LA SICILIA SAVOIARDA

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Sicilia Savojarda

Carmelo Santillo

La Sicilia Savojarda

Ricordiamoci di Plinio il Giovane là dove dice che se noi non siamo capaci di fare cose degne d’essere scritte, dobbiamo almeno scrivere cose degne d’essere lette Michele Amari

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Testimonianza e critica storica Cari amici, come vedete, sono un appassionato di storia. - Il passato per me è attualità e cronaca. Non importa se i fatti che vado narrando sono accaduti ieri o cento o mille anni fa, io descrivo battaglie cui non ho assistito, personaggi vissuti e scomparsi in epoche remote, gente che non ho mai visto. -. Per fare ciò ho bisogno delle testimonianze di chi è vissuto in quei tempi e che videro compiersi i fatti che adesso vado narrando; se questi fatti non ci fossero stati tramandati, noi saremmo del tutto all’oscuro, ciechi e ignoranti senza rimedio. -. Però i fatti raccontati, vanno esaminati, spogliati dagli interessi di parte, confrontati con testimonianze; insomma il mio compito è simile a quello del giudice istruttore incaricato di una indagine. - Come lui io raccolgo testimonianze con l’aiuto delle quali cerco di costruire la verità. - Non è cosa semplice. - Il mio compito non è quello di un cancelliere di tribunale che cuce le varie pezze che gli passano per mano per poi scoprire che ogni pezzo non collima con l’altro. I testimoni non sono sempre sinceri, la loro memoria non è sempre fedele, quindi come un giudice io vado vagliando e selezionando le varie verità che vengono alla luce, scartando gli errori e le menzogne. - Questo lavoro di investigazione, di cernita del vero dal falso, dell’inverosimile all’incredibile si chiama critica storica. Immaginiamo uno storico alle prese con una storia di mille anni fa scritta in un libro di trecento o quattrocento anni fà. - La prima sua difficoltà è cercare di interpretare la sintassi e i vocaboli astrusi cui si imbatte. - Poi cerca di leggere tra le righe il pensiero recondito; (gli scrittori di allora erano asserviti completamente al padrone del momento che li sfamava e alloggiava, quindi dovevano fare gli apologeti della loro famiglia, spesso ignorando volutamente la verità). Poi egli deve vincere l’istinto naturale che mette in opposizione i fatti con le sue convinzioni. - Infine deve vincere l’impulso della sua seconda natura, l’istinto di riportare integralmente il racconto del testo che sta esaminando. La pigrizia lo spinge a saltare a piè pari un capitolo che magari esige più impegno e più pazienza. “La maggior parte degli uomini, piuttosto che ricercare la verità, che è loro indifferente, preferisce adottare le opinioni che vengono loro riferite già belle e pronte. -“

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Sicilia Savojarda Questo primo comandamento è di Tucidide che lo scrisse più di duemila anni fa, ed è sempre valido ed attuale. - Il secondo è simile al primo: lo storico non deve adottare assolutamente le opinioni che gli vengono sciorinate davanti, anzi, deve rifuggire da esse. Un classico ancora attuale è il racconto di mille uomini che sbarcano a Calatafimi e sbaragliano un esercito di quarantadue mila soldati. - Hanno attraversato tutto il Tirreno senza che la flotta borbonica li abbia intercettati. -Hanno attraversato lo stretto senza problemi e sbaragliato un esercito comandato da fior di generali. - Hanno conquistato un regno. Non è incredibile?? Appunto, è incredibile. - Io non ci credo. Nelle biblioteche ci sono centinaia di libri che concordano su quanto accaduto, ma io vado lo stesso a cercare tra le scartoffie il punto dove il racconto si scontra con la verità. Ecco il compito del critico storico; diffidare dell’evidenza dei fatti, dubitare di tutti, cercare e cercare la verità, a costo di riscrivere la storia Carmelo

Santillo.

Ottobre

2016. -

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Grandissime e varie erano le idee che Vittorio Amedeo concepite avea per vantaggiare gli interessi della Sicilia, e i suoi ancora, e se avesse avuto il tempo e l’agio di eseguirle, forse quest’isola non avrebbe invidiar le più ricche nazioni dell’Europa. Giovanni Evangelista Di Blasi “Storia cronologica dei vicerè di Sicilia”

Figura 1 Carlo SecondoRe di Spagna e di Sicilia

Prefazione Alla morte senza discendenza (malgrado due matrimoni) dell’imbelle re di Spagna Carlo ll° ultimo rampollo degli Asburgo di Spagna (morte avvenuta il primo novembre 1700) all’età di trentanove anni, si apre il suo testamento e si scopre che il suo successore al trono di Spagna1 è stato designato Filippo Borbone duca d’Angiò (diciassette anni) secondogenito del “delfino” di Francia e quindi nipote del re Luigi XlV 2.Questo avvenimento desta in Europa un clima

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Carlo Secondo o il suo entourage non ignora che Francia Inghilterra e Olanda stanno tramando per portare alla sua corte e al trono di Spagna un loro beniamino, dopo aver tratto il maggior profitto, s’intende, in potere e terre. - Ma nel suo testamento chiama come suo erede Ferdinando Giuseppe duca di Baviera, figlio di Antonia figliola dell’imperatrice Margherita, sua sorella, e sposata al duca di Baviera (quindi anche suo nipote). - Per sfortuna sua e della sua discendenza questi muore anzitempo (febbr, 1699).- Carlo scrive all’imperatore di mandargli il suo secondogenito arciduca Carlo e di farlo accompagnare da diecimila sondati che gli serviranno per tenere quiete le brame dei suoi nemici.L’imperatore rifiuta l’offerta e la palla passa quindi a re Luigi di Francia che riesce a strappare in punto di morte il consenso per la nomina a suo successore del duca d’Angiò.- Il cardinale Portocarrero (che è stato anche vicerè di Sicilia) e il conte di Montereyo hanno fatto da tramite per il suo passaggio, anche con l’approvazione del pontefice Innocenzo Xll° e dei comuni si Spagna.2 Filippo V° viene acclamato re di Sicilia nel genn,1701- Antonio Mongitore nel suo “Il trionfo palermitano

nella solenne acclamazione del cattolico re delle Spagne e di Sicilia Filippo V°”, - re Luigi XlV era marito

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Sicilia Savojarda di guerra; l’imperatore Leopoldo è sicuro che la chiamata al regno del francese , a scapito del suo secondogenito Carlo, è stata fatta per un pregiudizio contro la sua casata; l’Inghilterra e l’Olanda , per mantenere in equilibrio politico l’Europa, danno addosso alla Francia.Dopo tredici anni di guerra, durante la quale la Sicilia vive in uno stato d’ansia per il timore di venire invasa da truppe straniere e per movimenti a favore degli imperialisti, finalmente, con la morte di Giuseppe Primo, succeduto al padre Leopoldo, cambia l’atteggiamento dell’Inghilterra dello scenario politico delle alleanze.- Infatti il parlamento inglese permette alla sua regina Anna Stuarda, acclamata dopo la morte di Guglielmo ll°, di creare un clima di distensione con la Francia di Luigi XlV.- ll passo più importante che fa questa regina e di riuscire a convocare un tavolo di pace nella città di Utrecht , in Olanda.-3 Filippo Borbone duca d’Angiò: figlio di re, padre di re, non divenne mai re. - Per la sua morte si fecero mortorii in tutti i paesi sia di Francia sia di Spagna. - La città di Palermo espresse il suo dolore con magnifiche pompe.

