IL MEDITERRANEO E
IL SUO EQUILIBRIO
Prefazione dell'Ammiraglio GIOVANNI BETTÓLO
Con 55 incisioni fuori testo .
Il mare della Civiltà. L'Egeo.
Le dodici Isole. - L'isola di Venere . La questione degli Stretti. - La storia di tre colloqui. Italia e Francia dopo l'impresa di Tripoli. Il concentramento della flotta francese . Nell'Adriatico. - L Albania. - Le Isole.
MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI 1914 Secondo migliaio.
PROPRIETÀ LETTERARIA ED ARTISTICA .
I diritti di traduzione sono riservati per tutti i paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e l'Olanda.
Copyright by Fratelli Treves, 1914.
Milano . Tip . Treyes .
PREFAZIONE. e La guerra dell'Italia contro la Turchia e le due guerre Balcaniche che ne furono la conseguenza immediata e necessaria, hanno, colle variazioni nel possesso dei territori già sottoposti alla Turchia, e po sopratutto delle coste, creato un nuovo e non pre visto stato di cose nel Mediterraneo.
coepel MANTEGAZZA. Il Mediterraneo.
viltà » s'avvia a nuove ed inattese forme di equi librio.
Non ancora i gravi e spinosi problemi sono stati, non già risolti, ma nemmeno presi in esame dagli uomini di Stato, che Vico Mantegazza rac coglie e pubblica in questo piacevole e dilettoso volume alcuni suoi scritti, nei quali, con un'arte tutta sua, in forma piana, agile, accessibile ai più, esamina a fondo la nuova situazione del Medi terraneo.
Con quella competenza nella politica estera che ognuno gli riconosce, con una copiosa messe di dati, di fatti, di aneddoti, che lo fa considerare un ricchissimo archivio vivente di storia contempo ranea, egli si è assunto il compito nobile quanto utile di rendere comprensibile agli italiani, pro blemi, rapporti, fatti, i quali altrimenti rimarreb bero inaccessibili, come soggetti rigidi e freddi di studio, per pochi appassionati o per un ristretto di funzionari.
numero
Ond'è che ogni libro del Mantegazza, oltre che riuscir piacevole ed istruttivo per i cultori di di scipline politiche e coloniali, apparisce anche una buona e patriottica azione , in quanto , con grande semplicità di mezzi, rende possibile alla maggior parte degli italiani che non hanno tempo, nè op portunità per dedicarsi a questi studi, di tenersi al corrente di avvenimenti, di rendersi conto di certe questioni in cui sovente si decide dell'avve nire, della prosperità, della sicurezza della Patria.
nel tempo
E in tempi di vita così frettolosa e convulsa, ora che il suffragio è stato esteso a nuove e più ur genti masse, chiamate a partecipare al Governo della pubblica cosa, libri, che volgarizzino i pro blemi di politica internazionale, riescono non solo utili ma indispensabili per la diffusione della col tura, per la creazione di quella scienza collettiva, per la quale i popoli diventano consapevoli delle proprie forze e dei propri destini. Non con tutti i giudizi e non con tutte le con clusioni del Mantegazza si può consentire, quan tunque egli dimostri sempre un raro buon senso, una perfetta conoscenza dei dati di fatto su cui costruisce i suoi giudizi, e scorga ben sovente con occhio penetrante le lontane conseguenze degli odierni avvenimenti . Ma nessuno può a lui negare un vigile ed alacre sentimento patriottico, per virtù del quale nel fatto più lontano e appa rentemente più estraneo a noi italiani riesce a trovare ricolleganza con gli interessi e colle ne cessità del nostro Paese, e quindi valutare con giu sta misura rispetto all'Italia il complicato giuoco di alleanze e di amicizie, di emulazioni e di rivalità che folleggiano intorno alla Penisola e si raccol gono sopratuttosu questo Mare nostrum, da tempi immemorabili crogiuolo delle più squisite civiltà, grande palestra ove si sono decisi i destini dei po poli e l'avvenire dell'umanità.
La conclusione del libro del Mantegazza e la necessità di provvedere perchè il nostro esercito e MANTEGAZZA. Il Mediterraneo.
la nostra marina diventino sempre più forti, è tale da permetterci una politica energica risoluta per la tutela dei nostri interessi e per salvaguardare l'avvenire. Su tale argomento, anche recentemente ho avuto occasione di esprimere il mio pensiero. Per quello che riguarda la preparazione militare è facile intuire come, per la ripartizione e le costi tuzioni etniche del mondo civile e per la natura degli interessi che si agitano fra i differenti popoli, le contese che possono dividerli, abbiano a deri vare, piuttosto che dal proposito d'ingrandimenti territoriali, dal bisogno di affermare la propria su periorità od il valore della propria resistenza. Talchè così in guerra come in pace, il teatro dei grandi conflitti internazionali sarà il mare, e la conquista del dominio marittimo od il mezzo di disputarlo saranno generalmente gli scopi, ai quali intenderanno le nazioni, che mirano alla loro conservazione ed al loro progresso economico. Non vuolsi con ciò sminuire la grandissima influenza che anche l'organismo militare terrestre esercita sulle controversie internazionali; chè, anzi, per quanto efficace voglia supporsi , nel piano ge nerale di una guerra il contributo che può por tarvi la flotta, sia per arrestare la vita e le attività nazionali dell'avversario con il blocco commerciale, sia per agevolare e proteggere diversioni di forza delle operazioni, sia per invadere il ter ritorio nemico a mezzo di grossi sbarchi, sarebbe pericoloso ritenere che le sole forze navali siano,
sul campo
nella generalità dei casi , capaci , specie per gli Stati continentali, di esercitare un'azione risolutiva e tale da costringere l'avversario, entro i limiti ra gionevoli di tempo, a chiedere od accettare dure condizioni di pace.
Certo è però che più in pace che in guerra è sono tangibili i caratteri, onde l'azione delle forze di mare si differenzia da quella delle forze di terra, nei riguardi di contesi, per quanto pacifici, rapporti internazionali: inquantochè sia appunto attraverso i periodi pacifici, che sono quotidiana mente e particolarmente sentite quelle influenze virtuali che una flotta è capace di esercitare, quando essa sia sempre preparata a tradurre in atto le qualità che ne caratterizzano la capacità offensiva : la mobilità e la rapidità di azione. Assurge quindi a particolare importanza la po litica navale di un paese che, come l'Italia, abbia vita, avvenire, interessi affidati alle fortune del mare. Senonchè troppo ristretta, incompleta sa rebbe la concezione di quella politica quando in tendesse circoscriversi ai soli problemi di marina militare; ben più vasto è il suo campo : essa ab braccia tutti quei fattori materiali e morali del po tere marittimo che conferiscono ad un popolo la capacità di espandere attraverso gli oceani attività produttive, influenze politiche e morali. Onde si comprende che, con la marina militare che è al tempo stesso presidio della Patria e po tente energia di conquiste e di trasformazioni eco
nomiche, abbiano ad essere principali argomenti di politica navale, e la marina mercantile, forza ed istrumento di espansione industriale e commerciale e le industrie navali intese ad emancipare dalla soggezione straniera le poderose unità della nostra difesa marittima, e la costituzione di un naviglio mercantile; le due marine insomma che interessi nazionali avvincono in reciproci rapporti di fraterno affetto, ancora ieri rinsaldati, attraverso i disagi della guerra, per comunanza di finalità, per ardore e concorso di opera, per entusiasmi sacri alla Pa tria. In conseguenza dell'indirizzo di politica espan sionista ormai generalmente seguito, notevoli fu rono le modificazioni avvenute nei rapporti di po tenza fra i differenti Stati, con vantaggio delle marine più giovani e più preveggenti, anche per chè il loro risveglio coincideva con un periodo di rinnovati criterii tecnici che, incarnati nella mo dernissima nave da battaglia, svalutarono dall'oggi al dimane le unità, ieri ancora nerbo poderoso delle flotte militari.
Così assistemmo al fenomeno di una nazione essenzialmente continentale, la Germania, che ha preparato tale una potente marina da lasciare a gran distanza quella francese e da minacciare la storica egemonia inglese sui mari. Così assistiamo alla meravigliosa ascesa della marina austro-un garica, la quale avvicina a gran passi la potenza della Marina Italiana, per pareggiarla, superarla fra qualche anno se non saremo solleciti al riparo.
Eppure, fino a pochi anni fa, l Austria non pos sedeva che un cantiere di scarsa capacità produt tiva, mentre l'Italia ha da molti anni pletora di cantieri privati e di Stato; ma colà il successivo impianto industriale venne preordinato al più ra pido sviluppo di un grande programma navale, in Italia invece fu saltuario, abbandonato a cri teri personali ; talchè la industria privata che do vrebbe adattarsi ai bisogni della Marina, spesso ne assoggetta le facoltà ai suoi comodi ed ai suoi fini , non sempre conformi all'interesse dello Stato. Incerti, discontinui i rapporti fra chi progetta e chi esegue; ordinariamente poco maturi ed in completi i disegni dei piani, donde a costruzione già avviata costosi pentimenti e bisogno di mo dificazioni con spreco di tempo e di denaro. Il la voro che, per necessità di cose e per competenza, deve essere distribuito fra numerosi stabilimenti industriali, è difettosamente ordinato nel suo gra duale processo, perchè manca un'azione direttrice, responsabile, che ne vigili l'andamento e ne in tegri, a tempo opportuno, la messa in opera evi tando incagli , sospensive, soluzioni di continuità . E come se tutto ciò non bastasse a spiegare i la mentati ritardi, vi si aggiungono le indecisioni di questi ultimi tempi circa i criteri stessi cui de vono informarsi i progetti delle nuove ed ultra potenti navi da battaglia, donde altre ragioni d'in dugio che si ripercuotono sullo sviluppo della
nostra potenza navale, con danno virtuale e finan ziario.
Infatti, se è vero che la forte impotenza, costi tuita da una salda preparazione militare, sia la più efficace tutela dei diritti e degli interessi di un popolo, è lecito pensare che anche la spesa per costruire una nave da battaglia rappresenta un premio di assicurazione contro i danni eventuali ed imprevedibili, che il solo effetto morale della forza può scongiurare. Ora, causa lo incalzarsi dei progressi, si può far conto che una nave mag giore venga ad essere militarmente svalutata dopo il periodo massimo di 25 anni computati dal giorno in cui ne fu approvato il progetto. Onde riferen dosi al suo costo, la relativa quota di svalutazione annuale oscilla tra i tre e i quattro milioni: an nualità che non ha corrispettivo alcuno di effetti utili, e che va perciò tutta calcolata in perdita per ciascun anno di ritardo, che si verifichi sul ne cessario per il completo allestimento della nave. È bene osservare che il danno in tal modo sti mato non ha che un valore venale; giacchè ben più gravi, di natura e di entità incalcolabili, po trebbero essere gli effetti di ordine morale; ed addirittura disastrose e funeste le conseguenze, se l'indugio fosse sorpreso dalla violenza di una guerra. Chi è che non lo intenda e non lo deplori? Sono quindi di opinione che svolgendo il pro gramma navale compatibile con le nostre risorse
finanziarie esso debba però rispondere alla condi zione di assicurare che a determinati periodi di tempo, da succedersi senza discontinuità, la nostra potenza navale abbia l'incremento di tante coraz zate del tipo più progredito quanti sono gli anni che sono richiesti per allestirne una con la mag giore sollecitudine possibile. Esaminata pertanto, in quest'ordine di idee, la capacità produttiva dei nostri cantieri e dei nostri stabilimenti navali, io credo si possa affermare che una preveggente e preordinata ripartizione di lavoro consentirebbe d'impostare simultaneamente sullo scalo tre navi di linea per metterle in efficienza ad ogni ricor rente periodo di tre anni.
Il che, nel processo del tempo, equivarrebbe all'incremento di una nuova corazzata per ciascun anno; ma il progressivo sviluppo della flotta sa rebbe ottenuto con metodo che consentirà di rin vigorirla, ad intervalli di tempo relativamente brevi, con gruppi omogenei di potenti unità, mentre la produzione risulterà più spedita ed economica, sia perchè ciascuno dei successivi tipi sarà riprodotto in tre esemplari, sia perchè all'industria potrà es sere meglio assicurata la continuità del lavoro. S'intende che la costituzione organica della Marina richiede, oltre le costruzioni maggiori, un naviglio di navi minori intese ad integrare il va lore tattico stratagetico della flotta, a soddisfare necessità logistiche, servizi politici, locali ecc., onde si può prevedere che, in base al programma fu
gacemente esposto, la somma da impostarsi in bi lancio per le nuove costruzioni navali sarebbe di circa 120 milioni all'anno.
Sarebbe con ciò provveduto alla flotta neces saria? Saremo certamente sulla via di procurar cela con quel maggior progresso, che ci è, per ora, consentito dalla capacità organica nelle nostre industrie navali. Giova per altro rilevare, nei ri guardi di un conflitto mediterraneo, le funzioni strategiche che l'Italia può esercitarvi , in virtù della privilegiata posizione geografica che occupa. Situata sul bacino centrale di questo mare, essa domina le grandi comunicazioni tra i due bacini eccentrici, l'orientale e l'occidentale: possiede forti centri marittimi, località di sicuro riparo, basi di operazione e di rifornimento dotate di larghe ri sorse logistiche. Condizioni coteste che contribui scono ad accrescere il valore stratagetico delle forze operanti sul mare, e che sapientemente spese, rappresentano sulla bilancia delle relazioni inter nazionali, preparate intese, ricercati accordi, rap porti di solidarietà.
Sebbene le competizioni internazionali s'esten dano ormai a tutta la superficie del globo e alcuni Stati non facciano più una politica europea, asia tica, americana ma mondiale, tuttavia è bastata la modificazione costiera della Libia e dell'Egeo per chè si sollevasse un nugolo di problemi grandi e piccoli in cui tutte le grandi Potenze, anche non mediterranee, sono direttamente interessate. Il Me
diterraneo ha dunque attraverso i secoli conser vato la sua caratteristica importanza, sopratutto per quelle nazioni, come la nostra, che sono del tutto mediterranee. Il tempo dirà se gl' Italiani avranno saputo e sapranno far tesoro delle felici occasioni che un sì mutevole succedersi di casi a loro offerse, se avranno saputo con sapiente pre veggenza fronteggiare l'insidie ed evitare i pericoli , se avranno saputo mostrarsi degni delle lor più gloriose tradizioni, secondo le quali i fati della Patria furono sempre preparati e maturati sul mare. In ogni modo chi a tempo seppe con arte sapiente, rendere al nostro popolo facili, compren sibili, spiegabili, quei problemi di politica estera, verso i quali proprio noi italiani fino ad oggi mo strammo indifferenza, se non avversione, merita la riconoscenza e il plauso di tutti coloro che amano sinceramente la Patria.
GIOVANNI BETTÒLO.
L'EQUILIBRIO DEL MEDITERRANEO
I.
IL MARE DELLA CIVILTÀ.
MARINE ANTICHE E MARINE MODERNE.
Gli armamenti navali. Gli eserciti non bastano più. Nella guerra del 1859. - La marina e le Colonie. Lo sviluppo delle marine. Il Mediterraneo. La navigazione a vapore. Le vie del mare. -Una pagina di Gaetano Filangieri. Gli italiani dell'America meridionale. - Le rinunzie dell'Italia. L'italianità. Sulla costa africana e nel Levante. Roma e Cartagine. Le stazioni navali di Roma . Venezia. Sulle coste dell'Asia Minore. Fra l'Oriente e l'Occidente. - La decadenza delle marine mediterranee. La conquista commerciale e laGer mania . L'Inghilterra corre ai ripari. I problemi del domani. L'equilibrio del Mediterraneo. Italia ed Austria. - I decreti di Trieste e le relazioni italo austriache. Mezzo miliardo per la flotta austro-ungarica. Bisogna scegliere.
-
Già verso la fine del secolo scorso, si era manife stata assai viva da parte del Governo delle grandi Po tenze la preoccupazione per gli armamenti navali, che è andata più che mai accentuandosi in questi ultimi anni. Le somme stanziate nei rispettivi bilanci per l'aumento della flotta hanno oramai raggiunto delle cifre iperbo liche, e non è punto detto che a codeste cifre ci si debba fermare. Chè anzi, ogni giorno si può dire, reca la no tizia che la costruzione di qualche nuova dreadnought è stata decisa.
Va facendosi sempre più strada la convinzione che i forti eserciti non bastano più alla difesa del paese e dei MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 1
DELLA CIVILTÀsuoi interessi, se alle forze di terra non sono proporzio nate le sue forze navali. Sebbene sia stato sopratutto ad Aboukir e a Trafàlgar, in due battaglie navali, che la potenza napoleonica subì i due grandi scacchi, che im pedirono al grande capitano la realizzazione dei suoi grandiosi progetti durante tutto il secolo scorso, rimase generale la convinzione che le sorti delle nazioni si sa rebbero sempre decise nelle grandi battaglie terrestri, e che, quindi, era sopratutto sui grandi eserciti che biso gnava contare e per i quali bisognava il paese s'impo nesse i più duri sacrifici. Realmente, nelle guerre del secolo scorso, la marina ebbe una parte quasi sempre se condaria, anche quando, come nella guerra di Crimea, ebbe pure un còmpito importante. Nella nostra guerra del '59, invece, la minacciosa comparsa delle navi fran cesi nell Adriatico, ha impedito all'Austria di mandare quaranta o cinquantamila uomini di più contro gli al leati. Chi può dire, se con cinquantamila uomini di più di fronte, le sorti della guerra sarebbero state le stesse, e così rapide e decisive le vittorie degli alleati? Cionon pertanto, per un pezzo, nemmeno di tale servigio in diretto ma efficace, reso dalla marina francese nel 1859, fu riconosciuta l'importanza. Nella guerra del 1866, Sa dowa e Custoza decisero delle sorti della guerra. Certa mente una grande vittoria dell'Italia sul mare avrebbe enormemente giovato: ma non è l'insuccesso di Lissa che ha determinato la necessità della pace. Nella guerra del 1870, la forte e numerosa flotta francese, che, al l'aprirsi della campagna, pareva dovesse compiere azioni decisive contro la Prussia, non rese assolutamente al cun servizio efficace, e nessuna parte ebbe la marina nella guerra turco-russa del 1878.
D'altra parte si era un po' abituati a considerare il mare, e, specialmente il Mediterraneo, come dominio
Dopo il Congresso di Berlino 3
esclusivo dell'Inghilterra: dominio contrastatole solamen te, ed in parte, dalla Francia.
Erano, del resto, fino a una trentina d'anni fa le sole due grandi nazioni europee che avessero delle colonie in tutte le parti del mondo.
Mentre le altre marine erano state organizzate al solo scopo della difesa delle coste nei mari che bagnano il pae se, e quindi non spingevano le loro navi che assai di rado nei lontani Oceani, le marine dell'Inghilterra e della Fran cia han sempre avuto anche un altro compito più vasto, e durante cent'anni che tanto si può dire abbia durato, con qualche interruzione più o meno lunga, la loro ri valità coloniale - le loro navi si sono seguite, incontrate e sorvegliate a vicenda in tutti i mari dei due emisferi.
Ma, dopo il Congresso di Berlino, e quando, dopo un periodo d'esitazioni, il principe di Bismark finì per con vertirsi egli pure alla politica coloniale, anche in Ger mania si manifestò la necessità di avere una forte ma rina militare, alla quale è noto quale impulso abbia dato con la sua attività e con la sua propaganda personale l'Imperatore Guglielmo II. Più tardi gli Stati Uniti, dopo la guerra con la Spagna, nella quale conquistarono due grandi colonie che tali possono considerarsi Cuba e le Filippine, malgrado il self government concesso alla prima e promesso alla seconda sentirono essi pure la stessa necessità ed altrettanto ha dovuto fare l'Ita lia. L'Austria che non ha colonie ha dato ugualmente sviluppo in quel periodo di tempo alla sua marina, per ragioni politiche e commerciali: per prendere posizione nell'Adriatico e per tutelare la sua marina mercantile e le forti Compagnie di Navigazione che hanno spinto i loro servizi fino nelle più lontane parti del mondo. Lo stesso ha fatto la Russia, ed anche il Giappone, prima preparandosi alla guerra con la Cina, e poscia a quella
CIVILTÀ
contro la Russia. Non sono state per questo sospese o diminuite in alcuno di questi Stati le spese per l'esercito, chè, anzi, anche queste, sono andate aumentando: ma si è riconosciuto che l'esercito, per quanto forte, non basta a tutelare la sicurezza e gli interessi di un paese. Cosicchè le Potenze non solo hanno fatto enormi sacrifizi per creare delle flotte "formidabili; ma tengono quasi sem pre una parte di esse in moto, ben sapendo come si di scorre meglio e si ottiene più facilmente ciò che si vuole quando è presente o compare d'improvviso, là dove v'è bisogno di farsi sentire, una squadra, senza sia neces sario, come quando si tratta di fare ostentazione di forze militari in terra, di un ordine di mobilitazione che l'ar rivo della squadra preavvisi. Su un teatro smisuratamente più vasto, perchè ab braccia tutto il globo, si verifica, sia pure con forme un po' diverse, quello che accadde per secoli, e in diversi periodi, nel Mediterraneo : nel grande mare, intorno al quale gravitava allora tutto il mondo conosciuto. La sto ria, adattandosi ai tempi e ai mezzi nuovi, continua mente si ripete. Nè deve meravigliare se, tra l'epoca in cui la vita del mondo si svolgeva tutta quanta nel Me diterraneo, e l'epoca attuale, vi è stato un periodo nel quale è sembrato che le marine militari avessero minore importanza. Poichè fino alla navigazione a vapore, era impossibile, per la lunga durata dei viaggi e l'incertezza della rotta, avere stazioni fisse lontane. Erano navi che non contavano in una guerra, la quale poteva svolgersi e finire con la sconfitta o la vittoria di uno dei contendenti, prima che a quelle navi la notizia della guerra giungesse. Tra paesi una volta distanti l'uno dall'altro tre o quattro mesi di navigazione, oggi il percorso è di cin que sei dieci o dodici giorni al più e dopo un'ora o due si sa in tutta l'America quanto avviene in Europa e vi
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strade del mare
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ceversa. Da qualche anno, grazie alle geniali invenzioni di un grande italiano, anche la nave in mezzo all'Oceano, non è più isolata e può facilmente corrispondere con la madre patria, senza nemmeno aspettare, come accade quando si viaggia in ferrovia, l'arrivo ad una stazione. Con la navigazione a vapore, e le gigantesche navi di oggigiorno i venti e le tempeste sono vinti e non le fanno più deviare dalle rotte che, tracciate sulle carte, sono oramai considerate come delle vere strade. Che, però, a differenza di quelle terrestri, non appartengono ad alcuno, ma possono esse pure a momento oppor tuno essere intercettate dai più forti, sopratutto se hanno saputo assicurarsi dei punti d'appoggio per le loro navi. Questa lotta per mantenere le strade del mare libere, o per confiscarle a proprio vantaggio, che sotto mille forme diverse si combatte, è naturalmente più aspra,, più continuata che non negli Oceani, nei mari interni, dove le distanze sono minori, dove sono più numerosi i concorrenti, che su quel mare protendono le loro coste, più fitta la rete di queste strade lungo le quali si svol gono i loro commerci ei loro interessi più vitali. In tali mari, quando le loro acque bagnano paesi e razze diverse, è legge che tutto vi sia disputato; le isole, i porti, gli stretti. Il Mediterraneo non solo presenta più di qualunque altro mare codesto carattere, ma è sempre stato la gran via delle genti, e da tale punto di vista è ancora cresciuta la sua importanza, verso la metà del secolo scorso, quando, col taglio dell'istmo di Suez, ab bandonata l'antica via del Capo di Buona Speranza, in cominciarono a solcarlo le navi britanniche per recarsi alle lontane Indie.
Gaetano Filangieri, come giustamente osserva il Vecchi uno scrittore che con lo pseudonimo di Jack la Bolina nella stampa e coi libri ha il gran merito di essere stato
CIVILTÀ
uno dei primi a rendere popolare e ad infondere nel pub blico l'amore per la marina in un aureo libro da poco uscito va ritenuto come il vessillifero della schiera di scrittori che nell'Europa Continentale in genere, dappri ma, ed in Italia in ispecie, poi, hanno patrocinato elo quentemente la causa dello sviluppo delle forze e delle energie marittime.
« Il mare scriveva il Filangieri nel 17801) questa strada, per la quale il negoziante fa passare le sue mer canzie, l'artiere l'opera delle sue mani, questo territorio comune, sul quale tutte le nazioni hanno uguale diritto, ma che la preponderanza delle forze di alcuni popoli, cerca di rendere loro privato patrimonio; il mare, final mente, questo campo di battaglia, ove le nazioni a mano armata si disputano i benefici del commercio, e, ciascun paese, che ha la fortuna di essere bagnato dalle sue acque, deve, o rinunciare al suo commercio, o tenere su questo elemento alcune forze capaci a mantenere la polizia e la libertà generale, sola ed unica legge, che una nazione deve dare dal di fuori. Che si perdoni a uno scrittore amico della pace di ridurre oggi le nazioni ad armarsi di vascelli. Non alla guerra nè alla discordia, ma al ri poso della terra sono diretti i suoi voti. Egli vorrebbe ve dere stabilito sull'Impero del mare quell'equilibrio, che conserva oggi la sicurezza del Continente.»
«Se la Francia non avesse trascinato questo oggetto ; se l'avarizia di un ministero, le profusioni di un altro, l'indolenza di molti, se le false mire, i piccioli interessi, l'intrighi della Corte, una catena di vizi e di errori, una quantità prodigiosa di cause oscure e dispregevoli, non avessero impedito alla sua marina di prendere per lo passato alcuna consistenza ; se invece di profondere tante
1) Brano citato dal Vecchi, Nell'Italia figlia del mare, Roma, Voghera, 1913.
di terra e forze di mare
ricchezze, tanti uomini, per dividere con due altre Grandi Potenze la vergogna di non poter opprimere un elettore di Brandeburg, il Governo francese avesse diretto tutti i suoi sforzi dalla parte del mare; se lo splendore momen taneo, che acquistò la sua marina sotto il governo di Luigi XIV, si fosse alimentato, e sostenuto col sacrifi cio di tutti o di una porzione almeno del suo mercenario esercito ; se tutto quello che si doveva fare dalla Francia si fosse fatto, il suo commercio, come si è detto altrove, avrebbe fatto i più grandi progressi sotto gli auspici del suo stentardo reso più rispettato e non sarebbe stato espo sto a colpi fatali, che la Gran Bretagna gli ha tante volte scaricati, mediante il favore delle sue forze di mare. Della maniera stessa, se le altre nazioni bagnate dal Me. diterraneo avessero conosciuto l'importanza di una forza di mare, lo stendardo insultante dei pirati berbereschi non molesterebbe il loro commercio, nè esporrebbe a tanti pericoli l'industria dei loro cittadini. » «Ma si può sperare tale accrescimento delle forze di mare senza la diminuzione di quelle di terra ? La miseria dei popoli, lo stato presente delle finanze non dà, a go verni, altro partito che di scegliere le une o le altre; se il giogo che li opprime, è molto superiore alle forze come gravarne il peso? Finchè dunque il sistema militare pre sente non sarà riformato, è inutile il suo gettare un ac crescimento di forze marittime. Le spese che richiede il mantenimento di una truppa di mercenari, sempre per manente, non è compatibile col mantenimento di una flotta atta a garantire le spiaggie di una nazione, ed a far rispettare il suo nome dapertutto, ove vi è mare. Io ho troppo dimostrata l'inutilità e gli inconvenienti della perpetuità delle truppe di terra, ma chi può descrivere i vantaggi di quelle di mare?»
«Non volendo considerare la cosa che dal solo aspetto
della forza, questo solo basterebbe, per far cadere la scelta sulle seconde. Popoli, sopra questo elemento solo le vostre forze possono essere trasportate lontano da voi senza rischiare di distruggersi. Se le vostre truppe di terra vogliono fare un'invasione in paesi stranieri, tutto le trattiene. Le montagne, i fiumi , la difficoltà delle strade, il diffetto di vivere e di munizioni, le intemperie del clima, tutto sconcerta i vostri progetti e moltiplica gli inconvenienti. Sul mare, al contrario, l'abitazione, l'ar tiglieria, i viveri, tutto cammina con le vostre truppe sopra un suolo unito. Più ; i marinari sono, naturalmente, ; i migliori soldati del mondo. Avvezzi a disprezzare di continuo i pericoli della morte, induriti pel loro mestiere alla fatica, e all'ingiuria delle stagioni, essi leniono meno l'aspetto dell'inimico, e non soccombono così facilmente alle fatiche ed agli incomodi della guerra. La pace non dispensandoli dal navigare, non ammollisce questi eroi nell'ozio delle guarnigioni. La loro sussistenza non è di peso al pubblico, perchè è compensata da benefici del commercio che garantiscono e promuovono.»
«Finalmente, essendo potenti sul mare, voi sarete ri spettati dapertutto; ma essendolo nella terra, voi non im porreto ordinariamente che a' vostri vicini.»
Certamente le mutate condizioni dell'Europa, la sua popolazione forse triplicata, la creazione degli eserciti nazionali, la necessità di essere sempre pronti anche dalla parte di terra, dove in pochi giorni, grazie alle ferrovie si possono portare alla frontiera forze ingenti, mentre, una volta, la preparazione alla guerra, anche con piccoli eserciti, esigeva dei mesi, non permettono più di consen tire nelle opinioni del Filangieri, intorno alla menomata importanza degli eserciti, sieno o no mercenari. Ma ri mane tutto ciò che egli dice sulla importanza della ma rina, e quelle sue pagine magistrali, potrebbero essere
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state scritte oggi, poichè il problema, l'importanza della marina per una nazione non potrebbe essere messa in evidenza in modo più efficace e sintetico.
Solamente il Filangieri non poteva tener conto di un'al tra circostanza, che, allora, non esisteva, e per la quale è oggi ancora più grande la necessità di una marina ga gliarda, specialmente per quei paesi che avendo una forte natalità, hanno qua e là nel mondo, dei nuclei di emigra zione, che costituiscono come delle propagini della patria lontana, sulle quali la patria deve vegliare perchè non si distacchino.
Sono centinaia di migliaia di connazionali che con tribuiscono allo sviluppo economico del loro paese, che ne agevolano il commercio, e che rimanendo legati alla patria loro, ne accrescono la forza materiale e morale. Ma, condizione prima, perchè il vincolo che li lega al loro paese non si allenti, perchè questi figli lontani sen tano l'orgoglio della loro stirpe e non si snazionalizzino, è che sappiano e sentano d'essere aiutati e protetti nella terra straniera dalla bandiera della patria che sventola sulle navi e che lo straniero rispetta.
Non è egli evidente sarebbero oggi ben diverse le condizioni della nostra emigrazione nell'America Meri dionale, se l'Italia avesse avuto il prestigio che ha ora e avesse potuto disporre di una poderosa flotta, quando era più che mai intensa la nostra emigrazione in quelle lontane regioni, ed era nulla o quasi l'emigrazione degli altri paesi europei: quando sulla piazza di Banchi, a Ge nova, come nelle conversazioni famigliari in tutti i paesi della RivieraLigure, si sentiva discorrere di Buenos-Ayres, di Montevideo, e di quello che vi accadeva, come se si trattasse di qualche città italiana a pochi chilometri di distanza, e per le vie di queste due capitali americane
MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 2
CIVILTÀ
in qualunque negozio si era sicuri di farsi intendere par lando genovese!?
Chi non vede, come sarebbero forse rimasti italiane, crescendo lustro e ricchezza alla patria loro, anche molte di quelle famiglie che han dato qualcuno dei loro mem bri alle più alte cariche pubbliche, persino dei Presidenti della Repubblica, e i cui nomi indicano chiaramente la loro origine italica?
Disgraziatamente, anche quando si comprese, dopo il 1879, la necessità di avere una forte marina, e si iniziò la costruzione di navi, che anche le grandi nazioni ma rinare come l'Inghilterra, ci invidiarono e copiarono, una timida ed insana politica non seppe trarre da tale vantaggiosa situazione nostra i resultati che si erano spe rati, e si aveva avuto ragione di sperare. Al Congresso di Berlino, avevamo perduto Tunisi che si credeva dovesse un giorno essere nostra, e poco dopo, quando, a quell er rore vi era stato ancora mezzo di riparare, almeno in parte, prendendo posizione in Egitto, abbiamo declinato l'invito di partecipare con l'Inghilterra alla occupazione del Vice-Reame , dove, come a Tunisi, erano vive le tra dizioni italiane, e ricca e numerosa la colonia nostra. Una marina forte e una politica più energica, in tutto quel periodo di tempo che va dal Congresso di Berlino, alla guerra Libica, avrebbe potuto difendere l'italianità minacciata da tutte le parti nel Mediterraneo, non soltanto dalle marine le cui navi da tempo ne solcano le acque, ma pure da quelle, che, da pochi anni , vi han fatto la loro comparsa.
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Degli uomini politici che ebbero in mano le redini dello Stato, uno solo, il Crispi, la cui figura ogni giorno più giganteggia, ebbe la visione chiara di ciò che avreb be dovuto fare l'Italia nel Mediterraneo appoggiata ad una forte marina, e concertando l'azione sua con quella
dell'Inghilterra, per contrastare le mire della Francia alla sua egemonia in questo mare, che, dissimulate durante un periodo di parecchi anni, sono doventate più che mai evidenti, e sono state, del resto, proclamate, chiaramente, appena, con l'occupazione della Libia, l'Italia ha preso posizione nell'Africa Mediterranea. 1)
Su quasi tutte le coste di questo mare, vi fu un tempo nel quale l'italiano, era la lingua europea più conosciuta. Ancora oggi si rimane sorpresi, quando, attraversando il canale di Suez, si sentono delle parole italiane sulla bocca dei piccoli neri che, sulla spiaggia o in mare, si avvicendano nel fare delle capriole, e vi tendono la mano chiedendovi qualche moneta. Per secoli, la lingua no stra fu la lingua più diffusa in tutto il Levante, ed a quelle colonie, a quei levantini, dei quali si ha il torto di parlare talvolta con un certo disprezzo, noi dobbiamo se, per quanto combattuta da altre influenze e negletta dalla madre patria, l'italianità si è mantenuta viva. In quelle nostre colonie, si sentivano prima italiani che ge novesi napoletani o siciliani, e si parlava dell'Italia come della patria comune alla quale tutti erano devoti quan do l'Italia non esisteva ancora !
Il Mediterraneo fu due volte italiano: prima con Roma e poscia con le nostre repubbliche marinare, e tanto nel primo come nel secondo periodo, furono combat tute sulle sue acque grandi battaglie decisive, come già in questo centro del mondo erano state combattute anche in epoche più remote. Sulle coste bagnate dai suoi flutti si sono elaborate le antiche civiltà e vissero popoli la cui influenza come quella dei Fenici che han prece duto e insegnato agli Elleni - fu decisiva per i destini dell'umanità.
1) Vedi Vico MANTEG AZZA, Questioni di Politica Estera. I due volumi L'Im presa di Tripoli e La Guerra per la Libia. Milano, 1912, 1913, F.lli Treves.
CIVILTÀ
La storia del Mediterraneo è la storia del mondo, fino al giorno in cui un ardito navigatore portoghese addita un'altra via per spingersi fino alle lontane Indie, e il Grande Genovese, credendo di navigare egli pure! verso le Indie, scopre il Nuovo Continente. Non è còm pito di queste note, nelle quali chi scrive si propone so pratutto di spiegare sommariamente, come si presentano ora le questioni del Mediterraneo, di tesserne la storia. Ma, tuttavia non si può a meno di rilevare, come, sotto certi aspetti le situazioni si ripetano, e come sia antica la tendenza di chi occupa i lidi europei di voler porre il piede sulla costa dell'Africa Mediterranea, non tanto per spirito di conquista, quanto per necessità di difesa. Roma non si sentì più sicura quando Cartagine nel l'attuale Tunisia aveva una flotta potente a così poca distanza della Sicilia. Il delenda Carthago di Catone, che potè sembrare un grido ingeneroso, rispondeva a tale necessità. Certo, allora, il problema era molto più semplice. Erano due soli gli stati che si contendevano la signoria di questo mare. Non erano possibili transa zioni o mezzi termini. La signoria doveva essere asso luta, dell'uno o dell'altro. Il concetto dell'equilibrio equilibrio di forze, tanto per terra 'che per mare al quale s'informa oggi la politica degli stati con le loro alleanze ed i loro aggruppamenti non esisteva ancora.
Il Mediterraneo non poteva avere che un padrone, e questa padronanza ebbero successivamente vari popoli. Più volte tale padronanza fu divisa: una marina l'ebbe nel bacino orientale e un'altra nel bacino occidentale. A volte le lotte per la padronanza durarono lunghissimi anni: dei secoli addirittura.
È l'assoluta signoria del Mediterraneo che permette a Roma dopo distrutta Cartagine, tanto sotto la Repubblica che sotto l'Impero, non solo di estendere i suoi domini,
Le forze navali permanenti 13
ma di mantenerli. I suoi generali si trasformano spesso in ammiragli e sanno combattere per terra e per mare. Codesta assoluta signoria permette alle navi mercantili di attraversare senza pericolo il mare, per portare a Roma dall Egitto il grano del quale ha bisogno la cre sciuta popolazione, e dalle coste dell'Asia Minore i pro dotti e le ricchezze doventate necessarie al lusso e al l'opulenza romana. La marina ha così il doppio còmpito di assicurare a Roma il dominio politico e il dominio commerciale. Vi è in quella organizzazione, embrional mente, lo stesso programma che, con mezzi moderni se guiranno altre marine: prima quelle delle nostre repub bliche marinare, e, poscia, in un campo più vasto la marina britannica.
Le analogie sono numerose. Roma con Agrippa dopo le battaglie di Anloco e di Azio istituisce la permanenza delle forze navali. «Una squadra, la maggiore di tutte, nel golfo di Na poli con cantiere ad Ostia e Porto Giulio ; stazione a Baia; è la classifica squadra del Capo Miseno che, impe rante Tito, fu capitanata da Plinio. Un'altra squadra a Ravenna con una divisione leggera ad Aquileia, come la squadra di Miseno aveva a Fréjus in Provenza la sua divisione distaccata. Una squadra di quaranta navi a Costantinopoli, con rifornimento a Cizico nel mare di Marmara, a Trebisonda, e a Dioscuros nell Arpino, e armatella sottile alla bocca del Danubio a Sulina. Un'all tra squadra in Siria ed in Egitto con base intermedia a Carpathos, la Scarpanto di oggi. Una squadra infine in Bretagna con due divisioni di legni di poca pescagione, l'una alla foce della Somme e l'altra alla foce del Reno. » «Codeste squadre autonome (perchè la propulsione era impartita alle navi dai remi, e la vela era motore ausi liario) con gli arsenali, con le basi navali, coi loro equi
CIVILTÀpaggi spartiti in marinai propriamente detti e in soldati da nave, che cosa erano se non le squadre moderne del l'Inghilterra che ha comune con esse, tutto, salvo il modo di propulsione?» 1)
Su per giù han fatto lo stesso Venezia e Genova quan do a loro volta, rivaleggiarono per esercitare la loro egemonia sul Mediterraneo, rivalità nella quale vi furono però dei periodi di tregua, quando le loro flotte furono poste al servigio delle crociate. Allora come oggi, le ma rine avevano bisogno militarmente e per la protezione dei loro commerci di punti d'appoggio e di rifornimento sulle coste o nelle isole. Il naviglio di quelle epoche assai meno forte e che doveva affidarsi soltanto alla vela e ai venti subordinare la rotta, disponendo, anche in con dizioni favorevoli di una velocità assai minore, ne aveva anzi maggior bisogno. La merce sbarcata sulla costa non trovava subito il treno pronto come oggi per essere tra sportata nell'interno. Bisognava aspettare le carovane che, quando si trattava di viaggi molto lunghi, partivano a periodi fissi, come avviene ancora adesso in Africa. Le merci facevano spesso una lunga sosta, e, in questi punti di approdo, svilupparono le grandi città commerciali, là, dove era in certo modo indicato dovessero sorgere, per la loro situazione geografica. Lungo tutta la costa del l Asia Minore, delle città commerciali d'oggi con nome mu tato, e qualche volta soltanto con qualche lieve sposta mento, parecchie occupano il posto delle antichità. La loro importanza per molte è cresciuta, sopratutto perchè servono a un hinterland molto più vasto di allora. Da quando cioè il Mediterraneo poteva davvero considerarsi come un lago. Poichè allora il centro e il nord del l'Europa che poscia gravitarono su di esso, quando a
1) A. VECCHI, L'opera già citata: L'Italia figlia del mare, Roma,Voghera, 1913.
Marina da guerra e marina mercantile 15 non
scaglioni, popoli di razze diverse, scesero in cerca di clima più mite e di terre ubertose verso le sue rive, era no fuori della sua zona di efficenza. Un vero e vasto hinterland avevano solamente le coste dell'Asia Minore, di dove partivano le grandi vie commerciali che condu cevano verso il Medio e l'Estremo Oriente, prima fosse scoperta la nuova via del Capo. Marsiglia, Genova, Trie ste, che hanno ora un vastissimo hinterland non li mitato solamente alle nazioni alle quali codeste città ap partengono, ma che per Genova e Trieste, va, nel cen tro dell'Europa, fino dove il prezzo dei trasporti può fare concorrenza ai grandi porti dei mari del Nord, potevano avere che un modesto sviluppo. Ma le colonie, i possedimenti, i punti d'appoggio delle nostre repubbliche marinare nel bacino orientale del Mediterraneo, furono come delle propaggini, una continuazione della patria. Erano dei grandi empori dove avvenivano gli scambi fra l Oriente e l'Occidente, e da dove codesto commercio era da esse monopolizzato. La marina militare era sem pre a fianco della marina mercantile, talchè si può dire formassero una cosa sola.
Talvolta la nave da guerra si piegava agli usi del commercio: tal'altra, erano le navi destinate ai trasporti delle merci che d'improvviso, attaccate dal nemico, o dai pirati si trasformavano per forza in navi da guerra. Vi era spesso la stoffa del soldato sotto le spoglie di quei commercianti avventurosi, e i marinai sapevano a tempo e luogo trasformarsi in abili commercianti. Lo stato stesso del resto, qualche volta concludeva degli af fari per trasporto con altri stati, mettendo a loro disposi zione un certo numero di navi. Come era stata la pa dronanza del mare che aveva permesso a Roma di svi luppare e imporsi a tutti i popoli bagnati dal Mediter raneo, fu la sua numerosa ed intraprendente marina che
CIVILTÀ
permise a Venezia, uno stato piccolissimo dal punto di vista territoriale, di assurgere a così grande potenza da poter trattare da pari a pari con le grandi nazioni, che, a gara, ne cercavano l' amicizia. In tutti gli stati che hanno le loro coste sul mare grande, come lo chiamavano gli antichi, fu l'indebolimento della loro marina che se gnò l'inizio della decadenza. La marina turca che nella prima metà del secolo decimosesto, alla battaglia di Pre vesa, si era manifestata fortissima, incomincia il suo tramonto a Lepanto. L'impresa di Candia gli ridà un certo splendore, ma non ha più la supremazia e la pa rabola discendente dell'Impero incomincia poco dopo. A Navarino la sua 'flotta è distrutta e l'indipendenza della Grecia prelude a tutte le altre imprese che, in un secolo, fanno perdere alla Turchia più di metà delle sue pro vincie d'Europa; la fine della Invincibile Armada se gna l'inizio della decadenza della Spagna, e Trafalgar come si è già avvertito dà il primo colpo alla po tenza napoleonica. Viceversa, lo sviluppo della sua ma rina, fa, a poco a poco doventare potenza mediterranea l'Inghilterra che, padrona di Gibilterra, dell'Egitto e del Canale di Malta e di Cipro, acquista in questo mare una posizione preponderante. Sebbene il mondo, con la rapidità delle comunicazioni, con la occupazione di vasti territori da parte delle po tenze europee, si sia in certo qual modo ingrandito, e la lotta commerciale e politica si sia acuita in altri Mediterranei, è cresciuta e non diminuita l'importanza del Mediterraneo nostro, e, a distanza di secoli, si è rin novato lo stesso fenomeno, la discesa delle genti del cen tro dell'Europa verso le sue spiaggie. Si rinnova, natu ralmente, in una forma diversa. Non si tratta più di eser citi che muovono alla conquista; è gente che viene in que ste terre più fortunate e bagnate da mari più caldi a ven
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La nuova situazione 17
dere i prodotti delle sue industrie, a crearne là dove non ce ne sono, a sfruttare le ricchezze inesplorate nei paesi che non hanno ancora raggiunto un certo grado di ci viltà ; è insomma l'invasione commerciale ed economica della Germania che tutti preoccupa nel Mediterraneo; tanto i suoi avversari che i suoi amici.
All'antica rivalità anglo-francese, si è sostituita la ri valità anglo-tedesca che domina la politica internazionale e non per quanto può riguardare solamente l'Europa. L'Inghilterra ha sentito da parecchio tempo di non es sere più la padrona dei mari, ed è corsa ai ripari. Mal grado la sua politica tradizionale dello splendid isole ment, ha contratto un'alleanza col Giappone l'alleanza anticristiana come la chiamano i suoi avversari per non avere preoccupazioni da quella parte e poter concen trare le sue forze navali intorno al Regno ; si è adattata a una politica remissiva di fronte agli Stati Uniti rinun ciando alla posizione privilegiata che, in altri tempi,ave va creduto di doversi assicurare nel mare delle Antille nella questione del canale di Panama; ed è venuta a patti con l'antica rivale, la Francia, nelle questioni del Marocco e dell'Egitto.
L'occupazione della Libia per parte dell'Italia, le guer re balcaniche che hanno dato alla Grecia Salonicco e un aumento delle sue coste nell'Egeo e nell'Adriatico, la creazione dell Albania, l'anticipata rinnovazione della Triplice Alleanza con un maggiore accordo fra Austria ed Italia, hanno messo all'ordine del giorno la questione dell'equilibrio del Mediterraneo che si collega a quello dell Asia Minore, dove maturano i problemi del domani.
L'Italia che a guisa di immenso molo, si protende in questo mare e ne separa i due bacini, è la più esposta ai pericoli, e, quindi la più interessata a che codesto equi librio non sia a nostro danno turbato. Tale, sembrami , MANTEGAZZA. Il Mer erraneo.
CIVILTÀ
il concetto, al quale deve ormai essere ispirata la nostra politica, dal momento, che la minaccia non è nemmeno più dissimulata. Politica la quale esige forse, sacrifizi dolorosi di sentimento, poichè ogni cuore d'italiano san guina, quando giungono le notizie della guerra con tinua, che a Trieste vien fatta all'italianità, arrivando fino a dare l'ostracismo, ai nomi di Dante e di Petrarca. 1) Ma, d'altra parte, l'Italia, non può rimanere isolata, proprio mentre è così viva la questione del Mediterraneo e tutte le altre Potenze si raggruppano preparandosi alla difesa, o almeno, all'idea che un giorno la guerra possa essere la soluzione inevitabile. La politica interna della Monarchia dualista, per le diverse razze che ne fanno parte, è strettamente legata alla sua politica estera. In nessun altro stato gli avvenimenti all'estero hanno così immediata ripercussione nella politica interna, e questa su quella. Bisognerebbe immaginare la Corona, gli uo mini politici, i governi colpiti da improvvisa cecità per supporre, che proprio nel momento nel quale erano do ventate così cordiali le relazioni fra le due Grandi Potenze Adriatiche, l'Austria, con le antipatiche misure contro i funzionari italiani del Regno a Trieste2) abbia avuto in animo di offendere l'Italia.'Tali buone relazioni, se possono giovare all'Italia, giovano, e forse anche in mag gior misura, all'Austria. E tanto il Governo come i più autorevoli uomini politici dell'Impero Alleato hanno mo strato di comprenderlo. La prova evidente di codesta convinzione la si è avuta nel mutamento del linguaggio della stampa più autorevole dell'Impero: nelle cortesie prodigate a un nostro generale, 3) nel giudizio lusinghiero
1) L'autorità politica ba vietato di dare questi nomi a due scuole italiane.
2) Ai quali fu comunicato che saranno licenziati.
3) Le accoglienze veramente straordinarie fatte al generale Caneva, coman dante supremo dell'esercito di Libia.
Dopo i decreti di Trieste 19 >
per il nostro esercito, manifestato in più di una circo s anza, in quei circoli, e in quei giornali che rispec chiano il pensiero dell'alto mondo politico e militare del l'Impero e nei quali era inveterata abitudine di parlar ne invece con ostentata diffidenza. Ma v'è stato ancora qualche cosa di più. Il fatto cioè che, per la prima volta, la maggior parte dei giornali di Vienna ha biasimato apertamente la misura presa dal Governatore di Trieste, dolendosi, per l'appunto, che con tale provvedimento si siano turbate le relazioni così cordiali che si erano ristabilite fra i due alleati, durante la crisi orientale. Il silenzio stesso di questi giornali, dopo i primi sfoghi che ebbero una eco simpatica nella stampa italiana, mo strano forse come nelle gravi difficoltà interne fra le quali si dibatte il vicino impero, esso sente la necessità, data la nuova situazione creata dagli ultimi avvenimenti, di appoggiarsi agli Slavi, e non ha la forza di fermarsi, nemmeno di fronte ad atti, che, sa perfettamente destinati a produrre una penosa impressione in Italia. Ammeno, ripeto, di ammettere il governo di Vienna colpito da im provvisa cecità, questa è l'unica spiegazione possibile di atti e misure, così in contraddizione con la politica se guìta finora nelle sue relazioni con l'Italia. Il Governo Imperiale si rende perfettamente conto di tale stridente contraddizione. Tanto vero che il linguaggio dei giornali ufficiosi, all'indomani dell'annunzio di un nuovo stan ziamento di circa mezzo milione per la flotta1) è stato una nime nel protestare contro coloro i quali hanno attribuito a un preconcetto ostile contro l'Italia il nuovo aumento della sua flotta. E non già come faceva in altri tempi, con delle frasi vaghe, ma dimostrando, come tale aumento fosse una necessità assoluta con la nuova situazione che
1) Ottobre 1913.
CIVILTÀ
si va delineando nel Mediterraneo. Un noto scrittore di cose marittime, che si firma abitualmente Nereus, ha pubblicato proprio in quei giorni, all'indomani d'ella vi sita di Poincaré a Madrid e dei brindisi di Cartagena, un opuscolo che sollevò molto rumore dichiarando assurdo il ragionamento di coloro i qualiinterpretano, come diretti contro l'Italia, i nuovi armamenti. E dopo lunghe con siderazioni di carattere militare viene alla conclusione che in caso di conflitto fra l'Autsria e l'Italia, la flotta dei due paesi avrebbe un'importanza secondaria, visto che l'azione decisiva dovrebbe essere combattuta dai due eserciti. Se l'Austria, egli dice, fosse vincitrice per terra, all'Italia gioverebbe assai poco aver distrutta la flotta austriaca, e viceversa all'Austria gioverebbe assai poco essere stata vincitrice per mare, se il suo esercito fosse stato distrutto da quello italiano.
Si preoccupa invece delle forze delle quali le due Potenze Mediterranee della Triplice possono disporre per fronteggiare quelle della Francia e delle sue eventuali alleate mediterranee: la Spagna e la Grecia, rilevando come la superiorità per ora l'avrebbe la Francia.
Che l'indirizzo della politica interna dell Austria di fronte agli italiani, metta l'Italia in una posizione deli cata e imbarazzante, non è chi non veda. Ma non possia mo, anche se i nostri sentimenti sono giustamente of fesi da questi atti, lasciarci guidare unicamente dal senti mento sopratutto in una situazione, la quale, è già di per sè difficilissima, irta di pericoli e rimanere isolati, mentre tutti gli altri si raggruppano, e non disdegnano, ricercano anzi, anche l'alleanza dei piccoli. È accaduto all'Italia su di una scala più vasta, e senza arrivare al conflitto, ciò che è accaduto alla Bulgaria. Che cioè appena l'han sen tita più forte, tutti l'hanno guardata con diffidenza e hanno creduto di doversi premunire, considerando come un
pericolo il suo aumento di forza e di prestigio. Fino a qualche tempo fa, si è potuto fare una politica di ba scule, fra le alleanze e le amicizie. Dopo l'occupazione della Libia che ha disturbato tanti piani, che ha pro vocato fra altre Potenze accordi nuovi, e vieppiù stretti gli antichi, quella politica non è più possibile. Bisogna decidersi e scegliere. Ma, una volta scelta la linea di condotta, seguirla costantemente senza esitazioni , anche se essa può imporci qualche doloroso sacrificio. Oggi, il problema più importante, la maggiore preoccupazione è la nostra posizione nel Mediterraneo. Ad essa deve es sere subordinata e coordinata tutta la nostra politica, nel momento nel quale una nuova situazione si delinea, e da coloro che più hanno avversato la nostra occupazione della Libia, si cerca di creare ed attirare a sè nuovi fattori nella politica mediterranea. Novembre 1913.
II.
L EGEO. NEI TRE ARCIPELAGHI.
L'abbandono. - In altri tempi. Tre Continenti. L'arcipelago. Vessilli di San Marco e di San Giorgio. - La geografia e la lotta dei popoli. - Le aspirazioni dell'Austria. Il monte Athos. - Cavalla. L'Europa e l'Asia. - Gli slavi e l'Egeo. Le Isole. L'antica Lesbo. Chio . Malta . Il Delfino. - I Dardanelli - La leggenda di Ero e Leandro. - I tre Arcipelaghi. Le sorti delle grandi Nazioni. Le battaglie navali. Il Mediterraneo e l'Oriente. Una frase dell'on. Ferri. Una risposta del Re. Il canto in onore di Toselli. - Le antiche vie carovaniere.
-
Dopo sette mesi di guerra,1) l'attenzione che già da tempo incominciava a rivolgersi ansiosa anche ad un altro mare, è stata ad un tratto richiamata sulle coste e sulle isole dell'Impero Ottomano in Europa.
Si estenderà ancora il campo della nostra azione? Le belle navi di questa nuova Italia che da parecchi mesi avevano messo la prora verso i mari d Oriente, saranno chiamate a compiere l'impresa decisiva? Sarà serbato ai nostri marinai, che con un'audacia che potè sem brare temerarietà, hanno avuto l'onore di far sventolare il primo tricolore a Tripoli italiana, di por fine alla guerra con un'azione risolutiva? Sarà l'azione della no stra marina che imporrà o farà imporre la pace?
A tutte queste domande non io posso dare adeguata
1) Conferenza tenuta al Collegio Romano per iniziativa della Lega Navale nel luglio 1912.
risposta. Ma mentre gli avvenimenti maturano e forse precipitano è sembrato alla Lega Navale non inutile che qualcuno vi parlasse dell'Egeo: di questo mare che fu teatro di titaniche lotte fino dalla più remota antichità: di questo mare nel quale le navi della Grecia, di Roma e poscia delle nostre Repubbliche marinare, con alterna vicenda han difeso l'Europa dalle invasioni asiatiche, e, sul quale, in epoca più recente, facendo prodigi di valore, gli eroi della Grecia risorta annientarono quelle flotte ottomane che, per secoli, erano state il terrore di quelle regioni e dell Ellade sacra. Profondamente grato alla Lega Navale, alla quale debbo l'alto onore di parlare innanzi a voi, di un argomento di così palpitante attualità, per mettetemi di mandare prima di tutto un caldo saluto a questa geniale istituzione: a questa Lega Navale che ani mata dal più puro e più alto patriottismo si è prefissa come programma di interessare il paese nostro alle cose del mare: a questa Lega Navale la quale, oggi più che mai, può constatare con legittimo orgoglio l'efficacia della sua propaganda e verso la quale oggi più che mai il paese sente di avere un debito di profonda riconoscenza. Purtroppo, per un lungo periodo di anni, il paese no stro parve disinteressarsi di tutto quanto accadeva nel vicino Oriente: nell'Egeo, come nella Penisola Balcanica. Ed è doloroso pensare che anche uomini politici, i quali hanno avuto una parte importante negli avvenimenti del nostro paese, in molte circostanze hanno mostrato di avere una coltura geografica e politica assai scarsa per tutto quanto riguarda quelle regioni, nè certo avrebbero potuto aumentarla leggendo libri italiani, poichè pove rissima è stata fino ad ora la nostra produzione letteraria intorno a quei paesi.
Eppure, anche senza risalire all'epoca romana, quando la via Egnatia, 'che, da Durazzo, passando per Tessalonica,
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la Salonicco attuale, andava a Bisanzio, non era che il prolungamento al di là del mare della via Appia che terminava a Brindisi; senza risalire all'epoca nella quale chi, nel Foro, assegnava i soldati della Repubblica e del l'Impero alle diverse regioni gridando, dopo il nome della recluta: legione di Tracia, legione di Macedonia, come oggi noi diciamo: al reggimento tale o tal altro di guar nigione a Torino o a Firenze; senza risalire, ripeto, a quei tempi lontani, in epoca molto più vicina, furono famigliari ai nostri uomini politici ed anche nelle masse, i nomi di quei paesi. La generazione prima della nostra che aveva veduto partire per l'Oriente i soldati del Pie monte durante la guerra di Crimea; che aveva seguito le vicende dei nostri volontari accorsi ad offrire il loro braccio per la redenzione di un popolo serbo ; quella generazione che aveva palpitato di legittimo orgoglio con statando che tanto sotto il cappello piumato dei bersa glieri del Lamarmora, come indossando la camicia rossa, tanta balda gioventù aveva saputo fare onore in quelle terre vicine e lontane al gentil sangue latino, sapeva l'im portanza che ha per l'Italia il problema d'Oriente! La nostra generazione ha dimenticato per un pezzo che l'Ita lia si è fatta laggiù; che, se ne ha potuto parlare per la prima volta in un Congresso europeo un grande Ministro, fu perchè i soldati del piccolo Piemonte avevano preso parte alla guerra di Crimea! Per quella guerra i nostri strasporti carichi di soldati attraversarono a bandiere spiegate i Dardanelli e il Mar di Marmara, e, alla Cernaia, rifulse, a fianco di quelli che sono oggi i nostri nemici, il valore di quei bersaglieri che si coprono ora di nuova gloria sulle coste della Libia nostra. Si combatterono, là sulle coste del Mar Nero, le prime battaglie in nome dell'Italia quando l'Italia non esisteva ancora ! Pensando a quei ricordi è naturale che un fremito
Tra i due continenti 25
sia corso per tutta la Penisola quando si seppe le navi nostre, per dirla col Poeta, si preparavano a veleggiar verso l'Eubeo, mentre del lungo indugio il nemico ha approfittato per apparecchiare sempre più le difese del l'antico Ellesponto. E che, per converso, sia stata grande l'emozione in Europa al pensiero che un'azione nostra nell'Egeo potesse turbare tanti interessi e arrestare i traffici che si svolgono nei porti del bacino orientale del Mediterraneo. Poichè, se con la scoperta dell'America e la navigazione a vapore si sono ora moltiplicati i campi d'azione, e non è più soltanto la carta del Mediterraneo quella nella quale s'incrociano in una fitta rete le rotte delle navi, l Egeo non ha perduta la enorme importanza che ebbe nella remota antichità e nel Medio Evo. Sotto certi aspetti è anzi accresciuta. Tanto nei Continenti come sul mare, vi sono zone, regioni, se così si può dire, an che della mobile superficie delle onde, destinate dalla geografia ad essere sempre il teatro di grandi avvenimenti, e dove, per terra e per mare, si decidono le sorti delle nazioni e delle razze. La vasta pianura lombarda, per esempio, come un'altra regione nel settentrione dell'antico Continente, il Belgio, devono alla loro posizione geogra fica di essere state il terreno dove si sono combattute continue guerre; ed a poca distanza dalla Metropoli Lom barda, come alle porte di Bruxelles a Pavia prima, e parecchi secoli dopo, a Waterloo si è disputata e perduta da uno dei combattenti la egemonia di que sta vecchia Europa.
Così l'Egeo che divide due Continenti, fu il mare nel quale si sono combattute più volte le grandi battaglie che decisero le sorti delle razze, la cui apparizione in quei mari segna il principio dell'epoche storiche. In quel le acque, gli ateniesi salvarono l'indipendenza Ellenica distruggendo la formidabile flotta di Serse. Molti secoli
MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 4
dopo, le flotte cristiane si trovarono di fronte alle armate del Sultano per difendere l'Europa dalla invasione mus sulmana, e al principio del secolo scorso, l'ammiraglio Miulis, il popolare eroe della Grecia risorta, rinnovando le gesta di Temistocle, annientava la flotta ottomana.
In Lombardia e nel Belgio, sulle strade tante volte percorse dagli eserciti stranieri, fischia ora la vaporiera, e l'interrotto succedersi di treni che portano lontano il lavoro delle officine, attesta l'alto grado di prosperità a cui sono giunte quelle contrade. Là dove si combatterono un tempo battaglie per la conquista di castella e città, si svolgono ora le lotte incruente del commercio e dell'in dustria....
Nell'Egeo che non ha ancora trovato il suo assetto definitivo : dove le grandi e le piccole Potenze aspettano il giorno del grande sfacelo e vi si preparano in tutti i modi , l ininterrotto succedersi delle navi che solcano quelle acque, può forse preludere ad altre battaglie. Le navi mercantili, anche in tempi normali, han l'aria di correre da un porto all'altro, protette, se non addirittura scortate dalle navi da guerra....
Quello di Egeo è il nome antico dell'Arcipelago delle nostre carte moderne, cioè il mare interno formato dal Mediterraneo, fra l Europa e l Asia Minore. L'Arcipelago parola che serve a designare tanto il mare come le isole che vi si specchiano è limitato a mezzogiorno dalle isole di Creta e Rodi; a oriente, dalla costa asiatica fino allo stretto dei Dardanelli; al nord, dalle coste della Tra cia e della Macedonia ; e, a occidente, dalla Tessaglia, dal Peloponneso e dalle isole di Cerigo e Cerigotto. Quanto all'origine della parola Arcipelago non è bene accertata. Secondo alcuni, deriva per l'appunto dalla parola Egeo e vorrebbe dire Mare Egeo, secondo altri da Argon Pe lagos, Mare Bianco, e da Agio Pelagos, il Mare Sacro.
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Gli antichi, poi, dividevano in tre parti l'Arcipelago, dando il nome di Egeo più specialmente al trattato fra le Cicladi e le coste della Tracia: chiamavano mare Myrtoo il tratto fra le Cicladi e il Peloponneso, e mare d'Icaro la parte più meridionale fra le Cicladi e l'isola di Rodi.
Se il Mediterraneo fu chiamato giustamente il mare della civiltà, è senza dubbio nell'Egeo, sulle coste Euro pee ed Asiatiche, in quelle isole che l'Humboldt con una frase felice disse che si possono considerare come un ponte gettato fra i due Continenti, che si elaborarono le prime antiche civiltà. Più tardi, invece, fu in quel mare che la civiltà e la Cristianità corsero il più grande peri colo, quando le orde mussulmane dopo aver posto piede in Europa si impadronirono di Costantinopoli e, a poco a poco, la Mezzaluna signoreggiò tutte le isole sulle quali fino allora avevano sventolato i vessilli di San Marco e di San Giorgio.
Nel volgere di secoli, non furono soltanto le Repub bliche marinare che s'insediarono e svilupparono i traf fici nei porti e nelle isole di quel mare sacro. Contempo raneamente, e in epoche diverse, vi fiorirono qua e là anche i commerci iniziati da altre città italiane che non avevano flotte e vi ebbero una grande importanza le rap presentanze di banchieri fiorentini e quelle associazioni di mercanti alle quali fu dato il nome di lombarderie, e che, a molti secoli di distanza, sono state imitate da paesi europei, naturalmente con criteri adatti ai tempi, con le molteplici istituzioni moderne destinate a tutelare ed aiutare i loro commerci in Oriente.
Arrivate sulle coste dell'Asia Minore e all'Ellesponto, le orde fanatiche comandate dai successori di Maometto, si trovarono dinanzi all'Arcipelago, a queste isole dai bei frutti e dalle belle donne, che promettevano largo bottino, per i loro tripudi e per i loro harem.
Le imprese delle prime flotte turche contro le isole dell'Egeo, furono il preludio delle loro conquiste in Eu ropa.
Ma non fu quella la prima volta che popoli venuti dalla lontana Asia, attraverso questo mare, minacciarono di sommergere la civiltà. Altri popoli lo avevano già attra versato, poichè l'Egeo con gli stretti che da questo mare mettono al Mar di Marmara e al Mar Nero, è sempre stata la strada delle grandi invasioni asiatiche. Atene e Sparta salvarono una prima volta in quel mare e su quelle spiaggie l'indipendenza ellenica. A Maratona, i persiani, che con un esercito numerosissimo e 600 vele, minaccia vano una nuova invasione, furono sconfitti nella celebre e leggendaria battaglia. Dieci anni dopo, quando Serse, attraversato l Ellesponto, con un altro esercito formida bile invade la Tracia, la Macedonia, la Tessaglia, è Leo nida re che alle Termopili, in quella che fu chiamata la più bella delle battaglie, oppone la prima resistenza, mentre, poco dopo, nella rada di Salamina, sotto la guida di Temistocle, le navi greche distruggono la flotta per siana e costringono il re a ritornare in Asia.
Ma fu attraverso l'Egeo che, a sua volta, l Europa imparò a conoscere l Asia e vi trasportò la sua civiltà, fondando le colonie sulle coste dell'Asia Minore. Più tardi, quello sterminato Impero Persiano che era giunto all'a pogeo con Dario abbracciando una superficie uguale a quella di mezza Europa con una popolazione di circa 40 milioni, diventa l'impero di Alessandro. L'Egeo rimane il centro da dove irradia questa civiltà, che dopo aver disseminato di colonie le coste mediterranee, penetra nella lontana Asia, in regioni che fino a poco tempo fa, noi consideravamo come inesplorate!
Al Grande Macedone spetta il vanto di aver aperto l'Oriente all'Occidente. Le strade che percorsero gli eser
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citi di Alessandro, furono quelle per le quali, dopo, si avviarono le carovane, iniziando quei commerci fra il Continente Asiatico e l'Europa che sono ancora oggi una delle grandi preoccupazioni della politica internazionale e ne determinano sovente le mosse.
Attraverso l'Egeo ei territori che lo circondano, si è verificato fino dai tempi più remoti questo flusso e riflusso di popoli e di eserciti. Ora è l'Asia che invade l Europa; ora è l'Europa che invade l Asia. Che cosa è oggi quella ferrovia di Bagdad, sulla quale tanto si di scute e si polemizza, se non lo strumento col quale una nazione europea intende assicurarsi grandi vantaggi in questo movimento che oggi pare vieppiù accentuarsi, nel quale l'Europa si sente richiamata verso l'Oriente, come alla patria antica?
E che cosa è l'aspirazione non dissimulata di un'altra Potenza dell'Europa Centrale per Salonicco se non il de siderio di avere un porto nell'Egeo, attirandovi i com merci del vicino e del lontano Oriente ? Salonicco, l'antica Tessalonica, dove Cicerone soggiornò più volte, dove Pompeo stabilì il suo quartier generale, dove predicò San Paolo, e della quale fu re Bonifacio di Monferrato, è ora una città internazionale con circa 70 mila israeliti su 140 abitanti. È quindi, in proporzione, la città che ne conta in maggior numero: anche più di Pest. Sono israeliti di origine spagnuola come tutti della Penisola Balcanica che sono andati a stabilirvisi quando furono cacciati dalla Spagna. Hanno anch'essi contri buito, e non poco, a mantenere viva in questa città la nostra lingua, poichè, come spagnuoli, l'hanno parlata subito e assai facilmente quando Venezia era padrona degli scali del Levante e la nostra lingua era necessaria mente quella adoperata negli scambi e dalla gente di mare. Ed è sempre una strana impressione quella che
si prova se come credo, le cose non sono mutate da qualche anno quando si va per esempio al bazar, nel sentirsi chiamare in italiano, in quell'ambiente così caratteristico, dove tutti vestono gli svariati, pittoreschi e sc volete anche sudici costumi orientali, e dove; se non vi fosse qualche forestiere col cappello a cencio e magari qualche viaggiatore di commercio francese col cappello a cilindro a ricordarvi dove siete, potreste cre dervi in tutt'altro posto, ben lontano dal mondo civile, e, in altri tempi!
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Nella città, e sopratutto nei trams, quando vi è un po' di movimento si ha l'impressione che Salonicco sia una vera Babele; un caos di nazionalità, di costumi, di lingue, di religioni . Mi son trovato a sentir parlare sette lingue diverse su una piattaforma dove eravamo otto persone in tutto! E nell'interno della vettura era su per giù la stessa cosa. È, difatti, uno dei grandi centri di propaganda bulgara, greca, serba....
Arrivando per via di mare, Salonicco si presenta in modo assai pittoresco, in fondo alla baia alla quale dà il nome, addossata a guisa di anfiteatro al pendio del monte Korciatch, con la fortezza che la domina dall'alto, i suoi svelti minareti e le mura turrite che la limitano ancora da una parte e che, un tempo, cingevano tutta quanta la città. Così come è splendida la vista che si gode di lassù, dal Korciatch, del panorama che abbraccia tutta quanta la Penisola Calcidica coi suoi tre promontori, su uno dei quali spicca il bianco dei venti conventi del monte Athos dove vivono, in una specie di Repubblica monastica, da 4 a 5 mila monaci.
Il monte Athos è stato sempre considerato come una sentinella avanzata dello slavismo e quindi una minaccia contro l'islamismo. Date le regole severissime di San Ba silio colle quali vivono quei monaci ai quali è vietato
l'uso della carne, del tabacco.... e dei bagni, il monte Athos simbolizza il fanatismo dell'ortodossia contrapposto al fanatismo mussulmano. Debbono, fra l'altre cose, lasciar crescere incolte la barba e la capigliatura. Non hanno però da temere le forbici di nessuna Dalila, poichè, da secoli, perdura il divieto più assoluto alla donna di met tere piede sul territorio dell'Athos. La paura del sesso femminile arriva al punto di vietare formalmente di in trodurre animali che.... che non siano maschi. Ed in base a questa regola è dato l'ostracismo anche alle galline....
Ora, naturalmente, non più; ma, fino a pochi anni or sono, per questo loro carattere ortodosso e per le gene rose elargizioni, che pervengono ai conventi del monte Athos da Pietroburgo e da Mosca, vi era come la vaga convinzione, che sotto la tonaca, molti di quei frati na scondessero l'uniforme del soldato russo....
Quando la Russia coi suoi eserciti vittoriosi alle porte di Costantinopoli, nel 1878, impose la pace alla vinta Turchia, mirò a creare una grande Bulgaria che arri vasse fino a Salonicco. Salonicco doveva esserne lo sbocco. Ma siccome questa grande Bulgaria, nel concetto russo di allora, altro non doveva essere che un paese slavo, comple tamente nell'orbita della politica moscovita, erano in so stanza gli slavi e la Russia che si affacciavano nell'Egeo.
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Il Congresso di Berlino distrusse quel sogno, ed allora la Bulgaria, che a poco a poco si emancipò dalla tutela di Pietroburgo, incominciò a gettare lo sguardo su un altro porto dell'Egeo: su Kavala o Cavalla, come si pro nuncia generalmente all'italiana, a poca distanza dalla celebre pianura di Filippi ove, cadendo, il secondo Bruto pronunziò l'amaro necrologio della virtù e dove è fama che il poeta Orazio, per fuggir meglio, buttasse via lo scudo.
Kavala è una graziosa cittadina che 'sorge in una insenatura di fronte all'isola di Tasso. Gli acquedotti ancora oggi utilizzati e designati col nome di Acquedotti Genovesi, indicano l'importanza che annetteva a quello scalo la Repubblica di San Giorgio.
L'isola di Tasso ha fatto parlare parecchie volte di sè in questi ultimi tempi perchè, a proposito di qualche iniziativa di commercianti tedeschi, fu attribuita alla Ger mania l'intenzione di stabilirvi un deposito di carbone, preludio a una dissimulata presa di possesso: cosa non impossibile sotto Abdul Hamid. Ben inteso dopo che l'i sola era di nuovo diventata turca....
L Europa, malgrado i lunghi rapporti dei consoli a Cavalla, forse non lo ha nemmeno saputo ; ma, nel 1902, così, alla chetichella, un grande avvenimento si è com piuto in quell'isola. Con una specie di rivoluzione pacifi ca, la bandiera ottomana ha difinitivamente sostituito quella egiziana.
Un'isola egiziana nell'Egeo!
Ed anche questa una delle tante anomalie dell'Orien te, dovuta al fatto che Mehmed Alì, il grande Kedivè d E gitto era oriundo di Kavala. Per anni ed anni la Turchia aveva tollerato che la bandiera egiziana sventolasse sul l'isola, sebbene ufficialmente dipendesse dal governatore di Cavalla. Vi fu un momento nel quale, prima che si attribuissero alla Germania le mire alle quali ho accen nato, si credeva invece avrebbe finito per mettervi piede l'Inghilterra. Ma, come diceva, un bel giorno Abdul Ha mid si decise a far cessare l'anomalia. E mentre i consoli onorari di Cavalla, credendosi d'un tratto diventati dei personaggi importanti, erano tutti in agitazione, con vinti che stavano per svolgersi chi sa quali avvenimenti, poichè l'Inghilterra non avrebbe tollerato una simile of fesa ai diritti dell Egitto senza rumore, senza che
Principe di Samos
spuntasse all'orizzonte la più piccola torpediniera di Sua. Maestà Britannica, avendo il kaimakan di Cavalla issato la bandiera ottomana, tramontò definitivamente la po tenza kediviale dell'Egeo....
Un'altra delle anomalie di questo mare è la autono mia e quasi indipendenza di Samos, l'isola celebre per il suo moscato, che i nostri marinai hanno giorni sono liberato dalla tirannide turca. Samos ha una Camera. Elettiva, un Ministro responsabile e un Principe-Gover natore nominato dalla Sublime Porta, che dev'essere però di nazionalità greca. La lista civile del Principe, di circa quarantamila franchi all'anno, fa sì che quando, per una. ragione o per l'altra, il Governatore se ne va, siano numerosi gli aspiranti alla successione, i quali 'spesso si vedono tutti scartati, perchè il sultano fa cadere la. sua scelta su qualche favorito.
Però, questa volta, dopo l'assassinio del Principe, avvenuto un mese fa nella persona del tirannello che era stato mandato dalla Porta con la missione di sopprimere a poco a poco le libere istituzioni di Samos, purtroppo non tutelate dalle Potenze che l'indipendenza di Samos hanno garentito con un trattato, non vi è stata la solita ressa. Pare anzi si siano incontrate molte difficoltà per trovare chi accettase la carica una volta tanto ambita.
Decisamente tutto muta quaggiù: e anche il mestiere di Principe della piccola isola dell'Arcipelago, non è più facile come una volta!
