Il 39° Reggimento Esploratori Cecoslovacco viene costituito nell'ottobre 1918 riunendo gli esploratori che sino ad allora avevano agito in piccoli nuclei su tutto il fronte italiano. Formalmente inquadrato nella 6a Divisione Cecoslovacca, ma in realtà corpo autonomo, si articolava su 11 compagnie ed aveva i compiti di raccogliere informazioni dietro le linee nemiche, effettuare colpi di mano nelle retrovie, nonché favorire ed organizzare la "fuga" dei soldati cechi e slovacchi dall'esercito austro-ungarico attraverso un' iJ1cisiva azione di propaganda in prima linea. Il 39° Reggimento Esploratori Cecoslovacco può essere visto come precursore degli attuali reparti speciali, per avere certamente anticipato, in alcuni casi, gli aspetti non convenzionali dell'impiego operativo nella guerra contemporanea. La 1a compagnia del 39° Reggimento fu protagonista il 25 luglio 1918 durante i combatfonenti in Val Concei a sud di Trento, mentre il 30 dello stesso mese la 7a compagnia si ' battè valorosamente sul monte Asolone. Il 22 settembre i soldati cecoslovacchi guadagnarono una citazione sul bollettino di guerra in occasione del vittorioso scontro con gli austriaci a Dosso Alto di Nago, alle pendici del monte Baldo. Nel svolgere efficacemente queste importanti attività operative, il 39° Reggimento Esploratori Cecoslovacco pagò un grosso tributo di sacrifici e di perdite. Prima della fine delle ostilità, il 4 novembre 1918, pattuglie del 39° Reggimento parteciparono agli ultimi combattimenti ed entrarono assieme alle truppe italiane in diverse località, tra cui Rovereto. Qui a Castel Dante su una lapide si legge: "Ai legionari cecoslovacchi, su l nostro fronte eroicamente caduti, cavalieri dello stesso ideale, assertori di libertà e di giustizia, l'Italia riconoscente in perennità di ricordo consacra".
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STATO MAGGIORE ESERCITO UFFICIO STORICO
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WOJTECH HANZAL
IL
39° REGGIMENTO
ESPLORATORI CECOSLOVACCO SUL FRONTE ITALIANO
a cura di Piero Crociani
Roma 2009
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© 2009 Stato Maggiore dell'Esercito Ufficio Storico - Roma
ISBN 88-87940-97-5
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Finito di stampare nel mese di gennaio 2009
PRESENTAZIONE Sin dalla fine dell' Ottocento Boemia, Moravia, Slesia e Slovacchia erano i territori dell'impero austro-ungarico che maggiormente rivendicavano aspirazioni nazionaliste di autonomia, se non di indipendenza. Dopo l'attentato di Sarajevo del 28 giugno 1914, il successivo attacco austriaco alla Serbia e l'entrata .in guerra della Russia diedero modo a queste aspirazioni di manifestarsi sul campo di battagl ia, con numerosi episodi di insubordinazione e di diserzione, talvolta anche in massa, seguiti dall'arruolamento negli eserciti serbo e russo . Se in Serbia, per l'evolversi del conflitto , l'apporto ceco fu limitato nel numero e nel tempo, in Russia si formarono delle Legioni Cecoslovacche che combatterono a fianco del!' esercito zarista e rimasero poi coinvolte nella successiva guerra civile. I politici cecoslovacchi rifugiatisi all 'estero, utilizzando volontari provenienti dagli ambienti dell'emigrazione in Francia e negli Stati Uniti, costituirono delle Legioni Cecoslovacche anche sul suolo francese. Sul fronte italiano i disertori e i prigionieri cecoslovacchi vennero inviati nei campi di raccolta dell' interno, salvo qualche eccezione che venne fatta dagli Uffici Informazioni delle Armate , che utilizzarono alcuni elementi come fiduciari per I' .interrogatorio dei prigionieri e per svolgere opera di propaganda sulle prime linee. Si trattava, però, di pochi casi e piÚ tollerati che autorizzati dagli Alti Comandi. Questi infatti, anche su pressione del Ministero degli Esteri, respinsero inizialmente ogni richiesta di arruolamento avanzata dai prigionieri che, dal canto loro, si erano ufficiosamente organizzati nel Corpo Cecoslovacco Volontario. Ci vollero molto tempo e le buone prove date sul campo dei pochi esploratori (questo era il nome con il quale erano conosciuti i volontari cecoslovacchi che operavano al fronte) perchÊ l 'apporto offerto dai prigionieri desiderosi di tornare a combattere venisse accettato e legalizzato. Dapprima si trattò di battaglioni di lavoratori, poi, il 21 aprile 1918 , il Corpo Cecoslovacco venne ufficialmente riconosciuto dal governo italiano con una Convenzione tra le parti firmata dal Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d 'Italia, Vittorio Emanuele Orlando, il ministro della guerra Zuppelli, il vice-Presidente del Consiglio Nazionale dei Paesi Cecoslovacchi accreditato in Italia,
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generale M.R. Stefanik, il membro del Consiglio Nazionale Cecoslovacco, L. Sychrava. I volontari indossarono l'uniforme grigioverde del Regio Esercito, portando sulla giubba una coppia di mostrine bianco-rosse bordate di azzmro, i colori della bandiera cecoslovacca, senza stellette -in seguito sostituite da due fucili incrociati- e, al braccio sinistro, uno scudetto bordato di filo rosso riportante il monogramma intrecciato CS. Come copricapo venne adottato il cappello alpino, inizialmente senza penna, recante nel fregio un'aquila ricamata con al centro un tondino bipartito nei colori bianco e rosso. Venne rapidamente formata una Divisione Cecoslovacca agli ordini del generale Andrea Graziani, i cui reparti vennero impiegati sul Piave e nel settore ad est del Garda. Nel corso dei combattimenti, oltre ai caduti ed ai feriti, alcuni volontari cecoslovacchi furono catturati dagli Austriaci e, giudicati alla stregua di traditori e disertori, vennero sommariamente condannati a morte. Il rischio dei combattenti cecoslovacchi risultava quindi maggiore di tutti gli altri soldati. Essi erano consapevoli che, in caso di cattura, non avrebbero avuto alcuna possibilità di salvezza. Anche da ciò si rafforza il valore del loro apporto alla lotta per il raggiungimento della vittoria finale sugli Imperi Centrali. L'eroismo dei Legionari cecoslovacchi venne esplicitamente menzionato nei bollettini di guerra del Comando Supremo Italiano, del 3 e 4 novembre 1918, firmati dal generale Armando Diaz, riportanti le citazioni del 39° Reggimento Esploratori Cecoslovacco e della 6" Divisione Cecoslovacca. Limitatamente al fronte italiano, tra i soldati cecoslovacchi si contarono oltre 300 caduti, circa 60 impiccati e diverse centinaia di feriti. Furono loro concesse 16 medaglie d'argento, 18 di bronzo e 110 croci al merito di guerra. Un monumento collocato nel sacrario di Rovereto ne onora oggi la memoria. Alla fine della guerra venne costituito un Corpo d'Armata cecoslovacco su due Divisioni che entro la fine del 1918, inquadrato da ufficiali superiori italiani agli ordini del generale Luigi Piccione, ritornò in patria e contribuì alla difesa della Slovacchia dall'avanzata ungherese. In Italia, intanto, con i prigionieri cecoslovacchi dell'ultima offensiva venivano formati 43 battaglioni di Milizia Territoriale, 1 battaglione d'assalto e 2 battaglioni di Milizia TeITitoriale, formati con Tedeschi dei Sudeti, oltre a 19 battaglioni iITegolari.
DelJa 6a Divisione faceva ufficialmente parte il 39° Reggimento Esploratori, formato con le compagnie esploratori che, ora ufficialmente, erano state costituite presso gli Uffici Informazioni delle Armate, tra lo Stelvio ed il mare. Questo reparto era considerato un 'unità speciale ed aveva compiti di ricognizione e d'informazione. Svolgeva operazioni di infiltrazione, sabotaggio, guerra psicologica e spionaggio nei confronti del nemico. A comandarlo venne chiamato, nel settembre 1918, il colonnello Attilio Vigevano, figura di primo piano dei Servizi Informativi del Regio Esercito e storico militare di grande ri levanza. Un volume sul 39° Reggimento Esploratori Cecoslovacco, scritto da Wojtech Banzai , comandante di una delle compagnie, apparso a Praga nel 1928 , venne inviato nel 1935 all'Ufficio Storico dello SME, ma non venne pubblicato a causa della situazione politica di allora (guerra italo-etiopica) che vedeva la Cecoslovacchia schierata, con la Società delle Nazioni, contro l'Italia. Gli eventi successivi, con lo smembramento dello Stato cecoslovacco da parte della Germania, la guerra ed il passaggio di Praga nel Patto di Varsavia, ne protrassero ulteriormente l'edizione. Il 90° anniversario della vittoria nella Grande Guerra e 1'avvenuto ingresso nell'Unione Europea della Repubblica Ceca e della Sl-ovacchia inducono ora alla pubblicazione di questo lavoro, scritto su fonti cecoslovacche di prima niano ed arricchito di foto d'epoca, tanto più che il 39° Reggimento Esploratori Cecoslovacco, insieme ai Reparti d'Assalto, può essere visto come precursore degli attuali reparti speciali, per avere certamente anticipato, in alcuni casi, gli aspetti non convenzionali dell' impiego operativo ne11a guerra contemporanea.
Colonnello Antonino Zarcone
INTRODUZIONE Piero Crociani UN LIBRO, UN REGGIMENTO, UN COMANDANTE Durante la Grande Guerra volontari cecoslovacchi banno combattuto sul fronte italiano con il Regio Esercito. Alla fine del conflitto avevano addirittura costituito un'intera divisione, com'è ricordato anche nel "Bollettino della Vittoria", che campeggia tuttora , in marmo o in bronzo, sui muri dj comuni e di scuole. La Cecoslovacchia non esisteva, allora, come stato sovrano: le province boeme, morave e slovacche facevano parte dell'Austria-Ungheria ed i volontari che componevano quella divisione erano stati tutti soldati dell'esercito imperial-regio. Poi, disertori o prigionieri di guerra, avevano chiesto di arruolarsi e di battersi per la vittoria dei paesi dell'Intesa e per l'indipendenza della loro patria. Per usare il termine allora in uso, erano degli "irredenti", così come i trentini, i triestini , gli istriani e i dalmati che, nelle medesime condizioni, combattevano nelle file italiane. Questi cecoslovacchi erano stati liberati dalla prigionia, organizzati, armati ed inviati al fronte soltanto dopo che il governo italiano ebbe superato molte esitazioni, dovute sia a motivi legati alla politica estera sia a motivi di carattere umanitario. Se catturati, infatti, c'erano per loro la forca o il plotone di esecuzione, come per i nostri irredenti: Della Divisione Cecoslovacca faceva parte - anche se, come vedremo, non integrante - un'unità speciale, il 39° Reggimento Esploratori Cecoslovacco. La storia di questo reparto era stata scritta dal comandante di una delle sue compagnie, Wojtech Hanzal, in un libro apparso a Praga nel 1928, nel decennale della vittoria, con il titolo "Con gli esploratori dai ghiacciai della Svizzera fino all'Adriatico". Successivamente ne venne proposta la pubblicazione in italiano all'Ufficio Storico de11o Stato Maggiore del Regio Esercito, con qualche mod ifica al testo originario, come si può riscontrare da citazion i tratte da opere apparse dopo il 1928. Anche se nella bibliografia allegata al volume si fa menzione di un libro apparso nel 1934 - ma si deve trattare di un'aggiunta in corso
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di lavorazione - il testo da utilizzare per l'edizione italiana dev'essere stato inviato nel 1933. Questo fu infatti l'ultimo anno in cui il Generale Sirowy, estensore di una delle presentazioni del volume, fu Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Cecoslovacco e nel medesimo anno era Ministro degli Esteri , così come indicato, l'estensore dell'altra prefazione , Eduard Benes, la figura politica di maggiore spicco della Cecoslovacchia dell 'epoca, assieme al Presidente della Repubblica Thomas Masaryk. , L'Ufficio Storico accettò la proposta e curò la traduzione del testo in italiano, apportando qualche adattamento, più di fonna che di sostanza. La pubblicazione del libro, però, doveva subito dopo arenarsi per intuibili ragioni di carattere politico. La fraternità d'armi e la vittoria su] comune nemico austriaco potevano anche andar bene, quel che non andava bene, invece, era la posizione assunta da Praga nei confronti di Roma in occasione della crisi italo-etiopica: la Cecoslovacchia, in quell'occasione, aveva appoggiato alla Società delle Nazioni le "inique sanzioni" nei confronti dell'Italia. Poi, nel 1938 , con il patto di Monaco e, l'anno successivo, con l'occupazione tedesca la Cecoslovacchia cessò di esistere come stato sovrano. Visti i rapporti italo-tedeschi di quegli anni, non era certo il caso di pubblicare un libro che era l'esplicita esal tazione della lotta per l'indipendenza di quello stato, ormai scomparso dalle carte geografiche ad opera della Germania. Sopravvenne poi la Seconda Guerra Mondiale e successivamente, con il colpo di stato comunista del febbraio 1948, la Cecoslovacchia divenne una delle "repubbliche popolari" al di là della Cortina di Ferro. Nel secondo dopoguerra poi, con tutto il materiale relativo al conflitto appena terminato che si andava accumulando nell'archivio dell'Ufficio Storico, perdeva impo1tanza la bozza di un libro su un aspetto - tutto considerato - di non grande rilevanza della Grande Guerra , l'interesse per la quale era andato scemando. Per di più , anche se forzatamente, la Cecoslovacchia faceva parte del Patto di Varsavia e non era certo il caso di rinverdire una fraternità d'armi fra possibili nemici. Solo a partire da]Ja caduta del muro di Berlino il blocco sovietico si è progressivamente frantumato, la Cecoslovacchia ha potuto riacquisire la piena libertà politica ed ha potuto nuovamente onorare, come negli anni fra · le due guerre, la memoria delle Legioni della Prima Guerra Mondiale, memoria che il regime comunista aveva volutamente trascurato e messo da parte.
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Nel 1993 infine la Cecoslovacchia si è scissa pacificamente - unico caso in Europa, ciò che ne attesta anche l'elevato tasso di civiltà - in due stati, la Repubblica Ceca e la Slovacchia. Ora, con il 2008, a novant'anni da quasi tutti gli eventi narrati nel libro e dalla comune vittoria, si è offerta l'occasione, per così tanti anni sfuggita, di pubblicare finalmente il volume, che risente ovviamente, nell'iinpostazione e nello stile, del clima degli "anni venti" in cui fu redatto. È anche un'occasione per ricordare quell'antica fratellanza d'armi, per far conoscere la storia di un'unità - il 39° Reggimento Esploratori Cecoslovacco - una storia davvero singolare, in anticipo, per certi aspetti, rispetto ai tempi in cui si è svolta, ed infine per accennare al suo comandante, il Colonnello Attilio Vigevano, figura di primo piano dei nostri servizi informativi e storico militare di grande rilevanza. Il 39° Reggimento Esploratori Cecoslovacco è stato in anticipo rispetto ai suoi tempi perché è stato un antesignano di quelli che oggi si definiscono reparti speciali. Analogamente a questi, infatti, il reggimento non operava come un'unità organica, ma frazionato in compagnie, plotoni e squadre, anzi, più esattamente, il reggimento venne costituito mettendo insieme - nei limiti del possibile - le unità di esploratori che già operavano da tempo presso le diverse annate. Come gli odierni reparti speciali aveva compiti di ricognizione ed informativi, conducendo operazioni, in prevalenza, di gue1rn psicologica nei confronti del nemico, rivolgendosi ai cecoslovacchi e, in genere, agli slavi che militavano nell'esercito imperial-regio. 1n alcuni casi, poi, i suoi uomini non esitarono ad indossare la divisa austriaca per effettuare "operazioni ~operte" di sabotaggio e spionaggio nelle retrovie nemiche. Se dovevano agire in linea le loro puntate offensive, dirette contro obietti vi compatibili con la loro forza, erano estremamente decise e di breve durata, non a caso erano stati i nostri Arditi ad istruirli . Operando lungo tutto il fronte, dallo Stelvio all'Adriatico, con una o due compagnie assegnate ad ogni armata, suddivise a loro volta in plotoni e squadre, che facevano rapporto direttamente agli Uffici lnformazione delle armate, il reggimento non ha mai redatto il "diario storico" previsto per tutte le unità. La sua storia è quindi estremamente frazionata, quasi sminuzzata, con rapporti, spesso negativi, redatti di volta in volta dalle singole pattuglie, che andavano a confluire in quelli, più corposi, degli Uffici Informazioni da cui direttamente dipendevano. Non a caso il libro è stato redatto solamente in parte sulla base
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dei documenti ufficiali italiani!, per il resto l'autore si è dovuto affidare alla memorialistica ed ai ricordi dei reduci, ciò che ha determinato la ripartizione del libro in due parti disuguali. La prima è relativa alla storia del reggimento, ai suoi volontari ed alle loro motivazioni. La seconda parte è invece dedicata alla storia delle singole compagnie che hanno formato il reparto e che si sono trovate riunite, per la prima ,.volta, soltanto nel novembre del 1918, a guerra finita. A comandare, forse è meglio dire a dirigere, a dare un indirizzo comune ad un reparto dalle caratteristiche e dall 'origine del tutto anomale, venne scelto nel settembre del 1918 uno degli ufficiali più esperti nel campo del servizio informazioni, il colonnello Attilio Vigevano, che seguitò a mantenere contemporaneamente anche il suo incarico di capo dell'Ufficio Informazioni della 4a Armata. Incarico, questo, che già in precedenza gli aveva fatto valutare ed apprezzare l'operato della compagnia "Informatori" inviata nel settore della sua armata2 • Il colonnello Vigevano, alpino, già distintosi nel corso della guerra italo-turca, nominato capo dell'Ufficio Informazioni della 4a Armata allo scoppio della guerra, con il grado di capitano, conservò l'incarico sino al termine del conflitto, ottenendo al contempo tre promozioni, per passare poi con le stesse mansioni presso il Governatorato della Dalmazia nel novembre del 1919. L'incarico era, in quel momento, pa1ticolarmente delicato , per l'incertezza circa la nostra permanenza oltre Adriatico e per 1'esistenza della "questione fiumana" . Come sempre nel corso della sua caniera, il Colonnello Vigevano superò brillantemente la prova, venendo proposto per la promozione al grado superiore, come già assai spesso si era verificato in precedenza, senza però ottenerla, come altrettanto puntualmente si era quasi sempre verificato. Così, come semplice colonnello, dal 1921 fu capo dell'Ufficio Informazioni dello Stato Maggiore del Regio Esercito, che diresse fino al dicembre 1924, dopo averlo radicalmente riordinato nell'anno precedente. Motivi di salute lo costrinsero allora a lasciare il servizio attivo, per passare nella Posizione Ausiliaria Speciale, dalla quale, però, ben presto - nel mag-
' A una richiesta da parte della Cecoslovacchia di avere copia dei rapporti delle Compagnie Esploratori, avanzata nel settembre 1919, l'Ufficio Storico 1ispose di non esserne ancora in possesso (Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito- d'ora in avanti AUSSME, Fondo ES, b. 262). 2 Vedi lettera del 23 maggio .19 18 in AUSSME, Fondo LJ3, b. 174.
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gio 1925 - venne richiamato per riassumere il precedente incarico. Diresse ancora l'Ufficio .Informazioni fino a quando, nell'aprile 1926, l'aggravarsi della sua malattia - che lo avrebbe fatto soccombere nel giugno 1927 - non l'obbligò a farsi definitivamente da parte. Il Colonnello Vigevano, oltre che comandante del 39° Reggimento Esplorator.i Cecoslovacco e capo dell'Ufficio Informazioni del Regio Esercito, è stato anche uno storico militare di rilievo ed un infaticabile ricercatore.
"Si occupa in modo speciale di studi storici e geografici, visitando rn.inutamente campi di battaglia e luoghi storicamente noti, raccogliendo note e documenti" . Così era riportato sulle sue "Note Caratteristiche" del 1909, quando da quattro anni insegnava Storia dell'A1te Militare alla Scuola Militare di Modena. Quelle del 1913, redatte dal Capo dell'Ufficio Storico, cui il Vigevano era stato assegnato nel novembre precedente ed al quale sarebbe rimasto addetto fino all'ottobre 1914, dicevano "Appa.çsionato degli studi storici vi si dedi-
ca con intelligenza, competenza ed assiduità, tanto che gli ho affidato un lavoro di molta importanza e di grande mole ( relazione della campagna nelle Marche e nell'Umbria del 1860)" . Relazione che apparve come volume nel 1923, preceduto da un a]tro lavoro di molta importanza e di grande mole "La fine dell'Esercito Pontificio", redatto - come scriveva nella prefazione il Colonnello Vigevano - per "raccogliere
tutte le voci prima che i superstiti combattenti scompaiano, prima che la storia non abbia altro controllo che quello degli eruditi e altra base che la fredda manchevole parola dei documenti, e prima che molti di questi, obliati dall'incuria e dal Loro disseminamento, vadano sperduti, (per) raccogliere i colori, le nebulose ed i bagliori dell'ambiente e degli istanti prima che svaniscano". Perfetta descrizione, tuttora valida, di quale sia il compito dello storico militare, come fu il Colonnello Vigevano, che l'Ufficio Storico è ancora oggi orgoglioso di ricordare tra i suoi ufficiali e tra i suoi autori.
I CECOSLOVACCHI E L'INTESA I Cechi - ed in misura minore gli Slovacchi - erano forse i sudditi
più insoddisfatti della monarchia austro-ungarica. Nei primi mesi di guerra questa latente ostilità verso Vienna non ebbe modo di manife-
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starsi sui campi di battaglia. Negli ambienti dell' emigrazione ceca - cui si aggiunsero ben presto uomini politici destinati a guidare la futura Cecoslovacchia - non mancarono quanti furono pronti a schierarsi dalla parte delle potenze dell'Intesa, sperando che, con la loro vittoria , le aspirazioni nazionali cecoslovacche potessero essere realizzate. Ci furono quindi ruruolamenti in Francia: nella Legione Straniera una compagnia composta unicamente da Cechi ebbe ben presto il battesimo del fuoco mentre altri cecoslovacchi vi prestavano isolatamente servizio; più tardi, anche grazie agli emigrati in America, sarebbero nate le Legioni Cecoslovacche di Francia. Altri Cechi si arruolarono con l'esercito serbo e con questo - e coi prigionieri austriaci (compresi quelli di origine cecoslovacca) - vennero salvati in Albania dalla flotta italiana, nel 19 I 5, e po1tati prima in Italia e poi in Francia. Furono però soprattutto le comunità ceche della Russia a mobilitarsi a favore della protettrice dei popoli slavi. Già il 28 settembre 1214il giorno della festa di S. Venceslao, patrono della Boemia - la Ceska druzina, la "squadra ceca", fotte di 700 uomini prestava giurrun ento di fedeltà allo zar. Questo reparto era stato creato anche nella speranza di una rapida avanzata russa all'interno dell'impero asburgico, cosicché potesse servire per provocar~ rivolte fra ]e popolazioni slave dell' impero. Ciò non si verificò e la Ceska druzina venne impiegata come unità di "esploratori", suddivisa in pattuglie con compiti di ricognizione ed informativi lungo la linea del fronte della 3a Armata russa, approfittando della conoscenza delle lingue e del' organizzazione militare del nemico, così come si sarebbe verificato poi, pochi anni dopo, con il 39° Reggimento Esploratori Cecoslovacco sul fronte italiano. Ovviamente la cattura degli esploratori in uniforme russa poteva significare la condanna a morte e già ne] novembre del 1914 si ebbero due esecuzioni. Il richiamo della Russia, la durezza dell'inverno, la mancanza di una rapida vittoria e l'rurivo di complementi demotivati ebbero notevoli conseguenze sui reggimenti reclutati al completo o in prevalenza nelle province cecoslovacche. Queste fornivano all'esercito asburgico il 13% dei soldati e il 13% degli ufficiali di complemento - prova, questa, del1'elevato livello di istruzione di quelle popolazioni - ma solo il 5% degli ufficiali in servizio permanente, prova, questa, della minore attrattiva esercitata sui Cecoslovacchi dalle carriere legate alla corona imperiale. Sul fronte russo, infatti, presero a verificarsi diserzioni e rese in massa da parte di unità cecoslovacche, tanto che, per punizione, venne
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sciolto un reggimento ceco, il 28° Fanteria che, alla vigilia della guerra, aveva come colonnello onorario re Vittorio Emanuele III. A migliaia, quindi, i disertori ed i prigionieri venero avviati verso l'interno e, nei mesi a seguire, avrebbero formato anch'essi le Legioni Cecoslovacche, che sarebbero rimaste in Russia, coinvolte anche nella guerra civile, fino al 1920.
I CECOSLOVACCHI IN ITALIA Considerate anche le cattive prove offerte sul fronte russo, con l'entrata in guerra dell'Italia, nel maggio del 1915, buona parte dei reparti cecoslovacchi venne trasferita sul nostro fronte. A parte le difficoltà derivanti dalle differenti lingue, l'Italia non aveva la stessa capacità di attrazione politica della Russia, quindi nel primo anno di guerra i Cecoslovacchi si comportarono sul fronte italiano come le altre truppe austro-ungariche, pur se non mancarono casi isolati cli diserzioni legate a motivazioni di carattere politico. Alcuni di questi disertori vennero utilizzati, soprattutto nelle retrovie, come "fiduciari", addetti all'interrogatorio di prigionieri e di disertori nemici, insieme ad italiani che, come loro , conoscevano almeno una delle lingue parlate nell'impero. Nel suo volume "Il sogno di Carzano"3 Cesare Pettorelli Lalatta Finzi, maggiore addetto addetto all'Ufficio Informazioni della l a Armata, ci ha dato un'efficacissima descrizione dei sistemi usati per la "spremitura" dei prigionieri , scrivendo, tra l'altro: "Un gruppo difiduciari,formato da ex soldati dell'impero e tutti provenienti dalle razze dissidenti, era sempre tenuto sottom.ano e mescolato fra i prigionieri, come se essi stessi fossero stati catturati proprio in quei giorni e provenissero da altro tratto del fronte. La commedia era naturalmente pe,fetta, anche i fiduciari, che per l'occasione rivestivano divisa e gradi originari, erano stracciati e sporchi come gli altri. La conseguenza era logica, i fiduciari comin-
3 11 volume - edito a Bologna nel 1926 - venne sequestrato e fu ristampato solo nel secondo dopoguerra. La copia della prima edizione conservata presso Ja Biblioteca Centrale Militare reca le seguenti annotazioni manoscritte "Fuori commercio. Avuto dal Gabinetto . Non si dà in lettura fuori dalla biblioteca. Non è ammesso il prestito. 23/12/1933".
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cìavano a raccontare le loro avventure, gli ordini ricevuti, quali truppe avevano vicìno, dietro ...e i prigionieri, per quel bisogno naturale che ognuno aveva di raccontare le proprie disgrazie, li seguivano nella stessa strada. l fiduciari , sempre orientati e ormai specìalizzati, sentivano e riferivano". È chiaro, quindi, che dei cecoslovacchi - e degli appartenenti alle altre "razze" dissidenti - ci si serviva ben prima che il loro apporto fosse riconosciuto ufficialmente, ma è altrettanto chiaro che questa libertà di manovra che gli Uffici Informazioni si prendevano era - almeno ufficialmente - sconosciuta ai superiori comandi, che solo più tardi e con molta ritrosia legalizzarono l'impiego di ex soldati austro-ungarici. D'altra parte le prime sollecitazioni per la costituzione di formazioni ceche sul fronte italiano, avanzate dall'addetto alle Missioni Militari degli Eserciti Alleati in Russia e fatte pervenire nel marzo del 1916 dal!' addetto militare a Pietrogrado, non erano state raccolte. li 12 aprile, infatti, il Sotto Capo di Stato Maggiore, Generale Porro, scrivendo al Ministro della Guerra , si diceva molto dubbioso in materia, per la possibilità di complicazioni di carattere politico. Non erano impiegati soggiungeva - neppure i prigionieri di etnia italiana e, al più, si sarebbero potuti impiegare i prigionieri cecoslovacchi volontari nei Balcani, sul fronte di Salonicco, insieme ai Serbi, che avevano già ricevuto dalla Russia questo genere di rinforzi. 4 Si rispose negativamente anche alla richiesta di formazione di un battaglione esploratori sul genere di quello esistente nell'esercito zarista, avanzata dai rappresentanti politici ce~oslovacchi in Russia nel settembre dello stesso anno 5 • Il Ministero degli Esteri era ugualmente contrario all'utilizzazione sul campo cli ex prigionieri , sia per ragioni di diritto internazionale sia perché - e non a torto - temeva che l'utilizzo di elementi jugoslavi potesse in futuro pregiudicare i diritti dell'Italia sulle terre al di là delI 'Adriatico già promessele dal Patto di Londra del 1915. Soltanto gli ufficiali addetti al servizio informazioni - tra i quali erano numerosi gli "irredenti" e quanti avevano a lungo vissuto nell' impero asburgico, com'era il caso di Pettorelli Lalatta Pinzi -
• AUSSME, Fondo L3 , b. 175. 5 Ibidem.
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erano allora in grado di valutare la gravità deJle frizioni esistenti fra le diverse etnie dell'impero, dell'avversione nei confronti di Vienna e di comprendere l'importanza di sfruttare queste linee di frattura per provocare quanti più danni possibile alla compagine nemica.
1917. QUALCOSA CAMBIA Nel corso del 1916 avevano dise1tato due ufficiali cecoslovacchi, i tenenti Vondracek e Hlavacek. Il primo aveva poi portato con sé la propria compagnia ed aveva contribuito alla cattura di parte del suo reggimento, il 41 ° Fanteria. II secondo si era presentato con documenti ed informazioni di grande importanza, com'è meglio narrato nel libro. Erano stati ringraziati, apprezzati ma, alla fine, inviati nel campo di prigionia di Bibbiena, anche se, bisogna dirlo, dopo qualche tempo Hlavacek era stato recuperato ed impiegato presso il comando del XXIV Corpo d'Armata nella battaglia della Bainsizza. Non si era compreso ancora quanto importante poteva essere l'apporto fornito da coloro che, per motivi patriottici, passavano le linee a rischio della vita per mettersi a disposizione degli Italiani. Fu solo nel 1917 che si verificò un episodio che fece aprire gli occhi ai comandi italiani sulle possibilità offerte dall'appoggio di ufficiali e soldati dell' esercito avversario appartenenti alle "nazionalità oppresse", anche se l'occasione presentatasi per ottenere un risultato di grande rilevanza andò sprecata. Si trattò del mancato sfondamento a Carzano, "Il sogno di Carzano" come lo definì il suo protagonista da parte italiana, il Maggiore Cesare Pettorelli Lalatta Pinzi. Nella notte del 12 luglio un sergente ceco appartenente ad un battaglione bosniaco aveva varcato le linee presso Strigno, in Valsugana, recando un messaggio con il quale un non meglio identificato Paolino - chiaramente un ufficiale austro-ungarico - chiedeva di prendere contatto con i nostri comandi. Il Maggiore Cesare Pettorelli Lalatta Pinzi decise di rischiare e prese personalmente contatto, nella terra di nessuno, con "Paolino" , rivelatosi come il Capitano Ljudevit Pivko, comandante interinale del I/5° Bosniaco. Questi , un nazionalista sloveno di Maribor con moglie boema, si era accordato con ufficiali , sottufficiali e soldati cecoslovacchi della sua unità e dei reparti di supporto (in totale quasi 60 per-
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sone) per aprire al passaggio degli italiani il tratto di fronte affidato al battaglione, così da consentire loro di penetrare in profondità nel dispositivo difensivo austriaco - dotato di scarse riserve - e di raggiungere, attraverso la Valsugana, Trento. Al maggiore, subito appoggiato dal suo superiore Colonnello Tullio Marchetti, non fu facile sottoporre un piano di operazioni al Comando Supremo per l'approvazione. Soltanto il 7 settembre si ebbe il benestare del Generale Cadorna mentre il Capitano Pivko riusciva a fatica a stornare i sospetti che si addensavano su di lui. L'azione prese avvio nella notte tra il 17 ed il 18 settembre, con due reggimenti di Fanteria, uno di Bersaglieri, un battaglione di Alpini ed altre truppe dì supporto suddivisi in 16 colonne, ognuna preceduta da 2 o 3 guide scelte fra i fedeli di Pivko, con ufficiali itahani interpreti, quasi tutti irredenti dell'Ufficio Informazioni, e da soldati italiani e "fiduciari", sempre dello stesso ufficio, armati e dotati di cloroformio, guanti di gomma, scarpe da riposo e lanterne cieche, per operare al buio e senza rumore e sostituire i "piccoli posti" austriaci nei punti di contatto man mano che venivano eliminati. Ai bosniaci di guardia si era provveduto - nonostante fossero musulmani - con una distribuzione supplementare di acquavite con oppio e si era inoltre provveduto a disattivare la corrente elettrica dei reticolati. Inizialmente le cose andarono bene e l'abitato di Carzano fu occupato, ma delle 16 colonne ne arrivarono in tempo solo cinque: si era partiti con molto ritardo , si era avanzati con eccessiva prudenza e, da parte dei comandanti, si aveva pochissima fiducia nei cecoslovacchi e nell'esito dell'òperazione. Ci fu un momento in cui , sostituendo la forza del numero all'astuzia, sarebbe stato ancora ugualmente possibile operare lo sfondamento, ma il Generale Zincone, cui era stato affidato il comando, non volle rischiare. Il successo fu così solo locale e passeggero ed un ' inchiesta condotta dal Generale di Robilant portò in seguito all'esonero del comandante. Il Capitano Pivko e i suoi seguaci erano rimasti dalla nostra parte. Con l'appoggio del Colonnello Marchetti e con un'autorizzazione "ad personam" rilasciata a Pettorelli Lalatta Finzi dal Generale Cadorna, Pivko e parte dei suoi, frammischiati con elementi italiani bilingui dell'Ufficio Informazioni, formarono a Forte Procolo, a Verona, Je prime tre squadre di avvicinamento, con un'uniforme tra l'italiana e l 'austriaca, ma con mostrine rosse e bianche (i colori cechi). Queste
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squadre erano incaricate di allacciare contatti con elementi cecoslovacchi dell 'esercito austriaco, sondando prima il terreno col canto di canzoni popolari o patriottiche e con il lancio di manifestini. Composte di dieci uomini l'una, partirono il 13 ottobre ed operarono in prima linea sino alla fine del mese, quando, dopo Caporetto, si ritenne piÚ prudente ritirarle. Mentre tutto questo accadeva al fronte, la situazione dei Cecoslovacchi in Italia si andava gradatamente modificando. La questione cecoslovacca era infatti divenuta oggetto di incontri fra esponenti politici dell 'emigrazione e membri del governo italiano. Benes, Segretario del Consiglio Nazionale Cecoslovacco, nel 1917 fu a Roma, visitando poi i campi di Padula, dove erano stati trasferiti i soldati cecoslovacchi da S. Maria Capua Vetere, e quelli per ufficiali di Cittaducale e di Polla. Anche il Ministro degli Esteri Sonnino modificò la propria posizione iniziale, accettando l' idea del Ministro della Guerra di formare, coi prigionieri cecoslovacchi, dei battaglioni lavoratori. Questa decisione venne formalizzata il 6 ottobre, deludendo - e non poco oltre ai politici anche i prigionieri. Costoro, sin dall'inizio dell'anno, avevano autonomamente organizzato un "Corpo Cecoslovacco Volontario", con quanti erano disposti a riprendere le armi e a combattere per l' indipendenza. fl Corpo, dai 380 volontari iniziali, era passato, ad ottobre, ad oltre 3000, per nove decimi contadini, artigiani ed operai - a riprova della diffusione delle idee patrioti che in tutte le classi socia! i. Erano in netta prevalenza boemi e poi moravi , con pochissimi slovacchi. Quasi tutti i volontari avevano fatto parte del Sokol, l'organizzazione sportiva formata dai circoli ginnici dei nazionalisti cechi e panslavisti, che nel 1910 contava oltre 100.000 membri. Dal Sokol (il falco, che sarebbe poi comparso sul copricapo della legione) venne presa l'abitudine dei volontari a darsi del tu, chiamandosi "brate" (fratello) indipendentemente dalle funzioni e dal grado6, ed il grido di richiamo "Na zdar !" (Evviva !)
<> Organizzatala 6° Divisione Cecos lovacca, un suo ordine del giorno del 9 agosto 19 I 8 sanciva la costituzione del primo nucleo della "Narodni Straza" (letteralmente "Guardia Nazionale") . Si trattava in realtà di un plotone cli polizia militare, organizzato dai nostri carabinieri. Ebbene anche i suoi componenti erano definiti "fratelli", anche se "fratelli sorveglianti" ("Brati dozorci").
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IL RICONOSCIMENTO UFFICIALE
Sul finire del 1917, fermato il nemico sul Piave, tornarono ad operare sul fronte della la Armata le squadre di avvicinamento, divenute onnai una compagnia forte di quasi 200 uomini, in massima parte cecoslovacchi. Ora l'unifonne era simile a quella degli Alpini , ma talvolta, per infiltrarsi nelle retrovie nenùche, non si esitava ad indossare la divisa austriaca, come attesta ne "Il sogno di Carzano" il Maggiore Pettore Ili Lalatta Finzi. Il principale motivo che aveva portato all'aumento del numero di volontari era stato quello di rendere più forti le singole squadre, cosicché fossero io grado di difendersi efficacemente. Ormai, però, bisognava ufficializzare l'esistenza di questa unità , troppo cresciuta per poter essere tenuta nascosta, ed a ciò si accinsero, con due pro-memoria indirizzati il 17 gennaio 1918 al Sottocapo di Stato Maggiore, il maggiore ed il suo diretto superiore il Colonnello Marchetti. A prescindere da un'eventuale, futura, costituzione di una legione Cecoslovacca io Italia, si proponeva la formazione di una compagnia di volontari "di irnzionalità czeca, serba e romena" forte di almeno nove ufficiali, uno dei quali italiano, 21 sottufficiali, di cui 7 italiani, e di 167 graduati e soldati, 16 dei quali italiani. L'elemento italiano - era detto - doveva aver funzioni di collegamento e controllo. La compagnia doveva esser divisa in sei plotoni, di due squadre ciascuno, con otto squadre ceche, due jt~goslave (serbe) e due romene. Il reparto doveva esser dotato di sei camion così da poter essere trasferito ed impiegato in differenti punti del fronte, con una permanenza in linea di 4 o 5 giorni. Poteva però anche esser impiegato - come perlopiù si verificò - diviso in squadre. Il reparto era a completa disposizione dell'Ufficio Informazioni dell'Armata e doveva esser schierato in prima linea con i seguenti scopi "a) contatti -fuori dalle nostre linee - colle truppe dell'esercito austriaco (con vantaggi per il controllo della situazione nemica); h) propaganda orale tra le truppe nemiche (conversazioni fuori dalle linee - canto dei rispettivi inni nazionali dalle nostre linee); c) audaci colpi di mano, evitando combattimento, su piccole guardie nemiche (valendosi delle indicazioni e assai spesso - come già accade - del volontario ausilio dei disertori della stessa nazionalità, da sji·uttarsi appena si presentano); d) anelli di congiunzione per eventuali contatti con ufficiali czeco-serbo-romeni da
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sfruttarsi direttamente dall'Ufficio Informazioni (come gw in Valsugana) o per informazioni o per eventuali operazioni". Si pensava che in conseguenza dì queste attività il nemico , preoccupato per la saldezza morale dei propri reparti, li avrebbe ritirati da quel tratto di fronte o lì avrebbe ulteriormente frammischiati facendoli controllare da elementi austriaci o ungheresi (ciò che si verificherà in maniera rilevante nel corso dell'anno). Disciplina, viveri, assegni, e premi dovevano essere quelli previsti per le nostre truppe. Ugualmente l'uniforme doveva essere la nostra, ma con colletto della giubba privo di stellette e dotato invece di speciali mostrine: rosse e bianche per i cechi, bianche, bleu e rosse per gli jugoslavi e gialle e bleu per i romeni. Sul berretto una stella con in mezzo la lettera I (Infonnazioni) e coccarda coi colori nazionali (questo almeno sembrerebbe dalla complicata dizione del testo )7. Il Colonnello Marchetti ebbe poi modo di contattare addirittura il Presidente del Consiglio, Orlando, e di caldeggiare la proposta, anche con un lungo memoriale inviato il 25 gennaio. Il Comando Supremo, infine, sancì ufficialmente la nascita dei "reparti informatori". La comunicazione del 2 febbraio, 3088 prot.8, indirizzata al Ministero ed a tre Armate, premessa l'esistenza e l'utilità di reparti informatori composti da italiani conoscitori delle lingue del nemico, così proseguiva: "Ora, data la speciale situazione di alcune delle nazionalità.facenti parte dell'Austria Ungheria le quali aspirano alla propria indipendenza e si dimostrano perciò apertamente ostili all'attuale regime, è stata riconosciuta l'opportunità di assegnare ai reparti di cui sopra un certo numero di prigionieri di guerra austro-
Il promemoria del Maggiore Pettorelli Lalatta Finzi è riportato alle pagg. 176-179 ciel suo volume "I.T.0. Note di un capo servizio infonnazioni d'armata (1915-1918)" edito in Milano nel 1931 e subito dopo sequestrato perché riproduceva documenti di notevole riservatezza e citava fatti e nomi che era più che mai conveniente tacere (questa ,era la motivazione del sequesu·o). Nel 1934 ne fu preparata una nuova edizione le cui bozze vennero trasmesse al Gabinetto del Ministero della Guerra per essere esaminate. Il S.I.M. diede parere favorevole e lo stesso fece il Capo dell'Ufficio Storico dello S.M.R.E. dell'epoca, Colonnello Bronzuoli , che giudicò il libro ben fatto anche se troppo esplicito nei giudizi. Nel 1931 il parere ciel suo predecessore, Colonnello Giacchi, era stato invece totalmente negativo, tacciando l'autore di esibizionismo e di indisciplina (Per questa vicenda vedi AUSSME, Fondo L3, b. 54). 8 AUSSME, Fondo L3 , b. 174. 7
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ungarici di nazionalità czeco-slovacca, jugo-slava, serba, polacca e rumena scelti tra quelli che volontariamente si offrano di servire a vantaggio della nostra e della loro causa". Era l'atto ufficiale di nascita degli Informatori - non ancora Esploratori - Cecoslovacchi (ai reparti formati con elementi di altre nazionalità si accennerà poi a parte). Non ci furono difficoltà nella formazione dei nuovi reparti, anzi quello della 1a Armata fu in grado, già il 1° marzo, di essere scisso in tre , assegnando una compagnia alla 7a Armata di nuova costituzione ed un'altra alla 6a Armata, cui fu destinato come comandante il Capitano Pivko, che potè così seguirvi il Maggiore Pettorelli Lalatta Pinzi divenuto capo dell'Ufficio Informazioni di quell'Armata. Il continuo afflusso di nuovi volontari provenienti ora dai campi di prigionia, com'è testimoniato nel libro. permise poi alla la Armata di avere addirittura due compagnie invece di una: la "Borghetto", in Val cl' Adige, e la "Astico" nella valle omonima. Opportunamente sensibilizzato, il comandante del) 'armata, il Generale Pecori Giraldi, le accolse il 12 aprile con un'entusiastica lettera indirizzata ai comandi dipendenti, tesa innanzitutto a fugare dubbi e pregiudizi sull'origine e provenienza di questi uomini e sulla loro affidabilità. Sono assai interessanti le disposizioni che il Colonnello Marchetti emanò per l'utilizzo in linea delle compagnie: "L'irnpiego precipuo di
essi è presto detto: Sminuzzati in pattuglie di avvicinamento, specie nelle ore notturne, debbono prendere contatti col nemico, influenzare moralmente gli elementi slavi che ci fronteggiano, per spingerli ad abboccarsi a noi, oppure disertare, o, se possibile, cooperare direttamente ali'orientamento politico nazionale dei commilitoni di eguale nazionalità, accelerando in tal modo il dissolvimento della disciplina e dello spirito bellico dell'esercito nemico. A tutti questi intenti non deve essere estraneo quello importantissimo delle irtormazioni sull'avversario, che si potrà ottenere vantaggiosamente solo quando una seria relazione si sarà potuta stabilire con elementi del nemico". Istruzioni simili dovettero essere emanate anche per le compagnie che si stavano ormai organizzando presso tutte le armate, grazie ai volontari che erano affluiti dai campi di concentramento, autorizzati da una circolare del Ministero della Guerra del 12 aprile.
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ESPLORATORI E LEGIONARI Queste istruzioni sul servizio in linea dei volontari, il loro accresciuto numero e la tenacia ed il coraggio da loro dimostrati nei primi mesi del 1918 contribuirono grandemente a far riconoscere, a tutti i livelli, 1'efficacia e l'utilità del loro impiego. Rinviando alla trattazione nel libro dei diversi episodi verificatisi in quei mesi, ci si limiterà ora a citare solo due o tre documenti . Il primo è una relazione sull'impiego dei volontari nel settore di Cavazuccherina, sul Piave, tra il 24 ed il 29 aprile che provocò uno stillicidio di disertori del 21 ° Reggimento Fanteria - diserzioni continuate poi nei giorni seguenti - la cattura "concordata" di alcuni piccoli posti e la preoccupazione dei comandi austriaci, testimoniata dal premio di 500 corone e 15 giorni di licenza per ogni ceco catturato. L'opera dei volontari venne tanto apprezzata che il Capo Servizio Informazioni della 3a Armata, Colonnello Smaniotto, concluse la sua relazione chiedendo di poter avere alt.re due compagnie cli cechi, una di serbi, mezza di ruteni e mezza di polacchi9 • Ma forse è ancora più interessante una singolare testimonianza dell'efficacia del lavoro di avvicinamento svolto dai volontari e del conseguente indebolimento della compagine nemica che ci è offerta da una poesia - versi umoristici , semplici, ingenui in apparenza - apparsa su un giornaletto di trincea del Reggimento Marina, schierato a Cort.ellazzo in quegli stessi giorni 10 • La poesia descrive "Le sgradite sorprese del tenente Kappa Kappa", un ufficiale austriaco che, leggendo una lettera lasciatagli dal suo sergente, scopre che tutti i suoi uomini, appartenenti alle diverse nazionalità dell'impero (descritte secondo gli stereotipi ed i pregiudizi allora esistenti) se ne sono andati a casa per conto loro. li colpo decisivo alla compattezza del reparto - così ha lasciato scritto il sergente - è stato dato da una voce che, di notte, ha cominciato a chiamare i cecoslovacchi: 9
AUSSME, Fondo L3, b. 174. Essendo andato esaurito il giornaletto, l'Ufficio Speciale del Ministero della Marina fece ristampare la poesia in 500 copie , che, a settembre, vennero inviate al Comando della Divisione Cecoslovacca. Una copia è conservata nell'archivio dell'USSME, Fondo ES, b. 260. 10
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"O popoli oppressi - voi sempre gli stessi vi fate far fessi - dall 'imperator. Fratello hoerno - non fare lo scemo: tu, stai sempre al remo - e un altro al timon. Non ditevi voi schiavi: - avete, voi slavi, in mano le chiavi - di vostra prigion. Tedeschi e magiari - nel gioco son pari: lor, coppe e danari - voi, spade e baston. Non più gialla e nera - la nostra bandiera Ondeggia alta e .fiera - nei santi color. Chi mai sarà stanco - se il rosso ed il bianco Procedono a fianco - col bel tricolor? Di noi chi s'arrende? .. - chi vivo lo prende? .. Non palla l'attende - ma corda e sapon.. Va ben. se all'estremo - supplizio anderemo, il popol Boemo - più vivo sarà. Se questo è il malestro - evviva il capestro Perché ci offre il destro - di viver di più. Darem dalla fossa - col sangue, con l'ossa A te, bianca e rossa - bandiera i' color. Fratello Slovacco - non fare il macacco Non fare il vigliacco - su noi vuoi tirar? Fratello Slovacco - vicino è l'attacco: se vuoi, leva il tacco - se no, vien di qua".
I versi successivi, dedicati alle conseguenze di queste diserzioni ed alle considerazioni cui inducono gli appartenenti alle altre nazionalità, prefigurano con notevole efficacia le difficoltà che l'esercito imperialregio avrebbe incontrato negli ultimi mesi di guerra, con tedeschi e ungheresi dispersi in tutte le unità per controllare le altre etnie. Certo, ci dev'essere anche lo zampino degli Uffici P (propaganda) in questi versi, visto che l'autore era un ufficiale della R. Marina appartenente all'Ufficio Speciale, ma la poesia dimostra anche come ci si sforzasse di far apprezzare, pure ai livelli più bassi, il contributo alla vittoria finale offerto dagli Esploratori (ormai li si cominciava a chiamare così). L'altra relazione, del Colonnello Vigevano, datata 23 maggio 1918 , relativa all'impiego sul monte Pertica di una compagnia cecoslovacca è di tutt'altro livello. Non si è voluto provocare una diserzione in massa
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del I battaglione del l'8° Fanteria - anche se circa 300 soldati si erano dichiarati disposti a passare le linee - si è preferito puntare su obiettivi meno visibili ma , alla lunga, di maggiore importanza. Così si sono incaricati 14 soldati in proci nto di andare in Cecoslovacchia in licenza di prendere contatto con gli ambienti politi ci e con i capi dei Sokol, informandoli anche delle attività m ili tari dei Cecoslovacch i in Italia. Se ne sono poi incaricati altri di raccogliere materiale informativo e di comunicarlo a mezzo di bigli etti da lanciare nelle nostre trincee, i rimanenti infine si sono impegnati ad arrenders i in massa , in caso di assalto, g ridando "Czechi-czechi" per farsi riconoscere, ed a servire da g uida alle nostre truppe. Il Colonnello Vigevano così concludeva: "Lo scrivente ritiene pertanto di poter affermare d'avere nelle .file nemiche circa 300 individui guadag,uzti alla nostra causa ed assaifat1ivi". In questi primi mesi del 191 8, mentre gli Informatori (o Esploratori) erano impegnati in prima linea, per i prigionieri cecoslovacchi in Italia le cose stavano cambiando radicalmente. Alcu1ù ambienti politici italiani si erano persuasi deJ1a giustizia della causa cecoslovacca e della necessità di costituire anche in Italia una legione cecoslovacca, come in Francia e in Russia, e cominciarono a stimolare in tal senso l'opiruone pubblica. A febbraio, inoltre, era stato dato inizio alla costituzione dei battaglioni lavoratori previsti già dall 'ottobre precedente. I battaglioni erano su tre compagnie, ciascuna di tre centurie comandate da ufficiali cecoslovacchi . Disarmati, ma provvisti di uniforme italiana, senza mostrine o stellette ma con un bracciale bianco-rosso al braccio sinistro e con un nastro degli stessi colori sul berretto, i battaglioni cominciarono a partire da Padu)a il 3 marzo, destinati a lavori di fortificazione attorno a Mantova e lungo il Mincio e l'Adige. Furono in tutto sette battaglioru, con circa 9000 uomini, per 1'80% aderenti al "Corpo Cecoslovacco Volontario". Ma proprio mentre i battaglioni iniziavano la loro attività, dopo molte ins istenze il Conùtato cecoslovacco, a mezzo del Colonnello Milan Stefanik" , riuscì a vincere le ultime resistenze da parte dei politici V
" Milan Stefanik, slovacco, nato nel 1880 , laureatosi a Praga, astronomo, ottenne nel 1910 la cilladinanza francese . Allo scoppio della guerra si arruolò come aviatore volontario ne ll'esercito francese. Unitosi ai politici ceco-slovacchi in esilio divenne l'a nima delle Legioni cecoslovacche in Francia, in Russia ed in Italia. Morì nel gennaio del 1919 in un incidente aereo mentre tornava in patria dall' ltalia.
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italiani ed il 21 aprile firmava insieme al Presidente del Consiglio, Vittorio Emanuele Orlando, la "Convenzione fra il Governo Italiano e il Consiglio Nazionale dei Paesi Ceco- Slovacchi" che riconosceva, tra l'altro , l'esistenza di un esercito czeco-slovacco, un cui Corpo avrebbe operato in Italia in modo autonomo alle dipendenze del Comando Supremo Italiano. Convenzione che, ufficiosamente, era stata preceduta di qualche giorno dalla distiibuzione di armi ai battaglioni e dalla scelta del Generale Andrea Graziani quale organizzatore e comandante di un corpo cecoslovacco, inizialmente della forza di una divisione. Su 17.500 prigionieri ben 14.000 si offri.rono come volontari (anche se gli Slovacchi furono solo qualche centinaio). Gli ufficiali erano 300, alcuni dei quali ebbero qualche difficoltà nel passare dalla disciplina di stampo austro-ungarico a quella dei volontari che li chiamavano fratello, dando loro del tu. La divisione venne rapidamente organizzata in Umbria ed il 24 maggio - nel terzo anniversario dell'entrata in guerra dell'Italia - ricevette le sue bandiere a Roma, sulla Piazza del Campidoglio, alla presenza di sette ministri italiani, uno francese e del principe di Galles. L'addestramento proseguì poi nei dintorni di Vicenza ma, nonostante il desiderio del Generale Graziani, la divisione dovette attendere fino a metà giugno per entrare in linea.
IL Il BATTAGLIONE DEL 31 ° REGGIMENTO Per far fronte alle richieste di nuovi elementi per le compagnie esploratori , il comando della neo-costituita divisione cecoslovacca decise l'invio - come rinforzo - di uno dei suoi battaglioni. Fu scelto il II del 1° Reggimento, anzi più esattamente le sole tre compagnie fucilieri, lasciando a Foligno la compagnia mitraglieri. Raggiunto il fronte il 22 maggio il battaglione, che era agli ordini del Maggiore Renzo Giovanelli, venne suddiviso in nuclei che vennero così ripartiti: alla 1a Armata il comando, la sezione pistole-mitragliatrici e due plotoni della 4a compagnia, alla 7a Armata due plotoni della stessa compagnia, alla 4a Armata il comando, la sezione pistole-mitragliatrici e due plotoni della 5a compagnia ed alla 6a Armata gli altri due plotoni, alla 2a Armata il comando, la sezione pistole-mitragliatrici e due plotoni della 6" compagnia mentre gli altri due plotoni andarono alla 3a Armata. Ovviamente l'immissione di elementi di un battaglione regolare
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comportò inizialmente dej p roblemi: c 'erano, ad esempio , soldati con un' età e condizion.i fi siche che mal si adattavano ai particolari compiti degli Esploratori e c'erano alcuni ufficiali che non erano stati p reparati specificamente. Eppure, rapidamente, tutti si adattarono e lo sp irito d i c orpo prevalse. Inoltre i nuovi arrivati portarono in dote un maggior senso di di sciplina militare e di appartenenza ad un esercito nazionale. Dal 1° luglio tutte le compagnie Esploratori - qualunque fosse la loro origine - entrarono a far pait e del battaglione, divenuto ora II del 31° Reggimento 12 • Considerato , però che la formazione organica di un battaglione prevedeva l'esistenza di tre sole compagnie, ]e nove compagnie del battaglione vennero indicate anche da una lettera. Alla data di costituzione del battaglione queste erano la loro forza e la loro dipendenza: dalla 1° Armata dipendevano le compagnie 4A e 48 , forti rispettivamente di 5 e 7 ufficiali e 176 e 195 sottufficiali e soldati; dalla 3a dipendevano la 6A e la 6B comandate dal Capitano Moise Kobylinski'3 , forti cli 4 e 14 ufficiali e 104 e 220 sottufficiali e truppa, dalla 4a Annata dipendeva una sola compagnia, la 5A con 11 ufficiali e 222 sottufficiali e soldati, dalla 6a le compagnie 5B e 5C , entrambe agli ordini del Capitano Pivko, già incontrato, con 12 e 4 ufficiali e 243 e 109 sottufficiali e truppa, la 4C con 7 ufficiali e 149 sottufficiali e soldati dipendeva dalla 7a Armata e la 6C, con 14 e 174, daU'83 • In totale 78 ufficiali e 1592 sottufficiali e truppa. Ora che nei reparti Esploratori c'erano anche ufficial i e soldati che provenivano da un battaglione regolare e che prestavano servizio in conformità de1la convenzione del 2 1 aprile, si rese necessaria la regolarizzazione delle modalità di impiego. Intervenne di nuovo il Colonnello Stefanik ed il 15 luglio si addivenne ad un 'intesa14 • Premesso che il servizio dei reparti informatori (veniva ancora usata questa dizione) doveva aver luogo a rotazione fra i vari battaglioni del Corpo, sia per abil itarli tutti a q uella delicata missione sia per conservare a tutti i reparti l'abitudine
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ln conseguenza dell'"auspicata unificazione testé avvenuta dell'armata czecoslovacca di R ussia, Francia, Inghilterra e d 'Italia'' - così diceva l'ordine del g iorno n° 22 ciel Corpo Cecoslovacco in data 3 giugno - i reggimenti avevano assunto una nuova numera:lione, aggiungendo 30 al loro numero orig inario. La d ivisione cecoslovacca divenne, in conseguenza, la 63, dall' 11 luglio. AUSSME, Fondo ES , b. 251. 13 Il capitano Moisc Kobylinsky era un professore medico dell 'Università cli Genova, di origine russa, naturalizzato italiano. 1 • AUSSME, Fondo ES, b. 251 .
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alla manovra per il combattimento nella grande unità, si fissarono in due punti impiego e limiti . L' impiego dipendeva dai Comandi d'Armata ma il comando diretto ed effettivo doveva essere esercitato esclusivamente dai loro comandanti organici. I reparti non dovevano essere impiegati in combattimento, ma ritirati prima dell'azione (ciò che non sempre si ve1ificò e per volontà dei reparti stessi), i loro comandanti dovevano però obbedire a qualsiasi ordine impartito dai comandi di grande unità o di settore sul quale si fossero trovati ad operare. In caso di combattimenti improvvisi ci si rimetteva al giudizio del comandante ceco-slovacco. Come "regole di ingaggio" sembravano ispirate al buon senso del tempo di gue1rn.
IL 39° REGGIMENTO ESPLORATORI CECOSLOVACCO Anche se ufficialmente incorporate nella 6a Divisione cecoslovacca le singole compagnie facevano ognuna vita a sé. Il comandante del battaglione poteva, al più, fungere da elemento di raccordo con la divisione, limitandosi per il resto ad amministrare il battaglione per corrispondenza, vista l'estensione del suo teatro di impiego. Chi in realtà decideva dell'impiego delle compagnie erano gli Uffici Informazioni ed a questi le compagnie rispondevano . Quando il Generale Graziani chiese alle singole compagnie un rapporto quindicinale sul loro operato e sulle condizioni fisiche e disciplinari della truppa il Comando Supremo gli fece osservare che, per ovvii motivi di segretezza, alcuni dei dati richiesti non potevano essere comunicati. Non sembrava opportuno che la dipendenza disciplinare ponesse direttamente in contatto le compagnie - che dipendevano dagli Uffici Informazione - con il Corpo Cecoslovacco. Visto però che si stava progettando la riunione in reggimento delle compagnie esploratori e che - sondato da] Generale Graziani - il Colonnello Vigevano si era dichiarato disposto ad accettare, con il consenso del Generale Giardino, il comando (disciplinare ed amministrativo) del futuro reggimento, l'Ufficio Operazioni del Comando Supremo in suo promemoria del 9 settembre' 5 proponeva la sollecita costituzione del nuovo reggi5
AUSSME, Fondo E5, b. 262 - Nel suo libro di memorie il Generale Marchetti scrive di aver orientato in tal senso il Comando Supremo intervenendo presso il Ministero della Guerra ed il Presidente del Consiglio . ' '
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mento il cui comandante avrebbe avuto la necessaria competenza per corrispondere con il comando del Corpo. Un ordine del giorno della 6" Divisione del 5 settembre, precorrendo i tempi, notificava la costituzione, a far tempo dal 15 settembre, del "39° Reggimento (esploratori) C.S." alle dirette dipendenze del Comando del Corpo Cecoslovacco, con "le nove compagnie del II battaglione del 31° Reggimento Cecoslovacco distaccate press.o le Armate Italiane in servizio speciale". In attesa della nomina del comandante titolare il comando provvisorio sarebbe stato assunto dal Maggiore Giovannelli e le compagnie avrebbero preso questa numerazione: 4C la l", 4A la 23, 4B la 3", 5B ]a sa, 5C la 63, SA la 7'\ 6C la 9'\ 6° la 103 e 6B l'lla. Non era prevista, al momento, la costituzione di comandi di battaglione. Il 25 settembre, infine, l'Ufficio Ordinamento e Mobilitazione emise la circolare R.S. n°44050' 6 sulla costituzione, a quella data, del "Reggimento Esploratori C.S .", allo scopo di dare un unico indirizzo allo svolgimento dei compiti affidati alle "compagnie esploratori C.S .". Comandante ne era nominato il Colonnello Vigevano che anche nella nuova carica - così era esplicitamente previsto ne]la circolare - avrebbe continuato a disimpegnare le sue funzioni relative al servizio informazioni che dirigeva 11 • La circolare prevedeva un comando di reggimento , tre comandi di battaglione e nove compagnie. I comandi dovevano avere gli organici previsti per gli analoghi repa1ti di fanteria, mentre le compagnie avrebbero conservato le loro formazioni (personale, quadrupedi, materiali). La dislocazione delle compagnie era la seguente: alla I a Armata la 2" e 3a compagnia, alla 3a Armata la 10a e 11 a, alla 4a Armata la 78, alla 6'1 Armata la 5a e la 6a, a11'8a Armata la la e la 9a_ .11 loro raggruppamento in battaglioni sarebbe stato effettuato in seguito dal comandante del reggimento, che avrebbe inoltre provveduto alla designazione del personale necessario ai comandi. La località di residenza del Colonnello Vigevano (che era anche la più centrale del fronte) sarebbe stata anche la sede del comando.
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AUSSME, Fondo M7, b. 42. Dal Foglio d'Ordini del Corpo Cecoslovacco in data 29 sette mbre 1918: "Si dispone che la conispondenza ufficiale diretta al Comando ciel 39° Reggimento Esploratori C.S. venga avviata all'Ufficio I.T.0. de lla TV A,mata Italiana". AUSSME, Fondo ES, b. 237. 17
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LA VITTORIA
Il Colonnello Vigevano posto alla testa del 39° Reggimento esercitava così il suo comando addirittura dallo Stelvio al mare Adriatico ma come si divertiva a dirgli, continuando a prenderlo amichevolmente in giro, il suo amico Colonnello Marchetti - comandava solo sulla ca1ta. Forse non sulla carta, ma ce1tamente soprattutto attraverso la carta. Nonostante questo, però, se si accetta in toto lo scritto del Generale Graziani che sarà citato più avanti, il Colonnello Vigevano riuscì come sempre ad ottenere i risultati sperati. Dei due mesi scarsi trascorsi al comando de] reparto da] colonnello c'è rimasta pochissima documentazione, mentre è invece ampiamente documentata l'attività delle compagnie nelle ultimissime settimane di guerra. C'è rimasta una sua richiesta di dotare il reggimento di una banda, perché intervenisse alle sempre più numerose solenni distribuzioni di ricompense ai suoi esploratori, alla quale, una settimana più tardi, il 27 ottobre, risponde negativamente il Comando del Corpo Ceco-Slovacco in Italia18 • Ci sono due suoi ordini del giorno, di uno sti]e che oggi appare pesante, paludato, retorico (e che per la verità non si ritrova nei libri del Vigevano) . Il primo, alla vigilia dell'offensiva finale, inizia con: "Miei esp]oratori. È giunta l'ora bella, l'ora grande!" e termina con: "Avanti senza riposo, senza respiro! Procedete, rompete, volate ! Avanti falchi e leoni di Boemia, di Moravia, di Slovacchia! Praga vi aspetta" . Il secondo, redatto lo stesso giorno del bollettino della vittoria, è più contenuto. C'è la gioia della vittoria, ma anche il ricordo dei caduti, e c'è soprattutto l'orgogliosa rivendicazione de]la menzione che del reggimento è stata fatta nel bollettino del Comando Supremo del 3 novembre, che ha segnalato tra i reparti degni di citazione "il Reggimento Esploratori Cecoslovacco (39°) che dal marzo combatte a fianco delle nostre Armate". In quei primi giorni di novembre infatti le compagnie esploratori (sole rimaste in linea a rappresentare il Corpo Cecoslovacco che è stato ritirato per essere riorganizzato) sono frammischiate ai reparti italiani che serrano da vicino ed inseguono il nemico in ritirata fino al momento dell'armistizio.
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AUSSME, Fondo ES, b. 237.
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Qual è stato l'apporto del Colonnello Vigevano al riordinamento del reparto ed al suo successo possiamo desumerlo attraverso un solo documento. Si tratta di un "rapporto personale" redatto dal Generale Graziani, che probabilmente concludeva ed accompagnava le note caratteristiche dell'ufficiale relative al 1918. Dopo averne sintetizzato le eccezionali qualità il Generale Graziani così scriveva: "Appunto per tali sue qualità fu da me cercato perché gli fosse affidata la difficile missione di fondere in un solo reggimento le numerose compagnie esploratori czeco-slovacchi che prestavano servizio dallo Stelvio al mare. Di quelle compagnie una buona metà erano state create nel 1917 direttamente dai comandi d'armata con elementi (prigionieri) che per iniziativa individuale vollero prendere le armi contro l'Austria Ungheria; per l'altra metà erano state fornite dal Corpo CzecoSlovacco in Italia, costituito nella primavera del i 918 ... Questi due gruppi di compagnie avevano struttura morale, caratteristiche tattiche e disciplinari, abitudini e perfino tendenze politiche molto differenti fra loro. Per tali caratteristiche e per la difficoltà di armonizzare e fondere i reparti in un unico corpo, senza pregiudicare in nulla la piena libertà ed elasticità di impiego da parte delle armate, occorreva che il comandante a cui affidare il reggimento fosse un uomo di qualità superiore e tale si è dimostrato il Colonnello Vigevano. In poche settimane, mentre riusciva a togliere talune esagerazioni individualistiche, senza urtare né i reparti esploratori né i comandi delle armate,prom.uoveva un tale spirito di emulazione nei reparti, confine acume vieppiù infiammava nei suoi esploratori lo spasimo per la patria gemente, l'odio contro il regime oppressore e l'esaltazione al sacrificio, da portare tutti i reparti del reggimento a scrivere pagine sublimi di eroismi, d'audacia, d'abilità da strappare l'ammirazione di tutte le truppe italiane specialmente durante le battaglie clell 'ottobre 1918 nelle quali fu distrutto l'esercito austro-ungarico. Il Colonnello Vigevano nella sua missione di comandante il reggimento esploratori (39°) czeco-slovacchi ha ben meritato della patria perché l'opera sua, specialmente nei profondi legami in.orali con il fiore delle truppe C.S., non andrà distrutta malgrado egli non abbia potuto seguire il reggimento in Boemia"'9 •
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AUSSME, Biografie 67/30.
IL 39° REGGIMENTO ESPLORATORI CECOSLOVACCO
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IL RITORNO IN PATRIA Il 3 novembre - in concomitanza con la citazione sul bollettino del Comando Supremo - il reggimento venne ritirato dalla prima linea. Ovviamente l'ordine non poté essere immediatamente eseguito da tutte le compagnie , slanciate a]J'inseguimento del nemico e ci volle qualche giorno perché tutte raggiungessero la zona di Tribano, nei pressi di Mantova, dove finalmente il reggimento fu per la prima volta riunito. In vista del rimpatrio il reparto doveva essere riordinato ed a questo punto insorsero delJe difficoltà, aggravate dal fatto che il Colonnello Vigevano dovette lasciare il comando. Di quali difficoltà si trattasse lo sappiamo grazie ad una lettera, del 16 novembre, del comandante interinale del reggimento, il Maggiore Giovanelli, che aveva già comandato il Jl - 3 J020 . Quel che mancava era la struttura amministrativa del reparto, dall'ufficiale di amministrazione all'indispensabile personale italiano, come scritturali e dattilografi, e la stessa cosa si poteva dire dei comandi di battaglione rappresentati solamente dal comandante e dal!' aiutante maggiore in seconda. Altro problema era dato dal tenere al completo il personale, al momento 1736 tra sottufficiali, graduati e volontari, dei quali bisognava trasferire quanti avessero già prestato servizio in cavalleria o nelle armi dotte, bisognava poi detrarre il personale necessario per costituire il reparto zappatori, la compagnia mitraglieri ed il reparto arditi. Anzi, a proposito del reparto arditi, il Maggiore Giovanelli ricordava come, in precedenza, il Colonnello Vigevano si fosse dichiarato contrario alla sua costituzione, dato che tutto il reggimento era composto da volontari e che tutti gli esploratori avevano già dato prove indiscutibili di ardimento e di valore, per cui creare un reparto di arditi avrebbe creato scontento nelle compagnie. Seguiva poi l'elenco dei 30 elementi italiani indispensabili e quello del materiale occorrente, a cominciare da apparecchi e fili telefonici. Il 23 novembre il reggimento veniva avvisato di essere pronto a partire entro 4 o 5 giorni e cli accelerare, quindi, il cambio clell'annamento, dato che si sarebbe passati da quello italiano a quello austriaco di preda bellica, tanto più che - come in effetti si verificò - ogni soldato avrebbe ricevuto due fucili, per armare così, in patria, le reclute. Per la
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AUSSME,Fon<lo L3, b. 174.
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compagnia mitraglieri si provvide il 30 trasferendo in organico nel 39° una compagnia dotata di Schwarzlose austriache. Dato l'ordine ... come si sa segue spesso il contrordine ed a fine mese il comando ed il J battaglione erano ancora a Tribano, il Il a Cartura ed il m sparso nelle località vicine. L'8 dicembre, con tutto il Corpo Cecoslovacco, il 39° prestava solenne giuramento di fedeltà alla Repubblica Cecoslovacca -ormai ufficialmente nata- a Padova, alla presenza di Vittorio Emanuele ID e del Generale Diaz. Fu poi a Padova il Presidente Masaryk che di lì a poco ripartiva per la Cecoslovacchia con la scotta simbolica di legionari di Francia e d 'Italia. E doveva trattarsi di elementi del 39° (che, tra l'altro, fu il primo reparto a rimpatriare) se nelle foto che riproducono il trionfale arrivo a Praga di Masaryk si distinguono inequivocabilmente soldati con cappello alpino, pugnale da ardito al cinturone e giubba aperta, con l'uniforme, quindi, con cui erano vestite due compagnie de] reggimento. Il 39°, ora al comando del colonnello Egidio Macaluso, ed inquadrato nella 7a Divisione, sostituì i comandanti di battaglione italiani con ufficiali cecoslovacchi e partì a bordo di sei convogli ferroviari che trasportarono 108 ufficiali e 3000 soldati, dotato probabilmente deJle nuove unifom1i che nei distintivi e nei fregi cominciavano a differenziarsi da quelle precedentemente in uso, pur restando nettissima la sua impronta italiana con il grigioverde come colore di base e con il cappello alpino.