La regina Anna Stuarda

Tra gli accordi di pace viene fuori la novità che Filippo deve cedere la Sicilia, l’unica che gli è rimasta in Italia, a favore di quel principe che Anna Stuarda avrebbe nominato. -4

La Francia avrebbe preferito il duca di Baviera, ma la regina aveva un dovere morale verso il Savoja che aveva messo in pericolo i suoi stati, aderendo alla lega nella guerra contro la Francia. di Maria Teresa, sorella primogenita di re Carlo ll°, e il duca d’Angiò (figlio del delfino di Francia) era quindi pronipote del re Carlo. Nel caso che l’erede designato non accettasse la nomina, allora, come seconda opzione il regno sarebbe stato offerto all’arciduca Carlo, secondogenito dell’imperatore Leopoldo Primo marito di Margherita, altra sorella di Carlo ll°. In terza opzione veniva Vittorio Amedeo ll° duca di Savoja , che in linea di successione era pronipote di Caterina, figlia di Filippo ll° maritata a Carlo Emmanuele ll duca di Savoja da cui nacque Vittorio Amedeo ll°.-Questi aveva un credito di cinquecento mila ducati che erano stati promessi come dote a Caterina dal padre Filippo ll° e mai dati, e questo fatto dava diritto alla successione alle corone di Spagna, se capitava che a Filippo mancasse la successione in linea maschile, come di fatto si avverò.3

A queste riunioni non sono invitati i rappresentanti di Filippo V°, non ancora riconosciuto re di Spagna, né i rappresentanti dell’arciduca Carlo. Il canonico Antonio Mongitore riporta nel suo “Diario di Palermo” che esiste nella libreria della Giunta Municipale un manoscritto dove si dice che nel mese di aprile del 1713, approdarono a Palermo due navi da guerra inglesi e che il loro comandante si abboccò con il principe della Cattolica cui confidò il trattato di Utrecht e che la sua regina voleva sapere se questa nuova fosse soddisfacente per il popolo siciliano.- Il principe chiese tempo e dopo avere interpellato i magnati dell’isola, diede questa risposta; non avevano da opporsi a questo cambiamento e avrebbero ricevuto qualsiasi monarca venisse loro assegnato, purché il loro sovrano Filippo fosse d’accordo.- L’inglese salpò per portare la risposta alla sua regina. Il regno venne dato così a Vittorio Amedeo ll° duca di Savoja. -

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Sicilia Savojarda Con l’acquisto della Sicilia il duca Amedeo adesso può fregiarsi del titolo di re, titolo che ha inseguito inutilmente nel tempo e che lo ricompensa delle tante fatiche e dei pericoli incorsi in questi anni di guerra. –

Re di Sicilia e Cipro.5 Il 22 settembre 1713 Vittorio Amedeo con accanto la moglie Anna Aurelia d’Orleans viene solennemente acclamato a Torino re di Sicilia. Il maestro di cerimonia il marchese di Angrogna introduce per il baciamani tutta la nomenclatura del ducato, magistrati, militari, ecclesiastici, ed anche una delegazione siciliana andata portare gli omaggi; sono il marchese di Geraci della famiglia Ventimiglia, il principe di Villafranca ed altri di minor lignaggio. Alcuni giorni dopo, a Nizza riceve gli omaggi da don Francesco Bonanno principe di Roccafiorita Grande di Spagna ambasciatore della Delegazione del Regno 6 accompagnato da Don Giuseppe Sollima messinese, dal barone di Ficarazzi e da un codazzo di congiunti. Il giorno tre ottobre del 1713 Vittorio Amedeo s’imbarca su una flotta di navi inglesi comandata dall’ammiraglio Jennings, mandata a questo scopo dalla corte inglese, e accompagnato da navi maltesi, drizza la prua verso

Vittorio Amedeo con la moglie. 5

Perché Cipro? - perché nel 1433 Lodovico duca di Savoja, figlio di Amedeo Vlll° sposa Anna di Giano Lusignano re di Cipro, nonché nominalmente re di Gerusalemme e di Armenia. 6

La Deputazione del Regno, la cui origine rimonta ai tempo di re Martino, era la custode delle sovrane e peculiari leggi e dei privilegi del regno; curava l’esecuzione di ciò che il parlamento aveva risoluto, la riscossione dei donativi ed il modo di come ripartirli e di spenderli in questi oggetti che erano stati designati e la spedizione delle “grazie” richieste dal Parlamento; insomma rappresentava la nazione perennemente in mancanza del parlamento, quindi in realtà era sempre in seduta.- La deputazione era composta da dodici membri che il parlamento sceglieva tre per ogni Braccio inoltre erano di diritto ammessi i capi dei tre bracci, cioè il vescovo di Palermo del braccio ecclesiastico; il primo titolo del regno, cioè il principe di Butera del braccio militare che era composto dal baronato che aveva possedimenti feudali ed il pretore (sindaco) di Palermo del braccio demaniale, e rappresentava le città demaniali. Questi non avevano preminenza alcuna, ognuno dei Deputati a vicenda e di mese in mese faceva l’ufficio di pretore e perciò intimava i consessi , proponeva i bisogni, sentiva i pareri, raccoglieva i voti e rapportava il tutto al vicerè, senza la di cui approvazione non potevasi eseguire nessuna cosa risoluta dal parlamento.- Tutte le risoluzioni dovevano essere registrate in un libro a parte; il protonotaro del regno era sempre colui che validava gli atti della Deputazione ed in qualità di maestro notaro della stessa doveva intervenire nella relazione che si faceva al vicerè. Il potere dei deputati durava dal giorno della loro elezione sino al nuovo parlamento. Dal parlamento tenuto nell’anno 1741, fu dato alla Deputazione del regno il titolo di Eccellenza. -