Delle isole dell'Egeo, dopo quella di Candia che non vi appartiene propriamente, ma lo limita a mezzogiorno, la più grande è l Eubea, l'isola che negli antichi tempi si disputarono Atene e Sparta, e che Pericle sottomise prontamente quando cercò di rivoltarsi contro gli ate niesi. Conquistata dai crociati prima di passare sotto il dominio di Venezia, fu per qualche tempo anche in mano
MAXTEGAZZA. Il Mediterraneo. 5
di signori lombardi ed anzichè col nome antico fu chia mata da allora con quello di Negroponte. Viene in seguito, per grandezza, quella di Mitilene, l'antica Lesbo, celebre per la sua depravazione, e della quale fu signora per più di un secolo col titolo di Duchi di Lesbo, la famiglia genovese dei Gateluggio, come quella dei Giustiniani, ugualmente genovese, fu per lungo tempo padrona di un'altra isola, fra le più importanti dell'Egeo: di Chio. Ma se a Mitilene, la famiglia genovese che vi regnò aveva ricevuto una formale investitura dall'Impe ratore Bizantino, i Giustiniani a Chio, ne diventarono a poco a poco signori, perchè la madre patria non aveva i denari per pagare il suo debito verso di loro. La presa di possesso di Chio fu un'operazione finanziaria dalla quale i Giustiniani seppero cavare il maggior profitto. Fu un sindacato di capitalisti che assunse l'impresa della spedizione, considerandola un buon affare. Le galere di Simon Vignoso furono equipaggiate col denaro anticipato da trentadue capitalisti che, a impresa compiuta, doman darono di essere rimborsati. Ma le casse dello Stato in quel momento erano vuote, per cui il Doge finì per abban donare l'isola ai suoi creditori. I Giustiniani, abilmente, riuscirono a disinteressare quasi tutti gli altri, e quindi ad ottenere l'assoluta padronanza dell'isola, costituendo coi loro amici una specie di quelle compagnie e società chartered, che, parecchi secoli dopo, abbiamo veduto fun zionare in alcune colonie africane.
Durante la guerra per l'Indipendenza Ellenica, il mas sacro della popolazione di Chio, ordinato freddamente dal Sultano, senza alcuna ragione, solo per vendicarsi degli scacchi subìti altrove, ebbe un'eco di terrore in tutta l Europa. Era il sistema adottato da Mahmud. Ogni qual volta gli giungeva notizia di qualche successo dei greci insorti, partiva l'ordine di procedere al massacro di po
massacri di Chio 35
polazioni inermi , in paesi e città che non potevano op porre resistenza. Questi massacri di cristiani, allora come oggi, sono sempre stati uno degli argomenti della politica turca, nella speranza d'intimidire l'Europa....
Il giorno di Pasqua nel 1822 una squadra si presentò davanti a Chio con sette vascelli ed otto fregate. Su quelle navi erano imbarcati gli esecutori degli ordini del Sultano Mahmud, della canaglia, lontana parente di quella. che il suo successore Abdul Hamid, molti anni dopo, ha reclutato per compiere le stragi armene sulle rive del Bosforo....
Il giorno stabilito, tutta questa gente armata fino ai. denti, scese a terra e cominciò la strage, dalla quale fu rono salvi soltanto i fanciulli e le donne giovani che rappresentavano un valore come schiavi.
Quella volta almeno il castigo però non si fece atten dere, e la sera stessa del massacro, l'ammiraglio che era stato il bieco esecutore degli ordini feroci di Costanti nopoli, periva miseramente. Aveva invitato a bordo del l'ammiraglia tutti i comandanti delle altri navi per ce lebrare l'ultima veglia del Ramadan. Nel cuor della notte, quando si era fatta più rumorosa l'orgia di quei pascià ebbri di sangue, e nessuno più pensava alla sorveglianza intorno alla nave, un povero 'ed oscuro marinaio greco, diventato dopo uno degli eroi della Indipendenza Elle nica, il Canaris, protetto dall'oscurità, riuscì ad avvici narsi, e con una mina, a far saltare in aria la nave con. tutto il suo equipaggio....
Ma fra le isole dell'Egeo, quella che, specialmente nel Medio Evo, ebbe forse la maggiore importanza è Rodi, l'isola dal clima mite, dal cielo purissimo ricca di olivi e di vigneti, e che, fino dai tempi più remoti, ha dato alla marina greca, e poscia alle flotte cristiane combattenti contro la mezzaluna, i più arditi marinai.
Rodi, sede dell'ordine Gerosolimitano: di questa Re pubblica militare e cosmopolita, osò sfidare per secoli l'onnipotenza dell'Impero Ottomano, infliggendo alle sue flotte e ai suoi soldati una memoranda sconfitta, anche quando a tale onnipotenza nulla sembrava dover resistere. La flotta di Paleologo Pascià, un rinnegato al servizio di Maometto, abbandonò l'assedio di Rodi, proprio nel giorno nel quale un'altra flotta turca comandata essa pure da un rinnegato, attraversato l'Adriatico, si prepa rava alla conquista dell'Italia meridionale, sbarcando un esercito ad Otranto.
Ma in un secondo assedio posto a Rodi, quarant'anni dopo, da Solimano, nè il leggendario valore dei cavalieri che la difendevano, nè le fortificazioni costruite in gran parte su disegni di ingegneri italiani, valsero a salvare l'isola contro le forze preponderanti. Il valore dei cri stiani però s'impose anche allo stesso vincitore, il quale al Gran Maestro dell'Ordine, che seguito da un cavaliere di ogni lingua, andò a trattare la resa, manifestò la sua grande ammirazione, concedendo lasciassero Rodi con l'onore delle armi. Solo parecchi anni dopo, Carlo V dava all'ordine Gerosolimitano in feudo perpetuo l'isola di Malta. Ma i prodi cavalieri, che per tanti anni avevano difeso la Cristianità in quella parte del Mediterraneo, abbandonarono così l'Egeo, come avevano dovuto abban donare un secolo prima Smirne, che fu per un cin quantennio della Santa Sede e della quale città la Santa Sede aveva affidato a loro la difesa.
Alla storia di Smirne in quel periodo di tempo, si riallaccia l'uso di dare i nomi di Delfino ai primogeniti del Re di Francia. Umberto II, principe del Delfinato, era stato l'eroe della difesa di Smirne contro il sultano Orkhan. Sciolta la lega della quale era stato l'anima il pontefice Clemente VI, il principe Umberto si ritirò a
Rodi. Ma, ivi la morte della donna amata che lo aveva seguito in tutte le sue imprese, fu un colpo terribile al quale il valoroso guerriero non seppe resistere. Ritornato in Europa fece dono dei suoi Stati al Re di Francia e andò a chiudersi in un convento. Alla donazione pose una sola condizione: quella,che da allora in poi, l'erede al trono portasse il nome del suo antico regno e si chia masse il Delfino.
L'Egeo e tutte quante le sue isole hanno le loro pa gine di storia nell'antichità come nel Medio Evo; ma certamente, le pagine più importanti sono quelle che riguardano gli Stretti: quello dei Dardanelli che mette dall'Egeo nel Mare di Marmara; il Bosforo, che dal Mar di Marmara mette nel Mar Nero. Quando si va a Costan tinopoli per mare, qualche fora dopo essere passati di n'anzi alle coste di Mitilene, si entra nell'Ellesponto, che è l'antico nome dello stretto chiamato oggi dei Darda nelli dai due castelli, che a loro volta, han preso que sto nome dall'antica città greca di Dardano. Ha una lun ghezza di circa 70 chilometri e una larghezza che varia dai 6 a circa un chilometro e mezzo nel punto più, stretto.
È per l'appunto attraverso questo stretto e, natural mente, dove le due sponde sono più vicine, che passò dall'Asia, in Europa su un gran ponte di barch'e l'eser cito di Serse. Molti secoli dopo, è ancora attraversando i Dardanelli che i Turchi sbarcarono a Gallipoli, facendo la loro prima apparizione in Europa.
Nei ricordi dei grandi avvenimenti in quel braccio di mare e sulle sue sponde, la storia si confonde con la leggenda, a incominciare da quella che ha dato il suo nome antico alla punta ove sorge il Castello di Europa, che si chiamò un tempo la tomba del cane, perchè ivi la regina Ecuba era stata trasformata in una cagna,
fino a quella commovente e gentile di Ero e Leandro. Byron volle, a molti secoli di distanza, rinnovare le gesta dell'infelice amante della leggenda, e senza avere per guida il fanale che la bella 'Ero accendeva sulla costa d'Europa, quando il suo innamorato traversava ogni notte a nuoto l Ellesponto, malgrado i venti e le tempeste, pas sò egli pure a nuoto dall'Asia in Europa. Il grande poeta non fu però molto entusiasta di quella traversata com piuta in un'ora e un quarto, poichè arrivò estenuato con la febbre.... e nessuna Ero lo accolse.
Genova, prima ancora che i Turchi s'insediassero nella città di Costantino, aveva intuito l'enorme importanza degli stretti dal punto di vist commerciale e strategico. Padrona esclusiva dei traffici del Mar Nero nell'ultimo periodo dell'impero bizantino, e quando l'impero era ri dotto alla sola capitale, aveva preso posizione a Galata, fondandovi una vera città genovese in Oriente, con le sue torri, i suoi bastioni e un Podestà, ben inteso genovese, che aveva un posto speciale alla corte e giurisdizione sui suoi connazionali.
Per i Turchi, appena posero piede in Europa, e an che prima della conquista di Costantinopoli, i Dardanelli costituirono la più valida difesa per le loro flotte, chè dopo esserne usciti per attaccare le navi nemiche, vi ritornavano per rifugiarsi nel Mare di Marmara, la Pro pontide degli antichi. La prima flotta europea che forzò i Dardanelli, fu quella della Lega Cristiana, formatasi sotto l'impulso di Giovanni XXII, il Papa ottuagenario che da Avignone bandì questa nuova crociata. Parecchi secoli dopo furono forzati successivamente da una squadra russa partita da Cronstadt e che arrivò nell'Egeo dopo una lunga e perigliosa navigazione, e da una squadra inglese.
Tutte le altre volte che delle flotte passarono l'Elle
La Russia e gli Stretti 39
sponto, ebbero consenziente la Turchia perchè apparte nevano a paesi alleati, come durante la guerra di Crimea, o perchè la Turchia ebbe interesse a far loro gettar l'àn cora nelle acque di Costantinopoli come una minaccia contro i suoi nemici, come quando, nel 1878, la flotta britannica andò ad ancorarsi nell'isola dei Principi, pron ta ad agire se l'esercito russo entrava a Costantinopoli. Padrona delle due rive dell'Ellesponto, la Turchia apre o chiude a suo talento questa porta per il Mardi Marmara. Padrona di tutte le coste dell'Euxino, fece del Mar Nero un mare interno ; un mare esclusivamente turco. Quando Pietro il Grande, dopo aver conquistato il litorale del Mar d Azoff e creata una flotta militare, manda a Co stantinopoli la prima nave da guerra russa con un ple nipotenziario per ottenere per l'appunto il diritto di li bera navigazione in una parte almeno del Mar Nero, la risposta è un reciso rifiuto. Il Mar Nero risponde il segretario del Sultano all'ambasciatore dello Czar si chiama da noi la vergine casta e pura.... Nessuno può entrarvi; e la navigazione ne è vietata a tutti i bastimenti stranieri. 1)
Con quella risposta fu, in certo qual modo, impo stata la questione del Mar Nero che si confonde con quella dei Dardanelli e quindi con tutta la questione d'Oriente. La questione della navigazione del Mar Nero è stata risolta. A poco a poco la Russia ha conquistato con le guerre e coi trattati il diritto di libera navigazione per le sue navi da guerra. Ma, come era facile prevedere, dopo che la Russia ha potuto organizzare in quel mare una flotta, è diventato ancor più arduo, più preoccupante per la sua politica, il problema degli Stretti. E più per tinace la politica ottomana nell'impedirle di uscire, d'ac
1) Vedi in seguito il capitolo: La questione degli Stretti
cordo con le Potenze che hanno avuto, finora, tutto l'in teresse a che queste nuove forze navali non facessero la loro apparizione.
La Russia ha tutti i suoi porti non liberi o chiusi dai ghiacci per vari mesi dell'anno. Nei porti del Baltico, spesso, gli ufficiali vanno a bordo della propria nave in slitta. Per cui è antica data da Pietro il Grande l'aspirazione verso il mare caldo, come egli diceva, che l'ha spinta verso il Bosforo, a Port Arthur negli ultimi anni del secolo scorso, e verso il Golfo Persico, quando era vivissima la rivalità anglo-russa, e pareva ad ogni momento, dovesse sorgere per questa un conflitto.
Ma nell'accordo di parecchi anni sono fra Londra e Pietroburgo, furono completamente abbandonate le spe ranze per il Golfo Persico: le sconfitte della Manciuria l'hanno obbligata ad abbandonare Port Arthur, e, lassù, nei mari del Nord, il continuo aumento delle forze na vali germaniche le fanno intravedere il pericolo di avere anche la flotta del Baltico essa pure prigioniera in un mare chiuso dagli stretti Dano-Svedesi in mano agli av versari.
Quindi, più forte che mai, è oggi la sua aspirazione per il libero passaggio dei Dardanelli, e ciò basta a spie gare l'attività della politica russa tutte le volte che, in una forma o nell'altra, risorge la questione di Oriente, così come spiega la febbrile attività con la quale il va sto impero procede alla ricostruzione delle sue flotte.
Ciò che del resto continuano a fare tutte le potenze europee, gli Stati Uniti ed il Giappone, in questi ultimi anni nei quali si parla forse più di flotte che di eserciti, dopo che si è veduto come sia sopratutto, sul mare o col mare, che si decidono le sorti delle grandi nazioni.
Se si dà uno sguardo alle vicende degli ultimi anni del secolo scorso e a quelle dei primi di questo secolo
guerre future 41
nuovo, è assai facile convincersene. Fu sopratutto una guerra navale, quella combattuta nelle acque di quel mare delle Antille che fu chiamato il Mediterraneo Ame ricano, fra la Spagna e la grande Repubblica Federale: non una guerra navale nello stretto senso della parola quella del Transvaal, poichè dalla parte del piccolo po polo europeo che laggiù, nell'estrema punta del Conti nente Africano, difese con tanto valore la propria indi pendenza, non vi era marina ma fu la padronanza del mare che permise agli inglesi di trasportare a tanta distanza i loro soldati, come ora permette a noi di man dare i nostri sulla costa della Libia. Così come nella guerra Russo-Giapponese furono le navi da guerra nip poniche che distruggendo la flottiglia nemica e diventate padrone del mare, permisero di avviare nella Manciuria l'uno dopo l'altro i numerosi eserciti del Mikado.
Lo stesso accadrà nelle guerre future sulle cui sorti avranno influenza decisiva ancor più di quanto è avve nuto finora le forze navali sulla mobile superficie degli Oceani e dei Mari.
L'alba del nuovo secolo, non è stata un'alba di pace, poichè l'uno dopo l'altro, a breve distanza di tempo, sono scoppiati terribili conflitti, prima ancora fosse spenta l'eco di quelli che hanno rattristato la fine del secolo scorso, e, ironia della sorte, proprio all'indomani della generosa iniziativa di quel monarca che, oggi ancora, in mezzo allo scetticismo dell'Europa, continua a far passi sinceri perchè sia posta fine alla guerra. Questo per il passato. Per il futuro, con la più grande insistenza, al di qua e al di là degli Oceani, si parla, si discute e si esaminano tutte le eventualità a proposito di due guerre che per abitudini di pensiero, si sono finite per chiamare le guerre inevitabili; le guerre alle quali si dovrà fatal
MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 6
mente arrivare: quella fra il Giappone e gli Stati Uniti per il dominio del Pacifico : e l'altra fra l'Inghilterra e. la Germania per la supremazia dei commerci del mondo. Dinanzi alla preoccupazione per queste due grandi riva lità che minacciano da dieci o dodici anni la pace del mondo, è quasi passato in seconda linea il pensiero di una nuova guerra franco-germanica che fu l'incubo della politica europea fino al 1900. O per lo meno, non la si concepisce più senza la convinzione che il conflitto debba allargarsi ad altri paesi, e sul mare. Ebbene, que ste due guerre, sono precisamente due guerre il cui esito sarebbe deciso quasi esclusivamente sul mare, e nelle quali gli eserciti sarebbero chiamati ad intervenire quando già fosse stabilita sul mare la superiorità d uno dei con tendenti.
La sorte delle nazioni si deciderà ormai in gran parte sul mare. Con l'esercito si difendono gli usci di casa. Ma ogni nazione ha oggi possedimenti lontani o vicini al di là del mare, che costituiscono la sua ricchezza, dove è necessario che diuturnamente sia affermato il suo pre stigio, la sua forza: equesta affermazione è esclusivamente fatta dalla bandiera delle sue navi da guerra, sempre pronte all'offesa e alla difesa. Epperò, le due Grandi Monarchie che sono state finora i campioni della potenza continentale, che per tanto tempo parvero non avere al tra preoccupazione che quella di aumentare il numero dei loro battaglioni, oggi aspirano entrambe a diventare ed una lo è già delle grandi potenze marinare. La Germania al grido del suo Imperatore: l'avvenire è sul mare, pensa che solo una marina formidabile può per metterle di contendere all'Inghilterra quella supremazia nei commerci del mondo che finora nessuno le aveva contestata ; così come la Russia s'è persuasa che gli eser citi senza una grande flotta non basterebbero a permet
terle di riprendere il posto che le compete nella politica dell'Europa e del mondo.
Non vi sono più questioni o conflitti che possano con siderarsi isolatamente. Il colpo di cannone tirato in un punto può avere eco lontanissime al di là del mare che ne ha veduto il lampo! Così la questione dell'Oriente, rela tivamente assai semplice una volta, quando si trattava di strappare qualche provincia alla Turchia in nome della fede, si complica e si compenetra oggi, attraverso l Egeo e le coste dell'Asia Minore, dove le nazioni eu ropee hanno tanti interessi, con quella del Medio Orien te e delle Indie e con quella del Mediterraneo, che si collega a sua volta con tutte quelle relative al definitivo assetto del Continente Africano, non solo per la que stione religiosa, ma sopratutto perchè, a questo mare si affacciano ora i grandi imperi africano-europei del l'avvenire.
Con l'occupazione di Tripoli tutte coteste questioni sono state risollevate, ed è entrato in una nuova fase quella del Mediterraneo che più da vicino ci tocca, e nel quale sarà l'equilibrio che vi si stabilirà. La situazione delle forze navali in questo antico mare sarà ancora pro fondamente mutata il giorno nel quale le 'flotte dello Csar potranno sbucarvi dal Bosforo e dall Ellesponto. Il Mediterraneo e l'Oriente sono sempre le due grandi questioni che minacciano la pace del vecchio Continente e che determinano le relazioni fra le Grandi Potenze. Ed è laggiù, nell'Egeo e intorno agli Stretti, dove tante volte si sono trovati di fronte l'Europa e l'Asia, la ci viltà rappresentata da Fenici, da Greci, da Romani e poscia dalle Crociate e la barbarie, rappresentata dai Persiani, dalle orde di Tamerlano e finalmente dalla invasione degli Osmani, che si combatte ora una sor da lotta d'influenza. Là dove un tempo i paesi civili
si trovarono spesso alleati per combattere il fanatismo e la ferocia musulmana, le Potenze oggi si sorvegliano diffidando l'una dell'altra: come si sorvegliano in al tri mari lontani, in due altri arcipelaghi: in quello del Mare delle Antille dove fra tre anni col taglio dell'Istmo di Panama verrà aperta un'altra grande via transo- . ceanica e in quello dei Mari della Cina aspettando lo sfacelo del gran malato dell Estremo Oriente: di quel l'Impero, di quella Repubblica d'ei Celesti che si dibatte in violente convulsioni, che non si sa ancora bene se sono quelle dell'agonia o della sua rinascita a quella nuova vita che potrebbe rappresentare un grave peri colo - il famoso pericolo giallo per la potenza europea.
È in questi tre arcipelaghi che si svolgeranno forse le grandi lotte dell'avvenire. È a queste lotte che tutti si preparano continuando a costruire i formidabili stru menti di guerra che ora solcano il mare e di fronte ai quali sono diventati piccoli e di ben poco valore quei Duili e quei Dandoli che, a suo tempo, erano sembrati dei colossi impossibili a superare.
È ormai trascorso più di un quarto di secolo dall'e poca nella quale uscirono dai nostri cantieri quelle navi gagliarde che richiamarono l'attenzione del mondo sul progresso della scienza navale in Italia, e sulle quali, ammirando, modellarono le loro nuove costruzioni an che le grandi nazioni marinare. Il meraviglioso svilup po delle nostre forze navali coincise col periodo nel quale le Potenze europee spingevano lo sguardo lontano nel Continente Africano e in quello Asiatico, per assicu rarsi delle Colonie. Quel Dandolo che ancora poco tempo fa ho veduto abbandonato, in disarmo, nelle acque della Laguna, mi è sembrato come il simbolo di tutto il lungo e triste periodo nel quale l'Italia ha assistito indifferente, e tirandosi in disparte anche quando era stata invitata a
parteciparvi, alla presa di possesso da parte delle Potenze Europee nel Continente Africano. Solo, tardi, l'opinione pubblica si ravvide, e finalmente forzò la mano agli uomini di governo, quando si accorse che quella poli tica imbelle trascinava a rovina la nuova Italia.... Final mente si è compreso quanto sia stata stolta quella per tinace opposizione a qualunque impresa coloniale.... E l'onorevole Ferri è diventato anche lui un guerrafondaio! Come si diceva anni sono, di noi. Di quei pochi che avevano avuto il coraggio di mettersi contro corrente, so stenendo che un paese come l'Italia non poteva e non doveva rassegnarsi alla sconfitta. Ma ciò che più deve confortare in questa evoluzione dell'illustre socialista, si è il fatto che, rompendosi con i suoi correligionari egli l'ha giustificata da par suo, dimostrando, se così si può dire, scientificamente, il diritto, e più ancora del diritto, il dovere per l'Italia di fare una politica ben diversa da quella seguita fino al giorno nel quale i nostri baldi marinai han messo il piede sulle coste della Libia. Come paiono già lontani i tempi nei quali quasi quoti dianamente, nella Camera e nella stampa, si poteva in sultare impunemente l'Esercito e l'Armata! E voi ono revole Ferri inventavate una brutta parola per i nostri ufficiali di terra e di mare che sanno ogni giorno dare il nobile esempio di combattere o morire sempre alla testa dei loro soldati!
Sono ormai ben lontani quei tempi certamente per voi, come per noi, e se io li rammento insieme alla brutta parola, non è già per dirvi cosa men che cortese: ma per misurare la grande distanza tra allora ed oggi, e rallegrarmi con gioia infinita, come ha fatto tutto il paese, che uomini venuti da parti così diverse, si sieno dati con entusiasmo la mano, e tutto abbiano dimenticato sull'ara della Patria. E quei tempi che paiono così lontani, ram
mento solo perchè in questo universale consenso, più che mai sembrano, oggi, voci perdute e senza eco le poche che ancora protestano, e che. come le poche goccie d'acqua gettate sul fuoco invece di spegnerlo lo attizzano, fanno sempre più viva divampare la fiamma del patriottismo che vibra nei nostri cuori.
Quando il nostro pensiero si rivolge a quell'epoca, all'epoca nella quale coloro che vaticinavano anche per l'Italia un grande Impero Africano, erano scherniti come dei sognatori, non si può a meno di pensare con tristezza a tutto quello che abbiamo perduto nel corso di un quarto di secolo dal giorno cioè che siamo andati al Con gresso di Berlino impreparati e quindi con la certezza dell'insuccesso. Non si può vincere un sentimento di pro fonda melanconia dinanzi alla visione di quello che sa rebbe ora quest'Italia nostra, se avesse potuto fin d'al lora insediarsi sulle coste dell'Africa settentrionale o a "Tunisi che pareva più a noi che ad altri destinata, o an ticipando la conquista di Tripoli, quindi accettando di partecipare all'occupazione dell'Egitto, e, più tardi, non avesse ammainato il tricolore del forte di Adigrat, mentre lacrime cocenti solcavano le gote abbronzate dei valorosi costretti a dare e ad eseguire quegli ordini....
Ci voleva, pur troppo, quella che non è mancata, che si ebbe subito, immediata: la riprova dell'errore. Poichè, data per l'appunto da quei nostri abbandoni; poichè fu all'indomani di quei dolorosi avvenimenti che le Potenze Europee, comprese quelle che prima non se ne erano mai occupate, raddoppiarono di attività e intensificarono l'opera loro in Etiopia e in tutta quella vastissima zona del Continente Nero. Tal quale ciò che incominciava già ad accadere per Tripoli, dopo che l'esserci lasciata sfug gire la propizia occasione qualche anno fa, all'epoca della grande crisi balcanica, e la prontezza della nostra
Una risposta di Re Vittorio 47
rassegnazione dinanzi al fatto compiuto erano state in terpretate come le prove più evidenti della nostra ri nunzia!
Ma tutto ciò è stato dolorosamente necessario per co loro che fanno della politica e che nelle lotte di parte aspirano a guidare le masse: non per il popolo, non per i soldati nostri che quindici, vent'anni fa ebbero, quando si trattava di partire per la lontana Eritrea, lo stesso entusiasmo, lo stesso slancio, col quale chiedono ora di partire per la Libia vicina.
Epperò mi sia consentito di ricordare qui la risposta, pronta, ed efficacissima nella sua semplicità, data da S. M. il Re che così nobilmente impersona questa Patria no stra e mostra di conoscerla meglio di chiunque altri, a chi discorrendo della guerra si lasciò sfuggire una frase tante volte ripetuta a proposito del valore delle nostre truppe parlandone come di una rivelazione che ha mara vigliato tutti.
Io no. Non me ne sono punto meravigliato ! ri spose il Re Vittorio.
Che questa parola augusta sia d'ammonimento a tutti coloro che nei giorni tristi han dubitato dell'energia, della virilità delle nuove generazioni, come se una campa gna sfortunata, ma nella quale furono infiniti gli episodi di valore, potesse segnare irrevocabilmente la decadenza di una stirpe e si dovesse disperare del suo avvenire! Oggi ancora dopo tre lustri, alle memorie dei valorosi caduti in quelle tristi giornate contro il nemico stesso che rende giustizia e sono popolari in tutta l'Etiopia i nomi di Toselli, di Galliano, dell Arimondi e di tanti altri come quello di leggendari eroi. Il canto che celebra l'eroica morte del maggiore Toselli al quale il vincitore, ammirando, volle tributate solenni onoranze nella piccola e pittoresca chiesa di Enda Mariam , è di 2
ventato un canto nazionale tanto per gli abissini soldati del Negus, come per quelli al servizio dell'Italia. Ed è cantando la mesta nenia, piena di religiosa devozione alla memoria del prode italiano, che gli ascari dell Eri trea, venuti a combattere, con noi e per noi, su un'altra terra africana, han fatto, poche settimane or sono, una delle loro fantasie caratteristiche per festeggiare il reg gimento al quale il Re ha conferito l'altissimo onore della medaglia d'oro per la sua bandiera.
Non dimentichiamoli noi, quegli eroi dei giorni tristi nei quali si ebbe il torto di disperare dell'avvenire della patria!
Non dimentichiamoli noi, e affratelliamo nel nostro tributo di ammirazione e di riconoscenza, i combattenti e i caduti di Amba Alagi, di Macallè e di Abba Carima, con quelli di Sciara Sciat, di Bengasi, di Tobruk e di Derna, poichè è il valore sfortunato di allora che ha cementato la gloria che rifulge ora sulla fronte dei no stri soldati e dei nostri marinai; perchè là, sulle ambe del Tigrè, come sulle sabbie del deserto Libico, sopraf fatti o trionfanti, vinti o vincitori, è sempre nel sacro nome dell'Italia e del Re, che tanta balda giovinezza si è offerta impavida al bacio della morte!
Mentre si stava discutendo intorno alla probabilità di un'azione nell'Egeo, è giunto di un tratto la notizia che alcune navi nostre hanno smantellato i forti che difen devano l'entrata dell'antico Ellesponto, e che altre han fatto la loro comparsa qua e là intorno alle Isole, e sulle coste dell'Asia Minore.
Il cannone aveva tuonato il giorno prima sulle rive del Bosforo per festeggiare la inaugurazione di quella parodia di Parlamento che i Giovani Turchi han messo insieme coi mezzi oramai a tutti noti. Il cannone delle nostre navi ha risposto a poche ore di distanza!
Indipendentemente dai risultati che tale azione può avere dal punto di vista della guerra, la comparsa delle nostre squadre nell'Egeo, è la vera, la ·efficace afferma zione di una nuova Italia, non più tutta racchiusa in sè stessa, ma di un'Italia che può spingere lo sguardo al di là dei confini e far sentire la sua voce nei consigli del l'Europa.
Quelle navi e quei colpi di cannone dicono che, mal grado tutti gli errori, l'Italia deve e può avere ancora un grande avvenire in questi paesi che, come le nostre co ste, sono bagnati dalle acque del Mediterraneo, nel quale si specchiano tre Continenti, che è sempre stato il gran mare della civiltà, e quindi il teatro delle grandi lotte politiche e commerciali di tutti i tempi.
Forse, in un avvenire che ora si intravvede appena, l'asse del mondo che, dopo la scoperta dell'America, si spostò dal Mediterraneo verso l'Atlantico, sarà un gior no spostato verso il Pacifico e verso l'Estremo Oriente.
Ma il risveglio di quel mondo giallo: di quella immensa riserva di ucmini che si contano a centinaia di milioni, lo sviluppo commerciale e politico di un altro vastissimo paese: delle Indie alle quali il Regno Unito deve tanta parte della sua prosperità, avrà come indiretto risultato di ridare importanza alle antiche vie di terra, per le quali, attraverso l'Oriente Europeo i nostri padri si dirigevano verso l'Oriente Estremo. Saranno rimesse in onore le an tiche strade carovaniere che dalla Penisola Balcanica, dalla Mesopotamia e dalla Persia conducevano verso l'In do, lungo le vie percorse da Alessandro, attraverso paesi che il fischio della vaporiera sveglierà dal sonno di se coli....
È un movimento che si svilupperà avendo in gran parte, come mèta e come punti di partenza, i porti del l Egeo : del mare sul quale, in altri tempi, come sulle MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 7
coste della Tripolitania e della Cirenaica, correvano i vessilli di Genova, di Pisa e di Venezia.
Oggi è una sola la bandiera che vi sventola : il trico lore che ne riprende le tradizioni e tutte le riassume e che si libra al sole della vittoria per terra, per mare, e nello spazio ; nello spazio, dove giovani ardimentosi dal braccic e dal cuore di acciaio preludono con le loro meravigliose manovre alle battaglie dell'aria che saranno i nuovi episodi delle guerre future.
Quel vessillo che si vede ora sventolare dalle coste Libiche all'Ellesponto, per terra, per mare e nell'aria, dica al mondo che se il sole della nuova Italia parve perun momento oscurarsi, oggi risplende nuovamente e di più vivida luce; e che se gli Italiani, in un momento di sconforto, parvero disperare dell'avvenire, oggi, tutti con cordi e con la fede inconcussa nei suoi alti destini, sono sempre pronti a qualunque sacrificio e a qualunque ci mento per la gloria e la grandezza della Patria.
III.
LE DODICI ISOLE. GLI ANTICHI PRIVILEGI.
Le piccole Sporadi. I diritti della povertà. Il firmano di Solimano il Ma gnifico. Paesi sottomessi e paesi conquistati. Nell'isola di Symi. - L'inter vento dell'Inghilterra. La fase.... liberale. La pesca delle spugne. L'isola tragica. - I Giustiniani. - Il massacro del 1822. Diritti speciali ai Chioti. Il programma di ottomanizzazione dei giovani turchi . Le minaccie.
Le Dodici Isole è il nome dato comunemente in Grecia, ed anche a Costantinopoli, alle Piccole Sporadi, che da poche settimane sono state occupate dai nostri marinai e dai nostri soldati: isole che, per antiche concessioni, hanno goduto fino a poco tempo fa di speciali privi legi, e di una quasi completa autonomia. Tantochè, a Costantinopoli, vi è un Ufficio delle Isole, il quale, fra le altre cose, dà dei passaporti speciali per gli abitanti delle Sporadi. L'occupazione da parte dell'Italia è avvenuta proprio nel momento più critico per queste povere isole: poichè dopo che, per secoli, i Sultani ne avevano rispet tato i privilegi solennemente concessi e più volte ricon fermati dai predecessori di Maometto V, i Giovani Turchi, come han fatto per Samos, si accingevano a sopprimerli completamente. Purtroppo per le Isole, da tale punto di vista, la situazione loro è molto diversa da quella di Samos.Per Samos vi è un Trattato posto sotto la garanzia delle Potenze: Russia, Francia e Inghilterra. Che, per una
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ISOLEinesplicabile remissività verso la Sublime Porta, lò ab biano da questa lasciato violare, e sia ancora oggi violato mentre scriviamo - dal momento che, per quanto ridotta a poche decine di soldati, vi è ancora nell'isola una guar nigione turca che il trattato non consente ciò non toglie che i samioti abbiano dei diritti riconosciuti e san citi dalle Potenze alle quali possono rivolgersi. Al mo mento opportuno le Potenze possono intervenire.
Per le Dodici Isole, finora nessuna Potenza ha potuto intervenire, nessuna avendo titoli per intromettersi fra il Sultano e i suoi sudditi. Ma, come era naturale, la sorte di quelle popolazioni ha preoccupato grandemente in que sti ultimi tempi il Governo di Atene. Quando i Giovani Turchi, col pretesto, che, essendo stata largita la Costitu zione, non avevano più ragione d'essere tali privilegi, , poichè tutti i cittadini dovevano essere uguali in un re gime di libertà, incominciarono a voler far cessare l'antico stato di cose, fu l'Inghilterra che, pregata dalla Grecia, intervenne ufficiosamente. Qualunque passo fatto diret tamente da Atene sarebbe stato sospetto.
Tali privilegi che i Giovani Turchi non volevano ri conoscere alle Dodici Isole oltre altre piccolissime il cui nome non figura nelle carte, ma che sono però esse pure abitate da pochi pescatori hanno un'origine lontana, e furono concessi quando tutte queste isole si sottomisero spontaneamente. Erano allora come oggi po polate da pochi abitanti i quali vivono là, sulle loro roccie, privi di qualunque risorsa, e guadagnando a stento la vita con la pesca. 1) Fu Solimano il Magnifico, che, all'indomani della caduta di Rodi, concesse la esen
1) Questa sottomissione spontanea delle isole a Solimano il Magnifico è una questione essenziale di fronte alla Legge Sacra Mussulmana che stabilisce una grande differenza fra paesi sottomessi e paesi conquistati. Per cui quelle con cessioni sono sempre state considerate come dei veri trattati basati sulla Legge Sacra dell'Islam.
Il firmano di Solimano il Magnifico 53
zione delle imposte alle popolazioni delle isole che per la povertà loro non erano in condizione di pagare. Fu stabilito invece avrebbe pagato un tributo in una cifra fissa il Maktou - e, dal momento che l'autorità turca , non doveva più immischiarsi d'altro, fu loro riconosciuto il diritto di amministrarsi da loro. L'autononiia ammini strativa più completa fu loro riconosciuta col Firmano di Solimano il Magnifico, più volte confermato. Per re golare tale regime privilegiato seguirono altri firmani di Mehmed IV nel 1644, di Osman III nel 1750, e di Abdul Hamid I nel 1770. Tali firmani, vietarono nel tempo stesso ed è quanto mai caratteristica la loro dicitura ai generali ed ammiragli ottomani di «molestare quelle isole se per combinazione vi fossero capitati». Vietavano inoltre a tutti i funzionari, stabilendo delle pene rigorose se a tale ordine disobbedivano, di immischiarsi negli affari degli abitanti.
I Sultani hanno avuto così l'aria di prendere sotto la loro protezione quelle povere popolazioni, mettendo per codesta loro protezione una sola condizione: che le Do dici Isole rimanessero fedeli all'Impero. Tanto che, con un colpo di penna la Sublime Porta tolse tutti i privi legi alle isole di Calimno, Icaria, Patmos, e Leros quando queste, nel secolo scorso, parteciparono alle guerre della Indipendenza Ellenica. Si riebbero soltanto nel 1835 dopo lunghe trattative condotte dai loro rappresentanti, andati a fare atto di omaggio a Costantinopoli, e, naturalmente, grazie all'appoggio delle Potenze.
Il firmano promulgato in quell'anno dal Sultano Mah moud II, conservato nel Convento di Patmos, è un docu mento curioso nella forma ed assai interessante perchè sancisce solennemente ancora una volta tali privilegi e le ragioni per le quali sono concessi. Credo metta il conto di riprodurre qualche brano,
ISOLE
di questo documento diretto al Governatore delle Isole dell'Arcipelago.
Molto saggio Vizir è detto nel firmano di Mahmud la tua felicità è perpetuata dal presente rescritto che devi adorare. Sappi che gli abitanti delle isole dell'Arcipelago (Icaria, Patmos, Leros, Ca limnos, e delle altre isole dette Sporadi: Telos, Nissiros, Astipala, Symi, Castellorizzo, Halki, Carpanthos e Casso) ad eccezione di Cos e Rodi, hanno di già precedentemente sofferto ogni specie di mali non essendo state convenientemente protette, e, ultimamente hanno dovuto soffrire delle grandi sciagure per la comparsa di malfattori, d'insorti e di pirati.
Tutto ciò è giunto fino alle mie orecchie imperiali. E siccome tutti i sudditi miei che dànno prova di fedeltà ed obbedienza, come gli abitanti di queste isole povere e aride, debbono riposare tranquil lamente nel loro letto, sotto la mia egida, protetti contro qualunque ingiustizia od oppressione, secondo la mia lodevole e benevola deci sione; e siccome queste isole sono sempre rimaste fedeli e devote al mio Impero, per questo è giusto sieno gratificate della mia imperiale pietà e clemenza.
Cosi, confermando i loro diritti, ordino che d'ora innanzi paghe ranno annualmente per tutti una posta, una somma equamente sta bilita e che non saranno altrimenti molestate; che saranno protette contro ogni molestia che sarà loro tentata, e contro i delitti dei mal fattori, insorti o pirati: ciò che è ingente.
" Per conseguenza, fino a che gli abitanti delle dette isole rimar ranno fedeli sottomessi ed obbedienti, pagheranno invece dell'imposta, in tutto e per tutto, una somma annua di 120 mila piastre.
Ordino nel tempo stesso continua il documento che nè le autorità di Rodi, nè alcun altri intervengano nei loro affari.
A tale effetto è stato promulgato il presente glorioso e magnifico rescritto imperiale, e ti ordino di agire in conformità. Sappi inoltre, mio glorioso Vizir, che i sudditi insulari, non avendo partecipato a movimenti contro l'Impero ed essendo rimasti fedeli e sottomessi pa gheranno il Maktou in due rate nelle tue mani, ecc.
Ho sottolineato dei brani di questo documento che sintetizza la situazione delle isole ; e che può considerarsi come il loro statuto. Tanto più essendo andato smarrito o distrutto il primo firmano di Solimano il Magnifico, le due frasi che si riferiscono al contegno tenuto dalle po polazioni delle Isole durante la guerra dell'Indipendenza
Sotto il regime dei Giovani Turchi 55 un
Ellenica, e al modo col quale gli atti di ribellione furono considerati dal Sultano. Gli insorti, sono riguardati alla stregua dei malfattori e dei pirati, che hanno turbato la tranquillità delle isole sempre rimaste fedeli. Allo stesso modo che, adesso, a Costantinopoli, non vogliono rasse gnarsi a constatare, a riconoscere le sconfitte, il Padiscià Mahmud non poteva ammettere che dei sudditi suoi po tessero pensare a sottrarsi al suo Impero: a un regime.... nel quale egli poteva distribuire la felicità con suo rescritto, come dice nell'esordio del Firmano al Visir.
L'origine dei privilegi è dovuta, come dicevamo, alla miseria degli abitanti, ed alla mancanza di ogni risorsa in quelle isole rocciose, che nulla producono ; dove scar seggia in parecchie persino l'acqua potabile: ma altresì al fatto che l'esercito vittorioso di Solimano non le occupò. Non furono quindi considerate assolutamente come terra di conquista. E sebbene non vi sia stato inter vento ufficiale delle Potenze, si comprende come sieno in tervenute nel provocare il riconoscimento degli antichi diritti, quando nel definitivo assetto del nuovo Regno di Grecia, esse furono cedute alla Turchia in cambio del l'Eubea. Il che, per vero dire, avrebbe potuto essere, e non per l'Inghiterra soltanto, un titolo per intervenire, quando incominciarono le prime minaccie della Sublime Porta. Minaccie che risalgono ad epoca, relativamente lontana, ma che si intensificarono due o tre anni fa col nuovo regime Giovane-Turco.
Il primo attentato serio ebbe luogo nel 1867, nella isola di Symi; la piccola isola, della quale l'attività prodigiosa dei suoi abitanti, è riuscita a farne, dopo Calimno, la più ricca delle Sporadi Orientali. Symi dove il generale Ameglio è stato accolto con tanto en tusiasmo poche settimane or sono, durante la breve visita
ISOLEche vi fece è per l'appunto una delle isole sprovvedute di acqua potabile.
Iti quell'anno scoppiò una delle grandi insurrezioni di Creta. Fra le Sporadi, quella di Symi è sempre stata fra le più tenaci nel dimostrare di non volere assoluta mento abbandonare i propri diritti, e che, in qualche cir costanza, non ha abbastanza dissimulato quelle aspira zioni.... a un ordine di cose assai diverso dalla cieca devo zione all'Impero della quale parla il Sultano Mahmud nel firmano del quale ho riprodotto qualche brano. A Co stantinopoli, temendo l'esempio di Creta potesse essere seguito, si decisero a un vero colpo dimano. Una bella mattina, senza che nessuno lo avesse saputo o potuto sospettare, una piccola nave da guerra si presentò a Symi, e vi sbarcò un certo numero di soldati con un fun zionario, il quale d'ordine del Governo, vi insediò un kaimakan, dichiarando, che, da quel momento, anche gli abitanti dell'isola, come delle altre Sporadi, erano sotto posti alle stesse leggi di tutto il resto dell'Impero e non avrebbero più goduto alcun privilegio. Intanto, come argomento persuasivo, la nave da guerra puntò i cannoni sul paese, costringendo sotto la minaccia del bombardamento i Simioti a riunirsi in assemblea e ad accettare il nuovo ordine di cose. Dal momento che la Turchia si imponeva a quel modo con la forza, non si capisce, a tutta prima, perchè voleva che un'assemblea approvasse. Probabilmente, sperava di evitare le rimo stranze delle Potenze, facendo credere che la popolazione era stata assenziente. Fu precisamente alle Potenze che i Simioti si rivolsero immediatamente, mandando i loro delegati a Londra. L'Inghilterra intervenne risolutamente. L'alto funzionario ottomano che aveva organizzato la pre sa di possesso fu sconfessato dalla Sublime Porta, ed i soldati abbandonarono l'isola.
spedizione contro il Dodecaneso 57
Ma il Governo Ottomano e sopratutto Ahmed Kais serli pascià, valì dell'Arcipelago, battuti una volta, non rinunziarono al loro progetto. Due anni dopo fu organiz zata una vera spedizione militare per la conquista delle Dodici Isole e ne assunse il comando lo stesso valì, che con una flotta e dei contingenti di sbarco si presentò alle Sporadi, incominciando anche questa volta da Symi, dove sbarco della truppa, occupò gli uffici pubblici, e mandò alle prigioni di Rodi quelli che protestavano. Con gli stessi sistemi occupò le altre isole. A Calimno le truppe sbarcate dovettero combattere contro la popolazione ri tiratasi sulle alture.
L'Inghilterra intervenne una seconda volta: ma non abbastanza energicamente, poichè lord Clarendon si ac contentè della assicurazione che i mutamenti avevano sol tanto lo scopo di migliorare il sistema amministrativo delle isole, ma che il loro regime, per quanto riguardava i privilegi, non sarebbe stato mutato. Invece, pochi mesi dopo tale formale assicurazione, il Governo di Costanti nopoli stabilì nelle isole degli uffici di dogana, capita nerie di porto, uffici di polizia, ecc.
Nuove proteste delle Dodici Isole alle Potenze, le quali intervengono ancora ed ottengono qualche cosa. Ma senza riuscire ad impedire che, a poco a poco, le autorità ot tomane finiscano per trattare que' paesi come tutti gli altri dell'Impero, specialmente per quanto riguarda le imposte.
Tanto più quando, a sostituire Kemal pascià che aveva commesso ogni sorta di soprusi e di violenze fu mandato come Governatore delle Isole a Rodi, da cui le Sporadi dipendono, un pascià -Akif - il cui nome è tristemente famoso nella storia della ferocia turca contro i Cristiani. Akif pascià fu quegli che ordinò e diresse quei terribili
MANTEGAZZA. Il Mediterraneo.
massacri di Bulgari a Batak che strapparono un grido d'orrore all'Europa e furono una delle cause determi nanti dell'ultima guerra russo-turca. Fu questo irrecon ciliabile nemico dei Cristiani, questo fanatico e feroce esecutore dei tristi ordini di Costantinopoli, che nel giorno di Natale, mentre si celebrava la messa nella chiesa or todossa di Symi , fece entrare i suoi soldati e, rovesciati gli altari, fece imprigionare e mandare a Rodi i migliori cittadini.
Si era nel 1892 quando più viva che mai era la lotta d'influenze intorno a Ildiz Kiosk per strappare al Sultano ed ai suoi favoriti, dei favori e delle concessioni, delle ordinazioni di armi, di cannoni e di corazzate.... L'Europa non si commosse per codesta violazione di patti stabiliti sotto l'egida sua, come non si commosse più tardi, nemmeno quando, in aperto contrasto con le precise disposizioni sottoscritte da tre Grandi Potenze, che lo vietano, la Porta mandò una guarnigione a Samos! Che cosa contano di fronte ai grandi interessi che si agitano, e premono sulla politica europea sul Bosforo, determinando l'atteggiamento dei suoi ambasciatori e dei suoi ministri, le proteste degli abitanti di quelle povere isole lontane?!
Scoppiata la rivoluzione militare e richiamata in vi gore la famosa costituzione del 1878, gli abitanti delle Dodici Isole aprirono l'anima alla speranza. Tanto più che la costituzione garantiva il rispetto di tutti i privi legi storici. Viceversa, ai primi d'aprile del 1909 un or dine di Costantinopoli al Valì dell'Arcipelago ordine telegrafico lo avvertiva che tutti quei privilegi erano soppressi e che, da quel giorno, le Isole e i loro abitanti dovevano essere considerati e trattati come qualunque altro territorio e popolazione dell'Impero. Chè anzi do vevano essere sottoposte a un regime più vessatorio: pa
L'intervento dell'Inghilterra 59
gare cioè il Maktou, ed essere soggetti alla coscrizione, che avrebbe tolto loro il modo di vivere.
La maggior parte delle Sporadi, come giustamente os serva il Messager d'Athènes, che ha trattato recentemente a fondo questa questione, e dal quale ho tolto parecchi dati ed informazioni per questo scritto traggono ogni loro risorsa dalla pesca delle spugne. Vivono di questo pericoloso mestiere. Gli uni lavorano o vendono ciò che gli altri vanno a pescare in fondo alle Sirti. Ed ai pe ricoli della pesca sottomarina, alla pressione delle grandi profondità alle quali i palombari debbono discendere oggi per prendere le spugne, solo i giovani dai 20 ai 25 anni possono resistere: precisamente quelli che sarebbero col piti dalla coscrizione. Tolti questi giovani alle isole, agli abitanti non rimarrebbe più che morire di fame. I de legati delle Isole si riunirono a Symi per protestare. Dato il regime liberale le autorità non potevano più impedire che gli isolani si riunissero per discutere degli affari loro. Questa volta poi caso abbastanza raro trovarono un Governatore il quale diede loro ragione e si interpose presso il Governo, portando egli stesso a Costantinopoli i documenti in base ai quali gli isolani sostenevano il loro assoluto diritto di essere trattati diversamente. Dopo lunghe discussioni il Governo di Costantinopoli adottò.... la sospensiva. Accettò che pagassero solamente l'antico tributo, e per quanto riguarda la coscrizione si riserbò di deliberare dopo maturi studi pei quali tutto il mondo è paese! fu nominata una commissione di inchiesta. Anche questa volta, come dicevo da principio, l'In ghilterra s'interpose ufficiosamente: ma, con grande mi sura e riserbo. Prima di tutto perchè, nella lotta d'in fluenza con la Germania, temeva potesse nuocerle l'aver l'aria di prendere in mano e di difendere troppo aperta mente la causa dell'Ellenismo: ma poi anche perchè si
ISOLEtrovava a sua volta imbarazzata per la sua occupazione di Cipro, dove le autorità britanniche sono apertamente favorevoli all'elemento ottomano contro i greci, al punto da non riconoscere nemmeno ufficialmente questa loro qualità. Nei documenti ufficiali, i greci sono designati co me natives of Cypres: ed è già un grande passo dalla denominazione precedente quando si chiamavano: otto mans subjects. Anche l'isola di Chio, della quale tanto si discorre, mentre scrivo queste note perchè vi incrociano le no stre corazzate, se non ebbe mai la vera e propria auto nomia che Solimano il Magnifico concesse alle Sporadi, ebbe però essa pure qualche speciale privilegio, e, in ogni modo, fu, fino al principio del secolo scorso, la meglio trattata dal Governo Ottomano. Ciò fu dovuto al fatto che, a Chio i turchi furono relativamente bene ac colti, quando vi si insediarono dopo la dominazione ge novese due volte secolare. Chio fu occupata dai genovesi, con una spedizione comandata da Simon Vignoso per la quale avevano fatto i fondi dei caratisti con a capo .un Giustiniani . A un certo punto questi caratisti, che avevano costituito una Maona tale era il titolo di questo genere di società chiesero alla Repubblica il rim borso delle spese fatte. Ma le casse dello Stato erano vuote, e fra la Repubblica e i caratisti dell'impresa si venne ad una specie di compromesso. L'isola fu lasciata a questi caratisti sotto l'alta sovranità della Repubbli ca la quale, per un po' vi mandò un podestà, che finiva per fare quello che volevano i caratisti, e poi rinunziò anche a questo, in modo che la famiglia dei Giustiniani fu considerata come la famiglia sovrana e furono chia mati principi di Chio. I Giustiniani, in pochi anni, si erano impossessati, come si direbbe oggi, di tutte le azioni della maona, per cui nessuno più poteva disputar loro il
dominio. E come sovrani réssero per circa duecento anni l'isola, dispoticamente, dal 1346 al 1566. A Chio fu sem pre viva, in quel periodo, la lotta religiosa fra cattolici ed ortodossi. Gli ortodossi erano appena tollerati, e so vente schermiti. In alcune grandi solennità religiose cat toliche, i Giustiniani imponevano che vi assistessero an che i preti ortodossi, e non vi assistettero passivamente, ma associandosi alle loro preghiere.
Tutto ciò creò quella situazione alla quale ho accen nato, e per la quale i Turchi ciò che deve essere loro accaduto soltanto a Chio furono accolti un po' come dei liberatori.
D'altro lato gli abitanti della bella e fertilissima isola, sebbene abbiano al loro attivo la parte onorevole presa in molti combattimenti dell'antichità, non godono fama di gente bellicosa. A torto od a ragione, si dice di loro che han sempre saputo accomodarsi e mettersi dalla parte del più forte, senza lasciarsi troppo entusiasmare dal sen timento patriottico. Popolo essenzialmente pratico, i chioti han sempre vissuto del commercio e per il commercio, e l'interesse commerciale è stata la guida della loro politica, cosicchè, nel momento in cui, a Salamina, sotto il co mando di Temistocle, le navi greche salvarono l'Indipen denza Ellenica, le navi chiote erano col nemico. Durante le lotte tra Sparta ed Atene, stettero, secondo la opportu nità, con l'una o con l'altra. E in un momento nel quale non era ben deciso da che parte sarebbe stato preso il sopravvento, mandarono contemporaneamente amba sciatori ad Atene e Sparta.... onde prepararsi l'amicizia col vincitore, quale che fosse.
Del resto, anche i famosi massacri del 1822, che sol levarono un grido d'orrore in tutta l'Europa, quando Kara-Alì, d'ordine del Sultano Mahmud, fece uccidere più di metà della popolazione, non furono provocati dalla
rivolta della popolazione chiota. I chioti non avevano affatto partecipato al movimento insurrezionale in nome dell ellenismo. Avrebbero senza dubbio accolto a braccia aperte i loro fratelli di razza ove la sorte dell'armi fosse loro stata favorevole: ma non si erano compromessi. Fedeli alle buone tradizioni per le quali han sempre aspettato per decidersi l'esito della lotta, e si sono rasse gnati a tutte le dominazioni purchè lasciassero attendere ai loro commerci, avevano tenuto un atteggiamento di prudente riserbo. Fu una flottiglia di navi samiote che, sbarcandovi parecchie centinaia di insorti vi proclamò l'annessione alla Grecia e ne scacciò il presidio ottomano. Il Sultano Mahmud ordinò i massacri per vendicarsi di questa rivolta di Chio alla quale dapprincipio non vo leva credere, appunto per il carattere mite di quella po polazione, e perchè era stata sempre trattata relativamente bene dalla Sublime Porta, tantochè molti Chioti coprirono lui come co' suoi predecessori cariche importanti e di fiducia.
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Sorpresi di essere stati bene accolti, dopo la cacciata dei genovesi, i turchi concessero anche a Chio un po' come era stato fatto per le Sporadi degli speciali pri vilegi, in modo che l'Isola ebbe una vera e propria au tonomia. Aveva una assemblea di notabili nel cui seno erano scelti tre demogeronti che avevano in mano il Go verno. Come le Dodici Isole Chio era una specie di re pubblica, aristocratica però, sotto l'alta e diretta Sovra nità della Porta. Ma oltre l'autonomia e la libertà, che la Sublime Porta aveva loro concesso, una quantità di altri piccoli e grandi privilegi, i chioti col loro senso pratico, avevano saputo assicurarseli, mediante quello che fu chiamato.... il Sultano baescich, spesso assai più po tente in Turchia del Sultano vero. Intorno al Sultano poi e alla Sublime Porta, vi furono sempre dei chioti, come
Il confidente dei Segreti 63
medici e come interpreti, le due cariche cioè con le quali in quell'ambiente era possibile esercitare la maggiore in fluenza. Chio aveva insomma a Costantinopoli, chi po teva abilmente ed efficacemente tutelare i suoi interessi, essendo vicino al Sultano e rendendo al Paldiscià servizi importanti d'ogni genere, come a suo tempo un certo Panayotis Nicosis, dragomanno dell'Ambasciatore d'Au stria... e spia del Sultano, e diventato poi il segretario di fiducia del celebre Gran Visir Ahmed Kupruli, e il medico Alessandro Maurocordato, uomo coltissimo, che parlava perfettamente parecchie lingue e che, senza avere una carica ufficiale, era consultato ed ascoltato dal Sul tano e dal suo Visir. I turchi lo chiamavano: il confi dente dei secreti. Dopo parecchi anni di potere occulto fu nominato d un tratto ambasciatore e plenipotenzia rio al Congresso di Carlovitz, dove si valse della sua po sizione per ottenere concessioni in favore dei greci, suoi fratelli di religione e di razza.
Il monopolio della navigazione del Mar Nero fu pure il risultato di un'altra concessione della Sublime Porta ai Chioti le cui navi furono per un certo periodo esentate dal pagamento dei diritti di passaggio attraverso i Dar danelli.
La speciale costituzione di Chio durò rispettata dalla Sublime Porta fino all'epoca dei famosi massacri: nel 1822. Il Governo di Costantinopoli aveva fino allora ri conosciuto la Comunità o Demogerontia di Chio, formata di cinque membri rinnovabili ogni anno, si rivolgeva per tutte le questioni relative ai cristiani a questa Demogeron tia, la quale aveva i suoi rappresentanti accreditati a Costantinopoli. Nell'isola vi erano altre autorità civili cristiane che dipendevano dalla Demogerontia.
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I due secoli di dominio genovese hanno lasciato una popolazione cattolica abbastanza numerosa. Hanno la stes
ISOLEsa origine cioè il dominio genovese anche i catto lici a Mitilene, della quale fu signora per molti anni, col titolo di Duchi di Lesbo, la famiglia genovese dei Gat teluggio.
Per dare una equa rappresentanza a questo elemento la Demogerontia era formata da tre membri ortodossi e da due cattolici.
Il modo con il quale venivano eletti, era piuttosto complicato ed a base aristocratica, poichè non potevasi scegliere all'infuori dei notabili, mentre era a base demo cratica la costituzione, se si può dire così, delle Dodici Isole.
Chio potè in tal modo prosperare ed arricchire, e, fino a pochi anni fa, malgrado l'abolizione di tutte le antiche franchigie, per consuetudine, per via di accomo damenti, il regime turco aveva ancora un certo rispetto di antichi diritti e privilegi ; cercava di far sentire il meno possibile il suo dominio. Tanto che nel 1850, il signor Fustel de Coulange autore di una pregevole mo nografia sull'isola, poteva ancora scrivere:
Seguendo l'esempio degli stessi Chioti dobbiamo considerare l'isola come se i turchi non vi fossero nemmeno. Chio è uno stato greco, avendo un governo, delle leggi, delle finanze, una politica sua
Le cose hanno mutato dippoi, e l'ultimo colpo a que ste tradizioni, alle quali Chio dovette la sua prosperità, è stato dato, come al solito, dai Giovani Turchi i quali, tre o quattro anni fa, hanno imposto anche ai greci di Chio l'uso della lingua turca negli atti ufficiali.
Da questi brevi cenni, è facile rilevare come molte delle isole dell'Egeo abbiano goduto nei tempi andati pri vilegi e concessioni per le quali non sono mai state con siderate alla stregua degli altri territori dell'Impero. A Samos semi-indipendente e che ha una bandiera propria, l'assoluta autonomia è garantita da un trattato, al quale
Leros. Lipsos.
FT. Nisiros .
FT.caso
Il dovere dell'Italia 65 hanno apposto la loro firma tre Grandi Potenze: nelle Dodici Isole e a Chio, l'autonomia, per quanto non così completa, come quella di Samos, della quale hanno goduto per un pezzo, è stata di fatto soppressa. Però fino a qualche tempo fa, fino cioè al cambiamento di regime a Costantinopoli, una parte almeno degli antichi privilegi era stata rispettata. Con i Giovani Turchi al potere, il programma da essi adottato, è evidentemente quello di ottomanizzare completamente anche le Isole. Dati tali precedenti, si comprende come in Grecia debbano essere preoccupati per la sorte di quelle popo lazioni elleniche in quelle isole, che le truppe italiane po tessero abbandonare alla conclusione della pace. È troppo presto, e non opportuno forse, in questo momento nel quale non si possono ancora fare previsioni fondate sulle condizioni che l'Italia imporrà, e che, naturalmente, sa ranno più gravi per la Turchia quanto maggiore sarà la durata della guerra, il discutere intorno alle sorti di ciascuna delle isole oggi occupate o che ancora occupere mo. Ma, una cosa è ben certa, che quelle che dato il dovessero far ritorno all'Impero, non saranno abbandonate dall'Italia senza che questa abbia avuto va lide garanzie, che alle popolazioni non verrà torto un capello. È un dovere al quale nessuno può pensare l Ita lia venga meno, e, da tale punto di vista, è certamente doloroso che in qualche giornale greco sia stata fatta l'ipotesi di un abbandono incondizionato da parte nostra. Il Governo italiano non può, e non mancherà certo a questo suo dovere, non solo per un sentimento di umanità, per le sue tradizioni e perchè è unanime in questo senso la opinione pubblica, ma anche perchè tale dovere deve oggi sentire più imperiosamente che mai, di fronte alle non dissimulate minaccie rivolte dai Giovani Turchi . Di una inabilità fenomenale dal loro punto di vista,
MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 9
ISOLEma sintomatica quanto mai, è la campagna iniziata a questo proposito dal Jeune Turc nel quale giorni sono è stato pubblicato un articolo, da cui si vede assai chia ro quale sarebbe la sorte di quelle popolazioni, se non si pensasse a proteggerle in modo efficace.
66 66 La guerra
Ciò che ci preoccupa scriveva è il nuovo dirizzone preso dall'Ellenismo dopo l'occupazione delle Isole. Il mondo ellenico ha approfittato della occasione per fare una manifestazione contro di noi. Emerge da tutto ciò che il mondo ellenico conosce male quale sia il suo interesse. Questa minoranza greca pagherà un giorno e molto se riamente ciò che ha fatto oggi in favore dei nostri nemici. Questo castigo sarà giusto e continuanecessario. il giornale ci disturba relativamente poco; ma è questo movimento dell'ellenismo, a due passi delle nostre porte, che dee preoccuparci di più. Questa guerra è stata la pietra di paragone per noi, ed è in questa occasione che noi abbiamo potuto farci un'idea dei sentimenti di una parte dei nostri cittadini greci. Dimenticando gli interessi vitali dell'Ellenismo, dimenticando che è stato l'ottomanismo il vero conservatore di questa nazionalità alcuni sono arrivati fino a sconfessare, a calpestare la loro cittadinanza otto mana. Una volta firmata la pace, non sappiamo quale sarà la posi zione di questi quasi-italiani,,.
La minaccia come si vede non potrebbe essere più chiara e più esplicita. E la storia è là a ricordare, che cosa i turchi, giovani o vecchi, intendano per castighi «giusti e necessari come essi dicono ».
È stato precisamente per evitare tali castighi contro i Samioti, che avevano preso una parte molto attiva alle guerre dell'Indipendenza che le Potenze hanno voluto l'autonomia dell'Isola, garantita con un trattato. Era al lora relativamente assai recente il ricordo dei massacri di Chio, e fu allora generale in Europa la convinzione che una sorte ben triste sarebbe toccata alla popolazione di Samos. Se, per sciagurata ipotesi si fossero dimenticati tali circostanze e questi precedenti, fortunatamente il lin guaggio della stampa turca li avrebbe ricordati ugual mente all'Italia e all'Europa....
Giugno 1912.
NOTA. Mentre correggo le bozze di questo articolo, la stampa turca, tutta quanta pubblica articoli violenti contro i Greci delle isole da noi occupate e an che contro quelli di Chio e Mitilene. A Chio; proclamato lo stato d'assedio, è stabilito un regime di terrore. L'intemperanza e le minaccie dei giornali di Co stantinopoli, le sevizie alle quali sono fatti segno i greci di Chio hanno inco minciato a preoccupare la stampa europea nella quale è oggi assai discussa la quest:one delle Isole dell'Egeo, tutti concordando nell'idea che quelle che l'Italia abbandonerà non possono essere restituite senza le più serie garanzie per la tu tela di quelle popolazioni. La questione delle isole, in questo momento fa anzi il giuoco di coloro che desiderano la Conferenza europea, poichè, dicono, è solo una conferenza europea che può stabilire sulla sorte delle Isole destinate a ri tornare sotto la Turchia. Il che non è precisamente esatto, trattandosi di ter ritori dove non impera più la Turchia, ma di territori passati in mano del. l'Italia, e che l'Italia restituirebbe in seguito a un trattato di pace, sotto date e ben precisate condizioni. A me pare anzi che per un'alta questione morale debba proprio essere l'Italia che in nome della civiltà si è accinta a questa guerra, a imporre tali garanzie: è una specie di debito d'onore che il nostro paese ha contratto dal giorno nel quale il tricolore issato su quelle isole è stato ac clamato da quelle popolazioni come simbolo di civiltà e di progresso.
Che se poi, una volta stabilite ben chiare tali condizioni e lo ripeto mi pare un obbligo morale da parte nostra lo imporle nel trattato di pace l'Italia crederà conveniente di provocare una garanzia collettiva delle Potenze, basterà una conferenza degli ambasciatori a Costantinopoli per regolare ogni cosa, senza alcuna necessità di convocare una conferenza che col pretesto di discutere della sorte delle Isole, tratti tutta la questione Orientale. Insomma, a mio modo di vedere e senza entrare nel merito della questione, se sia o no conveniente la riunione di una Conferenza della quale oggi si discute ed alla quale ho dovuto accennare indirettamente a me pare che la questione relativa alla sorte delle isole, se si vogliono mettere sotto la salvaguardia delle Potenze come per Samos (e questa volta le Potenze protettrici sarebbero più numerose) deve avere due fasi. La prima, quella nella quale l'Italia adempie al suo do vere verso la civiltà e verso le popolazioni stabilendo in massima le garanzie; dovere ed onore che le spettano per lo scopo, e il fine pel quale combatte. È nella seconda fase soltanto che potrebbe tirarsi in disparte e mettersi in pari alle altre, quando si trattasse di stabilire tutti i particolari.
IV.
L'ISOLA DI VENERE. L'ALLEANZA ANGLO -TURCA. -
I nostri uomini politici e la geografia. Da Riccardo Cuor di Leone al Trattato di Berlino. - La vendita di Cipro. L'Inghilterra contro la Russia. - Il ro manziere e l'uomo politico. La convenzione segreta. Uno strano articolo. Kars russa. Il raffreddore di un deputato. Gladstone e le proteste dei Ci priotti. - Gli alti commissari. Maniera forte e maniera dolce. La bandiera greca . Il martirio di Giuda. Nicosia. La grande moschea. I Savoia re di Cipro. - Casa di Otello. - Natives of Cyprus. Presi per italiani. - La set timana rossa. - Un'altra base navale?
Questa volta anche in Italia si è incominciato a stu diare un po' più la geografia; quella geografia, per la quale hanno sempre avuto un sacro orrore i nostri uo mini politici, e la cui ignoranza non è stata certamente una delle cause minori della errata ed incerta politica estera seguita per tanti anni dal nostro Paese. Se non temessi di ripetermi, poichè nei libri e giornali vi ho già accennato altre volte, potrei raccontare degli aneddoti curiosissimi, per documentare una tale ignoranza anche da parte di uomini di governo. E senza risalire molto lontano, proprio a proposito della Tripolitania e della Cirenaica !
Meno male! Adesso tale ignoranza non è più possi bile. In tutte le case vi è su qualche tavolo un atlante magari quello del ragazzo che va a scuola : per pochi soldi si comperano, dapertutto, le carte del Mediterra
La politica britannica a Cipro 69
neo e dell'Egeo, e i giornali quotidiani e le riviste più diffuse contribuiscono a popolarizzare le conoscenze geo grafiche senza delle quali è impossibile rendersi conto della importanza di problemi che pure interessano così vivamente l'avvenire del nostro Paese.
Chi avrebbe potuto immaginare, solo un anno fa, che su quell'Egeo, che fu il teatro delle grandi lotte fra la civiltà e la barbarie fin dalla più remota antichità, sa rebbe stata nuovamente richiamata l'attenzione per effetto di una guerra fra la Turchia e l'Italia? Che tutte le questioni del Mediterraneo, che parevano assopite - fino al punto da consigliare all'Inghilterra di diminuire l'ef fettivo delle sue squadre sarebbero state risollevate ? E che, non solo di Gibilterra e di Malta, ma anche di Cipro si sarebbe parlato?
Ebbene. Tra le tante questioni che la nostra guerra ha risollevato, adesso vi è anche quella di Cipro, dove gli avvenimenti della guerra hanno avuto una forte ri percussione, e, dove il risveglio dell ellenismo, contro un regime troppo favorevole all'elemento mussulmano, dà qualche pensiero alla politica britannica che ha creduto di dover procedere a una pressione energica, per la quale si sono verificati dolorosi conflitti. Del sangue è stato sparso nella patria di Venere Afrodite: nell'isola dove la bella dea nacque dalle spume del mare che s'infrange sulle sue coste.
È in quest'isola celebre fino dalla più remota antichità la terza come grandezza delle isole del Mediterraneo, poichè viene subito dopo la Sicilia e la Sardegna, che la dea della bellezza muliebre e della fecondità ebbe i suoi primi templi. La sua più antica immagine sorgeva a Paphos, in cima a una piramide di bianche pietre, in torno alla quale delle grandi torce erano accese ininter rottamente.... A Paphos, come negli altri punti dell'isola,
DI VENEREove erano templi sacri a tale culto, si incontrano ora solo poche rovine irriconoscibili. Sono scomparsi i boschetti dove gli antichi andavano ad adorare la bella Dea..... Ma qualcosa è rimasto ancora dell'antico culto, poichè le donne di Cipro come negli antichissimi tempi, senza rendersi conto, senza nemmeno avere il sospetto di se guire in tal modo un rito pagano, vanno in processione sulla riva del mare e presentano le loro mani alla schiuma delle onde che s'infrangono....
La Venere Afrodite è venuta dalla Fenicia a Citera, e, di là, è passata nell'Olimpo ellenico. Cipro, come os serva il Deschamps, era per i greci il paese delle origini. È di là, egli scrive, che dell'Oriente loro arrivavano, confusi ed incerti, i miti e le arti delle quali essi svilup parono i germi di poesia e di bellezza. «L'Egitto e l'As siria si incontravano nell'isola; i fenici, inventori me diocri, ma meravigliosi trafficanti, ne avevano fatto il grande scalo del loro commercio mediterraneo. Dei tesori passavano dall'isola, e molti vi restavano».
Questa funzione d'essere, in certo qual modo, un ponte fra l Asia e l'Europa, che ebbe in quei remotissimi tem pi, continuò anche dopo; ed è principalmente per que sta sua grande importanza commerciale che l'isola fu così accanitamente disputata nelle varie epoche fra l'Im pero Greco, gli Arabi, gli Osmani e le nostre repubbliche marinare, dopo il periodo nel quale essa formò un regno indipendente sotto lo scettro dei Lusignano, ai quali fu ceduta da Riccardo Cuor di Leone, alla fine del se colo decimoterzo.
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Ebbe qualche parte questo ricordo suggestivo nel de terminare l'Inghilterra a chiedere Cipro al Sultano nel 1878? O pensò solamente all'interesse strategico e com merciale che poteva presentare il suo possesso? Difficile misurare in simili casi tutti i coefficienti che il Bismarck
La flotta di Cuor di Leone 71 chiamava gli imponderabili. Certo è però che, trentaquat tro anni fa, quando fu occupata dalle truppe britanniche, la stampa inglese rievocò, con grande sfoggio di rettorica, quella pagina della sua storia nel bacino orientale del Mediterraneo, come, se, a sei secoli di distanza, se ne riprendessero le tradizioni. Così, come ora, i greci di Cipro, vedendosi negletti dalla politica britannica per fa vorire i mussulmani, rammentano con dolore che questa politica è oggi ben lontana da quella tradizione che con duceva i crociati inglesi in quelle regioni!
Fu però il caso una terribile tempesta che colse la flotta di Riccardo Cuor di Leone mentre si recava in Terra Santa a decidere delle sorti di Cipro. Di quella flotta più di una metà fu dispersa dalla tempesta all'altezza del golfo di Satalia. Tre navi furono gettate sulle coste di Cipro. I soldati e gli equipaggi delle tre navi furono spogliati e maltrattati da una popolazione ostile. A stento raggiunsero Limassol ove furono fatti prigionieri. Un'altra nave, sulla quale erano imbarcate la sorella e la fidanzata diRiccardo, non potè approdare. Poco dopo Riccardo Cuor di Leone, riuscito a raccogliere un certo numero di navi, si presentò per chiedere la liberazione dei prigionieri a Isacco Comneno che si era proclamato Imperatore di Cipro. Avendo avuto una risposta negativa, sbarcò, lo sconfisse facendolo prigioniero e si impadronì di tutta l'isola. Ma non vi rimase. Desiderando far con vergere tutte le sue forze a San Giovanni d'Acri, a cui i crociati avevano da tempo posto l'assedio, la vendette a Guy di Lusignano, Re spodestato di Gerusalemme, che la costituì in regno per la somma di 100 mila besanti d'oro. A quell'epoca, come si vede, non si può dire si pa gasse molto caro un regno!
Ma allorchè, nel 1878, gli inglesi la ripresero, la pa garono ancora meno ; per quanto abbiano allora concluso
VENERE
con la Turchia un vero e proprio trattato di alleanza è oggi ancora in vigore. Che tale patto abbia oggi l'im portanza attribuitagli quando fu concluso, nessuno pensa. Da allora ad oggi è passata tanta acqua sotto i ponti e le condizioni dell'Europa sono così profondamente mu tate! A quell'epoca la Germania, malgrado i famosi con sigli del maresciallo Moltke che quell'obbiettivo aveva indicato al suo paese quando era addetto militare alla legazione di Prussia sul Bosforo, non si occupava ancora della Turchia. A Costantinopoli, come nel Medio Oriente, erano due soltanto le Grandi Potenze che lottavano d'in fluenza, ed era solamente la rivalità anglo-russa, che, al lora e dopo, mise in pericolo più volte la pace del mondo. Il conflitto fra la Balena e l'Elefante, come si diceva, era allora la grande preoccupazione delle Cancellerie, co me lo è oggi la visione di una guerra anglo-tedesca. Per cui al Congresso di Berlino fu soprattutto l'Inghilterra che lottò per togliere alla Russia il frutto delle sue vittorie, così, come prima della pace, mandando le sue squadre minacciose ad ancorare nel Mar di Marmara all'isola dei Principi aveva fermato alle porte di Costantinopoli, e mentre da Pietroburgo era già stato dato l'ordine di entrarvi, l'esercito vittorioso dello Czar.
La politica inglese salvò allora la Turchia da questo scacco, così come impedì che la Macedonia passasse in mano della Bulgaria, alla quale il trattato di Santo Ste fano imposto dalla Russia al Sultano,aveva attribuito an che Salonicco. Ma anche in politica anzi nella po litica sopratutto, nessuno fa nulla per nulla. Ed è con suetudine il farsi pagare caro i servizi resi... e, talvolta, anche quelli che non si sono resi, ma che si potrebbero rendere. L'occupazione di Kars da parte della Russia, da dove si pensava gli eserciti russi avrebbero potuto facilmen
Le lusinghe di lord Beaconsfield 73
te invadere l Asia Minore prima che i turchi avessero il tempo di organizzare una seria resistenza, preoccupava grandemente gli inglesi. Anche se le nuove conquiste della Russia, Batum, Ardahan e Kars, non dovessero diventare le basi da dove possono partire gli emissari d'intrighi per l Armenia e le regioni rimaste alla Turchia, precedendo gli eserciti di invasione, si osservò che, il loro semplice possesso da parte della Russia avrebbe esercitato una grande influenza sulla disintegrazione delle provincie ottomane in Asia. Fu allora che lord Beaconsfield di mostrò alla Sublime Porta come una sola misura potesse offrire una garanzia effieace per il dominio ottomano nella Turchia asiatica: l'impegno cioè da parte di un'al tra potenza, abbastanza forte per poterlo mantenere, che ogni altro tentativo di nuove annessioni in Asia di ter ritori della Turchia Asiatica da parte della Russia sareb bero impediti dalla forza delle armi. L'Inghilterra era disposta, naturalmente, ad assumere .tale impegno. Ma a due condizioni ben stabilite: « l'assicurazione formale del Sultano di introdurre le riforme necessarie per le popolazioni cristiane in quelle regioni» : e la cessione diuna posizione vicina all'Asia Minore «che potrebbe per mettere al governo di Sua Maestà la Regina, di mantenere prontamente ed efficacemente i suoi impegni».
Il Disraeli, diventato uomo di Stato col titolo di lord Beaconsfield, si trovò allora a poter realizzare ciò che molti anni prima aveva intravveduto come romanziere quando scriveva nel Tancredi: «Gli inglesi hanno bisogno di Cipro e la prenderanno come un compenso: non fa ranno un'altra volta gratuitamente l'interesse dei turchi. Essi hanno bisogno di un nuovo mercato per i loro co toni. L'Inghilterra sarà soddisfatta soltanto quando la popolazione di Gerusalemme porterà dei turbanti in ca licot» .
MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 10
VENERE
L'influenza del cotone sulla politica inglese, potrebbe essere il titolo di un lungo capitolo della storia del Regno Unito! Quello che il romanziere aveva detto un po' bru talmente, l'uomo di Stato lo ripetè con forme più di plomatiche prima del Trattato di Berlino. E dopo aver indicato le due condizioni alle quali il suo paese si sa rebbe sobbarcato all'impegno, aggiungeva: «L'isola di Ci pro mi pare, sotto tutti i rapporti, la più indicata al fine propostoci.
