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Il ruolo di alcune figure retoriche nei principi di associazione e progressione dello Shinkokinwakashū
GIUSEPPE GIORDANO
Il ruolo di alcune figure retoriche nei principi di associazione e progressione dello Shinkokinwakashū
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In un famoso studio sui principi di associazione e progressione che regolano le sequenze poetiche giapponesi tra il decimo ed il quattordicesimo secolo, Konishi Jin’ichi sostiene che ciò che maggiormente influenzò le scelte dei compilatori dello Shinkokinwakashū 新古今和歌集 (d’ora in poi semplicemente Shinkokinshū), sia stata la ricerca di uno sviluppo cronologico della narrazione. I primi sei libri dell’antologia, dedicati alle stagioni, sono stati molto studiati e vengono spesso indicati come il culmine del principio di associazione e progressione raggiunto dalla poesia giapponese classica. In realtà, questo aspetto era già stato in parte teorizzato da Fujiwara no Shunzei (1114-1204), che nel suo Koraifūteishō 古来風躰抄 aveva sottolineato l’importanza di rispettare, nelle sequenze poetiche, l’ordine di apparizione di fiori, piante e animali sullo scenario naturale, in modo da ricreare con naturalezza il ciclico alternarsi delle stagioni.1 A questo principio si affianca quello di uno sviluppo spaziale, in base al quale, soprattutto nelle sezioni dedicate al viaggio, è possibile tracciare percorsi ideali seguiti da un altrettanto ideale narratore. Alla dimensione spazio-temporale, poi, va ad aggiungersi quella psicologica, per cui, nei libri riservati all’amore, vengono raccontate, seppure con tutti i limiti delle convenzioni letterarie dell’epoca, storie di uomini e donne che affidano ai versi i moti del proprio cuore.
Konishi, infine, arriva a notare come nello Shinkokinshū sia possibile rintracciare anche una sezione che si potrebbe definire storico-enciclopedica. Nel decimo libro, infatti, le poesie sono sistemate in gruppi che rappresentano, in sequenza cronologica, i quattro grandi periodi della poesia classica, dall’ottavo al dodicesimo secolo, identificabili con altrettante raccolte: il Man’yōshū 万葉集, il Kokinwakashū 古今 和歌集, il Gosenwakashū 後撰和歌集 e il Senzaiwakashū 千載和歌集.
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I punti individuati da Konishi sarebbero già più che sufficienti per poter apprezzare lo Shinkokinshū non come una semplice raccolta di poesie, ma come un’opera
1 Fujiwara no Shunzei, Koraifūteishō, in Takahashi Fumio, Ariyoshi Tamotsu, Fujihira Haruo (a cura di), Karonshū, Shōgakukan, Tokyo 1975, pp. 371-373. 2 Konishi Jin’ichi, “Association and Progression: Principles of Integration in Anthologies and Sequences of Japanese Court Poetry, A.D. 900-1350”, Harvard Journal of Asiatic Studies, XXI, 1958, pp. 67-127.
coerente da leggere con fluidità dall’inizio alla fine. In effetti, l’antologia presenta una struttura che si potrebbe definire sinfonica. In ciascuna sezione, o ‘movimento’, ogni lirica contribuisce, con richiami, riverberi e contrappunti, allo sviluppo del tema principale. Sicché una fruizione ordinata del testo restituisce un’armonia di ampio respiro, scandita dalla presenza di alcuni artifici retorici.
Dell’importante ruolo svolto dalla ‘variazione allusiva’, o honkadori 本歌取り, nella narrativizzazione del corpo antologico si è già detto altrove.3 Qui ci si concentrerà su altri due artifici retorici, taigendome 体言止めe utamakura 歌枕, che, a ben vedere, assolvono alla stessa funzione delle legature in uno spartito musicale.
Taigendome
Quella del taigendome, vale a dire il terminare un verso con un sostantivo, è una tecnica che, seppur rintracciabile in epoche anteriori, divenne molto diffusa durante il cosiddetto shinkokin-jidai, il periodo dello Shinkokinshū. 4 In modo particolare, ciò che caratterizza i componimenti contenuti in questa antologia, è il goku taigendome 五句体言止め, un sostantivo posto a chiusura del quinto verso. Va precisato che nello Shinkokinshū i sostantivi giocano un ruolo di gran lunga più importante rispetto a quello svolto, ad esempio, nel Kokinshū. 5 I verbi occupano un posto marginale, sia per numero sia per salienza semantica; ma l’asciugare l’azione dal testo non implica, come verrebbe da pensare, un inaridimento del tessuto letterario, anzi lo carica di spessore grazie alla valenza altamente connotativa assunta dai nomi in questo contesto e dal ruolo imagista della descrizione. Il tutto esaltato da una sintassi incompleta e frammentata. E così il testo capita spesso si riduca ad un quadro muto dove la voce umana è assente e dove il fruscio del vento lo si può intuire solo dal movimento delle foglie o dal languido dondolio d’un ponte sospeso sull’abisso.