L'EREDITÀ LEGIONARIA Gli esploratori furono quindi l' avanguardìa de] Corpo d'Armata Cecoslovacco, al comando del Generale Luigi Piccione e di altri ufficiali italiani, che nel giro di due settimane rimpatriò in perfetto assetto di guerra, a tempo per difendere la Slovacchia dalle pretese ungheresi. Le diverse valutazioni della situazione slovacca e dei necessari provvedimenti militari data dai comandanti italiani, in contrapposizione a quelle di ufficiali e politici cecoslovacchi, portarono nel giro di pochi mesi ad una situazione di estrema difficoltà per l'esercizio del comando sul campo. Difficoltà della quale seppe abilmente approfittare la Francia, che pure si era sbarazzata della propria legione cecoslovacca trasportandola a Modane perché gli Italiani provvedessero poi al rimpatrio. Una missione militare francese si affiancò così al comando italiano, che nel maggio 1919 ricevette l'ordine di rimpatrio.
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L'influenza italiana sulle forze armate di Praga venne così soppiantata da quella francese, e probabilmente non poteva esser diversamente, data la difficile situazione politica italiana di quel periodo e l'abilità e la spregiudicatezza di Parigi. Ciò nonostante, oltre ad aver organizzato, armato ed equipaggiato il Corpo d 'Armata Cecoslovacco2 1 , l'Italia nel corso de] 1919 organizzò con i prigionieri cecoslovacchi, soprattutto quelli dell'ultima offensiva, 43 battaglioni di Milizia Territoriale, un battaglione d'assalto e due battaglioni (49° e 53°) di Milizia Territoriale, formati con tedeschi dei Sudeti, oltre a 19 battaglioni i1Tegolari, costituiti da quanti, a luglio, non avevano ancora voluto o potuto prestare giuramento di fedeltà alla repubblica. In totale il nostro paese organizzò, armò, vestì ed equipaggiò circa 60.000 cecoslovacchi. A dispetto delle sgradevoli circostanze che avevano portato alla fine della collaborazione italo-cecoslovacca, alcuni reggimenti di fanteria del nuovo esercito presero il nome da località legate a fatti d'armi del periodo italiano, "Arco", "Garda", "Doss' Alto", "Foligno" o, come nel caso del 39° "Esploratori", conservarono l'originario nome. Nei legionari era rimasto un ottimo ricordo dell 'Italia, testimoniato in articoli e libri. E non mancano altre testimonianze. Una relazione del nostro addetto militare a Praga, invitato alla celebrazione del quinto anniversario della costituzione del 39° Reggimento, nel 1923 , così.scriveva: "Nel pomeriggio avevo avuto modo di intrattenermi cordialmente con gli ufficiali, specialmente quelli reduci dall'Italia. Tutti mi parlarono con grande simpatia del nostro Paese e mostrando una viva nostalgia per i luoghi ove trascorsero giornate memorabili della loro esistenza. Ho avuto l'impressione che la riconoscenza per il trattamento fraterno ricevuto in Italia si vada sempre più approfondendo nel loro
2 1 Il Corpo d'Armata comprendeva due divisioni (6" e 7") , ciascuna su tre reggimenti di fanteria di tre battaglioni, tre compagnie mitragliatrici, un reggimento aitiglieria su due gruppi di tre batterie, una compagnia telegrafisti e una zappatori, due autosezioni, una sezione sanità e una sussistenza. C'erano inoltre un gruppo squadroni, due compagnie ciclisti, due autoblindomitragliatrici , un gruppo obici pesanti campali su tre batterie ed un ospedaletto da campo. (Circolare ciel Comando Supremo Uff. Ord. E Mob. 55680 del 18/11/18, in AUSSME, Fondo M7 , b. 50).
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animo. Qualcuno mi disse chiaramente che il fenomeno era dovuto al confronto col trattamento molto differente fatto ai loro colleghi della Legione di Francia, quale risulta dalle narrazioni di questi ultimi. Permane un vivissimo sentimento di devozione figliale per il generale Graziani, cui il comandante aveva già diretto al mio arrivo un caloroso telegramma di omaggio. Altro telegramma venne indirizzato, per mio suggerimento, al primo comandante del 39°, colonnello Attilio Vigevano". In quell'occasione, poi, il nostro Addetto aveva consegnato ai legionari presenti la medaglia italiana commemorativa della guerra, di cui 20 .000 esemplari erano già stati inviati da Roma al Ministero della Difesa Nazionale di Praga22 • Sopravvenuta ]a pace, erano stati congedati i soldati e quasi tutti i sottufficiali e gli ufficiali delle Legioni. Quelli rimasti in servizio costituivano circa la metà degli ufficiali delle armi ed un terzo di quelli dei servizi. L'influenza e le tradizioni delle legioni pesarono molto sulla vita militare della prima repubblica cecoslovacca. Non era un caso che il servizio d'onore al castello di Praga, residenza del Presidente della Repubblica, venisse svolto da reparti con le vecchie uniformi delle tre legioni. Ugualmente notevole fu l'apporto dato dagli ufficiali e dai reduci legionari -tutti ormai signori di mezza età- alla resistenza, dopo che la Cecoslovacchia era caduta nell'orbita nazista. Furono loro alla testa delle organizzazioni clandestine ed il prezzo pagato fu alto: circa 1100 fucilati, impiccati o mo,ti di stenti nelle carceri, 3000 inviati nei campi di concentramento, dei quali la metà non tornò. Sin dal 1939 furono ugualmente loro, come nella Grande Guerra, a comandare i reparti cecoslovacchi all'estero, nella più classica tradizione legionaria, nei cieli d'Inghilterra, in Libia, in Francia, nell'Unione Sovietica. I1 regime comunista installatosi al potere nel 1948 ebbe verso i legionari -specialmente se ufficiali- un atteggiamento persecutorio: quasi tutti quelli che avevano combattuto all'estero vennero processati, altri congedati, altri ancora inviati al domicilio coatto. Tranne rarissimi casi di collaboratori con il nuovo regime, i vecchi legionari vennero in pratica eliminati dalla vita pubblica. Ancor peggio, venne uffi-
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Archivio USSME, Fondo F3 , b. 381.
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cialmente negato il ruolo fondamentale esercitato dai Legionari nella nascita deJlo stato: si era trattato di illusi, di avventurieri , di mercenari, anzi per i legionari di Russia, che avevano combattuto anche contro i Rossi nella guerra civile, si era trattato addirittura di contro-rivoluzionari; ]a vera storia della Cecoslovacchia iniziava nel 1948. La primavera di Praga del 1968 illuse per qualche mese che, in occasione del cinquantenario della costituzione della repubblica, ci potesse essere una riconciliazione fra governo e legionari. I carri armati sovietici ripo1tarono però le cose al punto di prima anche se il Presidente della Repubblica, Svoboda, era un vecchio ufficiale delle Legioni di Russia, ma già dal 1948 si era schierato con Mosca. Non ci furono persecuzioni brutali, ormai i legionari erano tutti vecchi signori sulla settantina, si tollerò anzi che in alcune occasioni -come l'omaggio alla tomba di Masaryk- indossassero le vecchie divise, ma si ebbe anche cura di allagare con l'acqua delle pompe l'area del cimitero in cui si doveva svolgere la cerimonia. Quando nel 1989 il regime comunista cadde erano meno di cento i legionari superstiti, alcuni dei quali fecero anche a tempo a vedere la divisione in due dello stato per cui avevamo combattuto . Quando nel 1995 la Repubblica Ceca -che di quello stato si considera erede- decise di conferire loro una medaglia al valore, ne erano rimasti in vita solo 14. Di questi, due solamente, il 1° gennaio 1996, furono in grado di ricevere di pe!sona la medaglia dal Presidente delta Repubblica, ed uno di costoro, Stefan Dohodil , un ragazzo del '97, era un esploratore del 39°.
GLI ALTRI ESPLORATORI Diversi documenti fra quelli sinora citati fanno riferimento - accanto ai Cecoslovacchi, nettamente e largamente preponderanti- ad "esplorat01i" appartenenti alle altre nazionalità oppresse. Nel novantesimo anniversario della vittoria appare opportuno ricordare -pur se in forma estremamente sintetica- anche loro. Come per i Cecoslovacchi -e per gli stessi motivi- anche per l'utilizzo dei Polacchi ci fu opposizione da parte del Ministero degli Esteri. Poi ci si decise a riunire tutti i prigionieri di questa nazionalità nel campo di S. Maria Capua Vetere (e gli ufficiali a Casa Giove) e si per-
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mise ad attivisti dei comitati politici polacchi all'estero di svolgervi attività di propaganda. Nel maggio de] 1918 vennero poi reclutati circa J 80 uomini, con alcuni ufficiali, che costituirono una compagnia che, suddivisa in squadre di avvicinamento, operò in settori del fronte della 1 3' e della 4" Armata, talvolta insieme ai Cecoslovacchi. La compagnia subì alcune perdite e meritò due medaglie d'argento e sette di bronzo al valor militare. Sul fronte della 1a Armata operò un altro nucleo di 24 polacchi agli ordini di un nostro ufficiale di madre polacca. Anche il loro comportamento fu ottimo. Solo nei giorni successivi alla fine della gueITa venne dato inizio alla formazione di reparti regolari ed a metà dicembre tre reggimenti partivano da S. Maria Capua Vetere per raggiungere l' esercito polacco in Francia. I prigionieri polacchi, aumentati di numero dopo l'ultima offensiva, vennero poi in gran parte trasferiti in Piemonte, a Chivasso. Qui vennero progressivamente costituiti altri sette reggimenti nel corso del 1919. Uno di questi prese il nome di Giuseppe Garibaldi ed un altro quello di Francesco Nullo, il garibaldino caduto per la libertà della Polonia nel 1867. In complesso furono circa 37 .000 i prigionieri polacchi in Italia e di questi nel giugno del 1919 ne erano già stati aITuolati ed inquadrati nell'esercito della nuova repubblica oltre 24.000.23 Molte migliaia di prigionieri di etnia romena, provenienti quasi tutti dalla Transilvania, allora sotto il dominio ungherese, erano caduti in mano italiana. La Romania nel 1916 era entrata in gueITa a fianco dell'Intesa ma, sconfitta, si era dovuta ritirare dal conflitto; non era quindi possibile impiegare questi prigionieri , anche se lo avessero voluto, nell 'eserci to romeno. Come per le altre nazionalità oppresse fu comunque permesso che nei loro campi di prigionia venisse svolta opera di propaganda. Anche fra loro vennero reclutati, nella primavera-estate del 1918, alcune compagnie di volontari da impiegare al fron te come pattuglie di avvicinamento. Una prima compagnia ricevette a luglio addirittura una bandiera. Ail'8" Armata venne assegnata una compagnia di 250 uomini che ebbe anche occasione di combattere sul
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Per l'Armata polacca in Italia durante la l" Guerra Mondiale, vedi l'omonimo saggio di S. Sierpowski in "La Prima Guerra Mondiale e il fronte trent.ino", a cura di S. Benvenuti, Rovereto 1980.
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Montello ed a Vittorio Veneto e che il Generale Caviglia elogiò in maniera superlativa chiedendo che fosse citata nel boJlettino del Comando Supremo. La 5a Armata impiegò un'altra compagnia assegnandone due plotoni agli Inglesi, ad Asiago e sul Cengio, ed altri due ai Francesi, sul Sisemol e Valbella. La compagnia della 4a Armata si distinse sul Grappa. Sul fronte della la Armata operò invece una piccola squadra, ottenendo però ottimi risultati: il 50° Reggimento austroungarico, composto in prevalenza da soldati romeni, dovette essere ritirato dal fronte per le diserzioni. In complesso militarono in queste compagnie 13 ufficiali ed 830 sottufficiali e volontari. Intanto si era deciso di organizzare reparti di maggiore consistenza e con circolari del 15 ottobre e del 31 ottobre veniva ordinata la costituzione, ad Albano Laziale, di una Legione Romena, inizialmente un reggimento di tre battaglioni. Il reggimento fu approntato in brevissimo tempo, seguito nel gennaio 1919 da un secondo che inquadrò gli 830 delle compagnie esploratori e da un terzo nel mese successivo. Questi reparti ricevettero i nomi dei tre eroi nazionali romeni della rivolta del 1784, Horea, Clo§ca e Cri§an. L'uniforme era quella italiana, con mostrine tricolori bleu-giallo-rosse con il numero del reggimento, sul berretto compariva una coccarda con gli stessi colori insieme al numero del reggimento (secondo altre fonti il monogramma reale). Delle sbarrette in tessuto metallico sostituivano, sulle maniche, le stellette come distintivo di grado per gli ufficiali. Gli appartenenti alle compagnie esploratori conservarono il cappello alpino ed il pugnale alla cintura. Il 1° Reggimento rimpatriò via mare a Costanza e fu sciolto poco dopo il suo arrivo perché malintesi di carattere politico e scarso coordinamento fra le nostre autorità diplomatiche e militari avevano fatto sì che le truppe, composte da ex sudditi ungheresi, fossero accolte senza entusiasmo e, anzi, con qualche sospetto. In Italia, allora, vennero sciolti e disarmati i due reggimenti rimasti, che vennero rimpiazzati da battaglioni di marcia. Una grave epidemia di tifo ritardò il rientro di questi repa1ti che, accresciuti dai prigionieri che non avevano voluto prestare servizio fino ad allora, iniziarono il rimpatrio nella seconda metà dell'anno. La situazione con Bucarest si era intanto parzialmente chiarita e gli ultimi reparti vennero accolti con tutti gli onori. Ma onnai l'aver organizzato tutti questi reparti e l'aver inviato in Romania anche armi e vestiario non erano più in grado di controbilanciare, così come in Cecoslovacchia, l'influenza francese, 24 che aveva troncato sul nascere ogni possibilità di influenza italiana •
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Nei campi di prigionia italiani non mancavano certo i prigionieri originari di quella che, fino a pochi anni or sono, era la Jugoslavia (ed il termine di Jugoslavia, tena degli Slavi del Sud iITuppe sulla ribalta politica proprio negli anni della guerra) . I Croati e gli Sloveni però erano quasi sempre fedeliss imi alla monarchia asburgica e non si poteva certo contare su di loro per combattere contro l'impero. Per intuibili motivi non si volevano utilizzare gli Slavi delle terre che il Trattato di Londra del 1915 aveva assegnato all'Italia (Istria, Dalmazia, Alto Isonzo). Restavano così disponibili, per un'azione di propaganda tesa all'arruolamento nelle squadre di contatto, quasi soltanto gli elementi di etnia serba, originari del Banato e di altre provincie meridionali asburgiche. Come si è visto in precedenza venne richiesta la formazione di squadre di avvicinamento jugoslave e la risposta dei prigionieri fu positiva. Il Maggiore Pettorelli Lalatta fu il primo ad organizzarne una compagnia, che col tempo raggiunse la forza di 360 uomini. Il Colonnello Marchetti, sul fronte della 1a Armata ne aveva costituito un'altra, nel maggio del 1918, di 100 uomini su quattro plotoni. Un'altra compagnia, che ebbe due morti e diversi feriti, era presso la 4a Armata e I'8a ne ebbe un'altra ancora, comandata da uno scrittore, il capitano Ottavio Dinale. Secondo un appunto, senza firma né data, ma ~uccessivo alla fine della guerra25 erano state formate sei squadre (più correttamente compagnie), con ufficiali jugoslavi per un totale di 900 uomini. Tutti questi reparti ebbero però un impiego limitato per ragioni politiche. [ rappresentanti in Italia del governo serbo -o jugoslavo che dir si voglia- a cominciare dal futuro Ministro degli Esteri Trumbic, una volta conosciuta l'esistenza di questi reparti, vollero contattarli, anche a mezzo di ufficiali di collegamento. Loro intenzione era quella di vestirli con l'uniforme serba o, quanto meno, di far loro prestare giuramento di fedeltà a re Pietro così da farne dei reparti dell'esercito jugoslavo. Nonostante alcuni ufficiali di collegamento fossero stati allontanati dopo questo intervento, nell'estate del 1918, il tono disciplinare dei reparti si abbassò e alla vigilia di Vittorio Veneto gli Jugoslavi vennero ritirati dal fronte. 21
Per "La Legione Romena", vedi l'omonimo saggio di F. Cappellano in "Studi storico militari", 1996, Roma 1998. 25 Archivio USSME, Fondo L3 , b. 44.
Ai combattenti cecoslovacchi e italiani della guerra mondiale, ai cavalieri dello stesso ideale, custodi della libertĂ e della giustizia, che hanno vissuto le stesse ore di angoscia e di disperazione per le sorti della propria nazione e che, difendendosi eroicamente, hanno bagnato con il loro nobile sangue la terra italiana, divenuta seconda pa1ria, egualmente cara, ai soldati cecoslovacchi, dedico questo libro come segno di eterna fratellanza d 'anni e di vittoria. Piave, Val Bella, Cima Tre Pezzi, Cinw Cady, Tonale, Val Concei, Lago di Garda, Asolane, Montello e tutti gli altri luoghi innumerevoli delle Alpi piene d'insidie e del Carso tremendo, del 'Isonzo
e del Piave, siate testimoni immortali dell'amore, della nobiltĂ e dell'eroismo di due nazioni il cui idealismo e spirito di sacr~ficio hanno condotto alla cornune vi uoria .
PREFAZIONE
DOTTOR EDUARD BENES, MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI.
GLI ESPLORATORI Gli esploratori cecoslovacchi in Italia - che hanno rappresentato una componente importante delle nostre legioni - sono sorti, come tutto il nostro esercito nazionale durante la guerra mondiale, dall'idea della rivoluzione cecoslovacca contro l'Austria-Ungheria, mirante all'indipendenza politica, culturale, economica e morale e all'integrità geografica ed economica dello Stato cecoslovacco. La ferma volontà degli esploratori di ritornare al fronte e le indimenticabili azioni da essi compiute furono conseguenza dell'ideologia della nostra nazione, espressa dalla filosofia del capo delle legioni cecoslovacche, T. G. Masaryk, che aveva preparato la nazione alla lotta attiva, specialmente con la dottiina che il male deve essere combattuto con tutte le forze. L'Austria-Ungheria, unitasi alla Germania seguendo l'ideologia della forza negante il diritto storico e naturale alle nazioni, rappresentò evidentemente il nemico, mentre l'Intesa, che sosteneva le idee della libertà e rappresentava ]a civiltà politica e culturale dell'Occidente e di conseguenza le idee di libertà dei popoli oppressi, divenne alleata natura.le dei soldati cecoslovacchi e di tutta la nostra nazione. L'Italia che doveva sostenere una difficile lotta direttamente con l'Austria-Ungheria e che, specie nell'ultima fase della guerra mondiale, sostituì la Russia uscita dal cimento, fu per noi un alleato particolarmente vicino. Ad essa il soldato cecoslovacco si sentì legato da una comune idea , da una lotta comune , dal sangue versato in comune. Il legionario cecoslovacco ne difese il suolo con tutte le sue forze ed a costo di ogni sacrificio, come fosse il suolo del nuovo Stato. Gli esploratori infersero militarmente dei colpi efficaci al nemico. Mentre ancora faceva.no parte dell'esercito austro-ungarico essi ne scossero il morale passando nel campo dell'alleato italiano, dopo accurata preparazione e
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seguendo piani ben predisposti, causandogli gravi danni con l'apporto delJe loro informazioni. Passati nelle file dell'esercito alleato italiano, sconvolsero il nemico dall'esterno con una singolare propaganda a base di contatti con l' avversario, mirante a dimostrare sistematicamente ai soldati appartenenti alle nazionalità oppresse il fondamento ideale immorale della guerra dell 'Austria-Ungheria. Questa propaganda degli esploratmi fu, insieme al loro servizio d'informazioni, un'efficace arma militare, politica e morale per la causa cecoslovacca, per la causa italiana e dell 'Intesa in generale. I contatti tenuti col nemico lungo tutto il fronte italiano nelle più svariate condizioni di terreno, portarono, spesso, ad imprese ardite, come al passaggio in territorio nemico, ad azioni d'offesa e di difesa e finalmente all'avanzata vittoriosa durante l'ultima offensiva italiana. Cima Tre Pezzi, il Basso Piave, la marcia su Trento e Bolzano ne sono esempi eloquenti, mentre la vittoria al Monte Val Bella fu uno degli avvenimenti più salienti della pa1tecipazione cecoslovacca alla guerra mondiale. I sacrifici fatti, specie nella difesa del Montello durante l'offensiva austro-ungarica del giugno, costituirono il prezzo della lotta dei Cecoslovacchi per l' indipendenza. La maggior parte dei soldatj impiccati dall'Austria-Ungheria sono stati esploratori cecoslovacchi. Come giustamente scrisse il capo della 1ivoluzione cecoslovacca alI'estero e Presidente della Repubblica cecoslovacca, T. G. Masaryk, essi compirono per l' idea della giustizia e per la libertà il massimo dei sacrifici. La fama del loro indomito ed eroico coraggio corse per il mondo, convincendo amici e nemici della forza morale, delle aspirazioni di libertà dei cecoslovacchi e dell'invincibile volontà di questi soldati di liberare la ]oro nazione dal giogo degli Asburgo. Gli esploratori, organizzati più tardi nel glorioso 39° Reggimento cecoslovacco "Generale Andrea Graziani", compirono il loro dovere militare , politico e morale anche sul suolo del rinnovato Stato cecoslovacco, nella Slovacchia meridionale. Le loro azioni militari , politiche e di propaganda, storiche nel vero senso della parola, furono - come potei convincermi visitando nell'ottobre 1918 la loro 1a compagnia - sono e saranno altrettanti documenti della collaborazione e dell' amicizia fra la Cecoslovacchia e l'Italia, amicizia di idee e di interessi , amicizia militare e politica, amicizia di lotte e di sangue versato in comune. Dottor Eduard Benes, Ministro degli affari esteri.
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GENERALE D'ARMATA }AN S YROVY, ISPETTORE G ENERALE DELL'ESERCITO CECOSLOVACCO.
È sempre vivo nel mio ricordo il telegramma che nel giugno 1919 inviai da Irkutsk a Krasnojarsk , in occasione dei combattimenti sostenuti dai cecoslovacchi e dagli italiani contro gli insorti della Siberia centrale, al comandante dei reparti italiani Colonnello Passini Camossi. Il telegramma era del seguente tenore: "Alle gloriose truppe italiane invio le mie cordiali congratulazioni per la vittoria. Nutro una sincera ammirazione per l'eroica e per noi preziosa.fratellanza d'armi nel reciproco aiuto in Siberia e per il sangue italiano e ceco versato in comune. Questa nuova amicizia lega intimamente queste due nazioni andate in guerra per la civiltà contro il pangermanesimo". E nella mia mente sono rimaste impresse in modo incancellabile le belJe parole indirizzate a me, allora comandante supremo delle truppe cecoslovacche in Russia , dal comandante dei reparti italiani: "Ringrazio commosso a nome degli ufjkiali e delle truppe italiane per i sentimenti e:,pressi nel vostro telegramma. I soldati italiani non potevano non gareggiare coi soldati cecoslovacchi che su tutti i campi diedero sempre splendide prove del loro coraggio. Siamo strettamente legati nella comune idea della civiltà e della libertà e il sangue sparso in comune sarà una nuova prova della nostra incrollabile amicizia" . Queste manifestazioni della collaborazione cecoslovacco-italiana in guerra documentano chiaramente che la frate)lanza d'armi dei due eserciti, sia nell' Estremo Oriente che in Italia, ebbe origine da comuni ideali e di libertà e di giustizia e che essa, resa sacra dai comuni sacrifici, di venne un legame indissolubile nei momenti decisivi della storia. Questi ideali, che già condussero alla comune vittoria, formarono la base sulla quale venne creato l'esercito cecoslovacco anche nel rinnovato Stato indipendente.
Generale d' Armata Jan Syrovy, Ispettore Generale dell 'Esercito cecoslovacco.
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IL 39° REGGIMENTO ESPLORATORI CECOSLOVACCO
GENERALE RUDOLF MEDEK, DIRETTORE DEL M USEO DELLA LIBERAZJONE , POETA E SCRITTORE.
GLI ESPLORATORI La nazione cecoslovacca nutrì sempre una sincera ammirazione per l'Italia. Non soltanto perché questo paese è per tutto il mondo un tesoro di bellezze, non soltanto perché le sue pianure vennero attraversate dalla storia grande e gloriosa dell'età antica e del medioevo, ma principalmente perché l'Italia diede nell'epoca moderna l'esempio di una lotta eroica per l'Unità nazionale di tutte le sue regioni e di tutti i suoi figli, per la costituzione di un moderno stato nazionale. L'idea garibaldina e la stessa camicia rossa garibaldina vennero adottate dai nostri Sokol e da tutta la nazione. Ma i nostri rapporti con l'Italia culminarono, durante la guerra mondiale, in un atto che la storia delle nazioni mai dimentica: nella vera e sincera fratellanza d'armi. L'Italia ci permise l'onore di combattere, come volontari cecoslovacchi, a fianco del suo esercito per la libertà della nostra nazione, per l'Italia, per la nuova Europa. Ciò che per l'esercito cecoslovacco in Russia fu la "Compagnia ceca" e per le legioni cecoslovacche di Francia la Compagnia "Nazdar", per l'esercito volontario cecoslovacco d'Italia furono gli "Esploratori" inquadrati poi nel 39° Reggimento d'Esploratori. Come la Compagnia ceca, come la Compagnia Nazdar, anche gli esploratori cecoslovacchi d'Italia combatterono "senza garanzie", senza discutere se sarebbero stati un giorno riconosciuti o no come unità dell'Intesa, ma decisi di ottenere tale riconoscimento con l'azione e non con le parole e le declamazioni. Gli esploratori prepararono il riconoscimento del nostro esercito in Italia. Furono dei veri fratelli degli esploratori che li precedettero nelle battaglie di Zborov e di quelli che combatterono a Neuville-Saint-Vaast il 9 maggio 1915. E furono anche amati dai fratelli degli altri reggimenti della legione italiana, perché nessuno poteva non invidiare loro di essere stati i primi nella grande lotta per la libertà, ma nessuno poteva non riconoscere che furono essi a permettere, con altre grandi azioni, la realizzazione dell'opera iniziata. Io considero felicissimi quei momenti della mia vita, nei quali ebbi fortuna di visitare i luoghi sacri dei campi di battaglia dell 'Italia
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Settentrionale e di inchinarmi dinanzi alla memoria dei caduti italiani e cecoslovacchi e alla memoria del Martire dei Trentini, Cesare Battisti, e dei molti legionari cecoslovacchi giustiziati. In quei luoghi ho compreso che il sangue colà versato è sacro e lega per tutti i tempi le due nazioni. Credo che la missione morale degli esploratori, come pure degli altri legionari cecoslovacchi d'Italia, non perderà mai il suo profondo significato. Generale Rudolf Medek
PARTE PRIMA IL DIFFICILE PERCORSO VERSO LA COSTITUZIONE DI UN ESERCITO CECOSLOVACCO IN ITALIA. L' ATTlVIT Ã&#x20AC; SVOLTA DAI CECOSLOVACCHI DEI RJ~PARTI ESPLORATORI.
CAPITOLO PRIMO Origini ed evoluzione degli esploratori. Le diserzioni di ufficiali cecoslovacchi nelle file italiane con notizie e piani. Vaclav Pan alla 2a Armata. Jaromir Vondracek alla 3a Armata. Frantisek Hlavacek a Cividale, a Udine, al Comando Supremo, Bibbiena e Polla. Collaborazione nella battaglia della 2a Armata, maggio e giugno 1917. Hlavacek all'Ufficio Informazioni della 2',. Armata per i preparativi della XI offensiva. Collaborazione con l'Ufficio Stampa del Consiglio Nazionale. Nell'agosto 1917 nuovamente al fronte. Nomina a direttore del Consiglio Nazionale dei Paesi Cecoslovacchi a Roma. Il Comando Supremo incarica Hlavacek di un viaggio al fronte nel dicembre 1917. Carzano: il Dottor Pivko, il Capitano Finzi, il Generale Zincone. "Reparto ceco-slovacco-jugoslavo", Hlavacek dagli esploratori. Il Generale Diaz e il Generale Piccione. Alla 4°, 3a e 2a Armata. Il dottor Benese la richiesta del comando militare italiano di.formare dei reparti di esplorazione. La campagna della stampa milanese. I deputati e senatori lombardi per l'indipendenza cecoslovacca e la concessione dell'esercito. Il "Fascio della difesa nazionale" per la causa ceca. Hlavacek alla r Armata. Memorandum del Colonnello Marchetti.
Gli esploratori hanno cost1tmto la componente piĂš vecchia delle legioni cecoslovacche in Jtalia; essi furono in pratica i fondatori dell'esercito cecoslovacco indipendente in Italia. Combatterono ancor prima che un esercito regolare cecoslovacco fosse costituito e riconosciuto su un piede di eguaglianza con gli altri eserciti alleati. L'origine di questi reparti e il loro sviluppo, fino alla creazione di tutto un reggimento di esploratori, rispecchiano fedelmente l'insieme degli sforzi intensi fatti per ottenere in ltalia un esercito cecoslovacco indipendente e sono nello stesso tempo una chiara prova che in Italia, piĂš che altrove, furono i successi militari a decidere la lotta per l'indipendenza, prima dell 'azione politica, e che, sostanzialmente, essi hanno aiutato i capi politici ad ottenere successi in campo diplomatico.
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Fin dall'anno 1916 (e, in misura più ristretta, già nell'anno 1915), avvenivano sul fronte italiano degli episodi eccezionali che col loro carattere sorprendente avevano richiamato l'attenzione del Comando Italiano. Infatti, dall'esercito austriaco disertavano continuamente degli ufficiali e dei sottufficiali di nazionalità ceca e slovacca, non per evitare di trovarsi sulla linea di combattimento, ma viceversa proprio per partecipare immediatamente, nelle file italiane, alla lotta contro il nemico del loro stesso sangue. A questa lotta giungevano magnificamente equipaggiati: portavano notizie preziose, raccolte da un pezzo con gran cura sulle posizioni dell'esercito austro-ungarico, sulle sue forze , sulla dislocazione dell'artiglieria e dei comandi superiori, sui suoi sistemi di difesa, sulle sue intenzioni, soprattutto offensive, abitudini, stato d'animo: in genere tutte notizie che, coi moderni sistemi di lotta, acquistano un' importanza eccezionale e senza le quali la condotta vittoriosa della guerra è impossibile. Non c'è davvero da meravigliarsi che inizialmente gli Italiani non riuscissero a capire come mai notizie così preziose piombassero loro in grembo così gratuitamente. Ma i nostri primi combattenti, pieni d'entusiasmo, non si lasciavano scoraggiare da questa sfiducia. Essi insistevano personalmente perché le notizie che avevano portate fossero rapidamente utilizzate, prendevano parte di persona alle azioni e concorsero così spesso a successi italiani di vaste proporzioni. Fra quesJi combattenti vennero segnalati soprattutto Hlav,1.cek, Vondracek, Sàrek, Studiar, Ostrcil, Pan, Cerny, e numerosi altri. Anche dopo aver realizzato il loro sogno rimasero volontariamente nelle file italiane in veste di "informatori" presso gli uffici informazioni delle diverse armate. E come "informatori" - chiamati anche "esploratori di guerra" - essi resero agli italiani nuovi eccezionali servigi. Conoscevano bene ]e lingue di tutte le diverse nazionalità austriache e sapevano abilmente ottenere notizie preziose dai prigionieri, servendosi di espedienti diversi. Anche per i disertori fungevano da ottimi interpreti . Essi richiamavano l'attenzione degli Italiani sui metodi di combattimento austriaci, insegnavano loro a valutare le diverse nazionalità, i diversi reggimenti e a seconda di ciò elaborare la propria condotta e realizzare nuove azioni. Ma soprattutto, data la loro buona conoscenza dell'esercito austriaco e della situazione che vi regnava, "aprivano gli occhi" agli Italiani su come bisognava osservare tutti i fenomeni dalla
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parte del nemico , come intenderli e come, di conseguenza, prendere le più opportune contromisure. Questa loro azione continuò a svolgersi per diversi mesi. Così Vaclav P,fo, un intelligente industriale , fu informatore della 2a Armata nei mesi di agosto e settembre 1916, Florian Ostra.il , sottotenente, fu anch'esso alla 2a Armata per circa un mese, ed altri, chi più, chi meno. Una bella azione fu compiuta da Jaromfr Vondracek. Aggregato al comando del reggimento, egli meditava da un pezzo di disertare e a questo scopo andava preparando del materiale prezioso. Non appena lo ebbe raccolto, fece volontariamente domanda di andare in trincea. Gli uomini e gli ufficiali del reggimento non erano molto entusiasti della guerra. Era il 41 ° Reggimento Fanteria, formato da quasi tutte le nazionalità austro-ungariche, ma con prevalenza di Rumeni, Bielorussi e Polacchi. Gli ufficiali romeni, i due fratelli Claudius e Modesto Isopescul e Sachlean, si lasciarono presto persuadere. E così Vondracek si mise al lavoro. Seguiamo quello che Vondracek stesso racconta: "Nella notte dall' 11 al 12 agosto 1916 andai, ben preparato, a "ispezionare le vedette". Fortunatamente raggiunsi le trincee italiane senza esser disturbato da nessuno e là caddi nelle mani del Tenente G. Trenner, cognato del martire Cesare Battisti. Era questi uno dei pochi italiani - nella vita borghese professore - che già allora sapevano cosa fossero i Cechi e quindi capì subito perché fossi scappato. Siccome parlava benissimo il tedesco, ci intendemmo immediatamente e combinammo all'insaputa del "Comando Supremo" un progetto che diede agli Italiani una buona vittoria e molti prigionieri e armi. Indicai al Trenner il settore che avevo così bene conosciuto. Ebbi il compito di tornare in.dietro nelle trincee austriache e di far passare la mia compagnia dalla parte italiana, ciò che avvenne nel seguente modo: gli Italiani aprirono un jiwco violento da una parte e dall'altra del mio settore ed io passai tranquillamente con tutta la compagnia sul terreno che non era sotto il.fuoco e raggiunsi le vicine trincee italiane . Nel settore rimasto ind(feso, penetrarono poi gli Italiani condotti dal Maggiore Onesto Carnevali, giungendo alle spalle del III battaglione del 41 ° Reggimento Fanteria che fecero tutto prigioniero, insierne col comandante, Maggiore Hubrich. Così cadde la quota 212 "Sul Loge" il giorno 12 agosto 1916.
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Fui poi accolto e aggregato all'Ufficio Informazioni della 3a Armata italiana a Romans, dove feci servizio per tre mesi". A conferma di ciò ottenne la seguente: DICHIARAZIONE Su richiesta del Tenente Vondrdcek sig. Jarom{r dichiaro che lo stesso, dopo la sua diserzione il 12.Vlll.1916, ha offerto immediatamente i suoi servizi al R. Esercito Italiano. Egli ha prestato servizio nell'Ufficio Informazioni della ]<1 Armata quale confidente (esploratore di guerra) alle dipendenze del sottoscritto. Italo Nascimbeni Capitano del Regio Esercito Italiano Dopo tre mesi, richiesto dove volesse andare, pregò che lo si mandasse in Russia nell'esercito cecoslovacco che s 'era già costituito là. E questo gli fu promesso; ma poi fu mandato a Bibbiena in provincia di Arezzo in un campo di concentramento di prigionieri e non lasciò l'Italia che alla fine della guerra. Non c ' era da esserne meravigliati, i Cecoslovacchi erano un popolo sconosciuto e gli Italiani si mantenevano in un atteggiamento di ben comprensibile diffidenza. Per quanto la sorte del Vondracek fosse un po' amara , in sostanza egli finì coll'assistere al successo del proprio lavoro ed ottenne un sia pur temporaneo riconoscimento. Un'importanza e un significato assolutamente eccezionale raggiunse invece l'attività di Hlavacek, la cui personalità merita di essere illustrata in modo particolare. Il suo operato per aprirsi la strada dalla sua condizione di tenente disertore austriaco - prigioniero senza alcuna libertà, guidato nei suoi primi passi in Italia da disertore - da un semplice carabiniere - al posto dì rappresentante del Consiglio Nazionale dei Paesi cecoslovacchi a Roma, dove alla fine, insieme a tanti altri, riuscì ad orientare il punto di vista dei circoli politici italiani sull'Austria-Ungheria e sulle nazioni che la costituivano, questo suo lavoro dicevamo, è un esempio dello sforzo realmente sovrumano e degli ostacoli incontrati dalla nostra azione all'estero.
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Hlavacek, nato a Slavko (Austerlitz), in Moravia, era stato politicamente attivo ancor prima della guerra, e aveva fatto propaganda dell'idea di indipendenza ceca nei suoi numerosi viaggi all'estero, sia nei Balcani, che in Polonia e in Italia. Allo scoppio della guerra - per quanto avesse già quarant'anni e fosse già padre di famiglia - rifiutò la proposta del Presidente della Camera di Commercio di Praga che voleva dichiararlo insostituibile nel suo ufficio e farlo esentare dal servizio militare, e non accettò nemmeno l'offerta dei medici militari serbofili di Zagabria che si offrivano di salvarlo per parecchi mesi dal fronte; fin dal primo momento cercò invece un'occasione favorevole per agire attivamente contro l'Austria in campo militare. Questa gli si presentò nell'estate del 1916, quando fu mandato sul fronte dell'Isonzo. Incominciò subito a studiare il terreno, tutte le fortificazioni, le vie di comunicazione e in genere tutto quanto poteva essere utile all'esercito italiano. Questo studio gli fu facilitato dal fatto d'essere stato nominato Aiutante Maggiore del suo battaglione, cosa che gli permise di prender visione delle diverse ca11e, rapporti riservati, ecc. E dato che il battaglione occupò successivamente diversi settori, in poco tempo egli ebbe gli schizzi e tutti i dettagli d'una delle zone più importanti del fronte austriaco sull'Isonzo, presso Auzza, per una lunghezza di circa 6 km, e che rappresentava la chiave dell'Altopiano della Bainsizza. Gli Austriaci consideravano questo settore quasi inespugnabile o meglio un settore dove l'attacco da parte italiana era quasi impossibile. I suoi punti di forza consistevano nelle difficoltà di traghettare il fiume dalla parte italiana e nell' esistenza di alcuni capisaldi, in caverne coinpletamente scavate nella roccia, nelle quali erano nascosti pezzi d'artiglieria da trincea, mitragliatrici, lanciabombe e lanciafiamme, e che dominavano così completamente i punti di passaggio del fiume in questo settore. Rivelando la loro dislocazione ed altri segreti, il settore veniva a trovarsi di colpo espugnabile. Dietro al fronte non c'erano riserve. E l'insufficienza delle strade impediva il rapido affluire dei rinforzi più lontani. Un altro fattore importantissimo era anche la circostanza che le truppe di quel settore si componevano in prevalenza di cechi; alcuni ufficiali patrioti, e in primo luogo il comandante del battaglione, Maggiore Platzer e il suo Aiutante Maggiore Hlacek, come pure alcuni soldati, diffondevano fra la truppa lo spirito rivoluzionario antiaustriaco.
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Dopo aver finito tutti i preparativi e gli studi, Hlacek tentò alcune volte di raggiungere la riva italiana passando a nuoto l'Isonzo, ma sempre senza riuscirci. Solo nell'agosto del 1916, durante la grande battaglia di Gorizia, mentre il battaglione era stato rapidamente chiamato ad occupare la Sella di Do!, egli riuscì a fuggire in direzione di Salcano Gorizia. Consegnò al Colonnello Spiller rapidamente le notizie più importanti per questo settore, in base alle quali fu eseguita subito una riuscita, limitata azione militare, e nello stesso tempo chiese di poter presentare allo Stato Maggiore le informazioni - corredate di circa 50 piante, copie di ordini riservati austriaci, ecc. - che aveva portato con sé. Ma questo non lo ottenne. Fu mandato insieme ad altri nel campo di concentramento di Cividale. Gli Italiani in quel tempo non avevano avuto ancora l'idea di utilizzare i Cecoslovacchi. Ma le continuate insistenze di Hlavacek gli ottennero dopo qualche giorno di essere accontentato. Fu chiamato al Comando Supremo a Udine, dove presentò tutte le sue notizie e proposte dinanzi ad una commissione di ufficiali con a capo il Generale Calcagno e su loro invito le elaborò in un memoriale. In base a questo il Comando Supremo ordinò al Comando della 2a Armata italiana di studiare in dettaglio il terreno, cosa che fu eseguita soprattutto dal Comando d'Artiglieria della 2,i Annata, sotto la sua guida del Generale Du Lac; Hlavacek stette con lui quasi un mese dando un buon contributo al lavoro, grazie alla sua profonda conoscenza dì quel settore del fronte austriaco. Ma poi, malgrado le sue proteste, fu di nuovo mandato nel campo di concentramento dei disertori a Bibbiena e successivamente a Polla. L'azione che Hlavacek sognava di veder realizzata, in base agli studi fatti nell 'autunno del 191 6, non fu eseguita quell'anno, ma solo nella primavera (maggio - giugno) del 1917, quando il Generale Badoglio, diventato Capo di Stato Maggiore della 2" Armata comandata dal Generale Capello, riconobbe l'importanza delle informazioni fornite da Hlavacek e consentì ad effettuare l' impresa nel quadro di un piano strategico che mirava a sfondare con un assalto il fronte austriaco sul medio Isonzo, in connessione colla battaglia principale che doveva aver luogo su tutto il fronte dell'Isonzo fi no al mare. Hlavacek fu chiamato al fronte dal campo di Polla nell 'aprile del 1917 e così poté collaborare coli' Ufficio Informazioni della 2a Armata e col comando della 47a Divisione (alla quale fu riaggregato) del
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Generale Farra, coi comandanti delle due brigate, i colonnelli Montanari e Gotti, e coi comandi cli tutti i reggimenti e battaglioni che dovevano partecipare all'azione; il lavoro veniva fatto in gran parte direttamente nelle trincee, dove i comandanti erano informati degli ostacoli, fortificazioni, strade, e istruiti sulla migliore utilizzazione del terreno dalla parte austriaca. Tra i primi a comprendere i moventi ideali di questo cecoslovacco e l' importanza delle sue informazioni fu l'allora Colonnello di Artiglieria della 4r Divisione Federico Ernesto Baistrocchi, lavoratore instancabile e pieno di entusiasmo, competente profondo, che dedicava perfino le notti allo studio del settore affidato alla Divisione, verificando ogni minimo dettaglio. Quando il 10 maggio, sul Globocac, Hlavacek mostrò al Colonnello Baistrocchi una caverna in cui era nascosta una batteria austriaca di cui prima non s'era sospettata l'esistenza, questi lo abbracciò, felice che si evitassero così alle sue truppe delle sanguinose e forse inutili perdite. Baistrocchi s'era conquistato pienamente il cuore del Cecoslovacco, tanto che qualche tempo dopo leggiamo nel diario di guerra di Hlavacek: "Oggi il Colonnello Baistrocchi è stato promosso generale. Mi congratulo di cuore: è uno dei migliori ufficiali che io abbia mai conosciuto". L'azione era dunque ottimamente preparata, soprattutto dal lato artiglieria, e tutte le informazioni di Hlavacek vennero pienamente sfruttate. Le caverne - nelle quali erano nascoste le truppe austriache durante il bombardamento - furono messe fuori combattimento dall'artiglieria italiana con tiro tambureggiante cli shrapnel - Hlavacek infatti aveva ottenuto dal comando cli artiglieria che le caverne non fossero colpite da granate, perché in esse non restassero sepolti i soldati cechi - e le truppe italiane passarono l'Isonzo quasi senza perdite. I Cechi non fecero quasi resistenza, aspettavano gli ltaliani con impazienza e si arresero; tra gli altri tutto il battaglione del patriota Maggiore Platzer, presso il quale aveva servito Hlavacek. Anche il presupposto delle insufficienti riserve austriache si verificò, perché nei due giorni di preparazione d'artiglieria gli Austriaci non riuscirono a portare sull'Altopiano della Bainsizza che pochissimi reparti, come rinforzo. Ma , ad onta di ciò, l'azione non assunse quelle vaste proporzioni originariamente previste. Le ragioni furono diverse; e tra esse aveva ancora pesato quella diffidenza iniziale degli Italiani verso i
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Cecoslovacchi che ancor dopo, per tanto tempo, fece cader nel vuoto successi sicuri e di lunga portata. Infatti, immediatamente prima dell'azione, lo stesso Generale Capello aveva cambiato tutto il piano in modo che invece di un potente sfondamento del fronte austriaco si ebbe in questo settore solo un 'azione dimostrativa. Visti i risultati dell'azione, gli ambienti militari rimpiansero moltissimo tale cambiamento, perché anche i più dubbiosi ebbero dopo la prova che questo settore rappresentava veramente una falla nel fronte austriaco suli 'Isonzo e che, dopo aver conquistato l'Altopiano della Bainsizza, era possibile penetrare di sorpresa e senza trovar seria resistenza fi n nella selva di Tarnova e aggirare da sud le forti posizioni intorno a Tolmino e da nord le posizioni dietro Gorizia. Cosa che poteva creare una grave sconfitta e una ben critica situazione strategica per l'Austria. Fu perciò accettato il progetto di Hlavacek - presentato in un nuovo memoriale al Generale Capello - di ripete re l'operazione, naturalmente su basi alquanto cambiate. Il comandante della 2a Armata, Generale Capello, ottenne il consenso del Comando Supremo per compiere gli studi preparatori per questa nuova eventuale battaglia e aggregò Hlavacek all'Ufficio Informazioni . Uno dei risultati di questo lavoro fu la compilazione di un opuscolo dettagliato sull'Altopiano della Bainsizza, che fu edito dal Comando d'Armata per le truppe che dovevano operare, quale ottimo sussidio alla preparazione della futura battaglia. Compiuti questi preparati vi, Hlavacek partì per Roma, dove collaborò con l'allora Ufficio Stampa del Consiglio Nazionale Cecoslovacco, stringendo stretti rapporti con personalità politiche onde rendersi utile anche in tal campo alla causa cecoslovacca. In questo momento egli godeva già di tutta la fiduc ia degli Italiani. Dapprima, dopo la diserzione , la sua situazione giuridica era rimasta sempre quella di un prigioniero, tanto che aveva partecipato alla prima battaglia (maggio 1917) senza nessuna uniforme, in borghese. Dopo i risultati della battaglia egli era stato liberato, per intervento del Comando della 2a Armata , dalla posizione giuridica di prigioniero e gli era stata concessa, secondo le prescrizioni ancora vigenti , la cosiddetta "libertà condizionata", che però in realtà divenne subito libertà assoluta. Maturate le cose al fronte, egli fu chiamato da Roma nell'agosto 1917 per continuare la sua collaborazione nell'offensiva e venne aggregato al comando del XXIV Corpo d' Armata, comandato dal Generale Caviglia.
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Conscio ormai della saldezza de11a sua posizione, Hlavacek chiese il permesso di entrare nell'esercito italiano. Le disposizioni allora vigenti lo permettevano soltanto agli irredenti e la cosa era quindi irta di difficoltà. Ma le insistenze di Hlavacek fecero si che il Generale Caviglia lo accontentasse. Hlavacek fu aggregato al 31 ° Reggimento Fanteria italiano come "irredento", col nome di gue1Ta "Testolini" (traduzione approssimativa del suo nome). Alla parte presa da Hlavacek in questa battaglia fa cenno lo stesso Generale Caviglia nel suo libro "La battaglia della Bainsiz,z,a" a pag. 62: "Il Comandante del Corpo d'Armata aveva personalmente impiegato una buona settimana a controllare ed a completare lo studio delle posizioni nemiche, passando lunghe ore in trincea, con un ufficiale boemo, il Capitano Hlavdcek, già combattente nelle linee austriache di Canale, che perciò le conosceva perfettamente. Fu un lavoro minuzioso, che ci permise d'individuare quasi tutte le armi nascoste, o mascherate, del fronte nemico. Alcune di esse, però, si rivelarono durante la battaglia, che non erano note al nostro in.formatore, ma questa possibilità era stata prevista, essendo già passati vari mesi, da quando egli aveva lasciate le linee nemiche". Tre quarti dell'intero Altopiano furono conquistati. I combattimenti furono però, questa volta, molto aspò, perché gli austriaci, dopo la lezione di maggio, avevano rapidamente e ottimamente fortificato i punti più importanti. Sull'ultimo quarto della Bainsizza gettarono poi delle forze notevoli che trattennero l'ulteriore avanzata italiana. Come venne poi successivamente rivelato, erano truppe che venivano ammassate per il progettato sfondamento a Caporetto, il quale, in seguito a1la vittoria italiana della Bainsizza, fu spostato all'ottobre 1917 e certamente indebolito di forze. Per la sua collaborazione al fronte Hlavacek fu insignito della croce di guerra italiana. E quando poi nel settembre 1917 il dottor Benes venne in Italia per trattare col governo italiano e sentì per bocca delle autorità militari e politiche dei successi ottenuti da Hlavacek e della sua popolarità ed egli stesso si rese conto del lavoro da lui compiuto lo nominò direttore dell'Ufficio di Roma del Consiglio Nazionale. In questo modo egli ottenne il riconoscimento ufficiale che s'era largamente meritato colla sua attività indipendente svolta tutta a suo rischio e pericolo, con disincantato entusiasmo.
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Come egli fosse stimato nell'ambiente militare lo dimostrò lo stesso Comando Supremo nel dicembre 1917, quando chiese a Hlavacek, per mezzo del proprio ufficio di Roma, di compiere un viaggio sul fronte per tre scopi principali: per organizzare la propaganda italiana a mezzo di manifestini destinati ai soldati cecoslovacchi e slavi dell 'esercito austriaco, per accertare esattamente, attraverso gli interrogatori dei prigionieri di recente data , lo stato d'animo di questi elementi nell'esercito austriaco e delle nazionalità ribelli in Austria e infine di organizzare i reparti esploratori. Così nel gennaio 1918 Hlavacek arrivò a Padova al Comando Supremo e di là raggiunse tutti i comandi delle armate che operavano sul fronte, dovunque consolidando il terreno agli esploratori che già lavoravano presso molte armate come volontari senza alcuna veste giuridica. Sul suo lavoro per l'organizzazione di questi primi reparti d'esplorazione ci intratterremo più tardi. La sua successiva attività politica è già nota. Essendo stato lui stesso soldato e avendo vissuto nelle trincee e nei campi di concentramento, aveva il vantaggio, di fronte ad altri dirigenti, di capire bene l'anima del soldato. Visitava i numerosi campi di concentramento di prigionieri, li informava dei progressi del movimento cecoslovacco, aiutava ad organizzare il movimento dei volontari cecoslovacchi al campo di Padula, operava nel campo politico perché fossero riconosciute in Italia le nostre aspirazioni all'indipendenza e fosse ufficialmente autorizzato in Italia un esercito cecoslovacco 1 • Tutti i cecoslovacchi finora menzionati erano "esploratori di gue,n" e svolgevano compiti informativi. Soli, di propria iniziativa, essi passarono in Italia inducendo gli Italiani ad utilizzarli per scopi di esploraz10ne. E questi primi cecoslovacchi, presentatisi già nel 1916 con notizie e piani a tempo preparati, e che poi continuarono a compiere il servizio cli informatori presso le diverse armate, furono i primi esploratori. Essi formarono, quindi, fin dal 1916, la base dei gruppi e dei reparti d'esploratori che si costituirono più tardi con organizzazione, <lesi-
'Su questa attività del Hlav~icek vedi l'opuscolo della dottoressa Mii. Paulova, "Il Congresso delle nazionalità oppresse dell'Austria -Ungheria nel 1917".
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gnazione e forza diverse, e agendo ciascuno per proprio conto, ancor prima dell'arrivo dei rinforzi da Padula, senza che, talvolta, nessuno avesse idea della loro esistenza, finché nell'agosto 1918 assunsero la regolare denominazione di reggimento, e precisamente 39° Reggimento Esploratori. Un'azione analoga, eccezionale per la sua ampiezza, è costituita dalla cosiddetta "sorpresa di Carzano" preparata per mesi interi nel 1917 da parte del V battaglione del 1° Reggimento della BosniaErzegovina, d'accordo tra Cecoslovacchi e Jugoslavi. I principali cospiratori erano quasi tutti Cechi, ufficiali, aspiranti e, tra i sottufficiali, soprattutto l'eroico Karel Mlejnek. Capo del complotto era uno Jugoslavo, il Dottor Ljudevit Pivko2, comandante del suddetto battaglione, il quale aveva pensato e studiato tutta 1'impresa, convincendo gli altri e soprattutto assicurandosi il concorso di tutti gli uomini di truppa jugoslav i. Il piano era stato ideato con molto ingegno e avrebbe potuto arrecare agli Austriaci un colpo estremamente grave. Dal 12 luglio al 17 settembre quelli di Carzano furono in stretto contatto con gli Italiani, richiamando l'attenzione di questi su tutte le azioni preparate dagli Austriaci e studiando fin nei minimi particolari quanto poteva occorrere per lo sfondamento del fronte da parte italiana. Già nella prima lettera, consegnata da Mlejnek il 12 lugJio agli italiani, Pivko aveva esposto ampiamente tutto il piano, come narra egli stesso nel suo libro "Carzano'' alle pagg. 170-173. "Premetto anzitutto che dei ribelli jugoslavi e cechi, organizzati nel battaglione, desiderano entrare in contatto coll'Italia. Noi riteniamo essere possibile rovesciare l'equilibrio delle forze militari prima dell' o.ffensiva tedesca e austriaca che si prepara su.ll'Jsonzo, a favore dell'Italia e dei suoi alleati. Noi, Jugoslavi e Cechi del battaglione bosniaco, ci consideriamo alleati dell'Intesa. Offi-iamo all'esercito italiano le posizioni della Valsugana e raccomandiamo all'Italia di eseguire con forze adeguate un potente attacco, secondo i piani allegati. La prima colonna, che dovrebbe muoversi dalla Valsugana, per Levico verso Pergine e Trento, non è, a nostro modo cli vedere, così importante come la seconda, che forzerà il passaggio a nord sotto il Salubio,
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La moglie del dottor Pivko era una ceca di Praga.
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lungo il Maso e la Val Calamento, fino alla Val di Fiemme sopra Cavalese e tenterà di tagliare presso Ora sotto Bolzano la principale ed unicaferrovia di tutto il Tirolo del sud. Lo Stato Maggiore voglia studiare i piani, gli schizzi e Le carte allegate; e tenga conto che in questo momento vi sono ancora, è vero, delle truppe tedesche nelle retrovie del Tirolo, da Trento in su, come è evidente dagli allegati, ma queste truppe stanno già partendo e partiranno quanto prima verso il fronte dell'Isonzo, dove si fanno preparativi per la grande,forse la più grande, offensiva contro l'Italia . A tutte le singole colonne il gruppo dei cospiratori del battaglione bosniaco metterà a disposizione delle guide. I comandi italiani dovranno preparare il materiale per il ponte sul Maso presso Agendo, perché all'occupazione del settore della Valsugana segua immediatamente l'avanzata delle truppe italiane con tutti i mezzi celeri. Propongo che tutta l'azione sia eseguita improvvisamente, di sorpresa. L'inizio dell'azione dovrebbe svolgersi a cuneo da Strigno a Villa attraverso il Maso presso Carzano . La seconda.fase dovrebbe portare all'occupazione di tutto il settore della Valsugana e all'accerchiamento dell'artiglieria della I 8a Divisione dal Civa ronejìno al Pasubio e sopra San Pietro. La terza fase dovrebbe comprendere il passaggio delle colon.ne nelle retrovie con biciclette, sono pronti 5 passerelle e ponticelli sul Maso. Per le automobili e l'artiglieria il comando italiano dovrà costruire il ponte già citato, il che però non rappresenterà una perdita di tempo, perché la strada sulle due sponde del Maso è ancora intatta. La prima e la seconda fase possono essere eseguite in una sola notte, in alcune ore, la terza fase dipende dalla forza e dalla rapidità del movimento. I congiurati sono pronti a collaborare sempre e in qualunque luogo se il comando italiano potrà aver bisogno delle loro forze e riterrà utile La loro conoscenza della situazione. È nostra intenzione di aprire Le posizioni di Carzano, tagliare in un dato momento tutte le comunicazioni telefoniche coi settori, le batterie, la 18re la Brigata di montagna e La 18a Divisione; vogliamo interrompere la corrente elettrica e danneggiare la centrale elettrica che alimenta i reticolati della Valsugana . Accludo i piani riservati della i 8a Divisione nella scala i :25 .000, tutte le carte speciali necessarie nella scala 1 :75 .000, le carte riserva-
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te con segnata la linea italiana, il settore di Carzano nella scala 1: 1O.000 e molti schizzi dei singoli settori della Valsugana nelle scale da 1 :500 a 1 :2000. Lo Stato Maggiore italiano deve confermare di aver regolarmente ricevuto il plico sigillato con tutto il contenuto, come è indicato nell'elenco accluso. 'la conferma ci sarà data con 2 tiri di pezzi da 150 esattamente a mezzogiorno sul ponte di Carzano. Il mio messaggero sia rinviato a Carzano dallo Stato Maggiore per la stessa via, sia perché ne avremo ancora urgentemente bisogno, sia perché non vogliamo avere delle noie per una diserzione, e infine perché ci porti una risposta. Al messaggero dovrà essere consegnato un foglio coll'indicazione di quando e dove dovrà recarsi, nelle linee italiane, il comandante dei congiurati di Carzano per trattare, cosa che sarà possibile ogni notte tra le 22 e le 24". Come mittente era indicato: " Mittente Tenente PaolinC Riservatissimo -Allo Stato Maggiore della Armata". Pivko e i suoi compagni ebbero la fortuna di incontrare presso questo Stato Maggiore due uomini che ebbero fiducia nel loro messaggio e giudicarono che potesse essere sincero e non un tranello austriaco. Entrando in contatto col supposto Tenente Paolini costoro si esposero a un grave rischio, in quei momenti di guerra pieni di inganni e tradimenti. Questi due ufficiali erano il capo dell'Ufficio Informazioni della la Armata, Colonnello Tullio Marchetti, del quale si parlerà spesso in questo libro, e il suo collaboratore, l'allora Maggiore Cesare Finzi, che pubblicò poi un bellissimo libro sul complotto di Carzano, col titolo "Il sogno di Carzano", nel quale esprime il suo sincero entusiasmo per il Capitano Pivko, come pure per i suoi compagni cechi, e descrive in modo suggestivo lo svolgersi degli avvenimenti, il coraggio e lo spirito di sacrificio di tutti gli elementi della parte "austriaca" e cioè gli Jugoslavi di Pivko e Vidmar e i molti Cechi che nomineremo più tardi. Finzi considerò il messaggio di "Paolini" come una cosa così seria, da valer la pena di rischiare la vita cadendo eventualmente in un tranello austriaco; perciò concordò con Pivko, per mezzo dei segnali conve-
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Nel suo volume su Carzano il Maggiore Pettorelli Lalatta Finzi -che l'autore indica sempre semplicemente come Finzi- scrive che il messaggio era firmato semplicemente Paolino (Nota del curatore) . 3
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nuti, un incontro di notte tra le linee italiane e austriache, durante il quale si mise d'accordo con lui. In alcuni successivi incontri notturni essi elaborarono insieme il piano d i tutta l'azione, nel quale ai nostri eroi di Carzano toccava una parte molto gloriosa, ma ne llo stesso tempo piena di rischi e che richiedeva un gran coraggio. Ma essi reali zzarono effettivamente tutto quanto avevano promesso. 1 compiti erano stati distribuiti con precisione, i singoli capi aspettavano le colonne italiane, per pa1tire im mediatamente con loro nelle direzion i prestabilite; gli Italiani penetrarono senza colpo ferire nelle trincee, eppure l'impresa fallì. G li ufficiali italiani incaricati di eseguire l'azione non nutrivano fiducia nella riuscita del piano. Il comandante dei bersaglieri, non appena penetrato nelle trincee e trovato il dottor Pivko , lo dichiarò suo ostaggio e non g li permise cli allontanarsi d'un passo dalla caverna in cui s'era rifugiato . Naturalmente era difficile po i dirigere il rapido sviluppo dell'azione successiva. Il comandante delle truppe italiane, il Generale di Brigata Zincone, considerava l'azione un parto della fantasia del Maggiore Pinzi e dell' Ufficio Informazioni dell'Armata. Così gli Italiani conquistarono le posizioni di Carzano senza perdite , facendo circa 300 prigionieri , ma nel contrattacco del battaglione d ' assalto, che come unica riserva era stato chiamato fin da Levico, la posizione fu di nuovo perduta e con essa centinaia di soldati. Aldo Valori nel libro "La guerra italo-austriaca" scrive a pag. 321, a proposito dell ' azione: "Il.fatto di Carzano può defìnirsi una mancata Caporetto austriaca; di minori proporzioni certamente, ma non di minore sign~ficato . È un episodio di alto tradimento da parte d'un ujjìciale austriaco e di alcuni suoi compagni, i quali, passati nelle nostre file, avevano potuto restare in contatto con parecchi Loro complici rimasti nelle file nemiche e avevano preparato un abilissimo piano, secondo il quale gli italiani, con un colpo di sorpresa, dovevano sfondare il fronte nemico in Valsugana e g iungere rapidamente fino a Trento". In ogni modo quest'azione richiamò l'attenzione del Comando Supremo italiano - i piani erano stati presentati direttamente al generaliss imo Cadorna - e anche dei circoli politici e costituì in sostanza un 'importante pietra miliare nella storia dello sviluppo dell'esercito cecoslovacco. Tutti quelli che vi avevano partecipato ottennero la libertà e , col consenso del Comando Italiano , si organizzarono in uno spe-
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ciale reparto indipendente "Cecoslovacco - Jugoslavo" impiegato dapprima presso gli uffici informazioni (interrogatorio dei prigionieri, ecc.) e poi, dal novembre I 917, sul fronte italiano per scopi di esplorazione e di propaganda mediante pattuglie indipendenti. Costituì il primo nucleo organizzato delJe legioni cecoslovacche in Italia create più tardi. Da essa derivò in seguito la sa compagnia esploratori del Tenente Jirsa. Un'altra dimostrazione della ferma volontà dei Cecoslovacchi di rischiare tutto per la liberazione della loro tena, era data dall'atto coraggioso di due marinai cecoslovacchi, il Sergente Bohumjl Brkl e l'aspirante ufficiale Bohumfr Petrla. Costoro facevano parte dell'equipaggio della torpediniera "T.B .11" che stazionava nel porto di Sebenico in Dalmazia. Bisogna rilevare che questa torpediera veniva annoverata fra le migliori unità della flotta austriaca. "Comandante, con il grado di Capitano (racconta Brkl in "Nase Revoluce" 1929-30, pag. 263 e segg.) era Heinrich Simmel, un Tedesco del Tirolo, tra i migliori di quei cosiddetti "Manoverofizier"" di cui la marina austriaca non aveva certo abbondanza. Era perciò molto ben quotato e stimato nei comandi superiori; e se c'era qualche viaggio importante da fare, in cui bisognava assumersi delle responsabilità, o se occorreva un ufjìciale con speciali capacità, doveva sempre uscir dal porto la torpediniera n. 11; se poi un ammiraglio o un generale doveva compiere un 'ispezione in Dalmazia, lo Stato Maggiore era sempre trasportato dalla "T.B .11 ". Ebbene! I nostri due cecoslovacchi riuscirono a passare colla torpediniera in perfetto stato e con tutto l'equipaggio dalla parte italiana, giungendo ad Ancona. Questo avvenne il 5 ottobre 1917. L'avvenimento meriterebbe una più vasta narrazione. Ci limiteremo però a questa semplice constatazione: i due Cecoslovacchi riuscirono ad assicurarsi con una sistematica opera di persuasione il concorso di parte dell'equipaggio (cioè altri 5 uomini, tutti di nazionalità slava), prepararono un piano preciso e ingegnoso, presero di sorpresa gli ufficiali e gli uomini fedeli all'Austria, rendendoli innocui, senza uccidere nessuno. Tutto questo avvenne ancora nel porto e occorsero non solo coraggio e astuzia, ma anche delle cognizioni tecniche, grazie alle quali
" Ufficiale di manovra.
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i ribelli riuscirono ad uscire dal porto e raggiungere la costa italiana. Appena giunti in Italia i Cecoslovacchi cercarono con ogni mezzo di rendersi utili agli Italiani. "Il pomeriggio (racconta Brkl nella ricordata pubblicazione) Petrla consegnò agli Italiani la sala macchine e le caldaie. Egli li informò di tutto. Donat invece spiegò il funzionamento degli apparati nebbiogeni e per la caccia ai sottomarini. Gli ufficiali ci chiesero un monte di cose: quando partivano i trasporti, dove erano disposte le mine, dove stavano le stazioni di osservazione, se la tale e la tal' altra isola erano abitate, ecc. Poco dopo a Venezia facevamo un rapporto su tutte le posizioni e i posti armati della costa austriaca e dei porti". Naturalmente li ritroviamo poi con gli esploratori, e cioè nel reparto aggregato della 1a Armata. Petrla venne presto trasfelito al Comando navale italiano di Padova, dove fece servizio fino alla fine della guerra5 • Anche nelle file dell'aviazione si trovarono dei Cecoslovacchi che passarono vcon l' apparecchio al servizio dell'Italia. Così fecero Vladimfr Cerny, Ladislav Hrdina e Jan Valente, mentre Jindfich Marsalek fuggì da Pola con un idrovolante. Alla fine del 1917 e soprattutto sul principio del 1918 c'erano degli informatori cecoslovacchi anche presso altre armate italiane. Erano arrivati là direttamente dalle trincee austriache e non avevano chiesto quale sarebbe stato il loro stato giuridico e la loro sorte. Il fatto di servire semplicemente sotto la bandiera italiana non dava loro noia. Essi si prestavano a rovesciare e a distruggere l'Austria - Ungheria e il loro puro entusiasmo dava loro la coscienza di agire rettamene. Essi non sapevano nulla delle lotte politiche in corso, ignoravano quanti fossero i volontari, chiedevano la libertà, all'interno dell'Italia, né sapevano della possibilità di arruolarsi in un esercito cecoslovacco; 5
Di questo episodio della diserzione di una torpediniera ultimo tipo - costruita nel I 912 e cioè immediatamente prima della guerra - si occupò pe1fino il Parlamento austriaco, dove i deputati tedeschi accusarono apertamente i Cechi di questo tradimento. Aldo Valori nel suo libro: "La guerra italo-austriaca" (pag. 321) fa cenno a questo fatto: "Romeni, Boemi, Sloveni, Dalmati passavano con.facilità nelle nostre file. Essi davano preziose informazioni. Un esempio inaudito di passaggio al nemico si ebbe anche nella Marina austriaca. Il 5 ottobre la torpediniera n. 11, uscita da Cattaro (o da Sebenico?) per scortare un sommergibile tedesco, venne a consegnarsi in un nostro porto dell'Adriatico, consenziente tutto l'equipaggio. L'unità nemica entrò a far parte del nostro naviglio silurante" .
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tutto questo forse essi lo appresero per la prima volta durante il viaggio fatto in gennaio da Hlavacek per visitare gli uffici informazioni delle varie armate, viaggio che ebbe un'importanza decisiva per l'ulteriore sviluppo dei reparti di esplorazione. In occasione dello stesso il Comando Supremo italiano trattò per la prima volta ufficialmente di affari concernenti l'esercito col rappresentante del Consiglio Nazionale cecoslovacco. Frantisek Hlavacek fu ricevuto in quest'occasione dal Comandante Supremo Generale Diaz, al quale presentò un esposto con le sue richieste, e continuò poi le trattative con il Generale Piccione, designato dal generalissimo stesso, che dopo alcuni colloqui lo invitò a compiere un giro presso i comandi delle tre armate che operavano in quel momento sul fronte (la l", la 3a e la 4a), come pure presso il Comando della 2" Armata, che si trovava allora nelle retrovie per completare la sua riorganizzazione dopo le gravi perdite di Caporetto. (L'urto principale delle forze austro-ungariche e tedesche era stato diretto appunto contro il settore della 2 3 Armata, tanto che questa era stata più duramente colpita delle altre). Presso questi comandi .Hlav,icek doveva concertare principalmente la propaganda nell'esercito austriaco a mezzo di manifestini o altro, e trattare con questi in vista della creazione di un esercito cecoslovacco indipendente. Dietro suo espresso desiderio gli era stato permesso, in questa occasione, di parlare coi prigionieri cechi e slovacchi che in quel momento si trovavano nei campi di concentramento prossimi al fronte, presso ]e diverse armate, sia per conoscere gli ultimi avvenimenti sul fronte austriaco e in genere in Austria, sia per incominciare subito tra essi la propaganda per il loro arruolamento nel futuro esercito cecoslovacco e mantenere il contatto durante il periodo che avrebbero ancora dovuto passare all 'interno, nei campi di concentramento. Il giro dei comandi d'Armata indicati e del Comando del Corpo d'Armata francese, che in quel momento operava in Italia nel settore del Monte Grappa, ebbe inizio alla 1a Armata in compagnia de] ColonnelloTullio Marchetti. Si fece anzitutto una tappa all'Ufficio Informazioni del Comando della 1a Armata a Vicenza, dove Hlavacek conobbe il Maggiore Finzi, ideatore (con il dottor Pivko), dell'azione di Carzano; di là il Colonnello Marchetti lo condusse a Verona, comunicandogli che alcuni prigionieri cecoslovacchi erano alloggiati nel vicino Forte Procolo. Lo condusse colà, perché potesse parlare con questi prigionieri e indurli ad arruolarsi nell'esercito cecoslovacco, nel
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senso degli accordi presi al Comando Supremo. Ma quale non fu la sua sorpresa, quando, mentre l'automobile entrava lentamente nel portone del forte, sentì tutto ad un tratto un energico comando ceco "Pozor!" e subito dopo "K pocte zbranf " 6 e scorse tutta una compagnia di circa 70 uomini in uniformi che parevano italiane, ma con molte varianti (distintivi secondo il modello francese e un fondo bianco-rosso nella stella a cinque punte sul berretto). Marchetti , mostrando la compagnia, si rivolse con un sorriso a Hlavacek, dicendogl i: "Ecco il vostro primo reparto cecoslovacco pronto!". Hlavacek non voleva credere ai propri occhi, quando insieme a Marchetti si presentò loro parlando in ceco, ma con uno strano accento sloveno, l'ufficiale comandante il reparto. Questi era infatti uno sloveno, Stane Vidmar, noto organizzatore del Sokol di Lubiana, uno dei collaborat01i di Pivko; e la compagnia che stava lì, armata, era formata in gran pa1te di cechi , ma anche di alcuni jugoslavi. Erano i soldati che avevano partecipato all'azione d i Carzano, ai quali s'erano aggiunti alcuni disertori e prigionieri cechi che avevano fatto subito domanda alla 1a Armata di partecipare alla lotta al fronte contro gli Austriaci. In quel momento però si avvicinò un gruppo di ufficiali e il Colonnello Marchetti presentò a Hlavacek il dottor Pivko e gli ufficiali cechi che avevano partecipato all'azione di Carzano, Jirsa , Kohoutek , Pajger, Zeleny, Sedlecky, Mlejnek , Malcanek ed altri. Fino ad allora costoro non avevano avuto alcun contatto con il Consiglio Nazionale Cecoslovacco a Roma, per quanto , come abbiamo detto, fossero stati aggregati alla 1a Armata già dal novembre 19 17. I prirru rapporti furono appunto stretti con questa visita di Hlavacek al Forte Procolo , durante la quale vennero scambiate le prime informazioni: essi ebbero così le prime notizie sicure sul nostro movimento rivoluzionario in Italia e il rappresentante del Consiglio Nazionale ebbe da essi dei dati precisi su tutta l'azione di Carzano e sulla loro attuale situazione. Si passò subito a discutere della loro posizione formale e giuridica. I protagonisti di Carzano erano naturalmente felici di partecipare anche in quel modo alla lotta contro l'Austria perché capivano che ogni loro azione era un vantaggio per la causa italiana e, quindi, anche cecoslo-
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" Attenti!", "Presentat' arm!".