Sotto la pressione delle recenti sconfitte, la Turchia vedeva ancora nella Russia la nemica inconciliabile: ed era pronta a qualunque sacrificio nella speranza di pa rare nuovi colpi. L'Inghilterra l'aveva appena salvata dal vedere le truppe russe a Costantinopoli. Accettò la pro tezione che gli offriva per il futuro, firmando su tali basi una convenzione segreta. A parte tutte le considera zioni relative all'Asia Minore e alle mire del governo di Pietroburgo, Cipro era una nuova posizione strategica che la Gran Bretagna si assicurava nel Mediterraneo orientale !
Questo vero e proprio trattato d'alleanza difensiva (così è considerato nel titolo), e che, ripeto, è ancora in vi gore, fu firmato il 4 giugno 1878 e consta di due arti coli. In questo momento, nel quale, qua e là, tale trattato è stato vagamente e non sempre a proposito ricordato, poichè nulla ha a che vedere con le operazioni nostre nelle isole dell'Egeo o con quelle che si potessero ancora intraprendere sulle coste dell'Asia Minore, mette forse il conto di riprodurre il testo di qualche articolo.
6 Nel caso dice il primo articolo in cui Batum, Ardahan e Kars saranno ritenute dalla Russia, e se qualunquetentativo sarà fatto a un'epoca qualunque dalla Russia di impadronitsi di altri ter ritori di S. M. I. il Sultano in Asia, fissati dal trattato definitivo di pace, l'Inghilterra si impegna ad unirsi a S. M. I. il Sultano per la difesa dei territori in questione con la forza delle armi.
Da parte sua S. M. I. il Sultano s'impegna ad introdurre le ri forme, ecc., ecc., e, per mettere l'Inghilterra in condizioni di assicu rarsi i mezzi necessari per mantenere il suo impegno consente inol tre di assegnare l'isola di Cipro perchè sia da essa occupata ed am ministrata , L'articolo 2° stabilisce solamente il termine per la ra tifica.
Al trattato fa seguito un annesso, firmato ugualmente dal Layard allora ambasciatore di S. M. Britannica sul Bosforo, e dal ministro degli esteri ottomano col quale si stabilisce il regime dell'isola per quanto riguarda i mussulmani, e le circostanze per le quali l'isola di Cipro sarebbe evacuata dalle truppe inglesi: «qualora cioè la Russia restituisse Kars alla Turchia !!!»
La Russia non ha naturalmente mai restituito Kars alla Turchia, e i soldati inglesi continuano.... ad occupare e ad amministrare. Fu la locuzione adoperata poco dopo per dare la Bosnia e l'Erzegovina all'Austria-Ungheria! Però mentre l Impero degli Absburgo, dal momento nel quale le sue truppe posero piede nelle due provincie serbe, pensò al giorno nel quale avrebbe proceduto alla loro annessione, l'Inghilterra, pur considerando l'isola co me un suo definitivo possesso, non si preoccupa delle questioni di forma. A che le gioverebbe, d'altronde, nessuno contestandole il suo diritto, l'urtare vieppiù il sen timento della popolazione greca? Il che non le impedisce di procedere risolutamente ad anglicizzare quanto più può, favorendo, come dicevo, l'elemento mussulmano con tro il cristiano. Ed è codesto atteggiamento che ha pro vocato i recenti disordini, di una gravità assai maggiore di quella datale nelle brevi notizie comparse sui giornali. Quando nell'estate del 1878 sir Garnett Wolseley oc cupò Cipro in nome del governo della regina Vittoria, l'arcivescovo di Cipro di quel tempo, monsignor Sofronios, salutandolo in nome della popolazione greca, gli disse
che, con gioia, la popolazione accettava il nuovo governo come uno stato politico intermedio. Quell accenno all'el lenismo, alle aspirazioni nazionaliste, non piacque al rap presentante del governo britannico, il quale avrebbe de siderato un entusiasmo incondizionato e senza retropen siero per i nuovi reggitori che si presentavano con le mi gliori promesse, di nuovi e liberali ordinamenti, di grandi lavori destinati a fare di Cipro il paradiso dell Oriente, come si diceva una volta. Il rappresentante di Sua Maestà britannica, impressionato, inaugurò il nuovo regime con la maniera forte. Provocando, tal quale come accade oggi, una viva reazione. I liberali, i nazionalisti cipriotti, trovarono una certa eco anche in una parte della stampa. di Londra, tanto che, ad un certo punto, il Gladstone mandò nell'isola, per ascoltare e riferire sulle lagnanze della popolazione, un alto funzionario di sua fiducia. Tale specie di inchiesta ebbe come conseguenza dal momento che il Gladstone trovò fondate le lagnanze la istituzione del Consiglio legislativo di Cipro compo sto di 18 membri, dei quali 6 nominati dall'Alto Commis sario britannico, 3 eletti dalla popolazione turca e 9 dai «non maomettani», locuzione con la quale si fece in modo di non riconoscere ufficialmente la nazionalità gre ca. Composto, cioè, in modo, che, data la collaborazione anglo-turca,che si afferma in ogni circostanza, le votazioni dànno sempre per risultato parità di voti.... e, quindi l Alto Commissario inglese decide col suo doppio voto.
Succedono quindi, a volte, delle scene.... con relative deliberazioni comiche, appena manca da una parte o dall'altra qualcuno dei componenti il Consiglio, che non può intervenire per malattia o per qualsiasi altra ra gione. Qualche anno fa i membri del Consiglio, greci, approfittando dell'assenza di un turco, proposero, e fe cero approvare, un ordine del giorno nel quale si face
Il raffreddore di un deputato 77
vano voti per l'unione dell'isola alla Grecia. Sapevano benissimo come il voto non potesse avere alcun valore, ma colsero l'occasione per fare una manifestazione. Quál che giorno dopo, il deputato turco, che aveva mancato a quella seduta, era guarito. Intervenne a un'altra riunione, ed allora fu proposto un nuovo ordine del giorno favo revole al ritorno dell'isola alla Turchia. E la proposta. passò coi voti uniti dei turchi e degli inglesi e col dop pio voto dell'Alto Commissario! Fu un voto di rappresa glia, e, come il primo, senza valore alcuno. Ma il raf freddore di un deputato, come si vede, può decidere almeno a parole delle sorti dell'isola. E, francamente, quei deputati inglesi, che, sia pure platonicamente, vo tano, per il ritorno dell'isola all'Impero ottomano, ricor dano l'operetta.... Pur troppo le cose sono state organiz zate, sino da principio, in modo che la sorte delle po polazioni dipende quasi esclusivamente dall'umore e dalle: idee dell'Alto Commissario. E la reazione è stata provo cata dal contegno di qualcuno di questi rappresentanti dell'Inghilterra. Quando vi è un Commissario il quale, rendendosi conto della situazione, non cerca di ferire il sentimento nazionale, vi è una relativa tranquillità. Quan do arriva uno di quegli Alti Commissari che governano, come si suol dire, con la maniera forte, la reazione si fa viva, e le manifestazioni antibritanniche assumono il carattere di fiere e violente proteste. Tanto più signifi canti da parte di una popolazione generalmente mite e tranquilla.
Il movimento di rivolta si accentuò specialmente nel 1895, quando, nelle capitali dei sei distretti dell'isola, furono organizzati grandi comizi per chiedere l'unione alla Grecia. Da allora in poi si accentuò la separazione fra i due elementi greco ed inglese, per cui questi ultimi vivono adesso isolati come in paese di conquista, nell'i
DI VENEREsola nella quale erano stati accolti ed acclamati come liberatori. Anche in Inghilterra, contro una politica che ha alienato le simpatie delle popolazioni, più d'uno scrit tore ha alzato la voce. Anni sono, in un articolo della Rivista di Edimburgo, che sollevò molto rumore, si scri veva che Cipro non può progredire, perchè governata, non come il Canadà autonomo, non come le Indie dall'im peratore, non come altri territori britannici d'oltre mare dal ministro delle colonie, ma dal segretario delle fi .nanze, il quale mira soltanto a far rendere quanto più può alla disgraziata isola.
Fra gli Alti Commissari, succedutisi in questi ulti mi anni, uno ve ne fu specialmente il quale aveva capito veramente quale era l'interesse dell'Inghilterra e che la sciò di sè il migliore ricordo. Era a Cipro durante la guerra greco-turca; ed ai turchi andati da lui a lagnarsi perchè permetteva ai cipriotti di partire per andare ad arruolarsi come volontari nell'esercito greco, rispose sem plicemente:
Perchè non fate anche voi altrettanto e non date in Turchia?
an
Ed aspettò ad emanare il decreto per vietare ai ci priotti di prendere parte alla guerra, sia con uno che con l'altro dei belligeranti.... quando i tremila volontari, in varie successive spedizioni, avevano tutti quanti lasciato l'isola, Ma, ripeto, questo Alto Commissario è stato una ec cezione. Qualche altro ha invece esagerato, fino al punto di impedire la vendita e far sequestrare dappertutto una cartolina dal titolo «Il sogno di Cipro»,nel quale è raffi gurata una giovane donna in costume cipriotta che, se duta in riva al mare, nel buio della notte, guarda il lontano Partenone che si disegna all'orizzonte e dal quale emana un vivo raggio di luce che l'investe. Le autorità bri
tanniche si sono messe a dar la caccia alle bandiere gre che, a emanare circolari per vietarle dappertutto, raggiun gendo, come avviene sempre in simili casi, l'effetto dia metralmente opposto, come quando, pochi giorni prima dell'apertura del Corpo Legislativo, malgrado una nuova e più severa circolare ricordante il divieto, in due di stretti che si recò a visitare, l Alto Commissario si trovò letteralmente circondato dai colori ellenici; poichè, non solo la popolazione era accorsa a riceverlo con una quan tità di bandiere, ma aveva dipinto in bianco e bleu le case, gli alberi, le carrozze.
E fu acclamato.... al grido di: Viva la Grecia. Su per giù è quanto ormai accade in tutti i sei di stretti nei quali l'isola è divisa, ed a ciascuno dei quali è proposto un commissario. L'amministrazione non è delle più semplici, poichè, contrariamente al sistema adottato dall'Inghilterra nelle sue colonie, rette con un numero assai ristretto di funzionari, a Cipro, il loro numero au menta ogni giorno e ad ogni occasione se ne aumentano gli stipendi già relativamente elevati. Vi è certamente della esagerazione nelle notizie date a tale proposito dai giornali di Cipro, ma è un fatto, che, in nessun'altra co lonia inglese, sono tanto numerosi e così profumatamente retribuiti i funzionari.... Ai quali, naturalmente, si prov vede con le risorse dell'isola che i cipriotti vorrebbero, a ragione, un po' più impiegate a migliorare le condi zioni dell'isola, la quale manca ancora di una infinità di cose: di ferrovie, di porti e di scuole, e, soprattutto, di strade, poichè anche le poche esistenti vengono trascu rate, come, ad esempio, quella da Limassol a Larnaka. Poco tempo fa, proprio su questa strada, capitò a S. E. il governatore un incidente poco gradito. A un certo punto, l'automobile sulla quale si recava a Limassol spro fondò nel fango e, fino a tarda ora della notte, non fu
possibile disincagliarla. Il governatore e sua moglie do vettero passare una parte della notte in uno dei tanti han che servono di stazione per i carrettieri e i contadini, e siccome l'automobile era malconcia, aspettare che pas sasse una carrozza assai primitiva. E spesso, su questa come su altre strade, l'automobile postale per le stesse ragioni consegna la corrispondenza ai.... cammelli, che, certamente, per quanto riguarda la velocità, nulla hanno a che fare con quelli dei nostri meharisti eritrei. Nicosia, la capitale dell'isola, dalla quale sono ammi nistrati i suoi duecentomila abitanti, a parte le costru zioni destinate ad alcuni uffici, non ha nemmeno essa fatto grandi progressi. È rimasta quello che era prima dell'occupazione: una città interessante per le sue me morie e i monumenti che ricordano la sua storia, con le mura che rammentano le lotte che intorno ad essa si sono combattute e le disperate difese degli assediati. Co deste mura avevano, quando furono costruite dai Lusi gnano, uno sviluppo di circa quindici chilometri. Ma nel secolo decimosesto iveneziani, per rendere più fa cile la difesa della città, ridussero la cinta a quello che è ora: cioè ad un terzo. La città aveva una volta, prima delle nuove aperture fatte dagli inglesi, tre porte: quella di Paphos, di Kyrima e di Famagosta. Come a Costan tinopoli, i turchi, appena occupata Cipro, convertirono in moschea l'antica cattedrale di Santa Sofia, uno dei più bei monumenti dell'arte cristiana in Oriente per la eleganza dello stile e la ricchezza dei particolari. Il clero ortodosso di Cipro dovette rifugiarsi in altre chiese più modeste dopo la conquista ottomana, ma non ha per duto le prerogative speciali delle quali gode sin da tempi assai antichi. All'epoca dell'imperatore Zenone di Costantinopoli, un arcivescovo di Cipro trovò nella tom ba dell'apostolo San Barnaba, nato e martirizzato a Ci
Il supplizio di Giuda 81 e
pro, un prezioso manoscritto del Vangelo. Si recò a Co stantinopoli e lo offrì all'Imperatore, il quale per mani festargli la sua gratitudine, gli conferì il titolo di patriar ca, gli riconobbe una grande indipendenza, il diritto di portare la porpora, e il pastorale sormontato del globo crocifero.... e quello di firmare con l'inchiostro rosso. Diritti che fanno dell'arcivescovo di Cipro quasi l'uguale dei monarchi, e lo collocano al disopra di tutti gli altri patriarchi. Siccome poi San Barnaba è stato il primo vescovo dell'isola, la chiesa cipriotta è detta Apostolica, ei suoi vescovi hanno titolo di Metropolita. È sempre stato vivissimo attraverso i secoli nei ci priotti il sentimento della fede, e sopravvivono ancora oggi fra le popolazioni dell'isola usi e costumi scomparsi altrove. Caratteristica fra queste feste tradizionali la chiamo così perchè non saprei quale altro titolo dare è, per esempio, quella del supplizio di Giuda che si celebra ogni anno per la Pasqua a Larnaka. L'esecuzione ha luogo dinanzi a una folla compatta che si riunisce nel cortile della chiesa metropolitana.Il Giuda, naturalmente, è un fantoccio che raffigura un ebreo, il quale, collocato su una specie di palcoscenico, vien fatto bersaglio alle fucilate e ai colpi di revolver che debbono finirlo e mandarlo in brandelli. La folla manda le più alte grida ogni qualvolta un colpo ben tirato ne fa cadere qualche pezzo, e si abbandona ad una gioia sfrenata con grida e battimani, quando, a chi dirige.... il supplizio, 'sembran do giunto il momento opportuno, con dei randelli viene staccata la testa dal busto. Testimoni di tale antico e diffuso sentimento religioso sono i numerosi conventi, la maggior parte dei quali sono stati bruciati e ricostruiti più volte. Par la cosa più naturale del mondo da parte di chi conduce il forestiero a visitare le città di Cipro e i loro dintorni, il dire, in MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 11
VENERE
dicando un convento, che è stato bruciato e ricostruito due o tre volte, nell'anno tale o tal'altro !...
A uno di tali conventi, vicino a 'Larnaka, si riallaccia la leggenda secondo la quale sarebbe stata Santa Elena ad ordinarne la costruzione. La madre di Costantino il Grande, andando a Costantinopoli dopo essere stata a Gerusalemme recava con sè un pezzo della croce di Cri sto. Una violenta tempesta gettò la nave sulle coste di Cipro. Durante il pericolo fece voto, se si salvava, di costruire un grande monastero sul monte che aveva di nanzi. Essendo riuscita a sbarcare vicino a Larnaka, fece subito costruire una piccola chiesa nella quale fu per un pezzo custodita la preziosa reliquia che le era riuscito di salvare, e, appena arrivata a Costantinopoli, diede gli ordini per la costruzione del convento. Ma, di tutte le città dell'isola, quella che, per noi italiani specialmente, ha i più grandi ricordi è Famago sta, celebre nei fasti militari per la difesa disperata della sua debole guarnigione, che sotto il comando di un eroe, di Marco Antonio Bragadino, seppe resistere per quasi quattro mesi all'esercito ottomano mandato alla conqui sta dell'isola dal sultano Selim II. Nicosia era già caduta nelle mani dei turchi che ne avevano passato a fil di spada la popolazione. Le truppe che investivano Fama gosta diventavano ogni giorno più numerose. Il prolun gare la resistenza a nulla poteva più giovare. Marco An tonio Bragadino trattò la resa e il comandante delle forze assediatrici accettò le condizioni poste dal generale ve neziano. Ma Mustaphà pascià, mancando alla parola data, fece massacrare tutti i luogotenenti di Bragadino e su bire a quest'ultimo i più atroci supplizii. Dopo avergli fatto tagliare le orecchie, fu scorticato vivo, e il suo corpo collocato su una mucca fu condotto in giro per la città e infine appiccato al pennone di una nave. La pelle del
valoroso generale veneziano è gelosamente conservata in un'urna in una chiesa di Venezia. Data da quel giorno la decadenza dell'isola, della quale si dice, che, nell'antichità, potesse nutrire più di un mi lione di abitanti, celebre per le sue immense foreste dalle quali si aveva il miglior legno per le costruzioni navali, per la fertilità del suolo che dava in abbondanza tutti i prodotti e per la squisitezza dei suoi vini, la cui produ zione è andata sempre scemando per le enormi imposte a cui i proprietari sono stati sottoposti dai governatori turchi, che, mandati a Cipro, avevano come unico loro programma di governo quello di mettere da parte nel più breve tempo possibile una fortuna taglieggiando le popolazioni....
Un altro generale, il Moro di Venezia di Shakespea re, secondo una leggenda, combatte contro i turchi per la Serenissima a Famagosta. Secondo la tradizione è in un antico palazzo che sorgeva vicino al bastione del porto e del quale rimangono ancora in piedi alcune sale, che si svolse il terribile dramma, e il cicerone che accompagna il forestiero nella visita della città non man ca mai di fermarsi dinanzi alla porta della casa d'Otello, evocando a modo suo le figure di Jago, di Cassio, di Desdemona con relativi accenti di sdegno verso la triste figura dell'amico traditore e di compianto per la vittima innocente della gelosia del Moro! A volte, al commento aggiunge anche la recitazione di qualche verso storpiato....
È noto come Cipro sia passata nelle mani di Vene zia, grazie alla donazione fatta alla Serenissima da Caterina Cornaro vedova di Giacomo II l'ultimo dei Lu signano. Meno note sono le circostanze, per le quali, fino a pochi anni or sono, i Re di Sardegna e il primo Re d'Italia Vittorio Emanuele II avevano, fra gli altri titoli, anche quello di Re di Cipro, che Re Umberto abbandonò,
quando l'isola passò all'Inghilterra. Considerata la oc cupazione come una definitiva presa di possesso, brò forse a chi allora era al governo una contraddizione conservare quel titolo al Re d'Italia e fu abbandonato nella consuetudine anche quello di Re di Gerusalemme che continua invece a portare l'Imperatore d'Austria. L'o rigine di questo titolo della Casa di Savoia risale al secolo decimoquinto. Due donne si trovarono l'una di fronte all'altra a disputarsi il trono dell'isola di Afrodite. Caterina Cornaro vedova di Giacomo II ultimo Re dei Lusignano figlia di Giovanni III. Quando la Cornaro, grazie all'aiuto dei veneziani, potè riprendere il trono, Carlotta cedette tutti i suoi diritti a Carlo I duca di Savoia.
sem .
Dalla caduta di Famagosta, l'isola tranne un pe riodo di pochi anni nei quali appartenne a Mehmed Ali vicerè d'Egitto fu turca fino al giorno nel quale vi sbarcarono i soldati della Regina Vittoria.
Una curiosa anomalia si rileva alla lettura del Gotha, dove, malgrado tutti i riguardi che l'amministrazione bri tannica usa, nell'isola, all'elemento ottomano, Cipro fi gura come una colonia della Gran Bretagna sebbene vi si dica che l'isola è occupata ed amministrata dall'In ghilterra per effetto della convenzione del 1878. Ma i turchi di Cipro, naturalmente, non hanno il Gotha sul loro tavolo !
È tanto più strana tale contraddizione (al Gotha, come è noto, le notizie sono comunicate dai rispettivi Governi per cui hanno un valore ufficiale) inquantochè, fino a tempo fa, nei passaporti dati ai cipriotti, questi ultimierano qualificati come ottoman subjects. Soltanto, dopo lungo battagliare, e dopo aspre polemiche, i greci di Cipro sono riusciti a far mutare questa dicitura in quella di natives of Ciprus. È stato un gran passo, di
a
cono i greci, che però non ha ancora risoluto la que stione, poichè, quando i cipriotti sono all'estero, non san no ancora bene alle autorità di qual paese debbono ri volgersi se hanno necessità di chiedere protezione. Diplomaticamente e politicamente la situazione di Ci pro è una delle più strane che abbiano mai esistito, ed assolutamente senza precedenti. Per i cipriotti una quan tità di questioni rimangono insolute o sono risolute, casaccio, e contradditoriamente. Oltre quella dei pas saporti vi è anche quella della dogana. I cipriotti sono ottoman subjects, ma, viceversa, la Turchia impone alle merci provenienti dall'isola tariffe come quelle degli Stati che non hanno trattati con l'Impero.
La situazione, come dicevo dapprincipio, da qualche tempo è parecchio tesa. Vi è lotta aperta fra il governo rappresentato dall'Alto Commissario e la popolazione che non tralascia occasione per manifestare in tutti i modi il suo risentimento. Il linguaggio dei giornali cipriotti è di una grande violenza, e nei comizi che si tengono continuamente nelle varie città, gli oratori stigmatizzano con frasi vibratissime la politica di chi rappresenta il governo dell'isola. Gli ultimi avvenimenti hanno lasciato un lievito di rancori che non si estinguerà così presto, soprattutto perchè, anche in tale circostanza, l'autorità ha tenuto in modo palese dalla parte dei turchi, respon sabili di un'aggressione brutale e assolutamente gratuita. Cipro ha avuto scrivono quei giornali la sua settimana rossa. Il venerdì dell'ultima settimana di mag gio una classe del ginnasio di Nicosia (e i fatti hanno avuto maggiore importanza perchè avvenuti alla capi tale), mentre ritornava verso sera, passando vicino ad un villaggio turco fu fatta segno alle fucilate. I ragazzi sorpresi mentre fuggivano furono raggiunti da una ven tina di turchi armati di fucili e bastoni. Uno dei loro
professori fu gravemente ferito da un colpo di coltello. Parecchi ragazzi furono essi pure feriti più o meno gra vemente.
Come scusante, quando questi turchi furono interro gati dalle autorità, dichiararono che avevano creduto quei ragazzi.... fossero degli italiani!
Fu premeditata l'aggressione di Nicosia come è evi dente che i turchi avevano premeditato le altre aggressioni di Limassol del giorno di Pentecoste, per le quali la po lizia fece fuoco, e caddero parecchie persone. Vi furono cinque morti e molti feriti. Immediatamente proclamato lo stato d'assedio, la guarnigione inglese occupò militar mente la città. Dopo trentaquattro anni di occupazione inglese l'i sola di Cipro torna a far parlare di sè, e solleva polemiche vivaci nella stampa di Londra, la quale, questa volta, mostra di annettere una certa importanza agli avveni menti, tantochè qualche giornale non dissimula il suo biasimo verso le autorità, che, con un po' più di tatto, avrebbero forse potuto impedire le cose arrivassero a questo punto.
Si comprende, del resto, come, in questo momento, nel quale la questione del Mediterraneo è di così grande attualità, l'Inghilterra pensi nuovamente a Cipro che può riacquistare, sebbene sotto altri aspetti, quella importanza strategica che l'ha determinata ad occuparla nel 1878. Nel Mediterraneo la situazione è andata completamente mutando da qualche mese a questa parte: dacchè i no stri soldati han posto piede sulle coste della Libia. Anni sono fu posto fine alla centenne rivalità per la quale Fran cia ed Inghilterra si sorvegliavano in tutti i mari del mondo, ma più specialmente nel Mediterraneo. Poco dopo, con la convenzione anglo -russa si poneva fine ad un'altra. grande rivalità, e di Cipro, occupata dall'Inghilterra con
Il Trattato d'Alleanza 87
tro la Russia, l'Inghilterra non si occupò assolutamente più. Per fronteggiare il pericolo più temuto, quello della Germania nel Mare del Nord, la Gran Bretagna ha por tato da Malta a Gibilterra il comando della sua flotta del Mediterraneo. Non aveva più nulla da temere in questo mare, e le sembrò invece molto più necessario avere quanto più possibile vicino e sottomano tutte le sue forze navali.... Pareva dovesse assolutamente abbandonare il bacino orientale del Mediterraneo....
Quand'ecco che l'Italia con la sua guerra per la con quista della Tripolitania ha messo tutto sossopra.L'Egitto è in fermento e l'attività del movimento nazionalista vi desta serie preoccupazioni ; a Tunisi si risveglia il fana tismo islamitico e obbliga dopo trentaquattro anni di occupazione i francesi a mettere la stato d'assedio; al Marocco la rivolta prende proporzioni allarmanti e, an che là, ci vorrà del tempo prima ritorni veramente la calma....
Altro che abbandonare il Mediterraneo ! A Malta si riuniscono i ministri e gli uomini di guerra inglesi per decidere sul da farsi.... E ne vien fuori la notizia che l'In ghilterra costruirà e manderà delle altre navi a formare una nuova flotta nel Mediterraneo !
E non ci sarebbe punto da stupire se, come corollario a tali notizie, venisse fuori uno di questi giorni anche quella, che, dopo trentaquattro anni, si pensa a fare qualche cosa perchè Cipro diventi un'altra base navale....
Novembre 1912
VENEREEcco il testo del trattato al quale si è più volte ac cennato..
IL TRATTATO DI ALLEANZA.
4 Giugno 1878 .
S. M. la Regina del Regno Unito della Gran Bretagna ed Irlanda, Imperatrice delle Indie e S. M. il Sultano, essendo reciprocamente animati dal desiderio di estendere e consolidare i legami di amicizia felicemente esistenti fra i due Imperi, hanno deciso di concludere une Convention d'alliance défensive dans le but d'assurer, pour l'avenir, les territoires en Asie de S. M. I. le Sultan.
Le Loro Maestà in conseguenza hanno incaricato ecc., ecc. (se guono i nomi dei plenipotenziari, e le formule d'uso che precedono il Trattato composto di due soli articoli).
66 Art. 1. Resta convenuto che nel caso in cui Batoum, Ardahan, Kars o altre di queste città saranno ritenute dalla Russia, e se qua lunque tentativo sarà fatto, a qualunque epoca dalla Russia di impa dronirsi di altri territori di S. M. il Sultano in Asia, oltre quelli fis sati dal Trattato definitivo di pace, l'Inghilterra si impegna ad unirsi a S. M. il Sultano con le sue forze militari per difendere i territori in questione.
" In concambio S. M. I. il Sultano promette all'Inghilterra di in trodurre le riforme necessarie (che saranno stabilite più tardi dalle Potenze) relative alla buona amministrazione e alla protezione dei sudditi cristiani ed altri che si trovano nei territori in questione; e per mettere l'Inghilterra in condizioni (en mesure) di assicurare i mezzi necessari per mantenere il suo impegno, S. M. I. il Sultano consente, inoltre, d'assigner l'isola di Cipro per essere da essa occu pata ed amministrata.
66 Art. 2. La presente Convenzione sarà ratificata lo scambio delle ratifiche avrà luogo nello spazio di un mese, ma anche più pre sto, se si potrà ,,.
LA QUESTIONE DEGLI STRETTI.
LA FLOTTA RUSSA NEL MEDITERRANEO.
La cbiave di casa in mano d'altri. La storia del mondo e gli Stretti. Dal l'Impero Bizantino all'Impero Ottomano. La navigazione nel Mar Nero. La soluzione desiderata dalla Russia. - Una situazione privilegiata. Durante l'Al leanza Turco-Russa. Tilsitt . I russi sulla riva asiatica del Bosforo. Il Trattato di Unkiar-Skelessi. La questione degli Stretti doventa unaquestione europea. La rivolta di Mehmed Ali. La convenzione di Londra. di Crimea. - Dal Congresso di Parigi a Londra. Durante la guerra del 1870. La nuova conferenza di Londra. La questione degli Stretti nel Trattato di Berlino . Alla Camera dei Comuni. Fra le alleanze e le ententes. visione della Convenzione.
La guerra La re
La questione degli Stretti occupa e preoccupa nuo vamente la Diplomazia Europea, come, del resto, è sem pre accaduto tutte le volte che la Questione d'Oriente è risorta a minacciare nuove complicazioni in Europa. Finora, ufficialmente, non se ne è ancora parlato. Da Pietroburgo, anzi, gli articoli che, indirettamente vi ac cennano si alternano con le smentite recise, e il richiamo dello Tcharihoff da Costantinopoli, secondo alcuni, sa rebbe stato motivato per l'appunto dal passo che egli avrebbe fatto presso la Sublime Porta relativamente alla questione degli Stretti: passo che il Governo di Pietro burgo, specialmente il Sazonoff, avrebbe considerato as solutamente inopportuno. Ma ciò non toglie sia sempre la questione più grave per la politica russa, sopra tutto in un periodo nel quale gli avvenimenti provano ogni giorno più, come sieno le forze navali le corazzate MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 12
e le dreadnoughts che decideranno le sorti delle na zioni forse quanto i Corpi d'Esercito. Ed è una questione più complicata di quanto non sembri a primo aspetto, poichè la geografia ha creato questa curiosa situazione di cose, per cui un paese, la Turchia, ha in mano, come si è detto tante volte con una frase corrente del linguaggio diplomatico, le chiavi di casa di un altro. Anzi di altri paesi, poichè due nuovi regni, la Rumenia e la Bulgaria, hanno essi pure dei porti nel Mar Nero, e l'Austria-Ungheria può avere essa pure degli interessi in questo mare per quel che si rife risce alla navigazione del Danubio. Complicata non solo perchè le bandiere di queste nazioni sventolano sulle acque dell'antico Euxino, ma altresì perchè la Russia è sempre stata un po' indecisa intorno alla soluzione pre feribile, poichè se l'apertura degli Stretti alle navi da guerra di qualunque paese, ha per essa il vantaggio di farla diventare una Potenza Mediterranea, ha però lo svantaggio di esporla al pericolo di vedere le flotte ne miche nel Mar Nero, dove, finora, si è considerata invul nerabile, quando non è in guerrá con la Turchia. Anche adesso, per quanto per non dubbi segni pare propenda per la soluzione più larga : quella dell'apertura degli Strelti a tutti (che, ben inteso l'Europa dovrebbe imporre al Sul tano) non hanno completamente disarmato coloro i quali una tale soluzione considerano come un grave pericolo per l'Impero. Due ricordi determinano evidentemente tale diversità d'opinione della quale si sono fatti eco, scrit tori, uomini politici, diplomatici: Sebastopoli e Tsuchi ma. Il passaggio delle flotte nemiche attraverso i Dar danelli ed il Bosforo ha condotto la Russia alla umilia zione del Congresso di Parigi, come nel 1878 fu ancora l'apparizione delle navi britanniche nel Mar di Marmara che le impedì di entrare a Costantinopoli e preluse al
Gli Stretti e l'Impero bizantino e 91
l'altra umiliazione del Congresso di Berlino. Viceversa, la chiusura degli Stretti le ha impedito durante la guerra col Giappone di accorrere più prontamente e con navi mi gliori di quelle della flotta nel Baltico, in aiuto alle sue squadre dell Estremo Oriente.
Senza tema di esagerare si può dire che, intorno agli Stretti e a Costantinopoli, sorta appunto in quella posi zione sul Bosforo per la sua grande importanza commer ciale e strategica, si è svolta e si svolge ancora gran parte della storia del mondo. Gli Stretti, chiusi od aperti, pos sono, come si vede, determinare una situazione diversa in regioni lontanissime dall'Europa e dei mari e degli Ocea ni che ne bagnano le coste.
Senza risalire alle remota antichità all'epoca nella quale su un gran ponte a barche passò attraversando l Ellesponto il formidabile esercito di Serse, e furono combattute in quel mare e in quelle regioni le battaglie nelle quali erano in giuoco le sorti della indipendenza ellenica e quindi quelle della civiltà è facile rendersi conto della importanza che ha sempre avuto la questione degli Stretti e Costantinopoli, anche dopo, specialmente quando questa città era la Capitale dell'Impero d'Oriente. E come l'Impero Bizantino abbia potuto in certo modo sopravivere a sè stesso quando si trovò ridotto quasi alla sola capitale, circondata da tutte le parti da nemici: da quegli Osmani che venuti da lontane regioni, e da un pezzo padroni della costa asiatica, avevano preso posto anche sull'altra riva sbarcando nella penisola di Gallipoli.
Negli ultimi anni di Costantinopoli cristiana, la poli tica dell'Imperatore bizantino, sotto certi aspetti, rassomi glia moltissimo a quella seguìta da anni dall'Impero ot tomano dacchè la sua decadenza precipita.
Gli ultimi imperatori bizantini, come i successori di Maometto, furono costretti a destreggiarsi fra le rivalità
DEGLI STRETTIdelle Potenze, pronte a prometter loro aiuti allorchè si mostravano disposti a fare delle concessioni . Allora non si trattava di linee ferroviarie, di costruzioni di navi da guerra, nè di miniere, ma della facoltà di commerciare, di avere dei depositi,degli scali nel Mar Nero o delle fa cilitazioni speciali a Costantinopoli accordate ai Vene ziani, ai Genovesi, agli Amalfitani ed ai Pisani. La lotta vivissima fra Venezia e Genova per il predominio del l'antico Euxino all'epoca dell Imperatore Michele Paleo logo finì col trionfo della Repubblica di San Giorgio che ne rimase quasi padrona assoluta mentre la Repub blica di San Marco riprese con maggiore attività le antiche vie commerciali della Persia per l'Asia Minore e dell'Egit to. 1) Ma dopo la caduta di Costantinopoli in mano dei turchi, anche i Genovesi dovettero abbandonare a loro volta il Mar Nero e le Colonie che vi avevano stabilito. I nuovi padroni dell'antica Bisanzio, appena ne ebbero pre so possesso, fortificarono il Bosforo nel punto ove le due sponde sono più vicine, e il Mar Nero diventò imme diatamente un lago esclusivamente turco, del quale essi potevano aprire e chiudere a loro talento la porta. Ed allora bisogna ben tener conto di questa circostanza il Mar Nero aveva una importanza enorme. Per un certo periodo i Sultani continuarono a seguire le orme dei loro predecessori a Costantinopoli: accor dando cioè delle concessioni e dei privilegi per ciò che riguarda la navigazione di questo mare. Con la differen za però: che prima erano date sotto la pressione delle minaccie o nella speranza di aiuti contro qualche nemico, mentre coi Sultani erano questi ultimi che facevano un affare avendo essi dei compensi, sebbene tali concessioni di navigare nel Mar Nero, fossero per la Turchia una
1) DEPPING citato nel libro La Mer Noire et les Détroits de Costantinople. Essai d'histoire diplomatique par XXX. A Rousseau edit:ur, 1899.
necessità, non avendo navi proprie. Appena potè costi tuirsi una flotta, il divieto agli altri di navigare nel Mar Nero fu assoluto. Solo più tardi, con grandi cautele, e certi porti soltanto furono aperti nel Mar Nero alle navi inglesi, olandesi e francesi. Non è nello scopo di questo breve scritto di fare la storia della complicatissima questione degli Stretti.... Chi desiderasse formarsi un concetto veramente esatto e co noscerla in tutti i particolari e nelle varie fasi che ha attraversato, dovrebbe consultare una mezza biblioteca, poichè, specialmente in Russia e di parecchie vi è la traduzione francese - sono numerose le pubblicazioni che trattano della questione. Una delle opere più complete, dovuta ad un francese, è quella alla quale ho già accen nato in una nota, presentata modestamente, come un essai d'histoire diplomatique. Recentemente fu pubbli cato, anche in francese, e con una prefazione dell'Hano taus un altro libro del direttore degli archivi dell'Impero, Sergio Gorianow che mette in luce con la scorta di docu menti diplomatici dei quali la maggior parte viene così per la prima volta alla luce, quale sia stata la politica della Russia per il Mar Nero e per gli Stretti. 1) Da questo libro e, attraverso le note deiministri edegli ambasciatori, e le postille con le quali lo Czar commenta in margine i rapporti che gli inviano, si vede chiaro come, mentre la politica russa aveva avuto un indirizzo chiaro e preciso di fronte alla Turchia quando mirava ad ottenere la li bertà di navigazione del Mar Nero : a fare di questo un marc turco -russo e non solamente turco, abbia poi avuto molte oscillazioni, per quanto riguarda la chiusura e l'apertura degli Stretti. Oscillazioni ed incertezze dovute al fatto che è irrealizzabile quello che sarebbe il suo
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1) VANDAL. Napoléon et Alexandre I. L'alliance russe sous le Premier Em pire. Paris, 1897.
vero desiderio, la soluzione più conforme certamente ai suoi interessi: che cioè gli Stretti sieno aperti per le sue navi, e chiuse per quelle degli altri. È una situazione privilegiata che potè avere solamente per qualche anno, fra la fine del secolo decimottavo e il principio del se colo scorso, quando l'impresa di Napoleone in Egitto gettò la Turchia nelle braccia della Russia, e, parecchi anni dopo, quando la Turchia richiese nuovamente il suo aiuto durante la rivolta del Pascià d'Egitto e le vittorie del figlio Ibrahim avevano messo in grave pericolo la Turchia e il trono di Mahmud II. Nel primo periodo fu sottoscritto un trattato formale (1789) che doveva avere la durata di otto anni. Ma quando si trattò di rinnovarlo, soprattutto per quanto potesse riguardare la chiusura degli Stretti, la Francia aveva a poco a poco acquistato una grande influenza a Costantinopoli e svegliando l'amor proprio dei Turchi e del Sultano spingeva la Sublime Porta a ribellarsi a quello che essi chiamavano il protettorato russo sulla Turchia. «Hai cessato di regnare? scriveva Napoleone al Sultano nel 1805. Risvegliati Selim : chiama al Mi nistero i tuoi amici, scaccia i traditori, affidati ai tuoi veri amici, altrimenti finirai per perdere il tuo paese, la tua religione, la tua famiglia». Fu la vittoria di Austerlitz che decise il Sultano, il quale, poco dopo, dichiarava la guerra alla Russia. So lamente, a Tilsitt, cambia poco dopo la politica di Napo leonc il quale non pensa più a difendere la Turchia dalla Russia, ma bensì a mettersi d'accordo con lo Czar per una eventuale spartizione dell'Impero Ottomano. Arri vando fino al punto di consentire che Costantinopoli di ventasse russa, perchè tale concessione fosse subordi nata ad un controllo permanente ed efficace. Ed è sugge stivo,in questo momento nel quale la stampa al di là delle
Trattato Unkiar-Skelessi 95
Alpi continua le sue variazioni sul tema del Mediterraneo francese, il ricordare come insistesse in questa idea Na poleone I, il quale consentiva volentieri a fare dell'Euxino un lago russo purchè diventasse un lago francese il Me diterraneo. 1)
La Turchia si rivolse ancora chiedendo aiuto alla Rus sia, come dicevamo, nel 1833, quando l'esercito vittorioso di Ibrahim minacciava Costantinopoli. Le squadre dello Czar gettarono l'àncora a Bouyouk-Deré e parecchie mi gliaia di soldati russi stabilirono il loro campo sulla riva asiatica del Bosforo. Quando cessò il pericolo di Ibrahim i russi si ritirarono. Ma prima di andarsene fu firmato fra la Russia e la Turchia il famoso trattato di Unkiar-Skelessi: Trattato d'Alleanza nel quale il cor rispettivo dell'aiuto che la Russia si impegnava di dare in ogni evenienza alla Turchia non compare altro che con la reciprocità. Ma che fu invece stabilito in un arti colo aggiuntivo segreto, nel quale è, anzi, in certo modo annullata la clausola della reciprocità.
Riproduco testualmente l'articolo che rappresenta , come diceva, la soluzione del problema sempre vagheg giato dalla Russia, e che, naturalmente, oggi, è più im possibile che mai.
" In virtù dall'articolo 1.º del Trattato, e detto nell'articolo seguente, le due Alte Parti contraenti sono tenute a prestarsi vicendevolmente l'aiuto materiale più efficace per la sicurezza dei rispettivi Stati. Ciò nonpertanto, siccome l'Imperatore di tuttele Russie vuole risparmiare alla Sublime Porta il gravame e l'imbarazzo che risultano per essa dalla prestazione di un aiuto materiale, non domanderà questo aiuto se le circostanze mettessero la Sublime Porta nell'obbligo di fornirlo. La Sublime Porta invece dell'aiuto che deve prestare nel caso se condo il principio della reciprocità del Trattato, dovrà limitarsi la sua azione in favore della Corte Imperiale russa a chiudere lo Stretto dei Dardanelli, cioè a non permettere ad alcun bastimento da guerra straniero di entrarvi sotto qualunque pretesto ,,
1) VANDAL, Opera citata.
Immediatamente dopo la firma del Trattato, degli in gegneri russi si occuparono di fortificare i Dardanelli. Il Mar Nero nel quale, da due secoli, la 'Russia era stata chiusa, diventava come allora fu detto una rada immensa protetta dai cannoni degli Stretti, nella quale potevano muoversi le sue flotte, libere di sortirne e di rifugiarvisi: centro d'attacco ed asilo inespugnabile.
Era di nuovo la Turchia posta sotto la protezione dello Czar, cosa che, naturalmente, non poteva garbare alle altre Potenze le quali non vi si rassegnarono che molto a malincuore, aspettando il momento opportuno per far cessare un simile stato di cose. L'occasione si presentò qualche anno dopo, nel 1839, quando scoppiò di nuovo la guerra fra il Sultano e il Pascià d'Egitto, e si formò una specie di coalizione contro la Russia.
Per l'Inghilterra, per la Francia, come pure per l'Au stria, diceva allora il maresciallo Soult, il vero scopo del Concerto Europeo, è quello di contenere la Russia, e di abituarla a trattare in comune le questioni d'Oriente.
E con Palmerston egli agì d'accordo allo scopo come diceva quest'ultimo di arrivare ad una venzione europea » che sostituisse il famoso Trattato di Unkiar-Skelessi. L'accordo si manifestò solennemente con la nota dell'ambasciatore francese, barone Roussin, pre sentata a nome dei suoi colleghi alla Sublime Porta il 27 luglio 1839. Tale accordo era stato sancito per impe dire alla Russia di intervenire nella lotta fra il Sultano e Mehmed Alì, e la Russia sentendosi isolata, a malin cuore, aveva dovuto essa pure associarsi alla nota nella quale l'ambasciatore francese diceva alla Porta «che l'ac cordo fra le Cinque Potenze era assicurato e che la invitavano a sospendere ogni soluzione definitiva» (men tre stava per firmare la pace con Mehmed Alì e il fir mano che gli concedeva quanto questi pretendeva) sen
« con
La Turchia sotto la sorveglianza dell'Europa 97
za il loro concorso, aspettando la prova del loro inte resse.
Tale nota ha una enorme importanza storica e di plomatica poichè la Turchia venne allora così posta per la prima volta sotto la sorveglianza dell'Europa. Fu il punto di partenza della politica destinata a ricacciare i russi nel Mar Nero, e toglier loro i vantaggi del protet torato dei Cristiani e la difesa dell'Impero Ottomano : fu insomma la grande rivincita delle Corti Marittime -- come si chiamavano allora - di tutte le vittorie militari e di plomatiche degli Czar in Oriente.
Questo Impero, diceva chiaramente il marescial lo Soult della Turchia, rientra così nel diritto pubblico europeo; ogni Potenza avendo lo stesso diritto a proteg gerlo e tutte essendo chiamate a garantirne l'indipendenza. Nell'estate del 1840 a Londra, sotto la presidenza del Palmerston si riuniscono gli ambasciatori rappresentanti delle Potenze per stabilire le condizioni di pace fra il Sultano e il ribelle Pascià d'Egitto e firmano l'atto che fu chiamato : la prima convenzione di Londra, nel quale l'art. 3 è così concepito:
16 Rimane inteso che la cooperazione stabilita all'articolo precedente e destinata a porre temporaneamente gli Stretti dei Dardanelli e del Bosforo e la capitale ottomana sotto la salvaguardia delle Alte Part contraenti contro ogni possibile aggressione di Mehmed Ali sarà con siderata come una misura eccezionale, adottata sulla domanda espressa del Sultano, ed unicamente per la sua difesa nel caso qui sopra in dicato. Ma rimane convenuto che questa misura non deroga in nulla all'antica regola dell'Impero Ottomano, in virtù della quale è stato in ogni tempo vietato ai bastimenti da guerra delle Potenze Estere di entrare negli stretti dei Dardanelli e del Bosforo. Ed il Sultano a sua volta dichiara col presente atto che, ad eccezione della eventualità suaccennata, ha la ferma risoluzione di mantenere per l'avvenire que sto principio stabilito invariabilmente come antica regola del suo Im pero e fino a che la Porta si troverà in pace,
MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 13
DEGLI STRETTI
Nel febbraio 1841 Mehmed Ali si sottomette definitiva mente al Sultano e riceve l Egitto per sè e i suoi succes sori. Lo scopo della convenzione dell'anno prima è rag giunto. Allora le Potenze prendono l'occasione per dare alla Convenzione su gli Stretti il carattere di una conven zione separata facendovi partecipare la Francia rimasta in disparte l'anno prima. Nell agosto del 1841, sempre a Londra, vien firmata, quella che fu chiamata: la seconda convenzione di Londra, nella quale il primo articolo è così redatto :
Sua Altezza il Sultano da una parte dichiara che ha la ferma risoluzione di mantenere il principio invariabilmente stabilito come antica regola del suo Impero, e in virtù del quale è stato in ogni tempo vietato alle navi delle Potenze straniere di entrare negli Stretti dei Dardanelli del Bosforo, e che, fintanto la Porta si troverà in pace Sua Altezza non ammetterà alcuna nave da guerra straniera negli Stretti. E le Loro Maestà da parte loro si impegnano a rispet tare questa determinazione del Sultano e di conformarsi al principio qui sopra enunciato ,,.
«Tale articolo, osserva il direttore degli Archivi Im periali nell'opera citata, fu redatto come se il Sultano dichiarasse, in virtù dei suoi diritti sovrani la sua ri soluzione di mantenere per l'avvenire la detta regola, mentre le Potenze si impegnano ad aderire alle risoluzioni prese dal Sovrano dell'Impero Ottomano. L'apparenza del rispetto fu osservata per non urtare i sentimenti di di gnità personale del Sultano, ma, in fondo, la questione fu risoluta, secondo il desiderio delle Potenze. Esiste, osserva ancora il Gorianow, nella Convenzione del 1841 una obbligazione contrattuale che lega le due parti. Non è un obbligo della Porta di fronte a ciascuna delle Po tenze, nè di ciascuna di esse di fronte alla Porta. È un impegno indiviso, solidale, sancito anche nelle parole del preambolo, dove è detto che le Loro Maestà hanno ri soluto di accogliere l'invito del Sultano, per « constatare in
comune con un atto formale la loro risoluzione unanime di conformarsi all'antica regola dell'Impero Ottomano ».
Quest'ultima frase è l'eufemismo col quale è indiret tamente sancito che il Sultano deve rispettarla per il pri mo, e che quindi vi è una certa restrizione nei suoi di ritti di sovranità su quella parte del suo Impero. Gli Stretti sono sempre dominio del Sultano questi, però, non è più libero di farli passare o di chiuderli a chi gli pare e piace.
La Convenzione degli Stretti,, 99 >
Ma, nel tempo stesso in cui si menomano i diritti so vrani della Turchia, con la seconda conferenza di Londra, che viene più tardi designata col nome di «Convenzione degli Stretti», viene menomata anche la posizione della Russia ; poichè, se, in teoria, gli Stretti rimangono chiusi a tutte le marine, in realtà, possono aprirsi per inemici della Russia se questi diventano gli alleati della Turchia. Come accadde diffatti, parecchi anni dopo, all'epoca della guerra di Crimea.
Non si può prescindere e non tener conto dei prece denti storici quando si considera la questione degli Stretti. Anche perchè 'le situazioni si ripetono, e al Congresso di Parigi del 1856 dopo Crimea, sono le stesse consi derazioni, gli stessi timori, che determinarono l'atteggia mento delle Potenze contro la Russia nella questione degli Stretti ed è l'Inghilterra che si mostra intransi gente e trascina le altre ad umiliare ancora più la Russia. Nel Trattato del 1856 la Convenzione degli Stretti del 1841 è riprodotta integralmente, ma le Potenze vogliono ed ottengono qualche cosa di più: la neutralizzazione del Mar Nero. Quindi in un articolo del Trattato si vieta alla Russia di costruire delle navi in quel mare, di avere degli arsenali, ammettendo soltanto possa avere quelle navi leggere concesse alle altre Potenze per il servizio delle Legazioni. Cosicchè rimase completamente disarmata.
STRETTI
in quel mare del quale era stata padrona assoluta ed esclusiva per parecchi anni in virtù del trattato di Unkiar Skelessi.
La questione degli Stretti e del Mar Nero, dicevo da principio, ha dominato per quasi due secoli la politica dell'Europa. Furono quegli articoli del Trattato sotto scritto a Parigi che permisero alla Germania di schiac ciare la Francia nel 1870. Il Bismarck ottenne e si assi curò la neutralità della Russia lasciandole ben capire non si sarebbe opposto il giorno nel quale essa avrebbe domandato di lacerare quei patti. E la Russia colse il momento opportuno, quando gli eserciti prussiani inve stivano Parigi, per dichiarare che intendeva lacerare le clausole del Trattato di Parigi relative al Mar Nero.
La guerra del 1854 e il Trattato del 1856, scriveva il Gorcha koff al signor Oukounoff, agente russo alla Delegazione di Tours, sono stati i primi passi nella via delle perturbazioni politiche che hanno scosso l'Europa e hanno condotto a cosi disastrose conseguenze. Quale che possa essere il Governo che si stabilirà definitivamente in Francia, il suo compito dovrà essere quello di riparare ai mali causati da un sistema politico i cui risultati sono stati così fatali, Fu con un dispaccio circolare alle Potenze firmatarie del Trattato di Parigi che il Principe Gorchakoff, senza tante circonlocuzioni e con una forma inusitata in que sto genere di documenti, annunziò seccamente che « Sua Maestà Imperiale non poteva più considerarsi legato dalle stipulazioni del 30 marzo 1856, in quanto limitano i suoi diritti di sovranità nel Mar Nero » .
In seguito a tale determinazione della Russia, auspice il Principe di Bismarck, si riunisce una nuova conferenza a Londra, alla quale i rappresentanti delle Potenze sanno però di intervenire unicamente per salvare la forma, poi chè non rimane loro altro da fare che sanzionare l'atto compiuto. Non è a dire per questo che la discussione che pre
Un testo non troppo chiaro 101
cedette la redazione degli articoli della convenzione sia stata facile e rapida. Tutt'altro! L'abrogazione degli ar ticoli del Trattato di Parigi relativi alla neutralità del Mar Nero non diede luogo a controversia. Tutto era ta citamente convenuto. Ma la discussione fu invece lunga, e viva la schermaglia per la redazione dell'art . 3º: quello che riguarda il regime degli Stretti. E ne venne fuori un te sto che non è certo dei più chiari.
Il principio della chiusura degli Stretti dei Dardanelli e del Bosforo, come è stabilito nella convenzione separata del 30 marzo 1856 è mantenuto con la facoltà di S. M. I. il Sultano di aprire gli stretti in tempo di pace alle navi da guerra delle potenze amiche ed alleate, nel caso in cui la Sublime Porta lo giudicasse necessario per salva guardare l'esecuzione delle stipulazioni del trattato di Parigi del 30 marzo 1856
Quest'ultima clausola sulla quale si fece l'accordo fu suggerita dal Plenipotenziario Italiano ed accolta da tutti un po' come una scappatoia.
Quale sia la portata di tale articolo, e della clausola sulla quale avvenne l'accordo non si è mai potuto sta bilire bene: poichè, dopo essersi posti d'accordo su di essa, ognuno l'ha poi interpretata a modo suo. In com plesso pare che con questo articolo sia data una mag giore estensione ai diritti che con le convenzioni prece denti erano stati riconosciuti al Sultano. Sempre permag giore garanzia della indipendenza della Turchia ove fosse minacciata.
Al Congresso di Berlino, otto anni dopo, la discus sione intorno alla questione degli Stretti, è breve e si svolge sulla interpretazione da darsi a quell'articolo 2 della Convenzione di Londra che è sempre in vigore e che quindi regola ancora adesso il regime degli Stretti.
Nella seduta dell'11 luglio 1878 lord Salisbury a nome del suo governo lesse una dichiarazione così concepita:
STRETTI
Considerando che il Trattato di Berlino inuterà una parte im portante degli accordi sanciti col Trattato di Parigi del 1856 e che l'interpretazione dell'art. 2 del Trattato di Londra può dar luogo a contestazioni , dichiaro, da parte dell'Inghilterra, che gli obblighi a Sua Maestà Britannica relativamente alla chiusura degli Stretti, si limitano ad un impegno verso il Sultano di rispettare a questo riguardo le risoluzioni indipendenti di Sua Maestà conformemente allo spirito dei trattati esistenti a
L'indomani il Conte Schouvaloff domandò a sua volta l'inserzione nel protocollo di una sua dichiarazione così concepita:
"I Plenipotenziari della Russia, senza poter rendersi esattamente conto della dichiarazione del Secondo Plenipotenziario della Gran Bretagna, relativa alla chiusura degli Stretti, si limitano a domandare da parte loro l'inserzione nel protocollo della osservazione, che a loro avviso, il principio della chiusura degli Stretti è un principio europeo e che le stipulazioni concluse nel 1841, 1856 e 1871 confermate-at tualmente nel Trattato di Berlino sono obbligatorie da parte di tutte le Potenze, conformemente allo spirito e alla lettera dei trattati esi stenti, non solamente di fronte al Sultano, ma di tutte le Potenze firmatarie di queste transazioni ,,.
Con tali due dichiarazioni e le due diverse interpre tazioni ecco di nuovo di fronte i due avversari. In quel momento l'Inghilterra era la grande amica della Turchia. L'aveva salvata da maggiori amputazioni, e, facendo anco rare la sua flotta all'Isola dei Principi, aveva poco prima impedito che gli eserciti dello Czar entrassero a Costanti nopoli. Più che l'amica era addirittura l'alleata, poichè l'atto relativo alla cessione di Cipro parla di vera e pro pria alleanza 1) e, del resto la cessione dell'isola è moti vata precisamente per dare all'Inghilterra una base vicina all'Asia Minore onde poter più prontamente difendere dalla Russia i possedimenti ottomani al di là del Bosforo. Alleanza, che fra parentesi, per quanto non abbia più una grande importanza e questo è il lato curioso di 1) Vedi capitolo precedente.
In previsione della guerra 103
questi trattati - virtualmente ed ancora in vigore. Ora, considerando e interpretando l'art. 2 di Londra, secondo la dichiarazione Salisbury, alla Gran Bretagna, in caso il conflitto con la Russia, purchè avesse il consenso non dubbio dell'alleata Turchia, nessuno avrebbe potuto im pedire di far passare le sue squadre nel Mar Nero per andare a colpire l Impero nel suo punto più vulnerabile: in Crimea. Per converso con l'interpretazione dello Schou valoff, la Russia non essendo in guerra con la Turchia, non aveva da temere alcun pericolo in quel mare. Nel 1885 quando per la questione dell Afganistan le relazioni fra Russia e Gran Bretagna si fecero tese al punto da far temere lo scoppio di un conflitto, una vi vace discussione a proposito della questione degli Stretti si impegnò alla Camera dei Comuni. Lord Campbell chie se allora che si sottomettessero ad un profondo studio gli atli diplomatici che dànno egli disse -- il diritto alla Russia di esigere dal Sultano di proteggerla dall'unico danno, che per esperienza, riconosce veramente serio: quello dell'apertura degli Stretti, poichè con la loro chiu sura è invulnerabile nel Mar Nero.
Per cui, come dicevamo da principio, per la Russia il regime desiderato sarebbe quello che mantenendo gli Stretti chiusi per tutte le marine da guerra, permettesse però alle navi sue, come Potenza che ha coste nel Mar Nero, di passarli, sia pure con l'autorizzazione del Sul tano. Era il regime che avrebbe voluto fare adottare col Trattato di Santo Stefano che lacerato dalle Potenze per sostituirvi quello di Berlino. Ma non è possibile le Po tenze acconsentano, nè ora nè mai, a una tale situazione di cose. Per cui, fra le due correnti, prevale oramai gran demente in Russia quella che vorrebbe gli Stretti aperti a tutti. Con le chiavi del Mar Nero, in mano di un paese debole, chi può garantirla che la Turchia non ceda alle
DEGLI STRETTIpressioni dell'avversario quando la Russia fosse impe gnata in un conflitto, e lasci libero il passaggio alle navi del nemico? Questa è la considerazione che da un pezzo spinge la politica russa a volere l'apertura degli Stretti, da ciascuna delle Potenze desiderata o temuta , secondo crede che le navi russe, una volta nel Mediterra neo, si uniranno alle sue o a quelle del campo avverso . Con la occupazione della Libia da parte dell'Italia è certo che una situazione nuova si va creando nel Medi terraneo. D'altra parte, le nazioni non sono più netta mente divise in due gruppi l'uno all'altro contrapposti come accadeva fino a qualche anno fa. Accanto alle al leanze si sono andate formando delle enfentes che, in certi momenti, è persino potuto sembrare avessero delle alleanze maggior forza e coesione. Evidentemente ciò non è. Incidenti recenti che ci riguardano, come quello del Manouba, provano che le ententes rappresentano più che altro uno stato d'animo delle nazioni, che può mutare da un momento all'altro. Ma, ciò non pertanto è un fatto che le alleanze non hanno più le basi solide di un tempo e che rimangono scosse quando vi è conflitto di interessi. Lo si è visto per quanto riguarda le relazioni nostre con la Francia ed era un'entente ; come lo si vede ora nelle relazioni Franco-Russe ove si tratta di una al leanza. Date simili incertezze e la mutabilità delle situazioni, pare evidente che delle Potenze nessuna pensi con entu siasmo alla possibilità che la flotta russa del Mar Nero venga in pieno diritto come tutte le altre nel Mediterraneo. L'alleata non può non porsi l'ipotesi che, a un dato momento e in circostanze mutate, quelle navi passino dall'altra parte, e, viceversa, le Potenze unite alla Russia solamente da un'entente non sanno fino a qual punto potrebbero al momento opportuno contare su di lei.
La politica russa
Ma tali timori delle Potenze sono forse per l'appunto la ragione per cui gli uomini di Stato russi, oggi più che mai vorrebbero arrivare alla revisione della conven zione degli Stretti, facendoli dichiarare aperti, e facen done imporre l'apertura alla Turchia, che naturalmente non vi si potrebbe rassegnare che a malincuore. È un altro dlout che avrebbe in mano la politica russa....
Giugno, 1912.
MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 14
VI.
LA STORIA DI TRE COLLOQUI .
APOLOGIE INOPPORTUNE.
ll conregno di Abbazia. Tiemissività eccess va. Su una nave da guerra. L'Illustrazione Italiana. Gli elogi ai nostri carabinieri!... Gli armamenti navali dell'Austria all'indomani della visita ad Abbazia. Contro due bravi sol dati . Il generale Asinari di Lernezzo e il colonnello Signorile. I urante la grande crisi balcanica del 1908. ll discorso di Carate. Perchè non si pensò a Tripo.i? Una frase del Gran Vizir. l'n ambasciatore fischiato dai suoi connazionali. - L'intesa Italo-Russa. L'opera dell'on. I'rinetti. La ministro ad ambasciatore. Scortesie a un ministro francese. Per im pedire la visita di Fallières all E-posizione di Milano.
In uno degli ultimi fascicoli della Nuova Antologia è stato pubblicato, con la firma del senatore Carafa d'An dria, un articolo apologetico per l'opera dell'on. Tittoni specialmente per quanto riguarda la nostra politica orien tale. L'egregio senatore è un antico ammiratore del l'attuale rappresentante dell'Italia, e, con questo suo scritto ha certamente creduto di rendere un servizio da amico all'uomo politico che egli ammira, e che ha scelto questo momento all'indomani dell'incidente del Manouba per pubblicare i discorsi pronunziati nel periodo in cui resse il ministero degli affari esteri. Trattandosi non di un libro, ma di una ristampa di discorsi tolti da gli atli parlamentari che non importa, all'infuori della cor rezione delle bozze, altro lavoro, da parte dell'autore, e per il quale basta qualche settimana, anche l'epoca, il
momento, le circostanze nelle quali la pubblicazione vien fatta, hanno la loro importanza, e possono tradire la sua intenzione. Quando, in un periodo di attività diplo matica come quello che attraversiamo, e, mentre dura lo stato di guerra, un ex-ministro, diventato ambasciatore, pubblica i suoi discorsi col titolo suggestivo: Sei anni di politica estera, ha, evidentemente, il desiderio di ri chiamare l'attenzionedel pubblico su quella sua politica che, naturalmente, egli ritiene sia stata la migliore po tesse fare, per cui di molte cose il merito va a lui at tribuito. Che se ammettiamo pure l'ipotesi tale non fosse stata la sua intenzione, non si capisce, come non gli sia balenato alla mente il pensiero che, commen tando o sottolineando, avrebbero finito per farlo credere i suoi ammiratori. On n'est jamais trahi que par les siens. Ed ecco diffatti l'egregio senatore Carafa d'Andria, il quale, esaminando nel suo articolo il volume vi mette per titolo: L'on. Tittoni e la politica Orientale, dimo strando - Iddio glie lo perdoni che è tutto merito dell'antico prefetto di Napoli, se si è recentemente manife stata così intima e cordiale l'amicizia Italo-Russa, e se le attuali relazioni nostre col vicino Impero sono ora migliorate grazie alla sua costante opera per rinsaldare la Triplice. In certe circostanze, e quando un uomo po litico copre alte e delicate cariche all'estero, possono es sere pericolose le rievocazioni di antichi discorsi e più pericolosi ancora i commenti. E si può domandare se, es sendo l'on. Tittoni ambasciatore a Parigi, e, dopo i re centi incidenti, era proprio questo il momento di ricor dare i suoi entusiasmi per la Triplice.
L on Tittoni assumendo il potere scrive il senatore Carafa si propose due scopi: rafforzare la Triplice spuntandone gli angoli che si erano acuiti dopo il nostro riavvicinamento alla Francia e riavvicinarsi alla Russia
verno
con la quale avevamo comune interesse al mantenimento dello statu quo nei Balcani . Tutto l'articolo mira a di mostrare che, grazie alla sua abilità, entrambi gli scopi sono stati raggiunti. Se, in un argomento così grave e delicato, fosse lecito scherzare, si potrebbe osservare che, una parte di merito nell aver raggiunto il primo degli scopi spetta realmente all'on. Tittoni. Ma non al Tittoni ministro degli esteri; bensì al nostro ambasciatore a Pa rigi che, nell'incidente del Manouba si è lasciato illudere da alcune vagh'e parole di Poincaré, e nella speranza di un successo personale ha ritardato ad informare il Go ritardo che fu la causa per la quale l'incidente prese un carattere grave. Sfogliando i giornali di tut!o. quel periodo di tempo nel quale il Tittoni fu alla Con sulta, è facile convincersi come sia invece stato il pe riodo nel quale le relazioni fra Austria ed Italia furono più difficili per il moltiplicarsi degli incidenti spiacevoli. L'errore principale dell'on. Tittoni ed è sopratutto questo che non gli si può perdonare fu quello di non avere avuto fede nel suo paese, dando dal primo giorno nel quale salì al Governo fino all'ultimo, alle relazioni con l'Austria -Ungheria una intonazione tale di remissi vità per cui, in tutte le questioni , in tutti gli incidenti, l'Italia dovette subire soluzioni che ne offesero il giusto amor proprio. L'errore costante, continuo, di quella poli tica, fu quello di credere che con quella remissività si po tesse ottenere qualche cosa. Mentre, invece, in simili casi accade sempre il contrario. Tutto si osa quando si sa che dall'altra parte non vi è pericolo di incontrare la più piccola resistenza. La politica dell'on. Tittoni di fronte all'Austria esordì per l'appunto con tale atteggia mento di remissività, colpevole e doloroso, anche perchè, in uno dei primi atti suoi, il colloquio ad Abbazia col ministro degli esteri austro-ungarico credette quasi di do
Su una nave da guerra! 109
ver dare delle garanzie che nessuno gli chiedeva offen dendo sentimenti che si possono non dividere; che la opportunità può anche consigliare di sacrificare, ma, che un italiano, cittadino o ministro, deve rispettare, e col quale fu consacrata, se così si può dire, la politica così poco dignitosa che l'Italia doveva seguire per parecchi anni. Ho già raccontato altrove 1) come fu stabilito e in quali circostanze avvenne quel colloquio. Sollecitato insi stentemente dall'onorevole Tittoni il Goluchowsky gli fece il tiro di fissarlo ad Abbazia. Al primo accenno rispose che si sarebbe potuto combinare in una prossima occa sione, che si presentò poco dopo, quando, andando il Goluchowsky a passare qualche giorno ad Abbazia, si propose da Vienna che iviavvenisse l'incontro. L'idea di costringere il Ministro del Regno d'Italia, quasi come: espiazione della politica e delle manifestazioni irreden tiste, fatte fino a poco tempo prima è la frase con la quale la visita fu commentata da parecchi giornali austriaci ad andare a fare omaggio al Ministro degli esteri dell'Impero in una terra italiana soggetta alla Co rona degli Asburgo, era naturale dovesse sorridere a Vien na. Ma alla Consulta non sospettarono nemmeno il tra nello. Però è evidente che se, una volta proposta Ab bazia, e per il modo col quale le cose si erano svolte, non era più possibile tornare indietro, questo però era il caso nel quale il Ministro italiano avrebbe dovuto recarsi a visitare il suo collega austro-ungarico nel più stretto incognito, col minor rumore possibile, anzichè recarvisi, con tanta e inusitata solennità - destinata pur troppo, a rendere più clamoroso l'insuccesso! su una nave da guerra !! Malgrado la nave da guerra il Goluchowsky non si
1) Vedi : Vico MANTEGAZZA, L'altra sponda, Milano, 1906.può dire davvero abbia ricevuto il Ministro italiano, nè personalmente nè col linguaggio della stampa, con troppi riguardi.
E poichè fu allora portata alla Camera con molto spirito dall'onorevole Barzilai anche la questione della corretta redingote con la quale il nostro ministro si pre sentò al convegno, mentre il Goluchowsky era vestito da mattina ed in giacca - scena riprodotta e tramandata ai posteri nella prima pagina di un numero dell'Illustrazione Italiana non sembrerà un pettegolezzo il rilevare, come, anche questa tenuta del Ministro Austro-Ungarico rice vendo il Ministro italiano, non sia stata precisamente una delicata attenzione, quando si pensa che il Ministro italiano non era capitato ad Abbazia, all'improvviso, in automobile o su un yacht di piacere, ma vi si era recato in forma ufficiale, con una nave da guerra e relativi colpi di cannone!...
Quanto al successo della visita.... non ne parliamo. La stampa ufficiosa austriaca dopo aver fatto rilevare con grande insistenza che il colloquio era stato chiesto dal l'on. Tittoni, negò qualsiasi importanza politica.
Difatti mentre duravano ancora gli inni alla avvedu tezza, al tatto, alla abilità del nuovo Ministro che pareva avesse addirittura mutata la situazione dell'Italia in po che settimane, ecco arrivare come fulmine a ciel sereno la notizia dei 390 milioni di crediti per spese militari, 120 dei quali per la marina, che il Governo Austro-Ungarico si era deciso a chiedere alle due Camere dell'Impero. In Austria non si cercò nemmeno di dissimulare il vero sco po di quelle nuove spese per gli armamenti e la finalità della sua politica, poichè, oltre alla domanda dei crediti militari venuta fuori pochi giorni dopo il colloquio, vi fu una recrudescenza di attività da parte dell'Austria specialmente nella Penisola Balcanica e contro gl'italiani
tre insuccessi 111
soggetti all'Impero, con la ripresa di alcuni processi e relative enormi condanne.
Nè più viva, del resto, avrebbe potuto essere la disso nanza fra i due discorsi del Ministro degli Esteri Austro Ungarico e di quello Italiano, pronunziati, per combi nazione, quasi contemporaneamente, riflettendo il secondo tutte le illusioni con le quali era stato magnificato poco prima dalla stampa ufficiosa l'esito di quel colloquio, mentre, il primo, faceva capire ben chiaro che nulla vi era di mutato. Così, mentre il nostro Ministro esaltava come un grande trionfo la scelta di un generale italiano per la carica di Comandante della Gendarmeria dicendosi lieto fosse stato con questo riconosciuta «la posizione che ci compete», il conte di Goluchowsky, prodigando i più grandi elogi ai nostri carabinieri della ottima prova fatta a Candia, toglieva alla nomina qualunque carattere politico, insistendo nel dire che tale criterio tecnico era stata la ragione della scelta. Ed alle parole corrisposero i fatti, poichè il generale fu posto in una posizione tale d'inferiorità di fronte ai due Commissari Civili, l'Austriaco e il Russo, che avrebbe dovuto consigliare al nostro Go verno, o di non accettare la nomina circondata da tante restrizioni, o, per lo meno, di non menarne vanto. Quello d'Abbazia, il primo in ordine di data, segnò l'inizio di quella politica che doveva condurci a tante di sillusioni! Tre colloqui avuti dall'on. Tittoni due come ministro e uno come ambasciatore e che dovevano essere nel suo concetto l'avviamento al successo, furono invece i tre grandi e dolorosi insuccessi coi quali si può sintetizzare tutta l'opera e la politica sua. All'indomani del colloquio d'Abbazia vien fuori la do manda dei crediti militari e il piano per creare una marina Austro-Ungarica destinata a contendere l'Adria tico all'Italia. All'indomani del famoso convegno di Desio
col barone Aehrenthal, magnificato come la sanzione della perfetta intesa fra i due paesi, si è avuto la sorpresa dell annessione della Bosnia Erzegovina. A poche ore di distanza dal colloquio col Poincaré, sono partite da Pa rigi quelle note per la questione del Manouba che hanno provocato da noi così vivo risentimento, e mutata d'un tratto l'intonazione delle nostre relazioni con la Repub blica francese.
Non mi sembra possa nemmeno applicarsi all'ex-mi nistro il detto delle scarpe grosse e del cervello fino che ho sentito ricordare a proposito dell'opera sua da qual che suo amico! Anzichè di scaltrezza e ho citato queste tre circostanze perchè sono le più gravi per le loro con seguenze immediate - l'on Tittoni ha invece dato prova di una grande credulità, che può dimostrare tutt'al più la sua bontà d'animo, ma è assai pericolosa in un mi nistro degli esteri. Appena gli hanno detto qualche parola gentile ha subito creduto al Goluchosky, come ha creduto all'Aehrenthal, come ha creduto al Poincaré.... Al giuoco della politica internazionale come al tavolino, per vincere, più che la fortuna delle carte giova spesso il conoscere come giuoca l'avversario. L'on. Tittoni senza alludere alla sua passione per il bridge è un giuocatore che tutti sanno oramai come gioca.... e come sia facile ingannare con delle belle parole. Coloro che durante quei sei anni,hanno seguito, giorno per giorno, lo svolgersi degli avvenimenti, non possono aver dimenticato la compiacenza con la quale i nostri giornali ufficiosi riproducevano gli articoli gentili all'in dirizzo del nostro Ministro degli Esteri, senza accorgersi, che quella lode era la più bella prova che l'intonazione della nostra politica era sbagliata. Ahimè! Non poteva essere buona politica quella che riscuoteva quegli elogi ! Era un ministro, buono per l'Austria ! Nessun altro mi
Una nota di Robilant 113 nistro diffatti ebbe una stampa sempre e così costan temente favorevole nel vicino Impero. L'on. San Giuliano, per esempio, la prima volta che andò alla Consulta ebbe una mauvaise presse. Nella questione Balcanica aveva avuto occasione di manifestare più volte le sue opinioni, dimostrando come alla attività del Governo Austro-Un garico e dei suoi rappresentanti, specialmente nell'Alba nia, bisognasse contrapporre altrettanta attività e non addormentarsi credendo ciecamente alle solite assicura zioni del rispetto allo statu quo.... A Vienna con la nomina del San Giuliano rimasero come disorientati.... Ma il Go verno Austro-Ungarico d'un tratto mutò la sua intona zione nelle relazioni con l'Italia. Nella nostra storia politica e diplomatica, a proposito per l'appunto delle relazioni con l'Austria, in altri tempi, vi erano tradizioni ben diverse! E non è forse inopportuno il ricordare ancora una volta la nota che il Robilant no stro ambasciatore a Vienna, mandava al Mancini, allora ministro degli esteri, per dissuaderlo dal mostrare troppo apertamente il suo desiderio di far fare al Re il viaggio di Vienna; quando scriveva che malgrado il suo vivo desiderio di vedere il suo Re a Vienna e stabilita l'allean za per la quale aveva lavorato «ben inteso tenendo sempre alta la nostra bandiera anche in momenti pericolosi che non furono pochi» non bisognava, poichè sarebbe stata una umiliazione per la Corona, limosinarla.
E vi è un altro ricordopiù vicino che si può a questo proposito evocare. Durante il primo ministero Crispi, vi fu un momento nel quale, avevano appunto assunto un carattere di ec cezionale gravità le persecuzioni contro gli italiani in alcune provincie dell'Impero. Fu allora che il Capo del Governo, si rivolse personalmente all'Imperatore di Ger mania che era in crociera nel Mediterraneo, e gli mandò
MANTEG AZZA. Il Mediterraneo. 15
un vibrato telegramma, nel quale, riferendosi alla Triplice e al contegno dell'Austria, gli faceva notare, in termini molto recisi, che se continuavano gli attacchi e le vio lenze contro gli italiani, tollerate dal Governo di Vienna, la Triplice perdeva la sua ragione di essere per noi: e che, nell'interesse quindi, non dell'Italia soltanto, ma della Triplice, invocava il suo intervento. Quel telegramma re datto con una forma così recisa non era una dedizione, ma il linguaggio del Capo del Governo che aveva dato le più grandi garanzie di fedeltà alla Triplice, fino al punto di destituire un ministro, ma che richiedeva con ener gia, da parte di tutti i contraenti, il rispetto ai patti in ternazionali. La storia è là a provare che mentre i paesi i quali senza spavalderia parlano alto e forte in nome dei loro diritti, riescono a farsi sentire, non sono mai stati, nè mai saranno rispettati quei Governi e quei po poli che credono di garantirsi la tranquillità a prezzo della propria dignità. 1)
Non è nell'indole di questo scritto d'i scendere a partico lari. D'altra parte per circostanze speciali, parecchi non ne posso mettere in pubblico.... Ma sarebbe lungo l'elen co degli incidenti di qualche importanza, o anche di lie vissimo momento, nei quali l'on. Tittoni è intervenuto con dei consigli che erano ordini o con veti, per tema di una osservazione dell'Ambasciata Austro-Ungarica....
Ma di due circostanze, entrambe ignorate o mal note nel pubblico, può essere non inopportuno rievocare il ricordo, quando si vede magnificare l'opera dell'antico Ministro, a proposito della ripartizione dei settori fra le varie Potenze che hanno partecipato alla organizzazione della Gendarmeria. Certo, data l'intonazione della nostra politica, poteva capitare di peggio. Ma, non si dimentichi che se alla fine l'Austria dovette cedere fino ad un certo
1) Vedi Vico MANTEGAZZA, La Turchia liberale, Fratelli Treves, Milano, 1908.
