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I REPARTI ARABI E INDIANI
DELL'ESERCITO ITALIANO
NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE ("LE FRECCE ROSSE")
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ROtvTA 2007
Presentazione
La storia della seconda guerra mondiale e dell'impegno in essa delle forze armate italiane è oramai conosciuta nelle sue grandi linee, specialmente per quanto riguarda la narrazione delle vicende belliche sui vari fronti, non ultimo quello nord africano. Riguardo a questo ultimo, l'importante serie di volumi ad esso dedicata annoverava, quasi vent'anni fa, oltre ottanta volumi tra pubblicazioni ufficiali, memorialistica e opere generali . Da allora il Loro numero è di molto cresciuto. Pur tuttavia, in questa pletora di pubblicazioni, non è molto noto , o addirittura è ignoto quasi a tutti, che, nella fase più cruenta della seconda guerra ,nondiale, e cioè nell'anno 1942, il Comando Supremo itali ano decise di c reare, di sana pianta , e quasi sul modello del britannico "Long Range Desert Group ", alcuni reparti del tutto innovativi nella storia militare italiana: reparti di volontar; guastatori arabi, italo - tunisini e indiani, reparti da gettare nella mischia dell'allora in.certa battaglia ai confini tra la Cirenaica e l'Egitto . Una s{ffatta decisione che avrebbe coinvolto alcune migliaia di militari si ins eriva nella spasmodica ricerca di garantire nelle difficili condiz ioni ambientali nelle quali le forze armate italiane stavano operando, un apporto nuovo e valido, sia per trattare con le popolazioni arabe coinvolte nel conflitto, sia per rùpondere con. azioni di sabotaggio nelle retrovie inglesi del Medio Oriente alle minacce che le forze armate del Commonwealth stavano strutturando dopo le loro prùne sconfitte nordafricane . La storia di questi quattro"Centri Militari Speciali"non ha mai trovato ftnora citazion; e r(ferimenti e pertanto la presente ricerca si pone l'ambizioso progetto di dare, anche a loro riguardo, qualche lume di una storia che tragicamente si concluse, nel maggio 1943, nella resa di Capo Bon.
Prefazione
Senza alcun dubbio non vi è, nella storia ,nilitare italiana, un reparto tanto particolare quanto ancora poco conosciuto come il Raggrupparnento Centri Militari e le unità che ne hanno fatto parte o ne hanno tratto origine .
Si deve ciò a molteplici ragioni: all'esiguità degli uoniini che ne hanno fatto parte, ai compiti estremamente riservati che lo hanno caraueriz zato, alla particolare e dive rsi ss ima provenienza delle componenti dei reparti, alla scarsissima documenta zione che è sopravvissuta alle vicende belliche, e persino, lo dico per esperienza diretta avendo intervistato, nel tempo, numerosi comandanti e appartenenti al reparto, per una sorta di ritrosia a raccontare la loro esperienza, dovuta al sentirsi ancora vincolati, pur dopo decenni, al parti co lare segreto che erano stati chiamati a mantenere sul reparto, sui suoi compiti, sulle tecniche operative e sulle a z ioni compiute .
Eppure quella delle " Frecce Rosse", dizione peraltro mai resa ufficiale dallo Stato Maggiore ma divenuta comune tra gli ex-appartenenti e gli studiosi, è una storia davvero affascinante proprio per via della così particolare composizione del reparto, nel quale erano confluiti non solo italiani nati o vissuti all'estero, ma anche volontari arabi ed indiani, che avevano accettato di combattere nei ranghi del Regio Esercito Italiano per la liberazione delle loro terre dal dominio degli ingl esi e dei francesi .
In realtà la presenza di unità straniere nelle for z e armate italiane non poteva certo dirsi una novità al momento della costitu zione dei tre Centri Militari, poi confluiti nel Raggruppamento omonimo quando si volle dare unicità di comando e di azione alla struttura.
A parte i numerosissimi volontari stranieri che avevano preso parte indi vidualmente alle nostre guerre di indipendenza ( valga per tutti il nome di Stefano TURR, ungherese, volontario garibaldino e poi tenente generale del Regio Esercito) non si può dimenticare la divisione cecoslovacca, che combattè inquadrata nella 9a Armata nella battaglia di Vittorio Veneto.
Stranieri erano i nostri reparti coloniali che si batterono con fedeltà e onore davvero sino alla fine; libici, eritrei, etiopici, somali, ma anche yemeniti, che in notevole numero accorsero sotto le nostre bandiere .
E per restare alla seconda guerra mondiale si possono ricordare non solo gli albanesi, dei quali è stata raccontata la vicenda in una pregevole opera dell'Ufficio Storico dell ' Esercito , ma anche i russi del Gruppo Cosacchi "Savoia", gli sloveni e i dalmati della MVAC (Milizia Volontaria Anti -Comunista), costituita per compiti di antiguerriglia nell'area di SUPERSLODA, ed infine i militi della valorosa Legione Croata che, inquadrata nella Mili z ia, prese parte alla campagna di Russia e finì distrutta sul Don.
Ma la vicenda dei reparti arabi e indiani è del tutto particolare poiché non ha avuto solo un mero aspetto militare ma è andata ad intrecciarsi continuamente con aspetti politi c i e diplomatici che han.no avuto origine nei decenni precedenti , per giungere sino agli anni della guerra, con vicende sempre altalenanti e situazioni che, ancora una volta, per quel che riguarda specificamente i reparti speciali italian i, a fronte di tante buone intenzioni, non consentirono di portare a compimento l'opera per cui erano stati costituiti.
E' stato così, infatti , anche per queste particolari unità che, pur di limitatissima consistenz a , se viste nel quadro generale dello sforzo bellico italiano, avrebbero comunque potuto rappresentare uno strumento di qualche efficacia ed utilità ove impiegate effettivamente nei compiti di guide e informatori, di ricogniz ione a largo raggio, di propaganda e di sabotaggio che avrebbero potuto svolgere nei Paesi di origine o di elezione
Man cò , invece, una politica adeguata e lungimirante, da parte del Gov erno fascista, che pure godeva di vastissime simpatie nel mondo arabo, e musulmano in generale, ed in quello indiano, nel progra,nmare e sviluppare una concreta e tempestiva a z ione in proposito.
Ma se per l'India risultavano ovviamente determinanti la incolmabile distan za jìsica e le difficoltà delle comunicazioni, che facevano sì che solo i giapponesi potessero concretamente giocare una valida partita con i politici indiani jìlo-Asse, in primis Subhas Chandra Bose , per quanto riguarda il Vicino ed il Medio Ori ente ed il Maghreb l'Italia fascista non seppe preparare per tempo il terreno né sul piano politico-diplomatico, né su quello militare.
Fu, anzi, a lungo in bilico, coma ha notato Renzo De Felice nel suo pregevole saggio "Il Fascismo e l'Oriente", dibattuta tra l'appoggio ai palestinesi e quello agli ebre i che si battevano per il loro 'focolare " ; e quando poi il regime finì per farsi trascinare nell'avventura dalla Germania, tanto da emanare anche le spregevoli leggi ra zz iali, e di conseguenza scegliere decisamente il campo arabo, si era oramai troppo a ridosso del conflitto e di tempo ne era rimasto ben poco.