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vacca. Essi s'erano perciò messi volontariamente a disposizione dell'esercito italiano di.sposti a lottare al suo fianco contro gli Austriaci. Tuttavia avrebbero desiderato che, pur dipendendo dal Comando italiano, il Consiglio Nazionale Cecoslovacco esercitasse su di loro un qualche diritto di ingerenza. Essi avrebbero desiderato diventare soldati dell'esercito cecoslovacco (e questo desiderio era condiviso in un primo tempo anche da Jugoslavi di quel reparto), o almeno avere per intanto una posizione giuridica tale per cui, pur continuando a far parte dell'esercito italiano, il Consiglio Nazionale avrebbe preso le decisioni cihe li riguardavano, d'accordo col comando italiano. Essi pregarono perciò Hlavàcek di intervenire perché la loro pos izione fosse regolata al più presto possibile in questo senso. Egli fece loro notare che non v'era da attendersi una rapida soluzione in tal senso, perché la cosa non poteva regolarsi separatamente per una sola unità di combattimento, bensì nel complesso della questione dell'esercito cecoslovacco in Italia. Un eventuale tentativo di soddisfare almeno in parte i desideri del reparto di Carzano era ostacolato anche dal fatto che la loro unità di combattimento era stata costituita per iniziativa individuale del comando della la Armata; il Comando Supremo dell'Esercito tollerava semplicemente tale situazione, senza però averle dato il suo formale consenso. Qualunque trattativa per una sistemazione giuridica definitiva avrebbe dovuto essere condotta al Ministero della Guerra e al Ministero degli Esteri a Roma. In quel momento la cosa, tuttavia, poteva riuscire pericolosa. Dato il riserbo mostrato dal ministro degli Esteri Sonq.ino per là questione dell'esercito cecoslovacco indipendente, un passo falso poteva provocare l'ordine di sciogliere il reparto e di internare i suoi componenti in un campo di concentramento. Hlavacek dovette quindi accorgersi che qualsiasi trattativa in questo campo era assai delicata e che si sarebbe potuto arrivare alla meta solo dopo aver sondato attentamente il terreno presso i vari enti dotati di poteri decisionali, e in primo luogo presso il Comando Supremo. Egli decise invece di insistere perché le singole armate italiane creassero dei reparti di esploratori consimili, per poter poi, forti dell'esistenza di diverse unità di questo genere, arrivare più facilmente ad una favorevole soluzione. Ma anche in ciò egli si trovava di fronte a un compito estremamente delicato e difficile, non potendo esaudire il desiderio espresso dai volontari e dal Colonnello Marchetti di dare egli
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stesso, a nome del Consiglio Nazionale Cecoslovacco, il consenso ufficiale, ali' esistenza di questo reparto armato di esploratori presso la 1a Armata italiana. Dato lo stato delle cose in quel momento, egli non poteva farlo; anche lui, nella sua funzione di rappresentante del Consiglio Nazionale in Italia, doveva "tollerare" che gli italiani impiegassero i nostri cittadini come unità armata e organizzata nelle loro azioni di guerra; ma nello stesso tempo doveva adoprarsi perché anche presso altre armate fossero creati dei simili reparti onde affrettare la soluzione di tutta la questione del nostro esercito. Ciò poteva avvenire soltanto trattando confidenzialmente coi Comandi delle singole armate, e cioè coi capi dei loro uffici informazioni, i quali avevano una certa libertà di impiegare i prigionieri in deternùnati servizi, quando costoro si dichiaravano disposti a compierli. A Verona Hlavacek apprese con gran gioia che anche alla 4a Armata italiana esisteva già il nucleo di un simile reparto; solo che questo non era ancora organizzato militarmente e non era annato. Perciò egli si recò difettamene da Verona al Comando della 4a Armata, dove il capo dell'Ufficio Informazioni, Colonnello Vigevano, disponeva allora di un reparto di circa venti esploratori cechi (chiamati informatori ed esploratori). Anche lì Hlavacek ebbe coi volontari delle discussioni analoghe a quelle avute a Verona, per quanto il desiderio principale espresso da costoro fosse naturalmente di ottenere al più presto delle armi. Ciò avveniva subito dopo la visita di Hlavacek e dietro il suo intervento presso il Comando della 4a Armata; le anni venivano però consegnate solo quando i singoli soldati o gruppi di essi partivano per qualche azione di esplorazione sulle linee di combattimento. Una dotazione fissa non la ebbero subito bensì poche settimane dopo, quando il reparto fu rinforzato con nuovi volontari . . Il Comando della 4a Armata inviò poi Hlavacek al Corpo d'Armata francese, dove, grazie al suo intervento, si ottenne che i prigionieri cechi e slovacchi fossero completamente separati dagli altri prigionieri austriaci e ungheresi, e godessero di vantaggi morali e materiali. Al Corpo d'Armata francese venne a prenderlo un Capitano della 3a Armata, un medico, il dottor Kobylinskij, russo di nascita, ma che già prima del]a guerra era professore alla facoltà di medicina dell'Università di Genova ed era così diventato suddito italiano. Egli aveva servito volontariamente non ne]la Sanità, ma nei reparti operativi; più tardi, avendo buone cognizioni di diverse lingue centro-europee,
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venne aggregato all'Ufficio Informazioni della 3a Armata, di cui era capo il Colonnello Smaniotto. Che presso la 3a Armata sul fronte avessero lavorato già prima, individualmente, alcuni nostri esploratori, questo Hlavacek lo aveva saputo durante il loro comune soggiorno nei reparti prigionieri di Bibbiena e di Polla direttamente da uno di essi, Jaromfr Vondracek7 • Tuttavia mancavano ancora i germi di una organizzazione come quella che esisteva alla 4a Armata, e tanto meno come quella della la Armata. Il Colonnello Smaniotto e Kobyliiiskij sapevano naturalmente dell'esistenza di reparti cecoslovacchi presso queste armate e aspettavano Hlavacek (evidentemente dietro istruzioni del Comando Supremo) per trattare con lui questo argomento . Durante le trattative risultò che Kobylinskij aveva perfettamente compreso tanto le intenzioni dei cecoslovacchi, quanto l'importanza di simili azioni, ne era entusiasta e voleva mettersi subito al lavoro per tradurle in pratica. Della stessa opinione era il deputato Gasparotto, che in quel momento era aggregato, col grado di Capitano, al comando della 3a Armata e che più tardi sostenne calorosamente la nostra causa a]Ja Camera dei Deputati pubblicando nei suoi ricordi di gue1ra dei giudizi molto elogiati vi su i soldati cecoslovacchi8 • Invece il Colonnello Smaniotto si mostrava ancora diffidente e indeciso. Hlavacek ebbe con lui dei Junghi colloqui per informarlo e persuaderlo a favore dell'idea di organizzare gli esploratori alla 3a Armata, ma non riuscì a farlo decidere. L'ultima visita di Hlavacek, in questo viaggio, fu al Comando della 2a Armata. Capo dell'Ufficio Informazioni era il Tenente Colonn~llo Dupont, col quale Hlavacek aveva operato sia nella prima che nella seconda sua collaborazione al fronte nell'anno 1917. Il Tenente Colonnello Dupont non aveva bisogno di essere persuaso; aveva già
' Anche durante questa sua visita di gennaio Hlavacek trovò presso i comandi delle armate alcuni intelligenti prigionieri cechi, trattenuti temporaneamente, soprattutto per I' inte1Togatorio dei prigionieri. Uno di questi collaboratori volontari , l'aspirante Gibalek, aveva appunto allora redatto un proclama ai soldati cechi dell'esercito austriaco che il Colonnello Smaniotto aveva deciso cli far stampare e gettare nelle linee austriache. i Nel suo libro di ricordi di guerra, intitolato "Diario di un fan1e" Gasparotto si esprime in due passi molto favorevolmente sugli esploratori cecoslovacchi presso la 3• Armata. Egli ricorda a questo proposito due loro azioni e, accanto al comandante Kobylii'fakij, cita i nomi dei sottotenenti Kouba e Wurm.
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saputo apprezzare benissimo la collaborazione dei volontari cecoslovacchi nelle azioni di ricognizione e di combattimento sul fronte italiano. Egli invitò perciò subito Hlavacek ad aiutarlo nell'organizzazione dei reparti di esploratori per quando la 2" Armata avesse ripreso il suo posto al fronte, cosa che doveva avvenire quanto prima. In complesso durante questo viaggio Hlavacek aveva acquisito la persuasione che negli ambienti militari italiani, nonostante alcuni dubbi e indecisioni delle singole personalità più in vista, esisteva il chiaro desiderio di organizzare sul fronte reparti cecoslovacchi9 sull'esempio della "Druzina ceca" in Russia e del reparto di Pivko, ma che il Comando Supremo evitava direttive precise a questo proposito, evidentemente per riguardo al noto atteggiamento ancora negativo del Ministero degli Esteri, e poi anche per non legarsi giuridicamente in
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Di questa tendenza del Comando italiano parla anche Benes nel suo libro "La
guerra mondiale e la nostra rivoluzione" (parte II pag . 5 I): "Dopo la sconfitta di Caporetto alcune personalità militari italiane compresero ancor più chiaramente di prima che l'aiuto dei soldati cecoslovacchi avrebbe potuto avere per essi un grande significato e perciò si schierarono decisamente in favore della creazione di reparti militari cecoslovacchi. Verso la metà di gennaio e in febbraio al Comando Supremo e sul .fi-cmte avevano elaborato un piano perfettamente analogo al vecchio piano del comando 1nilitare russo, al qua.le del resto si fa abbastanza. chiaramente cenno nella relazione del Colonnello Marchetti. Tutti i singoli comandi delle armate italiane avevano visto quello di cui erano capaci i soldati cecoslovacchi sul fronte austriaco e come essi fossero dei collaboratori assolutamente degni di fiducia, amici del!' Italia e ostili all'Impero, come fossero sempre pronti ad offrire la propria vita nella lotta contro di esso, come, passati dalla parte italiana, portassero alle autorità militari italiane delle utilissime notizie, e come, arrendendosi, demoraliz.z,assero il fronte austriaco e, sparsi nei reggimenti di altre nazionalità austro-ungariche, distruggessero in essi la disciplina, e corne infine sapessero individuar bene le posizioni austriache, quando si ricorreva ad essi come esploratori, inducendo altri soldati cechi a diserta.re. Da ciò la naturale conclusione: è necessario creare dei reparti cecoslovacchi su lutto il fronte. Quelli gioveranno all'Italia più di un.a grande unità militare combattente in linea, anche se notevolmente grande. Occorre, è vero, permettere la creazione di un. esercito cecoslovacco, ma subito dopo bisogna farne dei reparti di esplorazione e dislocarli su tutto il fronte austro-ungarico. Come ho detto, presso alcune importanti personalità militari - non dico presso tutte - il problema del nostro esercito appariva dapprima sotto questa/orma. Così come in Russia, noi non rifiutiamo anche in. Italia questa soluzione non politica. Ma anche questo primo stadio dell'evoluzione ebbe i suoi vantaggi: tra i soldati trovammo, grazie a ciò, un sostegno molto vigoroso alla. nostra causa".
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nessun modo nei confronti del Consiglio Nazionale Cecoslovacco. Ciò naturalmente diede a Hlavacek la spiegazione del perché durante le trattati ve al Comando Supremo, nelle quali s'era ben parlato della questione di un esercito cecoslovacco in Italia, non gli fosse mai stato fatto nemmeno un cenno di questi reparti esploratori già esistenti o progettati, e perché i comandanti delle quattro armate, coi quali aveva trattato durante questa sua visita, non fossero mai entrati nel merito delle cose e lo avessero sempre rinviato, per le trattative, ai capi dei loro uffici informazioni. Si riaffacciava, quindi, tutta la complessità della questione, sulla quale Hlavacek aveva naturalmente riferito al Consiglio Nazionale a Parigi, senza fare per il momento, né nel gennaio né sul principio del febbraio 1918, nessun passo decisivo. Solo, egli richiamò su questi reparti l'attenzione dei nostri amici italiani e dei membri più influenti del governo (ne] quale trovava il più grande appoggio da parte dei Ministri Bissolati e Comandini e del Sottosegretario di Stato Gallenga) e dell'esercito, documentando loro il desiderio dei nostri di combattere a fianco deI1 'Italia e contro l'Austria, e l'interessamento mostrato dai diversi comandi d'Armata. In tal modo egli completava la sua propaganda e la sua azione miranti ad ottenere il permesso ufficiale di creare un esercito cecoslovacco in Italia, facendosi forte dell'esistenza dei reparti esploratori. Lavorava, però, nello stesso senso anche presso gli ambienti militari italiani al fronte, dimostrando loro che avrebbero potuto avere immediatamente dei forti gruppi di esploratori presso le singole armate, qualora la costituzione di un esercito cecoslovacco fosse stata permessa. Egli pregò tanto i capi degli uffici informazioni quanto i comandanti delle singole armate di insistere per ottenere l 'appoggio del Comando Supremo presso il governo dimostrando che la questione era ormai matura e che il Comando dell'Esercito poteva affrettarne notevolmente la soluzione co]le sue pressioni. Finito questo viaggio al fronte, Hlavacek partì per Milano. Era soddisfatto. Intuiva, nel suo ardore per la grande causa cecoslovacca, che l'interessamento del Comando italiano ne avrebbe favorito notevolmente la vittoria. E in questo senso egli cominciò a svolgere, dopo il suo ritorno dal fronte, un'attività febbrile da ogni parte: oltre che nei circoli militari, anche nella vita pubblica italiana, negli ambienti parlamentari e di governo (soprattutto grazie all'interessamento del ministro Bissolati) e nella stampa.
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Tra 1'altro incontrò a Milano Mussolini, allora direttore del quotidiano "Il Popolo d'Italia", che si dimostrò assai favorevole alla causa cecoslovacca, alla quale si era già interessato nel 1917 recensendo un libro di Benes. Hlavacek lo incontrò nel gennaio del 1918 ed ebbe con lui un lungo colloquio che riportò poi sul "Narodni Listy" del 5 novembre 1922. Ed articoli a favore della causa e dei reparti cecoslovacchi apparvero nei mesi successivi su "Il Popolo d'Italia". Organizzata dal Presidente della Camera di Commercio, senatore Salmoiraghi, il 19 gennaio 1918 Hlavacek riuscì pure a tenere a Milano una riunione dei deputati e senatori lombardi, dalla quale, dopo un resoconto fatto da lui e dopo una estesa discussione, veniva inviato un memorandum al Presidente del Consiglio Orlando ed al Ministro degli Esteri Sonnino, in cui si chiedeva che il governo italiano assumesse un atteggiamento apertamente favorevole all'idea della lotta per l'indipendenza cecoslovacca e che quanto prima risolvesse favorevolmente il problema di un esercito cecoslovacco in Italia'°. Una seconda iniziativa di Hlav,1.cek consistette nella sua partecipazione al Congresso dei partiti interventisti italiani, il cosiddetto "Fascio di difesa nazionale", alla fine di gennaio e sul principio di febbraio 1918, al quale congresso presero parte circa metà dei membri del Senato e della Camera italiani e dove la questione cecoslovacca ottenne un nuovo grande successo. Subito dopo Hlavacek ritornava dalla 1a Armata, dove trattava di nuovo col Colonnello Marchetti perché le autorità militari italiane facessero dei passi in favore dell'esercito cecoslovacco. Marchetti pensava di redigere un rapporto, militarmente succinto, ma efficace ed eloquente, da spedirsi al Comando Supremo, nel quale fossero elencati i motivi principali che militavano in favore dell'esercito cecoslovacco. Il primo abbozzo era già pronto, elaborato e completato insieme a Hlavacek; Marchetti avrebbe dovuto presentarlo di persona al Comando Supremo. Si trattava anche di farlo arrivare rapidamente nelle mani delle personalità più influenti del Governo. Marchetti non poteva inviare direttamente nessun rapporto al Governo, ma soltanto seguendo le vie gerarchiche, cosa che richiedeva troppo tempo. Si mise perciò d'accordo con Hlavacek nel senso che quest'ultimo avrebbe portato a Roma alcune
0 • ' Per notizie più dettagliate, v. il libro della dottoressa Pau!ova: "Il congresso delle nazionalità oppresse dell'Austria-Ungheria a Roma nel 1918".
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copie e le avrebbe consegnate al Presidente del Consiglio Orlando, al Ministro degli Esteri Sonnino, al Ministro Bissolati, ad altri ministri e a membri del Parlamento. Si evitò così una lunga trafila burocratica e, per avere una giustificazione formale, non fu posta alcuna data sui vari esemplari del memorandum; però, malgrado tutto, Marchetti appose sulle copie che Hlavacek recò a Roma la sua firma e il timbro del suo ufficio. Il Colonnello Marchetti era in quel momento, con Finzi, il più deciso e, possiamo dire, il più coraggioso fautore dell'esercito cecoslovacco negli ambienti militari. Il suo memorandum è così importante ed interessante che lo riproduciamo integralmente. Eccone il testo: UFFICIO INFORMAZIONI 1" ARMATA E III CORPO 5, Febbraio 1918 LEGIONE CECOSLOVACCA
La costituzione della legione czeca in Francia avrà senza dubbio una gra,ule ripercussione morale sulle razze soggette all'Austria ma non darà però risultati decisivi perché ben poche saranno le truppe austriache che parteciperanno alla guerra sulfronte francese. La costituzione di una tale legione in Italia avrebbe invece per la nostra nemica effetti disastrosi. RAGIONI CHE MILITANO A FAVORE DELLA COSTITUZIONE DI UNA LEGIONE CZECOSLOVACCA DA NOI. L'Austria da 50 anni ha educato i suoi cittadini al disprezzo più ancora che all'odio contro di noi. Tutte le razze, nemiche e sempre in disaccordo.fra loro,furono sempre unite quando si trattò di dare addosso agli italiani. La guerra, nelle sue prime fasi, ha permesso al governo nemico di cogliere il frutto della sua lunga preparazione nwrale; lo sviluppo però di essa ha aperto man mano gli occhi alle varie razze dell'impero risvegliando e formando sentimenti che prima erano assopiti o non esistevano. Oggi esse sono riunite da un solo cemento: la ferrea disciplina del terrore; tutte le forze morali sono esaurite. L'esercito nemico esiste e resiste perché noi non l'abbiamo mai attaccato seriamente nel suo punto debole: il miscuglio di razze. Il risveglio del sentimento di razza non è uguale in tutte; escluse le due dominanti - austriaca e ungherese - vengono prima la czeca, poi la serbo-croata-slovena, poi la polacca, poi la rutena.
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Favorire questo ris·veglio, intaccare il forte organismo statale austriaco nell'unico suo punto debole, aumentare a nostro vantaggio i dissidi fra le varie razze, date le condizioni in cui siamo e la guerra che facciamo, è un dovere. La razza cecoslovacca è intelligente, patriottica, energica, coraggiosa, disciplinata, solidale, antitedesca per istinto. Nessun italiano che non sia irredento odia l'organismo statale austriaco colla stessa intensità con cui l'odiano tutti i czechi! Non !!.ji. uttare prima di altri energie di tale razza, non impegnare anche lei nella lotta contro il nemico comune, la lotta che è anche per la libertà degli czechi, sarebbe lo stesso che rinunciare spontaneamente al modo di portare del vero danno a chi ci ha fatto tanto male . lo non ho trovato un czeco onesto che potendolo non sia stato felice di tradire l'Austria e tutti mostrarono nelle loro azioni il convincimento del dovere compiuto. E se questa mia asserzione, data dall'esperienza di due anni e rnezzo, non bastasse, mi permetto di ricordare: a . che la centrale dell'Adamello fu salva perché uno czeco ci rivelò i piani austriaci di distruzione; b. che i 1nonti Palone e Melino nelle Giudicarie furono presi perché uno czeco ci dette tutte le indicazioni c. che prima dell'offensiva dell'anno scorso degli czechi ci avvertirono d. che tutto il servizio fiduciario dell'ufficio è basato sugli czechi e. che l'operazione preparata in Valsugana lo era coll'aiuto degli Czech.i f che tutte le volte che io lo richiesi tutti i fiduciari misero la loro vita a mia disposizione per formare pattuglie di contatto onde incitare oralmente i compagni militanti nei ranghi austriaci a disertare g. che su tutti i prigionieri Czechi presi, al!neno il 50% chiese subito se non era possibile arruolarsi contro l'Austria. Una razza che ha offerto tanti e così vasti esempi di vitalità propria non è oramai degna di combattere a viso aperto, quasi come nostra alleata, contro la comune nemica? PERCHÈ LA COSTITUZIONE DELLA LEGIONE SAREBBE SOMMAMENTE DELETERIA ALL'AUSTRIA. Le continue diserzioni e tradimenti, malgrado le più severe precauzioni disciplinari, hanno obbligato il comando austriaco a frammi-
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schiare la massima parte dei suoi reggimenti . Ben pochi sono oggi i reparti in cui la percentuale degli Czechi superi il 50% ed in tali reparti si è a priori sicuri che i mitraglieri sono ungheresi e austriaci anche i serbo-croati e sloveni non sono più tanto sicuri! - Tale frammischiamento, se ha posto rimedio per il momento ad una situazione pericolosa, ha però dfffuso il bacillo anti-austriaco e anti-magiaro. Oggi l'esercito che ci fronteggia sta per attraversare una crisi; la pace promessa dall'imperatore non è venuta. Completare questa crisi riacutizzando il sentimento antiaustriaco degli Czechi e dando ad essi ed alle altre razze oppresse la sensazione che le nazioni dell'Intesa non solo pensano a loro, ma ne tutelano gli interessi morali ftno al punto di accettarli - Liberi cittadini in libere nazioni - negli eserciti che combattono per la vera libertà, sarà lo stesso che dare il colpo di grazia all'Austria . Chi tratterà più gli Czechi quando sentiranno cantarsi gli inni nazionali dalle nostre file? Come rimedierà il Comando austriaco, che già tanti spostamenti deve fare per le esigenze delle razze, a questa nuova terribile compii. ? cazzone. La Boem.ia civile lotta già oggi a viso aperto per acquistare la sua indipendenza. Se la rivoluzione fosse possibile, si è certi che la Boemia darebbe il primo segnale . Aumentare con una pressione esterna questa lotta interna metterebbe l'Austria in seri imbarazzi tanto più che i funzionari czechi non hanno perduto il loro carattere nazionale e non sono stati assorbiti dall'influenza governativa austriaca. Io sono sicuro che i 15 e 20 .000 Czechi prigionieri in Italia, compresi gli uffìciali, sarebbero felici di combattere con noi. Non abbiamo bisogno di 15 o 20.000 soldati di più, ma corne potremmo r(fiutare 15 o 20.000 propagandisti volontari? DIFFICOLTÀ INTERNAZIONALI La Russia ha avuto la sua legione czeca, la Francia stà formandola . Noi possiamo imitarle con la convinzione assoluta - dati i mezzi usati dal nemico contro cui combattiamo - di non fare nulla contro il diritto . Il nemico non è in grado di ritorcere l'arma contro di noi e in quanto a eventuali rappresaglie nello sfruttamento dei prigionieri nulla esso potrebbe fare di più di quanto non faccia . Una legione di volontari è libera di battersi dove crede e - dato lo stato di guerra - noi non faremo che inquadrarla, sussidiarla.
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DIFFICOLTÀ NAZIONALI La poca conoscenza, per parte della nostra massa, dei gravi problemi nazionali austriaci ha.fatto si che.fino a ieri lo czeco venisse considerato nemico, come l'austriaco. Oggi molti nostri ufficiali sono già orientati sulle nuove vedute: un pò di propaganda fra loro e fra la truppa ed il residuo di diffidenza svanirà. Il vederli poi ali' opera contribuirà a farli stimare. Firmato: Il Colonnello Capo Ufficio Informazioni Tullio Marchetti
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Stefanik a Roma. I primi reparti esplorat9ri partono dai campi di concentramento con il consenso di Stefanik nel marzo-aprile. Rafforzamento degli esploratori per mezzo del battaglione Giovanelli. Il dottor Benes sugli esploratori. Le compagnie di esploratori alle singole armate. Costituzione del "Reggimento Esploratori" il 25 settembre 1918. La missione degli esploratori. Demoralizzazione del nemico. Informazioni per gli italiani, pattuglie, incitamento ai disertori austriaci. Il Tenente Stinny. Il Capitano di Stato Maggiore Smetanka. Inseguimento del nemico. Concentramento presso Padova.
Ai primi di febbraio sembrava fosse possibile ottenere l'autorizzazione per costituire un esercito cecoslovacco e molti indizi facevano sperare che il ministro Sonnino, sotto la pressione dell'opinione pubblica e dei circoli militari, avrebbe presto rinunciato alle sue obiezioni né avrebbe opposto altri ostacoli aJla concessione del permesso. Sorsero invece altre difficoltà. In seguito ad una chiara ed esplicita richiesta delle autorità italiane, le quali desideravano che i cecoslovacchi collaborassero il più presto possibile alla costruzione di una linea difensiva di riserva, inquadrati nei cosiddetti "Battaglioni di lavoro", i dirigenti politici cecoslovacchi non avevano potuto esimersi dal dare il ]oro consenso, pur nutrendo forti apprensioni che tutta l'azione in Italia sì arenasse su questa soluzione. I Cecoslovacchi fonnarono così, nel corso di un solo mese, sette battaglioni di lavoro, di complessivi 9.500 uomini, i quali, concentrati intorno a Mantova, prepararono la linea di riserva. La formazione di questi reparti fece ritardare naturalmente l'organizzazione dei reparti esp]oratori. In questo stato di cose, che significava a prima vista una piega sfavorevole al problema di un esercito cecoslovacco combatte!}te in Italia, giunse a Roma, nella seconda metà di febbraio, il dottor Stefanik, alla cui geniale iniziativa si deve se finalmente il 21 aprile 1918 fu firmato l'accordo per la costituzione di un esercito cecoslovacco in [talia.
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Del lavoro compiuto da Stefanik, che coronava tutta la precedente azione politica e l'attività dei nostri soldati e volontari, come pure l'azione dei nostri amici italiani, ben pochi documenti scritti si sono conservati. Nella "Nase Revq}uce", anno II, fase. I, è riprodotto il memorandum presentato da Stefanik al governo italiano nel marzo 1918. Esso è stato riprodotto dall'esemplare conservato nell'archivio delle Legioni. Come Frantisek Bednar·fk rileva nelle note della già citata "Nase Revoluce ", questo è il secondo testo del memorandum, così come fu completato secondo te osservazioni che Frantisek Hlavacek aveva mandato in proposito a Stefanik. Nell'archivio si trova anche la minuta della lettera con cui Hlavacek accompagnava queste osservazioni. Dalla lettera e dal memorandum risulta chiaramente la parte avuta dai repa1ti esploratori nelle trattative per la costituzione dell'esercito cecoslovacco. Nella lettera, datata da Roma il 7 marzo 1918, Hlavacek dice, a proposito dei reparti di esplorazione quanto segue: "Nel Suo esposto Lei ha accennato che i comandi italiani hanno già effettivamente utilizzato come truppe combattenti i nostri uomini volontariamente offertisi. Oltre alla grande azione contro Trento nel settembre 1917, si ebbe una serie di azioni minori eseguite dalla r Armata con uomini nostri. Ora a Padula ho visto 70 prigionieri cechi, presi recentemente appunto dai nostri reparti cecoslovacchi alla l'' Armata. Lei accenna giustamente a questa cosa._nel suo memorandum e, per sottolinearla ancor più, le cito quanto segue: Reparti analoghi esistono già da qualche tempo alla re 4a Armata. Ora anche la 2a e la 3a Armata mi hanno direttamente invitato a segnalare degli ufficiali e dei soldati cecoslovacchi per piccoli servizi di informazione e piccole azioni di combattimento. (La prima chiede 15 ufficiali e 150 uomini, la seconda 10 ufficiali e 100 uomini). Ho risposto ai due inviti dicendo che avrei certamente cercato gli ufficiali e i soldati in questione, ma che non potevo far conoscere i loro nomi e metterli effettivamente a di!iposizione se prima Lei non concludeva in questo senso un accordo concreto col Comando Supremo. Questa risposta è appunto contenuta nella lettera di cui Le accludo copia. In questa faccenda c'è una interessante complicazione: la 3a Armata s'è rivolta non soltanto a me, ma anche al Comando Supremo, e ciò con lettera n.. 3088/div. L'Ufficio Situazione, di cui è comandante a Padova un mio buon conoscente, il Generale Calcagno, si è rivolto al Ministero della Guerra perché, attraverso la Commissione dei
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Prigionieri, assegnasse a questo servizio i 10 ufficiali e i 100 uomini richiesti. Negli atti si parla di servizio confidenziale presso il Comando dell 'Armata. Il Ministero della Guerra ha chiesto prima il consenso del Ministero degli Esteri, il quale l'ha dato con la condizione che questo reparto non sia adoperato per azioni di com.battimento. La Commissione dei Prigionieri mi ha poi comunicato tutta la cosa e mi ha chiesto di scegliere gli ufficiali e i soldati adatti. Resta naturalmente il fatto che, malgrado la condizione posta dal Ministero degli Esteri, i nostri reparti alla re alla 3a Armata hanno già partecipato ad azio ni di combattimento, la 2a Armata li chiede espressamente per eventuali azioni di combattimento e la 3a Armata lo pensa certo, per quanto non lo dica apertamente. Parto stasera col Sig . Strimpl per Padula, dove resterò di nuovo circa 5 giorni e la prego di farmi telegrafare colà dal Comando Supremo se devo realmente designare gli itficiali e i soldati richiesti dalla 2a e 3" Armata (in tutto dunque 25 ufficiali e 250 uomini) e se li devo far partire per il .fronte. Non lo farò finché non avrò ricevuto il suo telegramma. Dopo il mio ritorno da Padula spero di potermi incontrare con Lei a Roma e di sapere da Lei i dettagli sulle trattative condotte al fronte e soprattutto sul Suo intervento per ottenere l'esatta esecuzione dei vantaggi consentiti ai nostri reparti di lavoro dalla già citata lettera del Ministero della Guerra in data 7 ottobre 1917 e circa la richiesta di garanzie che queste truppe non siano adoperate per servizi di combattimento e cioè che questi piccoli reparti non vengano per caso automaticamente e di nascosto ingranditi. Questo pericolo è molto grave, non per malevolenza contro di noi, ma semplicernente per il fatto che tutte le armate italiane desiderano ormai avere delle truppe ceche combattenti, mentre il Governo non le vuol permettere, ed esse le costituirebbero volentieri in via di fatto. Se noi non tenessimo in mano la cosa, ci troveremmo da un rnornento all'altro di fronte ad un esercito cecoslovacco bell'e fatto, che però sarebbe costituito in modo da essere d'aiuto all'Italia e agli Alleati, senza aver quasi valore per i nostri scopi politici e che politicamente non sarebbe in mano nostra. Queste eventualità Lei le eviterà certamente" . V
La lettera riflette di nuovo la difficile posizione dei nostri capi politici in Italia nei riguardi dei reparti esploratori. Essi desideravano sì avere dei reparti d'esplorazione al fronte ed erano in via di principio
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favorevoli a designare dei soldati nostri per farne parte, ma giustamente e molto naturalmente desideravano che questi reparti avessero un significato non solo per l'esercito italiano, ma anche per i nostri scopi politici e che "politicamente fossero inv mano nostra". Hlavacek nella sua lettera al dottor Stefanik segnala come una "interessante complicazione", il fatto che il Comando della 3" Armata (sempre evidentemente in seguito ai dubbi dell'indeciso Colonnello Smaniotto, di cui più sopra s'è parlato) si fosse rivolto per questa questione non soltanto a lui, ma anche al Ministero della Guerra. Il Ministero, non appena investito ufficialmente della cosa, doveva inevitabilmente chiedere anzitutto il permesso al Ministero degli Esteri il quale aveva dato il consenso solo a patto che questi reparti non fossero adoperati per azioni di combattimento. Ma a questa condizione del Ministero degli Esteri non facevano assolutamente caso né le armate in questione, presso le quali gli esploratori operavano, né gU esploratori stessi. Su come il dottor Stefanik abbia risolto il problema, non abbiamo gocumenti scritti. Dalla comunicazione di Hlavacek risulta però che Stefanik ottenne il consenso a che gli ufficiali e i soldati, richies6 dalla 2a e 3a Armata per i gruppi di esplorazione, fossero inviati. Così nel marzo partirono per il fronte altri esploratori. E siccome anche gli ambienti militari italiani riconoscevano al Consiglio Nazionale una certa competenza su questi esploratori (perché infatti chiedevano che il rappresentante del Consiglio Nazionale mandasse loro gli ufficiali e i soldati richiesti, per quanto fossero ancora prigionieri italiani) è evidente che con la partenza di questi reparti, nel marzo, per la 2a (poi invece la 4a Armata, perché ]a 2a restò in riserva) e per la 3a Armata, si iniziava una nuova fase nella storia degli esploratori. Da questo momento essi non furono più dei singoli individui coraggiosi, qualche volta dei gruppi, che per proprio conto si mettevano a disposizione del1'esercito italiano. Essi erano ormai i primi elementi del futuro esercito nazionale, designati dal Comitato Direttivo del Consiglio Nazionale; erano gli elementi fondanti delle future legioni cecoslovacche in Italia. I sold~ti per questi reparti furono scelti da Hlavacek colla collaborazione di Capek, a Padula, mentre gli ufficiali provenivano dai campi di concentramento di Sala Consilina, Polla e Casagiove. Nella scelta egli doveva affrontare un compito difficile: sia i soldati che gli ufficiali si presentavano sempre in numero molte volte superio-
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re a quello che era stato richiesto; tutti ardevano dal desiderio di uscire dai campi di concentramento e di iniziare colle armi in mano una vera azione di lotta contro gli Austriaci. Avvenivano scene veramente commoventi, quando centinaia di soldati e decine di ufficiali scongiuravano addirittura H.lavacek che li destinasse a questi reparti di esplorazione; molti, che restavano esclusi, piangevano talvolta dalla delusione di non aver potuto raggiungere la meta tanto desiderata, di non potersi lanciare di nuovo tra il tuonare del cannone e il crepitio dei fucili, incontro al doppio pericolo del proiettile nemico e della impiccagione, se per caso fossero stati fatti prigionieri dagli Austriaci. Erano manifestazioni commoventi e nello stesso tempo edificanti della ferma volontà della patria, di abbandonare la vita comoda e la sicurezza della prigionia per buttarsi coraggiosamente incontro alla morte. Poco dopo - il 10 aprile - partiva da Padula un nuovo reparto di esploratori, forte di tre compagnie, il così detto gruppo dei 450, diretto a Verona, da dove poi fu aggregato alle altre armate italiane, e cioè alla 13, alla 6U, e alla T 1 • Naturalmente tutti questi volontari non avevano alcuna garanzia che un esercito cecoslovacco sarebbe stato riconosciuto dall'Italia e così pure non sapevano se nella lotta sarebbero caduti da cecoslovacchi, oppure da "mercenari pagati", come amavano chiamarli in principio gli Austriaci. In queste file si erano arruolati i primi legionari, i più coraggiosi e, in gran maggioranza, i più giovani. Soprattutto gli ufficiali erano in genere giovanissimi. La loro prima designazione fu "Reparto Speciale Czeco-Slovacco della ... Armata". Furono accolti con grande impazienza presso i comandi di Armata, con diffidenza dai comandi in linea e con grande, infantile curiosità dai soldati semplici italiani. Quale fosse l'atteggiamento dei comandi italiani. che già conoscevano gli eroici pionieri del nostro esercito combattente, è dimostrato dall'ordine del giorno del Generale Pecori-Girakli, comandante della 1aArmata, diretto ai comandi dei tre corpi d'armata da lui di pendenti, in data 18 aprile 1918, nel quale si davano a questi comandi le informazioni e le istruzioni sull'impiego dei reparti d'esplorazione cecoslovacchi. La popolazione naturalmente non aveva un'idea di chi fossero i Cecoslovacchi, e così era necessario dare spiegazioni e adoperare la persuasione per ogni dove.
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Intendersi nella lingua italiana non era molto facile. Ma c 'era un mezzo persuasivo, comprensibile a tutti: agire. Questo tutti lo capivano , e infatti i legionari lavoravano come uomini consci di essere attentamente osservati da sguardi non sempre benevoli. Ma già i primi successi di queste pattuglie furono così evidenti che gli uffici informazioni delle singole armate chiesero degli ulteriori rinforzi. Allora l 'esercito cecoslovacco era ormai costituito - si era in maggio - e la 6a Divisione era già pronta e organizzata. 11 Generale Graziani decise perciò che i reparti di esplorazione fossero rinforzati da un intero battaglione e cioè dal battaglione del 31 ° Reggimento che era stato appunto allora formato a Foligno e stava facendo la sua istruzione a Perugia. Anche questi soldati erano dei vecchi volontari, partiti da Padula coi battaglioni di lavoro nel marzo, nella speranza di arri vare prima degli altri al fronte. Tuttavia, si commise l 'errore di non considerare il fatto che il servizio di pattugli a richiedeva speciali attitudini e che quindi bisognava essere particolarmente es igenti nella scelta degli esploratori. A tali esigenze non poteva risponder bene un battaglione organizzato per il combattimento normale e poi semplicemente destinato alle pattuglie. Era difficile chiedere le stesse cose a giovanotti ventenni e a padri di famiglia che si avvicinavano alla quarantina o l'avevano anche oltrepassata. I sottufficiali, coscienziosi e fidati in modo esemplare, sentivano essi stessi la superiorità di compagni perfettamente indipendenti , energici senza alcuna esitazione e amanti del rischio. Inoltre , soprattutto agli ufficiali si chiedevano qualità assolutamente eccezionali, perché nelle pattuglie ognuno doveva essere la prima e nello stesso tempo l'ulti ma istanza, alla quale si rivolgevano gli sguardi di tutti i sottoposti. Eppure, non essendosi pensato alla eliminazione dei più vecchi o dei meno adatti per condizioni di salute, tutti andarono e tutti parteciparono alle pattuglie. Fu questa una delle prove più belle dello spirito di sacrificio dei volontari, i quali non vollero conoscer differenza nella esecuzione del proprio dovere e non vollero ammettere di poter essere tacciati di paura, nemmeno per la più legittima delle giustificazioni. Tanto maggiore dev 'essere il riconoscimento che spetta loro, maggiore di quello che spetta a quanti prima avevano chiesto volontariamente di far parte delle pattuglie a Padula, ben sapendo ciò che li aspettava.
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Il battaglione partì da Perugia il 19 maggio e il 20 suoi singoli reparti raggiungevano le armate a cui erano destinati. Essi portarono nelle pattuglie uno spirito sensibilmente nuovo, lo spirito di un esercito regolare, con reparti organici, con tutta una gerarchia di supe1iori, con concetti molto chiari di disciplina e con rapporti precisi tra sottoposti e comandanti e soprattutto tra uomini di truppa e ufficiali. I primi reparti, che s'erano costituiti con una incredibile rapidità, mancavano di tutto questo. Arrivato improvvisamente nel campo di concentramento degli ufficiali l'invito a un certo numero di essi di presentarsi per il servizio di pattuglia, il giorno dopo questi stessi ufficiali giungevano a Padula e il terzo giorno partivano già coi loro reparti. Sconosciuti gli uni agli altri , senza nessuna direttiva sulla condotta da seguire in un esercito di volontari, sapevano solo che l'uno chiamava l'altro "fratello" e nient'altro. Fu certamente un errore il non aver collocato a Padula anche gli ufficia} i, insieme ai soldati. Si sarebbero prevenute tante discussioni e tanti inutili esperimenti presso alcuni reparti. Coi contatti personah al fronte la situazione si chiarì rapidamente. I soldati confessarono di non aver avuto dapprima fiducia negli ufficiali, essendosi affermato che questi avrebbero evitato di arruolarsi nelle legioni. Si persuasero però ben presto che molti ufficiali s'erano presentati volontariamente molto prima dei più anziani tra loro e che le loro informazioni non erano esatte. Del resto al fronte si stabilì presto, tra loro, una vera fratellanza. Più tardi il reggimento esploratori venne citato come un corpo dallo spirito e dalla disciplina del tutto speciali, tale asserzione venne confermata dai fatti. Ma la ragione principale di questo spirito non stava in quei rapporti di uguaglianza tipici dei corpi volontari, che si estesero anche agli ultimi arrivati, ma che più tardi gli eventi stessi mutarono nel lavoro comune al fronte, sorgeva nelle loro pattuglie e nelle imprese rischiose e si consolidava attraverso di esse. Uno per tutti e tutti per uno: ecco il segreto del successo delle pattuglie. E nelle pattuglie dei legionari oltre al desiderio del successo, vi era la voce del cuore, la necessità della comune difesa, perché solo così 1'uno poteva proteggere l'altro dalla morte orrenda del capestro. Sì, gli esploratori avevano uno spirito tutto proprio, quanto maggiore era apparentemente la loro libertà, tanto più profondo era il loro sentimento.
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ColJ' arrivo del battaglione tutti i reparti speciali d'esplorazione al fronte vennero fusi in esso e ne presero il nome, ossia "31 ° Reggimento C. S. - II battaglione". Non si chiamarono più reparti, ma compagnie. Siccome però in realtà le compagnie di esplorazione erano nove e dovevano formare un solo battaglione di tre , la 48, la sae la 6\ le compagnie furono contrassegnate a tre a tre con lo stesso numero, seguito da tre lettere diverse: compagnie 4, 4b, 4c; 5, 5b, 5c; 6, 6b, 6c. Questo però fu il solo mutamento apportato coll'arrivo del battaglione. Le compagnie continuarono ad essere pienamente indipendenti e operavano unicamente secondo le indicazioni dei capi degli uffici informazioni delle singole armate. Ordini dal battaglione e in genere da altre parti non ne ricevevano. Tutti i rapporti venivano inviati direttamente dalle pattuglie al Comando di Armata, Ufficio Informazioni, per mezzo del comandante della pattuglia. Le pattuglie , le ricognizioni diverse e in genere tutto quanto aveva attinenza con l'attività degli esploratori veniva trattato al Comando d'Armata tra il capo dell'Ufficio Informazioni e il comandante della compagnia esploratori. Il comandante del battaglione, Maggiore Renzo Giovanelli, doveva essere in realtà una specie di ispettore delle singole compagnie. Egli apparve però solo una ò due volte preso alcune compagnie e in semplice visita. Infatti, che doveva egli ispezionare, se la compagnia era in contatto diretto e lavorava secondo gli ordini del Comando d'Armata? Più tardi fu ordinato il così detto "rapporto quindicinale'', mandato dalla compagnia direttamente al Comando della 6a Divisione Cecoslovacca. Ma erano soltanto informazioni delle quali il comando prendeva semplicemente visione. Le compagnie degh esploratori formavano dunque veri e propri isolotti nel mare italiano; esse fecero assegnamento soltanto su se stesse, senza saper nulla di quanto succedeva nelle retrovie, alla Divisione e sul fronte delJe armate vicine. Conoscevano solo il loro fronte 11 •
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Il dottor Benes, parlando dei gruppi di esploratori e del 39° Reggimento ("La guerra mondale e la nostra rivoluzione", parte 11, pag. 70 e 71) dice: "/ reparti esploratori cecoslovacchi, simili in tutto ai nostri "rezvedcici" in Russia, incominciarono ad organizz.arsiper iniziativa dei diversi comandi di Armata italiani sul fronte, come più sopra ho indicato,fin dal gennaio 1918, ossia prima ancora che.fosse autorizzata la formazione dell'esercito. Dopo la costituzione di questo, i comandi di Annata in questione continuarono a formarne degli altri, in modo che per un certo tempo
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Ognuna di esse viveva cli una vita propria e, salvo due eccezioni, nessuna somigliava all' altra. I loro ufficiali erano venuti dai più diversi campi di concentramento, i rapporti coi soldati, e di questi coi sottufficiali, la disciplina e tutta la vita interna si formavano in ogni compagnia in modo indipendente e soltanto al fronte. Egualmente diverso era l'ambiente italiano in cui di colpo venivano a trovarsi. Alcuni comandi capivano realmente i volontari e vedevano in essi dei proscritti e degli abbandonati e si curavano di loro come il più fotte si cura del più debole che gli viene affidato. Altrove vedevano in essi solo un ottimo mezzo per ottenere dei successi e nulla più. Alcuni impiegavano volentieri le compagnie per il combattimento regolare, altri rifiutavano, malgrado le iipetute richieste, di permettere l'assalto sia pure ad un solo plotone. Se poi pensiamo che anche i settori erano di varia estensione e il terreno sostanzialmente diverso (nelle paludi, lungo i fiumi, in pianura bisognava certo lavorare in un altro modo che nei ghiacciai insidiosi, nei monti cope1ti cli boschi o sulle nude rocce) e che anche le condizioni di combattimento erano diverse (in alcuni posti il nemico era a pochi metri, altrove lontano fin 6 km.), ci renderemo facilmente conto che, volendo capire bene tutta ]a penosa attività delle singole compagnie e riconoscerne i meriti, bisognerà sempre tener presente la situazione e l'ambiente. Le singole compagnie si completavano da sole, sia con coloro che disertavano le fila austriache in seguito alla propaganda degli esploratori, sia coi prigionieri che si dichiaravano pronti ad arruolarsi immediatamente. Più tardi le compagnie furono rinforzate da Foligno; si trattava però ormai di piccoli complementi inviati nel mese di ottobre. Nel frattempo risultò che questa organizzazione degli esploratori si adattava ai quadri della Divisione e perciò la denominazione e numerazione fu di nuovo cambiata e dal giorno 25 settembre 1918 si chiamò "39° Reggimento Esploratori C. S.". Il reggimento aveva tre battaglioni e 9 compagnie ma nella sua vita interna nulla venne mutato.
esistettero due diverse formazioni cecoslovacche. Le formazioni deg/.i esploraiori n.on avevano dapprima nessun. collegamento né tra di loro né col nostro esercito. Alcuni comandi, malgrado l'opposizione del Consiglio Nazionale, che si opponeva decisamente a questo procedimento, ricompensavano in modo speciale i soldati per le imprese speciali. Il giorno 12 luglio 1918 queste.formazioni non organizzate contavano circa 2000 uomini.
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Le singole compagnie furono numerate secondo le armate, dall ' occidente all 'oriente, in questo modo: Compagnia la.
Comandante Tenente Vojtech Hanzal
2a. "Avio"
Tenente Rudolf Vycital
3a. "Astico"
Tenente Alex Prejda
5".
Tenente Frantisek Jìrsa
6a. 7a.
9\ 10a.
Tenente Jinclrfch Felix Tenente Jaroslav Nedved Tenente Emanuel Ambroz Tenente Antonio Zeman
11 a.
Tenente Josef Grac
Alla 7'ì Armata (dalla frontiera svizzera al Lago di Garda). Al XXIX Corpo cl' Armata (dal Lago di Garda al fiume Adige). Alla la Armata (dalla Vallarsa alla Val cl' Astico). Tutte e due alla 6" Armata (Altopìano di Asiago) Alla 4" Armata (Monte Grappa). Alla 3a Armata (Alto Piave). Tutte e due alla 3a Armata (Basso Piave) 12 •
Quando l'mganizzazione dell'esercito fu sufficientemente avanzata, il Consiglio Nazionale cominciò ad insistere perché queste formazioni fossero fuse al più presto tra di loro e poi aggregate all'esercito, come un tutto organico. Questo avvenne nel mese di luglio I 918, quando esse prestarono giuramento e furono riorganiz.z,ate. Fu creato il noto 39° reggimento. Le azioni dei nostri esploratori italiani si fecero notare per il loro coraggio eccezionale e portarono a grandi risultati; però richiesero anche molte vittime. Tra essi vi fu il maggior nwnero di uomini che caddero prigionieri e tra i nostri soldati giustiziati dall'Austria essi hanno la maggioranza" . 12 La forza delle singole compagnie nell'ottobre era la seguente: ufficiali soldati Compagnia Tenente Hanzal 10 209 Compagnia Tenente Vycftal 5 183 Compagnia Tenente Prejda 4 183 Compagnia Tenente Jirsa 8 217 Compagnia Tenente felix 2 16 1 Compagnia Tenente Nedved 10 206 Compagnia Tenente Ambroz 202 8 Compagnia Tenente Zeman 5 137 Compagnia Tenente Grac 13 217 Con gli ufficiali del comando di battaglione in totale 78 1753
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Comandante del reggimento fu il Colonnello Attilio Vigevano, capo dell' Ufficio Informazioni della 4" Armata , che egli continuò a dirigere. Natura]mente non gli fu mai possibile esercitare 1'effettivo comando del reggimento, suddiviso in compagnie sparse lungo tutto il fronte. Comandanti dei battaglion.i furono per il I il Capitano italiano Ignazio Trentini, per il II il Capitano italiano Leonardo Mastropiero, per il III il Maggiore italiano Mosè Kobylinskij. Il reggimento non visse quindi una vita analoga a quella degli altri reggimenti "regolari", e non fu neppure organizzato nello stesso modo. Ciò era giustificato dal suo stesso compito: non doveva infatti essere il suo compito principale il sostenere dei combattimenti. La sua più forte compagnia contava 250 uomini, che difficilmente avrebbero potuto farsi eccezionalmente onore in un esercito di molti milioni d 'uomini, com'era quello italiano. La sua missione era molto più delicata e assolutamente particolare, inaccessibile agli italiani e di un'importanza eccezionale: la sua miss ione era il servizio d'esplorazione. Nella guena moderna, coi mezzi tecnici più perfezionati, con masse ingenti di combattenti, con eserciti composti spesso di nazionalità varie ani mate da sentimenti sociali e politici di versi in una guerra di lunghissima durata e con decorso talvolta demoralizzante, l'attività d'esplorazione e di propaganda è un elemento indispensabile alla vittoria. Il partito che sa vincere in questo campo ha una possibilità sostanzialmente maggiore di ottenere la vittoria finale. Fino a che punto gli esploratori legionari abbiano corrisposto al loro compito in ltalia e in che limite abbiano concorso alla vittoria italiana, questo lo dirà la st01ia. Essi avevano il compito di apprendere dove precisamente fossero situate le posizioni del nemico, quale fosse la sua forza e quali reggimenti impiegati (cercavano soprattutto i reggimenti composti di soldati slavi), dove fossero dislocate le sue armi più micidiali (mitragliatrici pesanti, bombarde, artiglieria, ecc.) . Dovevano allacciare contatti con le truppe del campo avversario e indurle o a disertare, portando con sé notizie importanti, oppure, e questo era preferito, a restare al loro posto, passando però tutte le notizie utili , conquistando alla comune idea gli altri compagni, informando su tutti i progetti del nemico (soprattutto i piani di attacco) e in caso di offensiva italiana, tagliando le comunicazioni telefoniche, creando il panico m campo austriaco e rendendo inoffensive le armi più pelicolose o altro.
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Essi potevano ottenere una simile collaborazione solo dagli elementi di nazionalità slava.
Però la loro attività di propaganda non si arrestava neppure dinanzi ai Tedeschi e agli Ungheresi. I manifestini lanciati nelle trincee, le notizie comunicate ad alta voce sullo stato effettivo del fronte, le motivazioni sulla colpa reale della guerra, sulle ambizioni bellicose delle potenze centrali e sull'ingiusto regime austro-ungarico ottenevano anch'essi il loro effetto. Le cifre sbalorditive di uomini e di materiale bellico d'ogni specie che l'America lanciava fuori ad ogni ora e che i propagandisti non si stancavano di annunciare allegramente alle trincee austriache, agivano in un modo così terrorizzante che i nostri esploratori talvolta non riuscivano più parlare nei megafoni per le risate tanto il panico degli Austriaci provocava allegria nei Cechi. La prima linea austriaca era informata delle diverse proposte di pace, dei famosi "punti" di Wilson e in genere di tutta la situazione molto meglio della popolazione all'interno, che pur leggeva ogni giorno il giornale. Ad un esercito così manipolato era difficile mentire e gli ufficiali avevano una posizione ben difficile. Più tardi, in seguito alla scarsezza di viveri, essi non riuscivano più a tener alto il morale delle truppe. Il magnifico pane bianco, le ottime scatolette di carne e in genere i viveri che dalle trincee italiane gli esploratori lanciavano abbondantemente per propaganda, nelle trincee austriache, le persuadevano con argomenti troppo solidi. La decomposizione dell'esercito austroungarico fu da parte italiana alimentata e diffusa con vera maestria. n compito più difficile consisteva però nelle spedizioni nelle retrovie austriache, attraverso le linee nemiche; esse dovevano portare le notizie più importanti sulle riserve, sui movimenti delle truppe, sull'aviazione, l'artiglieria, le teleferiche, ]e ferrovie, sul morale dell'esercito e sullo stato d'animo della popolazione nel territorio occupato, sulle condizioni di vettovagliamento, sui punti presso i quali dovevano essere distrutti depositi di munizioni o hangar di aviazione, incendiate le stazioni, fatti saltare i ponti, oppure passare notizie a determinate persone. Solo quando occorreva avere rapidamente delle notizie importanti che non era possibile sapere dai disertori o attraverso i contatti, o quando per altre ragioni gli Italiani e i nostri lo giudicavano opportuno, solo in questi casi gli esploratori intraprendevano degli attacchi di sorpresa
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da soli, per le azioni minori, o in compagnia degli Italiani , per quelle più importanti. Gli esploratori assolsero tutti i compiti con successo. Furono divisi in pattuglie - talvolta della forza di un plotone, altrove meno numerose - sparse lungo tutto il fronte italiano, dall'Adriatico alla frontiera svizzera. Erano piccole gocce ceche sparse nel mare italiano, minuscoli gruppi di combattenti pieni d'entusiasmo, senza mezzi propri , senza speranza, confusi in una massa estranea a loro e dapprima diffidente e dubbiosa e che, per quanto poi li colmasse di ammirazione e di caldo ri conoscimento, non poteva naturalmente sostituire per loro la patria lontana. Le pattuglie! Immaginate quei 10-20 ragazzi col loro ufficiale , armati d'un corto moschetto , alla ci ntura il pugnale, che serviva non solo come distintivo onori fi co delle truppe scelte, e una bomba pronta in mano. Come loro uscivano ogni due notti dai reticolati , nella oscurità profo nda, in un terreno sconosciuto, contro un nemico infido; per loro , in caso di scontro , la morte in combattimento poteva essere solo una dolce fine , perché , a chi per disgrazia fosse caduto prigioniero, sarebbe toccato solo un ignominioso trattamento , l'oITibile capestro. Dal mare Adriatico alla frontiera svizzera uscivano la notte questi giovanissimi "esploratori". Essi attraversavano a guado fiu mi , si trascinavano faticosamente attraverso le paludi sul Basso Piave; si arrampicavano sulle erte dei monti, strisciando tra i cespugli insidiosi del Grappa; scalavano le cime rocciose e nude delle Dolomiti e arrivarono fino ai ghiacciai altissimi ed eterni intorno all ' Ortler, a 3800 metri d' altezza, dove potevano muoversi solo coi ramponi di ferro agganciati alle scarpe, e dove la minore pressione atmosferica faceva loro uscire il sangue dal naso e dalle orecchie, abituati com'erano, al più , alle basse colline. Non erano degli eroi, questi ragazzi? E modesti, tanto che fino ad oggj nessuno ha sentito parlare di loro. Essi portarono a tenni ne con successo molte centinaia di ricognizioni eccezionalmente difficili e pericolose. Ma era l'entusiasmo che li sosteneva. Poco tempo dopo l' appari zione deile nostre pattuglie , il contatto tra le due linee era stabilito su quasi tutto il fronte. In principio, mancando ancora l'esperienza per una attività così delicata, la propaganda si fece col canto di canzoni tradizionali ceche,
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soprattutto dell'inno nazionale, direttamente sotto le linee nemiche. Più tardi si usarono i megafoni. Ben presto però si ricorse a mezzi più efficaci e più pratici: furono stampati o scritti a mano dei manifestini che informavano sullo stato reale della guerra e invitavano a disertare; essi venivano lanciati per mezzo di razzi speciali, direttamente nelle trincee, o dagli aeroplani. I disertori si moltiplicavano e portavano notizie preziose e, soprattutto quelle degli ufficiali, di capitale importanza. Queste informazioni, se portate naturalmente nei momenti più pericolosi per gli Italiani , quando cioè si preparava un'offensiva, ebbero talvolta conseguenze così vaste che ancor oggi non possiamo esattamente valutarle. Così avvenne soprattutto prima dell'offensiva austriaca del giugno 1918. Essa fu svelata in tempo dal Tenente Stinny di Budejovice ed altri ufficiali cechi disertori. Stinny portò de11e notizie così precise e importanti da provocare un vero allarme tra gli Italiani. La sua azione venne pubblicamente lodata dagli Italiani, e perfino da personalità ufficiali, come per esempio dall'onorevole Gasparotto. E il fallimento di questa offensiva vi,ene attribuito appunto a queste informazioni nientedimeno che dal Generale prussiano von Cramon 13 • Notizie non meno importanti furono portate nell'ottobre dal Capitano cli Stato Maggiore Rudolf Srnetanka, il quale, subito dopo la sua diserzione, venne invitato al Comando Supremo italiano e con le sue informazioni collaborò all'offensiva italiana nel settore della 1a Annata. Molti disertori, specialmente ufficiali, passarono immediatamente nelle nostre file. Riuscirono pure magnificamente due celebri imprese all'interno dell'Austria, tra le sette che furono tentate; di una terza non si sa finora niente di preciso.
, .1 Le conseguenze di dette informazioni sono esposte in varie "Memorie" e "Critiche"; sulla offensiva austriaca del giugno si dilunga appunto il generale von Cramon, aggregato per 4 anni al Comando Supremo austriaco, nel suo libro, "Unser iJsterreich-hungarischer Bundesgenosse in Weltkriege ", Berlin, Mittler e Sohn I 920, I motivi del fallimento, secondo lui , sono due: il tradimento, che fece sapere agli Italiani il giorno e l'ora in cui l'offensiva si sarebbe iniziata, e il settore troppo lungo del fronte sul quale era stata sferrata. li Colonnello Adriano Alberti nel suo libro, "L'azione militare italiana nella guerra mondiale", Roma, Ugo Pinarò 1924, in cui critica il generale von Cramon , non nega però in nessun modo questa circostanza.
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Nonostante la loro speciale missione gli esploratori cecoslovacchi, parteciparono anche a molti combattimenti. E combattimenti sanguinosi. Infatti solo gli impiccati furono 28 , altrettanti eroi, fiori immortali della causa ceca, il cui puro, devoto amor di patria diventò vanto imperituro e ideale di tutta la nazione cecoslovacca. Dal loro eroismo nacque la nostra libertà, da esso sgorgherà la nostra forza morale che ci farà vincere anche nell'avvenire. Essi si sono sacrificati per tutti noi, senza chieder nulla, felici del loro sacrificio. Solo dopo i combattimenti del 3 novembre 1918 il Comando Supremo italiano inviava l'ordine telegrafico di richiamare il reggimento che si trovava nella prima ondata d 'inseguimento, per concentrarsi intorno a Padova. Alcune compagnie inseguivano intanto gli Austriaci molto addentro il loro territorio (Bolzano, Trento, Latisana); soltanto verso il 15 novembre si trovarono riunite nella zona indicata.
CAPITOLO TERZO Telegramma della città di P~rugia. Lettera del Generale Graziani. Telegramma del Generale Stefanik. Accoglienza del comandante della XII Brigata. Completamento del reggimento: compagnie mitraglieri e lanciafiamme. Comandante Colonnello Macaluso, 21 dicembre 1918. Lettera della città di Perugia. Musica del reggimento da Avezzano; reparti del genio, plotone di "arditi". Passaggio del comando dei battaglioni agli ufficiali cecoslovacchi 1'8 dicembre. La festa di Padova.
L'ltalia, entusiasta della vittoria, non dimenticava la sua riconoscenza ai Cecoslovacchi e dovunque si prepararono loro delle grandi accoglienze. La patriottica Perugia inviava già il 10 novembre un telegramma agli esploratori. "Giovane Italia Perugia, avanguardia d'azione patriottica, saluta valorose truppe 39 Czeco Slovacchi combattenti fianco nostro vittorioso esercito bene augurando libertà Boemia eroica". E il giorno successivo perveniva al Maggiore Giovanelli questa lettera dell'amato Generale Graziani: "Ottimo Maggiore Giovanelli. La ringrazio di vero cuore delle sentite parole che mi rivolge a nome dei ragazzi. Dica loro che le prove di valore date sulla frontiera italiana rappresentano per il giovane Esercito il primo documento storico di.forza, di tradizione, di eroismo per il futuro sviluppo. È un capitale preziosissimo, al quale tutti i nuovi soldati dovranno ispirarsi e prendere ad esempio con la fede cieca di riscontrare in esso la più sicura guida per la grandezza della Patria risorta. A Lei, Maggiore, che ha tanto contribuito nel formare l'anima e forgiare il metallo di uno dei tre battaglioni, vada la mia personale riconoscenza come quella di chi fu solo capo responsabile di fronte allo Stato oggi costituito .
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Come scrivo al Colonnello Vigevano, ripeto a lei di mandarmi qui a Vicenza un ciclista con la nota delle compagnie alle quali debbo ancora consegnare la mia fotografia. Le stringo cordialmente la mano. f.to Generale Graziani"
Tristi furono, soprattutto perché fatti soltanto per iscritto, gli addii dell'esercito al suo amato Generale. Tanto più tristi in quanto le truppe di linea ne ignorarono la causa. Graziani - il nonno Graziani - se n'era andato. In questo dolore l'esers:ito trovava una consolazione nel seguente telegramma del Generale Stefanik, inviato da VIadivostok il 13.XI: "In procinto di raggiungere in Siberia le nostre truppe ammirate dal mondo intero per il loro valore e disciplina, io penso commosso a voi fratelli, che difendete con pari valore l'onore della nazione cecoslovacca, rinsaldando la nostra preziosa amicizia con l'Italia. Dovunque le sorti della guerra ci abbiano sbalzato, la stessa saldezza di propositi e di carattere unisce lo stesso sangue generoso che ha bagnato il terreno dove spunterà la libertà. Procediamo impavidi per la liberazione ed il sacro diritto del nostro paese per la giustizia e l'avvenire dell'umanità. Salute e fortuna a Voi, Generale, a Voi indomiti compagni d'arme. V
Stefanik"
Presso Padova dovevano dunque incontrarsi per la prima volta i membri del reggimento e comunicarsi a vicenda le proprie azioni e le avventure di guerra. Il Comando del Corpo aveva avuto dapprima l'intenzione di conservare al reggimento la sua peculiare, agile composizione e aggregare poi i singoli battaglioni alle grandi unità, evidentemente come truppe scelte d'assalto, ma poi fu deciso che il reggimento sarebbe rimasto unito e la sua organizzazione si sarebbe adattata a quella regolare dei reggimenti di fanteria. Esso fu dunque aggregato alla XII Brigata cecoslovacca, il cui comandante, Colonnello Cajo l'accolse con l'ordine del giorno: "L'eroico 39° Reggimento esploratori che, sulle Alpi e lungo il Piave, ora martellando, ora minando la com.pagine nemica, scrisse pagine fulgidissime di gloria che rimarranno indelebili nella storia del
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popolo italiano, oggi viene a far parte della X/I Brigata C. S. Alfiero reggimento che tanto lustro ci apporta, il mio saluto augurale di comandante e il benvenuto di tutte le truppe dipendenti". Ebbe quindi inizio l'organizzazione dei reparti. I reparti di specialisti furono formati in parte con uomini del reggimento, così pure una compagnia mitraglieri, del I battaglione. L'8a e la 12a compagnia mitraglieri furono formate però dalle compagnie mitraglieri della Divisione già esistenti, e cioè dalla 6" e dalla 7'1 • Come per tutti gli altri nuovi venuti, il reparto dei lanciafiamme venne dal 33° Reggimento. In mezzo a questi frettolosi lavori di organizzazione giunse il 21 .XII. 1918 il nuovo comandante del reggimento, Colonnello cav. Egidio Macaluso, e prese il reggimento dalle mani ciel Maggiore Giovanelli. Un altro cambiamento avveniva nello stesso giorno anche in tutto il corpo cecoslovacco, perché veniva formato il comando del Corpo d'Armata cecoslovacco e, accanto alla preesistente 6'1 Divisione, se ne creava una nuova, la r. Nei dintorni di Padova la vita scorreva febbrile. I singoli battaglioni si esercitavano con ardore perché le compagnie giungessero ad una migliore fusione. Si controllava tutto l'equipaggiamento e l'armamento, perché le notizie giunte dalla patria dicevano che, dopo il ritorno, si avrebbe avuto ancora bisogno della loro opera. I fucili italiani venivano sostituiti con i fucili austriaci in ragione di due per ogni uomo. Il 23 di novembre giungeva l'ordine che il reggimento affrettasse i suoi preparativi in modo da essere pronto per la partenza in 4 o 5 giorni. Non fu un lavoro facile. Il cambio dell'armamento con fucili austriaci richiedeva anche munizioni diverse e, siccome le mitragliatrici erano italiane e avevano quindi bisogno di munizioni italiane, gli ufficiali rilevavano la difficoltà cli un simile doppio sistema di armamento e il pericolo che eventualmente potessero mancare le munizioni italiane. Per quanto restasse pochissimo tempo per terminare i preparativi, alla massa dell'esercito pareva eternamente lungo e il nervosismo, dovuto alla nostalgia di rivedere i propri cari, cresceva sempre più. Gli italiani ci colmavano di espressioni d'amore, ma i nostri erano così lontani. La città di Perugia manifestava in una lettera il suo affetto imperituro:
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"Eravamo in. attesa di tradurre in. realtà il desiderio della cittadinanza coli 'offerta della bandiera a codesto valoroso reggimento e fervida era la letizia di Perugia che nel dono , attestato tangibile del suo vivo sentimento, intendeva rinnovare il suo affetto e la sua simpatia alle gagliarde schiere, le quali maturarono in essa i destini della loro stirpe in una cosciente ed austera serenità. Ma il comitato italiano per l' indipendenza cecoslovacca in Roma, al quale ci eravamo rivolti per schiarimenti circa l'aspetto e la forma in cui il vessillo doveva essere confezionato, ci comunica oggi, che secondo gli accordi ufficiali già presi dalla Presidenza del Comitato stesso con il Comando del Corpo d'Esercito., Cecoslovacco e con il consiglio Nazionale pel tramite del Capitano Seba, al 39° Reggimento sarà da questo comitato consegnata la bandiera già preparata allo scopo, e per la quale fu indetta la sottoscrizione nazionale. A Perugia sarebbe stato assegnato, invece, il compito di offrire il vessillo al 31 ° Reggimento C. S . In data di oggi, facendo presenti gli speciali rapporti di cordialità .fraterna che congiungono sempre, sia collettivamente che individualmente i cittadini di Perugia ai simpatici e valorosi soldati di codesto reggimento, abbiamo tentato di far operare un cambiam.ento nelle decisioni del Comitato Italiano per l'Indipendenza C. S. affinché sia a noi mantenuto e riserbato l'onore di offrir la bandiera al prediletto 39° Esploratori, secondo l'intesa e la preferenza cittadina. Ma·-&nche se ciò risultasse impossibile, anche se suddetto Comitato nulla potesse mutare nella situazione e Perugia dovesse aderire all'altra offerta, il sentimento fervido di ammirazione e di entusiasmo affettuoso rimane immutato come i vincoli saldi che a codesto reggimento ci legano indissolubilmente. E ciò sappiano anche i Soldati. Rinnoviamo così l'espressione spontanea dell'anima cittadina, rivolgendola al 39° Esploratori nella diritta e illuminata persona del suo prode comandante a cui abbiamo creduto onore e dovere esporre l'eventuale, impreveduto mutamento nell'estrinsecazione del voto che accomunava tutti i cittadini di Perugia patriottica in un possente palpito solo. Coi sensi della massima deferenza ed ossequio. Per il comitato: Tiberio Ansidei"
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Il 2 dicembre giungeva dal campo di concentramento di Avezzano il corpo musicale aggregato come banda al reggimento e furono formati i reparti zappatori e un plotone di "arditi". L'8 dicembre il comando dei reggimenti passava in mano degli ufficiali cechi e così la legione italiana tendeva a diventare un corpo pienamente indipendente. Naturalmente la situazione pienamente consolidata dell'esercito italiano, cosciente del proprio valore, non permetteva nessun passo precipitoso. Così. il Capitano dottor Antonfn Bas] rilevò il I battaglione dalle mani del Capitano Trentini del 79° Reggimento Fanteria italiano, il Capitano Emanuele Ambroz rilevò il II dal Capitano Mastropiero del 278° Fanteria. Infine il Capitano Antonfn Zeman assunse il III battaglione dal Maggiore Koby linski j. Fu un avvenimento lieto che servì di prologo alla grandiosa cerimonia avvenuta a Padova nello stesso giorno. I festeggiamenti di Padova furono una nobile manifestazione del riconoscimento e de] reale entusiasmo degli Italiani per i Cecoslovacchi. È vero: gli Italiani dapprima non ci avevano capiti e molto avevano esitato prima di compiere l'atto decisivo. Ma dal primo giorno in cui fecero causa comune con noi, essi ci colmarono letteralmente di manifestazioni sincere d'entusiasmo e di profonda comprensione. Solo in questo modo essi avevano potuto conquistare presso i legionari quella profonda devozione che s'era trasformata in reale fratellanza. Il reggimento, forte di 86 ufficiali e 1628 soldati, fu trasportato a Padova con dei camion e si radunò, con tutto il corpo cecoslovacco, in una vasta piazza. Alla cerimonia parteciparono numerosissime personaJità italiane e dell'Intesa, borghesi e militari, e lo stesso Re d'Italia, Vittorio Emanuele III. Essa fu aperta da un discorso del ministro plenipotenziario a Roma, dottor Leo Borsky, seguita dal canto del nostro così suggestivo inno nazionale. Il Capitano Seba lesse quindi il giuramento solenne al governo cecoslovacco, rappresentato dal ministro Borsky, e vennero consegnate le bandiere ai singoli reggimenti. Seguì la sfilata dinanzi al re d'Italia, durante la quale le ovazioni del pubblico presente crebbero in frenetica manifestazione e che le nostre fredde anime cecoslovacche accolsero con profonda commozione.
