più difficili e rari, ma anche più indispensabili, quanto più elevato è il li vello gerarchico. Voltaire, a sua volta, ha espresso gli stessi dubbi di Clausewitz sulla carenza di risolutezza ai livelli più alti della gerarchia militare, scrivendo che essa «brilla ai bassi livelli mentre si eclissa a quelli alti».

l compiti del capo militare ai più alti livelli gerarchici sono molto complessi. Egli, infatti, oltre che rispondere della gestione dell'organizzazione come manager, deve costituire un simbolo anche per i suoi subalterni con i quali viene saltuariamente a contatto. Inoltre, la sua funzione pubblica ha una natura ambivalente. Se da un lato l'immagine di un capo autorevole e carismatico esercita un forte potere di attrazione sull'ambiente militare, dall'altro rischia contemporaneamente di ingenerare preoccupazione e sospetto all'interno dell'ambiente politico; viceversa, una figura di capo più eva nescente, meno chi aramen te espressa, non può che deludere l'ambiente militare, mentre può apparire più accetta ai poli ti ci. Secondo An ne Hoiberg «i l capo deve sape r assumere due ru oli, quello di manager di uomini e materiali, come quello di manager di strategie, bilanci militari, comuni caz ioni e di una colossale attività burocratica».• In sostanza: il capo, ai massimi livelli di ve rt ice, deve saper eserc itare tre funzioni, spesso in contrasto fra loro, quella del comandant e «guerriero», quella del consulente del potere politico e, infin e, quella del manager per la gestione delle risorse che sono attribuite alle Forze Armate.

La formazione dei capi è, quindi, una responsabilità con1 A.

105
Hoiberg, op. cit.

giunta della classe politica, della soc ietà, d e ll'ambi ente militare . Solo la co nve rge nza dei loro sforti può assicurare al Paese, an che durant e lu nghi pe ri odi di pa ce, cap i militari in possesso delle doti indi spe nsa bili in te mp o di crisi e di gue rra, quali «l'energia, la fermezza, la costanza, la sensib ilità, il ca rattere». 1 Occorre evita re, ha scri tt o il genera le Supino, che «capi in ca pa ci possono diventare il braccio secolare di uomini di Gove rn o presi alla sprovv ista da avvenimenti più grandi di loro». 2

Se può esse re accettabile una co mpl eta id entifi caz io ne co n la sfera «manageriale» d i quegl i in caric hi o di quelle caric he che prevedono un 'a tti vità lega ta alle tecnologie e ai mat eri ali. an zic hé agli uomini , non pare possibile estendere tale identifi cazione a qu ell e aree che riguardano l'o peratività e l'impiego d ell 'uo mo in com battimento. La differe nza fra il man age r ed il «guerriero» risiede perciò so prattutto n el differente rapporto che ciascu no ha co n l'uo mo co mba ttente e con l'attività di combattimento. Qu a nto più il rappono è indiretto , tanto più l'a ttività d ec isi onale ricade nella sfera «manageriale». Quanto più è diretto , tantQ più essa ri entra nell e funzioni del co mand a nt e-gu erri e ro. E, quindi , erra to sostenere che sia la com pl ess ità d elle a tti v ità da coord inare e gest ire a far me ritare al militare la qualifica di manager. Il manager mod erno è più uno speciali sta nella tec ni ca d ell a gestione che uno specia lista della gestione di panicolari tecniche. Un ma nage r con la s ua espe r ienza e la sua versati lità potrebbe senza dubbio occupare e ffi cace mente molli in ca richi della linea amministrativa, sia essa riferita a uomini o materia li . Egli manch ereb be però di tre requisiti essenzia li : la dédizione morale , l'espe rien za specifica , l'attaccamento ai propri uomini . Un man age r può saper trarre i mas s imi risu ltati da un impiego ra">;iona lizzato delle macchin e, un «comandante», invece, sa ottenere risultati eccez ionali facendo leva su ll 'e lemento umano.

Un «comandante»,3 dovrebbe: dirigere il suo gruppo, defi-

1 R . Aron. op. cl/., vol. l , cit.

2 Paolo Supino. l problemi dell'Esercito. Gladio. Roma 1954

) A Hoiberg. op. cit

106

n ire regole e procedure di comportamento, istruire, operare come «modello», fornire sostegno. Un manager, secondo l'accezio ne moderna del termine, condivide sicuramente i primi due aspetti dell'attività di comando, talvolta il terzo , mai gli altri due. Un comandante deve essere in grado di trasmettere ai suoi subordinati una serie di va lori ideali e ciò presuppone che egli sia pienamente convinto di quello che prete nde di insegnare. Un famoso capo militare britannico ha detto, a tale proposito, che per essere un oratore efficace nell 'ambie nte militare occorre innan zitutto essere convinti di quanto si dice. A nessun manager verrebbe mai chiesto di farsi portavoce di un messaggio di ordine ideale, in quanto la sua professione è identificabile con valori di ordine materiale. L'u omo è importante anche nell'industria, ma solo se gli è assi curata piena «soddisfazione nel lavoro» (job satisfaction) il suo rendimento aumenta e con esso aumentano le prestazioni delle mac c hin e o dell'apparato di cui esso risponde. Ciò è vero anche per larghi strati dell'organizzazione militare, ma non per quelli in cui il rapporto con la capacità operativa è diretto. In questi ultimi casi, l'uomo non si limita a impiegare la macchina, ma partecipa altresì a un coacervo umano altamente soggetti v izza to.

l Quadri inferiori

Per elevare la professionalità ne ll e Forze Armate , non è sufficiente affrontare e risolvere il problema dei Quadri intermedi e dei capi militari se rim angono scadenti il li vello quantitati vo e la qualità dei Quadri inferiori, sottufficiali e uffi ciali subalterni. Data la grande importanza del <<gruppo prim ario», quale primo elemento pe r la coesione all' interno d e ll e unità , chi come loro ne è responsabile deve essere senza alcun dubbio all'altezza del compito. Nell'Esercito, dove il prob lema dell ' inquadramento dei minori livelli di comando è assai più difficile da risol ve re non foss e altro che per le d imensioni e la complessità del probl ema, la situazione si è fatta assai grave. Abolita la categoria dei sottufficiali di com-

107

plemento, si è mantenuta in vita la catego ria degli ufficiali di complemento di prima nomina, a integrazione del numero assolutamente esiguo di sottufficiali e di ufficiali di carriera. Tal e accorgimento ha però, dicono i nostri ufficiali, solo valore di espediente e non soddisfa c he marginalmente le esigenze del comando. Il problema degli ufficiali di complemento è stato trattato in termini estremamente critici da Robi Ronza, 1 che ri conosce pochissimi meriti alla categor ia. Senza voler fare di ogni erba un fascio, non si può non rilevare che, oggi, con la crescente complessità del comando, è assolutamente discutibile affidare un ruolo di tale responsabilità a giovani che sono poco più addestrat i dei so ld a ti di lev a, dei quali condividono l'età, ma rispetto ai quali sono non di rado culturalmente, socialmen te e psicologicamente meno attrezzati. Le domande per l'ammissione a i co rsi di all iev i ufficiali d i complemento sono abbastanza numerose. Solo per l' Es ercito, il rapporto fra richieste e posti a concorso è di cinque a un o, il che offre qualche possibilità di operare una selezione adeguata. Ma se si deve giudicare dalla media d ei giovani prescelti, non si può non concludere che o la mas sa dei giovani asp iranti è comu nque scadente, o la se lezio ne è mal condotta. Qualche dubbio sembra lecito anche sulla qualità del processo di formazione. In realtà, nella scelta dei giovani aspiranti- sostengono gli ufficiali di carrierasi dovrebbe tene r conto soprattutto di ciò che sa rà loro ri chiesto: una effettiva capacità di coman do su un a ventina di uomini , po co più, poco menu, ma co rredata da alcune specifiche specializzazioni. Nel giova ne uffi cia le, come nel giovane sottufficia le, dovrebbero esse re perciò ricercate, sopra ogni cosa, le doti di ca rattere e psico-fisiche più aderenti all'immagine del «guerriero» c del capo . La prese nza di tali doti in modo ri levante giustificherebbe la scelta di giovani anche culturalmente, socialmente inferiori risp etto alla media degli aspiranti.

Del resto, non è sul terreno della cu ltura o su quello socia le che essi devo no mi surarsi con i giova ni soldati, bensì su

108
1 Robi Ronza, Pierino t•a soldato, Ed. Jaca Oook, Milano 1968.

quello dell'addestramento dove, pena il ridicolo e la perdita di prestigio, devono dimostrare di sapere e potere essere di esempio. Chi chiederebbe a una guida alpina, a un istruttore subacqueo, a un maestro di sci di possedere un titolo di studio e una cultura elevata? Se ce l'hanno, tanto meglio, ma è indubbio che essi sono va lutati per le loro capacità professionali e per quella di imporsi su chi li deve seguire. Sembra im possibile credere- dicono i nostri ufficiali di carr iera- che nel nostro Paese non si riescano a scegliere e a motivare circa tremila giovani «capi» ogni anno, quanti ne ri chiede l'Esercito, su un totale di circa mezzo milione dei contingenti annui di leva! La scarsa qualità dei giovani ufficiali di prima nomina ha conseguenze abbastanza serie. Innanzitutto. essa facilita la tendenza. propria in tempo di pace, all'accentramento delle decisioni e delle responsabilità ai li velli più alti: la delega diventa un «bel ri cordo».

Il risultato è che il giovane sottotenente si tramuta in un soldato «con i gradi». Egli gode dei privilegi economicosociali del grado, senza offrire molto in cambio, e tende a essere accettato dal «gruppo» che in vece dovrebb e comandare. sviluppando quel sentimento che dai sociologhi ameri cani è definito come desiderio di essere one of the boys, «uno dei ragazzi», il che genera «la permissività, la riluttanza ad applicare le norme in vigore, il fallimento nel trattare i problemi del personale e del morale».l Così i problemi del comando del gruppo primario vengono trasferiti, pi e' pari, ai livelli superiori, irrisolti e non affrontati, creando rischiose situazioni di carattere disciplinare dovute proprio alla scarsa competenza dci giovani ufficiali.

Poic hé, d'altra parte - sostengono i no stri ufficiali su periori- è impensabile ri solvere in modo soddisfacente il problema dei Quadri di carriera, il cui reclutamento annuo dovrebbe quanto meno essere radd oppiato. è indispensabile almeno fare qualcosa e subito perché la qualità dei giovani uffi ciali sia migliore. Ciò significa ri vedere anche la loro formazione professionale, prevedendo anche la possibilità di operare una seconda forte selezione dopo un congruo perio-

109
1 Guenter Lewy. Aml'rican Expl'riencl' in Vil'tnam, O.U.P.• New York 1978.

do di attività di comando presso i reparti. Chi fa lli sce, non dovrebbe esse r promosso. Alcuni ann i fa e ra stato te ntato un int eressa nt e esperimento. I giovani allievi passavano un periodo come sottufficiali prim a di essere promossi. Se promossi , veniva no trasferiti. Il provvedimento e ra ben st udiato, mentre impe rfetta ne e ra stata l'applicazione. La se lez ione, a causa del permissivismo de i comanda nti , n o n era sta ta fatta in modo adeguato, vanificando lo sco po prin c ipal e d e l provvedimento che i nfatti era sta to poi ann ullato. Infin e, solo tre mesi in più di servizio di leva rispetto a i so ldati semplici per gl i ufficiali di prima nomina sono troppo po c hi , sia per i compiti c he ne giustificano l'arruolamento sia per i considerevoli che essi acquisiscono r ispetto ag li altri. E un fatto o rm ai accertato che, so lo dopo sei mesi di permanenza ai repart i, c i si può attende re c he un giova ne subalterno sia in grado di comanda re. • Dop o se i m esi di co rso e sei mesi di pratica, rimangono , ora, solo tre m esi di utile impi ego a l giovane co m andante, c h e oltre tutto , dopo i primi sei m esi, percepisce uno sti pend io che i l suo collega «di car ri e ra» s i deve meritare co n due anni di corso duro ed impegnativo. In Gran Bretagna, i giova ni subaltcrni «di complemento», di Short Service Commission (SSC) restano sotto le armi tre anni. Per il nostro Paese - di co no i no s tri uffi cia li di carr ie ra - ciò eq ui varrebbe forse a do ver estinguere la categoria, 2 ma ... con 18 m es i, di cui sei press o le scuo le e 12 presso i reparti, qualc osa di più sarebbe possi bi le ottenere. In co nclu sione, mi gli o r selezio ne, una forma z ione «tagl iata su misura» rispetto all' impi ego e una pe rman e nza di poco più lunga di quella attuale potrebbe ro restituire dignità professionale a una categoria c he, co n le d eb it e eccez io ni , ha perso co mpl eta mente pres ti gio. È una d ec is ione diffi c ile pe rch é s ul probl e ma d e i giovani ufficiali di co mplem e nto si concentrano le attese di diecine di migliaia di fami -

1 Vedi Cathy Downes. Educatingfor the Pro/c>SSion ofArms. USMA West Pomt and RMA Sandhurst. United Services l nstitute Joumal)), dicembre 1981. 2 Quando, peresempio,la ferma degli ufficiali di complemento fu portata da 12 a 15 mesi, il numero degli aspiranti si ridusse sensibilmente.

IlO

glie e , di conseguenza , si esercitano le inevitabi li pressioni del mondo politico e militare. La situazione attua le , in termini di costi-ricavi , è quantoma i scadente. E, senza giovani ufficiali , la macchina militare non può marciare, per quanto eccellenti siano i gradi superiori.

Ili

La dirigenza militare: ieri e oggi

Breve storia dello Stato Maggiore dell'Esercito

Nella edizione del 193 5 del Dizionario della Lingua Italiana di Niccolò Tommaseo, viene definito Stato Maggiore «gli ufficiali che assistono o coadiuvano i comandanti d elle grandi unità diramando i loro ordini, sbrigando le pratiche di ufficio, ecc.». Questa definizione, vecch ia di oltre un secolo, si attagliava al periodo delle guerre napoleoniche quando l'attività degli Stati Maggiori era ancora e solo esecutiva. Allora, infatti, n el capo militare s i acce ntravano s ia l'elaborazione , sia la formulazione delle decisioni, l'a nalis i del particolare e la si ntesi del comando. Già allora, però, Napoleone doveva riconoscere che occorreva il cerve llo di un Newton per impadronirsi delle infinite va riab ili d e ll 'attività decisional e . Un corpo dì Stato Maggiore in grado solo di tra smettere co n chiarezza e tempestività gli ordini non bastava più. Napoleone aveva rivoluzionato la scienza della guerra e aveva un capo d i Stato Maggio re brillantissimo nel generale Berthier. Ma la mancanza di uno Stato Maggiore preparato fu ugualm ent e, secondo Schlìeffen, una delle cause principali della sua sconfitta.

La crescente complessità politica e militare della preparazione e della condotta della guerra aveva reso improponibi le demandare a un solo uomo, per qu anto eccezionale fosse, un'attività d ecisionale c he richiedeva metodo e capi ll arità di indagin e e di direzione. L'epoca del principe guerriero , del capo politico-militare, dell ' «intelligenza personificata dello

IV
11 2

Stato», era ormai al tramonto e lasciava il posto a un'era caratterizzata dall'esistenza di meccanismi direttivi più articolati e decentrati, che potessero abbracciare il genera le e il parti colare e assicurare un tramite funzionale e capi ll are tra vertici di comando e p erifer ia esecut i va, rendendo possibile «un co ll egamento fra i fini politici dello Stato ed il soldato in prima lin ea». 1 Infatti, so lo attraverso Stati Maggiori preparati era realistico decentra re responsabilità verso gli elementi satelliti che il Centro non poteva più gesti re da solo. Fu così che i militari europei scopri rono, con enorme ant icipo sul settore c i v il e, il significato e l'importanza di un apparato diri ge nziale, qualificato e amalgamato attraverso una selez ion e accurata e un processo formativo comune. Nacque allora quel middle management , la cu i professionalità e competenza decide anche oggi le fortune di qualsiasi o rganizzaz ion e moderna sia essa civile o militare.

Il Piemonte, cui le occasioni di guerra non potevano mancare, non poteva riman ere estraneo a questo processo evolutivo. Nel 1814, con so lo quattro a nni di ritardo ri s pe tto al mod ello prussiano, nacque così il primo «Stato Maggiore» pi emontese. Era però impensabi le che, in un Pi emonte anco r pro vinciale e codino, in condiz ione di relat ivo isolamento polit ico e militare, potessero prosperare fermenti inn ovat i v i pari a quell i c he assumevano crescente vigo re e ampio respiro ne ll e maggiori naz ioni europee. La dimensione internazionale d ei problem i e la coscienza dell'evoluzione dello Stato anche nella condotta politico-militare della guerra era patrimonio di pochi, come Cavour e D'Azeglio, uomini po l it ic i con un passa to militare peraltro limitato alle prime es peri e nze. Nell'Esercito pi emontese, pur cita to da Engels per la sua apprezzabilissima qualità, i cap i e rano scarsamente informa ti di quanto avveniva all'esterno, ossessionat i com'erano, oltre tutto, da una visione del loro impegno militare diretto verso lo stesso ne mi co e destinato a svilupparsi, ri petitivamente, nelle stesse aree del territorio naz ional e. N iente sembrava favorire un reale sa l to di qualità in un

• J. Downey, op. cit. ( 113

ambiente in cui gli Alti Comandi facevano affidamento assai più s ul coraggio c sulla compattezn delle truppe che su lla propria capacità di condurre la battaglia secondo i principi dell'arte della guerra.

Così. il provin cialismo militare, cug ino minore di quello politico. finiva col rifiutare ogni reale progresso, recependo dall'esterno solo l'aspetto esteriore dei cambiamenti c senza comprenderne o volerne comprendere motivazione e sostanza.' Il corpo di Stato Maggiore piemontese, primo embrione di un'élite militare, nasceva senza che ci si preoccupasse di stabilire le condizioni cu lturali e formative all' inte rno delle quali tale é lite avrebbe dovuto svi lupparsi.

Al contrario, in Prussia, il corpo di Stato Maggiore e ra cost ituito da «uomini d'alta capacità individua le e di sorprendente omogeneità di vedute, che, governati da un'autodisciplina ascetica, basavano la lo ro forza e la loro potenza su una completa sottomissione a id ea li nazionali e politici di carattere trasce nd e nte». 2 L'omogeneità di vedute e ra resa possibi le dalla fondazione, nel 1810, di un'Accad emia di Guerra prussiana. Una scuola morale e culturale, in cui «membri sce lti del corpo degli ufficiali attraversavano i primi stad i di un processo di rigorosa selezio ne intellettuale, che esigeva anche un intenso sforzo lìsico». 3

In Pi e monte , co m e si vedrà, oltre ci nquant'anni doveva no passare prima che si pensasse seriamente alla selez ione e formazione degli ufficiali di Stato Maggiore pe r un corpo di Stato Maggiore analogo a quello prussiano.-' Era, quindi, in ev itabile che essi nel frattempo si limitassero a essere ciò che ha scritto il Tommaseo, cioè dei qualificati «portao rdi-

1 Emilio De Bono, Nell'EsercitO nostro prima della guerra. Mondadori, Milano 1931.

2 John W. Wheeler-Benoett. The Nemesìs oj The German Arm.v t n Poliucs. 1918-1945, MacMillan and Co. , «SI. Manin'S>•, London-New York 1961 (trad. it. LA nemest del potere. Sloria dello StatO MaggiOre dal 1918 al 1945. Fcltnnelli, Milano, 1957). ) lbtd.

4 John Whittam, Storia dell'Esercito italiano, Rizzoli, Milano 1979.

114

ni », occupati a s bri ga re «pratiche» burocratiche.• Non ci si de ve perciò mera vigliare se, ancora ne l 1848, «gli ufficiali di Stato Maggiore, privi di nozioni strategiche e, quasi direi tatti che, erano affatto ignari del Paese; oltre a ciò, non usi a convivere con le trupp e... non induriti alla fatica , alle privazioni , le detestavano e ne rifu ggivano. Erano perciò avulsi dalla realtà po liti ca e militare de l Pa ese, privi di cultura e dissociati dai repar ti che avrebbero do v uto dirigere». 2 Nasceva così una «casta» di pri vi leg iati , i cui privilegi non erano giustificati da una superiore qualità e dedizion e, ma semplicemente dalla appartenenza a l co rpo di Stato Ma gg iore, al quale avevano avuto accesso oltre tutto in base a criteri di difficile interpretazion e.3 Privo di una forte automotivazione interna, il corpo divenn e in evi tabilmente un ambiente in cui gli inte ress i persona li incominciarono presto a prevalere su quelli della co ll ettività. Ciò malgrado che, fin da l 18 61, l'Italia avesse grandissimo bisogno di un corpo militare direttivo in grado di far front e alle difficoltà di un conflitt o che si presentava ormai prossimo e a quelle non trascurabili di amal ga mare , in breve tempo e in un solo eserc ito, le formazioni militari provenienti da più parti d ' Italia , assai div erse fra lo ro per cultura, tradi zioni , mentalità, preparazione. Il d ivismo dei capi militari , gli antago nismi e le a mbizioni personal i, assorbi vano però troppe e nergie, impeden do un o sforzo intelligente e coordinato. Si affrontò la campagna de l 1866 , con un a lin ea di comando sca turita da comprome ssi di comodo ragg iunti all'ultimo momento (La Marmora divenne capo di Stato Maggiore , tre giorni pr im a dell'iniz io della guerra) , senza un effettivo Coman do Supremo, con Alti Comandi des tinati più a segu ire i va ri cap i milit ari e a far da sfo ndo , che a partecipare alla condotta della battaglia. Privo di unitarictà strategica e tattica, con piani ope rativi di ssociati e con i due maggiori Comandanti , Ciald ini e La Marmora , che rifiutavano di comunicare fra di loro,

1 E. Dc Bono. op. cu.

' Ferdinando Pm elli. Stona militare del Ptemonte. vol. Il , Ed . De Giorgi s. Torino 1854.

' E. De Bono, op. cit.

115

lo sco ntro co n l'Esercito austriaco si frantumò in mille ep isodi di comba ttim ento. alcuni crea ti dall'iniziativa dei singoli reparti e non dalle disposizioni degli Alti Comandi, che fecero assai ca tti vo uso di un «signor Esercito, solido , bravo, assai superiore ag li austriaci». 1 Gli ufficiali di Stato Maggio re preparati , sia pure più per cultura spo ntan ea che ind o tta, non mancavano , ma non trovavano impi ego in un co ntest o dirett ivo che sembrava non vole r dare ascolto a ness un o. Il Quart ier Generale del Re - sc ri veva Lu igi Chiala - «no n è un QuartierGencralc che la vo ri , e col quale si possa o perare. G li ufficiali ... non ha nn o ni ente da fare». 2 Analoga situ az io ne si verificava per il capo di Stat o Magg iore, generale La Marmora. Così , sia il Re che il ge nerale La Marmora seguiro no i com batti menti a cava llo. mu ove ndos i co raggiosamen te per il cam po di ba tt aglia «ognun o per proprio co nto e se nza uffi cia li di Sta to Maggiore». 3 e gli alt i co mand a nti fur o no coi nvo lti ne ll o sviluppo episod ico dei co mbattim enti se nza ma i avere una visio ne unitaria della battagl ia. Il Re, so ld ato co raggioso ma se nza la statura int ell e ttuale del capo militare, no n aveva, s u ri chi esta es pli cita dei du e Com a nd a nti in Ca po, alcuna responsabilità e fTett iva di comando. Solo si mbolicamente Comandante Supremo,4 era pe rciò compre nsibile e a mmirevo le che vo lesse. con la s ua prese nza , info nd ere coragg io in chi com ba tt eva. Assolutamente non giu sti fi cabile, invece, era il co mportam ento dc i co mandanti e deg li Stat i Ma gg io ri , uni c i res po nsabili de ll o sfavorevol e es it o della batt ag lia. Qu es to infelice deb utt o degli Alti Comand i italiani merita di esse re ri co rdato perché no n cos tituisce un caso a sé stan te ma piuttos to un prim o di sgraz iato esempio di co mportamenti an a log hi in s uccess ivi co nOitti .

1 Umbeno Govone. Il grneralr Giusrppe Goi'One. Casanova. T orino 1902. Luigi C'hia l a. Ancora 1111 po' p1ù di lucr sugli C'l'C'Il/i politici C'militari dr/l'anno 1866. Barbera. Firen:te 1902.

1 Enrico Custo:o ed altri senni medi/i, ci tato in Carlo Dc Biase. L 'aquila d 'oro. Edizi oni del «Borghese». Milano 1969.

• Sltuatione che si ripeterà nella prima guerra mondiale. Ma. questa volta. il effettivo sarà uno solo. il generale C'adorna e l'unitarietà dì comando sarà assicurata.

11 6

Esitante direzione politica e militare, polemiche irrisolte e aspre fra le alte gerarchie militari, insipienza strategica ed improvvisazione tattica, approssimazione organizzativa, sono assai spesso infatti riscontrabili in più occasioni e soprattutto nel corso dell ' ultimo conflitto mondial e dove gli alti comandanti, nella loro stragrande maggioran7a, persero anche l'abitudine di seguire da vicino l'esito dei combattimenti, continuando allo stesso tempo a trascurare l'andamento strategico e tattico delle operazioni di cui erano responsabili. Che la responsabilità degli eventi sfortunati sia stata solo delle autorità politiche e militari appare semp re innegabile a chi legga, oltre i resoconti di Custoza, quelli delle altre campagne italiane successive. Ma , dopo ogni conflitto, non fu mai tentata una severa e obiettiva critica sto rica volta a evitare la rip etizione degli stess i errori c a trarre i necessari ammaestramenti per gli sviluppi futuri. La pro pe nsione italiana all'autolesionismo, 1 appena mitigata dal riconoscimento degli atti singoli dei repar ti il cui eroismo sembrava dover giustificare le colpe e le lacune dell'insieme, tolse sempre vigore al processo di riforma che dove va seguire.

La più seria anche se tardiva innovazione fu l'i stituzio ne a Torino di una scuola di guerra, impli c ito riconoscimento dei difetti di preparazion e dimostrati dallo Stato Maggiore, durante la campagna del 1866. Secondo l'allora ministro della Guerra, la scuola di guerra do veva offrire agli ufficiali «intelligenti e vo lenterosi» la possibilità di migliorare la propria carriera attraverso lo studio ed il servizio presso i coma ndi. La loro saltuaria immissione nei reparti , per i previsti incarichi di comando, avrebbe inoltre contribuito a migliorare il tono genera le di profess ionalità dell ' Esercito. Quelle finalità , conservate presso c hé immutate fino ad oggi, rappresentavano un ' innovazione importante, non solo nel campo professionale, ma anche sociale. I nfatti , come già era avvenuto per il corpo di Stato Maggiore prussiano che aveva interrotto la selezione aristocratica di Federico i l Grande per

t J. Whittam. op. cit. 117

introdurre quella del merito , così anche in Italia si veniva ad interrompere la scelta <<per origine» a favore di una «per qualità», proprio nel settore più importante, quello della dirigenza militare. L' istituto si avviava perciò a divenire il primo, autorevo le, centro di forma zion e dirigenziale in Italia . Era a ll ora legi ttimo sperare che le la cune del 1866 venissero presto colmate e che il «corpo di Stato Maggiore» ricevesse personale id o neo, per qualità e c ultura , a costituire un'élité effettiva c non solo nominal e. Inoltre, poich é occo rreva che questo corpo direttivo pot esse fare riferim ento a un ca po che, oltre a rappre se ntare la più alta direzion e dell'Esercito in pace e in guerra, fosse il ri co nosc iuto rapprese ntante della categoria, l'Italia nel 1882 designò un capo di Stato Maggiore per il suo Esercito, così come la Germania aveva avuto il suo primo capo di Stato Maggiore nel 1870. 1 Ma anche questa volta la rifo rma fu più formale che sostanziale. l po litici italiani continuarono a guardare con sospetto a una carica che potenzialm e nte attribuisse troppo «potere» ad un militare, e questa è rimasta la causa principale della costante assenza di un real e Comando Supremo nella maggior parte dell e ca mpagne di guerra condotte dali'Italia. 2 Ancor oggi, se l'Italia entrasse in guerra , si tro ve rebbe priva di un Comando Supremo. Quando non sembrò più ev itabile o proroga bile la nomina di un capo di Stato Maggiore, si scelse così la formula più innocua: un personaggio pres tigioso ma anziano , accettabile alle sinistre, il generale Cosenz, c un 'attribuzione di funzioni più formali che sostanziali. Ben diversa e ra stata la sce lta tedesca , caduta sulla prestigi osa e autorevole figura del von Moltke. il vinci tore di Sadowa , che, reggendo la sua ca ri ca pe r ben 18 anni, contribuì a conso lidare vieppiù l'Esercito ted esco dandogli radici s tabili e profond e.

In seguito, anche in Italia, la carica avrebbe assunto maggiore prestigio, ma quell'esitante ini z io doveva far sentire il suo peso anch e perché la successiva evoluz ione sa reb be

' J. W. Wheeler-Bcnnett. op. eu .
118
2 Fatta eccezione per i co rpi di spedizione in Libia e in Africa Orientale e per la prima guerra mondiale.

avvenuta più per concessioni implicite che espl icite, lasciando zone d'ombra che privavano di chiarezza il vertice decisionale.

Comunque, con un volano di e lementi pensanti e prepa rati rapprese nt ato dalla scuola di guerra, un 'a limentazione costante degli Stati Maggiori e dei reparti con uffi cia l i qualificati , con un corpo di Stato Maggiore in grado di raccoglierne e va lorizzarne le forze, con uno Stato Maggiore Gen e rale e un capo di Stato Maggiore, sembravano esser soddisfatte tutte le condi z ioni necessarie per assicurare a ll 'Esercito un apparato direttivo r ispondente e fun zio nale. Ma, purtroppo, la r ea ltà si presentava ben div e rsa. Tutti i provvedimenti erano stati presi, come spesso avviene nella nostra vita nazionale , halfhearted, senza grande slanc io, superando infinite difficoltà e prevenzio ni sia all' in terno che all'esterno dell'ambiente militare.

In un Paese, come il nostro , in c ui l'insegnamento n on è mai stato tenuto in giusto conto e dov e insegna nti di gra nd e valore nascono più per maturazione sponta nea c he per sce lta e cura dell'ambiente , anche la scuola di gue rra non poteva diffe rire tropp o, per rendimento, dagli altri istituti naz ionali .

«Gli insegnanti militari, pur conoscendo la materia, non erano, in com pl esso, all'a ltezza d e l loro incarico, per mancan za di m etodo pedagogico ed attitudin e all'insegnamento. .. si affi d ava loro la prima cattedra vacante in que l mom ento ... l' indiri zzo degli studi e ra tutto teorico.»' In quanto all'indirizzo teorico, ancora presente ne lla sc uola di guerra att ual e, risentiva an c h'esso d e lla tendenza naz ionale a privilegiare la teoria, trascurando le applicaz ioni pratiche perché non qu a lifican ti. Si verifi cava perciò, proprio ne lla scuola di guerra , do ve d ovevano pre pararsi i futuri Quadri dirett i v i e comanda nti nella co nd otta della guerra, una prima pericolosa dissociazione fra «realtà effettua le» e realtà immaginata , spesso ne l perseguim e nto ambizioso di una

119
1 Eugenio De Rossi , La vita di un ufficiale italiano sino alfa guerra, M ondadori , Milano 1927

artificiosa cu ltura umanistica. Ancor oggi, si sente dire e con ragione che alcuni eserciz i dottrinali sono vani ed incomprensibili. È un'eredità dura a morire.

Un altro inconveniente, non meno grave, dei corsi presso la scuo la di guerra era il rapporto insegnanti-allievi, improntato ad ottuso formalismo, e che finiva col conferire all'insegnamento un carattere dogmatico: «la scuola di guerra non era perciò una scuola di carattere, anzi chi poco ne aveva soccombeva alla tentazione di re nd e rsi favorevole il superiore con una pieghevolezza ed arrendevolezza che forse in un altro ambiente non avrebbe dimostrato» . ' Gli insegnanti di grande valore non mancavano allora come non sarebbero mancati in seguito. 2 Sembra però naturale ritenere che la loro presenza, da so la , non abbia tanto contribuito a migliorare il rendimento complessivo dell ' istituto quanto a far gravitare l'interesse degli student i verso le loro materie, non sempre tra le più formative secondo le finalità professionali. La scuo la insegnava, purtroppo, che il conform ismo era pagante, predisponendo alcuni allo spregiudicato ricorso all'espediente come solo strumento di vantaggio personale. I migliori sub i vano un primo negativo impatto con una mentalità c he non potevano né volevano condividere, ciò m entre gli ufficiali tedeschi «conservavano... la più comp leta libertà di espressione all'interno della casta su tutte le questioni attin enti al servizio». 1 Malgrado il liv ello educativo generale fo sse buono la scuola non rispondeva, cioè, ai requisiti che ci si sarebbe dovuto aspettare da un istituto che aveva fra i suoi comp iti anche quello di formare il carattere e la attitudine professionale dell'ufficiale di Stato Maggiore. Essa cont inuava a avere il merito di avere e levato il tono culturale dei Comandi e dell'Esercito, malgrado il catt ivo uso che talvolta ne veniva fatto. Questa mentalità passiva, di solerti ma acritici servitori dei capi più che dell'organismo, veniva a trasferi rs i neg li ambienti di lavoro , negli Stati Maggiori,

• E. De Rossi. op. ctt.

1 Piero Pieri e Giorgio Rochat. Pietro Badog!to. UTET. Torino 1974: E. De Bono, op. cit.

1 J.W . Wheeler-Bennett , op.cit.

120

dove già negli anni Settanta si notava che «in quei purgatori burocratici l'energia dei meglio valenti si infiacchisce, i più vigorosi caratteri si appannano ... gli ingegni si adirano o si inti sichiscono». 1

Nasceva, allora , «il burocrate in uniforme», quell'efficiente «travet» militare che ora si avvia a diventare il modello primario per più di un'organizzazione militare del mondo occidentale. Sorgeva così quella sedentarietà fisica e spiritu ale, quella attività priva di grandi slanci intellettuali e morali , quella deres ponsabilizza z ione che rivelano tutta la lo ro ecceziona le gravità alla prova del fuoco.

In eccepibile era anche l'obbligo al comando previsto nel curriculum d e ll ' ufficiale con «titolo di scuola di guerra». Esso si proponeva, infatti, di abbinare la pratica alla teoria , affinando gli ammaestramenti dottrinali nell'esercizio del comando. Era altrettanto corretto che potessero essere acco lti nel corpo di Stato Maggiore quegli ufficiali e solo quelli che avevano dato buona prova di sé durante il comando delle trupp e. Ma, anche in questo caso, la m en talità acquisita durante i periodi formativi si trasferiva sull'attività di comando, ritenuta indispensabile seppur scomodo trampolin o per proseguire nella carriera. Il comando diveniva perciò mezzo e non fine per molti ufficiali di Stato Maggiore che, per tale motivo , evitavano in quel periodo di esporsi e di uscire dalla comoda routine. Tutto il processo formativo e organizzativo del curpo di Stato Maggiore e dello Stato Maggiore che esso alimentava, pur ineccepibile nella formulazione teorica , finiva talvolta con essere stravolto n ella pratica. Perché ciò non e ra avvenuto nell ' Ese rcito tedesco c he pur era stato preso a mod e llo per questa riforma? Jnnan zitutto perché a creare le condizioni per l'esistenza di un corpo quale era quello tedesco e ra stata tutta la nazione e non erano stati solo i militari nel loro «splendido isolamento». Il consenso in Germania era stato genera le, mentre in Piemonte, e più tardi in Italia, mille obiezioni e sospetti hanno sempre reso difficile il processo evolu tivo, e qualsiasi riforma militare è stata

121
1 Carlo Corsi, Conferen:e di arte militare, citazione in C De Biase op. cit.

ostacolata dall'antimilitarismo delle sinistre e dall'oscuranti smo militare.

In Piemonte prima, e in Italia poi, non mancavano gli ottimi generali né personalità colte nell 'a rte militare ma la loro possibilità di esercitare un ruolo significativo era assai mod esta, in un ambiente politico e militare che costantemente ostacolava gli uomini di spicco. Machiavelli scriveva• che è più facile <<ad uno buono esercito fare uno buono capitano» che non ad <<Uno buono capitano fare uno buono esercito» per conci udere però che «la cosa è pari, perché l'uno buono può trovare l'altro». Solo un'approfondita indagine storica potrebbe spiegare come mai , anche in passato, non sia stato sempre pos sib ile da noi per l'uno «trovare l'altro» e soprattutto perché pur dispon e ndo di numerosi capi militari intellettualmente, moralmente e professionalmente validi la scelta politica e militare sia caduta invece spesso su elementi med iocri , intellettualmente o moralmente non in grado di «istruire lo esercito loro e farlo buono». Per l'Esercito ma soprattutto per questa élite, talvolta buona e talvolta mediocre, che era il suo Stato Maggiore, era chiaro che l'interdipe ndenza fra l'organismo ed il suo capo era fortissima. Se il capo o i capi fos se ro sempre stati all'altezza del compito, cosa che invece avvenne di rado , essi sarebbero riusciti a dare forza. vitalità e coraggio ad un organismo in cui gli elementi positivi non difettavano certo, ma erano costretti per ragione di sopravvivenza a rimanere nell'ombra. Ma su un punto, purtroppo, politici ed alte gerarchie militari furono troppo spesso d 'acco rdo: ne l vanificare, cioè, la nascita di un reale vertice militare. Ciò era possibile o attraverso la designazione di capi mediocri e perciò strumentalizzabili e con scarso seguito nell 'a mbiente militare o affogando l'azione decisionale in un mare torbido di incerta collegialità decisionale. Questa fu la strada seguita quasi da tutti i Governi, di epoca pre-fascista, fascista e post-fascista. La svirilizzazione del vertice militare, per non impensierire il vertice politico o

122
1 Ni<.colò Machiavelli. D1scorsi sopra la prima decadi Tito Uvio. libro primo capo Xlii. Mondadori. Milano 1949.

non disturbare le alte gerarchie militari , sembra essere da sempre più importante della sicurezza del Paese.

Quando, infatti , sia l'a mbiente politico sia quello militare furono in grado di superare le proprie prevenzioni i risultati furon o sempre eccellenti . Così avvenne con La Marmora fra il 1854 e il 1859 e con Ricotti nel 1871-76. Queste condizioni ideali dovevano però ridursi in seguito per un complesso di moti\!Ì sociali, economici ed anche politico-militari che favorirono un maggiore distacco e maggiori incomprensioni fra una classe m ilita re , ancora fortemente tradizionalista ed avulsa dalla società civile, ed un mondo politico sempre più attento ad altri aspetti dello sviluppo del Paese, ma assai spesso privo di una chiara comprensione del proprio comport amento internazionale e quindi degli impegni da affidare alle proprie Forz e Armate. Già nel 1897, sulla riforma dell ' Esercito continuata con Pelloux , il Governo veniva posto in minoran za per la convergenza delle forze anti-militariste socialiste, anarchiche e cattoliche. Nasceva allora sotto le spinte politiche e socia li , in un momento di evoluzione tecnologica, il «male oscuro» dell'Esercito. La situazione migli orò radicalmente nel 1908 con un capo di Stato Maggiore capace e d efficiente anche se l'opposizione di sinistra non perse di vigore.• Ma fu nel periodo fascista che si manifestarono le massime incongruenze fra formulazione dell'impegn o politico e sforzo militare corrispondente. Fu quello il period o dell ' affossamento della riforma Di Giorgio e dell 'adozione della disastrosa riforma prima di Diaz e poi di Bai strocchi. Solo in occasione della guerra d'Etiopia del 1935 si verificò una sorprendente convergenza politica e militare dand o esito a una gestione della campagna non contraddittoria.

Quale fu in questi periodi il ruolo dello Stato Maggiore dell ' Esercito e del suo corpo di Stato Maggiore? Un ruolo mai di protagonista , semmai di fedele interprete delle direttive politiche anche quando queste richiedevano l'assu rdo. Scrive John Whittam che , intorno al 1914 «la maggior parte di

123
1 Giorgio Rochat L 'Esercito italiano nell'estate 1914.

ess i [i po liti ci ] riteneva che un breve messagg io a ll o Stato Maggiore avrebbe potuto essere trasformato quasi istantaneame nt e in un a determinata operazione milit a re». 1 Esempi di tale mentalit à, c he purtroppo sopravvive ancor oggi, furono la guerra di Libia nel 1911, l'e ntrata in guerra ne l 1940, lo sbarco in Albania, la campag na di Grecia, e, più recentemente, le due spedi7ion i in Libano.

In una sola occasione, un capo d i Sta to Maggiore, il generale Cadorna, cui faceva difetto la preparazione stra tegica ma no n il cara tt ere, ri chi ese ai responsab ili politici il rispetto delle co ndi zioni militari, assumendosi tutt e le responsabilità che tale atteggiamento imp oneva. Se c i fu un mom en to in c ui Io Sta to Ma ggiore operò come un corpo unitario a favore dell' Esercito fu durante la prima gue rra mond iale. Gli esempi di arrivismo, che non mancarono anche in quel momento, non atte nuan o il fa tt o che, alla prova del fuoco, ci furo no ecce ll enti ufficiali di Stato Maggiore e che la maggio r parte dei co mand a nti di successo di grado e leva to prove ni va da i ran ghi dello Stato Maggiore. In quel peri odo, lo Stato Maggiore fu , anche se vi furono molti casi di «povertà intellettual e e spirituale», 2 un «co r po» solida le intorn o al suo capo.

Il dopoguerra co n tutte le s ue complicazio ni po liti co-mi litari, doveva però fr a ntumare quella coes ione, quello spirito di co rpo che si era crea to. Ri comi nc ia rono le lotte s preg iudi ca te per i privile gi, i battibecchi fra i ge nerali, le gare per le po ltrone più prestigiose.

Significativa, a d ese mpio , l'az io ne d e l «Consiglio dell'Eserc it o», costit uit o dai nove general i più rapprese ntat iv i,3 il cui prin cipa le successo sembra proprio quello di a ve r esautorato il ge ne ra le Badog lio, allora ca po di Stato Magg iore. Questa costante preocc upazion e de ll ' ambiente militare ve rso i capi che posso no acqui s tare eccessiva influ enza

1 J. Whittam. op. cit.

2 Luigi Cappello. Prr la l'l'rità!. Treves. Milano 1920: Giulio Douhet. Diario crtttcodtgurrra /915-1916. vol. Il . Paravia. 1921.

1 Giovanni An ieri. Cronaca drl Rrgnod'/talta. vol. Il , Dalla riuoria alla Repubhltca Mondadori. Milano 1978.

124

rim arrà sempre uno dei punti debo li del sistema militare, rendendolo permeabile alla strumental izzazione esterna. Nel 1923. quando fu chiesto al capo di Stato Maggiore tedesco generale von Sceckt da parte del presidente del Reich 1 se «l'Esercito sarà dalla nostra parte» eg li rispose senza es itazioni: «L'Esercito , signor presidente, sta dalla mia parte». Lo s tesso von Secckt aveva in precedenza afTermaio al Gabinett o del Reic h: «Signori, soltanto io in Germania sono in grado di compiere un Put sch e vi assicuro che non lo farò». Diaz, in vece (sempre nel 1922), non quale capo di Stato Maggiore, ma membro più autorevo le del Cons igli o dell'Esircito, alla richiesta del Re se l'Esercito si sarebbe opposto, su ordine, alla marcia su Roma , rispose: «L'Esercito farà il suo dovere, però sarebbe meg lio non metterlo alla prova». Qu es ta non è certam en te la risposta di un uomo d i «casta» ma di ch i, assumendo un att eggia mento int erlocutorio, declina le proprie responsabilità e trasferisce in gencrosamente le sue personali titubanze sulla organizzazione che da lui dipende. Non meno esitanti, del resto, si mostrarono gli altri membri del Consiglio che. pur essendo s tati capi militari prestigiosi in guerra, si erano troppo presto in vischiat i in una ambigua gestione dell'Esercito in tempo di pace. Probabilmente, se Badoglio fosse stato ancora capo di Stato Maggiore Generale la ri s posta sarebbe stata ben diversa. Come i suoi maggiori esponenti, il corpo di Stato Maggiore rivelò di rado le doti positive di una «casta» anche se della «casta» aveva gran parte dci difetti. Esso ancora una volta sembrava int erpretare le sue funzioni seco ndo il Tommaseo che definiva casta «Classe di cittadini che gode di certi privilegi e diritti». 2 La cacc ia al privilegio si esasperò durante il fascismo, quando assunse punte addirittura rid icole: coprendo di titoli accademi ci. cariche militari c titoli nobiliari quei cap i militari che si dimostravano leali verso il regimc. 3 Mussolini annullò

1 J .W. Wheclcr-Bcnnctt. op cii

2 N1ccolò Tommaseo, D1:umarm de1 smonmu della Ungua Italiana. Vallardi. Mil ano 1925.

1 P. P1cri e G. Rochat. op. cii .. citazione in ('. De Biase, op. cii.

125

il dissenso nei vertici militari. Lo Stato Maggiore non poteva essere migliore dei suoi capi. Gli arrivismi, i favoritismi si moltiplicarono, si accentuò il distacco fra Stato Maggiore Centrale e reparti, con il risultato di acuire la sindrome «noiloro» che doveva aggravarsi durante la seconda guerra mondiale, fino a culminare nella crisi armistiziale 1 nell'infausta data dell'8 settembre, quando larga parte dello Stato Maggiore Centrale dimostrò la sua scarsa coesione e forza morale. Lo spirito di «casta» era ormai un mito. La seconda guerra mondiale aveva, inoltre, rivelato come il distacco morale fosse, in molti casi, materializzato dall'incredibile distanza a cui gli Alti Comandi dei teatri di operazione ponevano i loro Quartieri Generali, rimanendo così estranei dalle sorti delle unità che da essi dipendevano. Il «burocrate in uniforme» trasferiva la sua mentalità sul campo di battaglia assorbendo energie intellettuali ed umane dove erano assai più necessarie. Si verificava allora quel distacco fisico, profes,ionale e morale fra organi direttivi e reparti che si è ripetuto, per ragioni «manageriali», nel recente conflitto americano in Vietnam. 2

Gli Stati Maggiori delle tre Forze Armate

Si è finora parlato solo dello Stato Maggiore dell'Esercito, de l suo corpo di Stato Maggiore e della loro stori a. Ciò potrebbe far pensare che le altre Forze Armate non fossero Rffiitte dagli stessi problemi. Ma il motivo è invece uno solo. La battaglia terrestre richiede più delle altre e da più tempo uno sforzo direttivo costante e capillare in ogni momento della sua condotta. Ovunque, gli Stati Maggiori dell'Esercito sono sorti con notevole anticipo su quelli della Marina e chiaramente, per motivi di evoluzione tecnologica, su quelli dell'Aeronautica. Nessuna Forza Armata ha perciò uno Stato Maggiore di tradizioni analoghe a quelle dell'Esercito anche se, negli ulti-

1 Paolo Monelli, Roma /943 Mondadori , Milano 1979.

2 A. Hoiberg, op cii ., in cui cila valutazioni di Gabriel e Savage.

126

mi tempi, vi è stato un considerevole avvicinamento fra gl i organismi direttivi delle tre Forze A rm ate. D e l resto , la prima esperienza di notevol i dimensioni per gli Stati Maggio ri d e ll a Marina e dell'Ae ronautica italiane si sono avute con il secondo conflitto mondiale , e sono perciò recenti.

In quanto organi centra li , gli Stat i Maggiori pur avendo una diversa origine adottarono tutti due criteri di com portamento: l' accentramento delle decisioni, entrando spesso in contrasto con i coma ndanti operativi, ed una v is ione del confronto a rm ato pressoché autonoma. Alle diverge nze int erne di ogni Fo r7.a Armata s i aggiunsero le di verge nze fra Forze Armate . Tutti e tre gli Stati Maggiori si presentarono all 'appuntame nt o d e l co nflitt o co n una preparazione addes trativa ed una mentalità operativa superata ed inadeguata, im prontata ad una visua le rigidam en te autonoma, dissoc iata d a quella delle altre Forze Armate. Quanto a ll e conseg ue nze «la burocrazia delle richieste di inte rve nto e la complessa ge rarchia int er posta; co me le politi c he c he i ce ntri di co m a ndo (Superesercito, Supe rm ar in a, Superaereo) svo lgevano l'un o nei confronti d ell'a ltro come altret tant e autonome potenze. dov eva no dar fru t to di cenere e di tosco». ' Questo è il parere d ei più. itali a ni e stran ier i. Se le operaz io ni era no disgiunte , ancor più lo era no le informaz ion i. Scrive il ge nerale Amé, ex-capo del S IM : «Non credo che presso altri belli gerant i si sia verificata mai una situaz ione così caotica in un se ttore così ge loso e delicato. In sosta nza noi entravamo in guerra con quattro servizi autonomi , non coordinati, con organizzazione. m e todi e direz ione dive rsi. Mancherei di obi e ttività se affe rm assi che tutti e rano spi ritu al m e nt e indiri zzati verso una sen t ita e costante collaborazi o ne reci proca». 2 A c iò si aggiungeva spesso la « no n connessione fra compito operativo ed inform ativo» a tutti i livelli e d all ' interno di ciascuna Forza Armata. Non si può non co nv e nire con J ohn Whittam quando afferma che «le Forze Armate

1 G. Anieri. op. cit.• vol. I l, ci t.

2 Da Carlo De Risio. Generali, Servizi segreti e Fascismo, Mondad ori, Milano 1978.

127

non erano mai state incoraggiate a pensa re in termini di operazion i combinate» 1 e questo in un Paese che doveva poi imp egnare le proprie forze in teatri operativi dove solo un comando combinato avrebbe assicurato uno svi lu ppo effic iente delle operazioni. Non si pot eva, però, pretendere che l'ispiraz ione venisse da un capo del Governo che della condotta della guerra aveva poche, confuse ed errate nozioni. Avrebbe potuto veni re dal capo di Stato Maggiore Generale, il generale Badoglio, figura prestigiosa di soldato con vasto seguito nel Pa ese. E, infatti, è su di lui che convergono le critiche di tutte le Forze Armate: (ved i: Messe, Bernotti , Santoro, Canevari, Spigo, ecc.). Indubbiamente le sue responsabilità furono assai gravi. Spinto da un 'incredibile vanità, egli aveva richiesto un compito senza assicurarsi di essere in grado di assolver lo efficacemente; prigioniero di questa stessa va nità ed alieno ormai dalla lotta aveva rinunciato a priori a battersi con il capo del Governo, prima perché non si ent rasse in gue rra e poi, a cose fatte, perché almeno si assicurasse alle Forze Armate una direzione efficiente. Accettò attribuzio ni ambiz io se nella formulaz ione, ma tronche nell'attuaz ione, 2 uno Stato Maggiore Genera le alle sue dipend enze così modesto, inizialmente solo sei ufficiali, poi portati a venti, che a malapena ri usc iva a tenersi informato co n ritardo di quanto ven iva fatto dagli Stati Maggiori di Forza Armata. In quanto alle direttive strategiche, le poch e che diede furono così vaghe da non aggiungere neanche una parven za di professionalità a quell e alt rettanto vellei tarie espresse dal capo de l Governo. Badoglio, eccellente comandante operativo terrestre, ma privo d i una adeguata cultura strategica interfo rze, non era in grado di comprendere le rea li dim ensioni dell'impegno che , con tanta legge rezza, l'Italia aveva afTrontato. Ma occorre anche dire che un a vera cultura strategica ed una mentalità inte r forze semb rava man ca re ovunque, e non era certo favorita dalla mentalità rigidamen-

2 Regio Decreto Legge n. 661,27 giugno 1941 e Regia Legge n. 1507.5 dicembre 1941.

' J . Whittam . op. cii.
128

te parrocchiale che ogni Forza Annata conservava de ll e sue prerogative. A circa settant'a nni di distanza si erano così ricreate le co ndizioni che avevano detenni nato gl i insuccess i della campagn a del 1866. Manca nza di un disegno strategico unitario, a ssenza di un rea le Coma ndo Supremo, esasperato accentram e nto sia pure in una dimension e enonnemente più vasta.

Qualche tentativo di migliorare le cose fu fatto n e l d ice mbre 1941 1 quand o Cavallero si sost ituì a Badoglio c ve nnero ampliate le attribuzioni del capo d i Stato Maggiore Generale. Ma , co munq ue, anc he dopo allo ra il suo ruolo doveva esser m odesto se Bottai, nel lugli o d e l 1943 a tre anni da ll 'inizio d e ll a guerra, do veva chiedere a Mussolini, fra le cose princi pa li , di «rendere più imp ortante la carica di capo di Stato Maggio re» .

Quale f u il ru o lo del corpo di Stato Maggiore de ll'E se rc it o, in tutta qu esta intri cata e disordinata vicenda? Preminentem en te esecu t ivo, assai più di quanto n o n lo fosse stato in passato. Non gli si può certo rimproverare di non aver ass icurato l'a lta direz ion e della guer ra che ad esso non competeva se non come parte di un insi e m e di int erforze. Esso fu , . in vece, certamente responsabile di una scade nt e gestione d e ll 'Ese rcito, né più né m eno come gli altri Stati Maggiori lo fur o no nei confron t i de lle rispe ttiv e Forze Armate. S i può in ol tre adde bitare al corpo di Stato Maggiore d ell'Eserci to di non aver dimo strato di poss edere una spina dorsale m orale, inte ll e ttuale e professiona le da conse ntirgli di ese rc itare un ru o lo trainant e ne i confro nti delle altre Forze Armate quale il suo maggior bagaglio professionale, di tradizioni e di es peri e nza a v rebbe ri c hi esto. Al contrario, il Comando S upre mo te d esco (OK W) da l 1938 alla fine d e lla guerra fu sempre diretto da uffici a l i d e l co rpo di Stato Maggiore dell'Esercito che occ upa vano le tre ca ri c he d i vertice. Pur se tota lm ente acqui esce nte in te rmini politi co- militari e st rategic i alle dirett ive di Hitl e r, il Comando Supremo fu comunque un organismo burocraticamente efficien te, che eserci ta va un 'ef-

129
1 Regio Decreto Legge n. 661, 27 giugno 1941 e Regia Legge n. 1507, 5 dicembre 1941.

fettiva direzione interforze delle o perazioni. Da parte ita liana . la rinun cia ad assumere un ruol o analogo, dovuta sopra ttutt o al prov incialism o stra teg ico e a una concezione solo terrest re de ll e ope ra zio ni , può esse re consi dera ta la maggio re responsabilità dello Stato Maggiore Ge neral e.

Una élite. se v uo le meritare rispetto e riconoscimento, deve accettare le regole del gioco e co mportarsi co me tale. Questo è esatta mente ciò che il corpo di Stato Magg iore dell'Esercito, nel periodo fascista, non seppe fare, com portandosi come una delle tante organizzazio ni burocratiche c he non aspiravano però a venir considerate élit e.

«L'infcudamento» degli organ i cent rali, la separatezza fra ess i e la realtà dei repa rti , la menta ti da De Bon o nel 193Jl avevano definitivamente mortificato lo s pirito della riforma degli o rganismi diretti vi, attuata dall'Esercito circa ottant'anni pr ima.