Furono così. i tedeschi a prendere per tempo concrete iniz iati v e nei riguardi dei tanti, anche autorevoli, personaggi del mondo m.usulmano che si muovevano in aree come i Balcani, il Vicino e Medio Oriente ed il Nord-Africa, tradi z ionalmente di maggiore influen za italiana.
E così, come all'atto dell'intervento a favore del Primo Ministro iracheno Rach.id El-Ghailani, c he si era ribellato agli inglesi, Italia e Germania si mossero in modo del tutto scoordinato, così anche con il Gran Muft i di Gerusalemme e con la resistenza araba anti-inglese ed an.ti-francese i due alleati dell'Asse si mossero altrettanto scoordinati, ed anzi in neppur tanto larvata rivalità, per il co ntrollo delle azioni politiche , diplomatiche e militari nel settore.
Chi ebbe la meglio furono sicuramente i tedeschi, più determinati sia dal punto di vista diplomatico che da quello militare; e d'altronde l'Italia pagava anche una co ntraddizione di fondo: come poteva essere realmente considerata una paladina dell ' indipendenza dei Pa es i arabi e musulmani se non c hiariva , essa per prima, la propria posizione nei confronti del futuro della Libia e le mai sopite aspira z ioni a soppiantare i francesi nel ruolo di protettori della Tunisia e persino gli ingl esi nei riguardi dell'Egitto?
L'avanzata del 1942 verso Alessandria parve, finalmente , dare l ' agognata possibilità a coloro che, a Palazzo Chigi ed a Via XX Settembre, avevano creduto nella operazione c he subì, quindi, una improvvisa accelera z ione tanto che lo stesso Mujii, assierne al reparto Missione Speciale del Raggruppamento, si preparò a partire per la Libia e l'Egitto, che pareva ormai a un passo dalla conquista
Ma la battaglia di El Alamein capovolse le sorti della guerra e da lì iniziò la ritirata degli italo -tedeschi verso la Tunisia; e verso la fine del sogno africano.
I volontari indiani si anunutinarono e preferirono tornare alla più comoda posizione di prigionieri di guerra piuttosto c he partecipare al ventilato impiego come fanteria al fronte .
Il Comando del Raggruppamento fu inviato precipitosamente in Tunisia per coordinare la costituzione del Reggimento Volontari Tunisini, traendo gli elementi dalla patriottica e numerosa locale comunità italiana
Anche il comando e due compagnie del Battaglione d ' Assalto "T" finirono egualmente distrutti , nella breve ma durissima campagna tunisina , impiegati come unità di fanteria e non come arditi speciali zza ti in operaz ioni speciali.
Solo un plotone esplorante del Battaglione "T" ed uno del Gruppo Forma zioni "A", questo ultimo montato sulle camionette desertic he che avrebbero dovuto servire da avanguardia esplorante verso Alessandria, riuscirono a svolgere, in Libia e Tunisia, quelle attività per le quali erano stati costituiti; ma fu ben poca cosa nel quadro general e d e lla campagna.
Pochi singoli appartenenti al Gruppo Formazioni " A " furono aviolanciati per svolgere missioni informative in Medio Oriente , assieme a volontari arabi, o in operazioni di sabotaggio in Nord-Africa, aggregati a pattuglie del 10° Reggimento Arditi .
Anche per i volontari arabi e per gli italiani, in gran parte raga zz i della Gioventù Italiana del Littorio all 'Estero, s orpresi dallo scoppio della guerra nei collegi della GILE dove erano stati mandati a studiare, si ve rificò la nemesi dei reparti speciali italiani.
Come per i battaglioni "Nuotatori" e "Paracadutisti" della Regia Marina e per i battaglioni "Paracadutisti", "Distruttori" e "Riattatori" della Regia Aeronautica, nati per la prev ista e mai attuata occupazione di Malta, come per i paracadutisti della "Folgore", distrutta come semplice fanteria nel deserto egiziano, e quelli della "Nembo", rimasti a presidiare la Sardegna in attesa di un improbabile sbarco alleato, così anche i preparatissimi e motivatissimi specialisti delle Frecce Rosse conclusero la loro breve storia combattendo, per la maggior parte, come fanti .
In realtà la storia delle Frec ce Rosse non ebbe fine con la resa dell 'Armata italiana in Tuni sia; gli arabi della Missione Speciale e i loro quadri italiani, rimasti acquartierati nei dintorni di Frascati come guardia di un Mufti sempre più vicino ai tedeschi,furono determinanti nei soccorsi alla popolazione della cittadina, pesantemente bombardata, l'8 settembre del 1943, dagli alleati che miravano alla sede di comando del maresciallo Kesselring.
E gli italiani del Battaglione d'Assalto Motori zz ato, che aveva riunito i reparti del Raggruppamento Centri Militari sopravvissuti alla disfatta africana, si scontrarono con i tedeschi , tra 1'8 e il 10 settembre, in varie zone attorno e dentro Roma.
Furono tanti g li uomini del battaglione a cadere sotto il fuoco dei paracadutisti tedeschi , eppure nes s una lapide, nessuna scritta ricorda, nella città, l ' eroismo e il sacrifico di questo reparto che , rimasto senza disposizioni, si presentò d'iniziativa al generale Solinas a Porta San Paolo per porsi ai suoi ordini e andare subito dopo all'attacco con le camionette della compagnia d'assalto e la bandiera del "I O Wahda" spiegata e trafitta dai colpi delle mitragliatrici tedesche.
Bandiera che i superstiti recuperarono dalla camionetta del comandante di compagnia, distrutta da/fuoco nemico, conservarono gelosamente durante l'occupazione tedesca di Roma, e che la vedova del comandante rni ha fatto l'onore di consegnarmi perché la conservassi a memoria del reparto e del suo eroismo.
Restano ancora da scrivere queste pagine di eroismo, come è ancora da ricordare adeguatamente che il reparto rimase compatto, nel marasma di quei giorni, ben oltre il 10 settembre, e solo quando il comandante del battaglione lo sciolse ufficialmente, consegnando a ciascun soldato una regolare licenza illimitata ed una somma di denaro, gli uomini presero ciascun.o la propria strada .
Ognuno fece la sua personale scelta, dffficilissima in quei momenti, tanto più per raga zz i che avevano, per la maggior parte, le famiglie in paesi lontani, spesso internate in Egitto e in quei Paesi dove erano nati o vissuti ma che erano sotto controllo alleato .
Fu un vero dramma che vide le Frecce Rosse scegliere le vie più diverse: molti furono arruolati nei Servi zi informativi tedeschi, che ne apprezzavano la preparazione militare e la conos ce nza delle lingue; diversi di loro finirono così fu.cilati dagli anglo -americani dopo essere stati catturati nel corso di missioni oltre Le linee o nei luoghi dove si erano occultati con le radio trasmittenti per farsi superare dagli alleati e iniziare l'attività informati va .
Vi fit poi chi operò con gli in glesi del Field Security Service, chi raggiunse il Regio Esercito al sud, chi si arruolò nell'Esercito Repubblicano al nord e vi fu anche chi finì trucidato alle Fasse Ardeatine; un.o spaccato dell'Italia del 1943/1945, con. i suoi immensi drammi.