Contro il generale Asinari di Bernezzo 115
punto accettando che i nostri ufficiali fossero mandati a Monastir, per questa ripartizione dei settori furono po ste condizioni, per le quali, il colonnello Signorile, allora nostro addetto militare a Costantinopoli, al momento di firmare il relativo atto si alzò e disse francamente al l'Ambasciatore che un ufficiale italiano non poteva ap porre il suo nome a piedi di un documento come quello! Il Signorile (oggi generale) deve all'alta stima che gode nell'esercito e presso le alte autorità militari se la perse cuzione alla quale fu fatto segno da parte della Consulta in quella circostanza, non è riusci a a spezzare la sua carriera. Qualche anno dopo era un vecchio e valoroso soldato che invece veniva sacrificato: il generale Asinari di Bernezzo. Doveva essere punito. Nessuno lo contesta. Ma, in simili casi, e trattandosi di un soldato che copriva una così alta posizione come quella di comandante di corpe d'esercito, non era la gravità della punizione, ma il solo fatto della punizione che aveva importanza. Così opinarono parecchi colleghi dell'on. Tittoni nel Consiglio dei ministri nel quale si discusse dell'incidente, sembran do loro non si potesse, con la misura che il Ministro degli esteri desiderava, aver quasi l'aria di cacciare dal l'esercito un vecchio e valoroso soldato come il generale Asinari di Bernezzo. Ma l'on. Tittoni dichiarò nel modo più formale di non poter transigere: di non poter conti nuare ad avere la responsabilità della politica estera, lasciando intravedere chi sa quale pericolo se non si colpiva duramente.... anche negli interessi materiali e dan do un esempio, il prode soldato. Ed i colleghi, non dis simulando il loro rammarico, finirono per aderire. 1)
1) Se non uscisse dall'indole di questo scritto nel quale è esaminata l'opera del. l'ex ministro soltanto dal punto di vista della politica Orientale,ai nomi di questi due ufficiali vi sarebbe da aggiungere anche quello del maggiore Di Giorgio oggi fra i valorosi combattenti in Libia; altro bravosoldatoche, per poco,non fuvittima egli pure delle persecuzioni della Consulta, durante il periodo dell'on. Tittoni.
E veniamo ora al punto culminante della carriera diplomatica dell'on. Tittoni: all'avvenimento al quale re sterà sempre legato il suo nome: l'annessione della Bosnia e dell'Erzegovina. «Fargli una colpa, scrive l'onore vole Carafa d'Andria, dell'avvenimento d'oltre Adria tico non era la cosa più giusta di questo mondo. Se invece del Tittoni si fosse trovato al potere un qualunque altro ministro degli esteri, il fatto sarebbe avvenuto lo stesso, perchè le condizioni dell'Europa erano tali che non sa rebbe riuscito a mutarle». Ora ciò potrebbe anche essere vero. Ma l'opinione pubblica insorse contro l'ex ministro, non già per il fatto in sè ; ma perchè con quella credulità alla quale ho accennato più sopra e fidando ciecamente alle parole ed alle cortesie addormentatrici del barone Aehrenthal nel famoso colloquio di Desio che tanto sod disfò il suo amor proprio, si lasciò cogliere impreparato. E in secondo luogo perchè si dichiarò subito soddisfatto, nell'ancor più famoso discorso di Carate, annunciando dei compensi che fecero sperare al paese egli avesse realmente ottenuto qualche cosa per l'Italia.
Si lasciò cogliere impreparato, fidando nelle parole dell'Aehrenthal sebbene gli avvenimenti non fossero man cati. La vera storia diplomatica di tutto quel periodo, specie di quello che precedette il decreto di annessione, non è ancora stata scritta. Quando saranno noti tutti i particolari, oggi ancora nell'ombra, si vedrà come sia stata grave la responsabilità degli uomini allora al go verno, i quali fidando ciecamente nelle assicurazioni del l'Aehrenthal, non tennero conto degli avvertimenti e dei sintomi che non potevano lasciar dubbio sulle intenzioni del vicino Impero. Citerò una circostanza ancora igno rata dal pubblico che basterebbe da sola a far vedere fino a qual punto arrivò la cecità e la noncuranza di chi reggeva allora la Consulta.
A un pranzo a Serajevo 117 non
Al solito pranzo per la festa dell'Imperatore a Sera jevo, nella capitale delle Provincie Occupate, al quale assistevano tutti i Consoli, una altissima autorità nel suo brindisi - brindisi ufficiale all'Imperatore, alluse aper tamente alla speranza di veder presto riunite all'Impero le due provincie serbe. Quelle parole ebbero tanto mag gior significato, e fecero tanta maggior impressione, in quanto che la stessa alta personalità, qualche anno prima, per aver manifestato le stesse idee era stato chiamato a Vienna ed aveva avuto una solenne lavata di capo dal suo Sovrano. Quindi si disse subito: se oggi parla cosi', non può essere che perfettamente d'accordo col Governo e dal Governo autorizzato. Appena finito il pranzo, dopo essersi scambiate le loro impressioni e rilevando l'impor tanza di quelle parole, si affrettarono a telegrafare ai ri spettivi Governi. Ma pare che alla Consulta, forse occu pati di tutt'altro magari di qualche elezione! abbiano creduto mettesse il conto nè d'occuparsene nè di preoccuparsene.
L'on. Tittoni ha due gravissime colpe, dalle quali nes sun sforzo di compiacenti apologie potrà mai assolverlo : questa di essersi lasciato cordialmente ingannare dall'Aeh renthal e quindi di essere stato colto all'improvviso, im preparato, e, poscia, d'essersi subito acconciato al fatto compiuto, manifestando persino del compiacimento, e pa ralizzando così ogni azione in Europa. No, on. Carafa, non si trattava, come egli dice, di ribellarsi da sola, nè di trascinare il proprio paese in una guerra che avrebbe reso il ministro colpevole di un delitto che la storia e la civiltà non gli avrebbe mai perdonato. Lasciamo stare le parole grosse. Bastava avere un po' meno di premura, e che, almeno, l'Italia, cioè, la più danneggiata da questo turbamento dell'equilibrio balcanico, non fosse la prima a dichiarare, non solo di non avere obiezioni da fare, ma di essere contenta e soddisfatta.
È evidente che col decreto di annessione si apriva una partita diplomatica, della quale non era facile in quel momento prevedere come potesse andare a finire. L'on. Tittoni , col discorso di Carate, ha fatto come un giocatore, il quale, prima ancora si incominci il giuo co, mostra tutte le sue carte. Anche se il compagno ha in mano delle buone carte, come può continuare a guocare? Mentre la Germania era ancora indecisa, fra l'Impero alleato e l'amica Turchia, nella quale ha tanti interessi (situazione che si è ripetuta con noi) e teneva un at teggiamento oltremodo riservato, mentre la Russia aspet tava di trovare aiuto ed incoraggiamento anche in noi, ecco l'on. Tittoni che immediatamente si dichiara, come si dice volgarmente, bastonato e contento. Che potevano fare gli altri?
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I fatti e il tempo, continua il senatore Carafa, do vevano dare ragione all'on. Tittoni. Ebbene, sono i fatti e il tempo che mostrano quanto sia stata errata quella politica, di continue acquiescenze, di remissività incondi zionata, contro la quale, in una seduta memoranda, ebbe un fremito di sdegno la Camera, quando protestò l'onore vole Fortis.
Oggi, anche molti di coloro che a quell'epoca furono fra i laudatori o difensori dell on. Tittoni, si domandano come mai si lasciò sfuggire l'occasione di occupare allora Tripoli, quando l'impresa sarebbe stata facile; quando avevamo tante ragioni basta ricordare l'affare Tirreni per agire energicamente....
Quanto alla nostra politica a Costantinopoli, essa fu condotta in modo che, durante il trionfo della rivoluzione, mentre si acclamava sotto le finestre dell'ambasciata Bri tannica e Francese, si gridò più volte abbasso l'Italia sotto quelle della nostra, che aveva fatto fuggire, sulla
mouche dell'Ambasciata uno dei più abbietti strumenti del bieco Abdul Hamid. Anche per questo, gli avvertimenti non sono mancati. Un mese prima che scoppiasse la ri voluzione vi fu chi avvertì il nostro Ministro degli Esteri1) della impressione penosa, triste, dolorosa che faceva nella colonia nostra e in tutta Costantinopoli codesta intimità dell'Ambasciatore italiano con quel triste personaggio. In timità dannosa poi anche agli interessi nostri perchè, essendo il Gran Visir Ferid Pascià in rotta con costui, si opponeva sempre a tutto ciò che noi chiedevamo. « L'Italie soleva dire alludendo a questa amicizia della nostra Ambasciata choisit mal ses amis» .
Chi di tale situazione informò l'on. Tittoni, dopo un breve soggiorno a Costantinopoli, gli scrisse che carità di patria gli impediva di portarla in pubblico, ma credeva di adempiere ad un dovere di cittadino mettendo al cor rente di ogni cosa il ministro degli esteri del proprio paese. Ma l'on. Tittoni non credette di dare importanza alla cosa! Se avesse solo domandato informazioni allo stesso ambasciatore, questi avrebbe certamente capito. Si sarebbe evitato lo scandalo di quella fuga ,e i fischi all'Italia protettrice dei ladri che circondavano Abdul Hamid.
È incredibile la leggerezza e l'incoscienza con la quale fu condotta allora la nostra politica orientale e sono infi nite le circostanze che provano l'una e l'altra. In questo momento nel quale pare che un'Italia si sia rivelata a sè stessa un'Italia ben diversa da quella che l'on. Tittoni credeva di rappresentare - certo sarebbe meglio non ri cordare più le pagine dolorose. Ma di fronte alle tentate apologie di una insana 'politica, apologie dalle quali sono trasformati gli avvenimenti, e quasi si additano come
1) L'autore di questo libro.
2) Così scrivevano apertamente i giornali turchi.
esempi, atteggiamenti, leggerezze ed errori che hanno gra vemente compromesso gli interessi e la dignità del paese, come tacere?
Leggerezze? Ne citerò, sempre rimanendo nel campo della politica orientale, una sola che pare incredibile tanto è enorme, ma che dà la misura, che fa vedere fino dove si fosse giunti. Coloro i quali hanno seguito le di scussioni parlamentari relative alle questioni balcaniche, ricorderanno certamente come, pochi mesi prima del l'annessione, il primo accenno alla nuova attività della politica austriaca in Oriente, con la decisione presa dal l'Aehrenthal per la costruzione della ferrovia di Mitrovith, avesse dato luogo nella nostra Camera a un vivace dibat tito. In quella occasione, l'on. Tittoni esaltò come un grande successo della politica italiana gli accordi inter venuti per la ferrovia Adriatico-Danubio, dovuti alla sua personale iniziativa. Sarebbe molto facile dimostrare che alla Consulta, malgrado l'importanza di questa linea, nes suno vi aveva mai più pensato, dopo lo scambio di idee avvenuto fra l'on. Prinetti, il nostro ministro a Belgrado e il ministro Serbo a Roma nel 1902, e che, solo, quando la questione fu di nuovo posta sul tappeto a Pietroburgo, l'on. Tittoni se ne ricordò. Ma le cose furono così mal condotte che, mentre l'Italia doveva avere per sè, per le sue industrie, per la misura della sua partecipazione, per il personale, una posizione preponderante, che, del resto, già le era riconosciuta; quasi per grazia, ci è stato consentito di partecipare. Ho già accennato, in un libro pubblicato qualche anno fa, 1) al modo come si svol sero le trattative a Parigi, e, come, si potè alla meglio rimediare. Quanto alle relazioni con la Russia, sarebbe ingiusto
Il porto di Famagusta nell'isola di Cipro.
Rovine a Cipro.
ET F.T.FT
Cipro: Il porto di Kyrinia.
Cipro: Il Castello di Kyrinia.
PJ.Le nostre relazioni con la Russia 121 non riconoscere che l'on. Tittoni abbia cercato di ren derle più cordiali, ed io sono stato fra coloro che applau dirono alla parole di protesta vivace pronunziate alla Ca mera contro alcuni deputati di Estrema Sinistra che ave vano avuto parole aspre all'indirizzo dell'Impero mosco vita e del suo sovrano. E ho del pari tributato sincero elogio in un articolo pubblicato su di un grande quotidia no, a proposito della pubblicazione di quel Libro Verde al quale allude il senatore Carafa sulla questione mace done, dal quale appare che, piano piano, l'Italia nella questione delle Riforme, prese una posizione un po' mi gliore di quella avuta fino a un certo momento. Ma, se, in quella circostanza, e dopo tutti gli scacchi subiti, non si commise un altro errore e qualche cosa si ottenne, ciò non basta davvero a consolidare la fama di un ministro come diplomatico. Il merito dell'on. Tittoni in questo, rimane certamente molto diminuito quando si pensa che quel mutamento avvenne quando la Russia indebolita per le sconfitte della Manciuria e per la distruzione delle sue flotte, non potendo più da sola fronteggiare l'Austria, certa di avere dinnanzi a sè un lungo periodo di racco glimento, doveva necessariamente essere lieta della nostra cooperazione.
Quanto alle migliorate relazioni sarebbe sommariamen te ingiusto il non riconoscere che il merito principale va attribuito al compianto ministro Prinetti, il quale consi gliando a Re Vittorio il viaggio a Pietroburgo volle fare con ciò una manifestazione efficace dalla quale traspa risse nel modo più evidente che si rompeva con quella tradizione per la quale non ci si era mai trovati d'accordo con la Russia. Fino al punto di rinnegare quel principio della nazionalità alla quale l'Italia deve di essere risorta per compiacere nei Balcani la politica Austro-Ungarica. Alla quale politica come vedremo in seguito l'on Tittoni
MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 16
aveva già in gran parte sacrificato anche l'amicizia e l'intesa Italo-Russa.
Fu il Prinetti, dicevamo, che avviò le prime trattative con Pietroburgo sulla questione Orientale; mentre, d'altra parte, faceva dei tentativi a Vienna. Sapeva del trattato segreto fra l'Austria e la Russia e voleva vedere se a quell'accordo, in qualche misura, era possibile far par tecipare l'Italia. Nacquero anzi, per l'appunto su tale questione i primi dissapori fra l'on. Prinetti e l'amba sciatore Nigra. Il Nigra non voleva nemmeno tentare dicendo di avere la certezza, si sarebbe fatto un buco nell'acqua. Invece, col Lansdorff, il Prinetti aveva ottenuto che si sarebbe data comunicazione all'Italia di ciò che i due Imperi intendevano fare in Oriente. Era già qualche cosa. In ogni modo un primo passo. Il ritiro del Ministro che aveva condotto personalmente trattative così delicate fece sospendere ogni cosa. Ma il seme era gettato. L'ono revole Tittoni h'a in questo, se mai, soltanto il merito di aver continuato in quella direttiva che si imponeva come si sarebbe imposta per adoperare una frase dell'on. Carafa d'Andria « a qualunque altro uomo poli tico fosse stato al suo posto ».
Però, al momento dell'annessione, l'amicizia Italo-Rus sa subì una nuova crisi. Là dove la Russia credeva di trovare un naturale appoggio, incontrò invece una grande freddezza.
L Isvolsky aveva iniziato tale collaborazione con l'Ita lia a proposito della questione delle ferrovie balcani che: credeva poter contare ancora sulla collaborazione dell'Italia all'epoca dell'annessione. Invece la Russia fu lasciata sola. L'on. Tittoni aveva parlato a Carate! Non vi era più nulla da fare. E fu allora, solo allora, che la Germania rimasta per parecchi giorni titubante, sfoderò la spada e si pose risolutamente a fianco dell'impero alleato.
Ma, anche qui, si vede la differenza. Tanto Tittoni che l'Isvolsky furono entrambi ingannati dall'abilità e dalla mellifluità del barone Aehrenthal. Ma mentre il primo si rassegnò subito alla canzonatura, il secondo non dissimulò il suo risentimento. E non sono un mistero nei circoli diplomatici, le parole con le quali si esprimeva ogni qualvolta accennava al ministro degli esteri della Duplice Monarchia. Il che vuol dire semplicemente que sto: che mentre il ministro italiano ingannato per la seconda volta dal suo collega Austro-Ungarico aveva tutte le disposizioni a lasciarsi sorprendere una terza volta ove se ne fosse presentato il caso, l'Isvolsky stava sul chi vive e all'Aehrenthal non credeva più. Fortunatamente, per la crisi sopravvenuta, l'on. Tittoni dovette abbando nare la Consulta, e, poco dopo fu mandato a Parigi Non accennerò alle ragioni, all'infuori della politica, che, forse, potevano non far ritenere adatta per l'on. Tit toni l'Ambasciata di Parigi. Ma, dal punto di vista politico, il solo del quale debbo occuparmi rispondendo all'articolo del senatore Carafa, era opportuna la scelta del Ministro, del quale tutti conoscono l'entusiasmo per la Triplice, e la scarsa fede nel valore dell'amicizia Franco -Italiana? È ancora il caso di ripetere quello che ho scritto da prin cipio: On n'est jamais trahi que par les siens. Poichè, non mi pare che l'on. Carafa abbia reso un servizio al l'Ambasciatore raccontando ciò che il Tittoni gli disse quando partì da Napoli per assumere la prima volta il portafoglio degli esteri. Le precise parole che egli mi disse scrive l'on. senatore furono queste: «Il giorno in cui l'Austria ci attaccasse, l'Italia non avrebbe nessuna ragione per contare sopra un intervento della Francia a suo favore» . Intendiamoci bene. L'on. Tittoni aveva forse tutte le ragioni, ed era nel vero. Ma, ripeto, è opportuno ricor
dare e, da parte sua ripubblicare discorsi che suscitan do polemiche fanno evocare questi ricordi che il no stro ambasciatore a Parigi ha sempre avuto una scarsa fede nell'amicizia con la Repubblica? Tanto più quando si sa, che, in più di una circostanza, non si è limitato ad esprimere tali dubbi, ma ha fatto gettare acqua fredda sugli entusiasmi franco-italiani e, in qualche altro, ha cercato d'impedire avvenimenti che avrebbero certamente dato luogo a manifestazioni popolari con questo signifi cato.
Alludo al modo col quale si contenne la Consulta quando nel 1906 si era parlato della possibilità di un viaggio del Presidente Fallières in Italia per visitare l Esposizione a Milano, viaggio, che, a un certo momento, pareva assolutamente deciso e che il contegno del nostro Governo mandò a monte. Delle pratiche ufficiose erano state fatte a Parigi dalle alte autorità dell'Esposizione che di questo incidente, potrebbero, volendo, far conoscere tutti i particolari. Il fatto è che, aspettando di prendere una decisione intorno al viaggio presidenziale, il governo francese incaricò il Ruau, ministro di agricoltura, di recarsi a Milano. Con questa visita del Ministro, era evidente, ed era anche stato detto, si intendeva di tastare il terreno intorno alla opportunità più o meno della visita presidenziale, sulla quale si sarebbe deliberato al suo ri torno, e in seguito al suo rapporto ed alle sue impressioni. Quali fossero, invece, leintenzioni della Consulta si capì subito quando si vide che all'arrivo del Ministro fran cese, il governo non si fece vivo, e il prefetto brillava per la sua assenza. La visita, è vero, aveva carattere privato ; ma, sempre, in simili circostanze, quando è an nunziata l'ora dell'arrivo, ed è preparato un ricevimento, il prefetto o qualcuno che rappresenti il "Governo, inter viene. La visita era privata: ma l'Ambasciata di Francia
Ambiente di diffidenza 125
non aveva mancato d'informare la Consulta di questo viaggio privato ma nel quale il Ruau non rappresen tava meno per questo il Governo francese, tanto che di stribuì alle alte cariche dell Esposizione delle onorificen ze delle quali, in Francia, può disporre il Ministro d Agri coltura. Fu detto, dopo, a scusa del Ministero degliEsteri, che alla Consulta non avevano ricevuto, o non avevano ricevuto in tempo la comunicazione. Ma siccome nulla fu fatto per distruggerla, la penosa impressione rimase e del viaggio di Fallières in Italia non si parlò più. Tutto questo non era molto noto in Italia, ma si sa perfettamente dagli uomini politici della vicina Repub blica, epperò si spiega come l'on. Tittoni sia circondato a Parigi da una grande diffidenza, e come uomini politici i quali hanno coperto altissime cariche, scrivano ai loro amici in Italia, che non credono sia precisamente l'on. Tit toni, la persona più adatta, malgrado i recenti discorsi per Leonardo da Vinci, per ristabilire fra i due Paesi quella cordialità che vi era prima dell'incidente del Ma nouba, e, malgrado non abbiano mai veduto un amba sciatore così remuant che, in molte circostanze, pare ostenti di agire come se fosse ancora ministro degli esteri. Io non so quanto vi sia di vero nelle imprudenze epistolari e di linguaggio che gli vengono attribuite, ed in ciò che avrebbe detto ad un amico suo lasciando la Consulta, che cioè il suo successore lo avrebbe nominato lui; ma tutte queste dicerie varcano i confini del pettego lezzo, e assumono un altro carattere quando è un amba sciatore che racconta ad un nostro parlamentare come l'ambasciatore italiano a Parigi dicesse tempo fa che la politica dell'Italia la faceva lui personalmente date le sue relazioni personali col Briand. Voglio anche ammet tere poichè sono cose che accadono, che le sue pa role siano state travisate passando da Parigi a Roma,
Ma che l'attività dell'on. Tittoni, nel mettersi sempre in nanzi, nel far parlare i giornali dell'opera sua e, nel vo lere insomma fare ancora, come per l'appunto si dice, il ministro degli esteri, sia eccessiva, e tale da creare imba razzi, tutti ormai riconoscono, e, più che mai, sono quindi inopportune le apologie, che paiono incoraggiarlo a con tinuare in tale atteggiamento.
Dalla Rassegna Contemporanea dell' aprile 1912.
VII.
ITALIA E FRANCIA
DOPO L'IMPRESA DI TRIPOLI. SEMPRE SUL PIEDE DI GUERRA!
L'ostilità della Francia. L'equilibrio mediterraneo dopo il Trattato del Bardo. La nostra marina. - L'opera di Crispi. L'opinione pubblica e le imprese co loniali. Le iniziative di Crispi al Marocco. Il Sultano si appoggia all'Italia. Una nave marocchina costruita a Livorno. Le due bandiere. - L'Annunziatore della fede. Adua! Tutto è abbandonato. Un programma di rinunzie. La cessione di Kassala. Lo sdegno del nostro ambasciatore a Londra. La scena fra il generale Ferrero e lord Salisbury. Il riavvicinamento franco-italiano. Gli accordi franco-italiani per il Marocco e per Tripoli. Mutamento della si tuazione. Il protocollo anglo-francese del 1904. L'entente cordiale. - Il ritiro della squadra inglese dal Mediterraneo. Il programma navale dell'Inghilterra del 1912. Il discorso di un ministro e la rivalità anglo-tedesca. Sempre sul piede di guerra. L'opinione pubblica in Inghilterra. - Il discorso di Sir Edward Grey.
Una parte di questo libro, e specialmente quella che precede è formata da studi ed articoli comparsi sulla Nuova Antologia e sulla Rassegna Contemporanea, du rante lo svolgersi degli avvenimenti, all'epoca della no stra guerra con la Turchia e della guerra balcanica. Ho creduto didoverli pubblicare in ordine di data, senza ri toccarli, malgrado che in alcune questioni il giudizio di oggi non sia perfettamente quello di ieri, e, in taluni casi la contraddizione appaia anzi stridente. Ma, la politica internazionale, in questi ultimi due anni, dallo scoppio della nostra guerra in poi, è stata una specie di caleido
DOPO L'IMPRESA DI TRIPOLIscopio, per la rapidità con la quale le situazioni si sono parecchie volte mutate, col mutare delle relazioni fra le varie Potenze. La tema che una generale conflagra zione potesse scoppiare ha tenuto in ansia per mesi e mesi l Europa. Più d'una volta, quando l'Austria-Unghe ria e la Russia ammassavano truppe ai loro confini è parso imminente la guerra fra le due grandi avversarie che si sono sempre contese l'egemonia nella Penisola Balcanica. La nostra guerra che necessariamente doveva disturbare tanti interessi, a un certo momento ci aveva creato un ambiente più o meno dissimulatamente ostile in tutta l'Europa. La Germania alleata e protettrice della Turchia tanto coi Giovani come coi Vecchi Turchi , non ci era benevola : Francia e Inghilterra non solo ci erano ostili ma lasciavano che dalla frontiera dell'Egitto e della Tunisia, l'esercito turco della Tripolitania si ri fornisse di armi, di munizioni e di uomini. Gl'incidenti del Manouba e del Carthage 1) fecero vedere chiaramente, in qual senso era ormai orientata la politica della Repub blica verso di noi. Data la nostra situazione non buona in Europa, poichè, mai come in quel periodo ci sentim mo così isolati con la parte migliore del nostro esercito in Libia, con la flotta da mesi e mesi impegnata in fati cosissime crociere, ci fu giuocoforza cedere e subire lo scacco, che alcuni giornali francesi qualificarono col no me di Fachoda italiana. Al Palais Bourbon, in quella cir costanza, il Poincaré ministro degli esteri pronunziò un discorso assai vivace, posando a campione di un nazio nalismo spinto, che contribuì, non poco, a fargli otte nere, poco tempo dopo, la Presidenza della Repubblica. Tanto era eccitata in Francia l'opinione pubblica contro l'Italia, non d'altro colpevole che di aver provveduto alla
1) Vedi i due volumi: L'Impresa di Tripoli, e La Guerraper la Libia. 1912 1913, Milano, Fratelli Treves.
FT.
F.T.
Veduta di Derna.
Il porto di Tobruck.
La nostra Marina era la terza 129
tutela dei propri interessi, occupando la Tripolitania, dopo la presa di possesso da parte del Marocco!
L'entente cordiale fra Gran Bretagna e Francia, intanto, era andata pian piano mutando le basi della politica mediterranea. Per molti anni, fino a che durò la riva lità anglo-francese, l'equilibrio vi fu mantenuto, dall'in tesa dell'Inghilterra con l'Italia, che controbilanciava le forze della marina francese, e le superava. Specialmente nei primi anni, dopo il Congresso di Berlino e fin verso il '90, fu un periodo splendido per la nostra marina. Erano usciti in quel volger di tempo dai nostri cantieri quei poderosi strumenti di guerra, che richiamarono l'at tenzione del mondo sul progresso della scienza navale in Italia, e, sui quali, ammirando, modellarono le loro nuove costruzioni le altre potenze marinare. Quelle grandi navi, ragione per noi di così legittimo orgoglio, che parevano affermare come l'Italia, da poco assurta al ran go di Grande Potenza, fosse in grado di mantenervisi realmente, le abbiamo lasciate invecchiare, senza che ab biano potuto rendere servigi proporzionali ai grandi sa crifici sostenuti dal Paese per la loro costruzione.
La nostra marina era allora la terza del mondo 1) poi chè era ancora allo stato embrionale quella germanica, che, in pochi anni doveva prendere un così gigantesco sviluppo, debole e poco numerosa que la della Russia, e gli Stati Uniti non ancora invasi dalla politica impe rialista si contentavano di una flotta relativamente assai modesta. La marina dell'Impero Austro-Ungarico era for mata di navi per la maggior parte invecchiate, e, il Giappone, il quale occupa ora il posto che tutti sanno, non si era ancora affermato come una potenza marinara di primo ordine. E fu precisamente l'epoca nella quale le potenze europee spinsero il loro sguardo lontano, nel
1) Ed è passata ora al settimo posto!
MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 17
DI TRIPOLI
Continente Africano e in quello Asiatico, per assicurarsi delle Colonie, pensando all'avvenire, e a quell'avvenire tut t'altro che remoto, nel quale, per le cresciute energie e la soverchia produzione, le nazioni di questa vecchia Eu ropa si sarebbero trovate a disagio entro i loro angusti confini.
Avevamo perduto Tunisi, e da poco, commesso l'er rore di declinare l'invito dell'Inghilterra a cooperare con essa in Egitto. Ma erano ancora vastissime le plaghe nel Continente Africano, sulle quali non sventolava alcuna bandiera europea, e con poco o punto sacrificio, l'Ita lia avrebbe potuto impossessarsi di zone assai migliori di quelle delle quali ha dovuto accontentarsi dipoi. Nes suno gliene avrebbe contestato il diritto, anche perchè, in una parte di quel continente, l'Italia s'era già affer mata con le esplorazioni d'illustri suoi figli. Nel nostro martirologio africano figurano molti nomi di questi ge nerosi eroi della scienza e della geografia, che lasciando la vita, là, su quelle lande inospitali, ebbero nel supremo momento, unico conforto, la speranza che non del tutto inutile per la patria sarebbe stato il loro sacrificio. 1) Speranza vana!
I tempi e l'educazione del paese non erano maturi per le imprese coloniali, ed è noto, come, per molti anni, una gran parte dell'opinione pubblica,e anche parecchi dei nostri uominipolitici più in evidenza si fossero manifestati contrari, alla spedizione di Massaua, ed abbiano in tutti i modi cercato di rendere impopolare la politica dicoloro che, antivedendo i tempi, compresero, come una nazione si condanni inevitabilmente a perire quando si racchiude nel suo guscio, e non comprende che necessità di vita è sempre stata l'espansione: che una nazione diventa
1) Vedi L'altra sponda, di Vico MANTEGAZZA. Milano, 1905.
piccola e perde prestigio, quando, rimanendo quello che, è, tutte le altre si ingrandiscono intorno ad essa.
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Un solo uomo, politico, il Crispi, ebbe chiara la vi sione di quello che avrebbe dovuto essere fino da allora l'Italia, quando, malgrado la guerra spietata mossagli dai partiti sovversivi, che negli attacchi furono indirettamente incoraggiati dalla viltà degli uomini del così detto partito dell'ordine, spinse arditamente l'Italia in quella via. Er rori ne furono commessi senza dubbio. Ma nulla di ir reparabile: poichè, anche dopo Adua, oramai tutti sanno e convengono, che con un lieve sforzo,dopo la liberazione di Adigrat da parte del generale Baldissera, sarebbe stato facile riprendere completamente tutte le posizioni perdute. Ma allora vi era della gente, che andava a togliere le rotaie perchè i treni con le truppe destinate al corpo di spedizione per l'Africa non potessero partire! E quella gente trovava difensori anche alla Camera, dove, di quando in quando, erano presentate mozioni per l'abban dono delle nostre Colonie Africane, che, talvolta, sol tanto a deboli maggioranze erano respinte!
Il Crispi pensando alla realizzazione del suo bel so .gno: quello di dare all'Italia un grande Impero Africano, non aveva però mai perduto di vista il Mediterraneo. Era sopratutto per garantire l'Italia nel suo mare, che il Crispi più di qualunque altro ministro accentuò la intimità delle nostre relazioni con l'Inghilterra, tantochè nessuno metteva in dubbio la perfetta intesa fra i due paesi per una eventuale collaborazione militare, tanto nel Mediterraneo che per la tutela delle nostre Colonie. L'invio di un generale, come ambasciatore a Londra nella persona del Ferrero, fu da questo punto di vista assai si gnificativo.
Oggi, mentre con una situazione certamente diversa la Francia pare schierarsi nuovamente contro l'Italia,
dopo la sua presa di possesso nel Marocco, non è forse privo di enteresse il rievocare una pagina poco nota della politica mediterranea del Crispi, precisamente a propo sito del Marocco.
In quelle coste dell Africa Settentrionale, come, di rim petto, a Gibilterra, vi fu un tempo, nel quale, erano as soluti padroni del commercio, i genovesi ei veneziani. Battevano quasi esclusivamente la bandiera delle due re pubbliche marinare, le navi che di frequente solcavano quella parte del Mediterraneo. Era il tempo nel quale la navigazione in quei paraggi, infestati da pirati barba reschi, non si faceva senza pericolo. Ma, tanto i genovesi che i veneziani, da gente pratica, e per assicurare il loro movimento commerciale, venivano spesso a patti col Sul tano del Marocco, e, mediante un canone annuo si garan tivano dalle sorprese. Ma anche dopo, per molti anni, fino a che la Francia non ebbe consolidata la sua posi zione in Algeria, e fino a che l'Inghilterra non incomin ciò ad occuparsi del Marocco e delle sue coste, le navi italiane facevano del commercio a Tangeri, dove, quan tunque non numerosa, avevamo una colonia attiva e in traprendente. È per questa ragione, che, aTangeri, prima del 1860, l'Italia era rappresentata da due Consoli, quel lo del Regno di Sardegna e quello di Napoli. A Napoli, anzi, il Marocco, tenne per qualche tempo un suo rappre sentante, nientemeno che col titolo di ambasciatore. Ed è stato il solo ministro con carattere permanente che il Marocco abbia avuto. Ma, pian piano, le relazioni com merciali con l'Italia andarono diminuendo fino a cessa re quasi del tutto; e gli italiani scomparvero da Tan geri, come dagli altri punti della costa.
Una certa ripresa di attività, non commerciale, ma, sopratutto, da principio, esclusivamente diplomatica, la si ebbe anni fa, quando, il Crispi durante il suo priino
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La politica di Crispi al Marocco 133
gabinetto, aveva intraveduto la possibilità di fare qualche cosa anche in quella parte del Mediterraneo, e trovò, tanto in chi rappresentava allora l'Italia alla Corte Sce riffiana, come in qualche abile funzionario degli attivi ed abilissimi interpreti della sua politica. Il Crispi aveva veduto tutta l'utilità che si sarebbe potuto trarre per le combinazioni dell'avvenire, dal fatto d'avere una certa posizione al Marocco. Epperciò fece convergere tutti gli sforzi, a crearvi, il più rapidamente possibile una rete di interessi italiani. Intanto, dalla nostra Legazione di Tangeri, le cose erano state condotte in modo che, alla Corte del Sultano, l'Italia non solo era grandemente rispettata, ma conside rata con la più viva simpatia. Si era riusciti a persuadere il Sultano, che non avendo noi mire territoriali, eravamo gli unici amici veri e sinceri, e che, codesta nostra ami cizia, poteva fargli scudo contro le mire e la politica interessata degli altri paesi. Con un mandato speciale da parte del nostro Governo, il cav. Gentile un ottimo fun zionario della nostra Legazione, che tutte quelle pratiche condusse con grande tatto ed abilità andò a stabilirsi per qualche tempo a Marachesh, dove allora risiedeva il Sultano. Passando sopra tutte le formalità che avreb bero potuto rendere difficile il procedimento così anor male essendovi già a Tangeri un ministro plenipotenziario, al Gentile furono date Lettere Reali, onde la sua missione avesse maggiore importanza e maggiore carattere di so lennità. A quell'epoca, il Marocco era, in realtà governato da Ba-Ahmed, il celebre e onnipotente Gran Visir che faceva tremare tutti compreso il Sultano. Ba-Ahmed nemmeno come mussulmano e fra i mussulmani, poteva essere considerato come un uomo colto, e la geografia non era davvero il suo forte. Non aveva un concetto esatto del nostro Paese, nè dove fosse. Sapeva però che non era
DOPO L'IMPRESA DI TRIPOLImolto distante, che le sue coste erano bagnate dallo stesso mare, e capì, vagamente, come, non avendo mire terri toriali, si aveva noi pure lo stesso interesse: che cioè il Marocco e le sue coste non cadessero in mano di una potenza europea. Fu quindi un attivo ed efficace colla boratore della nostra politica, e, in seguito a suo consi glio, un'Ambasciata Marocchina si recò in quel tempo a Roma, come testimonianza a tali sentimenti, portando ricchi doni per il nostro sovrano.
Una importantissima manifestazione di tale simpatia per il nostro Paese la si ebbe, quasi subito, nel fatto che il Sultano scelse l Italia per affidarle fra tanti con correnti la costruzione di un incrociatore, che, da tanti anni desiderava possedere. Non solo perchè aveva una certa ambizione di avere egli pure delle vere navi da guerra almeno una come i Sovrani d'Europa, ma perchè si era reso conto dei servigi importanti che avreb be potuto rendergli, specialmente in caso di sollevazione delle tribù della costa Riffana, e per impedire certi atti di pirateria, che, sovente, gli creavano difficoltà con le Potenze europee. Il Crispi fece dare la commissione agli Orlando, e, poco dopo, veniva messo in costruzione nei cantieri di Livorno il Bachir, parola che vuol dire: l An nunziatore. Anzi questo fu il nome abbreviato della nave, perchè, in realtà, aveva scritto sulla poppa una frase che significa: Annunziatore della fede ai quattro punti cardinali.
Era allora così viva la simpatia della Corte Maroc china per l'Italia, che, non immaginando nemmeno lonta namente come, per mille ragioni, la cosa non fosse pos sibile, il Sultano aveva domandato, che il Bachir una volta varato, navigasse facendo sventolare contemporanea mente le due bandiere: l'italiana e la marocchina.
Tale commissione per la costruzione di una nave, in
La protezione italiana 135
un momento nel quale era vivissima la lotta, e frequenti gli incidenti provocati dalla rivalità anglo-francese, su scitò le più grandi gelosie. Non mancarono nemmeno i tentativi più volte ripetuti per creare, fra il Sultano e noi, difficoltà allo scopo di mandare a monte ogni cosa. Ma la Corte Marocchina non si lasciò smuovere. Tanto più che la Germania, a mezzo del suo Ministro, e, natural mente in seguito a pratiche del Crispi, aveva esortato il Sultano a procedere in tutto e per tutto d'accordo con l'Italia, persuadendolo, come, nel suo interesse, quella fosse per lui la migliore e la unica via da seguire.
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Un'altra grande prova di fiducia ci era stata data, presso a poco nello stesso volgere di tempo, con l'aver chiamato un nostro ufficiale, alla direzione della fabbrica d'armi di Fez.
Ma tutto ciò non bastava ancora secondo il concetto dell'on. Crispi; il quale, mirando sempre a creare una rete di interessi che desse all'Italia un titolo ad occuparsi essa pure, ed a far sentire la sua voce nelle questioni ri guardanti il Marocco, concesse ben volontieri, prima la protezione, e, poi, la nazionalità, a tre o quattro maroc chini ricchi commercianti e ad un banchiere.
Tanto nel primo come nel secondo gabinetto Crispi, questo fu l'indirizzo della politica italiana in quella par te del Mediterraneo, e il compianto Ministro Cantagalli, che dovette poi assistere, col più vivo dolore, all'abban dono di tutti quei tentativi e delle giustificate speranze suscitate, ne era stato l'interprete 'intelligente ed effi cace. 1)
Ma quando le cose erano arrivate al punto che il Marocco era quasi disposto, se non ufficialmente, a met tersi però col fatto sotto la nostra protezione, e, in ogni
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Vico MANTEGAZZA, Il Marocco e l'Europa. Milano, 1906, Fratelli Treves.L'IMPRESA DI TRIPOLI
modo, sotto l'influenza dell'Italia, venne Adua. Una na zione che si lascia battere, che non reagisce, in quei paesi perde ogni prestigio. È ben vero che i nostri nemici fu rono allora dei cristiani e non dei mussulmani: ma noi siamo europei é gli abissini sono africani. Ora, mentre vi è in quei paesi un po' il concetto della invulnerabilità dell'Europeo, per gli italiani tale prestigio fu d'un tratto perduto. Nei Governo successe al Ministero Crispi un gabi netto con un programma completamente diverso. La si tuazione, mutata in Italia, andò pian piano mutando an che laggiù. Anche l'aiuto della Germania venne a man carci completamente. Qualche negoziante tedesco aveva incominciato a stabilirsi al Marocco e in alcuni punti della costa. Non solo la diplomazia germanica non ci fu più favorevole: ma, in qualche circostanza non dissi mulò la sua ostilità. Un nuovo sultano, intanto, era salito al trono, e il giovane Abd-ul-Aziz dimostrò subito d'avere gusti e preferenze diametralmente opposte a quelli del padre suo. L'influenza britannica doventò predominante alla Corte di Marachesh, e gli inglesi dai quali fu cir condato, fino dal primo momento, il nuovo Sultano, ave vano interesse a fargli comprare di tutto fuorchè delle navi e da un altro paese. Il Bachir era costruitos , pronto per la consegna, ma non v'era modo di ottenerne il pagamento. Le pratiche per arrivare a liquidare que sto conto, durarono a lungo, degli anni....
Finalmente, nel 1901, il Bachir fu consegnato, e l'e legante incrociatore, armato di tutto punto, fece il suo ingresso nella rada di Tangeri. Vi stette qualche tempo, e poscia fu venduto alla Colombia. Naturalmente attra verso, chi sa quali mangerie, il bell'incrociatore costato dai tre ai quattro milioni fu venduto per 500 mila fran chi! E con quella vendita scomparve, anche il ricordo
La politica delle rinunzie 137
dell'epoca nella quale l'Italia aveva assunto una forte posizione al Marocco.
Ma Crispi aveva veduto giusto. Si era perfettamente reso conto, come solo gli interessi dànno diritto a parlare e d'intervenire, e come, nella politica coloniale, fatta sempre a base di scambi e di compromessi, non solo giova, ma è indispensabile l'aver qualche cosa da dare, da ce dere, per ottenere come compenso ciò che si desidera. Qualche negoziante tedesco, come dicevo, comparve al Marocco soltanto dopo quell'epoca. Gli interessi che in pochi anni la Germania seppe rapidamente crearsi al Marocco e si no'ti sempre in proporzioni relativamente assai modeste sono stati quelli che ha invocato per intervenire nella questione del Marocco ; sono stati quelli che dopo parecchi anni di lotte diplomatiche gli hanno dato una parte del Congo Francese, che ha raffor zato il suo Impero nell Africa Orientale; e col quale pen sa già di poter un giorno far suo il Congo Belga ! Il Gabinetto Rudinì che succedette al Crispi dopo Adua, inaugurò subito la politica delle rinunzie che doveva es sere così fatale all'Italia. Il Governo invece di far risorgere nel Paese la fede nei propri destini, pareva non avesse altro scopo che quello di deprimere lo spirito pubblico. Avrebbe volentieri abbandonato completamente l Eritrea se la volontà del compianto Re Umberto non si fosse a un certo momento fatta sentire; se l'atteggiamento così remissivo del Governo in tutte le questioni di politica estera non avesse provocato una certa reazione. Che si manifestò abbastanza viva, quando fu annunziata, così, senza alcun compenso, la retrocessione di Cassala all'In ghilterra. Per quanto fosse allora molto scarsa la cultura coloniale, il Paese ebbe l'intuito del colossale errore che il Governo aveva commesso. Dopo aver sentito prima magnificare la grande importanza di quella città, che MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 18
DOPO L'IMPRESA DITRIPOLI
il mantenere in mano nostra non faceva più correre alcun pericolo e che esigeva una spesa assolutamente in significante sul nostro bilancio, non riusciva a spiegarsi come vi si rinunziasse con tanta leggerezza. In Europa quell'atto fu considerato come la rinunzia dell'Italia ad essere ancora una Grande Potenza.
Il giorno nel quale il generale Ferrero, nostro am basciatore a Londra, ricevette il telegramma che gli or dinava di andare da lord Salisbury a dirgli che si era de ciso di riconsegnare Cassala all'Inghilterra, aveva degli invitati italiani a colazione, e, fra gli altri uno scienziato già celebre in tutto il mondo, malgrado la giovanissima età. Aveva decifrato il dispaccio, che del resto confer mava istruzioni già ricevute, al momento di sedere a ta vola. Gli invitati avvertirono il suo turbamento, ed egli non vide ragione di. far misteri intorno a un fatto del quale, certamente, la sera stessa, avrebbero dato notizia tutti i giornali.
Ma, finisce, esclamò, che anche noi generali dell'esercito andremo a fare le barricate....
Qualche tempo dopo lo stesso generale descriveva con pochi tocchi la scena fra lui e lord Salisbury quando andò ad annunziargli la cessione di Cassala.
Sulla fisonomia del primo ministro ho veduto per fettamente - raccontava il generale Ferrero generale Ferrero succedersi l'una dopo l'altra, rapidissimamente, le varie impressio ni. La prima impressione fu di meraviglia e di incredulità, poscia dal suo atteggiamento trasparì evidente la gioia, ma subito dopo le sue labbra si piegarono a un sorriso di compassione!
E l'Italia, da quel momento dovette rassegnarsi a un rôle effacé nella politica internazionale. Non si iniziò, come è accaduto in altri paesi, all'indomani di una scon fitta o di una crisi, una politica di raccoglimento ; ma
La convenzione per Tunisi 139
una politica di rinunzia e di abbandoni. Per cui era natu rale che in poco conto fossimo tenuti dagli alleati, e che le altre Potenze non avessero per noi troppi riguardi. Dopo Adua il Governo che succedette a quello dell'o norevole Crispi, avendo un programma contrario all au mento delle spese militari, doventava più che necessario per quello che riguarda la politica mediterranea il met tersi a rimorchio dell'Inghilterra. Le relazioni con la Francia che avevamo avuto contro apertamente, in Abis sinia erano assai tese. Ma, caduto il Crispi, che in Fran cia si considerava come il grande nemico ebbero subito una intonazione un po' diversa. Il Gabinetto Rudinì ap poggiato da Cavallotti e dai radicali, per tradizioni fran cofili, incominciò subito ad agire, in vista di un riavvi cinamento d'accordo con parecchi uomini politici in Francia che speravano di distaccare l'Italia dalla Triplice. Nel settembre del 1896 il nostro ministro degli esteri marchese Visconti Venosta, firmava con l'Hanotaux mini stro degli esteri della Repubblica una convenzione con la quale furono aboliti i privilegi antichi degli italiani nella Reggenza da allora in poi dipendenti essi pure dai tribunali francesi e la convenzione consolare. L'Italia ri conobbe così, insieme, del resto, alle altre potenze,il nuovo stato di cose in Tunisia creato dal Trattato del Bardo. Fu il primo passo. Nel novembre del 1898 la stipulazione del trattato di commercio pose fine alla tensione dei no stri rapporti con la Repubblica e suggellò ciò che si chiamò allora il riavvicinamento franco-italiano. Due anni dopo, ministro il Delcassé, iniziava la sua politica di accerchiamento della Germania, dando al nostro Governo le più formali assicurazioni che la Francia non avrebbe oltrepassato nelle regioni intorno al Vilayet di Tripoli, i limiti indicatidalla convenzione franco-inglese del 21 mar zo 1899, convenzione che aveva destato una certa appren
L'IMPRESA DI TRIPOLIsione in Italia, temendosi per l'appunto laFrancia potesse arrotondare ancora i suoi possedimenti a danno della Tripolitania. In compenso l'Italia si era disinteressata del Marocco, impegnandosi in certo qual modo ad aiutare la politica della Francia in quella regione. Fu questo im pegno, e la lealtà con la quale lo abbiamo mantenuto, che, com'è noto, ci pose in una condizione difficilissima qualche anno dopo alla Conferenza di Algesiras. Nel Mediterraneo quindi pareva che l'Italia nulla aves se più da temere. Ma, quell'accordo franco-italiano non piacque all'Inghilterra, che non dissimulò il suo malcon tento. Subito, pochi giorni dopo le dichiarazioni del mi nistro degli esteri Prinetti che ne aveva dato in termini prudenti la notizia, due incrociatori inglesi visitarono le coste della Tripolitania e della Cirenaica fermandosi anche nelle rade di Tobruk e di Bomba. Intanto il Delcassé che era riuscito al riavvicinamento con l'Italia, aveva iniziato delle trattative anche con l'In ghilterra, che condussero al protocollo del 1904, col quale venivano risolute tutte le questioni pendenti fra i due paesi e- a quattro anni di distanza dall'episodio di Fachoda, pel quale erano stati a un capello dalla guerra veniva posto fine alla lotta coloniale durata più di un secolo. Nel Mediterraneo la Francia abbandonò l'Egitto all'Inghilterra, e questa si disinteressò completamente del Marocco. Si era fatta intanto assai viva nei primi anni del secolo la rivalità anglo -tedesca. Lo sviluppo enorme dato alla sua marina dalla Germania aveva impensierito seriamente l'Inghilterra. Il protocollo anglo-francese non poteva a meno di preoccupare grandemente la Germa nia che lo considerò come diretto contro di essa. Quello che avvenne dippoi, il colpo di scena dello sbarco di Guglielmo II a Tangeri, e tutti gli incidenti che durarono parecchi anni facendo temere più volte per la pace del
L'accordo a tre 141
l'Europa, fino all'accordo di Berlino col quale la Ger mania ebbe una parte del Congo francese, in compenso del suo assentimento al protettorato della Francia sul Marocco, sono cose troppo note perchè sia necessario ricordarle qui con maggiori particolari. Solo mette il conto di rilevare la concatenazione degli avvenimenti che hanno mutato la situazione del Mediterraneo, e come le questioni del Mediterraneo sieno state il perno intorno al quale gli avvenimenti si sono svolti. È l'occupazione di Tunisi dopo il Congresso di Berlino che ha provocato la tensione della relazione tra la Francia e l'Italia du rata per un ventennio: è l'occupazione dell'Egitto da par te degli inglesi che acuisce la rivalità e la lotta diploma tica fra Inghilterra e Francia; è su di un accordo di re ciproco disinteresse nel Marocco e nell'Egitto che si ri conciliano, così come è su di un impegno presso a poco dello stesso genere che si riconciliano Francia e Italia, salvo a rompersi di nuovo quando l'Italia ne profitta e manda ad esecuzione un progetto da tanto tempo acca rezzato e che la Francia si era forse illusa non avremmo mai avuto l'ardire di realizzare. È sulla questione del Marocco che si impernia per parecchi anni tutta la po litica internazionale per l'intervento inatteso della Germa nia, Stato non Mediterraneo. Ed è per questo groviglio di questioni, che tutte sono sempre collegate fra loro, che non è mai stato possibile, anche quando le relazioni nostre con la Francia erano ottime, quell'accordo a tre, tra Francia, Italia ed Inghilterra relativo al Mediter raneo, del quale tante volte si è parlato, senza riflettere, che un accordo di questo genere che desse la tranquil lità alla Gran Bretagna per i suoi interessi mediterranei, specialmente per l'Egitto e per il canale di Suez, sarebbe da parte nostra un aiuto indiretto ma efficace datole con tro la sua grande rivale.
L'IMPRESADI TRIPOLI
Che l'entente cordiale sia stata diretta contro la Ger mania fin dal primo momento basterebbe a provarlo il fatto che, si può dire dal giorno nel quale fu stabilita col protocollo, fu iniziata la diminuzione delle forze na vali inglesi nel Mediterraneo. Prima dell'entente sia per la difesa del Regno Unito, che per la tutela dei suoi commerci, e delle sue colonie in tutte le parti del mondo, aveva diviso le sue forze navali in modo da potere do vunque bastare da sola. Era la coscienza di questa sua immensa superiorità che permetteva alla Gran Bretagna, la politica tradizionale dello splendid isolement. Non è nell'indole di questo libro di entrare in particolari tec nici, e mettere sotto agli occhi del lettore in quadri sta tistici la forza delle due flotte, lo sviluppo dato, anno per anno, dai due paesi alle loro forze navali, e il loro dislocamento. Basta un semplice sguardo dato su tali statistiche per vedere come, man mano aumenta il nu mero delle unità tedesche, la Gran Bretagna cerca di assicurarsi le sue posizioni in questo o quel mare con alleanze ed accordi, e richiama nelle acque britanni che le sue corazzate. La potenza navale dell'Inghilterra, malgrado le navi continuamente messe in cantiere dalla Germania è ancora formidabile, e la sua superiorità in discussa. Ma, come osservava giustamente uno scrittore competente all'epoca del convegno di Malta, a guardar bene l Annuario navale inglese del 1912, si vede che malgrado l'imponenza del a sua forza vi è qualche cosa di mutato' nella marina britannica; il grosso bulldog ; inglese è più che mai robusto, i suoi denti sono più che mai formidabili; ma è stato messo al laccio. Oserebbe oggi allontanarsi molto dalle acque inglesi? Nei mari delle Indie, nell'Estremo Oriente, a Singapore e a Port Ar thur la bandiera inglese sventola soltanto su navi di se condo ordine. Nell'Atlantico, nel mare delle. Antille, la
Un discorso di lord Churchill 143
stessa situazione. E non fa nemmeno bisogno di an dare tanto lontano. Nel Mediterraneo per tanto tempo con siderato come la via di comunicazione più essenziale per l'Impero, quella bandiera è quasi scomparsa (1912). Per l'appunto, qualche giorno prima del convegno di Malta,1) provocato dal grido d'allarme di lord Kitchener, il go vernatore dell'Egitto col modesto titolo di Console gene nerale di S. M. Britannica, le ultime corazzate inglesi avevano lasciato Malta per Gibilterra.
Furono tanto più impressionanti le deliberazioni del Governo britannico relativo al ritiro della squadra del Mediterraneo, perchè, prese nel momento in cui per la nostra guerra con la Turchia l'attenzione dell'Europa era più che mai rivolta a questo mare. Doveva natural mente sorprendere un atto che parve una confessione di debolezza nel Mediterraneo, e di timore per il mare del Nord
L'annuncio del nuovo dislocamento delle forze navali del Regno Unito che comprendeva il ritiro della squa dra del Mediterraneo fu dato con la presentazione del bi lancio della marina (1912-1913) il 12 marzo 1912,2) e il 18 il giovane Ministro Winston Churchill pronunziò un discorso che produsse una enorme impressione, anche per la franchezza con la quale affrontò la discussione re lativa alla necessità di non indietreggiare anche dinanzi ai più grandi sacrifici pur di mantenere la necessaria superiorità sulla marina tedesca.
Mi propongo, disse il Ministro, di esporre qual'è la nostra situa zione navale con la più grande franchezza. È necessario così faccia principalmente riguardo ad una Potenza: mi può dispiacere codesta necessità, ma non vi è oramai nulla da guadagnare a servirsi di modi di parlare indiretti.
I tedeschi sono un popolo di spirito robusto, nei quali, il maschio
1) Convegno fra lord Kitchener e il Ministro della Marina Britannica.
2) Per la domanda di credito per un miliardo e cento milioni !
DOPO L'IMPRESA DI TRIPOLIe vigoroso buon senso e il coraggio non indietreggiano di fronte alla esposizione chiara e brutale dei fatti e non se ne offendono purchè. tale esposizione sia fatta con cortesia e con sincerità.
È necessario compia il mio dovere di fronte al Paese ed alla Camera.
Il tempo è venuto nel quale le due nazioni dovrebbero compren dere quali saranno le condizioni nelle quali la concorrenza navale si svilupperà negli anni futuri.
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Gli aumenti nelle costruzioni navali rappresentano la maggiore spesa nei bilanci moderni.
Prima di entrare in argomento intorno ai criteri da adottare farò. tre osservazioni generali:
1.° Bisogna prevedere nelle battaglie navali dell'avvenire a sop portare delle perdite reciproche enormi. Molte navi da una parte e dall'altra saranno distrutte. La Potenza più forte avrà sempre da guadagnare perdendo una nave per una nave della stessa classe per- duta dall'avversario. Noi possediamo più dreadnought che qualunque coalizione di due Potenze, ma se tutte le dreadnought del mondo an dassero a picco domani, la nostra superiorità navale sarebbe molto maggiore di quella d'oggi. È per questo che conserviamo preziosa mente le nostre vecchie navi come una riserva, e lo stato maggiore sta perfezionando l'organizzazione per poterle far passare in arma mento sesto, nono, o dodicesimo mese di una guerra.
2.° È molto facile di arrivare ad una rapida superiorità di nuove costruzioni, quando non si ha da sopportare il peso di una grande organizzazione navale.
" I nostri vicini tedeschi non hanno ancora incominciato a sentire il peso che impone il mantenimento, per molti anni, di un servizio navale gigantesco.
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4 3.° È uno sperpero di denaro senza senso quello di far co struire una nave per la marina britannica prima che il bisogno si faccia sentire. Dal momento nel quale i piani di una corazzata sono definitivamente stabiliti, questa nave è ipso facto invecchiata. Prima che sia varata sono già in progetto le navi che possono distruggerla.
Non sono disposto a raccomandare alla Camera di adottare il si stema delle due navi contro una nelle nuovi costruzioni di fronte alla Germania. Verrà un giorno ove ciò sarà necessario. Ma non è ora, e non vi è ragione nè di allarmarci nè di rattristarci.
All'epoca nella quale le due Potonze più forti dopo di noi erano la Francia e la Russia, e la loro coalizione era nel campo del possi bile, era per noi una comoda regola quella di prendere per base la nostra superiorità navale di fronte a questa coalizione.
"Ma questa regola non ha più ragione d'essere. La nostra regola.
La organizzazione della flotta britannica 145
in materia di costruzioni navali è, in questi ultimi anni, di costituirci con le corazzate e con gli incrociatori corazzati di tipo dreadnought una superiorità del 60 % di fronte alla marina tedesca, come è ora stabilita in conformità delle attuali leggi navali.
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Ma, man mano che le nostre navi invecchieranno, le nostre co struzioni dovranno oltrepassare questa proporzione del 60 %. Ogni aggiunta che la Germania farà al numero delle due navi che comincia a costruire ogni anno, affretta la diminuzione del valore offensivo delle nostre vecchie navi ed esigerà delle misure da parte nostra ,,. Dopo aver detto come l'Inghilterra si regolerà nel caso la Germania spingesse ancora più in là i suoi armamenti, cercando in tal caso di aumentare considerevolmente la proporzione nella superiorità, il ministro Churchill con cluse questa parte del suo discorso con le parole seguenti con le quali ha voluto anche alludere alle voci corse e ai vaghi tentativi d'intesa fra le due potenze per mettere un freno agli armamenti navali.
Così, la nostra linea di condotta è tale che la Germania non avrà mai nulla da guadagnare aumentando le sue costruzioni, e, invece, nulla da perdere diminuendole.
Ecco il modo di moderare, quando si vuole, il peso schiacciante delle rivalità navali, senza ricorrere nè a trattative, nè mercanteggiare, e senza menomare la libertà sovrana delle due Potenze. E sta al Par lamento e alle due nazioni di giudicare ,,.
Il Ministro Churchill ha illustrato in seguito il pro getto presentato per la riorganizzazione della flotta. Ri produco testualmente questa parte del suo discorso :
6 Vi proponiamo - egli disse - di rimaneggiare completamente l'organizzazione della Flotta. D'ora innanzi le navi disponibili per la difesa metropolitana saranno ripartite fra la prima, la seconda e la terza Flotta. L'insieme di queste tre flotte comprenderà otto squadre di guerra, comprendenti ciascuna otto corazzate coi loro sostegni na turali di incrociatori, di navi leggiere ed ausiliarie.
"La Prima Flotta comprenderà quattro squadre di navi in completo armamento. Le corazzate della Prima e della Seconda divisione della Home Fleet diventeranno la Prima e la Seconda squadra di questa Prima Flotta. L'Atlantic Fleet avrà per base i nostri porti metropolitani anzichè Gibilterra e doventerà la Terza Squadra. Durante il corso di 19 MANTEG AZZA. Il Mediterraneo.
DOPO L'IMPRESADI TRIPOLI
quest'anno, questa squadra che comprende ora sei corazzate sarà por tata a otto. La Quarta Squadra sarà formata dalle corazzate attual mente nel Mediterraneo; prenderà il posto dell'Atlantic Fleet, avrà per base Gibilterra e sarà portata in caso di necessità a otto coraz zate. Questa Quarta Squadra potrà dalla sua posizione strategica di Gibilterra - intervenire immediatamente nelle acque Metropoli tane o nel Mediterraneo, secondo che le combinazioni navali del mo mento renderanno necessaria o utile la sua presenza da una parte o dall'altra. Queste quattro squadre costituiranno la Prima Flotta. La Seconda Flotta sarà formata da due Squadre, che saranno prese sulla Terza Divisione attuale. Le navi di questa Terza divisione che prenderà in seguito il nome di Seconda Flotta sono delle navi sempre mantenute in servizio attivo sul piede di guerra. Non hanno mai bisogno, per completare i loro effettivi, di mobilizzare delle riserve prese nella vita civile. La metà dei loro equipaggi è sempre a bordo, e l'altra metà è accasermata a terra per scuola e per perfezionarsi nella conoscenza di quanto è indispensabile all'istruzione e all'allenamento di un buon marinaio. Queste navi hanno dunque, di fatto, i loro effettivi al completo, e tale sistemaha poi il vantaggio , di permettere agli uomini di continuare alternativamente il loro alle namento in terra ed in mare invece di essere sempre ed esclusiva mente assorbiti nel servizio di bordo. Il solo inconveniente di tale sistema e la sola inferiorità di queste navi, di fronte alle navi a ef fettivicompleti mantenuti sul piede di guerra, sta nel fatto, che po trebbe loro accadere di trovarsi ad incrociare a qualche distanza dal loro porto, con la metà dei loro equipaggi nel momento nel quale potrebbe esserci bisogno di adoperarli ad effettivi completi. Sarebbe allora necessaria, perchè potessero raggiungere il loro porto per im barcare il resto dell'equipaggio rimasto a tèrra, una perdita di tempo. Per rimediare a tale inconveniente vi proponiamo le seguenti disposizioni. Attualmente la Terza Divisione è formata da undici co razzate. Vi proponiamo di portarne il numero a sedici. Queste sedici corazzate formeranno la Quinta e la Sesta Squadra e costituiranno la Seconda Flotta. I movimenti di questa Seconda Flotta saranno com binati in modo, che una delle due sarà sempre presente al suo porto d'attache e pronta a partire al primo segnale. Questa diyisione della Seconda Flotta in due Squadre sarà realizzata immediatamente; ma bisognerà aspettare qualche anno, prima che tali squadre abbiano raggiunta la loro piena forza, a meno, ben inteso che le circostanze non ci obblighino ad abbreviare il termine. Quando saranno complete, la Prima e la Seconda Flotta comprenderanno 49 corazzate a effettivi completi sul piede di guerra e pronte al primo appello. Possederemo 29 corazzate mobilizzabili immediatamente in caso di guerra, delle
65 corazzate contro 38 147
quali 25 mantenute in modo permanente sul piede di guerra effet tivo. Oggi disponiamo soltanto di 22 corazzate a effettivi completi, nelle acque metropolitane, comprese quelle dell'Atlantic Fleet.
La Terza Flotta sarà costituita sul modello della nostra Quarta Divisione, cioè equipaggiata con effettivi ridotti che saranno comple tati in caso di guerra con elementi presi nella vita civile. La Terza Flotta non potrà essere chiamata a servire in mare coi suoi effettivi completi che in seguito ad una chiamata regolare, e per quanti sforzi si facciano per affrettare la mobilizzazione, un termine di parecchi giorni sarà inevitabile perchè la Quarta Divisione, cioè la Terza Flotta, possa prendere il mare .,,
Indicato così, come doveva essere formata la Terza Flotta, il Ministro si è indugiato nello spiegare il modo col quale sarebbe stata organizzata una nuova classe di riserve ed ha conchiuso il suo discorso, annunziando di quali forze formidabili l'Inghilterra potrà disporre con la nuova legge e quale sarà la superiorità sua di fronte alla rivale.
In questo modo, egli disse, potremo mobilizzare una flotta totale di 57 corazzate, e, al bisogno, di 65 contro 38 della Potenza navale più vicina a noi,,.
Mi è sembrato opportuno riprodurre nel loro testo queste dichiarazioni del ministro della Marina inglese, perchè quella nuova organizzazione della Flotta Britannica è stata il punto di partenza della nuova situazione del Mediterraneo. Le dichiarazioni del Churchill ebbero una eco immensa in tutta Europa, e suscitarono le più vivaci polemiche in Inghilterra e fuori.
Risultò chiaro dalle misure adottate e dalle dichiara zioni del Ministro, come fosse stata la rivalità anglo-ger manica a determinare il ritiro della squadra del Mediter raneo . Con una franchezza di linguaggio della quale non vi era stato esempio prima, il Ministro britannico ilo disse molto chiaramente. E fu così messo ancora una volta in evidenza, come quanto avviene fra le marine che stanno di fronte nel Mare del Nord, ha la sua
DOPOL'IMPRESA DI TRIPOLI
ripercussione immediata nella situazione del Mediterra neo. E come, per conseguenza, anche poco comparendo nelle acque di questo mare, lo sviluppo della marina te desca vi esercita una grande influenza dal momento che costringe la marina inglese a diminuirvi le sue forze. Poi chè sebbene l'Inghilterra, come emerge dal discorso Chur chill, e dalle successive dichiarazioni fatte in altre occa sioni, sia ben ferma nel programma di mantenere la sua incontestata superiorità, non è d'altra parte men vero che per averla nelle acque metropolitane, ha dovuto rinun ziare ad avere delle forze considerevoli altrove. La su periorità esiste ed esisterà sempre: ma con tutto ciò è stata costretta al concentramento delle sue forze. Tanto più significante, come ho già avvertito, per il momento nel quale è avvenuto: cioè durante la nostra guerra e in un momento nel quale le questioni del Mediterraneo do ventarono per tutti una grande preoccupazione, e dava molto da pensare a Londra il risveglio del nazionalismo egiziano, alleato e caldo sostenitore dei nostri nemici in Africa.
Ma un'altra cosa ancora più importante fu allora posta in evidenza dal discorso del Ministro Inglese, in tutta quella parte del suo discorso relativa al modo di mante nere le navi sul piede di guerra e al numero considerevole delle navi che con la nuova organizzazione debbono sem pre essere ad effettivi completi. Che cioè, per una gran parte della flotta, non ci deve essere bisogno di mobilita zione, e che, dall'oggi al domani, debbono poter entrare in azione. Quelle navi ad effettivo completo che solcano i mari, quelle della seconda flotta che debbono essere sem pre pronte a partire dal loro posto d'attacco, quasi coi fuochi accesi, non dànno l'impressione che il paese debba sempre considerarsi in istato di guerra ? Eche sieno sem pre pronte a un colpo di mano come quello dei giappos
nesi a Port Arthur senza aspettare la dichiarazione di guerra appena una situazione si aggravi? Messi su code sta via, per quello che riguarda la marina, si finirà per doversi sempre considerare poco meno che in istato di guerra. Aspettando lo scoppio delle ostilità continua in tanto senza interruzione la guerra a colpi di milioni, poi chè oltre quelle per la costruzione delle navi, doventano sempre più enormi le spese necessarie per mantenerle, sempre pronte ad entrare in azione al primo segnale.
In Inghilterra, la nuova organizzazione delle sue forze navali destò un non dissimulato senso di sconforto : qua si di scoraggiamento. Nè le assicurazioni della mantenuta e crescente superiorità valsero a lenire questa impressione, dal momento che la situazione era tale da rendere neces sario il quasi abbandono di quel mare sul quale l'Inghil terra aveva per tanto tempo esercitato una incontestata signoria. La politica navale del gabinetto fu fatta segno a vivacissimi attacchi. Parecchi fra i principali uomini di Stato non nascosero il loro rimpianto di non avere schiacciato la rivale quando la sua flotta ora formidabile era al suo inizio.
Il partito conservatore intraprese subito una vigorosa campagna per intimare al Governo di mantenere all In ghilterra nel Mediterraneo una posizione di supremazia.
Il Walter Long, una delle personalità più spiccate del partito conservatore, pronunciò su tale questione un importante discorso, nel quale, dopo avere attaccato il Gabinetto inglese per la sua politica navale, e dopo avere dichiarato che le costruzioni in corso eran insufficienti per provvedere alle necessità di una guerra, soggiunse che il dominio del Mediterraneo è necessario all'Inghilterra, an che al di fuori di ogni eventualità guerresca, poichè è sempre dal Mediterraneo che la politica di mezza Eu ropa e di gran parte dell'Africa e dell'Asia Minore può
essere dominata. È dal Mediterraneo che gli avvenimenti sempre complicati ed incerti della politica orientale pos sono essere seguiti, ed è dal Mediterraneo che in certa misura l'India stessa viene dominata....
In quanto ai provvedimenti per far fronte alla situa zione presente, il Long rimproverò il Governo di non aver detto tutta la verità al popolo inglese, e di non domandare a questo tutti i mezzi necessarii per far fronte alla situa zione. «Se è vero egli disse che il ritiro della flotta dal Mediterraneo è imposto da necessità strategiche, me glio è farlo conoscere immediatamente al paese, e nello stesso tempo domandargli tutti quei sacrifici che si pos sono ritenere opportuni. Invece il Governo sembra in tenzionato a seguire un'altra tattica, e cioè quella del na scondere ogni cosa, del cercare di illudere tutti comin ciando da sè stesso.
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«La supremazia dell'Inghilterra deve essere mantenuta a qualunque costo.»
Tali parole del deputato conservatore che riprodu cevano esattamente il sentimento di una gran parte dell o pinione pubblica, furono accolte con grandi applausi. La nazione nell'ansia di vedere mantenuto il suo prestigio navale si mostrò disposta a qualunque sacrifizio per co struire altre navi. Senonchè, ed è ciò che finirà un giorno per stabilire un limite anche alla costruzione di nuove navi, se i cantieri britannici possono fornire con meravigliosa rapidità delle altre navi, non è altrettanto fa cile provvedere ai loro equipaggi, in un paese nel quale non vi è servizio militare obbligatorio, quando le sue flotte assumono proporzioni gigantesche. E si affermò a questo proposito che una delle ragioni determinanti il ritiro della flotta dal Mediterraneo sia stata quella di valersi degli equipaggi di quelle navi per provvedere ai quadri necessari per le dreadnoughts che dovevano en
Il discorso di Sir Edward Grey 151 che un trare poco dopo in servizio. Sembra strano osservava in quei giorni uno scrittore di cose navali paese la cui sicurezza, la cui ricchezza, ed il cui impero dipendono dalla difesa navale, non abbia ancora risoluto il problema della formazione degli equipaggi necessari alla sua flotta. In tutti i periodi della storia inglese, quando si è trovato necessario usare la flotta per l'of fesa come per la difesa, l'equipaggiamento delle navi ha presentato sempre delle grandissime e quasi insuperabili difficoltà; ciò nonostante il paese si è sempre schermito dall'affrontare direttamente il problema e dal provvedere ad esso coll'imporre il servizio obbligatorio almeno per la gente di mare.
A tale penosa impressione cercò di rimediare Sir Edward Grey con le seguenti dichiarazioni, rispondendo a vari oratori che gli avevano rivolte domande precise relativamente alla questione del Mediterraneo, in occa sione della discussione del bilancio degli esteri.
Per la questione del Mediterraneo disse il Primo Ministro - è assai difficile rispondere con precisione ad una questione che ha in sè tante sfumature.
Tuttavia continuò cercherò di dividerla in due parti ben distinte. Il primo punto è che la protezione delle Isole Britanniche non deve dipendere dalla nostra politica estera: se voi permettete che le forze navali delle acque della Metropoli siano inferiori a quella che si opporrà loro, voi imponete alla vostra diplomazia un fardello che essa non potrebbe sopportare. Quale che sia la vostrapolitica, bisogna che voi abbiate una riserva. notevole di forze navali, altrimenti la vostra politica estera diverrebbe impossibile.
Se la vostra flotta mediterranea è inferiore a quella delle nazioni vicine, se la vostra posizione non è quella di una grande potenza, la vostra politica dovrà cedere, in tutte le questioni diplomatiche.
Se date uno sguardo alle altre parti del mondo la situazione cambia. La vostra politica estera e la vostra strategia militare pos sono prestarsi un migliore appoggio.
Sir Edward Grey dice che nell'EstremoOriente l'alleanza con il Giappone ha la sua ripercussione sulla strategia navale. L'alleanza
L'IMPRESA DI TRIPOLIcon il Giappone è un fattore di pace nell'Estremo Oriente, essa ha impedito agitazioni in Cina e complicazioni internazionali.
Circa il Mediterraneo'misi posero questioni assai precise la cui risposta non può essere data che durante la discussione del bilancio navale. Ma posso dire fin d'ora che noi possiamo lanciare in breve termine nel Mediterraneo forze navali sufficienti per far fronte ad ogni eventualità. Non vi è per il momento alcun pericolo, ma non ci metteremo in una situazione tale da non poter più proteggere i nostri interessi nel Mediterraneo.
Se abbandonassimo il Mediterraneo aggiunse sir E. Greyuna diplomazia abile soltanto non ci permetterebbe di assicurare la nostra posizione. Tuttavia non è necessario che manteniamo nel Medi terraneo una flotta capace di tener testa a tutte le altre flotte riunite.
6 Se abbandonassimo interamente il Mediterraneo saremmo esposti a che non si tenga più conto di noi la situazione dal punto di vista diplomatico diverrebbe per noi più dura. Dobbiamo conservare nel Mediterraneo una forza navale sufficiente per permetterci di con tare come una delle potenze navali del Mediterraneo.
Sir Edward Grey proseguì: Io non posso dire come essa debba essere costituita per contare, ma essa deve contare come quella di una potenza navale del Mediterraneo. Mi accontento di dire che non bisogna cambiare il punto di partenza della nostra politica in Eu ropa che è il mantenimento delle relazioni amichevoli con la Francia e con la Russia. Partendo da questa premessa noi manteniamo lemi gliori relazioni possibili con gli altri paesi, e, quando vediamo sia la Francia, sia la Russia giungere ad accordi con un'altra potenza me diterranea europea e vediamo che esse si trovano in buone relazioni con un'altra grande potenza, come è avvenuto fra l'imperatore di Russia e l'imperatore di Germania, abbiamo ogni ragione di felici tarcene :
Le dichiarazioni vaghe del primo ministro non cal marono l'opinione pubblica più che mai convinta del di minuito prestigio dell'Inghilterra nel Mediterraneo, e della situazione radicalmente mutata in questo mare. Nè l'apprensione cessò quando, poco dopo, apparve evidente col dislocamento della squadra francese da Brest nel Mediterraneo che un accordo era intervenuto fra la Fran cia e l'Inghilterra e che questa affidava in gran parte alle squadre di Tolone e Biserta la difesa degli interessi britannici in questo mare.
F.T.
Veduta di Tunisi e del porto.
Il porto della Goletta.
VIII.
IL CONCENTRAMENTO
DELLA FLOTTA
FRANCESE. LA POLITICA NAVALE DELL'INGHILTERRA.
-
L'allarme di lord Kitchener. - L'articolo del Temps. - L'ostilità della stampa francese verso l'Italia. Il significato politico del dislocamento della squadra di Brest. - L'accordo navale Franco-Russo. Lago francese! - La facile profezia di uno scrittore. Amici.... ma a patto di stare sottoposti. Il malumore francese per la occupazione di Tripoli. Politica e demografia. L'Italia nella parabola ascendente. Soddisfazione d'amor proprio. L'accordo Franco-Inglese giudicato dal relatore del bilancio della Marina. Le garanzie dell'accordo non bastano nè alla Francia nè all'Inghilterra. I timori per l'Egitto. Dubbi e riserve. La cooperazione inglese sul Continente. Smentita del Primo Ministro. L'In ghilterra ritorna sul suo programma e non abbandona più il Mediterraneo. Il duello Anglo-Tedesco nelle costruzioni navali. L'appello del Ministro inglese. Si cercano altre garanzie. .