La colpevoli zzazione dello Stato Maggiore Generale

Dopo una guerra disastrosamente affrontata e co nd o tta . era in evitabile e giusto che qu alcuno ai vertic i dovesse posto so tt o accusa e che gli orga ni smi ritenuti res po nsabili venisse ro riv ed uti per ev itare il ri petersi di altri analoghi errori. Logica e raziocinio av rebbero vo lut o che i processi di responsab ilizzazione fossero fatti «a freddo» e non <<a ca ld o», oss ia quando i ri se ntim enti si era no ormai placati ed una obiettiva critica stori ca era obiettivamente poss ibil e. Secondo molti allora, militari e politici, si doveva invece «far pres to» . 2 Ma tal e smania di «far presto». anche in segu ito, pe nalizze rà la bontà dei processi di riforma come è stato. per ese mpio, nel corso della ristrutturazione del 1975. La Germania, cu i fu impedit o di far pres to . avrebbe messo in piedi più tardi un apparato militare più mod erno . più ri spo nd ente all e nu ove esigenze politicomilitari e no n, co me nel nostro caso, una struttura cost retta

• E. De Bono. op ctt

2 G L iuzzi. op cii

130

proprio per l'urge nza a «ricalcare le o rme d e l passato». ' La ri st rutturazione delle Forze Armate itali ane, prim a fra tutte que lla dell'Esercito, venne condotta ino ltre soprattutto tenendo d'occ hio gli obiettivi tecnico-operativi e la sc iand o alla classe politica l'e scl usiva de lla d e fini zion e delle modifich e di ordine politico e politico-militare.

Si ripeteva. con circa ve nt' anni di differenza, l' e rro re co mm esso da vo n Seeckt che aveva curato so lo l'effic ien7..a operati va dell'Esercito tedesco, trascurando totalmente l'aspetto p oliti co-m ilitare fino ad otte nere «un professionista modello..., moderno Ponzio Pilato che si lavava le m ani di og ni respo nsa bilità per gli ordi ni che esegu i va». 2 M a se c iò poteva essere scusa bile nel 1920 quando ancora l ' un icità del militare era ovunque accettata, lo fu assai meno nel 1945 dopo una guerra ne lla quale i vertic i mili tari s i e rano la sc i ati t rasci n are a c rit icamente e passivamente, rifugiandosi nel co m odo ruolo esecutivo del «se r viz io» militare, avulso dalla politica del Pa ese. Le Fo rze Armate, dopo la caduta d e l fascismo , rimaste s ulla scena come unich e responsabili degli avvenimenti b e llici , s i la sc iaro no co lpe vo li zzare e emargi nare conce ntrando i l oro interessi sui sett ori tradizionali, ordinativi, operativi, addes t rat i vi. Fu quindi in evitabile c he nell'immediat o d opoguerra i Governi di unità a n t ifascista si indiri zzassero ve rso un ob iettivo t a nt o chiaro politicamente quanto militarmente confu so, cioè qu e ll o di diminuire «i p o te ri d e llo Stato Ma ggiore Ge ne ral e; di contro, rivalutare il potere militare d e l Consiglio d e i Mini s tri , fino a istituire un unico Mini ste ro d e lla D i fesa». 3 D e l res to , la revisione in se nso «amilitare» aveva già fa tto una vitt im a illustre. il co rpo di Stat o Maggiore dell'Esercito. abo lito nel 1944, n e l corso de l conflitto, quand o forse vi erano cose più imp o rtanti da fare ch e non inizi a re la «caccia alle streghe». La vittima designata per la successiva epurazione e ra quindi lo Stato Maggiore

1 O. Liuai. op. cit .

2 B. H. Liddell Hart . The Other Side o{the 11111. Hamilton and Co. Ltd. London 1956 (trad. it. Stcma dt una sror! fìtta: Rizzo h , Milano 1971). 'Enea Cerquetti. Le Fo r=e Armate Italiane dal 1945 al/975. Letlura e dottrme, Feltri nelli. M ilano 1975.

131

Generale che, peraltro, aveva sempre prescelto i suoi capi nell'ormai estinto corpo di Stato Maggiore.

Non vi son dubbi che i tempi fossero maturi ormai da oltre cent'anni per una migliore gestione politica della difesa del Paese. La responsabilità collegiale del Governo , attraverso un «Comitato di Difesa», 1 era un fatto indiscutibilmente positivo, ed è un peccato che il Comitato sia stato sostituito, in seguito, da un organo, il Consiglio Supremo di Difesa, che, anche perché presieduto dal Capo dello Stato, ha una funzione più simbolica che reale. Era altrettanto giusto che la politica militare , una politica incontestabilmentc riferita alle Forze Armate e ad un'unitaria concezione della difesa militare, venisse politicamente gestita da un solo Dicastero retto da un solo ministro. Le incongruenzc dei tre Ministeri, uno per ogni Forn Armata, erano state fra le cause principali della condotta disordinata e della insufficiente preparazione della guerra. Del tutto assurdo era, però, che anche il vertice militare, per una scelta politica più emotiva e preconcetta che razionale, venisse anch'esso espresso nei termini di una vaga collegialità. La storia ripeteva implacabilmente i suoi errori. Al capo di Stato Maggiore Generale venivano ridimensionate le funzioni, 2 accentuando le difficoltà di coordinamento all'interno della di fesa.

Il vertice militare ven iva così ad essere non già «l'apice della piramide militare», 1 ma una seconda «piattaforma di compromesso». La int eraz ione fra i due livelli di compromesso , quello civile e quello militare, offriva «terreno fertile per errori cd incomprensioni». Quella frammentarietà decisionale che si era voluta annullare unificando i Dicasteri, si riversava sugli Stati Maggiori che riprendevano le lotte «parrocchia li» ereditandole dai Ministeri disciolti e trasfcrendole nell'ambito tecnico-operativo. Questo errore, assai difficilmente correggibile in seguito, avrebbe non solo vanificato ogni tentativo di risolvere il problema dell'alta direzione militare in pace e del Comando Supremo in guerra, ma anche

1 DDL 31 maggio 1945. n . 354. «Istituzione del Comitato di Difesa».

2 DDL 31 maggio 1945. n. 346. (<A\Iribuzioni del capo di SM Generale».

1 J. Downcy. op. eu.

132

reso pressoché impossibile l'Amministrazione politica della Difesa e la valorìuazìone della politica militare. Si sa che la Difesa ha di rado avuto ministri di livello accettabile, prima 1 c dopo la guerra, ma è purtroppo vero che anche i migliori erano stati messi nella condizione di far fronte a enormi difficoltà. dovendo gestire uno dei Dicasteri più complessi con il solo sostegno di uno Stato Maggiore Generale ad essi solo indirettamente collegato ed oltretutto esautorato ed anemizzato. La costante dell'Ita lia dei Comuni, un cent ro debole perché la periferia possa vivere indisturbata ed incontroiJata, trionfava ancora una volta!

Ind ebolendo lo Stato Maggiore Generale, l'unico organ ismo in grado di assicurare continuità c unitarietà alla difesa, data la scarsa competenza dei ministri e la loro breve permanenza in carica. si dava alla politica militare nazionale quel carattere di transitorietà che essa tuttora conserva. Sembra oggi che gli strali politici diretti allora contro Io Stato Maggiore Generale, con l'indifferenza o il consenso dei militari , fossero indiriaati contro l'obiettivo sbagliato. Questo Stato Maggiore era infatti assai meno responsabile degli altri di F.A. degli errori della guerra, soprattutto perché mai fino al 1941 esso era stato in grado di esercita re un'effettiva direzione di tutt e le Forze Armate. Il generale Badoglio, pur personalmente responsabile di non essersi opposto fermamente a Mussolini per evitare l'entrata in guerra, aveva ottenuto una pat1e dei s uoi poter i solo il 4 aprile 1940, circa tre giorn i prima dell'entrata in gue rra , proprio come La Marmora, alla vigilia della campagna del «'66»! Solo sei mesi dopo l'inizio dell a guerra . allo Stato Maggiore Generale era stata assegnata una propria sede. 2

Solo dopo le dimissioni di Bad oglio, sostit uito da Cavallero,3 lo Stato Maggiore Generale era sta to portato a live ll i più funzio nali; ma o rmai e ra troppo tardi e circa 18 mesi

1 E. De Bono. op. eu. 2 P. Pieri e G. Rochat. op cit.
133
1 Regio Decreto Legge 27 giugno 1941, n. 661 e Legge 5 dicembre 1941 n. 1507.

di guerra erano passati se nza parvenza di Alto Comando. Un'imparliale indagine sulla respo nsabil ità di uomini ed Enti, insieme ad una criti ca seria ed approfondita mai effettuate1 avrebbero probabilmente dimostrato che uno Stato Maggiore Generale più forte e più serio avrebbe meglio tutelato il Paese c le Forze Armate, assicurando inoltre una condotta della guerra più efficace e professionale. La sua es isten7a formale , cu i non corrispondevano fatti reali , diede, infatti , solo la parvenza di un Comando Sup remo che, invece, era rappresentato in prima persona da Mussolini, il quale interveniva direttamente sui singoli Ministeri di Forza Armata e rispettivi Stati Maggiori. Anche nella prevenzione del conflitto, un capo di Stato Maggiore Generale, sosten uto da un proprio Stato Maggiore eiTettivo c non solo simbolico, avrebbe potuto opporre una resistenza assa i più forte a Mussolini di quanto non fece Badoglio che, in vece, sembrò parlare a titolo personale e oltre tutto con notevole riluttanza. 2

Anche Hitler del resto, per poter comandare a proprio piaci mento, aveva dato vi ta ad un Comando Supremo privo di reali poteri e gestito, almeno allivello di vertice, da personalità che lui poteva facilmente manovrare. In luogo di uno Stato Maggiore Generale influente, egli aveva creato 3 una burocrazia operativa «che riu scì di rado a mod era rne te sce lte», pur mirando «ad agire come freno per i suoi piani aggressivi». 4

Questi pericolosi precedenti avrebbero dunque dovuto consigliare, nel dopoguerra, anziché l'indebolimento, il rafforzamento dello Stato Maggiore Generale, assicurando nel contempo un efficace controllo politico. Doveva allora e dovrebbe anco r più ora esser assicurata al potere politico una

t C De Ri sio. Ofl. ctt.

2 Renzo Dc Feltre. «Mussolini. il fascismo. l'Italia di fronte alla guerra», in «Mussolini» il Duce - 1/. Lo Stato totalilario /936 - 1940, Einaudi, Torino 1\181.

' B.H. Liddcll Han. op. cit. sostenuta anche da Briand Bond. SeniceAdl'lceand Decision .\fakmg in the Imer Il ar l'erwd. «Royal Unttcd Scrvices In stttu tc Joumal». settembre 1979 e J.W Whcclcr-Bennett. op. eu.

134

continua ed esperta consulenza da parte di un vertice militare in tempo di pace e d una gestione politico-militare delle crisi c della guerra consolidata da chiare disposizioni di legge e da lunga esperienza. Solo un vertice militare, quale sarebbe uno Stato Maggiore Generale con funzioni adeguate, potrebbe dar soluzione a questa esigenza.

Non so lo nel nostro Paese, però, lo Stato Maggiore Generale fu demonizzato e rit enuto responsabile, in prima persona , di iniziative politico-militari destabil izzanti ed anche della decisione di partecipare a eventi bellici. Ben più demoniznto era stato lo Stato Maggiore tedesco, disciolto nel l 919, non su richi esta della classe politica nazionale , quanto per decisione delle Potenze vincitrici. 1 Con l'eliminazione di un organismo militare di indi sc usso prestigio, in grado di influ enLa re le scelte del Paese, gli Alleati si erano illusi di essersi garantiti un futuro più tranquillo. Ma questa decisione , anch'essa adottata su ll 'o nda delle reazioni emotive più che in seguito ad approfondito esame del problema, si sarebbe rivelata un gravissimo errore. Scrive, a tal proposito Liddell H art che «è una c ircosta nza ironi ca che le potenze occidentali. quando nel 1919 impos e ro lo scioglimento del Grandc Stato Maggiore Generale per assicurarsi contro il pericolo di una nuova guerra, avessero soppresso un sistema che pot eva cost ituire ne i confronti di un uomo dello stampo politico di Hitl e r un freno più efficace dell'organo puramente tecnico ed apolitico c he lo sostituì». 2 Cionondimeno lo Stato Maggi o re Generale te desco costituisce ancor oggi per più di una nazione un modello da evitare in tutti i modi , in base al pregi udizio che la s ua s tessa esistenza costituirebbe un pericolo dal punto di vista politico. In real tà , a produrre «quello» Stato Maggiore era no state, oltre che la cultura del popolo ted esco, anche c so prattutto le circostanze storiche e pol itiche. Esso riman e un ese mpio irripetibile per tutti, anche per le stesse Forze Armate tedesche. Paiono perciò pretestuosi i costanti richiami c he ancor' oggi si fanno all'esperienza tede-

1 J.W . Whcclcr-Benn e tt . op. eu.

2 B.H. Liddell Hart. op. ctt.

135

sca, per mettere in guardia contro so luz ioni di vertice, strutturalmente e funzionalmente analoghe. De Bono, nel l 870, a proposito della decisione italiana di ispirarsi al modello tedesco per l'ordinamento del proprio Stato Maggiore, aveva scritto che, nel processo di riforma «non si seppe sempre tener in dovuto conto l'indole e il carattere nostro latino e per questo la copia fu , sotto diversi punti d'aspetto, una brutta copia». 1 Questo giudizio, da solo, basterebbe a invalidare qualsiasi analogia si voglia proporre fra il caso tedesco e il nostro. La sto r ia recente dell'ultimo conflitto e in parte anche quella del primo sono del resto un'ulte riore conferma delle profonde differenze fra i due apparati. È quindi paradossale che a trent 'a nni di distanza si sia voluto colpevolizzare a nche il nostro Stato Maggiore, sciogliendolo, questa volta, con una decisione di caratte re int erno. Non è, dunque, conferendole dignità storica che si può contrabbandare la prevenzione emotiva contro lo Stato Maggiore Genera le della Difesa per tutela dello sta to di diritto. Nel 1974, in un Convegno indetto dal PCF un relatore , commentando il decreto presidenziale scriveva che «la figura del capo di Stato Maggiore della Difesa , ne risulta , in pratica, indebolita», per poi aggiungere che i poteri e le attribu z ioni conferiti dalla legge «in pratica non esistono e che il capo di Stato Maggiore non semb ra sia responsabile di alcunché dato che i termi ni «responsabilità» e «responsabile di» non sono mai citati negli articoli che lo riguardan o. Quest'analisi , assai più professionale e seria della precedente, potrebbe dimostrare che nell'ambiente politico sta emergendo il dubbio che ricalcare le orme del periodo fascista nei confronti di una direzione generale Forze Armate non sia del tutto opportuno anche perché, minando l'i ntegrazione, si rafforzano le t endenze corporative delle singole Forze Armate. Questo discorso è ancora però del tutto aperto e solo uno sforzo politico e militare serio potrà portarlo a compimento nel migliore dei modi. Vi è solo da

• E. lX Bono. op. cit.

2 Convegno su 4<1 Stituzioni militari ed ordinamento 2Q-21 febbraio l 974, indetto dal dntro Studi PCJ.

136

dire ch e ritardare ancora la soluzione di questo problema non è più poss ibile.

D'a ltra parte, gli stess i precon ce tti sono prese nti anche in altri Paesi, pur di so lida democra z ia , come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, 1 dove si sosteneva fino a pochi anni fa che ma ggio ri attribu z ioni agli Stati Ma ggio ri Generali potrebbero co ndurre a un a ri edizion e d el te muto modello deii ' Ober K ommando Wh ermacht (OKW), co n la conseguente prevarica zio ne de l potere pol iti co da parte di qu ello militare. Tali convin zio ni sono peraltro fondat e più su interessi di parte e su preg iudi zi che s u una seria analisi politico-militare del problema. Infatti, le stesse Forze Armate sono favorevoli a uno Stato Ma ggio re Generale debol e, in quanto ritengono in tal modo di prot egge re la propria autonomia anche oltre i li miti del necessa rio e del do v uto , me ntre ai politici, endemicam e nte preoccupati dei pro pri militari più che di quelli degli altr i, fa comodo il consenso militare a rinviare «sine die» la solu z ion e del problema. Qu es to atteggiamento però ri calca troppo da vicino quello già adotta to dal Fascismo nel 1927. Allora , al capo di Stato Ma gg iore era stato affidato un ru olo adeguato , co n l'avverten za di privarlo, nel contesto de ll a stessa legge, 2 dei poteri e dell e strutture indispensa bili per esercitarlo effetti va mente. In caso di guerra, invece, si presc riveva che «esso eserc iterà le attr ibuzioni che saranno stabilite per la sua carica dal Governo». Il problema dello Stato Maggiore G e nerale e del Comando Supremo, che non era stato risolto allora, resta irrisolto anco r oggi , malgrado il cambiamento de l sistema politico.

1 Roswell L. Gilpatric , Thl'Joint Chie.fs q(Sta.ffs and Military Un({ìcations, citato in Henry Kissinger. Prvhlrms q( Nationa/ Stratrg,l• Praeger, New York 1965; Michael Howard. Tllf.' Crntra/ Organi=auon of Defence, pubblicato dal Roya l Unitcd Servire l nstitute. Londra 1971.

2 RDDL. n. 68. 6 febbraio 1927 e commento d i G. Rocha t in P. Pieri e G. Rochat, op.cit.

137

Un'altra vittima: il corpo di Stato Maggiore

Un altro fatto legato alla co lpevolizzazione dello Stato Maggiore Generale era stato l'abolizione del corpo di Stato Maggiore nel 1944. 1 Il corpo di Stato Maggiore e il se rvi zio di Stato Maggiore venivano sostituiti dalle «funzioni di Stato Maggiore». Fin qui , nulla di particolarmente grave. Ciò che appare singolare è, invece, che venisse prescritto che tali funzioni potessero essere assolte da chi possedeva i requisiti, scuola di guerra e comando, già previsti per il «corpo» disciolto e definiti quasi un secolo prima, in sostanza, che, pur mutando la dizione , tutto restasse come prima. Il «servizio di Stato Maggiore» avrebbe fatto la sua ricomparsa, discretamente su iniziativa del generale Marras, pochi anni dopo .

Il provvedimento, in sostanza, non se mbrava perciò aver altro fine che quello di colpevolizzare un organismo, sen7..a distinguere fra buoni e cattivi. Le gravissime responsabilità dello Stato Maggiore Generale e di quello dell'Esercito , ambedue alimentati con ufficiali del corpo di Stato Maggiore, non possono essere negate 2 e wno gravissime. Addossarne la colpa al «corpo» di appartenenza significa, però, eludere il problema , assolvendo così i veri responsabili.

Le lotte fra i gene ra li , la «collusione» con il fascismo ci furono, 3 così come fu drammaticamente inefficiente la condotta della guerra agli ordini di un capo di Gov e rno , stratega improvvisato, ma anche incontestato.

A intaccare ser iam ente la credibilità degli Stati Maggiori , furono la fragilità moral e dei capi, la loro depro fessionalizzazione maturata in un contesto retorico che ad essi ofTriva, .in cambio della complicità, ambiti e sostanziosi ricono scimenti e privil egi. Leggere la storia di quei giorni, vuoi dire assi stere alla fiera delle vanità. Fra i capi militari dell'ultima guerra, non difettavano uomini d'ingegno che avevano dato

1 DLL n 409, 16 novembre 1944.

1 AA . VV .. Fasetsmo e Socie1à iia/iana, Pi ccola Biblioteca Einaudi, Torino 1973.

1 Angelo D'Orsi , La macchma mi/ilare Feltrinelli , Milano 1971.

138

eccellente prova di sé nelle precedenti guerre. L'e tà e l'ambi zione li avevano mutati. Ma questo cosa ha a che vedere con il co rp o di Stato Maggiore? A esso si pu ò attribuire di non esser stato una vera cas ta , forte dell'orgoglio, della lealtà, della forza morale, della coesione della casta, pur pre lud endo di esserlo. Furono la mancanza di un forte spirito di cor po, la fra gili tà morale di molti dei suoi espo nen ti a dete rmin a re le di sfunzio ni che t utti sa nn o. No n fu cos ì, in Germania, dove le deviazioni negli Stati Maggiori interessarono pochi, te nuti ne l massimo disprezzo dagli alt ri . Il «corpo», co me tale, tenn e. 1

Un 'a ltra accusa c he è stata fatta al co rpo di Stato Maggiore è di essere un veicolo per far carriera rapidamente. In alcuni Pa esi e urope i, og ni ufficiale è valutato annualmente non solo in relazione a ll a promozione a l grado success ivo, ma anche in vis ta di quelle ai du e grad i oltre quello per cui viene preso in esa me. In caso di valu ta zio ne positiva, la sua car ri era ne ri s ulta automaticamente acce lera ta . Qu es to metodo di valutazione è peraltro sugge rito dall e più aggiornate tecniche di form azione diri ge nz ial e. Nella G ermania fra le due guerre, uffi cial i di Stato Maggio re parti cola rm ent e capaci superavano di 200-275 posti i co ll eghi di pari a nzianità. 2 Se il nost ro «c o rp o di Stato Maggio re» avesse rea lmente selezionato e preparato i migliori a ttraverso un e ffi cace processo formativo , non si sarebbe parlato di uffi ciali arbitrariame nte «predestinati» per l'Alto Comando. Nell'Ese rcito prussiano «sol o la cultura e l'educa zio ne... cos titui vano i requisiti per di ve nire uffi ciali». 3 Pe r la forma zio ne comp leta di un ufficial e, non ba sta, infa tti , una es peri enza ai reparti , come sosti ene una pa rt e della sinistra it aliana, 4 ma occorre anche una attività diretti va press o gli Stati Maggiori , sostenuta da una pre parazion e c ulturale e politica adeguata. Scriveva il gen eral e von Baudi ss in «il primato della politica può essere assicurato so lo se è riconosciuto dalla maggioranza degli

1 B. H. liddell Hart, op.cit. e J.W. Wheeler, op.cit.

z M. van Creveld, op. CII.

1 Generale Scharnhorst, Ordinf? df?! giorno fondamf?ntale, agosto 1808.

4 E. Cerque tti , op. cit.

139

ufficiali , o a lmeno da quelli che assolvo no funzioni di ril ievo» .1 La formula «1867» per la formazione dei dirigenti militari raccomandava già forma zio ne cultu ra le, esperienza di comando e att ività presso gl i Stati Maggiori. Occorre solo aggiorna rn e i cont,e nuti alle esigcn7.e dei tempi ed assicurarsi del loro rispetto. E infatt i inevitabile che qualcuno , in qualche momento , te nti di deviare dalle finalità del processo formativo e se letti vo a proprio uso e consumo: questo è il ve ro rischio. Le lotte per il potere, pe r ii soddisfacime nt o delle ambizio ni personali non sono del resto cessate con lo scioglimento del corpo di Stato Maggiore ma, oltre che contin uare all'interno dell'organi zza1. ione, si sono porta te all'esterno. La P2 ne è stato l'esempio più recente.

Timori e pregiud izi sono però duri a morire. Ne l 1975, il partito comunista, presentandola come una democrat izzazione delle Forze Armate, ha avanza to tre proposte di legge, una delle quali riguardava espl icitamente la sop pressione del «servizio di Stato Maggiore dell 'Ese rcito» . Ciò ne l timore che il tanto deprecato corpo di Stato Magg iore, pur uffi cia lmente sepolto, potesse resuscitare sotto altre for me e ripete re gli erro ri per cui era sta to co ndan nato.

Però le soluzion i alterna t ive c he vengo no prospettate per le funzioni dei dirige nti militari sono spesso vaghe e lasciano perciò all'organismo militare il compito di ri solve re il problema, il che equiva le a rin via rn e la soluzione a data da de finirsi. Il partito comunis ta , a t a le proposito, auspica che «la selezion e avvenga per merit i real i e non seguendo sce lte di comodo o crite ri non scrupolosamente oggettivi»,2 cos ì come una «rifo rm a» della sc uola di gue rra seco nd o «pri nc ipi democratici». Ma come dovrebbe sostanziarsi il principio della democraticità no n è ben illustrato e l'agge tti vo «democratico» sembra essere usa to solo per conferire di gn ità a lla riforma, in sostit uzio ne di contenuti più pregnanti sotto

1 Lt. Generai Graf von Baudissin. Offìcer's Educauon and the Offìcer's Career. Adclphi Papcr dc.ll"lntcmauonallnstitute ofStrategic Studies di Londra. n. 103. 1973.

l Ugo Pccch ioli c Arrigo Boldrini. «Le istituzioni militari e l'ordinamento costiConvegno de! PCI, 20-21 febbraio 1974.

140

l'aspetto della concretezza: equità , merito , efficienza, ecce tera , eccetera. In ogn i caso, se s i rimane a lli ve llo d ella e nunc iazione di prin c ipi o, è indubbi o c he tali c rite ri sia n o co ndivisi anche dall 'ambie nte milit are. La selezione, in base a criteri oggettivi, è già parte d e ll a formazione d e ll'uffi c ial e di Maggi o re dell'Esercito si n dalla fondazion e del co rpo. E anche indubbi o c he il processo di formazione dei Quadri d ell'Eserc it o offre potenzialmente c rite ri più oggettivi di valutazione e selezio n e c he n o n quelli d e ll e altre Forze Armat e, data la massa di personale da se lez ion are, che re nd erebbe opinabile una valutazione soggett iva. 1

Se al servizio di Stato Ma gg iore d e ll 'Eserc ito può esse re rimprove rato qualcosa è il cattivo uso c he si fa di tali c riteri. Le va lutaz ioni da oggett i ve possono di ve ntare soggett i ve, l'o bi e tti vità rischia di andare a farsi benedire, la scelta favori sce c hi m e no merita, ma sa m egl io muoversi ne ll 'a mbi e nte. Quanto po co lo S tato Maggi o re sia una casta lo può sapere solo c hi , a lun go, ha fatto parte di questo ambiente. Pe r gli «es terni» ved e r c hiaro è assai diffi c il e. D. F. Stone, a proposito d e ll ' incomprensione d e i fatti ambienta li su cui non si hanno esperienze dire tt e, scrive: «ci si sente co me chi osserva dei danzatori a ttra verso una fin est ra a dopp i vet ri. Si osse rvano i mo v im e nti ma non si sente la musica». 2 E senti r la mu sic a per pot e rla co mpre nd e re è indispensabil e se si vogliono introdurre riforme che non siano contraddittorie rispetto ai fini c he s i pe rseguono.

Come accad e n e ll a società c ivil e, anche nell'ambi e nte , sono spe sso più i pa rti co lari sm i c he n o n gli a spe tti n orma ti vi ad esse r d evia nti. Ma se l'ambi e nte d e llo Stato Maggiore d e ll ' Eserci to è affiitto tal vo lta d a «partico larismi» e da tend e nze a ll ' uso str um e nt a le di m ezz i leg ittimi per fini persona li , ciò avvi e n e proprio perc hé esso non rapprese nta una casta ed è perciò pe rmeabile a tutti que i comportame nti d ev ianti c he all 'es te rno, nel mondo c ivile, si trovano in assa i più larga mi s ura. Sc ri ve J ean Pl a nc hais: <de FF.AA. riflet-

New York 1968. 141
1 P Supino, op. cit. 2 D.F. Stone, In TimeofTorment, Vintage Books,

tono il Paese. Vi si trovano solo uomini più disinteressati , ma anche menti più ristrette».' Perciò, per accrescere il livello dei primi e ridurre quello dei secondi, occorrerebbe innanzitutto definire gli strumenti ed i criteri che offrano migliore garanzia di contribuire alla formazione di una più intelligente ed aperta professionalità. In secondo luogo, sarebbe indispensabile assicurarsi che si faccia buon uso degli strumenti prescelti. Ma questo secondo sforzo non può essere condotto dai soli militari, perché troppo spesso le tendenze devianti sono ereditate o addirittura promosse dall'esterno. Una completa chiusura nei confront i dell'esterno, di tipo casta le. potrebbe teoricamente consentire all'ambiente militare un «elitismo morale» tale da garantire standards etici più elevati. Ma questa impermeabilità di ordine etico non sembra comunque più possibil e, non solo perché , con il fascismo. l'appartenenza politica ha nettamente favorito gli interessi personali c intaccato l'unitarietà dell'ambiente, ma anche e soprattutto perché in una società aperta qual è la nostra ciò sarebbe anacro ni stico. Le sce lt e morali non si pongono più in termini assoluti, di bianco e nero. Scrive Maguire: «Il comportamento moral e sarà sempre più d iffici le da giudicare... Il problema è che proprio perché è più difficile, la dimensione morale tende a venir trascurata... pare perciò che si acceda ad una zona priva di principi morali dove la coscienza può esser depositata prima di entrare». 2

Questa <<Zona franca della coscienza» rappresenta il più grave ri schio per Quadri impreparati e perciò disponibili alle avventure e alle pressioni di parte. D'altro canto, ri solve re un problema etico semplicemente apportando modifiche alla nor ma disciplinare non sembra realistico. Altrettanto irrealistico sarebbe, però, pensare di eliminare definitivamente gli effe tti negativi delle ambizioni personali. Liddell Hart, a proposito de lle sue esperienze presso gl i Alti Comandi , quale corrisponde nte di guerra, ha scritto: (<Era trist e scoprire

' J. Planchais. op. cit.

2 Daniel C Maguire, The Mora/ Choìce, Doubleday and C'o., New York 1978.

142

quanti uomini apparentemente rispettabili fossero disposti a far qualsiasi cosa pur di favorire la propria carriera». 1 E si tratta va delle Forze Armate britanniche, le cui tradi z ioni e solidità e coesione superano senza a lcun dubbio quelle delle no s tre Forze Armate. Assai più utile , a questo fine , è risolvere felicemente il problema della cri si di identità delle Forze Armate, quello del miglioramento qual itativo dei Quadri e d ella loro condiLione di vita socia le e professionale. Con uomini migliori , privi del senso di fru st razione e di avvilimento che molti ora avvertono, il liv e llo et ico delle Forze Armate non potrà non migliorare.

Selezione e formazione dei Quadri dirigenti militari

In Italia, come ancora in altri Paes i, il problema della selezione e della formazione dei Quadri militari è aiTrontato singolarmente da ogni Forza Armata, come se cia scuna avesse dei problemi propri così distinti dalle altre da dover escl udere un approccio comune. Le integrazioni fra i va ri processi sele ttivi e formativi , quando vi sono. toccano quasi sempre aspetti marginali , senza realmente coinvolge re l'essenza del p roblema.

Ma , in un mondo moderno. così come le Forze Armate no n possono più considerarsi un elemento separato della società, così non possono obiettivamente continuare a restare chiuse nei propri «castelli» per opera re qualche occasionat e sorti ta all'est erno , in omaggio ad un non ben definito spirito interforze . Un criterio comune è indispensabile, tanto più che le ForLe Armate si dividono fra loro, secondo una loro interpretazione del Manuale «Ccncelli», tutti gli incarichi interforze, a ini ziare da quelli presso gli organi cent rali fino a giungere agli addetti militari. C hi ha operato a lungo in ambienti interforze sa quale importanza possano assumere i diversi tipi e gradi di preparazione e selezione degli ufficiali ne i rapporti di lavoro, di collaborazione e di comando.

È t B H Liddell Hart 111ougl11s on War. Casse l, London 143

SCUOLA MILITARE NUNZIATELLA

Processo di formazione degli ufficiali in SPE *

ESERCITO Ruolo normale

SCUOLA MEDIA SUPERIORE

Civitavecchia SCUOLA DI GUERRA

ACCADEMIA

(2anni)

12annl

Reparti d 'impiego (Ca;lllano)

________ J',, (12 anni)

(Maggiore)

(3 mesi)

Cesano Gaserta Bracoano Roma

'--------' (Tenente)

• Luigi Poli •Problemi della dirigenza mili!are•. In •Crnà e Regione• 6-12-1981 . LeMonnier, Firenze

(1 anno)

Generali di brig (solo una parte) o Colonnelfi

--------"
...
!

COLLEGIO MILITARE MOROSINI

Processo di formazione degli ufficiali in SPE *

MARINA

Ruolo dt Stato Maggiore '3CUOLA MEDIA SUPERIORE

ACCADEMIA

(3-12 mesi)

ACCADEMIA (4 anni)

3 <Guardiamarina) a Imbarco n (Sottotenente n l di vascello)

COrso Supenore e1o Corso

4-5

a Imbarco (Tenente d1 vascello)

SCUOLA COMANDO (2 mesi)

la Spezia Genova

AlTAl CENTRI ADDESTRATIVI (3·12meSI)

(Capitano di corvetta)

lmbaroo 1 ServiziO a terra

ISTITUTO

DI GUERRA 1-- - Uvomo CORSO SUP DI SM (1 anno)

* L. Poli, op. clt.

lmbaroo 1ServiziO a terra Roma

CASO (1 anno)

(Capitano di vascello o Contrammiraglio) (solo una parte)

SCUOLA MEDIA SUPERIORE
ufficiali
SPE
AERONAUTICA Ruolo nav1Q81ltl ACCADEMIA (3 annt e 6 mesi) t--- Pozzuoli '----,-......,---' (Teneme) Firenze SCUOLA DI GUERRA 4 anm Reparti dtmpiego (Gapttano) --------".... 8 anni --------,..."', Repartt l Enti Roma - ----l • L Poli, op. cit 8- 10 a n n l CASO (1 anno) Reparti / Enti lecce Amendola Latina FrOSinone
(CoiCIIlne ilo e Generale d• bng area) (solo una parte)
Processo di formazione degli
in
*
l

auspicabile che si riesca, pur nella inevitabile lottizza7ione delle cariche, a evitare una caduta di efficienza all'organizzazione, sovente penalizzata da tali in co ngruenze.

Nella selezione del personale, sembra che i criteri adottati dall'Esercito siano più «oggettivi» degli altri. Infatti, dopo un anno di frequenza obbligatoria di corso di Stato Maggiore per tutti gli ufficiali, so lo l'Esercito prevede, per l'abilitazio ne alle funzioni di Stato Maggiore, la frequenza di un corso superiore, cui viene ammesso un numero limitato di ufficiali su base volontaria c dopo serie prove di esame. Il corso è valutatiyo, cioè prevede, oltre che il consueto giudizio annuale previsto per ogni ufficial e, anche una valutazione di m e rito comparativa che determina una precisa graduatoria in base al rendimento scolastico. Questi criteri sono, per quanto possibile, oggett i vi perché si basano su dati oggettivamente riscontrabili. Non così avviene presso le altre Forze Arm ate, dove i corsi di pari livello non prevedo no una valutazione comparativa, né all'ingresso, né al termine del corso. Il rendimento viene indicato nel giudizio finale, che, però, per la sua soggettività- a formularlo so no solo tre personenon si presta a raffro nti né a spec ifi c he graduatorie. Se i criteri di selezione adottati dall'Esercito fossero osservati, senza che pregjudizi e pressioni a lteri no oltre il consentito i da ti obietti vi, un 'cq ua selezione sarebbe assicurata. A q ucsto punto però nasce una prima contraddizione: è proprio questa selezione basata su criteri oggettiv i che è criticata. Vi è chi sostiene, ad esempio, che lo Stato Maggiore non soltanto «Condiziona l'integrazione al suo int erno, ma detta anche le regole d 'accesso e di funzionamento delle stratificazioni inferiori» , 1 e perciò propone un sistema senza regole o cost itu ito da rego le «dettate» da altri, purch é non dallo Stato Maggiore. Da altri, invece, il s istema selettivo dei Quadri di Stato Maggiore dell 'Ese rcito è valutato a ll a luce di due criteri, que llo della «democraticità» e quello dell'aderenza alla legge per la «dirigenza». Secondo i sostenitori di tali criteri, «la dirigenza militare è unica e comprende tutti gl i ufficiali nei

A D'Orsi, op. cit. 147
'

gradi di colonnello e genera le, escludendosi perciò che i relativi incarichi possano essere assegnati esclusivamente ad urficiali provvisti del titolo di scuo la di guerra». Ciò significa che tutti coloro che hanno raggiunto almeno il grado di colonnello dovrebbero occupare in carichi di dirigenza anche senza aver frequentato la scuola di guerra, cioè il corso per dirigenti. Ma tale pretesa, anche se formalmente corretta , non tiene conto del fatto che l'attuale abbinamento grado-funzioni dirigenzial i è un artifizio amministrativo non traducibilc ai fini dell'assegnazione degli incarichi. A questo punto non si capisce più niente. Se la scuola di guerra non deve essere veicolo né per l'accelerazione della carriera, né per l'accesso alla dirigenza, non si comprende perché mai essa dovrebbe continuare a esistere. Ma in questo caso è difficile immaginare come potrebbe migliorare la competen7a professionale. Già ora lo Stato Maggiore dell'Esercito è seriamen te preoccupato perché non pochi fra i Quadri migliori rinunciano a priori alla frequenza del corso superiore per evitarsi, olt re che l'impegno gravoso del corso, i disagi conseguent i ad una mobilità professionale e stanzia le largamente superiore a quella degli ufficiali d'Arma, e un impegno di lavoro normalmente più difficile e responsabile. Mentre è giusto che vengano promossi a colonnello c generale, ossia a «dirigenti», coloro che hanno spiccate qualità anche se non hanno frequentato la scuola di guerra, sembra assolutamente arbitrario assegnare loro un incarico tenendo conto unicamente del grado e non anche della spec ifi ca preparazione professionale. Del resto, nell'ambito stesso degli «ufficiali con tit olo di scuola di guerra» dovrebbe esser possibile, a parità di grado. assegnare le funzioni in relazione al diverso livello di preparazione e di matur it à professionale. Democ rati cità non dovrebbe, infatti , significare «deprofessionalizzazione», ossia appiattimento.

In un momento in cu i la società civile si sta convincendo della necessità che il processo di formaz ione della sua classe dirigente sia fortemente selettivo, ci si ch iede perché mai le Forze Armate dovrebbero essere cost rette a muoversi con-

148

tro corren te. accelerando il processo di «burocratizzazione» che, a parole. si vorreb be in vece arrestare.

Non c'è nulla, quindi, da cambiare nella formazione della dirigenza dell'Es ercito? Tutt 'a ltro! Ma ciò che non va non sono tanto i criteri di selezione c forma z ione, quanto il fatto che non siano osservati.

Non vi è, infatti, dubbio che la sc uola di guerra abbia spesso accolto ufficiali di li ve ll o inadeguato, se non decisamente scadenti. È anche avvenuto che la selezion e durante il corso e al t ermine del corso abbia raggiunto livelli risibili. Ciò ha consentito a non pochi di fr egiarsi del «titolo sc uola di guerra» e, dopo un in significante «periodo di comando», dei prestigiosi «alam ari» del servizio di Stato Maggiore, senza merita re per qualità o impegno nessuno dei due. È stato, in oltre, inevitabile che, superati questi due tra guardi , non pochi ufficiali siano stati destinat i a incarichi per i quali non erano all'altezza, con considerevole danno all 'orga ni zzaz ione anche sotto l'a s petto moral e, aggravando seriamente la sindrome «noi-loro», implicita nei rapporti fra dirigenti e dire tti.

Ne sono stati danneggiati anche la coesione interna e l'o rgoglio di appartenere a un'élite riconoscibile pe r il maggior imp egno e professionalità. La t o ll era nza nella selezione ha amareggiato tutti co loro, e sono mo ltissimi , che aspiravano ad un riconoscimento obiettivo del proprio valore. Nonostante tutto , però, il metodo adottato dalla scuo la di guerra dell 'Ese rcito ha prodotto ufficiali di Stato Maggiore che ogniqual vo lta si tro vano ad operare insieme ad altri ufficiali in un contesto int e rforze, si rivelano fra i più preparati e capaci. Sembra perciò opportuno estendere il metodo adottato dall ' Es ercito alle altre Forze Armate, rendendolo ancor più selettivo, oltre che più appetibile per gli ufficiali maggiormente qualificati. Se è vero che ai concorsi delle Accademie dell e tre Forze Armate non si prese nta una quota sufficiente men te alta dei giovani migliori , e qu es to è un danno per l'organi zzaz ione, è ancor più vero che un danno assai maggiore è l'astensione di molti validi ufficiali dai corsi della scuola di guerra.

149

Una vo lta riconosciuta l'esigen;a di una ma ggior selettività e definiti i parametri obiettivi di valutazione dell'idoneità di c iascuno a ricoprire caric he direttive, n on rim a ne ch e estendere tali parametri a tutt e le Forze Armate. Le diffi co ltà non sarebbero li ev i e una riforma di qu es to tipo incontrerebbe certamente qu alche resiste nza soprattutto da parte dell'Aeronautica c d e ll a Marina ab ituat e da se mpre a segui re criteri più soggettivi. Dal momento c he tutte e tre le ForLe A rmat e aspirano a ricoprire incarichi di responsabilità e di ve rti ce. di venta persino ovvio soste nere c he tutte si pre se ntino all'appuntamento con lo stesso grado di pre parali o ne. Il sistema dell'on the job training (si impara lav o rando) no n è più accettabi le per un orga ni smo mod erno in c ui ognuno d eve far la s ua parte.

A questo punt o. dato per scon tato c he tutto sia stato fa tto ne l mi gliore dei modi c che si sia raggi unta JJna concorde unità di inte nti , resterebbe da vedere come e quand o s i possa impi ega re il perso na le c he ha t e rmin ato co n successo i corsi.

È ev id e nt e che un o rga ni s mo dire ttiv o c he ha speso te mpo e d ena ro per formare i suo i Quadri migliori. li dovrebbe imp iegare al più presto possibile. ne l modo migliore. L'assegna;ione a ufficia l i co n t itolo di scuola di guerra di incarichi non respo n sabil ina nti . in attesa c he «l'anzian ità» d ecida su ll e loro promozioni e su l lo ro successivo impi ego, non sembra. sotto questo aspetto, una so lu z ion e logi c a. Ma so lo un'a cce le razione d e ll e ca rri e re potrebbe portare i l pe rsona le più capace a posizione di vertice prim a c he esso si sia logorat o o rassegnato. L'Eserci to adotta un m e to do , d e tto d e i «vantaggi di carriera». abbastanza colla udato. Qu es to m e todo ha però un a pessima fama, non tanto perché esso in s tauri un m ecca nismo pe r verso . qu a nto perché. in passato, è stato talvolta distorto per favorire interess i particolari di qualche uffi c iale o di gruppi di ufficiali e non pre mia quegli uffi c iali parti co larm e nt e capac i ma , indi stintam e nte , tutti gli uffi cia li di Stato Maggiore. Le tendenze attuali sembrano ridurre la possibilità c he ciò s i ripeta , soprattutto perché ne i posti dove tali sco rre ttezze eran o più pr obabi li è stato assegnato pe rsonal e professiona l m e nte più affidabil e. D ' altra parte, là dove

ISO

non fo ssero accettati metodi di acce leraz ione basa ti su un computo mat ematico dell 'a mm onta re dei va ntaggi da assegnare, le scelte possibili sarebbero due: lasciare intatte le graduatori e di Accade mia , ovvero vagliare, in sede di commissione di avam:amento, l'opportunità di accelerare o decelerare la carriera di alcuni uffi cia li .

Nel prim o caso, si fini sce col va lutare un futuro generale o un futuro ammiraglio per le sue prestazioni di ve nti o tre nt' anni prima, senza tener co nt o che, nel frattempo, può esse re migliorato o peggiorato. Ne l secon do caso, in vece, la valutazione diventa del tutto soggettiva e può favorire faci lment e chi ha saputo pi ace re anziché chi ha voluto e sa puto la vorare. Comunque, ambedue i metodi sem bran o più arbitra ri che non quelli adottati dall'Esercito. Altri Paesi adottano sistem i di vers i, che prevedono, ad ese mpio , una val utaz ion e annuale dell'opportunità di promuovere in anticipo un uffi cia le. Sono metodi, però, anch'essi al tam ente soggettivi e si presta no a ma nip olaz ion i pesan ti. Solo un costante e severo controllo della valutazione deg li ufficiali, controllo che da noi man ca de l tutto , potrebbe consentire di evitare devia z ioni . Co munqu e sia, occo rre trovare un metodo per ridurre i margi ni di e rro re nell'assegnazione dci «va ntaggi» o se non si vuole parlare di «vantaggi», pe r accelerare le carriere dei mi gli o ri.

L 'impiego e l'ambiente di la voro negli organi centrali

Neanche il sistema di formazione degli uffi ci ali di Stato Magg iore dell 'Ese rci t o, che pur è il più se le ttivo , rie sce sempre a produrre perso nale altamente qualificato. Un a lt ro fenomeno negativo c he è andato pa rti co larmente acce ntuandos i neg li ultimi tempi, in cui la mobi lità del personale sta decrescendo rapid a mente, è qu e ll o della sedentarietà che rend e molto difficili i mo vi ment i sia dal centro che ve rso il cen tro. Nel prim o caso si tratta di qu ella tenden za all '« infc udamento» di c ui già parlava De Bo no circa cinquant'anni

151

fa. ne l seco ndo in vece si tratta di una forma di «insabbiamen to» che os ta cola gli spostamenti dalla periferia di personale che possiederebbe le qualità ada tt e pe r operare con s uccesso presso gli orga ni ce ntrali. Il seco ndo caso è più da nnoso del primo perché, per colmare le lacune organiche, la Difesa si ve de costretta a accogliere personale che a ltrim en ti no n avrebbe a ccolto in quanto non in possesso dei requisiti necessari. L'abbiname nto di personale espe rto , ma in ca llito da una troppo lunga permanenza presso un'organi.aazione burocratica , con personale di qualità in s uffi c ient e, conge la spesso al suo so rgere qualsiasi pr ocesso innovativo. L'assenza per gl i in ca ri chi na z ionali di una ser ia job-description (desc ri zione della funzione) e di una documentazione ca ratterist ica ri sponde nt e a criteri fun z ionali re nd o no inoltre impossibile un accerta ment o oggettivo delle pe rso ne più idonee a ricoprire un dato in ca ri co. La regola seguita è perciò, ne l migliore de i casi, del tutto soggett iva -« io lo conosco, è in gamba! » - e i ri su lt a ti sono qu e lli c he sono: gli in car ic hi sbag liati alle perso ne migliori o gl i incarichi migliori alle persone sbag liat e. Tutto il gioco fini sce così per essere imposta to su un benevolo paternalismo che favor isce chi si aggrega a l ca rro de l patcr giusto. Occorrerebbe perciò fare, quanto prim a. una ser ia c dettagliatajob-description che servirebbe o ltre tutt o a far rile va re le num e rose duplicazioni di com petenze esistenti , ma non se mpre faci lm ente controllabili. Le no te caratteristiche, in oltre, dovrebbero corrispond e re a qu e ll e della job-description alm e no in parte, cessando di esse re dei camp ionar i di pro sa buro cratica di dubbia att endibilità e di ness un a utilità.

A comp li care ulteriormente le cose, pe r il pe rso nal e che pres ta servizio presso gli organi ce ntrali concorron o altri fattori. Fra qu es ti , a parte il notevo le disagio economico di chi prevede perman c nze brevi , a part e la difficoltà di trovare un 'abi ta z ion e adeguata per la gran part e deg li uffi ciali più giovani è grave la separazione c he si ver ifi ca fra chi viene a lavora re presso gli o rgani centrali e la socie tà esterna, con la conseg uenza c he a formarsi non è già una casta militare, co me molti credono, ma piuttosto un ghetto militare iso-

152

lato dall'ambiente esterno socialmente e culturalmente. Nella stragrande maggioranza dei casi, dopo una giornata di lavoro spesso poco entusiasmante la prospettiva è quella di un rientro a casa in una località spesso distante da Roma dove , peraltro, è stato difficile in poco tempo crearsi un ambiente che favorisca l'ampliamento delle proprie esperienze sociali e culturali. Si crea così un'alternanza fra «apertura socio-culturale» nelle ore di lavoro e «isolamento socio-culturale» nelle ore libere, che favorisce quel fenomeno , prima noto come «Esercito di caserma» e che ora si potrebbe tradurre con «Esercito da ufficio», caratterizzato da rapporti con la società esterna limitati a esperienze saltuarie e persino vagamente antagonistici. È indispensabile perciò, secondo molti , privilegiare chi si assoggetta a sacrifici, spostandosi per un breve termine a Roma , aiutandolo o con la concessione della casa o con indennità sostitutive che lo aiutino a superare almeno in parte la crisi di trasferimento. Potrebbe, a esempio, essere estesa al personale delle Forze Armate che non gode di altre agevolazioni (a esempio, la casa) un'indennità corrispondente a quella concessa ai magistrati, per la prima sistemazione, pari a due anni di missione. Qualcosa comunque va fatto per favorire una accettabile rotazione di personale qualificato presso gli organi centrali.

Avere personale qualificato e riuscire a farlo operare presso gli organi centrali però non basta se esso non si sente impi egato secondo merito e competenza. Ciò d'altra parte sarebbe possibile se l'organizzazione della Difesa fosse più lin eare e razionale. Fin ché non sarà resa tale, anche lajobdescription rimarrà per lo più un interessante esercizio d'indagine senza alcuna efficace possibilità d'impiego.

Ma, come osservato da Pecchioli e Boldrini , 1 le leggi per ristrutturare la Difesa , dal 1960 in poi , anziché assicurare «Organicità ed efficienza... hanno in molti cas i prodotto un peggioram e nto della situazione» creando «il caotico sovrapporsi di competenze si m ilari» in un'«ordinamento pletorico,

U.
cit 153
'
Pecchioli e A. Boldrini. op.

di spersivo. irra1io nale» . Del resto, sa rebbe stato ut opis t ico, e Northcote Park in so n lo ha ben dim ostrato, attendersi che da un o rganis mo so rt o da un co mpromesso fra uomini ed organi zzazio ni prees istc nti po tesse na scere un mod e ll o più va lido , ma tal e da sac rifi ca re sostanzialmente gli int eressi dei padri della riforma. Nessuno ha la vocazio ne de l suici di o buro crat ico. Occorrere bbe. in qu est i cas i. avere il co ragg io di inta ccare dall e radici l'organizzazione per poterla riformare , a ltrim e nti ciò che viene sop presso da una pa rt e riappare so tt o altra forma da un 'a ltra . Liddc ll Hart sostie ne al riguardo che l'ad oz io ne di co ncezio ni inn ova tri ci nel prim o dopogue rra da parte delle Forze Armat e ger manich e fu «favorita dalla... soppressio ne dello Stato Maggiore Generale. Se gli fosse s ta to permesso di sopravvivere nella s ua vecc hi a forma e co n la sua in gombra nt e in telaiatura, esso a vrebbe potuto rim anere. co me gli altri Stati Maggio ri , inerte per effetto della routine e som merso dagli uffi c i». 1 Da noi , a peggiorare la si tuaz ion e sono inte r ve nuti du e fatti apparentemente indipend enti , ma fra loro lega ti: lo spostamento dell'interesse de i ve rti ci poli tici e militari dall'area «militare» a quella «ammini strati va» e l'adozione di un a po liti ca riformi s ti ca de i picco li passi. al fin e di evitare le diffi co ltà di un a revis ione globale. Come ha scri tt o D' Al essio: «un 'o rganizzazione distort a si è ve nuta producendo, no n per caso , ma per il preva lere nella direz ion e delle Fo rze Armate del mom ento amministrativo». 2 Qu es to moment o amministrativo , causa diretta di un vero orgasmo man age ri a le de i vertici militari , si è tras messo rapidam e nte e capillarmente in tutta l'orga ni zza.zio ne.

L' int eresse si è s pos tato così radicalmente dall e Forze Arm a te , soggetto di capac ità operativa, all'attività buro crati ca rivolta al loro sostegno. Fin qui ta li tendenze sarebbero ancora comprensibili e rientrerebbe ro in una mentalità da Forze Armate di pa ce, condizionate da molte pli c i fa tt or i

1 B. H Ltddell Han. The Other Side of the liti!. ci t.

1 Ald o D'A lessio La leggl' narafe e fa ris1ruttura:10ne de{{e FF.AA. ci tat o in Virgilio Ilari. Le For:e Armate fra politica e potere. Va ll ecchi. Firen ze 1978.

154

esterni alla loro attività. Ma il mutamento diventa grave quando rappresenta una vera e propria inversione di tendenza che trasforma l'amministrazione in soggetto e le Forze Armate in oggetto. Tutto l'interesse si sposta dali& politica militare, dalla pianificazione delle forze , dalle operazioni, dalla logistica di guerra verso l'approvvigionamento, la programmazione, l'amministrazione del personale, la ripartizione dei fondi , il potenziamento o la revisione delle strutture logistico-ammi ni strat ive del tempo di pace. Le priorità si invertono e la operatività , an ziché essere un elemento qualificante in funzione del compito da assolvere, si tra sfo rma in un sostegno e nella giustificazione di scelte amministrative non sempre collegabili ad essa. La necessità , inoltre, di tutelare gli interessi della Difesa anche nei loro aspetti finanziari «crea una domanda di ufficiali che sappiano muoversi agevolmente in un campo finanziario complesso, al fine di proporre propri modelli matematici in grado di prevalere su quelli civil i tendenti a ridurre gli stanziamenti per la Difesa». 1 E l'aspe tto finanziario è solo uno dei molti collega ti ad una crescente complessità amministrativa. Risultato , sem pre secondo Luttwak: aumentano negli organi di vertice i burocrati competenti. ma scompaiono gli strateghi. In assenza di strateghi, per i quali non esiste neppure un serbatoio professionale cui attingere, da noi ten dono invece a scomparire gli esperti in «cose militari». L'accentuamento dell'interesse amministrativo complica a ltresì le prospettive di razionalizzazione, perdJé lo scontro fra i diversi organismi avviene su un terreno in cui i valori morali sono assenti e il peso «materiale)) di ogni scelta finisce facilmente col prevalere. Così, ogni concessione de ve assicurare una contropartita in solido, e si moltiplicano ben al di là del necessario gli organi «competenti)) su una stessa mat eria. Lo stesso aspetto amministrativo che si voleva esa ltare, viene invece mortificato, tradotto com'è in una serie di provvedimenti , spesso a breve termine e quasi sempre parziali, sempre frutto, fra tutti

155
1 Edward Luttwak. «Towards Rearming America», in .Survival», gennaio-febbraio 1981.

gli interessati, dell a politica del do ur des, est ranei a lla politica m ili tare na z iona le e connessi con gl i interessi corporativi de ll e pa rti.

Figlia degenere della burocrazia, intesa come attivi tà degli organi dello Stato, è la «burocratizzazione», sempre presente in tutt e le amministrazioni, ma particolarmente dinamica dove manca un fine comu ne cui ispirarsi, una politica ch iara sia generale che di se tt ore. Come ha scritto Downey, in tal caso «è faci le confo ndere i mezzi con i fini e e laborare compl essi ed efficienti piani per ottenere ri sulta ti sbagliati». 1

Quando ciò avviene, si accentua la deprofessionalizzazione dci Quadri che, sottopost i a un carico di la voro dcfatigante, lavorano spesso senza sape re o chiedersi perché, senza ese rcitare un reale sforzo concettuale che ri chieda un aggiornamento della propria cultura individua le, un obiettivo confr on to co n l'evoluzione della società es terna, una verifica de ll a propria professionalità. È demoralizzante, a volte, discorrere con ufficiali, intelligen ti , preparati, potenzialmente validi sotto mo lti aspetti e ri cc hi di esperienze che, s u prob lemi militari di attualità , si esprimo no con un conse rva to ri s mo e una mancanza di immaginazione so rprendent i. Anche gli uffi cial i più brillanti cedono alla progressiva assuefazione alla buroc razia, pur senza ridurre il loro carico di la vo ro. Mo lti di cos toro, professionalmente onesti, e dotati di forte coscienza dei propri doveri, rinunciano a priori ad una attività creativa, dedicandosi co n pari imp eg no a un'altra di stretta co mp ete nza burocratica. Ciò a vv iene perché l'organizzazione no n agevola e tal vo lta no n consente «l'integrazio ne dell e finalità indi vidu ali e di qu ell e del sis te ma cosicc hé la ge nt e possa responsabilizzarsi e, se possibile, esercitare la propria crea ti vitA». 2 Da lla burocratizzazione si pa ss a, dunqu e, a una co ndizione ancor più grave: la dcresponsa bilizzazionc. 3

Si spiega, così, perché, come scrive Plan c hai s, «colonnelli

1 J . Oowney. op.cit.

1 llnd.

