I PRIMI SUCCESSI CONTRO I CONVOGLI DEI SOMMERGIBILI DI “BETASOM”
L’ATTIVITA’ OPERATIVA A OCCIDENTE DI GIBILTERRA E DELLA PENISOLA IBERICA NEL GIUGNO 1941
FRANCESCO MATTESINI
L’ATTIVITA’ OPERATIVA A OCCIDENTE DI GIBILTERRA E DELLA PENISOLA IBERICA NEL GIUGNO 1941
FRANCESCO MATTESINI
Quando, a metà maggio del 1941 potendo contare su un certo numero di modernissimi Uboote, l'ammiraglio Karl Dönitz (B.d.U.), Comandante dei Sommergibili Tedeschi, decise di rinunciare alla cooperazione dei Sommergibili italiani ad occidente delle Isole britanniche, Betasom, il Comando dell’11° Gruppo Sommergibili, poté attuare un progetto tendente a concentrare le proprie unità subacquee nei pressi di Gibilterra con il compito di operare contro la forte corrente di traffico che, attraversando l'Atlantico centro occidentale, faceva scalo in quel porto.1
Nella primavera del 1941, il Reparto Informazioni di Maristat, aveva raccolto notizie sullo svolgimento del traffico nemico in partenza da Gibilterra e diretto in Gran Bretagna. I convogli in uscita disponevano in genere di un numero inferiore alle venticinque navi, e le partenze dei convogli avvenivano ogni dieci giorni, e precisamente tra le ore 15.00 e le 16.00 del pomeriggio; dal mese di marzo la scorta risultava incrementata, anche con l'impiego di unità subacquee. Formati per due terzi da navi britanniche, e per il resto da unità svedesi, norvegesi, danesi e in un numero minore di altre nazionalità, i convogli erano costituiti da piroscafi di non rilevante tonnellaggio, la maggior parte sulle 1.500 tonnellate (rarissime volte erano stati notati mercantili superiori alle 3.500 tonnellate), e aventi una velocità media di 8-10 nodi. Almeno la metà dei piroscafi di ogni convoglio trasportava minerali di ferro imbarcati a Melilla, Huelva, Aguilas e Siviglia, altri portavano arance e limoni imbarcati anch'essi in porti spagnoli.
Da successive informazioni raccolte dal B.d.U. e pervenute a Betasom il 16 maggio tramite l'ufficiale di collegamento italiano capitano di corvetta Fausto Sestini, risultava che i convogli «HG» in uscita da Gibilterra dirigessero verso occidente all'incirca lungo il 35° parallelo nord, per riunirsi, molto probabilmente, ai convogli «SL» e «SLS» provenienti ogni otto giorni da Freetown. Questi ultimi, formati in media da una trentina di piroscafi, seguivano una rotta principale di traffico passante fra il 19° e il 22° meridiano. Più al largo transitavano, diretti nei due sensi, soltanto piroscafi isolati.
In realtà, la navigazione nemica si svolgeva in modo molto differente, se non altro riguardo alla composizione della scorta e alle modalità degli spostamenti in alto mare.
I convogli diretti dalla Gran Bretagna a Gibilterra (convogli «OG»), con aggregate navi destinate a Freetown (nell'Africa occidentale), e i convogli partiti da Gibilterra per la Gran Bretagna (convogli «HG»), formati da navi di modesto tonnellaggio, inizialmente non disponevano di scorte e vigilanza antisommergibile più agguerrite di quelle normalmente usufruite sulle altre rotte del Nord Atlantico, poiché efficienti scorte di rinforzo erano ancora riunite soltanto alle estremità del percorso. Infatti, i convogli «OG», partivano dai porti occidentali della Gran Bretagna e passavano per il Canale del Nord accompagnati, per un primo tratto della navigazione, da una scorta locale. antisommergibile riunita a Liverpool, e poi soltanto da una o due corvette. All'estremità del percorso, mentre la sezione diretta a Freetown si disperdeva, e le navi proseguivano isolatamente, la sezione del convoglio diretta a Gibilterra s’incontrava con cacciatorpediniere provenienti da quella base; e poiché questi ultimi avevano anch'essi accompagnato fino a quel punto un convoglio «HG» diretto in Gran Bretagna, avveniva un duplice cambio di scorta: le corvette, in rotta di rientro a
1 Tutta la documentazione di questo Saggio si trova in Francesco Mattesini, Betasom. La Guerra negli Oceani (19401943), Ufficio Storico Marina Militare, 2a edizione 2003, p. 296-301. La 3a edizione che era in in preparazione avanzata, dopo che il Capo dell’Ufficio Storico della Marina Militare nel 2013 aveva richiesto all’Autore di aggiornarne il testo per la stampa, è stata annullata dalla nuova Redazione, senza onorare gli impegni presi dalla precedente, ritenendola inutile! Evidentemente la mentalità è nuovamente cambiata riportandola a quella di comodo antecedente al revisionismo storico iniziato negli anni ’80.
Liverpool, assumevano la scorta del convoglio «HG», mentre i cacciatorpediniere prendevano in consegna l'«OG» e lo portavano a Gibilterra.
Anche le navi che dalla Sierra Leone tornavano verso l'Inghilterra, e che passavano ad oriente delle Isole Azzorre, venivano riunite in convogli lenti (convogli «SL»). Inizialmente accompagnati da navi antisommergibili a grande autonomia di base a Freetown, essi venivano rilevati, alla estremità del percorso, da unità di scorra provenienti da Londonderry, nell'Irlanda del Nord. Generalmente un convoglio «SL», la cui velocità era prevista in 7,5 nodi, impiegava diciannove giorni per completare la traversata.
Per la protezione di questo imporrante traffico sulle rotte meridionali dell'Atlantico, dalla fine di maggio del 1941 vennero concentrati a Liverpool, alle dipendenze del Comando degli Accessi Occidentali (Western Approaches), tre gruppi di scorta comprendenti corvette e una divisione di sloop; a Freetown, assegnati al Comando del Sud Atlantico, vi erano due gruppi di scorta, mentre a Gibilterra, agli ordini del Comando del Nord Atlantico, operavano una 77flottiglia di cacciatorpediniere e altre unità locali, incaricate della protezione dei convogli e del controllo dello Stretto. Sempre a Gibilterra, a partire da quel mese si resero disponibili alcuni idrovolanti a grande autonomia «Catalina», di costruzione americana, che rimpiazzarono i vecchi e sorpassati «London» del 202° Squadron della RAF.2
Nella seconda metà di maggio, per attaccare il traffico convogliato ed isolato a ponente di Gibilterra e per ricercare maggiori notizie sullo svolgimento della navigazione in quella zona, salparono da Bordeaux sette sommergibili per prendere posizione fra il Capo San Vincenzo, punta estrema meridionale del Portogallo, e il Capo Spartel, sulla costa africana del Marocco.
I compiti, fissati dall'ordine di operazione n. 47, emesso da Betasom il 14 maggio 1941, erano così definiti:
a) Costituire uno sbarramento di sommergibili, in posizione opportuna per consentire la manovra in base alle notizie di avvistamento di convogli nella zona di Gibilterra.
b) Attacco a convogli e piroscafi isolati da e per Gibilterra diretti e provenienti dalla corrente di traffico nord-sud.
c) Raccolta di notizie sul traffico lungo le coste marocchine e su quello proveniente dalle acque delle Canarie e delle Azzorre e diretto verso lo Stretto.