Fare del sostantivo l’elemento principe del testo dava la possibilità all’autore di disegnare un’immagine esplorandone, con attitudine speleologica, tutte le sue possibili associazioni tonali. Ciò equivale a dire che la poesia del periodo non si limitava ad essere semplicemente descrittiva, ma che, anzi, concentrandosi su di una singola immagine, era in grado di istillare nella scena tutta la pregnanza dell’esperienza umana.
Nello Shinkokinshū le poesie che presentano il taigendome sono ben 461, quasi un quarto dell’antologia, che in totale conta 1979 waka. Di queste, esattamente la
3 Giuseppe Giordano, “Il Kokinshū nelle poesie stagionali dello Shinkokinshū - uno studio sulla honkadori”, Annali di Ca’ Foscari, XLIX, 2, 2010, pp. 239-257. 4 Si veda Kashiwagi Yoshio, “Hachidaishū no taigendome”, in Waka bungaku kai (a cura di), Ronshū waka to retorikku, “Waka bungaku no sekai, 10”, Kasama shoin, Tokyo 1986, pp. 149-168. 5 Si veda Robert H. Brower e Earl Miner, Japanese Court Poetry, Stanford University Press, California 1961, pp. 277-285.
metà è concentrata nei libri di argomento stagionale.6 Spesso, poesie che terminano con un taigendome sono unite in gruppi di due o tre, ma ci sono anche sequenze di quattro, cinque o sei poesie. I termini che compaiono a chiusura di questi waka possono tutti essere raggruppati in cinque grandi categorie: 1) termini che indicano elementi naturali inanimati quali la luna, le nuvole, il vento ecc., che rappresentano la stragrande maggioranza; 2) termini riconducibili alla sfera umana. In questo gruppo, oltre a quelle che indicano esplicitamente una persona, rientrano parole che esprimono sentimenti e/o stati d’animo e della coscienza (amore, tristezza, sogno ecc.), e quelle che indicano oggetti fabbricati e usati dagli esseri umani (abiti, barche, capanne ecc.); 3) luoghi; 4) animali e insetti; 5) fiori e piante.7 Nell’ultimo verso delle poesie che presentano un goku taigendome, queste categorie possono essere rappresentate singolarmente o in combinazione.
Tuttavia, ai fini di un ulteriore chiarimento dei principi di associazione e progressione che regolano lo Shinkokinshū, la presenza del taigendome risulta particolarmente interessante se accoppiata all’analisi strutturale delle poesie in cui viene utilizzato. Di base, si possono individuare alcuni grandi gruppi: 1) poesie in cui il poeta, tramite un’apostrofe, si rivolge direttamente all’elemento utilizzato per creare il taigendome; 2) poesie che si possono definire ‘assertive’, in cui l’accento è posto su affermazioni del tipo “A è B”, oppure “se si fa A succede B”, o ancora, “quando accade A accade anche B”; 3) poesie composte da un’unica relativa; 4) poesie che utilizzano l’epifrasi; 5) poesie che grazie ad un kugire, una cesura che può trovarsi alla fine del primo, del secondo, del terzo o del quarto verso, presentano due parti sintatticamente autonome.8
Tra le poesie dell’antologia che terminano con un sostantivo, quelle che ricorrono all’apostrofe sono 42. Di queste, 29 vedono coinvolto un elemento naturale inanimato, mentre, stranamente, quelle in cui il poeta si rivolge ad un animale sono solo 3, una delle quali è il famoso waka di Shunzei: 9
6 Si veda Takeuchi Shōichi e al., “Nijūichidaishū ni okeru taigendome ni tsuite”, Nagoya daigaku kokugo kokubungaku, IX, 1961, pp. 41-58. 7 Nakaba Shōtetsu, “Hachidaishū no taigendome no uta no seikaku”, Toyama daigaku bunri gakubu bungaku kiyō, XI, 1962, pp. 40-54. 8 Si veda Fujita Michiya, “Taigendome o megutte - Man’yōshū, Kokinshū, Shinkokinshū ni okeru kantai hyōgen to juttai hyōgen”, Ehime kokubun kenkyū, XII, 1963, pp. 101-107. 9 Le citazioni si basano sull’edizione a cura di Kubota Jun, Shinkokinwakashū, 2 voll. “Shinchō nihon koten shūsei, 24, 30”, Shinchōsha, Tokyo 1979. 10 Mukashi omou / kusa no iori no / yo no ame ni / namida na soe so / yama hototogisu.