156
3 Pau l Hersey e Kenneth H. Blanchard, Management of Organi=ationa/ Beha''iour Prentice Hall l nc .. Englewood ClifTs. New Jersey, 1974.

brillanti, apparentemente sinceri nelle critic he che essi formulano, diventano da un momento a ll 'alt ro opachi e conformisti».1 La riluttan za ad assume rsi le proprie responsabilità, la rinuncia a contrariare i propri superion, la tendenza a evitare « le g rane», comunque gravi, a l ivello di organ i di vertice diventano gravissime. De Gaulle, che nel Filo della spada ricorda più volte il concetto di responsabilità, ha scritto ci rca cinquant'anni fa: «Poiché il nostro secolo non ch iede e non stima nulla quanto l'a zio ne personale e il coraggio dì ri schiare, bisogna c he, a sua volta e sotto la pena di rimanere isolato, l'ordine militare onori soprattutto l'ini7.iativa e il gusto d e ll e respon sab ilità. Non deve trascurare altre virtù, ma è ve nuto i l mom e nto per lui di mcnerlo a l di sopra di tutt e, di esigerlo prima delle altre, di coltivarlo sopra tutto , di farne la sua regola». Dire che questo consiglio di Dc Gaulle s ia stato messo in pratica presso gli organ i cen tral i delle n ostre ForLe Armate sarebbe quantom e no inesatto. Purtroppo , però. non tutti se ne accorgono. La burocrazia militare dà, infatti, l'impressione di meticolosità, di ordine, di dedizione in contestata al se r v izio, di silenziosa maturità , mentre, in realtà, prosperano i mediocri , aumentano le frustrazioni dei migliori e i vertici perdono il loro tempo in attività decisamente inferiori al loro li ve llo di competen7.a.

Capi c he chiedono so lo di essere informati, an zic hé pret endere di dirigere e dipend e nti propensi a far assumere ai capi responsabilità, che sarebbero altrimenti loro, fanno ruota re la macchina militare in folle, al num e ro m assi mo d ei giri. 2 Decentramento delle responsabilità, della firma , delle decisioni diventano così parole con sca rso significato pratico. Vi è ch i lotta con tr ocorrente, con il risultato c he la sua attività viene sovente ricono sci uta come fastidio sa.

Negli organ i di ve rtice c'è ancora un potenziale ecce ll en te di personale qualificato , decisamente SO'toimpiegato. Spetterebbe però ai capi ridare vitali t à all'ambiente, supera nd o le propri e divergenze in una visione comune delle finalità della

1 J. Planchais. op. cit.

1 Paul Hcrscy e Kenneth H. Blanchard, op. cit.

157

Difesa. Ha sc ritto von a proposito de l suo Stato Maggiore• che la sua sto ria sarebbe «una storia di lavoro tranquillo e positivo. Narrerebbe di arroganze e di acquiescenze, di van ità e di in vidie, di tutte le debolezze uman e, della lotta fra genia li tà e burocrazia». Lici.dell Hart, allo stesso proposito, aggiunge, che esso «tendeva a rattrappire il genio, essendo in sieme una burocrazia e una gerarchia, ma in compenso cercava di portare a un grado elevato il liv e llo di competenza genera le». 2 Come si può notare i risc hi di «burocratizzazione» sono latenti in qualsiasi organismo burocratico e vcrticistico, anche se fortemente motivato come era lo Stato Maggiore tedesco. Ciò che co nse nte, però, a un organismo militare di ragg iun gere un grado di «alta competenza genera le» è l'az ione dei suoi capi. Ma - dicono con amarezza molti nostri ufficiali- da più dì un capo, invece, v iene oggi perseguita la linea del minor attrito, sia all'interno che all'esterno. Tutto ciò che potrebbe indurre a un maggior impegno, viene rapidam ente messo da parte, soprattutto se non è legato agli interessi corpo rati v i di ciascun organismo e ri guarda invece le finalità generali delle Forze Armate. In questa atmosfera generale, dove «partecipazione» e «collegialità» sono, soprattutto ai li vell i più e levat i, solo s inonimo di compromesso, tutta la catena dirigente e direttiva finisce con essere in esorabi lm e nte deresponsabilizzata in tutte le sue ramifi cazio ni. Innovare diventa un verbo sgradito e la macchina militare si applica unicamente a mantenere lo statu quo. I migliori si rendono con to di far parte di un sistema c he premia l'o rtodosso e guarda con sospetto tutto quanto è nuovo e insolito. Scriveva De Bono nel 193 1 sulla stessa s itua zione: «Tutto il mal e derivava dalla preminenza che le pratiche burocratiche avevano su l resto ... e della riluttanza a prendere subito una d ecisio ne che investisse qualche responsabi lità». 3 Quale Stato Maggiore avrebbe prodotto un si tratto andam e nto delle cose, lo si sarebbe constatato tragicam e nte dal '40 al '43.

1 In B.H. Liddell Hart. The Other Side ofthe Hi/1. c it

2 lbid.

l E. De Bono. op. cit.

158

La Difesa non è certo il solo settore della pubblica amministrazio ne incline all'immobilità. Anzi. Ma è anche un fatto che la Difesa, a causa della sua maggiore complessità, dell'inverifìcabilità della va lidità delle sue sce lte in tempo di pace, dell'ass enza di uno st imolo diretto da parte del Paese, può assai meno delle altre organizzazioni concedersi il lusso di segnare il passo. Scrive Downey: «Vi è in t une le istituzioni la tendenza a resistere ai cambia menti , ma nel caso d e lla Difesa, le consegue nze di un comportamento così poco saggio sono di gravi proporzioni. Infatti , oltre al fatto che i l servizio fomit o dalle Forze Armate è vitale per la nazione , le sue politiche ed i suoi metodi dovranno rimanere senza un reali stico collaudo per molti anni». 1 Così la periferia si estranea dagli organismi centrali. instaurando con il centro un rapporto strettamente corporativo come avviene in tutte le altre amministrazioni. e - dicono molti ufficiali- si erodono quei vincoli morali, quella solida rietà spirituale che rendono possibile un'effettiva coesione fra tutti i componenti delle Forze Armat e. Intaccata l'unità dell'insieme, trovano giustificazione e spazio le «caste», di cui lo Stato Maggiore è so lo uno d egl i esemp lari .

Alcuni anni fa si scriveva. a propo sito delle Forze Armate fran cesi che «malgrado il senso di di scip lina che le anima, esse rivolgono verso la Capitale sguardi di crescente sconte ntezza». 2 Questa è già ora la situazione delle Forze Armate italiane ed è sufficiente parlare con i giovan i ufficiali più motivati per rendersene conto.

Molto- essi dicono- viene fatto per risolvere problemi di carriera, economici, di promozione sociale, ma manca, purtroppo, qualcosa che ri v italizzi su l piano morale le Forze

Armate . Scriveva De Gaulle: <<Occorre offrire all 'o rdine militare un ideale ringiovanito che conferisca a mezzo di un' é lite, unità delle te ndenze, provochi l'ardore e fecondi il talento» . 3 Per questo obiettivo, aggiungono gli ufficiali ita-

J op. cii
ci/.
op c11 159
l
1 J. Planchais. op.
1 ('. de Gaulle.

liani più critici dell'attuale stato delle nostre FF.AA., più ancora che per l'unità organizzati va, occorrono «capi illuminati e provvisti di forte volontà>>.

I capi - I vertici della Difesa

Nel campo della Difesa, anche se con il termine «Capi» si identificano i vertici militari soprattutto là dove ci si riferisca alla condotta del confronto armato, la linea di vertice inizia ben più in alto, con la massima carica dello Stato, il presidente della Repubblica, comandante delle Forze Armate. Senza entrare nel merito dell'annoso dibattito fra costituzionalisti sulla «responsabilità» o «irresponsabilità» del presidente della Repubblica e pertanto sulla concretezza della sua funzione di comando, sarà bene ricordare che l'organo da esso presieduto, il Consiglio Supremo della Difesa, è pur sempre l'unico istituzionalmente riconosciuto a interessarsi della politica di difesa nazionale. Infatt i, come già si è detto, il Comitato di Difesa, costi tuito , ma altrettanto prontamente di sciolto nell'immediato dopoguerra, faceva in vece risalire le re sponsabilità della po liti ca di difesa al capo dell'Esecutivo, cioè a l presidente del Consiglio. D'altra parte, l'attribuz ione al capo dello Stato delle responsabilità formali della Difesa, con lo scopo evidente di garant ire una maggiore obiettiv ità e imparzialità politica alle FF.AA., ha finito con svuota re di ogn i contenuto reale la politica di difesa. Al riguardo, e per ovviare all'inconveniente, c'è chi sostiene di non vedere perché un Comitato di Difesa, retto da una rappresentanza limitata del Consiglio dei Ministri con l'ausi lio del Comitato d e i capi di Stato Maggiore, non potrebbe coesistere con il Consiglio Supremo della Difesa , in modo da assicurare contemporaneamente sia l'Alta Direzione delle Forze Armate, sia un 'efficiente gestione dello stru mento militare, nel rispetto della linea di politica di difesa del Governo, approvata dal Parlamento. Oggi, si fa rilevare, sia per l'evanescenza della politica di difesa, sia per l'assenza di un organismo istituzionalmente riconosciuto per dibattere e

160

risolvere tali problemi, la difesa è senza una effettiva direzione politica e priva di un reale indirizzo politico al di sopra del ministro della Difesa. Né , d'altra parte, potrebbero essere contrabbandati come interessamento verso la politica di difesa l'invio dei periodici messaggi alle Forze Armate nelle occasioni celebrative e tantomeno le vaghe affermazioni del presidente del Consiglio o del ministro degli Esteri in merito ad aspetti particolari del problema. In somma: come sempre nella nostra storia degli ultimi cent'anni, la Difesa è senza capi riconosciuti al di sopra del livello del ministro. Vista la situazione, si dice negli ambienti delle FF.AA., la scelta del ministro della Difesa dovrebbe almeno cadere su un uomo capace e moralmente rappresentativo, così come un altro requisito indispensabile, per un ministro di un Dicastero tanto difficile e importante, dovrebbe essere una permanenza in carica sufficientemente lun ga. Ma se, da un lato. nonostante le frequentissime crisi di Governo, i ministri della Difesa sono rimasti in carica per più anni, dall'altro, il discorso diventa del tutto diverso quando c i si riferisce alle loro qualità morali e professionali. Alcuni di essi sono stati, come ha scritto Luigi Barzini sul «Corriere della Sera», «men che pessimi», ri velando pochezza professionale o comunque scarso interesse per la finalità del Dicastero, per non parlare di quelli che si sono fatti coinvolgere in scandal i che certo non han giovato alla immagine pubbli ca della Difesa. Un altro addebito che molti ufficiali fanno a gran parte degli uomini politici che hanno occupato l'incarico di ministro della Difesa è per i criteri che essi hanno spesso segu ito nella nomina degli alti gradi e la designazione delle Alte Autorità militari . Essi citano, al riguardo, le parole di De Gaulle: «La scelta che amministra la carriera si porta più volentieri su coloro che piacciono che su quelli che meritano. Il nostro tempo è poco propizio alla formazione e selezione dei capi militari». 1 Più incisivamente scriveva Giulio Douhet circa sessant'anni fa: «... pecorilmente i gros bonnets si inchinarono successivamente alle nuo ve ecce ll enze rendendosene

1 C. de Gaulle. op. cit.

161

complici; nessuno mai seppe, al proprio paese, far sacrificio non della propria vita, ciò che molte volte è inutil e. ma del proprio grado e del proprio st ip end io...». 1

È avvenuto così, e non di rado, ricordano questi stessi ufficiali. che le Forze Armate si siano viste attribuire capi che non avrebbero mai scelto e la cui mcdiocrità era evidente. Negli ultimi vent'anni, il fenomeno ha preso talmente piede, essi aggiungono, che negli stessi ambienti militari, ad ogni nuova nomina, si è finito col motivarne la scelta con una parentela politica, anziché sulla base di una indiscussa professionalità militare, arrivando a meravigliarsi quando è accaduto che personaggi di grande prestigio sono stati scelti per incarichi di grande responsabilità. La situazione s i è, peraltro, ulteriormente complicata ogni volta che le scelte sono state il frutto di accordi fra correnti politiche e partiti polit ici: «il modo in cui si giunge alle nomine delle alte autorità militari» hanno scritto Ugo Pecchioli e Arrigo Boldrini «è perlomeno discutibile: dominano le lotte fra gruppi di potere politico per il sostegno di questa o quella promozione».2 Ciò che è però difficile credere -commentano alcuni ufficiali - è che il suo partito, quello comunista, non intervenga anch'esso in questo gioco. Ma - aggiungono subito dopo- il fatto che almeno lo si riconosca è, comunque, già un passo avanti. Oltre alla necessità di tener conto della collocazione «politica» dei capi e delle alte caric he milit ari, intervengono altri due fattori a rendere difficile per i politici trovare «l'uomo giusto per il posto giusto». Ne sono direttamente responsabili le stesse Forze Armate con i loro conflitti fra le varie Forze per le cariche di vertice interforze, capo di Stato Maggiore della Difesa e segretario generale l direttore nazionale degli armamenti, e per l'arrivismo all'interno di ogni ForLa Armata nella lotta per il proprio vertice. Nel caso delle cariche interforze sembra talvolta più importante per ogn i ForLa Armata avere «un uomo propri o» anziché «l'uomo giusto». Il sistema della rotazione fr a Forze

1 G. Douhet, op CII

1 U . Pecchioli e A. Boldrini, op. c11 .

162

Armate nelle cariche di ve rti ce e quello compleme ntare della rip arti7ione dei posti interforze in base ad un discutibile equilibrio di potere, si ammette ormai apertamente negl i ambienti delle FF.AA., non sono degni di un'organizzazione che dovrebbe scegliere il meglio per la propria alta direzione. Con questo sistema, si ril eva, personaggi di grande professionalità vengono accantonati mentre altri assurgono ai vertici militari senza meriti specifici. Nel caso delle lotte interne a ciascuna ForLa Armata, l'intervento politico, discreto ma non per questo meno influente, provoca in molti cas i le più estempo ran ee iniziative di alcuni per promuovere la propria candidatura. Sempre Liddell Hart scrive, a proposito dei generali tedeschi che «c'era un senso dell'interesse personale che.. minava alla base in loro la lealtà verso i colleghi e l'attaccamento al più autentico interesse del Paese». 1 Né mancano analoghi esempi ne ll a nostra storia preguerra. Nel suo libro su Badoglio, Giorgio Rochat dà infiniti esempi in cui la solidarietà dci verti ci militari venne seriamente intaccata dalla rivalità fra i gene rali che Mussolini, come Hitler, sapeva abilmente sfruttare per indebolire la coesione delle Fol7e Armate. In lì ne , a parziale attenuante delle errate sce lte politiche, sta la scarsa familiarità dell'ambiente politico, e di quello civil e in generale. co n quello militare. Molto s pesso il «civile» si fa suggestionare dalle apparenze non esse ndo in grado di valutare nella sos tanza e non volendo fare affidamento sul parere dci militari. Mu sso lini e Hitler, cui non difettava certo la spregiudicatezza politica, si erano trovati anch'essi ini zialmente a disagio nell'ave r a che fare con una classe militare che si presentava compatta e forte di un notevole prestigio di casta. Solo, in seguito, quando erano riusc it i a penetra rn e la corau.-a este rna avevano potuto manovrare l'ambie nte secondo i loro intendimenti. Da allora solo i capi graditi al dittatore avevano potuto assurgere alle massime cariche e essi stessi, quando semb ra va no familiari zza rsi troppo con il proprio incarico promuovendone gli interess i, ne potevano esser rimossi. Scrive Rochat «la frequente sosti-

163
1 B. H. Liddell Han. The Other Side q( tlw Ht/1 , cit.

tuzione dei respo nsa bili militari va ricondotta essenzia lm ente alle es igenze di una politi ca di potere person ale».' Ciò è esatta ment e qu ell o che accade anche oggi, quand o alla stabilità dei vertici politici della Difesa si co ntrappon e la preca ri età di qu elli militari.

Nella Repubbli ca di We im ar «Noske, come tutti i s uo i compagni social isti , co nservava un cu ri oso complesso d i odio-amore nei confro nti dei ge nerali. Pur affettando di disprezzare e condanna re lo Stat o Magg iore no ndim eno (i socia li st i) era no segre tamente lu singa ti quando ne r icevevano qualche ri co nosci mento ». 2 Quanto avveniva ne lla Repubblica di Weimar allora , si ripete nell ' Italia di ieri e di oggi. Nessu n partito po liti co, per quanto a nti-militari sta , sfu gge alla logica di questo rapporto co ntradd itt orio. Sarebbe s ufficiente- dicono allo Sta to Maggiore- poter scorrere la lista di ch i, nell'a mb ie nt e civ il e e pol it ico, chiede di pote r intra ttenere de i ra pp ort i co n ! cap i militar i per poterse ne rend e re con to. IJ risultat o è c he i capi militari che sanno offrire qualche ri conoscimento, anc he solo un grado militare onorifi co, che sa nn o abi lm ente fa vorire gli interessi di un po lit ico o d i una pa rt e polit ica ha nn o più cha nces di esse re grad it i e prescelti. Un pi cc hetto d'onore in più. un via ggio in ae reo o in elico tt ero milit are , un posto di ri gua rdo a una manifesta7.io ne militare , l'i mpi ego di truppe in co mpiti non mil itari in zone elettora lm ent e importanti ecc., ecc. , costano relativament e poco, ma posso no talvolta far miracoli. D 'a ltra pa rtecommentano gli ufficial i più av ve duti - non si può ragi o nevo lm ent e pensare di progredi re se nza disporre di ve rti ci po lit ici e milit a ri in grado di co ll a bo rare, pur attra verso un anima to confronto dell e ri s petti ve tes i, con la necessaria conosce nza e co nsa pevo le zza degli int eress i de ll'altra parte. Né tantom eno si può continuare a ave re, come spesso è accadu to in passa to, una dirige nza m ilit are «curial e», de cisa a ma nt enere il co nse nso del mon do politico attraverso una politica milit a re «di basso pro fil o», tal e da non preocc upare

1 P. Pi c ri e G. Rocha t. op. cit.

2 J .W. Whcclcr-Bcnnctt. op. cit .

164

nessuno, a eccezione beninteso di quei militari che vedono, in tal modo, erodersi costantemente il prestigio e l'efficienza delle Forze Armate.

Che fare? Innanzitutto ricostituire il Comitato di Difesa, anche se con un nome più proprio, assegnandogli reali poteri e responsabilità. Questo sarebbe, oltre tutto, il contesto più idoneo in cui discutere· le scelte di vertice, non essendo il Consiglio dei Ministri la sede più opportuna per l'esame di una problematica tanto specifica. Non si capisce, infatti, dicono gli addetti ai lavori, perché un ministro di un Dicastero solo marginalmente interessato alla Difesa dovrebbe intervenire nella scelta dei vertici militari.

Al Consiglio Supremo di Difesa spetterebbe la definitiva convalida delle scelte operate dal Governo, mentre le responsabilità di immediato interesse delle Forze Armate dovrebbero restare affidate a organi più specificamente competenti.

Dato per scontato che sarebbe impossibile affidare a un militare non in servizio il Dicastero della Difesa occorrerebbe però trovare ugualmente una formula che soddisfi meglio le esigenze di gestione politico-militare e amministrativa di questo importante e complesso Dicastero. L'idea di un ministro «militare», nel nostro Paese, non è mai stata presa in considerazione anche quando da molte parti si è in vocato un governo dei tecnici e la nomina conseguente di tecnocrati al vertice dei vari Dicasteri. Il solo fatto di averlo proposto ha fruttato al generale Liuzzi l'accusa di «arcaico e incallito militarismo». 1 In ogni caso, è legittimo dubitare che, anche se questa proposta venisse accolta, le cose migliorerebbero sostanzialmente. Un ministro proveniente dalla classe militare e prescelto dal potere politico dovrebbe soddisfare tali requisiti e ofTrire alla classe politica tante garanzie, che a essere selezionato finirebbe con essere solo chi facesse dell'immobilismo una sua scelta di vita. Assai meglio avere quindi un ministro politico che oltre tutto- riconoscono gli

165
1 E. Bonacina, Se •·enisse il colpo di Stato. citato in A. D'Orsi , La macch ina militare- 1/ potere repressi•·o. cit. ·

stessi militari - sa muoversi con maggiore disinvoltura nel suo ambiente e nella vita politica dello Stato. Ma- aggiungono subito dopo- la rinuncia ad un vertice politico-tccnocratico per la di fesa non deve significare rinuncia a un vertice politico che ofTra migliori garanzie. Un ministro serio c professionale, oltre che rispettato dalla classe politica, potrebbe meglio garantire, oltrettutto, un'equanime scelta dci futuri vertici militari. Anche la scelta del ministro della Difesa dovrebbe venir efTcttuata in base a un concreto riscontro delle sue capacità professionali e non già essere conseguenza solo di contrattazione fra i partiti. Negli USA, per esempio, i candidati ministri devono dimostrare la loro competenza davanti alle Commissioni delle Assemblee legislative.

Le condizioni formali per esercitare un reale foro consultivo a l servizio della classe politica nella designazione delle alte cariche militari esistono già all'interno delle Forze Armate. Il Comitato dei capi di Stato Maggiore accoglie , infatti, al suo int erno i massimi vertici operativi e tecnicoamministrativi e non escl ud e la partecipazione occasionale di alte autorità militari che non ne facciano parte. La composizione del Comitato potrebbe esser amp liata o ri stretta a seconda dell'opportunità del singolo caso in esame. Il parere del Comitato, nella sua colleg ialità o attraverso il suo presidente, il capo di Stato Maggiore della Difesa , dovrebbe essere sottoposto, oltre che al Consiglio S upremo della Di fesa e al ministro, anche a l Governo o meglio al già proposto Comitato di Difesa e, se necessario, pl!bblicizzato in altre sed i istituzionalmentc ri conosc iut e. Una maggior istituzional izzat. ione del parere consult ivo dei militari in merito alle cariche di vertice attenuerebbe la brutta consuetudine della contrattazione occulta che oggi avviene ai diversi liv elli . Occorre - dicono i militari - restituire chiarezza alle nomine dei nost ri è ridicolo che si debba attendere c he scoppi uno scandalo, come quello recente della P2 per vede r nominare ai vert ici delle nostre FF.AA. uomini che meritano il consenso sia del mondo politico, sia di quello militare. Ma l'onestà professionale e mora le dei capi non basta da sola a garantire un rendim ento adeguato in posti di così grave

166

responsabilità. Occorrerebbe che di qualsiasi in ca ri co fossero indicate. sia pure approssimativamente, le peculiarità in modo tale da accertare se il personaggio designato a ricoprirlo ne possegga i requisiti. Ai vert ic i della ge rarchia- ammettono gli s tessi militari- occorrono uomini con esperienze di lavoro all'estero in posizione di responsabilità. in grado di fare costantemente un confronto fra noi e gli altri. non limitato alla superficie dei problemi. È ormai del tutto indispensabile la conosccn7.a approfondita almeno di una lin gua a evitare che i l rappresentante del nostro Paese si senta isolato e non possa esprimere il punto di vista nazionale nelle molte occasioni internazionali di incontro c di la voro cu i i vertici militari devono part ec ipare. Ma occorre soprattutto che ogni capo sappia comprendere la natura politica del suo incarico, sappia proporre «politiche» innovatrici , sappia «pensare e ag ire da politico». 1 Solo così- si dice- riu scirà a opera re in collaborazione con la classe politica recitando il suo ruolo né passivamente né in modo antagonistico. Un vero capodicono i nostri ufficiali- dovrebbe godere di un tal e prestigio personale da essere riconosciuto dalle Forze Armate come l oro massimo rappresentante, graLic altresì a un adeguato periodo presso i reparti. In ultimo. egl i dovrebbe essere un profondo conoscitore dell'amministrazione della difesa, delle sue peculiarità , cosa possibile solo a chi ha occupato incarichi di responsabilità presso gl i orga ni centra l i.

In definitiva, ogni capo dovrebbe aver seguito il processo formativo previsto. ma non sempre rispettato, per gl i ufficiali di Stato Maggiore dell'Esercito oltre cent'anni fa. Un capo cresc iut o solo in periferia o uno che sia rimasto troppo a lungo «infeudato» presso gli organi central i, so no entrambi poco idonei a coprire incarichi d i ve rti ce. Il primo perché si verrebbe a trovare in un mondo di cui non riesce a com pre ndere le dimensioni e rischierebbe di rifugiarsi in una falsa tecnicità dei problemi. Il secondo perché. smaliziato da tutte le sue esperienle all'interno ed all'esterno dell'ambiente militare, tenderebbe a privilegiare una visione artificiosa-

167
1 B. H. Liddell Hart, T/w Otlwr Side Q{the liti!. CII

mente burocratica dei problemi militari, dissociando il ce ntro dalla periferia che, del resto, non conoscendo lo non lo ri conosce rebbe come capo. Preparazione politico-militare, esperienza internaz ionale, prestigio e carattere, da parte di tutti i componenti del Comitato dei capi sa rebbero la migliore garanzia per Forze Armate più moderne, più adeguate alle reali esigenze del Pa ese e credibilmente partecipi della vita nazionale. Ciò che i nostri ufficiali più avveduti e preoccupati dell'avvenire delle nostre FF.AA. si ch iedono è se autorità militari e politiche sap ranno rinunciare ai propri interessi e instaurare procedure atte a garantire alla Difesa un comando e un cont rollo politico e militare degno di questo nome.

Spesso in Italia si tenta di risolvere i problemi semp lic emente attraverso l'introduzione di nuove normative di carattere organizzativo. Ma tale sforzo, per quanto corretto, viene però vanifìcato allo rché, una volta rinnovate le strutture, si collocano nei posti di responsabilità le persone sbagliate. Ciò è soprattutto vero per la Difesa dov e ancora, il capo, i capi, costituiscono un preciso punto di riferimento per tutta l' organizzaz ione. La formaz ione d ei capi, la loro selezione e la loro designazione costitu iscono perciò una responsabilità di elevatiss im a priorità.

Un altro problema da risolvere è quello della durata della permanenza dei capi nei rispettivi incarichi. Nell'arco di tempo fra il 1948 ed il 1982 si sono avuti Il ministri della Difesa. L'on. Andreotti batte ogni reco rd con o ltre sei anni (dal '59 al '66 co n l'interruzione di pochi mesi di Segni). Nel s uo caso, sarebbe diffi ci le imputare le modest e innovazio ni di cui si è reso promotore a lla transitorietà della s ua permane nza in carica che se mbra, in vece, cor ri spondere, a lm eno sotto l'aspetto della durata, a qu ell 'infeudamento che De Bono lam entava negli ufficiali di Stato Maggiore. Nello stesso periodo si so no succeduti 13 capi di Stato Maggiore della Difesa. Si è av uta quindi una maggiore mobilità militare che non politica ai ve rti ci della Difesa.

Un accorgimento adottato per far fronte all'inconveniente relativamente alle alte cariche, quale quella di capo di Stato

168

Maggiore della Difesa, è stato quello di designare personalità prossime al congedo per limi ti di età, mantenendole, poi, in carica con rinnovi annuali, riconfermati di solito all'ultimo momento. Ciò è equ ivalso però a mettere in una condizione di ins ta bilità e di debolezza le massime cariche di vertice, ben consce che una estensione della loro permanenza nell'inca ri co era legata a l gradimento politico su l loro «modus operandi». Per dare stabilità ai vert ici occorrerebbe perciò che essi fossero prescelti fra co loro che han davanti a sé molti anni di carriera. Il loro incarico, e ciò vale per il capo di Stato Maggiore della Difesa e il segretario generale, non dovrebbe durare più di quattro anni , a evitare l' infeudamento, ma non essere inferiore a tre per consenti re l'impostazione di programmi di sufficiente durata e respiro. Se ciò non dovesse più consentire a tutti di arrivare ai massimi vertic i e se rompesse la frequenza di avvicendamento fra le Forze Armate, poco male. Almeno teoricamente si presume che dovrebbe esse re più importante avere capi giust i per un tempo s uffi ciente, che non assicura re una lotti zzazione dei vertic i num eri came nte equa quanto professionalmente perversa. Se si può definire poco garbata e giustificata l'accusa di «geron t oc razia» rivolta ad una classe di ri gen te qua le quella militare che rim ane in carriera meno di tutte le a ltre categor ie dirigenziali dello Sa to , è pur ve ro che l'e tà dei nostri capi militari è in media superiore e non di poco a que ll a dei capi delle Fo rze Armate più evolute, in cui non è affatto insolito incontrare un ca po di Sta to Maggiore che sia sulla sog lia dei cinquant'an ni. Sarebbe quindi auspicabile - sostengono molti uffi c iali- che cariche così imp egnat iv e venissero ri cope rte da chi ha ancora energie fisiche, intellettuali e mo rali adeguate. In un recente Seminario in Gran Bretagna un ge nerale medico ha detto che «gli uomini assumono normalmente un incarico di ve rt ice in un'età prossima all'and ropausa... con modifiche fisiologiche e disturbi gla nd o lari quando stanno sostene ndo il peso di gravi responsabilità», 1 e c'è chi ha cerca to di spiegare anche

1 Har-y Pozner. da << Health and High Command . Stress. Sleep and Climate Chango>, Seminario presso il Royal United Services lnstitute di Londra, novembre 1978.

169

così il d eclino di ca pi militari di prestigio quale Badoglio. Infine , per evitare c he i vertici militari avvertano in modo traumatico il passaggio da una posizione di elevato prestigio ad un ' altra di tota le anonimato , sarebbe più che opportunosecondo alcuni- offrire loro una carica, sia pur'! soprattutto onorifica, v in co la nd ol i a non accettare altri impieg hi. Un posto da co nsigl ie re di Stato, o una «stella in più» come in Gran Bretagna, do ve i capi di SM d iven tano Fi eld Marshals, una pe nsione più co ng rua all'atto del congedo, rend erebbero i vertic i m eno fragili e quindi più sicuri di sé e pe r l'amministrazione.

170

Il problema interforze.

I vertici militari e politici della Difesa

Le origini del problema interforze in Italia

Le critiche più severe alla direzione della guerra da parte italiana nel secondo conflitto mondiale riguardano due gravi carenze: l'assenza di una gestione interforze della guerra e quella della gestione politico-strategica. L'inconsistenza dei vertici politici e militari, mal struttura ti , mal concepiti e mal diretti , è fra le cause principali del disastroso esito della guerra. Scrive Whittam, a proposito dell'Esercito, che la collusione politico-militare «non solo ha contr ibuito a produrre le catastrofiche sconfitte della guerra 1940-43, ma ha macchiato la reputazione di un Esercito che si era battuto magnificamente nella prima guerra mondiale».' Purtroppo, dicono i nostri ufficiali, la mancataa di studi approfonditi sulla condotta globale del conflitto consente ancora la per man e nza di molte zone d'ombra che , proteggendo i veri responsabili, giu stificano il pretestuoso cliché del soldato italiano che «non si batte».

Scrive Giorgio Rochat, a proposito di Badoglio, c he «le alte gerarchie della Marina e dell'Aeronautica... Io accettavano come capo di Sta to Ma ggiore Generale con il tacito patto che non si occupasse né della fl otta n é dell'aviazione». 2 Il nostro principale avversario del momento, la Gran Bretagna, disponeva, in vece , di un Comitato dei capi di State

v
• J. Whittam, op. cir. 2 P. Pieri e G. Rochat op. cir 171

Maggiore «con responsab ili tà individuale e colletti va di consulenza in termini di politica di difesa, con i tre capi in grado di agire come se fossero un unico Supercomando». 1 Questo Comitato era integrato da un Comitato Piani fin dalle sue origin i nel 1927, cui si era aggiunto ne l 1938 un altro Com itato per le «informa z ioni». l due organismi furono l'element o portante del Comitato principale, presieduto spesso dallo stesso primo ministro. Al contrar io, la campagna di Grec ia fu decisa in Italia, in una riunion e di poco più di un'ora e mezzo, assenti perché non invitati i capi di Stato Maggiore della Marina e dell'Aeronautica, e con un preavviso di sol i quindici giorni sull'inizio delle operazioni. Inutil e aggiungere che tale situazione si è rip etuta infinite volte, conferendo alla gestione del confl itto quel carattere caotico che l'ha contraddistinta in tutt o il suo sv iluppo. 2

In luogo di un unico Supercomando sull'esemp io britannico, in Itali a operavano tre d istinti comand i: Supercscrcito, Supermarina , Superaereo, con un quarto in comodo scarsamente ascoltato, lo Stato Maggiore Generale. Le operazion i lnt erforze erano cos ì condotte in modo disarticolato , come se ogni Forza Armata dovesse prestare a ll e altre un particolare servizio, su base saltuaria e frammentaria. Nessuna apparenza di ope razione combinata, non solo sul piano strategico, ma anche su quello tatt ico. Commenta Rochat: «G li unici in grado di approntare i piani operativ i... erano gli Stati Maggiori dell e sin go le Forze Armate, i quali non potevano però possedere la visione d'insieme né la tempestività necessa ri e, né tanto meno tener conto delle altre Forze Armate». 3 Non «poteva no» perché culturalmen te avulsi d al fermento di idee in campo strategico e tattico internazional e di cui rifiutavano di prendere conoscenza , immerse com'erano in un a realtà politica che faceva dell'«autarchia» un merito anche in campo milit are. L' in comun icab ilità fra i vertici politici e milita ri interessati al problema della difesa nazio-

1 Rappono del Comitato Imperiale dì Difesa (C IO).

172 r .
2 Mario Cervi, Srona della guerra di Grecia, Mondadori. M ilano 1972. J P. Pieri e G. Rocha1. op. cit.

naie non è cessata nel dopoguerra e la s ituazione politicostrategica e Interforze è, nel nostro Paese, meno avanzata di quelle degli stessi Paesi NATO mediterranei come la Grecia e la Turchia. Dopo circa cinquant'anni la nostra normativa «lnterforze» risale ancora all'anteguerra, con la sola eccezione dei Decreti Delegati del 1965 che però han solo sfio rato il problema operat i vo «lnterforze» e quello del vertice militare in tempo di pace, rinviando si ne die la questione del Comando Supremo in caso di guerra.

Sotto l'aspetto della gestione politico-strategica della Difesa, la situazione è ancora più confusa perché non risulta ancora chiaro chi e in che sede s i debba interessare di questo problema vitale. Non mancano i tentativi come non mancano i ripensamenti, ma si è ancora ben lontani da una soddisfacente razionalizzazione dei due problemi. Le difficoltà non sono di ordine professionale perché, vo lendo, all'interno delle F orze Armate esiste la capacità di risolvere il problema «militare» e di concorrere efficacemente alla soluzione del problema politico-strategico. Non mancano, inoltre, gli esempi e le esperienze di altr i Paesi che prima di noi e meglio di noi hanno afTronta to il problema. Ma, come s i suo i dire, si tratta di un problema di vo lo ntà politica, cioè di superare le pregiudiziali politiche e le istanze corporative all'interno dell'ambiente militare. Sul piano politico, in Italia forse più che altrove, sopravvive una forte diffidenza verso uno strumento militare unitario. Nel periodo fascista, le divisioni all'interno delle Forze Ar:nate e rano state alimentate di proposito co n lo scopo di evita re di rendere troppo solida una struttura che, per la sua lealtà verso il sovrano, avrebbe potuto creare qualche problema al regime. Nel dopoguerra, i motivi delle divisioni sono sostanzialmente cambiati, ma la s itu az ion e è rimasta la stessa.

Da una parte, il partito di maggioranza aveva scarsa familiarità con i problemi delle Forze Armate di cui non si era mai occupato neppure sotto l'asp e tto politico-culturale. Dall'altra le s ini s tre , la cui forza nel Paese non era trascurabile, vedevano nelle Forze Armate un o s trum e nto a disposiz ione della classe al Governo per il mantenimento dello

173

statu quo in politica interna del Paese . Ciò ha non solo incoraggiato la ricerca di un maggior «controllo politico» sulle Fooc Armate. ma ha altresì favorito il costante rinvio della soluzione del probl e ma dei vertici, militari e politici, interessati alla Difesa. Così, nelle intenzioni della classe politica, anche il Governo avrebbe dovuto riman ere estraneo alla gestione della politica di difes a naz io na le, che sarebbe s tata semmai delegata a Ist ituti più rappresentativi quali il Parlamento o a fori dominati da una figura al di sopra delle parti , quale il Presidente della Repubblica.

Le pregi udi z iali politi c he nei confronti di un vertice unifi cato militare sono presenti anche in altri Paesi , pur se hanno una diversa origine, m entre quelle ne i confronti d e ll'e secu ti vo sono tipiche del n ostro Paese e sca turi sco no dalla scarsa chiarezza dei rapporti politici e dalla diffid e nza d e i partiti per qual siasi decisione c he possa esse r presa al loro este rno.

Scrive i l genera le Liu zz i che ne ll 'a mbiente militare domina <da di ogni Forza Armata a co ntrastare provvedimenti volt i a diminuirne, in un cer to senso, l'autonomia e la resistenza, causata da istinto d i co n ser vaz ione e da interessi particolaristici». 1 Aggiungono m o lti uffi c iali che un radi ca le passo in avanti potrà essere co mpiuto solo se c i sarà una rea le coincidenza di intenti fra a mbiente politico e militare e se ciascuno, al suo interno, saprà gua rdare il problema pe r qu e llo che è, spogliandos i d e i prop ri pregiudizi. In campo po liti co, qualch e progresso è stato fatto. Negl i stess i mo v im e nti di sinistra so no rimasti pochi co loro i quali cont inuano a «pensare c he i di segni autoritari e i piani repress ivi passasse ro effettivamente attraverso le mani d e i militari». 2 Lo stesso partito comunista, fino all'inizio degli anni Settanta ostile alle Forte Armate , e anche assai attivo alloro interno , ha adottato un atteggiamento più ca uto, tanto da condiv id e re le preoccupazio ni per la scarsa autorevo lezza d e l ver-

1 G. LJUai, op. cit.

2 In V. Ilari . l.R For=e Armate fra politica e potere /943-1976 . cit

174

tice militare e per la disatt enzio ne politica per i problemi della Di fesa c delle Forze Armate. Sarebbe interessante sapere - insinuano alcuni nostri umciali -quale ruolo abbiano avuto in questa sosta nzi ale modifica di atteggiamento da parte del Pci, la ricerca d e l «compromesso st o ri co» e la penalizzaz•one dci Servizi di Sicurezza. Sia pure in ritardo, anche gli altri p_artiti stanno aggiornando le loro opinioni in tema di difesa. E un m omento fa vorevole pe r le Forze Armate. ril eva no compiaciuti i militari.

Breve storia del/'ero/u:::ione dei vertici della D((esa nel dopoguerra

Nel 1945. una decisione particolarmente felice era stata la costitu zio ne del Comitato di Difesa. presieduto dal presidente del Consiglio dei Ministri. L'istituzionalizzazione di un corpo consultivo nell ' ambito dell'Esecutivo e co n un 'amp ia ma sele7ionata partecipazione politica , corrispondeva alle soluzioni adottate da ll a maggior parte dei Paesi occidentali ed alla norma della Costituzione italiana. Era prevista altresì la fun zio ne della consulenza militare, nella persona del capo di Stato Maggiore Generale anche se. nel frattempo. quest'ultimo era stato privato di quasi tutte le sue prerogative. in quanto i suoi contatti con gli altri capi di Stato Maggiore potevano avvenire solo «tramite i ministri» (che allora an cora esistevano) delle rispettive Forze Armate, e il suo ruolo finiva con assumere la semplice ves te di «co nsul enza persona le». pressoché avulsa dalla realtà dell'organizzazione cui avrebbe dovuto presiedere. La tendenza a avvalersi dei «militari» a ogni liv ello, quali espe rti a carattere cont ingente, senza alcuna funzione specifica. era del resto una consuetudine consolidata nella tradizione politico-burocratica italiana ai vari livelli; le Forze Armate, sia pure ognuna con un proprio ministro c con un capo di Stato Maggiore Genera le totalm ente esautora to, avevano riacquistato così una autonom ia considerevole.

Nel 1947, i tre Ministeri della Guerra, d ella Marina,

175

POLITICA DI DIFESA

Evoluzione dei vertici della Difesa

1 1945-1946 Il 1947- 1951 1[ 1951-1968

Il CONSIGLIO SUPREMO 111 CONSIGLIO SUPREMO Il DI DIFESA ( 1950) Il DI DIFESA

(a livello Pres idenza Repubblica (Riunioni una/due volte l'anno) con capo S.M .D., consulen te) l

COMITATO DI DIFESA 111 CONSIGLIO DEl MINISTRI l l CONSIGLIO DEl MINISTRI

{a livello di Govemo con (attenzi one distratta e saltuaria) / S.MT. l

POLITICA MILITARE

Responsabilità

Informativeoperative

FF.AA .

Responsabilità

tecnicoamministrativa

FF.AA .

Organi collegiali:

MINISTERI DELLA MINISTERO DELLA DIFESA MINISTERO DELLA DIFESA

GUERRA MARINA AERONAUTICA CONSIGLIO HCONSIGLIO

i- SUPER. FF.AA. SUPER. FF.AA . ( 1947) l-CAPootS.M.-DIFESAÌ COMITATO l

CAPO DI S.M. DELLA DIFESA l 1 DEl CAPI l {2) SID l DI S.M.

(1) SIFAR ==l l : (1966) l (1968)

CAPI DI STATO MAGGIORE { 1949) 1 :

ESERCITO MARINA AERONAUT. J l J : CAPI DI SS. MM.

CAPI DI S .M. DIFESA l ESER. MAR. AERON...J

ESERCITO MARINA AERONAUT.

(3) SIOSIE SIOSIM SIOSIA DELLA DIFESA (1965) l

SEGRETARI GENERALI ' SEGRJARI GENERALI ' l COORDINAMENTO

MARINA AERONAUT. ESERCITO MARINA AERONAUT. 19 DIREZ. GEN. UFF. CENTRALI

(1) SIFAR: SeNizlo Informazioni Forze Armate (2) SID: SeN izio lnlormazioni Difesa (3) SIO S: SeN IZI Informazioni Operativi e Sicurezza

n n n
l l
l

dell'Aeronautica erano stati riuniti in un unico Ministero della «Difesa». Un parlamentare comunista commenta: «Il provvedimento... , non rispondeva tanto ad una logica di coordinamento ... , ma serviva a una logica ancora preliminare di controllo governativo sulle tre Forze Armate, che non avrebbero potuto più contare sulle rivalità interministeriali per far valere le loro spinte di settore». 1 Il problema era quindi soprattutto politico, tanto più che ogni Forza Armata conservava un proprio segretario generale che assumeva in carica l'organizzazione tecnico-amministrativa dei disciolti Ministeri. 2 Si trattava, quindi, di una sovrapposizione più che di una fusione vera e propria. L'organ izzazione ampliava le sue dimensioni, senza razionalizzarsi, creando allora le radici di quei problemi di competenze che ancor oggi le riesce difficile risolvere.

Con la costituzione di un unico Ministero, il capo di Stato Maggiore della Difesa che, nel 1948, aveva sostituito il capo di Stato Maggiore Generale, passava alle dipendenze del Ministero della Difesa , la sc iando la carica di «consulente del Presiden te del Consiglio». Veniva, inoltre, restaurata la dipendenza dei capi di Stato Maggiore di Forza Armata nei suoi confronti, una dipendenza i cui termini non sono mai stati chiari e che ancor oggi è difficile definire. La soluzione interforze era ancora lontana se una pubblicazione semiufficiale sulla amministrazione della Difesa afferma che «Si sentiva la necessità di ulteriori chiarimenti per aderire alla ... evoluzione degli ordinamenti verso una soluzione interforze».3 Commentava il generale Liuzzi, dopo i primi tentativi di riforma , che «dal vecchio tronco spuntano rami giovani, ma quelli vecchi non vengono coraggiosamente potati e, nel complesso, si verificano, al centro, una dilatazione e un appesantimento anziché uno snellimento»:'

' E. Cerqucui. op. cit.

2 Carlo Bcss. «Considerazioni sul vertice militare». in «Rivista Militare». n. 5. 1978.

1 Mario Ristori. L 'ordtnamemo della difesa. StabilimentO Tipografico Militare. Gaeta 1976.

• G. Liuz.zi. op. cit.

17 7

Un passo più importante è stato compiuto nel 1950, quando fu istituito il Consiglio Supremo di Difesa, in luogo del precedente Comitato di Difesa. Sembra che con tale provvedimento che trasferiva la carica della Presidenza dal presidente del Consiglio al presid e nte della Repubblica s i volesse co lloc are la politi ca di dife sa, e con essa le Forze Armate, al di sopra delle parti politiche. Con ciò si commetteva però un grave errore. La politica di difesa veniva considerata politica a sé, estranea alla politica generale del Governo , attribuendo a l Co nsi glio Supremo delle competenze in materia che esso non era in grado di assolvere. Questa so luzione, sulla cui costi tu zionalità molto si è discusso , ha incontrato il consenso della sinistra e, in particolare, del partito comunista anco ra se nsibil e alla esigenza di un «garante» della costituzionalità delle Forze Armate. Uno studio recente del partito comunista' chia ri sce in questi termini la funzione del presidente della Repubblica quale presidente del Consiglio Supremo della Difesa. Il Consiglio Supremo- esso aiTerma- non deve interferire in alcuna delle attribuzioni mediante le quali ... le forze politiche svolgono il loro ruolo, ma deve bensì «coinvolgerle (le forze politiche) in un permanente processo di respon sabilizzazione che qualifica come '' Istituto" il presidente d e lla Repubbli ca». Si tratta , sembra di capire, non già di riconoscere al Consiglio Supremo di Difesa la funzione a esso demandata dalla legge istit uti va di «esaminare i probl emi generali politici e tecnici attinenti a ll a difesa nazionale» per determinare criteri e fissare direttive, bensì quella della sorveglianza, sotto l'aspetto costituzionale, del comportame nto dell'Esecutivo, le c ui attribuzioni in tema di difesa restano peraltro vaghe. Una tesi analoga v iene sostenuta da Giangiulio Ambrosini il qual e rileva, pe rò , che il Consiglio è in effetti «esente esso stesso da controlli da parte del Parlamento e privo di poteri ...». 2 La tortuosità della so luzion e

1 Salvatore D' Albergo. Consiglio Supremo di Difesa e Parlamemo, da Istituzioni militari e o rdinamento costituzionale in Italia. Atti del Convegno PC I sulle FF.AA. del febbraio 1974, Editori Riuniti , Roma 1974

2 Giangiulio Ambrosini, l corpi separaJt, in Italia contemporanea. Einaudi Torino 1976.

178

adottata e dell e moti vazion i pro e contro la rile va n?a d el Consiglio Supre m o s tann o a dimostrare co m e la s ua na sc ita n o n sia stata ben meditata: ci troviamo. in sostan?a, al cospe tto di un organismo (il Co n s igli o Supremo) c he d ov rebbe diri ge re la politi ca di difesa. ma c he. in quanto pres ie duto dal ca po d e llo Stato. c he non è respo n sa bil e di fr o nt e al Parlame nto. n o n ne ha gli a ttribut i correz ionali . e c he quindi fini sce con lo svo lgere una funzione di cont ro llo s u un a ltro organismo (il Consiglio d e i Mini str i) cu i n o n è formalmente ri co n osciu to il compito di diri ge re la difesa del Paese. Ri s ultato: da noi non si sa a c hi e co m e sp ett i il compito di formulare la politi ca di difesa .

Ciò che sorprende è che fra tutt e le int e rpreta?io ni s ul ruol o d e l Consiglio di Difesa n o n ve ne sia una c he riconosca la imp o rtan za d e ll a formulazione e della condotta di una politi ca d e lla difesa c he non pu ò esse re cos tituita , co m 'è ora, dalla somma algebrica d e ll e politiche d ci Di cast e ri c he ne sono interessati , co n la sporadica e di stratta m e dia z ion e del Gove rno . La soluzione più ovvia sa re bb e quella di la sc iare in vita il Consiglio Supremo di Difesa. con le sue du e riuni o ni all 'a nno di cui. ora. se n e ti e ne. peraltro, solo una . c qu e lle fun zio ni di verifica di costituzionalità c he so no necessarie ma , co nte mporan ea m en te. di restituire a l Consiglio dei Mini stri , e, per sua delega , a un suo ri stretto Comitato, il compito di gestire la politi ca di difesa nazio nale.

Se l'o rgano britannico equivalente , il Defence Overseas Policy Committee, si riunisce almeno una volta la se ttimana , 1 non si può ce rto pe nsare ch e la politica di difesa italiana possa essere gestita da chi si riunisce per qualche ora, due volte l'anno! Se è vero c he , com e scrive l'onorevole Cerquetti (Pci), 2 con lo scioglimento d e l Comitato di Difesa c la sua sostituzione con il Consiglio Superiore, si effettuava «una vera e propria es propriazione dell e prerogative d e l Co nsiglio dei Ministri>> si tratte re bbe solo di re stituire il mal tolto . Oggi come oggi , la politi ca di difesa nazional e è ancora improntata a dil e ttantismo e discontinuità. Un modo efficace pe r supe-

' M . H oward. op. eu.

, E. ('e rqu etti , op. eu.

179

rare qu es ta impasse potreb be essere quello di designare un foro inte rmini sterial e dove i politi ci possano , con il sos teg no della consulenza militare, do cumentar si e decid ere anche su l lungo termin e rend endo si co nto della rea ltà de i problemi.

Se il pro bl e ma della ricostituzione del Co mita to non sarà affrontato e ri sol to in modo so ddi sface nte, è assai dubbio che il Governo, cui la Costituzione affida tramite le Ca mere la co ndotta de ll a guerra, possa fungere da vertic e de ll a Difesa naz ional e. No n sono quest i prob lemi che posso no esse re risolti all'ultimo minuto come la nostra dolorosa espe ri enza passata in seg na. Un te nt ati vo di da re a ll'Esecu ti vo un Comitato po liti co-stra tegi co è stato fatto fra il 1979 e il 198 1. Ma , nata fra mo lte difficoltà, l' ini zia ti va ha dato vita a un organi s mo fragile, senza c hiare fun zio ni , no n rapprese nta ti vo e, infin e, né pol it ico né strategico.

Del res to , la stessa consulenza che il vertice militare, il capo di Stato Maggiore della Difesa , dovrebbe poi assicu rare al vertice po litico, il Consiglio Supremo nt l qua le è leg ittimamente in se rito , è una fun z ione qua si ad perso na m, se nza alcuna co ntinu ità di eserc izio, idon ea tutt 'al più a ri co noscere un po ' di presti gio formale alle For7e Armate tramit e il loro capo. In olt re, se il ca po di Stato Magg iore della Difesa non si trova nelle condizioni migliori per operare, sia pure come consul ent e, nell 'a mbito del Consiglio Supremo occorre aggiungere c he ne ppure nell'ambit o dello stesso Mini ste ro della Difesa gli è consentito di esercita re le sue funzioni di «consu le nt e» in modo so ddi sfa ce nt e.

Comunque, nel 195 1, per tut elare l'orga ni smo militare contro dec isioni avv entat e e per fornir e una consu le nza «non co ndi z ionata e no n condizionabile» al ministro de ll a Difesa, i tre Consigli Supe ri ori delle tre Forze Armate ven ne ro riuniti in un Co nsigl io Superiore della Difesa. Lo com poneva no perciò uffi cia li , generali ed ammiragli , fra i più anzian i in serviz io e non in incarichi di vertice della Difesa.• La legge fu atte ntam ente ed intelli ge nte mente fo rmulata. Ma , no nos tan-

1 Quindi venivano esclusi il ministro. i sottosegretari di Sta to, i capi di SS.MM. e il segretario generale.

180

te tutto , lo spirito che l' a vev a ispirata è stato ugualmente vanifi cato a ca usa di una ra zio nali zzaz ione «interforze» real izzata attrav e rs o un provvedimento che creava un nuovo organismo se nza storia s ulle spoglie d i altri che a veva n o dato bene pro va di sé.

Se fo sse stato c hi esto un parere a Parkinson , massimo es perto di «Comitologia» , egli a v re bb e ce rtam e nte tro va to mill e e un motivo p er no n da r vita a un siffatto organismo, tanto più c he esis teva già un «Comitato dei capi di Stato Ma ggiore», c he o perava in formalmente e che sare bbe stato più tardi uffi c ia lm e nt e costituit o. È in fatti ampiamente dimo st rato dalla sc ie nza dell'organizzazione, e non mancano al ri g uardo gli ese mpi illus tri n e i setto ri de lla Difesa di alcuni

Pa es i occ id e ntali , che un organismo di consulenza inte rno all'organizzazione, ma es te rno alla lin ea di comando , in grad o di influ enzare i l vert ice pol it ico se nza d ove r se ne assumere le responsabilità , ha se mpre avuto vita difficile e breve. Lo stesso Lidd e ll H art 1 aveva avuto un 'es pe ri e nza d e lud ente come con s ul e nte del mini stro della Difes a e aveva riconosciuto c he all'esterno de ll 'orga ni zza z ione aveva più influenza c he d e ntro di essa. Diffi co ltà ana log he aveva i nco ntrato MacNamara con il s uo co rpo di esperti.

La funzione d e l Co n sig lio Superiore e ra progressiva m e nte van ifi cata pe r e rosio ne d e ll e sue attribu z ioni da parte del più giovane e autorevole Com it ato d e i ca pi di Stato Maggiore. Ma anche il Co mitato dei ca pi di Stato Maggiore, ultimo n a to n e lla lin ea di ve rt ice, nasce va sotto ca tti v i auspic i ed una formula z io ne eq ui voca.

Infatti , qu es to organi smo , c h e ha cor ri s pond e nti qua s i ovunque nel mondo occidentale, non e ra stato cos t ituito nel 1968, come aveva detto il ministro «pe r rafforzare il vertice 1 militare » 2 (il ca po di Sta to Maggio re de ll a Difesa) ma bensì \ pe r indebolir lo, trasformando il suo ca rattere «indi v idual e»

in uno «coll eg ial e» (i l Comita to stesso ). Sia dall e disc ussio ni

1 <<Outsider's t nnucnce on Dcfcnce Policy». Seminario del Royal United Services l nstitute di Londra. novembre 1981.