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Sicilia Savojarda la Sicilia; con lui ci sono sei mila soldati savojardi. -7

Fanteria svizzera al soldo dei Savoja - Notare la bandiera detta “la colonnella

Nel viaggio incontrano una gran tempesta, il convoglio si disperde e il re Vittorio arriva da solo nel porto di Palermo (dieci di ottobre); la altre navi lo seguiranno nei giorni a venire. - Prima di scendere dalla nave, il re ordina che tutte le caserme siano svuotate dei soldati spagnoli, soprattutto i forti e il castello. –

Infatti, il mattino seguente sono introdotte le sue milizie, man mano che arrivano in porto. Si prepara il percorso che il re farà nella sua entrata trionfale; la porta Felice tutta addobbata all’inverosimile .-8 Al tramonto i reali salgono su una gondola e Non dimentichiamo che l’isola è presidiata dall’esercito spagnolo. La porta felice in onore della moglie Felice Orsini del vicerè Marco Antonio Colonna che la fece costruire, anche se non arrivò a vederla finita. -

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sbarcano sul molo, accolti dal senato al completo, dai ministri e dalla nobiltà.- Poi su un cocchio dorato, generosamente approntato dal vicerè spagnolo, si dirigono verso la cattedrale, attraversano la strada del Cassero e piazza Vigliena; l’arcivescovo è davanti al soglio ad attenderlo, si celebra la messa e si canta l’inno ambrosiano per ringraziare Iddio di averli salvati dalla tempesta. Viene visitata la cappella dove riposano le spoglie della S. Rosalia, ed infine via al palazzo reale. La mattina seguente ecco presentare le credenziali gli ambasciatori inviati da Messina e da Catania9 “Grandissime e vaste erano le idee che Vittorio Amedeo avea concepite per vantaggiare gli interessi della Sicilia, e i suoi ancora; e se avesse avuto il tempo e l’agio di eseguirle, forse questa isola non avrebbe invidiate, le più ricche nazioni dell’Europa: tale è la fortunata sua situazione, e tale l’abbondanza e la fertilità di cui fu dalla natura dotata, che con poco studio potrebbe diventare ricca, ed arricchire i suoi sovrani. “ Questo è il commento del nostro Di Blasi nel suo lavoro “storia cronologica dei

vicerè di Sicilia”. -

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Le prime raccomandazioni sono per il senato e l’amministrazione pubblica, ai tribunali nell’esercizio della giustizia di non prolungare le cause a danno dei litiganti e agli ecclesiastici raccomanda di esercitare il culto divino soltanto. -11

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Vecchia usanza quella di chiamare i rappresentanti dei comuni di Messina e Catania ambasciatori; lo testimonia un diploma del 1403 inviato dalla regina Bianca di Navarra, seconda moglie di re Martino il giovane, la quale nell’occasione di confermare come vicaria del regno due privilegi concessi a Catania da re Federico e dalla sua moglie regina Costanza, chiama ambasciatori gli inviati della città per ottenerne la conferma. 10

Il re Amedeo una volta avuta la conferma che era diventato sovrano di Sicilia, aveva mandato un suo confidente nell’isola per informarsi sullo stato delle cose nell’isola; questi era il marchese di Courtanza con una sua lettera indirizzata al vicerè spagnolo marchese de los Balbases, raccomandandogli di compiacersi di informare appieno il latore della lettera su gli affari del regno, di dargli quei lumi e quelle direzioni necessarie per prendere le sue misure, assumendo il potere. In Palermo essendogli stato regalato un grosso pesce da un magnate dell’aristocrazia che aveva fama di essere un prepotente, di quel pesce fece staccare la testa e il resto lo ridiede al messaggero dicendogli di riportare questo pesce: dite al vostro padrone che io dei pesci grossi mangio la testa. -

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Sicilia Savojarda Dovendo partire l’armata spagnola, fa di tutto per organizzare viveri e navi per il trasbordo. Resterà a terra soltanto una compagnia a guardia del vicerè che è infermo. All’apertura del parlamento si vedono fasti indescrivibili; il re entra preceduto dal Gran giustiziere. 12 e da due giudici del Corpo della Deputazione del Regno; seguito dai tre governatori del Banco di Palermo, i baroni e la nobiltà a due a due; seguono timballi, pifferi, trombe; i ragionieri del patrimonio, il procuratore fiscale della Gran Corte, gli ufficiale della camera, il segretario e il Gran Notaro, 13 il capitano con la bacchetta della giustizia in mano.- Dopo vengono i vescovi, i prelati, i mazzieri del senato, il principe Spinola, il tesoriere generale, che porta con sé sacchi di denaro per essere gettato al popolo. Poi vengono gli araldi dei Cavalieri dell’ordine di San Maurizio, i guastatori, i maniscalchi, i cappellani del re, i gentiluomini della camera, gli scudieri, il Gran Maestro del guardaroba, i cavalieri dell’Annunziata, il principe di Butera con lo stendardo e il principe di San Tommaso a destra. Ed ecco apparire il corteo reale.- Il re e la regina a cavallo sotto un baldacchino portato dai senatori e da dodici cavalieri.- Il marchese Pallavicino, a cavallo, accanto al baldacchino porta la spada del re nuda; poi il conte di Govone cavaliere d’onore della regina, accanto ad essa; il marchese di Tornone capitano delle guardie; quindi il gran maestro delle cerimonie e il gran ciambellano, le dame d’onore e le damigelle.- Chiudono cavalcata le guardie del corpo a cavallo .-.Quando il corteo arriva sotto il primo arco di trionfo14 alla porta dei Greci, l’arcivescovo di Palermo con tutto il clero secolare in abiti pontificali, si avvicina al re e gli offre la croce da baciare .- Il re devotamente scende da cavallo s’inchina e bacia il crocefisso, quindi risale a cavallo e Re Vittorio Amedeo si avvia verso la Porta Felice.- Qui un ufficiale del senato gli consegna le chiavi della città e a questo punto suonano le batterie del castello e i loro rimbombi 12

Seguendo la regola iniziata già secoli prima da Re Ruggero(1140) il governo è sorretto da sette funzionari. Il Gran Contestabile, comandante degli eserciti di terra. - Il Grand’Almirante capo della marineria. - Il Gran Cancelliere custode del suggello reale, e incaricato degli affari esteri. - Il Gran Camerario, incaricato alle entrate fiscali del regno. - Il Gran Siniscalco, sopraintendente alla casa reale. - Il Gran Protonotaro. - Il Gran Giustiziere, carica suprema del regno; è la carica che i romani chiamavano Prefetto Pretorio. Egli è il capo del Sacro Consiglio dei re di Sicilia ed è incaricato della Presidenza della Regia Corte di Giustizia. -. - Tutti questi alti ufficiali vestono toga, manto e gran berretto di porpora. -