A tale scopo i sette sommergibili furono disposti nel modo seguente:
– Argo, in posizione ravvicinata davanti allo Stretto di Gibilterra per controllare il traffico in uscita diretto ad occidente;
– Mocenigo, in vicinanza della costa marocchina, per controllare il traffico diretto verso nordest e sud-ovest;
– Veniero, al largo di Capo San Vincenzo, per controllare il traffico diretto verso nord-ovest e sud-est;
– Marconi, Velella, Emo e Brin, lungo il 12° meridiano, per costituire uno sbarramento mobile a larghe maglie da concentrare sulla rotta dei convogli segnalati.
Nondimeno la ricerca e l'attacco ai convogli, per quanto agevolati dalle segnalazioni tempestive degli informatori tedeschi che agivano sulle coste meridionali della Spagna, apparvero
2 I primi due «Catalina» vennero aggregati al 202° Squadron il 24 aprile. Un terzo velivolo arrivò a Gibilterra il 7 maggio e altri due nel corso del mese. Uno di questi ultimi (W8407) precipitò per un guasto il 7 giugno mentre si trasferiva in Gran Bretagna.
subito di non facile attuazione. Ne erano causa principale il limitato orizzonte ottico e la ridotta possibilità di manovra, dovuta al fatto che i sommergibili, per sottrarsi alla sorveglianza aerea e del naviglio leggero di base nella vicina Gibilterra, erano costretti a rimanere di giorno quasi sempre immersi.
Ma, spesso essi furono accusati dall'ammiraglio Parona di eccedere nella prudenza, come nel caso dell'Argo (tenente di vascello Alberto Crepas). Trovandosi nel pomeriggio del 29 maggio in posizione avanzata davanti allo Stretto il sommergibile segnalò un convoglio di dieci piroscafi e tre cacciatorpediniere con rotta verso ponente a 8 nodi. In realtà l'Argo si era basato solo su dati idrofonici; ciononostante il segnale di scoperta venne subito ritrasmesso dal Comando a tutte le unità in mare. Il Mocenigo, il Veniero e il Marconi, che si trovavano più vicini alla posizione, ricevettero l'ordine di raggiungere il convoglio e attaccarlo durante la notte, ma la manovra non riuscì poiché l’Argo, temendo di essere avvistato dagli aerei di vigilanza si era mantenuto in immersione senza poter avvistare il nemico, di cui successivamente perse il contatto idrofonico.
Il giorno seguente, 30 maggio, per alcuni sommergibili fu una giornata movimentata. Nelle prime ore della notte il Veniero (capitano di corvetta Manlio Petroni) lanciò un siluro contro un cacciatorpediniere di passaggio nella sua zona, ma non lo colpì. Si trattava del britannico Forester (capitano di corvetata Edward Bernard Tancock), partito da Gibilterra assieme al sezionario Fury, per ricercare e attaccare un sommergibile segnalato in superficie da un aereo il lat. 35°41’N, long. 10°00’W. Il Veniero, sfuggito ad una breve reazione della nave attaccata, al mattino avvistò la portaerei Ark Royal, accompagnata da due cacciatorpediniere, ed essendo stato scoperto fu sottoposto a nuova caccia con bombe di profondità che non causarono danni. Il realtà la Ark Royal (capitano di vascello Lobel Edward Harold Maund) stava rientrando a Gibilterra dopo l’azione che il 27 maggio aveva portato all’affondamento della corazzata tedesca Bismarck, ed era in compagnia delle altre unità della Forza H, l’incrociatore da battaglia Renown (vice ammiraglio James Somerville), l’incrociatore Sheffield e i cacciatorpediniere Faulknor, Forester, Fury e Wishart.
Nella stessa notte il Mocenigo (capitano di corvetta Alberto Agostini) inseguì la petroliera britannica British Yeoman,di 6.990 tsl, che avendo avvistato il sommergibile, riuscì a far perdere le sue tracce in una fitta foschia, dopo aver evitato, con la manovra, ben cinque siluri, fatti partire con lanci singoli.
Tuttavia la British Yeoman segnalò di essere stata silurata in lat. 35°28’N, long, 8°11’W, e in seguito a ciò partirono da Gibilterra il cacciatorpediniere Faulknor e il trawler antisom Alouette, mentre cinque motolancie che si mantenevano di sorveglianza ad ovest dello Stretto, furono mandate in soccorso della petroliera. All’arrivo della British Yeoman a Gibilterra fu constatato che aveva ricevuto soltanto lievi danni. Di questi danni non conosciamo quale fosse stata la natura che li aveva causati.
Successivamente il sommergibile Marconi, che si trovava all'altezza di Capo Trafalgar, avvistò al mattino del 30 giugno la grossa petroliera militare inglese Cairndale, di 8.129 tsl, in transito con la scorta delle corvette Coreopsis e Fleur de Lys. Il tenente di vascello Mario Pollina, che era alla sua prima missione in comando, assunto dopo aver ultimato un tirocinio di addestramento di venti giorni alla Scuola tattica di Gotenhafen nel Baltico, dove era stato distaccato il sommergibile Reginaldo Giuliani, dimostrò di aver bene appreso i sistemi di attacco del modello tedesco. Rimontò pazientemente la petroliera al limite dell'orizzonte, l'attese al varco immergendosi, e l'affondò lanciando una salva di quattro siluri, due dei quali, come vedremo, colpirono il bersaglio.
La Cairndale, varata il 25 ottobre 1938 a Belfast nel cantiere Hartland & Wolff Shipvard col nome di Erato, e entrata in servizio il 26 gennaio 1939 per la Anglo-Saxon / Shell Tanker U.K., era stata acquistata dal Ministero dei Trasporti di Guerra britannica, che le cambiò il nome, inserendola nella Riserva Navale (Royal Fleet Auxiliary). Salpata da Gibilterra il 26 maggio era in viaggio, in zavorra, per Curacao (Venezuela) dove doveva imbarcare il carico di combustibile. Fu colpita sul fianco sinistro da due siluri del Marconi, il primo alle 20.45 nella cisterna n. 3, ma la nave con manovre evasive fu in grado di proseguire alla velocità di 8 nodi. Il secondo siluro colpì alle 21.25 nella sala macchine, dopo di che la petroliera si capovolse affondando in quattro minuti.
La petroliera di squadra britannica Cairnade che, scortata da due corvette, fu attaccata in immersione e affondata dal sommergibile Marconi a 100 miglia a nord ovest di Casablanca.
Il sommergibile Guglielmo Marconi in navigazione nell’Atlantico nel 1941.
La Cairndale, che al momento dell’attacco non stava zigzagando, colpa attribuita da una commissione d’inchiesta al comandante della scorta. capitano di corvetta della riserva Edmund Hugh Hopkinson sulla corvetta Fleur de Lys, si inabissò a 170 miglia a sud-sud-ovest di Capo Trafalgar e a 100 miglia a nord-ovest di Casablanca, in lat. 35°19’N, long. 08°33’W. Vi furono quattro morti. Il comandante della petroliera, capitano Reginald John Harland, e i superstiti dell’equipaggio furono recuperati dal rimorchiatore St. Day e sbarcati a Gibilterra.