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Le manifestazioni di Padova resteranno indimenticabili per tutti quelli che vi hanno partecipato. Si fecero quindi gli ultimi preparativi per la partenza. Finalmente il 15 dicembre, quando ormai il Corpo Cecoslovacco aveva organizzata la propria a1tiglieria, la cavalleria e tutti i reparti tecnici, si mossero i primi trasporti verso la patria liberata. Come riconoscimento dei meriti degli Esploratori, si decise che il loro reggimento sarebbe partito per primo. Dopo gli addii al primo comandante del battaglione esploratori, più tardi sostituto del comandante del reggimento, Maggiore Giovanelli, che tornava al1'8° Reggimento Fanteria, gli esploratori partirono con sei trasporti: in tutto 108 ufficiali, 3001 soldati, 326 quadrupedi e 53 carri. Gli esploratori delle legioni cecoslovacche in Italia avevano chiuso la storia del1a loro attività all'estero e si affrettavano verso la patria, felici sì, ma pieni di un nostalgico rimpianto per la terra che lasciavano, per la bella Italia ....
PARTE SECONDA SUL I?RONTE ITALIANO. FRATELLANZA D'ARMI E DI VITTORIA
CAPITOLO QUARTO Il gruppo dei 450. Da l'adula il 10 aprile per Verona. Festa al "Teatro Filarmonico". Ripartizione al fronte.
Era il 1O aprile 1918 quando giunse a Padula la notizia che il cosiddetto Gruppo dei 450 doveva essere mandato in servizio di ricognizione al fronte, e quindi partecipare direttamente ai combattimenti. Non era quelJo il primo contingente. Tre altri ne erano partiti già prima della fine di marzo. Il gruppo dei 450 doveva formare 3 compagnie, ognuna di 5 ufficiali e 150 uomini. La "mobilitazione" fu eseguita con la velocità di un lampo. I soldati e i sottufficiali si presentarono subito volontariamente a Padula, come pure gli ufficiali più anziani del vicino campo di concentramento di Sala Consilina. Tra questi furono scelti i tre comandanti: sottotenenti Alexandr Prejda, Vojtech Hanzal e Eduard Klfmek, i quali organizzarono rapidamente le loro compagnie e poterono partire già il 12 aprile. Fu una mobilitazione ideale. Naturalmente, non c'era necessità di perder tempo per le proprie cose (tutte la nostre proprietà entravano nelle nostre tasche) e nemmeno di scambiare addii dolorosi con qualche "amato bene". Non dimenticheremo mai i sentimenti che abbiamo provato in quel giorno. Cercate solo di immedesimarvi nel nostro stato d'animo. La maggior parte di noi viveva onnai quasi da due anni in prigionia: poche comodità e stenti fisici, senza tener conto di altre ben più gravi miserie spirituali. Nessuna notizia dalle nostre case. Quante delle nostre mamme erano già vecchie quando eravamo partiti! Chi aveva un fratello ferito gravemente e chi un altro fratello pure in gueffa. E la fame, le privazioni là, a casa ... "Quale sarà la fine di questa orribile guerra? In questa lotta, in questo appello che da ogni parte al mondo si leva per invocare la libertà, possibile che solo la nostra nazione non sia esaudita? Resteranno vani tutti i nostri sforzi per creare un esercito cecoslovacco in Italia?
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E non ci sarà permesso di andare né in Russia, né in Francia, visto che essi stessi, gli italiani, non r(fiutano - per ragioni, pare, di umanità di metterci difronte al nostro comune nemico? Possibile che non bastino le prove che abbiamo loro dato, rischiando tutto per tutto?" ecco gli inte1Togativi che si agitavano in ognuno di noi. E tutt'a un tratto ecco che si aprivano dinnanzi a noi le porte del campo di concentramento e noi eravamo liberi. Liberi cittadini cecoslovacchi colle anni in mano, pur partendo in realtà come membri dell'esercito italiano, ma ciò poco importava. La nostra fede ci assicurava che la nostra lotta sarebbe stata vittoriosa e che saremmo tornati orgogliosi e pieni di gloria nella nostra patria libera. L'idea della libertà dei popoli aveva trionfato, non eravamo più dei reietti. Ma il nostro inno sacro - per noi in quel momento veramente sacro - mai aveva destato in noi e mai più desterà un sentimento così solenne, eppure così doloroso. Era già buio, quando partimmo dalla stazione; dinnanzi a noi un mare di luci nel campo brulicante di uomini; intorno le grida piene d'entusiasmo degli ultimi saluti. Il treno si mosse: risuonò il nostro inno. Suonava così doloroso, perché? Ma se partivamo per cogliere la vittoria? Non eravamo di nuovo liberi? Perché, dunque, ci accompagnava con tanta malinconia? Forse era la nostra patria lontana che piangeva silenziosamente di gioia e di commozione vedendo partire i suoi figli pronti per il sacrificio, forse piangeva sulle ferite sanguinose di quelli che avrebbero sofferto per Lei. Ci allontanavamo sempre più dal campo, le luci sparivano , ma la nostra preghiera continuavamo a sentirla. C'era un gran silenzio in tutto il treno. Solo ogni tanto prorompeva un singhiozzo soffocato. Eravamo dei ragazzi, tutti giovanissimi, senza eccezione. Malgrado che il treno ci portasse rapidamente per Avellino, Foggia, Castelfidardo, Falconara e Bologna, tutte fermate più o meno lunghe, giungemmo a Verona solo il l 5 aprile verso le 3 del mattino . A Verona fummo rapidamente equipaggiati ed armati, e incominciammo le prime istruzioni. Gli avvertimenti e i consigli in questa materia venivano dati a tutte e tre le compagnie, per mantenerne il carattere unitario , del Tenente Vidmar, jugoslavo, di passaggio a Verona con alcuni ufficiali del gruppo di Carzano, che lavoravano alla 6a Armata. · Le manovre e gli esercizi venivano predisposti man mano dagli ufficiali stessi, i quali, perché l'istruzione conservasse la sua unità ed effi-
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cacia, si riunivano la mattina presto, prima di andare in piazza d'armi, e imparavano essi, prima, i diversi esercizi. Il 20 aprile fu alzata solennemente la bandiera cecoslovacca sulla fortezza di Verona, accanto alla bandiera italiana. Le truppe dei due eserciti, riunite in questa festa intima, resero gli onori militari. La fortezza, un tempo austriaca e riconquistata dagli Italiani, era stata stavolta conquistata dai Cecoslovacchi; conquistata moralmente, con l'amore e la persuasione, come alleati ormai riconosciuti nella lotta contro il comune e secolare nemico. Ma non avevano conquistato solo la fortezza. Nei primi giorni dopo il nostro arrivo fummo invitati a scendere la sera in massa in città. ''All'angolo di una strada ci aspettava un gruppo di cittadini. Non appena ci avvicinammo a loro, ci accolsero con delle grida entusiastiche di "Viva la Boemia". Noi rispondevamo gridando "Viva l'Italia ". La folla intorno a noi diventava sempre più.fitta. Cantammo il nostro inno: "Dove è la mia Patria?". Lo cantammo con entusiasmo, religiosamente, con tutte le nostre forze. Una tempesta di applausi ci salutò, un mazza di garofani ci piovve addosso sparpagliandosi. La folla, che s'ingrossava in maniera inaspettata, continuava a gridare evviva alla Boemia e all'Italia e faceva calca intorno a noi per vederci. Un tram si dovette.fermare, non c'era mezzo di andare avanti. Eravamo letteralmente sospinti in avanti nella strada. Non so più chi ci guidasse. Voltamnio a destra attraverso altre strade, tutte già piene zeppe di gente, senza sapere né dove si andava, né perché. Attraversammo una piazza accompagnati sempre da grida e da canti e ci fermammo dinnan.zi ad un alto ed~ficio antico, sul quale era collocato un busto di Battisti. Eravamo stati letteralmente portati là dalla folla. Cantammo di nuovo il nostro inno nazionale. Poi si fece avanti un deputato, il quale parlò di noi, dicendo chi eravamo. La folla che riempiva tutta la piazza, incominciò a gridar di nuovo evviva la Boemia e abbasso l'Austria e la Germania. Il nostro Colonnello che era presente ci chiese di nuovo di cantare. Pieni d'entusiasmo e di commozione attaccammo la canz,one del Sokol: "/l 6 di giugno ... " ma non ci lasciarono.finire. La folla s'era messa a rumoreggiare talmente che non sentivamo più le nostre parole. '' Evviva la Boemia" e "Abbasso l'Austria!", "Abbasso la Germania!", "Evviva l 'Italia! "; non la finivano più.
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Ci movemmo per andare oltre. Mi trovai con alcuni compagni proprio al centro del corteo. Dinnanzi e dietro a noi c 'erano giovani e studenti. Eravamo completamente tagliati dagli altri nostri ragazzi. Senza saper donde fosse uscita, ecco che sopra di noi sventola ad un tratto una grande bandiera italiana. Nuove grida di evviva all'Italia e alla Boemia. I soldati italiani si spingevano verso di noi, ci sorridevano, ci accarezzavano e gridavano "Bravi Boemi, bravi Czechi! ". Non sapevo a chi rivolgermi prima, a chi sorridere per mostrare tutta la mia riconoscenza. Attraverso le strade piene, dove tutti erano commossi dalla improvvisa dimostrazione, raggiungemmo la Loggia del Consiglio dinanzi a cui stà la statua dell'immortale Dante. Lì, sul piedistallo della statua salì un avvocato in un(forme di ufficiale degli alpini e di nuovo arringò la folla. Dopo il suo discorso i giovani italiani cantarono l'inno nazionale e lafolla si disperse in tutte le direzioni, commentando vivamente gli avvenimenti e facendoci ovunque largo. Anche noi, profondamente commossi dal patriouismo degli italiani, ci dividemmo; alcuni Czechi andarono con dei giornalisti nel "Caffè Dante" dove tradussero in italiano le parole del nostro inno che fecero una profonda impressione su tutti" .14 L' istruzione procedeva rapidamente; ogni giorno esercizi di ginnastica collettiva per rinsaldare i corpi, fiaccati alquanto dalla prigionia; tiro a segno, esercizi in campo aperto con bombe a mano, esercitazioni colle maschere antigas inglesi. Nel lancio delle bombe a mano si ebbero il 24 aprile i primi due feriti. Naturalmente la vita dei nuovi soldati non si esauriva solo in esercitazioni e non scorreva certo in assoluta tranquillità. Ma gli esploratori vissero a Verona anche molte magnifiche ore. Così il 21 apri]e si ebbe la visita del nostro primo comandante, il Generale Andrea Graziaiù, accompagnato dal direttore della sezione di Roma del Consiglio Nazionale, Frantisek Hlavacek, principale organizzatore del movimento delle legioni in Italia, e dal dottor Lev Sychrava, redattore del giornale "L'Indipendenza Ceca"; essi ci annunciarono che il governo italiano ci aveva riconosciuti come alleati e che facevamo parte del regolare esercito cecos]ovacco, messo alla pari di qualunque esercito alleato.
'" Dal diario dell'esploratore Vaclav Smrcek.
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Fu una folata di gioia e di entusiasmo. Ora toccava a noi concretizzare militarmente questo successo politico. Lo stesso giorno la popolazione di Verona organizzava in nostro onore una splendida cerimonia nel "Teatro Filarmonico". Sarà interessante leggere quello che a proposito dì essa annotava allora nel suo diario un semplice volontario: "Dopo la colazione, ci metternm.o in marcia sotto la pioggia che non
ci impediva certo di mantenere la .formazione e di camminare, ma contro cui tutti brontolavamo. Ci pareva che la festa sarebbe stata, se non guastata, per lo meno assai ridotta, mentre noi saremmo stati felici di esultare insieme agli italiani commemorando la loro unità. lo soprattutto ci tenevo a vedere quanto fossero patrioti gli italiani. Allineati per quattro e avvolti nella man.tellina ci q[frettammo verso la città. Doveva essere molto tardi. Infatti, in città incontrammo l'automobile col Colonnello, comandante del nostro reggimento, che veniva a prenderci. Era molto irritato cogli ifificiali italiani che ci guidavano, perché si andava troppo piano. Affrettando il passo arrivammo al teatro dove avveniva la cerimonia. Nel corridoio faceva ressa il pubblico che forse non era riuscito ad entrare nella sala; davanti c'era un cordone di fanciulle e signore probabilmente in nostra attesa. Entrammo per due, tutti bagnati, colle scarpe in:fangate, così com'eravamo venuti attraverso la strada campestre. La gente ci salutava, per.fino gli ufficiali fermi sulla porta, e alcune fanciulle ci porsero delle bandierine coi colori cechi che noi prendemmo con un sorriso e un ringraziamento dalle loro mani gentili. Pian piano riuscimmo ad irifìlarci nella sala, piena zeppa fino all'ultimo posto, e dove qualcuno stava tenendo un discorso. Evidentemente la nostra invasione fu subito rilevata e gli occhi di tutti si volsero verso di noi. Restammo a sinistra dell'entrata, per non disturbare la cerimonia, ma alcuni di noi furono condotti.fin sul palcoscenico, dove c'era tutta una selva di bandiere, alcune nuove, altre tutte lacere, vicino a cui stavano in piedi orgogliosamente dei vecchi reduci colla barba bianca e con una fila cli decorazioni sul petto. C'erano anche molti ufficiali, signori, signore e .fanciulle. Tre stenografi., mi pare, annotavano i discorsi che venivano pronunciati. Quel che dicesse l'oratore non so. Ma dopo il suo discorso si alzò una tem,pesta di grida e di battimani e sulla nostra testa vennero a cadere dei fiori. Da sei balconate sovrapposte venivano agitati i fazzaletti e le grida di evviva si ripetevano di continuo .
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Dopo alcuni oratori si.fece avanti una signora e lesse il suo discorso con una debole vocina. Poi una fanciulla si avvicinò al lungo tavolo che stava sul palcoscenico portando, con nostra grande meraviglia, una bandiera ceca su un'asta dorata. La bandiera fit consegnata ai nostri ragazzi che stavano lì, tra le approvazioni e le grida d' entusiasmo. Non è possibile descrivere questo momento. A nome del nostro reggimento rispose ringraziando, in italiano, il Tenente Vidmar, poi il Generale Graziani e Hlavdéek. Quindi seguirono gli inni. Prima quello italiano poi gli inni degli alleati, accolti dal pubblico con applausi fragorosi. Sychrava ci invitò a cantare anche noi il nostro inno nazionale. Lo facemmo con sentimento, con entusiasmo e con dolorosa nostalgia per la nostra cara patria lontana. Se almeno, oh popolo nostro, tu intuissi e sentissi il giuramento delle nostre anime, confermato dall'amore e dalle simpatie del popolo italiano, se, o Patria, tu potessi vedere i tuoi figli fedeli, pronti, insieme ai soldati dell'Intesa, a lottare per Te! Cantavo così sincera,nente e con tutto il mio slancio, come se la nostra santa canzone dovesse essere sentita dappertutto, a casa e sul fronte, dove ancora migliaia di schiavi gemevano, combattevano e morivano per l'Austria detestata. Nella sala c'era un silenzio di tomba. Tu tti gli sguardi erano.fissi su noi, il respiro sospeso; tutti bevevano quasi le parole dalla nostra bocca. Dopo la seconda strofa del nostro inno, mentre tutti aspettavano ancora che il canto continuasse, gridammo in coro, fragorosamente, "Nazdar!". Solo allora il pubblico tornò in sé: scoppiò un vero uragano di ovazioni e di nuovo.fummo ricoperti di fiori . Afferrai un rametto di lillà e di abete che Legai alla bandiera ceca. Così la cerimonia ebbe fine a mezzogiorno inoltrato. Ci sciogliemmo. Vicino alla porta una vecchietta, certo una Ceca, ci gridò ancora: "Vi va la nostra madre Praga!". Prima che potessi riprendermi dalla sorpresa e guardar meglio la vecchietta, la.folla mi aveva già spinto fuori dalla porta. Nel vestibolo, dove il pubblico ci faceva ala e ci esaminava come fossimo stati per lo meno semidei, signore e fanciulle distribuivano dei biglietti per la festa della "Giovane Italia". Sul biglietto era disegnato un giovane che calpestava un'aquila bicipite e tendeva la mano verso la grande bancliera; una fanciulla, dietro alla quale stavano altre quattro figure dell'aria sognante, gliela porgeva; sulla bandiera a destra del giovane stava La scritta:
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"Giovane Italia" "Italiani, nostri concittadini, noi vi invochiamo tutti" 21 aprile 1918" .15 I1 popolo cecoslovacco incominciava ad avere i suoi amici in larghi strati della nazione italiana. Finalmente il 30 aprile giunse l'ordine di aggregare le compagnie alle tre armate. Furono suddivise in unitĂ di forza diversa, secondo la richiesta dell ' armata stessa. Due ufficiali e quaranta uomini alla r Armata (la compagnia), 8 ufficiali e 230 uomini alla la Armata (3 3 compagnia) e 5 ufficiali e 183 uomini alla 6a Armata (6" compagnia). E cosĂŹ le tre compagnie, nate contemporaneamente nella stessa culla, vissero insieme solo pochi giorni, per rimanere, poi, divise per tutto il resto della guerra.
,; Dal diario dell'esploratore Viiclav Smrcek.
CAPITOLO QUINTO Alla Jll Armata Dalla frontiera Svizzera al Lago di Garda. Il gruppo di esploratori del Sottotenente Hanzal. A Cady. Passo del Tonale. Combattimento in Val dei Concei. Esecuzione di Sobotka. La diserzione del Capitano di Stato 1l1aggiore austriaco Smetankov. La visita del dottor Benes.
Questa compagnia, o meglio quello che ne fu il germe, partì da Verona il 1° maggio 1918, al comando del Sottotenente Vojtech Hanzal, forte di 2 ufficiali e 40 uomini, direttamente per il comando di armata, nel paesello di Compiano, presso Brescia. L'addio agli altri fratelli rimasti a Verona fu doloroso, perché si trattava in realtà di spezzare la compagnia appena costituita, ma non c'era rimedio. Il Comando della 7a Armata aveva chiesto dapprima solo 12 uomini ed era già molto che ne avesse fatti partire almeno 40. Il settore assegnatole si stendeva dalla frontiera svizzera al Lago di Garda: quasi 100 km, con altissime vette alpine, ghiacciai, pareti pericolose, ferrate, tutto un teatro di guerra totalmente diverso da quello che ci era familiare. Da entrambe le parti, sia italiana che austriaca, c'erano le migliori truppe da montagna. E noi, che nella nostra vita in patria avevamo tutt'al più scalato qualche collina di 600 metri, dovevamo ora, in quelle condizioni, adoperarci a mantener alto il prestigio dell'esercito cecoslovacco, e cioè tentar di superare i migliori. Arrivare ai 3800 metri d'altezza, dove solo le vette dei monti altissimi, tra la roccia e il ghiaccio, erano occupate da 20 o 25 soldati, in mezzo a un'infinita solitudine. Solo di fronte c'era qmùche essere vivente: il nemico. I viveri e le munizioni potevano essere trasportati di giorno solo dai cani , i quali, bianchi come la neve, velocissimi e straordinariamente intelligenti, erano un bersaglio difficilmente raggiungibile. Tale era il fronte su tutta una metà del settore della Armata. Non c'è da meravigliarsi che fossimo perfettamente contenti nel constatare che sul resto del settore, verso il Lago di Garda, i monti erano alti "solo" 2000 metri.
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Eravamo molto preoccupati del modo in cui ci saremmo fatti valere. Per fortuna il comandante .Hanzal aveva una lunga esperienza nel servizio di pattuglia, acquistata dalla parte austriaca. I suoi successi con pattuglie perfino di 80 uomini gli avevano assicurato fin da allora l'assoluta fiducia dei suoi uomini. Fu appunto per questo che, nel campo di Padula, s'erano mruolati nella sua compagnia i volontari più esperti in questo genere di combattimento. Perciò essi affrontarono il loro difficile compito in alta montagna con molta maggiore serenità. Gli italiani che ci osservavano attentamente (perché infatti era un atto di coraggio da parte loro il mettere noi che eravamo degli Austriaci in fondo, dal loro punto di vista, colle amù in mano contro altri Austriaci) si mostrarono presto del tutto contenti della nostra condotta veramente esemplm·e. L'8 maggio partivamo per il fronte verso il villaggio abbandonato e in gran pmte distrutto di Triario Inferiore, nelle Giudicarie, dove fummo alloggiati. II 9 mattina il comandante cecoslovacco si presentava al comando di reggimento e del battaglione in linea a Bezzecca e a Locca, la sera il comandante della Divisione passava in rivista la compagnia, volendo conoscere personalmente questi nuovi ed eccezionali soldati. Nei tre giorni successivi fu cercato il terreno più adatto per far uscire una pattuglia. Non era facile: le notizie sulla linea nemica, molto lontana, non erano precise e per giunta si estendevano dappertutto dei campi minati. Il fronte era qui relativamente tranquillo e in molti punti non si usciva mai fuori dalle linee. Occorreva quindi riconoscere anzitutto i campi minati e a questo compito dedicammo una serata. Furono visitati la quota 1269 e il Monte Cocca, di fronte alla cima austriaca del Tomeabrù . Il comandante Hanzal tenne per sé il settore, intorno alla Cima d 'Oro, a 1813 metri di altezza, affidando all'esperto Sottotenente Vaclav Hnilicka la più agevole Val dei Concei, più tardi tanto rinomata. Le ricognizioni dovevano essere fatte ad intervallo di uno, massimo due giorni: il 14 maggio usciva la prima pattuglia cecoslovacca in quel tratto delle Alpi e precisamente a Tomeabrù. Le ricognizioni in quel punto erano estremamente faticose. Come già dicemmo il terreno era vastissimo, disagevole, coperto di campi minati, di cui non si conosceva la esatta disposizione; il nemico era lontano, circa un chilometro e mezzo e in certi punti fino a sei chilometri,
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ed era compito nostro di accertare quale fossero esattamente la sua linea e i suoi movimenti di giorno e di notte. L'Ufficio Informazioni ci aveva chiesto di collocare un filo telefonico per l'apparecchio intercettatore il più vicino possibile alle trincee austriache. Verso sera 40 esploratori, col sottotenente alla testa, scavalcarono silenziosamente le trincee. La via attraverso i fili spinati non era facile: passaggi non ce n'erano, le linee dei reticolati erano numerosissime e le mine certo abbondavano. Ma i quaranta e il loro capo erano in genere vecchi ed esperti esploratori; essi strisciarono, ventre a terra, sotto ai reticolati, evitando d'istinto le mine; alla testa si alternavano il comandante Hanzal e il Sergente Stehlik che preparavano la strada agli altri. Ogni tanto mtavano con la faccia o colle mani il filo di qualche tubo di gelatina che non permetteva di andar oltre. Non c'era altro da fare che azzardarsi a tagliarlo, e, siccome non avevano le pinze apposite, si servirono del loro pugnale affilatissimo: l' uno teneva fem10 con le mani il filo, perché un colpo più violento del coltelJo non facesse esplodere la mina, e l'altro tagliava. Per un pezzo gli esploratori raccontarono con un soniso d'orgoglio questa loro avanzata nell'inferno delle mine, dove più tardi (esattamente il 28 ottobre, nel vicino settore di Locca) nel passaggio molto meno pericoloso di un campo nùnato il soldato Antonin Adamec ebbe una gamba stroncata e il soldato Rudolf Vrba fu gravemente ferito. Finalmente tutti passarono felicemente. Avanti dunque! Ci guidava ora il Sergente Josef Stehlfk, di cui si è già parlato; egli aveva disertato poco prima nel vicino settore e diceva di aver da quelle parti, in un piccolo posto avanzato, un suo buon camerata, un certo Nedoma. E con costui appunto volevamo entrare in contatto. Inoltre, c'era il filo del telefono da dispone nelle vicinanze della trincea austriaca per un apparecchio intercettatore. Ci avvicinammo cautamente così vicino da poter gridare verso le trincee austriache: "Nedoma, ci sei?" "Ci sono. E chi è là?" "Qua Stehlik" "Chi?" "Stehlfk" - Silenzio - L'altro evidentemente non riusciva capacitarsi come l'artigliere disertore Stehlfk si trovasse ad un tratto , dopo pochi giorni, davanti ai suoi reticolati .
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"Vien qua da noi, Nedorna". Ma ormai nessuno più rispondeva. Non riuscivamo a spiegarci questo silenzio. Probabilmente qualcuno era intervenuto nel piccolo posto. Eravamo vicinissimi alle trincee austriache. Ad un tratto ci mettemmo a cantare il nostro inno nazionale. Tutt'intorno il silenzio era assoluto: non rispose né una voce né un colpo. Gli austriaci dovevano essere ben sorpresi: lì, tra i monti, non avevano forse mai sentito parlare, fino a quel giorno, di propaganda. Al ritorno il comandante chiese dove fosse rimasto il filo per l'apparecchio intercettatore e accertò che l'eterno pasticcione Voge! (in fondo però un bravissimo e zelante soldato, ebreo ceco) lo aveva fatto impigli are sotto i nostri reticolati. ''Ce l'hai fatta proprio bella! Sei rimasto qui come uno scemo, facendo fallire una pattuglia come questa". "Fratello Sottotenente, rispose lui, disperato e piangente, guarda tu stesso come il filo s'è attorcigliato fra i reticolati; s'è imbrogliato anche nel tamburello, e io non sono riuscito a districarlo!". Il comandante brontolò ancora qualcosa contro il furbacchione che prima aveva chiesto volontariamente di unirsi alla pattuglia; ma poi se ne andò. Avrebbero pensato gli altri a dargli il resto. In fondo però non c'era da essere scontenti, per la prima volta il risultato era stato buono. Anche il Sottotenente Hnilicka non aveva fatto di più. A lui i Cechi dal]' altra parte avevano chiesto perfino "di che razza fossero". Naturalmente gli altri Austriaci erano subito intervenuti per fru·li tacere. Non appena conosciuti i risultati ottenuti dai Cecoslovacchi, tutti i comandi circostanti , ed alcuni anche molto lontani, ne chiesero un ce110 numero. Ciò ebbe per conseguenza, visto che noi eravamo in troppo pochi per un settore così grande e per giunta montuoso, che i successi delle pattuglie non poterono essere sfruttati fino in fondo. Infatti, non appena i nostri allacciavru10 qualche contatto coi reparti slavi cli fronte , dovevano subito interromperli per andare altrove. Naturalmente tutti i movimenti avvenivano per mezzo di camion; ma anche in questo modo e colla migliore volontà di facilitare il nostro compito, gli esploratori in questo settore erano impegnati a fondo, come risulta anche dal fatto che la maggior pa1te degli uomini poté andare a riposo, prima del' armistizio, solo una unica volta e per 4 o 5 giorni, cosa che non avvenne in nessun' altra annata. La prima compagnia aveva infatti il settore più esteso. Dietro intervento del comandante, il quale fece notare al capo dell'Ufficio Informazioni, Colonnello Vecchierelli, che per la 7a Armata era stata preparata un' intera compagnia esploratori e che, su
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semplice richiesta, altri sarebbero accorsi con entusiasmo, il Colonnello chiese un altro reparto di esploratori, che giunse a Mompino, forte di 4 ufficiali e 110 uomini. Faceva parte del II battaglione del 31 ° Reggimento comandato dal Maggiore Giovanelli. Il comando dei due reparti fu assunto dal Sottotenente Hanzal, il quale dovette interrompere la sua partecipazione al servizio di pattuglia cedendone la direzione al Sottotenente Hnilicka, perché i nuovi venuti dovevano essere riorganizzati e istruiti, almeno sommariamente, dato che solo un esiguo numero di essi era stato in servizio di pattuglia nell'esercito austriaco. L'addestramento si svolse in parte a Compiano e in parte a Paisco, villaggio arrampicato tra i monti deserti su una china vicino al fiume Oglio e tagliato fuori da tutto il resto del mondo. Per quanto gli abitanti cercassero in tutti i modi di renderci sopportabile il soggiorno, noi non vedevamo l'ora di andarcene. Solo l '8 giugno giunse l'ordine tanto atteso di tornare al fronte, stavolta molto più a nord, intorno al Passo del Tonale dove sembrava dovesse prepararsi un'offensiva austriaca. Il movimento fu eseguito colla massima rapidità, come pure le marce e la ricognizione dei luoghi più adatti, fatta dal comandante. Il 12 giugno due reparti cecoslovacchi scalavano già le cime alpine: il reparto del Sottotenente Alois Kara al Passo del Tonale e il reparto del Sottotenente Alois Fiala sulla Cima Cady (2607). Era già buio quando questi ultimi presero possesso della loro posizione e con fatica si orientarono rispetto alle trincee più vicine. Tutti si misero a dormire in una baracca, presso la prima linea, ma ne11a stessa notte, tra 12 e 13 giugno, li sorprese l'offensiva austriaca. La situazione di questi cecoslovacchi non era certo invidiabile, se pensiamo che .in tutte le offensive in grande stile il nemico, data la superiorità delle forze preparate e la sorpresa, riesce sempre ad impadronirsi delle prime linee. Infatti si può parlare solo di fortuna se in questo assalto nessuno cadde in mano agli austriaci. La lotta fu aspra. 11 reparto uscì rapidamente e difese i fianchi del suo settore: fu questa circostanza, forse, a salvarlo. Gli Austriaci avanzavano soprattutto verso la cima che, infatti, ne] primo urto, riuscirono ad occupare. Le riserve italiane però, non appena videro che il nostro settore resisteva e che gli Austriaci sostavano indecisi sulla cima, si lanciarono immediatamente al contrattacco, che riuscì. Gli Austriaci si ritirarono, coprendo tutto il settore con un infernale tiro di artiglieria.
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Ma inutilmente: le trincee erano ben costruite, proprio sulla cresta, e in montagna l'efficacia dell'artiglieria è notevolmente limitata. Un nuovo assalto della fanteria austriaca fu respinto anch'esso e stavolta i nostri sostennero i settori vicini con fuoco laterale. L'artiglieria nemica intensificò il fuoco decimando la guarnigione della cima e permettendo a una nuova ondata di fanteria di rioccupare, dopo lotta accanita, la posizione. I nostri avevang già due morti, i primi de11a compagnia: Rudolf Holub e Bedrich Cerych. Quale doloroso cammino era stato il loro, prima che si adempisse l'opera di liberazione della patria! Lo scoppio di una bomba fece saltare il fucile di mano ad un soldato, un altro lo ebbe piegato ma senza altre conseguenze. I caporali Bezdek e Klapal vennero feriti. I nostri non cedevano e gli austriaci non osavano muoversi contro di loro: sapevano che non c'era speranza di vederli arrendere. Non s'aspettavano di trovarci lì. Gli Italiani si lanciarono di nuovo al contrattacco e cacciarono l'avversario. Il nemico pagava caro ogni suo ripiegamento: le bombe a mano si abbattevano micidiali sui gruppi in ritirata. Sugli altri settori le cose non gli andavano meglio. Sul Passo del Tonale, un po' più a sud, dove in prima linea stava il reparto del Sottotenente Alois Kara, l'attacco principale degli Austriaci era stato spezzato. Erano stati molto male informati sull'artiglieria e sulle mitragliatrici italiane. fn prima linea le mitragliatrici li falciavano senza pietà e l'artiglieria aveva tagliato loro la ritirata. Le loro perdite furono in quel punto gravissime, tanto che il giorno successivo non tentarono nemmeno l'offensiva: un solo giorno era bastato perché riconoscessero la loro sconfitta. Nell'intervallo tutti e due i reparti cecoslovacchi furono ritirati dalla prima linea e mandati indietro. Non era compito loro intervenire nei combattimenti regolari: erano reparti esploratori. Dopo la loro partenza, nelle tarde ore del pomeriggio, il nemico tentò un nuovo assalto, ma erano ormai i tentativi di uno sconfitto. Se l'avventura di questi reparti finì bene, poteva finir invece tragicamente quella del comandante della compagnia. Infatti, gli altri reparti, alloggiati a Vezza d'Oglio, non sapevano nulla di quanto succedeva sul fronte e il comandante della compagnia stava allora compiendo una ricognizione dei luoghi adatti per il loro impiego al fronte. Il fuoco delle artiglierie austriache, iniziato nella
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notte, aveva presto rivelato che non si trattava di una semplice azione locale, ma di una offensiva in grande stile. Quale sorte poteva attendere i fratelli in quella lotta impari? l i Sottotenente Hanzal aveva capito che il dovere di un comandante di volontari era regolato da principii ben diversi da quelli in vigore presso un esercito regolare, perciò decise di raggiungere subito i suoi reparti al fronte. L'ufficiale di collegamento, Capitano Arkel, aveva tentato invano di dissuaderlo, assicurandolo che i cecoslovacchi sarebbero stati certamente rinviati dal comandante del settore, poiché nessun comandante si sarebbe assunto ]a responsabilità della vita di un pugno di combattenti, destinati ad essere impiccati nel caso fossero stati sopraffatti. Egli prese con sé soltanto il fedele caporale Mladek, dirigendosi verso la Cima Cady, donde era tornato appunto un giorno prima. Gli Italiani che incontravano per via li sconsigliavano dal raggiungere la prima linea dove imperversava la lotta di cui non si poteva prevedere l'esito, ma i due non si lasciarono persuadere. Nel momento stesso in cui il Sottotenente Hanzal entrava nella caverna de] comando de11a prima linea, dove apprendeva che i cecoslovacchi erano già stati mandati nelle retrovie, sopraggiungeva di corsa un soldato coperto di sangue avvertendo che gli austriaci avanzavano di nuovo. Infatti, si sentiva già avanzare lo strepito della battaglia sopra la caverna, scavata nei fianchi del monte, proprio sotto le trincee. Era una situazione veramente tragica per i nostri due cecoslovacchi: chiusi nella caverna, senza la possibilità di combattere, sorpresi da forze superiori, proprio nel momento in cui vi erano entrati. Ma un ufficiale italiano, lungi dal perdere il sangue freddo, si rivolse a] cecoslovacco dicendogli con tono tranquillizzante e sorridendo: "La lotta imperversa così. da stamane. Già parecchie volte gli austriaci sono arrivati sopra di noi, ma sono stati sempre ricacciati. Se non sono riusciti a buttarci giù di sorpresa, non ci riusciranno più". Hanzal accolse con ammirazione e con gioia queste semplici parole dette forse pochi momenti prima di morire. Un sottufficiale italiano, che fino a quel momento aveva osservato incerto i due stranieri, dai quali non poteva attendere alcun aiuto e che, in fondo, erano venuti soltanto per chiedere dove fossero i loro compagni, tutt'ad un tratto, si rivolse al caporale Mladek che se ne stava immobile all'ingresso della caverna, quasi meditando sulla inutilità di essersi venuti a cacciare tra
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le unghie del carnefice austriaco, dicendogli a mezza voce, con un accento affettuoso e pieno di compassione, di cui solo la sensibilità italiana è capace: "I vostri se ne sono andati da un pezza. Cosa venite a
fare voi due? Lo sai che voglia hanno quelli lassù di pigliarvi?". Lo stesso pensiero era venuto anche al comandante, che si rivolse nuovamente all'ufficiale ceco: "La vostra compagnia se n'è già anda-
ta. Vi ammiro assai per aver voluto seguire i vostri soldati, pur non potendo dare loro nessun aiuto. Capisco i vostri sentimenti, ma non vi permetterò mai di cadere nelle mani di quelli che vi mandano così barbaramente al supplizio. Vi prego di raggiungere subito i vostri uomini, perché essi non abbiano a cercarvi per tutto il fronte. Si son.o comportati molto bene, ammirevolm.ente. Bravi Cecoslovacchi!". Era una magnifica dimostrazione di comprensione per il sacrificio compiuto da stranieri nella lotta per le rispettive patrie: i due comandanti senza più una parola si strinsero la mano guardandosi negli occhi . Nel frattempo la lotta era diminuita d'intensità e si spostava chiaramente dalla caverna verso la prima linea. Gli Austriaci si erano ritirati lasciando nuovamente gli Italiani padroni della Cima Cady. La sera tardi, col buio, i cecoslovacchi sfiniti ripresero la via del ritorno e la loro stanchezza cessò di colpo, quando, alcuni chilometri prima di Vezza d'Oglio, poterono stringere tra le braccia i fratelli che seriamente preoccupati si erano mossi a incontrarli seguendo lo stesso richiamo del sangue e dell'amore.
"Solo oggi, per la prima volta, capisco a fondo il vostro sentimento di fratellanza e vi invidio", disse commosso il Capitano Arkel, stringendo fra le braccia il giovane comandante dei Cecoslovacchi. Dopo questo combattimento la compagnia fu spostata verso il Lago di Garda e compì delle ricognizioni nelle Alpi Giudicarie con tre plotoni, mentre il quarto agiva intorno all 'Ortler e vicino alla frontiera svizzera. Solo il quinto plotone tornò a Compiano per un meritato riposo. Tutti avevano un ten-eno molto difficile, il nemico a chilometri di distanza e le due linee divise da vallate. Uscivano presto di sera e tornavano all'alba, completamente esausti. E quelli intorno all'Ortler? Oggi noi stessi ci meravigliamo come abbiamo potuto raggiungere le nostre posizioni. Ghiacciai eterni tutto intorno, crepacci da superare con passerelle gettate semplicemente di traverso, cordate sulle lisce pareti di roccia, ascensioni difficilissime e mille altre difficoltà da noi
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fino allora ignorate, come quella dell'inconsueta pressione atmosferica che causava emorragie dal naso, dalle orecchie e dalla bocca. Le perlustrazioni più faticose furono compiute dal plotone del Sottotenente Kara sul Monte Cristalio. La stessa scalata della montagna era faticosa e piena di pericoli e poteva farsi solo in cordata. Gli incidenti erano assai frequenti. "Io stesso" diceva Kara "salendo sul Monte Cristallo, ho trovato spesso sulle rocce e sulle corde tracce di sangue umano". Tutt'intorno non c'era che ghiaccio, si seppelliva nel ghiaccio. In questa zona i legionari meritarono davvero il cappello degli Alpini. In quel periodo furono feriti due ufficiaJi, i sottotenenti Alois Vondracek e Vaclav Hnilicka, per cui il comando di un plotone dovette essere assunto dal caporale Antonfn Pokorny. Questo plotone compiva le sue esplorazioni nella Val dei Concei ed era una vera spina negli occhi per gli Austriaci. Il loro comando diventava sempre più nervoso per l' attività delle pattuglie e la nostra propaganda otteneva buoni risultati. I nostri non concedevano alcun riposo e uscivano ogni due giorni. Le pattuglie austriache, per timore di scontrarsi coi nostri, non uscivano quasi più. I disertori si moltiplicavano talmente che il comando italiano aveva ogni giorno notizie fresche. E se gli austriaci spostavano i loro reparti da un settore all'altro, non appena occupate le nuove trincee, comparivano subito le nostre pattuglie rapidamente trasportate dai cam ion. Il comando austriaco fu addirittura furente, quando in Val dei Concei disertarono il 9 luglio cinque ufficiali del III battaglione dell'8° Reggi~nento Bosniaco. Erano i tenenti Josef Mikulfk, Ladislav Jung, Anto Cliric, Bogoliub Popadic e Martin Fedel. Il battaglione ricevette subito l'ordine di cambiar settore, ma, per quanto gli ufficiali facessero buona guardia, l'attendente bosniaco di uno dei disertori fuggiti il giorno prima riuscì a raggiungere il suo ufficiale. Fu un episodio alquanto comico: sul far della sera si vide qualcuno avvicinarsi decisamente ai reticolati italiani e gridare: "Disertore!". I nostri accorsero e gli chiesero: "E tu chi sei?" - "Sono l'attendente. Dove è il gospod16 Tenente? Gli porto la cassetta".
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Gospocl, "signore" , in molte Iingue slave.
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E colla nota calma dei bosniaci incominciò a scavalcare i fili spinati trascinando la pesante cassetta, con una tale serena fiducia, come se da chi sa quanto tempo fosse con noi. L'insolita apparizione fu oggetto d'allegria da parte nostra , che purtroppo dovevamo ben presto pagar cara. Il comando austriaco preparava infatti una punizione che doveva essere esemplare, catturando un buon numero di Cecoslovacchi per impiccarli e dare così un avvertimento a quelli che avessero avuto intenzione di disertare e contemporaneamente intimidire noialtri. Il punto più adatto per una simile impresa era la Val dei Concei, dove le posizioni austriache formavano un'insenatura a ferro di cavallo profonda quasi 6 chilometri nella quale le nostre pattuglie dovevano avventurarsi per raggiungere le trincee avversarie. Il terreno era formato da alture boscose e da una valletta pure coperta di alberi e di cespugli, molto pericoloso, anche per il fatto che il nemico, pur uscendo molto più tardi di noi, al buio completo bastava avanzasse uno o due chilometri al massimo per poi appostarsi in modo da accerchiarci facilmente. Perchè l'azione riuscisse con sicurezza e fosse evitato un insuccesso che avrebbe avuto in quel caso deleterie conseguenze, il comando austriaco ne aveva curato nei dettagli la preparazione. Furono scelti tre plotoni del 49° battaglione d'assalto che, dopo aver studiato il terreno, si spinsero nella notte dal 22 al 23 luglio, a circa settecento metri dal nostro posto avanzato, nascondendosi in un valloncello dove passarono la giornata. Il piano era realmente ben ideato e avrebbe dovuto riuscire contro qualunque esercito. I nostri erano persuasi che il nemico, distante sei chilometri e ben lontano dall'arrischiarsi in azione, non poteva essere pericoloso, tanto più che essi stessi si erano preparati ad uscire quella sera piuttosto presto. A dire il vero il comandante della pattuglia rese in parte possibile la sorpresa degli austriaci. Infatti il giorno prima era passata in quel medesimo posto una pattuglia guidata dallo stesso comandante della compagnia e aveva urtato, vicino alle trincee italiane, contro gli austriaci. Un razzo di manifestini, casualmente tirato , andò a finire sibilando, in linea retta, e non colla solita traiettoria, proprio in mezzo alla pattuglia austriaca che, spaventata dall'arma ignota e persuasa di essersi tradita, s'era data a precipitosa fuga. La prudenza del comandante della compagnia, esperto nelle azioni di pattuglia, si era rivelata ancora una volta in tutta la sua pienezza: egli
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aveva fatto osservare il terreno col cannocchiale per tutta la giornata e attendeva il crepuscolo tenendosi pronto nei reticolati. In quella occasione aveva raccomandato caldamente al comandante della pattuglia che lo accompagnava di non permettere mai che il nemico uscisse per primo in quel terreno a forma di ferro di cavallo e si mettesse in agguato contro di noi o in qualunque altro modo ci sorprendesse. Purtroppo il comandante della pattuglia, allora semplice aspirante caporale , al momento in cui venne dato l'ordine di partire si trovava ospite del comandante del battaglione e, per non dare l'impressione di essere poco cortese, tardò alquanto, in modo che la pattuglia austriaca ebbe un vantaggio di tempo e libertà di movimento. Era quasi buio quando gli esploratori incominciarono come al solito ad aprirsi la strada tra i reticolati. Stavano come al solito sparpagliati di qua e di là; uno portava il megafono, alcuni riempivano le tasche di manifestini, aJtri i razzi per lanciarli; in altre parole non ancora pronti al combattimento. Erano tutti vecchi esploratori, del primo gruppo dei quaranta , abituati a trovarsi in faccia al nemico, mo]to più da vicino che non a sei chilometri. Ad un tratto, mentre avanzavano , uno scoppio di granata lacerò l'aria, poi un secondo, un terzo, da parti diverse , ed un urlo selvaggio di "hurrà!": erano attaccati di sorpresa, circondati da tre parti, in un terreno vastissimo. Dove erano i compagni e dove il nemico? Quei tre che c01Tevano a destra alle nostre spalle, erano dei nostri? Bisognava lanciare contro di essi una bomba o c'era il rischio di ammazzare qualche compagno? Questi e simili pensieri balenarono nei primi istanti nella mente degli esploratori. Ma non c 'era tempo per riflettere, in simili situazioni un minuto di indecisione significa la morte per il singolo e la sconfitta per tutti. Il loro vecchio istinto di esploratori però li guidava. Tirarono fuori immediatamente le bombe a mano e le lanciarono in direzione del massimo pericolo. Quelli sui fianchi si servivano del fucile , gli altri al centro delle baionette e del calcio dei moschetti; tutti poi si ritiravano a ventaglio verso il centro. Però anche il terreno alle spalle era occupato dal nemico. Qui la lotta fu particolarmente accanita. Ognuno doveva combattere per proprio conto perché i cespugli in quella zona erano fittissimi. Fu lì che la sorte colpì l'eroico Sobotka. Da un pezzo egli aveva lanciato la sua bomba, le munizioni, anche quelle di riserva, erano esauri-
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te e altri nemici sorgevano nelle immediate vicinanze. Dinnanzi a lui si drizzò d'improvviso un'alta figura che lanciò un fischio: evidentemente qualche segnale convenuto o un comando. Non c'era dubbio, era un ufficiale: Sobotka con un salto gli si gettò addosso colla baionetta inastata, ma qualcuno vicino a lui, il sergente fedele che proteggeva l'ufficiale, abbatté col calcio del fucile il soldato. Il valoroso cadde perdendo i sensi. Il coraggio e l'amor cli patria non potevano purtroppo renderlo invulnerabile. E nessuno se ne accorse perché ognuno per conto proprio lottava allo stesso modo . Continuando a combattere i nostri raggiunsero uno spazio più scoperto dove poterono contarsi e constatare che fra loro non c'erano stranieri. Intanto alcuni italiani accorrevano in aiuto, ma il peggio era ormai passato. Ad un tratto echeggiò un grido: "Pycha è rimasto di là". L'immagine cli quello che lo aspettava elettrizzò tutta la pattuglia, pervasa da un unico sentimento, quale può esistere solo tra compagni legati da un amore veramente fraterno. "Addosso al nemico - hurrà" gridò con voce strozzata dal furore il caporale Pasa e trascinò gli altri. L'urlo dei nostri fu spaventoso. V'era qualcosa di terribile, di inumano in quell'urlo di disperazione e cli pazzo terrore, tanto che gli austriaci si fermarono cli colpo sorpresi e spaventati. Gli Italiani dei vicini settori raccontarono per un pezzo i particolari di quella terribile notte. Gli Austriaci, tra i quali c'erano molti Cechi, sentirono istantaneamente che non era possibile vincere questi uomini disperati ed impazziti, dimenticarono di colpo la loro affermazione orgogliosa sulla invincibilità delle "sturmtruppen", le ricompense promesse, la vergogna che li aspettava in caso di sconfitta, tanto di fronte al comando quanto agli occhi degli altri reparti. La lotta fu breve: in completo disordine essi fuggirono a rotta di collo e dovettero essere grati al terreno se non ebbero perdite maggiori. Sobotka però l'avevano portato già via e nessuno dei nostri s'era accorto della sua assenza. Fatalità! - Pycha, che tutti cercavano, s'era liberato da solo, mentre di Sobotka nessuno sapeva nulla: fu la sola nostra perdita. Il nemico lasciò sul posto molte munizioni, alcuni fucili, degli elmetti, una barella portaferiti, delle bombe a mano, un morto e un ferì-
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to grave, i1 ceco Kare1 Barena di Ze1ezny Brod che morì il giorno dopo e fu da noi sepolto vicino a Tirano. La sorte di Sobotka fu crudel~ ma g1oriosa. Josef Sobotka aveva appena 22 anni e faceva il sarto a Carotin presso Chotebof. Era di carattere silenzioso, chiuso e senza pretese, nei contatti cogli altri era quasi timido. Ma quale profondità mora1e, quale serenità e quale matura coscienza nazionale in questa semplice anima ceca! Colle mani legate fu trasportato giù dal Monte Gaverdina a Bondo, maltrattato per via dai soldati austriaci ed esposto ai loro insulti . Era forse l'una e mezzo del pomeriggio. Consegnato alla polizia militare, fu condotto sotto scorta a Tione, al comando di Divisione. Dapprima fu interrogato dal "Nachrichten Offizier" 17 della Divisione, Tenente Ha]ler. Ma gli interrogatori, le promesse, le minacce e perfino i maltrattamenti umilianti furono vani: non gli cavarono di bocca una sola parola. Rifiutò anche ogni sorta di cibo. Quando, l'ultimo giorno un tale gli offrì una tazza di caffè, la respinse con le parole: "Prima di morire non voglio niente dall 'Austria affamata". Il processo fu tenuto a Tione; il tribunale militare era presieduto dal Tenente Colonnello Uhlig; giudici erano il Capitano Holtzer ed alcuni ufficiali della 49" Divisione, Avvocato fiscale il Tenente Wolf, interprete il Tenente Stossler, comandante del presidio di Bondo. La sentenza stabilì che Sobotka doveva essere impiccato come traditore, che si era reso colpevole del reato di ribellione contro i poteri militari dello stato, del reato di alto tradimento per essere entrato a far parte dell'esercito cecoslovacco in Italia, prendendo le anni contro l'esercito austriaco e del reato di grave insubordinazione per aver tentato di uccidere l'ufficiale austriaco che lo aveva fatto prigioniero. Per desiderio del Generale di Divisione doveva essere impiccato il più vicino possibile ai posti avanzati italiani, presso Creto, sulla strada da Bondo a Condino. Gli interrogatori e il processo durarono circa due giorni. Il giorno in cui fu pron~nciata la sentenza, e cioè il 26 luglio 1918, il cappellano militare Jan Svec della XCVIII Brigata Fanteria a Bondo ricevette all'una e mezza l'ordine di presentarsi dal Colonnello Riedel, comandante della Brigata, che gli fece leggere tutto il verbale del processo e gli ordinò di trovarsi alle 5 del pomeriggio a Breguzzo, presso
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Ufficiale addetto alll' Ufficio Informazioni.
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Bondo sulla strada per Tione, dove sarebbe stata letta la sentenza per poi dare, come sacerdote, gli ultimi conforti al condannato. Alle cinque e mezzo circa Sobotka fu condotto a Breguzzo, dove gli furono allentate le manette e gli fu letta la sentenza dall'Avvocato fiscale Tenente Wolf in tedesco, e, per ordine del presidente Tenente Colonnello Uhlig, in ceco dal cappellano Svec e in italiano dal Capitano Prosser. Soldati, ufficiali e popolazione civile assistevano numerosi alla lettura. Era di guardia il I battaglione del 36° Reggimento formato da elementi cechi. Dopo la lettura i.l carnefice strinse di nuovo le manette a Sobotka, comportandosi in modo così brutale che il cappellano militare dovette esortarlo ad essere più umano. Il sacerdote incominciò, quindi, ad occuparsi di Sobotka, che però si rifiutò di confessarsi, dicendo d'essersi già abbastanza confessato durante la guerra. Solo quando il sacerdote gli disse di essere anche lui ceco e lo esortò a pensare al cammino cui si accingeva, rispose: "A me non importa più nulla di nulla, ma se vuole, mi accompagni pure". Strada facendo Sobotka si mise a parlare con grande entusiasmo delle legioni cecoslovacche, dell'accoglienza entusiastica che avevano avuto nelle città italiane, delle cerimonie a cui avevano preso parte durante le esercitazioni e alla fine si mostrò tanto allegro che un ufficiale tedesco non poté trattenersi dal dirgli: "Warte, du Kerl, du wirt bald nicht lachen!" 18 Sobotka lo guardò, ma non lo ritenne degno di una risposta . Rifiutò anche le sigarette che gli venivano offerte. Solo nell'ultimo tratto di strada, pensando a casa sua, di tanto in tanto una lacrima gli scendeva dagli occhi . Alle sette e mezzo il convoglio giunse alla fortezza di Revegler che chiudeva la strada sotto il villaggio di Lardaro, presso Bondo; bisognava aspettare però che facesse più scuro per avvicinarsi ai posti avanzati. La strada da Bondo verso sud ha un mite declivio che dopo la fortezza si accentua ancora di più. Poteva essere veduta benissimo dalle posizioni italiane. Qui incominciava anche il pericolo di essere raggiunti dal tiro delle mitragliatrici italiane. Il sacerdote approfittò di questa sosta per tentare di indurre Sobotka a confessarsi, ciò che stavolta gli riuscì, trovando invece opposizione
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"Aspetta, mascalzone, fra poco non riderai più!".
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nel tenente che comandava la scorta, il quale non voleva lasciarli soli in una stanza, con la porta aperta, mentre alcuni soldati stavano di guardia per il caso che Sobotka volesse far del male al sacerdote. Il legionario accettò anche l'estrema unzione, rifiutò di nuovo le sigarette, ma chiese un po' d'acqua e un fazzoletto per mitigare un poco il bruciore che sentiva al naso e al viso, causato dai colpi che i soldati della 2 Sturmcompagnie del 49° Reggimento gli avevano assestato mentre lo conducevano dalla Val dei Concei a Bondo; così egli raccontò al sacerdote e, a detta di testimoni, ebbe probabilmente spezzato il setto nasale. Dopo le dieci giunse un altro ufficiale con una nuova scorta e si proseguì il cammino verso il luogo del supplizio distante da forte Revegler due o tre chilometri. Si attraversò il paese di Strada e, prima di giungere a Creto, il corteo lasciò la strada, passando su un prato coperto di erba e di cardi. Il posto si trovava tra le linee austriaca e italiana. Nel1' oscurità si disegnava sul prato la forca. Il sacerdote disse a Sobotka che aveva il diritto di chiedere che uno dei presenti gli bendasse gli occhi. Sobotka rispose che non era necessario ma che, ad ogni modo, poteva farlo lui stesso, e così fu fatto. Accanto alla forca aspettava un soldato semiubriaco destinato a fungere da boia. Sobotka e il sacerdote si accostarono alla forca e salirono col carnefice sul tavolo. Mentre qust'ultimo gli aggiustava il laccio intorno alla gola, il sacerdote gli chiese se doveva sc1ivere ai suoi genitori. Rispose che forse sarebbe stato meglio non far sapere loro nulla. Il sacerdote lo invitò a baciare la Croce ed egli chinò subito il capo cercandola colle labbra, come se temesse di non avere più tempo. Dopo averla baciata strinse forte la mano offertagli dal prete e al saluto "Siate con Dio'' e "Arrivederci" rispose con voce egualmente ferma e sicura "Siate con Dio". 11 sacerdote e il boia scesero dal tavolo, il boia lo rovesciò e Sobotka, senza aver emesso un solo gemito, restò appeso alla forca. Poco dopo gli furono tolti i lacci ai piedi e dieci minuti più tardi il medico presente constatava l'a1Testo del battito del cuore e del polso. Il sacerdote e i soldati presenti dissero ancora un Pater Noster presso il cadavere. Sulla forca intanto veniva inchiodata la seguente iscri.., zione: "Ceskoslovensky Zradce - Traditore cecoslovacco" e tutto il corteo riprese la via de] ritorno. Erano le 11 di notte. Gli italiani avevano incominciato allora a tirare sulla piccola fortezza di Croce e il riflettore italiano che cercava i movimenti notturni dell'esercito austriaco illuminò forse due volte tutto il gruppo.
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Secondo il racconto de] sacerdote, Sobotka morì eroicamente, ciò che riconobbero anche i suoi giudici e il comandante della Brigata (verbale del Capitano J. Vydra). La sua morte fu per noi il massimo degli incitamenti, perché ci mostrò fino a che punto giungeva la barbarie dell'Austria. E, contrariamente alle aspettative del comando austriaco, essa divenne un elemento di grande propaganda nelle file nemiche. Le diserzioni si moltiplicarono da quel momento, a vista d'occhio, e le voci sui legionari, e soprattutto sul loro numero, assunsero proporzioni sempre maggiori. Un giorno disertò il giovanissimo aspirante Ctibor Vesely di Benesov, figlio di quello che fu poi Ministro della Giustizia nella Repubblica; inteITogato su che cosa si dicesse di noi dall'altra parte ci rispose: "Dicono che in Italia siate circa 80 .000". Anche su di lui la morte eroica di Sobotka aveva prodotto una impressione così profonda da indurlo a fuggire alla prima buona occasione. Trovandosi in pattuglia, e mentre questa era già sulla via del ritorno nelle trincee austriache, il comandante, un tenente austriaco, per timore che qualcuno disertasse, gli aveva ordinato di rimanere ultimo e di tirare contro chiunque tentasse di fuggire. Il risultato fu che Vesely disertò per conto suo. Questi fatti caratterizzavano sufficientemente l'agonia dell'Austria - Ungheria. Il supplizio di Sobotka fu un colpo doloroso ma glorioso per gli esploratori. Le diserzioni nella Val dei Concei avevano preoccupato assai il comando austriaco, tanto più che in quel settore era passato dalla parte italiana perfino il Capitano di Stato Maggiore Rudolf Smetanka. Il suo caso merita una più ampia illustrazione, sia perché questo fu l'unico esempio di un ufficiale di Stato Maggiore che disertò per motivi patriottici e per prendere parte alla lotta dei suoi connazionali nelle file italiane contro l 'Austria, sia perché il suo piano magistralmente concepito è molto interessante e infine perché le notizie che egli portò al comando italiano furono eccezionalmente importanti e contribuirono notevolmente ad innalzare il prestigio dei Cecoslovacchi in Italia. Rudolf Smetanka era nato a Trojovice nel 1887. Aveva ottenuto "con distinzione" la licenza del ginnasio inferiore e poi frequentato, pure "con distinzione", la scuola per cadetti d'artiglieria a Vienna e nel
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1914 aveva sostenuto con successo gli esami de)Ja scuola di guerra di
Vienna. Successivamente prestò servizio presso comandi di brigata di fanteria e di brigate alpine, comandi di divisione di fanteria, di corpo d'armata e di armata. La sua scuola di guerra la fece, come ufficiale di Stato Maggiore, sui campi di battaglia, acquistando larga esperienza nella tattica e nella strategia, come nessun altro ufficiale delle legioni. Fin dall'inizio della guerra il suo patriottismo gli aveva mostrato dove fosse il suo posto. Ma se la diserzione non era scevra di diffico]tà neppure per le unità di prima linea e cioè per la fanteria, tanto più difficile diventava per l'artiglieria e per i reparti lontani dal fronte; ed era addirittura impossibile per gli ufficiali di Stato Maggiore. Essi erano aggregati ai comandi di grandi unità e venivano inviati presso le truppe in linea, per orientarsi , solo in caso di necessità e quindi per un periodo brevissimo, qualche ora. E nell'eseguire il loro compito non potevano mai restar soli, neanche se l'avessero desiderato. Avevano sempre con sé degli accompagnatori o informatori, ufficiali di Stato Maggiore o subalterni; perciò riusciva loro del tutto impossibile attraversare le prime linee senza esser visti. Eppure Smetanka ci riuscì. Verso la fine del 1916 egli venne destinato alle Bocche di Cattaro donde, verso la fine del 1917 , fu trasferito per ragioni di salute nel Tirolo meridionale, sul settore di Riva, che dipendeva dal comando del XX Corpo d'Armata; qui maturò in lui il piano di passar a tutti i costi dall'alta parte. Dopo essersi reso conto della situazione sul fronte, comprese subito i vantaggi che i] Lago di Garda offriva per i suoi piani . Per poter realizzarli, fingeva di voler fare qualche cosa di importante: elaborò il progetto di ripristinare sul lago una flottiglia di imbarcazioni che impedissero, o almeno rendessero più difficile l'intenso traffico dei battelli italiani che, fuori po1tata del tiro austriaco, disimpegnavano tranquillamente i trasporti di truppe, di materiale bellico e di altro genere. Il Comando d'Armata approvò il progetto della cui esecuzione doveva esser incaricato lo stesso Smetanka, la cui intenzione era invece quella di non tornare più indietro e di raggiungere con questo mezzo il territorio italiano; cosa che con ogni probabilità gli sarebbe riuscita facilmente perché egli aveva progettato come prima cosa delle esplorazioni con un unico battello, nel quale si sarebbe trovato lui solo col conducente. I battelli furono effettivamente concessi dal Comando Supremo; ma non sarebbe stato un vero comando austriaco se avesse finito ciò che
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veniva richiesto. I battelli avevano infatti dei motori a scoppio così rumorosi da richiamare immediatamente su di loro il tiro dell'artiglieria italiana. Smetanka chiese invano delle imbarcazioni a motore elettrico: il Comando Supremo aveva risposto di non disporne. Le speranze di Smetanka furono così deluse. Sul principio del 1918 gli si offrì una nuova occasione, e cioè quando il comando del suo Corpo d'Armata progettò un'offensiva locale per raccorciare il fronte ad occidente del Lago di Garda. A tale scopo aveva assoluto bisogno di .informazioni che dovevano essere forn ite da una piccola azione preliminare. Smetanka si offrì subito di dirigerla lui stesso. In una notte del marzo 1918 due gruppi di assalto scelti si avvicinarono con Smetanka, lungo il Lago di Ledro, al villaggio di Molina, dove cominciavano i reticolati italiani disposti su parecchie file. Riuscirono ad attraversare senza incidenti le difese raggiungendo il paese; non restava che disporre abilmente i gruppi fra le case, perché poi, nel! 'allarme che Smetanka meditava di provocare, egli potesse nascondersi senza esser visto dai suoi e così restare dalla parte italiana. Essi furono però scorti casualmente dagli italiani e investiti da un fuoco così violento da costringerli a ritirarsi. Smetanka tentò inutilmente di sottrarsi alla sorveglianza dei suoi soldati "Signor Capitano, torni presto indietro. Noi le copriremo la ritirata" gli gridavano pieni di zelo; e sì ritiravano passo a passo spingendolo sempre indietro, al di là dei reticolati. Smetanka, in cuor suo, mandava al diavolo questa devozione alla sua persona, ma non poteva tradirsi. La relazione che egli presentò dopo l'azione persuase il comando che l'attacco contro le posizioni italiane, eccezionalmente ben preparate, avrebbe richiesto troppi sacrifici, non proporzionati ai risultati. I mesi intanto passavano e le notizie che giungevano sulle legioni rendevano Smetanka sempre più nervoso, ma tutti i suoi tentativi dì disertare urtavano sempre contro ostacoli imprevisti. Perciò egli accolse con grande gioia l'invito fatto dal Comando Supremo agli ufficiali di Stato Maggiore, perché passassero all'aviazione aJlo scopo di conoscere questa arma così importante. In tal modo sperava di riuscire finalmente nel suo intento. Ma invece di veder accolta la sua domanda, giunse un fatto del tutto inaspettato: egli fu chiamato al comando della 10a Armata a Trento. Smetanka era disperato. Da quasi due anni aveva tentato in
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tutti i modi di raggiungere la prima linea ed ora, ad un tratto, lo mandavano indietro, a Trento. Sentiva che, se non avesse trovato una qualche soluzione nei giorni successivi, tutti i suoi sogni sarebbero svaniti per sempre. Fu allora che gli sorse una nuova idea. Fu l'ispirazione di un momento che non l'abbandonò più e alla quale si appigliò come unico mezzo di salvezza: chiedere subito una licenza per guadagnar del tempo e tentare di disertare a tutti i costi. Egli si presentò al nuovo comando, ottenne la licenza e partì per la Boemia. Qui si informò personalmente della situazione, mise al corrente gli amici della sua decisione, lasciò quindi Praga. Egli voleva portare in Italia delle notizie preziose sul complesso della situazione militare, precise e attendibili. Sapeva bene dove averle con sicurezza. Tornato a Trento al suo nuovo Comando d'Armata, si presentò in veste privata all'ufficiale di Stato Maggiore che doveva fargli le consegne deil 'ufficio e gli disse che era in viaggio per Innsbruck e Vienna; e siccome gli restava libero quel giorno pensava di utilizzarlo per informarsi della situazione affinché le consegne si facessero poi più rapidamente; se il collega non avesse avuto tempo, avrebbe potuto mettergli a disposizione i piani e gli ordini di battaglia relativi ed egli se li sarebbe studiati da sé. All'ufficiale, che nulla sospettava, la proposta riuscì oltremodo gradita: gli consegnò subito le carte e i piani richiesti, scusandosi ancora di non potersi occupare di lui perché troppo occupato. Così il taccuino di Smetanka incominciò a riempirsi di dati preziosi. Ma egli non intendeva accontentarsi di questo: voleva anche sapere tutto ciò che poteva avere una qualche importanza sullo stato delle operazioni, sui piani per il prossimo avvenire, sulla situazione effettiva. Lo seppe facilmente dai suoi buoni conoscenti tra gli ufficiali di Stato Maggiore. Le notizie, i dati , le informazioni che Smetanka portava agli italiani erano eccellenti. La prima fase del piano era ultimata: restava la seconda, la realizzazione. Era sua intenzione di disertare nel settore di Riva, dove meglio conosceva la situazione. Il suo sforzo principale mirava a non destare il benché minimo sospetto, e a combinare le cose in modo che la diserzione restasse completamente segreta, perché capiva benissimo che, se fosse stata scoperta, il comando austriaco avrebbe immediatamente ordinato di mutare
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tutte le disposizioni e avrebbe preso contromisure tali da togliere alla sua impresa qualsivoglia valore per le legioni e per gli italiani. Era possibile tener nascosta la diserzione di un Capitano di Stato Maggiore? Smetanka era sempre stato ardito nei suoi piani e pieno di slancio devoto per la santa causa, come tutti gli idealisti; era convinto fin dal primo istante che la sua grande impresa sarebbe riuscita, pur'attaccandosi ad una soluzione apparentemente impossibile. Anzitutto bisognava tener celata la meta del suo viaggio. Al Comando d'Armata fece intendere che sarebbe ripartito per terminare la licenza e che era venuto soltanto per assicurarsi se si era provveduto al suo alloggiamento e per prendere alcuni oggetti che aveva dimenticati nelle valigie. Al comando di stazione si iscrisse, conformemente alle disposizioni, nell'elenco dei partenti. Non si servì della ferrovia per raggiungere il posto indicato, bensì di un'automobile diretta a Ceniga, sede del comando del settore di Riva. Qui giunto, venne accolto molto cordialmente e spiegò i motivi della sua venuta: era in licenza e ricordandosi di quei bei luoghi che gli avevano fatto tanto bene alla salute, aveva deciso di fermarsi a Riva almeno per qualche giorno e visitare la regione come turista, per tornare poi a Trento attraverso Campi, Bellino, Arche. Al comando si trovava ancora il suo runico Tenente Professor Vydra, patriota convinto, al quale confidò il suo progetto, pregandolo di informare i parenti in caso di insuccesso. Il giorno seguente, si era ai primi di ottobre del 1918, egli partì con un'automobile che gli era stata messa a disposizione dal comando e raggiunse il sottosettore di Campi, dove si presentò al comandante comunicru1do anche a lui la sua intenzione di fermarsi in quei posti per riposarsi. Smetanka aveva ormai predisposto tutta la sua ulteriore linea di condotta: scelse due punti per attraversare le linee austriache cioè il Monte Tofino e il Monte Pari. Non sapeva però decidersi per quale dei due: Monte Tofino era tutto rocce, molto ripide, con dei profondi precipizi e perciò scarsamente presidiato; Monte Pari era molto più basso e più accessibile, però ben fortificato e fortemente presidiato. Decise dunque di tentare il passaggio sul Monte Pari e, nel caso avesse incontrato delle difficoltà, di passare per il Monte Tofino. Era però necessario agire con molta rapidità per non destare sospetti, perché girare in veste di turista
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proprio sulla prima linea era veramente alquanto strano anche per un "superuomo" 19 dello Stato Maggiore Partito da Campi, prese la teleferica e con questo rapido mezzo giunse verso le quattro de] pomeriggio al comando del 162° battaglione di riserva. Il comandante fu molto sorpreso dalla sua venuta; sapeva infatti che egli era stato trasferito da un pezzo, ma non sospettava che fosse al 10° Comando d'Armata. Bisognava dare una qualche spiegazione, ma quale? Ripetere la storiella del giro turistico a un comandante di battaglione in prima linea? Una momentanea ispirazione lo trasse d'imbarazzo. "Sono stato mandato dal Comando d'Armata - disse con la massima calma - per
accertare sul posto, conoscendo già la situazione del settore, come sia stato possibile che alcuni giorni fa gli italiani siano penetrati nelle trincee di Monte Pari, e come abbiano potuto prender perfino dei prigionieri". Egli aveva infatti appreso questo episodio durante la sua visita al comando di settore a Riva e ne trasse subito profitto. Il Maggiore assunse un'aria molto depressa: temeva già che quell'azione, finita effettivamente in un fiasco per gli austriaci, gli avrebbe recato delle noie. Con aria indifferente Smetanka accettò l'invito alla mensa degli ufficiali , dove gli fu offerto un rinfresco con le massime attenzioni, mentre il comandante lo informava minutamente e con molto zelo su tutta la faccenda. Gli mostrò il terreno, le linee occupate, la strada per cui gli italiani erano penetrati nelle trincee, da dove poi s'erano ritirati; disse che nella notte i posti di guardia venivano cambiati; indicò la posizione delle mitragliatrici. In tal modo Smetanka veniva ad apprendere tutte le notizie più importanti. Sentiva che la sorte gli era favorevole, e ciò gli infondeva coraggio. Era deciso a salire da solo sul Monte Pari, e di approfittar nella notte dei vari movimenti e del cambio della guardia per disertare.
"Sono ben infòrmato, signor Maggiore. Visiterò da solo le posizioni, sul posto". Detto questo, Smetanka si alzò sicuro che nulla più poteva sbarrargli il cammino. Ma, con suo terrore, il Maggiore volle accompagnarlo per dargli tutte le informazioni che gli fossero occorse. Invano Smetanka declinò
' 9 L' "tibennensch" di Nietsche. Allusione al la posizione assolutamente eccezionale degli ufficiali cli S.M. nell'esercito austriaco.