Eppure una parte del battaglione continuò a vivere anche dopo lo scioglimento ufficiale del reparto; la compagnia camionette d'assalto, in.fa tti, per iniziativa di un ufficiale che ho avuto l' onore di conoscere, rimase in armi e si presentò al comando della Polizia dell'Africa Italiana, incaricata del mantenimento dell'ordine nella Città Aperta di Roma, al completo dei propri mezzi, evitando così che cadessero nelle mani dei tedeschi; si deve a costoro se le camionette sopravvissero sino all'arrivo degli alleati per venire poi regolarmente consegnate alla polizia italiana che le impiegò sino agli anni '50 nei reparti ,nobili .
E fu proprio un intero equ ipaggio composto da ex -Frecce Rosse, ormai PAI, a perdere la vita quando, la sera del 4 giugno 1944, la loro camionetta fu colpita per errore, in Via Nazionale, da un carro Stuart americano, mentre svolgeva i propri comp iti di sicurezza facendo la spola tra le truppe tedesche e della RSI in ritirata e gli aniericani in fase di ingresso a Roma.
Storia affascinante, quindi, quella dei reparti arabi e indiani, o,forse meglio, italo -arabi e italo -indiani del Regio Esercito; una storia che il prof. Rainero ha, con questo volume, compiutamente delineato nei suoi aspetti diplomatici, politici e militari, lasciando il lettore affascinato dalla larga messe di informazioni, dati e notizie sinora frammentate e che, con questa opera, prendono finalmente concreta e completa forma.
Un volume davvero interessante dove si rivive, con emozione, il clima creatosi attorno a coloro che credeva.no nella bontà di un progetto che avrebbe potuto dare, se sviluppato coerentemente e per tempo, buoni frutti per la politica dell 'Asse, e dell'Italia in particolare, verso arabi e indiani;
Un volurne dove emergono e si intrecciano complesse vicende politico-militari e sottigliezze diplomatiche, visioni estremamente lungimiranti e azioni velleitarie, idealismi e basse rivalità, professionalità e impreparazione
Un libro che studiosi e appassionati di storia militare attendevano e leggeranno quindi con grande interesse anche perché i popoli di cui parla e le vicende di cui tratta sembrano _ davvero di un.a incredibile attualità.
Si pensi solo alle odierne vicende palestinesi o al fatto che quel Waziristan., dove l'ambasciatore Quaron.i si muoveva, nel pieno della guerra, per con.vincere i capi -tribù locali a dare il loro appoggio a.il 'Asse nella lotta contro il comune nemico inglese, è lo stesso Waziristan dove si dice si nascondano, oggi, protetti dalle medesime tribù guerriere, Osama Bin Laden e gli uomini di Al Qaida.
Sarà, infine, questo interessantissimo volume, anche la base per un ulteriore studio sugli sviluppi, stavolta solo tecnico-militari, dell 'attività che i volontari italo-arabi hanno condotto successivamente al crollo delle speranze che li avevano portati a vivere l'avventura delle Frecce Rosse .
Sergio MURA
Capitolo Primo
IL MONDO ARABO NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE E L'ITALIA
Nel panorama com plessivo della storia contemporanea dell'Italia si pu ò dire che molto appare g ià noto e pubbli cato a propos ito della partecipazione dell ' Italia alle operaz ioni mi litari nella seconda guerra mondiale . Questo vasto insieme di st udi può fare ritenere c he molte zone della stor ia degli anni del confli tto s ian o s tate es plorate con test imonianze, stud i e documentazioni che formano un patrimo ni o importante delle conoscenze che si possono avere a questo riguardo . Invero , i più di sessanta ann i c he sono trascorsi dalla fine della gue1n ad oggi , hanno visto un alternarsi di motivi di interesse della ricerca ed un contrastato modo di scrivere. D opo anni e anni dal conflitto, ci si trova di fronte ad una storia obiettivamente tra le più controverse, sia per le vicende politiche nelle qu ali essa s i è s nod ata, sia p er le vicende s pecifiche militari che hanno v is to l ' Italia impegnata ne l co nflitto. I fronti di g uerra con i loro alterni sviluppi, le me mori e de i principali protagonisti, le ma gg ior i battaglie e le ingent i pole mic h e politiche e mili ta ri di vario tipo hanno dato agli storic i ampia materia di rifl ess io ne con p rese di posizione alterne e spesso contrapposte ed in questa storia gli archivi pubblici, priva ti e m ili tari sono stati molto s pesso al centro delle più varie ricerche .
Oggi si può d ire che la conoscenza s pecifica dell'andamento delle battaglie e dei presupposti politici e tecn ic i che ne hanno condizionato, non poco, gli esiti sono mediamente noti e, se la storia mili tare ha potuto spesso coniugars i con la sto ri a politica e diplomatica, non so no venuti meno l ' impegno e l'ev idente interesse a ri costrui re l'insieme della storia cieli ' Italia ne lla s econda g uerr a mondiale a nche a partire di nuovi sp unti di ric erc he. Pe r ese mp io l 'i mportante incidenza dell e varie vicende politiche interne d ell 'Italia s ull ' opinione p ubblica con la fase d e lla 'non belligeranza' alla quale doveva seguire quella d ella par tecipazione alla guerra, ne ll'ambito de ll' A sse, e quindi l'intennezzo badogliano, l ' armistizio e fi nalme n te , la cobelligeran- za con le Nazioni Unite. Tutti si sono rivelati elementi fondamentali nello studio della storia di un conflitto che , in meno di quattro anni , ha stravolto regimi ed istitu z ioni. Un elemento importante di quella guerra è stato l'aspetto ideologico che lo ha attraversato e dominato con ritmi di crescente incidenza su lle stesse operazioni militari. E così il progetto di Nuovo Ordine Mondiale che il regime fascista lanciò, quasi alla vigilia del conflitto , sta diventando motivo di rinnovata attenzione di una intensa attività di progettazione, quasi la vicenda bellica combattuta con le armi fosse sicuramente destinata ad essere soltanto una parentesi breve e vittoriosa, anticipazione necessaria ad una vera rivoluzion e geopoli tica mondiale nella qual e i vincitori, cioè l'Asse, avreç,bero potuto pienamente inserire le proprie volontà. Altrettanta novità si veda l'attenzione che sta nascendo a proposito della partecipazi one alla "guerra italiana" di truppe o reparti non italiani, che vanno dai gruppi libici sahariani ai battaglioni eritrei i quali però agiscono sempre al se rvizio de lle direttive poli tiche e militari italiane e non esprimono in alcun modo esigenze politiche legate alla loro na• I tura etnica . Poca o nulla è stata invece l'attenz ione che si é rivolta alla storia di militari di gruppi paralleli , gruppi cioè che combattevano una guerra italiana accanto alle forze armate dell'Italia, ma che avevano obiettivi politici ben distinti, del tutto autonomi. Pe r la regione balcanica, le forma z ioni militari indigene con queste caratteristiche sono s tati evocate, qua e la, in alcuni studi recenti; la ricerca di Marco Cuzzi riguardo all ' occupazione militare italiana della Slovenia rimane segno emblematico di una ricerca ancora da completare per l 'intera regione balcanica dove vel leità autonomistiche e ambizioni nazionalistiche fecero fiorire iniziative militari di notevole interesse 1 • Altrettanto abbando nati sono stati gli stud i nella regione mediterranea, st udi relativi a talune volontà militari, o "velleità militari", che , da parte dei nazionalisti arabi, hanno dato lu ogo a formazioni militari parallele patrocinate da Berlino o da Roma, chiamate ad ope rare nel1' ambito dell'Asse per raggiungere fini del tutto propri , per lo più connessi ad una confusa decolonizzazione anti-inglese o anti-francese e ad una generica volontà di indipenden za nazionale.