Le corvette Coreopsis e Fleor de Lys contrattaccarono il Marconi, il quale, portatosi nel disimpegno a 110 metri di quota, sfuggì con lievi danni a una caccia che si prolungò per due ore con lancio di circa cento bombe di profondità. A ricercare il sommergibile, in assistenza alle corvette, furono mandati da Gibilterra i cacciatorpediniere della 8a Flottiglia Faulknor, Forester e Fury, e per estendere la ricerca dell’unità subacquea anche le corvette Azalea e Woodruff e il trawler Imperialist. Alle ore 15.21 il comandante della 8a Flottiglia sul Faulknor, capitano di vascello Antony Fane de Salis, segnalò che i cacciatorpediniere e le corvette, assieme a motolance, avevano effettuato sette attacchi sul contatto asdic con un sommergibile. Si trattava dell’Argo che per tutta la giornata del 30 fu sottoposto a prolungata caccia, poi ripresa l'indomani in modo sistematico, dalla corvetta francese Alysse e da altre tre unità britanniche: lo sloop Bideford, il peschereccio armato Imperialist e il cacciatorpediniere Wrestler. Malgrado il gran numero di bombe lanciate dal nemico, oltre novanta, il sommergibile, comandato dal tenente di vascello Alberto Crepas, seppe ben manovrare e non riportò danni.
Nel frattempo il Marconi si spostò di zona e nel pomeriggio del 1° giugno, trovandosi a 137 miglia a sud-ovest di Capo San Vincenzo, affondò a cannonate il piroscafo da pesca portoghese Exportador Primeiro, di 318 tsl, navigante senza bandiera e segni distintivi. Nell’attacco decedettero due dei ventidue uomini dell’equipaggio di quella piccola nave.
Passarono per i sommergibili in agguato altri giorni di snervante attesa, nel corso dei quali non fu rilevato traffico nemico, ma soltanto alcuni piroscafi neutrali, in massima parte portoghesi e spagnoli. Infine, alle 11.00 del 5 giugno, il Servizio Informazioni della Kriegsmarine («Servizio B») comunicò a Betasom che, su segnalazione di propri agenti in Spagna, un convoglio di venticinque piroscafi risultava essere uscito da Gibilterra a mezzogiorno del 4 con rotta ponente. Si trattava
dell'«HG.64» diretto in Gran Bretagna. Immediatamente, il Comando ritrasmise la segnalazione ai sommergibili in mare e alle 14.00 ordinò al Brin, al Veniero e al Mocenigo di portarsi per l'indomani a mezzogiorno lungo il meridiano 13° 30' ovest, in posizione di attesa davanti alla rotta nemica. Si pensava, una volta stabilito il contatto, di intercettare la formazione inglese anche con parte dei sommergibili dello sbarramento mobile, che si trovavano più arretrati.
Alle 18.52 il Velella, il sommergibile più occidentale dello sbarramento mobile, avvistò un secondo convoglio, 1'«OG.63» diretto dall'Inghilterra a Gibilterra, e dette l'allarme. Poiché dell'«HG.64» non era arrivata alcun'altra notizia, e i sommergibili si trovavano in buona posizione per intercettare il nuovo convoglio, Betasom, annullando il precedente ordine, manovrò le unità subacquee per concentrarne il maggior numero sull'«OG.63» che, con rotta a levante alla velocità di 8 nodi, risultava formato da una quindicina di piroscafi e da quattro unità di scorta. Pertanto mentre il tenente di vascello Pasquale Terra, comandante del Velella, agevolato dalle ottime condizioni atmosferiche e dalla visibilità quasi eccezionale, si manteneva in vista delle navi nemiche, manovrando al limite dell'orizzonte, al Marconi, che al momento dell'avvistamento si trovava già sulla rotta del convoglio e prossimo all'incontro, fu comunicato di procedere ad elevata velocità per intercettarlo al più presto possibile. Agli altri due sommergibili dello sbarramento mobile, Emo e Brin, nonché al Mocenigo e al Veniero, fu ordinato di spostarsi dai relativi settori sul meridiano 11° 30' ovest in modo da costituirvi per la notte una linea di agguato a maglie strette. Infine all'Argo, che per ordine di Betasom aveva abbandonato la pericolosa zona prossima a Capo San Vincenzo e si trovava al largo di Lisbona, fu segnalato di portarsi in una posizione più avanzata, verso levante, per poter eventualmente intervenire al tramonto dell'indomani.
Come era stato previsto da Betasom, il Marconi avvistò il convoglio «OG.63» (commodoro contrammiraglio O.H. Dawson sul piroscafo britannico Avoceta) alle 23.50 del 5 giugno, e lo seguì di poppa, segnalandone e precisandone posizione, composizione e scorta. Betasom, con due sommergibili già a contatto, e con l'Emo che stava per giungervi, poco dopo la mezzanotte impartì l'ordine di attacco. Ma per attuarlo era necessario si realizzassero le condizioni di luce migliori; con l'oscurità era possibile avvicinarsi più agevolmente al convoglio, e pertanto occorreva attendere il tramonto della luna. In tal modo si comportarono il Marconi e il Velella, i quali, mantenendosi a sud del convoglio, continuarono a pedinarlo per sorvegliarne attentamente i movimenti.
Nello stesso tempo Betasom si preoccupò per le operazioni dell'indomani, e provvide a richiedere al Comando del campo di aviazione di Merignac l'intervento di velivoli da ricognizione tedeschi a grande autonomia, allo scopo di rintracciare il convoglio nella zona ove avrebbe dovuto trovarsi all'alba, e guidarvi pertanto i sommergibili mediante emissione di segnali radiogoniometrici. Al Marconi, e per conoscenza a tutti gli altri sommergibili, fu ordinato di trasmettere ugualmente segnali radiogoniometrici a iniziare dalle ore 08.00 per facilitare agli aerei la ricerca della formazione nemica.
Frattanto, il Veniero, che si stava spostando sulla rotta di avvicinamento dell'«OG.63», alle 02.15 del 6 giugno, trovandosi ad una cinquantina di miglia a sud di quel convoglio, ne avvistò un secondo. Si trattava dell'«HG.64», che, era partito da Gibilterra a mezzogiorno del 4, diretto a Liverpool, e del quale non si era saputo più nulla. Alle 02.19, avendo diminuito la distanza, il capitano di corvetta Manlio Petroni lanciò due siluri da breve distanza contro un piroscafo e una petroliera di medio tonnellaggio ed erroneamente ritenne di averli colpiti entrambi. Il sommergibile, costretto a disimpegnarsi, fu sottoposto al lancio di bombe di profondità da parte delle unità della scorta, e soltanto alle 04.55 poté emergere per lanciare il segnale di scoperta.
Vediamo come si svolse l’attacco del Veniero secondo il rapporto del comandante della scorta del convoglio «HG.64», capitano di fregata W. J. Moore sullo sloop Bideford. Il convoglio, salpato da Gibilterra alle 06.30 del 4 giugno, si era formato a 5 miglia a sud di Punta Carnero con ventitre navi mercantili, e con quattro unità di scorta: lo sloop Bideford, le corvette Coreopsis e Fleur de Lyes e il trawler Stella Carina, a cui si aggiunsero per breve tempo, nella vigilanza nello Stretto di Gibilterra, le motolance ML 126 e ML 134. Uno dei piroscafi, il panamense Idra, che non
mantenendo la velocità di 7 nodi del convoglio aveva ricevuto il consiglio di tornare a Gibilterra, decise di proseguire isolata, facendolo a suo rischio. Alle 13.00 del 5 giugno si aggiunsero all’«HG.64» la corvetta Woodruffe e il piroscafo Thursobank, che avevano lasciato Gibilterra nel primo pomeriggio del 4, e poco dopo il capitano di fregata Moore ricevette un segnale dell’Ammiragliato, trasmesso anche ai cacciatorpediniere Wellington, Wrestler, Vansittart, in cui si riferiva che vi era la possibilità che i convoglio «HG.64» e «OG.63» fossero stati avvistati e che cinque sommergibili italiani si stessero concentrando per attaccarli durante la notte, possibilmente al calare della luna. Il Bideford passò la notizia al comandante del convoglio, vice ammiraglio B.W.M. Fairbairn sul piroscafo britannico Ariosto, mentre la scorta si disponeva con le unità nelle migliori condizioni per poter affrontare la minaccia.