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l'offerta come superflua, facendo notare che conosceva il settore e che gli ufficiali in trincea gli avrebbero date essi stessi le necessarie spiegazioni. Non restò quindi che affidarsi al caso. Egli pensava disperatamente come risolvere la nuova situazione che minacciava di far naufragare tutta l'impresa, quando, dopo poche centinaia di passi, il comandante del battaglione si ricordò che aveva convocato tutti i suoi ufficiali per impartire loro degli ordini riguardanti il cambio e quindi doveva tornare al comando. Invitò però Smetanka a cena. Naturalmente questi si affrettò a rifiutare scusandosi e affermando che doveva tornare direttamente giù con la teleferica da Monte Tofino e che era atteso dall'automobile del Comando d'Armata. Così avvenne che lo seguisse solo l'ordinanza che il Maggiore aveva portato con sé. Ma invece di dirigersi verso il Monte Pari, essi andarono per consiglio del comandante, verso il piccolo posto n. 9 donde, secondo lui, si potevano dominare tutte le posizioni. Nel suo racconto Smetanka nota a questo punto: "Confesso, che in quel piccolo posto non c'ero mai
stato; ma credevo fermamente nella fortuna che di certo mi avrebbe sorriso". Nel piccolo posto si presentò solo un sottufficiale: il comandante non c'era. Si trovava infatti alla riunione al comando di battaglione. Smetanka trasse profitto da questa favorevole circostanza e si fece dare dal sottufficiale tutte le informazioni volute. Gli venne indicato tra l'altro il sentiero per cui gli italiani avevano raggiunto la posizione, come pure la gola attraverso cui erano fuggiti coi prigionieri. Smetanka decise immediatamente di agire. Davanti alla gola stava un posto avanzato che doveva guardare soprattutto il sentiero e il terreno circostante, esposto al tiro degli austriaci per circa 60 passi, oltre i quali discendeva in modo da formare un gomito coperto. Il sentiero era inoltre dominato di fianco da una posizione avanzata italiana, per circa 400 passi. Si trovava dunque sotto il tiro di ambedue le parti. Il fatto che il sentiero potesse essere controllato solo per un brevissimo tratto gli conveniva perfettamente. Smetanka sentì che il cuore gli cominciò a battere con violenza. La possibilità di veder realizzato in breve il suo ideale, di veder coronati dal successo isuoi sforzi di tanti anni, lo metteva in uno stato di estremo nervosismo. Solo con uno sforzo incredibile riuscì a simulare la tranquillità, quando, più per sé stesso che per il sottufficiale, incomin-
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ciò a formulare il suo piano: sarebbe andato fin vicino alla sentinella, e oltrepassati quindi i reticolati per verificare personalmente se non fosse il caso di far spostare in avanti su questo sentiero il piccolo posto di guardia o eventualmente minare il sentiero per impedire che simili sorprese potessero ripetersi. Ma, a questo punto, il caporale obiettò che era proibito passare oltre la sentinella. Smetanka non seppe trattenere un sorriso di sdegno che accompagnava le sue considerazioni: "Ecco cos'è questa Austria gigantesca. Un caporale che non vuol lasciar passare il suo Capitano di Stato Maggiore attraverso i reticolati, perché non ha fiducia in lui". E, ad alta voce, disse al Sergente: "Questo divieto vale per i soldati e non per gli ufficiali. E tanto meno per gli ufficiali di Stato Maggiore. Riflettete per quale ragion.e io voglia andar solo. Cosa avverrebbe se una pattuglia attraversasse di giorno i reticolati?". L'altro rispose che giustamente ciò avrebbe provocato immediatamente il fuoco dalla vicina posizione italiana. Eguale domanda gli pose per il secondo caso, e cioè se un solo uomo avesse tentato di oltrepassare la propria linea. La risposta lo soddisfece pienamente; il sottufficiale pensava infatti che, procedendo con cautela, un singolo sarebbe stato certo meno visibile di un gruppo e quindi anche meno esposto. Il signor capitano lodò la prontezza del giudizio, cosa che fece molto piacere al caporale. Gli domandò poi cosa avrebbe fatto se avesse dovuto compiere al più presto possibile un'esplorazione dettagliata del sentiero oltre la dorsale, nel gomito a noi nascosto. L'esplorazione poteva essere fatta solo di giorno. Sarebbe stato certo più comodo e più sicuro oltrepassare i propri reticolati di notte senza essere visti; ma di notte non era possibile veder nulla; e se poi avesse voluto ritornare senza esser visto, doveva restare tutto il giorno fuori delle proprie linee. Per una simile soluzione, il Capitano non aveva tempo, ché doveva tornare la mattina dopo al Comando d'Armata. Così il caporale fu dell'opinione che, date le circostanze, non restava che una soluzione, e cioè tentare subito l'esplorazione; egli pensava che la cosa poteva riuscire senza provocare il fuoco da parte italiana. Smetanka gli diede subìto l'ordine: "Informate immediatamente i vostri uomini che io oltrepasserò i reticolati vicino alla sentinella e poi camminerò lentamente sul sentiero prendendo degli appunti; che perciò non mi tirino addosso". Non appena tutti furono informati della sua presenza, compresa la sentinella, egli disse al sottufficiale: "Quando avrò oltrepassato la dorsale, non tornerò per questo sentiero, ma raggiungerò la nostra linea
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in un altro punto; non preoccupatevi di me". Il caporale e la vedetta, pieni di buona vo]ontà , gli aprirono un passaggio nel filo spinato. Erano gli ultimi ostacoli che tenevano ancora Smetanka in potere dell'Austria. La sentinella presentò le armi, il caporale si mise sull'attenti e salutò rigido. Smetanka oltrepassò i reticolati e partì per il suo ignoto destino. Da parte italiana non fu scorto. Intuiva che, procedendo con cautela, avrebbe potuto raggiungere Jo spazio sicuro al di là del dorso, dove lo aspettava la libertà. Così, avanzando piano piano, preparato ad ogni istante al fuoco italiano di fianco o al fuoco austriaco alla schiena, si avvicinò sempre più alla sua mèta. La via che avrebbe potuto percorrere comodamente in sei minuti gli prese quasi mezz'ora. Finalmente il dorso fu raggiunto e scavalcato senza incidenti. Solo allora respirò profondamente: la sua aspirazione, dopo tanti progetti, s'era realizzata. Sedette un momento concedendosi un po' di riposo e stette ad ascoltare se qualcuno non lo seguisse sul sentiero. Ma tutto intorno regnava il silenzio. Imbruniva. Bisognava ormai non perdere un solo minuto e cercare di raggiungere al più presto possibile le linee italiane. Avanzando in un primo tempo per maggior sicurezza, fuori del sentiero, su terreno boscoso e cespuglioso, dopo aver vagato un'ora e mezzo, ritornò sulla strada riflettendo come avrebbe dovuto annunciare alle sentinelle avanzate la propria presenza. La via era sassosa e nel silenzio profondo che dominava tutto intorno i suoi passi dovevano essere uditi a grande distanza. Dopo appena cinque minuti fu fermato dal grido della sentinella italiana: "Chi va là!". Rispose: "Ufficiale boemo! Porto informazioni". La sentinella - era degli alpini - lo invitò ad aspettare finché fosse venuto qualcuno a prenderlo. li suo sogno s'era felicemente avverato: era in Italia. Fu condotto dal comandante del posto avanzato italiano, che si mostrò gradevolmente sorpreso. Smetanka gli chiese d'esser accompagnato al più presto possibile al più vicino comando superiore, esortandolo a non telefonare perchè nelle linee austriache c'erano degli apparecchi intercettatori. Al comando di battaglione incontrò i primi legionari: il comandante della compagnia, Tenente Hanzal, e il Sottotenente Pokorny. L'incontro fu commovente. Un Capitano di Stato Maggiore - ceco e disertore - che gli chiedeva di diventare esploratore; quale incentivo per le legioni! E quale prestigio agli occhi degli italiani che non tenevano in gran conto i bassi gradi dei nostri ufficiali di complemento e dovevano invece aver
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grande stima per un ufficiale di Stato Maggiore austriaco. Il comando di reggimento, a cui l'arrivo di Smetanka fu comunicato, gli mandò un cavallo perché arrivasse al più presto possibile. li comandante de11a compagnia esploratori lo accompagnò da allora presso tutti i comandi italiani fino al Comando Supremo. Al reggimento fu accolto molto cordialmente dal comandante e da tutto il gruppo degli ufficialì che lo ospitarono alla mensa, dove si trovavano anche altri legionari. Dopo aver fornito le necessarie informazioni, egli partì quella stessa notte per il comando di Divisione. Il suo Capo di Stato Maggiore, che lo aspettava, lo invitò a descrivere per iscritto tutta la situazione del settore austriaco che fronteggiava le linee italiane. Erano le quattro di mattino quando finì tale compito. Smetanka partì poi per il comando di Corpo d'Armata e quindi per quello d 'armata a Brescia, dove a capo dello Stato Maggiore si trovava il Generale Piccione, che fu poi comandante del corpo legionari cecoslovacchi in Italia. Dopo aver fornito le necessarie notizie ali 'Ufficio Informazioni e consegnato i diversi appunti, egli fece domanda di entrare nelle legioni. Gli fu però comunicato che avrebbe dovuto subire una quarantena di quindici giorni. Questa misura sanitaria riuscì molto sgradevole a Smetan.ka, ma non poté sottrarvisi, non potendosi fare eccezioni. Lo consolò l'assicurazione che gli ufficiali incaricati dei diversi servizi sarebbero venuti da lui per le necessarie info1mazioni e che i legionari non lo avrebbero dimenticato. Ma già nel pomeriggio venne da lui all'ospedale, dove era comodamente alloggiato, il Tenente Hanzal , portandogli l'incaiico, particolarmente gradito, di scrivere un breve rappo1to sul comando e sulla tattica italiana dal punto di vista dello Stato Maggiore austriaco. Smetanka si mise al lavoro di buona voglia. Nel giudicare la qualità delle diverse armi non poté fare a meno di rilevare l'eccezionale attività dell'artiglieria italiana e delle armi dotte e la loro indiscutibile superiorità. Per quel che riguardava la tattica, era in fondo basata dappertutto sugli stessi principi. Lo Stato Maggiore austriaco trovava però strano che le azioni nottume italiane costituissero un 'eccezione, per quanto, secondo l'esperienza, la notte e la nebbia favorissero grandemente la riuscita dell'attacco. Circa il comando, le Potenze Centrali non potevano che essere liete della mancata unificazione dei comandi alleati sui diversi fronti, perché ciò permetteva loro i tempestivi spostamenti delle riserve nei punti minacciati dei diversi fronti. Con un comando alleato unico e conscio dei propri fini e con un attacco per quanto possibile simultaneo, le Potenze Centrali non sareb-
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bero state assolutamente in grado di fronteggiare la pressione su tutti i fronti. Inoltre era strano che si ric01Tesse prima dell'offensiva ad una lunga preparazione di artiglieria, che faceva mancare l'elemento sorpresa, particolarmente necessario. Le Potenze Centrali non impiegavano un prolungato fuoco d'artiglieria anche perché dovevano far economia di munizioni; malgrado ciò i loro attacchi riuscivano perché le riserve dell'avversario non potevano essere spostate in tempo sul punto minacciato. L'elemento sorpresa aveva sempre una parte di prim'ordine; non bastava la segretezza dei piani d 'operazione e degli spostamenti di forze prima dell'offensiva; importava invece iniziarla con un breve ma violento fuoco di artiglieria, possibilmente su tutto il fronte, perché così la direzione pr.i ncipale dell'attacco veniva rivelata al nemico al più tardi possibile. Smetanka raccomandava, nelle offensive dell'esercito italiano, un simile metodo che non avrebbe mancato di avere il suo effetto. Per quanto concerneva la direzione e lo scopo della nuova offensiva, egli raccomandava di basarla sulla conquista di Trento, con l'urto principale sulle due sponde dell'Adige, grazie al quale avrebbe ceduto non solo tutto il fronte delle Giudicarie, ma anche il fronte dei Sette Comuni. Inoltre, con la conquista di Trento, veniva tagliata fuori tutta la Valsugana, seconda base di approvvigionamento delle truppe austriache distese a nord di Asiago. Un'altra conseguenza della conquista di Trento sarebbe stata la rapida avanzata su Bolzano, Bressanone, Fortezza e un attacco su Feltre e Belluno in connessione con quello su Montebelluna e Conegliano. Circa il momento dell'azione offensiva, bisognava agire al più presto possibile e non perdere tempo, per approfittare della straordinaria depressione morale dell'esercito e del comando austriaco, e della loro poca capacità di combattimento e di resistenza, e ciò al momento opportuno, prima che avessero avuto il tempo di riprendersi. Il Comando Supremo austriaco, nel caso non avesse potuto fronteggiare un più poderoso attacco dell'esercito italiano, prevedeva una ritirata fino al Brennero e fino alle posizioni orientali dell'Isonzo. Il lavoro di Smetanka fu pronto per la sera; e quella stessa sera tornava raggiante il Tenente Hanzal, congratulandosi con lui per la sua immediata chiamata al Comando Supremo, dove doveva presentarsi il giorno seguente. Con ciò la quarantena veniva a cessare, prova questa di quanta importanza avessero avuto la sua diserzione e le notizie che
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aveva portate. La mattina seguente, con un'automobile del comando di armata, egli partì, in compagnia dei legionari amici, per Verona, dove vestì l'uniforme dei legionari italiani e raggi unse il Comando Supremo ad Abano. Là, già atteso dal Capitano dei legionari Konrad e dal Tenente Musil, fu condotto all'Ufficio Informazioni di cui era capo il Tenente Colonnello di Stato Maggiore Vecchiarelli. Interrogato sulla situazione complessiva dell'esercito autro-ungarico, comunicò tutto quello che bisognava sapere, secondo i criteri già espressi per iscritto al Comando d'Armata a Brescia. Gli fu anche posta la domanda quale a suo giudizio sarebbe stata la base di partenza più favorevole per l'offensiva che il Comando Supremo italiano preparava. Egli suggerì l'offensiva lungo l'Adige contro Trento, aggiungendo che appunto in quel settore le forze erano scarse, mentre sull'Alto Piave, soprattutto, le riserve erano ancora sufficienti. Inoltre una rete favorevole di comunicazioni dava al nemico la possibilità d' un più rapido spostamento delle proprie forze. Se il concentramento delle forze italiane poteva essere tenuto segreto, si poteva contare su un successo immediato e su una rapida avanzata. Gli fu risposto che una simile opinione era condivisa anche dal Generale Graziani, ma che non era possibile prenderla in considerazione, dato che ormai i preparativi per l'offensiva sul Piave erano in corso. S metanka osservò che il successo era sicuro anche in questo caso, per quanto forse con perdite maggiori, purché si agisse immediatamente, ossia si approfittasse sotto tutti i punti di vista della pessima situazione dell'esercito austriaco, si facesse solo una breve preparazione di artiglieria, della durata massima di alcune ore, e, per quanto possibile, su un settore vasto, perché la direzione principale dell'attacco restasse ignota al nemico fin dall'inizio. Gli fu comunicato che le sue opinioni erano preziose e che sarebbero state prese in considerazione. L'offensiva che condusse al crollo completo dell'esercito austriaco fu sferrata poco dopo. Fino a che punto questo quadro della situazione abbia concorso a preferire un attacco in tempi brevi con la conseguente riuscita dell'offensiva, nella quale la preparazione di artiglieria fu molto più breve del solito, sarà chiarito dagli storici. La diserzione di Smetanka, fece un'ottima propaganda in Italia per i Cecoslovacchi e fu per questi di grande incoraggiamento a perseverare nella loro azione.
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Ancora prima dell'offensiva, egli fu inviato allo Stato Maggiore del XXIX Corpo d'Armata ad Ala e poi partecipò all'avanzata facendo parte dello Stato Maggiore della Divisione che occupava il settore Garda-Adige. Nessuno in Austria, a incominciare dal posto avanzato per finire al comando di Coq:,o d'Armata, seppe mai che il signor Capitano "mancava" e quel che n'era stato. Fu una diserzione brillantemente eseguita. Un nuovo lieto avvenimento fu annunciato alla compagnia: il nostro ministro Benes sarebbe venuto a visitarci; e realmente egli arrivò col Capitano Chalupa e col Capitano Konrad. Era la prima volta che lo vedevamo. Le sue parole di elogio e di ringraziamento furono allora il miglior compenso per i modesti esploratori, insieme a quelle che disse loro il Capitano Konrad: "Siete una delle compagnie di cui gli italiani
fin dal principio parlano solo con la massima ammirazione. Mi congratulo con te, ji·atello Sottotenente, per la tua promozione a Tenente , la prima in tutto il nostro esercito cecoslovacco in Italia!". Molte altre azioni di pattuglia condusse a buon fine la compagnia contribuendo con esse alla caduta del nemico. Nell'ultimo crollo del fronte del novembre essa partecipò all'inseguimento fino a Bolzano. Giunti colà i nostri non seppero trattenersi dall'ordinare i "knedlfk"20 cechi che i tedeschi spaventati furono ben felici cli servire. Tornata a Brescia la compagnia partì per Padova dove venne inquadrata nel reggimento.
,o Piatto nazionale , una specie di gnocchi.
CAPITOLO SESTO Alla 1a Armata DAL LAGO DI GARDA ALL' ADIGE
Tobek e Storch portano notizie sull'offensiva di giugno. Tentativo degli esploratori attraverso il Lago di Garda. Il Capitano Vydra sulla esecuzione di Storch. Cima Tre Pezzi. San Marco. (Gruppo esploratori "Avio" del Tenente Vycital).
La la Annata, che già in aprile aveva chiesto l'invio del reparto più forte del gruppo dei 450 di Padula, distribuì ben presto i Cecoslovacchi su tutto il suo fronte. Al settore ad oriente del Lago di Garda fu assegnato il plotone del Sottotenente Karel Cfzek che iniziò subito la sua attività. Alla la Armata si sapeva già dell'importanza eccezionale dei reparti cecoslovacchi e perciò, non appena ottenuto il rafforzamento degli esploratori con un intero battaglione, giunto in maggio, il comando mise in azione ogni mezzo per ottenere un reparto ancora più forte e cioè metà della compagnia del Tenente Rudolf Vycftal. Questa fu iiwiata nella stessa zona dove già agiva il plotone del Sottotenente Cfzek, presso il XXCX Corpo d ' Armata, rimanendovi fino alla fine della guerra, del tutto indipendente, come le altre . Come altrove, anche in questa compagnia i vecchi esploratori avevano saputo dai nuovi mTivati cosa fosse successo dei "battaglioni di lavoro", dopo la loro partenza da Padula, e quello che era seguito alla creazione de)l'esercito indipendente cecoslovacco; come si venisse costituendo la Divisione e quale in genere fosse la situazione dei cecoslovacchi nel retro-fronte. A dire il vero tutti erano partiti di buona voglia per i battaglioni di lavoro perché a Padula già allora ci si sentiva soffocai-e. Ma, senza che essi se ne fossero resi conto nel primo momento di gioia e di entusiasmo, le mura della prigionia li seguivano dovunque e li circondavano. Erano liberi, eppure il marchio di prigioniero stava loro scritto in fronte. Erano senza armi, prigionieri di guerra. Tuttavia là, nel nord, tra l'Adige e il Mincio, si respirava meglio. Gum·dando a settentrione verso le cime delle montagne sentivano la durezza del loro lavoro, ben
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diverso da ciò che avevano sognato, cioè la diretta partecipazione ai combattimenti. Tuttavia questa nuova vita, durata alcune settimane, fu una buona transizione tra la prigionia e la libertà piena che li aspettava. Il lavoro, le speranze e le impressioni condivise e comunicate l'uno l'altro avevano riavvicinato tutti. Le compagnie di lavoro, al momento di partire dal campo di concentramento, avevano nelle loro file circa il 40 per cento di uomini che avevano chiesto volontariamente di partecipare anche al servizio armato. Il giorno in cui venne istituito un esercito cecoslovacco indipendente se ne presentò invece il 96 per cento, con reale entusiasmo. In quel giorno , 21 aprile 1918, il meraviglioso sole italiano incominciò veramente ad illuminare con amore i volti sognatori dei Cecoslovacchi, lontani dalla loro patria, e incominciò ad accarezzarli quasi più dei propri figli. Il treno riportò rapidamente questi reparti verso il centro dell'Italia, a Foligno, dove sarebbe stata costituita la Divisione. Col sorriso dei bambini cui si concede finalmente il giocattolo sognato, ogni volontario esaminava pezzo per pezzo il suo armamento . In brevissimo tempo i reggi menti furono armati e organizzati. Un loro battaglione, il secondo del 31 ° Reggimento , ebbe una missione speciale, quella di rinforzare le pattuglie di esplorazione. Partì da Foligno per Perugia dove doveva effettuarsi il concentramento. Vi giunse di notte . Perugia, ardente di patriottismo, devota fino al sacrificio, tu resterai sempre un esempio per tutti i tuoi fratelli italiani e una cara amica nel ricordo di tutti i Cecoslovacchi! I soldati erano attesi alla stazione dai cittadini. Una folla li accompagnò lungo la ripida salita fin dentro la grande e antica città. Furono alloggiati nel convento di Monte Ripido, dove incominciò la prima istruzione militare con modalità e ordinamenti prontamente ed appositamente creati. I legionari si destavano dal torpore della prigionia e si abituavano alla vita di guerra e ai suoi sacrifici. La popolazione, grazie alla fervida propaganda della società Giovane Italia, imparò ad amarli come propri figli. E così, quando il 19 maggio partirono per il fronte, la città fece loro degli addii davvero commoventi: tutte le case imbandierate, gli alunni delle scuole che facevano cordone, fiori e saluti commossi. Il treno si mise in movimento: per un' ultima volta il mare di bandiere e di mani dei perugini si agitò. E se mai qualcuno dei Cecoslovacchi si sentì un poco come a casa propria, in quel momento indimenticabile ognuno comprese e tacitamente riconobbe quanto fosse vicina al suo cuore Perugia. Avevano voglia di affacciarsi ai finestrini e accarezzare
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almeno con lo sguardo e forse per l'ultima volta la città. E Perugia realmente non Ii dimenticò, li seguì in ogni circostanza, ricordando sempre le gesta dei suoi amati esploratori. Il battaglione giunse a] completo fino a Bologna e qui fu diviso in tanti reparti, quante erano le pattuglie. Così quattro ufficiali con 150 uomini , comandati dal Tenente Vycftal si trovarono alla 1" Armata. Le notizie e le esperienze che il plotone, già familiarizzato coi luoghi, comunicò ai nuovi venuti, non erano certo liete. Il settore era relativamente piccolo, ma c'era un ostacolo che paralizzava fondamentalmente l'attività di tutta la compagnia non permettendole di lavorare di sorpresa e con rapidità , e rendeva ardua qualunque impresa, anche piccola. Tutto il settore era infatti munito da parte austriaca di reticolati con corrente ad alta tensione. C'era abbondanza di forza idraulica nelle vicinanze e gli austriaci se n'erano serviti in modo perfetto. Non si poteva quindi sorpassare facilmente in quel settore i reticolati strisciandovi sotto o passando sopra o tagliandoli, come si faceva negli altri settori. Inoltre il terreno, la disposizione delle linee e la guarnigione, composta di truppe austriache fidate , costituivano altrettanti elementi sfavorevoli. Anche le trincee dei piccoli posti erano mal situate, perché quelle italiane erano in genere nel fondo valle, mentre gli austriaci occupavano il pendio. Per giunta erano separate le une dalle altre in tutto forse da qualche centinaio di passi, soprattutto verso il centro del settore, per cui ogni nostra intenzione era subito svelata fin dall'inizio. I reparti avversari erano poi così fedeli ali' Austria, che, per quanto capissero perfettamente tutte le nostre notizie, gridate ad alta voce, mai risposero sia pure con una sola parola; tutt'al più ci lanciavano una bestemmia: sul "Colletto Verde" la sentinella austriaca camminava, si può dire, sulle nostre teste, tanto sovrastava le trincee italiane. E perché noi non venissimo a sapere sia pure le cose più insignificanti, i soldati austriaci facevano il loro servizio con una tale accuratezza, da non scambiare nemmeno una parola al cambio della guardia, e prendevano il rancio con tanta precauzione che non riuscimmo a capire neanche quando arrivava. Non bisogna credere che l'attività degli esploratori sia stata facile e che gli Austriaci e tutti i Cechi Ii abbiano accolti di buona grazia o almeno passivamente; e tanto meno fu facile per essi ottenere dei successi dinanzi agli occhi degli Italiani. Gli Austriaci si difendevano strenuamente dalla nostra propaganda, non lesinavano mezzo alcuno per farci tacere e appunto in questo settore, sul Dosso Alto, prepara-
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rono una grande spedizione punitiva contro i Cecoslovacchi "traditori della patria". Con le loro "Strafexpeditionen" si illudevano di poter indune almeno il loro mondo austro-ungarico a credere che la "santa" guerra avesse una giustificazione morale. Come tutto ciò sia finito lo raccontano le cronashe del 39° Reggimento di "Doss'Alto" e del 34° Reggi mento "Jan Capek", i quali occupavano allora il settore attaccato, facendo parte de11a 6a Divisione Cecoslovacca. La propaganda in questo settore si faceva principalmente col canto degli inni nazionali, con discorsi a mezzo del megafono e col lancio dei manifestini attaccati ai razzi. Le pattuglie agivano solo su11e due ali, perché vicino al Lago di Garda le trincee austriache erano a circa l 000 passi e nel settore di Mori a soli 800. Non appena i Cecoslovacchi si facevano sentire in qualche punto,] 'artiglieria, spesso anche quella pesante, incominciava a tirare sulla zona. Altrove li investivano con tubi di gelatina. Poi, rendendosi conto della inutilità di questo fuoco e anche per fare economia di munizioni, essi ricorsero alle mitragliatrici. Le sentinelle avevano l'ordine severissimo di osservare tutti i movimenti dei cecoslovacchi per poter subito intervenire. Quasi ogni giorno i tre quarti della compagnia uscivano, sempre sotto il fuoco nemico e sempre respinti. Per crearel'impressione che vi fosse in quel punto un gran numero di cecoslovacchi e che questi occupassero regolarmente tutto il settore, essi effettuavano degli spostamenti della durata fin di due ore a destra e a sinistra dalla loro base. Ma essi stessi volevano ottenere qualche successo più importante, non accontentandosi delJa inquietudine che seminavano sul fronte austriaco e della demoralizzazione che si rivelava col continuo passaggio di disertori austriaci nelle file italiane. A questo punto li sorprese l'offensiva del giugno che, pur non avendo avuto sulla seconda compagnia un esito sanguinoso, lasciò però uno strascico profondo. L'offensiva fu preavvisata nel settore di Doss' Alto da due disertori cechi: Tobek e Storch. Costoro fecero una così buona impressione da far accogliere il loro desiderio di essere subito arruolati nelle file degli esploratori. Di ambedue avremo molto da parlare in seguito, a proposito deg]j avvenimenti più significativi riguardanti la compagnia. Tobek e Storch non conoscevano la data precisa dell'offensiva che si preparava. Gli Italiani rafforzarono però subito le loro posizioni aggiungendo un battaglione di arditi, e stettero ad aspettare due giorni. Visto, però, che I 'offens iva non cominciava gli arditi furono riti-
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rati. In quel momento sivtrovavano in linea due plotoni cecoslovacchi, quello del Sottotenente Cfzek al Lago di Lapio e quello di Vacek presso Brentonico. Alle prime notizie sull'offensiva il Colonnello Marchetti chiamò a Vernna il comandante della compagnia e gli ordinò di rjtirare i soldati neJle retrovie, perché, se li avessero fatti prigionieri, sarebbero stati certamente impiccati. I Cecoslovacchi trovarono naturalmente che una loro partenza prima del combattimento avrebbe danneggiato il loro buon nome e perciò rimasero ad insaputa di Marchetti. Come spesso succede, appena a]lontanati gli arditi, gli Austriaci attaccarono con violenza e con grandi forze. Gli italiani dovettero ritirarsi lasciando 800 prigionieri. Il plotone di Cfzek riuscì a malapena a retrocedere; il plotone di Vacek rimase al suo posto, perché nel suo settore l'offensiva non riuscì a sfondare. Gli italiani effettuarono alcuni contrattacchi ma senza successo, finché gli arditi, con una magnifica azione, nascondendosi la notte tra le linee e attaccando il giorno dopo a mezzodì, riuscirono ad impadronirsi di sorpresa delle posizioni perdute facendo anche 400 prigionieri. A questo attacco i Cecoslovacchi non presero parte, dato che li aspettavano compiti ben diversi da quelli a cui erano destinate le altre truppe. E non si trattava certo cli un'azione meno rischiosa cli un attacco in massa. Circa due settimane dopo l'offensiva di giugno, il Colonnello Marchetti chiamò il comandante della compagnia a Verona e gli comunicò il suo piano: i Cecoslovacchi dovevano raggiungere il territorio austriaco attraverso il Lago di Garda. Si trattava di formare due pattuglie, con due uomini ciascuna, il cui compito era di arrivare, ognuna per conto proprio, a Rovereto e poi a Trento. Non appena fu annunciato il progetto si presentarono subito 17 volontari: Vycftal ne scelse 7 e lui stesso si mise come ottavo. Sapeva infatti che il suo vecchio reggimento austriaco, il 37° che egli conosceva molto bene, occupava in quel momento le trincee di Val d' Assa; sperava perciò di trovarvi una buona accoglienza. Marchetti però non permise che egli partisse e ridusse anche il numero dei volontari ai quattro che erano stati stabiliti in precedenza. La loro scelta fu fatta colla massima cura. Dovevano essere indiscutibilmente degli uomini di coraggio eccezionale, intelligenti e, per quanto possibile, a conoscenza del settore nel. quale avrebbero investigato e lavorato; dovevano conoscere non solo il tedesco, ma per quanto possibile, anche l'italiano. Infatti era necessario rivolgersi in V
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primo luogo alla popolazione italiana locale. Marchetti impostò tutto il suo piano su due esploratori, Storch e Tobek, i quali avevano disertato appunto in quel settore prima dell'offensiva di giugno portando notizie preziose, come infatti confermò più tardi l'ufficiale italiano Costantino Silvestri, del 36° Reggimento Fanteria, nel suo interrogatorio al ritorno dalla prigionia in Austria. Ambedue erano artiglieri, molto amati nella loro batteria, in gran parte servita da Cechi, ed avevano disertato, pare, con l'approvazione e il concorso di questi loro compagni. S'erano anche messi d'accordo per lanciare un segnale quando fossero giunti felicemente in Italia ed infatti fu tirato a loro richiesta un certo numero di colpi di cannone, al quale dall' Austria giunse il segnale convenuto di "inteso": essi dovevano tornare alla loro batteria e con l'aiuto dei compagni mettere in esecuzione ilyompito loro affidato. A questi due si aggiunsero poi Srnarda e Jefabek, soprattutto perché conoscevano bene l'italiano. Il Lago di Garda si prestava ad una simile impresa , perché la massima parte di esso era in mano degli Italiani. Sorse allora quasi spontanea l'idea di spedire su un battello degli informatori travestiti che sarebbero sbarcati sulla riva austriaca al di là delle linee di trincee. I preparativi, fatti sotto la personale sorveglianza del comandante della compagnia, furono curati in ogni dettaglio. L'armamento austriaco era in ordine e cosLpJ..Irej documenti necessari. Per superare gli ostac0li ad alta tensione, gli esploratori furono muniti di scarpe e guanti di gomma ed avevano perfino le cinture di salvataggio per il caso di un incidente m acqua. Secondo Storch i fili elettrici potevano essere tagliati più facilmente ad occidente del torrente Sarca, dove le sentinelle non stavano accanto ai reticolati, sulla riva del lago; bastava poi aprirsi il passaggio su un piccolo ponte che oltrepassava il fiumicello. La sentinella posta sul ponte doveva essere nel peggiore dei casi uccisa. Per attraversare il lago sì doveva adoperare uno speciale motoscafo, lungo venti metri, e con motori elettrici, quindi silenziosissimo. Ma siccome la base di questi motoscafi era a Malcesine e cioè abbastanza lontana, a circa 13 chilometri e mezzo, il battello, per risparmiare l'energia elettrica, doveva esser rimorchiato per un certo tratto da una barca a motore. Finiti i preparativi, i quattro esploratori si riunirono col comandante della compagnia, col Tenente Targa dell'Ufficio Informazioni e con un Tenente di Marina comandante dei motoscafi di Malcesine.
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Mancavano però diverse cose: si perdette quindi del tempo e la spedizione si mosse da Malcesine solo dopo la mezzanotte. Vycftal fece subito osservare gli inconvenienti di questo ritardo, e quando vide che il viaggio si prolungava (navigavano da due ore e incominciava già ad albeggiare), si rese conto che non era possibile mettere in esecuzione il progetto. Chiese che si tornasse indietro, ma il Tenente Targa insistette perché si procedesse. Sorse una discussione che però fu decisa dall'energico intervento del Tenente Vycftal che si assunse la responsabilità verso il Capitano comandante dell'imbarcazione. Tornarono a Malcesine quando era ormai giorno fatto. Siccome proprio allora incominciavano delle notti di ]una, il comandante della compagnia decise che l'impresa venisse rinviata alla prima notte buia, e, dopo aver incaricato gli esploratori di informarlo in tempo, partì per un altro settore, quello di Zugni. Circa quattro giorni dopo il comandante della compagnia ricevette improvvisamente un fonogramma in cui gli si comunicava il ritorno di Tobek dall'impresa. Costui non poté raccontare molto perché non sapeva come fossero an~ate le cose specie quelle più importanti. Dopo la pa1tenza di Vycftal, Smarda e JeHibek avevano insistito, pare, per l'esecuzione dell'impresa ad onta della notte chiara. Infatti il giorno dopo, tutti e quattro, accompagnati soltanto da marinai e cioè senza il Tenente Targa che se n'era andato anche lui, erano partiti. Anche stavolta erano in ritardo, tuttavia raggiunsero felicemente la riva nel posto prescelto dietro il tonente Sarca. Non appena sbarcati furono assaliti da una pattuglia appostata dietro i reticolati. Storch non sapeva probabilmente che ci fosse, oppure era stata messa lì dopo la sua fuga. Nel momento in cui fu tirato il primo colpo, il battello era già a circa 100 metri dalla riva e ai quattro esploratori non restava che contare su se stessi. Tobek sì buttò subito in acqua e nuotò per circa tre chilometri. Esausto risalì poi sulla riva tra le due linee cli trincee, ma per fo1tuna lontano da quelle au§triache. Quel che era successo degli altri non lo sapeva. Ali' infuori di Smarda, tutti e tre si erano gettati in acqua, ma Storch perdette i sensi: stava per affogare quando venne tratto a riva. Jefabek riuscì a fuggire felicemente, allontanandosi dalla riva senza essere colpito. Quando gli parve di esser vicino alle linee italiane si mise a chiamare aiuto in italiano. Gli rispose infatti qualcuno in italiano e si avvicinò perciò alla riva: un soldato entrò in acqua per prestargli aiuto, ma quale non fu il suo terrore quando si accorse, troppo tardi,
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che era un "feldwebel" austriaco , il quale tentava di impadronirsi di lui. Non stette troppo a riflettere. Sperò di potersi salvare anche in questa situazione e con un colpo di pistola ferì il feldwebel al ventre. Con tutte le sue forze tentò poi di allontanarsi rapidamente. Ma noit ci riuscì: colpito in acqua, vi affogò. Storch fu impiccato. La sorte di Smarda non fu mai chiarita. Ecco quanto seppe la compagnia sulla sorte dei suoi esploratori. Solo dopo la gue1Ta il Capitano Josef Vydra, allora aggregato al comando del XX Corpo d'Armata , da cui dipendeva il settore di Riva, potè r:,ecare molti schiarimenti e informazioni sicure, salvo che per il caso di Smarda. Nel suo rapporto è detto fra l'altro: "Storch, tirato fuori dall 'acqua semivivo, fu assalito da convulsioni e portato svenuto con un motoscafo austriaco al posto di soccorso "Alla Lepre" dentro Riva, dove fu curato dall'attendente del dottor Plessner, il soldato Antonin Zavadil. Non appena tornato in sé, venne il Capitano Picalek (un tedesco) che vietò qualunque contatto col prigioniero, nel quale era stato riconosciuto l 'ex telefonista di Nago che aveva disertato. Il 3 luglio, verso le 8 del mattino, venne a prenderlo un picchetto del 174° battaglione Landsturm che lo portò con una carretta della Croce Rossa a Grotte, sotto il Monte Brioni, sulla riva nord del Lago di Garda, dove, dietro una roccia, era celata la sede del comando di settore, agli ordini del 1'arciduca Massimiliano. Storch fu rinchiuso in una cantina e in un'altra Smarda; tutti e due erano legati; Storch aveva inoltre una ferita ad un piede. Storch rifiutò qualsiasi cibo e chiese solo da bere. Quello stesso giorno i prigionieri furono condotti dinanzi ali' arciduca Massimiliano e interrogati; il resto della giornata lo passarono in prigione. Il giorno seguente giunsero da Sarche di Calavino i membri del tribunale militare divisionale del settore di Riva , auditore .capo Roth e secondo auditore il dottor Steinlechner. Insieme a un Maggiore e un Capitano interrogarono i due prigionieri per tutta la giornata. Il risultato però non li soddisfece. Tra i giudici sono noti i nomi del Capitano conte Ceschi, aiutante di campo dell'arciduca Massimiliano, il Capitano barone Taxis, la cui famiglia era di Trento, il Capitano Janousek, anch'esso aiutante di campo dell'Arciduca; l'auditore fungeva da Avvocato fiscale. Il dottor Steinlechner dirigeva il processo, difensore era il dottor Schedlbauer, avvocato di Praga, e interprete lo scrivano del tribunale che però non conosceva bene il ceco. V
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Il tribunale si riunì e iniz.iò il dibattito nella mensa degli ufficiali nell'albergo Grotta, a destra della strada maestra. Dopo il primo interrogatorio dei due prigionieri erano stati an-estati i compagn! di Storch del 13° artiglieria pesante, in tutto quattro uomini e cioè Rezac, Netuka, Grulich e il Sergente Kavka, sospettati tutti di complotto con Storch. Ognuno di essi fu rinchiuso, isolatamente, in una casa davanti all'albergo già nominato. Il Sergente a~tig]iere Kavka fu però rilasciato quello stesso giorno. Presso Storch e Smarda furono trovati tutti i documenti, i fogli di viaggio e le licenze preparati in Italia. Gli accusati furono difesi dal Tenente dottor Schedlbauer, aggregato al comando del sottosettore in qualità cli aiutante. Egli li difese effettivamente con molta obiettività, facendo appello al sentimento umano, ed ottenendo che almeno Smarda fosse assolto dal tribunale militare, per essere poi condannato stai tribunali ordinari a 20 anni di carcere. Contro la pena di morte di Smarda votò il Capitano conte Ceschi, pare commosso dal discorso del dottor Schedlbauer, al quale non avevano saputo resistere neanche gli altri giudici, come più tardi confessò il presidente, Capitano Janousek. Storch fu condannato a morte per diserzione, per essere entrato nelle legioni cecoslovacche e per aver combattuto contro 1' imperatore e la monarchia. Verso mezzanotte il dottor Schedlbauer lesse pubblicamente il verdetto dall ' albergo Grotta ai soldati che per curiosità aspettavano davanti all 'edificio; la sentenza doveva essere eseguita due ore dopo la lettura. Storch ascoltò il verdetto con la massima calma e senza commuoversi. I syoi tratti, a detta dei testimoni, non r.ivelarono la minima agitazione. Smarda invece , avendo sentito confermare la sentenza cli morte per il suo compagno, s'era messo a tremare dal ten-ore. Egli e gli altri accusati, presenti alla lettura pubblica del verdetto, furono consegnati ai tribunali ordinari. Storch fu quindi ricondotto nella sua prigione e gli furono offerti dei cibi dalla mensa degli ufficiali che egli però rifiutò. Si presentò allora il cappellano militare Gela, un ceco delia Slesia, che per ordine superiore aspettava l'esito del processo. Storch pregò il sacerdote di portare il suo ultimo saluto alla madre , che compiangeva molto perché era sicuro che sarebbe morta di dolore per la sua esecuzione. Della sua azione però non era pentito. Ancora negli ultimi momenti confermò al sacerdote di aver sempre agito secondo la sua convinzione, alla quale sarebbe rimasto sempre fedele. Ricevette, per suo spon-
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taneo desiderio, l'estrema unzione e chiese anche che il cappellano gli restasse vicino fino all'ultimo minuto e non lo abbandonasse neanche quando sarebbe andato al patibolo. Verso le due di notte Storch fu condotto con le mani legate e accompagnato da una scorta alla piazza d'armi nuova di Riva, distante circa 400 passi dall'albergo. La piazza d'armi, aperta e senza alberi, era visibile da lontano e da ogni parte e soprattutto dalle posizioni italiane dell'Altissimo che domina coi suoi 2000 metri tutta la Va11e tra Riva e Arco. Dalla riva settentrionale del lago esso dista solo 1250 metri e dalle posizioni avanzate italiane del Ponale tre chilometri. Il resto del convoglio era formato da una dozzina di ufficiali che fungevano da pubblico e da un cordone della 24" Hochgebirgskompagnie (compagnia d'alta montagna), composta in maggioranza di tedeschi. Sulla piazza d'armi, nell'angolo nord-ovest, era stata preparata la forca composta di due pali verticali e uno orizzontale, con sotto un cmTetto a due ruote, vicino al quale aspettavano pronti i due boia, il Sergente Maggiore Gustav Gluhowski, tedesco di Vienna e il Sergente Fritz Schilke, aiutati dal caporale Grossmayer e dal tiratore scelto Teutscher, tutti e quattro della 24a compagnia d'alta montagna che il 3 novembre caddero prigionieri in mano agli Italiani. Prima dell'esecuzione Storch fu degradato; condotto dinanzi alla forca, rifiutò di farsi bendare gli occhi; colle mani legate salì sul carretto, e , alzatosi sulle punte dei piedi fac il itò volontariamente ai suoi carnefici l' annodamento del laccio che pendeva un po' troppo in alto. Poi il carretto fu spinto i n dispa1te e Storch restò impiccato. Aveva salutato il sacerdote e lo aveva ringraziato semplicemente con le parole: "Grazie e addio!". Dopo l 'esecuzione la folla dei soldati della 24" compagnia proruppe in un "Hurrà", ma il Capitano Janousek li richiamò all'ordine. Questo avvenne il 5 luglio 1918, verso le due e mezza del mattino. E, secondo le prescrizioni, il cadavere restò sulla forca ventiquattro ore, fino al giorno seguente. La forca e la vittima erano visibili dalle trincee della Divisione cecoslovacca sul Doss'Alto. Fu allora che il Generale Graziani s 'indignò profondamente e ordinò il fuoco di tutta la sua artiglieria su Riva. Fu un vero uragano , una furiosa tempesta di distruzione e di morte. Nuvole di polvere delle case distrutte, fumo e fiamme delle granate formarono uno sfondo orrendo all'impiccato. Gli sguardi dei Cecoslovacchi si volgevano alternativamente su questi due quadri; e il senso chiaro della loro potenza emerse spontaneo, con tutta la sua
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forza persuasiva, nel cuore dei legionari: "Ecco, per un unico cecoslovacco, quanta Ì'!}portanza!". TI Generale Graziani era anzitutto un ottimo psicologo. Smarda non fu imp iccato. Pare che sia stato mandato all'interno per un ulteriore processo; perché, nessuno riuscì a spiegarselo. E così la sua persona si avvolse sempre più d'ombre, nelle quali l'oscura macchia di un incerto sospetto è rimasta anche dopo ]a guerra. E Tobek? Costui cadde più tardi, combattendo sulla Cima Tre Pezzi, il 24 settembre 1918. Vycftal non voleva portarlo con sé all'attacco, perché in segreto sospettava di tutti quelli che avevano partecipato all'impresa sul Garda. Ma Tobek volle a tutti i costi parteciparvi, e così fu lui stesso a cercare quella morte cui per vero miracolo era sfuggito poco prima. Il gruppetto, come si vede, non aveva avuto fortuna nella spedizione sul Garda. E in altri punti le probabilità di passare in territorio nemico erano pure scarse. A che valeva tutta la propaganda, quando i disertori non riuscivano a passare? I reticolati, che in molti punti mandavano scintille nella notte, facevano svanire ogni intenzione fin dalJ'origine. Tuttavia ogni giorno uscivano le pattuglie. Dei quattro plotoni, tre erano in prima linea e uno di riserva. Usavano i megafoni, lanciavano manifestini, strisciavano il più possibile vicino ai reticolati, occupavano ]e trincee nei punti dove gli austriaci erano distanti solo pochi passi. Cercavano in tutti i modi di convincere i loro concittadini e di scuotere la fiducia delle altre nazionalità. Gli Italiani non capivano perché i legionari desiderassero di occupare proprio i luoghi che essi cercavano di evitare. Così, per esempio, su]lo Zugna, c'era un tratto di trincee nel quale si entrava per una galleria di circa 400 passi. Passata la galleria bisognava percorrere un tratto scoperto, noto col nome di "trincea della morte". Gli italiani vi avevano collocato un cartello colla scritta: "Chi passa
muore". Anche chi si muoveva con ogni precauzione veniva colpito attraverso le feritoie dagli Austriaci che stavano in agguato, muniti di fucili di precisione con mira a canocchiale. I Cecoslovacchi scoprirono presto in che cosa consistesse il segreto. La parete retrostante le trincee italiane era più bassa del1e feritoie della parete anteriore, e, dato che la trincea era sulla cresta, il nemico scorgeva attraverso le stesse il colore chiaro del cielo; quando qualcuno passava dinanzi alla feritoia, la copriva per un momento con il suo corpo, creando così un bersaglio fac ile a colpire. Con una semplice colmata di terra sulla parete retro-
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stante, lo Zugna cessò di essere uno spauracchio e i cecoslovacchi salirono nella stima degli italiani come esperti combattenti. Passò così tutto l'agosto, senza che la compagnia potesse conseguire un qualche successo. Disertori non ce n 'erano quasi e i nostri avevano solo insulti e bestemmie quando ricordavano ai Cechi il loro dovere. Non restava che ripagarli della stessa moneta. I legionari si misero d'accordo con l'artiglieria pesante: ad un dato segnale questa avrebbe coperto di fuoco violentissimo tutto il settore. Il ceco fedele all'Austria fu invano avvertito: "Non occorre che tu diserti, visto che sei un austriaco incallito; ma sta zitto e non bestemmiare così volgarm.ente". Ma egli continuò ad insultare e pochi minuti dopo le sue trincee erano livellate dai pesanti "cento" e "centocinquanta". Da quel tempo si ebbe pace. Alcuni disertori arrivati più tardi raccontarono che da quel momento venne proibito di insultare i legionari o di rispondere loro. L'ordine era venuto dal maggiore comandante del battaglione che non voleva aver noie nel suo settore e temeva che i legionari provocati "gliene com.binassero qualcun.a". E infatti gliela com binarono. Sul fronte esistono sempre delle località che vengono contese puramente per ragioni di prestigio. Prive di particolare importanza, non si pensa neppure di occuparle e di mantenerle durevolmente: si tratta solo di amor proprio locale. Una località di questo genere erano i Sassi Bianchi, un rialzo del terreno tra le due linee che gli Austriaci avevano preso l'abitudine di occupare di notte, mentre gli Italiani non erano mai riusciti a giungervi. Il comandante della compagnia scelse otto uomini e attese nei reticolati il crepuscolo , per uscire quindi di corsa, giungendo sotto i Sassi Bianchi. I soldati si dovevano muovere con la massima precauzione, perché gli Austriaci avevano disseminato in quel punto delle speciali tagliole di ferro, come quelle che si adoperano per acchiappare la selvaggina. Per riuscire nell 'intento si doveva raggiungere prima del nemico il posto stabilito. Si erano appostati da poco, quando sentirono avvicinarsi con precauzione gli austriaci. Li lasciarono avanzare fino a circa 15 passi e li investirono poi con bombe a mano, costringendoli a fuggire. Solo quando i nostri si allontanarono vennero a portare via i loro feriti. Fu una piccola azione che fece tuttavia buona propaganda, confermando nuovamente agli Italiani la maturità bellica dei Cecoslovacchi. Si preparava intanto, nella seconda metà di settembre, la grande azione dei Cecoslovacchi sulla Cima Tre Pezzi ,
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azione che riguardava la vicina terza compagnia, ma per la quale venne chiamata in ausilio anche la compagnia "Avio". Come si sia giunti al combattimento, quale siano stati la preparazione e lo svolgimento verrà eletto parlando della compagnia "Astico". Ora vogliamo solo notare quanto concerne la 2a compagnia. TI minor successo ottenuto in confronto cli quello della 3n compagnia (fece solo pochi prigionieri ed ebbe invece tre morti, 17 feriti di cui 9 gravi, uno dei quali morì più tardi) è dovuto a diversi motivi. Infatti le toccò il settore più pericoloso, perché non c'era contatto diretto col nemico e il terreno era molto disagevole, roccioso e impraticabile. L' inconveniente principale fu dovuto però al fatto che la compagnia venne chiamata nel settore solo all'ultimo momento e nessuno degli ufficiali e degli uomini, all'infuori del comandante, conosceva, nemmeno di vista, le posizioni nemiche e il terreno. Essi ne furono informati superficialmente in una caverna. Nella notte oscura non poterono orientarsi e così molti caddero dalle rocce ferendosi , mentre altri, cercando una strada meno disagevole , perdettero l 'orientamento giungendo in tutt'altro punto rispetto a quello dove erano diretti. Inoltre gli "arditi rossi", piazzati su un'ala de]la compagnia, agirono con troppo ardore e strep.ito, in modo da tradire l'attacco prima del tempo. Perché le avversità della sorte fossero al colmo, cadde un forte acquazzone che inzuppò le scarpe di corda di cui i soldati s'erano calzati prima del combattimento, perché le scarpe chiodate non facessero rumore sui sassi e non richiamassero l'attenzione del nemico. Così molti finirono col giungere al luogo del combattimento quasi scalzi coi piedi insanguinati dai fili spinati e dalle rocce. Per quanto l' azione si presentasse per essi estremamente sfavorevole essi continuarono ad avanzare perché la compagnia "Avio" cercava la rivincita dello scacco subito al Garda. Poco tempo dopo il ritorno nel proprio settore si seppe che gli Italiani preparavano un'azione sul San Marco dove era di guarnigione, dalla parte austriaca, un reggimento con il 30 o forse il 40 per cento cli Cechi. Dovevano prendervi parte circa 200 uomini e negli esploratori sorse allora il desiderio di parteciparvi. V'era però il divieto di impiegare gli esploratori nei combattimenti. Vycftal fece una rapida corsa a Verona, dal Colonnello Marchetti, ma anche costui restò irremovibile: "Avete appena finito una bella azione, avete avuto delle perdite gravi, cosa volete ancora! Ammetterete che le nostre forze sono sufficienti per un attacco normale, mentre la perdita di un solo esploratore ormai acide-
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strato è insostituibile!". Tuttavia, alle insistenze di Vycital finì per acconsentire che egli e due altri esploratori vi prendessero parte. GJi Italiani avevano dei criteri diversi dai nostri in materia di sorprese e di piccole azioni, che venivano sempre sostenute dall'artiglieria; molto spesso i soldati uscivano dalle trincee per l'assalto cantando; preferivano anche l'attacco frontale. Gli esploratori preferivano invece compiere le loro azioni da soli. Un ufficiale e quattro uomini (Vycftal ne prese due di più) non potevano naturalmente decidere l'azione. L'attacco fu mosso lungo l'Adige, su un tratto di pianura che poteva essere facilmente osservato dal vicino settore nemico sullo Zugna. Circa duecento passi prima delle trincee, contro le quali doveva essere diretto l'attacco, c'era un mulino diroccato, che servì come punto di partenza per l'assal to. Gli Italiani utilizzarono bene l'oscurità della notte, giungendo senza essere visti fino al mulino, dove si appiattarono aspettando fino alle dieci. Quindi in fila indiana si avvicinarono cautamente seguendo l'Adige, nascondendosi dietro l'argine. Presto però furono scorti di fianco e investiti con colpi di fucile e bombe a mano. Non erano ancora tornati tutti al mulino, quando l'artiglieria austriaca, in seguito all'allarme dato, incominciò a bombardare il terreno a trecento passi dietro il mulino stesso. Gli Italiani si consultarono sul da farsi. Ritornare indietro, senza aver combattuto, non ne avevano voglia, e d 'altra parte le trincee erano a quasi un chilometro di distanza. I Cecoslovacchi avevano capito la situazione, conoscendo bene l'esercito austriaco e i suoi sistemi cli combattimento. Sapevano che questo fuoco iniziale di artiglieria era previsto da un piano di difesa in caso di allarme. Quanto prima ne sarebbe sopraggiunto un altro, diretto a seconda della situazione reale; in questo caso nessuno avrebbe potuto resistere vicino al mulino . Vycftal spiegò come stavano le cose. Approfittando di una pausa dell'artiglieria diede subito l'ordine di ritirarsi. Si erano appena allontanati di qualche centinaio di passi che il mulino crollava sotto le granate nemiche. Gli esploratori della compagnia "Avio" non erano destinati ad aver fortuna. Tutto ciò che intraprendevano urtava sempre contro ostacoli imprevisti e insormontabili . Intanto il crollo delle forze austriache si avvicinava rapidamente e giunse finalmente il momento in cui gli "invincibili" riconobbero che non restava loro che trattare. E fu appunto nel settore della compagnia "Avio" che il rappresentante austriaco, Generale Weber, attraversò le linee, poco lontano da
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Doss 'Alto, dove poco prima avevano compiuto una pretenziosa "StJ:afexpedition" contro i Cecoslovacchi. La sorte fu non solo spietatamente giusta verso gli Austriaci, ma anche ferocemente ironica. Il Generale Weber von Webenau si diresse accompagnato solo da un trombettiere, lungo l'Adige, intorno a] San Marco, fino a Serravalle. l nostri appena li videro, non stettero troppo ad esaminarli e ferirono il trombettiere. Era una marcia poco gloriosa per un orgoglioso generale austriaco. Ma la misura dell'ironia fu colma solo piÚ tardi. Poco lontano dalle trincee austriache si levò ad un tratto una terza figura che si aggiunse ai due. Era un disertore austriaco che aveva passato tutta la notte nascosto tra la due linee e aveva temuto farsi vedere di giorno. CosÏ il parlamentare della dinastia degli Asburgo e del suo orgoglioso esercito giunse in Italia accompagnato da un trombettiere terrorizzato e da un disertore lacero e misero. Nell'ultima offensiva i Cecoslovacchi, lanciati con gli arditi nell'inseguimento, giunsero tra i primi a Rovereto ed arrivarono fino a Trento e oltre. Il bollettino di guerra del 3 novembre 1918 che esalta il 29° Reparto d'Assalto, col quale marciavano i Cecoslovacchi, citandolo per essere stato il primo ad entrare in Rovereto, si riferisce quindi anche agli esploratori della compagnia "Avio".
CAPITOLO SETTIMO Alla 1 Armata DALLA VALLARSA FINO ALLA VAL D' ASSA Gruppo di esploratori "Astico" del Sottotenente Prejda 3
Attacco al Monte Corno. Sorpresa di Pedescala. Missione di informatori a Trento. Attacco notturno alla Cima Tre Pezzi. Il Re d'Italia decora gli esploratori.
Quando il 30 aprile il gruppo dei 450 era stato suddiviso a Verona, una sorte favorevole toccò alla compagnia del Sottotenente Alexander Prejda. Non solo essa restò unita, ma fu perfino rinforzata con otto ufficiali e 230 uomini. Da Verona partì il 3 maggio, cli buon mattino, quando ancora la popolazione dormiva tranquillamente. I volti allegri e gli occhi ardenti dei soldati, il passo agile e il loro aspetto vivace garantivano che tutti avrebbero fatto il loro dovere. Le loro canzoni tradizionali destarono gli abitanti di Verona che dissero addio con simpatia ai cecoslovacchi , augurando loro buona fortuna in guerra. Meta della marcia era Marcellise, dove la compagnia doveva attendere ulteriori ordini. Verso sera giunse l 'ordine che la compagnia si tenesse pronta per essere passata in rivista dal Tenente Generale Pecori Giraldi. La rivista ebbe luogo la mattina del 4 maggio sullo spiazzo dinanzi alla chiesetta. Il comandante dell'Armata interrogò paternamente i soldati sulle loro condizioni famigliari e tutti sentirono quanto fosse loro vicino il suo cuore. L'aspetto dei Cecoslovacchi lo soddisfece, cosa che manifestò anche con parole di vivo elogio al comandante della compagnia e all'ufficiale di collegamento2 1 • I1 6 maggio quattro uffjciali e quattro sottufficiali partivano per una ricognizione al fronte. Un primo giro fu compiuto sotto la guida dell'ufficiale di collegamento nella Valle Posina e sul Monte Gamodo,
Ai reparti d'esplorazione cecoslovacchi era aggregato un ufficiale italiano di collegamento fra la compagnia esploratori e i comandi italiani. 21
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dove la compagnia doveva iniziare la sua attività. Le trincee della linea, che correvano sulle creste di alte montagne, erano occupate dalla famosa Brigata Volturno. Per giungervi si ricorreva alla teleferica, mezzo, questo, assai diffuso al fronte italiano. A Marcellise nei momenti liberi tutti si svagavano in un modo o nell'altro, facendo in pari tempo della propaganda fra la popolazione, parlando, col loro italiano stentato, delle sorti della loro patria, della loro missione e della decisione che avevano presa. Gli esploratori talvolta si irritavano quando li si chiamava "austriaci" o quando i contadini chiedevano loro che mare ci fosse vicino a Praga. La Boemia era loro nota forse come lo è il Tibet. Della nostra lingua pensavano che fosse un dialetto austriaco e ci volle molta fatica perché almeno i più colti capissero chi erano i Cecoslovacchi e che cosa volessero. Il 7 maggio giunse 1'ordine della partenza. Comandante della compagnia era stato nominato, fin da Padula, il ~ottotenente Alexander Prejda, suo sostituto era il Sottotenent~ Ludvfk Rfha; comandanti di plotone erano il ~ottotenente Frantisek Sefrna, e gli aspiranti Ludvfk S:ibulka, Karel Cfzek, Vaclav Kropacek, Karel Kubista a Frantisek Rivmic. I plotoni avevano una forza di circa 40 uomini. Ufficiale di collegamento era il Tenente italiano Umberto Re. Era aggregato presso l' Ufficio Informazioni, conosceva bene il suo servizio ed aveva molta esperienza, avendo anche partecipato attivamente alla nota azione di Carzano. Fautore entusiasta della nostra causa ed amico sincero dei Cecoslovacchi, rese dei servigi preziosi alla compagnia e la sua opera ebbe il riconoscimento sia dell'Italia che del comando cecoslovacco. Poco dopo gli esploratori venivano spostati più vicino al fronte, a Bazzoni, nella vallata del Posina. Bazzoni, prima sede della compagnia al fronte, stava immediatamente dietro di questo e durante i combattimenti veniva spesso conteso e occupato alternativamente dalle due parti. Si trovava continuamente sotto il tiro nemico, soprattutto dal Monte Cimone, che costituiva per gli austriaci un ottimo punto d'osservazione. Il paese era devastato e solo la chiesa era stata risparmiata per uno strano favore della sorte. Partiti da Marcellise i camion che trasportavano i cecoslovacchi avevano attraversato Vicenza e la deserta cittadina di Arsiero, giungendo a destinazione verso mezzanotte. Gli alloggi a Bazzoni erano stati predisposti in precedenza: i soldati nella chiesa, gli ufficiali nelle case semidistrutte; solo il comando della compagnia troneggiava nella soffitta di un edificio in rovina, dietro ad un
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comignolo. Il giorno seguente si allacciarono i contatti coi comandi e i soldati incominciarono a far la conoscenza degli alleati italiani che stavano lì di rincalzo. Tutti pensavano al nuovo ambiente e ai compiti che attendevano i combattenti; ricordavano il loro servizio nell'esercito austro-ungarico, discutevano sulle loro vecchie esperienze di guerra e facevano progetti sul come "avrebbero dato addosso" agli austriaci. Questi discorsi, sentiti dal comandante della pattuglia, lo persuadevano che i suoi soldati erano decisi a conquistare la vittoria. Nessuno dimostrava la minima paura e le difficoltà che gli esploratori avrebbero incontrato non vennero loro neppure in mente. Per le ore 11 venne annunciata un'ispezione da parte del Capo di Stato Maggiore del X Corpo d'Armata. I lavori di sistemazione dell'accampamento furono presto terminati e all'ora stabilita gli esploratori presentarono le armi all'ufficiale. Il Capo di Stato Maggiore si mostrò soddisfatto, lodò la bella prestanza della compagnia e fece sapere che il giorno seguente, per ordine dell'Armata, due plotoni sarebbero partiti per Cason Brusa, Val Camugara e Piovene. L'aspetto esteriore dei legionari imponeva il rispetto, perché portavano il pugnale, di cui erano armati nell'esercito italiano solo gli arditi. È perciò che i Cecoslovacchi venivano spesso chiamati "arditi bianco-rossi": le loro mostrine erano infatti bianche e rosse su fondo azzurro. I giorni seguenti furono impiegati nello studio del fronte e nell'istruzione degli uomini. Furono fatte in gruppo delle ricognizioni sui monti Calgari, Gamonda e Sogli Bianchi. Poco dopo giunse l'ordine da parte del Generale Boriani, più tardi comandante della 7a Divisione del Corpo d'Armata cecoslovacco, di inviare alcuni soldati scelti per l'attacco al Monte Corno, nuda roccia di importanza strategica, contesa con alterna fortuna fin dal giugno 1916. Il posto è famoso perché nel 19 I 6, dopo un'eroica lotta, vi fu fatto prigioniero Cesare Battisti, deputato irredentista, impiccato poi dagli austriaci. In sua memoria la cima fu poi chiamata "Cima Battisti". Sul Monte Corno c'era allora il 111 ° Reggimento di Fanteria austro-ungarico, la cui maggioranza era costituita da cechi. I Cecoslovacchi naturalmente obbedirono ali' ordine ricevuto e scelsero fra i volontari il Sottotenente Karel Cizek e 16 uomini che partirono per il vicino V Corpo d'Armata. Gli esploratmi iniziarono la loro attività alla vigilia dell'attacco e la mattina seguente il Monte Corno cadeva. I prigionieri e i feriti austriaci spiegarono al comandante della compagnia come ciò fosse accaduto. "Noi V
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pensavamo di avere di fronte i nostri: parlavano in ceco nelle trincee e cantavano "Dov'è la Patria mia"; era un pezzo che Li aspettavamo". Così un piccolo manipolo di esploratori fece fronte onorevolmente al suo compito, liberando dalla schiavitù molti fratelli e aiutando gli alleati italiani a conseguire un bel successo, perché il Monte Corno restò i~ mano degli italiani fino alla fine della guerra. Il Sottoten~nte Karel Cizek fu sostituito due giorni dopo dal Sottotenente Ludvfk Rfha con 17 uomini che vi rimasero finché le opere di consolidamento non furono terminate e la posizione resa sicura. Intanto i preparativi indispensabili nel vicino settore di Val Posina erano finiti e il 12 maggio usciva di notte la prima pattuglia condotta dall'aspirante ufficiale Karel Kubista, di fronte al villaggio di Laghi. Gli sforzi della prima pattuglia e delle seguenti non davano però alcun frutto, perché nelle trincee di fronte stavano i Kaiser Jaegern, molto "kaisertreu"22 e, per guanto vi fosse tra loro una certa percentuale di cechi, assolutamente refrattari alla nostra propaganda. Fu dunque deciso che a Bazzoni (X Corpo di Armata) restassero so!o due plotoni il cui comando fu assunto dal Sottotenente Ludvfk Rfha e che gli altri si trasferissero a Piano di Vallarsa (V Corpo d'Armata). Così la compagnia operò contemporaneamente presso due Corpi d'Armata. Purtroppo il Generale Cattaneo comandante del X Corpo d'Armata si dispiacque che il grosso della compagnia lasciasse il suo settore e che fossero trasferiti anche i due plotoni di Piovene, dei quali voleva disporre, tanto che per un pezzo non seppe perdonarcelo. Il caso volle però che più tardi la compagnia operasse molto intensamente nel suo settore e ottenesse in quel punto i suoi migliori successi. Alle 5 gli immancabili camion trasportavano di nuovo i cecoslovacchi da Bazzoni a Piano di Vallarsa. Il paese era già stato in territorio austriaco, ma il cartello diceva: "Piano, Comune di Vallarsa, Regno d'Italia". Il cambiamento era avvenuto subito dopo la conquista. Il paese si trovava nell'immediata vicinanza del fronte, sotto al tiro nemico, circondato dal Pasubio, dal Monte Corno, dal Coni Zugna, dalla Zugna Torta. Il giorno seguente il comandante della compagnia, l'ufficiale di collegamento e altri ufficiali e sottufficiali fecero una ricognizione nel settore di Matassone, sulla strada di Rovereto, decidendo di inviarvi due plotoni che partirono la
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Fedeli all'Imperatore.
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sera stessa. Alcuni giorni dopo giunse dal Comando d'Armata l'ordine di mandare delle pattuglie nella Val Lagarina, presso Loppio, dove pareva che le trincee austriache fossero occupate dal 35° e dal 75° Reggimento di Fanteria, il primo di Plzeii e il secondo di Jindhchuv Hradec in Boemia. Il comandante della compagnia eartì per primo, seguito da un plotone e mezzo col Sottotenente Karel Cfzek. La notizia della presenza dei due reggimenti composti da cechi fu confermata da due disertori. In poco meno di tre settimane la compagnia fu spiegata su tre corpi d'armata , lungo tutto il fronte della l" Armata. Nel settore della l " Armata arrivò allora quella che fu poi la 23 compagnia del Tenente Vycftal accantonata per un breve periodo a Marcellise. Da Piano di Vallarsa furono distaccate sul Monte Como, d'accordo colla 29a Divisione, due pattuglie che però, insieme a quelle di Matassone, dovettero tornare alcuni giorni dopo essendo scoppiata un'epidemia di spagnola. Il comandante della compagnia utilizzò il breve periodo di riposo per esercitare e istruire i suoi uomini. Fu principalmente l'interrogatorio di quattro disertori della Vallarsa che fornì abbondante materiale per lo studio e l'impiego dei migliori mezzi di propaganda, fra cui i lanciamanifestini, apparecchi molto semplici e pratici che colla semplice accensione, lanciavano un astuccio contenente dei manifestini, fino alla distanza di 200 metri. I manifestini venivano sparpagliati dall 'esplosione e dal vento favorevole in un raggio molto vasto. La propaganda per mezzo dei manifestini era molto in uso ed efficace. Prima che fossero adottati i lanciamanifestini, erano gli aeroplani che lanciavano sul fronte e nelle retrovie nemiche questi stampati. Col nuovo sistema la propaganda fu fatta dalla trincea di prima linea, nei punti in cui il nemico era vicino. In alcuni punti le due linee distavano l'una dall'altra solo 40-50 metri. I manifestini venivano fomiti in parte dall'ufficio centrale di propaganda presso il Comando Supremo; ma generalmente erano compilati in lingua ceca, da]la compagnia stessa, dal comandante e da altri ufficiali e tradotti in tedesco, polacco, croato e altre lingue; si stampavano al comando di armata o ai corpi d'armata e si lanciavano a migliaia di esemplari. Il loro contenuto era semplice, diretto ed influiva efficacemente sui soldati dell'esercito austro-ungarico, come confermarono disertori e prigionieri. I disertori scrivevano talvolta di propria iniziativa dei manifestini che venivano lanciati immediatamente sul settore da cui provenivano. Eccone alcuni: "Fratelli! Ogni Ceco è
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Capitano, dice un nostro vecchio proverbio, ma non certo nell'esercito austriaco. Il posto di tutti i soldati cechi è nel loro esercito nazionale. Noi, pionieri della Libertà, vi dia,no le ultime notizie e vi ricordiamo il vostro dovere. Aiutateci! ecc. ecc . L'aiuto dell'America. Gli Stati Uniti d'America imbarcano ogni giorno per l'Europa 10.000 uomini, ogni settimana 54.000 fitcili, 5.000 rnitragliatrici e 80 aeroplani. Essi fabbricano ogni giorno 700.000 proiettili d'artiglieria e 15.000.000 di cartucce. Dispongono di 20.000.000 di uomini atti al servizio militare". "Cechi! Non esitate! Affrettatevi a raggiungere i vostri fratelli! Noi vi abbiamo additato la strada verso la libertà. Non prolungate colle vostre esitazioni le sofferenze e la schiavitù vostra e dei vostri cari! Per chi combattete? Volete tornare, a guerra finita, col segno di Caino sulla fronte, per aver combattuto contro i vostri fratelli , contro la vostra Libertà e in.dipendenza, contro voi stessi? Non capite d'essere degli schiavi affamati nelle mani dei tiranni austriaci? Non capite che il traditore dell'Austria è un eroe ceco? Noi vi promettiamo che sarete accolti come tali con sincero am.ore fraterno e che non vi pentirete mai del vostro passo". Questo manifesto era firmato dagli extenenti austriaci Karel Tomas, Vaclav Kane e Frantisek Klojda, disertati dal 75° Reggimento. 11 comando austro-ungarico si rese presto conto del pe1icolo che questa guerra incruenta rappresentava per il loro esercito. Perciò organizzò una contro propaganda, lanciando pure dei mmùfestini in ceco o in italiano, il cui contenuto era denigratorio per i cecoslovacchi e minaccioso per gli italiani. È dimostrato che il comando austriaco diede ordine di raccogliere i nostri manifestini ed anzi aveva stabilito un premio per la loro consegna. Era proibito conservarli e si puniva severamente chi li diffondeva. Dopo la quarantena a Piano e finita l'epidemia della spagno1a, il 29 maggio si riprese il lavoro a Matassone con nuova voglia ed energia. Intanto, il comandante della compagnia aveva compiuto delle ricognizioni sul Pasubio e s'era messo d'accordo coi comandanti della 5Y Divisione e della Brigata Piceno p~r iniziare l'attività dal 1° di giugno. Così il 12.lotone de1 Sottotenente Rivnac, e il 9 giugno il Sottotenente Ludvfk Rfha partirono per il Gemello. Dopo tre settimane di permanenza al fronte la compagnia si trovava dislocata lungo tutto il fronte della l" Armata. I plotoni di Val Posina furono ritirati i] 31 maggio per ordine del X Corpo d'Armata e inviati a riposo a Marano Vicentino , insieme alla Brigata Volturno. Nei primi giorni di giugno parteciparono alla
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festa di questa Brigata ed ebbero un encomio speciale dal comando de11a l" Armata e dal cornando..,della Brigata Volturno. Il 1° giugno il plotone del Sottotenente Karel Cizek fu trasferito alla 2" compagnia col compito di istruirla più rapidamente nel servizio di esplorazione, dato che doveva essere impiegata al fronte. Coll'arrivo di questa al fronte, il lavoro della 38 compagnia fu notevolmente alleggerito: il suo settore venne limitato al V e al X Corpo d'Armata, mentre l'altra ebbe assegnato il settore del XXIX Corpo d'Annata. A Marano Vicentino i plotoni non restarono per molto tempo a riposo. Il 4 e il 7 giugno ripartivano per il fronte, dove si separavano: quello del Sottotenente Karel Kubista tornò al suo vecchio posto a Bazzoni in Val Posina, mentre quello del Sottotenente Vaclav Kropacek partiva per la nuova destinazione di Panega in Val d'Assa, sull'Altopiano di Asiago, dove il comandante della compagnia aveva già fatto il 5 di giugno una ricognizione e s'era messo d'accordo coi comandi della 12a Divisione e della V Brigata Bersaglieri (Generale Clerici) per iniziare anche là il nostro lavoro. 11 4 giugno il Colonnello Marchetti, capo dell'Ufficio Informazioni della 1a Armata, aveva chiamato a Verona il comandante della compagnia, al quale chiese un rapporto sull'attività svolta manifestando tra l'altro il desiderio che si mandassero degli informatori nelle retrovie e all' interno dell'Austria. Il comandante della compagnia informò i volontari più fidati e coraggiosi della decisione presa dal capo dell'Ufficio Informazioni e ]j invitò a presentarsi. Si presentarono subito volontariamente per questo difficile e delicato compito il Sergente Frantisek Bedna'ffk, il Sergente Robert Rada, il Caporale Frantisek Mrazek e il soldato Rudolf Petr. Il comandante incominciò subito ad istruirli. Illustrò loro l'organizzazione dell'esercito austro-ungarico e gli ordini cli battaglia in alcuni settori, ne descrisse il sistema di controllo nelle retrovie, studiò con loro le strade che avrebbero dovuto seguire e li istruì sul modo di agire in caso di un incontro con la polizia militare. I documenti falsificati, i vestiti e l'armamento furono inviati in parte dall'Armata e in parte da Milano. La cosa più difficile era far giungere gli informatori nelle retrovie austriache. Furono studiati vari modi, come il volo con un aeroplano fino ad una determinata località, dove sarebbero scesi con il paracadute e, dopo aver raccolto il maggior numero di informazioni , sarebbero ritornati attraversando il fronte. Gli esperimenti fatti in tal senso sconsigliarono però questo mezzo.