201 昔思ふ 草の庵の よるの雨に 涙な添へそ やまほととぎす10 Penso al passato. O cuculo, ti prego, fa’ che alla pioggia notturna in quest’eremo fatto d’erba io non aggiunga il pianto mio. Fujiwara no Shunzei
Le uniche tre coppie di poesie che presentano congiuntamente un taigendome e un’apostrofe, hanno all’ultimo verso un elemento naturale inanimato, come nel caso di questi due waka tratti dal secondo libro dedicato alla primavera:
144 散る花の 忘れがたみの 峯の雲 そをだにのこせ 春の山風11 Non spazzar via le nubi là in cima ché dei fior di ciliegio, ormai caduti, son vestigio, o vento di primavera. Fujiwara no Yoshihira
145 花さそふ なごりを雲に 吹きとめて しばしはにほへ 春の山風12 Dei fiori rapiti lascia almeno per un po’ una fragrante nuvola rosa, o vento che soffi dai monti in primavera. Fujiwara no Masatsune
Le due poesie sono sostanzialmente identiche, oltre che per struttura, anche per contenuto, con il poeta che si rivolge direttamente al vento primaverile affinché, dopo aver strappato dagli alberi di ciliegio i petali dei fiori, li mantenga, almeno per un po’, sospesi in una profumata nuvola rosa. Tuttavia, se nella poesia di Yoshihira l’attenzione è posta sostanzialmente sull’elemento visivo, in quella di Masatsune si trasferisce sulla percezione olfattiva, facendo in modo che i due componimenti, come note diverse di uno stesso accordo, risultino, reciprocamente armonici ma non identici.
Le poesie di tipo assertivo sono 46, ma in tutta l’antologia non vi è un solo esempio di coppie di waka appartenenti a questa categoria. In mancanza di riferimenti certi è difficile avanzare un’ipotesi sui motivi di questo dato, ma forse è possibile ipotizzare che waka costruiti in siffatta maniera assolvessero alla funzione di allentare per un momento la tensione psichica del lettore. Lamentando la sua solitudine, Kiyosuke si limita a dire:
11 Chiru hana no / wasuregatami no / mine no kumo / so o dani nokose / haru no yamakaze. 12 Hana sasou / nagori o kumo ni / fukitomete / shibashi wa nioe / haru no yamakaze.
558 おのづから 音するものは 庭の面に 木の葉吹きまく 谷の夕風13 Ciò che a tratti s’ode è il frusciar nel giardino delle foglie che a sera fa danzar in spirali il vento della valle. Fujiwara no Kiyosuke
Al terzo gruppo appartengono ben 115 waka, quasi un quarto del totale; e sono 9 i punti nell’antologia in cui due o più waka appartenenti a questo insieme sono stati affiancati. Di questi, due gruppi di tre poesie consecutive rappresentano un buon esempio di ‘legatura armonica’. La prima è tratta dal primo libro dedicato all’autunno:
375 大荒木の 杜の木の間を もりかねて 人だのめなる 秋の夜の月14
376 有明の 月待つ宿の 袖の上に 人だのめなる 宵のいなづま15
377 風わたる 浅茅が末の 露にだに 宿りもはてぬ 宵のいなづま16 Tra gli alberi del bosco di Ōaraki, radi solo di nome, non riesce a filtrare e si fa vana speranza la luna di una notte d’autunno. Shunzei no musume
Sulle maniche mie dove invano sperai albergasse notturna la luna, della notte, fulminei, soltanto i bagliori. Fujiwara no Ietaka
Nell’effimera rugiada dei falaschi battuti dal vento per un attimo solo fulminei bagliori notturni. Fujiwara no Ariie
Come si vede, queste tre poesie rappresentano un gruppo molto compatto per tema e struttura, anche se assistiamo ad una graduale trasformazione dell’immagine come in un moderno programma di morphing. Nel testo originale, la prima e la seconda poesia condividono il quarto verso, hitodanomenaru, e l’immagine della
13 Onozukara / oto suru mono wa / niwa no omo ni / ko no ha fukimaku / tani no yūkaze. 14 Ōaraki no / mori no ki no ma o /morikanete /hitodanome naru /aki no yo no tsuki. 15 Ariake no / tsuki matsu yado no / sode no ue ni / hitodanomenaru / yoi no inazuma. 16 Kaze wataru / asaji ga sue no / tsuyu ni dani / yadori mo hatenu / yoi no inazuma.
luna. Allo stesso modo, la seconda e la terza poesia hanno in comune il quinto verso, yoi no inazuma, e il termine yado (o yadoru, nella forma verbale). In questo modo la poesia centrale, quella di Ietaka, si trasforma in una sorta di poesia pivot. Nella prima poesia abbiamo solo l’immagine della luna che, seppur nascosta dagli alberi del bosco di Ōaraki, di fatto è presente. Nella seconda, la luna diventa un elemento solo evocato nel testo, ma in realtà è assente dalla scena, ed al suo posto compaiono dei lampi notturni. Nella terza poesia, l’immagine della luna scompare definitivamente anche dal testo, lasciando spazio solo ai fulmini della notte.
Nel secondo gruppo di poesie, invece, la luna è una presenza costante e pervasiva.
605 風寒み 木の葉晴れゆく よなよなに のこるくまなき 庭の月影17 Al vento freddo degli alberi le foglie van scomparendo ed il giardino inonda la luce della luna. Shokushi Naishinnō
606 わが門の 苅り田のねやに 伏せしぎの 床あらはなる 冬の夜の月18 Nei campi falciati di fronte casa mia la beccaccia accoccolata nel suo nido rischiara la luna invernale. Inbumon’in no Taifu
607 冬枯れの 杜の朽ち葉の 霜の上に 落ちたる月の 影のさむけさ19 Le foglie morte del bosco in inverno si velano di brina e su di essa fredda la luce della luna. Fujiwara no Kiyosuke
Approfittando degli spazi vuoti lasciati da una natura dormiente e rinsecchita, la luce della luna attraverso un terso cielo invernale si spande per ogni dove, avvolgendo in un gelido abbraccio giardini deserti, risaie mietute e foglie morte coperte di brina.