Il Gran Protonotaro esercita l’ufficio di primo segretario di stato. Assiste la persona del re nella real Corte per rispondere ai ricorsi dei sudditi, e provvede alle loro suppliche secondo come il sovrano ha ordinato. - Nei Regi Concistori e nei Generali Parlamenti del regno spetta a lui convocare i deputati. È il primo a parlare in nome del re, il primo ad autenticare gli atti. - E’ responsabile delle applicazioni delle leggi dello stato, ricevere i giuramenti di fedeltà non solo delle persone ma anche dei tre bracci del Parlamento. - Ha l’onore di sedere alla destra del sovrano, dopo in Grande Almirante e fa da Gran Maestro nelle cerimonie. Sotto il regno austriaco questa carica sarà quasi estinta e questo compito sarà dato al Logoteta del Regno. 14 Cinque superbi archi trionfali erano innalzati nella spaziosa strada del cassero; due furono eretti dal senato della città, l’uno a Porta felice e l’altro alla piazza Vigliena; gli altri furono fatti a spese dei napoletani, dei genovesi e dai milanesi che abitavano in città-. 13

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Sicilia Savojarda percuotono l’aria. Alla fine il corteo arriva in cattedrale, dove l’arcivescovo assieme alla curia è ad attenderli sul sagrato. Dopo i soliti convenevoli, il protonotaro si avvicina al trono reale e pronuncia il rito del giuramento di fedeltà, dove egli si obbliga ad osservare le leggi e i privilegi del regno. - Il re. A capo scoperto e con la destra sui vangeli solennemente giura. - Adesso viene il momento che tutti temono: il protonotaro presenta il libro dei Privilegi e pronuncia il solito ritornello di osservanza, anche qui il re giura. La cerimonia finisce con l’incoronazione 15 Il sovrano si inginocchia su un cuscino; il vescovo dice all’arcivescovo:” Questi è la Maestà del re, che domanda di essere incoronato “Il re legge la professione di fede con il Libro Sacro in mano, bacia la mano del prelato e resta in raccoglimento fino alla fine delle litanie. Ecco come ce la racconta Pietro Vitale, segretario del senato di Palermo, che è incaricato di descrivere la relazione dell’avvenimento:

“Il prelato quindi si assise, il re stette ginocchioni davanti, il gran ciambellano gli levò la camicia dal braccio destro sino al gomito, gliela scollegò al collo. - Il prelato gli cinse il braccio tra il corpo ed il gomito, ed il mezzo tra le spalle in forma di croce. Ciò fatto, si ritirò per acconciarsi cogli abiti reali. Tornò vestito del manto regio, di cui il principe Tomaso portava lo strascico.- Sedè (sedette) sul trono, udì la messa, e quando fu recitato il graduale, discese accompagnato da due vescovi, andò all’altare, gittossi(si gettò) ginocchione innanzi all’arcivescovo, l’arcivescovo gli diede la spada nuda, la quale restituita, il prelato la mise nel fodero, e cinsene ( ne cinse) il re .- Armato sorse, poscia di nuovo sulle ginocchia acconciossi( si accomodò); l’arcivescovo in quell’atto lo scettro dielli (gli diede) , e colla corona in capo l’ incoronò.-

La cerimonia venne officiata da Fr. Giuseppe Gasch Valentiniano dell’ordine dei Minimi di S. Francesco di Paola, arcivescovo di Palermo; assistito da D. Asdrubale Termine vescovo di Siracusa; di Fra. Matteo da S. Stefano vescovo di Cefalù e da D. Bartolomeo Castelli vescovo di Mazzara. 15

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Sicilia Savojarda Pietro Vitale. = La felicità in trionfo nello arrivo, acclamazione, e coronazione delli reali Maestà di Vittorio Amedeo Duca di Savoja e di Anna di Orleans. - Palermo 1714

Stemma reale dei Savoja.

Re Vittorio trova l’isola in uno stato pietoso, principalmente per la mancanza di commercio sia interno che estero; certo la guerra, che ha tenuto occupata mezza Europa, non rende sicuri i mari, i pirati sono un male endemico, e non soltanto gli islamici, ma anche gli olandesi, gli inglesi ne frequentano le coste. Questo è il motivo principale del perché non si muove niente per mare; per terra è anche peggio, per attraversare un fiume si paga il traghettatore, per passare da un paese all’altro si paga il dazio. -

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Sicilia Savojarda Vittorio capisce subito che bisogna riprendere il dominio del mare, ordina subito che si costruiscano navi sia per trasporto che per la guerra alla pirateria. - Il nolo della nave deve restare nel paese, primo perché questo viene pagato in oro, poi perché questo prende la via per altri lidi. Per agevolare il traffico interno bisogna rendere le strade sicure dai ladroni; perciò ordina che i capitani e i baroni, che sono poi i protettori di questi banditi, debbano rimborsare il malcapitato del maltolto. - Legge dura ma necessaria se si vuole reprimere, queste infami protezioni e per tenere vigilante il baronato e i capitani d’armi. -16 Durante la sua breve permanenza nell’isola, si coniano monete in oro, argento e di rame, alcune delle quali sono ancora in corso legale. - Si ordina la formazione di quattro reggimenti di milizia e si cambia anche il modo di vestire, infatti la toga indossata dai ministri regi e dal senato, viene dismessa e si ci veste adesso alla foggia dei savojardi. Il senato di Catania, per avere la conferma dei suoi privilegi da re Vittorio, manda a Palermo Vincenzo Paternò Castello barone di Bicocca e Giuseppe Alvaro Paternò come ambasciatori eletti per l’occasione. - Siamo nel marzo 1714. Re Vittorio apre il Parlamento generale: sono sette anni che non si riunisce, a causa della guerra. Seduto sul trono, dà il via al protonotaro Domenico Papè e Montaperto duca di Giampilieri perché legga il discorso d’introduzione.-17 fortunatamente per tutti e con gran sollievo si parla di migliorare l’economia dell’isola, dello sforzo che si deve fare per entrare nei nuovi mercati commerciali; non si parla di Donativo, con gran sollievo di tutti i presenti.- Invece si parla di decorazioni e ringraziamenti; viene gratificato il marchese di Geraci con il collare dell’Ordine dell’Annunziata, assieme ai principi di Butera e di Cattolica; crea gentiluomini di camera nove nobili palermitani.-18Anche lutti colpiscono l’isola, arriva l’efferata notizia che la regina di Spagna Anna Gabriella di Savoja di anni venticinque è morta . - E’ la figlia prediletta del nostro re Vittorio Amedeo e della regina Anna Che cosa sia una nazione senza il commercio esterno è a dirlo. Pietro Lanza principe di Scordia “Io farei un paragone, scrive nel suo “Storia di Sicilia “si immagini una pianta di alta natura fruttifera, la quale priva di ogni alimento esteriore incomincia a mandar giù le sue frutta, poi le sue fronde, indi si fa gretta, grama, sparuta, ed in fine sul medesimo stelo assottigliandosi termina col perire del tutto; così una nazione senza la vita del commercio perisce. …/...l Il nostro parlamento più volte fatto interprete di tale verità si era, ma il potere esecutivo era stato avverso ad ogni maniera di miglioramento; Vittorio il primo rivolsesi e l’incoraggiò e il promosse e cercò di dar vita a questo corpo esaninito(sic). 16