2 I n M Ristori op. CII.

l
l
181

sulla legge del Comitato sia dal confronto fra la legge stessa e le attribuzioni del capo di Stato Maggiore della Difesa del 1965 (DPR 1477 , 18-11-65) appare ev id ente come queste ultime siano state svuotate e la sua figura sia stata ridotta da quella di vertice a quella di primus inter pares all' interno del Comitato, senza autonomia propria in merito ai problemi interforzc. In pratica , tutta la questione è stata risolta molto abilmente, in quanto. il capo di Stato Maggiore, pur non essendo stato esplicitamente privato dei poteri già conferitigli , in realtà «può dare o rdini ai capi di Stato Maggiore di Forza Armata che sono alle sue dipendenze solo nel quadro dei poteri e delle attribuzioni conferitegli dalla legge: poteri e attribuzioni che in pratica non possi ede individualmente, ma gli sono devoluti collegialmeme solo chiamando in causa i capi di Stato Maggiore di Forza Armata riuniti in Comitato».' Ciò equiva le a un nullaosta a procedere concesso dalle autorità formalmente subordinate anziché, come vorrebbe la logica, dall 'a utorità politica, che invece ancora un a volta si è unita alle singole Forze Armate nello sforzo per esauto rarn e il vertice. L'unificazione interforze compiva così un netto passo indietro e le prerogative delle tre Forze Armate uscivano ancora più rafforzate da questo processo.2

La collegialità del nuovo organismo era solo apparentemente simile a quella adottata in altri Paesi per tutta una serie di motivi. Come scrive Michael Howard «l'organizzazione non co nsiste di ordinati diagrammi organizzati vi, ma di uomini adusi ad ope rar e insieme». 3 Questa capac ità a lavorare in team è assai rara nel nostro Paese, in qualsia s i amb iente, ed è particolarmente carente in un organo militare di vertice dove i capi hanno avuto scarsa possibilità di familiari zzarsi con i problemi delle altre Forze Armate, data la tradizionale inadeguatezza della formazione «lnterforze» dei Quadri e l'assenza di attività interforLe di rilievo presso cui fare esperienza. Per quanto ben intenzionati i capi siano, essi 1 C. Bess. an. cit 2 E. C'crquctti. op. cit ' M. Howard. an. cit

182

si presentano all'appuntamento del Co m itato forti delle proprie esigenze e solo marginalmente consci delle esige nze altrui.L'autorevolezza morale e p rofessionale d el presidente d e l Comitato diventa, così, un fattore importantissimo e la sua scelta dovrebbe essere estremamente accurata e s fu ggire, se necessario , alla avvilente regola della rotazione fr a le Forze Armate che costr in ge spesso a so luz ioni forzate che non sempre privilegiano il merito. Il capo di Sta to Maggiore della Difesa è la sce lta più importante in assoluto. Ma non è s ufficiente. Negli altri Paesi, la costituzione del Comitato è sta ta accompagnata da un'ampia ristrutturazione che ha messo a disposizione del Comitato stesso (soluzione stat unitense) o del capo di Stato Maggiore della Difesa (soluzione britannica), degli Stati Maggiori in grado di soste n e rli validamente e di trasmettere l'autorevolezza del capo a tutti i livelli.

Non così in Italia. dove lo Stato Maggiore della Difesa è ancora l'ultimo della classe, considerato con scarsa s impatia da alc un i fra gli Stat i Maggiori che mal ne tollerano le funzioni e che ne ignorano spesso le direttive.

Come non bastassero i precedenti i nterven ti per avv ilire la funz ione interforze, negli ultimi anni è stato distaccato d allo Stato Maggiore della Difesa il Serv izio Inform az ioni Milit a ri (S ISM I), sull a base di ragioni sca nd alistic he d e l mom e nto no n te mp e rate da un 'a na li s i cri tica fredda e professiona le.

La classe politica, pe r caute la rsi co nt ro le di s fun z ioni di una delle branche del servizio, quella c he riguarda la sit uaLione informativa interna, ha so ttratto tutto il serviz io al cap o di Stato Maggiore della Difesa da cu i dip e nd eva, per passarlo alle d irette d ipendenze del ministro de ll a Difesa. Oggi, il capo di Stato Maggiore della Difesa che d ov re bbe ri copri re la carica di «alto coma nd a nte» in caso di guerra, è pri vo di un proprio strumento informati vo. Naturalmente pu ò interrogare il SISMI, ma previa a utor izza z ion e d e l Gabine tto del ministro che, in merito, no n pu ò agire che come tram it e bu rocrat ico. E tutto ciò qua nd o ogni Forza Armata ha conservato un proprio Servizio In formaz i o ni co ll ega to con il SISMI.

183

POLITICA DI DIFESA

POLITICA

Respon sabilit à Informa tiva FF.AA .

Respons abilità

lnterforze e consulenza al ministro della D ifesa

Evoluzione dei vertici della Difesa (situazione attuale)

CONSIGLIO SUPREMO DI DIFESA (1)

CONSIGLIO DEl MINISTRI (1)

MINISTRO DELLA DIFESA

Organismi

dipendenti

Organismi informativi

Area tecnico-operativa

Capo di Stato Maggiore della Difesa (1)

CAPO,DI S.M. CAPO JDI S.M. CAPO hl S.M.

ESERCITO MARINA AERONAUTICA

MAGG.IISTATO MAGG.IISTATO MAGG .I tsTATO MAGG.\1

ESERCITO MARINA DIFESA AERONAUTICA

Area tecnico-amministrativa Segretario generale (2)

D1renore nazionale armamenti

COMITATO DEl CAPI DISTATO MAGGIORE

COORD.

.

DIREZIONI

GENERALI CENTRALI

(1) Attenzione modesta e saltuana da parte dì ambedue verso problemi dl Pol1tica dì D1fesa

(2) SISMI: ServtZIO lnformaz1001SICUreua Mllrtare

(3) SIOS: Serv1z1 InformaziOni Operat1v1 e dt S1cureua

l
l l
l
l
l l ! l
1
l
l lSTATO
l
l l l l
l
'
l UFFICI

Questa situazione - dicono i nostri ufficiali - dovrebbe essere corretta in modo sostanziale se si deside ra pensare seriamente ad un vertice operativo collegiale. È del tutto improponibile, infatti, una situazione informativa che risulti dalla somma delle valutazioni degli Stati Maggiori di Forza Armata con l'interposizione «esterna» e discontinua del SISMI. Una soluzione quale quella odierna farebbe rabòrividire qualsiasi Pa ese co n tradizioni informative serie.

Un'altra so luz ion e soddisfacente è quella rappresentata dalla fusione, avvenuta ne l 1965 , dei tre segretari generali di Forza Armata in un unico segretario generale della Difesa m e ntre le direzioni generali, ridott e da 30 a 19, passavano sotto la sua egi d a per «il coordinamento e la direzion e degli affari di maggio re importan za», insieme a 5 uffi c i ce ntrali. Compete al segretario generale la trattazione d ei problemi tec ni co-a mmini st rati vi relativi al bilancio, al personal e e ai materia li. Anche in questo caso, l'operazione non è stata condotta con chiarezza e la soluzione «lnterforze» apparve mortificata. Durante tale processo si è verificata una certa confusione fra co mpete nze d e l settore tecnico-operativo e qu elle del settore tecnico-a mmini st rativo , con dupli cazio ne di organi e sovrapposizione di competenze. Le direzioni generali, che mantengono an cora la loro dipend e nza direttam e nte dal ministro , possono agevolmente sottrarsi all'azione di coordinamento del segretario generale, salvo impegnarlo quando una sua corresponsabilità appaia utile.

Di recente alla cari ca di «segretario generale» è venuta a sommarsi quella di «direttore nazional e d eg li Armam e nti» , seguendo anche in questo caso, sia pur con notevole ritardo , un 'evol uzione in atto presso altri Paesi occidentali. Ma, ancora una volta , la carica non è d eco llata felicemente incontrando le resisten ze dell'ambiente restio a rinunciare a parte d e ll e sue prero gat ive a favore di una razionalizzazione del settore. In conclusione, il segretario generale si trova a avere fin troppe funzioni senza però di sporre degl i strumenti normati v i e ordinativi per esercitarne efficacemente alcuna. Il segretario generale è sta to poi ammesso al Comitato dei capi

185

di Stato Maggiore, soddisfacendo così al requisito della presenza tecnico-amministrativa insieme a quella tecnico-operativa nell'organo collegia le di vertice. Nel l 972, sono state stab i lite le modalità di funzionamento del Comitato.

L'aspetto più significativo di tali modalità è riscontrabi le nella diversità di comportamen to nei casi in cui venga investi ta la competenza del ministro e negli alt ri in cui, invece, il Comitato può e d eve risolvere i problemi al suo livello.

Nel primo caso, il Comitato può decidere «a maggioranza» in m e rito alle proposte da formulare , purché il ministro sia a conoscenza delle ri serve formulate dalla minoranza. Nel seco ndo caso, invece, il Comitato può deliberare so lo «all'unanimità», per poter fare assumere valore di direttive a ll e proprie delibere. Questa soluzione evita che possano, a esempio, essere imposte a uno dei capi di Stato Maggiore delle d ec isioni che contrastano con gli interessi della sua Forza Armata. Ma è anche vero che, con tale procedura, si rende pressoché impossibile procedere nell'evoluzione interforz e, se non pe r soluzio ni concorda te e r agg iunte attrave rso compromessi non sempre razionali. Ad aggravare la situazione, al presidente del Comitato, cioè al capo di Stato Maggiore della Difesa, non è stata conferita una responsabilità in cisiva tale da consenti rgli di intervenire con autorevolezza ne ll a mediazione fr a le parti . Eglj non è ora neanc he un primus inter pares. poiché mentre gli altri compo ne nti del Comitato, i cap i di Stato Maggi0re di Forza Armata. sono i capi delle rispetti ve Forze Armate , egli è so lo il loro s up er iore ge rarchico se nza alc un a effettiva autorità di coman do . Da tutto ciò deriva c he le fasce ancora ampie di auto nomia settoriale e la grande difficoltà di comporre un qu adro generale armoni co ne ll ' ambito dell 'a rea tec nico-ope rativa , te c nico-amministrativa e fra le due aree, re nd ono assai precario il perseguimento di un a raziona li zzazione ne lla Difesa.

186

Se Clausew itz dovesse oggi la validità «militare» e «politica» del no stro modello di difesa na ziona le, sarebbe certamente deluso.

Infatti , il modello di difesa «nazionale» non es iste come tale , ma deriva bensì dalla som ma algebrica dei tre modelli minori , ciascuno rifer ito alla visione tattica di una Forza Armata . Per convi nce rsene basterebbe leggere il Libro Bianco della Di fesa del 1977, dove si dichiara che l'obiettivo della ristrutturazione era di «far sì che il peso operativo delle tre componenti, costituite dalle singole Forze Armate, determini la mas sima efficienza». L'obiettivo non era quindi di assicurare «efficacia» allo strumento operativo globale, bensì quell o di conferire efficienza alle tre «componenti», in una visione di guerre indipendenti e separate l'una dall 'altra , in terra , in mare e in cielo. Questo, dopo che ne l 1921 (oltre sessant'anni fa) Douh et scriveva che le tre componenti «non debbono essere considerate indipend entemente e ciascuna a sé, ma debbono inv ece essere considerate nella stretta relazione che le collega». 2

Per quanto riguarda la politica militare, di cui spesso si conosce il termine senza com pre nd ern e il significato, basti dire che essa è l'indisp ensabile legame fra indirizzo politico e decisioni militari. In assenza di una politica militare adeguata in qualità e continuità e in grado di rispondere costantemente alle esige nze dell'area politica e del settore tecnicooperativo, il collegamento clausewitz iano fra la logica politi ca e la grammatica strategico-operativa è impossibile. Si può solo procedere per rischiose approssimazioni successive senza respiro politico e senza rispond enza militare. Nel nostro Paese, l'argom ento «politica militare» è igno rato quasi sempre a livello di Governo, mal tute lato in ambito ministeriale, mal collocato in ambito difesa. Pare che solo l'opposizione se ne occupi in qualche modo. Ne l campo spec ifi co

1 Vedi grafico fuori testo.

2 G . Douhet , op. cii.

Le conseguenze politico-militari, strategiche, operative•
JF7

della difesa, la trattazione della politi ca militare è stata attribuita a llo Stato Maggio re de ll a Difesa, senza te ner conto del fatto che il responsabi le de ll a politica militare nazionale è il ministro della D ifesa. La situ azio ne sarebbe accettabile se vi fossero rapporti frequenti, disinvolti ed in form ali fra il ve rti ce politico d ella Difesa e il vertice int erforze. Ma non è così. Anzi , vi so no stat i momenti in cui i con tatti sono sta ti assai difficili e sa ltu ari. Co me consegue nza , il ministro ha potuto o dovuto procedere senza il sostegno costa nt e e approfond it o di una va luta zione politico-m ilitare nelle sue scelte naz ion al i ed internazionali. Vi sono stat i, è vero , mom en ti in cui rapporti migliori hanno consentito di s u pe ra re le difficoltà create da una soluzione ordinativa infelice, ma la loro rarità consiglia di non affida rsi troppo so lo alla coincidenza favorevo le di ministri e ca pi di Sta to Maggiore de ll a Difesa che siano in perfetta sintonia. Alcuni ann i fa, per ovviare alla carenza di consulenza politico-militare per il min ist ro, nell'ambito del Gabinetto del ministro fu costituit o un doppion e dell'organo di politica militare dello Stato Maggi o re. T ale si tu az ione ri corda quella esiste nte nel 1925 quando «lo Stato Maggiore e il Ministero erano ... costruit i in modo che quasi ogn i ufficio dell'uno trovasse nell 'a ltro il s uo doppione, senza una chiara divisione del la voro». 1 Ma , no n sempre repetita juvant , sop rattutto d o po la disastrosa pe1jormance della prima ve rsio ne. An che oggi, c i si trova con due organi di politi ca militare, uno quello presso lo Stato Magg io re , c he possiede requisiti s uffici enti per fun z ionare ma senza pot er comunicare fa ci lm ente co n il ministro , l'altro, inv ece, qu e llo del Gabin ett o del ministro , che ha accesso al mini stro stesso, che non dispone dei requisiti necessari per funzionare. Tal e situazione, per quanto corretta talvolta dall'int es a fortuita delle due pa rti in causa, rend e impen sab il e ogni impos tazione , formulaz ion e e sv ilupp o de lla politica milit a re. Le decisioni ve ngo no prese su base co ntingent e, senza una seria considerazione delle implicazioni militari che , d 'a ltronde, se non vengono ri co no sc iute in ambito difesa, tanto meno han-

• P. Pieri e G. op. cit. 188

no speranza di esserlo altrove dove la conoscenza politicomilitare è inesiste nte. Questa consuetudine alla valutazione contingente senza respiro politico-militare è assai pericolosa. Scrive Michael Howard che «il pericolo della tend e nza di scelte caso per caso è che essa possa di venire una comoda via per istituzionalizzare gli espedienti».

Inoltre, la legge non chiarisce con chi il ministro , massimo responsabile in materia , debba discutere la politica militare e di chi si debba avvalere per e laborarla. Infatti , egli si limita a tenere al corrente il capo di Stato Maggiore della Difesa «della situazione politico-militare, per quanto può aver rifl esso sulle predisposizioni belliche e sull'impiego delle Forze Armate». Ma questa formulazione della legge può far pensare che il ministro si occupi di politica militare per suo divertissement persona le , o che gli siano fomite dall'esterno le scelte già preco nfezionate e pronte per l'uso. Il capo di Stato Maggiore, che dovrebbe essere il naturale consulente del ministro in materia, perché, oltre la sua funzione interforze , presiede l'organo competente a trattarla, finisce invece con esserne informato saltuariamente come se la cosa lo riguardasse appena ed egli non fosse sempre al fi anco del ministro nei suo i maggiori impegni politico-militari. Un vero capolavoro di carenza culturale e di superficialità professionale da parte degli estensori della legge. Per concludere, anche il Comitato dei capi di Stato Maggiore, che d0vrebbe in analogia con quanto fatto nei maggiori Paesi occidentali e ne l rispetto della logica funzionale esser partecipe della politica militare per contribuirvi o per conformarsi ad essa, ignora pressoché l'esistenza del problema e l'atti v ità dell'organo cui ne è demandata la trattazione.

In assenza di una politica militare, sarebbe impensabile pret e ndere un orientamento strategico nella difesa nazionale , tanto più alla luce della separatezza fra le tre Forze Armate . Come sostiene Clausewitz, «la strateg ia è l'impiego dei combattimenti per lo scopo della guerra», mentre la tattica «è l'impi ego delle Forze in combattimento». Solo la s trategia , pertanto, può consenti re la costante ver ifica fra l' impiego della forza ed il suo fine politi co. La st rategia co ll ega infatti

189

l'area politico-militare co n quella tec ni co-o pera ti va , m en tre la tatt ica appare di escl usiva pertinenza di qu est' ultim a. Ove manchino l'aspetto s trat eg ico e una c hiara visio ne degli imp egn i politi co -militari , ne ssu n lega m e è poss ibil e fra lo sco po strategico c he co in volge lo str umento op e rativo globale e gli obiettivi tattici c he r ie ntra n o ne lla sfera di compete nla delle si ngole Forze Arm ate.

In tal caso, ogni Forza Armata pre dispo ne le proprie forze per i suo i impegn i d i combatt im e nto , senza che s i te nti di compo rre gli sfor7.i di ciascuno in un prodotto difensivo omoge ne o. La s trat egia NATO no n può ce rto assolvere ta le co mpito . Infatti , il quadro generale di s ic urezza na ziona le com prende aree critirhe non coperte da imp egni NATO e , inoltre , una strategia a li ve llo di alleanza è di tal e ampiezza da re nd ere qu a nt o mai la bile il suo collega m e nto con le es ige nze operative dei singoli Paesi.

Dalla grande strategia a ll eata, ogni Paese do vrebbe quindi rit agliare la propria s trategi a , con un pro cesso di tailoring adattando la alle proprie esige nze. Le singo le strategie s i dovrebbero poi preoccupare delle rispettive tatti che. Una dimostrazione d e ll o sco ll a mento a ttu a le è , a esempio, il fa tto c he si disponga di una d o ttrin a tatti ca costant emente aggiorna ta nell'ambito dell'Esercito, senza c he essa, come le al t re dottrine di Forza Armata, possa fare riferimen t o a un a co ncez io ne strategica naz ionale. Tornando a l frazionam e nto d eg li sforz i, giova ri cordare che Clausewitz ha scritto che «se non c i si avvezza a co n si de rare la g uer ra , e nella guerra ogn i s in gola camra gna , co m e una ca tena di combattimenti in c ui c iascuno dà moti vo a quello successivo... s i d ivien procli vi a co nside rare (ogn i combatti m e nt o) co m e un va nt aggio important e in sé, anziché co me un anello de ll ' inte ra ca te na deg li avv e nimenti».'

Se ne l mondo d e ll a guerr a a una dim e nsion e d e l XIX seco lo s ul continente e urop eo, questa sua affe rmaz io ne poteva signifi c are solo un doveroso asservime nto de lla tatti ca

1 Karl von Vom Kriege. vol. I. parte seconda , Diimmlers, Bonn 1952 (trad. it. Della guerra, Z voli.. Mondadori , Milano 1970).

190

alla strategia, nell'era attuale totalmente tridimensionale, il suo significato diviene più co mpl eto. Tutte le tattich e, in qualsia si dimensione spaziale si sv iluppino, sono solo un anello d e lla catena strategica. Quindi, solo una strategia inte rforze può collegarle tutte nel quadro della sicurezza na zio nal e. Strategia interforze implica necessariamente una pote nzialità di impiego interforze e quindi una struttura adeguata prevent ivamente a ogni possibile impegno. La realtà , invece, è che ogni Forza Armata ha ancora una visione monodim e nsion ale del proprio compito, quasi che essa fosse in concorrenza, e non solo sul piano del prestigio, con le altre due Forze Armate. Le sporadiche e limitate incursioni nelle dimensioni altrui s i propongono finalità del tutto limitate e comunque subordinate a quelle tradizionali. Ogni Forza Armata opera, perciò, secondo un 'interpretazione corporativa esasperata, spesso in contraddizione con le altre. Ciò è causa e effetto anche dell'assenza di un'effettiva capacità di comando e controllo inte rforze a liv e llo di venice e in periferia.

Ogni Forza Armata ha la propria area di giurisdizione operativa e rivolge la sua atte nzion e solo verso le proprie forze. Non esiste d'altronde una organizzazione territoriale int e rforze anche se essa appare improcrastinabile, non solo sotto l' aspetto strategico-operativo, ma anche sotto quelli della razionalità e d e ll 'eco nomia amministrativa e d e lla corrispondenza con l'organizzazione regionale dello Stato, soprattutto nei cas i di pubbliche calamità e nella salvaguardia d e lle istituzioni . Ogni Forza Armata ha i suoi vertici operati vi e e non sembra, almeno per ora, intenzionata a porti in discu ss ione. Le duplicazioni esistenti sono, peraltro , fra le cause maggiori del management overhead (eccesso di Quadri in funzioni direttive) e rendono problematica una gestione «lnterforze» soprattutto nel campo operativo dove i tempi di reazione sono brevi , la concentrazione degli sforzi e l'economia delle forze indispensabili.

A livello di venice, nei maggiori Paesi occidentali , perman gono costantemente in attività centri operativi interforze, composti da cellule funzionali e di Forza Armata anziché un centro operati vo per ogni Stato Maggiore.

191

Il problema del Centro Operativo interforze coesistente co n l'orga no decisionale politico di vertice è ancora tutto da affrontare. Tutto sembra venir rinviato all'emergenza, quando in vece sarebbe troppo tardi per trovare rimedi seri. L'efficienza di un centro è infatti assicurata da un insieme di fattori umani, procedurali e tecnici collaudati e sperimentati in anticipo e con continuità. La professionalità costruita pazientemente in tempo di pace. attraverso la costante cooperazione c convivenza funzionale dci maggiori responsabili, viene ridotta dalle circostanze di cris i. Se essa non è stata preventivamente collaudata, i risultati non possono essere che disastrosi. Manca inoltre presso i centri ope rativi di Forza Armata una costante e accurata informazione del quadro di situazione intcrforze c è chiedere troppo at tcndersi che il piccolo Centro Operativo della Difesa, il COPI , abbia la capacità di gestire da solo l'impiego interforze oltre che a limentare il quadro della situa zione dell'organo decisionale politi co da cui, oltre tutto, è fisicamente separato da alcuni chi lometr i nel traffico della capitale.

Come se non bastasse, al centro intcrforze manca un vero supporto informativo a causa della nota riforma dci Servizi di Informazione. Il SISMI, con la sua dipendenza diretta dal ministro si è abituato a una collocazione esterna alle Forze Armate con le quali manti e ne un debole collegamento funzionale, ma non un rapp orto di cooperazione.

In conclusione, la parte più carente sotto l'aspetto interforz e è quella collegata con il prodotto più qualificante: la capacità operativa globale. Il problema per ora semb ra non risolvibil e per un a ser ie di ragioni concorrent i: legislazione imperfetta e in completa, indisponibilità politica a trattare seriamente problemi connessi con l'impopolare tema della guerra, interesse «parrocchiale» dei singol i organismi per uno statu quo che individualmente li favorisce.

192

Con seguenze in campo tecnico-amministrativo

La raziona li zzazio ne dell'area tecnico-amministrativa, obiettivo prioritario dei D ec reti D elegat i del 1965 , è an c h'essa lontana dall 'esser raggiunta. Il problema è tutt'altro che sempli ce: in un organismo in cui devono coesistere un 'o rganizzaz ione di pace e di g uerra è diffi c il e operare un chiaro distinguo fra le attribuzio ni proprie dell'area tecnico-amministrativa e d ell'area tecnico-operativa, oltre c he sepa rare gli aspetti di Foo.a Armata da quelli inte rforze. Vi so no , infatti, funzioni d ell'area tecnico-amministrativa c he sono tanto st retta m e nt e connesse con il probl e ma op e rativo c he sarebbe danno so sv in co larl e d e l tutt o da ll'area tec ni co -operat iva solo pe r segu ire una lin ea evo luti va di tip o manageriale.

In questi cas i, tre so no sosta nzialme nte le opzioni fra c ui scegliere: rinunciare a variare alc un c hé; razionali zzare se nza alterare n e lle linee fondamentali le co mpete nze di ciasc uno ; centralizzare, sottraendo l'area tec ni co-a mministrati va alle Forze Armate pe r poi suddividerla a l centro in lin ee fun z ionali . Tutto , proprio tutto , in questo ultimo caso verrebbe gestito in va ri se tt o ri funzionali quale qu e llo dei riforniment i, d e ll e riparazion i, delle scorte ...

La soluzio ne dei Dec re ti Delega ti co rrispo nd e, in linea di m assima, alla te nd e nza m edi ana c he, pe r molti versi , appare più e quilibrata so prattutto se la raz ion a li zza z ione è condotta in modo appropriato. Un tale obi e ttivo è, per ora, ancor lontano. Nel fondam e ntale settore del bilancio e d e lla progra mmazi on e si è, ad ese mpio , esclusa ogn i possibi lità di arti co lare gli impegn i nel quadro di una visione globale e a lun go te rm ine. L'a ppli cazio ne tec ni ca del sistema PPBS (Planning and Programming Budge ting System), te ndente a una pianifica z ione e a una programma z ione a lungo te rmine in sintonia con gli impegni strategico-operativi, è resa ancora oggi impossibìle d a ll'as se nza di una e ffe ttiva capac ità contra ttual e int e rforze in campo fin anzia rio e di un approcc io globale ve rso la difesa militare . Il PPBS do veva, infatti, esser legato, in qualità d i strumento programmatico a una struttura funzionale unificata della Difesa, ripartita in otto aree

193

funzionali, corrispondenti ai maggiori programmi: Forze, Se rvizi Speciali, Sostegno logistico, Scorte, Ri ce rca e Svilu ppo , Supporto d e l Pe rsonal e, Organi di Comando e Dire ttivi , Carabinieri. Purtro pp o di «unificato» non c'era che il nome poi c hé ogni area fun z ionale è ripartita (a l suo interno) per Forza Armata.

Una c ircolare del ministro d e lla Difesa ne l 1967 stabiliva che anche gli stanziamenti venissero ripartiti per quote di F orza Armata, di Segredifesa, di Carabinieri, con il risultato ch e, anziché part ire da una v is io ne glo bale per scend e re a l particolare, il total e delle aree fun z io nali non c hé quello globale è e qui valente alla somma degli interventi e d e ll e quote particol ari. Come ulte riore ostacolo all'integrazione, gli SS . MM . 1 interve ngono direttamente ne ll'area tec nico-ammini st ra tiv a vincolando l'impiego dei fondi pe r i programmi già a pprovat i. Se a tutto c iò si aggiu ngono le diffi co ltà del segretario gene ra le ne l diri gere un'area tecnico-amministrati va, i cu i direttori da lui n o n dipendono, e una Direzio n e Nazionale degli Armam e nti co nfusa e contraddittoria, il panorama della razionalizzazio ne burocratica appare poco confortante.

Un'inversione di te nd e nza o comu nqu e un deciso provvedim ento correttivo sembra no, dunque, indi spe ns a bil i. Samu e l Huntin gton afferma paradossal me nte che «più armoni a tra le Fo rze Armate pu ò esse re otte nuta pa ga ndo il prezz o della ... dupli cazione, dei costi più elevati». 2 Ma non sembra che qu esta sia la via da pe rseguire, perc hé costi più e le va ti ne l quadro di un bilancio an e mico non possono che portare a ll'anemia d e llo strume nto militare. Da molti esperti esteri viene invece co n sig liato di mant e ne re separati i bilanci fra le tre Forze Armate, per ev itare scontri e conflitti.

An c he in questo caso pe rò il prezzo da pagare per l'armonia tra le Forze sa rebbe troppo caro, pe rc hé impe direbbe qua lsia si tentativo di razionali zzaz ione in senso interforze.

1 C. Bess. an. cit.
194
2 Samuel P. Hunt ington,lnter-Services Competitron and the Politica/ Role ofthe Armed Forces. citato in Henry Ki ssinger. Problem o! National StraJegy. ci t

Un'altra so luzi one a ll ora è quella offerta da c hi sos tiene un ritorno ai precedenti Ministeri di Forta A rm ata o l'assegnaz io ne a ogni sottosegretario della Difesa della gest ion e politi ca di una Forza Armata , in modo da co ntenere il dialogo fra politi c i e mili tar i su l terreno politico interministeriale fra mini st ri di Forta Armata. Ma anche questo stra tagemma ha dato risultati disastrosi fra il 1923 c il 1943. L'unificazione d el bilancio era inevitabi le. Il gua io è che lo sforzo non è stato rondotto fino in fondo perché, con la già acce nn ata ripartiz ione preventiva d e lle quote, la contesa fra le parti avv ie ne all'origine, ma non su l merito delle scelte. La contesa è tanto più aspra per la modestia dell'ammontare del bil anc io della Difesa, modestia d im ostrabile in infiniti modi, qualunque sia il parametro usato per la verifica , fatta eccez io ne per quello che prende come spunto la spesa in «milioni di dollari>>. senza far riferimento alla dimensione eco nom ico-s trategica del Paese e a que ll a ad essa relat i va dello strum ento militare. Ne l dece nnio 1968-1978 (vedi Military Ba/ance 1979-1980) , l' It alia ha destinato alla Difes a 34 milioni di dollari contro gli 80 milioni della Gran Bretagna, gli 85 della Francia, i 144 della Germa nia Federale. Oggi, l' Italia s pende c irca 19 mila dollari per ogni militare, dal so ldato al generale, co nt ro i 200 mila degl i Stat i Uniti, i 75 m i la d ella Gran Bretagna, i 60 mila d ella F ran cia, della Germania , dell'Olanda, ecce tera. In olt re, m e ntre negli altri Paesi occidentali le spese per la Di fesa sono pari al40 per ce nto delle spese soc iali c per l'istruzione, in It alia esse no n su pe rano il 15 per ce nto. Le spese della Difesa sono sta te , ogni a nn o, adeguate so lo in termini compensa t ivi al tasso di i nO az io ne , fatta eccez io ne per gli ultimi ann i in cui è sta to garan t ito un incremento m ed io del 3-4 per cento, co n un deciso ba lzo in avanti fra il 198 1-1982 . Ora, dopo un 1981 co n incremento zero, si è pa ssati a valori n egat ivi co n la riduzione di 950 miliardi apportata al bilancio 1983. Tant o più è mode s ta l'assegnaz ione di bilancio, tanto più è rigida la difesa di ogni s tan ziam en to propo sto in term ini di pura sopra'f v i ve nza. Imporre in questa situazione una programmazione interforze se nza di sporre degli strumenti n o rmati v i né d egli organi

195

di vertice in gra do di far rispettare le scelte, esaspererebbe i contrast i, trasferiti all'interno delle singole aree funzionali della struttura unifi ca ta della Difesa c non ri solt i nella fase iniziale di quotizzazione. Ecco perché ogg i, a livello interforze, con saggezza pragmatica, ci si limita a prendere atto dei programmi di ogni singola Forza Armata per quello che sono e per quello che valgono. e là dove i programmi entrano in co nflitto a causa della indisponibilità di fondi a far intervenire discretamente la propria lobby quale elemento di pressione ovvero a trovare un accordo salomonico che accontenti e sconten ti tutti, rinviando la so lu zione integra le del problema, ossia il finan7iamento totale dei programmi, all'infinito. Quanto sia frustrante per gli organi interforze fare da spettatori di questa contratta:lione, frutt o della mediazione aritmetica e non di quella funzionale non è difficile immaginare. Le volontà delle singole Forze Armate sono punti fermi cui non si transige anche perché manca uno strumento concettuale e procedurale di verifica della bontà globale delle scelte. Nessuno osa , del resto, apportare modifiche riduttive ai propri programmi di forza ne l timore che le altre parti ne traggano vantagg io.

Nel caso dell'Esercito , per esempio, dove l'e lemento uomo fa premio sulla ma cchina e dove gli equ ipaggi amen ti sono meno costosi di quelli dell e altre Forze Armate, una ridu zione del personale potrebbe tradursi in un'economia di fondi trasfe ribil e ai programmi delle altre Forze Armate, sempre che non gli ven isse riconosciuto dagli altr i SS.MM. il diritto ad un di verso impiego delle somme risparmiate nel suo stesso ambito. Ma non sembra che questo ges to equo possa darsi per scontato, sopratt utt o nel contesto di una comune penuria di fondi. Non essendo consen tite operazioni di alta chirurgia, il malato «Forze Armate» vie ne mantenuto in vit a con cure omeopatiche che ne prolungano l'esistenza senza però rimetterlo mai in sesto.

196

Le conseguenze nell'approvvigionamento

Assicurare alle Forze Armate nel tempo un accettabile livello qualitativo e quantitativo, appare sempre più difficile per il costo crescente dci materiali, per l'accelerazione dell'evoluzio ne tecnologica, per la forte competitività internazionale. Dal momento della scelta di un materiale non ancora disponib ile sul mercato, alla sua adozione presso i reparti passano spesso più di una decina d'anni , durante i quali né il progresso tecnologico né la situazione politico-strategica si arrestano. Non di rado i mutamenti sono tali da vanificare le scelte operate solo in base ad una concezio n e puramente tecnicistica del problema. In oltre, la rettifica degli errori di valutazione è difficile, costosa e non sempre è possibile rag_giungere un compromesso diverso dalla formula di origine. E indi5pensabile, quindi, accertare, ne l quadro di una visione a lun go termine degli impegni strategici del Pa ese, la rispondenza delle opzioni tecniche, verificare l'interesse del mercato estero per ciascuna, definire i modi per acquisire i materiali, stabilire i programmi di ricerca, sviluppo e produzione, fissare le quote da destinare ai reparti e al mercato estero. Il problema presuppone una stretta collaboraz ione int erforze e fra i settori c iv il e e militare, ostaco lata oggi da molteplici sovrapposizioni di competenza e da un eccessivo fra zio nam ento del processo in tutte le s ue fasi. A esempio, la «ricerca e sviluppo» fa capo allo Stato Maggiore della Difesa che, oltre ad essere un organo operativo, non ha un adeguato potere contrattuale nei confronti degli Stati Maggiori, né tantomeno fra essi e l'area tecnico-amministrativa. La guida d ell'attività di ri cerca e sperimentaz.ione fa capo spesso ai singoli Stati Maggiori che la gestiscono autonomamente. In tutt o il processo di app rovvigion amento sono, inoltre, coinvolte oltre le 6 direzioni generali tecniche di Segredifesa, anche i reparti e ispettorati log isti ci di Forza Armata nonché il reparto logis ti co dello Stato Maggiore della Difesa. Se, no n ostante le infinite difficoltà c reate da questo comp lesso panorama normativa , eme rgon o non di rado soluzioni mol-

197

to positive il merito non è certamente della ra7.ionalità dell'organizzazione. ma dell'impegno individuale.

Conseguenze nel settore del personale

Il personale riveste per le Forze Armate un'importann senza dubbio superiore ai materiali. C'o n ciò non si vuole sostenere che l'uomo compensi le deficienze della macchina. bensì che qualsiasi macchina deve far riferimento a uomini in grado di impiegarla al massimo delle sue prestazioni. E per macchina si intende tutto il complesso delle For7e Armate . la «macchina militare». Ma. mentre nel settore dei materiali si è tentato qualche esperimento di razionalil.lazione delle competenze. nel settore del personale la situazione è assai meno soddisfacente. Come per i materiali . il problema del personale non può più essere visto da ogni Forza Armata in termini particolaristici ma deve essere impostato in un ambito interfort.c, adottando all'interno del microcosmo «militare» solu7ioni per quanto possibile omogenee c in sintonia con la realtà socio-economica del Paese. Nel reclu tam ento. nelle carriere. nelle retribu1.ioni. nella format.ione professionale. diventano sempre più ril evanti gli aspetti interforzc e marginali que lli specifici di For;a Armata. Uno sforzo in tal senso è condotto da tempo. ma esso appare quanto mai laborioso e frammentario per difetto di chiarezza nella riparti zione delle competenze.

Si interessano ai problemi del personale il Gabinetto de l ministro. le dire?ioni generali, il reparto AOP dell'ufficio del segretario generale della Difesa e i reparti personale dei quattro Stati Maggiori. Non è sempre possibile mediare le diverse istanze nel Comitato dei capi di Stato Maggiore senza che si siano previsti «a monte» un'impostazione funzionale e un coordinamento da parte di un organo responsabile, che non può essere Segredifesa per le già note difficoltà dovute alla mol e e all'insufficienza di poteri nel suo stesso interno, né tantomeno il reparto personale dello Stato Maggiore della Difesa. che per molti motivi non è in grado di imporre una supervisione interforze.

198

Aspetti generali

È indubbio c he ancor oggi ci sia una mentalità prot ez ionis ti ca e sctto ri a le che danneggia le Forze Armate nei loro rap po rt i con il Paese, nella loro coesione int erna, nella programmazione e ges ti o ne della difesa militare . Un rapporto autentico con il Paese significa sopra ttutto una accurata informazione dell'opinione pubblica e c hiarezza nell e relazioni con il mondo della politica c i var i setto ri di int eresse civi le collegati in qualche modo a ll e Forze Arm ate. Per quanto r iguarda il mondo politico, le co ntrov ers ie fra le Forze Armate, le loro rivalita la ten t i o manifeste, hann o tutte contribui to ad indebolire la voce dei militari . L'a mbiente po liti co, per sua natura attento a individuare i punti vu ln erabili degli altri sis temi per sfruttar li a propri o va ntaggio , no n ha tardato a compre nd ere che favorendone le di visioni poteva amp li are e consolidare la sua influ e nza all'int erno delle Forze Armate. È diventato, così, fr eque nte per ogni Forza Armata ce rc are autonomamente un appoggio politico a sostegno de i propri int e ressi e delle proprie iniziative. Tale pra ti ca ha accentuato le spinte corpo rati ve all ' interno delle Fo rze Armate e fra le Fo rze Armate, con grave pregiudizio per la coesio ne milit are e delle spinte unitarie in se nso inte rforze. Riferend os i al mondo americano, Huntington 1 afferma che, in un particolare peri odo, la ri val ità fra le Forze Armate aveva favori to la po liti cizzazione dei militari come lobbyism con il risult a to che gli organi civi li di ve ntavano più spesso a rbitri che non o pp osito ri . «Ogn i Forza Armata veniva così cos tretta ad adeguare i pr op ri va lori a quelli di civili influ e nti se non vo leva correre il rischio di perdere terreno ri s petto a i propri ri va li.»

Il fatt o c he le Forze Armate apprendano l'arte sott il e della contrattazione politica non solo nei loro rapporti co n il mond o polit ico ma anche in quelli al loro stesso interno non corrisp on de agli interessi delle Forze Armate come Corpo collettivo né tantomeno a quelli del Paese. La capi llare e

1 S. P Huntington. o p. cit. 199

sott il e intrusione del m o ndo d e lla politica in quello militare è infatti contra ria alla stabil ità politico-istituzionale. Molti paventano le tendenze dei militari ad acquistare peso politico, ma pochi prestano sufficie nt e attenzione a un fenomeno specu larme nte analogo e altrettanto pe ricolo so anche se meno apparente: quello della subordinazione di alcuni militari a spec ifici interessi politici.

Non s i può quindi non esse r d'accordo con i l gene ra le Supino quando oltre vent'anni fa dichiarava di accettare la «politicità» delle Forze Armate contestandon e, invece, la «partiticità». La differenza fra le due concez ioni è sostanziale. dat o che la seconda porta inevitabilmente alla lottizzazione politica dei ve rt ici militari, inducendo alti uffi cial i, sensibi li ai propri interessi personali , a prepararsi in t e mpo per u11a caniera politica più o meno occul ta . In un Pa ese come il nostro dove il Governo è formato da una coalizione di partiti anziché da un solo partito di magg ioranza, le diverge nze della coalizio ne finiscono col tra sferi rsi all'interno delle Forze Armate , sommandosi ai tentativ i operati dalle opposizioni. In alcuni Paesi c iò è già avvenuto in maniera vistosa, mentre da noi il fenome no interessa, pe r ora, solo la vetta dei vertic i gerarch ici e qualche l imitata frangia più ambiziosa e più disponibile. D 'altra parte, quant o poco sa rebbe auspicabi le un o str um e nt o militare fortemente «partitico» è facile imm agina re, soprattutto nei casi di emergenza int erna o esterna. La tendenza al protagonismo delle singole Forze Armate si manifesta a nc he att ra verso il tentativo di influenzare l'opinio ne pubbli ca, presso la qual e ogni Forza pubblicizza , co n maggior o minor successo, le proprie attivi tà c i propri problem i, tentando spesso di porre in ombra qu elli altrui. Non ci si limita a informare co n le tecniche più aggiornate, che i ma ss -m edia offrono, ma si approfitta di tutte le occasioni per fa rsi pubblicità, anche quando esse richiedono un antieconomico e poco ortodosso impi ego delle forze opera tiv e . Ma nca , peraltro, quasi int egra lm e nt e un'informazione interforze attentamente calibrata c he rig uardi i proble mi più importanti delle Forze Armate e di maggiore int eresse verso il Paese. La informazione interfor-

200

ze, che pur es iste, è volta so prattutto a pubbli c izza re le autorità pol iti che e quelle militari , ra ppresentandone l'instancabile attività nelle infinite cerimonie cu i esse presenziano.

L 'attività degli organi collegiali di vertice1

Mentre una vo lta i vert ic i militari avevano pochi contatti e n on si in con tra vano neanche prima di una cam pagna di gue rra , come n e l caso dell'invasione d e ll a Grecia, ora, soprattutto da quando ha preso a riunirsi il Com ita to d e i capi di Stato Maggiore, le riunioni sono frequenti e a l loro sviluppo è stato dato un ordinato iter burocratico. C iò è indubbiamente positivo, ma l'esperienza è ancora t rop po rece nte p er attendersi che essa dia risultati realmente conc ret i. Per ora, infatti , il Comitato è più un foro di dibattito e di mediazione che di decisione e di consulenza. Come già detto, compongono il Com itat o i quattro capi di Stato Maggiore e il seg reta ri o gene ra le. Presiede il capo di Stato Maggiore della D ifesa; superio re «gerarch ico», ma senza potere effetti vo nei confronti d egli a ltri membri. Il presidente è il portavo ce del Comitato presso il mi nistro e presso gli organi consultivi superio ri , qual e, per esem pio, il Co n sig li o Supremo della Di fesa. Egli non ha, come s i è già visto, auto rità propria e può fare affi d amen to so lo sul proprio persona le «Carisma» per acquisire a ut o revo lezza. Ma anche quando il «Carisma» c'è, e non sempre a ccade, si tratta pur sempre di un compito improbo. Un capo di Stato Maggiore d e ll a Di fesa britannico, tenuto in gran co n s id erazione da militari e civili , ne l ri cordare le prop ri e es pe ri e nze, asseriva che per lui e ra indi s pensabile mantenere la fiducia delle tre Forze Armate, ma che non c'era modo di sape re qu anto essa fosse reale, e finiva col

commentare: «H o apprezzato i miei tre anni co me ca po di Stato Maggiore dell ' Eserc ito, non posso però dire lo stesso per il perio do più breve come capo di Stato Maggiore d e lla

201
• Vedi grafico fuori testo.

Difesa>>. 1 Quanto poco opportuno sia affidarsi solo alle doti personali per sopperire alla carenza norma!iva , nella gestion e di un organo così complesso e responsabile , appare evidente. Il Comitato, del resto, anche come organo collegiale, non è giuridicamente responsabile della gestione delle Forze Armate e la sua rilevanza gli deriva so lo dalla presen za dei capi di Stato Maggiore di Forza Armata che possono anche non vo lere cooperare senza riserve co n il capo di Stato Maggiore d e lla Difesa. Inoltre, i singoli capi di Stato Maggiore di Forza Armata dispongono , a sostegno d e lle loro posi z ioni , de lla attività di Stati Maggiori forti ed agguerriti, mentre il Comitato disp one solo di una segreteria. Il capo di Stato Maggiore della Difesa deve fare affidamento sul proprio Stato Maggiore, più ridotto, fun zio nalmente mal strutturato e volontariamente anemizzato dalle singole Forze Armate cui è tributario per il perso nal e. Del resto , ogni modifica alla struttura interna dello Stato Maggiore della Difesa non può esser operata autonomamente, come avviene negli altri Stati Maggiori, ma è subordinata al ben estare delle singo le Forze Armate. Infatti, secondo una visione codina d e l prob lema, ogni modifica non autorizzata rischierebbe di alterare l'eq uilibrio dell'insieme e di spostare i rapporti di poten za in ambito interforze. Lo Stato Maggiore della Difesa così com'è non è quindi l'es pressione di chiare esigenze funzionali , quanto di compromessi e mediazioni frutto di un manuale «Cencelli» militare, altrettanto poco rispettoso delle esigenze del Paese. Diversamente avverrebbe se fosse possibile val utare i candidati dell e tre Forze Armate nel quadro di un processo formativo interforze per i gradi più elevati. L' irraz!onali tà dell'attuale situazione è determinata dal fatto che mancano gli in grado di predisporre l 'att ività del Comita t o e quella del capo di Stato Maggiore della Difesa in modo organico e coordinato. Presumere che i capi, ciascuno con la propria preparazione settoriale, ma privo di una approfondita conoscenza della dimensione interforze dei

1 the Present Cen trai Organization ofDefcnce Mcc t th e Requirements of th e 1970s?», Seminario presso il RoyaJ Un ited Services lnstitute di Londra, gennaio 1971.

202

problemi. possano risolvere nelle loro riunioni le situazioni più difficili è del tutto velleitario. Scrive Raymond Aron «i capi militari sono depositari di un "savoir simplifié", il solo indispensabile ai più alti livelli di comando». Ma tale «sapere semplificato»• è causa di incertezza , per insufficienza di conoscenza, soprattutto quando le decisioni investono settori di grande complessità ed importanza. oltreché estranei alla propria specifica attività. Michael Howard 2 non nasconde un notevole scetticismo a proposito di qualsiasi decisione co llegiale espressa ai massimi livelli. senza che essa sia stata preventivamente vagliata in modo approfondito da un organismo di sostegno del corpo collegiale. Ogni problema, infatti, inv este un particolare settore. sul quale uno dei compon ent i del Comitato è particolarmente versato, ma che gli altri conoscono solo marginalmente. Il risultato è che questi ultimi, riguardo alla posi z ione del primo, «se la sostengono possono essere sospettati di complicità interessata, se invece vi si oppongono, di privilegiare i propri specifici interes-si». 3

Inoltre , le delibere del Comitato rappresentano solo un primo passo verso l'adozione di provve dimenti interforze. La fase più laboriosa e complessa corrisponde, infatti, alla messa in atto di un meccanismo esecutivo che investe una molteplicità di competenze. Solo un organismo interforze in grado di sostenere l'organo collegiale e il suo presidente, può assicurare la piena aderenza dei passi esecutivi alla sol uzion e «lnterforze». Occorrerebbe altresì tutelare gli int e ressi degli ufficiali c he prestano servizio presso gli organismi «lnterforze», distaccati dall e rispettive «case madri». Pretendere che la loro condizione di insicurezza personale non pesi in alcun modo , equivale a ignorare volutamente il problema o a dare per scontata una loro vocazione al martirio. Un altro se ttore che contribuisce alla confusione dell'insieme è quello tecnico-amministrativo. Come già visto, il segretario generale

1 R. Aron. o p . c1t
203
2 M. Howard. an. cit. ) !bld.

rappresenta quell'area, di cui però non è responsabile se non in termini di coordinamento. In oltre. anche se egli ne fosse il capo effettivo, gli sarebbe materialmente impossibile disporre anche solo di quel «sapere semplificato» necessario per fornire sempre una consulenza competente sul problema. Del resto i capi di Stato Maggiore operano in un'area a loro familiare perché appartiene al loro profilo professionale. Non è così per il segretario gene ra le la cui sfera di interessi spazia in settor i, alcuni dei quali gli sono noti solo in modo approssimativo. Ciò nonostante egli ha un'influenza notevolissima perché le sue competenze investono settori di a lto interesse politico, quali l'industria della Difesa, il personale civile, il personale milit a re compreso quello di leva. L'appoggio del settore civile, «esterno alla Difesa», per la sua attività, anche se non ri chiesto, è inevitabile. Assai diversa è la posizione del capo di Stato Maggiore, il solo a sostenere il peso di una politica «lnterforze» che int eressa pochi e di un 'efficienza globale che sembra non interessare nessuno. Oggi come oggi per assolvere il suo mandato, che dovrebbe essere il più rilevante perché legato alla funzione primaria delle Forze Armate, eg li deve fare affidamento sop rattutto su se stesso.

L'a tti vità del Comitato, in omaggio ad una neonata co llegialità, consiste nel trattare qual siasi cosa che possa avere un int eresse anche minimo per più di una Forza Armata. Avviene cos ì che le agende degli incontri di vertice sia no sovraccariche di probl em i, con la coesistenza di aspetti di ril eva nza na ziona le e di altri tanto marginali da non meritare menzione. Il tempo del Comitato viene diviso fra tutti eli argomenti e non è infrequente il caso che alcuni di nessuna rilevanza ric evano assai più attenzione di alt ri fondamentali.

Circa l'atteggiamento de i membri d el Comitato, occorre ril evare che essi, in teoria, ind ossano due cappelli, uno di capo della rispettiva branca e l'altro di membro di un organo collegiale. Nel migliore dei casi, la loro lealtà per il secondo è assai più debole che non per il primo. Ogni capo risponde infatti verso l'organismo che rappresenta delle posizio ni assunte. Da ta la fragilità della componente «collettiva». le

204

mediazioni appaiono assai ardue. Un ex vice ministro statunitense cita, a tale proposito, un commento di Huntington: «In pochi punti, se ciò è mai avvenuto, i militari hanno presentato un punto di vista comune coerente. Divisi fra loro, hanno invitato i civili ad interv enire sulle questioni militari. Quando un programma comune era frutto di una decisione concordata, il risultato era spesso un ovv io compromesso di tipo politico, tale da giustificare l'azione dei capi civili che finivano per annullarlo avvalendosi, loro, di sana logica militare». 1 La totale mancanza di preparazione militare dei responsabili civili scongiura da noi questo pericolo. Anche il britannico J . Downey2 invita i militari alla chiarezza delle decisioni, la sciando il compromesso all'area politica. Egli aggiunge che, nel malaugurato caso in cui al compromesso militare si sommi quello politico, le deci sioni finiscono col non corrispondere allo scopo ini zia le.

La situazione si aggrava quando si tratta di ripartire le risorse o di definire argomenti di spiccato interesse corporativo. Secondo Huntin gto n, in tal caso «né i probl em i fondamentali delle Forze Armate, né le alternat ive della strategia nazionale vengono considerati importanti, ma piuttosto i vantaggi e gli svantaggi anche non rilevant i in termini di materiali e funzioni». 3 Queste tendenze sono presenti ovunque , ma in altri Paesi sono stati compiuti passi considerevo li per ridurne le conseguenze. Da noi, invece, ancora oggi la situazione si presenta troppo confusa e co ntraddittoria per pot ersi dire soddisfatti. Ciò dovrebbe tranquillizzare chiunque vede in qualsiasi razionalizzazione della diri ge nza militare un perico lo pe r il pote re politico, ma non rassicura certo tutti quelli cui sta a cuore il potenziamento della capacità operativa delle Forze Armate per la sicurezza de l Paese.

• R.L. Gilpatric. op cit

l J. Do wney . op cit.

l S.P. Humington. op cit.

205

Evoluzione dell'area politico- militare, strategica e operativa: proposte di soluzione\

Il problema da affrontare e ri solve re è urgente e indilazionabilc poiché il nostro Paese è in grave ritardo sugli altri Paesi dell'area occidentale, con grave penalizzazione della nostra credibilità ed efficacia sia politica che militare. Occorre, però, evitare soluzioni traumatiche cui sarebbe difficile poi rimediare. Il problema è innanzi tutto culturale, è necessario cioè far comprendere la necessità di una politica militare e far riprendere dimestichezza con la strategia, di cui ora nessuno si occupa seriamente. Per un Paese che in questo campo ha dato prestigiosi esponenti nel passato remoto , quali il Machiavelli , e nel passato prossimo, quali l' uffi cia le di Stato Maggiore Douhet, non dovrebbe essere impossibile suscitare l'interesse per questo problema. Una effett iva padronanza delle due materie da parte di chi, nella Difesa, ne lla Presid enza del Consiglio e anche negli Esteri, si deve occupare d e l problema politico-militare per l'amministrazione dello Stato e la consu lenza al vertice politico e militare, renderebbe così possibile ascoltare finalm ente nelle dichiarazioni programmatiche di Governo una definizione della politica di difesa del Paese basata su una visione approfondita degli impegni politico-militari e strategici e non su generiche definizioni di politi ca estera. Le professioni di fede l tà all'Alleanza Atlantica e all'Europa, l'impegno a seguime le orme, possono sodd isfare su l piano emotivo, ma non consentono certo di estrapolare indicazioni utili per lo strumento militare. Dalla politica di difesa sarebbe poi possibile formulare una strategia militare credibile e completa c he dia concrete indicazioni per la struttura delle Forze. Dalla stessa politica di difesa, infatti, sarebbe possibile derivare i singoli impegni strategico-operativi (difesa dello scacchiere nord-est , difesa aerea, difeso dell'Italia centro-meridiona le, ruolo militare e politico-militare n e l Mediterraneo, garanzia della sicurezza dell ' Isola di Malta) la cui conoscenza è indispensabile per • Vedi gcafìco fuori test\).

l'"

adeguare le risorse agli impegni. La collocazione dei singoli impegni nel quadro di una strategia genera le consentirebbe di operare economie e razionalizzazioni ora impensabili. Calibrando le Forze sulle singole minacce , obiettivamente valutate, si disporrebbe di un primo strumento per la pianificazione e la programmazione interfo rze dello sforzo militare. In questa direzione si è mossa la difesa quando , nel 1980, 1 il ministro si è impegnato a formulare una concezione strategica inglobante tutti gli interessi nazionali della Sicurezza , compresi quelli NATO. Dalla concezione strategica avrebbe dovuto scaturire il nuovo modello di difesa, di cui il ministro aveva peraltro indicato le principali tendenze: capacità e prontezza operativa incrementate, elevata mobilità tridimensionale, e, infine, uno strumento interforze, una Task Force, elemento irrinunciabile per un Paese peninsulare quale l'Italia. La «Struttura Unificata Difesa» (SFUD) avrebbe poi potuto esser rivista abbattendo i comparti menti stagni al suo interno, per dare respiro alle aree funzionali. Il confronto fra compiti e risorse sarebbe, così, più agevole anche per il potere politico e per il Paese che meglio potrebbero sapere qual è la capac ità operativa globale d e lle tre Forze Armate, senza dover operare un'artificiosa somma fra le singole capacità individuali. Parlamento e Governo devono infatti sapere con certezza qual è la possibile risposta militare nel caso di un dato impegno e non già quanto siano preparat i i singoli reparti delle tre Forze Armate. Quest'ultima informazione o ltre tutto è fuor viante per i non esperti che non possono porta in relazione con il compito da assolvere. Nota la capacità operativa globale e raffrontatola con le riso rse, sarebbe poi possibile all'autorità politica fi ssare le priorità e, nei casi peggiori, rinunciare a impegni militarmente non sostenibili.