Alle 01.30 del 6 giugno, in lat. 34°18’N, long. 10°47’W, vi fu un tentativo di attacco di un sommergibile, ma il trawler Stella Carina (tenente di vascello John Vernon Lobb), con tempo chiaro, mare calmo e luna quasi piena, lo individuò in superficie e sparando lo costrinse ad immergersi, per poi attaccarlo, con la corvetta Coreopsis (capitano di corvetta Alan Holt Davies), con le cariche di profondità fin quando le due unità non persero il contatto con il sommergibile nemico. Soltanto il piroscafo Ariosto avvisto siluri che stavano passando nelle sue vicinanze. Attendendo nuovi attacchi alle 04.00 il convoglio modificò la rotta, passando dai 288° ai 262°, il Bideford lanciò razzi illuminanti per riconoscere un peschereccio portoghese, la cui identità fu poi accertata dalla Coreoopsis, ma a parte un falso allarme di sommergibile, da parte del trawler Stella Carina (tenente di vascello John Vernon Lobb), che lanciò in mare bombe di profondità contro un banco di pesci, per quella notte non accadde più nulla.
Il trawler britannico Stella Carina che dette caccia senza successo al sommergibile Veniero.
Dopo che il Velella ebbe lanciato il segnale di scoperta, Betasom ordinò al Mocenigo e al Brin, che non erano stati ancora impegnati e che al momento erano i più vicini alla posizione segnalata dal Veniero, di dirigere contro quel secondo convoglio. Ma il Mocenigo, malgrado avesse proseguito la ricerca durante le restanti ore di oscurità e del mattino seguente, non riuscì a rintracciarlo, e il Brin non giunse a contatto perché non si trovava nella posizione prevista dal
Comando. Sottoposto a caccia e ricercato da unità sottili presso Capo San Vincenzo, il sommergibile era stato costretto a rimanere immerso, posato sul fondo a 88 metri, per tutta la giornata del 5 giugno, e solo a sera si era potuto allontanare.
Ritornando all'«OG.63», dei tre sommergibili impiegati soltanto il Velella e il Marconi avevano continuato a tenerne il contatto attendendo il momento favorevole per attaccare, dal momento che l'Emo, si trovava ancora distante. Resosi conto che la sua rotta iniziale lo aveva portato a sopravanzare molto a sud il convoglio, il comandante dell'Emo, capitano di corvetta Giuseppe Roselli Lorenzini, lo stava ricercando tornando a settentrione, eseguendo ascolto idrofonico in immersione.
Il comandante Pollina, del Marconi, che una volta avvistato il convoglio aveva fatto approntare tutti i tubi di lancio, mantenendosi davanti alla rotta del nemico, per poi trovarsi in posizione favorevole e con ottime condizioni di luce, aveva cercato di attuare un efficace piano d'attacco. Egli distingueva benissimo le navi della formazione: i piroscafi, che apparivano scortati da almeno tre cacciatorpediniere, dalla sagoma snella ed elegante, si presentavano su tre colonne parallele distanti circa 50 metri l'una dall'altra; nella colonna centrale furono contati dieci piroscafi di elevato tonnellaggio, mentre in ciascuna delle colonne laterali apparivano tre piroscafi di minori dimensioni.
Era intenzione del giovane comandante di penetrare all'interno del convoglio per attaccare le grosse unità della colonna centrale, ma la manovra non si presentava di semplice attuazione. La luna, che girava dal lato favorevole al sommergibile, era ancora alta, mentre uno dei cacciatorpediniere, che faceva la spola fra la testa delle colonne di centro e di destra effettuava, ad intervalli di circa 25 minuti, puntate in direzione del Marconi. Costretto a eseguire rapide accostate, per allontanare e mettere di poppa il cacciatorpediniere ogni qualvolta esso si avvicinava, Pollina si rese conto che l'attacco al centro della formazione era reso difficile dalla scarsità di spazio di manovra, poiché le colonne dei mercantili navigavano a breve distanza e il suo sommergibile aveva un raggio di evoluzione molto elevato. Pertanto Pollina prese la decisione di attaccare i piroscafi della linea esterna, tra i quali esisteva continuità di bersagli per la presenza delle navi della colonna interna.
Alle 04.05, con la luna ormai bassa sull'orizzonte, più giallastra e meno luminosa, Pollina ruppe ogni indugio, e con i motori al minimo puntò verso la testa del convoglio. A manovra appena iniziata, accorgendosi che il cacciatorpediniere nemico, a seguito di un’improvvisa accostata, si stava avvicinando pericolosamente al sommergibile, decise di disimpegnarsi temporaneamente, allontanandosi. Avendo constatato di non essere stato avvistato riprese la rotta primitiva e alle 04.22, da posizione favorevole, iniziò i lanci contro i tre piroscafi della colonna destra.
Secondo quanto scritto nel suo rapporto di navigazione, alle 04.22 il comandante Pollina lanciò due siluri di prora contro un piroscafo in giunzione esatta con una grossa petroliera della colonna interna. Quindi, per lanciare di poppa, accostando con tutta la barra a sinistra alla massima andatura, diresse verso i due rimanenti piroscafi della colonna destra, dove esisteva continuità di bersaglio con i piroscafi della colonna interna. Alle 04.25 lancio due siluri mirando sul secondo piroscafo della colonna, e nel frattempo i primi due siluri scoppiarono sulla petroliera della colonna interna, dopo aver rasentato la poppa del primo piroscafo. Una nave di scorta, ritenuta cacciatorpediniere, avanzando ad alta velocità alla distanza di 1.000 metri iniziò il tiro illuminante e battente, sparando a ritmo serrato. In quel momento scoppiano i primi due siluri lanciati di poppa. Avendo sulla dritta la luna e sulla sinistra il bagliore di due illuminanti alla distanza di 200 metri, il tenente di vascello Pollina, ritenendo scarse o nulle le possibilità di essere avvistato, decise di disimpegnarsi e alle 04.30 ordinò “Rapida immersione”. Avendo udito due esplosioni intervallate mentre si stava disimpegnando, il comandante Pollina ritenne di aver colpito due navi con i siluri della terza coppiola: il terzo piroscafo della colonna di destra e, probabilmente, anche una nave della colonna centrale. Ma tale convinzione non era corretta.
Infatti, la prima coppiola partita dai lanciasiluri prodieri a una distanza di 800 metri, dopo aver rasentato la poppa del piroscafo capofila della colonna destra passò oltre senza scoppiare; la seconda, lanciata 3 minuti più tardi con i lanciasiluri di poppa, a seguito di una rapida accostata sulla sinistra, raggiunse il piroscafo da carico britannico Baron Lovat, di 3.395 tsl, che affondò sbandando rapidamente; la terza coppiola, sempre di poppa, colò a picco l'ultimo piroscafo della linea destra, lo svedese Taberg, di 1.392 tsl.