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Si prese anche in considerazione la possibilità di far passare gli informatori durante un combattimento; ma anche questo modo presentava vari inconvenienti. Non restava che un 'ultima soluzione, la più pericolosa: ne parleremo più tardi. L' 11 giugno il Sottotenente Vaclav Kropacek pa,tecipò cogli arditi italiani ad un assalto locale contro Pedescala. L'assalto non riuscì per la profonda oscurità che fece smarrire la strada ai comandanti; aveva poi piovuto tutto il giorno, il fiume Astico aveva rotto gli argini costituendo quindi un ostacolo insormontabile. Le pattuglie operavano senza concedersi respiro; effettuarono de1le incursioni soprattutto a Fondo, a Leno e a Bazzoni. Il 15 giugno giunse un fonogramma dell'Ufficio Informazioni della l" Armata che ordinava di far ritirare subito tutta la compagnia. Quello stesso giorno avrebbe dovuto incominciare l'offensiva austriaca, durante la quale Cecoslovacchi e Italiani si sarebbero trovati esposti ad un grande pericolo: i Cecoslovacchi potevano esser fatti facilmente prigionieri e in questo caso li aspettava la forca; gli Italiani potevano essere disorientati perché il comando austriaco aveva l'intenzione di mescolare fra i combattenti dei cecoslovacchi travestiti che dovevano provocare il panico nelle file italiane e così determinare la loro sconfitta. Il comandante impartì rapidamente i suoi ordini e il 16 mattina la compagnia lasciava il fronte e raggiungeva le retrovie. Le pattuglie del V Corpo d'Armata giungevano col comando della compagnia a Valdagno; quelle del X Corpo d'Armata a M.arano Vicentino. La pattug!ia del Sottotenente Karel Kubista era già stata ritirata il 13 giugno perché la maggior parte dei sui so]dati era ammalata di spagnola. Questa involontaria ritirata fu richiesta dalle circostanze dopo un lavoro efficace perché, come detto, la presenza dei cecos]ovacchi sul fronte poteva essere più di danno che di vantaggio. E i nostri soldati compresero anch 'essi la necessità di questa misura. Infatti i nostri avevano lavorato per cinque settimane sul fronte e dovunque si vedevano gli effetti della loro collaborazione. Il morale del soldato italiano era eccellente; i disertori austriaci affluivano sempre più spesso, confermando gli effetti della propaganda dei legionari. Il lavoro compiuto con onestà e bravura rappresentava per tutti un'intima soddisfazione. L'operato degli esploratori fu apprezzato in elogi numerosi ed ebbe un riconoscirriento scritto molto lusinghiero dal comandante del sotto settore di "Sinistra Posina", Colonnello Scarnino (N° prot. 644/SS del 21 maggio 1918). Eccone il testo:
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"Sono felice di potermi rendere interprete dell'ammirazione di tutti i soldati del sotto settore per il magnifico contegno dei volontari cechi inviati in questo settore. Disciplinati e irreprensibili nell'esecuzione del proprio servizio e anche all'infuori di esso, animati da nobile entusiasmo per la loro causa, sinceri nei sacrifici per la loro amata patria lontana, gemente nella schiavitù, essi hanno dato un magnifico esempio di coraggio e di fermezza già nei servizi di pattuglia a loro ajjìdati. Sprezzanti del pericolo essi si lanciano al canto dei loro inni nazionali jìn nei reticolati nemici. A questi giovani coraggiosi, che hanno abbandonato volontariamente la tranquilla e comoda prigionia, che sono venuti ad offrire il loro sangue per la libertà del loro popolo, esprimo la mia enlusiastica ammirazione a nome di tutti i soldati italiani. Questo nobile esempio dei volontari cechi sia loro di incitamento a compiere l'ultimo sforzo che ci divide dalla vittoriafinale". Gli esploratori avevano fatto ogni sforzo, sia in servizio che fuori servizio, per mostrare dappertutto la loro decisione e la loro sincerità. L' intenso Javoro, le sofferenze e le difficoltà della guerra li avevano tanto più esauriti, in quanto ognuno di. loro era stato prima per molto tempo in prigionia e aveva perduto l'abitudine del servizio al fronte. Un breve riposo era veramente necessario oltre che meritato. Valdagno è un piccolo e lindo paese, con begli edifici, situato in bellissima posizione nella Valle del fiumicello Agno. Alla compagnia furono assegnati dei locali in un castello devastato durante la guerra. Il giardino e il parco erano però ancora in buone condizioni ed offrivano agli esploratori infiniti angoletti ombrosi sotto gli alberi secolari, adatti a chiacchierare tra amici. (I 16 giugno si svolse colà la cerimoni~ del giuramento . Il rappresentante del Consiglio Nazionale, Capitano Seba, aveva visitato nella mattinata i due plotoni distaccati a Marano Vicentino e nel pomeriggio era giunto a Valdagno. La compagnia si allineò nel cortile del castello e, dopo aver presentato le armi, cantò ]'inno "Dov'è la Patria mia". Più di duecento voci narrarono il loro dolore commuovenv do profondamente il cuore sensibile degli Italiani. Il Capitano Seba spiegò quindi ai volontari il significato del giuramento, ricordò i doveri che gli esploratori si assumevano con questo atto ed invitò ad uscire dai ranghi quelli che non si fossero sentiti abbastanza forti per sopportare le sofferenze e i sacrifici cui andavano incontro. Naturalmente nessuno si mosse, perché tutti avevano preso da un pezzo la loro decisione. 11 giuramento fu fatto prima a voce: gli esploratori ripeterono le
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parole che venivano loro lette e poi ognuno firmò la formula scritta dal seguente contenuto: "Io sottoscritto mi impegno solennemente a servire con fedeltà e con onore, come soldato dell'esercito nazionale, il popolo cecoslovacco, rappresentato ora dal Consiglio Nazionale Cecoslovacco, e prometto di adempiere con onore e.fedeltà tutti i doveri che derivano da questo mio impegno, e, in particolar modo, mi impegno ad obbedire incondizionatamente a tutti gli ordini dei miei comandanti militari". Le firme venivano autenticate dal rappresentante del Consiglio Nazionale. La popolazione di Valdagno si mostrava molto ben disposta verso gli esploratori, nei quali vedeva dei fedeli alleati. Il 20 giugno mostrò loro quanto li apprezzasse. Quel giorno le signore del paese organizzarono una piccola festa in onore dei Cecoslovacchi, cui furono offerti un rinfresco e dei doni e, come ricordo, una veduta d'insieme della città ripiegata in tre, con la dedica "Ai volontari cecoslovacchi le signore di Valdagno offrono". Il riposo fu breve. L'offensiva austriaca era naufragata e sul fronte della la Armata non ci furono dei combattimenti importanti. Gli esploratori furono richiamati al fronte , dove ripresero il loro lavoro. Nella notte del 21 giugno era arrivato sul Gemello un disertore che portò delle I!otizie preziose. In quello stesso giorno la pattuglia del Sottotenente Rfha partì per la prima linea e il 23 furono inviati altri tre gruppi; il 25 anche il comando della compagnia si spostò verso questa linea, per facilitare la trasmissione degli ordini. Nuova sede della compagnia fu la frazione Brandilleri del Comune di Valmalunga nella Valle del torrente Malunga, vicino a Sant' Antonio, presso cui passa la strada per Rovereto che, durante la guerra, fu una importante arteria strategica. Il comandante deJla compagnia organizzò sei plotonL e ne destinò quattro per il V Corpo d'Armata e due per il X; i singoli plotoni, poi, formarono dei piccoli gruppi, da quattro a dieci uomini, comandati da sottufficiali, permettendo la dislocazione in un numero maggiore di località e ingannando così il nemico sul numero dei cecoslovacchi: questa riorganizzazione contribuì ancor più alla demoralizzazione dell'esercito austriaco. Un ufficiale aveva ai suoi ordini alcuni gruppi e sorvegliava lo svolgimento del servizio, mantenendo il collegamento nel suo settore tra ì comandanti italiani e il comandante della compagnia. I sottufficiali comandanti dei gruppi inviavano i loro rapporti al proprio ufficiale e questi li trasmetteva all'Ufficio Informazioni del Corpo di
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Armata e in copia al comandante della compagnia. L'Uffic io Infonnazioni elaborava ogni giorno una relazione riassuntiva per tutti i comandi del corpo d'armata. Infine il comandante della compagnia elaborava un rapporto mensile su!Ia situazione, sul decorso degli avvenimenti e sui risultati del lavoro compiuto. L'importanza degli esploratori cresceva intanto di continuo; i comandi italiani li chiedevano dappertutto dove c'era da attendersi un qualche risultato, ma le scarse disponibilità della compagnia non consentivano di soddisfare tutte le richieste. l risultati dell'attività dei legionari erano confermati dalle deposizioni dei prigionieri e disertori come pure dalla nota del comando della la Armata (N° prot. 51.119 dell' 11 luglio 1918) del seguente contenuto: ''Il comando della 32° Divisione ha inviato all'Ufficio Informazioni del X Corpo d'Armata la seguente notizia sull'attività di propaganda della compagnia "Astico ": "I soldati cecoslovacchi che jiu-ono inviati nel settore di Sogli Bianchi, hanno svolto la loro attività di propaganda in modo degno del più caldo encomio e si sono condotti sempre in modo esemplare. Istruiti dai comandanti delle compagnie in trincea, essi si sono recati spesso fin vicino alle sentinelle avanzate, donde si rivolgevano con megafoni al nemico con parole che incitavano alla diserzione e gli annunciavano la tragica disfatta sul Piave. Di regola hanno svolto la loro attività partendo dalle prime linee. Il nemico si è rivelato molto sensibile e soprattutto dai rifugi di Selugia ha risposto regolarmente con tiro di mitragliatrici, di bombarde e di cannoni da trincea. Non è escluso che il violento fuoco di concentramento di ieri su Sogli Bianchi sia stato originato dall'azione di questi soldati. Questo dimostra però che il nemico valuta e teme l'attività di propaganda dei soldati cecoslovacchi". "Il comando della r Armata ha preso atto con grande sodcli.~fazione di questa notizia e volentieri si associa al vivo plauso per gli ufficiali e gli uomini della compagnia "Astico", i quali, disprezzando il pericolo, hanno saputo adempiere con tenacia e con lode il compito loro affidato". I comandi sottoposti comunicarono per via gerarchica questo plauso del comando della 1a Armata ai Cecoslovacchi, aggiungendo anche il loro elogio e sottolineando soprattutto le azioni compiute nel rispettivo settore. La penuria di Cecoslovacchi fu in parte colmata dall'arrivo della compagnia jugoslava "Posina", proveniente da Marcellise e destinata pure alla l" Armata (V e X Corpo d'Armata). Il 5 luglio giunse a
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Valrnalunga il comandante della stessa, Tenente Plhak, (ceco) con un ufficiale e 8 sottufficiali. Nei giorni seguenti fecero una ricognizione per ritornare quindi a Marcellise; già il 14 luglio la compagnia raggiungeva il fronte e veniva alloggiata vicino a noi, nella frazione di Fecchiera. Essa dipendeva tatticamente dalla compagnia cecoslovacca "Astico" e nell'ordine del giorno del V Corpo d'Armata N° prot. 5455/op. del giorno 15 luglio 1918 si diceva testualmente: "Dal 14 corr. è alloggiato nel Comun.e di Valmalunga uno speciale repart.o jugoslavo della la Armata. Questo reparto, che porterà il nome convenzionale di "Posina", avrà gli stessi compiti del reparto cecoslovacco "Astico" . Data l'esperienza pratica del comandante della compagnia "Astico ", la compagnia "Posina" dipenderà da lui tatt.icamente per i servizi speciali, ma conserverà la sua autonomia penale e giuridica. I gruppi staccati e misti saranno comandati dall'uffkiale superiore di grado o più anziano senza tener conto della nazionalità". La collaborazione delle due compagnie fu intensa e cordiale. Il 12 luglio ci fu a Schio una festa commemorativa delrirredentista italiano Cesare Battisti giustiziato dall'Austria. Vi erano stati invitati i comandanti della compagnia, accolti cordialmente dagli italiani. Il 14 luglio, festa nazionale francese, gli esploratori furono nuovamente ospitati nella città di Schio: i colori nazionali cechi sventolavano in quell'occasione accanto a quelli dell'Intesa. Gli esploratori fecero molto per l'affratellamento dei popoli italiano e cecoslovacco. I loro rapporti quotidiani con 1'esercito italiano divulgavano la conoscenza del nostro popolo che viveva nel cuore dell'Europa. I nostri soldati erano riusciti a conquistare non soltanto i militrui, ma anche la popolazione: quelli col contegno e la disciplina petfetta, questa con ] 'energia, col rispetto e con la buona condotta. E tutti si persuadevano sempre più che i Cecoslovacchi rappresentavano un valido elemento a fianco dell'Intesa. Si può dire, senza timore di esagerare, che i legionari cecoslovacchi si sentirono in Italia, in queste condizioni, come a casa loro , e che perciò restarono sempre riconoscenti all'Italia per il suo aiuto e per le sue simpatie. Il 23 luglio la compagnfa fu ispezionata dal Sottocapo di Stato Maggiore del V Corpo d'Armata, che espresse molti elogi sul suo comportamento. Gli ufficiali italiani di Stato Maggiore dell'armata e dei corpi d'armata parteciparono spesso ai nostri servizi di patn1glia; così il 28 luglio il Maggiore De Blasio compiva con noi un'esplorazione sul Matassone e un'altra ne faceva il 10 agosto sul Griso in Val Posina, persuadendosi delle
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difficoltà che tale servizio presentava, che rendevano necessarie grande prudenza e coraggio. Verso la fine di luglio gli esploratori fecero sul Pasubio un'azione incrnenta e originale. Durante la notte furono issate su un 'asta, in un punto molto visibile, le bandiere italiana e cecoslovacca. In quella stessa notte e nelle prime ore del mattino furono poi lanciati migliaia di foglietti di questo tenore: "Fratelli! Domani all'aurora vedrete sventolare sulla bella terra italiana due bandiere che, insieme a quelle degli eserciti alleati, conducono il nostro eroico esercito alla vittoria in Russia, in Italia e in Francia. Se il nemico avrà il coraggio di tirare sui nostri sacri colori, il suo primo colpo di cannone sia per voi il segnale della rivolta. Ricordatevi bene che i colpi diretti contro le nostre bandiere oltraggiano la nostra bella patria, le nostre famiglie, noi e voi stessi! E voi che lo potete, dovete vendicare l'onta colle armi, dovete ribellarvi, uccidere i provocatori e distruggere tutto ciò che è dannoso e offensivo per noi. Ricordatevi inoltre che men.tre i nostri colori, stimati dagli alleati, sventolano liberamente nelle nostre terre, essi son.o proibiti nella terra degli Asburgo dove vi si riserba solo la fame e la schiavitù. Compiuta questa nobile azione che mostrerà la vostra devozione e il vostro spirito patriottico, passate dalla nostra parte gridando: Viva la libertà! Viva il libero popolo cecoslovacco e jugoslavo! Siamo persuasi che ascolterete gli ordini dei vostri fratelli che vi aspettano con impazienza e sono decisi a dar La vita per la vostra salvezza. Agite in modo da meritare la riconoscenza della patria e le benedizioni dei nostri martiri! Coraggio!". Invece di reagire gli austriaci finsero saggiamente di ignorare tale azione per non rischiare una provocazione. I risultati si ebbero più tardi. Nel settore di Matassone si trovava di fronte a noi il 37° Reggimento Tiratori, presso il quale aveva prestato servizio nel passato il comandante della 2a compagnia, Tenente Rudolf Vycftal. Si trattava di accertare in questo settore se la quota 890 era occupata dal nemico. Nella notte dal 5 al 6 agosto fu inviata una pattuglia della quale facevano parte, oltre il comandante Sottotenente V,'iclav Kropacek, il Tenente Rudolf Vycftal comandante della compagnia "Avio" e il Tenente Alex Prejda, comandante della compagnia "Astico" e che raggiunse la quota 890 constatando che non era stata occupata. La compagnia fu citata nel bollettino del V Corpo d ' Armata per questa sua coraggiosa azione. Copia della citazione fu inviata per conoscenza alla compagnia colla seguente nota dall'Ufficio Informazioni del V Corpo d'Armata (N° prot. 4449 del 6 agosto):
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"Invio per conoscenza l'odierno bollettino notizie del V Corpo d'Armata e nello stesso tempo ritengo mio gradito dovere esprimere agli ufficiali e agli uomini della sua compagnia il mio vivo plauso e riconoscimento per le prove di coraggio e di eroismo e per l'intelligente attività di propaganda compiuta con fedeltà ed entusiasm.o in questi giorni da tutto il reparto". Il passo del bollettino che tratta dei Cecoslovacchi (N° prot. 3286/op. I Ann. e N° prot. 6123/op. V corp. ann.) dice: "Le pattuglie cecoslovacche hanno raggiunto di notte la quota 890 sulla riva sinistra del Leno e l'hanno trovata sgombra dal nemico". Nella notte dal 7 all'8 agosto il Sottotenente Kubista partì con una pattuglia d'assalto, scontrandosi con una pattuglia d'assalto austriaca, con la quale ingaggiò un'aspra lotta in cui furono feriti due suoi soldati (Josef Vesely e Josef Lopatka). Per tale azione il comandante della pattuglia e i due soldati feriti furono decorati della medaglia di bronzo al valore e la compagnia fu citata nel bollettino della 1a Armata e del V Corpo d'Armata (N° prot. 6180/op. del 8/VIII-1918). Nella citazione è detto pressappoco: "Sulla riva sinistra del Leno una nostra pattuglia composta di arditi e di soldati cecoslovacchi ha oltrepassato due ordini di reticolati della chiusa di Foppian.o, sul terzo è stata attaccata con bombe a man.o dalle vedette austriache e le ha uccise. I partecipanti si sono condotti magn(ficamente ed hanno avuto tre feriti". I nostri soldati, pieni di entusiasmo e di coraggio in combattimento, si davano nei periodi di riposo e di tranquillità alle distrazioni intellettuali. Oltre allo sport, ai giochi e ai canti s'era provveduto da parte del comando di compagnia all'invio di giornali e di qualche libro ceco. I comandi italiano e cecoslovacco esaudivano in tutti i modi le richieste fatte in tal senso dal comandante della compagnia. Il comando del corpo cecoslovacco inviò alla compagnia il pittore caporale Bretislav Bartos e il direttore della banda di uno dei reggimenti cecoslovacchi, Sottotenente Houdek. Bartos dipinse delle scene della vita dei legionari durante le ricognizioni al fronte e nei momenti di riposo. Houdek esercitò nel canto e nella musica tanto la compagnia come i reggimenti italiani a riposo, per insegnare loro l'inno ceco e le canzoni nazionali e popolari slovacche. L'attività e i meriti dei legionari furono riconosciuti anche dal comando italiano: il 13 di agosto il Capo dell'Ufficio Informazioni del V Corpo d'Armata propose infatti
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sette ufficiali e 15 soldati per la croce al merito di gue1Ta, che fu poi concessa a tutti. Il 15 e il 16 agosto si effettuò il cambio delle pattuglie presso i due corpi d'armata. l1 ] 9 disertavano vicino a Cason Brusa 3 ufficiali cechi del 75° Reggimento, che chiesero subito di entrare nelle legioni e di propria iniziativa scrissero un manifesto che è già stato riprodotto testualmente. Il mese di settembre fu il più fecondo nella nostra attività al fronte. Incominciò in modo molto promettente, dal punto di vista militare, il primo di settembre, giorno in cui venne passata in rivista la Brigata Liguria; in tale occasione fu consegnata la medaglia di bronzo al valore al Sottotenente Karel Kubista e ai soldati Josef Lopatka e Josef Yesely. Il 2 settembre il comandante del battaglione esploratori, Maggiore Giovanelli, venne a visitare la compagnia; ne fu molto soddisfatto e non lesinò le lodi. Da diverso tempo si stavano preparando intanto due azioni importanti: una spedizione a Trento di due informatori travestiti e un assalto notturno alla Cima Tre Pezzi . La prima impresa era stata assai favorita da una felice circostanza: la pattuglia del Sottotenente V aclav Kropacek e del Caporale Bohumil Brkly era infatti riuscita a stabilire un contatto diretto col comandante di un posto avanzato austriaco, il Caporale Josef Jelfnek , in Val d' Assa sulla Cima Tre Pezzi. Questo Jelfnek ci doveva aiutare nei preparativi e nell'impresa stessa. Sembrava un uomo di assoluta fiducia e fu quindi informato del compito affidato agli esploratori. Per passare in Austria erano stati scelti due uomini che davano le migliori garanzie di successo: il caporale Vaclav Vop,llensky e il soldato Rudolf Petr. Dopo aver rìcevuto dalla compagnia e dall'Ufficio Informazioni le necessarie istruzioni, erano stati anche condotti il 15 settembre 191 8 a Marna d'Avio, dove era in funzione una branca del Servizio Tecnico di Artiglieria presso la quale familiarizzarono col meccanismo, il trattamento e il funzionamento delle bombe a tempo. Nel loro viaggio essi avrebbero dovuto ser virsi appunto di questi ordigni. Presso la l a Armata l'Ufficio Informazioni aveva in genere dei collaboratori ottimi ed appassionati e tutti i preparativi vennero controllati e completati dal comandante della compagnia , per non omettere in questa rischiosa impresa un solo dettaglio . I due esploratori partirono per il X Corpo d'Armata a Piovene dove li aspettava il Tenente italiano Ronda (un in-edento, il cui vero nome era Stringari), il quale comunicò loro che meta del viaggio doveva essere
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la sua città natale, Trento. Egli aveva là un fratello al quale avrebbero dovuto rivolgersi non appena arrivati; egli li avrebbe aiutati in tutto. Si trattava di venire a sapere quali fossero le forze militari austriache e il loro dislocamento, la sede dei comandi, le teleferiche, ecc., e anche far saltare in aria importanti depositi di materiale bellico. I due informatori dovevano penetrare ne]la p iazza di Trento, rigorosamente sorvegliata perché costituiva la base di rifornimento di tutta quella zona del fronte, allacciarvi delle relazioni e perfino dar fuoco alla stazione ferroviaria che gli italiani ritenevano fosse l'unico centro dei trasporti e perciò di importanza capitale. Per po1tare a tennine questi compiti furono consegnate ai due esploratori quattro bombe e cioè due da 8 chili e due da 6 chili. Avevano l'aspetto di scatole di conserva; il coperchio superiore si poteva aprire facilmente; sotto lo stesso vi era uno spesso strato di marmellata. Mentre i due si preparavano nelle retrovie, in trincea fervevano i preparativi con Jelfnek che diventava sempre più impaziente. Infatti egli sentiva da un certo tempo pesare su di sé un qualche sospetto da parte dei soldati tedeschi. Insisteva quindi perché i legionari affrettassero il passaggio dei due e l' azione di attacco progettata in quel settore. Fu dunque stabilito che il 22 settembre egli avrebbe ancora aiutato Vopalensky e Petr a passare la linea. I due esploratori, giunti sul Panega, vennero alloggiati separatamente, sotto una tenda, dove erano state già preparate le uniformi e le carte di identità austriache, che avrebbero loro servito a passare attraverso i severi controlli nemici. Nella notte, verso le 3 venne a prenderli il Tenente Ronda, che li accompagnò, insieme al Sottotenente Kropacek e al Caporale Brkly, giù per la Valle del Ghelpach. In fondo alla gola li aspettava l'esploratore Vyskocil che aveva passato tutto il giorno precedente' col Caporale Jelfnek per verificare i preparativi. Dal Ghelpach Vopalensky e Petr proseguirono ormai soli per raggiungere Jelfnek. Questi li attendeva dinanzi ai reticolati e li condusse in una caverna dove erano riuniti circa 15 soldati cecoslovacchi, ai quali Jelfnek manifestò il timore di essere stati traditi, perché uno dei soldati che si era recato la sera al comando di reggimenti col rapporto non era ancora tornato . Egli offrì agli esploratori un uomo fidato che li doveva accompagnare fino al comando di reggimento. L'offerta fu accettata con grande gioia, perché le trincee austriache si susseguivano in quattro ordini di profondità e nell 'intreccio di reticolati e di trincee era quasi impossibi]e orientarsi.
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E così i due riuscirono ad oltrepassare felicemente le trincee, raggiungendo senza inconvenienti il paese di Trogio, dove però li sorprese un bombardamento dell'artiglieria italiana. A fatica riuscirono a nascondersi in una vicina trincea semi distrutta. Attraversarono Sartori sempre di buon passo. A Roana furono però colti di nuovo dal fuoco italiano, stavolta ancor più violento di prima. Non v'era altro da fare che nascondersi nella cantina di una casa crollata, nella quale gli austriaci avevano adattato un ricovero fortificato. Il luogo era affollato e fu una fortuna perché gli austriaci non sì curarono di loro. I due bombardamenti italiani erano un vero mistero: i due esp]oratori pensavano di ringraziarne non molto cordialmente i colleghi al loro ritorno. Più tardi seppero, invece, che erano fatti apposta per facilitare il loro passaggio nei settori più pericoJosi. Si era calcolato giustamente che sotto il fuoco dell'artiglieria nemica gli austriaci si sarebbero messi al riparo e che i nostri informatori avrebbero approfittato di questa circostanza, evitando naturalmente queste zone di fuoco che dovevano essere loro note. Ma probabilmente ci si era dimenticato di metterli al corrente di questo particolare. Il fuoco durò due ore intere, raggiungendo il suo scopo: l'eccitazione dei soldati austriaci fu tale che i due poterono uscire dal ricovero senza destar sospetto e proseguire nel loro cammino. Sulle pendici del Monte Eria notarono molti reparti nascosti in baracche sparse nel bosco. In un avvallamento trovarono un grosso deposito di munizioni di artiglieria che gli austriaci avevano preparato per l 'imminente offensiva. Decisero subito di farlo saltare. Non c'era da temere che fossero sorpresi, dato che la sentinella di guardia chiacchierava sulla strada con dei soldati di sanità; inoltre intorno al deposito passavano continuamente dei soldati , sicché la loro presenza non poteva riuscire sospetta. Scelsero una bomba da otto chili, la regolarono in modo che esplodesse dopo due ore e la spinsero con un bastone tra i proiettili. Essi provarono uno strano piacere e una grande calma nel momento in cui ebbero assolto il loro primo compito: già allora avevano quasi la certezza della vittoria. E se anche fossero stati presi, non avrebbero perso la vita invano e non sarebbero stati scherniti dal nemico come gente che si era fatta sorprendere; sarebbero stati condannati come spie, ma dopo la riuscita della loro impresa. L' odio per gli Austriaci e la loro vendetta per i colpi subiti costituivano una grande ricompensa per i legionari. Pieni di coraggio essi raggiunsero il vicino campo militare cli Cime Le
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Mandrielle. In quel punto si trovavano un altro deposito di munizioni e un deposito di benzina, segnalato dal comandante dell'artiglieria italiana che teneva molto a che fosse fatto saltare in aria. Era stato scorto dagli aviatori italiani , ma non si era riusciti a distruggerlo per l'ottima difesa dei cannoni antiaerei austriaci. Siccome però il comando della 1a Armata desiderava delle notizie precise su questo campo, essi dovettero prima esaminarlo attentamente, ciò che riuscì loro benissimo. Il deposito si estendeva per una buona metà in un folto bosco, ciò che permise ai due esploratori di piazzare in modo efficace una delle bombe. Scelsero quella da sei chili, dato che il fuoco della benzina avrebbe poi compiuto l'opera di distruzione. Il posto più vicino dove gli italiani avevano assegnato loro un altro obiettivo era Vezzena: dovevano distruggere la teleferica che riforniva la 11 a Armata austriaca. Giunti a Vezzena essi furono però sorpresi dall'imponenza dell'impianto: vi facevano capo, infatti, non meno di 5 teleferiche. Dopo essersi brevemente consultati, decisero di collocare la bomba nella sala delle macchine che azionavano tutte e cinque le linee. Stavolta fu Petr a disporre il meccanismo, ma tornò presto in piena eccitazione perché non riusciva a ricordarsi per quando avesse regolato l'esplosione. Vopalensky penetrò allora a sua volta strisciando nella sala e regolò la bomba cosicchè esplodesse dopo dieci minuti. Avevano appena raggiunto di corsa il limite del bosco quando risuonò un colpo assordante insieme al fracasso prodotto dal precipitare dei rottami. Sorridendo si affrettarono sulla strada di Rovereto. L'impresa sembrava loro straordinariamente facile e agevole. Quanti preparativi c'erano voluti, quante considerazioni e quanti dubbi. E invece lì potevano fare tutto quello che veniva loro in testa e quasi senza rischio. In realtà non sospettavano che incominciava so]o allora la parte più faticosa del loro viaggio. La strada che da Monte Rovera conduce a Caldonazzo si svolge in tornanti scavati nella roccia a picco: da una parte il precipizio, dall'altra la parete quasi verticale. Era quindi impossibile allontanarsi dalla strada ed evitare incontri spiacevoli o ritornare sui propri passi senza destare sospetti. L'incontro con la polizia militare, su quella strada, poteva condune alla catastrofe. Giunsero ai piedi del Rovera che era già notte fatta e decisero di pernottare nel bosco. Ma nelle uniformi austriache di tela il freddò fu presto così insopportabile che preferirono proseguire nel loro cammino. Quello che temevano accade veramente. Ai piedi del monte, dove la strada si biforca per Levico e per Calceranica, stava un
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posto di guardia della gendarmeria da campo; e lungo la strada c'erano dei reticolati: non c'era via di scampo. Un caporale uscì fuori e chiese le carte d'identità. Gli porsero delle comuni tessere. Videro subito che le cose si mettevano male e cautamente sollevarono un poco i pugnali dal fodero. "Non basta! Fate vedere qualche documento che vi permetta di lasciare la zana di combattimento!". Ma nella sua voce non c'era ombra di severità; v'era quindi speranza di cavarsela liscia. "lo sono l'attendente del Tenente Barone Schneider dei dragoni e il nostro reggimento va a riposo nelle retrovie. Gli devo cercare qualche buon alloggio a Calceran.ica e questo qua mi deve aiutare a metterlo in ordine". Il gendarme li esaminò un momento con aria diffidente, ma alla fine disse: "Beh, io vi lascio passare, ma quelli della polizia militare vi acchiapperanno di certo. Pullulano da queste parti!". I due furono molto grati di questo avvertimento e appena fuori del paese scantonarono nel bosco, giungendo indisturbati a Calceranica, rigurgitante di soldati. Presero nuovi appunti e proseguirono per Pergine e Cirè . Si faceva sentire la vicinanza di Trento: la strada era piena di militari. A Cirè v'era un campo di aviazione che doveva essere spostato nei giorni successivi perché bombardato spesso dagli aviatori italiani. Ecco una buona occasione per impiegare l'ultima bomba. Sul campo sorgevano cinque hangar, di cui due occupati ciascuno da un aeroplano. E furono questi che vennero distrutti dai nostri due arditi. Oltrepassato Cirè raggiunsero un Sergente Maggiore della polizia militare. "Dove andate?" - "A far delle spese per gli lffficiali, a Trento". Con grande loro meraviglia egli si accontentò di questa risposta e, dicendo che anche lui era diretto a Trento, si unì a loro. Tra un discorso e l'altro vennero a sapere che per ragioni di servizio era stato parecchio tempo a Vienna, nel terzo circondario che Vop,ilensky conosceva ben issimo per avervi abitato cinque anni. Incominciarono a scambiarsi i loro ricordi di Vienna e strinsero addirittura amicizia, tanto che il poliziotto non rifiutò l'invito di fermarsi in un'osteria, dove mangiarono qualcosa e bevettero ben tre litri di vino; chi alzò maggiormente il gomito fu naturalmente il Sergente Maggiore. Fu il loro angelo custode nel vero senso della parola, perché strada facendo incontrarono un gran numero di poliziotti militari che fermavano tutti senza distinzione di grado; e chi non era in possesso di sufficienti documenti veniva condotto al comando militare di Trento.
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E come altrimenti avrebbero potuto passare la Porta Aquila di Trento, dove faceva servizio un ufficiale? Finalmente erano giunti a destinazione dopo tanti pericoli e tanti momenti di trepidazione. Sarebbero ora riusciti nel loro compito di venire a contatto col fratello di Italo Ronda, Stringari, e di dar fuoco alla stazione coi relativi depositi? Non vedevano più la loro "passeggiata in Austria" coi rosei colori di prima. Avevano potuto constatare che dappe1tutto c'era una sorveglianza severissima e che più ci si inoltrava nelle retrovie più le circostanze diventavano sfavorevoli. Proprio nel negozio della moglie cli Stringari udirono un colloquio tra poliziotti che parlavano cli un disertore italiano, il quale avrebbe avvertito il comando austriaco che due spie si sarebbero recate a Trento e che sarebbero ritornate in Italia per il Lago di Garda o per la Svizzera. Un brutto presentimento balenò nella loro mente. Il contatto con Stringari fu allacciato, ma egli non poteva aiutarli in nessun modo. Si trovava infatti soggetto ad una sorveglianza così severa da parte degli Austriaci da non poter rischiare nulla a loro favore. Non riuscì a trovar per loro né degli abiti borghesi, né un 'autorizzazione di viaggio per la Cecoslovacchia, e nemmeno un alloggio. Di bombe non c'era nemmeno da parlare. L'unica cosa che fornì loro furono delle informazioni precise sulla stazione ferroviaria di Trento, dicendo che non aveva affatto l'impo1tanza che gli italiani le attribuivano. I depositi non si trovavano riuniti nella stessa località: la stazione di smistamento era a Gardolo, la stazione merci a Bronzollo; le munizioni si scaricavano a Lavis. Oltre a ciò la ferrovia era talmente sorvegliata che i due esploratori non avrebbero potuto fare un passo senza essere osservati; e se per un caso speciale fosse loro riuscito di appiccare il fuoco, esistevano disposizioni così precise che l'incendio sarebbe stato immediatamente soffocato. Messi cli cattivo umore da questa accoglienza i due esploratori tornarono in città, cercando innanzi tutto un alloggio. Poi andarono alla stazione per persuadersi coi propri occhi, se veramente aveva così poca importanza e se non si poteva tentare egualmente di incendiarla. Interrogarono anche alcuni soldati, ma le informazioni furono dappertutto le stesse: non c'era speranza di successo. Spedirono quindi una ca1tolina ali' indirizzo prestabilito in Svizzera per confermare il loro arrivo a Trento e la mattina del 25 settembre si misero in cammino per il ritorno . La fortuna fu loro favorevole anche questa volta. Trascorsero la notte nel bosco sul Monte Rovera, raggiunsero il 26 mattina il 26°
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Reggimento Fanteria che, per caso, andava appunto a dare il cambio al reggimento dragoni sulla Cima Tre Pezzi . Arrivati nelle trincee, che ben conoscevano, si separarono dagli altri e con febbrile impazienza incominciavano a scavalcare i reticolati austriaci. D'improvviso si parò loro dinanzi un soldato con la baionetta inastata. Il desiderio di superare anche quest'ultimo ostacolo che li divideva dai cari fratel1i, dalla gloria e dal riconoscimento della loro azione , li rese spietati. Rapido come un lampo Yop,Hensky estrasse il pugnale che piantò nella gola della sentinella. Il 27 settembre i due esploratori si ritrovarono tra i loro compagni che li avevano aspettati con ansia e li accolsero con gioia indescrivibile. La descrizione della loro impresa aveva del favoloso, ma la cartolina inviata da Trento in Svizzera e giunta in Italia ne comprovò la verità e, dopo la guerra, anche i coniugi Stringari confermarono che i due cecoslovacchi erano stati da loro. I due coraggiosi soldati furono ricompensati come meritavano. Yopalensky fu promosso Sottotenente e Petr Sergente Maggiore , per merito di guerra. Tale promozione costituiva uno dei maggiori riconoscimenti in tempo di guerra e ve ne furono pochi nelle legioni italiane. Inoltre tutti e due furono decorati della croce di guerra. La seconda impresa , di cui si è accennato più sopra, fu l'attacco e la sorpresa notturna del la Cima Tre Pezzi. Dopo aver stabilito il contatto diretto e aver fatto passare i due informatori travestiti, il caporale Jelfnek temeva di essere tradito e ci aveva pregato di effettuare un attacco contro il suo settore, assicurando che ci avrebbe aiutati; così sarebbe riuscito a liberarsi in modo poco appariscente dalla schiavitù austriaca. Erano appunto finiti i preparativi necessari, quando il comando italiano diede il suo consenso, il 19 settembre, e già il 21 arrivarono 100 uomini dal comando d i compagnia che raggiunsero l'Altopiano di Asiago, rifugiandosi nella galleria della funicolare Piovene-Asiago, presso Cavrari. L' attacco fu condotto su due colonne, la sinistra guidata dal Tenente Prejda, comandante della 3a compagnia esploratori "Astico", e la destra dal Tenente Vycftal , comandante della 2a compagnia esploratori "Avio". La colonna di sìnistra contava sessanta uomini con cinque ufficiali, tra i quali il Tenente italiano Umberto Re, ufficiale di collegamento della 3a compagnia e il Tenente Ronda (Guido Stringari) capo dell' Ufficio Informazioni del X Corpo d'Armata. Uscì prima delle 6 il giorno 23 settembre, oltrepassò le trincee italiane e il
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torrente Ghelpach, raggiunse le trincee austriache e si nascose sotto una roccia, che la proteggeva dalla vista del nemico e dal maltempo. L'attesa sembrò lunga a tutti, ma i nostri amici del posto avanzato di Jelfnek facevano di tutto per abbreviarcela piacevolmente. Venivano a vederci, ci raccontavano i loro guai ed erano felici di veder ormai contate le ore della loro schiavitù. Si scambiarono sigarette e viveri, e il Sottotenente Kropacek cambiò addirittura la divisa con un soldato di sanità della pattuglia di Jelinek e, così travestito, esaminò il terreno su cui doveva svolgersi l'attacco, giungendo felicemente fino al comando di reggimento. Scesa la notte, il comandante della compagnia dispose le sentinelle che dovevano proteggerci da sorprese e che dovevano pure riunire i prigionieri austriaci ed avviarli man mano verso le trincee italiane. Per primo doveva esser fatto prigioniero un avamposto occupato da ruteni e polacchi sull'ala sinistra. Nella baracca, dov'era alloggiato, regnava un silenzio sospetto. Nessuno era di sentinella all'ingresso, tanto che a molti sorse il dubbio d'esser stati traditi. Ma quando la porta venne aperta se ne ebbe la spiegazione: tutti dormivano perché, col tempaccio che aveva imperversato quel giorno, credevano di esser sicuri da un attacco. Furono fatti prigionieri senza difficoltà; e furono talmente sorpresi da non riuscire neanche a dire dove fossero le pattuglie vicine. Si continuò ad avanzare. Al posto di seconda linea, che in realtà era un piccolo presidio, c'erano due sentinelle, avvolte in teli da tenda tanto da non accorgersi nemmeno della nostra presenza. Togliemmo loro i fucili ordinando di indicarci dove erano gli altri. In una caverna dormivano circa 20 uomini che si svegliarono solo per andare verso l'Italia solatia. La cosa più difficile era sorprendere e far prigioniero un plotone comandato da un ufficiale di etnia tedesca, formato in maggioranza da soldati della stessa origine, e che c'era stato indicato come pericoloso. Sorprendemmo l'ufficiale, un giovane Sottotenente di Liberec, mentre , svestito, stava scrivendo su un tavolo. Fu fatto prigioniero con tutto il suo plotone e dovette mostrarci dov'erano le mitragliatrici. Ci condusse sul luogo , ma a questo punto la fortuna inconùnciò ad abbandonarci. La sentinella appostata vicino alle mitragliatrici, non appena ci scorse, diede l'allarme all'artiglieria e poco dopo incominciarono a tuonare i cannoni. Gli austriaci bombardarono prima le proprie trincee avendo ricevuto il segnale "il nemico ha occupato le nostre linee". Il tiro delle a1tiglierie austriache ed italiane era così concentrato sulle trincee
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nemiche, impedendoci la continuazione dell'assalto. Fu perciò dato l'ordine di attendere in una caverna, dove un ufficiale, appena fatto prigioniero, ci informò che ormai tutte le truppe di prima linea erano state catturate. Si decise allora di tornare indietro, visto che lo scopo era stato raggiunto. Avevamo catturato tutta la guarnigione del nostro settore; non c'era però da meravigliarsi se molti dei prigionieri riuscirono tuttavia a fuggire, soprattutto durante l'attesa; infatti non era facile orientarsi nelle linee nemiche assai articolate, tanto più che la notte era completamente buia, pioveva, tuonava e i colpi di cannone rombavano da ambe le parti. La nostra preda fu notevole se si considerano le nostre forze: circa 60 prigionieri con un ufficiale e due mitragliatrici. La colonna di destra era comandata dal Tenente Vycftal della seconda compagnia esploratori , che il comandante della compagnia "Astico" aveva chiesto in aiuto. Questo rinforzo , costituito da 5 ufficiali e 1.30 uomini, era giunto da Avio a Valmalunga con dei camion il 21 settembre, aveva passato là. tutto il giorno e nella notte del 22 aveva raggiunto la galleria abbandonata dalla 3a compagnia, che intanto aveva oltrepassato le trincee italiane e occupato la base dì partenza dell'attacco. Solo il comandante aveva potuto orientarsi sul terreno e così il compito della colonna di destra, già difficile di per sé, non poteva essere eseguito. La colonna era forn1ata dalla 2a compagnia, da due plotoni della 3a e da un reparto di bersaglieri arditi. L'attacco era stato preparato bene: il comando della 12a Divisione, quello della V Brigata bersaglieri e i reparti di artiglieria italiana e inglese avevano dato ordini precisi. Ma non furono eseguiti con esattezza e causarono il parziale fallimento dell ' azione. La colonna doveva coprire il fianco destro della colonna sinistra che avanzava contro il piccolo posto di Jelfnek e, aprendo il combattimento, attirare su di sé l'attenzione del nemico. La colonna di destra si mise in marcia verso le 23, discese nella Valle del Ghelpach, arrampicandosi poi su per l'erta ripida verso le trincee nemiche. Ma i bersaglieri avanzarono addirittura di corsa e con troppo mdore, non curandosi d'esser prudenti, e lanciando troppo presto le bombe a mano che richiammono l'attenzione del nemico, le cui sentinelle avanzate diedero subito l'allmme. Si scatenò così una lotta accanita. L'artiglieria italiana e inglese iniziarono anch'esse il fuoco nella convinzione che l'azione fosse stata scoperta. Il bombardamento mise in allarme l'artiglieria nemica e le riserve. Il compito della colonna di sinistra fu reso più difficile, benché tutta la prima linea austriaca fosse stata fatta ormai prigio-
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niera. Nella colonna di destra si determinò il disordine, il comando non funzionò più e l'obiettivo non fu raggiunto. Durante il combattimento il Sottotenente Karel Kubista si uccise credendo erroneamente d'esser stato abbandonato, e cadde anche il soldato Josef Sedlak. Furono feriti sei soldati, di cui quattro gravemente. Il soldato Frantisek Novotny, ferito, morì poi all'ospedale. Il ritorno delle colonne nelle trincee italiane fu terribile. Le artiglierie austriaca e italiana avevano aperto un rapido e violento fuoco cli sbarramento attraverso cui dovettero passare le due colonne, perchè 01mai incominciava ad albeggiare. La sorpresa che doveva effettuarsi, secondo il piano progettato, non era riuscita. La colonna di sinistra aveva, è vero, adempiuto il suo compito, ma la colonna di destra, a causa delle circostanze descritte, non poté nemmeno metterlo in esecuzione. Il 24 settembre le due compagnie tornarono nelle loro sedi. Dopo l'azione della Cima Tre Pezzi gli esploratori furono citati ali' ordine del giorno del Comando Supremo nel quale si dice: "Sull'Altopiano di Asiago stamane, durante un vio-
lento ternporaLe, alcuni reparti di Bersaglieri e di Cecoslovacchi penetrarono nelle trincee fortemente munite sulla Cima 1ì·e Pezzi, alla confluenza del torrente Assa col torrente Ghelpach, e causarono gravi perdite alla guarnigione in una lotta accanita alla baionetta; dopo essersi impadroniti di 80 prigionieri e due mitragliatrici, i reparti che partecipavano all'attacco sono tornati senza alcun danno nella nostra linea di combattimento" . Gli uomini che avevano partecipato all'attacco furono tutti promossi e decorati: promossi per merito di guerra i sott9tenenti Cibulka, Kropacek, Kubista (quest'ultimo alla memoria), Rfha e molti sottufficiali e soldati; ebbero la medaglia d'argento il Tenente Alexander Prejda, i sottotenenti V aclav Kropacek e Karel Kubista e il soldato Josef Sedlak (gli ultimi due alla memo1:_ia); la medaglia di bronzo i sottotenenti Ludvik. Cibulka e Ludvfk €Rfha , il Caporale Bohumil Brkl, l'aspirante Josef Ficht e 9 soldati. L'opera faticosamente svolta dai legionari per stabilire dei contatti diretti con le linee avversarie era stata coronata dal successo. I prigionieri confermarono che la nostra propaganda aveva molta efficacia, e che soprattutto i comandanti la temevano; comunicarono altresì al comando italiano notizie tanto preziose da costringere gli austriaci a cambiare le loro posizioni e occupare la linea con nuovi reggimenti. Il 25 settembre i compagni seppellirono l'infelice Sottotenente Kubista nel cimitero cli Marano Vicentino, secondo il desiderio da lui
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espresso nella lettera che aveva scritto prima dell'azione. Al funerale parteciparono rappresentanze dell'esercito italiano, della compagnia "Astico" e del piccolo posto del caporale Jelfnek. Il soldato Josef Sedlak fu sepolto in un cimitero militare al fronte e il soldato Frantisek Novotny, morto all 'ospedale, a Thiene. n 26 settembre il comandante della compagnia andò a visitare i prigionieri della Cima Tre Pezzi a Saceardo, presso Santorso, dove si trovavano in quarantena. Si constatò che tra essi vi erano circa 60 cechi, che chiesero in maggioranza di far parte dell'esercito cecoslovacco. Dovettero tuttavia partire per il campo di concentramento a Verona, dove i nuovi arruolati prestarono giuramento nelle mani del rappresentante del Consiglio Nazionale. Trenta di essi, tra cui otto del posto avanzato di Jelfnek , furono aggregati il 2 di novembre alla compagnia, come regolari soldati cecoslovacchi. La propaganda al fronte fu di nuovo intensificata ad opera dei reparti che erano stati ritirati dopo l'azione sulla Cima Tre Pezzi; si lavorava con accanimento, ma con risultati soltanto morali. Il tre ottobre giunse al fronte il Re d'Italia e presso Thiene ebbe luogo una solenne rivista militare, in occasione della quale il Re consegnò personalmente le medaglie ai decorati per l 'azione sulla Cima Tre Pezzi, ciò che produsse un vero entusiasmo tra i Cecoslovacchi. Per tutto il mese di ottobre la propaganda al fronte fu assai intensa. Si lavorava in collaborazione con la compagnia jugoslava "Posina" e, dopo i primi di ottobre, anche con una compagnia di rumeni appena giunta in linea. Questi ultimi soprattutto ci prestarono un aiuto prezioso perché conoscevano l'ungherese. Il 7 ottobre gli Italiani rinnovarono l'attacco alla Cima Tre Pezzi e su loro richiesta fu mandato il Tenente Kropacek con IO uomini, che avevano partecipato tutti all'azione del 23 settembre e dovevano far da guida agli attaccanti. I dise1tori austriaci giungevano in numero sempre maggiore, confermando con ciò che i nostri sforzi miranti allo sfasciamento dell'esercito austro-ungarico avevano buoni risultati. Le notizie delle nostre pattuglie di ricognizione attestavano pure che il crollo del fronte austriaco si avvicinava a grandi passi. Anche i tedeschi e gli ungheresi erano disgustati della lunga guena e chiedevano notizie circa le trattative di pace. Gli esploratori le fornivano volentieri , ma li informavano anche della situazione interna del loro paese, soprattutto a Vienna, in Cecoslovacchia e in Ungheria. Si sentiva ormai la fine della guerra. Quasi tutta la compagnia era in prima linea; il comandante visitava
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giornalmente le pattuglie recando nuove notizie perché avessero materia sufficiente per i colloqui notturni. Il 23 ottobre la compagnia fu visitata dal comandante del nostro l O battaglione, Capitano Trentini, il quale voleva conoscerci e informarsi del nostro lavoro. Ne fu pienamente soddisfatto: sentì parole di lode sia dai comandanti che dalla popolazione civile, con la quale i nostri avevano fatto amicizia. Ai primi di novembre, quando l'esercito italiano iniziò l'offensiva su tutto il fronte, i nostri avanzarono volontariamente, per quanto fosse stato disposto che restassero lontani dalla prima linea. Così alcuni giunsero molto avanti, fino a Trento. Il 2 novembre giunse l'ordine che le pattuglie di esplorazione fossero ritirate a Timonchio, ma soltanto il 10 novembre ritornava I 'ultima pattuglia. Il fronte crollò come un edificio a cui mancano le fondamenta e il 4 novembre, alle ore 15 , ebbe esecuzione l'armistizio firmato a Villa Giusti vicino a Padova. Prima dell'armistizio, e anche dopo, innumerevoli colonne di prigionieri venivano spinte verso le retrovie italiane. Il bottino fu enorme: alcuni reggimenti furono fatti prigionieri e internati in campi di concentramento con tutto il loro armamento. Solo allora venivano loro ritirate le armi e l'equipaggiamento. A questo lavoro e alla cernita dei prigionieri per nazionalità furono addetti nostri uomini , perché conoscevano le condizioni e le lingue dei popoli austriaci. Nella cattura dei reparti austriaci avvennero talJolta delle scene e degli episodi interessanti; così il Tenente Ludvfk Rfha fece prigioniero suo fratello Jan, s tudente di medicina, e una delle nostre pattuglie catturò il Feldmarschalleutnant (Generale di Divisione) principe Schwarzenberg, comandante della Divisione dei Kaiserjager, che fu fatto scendere dalla carrozza e costretto ad andare a piedi. Solo il 12 novembre gli esploratori lasciarono Timonchio per concentrarsi, come era stato deciso, nelle vicinanze di Padova insieme al loro reggimento. Alla vigilia della partenza, l' 11 novembre, giorno anniversario della nascita del Re d 'Itaha, la popolazione di Timonchio organizzò una festa da ballo di addio, durante la quale si rivelò tutta l'allegria focosa dei nostri ragazzi, come sul fronte era mostrato il loro coraggio pieno di decisione. Il 16 novembre il comando passò a] Tenente Rfha. IJ precedente comandante della compagnia, Tenente Alexander Prejda, fu nominato Tenente della costituenda 4a conipagnia mitraglieri.
CAPITOLO OTTAVO Alla 6 Armata ALTOPIANO DI ASIAGO (Gruppi esploratori del Tenente Jirsa, del Sottotenente Felix e del Sottotenente Klimek) 3
Il reparto di Pivko. A1issione militare serba. Reparto speciale cecojugoslavo. Pattuglia presso Stoccareddo. Reparto speciale cecoslovacco. Attacco in Val Bella. Messaggio per la Jugoslavia.
Anche la 6" Armata, sull 'Altopiano di Asiago, aveva un suo "Reparto speciale czecoslovacco" per il servizio di esplorazione. La storia dei primi volontari di questo reparto è sostanzialmente diversa da quella di tutti gli altri. Esso fu costituito con i cosiddetti "Traditori di Carzano", quei coraggiosi che col loro puro idealismo, col loro piano magnificamente concepito e messo in atto con vera genialità, erano stati senza dubbio i più immediati ispiratori dell'idea di creare i reparti esploratori. Essi furono i primi esploratori coscienti, organizzatisi in unità armata, sia pure senza speciale designazione, fin da quando erano al servizio dell'Austria. Si può collocare infatti l'inizio della loro attività di legionari già nell'anno 1917, sulla base della dichiarazione con cui incominciava ]a loro lettera inviata agli Italiani durante la prima presa di contatto: "Noi, Jugoslavi e Cechi del battaglione di Bosnia, ci consideriamo alleati dell'Intesa" (dottor Pivko: Carzano, pag. 170) e poi sulla base dell' impegno scritto degli Italiani che garantiva la libertà a tutti i partecipanti. I loro meriti , faticosamente conquistati in Italia dopo l'azione di Carzano, li autorizzano indubbiamente ad affem1are d'aver costituito "il nucleo da cui pian piano sorse la grande organizzazione dei volontari slavi in Italia, prime fra tutte le Legioni cecoslovacche". (Dottor Pivko, Carzano, pag. 14). Dopo l'azione del 17 settembre 1917 nei pressi di Carzano, nella Valsugana, fallita contro ogni aspettativa, essi ebbero per un certo tempo la sorte dei prigionieri, dato che per impreviste difficoltà non fu possibile mantenere l'impegno che garantiva a tutti i partecipanti all'azione libertà completa. Accertate le responsabilità, ess.i poterono godere di una libe1tà sia pure limitata nella piccola base di Forte Procolo a Verona. In quel tempo essi si chiamavano
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ancora tra di loro "Il reparto di Pivko" dal nome dell'ispiratore e principale organizzatore dell'azione di Carzano, il Capitano dottor Pivko. Nel mese di ottobre 1917 essi svolgevano ancora servizio infonnazioni presso il campo di concentramento di Forte Procolo a Verona, ma già nello stesso mese ottenevano dal comando della la Armata il permesso di organizzarsi in piccole pattuglie di ricog1ùzione. Il primitivo progetto di ritentare l'azione di Carzano fu abbandonato per sempre dopo Caporetto. Ad onta dell'instabile situazione al fronte, il 1° novembre 1917 22 soldati cechi e jugoslavi partivano cogli ufficiali Capitano Pivko, jugoslavo, Sottotenente Kohoutek, aspiranti Pajgr, Sedlecky e Motti, (tutti cechi) per il settore di Monte Zebio-Asiago, sotto la denominazione provvisoria di "Missione militare serba". 11 settore, da parte austriaca, doveva essere occupato dal 35° e 37° Reggimento Fanteria. Durante il servizio di pattuglia, compiuto di giorno e di notte , i nostri tentarono di richiamare )'attenzione degli Slavi dei reggimenti austriaci cantando delle canzoni ceche e jugoslave. Ma, alcuni giorni dopo, il 9 novembre, gli Italiani dovettero proseguire nella ritirata, raggiungendo l'Altopiano di Asiago: l'attività delle pattuglie venne perciò interrotta e i volontari furono rinviati a Verona. Mentre il fronte italiano si consolidava, la compagnia di Forte Procolo non perdeva il suo tempo. Nella ferma fiducia che il suo giorno doveva venire, si preparava ai compiti futuri lavorando ed addestrandosi secondo un provvisorio ordinamento militare, analogo a quello italiano. Nel frattempo giungeva un nuovo collaboratore, il disertore Tenente Vidmar Stanislav, noto organizzatore dei Sokol jugoslavi, iJ quale, dopo aver chiesto di entrare nella compagnia, assunse la direzione dell'educazione fisica. Gli altri collaboravano con lui e classificavano i prigionieri giunti nel campo di concentramento secondo la nazionalità. Nello stesso tempo divulgavano l'idea della rivolta contro l'Austria nelle file dei prigionieri slavi , co]tivavano accuratamente i loro sentimenti calpestati e aprivano loro orizzonti sconosciuti, ma sempre sognati. Purtroppo il Comando italiano a quell'epoca non poteva ancora permettere, per ragioni politiche, che i prigionieri fossero accolti nella compagnia, per quanto lo avessero chiesto. Dovevano essere inviati ai campi di concentramento, all'interno, dove migliaia d 'altri prigionieri, che la pensavano allo stesso modo, vivevano in attesa della chiamata. Sul principio del gennaio 1918 i volontari incontrarono il direttore della sezione romana del Consiglio
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Nazionale Cecoslovacco, Frantisek Hlavacek, che nel suo viaggio al fronte, li "scoprì", come già dicemmo, in modo del tutto inaspettato per merito del Colonnello Tullio Marchetti. Hlavacek portò loro la notizia, per essi assolutamente sorprendente e nuova, del movimento cecoslovacco in Italia, dei suoi progressi e delle speranze in un prossimo permesso di formare una legione cecoslovacca . I membri della compagnia chiesero immediatamente di far parte delle legioni, indirizzandosi questa volta ad un'autorità ceca, per quanto la loro prima richiesta, fatta quando si trovavano ancora nella fossa dei leoni austriaca e perciò tanto più rischiosa, potesse sembrare sufficiente per l'arruolamento a] servizio della causa nazionale. Nonostante i successi apparissero poco evidenti, la compagnia intensificò il suo lavoro con maggiore entusiasmo. Il 5 gennaio 1918 il Comando della 6a Armata permetteva che altri volontari venissero intanto reclutati tra i disertori di nazionalità ceca e jugoslava del campo di concentramento di Forte Procolo. Dopo il 28 gennaio il Comando permise finalmente che si reclutassero i volontari anche fra i prigionieri. Costoro potevano decidersi in piena libertà: si faceva loro presente il compito difficile e pericoloso che li attendeva e venivano scelti tra quelli del le classi più giovani, per quanto anche ai più vecchi e ai padri cli famiglia non fosse negato il diritto di far parte delle Legioni. Si continuavano nel frattempo le istruzioni, tanto che in occasione della rivista passata il 18 marzo 1918 dal Colonnello Marchetti, capo del Servizio Informazioni della l" Armata, il reparto poteva eseguire esercizi col moschetto, esercizi a corpo libero e collettivi con tale precisione da guadagnarsi un meritato elogio con la promessa di esser inviato presto al fronte . Incominciarono subito i preparativi. Non era più necessario celarsi sotto altro nome; anzi si cercava ogni dettaglio per far risaltare la differenza. Furono introdotte le mostrine coi colori nazionali, bianco e rosso sul fondo bleu; gli ufficiali ebbero distintivi di grado francesi, i sottuffi ciali conservarono quelli italiani. Si adottò il cappello alpino italiano con una stella a cinque punte in seta trapunta di bianco e di rosso. La promessa del 18 marzo veniva rapidamente mantenuta: il 21 marzo il repa1to veniva dislocato sul fronte nel settore della 6a Armata. Era accantonato nella solitaria Casa Tugurio, vicino al villaggio cli Sandrigo, circa 20 km. dietro la linea di combattimento. Contava 6 ufficiali e 56 soldati cechi e 2 ufficiali e 18 soldati jugoslavi. Già allora esso portava ufficialmente il nome di "Reparto speciale czeco-jugoslavo della 6a
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Armata". Ne era comandante il Capitano Pi vko. I nuovi alleati richiamavano su di sé l'attenzione di tutti i vicini. E come avrebbe potuto essere diversamente? Dei soldati stranieri in uniforme italiana, colle mostrine della Brigata Sassari (una delle più note brigate di fanteria). "Sono Americani" aveva sentenziato qualcuno. Si aspettava infatti in quel momento l'arrivo di truppe americane in Italia. Un simile errore ci poteva essere molto gradito in un primo tempo: data l'ignoranza delle reali condizioni interne dell'Austria non era molto piacevole incominciare la propaganda partendo dal fatto che gran parte degli Italiani immaginava allora l'Austria abitata da un unico popolo, gli Austdaci. E in questa categoria avrebbero collocato noi pure. Non ne avremmo certo guadagnato e la fiducia che volevamo conquistare e che c'era indispensabile avrebbe avuto fin da principio delle ben labili fondamenta . Si ebbe intanto una nuova visita: quella di un gruppo di ufficiali superiori italiani e francesi, i quali stavolta non lesinarono elogi sulla nostra ottima preparazione. Poco dopo il Capitano Pivko partiva per una esplorazione del settore di Col d'Echele, al XIII Corpo d'Armata, cui il reparto doveva essere assegnato. E il giorno successivo, il 28 marzo 1918, partivano tutti gli altri, salvo due ufficiali assegnati al servizio del campo di concentramento a Mirabella. Furono alloggiati in linea, parte in una caverna e parte sotto tenda. Il settore era occupato dal 33° e 34° Reggimento Fanteria della Brigata Livorno. Il fan te italiano non tarda molto a stringere amicizia. ll capirsi era certo un po' faticoso, ma i nostri completarono le loro nozioni d'italiano con qualche parola afferrata di qua e di là, soprattutto vicino alle cucine, e impararono presto a gesticolare colle mani , facendosi così intendere benissimo . Le interrogazioni sull'Austria riguardavano soprattutto la vita in trincea: quale era il rancio, quanto vino, quante sigarette riceveva il sol dato di là. Erano facili tali informazioni e, anche non esagerate, bastavano a far passare completamente la voglia di far confronti anche ai più malcontenti del trattamento militare. Naturalmente anche gli ufficiali non stavano colle mani in mano. Alla mensa ufficiali, su una carta appositamente preparata, essi rivelavano la monarchia austro-ungarica nella sua vera Juce: l'interesse degli ascoltatori cresceva. D'altra parte il Comando d'Armata e gli uffici ali irredenti aggregati ai nostri reparti facilitavano notevolmente il compito con piena comprensione e ordini precisi.
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Nel frattempo il settore veniva minutamente ispezionato: fu scelto anche il posto più adatto per l'uscita notturna delle pattuglie di ricognizione. Dall'altra parte doveva esserci, secondo le informazioni italiane, il 12° Reggimento Fanteria composto principalmente da Cechi. Nella notte di luna i nostri scivolarono agilmente tra i reticolati, si raggrupparono in formazione di pattuglia d'attacco avanzando sul lieve pendio verso le trincee austriache di Stoccareddo. Raggiunta la strada, avanzarono con precauzione. Un gruppo di soldati, condotto dal Sergente Mlejnek, strisciò fin sotto ai reticolati nemici , mentre gli altri si occupavano della difesa dei fianchi. Mlejnek scorse ben presto la sentinella austriaca al di là dei reticolati: essa restava immobile, attonita nel sentirsi rivolgere la parola in ceco da un soldato supposto italiano. Mlejnek incominciò a parlare al soldato della lotta dei Cechi per la libertà della loro patria; l'altro taceva ed ascoltava. Ma il discorso fu sentito dal comandante del posto avanzato, un tedesco. Egli redarguì la sentinella e lanciò contro Mlejnek una bomba a mano: era il segnale d'allarme. Il piccolo posto austriaco aprì il fuoco e nella notte silenziosa si scatenò la tempesta d'esplosioni delle bombe a mano. L'artiglieria, poi, completava il concerto con un fuoco di shrapnell sui fianchi di Col d'Echele, davanti a Stoccareddo. La pattuglia era stata avvistata e si ritirava sulla strada per rispondere al fuoco . Contemporaneamente coglieva l'occasione per lanciare dei razzi con manifestini in direzione delle trincee austriache. Giunta a un boschetto, cantò alcune canzoni ceche e jugoslave, affinché gli Austriaci sapessero a chi dovevano la visita. Le canzoni furono accolte da applausi e gli shrapnel! accompagnarono la pattuglia fino alle trincee italiane. Qui li aspettava una nuova sorpresa. Gli Italiani, disturbati dal vivace scambio di fucilate e persuasi che si avvicinasse un reparto austriaco, accolsero la pattuglia a colpi di fucile e di bombe a mano. Grazie ad un provvidenziale caso l'equivoco fu presto chiarito e non provocò vittime. Il debutto aveva avuto un risultato soddisfacente, e, quel che più importava, aveva ottenuto la fiducia del Comando e l'ammirazione dei soldati ital iani . Affinché la pattuglia non c01Tesse in avvenire altri pericoli, si ottenne dal Comando il permesso che i volontari occupassero per conto loro uno dei piccoli posti avanzati, dal quale sarebbero poi partite le loro pattuglie.