Anche in questo trittico la poesia centrale sembra svolgere una funzione cardine, esaltando però qui la simmetria dei due waka tra i quali si frappone. Sia nella
17 Kaze samumi / ko no ha hareyuku / yonayona ni / nokoru kumanaki / niwa no tsukikage. 18 Wa ga kado no / karita no neya ni /fusu shigi no / toko arawanaru / fuyu no yo no tsuki. 19 Fuyugare no / mori no kuchiba no / shimo no ue ni / ochitaru tsuki no / kage no samukesa. Nel testo curato da Kubota, l’ultimo verso risulta “kage no sayakesa”. Qui si è deciso di seguire la lezione proposta da altre due edizioni commentate dell’antologia e precisamente: Minemura Fumito (a cura di), Shinkokinwakashū, “Shinpen Nihon kotenbungaku zenshū, 43”, Shōgakukan, Tokyo 1995 e Tanaka Yutaka e Akase Shingo (a cura di), Shinkokinwakashū, “Shin Nihon kotenbungaku taikei, 11”, Iwanami shoten, Tokyo 1992.
poesia della principessa Shokushi sia in quella di Kiyosuke, infatti, non c’è presenza animata, ed il freddo (samumi, samukesa), allo stesso modo del chiarore lunare (tsukikage, tsuki no kage), viene esplicitamente citato. Così facendo, la solitudine del povero uccello, che si ritrova stretto in una morsa glaciale, viene esaltata e amplificata, e spinge il lettore al sospetto di trovarsi dinanzi ad una rappresentazione simbolica della condizione umana.
Le poesie che utilizzano l’epifrasi sono 118. Questo artificio retorico, soprattutto se accoppiato al taigendome, conferisce una ragguardevole forza espressiva al testo, inducendo la coscienza del lettore, nei primi versi, in uno stato di tensione destinato a trovare poi un suo sfogo nel verso finale, grazie ad un’immagine catalizzatrice dell’emozione. Dei nove casi in cui abbiamo simili poesie in immediata successione, il seguente è particolarmente interessante:
741 藻塩草 かくともつきじ 君が代の 数によみおく 和歌の浦波20 Quanti gli anni a venire di Sua Maestà siano le poesie composte: innumeri come le alghe della baia di Waka. Minamoto no Ienaga
742 うれしさや 片敷く袖に 包むらむ けふまちえたる 宇治の橋姫21 La mia gioia oggi è la stessa di quella che, avvolta nelle sue vesti provò, dopo lunga attesa, la dama del ponte di Uji. Fujiwara no Takafusa
743 年へたる 宇治の橋守 言問はむ 幾代になりぬ 水のみなかみ22 Al vecchio guardiano del ponte di Uji proviamolo a chiedere: da quanti anni scorre limpida l’acqua di questo fiume? Fujiwara no Kiyosuke
Questi tre waka, anche se apparentemente molto diversi tra loro, danno vita in realtà ad un momento di grande coesione, e nel testo di ciascuno di essi troviamo reciproci collegamenti. Innanzitutto, ciò che va notato è la presenza di utamakura. Tutti e tre ne contengono uno. La prima e la seconda poesia ne presentano due diversi (Waka e Uji), ma situati nella stessa posizione: l’ultimo verso; la seconda e la
20 Moshiogusa / kaku tomo tsukiji / kimi ga yo no / kazu ni yomioku / Waka no uranami. 21 Ureshisa ya / katashiku sode ni / tsutsumuramu / kyō machietaru / Uji no hashihime. 22 Toshi hetaru / Uji no hashimori / koto towamu /ikuyo ni narinu / mizu no minakami.
terza, invece, presentano in posizioni diverse lo stesso toponimo (Uji). Ma più dei singoli elementi, ciò che realmente conta in questa sequenza è la rappresentazione che viene costruita dello scorrere del tempo. Se nella poesia di Ienaga l’accento, con l’augurio rivolto al sovrano di un regno lungo e prospero, è posto sul futuro, Takafusa concentra tutta la sua attenzione sul presente. Di contro, nei versi di Kiyosuke, alla vista del fiume Uji, la mente, quasi a voler risalire la corrente del tempo, si perde nelle nebbie incerte del passato. Sarà un caso, ma il fatto che in questa sequenza solo nella poesia centrale, quella in cui la dimensione temporale coincide con il presente, venga utilizzato un avverbio come kyō, ‘oggi’, dà la sensazione che quanto precede e segue, il passato e il futuro, sia in qualche modo indicibile, indefinibile e inconoscibile.