Il Baron Lovat (capitano John Norman Carrett), costruito nel 1926, della Hogarth Shipping Co. di Glasgow, era partito in zavorra da Liverpool e avrebbe dovuto raggiungere Huelva, via Oban, con un carico di 3.245 tonnellate di carbone coke. Fu colpito da due siluri, ma tutti i trentacinque uomini dell’equipaggio, recuperati dallo sloop Wellington (capitano di corvetta William Francis Roderick Segrave), si salvarono all’affondamento. Il Taberg (ex Hernia, ex Bretagne), in servizio dal 1920, partito da Glasgow e diretto anch’esso a Huelva, era in zavorra. Della nave morirono quindici uomini, mentre altri sei furono tratti in salvo da un piroscafo britannico.
Disimpegnatosi, dopo la serie di attacchi portata a termine in meno di cinque minuti, ed evitato con l'immersione il cacciatorpediniere che lo ricercava nell'oscurità sparando proiettili illuminanti e lanciando bengala, il Marconi si portò a quota profonda, dove rimase fino al pomeriggio; successivamente, essendo rimasto con soli due siluri prese la rotta del ritorno, concludendo così un'ottima missione, nel corso della quale aveva affondato un totale di quattro navi per 13.614 tsl.
Il piroscafo Britanne, poi svedese Taberg la seconda nave mercantile affondata dal Marconi nell’attacco al convpoglio OG.63.
Riprodotto dal grafico allegato al rapporto di navigazione del sommergibile Marconi (tenente di vascello Mario Pollina). Disegno di Antonio Mattesini.
Giugno 1941. Il rientro del del vitorrioso sommergibile Marconi, dopo l’affondamento di una cisterna di squadra britannica e tre piroscafo ad ovest di Gibilterra.
Mentre il Marconi terminava la sua azione contro l'«OG.63» anche il Velella manovrava per portarsi all'attacco di questo convoglio. Fin dalle 04.30, tenendosi di prora alle colonne di piroscafi, il tenente di vascello Pasquale Terra aveva fatto diminuire la velocità del sommergibile nell'intento di portare in punteria i lanciasiluri di poppa. Egli ebbe modo di osservare da distanza la parte più spettacolare dell'azione del Marconi: dal convoglio si alzavano senza interruzione razzi colorati di segnalazione rossi e verdi e il silenzio era rotto dal fragore dei cannoni che sparavano proiettili illuminanti.
Il momento era favorevole, ma il comandante Terra non riuscì ad attaccare con la necessaria tempestività. Ne conseguì che, quando alle 05.05 manovrò per portarsi al lancio contro la colonna centrale, la fortuna non aiutò il Velella che, a seguito di un'ampia accostata della formazione ormai scossa nella sua iniziale tranquillità, venne a trovarsi proprio al centro delle navi già in allarme. La situazione non era delle migliori; la ricerca di un bersaglio e il momento propizio per lanciare eran impediti dal fatto che le colonne del convoglio, le cui navi cambiavano continuamente la rotta e le relative posizioni, avevano ridotto il loro intervallo e non lasciavano alcun spazio sufficiente per lo sviluppo dell'attacco.
Sul diario di bordo del Velella si legge:
I nostri tentativi per assumere una posizione favorevole al lancio sono continuamente frustrati dalle accostate dei piroscafi. La scorta continua a sparare, rabbiosamente; serie successive di razzi illuminanti rischiarano saltuariamente con la loro luce rossastra la drammatica scena. Un piroscafo sulla nostra sinistra ha preso a fischiare: il lungo e insistente ululo della sirena in mezzo a quelle scure ombre impazzite sembra l'urlo di soccorso di una bestia ferita a
morte. Un altro lancia ininterrottamente sull'onda dei 600 metri l'appello disperato alla radio: “Submarine on starboard” .
La formazione continua a restringersi, diventa sempre più confusa. Non è ormai Più possibile ritirarsi e lanciare in questo caos di ombre incerte che hanno perduto qualsiasi parvenza di ordine.
Per 40 minuti il comandante Terra ricercò lo spazio per attaccare, ma, non trovandolo, decise di uscire da quella situazione per raggiungere una posizione più favorevole all'esterno della formazione, manovra che gli riuscì. Era ormai l'alba quando il Velella, alla luce di una serie di razzi illuminanti lanciati dalle unità del convoglio, individuò due navi che, con rotta indipendente, si allontanavano verso sud-est. Terra le inseguì e alle 06.04 attaccò la prima, una petroliera di medio tonnellaggio, e rilevò lo scoppio di due siluri al centro della nave; subito dopo, da brevissima distanza, lanciò contro la seconda unità, un piroscafo di circa 3.200 tonnellate che aveva aperto il fuoco con il cannone contro il sommergibile, e che raggiunto da un siluro scomparve alla vista in pochi minuti avvolto da densa nube di fumo.
Purtroppo anche l'affondamento o il danneggiamento di quelle due navi, dato per certo dal comandante Terra, non ha trovato conferma nei rapporti e nelle statistiche britanniche e neppure risposta positiva ai quesiti richiesti dall'Ufficio Storico della Marina Militare alla Sezione Storica dell'Ammiragliato britannico. E neppure risultano nelle fonte più recenti.
Ricercando attivamente il convoglio «OG.63», e dopo aver avvistato verso nord i bagliori dei bengala e dell'intenso fuoco illuminante seguiti all'attacco del Marconi, il comandante dell'Emo, capitano di corvetta Giuseppe Roselli Lorenzini, si rese conto di essere troppo distante dal convoglio per poterlo agganciare nel corso di quella notte. Allora, manovrò per tentare d'intercettarlo al mattino
. A causa della presenza di due cacciatorpediniere, che costrinsero l'Emo ad immergersi, il comandante Roselli Lorenzini riuscì ad arrivare al lancio soltanto nelle prime ore del pomeriggio. Verso le 14.00 egli scagliò i siluri da quota periscopica contro due piroscafi di non rilevante tonnellaggio, distanti circa 1.500 metri. L'equipaggio del sommergibile udì nella fase di disimpegno il caratteristico gorgoglio che in genere accompagna gli affondamenti, e il comandante Lorenzini fu pertanto indotto a ritenere, erroneamente, che i siluri avessero colpito i due bersagli colandoli a picco.3
Fu questa l'ultima azione contro l'«OG.63». Un successivo tentativo per portare i sommergibili ancora a contatto con quella formazione, seguendo le segnalazioni di un velivolo quadrimotore «FW.200» del 1° Gruppo del 40° Stormo Bombardamento (I./KG.40) della 3a Squadra Aerea (Luftflotte 3), decollato il mattino del 6 giugno dall’aeroporto francese di Merignac (Bordeaux), non ebbe successo. Avvistato alle 10.00 il convoglio, composto da nove piroscafi, a sud-ovest di Capo San Vincenzo, l'aereo tedesco lo attaccò lanciando tre bombe contro il piroscafo britannico Glen Head, di 2,011 tsl, che colpito da una bomba a poppa, nella stiva n. 5, prese fuoco ed affondo con perdita di ventisette dei trentasei membri dell’equipaggio. Quindi il quadrimotore tedesco tenne sotto controllo per qualche tempo il convoglio emettendo, come previsto, segnalazioni radiogoniometriche. Queste emissioni furono intercettate dal solo Brin (capitano di corvetta Luigi Longanesi Cattani), che ricercò il nemico senza però riuscire ad avvistarlo.
Il piroscafo britannico Glen Head la terza e ultima nave del convoglio «OG.63» a essere affondata. Il successo fu conseguito il 6 giugno 1941 da un velivolo tedesco “FW.200” del I./KG.40.