Per quan to riguarda il caso dell ' Italia, va eletto che tale studio appare difficile anche perché esso si rivela subito denso cli equivoci e cli inganni, a cavallo tra problemi politici ed esigenze militari . Gli equivoci a tale riguardo non mancarono. Prima di tutto, va sottolineato il fatto che l'entrata in guerra dell'Italia co in cideva quasi con la vecchia vicenda della "vittoria mut ilata" , che risaliva alla prima Grande Guerra, ed anche a quella speranza, dopo il sic uro esito vittorioso dell 'eventuale co nflitto, che si riassumeva nella real izzazione delle cosiddette "rivendicazioni", che il ministro degli Esteri, Cia no chiamò, nella memorabile seduta della Camera dei Deputati del 30 novembre 1938, le "naturali aspirazioni del popolo italiano". Il tutto veniva condito , in una versione che si voleva innovativa ed integrata , con l'idea di un 'Nuovo Ordine ' che, dal 1938 in avanti, ossessionava l'opinione pubblica italiana e specialmente l'opinione ufficiale del regime quanto al futuro delle relazioni internazionali. P er questi motivi, di questo progetto del Nuovo Ordine Mondiale appare necessario esaminare i molteplici aspetti in quanto la sua stessa natura rivela in modo evidente il fine della politica di Mussolini ed i non pochi condi zionamenti che l ' Italia dovette subire anche per quanto riguardò la condu zione militare della guerra. L'elemento centrale del programma enunciato dal fascismo risiedeva nel fatto che, pur nel disordine delle proposte, l'insieme dei suo i propositi rinviava necessariamente agli elementi che ne dis ponevano 1' attua zione e si collegavano ai due uni ci protagonisti: l ' Italia fascista e la Germania hitleriana. Roma e Berli no sarebbero diventati così i due perni attorno ai quali doveva ruotare l'intero ed ificio , dapprima europeo, poi mediterraneo , poi africano ed infine , dopo la comparsa del terzo elemento, il Giappone, asiatico. Tutto ciò che costituiva l'impalcatura del futuro dell'Europa si doveva svolgere attraverso il dialogo tra le due capitali, diventate successivamente tre. Il protagonismo di Mussolini che si accompagnava a quello di Hitler diventava l'unico riferimento sicuro della rivolu zi one geopolitica del mondo che avrebbe fatto seguito alla vittoria, ritenuta sicura, dell'Asse.
Senza volere, in questa sede, fare la storia del progetto del Nuovo Ordine, storia indubb iamente difficile e non ancora scr itta nel suo co mplesso, vale la pena di ricordare, almeno a grandi linee , i vari progetti che di questa seducente etichetta si avvalsero, quasi a prenotare un avvenire cli sicuro sbocco positivo. Va anche ricordato che ognuno di questi progetti segnava l'esaltazione della "missione di Roma", cioè di un autoritarismo fascista nei confronti delle popolazioni dei vari territori oggetto di questo Nuovo Ordine e soprattutto del mondo mediterraneo . Ed in questa ripetuta esaltazione della mi ss ione di Roma sta - va proprio il grande problema del1e future relazioni di belligeranza e di libertà che molti nazionalisti arabi sognavano invece quale fine della preponderanza coloniale dell'Europa. Si è scritto, non a caso dei "vari progetti", perché 1'insieme delle auspicate decisioni relative al Nuovo Ordine Mondiale non appare allo storico, né unico, né omogeneo. A questo riguardo appare chiaro che nel periodo delle grandi illusioni, cioè tra il 1938 e il 1941, quasi ogni centro di potere del regime fascista si facesse carico di redigere un proprio progetto di Nuovo Ordine e ciò che appare piuttosto curioso sta nel fatto che, pur autorevoli fossero le var ie fonti di questi progetti, nessuno ebbe mai la conferma di un avvallo unico da parte del governo fascista il quale, da parte s ua, creò vari organismi incaricati di st udiare il problema senza che vi fosse una qualsiasi osmosi tra cli loro. In questa confusione appare difficile allo storico s uperare la fase della pura descrizione, ma senza scegliere arbitrariamente un progetto piuttosto che un altro , occorre indicarne alcuni tra i più omogenei e rappresentativi. Ciò che, in ogni caso va sottolineato è che nell'insieme delle scelte cieli' Italia, sia poco prima cieli 'entrata in guerra, sia durante lo svolgimento del conflitto, appare eviden te la totale disinvoltura delle autorità fasciste circa le sç;elte auspicate da realizzare a vittoria conseguita. La ridistribuzione geopolitica, in Asia come in Africa, che ogni progetto prevedeva aveva quale assioma l'onnipotenza del governo di Roma quanto al de stino delle popolazioni oggetto e non soggetto dei vari cambiamenti.
Quanto alle reaz ioni delle popolazioni coinvolte in questi grandiosi progetti, risultava chiaro che per quanto riguardava il Nuovo Ordine Mediterraneo gravavano sulle decisioni future alcuni presupposti che ne contraddistinguevano la natura . In sostanza tutto avveniva, sotto un malcelato paternalismo, senza né la consultazione, né il rispetto delle varie popolazioni interessate. E siccome si parlava di espansione mediterranea ed africana, le popola zioni interessate, cioè gli africani e gli arabi, che non venivano mai evocate se non come mera merce di scambio di sovranità territoriale, non potevano non avanzare seri dubbi e fondate riserv e . E tutto ciò ebbe molto a che fare con 1'effe ttiva partecipazione di gruppi armati di quell e regioni ad uno sforzo bellico che pareva esulare del tutto dai grandi obiettivi del già forte nazionalismo locale.