Per la deliberazione del trasferimento della squadra di Malta a Gibilterra, nel mondo militare inglese si mani festò subito il dubbio che le truppe di Malta, quelle del l Egitto e specialmente quelle di Cipro non sarebbero più bastate alla difesa. Cipro sopratutto, si disse, è destinata inevitabilmente a cadere nelle mani di un nemico even tuale, poichè non potrebbe offrire che una debole resi stenza. Un grido d'allarme per l'Egitto fu lanciato, come ho già accennato, da lord Kitchener. Fu dovuto all'inizia tiva di quest'ultimo il convegno di Malta, al quale parteci parono nel maggio del 1912 il ministro della Marina, il MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 20
DELLA FLOTTA FRANCESE
Primo Ministro britannico e il primo Lord dell'Ammira gliato Churchill. Lord Kitchener sostenne la necessità di aumentare la forza delle guarnigioni se, assolutamente, non si voleva più ritornare sulla presa deliberazione re lativa al ritiro della squadra di Malta. Dal convegno di Malta non uscirono deliberazioni. O almeno, non furono annunciate al pubblico.
Però, a breve distanza di tempo, una mossa della Fran cia, lasciò chiaramente comprendere che il ritiro della squadra inglese dal Mediterraneo era stato fatto di con certo col governo della Repubblica. Nel settembre da Parigi si annunziò che la squadra di Brest sarebbe imme diatamente passata a far parte della flotta del Medi terraneo. La decisione del governo francese produsse una profonda impressione in Italia. Il concentramento, si disse, non può essere diretto che contro di noi. La stampa francese cercò di togliere importanza alla decisione, asserendo in ogni modo, che non era stata deliberata con intenzione ostile all'Italia. In realtà fu il primo passo, dopo la questione del Danubio, nella nuova direttiva della politica della Francia contro l'Italia, poichè, poco dopo, ce la siamo trovata contro, come vedremo in seguito, nella questione della delimitazione dei confini del nuovo Stato albanese, alla Conferenza di Londra, nelle trattative di Bucarest per favorire la Grecia a danno della Bulgaria nell'Egeo, e, finalmente, nella questione delle Isole.
Alle osservazioni della stampa italiana rispose con un lungo articolo il Temps (15 settembre), che servì come di base alle polemiche svoltesi con una certa vivacità fra i giornali di Francia e d'Italia, alle quali parteciparono naturalmente la stampa inglese, quella tedesca e l'austro ungarica. Data tale circostanza e l'importanza del giornale del quale sono note le relazioni col Quai d'Orsay e quindi
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L'articolo del Temps, 155
il suo carattere ufficioso, mette il conto di riprodurlo te stualmente.
Sembra che la concentrazione di tutta la nostra squadra di linea nel Mediterraneo abbia provocato tra i nostri amici italiani non già inquietudine, perchè questo sentimento non potrebbe concepirsi, ma un principio di sorpresa che da diverse parti si è tentato di trasfor mare in inquietudine, senza però riuscirvi.
Per rimettere le cose a posto basta ricordare ciò che da quaranta anni a questa parte furono le relazioni delle potenze mediterranee.
Il primo atto si svolge all'indomani della guerra del '70. L'Italia freme ancora per la sua raggiunta unità. La Francia cura le sue piaghe e già i ministri sognano per essa una espansione coloniale. Nel 1878 a Berlino Bismarck indica al ministro francese che cosa deve fare : Prendete Tunisi , . Ma che cosa dirà l'Italia ?
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L Italia replica Bismarck non è stata battuta e non ha nulla da chiederci.
* Il principe di Hohenlohe mi ha detto di essere stato incaricato 46 di dichiararvi che non avendo la Germania alcun interesse al Marocco il suo delegato riceverà istruzioni per conformare il suo atteggiamento a quello del suo collega di Francia. Ordini in questo senso sono stati mandati al conte di Solms, plenipotenziario dell'impero.
" In queste due occasioni Bismarck manifesta l'indifferenza assoluta che gli ispirano gl'interessi mediterranei dell'Italia.
Egli fa mostra di questa indifferenza: perchè? Perchè egli prevede che l'iniziativa francese, incoraggiata da lui getterà l Italia nelle sue braccia e l'attaccherà all'alleanza austro-te desca nel 1879. Il calcolo è giustissimo.
Nel 1881 la Francia va a Tunisi e nel 1882 l'Italia si precipita a corpo perduto nella Triplice.
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Ciò che fu questa precipitazione ce lo dice un ministro italiano, il De Robilant: Nel 1882 noi abbiamo l'impressione di mendicare l'alleanza, anzichè di negoziarla ,, Ecco il punto di partenza: la Germania che invita la Francia alla politicaMediterranea e che la invitanella forma più brutale per l'Italia. Due anni passano e Bismarck continua: Si tratta questa volta del Marocco alla Conferenza di Madrid del 1880 ed è sempre e ancora la Germania che spinge la Francia ad andare avanti e che le promette il suo appoggio. Basta rileggere per convincersi il telegramma del conte di Saint-Valliers ambasciatore di Francia a Berlino al Frays sinet, ministro degli affari esteri, in data 23 aprile 1880,
66 Atto secondo: la Triplice.
FLOTTA FRANCESEGli italiani, per quanto fossero desiderosi di concluderla, non avevano mandato a chiedere a Bismarck d'iscrivervi la garanzia dei loro interessi mediterranei, ciò che Mancini , nella sua corrispondenza, chiamava gli interessi primordiali,,. Essi si ricordavano della famosa lettera ricevuta dal Mancini nel 1866 dal rappresentante della Prus sia: L'Italia e la Francia non possono associarsi col loro beneficio comune nel Mediterraneo. Questo mare è un'eredità impossibile a di vidersi tra parenti. L'impero del Mediterraneo appartiene incontesta bilmente all'Italia, che possiede in questo mare coste due volte più estese di quelle della Francia. L'impero del Mediterraneo deve essere il pensiero costante dell'Italia, lo scopo dell'azione dei ministri, il pen siero fondamentale del gabinetto di Firenze ,,.
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Nel 1882 Bismarck ha deliberatamente dimenticato il suo afo risma. Invano il Mancini insiste perchè si assicuri nel trattato al suo paese l'eredità impossibile a dividersi tra parenti,,. Bismarck non si preoccupava più di proteggere gli italiani.
E il risultato è che l'alleanza tedesca augurata dall'Italia per ri spondere a una iniziativa mediterranea della Francia non parla del Mediterraneo.
Ancora una volta ascoltate Robilant: Noi ci siamo esposti ad una guerra continentale senza prendere le nostre garanzie contro la guerra continentale,,.
Ed ecco il terzo atto : l'Italia cerca di prendere le garanzie che le mancano contro la guerra marittima e le cerca verso l'Inghilterra. Essa riesce assai facilmente a procurarsele nel 1886. Nel febbraio del 1887 Depretis risponde ai timori espressi da Robilant.
16 .
"Egli dice alla Camera: La nostra situazione è ora assicurata per terra e per mare Nel 1891, il 29 giugno, Di Rudini precisa: L'Italia vuole con tenacia il mantenimento dello statu quo e in particolar modo dello statu quo nel Mediterraneo.
Per realizzare questa intenzione non è da oggi soltanto che il governo ha cercato di annodare degli interessi e di concludere degli accordi con le Potenze che sono nello stesso ordine di idee e i cui interessi sono legati a noi.
Uno scambio di idee ha avuto luogo qualche anno fa con l'In ghilterra, scambio di idee che è fatto al Parlamento inglese da parte di sir Ferdusson oggetto di dichiarazioni alle quali c'è poco da ag giungere. Il suo linguaggio è stata la stretta conferma della verità che Inghilterra e Italia si propongono di mantenere la pace e lo statu quo. Posso dire d'altronde che non scorgo questione sulla quale le idee dell'Italia non siano conformi a quelle dell'Inghilterra, dato che i loro interessi essenziali sono identici
L'alleanza sentimentale....
Lo stesso Di Rudini nelle sue dichiarazioni ministeriali del 17 marzo 1897 ribattè queste affermazioni e disse: L'amicizia tradi zionale con l'Inghilterra completa per l'Italia il sistema delle sue al leanze Questa " amicizia tradizionale ,, era qualificata qualche mese più tardi dal duca di Sermoneta come una alleanza sentimentale ,,. Ciò che la Triplice non ha dato all'Italia, l'Italia ha chiesto a Londra e l'ha trovato .
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Ma ciò non basta alle preoccupazioni di quell'equilibrio perfetto che anima la Consulta. Basta riferirsene al discorso citato più sopra di Di Rudini.
Egli ha parlato non di una sola Potenza ma di parecchie Po tenze dopo l'Inghilterra e la Francia che possono veramente ga rantire gli interessi mediterranei dell'Italia. Da qui gli accordi ita liani del 1900 e del 1901. Per ognuno abbiamo la testimonianza del Prinetti :
Durante il ministero ho avuto parecchie volte occasione nelle mie relazioni con l'ambasciatore di Francia di confermare l'accordo che il marchese Visconti Venosta aveva concluso nel 1900 sul Medi terraneo, ma non ne ho dovuto in nessun modo modificare nè la forma nò la sostanza che sono rimaste intatte Quali sono questi accordi? Tutti lo sanno. La Francia all'Italia promise Tripoli; alla Francia l'Italia promise il Marocco. Gli uomini di Stato italiani avevano dimostrato facendo così che la Germania rifiutando nel 1882 di occuparsi degli interessi mediterranei del loro paese li aveva implicitamente autorizzati a regalare senza di esse questo ordine di problemi. Il principe di Bülow sembra d'altronde dar loro ragione dicendo al Reichstag l'8 febbraio 1898 e l'8 giu
16 " 66 gno 1902:
" La Germania non ha interessi nella questione del Mediterraneo e gli accordi Franco-Italiani non sono relativi al campo di azione della Triplice Alleanza...
" La situazione è cosi ben definita : l'Italia ha una doppia politica, una politica continentale basata sulla Triplice e una politica marittima basata sull'accordo franco-inglese: la prima la ricopre contro l'Austria Ungheria, la seconda le dà il permesso di insediarsi a Tripoli. Gli av. venimenti prodottisi dal 1902 al 1912 non hanno modificato questa situazione. Il riavvicinamento della Francia con l'Inghilterra nel 1904, dell'Inghilterra con la Russia nel 1907, e dell'Italia con la Russia nel 1909 hanno dimostrato che l'Italia si giudicava pienamente libera come prima della sua azione mediterranea. Essa si è impegnata sem pre più con Pietroburgo che con Londra e Parigi nella via degli ac cordi che, secondo la frase del von Bülow non sono relativialla sfera
di azione della Triplice. Che si possano concepire dei casi nei quali questi accordi sarebbero per l'Italia di difficile conciliazione con la sua alleanza è evidente; ma nè nel dicembre 1887, nè nel 1909 il go verno d'Italia si è lasciato arrestare da queste difficoltà. Se i suoi sen timenti non sono cambiati dopo di allora, se essa pensa sempre che non deve alla Germania nessun conto mediterraneo, essa non può in nessun caso allarmarsi delle misure navali prese nel Mediterraneo dalla Francia e dall'Inghilterra d'accordo con la Russia.
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Queste misure non potrebbero turbare l'Italia che in un caso solo, e cioè se modificasse la politica costantemente seguita da essa dal 1882 e se essa mettesse come si dice tutte le sue uova in uno stesso paniere; se all'epoca del rinnovamento della Triplice Alleanza che av verrà l'anno prossimo, il governo italiano fosse sollecitato dalla Ger mania a fare ciò che la Germania stessa ha rifiutato 30 anni or sono, di estendere cioè la Triplice al Mediterraneo; se abbandonando la sua condotta anteriore essa si facesse eventualmente impressionare dalla schiacciante superiorità navale assicurata per molto tempo nel mare latino dalle potenze della triplice intesa.
Questa superiorità risulta del resto dal fatto che la Germania non ha flotta nel Mediterraneo, l'Austria-Ungheria non ha che una flotta ridotta, ma che dopo la brillante attività marittima di un anno a questa parte dell'Italia sarà interamente da rifare. Se dunque l'Italia rinunciasse ai suoi scopi per darsi unicamente alle sue alleanze, essa non vi troverebbe maggior sicurezza che per il passato, anzi si com prometterebbe anzichè consolidare la sua posizione nel Mediterraneo, così estesa e così fortificata dalla pratica degli accordi che abbiamo considerato
" Questa verità è cosi luminosa, che l'ipotesi che noi abbiamo esa minato deve essere scartata. L'Italia, senza dubbio, continuerà a cu rare gli interessi di terra che la Triplice le garantisce e gli interessi marittimi salvaguardati dai suoi accordi con Londra, con Parigi e con Pietroburgo.
E allora per il fatto che essa resterà nel Mediterraneo fedele ai suoi accordi inglesi, francesi e russi, essa non potrà che felicitarsi dell'aumento di potenza assicuratole dai suoi amici o rimarrà allora il rischio eventuale di dover conciliare in caso di una guerra europea la sua alleanza e i suoi accordi.
Ma questo rischio ripetiamo non le è nuovo. Essa lo conosce, essa lo ha scongiurato essendo da dieci anni a questa parte un co stante e prezioso fattore di pace. Essa lo scongiurerà ugualmente nel l'avvenire mettendo al servizio della pace la sua autorità accresciuta dai suoi successi mediterranei ed adoperandosi a pacificare ove sor gessero conflitti possibili tra i suoi alleati e i suoi amici,
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Altre spiegazioni ufficiose francesi 159
Con diversa intonazione, e, del pari con carattere uffi cioso un articolo del Petit Parisien spiegò così il con centramento della flotta francese nel Mediterraneo.
" L'Europa è da lunghi anni distinta in due raggruppamenti di grandi Potenze; e non si può dimenticare che la Triplice Alleanza è sorta per la prima, poichè il suo patto iniziale, il patto Austro-Tedesco, risale al 1879. Dal momento che queste combinazioni esistono, è na turale che si mettano in valore. Come la Francia e l'Italia, malgrado le loro eccellenti relazioni presenti, mantengono dei corpi d'armata alla frontiera delle Alpi senza che l una ó l'altra nutrano idee belli cose, cosi hanno dislocato le loro forze navali nel Mediterraneo ove i loro interessi sono capitali.
Due fatti di suprema importanza sono poi avvenuti in questi ul timi tempi: da una parte l'Austria -Ungheria ha deciso di costruire, dietro la domanda della Germania, si dice, delle dreadnoughts desti nate ad agire nel Mediterraneo; dall'altra l'Inghilterra ha raggruppato la sua flotta nel Mare del Nord, per mantenere quella superiorità na vale che le garantisce la sicurezza. Era naturalissimo che la Francia, per mantenere l'equilibrio passato e preparare l'equilibrio futuro, ope rasse il suo concentramento navale tra Tolone e Biserta. In sostanza, se si considerano le due grandi combinazioni di forze, non vi è nulla di mutato; ed è perciò che la commozione dei nostri vicini ci pare eccessiva
Sotto l'aspetto militare il dislocamento della squa dra di Brest, non ha, per ora, una grande importanza. Che si abbiano di fronte otto corazzate francesi ed otto inglesi oppure sedici francesi, la situazione non muta. Ma, la importanza politica dell'avvenimento fu enorme, e subito rilevata. L'Intesa Cordiale che, in qualche mo mento, era sembrata affievolirsi, prese non solo nuovo vigore con questo accordo navale, ma assunse vero e proprio carattere di una alleanza. Tanto più apparve que sto carattere se si tiene presente ciò che abbiamo posto in rilievo più sopra, che cioè, con una gran parte delle navi sempre sul piede di guerra, tali flotte hanno tutta l'aria di essere già in azione. L'accordo fra le due Potenze dell'Entente, per quanto riguarda il Medi
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DELLA FLOTTA FRANCESE
terraneo, va considerato in relazione a tutta quanta la situazione internazionale. Se non facessimo così, come osservava con una felice immagine un diplomatico, ve dremmo « il quadro» troppo da vicino e non ne potrem mo comprendere la prospettiva: cioè non lo capiremmo. E per rilevare e giudicare l'importanza dell'accordo nava le Franco -Inglese non bisogna dimenticare che lo sposta mento della squadra di Brest è stato preceduto, a pochi giorni di distanza, da un altro accordo navale della Fran cia: quello con la Russia, alla vigilia della partenza del Poincaré, ministro degli Esteri per Pietroburgo. Il 1.º ago sto 1912 il Temps pubblicò una nota che ne dava l'annun cio : «Il Trattato d'Alleanza con la Russia, diceva il Temps, - firmato il 22 agosto 1891 e completato nel 1892 con una convenzione militare considerava finora sola mente la collaborazione dei due eserciti. Non si era pen sato ad una convenzione navale. Oggi tale lacuna è stata colmata. È noto che l'ammiraglio, principe di Leven, Capo dello Stato Maggiore della marina russa, era stato poco prima nostro ospite qui a Parigi» . Il Governo confermò indirettamente la notizia con un comunicato dell'Havas, diramato la sera stessa alla stampa francese ed alle agen zie telegrafiche estere. « Come è stata presentata dal Temps, la notizia -- diceva il comunicato non è com pletamente esatta. Non vi sono state trattative fra i due governi, ma semplicemente delle conversazioni fra i Capi di Stato Maggiore russo e francese conversazioni che hanno condotto alla mise au point della convenzione militare firmata nel 1892. Finora tale convenzione mi litare non era stata estesa alla marina. La situazione na vale essendosi oggi modificata, in seguito agli sforzi fatti dalle due Potenze interessate, è sembrato utile ai due Stati Maggiori di intendersi anche su tale argomento. Que sta mise au point della convenzione militare del 1892 non
L'accordo navale Franco -Russo 161
modifica in alcun modo il Trattato esistente e non ha ca rattere di una novità aggressiva verso alcuna potenza ». Il comunicato, come si vede, fu una chiarissima con ferma della notizia del Temps. Solamente, il Governo cercò di diminuire l'importanza attenuandone il signi ficato. Si affrettò a dichiarare che non poteva avere carattere aggressivo. Il che non tolse nulla alla sua im portanza reale, subito compresa a Berlino, dove, malgra do questo, la parola d'ordine data alla stampa fu quel la di credere.... alle assicurazioni ufficiose. Si volle evi dentemente evitare delle polemiche incresciose con Pie troburgo. Ma l'accordo navale: la mise au point della convenzione militare per quello che riguarda le forze na vali, è evidente che ha avuto sempre lo stesso scopo: di indebolire la Germania, poichè lascia presupporre la coo perazione, in caso di conflitto, delle tre marine della Triplice Intesa. Una squadra russa nel Baltico contro la Germania, indebolisce la marina tedesca di fronte a quella inglese, e può permettere forse a questa di vincere più presto e poter mandare, dopo la vittoria, se questa le arride, parte delle sue forze nel Mediterraneo. E, ora, in tempo di pace armata gli può, in ogni modo, consentire di tenere qualche nave di più in questo mare.
Il concetto che ha guidato Inghilterra e Francia nel successivo spostamento delle loro squadre è stato quello di potere avere entrambe la prevalenza là dove sono maggiori i loro interessi e quindi più forte il rischio. L'Inghilterra ha l'incubo della flotta tedesca; la Francia mira a realizzare il suo sogno di far doventare il Medi terraneo un lago francese. L'espressione è stata più volte adoperata in questi ultimi tempi dalla stampa francese. Qualche anno fa uno scrittore di politica estera, il Pinon, pubblicò un libro dal titolo suggestivo: L'Empire de la Méditerranée, spesso citato all'epoca della nostra impresa >
MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 21
FLOTTA FRANCESEdi Tripoli. Da tutto il complesso del libro e si tratta, ripeto, di uno scrittore autorevolissimo traspare evi dente il concetto che codesto impero debba un giorno appartenere alla Francia. Come al solito, e al pari di tanti altri scrittori, egli lascia vedere ben chiaro che l'a micizia fra le due nazioni, può esistere soltanto, a patto che l'una, l'Italia, si rassegni ad essere la satellite del l'altra, e, sopratutto, a lasciarle incontestato o quasi il dominio del Mediterraneo. Dieci anni fa - nel. 1904 bisogna rendere giustizia al suo acume politico negan doci il diritto di occupare un giorno la Tripolitania, mal grado l'accordo stipulato con la Francia a questo propo sito, fu profeta prevedendo che le relazioni fra i due paesi sarebbero nuovamente turbate, se veramente ci si decideva un giorno e lo scrittore era d'opinione che non ne avremmo mai avuto l'ardire a porre il piede su quelle coste dell'Africa settentrionale. Il mantenimento dello statu quo in Tripolitania, se condo il Pinon, era allora giudicato dallo scrittore citato «come la migliore garanzia della durata dei buoni ac cordi tra Francia e Italia nel Mediterraneo» . «Non è scriveva ancora che la Francia abbia mire sulla Tripolitania o sulla Cirenaica: il nostro do minio africano è abbastanza vasto e non abbiamo biso gno di invidiare qualche oasi, e qualche migliaio di chi lometri di steppa e di deserto ; ma il fatto di vedere una potenza appartenente alla Triplice Alleanza stabi lirsi sui fianchi della nostra Algeria-Tunisia costituisce per noi un pericolo. Nel caso di una guerra europea, nella quale l'Italia sarebbe contro di noi, secondo i ter mini dell'alleanza, ci toccherebbe difendere, oltre alle no stre frontiere francesi, una frontiera africana, e, se è vero che sarebbe difficile ad un esercito di entrare in Tunisia per Gabes, non è meno evidente che Tripoli e
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La facile profezia di uno scrittore 163 >
la Cirenaica sarebbero una base d'operazione formida bile per minacciare Biserta e la Reggenza tutta quanta. Il giorno nel quale avremo in Africa una frontiera co mune con l'Italia, il «rapprochement» così penosamente elaborato fra le due sorelle latine potrebbe essere singo larmente compromesso: perpetue cause di conflitto na sceranno da questa vicinanza.» Largo di buoni consigli il Pinon ci diceva ancora : « Per l'avvenire della buona in tesa tra Francia e Italia, per la scomparsa di tutte le cause di dissidio, vi è da augurarsi quindi che il Go verno del Quirinale, rendendosi conto delle gravi diffi coltà dell'impresa e delle conseguenze che non manche rebbe di avere, rinunci ad occuparsi della Tripolitania, altro che per svilupparvi i suoi commerci, proteggere i suoi connazionali ed accrescere la sua influenza» . Francamente, se non si trattasse di uno scrittore di incontestato valore, e al quale si debbono libri veramente magistrali, come quello sulle « origini ed i resultati della guerra russo-giapponese» ci sarebbe da domandarsi come mai si possano considerare questioni così gravi con tanta ingenuità: poichè non saprei come chiamare altrimenti il suo ragionamento e il suo consiglio, dicendo, così aper tamente, che la Francia poteva continuare ad esserci ami Ca.... soltanto a patto di sacrificare alla sua amicizia le nostre più legittime aspirazioni, e invece applaudendo ed incoraggiando sempre le sue. Noi siamo andati in Tripoli tania, per ristabilire, fino ad un certo punto, quell'equili brio nel Mediterraneo che la sua presa di possesso del Marocco aveva turbato. Ci siamo andati perchè vi era, a tale proposito, un accordo, concluso quando non po teva a meno di sembrare giusto che in tale circostanza l'Italia avesse un compenso, nell'unico lembo di terra afri cana nel Mediterraneo che non era in mano di una Po tenza europea. Ci siamo andati, dopo aver reso qualche
FLOTTA FRANCESE
servigio alla Francia, precisamente per il Marocco, alla Conferenza di Algesiras, dove, per rimanere fedeli ai no stri impegni con la Repubblica, ci siamo messi in una posizione imbarazzante di fronte ai nostri alleati. Nessun dubbio che i nostri alleati avessero torto, poichè, dal momento che non avevano voluto nel Trattato stabilire delle garanzie e prendere degli impegni per il Mediter raneo, era ben naturale provvedessimo in altro modo ai casi nostri. Ma, da parte della Francia, avremmo avuto di ritto a un po' di quella gratitudine, che la Francia ci ha tante volte rimproverato di non avere a suo riguardo. Ben inteso se in politica la gratitudine dovesse contare per qualche cosa....
In ogni modo, lo scrittore francese al quale alludo fu facile profeta. Appena le nostre truppe sbarcarono a Tripoli, la politica francese assunse subito una intona zione, più che ostile, aggressiva.
Solamente vi è da osservare non essere solamente la vicinanza la causa di codesto non dissimulato risentimento che ha seguito alla sorpresa, perchè noi ci si decise final mente alla occupazione. Gli è che con tale occupazione è svanito per sempre il sogno del lago francese e della sua egemonia sul Mediterraneo; e che, assai probabilmente, superate le prime difficoltà e in un periodo di tempo del quale nessuno può prevedere oggi la durata, l'Italia afri cana prenderà, da un certo punto di vista, uno sviluppo assai maggiore. In Francia la natalità diminuisce ogni anno. In Italia la popolazione cresce rapidamente. An cora pochi anni, e, con tale diminuzione da una parte e aumento dall'altra, la popolazione dell'Italia avrà rag giunto quella della Francia, e si espanderà in Tripolitania esercitando una grande attrazione sulla popolazione ita liana della Reggenza, alla quale la Tunisia deve in gran parte il suo sviluppo. Per la occupazione della Libia e
Politica e demografia 165 per la guerra è cresciuto il prestigio dell'Italia in tutto l'Oriente. Demograficamente - e la demografia conta bene per qualche cosa quando la forza e il prestigio di un paese sono misurati dal numero dei soldati che può dare la Francia -- e non se lo dissimula è un paese ' in decadenza: l'Italia è invece nella parabola ascendente. 1)
1) Sulla questione diremo demografica, che si collega a quella della scelta der tipo delle navi e questa alla potenzialità finanziaria di un paese, Giorgio Molli, uno scrittore che da molti anni si occupa con incontestata competenza di cose navali, pubblicava due anni or sono un interessantissimo articolo sulla Vita, de} quale mi pare opportuno riprodurre la parte sostanziale.
La Francia scriveva il Molli annuncia il suo proposito di regolare al l'avvenire la sua politica navale nel Mediterraneo sulla base del Two Powers Standard, vale a dire di mantenere la sua flotta militare in modo da conservare una superiorità non trascurabile sulle flotte riunite delle due altre potenze me diterranee, Italia e Austria-Ungheria. È questo un audace proposito, che la Fran cia potrà benissimo iniziare, ma è dubbio poi se vi potrà perseverare, se le due altre potenze interessate credono necessario di raccogliere la sfida superba.
La Francia è ricca, ma nessuna ricchzeza è inesauribile, e poi non è detto che il denaro a questo mondo sia fattore unico, onnipossente!
Molto vale il denaro, anche nelle cose militari, ma con la sua ricchezza, la Francia intanto non riesce ad aumentare il numero dei francesi, i quali si ostinano a rimanere poco prolifici. Al massimo sono circa quaranta milioni gli abitanti della Francia, ma bisogna dedurne oltre ad un milione di stranieri; i nati francesi, secondo l'ultimo censimento del 1906, ammontavano a 37 575 586. Il censimento del 1911 assegnava all'Italia una popolazione di 34 947 865 abi tanti, alla Monarchia austro-ungarica ben 51 340 378 abitanti erano assegnati dal censimento del 1910. La popolazione dei due Stati che la Francia vorrebbe superare è più che doppia adunque di quella francese. Questo è un fatto che ha pure il suo valore, perchè per armar delle flotte poderose abbisognano degli uomini. Questo fatto dice anche qualche cosa dal lato finanziario, essendo pre sumibile che due Stati la cui popolazione è di circa ottantasei milioni possano riuniti spendere per la loro difesa quanto non esita a spendere un solo Stato di appena quaranta milioni di abitanti.
Il bilancio francese da qualche anno chiude in deficit, sulla base di fran chi 4 386 462181 ; quello italiano si chiude con qualche avanzo sulla base di lire 2 064973 144 escluse le spese di guerra per l'Italia, come per la Francia quelle per il Marocco; il bilancio della Monarchia Austro-Ungarica salda pure alquanto in deficit in cor. 4 589 142 565. Dunque anche dal lato finanziario si può affermare che la ricchezza assoluta della Francia, la sua elasticità finan ziaria, non può in ogni caso di molto superare quella delle due potenze alleate riunite si intende, dal momento che queste sopportano senza sforzo eccessivo, collo stesso patriottismo e la stessa serenità dei francesi, un bilancio comples sivo che supera del 50 per cento quello della Repubblica.
DELLA FLOTTA FRANCESE
Da tale punto di vista si trova di fronte a noi nella stessa situazione che ha di fronte alla Germania. Ha fatto ora l'ultimo sforzo per fronteggiare l'aumento dell'esercito
Nè l'Italia nè l'Austria-Ungheria possono ammettere di trovarsi in una con dizione di inferiorità nel Mediterraneo, mare che non è francese, nè austriaco, nè inglese, nè spagnuolo, ma di tutte le nazioni che ne sono bagnate, e che per le sue vie comunicano, e vi trafficano con ogni parte del mondo. Se la Francia ba il suo XIX Corpo d'esercito in Africa,che appartiene all'esercito metropoli tano e vuole sicure le sue comunicazioni colla Tunisia e l'Algeria, se la Francia ha interessi in tutto il Levante, anche l'Italia ha un esercito in Libia, e l'Au stria tiene il XVI Corpo in Dalmazia, le cui comunicazioni sono principalmente marittime, e nel complesso queste due ultime potenze hanno interessi in Levante forse superiori a quelli francesi.
Una inevitabile rivalità di costruzioni navali sta per iniziarsi rapidamente anche nel Mediterraneo dal momento che ciò piace alla Francia; ora è del mas. simo interesse di cercar di indagare come la Francia vorri risolvere il non facile compito che si è imposta.
La questione demografica pesa mo'to sugli armamenti francesi: per mante nere il numero delle reclute annuali volute, bisognò rinunciare quasi alla sele zione fisica dei coscritti, onde nell'esercito francese ogni anno viene accolto un notevole numero di soggetti che sarebbe inesorabilmente scartato presso altre nazioni. Ciò dimostra che l'impiego di uomini per gli ordinamenti militari è in Francia giunto al massimo, e chedifficilmente dalla massa della nazione si potrà domandare un numero maggiore quello attuale, senza correre il rischio di reclutare elementi affatto inutili. Per la Marina il reclutamento in Francia pre senta ancora maggiori difficoltà perchè l'iscrizione marittima non basta a fornire il pers nale necessario; bisogna conglobarvi un numero notevole di coscritti co muni. Già al presente la Francia non riesce mai ad avere al suo completo gli equipaggi che le sono indispensabili, e la forza presente alle bandiere è costan temente inferiore a quella preveduta di circa cinquantacinquemila uomini di bassa forza, numero insufficiente ai bisogni della flotta attuale.
Da questo lato la Francia è pre:so a poco nelle condizioni dell'Inghilterra, che già sente per la sua Marina la mancanza di personale. Ma l'Inghilterra nella sua enorme Marina mercantile può trovar delle ris:rve che ries:irà sempre ad allettare col compenso pecilniario; la Marina mercantile francese è invece troppo modesta e ve:rebbe già crudelmente colpita colla chiamata delle riserve di Marina.
La Francia quindi cercherà di conseguire l'aumento del suo potere navale senza notevole impiego di nuovo personale, trovando l'incremento nella impor tanza delle nuove costruzioni piuttosto che nel loro numero. Essa d'una cosa è pur costretta a far economia: di uomini!
L'Inghilterra ogni anno elimina dalla sua flotta un numero di navi che Lanno tuttavia un certo valore militare, e che altre Marine parsimoniose con serverebbero ancora per del tempo come utilizzabili. Ciò non è fatto per disdegno di mezzi antiquati alquanto, ciò non è che una selezione imposta dalla scarsità di personale. A che pro conservare delle navi ormai affatto secondarie, se la
L'opinione dell'ammiraglio Germinet 167
tedesco. 1) La Germania può ancora fare qualche passo in questa via, la Francia no. E ci si fa quasi colpa di essere doventati maggiorenni, di avere acquistato la coscienza della propria forza, e di non volersi più rassegnare ad avere una parte secondaria nelle questioni internazionali, quando si tratta di tutelare i nostri più legittimi interessi e il nostro avvenire.
Sul concentramento delle forze navali francesi si espressero favorevolmente, tranne qualche eccezione, qua si tutte le autorità della marina, naturalmente consultate dal governo, prima di prendere la deliberazione. Il vice ammiraglio Germinet già comandante in capo della squa dra del Mediterraneo, fece a tale proposito, dichiara zioni assai importanti a un redattore dell'Echo de Paris.
Il concentramento delle nostre forze navali nel Mediterraneo egli disse di cui si parlava da lungo tempo, è una buona strategia. Dopo l'intesa cordiale, il compito della marina francese si trova per gente disponibile basta appena alle unità più moderne e più poderose ? Meglio è sgombrare i porti.
Anche la Francia sarà tosto trascinata a queste conseguenze, e la vedremo indubbiamente seguir gli inglesi cercando la nave massima, la sola che combini la massima potenza col minor possibile impiego di personale.
La nuova tendenza già si disegna.
Col tipo Danton la Francia fece una concessione alla teoria trionfante della grande nave, ma ancora non si scostava del tutto dal tipo tradizionale francese della nave media con squadre numerose. Col tipo Jean Bart si fece una con cessione prudente alle nuove idee di navi giganti, e un piccolo passo innanzi si fece col tipo Paris. È colle nuove costruzioni, quelle che coincidono col nuovo programma di supremazia mediterranea, che la Francia rompe definitivamente la prudente tradizione, e affronta il problema della nave ultrapotente, proget tando perfino le torri quadruple per dei pezzi da 340 mm . L 45, mentre prima non si ritenevano pratiche nemmeno le torri triple con modesti pezzi da 305.
Gli incrociatori dalla debole corazza, dalle artiglierie leggiere sono addirit tura eliminati dal Mediterraneo dove per quelle loro caratteristiche appunto si ritengono disadatti alla guerra.
Grosse corazze, e grossi cannoni; e quei grossi cannoni si vogliono numerosi. Ecco in sostanza il programma delle nuove costruzioni francesi da che venne risoluto di accettare i grandissimi dislocamenti che tanta potenza offensiva e difensiva trascinano con sè.
1) Collo stabilire una forza maggiore sotto le armi anche in tempo di pace, e un maggior contingente in tempo di guerra.
FLOTTA FRANCESE
fettamente definito: consiste nel conquistare e nel conservare il do minio del Mediterraneo. Bisogna che le nostre comunicazioni fra le coste della Provenza e le nostre coste algerine e tunisine siano assi curate in modo assoluto in ogni circostanza. Noi abbiamo in Algeria forze militari, come il XIX corpo d'armata, che in caso di mobilita zione dovrà passare nella madre patria; dobbiamo inoltre preoccuparci dell'approvvigionamento. Insomma le ragioni sono numerose per giu stificare questa misura.
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Alcuni hanno formulato il dubbio che noi facciamo il giuoco dell'Inghilterra e che il nostro compito, senza gloria, consisterà nel custodire la strada delle Indie. Ebbene no, noi non facciamo il giuoco dell'Inghilterra, ma strettamente il nostro, giacchè è il nostro interesse che difendiamo. Tanto meglio se contemporaneamente serviremo an che agli interessi della difesa inglese.
Del resto, se si considera l'eventualità di una guerra fra la Ger mania e l'Inghilterra, o tra le Potenze della Triplice Alleanza e della Triplice Intesa, una situazione analoga si verificherà nel nord, salvo che le parti saranno rovesciate: l'Inghilterra, salvaguardando le sue coste contro le forze navali tedesche, garantirà la sicurezza dei nostri porti dell'ovest e del nord. È questo il giuoco di ogni alleanza. Quanto al compito che rimane affidato a quella parte della flotta francese che resta nel nord, esso consisterà nel chiudere il passaggio di Calais ad ogni flotta nemica, con la valida cooperazione delle flot tiglie di navi minori ripartite su punti strategici giudiziosamente scelti, impedendo così ogni incursione nella Manica.
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Del resto, lo stato maggiore ha giudiziosamente considerato le necessità di rafforzamento e di sviluppo della difesa nel punto più estremo della nostra frontiera marittima del nord, cioè Dunkerque; e Dunkerque diverrà il centro della difesa. E io vado anche più oltre, e pur esprimendo una opinione puramente personale, vi dico che nel giorno di una eventuale dichiarazione di guerra, l'Inghilterra e la Francia, considerando con ragione il passo di Calais come acqua ter ritoriale francese e inglese, prenderanno le loro disposizioni per no tificare ai neutri la interdizione del passaggio di esso. In questo modo il compito sarà semplificato e si saprà esattamente con chi avremo a che fare. È questa, secondo me, una misura di difesa elementare e un diritto assoluto di belligeranti. ,, L'ammiraglio Germinet, interrogato poi se credeva che le sei co razzate della terza squadra potessero dare un concorso serio alle forze navali di cui disporrà la Francia nel Mediterraneo per tener testa alle forze navali dell'Italia e dell'Austria, ha risposto:
È certo che queste navi non hanno che un valore militare molto relativo; ma di un valore militare pur relativo se ne trovano anche
prime diffidenze
fra le flotte degli avversari eventuali, e non bisogna disdegnare il loro concorso. Le nostre forze navali nel Me rraneo non saranno, ripeto, considerevolmente rinforzate dalla presenza di questa terza squadra; ma io vedo in ciò, e me ne rallegro, l'applicazione di un giudizioso principio di strategia e cioè: il concentramento della flotta sul teatro probabile della guerra. Trovo inoltre che il programma navale, come è stato votato, non può essere considerato che come un avviamento verso un programma più vasto, corrispondente ai veri bisogni della nostra difesa nazionale. Noi ci dimentichiamo troppo che la superiorità delle nostre forze è sufficiente, ove si considerino quelle dei nostri avversari probabili nel Mediterraneo. Ad esempio, le corazzate tipo Danton di cui non disconosco il valore, non sono delle dreadnoughts. Questo tipo di co razzata è spesso caratterizzato da un armamento di grossi cannoni dello stesso calibro, ciò che non è il caso di affermare per il tipo Danton. Del resto la pubblicazione massima della marina inglese classifica i sei Danton come semi-dreadnoughts, mentre il Jean Bart e il Courbet sono chiamati dreadnoughts. Nel 1913 noi avremo quat tro dreadnoughts e sei semi-dreadnoughts: gli italiani e gli austriaci insieme avranno sette delle prime e tre semi-dreadnoughts, senza con tare le altre navi di linea. Come vedete, è tempo di attivare un po' le nostre costruzioni, per conquistare praticamente una superiorità notevole, quale ci manca attualmente ,
A parte tutte le considerazioni d'ordine militare e strategico, il concentramento delle forze navali fu consi derato anche come una grande soddisfazione d amor pro prio per la Terza Repubblica. L'egemonia francese parve così assicurata. Ma, pian piano, di fronte all'entusiasmo degli ottimisti incominciò anche a farsi sentire qua e là qualche voce discorde. Anche parecchi di coloro che pure avevano riconosciuto necessario il concentramento, non dissimularono più tardi qualche apprensione, poichè, vi cino ai vantaggi dell'accordo con l'Inghilterra videro an che degli svantaggi. Qualcuno andò più in là, dicendo che, come al solito, l'Inghilterra aveva molto abilmente giuocato l'amica, poichè l'accordo è tutto a vantaggio suo. La risposta data dal relatore del bilancio della ma rina, il Chaumié, ad un giornale che pubblicò sull ar
MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 22
FLOTTA FRANCESE
gomento una serie d'interviste con ammiragli, generali ed uomini politici particolarmente indicati per essere in terrogati, espresse abbastanza chiaramente tale concetto. «Noi lasciamo egli disse -- lasciamo all'Inghilterra ed alla Russia l'incarico di garantire le nostre frontiere marittime del Nord, occidentale che ci assicurano la li bera circolazione sull'occidente, e noi ci incarichiamo, dal canto nostro, d'assicurare la libertà nel Mediterraneo. Ma il dominio del mare aggiunse - è per l'Inghilterra la vittoria totale, mentre per noi è soltanto un fattore im portante: l'Inghilterra 'ha il dovere di rafforzare anche in terra ferma la situazione della Triplice Intesa.» Nella nuova situazione insomma, e in questa specie di delega di poteri, nè la Francia nè l'Inghilterra sentirono di avere le garanzie necessarie. In Francia si insistè nel ritenere che il vero ed efficace concorso che potrebbe dare l'Inghilterra in un conflitto franco-tedesco nel quale le sorti della Francia saranno decise nelle battaglie ter restri sarebbe il pronto invio di centocinquanta o due centomila uomini sul fianco dell'esercito tedesco. Si . comprende perfettamente che il dominio e la vittoria sul mare non muterebbe gran che la situazione se l'esercito tedesco avesse un'altra volta aperta la via di Parigi.
Dal canto suo anche l'Inghilterra non è tranquilla per quanto può accadere nel Mediterraneo dove ha tanti interessi diretti e indiretti. Più del cinquanta per cento del grano consumato dall'Inghilterra è portato da navi che attraversano il Mediterraneo. È, come dicono gli inglesi, « la via del pane». E sono bagnate dal Mediter raneo le coste di quell'Egitto, che ha una così enorme importanza per la politica imperiale. È dall'Egitto che assicura gran parte del suo. impero africano , e tutto quanto avviene nella terra dei Faraoni ha una grande eco anche al di là del Mar Rosso fra i sessanta milioni di
I timori per l'Egitto 171
mussulmani delle Indie e in quelle dell'Arabia che è sulla via delle Indie. È nato e si è sviluppato in Egitto il na zionalismo mussulmano che, in certi momenti, ha così gravemente preoccupato l'Inghilterra, determinando la no mina di un uomo energico come lord Kitchener, visto che l'atteggiamento conciliante e benevolo del suo pre decessore, il Ghast, aveva sortito effetti diametralmente opposti a quelli sperati. La maniera forte di lord Kitche ner ha frenato il movimento, ha posto realmente fine alle agitazioni: ma il fuoco cova sotto ceneri. Ed a Londra non si fanno troppe illusioni . Che cosa sia, quali tenden ze abbia, come sia forte il sentimento antieuropeo in quel centro di propaganda islamitica che è il Cairo, lo si è visto all'epoca della nostra guerra con la Turchia. Il giorno nel quale, in una guerra, l'Inghilterra si trovasse in una posizione difficile, o anche soltanto impegnata com pletamente nelle acque di casa e non potesse occuparsi del Mediterraneo, nessun dubbio che il grido «l'Egitto agli egiziani» ora soffocato, echeggerebbe di nuovo per le vie del Cairo e d Alessandria, e non sarebbero i cinque o sei mila uomini delle guarnigioni inglesi che potrebbero ba stare a domare il movimento. E , in tempo di guerra, non sarebbe così facile, a parte che bisognerebbe sguar nire Malta, far venire dei rinforzi da questa piazza dove la guarnigione è di circa diecimila uomini. Fu ricordato, a questo proposito, in Inghilterra che dal fondo dell Adria tico a Porto-Said vi sono 1200 miglia, cioè che in otto o nove giorni (sei giorni di viaggio e dai due o tre per lo sbarco) un convoglio di 40 trasporti potrebbe ghilterra o chi per essa non è padrona del mare - sbar care 30 000 uomini sulla costa egiziana che troverebbero, alleata contro gli inglesi, la popolazione. L'Inghilterra si disse quindi non può perdere il dominio del mare nemmeno per pochi giorni. E non si ritiene
se l In per lo
FLOTTAFRANCESE meno è tutt'altro che sicuro possa averlo e servirsene a vantaggio dell'alleata, la Frància, la quale avrà molto da fare a pensare a sè stessa, dovendo assicurare le sue comunicazioni con l Algeria-Tunisia e garantire la traver sata dalle coste africane alla Francia del 19° corpo d'ar mata. Appunto perchè, oggi più che mai, in una guerra marittima, con le flotte sempre pronte ad entrare in azione, le mosse saranno fulminee, bisogna pensare a po ter far fronte a tutte le eventualità. Tali considerazioni, e l'entrata in servizio di qualche altra nave da battaglia fra le più forti finora costruite nella marina italiana ed austriaca, difatti, hanno subito avuto la loro influenza sull'atteggiamento della politica navale inglese. Ed anche coloro che avevano preso l'iniziativa del completo abban dono del Mediterraneo sostennero subito dopo la necessità di mutare un po' quel programma.
La National Review in un articolo del signor Wilson, uno scrittore assai reputato di cose navali e militari,si fece l'eco degli allarmi dell'opinione pubblica e con un arti colo che produsse impressione.
Lo scrittore ricordò in quell'articolo che dal 1798 in poi l'Ammiragliato inglese ha fatto ogni sforzo per mantenere la supremazia della sua flotta di fronte a quella di tutte le Potenze mediterranee. «Quando durante la guerra continuava Sud-Africana la Germania tentò di indurre la Francia e la Russia a formare una coali zione contro l'Inghilterra, questa rafforzò immediatamente la sua flotta nel Mediterraneo, portandola a quattordici corazzate, e mettendola in condizione di superiorità sulla flotta francese e sulle possibili alleate di questa.
In quel momento la flotta francese del Mediterraneo si componeva soltanto di sei corazzate, mentre la flotta russa del Mar Nero consisteva di sole cinque corazzate di tipo antiquato ed in cattive condizioni di manutenzione. Dal
1904 in poi, ottenuta l Intesa Cordiale colla Francia, la flotta del Mediterraneo ha continuato a diminuire di po tenzialità, e nel 1905 fu ridotta a sole otto navi di secondo ordine.
Nel 1906, per tanto, il Governo inglese esperimentò sgradevolmente con quanta prontezza possono sorgere del le difficoltà nel Mediterraneo ; in quel tempo i turchi oc cuparono inattesamente la località di Taba, sulla frontiera egiziana (certamente dietro istigazione della Germania ) e l'Inghilterra si trovò a non potere disporre che di cin que navi nel Mediterraneo, a cui venne ordinato di fare una dimostrazione navale contro la Turchia. Questa riuscì poco efficace, e non fu che con estrema riluttanza che il Sultano ordinò alle truppe turche di ritirarsi da Taba. Non ammaestrato da questo incidente il Governo in glese ha continuato da allora in poi a diminuire la flotta del Mediterraneo proponendone anzi la dissoluzione per stabilire una nuova flotta la cui base sarebbe Gibilterra, e che potrebbe accorrere secondo la necessità o nel Mare del Nord, o nel Mediterraneo. Infatti Gibilterra è, si può dire, equidistante dalla base inglese di Rosyth, e da Ales sandria d'Egitto.
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Nello stesso tempo le guarnigioni del Mediterraneo sono state indebolite sia in Egitto, sia a Malta che a Gi bilterra; tutto questo si è fatto mentre la Germania con tinuava ad approvare uno dopo l'altro nuovi progetti di espansione navale, e mentre l'Italia e l Austria comincia vano a costruire le più potenti navi da guerra in esistenza.
Il Governo inglese fu avvertito replicatamente dalla stampa e dalla opinione pubblica del pericolo a cui si esponeva, ma di questi avvertimenti esso non ha fatto nessun conto ed ha continuato a fronteggiare le costru zioni navali della Germania togliendo navi ed uomini dal Mediterraneo. Per seguire la sua politica navale il Go
FLOTTA FRANCESE
verno attuale dovrebbe almeno raddoppiare la forza delle guarnigioni del Mediterraneo, e provvedere tutte le for tezze di cannoni nuovi di ultimissimo tipo, dovrebbe rin novare molte delle fortificazioni esistenti e sopratutto as sumere una attitudine militarmente più energica in Egitto.
Lo scrittore ricorda che la debolezza militare mostrata dagli inglesi in Crimea fu una delle cause che determinò la famosa rivolta indiana nel 1857. L'abbandono del Me diterraneo in tempo di guerra non soltanto stimolerebbe una nuova rivolta in India, ma impedirebbe all Inghil terra di cercare di soffocarla prontamente servendosi della via più diretta. Potrebbe anzi darsi il caso che gli incrocia tori della Triplice 'Alleanza facessero la loro apparizione nell'Oceano Indiano, ed impodissero l'invio di rinforzi in India dall'Australia e dal Canadà. Un fatto di questo genere significherebbe la fine dell'Impero Britannico.
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Il Governo inglese cerca ora di trovare una via di mezzo con un accordo colla Francia che assumerebbe l'in carico di tutelare gli interessi britannici nel Mediterraneo. Teoricamente il progetto può essere discusso, ma in pra tica ha poche speranze di riuscita: in caso di guerra non soltanto la Francia sarà obbligata a mantenere le comu nicazioni colla Corsica, coll Algeria, e colla Tunisia, tutte località esposte agli attacchi dell'Italia, ma dovrà anche proteggere il trasferimento del diciannovesimo corpo di esercito dall'Algeria a Marsiglia, in modo da dare alla Francia il massimo di forze combattenti disponibili per affrontare gli immensi eserciti che la Germania potrà spiegare sulla frontiera dell'Est.
Ciò darà molto lavoro alla flotta francese per conto suo, e le lascierà poco tempo e pochi mezzi per proteg gere gli interessi inglesi. In quanto poi alla efficenza della flotta francese lo scrittore esprime molti dubbi, e nota che incidenti recenti e lontani dimostrano che le polveri
La domanda di nuove dreadnoughts 175
di cui si servono le artiglierie navali della Francia non danno affidamento di sicurezza.
Basta l'esempio della catastrofe della Liberté per per suadersene. Confrontando poi i programmi navali della Francia, dell'Italia e dell'Austria da oggi all'aprile del 1915 lo scrittore trova che mentre nell'ottobre del 1913 l'Italia avrà pronte quattro dreadnoughts e l'Austria ne avrà pronte due, la Francia disporrà soltanto di due navi di questo tipo. Nell'aprile del 1915 la Francia avrà quat tro dreadnoughts, l'Italia potrà forse averne otto, ma certo non meno di sei, e l'Austria ne avrà quattro.
Ciò metterà la Francia in gravi condizioni di inferiorità di fronte alla Triplice Alleanza, mentre è ben noto che essa non può accelerare le sue costruzioni navali per la deficenza dei cantieri.
Bisogna che l'Inghilterra continuava l'articolo provveda quindi per proprio conto ai propri interessi nel Mediterraneo senza fare un grande affidamento sugli aiuti che le possono venire dalla Francia, e per ottenere questo risultato occorre in primo luogo accelerare il programma di costruzioni del 1911 (ora in corso di esecuzione), pro gramma che comprende cinque dreadnoughts che potreb bero essere finite nell'ottobre del 1913 ed inviate nel Mediterraneo.
In secondo luogo bisognerebbe cominciare immediata mente il programma navale del 1912 invece di attendere come di consueto il dicembre od il gennaio, 'ed è ciò che in parte ha fatto ; ciò permetterebbe di guadagnaresei mesi nelle costruzioni, e consentirebbe all'Inghilterra di inviare un'altra dreadnoughts nel Mediterraneo al prin cipio del 1915.
In terzo luogo lo scrittore domandava che l'Ammira gliato proponesse nella prossima discussione intorno ai crediti supplementari per la flotta la costruzione di due
OTTAdreadnoughts in più di quelle stabilite onde poterle in viare nel Mediterraneo alla fine del 1915.
Così la flotta inglese potrebbe essere ricostruita nel Mediterraneo sulla base di otto dreadnoughts, venti destro yers ed altre navi sussidiarie nel limite di tre anni.
Nello stesso tempo bisognerebbe che l'Ammiragliato pensasse ad armare permanentemente con cannoni leg geri i piroscafi postali, mantenendo a bordo di essi un certo numero di marinai e sottufficiali della riserva, e pagando alle Compagnie una sovvenzione in cambio di questo privilegio. L'Inghilterra infatti non è più in con dizione di costruire degli incrociatori per proteggere le grandi vie commerciali oceaniche, e deve quindi far sì che i grandi piroscafi postali siano in grado di proteggere sè stessi contro tutti gli eventuali ed improvvisi attacchi .
Tali misure debbono essere prese immediatamente, non più tardi della fine di luglio se si vuole allontanare il pericolo di una guerra. Ogni mezza misura ed ogni pro crastinazione sarebbe un delitto. L'Impero britannico si avvicina probabilmente con grande rapidità al fatale mo mento in cui l'efficenza della sua organizzazione di difesa sarà messa a dura prova dalla guerra. Il credito nazionale è gravemente scosso ed il Consolidato è disceso a settanta sei. La supremazia navale è in estremo pericolo, l'esercito non corrisponde ai bisogni dell'Impero, ed è debole in numero oltre che mal armato. Gli inglesi debbono persua dersi che l'ora della prova suprema si avvicina, e che essi raccoglieranno quello che hanno seminato. Gli uomini politici che dirigono le sorti del paese, dovrebbero tremare al pensiero del raccolto che, colle loro divisioni, incertezze ed intrighi politici, stanno preparando!»
L'ammiraglio Fouchard, in una di quelle interviste alle quali ho accennato, aveva chiaramente preveduto che la situazione si sarebbe alterata dopo pochi mesi.
Recisa smentita dell'Asquith
« Per esercitare tale dominio (il dominio del Mediter raneo) la Francia ha bisogno della quasi totalità delle sue forze navali nel Mediterraneo : ma queste forze suffi cienti a tale scopo oggi (settembre 1912), lo saranno a mala pena nel 1913. Il minimo ritardo nella esecuzione del programma navale gioverebbe agli avversari e nuoce rebbe alla Francia. »
Solamente mentre l'ammiraglio Fouchard crede credeva bastasse la Francia da sè a stabilire la supe riorità, in Inghilterra, non pare le autorità più compe tenti fossero più dello stesso avviso.
A pochi mesi di distanza, nel marzo del 1913, la que stione della cooperazione inglese sul Continente è discussa alla Camera dei Comuni, quando due deputati del partito radicale rivolgono a questo proposito delle domande pre cise al Primo Ministro.
Bisogna premettere, che, qualche giorno prima alla do manda di lord Hungh Cecis,se era vero che il Paese fosse legato e avesse l'obbligo, in base alle garanzie date dal Governo, di mandare in caso di guerra un forte esercito sul Continente, l'Asquith aveva risposto con queste parole: «debbo rispondere immediatamente che ciò non è vero» . E che le parole del Primo Ministro furono accolte dagli applausi della Camera.
Le tre domande rivolte dai due deputati radicali al Go verno erano le seguenti:
1.a Abbiamo l'obbligo di mandare, in aiuto della Francia, date certe circostanze, una forza armata che dovrebbe cooperare con essa in Europa? Se così è, quali sono i limiti dell'intesa conclusa, quale resulterebbe da un trattato o da assicurazioni date alla nazione francese?
2.a La nostra politica estera è in questo momento è limitata da trattati, intese ed obblighi in forza dei quali
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FLOTTA FRANCESE
delle forze militari inglesi sarebbero chiamate a sbarcare sul Continente ed a partecipare a operazioni militari?
3.a è esatto che nel 1905, 1908, 1911, abbiamo spon taneamente offerto alla Francia l'aiuto di un esercito bri tannico, che sarebbe sbarcato sul Continente per soste nere la Francia in caso di un conflitto scoppiato in Eu ropa ?
A tali domande l Asquith ha risposto: «Come è stato più volte ripetuto non esiste alcun im pegno segreto e concluso all'insaputa del Parlamento che possa obbligarci a partecipare ad una guerra. In altri termini, se una guerra scoppia in Europa, non vi è alcuna intesa segreta che possa restringere o turbare la libertà di decisione del Governo e del Parlamento per ciò che riguarda la eventuale partecipazione della Gran Bretagna a questa guerra. Se il Governo e il Parlamento decidessero di partire in guerra, l'impiego che sarebbe fatto delle forze navali e militari, è, evidentemente, un argomento a proposito del quale nessuna dichiarazione pubblica può essere fatta.
Gli applausi coi quali era stata accolta la dichiarazione di pochi giorni prima si rinnovarono per queste parole del Primo Ministro. Ma ebbero, com'era prevedibile, una eco penosa in Francia. Tanto più per il fatto che la stampa quasi unanime le approvò mostrandosi lieta che il Go verno avesse finalmente distrutta la leggenda dell'intesa segreta per una cooperazione militare sul Continente tra Francia e Inghilterra. Simili leggende « - scrisse il Daily News sono pericolose per la pace dell'Europa: poi chè se ne impadroniscono i chauvins per acuire l'odio e i timori fra le nazioni. »
Il Times con la firma autorevole del suo redattore militare, il colonnello Repington, spiegò chiaramente quale deve essere il criterio inglese e come la Francia non
La cooperazione inglese sul Continente 179
debba farsi illusioni su tale cooperazione dell'Inghilterra, che l'Inghilterra non può dare.
<Messa la nostra flotta a disposizione della Francia egli disse permette ai nostri amici di non preoccuparsi, per così dire, della difesa delle loro coste : tiene l'Italia in rispetto, sopratutto dopo che questa si è lanciata in Africa, e permette alla Francia di utilizzare altrove il suo eccellente esercito delle Alpi, e di rimpatriare tran quillamente le sue truppe d Africa e delle Colonie.
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«Ciò rappresenta per l'esercito francese, sul teatro della guerra, un aumento di effettivi, di un mezzo mi lione di uomini, e nessuno può considerare négligeable un tale aumento di forze.
« Senza l'aiuto della nostra marina, la flotta francese sarebbe, secondo ogni probabilità, schiacciata dalle forze navali della Triplice alleanza, e tutta la situazione strate gica della Francia se ne troverebbe mutata.
« Domandarci oltre il mantenimento della nostra ma rina, di creare un esercito capace di colmare la differenza, che andrà sempre più accentuandosi fra l'esercito fran cese e il tedesco, è chiederci di adempire ad un obbligo che veramente incombe alla Russia, la sua alleata mi litare.
« Ognuna delle due amiche della Francia deve evi dentemente fare del suo meglio per assicurarsi la supre mazia nel suo proprio elemento. Domandare alla Russia di doventare una potenza navale, e all'Inghilterra di do ventare unapotenza militare è un voler invertire le parti. In pochi mesi, si vede intanto che è stato mutato il piano inglese: che non esclude più la cooperazione delle navi britanniche nel Mediterraneo. Ma, a parte questo, vi è molto da ridire sulle considerazioni dell autorevole redattore militare del Times, Quanto alla difesa delle sue coste, la Francia ritiene che il pericolo non sia grave.
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FLOTTA FRANCESE
In ogni modo 'non sono le vittorie inglesi nel Mare del Nord che possono mutare il resultato finale della guerra, se nel duello terrestre tra Germania e Francia, questa è soccombente. In secondo luogo la comparsa delle navi britanniche sulle coste italiane non può impedire all'e sercito italiano di minacciare dalla parte delle Alpi . In terzo luogo per poter trasportare in patria le truppe del 19 corpo bisogna che la Francia non abbia più da te mere insidie e sorprese, deve essere padrona assoluta del mare. Ora anche data l'ipotesi ciò avvenga, questo dominio assoluto non può essere affermato da un gior no all'altro: ci vorrà un certo tempo prima che flotte avversarie sieno ridotte alla impotenza assoluta, condi zione indispensabile perchè la Francia possa pensare a far traversare il mare a un forte corpo di truppe. Ed in quel frattempo data la rapidità con la quale si decidono oggi le sorti di una guerra - quanto è avvenuto nei Balcani insegna la partita potrebbe già essere decisa alle frontiere Franco-Germaniche. Anche senza essere tec nici, solo a lume di buon senso, appare chiaro che c'è della iperbole in quella cifra di 500 mila uomini in più, che l'aiuto della marina britannica permetterebbe alla Francia di portare contro le forze tedesche. In ogni modo, e, anche dato per un momento ciò potesse accadere, ben inteso in molto minore misura, vi è la questione del tempo, in cui la Francia potrebbe disporre di queste truppe. E in guerra, e più che mai nelle guerre moderne, l'arrivare a tempo è tutto.
Anzichè escludere la cooperazione delle navi inglesi nel Mediterraneo il Governo di Londra intravede la necessità di dover costruire delle navi specialmente destinate a questo mare. Dal giorno nel quale fu annunziato il ritiro da Malta a Gibilterra della squadra del Mediterraneo, nuove circostanze sono intervenute a modificare il suo
Churchill e gli armamenti navali tedeschi 181 programma navale. Da una parte l'entrata in servizio di poderose navi nelle marine mediterranee della Triplice: dall'altra le nuove costruzioni della marina germanica. Ed il 26 marzo, discutendosi il bilancio del suo ministero, il Churchill con quella sua franchezza abituale, prende la parola ed esponendo quale deve essere il nuovo pro gramma, dice chiaramente come l'atteggiamento della Ger mania obblighi l'Inghilterra ad una risposta immediata.
Ogni anno, egli dice, le Grandi Potenze lavorano non solo a sva lutare le squadre dei loro avversari, ma, nel tempo stesso, le loro. Si trovano nella stessa condizione di una mezza dozzina di industriali, che, ogni anno, rinnovassero la loro organizzazione e il loro materiale nulla aggiungendo alla entità dei loro affari e dei loro guadagni. Vi può essere cosa più assurda? Questa corsa è senza resultato dal mo mento che tutti avanzano ugualmente. È per questo che mi permetto di fare una suggestione.
" Supponiamo che, durante dodici mesi, tutte le nazioni decidano di non costruire più navi. In che modo gli interessi di queste nazioni sa rebbero compromessi? E non si prenda questo mio ragionamentocome un indice di stanchezza. Le nostre risorse per quel che concerne tutte le cose della marina e la nostra esperienza sono più grandi che quelle di tutte le altre nazioni.
" La suggestione che faccio non è un segno di debolezza; è un appello che rivolgiamo a tutte le nazioni, ma a nessuna con sincerità più profonda che al nostro grande vicino dall'altra parte del Mare del Nord.
" La politica che raccomando, riguardo alla Germania,èuna politica diforza, di franchezza e di sincerità. Essa esclude ogni idea di compro messoche finirebbe col crearecontinueconteseeuna maggiore irritazio ne. 1) Le due nazioni devono essere perfettamente libere, per ciò che riguarda i loro armamenti navali, di seguire una politica indipendente, dimodificareeallargarecomepiù lorotalentail loroprogramma,diadot tare la formola che credono migliore per la costituzione delle loroforze.
Se la nuova legge tedesca non fosse stata modificata, se l'ammi ragliato tedesco si fosse contentato di mettere in cantiere, come era stato previsto, due navi ogni anno, l'ammiragliato inglese avrebbe stimato che la posa in cantiere alternativa di tre navi un anno e di quattro l'anno seguente, per un periodo di sei anni, sarebbe stata
1) Vella stampa dei due paesi si era molto discusso in quel tempo intorno alla possibilità di addivenire ad un accordo per limitare gli armamenti navali.
DELLA FLOTTA FRANCESEsufficiente per assicurare alla nostra marina la superiorità del 60 % considerata come necessaria. Il programma tedesco essendo stato au mentato di due navi per i sei anni in questione, il programma in glese sarà aumentato di quattro navi, delle quali due saranno messe in cantiere quest'anno, cioè cinque quest'anno in Inghilterra, e due in Germania. Il programma inglese per i futuri sei anni comprende la costruzione di 25 navi contro 14 in Germania. Per ogni nave sup plementare che la Germania metterà in cantiere, l'ammiragliato bri tannico risponderà mettendone in costruzione due. Questo programma non comprende le navi che l'Inghilterra potrebbe essere costretta a costruire in ragione dello sviluppo delle marine mediterranee
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Agli entusiasmi del primo momento, come diceva, sono seguiti, da una parte e dall'altra, i dubbi e le incertezze. Da una parte e dall'altra si fece strada la convinzione che l'accordo navale dell'anno prima non era più sufficiente garanzia nè per l'una nè per l'altra, epperò si pensò ad aumentarle, sia col ritornare, per parte dell'Inghilterra, sulla prima deliberazione e riconoscendo quindi la ne cessità di mantenere ancora nel Mediterraneo una certa forza navale, sia, come vedremo in seguito, col cercare nuovi alleati e nuovi punti di appoggio, oltre la eventua lità di nuove costruzioni, specialmente destinate al Me diterraneo.
IX.
NELL'ADRIATICO.
L'ACCORDO ITALO-AUSTRIACO.
- La nuova Italia. I nostri ammiragli e l'Adriatico. Una gita a Lissa. Un monumento senza iscrizione. Le carte nautiche del Re d'Italia. La Malta dell'Adriatico. Il Leone di Lissa. - I fratelli Bandiera. Il rinnovamento della Triplice. La Triplice e il Mediterraneo. Lo sbocco serbo nell'Adriatico. Il conflitto austro-serbo e l'Italia. L'Austria-Ungheria e il possesso del Lovcen. Prima della caduta di Scutari. L'unione del Montenegro con la Serbia. - Pan slavismo e pangermanismo. Un discorso di Guglielmo II. Lo sbocco commer ciale. L'autonomia albanese. - L'accordo austro-italiano del 1902. - Vallona e la sua importanza. L'antica via Egnatia. L'opinione dell'ammiraglio Bet tolo . Il bombardamento di Vallona. Dichiarazione recisa del Ministro degli Esteri. L'isola di Saseno. La frontiera meridionale dell'Albania. Se ne ri manda continuamente la discussione. Austria e Italia d'accordo. - La Grecia propone un plebiscito.
Per la sua posizione geografica l'Italia attraverso l'A driatico è sempre stata in contatto con l'Oriente, sia che dai suoi lidi partissero le legioni romane per la conquista delle terre balcaniche, o per spingersi ancora più lontano, verso la Persia, o che dalle nostre spiaggie veleggiassero verso i porti di Oriente, con intenti sopratutto commer ciali, le navi di Venezia: di quella Venezia che un poeta innamorato delle sue bellezze e delle sue glorie, chiamò con frase felice la Roma del mare. E diffatti, quando, dopo il lungo servaggio, l'Italia accennava a ricomporsi a nazione una delle ragioni più forti, per le quali si osteggiava in Francia l'idea della unità italiana, era ap punto la convinzione che l'Italia risorta avrebbe ripreso
la sua antica posizione su questo mare, e nel vicino Oriente. « Se l'Italia si unifica e si consolida diceva allora uno scrittore francese - noi non potremo più difenderci dalla sua concorrenza commerciale. Le ferrovie assicure ranno in breve a questa terra promessa il monopolio dei traffici del Levante.» Era questa indicataci così da coloro che l'avevano avversata la visione economica e commerciale della nuova Italia. E quindi nella marina, nella quale, appena costituita a nazione, profuse somme ingenti, era riposta ogni sua speranza guardando al di là dell Adriatico, all'altra sponda, dove genti che hanno sempre serbato il culto della italianità, e che non si erano mai adattate ai nuovi dominatori, aspettavano al lora con ansia il sorgere di giorni migliori. Ma, in un'ora, nelle acque di Lissa, quel sogno s in franse. E dopo l'Adriatico è stato da noi abbandonato, quasi come se più non dovesse interessarci ciò che in quel mare poteva accadere. Tanto perchè non vi fosse il menomo dubbio su cotesto nostro abbandono, abbiamo soppresso persino parecchi Consolati in paesi della sua riva orientale, e, quanto alla marina mercantile, non solo nulla si fece per promuoverne od aiutarne lo svi luppo, ma l'abbiamo sacrificata anche nel trattato di commercio e navigazione, per effetto del quale persino il cabottaggio sulle nostre coste è fatto in larga misura dalla bandiera austriaca, senza vi sia reciprocità di trat tamento, perchè le poche nostre navi, che frequentano i porti della Dalmazia, pagano assai più dei diritti per cepiti per le navi austriache neiporti nostri. 1) Le navi da guerra non si sono mai più allontanate dalla costa italiana, tanto che, fino a qualche anno fa, la maggior
1) Era così col vecchio trattato. Nè con quello concluso dopo le cose sono gran che mutate.
parte dei nostri ammiragli non conosceva dell'Adriatico altro che i porti nostri!! Ci sono voluti più di tren t'anni perchè una nostra squadra passasse in vista di Lissa, mandando, secondo l'ordine segnalato dall'ammira glio, un mesto saluto ai morti di quella giornata, al gri do di « Viva il Re» e perchè navi nostre gettassero l'àn cora a Durazzo e a Vallona!
Lissa! Sono così rari i forestieri che oggi vi capitano, e credo proprio di essere uno dei pochissimi italiani che hanno creduto di dover visitare l'isola che fu spet tatrice del valore sfortunato dei nostri marinai. Nessuno, da Spalato, dove si prende il battello, si incomoda a fare parecchie ore di viaggio per vedere Lissa, che, a parte i ricordi delle due battaglie combattute nelle sue acque, non offre grande interesse per il touriste. Da qualche anno, da che ha acquistato una grande noto rietà la grotta di Busi, uno strano scherzo della natura in tutto somigliante alla nostra grotta azzurra di Na poli, Lissa vede qualche inglese e qualche tedesco , che però non vi dorme e si ferma soltanto due o tre ore: dall'arrivo alla partenza del battello. Di italiani poi che viaggiano per diporto, come dicevo, passano anni ed anni senza se ne veda uno. 1) Vivace è stata per molti anni e si combatte ancora la lotta fra il partito croato e il partito italiano. Ma que sto, ahimè , è andato sempre perdendo terreno, tantochè ormai, nell'antica Issa dei latini, si sente parlare assai più croato che italiano almeno per la strada. Senza scuole, isolati e senza contatti, non è stato possibile lottare con efficacia. Il che però non impedisce all'elemento italiano di lottare ugualmente e di contendere, come suol dirsi, a palmo a palmo il terreno. Uno dei vivaci incidenti rela
1) Vedi Vico MANTEGAZZA: L'altra sponda (esaurito). Milano, 1905. MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 24
tivo a tale lotta del quale era ancora viva l'eco quando anni sono visitai l'Isola era stato quello per il busto di S. M. l Imperatore Francesco Giuseppe, collocato in una piazza della città in occasione del cinquantesimo anniver sario del suo regno. Le discussioni relative alla lingua nella quale doveva essere redatta l'iscrizione furono così vivaci, che l'unica soluzione possibile, e che si adottò, fu quella di mettere sotto il busto soltanto la data del giu bileo. Non si potè nemmeno appigliarsi al mezzo termine di porvi le sole iniziali del nome dell'Imperatore, perchè, anche quelle sono diverse nella lingua croata e nell'ita liana. Ma la questione risorse per la cerimonia del colloca mento della prima pietra, a proposito della pergamena. Pareva l'accordo si fosse ottenuto dando al parroco l'inca rico di redigere in latino ciò che doveva essere scritto sulla pergamena, quando, all'ultimo momento, i croati vol lero assolutamente vi fosse lo stesso testo anche nella loro lingua. E così fu fatto. Cosicchè accade ora che per un monumento senza iscrizione.... ve ne sono invece due sotto le fondamenta.
Le relazioni personali però, almeno fra le persone di una certa classe sociale, sono, secondo quello che ho potuto constatare allora, abbastanza cordiali, tanto che fu il dottor Dojmi, il capo allora del partito auto nomo, nella cui famiglia la carica di podestà è rimasta per cinquant'anni, che mi condusse dal Podestà, il ca valier Topich, proprietario della Compagnia anonima di navigazione e capo del partito croato a Lissa.
Però non mi sembrò nemmeno lui molto contento del Governo essendo stato di recente condannato ad una multa. Curioso paese l Austria dove non si transige dav vero in tutto ciò che concerne l'autorità e il suo presti gio. Il signor Topich' non aveva naturalmente commesso nessun delitto, non aveva preso parte a nessuna dimo
La multa al Podestà 187 strazione, nè proferito il più piccolo grido sovversivo. Ma, in un ricorso alla Luogotenenza si lamentò, che questa faceva «oggetto di persecuzione» il comune di Lissa. E tale frase bastò perchè l'autorità giudiziaria imbastisse subito un processo, finito con la sua condanna a una ammenda di 400 corone. È rimasto Podestà.... Ma ha dovuto pagare!
Che risorsa per l'erario, se si potesse applicare an che da noi un simile sistema !
Dal Topich, il quale naturalmente parla in italiano come me e voi, bisognava poi andare in tutti i moldi come depositario della chiave che apre il cancello del piccolo cimitero, dove furono sepolti i caduti austriaci di Lissa. Prima però di andare al cimitero ci siamo fermati un po' in casa del Topich a vedere un certo nu mero di proiettili raccolti qua e là sui monti dopo la battaglia, ed altri pochi avanzi di quella giornata. Di un grande tavolo di noce del Re d'Italia sbattuto sulla riva qualche giorno dopo il combattimento, egli si è fatto fare un piccolo tavolino che ha collocato nel suo studio. Ivi ho anche veduto due carte nautiche apparte nenti esse pure al Re d'Italia e trovate dopo alcuni giorni in un tubo di latta, galleggiante a poca distanza dalla spiaggia. È tutto ciò che rimane ora a Lissa come ricordo dell'infausta giornata! Pochissimi altri oggetti venuti a galla, furono mandati al museo di Pola. Nei giorni nei quali ero in Dalmazia, si parlava molto di una società che aveva domandato la concessione di poter procedere alla ricerca del Re d'Italia, onde ripescare la nave e tutto ciò che ancora si potesse trovare, tanto più che pare or mai assodato vi fosse a bordo in specie metallica una forte somma. Si sa il punto preciso dove la nave affondò, e in quel punto la profondità è di circa 200 metri. In tanto qualche cosa in questo senso era stato appena fatto
nell'insenatura di Smokova, dall'altra parte della baia di Lissa, dove, nella battaglia del 1811, la squadra inglese affondò la fregata francese Favorite. Da quella parte la profondità è assai minore e qualche volta, a mare calmo, i pescatori vedono i cannoni dai quali sono spesso la cerate le loro reti, rendendo così difficile la pesca in un posto dove il pesce abbonda. La fregata affondò a circa 100 metri da terra e a 30 metri di profondità. Nel 1902 il vice-ammiraglio Kipper, andato a Lissa con la squa dra Austro-Ungarica, dopo quindici ore di lavoro e con il concorso di abili palombari riuscì a estrarre due grossi cannoni, che sulla nave Hasbourg furono trasportati a Pola e collocati nel museo di quella città. La catastrofe della Favorite, la nave ammiraglia francese, avvenne il 13 marzo 1811. La Favorite sulla quale perì l'ammiraglio Dubordieu si trovò a combattere un duello terribile con la nave ammiraglia inglese, il Belpoul.Vedendo la sua nave in procinto di cadere in mano al nemico, il comandante diè fuoco alla Santa Barbara per farla saltare in aria facendo rotta verso Smokova. La flotta inglese era al comando dell'ammiraglio Hoste, e portano ancora il suo nome tanto uno dei forti di Lissa come il piccolo isolotto all'entrata della baia.
Per recarsi al cimitero ov'è la tomba dei caduti au striaci, appena usciti dalla città, a sinistra di chi guarda verso l'imbocco della baia, si prende la strada che corre parallela alla riva. Di quando in quando s'incontrano re sti di vecchie mura romane, le quali attestano ancora oggi l'importanza che gli antichi davano a quest'isola le cui fortezze, contro il parere del Tegetthoff, sono state ab bandonate che fu da taluni chiamata la Malta del l'Adriatico e che, in antico, servì di stazione alle flotte del laRepubblica e dell'Impero romano. Nell'antica Lissa pare sorgessero allora teatri e arene grandiose, fra le cui
I morti di Lissa 189
rovine fu trovata la colossale statua in marmo dell'Im peratore Vespasiano, ora nel museo di Corte a Vienna. Senza dubbio, dal punto di vista archeologico, sarebbe interessantissimo fare degli scavi. Ma nessuno se ne oc cupò. E il Governo che lasciò nel più completo abbandono gli scavi di Salona, della città cioè che fu la grande ca pitale della Dalmazia, meno che mai crede di dover pen sare alle antichità di Lissa.
La povera città che, malgrado il suo croatizzamento, conserva ancora tutto l'aspetto di una città veneziana con le sue case a tetto piano e i campanili delle sue chiese a piramide, è in continua decadenza.
C'na chiesetta, anch'essa col campanile a piramide, sorge vicino al cimitero nella piccola penisola che si distacca dalla terra a poche centinaia di metri dall'abi tato. La chiesa è affidata a tre frati dei Minori Conven tuali, incaricati altresì della sorveglianza del cimitero.