3 Malgrado i decisi attacchi portati dai tre sommergibili che giunsero a contatto con il convoglio «OG.63», i risultati furono positivi soltanto per il Marconi, che affondò due navi per 4.764 tsl.
Per una fortunata combinazione, il Brin riuscì l'indomani a portarsi in vista dell'«HG.64», che era l'altro convoglio ricercato. Tuttavia, a causa della pessima visibilità, il sommergibile perse contatto troppo presto, rendendo vani gli ordini di spostamento inviati da Betasom al Mocenigo, all'Emo e al Veniero.
In compenso, alle 12.55 del 12 giugno, nel corso di un graduale spostamento verso occidente, il comandante Longanesi avvistò all'orizzonte, a 90 miglia a levante dell'Isola San Miguel delle Azzorre, i fumi del convoglio «SL.76», partito da Freetown ul 30 maggio e diretto in Inghilterra dove arrivo il 21 giugno. Costituito da ben cinquanta piroscafi, ripartiti in dodici colonne, il convoglio, al comando, come commodoro, del capitano di vascello C.M. Ford sul piroscafo Silverlaurel, era scortato, in posizione centrale prodiera, dall'incrociatore pesante Cumberland, e dalla nave ausiliaria Moreton Bay, della Freetown Escort Force, che invece pattugliava dietro le colonne dei mercantili.
Mentre il Brin teneva il contatto con l'«SL.76», seguendolo in superficie al limite della visibilità, il Veniero e il Velella, che erano gli altri sommergibili non ancora in rotta di ritorno per raggiunto limite di autonomia o per esaurimento dei siluri, ricevettero da Betasom l'ordine di portarsi lungo il 39° parallelo ovest per costituire uno sbarramento il mattino del 13 giugno, situato in posizione avanzata davanti alla rotta del nemico. Poi, ritenendo che i tre sommergibili italiani avrebbero continuato a mantenere il contatto col convoglio l'ammiraglio Dönitz decise di predisporre una propria linea di agguato più a nord, lungo il 47° parallelo, per il mattino del 14. A tale scopo impiegò U-204, U-43 e U-73, del gruppo «Kurfürst», i quali si trovavano in posizione avanzata a sud-ovest dell'Irlanda, e vi aggiunse l'U-201, che si trovava nella zona, e che in previsione di un incontro con il convoglio ricevette l'ordine di prolungare lo sbarramento verso est.
Manovrando sempre al limite della visibilità, e per evitare gli avvistamenti degli aerei che incrociavano sopra il convoglio, catapultati dall'incrociatore Cumberland (capitano di vascello Guy Herbrand Edward Russell), il Brin intervallò la navigazione d'inseguimento con frequenti immersioni e ascolti idrofonici. In una delle immersioni, seguita all'avvistamento di un velivolo del Cumberland, il sommergibile perse il contatto; nondimeno, insistendo tenacemente, ricercò nella notte la formazione nemica e, alle 04.40 del 13 giugno, l'avvistò nuovamente di prora a breve distanza.
Il comandante Longanesi contò una quindicina di piroscafi di piccolo e medio tonnellaggio, naviganti in larga formazione di tre colonne parallele intervallate fra loro di circa 1.000 metri. Le navi, oscurate, si stagliavano nettamente sul mare calmo e il cielo limpidissimo, ed egli si rese conto che le due unità più grosse, i bersagli più allettanti, si trovavano al centro delle colonne; ai lati vi erano soltanto piroscafi di piccolo tonnellaggio.
L’incrociatore pesante britannico Cumberland, la nave di scorta più potente del convoglio «SL.76», necessaria per fronteggiare le navi di superficie germaniche che scorrazzavano nell’Atlantico centrale.
Per raggiungere le due grosse navi era necessario penetrare fra le colonne. Il Brin era in buona posizione, l'oscurità ancora lo proteggeva e navigando in superficie gli fu possibile avvicinarsi con cautela alla prima colonna che procedeva con le navi a breve intervallo l'una dall'altra; lasciò passare i primi due piroscafi, poi diresse verso il centro della formazione nemica e scivolò senza essere avvistato, nel corridoio fra la fila di sinistra e quella del centro.
Longanesi, ha scritto nel suo rapporto di missione, di avere eseguito una prima accostata a dritta per poter lanciare, di poppa contro i due grossi piroscafi della linea centrale e di prora contro quelli della linea di sinistra, ma per un errato apprezzamento venne a trovarsi sulla rotta di lancio dopo che le unità erano già passate nell'angolo di mira. Allora, manovrando, si riportò in posizione e alle 05.15 lanciò di prora una prima coppiola contro un piroscafo della linea di sinistra, ma i due siluri si urtarono all'inizio della loro corsa e affondarono. Sempre tenendo d'occhio i due grossi piroscafi della linea centrale, Longanesi portò nuovamente in punteria i lanciasiluri di prora contro un altro piroscafo della linea di sinistra, e dette il fuori alla seconda coppiola. Uno dei siluri a causa della mancata apertura della valvola di conservazione non partì, l'altro, che Longanesi ritenne fosse giunto a segno dopo un intervallo di ventitré secondi, passò in realtà sotto il piroscafo britannico Ulla per perdersi oltre.
Non vi era altro tempo da perdere. Longanesi rivolse la sua attenzione alla colonna centrale e constatò che nell'intervallo tra i due grossi piroscafi si stagliava un piroscafo della terza fila così da costituire, con continuità, un unico bersaglio. Intravista la possibilità di colpire con una salva più navi, rimontò il convoglio del tratto necessario per portarsi in posizione d'attacco favorevole e, fra le 05.36 e le 05.38, lanciò i quattro siluri di poppa.
I due piroscafi da carico della colonna centrale, restarono immobilizzati e affondarono poco dopo, a circa 127 miglia a nord-est dell’Isola San Miguel delle Azzorre. Si trattava del britannico Djurdiura, di 3.470 tsl, e del greco Eirini Kyriakides, di 3.781 tsl. Il primo, in realtà di nazionalità
francese ma noleggiato dal Ministero di Guerra britannico, aveva un carico di 5.000 tonnellate di minerale di ferro imbarcato a Pepel (Sierra Leone) da trasportare a Oban (Scozia), via Freetown; il secondo, costruito nel 1922, partito da Lourenço Marques e Freetown per raggiungere Ardrossan (Scozia), trasportava anch’esso minerale di ferro. Del Djurdiura vi furono sedici morti e sei superstiti; dell’Eirini Kyriakides trentatré morti, compreso il comandante capitano George Charles May, mentre i cinque superstiti furono recuperati dal piroscafo portoghese Malange
Il piroscafo greco Eirini Kyriakides affondato nel convoglio britannico SL. 76 dal sommergibile Brin il 13 giugno 1941 a levante delle Isole Azzorre.
Il piroscafo britannico Djurdiura, l’altra nave affondata il 13 giugno dal sommergibile Brin nell’attacco al convoglio SL.76 a levante delle Isole Azzorre.
Dopo l’attacco ingannato dai lampi delle esplosioni, che si susseguivano esattamente distanziate, e dalle immagini delle navi colpite dai siluri che visibilmente stavano sbandando per poi scomparire alla vista in pochi secondi, Longanesi ritenne, erroneamente, di aver colato a picco anche il piroscafo della terza fila.