L’ultimo gruppo di poesie che utilizzano il goku taigendome è quello in cui rientrano waka che presentano una cesura molto forte all’interno del testo. Rappresentano la categoria più numerosa, con ben 140 liriche, e forse non è sbagliato affermare che questo tipo di poesia sia quello che meglio rappresenta lo spirito poetico dell’epoca. Dei 16 punti dell’antologia in cui poesie del genere si ritrovano affiancate, la sequenza certamente più interessante è quella delle sei poesie del primo libro sull’autunno, che vanno dalla 359 alla 364:
359 もの思はで かかる露やは 袖におく ながめてけりな 秋の夕暮れ23
360 み山路や いつより秋の 色ならむ 見ざりし雲の 夕暮れの空24
361 さびしさは その色としも なかりけり 真木立つ山の 秋の夕暮れ25 Non è malinconia. Eppur rugiadose le lacrime sulle maniche mie. Ed attonito miro Il tramonto d’autunno. Fujiwara no Yoshitsune
Recessi montani: da quando il sentiero s’è tinto d’autunno? D’un nuovo colore le nubi nel cielo al tramonto. Jien
Non è uno solo della tristezza il colore. Svetta il podocarpo sulla cima del monte nel tramonto d’autunno. Jakuren
23 Mono omowade / kakaru tsuyu ya wa /sode ni oku /nagamete keri na /aki no yūgure. 24 Miyamaji ya / itsu yori aki no / iro naramu / mizarishi kumo no / yūgure no sora. 25 Sabishisa wa / sono iro toshi mo / nakarikeri / maki tatsu yama no / aki no yūgure.
362 心なき 身にもあはれは しられけり しぎ立つ沢の 秋の夕暮26
363 見わたせば 花ももみぢも なかりけり 浦のとま屋の 秋の夕暮27 Pur chi cuore non ha si commuove a veder sulla palude levarsi in volo i beccaccini nel tramonto d’autunno. Saigyō
A guardar lontano, non un fiore né purpurea una foglia. Alla baia solo capanne nel tramonto d’autunno. Fujiwara no Teika
364 たへてやは 思ひありとも いかがせむ むぐらの宿の 秋の夕暮28 Purché ci sia l’amore si dice tollerabile la tristezza. Ma non è così in questa casa tra gli sterpi nel tramonto d’autunno. Fujiwara no Masatsune
In genere, quando ci si trova dinanzi ad una poesia costruita con un goku taigendome, la prima impressione che se ne riceve è quella di una lirica dal marcato sapore descrittivo. Ma per la maggior parte delle liriche contenute nello Shinkokinshū questa impressione è fuorviante, dal momento che, come è stato già detto, è proprio dietro quella singola immagine che s’annida spesso l’emozione del poeta. In alcuni casi l’autore prepara il terreno al palpito finale offerto dai suoi versi suggerendo in qualche modo il sentiero emozionale da percorrere. Vediamo ad esempio le poesie appena citate. In quattro di esse ritroviamo nel testo espressioni riconducibili alla sfera dell’animo umano: mono omowade (359), sabishisa wa (361), kokoro naki mi ni mo aware wa (362), taete ya wa omoi aritomo (364). In questo modo, il cielo insanguinato che irrompe violento ed improvviso nell’ultimo verso si fa specchio del cuore dell’uomo di cui non fa altro che restituire le tinte vermiglie. Viene dunque da chiedersi come vadano lette le poesie di Jien e Teika nei cui versi non v’è cenno alcuno alla dimensione dell’emotività umana. In realtà, com’è noto, la poesia di Teika si ispira al famoso episodio dell’esilio di Genji a Suma, ma qui, più del sottotesto, è interessante vedere come funzionino i singoli componimenti grazie alla ricontestualizzazione operata dai compilatori. Anche in questa occasione è possibile riconoscere una struttura simmetrica nell’ordine delle poesie. Se dividiamo la sequenza presa in analisi in due gruppi
26 Kokoro naki / mi ni mo aware wa / shirarekeri / shigi tatsu sawa no / aki no yūgure. 27 Miwataseba / hana mo momiji mo / nakarikeri / ura no tomaya no / aki no yūgure. 28 Taete ya wa / omoi aritomo / ikagasemu /mugura no yado no / aki no yūgure.
di tre, vediamo come i due waka di Jien e Teika risultino in posizione centrale. Volendo sfruttare ancora una volta una metafora musicale, si può dire che queste poesie, che se decontestualizzate rischierebbero di perdere molto della loro carica emozionale, racchiuse in questa struttura si comportino come le corde di una viola d’amore che vibrano per simpatia armonica. Questo perché nello Shinkokinshū, più di qualsiasi altra antologia dell’epoca, ogni poesia trae linfa vitale e forza espressiva dalle liriche adiacenti. E così, se nella poesia di Jien sembra confluire la malinconia dei versi di Yoshitsune e la tristezza di quelli di Jakuren, in quella di Teika si ripercuote lo strazio di Saigyō e l’angoscia di Masatsune.