Il Leone di Lissa, il piccolo monumento riprodotto su tutte le guide della Dalmazia, eretto sulla tomba dei caduti, è una povera cosa. Insieme ai resti degli artiglieri e dei marinai austriaci, fu pure seppellita una gamba riconosciuta di marinaio italiano dalla calzatura. È tutto ciò che di italiano fu trovato da questa parte dell'isola. Pare che i pochissimi cadaveri dei nostri, ripescati al di là dei monti che chiudono questa baia, siano stati sot terrati a Porto Chiave, sulla costa orientale dell'isola, dalla parte che guarda l'Italia!...
Lì, a poca distanza dal Leone di Lissa, e di un altro modesto monumento agli artiglieri, mi ha colpito su di una lapide il nome di Nicolò Machiavelli. Si dice non so con quale fondamento che la famiglia Ma chiavelli di Lissa discenda da quella dell'autore del Prin cipe. Naturalmente di tale illustre discendenza è più degli altri convinto il capo di questa famiglia a Lissa, al quale,
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dopo, sono andato a far visita, nella sua modesta casetta in riva al mare, dall'altra parte della baia ; casetta sulla cui porta spicca lo stemma della famiglia da cui uscì il grande fiorentino. All'epoca delle lotte vive, cui ho ac cennato, fra italiani e croati, i primi facevano apposta a far firmare sempre da un Nicolò Machiavelli tutti i ricorsi alle autorità. E lo facevano firmare scrivendo a caratteri cubitali, sopratutto dopo che si erano accorti che quel nome di un grande italiano dava terribilmente sui nervi ai croati.
Fatta la visita al cimitero ho ripreso la strada che conduce prima al forte Bertiny, costruito dagli inglesi nel tempo in cui furono padroni dell'isola, all'epoca delle guerre napoleoniche, e poi al forte Georges, esso pure inglese, e che, il giorno prima della battaglia, era stato ridotto al silenzio dai cannoni della nostra flotta. I due forti sono ora abbandonati!
Sulla strada che conduce al forte Georges un altro ricordo richiama l'attenzione. È un sedile sul quale soleva riposarsi, rimanendovi parecchie ore a studiare ed a leggere, dopo aver fatto la consueta passeggiata, quando era a Lissa con la sua squadra, il commodoro Bandiera. Il Dojmi che mi accompagnava mi diceva che i suoi vec chi ricordavano benissimo di avere veduto più volte l'am miraglio seduto su quel sedile rinnovato anche recen temente, secondo il desiderio da lui espresso prima di morire circondato da suoi due figli Attilio ed Emilio, i quali dovevano più tardi fare così nobile olocausto della loro vita all'ideale della patria! Ricordavano benissimo quando partirono, le prime notizie giunte intorno ai loro propositi, poi quella del loro arresto, e l'emozione susci tata in tutta Europa per la loro tragica fine, e per quel grido di Viva l'Italia che proruppe dai loro petti an che di fronte alla morte !...
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Lasciato il forte Georges, siamo ritornati sui nostri passi per recarci a vedere i forti dall'altra parte fino alla punta opposta dove sorge su un'altura il forte Wel lington, e giù, quasi al mare, il piccolo cimitero inglese, dove furono seppelliti i morti della battaglia del 1811, e l'anno dopo anche il comandante Charles Handsome,mor to nel combattimento fra il Virfuos e il Rivoli vicino a Venezia. Dopo lo scontro il Virtuos appoggiò a Lissa per dare sepoltura alla salma del valoroso marinaio.
Lì, a pochi passi dal cimitero, sotto il forte ora sman tellato e anch'esso completamente abbandonato come tutti gli altri, sorge in riva al mare, mezzo nascosta fra gli alberi, la graziosa villetta del Podestà di Lissa: e non è improbabile che presto qualche altra villa possa sor gere anche più su, dove c'è ancora la fortezza, e che an che il forte venga destinato a qualche uso tutt'altro che bellico. A mezza strada fra la città e la punta ove sorge il forte Wellington è stata già trasformata in una casa di ricovero la caserma annessa una volta al forte della batteria Madonna, la batteria che il giorno prima della battaglia lottò contro la Formidabile arrivata fin quasi in porto, al comando del Saint-Bon, ma la cui ar tiglieria non tirava con troppa esattezza, per cui il forte non fu danneggiato. In generale sono i conventi che di ventano caserme: qui è accaduto l'opposto. E dove una volta era un continuo viavai d armi e d'armati, ora le buone suore confortano, con la fede e con le assidue cure che solo esse sanno prodigare agli infelici, ai derelitti, ai poveri ammalati e ai vecchi ivi ricoverati. Ho voluto salire a fare una visita anche a questo Pio Istituto sul quale però han lasciato ancora scritto come prima, e na turalmente in italiano, Batteria Madonna, per cui, fino a quando non vi viene incontro qualche monaca, tutto po treste immaginare tranne di essere in una casa di rico
vero. E dopo aver percorso tutte le sale e i dormitori, passando su di una ringhiera che ancora oggi, come forse nel 1866, la riunisce al caseggiato, sono andato sulla spianata dove era la batteria; ma qui, ora, dove circa quarant'anni fa luccicavano al sole degli strumenti di guerra, vi sono invece dei fiori coltivati con amoro sa cura dai vecchi ricoverati. Otto piattaforme sulle quali erano collocati i cannoni, che si facevano girare per di rigere il fuoco contro le navi nemiche, sono state con vertite da queste buone suore in altrettante aiuole.
All'esterno però e ad una certa distanza, venendo dal mare o uscendo dalla baia, tanto la Casa di Ricovero come la spianata della batteria, conservano ancora tutto il loro carattere militare.
Sullo stesso Jason che mi aveva condotto la sera pri ma a Lissa, ne ripartii l'indomani nelle ore del pome riggio e mentre il battello sfilava per l'appunto a poca distanza dalla Batteria Madonna, dopo aver lasciato die tro di sè il cimitero austriaco, e passava quindi dinanzi al cimitero inglese, io pensavo melanconicamente ai no stri morti di Lissa, cui furono tomba le fredde profondità del mare! Pensavo che mentre il soldato di terra, cada sul suolo della patria o sul suolo nemico, è sempre certo di avere onorata sepoltura, dove i suoi potranno an dare a piangere e a pregare, non ha questo conforto il marinaio. E mi domandavo come mai, non essendo stato possibile di ritrovare le spoglie dei caduti, non si sia ancora pensato - o se ne sia abbandonata l'idea dopo che qualche proposta era stata ventilata ad erigere un ricordo, sia pure modesto, alla memoria degli italiani caduti in quella giornata, per l'appunto nell'isola di Lissa, dove certamente sarebbe religiosamente custodito dalla cavalleresca pietà dei nemici di un tempo, per quello stesso alto e nobile sentimento pel quale, sui campi di
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Durazzo.
Il pontile di sbarco a Vallona.
La fortezza che sbarra l'ingresso di Cattaro. FT.
Le gole di Cattaro.
FTL'opinione pubblica dopo l'incidente del Manouba,, 193 Solferino e di San Martino, l'Italia ha dato sepoltura e ha alzato un ricordo a tutti i caduti in quelle battaglie. Il nemico di allora è doventato oggi uno dei nostri alleati, e le due flotte che, quasi un mezzo secolo fa, si trovarono l'una di fronte all'altra, sono, come si è ve duto dai discorsi e dalla politica seguita a Londra ed a Parigi, le due marine che, nell'ipotesi di una guerra na vale, combatteranno una a fianco dell'altra. L'incidente del Manouba, la soluzione che siamo stati costretti a subire, la ostilità manifesta della Francia contro di noi, durante tutta la guerra libica, la connivenza delle autorità francesi in Tunisia con i turchi che da quella parte facevano passare in Tripolitania uomini, armi e munizioni per i nostri nemici, hanno d'un tratto mu tato anche quella parte dell'opinione pubblica in Italia che era sempre stata contraria alla Triplice Alleanza. Vi è stato un momento nel quale l'Alleanza con l'Austria era anzi doventata popolare, ed il risentimento contro la vicina Repubblica vivissimo diede luogo a manifesta zioni, certamente inopportune, ma di non dubbio signifi cato. In parecchi cinematografi, la comparsa del Presi dente della Repubblica nella riproduzione di avvenimenti e scene d'attualità fu accolta da fischi e da invettive. Dimostrazioni, ripeto, quanto mai inopportune, ma per fettamente spiegabili quando si pensa all'atteggiamento del Presidente della Repubblica, al giustificato risenti mento nostro, e si ricorda, che senza vi fosse stato dato da parte nostra il menomo pretesto, e mentre avevamo ragione di credere alla reciproca amicizia dei due paesi, per le vie di Marsiglia, durante la nostra guerra si gridò più volte: viva i Turchi, abbasso l'Italia. Il 6 dicembre un breve comunicato dell'Agenzia Stefani ánnunziò il rin novamento della Triplice Alleanza. Tale rinnovo anti
MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 25
cipato, poichè il trattato scadeva nel giugno del 1913, che, in altre circostanze, avrebbe suscitato polemiche vivacis sime, fu accolto dall'opinione pubblica in Italia come una assoluta necessità. Se ne discusse largamente e, non man .carono, naturalmente, le critiche. Ma le critiche riguarda rono quasi esclusivamente il modo col quale fu rinnovata senza cioè alcun mutamento al testo del Trattato come diceva nella comunicazione ufficiale dei Governi alleati fatta al pubblico pel tramite delle Agenzie tele grafiche. Si credeva nei circoli politici, e le polemiche svoltesi presso a poco in quell'epoca avevano contri buito a farlo sperare, che rinnovando la Triplice Allean za, qualche cosa sarebbe stato aggiunto nel Trattato a proposito del Mediterraneo. 1)
1) La nuova situazione creata dalla nostra occupazione della Libia e dalla guerra balcanica, ha richiamato più che mai l'attenzione sulle rispettive forze navali degli Stati mediterranei e delle marine alleate: quelle dell'Austria-Un gheria e dell'Italia unite oramai da un comune interesse. Mentre prima i con fronti fra le due marine si facevano sempre pensando alla possibilità di un conflitto.... malgrado l'alleanza; adesso questo confronto è fatto mettendolo in relazione alle forze navali della Francia. Limitando codesto confronto alle sole dreadnoughts e dopo aver constatato che, alla fine del 1913 per la maggiore ce lerità con la quale l'Austria-Ungheria costruisce le sue navi, essa ne ha da più di un anno in servizio due, mentre noi non abbiamo che la Dante, si prevede che alla fine del 1915 la Francia ne avrà in servizio sette, l'Austria quattro e l'Italia sei (Dante, Giulio Cesare, Cavour, Leonardo da Vinci, Doria e Duilio). Ma la Francia sta attuando con la più grande rapidità il suo programma di nuove costruzioni,per cui la proporzione sarà molto diversa e avrà una superio rità di due dreadnoughts su quelle dell'Italia e dell'Austria riunite al principio del 1918. La Francia avrà cioè venti dreadnoughts di fronte alle dieci dell'Italia, se non avvengono ritardi nelle nostre costruzioni,e alle otto dell'Austria-Ungberia. Nella relazione del bilancio della marina per l'esercizio finanziario 1914-1915 l'on. Di Palma accenna anche alla situazione quale può prevedersi fino da ora per il 1920. La Francia egli scrive in base alla sua formula minima di due nåvi all'anno, potrà dal 1917 al 1920, impostare altre otto unità.
L'Italia dal 1918 al 1920, in base alla formula consacrata nella relazione mi nisteriale a questo stato di previsione di una grande nave all'anno potrà provvedersi di altre tre unità.
L'Austria, che in confronto dell'Italia avrà un anno di anticipo, imposterà e costruirà dal 1917 al 1920 altre quattro unità.
Il rinnovo della Triplice 195
Sull'anticipato rinnovo del Trattato la Gazzetta di Co lonia pubblicava il giorno dopo, il seguente comunicato :
I motivi che hanno determinato i governi alleati a pubblicare, precisamente nell'attuale momento, il rinnovo della Triplice Alleanza, non possono essere altro che il desideriodi fornire di nuovo al mondo, prima che si aprano i negoziati di Londra (per la pace balcanica),una prova lampante della loro perfetta intesa e di ridurre al nulla tutti i calcoli e le induzioni sui dissensi eventuali fra le Potenze della Tri plice. Si vuole mostrare che questo aggruppamento si presenta con una perfetta coesione, nel momento nel quale sta per svilupparsi la situazione politica.
6. Il fatto che l'alleanza è stata rinnovata senza alcuna modifica zione, rende, per il momento, vane tutte le discussioni relative al l'eventuale estensione del Trattato d'alleanza a mezzo di una con. venzione navale relativa al Mediterraneo. Ignoriamo del resto se fra i tre Governi alleati è stata iniziata una discussione su questo ar gomento ,
L'intonazione dell'ultima parte del comunicato ufficia le tedesco tenderebbe a far credere di no. Anzi a far credere a dirittura che una tale discussione non sarebbe stata nemmeno troppo gradita a Berlino.
Sicchè, confrontando le tre marine al 1920, si può fin da ora prevedere: Francia . 28 dreadnoughts 1920 Italia 13 25 Austria. 12
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Le due flotte alleate quindi, per quanto riguarda l'equilibrio navale del Me diterraneo, non sono ora e non saranno al 1920, mantenendosi le attuali previ sioni, in condizioni di sensibile inferiorità.
Volendo valutare la efficienza individuale della flotta italiana, in confronto di quella di ognuna delle due flotte la francese e l'austriaca si arriva a conclusioni che noi riteniamo meritevoli di essere vagliate, in tempo, dal Go verno e dal Parlamento.
Al 1920, la marina italiana, in confronto di quella francese, si troverebbe con tredici dreadnoughts di fronte a ventotto unità dello stesso tipo, in un rap porto, cioè, al di sotto di UNO A DUE.
E per quanto si riferisce all'Austria, lo srolgimento delle due flotte è quasi uguale e parallelo.
Senza superflui commenti conclude l'on. Di Palma senza esagerazioni e senza pessimismi, ma con un sereno esame dei fatti e della situazione, ab biamo creduto prospettare la realtà quale risulta oggi, e quale si prevede sarà fra qualche anno.
Il che non ha impedito che la saldezza della Triplice alleanza si sia manifestata per l'appunto sulle questioni del Mediterraneo; poichè la questione dello sbocco serbo nell'Adriatico, collegata così strettamente a quella del l'Albania, ed alla delimitazione dei confini del nuovo Stato, erano di una eccezionale gravità, e sono state di così difficile soluzione, appunto perchè sono tutte que stioni dalle quali dipende la situazione dell'Italia nei mari che la circondano, e delle due grandi Potenze Adriatiche, l'una di fronte all'altra.
La prima, e, da un certo punto di vista la più grave delle questioni che si presentarono durante lo svolgersi degli avvenimenti balcanici, e, subito, nelle prime setti mane, fu quella dello sbocco serbo nell'Adriatico. Ap pena si vide cha la Serbia vittoriosa avrebbe spinto il suo esercito fino al mare, e, sopratutto dopo le ripetute dichiarazioni del Pascich contro l'autonomia albanese l'Austria assunse un atteggiamento ostile contro il vicino regno. L'Austria-Ungheria rassegnata a vedersi chiusa per sempre la via di Salonicco, mèta costante della sua po litica dal Trattato di Berlino in poi, non poteva ras segnarsi a vedere sorgere una grande Serbia, veramente indipendente, con uno sbocco sul mare, e che avrebbe esercitato una grande attrazione su tutti gli elementi slavi della monarchia dualista, già plaudenti alle vittorie del l'esercito di Re Pietro. Verso la fine di novembre il con flitto austro-serbo si acuì. Da Vienna, la guerra fu mi nacciata, apertamente, ove la Serbia avesse insistito nel volere uno sbocco in territorio proprio cioè imposses sandosi di una parte dell'Albania anzichè acconten tarsi di uno sbocco commerciale che l'Austria-Ungheria era disposta a consentirle.
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L'Italia si trovò, in quel momento in una posizione non facile. Le simpatie del Paese erano tutte per la
L'Italia e il conflitto austro-serbo 197
Serbia e per il Montenegro. Ma conveniva a noi separarci dall'Austria, e, sopratutto, correre il rischio che potesse finire per agire da sola? E conveniva a noi di lasciare Serbia e Montenegro, e poi la Grecia, impadronirsi del l'Albania, o ridurla a uno stato talmente minuscolo, che avrebbe poi finito con l'essere a sua volta assorbito?
Per quanto riguarda lo sbocco serbo al mare, l'opi nione pubblica fu molto discorde, e qualche esitazione il governo italiano la ebbe, ma finì per aderire al program ma austriaco, e per associarsi ai passi che in quella oc casione furono fatti a Belgrado. Solamente fu assai di versa l'intonazione nostra e quella di Vienna; malgrado non sempre lo abbiano voluto riconoscere in Serbia. Non solo ebbe una intonazione diversa a Belgrado, ma si adoperò in tutti i modi a rendere meno aspro il dissidio, sia a Vienna come nelle altre capitali, secondo il pro gramma in certo modo riassunto nella seguente nota uf ficiosa comparsa nella Tribuna del 16 novembre rispon dendo ad alcuni giornali che avevano accennato, per l'ap punio, a preoccupazioni, per la posizione dell'Italia, di fronte alla questione austro-serba.
No, diceva la nota, l'Italia non si è messa con gli occhi bendati e con le mani legate dietro la strada di alcuno. Essa coordina la sua azione a quella delle altre Potenze e in prima linea delle sue alleate, ma senza la minima rinunzia alle proprie idee e ai propri interessi e secondo il principio non solo chiaramente formulato ma applicato anche nell'azione. L'Italia è stata la prima a riconoscere la necessità dell'applicazione alla nuova situazione balcaniea del principio delle nazionalità senza riserve e limitazioni e non è stato già in omaggio ad altri e contro volontà che essa ha voluto l'estensione del principio all'Albania, mantenendo con questa e coordinando la sua po litica tradizionale.Sospettare che, appunto oggi, quando fra l'Austria e l'Albaniasivengonoafrapporrenuovi territoriserbo-montenegrini,l'Al baniaautonoma possadiventare un segreto feudo dell'Austria,è assurdo e noi abbiamo del resto ragionedi credere che, rispettando le intese sta bilitenelpassato, l'Austriaaccetteràperl'Albaniaunacondizionedicose in cui gli interessi dell'Italia si trovino in perfetto equilibrio coi suoi.
66
66 Essa non potrebbe mai, nonchè aiutare o incoraggiare, nemmeno permettere una politica economica e finanziaria che tendesse in qua lunque modo a limitare i diritti della Serbia ad un'evoluzione ed espansione economica autonoma. Non potrebbe permetterlo, nè per l'amicizia che essa nutre per la Serbia, nè per isuoi stessi interessi. Sino infatti dall'inizio della crisi, essa ha agito in questo senso e con ogni soddisfazione e sarà forse dovuto in non piccola parte all'azione che essa ha potuto esercitare mediante i suoi intimi e cordiali rap porti con gli alleati, se alla Serbia potrà essere assicurato sull'Adria tico uno sbocco commerciale al di fuori e assolutamente indipendente da quelli austriaci, e 999 Tutti d'accordo, dal momento che non si voleva asso lutamente lo smembramento dell Albania, nel non consen tire alla Serbia di avere uno sbocco a Durazzo 1) che è uno dei suoi centri più importanti. Ma, allora, se non vi fossero state considerazioni di politica generale, forse, l'Italia avrebbe potuto mostrarsi meno intransigente, qua lora per codesto sbocco serbo fosse stato scelto un al tro punto, per esempio, San Giovanni di Medua. Dico, allora, perchè in quel periodo -- novembre-dicembre non pareva dubbia la caduta di Scutari in mano dei mon tenegrini, e la striscia di terra che avrebbe dovuto con giungere la Serbia al mare avrebbe avuto da un lato il nuovo confine montenegrino. Lasciata invece Scutari al l'Albania non sarebbe più stata possibile una soluzione di questo genere che avrebbe completamente diviso il nuovo stato in due parti, isolando completamente il ter ritorio di Scutari.
L'on. di San Giuliano nel suo discorso del 23 febbra io 1913 nella discussione del bilancio degli esteri difese efficacemente la politica dell'Italia; per quanto riguardava il suo atteggiamento di fronte alla Serbia..
Lungi dal fare, egli disse, cieca opposizione alle aspirazioni della Serbia come fu detto da un oratore
« 1) Oggi capitale del nuovo Stato.
Il pericolo slavo 199
di cui vogliamo l'indipendenza politica ed economica, abbiamo cercato e cerchiamo, coi nostri consigli e col l'opera nostra, di preservarla dai pericoli, ai quali la esporrebbero eccessive pretese, ed abbiamo efficacemente contribuito ad assicurarle l'uso libero e sicuro di quella ferrovia attraverso l'Albania e di quel porto sull'Adria tico, per cui passeranno anche, in crescente misura, i nostri commerci.»
La Camera diede non dubbi segni di approvazione a queste parole del Ministro. Credo che nelle polemiche svoltesi in quei giorni si sia molto esagerato nell'insistere sul pericolo slavo nel l Adriatico. Che un giorno o l'altro i serbi debbano fi nire per affacciarsi in questo mare, sembra oramai ine vitabile. Al Montenegro la corrente favorevole all'unione con la Serbia va facendosi ogni giorno più forte. Anche fra le persone più devote al vecchio Re parecchi vedono nell'unione la sola soluzione possibile, alla quale, dicono, non si può pensare ora, fino che vive Re Nicola ma che, fatalmente, si imporrà alla sua morte. L'Austria, molto probabilmente, non assisteràpassivamente a codesto nuo vo ingrandimento della Serbia, contro il quale ha già inco minciato a lavorare attivamente, cercando di attirare a sè il Re, e contando sull'interesse dinastico che, natural mente, deve spingere quest'ultimo per altra via. Se l'u nione dei due paesi serbi si avverasse, la Grande Serbia avrebbe un meraviglioso sbocco in quel porto di Anti vari che una società italiana ha costruito, e collegato con una ferrovia al Lago di Scutari. Sintomatico relativamente a tali preoccupazioni della politica austro-ungarica, e all'indirizzo 'energico che le si vorrebbe dare, specialmente dall'elemento militare, sono le polemiche svoltesi durante la guerra balcanica a pro posito del Löwcen, polemiche che provocarono un vibrato
telegramma di Re Nicola a un giornale francese, per pro testare fieramente contro le voci di una cessione all'Au stria, e che si sono rinnovate con maggiore intensità nel marzo di quest'anno (1914).
Il Monte Löwcen sul confine austro-montenegrino, do mina da una parte le Bocche di Cattaro e, dall'altra, Cet tigne. Il che vuol dire che, volendo fare di Cattaro una grande base navale, questa sarebbe esposta ai tiri dei cannoni montenegrini, o dei cannoni serbi, il giorno nel quale l'unione dei due paesi fosse un fatto compiuto: Il possesso del Löwcen da parte dell'Austria, le permet terebbe di avere una base navale sicura, nel bacino meri dionale dell'Adriatico, e, intanto, di tenere a dovere sotto la perenne minaccia dei cannoni puntati contro la sua capitale, il Montenegro. Le polemiche che si svolsero nel la stampa europea durante la guerra balcanica, quan do pareva che l'Austria non si sarebbe opposta a la sciare Scutari al Montenegro, purchè, a sua volta, il Mon tenegro le cedesse il Löwcen, han ripreso (marzo 1914) dopo la pubblicazione di un sensazionale articolo della Militarische Rundschau nel quale era detto che l'Au stria si disponeva ad insistere per la cessione del Monte Löwcen. Un altro giornale, il Neues Wiener Journal, al giornale militare, che se non è ufficioso nel vero senso della parola, è però sempre l'interprete del pensiero e delle opinioni degli alti circoli militari, fece subito eco rincarando la dose, dicendo che il Löwcen montenegrino è un pericolo per la monarchia e che non bisogna di menticare che il Montenegro può essere l'avanguardia della Russia, la quale trama sempre nell'ombra. Terminava il suo articolo con queste testuali parole: « Il Löwcen deve essere austriaco: è una questione di dignità e di tranquillità per l'Austria-Ungheria ». Dopo parecchi giorni, quando dopo la stampa austro
Le idee dell'ambiente militare 201 non
ungarica, la questione incominciò a trattarsi anche nei giornali italiani, venne la smentita abbastanza recisa del Fremdenblatt. 1) Ma se la smentita del giornale ufficioso, ha un valore per quello che riguarda il Governo ; rimane men vero per questo che la Militarische Rund schau si è fatta, anche in questo, l'eco delle idee dello Stato Maggiore e, da questo punto di vista, data l'influen za che l'alto mondo militare esercita sempre sulla politica dell'Impero, l'articolo in questione, non cessa dall'avere importanza e un significato sintomatico. Vi è da pa recchio tempo in Austria un dualismo che indarno si cerca nascondere, fra il Governo che in più occasioni ha dimo strato di voler fare una politica prudente, e lo Stato Mag giore, che invece, pare volerlo spingere sempre a riso luzioni estreme. Il congedo e il richiamo del Conrad a distanza di tempo relativamente breve, sono incidenti trop po recenti perchè sia necessario di rilevarne il significato. Oggi è la corrente diremo così politica, borghese che ha il sopravvento: ma domani potrebbe averla di nuovo l'e lemento militare.... e il Fremdenblatt non potrebbe più forse smentire.
Ora, la questione del Löwcen, ed è certamente deplo revole sia stata risollevata, alla vigilia del convegno del nostro ministro degli esteri con il conte Berchtold è una questione riguardante solamente l'Austria: ma è questione internazionale, e che, in modo speciale, poi interessa il nostro paese, poichè permettendo la creazione di una grande base navale austro -ungarica a Cattaro, tur berebbe quell'equilibrio dell'Adriatico che è la base della nostra intesa col vicino Impero, dandole una forte supe
non
1) Siamo informati, scriveva il Fremdenblatt del 31 marzo, che le no tizie dei giornali, secondo le quali negli ultimi tempi sarebbero state interrotte le trattative riferentesi alla cessione del Löwcen all'Austria-Ungheria da parte del Montenegro, corrispondono tanto meno ai fatti , in quanto che tali trattative non hanno avuto luogo affatto.
MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 26
riorità nel bacino meridionale di questo mare. Tanto più se si tien conto, che i giornali ai quali si è accennato, e quindi i circoli dei quali rappresentano le idee, non si contentano di reclamare il Lovcen, ma domandano al Governo che l Austria si impadronisca anche del Sozina che sovrasta a Spitza e ad Antivari, destinato a doventare il porto della Grande Serbia, il giorno nel quale avverrà l unione. Si comprende facilmente, come l Austria voglia e miri a premunirsi fin da ora pensando a tale eventua lità. Ma, un simile atteggiamento finirebbe per compro mettere l'accordo, raggiunto attraverso tante difficoltà fra le due Potenze Adriatiche, e che, giovando, tanto all'uno che all'altro, deve essere mantenuto, anche se, per tale accordo, l'una e l'altra debbono imporsi dei sacrifici, e se in certe date questioni si hanno vedute non comple tamente uguali, come, per esempio, nella questione degli Slavi nell'Adriatico.
È veramente così grave per noi il pericolo dell'affac ciarsi di un popolo slavo nel bacino meridionale del l'Adriatico? Che simile eventualità abbia preoccupato e preoccupi gravemente Vienna si comprende perfettamente. Non già perchè come si ripeteva allora - il porto serbo possa un giorno doventare un porto al servizio della Russia. I popoli giovani, appena arrivano a un certo grado di sviluppo, hanno sempre troppa tendenza a fare a meno dei loro antichi protettori, perchè si possano ri tenere fondati tali timori. Ma per il fatto al quale ho già accennato, che cioè una Grande Serbia, risveglierebbe ancora più lo spirito d'indipendenza, e intensificherebbe certamente il novimento di rivendicazione dell'elemento slavo nella monarchia dualista. La situazione non è la stessa per l'Italia, dal punto di vista della sua posizione nell'Adriatico, minacciato da altre genti che mirano ad affacciarvisi all'altra estremità: nel bacino settentrionale.
La Più Grande Germania ,, 203
Nel pangermanismo, la cui propaganda doventa sempre più attiva, non solo al di là ma anche al di qua dei nostri confini nord-orientali, come non vedere un grave pericolo che ci minaccia? In Germania, ed ai nostri con fini, si sa bene che vasto programma comprenda il pan germanismo! A centinaia di migliaia sono distribuite nelle masse le pubblicazioni di propaganda che additano aper tamente i nomi delle città italiane di Trieste ! che devono finire per far parte della Gran Patria Germanica, mentre a migliaia sono distribuite le carte suggestive 1) nelle quali il colore indicante le terre germaniche arriva fino all'Adriatico e mentre apertamente in Germania si combatte l'italianità di Trieste e non si vuole l'Università, perchè quella è la città da dove la Più Grande Germania deve un giorno affacciarsi al mare nostro ed essere lo sbocco della razza tedesca nell'Adriatico, come Amburgo lo è nel Mare del Nord! I ferventi apostoli della nuova fede la chiamano già l Amburgo dell'Adriatico!
Il secolo scorso è stato il secolo delle nazionalità, ma già negli ultimi anni suoi, e dopo che tante nazionalità s'erano ricostituite ed ebbero ripreso vigore, si disegnava all'orizzonte un'altra lotta, che forse sarà la caratteristica di questo secolo ventesimo; la lotta delle razze che cercano di soverchiarsi l'una con l'altra - e non in Europa sol tanto. E non è chi non veda come la razza germanica miri alla egemonia in Europa, e come vagheggi il sogno d'una ricostituzione del Sacro Romano Impero, natural mente con mutate e con più moderne forme, ma con l'antico concetto dell'Impero Universale o per lo meno del suo assoluto primato.
Sono ben strane e caratteristiche, a questo proposito, le parole che il geniale imperatore tedesco pronunziava
1)
Riprodotte nell'Altra Sponda già citata.nell'ottobre del 1900 posando la prima pietra del museo romano a Salisburgo. Alludendo al Castello dei cavalieri dell'Ordine Teutonico a Marienburg così diceva:
" Allo stesso modo che all'est della monarchia, il maniero colossale dei cavalieri che propagarono nel tempo andato la civiltà germanica al di là del confine, ricostituito per ordine dell'imperatore Federico III, è simile alla fenice che risorge dalle sue ceneri, si erge sulla cima di questo seducente Thaurus il vecchio castello romano. Esso fu testi monio della potenza romana, fu un anello di quella catena di bronzo che legava le legioni di Roma al potente impero, di quelle legioni che sull'ordine di un Imperatore romano, di un Cesare Augusto, im ponevano la loro volontà al mondo e aprivano l'universo intero a quella civiltà romana cosi benefica per i germanici.
E così concludeva :
Col primo colpo di martello io consacro dunque questa pietra all'imperatore Federico; col secondo la consacro alla gioventù tedesca, alle generazioni che sorgono e che potranno imparare nel nuovo mu seo ciò che significa un Impero Universale; col terzo la consacro al l'avvenire della nostra patria tedesca. Possa essa nel futuro, con la cooperazione di Principi e di Popoli, delle sue armi e dei suoi citta dini, diventare così potente, cosi fortemente unita, cosi straordinaria come l'Impero Romano Universale, cosi che venga un giorno nel quale, come si diceva una volta: civis romanus sum , si dica: sono cittadino tedesco 790
Parole queste che, se dimostrano quale alto concetto abbia l'Imperatore della sua missione di Sovrano tede sco, debbono però dare grandemente da pensare a que sta latinità minacciata e che, certamente, a suo tempo, non debbono aver prodotto una impressione lusinghiera nemmeno nell'Impero a noi vicino, dove sono abbastanza numerosi coloro che non si fanno illusioni sugli scopi cui tende la politica iniziata dal Principe di Bismarck, quando, dopo Sadowa, e quasi come compenso, spinse ed incoraggiò il vinto Impero nella sua marcia verso Oriente.
E forse, appunto per questo movimento pangerma
Bisognerebbe inventarla.... 205 nico, v'è meno conflitto di quel che a tutta prima possa apparire e si sia creduto fin qui, fra gli interessi nostri e quelli della Monarchia degli Asburgo. Per lo meno noi abbiamo tutto l'interesse che questo Impero non si frantumi, perchè i piccoli Stati che ne prenderebbero il posto non sarebbero più in grado di opporre alcuna re sistenza all'invadere della gente e delle forze germaniche e per terra e sul mare. Il celebre storico boemo, il Pa ladsky, soleva dire che se l'Austria non ci fosse, biso gnerebbe inventarla. Pensando ai suoi compatriotti, a quegli slavi del nord circondati da tutte le parti da ele menti tedeschi, egli ha compreso che senza l'Austria sa rebbero schiacciati dalla gran massa germanica. Nè di versamente accadrebbe nella parte sud occidentale del l'Impero, dove slavi e latini subirebbero la medesima sorte. È più che mai necessaria all'equilibrio dell'Euro pa questa vecchia monarchia che, malgrado i pronostici, ha resistito alle sconfitte ed alla formazione dell'Italia e della Germania. La sua scomparsa sarebbe anche per noi una tremenda jattura....
La comparsa degli Slavi nel sud dell'Adriatico , po trebbe forse, a suo tempo, controbilanciare il pericolo, del nord, e, da questo punto di vista credo farebbe giuoco all'Italia. Dal punto di vista militare non mi pare il caso di preoccuparsene, spingendo lo sguardo in un futuro remoto, e immaginando, fino da ora, una forte marina serba.
L'idea del porto serbo è stata per ora completamente scartata. Il Governo di Belgrado di fronte all'atteggia mento dell Austria e dell'Italia, al quale si associarono le altre Grandi Potenze, ha dovuto rinunziarvi, ritirando a suo tempo le truppe da Durazzo, e accontentandosi dell'impegno preso dalla Conferenza di Londra di assicu rarle uno sbocco commerciale nell'Adriatico, stabilendo
che sulla linea ferroviaria internazionalizzata che vi met terà a capo le merci serbe debbano godere « piena libertà di transito» e che le sue esportazioni ed importazioni debbano godervi «la più assoluta franchigia doganale» .
Il primo comunicato diramato alla stampa, dalla Con ferenza degli ambasciatori di Londra e che fu conside rato come la partecipazione della sua nascita, annunziò per l'appunto, l'accordo completamente raggiunto fra le Potenze per la questione albanese e quella dello sbocco commerciale della Serbia nell'Adriatico, questioni stret tamente connesse fra loro.
66 Gli ambasciatori diceva il comunicato hanno raccomandato ai loro Governi, e questi ultimi hanno accettato il principio della au tonomia albanese, oltre ad una proposta per garantire alla Serbia uno isbocco commerciale sull Adriatico. I sei Governi si sono messi d'ac cordo sui due punti,,.
Nella questione dell'Albania, le Potenze aderirono sen za difficoltà alle proposte dell'Austria e dell'Italia, cioè dei due stati interessati, e che, come è noto, erano reci procamente impegnati da un antico accordo firmato nel 11900. Con quel protocollo era stato stabilito, lo statu quo per l'Albania, e che Austria ed Italia dovessero pro cedere d'accordo ad aiutare l'Albania a costituirsi in Stato autonomo ed indipendente, qualora cessasse di essere turca. Quando quell'accordo fu concluso, per quanto fosse la soluzione meno peggio per l'Italia, pareva tuttavia più favorevole all'Austria che a noi. Più favorevole dato il modo col quale si credeva generalmente si sarebbero svolti gli avvenimenti nella Penisola. L'accordo negativo, perchè, in sostanza, da una parte e dall'altra, ci si im pegnò a rinunziare ad aspirazioni territoriali in quel pae se, fu stabilito perchè è evidente che il possesso da parte di una delle due Potenze dell'Albania e specialmente della magnifica baia di Vallona, metterebbe l'altra in una
L'accordo negativo 207
condizione di grande inferiorità marittima. Padrona l'Ita lia di Vallona essa dominerebbe il canale d'Otranto: avreb be in mano l'entrata dell'Adriatico. Padrona l'Austria già così favorita per la conformazione della Costa Occiden tale dove ha tanti punti strategici e dove le sue navi pos sono trovare dapertutto facile rifugio per ripararsi ove credono opportuno, la sua superiorità militare sareb be grandissima. L'accordo era più favorevole all'Impero alleato, perchè, allora, non pareva dubbio, che, un giorno o l'altro attraverso il Sangiacato di Novi Bazar l'Austria sarebbe scesa a Salonicco, secondo il programma che, ini ziato al Congresso di Berlino, ha cercato di svolgere sia pure a sbalzi, approfittando delle circostanze. In tal caso l'Albania sarebbe stata, come si suol dire, presa alle spalle. Anche autonoma ed indipendente sarebbe ca duta fatalmente nell'orbita sua politicamente e commer cialmente. Da parte nostra l'accordo non poteva avere che un significato: quello di prendere tempo. Gli avveni menti si svolsero in modo completamente diverso da quello che, generalmente, si prevedeva, e il resultato non avrebbe potuto essere migliore per noi. Resa impossibile la discesa dell'Austria verso l'Egeo, Italia ed Austria si trovano di fronte al nuovo Stato, a parità di condi zioni.
Sulla importanza dell Albania, e specialmente di Val lona, dal punto di vista dell'equilibrio adriatico, si è tanto detto e scritto che mi pare inutile insistervi. Ba sta un'occhiata data ad una carta qualunque di quella parte dell'Europa , per rendersene conto, e per vedere come all'importanza militare si accoppii quella commer ciale, poichè partono dai porti albanesi le grandi vie di penetrazione nella Penisola Balcanica, e le ferrovie che presto si dovranno costruire non potranno a meno di seguire queste strade tracciate dalla natura, e delle quali 2
avevano già approfittato i Romani. 1) Da Durazzo, che fu soggiorno gradito a Cicerone, quasi continuazione della via Appia che metteva capo a Brindisi, si distaccava la famosa via Egnatia, che, attraverso l'Albania e la Macedonia, arrivava a Tessalonica, la Salonicco attuale. Era la stra da essenzialmente militare, per la quale le legioni romane potevano recarsi rapidamente in Oriente. Allora Durazzo malgrado il riparo naturale che offre la baia di Vallona, aveva di questa ultima città assai maggiore importanza. Tuttavia anche a Vallona aveva principio un'altra strada, jche può considerarsi come un altro braccio della via Egnatia, perchè a questa si congiungeva a poca distanza dall'attuale Elbassan. Di quando in quando si trovano anche adesso le traccie dell'antica strada romana ab bandonata da secoli.
Tuttavia, sulla importanza dell Albania è dei suoi porti, mi pare opportuno riprodurre un giudizio solo: quello della personalità più autorevole della nostra marina, l'am miraglio Bettolo, riprodotto in una intervista pubblicata mentre fervevano le polemiche su codesta questione. Chi oserebbe mai, disse l'illustre ammiraglio, pensare che l'Italia possa tollerare che nell'Adriatico, e specie all'entrata di questo mare, sull'altra sponda, 'avessero ad impiantarsi porti militari capaci di costituire basi di operazioni e di rifornimenti le quali sarebbero certamente a nostro danno, quando fossero in mano di altre Potenze? D'altra parte, poichè Ella accenna a Du razzo ed a Vallona, giova considerare che a Durazzo la costituzione topografica ed idrografica di quelle località male si presterebbe ad un impianto navale militare di qualche importanza ed in ogni modo le spese necessarie
1) Per tutto ciò che riguarda l Albania e l'importanza di Vallona velasi L'Albania di Vico MANTEGAZZA. Bontempelli, Roma, 1912, e L'altra sponda già citata dello stesso autore.
L'importanza di Vallona 209
per ridurla in condizioni di una discreta efficienza mili tare sarebbero tali da sconsigliare la ponderosa opera. In ordine, poi a Vallona, sia per la sua postura geografica sia per le sue condizioni tipiche d'un golfo profondo, ove si potrebbero costruire opere di difesa formidabili e tutto quant'altro occorrerebbe per ottenere gli impianti voluti da un'efficiente piazza marittima militare, le cose si presentano nelle condizioni più favorevoli per costruirvi una potente base navale d'operazione e di rifornimento. Chiestogli quale dovesse essere l'atteggiamento dell'Ita lia l'ammiraglio rispose: Qui converrebbe entrare in un campo politico, nel quale non voglio entrare. Posso per altro dirvi che se di Durazzo vuole farsi un porto commerciale che con senta all'Italia di aprirsi una via di espansione economica dall'Adriatico al Danubio, nulla di meglio si potrebbe da noi desiderare.
Per quanto riguarda Vallona, l'Italia non potrebbe mai consentire che una Grande Potenza vi si insediasse, direttamente o indirettamente, tanto meno convertisse quella splendida posizione in una vera base militare d o perazione. Se Vallona dovesse un giorno tale diventare, non potrebbe essere altro che l'Italia la nazione chiamata ad occuparla, in quanto che in mano ad altra potenza marittima, verrebbe grandemente diminuita l'efficacia delle piazze marittime di Taranto e di Brindisi, condanno enorme della nostra prevalenza strategica sul Canale d'Otranto.
Epperò si comprende come l'Italia, alla quale si è unita subito l'Austria, ai primi di dicembre (proprio in quei giorni era stata anticipatamente rinnovata la Tri plice Alleanza) abbia energicamente protestato contro le operazioni militari greche contro Vallona e l'occupa zione dell'isola di Saseno.
MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 27
Un comunicato ufficiale greco aveva cercato di dimi nuire l'importanza del fatto dicendo che non si trattava di un'azione diretta contro Vallona, ma di una misura di precauzione della fregata Peneròs che, vedendo un drap pello di albanesi armati sulla costa presso Vallona in atteggiamento minaccioso, sparò alcuni colpi innocui al solo scopo di disperdere il drappello.
Ad una interrogazione degli onorevoli Salandra e Galli su questo argomento, il marchese Di San Giuliano così rispose: Daròuna breve e, spero, soddisfacente risposta alle due interro gazioni, intimamente connesse fra di loro, degli onorevoli Salandra e Galli. Il Governo italiano ha dichiarato amichevolmente, ma ferma mente, al Governo ellenico che, pur intendendo rispettare la libertà delle operazioni militari dei belligeranti, non potrà mai consentire che la baia di Vallona, di cui fa parte integrante l'isola di Saseno, ap partenga alla Grecia, e che possa essere trasformata in base navale militare (Bene! Bravo! Approvazioni!). Un passo eguale è stato fatto ad Atene dal Governo austro-ungarico col quale siamo in intimo ac cordo (Bene! Bravo! Commenti!). Noi abbiamo motivo di sperare che la questione sarà risoluta in conformità ai nostri legittimi interessi e che i nostri cordiali rapporti con la Grecia si potranno sempre più rafforzare e sviluppare
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L'on. Salandra dichiarandosi soddisfatto così replicò: Sono contento di aver provocato cosi esplicita, per quanto breve, dichiarazione del Governo, e non esito a dichiararmenc soddisfatto, tanto più che quando siamo di fronte ad un interesse personale, è nostro intendimento di dar forza al Governo stesso, che ci rappresenta di fronte all'estero. La questione di Vallona è profondamente intesa da noi pugliesi, perchè dalla nostra costa si scorgono i fuochi che sugli scogli dell Acroceraunia accendono i pastori. La questione è però di grande interesse nazionale, perchè l'Italia non sarebbe più una grande Potenza se una qualsiasi altra Potenza marittima, di primo o secondo ordine, potesse dalla baia di Vallona chiuderle la porta dell'Adriatico. È certo che vi sono state operazioni militari, sebbene di non grande importanza. L'on. Ministro degli Esteri ha detto che noi dobbiamo rispettare i diritti dei belligeranti. Ma si potrebbe os servare che noi abbiamo usato con maggiore riguardo del nostro di ritto di belligeranti di quello che non abbia fatto la Grecia.
L'isola di Saseno
6 L'on. Galli dice che la Grecia non intende reclamare l'Albania ma l'Epiro. Io non so come l'on. Galli possa esserne informato. È vero che nel Senato romano vi erano di simili alti patroni di piccoli Stati orientali. Così Cicerone parlava spesso a nome del regno di Pergamo; ma nessuno, mi sembra, può ai tempi nostri avere un simile man dato ( llarità, approvazioni). 1)
Ad ogni modo, osserverò anche qui che un'operazione militare a Vallona non potrebbe avere alcuna importanza nei riguardi della con quista dell'Epiro poichè Vallona è stata sempre in Albania. E qual che sospettoche il Govorno greco non nutra così semplici intenzioni ci viene suggerito dal fatto dell'occupazione minacciata o tentata o desiderata di Saseno. Questa isoletta è un pezzo staccatosi da remoti e non remotissimi tempi da quella lunghissima diga che gli antichi chiamavano Acroceraunia, e che i moderni, con nome italiano e non con nome ellenico, poichè italiani sono ivi tutti i resti di civiltà, chia mano Capo Linguetta.
Ho letto in un giornale straniero che assume le difese della Gre cia, che quest'isola appartenne già al gruppo delle Isole Jonie che fu rono costituite in Stato Unito nel 1815 sotto il protettorato inglese e che nel 1864 all'epoca della costituzione del nuovo regno ellenico vennero dall'Inghilterra restituite alla Grecia; pertanto anche Sa seno sarebbe greca. Mi basta rispondere che le Isole Jonie sono nello Jonio e che Saseno è sull'Adriatico e non fu mai terra greca : in tempo non lontano, anzi, vi risiedeva un picchetto turco. La tesi greca è quindi infondata in fatto e in diritto, e deve esseresenz'altro esclusa. Io mi auguro che non vi sia bisogno di altri atti da parte del Go verno italiano e che lo scoglio famoso ai tempi di Orazio non venga a costituire una ragione di discordia fra due Stati amici. L'Europa deve sapere che ora e sempre l'Italia, senza aspirazioni territoriali sull'altra riva dell'Adriatico, non potrà consentire che alcuna Potenza di primo o second'ordine si insedî a Vallona (approvazioni).
Mi auguro inoltre che i nostri diritti e i nostri interessi sieno difesi con energia eguale a quella con la quale altri Stati mostrano dl difendere i loro. La ragione principale della miainterrogazione sta appunto nell'affermazione della necessità che, nell'oscura, intricata si tuazione internazionale, noi non siamo da meno, nell'affermazione dei nostri diritti e nella tutela dei nostri interessi, non solo di nessuna Potenza di secondo ordine, ma nemmeno di primo ordine, (Approva zioni vivissime).
La questione della delimitazione del nuovo stato bal
1) Alludendo all'on. Galli che, da anni, in tutte le occasioni prende la parola per difendere le rivendicazioni greche.
canico ha tenuto in ansia più volte l'Europa, poichè, mentre l'Austria cercava di ingrandirlo, sopratutto alle frontiere nord orientali a danno della Serbia, la Russia sosteneva con molta energia le rivendicazioni di quest'ul tima. Finalmente il 25 maggio, l'accordo ottenuto alla Conferenza di Londra fu annunciato in un discorso alla Camera da Sir Edward Grey.
" La più grave difficoltà, la più grave fonte di pericolo era la que stione dell'Albania e la questione della delimitazione dei suoi confini. Già prima di Natale la questione aveva fatto qualche progresso. In primo luogo le Potenze si erano messe d'accordo che l Albania doveva essere eretta a Principato autonomo. Il fatto che tale principio fosse stato accolto in massima era già di per sè molto importante. Anche prima di Natale le Potenze vennero ad un accordo circa il litorale dell'Adriatico. Era ancora tanto di guadagnato e un altro pericolo rimosso.
- Ma restava da discutere la frontiera dell'Albania che sollevava questioni di grande importanza, perchè se la nuova Albania fosse ri sultata troppo piccola non avrebbe potuto sperare una esistenza in dipendente in avvenire, se d'altra parte occupava troppo vasto terri torio avrebbe leso le legittime aspirazioni del Montenegro, della Serbia e della Grecia. Finora le grandi Potenze non hanno fissato la fron tiera meridionale dell'Albania. Invito anzi la Camera a fare una pre cisa distinzione fra la frontiera meridionale e sud-orientale da una parte e la frontiera settentrionale e nord-orientale dall'altra, e ciò perchè, sebbene un accordo non si sia ancora concluso riguardo alla frontiera meridionale, non possono tuttavia sorgere dissensi gravi a questo proposito. Nessuno dei possibili dissensi può diventare oramai una fonte di pericolo e di ansietà.
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Ma sulla frontiera nord e nord-orientale dell'Albania la situazione era ben diversa.
" Le discrepanze di opinioni si concentravano specialmente su Scu tari al nord e su certe altre città del nord e del nord -est. A poco a poco tutte le grandi Potenze vennero ad un accordo di massima su questi punti. Ma finchè restava un solo punto da risolvere l'accordo definitivo non poteva dirsi compiuto. Infatti era condizione essenziale che tutti i punti controversi fossero prima risoluti d'accordo con le Potenze. Per qualche tempo rimanemmo in questa posizione; era in vista un accordo fra le Potenze sull'intera linea geografica del con fine settentrionale e nord-orientale dell'Albania, semprechè l'unico punto controverso avesse potuto essere risolto. Alla fine della setti
mana scorsa finalmente l'accordo è stato raggiunto su quell'unico punto controverso.
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Io finora non posso dare alla Camera particolari della nuova fron tiera; occorrerà che le Potenze facciano prima una comunicazione particolareggiata al riguardo alla Serbia e al Montenegro. Ma a ogni modo io credo che gli accordi della settimana scorsa siano di tanta importanza che non bisogna tardare ad annunciare la buona novella. Restano naturalmente altri punti da discutere, ma sono questioni non gravi. Per esempio sarebbe essenziale che fossero costituite delle garanzie per la protezione dei musulmani albanesi e delle minoranze cattoliche nel territorio ceduto alla Serbia e al Montenegro. Vi è una tale miscela di razze, di religioni e dipopolazioni in certe parti di quei territori che una simile garanzia è necessaria; ma ciò che più importa è che qualsiasi discordia territoriale fra le Potenze è ora scomparsa.
La questione delle frontiere settentrionali del nuovo Stato di fronte alle rivendicazioni della Serbia interes sava in modo speciale l Austria-Ungheria. La delimita zione della frontiera meridionale di fronte alle pretese greche, interessava invece direttamente l'Italia perchè coinvolgeva la questione dell'accesso all'Adriatico. Epperò mentre, pur facendo opera di conciliazione e dando con sigli di moderazione alla Serbia, l'Italia, a Londra, ha sempre agito perfettamente d'accordo con l'Austria per i confini settentrionali, quest'ultima ha sempre lealmente sostenuto il punto di vista dell'Italia per ciò che riguar dava i confini meridionali. Ma, mentre attraverso difficoltà gravissime, alle quali: ha accennato anche Sir Edward Grey nel suo discorso, la questione dei confini settentrionali fu risoluta in un pe riodo di tempo relativamente breve, la Conferenza degli ambasciatori non risolse con altrettanta sollecitudine quella dei confini meridionali rimandata sempre da una settimana all'altra, e della quale non si occupò addirittura per più di un mese, un mese e mezzo, durante cioè il periodo acuto della questione di Scutari. E un po' an che perchè speravamo si potesse fra i vari Governi rag giungere un accordo, almeno di massima prima di ini
ziare la discussione. Tanto più che nessuno ignorava comel, anche in tale circostanza, avremmo avuto contro la Fran cia, della quale era manifesta l'intenzione di voler abbi nare la questione delle isole da noi occupate con quella dei costumi meridionali dell'Albania.
Col seguente comunicato (16 aprile) all'Agenzia Reuter l'Italia ha tenuto a precisare a Londra stessa il punto di vista italiano, facendo sapere contemporaneamente, come anche su questo punto l'accordo fra Austria ed Italia fosse completo:
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Apprendiamo che il punto di vista del Governo italiano riguardo all'avvenire delle isole dell'Egeo il seguente: Anzitutto non vi può essere alcuna discussione sull'attitudine dell'Italia per quanto riguarda le isole dell'Egeo che essa occupa at tualmente. L'Italia non desidera conservarle; ma il trattato di Lo sanna non lascia alcun dubbio quanto al loro avvenire, poichè l'Italia è obbligata a consegnarle alla Turchia quando questa avrà ottempe rato ai suoi impegni in Tripolitania e in Cirenaica.
" I risultati della guerra balcanica non hanno adunque alcuna in fluenza sulle dodici isole dell'Egeo che si trovano attualmente in mano agli italiani.
Per quanto riguarda le altre isole, l'Italia non ha alcuna obie zione da fare, desiderando solamente mantenersi d'accordo con le altre Potenze quando queste prenderanno una decisione sulla situazione delle isole stesse.
Per quanto poi riguarda la costa adriatica e le frontiere meridio nali dell'Albania continua la nota è essenziale per l'interesse delle due Potenze adriatiche che la frontiera della Grecia, che già possiede Corfù, non si spinga troppo a nord per dare alla nazione ellenica il virtuale possesso del canale di Corfù, ciò che le permette rebbe di crearvi una base navale che avrebbe grande influenza sulla sua posizione nell'Adriatico.
Per l'Italia e l'Austria è evidentemente questo un argomento di alta importanza strategica.
Quanto poi alle frontiere meridionali dell Albania, tanto l'Italia quanto le altre Potenze desiderano che il nuovo Stato disponga di un territorio sufficiente per poter vivere. Ecco il punto più importante sul quale l'Italia e l'Austria sono in completo accordo.
4. Infine l'Austria desidera che la frontiera meridionale albanese sia delimitata su basi geografiche ed etniche,
Una proposti greca 215
La Grecia rispose indirettamente con un altro comu nicato (21 aprile 1913) alla stessa Agenzia, del seguente tenore, offrendo di far decidere da un plebiscito a chi dovessero appartenere i territori contestati, e proponendo la neutralizzazione del Canale di Corfù.
La Grecia propone un plebiscito che possa far conoscere quale è l'opinione delle popolazioni nei territori occupati dalle truppe gre che, e che tale plebiscito abbia luogo sotto il controllo di delegati indicati dalle Potenze.
La Grecia ricorda che il trattato per la cessione delle Isole Jonie da parte della Gran Bretagna stipulò che Corfù dovesse rimanere territorio neutro e che su richiesta dell'Austria furono rase al suolo tutte le fortificazioni dell'isola di Vido, di fronte a Corfù.
4Per conseguenza, Corfù non potrà mai servire di base navale come l'Italia teme. E in ogni modo l'Italia non ha mai considerato come una minaccia il possesso di: Corfù per parte della Grecia. La Grecia spera quindi che le Potenze e gli Alleati esamineranno di nuovo la questione della frontiera dell Albania e quella delle isole dell'Egeo,990
Messa all'ordine del giorno della Conferenza degli am basciatori, una prima volta nell'aprile, la discussione sulla questione del confine meridionale dell'Albania fu più volte sospesa, prima durante le trattative per la pace fra la Turchia e gli Alleati che finirono con la firma di quel Trattato di Londra, sepolto poche settimane dopo, e, in seguito per la seconda guerra balcanica.
Quando la discussione fu ripresa dopo che la Bulga ria vinta da cinque nemici collegati contro di essa, fu costretta a chiedere la pace, la questione dei confini me ridionali dell'Albania con la Grecia ingrandita con il porto di Cavalla, si fece ancora più grave coinvolgendo oramai non soltanto il problema dell'equilibrio adria tico, ma anche quello del Mediterraneo. La Triplice Al leanza, si trovò di fronte alla Triplice Intesa che se guendo la Francia lasciò comprendere, e disse anzi ben chiaro le ragioni per le quali sosteneva la Grecia nel ba
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cino Orientale del Mediterraneo: le stesse per le quali erano state iniziate le trattative che dovevano condurre all'accordo con la Spagna consacrate nei brindisi di Car tagena.
Per questo ho creduto di interrompere qui la narra zione e i commenti relativi alle trattative per la delimita zione dei confini meridionali del nuovo Stato balcanico, per parlarne al capitolo seguente, nel quale si narra e si esamina l'atteggiamento. dei due gruppi di fronte alla que stione mediterranea e la soluzione data a Londra alle varie questioni sulle quali fu chiamata a decidere. i
L ALBANIA. LE ISOLE.
La creazione del nuovo Stato alla Conferenza di Londra. La questione dei confini meridionali. - L'atteggiamento risoluto dell'Italia. Il canale di Corfù. Coritza. La Francia prende posizione contro di noi. Un articolo del Temps ne spiega e dice apertamente le ragioni dell'atteggiamento della Francia. Di chiarazioni dell'ambasciatore d'Italia. La Germania e l'Austria-Ungheria soli dali con l'Italia. - La situazione si complica per le trattative di Bucarest e la questione di Cavalla. La mossa dell'ambasciatore francese. La questione dei confini e quella delle isole. Alla ricerca di una formula. - L'accordo tra Italia e Francia raggiunto. Se ne rallegrano da entrambe le parti. Un discorso di Sir Edward Grey. Insistenza poco opportuna. Commentata anche dalla stampa inglese. L'Egitto e Cipro. La visita di Poincaré a re Alfonso. Ami cizia od alleanza? - L'opinione pubblica in Ispagna. - I brindisi di Cartagena. Dichiarazione del Presidente del Consiglio. - Nuove navi....
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La Conferenza di Londra riprese la discussione della questione albanese, col proposito di addivenire ad una conclusione il 29 luglio, cioè, alla vigilia della prima riu nione dei plenipotenziari balcanici a Bucarest per le trat tative di pace. Il giorno stesso il solito comunicato alla Reuter fece conoscere, a grandi linee, in che modo e in base a quali criteri, le Potenze intendevano procedere per la creazione del nuovo Stato.
6 In un termine di sei mesi a datare dall'adozione definitiva del progetto da parte delle Grandi Potenze, l'Albania dovrà essere eretta in Principato sotto la sovranità di un Principe che sarà scelto dalle Potenze.
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MANTEGAZZA. Il Mediterraneo.
6 È noto che l'Austria e l'Italia tenevano alla nomina immediata di un Principe. Le Potenze della Triplice Intesa facevano invece os servare essere difficile nominare immediatamente un Principe e che sarebbe stato necessario un periodo di regime provvisorio, non fosse altro che per prendere contatto col paese. E manifestarono l'avviso che tale regime dovesse durare un anno. Come transazione si finì per mettersi d'accordo, stabilendo un periodo di sei mesi.
La nomina del Principe sarà affidata a una commissione interna zionale formata dai sei rappresentanti delle Grandi Potenze e da un rappresentante dell'Albania. La commissione si riunirà il più presto possibile a Scutari per gettare le basi dell'amministrazione del Paese. Avrà la più grande libertà d'azione.
Fra le altre cose, la commissione dovrà rendersi conto sul posto della importanza che va attribuita al Governo provvisorio costituitosi a Vallona sotto la presidenza d'Ismail Kemal, e se non converrebbe per la buona amministrazione del paese di organizzare col concorso dei capi dei clan di tutto il paese una assemblea veramente rappre sentativa. È probabile che la commissione scelga sul posto il delegato che dovrà rappresentare l'Albania nella commissione
È è abbastanza strano che alla Conferenza si sieno in certo qual modo risolute tutte le questioni riflettenti il nuovo Stato, prima di stabilirne i confini. Ma, come ho già avvertito, questa dei confini meridionali si capì subito sarebbe stata la questione più spinosa, e la Confe renza di Londra ha fatto,quel che, dal più al meno, fanno sempre i diplomatici in simili circostanze. Ha rimandato di giorno in giorno per prender tempo. Ed anche perchè bisogna essere giusti considerò probabilmente più facile addivenire anche in tale questione all'accordo, quan do l'accordo era già avvenuto su tutto il resto. Calcolo che si mostrò errato per circostanze da nessuno prevedute, le quali, invece, complicarono vieppiù la situazione. L'Italia e il suo rappresentante a Londra sostenevano poichè ciò consideravano come necessità imprescin dibile per la nostra posizione nell'Adriatico Meridionale che il Capo Stylos, la baia di Etelia sul mare, il territorio di Coritza nell'interno dovevano venire inclusi nell Albania. « Questa -- si osservava ufficiosamente
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il canale di Corfù 219
è la sintesi dei nostri bisogni vitali nell'Adriatico che non può non essere accolta dalla Conferenza degli Am basciatori senza che vengano menomati il prestigio "del l'Italia nei suoi stessi mari e la possibilità difensiva della costa abruzzese-pugliese, la quale ha, per necessità geo grafiche, la sua base di difesa navale, non nell'Adriatico, ma in un altro mare, nell Jonio : a Taranto. Una squa driglia di torpediniere, non italiane, che si annidasse nel punto più stretto del canale di Corfù, nei dintorni di Capo Stylos o della baia di Etelia, sarebbe a Bari o a Brindisi in molto minor tempo di quello che dovrebbe impiegare una squadriglia italiana che muovesse da Taranto verso quei medesimi porti: senza contare che la squadriglia non italiana, in casodi pericolo, avrebbe modo di rifu giarsi in poche ore fra insenature sicure, mentre la flotti glia italiana si troverebbe continuamente esposta a sor prese, dovendo navigare lungo una costa scoperta e girare tutt'attorno ad un lunghissimo promontorio avanzato pri ma di raggiungere la sua base di operazione naturale. «Lo stesso si dica per la vitalità e la consistenza del nuovo Stato albanese. Logicamente ed etnicamente esso dovrebbe avere per confine costiero la foce del fiume Calamas. Ogni concessione più a nord di tale linea è una erosione, un indebolimento, una causa di agitazioni per l'Albania. L'Austria e l'Italia hanno pur tuttavia con sentito per riguardo ai terzi una frontiera molto più settentrionale di quella linea. Potrebbero cedere an cora di più ? Sarebbe assurdo e colpevole. Le Potenze che si sono trovate d'accordo nel volere un'Albania duratura non possono entrare in contradizione con loro stesse, am mettendo un ordine d'idee e una serie di piccole conces sioni che ne inquinerebbero la compagine, compromet tendone l'esistenza. Chi conosce l'Albania meridionale, comprende subito che cosa significherebbe toglierle il ter
ISOLE L'ALBANIA.ritorio di Coritza: significherebbe amputarle la parte più fertile, più popolosa, più importante; significherebbe pri varla d'uno dei suoi organi vitali e tagliarla fuori da qua lunque possibilità di progresso economico, commerciale e morale. »
L'Italia non poteva non insistere per impedire che portandosi i confini greco-albanesi più a nord, le due sponde del Canale di Corfù appartenessero allo stesso Stato, che, in caso di guerra, avrebbe potuto metterle a disposizione dei nemici nostri. E nemmeno poteva ac contentarsi dell'impegno della Grecia per la neutralizza zione del Canale, poichè tutti sanno e l'esperienza, del resto, lo ha provato in più di una circostanza che tali impegni hanno un carattere puramente platonico, quan do non sono garantiti da condizioni di fatto.
Nella Conferenza di Londra la Francia si schierò ri solutamente contro di noi, in favore della Grecia, ed in favore della Grecia agì anche a Bucarest durante le trattative di pace per la questione di Cavalla, e poscia per la revisione del Trattato, desiderata dall'Austria, ap punto per rendere Cavalla alla Bulgaria. Veramente non è esatto il dire che si schierò contro di noi, poichè le altre Potenze dell'Intesa ebbero fino dal principio un atteggiamento ben diverso. Naturalmente, non potevano mettersi risolutamente contro la Francia e cercarono di fare opera di conciliazione moderando in qualche mo mento quello della Francia. La Russia non poteva mo strare di favorire la Grecia a danno della Bulgaria, sen tendo come si sarebbe alienata per sempre l'amicizia dei «piccoli fratelli» come chiamano in Russia i Bulgari. E . l'Inghilterra non poteva non riconoscere il pieno diritto dell'Italia di vegliare sulle sorti, sui confini e sulla indi pendenza dell'Albania, con quegli stessi criteri per i quali l'Inghilterra ha un interesse vitale nel mantenere e difen
Francia ostile 221
dere l'indipendenza dell'Olanda e del Belgio, e delle loro coste a così breve distanza dalle sue.
Le ragioni determinanti tale politica della Francia così apertamente ostile contro l'Italia furono dette con una franchezza brutale in un articolo dal Temps, il giorno dopo (3 agosto).
In sostanza, il Temps disse che la Francia, avendo, adempiuto a tutti i suoi obblighi di gratitudine e di trat tati verso l'Italia, allarmata dalla politica triplicista che l'Italia fa in Oriente, è costretta, come Potenza mediter ranea, a fare la politica della Triplice Intesa.
""Il malumore dei giornali italiani, o almeno dei maggiori diceva il Temps contro la politica francese, è dovuto a un errore fonda mentale che è del resto assai facile rettificare. Ci si rimprovera di sostenere la causa della Grecia e delle isole: ma questa è la causa delle nazionalità. Niente è più greco delle regioni del capo Stylos, di Coritza e di Argirocastro e delle isole dell'Egeo. E sono appunto le tradizioni essenziali dell'Italia che raccomandano le tradizioni greche all'approvazione e al favore degli spettatori imparziali.
Ma ammettiamo subito volentieri che in politica tradizioni e sen timento nulla possono contro gli interessi e gli impegni assunti. Ed eccoci al vivo della questione. Quanto agli interessi, se si ammette che ora in Europa la Triplice Alleanza e la Triplice Intesa si trovano in condizioni di equilibrio, di contrappeso e di concorrenza politica, non è il caso di meravigliarsi che la Francia, che ha concentrato nel Mediterraneo occidentale tutta la sua flotta, si compiaccia di vedere crescere nelMediterraneo orientale una Potenza navale che potrà unire le sue forze a quelle della Francia. Poichè siamo noi pure, come tutta l'Europa del resto, costretti a prendere in considerazione la pos sibilità di una guerra che però siamo ben lungi dall'augurarci. E in questa ipotesi desideriamo una Grecia forte e potente per la stessa ragione per la quale il generale Barnhardi nella Postdesiderava giorni addietro una Grecia debole e una Serbia anemica. E veniamo agli impegni. Il rimprovero che la stampa italiana ci muove: L'Italia ha sostenuto la Francia al Marocco e la Francia deve sostenere l'Italia ora in Albania e nelle isole ,, avrebbe valore se l'Italia dovesse ancora aspettarsi qualche ricompensa da noi. Ma non è il caso.
In cambio dei suoi buoni uffici al Marocco, noi avevamo promesso all'Italia i nostri buoni uffici a Tripoli e l'atteggiamento delle autorità
LE ISOLE L ALBANIA.
tunisine durante la guerra tripolitana è stato lodato ed esaltato, e come, dalla stampa italiana. Anzi l'on. Tittoni non può smentirci se scriviamo che la diplomazia francese ha efficacemente contribuito a indurre la Porta a firmare la pace di Losanna. Dunque, dato da una parte e restituito dall'altra. Il contratto Marocco-Tripoli è stato com pletamente osservato dalle due parti.
" Quanto ai nuovi problemi Albania e isole non esiste alcun con tratto. Non è a dire con questo che la Francia voglia approfittare della sua libertà per fare una politica ostile all'Italia. Tutt'altro. I nostri sentimenti non sono per nulla cambiati; ma la Francia, libera da ogni impegno, ha il dovere, rispetto a sè stessa, di fare una po litica conforme ai suoi interessi. Tutto del resto si modella sull'at teggiamento dell'Italia. Se l'Italia nella sua politica mediterranea si concerta come per il passato con le Potenze della Triplice Intesa, Londra e Parigi saranno felicissime di lavorare con lei, come una volta; se invece, inaugurando metodi nuovi, l'Italia si concerta uni camente con le Potenze della Triplice Alleanza, essa non devemera vigliarsi se noi battiamo per nostro conto la nostra strada.
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È appunto quello che avviene da qualche tempo in qua. La po litica italiana in Albania, in Macedonia, nell'Epiro e nelle isole, è una politica esclusivamente triplicista; atteggiamento del resto che ci af frettiamo a ripetere legittimissimo, perchè l'Italia non ha nessun im pegno con noi al riguardo. Ma allora Roma non ha il diritto di me ravigliarsi se noi esercitiamo lo stesso diritto di indipendenza. Quindi se nella politica mediterranea c'è qualche cosa di cambiato non è stato certamente la Francia a determinarlo
Dopo tre giorni nei quali non fu possibile raggiun gere l'accordo, quando si sarebbe dovuto deliberare sul confine col quale, il Capo Stylos e Coritza restavano al l Albania, l'ambasciatore francese Cambon, che già, per sonalmente aveva sostenuto l'abbinamento delle due que stioni confine meridionale dell'Albania e quella delle isole a nome del suo Governo dichiarò che la Francia non poteva accettare quel confine, se, contemporanea mente, non si fosse deliberato, che tutte le isole del Mar Egeo comprese quelle occupate dall'Italia dovevano attri buirsi alla Grecia a titolo di compenso. L'ambasciatore italiano marchese Imperiali in seguito alle istruzioni avute e in conformità anche di dichiara
zioni precedenti, rispose che il Governo italiano non po teva accettare tale punto di vista. L'Italia, disse, non in tende assumere alcun impegno per una eventuale ces sione del Dodecanneso alla Grecia, e nega vi sia alcun rapporto fra la questione dei confini meridionali del l'Albania e quella del Dodecanneso, che è strettamente connessa alla guerra Italo-Turca, precedente alla guerra balcanica, ed è regolata già dal Trattato di Losanna.
Con tali premesse fondamentali l'ambasciatore Im periali aggiunse che il Governo italiano non aveva al cuna difficoltà di ripetere che esso, intendendo sia man tenuto il Trattato di Losanna, se ne propone una leale applicazione. Consegue da ciò che, secondo l'articolo 2 del Trattato, le isole del Docecanneso saranno restituite alla Turchia quando il Governo ottomano avrà ottem perato in modo assoluto e definitivo ai patti sanciti nel trattato stesso.
Se, quando le isole saranno state restituite alla Tur chia, avrà luogo una Conferenza europea sulla sorte del Dodecanneso, il Governo italiano non si rifiuta di pren der parte a quelle discussioni e poi a quelle deliberazioni . unanimi che potranno essere prese dalle Potenze, dichia rando però sino da ora che esso intende tener conto degli interessi ragionevoli dell'Impero ottomano e della neces sità di assicurare l'integrità del territorio della Turchia d'Asia.
In quella stessa seduta (5 agosto) gli ambasciatori di Germania e d Austria-Ungheria fecero dichiarazioni di solidarietà con l'Italia riconoscendo esplicitamente non esservi connessione con le due questioni. Dichiarazione che non poteva essere dubbia, a poche settimane di di stanza dall'anticipato rinnuovo della Triplice, ma che ebbe un carattere più esplicito ancora di quello che si poteva credere. Poichè è destino che nella Questione Orientale,
a volta a volta, in certi momenti tutti si trovino imbaraz zati. L'improvviso entusiasmo filo-ellenico e filo-serbo del la Francia, aveva creato una situazione difficile, che tra sparve apertamente nelle polemiche agrodolci di Parigi e di Pietroburgo, anche fra la Francia e la Russia. Questa nelle trattative di Bucarest aveva cercato di favorire la Bulgaria per Cavalla, e pareva volesse seguire l Austria la sua antagonista balcanica - che aveva preso l'inizia tiva per la revisione del Trattato, da parte delle Grandi Potenze, sopratutto per ridare Cavalla alla Bulgaria. Vi ceversa, in tale questione non si erano trovate d'accordo Austria e Germania. Le relazioni dinastiche della Germa nia con la Grecia, hanno certamente giovato a quest'ul tima, poichè Berlino non prese un atteggiamento deciso nella questione di Cavalla. Rimase in disparte, e il suo ri serbo impedì all'Austria un'azione risoluta. Le conside razioni dinastiche hanno però avuto influenza a Berlino bisogna riconoscerlo solamente fin che si è trattato di questioni che riguardavano gli Stati balcanici. Quando vi è stato di mezzo l'interesse di un'alleata, e, sopratutto dopo l'atteggiamento della Francia, essa ha sentito non solo il dovere della solidarietà, ma la necessità d affer marla nel modo più assoluto e reciso. Tanto più che la Francia il Temps lo aveva detto chiaro, e lo ripetè più volte in quei giorni agiva contro la Triplice, e voleva servirsi della Conferenza di Londra e della Grecia per i suoi fini di egemonia nel Mediterraneo.
Sir Edward Grey, il ministro degli esteri britannico e presidente della Conferenza, pur non dissimulando le sue maggiori simpatie per la Francia doventata ormai la sua alleata mediterranea, visto il pericolo che la Con ferenza si sciogliesse senza definire tale questione, quindi mandando a monte tutto il lavoro fatto, si inter pose come paciere fra i due contendenti, e fece varie
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FT. Durazzo : Gli alunni delle scuole di Tirana sotto il Konak cantano l'inno albanese . FT.FT.
L'arrivo a Durazzo dei nuovi sovrani d'Albania.
La formula trovata 225
proposte di conciliazione. Per due o tre giorni la liploma zia europea fu occupata.... a cercare la formula, sulla quale Francia e Italia potessero trovarsi d'accordo. Si trattava, come al solito.... di dire e non dire, fermo re stando ciò che era stato deliberato a proposito dei con fini, secondo le proposte italiane. Bisognava che nè l'una nè l'altra delle due Potenze avesse l'aria di cedere, dopo le vivaci discussioni della Conferenza e le polemiche acri svoltesi nella stampa europea e specialmente di Parigi e di Roma. Impresa non facile anche perchè in quei giorni si era firmato il Trattato di Bucarest, e si agitava la que stione della sua revisione, per la quale, come ho già ac cennato, le relazioni fra le Grandi Potenze erano più che mai difficili. Finalmente il 12 agosto la famosa formula fu tro vata. Per la Francia si trattava di aver almeno l'appa renza di avere ottenuto qualche cosa. Per l'Italia, il punto importante era quello di non lasciarsi trascinare a di chiarazioni che compromettessero fin d'ora la sorte delle isole, assegnandole alla Grecia, il giorno nel quale doves se cessare la nostra occupazione. Dopo le chiare dichia razioni della stampa ufficiosa francese intorno alle ra gioni per le quali la Francia desidera una Grecia sempre più forte in mare; cioè per avere in essa un'alleata contro di noi e contro la Triplice, era naturale l'Italia non avesse un grande entusiasmo in favore della loro annes sione alla Grecia. Ma, a parte tale considerazione, cra per noi un dovere di lealtà verso la Turchia con la quale siamo impegnati per il Trattato di Losanna. Fu evidentemente tale considerazione che deve aver finito per persuadere il Governo della Repubblica a non insistere. Poichè finiva per domandarci inplicitamente la viola zione di un Trattato. Senza contare un'altra cosa. Che se cioè l'Italia avesse aderito a stabilire e fosse stato stabi MANTEGAZZA. Il rranco. 29
ISOLE L'ALBANIA.lito che le isole da essa occupate dovevano assegnarsi alla Grecia, la Turchia, giustamente offesa, non avrebbe avuto più ragione di agire perchè le truppe turche an cora in Libia la abbandonino.