Mentre dalle navi del convoglio si alzavano razzi di segnalazione e si accendevano proiettori, il Brin iniziò la manovra di disimpegno. Le sagome di tre supposte unità di scorta che si profilavano sulla sinistra del sommergibile, e che furono ritenute in rapido avvicinamento, indussero il comandante Longanesi ad allontanarsi alla massima forza dirigendo verso levante, quando già le prime luci dell'alba cominciavano ad apparire all'orizzonte. In realtà, nella fase di disimpegno, il sommergibile fu avvistato a breve distanza dal piroscafo Sheridan, che però non poté aprire il fuoco per avaria al cannone. Quindi, dopo aver segnalato a Betasom la posizione del convoglio e i risultati raggiunti, il Brin si immerse per ricaricare i tubi di lancio, operazione che, per le difficoltà causate da un guasto, venne ultimata nel primo pomeriggio.
Nei venti minuti trascorsi a manovrare fra le colonne del convoglio «SL.76» in allarme, il comandante Longanesi aveva dimostrato spirito aggressivo e slancio e sprezzo del pericolo. Tuttavia, gli fece rilevare l'ammiraglio Parona, essendosi immerso per ricaricare i tubi di lancio, invece di continuare a inseguire il nemico, ed avendo impiegato in quella manovra otto ore, perse un contatto che, in quel particolare momento, «era suo dovere mantenere ad ogni costo».
Tale situazione non permise al Veniero e al Velella, distanti appena 20 miglia, di rintracciare il convoglio, ed impedì la medesima manovra ai quattro U-boote del gruppo «Kurfürst», che il B.d.U. aveva spostato 400 miglia più a nord. Di conseguenza l'ammiraglio Dönitz, una volta constatato che dal convoglio non giungevano altre segnalazioni, il 16 giugno decise di sciogliere il proprio sbarramento.
Giugno 1941, l’ammiraglio Parona accoglie il sommergibile Brin del capitano di corvetta Luigi Longanesi Cattani (a destra del periscopio) arrivato a Bordeaux con quattro bandierine triangolari su cui è riportato il tonnellaggio presunto delle navi affondate nell’attacco al convoglio britannico SL. 76.
Il Capitano di corvetta Longanesi Cattani mostra un grafico con i dettagli dell’attacco all’ammiraglio Parona, presenti, a sinistra il capitano di fregata Franz Becker, ufficiale di collegamento del B.d.U. a Betasom, e il tenente di vascello Antonio De Giacomo, comandante del sommergibile Torelli.
Con il rapporto n. 327, inviato a Supermarina e a Maricosom il 4 luglio 1941, l'ammiraglio Parona, pur considerando favorevolmente i risultati conseguiti dai sommergibili contro i convogli, espresse giudizi severi nei confronti di alcuni comandanti, contestando la validità delle manovre da
loro svolte per arrivare a contatto con i convogli e per mantenerlo, e per le indecisioni riscontrate nello svolgimento di taluni attacchi.
Arrivò poi alle seguenti conclusioni:
L'operazione svolta dal 24 maggio al 20 giugno coll'impiego di 7 sommergibili ha fruttato l'affondamento o il danneggiamento di 15 piroscafi per 98.500 tonnellate: 13 piroscafi erano in 3 convogli, due erano isolati.
Il risultato è soddisfacente, però si deve osservare:
da parte di tutte le unità non si è verificato un concorde e completo affiatamento nell'attacco dei convogli segnalati e raggiunti;
– da parte di alcune unità (VENIERO il 6 giugno - BRIN il 13 giugno) l'attacco è stato effettuato troppo tardi nella notte e cioè quando non si verificavano più le condizioni favorevoli di oscurità per l'attacco;
da parte del BRIN il 13 giugno è stato commesso l'errore di perdere il contatto col convoglio attaccato verso l'alba, contatto che avrebbe potuto riprendere dopo l'attacco permettendo così non solo ai sommergibili VELELLA e VENIERO di trovare il convoglio, ma anche a 5 sommergibili tedeschi che erano stati dislocati 400 miglia a Nord per concorrere all'attacco;
– le unità non si sono tutte attenute col dovuto scrupolo alle consegne di massima per quanto riguarda le comunicazioni circa gli avvistamenti, la perdita di contatto e le comunicazioni della
propria posizione; ciò ha causato qualche inconveniente ed ha provocato da parte di questo Comando ordini che non sono stati eseguiti e che hanno in parte falsata la manovra.
Le critiche di Parona, furono accolte a Roma piuttosto freddamente, anche perché contrastavano alquanto con lo stato di entusiasmo determinato dai primi rapporti di Betasom, in seguito ai quali il comportamento dei sommergibili atlantici era stato particolarmente elogiato.4 Particolarmente irritata fu la reazione dell'ammiraglio Mario Falangola, come si può chiaramente constatare dal contenuto nella seguente lettera n. 07906 del 17 luglio 1941 inviata dal Comandante della Squadra Sommergibili (Maricosom) a Supermarina, dall’oggetto «Operazioni dei sommergibili atlantici»:
Mi riferisco al foglio di Betasom diretto a codesto Alto Comando n. 327 in data 4 luglio corrente anno.
1) Questo Comando in Capo, dopo aver attentamente esaminato, sulla scorta del rapporto riassuntivo di Betasom e di quelli dei sommergibili; le operazioni compiute da MARCONI, MOCENIGO, VENIERO, BRIN, EMO, ARGO e VELELLA nel periodo 29 maggio - 16 giugno ultimo scorso, conclusesi con l'affondamento ed il siluramento di circa 100.000 tonnellate di naviglio nemico, ritiene doveroso esporre le seguenti considerazioni:
a) tutta l'operazione è stata diretta dal Comando di Betasom che, anche in assenza dell'Ammiraglio titolare, ha dimostrato di avere una chiara e realistica visione della situazione che si è andata volta per volta delineando e di sapere bene provvedere in merito.
b) Nel campo tattico l'azione dei sommergibili è stata condotta sempre con elevato spirito aggressivo, con tenacia e con risolutezza.
I risultati ottenuti si possono, a mio parere, definire ottimi.
c) Pertanto il giudizio espresso dal Comando Superiore delle Forze Subacquee italiane in Atlantico appare a questo Comando in Capo, nel suo complesso e nell'esame particolareggiato che esso fa per ogni sommergibile, improntato ad una inesplicabile eccessiva severità. Sembra infatti allo scrivente che sia stato dato troppo rilievo ad alcune imperfezioni nell'azione che devono essere permesse e tollerate in coloro che operano in mare senza poter aver tranquilla e completa conoscenza di tutti gli elementi che sono noti ad un Comando Superiore che dirige da terra le operazioni.
d) Alcune osservazioni e critiche non hanno, inoltre, trovato conferma nell'esame accurato dei rapporti dei sommergibili fatto da questo Comando in Capo. Ciò induce a pensare che Betasom non abbia fatto, insieme ai Comandanti, l'esame critico dei loro rapporti, come questo Comando in Capo pratica sempre nei riguardi dei sommergibili direttamente dipendenti e come riterrebbe opportuno che venisse praticato in ogni circostanza.
e) L'osservazione pura e semplice fatta dal Comando Superiore delle Forze Subacquee italiane in Atlantico che da parte di tutte le Unità non si sia verificato un concorde e completo affiatamento, avrebbe almeno dovuto essere attenuata dalla considerazione che per la prima volta i
4 Il 22 giugno 1941 il Capo di Stato Maggiore della Marina inviò a Betasom il seguente telegramma di congratulazioni:
«SUPERMARINA - 83593 - Ultime operazioni dei nostri sommergibili atlantici intelligentemente concepite et brillantemente attuate hanno dimostrato l'alto grado di addestramento raggiunto dalle Unità alla Vostra dipendenza nella lotta che esse combattono per colpire il nemico nei suoi punti vitali (alt) Vogliate esprimere il mio vivo plauso ai comandanti Agostini - Roselli Lorenzini – Longanesi Cattani - Petroni - Crepas - Terra - Pollina agli Ufficiali ed Equipaggi dei sommergibili MOCENIGO - EMO - BRIN - VENIERO - ARGO - VELELLA - MARCONI (alt). Riccardi (alt) 061522»
sommergibili italiani si trovavano ad operare insieme. Tale constatazione doveva far ritenere ancora più soddisfacente il risultato ottenuto.