A questo punto, rimarrebbe ancora un ulteriore passo da com pi ere, ossia fissare il dosaggio equ ilibrato di forze per ogni missione operativa , tenendo conto della predisposizione di una riserva st rategica interforze adeguata, a livello

207
1 Dichiarazioni del ministro deUa Difesa aUa Camera dei Deputati, 14 aprile 1981.

nazionale. Ma anche se dovessero insorgere contrasti fra le Forze Armate che, nell'ambito della stessa «missione» tente rebb ero comprensibilmente di aggiudicarsi la parte del leone, tale conflittualità, in quanto incentrata su aspetti minori e parziali e non sulla global ità della ripartizione fra le tre Forze Armate. sarebbe certamente meglio componibile. Ove poi vi fosse una capacità reale di mediazione e di impostazione interforze a li vell i non di vertice, la maggior parte dei problemi potrebbero esser risolti prima ancora di giungere al Com itato dei capi. Anche all'interno delle stesse Forze Armate sorgerebbero ri va l ità per l'assegnazione di una fetta più o meno generosa del compito di Forza Armata compreso nella mi ssione. Ma, dato che ogni Forza Armata dispone c hiaram ente di un capo, cosa che non avviene a li vello interforze, il problema verrebbe da lu i risolto, con minor difficol tà.

Questa im postazione procedurale e concettuale avrebbe però scarse possibilità di essere applicata se non si mettesse prima un po' d'ordine nella sfera intcrforze, innanzitutto a livello organi centrali e poi a livello operativo. Secondo alcu ni , tale sistemazione potrebbe comportare la fusione delle Forze Armate e. conseguentemente, degli o rgani di comando e direttivi. La soluzione è proposta soprattutto da chi int erpreta il problema in c hia ve manageriale, tentando di trasferire una razionalizzazione astratta, più accettabile nel mondo industriale, in un ambiente in cui l'uomo, con le sue tradizioni e i suoi va lo ri spirituali, ha un peso ancor superiore alla macchina. Ci si dimentica dell'atipicità dell'ambiente militare e delle sue funzioni, dello sp irito di corpo che fraziona , ma unisce allo stesso tempo la forza dei valori tradizionali. Perciò, anche quei Paesi, come il Canada, che avevano adottato tale modello, si son fatti promotori di un parziale ritorno ve rso i valori tradizionali. Anche la Francia ha decentrato alcune prerogative dello Stato Maggiore Generale a quelli di Forza Armata.

Un'altra soluzione sosten uta è quella di limitare la fusione agli organi ce ntrali , ridu cendo sostanzialmente il ruolo degli Stati Maggi ori di Forza Armata. È però stato obiettato con

208

ragione che una trattazione uniforme di tutti i problemi delle tre Forze Armate da parte di un organismo non legato alle singole situazioni , difficilmente rappresenterebbe un miglioramento. Le conflittualità all'interno dell'unico organo di vertice verrebbero esasperate dalla mancanza di una chiara lin ea di comando e di valori tradizionali cui fare riferimento. Alla lotta fra le tre Forze Armate che ha anche aspetti positivi perché si fonda sull'orgoglio professionale di ciascuna potrebbe sostituirsi una lotta fra gruppi di influenza legati solo all'ese rcizio del proprio potere. La via più semplice e più rapidamente attuabile sembra essere - anche sulla base dell'esperienza di altri Paesi- quella della maggiore chiarezza «a livello interforze», separando più chiaramente, a quel livello, l'area «strategico-operativa» da quella «tecnico-amministrativa» e rip artendo le singole compete nze fra le due senza sovrapposizioni. Questa lin ea evolutiva dovrebbe essere estesa ai rapporti fra Segredifesa e SS.MM. di Forza Armata. Questa ch iarezza di ripartizioni fra l'area «operativa» e quella «amministrativa» fu applicata in Germania, fra le due grandi guerre, dove nell'Esercito tutti i compiti operativi erano affidati all'Ese rcito di «campagna» e quelli amministrativi a quello «territoriale». Così 1 il comanda nt e in capo ed il suo Stato Maggiore furono in grado di dedicarsi principalmente alle operazioni «militari». È la linea seguita oggi con qualche adattamento, dai maggiori Paesi occidentali . L'intrusione dell'area operativa in quella amministrativa porta infatti non ad un miglioramento del suppo rto generale a favore delle forze ma bensì a un eccesso di attenzione sugli aspetti tecnico-amministrativi, a detrimento del probl ema operativo e spesso a nche della validità delle sce lte nell'arca dello stesso supporto.

Lo Stato Maggiore della Difesa dovrebbe in questo contesto rapprese ntare un vero crogiolo operativo interforze co n la necessaria autorità per impostare e risolvere i problemi in tale chiave, oltre che per assicurare la indispensabile consulenza politi co- militare agli organi di vertice.

209
' M. van Creveld, op. cit.

Questa so lu zione è indipende nt e dall'organo da cui si vuole far dipendere lo Stato Maggiore, s ia esso il Com itato o il capo di Stato Maggi o re della Difesa. Le due so lu z ioni sono state adottate, rispettivamente, da Stati Uniti e Gra n Bre tagna-Germania e non a lterano sensi bilm e nte l'attività dello Stato Maggiore. Ne ll 'a mbito poi dello Stato Maggi o re, a lcune branche dovrebbero prevalere sulle altre, qu e lla po lit icomilitare, qu e ll a operativa, qu e lla informativa, la piani ficaz ione de ll e forze , la log is tica i n operazion i, le com un icazion i per il comando e controllo intcrforze. Non se m bra infatti c he possano avere un ru o lo tecnico le branc he del pe rsonale, qu e ll e finan z iarie, qu e lle giuridiche e d e lla ricerca che, invece, do v re bbero trovar pos to ne ll 'a rea tec n ico -a mminist rativa. Allo Stato Maggiore d e ll a Difesa comporterebbe sia l'ema nazione delle dire ttive all'area tecnico-amministrativa sia il contro ll o d e lla ri spo nden za «operativa» dci provvedim ent i. ln ogni caso, la rappresentatività dell ' area tecnicoamministrativa neg li organismi di vertice dovre bbe esse re accresciuta per renderla meglio partec ip e dei problemi generali . In vece, per le aree fun ziona li di interesse spec ifi co di Stato Maggi ore d ella Difesa , sa reb be co n s igliabile ist itu zionali zzare d e i Sottocomitati , uno per area, cui parte c ipino tutti g li Stati Maggior i, presiedut i dal rapp re se nta nte de ll a Di fesa con l'auto revo lezza formalm e nte ri co nosc iut agli. Ogni Forza Armata sa lvaguard e re bb e le proprie ce llul e funz ion a li , ma la dimen s ion e interforze ve rre bbe assicurata. Ciò sarebbe poss ibile anche per il SISMI , ove solo la bran ca «esterna» o «difensiva» partecipasse a tale a tti v ità e si ofTrisse come è giusto che sia allo Stato Magg iore d e ll a Difesa la fun zio ne di pilotaggio nel settore. Qu es ta articolazione fa c iLiterebbe, fin a lm e nte, la creaz io ne di un centro operativo interforze cui tutte le Forze Armat e e non solo lo Stato Maggiore d e ll a Difesa fa cciano rife rim e nto. Rend ere bbe così possi bil e la funzione di «a lto coma nda nte militare» s u tutte le Forze Armate da parte del ca po di Stato Maggio re d e lla Difesa, in caso di emergenza o conflitto. Probl e ma gravissimo da noi ancora non riso lto e che le FF.AA. britanniche stavano risol ve ndo dopo le Fa lkland, t rasfo rmando il capo

210

di Stato Maggiore della Difesa da primus inter pares in effettivo vertice operativo delle Forze Armate. Analoga riforma, il genera le Jon es, capo di Stato Maggiore della Difesa USA, ha sostenuto davanti alle proprie autorità politiche. Un'ultima parola per la politica militare che, quale attività considerata primaria in quasi tutti gli altri Paesi, merita migliore attenzione. Pe r risolvere definitivamente la situazione sarebbe consigliabile porre la branca in posizione autonoma, alle dipendenze del Comitato, ma con la possibilità di accesso al ministro, senza troppi formalismi, ogni volta che sia necessario.

Il personale della branca dovrebbe venir preventivamente preparato e accuratamente seleziona t o per assicurarne la rispondenza ad un ruolo fortemente atipico e per il quale, almeno per ora. non vi sono possibilità di addestramento preventivo in ambi to militare o civi le. È un settore che rifugge agli schcmatismi tipici di altre branche e per cui occorre una gestione responsabile, ma priva di eccessivi condizionamenti formali, burocratici, culturali.

In a ltri Paesi la selezione per tale branca è seve ri ssima e no n si ridu ce al criterio della conoscenza di una lingua strani e ra che troppo spesso viene adottato da noi. In olt re, sa rebbe cons igliabile per questa branca più che per le altre che non vi foss e una lottizzazione «lnterforze», ma che si scegli esse ro almeno in parte gli uomini più adatti, a qualsiasi Forza Armata essi appartengano.

È un se ttore che serve l'area politica oltre che quc!la militare e tutti hanno il diritto di ven ir ben serviti. E anche l'unico li ve llo in cui , per ora, la politica militare riceve seria trattazione ed è quindi nel Paese l'unica fonte cui attingere. Sembra perciò gi usto che ch i deve esser servito pretenda la giusta qualità e professionalità da parte della branca.

Infin e, un mezzo indiretto, ma di indubbia efficac ia , per conseguire una progressiva integrazione è rappresentato dalla integrazione de i Comandi operativ i e territoriali, in una visione interforze delle incombenze operative e amministrativ e delle Forze Armate verso il Paese. Questo è un settore in cui si procede a rilento e con troppa difficoltà, senza che vi

211

sian o moti v i validi o ltre la difes a di po sizioni di pote re a lun go mante nute . U na ripa rti z ion e e quilibra ta d e l n os tro ter rit orio. in re lazio ne alla s t ra tegi a na z io nal e ed a ll' o rdin am e n to po lit ico -amm ini strati vo d e ll o Stato p o tre bbe se rv ire da stim o lo pe r una m agg iore int egra z ion e oltre c he assi c urare un i m p iego e una ges ti o ne più eco n o m ic i e r az io na li de ll e Forze. Hunt i ngto n , c he attr ib u isce a i Co m a ndi Int erforze pe rife ri c i un a fun z io n e di rottura, sc ri ve ch e « i com a ndi uni fica ti posso no di ve nire s trum e nti di stra t eg ia se nza intaccare i caste ll i d i F or7.a Arm a ta». 1 La rip a rti z io ne d e ll a s t rat eg ia naz io n a le in va ri e «mi ss io ni s tra teg ic h e» e la m o lt e plic it à degl i impeg ni op e ra ti v i atte nu e re bb e ro lo sco ntro d e ll e F orze Arm ate s ul terre n o d e ll a s trat eg ia ge ne ra le, do ve p uò esse r m egl io indi vi du a ta la pre min e nza di qu es ta o qu e lla Fo r7.a Arm a ta. Si tra tte re bb e di un artifi z io valid o pe r s bl occa re un a si tu az io n e di stall o qual e ve rre bbe crea ta d a un co n fro nt o s u un a st ra teg ia ge ne ral e tro pp o s pec ifi ca.

Ciò con se ntire bbe di libe rare l' immaginaz io ne stra teg ica d eg li Stati Magg iori no n c ostre tti più a dife nd e re una pa rtico la re d o tt ri na pe r ga ra ntirs i l' es iste n ?.a o min acc ia re q ue lla d eg li a ltri. An c he Lord M o untba tte n , pa ladin o co n v int o di un ' int egraz io ne spi cca ta rite nev a ch e «l ' unifi ca z ione d e l c om a ndo d e ll e fo rze di ca mpag na e ra , in te rmini o pe rati v i e d ord i na ti v i, un qu as i essen z ial e pre lim i na re per ogni mutam e nt o fond a m e ntal e d eg li orga ni ce ntrali» . Qu es ta po tre bbe, quindi , e sse re una d e ll e v ie da p ercorre re pe r a ge volare l'integrazio ne a nc he se, d a t o il rita rd o d e l n os tro s is te ma , sa re bbe o pp o rtun o pro ced e re a lla riforma «in parall e lo» d el ce ntro e d e lla pe r i fe ria.

Pe r re nd e re qu est ' area v ital e s uffi c ie nt e m e nt e fun z i o na le occorre rebbe o perare ini z ialm e nte d e ll e se mplifi cazioni . In-

S olu zioni nell 'area tecnico- ammin ist rativa (app rovvigion am en to, personale, finan ze)
1 S. P Huntington , op.cit 2 12

nanzitutto , se il segretario generale dev e riman ere il vertice di tutta l'area, è indispensabile che esso disponga di efficac i organi di d e mo !ti plicazione per quei gruppi funzionali fra cui vi sono scarsi punti di contatto. Le aree fun zio nali so no principalmente tre: quell a finanziaria, quella degli approvvigionamenti, quella del personale.

Tre vice segretari generali, respo n sabi li di ogni specifico gruppo di funzioni potrebbe ro avere alle dipendenze le direzioni generali e gli uffi ci cent ra li interessati alle rispettive funzioni. Dovrebbe così cessare quel rapporto diretto fra direzio ni e mini stro che rende assai difficile ogni impostazione unitaria c ogni coordiname nto. Un'altra soluzione sarebbe quella di evincere la branca del personale dalle responsabilità d e l segretario generale c he potrebbe dedicarsi completamente alla branca dell'approvvigionamento, inclusa la direz ion e degli armamenti. Si creerebbero però problemi per l'area finanziaria, diffi c ilme nt e assegnab il e ad una o all'altra branca e che perciò diventerebbe anch'essa autonoma frammentando gravemente l' unitari età del settore ammini 5trativo.

La soluzione che prev ede i tre segretari responsabili di ogni speci fi co gruppo di funzioni sembra meglio corrispondere alle esigenze di un'impostazione amministrativa unica. l tre v ice segretari dovrebbero essere ammessi, con frequenza, se n on permanentemente, agli organi collegiali di vertice per poter espr im ere il proprio parere per quanto di loro com petenza.

L e soluzioni per gli organi di vertice

Ferme restando le competenze del Consiglio Superiore delle

Forze Armate che ormai investono in modo semp re meno incisivo sop ra ttutto il controllo in campo tecnico-amministrativo, occorrerebbe agevolare l'attività dell'organo collegiale più importante, il Comitato dei capi di Stato Maggiore. Al Com itato d e i capi dovrebbe essere ridotta l 'a ttività per migliorarn e il rendimento. I modi sono principalmente due:

213

trattazione prioritaria degli argomenti relat ivi all'a rea tecnico-operativa e decentramento parziale delle competenze a li ve lli inferiori. L'att enzione maggiore del Comitato. come dello Stato Maggiore della Difesa, dovrebbe essere dedicata ai problemi stra teg ici , politico-militari , operativi , di struttura delle forz e e dei coman di . In centra ndo l'attenzione s u problemi collegati direttamente allo strumento operativo interforze e non ai «castelli» di Forza Armata dovrebbe esse re più facile raggiungere una visione «unanime» professionalmente accettabi le. Ma se . anche in qu esto caso, la resistenza di una delle parti non ch iaramente motivata impedisce una soluzione «lntcrforze», vitale per tutti, dov rebbe esse r possibile decidere «a maggioranza» o ltre c he conferi re a l pare re del capo di Stato Maggiore della Difesa un 'autorità sostanziale super iore a quella dei si ngoli capi di Forza Armata.

In passa to , decision i val idi ss im e che av reb bero portato a un dec iso balzo in avanti lo strumento « lnterforze» sono stat e bloccat e per un a contesa «Ottusa» delle prerogative di Forza Armata. Ciò non sembra più accettabile. Anche in quest e a ree, gran parte dei problemi potreb bero esse re risolti «a monte» so lo che si avesse l'avvedut ezza di decentrare respon sabi lità verso il basso.

Il siste ma dc i Comita t i. già proposto, non significherebbe, se ben applicato, un'eccess iva formaliz zaz io ne dei contatti e il dispendio di tempo utile in infinite riu n ion i. Essi sarebbero solo un punto ufficial e d i ri ferime nto per lo sviluppo di ogni attività fun ziona le e l'indis pensabile cornice per la formali zzazio ne dell e dec isioni o delle proposte co ll ettive a l di sotto dei li vell i di vertice. Se fun zionassero i co llegamenti «orizzontali» fra i va ri settori della stessa branca, tutti in teressat i a ll o stesso probl e ma, le decisioni potrebbero, a l limite, esser prese anche senza riunioni di Comitato. La struttura a Co m itato cos tringerebbe ognuno a studiare i punti di vista altru i anche se so lo pe r neutralizzarli , a mantenere contatti informati frequenti con gli a ltri membri , con la giust ifi cazione formal e data dall'esi s te nza de i Comi tati. In questo modo i vari capi bran ca non potrebbero obietta re se, al di sotto del

214

Una proposta per Il vertice operativo c<lnterforze»

CAPO DI STATO MAGGIORE

DIF,ESA

clPO c:Po

DI STATO MAGGIORE 01 STATO MAGGIORE ESERCITO MARINA(1)

c1PO 01 STATO MAGGIORE AERONAUTICA

SEGRETERIA

DEL COMITATO

SOTIOCOMITATO (2)

INTERFORZE

PIANIFICAZIONE

FINANZIARIA LOGISTICA ------------··- -

(1) Su invi to. ìl seg retario generale d ella Difesa

SOTIOCOMITATO (2)

INTERFORZE

INFORMAZIONI OPERAZIONI

CENTRO OPERATIVO INTERFORZE

ESERC. ) MAR. l AER.

(2) Ogni Sottocomitato dovrebbe essere presieduto da un sottocapo dì Stato Maggìore della

Difesa. Di conseguenza il numero dei sottocapl dovrebbe essere portato a due

l
'
l
l
l
'
'
(1) TENTE CAPO
GIORE ESA
CA TARE
TATO
RLA TI

loro livello, si sviluppano contatti su cui non hanno un effettivo controllo. Ciò porterebbe indirettamente al «decentramento». Come scrive Michael Howard «il Comitato rappresenta più che altro una minaccia latente per i funzionari e come tale costringerà a trovar rimedio ai problemi prima della sua convocazione ufficiale». 1 Prima che gli argomenti raggiungessero il vertice del Comitato tutto sarebbe stato esaminato c confrontato e non rimarrebbe spesso che convalidare ufficialmente le proposte. Un sempre maggiore decentramento verso il basso delle responsabilità, reso accettabile da una struttura flessibile che concedesse libertà d'azione senza rinunciare al controllo, lascerebbe ai capi il tempo per le maggiori decisioni, quelle che investono l'essenza del problema militare.

Al Comitato, pur incentrando l'attenzione sugli aspetti più operativi, parteciperebbe, comunque, il segretario generale anche perché in qualsiasi problema vi sono aspetti tecnicoamministrativi da esaminare. Ma, nel caso invece che gli argomenti tecnico-amministrativi abbiano la preminenza e che quelli operativi siano marginali, il Comitato non sembra più essere il foro adatto.

Occorrerebbe perciò che vi fosse un Comitato tecnicoamministrativo, presieduto dal segretario generale, con la partecipazione oltre che del sottocapo di Stato Maggiore della Difesa c degli altri sottocapi di Stato Maggiore, anche dei vice segretari generali (personale, approvvigionamento, finanze) e dei direttori generali interessati. Il ministro della Difesa potrebbe partecipare e presiedere alle riunioni di questo Comitato ogni qualvolta lo desiderasse, mantenendo a livello collettivo que l controllo sull'attività delle direzioni generali cui avrebbe nel frattempo rinunciato.

Un'altra soluzione più semplice sarebbe quella di costituire un «Comitato Difesa», presieduto dal ministro per le decisioni di maggiore importanza. Una riunione relativamente frequente dei massimi vertici operativi ed amministrativi, con o senza Comitato, sarebbe comunque consiglia-

• M. Howard , art. cit. 216

Una proposta per il vertice tecnico-amministrativo

Segretario Generale

Vice segretario

Vice segretario

Vice segretario (DNA) per gli aspetti per gli per il Personale finanziari Approwìgìonamenti

Sottocomltato Sottocomitato Sottocomitato lnterforze lnterforze lnterforze

·Pesonale• ·Bilancio• • ApprowigtOnamento• (con branche responsabili (con responsabili (con responsabili del «Personale» «Bilancio" della ricerca e degli SS MM ) degli SS MM ) studi degli SS. MM .)

bile per assicurare a livello ministro il necessario coordinamento fra le due aree sui problemi di maggiore importanza.

La struttura a Comitato consentirebbe però di dare regolarità normativa alle attività del massimo vertice della Difesa. Al riguardo è una pura esercitazione retorica chiedersi chi comanda la politica militare, come ha fatto il ministro Lagorio , 1 se non si è in grado anche di spiegare come e con quali organismi la si formula e la si dirige.

Il panorama non sarebbe completo se non si ricordasse che l'atti vità dei vertici, ma soprattutto quella del Comitato dei capi di Stato Maggiore, deve essere sostenuta da organi di Stato Maggiore adeguati, come può avvenire devolvendo allo Stato Maggiore della Difesa la funzione di sostegno del Comitato. In quanto al capo di Stato Maggiore dovrebbero essergli offerte due possibilità; la stesura e la firma delle direttive, sulla base delle delibere del Comitato e la presentazione, «autonoma», del proprio parere al ministro , nel caso di decisioni non concordate. D 'al tronde , se il capo di Stato Maggiore della Difesa dovrà in caso di confronto armato vestire la carica di «comandante supremo» e di «alto comandante Interforze», dovrà, fin dal tempo di pace, esercitare un'autorità sugli altri pienamente riconosciuta.

Conclusioni

Il problema <dnterforze» non può esser rinviato e occorre porre rim edio alla situazione attuale con una nuova legge. Chi avesse ancora dei dubbi sulle conseguenze positive, in termini di riduzione d e lla burocratizzazione, di una maggiore razionalità int erforze dovrebbe riflettere sui dati che emergono dalla riforma britannica condotta fra il 1964 e il 1970, che ha ridotto il personale di 8000 unità, cioè di circa il 30% accentrando inoltre funzioni e personale negli organi centrali:

1 Lei io Lagorio, «<l ruolo dei Consigli elettivi dei soldati», in internazionale».

218

La riforma si dovrebbe estendere alla organizzazione territoriale rendendola compatibile con l'organizzaz ione dello Stato e con le incombenze operative. Per i massimi livelli, sia centrali che territoriali, non basterebbe però limitarsi a c reare dei rapporti funzionali, ma occorrerebbe anche risolvere il problema della coabitazione degli organismi dell'area tecnico-operativa e dì tutti quelli dell'area tecnico-amministrativa. Sarebbe così possibile superare le pregiudiz iali psicologiche att raverso il contatto frequente e agevole, ridu rre i tempi di tratta zione degli argomenti, facilitare i contatti «orizzontali» e la comunicabilità.

Non si pu ò attendere, come vorrebbero alcun i, che un processo di formazione interforze ancor al di là da ven ire possa c reare i Quadri del futuro in grado di ri solvere i problemi correnti. L'e spe rienza insegna che, ai medi livelli, un 'assidua collaborazione consente di supe rare le difTerenze a nche in asse n za di una formazione interforze com un e. Appena operata la ristrutturazione degli organi central i dovrebbe esse r possibile trasferirli in un unico ce ntro direziona le. Chi esita di fronte alla dimensione d el problema dovrebbe guardars i attorno per accorgersi che Pa esi me no ril evanti del nostro hanno già da te mpo risolto il problema con notevole successo.

La coabitazione degli organi centra li no n coinciderebbe certo con un immediato e automatico avvio della collaborazione e del coordinamento, ma creerebbe le mi gli ori cond iz ioni ambientali per renderli possibili e per infrangere le barriere che es istono fra le FF.AA .

A questo punto occorrerebbe risol vere un ultimo prob lema: quello di un 'informazione «di qualità sui problemi d elle FF.AA., in modo che il Paese s ia mantenuto cos tante mente

/964 % /970 % Orgam centrali l 106 4.5% 6036 37.3% Stato Maggiore Marina 9 590 39.8% 2 917 18.05% Stato Maggiore Esercito 7 399 30.8% 3 894 24.05% Stato Maggiore Aeronautica 5 988 24.9% 3 35 1 20.6% -24.083 16.198
219

Una proposta per il vertice della Difesa «militare»

Ministro della Difesa f...-- Consiglio Superiore delle Forze Armate

Segretariato --- Comitato Difesa

Permanente 1

Segretario generale Consulenza Capi di e Vice segretari giuridica Stato Maggiore Capi branca (PersonaleFinanziaria- Approwlgionamento)

1 Il Segretariato Permanente dovrebbe essere composto dal Gabinetto della Difesa. responsabile anche della Segreteria del Comitato, e da esponenti dello Stato Maggiore Difesa e dell'Ufficio del Segretario Generale.

in contatto con la realtà delle sue Forze Armate in modo globale. D'altra parte, non basterebbe informare accuratam ente il Paese, occor rerebbe informare anche le stesse FF.AA. a tutti i livelli sui problemi che le riguardano. La pubbli cistica militare non risponde ancora a questo scopo anche se, indubbiamente, non mancano gli sforzi per migliorarla . Essa è ancora troppo rivolta a una minoranza già inform a ta, mentre il grosso pubblico ne conosce tutt'al più gli aspetti più strettamente corporativi.

Perché questo salto di qualità della «pubblicistica» e dell'informazione avvenga in tempi brevi occorrerebbe, però, fare due cose: darne la gestione ad un professionista dell'informazione che provenga dal mondo giornalistico a livello di ex direttore di giornale di rango, e che la politica dell'informazione fosse definita in sede interforze con degli obiettivi ben chiari a livello di vertice militare e politico. Non è più possibile vivere alla giornata e di esped ienti in un settore che richiede una adeguata continuità culturale e un'alta professionalità.' Un altro tipo di informazio ne più specializzata, d ov rebbe essere assicurata al Parlamento, che essendo privo di conta tti diretti con l'amministrazione non sempre è bene informato sullo stato delle FF.AA. Basterebbe, in questo settore, creare a supporto Commissioni della Difesa delle due Camere degli StafT limitati , ma con solida esperienza , in gra do di svi lu ppare nell e grandi lin ee lo stesso lavoro che lo Stato Maggiore della Difesa dovrebbe svolgere a favore del Comitato dei capi di Stato Maggiore. È un sistema già adottato negli Stati Uniti e che ha dato eccellenti risultati.

Il problema della difesa non si risolv e naturalm ente solo nell'ambito della difesa e non è solo un problema legislativo. Sarebbe perciò indi spe nsabil e che fosse assicurata un'attenzione costa nte e adeguata al prob lema della difesa in amb;to politico e soprattutto in seno all'Esecutivo dove un Comitato

1 In Gran Bretagna, dove la situazione nel settore è molto più avanzata che non da noi , sono attese molte modifiche 10 seguito agli ammaestramenti della campagna delle FalkJand.

221

Soluzioni possibili per i vertici della Di fesa nazionale

POLITICA - A LIVELLO PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA, manDI tenimento del CONSIGLIO SUPREMO DELLA DIFESA

DIFESA informato e consultato sw tem1 pnncipali della POLITICA DI DIFESA, una/due volte ogni anno o quando necessario. dal COMITATO POLITICO STRATEGICO.

A LIVELLO DI GOVERNO, tramite un COMITATO POLIT/CO-STRATEGICO composto da ministri dei Dicasteri direttamente competenti (Esteri, Difesa, lntemì, Tesoro ) .. fstituzionalmente

Altri su invito.

Consulenza militare: Capo di Stato Maggiore della Difesa

Attività: continuativa Frequenza dì riunione . almeno sett1manale a livello ministri o sottosegretari delegati.

GESTIONE Da parte del COMITATO POLITICO-STRATEGICO sosteDELLA CRISI nuto da un organ ismo adeguato collaudato con continuità

POLITICA Da parte del ministro della Difesa, con la consulenza del MILITARE Capo di Stato Maggiore della Difesa ed eventual men te del COMITATO DEl CAPI DI STATO MAGGIORE e direttore SISMI.

AMMINISTRAZIONE Da parte di un COMITATO DIFESA presieduto dal ministro DIFESA: e composto dal 4 capi di Stato Maggiore e dal segretario Indirizzo generale Attività del Comitato sostenuta da un organismo e coordinamento •ad hoc operante con continuità de1 responsabili R1unioni anche a livello sottosegretario. su delega del mini- operativi e tecnico-amministrativi stro.

Responsabilità COMITATO DEl CAPI DI STATO MAGGIORE, membri: strumento operativo capo di Stato Maggiore della Difesa presidente - capi di Stato MaggiOre d1 Forza Armata, direttore del SISMI Su invito il segretario generale

Responsabilità SEGRETARIO GENERALE con tre vice segretari: uno per il personale. uno per gli approwigionamenti. uoo per gli aspetti finanzìan. Ciascuoo dei vice segretari generali. pre· sldente di un Comitato relativo alla propna branca. composto dai rappresentanti degli Stati Maggiori

Comando e Da parte del Comitato dei capi di Stato Maggiore Il presiControllo operatiVo dente del Com1tato li capo di Stato Magg10re della Difesa diViene capo lnterforze, awalendosi di un Centro OperatiVo lnterforze di adeguata capacità .

strumento operativo

Livello CONSIGLIO SUPREMO DIFESA Presidenza Supervisione pohttca di difesa della Repubblica

Livello COMITATO POLITICO-STRATEGICO di Governo Indirizzi di politica di difesa e strategi a globale - Assegnazione risorse al vari Dicasteri per la loro appliC<lZJone

Livello COMITATO DI DIFESA ministro lndmzzi di politica mflitare e di strategia della Difesa militare - Assegnazione risorse

Livello COMITATO CAPI DI STATO MAGGIORE lnterforze lndividuazione •missioni strategiche» e Stati ripartizione delle risorse - Direttive Maggiori lnterforze

Livello STATI MAGGIORI DI FORZA ARMATA Stati Direttive di Forza Armata - Impiego delle Maggiori di risorse

Una proposta per competenze vertici politici e militari di interesse dello
Forza Armata l 1 o () • - o :o z m (/) -4 -4 c - r < m m z N )> :o :o -(/) () o J: :o(/) m m (/) + -4 m

politico-strategico a li ve ll o di Governo, s ul vecchio modello, associato a un centro gestione della cris i politico-milita re ofTrisse le condizion i di base per una se ria trattazione dei problemi della sicurezza nazionale.

È vero che, da o lt re cent'ann i, dai tempi della riforma Ricotti-Magnani non è più stata operata una riforma coraggiosa della Difesa , ma se si trovasse ora la necessaria convergenza e la volontà sia politica, sia militare dovrebbe esser relativamente facile metter ordine globa lm ente ad un settore vi tal e per il Paese.

C'è perciò da augurarsi che la commissione «Giannini», istituita di recen te dal ministro della Difesa, sia in grado di proporre una soluzio ne rispondente a l problema de i vertici politici e militari. Ciò pres uppone, però, un'apertura da parte dell'ambiente militare maggiore di qu e lla fino ad ora dimostrata. Se ci fosse stato, il problema dci vertici si sa rebbe ri solto all'interno delle Forze Armate, senza dover disturbare una commissione esterna. Nessuna migliore dimostrazione del fatto c he quando i vertici militari no n sanno compor re i loro dissidi, i politici c i «civili» finiscono per sost ituirsi a loro nelle mat e rie di lo ro competenza.

Machiav c lli ha scritto che «non bas ta adu nqu e in It al ia il saper governare un eserc it o fatto, ma prima è necessario sa perl o fare e sape rlo coma ndare».'

Questo è proprio quanto è richiesto ad una riforma illuminata.

t
M
224
Niccolò L eme dd/a Guerra. vol. l.
ondadori, Milano 1949.

VI

La gerarchia militare

Si è già visto co m e i Quadri effettivi dell'organizzazione militare siano per la maggior parte formati attraverso un processo rigido e impegnativo che, se pur per molti versi imperfetto, non ha equivalenti per severità nel mondo c i vile dove di rado ci si cura della preparazione dei Quadri, dopo l' inizio del rapporto d'impiego. Anche la selettività «militare», pur la sc iando spesso a desiderare , è più obiettiva e severa che in qualsia si altro organismo, fatta eccezione forse per qualche settore privato ad alta competit i vità. Di consegue nza, i vari gradi ma soprattutto qu e lli della dirigenza (colonnelli e gent:rali e gradi eq uivalenti) , dovrebbero venir conferiti solo a persone di elevata professiona lità, il cui numero do vrebbe essere es tremame nte limitato per ri spe ttare una struttura piramidale. Ciò appare tanto più n ecessario in quanto l'a mbi e nte militare ha le sue proprie peculiarità che fanno della gerarchia militare un caso decisamente «atipico» e esposto alle critiche e all'attenzione del mondo es te rno e interno all'organizzazione.

Come tutti sanno, nella gerarchia militare ogni li ve llo è id e ntificabile mediante un preciso «grado», ri co noscibile anche dai profani poich é indossato sopra un'uniforme e rappresentato con simboli invariati da te mpo. Non altrettanto avviene per la carriera civile dove i di ve rsi livelli gerarchici sfuggono alla comprensione dei «non addetti ai la vo ri» e ancor più all'attenzione d e l grosso pubblico. Si comprende

225

quello della carriera diplomatica *

(D P R. n. 775. 5 giugno 1972)

Raffronto comparativo percentuale tra il personale con qualifica dirigenziale delle Forze Armate e
RUOLI UFACIAU 6.4% Gen e Col
• L Poli. op cit. AREA DIRIGENZIALE RUOLI CARRIERA DIPLOMATICA Ambasciatori Min plen L 1" e 2" cl. 29.5% Cons. di Ambasc.
Segretario
Ufficiali superiori e inferiori 93.6%
ALTRE QUALIFICHE Consigliere legazione 1o
legazione Segretario legazione
70.5%

perciò la frequenza con cui si lamenta l'eccessivo numero di generali c di ammiragli, mentre è insolito che le stesse accuse siano estese alla dirigenza civile, anche se percentualmente più vasta: «degli ufficiali delle FF.AA.» scrive i l generale Poli «solo il 6,4% ha rango dirige nziale, contro il29% e più degli impiegati civi li dell'amministrazione dello Stato».

Se si tornasse , sia pur per poco, alla ridicola usanza fascista di far indossare a tutti l'uniforme, si potrebbe constatare quanti «generali» vi siano in altri settori dell'amministrazione dello Stato. Si prendano solo tre esempi, la magistratura, l'avvocatura dello Stato, il settore diplomatico. Nella prima, il vertice raggiunge il «primo» grado della dirigenza dello Stato e, nelle altre due, il secondo grado. Gli altri gradi, equivalenti a generale/a mmiraglio, sono straordinariamente diffu s i e non implicano un processo selett ivo troppo severo. Nella sola carriera diplomatica , sono 18 a raggiunge re il grado secondo su una massa di funzionari numericamente abbastanza modesta. Nelle Forze Armate, invece, il massimo grado è il «terzo» e corrisponde a ge nerale di corpo d'armata. I generali/ammiragli , pur essendo troppi , sono, poco più poco meno , circa il 2-3% del tota le degli effettivi, a seconda della Forza Armata , percentuale sicu ram e nte assai più bassa che non altrove, anche se decisamente più elevata della media delle FF.AA. occidentali più serie: per i generali di divisione, di brigate e gradi corrispettivi le percentuali sono ri spettivamente del 4 e dell'8%. I general i di corpo d 'a rmata sono 1'1.9% per l'Esercito, il 2,6% per gli eq uivalenti d e ll a Marina e il 2,9% per l'Aeronautica.

Basandosi su questi raffronti numerici ve rrebbe quindi la tentazione di assolvere i «militari» in blocco e di non parlarne più. Ma, prima di adottare tale comoda via d 'usc ita, sarebbe meglio vedere se il problema del grado nelle Forze Armate non sia qualcosa di diverso, con impl icazio ni assai più serie• riconoscibili obiettivamente anc he all'esterno.

Nell'ambiente militare, infatti, i gradi hanno una loro pre-

1 e relazioni sul rendiconto generale dello Stato,., 1968-69, citato in A. D'Orsi, op. cii.

227

eisa origine e motivazione, in quanto sono sorti per identificare specifiche funzion i di comando e non già so lo per classilicare date categor ie direttive o dirigenziali. Nell'Esercito, nella Marina e anche nell'arma più giova ne, l'Aeronauti ca, a ogni grado cor ri spo nde va a ll 'or ig in e un preciso livello di unità che con tale grado si poteva comandare. Particola rmente evidente, ad esempio, è tale associazione fra grado e funzioni di comando per i generali / ammiragli, il cui grado è associato allivello di formazione comandabi le come la brigata, la squadra, eccetera, in modo da ottene re così il genera le di brigata, l'ammiraglio di squadra, ecc... Pertanto, l'articola zione dei gradi corrispondeva, originariame nt e, a quei criteri di razionalità ordinativa che sono, ovunque e da sempre, essenz iali per la definizione chiara della linea di comando. La funzione di comando doveva essere l'un ico criterio va lido per stabilire qual i gradi fossero necessari a una razionalizzazione che facilitasse la riduzione al minimo indispensabile di tutti i gradini di comando. Infatti, quelli non indispensabi li- scriveva il gene ral e Paolo Supino- «introducono perico li di attrito e di ritardi nell'esecuzione degli o rdini , di difettosa comp rensione dei progetti operativi e di cattiva attuazione». Tali criteri però non potevano a llora tener conto di due fattori che con il tempo sarebbe ro entrati in contrasto fra loro: la stabil ità delle carriere e d ell e tradizioni militari da un lato, l'evo luzione ordinativa dall 'a ltro. Nel primo caso, i'lfatti , si rimane spesso vincolati, per motivi di car ri era , tradi zionali ed econom ici, a grad i da sempre ri cono scibi li come tappe obbligate, anche se quei gradi han perso di att ua lit à. Nel secondo caso, invece, es igenze operative o organizzati ve possono consigliare o di sciogliere un particolare livello di repa rto , vanificando così il grado corrispondente, o d i trovare una qualche corrispondenza fra grado e funzione nei sempre più ampi organismi buro cratici e di supporto, dove il problema grado/ funzione si presenta in term ini analoghi a quelli della società civi le.

Le due circostanze so no entra mbe un fattore di confus ione nei confronti della formula originale grado/ comando, rend endo assai difficile una soluzione uni voca. Inoltre, il pro-

228

blema si ri ve la se mpre più serio, anche per le forti pregiudiziali connesse con il conflitto fra visione tradizionale e realtà attuale delle Forze Armate. Il rapporto fra gradi ed incarichi si presta a infinite complicazioni e incomprensioni 1 come è d e l resto dimostrato dalle soluzioni adottate per assimilare alcuni gradi militari a categorie della dirigenza civile n e ll 'a mbito della Legge 804 del 1973. Comunque si tratti il problema , qualsiasi tentativo di creare un accettabile parallel is mo fra gradi militari e categorie civili porta a soluzioni del tutto artificiose.

Ai tempi d e l fascismo , per soddisfare l'esigenza retorica di far indos sa re a tutta l' Italia un'uniform e si era stabilito un primo, arbitrario parallelismo fra gerarchia militare e civile, che aveva finito col penali zza re i militari. Scrive il generale

Liuzzi: «Il reg ime fas cista, istitu e ndo un parallelismo fra gerarchie statali ed una corrispondenza di gradi , ai fini economici e di rappresentanza , fra le varie gerarchie dello Stato, finì con fare arretrare le gerarchie militari di uno o due gradi». 2 Ciò che aveva fatto allora Stefani fu però ripreso nel d o poguerra da Pizzalis e suoi successori, confermando nei confronti dei problemi d e ll e Forze Armate quella sorprend e nte continuità fra fas c ismo e d e mocra zia già riscontrata in altri settori. Se poi si considera che anche il vertice militare è stato abbassato , nel dopogu e rra, di un grado con l'abolizione del livello «Armata» e con la carica di maresciallo d'Italia , si può comprendere come una situazione già scadente sia stata ulteriorm e nt e peggiorata. Le conseguenze di tali sce lte sono chiare: penalizzazione delle Forze Armate in termini economici e di prestigio. Su l piano economico, questo arrembaggio nell'area militare ha concorso seriamente a peggiorare la piattaforma contrattuale delle Forze Armate , costrette ad arrancare di et ro il settore civile per ottenere qualche beneficio economico in modo da mantenere il rapporto carriera retribuzioni entro livelli accettabili. Si tratta di una fatica di

1 Sem./Spec.. «Le retribuzioni militari». in «Ri vista Militare>t, n. 5, 1981 : G. Roe ha t . L ·amimiluartsmo oggt. ci t., p. 18

2 G . Liuzzi, op. eu.

229

Sisifo che non risolve mai i problemi in modo soddisfacente: a ll'int erno di una soc ietà che te nd e a adottare la retribuzione economica come l'unità di misura dell'importanza funzionale e del potere contrattuale del lavoratore, la professione militare, nonostante quanto si dichiari, è ancora tenuta in poco conto. La carriera militare, peraltro, si presenta' «atipica» rispetto a quella civile anche per molti altri versi: «status», «impiego» e «carriera». Solo per quanto riguarda la carriera, si può genericamente osservare c he essa oltre ad essere molto più breve di quelle civi li, è assai più lenta e se lettiva. Pe r arrivare ai vari gradi e soprattutto a quelli dirigenziali si attende di più, si fatica di più, e ci si arriva in meno.

Sul piano del prestigio, e lemento non d e l tutto trascurabile in un corpo tradizionale quale le Forze Armate in cui il riconoscimento formale rappresenta un attestato es pli c ito dell'importanza del ruolo. tutta la scala ge rarchica, dal primo all'ultimo grad in o, è stata co llo cata in ombra, senza motivi obiettivamente vaJidi. Se, infatti, si possono comprendere i privilegi anche formali riconosciuti a lla Magistratura, responsabile di uno dei tre poteri dello Stato, il più elevato profilo di carriera e la preminenza gerarc hi ca, a nche solo formale, del civi le sul militare appaiono agl i occhi degli uomini delle Forze Armate invece assolutamente arbitrari in tutte le altre arce dell'amministrazione dello Stato, a meno che- si aggiunge - non si vogl ia affermare che la difesa del Paese e la funzione militare sono ent rambe di scarsa ril eva nza o comunque meno importanti di altre sfere d e ll'attività pubblica.

Dato che, comu nqu e la si val uti , questa mortificazione dei gradi militari appare gratuita, ci sarebbe da aspettarsi quanto meno che l'ambiente militare reagisse v i vacemente al fine di ripristinare lo statu quo prefascismo. Ma, al di fuori della protesta del generale Liuzzi, nessuna reazio ne se ria ha mai avuto luogo. Il che sembre rebbe dimostrare non so lo che «i

230
1 Sem.!Spec.. «Le retribuziom militari», cit.

militari non possono svolgere alcuna contrattazione»' ma anche che, al di fuori di occasio nati generiche denunce del «malessere delle FF.AA.» e della distrazione del Paese per i problemi militari, essi stess i non tentano mai di affrontare con continuità e e nergia problemi che possano irrita r e l'ambiente civi le, anche se solo sotto l'aspetto formale e protocollare. L'unica proposta, molto recente, prospettata dai «militari» è quella di elevare al grado di generale d'armata i vertici militari, cinque in tutto, ossia quanti sono i componenti del Comitato dei capi di Stato Maggiore. La prima reazione del mondo esterno, come era del resto prevedi bile data l'assenza di una qualsiasi preparazione psicologica preventiva, è stata negati va e la proposta è stata quasi universalmente ridicolizzata quale futile manifestazione di vanità.

Il caso, invece, è serio. Infatti. poiché la dipendenza di comando nella gerarchia militare è configurata dal rapporto fra i gradi , è del tutto logico c legittimo che c hi deve coma ndare debba avere un grado effettivo, e non solo funzionale, superiore ai propri subordinati. La sol uz ione italiana d e lla «quarta stella funzionale» e non effettiva -dicono i nostri ufficiali- è patetica e rap prese nta un goffo comp rom esso fra du e mondi, il militare cd il civile, in perpetua frizione. La «quarta stella» effettiva, conferi rebbe, in vece, una autorevolezza anche formale al Comitato dei capi di Stato Maggiore sia all'interno delle stesse Forze Armate, sia ne ll'ambito dell'amministrazione dello Stato. Anche in ambito NATO, dove le «quattro ste ll e» sono indossate da quasi tutti i ca pi, il ri conoscimento italiano sarebbe incontestato. Infine- concludono i militari italiani - se i capi militari sono, come dovrebbero esse re, anche a titolo simbolico la massima espressione delle Forze Armate verso l'este rno , sarebbe il caso c he si ponesse presto rimedio a una situazione che determina, per le c ircostanze già indicate, una collocazione protocollare assolutamente inaccettabile per il prestigio delle Forze Armate. A pochi militari può far piacere constatare che le «uniformi» e quindi anche quelle indossate dai loro

1 Sem ./Spec.. «Le retribuzioni militari». c iL

231

capi trovano posto. in molte occasioni pubbliche, dietro un considerevole stuolo di personaggi in civile, certamente rispettabili ma, sicuramente in gran parte meno rappresentativi per funzione e responsabilità. D'altra parte - si dice anche - non dovrebbe essere il prob lema del «grado» a preoccupare il Paese, ma piuttosto il fatto che tale riconoscimento non si traduca, come in passato, nel solo appagamento della vanità di capi militari privi dell'autorevolezza e del senso delle responsabilità verso lo Stato e l'organizzazione che rappresentano. In conclusione, la «quarta stella», se non vincolata al trattamento economico, non costerebbe niente e potrebbe servire a qualcosa, soprattutto se le qualità morali e professionali di coloro che la indossassero fossero all'altezza del compito c del prestigio che essa conferirebbe loro. Ma questo è un altro discorso.

La «quarta stella» è solo un aspetto del problema e neppure quello decisivo della gerarchia militare nel suo complesso. Perciò, dicono i nostri ufficiali, sarebbe stato più opportuno non limitarsi a guardare la punta dell'iceberg, ma estendere l'attenzione a tutta la sua massa, dimostrando oltre tutto maggior comprensione verso i problemi funzionali, morali ed economici di tutta la categoria militare. Ciò finora non è avvenuto ma -si aggiunge- c'è sempre tempo per cominciare, anche se ciò può significare scontrarsi con il resto della pubblica amministrazione, assai più abile e tenace dei «militari» ne l difendere i propri privilegi e le proprie pre rogative, anche perché sostenuta da una società che sembra indulgente nei confronti della dirigenza civile, mentre è estremamente critica verso quella militare. I nostri ufficiali ri cordano, ad esempio, i l grido di allarme di Lama nel 1979, ampiamente pubblicizzato sulla prima pagina dei giornali più prestigiosi, per gli aumenti retributivi ai «colonnelli!», dipint i come un fatto scandaloso, mentre essi erano solo la conseguenza di un miglioramento generalizzato di tutta la dirigenza dello Stato di cui quella militare beneficiava solo in quanto parte de l tutto. È giusto - aggiungono i milita r ichiedere alle Forze Armate di dimostrare la propria «democraticità» ma sarebbe altresì corretto che l'ambiente civile

232

dimostrasse anch'esso una autentica sens ibilità democratica verso quello militare, agevolando una più equa e corretta trattazione dei suoi problemi troppo spesso oggetto di pregiudiz i che ne ostacolano la so lu zione. Ogni problema va giudicato on its merits, per quel che vale, senza pregiudicarne le soluzion i con idee ed atteggiamenti preconcetti. Una più seria cd equa collocazione della gera rchia militare nell'ambito dell'amministrazione del Paese dovrebbe servire, inoltre, a far cessare l'inflazione dei gradi alt i che, in vari modi, si manifesta da alcuni anni e che ind ebolisce il prestigio e la credibilità delle gerarchie militari. Se, ad esempio, tutta l'equiparazione gerarchica fosse rivista in senso più favorevole per «i militari», facendo a tutti recuperare il liv ello perduto, gli attuali vertici militari si accontenterebbero presumibilmente del grado di corpo d'armata che ora ri vestono con la «quarta stella» solo funzionale. Infatti , Io sl ittamento verso l'alto di tutta la scala ge ra rchica porterebbe il loro attuale grado al «secondo», anziché a l «terzo» grado dell'ammini stra z ione dello Stato, ristabilendo la situazione quo ante fascismo. Non solo. Anche i gradi inferiori recup ere rebbero il posto nella scala sociale e professionale che. senza colpa, hanno perduto. Diventare generali, per acquisire pres tigio sociale, non sarebbe più tanto necessario. Per ora, purtroppo, l'ambiente militare- si lamentano i nostri ufficiali- ha reagi to male, dimostrando ancora una volta di essere il pegg ior ne mico di sé stesso. Accettando la svalutazione de l grado voluta dall'ambiente es terno e rinun ciando a lottare per ri valuta rlo , esso ha inflazionato il mercato degli alti gradi, sia aumentando le prop ri e esige nze organic he, sia produce ndo ge nerali ed ammiragli «fuori o rganico» attraverso un ' int e rpretazione estensiva delle leggi e leggi ne es istenti . Il fenomeno della espansione dei vertici ri en tra del resto nella tende nza di qualsiasi Forza Armata in tempo di pace, quando i contatti con l'ambiente civi le stimo lano i militari a imitarne le scelte, soprattutto se remunerative, e anche se controprodu ce nti per la serietà dell'ambiente militare. Parkin so n, a esempio, ha rilevato che l'organizzazio ne di vertice della Marina britannica tende va a espanders i in coincidenza con

233

la contrazione delle proprie forze e degli impegni strategici. Non si può, quindi, pretendere che il fenomeno non sia in qualche modo presente anche da noi; occorre rebbe però ass icurarsi che esso non prenda dimensioni troppo vistose. John Whittam rilevava che nelle nostre FF.AA. nel 1940 c'erano «troppi ufficiali superiori e generali»;' c'è da augurarsicommentano i nostri ufficiali più anticonformisti -che non controlli la situazione attuale! Manca- si dice- una chiara politica del personale che abbracci tutte le Forze Armate, unificando tutti i profili di carriera nel quadro di una visione interforze che tenga in giusto conto le aspettati\'e del personale. senza però distorcere vistosamente i vaJori fondamentali dell'organizzazione militare.

l gradi. almeno all'origine. quanto più erano alti, tanto più ampie responsabilità comportavano; il beneficio sociale ed economico era solo conseguente ed assai spesso marginale.

Questa chiara associazione fra grado e responsabilità impediva la proliferazione dei gradi alti, così come l'ancoraggio a ll a ri serva aurea frena l'immissione di carta moneta. Così come è avvenuto per la lira anche i nostri gradi militari rischiano ora di essere travolti da un'inflazione crescente. Il discorso è semplice. Tanto più numerosi sono i gradi alti, tanto meno valgono tutti i gradi , compresi quelli bass i. Se prima la massima aspirazione era diventare colonne llo. ora. anche i più sprovveduti. desiderano diventare generali. In Gran Bretagna dove, nonostante alcune concessioni all'espansione dei gradi alti. tutti i gradi e quindi anche i più modesti han mantenuto un loro prestigio, non è affatto insolito per personaggi illustri sfoggia re con o rgoglio il grado di «maggiore o capitano». soprattutto se legato a un corpo prestigioso. Liddell Hart, non era del resto «capitano»? Il rispetto del prossimo viene. infatti. soprattutto daJl'appartenere ad un insieme di indiscusso prestigio anziché attraverso l'acquisizio ne di un grado elevato, distribuito co n eccessiva generosità. Se è vero che, nella vita militare, fra il solenne ed il ridicolo il passo è breve, questo è certamen te il caso dei

J
O(J CII 234
'
Whittam.

«gradi». Al momento, l'organizzazione militare sta affrontando il problema nel quadro di una revisione inte rfo rze. C'è da augurarsi che da questa contrattazione emerga un prodotto accettabile evitando che, sul naturale desiderio di qualsiasi Forza Armata di prevalere sulle altre , non si inneschi per s tim o lazione reciproca una tendenza inOazionistica ancor più grave, che finisca col penalizzare gravemente la ser ietà collettiva dell'organizza?ione. Perseguire una politica assistenzia le anche in questo campo può, forse, soddisfare chi interpreta l'assistenzialismo come una giusta azione umanitaria che richiede un costo non troppo elevato sotto il profilo economico. Ma l'importanza del comando non si sostiene solo con dichiarazioni declamatorie e retoriche di dubbia efficacia , bensì facendo soprattutto in modo che gli attributi del comando, e fra essi anche il «grado», non siano distribuiti disordinatamente e che conservino, nella sostanza, tutta la loro concretezza. La sovrabbondanza di alti gradi sv ilisce il significato della gerarch ia militare e mortifica gli ufficiali più seri che. nonostante il maggiore impegno e la professionalità, si sentono membri di una categoria dai contorni indistinti e dalle dimensioni gonfiate. La società civile, che si imbatte in generali e in ammiragli a ogni pie' sospinto e che spesso non vi riconosce quella statura etico-professionale che sa rebbe logico attendersi dagli alti gradi delle proprie Forze Armate, non ha né il temp o né i modi per operare una distinzione fra bravi e meno bravi e fini sce co l fare d'ogni erba un fa scio.

Tutta la categoria è perciò giudicata secondo la serietà dei suoi membri meno seri che, del resto, sono quelli più spesso in ci rcolazione. Nello stesso ambiente militare lo sl ittamento delle carriere verso l'alto porta alla progressiva deresponsabili zzazio ne dei gradi più bassi, anche di quelli da sempre prestigiosi come, ad esempio, il grado di colonnello o di capitano di vascello. Ciò che una volta spettava al capitano, ora spetta al colonnello e le competenze del colonnello sono ormai affidate al generale! Questa deresponsabilizzazione ha efTetti assai gravi sulla demoltiplicazione della catena di comando, con la co nseguente mortificazione propr io di quei li velli che, in caso di guerra, dovrebbero reggere la maggior

235

parte del peso diretto dell'azione di comando. Continuando, così, a c urare le singo le piante se nza inte ressa rsi del bosco, tutta la ca tegoria se mbra avviarsi a un s ui ci dio le nto e so lo apparentemente indolore.