Sulla 'questione araba', come su quella africana in generale, si può dire che questo disinteress e nei confronti de1Ie varie popolazioni co involte aveva radici ideologiche precise: era la dottrina della " Difesa della
Razza" che, dal novembre 1938, era diventata legge del regime fascista a farla da padrone. A queste razze ve ni vano attribuite genericamente l'etichetta cli "razze inferiori" nei confronti clelia razza dominante che era la razza ariana cli cui il governo fascista esaltava la purezza ed il valore, con la triplice attribuzione ai suoi membr i cli "ita li ano, ariano e fascista" . Co n s imili premesse era chiaro che le popolazioni arabe ed africane non potevano guardare se non con diffidenza la po li tica del governo italiano che non dava loro la parola o l'ini z iativa e non poteva certamente allontanarsi da questi presupposti razzisti. Queste non erano peraltro le sole difficoltà politiche che il fascismo incontrava: il governo italiano aveva avuto nel passato una se ri e di momenti di crisi che avevano sos tanzialmente creato altri motivi di attrito. Dapprima , con il mondo palestinese , vi era il grande problema della politica che Mussolini aveva deciso di adottare e che si comprendeva poco in quanto ambigua al massimo . Da una parte si caldeggiava l'az ione dei sionisti , mentre dall'altra parte si sosteneva con armi , denaro ed azione diplomatica la resistenza dei naz ionalisti arabi in lotta contro il potere mandatario della Gran Bretagna e contro i progetti spesso realizzati di insediamenti sionisti nell'intera Palestina. Il tramite era il Gran Mufti di Gerusalemme , al -Husseini, autorità religiosa e capo politico dei nazionalisti palestinesi, e con costui il governo fascista era e nt rato in contatto sin dal 1936 fornendo alla sua azione, per via clandestina, il denaro e le anni necessari alla sua atti vità sovversiva 2 . Una simile politica poteva essere una scelta valida se non fosse stata accompagnata, proprio nello stesso periodo, da una serie di ape1ture italiane nei confronti dello stesso movimento sionista, il qua le era il diretto nemico dei nazionalisti palestinesi in quanto il loro progetto di insediamenti nella TeITa Santa, ledeva evidentemente l'auspicata indipendenza della popolazione araba. Gli incon tri di Mussolini con il capo del movimento sio ni sta , Chaim Weizmann , de] settembre 1926 e del 14 febbraio 1934 costituivano un chiaro 1iconoscimento del movimento sionista che il successivo incontro con il presidente delle delegazioni ebraiche, Nahum Goldmann, del 13 novembre 1934, confermava. Un a l tro elemento di diffidenza del mondo arabo nei confronti del Nuovo Ordine mussoliniano risiedeva ne ll a politica che il governo fa- scista aveva attuato fin dal suo insediamento nella sua colonia araba , la Libia, politica che non privilegiava di certo gli arabi e la loro aspirazione all'indipendenza. Il duro regime coloniale fascista aveva poi avuto la clamorosa conferma della sua virulenza in occasione della cattura del capo carismatico dell'idea nazionale libica, Omar al - Mukhtar: la sua condanna a morte e 1a sua pubblica impiccagione del 16 settembre 1931 3 erano elementi che pesavano come macigni sulla buona fede fascista a proposito delle sospirate indipendenze delle nazioni arabe. li mondo arabo , che allora si era schierato contro la violenza fascista, non poteva non ricordare questa drammatica vicenda che si era accompagnata a soprus i a danno della popolazione indigena con depo11azioni di massa, espropri di terre e processi sommari. E così anche 1' impresa d'Etiopia, con la proclamazione dell ' Impero (8 magg io 1936), non deponevano a favore di una "generosità" cieli 'Italia a verso le popolazioni africane arabe o amhariche che fossero . Anche se Roma dichiarava, negli anni quaranta, di volere assecondare con questo progetto di Nuovo Ordine Mondiale , la tute la delle volontà arabe di indipendenza , esso non poteva non essere ritenuto soltanto una dichiarazione di circostanza che occultava la volontà di Roma di prosecuzione , su scala allargata, di quanto si era già visto nelle colonie del .! l'Italia, e cioè del colonialismo e della violenza razzista. Con questo retroterra politico evidente ogni dichiarazione del governo italiano circa la propri a intenzione di emancipare del tutto le popolazioni arabe e di liberare dal colonialismo francese e inglese le popolazioni dei due imperi suonava poco credibile , dettata com'era più dalle circostanze politiche che da una vera filosofia dell ' emancipazione .
2 Se ne vedano alcuni aspetti finanziari nella tabella dei vers amenti fatti dal governo fascis ta all'esponente palestinese (1936-1938) , ripo11ata, quale documento n. 2 , nel volume di R. H. Rainero, [<,1 politica araba di Mussolini nella seconda guerra mondiale, Padova, CEDAM, 2004, p. 52-54.
Infatt i , il ventaglio del1e "soluzioni" che venivano indicate nelle varie edizioni del progetto di Nuovo Ordine non lasciava dpbbi circa la politica che Roma intendeva realizzare su scala mondiale dopo la vittoria dell'Asse. Anche se i vari progetti erano , sotto molti aspetti, in netta contraddizione gli uni con gli altri poiché a Roma, e nei centri del potere fascista , non si coltivavano sempre identiche speranze sul1e conseguenze del1a vittoria, ritenuta nel 1940-41, ormai alle porte, i piani ed i propositi circa il to rnaconto dell ' Italia, a gue1rn vinta , parlavano chiaro. L'equivoca dizione del Nuovo Ordine non definiva , in modo corretto e completo, questa ideologia, che rimaneva oscura e minacciosa. A questo riguardo, va eletto subito che il regime fascista non mancò di alimentare ufficialmente queste incertezze, alle prese com'era con forze discordanti e co ntraddittor ie che tutte pretendevano di rappresentare il vero sig nific ato del fascismo ne l mondo futuro e l'optimum delle sistemaz ioni previste. Appare anche chiaro che le scelte erano ben lungi dall'ess e re definite o definitive , e che ad ogni centro di potere del re g ime, e quasi ad ogni gerarca importante del partito, corrispondeva una versione più o meno ambiziosa di questi orientamenti. Questa appare una materia non trattata dagli storici, data anche la sua fluidità obiettiva e data l 'assenza di un documento unitario di riferimento definiti vo. Le fonti al riguardo si possono ritrovare, oltre che in molti documenti ufficiali , anche, disperse e contradd ittorie, nelle varie riviste del regime. Ad ogni modo appare interess ante evocarne i termini, pur privilegiandone le versio ni territoriali d eg li spazi mediterranei a favore dell'Impero fasci s ta che erano veramente molte ed erano sempre in bilico tra une riedi z ione del vecchio colonialismo di stampo francese o in glese ed il "nuovo imperialismo" fasci sta dagli in certi contorni, ma che appariva supremo elemento di una definitiva supremazia della razza ariana su tutte le altre razze e quindi conferma dei più abusati schemi di colonialismo e di imperialismo mascherati da generosità politiche. Chiaramente s i era lontani dalla condanna del colonialismo europeo, come lo pretendevano i vari esponenti nazionalisti arabi, che accoglievano con estremo sospetto e con profondo scetticismo le "nuove" dottrine del fascismo a loro riguardo. Nel settore internazionale , il problema si allargava ulteriormente con la nozione di Nuovo Ordine Mondiale , cioè con quanto la Germania d i Hitler meditava di realizzare a proposito di un proprio futuro Nuovo Ordine, che non combaciava per niente con l ' insieme delle solu z ioni italiane. Le discrepan ze erano molte e corpose per quanto riguardava l'Europa , ed anche l'Africa. Ma non solo: allorquando si evocava il problema del Mediterraneo orientale, c ioè il Medio Oriente arabo, un terzo protagonista non tardò a presentarsi per illustrare il proprio modo cli concepire il futuro. Ed era il Giappone il quale, con il suo Nuovo O rdine Asiatico, non in tendeva rinunciare, in nessun modo , a gestire le so1ti del mondo arabo, chiamato più volentieri a Tokyo, Asia Minore od Oriente Medio . Quasi inutil e evocare come liberatoria l'equivoca etichetta cli "Eurafrica" sotto la quale si celava solamen te la sfrenata ambizione del fascismo di reggere le sorti dell'intero continente sotto le parvenze di una cooperazione di sviluppo che portava inevitabilmente ad una colonizzazione co1lettiva sotto il primato di Roma. L'Africa ed il mondo arabo sarebbero diventati così, zona comune di retrovia dell ' Europa stessa, zona da 'i.ncivilire' e da sfruttare. Si parlava anche di 'romanizzare' il mondo coloniale come mercato e come riserva energetico- minerar ia . Per l'Africa e per il mondo arabo, sarebbe così riso1ta un 'i nte sa che ripercorreva le tappe della romanità classica e dello stesso ideale del Mare nostrum , tante vo lte evocato da Mussolini . In questa visione, si ritrovavano le idee di alcuni tra i più noti espo nen ti e studiosi del colonialismo fascista graditi dal regime , quali Paolo D'Agostino Orsini di Crunerota , Crufo Giglio , Raffaele Micaletti, Gigi Maino, Edoardo Zavattari , Carlo Zaghi, Piero Bernasconi ed altri ancora, i quali scrissero abbondanti e contraddittorie versioni della propria idea di Eurafrica .