Il sommergibile Emo in navigazione
Sulla base di questa critica esposizione del Comandante in Capo della Squadra Sommergibili, l'ammiraglio Arturo Riccardi il 31 luglio 1941inviò all’ammiraglio Parona la seguente lettera N. 16447, dall’argomento «Operazioni dei sommergibili atlantici»:
Ho preso in attento esame la Vostra relazione n. 327 del 4 luglio circa la missione compiuta dai sommergibili MARCONI, MOCENIGO, VENIERO, BRIN, EMO, ARGO e VELELLA, nonché i singoli rapporti delle suddette unità.
La complessa operazione, diretta dal Comando di Betasom con chiara e realistica visione della situazione che si è andata volta per volta delineando, si è conclusa con l'affondamento e il siluramento di circa 100.000 tonnellate di naviglio mercantile.
Nel campo tattico l'azione dei sommergibili è stata condotta sempre con elevato spirito aggressivo, con tenacia e con risolutezza ed i risultati ottenuti sono molto soddisfacenti.
Alcune imperfezioni nella condotta dell'azione possono essere giustificabili in coloro che non disponevano della completa conoscenza di tutti gli elementi che non erano noti a codesto Comando Superiore e se non si è verificato un concorde e completo affiatamento fra i vari Comandanti ciò è dovuto al fatto che per la prima volta i nostri sommergibili atlantici operavano insieme.
Tali constatazione rendono ancora Più lodevoli i risultati ottenuti e mi inducono a confermare a tutti i Comandanti e agli Stati Maggiori ed Equipaggi che hanno partecipato alla nota missione il vivissimo compiacimento che ho già loro esternato telegraficamente.
Infine, debbo ritenere che le osservazioni da Voi mosse circa alcuni dettagli emersi dai rapporti dei singoli sommergibili siano state da Voi discusse affinché i Comandanti stessi possano trovare da esse il massimo giovamento per le attività future.
La fanfara tedesca sempre presente a Bordeaux per rendere gli onori militari ai sommergibili che rientravano dalle missioni di guerra.
Era la prima volta che i sommergibili italiani sperimentavano la tattica di branco contro convogli e indubbiamente fu fatto un notevole progresso nel campo tattico. Peraltro i successi effettivi non furono quelli apprezzati dai comandanti, poiché il nemico perse soltanto sei navi per 20.855 tonnellate. Di queste, quattro furono affondate in convoglio, due dal Marconi e altrettante dal Brin, che attaccarono di notte con condizioni di luce favorevoli; invece i sommergibili che attesero l'alba per attaccare o lo fecero in pieno giorno non conseguirono alcun successo.
Ha scritto lo storico tedesco Jürgen Rohwer che la sopravvalutazione dei successi nei convogli attaccati era in parte dovuta alla presenza di forti scorte. Ne conseguiva una maggiore difficoltà di osservazione dei bersagli colpiti da parte dei comandanti, anche per quelli noti per la precisione dei loro apprezzamenti. Nel paragone fra le cifre dei successi comunicate e quelle realmente conseguite la sopravvalutazione era un fattore ricorrente che occorreva sempre tener presente. Ciò aveva ancora maggior valore nell'area di Gibilterra ove i convogli erano costituiti prevalentemente da navi di non rilevante mole, tra le 1.000 e le 2.000 tonnellate, e di tipo assai
diverso. La difficoltà di stima era pertanto accentuata dalla mancanza di una misura di paragone, ed anche dalle particolari condizioni di luce esistenti in quelle zone di mare.
L'incoraggiante inizio delle operazioni nell'area di Gibilterra tendeva a far sperare che nel prossimo futuro i sommergibili italiani avrebbero finalmente ottenuto quei successi da tanto tempo desiderati. Se nonché, 1'8 giugno 1941, giunse inaspettatamente a Bordeaux un ordine perentorio di Supermarina con il quale era disposto il ritiro di tutti i sommergibili e la soppressione della base atlantica.
Nel dopoguerra, scrittori e storici navali discussero con calore su questo argomento, scrivendo che il ritiro dei sommergibili dall'Atlantico sarebbe stato imposto alla Marina dal Comando Supremo, preoccupato di rinforzare il fronte navale del Mediterraneo orientale. Alcuni critici considerarono tale decisione inutile e inopportuna, poiché le caratteristiche belliche dei battelli oceanici ne sconsigliavano l'impiego in quel mare ristretto. Altri, invece, la ritennero una logica conseguenza, necessaria per rafforzare la linea dei sommergibili nel Mediterraneo, che era stata fortemente falcidiata nel proprio dall'aumentato contrasto aeronavale del nemico.
In realtà il ritiro dei sommergibili italiani, come abbiamo dimostrato già fin dalla nostra prima edizione del libro Betasom. La guerra negli Oceani, fu imposto dal Comandante in Capo della Marina germanica, grande ammiraglio Erich Raeder, preoccupato dallo sfavorevole andamento delle operazioni navali italiane in Mediterraneo, che si ripercuotevano negativamente su tutta la situazione strategica dell'Asse in tale settore.5 In seguito alle pressioni di Raeder, la proposta del ritiro dei sommergibili di Betasom venne espressa da Adolf Hitler a Benito Mussolini nei colloqui del Brennero del 2 giugno 1941.
Nella stessa occasione, il Comandante dell'Alto Comando delle Forze Armate germaniche, generale Wilhelm Keitel, conversando con il Capo di Stato Maggiore Generale delle Forze Armate italiane, generale Ugo Cavallero, affrontò il problema della guerra sottomarina, affermando:
Abbiamo riconosciuto la necessità di richiedere un punto di appoggio a Dakar per intensificare la guerra sottomarina contro l'Inghilterra. L'aumento di sommergibili, finalmente da noi realizzato, rende poi necessario disporre di altre basi per sottomarini.
Per questo saremo riconoscenti se esaminerete la possibilità di rendere libera la base di Bordeaux riportando i vostri sommergibili ad agire nel Mediterraneo. Non è questione di prestigio, si tratta di una necessità, specie intorno a Creta, e per dare sicurezza ai trasporti di carburanti tra Costanza e il canale di Corinto o per le petroliere più grosse per le rotte a sud del Peloponneso. Quindi i sommergibili italiani potrebbero agire sulle rotte Dardanelli-Pireo, a sud del Peloponneso e attorno a Creta. È giusto che il Mediterraneo sia lasciato come campo d'azione agli italiani, mentre noi ci allarghiamo in Atlantico da Trondhjem a Dakar.
In realtà i retroscena che portarono alla decisione di ritirare i sommergibili di Bordeaux, e il modo in cui la questione fu condotta, ebbero un ben altro sviluppo e ben altri scopi, che in sede storica è oggi necessario descrivere in modo esauriente. E questo farà parte iniziale nel nostro prossimo Saggio.