L’etichetta voleva, residuo dell’impero spagnolo, che fosse il protonotaro ad aprire il Parlamento, spiegando ai convenuti il motivo e le ragioni della convocazione. - Di solito si parlava di “donativi “da raccogliere. - Questo sistema andò in disuso col vicerè Caracciolo che preferiva parlare in faccia ai deputati. 17

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Essi sono don Francesco Bonanno principe di Roccafiorita, don Vincenzo La Grua Talamanca principe di Carini, don Giuseppe Branciforti principe di Scordia pretore di Palermo, don Ferdinando Gravina principe di Palagonia, don Giuseppe Filangieri conte di S. Marco, don Ottavio Monteaperto principe di Raffadali, il principe don Girolamo Gioeni, don Federico Napoli principe di Resuttana e don Antonio Lucchesi duca della Grazia. Elesse il principe di Villafranca a capitano della sua guardia del corpo, che consisteva in quaranta uomini a cavallo destinati ad accompagnare il re dovunque andasse. -

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Sicilia Savojarda Il re non ignora che molte ricchezze della nobiltà siciliana sono venute a mancare a causa del lusso esorbitante e del gioco d’azzardo. - Per mettere un freno a queste sorgenti di povertà, promulga delle leggi ad hoc per prescrivendo i limiti del lusso e proibendo il gioco d’azzardo nei luoghi pubblici. -19.

- Per un pugno di Ceci Mentre in Utrecht le principali potenze d’Europa sono intende a spianare la via della pace, dopo tredici anni di guerre, in Sicilia incomincia una discordia tre il sacerdozio e l’impero (siamo ancora sotto lo scettro spagnolo, anno 1711), una discordia che durerà diciassette anni e creerà una infinità di guai. - Comincia con il vescovo di Lipari Niccolò Tedeschi, che sbarca a Messina e trova dei acatapani20 che gli chiedono di voler controllare quello che sta portando con se. Premetto che Lipari non è territorio siciliano, ma fa parte del regno di Napoli. Il risultato dell’ispezione porta a trovare circa due libbre e mezzo di ceci che il prelato porta con sé. Diciamo circa un tarì siciliano. - Il vescovo si sente offeso per questa ispezione, interviene il governatore chiedendo scusa per il malinteso, e di dimenticare il fatto, ma a nulla valgono le scuse per quietare il risentimento del prelato per il preteso attentato alla sua immunità ecclesiastica.21 La cosa finisce dinanzi al magistrato municipale, che rifiuta di stipulare un atto solenne di scuse. - I ceci sono stati restituiti con mille scuse, cosa vuole di più? - r.-Il governatore scrive al vicerè che in quel momento è a Messina, spiega i fatti, e chiede come deve comportarsi. Anche il vescovo scrive al vicerè, anzi manda a Messina uno dei suoi canonici per portare le sue lamentele; il vicerè nell’udire le stravaganze del prelato, monta in collera, e non meno avventato del prelato, fa incarcerare il messaggero .- .-Il vescovo allora va a Messina, ma il vicerè lo insulta e gli impone di togliere la scomunica se vuole restare in grazia del re ed intanto libera il canonico.- I poveri scomunicati ricorrono al Giudice della Regia Monarchia che, sentiti i fatti, li assolve “ad cautelam” per poter comparire in giudizio e far conoscere l’ingiustizia e la nullità delle censure inflitte loro, ed ordina al vicario di Lipari di mandare al suo tribunale gli atti della curia vescovile contro i malcapitati e di venire a Palermo o di delegare qualcuno per difendere i diritti pretesi dal vescovo.-

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La costituzione siciliana era chiara a proposito di leggi. - Le leggi vengono proposte del parlamento e il re le può sanzionare. Ora (da re Alfonso in poi) dato che il parlamento si riunisce ogni tre anni /nel giorno di ognissanti/ giusto il direttivo di Federico ll°, il re per occorrere a provvedimenti necessari del governo, emana leggi senza il consenso del parlamento; da re Giovanni in poi cominciano a far parte della legislazione le “Prammatiche Sanzioni”, che non sono però atti arbitrali, ma la legge che si promulga dietro il voto di tutto il corpo dei magistrati, detto “Sacro Consilio “. L’ordine di re Amedeo riguardante la proibizione dei giochi nei luoghi pubblici, esisteva già ed era in vigore fin dal tempo del vicerè marchese Almenara, dopo avere ottenuto il via libera dall’imperatore Carlo Vl° e quindi dal vicerè Fogliani sotto il governo di Ferdinando Borbone. F 20 Acatapani. - Questi funzionari sono attivi sin dal tempo di Federico lo Svevo, e confermati da re Martino nel 1405. Loro compito è di visitare le botteghe per ispezionare se i generi alimentari che si producono o si vendono siano di buona qualità e tenuti in buona condizione, controllano anche i prezzi e applicano le accise sui prodotti importati. Insomma una specie di agenti doganali. Dice il Botta, storico “quest’uomo era più nutrito di rabbia che di carità, più di fiele che di dolcezza, e pretese che il magistrato avrebbe dovuto condannare quest’atto. 21