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Così il 30 marzo 1918 il primo gruppo di combattimento dei volontari cecoslovacchi difendeva da solo un tratto di settore affidato alla sua difesa , dal quale ogni notte, invariabilmente, uscivano strisciando le nostre pattuglie; ma ogni volta che si avvicinavano ai posti avanzati austriaci venivano respinte con bombe a mano e fuoco di fucileria. Era chiaro: il comando austriaco aveva preso delle energiche contromisure, e non restava quindi altro da fare che limitare la propaganda al canto, al lancio di manifestini e all'invito alla diserzione effettuati al di là del raggio di tiro delle bombe a mano. Ma anche questo lavoro non fu inutile. Tre giorni dopo, il 30 marzo, un gruppo di circa dieci soldati austriaci tentava di disertare approfittando della nebbia mattutina. Ma la guarnigione francese del vicino settore li investì a colpi cli fucile ed uno di essi pagava colla vita il tentativo. La sera stessa fu trovato da1Ja nostra pattuglia e seppellito nel piccolo cimitero militare del paese di Sasso. Il caduto fu identificato: era il soldato Zamecfk della 10a compagnia del 12° Reggimento tiratori, un ceco. Aveva seguito la voce ciel dovere ... per trovare la morte. Dietro intervento del Capitano Pivko i soldati dei reggimenti italiani furono avvertiti di non impedire il passaggio dei disertori; fu pure avvertito il reggimento francese del vicino settore, che però il 3 aprile accoglieva a fucilate un secondo gruppo di disertori. Questi malintesi resero difficile, anzi impossibile, il nostro lavoro, che però , in compenso, era assai apprezzato nelle trincee italiane. I soldati italiani erano entusiasti dei Cecoslovacchi, li ammiravano, li coprivano di attenzioni e dividevano fraternamente con loro tutto quello che potevano avere. Durante una perlustrazione fu posto dinanzi alle trincee austriache un cavo per un apparecchio intercettatore. Dopo la visita del comandante della 6a Armata, Generale Montuori, i Cecoslovacchi citati all'ordine del giorno ritornavano il 12 aprile al loro reparto, dove venne a visitarli Hlavacek, che portò la lieta notizia che l'autorizzazione a costituire un esercito cecoslovacco era imminente. Già il 18 aprile veniva annunciata da Forte Procolo l 'arrivo di tre compagnie di volontari, mentre un'altra giungeva dal settore contiguo della 4a Armata e il 20 aprile la seguirono i sottotenenti Kohoutek e Sedlecky e 12 soldati destinati come istrnttori. Finita l'istruzione, il gruppo dei 450 fu disciolto e la compagnia del Sottotenente Klfmek, cogli aspiranti Burko11, Horty, Sekera, Vaclav
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Novak e I 83 uomini , venne resa indipendente e aggregata come 2a compagnia alla 6" Armata. Il reparto originario formò la la compagni a co n i sottotenenti Kohoutek , Pajgr, Motti , Sedlecky e Sekera e comanda nte il Tenente Jirsa. Ad essa fu aggregato anche un plotone di Jugoslavi. Da quel giorno la designazione di "Reparto speciale czeco-jugoslavo" fu sostituita in quella di "Reparto speciale czecoslovaceo della 6a Armata". A Casa Tugurio la vita era piena di allegria e di movimento. Il prato incominciava a trasfonnarsi in una ben battuta piazza d'armi. I volontari s'erano dati col massimo fervore a preparare il loro imminente intervento al fro nte. Spec iali cure furono dedicate ai " lanciamanifestini". li 4 maggio tre pattuglie di 15 uomini partivano sotto il comando di un ufficiale per il 20° Corpo d'Armata. Alla fine di maggio giungevano nuovi rinforzi , provenienti dal battaglione G iovanelli. Era un'intera compagnia di 110 uomini , comandati dai sottotenenti Jindfi ich Felix, Jaroslav Rodauf, Aotonfn Navraatil e Frantisek Raboch. Il reparto aveva così tre compagnie, tecnicamente e amministrativamente autonome. Il Capitano Pivko rivestiva presso il comando italiano la funzione di comandante del reparto. Per il resto egli agiva verso di noi come ufficiale anziano, consigliere e autorità suprema che, nel 1' interesse stesso della disciplina interna del campo, era indispensabile; tanto più quando, poco dopo , si aggregò al reparto una compagnia di Jugoslavi e di Rumeni. Si appross imava intanto, a grandi passi, l'offensiva austriaca. Ogni notizia sul nem ico era preziosa e si cercava ogni mezzo per raggiungere le retrovie nemiche attraverso le trincee. Finalmente si presentò l'occasione: un sottuffic iale italiano era riuscito a fuggire dalla prigionia; era stato assegnato a un reparto da lavoro nelJe immediate retrovie ed era riuscito a raggiungere la patria attraverso la Vallev del Brenta. I nostri ne seguirono subito l'esempio. Il caporale Attur Zak, travestitosi da austriaco , si fece accompagnare da una nostra pattuglia, guidata da questo sottufficiale italiano, verso le trincee austriache. Era una notte buia e l'orientamento molto difficile. La pattuglia procedeva a te ntoni, ritornando più volte sui propri passi per trovare una via praticabile. Sembrava avesse finalmente ritrovata la direzione sulla riva ripida e sassosa, quando lo strepito prodotto dalle pietre che ruzzolava-
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no mise in allarme il nemico. Scoppiarono d'improvviso tre razzi luminosi: gli uomini si fermarono, immobili, ma ormai s'erano traditi. Avevano urtato contro un posto avanzato che non esisteva quando l' italiano era riuscito a fuggire. La speranza di portare a termine l'impresa svanì perché il passaggio era troppo stretto e le sentinelle vegliavano. La pattuglia rispose al fuoco e si ritirò lentamente. Il comandante rimase ferito leggermente a una mano, ma non ci furono perdite. L'esperimento fu ripetuto il giorno seguente, ma senza successo; si decise perciò di rinunciare definitivamente all'azione. Alla vigilia dell'offensiva austriaca tutte le pattuglie furono richiamate al comando della 14a Divisione, per cui non poterono prendere parte alle operazioni. Ma, poco tempo dopo, furono incaricate di un compito molto importante, in occasione della conquista di Monte Val Bella. Questa posizione di eccezionale importanza era stata perduta appunto durante I' offensiva di giugno e la sua riconquista costituiva una assoluta necessità tattica. I Cecoslovacchi vennero chiamati a rinforzo. L'azione si svolse in due tempi: il 24 giugno con un combattimento iniziale e 5 giorni dopo col grande attacco sferrato da due brigate. Gli esploratori avevano incominciato a preparare il terreno fin dal 23 giugno. Una pattuglia composta da due ufficiali e 24 uomini con 5 arditi italiani si avvicinò fino a 20 passi dalle trincee austriache. Il nemico lavorava attivamente su tutto il settore per consolidare le opere di difesa. La pattuglia ne approfittò per lanciare una grande quantità di manifestini che davano notizia dei disordini avvenuti a Vienna e a Praga e della situazione militare in genere. Esaminò inoltre attentamente i trinceramenti del nemico, accertandone le forze e tornò nelle tarde ore del mattino. Il giorno stesso fu ordinato l'attacco alla prima linea delle trincee, eseguito da reparti misti di Cecoslovacchi (Sottotenente Karel Paiger con 17 esploratori) e di italiani (I e II battaglione del 10° Fanteria) che sbucarono dal bosco sulla china di fronte al Monte Val Bella, attraversarono velocemente lo spazio scoperto e si concentrarono ai piedi della salita. Solo allora furono avvistati dal nemico che aprì contro di loro un violento fuoco di fucileria. Ma era già troppo tardi. Le mitragliatrici italiane tenevano la linea nemica sotto il loro fuoco così vigorosamente che i gruppi attaccanti riuscirono a penetrare nelle prime trincee austriache. L'attacco s'era svolto sul fianco e con tanta rapidità che la
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maggioranza dei nemici si arrese senza combattere. Solo in alcuni posti si ebbe una vera resistenza che fu presto vinta. Questo però fu un successo iniziale. Poco dopo gli austriaci lanciavano un contrattacco così potente che i nostri, non abbastanza organizzati nelle trincee appena conquistate, incominciarono a retrocedere. Ma per breve tempo. Fu rapidamente ristabilito il collegamento tra i singoli gruppi e la posizione conquistata venne mantenuta. Anche in questa occasione, come in tante altre durante la guerra, i Cecoslovacchi furono favoriti nei momenti più critici del combattimento dal fatto che conoscevano a fondo l'armamento austriaco. Nel momento critico, quando i rinforzi tardavano a giungere e mancavano le munizioni, essi si sbarazzarono semplicemente delle loro armi e adoperarono le mitragliatrici austriache abbondantemente rifornite. Gli Austriaci rinnovarono i contrattacchi da ambedue i fianchi. Alcuni nostri piccoli gruppi restarono spesso circondati dal nemico superiore di forze. In uno di questi combattimenti i.I Sottotenente Paiger, che aveva preso parte all'azione di Carzano, restò, con un soldato, tagliato fuori dai suoi. Sembrava che la loro sorte fosse ormai decisa, ma, con uno slancio coraggioso un sergente degli arditi riuscì a salvare tutti e due all'ultimo momento. Solo a mezzanotte i reparti attaccanti furono sostituiti da truppe fresche del 10° Reggimento Fanteria italiano. Questo successo iniziale fu valorizzato poi nell'offensiva del 29 giugno. Le due brigate Lecce e Regina dovevano sostenere lo sforzo principale, muovendo su due colonne, e portare a termine l'azione incominciata in modo così promettente. n reparto cecoslovacco aveva il compito di assicurare il collegamento tra le due brigate. Per assolverlo dovette prender parte attiva al combattimento. Il desiderio degli Italiani che i legionari partecipassero all'azione era stato espresso all'ultimo momento; furono così richiamate in fretta le pattuglie più vicine e si costituì un reparto formato da 10 ufficiali e 198 uomini delle due compagnie, più un plotone di Jugoslavi. La sera del 28 giugno i Cecoslovacchi si trovavano a disposizione presso il comando del 9° Reggimento Fanteria. Il comandante del reparto Capitano Pivko ricevette l'ordine di tenersi pronto mezz'ora prima dell'attacco, alla base di partenza. Ogni attaccante venne munito in abbondanza di munizioni, bombe a mano e viveri di riserva; si
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provvide anche al primo rifornimento di munizioni che doveva essere effettuato dal plotone di rincalzo jugoslavo, comandato dal Sottotenente Belosovic. Alle 2 e 50 minuti del 29 incominciò il movimento per portarsi alla base di partenza, terminato alle 3 e 50 minuti. Alle 4 e 15 fu raggiunto e assicurato il collegamento fra la colonna della brigata Lecce, che attaccava a destra, e la colonna della brigata Regina a sinistra. Nel frattempo però la brigata Lecce aveva cambiato la direzione del suo attacco e s'era spostata a sinistra, sicché i Cecoslovacchi furono costretti anch'essi a spostare il loro asse di avanzata fino al di là di una forra nelle pendici del Monte Val BeJla. Il movimento venne eseguito senza perdite, malgrado il fuoco violento de] nemico. Raggiunta la base di partenza, il reparto attaccante venne diviso in 4 gruppi, a ognuno dei quali fu assegnato un compito determinato. Alle 5 e 20 il primo gruppo, il più numeroso, si metteva in movimento: il Sottotenente Novak con 20 esploratori e 20 arditi, il Sottotenente Sekera con forze eguali, il Sottotenente Klimek con 20 esploratori e il Sottotenente Sedlecky con 12. Questi ultimi dovevano mantenere il collegamento tra la terza e la quarta ondata. Dietro ad essi veniva il secondo gruppo, coi sottotenenti Zeleny e Motti e 52 uomini, e, come terzo gruppo, il Sottotenente Poldauf con 60 uomini; infine, di rincalzo, gli Jugoslavi. L'attacco incominciò bene. La prima ondata, protetta dal fuoco d' artiglieria, giunse rapidamente a cinquanta passi dai reticolati nemici, dove aspettò il secondo gruppo; appena l'artiglieria allungò il tiro, i due gruppi, riuniti, si lanciarono oltre. Il nemico però tirava con una precisione inattesa. La violenza del fuoco faceva capire che il combattimento non sarebbe stato facile: soprattutto le mitragliatrici pesanti della quota 1312 impedivano l'avanzata con un micidiale fuoco di fianco, tanto che fu necessario spostare il fronte dell'attacco in direzione della quota 1312 che non era possibile aggirare sul fianco. Le perdite furono gravi in questo punto , ma la quota fu conquistata con un violento attacco in forze della Brigata Regina. Una volta penetrati nelle trincee, la fanteria austriaca non oppose una grande resistenza, soprattutto sull'ala destra, sebbene la posizione fosse ben guarnita. Quando i Cecoslovacchi piombarono nella trincea col grido di propaganda: "Fuori gli Slavi!", la maggior parte degli occupanti si arrese
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quasi senza combattere. Nella prima mezz 'ora il numero dei prigionieri raggiunse i 200. Il resto fuggiva verso la seconda linea, inseguito dal fuoco. Nonostante le perdite sensibili fra gli ufficiali, sottufficiali e comandanti dei gruppi, l'attacco continuò senza interruzione, diretto dai sottufficiali e dai soldati piÚ anziani che di propria iniziativa e con orgoglio avevano assunto il comando. Mentre uno dei gruppi rivolgeva le mitragliatrici conquistate contro i fuggiaschi, l'altro rastrellava le trincee e le caverne. I rimanenti continuavano nell'attacco contro le quote 2058 e 2458 facilitando il compito delle colonne operanti in questo settore. Il Sottotenente Sedlecky penetrava con alcuni soldati fin nella seconda linea sull'ala sinistra e alcuni piccoli gruppi comandati da sottufficiali e uno dal Sottotenente Novak avanzavano sull'ala destra fino ad. occupare le trincee abbandonate di quella linea. La resistenza del nemico veniva fiaccata con un attacco di bombe a mano e tutta la seconda linea era costretta ad arrendersi. I nostri feriti accompagnavano intanto verso le retrovie i prigionieri. Subito dopo si incontrava una forte resistenza, soprattutto vicino ad una batteria da montagna che solo dopo accanita lotta poteva essere accerchiata e costretta ad arrendersi. Il successo induceva a continuare nell'avanzata . Il Sottotenente Sedlecky, col suo gruppo rinforzato da un plotone di arditi, si buttava con slancio irresistibile verso la terza linea di difesa ed attaccava la caverna del comando tenuta da un gruppo di 50 soldati e ufficiali . Mentre i nemici erano costretti ad arrendersi e venivano fatti prigionieri man mano che uscivano dalla caverna, si iniziava da parte austriaca un contrattacco, che metteva fuori combattimento il comandante del gruppo e parecchi soldati. Senza comandante e insieme agli arditi italiani, nel momento piÚ critico, i volontari utilizzavano le cinque mitragliatrici pesanti appena conquistate e col loro aiuto respingevano il nemico infliggendogli gravi perdite. Durante il contrattacco e proprio al momento critico giungeva il plotone di rincalzo prendendo parte attiva al combattimento. Il nemico, vedendo che la resistenza non diminuiva , rinunciava ad ulteriori azioni. Le nostre truppe, esauste e indebolite da gravi perdite, venivano sostituite da reparti di rincalzo italiani e si ritiravano verso le pendici di
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Monte Val Bella. In linea restavano solo due reparti di collegamento sulle ali e due posti avanzati. La gioia della vittoria era grande, ma purtroppo oscurata dalle gravi perdite, tanto più dolorose in quanto insostituibili: 3 ufficiali e 13 soldati caduti, 3 ufficiali e 60 soldati feriti, dei quali 20 feriti leggeri, che, per loro insistente desiderio, rimasero presso il reparto. La perdita più dolorosa era però quella del soldato Bohumil Vacha, che, penetrato col Sottotenente Sedlecky fin nella terza linea, era stato ferito gravemente, fatto prigioniero e giustiziato dagli Austriaci. Non meno amare erano le perdite tra i più vecchi e coraggiosi volontari, gli "eroi di Carzano", il Sottotenente Ludvfk Sedlecky e il sottufficiale Mlejnek. Nelle file dei Cecoslovacchi l'ala della morte era passata stavolta molto più spietata. Il Re d'Italia diede il suo personale riconoscimento ai valorosi combattenti concedendo loro 5 medaglie d'argento. Il 7 luglio un piccolo cambiamento avveniva nella organizzazione del reparto, che veniva diviso in sole 2 compagnie e cioè la sa sotto il comando del Tenente Jirsa, formata dalla fusione della la e della 2a compagnia, e la 6", costituita dall'antica 3", di cui rimaneva comandante il Sottotenente Jindfiich Felix. Fino al 23 luglio le compagnie restarono unite, impiegando il tempo libero nell'istruzione e nella propaganda. E non se ne stava inattivo nemmeno il Capitano Pivko, sempre in moto per escogitare nuovi piani di lotta contro l'Austria. Egli studiava da tempo un progetto per l'invio in Jugoslavia, sua patria, di notizie più accurate. Conosceva molte personalità capaci di agire e desiderava informarle. Un giorno condusse al reparto un giovane prigioniero di nazionalità serba e incominciò a esporgli la sua idea. Il ragazzo gli era seduto dinnanzi, nella mensa degli ufficiali, e ascoltava la storiella che doveva imparare a memoria: "Nel settore tale e tale sono stato fatto prigioniero; nel tardo pomeriggio, mi hanno condotto poco lontano dalle trincee italiane dove mi hanno interrogato. Ero attendato con altri, nella notte sono riuscito a scappare. Mi sono nascosto in un bosco vicino e verso il mattino, con una buona dose di fortuna sono riuscito a oltrepassare le trincee italiane". La storiella venne ripetuta parecchie volte perché il ragazzo se la fis-
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sasse bene nella memoria e non si lasciasse confondere se per caso fosse stato interrogato in diversi modi. Poco dopo, munito di denaro e di un libro di preghiere, nel quale era stata cifrata una lunga lettera che doveva essere consegnato a una determinata persona, il giovane saliva allegramente sull'automobile che lo doveva condurre al Col del Rosso. Sembrava perfettamente sicuro del fatto suo e ispirava la massima fiducia. Una sera il Capitano Pivko tornò dal fronte raggiante di gioia. Gli apparecchi intercettatori avevano infatti comunicato che il messaggero era felicemente passato. Così almeno si capì dai telefoni da campo austriaci che annunciarono l'arrivo di un soldato fuggito dalla prigionia italiana. Ma sulla sua sorte ulteriore nessuno seppe mai nulla. In mezzo a questi avvenimenti la vita degli esploratori trascoITeva lieta e anche triste. Le pattuglie dovevano ora muoversi con molta maggior circospezione, perché le alte taglie messe su di loro dagli Austriaci avevano destata l'avidità dei reparti scelti nemici che stavano sopra Asiago. Scambi di fucilate accompagnavano ogni pattuglia e le tombe dei Cecoslovacchi si moltiplicavano. Gli Italiani apprezzavano l'eroismo dei Cechi e non lesinavano le loro lodi. Il 14 settembre fu organizzata una cerimonia in cui fu decorato un secondo gruppo di partecipanti a.Il' assalto cli Monte di Val Bella: furono distribuite 2 medaglie d'argento, 3 di bronzo e 36 croci di guerra. Anche la festa di S. Venceslao, patrono della Boemia, venne solennemente celebrata al campo, con una rivista, preceduta da discorsi e dagli inni nazionali, fra cui il cecoslovacco, suonato per la prima volta al fronte italiano della banda del 152° Reggimento Fanteria della celebre Brigata Sassari. Alle pattuglie in servizio sul Col del Rosso e a Monte di Val Bella il comando de] 13° Corpo d 'Armata inviò dei doni. Si giunse all'ottobre. La fr1 compagnia fu rinforzata da 30 uomini provenienti dal deposito di Foligno e da altri 24 scelti dal comandante nel campo di concentramento di Mirabella. Verso il 25 ottobre delle forti pattuglie partivano per tutto il settore occupato dall'armata. Stavolta i Cecoslovacchi agivano anche, per la prima volta, presso la Divisione francese ad occidente di Monte di Val Bella. Su tutto il fronte il movimento era febbrile. Giungevano notizie confortanti dei successi italiani sul Piave; anche nel nostro settore il 15°
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Reggimento francese aveva occupato di sorpresa la posizione austriaca del Monte Sisemol e gli Inglesi, vicino ad Asiago, tentavano anch'essi delle uscite coronate da successo. Le truppe austriache del nostro settore sembrava non avessero piÚ fiato. L'offensiva, sferrata il 29 ottobre, non incontrava qui una grande resistenza. Quasi senza perdite le forze italiane inseguivano il nemico che si ritirava sulle montagne, e sulle strade alpestri, ieri ancora austriache, rombavano i motori dei camion italiani con la fanteria che doveva tagliare nei monti la ritirata degli Austriaci. Intanto giungeva l'ordine ciel Comando d'Armata di ritirare le nostre pattuglie, il cui compito era finito. In una grigia mattina d'autunno le pattuglie si adunarono sulla piazza d'armi del reparto. Dopo un breve discorso dell'ufficiale anziano, Tenente .Jirsa, gli esploratori dissero addio al loro campo di battaglia, sul quale lasciavano la lunga fila cli tombe dei fratelli che col sangue avevano testimoniato l'amore per ]a patria. Li salutarono col canto del loro inno che è una preghiera.
CAPITOLO NONO Alla 4a Armata TRA IL BRENTA E IL PIAVE. IL MONTE GRAPPA (Gruppo esploratori del Sottotenente Nedved)
"Servizio straniero". Pattuglia coll'altruista Tmej. Chiarimento della posizione giuridica dei Cecoslovacchi. L'offensiva di giugno. Propaganda al J O e 28° Reggimento. Azione guidata dal Sottotenente disertore Kfhos. Sorpresa al Fortino Regina. L'inseguimento del nemico sconfitto.
La 7a compagnia costituisce, sotto molti punti di vista, un bell'esempio dell' attività indipendente svolta dai reparti d'esplorazione sul fronte italiano e delle difficoltà che accompagnarono tale indipendenza, o meglio l'isolamento delle diverse compagnie. Essa venne formata dal così detto "gruppo dei novanta", che era partito da Padula il 1° aprile 1918, come secondo reparto di esploratori. Assegnato alla 4a Annata, il suo campo d'azione fu il Monte Grappa, tra il Brenta e il Piave. Contrariamente ai desideri degli ufficiali cechi, la compagnia conservò per un periodo molto più lungo delle altre un carattere assai simile a quello della "legione straniera" francese - cioè di un'unità comandata e amministrata secondo Je leggi italiane - e non quello di un reparto del costituendo esercito indipendente cecoslovacco. Pur avendo i suoi ufficiali cechi , il comandante effettivo era unitaliano di Trieste, ìl Tenente Mauro, al quale era stato aggregato il Tenente Pindemonte di Trieste, giunto in Italia dalla prigionia in Russia. Erano ambedue i1Tedenti che servivano nell'esercito italiano. Il comandante ceco, incaricato dei compiti connessi col comando, era il Sottotenente Horak; oltre a lui c 'erano i sottotenenti Josef yalasek, Frantisek Yiklicky, Vaclav Peth'k, Miroslav Torna, e Jaroslav Cernik. Erano alloggiati nel villaggio di Cusinati, presso Cittadella. Dipendevano direttamente dall'Ufficio Informazioni del Comando
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della 4a Armata, di cui era capo il Colonnello Attilio Vigevano, più tardi comandante del reggimento esploratori. Il 15 aprile giungeva un nuovo ufficiale, il Sottotenente dottor Antonfn Basl, proveniente dai battaglioni di lavoro di Pietole, presso Mantova. Prima della sua partenza aveva assistito alla lettura della convenzione tra il Governo italiano e il Consiglio Nazionale cecoslovacco, fatta dal direttore Hlavacek e dal delegato della sezione di Parigi del Consiglio Nazionale, Sychrava, in una adunata al municipio di Bagnolo, a cui avevano paiiecipato gli ufficiali comandanti dei reparti di lavoro più vicini. Le notizie che egli diede chiarirono meglio i rapporti tra gli esploratori e il comando italiano, perchè fino ad allora non si era avuto la benché minima idea degli accordi intervenuti col governo italiano. Tuttavia per il momento le cose restarono come prima. Il 23 aprile ru.rivava alla compagnia il Sottotenente Jaroslav Nedved, disertato cinque mesi prima sul Monte Pertica nel settore della 4a Armata e rimasto presso il comando per il servizio di esplorazione. Questo intrepido esploratore assunse in seguito il comando della compagnia, che intanto continuava ad esercitarsi. Il 27 aprile l'istruzione militare era per così dire finita, salvo il tiro e il lancio de]le bombe a mano. Per questa ragione la compagnia partì il 29 aprile per il villaggio di Pove, a nord di Bassano, dove gli arditi furono per alcuni giorni loro cortesi ospiti e istmttori. Come esercizio finale essi mostrarono ai Cecoslovacchi un esempio di attacco di un battaglione d'assalto, nel corso del quale furono lanciate bombe a mano, mentre la fanteria veniva coperta dal fuoco delle mitragliatrici. Il giorno 9 gli ufficiali della compagnia raggiungevano la prima volta il fronte, per visitare i settori dove le pattuglie cli esploratori avrebbero incominciato ad operare. Durante l'istruzione la compagnia era stata divisa in plotoni normali; per le operazioni di ricognizione fu invece ripartita in pattuglie cli 14 o 15 uomini, comandate da un ufficiale che le seguiva sempre e si curava del loro benessere materiale e morale. Gli ufficiali esamimuono attentamente quasi tutto il settore clell'arn1ata e cioè il Monte Tomba, la Punta Brenta, il Monte Pallone, il Monte Grappa e il Monte Pertica. Ovunque destavano una viva curiosità con la loro uniforme italimi.a munita di strani distintivi. In origine infatti portavano il berretto del soldato italiano, più tardi sostituito dal cappello degli alpinj, sul quale, per ordine della 4a Armata, era stato messo uno speciale distintivo,
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il [eone con due code. Sulle maniche, vicino al distintivo bianco-rosso, il Sottotenente portava una piccola corona, quella di S. Venceslao e il Tenente due. Questi distintivi furono in seguito sostituiti con quelli degli altri reggimenti cechi, cioè il falco ricamato sul cappello e i galloni sulle maniche. Dalle ricognizioni tornarono con due disertori di un reggimento composto da Cechi. Il reggimento era dislocato sul Monte Pertica e appunto contro di esso agirono inizialmente gli esploratori. Il 12 maggio una parte della compagnia raggiungeva il fronte con dei camion infiorati; venne alloggiata sotto il Grappa nelle vicinanze del comando della Bligata Modena. La notte stessa le pattuglie dei sottotenenti Basl, Cernfk e Nedved uscivano per la prima volta, piene d'impazienza, dalle trincee italiane, cercando di stabilire dei contatti coi loro connazionali delle truppe austriache. Portavano seco i due disertori che dovevano aiutarli con la loro esatta conoscenza del settore nemico e della situazione che vi regnava. Uno di essi era il caporale Tmej, l'altro il soldato Bartos. Il Tmej, pur soffrendo assai per un forte avvelenamento del sangue causato da ferite riportate nell'attraversare i reticolati, non esitò a rischiare ancora la vita, appena salvata, per la causa che da tanto tempo gli stava a cuore. Egli seguì la pattuglia per alcu ne ore, ma dovette poi esser trasportato d'urgenza all'ospedale dove fu operato. I risultati dell'esplorazione non furono molto evidenti; i nostri avevano destato una visibile sorpresa nelle trincee austriache, dove, nella penombra dell'alba, i soldati non erano riusciti nemmeno a capire che cosa succedesse. Non si 1iuscì però a stabilire con essi un contatto diretto. Unico trofeo fu una mitragliatrice italiana trovata sotto le trincee austriache. Ma due giorni dopo le pattuglie ottenevano in quel punto un bel successo: avevano potuto stringere rapporti coi cechi delle linee nemiche ai quali consegnarono lettere e cartoline da campo austriache, dirette ai parenti in patria. Purtroppo tali relazioni vennero presto interrotte: nelle linee austriache s'era manifestata una grande inquietudine; i sottufficiali e i fedeli "feldwebel"23 , ossequiosi agli ordini severissimi, tentarono infatti di V
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Feldwebel: sottufficiali effettivi austriaci la cui influenza nell'esercito austroungarico fu tale da far attribuire in parte a questo deleterio "sistema dei felclwebel" la responsabilità del crollo dell' annata imperiale.
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arrestare il rapido diffonders.i nel reggimento dell a propaganda dei legionari; non appena comparivano gli esploratori , erano accolti a fucilate e bombe a mano. L'agitazione e la demoralizzazione del reggimento erano però , ormai , un fatto compiuto e questo era stato il primo scopo deg li esploratori. Ciò avven iva sulle pendici del Monte Pertica (1540 m.). Questo settore, tra il Pertica e l' Osteria del Lepre, divenne in seguito il campo d 'azione della compagnia esploratori per tutto il periodo della sua permanenza al fronte. Il 22 maggio la compagnia fu rinforzata di nuovi elementi provenienti dal battaglione Giovanelli: 140 uomini con 4 uffic iali , il Tenente Yaclav Kindl e i sottotenenti Josef Falta, YojtGch Novak e Frantisek Burianek. Erano ormai 250 cecoslovacchi con a capo un Tenente. Il 27 maggio il Colonnello Vigevano comunicava alla compagnia che essa faceva parte dell'esercito cecoslovacco in Italia e più precisamente del II battaglione del 31 ° Reggimento cecoslovacco , cosa che fino ad allora il comando italiano non aveva comunicato. Finalmente il 1° g iugno anche questa compagnia riceveva il s uo comandante ceco, il Te nente K indl. Il Capitano Mauro venne nominato ufficiale di collegamento tra la compagnia e il comando della 4a Armata. Per definire ancor meglio lo stato giuridico della compagn.ia, il 12 giugno il Sottotenente Basi si recò a Rovigo per mettersi in contatto col comando del Corpo Cecoslovacco, c_!ove poté chiarire direttamente col Generale Graziani e col Capitano Seba la posizione del reparto, nel senso che la compagnia degli esploratori avrebbe costituito una compagnia distaccata del reggimento . In tale occasione il Basi poté incontrarsi per la prima volta col comandante del battaglione, M aggiore Giovanelli. Il 18 giugno arrivavano al campo il Capitano Seba, il Maggiore Giovanelli e il suo aiutante, Sottotenente Josef Niederle, per assistere al solenne g iuramento di fed eltà della compagn ia al Consiglio Nazionale. Poco dopo giungeva anche il Generale Graziani che passò in rivista le truppe, per ripartire il gjorno stesso , perché la sua presenza era necessaria altrove; Giovanelli , Seba e Niederle lasciavano invece la compagnia due giorni dopo, ma ritornavano il 23 giugno recando purV
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troppo delle ben tristi notizie. Il I battaglione del 33° Reggimento, che era stato messo in linea durante l'offensiva presso S. Donà del Piave come prima unità cecoslovacca, aveva valorosamente combattuto, ma con gravi perdite: i soli giustiziati dagli Austriaci ammontavano a 14! E non bastava, ché un reparto esploratori presso 1'8a Armata aveva avuto sul Montello, a quanto si diceva, 30 morti di cui 9 impiccati. Le notizie non erano esatte, come si seppe più tardi: la realtà era molto più tragica. Il giorno dopo venLva trasportato dal fronte a Bassano il volontario d'un anno Sergente Stastny con una gamba spezzata. Aveva avuto ancora tanta forza da far chiamare il Sottotenente Basi nel cuore della notte perché inte1Togasse un prigioniero austriaco, trasportato insieme a lui, il quale avrebbe dovuto dare delle informazioni importanti sulle imminenti operazioni del nemico. Ma il colpo più doloroso venne il 26 giugno quando faceva ritorno una parte della compagnia inviata al fronte all'inizio dell'offensiva austriaca; si erano avuti un morto, il volontario Sergente Woitech Polacek, saduto e abbandonato verso il Col del Miglio, e due feriti, il Sergente Stastny e il Sergente Matuska. Nei momenti di riposo, gli esploratori svolgevano la loro azione di propaganda anche tra la popolazione e i repa1ti italiani, accantonati nei dintorni, pure attraverso la stampa e cioè nel giornale "La Trincea" pubblicata per tutti gli appartenenti alla 4a Armata. Si era anzi preparato un numero speciale de "La Trincea" dedicato tutto ai Cecoslovacchi, la cui pubblicazione non ebbe però luogo per il sopravvenire dell'armistizio. Buoni rapporti erano stabiliti anche col vicino campo di concentramento, dove i nuovi prigionieri giungevano direttamente dal fronte, e donde vari prigionieri cechi partirono poi per Foligno per arruolarsi nelle legioni. Merita di essere ricordato soprattutto il Tenente Navara di Plze11, disertato con due ufficiali jugoslavi presso lo Spinoncia, alla vigilia dell'offensiva di giugno, il quale, grazie alla sua preparazione, diede agli Italiani preziose informazioni. Durante i giorni passati al fronte egli fu ripetutamente ospite degli esploratori; partì poi dal campo di concentramento direttamente per il suo nuovo reggimento. Anche alcuni soldati furono incorporati nella compagnia senza passare per le retrovie.
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Questi fatti influirono favorevolmente negli Italiani che, per quel loro innato senso di generosità, cercarono in tutti i modi di mostrare la loro fiducia nei cecoslovacchi sostituendo fra l'altro l'ufficiale di collegamento italiano, Capitano Mauro, con un ceco, il Sottotenente Basl. In tal modo la 7a compagnia fu la sola ad avere un ufficiale ceco che ricopri va questo importante incarico. Gli ordini e i rapporti vennero da allora scambiati direttamente tra il Basl e il Colonnello Vigevano, e, in sua vece, il Maggiore Volpini. Le informazioni dei cecoslovacchi dal fronte erano date a voce o per telefono. In questo caso i fonogrammi, cifrati o no, avevano la precedenza sugli altri. In caso di una nuova azione, l'ufficiale di co11egamento, solo o col comandante della compagnia, veniva chiamato all'Ufficio Informazioni, dove veniva messo al corrente della posizione del nemico e di quanto il comando italiano desiderava fosse accertato. In caso di settore nuovo, l'ufficiale di collegamento compiva anzitutto una perlustrazione del terreno. Sul fronte, però, non si verificavano avvenimenti di rilievo, come presso le altre compagnie, nonostante il reparto avesse un settore relativamente piccolo e il servizio di pattuglia fosse svolto con grande intensità, tanto che alle volte la compagnia poteva permettersi anche il lusso, altrove impossibile, di far partecipare a una sola perlustrazione perfino sei ufficiai i. Gli esploratori conoscevano ormai perfettamente il settore. Essi amavano soprattutto il Monte Pertica col suo terreno boscoso, sebbene infido. Innumerevoli volte s'erano arrampicati su tutte le chine e su tutti i sentieri, perché quello era forse l'unico settore in cui era possibile uscire di giorno al coperto, lontano dalle proprie trincee e fin sotto alla linea austriaca. Molto spesso vennero così a sapere delle notizie importanti su Ila guarnigione nemica e in genere sulla situazione dall 'altra parte. Un giorno però gli Austriaci si accorsero della loro presenza e tentarono di tagliar loro la ritirata e catturarli, inviando due pattuglie che dovevano attaccarli sui fianchi. Ma sorprendere gli esploratori non era certo facile. Essi sapevano quale sarebbe stata la loro sorte e siccome le bombe a mano erano la loro arma principale e la più efficace, si erano esercitati a lanciarle non solo rapidamente, ma anche lontano e con grande precisione. E di que-
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sto si accorsero in quell'occasione gli Austriaci che dovettero salvarsi colla fuga. Ma, in complesso, in nessun punto si riuscì ad allacciare quei contatti diretti e personali cui tutti tanto aspiravano. Le truppe austriache erano in questo punto formate in genere da tedeschi, rumeni e polacchi. Finalmente giunse una lieta notizia: nel settore de] Grappa erano stati inviati da parte austriaca due vecchi reggimenti, composti in maggioranza da cechi, e cioè l' 11 °, cli Pisek, sulle pendici occidentali dell' Asolone, e il 28°, di Praga, su quelle orientali. La compagnia era giubilante: ognuno sognava azioni e successi straordinari; si trattava di salvare la patria comune: come avrebbero potuto rifiutarsi gli altTi? Speravano di prendere presto contatto coi Cechi dell'altra parte, e di poter mandare con il loro aiuto degli informatori nelle retrovie e dei messi fino a Praga, ai capi politici. Certo sarebbe stato possibile preparare insieme qualche grande impresa a favore degli Italiani. Tutta la compagnia si dedicò con zelo alle esplorazioni. li primo a stabilire un contatto fu il Sottotenente Tu.ma. Egli perlustrò la Valle di Cesìlle, sorpassò i primi ostacoli nemici, riuscendo a scorgere la sentinella che faceva parte del 28° Reggimento, ma che non volle ascoltare il suo invito di disertare. Pare che attendesse l'ispezione cli un ufficiale superiore e che, dietro ad essa, fosse puntata una mitragliatrice. La pagnotta però la prese. Il successo non era certo tale da giustificare l'entusiasmo. Ancor meno c'era da essere allegri nel secondo settore, quello clell'l l 0 Reggimento, dove era stato vietato ai soldati, severamente sorvegliati , di parlare con noi. Invano i nostri li incitavano a disertare, ciò che sarebbe stato piuttosto facile e senza rischi, di notte in quel terreno boscoso. Invano si lanciarono loro i manifestini. Avevano petfino paura di raccogliere il pane e le scatolette di carne che si buttavano nelle loro trincee. Tutti i sogni, tutte le speranze erano svaniti. Con amara tristezza i fratelli riflettevano sulle ragioni di questo preoccupante fenomeno. E gli sguardi interrogativi degli Italiani, che non riusci vano a capire tutto questo, non facevano che rannuvolare ancor più i loro visi. Ricordavano l'entusiasmo di quei 10.000 di Padula, che non avevano visto l'ora di partire per il fronte e non riuscivano a comprendere 1' indifferenza e la paura dei compatrioti che continuavano volontariamente a vivere nella miseria austriaca.
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I nostri sforzi non furono però del tutto infruttuosi: il 28 agosto passava dalla nostra parte un Sottotenente del 20° Reggimento, il ceco Vaclav Kyhos. Con grande ansietà ascoltammo il suo racconto: "Già da un pezzo cercavo il modo di fitggire dall'Austria e andare dove mi chiamava il mio dovere verso la patria. Agivo in questo senso sul mio plotone già da alcuni mesi. Ero tornato da poco dalla mia licenza a Praga, che avevo trovata piena di ardore nazionale. Decisi fermamente di venire qui da voi a qualsiasi costo. Studiai ogni cosa accuratamente e, come vedete, ci sono riuscito benissimo. E non ho dilnenticato naturalmente di acquisire notizie importanti per gli Italiani". Lo invitammo immediatamente a condurci verso il posto avanzato donde proveniva per impadronircene o, almeno, per stringere qualche contatto. Contemporaneamente a questa azione ne decidemmo un'altra contro una compagnia di mitraglieri, da cui era disertato alcuni giorni prima il soldato Burian, il quale ci aveva assicurato che l'avrebbe fatta passare tutta intera in Italia. Kyhos fu subito d'accordo col nostro piano. Partimmo, 3 ufficiali e 16 uomini, guidati da lui, in piena notte. Dopo lunghe ricerche egli constatò che non riusciva ad orientarsi sul terreno dalla parte italiana, cosa del resto molto comprensibile. Per non guastare quindi un'impresa che sembrava assai promettente, decide1mno di rinviarla, al giorno seguente, alle prime luci del mattino, quando i corpi di guardia, stanchi della veglia notturna, sono generalmente meno attenti. Approfittando della nebbia, strisciammo sotto i reticolati intorno al posto avanzato, giungendogli alle spalle. Kyos ci dispose in modo da potere, in caso di bisogno, intervenire prontamente e lui stesso, con un petardo in mano, si avanzò verso i donnienti. Dovevamo sempre tener presente l'eventualità che il 28° reggimento fosse stato ritirato dal fronte, dopo la diserziòne sul fronte russo dove il reggimento quasi intero era passato nelle file dei russi , e sostituito da un altro. Kyos svegliò il più vicino e gli chiese il numero del reggimento. Apprese con gioia che era il 28°. Ma intanto gli altri s'erano già svegliati e tra essi vide un Sottotenente che egli conosceva. Con loro grande sorpresa annunciò che era venuto a prenderli per portarli con sé in Italia. Alcuni incominciarono di buona voglia a impacchettar le loro cose, altri invece lo guardarono poco convinti: era evidente che non sarebbero passati spontaneamente. La situazione incominciava a husi seria e ci costrinse a intervenire. La nostra apparizione fece immediatamente svanire ogni idea di resistenza.
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Il Sottotenente comunicò una cosa molto importante: tra mezz'ora si sarebbe effettuato il cambio della guardia. Ci decidemmo subito: due uomini po1tarono via i prigionieri e ci preparammo ad accogliere i nuovi venuti. Ci nascondemmo di nuovo e Kyos si travestì rapidamente da soldato austriaco: mantella, elmetto, sulla schiena la maschera antigas, il fucile in mano, si mise al posto della sentinella, in modo da poter essere visto da quelli che sarebbero venuti e così meglio ingannarli. Era stato convenuto che avrebbe lasciato avvicinare la pattuglia fino a pochi passi da lui; nel momento in cui si fosse rivoltato verso di questa, noi si sarebbe usciti dai nascondigli e l'avremmo attaccata. E così avvenne, con indescrivibile sorpresa del corpo cli guardia della 10a compagnia, comandato da un sottotenente. L'unico che non perdette il sangue freddo fu un sergente, che d'improvviso scaricò tutti i cinque colpi della sua carabina sui più vicini, senza però colpire nessuno. Gli saltammo addosso, strappandogli 1'arma e rendendolo innocuo. Il corpo di guardia venne fatto prigioniero e mandato subito a raggiungere l'altro. Ma il nostro programma era di catturare il resto della 10a compagnia. Però nel settore dove lavorava l'altra pattuglia, guidata dal soldato Buriane dal Sottotenente Turna, s'era acceso un violento fuoco di fucileria e di mitragliatrici che si veniva estendendo anche al nostro settore. Come sapemmo più tardi, gli austriaci avevano risposto a fucilate all' invito di disertare del soldato Burian, tanto che la pattuglia poté uscire a stento dai reticolati. In tale stato di cose non potevamo proseguire la nostra azione senza andar incontro a un insuccesso e si decise quindi di tornare. Sul posto lasciammo del pane, delle scatolette, dei manifestini e dei proclami, insieme a una lettera di Kyos al suo ex-comandante di reggimento , in cui gli chiariva i motivi della sua diserzione. AITivati nelle trincee italiane, contammo i prigionieri: 2 ufficiali e 16 soldati. Non era certo un successo eccezionale, ma i nostri ragazzi erano contenti, soprattutto perché si erano convinti del!' impossibilità di far breccia presso questi due reggimenti. Bastava ormai che si sentissero le nostre voci perché si ordinasse di sparare contro di noi; e avvenne anche che un sergente, in presenza di due ufficiali, tirò contro i propri uomini che si trovavano tra i reticolati durante un nostro discorso di propaganda. In questo settore si constatavano meglio che altrove il nervosismo del Comando austriaco e gli effetti della nostra attività nell'avvicinamento e nella propaganda ai posti avanzati. Più si andava avanti e più si andavano formando nel campo nemico due eserciti: uno fidato e un
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secondo che doveva essere sorvegliato dal primo. Questo controllo poliziesco non servì ad altro che a suscitare contrasto tra sorvegliante e sospettato e ad affrettare lo sfacelo dell'esercito imperiale. Nel cortile della "Vi11a delle Rose", nella quale era alloggiato l'Ufficio Informazioni dell'Annata, vennero distribuite il 23 agosto le prime decorazioni italiane ai partecipanti a questa impresa. Ebbero la medaglia d'argento il Sottotenente Kyos, incorporato immediatamente nell'esercito cecoslovacco, e il Sergente Rada; la medaglia di bronzo Nedved e Basi, la croce di guena italiana Petfik e Turna e cinque soldati. Dopo la cerimonia le decorazioni furono temporaneamente restituite, perché dovevano essere ufficialmente consegnate dal Re d'Italia il giorno dopo, in una solenne cerimonia al Comando cl' Annata. Il 24 agosto infatti, durante la cerimonia, i Cecoslovacchi ricevettero di nuovo le loro decorazioni dalle mani del Re. Quale impressione abbia prodotto questo avvenimento sugli esu li cecoslovacchi risulta da questi loro "Due ricordi" che furono stampati anche a scopo d:i propaganda: "Sono stati dei momenti indimenticabili per i cento soldati cecoslovacchi. Passò allora per la nostra memoria la visione delle frequenti riviste militari nelle quali il soldato ceco, inquadrato diforza nelle file d'un esercito ostile, doveva udire solo parole di sprezza e di odio contro coloro che avevano compiuto il loro dovere verso la nazione. Ed ora, dopo un lungo periodo di sofferenze, eravamo lì, allineati, soldati d'un nostro esercito,fra camerati di una nazione che aveva compreso le nostre aspirazioni. E avveniva una cosa che mai ci saremmo aspettata: lo stesso Re della nazione che ci aveva accolti, orfani reietti e disprezzati, non sdegnava di parlarci e di dirci parole di conforto e di speranza in un prossimo migliore avvenire della Cecoslovacchia. Non dimenticheremo mai questo atto del Re d 'Italia; noi che non abbiamo certo imparato a sapere che cosa sia l'amore di un sovrano, non dimenticheremo mai neppure il suo Paese, la bella Italia. Sia benedetta la terra italiana. Evviva l'Italia e il suo Rei" Alla fine cli agosto il comando italiano ci fece sapere che avrebbe volentieri utilizzato gli esploratori nell'azione che si preparava sull 'Asolone, verso il Forti no Regina. Gli Austriaci erano penetrati in quel punto nelle trincee italiane durante l'offensiva del giugno e vi avevano occupato una postazione situata di fronte all'appostamento dei lanciabom-
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be austriaci. La posizione era tenuta da un reggimento misto ceco-tedesco di Znojmo e dava molto fastidio agli Italiani; bisognava perciò tentare di riprenderla , e per tale compito si potevano utilizzare solo gli esploratori. Fin dai primi giorni essi erano riusciti ad attaccar discorso col posto di guardia della posizione; erano tedeschi, a dire il vero, ma nella noia della guerra di trincea accolsero con gioia una piccola conversazione con degli "Italiani" che sapevano qualche cosa di tedesco per "aver lavorato prima della guerra in Westfalia"; e non sdegnarono neppure di scambiare aJcune pessime sigarette austriache con un'arancia e un limone , udendo gli "Italiani" lamentarsi che il tabacco mancava. E una bella mattina, dopo una breve preparazione di a1tiglieria, il Fortino Regina questo era il nome della postazione - passava in mano agli Italiani. A questa azione gli esploratori non poterono partecipare direttamente. Fu un vero peccato, perchÊ i successi della loro azione demolitrice, come pure la conoscenza delle trincee austriache, acquistata nelle numerose esplorazioni, avrebbero certo portato ad un risultato maggiore di quel che sarebbe stata la conquista della stretta striscia di teITeno del Fortino Regina. Lo scopo degli esploratori era inquietare le linee austriache colle quali si trovavano quasi a contatto di mano, perchÊ gli Italiani potessero consolidare in calma il teITeno riconquistato. Il 13 settembre in una esplorazione fu ferito il comandante della compagnia Nedved, sostituito dal Sottotenente Basi fino al 19 ottobre, giorno in cui Nedved tornò volontariamente dall'ospedale. Le perdite della compagnia furono in complesso minime: un morto, il Sergente Polacek, il cui cadavere era stato ritrovato da una pattuglia e seppellito nel cimitero di Val San Lorenzo cogli onori militari. Sul tumulo i compagni eressero un bel monumento in cemento armato. Dal 20 ottobre si stava preparando su tutto il fronte 1'offensiva finale, che nessuno allora credeva potesse provocare la fine della guerra. I cecoslovacchi collaborarono intensificando al massimo la loro prol?,aganda. Gli ufficiali Nedved, Tt1ma, Valasek, Burianek, Viklicky e Cernfk con 75 uomini partivano per l' Asolone, dove il Tenente Turna in servizio cli pattuglia venne leggermente ferito, per errore, da un carabiniere italiano, che aveva preso la pattuglia per un gruppo di disertori. Il 30 ottobre, quando la maggior parte della compagnia era nuovamente riunita a Cusinate, la lotta sul Grappa durava ancora accanita. Gli Austriaci avevano respinto sanguinosamente quattro attacchi degli Alpini
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e avevano coperto petfino con un violento fuoco d'artiglieria il settore italiano tentando un contrattacco, ma senza alcun successo. La battaglia imperversava da due giorni; al terzo la preparazione dell'artiglieria italiana incominciò alle 14 e un'ora dopo un nutrito tiro delle artiglierie austriache colpiva le linee italiane allo scopo di preparare un altro contrattacco. L'ultima offensiva italiana fu sanguinosissima in quel punto e il Monte Grappa doveva conservare anche in quell'occasione la sua tragica 1inomanza. Le perdite furono gravi da ambedue le parti, ma alla fine i ripetuti e accaniti attacchi degli Italiani riuscirono a sgominare il nemico. Il 31 ottobre la compagnia veniva richiamata dalla prima linea dove rimasero solo i gruppi di Valasek e Burianek. Il fronte austriaco aveva intanto ceduto e restò così soltanto a questi reparti il compito che tutta la compagnia avrebbe dovuto assolvere. Mantennero uno stretto contatto col nemico in ritirata, cercando di raccogliere dai feriti delle notizie preziose, di scoprire le singole linee di ritirata e di attaccarle. Così sulla Presolana, in unione con un Reparto cl' Assalto, catturarono tutta una retroguardia austriaca: e insieme al XVIII Reparto d'Assalto penetrarono, primi liberatori, a Fonzaso facendo 80 prigionieri. Presso Fonzaso le pattuglie cecoslovacche catturarono poi un tenente di nazionalità polacca e quattro soldati del genio che si preparavano a far saltare il ponte fra Fonzaso e Frassenè. L'inseguimento durò fino a Feltre, donde l' intera compagnia fu richiamata al Comando d'Armata. Il 4 novembre gli esploratori pernottarono a Fonzaso; la notte del 5 raggiungevano Cusinati , attraverso la devastata Val Cismon, la Valstagno e Bassano. Avevano perduto in tutto due uomini; il caporale Bend; e il soldato Frantisek Stehlik, sepolto in Val Calzino a Cason delle Mure, ad oriente del Grappa. rn questi giorni il Sottotenente Basi riassumeva il comando della compagnia. Con indescrivibile gioia a causa della vittoria, i legionari si prepararono a partire per Padova. Il l O novembre davano addio al loro grande amico e primo comandante del 39° Reggimento , il Colonnello Vigevano, e agli ufficiali italiani del Comando cl' Armata capitani Melo, Canevari, Fenari, Carnevale e altri, con cui avevano stretta profonda amicizia. Il giorno seguente lasciavano l'ospitale paesetto di Cusinati e, il 12 novembre, raggiungevano il loro reggimento a Cartura.
CAPITOLO DECIMO Allaga Armata ALTO PIAVE - MONTELLO (Gruppo esploratori del Sottotenente Ambroi)
f, esta di Montebelluna. A Paese cogli aviatori insieme al Generale Stefiinik. Festa presso Treviso. La tragedia del Montello: Conegliano, Alonte Guarda. Fatto d'arme di Nervesa. Festa a Ponte di Brenta. Impresa di Tolar. IL Generale Graziani dagli esploratori. Nell'offensiva di ottobre.
Il reparto dei volontari con cui fu formata più tardi la 9° compagnia partì da Padula il 3 di aprile. Assegnato alla 2a Armata, trasformata poi in 4'\ occupò il settore del Piave, di cui il punto più delicato era costituito dal Montello , alto 369 metri. Montello! Un angolo di terra plasmato dalla natura in modo originale, largo in tutto 4 chilometri e lungo tre ore di cammino, circondato dalla sconfinata, magnifica pianura italiana. Più in là, verso nord, incominciano i pendii dell 'enorme catena delle Alpi, dalle quali la natura pare abbia respinto il Montello, come non degno di loro. Sta solo, come una cosa maledetta, strano e triste nella pianura luminosa. E il Piave che gli scorre intorno lo colma senza requie di maledizioni. Monte11o ! Con quale ferocia ti sei vendicato di questo atto della natura! Per secoli e secoli hai atteso ardentemente il giorno della vendetta. Per secoli e secoli hai pensato, per tale vendetta, al dolore più straziante. E giunse la tua ora, il 15 giugno 1918. Giunse il giorno in cui, esempio purissimo dei più nobili ideali umani, alcuni soldati della libertà si alzarono sul tuo suolo contro il tiranno secolare: e 25 eroi hai portati al patibolo! Eppure ti avevano accolto con gioia sincera, non appena ti videro, e ti avevano difeso con entusiasmo, come la loro stessa terra natale. Ma non hai vinto; il tuo trionfo fu vano. L'ultimo sguardo dei morituri cecoslovacchi era fisso su di te, o Montello: era lo sguardo sorridente del vincitore. Il reparto constava cli 14 ufficiali: Tenente Adolf Prchlfk, comandante della compagnia, sottotenenti Emanuel Ambroz, Karel Tòman,
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Bohuslav Chudoba, V aclav Vendl, Zdenek Danes, Josef Kfepelka, aspiranti Teodor Novak, Miloslav Rachlfk, Josef Nimshaus, Jan Zeleny, Antonfn Vlk, Josef Becvaf, Josef Bartfk, e di 140 uomini, di cui 24 exallievi ufficiali nell'esercito austriaco, in maggior parte studenti, gli altri artigiani, operai e contadini. Anche per età era molto disparato: il più anziano era il quarantacinquenne Josef Jaros, sarto di Praga, e 17 soldati avevano più di 30 anni . Provenivano dalla Boemia, dalla Moravia e anche dalla Slesia. Erano partiti da Padula col Tenente Dinalli, addetto all'Ufficio Informazioni dell'8a Armata, e il 5 aprile si trovavano alloggiati a Noventa Padovana, nella viJla Gemma. Qui incominciò l'attività vera e propria della compagnia. Sotto la guida di ufficiali italiani si fecero esercitazioni nel lancio dei petardi e delle bombe a mano, nell'impiego delle maschere antigas, nel servizio di pattuglia, nel combattimento col pugnale, senza trascurare gli esercizi ginnastici collettivi dei Sokol e lo sport. La compagnia ebbe infatti, fin dai primi giorni, una squadra di Sokol, il cui allenamento ftt affidato al Sergente Maggiore Valter, allenatore del Sokol a Ceské Budejovice, e una squadra di calcio che contribuirono assai alla nostra propaganda perché vennero invitate a numerose feste militari, vincendo parecchie gare, i cui trofei si trovano oggi alla sede del Sokol di Praga. Vennero -altresì tenute varie conferenze e creato anche un corso d'italiano per i soldati, che, con grande meraviglia degli Italiani, si resero in breve padroni della lingua. Le collette per la causa nazionale venivano fatte regolarmente e il ricavato era inviato alla sezione di Roma del Consiglio Nazionale Cecoslovacco. La compagnia fu spesso ispezionata da ufficiali superiori italiani, tra cui, 1'8 aprile 1918, il Colonnello Dupont, capo dell'Ufficio Informazioni, il quale, per dimostrare la propria soddisfazione, offrì ai soldati 500 lire, da essi spedite al Consiglio Nazionale di Roma per il fondo feriti. Il 22 aprile fu passata in rivista dal Tenente Colonnello Ruspoli, capo dell'Ufficio Informazioni deJla Divisione, e il 23 dal Generale Pennella, comandante dell'8a Armata, che assistette ad alcuni esercizi ginnastici , chiusisi al canto degli inni dei Sokol. Il morale delle truppe era ottimo anche perché favorito dai buoni e amichevoli rappo1ti coll'esercito italiano e colla popolazione civile. Dopo aver partecipato ad una festa militare a Montebelluna, organizzata
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per i soldati al fronte, la compagnia venne divisa: una pa1te doveva raggiungere subito il fronte per il servizio di pattuglia, mentre il resto doveva trascorrere una settimana a Paese, ospitata da un reparto aviato1i. Nel frattempo il Sottotenente Emanuel Ambroz, che era stato ad Este coll'aspirante Antonfn Vlk e due sottufficiali al corso mitragliatrici Fiat e lanciabombe, tornava alla compagnia e ne assumeva il comando , perché i tenenti Adolf Prchlfk e J. KI-epelka erano stati chiamati al comando di Divisione a Foligno, sostituiti il 9 maggio dai sottotenenti Bohdan Kasper e Oldfiik Zeman . Il 14 maggio una pattuglia costituita dai sottotenenti Toman, Bartfk, Nimshaus, Zeleny, Rachlfk e da 50 uomini partì per Villorba, donde usciva ogni notte per compiere delle ricognizioni sugli isolotti del Piave, recando importanti notizie sulla dislocazione e sulle fortificazioni del nemico . La prima uscita fu fatta nella notte dal 19 al 20 maggio. Il suo esito infelice parve di malaugurio per tutta la compagnia. La patn1glia Bartfk e Nimshaus aveva attraversato a guado, di notte, alcuni bracci del Piave, raggiungendo l'isola Grande, donde si potevano osservare bene le trincee nemiche. Verso i] mattino tornò indietro e proprio dinanzi ai reticolati italiani accadde la disgrazia. La sentinella italiana, forse ignorando che la pattuglia era uscita, e credendo cli aver da fare col nemico, tirò un colpo cl' allanne lanciando contro i nostri una bomba a mano. Non si sa se da questa bomba o dalle granate dell 'a1tiglieria austriaca che si mise subito a sparare, furono feriti 4 dei nostri, e cioé il caporale Stroff, i soldati Novacek e Rouska e l'aspirante Bartfk che ebbe spezzata una gamba. Intanto l'altra metà della compagnia si trovava ospite degli aviatori a Paese, ripartita tra le diverse compagnie. Anche gli ufficiali erano suddivisi tra le squadriglie e assistevano ad interessantissime esercitazioni pratiche di aviazione. Dopo aver partecipato alla festa degli aviatori, cui era stato presente anche il Generale Milan R. Stefanik e in cui furono decorati al valore numerosi aviatori, le truppe tornavano a Paese donde il giorno seguente partivano per Villorba per dare il cambio ai reparti dislocati al fronte. Erano comandate dagli ufficiali Kasper, Oldfiich, Zeman, Chudoba, Novak e Vendi, e furono suddivisi in pattuglie fra Spresiano, Ponte Priula e Nervesa. Queste pattuglie uscivano cli notte per esplorare le isole e i ponti, recando notizie dettagliate e utilissime sulle posizioni e sulla forza del nemico.
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11 29 maggio le pattuglie ritornarono a Villorba, per recarsi quindi a Treviso allo scopo di assistere ad una festa militare. Intanto il 21 maggio era giunto a Noventa Padovana un rinforzo proveniente dal battaglione del Maggiore Giovanelli, comandato dal Tenente Antonfn Zeman, cogli ufficiali Karel Rozehnal, Josef Svec e Karel Kadrnozka, coi quali si riunì l'altra metà della compagnia, tornata da Paese, in modo da costituire un 'unica compagnia, sotto il comando del Tenente Antonin Zeman. Da questo momento diventò del tutto autonoma e indipendente, parte integrante dell 'esercito cecoslovacco in Italia. Alla festa di Treviso assistette un grande pubblico composto di reparti italiani della 3a e 8" Armata e di militari inglesi, americani e francesi. Essa si svolse sotto il patronato del Generale Pennella e segnò un notevole successo per i nostri e specialmente per i Sokol, usciti sul campo delle esercitazioni col berretto tradizionale, la penna di falco e la camicia rossa garibaldina e accolti con applausi da tutto il pubblico che gridava: ''Ecco i Garibaldini", "Evviva la Boemia". Faceva da sfondo tutta la compagnia in pieno armamento ed elmetto col leone ceco in campo rosso. La prontezza, l'agilità e la precisione dei ginnasti entusiasmò i presenti e per ordine del Generale Pennella tutti gli esercizi dovettero essere ripetuti per ben tre volte. Alla squadra venne assegnato il diploma di 1° premio di ginnastica. Per desiderio del Generale Pennella, cantò pure l' inno nazionale "Kde domov mitj", tra enorme entusiasmo, e dopo aver sfilato in modo perfetto dinanzi alla tribuna, lasciò il campo. Dovette però ritornare subito per cantare ancora alcune canzoni tradizionali conquistandosi così anche il primo premio in canto corale. Per tutto il resto del giorno i reparti furono fatti segno a continue attenzioni e dimostrazioni d 'amicizia da parte di tutti gli intervenuti, poi ripartirono per Villorba, al comando del Sottotenente Ambroz. Intanto alcune 12attuglie partivano per il fronte: due comandate da Zeleny, Rozehnal, Svec, Kadrnozka e da Nimshaus, e Rachlfk per Montebelluna e quella cli BecvaJ per Spresiano dove fu poi trasferita, prima dell'offensiva, la pattuglia di Zeleny che era stata fino allora a Montebelluna a compiere con le altre delle ricognizioni sotto il Montello e vicino al ponte di Vidor. La pattuglia di Nimshaus e Rachlfk stava subito dietro alla linea, sul Montello. Questa erà la dislocazione della compagnia quando fu raggiunta il 15 giugno dall'offensiva austriaca che ci recò molte delusioni e molte perdite.
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Alle tre del mattino era incominciato il fuoco tambureggiante dell'artiglieria austriaca su tutto il fronte dell'8a Armata italiana. Le pattuglie ricevettero l'ordine di ritirarsi ad Albaredo, per non essere esposte al primo urto. La mezza compagnia di Villorba e la pattuglia di Montebelluna tornarono alla loro sede, ma non quelle del Montello e di Spresiano. Cosa fosse loro successo lo si potè sapere solo più tardi. Tre giorni dopo la pattuglia di Spresiano tornava, intatta, ma di quella del Montello non giunsero che 5 soldati, oltre ai sottotenenti Nimshaus e Rachlfk. Gli altri 35 volontari erano scomparsi. Le due pattuglie, nel momento in cui iniziava il fuoco, erano uscite per compiere delle ricognizioni sul Piave. La pattuglia Zeleny e BecvaI- riuscì a tornare felicemente senza perdite a Spresiano, attraversando colle maschere la zona infestata dai gas asfissianti, e dopo avervi atteso la fine del bombardamento, raggiunse finalmente il 18 il resto della compagnia ad Albaredo. La pattuglia del Montello era stata anch'essa sorpresa dal bombardamento mentre i soldati erano in parte ancor fuori e in parte si svestivano e riposavano in due caverne. Erano 40 soldati oltre ai due ufficiali. I sottotenenti Nimshaus e Rachlfk alloggiavano al comando del battaglione cui erano aggregati. Fu così che il bombardamento li tagliò fuori completamente dai soldati. Protetti dal fuoco tambureggiante gli austriaci. gettarono rapidamente delle passerelle sul Piave e si lanciarono all'attacco del Montello le cui pendici offrivano loro un punto morto assai favorevole all'avanzata. Arrivarono così di sorpresa dinanzi alle caverne il cui presidio si trovava ad un tratto faccia a faccia cogli Austriaci, completamente colto di sorpresa. Otto soldati usciti di corsa per primi, tentarono un contrattacco. Ma, otto contro una moltitudine, la lotta non poteva che esser breve. Sopraffatti e disarmati, la stessa sorte toccò pure agli altri. Sulle stesse strade su cui avevano compiuto le loro ricognizioni come orgogliosi e temuti Cecoslovacchi, venivano ora sospinti come traditori dell'Austria. E non s'impietosiva di loro nemmeno una delle migliaia di granate che le artiglierie delle due parti vomitavano su quel maledetto lembo di terra. Eppure la provvidenza non volle che tanti innocenti fossero sacrificati sulla forca austriaca. Ad un tratto si sentì da lontano il cupo sibilo di una granata che scoppiava subito dopo sul posto dove passava il nostro gruppo.
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Tutti gli Austriaci si buttarono a terra, ma non i nostri: i caporali Friml e Nyzner e i soldati Drbal e Pacek, preferendo una morte onorevole, rischiararono tutto: si misero a fuggire verso le posizioni italiane riuscendo così a salvarsi. Due giorni dopo ritornava anche il solato Kovafik che era pure riuscito a fuggire. La sorte degli a]tri restò per un certo tempo oscura, per quanto tutti sapessero quale fine avrebbero avuto questi eroici soldati della libertà se fossero caduti prigionieri. Un po' di luce la recò il soldato Josef Cach che era stato fatto prigioniero cogli altri legionari e condotto a11e retrovie . Aveva potuto però strappare in tempo i distintivi di volontario e, facendosi passare per italiano, si era mescolato tra gli altri prigionieri che Javoravano sulla strada Vittorio-Sacile. Messosi d'accordo con un italiano, compì con lui il penoso viaggio attraverso il fronte. Dopo 5 giorni di fame, di sofferenze e di doloroso errare attraverso il territorio occupato dal nemico, essi arrivavano felicemente al Piave, che attraversarono a nuoto, mTivando finalmente ai posti avanzati italiani, donde Cach raggiunse il 12 agosto la compagnia. Raccontò quel po' che sapeva: come era caduto prigioniero, che con lui avevano lavorato, come prigionieri italiani, altri quattro esploratori che non erano mai stati riconosciuti. Degli altri non sapeva nulla. Dopo il 27 ottobre 1918 si ripresentarono alcuni che erano stati dati per dispersi, fra cui il soldato Frantisek Kastl, il quale , condannato dal tribunale militare, era stato condotto da una scorta verso l'interno, all'inizio dell'offensiva italiana, riuscendo però a fuggire alla stazione e, attraverso il fronte ormai infranto, a raggiungere il comando italiano. In simile modo si sono salvati ancora alcuni altri. Dopo il ritorno dei nostri in Cecoslovacchia, avvenuto ,Elel dicembre, si presentarono i soldati Antonfn Ptacek, Matej Vlcek, Cenek Masek e Rudolf Fait, i quali, fatti prigionieri, erano riusciti ad evadere e giungere in patria senza incidenti. Così dei 40, o meglio, dei 35 fatti prigionieri sul Montello, la sorte rimane oscura per 26. Sappiamo con sicurezza che 15 di essi furono giustiziati a Conegliano e altri 10 sul Monte Guarda. Del ventiseiesimo nulla si sa di preciso. Può darsi che sia stato ucciso in combattimento, può darsi anche che sia morto mentre lo conducevano prigioniero, o che si sia salvato.
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E così, per quanto ci siano noti i nomi di tutti i 26, non possiamo dire quali furono realmente giustiziati. Forse un giorno si potrà stabilirlo con precisione, se i documenti austriaci sull'esecuzione sono stati conservati. Ma è poco verosimile; anche per la ragione che qualcuno dei legionari può aver dato un nome diverso dal vero. Non ci resta quindi che citare il nome di tutti i 26 mancanti: con ciò contribuiremo forse a chiarire definitivamente la tragedia del Montello. Seguiamo quello che scrive della esecuzione, nei suoi verbali, il capitano Josef Vydra incaricato dal nostro comando in Ital ia, subito dopo la fine della guerra, di accertare tutte le circostanze riguardanti l'esecuzione dei legionari. Ecco ciò che riguarda quelli di Conegliano: "Quello stesso giorno, il 18 giugno.fu costituito il tribunale militare, presieduto da un maggiore ungherese di un battaglione di riserva. L'Avvocato fiscale propose La pena di morte, per quanto non fosse dimostrato chiaramente che tutti avevano combattuto con le armi alla mano. Come d~fensore parlò un giovane tenente ungherese che disse poche parole proponendo che solo una parte dei cecoslovacchi fosse giustiziata. La sentenza però condannò tutti alla pena di morte che doveva essere eseguita immediatamente. L'esecuzione avvenne sulla piazza d'armi vicino alle caserme. Dapprima era stato ordinato che tutti i condannati fossero impiccati e per eseguire la sentenza s'erano subito presentati volontariamente 34 soldati ungheresi. Poi invece venne deciso che fossero fucilati, a due a due. L'esecuzione incominciò esattamente alle 7 di sera, ora in cui uscì dalle caserme un reparto militare che conduceva i primi due condannati. IL luogo del supplizio era circondato da un cordone di soldati e di gendarmi. Furono ammessi solo i militari e gli ufficiali e qualche raro borghese. Ci è restata però la descrizione dell'esecuzione fatta da un cittadino italiano, un certo Giuseppe Belotto, che riuscì ad injìlarsi tra il pubblico. I cecoslovacchi camminavano a testa alta, tranquilli, sorridenti, sicuri di sé; avevano le mani legate dietro alla schiena con un fil di ferro ed erano condotti da circa 20 guardie con le baionette inastate. Costretti ad inginocchiarsi, jìirono sciolte loro le mani. Il sergente
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maggiore ungherese che comandava il plotone chiese loro in slovacco: "E per chi avete com.battuto? Per quale patria morite?" e i condannati gli indicarono orgogliosamente le loro mostrine biancorosse. Non si fecero bendare gli occhi. Il plotone di esecuzione contava di sei ungheresi, dietro ai quali stava una riserva di 12 altri. Questo reparto eseguì la condanna, senza essere sostituito, per tutti e 15 i condannati. I colpi erano tirati contro i cecoslovacchi a soli 50 centùnetri di distanza . Dopo la constatazione di morte da parte di un medico rnilitare i soldati ungheresi incaricati della sepoltura sollevarono i cadaveri per i piedi e per il collo e li gettarono con disprezw in una grande fossa che era stata preparata dinanzi alle stalle della caserma. A due a due vennero condotti i condannati al posto dell'esecuzione, e dovettero passare accanto ai compagni già morti e non ancora coperti. Tutti e 15 avevano risposto con orgoglio e con coraggio alle domande del sergente maggiore, dichiarando unanilni di morire per la libertà della loro patria. Non era presente nessun sacerdote. Molti spettatori piangevano di cmnm.ozione per l'eroico contegno dei legionari e per le .fiere ri!)poste date ai loro carnefici . Perfino alcuni ungheresi e tedeschi presenti all'esecuzione ammirarono il contegno virile dei cecoslovacchi. Gli ultimi quattro legionari fitrono caricati dopo l'esecuzione su un carretto e trasportati dinanzi alle caserme, sul viale Monticella. I loro cadaveri furono appesi colle cinghie dei pantaloni ai prim.i quattro grossi platani a destra della strada, a cominciare dall'estremo angolo est della caserma. Sul petto fitrono loro appese delle scritte in sei lingue: "Cecoslovacchi traditori della patria" . I cadaveri restarono appesi per più di 48 ore, triste spettacolo per quelli che passavano intorno. Al terw giorno il capitano ungherese, comandante del campo di concentramento dei prigionieri, diede l'ordine che fossero seppelliti . L'ordine fu eseguito da prigionieri italiani, i quali interrarono questi cadaveri profanati vicino a quelli dei compagni già sepolti " . Degli altri , giustiziati sul Monte Guarda, si hanno poi questi particolari: "Il 17 giugno 1918 giunse al comando della 13a Divisione un gruppo di prigionieri in divisa italiana e si fermò vicino ad una fattoria di campagna, chiamata dai tedeschi "Villa Eichhorn".
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Stava sulla strada fra Collalto e Susegana, tra le proprietà Cuca, Creta e Costa, sul Col Guarda. Il gruppo si fermò dinanzi alla casa, in cui era stata collocata la cucina del 113° Reggimento Artiglieria da Campagna e al primo piano gli alloggi degli i!fficiali e degli attendenti. Sotto una fitta pioggia i prigionierifurono messi infila nella vigna dinanzi alla casa;fra essi ne furono scelti 10, gli altri continuarono la strada per Susegana. I dieci prigionieri scelti, in uniforme italiana.furono fatti accostare al muro della casa; un ufficiale della 13a Brigata diede loro l'ordine di togliersi le scarpe, le giacche e i panciotti; i berrettifurono loro strappati dal capo e così, in calzani e camicia, dovettero mettersi a scavare, sotto la pioggia incessante, una fossa profonda circa mezzo metro, lunga due e larga circa due. Questo avvenne nel pomeriggio verso le 4. Erano legionari cecoslovacchi fatti prigionieri insieme ai soldati italiani e riconosciuti dal Tenente austriaco Luzzato del 15 ° Reggimento Dragoni, durante l'interrogatorio. Il Tenente Luzzato, che comandava la scorta dei prigionieri, colpì in faccia con un frustino uno dei prigionieri che aveva tentato di fuggire. Verso le 7 di sera i prigionieri jìnirono il lavoro e furono messi in fila dinanzi alla fossa . Intanto si erano venuti raccogliendo numerosi ufficiali e soldati, tra i quali alcuni ungheresi e tedeschi che insultarono i prigionieri, chiamandoli cani e traditori cechi. I prigionieri furono interrogati dal Tenente MUnste,~ il quale disse di loro: "Tutte vecchie conoscenze". Poi fu jòrmato un plotone di circa 10 soldati del 15° Reggimento Dragoni che fu disposto dinanzi ai legionari. Alle otto di sera giunse in automobile il Tenente Hotzendorf, figlio del famoso Capo di Stato Maggiore austriaco, Generale Konrad von Hotzendorf, il quale guardando con sprezw i legionari che aspettavano tranquillamente, tutti ragazzi forti e sani, diede l'ordine di sparare. Alla prima salva tutti caddero a terra, ma solo due erano morti; contro gli altri furono tirati fin cinque colpi, prima che esalassero l'ultimo respiro. I dieci cadaveri, sparsi intorno alla fossa, furono lasciati là fino al rn.attino, quando vennero finalmente interrati". Agli austriaci il numero eccezionale di legionari catturati aveva offerto una magnifica occasione per sfogare contro quegli inermi il loro odio e li avevano giustiziati e interrati in due luoghi diversi nella speranza che nessuno sarebbe riuscito a rintracciarli. Essi erano furenti per il fiero contegno dei nostri soldati, anche nei loro ultimi momenti:
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"Salutate la nostra patria indipendente", "Evviva la Boemia!", "Viva papà Masaryk !" erano state le loro ultime parole. Ma la popolazione italiana, che durante l'occupazione aveva provato sulla propria persona il feroce dominio degli austriaci, ricordò bene i luoghi in cui erano stati sepolti e così il numero di questi martiri potè essere stabilito con sicurezza. La libertà cecoslovacca nacque da gravi sofferenze e i suoi nemici furono spietati. Ricordate quelli che liberamente, volontariamente e con entusiasmo hanno sacrificato la loro vita.
Giustiziati a Conegliano 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) 1O) 11) 12) 13) 14) 15)
soldato Vac1av Bradna - 1887, Kfickov presso Novy Bydzov soldato Frantisek Busek - 1882, Vetmy Jenfkov, Humpolec soldato Josef Hruska - 1887, Sedlecko pressovSedlcany soldato Martin Krejcf - 1886, Vcelna. presso Ceské Budejovice soldato Vaclav Konrad - 1892, Diblikov presso Koufimi soldato Antonfn Kulhan - 1897, Minice presso Kralupy n/Vltavou soldato Josef Kust - 1890, Stani Pasecnice preJSO Domazlice soldato Josef Matejka - 1895, Lestina presso Caslav soldato Frantisek Mesfcek - 1896, Hysle presso Kyjov in M. soldato Frantisekv Mfsek - 1889, Sous presso Most soldato OldI-ic!1 Rehak - 1895, Topelna presso Uh. Hradiste soldato Josef St~rek - 1879, Jenfkov presso Hlinsko soldato Ludvfk Svancara - 1894, Svitavka presso Boskovice soldato Vaclav Tintera - 1899 , Vasela presso Litovel, Moravia soldato Frantisek Vojta - 1888, KuHm presso Tisnov, Moravia Giustiziati a Monte Guarda
1) 2) 3) 4) 5) 6)
soldato AntonfIJ Bocek - 1897, Rosi ce presso Chrast, Chrudim soldato Vacla Cuba - 1894, Vacov presso Klatovy soldato Josef Hojsak - 1897 , Rozdalovice presso Jicfn caporale Ludvfk Hruska - 1888, Brodec presso Benesov soldato Antonf n Kroha - 1897, Kotfkov presso Sfffbro soldato Antonfn Obofil - 1896, Novy Zamek presso Bucovice, Moravia
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soldato Ladislav Svatos - 1895, Kostelec n/Orlicf soldato Tomas Vrba - 1887, Biedermansdorf, Bassa Austria soldato Josef Zabloudil - 189~, Dud in presso Humyolec soldato Josef Zeman - 1888 , Ceska Rybn~presso Zamberg soldato Rudolf Vondracek - 1897, Yelka Cerma n/Orlicf
Nel frattempo la compagnia era stata invitata dal capo dell'Ufficio Informazioni Dupont a prender parte attiva all'azione sotto al Montello, ad occidente del ponte di Priula, presso il paese di Nervesa. La compagnia era in pieno assetto di guerra e di spirito e levato; i soldati, desiderosi di combattere, partirono in camion per Arcade che raggiunsero prima dell'alba. Nella semioscurità matnitina fu compiuto a piedi il tratto Arcade Nervesa. Il compito assegnato ai legionari era il seguente: la compagnia sarebbe avanzata, protetta da due autoblindate e da una compagnia mitraglieri, come seconda ondata dietro il XIII Reparto d'Assalto che si sarebbe lanciato all 'attacco, onde mescolarsi con le truppe nemiche e provocarvi il panico (in quel punto c'era infatti il 13° Reggimento moravo), infliggere delle perdite sensibi li all'avversario e fare dei prigionieri , inducendo soprattutto i cechi a disertare. L'idea era buona, ma difficile a mettersi in esecuzione; in compenso però si poteva finalmente prender parte ai combattimenti , cosa che tutti desideravano. Ma avvenne all ' ultimo minuto un cambiamento. Prima che incominciasse l'azione il Tenente Zeman e il Tenente Ambroz andarono a precisare alcuni eiettagli col comandante di settore, un generale di bligata, che però assegnò loro una tutt'altra missione: la compagnia doveva prendere d'assalto il punto più delicato di tutto il settore , perduto dagli italiani, e che gli austriaci tentavano di mantenere ad ogni costo creandovi rapidamente circa 20 postazioni di mitragliatrici. Era un terrapieno ferroviario tatticamente molto impo1tante. Tre assalti itali ani erano naufragati. Anche il battaglione d'assalto ita liano s 'era infranto contro questa salda posizione, nonostante il sostegno e la collaborazione delle altre armi. Come ultimo tentativo si pensò di far intervenire la compagnia cecoslovacca: erano poche decine di uomini armati di pugnale e di bombe a mano; questo piano costituì il riconoscimento più eloquente da parte del comando e dell'esercito italiano agli esploratori cecoslovacchi . Ma dopo che gli ufficiali cecoslovacch i ebbero studiato il terreno, l'impresa fu rinviata. Tuttavia la compagnia, che aveva avuto due ufficiali e tre soldati feriti , fu dislocata alJe falde del Montello, presso Selva.