I grad i sono divenuti tal vo lta il principal e strumento per trattare più eq uam ent e il persona le, compensa nd o a ll ' int erno dell'organizzazione una situa z io ne criti ca, che la disattenz ion e politica non consentiva di ris o lv ere dall'esterno. Dato c he le retribuzioni dei militari erano lega te a l grad o, con la promo zione si offri va un aumento che altrimenti no n sa rebbe sta to possibile ottenere. Un esem pi o clamoroso , in parte ormai s uperato , è stato qu e llo della categoria «a disposizi one». compre nd en te tutti coloro che e rano sta ti ritenuti d alle Commissioni di ava nzamento «idonei», ma che non erano stati «prescelti» perch é in soprannumero risp ett o ai post i disponibi li . Questa nu ova ca tegor ia ri conosceva il grado e la corri spo nd ent e retribuzione eco no mi ca, se nza pe rò co nsentire l'asso lvimen to dell e funzioni ne l grado. Avve ni va, così, nel mi gliore dc i cas i. che il generale continuasse ad occ upare un posto da colonne ll o. pur indossando l' unifor me da ge neral e, o che, ne l pegg iore. ma anche più frequente , d ci casi, la posi z io ne dell '«a dispo sizion e» si tradu cesse in realtà in un rapporto di no n impi ego con l'& mmini strazi o ne. Qu es ta sol uz io ne, sodd isface nt e so tto l'a s pett o eco nomi co e de ll a vanità individu ale, mo rtificava i più se ri ponend o li in pos iz io ne de l tutt o ambigua c perciò fru st rant e. L' ambi e nt e civile non ha tard ato a ren dersi con to di un gran num ero di a lti gradi (circa 2000 ncll9 77 ), so tt oi mpi ega ti o senza in cari co, e ha in ev itabilm ente giudicato mal e il fenom eno , l' ambiente e la ca tegori a. L'ambient e po liti co, sia pur co n rita rd o, se ne è accorto a nch'esso 1 e le crit iche so no divenute più co rp ose anche all' int e rno de l corpo istitu z io nal e. L'ambi ent e militare adottando. ci si augura in buona fede ma certamente co n miopia. provvedimenti interni senza chie dersi se ri a men te quali ne sa rebbero state le co ns eg ue nze, offr iva di sé a ll'ester-

1 A. D'Alessio. La namlee la nstruuura::10nedelle FF.AA., ci t.; V. Ilari, l.R For::e Armau.> fra poltuca e pmere 1943-1976. ci t

236

no un'immagine poco affidabile coinvolgendo nelle critiche tutti, anche quelli che non avevano beneficiato del provvedimento. Le intenzioni erano state certamente buone, ma i risultati altrettanto certamente pessimi e decisamente contropr oducenti. Solo quando, con la Legge 804, è stata varata anche per i militari la carriera amm ini strativa, la categoria dell'«a disposizione» si è estinta, non senza aver consolidato nel tempo i suo i efTetti negativi. Si è così eliminata una grave turbativa per il problema della gerarchia militare, ma sono rimasti comunque in vita altri modi per inflazionare gli alti gradi. Il primo, quello più importante, nasce dalla maggiore esigenLa di vertic i militari, a causa di vere o presunte necessità dell'organizzazione. Oltre a questo, ci sono, però, altri cinqu e modi legittimi per far carriera, anche quando essa è tutta «artificiale» e soddisfa solo le personali vanità, dato che al grado non si associano né funzioni né responsabilità, ma solo riconoscimenti formali. Tali modi sono: per gli ufficiali in spc, la legge Durand de La Penne; per l'RSU (Ruolo Speciale Unico) la Legge 574; per tutti, la legge sulle promozioni in ausiliaria per le esigenze di mobilitaLione, quella a titolo onorifico per i partigiani c i partecipanti alla guerra di Liberazione. A questi c'è da aggiungere il ruolo d'onore e le promozioni ottenute in caso d i accoglimento del ricorso contro le Commissioni di avanzamento presentato ai Tribunali amministrativi regionali. In somma: pare che si sia presa troppo alla lettera l'afTermazionc di Napoleone che tutti «hanno il bastone di maresciallo dentro lo zaino», anche se nel nostro caso il «bastone da genera le o ammiraglio» non esce dallo zaino, ma da una pratica impiantata con pedante ria e pertinacia dai più attivi e che i più seri normalmente non afTrontano. Il numero dei generali e degli ammiragli «cfTettivi» è certamen te elevato, ma quello degli «extra» è addirittura da capogiro! Non c'è da meravigliarsi se questi gradi che do v rebbero esse re prestigiosi sono sempre meno quotati su l mercato del rispetto nazionale. Van Creveld. a proposito del problema degli ufficiali tedeschi della ris erva, ha scritto: «Indossare il grado di ufficiale della riservanormalmente quello di tenente o cap itano, con rara cccezio-

237

ne quello di maggiore- era un importante simbo lo di stato sociale». 1

La burocrazia , del resto , tende inevitabilmente a premiare non già chi ha più meritato, ma chi si avva le della interpretazione della norma a proprio favore , cercando, quando poss ibil e, sostegni in alto loco per forzare la mano a chi dec ide. Succede, cos ì, che qualcuno ottenga mentre è «a casa>>, in pantofole, promozioni imm er itate ben oltre il grado realment e rivestito.

Un nostro generale di corpo d'armata tra i più prestigiosi , si è se ntito rivolge re da uno sconosciuto l'invito «caro co llega, diamoci del tU>> , per scoprire subito dopo che il «pari grado» aveva las ciato il servizio molti decenni prima con il grado di tenente co lonnello, completando poi sulla carta la sua brillante carriera. Il richiamo , in caso di mobilita zione, pe r gli ufficiali «in ausiliaria» può corrispondere agli inte ressi dell'organizzazione, c he dovre bbe disporre all'emergenza di personale ancora va lido per colma re alcune la cune nella lin ea di comando. È però assurdo che, m e ntre si è in ausiliaria, s i venga promossi se nza far nulla per meri tarlo. Con la conseguenza di vedersi assegnare ipoteticamente, ma non irrealisticamente, in caso di guerra, un incarico di comando di livello s uperiore a qu e llo per c ui si era stati ritenuti idonei in tempo di pace. Forse cinq uant'anni fa questa agevolazione arcaica poteva ancora essere perdonata, 2 ma non può esserlo certo ora c he quello di co mandare è un compito sempre più difficile anche per i mi gl io ri che esercitano con continuità il m estiere. Un altro caso: il ruolo d'onore. Sembrerebbe dal nom e che esso dovesse includ ere chi ha pres tato servizio «con onore» nell e Forze Armate. Niente di più falso! II ruolo d'onore accoglie chi si è congedato «inabile al servizio incondi z iona to» e, in quanto tale, è promosso ge ne ral e. Le varie migliaia di generali e ammiragli che la Difesa produce e sparge per tutta l'Italia dopo la cessazione del servizio fan perdere credibilità al grado. Non è raro il caso, infatti, di

1 M. van Creveld. op. cit . z E. De Bono. op. cit.

238

alcuni che. avendo ri chiesto ed o tt e nuto l'ava nzam e nt o co n uno dei vari sis tem i i ndi cati, se ne avva lga pe r ottenere ne lla vita c i v il e' un posto assolu tam e nt e in adeg uato per il g rado che sfoggia. È so lo va nità , ma se essa individualm e nte è innocua , collettivamente è no c i va e cos ta cara alle FF.AA. e ai s uoi componenti.

Tutti gli studi di sociologia mil itare c he analizzano l'imp atto delle varie forme di ricompensa e di riconoscimento sull'ambiente militare ribadiscono che essi devono essere se mpre «meritati» e riconosciuti tali da tutti, «selettivi» e «rari». Esattam e nt e il con tra ri o di quanto si fa da n o i. Mo lto spesso. la te nt az io ne di co ncedere agevo laz ioni poco più c he onorifiche pu ò aver la meglio su chi è co n vi nto . per n on aver approfondito seriamente il problema. di pot er offrire un aiuto m o ral e senza detrimento di nessuno. È un po ' quanto avviene a li ve ll o naz io na le nel settore d e i riconoscimenti anche postumi a l valore, delle medaglie, d e i titoli ecc., d ove l'inflazione è d ecisa m e nte galoppante. Ma , in nessuno di qu esti casi , le conseguenze di un 'a ll egra ammini stra z ione sono così gravi co m e ne ll 'a mbi e nt e militare dov e, tra le altre cose, si viene a sva luta re insieme al grado la stessa fun z io ne a cui esso tradi z iona lm ente si associa. Una dimo strazio ne concreta e evidente d e ll e conseguenze prati c he di qu esta situazione è rapprese nta ta dall' obie tti vo d eg li Stati Ma ggio ri di garantire, per il futuro , a tutti coloro c he vengono ammessi all e Accademie, l'accesso alla diri ge nza e, se poss ibil e, al grado di generale. Per soddisfa re questo strano requisito, contrario ai prin cipi della selettività e alla competitività ne lla ca rri e ra conn essi co n qual siasi att i vità professio n ale, occorrerebbe limitare il numero d e i frequentatori dell e Accademie in proporzion e al num ero d ei futuri colonnelli e generali . Si anemi zze re bbero, così , i gradi e ffettivi più bassi pe r rea lizzare un 'o rga ni zzaz ione di tipo assis tenzial e, con carriera a «scatola chiusa» fino agli alti livelli. Ripercuss ioni gravi si verificherebbero indubbiam ente presso i reparti cui non

1 A D 'Orsi. op. c11 • p 60 239

potrebbe giungere sufficiente personale di inquadramento giovane c preparato e che sarebbero cos ì sempre più deprofessio'1alizzati e male inquadrat i. Pensare di gestire le Forze Armate affidandos i soprattutto su un vasto <<Precariato» nei gradi inferiori al fine di assicurare la carriera ad una minoran za, che già ora non appare del tutto di soddisfacente qualità , sembra decisamente pericoloso. Troppe volte si è sbagliato in passato in merito a l personale di inqu adramento, ufficiali e sottufficiali, adottando soluzioni apparentemente abili, ma prive di un serio approfondimento del problema.

Le strade perseguite da tutti i Paesi seri sono quella dell'esodo agevolato e del reinserimento in altra attività civ i: le per tutti quelli che non riescono a giungere agli alti gradi. E una strada difficile che crea però meno problemi e soprattutto meno fru st rati di qu ella del progressivo annullamento d ella differenza fra vertici e base con l'appiattimento delle carriere. Sono strade perseguibili, però, solo se il Paese e l'intera classe politica dimostrano di volere dei Quadri suffi c ien temente giovani, moti vati ed attivati da un cont inuo ricambio. Il problema della carriera militare è infatti un probl ema tanto politico quanto militare. La disattenzione o l'incomprensione politica possono favorire profili di carriera alla sud-americana, mentre un'attenzione po sitiva può stimolare scelte più razionali e soc ialm ente oltre che professionalmente idon ee per Forze Armate moderne e meno barocche.

Lui gi Barzini negli Italiani scrive nel capitolo «Il perenne barocco>> che «gli oziosi galantuomini (e, in minor misura, gran parte d egli altri Italiani) apprezzano ancora titoli pompos i ed ogni genere di attributo onorifico». 1 È certamente impossibile correggere una tendenza nazionale che, soprattutto negli ultimi decenni, sembra aumentare anziché diminuire. Ma sarebbe quantomeno opportuno ricord ars i che i «gradi» sono una cosa seria come è estremamente serio il comando di cui i gradi sono il simbolo. Proprio per questo,

1 Luigi Barzini, Gli /taltant. Mondadori, Milano 1964.

240

mentre si può la sciare il resto del mondo perseverare ne lla sua ri cerca di vanità forse ridicole, ma certo non gravi, nell'ambiente militare la situazione d eve esse re corretta.

Se l' innazione non può essere annullata , basterebbe per lo meno v incolame rigidamente il suo tasso di c resc ita a livelli decisamente più bassi.

241

La capacità operativa

La capacità operativa

La capacità operativa, timida traduzione di combat effectiveness («capacità di combattere») è l'elemento qualificante delle Forze Armate di qualsiasi Paese. La sua combinazione con la disponibilità morale e mentale a lottare rappresenta la forza combattiva di una nazione.

È perciò la capacità operativa il prodotto che si deve pretendere dalle Forze Armate e non quello eccessivame nte generico di sicurezza, la cui ampiezza e nebulosità sono tali da impedire una sia pur vaga sua rappresentazione concreta. Si potrebbe, comunque, sostene re che la s icure zza è semmai il profitto che il Paese trae dalla capacità delle Forze Armate a operare. Solo una capacità operativa credibile può costituire una garanzia seria per prevenire i conflitti, per far politica , per difendere gli interessi nazionali. Senza di essa, gli uomini , i materiali, le armi anche più sofisticate sono un castello di carte, pronto a sfasciarsi al primo impatto. Ma l'inte resse per la capacità operativa è in declino da quando il confronto Est-Ovest ha fatto dimenticare il resto del mondo e la «dissuasione» è diven tata lo scopo strategico principale. Quanto sia rischioso però lasciar decadere la capacità operativa è dimostrato dall e sempre più frequenti occasioni di confronto in varie parti d e l mondo. Un Paese non può pretendere di rimanerne estraneo solo in base al principio dell'«io non ci gioco». Una capacità operativa credibile e visibile all'esterno è quindi la condilio si ne qua non per tener

VII
242

lontane le minacce o, se necessario, per affrontare co n s uccesso le crisi.

Sono parte della capacità operativa fattori morali e materiali e, come scrive van Creveld «ciascuno dei due pu ò sopperire, entro certi limiti, alle insufficienze dell'altro, ma ognuno dci due senza l'altro no n serve a nulla». 1 Ma è anche vero che quanto meno imponenti sono i mezz i materia li tanto più diventano importanti i va lori umani: l'int elligenza, la preparazione, la vo lontà. Un Paese di media potenzialità quale il nostro deve perciò assicurarsi non solo che le scelte sulle armi e materiali siano soddisfacen ti ma che l' uomo, per scelta e formazione , sia in grado di va lo ri zza m e al massimo l'impiego. Qualità dell'uomo e qualità de lla macchina, saldati fra loro da un addestramento efficace, sono una ricetta sic ura per una capacità operativa eleva ta .

Ma chi avelli ha sc ritt o nel Prin cipe (Capo X IV) che «uno Pr incipe... debbe perta nto mai levare il pensiero da qu esto esercizio della guerra; il che può fare in due modi , l'uno co n le opere , l'altro con la mente». Non si potrebb e descrivere meglio la responsabilità politica nell a preparazione dello strumento mi litare. Anc he ogg i la ca pacità operativa non è otten ibile se nza una convergenza di sforz i po liti ci e militari , che ne co nse nt ano lo sv ilupp o in tutti i s uoi molteplici aspetti concettuali, organizzati vi ed esec uti vi. Una part e rilevante di qu esto processo la occupa l'add estrame nto , cui spetta di tra sfo rm are l'ucmo in combatte nt e, il reparto in un ' unità operati va. i comandi in ele menti propulsori dell ' impiego strategico e tatti co. Se nza addes tram ent o gli uomini , le armi , i mezz i so no solo costosi ed inefficaci attori in un 'o perasenza regista . senza trama , se nza orchestra.

Perciò l'addestramento, pur esse nd osolo uno de i modi per conseguire la capacità operativa, assume tal e ril evanza da

I legami fra l'addestramento e la capacità operativa
1 M. van Creveld. op. eu . 243

identificarsi spesso con il suo stesso fine. Ma è proprio l'addestramento uno dei settori in cu i siamo stat i drammaticamente carenti n el nostro passato. Una severa analisi storica della preparazione militare prima del secondo conflitto mondiale porrebbe in luce le gravi lacune nell'addestramento delle nostre Forze Armate , le cui conseguenze si son fatte sentire assai più della tanto lamentata carenza di materiali e di armi adeguate. Se poi allora si fosse condotto un addestramento realistico cor ri spondente ai fini operati vi da raggiungere , le carenze dei materiali sarebbero apparse evidenti, imponendo misure atte a ovviarle.

Altri Paesi entra rono allora in guerra con materiali inadeguati rispetto alle loro ambizioni politico-milita;i, ma la preparazione dell'uomo e dei reparti era stata curata con ingegno e meticolosità. L'addestramento era chiaramente finalizzato al combattimento. Nell'Esercito tedesco, a esempio, l'organizzazione addestrativa aveva tre precisi scopi: 1 sollevare la componente operativa dall'impegno addestrativa; simulare, il più possibile, le cond izion i del campo di battaglia; introdurre, costantemente, nell'addestramento le espe ri enze del combattimento. Questi scopi e ran o stat i da noi perseguiti da alcune unità speciali che, poi, diedero eccez iona le prova di sé in combattimento. Ma non lo erano invece stati dall'organizzazione addestrati va generale. Senza addestramento, qualsiasi concezione strategica o tattica, anche brillante, resta un vano eserc izio concettua le, priva di possibilità di esser tradotta in atti concreti. L'addestramento fa acquisire e mantenere la capacità di combattere, contribuisce alla coesione dei reparti, affina l'espe ri enza professionale, ve rifi ca la va lidit à delle dottrine e dei reparti. Secondo Downey, «la professione militare è forse l'unica a essere coinvolta, per periodi assa i lunghi, nella simulaz ione della realtà anziché nella realtà stessa».2 Solo l' addestramento può compensare l'assenza della realtà con una realistica simulaz ione. Il processo addestrativo deve muoversi secondo le

• M. van Creveld. op. cii.

244
2 J. Downey, op. cii .

indicazioni date da una dottrina semp lice, aggiornata e attuabile in rapporto continuo con il suo strumento esecutivo, la forza da addestrare. Il prodotto addestrativo è, in ultima analisi, il collegamento fra le previsioni del tempo di pace e le esigenze del tempo di guerra. Se le prev isioni sono state valide, le sorprese sgradevoli saranno poche. Se la stasi concettua le è nociva. quella addestrativa lo è assai di più. Anche un interesse non equilibrato per le scelte tecnologiche, che non tenga in giusto conto l'addes tramento. può rivelarsi controproducente. Puntare troppo sui materiali può essere assai rischioso e illusorio, una scelta «fragile» in caso di lotta armata.

L'addestramento, invece, consente di prevalere sull'avversario anche quando questi sia molto superiore in uomini e armi. Nell'ultimo conOitto mondiale i tedeschi ebbero spesso la meglio su fol7e superiori, quando «attaccavano o si dife ndevano....e quando, come normalmente avveniva, erano inferiori per numero». 1 In un'analisi dei due conOitti mondiali. Lanchester c Fiske 2 hanno analizzato le cause della frequente imprevedibilità dei risultati degli scontri e dell'importanza apparentemente marginale del rapporto di potenza fra i contenden ti , concludendo che fattori come il morale , l'u so d el terreno, la tattica seguita e l' impiego del fuoco «alteravano l'equazione del combatt im ento, vanificando così l'assioma del rapporto di forza favorevole come eleme nto di successo». Tutti i fattori indicati fanno riferimento all'addestramento. Né mancano gli esempi na z ionali: basta confrontare il rendimento in combattimento a El Alamein di unità addestrate come l'Ariete e la Folgore con quello delle altre unità che subirono la prima offen siv a britanni ca in Africa settentr ionale. La differenza di rendime nto è eccezionale. Sembra quindi indispensabile dare sempre maggior credito all'addestramento soprattutto tenendo conto delle prevedibili caratteris ti che del conflitto moderno. L'esige nza è impe-

' Tre vor D. N. Dupu y. A Genius for War. cita7ione in Martin van Creveld, Ftglumg f>ower-German Military Performance /914-1945. ciL 1 Citazione da Sam Sarkesian (a cura di). Combat E.ffecti1•eness. cit.

245

rativa per tutte e tre le Forze Armate, ma soprattutto per gli ese rciti , più esposti alle contraddizioni del combattimento e dove l'uomo «guerriero» è più che altrove protagonista. Con l'evo lu ?ione tecnologica, con l'a umento della poten za di fuoco, con la spiccata mobilità dei repart i, sembra probabile una sempre maggiore miniaturizza z ione degli scontri e una e leva ta dinamicità di atti tattici. Molti «micro-scontri» sembrano destinati a sost ituire per terra , per mare. per aria. i confront i di massa ancor possibili nel rece nte passato. Ma , affinché le tecnologie siano impiegate con successo occorre che. non solo il singo lo materiale sia gest ito da personal e addestrato. ma che tutti gli atti tattici siano componib il i in una visione unitaria dello scontro. Se ciò non è possibile, il risultato inevitabile è un in sie me di scontr i indip e ndenti di scarso rili evo per l'esito della battaglia.

Ma l'unitarietà degli sforzi. pur nell'indispensabile autonomia di ciascuno. è possibile solo se l' addestramento del tempo di pace ha costantemente coinvolto. in modo realistico, tutti i livelli. dal comando più elevato al combattente indi viduale. Ove ciò non avvenga, l'insuccesso è garantito. perché. i Comandi. non sufficientemente collaudati. fanno modesto uso di un sistema di co mando, controllo c di comunicazioni tecnologicamente so!ìsticato, ma difficil e da impiegare bene, e i reparti, privi di un addestramento approfondito. ce rcano rifugio in comportamenti sc hematici n el quadro di situazioni che rifuggono da ogni coordinamento. Solo repa rti e comandi addestrati possono sperare di seguire «la tradi?ione tedesca delle direttive ad ampio respiro e dell e iniziative indi vi d ua li », 1 non re stando agli altri che di essere rigidamente vincolati «dal controllo meticoloso e dagli ordiI nidi operazione dettagliati». 2 Aggiunge Scott che, anche «il comportamento combattivo... dipende molto dai modelli e dall'addestramento». 3 È perciò ev id ente come sia essenz iale

1 Roger Bcaumont e William Snydcr. Combat E.ffec/lveness- Pradygms and Paradoxes. in Sam Sarkcs1an (a cura di). Combat E{lecm·eness. ci t.

1 R. Beaumont e W. Snyder. op. eu.

'John Paul Scott. Lecture on .-lggressum. citato in R. Beaumont e W. Sn} der. op. CII .

246

offrire modelli tattici e un addestramento validi. Da noi, ancora troppo s pesso c i si compiace inv ece presso i maggiori comandi di «soluzioni geomet ri che» di tip o badog liano, de lla m e ticolosità e accuratezza di ordini tanto curati nel d e ttaglio concettuale quanto approssimati su quello organizzativo . Questa mentalità viene trasferita a nche sul campo di prova e a tutti i livelli, dove si trae conforto dalla perfez ione esecutiva di atti provati e riprovati , dal loro sincronismo, dalla uniformità dei co mportam e nti , dalla simmet ri a d e ll e esecu z ioni, anche se quanto a c redibi l ità questi modelli non ne hanno alcuna, se non come effetto scenic o.

L'addest ramento non limita fa sùaimportanza a l momento operativo dell'impiego de lle unità com battenti , ma condiziona e ispira vari settori di interesse delle Forze Armate, come quelli del personale, d ell'ordiname nto , della logistica , tutti legati da una politica addestrativa comune. Non c'è problema militare che non contemp l i uno sforzo addestrat ive.

L'addes trame nto coinvolge gli uomini e i materiali, n e caden za e regola l'impi ego indi vi duale e collett i vo e, come già detto, interviene in modo incisivo a formare Io spir it o combatt ivo indi vidua le e collettivo. Machiave lli nell 'Arte della Guerra, ha sc ritt o che «la natura gene ra pochi uomini gagliardi e lo esercizio ne fa assai». Lui stesso, genio politicomilitare della sua epoca, era assai poco «gag l iardo» nell'impi ego dire tto delle armi. Difettava, anche lui, di a dd estram en to.

L 'influenza dell'addestramento individuale e collettivo

Willi a m Hau se r , 1 nell'analizzare Io spirito di gruppo, indi vidu a quatt ro aspetti tutt i riconducibili all'addes trame nt o: la subordinazione , la pa u ra, la lealtà, l' orgog lio.

La s ubordin azio ne, e le m ento inscindibile d e lla realtà m i ti-

• W. Hauser. op. cit. 247

tarc. scaturisce naturalmente dalla pratica addestrati va nella quale ogni attore assolve il proprio ruolo in un con tes to gerarchico ben definito e funzionalmente motivato. La gerarchia, del resto, è una conseguenza diretta della necessità di comporre sforzi a liv ello crescente nel quadro di una co ndotta unitaria. La subordinazione delle funzioni, e non la sottomissione degli in dividui, si conso lida nel quadro di un addestramento in cu i ogni liv ello svolge responsabilmente il proprio ruolo , in condizioni di disagio, fatica e rischio comuni e dove l'esem pio costituisce il motore principale. Luttwak e Horowitz affermano che «l'autorità formale dci gradi superiori era indispensabile per introdurre cambiamen ti , ma non bastava da so la a deciderne il contenuto». 1

Tutto il processo evolutivo nasce infatti dalla collaborazione di tutti sotto la guida dei capi, i quali devono affermare il proprio «car isma» con l'esempio e la costante dimostrazione del loro diritto all'eserci zio del coman do. In tempo di pace ciò è possibile solo o soprattutto durante l'addestramento. De Gaulle ha scritto che «l'uomo che comanda deve affidarsi più a l suo valore che alla sua funzione». 2 Come però dimostrare ai reparti il proprio valore se non con la costan te e diretta partecipaz ion e all'addestramento? Per quanto riguarda il soldato, la subordinazione stabi lita sulla base della fidu cia e stim olata dalla convivenza addestrati va, costituisce un 'utile garanzia in caso di confusio ne, incertezza, paura.

La «paura», la più grande in cog nita del comportamento individuale e co ll ettivo, può esse re controllata meglio da chi è sta to posit ivame nt e condiziona to da un addestramento reali stico e psico-fisicamente imp egna tivo.

In un Seminario «sulla paura e sul dolore», pur attribuendo il giusto valore al coraggio innato, si è co nclu so che «probabilm ent e il meccanismo più importante per aiutare il combattente a controllare la paura è offerto dall'addestramento in condizion i di combattimento». 3 Si aggiunge che «la frc-

1 Edward Luttwak e D Horowitz. The Army, Alleo Lane , Penguin Books. London 1975.

1 C. dc Gaulle. op. cit.

'((Fcar and Paio)). Seminario presso il Royal United Scrvices Jn stitute di Londra. 7 novembre 1979.

248

quente espos izio ne a condi z io ni di co mbattim ento reali stiche durante l'add es tramento è il modo più efficace per in segnare al co mbatt ent e» a non farsi assalire dal pani co. Inoltre, agendo positivamente sul con tr ollo dell a paura , «l'addestramento co ncorre a nche a m iglio rare l'e ffi cacia del co mp ortamento individu a le e collettivo». La pa ura , infatti , impedis ce comp o rtamenti raz ionali e coo rdin at i, rendendo impossibi le ogni impiego razionale del fuoco o l'esecuzione della manov ra. È sta to accertato che «solo dal 15% al 25% de i so ldati dirigono il proprio fuoco co ntro il ne mi co, se attaccati di sorpresa "mentre" unità bene addestra te co n un comandante capace, reagiscono probabilmente bene in una situazio ne di perico lo... an c he se i soldati si sen to no me ntalme nt e paraliz zati».1

Il reali smo addestrativo crea perciò le migliori co ndizioni per un solido co mportam e nto psico logico e tec ni co durante le operazion i, immuni zzando pa rzialm en te da ll a pa ura e dal dolore.

La «fatica», anch 'essa parte imp ortante dell e vulnerabi lità psico -fi sic he , è stata oggetto di trattazione in un altro Seminario , dove si è co ncluso che «lo stato fisico e me ntal e dell e trup pe ... è vitale per l'esi to di una battagl ia, soprattutto quan do il nemico è superiore in for ze». 2 Considera zioni analoghe vengo no formulate da du e ana li s ti che, sos ten e ndo l' importan za di operaz io ni co ntinu e, se nza sosta né ripo so, oss er va no che «forse l'aspetto più imp orta nt e de ll e o perazio.ni continue è il di sporre di trupp e ad a lt o li vello di addestrament o e di disciplina , la cu i res isten za deve essere messa alla pro va agli est re m i limiti e di comandi di alta co mpe tenza a tutti i li ve lli , in circostanze est remame nte imp eg nativ e». 3 Sullo s tess o soggetto «operazioni continue», un alt ro es perto afferma che «mai l'add es tram e nto per la guer ra è stato più imp ortante. Eppure in pa ce assai spesso si rinunci a a un

1 «Fear and Pain». cit.

2 «Fitn ess for War. Food and Feci>>. Semina rio presso il Royal Uni ted Serviccs l nstitute di Londra. 7 novembre 1979.

1 J.J . e J.C Scharfen. «Continuous Land Opcrations. Are We Only Half Effective?». in «Royal Unned Serv1ces l nstitute Joumab>, giugno 1978.

249

addes tramento realistico e imp eg nati vo».' Sfogliando testi o ri vist e stranieri, rapporti di stud i e di seminari, si potrebbero cita re moltissime altre fonti , che sono giu nte tutt e alla stessa conclusione. Nel Libro Bianco del Governo britannico. The Falk/ands Campaign. The Lessons, si aiTerma per esempio che <da campagna ha messo in luce l'importanza della solidità sia fi sica sia morale. Per avere e mantenere ambedue è necessario mantenere il livello dell'operatività e dell'addestramento più alto possibile». Sen za addestramento è inut ile sperare di pot er co mbattere bene. Si di ce che se i soldati vi ncono è perché hann o coraggio, se perdono è perc hé hanno pau ra. Ma tali verità solo apparentemente lapalissiane. non spiegano ancora perché alcuni reparti si comport ino in un modo c altri in un altro c soprattutto non a iutano a far sì che il buon comportamen to in battagli a diventi la norma e non sia l' eccezione.

La « lea ltà» è un altro elemento importante per ridurre le vu lnerabi lità psicologiche. Essa si traduce in lealtà verso il Paese, verso il proprio reparto, verso i colleg hi. La «lealtà» è in oltre causa ed ciTetto della «coesione», di qu ell'imponderabile che gli uomini uniti in situazion i d i r ischio e paura. Essa deriva o da l rapporto deontologico fra il citt adino ed il proprio Pa ese. o come prodotto empirico del rapporto fra l'ind ividuo e l' ambiente in cui opera. Questo seco ndo tipo d i lealtà. per la sua natura non sponta nea, ma acquisita nel tempo attrave rso l'esperienza. richiede l' ins taurazione di una co nsuetud in e di lavoro, di disagio e di rischio da tutti co ndi visa . Non è perciò in causa solo la va lidità del processo addestrativo . ma anch e la s ua durata e la sua continuità come occasione di in con tro, conoscenza e reciproca ver ifi ca fra i com ponenti di una stessa unità. Quando troppo spesso si frantuma co n leggerezza l'addes tram en to, disperdendo in mille r ivoli il personale, sì producono danni ben più grav i di quelli di un 'i nadempienza tecnica del processo addestrati vo.

Seco nd o Hauser, «non pare realistico. in tempo dì pa ce,

1 M.C Hunt - Da vis c D M Freedman. <cCon tinuous Opcrations)). m «Royal Unitcd Scrv1ces ln stitutc Journal)), scllcm bre 1980.

250

fare affidamento sulla vocazione patriottica, per preparare psicologicamente i soldati a una guerra che è di là da ve nire» .' È anche vero inoltre che solo una stretta minoranza. in ogni Paese, trae forza dalle proprie convinzioni patriottìche, 2 mentre la grande maggìorann dei cittadini ha bisogno dì un traum a nazionale permobilitarsi. trauma che, in ogni caso, ci sì augura sempre di evitare. Occorre perciò fare affidamento ancora sull'addestramento. perché esso è il modo più efficace per stabilire un rapporto diretto fra le tradizioni, la vita del reparto c gli uomini che lo compongono. Se un reparto è privo di tradizioni, ma ha una forte motivazione addestratìva , la lealtà su cu i può contare è comunque assicurata. Un ultimo asp etto di ordine morale è l'orgoglio. individuale c collettivo. Il primo può esser stimolato da un addestramento sana mente competitivo. Il seco ndo deriva principalm ente dalla convinzione di appartenere a un'unità di prestigio per tradi?ioni e professionalità. Le condizioni ideali si verificano quando le prestalioni di un reparto coincidono co n le sue tradizioni del passato. Quando ciò avviene. lo spirito di corpo ha sostanza e i riconoscimenti formali sono meritati. A tal e proposito, von Blummcntritt ha detto che «per migliorare lo spirito di corpo delle unità ... di élite, dovrebbe ad esse venir dato non solo il miglior equipaggiamento cd i migliori mezzi addestrativi, ma anche un'uniforme che le distingua dalle a ltre». Ciò, per inci so, dovrebbe scoraggiare gli sforz i degli standardizzatori di uniformi che vorrebbero vedere tutti uguali. È però importante non commettere l'errore di attrib uire alle unità un «elìtismo» che esse non meritano, rendendo artificioso il rapporto fra la solennità del riconoscimento formale e la povertà della sostanza operativa dell ' unità.

Il merito , l'impeg no sono i so li metri validi per ric onoscere il prestigio militare. Senza merito anche la più prestigiosa tradizione degenera nel ridicolo. L' addestramento, la sua

• W . Hauser, op. cit.

2 Vedi Shtls e Jan owitl. <<Cohesion and Oi sintegrauon in the Wehrmacht tn World War Il», in «Publt c Opinion Quarterly 12». 1948.

25 1

verifica sono i mezz i più validi per coltivare il merito e riconoscerlo.

L'interesse per l'addestramento

Nel settore dell'addestramento le lacune nelle nostre Forze Armate sono però serie, e non solo per carenza di ri sorse umane e materiali, cause importanti , ma non decisive del decadimento addestrativo. Alcuni comandanti si autoassolvono per la loro incapacità di motivare le proprie truppe in una attività tipicamente militare chiamando in causa la mancan?a di spirito patriottico. Ma si è già visto che essa non è, soprattutto in tempo di pace, un motivo determinante del disimpegno del personale. Altri, anche ai vertici, temendo di appa ri re «bellicistici» propongono immagini alternative per le Forze Armate, come quella educativa, sociale, promozionale, di protezione civile, cioè tutti prodotti secondari della p reparazione militare. L'addestramento, fatto poco qualificante per chi è disposto a modificare la p ropria immagine purdi essere bene accetto, è stato confinato così fra le p r iorità piuttosto basse. Ciò ha provocato un decadimento generale dell'attenzio ne ve rso i problemi addest rativi, salvo nei cas i in cui singol i reparti, fortemente motivati per spontanea vocaz ione, hanno continuato a perseguire traguardi addestrativi seri. Anche lo sport, base indispensabile non solo per un addestramento serio, ma anche per un cittadino sano, interessa marginalmente, quel tanto che basta per far figura re pochi eletti in importanti manifestazioni celebrative. Si convalida, così, anche all' interno delle FF.AA., l'immagine dello «sportivo che guarda» rispetto a quella dello «sportivo che partecipa», non tenendo conto del fatto che i soldati, di cui si cerca di interpretare i desideri, senza peraltro riuscirvi, gradirebbero invece mettersi alla prova fisicamente. Scrive Ronza: «generalmente, i soldati si misurano di buon grado, più di ogni altra cosa nelle ore di ginnastica c negli addestrament i che comportano attiv ità fisica».' In tutti gli Esercit i

1 R. Ron7a , op rit. 252

l'efficienza fisica è un imperativo assol ut o, sottopos to costantemente a verifica. Ad ese mpio , l' Army Perso nn e l Research Establishmen t britann ico, av e nd o ri sco ntrat o il d ecadim e nto di forma fisica della truppa dopo l'addestramento preliminare, la scarsa e ffi cie n za fisica d e l45% degli ufficiali e dei soldat i duran te le prove previste, l'eccesso d i peso ne l 40% degli u ffic iali e truppa, è corso a i ripari e con la direttiva Fittojìght («in forma p e r co mbatte re») ha prev is to programmi e prove fisiche più se ri. Da n oi, per ora, sarebbe solo possib i le il co ntrollo d e l peso, dato che le bilance non manca no in tutte le caser m e, m e ntre le p rove sono un ri cordo d e i primi contatt i co n l'am bi e nte militare. Ma - di co n o m o lti nostri uffi c iali- se cominciassi mo almeno con di e te v igo rose e un 'attività fisica anche legge ra i benefici per i si ngo li e l'o rganizza7.ione si vedrebbe ro. Migliorerebbero il dinamismo e l'umore de i re parti , il rendimento ne ll'add est rame nto , scompari reb bero le alienazion i. Si conco rre bbe inoltre seriam e nt e allo s forzo del Pa ese in campo sa nitario , restitu e ndo cittad ini più vigoros i a l termine d e lla leva, e mant e nen do in fo rma i «professionisti», se nza altri acciacc hi oltre quelli do v uti all'età.

L 'alienazione dei giovani

La m i naccia maggiore a l nostro territorio naziona le è co nsid e rata , in te rmini a e roterr estri , qu e ll a ne i co nfronti dei n ostri confini orientali e, in part ico la re, ,dello Scacc hiere Nord-Est , la cos idd e tta Soglia di Gorizia. E quindi naturale che in qu es t' arca s iano sta nziat i e si addes trino i più consistent i ammassame nti di truppe, cos ì semb ra logico che, in caso di gue r ra, la dife sa d e l territorio s ia assicurata da una rappresentanza più ampia poss ibile della popola zio ne . Per soddisfare questi due requisiti, e ten e ndo conto che una min accia terrestre di gran di dimensioni non è ipoti zza bil e ne ll'Italia ce ntro-meridionale , è, dunque , in evitab il e c he una parte dei giovan i dell e regioni m e no es poste sia tra sfe rita lonta no d a casa . Per molti , questo è un fatto po co gradito.

253

Ad agg ravare il problema int ervengono , poi, le «mamm e» e i «po liti ci». tra sfo rm a ti in sociologi d 'occasio ne. Se persi no la sociolog ia stat unitense ri co nosce l'esistenza di una mama 's boy s.rndrome1 («la sindrom e del figlio di mamma»). si può imma gin are co me il feno meno 1 sia ancor più ril eva nte da noi dove la c ultura della mamma è un fatto na zional e. Si è in ve ntata così la «alienazione da di stacco», con il risultato che, co me ne l caso degli ipocondriac i, pe r i quali la conferma della propr ia malattia imm agi naria è motivo di co nforto, molti giovan i ha nn o finito co l sent irsi più alienati di qu a nto in realtà non siano. A loro vol ta , preocc upati della ali enazione dei loro so ld ati . ta luni comanda nti , sostituendosi alle mamme, hanno creduto di tene r buoni i giovan i co n i sis te mi tradiz io na li del miglior cibo. di più licenze, di minor lavoro. La frequenza co n cui vengono co ncess i in molti re parti permessi e li ce nze o tti ene peraltro l'effetto co ntrario. Troppo frequenti ri entr i in famiglia, destabilizzano il giovane e comprometto no il suo in se rim e nto nel reparto , la cu i coes ion e va a farsi benedire. Se è saggio non tene r in caserma i giovan i quand o no n ha nn o null a da fare. non si comprende, però, perché in alcuni repa rti , di norma i mi gliori , il temp o non bas ti , mentre in altri gli spazi vuoti siano molti e frequ enti. Ron 7..a, 2 circa 14 ann i fa, auspicava l'adozione di va ri e mi s ure per migliorare l'ambiente sociale dei soldati di leva. Quasi tutte le mi sure da lu i proposte sono state adottate: la libera li zzazione dci limiti di presi dio, l'uso dell 'a utomobile privata, la non di sc riminazi one sui treni , l'a ut orizzazio ne a indossare l' abito civile, il miglioram en to del vitto, l'aboli zione del <<tu» dai superiori a1 soldati, l'aum ento dei sa lari, l' abo li zione dell'attendent e, l'a um ento dell e li cenze, quas i sestuplicato. Sono diminu iti, ma non sco mparsi, gli imboscati. AJtre agevolazioni sono state introdotte dai vertici politici e militari.

Mo lte e forse addirittura tutte le proposte erano giuste, ma no no sta nte tutto l'ali enazion e del sol dato non è diminuita, anzi

aumentata; egli è più che mai un «precario» morale e

2
254
è
1
P. H ersey e K . H . Blanchard. op. cit.
R. Ron1.a. op. CII.

funzionale nell'ambiente militare. Sarebbe perciò il caso che si indagasse seriamente sulle cause di un fenomeno che, comunque lo si giudichi, esiste. In a ltri Paesi , dove il problema è stato afTrontato analiticamente, si è constatato che le forme di alienazion e più gravi non sono la conseguenza della temporanea mancanza di affetto o delle co ns uetudini dell ' ambiente di provenienza, ma , in vece, della difficoltà da parte dei giovani di comprendere il ruolo che la società assegna loro e, nel caso particolare, della incomprensione del loro contributo alla vita militare. È ciò che Ronza chiama «il sacrificio cieco, di cui ness uno. nell'ambiente, dà giustificazione». Ma non è solo l'a mbiente militare a essere responsabil e di questo vuoto culturale, lo è soprattutto la società in senso lato. All 'a li enazione sociale dei giovani, infatti , contribuiscono ovunque «.la perdita dì fiducia nelle istituzioni. nel sistema scolastico, nei governi». Nell 'a mbi ent e militare l'alienaz ione assume forme più vistose perch é vi si conce ntrano , per periodi relativamente brevi , moltissimi giovani in fase di formazione. La vita militare conco rre a accentuare l'alienazione quando essa si rivela incerta nelle sue motivazioni , vana, futil e, dispersiva.

La vita di un giovane alle soglie de ll a maturità non va sp reca ta , condizionandola a un obbligo che il giovane non comprende e che. più di tutto, non si traduce in qualcosa di serio e concreto. Planchai s in Francia e Ronza in Jtalia sostengono che i giovani non sono ini z ialmente ostili alle Forze Armat e, bensì neutralmente disponibili. Un sociologo americano de finisce l'a tt egg iamento dei giova ni apathetic, che è poi la stessa cosa. Planchais aggiunge anche che essi sono ben diversi da come i politici e i mass-media li dipingono. Solo che si riuscisse a convogliare questa disponibilità dei giovani , qu es to senso di attesa, verso forme di responsabili zzazio ne, di maggior maturazion e fisica e moral e, di acquisizione di una coscie nza collettiva, si farebbe un ottimo servizio , non solo all'ambiente militare, ma anche agli stessi giovani. In caso contrario, è in evitabile che «le caserme fabbri chino degli antimilitaristi perfettamente condizionati».!

t J. Planchat s. op eu • 255

Come combattere l'alienazione

Per combattere l'a li enazio ne semb ra che c i siano due vie da seguire: un intenso sforzo educa ti vo per far comprende re il va lore dell e istituzioni nella società; un addestram ento vigoroso, int e lli ge nt e, impeg nat ivo. La prima, pera lt ro irrinuncia bile, ri chi ede un impeg no not evole in un 'a rea nella quale le Forze Armate non hanno una co mp eten za specifica e so prattutto non disp ongo no di basi addestra ti ve. Molti Eserciti hann o t en tato di riso lvere il proble ma dell'educazio ne civica del soldato, ma « la mancanza di successi sembra finora indicare che la via segu ita non semb ra prometten te».'

Tant o meno lo dovrebbe essere in una soc ietà quale la nos tra, dove l'educazio ne civica diserta gli stess i banchi della scuo la. La strada dell'addestramento, in vece, dicono i nostri ufficiali , è un terreno familiare alle Forze Armate e soprattutto adatto a rafforzare in termini psico-fisici l'individuo e a insegnargli materi a lm ente a co ll abo ra re a ll'interno di una comunità co mposita so tt o l'aspe tto soc io-c ultural e. Ro mme l sosteneva che l'add es tram ento è la migliore form a di benesse re per un soldato. La st ima e l'affetto che i suoi so ld ati se nti va no per lui è la mi gli o re dim ost razio ne che non sbagliava. Se la forma più ev id ente di alie nazione è l'accettazione passiva di una situazione che psico log icam ente si rifiuta , un add es tra mento che stimoli l'ini zia ti va sembra a molti no st ri uffi cia li un mezzo va lido per restituire all a società dei giovani più sic uri e meg li o inserit i. Secondo alcu ni studi compiuti :lll 'este ro , la respo nsabilit à d ei nostri in success i nella seconda guerra mondiale viene attribuita a ltresì alla nostra cultura nazional e ca ratte rizzat a dalla ali enaz ion e polit ica, dall 'iso lam ento e dall a sfiducia sociale e le cu i co nseguenze sono «una indi s po nibilità a pensa re in h.:r mini patri o tti ci, a ri conoscere l' obbligo alla partecipazione a impegni co ll ettivi e la validit à dell ' ambi ent e sociale». 2

Il giudi zio, difficilm ente contestabile anche se severo, fa

2 Gabriel Almond e Sidney Verga , Civic Culture, Little, Brown, Boston 1965.

' W. Hauser. op. cit.
256

dell'alienazione un fenomeno nazionale, frutto di una ca renza di cultura politica: non siamo, del resto, noi stessi solit i a vantare il nostro indi vidualismo? Gramsci, pur riferendosi ad un a ltr o periodo storico, lamentava l'assenza di una direzione politica in grado di rafforzare l'Eserc it o, va lorizzan done il collegamento con le istituzioni, c di guidare le masse in una guer ra. Ma la nascita di una coscienza naz iona le nelle ultime fasi del primo conflitto mondia le è stata soffocata dal mare di retorica del ventcnnio fascista e dalla disattenzione di questo dopoguerra. Nonostante tutto, molti nostri reparti, r icordano con orgoglio i nostri ufficiali , hanno combatt uto benissimo durante il secondo conflitto mondiale, grazie alle loro salde tradizioni , a una forte compattezza mora le e al fatto di essere sta ti sottoposti a addestramenti duri e difficili.

Anche oggi, del resto, in tempo di pace, ne i casi in c ui i capi sono intell igenti e motivati, c'è un forte spirito di co rpo , e l'add estramen to è stimolante e imp egnativo, i reparti diventano facilmente una comunità solidale e solida, co nvinta di avere più delle a ltre un dovere da compiere. È co nvinzione, quindi , di molti uffi ciali che nell'interesse de l so ld ato e d ella società , a nche a prescindere dai leg ittimi obiettivi di tendere ad un 'alta efficienza militare, si debbano concentrare gli sforzi verso un dec iso potenziamento dell ' addestramento. Nelle unità più imp egnate, si dice , l' alienaz ion e è assente o margi nale. Dannoso, invece, è indulgere in forme sost itutive dell'addestrame nto o eccess iva ment e protettive nei confronti dei soldati, soprattutto quando esse non sono la co nseguenza di scelte spontanee, bensì di tend enze alla fa ciloneria o alla ri ce rca di popolarità.

Gli ostacoli all'addestramento

An zi tutto , il primo ostacolo all'addestramento è la nostra mentalità . La nostra na tura e la nos tra cultura, entrambe inclini a ll 'i mprovvisazio ne, sono un primo serio ostacolo a ogni sforzo, intelligentemente medit ato, meticolo sa mente

257

predisposto e perseguito con tenacia. 1 L'improvvisazione e la genialità, se non sono sostenute da una se ria preparazione, si risolvono in faciloneria e portano al disastro. Ciò è ben noto anche a chi pratica solamente sport che comportano qualche rischio. Quando le due cose si combinano favorevolmente, si ottengono le st rabilianti imprese dei reparti d'assalto della nostra Marina, quelle degli alpini nel primo e secondo conflitto mondiale, le cariche di cavalleria e via di seguito. Ma, a li vello più generale, non sembra esistano le condizioni più favorevoli un addestramento serio, e nelle stesse Forze Armate gli ostaco l i non mancano. InOuiscono sulla precarietà addestrativa: l'insufficienza quantitativa e qualitativa dei Quadri, la scarsità delle strutture e dei mezzi addestrativi e la discontinuità degli sforzi, tipica di forL.e composte principalmente da personale a breve permanenza e frequente rotazione. Il problema dei Quadri è forse uno dei più gravi in quanto a complicar lo concorrono deficienze di qualit à e quantit à, squilibri nella preparazione professionale, n ell'impiego, n'! ll a motivazione. Cionondimeno i Quadri restano la chiave del problema. Tutti i settori ne sono coinvolti, dal «persona le», cui competono i movimenti dei Quadri, a quello dei «materiali» che cura le istruzioni per l'addestramento dei sistemi di nuova tecnologia, a quello «finanziario» che assegna i fondi, all'«ordinativo» c he stabilisce tipo e entità dei «modul i» da addest rare. Il settore che si «occupa» d elle operazioni, cui spetta definire l'impiego del reparto co mbatte nte, è anch'esso naturalment e interessato all'addestramento. Sono interessati all'addestramento scuole e enti addestrat i vi ai diversi li ve lli, respo n sabili della preparazione della truppa e della formazione professionale dei Quadri . L'organizzazione addestrativa costi tuisce un compl esso bene articolato, raziona lm e nte distribuito e decentrato . Pot rebbe fo rse esse re migliorata sotto questi tre aspetti, ma questo non è quello che conta. Come in altri settori, sono in prima istanza l'elemento umano e solo successi va mente le risorse a stabilire il successo o l'ins uccesso di un'organizza-

• G. Liuui. op. cit. 258

zione. Tutta l'organi zzaz ione fornisce insieme un prodotto, la qualificazione dei Quadri e della truppa, la cui qualità condiziona il rendim e nto dell'addestramento colle ttivo presso i reparti , e la sua naturale conclusione, l'operat ività. Ma , la situazione generale dell'organiuazione addestrati va è tutt'altro che florida. Il problema riguarda soprattutto l'Eserc ito per la capillarità, la dimensione e la discontinuità della sua attività.

Chi dev e addest rare solo dei profess ionisti , come l'Aeronauti ca, o chi affida gli in ca ri chi chiave solo a professionisti , come la Marina, ha il compito agevolato. Non così per l'Esercito in cui, anch e per la cronica insufficien za di personale volontario, al personale di leva sono affidati anche compi ti di responsabilità. Il problema sa rebb e forse meno acuto se fosse possibile, a monte del processo addestrativo, operare una se lezione accurata e severa del personale. Se si tenesse sempre conto d e lla predisposizione fisica , intellettuale e cu ltural e di ciascuno, si potrebbero ottenere risultati eccellenti. Un esempio. Nella co mpa gn ia alpini paracadutisti dove vengono concentrati giovani co n espe rien za di montagna e forte maturità psi co -fisica, il rendime nto del personal e di leva è paragonabil e a quello dei migliori reparti professionisti di a ltri Paesi. E ciò è stato dimostrato in più di un'occasion e. Altrettanto può dirsi per altri reparti di prestigio , come il Battaglione San Marco e il Battaglione Susa. Ma in altri reparti , i Quadri istruttori operano, invece, su un materiale imperfettamen te se lezionato. Altri fattori ancora incidono negat ivament e sul rapporto istruttor i/allìev i: l'insufficiente permanenza presso gli e nti addestrativi delle rec lute, la scarsa spec iali zzazio ne o abilità didattica dei Quadri, scelti sop rattutto in base alla coi ncide nza casa/posto di la vo ro e non in base ad un profilo di impiego tale da impostarne carriera e spoc;tamenti. Inoltre, più presso i repa rti che non presso le scuole, oltre alla carenza dei mezzi addestrativi , si verifica un rapporto istruttori / allievi decisamente nega tivo , sia in termini di quantità c he di qualità . Nella maggior part e d e i Paes i occidentali, l' istrutto re è preventivamente pre parato, oltre che nella sua specifica materia ,

259

anche nell'in segnam e nto. L'accentuazione del mod e llo «OCc upaz ional e», la drastica contrazione della mobilit à dei Quadri, il d esiderio di acco nte ntare quanti più possibile n e l loro desiderio di stare vici no a casa, portano a una elevata concentrazione di p e rso nale spesso non qualificato a in segnare presso alcuni enti, ri so lve ndo per eccesso il probl e ma della quantità a scapito di quello d ella qualità. Ciò avviene so prattutt o negli e nti dislocati nel ce n t ro -m eridio n e più appetibili a gran parte dei Quadri che da tali regio ni pro ve ngo n o. La «regionalizzazione» dei Quadri è molto più operante di qu a nt o non appaia e, data la scarsità in Meridion e di re parti operativi, è inevitabile che il p e rsona le si addensi in qu e lli addestrativi. Ma se si vuole ri so l vere il probl e ma dell'addest rame nto , la situazione d ei Quadri è la prima da affrontare. Non basta c he il personale «istruttore» s ia ben selezionato e be n preparato, occorre anche c he il s uo « iter profess io nal e» segua un corso ta le d a co ns e ntire il pieno sfruttamento delle sue potenzialità. Sarebbe auspicabile , si dice, ov e si riuscisse a ri so lvere il probl e ma d e ll ' incentivaz ione della mobilità d e i Quadri, e ffe ttu a re uno sca mbio , s ia pure a grandi intervalli, fra reparti e ent i addest rati v i.

In qu esto caso, le es perie n ze d egli uni si riverserebbero beneficamente s ugli a ltri e viceversa. Durante il seco ndo co nflitto mondi a le, alcuni Eserciti a ttuarono qu es to pro cedimento, anche ne l co rso delle operazioni. I benefi c i furono no tevo li e evidenti. La qualifica zio n e d e i Quadri is truttori darebbe un nu ovo impulso a ll a preparazione militare a tutti i li ve lli , beneficand o non so lo l'organ izzazione militare, ma consentendo anche d i pre parare m egl io il perso nal e per il s uo reinserimento n e lla vi ta civile.

La mod estia didattica di al c uni dei nostri e nti addestrativi n on conferisce c red ibilità a que s to ruolo della forma z ione militare.

Un ce nno m er ita anche il probl e ma dei Quadri presso i Comandi re sponsa bili , alla peri fe ri a operativa, dell'addest ramento co ll e tti vo. A ess i spetta il co mpito di trad urre in ordini e pianifi caz ion e le diretti ve degli organi centrali. Ma, co m e già accennato ne l caso d egli e nti addestrativi, anche il

260

personale presso i comandi è di rado assegnato sulla base delle sue capacità. Il fattore casa-lavoro è anche in questi casi imperante. Gli in carichi sono perciò dati a chi c'è e non a chi ci dovrebbe essere. L'infeudamento è molto diffuso. Il sapore di déjà vu che qualsiasi attività assume per chi ha passato decenni presso uno stesso reparto, assopisce anche gli spiriti inizialmente più vivaci.

Brevi e rare sono le permanenze degli ufficiali deg l i organi centrali. Spesso, comunque, anziché portare dal centro una ventata innovativa, essi trasferiscono presso i reparti quel perfezionismo burocratico, appreso e apprezzato nella loro attività presso il centro. Molto potrebbe essere ottenuto se i Quadri in attività di comando, ai vari livelli, fossero della quantità e qualità voluta. Ma le scuole e le accademie ne sfornano pochi e non tutti di qualità soddisfacente. La carenza di Quadri di carriera costringe a riversare parte dell'obbligo addestrativo sulle fragili spalle degli ufficiali di complemento.

Un cenno merita la situazione de i comandanti, costretti a avvicendarsi con eccessiva frequenza da una legge di avanzamento che fa del «comando» una tappa obbligata dell'eventuale promozione. Tutti, proprio tutti, a meno che non ci rinuncino, devono andare in comando. Non così negli altri Pa esi occidentali dove nel grado di tenente e;o lonnello o equivalente sono pochi gli eletti per il comando. Così, proprio allivello dove l'attività di comando ha più significato, i migliori si succedono ai peggiori, i passivi ai superdinamici, gli audaci ai pavidi, creando disorientamento nei reparti e scompiglio nell'addestramento.