Una data fondamentale per individuare, per l' Italia, il varo di quest ' idea di Nuovo Ordine appare essere il 30 novembre 1938 . Proprio in quel giorno Mussolini chiariva al Gran Consiglio del Fascismo , ciò che chiamava "le linee direttive del d inamismo fasc ista negli anni a venire", e riguardava una serie di espansioni-r ivendicazioni-compensi, mai prima di allora così ch iaramente indicati4 Andavano dalla Tunisia al Ticino , dall 'Albania a Istanbul ed in esse non vi era spazio dichiarato per le vo lontà delle popolazioni inserite in questi progetti. Su questa linea, Paolo Orano poteva pontificare: "Il Nuovo Ordine Mondiale è dunque il fine p reciso della nostra rivoluzione, consiste nell ' esserci noi s ituati ne1la sfera viva degli eventi, preveduti, auspicati, voluti da decenn i . .. e trava lica dai suoi confini di ieri per entrare nella risoluta fase dell ' imperialismo ... "5 E Vito Pannu nzio a ribadire : " Questa guerra non è fi ne a sé stessa, ma è fine escl us ivamente ad un Nuovo Ordine politico , sociale ed economico, ad un Nuovo Ordine fonda to sulla pace e splla giustizia .. . Non avverrà come per il passato . .. di presentarci incerti e titubanti con improvv isazioni più o meno felici, ma ci presenteremo (a guerra vinta) sotto og ni aspetto fen-atissimi ed agguerritissin1i"6 .
4 In una preceden te riunione Musso li n i aveva confermato l'ampiezza delle ambizioni del suo programma: «II fasci smo non teme un combattimento che deve decidere le sorti dei continenti», dalla Prefaz ione agli Atti del Gran Consiglio, in «Popolo d ' Italia» del 10 luglio 1938.
5 P. Orano , Verso un Nuovo Ordine Mondiale, in "Annal i dell'Africa Italia na", 1940 , vol. lV, p. 22
6 V. Pannunzio, Punti fermi per il Nuovo Ordin e , .in "Critica F ascis ta", 15 sett. 1940 ,p .396.
Cur iosamente l' e ntrata in guerra dell ' Italia non parve modificare molta parte di questi progetti che pure le semplici esigenze strategiche avrebbero dovuto modificare o quanto meno adattare alle nuove situazioni. Solo qualcuno, come l'autorevole ministro, G iu seppe Bottai , mostrava una evidente incertezza: "Il Nuovo Ordine si dimostra più che una aspirazione vaga . Ma non può, fin d ' ora, mentre la lotta infuria, delinearsi in tutti i suoi elementi costitutivi ... Ogni tentativo dicostruzione teorica, se condotto oltre certi limiti , cadrebbe in un pericoloso labirinto di ipotesi" 7 Era certamente una presa di posizione che non dimenticava di collegare tutti i propositi di rivoluzione geopolitica all ' esito del conflitto, esito che , alla fine del 1941 , si presentava sempre meno sorride nte per l'Asse. In questa orgia di progetti , non emerse in nessun modo l 'esigen z a di collegare le popolazioni locali allo sforzo di guerra dando loro magari qualche soddisfazione pur di agganciarli al carro militare dell ' As s e . In questa fase si può s olo notare una evidente sordità italiana alla vera novità che la guerra stava manifestando e cioè l'esigenza, che specialmente la Gran Bretagna stava ribadendo, di collegare il conflitto ad una fase ideologica importante che avrebbe trovato nella dottr ina della " libe razione" il proprio credo universale in nome del quale le popola zioni coloniali parevano trovare nuovi spazi per l ' auspicata decolonizzazione e quindi si allineavano nella lotta contro l ' Italia.
In questa nostra analisi occorre trascurare le molte pubbliche prese di posizione , e neppure lanc iarsi in una analisi dei documenti uffi ciali , segreti o riservati , sulle scelte che le massime autorità fasciste facevano riguardo a questo espansionismo . Per la cronologia basterà ri cordare il primo documento u fficiale del periodo bellico, che risa le al 26 giug no 1940 , allorquando il ministro degli Esteri C iano dava le " Istruzioni" circa l'elaborazione di una vera versione ufficiale circa le rivendicazioni avanzate dal governo fascista. Era l'invi to rivolto al capo dell'Ufficio Armistizio-Pace, Lu ca Pi etromarchi, a "preparare uno studio specifico", ma in ta le attesa alcun e mete erano indicate, quali la Tunisia definita "territorio italian o con rettifica alla frontiera con l ' Algeria in modo da comprendere le miniere di fe1To e fosfati " . Per l'Egitto "ritiro di tutte le forze britanniche. Egitto pienamente indipendente con trattato esclusivo di alleanza con l'Italia" , con "sostitu zione dell'Ita lia alla
7 G. Bottai , Contributo de/l ' Italia fa sc ista al Nuo vo Ordine , in "Civiltà Fascista", novembre - dicembre I 941 , p. 11.
Gran Bretagna nel condominio del Sudan anglo -egiziano"; infine per la Siria, il Libano e la Palestina si decideva di farne "Stati indipendenti alleati dell ' Ttal ia (con) trattati di mutua assistenza"8 . Per la Siria, il Libano, la Palestina, la Transgiordania e l'Irak si proponeva il riconoscimento della loro indipendenza , ma con la "conclusione di trattati di mutua assistenza tra ognuno di questi Stati e l'Italia accompagnati dall'occupazione militare di taluni punti strategici per garantire questi Stati da minacce alla loro indipendenza e in tegrità". Insomma questo documento rappresentava una vera e propria rivendicazione 'totale ' sul mondo arabo, rivendicazione collegata sia all'aspetto teITitoriale sia a quello militare e strategico dell'Italia nell'intero settore mediteITaneo.