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Sicilia Savojarda Il Tedeschi allora s’imbarca di nascosto su una nave del gran duca di toscana e sbarca a Roma. Qui è in casa sua, può sbraitare come vuole; tira fuori i ricorsi dei vescovi di Catania, di Girgenti e di Mazzara che attestano l’offesa fatta e si rivolge al papa Clemente Xl°.22 Il pontefice manda una direttiva a tutti i vescovi dell’isola, spiega che nessun vescovo può scomunicare, essendo questa prerogativa soltanto del papa. Così facendo sta invadendo un terreno che per sei secoli è appartenuto al sovrano dell’isola. Infatti, i re di Sicilia furono insigniti del “Legati a latere “già ai tempi della conquista contro gli arabi. Il messaggio parla chiaro, diffondete e pubblicate. - Non tutti però sono disposti ad affrontare in disagio di aprire le ostilità col governo regio, infatti, saranno soltanto i vescovi di Girgenti (Ramirez), di Mazzara (Castelli) che la pubblicheranno. L’arcivescovo di Palermo (Gasch) il vescovo di Patti (Algaria) e il vicario generale di Monreale (Giacinto Cauderio ) la trasmisero, come è loro dovere, all’avvocato fiscale del real patrimonio, incaricato della custodia delle prerogative reali che avrebbe dovuto ratificare o negare l’esecuzione qualunque carta arrivata dalla curia di Roma, (giusta disposizione di re Martino e confermata anche da re Alfonso ).- Migliaccio arcivescovo

di Messina, Termine arcivescovo di Siracusa, Mascella di Cefalù, e lo stesso arcivescovo di Palermo chiesero al pontefice di ripensarci, temendo quali tristi conseguenze si andava incontro nel pubblicare queste disposizioni. Il vicerè rimette al Sacro Consiglio l’esame della condotta di quei prelati che l’hanno pubblicata; e la risposta è immediata e saggia: all’unanimità tutti sono d’accordo che questa nuova debba essere censurata.- Qualsiasi carta emessa da una corte straniera senza il Regio” EXEQUATUR” pregiudica la prerogativa di qualunque 22

Il pontefice sapeva che il re di Sicilia Filippo V° traballava sul trono, e credette di essere tempo per tentare di abbattere il Tribunale della Monarchia. Questo tribunale era stato creato dal gran conte Ruggero per dirimere le controversie in materia ecclesiastica dopo che papa Urbano ll° aveva concesso il diritto di esercitare la suprema autorità nelle controversie in materia di religione. -

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Sicilia Savojarda governo indipendente, perché ferisce il diritto della Regia Monarchia.- Consigliano quindi che si debba obbligare questi vescovi a revocare l’editto ed avvisare il governo centrale.- 23 I tre vescovi coinvolti non danno segno di voler obbedire, e il vicerè manda il tutto a Madrid con preghiera di sollecita risposta. -. Clemente Xl° spedisce altre due lettere. - Una dichiara scomunicato il delegato del giudice della Monarchia di Lipari e tutti coloro che si sono esposti al vicario lasciato al vescovo a fere i suoi interessi. L’altra diretta all’arcivescovo di Palermo per riprenderlo per non aver pubblicata la lettera precedente. A queste, c’è anche una nota del cardinale Paulucci, segretario di stato, e diretta a tutti i vescovi del paese, il sunto è sempre lo stesso, ordina che la lettera deve essere pubblicata, pena la sospensione delle funzioni. Tutti ubbidiscono, il vicerè allora pubblica un bando che dichiara nulli gli editti vescovili perché emessi senza l’autorizzazione del governo quindi offensivi al diritto generale delle genti e alle prerogative reali. - Il vescovo di Catania pubblica un editto con cui dichiara nullo il bando del vicerè e chiama abuso il diritto del governo di dare questa esecutoria; dichiara che esso è temerario, orrido, scandaloso e dannevole questo insistere del vicerè a sostenere tale posizione. L’arcivescovo di Catania è il primo e pagare lo scotto, infatti, gli si danno ventiquattro ore per lasciare la città e due giorni per lasciare l’isola.- Il vescovo, di ritorno, scomunica il sergente Giuseppe La Rosa che è stato incaricato ad accompagnare il prelato fuori dall’isola, e con atto del 21 aprile 1713 a nome del pontefice mette l’interdetto alla sua diocesi.-24 Il buon vicerè fa sequestrare le poche rendite perdonali , le altre sono lasciate a lui.- Il giudice della Monarchia e il vicerè credendo nullo l’interdetto, mandano a Catania come delegato don Gaetano Buglio, decano della cattedrale di Messina, che appena arrivato fà riaprire le chiese e celebrare gli uffici divini.- A Girgenti in vescovo Ramirez finge di avere ricevuto un messaggio del pontefice in cui viene eletto Delegato apostolico per procedere contro quelli che avevano confiscato i beni del vescovo di Catania. Scomunica “ex abrupto “i ministri della Camera Regia (senza avvisarli) che sono a Messina al seguito del vicerè, e senza citarli ne far precedere nessuna ammonizione, come è prescritto in simili casi dai Canoni della Chiesa, e senza mandare alcun avviso. - Anche a lui viene intimato di lasciare l’isola minacciandolo con la forza se non avesse obbedito, prima di partire, questi scomunica quei funzionari incaricati dello sfratto, e mette l’interdetto su tutta la sua diocesi. -

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La legge in questi casi parla chiaro: si dà un termine, trascorso il quale se non si obbedisce si devono confiscare prima i beni temporali da questi soggetti posseduti, e se ostinati e caparbi ricusano di obbedire si deve avvisare il governo centrale e sarà Madrid a dettare il comportamento da tenere. -

L’arcivescovo viene dal papa eletto prelato domestico ed assistente del suo soglio e Patriarca di Costantinopoli. Ma un colpo apoplettico lo coglie il 15 dic 1717. Il suo cadavere chiuso in una cassa di piombo viene imbarcato sopra una tartana e rimandato a Catania, come aveva scritto nelle sue ultime volontà. -Durante il suo vescovato ci fu un terribile tremore che distrusse mezza città. - Egli diede conforto a tutti, celebrò tra le rovine, ricostruì la cattedrale in due anni. Aiutò molti a edificare le case, e maritò molte orfane, sminuì la gabella della neve, rifornì la città di grano e di carne. Sarà seppellito nel mausoleo che egli stesso si era fatto costruire, nella cappella di S. Agata. 24