Le aree e i mezzi addestrativi

La scarsità dei mezzi e delle strutture addestrative incide gravemente sull'addestramento. Tutte e tre le Forze Armate sono altamente condizionate dall'insufficienza di carburante, munizioni e di poligoni per l'addestramento. Ma il più penalizzato è l'Esercito che, per la breve durata di perma-

261

nenza del personale di leva , non riesce a programmare le sue attività con adeguato margine di tempo. Nelle altre Forze Armate le special ità più impegnative so no affidate a personale di carriera. i l cui addestramento può essere programmato con calma metod ica. Nell'Esercito. invece. la traumat ica ca re nza di personale «volonta ri o» cost ri nge ad affidare in ca richi anche delicati a p ersona le di leva che, appena qualifi cato. se ne torna a casa. Carenza di m ezzi addestrativi signi lì ca perciò endemic he insuffi c ie nze di addestrame nt o. In fatti. anzic hé concentrare le risorse dispon i bi li a favo re di pochi da qualificare ad alto livello. si lìnisce pe r d isperderle fra molti , con co nseguente logorio dei materiali, frustrazione degli istruttori c scontento degli istruiti. L'addestramento di pe rso nal e di leva è perciò un antieconomico impiego delle ri sorse (ne l 1980 e solo per l'Eserc it o le spese pe r l'add es tramento presso le sc uole era n o pari a 290 m i liardi ), o ltre che un in vito alla superficial ità. L'a ddestramento co ll ettivo va poi ripetuto ogni volta c he si immette nuovo p e rso nal e, e c iò s ignilì ca, per l'Esercito. la disponibilità di aree addestrative e poligoni, adeguati a l li ve ll o di addes tramento da compiere. Ne ll e altre Forze Armate. il ri corso massiccio all'elettronica ne tr impiego di tec nolog ie sofisticate conse nte di sfruttare co n e ffi cacia i «simulatori» di vario t ipo. Nelle truppe di te rra , il «s imul a tore» . di cu i p era ltro no n si discute l' utilità, è però meno efficace e sos titu isce so lo in piccola parte l'addestra m e nt o sul terreno. A ese mp io, il simulatore per l 'a ddestra m en t o al pilotaggio d e i carri, anche il più sofis t ica to, può assorbire utilm e nt e fin o al30-40% del te mpo di pilota gg io. Il resto va svo lto sul te rre n o, in condizioni di diffi co ltà rea li c resce nti.

Il terre n o è quindi ind ispe n sabile per tutte le unità te rrestri. ma in particolare pe r qu e ll e co ra7zate e m eccanizzate. Prop rio in questo settore so rgono però i problemi più se ri a causa de i contrast i con la società c ivil e, c he te nde a lasc iare ai militari sempre m e n o spaz io, cosa de l res to co mpre n sib il e in un Pa ese pri vo di una cult ura militare adeguata e perciò assa i rest io a accettare c he si facc iano sac rifi ci per prepararsi ad affrontare una sit uaz ion e as tratta qual e è la guerra. Marina e

262

Aeronautica sono anch'esse affiitte dal problema delle «servitù militari» , ma solo per quanto riguarda le loro attività a fuoco. Per il resto possono spa7iare come e quanto vogliono, carburanti ed ore di lavoro dei mezzi permettendo.

Così è anche per le unità da montagna e paracadutisti che non operano in massa , sono meno ingombranti come materiali e si muovono normalment e in arce poco frequentate. Ma per le ingombranti e rumorose formazioni meccanizzate e corazzate, il problema è drammatico. Di giorno non si possono muo vere perché intralciano il traffico; di sera non possono sparare perc hé disturbano il sonno. D'altra parte, però . la loro efficienza è commisurata proprio dal fatto che sappiano combinare fuoco e movimento. su spa7i ampi, in terre no vario, di giorno e di notte, in attività continuative. Ma oltre il livello di l 0- l 5 carri e qualche unità di supporto, l'addestramento reali st ico è impossibile. l nostri poligoni, oltre che ristretti. sono affollati per il gran num ero di unità che su di essi si riversa, specit' al Nord del Paese. Scrive Downey: «Non è insolito che in qualche Esercito l'addestramento si concluda a livello battaglione reggimento . Tali forze hanno solo limitata efficac ia in operazioni su vasta scala».1 Da noi un addestramento realistico fino a livello battaglione è impensabile. Altri Paesi, meglio dotati di noi in termini di ampiezza e num ero di aree addestrative. quali la Germania e la Gran Bretagna , ed ora anche l'O landa, hanno impiantato basi addestrative in Canada. dove non ci sono problemi di spazio o di affollamento.

Costringere l'unica divisione corazzata italiana. l'Ariete, a esercitarsi, in coabitazione con altre unità, sul greto di un torrente a due passi dall e caserme. equivale alla manovra di una flotta nel Lago di Bracciano. Continuare a operare in questo modo significa rinunciare a uno str umento militare di terra in grado di funzionare. La situazione deve essere affrontata radicalmente da politici e militari . evitando le solite soluzioni di compromesso che non accontentano nessuno né tantomeno risolvono il problema. Con la Legge 898176 sulle

1 J. Downey. op. ctt. 263

<<servitù militari» qualche passo in avanti è stato fatto, anche se le Forze Armate sono sta te le prime a cede re. Ben il 40% delle aree di cu i disponevano sono state devolute alla comunità civi le. Nella Conferenza Nazionale sulle servitù militari dell'SI sono stati ind icati gli impegni di Governo, Parlamento e Regioni e della Difesa per un programma adeguato. Ma si dubita che il problema possa esser risolto bene con soluz ioni solo «nazionali». Il reperimento di aree convenientemente ampie nell'Europa mediterranea o altrove sembra indispensabile. Oltre tutto costringerebbe le nostre unità a muoversi e si potrebbe realizzare quella mobilità interforze, indicata nell'SI come uno degli obiettivi del modello di difesa. Circa la soluzione nazionale , un dece ntramento addestrativo verso il Sud sarebbe una so lu z ione anche operativamente valida, soprattutto se vi si effettuassero le attività più impegnative. In tal modo si avrebbe nel Meridione una continua permanenza di reparti in avvicendamento, al massimo della loro capacità addestrativa. Assai meglio che non il decentramento permanente di unità dal Nord al Sud.

Ammesso, dunque , che le esigenze addestrative vengano soddisfatte e che soprattutto l'Esercito riceva i poligoni e le aree di cui ha bisogno, occorrerà accertarsi del loro giusto impi ego. Solo il «realismo» dell'addestramento può dare qu esta garanzia. Ancor oggi, in piena penuria di aree addestrative, si sp recano, non di rado , giorni e giorni, per provare e riprovare le stesse cose. È difficile dire se è la mentalità dei Comandi a costringere le unità a operare riduttiva.mente, ovvero se ciò è conseguenza dell'eseguità del terreno. E certo, però, che terren i vast i e differenti costringerebbero anche i più riluttanti a cambiare mentalità.

Un ultimo aspetto: l'attrezzatura dei poligoni di tiro. Chi abbia avuto la possibilità di confrontare i pol igoni di altri Pa es i occidentali co n i nostri, non può non dolersi della penuria e della rusticità delle nostre attrezzature. I reparti, ancor oggi, sono costrett i a confez io narsi i bersagli a domicilio, a collocarli su l posto, a riprenderseli per aggiustar li a tiri ultimati . Altrove le sagome sono mobili , varie, a diverse distanze, comandate elettronicamente. Si tu azioni differenti

264

di tiro sono rappres e ntabili dal Centro Controllo. I reparti giungono al p o ligon o co n le so le armi , trovano sul posto istrutt ori ad hoc c he si sostituisco no ai comandanti. La differe nza ne l r e ndim en to è in evita bilm e nte not evole. Pare però assurdo approvvigionare materiali sempre più sofisticati per imparare ad usarli in modo limitato. Se un cannone spara a 3000 metri e in m ov im en to , d eve esser poss ibil e addestrarsi a spa rare a quella distanza, da fe rmi ed in movim en to. Se l'obie tti vo in g ue rra è mobil e, i bersagli in pace devono essere mobili. No n è, infatti , il num ero dei ca rri armati a d ecidere la sorte del com battime nto , ma l'a dd es trament o degli equipaggi d e i carri. In Ru ss ia, unità ted esc he molto inferior i di num ero hann o prevalso s u unità sov ie ti c he assai più num erose ma m eno mobili e m e no addestrate. È contraddittorio insist ere s ul pro bl e ma di quanti carri in più o in m eno d eve avere una divisione, e n on curare l'addes tram e nt o di quei ca rri .

L a «turbolenza>>

Si è già accennato alla «turbol e nza» , te rmine noto nella scienza d e ll' orga ni zzazio ne pe r descrivere la di sco ntinuità d ei rapport i d egl i indi vid ui fra di loro , fr a ess i e l'ambiente e, infin e, fra essi c la «fun z ione» che dovre bb e ro as so lvere. Si è an c he lam e ntata la «turbolen za» dei Quadri e , sop rattutt o , di qu e lli cu i sono d e mand a te di comando diretto. Gli altri , d e l resto, si muo vo no assai meno o niente d e l tutto. M e ntre la «mobilità» è un fatto molto positivo ai fini di una bu ona formazione e d e ll ' impi ego d e l pe rso nal e militare di carriera, la «turb olen za», ossia la scarsa pe rman e nza in in carichi «vitali» quali qu e lli di comando, produce e ffetti traumatid su ll' organizzazione. Essa , d'altra parte, n on è limitata ai g rad i m edio -alti , d ove co ncorre a prod urla an c he il m eccanismo di rotazion e, avv icendamento, promozio ne sostenuto dal sjste ma. È qua s i altre ttanto grave nei Quadri «inferi o ri» , uffi c iali e sottufficiali , s ia per la breve utilizzazion e d eg li uffi c iali di complemento, sia pe r l' imbosc amento di

265

molti giovan i, agli inizi di carriera, nei più comod i uffici della burocrazia militare a i differenti livelli. Come non bastasse. anche i reparti, spontaneamente o su esec uz ione di ordini spesso inopportuni e mal meditati, praticano una forma selvaggia di <<turbolenza», impiegando il personale con discontinuità, disordine, insipienza. In cido no, particolarmente , sul fenomeno l'onerosità dei servi? i e delle guardie, la frequenza e la mole degli interventi a favore della comunità civile, la permissività nella co ncessione delle licenze, il ri corso al personale mtlitare in di manodopera non qualificata ccc. ecc. Alcuni dati sugli aspetti più facilmente quantificabili , quell i del concorso alle auto rità civi li , da pa rte de l solo Esercito, danno un'idea delle dimensioni del fenomeno: solo per i macro-concorsi (sorveglianza ai seggi, alle in stallazioni, interventi sost itut ivi in casi di sciope ri ) si giu nge. ne l solo 1979, a circa un milione 1 di gio rn a te/uomo. Vi è da chiedersi di quanto crescerebbe tale cifra se si potessero aggiungere tutti i concorsi dati alla spiccio lata, ne ll e più va ri e ci rcostanze. Un fatto traumatico che si ripete quasi ogni anno. se non più vo lte all'anno , è la vigilanza ai seggi nelle varie elezioni che costellano la vita politica del Pa ese. Per un Paese che si vanta della propria solid ità democratica , è a bbastanza contraddittorio ricorrere a una protezione armata e massiccia de i segg i quando, in altri Pa esi, essa è assicurata anche senza co ntinu ità dalle forze di polizia. In Gran Bretagna , ad esempio, può accadere di vede re che la protez ion e di un seggio è assicurata da due vecch iette armate tuttalpiù con de i ferri per far la calza.

Una limitata prese n7.a dell e no st re, pur numeros e forle di polizia , dovrebbe bastare. Per gli altri il rischio se mbra così ridotto da no n gius tifi ca re una così agguerrita tut ela. Non si tiene conto inoltre di tutto il disordine e de l tempo perso prima e dopo il concorso ai seggi. en tra mbi nocivi dell 'u nitarietà de i repart i dispersi in mille ri vo li per tutta la peni so la . Altrettanto nocivi sono i concorsi de lla Marina e dell'Aero-

266
1 Annuario ISTRID 1981-1982. edito Studi e Ricerche sulla Difesa, Roma.

nautica, aggravati dal fatto che essi compo rtano l'impiego di materiali ad alta tecnologia e di personale ad alto livello di qualificazione per compiti di scarsa rilevanza.

Quando poi la «turbolenza» incide su reparti a coesione e capacità operativa limitata perché amitti dalla breve permanenza del personale di leva, non compensata dalla modesta percentuale di quello di carriera, il fenomeno diventa grave sul piano sociale oltre che su quello addestrativo e della capacità di operare. Stati Maggiori e Coma ndi ne sono i principali responsabil i, ai vari li vell i, per la superfic ialità con cui danno o ottemperano ordini. spesso con preavviso limitato, senza preoccuparsi delle conseguenze. Tale tendenza è classi fica bi le sia come «sottrazione» del personale dai reparti sia come «d istrazione» 1 dei reparti dalla loro attività principale, l'addestramento. La falsa concezione che uomini e reparti costituiscano una fonte economica di manovalanza non qualificata da impiegare senza parsimonia in mille usi è la principale causa di questa situ azio ne. Ma solo i reparti più cop1patti , comandati da uffi cial i co nsci della responsabilità della loro funzione , sanno resistere pagando il prezzo della impopolarità presso i Comand i Superiori. Il te rmine «rompiscatole» è, infatti , immediatamente attribuito a chi sostiene la priorità dell'operatività su l gradimento dei Co mandi Superiori . Secondo Sorley, che ha analizzato il fenomeno -presso l'Eserc it o statunitense, è difficile reggere l'impatto di «una moltitudine di ordini e contrordi ni senza preavv iso e non coordinati fra loro da uno dei vari Comandi Superiori ... l'atm osfera creata da questa reattività improvvisatri ce è assimilabil e a quella delle crisi , in cu i ci si afTanna a portare a compimento una pletora di attiv ità senza significato, intaccando gravemente la coscienza dell'autonomia dei re parti e l'orgog li o di porsi costantemente traguardi più ambiziosi di qu elli posti dai Comand i Superiori». 2

Questa situazione è più frequente e d illusa da noi , soprat-

1 Termini tradotti da studi sociologici US e rispettivamente da <<detractors» e <<distractors».

2 Lewi s Sorlcy. Prew11lmg Criteria. A Cr/flque, in S. Sarkesian (a cura di). Combat Effecm-eness, cit.

267

tutto dove i reparti sono soggetti ai capricci di due vertici di comando, uno operativo e uno territoriale. Essa è diffusa perché oltre che dovuta all'insipienza e all'arroganza delle burocra z ie dei Comandi, è accetta a coloro i quali considerano il Comando e l'addestramento un peso. Costoro vedono con sollievo disperdersi il proprio personale in varie direzioni , assolvendoli così da attività diffici li ed imp egnative.

L'Esercito «di caserma» si consolida nelle sue più deprecabili manifestazioni: separatezza fra Quadri e truppa , paternalismo permissivo nel governo del personale, saltuarietà e precarietà dell'addestramento. Queste sono anche le unità che danno normalmente più filo da torcere in te rmini disciplinari perché non sorrette da alcuna valida motivazione. Chi ancora crede nella professionalità vien colto da rabbia e frustra z ione. I Quadri più giovani, anche i migliori, reagiscono male. A parte una minoranza che continua a lottare, gli altri o lasciano le Forze Armate o si rassegnano ad accettare le contraddizioni dell'ambiente come un fatto inevitabile. La cosa che dovrebbe più preoccupare è che, in Italia, solo saltuariamente e quasi mai a livelli responsabili, si riconosce la gravità del problema e la necessità di trovare cure adeguate. Anzi. Da parte politica, rilevano alcuni ufficiali, si cerca costantemente di introdurre misure demagogiche a favore del numeroso personale di leva, per ottenerne presumibilmente la gratitudine in sede elettora le. Da parte militare, si teme la critica e si evita l'autocr iti ca , che sarebbe, invece, una prova di maturità e di amore per la propria professione. Nell'Esercito americano, è stato riscontrato che <da capacità di condurre efficacemente l'addestramento decade rapidamente allorché non è presente tutto il personale in organico ... quando la forza in addestramento scende al di sotto dell'SO%, l'un ità perde qualsiasi capacità di condurre un addestramento efficace». 1

Ma quando mai un comandante, a qualsiasi li vello, ha avuto nel nostro Paese la fortuna di disporre per l'addestramento dell'SO% della forza effettiva? Eppure, anche se il

• L Sorl ey. o p. cit. 268

fenomeno è ben noto anche ai vertici , poco o nulla si fa per avviarvi. Nel Paese, del resto , difetta una critica militare severa e obiettiva che stimoli dall'esterno un dibattito sulla materia. L'occasiona le inchiesta giornalistica, spesso fondata su singoli fatti scandalistici anche mal e indagati, produce solo reazioni negative. L'organizzazione, attaccata con forza ma senza obiettività, si chiude in se stessa e rifiuta di discutere il problema. Alcune volte , è la stessa organizzazione militare che produce sconsideratamente la propria «turbolenza» persegu e ndo finalità. a prima v is ta , legittime. Un esempio meritevole di c itazi one è offerto dalla introduzione alcuni anni fa , presso l'Esercito, dell'addestramento «per imitazione» che doveva sostituire molti dei corsi di speciali zzazione e il più ordinato sv ilupp o per cicli addestrativi , di diffi coltà progressiva. Questo nuovo metodo era sta to ereditato superfic ialme nte dalle esperienze di un Esercito straniero, senza preoccuparsi di ve ri ficarne la compat ibilità con la nostra organizzazione. Anche se ai più esperti era apparso subito inad egua to un metodo che presumeva la preparazione di soldati di leva, «per imita zione» di altri soldati di leva forse più espe rti di loro , ma pur sempre di mod esta prepara zione, lo Stato Ma ggiore aveva portato avanti, incontestato , il s uo programma.

Un recente studio, pubblicato sulla «Rivista Militare»' dimo s tra che a ogni «imitazione» si perde circa il 15% della prepara z ion e fornita dal mod e llo da imitare. Occorre, inoltre , considerare che il modello da imitare è nel nostro caso anch'esso altamente imperfetto, che sono necessar i costanti interventi di istruttori qualificati per adattare le caratteristich e psico-fisiche di ciascuno alla temati ca add estrati va, che solo un'atmosfera competitiva può dare buoni risultati e, infin e, che occorrono traguardi ben chiari per operare verifich e e correttivi. Tutto questo, nell'add es tram e nto «a iMitazione» mancava e soprattutto difettavano e tuttora difettano, in qualità e quantità, istruttori e mezzi addestrativi.

269 /
1 G . Ferrari d'addestramento per imitazione- L'addestramen to per obiettivi», da '<Rwista Militare,., n. l , 1981.

A accrescere la gravità della scelta ha contr ibuito il momento stesso della sua introduzione, verificatosi quando un impegno pluriennale nella rico st ruzione delle zone terremotate aveva dissociato gran parte dell'Esercito dall 'a ddestramento militare . Oggi si sta rit ornando indietro su metodi più sicuri e sistemat;ci. Ma i danni causati sono considerevoli, anche sul piano della disciplina e della coesione dei reparti . Infatti, nel contesto di tale esperimento, era stato anche adottato un criterio di affiusso «mensile» del personale di truppa che, fralionato in tante aliquote quanti sono i mesi d ell'anno, arrivava ai reparti e da essi si allontanava, realizzando una forma di turbolenza istituzionalizzata. Era perciò impo ssib ile dare continuità alla vita d e i re parti , all'addestramento, al rapporto fra Quadri e truppa , che riman eva perciò transitorio e superficia le.

Negli Stati Uniti , a proposito di una situaz ione analoga, anche se m e no grave perché riferita a personale <<a lun ga ferma» e in un contesto in cui la preparazione ed il numero dei Quadri è decisamente più favorevole , si è osservato c he «rimaneva poco tempo per attività non collegate alla ricezione d el nuovo personale e alla prepara z ione per il congedo di altri». 1 Non è tanto grave che da noi si sia commesso un errore così grave, ma sop rattutto che si sia passati dalla teoria alla pratica general izzata, senza sperim enta re la va lidità d e lIa nuova scelta e che poi tantv tempo sia passato prima di trovare il coraggio di far marcia indietro.

Sbagliare è facile quando si vuo i progredire, e quando non si vuole ripercorrere semp li cemen te le orme d el passato. Ma per tutelarsi da errori difficilmente correggibili, occorrerebbe prima sperimentare su «unità campione» rappresentative, effettua re anche s u base teorica una verifica dei mezzi umani e dei materiali n ecessar i e, infine, stimolare la critica. Ma , purtroppo, anche quando c'è una certa disponibilità alla <<Sperimentazione», non sempre le risultanze negative vengono accettate se contrarie alle tendenze del centro. La propensione al conformismo è troppo forte! D'altra parte, quan-

op. eu. 270
1 L Sorley.

do in una delle tre Forze Armate si introducono modifiche che coinvolgono l'opera"lività globale dello strumento militare, spetterebbe anche ai politici effettuare le opportune verifiche, non solo sul piano della «democraticità» dei provvediment i presi ma anc he su quello della rispondenza alla politica militare del Paese in termini di efficienza.

Per completare il panorama della «turbolenza>>, non si può trascurare l'effetto negativo della costante «sottrazione» di Quadri e di personale di truppa da parte dei vari Comandi a tutti i livelli , molto generosi con se stessi, ben olt re i limiti previsti dalle tabelle organiche.

Se può esser talvolta giustificata l'accusa di pletoricità degli organi centrali, nel caso dei Comandi o degli enti periferici la situazione è spesso assai più seria .

I Comandi di minor livello, cui compete il comando più diretto dei reparti , in pace ed in guerra, sono invece spesso fortemente anemici.

Man mano che si sa le di livello le organizzazioni diventano sempre più pletoriche , veri e propri purgatori di CO!llodo pe r coloro che non desiderano stare vicini ai reparti. E proprio nella periferia più che nel cent ro che «l'imboscamento» è più agevole per Quadri e truppa , assegnat i a incarichi che da inutili divengono poi per forza d'inerzia necessari e, infine, indi spensabili. Ma quando si sott ra e personale giovane ai reparti «non solo si distrugge quanto si è conseguito nell'addestramento, ma s'intacca anche l'entusiasmo e l'imp egno delle unità per l'addestramento futuro». 1 Occorrerebbe, perciò, far e quanto possibile per riportare la <<turbolenza» a live lli accettabili, rest itu endo ai reparti la loro coesione. Uno dei mezzi più efficaci è, senza alcun dubbio, un vigoroso e dinamico addestramento. Ciò è del resto un fatto universalmente riconosciuto no n solo da chiunque abbia potuto e voluto effettivamente «comandare», ma anche dai più attenti sociologi militari. È significativo quanto scrive Wesbrook, che appartiene a tutte e due le categorie, circa la coesione:

«Prima condizione indispensabile, la stabilità. Co n essa si

1 L Sorley, op cit. 27 1

evitano i conflitt i fra i gruppi , le scissioni, le competizio ni c le gelosie che sano connaturali con il processo di formaz ione del gruppo. La coesione sopravviene quando il processo si è completato... aumenta in condi7.ioni di fatica, di sagio e ri schio, ossia quando esisto no minacce esterne comuni. Il successo è anche e lemen to di coes ione ... La lealtà di gruppo è più forte verso unità di prestigio e di successo. Imp ortanti anche l'integrazione degli sforzi e la comunicabil ità all'interno de l gruppo». 1 Tutti questi elementi sono chiaramente riferibili a un addestramento continuo e realistico e so no antitetici alla «tu r bolenza» come costante della vita dei reparti.

L 'addest ramento presso le scuole

L'addestramento presso le scuole si riferisce a l soldato come ind ividuo e ne cura l'inserimento nella vita militare e poi la qualificazione professionale. Da tutti i sociologi moderni questi due momenti della vita del soldato sono considerat i estremamente importanti. Secondo Sabrosky, « l'addestramento di base è la chiave della social izzazione professiona le della recluta e dell'assimilazione dell'etica militare ... i soldat i devono venir trasformati da civil i in utili membri della comunità militare... le virtù militari so no ignote prima dell'ingresso nel servizio militare, esse devono ve nir inculcate durante l'addestramento di base... se questo compito non viene ben assolto vi saranno gravi prob lemi disciplinari quando le reclute verranno assegnate a ru o li operativi». 2

Sembrano tutte cose ovvie, ma che d'altra parte aiutano a comprendere le ragioni della sca rsa affidabilità di mo lti so ldati di leva quando venga affidato loro un co mpito , senza che ci si sia assicurati un ri gido controllo del loro compo rtamento e minacciate sanzion i in caso di inad emp ienza, come hanno dimostrato ampiamente i casi dei reparti di

'S.O. Wcsbrook. op. cit. z A.N . Sabrosky. op. cii.

272

guardia de i depositi di armi attaccati dalle Br. L'autodi sciplin a, mil itare o civi le, non nasce da ll e ch iacc hiere, ma è il prodotto di un 'ed uca1ione severa da pa rt e d i perso nal e co nvinto e professiona lmente ca pace. L'a tti vità co nd otta nei primi mesi del serv izio mili ta re ha forte affi nità , in termini di psi co lvg ia a ppli cata, 1 co n qu e ll a prevista per l' inserimento in una comunità c ivile to talm en te es tranea a ll'ambi e nte di provenienLa. Il processo di adattame nto è s tato qui di viso in tre fa si: «scongelamento» (de.freezing), ossia abban do no progressivo de ll e tend e nze preceden ti , «modifica» (chan gi ng ), ossia acqui sizio ne di nuo ve tend enze e infin e, «congelamento» consol id a me nt o psicofisico dei ri su lt a ti.

Sembrerebbe quindi logico che presso i centri di addest ramen to reclut e i soldati perm a nesse ro più a lun go per maturare militarmente prima di giun gere ai reparti. Cos ì a ·.rviene presso i maggiori Ese rciti.

Il probl e ma ri guarda so prattutto l' Es ercito , a causa della ma ssa di perso nal e da addestrare e per la grand e varietà di sp ec iali zzaz ioni che dovrebbe ro essere acquisit e dalle recl ute. In Marina , il personal e di leva è in proporzione minore , men tre ne ll 'Ae ronauti ca è impi ega to in co mpiti di modes ta diffi coltà. Oggi la perman enza presso i Battagli o ni di Add estra mento Reclute (BAR), nati an ch'ess i per imita zion e dell' es tero , è ridotta a poc he sett im a ne , dec isamente poche per dare una solida veste formal e e professio nal e al sin go lo. Intervengono poi le scuol e di s pec ializza z ion e, presso le quali si do vrebbe continuare a edificare sull e fondamenta gettate nei BAR . Qui però , tranne che in rar i casi, il pro bl e ma è anche più grave. Organismi poveri in materiali e ri sorse um ane, con Quadri istruttori sce lti solo raramente pe r la loro professionalità, spesso sv ilup pano un addestramento de l tutto sup erfi c ial e . Quest ' in s uffici e nza cronica d ell 'add es tramento presso le scuole, va ni fica il tant o decantato principio de lla vita militare come «scuo la professio nale». Conseguenza inevitabile: i reparti operativi sono costrett i a tappare le

1 K . Lew in. Frontiers in Groups Dynamt cs. Concept. Method and Realityin Soctal SCtence. Soctal Equilibrio and Social Change.

273

falle di un addestramento mal svolto. In d e finitiva , l'addestramento collettivo v iene ritardato o almeno complicato dalla necessità di far acquis ire alle singo le reclu te quelle nozioni c he non hanno ri cev uto prima. I correttiv i sono però tutti access ibili e speri mentati da tempo e con successo da altri esercit i. Oltre c he associare i cent ri dì addestramen to a particolari reparti come è già stato fatto intelligentemente, occorrerebbe spingere questa integrazione fra reparti e ce ntri più a fondo , con un continuo scambio di esperienze e verifiche.

La permanenza a i BAR dovrebbe esse re prolungata e concludersi con delle prove valutative cui partecipino anche esperti dei reparti che dovranno ricevere le reclute. Per quanto riguarda le scuole solo una rotazione salu tare di gran parte del personale istruttore potrebbe conseguire qualche risultato. A esse, come pe r i BAR, dovrebbe essere assicurata un' associaz ion e diretta ai reparti e un co ntinuo scamb io di esperienze.

Anche in qu esto caso, l'istituzio ne di prove valutati ve di fin e corso co n la partecipazione di esperti dei reparti servirebbe a dare vitalità e sostanza ai rapporti fra i due, ora regolati da reciproco sospetto.

Non sa rebbe giusto che i repart i, gli users («uti li zzatori») del personale, potessero verificare in anticipo la bontà del prodotto che viene loro inviato per esse re utili zza to? Inv ece, anche se può semb rare assurdo, l'organizzazione mil ita re provvede oggi a ll a selezio ne e alla formazione individua le dei militari se nza che i repa rti possano in alcun modo interve nire realmente nel processo a n che quando qu esto è palesemente mal e impostato.

l reparti so no la componente «reale», e tutt o il supporto nazionale dovrebbe solo servirli nel migliore d e i modi. Basta ricordare il primo scopo dell 'orga ni zzazio ne addcstrativa dell'Esercito tedesco prima della seconda gue rra mondiale: sollevare la compone nte operativa dagli o neri addestratiVI.

Per quanto riguarda l'addes tram en to presso le scuole, sarebbe forse il caso - sostengono alcuni- di ridare vitalità ad

274

un compito che originariamente era stato loro assegnato: la sperimentazione delle soluzioni tattiche studiate dagli Stati Maggiori. I reparti dimostrativi, esonerati dall'obbligo di raggiungere una capacità operativa effett i va, potrebbero concentrare la loro attenzione su dati aspetti dell'addestramento, ricercandone la perfezione. l reparti dimostrativi dovrebbero dipendere funziona lm ente dagli Stati Maggiori, offrendo a loro la possibilità di verifiche preventive accurate prima di introdurre nuovi cambiamenti nella dottrina tattica. È successo, in passato, che alcune impostazioni, brillanti sotto l' aspetto concettuale, si rivelassero p oi, dopo molto tempo, assolutamente inattuali per le carenze dello strumento operativo insufficientemente preparato per mettcrle in atto. Così avvenne per la «difesa mobile» che prevedeva un rapido succedersi di manovre su spazi ampi e profondi e della quale, verso la metà degli anni Sessanta, parlavano tutti e che ora fa parte dei nostri archivi. Errori come questi sono meno gravi quando c'è il tempo per correggerli , ma divengono gra v issimi se essi influenzano la pianificazione ope rati va e, an cor peggio se. per un malaugurato evento, questa pi anificazi o ne deve esser attuata in caso di confronto armato. Gli israeliani, pe r i l loro sistema di addestramento. hanno costituito un Comando Addest rativo responsabile non solo dell'addestramento vero e proprio ma anc he della ricerca tatti ca. Queste att ività vengono co nd ot te con una m et ico losità ed immagi nativa rimarchevoli, fino al punto di riprodurre, per intero, forme di impiego dell'avversario per poi studi are i m od i migliori per averne ragione. Scrive, inoltre, Lutt wa k che «secondo il principio della rotazione, il generale Gavish già comandante del Comando Addestrativo... fu n o min ato comandante del Comando Sud, passando da un incarico addestrativo e di ri cerca tattica ad un impiego in s itu az ion e di comba ttim ento su l fronte principale egiz iano ».' Nel 1967, toccò a forze sotto i l suo comando di attuare s ul campo di battaglia le soluzioni teoriche cui egli aveva d edicato tan ta cura. Dall'esperienza israel ian a s i possono

cit. 275
E. Luttwak e D. Horowitz, op.

trarre tre ammaestramenti: un profilo di carriera giusto per l'uomo attentamente scelto, il collegamento fra addestram ento e realtà operativà, una pragmatica ma immaginativa sperimenta7.ione addestrati va. Più o meno i metodi adottati dai ted eschi prima e durante la seconda guerra mondiale. La nostra situazione è purtroppo ben diversa. Le dottrine sono spesso partorite da personaggi di «facile penna», talvolta brillanti , ma spesso poco preoccupati di accertare la r ispondenza delle loro tesi alla realtà. I repart i accettano passivamente la dottrina , accogliendo invariabilmente come valida quella che gli è propinata per ultima. In quanto alla sper im entazione della dottrina da part e degli Stati Maggiori , questa preoccupazione sembra non affiiggere affatto gli organi centrali. A tal e proposito Downey dice che «le esercitazioni non servono so lo a lubrificare il meccanismo operativo militare, ma anche a sperimentare nuove idee, nuov e procedure, nuove tattiche».' Questa capacità «dimostrativa» anziché «operativa» potrebbe esser messa a frutto tutte le volte che fosse necessario per l'appunto «dimostrare» ai non esperti le caratte risti che del combattimento moderno. Ciò solleverebbe in parte le unità opera t ive da tale compito che assorbe poco proficuamente una parte non indifferente del loro tempo.

ln conclusione, per ridare vitalità all'addestramento individuale occorrerebbe uno sforzo deciso in vari settori, quali quello del personale, dei programmi addestrativ i , dei rapporti reciproci con i reparti. Si tratterebbe certamente di uno sforzo non indifferente, che ri chiederebbe una notevole dose di coraggio c di tenacia. Dicono i no stri ufficiali: si può anche lasciare le cose come stanno e consumare tempo c ri sorse umane e material i per ofTri re un prodotto mode!;tO. Si tratta di scegliere.

Ma prima di decidere quale via da segui re sarebbe meglio meditare su queste parole: «Durante le prime settimane di addestramento le reclute imparano ciò che i loro co rpi e le loro menti possono e non possono fare , ad accettare modi

' J . Downey. op.cit. 276

diversi di comportars i, a controllare la rabbia e a eseguire vari tipi di ordini». 1 È in q uei giorni c he s i p uò dar vita ad un soldato conv int o e moti vato o ad un uomo frustra to e a l ienato.

L 'addestramento presso i reparti

I reparti devono riceve re i soldati addestrat i individualmente dai cent ri di addestramen to e dalle scuole, per poi amalgamarli in unità operative nelle quali dovran n o essere addestrati insieme e, se n ecess ario , combatte re. Questa seconda parte del probl em a che di rado si menzio na per c hé ritenuta sgradita è però la più importante. Gli err or i e le superficialità addest rati ve s i sconteranno in co mbattime nto in termin e di inefficienza e perd ite di v ite umane. Chi gestisce l'addestram ento co lletti vo come se foss e qualcosa di a rt i fi c ioso senza alcun co ll egamen to con la realtà , co mm ette un atto di grave dison està professionale. Scrive Downey: «L'addestramento è fondamentale ... non può essere ignorato dai militari come se fosse qualcosa che spetta a d a ltri fa re». 2 Ne i repart i s i dovrebbe pr ocedere per traguard i crescenti, ad ini z iare dai reparti manoarma minori, per poi passare a ll 'addestramento di cooperazione i ntera rma , per fini re co n quello inte rforze. Presso i reparti , il rapport o is trutt ore-a lli evo è sostituito da un rappo rt o più profondo, fra co mandante -istruttore e combatt ente poten zia le.

Questo secondo tipo di rapporto prevede la formazione ini z ia le d e llo spirito di gruppo , il team building, è qui che il soldato impara a operare co n un limitato gr uppo di suoi coll eghi e dove idea lm ente si dovrebbe ottenere un tale affiatame nt o psicologico e professiona le da conse ntire 3 lo scambio dci ruoli detto c ross trainin g, importante per il co mba ttim ento, ma sopra ttutt o per la rec iproca co mpre n sio ne e pe r l'affiatamento del team.

' A. Hoiberg, op. cit.

2 J . Downey, op. cit.

J Da uno studio statunitense delrAnny Medicai

277
Researc h Unit , Europe.

Le dimensioni del team variano a seconda delle esigenze addestrati ve da un minimo di tre-quattro (pacchetto d'equipaggio, cordata in montagna ...). a un massimo di 15 persone.' Qu est i uomini vengono affidati ad un istruttore che, oltre ad essere qualificato professionalmente, dovrebbe in termini psicofisici rappresentare un modello da imitare. In tutti gli Eserciti seri questo ruolo viene affidato a un sottufficial e di grande esperienza e professionalità. 2 Da noi questi elementi, vere e proprie colonne dell'ordinamento militare, so no sempre meno e, non sempre per colpa loro, sono spesso poco idonei a fungere da istruttore e da guida. L'organismo rivela così la sua fragilità non solo all'origine del processo addestrativo collettivo, ma anche nella coesione e preparazione del primo anello della catena operativa, il primary group della sociologia militare. L'addestramento procede poi per livelli sempre più complessi, crescendo anche nella dimensione dei reparti interessati.

È così che i vari teams vengono associati in un'unità: per l'Esercito, il plotone, in cui la dimensione del problema operativo inizia a prender forma. A questo punto sarebbe logico, come lo è per gli a ltri . che il responsabile del comando, l'ufficiale subalterno, fosse anch'esso professionalmente capace e psicofisicamcnte maturo. Data la carenza cronica di ufficiali subalterni effettivi, i vuoti vengono però co lmati con ufficiali di complemento di prima nomina. la cui maturità e la cui preparazione sono nella maggioranza dei cas i assai discutibili. Là dove ci sono sottufficia li mo lto capac i, i giovani subalterni possono affidars i a loro, fino a che una maggiore maturità non renda loro possibile il comando. Ma anche nel migliore dei casi, il risultato è in evitabilmente scadente sotto ogni punto di vista.

Il passo successivo dell'addestramento co ll ettivo, prevede un raggruppamento di più unità minori in reparti a livello di

1 Livelli indicati in un 'i ndagine sui rapporti fra superiori e subordinati ai bassi livelli ordinativi, da H. Koon tz e C. O'Oonnell. Principles q{ Management, McGraw- H1ll Book Co .. New York 1968.

2 E ora. come già prec1sato. nell'Esercito israeliano s1 tenta di affidare i rearru a ufficiali.

278

«compagnia», affidata alla famosa <<C» intermedia delle tre «0> fondamentali del co mando : ca poral e, capitano, colonnello. A questo li vello c'è normalmente una maggiore professionalità, ma la carenza num erica è vistosa. Si veri ficano quindi casi di capitani che comandano per troppo tempo oppure, di reparti, in cui il comando viene affidato a ufficiali subaltemi anziani, con il risultato di impo veri re ulteriorm ente i liv elli inferiori. Le «compagnie» sono a loro volta parte di battaglioni o di unità equivalenti, il vero cuore d ell'organizzazione, il «corpo».

A questo li vello, quando le circostanze favoriscono l'affiatamento fra comandante e subordinato, si verificano veri e propri miracoli , che consentono la nascita di strutture molto efficien ti nonostante tutti gli elementi sembrino costringere al contrario. Questo è anche il massimo liv ello cui, sia pure con grand i difficoltà. è possibil e un addestramento realistico. Sui battaglioni però grava una struttura di comando pesante, esigente, tedi osa indirizzata spesso non già ad agevo larn e gli sforzi addestrativi, ma a convogliare le loro energie verso impi eg hi non ope rati vi, pur se più appetibili per il facile consenso che essi ottengono. Si è già accennato e più di una volta alla «turbolenza», ma non è tutto. Secondo Sorley, un rapporto abbastanza recente dell'Esercito americano avrebbe concluso che nel loro organismo «molti comandanti d e ll'Eserc ito non sanno addestrare, l'addestramento non gode d ella ma ssi ma priorità, non raggiunge i livelli previsti per i compiti di combattimento , la tolleranza dei bassi li ve lli addestrativi è divenuta co mun e». 1

Inutile dire che que ste osservazioni sono valide in pieno anche per noi. con la so la differenza che da noi al riconoscime nt o della insufficienza in campo addestrativo non si accompagnano serie mi s ure correttive.

Ammesso, dunque , che sia stato affrontato energicamente e almeno in parte risolto il problema dei ce ntri addestramento e delle scuole, è indispensabile che il prodotto migliorato non venga poi spreca to in un addestramento collettivo ina'

279
L Sorley. op. cii

deguato. Un so ld ato maturato psico-fisicamente e in grado di impiegare bene i materiali in dotazione deve trovare l'ambiente addestrativo adatto. Occorre a questo punto correggere una mentalità sempre più diffusa , c non solo nell'ambiente civile, presso gli «pseudo-esperti» di cose militari. L'uomo, il com battente individuale. ha ancora un 'importanza predominante sul campo di battaglia e non solo sotto il profilo dell'impiego dci mezzi a tecnologia crescente di cui è dotato. Il mezzo resta «l'oggetto», il soldato è il «soggetto». Ma la capacità di combattere o capacità operativa si esprime ai suoi massimi valori quando refficienza dell'uomo. di ogni reparto a qualsiasi livello. dei vari comandi, è combinata e integrata con abilità. Questa prontezza congiunt;} (interactil 'e readiness) la si può ottenere solo quando l'addestramento serio, imp egnativo e realistico ha affiatato l'insieme operativo in tutte le sue componenti: informativa, operativa e logistica. In un Esercito di leva, in cui la «turbolenza» è, anche nel migliore dei casi, parte del sistema, le unità sono coinvolte con tinuam ente in un ciclo addestrativo che anche se perfetto si conclude non appena il prodotto ottenuto, la capacità operativa, ha raggiunto un rendimento adeguato all'impiego. l traguardi addestrativi sono perciò forzatamente più bassi di quelli di formazioni di professionisti che dispongono di tempo per maturare. Ad aggravare la situazione intervengono inoltre altr i fattori dev ianti. Un fenomeno comune a molti Esercit i evoluti è la sempre crescente attenzione per una gestione passiva del personale e del materiale, uniche fonti di serie «grane» per comandi e comandanti. L'addestramento va a finir e al terzo posto e ce se ne occupa quando non si può fare altrimenti. Ciò vale anche per i Paesi occidenta li in cui l'opinione pubblica è meglio disposta per i problemi delle Forze Armate e dove. in molti casi, le Forze Armate sono compos te da «professionisti» qualificati. Da noi, il problema si presenta assai più grave perché l'addestramento è accettato solo purché non se ne parli, non si senta o non si veda. La pressione politica è inoltre molto più forte nel settore del personale, anche se limitata a quello di leva. Il tempo dedicato a soddisfare le esigenze burocratiche delle

280

pratiche impostate dal personale di leva, a torto o ra gione, è in credib il e. Raccomandazioni, ri chi este di avvicinamento, di congedo anticipato, ecc. ecc. finiscono tutte con interessa re il comandante del «corpo», sottraendo tempo e interesse non solo alla cura addestrati va, ma anche a quella più seria del governo del personale. Ciò provoca inevitabilmente la rinuncia alla «prevenzione» e il ricorso inevitabile alle più sbrigative forme «coercitive». Comandi e comandanti ai vari livelli si dedicano alla «burocrazia» di gestione a tempo pieno, formandosi una mentalità dogmatica, normativa e rip etiti va che travasano sull'addestramento quelle rare volte che se ne occupano.

Nasce così una mentalità perfezionistica che blocca qualsiasi sforzo innovativo. La ricettività addestrativa di un reparto dipende oltre che dalla capacità dei Quadri e dalla disponibilità di mcz1.i e di st rutture adeguate, anche da un in sieme di fattori strettamen te collega ti quali la disciplina, la coesione, lo spirito di corpo, la t end e nza al lavoro di gruppo. Si è già detto come fra essi e l'addes tramento esista un reciproco rapporto di causa-effetto e che a essi dovrebbe dedicare tutto il suo impegno a tempo pieno anche il comandante più capace e più fortunato. In vece, troppo tempo gli viene sottratto per impegni del tutto marginali. Il culmine del suo impegno addestrativo viene, comunque, identificato no n già con il co ns eguimento della «capacità operativa» del reparto da lui comandato. bensì nella evanesce nte atmosfera delle «grandi esercitazioni», eredi delle note «grandi manovre». Esse non corrispondono a obiettivi addestrativi concreti, ma si propongono invece di impressio nare il pubblico, normalmente composto da personaggi militarmente in competen ti e perciò be n disposti a apprezzare esercitazio ni simili a spettacoli ben orchestrati. Per far vedere tutto e in poco tempo si concentra in pochissimo spaz io e a intervalli minimi una massa considerevole di personale, di mezz i, di atti tattici, di fuoco. Spesso avviene che un so ldato spar i in una sola esercitazione più colpi che non lungo tutto il processo addestrativo vero e proprio. Se mancano le muni z ioni e i carburanti per l'oscura, ma assai più utile attività di tutti i

281

gio rni , essi sorprenden temente abbondano a dismisura in tali occasioni di festa militare. A rendere ancor più irrealis ti che tali ese rcitazioni intervengono seve re restrizioni al fu oco e al movimento, sia per motivi di sicu rezza c he per non disturbare la comun it à civile. In oltre, poiché i poligoni sono quelli che sono e i Comandi coinvolti spesso sempre gl i stess i, le esercitazioni sono preconfeLionate, quasi ri cette cui basti aggiungere diverso condimento per farle apparire nuove. Nel descrivere attività analoghe dell'Esercito americano, Hauser commenta: «Molt i comandanti dedicano la maggior parte delle loro energie a preparare c condurre queste ... reali stiche" esercitazioni, chiamandole addestramento. In realtà assai poco addestramento viene condotto. l so ld ati muovono all'interno dell'esercitazione senza mettere alla prova le capacità individuali». 1

Assai meno rca listicamente impegnati dei soldat i sono comandanti c Comandi semmai coinvolti in una sccnografia degna di professionisti di Cinecittà. Queste eserc ita zioni spe tta co lo che e ntu siasmano i vertici, ma scoraggiano gli espe rti militari na zionali c stranieri, sono note come <<teatrini». È probabile che il termine abbia radici storiche. Infatti, scrive Lu igi Barzini che, nel Rinascimento «condottieri ben pagati inscenavano l'aspetto es teriore dei conflitti armati, decorando il teatro della guer ra ... con mag nifich e att rezza ture. bandiere. tende colorate, cavalli bardati, pennacchi, macchine d'assedio. L'azione era accompagnata da musiche mar?iali. rulli di tamburo, canti in coraggiant i ed urla che facevano ge lare il sangue nelle vene». 2 A parte l'espress ion e «ben pa ga ti» , tutto co in cide. Sarebbe meg lio però ricordare quanto poco siano servite per difendere l'Italia tali messe in sce na fastose. Questa tendenza alla artific iosità dell'addes trame nto si accentuò pr ima della seconda guerra mondiale , quando il Governo e ra più interessato allo spettacolo della forza milit a re che non a ll a forza stessa. Mentre l'Italia si co mpi aceva di ciò che vedeva, espe rti st ranie ri riferiva no ' W. Hauser. op

282
etl 1 L. Barzinr. op. CII .

sulla scarsa credibilità de l nostro addestramento, in tutte e tre le nostre Forze Armate.•

Ancor oggi così avviene. Ma, ottenuto il compiacimento delle FF.AA. , chi si cura degli esperti? Dicono i nostri ufficiali: se è impossibil e abolirle, almeno si dovrebbe tentare di ridurle drasticamente. Oggi sono anch'esse causa, con le loro prove e controprove, della «turbolenza» della v ita addestrati va dei reparti. Ma soprattutto l'efTetto spe ttacolo dovrebbe essere bandito in tutte le esercitazioni dove il pubblico è costituito da militari. Oggi, secondo la naturale tendenza a imitare le cose mal fatte, il «teatrino» o «vasetto» viene ripetuto a tutti i livelli. Molti recitano, pochi si addestrano. Non è infrequente il caso di vedere un genera le che si preoccupa personalmente del movimento di un singolo mezzo o di una sparuta squadra di soldati.

Quanto ciò rientri nell e sue competenze o serva a l suo pres tigio è assai opinabile. Si è però detto come il Comando è una tappa inderogabile per la successiva promozione. In un contesto che premia il conformismo e il quieto vivere, sembra abbastanza comprensibile che più di un comandante cerchi di piacere, applicando dogmaticamente e ottusamente la dott r ina e evitando in ogni modo l'imprevisto. Questa tend e nza ha efTetti gravissimi anche sulla motivazione dei Quadri giovani. I più motivati non riconoscono la p rofessione da loro scelta, gli altri si adeguano e collaborano volentieri ad un'atti vità che non li responsabil izza in alcun modo e si conclude rapidamente. Inoltre, la difTusione a tutti i livelli di questa perversa tendenza addestrati va, contrasta drammaticamente con l'esigenza sempre più attua le di realismo ta le da stimolare autonomia e iniziat iva a tutti i livelli. Clausewitz h a scritto che «in guerra tutto è semplice, ma anc he il semplice diventa difficile». Quindi , il rimedio sarebbe l'adozione di soluzioni concettualmente semp lici, ma impegnative s u l piano esecutivo.

Da noi si propende per la soluzione opposta: soluz ion i

283
1 Williamson Murray. «The Rolc of Italy in British Strategy. 1938-1939>>, in «Royal United Services ln stitutc J oumal». settembre 1979.

concettualmente co mpl esse del tutto di ssoc iate da un addestramento che. invece, lascia poc hi ssimo s pa zio a ll 'imprevisto. Man ca, inoltre, ne l co ntes to delle no stre a ttività addestrati ve, un a se ria co nsid erazione di tutti i fattori co ncorrenti nell e o perazio ni , ma che non tro va no una possibilità d i co ncreta rappresentaz ione. Sono tra ess i l' effetto delle contromi su re ele ttroni che, la difficoltà di acqui sizion e d egli obietti vi, gli effe tti di un cattivo fun zio nam ento d ei coma ndi , la ri spondenza reale delle procedure di richieste e di imp iego dell e mi ssio ni aeree o del sostegno di fuoco e logisti co. Le incognite sono numerose e comp lesse ma date, purtrop po, tutt e per scontate.

Si dann o per buoni dati s perime ntali fo rniti da altri o, più norma lm ent e, si considera istantan ea me nte soddisfatta , nel m igliore dei modi , ogni esige nza solo perc hé ma nifesta ta a li vello teo rico.

Il vero «realismo» è in vece qu ello c he tien e, per qu a nto possibile, co nto di tutto , che presume le condizioni più sfavorevoli, che impegna Quadri e truppe in co ndizi o ni di di sagio, fatica e ri sc hi o re lativo , per un tempo s uffici ente e ne l quadro di attività che las cino spazio e margine all'imprev isto. Quanto ai rischi , il probl e ma è sicuramente esasperato presso le nostr e Forze Armate quando a esserne coinvolto è il pe rso nal e di le va. Un util e esempio. Nella stessa giornata, ne lb stessa case rma , un soldato si procurò in servizio una li eve le sio ne a un dito e un uffi c iale su periore , uno schiacciamento dell e vertebre piuttosto serio durante un 'a ttività sportiva. Quasi subito tutta la catena d ei Comandi Superiori e ntrò in ag ita z ione, per sapere perché e com e il soldato si fosse fatto male e chi ne fosse L'ufficial e s uperiore fu ricoverato in osp edale ci vile grazie ad un ami co e non rice ve tte , non solç> alcuna att enzion e, ma nea nche una t e lefonata di auguri. E chiaro come qu es to modo di vedere le cose non agevo li l'accettazione de l rischio da parte di chi non è un «gu e rriero» per propria natura . Quanto questa preoccupazione sia imm oti vata è pe rò dimostrato dall' esa me de lle pe rcentuali di incid e nti le tali e non (fra i non , anche la sbucciatura del

284

dito) nel 1978, nell'Esercito. 1 Su l 01 deceduti in un anno, 76 sono periti fuori servizio e 25 in servizio. Di questi ultimi, solo 5 in addestramento e due per incidenti di tiro (dovuti probabilmente a imperizia). Per i feriti, invece, su un totale di 430 l, 50 l si sono infortunati in addestramento e 28 in incidenti di tiro.

Per inciso, nello stesso anno gli incidenti fuori servizio sono stati 2297 sui 430 l del totale. I soli incidenti su macchine private sono ammontati a 928.

È utile aggiungere che un addestramento più duro oltre che esser gradito alla massa dei giovani , norr.1almente riduce e non accentua le cause di rischio. Il giovane psico-fisicamente maturo, inserito in un ambiente addestrativo di élite, può affrontare con tranquillità rischi impensabili per del personale non addestrato. Non è già riducendo le bombe a mano da addestramento che si annullano i rischi, ma facendo in modo che l'addestramento al lancio sia ben curato e che i soldati da addestrare siano psicologicamente preparati. Ridurre i rischi annl!llando le cause di pericolo può portare in breve alla nascita di un Esercito assistenziale, di nessuna utilità in caso di confronto armato, che richieda, per quanto possibile, Quadri e truppa collaudati. Durante l'ultimo confl itto mondiale i reparti delle tre Forze Armate che hanno meglio reso in combattimento sono stati quelli cui l'addestramento aveva imposto situazioni di rischio. Tale è stato il caso del pilota da caccia , del sommergibilista , del paracadutista, delle truppe da montagna, dei reparti di cavalleria. Occorre quindi per tutti realismo, capacità di immaginazione e spazio all'iniziativa.

L 'addestramento interforze

Le difficoltà di condurre, in tempo di pace, un serio addestramento collett ivo nel nostro Paese si moltiplicano ne l caso «lnterforze». Tutto diventa difficile, se non impossibile. La

1 Annuario ISTRID 1981-1982, cit. 285

cooperazione «aero terrestre» è allo stato s imbolico e ce se ne ricorda soprattutto quando occorrono e !Tetti spcttacolari per condire me gl io le ri cette «dimostrative». Per il settore «aeronavale» le ricorre nti sortite della Marina a favore di una propria aviazione non nascono certo da un matrimonio felice fra le due Forze Armate. La separateua fra le tre Forze Armate è tale che si pretendono esercitazioni separa te in breve successione di tempo e fatte tutt'al più in modo che a ognuna vada equamente la stessa parte di merito. Non è tanto, anche in questo caso, l'addestramento che conta quanto il fatto che ogni Forza Armata riesca a figurare rispetto alle altre. L'assenza di coope ra zione è un fatto tradizionale all'interno delle nostre FF.AA. che tanti guai già ci ha procurato in guerra. Ma non sembra c he la lezione sia servita. Nel dopoguerra, pur con i limitati mezzi disponibili , un certo addestramento interforze era ancora possibile, presumibilm en te perché ereditato da altri Pa esi cui il no s tro modello di difes a si era ispirato. Con il ritorno a un modulo addestrativo più nazionale , anche quel po co si è perso per strada.

La saggezza tradizionale torna a esercitarsi nei settori in cui più si trova a suo agio e può meglio figurare senza pericolosi confronti, cioè l'addestramento mono-forza armata, il che impedisce oltre che l'acqu is izione di una capacità int erforze di base anche l'assimilazione di tecniche più approfondite. Questo comporta un fattore di rischio grave soprattutto per operazioni convenzionali <<a bassa intensità» co me nel caso di un intervento immediato in qualche punto della nostra penisola contro un aggressore non previsto. Nessuno , in mancanza di un 'espe ri e n za reale, è in grado di chiedersi cosa realmente occorra in terfl1ini di predis posi zio ne addestrati ve, logistiche, di comando ecc. ecc. E n ess uno se lo chiede. Un addestramento realistico metterebbe in lu ce drammatiche carenze in questo settore. Una componente <dnterforze» non è solo la somma di unità delle tre Forze

Armate , più o meno legate d'! una situazione di comando e controllo di compromesso. E qualcosa di completamente diverso , che richiede nuove procedure, nuove tattiche , comuni e frequenti esperienze, un sostegno logistico predispo-

286

sto nel dettaglio e più volte sperimentato, una struttu ra di forze e un'articola1ione operativa curata e provata con frequenza. La pianificazione va anch'essa costantemente perfezionata in base a dati di esperienza costantemente verificati. Tutto questo richiede addestramento, addestramento e ancora addestramento interforze. Per tali operazioni, Sarkesian scrive che «le esigenze militari e le capacità, tradotte inforces in being["forze esistenti, pronte per l'impiego"] devono essere integrate realisticamente nei piani». 1 Ma da noi manca la condizione base. Non vi sono le forces in being e quindi realismo nei piani e capacità in funzione delle esigenze rimangono incognite insoddisfatte.

Se si assume come esempio la nota «Forza di intervento» che trova tanta difficoltà a nascere per insipienza politica e militare, la situazione appare chiaramente critica. Dopo oltre un anno e mezzo dall'annuncio della volontà di costituirl a, poco di serio è stato fatto. Anche in questo caso si è data assoluta priorità alla parallela forza per la «protezione civile».