La formola della dichiarazione sulla quale intervenne l'accordo, fu del seguente tenore:
L'Italia considera lo stato delle isole turche da lei occupate nel Mar Egeo come regolato dal Trattato di Losanna in virtù del quale ella ha l'impegno di restituire quelle isole alla Turchia, quando que sta avrà pienamente assolto l'obbligo assunto con l'art. 2 di quel Trattato. Allorchè le isole saranno state rese dall'Italia alla Turchia, in conformità della dichiarazione italiana, le Potenze considereranno la sorte di tali isole e prenderanno di comune accordo una deci sione ,
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Essa, pel modo col quale fu redatta permise di can tar vittoria, tanto a Parigi che a Roma. Dal momento che una dichiarazione è stata fatta, dopo stabiliti i con fini meridionali dell'Albania, in Francia ebbero ragione di dire che l'Italia aveva receduto dal suo primo propo sito : quello cioè che sulle isole da essa occupate non si parlasse! Viceversa, se nella questione della forma la Francia ha potuto vantare un certo successo, l'Italia ha avuto ragione di rallegrarsi fino ad un certo punto di aver vinto nella sostanza : ottenendo cioè non fosse in alcun modo nè direttamente nè indirettamente stabilito che le Isole sieno poi date alla Grecia. 1) Quanto poi alle deliberazioni delle Potenze, nel giorno nel quale fos sero evacuate dall'Italia, io non so vedere con qual diritto l Europa potrebbe intervenire e imporre alla Turchia alla quale sarebbero da noi consegnate e che vi manderebbe, naturaimente, i suoi soldati, di cederle alla Grecia. A tale proposito è da notare, che la deliberazione della Conferen za è stata presa, quando non si credeva la Turchia avreb
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1) La Conferenza stabili inoltre la neutralizzazione del Canale di Corfù e di invitare la Grecia a sgombrare l'isola di Saseno, all'entrata del Golfo di Vallona.
be lacerato pochi giorni dopo il Trattato di Londra con la riconquista di Adrianopoli... e che l'Europa avrebbe lasciato fare. Per cui dopo tali avvenimenti, non sem brò potesse più avere alcun valore la decisione e la for mula approvata a Londra per le isole, dalla quale la Turchia non si sentì in alcun modo impegnata. Ho detto che l'Italia ha avuto ragione di rallegrarsi fino ad un certo punto, perchè la soluzione non può dav vero considerarsi come un nostro successo diplomatico. Forse non si poteva fare altrimenti, ammeno di sollevare complicazioni, e compromettere la questione dei confini dell'Albania meridionale: la più interessante per noi . Oggi comeoggi, non si può ancora formulare un giudizio reciso sull'opera della nostra diplomazia in tale circostanza , poichè non sappiamo, delle discussioni svoltesi a Londra, e fra i vari gabinetti che quanto ci han fatto sapere i monchi ed anodini comunicati ufficiali. Ed è anche pro babile che più tardi si riconosca giustificato l'atteggia mento del nostro Governo che, all'ultimo momento, ha consentito ed accettato che di una questione la quale riguardava solamente noi e la Turchia se ne parlasse e se ne discutesse, sia pure indirettamente, mentre due o tre settimane prima l'ambasciatore Imperiali, appena vide le prime mosse della Francia per darle un carattere inter nazionale, aveva dichiarato che l'Italia non poteva ammet tere su di essa alcuna discussione. Ma la nostra stampa ufficiosa ebbe in quella circostanza il torto di voler ma gnificare come un successo la trovata della famosa for mula che rappresenta invece una transazione. 1)
1) Notevole a questo proposito è stato un articolo dell'avr. Vincenzo Morello pubblicato nella Tribuna malgrado la sua nota ufficiosa e di cui riproduco il brano seguente, nel quale, mettendo in rilievo l'azione ostile della Francia contro di noi, considerò la soluzione tutt'altro che come un successo per noi: Leggo nei giornali italiani che, nelle ultime sedute della Conferenza, l'Ita .
ISOLE L'ALBANIA.
Il solo fatto che se ne sia parlato è stato per noi un grave danno morale. Conseguenza anche questa del Trat tato di Losanna col quale abbiamo commesso il grave errore di creare un pegno, che, in realtà non lo era dal momento che non fu stabilito un termine per l'adem pimento da parte della Turchia delle condizioni volute per la restituzione, e si sanzionava così questa assurdità, che la Turchia ha avuto tutto l'interesse a lasciarci là a far la guardia alle isole durante la guerra balcanica per im pedire così alla Grecia di occuparle. Alla Conferenza di Londra poi, dal momento che abbiamo consentito per lo meno non abbiamo potuto impedire se ne par lasse, il valore del pegno è stato completamente sva lutato. 1)
o
lia ha riportato un s'accesso tanto nella quetione dei confini albanesi, quanto nella questione delle isole. Io non ho l'abitudine dei fucili entusiasmi, e ho bi sogno di sapere, prima di giudicare, di sapere, nel caso presente, se nella que stione delle isole, la situazione dell'Italia si.2. peggiorata o migliorita, dopo le discussioni della Conferenza di Londra, per giudicare se si tratti di un successo formale dovuto a transazioni sill biche, o di un successo sostanziale dovuto a un mutamento dell'opinione delle Potenze, a favore della nostra tºsi, più che all tesi della Francia. Comunque, non credo che noi dobbiamo dimenticare se la coscienza è fatta di scienza che una sola Potenza ha creduto utile e necessario scendere in campo, a viso aperto, senza cerimonie e senza reticenze, contro l'Italia, nella questione delle isole; e questi Potenza è stati la Francia E noi dimenticare, non per mantenere alto il lievito del rancore fra i due po poli proposito di gente bærbar c.1, usi a confondere i sentimenti e i risenti menti individu ili con quelli politici mi per mantenere alta la nostra difesa. e soltanto la nostra difesa, c ntro nuove insidie e nuove aggressioni.
La Consulta è pregati di non addormentarsi i Per tutto quello che riguardi il trattato di Losanna vedi il volume La guerra per l Libia di Vico Mantegazza, Fratelli Treves, Milano, 1913. Sulli questiona delle isole un diplomatico in 1:1 articolo pubblicato nel Giornale d' l talia (15 agos'o 1913) asserì che i nostri plenipotenziari di Ouchy averano ve duto chiaro non nascondendosi la stranezza di creare un pegno senza un termine. Tanto che avevano proposto che se entro quattro mesi dalla stipulazione della pc?
11 Turchia noi sgombrava la Cirenaica, le isole rimanevano all'Italia , Ma i delegati turchi tenero duro nel non volere fissato il termine e di Roma pare debba esser : pirtito l'ordine di cedere anche su questo punto. E jo dico da Roma, pèrchè noi mi pare che i Plenipote ziari in co-itinua corrispondenza col capo del Governo possa :o aver agito se iza ordini precisi.
La lelusione nell'opinionepubblica 229
Dopo più di un anno dalla firma del Traltato, le ingenti spese, i sacrifici di uomini ai quali siamo stati costretti in Cirenaica dove han continuato a combattere contro di noi degli ufficiali e dei soldati turchi, si sen liva da tutti, come sarebbe stato naturale anche per , le spese non lievi sostenute per lavori nelle isole stesse il serbarne qualcuna a guisa di compenso. Ma la di plomazia della Repubblica volle assolutamente sollevala la questione a Londra, appunto nel timore che a una tale soluzione si potesse addivenire. E due scopi ebbe di mira, tanto in questo come nell'insistere perchè Chio e Miti lene fossero come avvenne ed anche a questo l'Italia doveite rassegnarsi, assegnate alla Grecia : impedire all'Italia di avere delle basi navali nell'Egeo e nel Me diterraneo Orientale vicino alle coste dell'Asia Minore dove intende affermare ogni giorno più la sua influenza, e creare una Grecia sempre più forte. Le dichiarazioni del nostro governo e i comunicati ufficiosi coi quali si ripetè in quei giorni a sazietà che avremmo mantenuto l'impegno di restituire le isole alla Turchia provocarono un senso di delusione profonda nell'opinione pubblica. Anche il silenzio che sulla questione delle isole fu per tanti mesi serbato dalla stampa ufficiosa, non smen tendo mai le notizie che parevano lasciar credere l'Ita lia o in tutte o in qualcuna dovesse insediarsi stabilmente perchè la Turchia ha mancato ai suoi impegni, avevil alimentato le speranze. Se più di una volta ruppe il si lenzio fu per sostenere l'annessione. La Vita dell'11 mag gio scriveva : « isole, così gloriose di bellezza e di prospe rità un tempo, sono quasi deserte e povere ora per la nequizia del dominio turco. Come potrebbero ancora adat tarsi le popolazioni a tornare sotto quel dominio dopo il contatto con la civiltà nostra ?
Nello stesso periodo di tempo il Popolo Romano, pole
LE ISOLE L'ALBANIA.
mizzando con giornali turchi. scriveva: Siccome l'ostina zione è ormai diventata cronica, come lo dimostra del resto l'odierno linguaggio della Yeni Gazette», continua il P: R., « così noi proseguiremo, come essa ci consiglia, la guerra nella Libia: ma proseguiremo pure l'occupa zione delle isole nell'Egeo, che ci compenseranno delle maggiori spese e alle quali la Turchia può mandar fin d'ora l'ultimo saluto » . Qualche mese dopo l'intonazione della stampa ufficiosa muta completamente, e l'onorevole Giolitti intervistato dalla Stampa con la più grande disinvoltura dice che « fino da quando occupammo le Isole, il generale Ameglio fu da noi incaricato di dichiarare apertamente ai loro abitanti che la nostra occupazione delle isole era una occupazione puramente militare e fatta per ragioni di guerra. Tanto vero che noi non vi stabilimmo nessun governo, nessuna amministrazione, lasciando che gli iso lani si governassero di per sè... » . 1)
7
Il giorno stesso, nel quale con l'accordo sulla famosa formula, la Conferenza di Londra poneva fine ai suoi lavori, Sir Edward Grey ne rendeva conto in un discorso alla Camera dei Comuni: discorso del quale riproduco qui la parte che si riferisce all'Albania e alla questione delle isole.
Oltre alle questioni essenziali di localizzare la guerra, due que stioni erano da risolvere: quella dell'Albania e quella delle isole del l'Egeo. In queste due questioni era necessario un accordo se si voleva
1) L'on. Federzoni in un articolo dell'Idea nazionale rilevando la contraddi zione ricordò il manifesto del Sindaco di Rodi per la Festa dello Statuto con trofirmato dal Regio Commissario Italiano nel qua'e si parlava esplicitamente di terre italiane, la notfica alla Demogeronzia di Caimmo dell'ammiraglio Presbi tero, nella quale si diceva che la bandiera turca non sarà più alzata sull'isola la carta del Municipio di Stampalia intestata: Regno d'Italia, Municipio di Stampalia, e latabella apposta su la palazzina del Governatore a Cos che porta pure l'indicazione: Regno d'Italia....
il discorso di Sir Edward Grey 231
mantenere l'armonia fra le Potenze. Quanto al resto, purchè Costan tinopoli, la Turchia asiatica e gli Stretti fossero rimasti intatti, i belligeranti potevano essere lasciati liberi di regolare da soli le loro questioni.
" Ebbene, noi siamo giunti dopo lunghe discussioni a un accordo tanto sull'Albania quanto sulle isole dell'Egeo.
" In generale può dirsi che l'accordo consiste in questo: una Com missione internazionale di controllo dovrà stabilirsi per l'Albania con una gendarmeria sotto il comando di ufficiali scelti in una fra le piccole Potenze neutrali, con lo scopo di istituire uno Stato autonomo, sotto un principe scelto dalle grandi Potenze. Giungendo a questo accordo, crediamo di aver compiuto opera più che essenziale nell'in teresse della pace europea.
" Ma vi era anche, come ho già detto, la questione delle isole del l'Egeo che pure era importantissima.
"In primo luogo la maggioranza della popolazione di queste isole è di nazionalità greca. Inoltre alcune di esse sono posizioni strategiche importantissime; le une dominano l'ingresso dei Dardanelli, ciò che è di importanza vitale naturalmente per la Turchia e per quelle Po tenze per cui è di speciale interesse che l'ingresso dei Dardanelli ri manga libero. Inoltre alcune isole sono vicinissime alle coste della Turchia asiatica, e se, come consigliamo e auguriamo, il Governo turco in avvenire continuerà a preservare l'integrità dei suoi dominii, è per esso assolutamente essenziale che nessuna di tali isole venga usata come base navale o che da esse possano suscitarsi disordini sulla terraferma della Turchia asiatica. Ora di tutte queste considerazioni si deve tener conto.
Riguardo alla maggiore di tutte queste questioni, riferentesi alle isole dell'Egeo noi non abbiamo ritenuto che gli interessi europei vi fossero abbastanza in giuoco da rendere necessario che le Potenze prendessero parte alla discussione sull'argomento.
Però riguardo alle isole dell'Egeo specialmente vi è un punto sul quale noi per la nostra posizione nel Mediterraneo e per le conside razioni di indole navale abbiamo interessi particolari, e questo punto è il seguente: che nessuna di tali isole debba essere reclamata o te nuta da alcuna delle grandi Potenze.
Se una di queste isole passasse in possesso permanente di una grande Potenza, ciò non potrebbe che sollevare questioni di grande importanza e di grande difficoltà. Di ciò le Potenze stesse sono con vinte, e sino dal principio della conferenza esse presero di comune accordo la decisione di impegnarsi in questo senso, dicendo con spi rito di abnegazione che nessuna avrebbe approfittato del confltto bal canico per reclamare territori per sè.
2:32
LE ISOLE L ALBANIA.
Noi abbiamo avuto uno speciale interesse ad accertarci che questo impegno fosse mantenuto riguardo alle isole dell'Egeo e questo nostro interesse persiste tuttora.
Il Trattato di Losanna.
La questione delle isole dell'Egeo è stata complicata dal fatto che esiste fra l'Italia e la Turchia il Trattato di Losanna, per cui l'Italia è provvisoriamente in possesso di alcune di queste isole, fino a quando la Turchia non avrà adempiuto alle stipulazioni del Trattato di Lo sanna, ritirando dalla Libia tutti i suoi ufficiali e tutti i suoi soldati. Quella clausola del Trattato non è stata ancora adempiuta da parte della Turchia; perciò l'Italia occupa tuttora quelle isole. Il Trattato naturalmente riguarda solo l'Italia e la Turchia, e le grandi Potenze non possono prenderlo in considerazione.
Ma questa guerra balcanica costringe le Potenze a considerare la questione delle isole. Esse non potevano discuterla se non conside rando tutte le isole dell'Egeo insieme. L'accordo a cui siamo arrivati è questo: la sorte di queste isole dell'Egeo, comprese quelle provvi soriamente occupate dall'Italia, è una questione che concerne tutte le grandi Potenze, e che dovrà essere regolata da esse; nel frattempo nessuna delle grandi Potenze deve tenere per sè alcuna isola.
La fiducia nell'Italia.
L'Italia non ci ha mai lasciato dubitare per un momento delle sue intenzioni di adempiere a quella parte del Trattato che la riguarda. Noi abbiamo completa fiducia nella sua buona fede. Anzi sarebbe un grave errore credere che per un momento noi abbiamo mai dubitatu della sua buona fede in questa questione. Abbiamo piena fiducia in lei. Sappiamo che fa pressioni sulla Turchia e desidera che la Turchia si affretti ad eseguire la parte del Trattato che le spetta. Perciò la questione di quello che potrà accadere se lo sgombero delle truppe turche dalla Libia è indefinitamente rinviato, non è essenziale per il momento. Ma ciò che importa è di porre il principio che il destino delle isole dell'Egeo concerne tutte le Potenze, e che nessuna delle grandi Potenze può in nessun caso pretendere per sè una sola di queste isole. (Applausi.)
La questione come ho detto fu complicata dal trattato di Losanna, ma il modo in cui l'Italia si è comportata in questa que stione (connessa a fatti avvenuti prima della guerra balcanica , mo strandosi sempre pronta a adempiere ai propri impegni e a venire a un accordo generale circa le isole, da tradursi in effetto quando la
IC enlillo
29
times
Insistenze non sentite verso di noi 233
"Turchia avrà adempiuto da parte sua ai propri obblighi, ci dà pieno affidamento, poichè tutto ciò dimostra la buona disposizione amiche. vole del Governo italiano, e conferma che l'Italia è perfettamente d'accordo con noi e col resto delle Potenze nel riconoscere che la questione delle isole è una questione europea che deve essere risolta da tutte le Potenze insieme.,, Nella seconda parte del discorso giova notarlo per le considerazioni alle quali ho più sopra accennato Sir Edward Grey, insistette nel dire che la Turchia non avrebbe potuto ribellarsi alle deliberazioni e ai consi gli delle Potenze nella questione di Adrianopoli!!
Fece una certa impressione nel linguaggio del Ministro degli Esteri britannico l'insistenza con la quale volle marcare l'impegno da noi assunto di restituire le isole ; insistenza rilevata e criticata, prima ancora che in Ita lia, da un giornale inglese: la Pall Mall Gazette.
Io non so se le critiche all'intonazione del discorso di Sir Edward Grey per quello che riguarda il nostro paese pubblicate dalla Pall Mall Gazette, nel quale ho avuto qualche volta l'onore di collaborare e che, anche durante la guerra libica, si mostrò amica del nostro Paese, sieno state dovute solamente a tale costante simpatia per l'Italia, o anche ad altre considerazioni. Ma è certo che parecchi , in Inghilterra, non hanno trovato troppo prudente, da parte del Ministro degli Esteri quella insi stenza che ha dato occasione a una parte della stampa europea di ricordare gli impegni presi dall'Inghilterra di fronte all'Europa per la sua occupazione dell'Egitto, e alla diplomazia di ricordare la situazione, diremo così, strana, nella quale il Regno Unito si trova per effetto d un'altra occupazione: quella di Cipro. Occupazione che potrebbe anche essere stata, in dati momenti, la determi nante di qualche atteggiamento della politica di Londra specialmente quando si discorreva, e pareva imminente, la decisione della Russia di agire da sola.
MASTEGAZZA. Il Mediterraneo. 30
ISOLE L'ÀLBANIA.È vero che, mai come in questi ultimi tempi si è ve duto dare così poca importanza ai Trattati e alle Conven zioni internazionali. Ma, non mi pare si possa arrivare fino al punto di non tenerne proprio alcun conto, so pratutto quando si tratta di un vero e proprio Trattato di alleanza, pel quale uno dei contraenti ha in mano un corrispettivo. Ed è proprio il caso dell'Inghilterra per la questione di Cipro. È sempre in vita, per quanto, come diceva, molti non lo ricordino più, il Trattato che fa dell'Inghilterra l'alleata della Turchia, e, si badi bene, l'alleata con obbligo d'intervenire con le armi , precisa mente nel caso quest'ultima fosse minacciata dalla Russia. 1)
Al Trattato fu annesso un altro protocollo per stabi lire le condizioni per l'occupazione, in base alle quali fu riservata a un delegato ottomano, l'amministrazione dei vacuf, e stabilito il canone che l'Inghilterra deve pa gare annualmente alla Turchia, il modo col quale garan tire la giustizia ai musulmani, ecc.
Il documento mi pare parli abbastanza chiaro senza sia necessario di fare troppi commenti.
Ma vi è un altro lato della questione che forse avrebbe dovuto consigliare il ministro inglese a non associarsi troppo, sia pure indirettamente, all'interessato filoelle nismo della Francia.
I! fatto che a Cipro, come è stato raccontato in un capitolo precedente, le autorità e la politica inglese hanno sempre combattuto in tutti i modi l'elemento greco, che più volte ha protestato in forme vivacissime dimostran do come l'Inghilterra sia venuta meno agl'impegni solen nemente assunti, e anche finanziariamente, sfrutti a be neficio suo e della caterva di funzionari ben pagati che
1) Vedi nel capitolo precedent : L'isola di Venere, in appe:dice il testo di questo Trattato.
Ilfiloellenismo del ministro inglese 235 manda laggiù. Alleata della Turchia, per sostenere sem pre e in qualunque circostanza l'elemento musulmano contro l'elemento greco, ha finito per provocare proteste e agitazioni assai gravi, che ha dovuto reprimere con la forza. Cipro è sotto il regime della continua minaccia.
Si capisce, quindi, come, a molti, debba essere sembra lo assai poco opportuno il filoellenismo sia pure indi rello e dissimulato di Sir Edward Grey per il Dode canneso, e per compiacere la Francia amica, così in contrasto con la sua ellenofobia nell'Isola di Venere....
Da tale contegno di Sir Edward Grey resultò evidente come I'Inghilterra fosse disposta a sacrificare le sue an tiche simpatie alla politica francese ed all'accordo fran co -inglese per il Mediterraneo.
Due mesi dopo, tale accordo riceveva una nuova ed ostentata conferma con la presenza di una nave britan nica a Cartagena, durante la visita del presidente Poin caré a Re Alfonso, che non pare abbia avuto il carattere di una semplice visita di cortesia. Dalle considerazioni svolte nella stampa dei due paesi, dalle dichiarazioni di alcuni uomini politici francesi e spagnuoli, dal tenore stesso dei brindisi scambiatisi al pranzo di gala fra il Re e il Presidente, si ebbe l'impressione che mentre dalla parte della Francia si desiderava una vera e propria al leanza, dalla parte della Spagna non si vuole arrivare tanto in là contentandosi dell'amicizia. L'amicizia può essere vantaggiosa per entrambe, mentre una vera e pro pria alleanza che la trascinerebbe nella grande politica sarebbc un pericolo e un rischio per la Spagna. Su que sto punto l'intonazione della stampa madrilena è stata concorde rallegrandosi che la parola alleanza non fosse stata pronunziata. « Il contrario scrisse l Epoca sarebbe stato assai sgradito al popolo spagnuolo ». Com mento tanto più significante, perchè in quei giorni , la
ISOLE L ALBANIA.stampa francese, o almeno una parte di essa annunzia va invece la proclamazione dell'alleanza. Ma un mutamento, se non nell'opinione pubblica, cer tamente nell'atteggiamento del Governo di Madrid av venne durante il soggiorno in Ispagna del Presidente Poincaré. La parola alleanza non fu pronunziata, ma l'intonazione dei 'brindisi scambiati a Cartagena alla co lazione data dal Presidente in onore di Re Alfonso sul Diderot è stata diversa e più calda di quella dei brindisi pronunziati al pranzo di gala appena arrivato il Presi dente. Ecco il testo del brindisi del Presidente: 66 Sire! 16 " Non voglio allontanarmi dalle coste spagnuole senza dire a Vo stra Maestà ancora una volta quanto io la ringrazii dei ricordi che riporto dal mio soggiorno a Madrid, a Toledo e a Cartagena. Nelle meravigliose feste che mi sono state offerte, ho veduto sfilare dinanzi ai miei occhi la storia illustre della Spagna, ho veduto pure passare il grandioso corteo di tutte le glorie e di tutte le forze vive di un presente pieno di speranze, ho potuto ammirare la marziale tenuta del vostro bell'esercito e sono lieto di avere potuto salutare in questo , magnifico porto di Cartagena i valorosi ufficiali e gli equipaggi della marina spagnuola. Sono pure molto commosso per l'attenzione del re Giorgio d'Inghilterra di avere inviato a Cartagena la corazzata In vincible, poichè gli ufficiali e gli equipaggi francesi sono oggi lietis simi di poter fraternizzare coi loro camerati spagnuoli e coi loro ca merati inglesi in questo Mediterraneo, le cui acque bagnano i nostri due paesi, in cui le nostre civiltà possono meglio compenetrarsi, in cui vivono in comunanza di interessi la Francia e la Spagna, l'unione pacifica delle quali avrà immensi vantaggi. Alzo il mio bicchiere an cora una volta a V. M.; bevo all'esercito e alla marina spagnuola ; bevo infine alla generosa nazione che offre una indimenticabile ospi talità al Primo Magistrato della Francia ...
Il Re di Spagna rispose in questi termini:
Signor Presidente!
Le vostre eloquenti parole hanno preso la via del mio cuore. Ve ne ringrazio come ufficiale e come capo delle forze di terra e di mare della Spagna, delle quali avete testè parlato in termini lusinghieri e commoventi. L'opera, non di conquista, ma di civiltà e di pace alla quale i soldati e i marinari spagnuoli come i loro fratelli d'arme fran cesi consacrano i loro sforzi oltre lo stretto, su quella terra d Africa spesso bagnata dal loro sangue generoso,servirà, ne sono certo, a conso lidare ogni giorno di più i vincoli che devono unir due popoli ovun que vicini e a rendere più intima e feconda una intesa già cordiale. Noi non possiamo dimenticare le nostre origini comuni e i nostri in teressi permanenti, che ci sono continuamente ricordati dalle acque del Mediterraneo, che oggi ci circondano.
66
Sono riconoscentissimo a S. M. britannica il re Giorgio V di avere inviato la corazzata Invincible a Cartagena, ove ho ricevuto, sei anni or sono, la visita del re Edoardo VII di gloriosa memoria.
Alzo nuovamente il mio bicchiere in Vostro onore, signor Pre sidente; bevo all'esercito e alla marina francese, dei quali avete il diritto di essere ben fiero; bevo alla grande nazione vicina ed amica... Questa volta nei due brindisi fu accennato alla co munanza degli interessi permanenti nel Mediterraneo, la presenza di una corazzata inglese nel porto militare spagnuolo pose in rilievo il carattere dell'incontro. Il so lito comunicato alle agenzie telegrafiche, concordato fra i due ministri degli esteri, non accennò soltanto ai senti menti di intesa, ma altresì alla politica generale euro pea. Secondo il comunicato insomma, la Spagna avreb be acconsentito a prendere precisamente quegli impegni che l'opinione pubblica aveva mostrati così chiaramente di ritenere un grande pericolo, senza maggiori corrispet tivi di quelli che può dare la semplice amicizia. Eviden temente una forte pressione deve essere stata esercitata da parte della Francia d'accordo con l'Inghilterra, appro fittando della situazione alquanto difficile della Spagna al Marocco, e delle conseguenze finanziarie di quasi due anni di guerra. La cooperazione militare al Marocco sta
e
bilita durante la visita del Poincaré, nei colloqui fra generali francesi e generali spagnuoli, che giova alla Francia come alla Spagna, ma forse più a questa che a quella date eventualità possibili, ha certamente contribuito a fare accettare al Governo di Madrid,... la messa in scena di Cartagena, evidentemente diretta contro di noi. 1) Che il Governo di Madrid abbia dovuto cedere, e a malincuore abbia ceduto e non si sa fino a che punto resulta chiaro dalle parole del presidente del Consiglio Conte di Romanones il quale dichiarò che «l'amicizia con la Francia non escludeva, nella mente degli uomini politici spagnuoli, la continuazione degli intimi , e cor diali rapporti con l'Italia e con le altre Potenze».
A parte i repubblicani che come accadde per un certo tempo anche da noi manifestano le loro simpa tie per la Francia, unicamente per la sua forma di go verno, e ne sperano l'aiuto per abbattere la Monarchia, l'alleanza con la Francia non è popolare in Ispagna. Non lo è fra i monarchici, per la ragione contraria per la quale la vorrebbero i repubblicani , non lo è, sempre per le stesse ragioni, nelle fila del partito clericale che ha sempre una grande forza, non lo è nel partito socialista che vede come conseguenza immediata dell'alleanza la necessità di un forte aumento delle spese militari, e di parecchie decine di milioni per la flotta; non lo è infine prescindendo da ogni considerazione politica, per ragioni economiche nella Catalogna, cioè nella regione industriale
>
1) Ecco il testo del telegramma mandato da Re Alfonso e dal Presidente Poin caré durante la loro visita alla corazzata britannica :
A S. M. Giorgio V, Re del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda e dei territori britannici al di là dei mari, Imperatore delle Indie. Londra . Noi ci uniamo per ringraziare V. M. di avere inviato l'Invincible nelle acque di Cartagena. Siamo stati felicissimi di visitare insieme la bella coraz zata. Preghiamo V. M. di accogliere la nostra assicurazione della nostra cordiale amicizia , F.ti:. ALFONSO, RAIMONDO POINCARÉ.
L'atteggiamento della Spagna 239
della Spagna. Proprio nel periodo nel quale più si discu teva intorno all'alleanza, a Barcellona, ebbero luogo delle manifestazioni, al grido di «viva la Germania », contro la revisione del Trattato di Commercio con la Francia col quale se le domande francesi fossero accolte sarebbero rovinate parecchie delle sue più fiorenti industrie. E non è la prima volta che tal grido echeggia per le vie delle città spagnuole. C'è stato un momento, all'epoca nella quale il conflitto fra Spagna e Francia era più acuto, quando quest'ultima voleva impadronirsi del Marocco sen za tener conto delle legittime aspirazioni del vicino re gno, che la sua adesione alla Triplice parve più che possibile probabile. Ciononpertanto è evidente che un accordo deve essere stato concluso, anche se non si tratta di una vera allean za 1) per effetto del quale Francia ed Inghilterra sperano
1 L'inviato speciale del Daily Telegraph così riassunse in base ad informa zioni assunte direttamente da fonte autorizzata i risultati della visita del Pre sidente Poincaré.
Le conversazioni fra le Alfonso e Poincaré e il conte Romanones e Pichon non furono che una continuazione delle conversazioni di Parigi e non formano la base di future alleanze ma semplicemente il fondamento di una futura intesa.
Ecco le basi di quella intesa:
1.' Amicizia fra la Dinastia spagnuola e la Repubblica Francese la quale si impegna a non agevolare gli interessi politici dei repubblicani spagnuoli.
2.° Aiuti finanziari alla Spagna per metterla in grado di contrarre impor tanti prestiti a condizioni di favore.
3." Unità di politica al Marocco dove l'azione militare delle due Nazioni procederà secondo linee parallele.
4.º Cooperazione nella politica mediterranea di modo che in caso di neces sità la Francia possa ottenere per le proprie forze navali l'uso delle basi spa gnuole e il rimpatrio delle sue truppe dall Africa senza pericolo.
5.° Preparazione havale e militare da parte della Spagna per difendere ade guatamente le proprie basi navali. La Spagna deve perciò completare le sue for tificazioni costiere ed affrettare le costruzioni navali. Garanzie di amicizia lungo i Pirenei, di modo che la Francia possa lasciare le frontiere meridionali senza guarnigione e wanli tutte le sue forze alla frontiera orientale.
6." Integrità del territorio della Spagna garantito per quanto riguarda le Canarie e le isole Baleari.
7.° In caso di avvenimenti che rendessero necessario l'intervento europeo in Portogallo si terrà conto della situazione geografica della Spagna.
LE ISOLE L ALBANIA.di poter contare, al momento opportuno, sulle corazzate spagnuole, che si costruiranno con un prestito della Francia L'Inghilterra, potrà tenere minor numero di navi nel Mediterraneo ed aumentare sempre più le sue forze navali destinate a fronteggiare le navi tedesche nel Mare del Nord. La Francia dopo aver cercato di assicu rarsi l'appoggio della flotta greca nel bacino orientale del Mediterraneo, spera di poter contare sulle corazzate e sulle basi navali che può offrire la Spagna per la si curezza del bacino occidentale, e per il rapido rimpatrio del 19.º corpo d armata in caso di guerra.
E la costruzione di parecchie navi potenti fu in mas sima decisa tanto ad Atene che a Madrid....
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NOTA . e "
Il Ministro della Marina ellenico intervistato da un corrispondente ha fatto à questo proposito, nell'agosto, le seguenti dichiarazioni: Esplicheremo un vasto programma. Abbiamo chiesto ed ottenuto dal Governo britannico l'invio di una Commissione tecnica navale composta di sedici membri con alla testa l'ammiraglio Kerr; essa elaborerà, d'accordo con una Commissione similare ellenica, un vasto e importante programma, il quale avrà como scopo essenziale l'aumento graduale della flotta e la riorganizzazione dei servizî e del personale. La creazione di un arsenale si impone in conformità del programma. Il colonnello inglese Raban, costruttore dell'arsenale di Quebec, verrà in Grecia nel prossimo settembre e determinerà, d'accordo con la Commissione ellenica, il luogo dove l'arsenale dovrà sorgere, elaborerà i piani e intraprenderà poi la in stallazione dell'arsenale stesso, il quale sarà indubbiamente la prima base navale greca; vi saranno tuttavia altre basi secondarie per le flottiglie leggere
Ma il ministro della marina ellenico fu ancora più esplicito nel discorso pro nunziato qualche giorno dopo alla Camera in risposta ad una interrogazione del signor Demezdziz.
Il deputato di Corfù, disse il ministro della marina, ha domandato al Governo di informare la Camera :
1.° Se ha approvato un programma di organizzazione delle forze navali del paese assicurandone la difesa sul mare e quale è questo programma;
2.° Se l'ordinazione di un incrociatore, di quattro controtorpediniere e di due sommergibili è stata data in base al programma approvato dal Governo;
3.° Se la flotta greca come è ora basta dal punto di vista tecnico ad assi curare la difesa marittima del Paese durante tutto l'anno 1914.
4.° Quali misure ha preso il Governo per rinforzare la flotta in modo che a tale difesa possa bastare per il 1914.
Sulla prima domanda formulata dall'on. deputato di Corfù continuò il ministro ho l'onore di informare la Camera che il Governo ha realmente ap provato un programma per la costituzione delle forze navali del Paese, propor zionato alle risorse della Grecia ingrandita. In base a tale programma il Governo si è prefisso di aumentare la flotta di tre corazzate tipo Dreadnought, compresa tra queste la corazzata attualmente in costruzione nei cantieri Vulkan. Il Go verno intende inoltre procedere alla costruzione di tre incrociatori e di un nu mero proporzionale di unità leggere. Questo programma è stato elaborato e ap provato dallo Stato maggiore della nostra marina e dallo Stato maggiore della missione inglese. Le ordinazioni sono state fatte in base a codesto programma. Il Governo crede però non essergli consentito in questo momento di dare altri particolari intorno a queste ordinazioni. Il Governo crede altresì di dover dichiarare che non crede opportuno rispondere oggi alla terzi e alla quarta do manda. Una discussione in questo momento su tale argomento non gioverebbe agli interessi generali del Paese. Då però alla Camera l'assicurazione che, pie namente cosciente dei bisogni del Paese e non indietreggiando di fronte a qua lunque sacrificio, è fermamente deciso a mantenere in qualunque ora la padro MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 31
nanza del mare che hanno assicurato la superiorità tecnica della flotta greca e l'indomita energia del comandante supremo delle nostre forze navali.
A favore di quale dei due aggruppamenti navali del Mediterraneo graviterà la marina ellenica ? osserva l'on. di Palma nella bella sua relazione al bilancio della marina. Questo quesito merita, fin da ora, la particolare attenzione di co loro che son preposti all'opera della preparazione della guerra sul mare.
Una nuova marina militare sta per formarsi alle porte di casa nostra, e più particolarmente all'imboccatura del canale d'Otranto.
Quanto alla Spagna, procede con attività essa pure alla organizzazione della sua flotta.
Il suo primo programma navale del 1908, e che può considerarsi ormai come ultimato comprende: 3 corazzate tipo España, di circa 16000 tonnellate, armate con otto cannoni da 305; 3 cacciatorpediniere; 24 torpediniere.
Ma ha già preparato il suo nuovo programma navale, il quale prevede: 3 dreadnoughts di 21 000 tonnellate; 2 esploratori di 3000 tonnellate; 6 cacciator pediniere; 8 sommergibili.
Le spese per la marina hanno seguito un crescendo vertiginoso in questi ultimi anni. Ecco quello che le otto maggiori marine han stanziato per il bi lancio di quest'anno (1914).
Dai dati che abbiamo potuto raccogliere sui bilanci del 1914 delle otto mag giori marine, salvo lievi differenze, si possono dedurre le seguenti cifre:
Bilanci delle marine militari del 1914.
Inghilterra Stati Uniti d'America Russia . Francia Germania . Giappone Italia Austria .
1 300 000 000 722 000 000 690 000 000 634 000 000 580 000 000 250 000 000 228 000 000 196 000 000
4 600 000 000
Coloro che oggi criticano osserva l'on. Di Palma nella già citata relazione le maggiori spese navali dell'Italia, ricordando che il nostro bilancio navale si è raddoppiato in un decennio, dimenticano che nel 1889 l'Italia aveva un bilancio di ben 158 milioni per la sua marina, bilancio che andò poi rapida mente scemando, fino a raggiungere la bassa cifra di 90 milioni annui, com prese le spese per la marina mercantile.
E tanto più è insostenibile la critica che oggi si muove alle nostre maggiori spese navali, in quanto queste bastano appena per conservare quel minimo grado di efficienza strettamente indispensabile, dinanzi al progredire incessante delle altre marine .
L'efficienza navale di una nazione deve essere commisurata con quella delle altre nazioni marittime.
La cifra di circa 230 milioni che l'Italia destina quest'anno alla sua marina militare, può forse sembrare alquanto elevata se giudicata isolatamente; ma il nostro bilancio deve essere invece esaminato confrontandolo con quello delle altre nazioni, poichè i nostri pacifisti non possono certo pretendere che l'Italia, per non costruire nuove navi, chiuda gli occhi per non vedere quello che nel mondo si fa per rinvigorire la rispettiva efficienza navale. E da tale esame di confronto risulta evidente, che quello che l'Italia destina alla propria marina militare, rappresenta appena il minimo, al disotto del quale non si potrebbe scendere senza compromettere gl'interessi della patria.
Non è certamente colpa dell'Italia se il mondo, che nel 1901 destinava meno di un miliardo e 900 milioni alle marine da guerra, nel 1914 destina circa 5 mi liardi alla preparazione della guerra sul mare!
Ecco riassunta in una tabella l'attività navale delle 6 maggiori marine eu ropee nel 1913 :
Nazioni
Dreadnoughts entrate in servizio 5 5 2
Dreadnoughts varate
Super dreadnoughts impostate 5 5 5 3 2 4
Inghilterra. Germania . Francia. Russia Austria , Italia 1 1 2
Limitando confronti poi, per quel che riguarda la spesa alle marine europee e suddividendole a seconda degli aggruppamenti politici, e cioè in marine della Triplica Intesa e marine della Triplice Alleanza, abbiamo:
Triplice Intesa
Inghilterra Russia. Francia
Triplice Alleanza
1 300 000 000 690 000 000 634 000 000
Germania Italia . Austria .
580 000 000 228 000 000 196 000 000 . 2 624 000 000 1 004 000 000
La Triplice Intesa osserva il Di Palma quindi, in confronto della Tri. plice Alleanza, come spese navali, sta nel rapporto di due e mezzo ad uno, de stinando un miliardo e 650 milioni alla marina in più di quanti ne destina la Triplice Alleanza.
Tale enorme differenza prova in modo indubbio che la gara degli armamenti navali non è, nel fatto, fra i due grandi raggruppamenti politici, ma è piuttosto individualizzata fra nazioni e nazioni, allo scopo di conservare determinate po sizioni di equilibrio e di forza in determinati mari.
Ogni nazione ha il suo obbiettivo militare e politico, al quale deve infor mare la propria preparazione navale, tenendo conto dei risultati da raggiungere e delle resistenze da superare.
XI.
I PROBLEMI DEL DOMANI. LA SITUAZIONE NTERNAZIONALE.
La nostra guerra e la crisi balcanica. -L'antico equilibrio e l'antagonismo franco inglese. Crispi e le fortificazioni di Biserta. La rivalità anglo-tedesca deter mina il mutamento. - La Triplice popolare in Italia. Il Trentino e l'Albania. - Scutari e l'occupazione di Vallona. Austria e Italia nell'Adriatico. - I fran cesi in Abissinia. · Politica sentimentale e politica pratica. L'esempio dell'In ghilterra. L'amicizia tradizionale. La Germania e la navigazione sul Danubio. Guerra navale e guerra terrestre. I problemi del domani. Necessità di una marina forte.
La situazione europea e, in particolar modo quella del Mediterraneo, si può dire si siano mutate, da un giorno all'altro, appena i nostri soldati e i nostri marinai sbar carono a Tripoli. Fino a quel giorno l'Italia aveva avuto una parte secondaria nella politica europea, e si era un po' troppo abituata a considerare come dei grandi suc cessi politici le manifestazioni di simpatia e di amicizia che le erano prodigati con una certa larghezza. Avevamo aiutato per tanti anni alleati ed amici, a prendere, senza mai ottenere nulla per noi. Ogni qualvolta, e non senza fondamento, si era parlato della occupazione della Libia da parte nostra, alleati ed amici si erano affrettati a farci osservare che il momento non era opportuno, che rischia vamo di assumerci la responsabilità di provocare gravis-,
2
Tutti contro l'Italia 245 sime complicazioni; e l'Italia si era arresa a quelle ra gioni rinunziando a qualunque azione. Intanto amici ed alleati ottenevano quello che volevano dalla Turchia, e noi si era sempre tagliati fuori. Che cosa valessero quelle amicizie, e quelle manifestazioni di simpatia, ce ne siamo accorti, subito, appena decisa l'impresa di Tripoli. In poche settimane siamo passati dall'avere tutti ami ci, ad avere invece tutti contro. Nella stampa europea ad eccezione della Russia, l'intonazione fu quasi sempre più che ostile, addirittura acre e spesso ingiuriosa verso il nostro Paese. Veramente, anche in Austria, furono rari gli attacchi vivaci contro la nostra politica africana. Forse, in quel periodo della nostra guerra, non dispiaceva a Vienna, specialmente in certi circoli, che l'Italia fosse costretta ad impegnarsi a fondo su quelle coste dell Afri ca Mediterranea, mentre si sentiva che gravi avvenimenti maturavano nella Penisola Balcanica. Si pensava, che una diminuzione di forze del Regno Alleato, sul Continente, avrebbe permesso all'Austria di far prevalere meglio la sua influenza nelle questioni balcaniche, che nessuno prevedeva potessero condurre alla guerra e a resultati così contrari alla politica ed alle aspirazioni Austro-Un gariche.
Ma, tutta l'Europa, come diceva, era contro a que st'Italia, che aveva finalmente osato di agire perchè, malgrado i consigli di prudenza che non mancarono nem meno quella volta, pensò che il momento era opportuno anzi che con la presa di possesso del Marocco, da parte della Francia ci si offriva l'occasione propizia: l ul tima.
Se la Francia conformemente agli impegni assunti colla convenzione del 1902 per il reciproco disinteresse per il Marocco e per Tripoli non si fosse creduta lesa nei suoiin teressi e per le sue mire egemoniche nel Mediterraneo,
DEL DOMANI
la situazione sarebbe mutata ugualmente. Ma il muta mento sarebbe avvenuto pian piano, senza scosse, perchè era fatale che all'antico equilibrio delle forze navali in questo mare, un altro se ne sostituisse, per il fatto che erano andate pian piano mutando, radicalmente, le rela zioni europee. Sarebbe forse avvenuto senza scosse, senza acrimonia, senza polemiche e manifestazioni che non po tevano a meno di turbare quelle tra le due grandi nazioni latine. Ma la Francia, dopo parecchi anni, nei quali la nostra politica era stata sempre remissiva, si era abituata all'idea che mai l'Italia avrebbe messo la mano su Tri poli, e vagheggiava l'idea di allargare sempre più i con fini della Tunisia a danno della Libia, approfittando dei sospetti di Costantinopoli verso di noi, e del continuo bisogno di denaro dell'Impero Ottomano tanto coi Giovani come coi Vecchi Turchi . Fino a che, senza vi fosse una vera e propria alleanza, sapeva però l'Inghilterra sem pre pronta al nostro fianco, era impossibile pensasse di poter realizzare il sogno dell'egemonia mediterranea. Ma, dopo il protocollo del 1904, e man mano l'entente cordiale doventava più intima, il suo programma si concreto, e vide nell'Italia un paese in continuo sviluppo, la cui popolazione fra qualche anno sarà uguale alla sua la rivale che si sarebbe sempre trovata contro. Il periodo che va dall'accordo Marocco-Tripoli passando attra verso la Conferenza di Algesiras, dove le abbiamo dato la più grande prova di lealtà mettendo in pericolo le relazioni nostre con gli alleati fu una parentesi. Nel Mediterraneo, fatalmente, Francia ed Italia sono rivali! Prima di quel periodo la nostra politica mediterra nea era basata sull'antagonismo franco -inglese. La no stra flotta con l'aiuto delle squadre inglesi teneva a freno la flotta francese. E, per quanto l'equilibrio mediterra neo non facesse oggetto dei patti della Triplice, gl Im
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Una lettera di Crispi al Re 247
peri Centrali erano con noi anche in tale questione, tan to più che l'Inghilterra, pur non facendo parte di questo sistema d'alleanze, per necessità di cose, con la Francia avversaria e le sue 'relazioni sempre tese con la Russia per le questioni del Medio e dell Estremo Oriente, era verso di esso orientata.
Anche in questo il Crispi ebbe la chiara visione del l'avvenire e della fatalità che nella questione mediterra nea avrebbe sempre fatto della Francia e dell'Italia due rivali. Da una lettera sua a Re Umberto, ora soltanto venuta in luce, ciò resulta chiaramente, e resulta altresì come egli avesse fatto pratiche per impedire le fortifica zioni a Biserta, poichè, all'epoca di Tunisi, la Francia senza prendere un vero e formale impegno aveva dato assicurazioni che Biserta non sarebbe stata fortificata: il che interessava l'Inghilterra e l'Italia.
La lettera è del seguente tenore:
66 Sire!
Qual'è la miglior politica, lasciar fortificare Biserta o impedire che sia fortificata? Delle due vie l'Italia, sotto il mio ministero, scelse la seconda.
La questione fu trattata a Londra e a Berlino.
Lord Salisbury, in conseguenzadei nostri reclami, interpelld due volte Waddington su cotesto argomento; e l'ambasciatore francese assicurò Sua Signoria: in modo positivo che il suo governo non mi rava a fare di Biserta un porto militare. Ciò risulta da un telegramma giuntoci da Berlino il 28 gennaio 1891.
Da due dispacci del 5 e del 13 agosto 1890 fummo informati che circa la questione tunisina Caprivi avea detto al nostro inca ricato d'affari che la Germania non trascurerebbe gl'interessi ita liani e saprebbe all'occasione fare onore agl impegni contratti verso di noi ,,
Alla sua volta il conte di Kalnoky il 5 agosto 1890 faceva al conte Nigra, sullo stesso argomento, la seguente dichiarazione: Il governo austro-ungarico è disposto associarsi a qualunque azione di plomatica, insieme alle altre Potenze amiche, in favore dell'Italia,
DEL DOMANI'Io devo credere che nulla fu fatto negli ultimi dodici mesi che il mio successore ha tenuto il Ministero degli affari esteri. Dovrò an che supporre che sia rimasto senza risposta un dispaccio giunto da Londra alla Consulta dopo il 31 gennaio 1891. Intanto è constatato che a Biserta son cominciate le opere di fortificazione!
6 Con Biserta e Tolone i francesi diverrebbero gli assoluti padroni del Mediterraneo. A lord Salisbury io scrissi un giorno che, ciò av verandosi, l'Inghilterra non sarebbe più sicura in Malta e che po trebbe essere cacciata dall'Egitto.
Sarebbero maggiori i pericoli per noi, e ci si renderebbe neces sario munire potentemente la Sicilia e la Sardegna, le quali, in caso di guerra, sarebbero le prime ad essere minacciate. Nè basta : do vremmo tenere forti eserciti nelle due grandi isole del Regno ed oc cupata la nostra flotta nelle acque africane.
Per munire potentemente la Sardegna e la Sicilia vuolsi una enorme spesa, per la quale al Tesoro italiano mancano i mezzi. Co munque, in un momento in cui il governo di V. M. è obbligato a fare dolorose economie, è strano che per una falsa politica il governo medesimo debba esser causa di una nuova spesa.
66
Quello che importerebbe Biserta fortificata fu fatto palese a Ber lino e fu aggiunto che qualora scoppiasse la guerra, e la Germania fosse attaccata, noi non potremmo disporre di tutte le nostre forze, imperocchè saremmo costretti a localizzare la maggior parte delle truppe per prevenire gli attacchi che sicuramente verrebbero dal mare ed in conseguenza per difenderci.
Quando la Francia occupò Tunisi promise che non ne avrebbe fatto una piazza di guerra. Oggi, fortificando Biserta, il governodella Repubblica non solamente manca alla promessa, ma muta lo statu quo nel Mediterraneo. Con gli accordi del 12 febbraio e del 24 marzo 1887, la Gran Bretagna, l'Italia e l'Austria -Ungheria s' impegnarono a non permettere che questo mutamento avvenisse e, in ogni caso, si obbli garono a procedere d'accordo.
Io non porto la questione alla Camera perchè una pubblica di scussione su cosi grave argomento nuocerebbe agl'interessi nazionali. Io poi personalmente ne raccoglierei nuovi odi dei Francesi senz'alcun beneficio pel nostro paese: e mi taccio.
Il silenzio del Parlamento e l'inerzia dei Ministri, mi permetta, Sire, di dirlo schiettamente e lealmente, non salvano il Re dalla sua responsabilità verso la Patria comune.
- Costituzionalmente V. M. non è responsabile di quello che av viene, ma lo è moralmente dinanzi alla Nazione della quale è il capo e il tutore. Ora l'avvenire della Nazione può essere compromesso dalla politica attuale.
Dopo l' Entente cordiale,, 249
Questa lettera da parte mia non sarà comunicata ad anima viva; rimarrà segreta. È scritta per V. M. e per V. M. soltanto.
Ho creduto un dovere di coscienza di scriverla. Ho voluto an che questa volta testimoniare la mia piena fede nel Re, nel quale è personificata l'unità nazionale.
Al Re dunque doveva rivolgere la franca parola. Ho l'onore di ripetermi di V. M.
Dev. Servit. e Cugino F. CRISPI "
Non si era ancora accentuata, allora, la rivalità Anglo Tedesca, e fino a che questa non assunse un carattere così grave da doventare, in certo qual modo, il perno di tutta la politica del Continente e anche al di là del Vecchio Continente gli accordi nostri con la Gran Bretagna, non solo potevano coesistere con la Triplice Alleanza, ma la integravano. Accentuandosi la rivalità An glo-Tedesca, e cessata, col protocollo del 1904 quella se colare tra Francia e Inghilterra, la situazione si trasfor mò. Fu ancora possibile, per qualche tempo, in base al contratto Tripoli-Marocco una intesa nostra con le due Po tenze dell'Entente cordiale. Ma le difficoltà della situa zione apparvero manifeste, quasi subito, ad Algesiras. La concentrazione della flotta inglese nel Mare del Nord e quella della flotta francese nel Mediterraneo, sono i due avvenimenti che hanno chiuso quel periodo di transa zione ed hanno inaugurato la nuova politica mediterranea, auspice il Poincaré, prima come Ministro e poi come Pre sidente della Repubblica, e il Delcassé, prima come Mi nistro degli esteri, e poscia come ambasciatore straordi nario a Pietroburgo. Nell'azione svolta verso l'Italia si riconosce la mano del Delcassé, specialista in materia di encerclement, secondo la parola adottata per definire la sua politica contro la Germania, che le battaglie di Tzu chima e di Mukden condannarono all'insuccesso, dal mo mento che la Francia non poteva più contare sulla Russia MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 32
DEL DOMANIindebolita. Il giuoco che non riuscì con la Germania pare essere stato ripreso ora di fronte all'Italia nel Mediterra neo, con gli accordi franco-spagnuoli, l'appoggio dato alla Grecia allo scopo di creare altre due marine amiche che dieno alla Francia, aiutata dall'Inghilterra che non abban dona più il Mediterraneo, una forte superiorità sulle flotte delle due altre Grandi Potenze mediterranee alleate: l'Ita lia e l'Austria-Ungheria. Che tale sia il programma della politica francese è stato dichiarato apertamente. Politica la quale non ha escluso, che ha anzi determinato qualche tentativo di avvicinamento con l'Austria, e le manovre per far sorgere diffidenze fra le due Potenze Adriatiche. Ma questa politica, e sopratutto la intonazione acre datale dal Poincaré, ha raggiunto l'effetto opposto a quello che molti in Francia forse se ne ripromettevano. V'è stato un momento all'indomani dell'incidente del Manouba nel quale la Triplice e l'alleanza con l'Austria erano doventate veramente popolari. Dopo tanti anni il questore di Roma non aveva più bisogno, in caso di dimostrazioni , dei carabinieri e delle guardie che, da anni, in tale cir costanza hanno il mandato di sorvegliare palazzo Chigi e palazzo Venezia: le sedi delle due ambasciate austro -unga riche. Uomini politici, scrittori, giornalisti, che, da anni, erano anti-triplicisti si convertirono e riconobbero essere quella della Triplice la sola politica possibile per noi. Al trettanto sintomatico e significante fu il mutamento di lin guaggio di una grande parte di quella stampa austro ungarica, generalmente ostilissima all'Italia. 1) Per la pri 46
1) Fece a questo proposito, profonda impressione e fu vivamente commentato, fra quelli dei giornali più autorevoli diVienna, un articolo della Neue freie Presse: Lasciamo da parte scrisse la Neue freie Presse commentando un di scorso pronunziato a Salisburgo dal Presidente della Camera austriaca dottor Sylvester l'idea di un avvicinamento fra la Francia e la Germania; a noi è più prossima e più interessante un'altra questione sollevata dal discorso del pre sidente della Camera, Sylvester. Fra gli Stati mediterranei due specialmente si
La stampa di Vienna 251
ma volta, come ho già avvertito in un precedente capi tol a proposito del decreto dell' Hohenlohe Governatore di Trieste per il licenziamento degli impiegati italiani del Regno dal municipio, si sono veduti giornali attac care vivacemente il rappresentante del Governo, deplo rando che un simile atto inconsulto ed inopportuno fosse venuto a turbare le relazioni così amichevoli dei due Stati, proprio quando le circostanze sono mutate in modo che codeste relazioni di sincera amicizia sono doventate una necessità, pensando che, in caso di guerra fra i due grup pi d'alleanza o d'intesa europei, le due marine, finora rivali nell'Adriatico, sarebbero chiamate a combattere l'una a fianco dell'altra. trovano in condizione di dover far dipendere il loro benessere ed il loro valore nel mondo dalla posizione che essi occupano nel mar Mediterraneo. Questi due Stati sono l'Austria-Ungheria e l'Italia. L'Austria-Ungheria non potrebbe vivere se alle sue navi non dovesse restar aperto l'ingresso al Mediterraneo. Lo stesso interesse vitale ha anche l'Italia, la cui lunga costa è bagnata su due lati dal Mediterraneo.
Mentre le altre grandi Potenze hanno la base della loro attività marittima nei grandi oceani dell Occidente e dell'Oriente, l'Austria-Ungheria e l'Italia sono le due uniche Potenze che sono costrette a fondare la loro esistenza nel Medi terraneo, l'antica culla della cultura europea. Ambedue questi paesi non possono permettere che la libertà del commercio e della navigazione lungo le coste del Mediterraneo sia inceppata, perchè altrimenti essi si vedrebbero condannati a dover affogare.
· Questo modo di interpretare gli interessi comuni nel Mediterraneo confe risce all'alleanza dei due Stati una nuova e più profonda importanza. A questa interpretazione ha voluto accennare anche il conte Tisza nel suo ultimo grande discorso alla Camera ungherese quando ebbe a dichiarare che la flotta della mo narchia austro-ungarica potrebbe un giorno essere chiamata a recare un bel ser vizio all'alleata Italia
*
Il giornale fa poscia la storia della Triplice Alleanza, ed espone le cause che determinarono l'Italia ad allea con i due Imperi dell'Europa centrale.
Dall'epoca della visita di Re Umberto a Vienna continua il giornale ambedue gli Stati hanno sviluppato sempre più le loro industrie ed i loro com merci ed oggi si sentono più sensibilmente toccati dalle grandi questioni inter nazionali di quello che non lo fossero trenta anni or sono.
La ripartizione della costa africana, ritornata ora sul tappeto, non può la sciarcispettatori impassibili e indifferenti e nella opinione pubblica italiana si farà strada il riconoscimento dell'aumentata comunanza di interessi fra l'Austria Ungheria e l'Italia nel Mediterraneo.
Anche l'Austria-Ungheria ha allargato immensamente in quest'ultimo trentennio il suo campo d'azione, e non può più fare solamente una politica continentale. La sua flotta mercantile che doventa di giorno in giorno più numerosa, solca i mari di tutto il mondo, ma specialmente quel bacino orientale del Mediterraneo, dove vanno viep più accentuandosi le competizioni europee. Ivi han trovato uno sbocco i prodotti industriali della Boemia e quelli agricoli dell'Ungheria. La sua marcia verso Oriente, base della sua politica dopo il Congresso di Berlino nella quale fu spinta dal Bismarck che lasciandole occupare la Bosnia e l'Erzegovina scavò l'abisso fra Austria e Rus sia come l'aveva scavato fra Italia e Francia lasciando
Se nel regno a noi vicino si vorrà riflettere che le premesse per lo sviluppo indisturbato e per la sicurezza di Genova e di Brindisi sono le stesse che per Trieste e per Fiume, allora acquisterà rispetto per i promotori dell'alleanza e per il valore di essa pure quella parte della popolazione italiana la quale oggi guarda anche altrove.
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" Gli scatti sentimentali provocati da incidenti passeggeri saranno sempre più prontamente repressi dalla ragione che permette di comprendere l'intiero valore dell'alleanza. Quale significato possono aver di fronte alla grande comunanza di interessi nel Mediterraneo, gli insignificanti incidenti di frontiera? E come si restringono in sè stessi e svaniscono gli screzi irredentistici alimentati dal ri cordo del lontano passato di fronte alla comune preoccupazione per l'avvenire dei propri commerci e delle proprie industrie !
L'alleanza fra l'Austria-Ungheria e l'Italia ha da produrre anche degli effetti benefici per ambedue gli Stati. Forse per la seconda generazione che seguirà all'alleanza questa produrrà vantaggi ancora maggiori di quelli recati nei primi trent'anni della sua esistenza
Il giornale trova quindi opportuno di rivolgere un ammonimento ai tedeschi dell'Austria incitandoli a riflettere bene sulla importanza che può avere per la monarchia l'amicizia coll'Italia. Gli interessi dell'Austria-Ungheria sul Mediter raneo sono identici a quelli dell'Italia e questi interessi dovrebbero stare parti colarmente a cuore all'industria ed al commercio tedeschi. E poi l'alleanza ha anche il compito di tutelare i beni morali che sono comuni del popolo tedesco e del popolo italiano.
La Neue freie Presse concludeva rivolgendo un caldo appello ai partiti tede schi perchè si decidano una buona volta a lasciare da parte le idee meschine ed a riflettere a tutte queste cose tanto importanti, le quali dovrebbero bastare ad indurre i tedeschi dell'Austria, nell'interesse dell'alleanza coll'Italia, a non creare nuovi ostacoli ai giustificati interessi degli italiani dell'Austria (cioè smet tendo dal combattere l'istituzione della Facoltà giuridica italiana).
L'Austria e il Mediterraneo 253
andar questa a Tunisi, si è fermata per effetto degli ul timi avvenimenti. Ma nel Mediterraneo Orientale e nella Penisola Balcanica, in questo ultimo trentennio, l'Austria Ungheria si è creata una fitta rete d'interessi. La sua vita economica sarebbe ferita a morte il giorno nel quale non potesse più tutelare quegli interessi là dove trova fra i concorrenti sul terreno commerciale i presunti avversari del campo politico. Nè può più limitarsi a guardare sola mente all'Adriatico. Difatti, nelle appassionate discus sioni svoltesi nella estate del 1913 a proposito dei progetti navali della Monarchia, la stampa più autorevole di Vien na ha sempre posto queste discussioni in relazione, non già con gli armamenti dell'Italia, ma con la nuova situa zione che si è andata delineando nel Mediterraneo.
Un noto scrittore tedesco di cose di marina, il quale suole firmarsi Nereus, ha pubblicato di recente un opu scolo su tale argomento per dimostrare l'assurdità del ragionamento di coloro che tendono a dare questa in terpretazione ai progetti navali della Monarchia austro ungarica.
In questo scritto, dopo lunghe considerazioni di ca rattere militare, viene alla conclusione che in caso di un conflitto fra l'Austria e l'Italia le flotte dei due paesi avrebbero un'importanza secondaria visto che la lotta decisiva dovrebbe essere combattuta dai due eserciti. Come è già stato osservato, se l'Austria fosse vincitrice per terra, all'Italia gioverebbe assai poco l'avere distrutta la flotta austriaca. E viceversa all'Austria gioverebbe assai poco l'essere stata vincitrice per mare, se il suo esercito fosse stato distrutto da quello italiano.
Nereus sostiene nel suo opuscolo anche l'impossibilità da parte nostra di uno sbarco sulle coste dalmate e l'im possibilità di uno sbarco austriaco sulle coste italiane. Perchè lo sbarco italiano sulle coste dalmate potesse riu
DEL DOMANIscire efficace, secondo Nereus, dovrebbe esservi impie gato un corpo di truppe fortissimo, che l'Italia non po trebbe formare senza indebolire soverchiamente l'eser cito principale che dovrebbe subire l'urto maggiore e che perciò arrischierebbe di restare sconfitto. Di più, per trasportare un grosso corpo di sbarco, occorrerebbero tante navi da trasporto di grosso tonnellaggio quante la marina mercantile italiana di sicuro non potrebbe mettere a disposizione. Finalmente lo sbarco stesso data la con figurazione della costa dalmata - sarebbe difficilissimo e potrebbe essere impedito anche dalle piccole unità della squadra austriaca.
Con altri argomenti lo stesso scrittore dimostrò la impossibilità di uno sbarco austriaco sulle coste italiane. La Monarchia Austro-Ungarica diceva come conclu sione del suo scritto il citato autore ha di fronte a se sè . due vie da seguire: o politica adriatica, e come mezzo di seguire questa politica, navi minori, o politica mondiale e, come mezzo per essa, navi di maggiore tonnellaggio. O si rinunzia a ogni intromissione nella politica mondiale e ci si limita a mantenere la propria posizione di fronte agli Stati confinanti, e allora le navi maggiori non sono necessarie e l'Austria può difendere la sua posizione nel l Adriatico con il suo esercito. Oppure si vuole avere voce in capitolo nelle questioni internazionali e allora bi sogna trarre anche le opportune conseguenze da questa premessa e adattarsi a fare tutti i sacrifici richiesti per non restare indietro agli altri Stati nella costruzione di colossi del massimo tonnellaggio, della massima velocità e della massima potenza.
E l'Austria si è senza esitazione decisa per la costru zione di potenti dreadnougts: cioè per la politica mon diale.
Austria ed Italia di fronte alla necessità di garantire
L'esempio dell'Inghilterra 255
la libertà minacciata nel Mediterraneo, dovevano forza tamente intendersi su tutte le altre questioni meno vitali per quanto importantissime. E rimandare quindi ad epo ca indefinita la soluzione di quei problemi nei quali le aspirazioni e gli interessi dei due paesi si trovano in con flitto : come per l Albania. Mentre l'anno scorso fervevano a Vienna le polemi che sulle nuove costruzioni navali fu ricordato molto op portunamente l'esempio dell'Inghilterra, dove, quando incominciò a preoccuparsi per la potenza navale della Germania e dello sviluppo enorme del suo commercio po litico, gli uomini politici,con quel pronto e lucido processo di semplificazione della mente inglese che consiste nel districare e mettere in evidenza il fatto più importante, si accorsero che sorgeva nella Germania una nuova forza antagonista più temibile e più ambiziosa delle altre. E si affrettarono a correre ai ripari liquidando le vecchie partite che dividevano l'Inghilterra dalla Francia nel l'Africa settentrionale e dalla Russia in Persia e nell'Asia centrale. Nè si dica che tale impresa fosse facile. Le divergenze anglo-francesi e anglo-russe in quei paesi era no gravissime e avevano condotto, a più riprese, i rivali sull'orlo della guerra. Non diversamente nel Mediterraneo, di fronte alla minaccia e all'ambizione francese, Austria ed Italia si sono trovate per la forza delle cose a dovere stringere vieppiù i loro accordi di fronte al problema per entrambe vitale: quello dell'equilibrio del Mediterraneo. Su questo argomento fece ottima impressione il discor so pronunziato alla Camera dal Ministro Di San Giuliano, nel quale con grande chiarezza ed efficacia disse quale era stato e quale doveva essere l'atteggiamento dell'Ita lia dopo la nostra guerra per la Libia e quella Balcanica. Prima che scoppiasse la guerra italo-turca disse in quell'occa sione il Ministro degli esteri italiano due grandi problemi erano
DEL DOMANI
ancora aperti per noi:,l'equilibrio dell'Adriatico e l'equilibrio del Me diterraneo.
L'equilibrio dell'Adriatico è un problema che sta per essere risolto mercè l'intima collaborazione dell'Italia e dell'Austria-Ungheria, la cooperazione della Germania e il largo e pacifico spirito di equità delle altre grandi potenze.
Un ministro degli esteri non poteva dire diversamente e doveva dimenticare che, invece, le altre Potenze han fatto tutto il possibile per creare difficoltà.
Italia ed Austria sono oggi egualmente concordi nel volere sostan zialmente mantenere l'equilibrio del Mediterraneo. Di tale concordia, rispondente alle nostre vedute ed ai nostri interessi, noi siamo lieti. Il possesso della Libia ha risoluto per l'Italia il problema dell'equi librio dell'Africa settentrionale, ma non diminuisce certo il nostro interesse al mantenimento dell'equilibrio generale del Mediterraneo. Interessi identici ai nostri, i quali rafforzano la reciproca amicizia, ha anche in questa quistione l'Austria-Ungheria.
Di tale identità di interessi i due Governi alleati hanno piena co scienza.
Se per forza degli eventi, contro la volontà nostra e contro la volontà dei nostri alleati e di tutte le grandi potenze, dovessero av venire, presto o tardi, mutamenti territoriali nel Mediterraneo, l'Italia non potrebbe rimanere spettatrice inerte, e dovrebbe esigere che la sua posizione di grande potenza mediterranea venisse da tutti tenuta nel debito conto. (Vivissime approvazioni.)
Il Mediterraneo non è più oggi, come nell'antichità greco-romana, il centro unico della civiltà, ma la sua importanza mondiale non è per questo diminuita; anzi, essendo divenuto il campo di interseca zione delle comunicazioni tra l'Europa e tutti gli oceani e tutti i con tinenti, è sotto questo aspetto aumentata.
Nessuno oggi ha più, nè avrà mai il diritto di chiamarlo mare nostrum ; ( Vivissime approvazioni Applausi) esso è, e deve restare libera via delle genti, delle quali niuna può e deve averne il dominio, e tutte devono averne il godimento, e tra le quali uno dei primi posti è stato conquistato e sarà conservato dall'Italia.
L'assetto territoriale attuale del Mediterraneo sodisfa i nostri.inte ressi politici ed economici, e noi desideriamo vivamente, al pari delle altre grandi potenze, che esso sia mantenuto.
Il discorso dell'on. Ministro ebbe un grande successo nella Camera e nel Paese ed ebbe un'eco profonda anche
Dichiarazioni dell'on. Di San Giuliano 257
nella stampa estera nella quale fu variamente giudicato. Naturalmente non piacque troppo alla stampa francese, che commentò come diretta contro la politica della Re pubblica e le sue mire di egemonia nel Mediterraneo la frase «oggi nessuno ha più nè avrà mai, ecc...». Ma, anche in Francia, qualche spirito equo riconobbe che il Ministro degli Esteri italiano aveva parlato con grande correttezza e misura, e che il suo discorso era il discorso di un uomo di Stato conscio del proprio dovere; degli interessi del proprio paese che deve fieramente difen dere, rispettando quelli di tutti gli altri. Così, giustamente, nello stesso discorso, a proposito dell'Albania e dell'atteggiamento dell'Italia nelle questioni balcaniche mentre stava per scoppiare il secondo conflitto e veniva posta sul tappeto la questione dell Albania, l'ono revole Di San Giuliano aveva detto :
«In una crisi come l'attuale, in cui tanti opposti inte ressi sono in giuoco e tanta materia infiammabile è sparsa per ogni dove, nessuna potenza, grande o piccola, può sperare e pretendere che tutti i suoi interessi e tutti i suoi desiderii siano interamente sodisfatti. Ma è necessa rio ognuno faccia qualche sacrificio parziale e che i di vergenti interessi e le discordi aspirazioni vengano conci liati per mezzo di una serie complessa di reciproche transazioni . A questi criteri s'ispira la politica dell'Italia. Coopereremo per ciò agli sforzi per comporre la vertenza tra la Bulgaria e la Romania e per dare all Albania, au tonoma e neutralizzata sotto il controllo delle grandi po tenze, una delimitazione ed una organizzazione che ne assicurino la vitalità e lo sviluppo civile.»
Il modo col quale fu risoluta dalla Potenze la questione albanese, secondo le proposte dell'Austria e dell'Italia, ha tutto il carattere di un accordo negativo. Siamo d'ac 33
MANTEGAZZA. Il Mediterraneo.
DEL DOMANIcordo. Ma era il meglio che si potesse fare per non com promettere,l'avvenire.
A tale proposito una curiosa polemica si svolse nello scorso ottobre provocata dallo scritto di un diplo matico, del quale il Giornale d'Italia, dove furono pubbli cate due sue lettere, non fece conoscere il nome. In que ste lettere il diplomatico asserì che, anche prima del pericolo acuto della crisi balcanica, una offerta più o meno aperta ci era stata fatta dall'Austria di ce derci il Trentino, disinteressandoci in compenso dell'Albania. E cercò dimostrare che si fece male a non accettare il cambio, poichè, a suo avviso, il Trentino per noi vale molto più dell Albania, e Vallona, egli scrisseha una importanza minore assai di quanto generalmente si crede. Il giornale stesso nel quale tali lettere furono pubblicate rispose dimostrando con argomenti irrefuta bili, come, invece, dato, realmente, l'offerta vi sia stata cosa che mi pare debba essere posta in dubbio rebbe stato gravissimo errore l'accettarla. In ogni modo, la discussione sulla opportunità o meno del cambio, dopo che le sorti dell'Albania erano state regolate dalla Con ferenza di Londra poteva avere soltanto un carattere accademico. Ma vi erano due punti sui quali mi pareva non inutile l'insistere, il rilevare cioè, come, dopo quanto era avvenuto nella Penisola Balcanica, la soluzione , adottata fosse la sola possibile, e l'importanza di Val lona. È quanto cercai di dimostrare, entrato terzo nel dibattito. 1) A parte tutte le altre considerazioni, la prova più evi dente della importanza di Vallona la si è avuta nell'atteg giamento del vicino Impero, nel periodo più acuto della questione di Scutari, quando, alla frontiera montenegrina, mobilizzava i suoi reggimenti determinato ad agire. In
1) Lettera al Giornale d'Italia del 16 ottobre 1913.
sa
La questione di Scutari 259 quella circostanza, il nostro Ministro degli esteri, bisogna ben riconoscerlo, ha manovrato con molta abilità. Se i reggimenti austriaci avessero marciato su Scutari, per assicurare quella città all'Albania, e garantirvi l'ordine, nulla di più naturale che, altrettanto, facesse, a Vallona, un corpo di truppe italiane che già stava concentrandosi in uno dei nostri porti, per essere pronto a partire da un momento all'altro. Dati gli accordi, il vicino Impero non poteva opporsi. Ma è bastato tale atteggiamento . dell'Italia, perchè sbollissero subito gli entusiasmi di Vien na per la marcia su Scutari. La caduta della città, dopo sei mesi d'assedio, è venuta a semplificare la situazione. Se avesse resistito ancora qualche giorno, le due spedi zioni si sarebbero fatte, e, certamente, il problema si pre senterebbe ora in modo diverso.
Io non sono un diplomatico, e posso quindi, senza tema di compromettere alcuno, manifestare apertamente e senza troppe circonlocuzioni il mio pensiero. Con la simultaneaoccupazione delle due città, era implicita l'idea, che noi non ce ne saremmo andati da Vallona se non quando l'Austria se ne fosse andata da Scutari. 1) Chi può dire ora qual piega, con tali occupazioni che avreb bero dovuto durare parecchio, avrebbero potuto prendere gli avvenimenti, in un paese nel quale, come si è visto, tutte le sorprese sono possibili? In quella circostanza l'accordo antico riguardo all'Albania, tra Austria ed Ita lia è stato veramente messo alla prova del fuoco. Gli en tusiasmi per la marcia su Scutari, che poscia doventò inu tile, sbollirono subito, perchè anche con una nostra oc cupazione temporanea di Vallona, che poteva avere altre
1) Il leader dei Giovani Czechi disse poco dopo alla Camera austriaca: Re Nicola di Montenegro merita un monumento a Vienna: è stato lui che, evacuando Scutari, ha impedito l'occupazione austro-italiana dell'Albania, che sa rebbe stata più tardi l'origine di una guerra tra Austria e Italia. Il pericolo di venir imbottigliati nell'Adriatico non ci può venire che dall'Italia "
DEL DOMANI
conseguenze, l'Austria temette potesse essere turbato a suo danno l'equilibrio adriatico. È storia di ieri, che non deve essere dimenticata. E con la rude franchezza, che possono permettersi quelli che un cancelliere tedesco chia mò gli irresponsabili e che però, appunto per questa loro irresponsabilità, rendono, a volte, servigi preziosi col dire verità che i responsabili debbono tacere lascia temi dire non essere il principio di nazionalità che può esclusivamente guidare la politica di un paese. Tanto meglio per una nazione come la nostra sorta in base a questo principio, quando i suoi interessi e il prin cipio di nazionalità, come nel caso della questione alba nese, sono d'accordo. Ma, in generale, il principio dell'e quilibrio preme sul principio di nazionalità. È una ve rità che finora non si voleva riconoscere specialmente in Italia, dove anche uomini politici dei partiti conservatori non sapevano disfarsi delle vecchie formole, e rendersi conto che con la politica internazionale, come si svolge oggi giorno tutta a base di interessi materiali, queste non possono avere più che una scarsa importanza. Pro prio in questi ultimi tempi, si è veduto una guerra, la guerra balcanica, bandita in nome del principio di na zionalità, finire col Trattato di Bucarest, col quale la questione delle nazionalità balcaniche è passata completa mente in seconda linea di fronte alla preoccupazione dell'equilibrio delle forze nella Penisola. Ben inteso che, in certi casi, ognuno intende a modo proprio l'equilibrio. Ed a Bucarest era inteso nel senso di rendere la Bulga ria impotente alla rivincita.
Epperò v'è da rallegrarsi nel constatare, come anche uomini politici i quali appartengono ai partiti più avan zati e dai quali due anni fa si parlava.... della naziona lità tripolina come vent'anni fa della nazionalità abis sina ( !) abbiano compreso che nella politica internaziona
L'articolo di un socialista 261
le non si può lasciarsi guidare unicamente dal sentimen to.... specialmente di fronte a tutti gli altri paesi che, ogni giorno più, mostrano di non tenerne alcun conto. Importante quanto mai, da tale punto di vista, mi è sembrato un articolo dell'on. Labriola: articolo 1) cer tamente coraggioso, dato il partito al quale egli appar tiene.
« La politica mediterranea egli scriveva a differen za della politica continentale, non è conservatrice; è poli tica, potremmo dire, rivoluzionaria, cioè di spostamenti e di mutazioni, poichè ponendo a contatto popoli con diversi gradi di civiltà conduce a tentativi di subordinazione e di coordinamenti, che risolvono di continuo le vecchie posizioni e ne creano di novelle. I paesi mediterranei, una volta che è stato levato il vecchio equilibrio, sono tenuti a non posare, a vigilare e a faticare per accomodarsi alla men peggio. Risoluto il primo assestamento, ci vuol poi tempo perchè le cose si chetino, e poi non è affatto sicuro che si cheteranno in modo definitivo. I vasi co municanti tendono a portare al medesimo punto il li vello del liquido in essi contenuto, ma se delle sorgenti di diversa potenza riversano il liquido in taluni di essi, l'equilibrio, come nella realtà delle cose, non è mai defi nitivo. Così della politica mediterranea: illudersi che il moto si potrà calmare una volta per sempre, è un po' ridicolo. I paesi mediterranei sono, per necessità di cose, costretti a fare una politica molto attiva, o che siano de mocratici o che non siano. Proprio, in questo caso, le forme politiche non influiscono affatto sul risultato e sulla natura delle relazioni internazionali. «Non è di questo che in Francia si sono avveduti, oppure non credono giovi avvedersi. Colà si parla ancora, a proposito delle faccende dell'Epiro settentrionale, di
1) Nel Messaggero del 10 aprile 1914.