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Sicilia Savojarda Monsignor Migliaccio, arcivescovo di Messina, fu più sfortunato; Aveva appena dichiarato, seguendo l’ordine del pontefice, la scomunica a Giambattista Paternò Abbatelli barone di Ficarazzi, che il vescovo di Catania perseguitava da tempo per avere fatto arrestare alcuni banditi che si erano rifugiati nella chiesa dei P.P. Benedettini alla Licata poco fuori Catania. Vane erano state le proteste dell’abate che asseriva la extraterritorialità dell’abbazia quindi l’immunità dei soggetti.- Mentre sono condotti a Catania, incontrano la comitiva dell’arcivescovo che sta tornando dalla campagna; i banditi si premurano a lamentarsi perché sono stati arrestati dentro la chiesa e chiedono la sua protezione.Ha da parlare il capitano, niente da fare, i banditi salgono sulla carrozza del prelato, liberi.- Tre giorni dopo escono le scomuniche per il barone di Ficarazzi e compagnia. Sorpreso il barone, ricorre al Tribunale della Monarchia e il vescovo lo scioglie dalla censura. Ma dopo due anni circa la Sacra Congregazione dichiara nulle le assoluzioni del vescovo, essendo la lesa immunità riservata soltanto al pontefice. - Il vescovo lo vuole assolvere nuovamente “ad cautelam” e scrivere a Roma ma il barone rifiuta e si appella alla Regia Monarchia. Il vescovo allora è costretto ad affiggere la scomunica al barone. Il vicerè, che è a Messina, vede queste manovre e nota soprattutto che i vescovi stanno conducendo una tattica di aiutarsi l’un l’altro. E questo dinanzi a lui e alla corte. Ordina l’allontanamento del Figura 2- il pontefice Clemente Xl° vescovo, e questi non ha nemmeno il tempo di muoversi che si ritrova su un battello lontano dalla costa siciliana. Blasone dei Savoja Questo è lo stato delle cose quando re Vittorio Amedeo scende in Sicilia. - Il pontefice potrebbe approfittare di questo cambio per salvare la reputazione e l’onore della chiesa in questa vicenda, ma reputa questo cambio propizio per inculcare il suo principio di volere abolita la Regia Monarchia. Anzi rincara la scomunica dell’arcivescovo Reggio, (così si chiama).Amedeo adesso è a Catania, nel suo giro dell’isola, e viene a sapere della nuova bolla del papa e lo sconcerto del popolo che non sa a chi ubbidire.- La bolla minaccia la scomunica a tutto il capitolo della chiesa se non si applica la scomunica e l’interdetto.- Ai tre vicari di Girgenti , che sono in carcere per aver disobbedito agli ordini del vicerè, manda una sorta di benedizione, dicendo loro che è bello soffrire per la fede ed essere perseguitati come Nostro Signore.- In sostanza tutto il mondo cattolico è a conoscenza che in Sicilia la chiesa è perseguitata e i suoi ministri imprigionati.Il colmo avviene quando una coorte di frati travestiti scende in Sicilia per predicare la disobbedienza al governo, come se l’isola avesse bisogno di essere evangelizzata. - Amedeo, e anche il vicerè spagnolo marchese de los Balbases tentano

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Sicilia Savojarda di tutto per calmare le acque. Mandano a Roma un inviato con nuove istruzioni, cioè gli si chiede di cedere su alcuni punti, il pontefice nemmeno lo riceve. Il Giudice della Monarchia teme per la sua anima, chiede al re di accettare le sue dimissioni, al suo posto è designato Giacomo Longo, messinese e letterato di gran fama.-25 Anche lui fa calde raccomandazioni ai prelati che sono rimasti nell’isola, per convincere il pontefice ad un compromesso.- I vescovi di Siracusa e di Cefalù scrivono direttamente a Roma, viene interpellato anche il segretario di stato cardinale Paolucci affinché si smorzi questo clima di guerra civile che sta portando tanto scompiglio nell’isola.Non c’è risposta nè dal pontefice né dal Paolucci. - e quando il re manda a Roma l’abate Barbara per aprire qualche canale di accomodamento, questi si sente dire di tornarsene a casa, perché la minaccia di scomunica è pronta anche per lui. Viene interessato anche il cardinale de la Tremoille ministro del re di Francia presso la Santa Sede; il porporato confida che il cardinale Annibale Albani, nipote del papa, è il più vicino al pontefice, e gli chiede, per il bene e l’onore della Santa Sede di ascoltare le preghiere del nuovo monarca di Sicilia. - Il pontefice fa finta di ascoltare, monta un concilio di cardinali per avere i loro pareri, ma non molla di un centimetro. Intanto da Girgenti arriva la nuova che i tre vicari sono stati liberati, ultima prova del re della sua condiscendenza, e con il monito che “la chiesa avrebbe trovato un petto

di bronzo per sostenere gli antichi e irrevocabili diritti della sia corona e i privilegi inalienabili dei suoi amati sudditi. –

Il re deve andare a Torino e organizza per la Sicilia un Consiglio di Ministri perché vigili con diligenza alla difesa del regno contro gli attentati della corte romana; essa è costituita da due presidenti della Gran Corte, dal Concistoro, dal Consultore, dall’Avvocato Fiscale della Gran Corte, da quello del Real Patrimonio, e da un giudice della stessa Gran Corte.- I loro nomi sono Giuseppe Fernandez, Antonio Nigri,26 il conte Borda, Niccolò Pensabene, Francesco Cavallaro e Ignazio Perlongo.- La podestà data loro è illimitata e riuscirà assai funesta per coloro che hanno appoggiato il partito reale.Appena il re si è allontanato arriva l’ordine da Roma di serrare tutte le chiese

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Giacomo Longo di nobile famiglia messinese si trasferisce a Palermo per esercitare la professione di avvocato. - Dopo aver occupato distinte posizioni nella magistratura del regno, è eletto Giudice della Real Monarchia, Nella sua vicenda terrena, sarà deposto da re Carlo Sesto. - Egli è l’autore della continuazione della” Storia di Sicilia” del celebre Abate Francesco Maurolico. 26

Costui, fu uno dei più acerrimi nemici della Giunta, il suo cadavere, dopo essere stato lubridio della plebe, venne dilaniato e ricusato dai monaci e dai preti per essere seppellito. Fu buttato dentro un pozzo. -

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Sicilia Savojarda Di Catania e Girgenti, che nonostante l’interdetto, ancora erano in funzione. Visto che non c’è verso a convincere il pontefice a scendere a più morbidi condizioni, re Vittorio decide di non avere più moderazione, e ordina alla Giunta di procedere col massimo rigore contro tutti coloro che seguono il partito pontificio. Di ritorno, la Giunta emette un bando, dove si minaccia addirittura di perdere il collo, a chiunque vada predicando le idee del Papa. - Si abrogano i diritti civili, e fioccano le condanne, carcere, esilio e confisca dei beni, per chiunque sia sospettato di aderire al papato, esecuzione immediata, senza processo, Non c’è nave che lascia i porti dell’isola, che non abbia a bordo una gran quantità di questi infelici. E sono i più fortunati, perchè le carceri sono anche peggio. - Roma e i suoi sobborghi diventa il luogo, dove questi poveretti si ammassano; e sono per lo più poveri preti o monaci, che vanno mendicando un pezzo di pane, vestiti di stracci. - I Gesuiti invece, che sono i principali responsabili di questo disastro, anche se esuli, hanno la loro

organizzazione che li mantiene in salute e comodità. A Palermo si vive nello scompiglio totale; chi può esce dalla città; il comandante dell’esercito piemontese (generale Adorno) mette in stato d’allerta i suoi perché prevede una insurrezione armata dei cittadini. Per tutto il tempo che il re Vittorio governerà la Sicilia non ci sarà verso per battere questa controversia.27