La panoramica delle rivendicazioni che le varie autorità fasciste, su ll'onda dell'entusiasmo per la facile vittoria sulla Francia, ritennero di dover redigere a futura memoria non si limitò a questi prima presa di posizione. Ed j progetti si moltiplicarono. In data 10 settembre 1940, il vice direttore ge nerale degli Affari d'Europa e del Med iterraneo, Gio vann i Battista Guarnasche lli, aveva riportato, quasi in dia logo con un Appunto dell'ambasciata di Germania a Roma, una serie di revisioni e di messe a punto che definivano ulteriormente l'ambito e la natura dei futuri mutamenti geopolitici e strateg ici del mondo arabo secondo Berlino e seco ndo Roma9 E tali clausole, che riguardavano la Francia, e rano ancora più favorevoli alle t es i oltranzistiche dell'Italia 10. L'importanza di questo nuovo 'Appu nto ' del Ministero sta nel fatto che esso fu preparato in vista dell 'incontro di Firenze tra Hitler e Mussolini del 28 ottobre. Illustrate dàl Duce ad Hitler , le tesi italiane furono da costui interamente ratificate ed egli si impegnò dopo aver " per ben due volte e solennemente dichiarato che egli non avrebbe firmato alcun trattato con la Francia se prima non saranno state soddisfatte tutte le richieste italiane che sono da considerarsi ultramodeste e certamente in fe riori alle richieste che gli stessi francesi si aspettavano
Con le citazioni di riferimenti antichi e di documenti ufficiali italiani non si può, di certo, ritenere esaurito il panorama delle vicende che agitarono gli ambienti governativi italiani a proposito della vittoria del1'Asse e delle conseguenze geopolitiche a proposito del Nuovo Ordine, ma si deve ins istere nella ricerca dei veri proposit i che il governo fascista nutr:iva ne l segreto riguardo al futuro del mondo mediterraneo , africano ed arabo, propositi che segnano, a lettere cubitali, una totale disarmonia con le 'soluzioni' previste (con profonde riserve) che venivano avanzate circa l' indipendenza araba, che pure erano al centro delle varie trattative con gli esponenti nazionalisti arabi, palestinesi come il Gran Mufti di Gerusalemme Amin el -Husseini ed iracheni, quale Rashid Ali al -Ghailani. Ogni equivoco circa la sorte politica riservata a q ueste zone, poteva essere coltivato in tempo di pace, ma in tempo di guerra, che proprio sul territorio del mondo arabo si svolgeva, il discorso diventava estremamente difficile. E questa difficoltà cresceva a dismjsura in q u anto la coalizione nemica non risparm iava promesse seducenti sul futuro con parole che diventavano magiche suggestioni , quali la 'liberazione' , la 'democrazia mondiale' e la 'decolonizzazione'
8 Il documento ciel 26 giugno 1940 è riportato in DDI, serie IX , voi. V, p . 105, ma non appare completo.
9 Si veda il documento in DDI, serie IX, voi. V, p. 566-568.
IO Se ne veda il testo in DDI , serie IX, voi. V, p. 757 -8. Il verbale degli incontr i Mussolini-Hitler del 28 ottobre 1940 si trova in DDI, se ri e IX, vo i. V, p. 771 -775.
Per l'Italia, le esigenze strategiche di una guerra avrebbero dovuto imporre nuovi discorsi proprio con gli arabi, discorsi nei quali la parola 'indipendenza' non poteva essere più bandita in favore di 'autonomia nel quadro di una nuova realtà geopol i tica del mondo'. Davanti a queste a l ternative, e soprattutto di fronte a l le i nizia l i incertezze del co nflitto, il mondo arabo avrebbe potuto accettare le trattative con le pote nze dell'Asse . Per l'Italia, queste trattative si imponevano, visto che la guerra in iz iata con baldanza non si presentava più, dopo pochi mesi , come una g uerra da l la breve durata e che, proprio nel mondo arabo, cioè al confine tra L ib ia ed Egitto, essa offriva uno spettacolo negativo della forza mil itare italiana che già la campagna di Grecia stava dimostrando. Da ques te premesse negative nasceva , q u as i come antidoto cli propaganda in terna , l 'esa lt az ione dell'utopia del N uovo Ord i ne, ed anche il mito dell'amicizia attiva degli arabi. Entrambi questi ve rsa nti vanno tenuto in conto , anc he perché un documento fina le d i questo duplice orientamento non è mai esistito, ma sono esistite solo vers io ni più o meno attendibili e più o meno a udaci. T uttavia l'idea del Mare nostrum p areva ancora dominare q uesti propositi e l ' espansione delle sovra n ità dirette o indirette gestite da ll ' I ta li a si rivelava costante. A questo rig uardo i documenti non sono poch i , ed essi ci possono dare un'idea de l la sordità italiana circa i van t aggi che una "generosa dichiarazione di indipe ndenza" decisa per il mondo arabo avrebbe potuto dare a ll o sforzo bell ico de ll 'Italia in guerra .
Un eminente giornalista del regime , spesso portavoce di politiche e di scelte u fficiali, Mario Appellius, ne esaltò l 'i mportanza definendo il Nuovo Ordine il " supremo obiettivo della guerra" che mirava a novità assolute: "La Civiltà capitalistica, superata inesorabilmente dalla marcia dell'umanità, deve cedere il posto ad una nuova forma di Civiltà , più aderente ai bisogni ed alle aspirazioni del mondo moderno . . . " 11 Mancavano in queste considerazioni l 'es atta valutazi one della s ituazione strategica che invece il momento avrebbe dovuto imporre . Ed in questo coro di consensi che il regime esaltava solo una voce si levò contro questi facili progetti : il filosofo del regime, Giovanni Gentile, vi inserì una serie non indifferente di riserve che, in parte, rifiutava il principio, che pareva acquisito dalla maggioranza degli osservatori e degli osannatori fascisti, di una inevitabile ed auspicata gerarchia delle varie nazioni. In piena guerra ed in piena discussione sul famoso Nuovo Ordine da realizzare a guerra vinta , egli non mancò di ammonire: "Novus nascitur ordo. Quale? Quale sarà appunto, lo sapremo, quando vi sare mo giunti . .. Ma certo dalla guerra uscirà una Nuova Asia , una Nuova Europa, un nuovo m.ondo ... per un'umanità che, senza disperdere i tesori delle sue più grandi tradizioni , spezzi le catene che ne imped ivano o minacciavano lo sviluppo e il progresso. E riconoscerà il vantaggio della mutua intelligenza e della. collaborazione fraterna delle razze diverse, nessuna delle quali è nata a servire, e tutte hanno diritto ... a recare all'umano comune la voro il libero contributo della propria operosità ... " 12 . Forse in queste sagge considerazioni stava la chiave del rapporto con gli altri popoli, g li arabi s pecialmente, che nella guerra scorgevano nuovi motivi di speranza per una vera svolta del proprio destino .
Ma ciò che mancò del tutto in queste discussioni furono le considerazioni militari che parevano cedere alle altre, politiche o ideologiche, le quali, in realtà, av rebbero dovuto tenere io debito conto l ' insieme dei problemi concreti che la guerra , specialmente quella che coinvolgeva il mondo arabo, pareva imporre.
Eppure non mancava chi, come l'ambasciatore italiano a Baghdad, Luigi Gabrielli, aveva insistito, fin dal gennaio 1940 , circa queste necessità politiche che avrebbero avuto molte conseguenze s ul piano
11 militare dall 'impegno arabo a favore dell'Asse. Il suo Memoriale del 12 gennaio rivolto a Ciano, ma chiaramente monito alle autorità militari italiane, precisava le attese del mondo arabo di fronte al conflitto:
"GI i arabi non hanno precisato il loro vero atteggiamento verso l 'attuale conflitto e non lo possono precisare se non viene loro richiesto un aiuto materiale in caso di guerra ... " 13 Le autorità fasciste non tennero conto di questi suggerimenti e la guerra che da lì a poco trascinava l ' Italia nel conflitto non distolse , malgrado Ja sua gravità, gli osservatori italiani dai progetti politici ed imperialis tic i già evocati. Nei molti piani di sistemazione del mondo mediterraneo, arabo ed africano che fiorirono in quei mesi, l'aspetto militare veniva ricordato come un elemento in cui il mondo arabo appariva come quadro passivo di attività belliche e non da protagonista.