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DEL DOMANIun principio di nazionalità, che l'Italia non vorrebbe ri conoscere, e del vigore col quale la Grecia cerca difen derlo. Si può dubitare se in politica i principii sono mai stati invocati per altro se non per servire a determinate opportunità, ma questa volta, anzi, sempre che si parla di politica mediterranea, il principio di nazionalità non ci entra affatto. Questo principio ha per correlativo la me desimezza del grado di civiltà fra le parti per le quali si invoca e cessa dove il problema si presenta con altri termini. È un principio completamente estraneo alla po litica mediterranea, che tende alla formazione di determi nate zone culturali ed economiche fra parti le quali hanno disugualissimo grado di sviluppo civile. Ecco perchè non è stato invocato contemporaneamente fra parti che in tendevano servirsene in senso opposto e contradditorio. Così gli albanesi durano a dimostrare che tutto l'Epiro è albanese, sebbene linguisticamente ellenizzato, e i greci che invece è greco perchè il greco vi si parla; ma questi sono tutti argomenti sofistici: la nazione non è la stirpe e la lingua non è la nazione, che nasce invece dalla me desimezza del destino e dei fini storici. E poi ognuno sa che se si applic il principio di nazionalità ai problemi balcanici o dell'Asia anteriore si riesce a risultati lacri mevoli per la loro evidente comicità. Le soluzioni nazio nali non valgono in modo assoluto, ma soltanto nei limiti di certe condizioni , che, così, all'ingrosso, si sono dimo strate vere soltanto per i paesi europei occidentali. «L'Italia, evidentemente, non può ispirarsi nella sua politica mediterranea a un principio, che, come tale non significa niente, e vale con tutte le limitazioni, che la sua origine storica viene imponendo. Quando il signor Clemenceau bada a scrivere che l'India tradisce la legge delle sue origini allorchè rinnega il principio di naziona lità nelle cose dell'Epiro, mostra soltanto che questo spi
Il principio dell'equilibrio 263
ritoso pubblicista non ha saputo mai superare l'orizzonte intellettuale dei criteri politici, che si vennero formando in Europa fra il 1848 e il 1860.»
È in base al principio dell'equilibrio che quando i di plomatici si radunano a Congresso, all'indomani di una crisi, modificano la carta di un continente.
È sopratutto dell'equilibrio che si occuparono le Po tenze al Congresso di Berlino e a Bucarest. Ed è stato, precisamente, perchè l'equilibrio Adriatico non fosse tur bato a danno nostro, che s'è creato il nuovo stato albanese.
L Albania e Vallona, in mano di una Potenza che possa disporre di una grande marina militare, sarebbe per noi una continua minaccia, oggi più ancora di prima, che se la conquista della Libia ha cresciuto il nostro presti gio, ci impone altresì maggiori doveri. Non si può vivere tranquilli in casa propria, come vanno dicendo i pacifisti ad ogni costo. Quando si sa di non potere affacciarsi al l'uscio di casa, si corre il rischio di rimanervi soffocati. Oggi più che mai, mentre si rafforzano forse con nuove amicizie le marine del bacino occidentale, l'Italia ha bi sogno di avere sicura libertà di movimenti nel bacino orientale, tanto più che nulla di veramente definitivo è stato stabilito dai recenti trattati nella Penisola Balcanica e sulle sue coste dell'Egeo e dell'Adriatico, e già maturano nel Medio Oriente i problemi del domani. Non per colpa di governanti, poichè mente umana non poteva prevedere il vertiginoso succedersi di avveni menti che sono sembrati addirittura inverosimili, ma per fatalità di circostanze, la posizione dell'Italia è oggi diffi cilissima e quanto mai delicata. Siamo stati noi a sca tenare la prima guerra balcanica. Siamo stati ancora noi e non discuto se si poteva o no fare altrimenti scatenare la seconda; poichè la Serbia sarebbe certamente stata più arrendevole se avesse potuto avere il suo sbocco
e a
nell'Adriatico, e, poco è mancato non fossimo anche cau sa diretta della terza, poichè è certo l'atteggiamento ostile contro di noi di parecchie Potenze che ha incoraggiato la Grecia a pretendere troppo. Abbiamo disturbato tutti, e certo corriamo un po' il rischio di essere nuovamente isolati, se non ci decidiamo. La politica di altalena fra le amicizie e le alleanze, che abbiamo potuto fare per un certo tempo, non è più possibile. E non è più possibile precisamente perchè siamo, dopo l'impresa di Libia, ri tenuti più forti. Bisogna scegliere, e una volta tracciata la linea di condotta seguirla senza esitazioni, e senza pen timenti, anche se tale politica ispirata ai supremi inte ressi del Paese, e per non compromettere l'avvenire, esi ge qualche sacrificio dolorosissimo.
Oggi, mentre da una parte, la minaccia, non è nem meno più dissimulata, la questione dell'equilibrio del Me diterraneo è per noi la questione vitale. Non possiamo ri manere isolati, mentre le altre Potenze si raggruppano e si preparano alla difesa, e chi lo sa,. forse anche al l'offesa: per lo meno all'idea che un giorno questa possa essere la soluzione inevitabile. Oggi, la nostra maggiore preoccupazione è la nostra posizione nel Mediterraneo. Ad essa deve essere subordinata e coordinata tutta la nostra politica.
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Epperò è stato provvidenziale, forse, che nella que stione albanese fra l'Austria e Italia si sia fatto anni sono, e ribadito ora quell'accordo negativo, giudicato un errore . dall'egregio scrittore al quale sarebbe sembrato invece vantaggioso per noi il baratto fra l Albania e il Trentino. È tale accordo che senza compromettere l'avvenire per mette ai due Stati ed alla Triplice, della quale entrambi fanno parte, di tutelare l'equilibrio del Mediterraneo. L'av venire è nelle mani di Dio, e molti ritengono, che, non soltanto per quanto riguarda l'Albania, a scadenza più
Francia e Italia 265
o meno lontana, nuovi avvenimenti possano svolgersi nel bacino meridionale dell'Adriatico. Nulla di definitivo, co me diceva, fu stabilito dalle varie paci balcaniche. Tutto ha invece un carattere di provvisorietà. Più che una pace sembra una tregua.
Ebbene, tutte le soluzioni che hanno carattere prov visorio giovano all'Italia, che ha tutto da guadagnare aspettando.... La demografia lavora per noi. L'ultima sta tistica dà una popolazione di 34 milioni. Fra pochi anni sarà di 40 milioni.... E si discorre meglio con tutti quando si parla a nome di un Paese che può dare un forte eser cito e una forte marina.
È, sopratutto, questo nostro rapido sviluppo econo mico e demografico che preoccupa la politica della Fran cia, che, alla sua frontiera orientale, ha di fronte un altro Stato la cui popolazione è ugualmente in continuo aumento. Per la vicina Repubblica è forse una necessità demografica quella di cercare altri alleati anche fra gli Stati minori.... Epperò era fatale che le relazioni sue con l'Italia doventassero quello che sono ora, informate - a che gioverebbe il negarlo ? ad una reciproca dif fidenza. Noi non possiamo dimenticare che ci siamo sem pre trovati di fronte la Francia a crearci difficoltà sia quando le relazioni erano tese, come quando erano doven tate cordiali, ed avevamo ragione di attenderci ben di verso atteggiamento. Durante la nostra guerra con l'A bissinia e nel periodo nel quale gli avvenimenti, si vedeva, l'avrebbero resa, a poca distanza di tempo, inevitabile, i consiglieri più ascoltati da Menelik erano dei fran cesi: francese fu il denaro col quale potè rifornirsi di armi e munizioni per la via di Gibuti: francesi erano gli ufficiali che insegnarono ai soldati scioani il ma neggio delle artiglierie. Quindici anni dopo, scoppia la
MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 34
DEL DOMANIguerra con la Turchia, e sono ancora i francesi che, dal confine tunisino, aiutano i nostri nemici facendo passare armi, munizioni ed uomini. E quando avviene l'incidente del Manouba, le grida di viva la Turchia, abbasso l'Ita lia, echeggiano per le vie di Marsiglia. Finalmente, in seguito alla guerra balcanica è posta sul tappeto la que stione dell Albania, di un interesse vitale per noi, ed è ancora la Francia, unica e sola, che ci si mette risoluta mente contro. Dopo aver rilevato che tale atteggiamento così apertamente ostile, fu tenuto anche da un gabinetto del quale facevano parte il Pichon e il Barthou, due uo mini politici che si professano amici fervidi del nostro paese e che han dato il loro nome al Comitato Francia Italia, è naturale si debba constatare una volta di più come le dichiarazioni di amicizia, l'invocazione alla razza latina e tante cose simili abbiano un valore assai scarso. I sentimenti nulla hanno a che vedere con le direttive della politica internazionale, la quale spesso prescinde anche dal senso dell equità, come a proposito di quanto è accaduto per Tripoli. La Francia, sebbene ci avesse consentito piena libertà d'azione, quando abbiamo cre duto di dover agire, ha manifestato, apertamente, il suo risentimento, come lo abbiamo avuto noi quando essa occupò Tunisi, senza tener conto delle circostanze completamente diverse. Quel risentimento e il suo con tegno verso di noi, hanno mostrato chiaramente quali era no e quali sono le direttive della sua politica nel Medi terraneo. La frase «lago francese» a proposito del Me diterraneo è apparsa più volte nelle polemiche dei gior nali di Parigi, specialmente quando, col ritiro delle sue navi, la Gran Bretagna le aveva affidato il còmpito di tutelare gl'interessi d entrambe in questo mare. Apparve allora manifesto che, mentre la politica inglese nel Medi terraneo ha un carattere difensivo, mirando a garantire
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che pareva
l Egitto e la via delle Indie, ha invece un carattere offen sivo quello della Repubblica. Con quel senso pratico, al quale ho più sopra accen nato, i dirigenti della politica britannica avevano conside rato come un affare vantaggioso questa delega di poteri alla marina francese1) che potrebbe permettere loro di tenere una maggior forza navale nel Mare del Nord. L'In ghilterra è maestra nell'arte di sapersi servire degli amici per difendere i propri interessi. E quando, qualche mossa della sua politica sembra determinata da nobili e ge nerosi sentimenti altamente invocati, si può quasi sempre essere sicuri, che il sentimento.... è d'accordo con l'inte resse. In un paese così attaccato, sotto certi aspetti, alla tradizione, non si esita a romperla quando ciò può gio vare. Lo splendid isolement, che per tanti anni fu vanto della politica inglese, fu abbandonato da un giorno all'al tro per concludere l'alleanza col Giappone e l'alleanza an ticristiana, come essi dicono che più di ogni altra do veva ripugnare quando tale alleanza le tornò utile affi dando alle navi e, occorrendo, anche agli eserciti del Mi kado la tutela delle colonie britanniche in quelle lontane regioni. Con lapiù grande disinvoltura i suoi avversari di ieri sono doventati gli amici e sono considerati avversari gli amici di ieri. Fino a qualche anno fa la flotta italiana, unita alla sua, manteneva l'equilibrio nel Mediterraneo di fronte alla Francia, e l'Italia era la sua grande amica. Si diceva anzi sempre: l'amicizia tradizionale. Amicizia ed era in sostanza una vera e propria alleanza. La parola non fu mai pronunziata ufficialmente in Italia, ma fu detta, e parve cosa naturalissima, nel 1906, nel discorso di un ministro inglese. A malgrado del
1) Dopo il convegno di Malta e le polemiche violente della stampa, l'Inghil terra, come si è già avvertito, è ritornata sulla sua deliberazione. Ed ora man tiene di nuovo nel Mediterraneo una considerevole forza navale.
la tradizione, l'amicizia coll'Italia nel Mediterraneo è stata abbandonata col mutare delle situazioni. Il che inten diamoci - non vuol punto dire che l'Inghilterra ci sia nemica. Nel Mediterraneo, come si è detto, essa ha scopi difensivi e non pensa certo ad attaccare l'Italia. Ma per forza di cose è oramai nel campo opposto. Se si dovesse fare il bilancio dei servigi che Inghilterra e Italia si sono rese reciprocamente durante il lungo pe riodo della tradizionale amicizia, sarebbe facile consta tare che se, con la presenza della sua flotta ha mante nuto l'equilibrio di fronte alla Francia garantendoci da un possibile attacco, da parte nostra, più di una volta, si sono resi servigi di non lieve importanza. Basterebbe ri cordare il passaggio da Obbia concesso e facilitato alle truppe inglesi all'epoca della guerra contro il Mullah, concessione con la quale, rompendo la neutralità, ab biamo corso il rischio di vedere il Mullah rivolgersi con tro il Benadir, dove, allora, non sarebbe stato punto facile per noi l'opporre una valida difesa, date le condi zioni della Colonia. Servigio tanto più significante, in quantochè, pochi anni prima, quando eravamo in guerra con l'Abissinia, il Governo di Londra aveva risposto con un rifiuto alla nostra domanda di far passare, su territo rio britannico nell Africa Occidentale, un piccolo corpo di spedizione. Lungi da noi ogni idea di recriminazione. Ricordiamo fatti e circostanze soltanto per dimostrare una volta di più, come gl'interessi sieno oramai la sola guida della politica internazionale, e, come sia ingenuo parlare a questo proposito di sentimenti. Agli interessi tutti sa crificano senza esitare, amicizie e tradizioni. Ognuno fa gli affari suoi senza preoccuparsi d'altro, e, pur troppo, si mette in una condizione di inferiorità il paese che ad al tre preoccupazioni obbedisce, o anche solamente lascian do possano esercitare qualche influenza. Questo va detto
La politica dei compensi 269 specialmente per l'Italia, dove, a malgrado delle disillu sioni e delle sorprese che pure avrebbero dovuto aprirle gli occhi, vi è ancora, tanto fra gli uomini politici come nella stampa, chi vorrebbe continuare a fare della politica estera sentimentale, sia che si tratti delle nostre relazioni con la vicina Repubblica sostenendo che bisogna assoluta mente procedere d'accordo con essa, o di un cieco filoelle nismo avendo completamente dimenticato che la Grecia e l'elemento greco nel Mediterraneo e nel Mar Rosso ci fu rono ostili in momenti per noi difficili,1) sia nella questio ne dell'irredentismo, come se un gran paese come l'Italia potesse imperniare su tale questione, per quanto faccia vibrare il suo cuore, tutta la sua politica estera e ad essa sacrificare i grandi e supremi suoi interessi e la sua po sizione nel mondo ! E sulla base degli interessi, di reciproche concessioni di compensi secondo la parola consacrata dall uso, si può sempre trattare e venire ad accordi, anche coi presunti avversari. In fondo l'articolo del Temps, sulla nuova situazione del Mediterraneo, riprodotto per intero in un precedente capitolo - e il Temps fu più che mai, in quella occasione, l'interprete del pensiero del Governo malgrado la sua intonazione vivace, non ha voluto, come si dice, rompere i ponti. Chè, anzi, nella chiusa, là dove dice che l'Italia può rimanere fedele ai suoi accordi con la Francia, l'Inghilterra la Francia, l'Inghilterra e la Russia, e «mettere al servizio della pace la sua autorità ac
1) È a tutti noto come nei primi anni della nostra occupazione di Massaua, i greci colà residenti ci crearono continue difficoltà, e come dei greci furono sovente degli strumenti contro di noi in mano di Ras Alula, di Re Giovanni e poscia di Menelik. Ad Aden la sera nella quale pervenne la notizia della bat taglia d Adua, parecchie case di greci furono illuminate come manifestazione di gioia, per l'insuccesso delle armi italiane. La luminaria cessò poco dopo per un ordine perentorio del governatore inglese, che mandò degli uomini coll'ordine di togliere i lumi ove non lo avessero fatto i proprietari.
DEL DOMANIcresciuta dai suoi successi mediterranei adoperandosi a pacificare, ove sorgessero conflitti possibili fra i suoi alleati e i suoi amici» ha avuto tutta l'aria di for i mulare un invito a trattare. La partita Marocco-Tri poli è liquidata. Vediamo ha voluto dire può aprirne un'altra, e su quali basi. A poche settimane di distanza da quell'invito è stata iniziata dalla stampa francese, come se obbedisse a una parola d'ordine, la campagna per dimostrare il nostro isolamento, con l'evi dente scopo di impressionare l'opinione pubblica in Italia. Ora, mentre da una parte ci pare mal scelto il momento di parlare di isolamento, mentre per mille segni anche astrazion fatta dall'anticipato rinnovo della Triplice le relazioni con la Germania e con l'Austria hanno as sunto un carattere di grande intimità, dall'altra, è stata tattica poco felice, l'insistenza nel voler dimostrare co desto isolamento, che ha lasciato vedere chiaro il mo vente della campagna, urtando le nostre suscettibilità. Pareva si volesse imporci di trattare, dicendoci che a trattare siamo costretti. In ogni modo, si può, conviene ancora vedere se su nuove basi.... e su altre aspirazioni che i due paesi possono avere o far nascere trattare ancora ? Indubbiamente le difficoltà sono ben maggiori di una volta per le mutate relazioni fra le Grandi Pa tenze e per i precedenti recenti, i quali han dimostrato come le garanzie e gli accordi possano essere da una delle parti dimenticate. Magari perchè sono offesi interessi re lativamente di poca entità, come nella questione del Ma nouba, nella quale tutti sanno come sieno stati gli armatori di Marsiglia a forzare la mano al Governo nella tema di non poter più realizzare dei guadagni col contrabbando a profitto dei turchi combattenti in Cirenaica! Nuove intese, in questo senso, non sono facili, perchè là dove potreb bero forse concretarsi, altre rivalità, altre cupidigie s in
2 se si
Le guerre evitate 271 trecciano. Là un accordo nostro dovrebbe essere in certo modo sanzionato da altri. Ma non è da escludersi assolu tamente che liquidate, almeno per ora, le questioni bal caniche, e cessata la tensione che da parecchio tempo domina le relazioni fra le Potenze, si possa finire per arrivarci. Soltanto non può essere l'opera di un giorno, e non bisogna dissimularsi le gravi difficoltà da superare. Malgrado la febbre degli armamenti dalla quale tutti sono invasi, nessuno vuole la guerra. Per quanto le enor mi spese militari che gravano sui bilanci degli Stati, ne inceppino lo sviluppo economico, ed abbiano creato una condizione di cose da sembrare in certi momenti in tollerabile, ed impossibile di sopportare più a lungo, tutti sentono quali potrebbero essere, per i vinti e per i vin citori, le conseguenze terribili di una guerra, coi mezzi di offesa e di difesa dei quali dispongono oggi gli eser citi o le armate. Gli uomini di Stato, anche quelli che hanno maggiore inclinazione alla politica di avventure e mostrano di non .temerla, al momento decisivo esite ranno sempre ad assumere la responsabilità di provocarla. Ciò è tanto vero che dal 1870 in poi non vi sono più state guerre europee. Guerre cioè fra Grandi Potenze del Vecchio Continente, poichè non può considerarsi come tale la guerra della Russia contro l'Impero Ottomano, Potenza per più di metà Asiatica, nè quella di Potenze Europee contro Stati d'altri Continenti, come quella Ispa no-Americana e quella fra Russia e Giappone. Eppure, se si dà uno sguardo alla storia di questi 43 anni si vede quante volte lo scoppio delle ostilità è sembrato immi nente, e la guerra si è potuta evitare sebbene navi ed eser citi fossero già in moto. Fu evitata fra Russia e Inghilterra per la questione dell Afganistan, fu evitata ancora fra le due rivali d un tempo, quando gli eserciti dello Czar, nel 1878, erano alle porte di Costantinopoli, e parevano
DEL DOMANI
decisi ad entrarvi da un momento all'altro, e di nuovo là si temette, durante la guerra Russo-Giapponese a pro posito dell'incidente di Hull, quando le squadre britan niche erano già in moto per affrontare le corazzate dello Czar. Nel 1900, sul boulevard a Parigi e nelle cancelle rie, vi furono giorni nei quali, a proposito dell'incidente di Fachoda, si aspettava da un momento all'altro il bol lettino che avrebbe dovuto annunziare la dichiarazione di guerra, mentre con febbrile attività vi si preparavano dalle due parti. Durante tutto il tempo che durò la que stione del Marocco, e nelle varie sue fasi, tre o quattro volte si temette che Francia e Germania ricorressero alle armi. Ed è storia di ieri, quella che si riferisce a peri coli di un conflitto fra Austria e Russia durante la guerra balcanica. Da una parte e dall'altra, per mesi e mesi, vari corpi d'esercito sono rimasti sul piede di guerra, e in certi momenti il conflitto sembrò assolutamente inevita bile. Eppure si è sempre finito per trovare una soluzione amichevole alle questioni che pareya dovessero provo carla. Gli Stati Europei si sono abituati e rassegnati a questa pace armata, come al nuovo linguaggio diploma tico, nel quale, senza gl'infingimenti e le perifrasi in uso nei tempi andati, si parla apertamente delle forze delle quali si dispone, é si esaminano le eventualità di un conflitto. I discorsi del Churcill sulla questione degli ar mamenti navali, diretti non tanto alla Camera quanto alla Germania, sono da questo punto di vista senza pre cedenti. Le note diplomatiche, i discorsi degli uomini di Governo, hanno, a volta a volta, l'intonazione dell'avver timento e della minaccia. Alzato da tutti il diapason della conversazione, l'Italia aveva avuto fino ad ora il gran torto di non mettersi all'unisono. Non aveva fede in sè stessa. Io non so se sia vero quanto affermò, incidental mente, il diplomatico che sollevò nel Giornale d'Italia
La politica del cappello in mano 273
la discussione intorno alla cessione offertaci del Trentino, che cioè, a un certo punto, il nostro ambasciatore a Pa rigi consigliò al nostro ministro degli esteri di cedere di fronte alla Francia perchè questa era determinata alla guerra. Dubito anzi che tale sia stato ora l'atteggiamento dell'onorevole Tittoni, e meno che mai credo che da tale informazione possa esser stata guidata la condotta del marchese Di San Giuliano. Ne dubito, malgrado vi sia un precedente simile, all'epoca dell'annessione della Bosnia Erzegovira, quando l'on. Tittoni ministro andava dicendo che bisognava a tutto rassegnarsi per evitare una guerra fatale all'Italia, perchè anche l'on. Tittoni ha ora certa mente riconosciuto che l'Italia d'ora non è quella che egli credeva fosse cinque anni fa. Ma, appunto perchè tutti par lano alto, fa impressione penosa e nulla può ottenere chi parla sempre con una intonazione remissiva; con l'aria d'essere sempre pronto a rassegnarsi a tutto. Senza es sere spavaldi è necessario però avere la coscienza della propria forza e del valore che può avere il concorso dell'Italia.
Ed io mi applaudo che l'on. Di San Giuliano di tutto questo si sia reso conto, ed abbia dato alla sua politica la intonazione giusta e dignitosa che deve avere. Che abbia fatto e faccia, come chi dicesse la politica del cap pello in testa e non più quella del cappello in mano. An che, e sopratutto, di fronte all'Austria-Ungheria. Il rifiuto di restituire la visita già stabilita, al conte Berchtold 1) dopo gli incidenti di Trieste, e motivandone apertamente la causa, ha avuto l'approvazione unanime del paese. E, lo si noti bene, fu trovato giusto e spiegabile anche in Austria. Tanto è vero che chi non transige nelle que stioni di dignità finisce per imporre il rispetto.
1) La visita è avvenuta poi nell'aprile del 1914, cioè sei mesi dopo.
MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 3.5
DEL DOMANISe in Austria come in Italia si è veramente persuasi che i due Paesi hanno degli interessi comuni , a questi interessi entrambe debbono fare qualche sacrificio, te nendo conto della mentalità, delle tradizioni, delle forme di governo diverse. L'Italia è un paese liberale e parla mentare, nel quale il Governo non può procedere per la sua via senza tener conto dell'opinione pubblica. L'Au stria, invece, è un paese reazionario e clericale, e, per quantc la politica estera, specialmente da qualche anno, dia luogo a discussioni vivaci nella Camera e nella stam pa, continua ad essere fatta esclusivamente dalla Corona e dal Governo. Date tali divergenze inconciliabili, bi sogna che pensando al grande interesse comune, im pariamo a sopportarci a vicenda, e a diminuire, per quanto è possibile da una parte e dall'altra, l'impor tanza degli incidenti che, di quando in quando, ven gono a turbare le buone relazioni dei due paesi, sia che si tratti delle nostre manifestazioni irredentiste o dei decreti sul genere di quelli emanati dal Governatore di Trieste. Per quanto penosi, ed anche quando provocano agitazioni e risentimenti nell'opinione pubblica non do vrebbero più influire sulla linea di condotta dei due paesi nella politica internazionale. 1)
1) Mentre sto correggendo le ultime bozze di questo libro è avvenuta la vi sita del marchese Di San Giuliano al suo colleg . aus:ro-ungarico. Il marchese Di San G'uliano è stato ospite ad Abbazia del conte Berchtold per quattro giorni, accoltovi con le manifestazioni della più viva simpatia. Tutta la stampa austro ungarica ha messo in rilievo con articoli oltremodo gentili per il nostro Paese l'importanza del convegno e la necessità assoluta per l'Austria-Ungheria di un'attiva collaborazione con l'Italia. Notevolissimo, e significante quanto mai a questo proposito u un articolo della Zeit, un giornale noto per la sua costante italofobia, nel quale tale necessità era sostenuta, non solo, ma si facevano voti perchè fosse risoluta anche la questione della mancata visita del Sovrano Austro ungarico al nostro Sovrano, mancata visita che getta un'ombra sulle relazioni fra i due paesi. L'articolo che fu riprodotto quasi per intero da tutti i nostri giornali diceva :
Le conversazioni politiche di Abbazia hanno attirato la più viva attenzione
Malumori fra alleati 275
di tutta Europa. In Austria si desidererebb che quelle conversazioni fossero sincere ed amichevoli, ma nelle circostanze presenti vi è da dubitarne, tanto più che la scelta del luogo d'incontro getta un'ombra sui reciproci rapporti. Per chè il conte Berchtold riceve la visita del suo collega italiano ad Abbazia e non a Vienna ?
Probabilmente per le st sse ragioni pår cui il conte Berchtold ron è andato a Roma un anno e mezzo fa, bensì a Pisa e a San Rossore.
Il silenzio su questo soggetto è una tattica falsi e dolorosa e il giornalismo austriaco ha il dovere di dire una franca parola.
Nel groviglio degli interessi, dei quali è intessuta la politica internazionale, è fatale che dissensi e screzi, an che gravi, turbino talvolta le relazioni non solo fra amici, ma anche fra alleati. Ciò non avviene soltanto fra Austria e Italia. Verso la fine dell'anno scorso, per esempio, per un complesso di circostanze, malgrado il frequente scam bio di visite auguste, non fu lieve il malumore fra le altre due alleate della Triplice: Austria e Germania. Anch'esse sono costrette, inparecchie cose.... a sopportarsi a vicenda. La politica seguita dall'Austria nella questione polacca preoccupa spesso il Governo di Berlino. Viceversa urtano le suscettibilità di Vienna le espulsioni di sudditi austro ungarici, alle quali il Governo tedesco procede spesso e
In Austria desideriamo tutti un accordo sincero e cordiale con l'Italia e tutti deploriamo che nella politica ital'ana si mostri una ceria riservatezza e una certa tal quale doppiezza che impedisce la completa, profonda fiduc:a da parte nostra; ma l'oggettività e la imparzialità vogliono che si abbia ad esaminare se l'Austria ha fatto tutto il possibile per meritare la comp'eta fiducia dell'Italia.
Per stabilire un completo sincero accordo tra le due alleate, occorre anche che i due sovrani e i due governi dimostrino simbolicamente la comunità degli interessi e la profondità della loro amicizia. Invece i capi di Stato dell'Austria e dell'Italia non hanno nessun contatto personale. Rº Umberto e la ReginaMar gherita erano venuti a Vienna, ma l'Imperatore d'Austria non è andato a Roma. Le cause della mancata visita sono ben note, ma questa situazione curiosa e dolorosa ha condotto a una profonda scissura politica. Noi siamo alleati ed amici dell'Italia, ma manca completamente il simbolo che dia a questa alleanza e a questa amicizia la fiducia in sè medesima ,,. Manca la stretta di mano dei due monarchi e pers'no le visite dei ministri prendono un'impronta speciale: esse non hanno mai luogo nelle reciproche capitali. Questa muraglia che separa i capi degli Stati e i loro ministri separa anche i popoli e le conseguenze non possono mancare. Qui non vi può essere ressun dub bio : la colpa è dell'Austria.
DEL DOMANIsenza nulla paia giustificare il severo provvedimento. Nel 1912 queste espulsioni furono nientemeno che 165, e dei reclami , reclami presentati dai colpiti e appoggiati sia pure ufficiosamente, come suol farsi in tali casi, dal loro governo, neppure uno fu accolto. All'epoca del Trattato di Bucarest, nella questione di Cavalla, Francia e Russia si trovarono in campi opposti. Nonè possibile vi sia sempre comunità d'interessi, e quindi comunità di vedute nel modo di risolvere tutte quantc le questioni. L'accordo sulle linee generali non può escludere divergenze in questioni e circostanze spe ciali, ma queste debbono naturalmente passare in seconda linea di fronte a quelle ed agli interessi superiori, e salde debbono rimanere ugualmente le alleanze a tale fine
Sarebbe bene conclude la Zeit che Di San Giuliano e Berchtold par lassero anche di questo soggetto delicato cercan lo un rimedio; solamente se questo rimedio venisse trovato le relazioni con l'Italia potrebbero divenire vera mente sane. ,
Da, più significante ancora per le buone relazionifra i due paesi fu il comunicato relativo al colloquio che, in questi casi, i due ministri sogliono di ramare alle Agenzie ufficiose. Anche questa volti, non è mancata la frase sacra m^ntale relativa alla identità di vedute. Ma doro questa constatazione vi è al tresi un accenno disc:et), ma non meno chiaro per questo, al desiderio che sieno tulti di mezzo od attenuati gli screzi che possono qualche volta turbare le re lazioni fra i due popoli, là dove dice: Avendo constatato gli effetti soddisfacenti di questa politica i due ministri ispirandosi ad un intesa e reciproca fiducia, hanno stabilito di continuare l'accordo con li Germania nell'attuale linea di condotta, e, per conseguenza, di cooperare a rendere sempre più vivi la simpa tia dell'opinione pubblica verso gli intimi rapporti esistenti fra i due sovrani. È la prima volta, che, per quanto in una forma discreta, l'Austria e per essa i suoi ministri riconosce che quelle che essa considera come questioni interne, hanno anche un altro carait re che pui interessare un paese amico. Coloro che sanno come vadano le cose in Austria e come il ministro degli esteri si trovi tante volte a disagio in simili questioni, perchè chi dirige la politica interna non lo ascolta, non possono non apprezzare la mossa del conte Berchtold e la sua enorme importanza. Si vede che eg i è riuscito ad imporsi a quegli elementi, per i quali quell'inc'so nel comunicato dev'essere considerato addirittura come una mossa deplorevole. E non si può d'altra parte non riconoscere che l'avere otte nuto durante la visita che fu rimandata di parecchi mesi per l'appunto per la dolorosa impressione prodotta in Italia per i decreti Hohenlohe è stato un ver ) successo per il nostro ministro.
La Germania e il Mediterraneo
277 contratto. La Triplice lo è, malgrado le insinuazioni di una parte della stampa francese tendenti a far credere il contrario, e, sopratutto, al disinteresse della Germania nella questione del Mediterraneo. L'Impero Tedesco ha invece mostrato di preoccuparsi molto seriamente del Me diterraneo, sebbene le sue corazzate poco solchino questo mare .
Le sorti delle battaglie navali nel Mediterraneo, in caso di guerra avranno immediata ripercussione ed in fluenza su quelle delle battaglie terrestri. È facile ren dersi conto come una sconfitta dell'Austria sul mare po trebbe creare delle gravi complicazioni nella situazione interna dell Impero, mettere in ribellione degli stati serbi dell'Impero, e per questo solo fatto obbligarla a tenere delle truppe da questa parte anzichè mandarle in Gallizia e nella Bucovina. Per cui l'indebolimento delle forze au stro -ungariche di fronte alla Russia obbligherebbe la Ger mania ad aumentare le sue. Altra ragione importantissi ma che preoccupa Berlino, nella questione del Mediterra neo, è quella del suo commercio e del ravitaillement. Il giorno che i porti tedeschi fossero chiusi all'esporiazio ne e all'importazione e la flotta britannica sbarrasse i porti belga-olandesi, è solamente sui porti italiani e su Trieste che la Germania potrebbe contare in caso di una guerra anglo -tedesca per i suoi scambi commer ciali.
Questa del rifornimento nel caso non potesse più ser virsi dei suoi porti, è stata una delle ragioni che l'han no spinta a incoraggiare direttamente l'iniziativa per la costituzione del Lloyd bavarese, per la navigazione del Danubio. Da parecchi porti danubiani partono verso la Slesia, la Sassonia e la Baviera, linee ferroviarie impor tanti, cosicchè, per la via del fiume, la Germania può ricevere, senza tema di attacchi, grandi quantilà di cerea
DEL DOMANIe li, di bestiame e di foraggi: cioè, per l'appunto, ciò che possono dare in grande quantità i paesi danubiani precisamente ciò che può occorrere per l'approvvi gionamento degli eserciti, oltre il petrolio per la marina dalla Rumenia.
La Germania è più che mai interessata a che l'equili brio del Mediterraneo sia mantenuto ed impedita una forte superiorità della marina francese, e di quelle che ad essa potrebbero unirsi, inquantochè è noto per ri petute, ed antiche come recenti dichiarazioni quale sa rebbe in caso di guerra il piano della Francia. Vent'anni fa, l'ammiraglio Aube, al quale faceva eco, poco dopo, sebbene in una forma più misurata, l'ammira glio Kranz, diceva alla vigilia di doventare ministro, che bisognava pensare alla composizione di una flotta, che fosse capace di annientare al primo urto la squadra ita liana, e bruciare tutti i nostri porti. Adesso non è più l'Italia sola presa di mira; ma sotto un certo aspetto il piano è lo stesso. Gli studi delle persone competenti, scri veva l'anno scorso il comandante de Thomasson, nella rivista Questions diplomatiques et coloniales, che è uno degli organi del nazionalismo francese, hanno messo in evidenza che le forze navali unite della Francia e dell'In ghilterra, già padrone del Mediterraneo Occidentale coi punti d'appoggio di Gibilterra, Tolone, Ajaccio, Malta e Biserta (e si può forse ora aggiungere Cartagena e le Baleari), dovrebbero sforzarsi di esserlo il più rapida mente possibile del Mediterraneo Orientale e dell'Adria tico: che il loro compito sarebbe tenendo in rispetto la flotta italiana quello di schiacciare la flotta austriaca, o, almeno, di rinchiuderla a Pola o a Cattaro, e che ciò «sarebbe il mezzo più sicuro di orientare nel senso de siderabile le risoluzioni incerte dell'Italia ». Lasciamo stare quest'ultima considerazione, dalla qua
Il piano di guerra della Francia 279
le pare evidente che lo scrittore, o gli scrittori competenti abbiano una strana nozione degli impegni che porta con sè un'alleanza, come se fosse possibile le navi italiane assistessero indifferenti all'imbottigliamento della flotta austro-ungarica. Non mette il conto di fermarcisi sopra. Rileviamo soltanto che il piano è quello di impadronirsi dell'Adriatico, sperando nelle conseguenze delle difficoltà interne dell'Impero, alle quali ho già accennato. Per que sto piano, insistono nell'osservare i competenti, è neces sario che la marina francese, o la francese e l'inglese unite, abbiano una grande superiorità sull'insieme delle marine italiane ed austro-ungarica. Anche lord Charles Beresford, del resto, in un suo libro che sollevò vivaci discussioni, senza parlare del piano d'azione aveva già detto che «nel 1915 l'aumento delle marine italiana e au striaca renderà necessario per l'Inghilterra di mantenere 8 corazzate delle più moderne e delle più potenti nelle acque del Mediterraneo ».
Per arrivare a una forte superiorità, in Francia, non credono basti ancora l'accordo con la Spagna e quello con la Grecia riconoscente. Si vorrebbe poter avere anche l'aiuto della Russia, che, com'è noto, sta costruendo una potente flotta per il Mar Nero. Nel capitolo nel quale abbiamo esposto le vicende della questione degli Stretti, abbiamo fatto notare come un nuovo regime che con sentisse alla flotta russa il libero passaggio attraverso gli Stretti in tempo di pace, abbia meno importanza di quanto generalmente si crede. Poichè la Turchia, se non è d'accordo con la Russia, può impedire alle sue navi di uscire dal Nar Nero, o di rientrarvi se allo scoppiare della guerra si trovano nel Mediterraneo. Dal che conse gue che la Turchia, malgrado le recenti sconfitte e la perdita di gran parte de' suoi territori in Europa, è an cora uno dei fattori importanti della politica mediterra
DEL DOMANInea, e più lo sarà se, realmente, riesce a costituirsi una flotta, anche non numerosa, ma che conti due o tre grandi navi da battaglia. Sarebbe certamente esagerato il dire che sarà l'arbitra della situazionié. Ma è evidente che se si pone dalla parte della Triplice Intesa,la sua parteci pazione può voler dire sette od otto navi di più da quella parte, giacchè la sua alleanza con l'Intesa vorrebbe dire oltre le sue anche le corazzate russe schierate con la flotta anglo-francese. Per converso, la sua adesione alla Triplice Alleanza significherebbe di poter contare sulle corazzate turche e la certezza che rimarrebbe inattiva la flotta russa imprigionata nel Mar Nero.
Da ciò si veda quale importanza abbiano ancora le relazioni con la Turchia, all'indomani della terribile crisi, in seguito alla quale pareva dovesse essere quasi com pletamente cacciata dal Continente! Come rimanga quin di chiaramente tracciata la linea di condotta da seguire di fronte ad essa dalla Triplice Alleanza, e come l Italia abbia agito - a parte i doveri di lealtà che glie lo impone vano .con un giusto criterio, e, conforme ai suoi in teressi, rifiutandosi risolutamente di impegnarsi a cedere alla Grecia le isole occupate durantela guerraper la Libia. St. Per quanto delicata e difficile la nostra posizione,oggi come oggi, ci giova certamente il fatto che tutte quante le Potenze non hanno interesse a che si apra la que stione dell'Asia Minore troppo presto: alcune perchè non si sentono ancora preparate militarmente, altre perchè desiderano aspettare di avere messo più salde radici in quei paesi, dal punto di vista commerciale, ferroviario, industriale. Tutti vogliono lo statu quo. Ben inteso si tratta qui, come già per la Turchia europea, di uno statu quo che si altera diuturnamente.... Ciò permette fortuna tamente anche a noi di prendere posizione, d'affermarci in regioni dove si incomincia a tener conto dell'Italia, e
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Nell' Asia Minore 281
dove incominciano a sorgere interessi italiani. 1) E a que sto scopo ci si deve rallegrare che le nostre relazioni con l'Impero Ottomano sieno doventate veramente amichevoli e cordiali più presto di quanto si poteva credere all'in domani della guerra. Amicizia interessata, come tutte
1) L'anno scorso, si iniziò questa politica di penetrazione sulle coste dell'Asia Minore con la concessione per gli studi di un tronco di ferrovia da Adalia, dove poco dopo fu istituito un consolato, e stabilite delle fermate delle nostre linee di navigazione in quei mari. Qualche mese dopo una nostra nave da guerra vi sitò quiel porto, e più tardi, con un'altra nave vi si re:Ò S. A. R. il Duca degli Abbruzzi. Fu il primo passo. Ma la concessione degli studi e anche della linea non poteva avere un gran valore, se non si veniva ad accordi con la società in glese che già in quelle regioni eserciti una ferrovia.
La concessione avuta dall'Italia in Adalia, è basata insomma sul riscat:o di diritti riservati alla Compagnia inglese concessionaria della Smirne-Aldin, di prolungare il suo tracciato fino a Buldur e ad Adalia. Pertanto un gruppo fi nanziario italiani ha appunto riscattato diritto di costruire l'Adalia-Buldur, ottenendo contemporaneamente dalla Turchia la concessione dei lavori del porto di Adalia, il quale per la sua natural postura geografica potrà così divenire domani un dis.r.to sbocco commerciale dell'Asia Minore occidentale sul Medi terraneo .
Naturalmente, la nostra linea deve raccordarsi a Buldur con quella inglese, onde la ferrovia possa servire egualmente i due porti di Smirne e di Adalia : un compromesso reciproco fra il gruppo anglo-italiano ha regolato un concordato suambievole di convenzioni, onde gli interessi rispettivi non siano danneggiati. Naturalmente, tutta l'importanza della linea, per contro nostro, è basata sulle possibilità di attivare l'importanz marittima del porto di Ada!ia, che altrimenti noi correremmo il rischio di incanalare più facilmente tutto il commercio asia tico sul porto di Smirne, onde la concessione dei lavori del porto d'Adalia e la loro sollecita totale esecuzione costituiscono il punto più importante di tutto l'affare.
Intorno al tronco centrale dell'Adalia-Buldur s allacceranno nell'avvenire altri tronchi ferroviari che troveranno i loro sbocchi nei due eccellenti porti di Mar maris e di Makry sull'Egeo, onde tutta la regione d Adalia dal Capo Krio al Capo Kara-Burun potrebbe trovar il suo sbocco commerciale nella zona della nostra influenza. E altri capitolati del concordato ci son riservati a statuir il nostro diritto di prolungare il tronco Adalia-Buldur nelle regioni asiatiche del l'interno.
A questo risultato si è arrivati dopo lunghe e laboriose trattative condotte a Londra e a Costantinopoli.
Anche l'Austria-Ungheria è in via di ottenere qualche concessioue sulle coste dell'Asia Minore. Il conte Berchtold nel suo recente esposé alle Delegazioni vi ha fatto allusione. E, naturalmente, le sue alleate hanno appoggiato la sua azione a Costantinopoli.
MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 36
DEL DOMANIle amicizie politiche; ma, appunto per questo, sincera. La Turchia ha capito che l'Italia amica o con una frase commerciale un concorrente di più, le può giovare per barcamenarsi fra le cupidigie delle al tre Potenze. Arrivati tardi, purtroppo, da qualunque parte ci voltiamo, urtiamo contro interessi già costituiti. Dobbiamo accontentarci del poco. Ma il poco è meglio del nulla. Quanto gli altri e più degli altri forse abbia mo, interesse a che la questione della Turchia asiatica non precipiti, e non venga quindi turbato l'equilibrio del Mediterraneo dal punto di vista territoriale. Su questo comune interesse si potran forse stabilire quegli accordi, anche con la Francia, ai quali ho già accennato, e che sono, come diceva, desiderati anche a Parigi: dove, malgrado l'opinione pubblica non sia be nevola verso l'Italia, gli uomini di Governo si rendono perfettamente conto di tale necessità. Fatalmente, per la sua posizione geografica, col suo sviluppo l'Italia era destinata ad urtare tanti interessi da una parte e dall'altra: quelli della Francia nel Mediterraneo, è quelli dell Austria nell Adriatico. Ci vuole quindi unagrande abilità, un grande doigté da parte no stra, non già per fare quella politica di bascule o del famoso giro di walzer, secondo la celebre frase del Prin cipe di Bülow , ma per far sì che, almeno negli inevitabili screzi, non vi sia contemporaneità; che non ci si trovi al tempo stesso, in situazioni difficili e delicate con en trambe. Ed essere sempre pronti, pur troppo, alle sor prese, poichè le situazioni possono mutare quando meno pare di dovercelo aspettare. Tanto con la Francia per la questione del Manouba come con l'Austria à proposito dei decreti Hohenlohe, ci siamo trovati d'un tratto ad una situazione penosa, proprio mentre durava ancora l'eco delle più calde dichiarazionidi amicizia!
per dirla >
Sulla via del ritorno 283
L'Italia, come dicevamo, al pari delle altre Potenze, e forse più delle altre, non ha interesse a vedere indebolita ancora la Turchia in quel bacino Orientale del Mediterra neo dove maturano i problemi del domani, e, meno che mai, per le ragioni alle quali si è più volte accennato, ha interesse ad affrettarne la soluzione. Oramai, dal Capo Spartel alle sabbie del deserto di Siria, Francia, Spagna, Inghilterra ed Italia si sono divise tutto il litorale africa no ; a nord un nuovo stato, la Bulgaria, si è affacciata nel Mediterraneo, e la Grecia ha raddoppiato l'estensione delle sue coste: un piccolo stato neutrale è stato creato nel l'Adriatico dal quale è così completamente scomparsa la Mezzaluna. L'Islamisno, a tappe, ha rifatto la via del ritorno, e, nel Mediterraneo, occupa ora soltanto le coste dell'Asia Minore, di dove le sue armate e i suoi eserciti hanno iniziato secoli addietro le loro marcie trionfali per la conquista del Gran Mare e di quasi tutte le terre bagnate dalle sue acque. Mentre paiono tutt'altro che risolute in modo vera mente definitivo, malgrado i trattati, le questioni relative all'assetto balcanico, si sono già avvertiti sintomi non dub bi i quali lasciano vedere come la questione d'Oriente è tutt'altro che risoluta, e chi sa per quanto tempo ancora preoccuperà. La questione d Oriente non fa altro che spostarsi e doventerà, in un giorno non lontano, acuta al di là del Bosforo, come lo è stata per tanti anni nel Vecchio Continente. Con questa differenza: che nella Tur chia Europea, il possesso delle provincie ottomane era l'aspirazione dei piccoli Stati Balcanici (a parte la que stione di Salonicco per l'Austria) mentre, nell'Asia Mi nore, sono le Grandi Potenze che si trovano l'una di fronte all'altra, e, da un pezzo, hanno già messo una specie di ipoteca morale sulle varie provincie.
L'attività economica nel mare che bagna le nostre
DEL DOMANIcoste sta prendendo un nuovo impulso. Tutte le nazioni europee compreso la Germania che mira sempre più a diventare anch'essa una potenza mediterranea, com preso l'Austria-Ungheria che ha sentito, come si è visto, la necessità di prendere essa pure posizione pensando al l'avvenire - vanno pian piano impadronendosi commer cialmente ed industrialmente delle coste bagnate dalle ac que del Mediterraneo; di questo mare interno circondato da terre privilegiate. Col commercio e con l'industria pene treranno a poco a poco negli hinterland africani ed asia tici le popolazioni europee alle quali più non bastano gli angusti confini della patria loro. Nelle Sirti, in Ci renaica risorgeranno col tempo prosperose città: ritor neranno all'attività meravigliosa dell'epoca fenicia e delle Crociate le coste della Siria : l Asia Minore vedrà rinascere le antiche città dell'Ionio. Solamente invece della vita voluttuosa di un tempo, la caratteristica delle nuove città sarà quella della febbrile attività commerciale ed indu striale, per la concorrenza fra le varie nazioni, le cui navi da guerra han già cominciato a solcare quelle acque, e a fare, di frequente, la loro apparizione in quei porti. Per parecchi di questi porti sono già state ottenute con cessioni onde ingrandirli, e renderli capacidi un largomo vimento. È tutto un lavoro di preparazione al quale le nazioni intendono con ansia febbrile, e col timore di es sere disturbate prima che sia compiuto.
Il problema dell'Asia Minore si riallaccia a sua volta a tutta quella dell Oriente Estremo, e quindi a tutta la poli tica mondiale. Senza essere profeti si può facilmente pre vedere che le rivalità che già si accentuano, in quelle re gioni, preparano per l'Europa giorni di ansie e di timori, come si ebbero per la questione del Marocco. Con questo di più grave, che, mentre per il Marocco gli interessi com merciali dei quali tanto si è parlato erano in embrione e
Il centro della politica mondiale 285
si pensava all'avvenire, per quello che riguarda l Asia Mi nore, si tratta di traffici importantissimi già avviati, di correnti commerciali stabilite, di interessi grandiosi già in giuoco, di opere colossali in via di esecuzione, per cui gli uomini politici ed i governi sono spesso costretti a sentire e a subire la volontà degli uomini di finanza. Il Mediter raneo, malgrado lo sviluppo degli altri Continenti, e l'atti vità spiegata da nuove e antiche civiltà in altri mari, do venta ogni giorno più il centro della politica mondiale. Tale situazione impone maggiori doveri all'Italia. Ciechi coloro i quali non vedono, come l'aumento delle nostre forze navali sia una assoluta necessità di difesa, e come, quindi, non si debba esitare di fronte a qualunque sacri ficio per avere una forte marina con la quale gli avversari dell'oggi o del domani sappiano di dover contare! Ciechi coloro i quali non vedono che rimanere deboli fra i forti vuol dire essere condannati a inevitabile rovina,
1.
La neutralità di Corfù e Paxo.
Nel Trattato Anglo-Franco-Russo del 1863 col quale fu chiamato al trono della Grecia il Principe Gugliel mo di Danimarca, un articolo (art. 5) prevedeva il caso nel quale le Isole Jonie sarebbero riunite al Regno di Gre cia, stabilendo che sarebbero poste esse pure, come il Regno, sotto la garanzia delle tre Corti di Inghilterra, Francia e Russia.
Qualche mese dopo la riunione delle isole fu consa crata con due Trattati successivi. Il primo estendeva a tutte le isole il regime della neutralità. Il secondo limita questa neutralità alle sole due isole di Corfù e di Paxo.
Ecco il testo dei principali articoli del primo Trattato di Londra (14 novembre 1863).
Sua Maestà la Regina del Regno Unito della Gran Bretagna e d'Irlanda avendo fatto conoscere alle loro Maestà l'Imperatore dei Francesi, l Imperatore d Austria, il Re di Prussia, e l'Imperatore di tutte le Russie, che l'Assemblea legislativa degli Stati Uniti delle Isole Jonie, regolarmente informata della intenzione di S. M. di con sentire l'unione di queste isole al Regno di Grecia, si è pronunziata unanime in favore di questa unione, e la condizione stabilita con l'ul tima clausola del Protocollo firmato dai Plenipotenziari delle cinque Potenze, il 1.0 agosto scorso, trovandosi così realizzata, le dette Maestà hanno risoluto di constatare con un Trattato solenne l'adesione che MANTEGAZZA. Il Mediterraneo. 37
CORFÙ E PAXO
hanno dato a questà unione, stipulando le condizioni alle quali si effettuerà.
i quali dopo essersi scambiati i loro pieni poteri hanno stabilito e fir mato gli articoli seguenti:
Art. 1.° Sua Maestà la Regina del Regno Unito della Gran Bre tagna e d'Irlanda, rinunzia, sotto le condizioni qui sotto specificate, al protettorato delle isole di Corfù, Cefalonia, Zante, Santa Maura, Itaco, Cerigo e Paxo, con le loro dipendenze, che il Trattato firmato a Parigi il 5 novembre 1815, dai Plenipotenziari d'Austria, della Gran Bretagna, della Prussia e della Russia, ha costituito in un solo Stato libero ed indipendente col nome di Stati Unitidelle Isole Jonie, posto sotto la protezione immediata ed esclusiva di Sua Maestà la Regina del Regno Unito della Gran Bretagna e d'Irlanda ed i suoi eredi e successori.
A questo scopo le dette Maestà hanno scelto a loro Plenipo tenziari (seguono i nomi) e 16 e
Le Loro Maestà, ecc. accettano sotto le condizioni qui sotto spe cificate l'abbandono che S. M. la Regina del Regno Unito fa del Pro tettorato nelle Isole Jonie e riconoscono insieme a Sua Maestà l'unione di questo Stato alla Grecia.
Art. 2.° Le Isole Jonie, dopo la loro unione alla Grecia, godranno di tutti i vantaggi di una perpetua neutralità e, per conseguenza, nessuna forza armata, navale o militare, potrà mai trovarsi riunita o stazionare sul territorio o nelle acque delle Isole, più di quelle che possano essere strettamente necessarie pel mantenimento dell'ordine pubblico e per assicurare l'incasso dei proventi dello Stato.
" Le Alte Parti contraenti si impegnano a rispettare il principio di neutralità stipulato nel presente articolo.
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Art. 3.º Come conseguenza necessaria della neutralità stabilita per le Isole, le fortificazioni costruite nell'isola di Corfù e sue imme diate dipendenze, non avendo più ragione d'essere, dovranno essere demolite, e alla loro demolizione si procederà prima del ritiro delle truppe impiegate dalla Gran Bretagna per occupare queste isole come Potenza protettrice. Tale demolizione si farà nel modo che S. M. la Regina del Regno Unito crederà sufficiente per corrispondere alle in tenzioni delle Alte Parti contraenti.
Gli altri articoli riguardano le modalità da seguire per il ritiro delle truppe britanniche e per l'accordo con la Grecia per l'unione.
Nel secondo Trattato di Londra (29 marzo 1864) al quale ha apposto la sua firma anche un plenipotenziario
GLI
ULTIMIAVVENIMENTI D'ALBANIA 291 della Grecia, che regolò il modo col quale fu fatta l'u nione, l'art. 2.° che restringe la neutralità alle sole due isole di Corfù e di Paxo è così redatto : Art. 2.° Le Corti di Francia, di Gran Bretagna e di Russia, nella loro qualità di Potenze garanti della Grecia, dichiarano, col consenso delle Corti d'Austria e di Prussia, che le isole di Corfù e di Paxo, e loro dipendenze, dopo la loro riunione al Regno ellenico, godranno dei vantaggi di una perpetua neutralità. Sua Maestà il Re degli Elleni si impegna, da parte sua, a man tenere tale neutralità ,, II.
Gli ultimi avvenimenti d'Albania. (maggio 1914). >
Che in Albania le cose non dovessero andar liscie, era facilmente prevedibile, e nessuno, assolutamente nes suno di coloro che conoscono il paese, si era fatto delle illusioni a questo proposito. Ma non si credeva la ri volta sarebbe scoppiata così presto e con un carattere di così eccezionale gravità, minacciando addirittura la ca pitale e mettendo in pericolo le sorti della nuova Dinastia. L'arresto, e quindi l'esilio di Essad Pascià, che al primo momento sembrò un atto di grande energia da parte del sovrano, fu la scintilla che fece divampare l'incendio. Se, realmente, Essad fosse d'accordo ed abbia incoraggiato il movimento, che ha un carattere mussulmano e quindi contro il Principe cristiano, non si sa ancora bene. La stampa di Vienna lo accusa apertamente, e si duole che nella stampa italiana sia manifesta la tendenza a difen derlo, e a crederlo vittima di intrighi orditi dall'elemento MANTEG AZZA. Il Mediterraneo. 37*
ULTIMI AVVENIMENTI D'ALBANIAaustrofilo. Gli avvenimenti hanno precipitato e si sono così stranamente complicati, che non è possibile ancora, allo stato delle cose, un giudizio preciso e sicuro. Come questi avvenimenti si sono svolti, il Ministro degli esteri italiano ha narrato con molta chiarezza alla Camera nella seduta del 26 maggio. L'on. Di San Giuliano, rendendosi conto delle difficoltà di dare delle notizie sintetiche e di sceverare il vero dal falso nelle notizie contradditorie comparse nei giornali, ha preferito di leggere una specie di diario della rivoluzione, per venire poi a dire quale deve essere la condotta dell'Italia di fronte alla situazione. Ed ha parlato chiaro. Da qualchetempo il linguaggio della diplomazia, e specialmente quello dei ministri degli esteri, non è più così nebuloso come un tempo. Argomenti delicati che, una volta, nessuno parlando dal banco del Governo avrebbe osato toccare, sono ora svolti e discussi con grande franchezza. A questo proposito sono stati quanto mai significanti due accenni nel discorso dell'ono revole Di San Giuliano. L'avere informato la Camera delle spiegazioni amichevoli chieste a suo tempo a Sir Edward Grey di una sua frase relativa alla questione delle isole che aveva fatto una penosa impressione in Italia, 1) e delle osservazioni fatte dal nostro ambasciatore a Vien
1) Rispondendo a un'interrogazione dell'on. Federzoni, il marchese Di San Giuliano disse : Dopo la presentazione della interrogazione dell'on. Galli fu pubblicato quasi per intero il testo della Nota di Sir Edward Grey, la qual- prendeva atto della nostra dichiarazione che le isole del Dodecanneso saranno restituite alla Turchia alla data ed alle condizioni che i Governi italiano e turco stabiliranno, e ricono sceva che la questione interessa in prima linea l'Italia e la Turchia, ma in un inciso definiva come anormale la situazione derivante dalla nostra occupazione delle isole dell'Egeo. Sebbene la parola anormale, in inglese abbia un signi ficato alquanto diverso che in italiano e in francese, ed io conoscessi le inten zioni amichevoli del Governo britannico, tuttavia, sapendo anche per personale esperienza che prima condizione per conservare cordiali rapporti coll'Inghilterra è la più aperta franchezza, non nascosi a Sir Edward Grey la mia impressione e i motivi per cui quella frase poteva avere per effetto di ritardare anzichè
na sulle notizie relative alla partecipazione di elementi austrofili nei recenti avvenimenti.
Alla osservazione del nostro ambasciatore, disse l'ono revole Di San Giuliano, che possano forse, senza saputa del Governo austro-ungarico, persone private, considerate come austrofile, aver avuto parte nei recenti eventi, il conte Berchtold ha risposto che se alcuni albanesi, che passano per austrofili, hanno dato opera a preparare il rivolgimento di Durazzo, essi non erano stati affatto in spirati o diretti dal Governo austro-ungarico il quale per contro non ha alcuna intenzione di ingerirsi negli affari interni dell Albania giusta gli accordi presi col Go verno italiano.
Anche noi naturalmente faremo altrettanto, ed è certo che è un grande errore specialmente in paesi come l Al bania o come l Etiopia per una potenza qualsiasi aver l'apparenza di identificare la propria influenza e i pro pri interessi con questa e quella personalità locale.
In paesi che almeno per qualche tempo ancora non possono sperare di essere in condizioni di stabile equili brio, facilmente mutano il pensiero la volontà gli inte ressi il potere la fortuna dei capi e gregari: l'amico d'oggi è l'avversario di domani: l'uomo che oggi è al potere,
affrettare l'evacuazione delle isole da noi occupate, anche perchè, contro le in tenzioni di Sir Edward Grey, avrebbe potuto determinare la Turchia a resistere alle nostre giuste domande.
Seguirono conversazioni molto cordiali ed amichevoli tra me e l'ambascia tore d'Inghilterra e tra l'ambasciatore d'Italia a Londra e Sir Edward Grey, le quali, benchè ciò fosse superfluo, mi confermarono subito nella convinzione che quella frase non aveva alcun significato poco amichevole verso l'Italia.
Infatti, alla domanda dell'on. Federzoni se quella frase di Sir Edward Grey possa giovare alla piena e completa esecuzione dei patti del trattato di Lo sanna ed al conseguimento degli adeguati compensi per le spese e i sacrifici sopportati in causa della inadempienza della Turchia , io rispondo che intanto un primo passo notevole si è fatto nella via, probabilmente ancora lunga e labo riosa, pel conseguimento dei nostri fini, e si è fatto appunto per il contegno singolarmente amichevole del Governo britannico rerso di noi.
domani è in prigione o in esilio, per ritornare posdo mani in auge e ricadere un'altra volta. La Camera ha sottolineato con commenti vivaci, e con qualche risata ironica, la dichiarazione del Conte Berchtold, perchè sembra in generale inverosimile che vi siano persone, e meno che mai dei funzionari i quali possano agire senza, per lo meno, essere sicuri dell ap provazione del proprio governo. Eppure, senza fermarsi più specialmente sul caso attuale, è un fatto che, in molte circostanze, gli agenti austro -ungarici agiscono per conto loro, e fanno dello zelo pericoloso, che il ministero degli esteri non richiede loro, ma che procura loro le lodi, l'incoraggiamento.... e la protezione d'un altro mi nistero, del mondo militare, d'un partito o che so io. A proposito dei funzionari austro-ungarici, bisogna tener conto che, appartenendo essi a questa o a quella naziona lità, nella Penisola Balcanica obbediscono spesso ai loro preconcetti e alle loro simpatie personali. Che fanno in somma della politica interna all'estero. Difficilissimo pos sano essere imparziali. Ve ne sono poi di quelli che han tutta l'aria di obbedire all'elemento militare e clericale che, come è noto, ha sempre una grande influenza a Corte. La vicina monarchia dualista è il solo paese dove, come si è visto, è possibile vedi incidenti di Trieste che il Ministro dell'interno o uno dei suoi dipendenti come l Hohenlohe faccia una politica antiitaliana, men tre il Ministro degli esteri conte Berchtold, segue una po litica tutta diversa e fa tutto il possibile per evitare inci denti che turbino le buone relazioni dei due paesi, spe cie in un momento ed in una situazione nella quale l'uno ha bisogno dell'altro. Data l'attività, l'intraprendenza dei funzionari austro ungarici e del clero asservito alla politica dei circoli clericali di Vienna, al quale non par vero, e non da oggi
soltanto, di combattere su quella parte della costa Adria tica l'Italia, si capisce come non potrebbero trovare, per esplicarla, terreno più adatto dell Albania : di un paese cioè del quale si è voluto fare uno stato moderno.... sal tando a piè pari dei secoli. Poichè l'organizzazione del l Albania, se si può parlare di organizzazione, non è af fatto medioevale, come erroneamente è stato detto più volte, ma molto più indietro, dal momento che siamo an cora alle tribù. Mesi sono, girando in Albania poco dopo firmato il suo atto di nascita alla Conferenza di Londra, e quando esistevano in realtà sei o sette governi, i quali agivano per conto loro e, ben inteso, nemici l'uno all'altro scrivevo nella Nuova Antologia che non mi pareva pos sibile l'amalgama di elementi così disparati, e che, unica soluzione sarebbe stata una specie di piccola monarchia federale, lasciando sussistere le autonomie delle tribù e delle agglomerazioni più importanti. Non mi pareva possi bile e ripeto non sembrò possibile a nessuno di coloro che conoscono il paese, il rapido passaggio dalla tribù.... al governo costituzionale. Ma, meno che mai si poteva sperare le cose procedessero regolarmente quan do si vide arrivare il nuovo sovrano.... senza soldati, senza una forza organizzata, non foss'altro per tutelare la sua sicurezza personale. Non si capisce perchè l Eu ropa, dopo aver creato il nuovo Stato, lo abbia abban donato a sè stesso, e non abbia pensato fino da allora a ciò che si pensa ora, cioè ad una provvisoria occu pazione internazionale, almeno della capitale, seguendo il precedente di Scutari. Cioè si capisce troppo. E, an che in questo, le parole del ministro Di San Giuliano sono significanti, là dove dice che continua a fare passi per ottenere dalle altre Potenze d'accordo con l'Au stria vengano inviati dei distaccamenti internazionali
AVVENIMENTI D'ALBANIA
a Durazzo. Gli è che per parecchi mesi, la Triplice intesa e la Triplice alleanza hanno lottato ad armi cor tesi, perchè quest'ultima, e l'Italia specialmente, voleva che il nuovo Stato fosse sotto la protezione e il controllo delle Potenze, mentre le nazioni della Triplice intesa erano invece liete di lasciare alle prese l'una di fron te all'altra Italia ed Austria, convinte che codesta loro rivalità avrebbe finito per turbare le loro buone rela zioni e indebolire la Triplice alleanza. Ho detto l'Ita lia specialmente perchè, non tutti in Austria-Unghe ria eran forse d'accordo in questo. In qualche circolo - non da parte del Governo, poichè nel vicino Impero bisogna sempre fare questa distinzione non si era in vece malcontenti si trovassero di fronte le due potenze adriatiche soltanto, naturalmente, nella speranza, che l'in fluenza italiana avrebbe finito per essere soverchiata da quella dell'Impero.
Senza questo preconcetto relativo alle cose d Albania come spiegare lo strano atteggiamento delle potenze del l Intesa, e la loro esitazione a intervenire anche quando è in pericolo la persona del sovrano, che l'Europa ha scelto, e permane la minaccia che altro sangue possa essere versato? E notare che, circostanza senza precedenti, in casi che possono avere qualche rassomiglianza con gli avvenimenti che si svolgono ora nell'Albania, sono i ri voltosi stessi che domandano ad alte grida l'intervento dell'Europa!
Raramente un ministro degli esteri ha parlato con tanta chiarezza e senza inutili circonlocuzioni in una situa zione così delicata delle relazioni con un'altra Potenza.
«I fatti e la situazione che ne deriva, gli eventi ul teriori che si possono produrre, ha detto il Ministro, han no formato e formano oggetto fra me e il Conte Berchtold di un attivo scambio di idee ispirato alla reciproca fidu
D'ALBANIA
cia e a quella perfetta lealtà, che hanno sempre formato, formano e continueranno a formare in avvenire la salda base dei nostri cordiali e intimi rapporti. In Albania, (seguitò il ministro) malgrado i nostri sforzi per evitarli, possono accadere avvenimenti gravi e tali da avere riper cussione su tutto l'assetto della penisola balcanica e del l'Adriatico, il cui equilibrio è un interesse vitale per noi.
« L'equilibrio dell'Adriatico non deve in alcun caso es sere modificato a danno nostro ed a vantaggio, in con fronto a noi, d'alcuna altra Potenza, grande o piccola.
«Senza ingolfare il Paese in pericolose avventure, in tendiamo mantenerne intatti gli interessi e la dignità, intendiamo perseverare nella politica diretta in pieno ac cordo coi nostri alleati, a conservare tale equilibrio, e ab biamo fede che la cooperazione di tutte le grandi Potenze, animate come sono da intenti nobilmente pacifici, agevo lerà il compito dell'Italia e dell'Austria-Ungheria in Alba nia, che dell'equilibrio dell'Adriatico è parte essenziale.
« L'Italia in questi ultimi anni ha assicurato, mercè l'impresa di Libia, la sua posizione nel Mediterraneo cen trale: si avvia ad assicurarla gradatamente nel Mediter raneo orientale: la manterrà fermamente ed incrollabil mente nell'Adriatico, ed è bene che all'estero tutti sappiano che nell'opera sua per questo fine essenziale all'avvenire della Patria nostra il Governo italiano, chiunque segga su questi banchi, avrà ora e sempre l'appoggio unanime del Parlamento e del Paese. >>
L'alleanza italo-austriaca, questa volta ha subìto la prova del fuoco. Le reciproche accuse a proposito degli avvenimenti svoltisi a Durazzo, le polemiche assai vi vaci della stampa nelle due monarchie, non pare ab biano modificato l'atteggiamento dei rispettivi governi, i quali si sono solennemente riconfermata la reciproca fiducia. Ma forse le accuse e le polemiche non saran
no state inutili, se, come pare, esse possono contribuire a dimostrare una volta di più, che un'Albania tranquilla è, per l'Italia e per l'Austria, una reciproca garanzia, e che un'accentuata rivalità può nuocere all'una ed al l'altra, e, per questo appunto, è desiderata ed incorag giata dalle Potenze della Triplice Intesa.
27 maggio.
FINE .
INDICE.
I. Il mare della civiltà. Marine antiche e marine mo derne. 1
II. L'Egeo. - Nei tre arcipelaghi. 22
III. Le Dodici Isole. Gli antichi privilegi 51
Prefazione di GIOVANNI BETTÒLO. . Pag. V - XV .
IV. L'Isola di Venere. - L'alleanza anglo -turca 68
V. La questione degli Stretti. - La flotta russa nel Me diterraneo . 89
VI. La storia di tre colloqui. Apologie inopportune 106
VII. Italia e Francia dopo l'Impresa di Tripoli. Sempre sul piede di guerra! . 127
VIII. Il concentramento della flotta francese. La politica navale dell'Inghilterra 153
IX. Nell'Adriatico. L'accordo italo -austriaco 183
. .
X. L'Albania. Le Isole . 217
XI. I problemi del domani. La situazione internazionale. 289
I. La neutralità di Corfù e Paxo
APPENDICE . 289
II. Gli ultimi avvenimenti d'Albania 291
VICO MANTEGAZZA
Questioni diPolitica Estera
(Ogni volume, L. 5.)
Anno 1 (1906 ), con 23 incisioni e ritratti.
IL NUOVO REGNO DI NORVEGIA, LA CONFERENZA D'AL. GESIRAS e il Marocco. L'imperialismo americano. La Somalia setten trionale. L'Eritrea e l'Etiopia. Nell'Oriente europeo. La Macedonia e le Riforme. La rivalità anglo-tedesca. Italiani e croati. Americani e giap ponesi. La Persia costituzionale.
Anno II (1907), con 13 incisioni fuori testo.
LA CONFERENZA DELL'AJA. Un ospite asiatico (Il Re del Siam ). La rivoluzione in Rumenia. L'assassinio del ministro Petkoff. Nella Peni sola balcanica. L'estate storica. IL MAROCCO e le relazioni franco germaniche. Nell'Estremo Oriente. L'accordo anglo-russo. Nel mondo diplomatico.
Anno III ( 1908), con 28 incisionifuori testo.
LA TRAGEDIA PORTOGHESE. Il conflitto e l'accordo Nippo-Ame ricano. Le rivoluzioni ad Haiti. Una congiura al Montenegro. Verso una nuova triplice? Eritrea e Benadir. La rivoluzione in Persia. La questione del Marocco. La morte del Conte Tornielli. IL PARLAMENTO OTTOMANO.
MILANO MILANO FRATELLI TREVES, EDITORI
Anno IV ( 1909), con 32 incisioni fuori testo.
Fra le alleanze e le ententes ,. La quistione di Creta. Un grave dissidio al Benadir. MAOMETTO V. In Albania. Gli spagnuoli al Marocco. La rivoluzione persiana. Iniziative italiane al Montenegro. I viaggi dello Czar. In Bosnia dopo l'annessione. La rivolta araba.
Anno V ( 1910 ), con 17 incisioni fuori testo.
LA MORTE DI EDOARDO VII. Giorgio V. La fine del GRANDU. CATO DI FINLANDIA. Il conflitto greco-rumeno. Italia e Rumenia. La China militare e l'Europa. L'Egitto agli Egiziani. UN NUOVO RE (Montenegro). La Macedonia in rivolta. Austria e Russia nei Balcani. Un accordo turco-rumeno. Nell'America latina. LA RIVOLUZIONE PORTOGHESE.
Anno VI (1911), con 16 incisioni fuori testo.
L'IMPRESA DI TRIPOLI.
Tripoli e le nostre alleanze. Il diritto dell'Italia è riconosciuto. Tripoli e le trattative di Berlino. Il dovere del Governo. Politica Estera e demo crazia. Dal trattato di Berlino a Tripoli. Arabi e Turchi. Il combatti mento di Bengasi.e la situazione internazionale. La guerra e la Triplice. Con chi avremo ancora da fare. Sceik Said francese o turca? I diritti della civiltà. Nella terra del paradosso. L'Egitto staccato dalla Turchia. Come imporre la pace? Dal Mediterraneo all'Adriatico. Note e ricordi a proposito dell'impresa di Tripoli.
IL NAZIONALISMO.
IL CONFLITTO FRANCO-TEDESCO.
Una questione che risorge. Il Marocco e l'equilibrio mondiale. Nella fase decisiva. Il colpo di scena. La conversazione di Berlino. Politica europea e politica mondiale. Un impero tedesco sud-africano ? Note e documenti. GLI OSPITI DELL'ANNO. Dopo sette anni di regno. Re Pietro. L'ospite scandinavo. Abbas II. Lord Kitchener.... e la maniera forte. Un paese che si trasforma. La rivoluzione fatta dal re. Le nostre rappresentanze diplo matiche e consolari.
MILANO FRATELLI TREVES, EDITORI MILANO
Anno VII (1912), con 16incisioni fuoritesto..
LA GUERRA PER LA LIBIA. Tripolitania e Marocco. La guerra santa.... contro i turchi. GLI INCI DENTI FRANCO-ITALIANI. Il sequestro del Carthage. L'arresto dei Turchi sul Manouba. Situazione mutata. I Consoli di Francia. A Tripoli e a Rodi. Nell'EGEO. I Dardanelli. Le flotte che li hanno passati. Dinanzi a Beirut. L'isola tragica. Chios. L'avvenire è sul mare. L'Europa e l'Asia nell'Egeo. La sorte delle Isole. Rodi e la tomba di Maometto II. L'ORA DELLA RUSSIA. A poche miglia dal Bosforo. L'incognitadella Russia. In attesa dell'incontro fra il Kaiser e lo Zar. Qualche osservazione sul l'andamento della guerra. Anche al tempo delle stragi armene l'Italia doveva forzare i Dardanelli. LA PACE DI OUCHY. Quale pace vuole il paese. Le due guerre e la pace. La pace a queste condizioni si poteva concludere dieci mesi fa. Si scontano gli errori della guerra. L'esempio della Bosnia. A proposito dell'intervista Bertolini. Il trattato di Losanna. Il rappresentante del Sultano. LA DISCUSSIONE Camera. Note e ricordi. Nel mondo diplomatico. Ridda d'ambasciatori. Il barone Marschall.
Anno VIII( 1913), con 16incisionifuori testo.
LA GUERRA BALCANICA.
IN ALBANIA E IN MACEDONIA. I diversi aspetti della questione albanese. L'agitazione popolare in Bulgaria. LA PRIMA FASE DELLA GUERRA. I bulgari alle porte di Costantinopoli. Gli stati balcanici e l'Albania. La grande Bulgaria sulla via di Bisanzio. Analogia. L'atteggiamento delle potenze. DURANTE L'ARMISTIZIO. Le trattative di Londra. Il colpo di mano di Costan tinopoli. Salonicco e Adrianopoli. A Sofia. Giorni d'ansia. LA RIPRESA DELLA GUERRA. In Bulgaria e in Serbia. Le difficoltà della spartizione e l'anda mento della guerra. Questione di denaro? Italia e Serbia. Lo sbocco al mare. La Serbia e i suoi alleati. Situazione complicata. LA CREAZIONE DELL'ALBA NIA. La questione di Scutari. L'Europa contro il Montenegro. IL CONFLITTO BULGARO-RUMENO. L'arbitrato per Silistria. Le difficoltà per Silistria. Giorni d'incertezza. La seconda indipendenza. LA TRAGEDIA BULGARA. LA PACE DI BUCAREST. La lotta fra gli alleati. La santa Russia e gli Slavi. All'indomani della vittoria.
Dirigere commissioni e vaglia ai Fratelli Treves, editori, in Milano.
DEL TRATTATO ALLA EDITORIVICO MANTEGAZZA
Due mesi in Bulgaria ( ottobre-novembre 1886 ). Note di un testimonio oculare (1887). Con ritratti e incisioni. L. 4 -
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Da Massaua a Saati, narrazione della spedizione italiana in Abissinia (1888). 450 pagine in-8,con 74 incisioni .. 6In appendice, il testo completo del libro verde presentato al Parlamento il 24aprile 1888, la relazione ufficialesul combattimento di Saganeiti, e tutte le note di Crispi e Goblet sull'incidente di Massaua. Macedonia (1903).Con 41 incisioni tiratea parte e una carta.
Il Marocco e l'Europa (a proposito della Conferenza d Al gesiras) (1906). Un vol. in-8, illustrato da 62 incisioni e 2 carte. 3 50 Uscito alla vigilia della Conferenza d'Algesiras, questo libro saràsempre consultato dachi voglia rendersi conto delle complesse questioni che si agitano intorno al Marocco.
La Turchia liberale e le Questioni Balcaniche (1908). Con 48 incisioni .. 6 -
Il Benadir (1908). Con 33 incisioni e 3 carte 51 -
Agli Stati Uniti . Il pericolo americano ( 1909). Con 33 inc. 5
Tripoli e i diritti della civiltà , conferenza ( 1912) ·
L'Egeo, conferenza (1912). Con 3 carte geografiche .
I1 Mediterraneo e il suo equilibrio. Con prefazione dell'Ammiraglio Giovanni BETTÓLO (1914). In-8, con 55 incis. 5
1 Dirigere commissioni e vaglia ai Fratelli Treves, editori, in Milano.
MILANO MILANO FRATELLI TREVES,