Utamakura
Il termine utamakura che letteralmente significa parola cuscino, inizialmente non indicava soltanto luoghi famosi cantati in poesia, ma comprendeva anche tutta una serie di parole considerate adatte alla composizione poetica in presenza di determinate topiche. Di questo se ne ha prova certa leggendo il trattato sugli utamakura del monaco Nōin, vissuto a cavallo tra il decimo e l’undicesimo secolo, il Nōin utamakura 能因歌枕, o il Ryōjin-hishō 梁塵秘抄, una raccolta di canti popolari risalente alla fine del periodo Heian. Col passare del tempo, però, e con il progredire della pratica poetica, il campo semantico di questo termine si restrinse molto, fino ad arrivare ad indicare esclusivamente i cosiddetti meisho 名所 o luoghi celebri. Il presente studio, seguendo il trend degli studiosi giapponesi, è su questo tipo di utamakura che si basa.29
Nello Shinkokinshū circa un quarto delle poesie (487) presenta un utamakura. Gli utamakura rappresentati sono 228, quasi tre quarti dei quali appartenenti all’area del Kinki (164). La cosa non deve meravigliare perché, anche se è vero che a partire dal periodo del Kokinshū, grazie alla nascita del dai ei 題詠, cioè il comporre versi su topiche assegnate, i poeti avevano iniziato a cantare anche luoghi che non avevano mai visitato di persona, la loro produzione poetica doveva necessariamente essere legata a quella del passato, così come esplicitamente indicato da Minamoto no Toshiyori nel suo trattato poetico, il Toshiyori zuinō 俊頼髄脳; per questo, un eccesso di esotismo non sarebbe stato tollerato.30
Con grandissimo distacco seguono utamakura appartenenti ad altre aree del Giappone, quali il Chūbu (25), il Tōhoku (20), il Kyūshū (10) e il Kantō (7); al conto vanno aggiunti anche due utamakura appartenenti rispettivamente allo Hokuriku e allo Hokkaidō.
Nell’antologia, ci sono alcuni utamakura che ricorrono più frequentemente di altri. Yoshino, che compare in 22 componimenti, è il luogo più celebrato, ma ce ne sono anche altri, come Naniwa, Tatsuta, Uji, Kasuga, Suma e Isonokami furu
29 Si veda Ikuko Sagiyama, “Pratiche di riscrittura: l’affermazione e l’evoluzione degli utamakura”, Atti del XXVI Convegno di Studi sul Giappone, Torino 2002, pp. 423-442. 30 Ivi, p. 424
che compaiono in tutta l’antologia 10 o più volte. Ci sono 49 gruppi di poesie (in media di 3 o 4) che presentano un utamakura, ed è presente addirittura una lunghissima sequenza di ben 29 poesie (che vanno dalla 1590 alla 1618) in cui viene citato un luogo famoso. Di questi 49 gruppi, ben 32 presentano lo stesso utamakura. E questo ci dice una cosa importante sul gusto letterario dell’epoca: vale a dire che i luoghi dell’azione poetica potevano fornire, all’interno di una sequenza, un ulteriore elemento di associazione. Dal punto di vista della progressione, di base, gli effetti che è possibile riscontrare sono due e dipendono dalla natura dell’utamakura.
Alcuni luoghi vengono sfruttati in poesia solo per le caratteristiche fonetiche e/o semantiche del loro nome, particolarmente suggestivo e atto a determinare più o meno sottili giochi di parole. In genere, a questo tipo di utamakura è legata una narrazione tendenzialmente statica risolventesi in un’amplificazione del tema trattato. Di contro, ci sono luoghi che vengono evocati per le loro caratteristiche geografiche, come Yoshino, o perché legate a qualche precedente realtà letteraria, come nel caso di Shiogama.31 È soprattutto in casi simili che è possibile assistere ad uno sviluppo narrativo del tema.
Un buon esempio di utamakura sfruttato per le caratteristiche del suo nome è fornito dal ponte Nagara.
1592 年ふれば 朽ちこそまされ 橋柱 昔ながらの 名だに変らで32 Col passar degli anni sempre più son marciti i pilastri del ponte. Dell’antico Nagara solo il nome non cambia mai. Mibu no Tadamine
1593 春の日の 長柄の浜に 舟とめて いづれか橋と 問へど答へぬ33 In un giorno di primavera sulla riva del fiume Nagara fermo la barca e del ponte chiedo notizie. Ma nessuno risponde. Egyō
31 Ivi, pp. 430-435. Si veda anche Edward Kamens, Utamakura, Allusion, and Intertextuality in Tradtional Japanese Poetry, Yale University Press, New Haven and London 1997, pp. 142-144. 32 Toshi fureba / kuchi koso masare / hashibashira / mukashi nagara no / na dani kawarade. 33 Haru no hi no / Nagara no hama ni / fune tomete / izureka hashi to / toedo kotaenu.