M a ciò che è peggio è che alcuni fra i vertici militari sono o sembrano convinti che una forza di tale complessità possa sorgere in caso di emergenza, da l nulla , mettendo insieme anche alla rinfusa un po' di navi, un po' di aerei, un po' di truppe da sbarco e paracadutisti, come è accaduto per la spedizione in Libano. Un minestrone improvvisato di fr on te all'inatteso arrivo dei nemici. Anche il comando e il cont rollo di tale forza dovrebbe essere assic urato all'ult im o momento senza che abbia potuto, nel tempo, familiarizzarsi co n i repart i da impi egare durante una real istica pratica addestrati va. Abbiamo avuto in passato eccellenti truppe e eccellenti formazioni navali e aeree, ma mai siamo sta ti in grado di portare a compimento con efficienza un'operazione di aviosbarco o sbarco nava le. Tanto meno un'operazione che le prevedesse e ntramb e. Perché? Faciloneria e volontà di ignorare il probl ema. La capac ità interforze non è un prodotto

1
1981. 287
Sa m Beyond tIle Baulefìe!d. The New Mllitary Professionaltsm , Pergam Press lnc..

spontaneo, come appare ovvio a chi ha avuto modo di osservare la cura con cui questo aspetto addestrativo-organizzativo è curato in Paesi che, peraltro, hanno una tradizionale capacità in materia e hanno condotto, come Gran Bretagna e Stati Uniti, ope ra zion i anche su vasta scala con successo. E facile prevedere cosa succederebbe se, agli imprevisti della situazione reale di combattimento, si aggiungessero tutti quelli, altrettanto drammatici, dovuti all' im provvisazione e all' im preparazione. Quanti sanno che, ad esempio, i nostri paracadutisti trovano da tempo assai difficile condurre un addestramento serio con i reparti di volo, perché gli ae rei sono pochi, sono indisponibili per inefficienza o perché devoluti ad altri usi non militari? I palliativi del lancio da elicotteri non soddisfano che in parte le esigenze del lancio operati vo.

Un beneficio che si trarrebbe dall'addestramento interforze sarebbe la migliore conoscenza fra reparti delle tre Forze Armate e la nascita di una stima reciproca oggi impossibile grazie alle paratie stagne innalzate dai rispettivi organismi di Forza Armata. Non meno importante, un ultimo beneficio sarebbe la lotta a ll a noia delle esercitazioni di Forza Armata e la possibilità di offrire ai Quadri nuovi ambienti, nuovi problemi, nu ovi traguardi.

L 'addestramento dei Comandi

Scrive Downey che «anche il comandante più elevato in grado deve esercitarsi nella sua attività di comando»} Ma, non semp re questo giusto avvertimento viene ascoltato e, con l'accesso agli alti gradi, i comandant i con i rispettivi Comandi entrano in un letargo operati vo compensato solo in parte dalla frenesia burocratica. In un seminario sull'attività degli Alti Comandi condotto in Gran Bretagna, si è detto che «un ufficiale di grado elevato deve saper impa rare acquisendo esperienza per esse r in grado di riversare l'esperienza da

• J. Oowney, op. cit. 288

lui acquisita sulla propria attività professionale».' Ciò avviene di rado perché spesso l'acquisizione di esperienza cessa ai minori li velli di comando. Il futuro viene poi vissuto nel ricordo di esperienze gjovan ili , senza maturare professionalmente nel campo operativo in modo adeguato al proprio livello. Sembra quasi confermata la legge che ciascuno, promosso fino al proprio livello di incompetenza. non se ne cura e si preoccupa solo delle incompetenze degli altri. Puntualmente a ogni guerra si è verificato che i Comandi di livello elevato erano quelli a entrare in crisi in caso di operazioni che non riuscivano a gestire.

Quante volte, nell'ultimo conflitto, Comandi e levati e non solo quelli italiani hanno persistito nell'emanare ordini non più eseguibili perché superati dalla realtà del combattimento? Nel nostro caso il sistema era esasperato dall'accentramento delle decisioni associato alla eccessiva distanza dei Comandi dalla zona di combattimento. In futuro, la tecnologia potrà consentire di seguire le vicende del combattimento in «tempi reali» purché il sistema di comando, controllo e comunicazioni, nonché le informazioni siano sapientemente usati. Scrivono Beaumont e Snyder: «Un problema chiave è rappresentato dal tempo impiegato a completa re il ciclo delle attività di comando: la comunicaz ione del fatto, l'analisi da parte dello Stato Maggiore, la decisione. la formulazione degli ordini, la loro diramazione. Può accadere che un ordine giunga in una situazione ormai mutata e che la sua osservanza provochi il di sastro». 2 Questo problema gr ave per ch iunqu e, lo è sop rattutto quando, come spesso da noi avviene, i Comandi reagiscono con estrema le ntezza , preoccupandosi della perfezione formale più che della validità ordini. In o ltre, la mancanza di pratica anche nel settore della emanazione, ricezione e trasmissione delle informazioni e degli o rdini porta a mettere in ciclo tutto per tutti, senza tener conto delle priorità. Per tale motivo quasi sempre comunicazioni anche tecnologicamente adeguate finiscono con esse-

1 «Heahh and High Command: Stress, Sleep and Climate Cbange», cil

2 R . Beaumont e W . P. Snyder, op . cit.

289

re intasate da messaggi superflui che si innestano nella ve ra attività di comando creando confusione e facendo perdere tempo a tutti. Non si può non esse re d'accordo con Beaumont e Snyder quando affermano che « la sensazione che le procedure di comando siano un vantaggio o uno svantaggio per la capacità di co mbatte re non è ancora entrato chiaramen te nel pensiero tattico e ne lla dottrina».' Ma più c he nel «pensiero» non è ent rato nella «pratica>>.

La NATO. ben co n sc ia di qu esto problema, ha avviato da anni un it er addestrativo che attiva ogni anno gli Alti Comandi militari e ogni due anni anche quelli politici. Ma non ottiene grandi successi anche pe rc hé i suoi clienti , tutti esterni. sono decisamente troppi e non coercibili in alcun m odo da un 'o rganizzazio ne non sovran nazional e. In campo nazionale sarebbe in vece po ss ibil e eserc itare l'a utorità ric hi esta ove vi fosse la volontà necessa ria da parte politica e militare.

L'unica cosa da fare è prevede re d e ll e prove di valutazione d e lla operatività d ei Comandi e dei comandanti da parte dei ri spe tti v i vertici. P er i vertici ma ss imi ci si potre bbe acconte ntare di un 'autova lutazione in base alla capacità di autocritica c he essi dovrebbero consapevolmente possed e re. Si eviterebbe così, almeno, qu e lla progressiva scl e ro si della pre parazion e professionale che si aggrava con il cr esce re del live llo dei Comandi e con il progredire n e lla carriera. Vi sono tre tipi di attiva z ioni dei Comandi , riconosciute co n vari nomi ma sostanzialmente eguali in ogni Paese, le esercita7ioni con i Quadri, le esercitazioni pe r posti di comando, i gioc hi di guerra. Le prime si prestano solo a una valutaz ione di tip o normativo in quanto si est rin secano in studi dottrinali o comunque teo ri ci, presentati didatticamente a uditori più o meno attenti. Si possono vivaci zza re , ma la sostanza no n muta di molto. Le ultim e due categorie sono, inv ece, imp o rtanti ssime a nc he per la va lutazione. Si dovrebbe iniziare con i giochi di g uerra che, se impostati seriamente e soprattutto se co nd o tti co n l'ausilio di e laboratori , otte rreb-

290
1 R. Beaumont e W.P. Snyder, op. cii.

bero molteplici scopi, tra i quali la verifica dell'attività decisionale' e la validità delle soluzioni operative. Oltre tutto, giochi di guerra prolungati e condotti in situazio ni di tutto comfort, potrebbero consentire di temperare gli ingegni e di collaudare le procedure prima di affrontare le più impegnative esercitazioni per «posti di comando». La presentazione di situazioni impreviste metterebbe alla prova la capacità di reazione di comandanti e Comandi nonché la capac ità decisionale. Le esercitaz ioni per «posti di comando», problema c he int eressa soprattutto l'Esercito, dovrebbero attivare i Comandi c i comandanti. ponendoli in situazioni di mobilità, di disagio. di stress. di pura e sempl ice fatica fisica, prossime a un caso operativo. Bisogna mfatti c reare anche artificiosamente «la fatica, il rischio che rendono più difficile il compito dell'intelletto. La sfida... malgrado tutto non è tanto fisica e morale quanto dell'incertezza>>. 7 Se si eliminano la fatica. i disagi, l'incertezza, non si sperime nta nulla. Un realismo molto elevato è comunque difficile, perc hé non si può per i Comandi, a differenza di quanto avviene per le esercita7ion i con le truppe, simula re almeno in parte i rischi individuali e collettivi, né veder tradotte le decisioni in atti esecutivi. soppesando quindi la loro influ enza sulla decisione. Le esercitaz ioni per posti di comando come quelle valutati ve pe r le truppe dovrebbero essere prolun gate e mai interrott e. La guerra futura può. grazie alle nuove tecnologie. essere condotta senza sosta. Non sono pensabili o quanto, meno normali le soste notturn e o anche diurne delle operazioni tipiche delle guerre passate. La capac ità di comba ttere per periodi prolungati con efficie nza potrà essere un e leme nto risolutivo del com battim ento. E c iò va le anche pe r comandanti e Comandi: in caso di prov e addestrative non co ntinue e prolungate «i problemi causati dalla perdita di so nno e dalla continua attività non vengono afTrontati». 3

Tanto meno li affrontano comandanti e Coma ndi elevati che

1 Giovanni Saladino. La simulazione militare. articolo di prossima pubblicazione su Rivista Aeronautica. edita dallo Stato Maggiore dcii'A'!ronauuca.

2 R. Aron . op. cit.

1 M.G. Hunt - Da vis e D.M. Preedman. op. cit.

291

riducono al minimo il proprio impegno, evitano qualsiasi disagio fisico , prevedono comode e lunghe interruzioni per il proprio riposo: Inoltre, vari artifizi di esercitazione e una s imp atica complicità fra attivanti e attivati, oltreché una cauta, rigida, quasi inflessibile e lenta direzione dell'esercitazione consente di imporre un ritmo decisionale di assoluto riposo e di annullare totalmente l'imprevisto. Ne sofTrono oltre che i Comand i nella loro attività e nell'applicazione delle procedure, anche le comunicazioni che non vengono mai sottoposte a un traffico impegnativo, non vengono disturbate , non sono costrette a adeguarsi agli spostamenti frequenti dei rispettivi Comandi, in quanto essi assai di rado si spostano. È una chiara vocaz ione all'eroismo, perché un comando di Grande Unità che permanesse in guerra più ore nello stesso posto verrebbe individuato, attaccato c distrutto. Se poi non si muovesse per tre giorn i... non ne parliamo. Alcune eccezioni a questo comodo vivere sorgono qua e là dove alcuni comandanti, dotati di una coscienza operati va propria, cercano soluzioni realistiche, autoattivandosi con severità. Ma purtroppo sono le eccezioni e non la norma. Perché ciò si verifica di più nell'Esercito che non nelle altre Forze Armate? Perché lo spostamento per mare e pe r aria di formazioni comporta comunque la consuetudine a un'attività di comando e controllo e comunicazioni tale da attivare i Comandi, anche i più elevati. Non così avviene per le truppe di terra, che si muovono per mini-formazioni, senza un collegamento realistico con i Comandi più elevati. Il Comando, Controllo e Comunicazioni (C3) è pertanto, prevalenteme nt e, amministrativo ossia indirizzato alle esigenze della v ita di tutti i giorni, del tempo di pace. Ma gli assenti, in modo totale, da questa scena sono i C3 interforze, attivat i e solo superficialmente e per rifl esso dalle esercitazioni

NATO, come se dovessimo farci imp orre da altri di sperimentare la va lidità di risposta dei nostri Comandi.

292

Parlare dell'addestramento senza accennare ai suoi aspetti internazionali equivarrebbe a la sciare la trattazione del problema a metà. Per un Paese come il nostro, inserito in un'alleanza ed in un contes to geo-politico così vario e denso di rischi qual e il Mediterraneo, la capacità di operare con ogni forza armata e con formazioni «lnterforze» insieme ad altri, sembra tecnicamente indispensabile. Ma è anche un fatto di cultura. In passato. durante due guerre, abbiamo pagato duramente Io scotto di un provincialismo spiccato che faceva ritenere eccellenti le no s tre scelte, in assenza di un confronto con altri che dimostrasse il contrario o suggerisse cambiamenti. Ancor oggi, anche negli alti gradi c'è chi è convinto che «non abbiamo nulla da imparare», controbilanciato da chi, altrettanto dannoso , è pronto a recepire qualsiasi id ea dall'estero e a metterla in pratica senza averci pensato su due volte. Solo un'esperienza vissuta e prolungata ai vari li ve lli e diffusa in tutta l'organizzazione c i potrà curare da queste superate tendenze , esterofobe od esterofile. Un programma completo dovrebbe prevedere: co rsi per ufficiali e sottufficial i all'estero per perfezionare la propria preparazione professionale; l'invio di nostre unità , a esercitarsi con a ltre in altri territori , e infine, la partecipazione di nostri Comandi operat ivi ad esercitazion i internaziona li al loro li vello, scegliendo le più impegnative sotto tutti gli aspetti. Si accumulerebbero così molteplici esperienze che al ri entro del personale, dei reparti e dci Comandi verrebbero travasate e distribuite lun go tutta l'organizzazione. I risultati sarebbero più elevati se l'organizzazione si predisponesse mentalmente ed in termini organizzativ i per valorizzare appieno tale apporto di conoscenza ed esperienza. Oggi , a parte i co rsi di spccializzazione che impongono la ricollocazione del personale addestrato dove esiste il materiale corrisponde nt e, questo potenziale viene disperso. Assai di rado la prepa ra zio ne acquisita anche attraverso corsi impegnativi viene considerata utile e sfruttata nell'impiego.

Ciò avviene anche perché i responsabili dell'impiego del

L 'addestramento internazionale
293

personale di rado hanno un'esperienza estera e, quindi. se non la rifiutano almeno non ne apprezzano il valore. Tutt'al più viene apprezzata la conoscenza della lingua. quale strumento indispensabile per occupare posti all'estero, spesso di scarso rilievo professionale.

Liddell Hart ha scritto che «vi è qualcosa di più difficile che non il far entrare un'idea nuova nella mente di un militare, cd è cacciare quella vecchia».

Naturalmente occorre che all'estero venga mandato chi professionalmente merita e non , come talvolta avviene , chi non ha chances di ben figurare. Siamo riusciti in passato ad inviare a corsi rangC'r personale che ha dimostrato di non possedere sufficienti doti di coraggio e di orgoglio per terminare decentemente il corso o di assegnare a altri corsi impegnativi ufficiali psicologicamente instabili e privi di orgoglio professionale. E ciò nonostante che il materiale umano all'altcaa non difettasse di certo. E non sono casi isolati. Se la sce lta del personale e del corso è valida, il costo anche se elevato è indubbiamente «pagante» in termini di costobeneficio per l'organizzazione, che, peraltro. potrebbe operare economie in altri settori disciplinando meglio le «visite» all'estero di delegazioni numerose, non motivate da alcun concreto motivo di lavoro. Un altro modo di far economia è ofTerto dagli accorqi per scambi «alla pari». i cui costi sono ridotti al minimo. E possibile anche acquisire un'esperienza internazionale a buon mercato invitando ufficiali e sottufficiali di altri Paesi evoluti a addestrarsi con noi. Qualcosa già vicn fatto. ma il personale straniero è spesso sottoimpiegato per la diffidenza che si nutre da noi per chi viene da fuori. E ciò mentre i nostri sono trattati veramente «alla pari» e impegnati seriamente. Risultato: alcuni Paesi non inviano i loro ufficiali migliori se non per occasionale errore. Il confronto dei nostri con ufficiali esteri scadenti rafforLa poi la convinzione che «non abbiamo nulla da imparare».

Un ufficiale straniero di notevole esperienza professionale e capacità commentava. a ragione, che in Italia non aveva visto che «dimostrazioni» e non «esercitazioni>>. Purtroppo ciò vale anche per quelle internazionali condotte sul nostro

294

territorio. In vece, le esercitazioni all'estero dei nostri reparti sono una fonte eccezionale di esperienze e dimostrano anche che il modo migliore per motivare i nostri soldati è impegnarli in attività dure e competitive. I comandanti delle minori unità sottratti a l controllo ossessivo dei Comandi Superiori se la cavano di solito egregiame nt e anche in co ndizioni climatiche proibitive, in attività continuative ed in situazioni di rischio e di fatica.

Data la posiz ione geografica del nostro Paese di relativo isolamento da tutti gli altri membri della NA TO, le occasioni di cooperazione occorre provocarle. Nel Centro Europa esse sono spontanee data la coabitazione di ben otto eserciti e altrettante forze aeree, sei forLe navali nella stessa regione e negli stessi mari. È un problema soprattutto per l'Esercito, dato che Marina e Aeronautica per la maggiore mobilità operati"a hanno più facilità e occasioni di eserc itarsi co n a ltri . Occorre perc iò che sia avviata da persone esperte in campo internazionale un programma di attività a lungo termin e, ben finalizzato, in cui gli scopi da consegu ire giu stifichino lo sforzo finanziario richiesto. Se il problema sarà bene affrontato si potrà trovare apertura presso alcuni Paesi per agevolazioni conside revoli volte a ridurre l'onere finanziario.

Un ultimo aspetto dell'addestramento in ternazionale è offe rt o dai corsi efTettuati presso di noi da Paesi del Terzo Mon do. È un'attività imp ortante che però non è ancora suffici ent emen te va lo ri zzata. Il suo significato politico non può sfuggi re a nessuno, ma la materia è ancora trattata senza adeguato approfondimento da Difesa e Esteri in sieme.

Manca inoltre quasi totalmente, a parte alcune eccezio ni , l'atti vità di no stre missioni militari all'este ro , che sarebbe in vece il caso di esaminare se r iamente.

295

Perché valutare la capacità operativa

Si è già accennato al fatto che l'addestramento costituisce oltre che un mezzo per conseguire la capacità operativa e affinarla anche il modo più per verificarla, sempre che la si voglia verificare. Di recente Paul Dalou ha scr itto a proposito dell'Esercito francese che « l'atti v ità operativa non è urgente. Sia la competenza che l'incompetenza non hanno alcuna possibilità di essere giudicate e va lu tate. Non è in questo settore, dove l'interesse è debole. che la responsabilità militare tenderà a investire le proprie energ ie». 1 Il commento può valere anche per noi, dove ci sono molti disposti a parlare di capacità operativa, ma pochi a sapere realmente di cosa si tratti o disposti seriamente a occuparsene.

L'addestramento da solo non basta per stabilire con sufficiente correttezza e approssimazione un prodotto estremamente complesso quale è la capacità operativa. Molteplici fattori intervengono a tutti i livelli per definirla, combinandosi fra loro in molti modi di difficile agge ttivaz ione.

Per quanto si debba riconoscere che qualsiasi sistema valutativo si adotti esso non potrà mai sostituirsi credibilmente alla uni ca, reale veri fi ca del combattimento e della guerra. la «non valutaz ion e» della capacità operativa è un rischio che nessuna Forza Armata e nessun Paese dovrebbero accettare. Non si può seriamente continuare a valuta re la capac ità operativa co n discontinuità e superficialità in base alle prestazioni a vo lte deludenti, a volte entusiasmanti di singol i reparti. L'esecrazione delle prime e l'esaltazione delle seconde allontanano la ricerca della verità e conferiscono un andamento sinusoidale ai rapporti fra Paese e Forze Armate. Altrettanto plateali sono le affermazioni di eccellenza o di inefficienza generale e largite con analoga incompetenza da civili e militari. Per un'organizzazione delle dimen sioni, della comp lessità, del costo, d e ll 'importanza di quella militare n on è possibile la sciare al caso o all'umore la v::1lutaz ione della ri spondenza dello strumento militare alla politi ca miti-

art. cit. 296
t P. Dalou.

tare del Pa ese. Sa m Sarkcs ian 1 sostiene che è indisp ensa bile valutare costa nt emente, in temp o di pace, la capacità o perati va, anche se solo in guerra si saprà realmente cosa essa valga. La sper im entazione e il co llaudo s' imp ongono a qualsiasi ma cc hina prima del s uo e!Tett ivo impi ego. È ma i possib il e che si pensi di gettare nel comba ttim ento la «macchi na militare» se nza a lm eno una valida prova «di banco»? L' indi!Terenza delle nostre Forze Armate verso questo aspetto della lo ro vita professionale ha radic i storiche, sopratt utt o ai li ve lli alti di co mando c direttivi e questa tende nza è stata indubbiamente favorita dalla leggerezza co n cu i, da ol tre ce nt'a nni , il Paese ha giudicato il problema militare. Oggi, però, quand o i confl itti di va ri a peric olosità e livello possono veri fi carsi senza preavviso adeguato, un Paese si può difendere so lo co n la capac it à ope rativa d i cui dispone già, quella delle sue forze in being, no n esse nd oc i tempo modo di correre ai ripar i. La va lutaz ione della capac it à opera ti va ra pprese nta perciò un fattore politico-m ilita re indispensabile, tale da co ndi ;do nare le ini z iative po liti che di Governo. Il dubbio , la co nosce nza imperfetta delle prestazioni delle propri e Forze Armate in te rmini di ssuas ivi o di int er ve nto costringono un Governo responsa bil e all'inazione e uno irrespo nsabi le a ri sc hiose avve ntu re. L'ex primo ministro britan nico Hca th ha detto a tale proposito che «brandeggiare la forz a militare, qua nd o no n si è certi dì pot erla usare con s uccesso, può dar so lo luogo a demoralizzazione in Patr ia, convogl ia nd o all'estero un 'impressio ne di imp o tenza». 2 Ancor peggio è qu an do, tra sci nati dagl i eve nti , si è costrett i a impiegare la forza in condizioni tali da no n dare garanz ia di s uccesso. Una lett ura anche superficiale de ll a nost ra storia o !Tre innum erevoli esemp i di impi ego sco nsid era to de lla forza mil itare a causa dell a improvvisazione politica e dell 'assenza di una serietà morale e professionale dci vertici militari. Alla base di tutti i malau gura ti eventi dell a nostra s toria

1 S. Sa rk esian (a cura di), Comhar E.ffecril·eness. cit.
297
2 Edward Hcath. «Th c Role ofWestern Military Powe r in th e World Today». in «Royal Unitcd Serv1ces lnstitute Journa l>>. febbraio 1980.

si è riscontrata una assoluta ignoranza della reale «capacità operativa» delle forLe, la cui potenza veniva espressa solo in termini di · numeri e dimensioni, di nessun significato pratico.

Le qualifiche di operatività che venivano attribuite alle varie forze prima del loro impiego non si basavano su nessuna valutazione obiettiva, ma invece su orecchiate stime non sostenute dai fatti. Poiché sembra legitti mo voler invertire questo meccanismo perve rso c he tanti danni ha prodotto al prestigio del Pa ese e delle Fo rze Armate, il Governo dovreb be ora pretend e re dalle Forze Armate una valutazione , il più possibile obiettiva, della loro capacità operativa globale e per singola «missione strateg ica». Come, infatti , è indi s pe nsabil e essere costantem ente al corrente della riserva aurea, dello stato del debito pubblico e della produttività naz ionaie per sviluppare una politica finanziaria credibile, così occorre conoscere lo status real e del nostro strumento operativo per poter condurre una politica di difesa credibile. Inoltre, secondo Sarkesian, «le maggiori decisioni di bilancio, le iniziative politiche, la politi ca estera e le concezioni strategiche dipendono in modo ril evan te da quella che si riti e ne essere la capacità della for1.a alle armi». 1 Quale miglior motivo per ridurre gli errori di giud izi o? Il compito è diffi ci le perché la valutazione dovrebbe essere fatta in termini «lnterforze», al fine di stabilire co ncretamente il rendimento com pl essivo delle forze nelle singo le missioni in cui è scomponibi le il problema strategico nazionale.

Queste valutazion i singole consentirebbero una credibile valutaz ione globa le, rendendo meno arbitrario il collegamento fra finanziamenti e richieste , nel quadro del rapporto fra il compito e la capacità di assolver lo. L'assenza di una va lut az ione credibile della capacità operat i va, conferisce in o ltre artificiosità all'attività dei reparti , privi come sono di te rmini di riferimento per stabi lire la va l idità dei propri sforzi.

Le unità devono aguzzare il loro ingegno per far bella

1 S. Sarkesian (a cura di). Combat cit.

298

figura. Così, reparti posticci, che poco hanno a che fare con quelli che dovrebbero entrare in operazioni ve re e proprie, vengono costituiti ad hoc per poi essere disciolti immediatamente dopo le esercitazioni. Scrive Lewis Sorley, a proposito di casi ana loghi nell'Esercito americano, che «gli ufficiali nei gradi inferiori so no cos tretti a fare l'impossibile, per portare avanti il compito nonostante le risorse inadeguate... o soffrire l'impatto negativo sulle loro prospettive di carriera, ricevendo il biasimo per colpe che non sono loro».' Aggiungeva, alcuni anni fa, un capo di Stato Maggiore statunitense c he «Si passa troppo tempo a provare che il mediocre è eccezionale». A questo punto si potrebbe concludere che se mali di questo tipo affiiggono gli Stati Uniti e presumibilmente tutte le Forze Armate del mondo, in tempo di pace, non c'è nulla di grave in quello che capita a noi. Ma non è così. In tutti gli Eserciti seri si riconosce il ri schio di una degenerazione interpretati va della capacità operativa e molto si fa per correre a i ripari. Inoltre, strumenti anche imperfetti di valutazione sono in v igore e vengono costantemente applicati oltreché aggiornati. Da noi nulla di tutto questo. Vi è anche da aggiungere che in Paesi tradizionalmente si a sforzi imm ediati e rilevanti, e co n le risorse e il potenziale per farlo , le lacune «operative» possono essere risolte in tempi brevi solo che esista la volontà politica di farlo. Da noi, l ' uni co mom e nto storico in cui ciò si è verificato è stato dopo Caporetto, quando il Paese ha dimostrato, forse per l'un ica volta, di essere capace di reag ire adeguatamente. Ma sono occorse ci rcostan ze drammatiche per ottenere questa rigorosa convergenZd nazionale di intenti. Inoltre, quando le risorse assegnate alle Forze Armate sono scarse, quando il loro prestigio reale è messo in dubbio , quando permangono ancora forti scollamenti fra il problema militare e quello nazionale , sembra che solo la consapevolezza di «una ca pacità operativa» concreta possa stabil ire un clima di reciproca fiducia e simpatia fra Forze Armate e Paese.

A dimostrare i benefici di un sistema di valutazione, per

• L Sorley. op eu 299

imperfetto che esso sia, basta osservare i reparti cui, per il loro particolare impiego, sono imposte le prove valutative NATO, condotte da team s di esperti di varie nazioni per un periodo prolungato e con severità. Non solo questi reparti sono quasi sempre classificati ai livelli più alti delle graduat orie NATO , ma la nostra organizzazione militare, sempre sensibile al principio della «bella figura» con l'estero, fa tutto il possibile perché esse siano nelle migliori condizioni per ben operare. Le altre , le cenerentole, devono invece affidarsi a due fattori destabilizzanti , quale l'arte di arrangiarsi che ha l'equivalente anglosassone nel can do approach, e la stima sempre imperfetta e generica operata dall'occhio, non sempre esperto c assai poco attento dei Comandi Superiori. Ha fatto testo il caso recente di un nostro generale che, per essere particolarmente interessato e competente in termini di «efficienza ope rativa», veniva battezzato da alcuni suoi colleghi come «l'operativo» con intenzioni non sempre lusinghiere. A parte le sporadiche esercitazion i di allarme na z ionale, dove un qualche controllo di limitata serietà è ancor possibile, in tutti gli altri casi il verdetto sull'operatività o meno di un reparto non olTre alcun elemento probante, quando poi non è addirittura mistificante.

Si instaura così uno strano rapporto fra Comandi e Unità, i primi ansiosi di essere illu si sulla condizione dei reparti, i secondi ra ssegnat i al ruolo di complici mistificatori. Le valutazioni superficiali formulate dopo poche ore di prove, condotte ad arte , non offrono alcun elemento serio anche se, assai spesso, decretano immeritatamente la fortuna o la sfortuna di un reparto e del suo co mandant e. Secondo un documento deii'Army War College, citato da Lewis Sorley, sembra che siano stati segnalati quali elementi collateral i di un'imperfetta capacità di valutare «la differenza fra le ri sorse disponibili e le esigenze», «una difficoltà aggravata dal rifiuto degli ufficiali più elevati in grado di riconoscere la situazione, stabilire priorità , sub irne le conseguenze».

La necessità di qu esto confronto fra esigenze e risorse è spesso evocata, in termini però troppo generici, da molti vertici militari e talvolta , per risonanza, da qualche vertice

300

politico. Ma, dispiace dirlo, non basta. La deficienza d e ll e risorse non è infatti stabil ita in base a c hiari punti di r ifer imento, né con metodi sufficientemen te probanti. Somiglia così troppo a un diritto al mugugno privo delle pretese a una seria ri sposta. Né tantomeno sono evi d e nz iati gli s prec hi , gli e rror i, le imperfezioni di cu i è colpevo le l'ambien te e c he peggiorano i l rendimento dell'insieme e l'impiego delle limitate risorse disponibili. Il discorso , per esse re comp reso e accettato, va riportato su l terreno dei fatt i riscontrabili, quantificabili e dimostrabili. La valu t azione della capacità ope rativa è lo Mrumento indispensabile per ottenere questo ri sultato.

Fino a che essa non sarà possibile, la di chiarazio ne dell'operat ività sarà solo un atto di fede e la richiesta di risorse adeguate un interrogativo metafisico senza speranza di obiettiva risposta.

Come valutare la capacità operativa dei reparti

Se i metodi adottati da altri Pa esi n on sembra no essere d e l tutto adeguat i, occorrerebbe co munqu e prendern e conoscenza al fine di ev itare di commette re gl i stessi errori e per p oter avviare, sulla sco rta d e i lo ro dati di es perie nza, un'indagine atta a definire un modo mi glio re e appropriato alle nostre possibilità orga ni zz:nive e p ec uliarità na z ionali. Nel frattempo, anche l'adozio ne di m e todi superati e criticabili potrebbe pre pa rare il terreno per so lu z ioni mi gli ori e per un indispensabile camb ia m en to di mentalità. La regolamen tazione s ta tun i tense, la più approfondita e la più c riti ca al ri guardo, offre int eressa nti suggerimenti. L' impo staz ion e a ttu a le s i basa soprattutto su una valutazione oggettiva di fatti qu an tificabili , rispondendo so lo marginalment e alle in cognite «umane» del pro bl e ma , le più difficili da va lutare, ma anc he le più importanti.

Già nel secondo con flitto mondi a le, le Forze Arm a te statun i te n si, alla r ice rca di una rapida sol uzio n e d ei loro problemi, tropp o trascu ra ti in pre cede nza, applicarono m e todi

301

mutuati dal loro sistema industriale già abituato a affrontare in tempi brevi problemi o rgani zzat ivi di macro-dimensione. Se, però, dal punto di vista dell'assetto mat e rial e, i ri s ultati furon o assai pregevo li , molti e rrori furono commessi nei settori dov e la co mpon e nte umana , individuale e collettiva, giocava un ruolo d e termi nant e. Si venne così talvolta amortifi care la coesione e lo ·s pirito di corpo dei repa rti ed a distorcere il rapporto fra i Quadri e i re parti , fra i comandi elevati e le truppe. La g ue rra , però, portò alla ribalta gli e rrori e, con la stessa efficienza, l'amministraz ione statunitense si adoperò a cor regger li. Nel dopoguerra, nuo va m e nte, ne l pe riodo MacNa mara , s i diede di nuovo impul so alla tend e nza manageriale, introducendo c rite ri di va luta zio ne mutuati dalla tecnica azien dal e. Secondo Edward Luttwa k, il d esiderio di tradurre la capacità operativa in te rmini matemati camente calc o lab ili sostituì la «mistica tribale con mod e lli m a te mati ci no n sperimentati». Se prima, a ese mpio , s i pensava in termini di «rapporto di forza» , ossia di semplici raffronti num e rici fra le forze opposte, ora veniva introdotto i l conce tto d i «rap po rt o di potenza», in quanto prodotto di dati più com pless i che dovevano te ner co nto di un ' infinità di fatt o ri di dubbia e difficile inte rpre tazione . Anche da noi qu es ta evoluzione è sta ta segu ita, anzi si dovre bbe dire «sci mmiotta ta». perc hé ness un se rio te ntati vo è stato fatto per dare una d efi ni z ione seria ai «rapporti di pote nza» , rimasti così ne ll a più a sso luta generic ità. Rece pendo dal metodo statunitense so lo gli aspetti m a rginali , si è finito col dare veste di verità a soluzioni operati ve anche opinabili. Scrive Sa m Sarkesian che, se influen za ta da miopi concezioni conservatrici, «la capac ità o perati va può po rtare a co mm e ttere gravi e rrori in te rmini di indiri zz i genera li ». Un esempio. L'ipe rvaluta zio ne del contributo de l «volume di fuoco» come e le me nto risoluti vo d e l co mbattimento, sostenuta nel quadro dei fattori di pote nza , ha indotto l' Ese rc ito a dotarsi di un eccesso di cos to se unità di artiglieria, penali zzando cos ì le unità d e ll 'a rma bas e, ossia fanteria e sue specialità, cavalle ria , unità corazzate. Qu este so no , infatti , e le menti di manovra. fattore no n quantificabile e perciò di scarsa rilevanza per

302

chi voglia dar va lore di dogma alla potenza material e. Occorre, pe rciò , ra.donalizzare le valutaz ioni , evi tando di segui re le orme di Forze Armate che per mod e ll o e ri sorse sono cos ì diverse dalle nostre. Pe r avere risultati va l idi è necessario, peraltro, selezio nare gli interrogativi cu i ri spo nd e re, mettere in relazione le va rie risposte dopo averle va lutate se paratam e nt e con criteri oggettivi e soggettiv i, accertare la validità dei dati di ri ferimento raccolti e ridurre , per quanto possibil e, l'ambiguità d e i disegni concettua l i c ui' ispirarsi.

La va lut azione di dati oggettiv i è re lati vame nte sempl ice, m e ntre sfuggono qu e lli di ordi ne psicologico e soc iologico. Per il persona le, sono quantificabili , ad esempio, i dat i pe rcentuali d e ll e varie categorie, m e ntre è difficile stabi lire la qualità e i l co ntributo dell'efficienza dell'elemento umano indi vidua le, dello spirito di corpo e della forza morale collett iva dei reparti.

L' unico modo per approssimarsi alla verità è qu e llo di professiona l izzare ed umanizzare i l rapporto fra Comandi e reparti, oltre che qu e ll o di esten de re la durata delle prove valutati ve a un periodo sufficien temente l ungo e impegnativo, tal e da co nsen tire di ta stare m egl io il polso a coma ndant i e repart i e vanificare tru cc hi e sotterfugi, c he non reggono alla prova di attività dure, e prolungate.

Un altro fatto importante è la possibilità di esercita rs i, comandante e truppa , in beata sol it udo. Questo è un privileg io di cu i godono tutti qu e lli c he opera no in co ndi zio ni di ri schio o in ambienti diffi ci lmente raggiungibili. Sono cos ì favoriti i para cad utisti , gli a lp ini, gli aviatori, i marin a i... Le vittime naturali di un co ntrollo ossessivo sono invece le unit à di pianura che ope rano in zone n orma lm e nt e prossime ai Comand i Superiori e comunq ue facilmente raggiungibili con l'e licottero-taxi. Pe r un comandan te di grado elevato r esistere alla tentazio n e di visita re un proprio reparto a nc he di mod est issima ent ità per poi tornare a casa per la co laz ione o per i l pranzo, è spesso t roppo diffi c il e. Non è raro perciò che a osservare un capitano con la sua compagn ia ci sia no tre ge ne ral i, più un adeguato seg ui to di ufficiali di Stato Maggiore, aiutanti di cam po, ecc., ecc. E tutt i, naturalmente, co n

303

la presun zione di avere qualcosa da insegnare al malaugurato capitano cui non resta che rassegnarsi e attendere che se ne vadano. Questo controllo continuo, disordinato, imprevedibile, ossessivo e squisitamente banale e generico, è un grave fatto turbativo dell'attività di comando e dell'impegno addestrativo. Deve esser chiaramente sostituito con qualcosa di più serio, a tappe obbligate. Gli intervalli fra le tappe devono essere lasciati ai comandanti. Se questi sono incapaci , si può sempre sostituirli. Le pesanti incidenze «esterne» sulle attività della maggior parte dei reparti terrestri «di pianura» vengo n poi accentuate da altri limiti che i reparti e i Comandi stessi i m pongono alle proprie attività, sempre più regolate da limitati e rigidi orari. La «vita di caserma», deprecata giustamente da molti storici militari, come e lemento deviante, all'interno delle Forze Armate e nei rapporti fra esse e il Paese, diviene di nuovo fatto alienante e unico, reale punto di rife rim e nto. Proprio le unità che, .j n caso di guerra, dovrebbero affrontare le maggiori complessità del combattimento sono perciò le più statiche, le meno operative e quindi le meno credibili. Altri fattori entrano poi in gioco nella valutazione della capacità operativa, quali a esempio, i tempi rea li di approntamento, la serietà del sostegno logistico per operazioni prolungate, la padronanza della pianificazione operativa, ecc. Un fattore determinante che merita però di esser trattato a parte è la capacità di comando e controllo, la capacità di Comandi e comandanti di svolgere il loro ruolo in operazioni. Stabilito il m etodo di controllo, dovrà poi esser predisposto un iter metodico, tale da assicurare a vari livelli l'effettuazione di prove valutative serie. Non basta però l'iter, occorre anche che la composizione dei teams di ispezione sia ben dosata , che i singoli elementi siano accuratamente scelti, che gli organi centrali siano rappresentati e, infine, che le risultanze della loro attività siano tutelate dai vertici militari.

Molte, troppe ispezioni, in passato, sono state condotte senza alcuna professionalità in un'atmosfera di reciproca e benevola complicità volta a celare più che ad evidenziare le lacune del centro e della perife ria. Quando poi le ispezioni

304

non venivano a esaltare proprio i reparti a più basso rendimento che, essendo consci delle proprie carenze professionali, si tutelavano meglio ponendo in atto qualsiasi artifiz io per ben figurare e per esser ben accetti dalle commissioni ispettive: l'ospitalità verso gli ispettori diventa, in ta l caso, determinante.

Comunque, una valutazione seria e approfondita non avrebbe alcun valore in assenza di un clima addestrativo proficuo tale da utilizzare ne l migliore dei modi le risorse umane, materiali e struttura li . Associare una valutazione seria a un addestramento poco serio equivarrebbe a una fiscalizzazione del controllo senza che l'ambiente ne possa trarre alcun beneficio. Come se nelle scuole e nelle università si p rocedesse a esami sempre più seri e impegnativi senza però preoccuparsi che i corsi siano di se ri età e impegno adeguato. Una seria valutazione delle capacità operative avrebbe un effetto stimolante sulla vita dei reparti, focalizzando l'interesse di tutti sulle attività che giustificano il mantenimento in vita delle Forze Armate.

Scrivono due esperti: «Continuamen te c iò che l' i ntera organizzazione deve compiere dovrebbe essere confrontato con quanto è stato effettivamente compiuto. Opportuni correttivi dovrebbero essere apportat i, e risultati scorretti scartati».'

Le tappe della valutazione

La val ut azione dovrebbe avveni re a tappe obbligate nel corso della vita professionale ind i v iduale e dei reparti. Per questi ultimi si dovrebbe anche seguire un analogo cr itetio al m eno fino ai livelli in cui, in tempo di pace, le circosta nze consentono un accettabi le real ismo nelle attività addestrat ive e quindi una va lutaz ione effettuata su l loro modus operandi. Ai livelli più elevati, quali ad esempio, quelli delle Grandi Unità terrestri, brigate, divisioni, Corpi d 'Armata, le

305
1 P. Hersey e K.H. Blanchard. op. eu.

cost rizioni sono tali da privare di accettabile realismo le valutazioni dirette. Occorre in questi casi far assegnamento sulle valutazioni «indirette» basate sulla somma della valutazione diretta dei reparti che ad esse appartengono , sulla situazione del personale e dei materiali a livello collettivo, sulla capacità di comando e di cont rollo sperimentata con attività ad hoc senza l'attivazione completa di tutti i reparti di Rendenti.

È tipico il procedimento adottato da alcuni Eserciti occidentali che prevede le esercitazioni dei comand i alloro liv e llo , senza però il concorso delle truppe, per poi proseguire attivando le truppe al massimo l ive llo consentito dalla situazione ambientale di ciascun Paese. In Germania, sono, a esempio, possibili esercitazioni con l'intervento dei reparti oltre il livello divisionale, mentre in Italia, l'ultima eserc itazione del genere è stata condotta oltre venti anni fa, sotto il generale Liu zzi, allora capo di Stato Maggiore dell'Esercito. Solo un'attività continuativa, estesa per un periodo sufficientemente lungo, e co ndotta a livelli elevati, quali per esempio della di visione per l'Esercito, può consentire se non la valutazione almeno l'apprezzamento della resistenza morale e materiale dei reparti e il loro rendimento complessivo. La complessità e la molteplicità degli elementi in gioco può intàtti consentire di stabilire se fra essi si instaura un rapporto «sinergico» ossia di moltipli cazione del rendimento per positiva integrazione degli sforzi o se essi si limitano a sommarsi senza integrarsi e, ancor peggio, giungano a astacolarsi a vicenda.

Perch é il panorama valutati va sia completo e equilibrato, occorre c he le valutazioni inizino a li vello individuale presso gli enti addestrativi e che solo il superamento delle prove previste conferisca l'abi litazione a ricoprire l'inca rico. In tal modo le prove valutati ve consentirebbero sia di accertare la bontà dell e prestazioni dell'ente addestrativo, sia di offrire un incentivo ai giovani desiderosi di mettersi alla prova, nel confronto con altri e con metodi valutativi seri e rigorosi. Si eviterebbe così, fin dall'inizio, quell'appiattimento individuale che costituisce una delle maggiori cause dell'alienazio-

306

ne militare. È importante, a questi livelli, la misurabilità 1 delle prestazioni , connesse con l'obiettivo addestrativo da conseguire per ogni particolare incarico. Questi metodi, sia pur imperfettamente applicati, erano difTusi presso di noi fino a circa venti anni fa, perché ereditati dall'Esercito britannico che aveva curato il nostro addestramento nei primi anni del dopoguerra. Poco per volta, però, essi sono andati in disuso tanto da rappresentare oggi un'assoluta novità. Occorre però costringerci a un ritorno al passato, in termini più aggiornati, per una maggiore chiarezza nella definizione dei profili addestrativi individuali e collettivi e per avere punti di riferimento cui tendere. Come le prove individuali devono esser legate a obiettivi addestrativi specifici di ogni incarico, così per i reparti è indispensabile una prova valutativa connessa con la «missione» o con le «missioni» principali da compiere. Anche in questi casi, una graduatoria di merito dovrebbe esse re possibile per conferire un clima di competitività alle valutazioni.

Posto che si sia afTrontato e risolto il problema della valutazione dei reparti, rimane ancora da compiere il passo più decisivo, quello di sperimentare i comandanti e i Comandi da cui ess i dipendono.

Questa è l'area in cui da oltre cinquant'anni siamo più carenti e che ha così pesantemente penalizzato la condotta delle nostre operazioni durante l'ultimo conflitto. Ma, per strano che possa sembrare, questa è proprio l'area in cui si fa meno, forse per rispetto delle cattive abitudini del passato.

La valutazione del comando e controllo ai fini politico-militari

Non vi è dubbio che si dovrebbe essere costantemente certi della capac ità professionale dei cap i, politici e militari, interessati alla Difesa. Troppo gravi sono gli errori che essi

• G. Ferrari, art. cit. 307

potrebbero commettere, assai più gravi nelle loro conseguenze per il Paese di quelli commessi dai reparti, che oltretutto quando sbagliano pagano di persona. Parlare di valutazione a questi livelli è però assai irrealistico, anche per una certa «ipersensibilità alle critiche», riscontra bile ai livelli più alti.

E non si può certo esonerare una valutazione obiettiva da ogni critica!

Quale rimedio? Semplice. Attivare almeno 3-4 volte l'anno i Comandi operativi e ogni anno i vertici di comando, militari e politico-militari, prospettando situazioni realistiche di crisi esterne.

Oggi, capi militari dotati di quel savoir simpl{fìé che contraddistingue gli alti livelli di comando, ma non sufficientemente collaudati da un'attività di comando sperimentato realisticamente al proprio livello, difficilmente riuscirebbero a dare una consulenza politico-militare efficace e un'alta direzione militare adeguata. Per quanto attiene alla parte politica, Kissinger ha detto che gli uomini politici, dal momento in cui entrano in carica , vivono di rendita sulla propria preparazione. Dato che nessun uomo politico italiano ha una preparazione militare o politico-militare soddisfacente, non si comprende quale capitale di conoscenza dovrebbe per loro costituire fonte di reddito. Se a ciò si aggiunge la asso! uta mancanza di consuetudine della maggior parte dei politici di lavorare insieme ai militari in teams affiatati, il problema si presenta grave e il controllo e la gestione delle crisi per lo meno opinabile. Non sarebbe quindi il caso- si chiedono molti ufficiali - di provare a lmeno una volta all'anno a farl·i lavorare insieme, anche se solo per pochi giorni? Il Paese non crollerebbe se, come avviene nei periodi di festa, parte del suo Governo e parte dei suoi parlamentari si disinteressassero delle cose correnti. Potrebbe anche essere una dimostrazione che ci si vuole occupare seriamente della sicurezza nazionale e costituirebbe un eccezionale esempio per tutti. La capacità finale del comando raggiunge il suo apice nel momento in cui si è in grado di dire «SÌ» o «no» per dare inizio all'azione. «L'incapacità di formulare queste

308

semplici parole è segno spesso di collasso della personalità.»' Ma quante persone sarebbero oggi, per essere state preparate moralmente e professionalmente a farlo, in grado di pronunciarle consapevolmente e serenamente?

' «Decision making>>. rappono d t un Seminario presso il Unlled Services lnstitute di Londra. novembre 1980.

309

Capo di Stato Maggiore di Forza Armata. Mass imo vertice d e lla propria Fol7.a Armata (Esercito. Marina o Aeronautica) di cui pianifica. programma e gUida l'attività attraverso uno «Stato Maggiore» (organismo direuivo centrale).

Segreta ri o genera le della Dif<.>sa. Massimo vertice tecnico-amministrativo della Difesa.

Capo di Stato Maggior e della Difesa. Massimo vertice militare. presidente del Comitato dei capi d i Stato Maggiore. Rappresenta le Fol7e Armate nel Consiglio Supremo della Difesa e nei consessi internazionali. È il più alto consulente militare della sfera politica.

lnterforze. Quali fica attribuita ad attività od organismi cui partecipano più Forze Armate. ossia Esercito. Marina e Aeronautica. Per contrasto è. invece «di Forza Armata». ciò che riguarda una sola tra esse.

Comitato dei capi di Stato Maggiore. Massimo organo collegia le di vertice militare, presieduto dal capo di Stato Maggiore della Difesa, e di cui sono m embri i vertici "operativi'' delle tre Forze Armate. ossia i capi di Stato Maggiore. e quello (il segretario generale).

Centro AJti Studi Difesa (CASO). Massimo Is tituto interfol7e di Studi Militari e della Difesa Partecipano alla sua attività, quali frequentatori. in sessioni annuali, rappresentanti delle tre Forze Armate (nel grado di colonnello, generale). delle forze di polizia e di aJtri Di casteri (Esteri, In terni, ecc.).

Cons ig lio Supe ri o re de ll e Forze Armate. Organo collegiale eccentrico rispetto alla struttura di vertice militare. È a diretta disposizione del ministro

Glossario
3 11

della Difesa a cui fornisce consulenza in merito ad argomenti di maggior rilievo. È composto da ufficiali generali e ammiragli. i più anziani in servizio ma non compresi in incarichi di vertice.

Politica di difesa. Politica, a lungo termine ed ampio respiro. che corrisponde ai fini della sicurezza globale dello Stato. Ingloba le politiche di più settori (diplomatico. mi l itare, economico, industriale. ccc.), al fine della loro ottimizzazione globale per il conseguimento di obiettivi politici generali.

Politi ca militare. Si riferisce specificamente allo strumento di forza della poli t ica di difesa. ossia alle Forze Armate. Costituisce l'indispensabile indirizzo politico dello sforzo militare in tutto il suo sviluppo. Fissa, per esso, le missioni strategiche, la struttura delle forze , gli obiettivi e le direttive generali ed interforze.

Strateg ia glo ba le. Strategia intesa a coordinare unitariamente i mezzi resi disponibili d!!lla politica di difesa , nel quadro di un unico disegno. per il conseguimento del fine strategico globale. È, in pratica, ur.a strategia al servizio della politica di difesa.

Stra t eg ia mili tare. Definisce i criteri generali di impiego dello strumento militare per conseguire gli obiettivi politici ad esso affidati. I n tempo di pace si identifica con la pianificazione e programmazione delle forze. In guerra. invece, assicura un indirizzo globale all'impegno della forza militare nel quadro dell'obiettivo politico-strategico. La strategia militare è parte integrante della strategia globale insieme alle al t re strategie di settore (diplomatica, economica, industriale. ecc.). Può essere offensiva, difensiva, dissuasiva , coercitiva.

Strateg ia lnte rforze. Strategia militare rivolta a combinare le operazioni tattiche condotte dalle tre Forze Armate, nelle tre dimensioni (terra. mare, cielo), per il conseguimento di un unico fine strategico.

Operazioni politico-militari. Operazioni militari il cui sviluppo è costantement e indirizzato dal potere politico. Corrispondo no, ai limiti massimi di impiego de ll a forza, ai «conflitti a bassa intens ità» quando si cerca il successo politico-strategico mediante un calibrato e limitato uso della forLa. Ai limiti minimi. invece, sono identificabili nelle «operazioni delle forze di pace», quando la forLa militare adotta comportamenti legati ad un chiaro fine dissuasivo.

Di ss uas ion e. Volontà di ev itare l'attuazi o ne di determinate minacce, prospettando una ritorsione di tale gravità da rendere. per l'avversario , improbabile la vittoria ed inaccettabil i i rischi ed i costi dell'aggressione.

312

Per essere credibile. deve disporre di un adeguato strumento militare guidato da una chiara volontà politica di reagire secondo una plausibile strategia dissuasi va.

Gest io ne de ll a c r isi. Anività politica, svolta con continua e competente consulen;a dei senori della vita nationale coinvolti nella crisi. Non può essere affidata al caso ed all'improvvisazione. Presume, perciò, una consuetudine culturale ed organi1.1ativa ad un lavoro collegiale da parte di tulti gli organi interessati. all'interno di un organismo di vertice politico-strategico istitutionalmente competente a svolgere tali funzioni con continuità. Solo così potrà assicurare un equilibrato controllo politico delle operazioni militari in parallelo con la gestione strategica.

Co r po di S t ato M aggio r e (Eser cito). «Corpo» di ufficial i a cui fu riconosciuto uno status d mgenziale. dopo una selezione condona fra coloro che avevano frequentato la scuola di guerra e terminato con successo il periodo di comando nel grado rivestito. (Il corpo è stato disciolto nel 1944.)

Se r vizio d i Sta t o Magg ior e (Ese r ci t o). Riconoscime n to d i una funzione direniva attribuito esclusivamente ad ufficiali che, in possesso delle stesse qualifiche già richieste per il disciolto corpo d i Stato Maggiore, vengono assegnati ad incarichi per cui è richiesta una specifica capacità dirigenziale.

Uffi cia le di S ta t o M agg io r e (Ese rci t o). Ufficia le che appartenga al servizio di S tato Maggiore. Indossa gli per riconoscere la funzione.

Uffi cia le con tit olo di Scuola di Gu erra (t .S.G .) (Ese rcito). Ogni ufficiale che abbia terminato con successo i corsi della scuola d i guerra.

313

7 Introduzione

23 I Perché le Forze Armate?

39 n L 'uomo militare

Il rapporto fra uomo e tecnologia, 39 - Forze di leva o personale volontario? , 45- Una soluzione di compromesso, 50Servizio nazionale e servizio sei etti vo , 5 1 - Servizio nazionale e servizio civile, 54 - Raz ionalizzazione delle strutture per un migliore impiego del personale, 55- Proporzione fra personale di carriera o volontario e personale di leva, 57Impi ego di personale civile e femminile nelle Forze Armate, 61 - Il reclutamento. 62- Cosa rappresenta la carriera militare, 64- Una proposta per il reclutamento, 68- La selezione, 70 -Selezione e reclutamento , 71 - La selezione e la formazione professionale, 77- Selezione e impiego, 80- La formaz ione dei Quadri, 83 - La selezione e la valutazione. 88

95 m Capi militari: guerrieri o managers?

l capi militari, 95- L'evoluzione dei Quadri e le ca use esterne, 98 - l Quadri inferiori, l 07

112 IV La dirigenza militare: ieri e oggi

Breve storia dello Stato Maggiore dell'Esercito, 11 2 - Gli Stati Maggiori delle tre Forze Armate, 126- La colpevo lizzazione dello Stato Maggiore Generale, 130- Un'altra vitti-

Indice

ma: il corpo di Stato Maggiore, 138 -Selezione e formazione dci Quad ri dirigenti militari. 143- L'impiegoe l'ambie nt e di lavoro negli organ i centrali, l 5 l - l ca pi - l vertici della Difesa, 160

171 v l problemi interforze.

l vertici militari e politici della Difesa

Le origin i del problema intcrforzc in Italia, 171 - Breve storia dell'evo lu zio ne dei vertici della Difesa nel dop og ue rra, 175Le consegue nze politico-militari. strategic he. operative, 187

- Conseguenze in campo tecnico-amministrativo, 193 - Le conseguenze nell'approvvigionamento, 197 - Conseguenze nel settore del personale, 198 -Aspetti ge nerali, 199- L'atti vità degli organ i collegiali di vertice, 201 - Evoluzi0ne dell'area politico-militare. stra tegica e opera t iva: proposte di soluzione, 206 - Solùzioni nell'area tecnico-amministrativa (approvvigionamento. personale, finanze). 212- Le soluz ioni per gli o rga ni di vertice, 2 13- Co nclu sioni, 2 18

225 VI La gerarchia militare

242 VII La capacità operativa

La capac ità operativa, 242- l legami fra l'addestramento c la capacità operativa, 243 - L'innuenza dell'addestramento individuale e colle tti vo. 247- L'interesse per l'addestramento, 252- L'alienazione de i giovani, 253 - Come combattere l'alienazione, 256- Gli os tacoli a ll 'addestrame nto, 257- Le aree e i mezzi addestrativi, 26 1 - La <<turbolenza», 265L'addestramento presso le scuo le, 272 - L'add est ra m ento presso i re parti , 277 - L'addes tram e nto inte rforze, 285L'a dd es tramento dei Co m a ndi , 288- L'add es tram e nt o internazionale, 293- Pe rc hé valutare la capaci tà operativa, 296Come va lutare la capacità operativa d e i re parti , 30 1 - Le tappe della valutazione, 305- La valutaz ion e d el comando e controllo ai fini pol it ico- m ilitari, 307

311 Glossa rio

l ' l i

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.