Per 1'Italia questa "sicura vittoria" poteva avere un solo significato , e cioè finalmente realizzare quelle rivendicazioni. territoriali che il duce aveva ripetutamente evocato e che dovevano costituire il premio alla guerra italiana . Pareva persino che il citare un termine nuovo, quale Nuovo Ordì.ne , potesse solo avere il s ignificato antico dei 'co mpensi ' e delle 'rivendicazioni' Citando il testo del!' Appellius , non si è intenso certamente esaurire il panorama complessivo delle proposte; molte altre citazioni potrebbero essere fatte , ma ciò che appare interessante in questo programma dell' Appellius è la s istemazione delle molte proposte al riguardo con il vantaggio di vederle rese omogenee in una proposta complessiva 14 Infatti il Nuovo Ordine , secondo l 'a n alisi non certo uffic iale ma s icuramente ufficiosa dell'Appellius, avrebbe dovuto implicare sul piano internazionale ben undici condizioni. A noi ne paiono interessanti alcune, quali "l'esclusione programmatica de ll ' Inghilterra dall ' Europa e dall'Asia orientale"(punto l); la sistemazione degli ebrei nel mondo in modo che non possano esercitare la loro influenza definita funesta , sulla vita economica, politica ed intellettuale delle nazioni(punto 4), sistemazione della quale non era detta la vera natura . Infine, nel punto 5 , veniva sancita "la ripartizione politica dell'Africa fra tutte le grandi nazioni d'Europa, in proporzione dei loro bisogni di spazio e di materie prime, in armonia con le loro necessità geografiche e strategiche, in rapporto con le loro tradizioni e capacità colonizzatrici", in sostanza l'intero continente andava posto sotto la sovranità diretta o indiretta dell ' Italia. L' insieme di queste proposte veniva condito con la libettà di ogni nazione (soggetta all'Europa) di scegliersi il proprio regime, ma questa libertà non era libera , bensì doveva avere "un contenuto ispirato alla grande concezione rivoluzionaria di Mussolini".
13 Si veda pa1te de l testo del M e moriale nell'Appendice documentaria n. 1.
14 Tra le molte pubblicazioni al riguardo, va le l a pena di citarne le maggiori: V. Gayda , Che cosa vuole l'Italia?, Roma, Il Giornale d 'Italia, 1940; P. Schmidt , Rivoluzione nel Mediterraneo: la lotta per lo spazio vitale dell'Italia , Milano, ISPI , 1942; R. Bellotti , Nuovo Ordine asiatico e Nuovo Ordine Europeo, in " Do ttrina fascista", luglio 1940 , p. 801 e segg.; G. Taraletto, L' espansione coloniale nel Nuovo Ordine Europeo, in "Gerarchia", 1942, p. 406.
Appare evidente che, in questo quadro di esaltato europeismo e di ribadita romanità, ben poco spazio veniva riconosciuto alle genti non euro pee alle quali toccava solo di gravitare ai margini del continente europeo. Tra l'altro, l'Africa doveva "fornire all'Europa, sia quelle materie prime alimentari ed industriali ... sia quei prodotti tropicali" che l 'E uropa non aveva; doveva "offrire residenza e lavoro a quei popoli europei traboccanti ... " , ed essere serbatoio di ogni iniziativa dell 'Europa. E questa vocazione ancillare dell'Africa avrebbe avuto, quale sommo riconoscimento, l'avvio da parte dell'Europa di un piano di sviluppo che tenesse conto per le popolazioni interessate "del loro grado attuale di semiciviltà o di barbarie e le farà avanzare a tappe ragionevoli" verso una crescita generale quale "atto di fede nell ' Europa" 15 Per l 'Asia minore, o meglio per il mondo arabo, la situazione si presentava un po' diversamente in quanto Turchia , Persia e Stati arabi avrebbero dovuto essere riuniti in una o due confederazioni, da collegare all'Europa e da sottrarre, anche se di Asia si trattava; all'egemonia del Giappone riconosciuta per l'intero resto dell'Asia. Ovviamente si faceva i conti senza l'oste, e cioè pareva ai fascisti italiani che Nuovo Ordin e dovesse significare predominio assoluto dell'Italia, magari con qualche accordo-concessione alla Germania per il Nord dell 'Europa . Ma ciò di cui costoro ignorava no sul piano delle strategie post belliche era il vero ruolo del Giappone che il Tripa1tito, cioè l'accordo del 27 settembre 1940, g li riconosceva all'art. 2 in vista della "Grande Asia Orientale".
Infine vale la pena di gettare uno sguardo anche al continente nero : nel caso della risistemazione coordinata tra Roma e Berlino dell'A- frica essa 'doveva' diventare, nella sua parte nord "dal Mediterraneo centrale si no all'Oceano Indiano", di pertinenza dell'Italia. I progetti evocavano la nascita di un " Governo Militare del Sahara Italiano" che avrebbe conglobato la Libia, la Tunisia e parte dell'Algeria; accanto ad esso vi doveva essere un "Governo Generale dell'Africa Orientale Italiana" con l'Africa Orientale ltaliana, e le Somalie francese ed inglese, ed infine vi doveva nascere un "Governo dell'Africa Centrale" con la Nu bia , il Cordofan, il Gesira, il Ciad, l'Uban g hi Sciari e l' Equatoria. L'intero sistema sarebbe stato retto da Prefet ti o da governatori militari italiani. Quanto alla parte riconosciuta alla Germania, essa variava ed andava dalla 'storica' rivendicazione germanica sul Marocco alla zona a nord del Sud Africa con ovvio ritorno delle ex colonie tedesche.
15 Erano state queste le conclusioni che l'accademico Francesco Orestano, aveva ricordato, poco prima del conflitto, nella Reale Accademia d'Italia nel suo solenne Convegno di Scienze Morali e Storiche (4-11 ottobre 1938) su L'Africa, volume 1, Roma, Reale Accademia d'Italia , 1939, p. 39.
La visione non era generosa verso quel Nuovo Ordine che si voleva creare con il dichiarato uguale rispetto verso tutti i popoli: anzi, una nuova versione di dipendenza , coloniale o paracoloniale, veniva auspicata con una evidente dipendenza ideologica e politica del!' Africa e dell 'As ia al fascismo. La natura eurocentrica de] progetto era ribadita con forza allorquando si affermava: "Nonostante i s uoi tremila anni di esistenza l'Europa è giovanissima . Essa è sempre il cervello ed il cuore del mondo. E tale rimarrà, durante secoli, e forse millenni, perché vi vivono popoli immortali che hanno il privilegio di rinnovarsi perpetuamente e che si danno il cambio della guardia, attraverso i secoli ed i cicli, nel nome inestinguibile di Roma Eterna , madre universale e nutrice universale di tutte le genti del contine nte" .
Documento n. 1