1594 朽ちにける 長柄の橋を 来て見れば 蘆の枯れ葉に 秋の風ぞ吹く34 Venni a mirar di Nagara il ponte ormai dal tempo consunto; ma sulle foglie morte dei giunchi spira solo il vento d’autunno. Fujiwara no Sanesada
Come si vede, in questo gruppo di poesie l’utamakura assolve più ad un ruolo di amplificazione dell’immagine che non di vera e propria progressione narrativa. In tutte e tre le liriche il poeta lamenta la dolorosa contraddizione tra il nome del ponte, Nagara, che lascia pensare ad una vita lunga, e l’assenza dello stesso che, distrutto dal tempo, oramai non esiste più. E al suo posto, come nell’ultimo verso della poesia di Sanesada, malinconico solo il vento d’autunno tra le canne secche. La reiterazione di uno stesso tema crea così, poesia dopo poesia, una sensazione di risonanza grazie ad un effetto di onde concentriche. Si veda, come ulteriore esempio, la seguente sequenza:
1093 人しれず くるしきものは 信夫山 下はふ葛の 恨みなりけり35 Che tormento non poter rivelar il proprio cuore come invece fan le foglie dell’amaranto strisciante alle pendici del monte Shinobu. Fujiwara no Kiyosuke
1094 消えねただ 信夫の山の 峯の雲 かかる心の 跡もなきまで36 Svanite o nubi dalla vetta del monte Shinobu. E anche tu, cuore mio, sì da non lasciar traccia di questo amore soffocato. Fujiwara no Masatsune
34 Kuchi nikeru / Nagara no hashi o / kite mireba / ashi no kareha ni / akikaze zo fuku. 35 Hito shirezu / kurushiki mono wa / Shinobu yama / shita hau kuzu no / uraminarikeri. 36 Kiene tada / Shinobu no yama no / mine no kumo / kakaru kokoro no / ato mo naki made. 37 Uchihate / kurushiki mono wa / hitome nomi / Shinobu no ura no / ama no takunawa.
1095 かぎりあれば 信夫の山の ふもとにも 落葉が上の 露ぞ色づく37 Tutto ha un limite: alle pendici del monte Shinobu sulle foglie cadute persino la rugiada s’è fatta vermiglia. Minamoto no Michiteru
1096 うちはへて くるしきものは 人目のみ しのぶの浦の 海人の栲縄38 Come l’avvolger le funi dei pescatori nella baia di Shinobu m’è penoso nasconder di continuo questo amore mio. Nijō-in no Sanuki
In questo gruppo di waka, tratti dal secondo libro sull’amore, utilizzando un’associazione classica tra il toponimo Shinobu e il verbo omofono che vuol dire ‘nascondersi’ o ‘sopportare’, viene ripetuto più volte il tormento dell’innamorato costretto a tenere nascosto il proprio sentimento agli occhi del mondo.39 E tale ripetere, quasi ossessivo, restituisce in maniera fedele i palpiti angosciati di un amante insoddisfatto. Qui acquista poi una potenza espressiva particolare la poesia di Michiteru che, calatosi nei panni di una donna, sfrutta un sottile gioco di associazione di parole e immagini, difficilmente ricostruibile in traduzione, per suggerire il velo di pianto che offusca per un momento gli occhi dell’innamorata sopraffatta dal dolore.40
Un utamakura come Suma, invece, viene utilizzato dai compilatori dell’antologia in maniera differente.
38 Kagiri areba / Shinobu no yama no / fumoto ni mo / ochiba ga ue no / tsuyu zo irozuku. 39 Il primo esempio di quest’associazione risale all’Ise monogatari, dove nella quindicesima sezione si legge: “Oh, come vorrei conoscere una via agli altri ignota così da penetrare nel profondo del tuo cuore” (Michele Marra, a cura di, I racconti di Ise, Einaudi, Torino 1985, p. 22). 40 L’espressione ochiba, letteralmente ‘foglie cadute’ indica le rosse foglie d’acero (紅葉) cadute al suolo, mentre la rugiada è una metafora delle lacrime (涙). Così facendo, Michiteru allude alla parola kōrui 紅涙, letteralmente ‘lacrime vermiglie’, che in giapponese indica le lacrime delle donne.
1596 須磨の浦の なぎたる朝は 目もはるに 霞にまがふ 海人の釣舟41
1597 秋風の 関吹き越ゆる たびごとに 声うちそふる 須磨の浦波42
1598 須磨の関 夢をとほさぬ 波の音を 思ひもよらで 宿をかりける43 Nella placida baia di Suma, avvolte al mattino in una bruma infinita, dei pescatori le barche vanno svanendo. Fujiwara no Takayoshi
Quando inonda la barriera, il vento d’autunno sempre porta con sé dalla baia di Suma la voce delle onde. Mibu no Tadami
Alla barriera di Suma decisi d’albergare, ignaro che delle onde il suono ai sogni sbarra la via. Jien
Questa sequenza, per quel che riguarda la costruzione del flusso narrativo è diversa da quelle precedenti. La scena si apre sulla baia di Suma dove, nel silenzio d’una mattina priva di vento, le barche dei pescatori, come in un sumi-e, inghiottite da una fitta foschia, perdono pian piano i loro contorni. Nella seconda poesia s’alza il vento e le onde incominciano a far sentire la propria voce. Una voce così forte da impedire il sonno tranquillo a chi a Suma ha deciso di passar la notte. E così, in questa bella baia, si passa da una scena mattutina ad una serale, dal silenzio al rumore, da una calma malinconia ad un’ansia inquieta.