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In quei giorni giunse al fronte il capitano delle legioni russe Seba, davanti al quale la compagnia doveva prestare giuramento. Ciò avvenne a Selva il 24 giugno. In tale occasione il rappresentante de] governo italiano, Tenente Colonnello Dupont, propose che fosse conferita la medaglia di bronzo al valore ai soldati che erano riusciti a tornare dalla prigionia austriaca. Durante il periodo in cui furono dislocati a Selva i legionari continuarono attivamente ad uscir di pattuglia sul Montello, fornendo notizie sulle truppe austriache, che soffrivano terribilmente perché il Piave le tagliava completamente fuori, dato che l'aviazione italiana, francese e inglese aveva distrutto tutti i ponti e le passerelle. L'ultima pattuglia sul Montello fu compiuta nella notte del 22 giugno, nella quale gli Austriaci abbandonarono quella posizione, lasciandovi una grande quantità di mate1iale e migliaia di morti. Il giorno seguente la collina offriva un quadro orrendo: i pendii erano letteralmente disseminati di cadaveri, spesso in gruppi di 20 e 30, e tutti in avanzato stato di decomposizione, perché l'occupazione del Montello era durata una settimana. Così finì la poco gloriosa offensiva austriaca, che, oltre all'insuccesso militare, portò anche l'insuccesso politico e, punto essenziale, aumentò la demoralizzazione delle trnppe: quelli che avevano potuto salvarsi dall'inferno del Montello raccontarono ai compagni che l'esercito italiano era abbondantemente provvisto di tutto , mentre loro morivano di fame. Gli stessi prigionieri riferirono che quell'offensiva era stata determinata dalla fame, dalla prospettiva di un'esistenza migliore al di là del Piave, dove c'era abbondanza di tutto. Durante questo periodo non veniva trascurata la propaganda tra i prigionieri che erano migliaia. Nei campi di concentramento gli ufficiali e i soldati della compagnia informavano i prigionieri cechi e slovacchj dell'esistenza delle legioni e distribuivano loro dei numeri della "Ceskoslovenskd Samostatnost" - "L'indipendenza cecoslovacca", giornale del Consiglio Nazionale dei Paesi Cecoslovacchi, pubblicato a Parigi in lingua ceca, ed altri opuscoli di propaganda. Il 25 giugno la compagnia fu divisa in due parti, di cui una, la stessa che era giunta alla fine di maggio, comandaJa dal Tenente Antonfn Zeman e cogli ufficiali Rozehnal, Kadrnoska e Svec, lasciò 1'8a Armata e fu assegnata alla 3a Armata che occupava il settore ad oriente dell' sa fino al mare . Comandante del resto della compagnia fu il Tenente Emanuel Ambroz.
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Nell 'offensiva del gi ugno la compagnia guadagnò le sue prima decorazioni, e cioè 6 medaglie di bronzo e 23 croci di guena, conferite per atti di valore. Ebbero la medaglia d i bronzo i caporali Friml e Nysner e i soldati Kovaiik , Pacek, Drbal e Cach che furono tutti promossi . Tutti e sei erano tornati dalla prigionia austriaca dopo il 15 giugno. Il due luglio la compagnia tornò ad Albaredo , sua vecchia sede , donde g li ufficiali Oldfiich Zeman, Danes, Chudoba e Vendi partirono il 4 luglio 19 18 per il comando della D ivisione cecoslovacca, essendo in soprannumero. Il 6 luglio fu commemorato l'anniversario della morte di Giovanni Hus, con una conferenza d 'occasione del comandante della compagnia. Da quel g iorno due pattuglie si alternarono sul fronte, sempre a due settimane di distanza, mentre il resto dell a compagnia si eserc itava ad Albaredo nel tiro , nel lancio di bombe a mano e nel servizio di esplorazione, senza però trascurare le esercitazioni ginnastiche dei Sokol. La YMCA aveva regalato alla compagnia de i palloni da calcio e degli attrezzi g innastici e organizzava spesso nella "Casa del Soldato" delle rappresentazioni teatrali e una volta la settimana degli spettacoli cinematografici , talvolta anche espressamente per la nostra compagnia, nel cortile della villa in cui era alloggiata. I soldati si dedicavano pure allo studio dell'italiano, alla lettura di g iornali e di notizie dai campi di battaglia, soprattutto sui reparti russi e francesi del nostro esercito all'estero, notizie che recavano sempre un grande conforto e rinsaldavano il proposito di condmTe fi no in fondo la rivoluzione . In quel tempo venne annunciato alla compagnia che le donne di Padova avevano preparato una bandiera che intendevano offrire alla compagni a . Ai preparativi della cerimo nia presero parte, oltre ai Cecoslovacchi, anche i reparti jugoslavo e rumeno, da poco tempo assegnati all'8 3 Armata . Il 28 luglio la compagn ia raggiunse Ponte di Brenta, dove ebbe inizio la cerimonia alla presenza di un pubb lico numeroso. Fra le autorità erano i rappresentanti degli stati dell' Intesa , insieme al comitato delle signore padovane con la contessa Papafava che consegnò alla compagnia una belJissima bandiera .in seta pesante, sulla quale era ricamato dalle due parti il leone ceco in argento; essa accompagnò il dono con calorose parole riaffermanti l 'am icizia del popolo italiano per il popolo cecoslovacco. li Sottotenente Vlk col caporale Pluhafi ricevette in consegna ]a bandiera, pronunciando in italiano alcune parole di com-
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mossa riconoscenza. Anche i reparti jugoslavo e rumeno ricevettero le loro insegne, ma più semplici , coi soli colori nazionali. I diversi reparti cantarono poi, l'uno dopo .l'altro, gli inni nazionali. Dopo un discorso del Tenente Colonnello Dupont, che sottolineò il significato della cerimonia, i nostri reparti sfilarono dinanzi ai rappresentanti dell'Intesa e tornarono poi alla villa Gemma a Noventa dove era stato preparato un banchetto. Il giorno seguente la compagnia tornò alla sua sede ad Albaredo, dove la raggiunse un nuovo invito, stavolta dei granatieri, di assistere alla festa di reggimento. Alla fine di agosto anche 1'8a Armata aveva urgente bisogno di informazioni sicure e ampie su.lle retrovie austriache. Il compito degli esploratori era molto difficile: essi dovevano attraversare il Piave, oltrepassare non visti le linee dei piccoli posti nemici, investigare sulle riserve nemiche nel settore Conegliano - Vittorio e tornare indietro per Rolle - Valdobbiadene. Oltre a queste notizie il comando di armata desiderava essere informato sullo scopo delle frequenti colonne di truppe austriache in direzione ovest, forse verso il Monte Grappa o verso Asiago, che venivano continuamente segnalate dagli aviatori. Bisognava infine rispondere ad un questionario di circa 40 punti riguardanti in gran parte il settore Valdobbiadene - Falzè di Piave. A compiere tale impresa si presentò volontariamente il sergente Alois Tolar. Purtroppo non ebbe successo. Forse anche gli incompleti preparativi dell'impresa influirono sul suo stato d'animo. Il sergente Tolar, dopo aver guadato il Piave, riuscì a passare inavvertito intorno al primo posto di guardia, ma urtò contro un altro, non previsto . Colle scarpe in mano, che si era tolto ancora sull'isola per non far rumore, non poteva naturalmente farsi passare per un soldato di collegamento tra i diversi piccoli posti (progetto su cui aveva edificato tutto il suo piano); e quindi, visto che la sentinella lo minacciava con una bomba a mano, decise di farsi passare per un ceco fedele all'Austria che fuggiva dall'Italia per tornare in patria. Si trovò poi impigliato in vari interrogatori, sempre sotto sorveglianza di una scorta, e fu preso nel ferreo ingranaggio degli avvenimenti, perdendo così speranza di tor-nare indietro. Continuò ad inoltrarsi sempre più addentro nelle retrovie, finché giunse al suo vecchio reggimento. Da allora, naturalmente, fu fuori pericolo. Al reggimento ebbe una licenza, nel
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corso della quale avvenne il crollo dell'Austria, sicché poté salvarsi facilmente. Nel settembre una pattuglia di 16 uomini coi sottotenenti Kasper e Vlk si offerse volontariamente per compiere un'azione al di là del fiume, a sud di Moriago: lo scopo era di catturare il posto avanzato austriaco insieme alla mitragliatrice che vi era collocata. I preparativi furono fatti con ogni cura, grazie a perlustrazioni compiute in precedenza sul posto specialmente dal Sottotenente Kasper e da un ufficiale italìano, che, restando nascosti per 24 ore sull'isola, dinanzi alle trincee austriache, erano riusciti a fotografare di giorno il terreno e anche il posto avanzato in questione, dal quale distavano appena 40 passi. All'ultima ora fu incaricata dell'azione una compagnia di arditi, che però non riuscì nel! 'impresa non avendo avuto sufficiente conoscenza del terreno e della posizione. Il 7 ottobre il Generale Andrea Graziani visitò la compagnia, conquistandosi di colpo la stima e la devozione di tutti i legionari col suo magnifico carattere e il simpatico modo di fare. A metà ottobre la compagnia fu rinforzata con 66 uomini, in maggioranza fatti prigionieri sul Montello, tra cui la nostra propaganda non era andata a vuoto. Il 23 ottobre fu dato l'annuncio di tenersi pronti per partecipare all'offensiva italiana. La mattina del 24 i nostri raggiunsero in camion il Montello, dove furono aggregati al II Reparto d'Assalto. L'ordine era di uscire col gruppo alle 10 di sera verso il Piave; però alle 7 fu annullato. La sera stessa la compagnia fu divisa in due parti , di cui quella comandata dal Sottotenente Kasper col Sottotenente Zeleny e 60 uomini fu assegnata al 7° Reggimento Bersaglieri che raggiunse nella tarda notte. L'offensiva incominciò però ne] settore solo il 26 sera coll'avanzata verso il Piave , sulla cui sponda i soldati furono salutati dal violento bombardamento italiano, cui gli austriaci rispondevano debolmente . Parte con i pontoni, parte a guado, passarono il fiume a sud di Fontigo, dove le truppe si disposero per 1'attacco che però incominciò dopo le 5 del mattino. Gli austriaci vi opposero una resistenza accanita e respinsero gli attaccanti. I legionari che si trovavano ancora sulla riva del Piave, vedendo oscillare la loro linea, si decisero rapidamente; buttandosi in avanti al grido di: "Avanti fratelli italiani, avanti per la vittoria, avanti per la Patria", trascinarono con se le file ondeggianti e alle 6 e mezzo oltrepassavano la prima trincea austriaca, iniziando subito l'avanzata
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verso Fontigo. Senza perder tempo coi prigionieri e colla raccolta del bottino - mitragliatrici, 3 cannoni, riflettori, ecc. - essi raggiunsero Fontigo insieme col XIII Reparto d'Assalto e dopo aver snidato il nemico confuso, si fermarono al limite nord del paese. L'umore era ottimo, il desiderio di combattere evidente e l'allegria si faceva sentire fin da lontano. I bravi arditi lodarono i nostri ragazzi e li colmarono di tutto, senza lesinare gli elogi. Questo sentimento clava calore ai nostri ragazzi, i quali però prima d'ogni altra cosa ricordavano quelli che nell'assalto avevano perduta la vita. Non era possibile, però, accertare le perdite sul posto. Subito dopo furono richiamati e diretti ad oriente, a destra, lungo il fronte, verso il comando di gruppo. Mentre paitivano, gli arditi tentarono di trattenerli: avrebbero voluto continuare l'avanzata con loro. I legionari vennero invece richiamati e diretti al comando di gruppo dove si incontrarono con l'altra metà dei loro compagni, comandati dal Tenente Ambroz, che fino a quel momento non erano intervenuti nel combattimento. Inviati nel settore dove l'offensiva incominciava a ristagnare, non raggiunsero però il luogo dove erano stati destinati, perché la prima linea venne nel frattempo ritirata, sicché occuparono la posizione di Falzè di Piave, nelle vecchie trincee austriache. Durante un contrattacco austriaco molto energico alcuni soldati furono feriti. Gli italiani si ritirarono perciò su un isolotto del Piave e una parte dei nostri li seguì. Ma disgraziatamente l'acqua salì nella notte immobilizzando il presidio. Poco dopo il contrattacco austriaco veniva respinto e tutta la linea italiana si mosse in avanti con forza .irresistibile, portando la libe11à alla popolazione delle terre occupate e abbattendo il demoralizzato esercito austriaco, di cui fu questa l'ultima offensiva, nella quale crollò interamente la potenza dell'insaziabile e rapace aquila bicipite. La nostra compagnia, uscita dall'isola, fu chiamata a Volpago, dove si iniziò la sua ricostituzione. Le nostre perdite furono 6 morti e 34 feriti, di cui 8 gravi. Caddero il sergente Rudolf Jelinek, i caporali Kare] Linhart, Vaclav Kolmistr, Karel Nemee, e i soldati Josef Hajek e Josef Prochazka, che furono tutti decorati colla medaglia d'argento al valore in memoria. Gli ufficiali Ambroz, Kasper, Nov,'ik, Zeleny e Vlk, e 12 sottufficiali e soldati ebbero la medaglia di bronzo e altri 63 la croce di guerra. La compagnia ritornò così dal fronte italiano con una bandiera d'onore , 6 medaglie d'argento , 23 cli bronzo e 117 croci di gue1rn. Il 15 novembre 1918 ricevette l'ordine cli passare a Vanzo presso San Pietro Viminario, per il concentramento del reggimento.
CAPITOLO UNDECIMO Alla 3a Armata BASSO PIAVE (Gruppi esploratori dei sottotenenti Grac, Smejkal e del Tenente Zeman)
P_,artenza da Padula il 27 marzo 1918. Propaganda al reggimento di Caslav nelle linee austriache. Assalto concordato. Attraversamento del Piave di Stinj. Plauso del Generale Graziani. Arrivo del reparto di Grac. Il battaglione del 33° Reggifl!ento cecoslovacco. Arrivo del reparto di Zeman. Ricognizione di Sarek via mare nelle retrovie austriache.
Alla 3a Armata si trovava il più vecchio reparto di esploratori: era stato organizzato nella metà del marzo 1918 ed era partito il 27 dello stesso mese, forte di 7 ufficiali e 150 uomini comandati dal Sottotenente Cyril Nosal, appunto per la 3a Armata il cui settore incominciava presso Spresiano e seguiva il Piave fino al mare. Furono questi i primi pionieri dell 'esercito cecoslovacco, provenienti quasi tutti dai campi di concentramento. Giunti alla 3a Armata furono accantonati a Cappella di Scorzè, dove si trovava anche il campo di quarantena dei prigionieri. Gli italiani fecero trovar loro una uniforme cecoslovacca speciale che comprendeva la giubba della cavalleria italiana colle mostrine e gli alamari bianco-rossi e sulle mostrine, invece delle stelle a cinque punte, il leone a due code. Molto originale era il copricapo, un berretto tondo di agnellino bianco con l'imperiale rosso. Dapp1ima il comando italiano li fece tener d'occhio da un artigliere che conosceva il ceco. Dopo essersi persuasi quanto fossero sinceri i propositi dei Cecoslovacchi, giunse da Mogliano lo stesso capo dell 'Ufficio Informazioni, Colonnello Smaniotto, il quale comunicò che avrebbe mandato pochi giorni dopo pa,te della compagnia sul Basso Piave, invitando tutti a riflettere bene prima di decidersi a partire per il fronte. Ufficiale di co]legamento (divenne poi comandante del reparto e del battaglione) fu nominato il capitano Mosè Kobilinskij, di cui si è già
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parlato, un russo, da molto tempo residente in Italia e libero docente di psichiatria all ' Università. di Genova. Da allora le visite incominciarono a susseguirsi: tra le altre quelle del Capitano Gasparotto , deputato di Milano, del ministro Bisso]ati e perfino del Presidente del Consiglio Orlando. I cecoslovacchi fecero su tutti ottima impressione, sicché furono presto mandati al fronte . Fu scelto il settore presso Cava Zucc~erina, dove doveva trovarsi il 2 1° Reggimento Fanteria austriaco di Caslav in Boemia. Ma i nostri vivevano in un comprensibile nervosismo, sapendo che il risultato della loro attività avrebbe influito moltissimo sull a sorte degli altri fratelli che chiedevano d'essere liberati dalla prigionia. La relazione del comandante della 3a Armata, il Duca d'Aosta, poteve essere sotto molti rapporti decisiva. Il Sottotenente Vaclav Etti, che partecipò alla prima azione, scrive in proposito: "Il settore assegnatoci era dietro Cava Zuccherina, in parte lungo il Canale Cavetta e in parte lungo il vecchio Piave. I posti avanzati austriaci stavano intorno alle rovine di Jesolo ; le due linee si avvicinavano alla confluenza del Canale Cavetta e del Piave, dove distavano appena 100 metri . Ci portammo fino a metà di questa distanza; dinnanzi a noi c'era il canale d'irrigazione, scavalcato da un pic_,colo ponte e difeso da reticolati. Mi misi a.:,gridare: "Nazdar~ voi di Ca.slavi" e domandai che c'era di nuovo a Caslav. Ma nessuno rispose . Allora incomincianuno a parlare della nostra azione all'estero. I soldati, dapprima diffidenti, uscirono poco dopo dalle trincee, e, celandosi dietro gli alberi, si avvicinarono al canale. Gettamo loro delle scatolette; ma temendo che fossero bombe, si nascosero . Riapparvero però ben presto e senza più nascondersi incominciarono a raccogliere le scatolette . Noi intanto allargammo il jìl di ferro sul ponticello . Vennero fin da noi; e quando il sergente Jef.ek fece loro vedere che aveva il leone di Boemia sull'elmo, dichiararono: "Adesso ti crediamo". La rimozione dei reticolati era d~fficile, perché ci mancavano le pinze. Facemmo molto rumore, ma tuttavia io e Jef.ek riuscimmo a passare dall'altra parte . Il comandante probabilmente dormiva . Vedemmo solo un vecchio "landsturm" con un gran barbone, che tutto spaventato ci disse: "Ragazzi, andate via, questo non si può fare! " .
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Alla nostra destra incominciarono a tirare contro di noi dei razzi. Eravamo solo in due, armati semplicemente di pugnale e di due bombe; ripassammo perciò i reticolati riunendoci agli altri che stavano più indietro" . Gli italianyu.rono molto soddisfatti del risultato, soprattutto quando quelli di Cdslav, come d'accordo , smisero di sparare, permettendo così agli italiani di rimettere in ordine le loro posizioni e i reticolati; il loro capitano imparò a gridare: "Nazd<ir, osi (Salute, ragazzi)"; si disegnò col gesso sull 'elmetto una specie di leoncino e cominciò a gettar scatolette dall'altra parte. La sera seguente ripartimmo verso la linea, ma stavolta la nostra propaganda ebbe un insuccesso inmpettato, perché nessuno dalle trincee nemiche si.fece vivo. Solo verso la mattina un disertore ci chiarì la faccenda . In linea c'era il signor "obrst" (corruzione di oberst, colonnello), di cui la sera precedente avevamo richiamato l'attenzione colla nostra propaganda. Gli ufficiali del posto avanzato dovevano darsi il cambio ogni giorno, sicché avevano difronte un nuovo posto di guardia con comandante tedesco. Alla nostra apparizione il comando austriaco inviò subito una pattuglia polacca comandata da un caporale per rafforzare e controllare i cechi. L'ironia della sorte volle però che appunto questa pattuglia si incontrasse con un nostro reparto, condotto dal Sottotenente Mervart, il quale parlò loro con tanto entusiasmo da in.durre il caporale a disertare, ciò che realmente.fece insieme ai suoi compagni . Decidemmo di lavorare intensamente contro questo settore; i risultati si preannunciavano ottimi. Tutta la prima compagnia aveva infatti deciso di arrendersi colle mitragliatrici e i lanciabombe leggeri in caso di un attacco. Questo doveva essere eseguito da noi insieme agli italiani, con un colonnello dello Stato Maggiore e alcun.i uf/friali della Brigata Torino . L'azione era talmente inconsueta che non ci si deve meravigliare se all'ultimo minuto si volle ancora controllare che tutto fosse stato preparato bene. Ma in tal modo passò l'ora convenuta e sull'ala destra incominciò uno scambio di fucilate. Il colonnello pensò che l'azione fosse stata scoperta e diede l'ordine di sospenderla. Un momento dopo giungeva di corsa il Sottotenente Mervart col capitano dei bersaglieri: conducevano i prigionieri, un caporale e 16 uomini. Impazienti, non avevano saputo attendere l'ordine dell'attacco e lo avevano compiuto per conto loro.
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Gli Austriaci aprirono il fuoco di sbarramento dell'artiglieria, senza recar perdite fra i nostri. Gli italiani furono soddisfatti dei risultati, non così i cecoslovacchi, perché l'ordine del giorno del Comando Supremo parlò solo del successo dei bersaglieri. Bisogna rifl.ettere però che in quel moniento l'esercito cecoslovacco non esisteva ancora ufficialmente. Gli austriaci erano furenti: appena qualcuno di noi alzava la voce, l'artiglieria o i lanciabombe investivano il rispettivo settore . Misero inoltre una taglia di parecchie migliaia di corone per ogni ufficiale catturato e alcune centinaia di corone per ogni soldato . Un certo capitano del 21 ° Reggimento fece Lui stesso alcune spedizioni per acchiappare qualcuno di noi. Noi avevamo però degli ottimi informatori: ogni battuta ci veniva segnalata in tempo e un concerto a base di versacci accoglieva il capitano dai posti dove meno se l'aspettava. I disertori giungevano ogni giorno, tanto che alla fine il reggimento dovette essere ritirato dal fronte. Più. tardi si venne a sapere che era scoppiata una piccola rivolta; il capitano era stato picchiato, e un ujjìciale ceco degradato. Nella prima metà di maggio l'Ufficio Informazioni dell'armata ci ordinò di accertare quali truppe ci fòssero dall'altra parte nel settore di Fassalta del Piave. Gli esploratori si 11Jisero al lavoro di buona i:oglia. Le pattuglie dei sottotenenti Nosdl e Smejkal e degli aspiranti Sdrek e Studiar furono dislocate su tutto il settore. L'aspirante Sdrek aveva accertato che dall'altra parte c'erano dei cechi ma l'ufficiale austriaco gli impediva di venire a contatto con loro, rLspondendo a colpi di fucile ad ogni suo tentativo . Finalmente il Sottotenente Nosdl riuscì a stabilire dei buoni rapporti col 56° Reggimento Polacco e precisamente col Tenente Stinny, il quale man(festò il desiderio di disertare coi suoi uomini, purchè venisse aiutato a passare il corso violento del Piave. Dapprima si tentò, per due notti di seguito, di adoperare una barca, ma sempre senza successo, perché non si riusciva a vincere la corrente del fiume. Alla fine fu accettato il progetto di impiegare un "cannoncino di salvataggio", detto anche "lanciasagole". È un piccolo cannoncino il quale lancia un proiettile che alzandosi apre delle ali che funzionano da ancora; al proiettile è attaccata una jitne. 1 polacchi dovevano legare la fune a un avanzo di pilastro ad alta tensione, in modo da formare un traghetto su cui doveva passare tutto V
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il reparto dì circa 60 uomini . Ma tre appena erano giunti sulla nostra riva quando la fune fit tagliata casualmente da un colpo di mitragliatrice del vicino posto di guardia, che era messo in allarme da un rumore sospetto. L'impresa minacciava di andare a monte, perché mancavano proiettili di riserva per il cannoncino. In questa penosa situazione non restava che un ultimo tentativo: passare a nuoto il Piave tirando seco la.fune . Il Tenente Italo Cortese si provò, ma le forze gli mancarono e venne tratto a riva sem.isvenu.to . l polacchi, intanto, si mostravano impazienti e ci coprivano di rimproveri. Si presentò allora un bersagliere, di nome Fin.otto, che si offrì di passare a nuoto il fiume, a condizione che si intervenisse presso il suo comandante e non venisse punito per essersi allontanato senza permesso dal settore vicino, avendo voluto andare a vedere che faccia avessero i cecoslovacchi. Chiedeva anche che gli ottenessimo una Licenza. Pur essendo stato marinaio e di robusta costituzione, il Fin.otto devette lottare assai per giungere collaji.me sulla riva opposta. Uscito dall'acqua si mise a gridare: "Signor lajtnant! (aveva chiesto prima come si dicesse tenente in tedesco). Dov'è il signor lajtnant!". Stinnysifece avanti. Fin.otto lo prese tra le braccia e gridò: "Tirate" . Era ora . Dalle posizioni nemìche si lanciò l'allarme. Il comandante del reggimento ispezionava di persona i posti avanzati e sentimmo il suo ordine: "Un disertore . Tirate!" . 1 polacchi si misero a tirare ma per.fortuna sopra le nostre teste. I fili telefonici erano stati tagliati, sicché egli non riuscì ad avvertire l'artiglieria e noi potemmo sfuggire al.fuoco di sbarramento. Sopra l'argine, accanto al comandante della compagnia, assisteva all'azione il capitano Gasparotto con un signore in borghese . Le notizie portate dal Tenente Stinny fecero sensazione. Il comandante del suo reggimento (il 56°) era stato compagno di corso del Capo di Stato Maggiore della Divisione; tutto quello che veniva a sapere da costui, lo raccontava in lungo e in largo alla mensa di reggimento, per vantarsi delle sue alte relazioni. Così Stinny ebbe conoscenza di tutto il piano dell'offensìva austriaca che si preparava, il raggruppamento e la utilizzazione delle.forze, il luogo e l'ora dell'attacco, le singole tappe e naturalmente anche il dislocamento dell'artiglieria ed altre cose importanti. Questo fu uno dei grandi successi ottenuti dall' attività di ricognizione dei cecoslovacchi e contribuì notevolmente alla vittoria nell'offensiva di
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giugno, tanto più che gli italiani si aspettavano solo un'azione dimostrativa sul Basso Piave. E giustamente, perché tale era il piano originale austriaco, secondo cui l'azione principale doveva essere condotta dalle Alpi , seguendo il piano e il sogno che il Maresciallo Conrad aveva perseguito durante tutta la sua vita. Solo più tardi Von Arz cambiò l'azione secondaria del Maresciallo Boroevic, e cioè )'attraversamento del Piave, in un'azione di eguale importanza come quella di Conrad. Nell'anniversario della dichiarazione di guen-a, il 24 maggio 1918, il deputato Gasparotto celebrò pubblicamente quest'impresa durante una festa a Mogliano, in presenza del Duca d'Aosta. Che il contegno coraggioso degli esploratori servisse di ottima propaganda anche tra gli altri legionari all'interno dell'Italia, risulta dal seguente ordine del giorno del "Corpo Cecoslovacco in Italia", n° 20 in data 29 maggio 1918: Oggetto - Bel contegno dei reparti e.\ploratori. Dallo Stelvio al mare i nostri reparti esploratori hanno destato la più sincera ammirazione dei compagni italiani per il coraggio sereno e l'abilità con cui compiono il delicato servizio. Tra i tanti episodi di valore voglio ricordare uno che tutti li riassume: sulla fronte della 3a Armata italiana truppe magiare, in trincea, tentarono di beffeggiare i nostri esploratori mettendone in dubbio il coraggio. A tale provocazione gli esploratori di un intero reparto--sal.!arono in piedi sul parapetto della trincea e rimasero fermi, sempre in piedi, sfidando per alcuni minuti, a braccia conserte, il tiro dei nemici appiattati nelle contrapposte trincee a poche decine di metri di distanza. Il nemico allibì; contemporaneamente si alzò dalle trincee italiane un grido entusiastico che segnava ammirazione per i valorosi fratelli delle terre di Boemia e di Slovacchia. Ammiriarrw ed imitiamo quei compagni che primi ebbero l'onore di affermare a viso alto il coraggio della nostra razza difronte all'odiato nemico. Il Maggiore Generale Comandante il Corpo Cecoslovacco in Italia f.o Graziani
Alla fine di maggio giunse come rinforzo un nuovo reparto di circa I 00 uomini comandati dal Sottotenente Josef Grac, a cui fu lasciata completa indipendenza.
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Ma in vista dell'azione da svolgere prima dell'offensiva il comando della 3" Armata chiese al Comando Supremo un altro battaglione di cecoslovacchi. Fu destinato il I battaglione del 33° Reggimento con ordine datato già dal 28 maggio. Benché questo non avesse potuto completare la sua istruzione al reggimento, perché solo un mese prima, il 21 aprile, era stata firmata la convenzione con cui si permetteva la costituzione del1' esercito cecoslovacco, e benché avesse l'armamento incompleto, incominciò subito con ardore il servizio di ricognizione assegnatogli; servizio particolarmente gravoso perché questo battaglione non era stato scelto per questo scopo, tanto che molti soldati non rispondevano alle esigenze del servizio perché anziani, padri di famiglia o feriti precedentemente al servizio dell'Austria, ecc. L'offensiva austriaca del giugno raggiunse, il primo giorno, una parte del battaglione nelle trincee, mentre faceva servizio di ricognizione, ciò che costrinse il comando italiano ad impiegarlo nelle azioni di contrattacco de] 17 e 19. Malgrado l'impreparazione di cui s'è detto, esso si fece onore in tutti questi combattimenti accaniti: ne fanno fede i suoi 14 giustiziati, 21 caduti e 124 feriti (tra gli ufficiali vi furono 1 morto e 5 feriti). Il comando italiano apprezzò questo concorso dei cecoslovacchi e non solo il comandante della Brigata Bisagno (Generale Barbieri) e il Comandante del XXIII Corpo d'Armata (Generale Petitti di Roreto) espressero il loro plauso negli ordini del giorno, ma perfino il Comando Supremo pubblicò questo elogio nel bollettino di guerra del 20 giugno 1918: "Reparti Czeco-Slovacchi hanno dato valorosamente il primo tributo dì sangue al trionfo dei generosi principi di libertà e d'indipendenza per i quali combattono al nostro fianco''.
Resterrano per sempre vanto dei cecoslovacchi le parole entusiastiche del ministro Leonida Bissolati , il quale si espresse in questo modo sul contegno dei cecoslovacchi in questo combattimento: "Li ho visti vicino a San Donà, dove, col canto sulle Labbra, si sono battuti come leoni e col loro contegno incitavano i nostri soldati". Benito Mussolinì, in un entusiastico articolo, "Boemia", scriveva fra l'altro, a proposìto di questo combattimento, che "i Cechi sono forse i migliori soldati del mondo ... ". Dopo il fallimento dell'offensiva austriaca di giugno arrivò la com-
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pagnia del Tenente Zeman, che stava prima all'8a Armata; era quella stessa che aveva avuto 25 giustiziati sul Montello. Così, per un certo 3 tempo, e cioè fino al 25 settembre, vi furono alla 3 Armata 3 reparti cecoslovacchi. Quel giorno furono costituite due compagnie, e cioè la 10a col Tenente Antonfn Zeman e l' I 1a col Sottotenente Josef Grac, nella quale fu compreso anche il reparto di Smejkal, che insieme alla 9a compagnia clell'8a Armata formarono il II battaglione del 39° Reggimento, comandato dal capitano Kobylinskij. La 10a e l' 11" compagnia avevano un settore comune, e l'attività delle loro pattuglie si intrecciava e completava, fondendosi in una. La 10a compagnia lavorò così in due settori, e cioè dal 25 maggio 1918 per tutto un mese, all'8 3 Armata, partecipando alle ricognizioni sul Piave, ai combattimenti sul Montello e all'offensiva del giugno, e dal 25 giugno alla 3a Armata, dove condivise i successi delle altre due compagnie (fuse poi nell' 11 3 ) e riunite infine ne] battaglione comandato dal capitano Kobylinskij. I buoni risultati e i successi ottenuti dagli esploratori riscossero l'approvazione anche delle più alte autorità e il Re d'Italia decorò personalmente molti valorosi cecoslovacchi con croci di guerra e medaglie di bronzo al valore militare. Ancora un'altra impresa gloriosa fu portata a termine sul Basso Piave e precisamente Ja vricognizione effettuata in territorio austriaco dal Sottotenente Rudolf Sarek. Per desiderio dello stesso comandante in capo dell'esercito italiano, Diaz, un cecoslovacco travestito da austriaco doveva essere mandato al di là del fronte, insieme ad un ufficiale italiano, per preparare il terreno nell'imminenza dell'offensiva italiana: si trattava di conoscere la forza e la dislocazione degli austriaci, soprattutto delle riserve , il sistema e la disposizione delle linee difensive, dell'artiglieria, dei depositi di munizioni. Bisognava anche organizzare la popolazione civile e possibilmente i cechi stessi dell'esercito austriaco, perché, appena l'offensiva italiana fosse incominciata, tagliassero le comunicazioni telefoniche, distruggessero gli ostacoli posti sulle strade, demoralizzassero gli austriaci ed eventualmente li assalissero. I due dovevano inoltre far saltare in aria ponti, depositi, hangar, interrompere le comunicazioni, inviando notizie per mezzo di colombi viaggiatori che avrebbero portato con loro. Stavolta l'impresa fu preparata in modo perfetto: bombe, rivoltelle, pugnale, uniformi e vestiti borghesi, piccioni viaggiatori, mostrine
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austriache d'ogni specie con relative stellette di grado, timbri di diversi reggimenti, fogli di viaggio, orologi, bussole, una piccola farmacia, carta topografica e perfino il veleno nell'anello. Punto di partenza era Venezia. Per tre notti la partenza fu ritardata dalla luna che, neanche a farlo apposta, faceva chiaro come un riflettore . Finalmente il cielo si rannuvolò . In un battello a motore, lungo circa otto metri, saliJ"ono 15 persone, tra cui i due esploratori: il cecoslovacco Sottotenente Sarek e il Tenente italiano Bruno. Il battello si mise in moto e ben presto si yovò in alto mare. Il freddo penetrava fin nelle ossa. II Sottotenente Sarek andò a scaldarsi nella sala delle macchine e si addormentò. Ad un tratto fu svegliato dal Tenente Bruno, che glì annunciò che erano mTivati. Toltisi le scarpe uscirono in coperta. Il battello era quasi fermo e un riflettore austriaco lo illuminò in pieno per un istante. Venne calata una piccola imbarcazione su cui salirono i due esploratori con un marinaio. Una stretta di mano a quelli che restavano e il marinaio si mise a remare nel buio. Presto però fecero una brutta scoperta: l 'imbarcazione faceva acqua . La riva era ancora lontana e il battello già scomparso. "Il marinaio continua a remare con forza. Sostiamo a un banco di sabbia , togliamo l'acqua dal guscio di noce, ci azzardiamo ancor più. verso terraferma. Scendiamo ambedue nell'acqua che per fortuna ci giunge poco più su delle ginocchia, e ci affrettiamo verso la riva . Silenzio ovunque, non c'è anima viva . Avanziamo alla cieca per cinque minuti, poi ci fermiamo e ci rimettiamo le scarpe . Eravamo giunti felicemente a circa 15 chilometri dietro il fronte austriaco. Ci orientiamo con la bussola in cerca di una casetta che ci era stata segnalata. Dopo una ventina di minuti, arriviamo davanti a una baracca. Bussiamo; "Chi è?". Una nostra parola . La porta si apre. "Siam.o i tali e abbiamo bisogno di ricovero jì.no a dornan.i" . "Va bene". I primi passi erano riusciti. Avute alcune informazioni che ci interessavano, ci coricammo su un m.ucchio di.fieno . la mattina seguente Bruno incontrò un pescatore che gli parlò di un tenente ceco dal quale avrebbe potuto apprendere delle notizie preziose. Gli scrissi una lettera invitandolo ad associarsi agli 4"orzi di tutti i patrioti cechi e di acco-
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gliere ogni richiesta fatta dal latore della lettera, che doveva poi essere Bruno. Dopo esserci messi d'accordo per un nuovo incontro ci separammo . Riempite le tasche di manifestini, mi misi in cammino . Entrai in una osteria, dove presi un po' di cibo, prestando orecchio ai discorsi dei soldati; non appresi nulla di nuovo; solo lamentele e morale bassissimo. Me ne andai lasciando un pacco di manifestini in un angolo. Strada facendo lasciavo cadere altri manifestini in cui si invitavano i cecoslovacchi ad arrendersi nella prossima offensiva e a non combattere contro i propri fratelli . Incontrandomi nuovamente col Tenente Bruno ci distribuimmo i nostri nuovi compiti: egli avrebbe cercato di far propaganda fra La popolazione civile, mentre io sarei anelato dai parroco cli Caorle con una lettera per attingere notizie. Appena giunto al limite del paese, entrai in un'osteria, dove c'era una mensa d'ufficiali. Un tenente suonava il pianoforte . Non credetti consigliabile fermarmi per non destare sospetti anche perché il paese era pieno di "grenzjager" 24 • Me ne andai dunque alla parrocchia. Il parroco manteneva buoni rapporti cogli ufficiali austriaci che ospitava frequentemente . Era una vera miniera di notizie e le mise tutte per iscritto. Con queste informazioni preziose mi diressi al nostro nascondiglio. Il mio compagno tornò La sera tardi, anch'egli con delle notizie eccellenti. Portava una risposta alla mia lettera. Non era però del tenente a cui m'ero indirizzato, ma del suo successore, anch 'esso patriota pieno d'entusiasmo. Ci mettemmo a ricopiare tutto in una scrittura minutissima, assicurammo il foglio alla zampa di un piccione viaggiatore e Lo lasciammo andare, seguito poco dopo da un altro . IL giorno seguente, di buon mattino, ripartimmo. Stavolta volevamo andar più lontano; io almeno a Portogruaro. Vicino alla Salute avrei trovato delle bombe. Per via incontrai un veicolo militare e vi salii; parlai coi soldati di una batteria antiarea e intanto osservavo il movimento delle truppe suLla strada. A Portogruaro andai al ristorante dove i militari parlavano già della imminente offensiva italiana. Presso la stazione incontrai un tenente anziano che mi chiamò. Ebbi un colpo al cuore; ma non era il caso di spaventarsi: mi chiese solo se andavo in licenza perché tut.te le licenze erano sospese. E continuò la sua strada .
2 •
Truppe di confine, reparti scelti austriaci, dì etnia tedesca.
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Camminai per alcune ore; f aceva buio ed ero ancora lontano dal mio punto di partenza e lontano anche da Portogruaro che distava dal nostro nascondiglio circa 20 chilometri. Passai la notte in una casa di contadini e all'alba del giorno seguente partii per la Salute. Fui accolto dapprima con d~ffidenza e solo più tardi mi irifòrmarono sulla situazione generale . li mio collaboratore non era ancora venuto, però c'erano già stati altri esploratori conie noi. Il giorno dopo Bruno non era ancora comparso . Non volevo perder tempo: girai per ore e ore nei dintormi per prepararmi con ogni precisione all'azione decisiva. A qualche ora di strada trovai un campo di aviazione. Per quanto vi girassi atto,·no per molto tempo non riuscii a trovare la minima occasione propizia per eseguire il mio progetto . E nessuna traccia di Bruno. Volevo raggi uniere a tutti i costi il giorno dopo la ferrovia e farla saltare in aria . Quella sera andai a donnire assai inquieto nella soffttta . Nella notte, ad un tratto, ecco che qualcuno mi sveglia, tenendo una lampada in mano : -Bruno! - Aveva girato in tutti i paesi vicini e dappertutto aveva fatto buona propaganda fra i suoi compatrioti. All'alba mi misi in cammino, colla bomba, il pugnale e la rivoltella. Camminai sull'argineftno a Torre di Mosto. Entrai nel paese: c'era una folla di gente e di soldati . Domandai cosafosse successo; tutti correvano verso la piazza: - " Hanno acchiappato due spie" . Alla larga! Tornai verso l'argine e di là raggiunsi la ferrovia. Non c'era anirna viva; solo dei giunchi altissimi e paludi tutt'intorno. Mi misi a r(flettere sul da farsi. Aspettare fino al giorno in cui sarebbe scoppiata l'offensiva italiana? In quel momento l'interruzione della ferrovia poteva dare massimi risultati . Ma quando la 3a Armata avrebbe in.cominciato la sua azione? Trovare intanto nei dintorni un nascondiglio? E restarvi ftno al giorno atteso? Mi nascosi p rima di tutto nei giunchi e, la sera, mi misi alla ricerca di un tetto e di un nascondiglio. Camminai per quasi un'ora smarrendo la strada, passando a guado le paludi, ma senza trovare nulla. E intanto i/freddo mi f aceva tremare, e delle vampe mi salivano al capo : avevo la febbre . La cosa si complicava; non potevo restar lì, bisognava tornare indietro alla Salute. Camminai a stento e soltanto verso l'una di notte raggiunsi Torre di Mosto. Ma mentre mi avvicinavo alle prime case, sentii un rombo di cannone che però cessò presto . Un'ora dopo il rombo riprese più intenso : l'offensiva era incominciata .
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A fatica e solo verso mattina mi trascinai fino alla Salute. Domandai subito del mio compagno e del nostro ospite: il primo era a San Giorgio di Livenza e il Tenente Bruno Dio solo sa dove. Tagliavano, pare, i.fili del telefono, stendevano reticolati attraverso le strade, distruggevano i ponti sui canali e sui corsi d'acqua . Verso le 8 comparve il nostro ospite: era cli ottimo umore perché le cose andavano male per gli austriaci e avrebbero già cominciato a ritirarsi nelle montagne. Il su.o entusiamo fu interrotto dalla moglie che ci recò la notizia che gli austriaci potevano venire da un momento ali' altro a requisire il bestiame . Mi costrinsero ad allontanarmi e a nascondermi nella palude, in mezzo ai giunchi: era proprio quello che ci voleva per la mia malaria. Decisi di ripartire per Portogruaro dopo aver mandato a dire al Tenente Bruno che ci saremmo trovati a Caorle . Camminai per un'ora circa e tutt' ad un tratto sentii un forte scoppio in direzione di Caorle, seguito da altri sempre più frequenti: facevano saltare i depositi di ,nunizioni. Al mattino requisivano ancora, nel pomeriggio si ritiravano. Sulla strada maestra il movimento era intenso; la ritirata avveniva con ordine assoluto. Dovevano essere dunque le riserve, mentre la prima linea era lasciata al suo destino . All'alba giungo insieme agli Austriaci a Portogruaro, dove scrissi le mie notizie che spedii con l'ultimo piccione. Ed ora che fare? Seguire quelli che si ritiravano? E.fin dove? Ma a che cosa sarebbe valso tutto questo, se non avevo altri piccioni? E poi, come avrei fatto a tornare in Italia? Decisi di aspettare la venuta degli Italiani . La sera tardi entrai nella casa più vicina e chiesi che mi lasciassero dormire, dissi apertamente chi ero e pregai che mi svegliassero appena fossero giunti gli italiani. Al mattino fui molto sorpreso di non veder traccia dell'esercito italiano. Mi misi subito in cammino verso il.fronte; per strada incontravo piccoli gruppi di soldati austriaci che fuggivano . Facevano parte quasi tutti del 130° e del 15° Reggimento Fanteria. Approfittai subito di questa occasione per convincere alcuni soldati a tornare con me e darsi prigionieri. Giunsi così al fiwne Livenza . Sulla riva opposta c'erano dei bersaglieri che appena ci videro si prepararono a .\parare; ai miei gridi e segnali col jazz.aletto ci vennero a prendere in quattro con una barca . Raggiunta la riva, sentii a un tratto qualcuno che gridava: "È un ardito austriaco, ammazzatelo; ha il nostro pugnale".
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Stavolta ebbi paura davvero. Una volta di più mi persuasi che il ritorno verso i nostri è più pericoloso di ogni altro. Chiesi di essere condotto dal comandante. Il maggiore naturalmente non voleva credere a quanto gli raccontavo; non c'era da meravigliarsi. Decise tuttavia di inviarmi a Caorle con una scorta di due uomini. A Caorle l'incontro con il Tenente Bruno fu commovente, indescrivibile la nostra gioia per il successo ottenuto. Partimmo, dopo esserci ristorati, per il comando della 3a Armata: il viaggio non fu facile perché le strade erano piene di soldati, di carri, di artiglieria. Il giorno dopo raggiungemmo il Piave, dove dovemmo aspettare alcune ore prima che giungesse il nostro turno per passare con un traghetto di pontoni. Verso rnezzagiorno potei raggiungere l'armata e poi la mia compagnia". Intanto appariva chiaro a tutti che l'offensiva dell'ottobre 1918 era l'ultima battaglia italiana nella guerra mondiale contro l'AustriaUngheria. Da principio gli Austriaci si erano difesi accanitamente sul Basso Piave e ancora il 30 ottobre distruggevano con l' artiglieria tutti i ponti italiani. Nella notte, verso le 10 venne il turno anche per i Cecoslovacchi che furono trasbordati con barche. In quel momento gli Austriaci avevano già iniziata la ritirata, coprendola principalmente con le mitragliatrici, tutte piazzate molto bene. La ritirata avvenne con tale rapidità, che a fatica poterono essere raggiunti. Solo in taluni elementi della retroguardia gli inseguitori trovarono qualche resistenza, che però non durò molto in nessun punto. Le pattuglie cecoslovacche non furono lasciate per molto tempo in prima linea; tuttavia alcune pattuglie raggiunsero Latisana. Il 10 novembre giunsero i primi ordini per il concentramento a Mogliano, donde partirono per raggiungere il Corpo cecoslovacco.
CONCLUSIONI La terribile guerra mondiale ha legato il popolo cecoslovacco al popolo italiano in un comune ideale, nell'amore più grande, quello della patria. I due popoli furono uniti coi Jegami più puri in questa lotta di vita e di morte. Su quasi tutti i terribili campi di battaglia italiani una goccia di sangue cecoslovacco è caduta nel fiume di sangue italiano. E tutti quei luoghi che sentirono sussurrare le preghiere dei volontari cechi, che li videro sognare la ]oro patria lontana, echeggiano ancor oggi del loro immenso amore, e i luoghi che furono testimoni del loro martirio comunicano il proprio dolore ai visitatori cecoslovacchi e ai visitatori italiani. Nella storia del libero stato cecoslovacco l'amore mostrato dal popolo italiano è scritto a lettere d'oro. E non v'è volontario delle legioni d'Italia che non ricordi con la massima commozione i suoi fedeli fratelli italiani, fratelli nelle armi e nella vittoria.
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Generale Andrea Graziani, comandante della 6" Divisione cecoslovacca.
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Legionari volontari cechi in Italia: il Comitato fondatore del corpo volontari CS d'Italia a Padula (SA).
Piazzale principale nel campo prigionieri a Padula.
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Il Generale Andrea Graziani si intrattiene con ufficiali ed "esploratori" cechi sul fronte della 4" Armata.
I Volontari cecoslovacchi del 39° reggimento firmano il giuramento. Essendo stati distaccati presso varie armate italiane non avevano potuto prestare giuramento con gli altri a Perugia, Foligno, Assisi, ecc., come soldati della nascente Repubblica.
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I legionari cechi della compagnia esploratori "Astico" fraternizzano coi soldati italiani. 3" Armata.
Aviorimessa a Cirè, vicino a Trento, incendiata da due esploratori volontari cechi, travestiti in unifonne austriaca e passati dietro le linee nemiche. Erano: Caporale Vàclav Vopàlensky e soldato semplice Ruclolf Petr.
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Prigionieri austriaci catturati dagli arditi cecoslovacchi .
I legionari cecoslovacchi ciel 34° reggimento a Roma, davanti al Campidoglio dopo il giuramento sull'Altare della Patria.
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Legionari cechi in trincea sul Piave.
Sua MaestĂ il Re d'Italia accompagnato dal Generale Diaz e dal Generale Andrea Graziani, comandante della divisione cecoslovacca, passa in rivista i legionari cechi a Orgiano.
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Jl caporale Luigi Storch, martire cecoslovacco, così recita la targa della via dedicata a Riva sul Garda all'eroico legionario ceco.
Celebre e dolorosa fu la sorte della pattuglia di 4 uomini che attraversò il Lago di Garda con una barca per giungere a Riva ed operare una missione delicata e segreta dietro le linee nemiche. Il gruppo, composto da Storch, Smarda, Jerabek e Tobek, venne però intercettato dagli Austriaci. Uno di loro fu ucciso, un secondo riuscì a fuggire, Storch e Smarda furono catturati. Storch venne impiccato il 5 luglio 1918 nella località Grotta di Riva.
FOTOGRAFIE E RIPRODUZIONI DJ VOLANTINI
Esploratori cechi catturati nella battaglia del Piave e giustiziati.
Legionari cechi con lanciabombe Stokes in Trentino.
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Legionari cechi sul Piave.
FOTOGRAFIE E RIPRODUZIONI Df VOLANTINI
Una sosta sul campo di battaglia. agosto 19 18.
Legionari cecoslovacchi alle "Olimpiadi alleate" a Roma.
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Re Vittorio Emanuele lll, col Duca D'Aosta, a Padova alla rivista del corpo d'armata cecoslovacco in Italia (6a e 7a Divisione).
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La consegna della bandiera alla Legione cecoslovacca a Roma. L'aITivo cli alcune autorità 24 maggio 1918.
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La consegna della bandiera alla Legione cecoslovacca a Roma il 24 maggio 1918. li discorso del colonnello cecoslovacco 'Milan R. Stefanik in uniforme francese .
1,
La consegna della bandiera alla Legione cecoslovacca a Roma. Il discorso del Presidente del Consiglio V.E. Orlando (24 maggio 1918).
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IL 39° REGGIMENTO ESPLORATORI CECOSLOVACCO
Consegna della bandiera alla Legione cecoslovacca a Roma (24 maggio 1918).
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Dettagli sul caricamento del mulo.
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FOTOGRAFIE E RIPRODUZIONI DI VOLANTINI
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' Dettagli sul caricamento del mulo.
Esploratori cecoslovacchi.
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Il tenente Colonnello Seba, addetto militare cecoslovacco a Roma nel dopoguena.
FOTOGRAFIE E RIPRODUZIONI DI VOLANTINI
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Sentinelle cecoslovacche sul ponte del Danubio a Bratislava, confine tra la Slovacchia e l'Ungheria 1919.
11 Generale Piccione ed il Ministro plenipotenziario per la Slovacchia, dottor Schrobar (1919). Si possono notare i nuovi distintivi di grado al beJTetto.
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IL 39° REGGIMENTO ESPLORATORI CECOSLOVACCO
La festa dei Cecoslovacchi della 7a Armata. Il Generale Piccione decora gli esplorato,i dopo la battaglia sulla Cima Cady al Passo del Tonale.
Il Duca cl' Aosta, comandante della 3a Armata, con i cecoslovacchi decorati dopo la battaglia del Piave (giugno 1918).
FOTOGRAFIE E RIPRODUZIONI DI VOLANTINI
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Sottotenente Venceslao Smejkal , comandante di un gruppo esploratori della 3" Annata (1919) .
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Sottotenente Emico Felix, comandante cli un gruppo esploratori della 6° Armata ( I9 19) .
POTOGRAFlE E RIPRODUZION I DI VOLANTINI
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Caporale Venceslao Vàpàlensky, autore di una riuscita infi ltrazione fino a Trento (22 - 27 settembre I 9 I 8).
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I Congiurati di Carzano. Prima fila: 1enente Francesco Tirsa, Capitano (italiano) Germano, Caporale Linclevis Pivko, Sottotenente Luigi Sedlcckj, Tenente Stone Vidmar. Seconda fila: Sottotenente Carlo Pajgr, Sottotenente Giuseppe Kohonlek, Sottotenente Carlo Mosse, Sottotenente (italiano) Tripalo-Franchi, Sottotenente Wilos Zelenj.
Esploratori cecoslovacchi giustiziati a Conegliano.
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Legionario cecoslovacco giustiziato sul cui cadavere è stata messa una tavoletta con su scritto in più lingue "traditore della patria".
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li caporale Luigi Storch giustiziato a Riva sul Garda il 5 luglio I 918. La forca venne eretta in modo eia essere visibile dalle linee cecoslovacche.
Tuui i sudditi dell'Imperia[ Regio Governo che vengono catturati con le armi in pugno contro l'Austria-Ungheria devono scontare il loro "tradùnento" con. una punizione esemplare e immediata. Così come l'irredentismo italiano, anche quello cecoslovacco ebbe i suoi martiri.
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Dopo il giuramento i cecoslovacchi della 7" Armata, cantano il loro inno nazionale "Dov'è la Patria mia".
Legione cecoslovacca . Reparto in trincea.
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Sottotenente Wojtech Hanzal, comandante del gruppo esploratori della 7" Armata, autore del libro (1919).
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Tenente Francesco Hlavà cek in uniforme italiana.
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Sottotenente Jaroslav Nedved, comandante del gruppo della 4" Armata.
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Maggiore Renzo Giovanelli, inizialmente comandante poi ispettore degli esploratori.
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La lettura della sentenza di morte a Giuseppe Soboska a Breguzzo (26 luglio 1918).
La squadra cecoslovacca di calcio di Padula. Anche lo sport, assai diffuso tra i cechi, fu un buon mezzo cli propaganda.
FOTOGRAFIE E RIPRODUZIONI DI VOLANTINI
Colonnello Tullio Marchetti, capo del servizio informazioni.
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Re Vittorio Emanuele TTI ed il Generale Diaz ispezionano un reparto cecoslovacco.
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La divisa sperimentale degli esploratori della 3" Armata progettata dal comando italiano. li gruppo degli ufficiali da sinistra: Capitano Rolzbinokij, Sottotenente Mosàl, Smejkal, Colonnello (italiano) Smaniotto, Sottotenente Sàrek, dottor Hlavàcek, Sottotenente Ruzicka.
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Colonnello Egidio Macaluso, comandante del 39° reggimento esploratori prima del loro rientro in Patria.
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Colonnello Attil io Vigevano, comandante reggimento esploratori, contemporaneamente capo ufficio informazioni della 4" Annata, giĂ addetto all'ufficio storico dello Stato Maggiore.
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La bandiera del 39° Reggimento Esploratori.
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Cimitero di guerra cecoslovacco a Marcesina-Asiago.
Legione cecoslovacca. Reparto volontari che insegue il nemico dopo Vittorio Veneto. Una bandiera bianca posta ai lati della strada dagli austriaci in fuga.
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6" Divisione cecoslovacca. Reparto sal merie in movimento verso il fronte.
6a Divisione cecoslovacca. Reparti ciclisti in sosta in un paese distrutto nel Veneto.
FOTOGRAFIE E RIPRODUZIONI DI VOLANTINI
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6" Divisione cecoslovacca. Reparto mitraglieri in trincea a mezza costa con sacchetti a terra. Mitragliatrice Schwarzlose.
6" Divisione cecoslovacca. Reparto in prima linea.
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6a Div.isione cecoslovacca. Truppe in movimento nelle retrovie e carriaggi.
Le valorose truppe cecoslovacche, che hanno respinto il furioso attacco nemico a Dosso Alto, fra Adige e Sarca, marciano con la bandiera in testa.
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Achìlle Busuito, Capitano dell'Esercito italiano in servizio presso la 6" Divisione cecoslovacca (1918-19).
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·. CESKOSWVSNSKA
8.AM.osTATNOST L'INDEPENDANCE T CHECOSLOV.4Q UE
Organ polltlcké emlgrace :-: Organe des émigréa polltlques
,..,
L'Indipendenza cecoslovacca, giornale degli emigrar.i politici stampato a Parigi ( 1918).
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Fratelli Czechi e Slovacchi ! ·I tedeschi vi hanno strappati alle vostrè famiglie, vi baMo. messa In· dosso l'uniforme dell'oppressore, ed ora vi conducono al macello I Non vi banrio mal considerati come loro prossimo, neppure come simili a loro : voi eravate per loro animali senza ragio,ne, senza volontà, che vanno dove Il spinge la frusta del padrone. _Hanno SCÒperti:, ora che anche voi avete un cervello e che anche voi siete capaci di sfidare e di sopportare, come:, Individui e come popolo, i pericoli pila gravi e le sofferenze pila atroci. S'accorsero che voi non intendète plil di morire a loro capriccio, ma che anche voi volete cbe la vostra volontà e la volontà del vostri figli sia . rispettata. Si accorgono ora che domandate la Ubertà per voi e. per la vostra. nazione, Ed ora si spaventano1 consci della propria Impotenza a vincere il sentimeiito popolare che progredisce con forza indo111abile e corrode le. ~I deDa monarclùa maledetta. Invocarono perciò I' ah1to dell' Impero. E daU' Impero Infatti fu mandato contro di voi, e sta ora arrlvàndo, D fmfoeo ~ e pruulano Hollmann, che a Brest Lltowsk domb i bolscevichi q"81Hlo tentarono di rittrarsi •di fronte ali' enotme tradlmemo che . stavanò compleiido vel'SO la propria patria, · RIIISCirà anche questa volta la sua impresa contro gli czechi ? Riuscirà egll a speitarf la resistenza indomita 'del soldato cteco ? Port6rà egli la salvezza all' Austria e I' asservimento plil duro ai nostri figli per J secoli venturi?
No! i.a sua opera di 1>ola che è potuta riuscire dove regnavano Il tradl.meuto e la vellalili andrà a vuoto, àVendo egli di fronte uomini che IOIIO animati dal santo ardore di patrf8' dall'amore deUa Ungua ~ e del _popolo che soffre. · Noi e voi conosciamo tutti JI nostro dòvere : per la .patria cara le vite ed i be,sd, ma per r Aastrla ~cla é per I' Absbarjo -~ ileppure '1ffla sola gocda di sangue pila! . I nostri avi non ebbero mai paura del tedeschi del~ Impero e neppure ora un generale prussiano riuscirà a spezzare la nostra fiera volontà I Addio I In Italia, 5 giugno 1918 N.12(~)
I vostri fratelll della 6 Dlviafone CzecQSlOV8"& In Jta11a
Testo di un volantino redatto dal la Conunissione Centrale di Propaganda da tradurre e da lanciare nelle linee nemiche nei tratti di fronte in cui è stata segnalata la presenza cli rnilitari cechi.
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Volantino austriaco che minaccia ritorsioni lanciato nelle linee italiane.
FONTI E BIBLIOGRAFIA FONTI Archivio del reggimento (delle brigate, della divisione e del corpo d' armata) Diarii , memorie e documenti diversi, soprattutto dei comandanti dei reparti esploratori Materiale diverso , ottenuto con richieste presso gli uffici e i legionari Carte topografiche italiane (soprattutto quel1e degli uffici informazion i) e austriache Piani , schizzi e panorami dei campi di battaglia Fotografie del reggimento e private (i n parte della raccolta del Museo della Rivoluzione) Giornali esteri cecoslovacchi del 1918 (V Br~j! , Ceskoslovenskd Samostatnost), giornali ital iani, rivi ste , opuscoli , periodici cecoslovacchi V
BIBLIOGRAFIA Bednarfk Frantisek, V boj, Praga 1927 Bednarfk Frantjsek, Rota Astico, Praga 1923 Benes Eduard dr. , Svetovd vdlka a nase revoluce, Praga 1927 .H lavacek Frantisek, Lisi legionqfiské historie (Néirodni Myflenka, dicembre 1923) Hlavacck Frantisek, Z historie italskych legii (Narodnf Listy, 1., 2 ... 4 luglio e 5 novembre 1922) Kretsf Jindhch, Vznik a vyvoj Legie v l talii , Praga 1928 Kibal Vlastimil , ltalské referendum o es . State z r. 1917 (Nase revoluc e, anno III) Masarik T.G ., S vetova revoluce, Praga 1930 Paulova Mii. dr. , LÌ Kongres potlacenych ndrodnostf RakouskaUherska v Rme r., 191 8 Pivko Ljudevit dr., Carzano, Praga 1924 Pivko Ljudevit dr. , Bok po boku , 1927
es.
V
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Obeti. Pamdtce ceskoslovenskfch legiondr. .. v Italii, popravenfch Rakousko - Uherskem (Alla memoria dei legionari cecoslovacchi in Italia, giustiziati dall'Austria-Ungheria), Praga 1922 Alberti Adriano, L'azione militare italiana nella guerra mondiale, Roma 1924 BoJlettini cleJla Guerra, Milano 1923 Boj-Macario Gianni, Giugno 1918, Milano 1934 Boj-Macario Gianni, Kuk - 611 - Vodice - Montesanto, Milano 1933 Caviglia Enrico, Maresciallo d'Italia, La Battaglia della Bainsizza , Milano 1930 Capello Luigi, Generale, Note di guerra , Milano 1920 Finzi Pettorelli Lalatta Cesare, IL sogno di Carzano , Bologna 1926 Finzi Pettorelli Lalatta Cesare, "/.T.O .. .. Note di un capo del servizio iriformazioni d'Armata", Milano l 931 Gasparotto Giuseppe, Diario di un.fante, Milano 1925 Giovanelli Renzo, Dov'è la Patria mia, Ravenna 1928 Ghivarello Riccardo dr.,/ legionari cecoslovacchi alla fronte italiana, Roma 1924 Gotti Porcinari Giulio Cesare, Coi legionari cecoslovacchi al fronte italiano ed in Slovacchia, Roma 1933 La battaglia del Piave, Regio Esercito Italiano, Roma 1920 Marchetti Tullio, Un episodio di guerra nautica nel Trentino, Trento 1928 Sistem.azione d(fensiva nemica dell'Altopiano della Bainsizza da vallone di Avscek al torrente Rohot. (Comando 2a Armata) Servizio informazioni. Riservatissimo. Bollettino n. 1934 Valori Aldo, La guerra italo austriaca 1915-1918, Bologna 1920 Arminius , Feldherrnkopfe 1914-1918, Li.psia 1932 Cramon, Unser Osterreich-Ungarischer Bundesgenosse Weltkriege, Berlino 1920
im.
Marchetti Tullio, Ventotto anni nel Servizio lnfòrmazioni Militari, Trento 1960. Pichlik Karel, Klìpa Bohumir, Zablouditovà Jitka, / Legionari Cecoslovacchi ( 1914-1920) , Trento 1997.
INDICE Presentazione.............................................................................
5
Introduzione...............................................................................
9
Parte prima Il difficile percorso verso la costituzione di un esercito cecoslovacco ĂŹn Italia. L'attivitĂ svolta dai Cecoslovacchi dei reparti esploratori............................................................................
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CAPITOLO PRIMO Origini ed evoluzione degli esploratori. Le diserzioni cli ufficiali cecoslovacchi nelle file italiane con notizie e piani. Vaclav Pan alla 2" Armata. Jaromfr Vondracek alla 3" Armata. Franti~ek Hlavacek a Cividale, a Udine, al Comando Supremo, Bibbiena e Polla. Collaborazione nella battaglia della 2" Armata, maggio e giugno 1917. Hlavacek ali 'Ufficio Informazioni della 2a Armata per i preparativi della Xl offensiva. Collaborazione con l'Ufficio Stampa del Consiglio Nazionale. Nell ' agosto 1917 nuovamente al fronte . Nomina a direttore del Consiglio Nazionale dei Paesi Cecoslovacchi a Roma. Il Comando Supremo incarica Hlavacek di un viaggio al fronte nel dicembre 1917. Carzano: il Dottor Pivko, il Capitano Finzi, il Generale Zincone. "Reparto ceco-slovacco-jugoslavo", Hlavacek dagli esploratori. Il Generale Diaz e il Generale Piccione. Alla 43, 3a e 2" Armata. II dottor Benes e la richiesta del comando militare italiano di formare dei reparti cli esplorazione. La campagna della stampa milanese. I deputati e senatori lombardi per l' indipendenza cecoslovacca e la concessione dell'esercito. li "Fascio della difesa nazionale" per la causa ceca. Hlavacek alla 1a Armata. Memorandum del Colonnello Marchetti..............................................................
51
CAPITOLO SECONDO Stefanik a Roma. I primi reparti esplorato[i partono dai campi di concentramento con il consenso di Stefanik nel marzoV
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aprile. Rafforzamento degli esploratori per mezzo del battaglione Giovanelli. 11 dottor Benes sugli esploratori. Le compagnie d i esploratori alle singole armate. Costituzione del "Reggimento Esploratori" il 25 settembre 1918. La missione degli esploratori. Demoralizzazione del nemico. Informazioni per gli italiani, pattuglie, incitamento ai disertori austriaci. Il Tenente Stinny. Il Capitano di Stato Maggiore Smetanka. Inseguimento del nemico. Concentramento presso Padova.... ........................... .............
79
CAPITOLO TERZO Telegramma della città di Perugia. ~ettera del Generale Graziani. Telegramma del Generale Stefanik. Accoglienza del comandante delJa XII Brigata. Completamento del reggimento: compagnie mitraglieri e lanciafiamme. Comandante Colon nel lo Maca]uso, 21 dicembre 1918. Lettera della città di Perugia. Musica del reggimento da Avezzano; reparti genio, plotone di "arditi". Passaggio del comando dei battaglioni agli ufficiali cecoslovacchi 1'8 dicembre. La festa di Padova..................................................
95
Parte seconda Sul fronte italiano. Fratellanza d'armi e di vittoria....................
101
CAPITOLO QUARTO Il gruppo dei 450. , Da Padula il 10 aprile per Verona. Festa al "Teatro Filarmonico". Ripartizione al fronte. ....... ....................... ....... .
103
CAPITOLO QUINTO AlJa 7" Armata. Dalla frontiera Svizzera al Lago di Garda. Il gruppo di esploratori del Sottotenente Hanzal. A Cady. Passo del T(male. Combattimento in Val dei Concei. Esecuzione di Sobotka. La diserzione del Capitano di Stato Maggiore austriaco Smetankov. La visita del dottor Benes....................................
111
INDICE
287
CAPITOLO SESTO Alla F Armata. Dal Lago di Garda ali ' Adige. Tobek e Storch portano notizie sull'offensiva di gi ugno. Tentativo degli esploratori attraverso il Lago di Garda. Il Capitano Vydra sulla esecuzione di Storch. Cima Tre Pezzi. San Marco. (Gruppo esploratori "Avio" del Tenente Vycftal).
139
CAPITOLO SETTIMO All a 1a Annata. Dalla Vallarsa fino alla Val d' Assa. Gruppo di esploratori "Astico" del Sottotenente Prejda. Attacco al Monte Corno. Sorpresa di Pedescala. Missione di informatori a Trento . Attacco notturno alla Cima Tre Pezzi. Il Re d'Italia decora gli esploratori .. .... ...... ............... ..
155
CAPITOLO OTTAVO Alla 6a Armata. Altopiano di Asiago. (Gruppi esploratori del Tenente .Jirsa, del Sottotenente Felix e del Sottotenente Klfmek). Il reparto di Pivko. Missione militare serba. Reparto speciale ceco-jugoslavo. Pattuglia presso Stoccareddo. Repmto speciale cecoslovacco. Attacco in Val Bella. Messaggio per la Jugoslavia.
181
CAPITOLO NONO Alla 4a Armata. Tra il Brenta e il Piave. Il Monte Grappa. (Gruppo esploratori del Sottotenente Nedved) " Servizio straniero". Pattuglia coll'altruista Tmej. Chiarimento della posizione giuridica dei Cecoslovacchi. L'offensiva cli giugno. Propaganda al I O e 28° Reggimento. Azione gu idata dal Sottotenente disertore Kyhos. Sorpresa al Fortino Regina. L' inseguimento del nemico sconfitto. .......
195
CAPITOLO DECIMO Alla 8a Armata. Alto Piave-Montello.
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(Gruppo esploratori del Sottotenente Ambroz). Festa di ~ontebelluna. A Paese cogli aviatori insieme al Generale Stefanik. Festa presso Treviso. La tragedia del Montello: Conegliano, Monte Guarda. Fatto d'arme cli Nervesa. Festa a Ponte di Brenta. Impresa di Tolar. l1 Generale Graziani dagli esploratori. Nell'offensiva di ottobre..... .... ... .... .... .... ........... ... .....................................................
207
CAPITOLO UNDECIMO Alla 3" Armata Basso Piave. (Gruppi esploratori dei sottotenenti Grac, Smejkal e del Tenente Zeman) . Partenza d.§l Padula il 27 marzo 19 18. Propaganda al reggimento cli Caslav nelle linee austriache. Assalto concordato. Attraversamento del Piave cli Stiny. Plauso del Generale Graziani . Arrivo del reparto di Gnk. Il battaglione ciel 33° Reggimento cec9slovacco. Arrivo del reparto di Zeman. Ricognizione di Sarek via mare nelle retrovie austriache .......
223
CONCLUSIONI.......... ... .... ... .... .... .... .... ..... ........... ............... ... ..
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FOTOGRAFIE E RIPRODUZIONI DI VOLANTINI....... ...
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FONTI E BIBLI OGRAFIA... .... .... ........................ ... .... ........... .
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Piero Crociani, nato a Roma nel 1938, laureato in Giurisprudenza, è cultore di Storia Militare nell'Università La Sapienza di Roma. È autore di opere dedicate alla storia e alle uniformi degli eserciti preunitari italiani e delle truppe coloniali, tra cui "L'Esercito Pontifi.cio da Castelfidardo a Porta Pia", "La fanteria di Murat", "La cavalleria di linea di Murat", "Il Regno di Sardegna nelle guerre napoleoniche e le legioni anglo-italiane ( 1799-1815)", "Storia militare del Regno Murattiano (1800-1815)" , "Le uniformi coloniali libiche", ''Guida al Fondo Brigantaggio", "Gli albanesi nelle Forze Armate Italiane (1939-1943)" nonché, insieme a Giancarlo Boeri e Massimo Fiorentino, di tre volumi sull'Esercito Borbonico dal 1789 al 1998 per conto dell'Ufficio Storico dello SME, del quale è collaboratore di lunghissima data. È coautore, sempre per conto dell'Ufficio Storico dello SME, delle opere "Bella Italia militar", "La guerra delle Alpi", "Storia militare dell'Italia Giacobina", "Storia Militare del Regno Italico (18021814)", "Le Due Sicilie nelle guerre napoleoniche (1800-1815 )". Suoi contributi sono apparsi su "Studi storico-militari", "Rivista Militare", "Rivista Marittima", "Il Carabiniere", "Polizia Moderna" , "Rivista di Storia Militare " , oltre a quelli comparsi su altri periodici italiani e stranieri.
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