Dal punto di vista del modo in cui monta l’onda emotiva, una struttura molto simile la presenta questo trittico di poesie in cui lo scenario è quello dei maestosi monti di Yoshino:
1616 花ならで ただ柴の戸を さして思ふ 心の奥も み吉野の山44 Scrutami nel cuore e vedrai che non per i fiori ma per un eremo di legno sono venuto qui da te, o maestoso Yoshino. Jien
41 Suma no ura no / nagitaru asa wa / me mo haru ni / kasumi ni magau / ama no tsuribune. 42 Akikaze no / seki fukikoyuru / tabigotoni / koe uchisōru / Suma no uranami. 43 Suma no seki / yume o tōsanu / nami no to o / omoi mo yorade / yado o karikeru. 44 Hana narade / tada shiba no to o / sashite omou / kokoro no oku mo / Miyoshino no yama.
1617 吉野山 やがて出でじと 思ふ身を 花散りなばと 人や待つらむ45 Non per restar poco venni tra i monti di Yoshino; ma caduti i fiori, chissà se qualcuno s’aspetterà ch’io ritorni. Saigyō
1618 いとひても なほいとはしき 世なりけり 吉野の奥の 秋の夕暮46 Fuggito il mondo, m’è divenuto qui ancora più odioso. Tramonto d’autunno nel cuore di Yoshino. Fujiwara no Iehira
Qui i compilatori sembrano voler raccontare una storia di rinuncia. La storia di un uomo deciso ad abbandonare il mondo per trovare la pace interiore. Questi si rifugia nelle profondità montane di Yoshino, famose sì per l’incredibile bellezza dei fiori di ciliegio, ma anche e soprattutto per esser luoghi remoti difficili da raggiungere. Ma se nei primi versi la scelta di lasciarsi tutto alle spalle sembra non lasciar spazio ad alcun turbamento interiore, nel secondo waka s’insinua il pensiero di quanti s’aspettano un suo ritorno. Ed è proprio il prender coscienza di questa realtà che fa capire al poeta che, non importa quanto lontano potrà fuggire, liberarsi delle angosce del mondo, trattandosi di un mondo tutto interiore, non sarà cosa facile e scontata.
Conclusioni
Lo Shinkokinshū rappresenta il non plus ultra della sofisticatezza letteraria raggiunta dalla poesia giapponese agli inizi del tredicesimo secolo. L’antologia si presenta come un organismo estremamente complesso e dinamico in cui ogni singola poesia funziona come una piccola, ma indispensabile parte di un ingranaggio complesso. L’analisi del testo rivela che i compilatori, nel decidere la sequenza esatta in cui disporre le poesie selezionate, seguirono contemporaneamente più criteri di associazione e progressione, in modo da creare percorsi di lettura che guidassero con grazia il lettore attraverso una variegata gamma di stati d’animo. Alcuni di questi criteri, erano stati esplicitati da teorici della poesia già in epoche antiche, altri invece erano, all’epoca dello Shinkokinshū, relegati alla sfera della pratica poetica. In questo studio ci si è limitati a fornire qualche esempio di come due artifici retorici, quali il taigendome e l’utamakura, siano stati sfruttati per creare legature armoniche, permettendo una transizione fluida tra un componimento e l’altro e creando, al contempo, dei microcosmi narrativamente autonomi. Questo perché la ricostruzione dettagliata dei criteri di associazione e progressione per ogni singolo punto dell’antologia, equivarrebbe a mappare un territorio con una carta geografica più estesa del territorio stesso.
45 Yoshinoyama / yagate ideji to / omou mi o / hana chirinaba to / hito ya matsuramu. 46 Itoite mo / nao itowashiki / yo narikeri / Yoshino no oku no / aki no yūgure.
Taking a popular study by Konishi Jin’ichi as starting point, this paper will focus on the principles of association and progression in Shinkokinwakashū, with the aim to enhance further on the vision of this anthology as one indivisible piece of work meant to be read without interruption from the beginning to the end. My analysis will be based on two peculiar stylistic devices: taigendome and utamakura. By presenting clusters of poems, I will try to clarify the way the compilers chose to arrange the poetic material in order to stir a feeling of smoothness on reading the poems one after the other.
『新古今和歌集』における和歌の配列
ジュセッペ・ジョルダーノ
本稿は小西甚一氏の先行研究を出発点にし、『新古今和歌集』に収録 されている和歌の配列について論考する。日本の古典和歌集の中で最 も洗練された勅撰和歌集と言われている『新古今和歌集』を通読する と、和歌の配列は「体言止め」と「歌枕」に基づいて決められている ことに気づく。「体言止め」と「歌枕」という二つの技巧に着目し、 『新古今和歌集』に見られる幾つかの和歌の流麗な連なりを紹介し、 撰者たちはどのように和歌の配列を決めたのかについて考察する。