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La controversia tra Roma e Sicilia sarà contesa da tre pontefici, cioè Clemente Xl che muore nel 1721: Benedetto Odelscalchi che prese il nome di Innocenzo Xlll; e Pier Francesco Orsini che prese il nome di Benedetto Xlll. I sovrani di Sicilia furono tre cioè Filippo V, Vittorio Amedeo ll. e Carlo Vl imperatore.Sotto il suo governo si sistemò la controversia, grazie al cardinale Prospero Lambertini, che poi sarà eletto pontefice col nome di Benedetto XlV e al cardinale Cienfuegos arcivescovo di Monreale, che venne assistito da don Pietro Perrelli di nobile casata napoletana, capace di introdursi nella corte di Roma e instancabile giureconsulto: Profondo conoscitore dei codici vaticani, e introdotto nei maneggi di tutti i cardinali, con moderazione e tenacia riuscì ad appianare le divergenze , senza far perdere la faccia all’imperatore, al re Vittorio e al pontefice.- Andò e ritornò innumerevoli volte da Vienna, convinse il ministro imperiale marchese Realp a sostenerlo; si assicurò l’appoggio del cardinale Lambertini, e finalmente riuscì a far sedere tutti ad un tavolo di trattative. Benedetto Xlll nel giugno 1728, finalmente pubblicò la bolla “Fideli ac prudenti Dispensatori” che finalmente riaprì alla Sicilia le porte della pace. La “Legatia Apostolica “venne soppressa ma non estinta. - L’arcivescovo Tedeschi di Lipari, che era stato il principale artefice della diaspora, scrisse un libro per giustificare il suo operato. - La corte di Roma cercò di non farlo pubblicare, era troppo profonda la ferita inferta al popolo per potersi giustificare. -

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Re Amedeo visita la Sicilia Si parte da Palermo per via terra, il re a cavallo e la regina in lettiga.Destinazione Catania.- La città si sta miseramente riprendendo dal terribile tremore che nel 1693 ha distrutto la parte orientale dell’isola.- Resta due giorni in città e quindi riprende il viaggio verso Messina.- Alle porte della città c’è don Ettore Spatafora principe di Mazzarà che lo attende per dargli il benvenuto.- Resta tre giorni a Messina, e per ringraziare la città dell’accoglienza ricevuta, riapre il Senato (tolto alla città dal vicerè conte di S. Stefano), ordina che il procuratore di Messina, nelle riunioni del Parlamento, abbia il posto immediatamente dopo a quello del senato di Palermo.Promosse al grado di Gentiluomini di Camera quattro cavalieri 28 Rispondendo alle lamentele dei cittadini per la gran quantità di banditi che rendono le strade impossibili a chi ha bisogno di uscire dalla città, rinforza i presidi e quando viene a sapere che un cavaliere fa da protettore a questi malandrini, ne ordina l’arresto, e sapendo che si rifiuta di pagare i creditori, sequestra le sue proprietà e rimborsa i debiti. Mentre è in città, riceve la visita del marchese de Prì, (che poi lo accompagnerà nel suo viaggio a Torino) ambasciatore inviatogli da Luigi XlV re di Francia. Ammira il gran porto con le opere costruite sotto il governo di Sua Altezza Reale Emanuele Filiberto principe di Savoja. - Riparte per Palermo per la via di mare, accompagnato da sette vascelli, parte inglesi e parte maltesi e da due galee. - Non scende dalla nave, si ferma soltanto per salutare la nobiltà del luogo e per confermare come suo vicerè il conte Annibale Maffei; appena i venti sono favorevoli, parte per Genova. - Non ritornerà più nell’isola Il vicerè Maffei invita la cittadinanza a rendere grazie al Signore per la felice traversata; nella cappella Reale del Duomo si canta il “te Deum” con il Senato e il Sacro Consilio al completo. -29

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Don Antonio Ruffo principe della Scaletta, don Muzio Spatafora principe di Maletto, don Michele Arduino principe di Alcontres e don Antonio Furnari duca di Furnari. 29 Cappella Reale è una cerimonia in cui il re di Sicilia o chi lo rappresenta, spiega in forma pubblica ed ufficiale l’augusto carattere di “legato a latere “coprendosi il capo nel ricevere l’incenso dal diacono durante la celebrazione della gran messa. -

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Sicilia Savojarda La pace tanto voluta ad Utrecht non dura molto; nel 1715 muore re Luigi Al di Francia; l’imperatore Carlo Vl dichiara pubblicamente che la Sicilia non può essere separata da Napoli perché è da sempre stato un regno unico.- Le altre nazioni, temendo un riaccendersi della miccia che faccia esplodere nuovamente la guerra, acconsentono a scambiare la Sicilia con la Sardegna per re Amedeo, e riunire la Sicilia nuovamente con Napoli (che al momento è con governo austriaco ).-L’accordo tra le tre potenze e l’Austria di Carlo lV (chiamato quadruplice alleanza) è subito firmato e dato esecutivo ; la Sardegna sarà di re Amedeo, la Sicilia ritorna unita al regni di Napoli.- Chi non è proprio d’accordo è il cardinale Alberoni, primo ministro di Spagna; questo personaggio ha in mente di recuperare alla corona spagnola gli stati che ha perduto in Italia. Con la pace di Utrecht. -- Sul trono di Spagna adesso c’è la regina Elisabetta Farnese maritata in seconde nozze con Filippo V.- Il cardinale Alberoni: doveva essere un gran mattacchione. Compaesano della Farnese nonché fautore della tresca del di lei matrimonio con Filippo, da primo ministro di Spagna, vedeva bene gli imbrogli e gli umori delle varie cancellerie d’Europa; Tenne col fiato sospeso tutti sospetti agganci con i turchi, li spronava alla conquista dell’Europa orientale per mettere in difficoltà l’imperator d’Austria Carlo Vl.Si accordò con lo zar di Russia Pietro l° e Carlo Xll di Svezia per andare contro l’Inghilterra per rimettere sul trono gli Stuard e rovesciare la costituzione di quel paese; al tempo stesso Figura 4- Elisabetta Farnese regina di Spagna. fomentava una cospirazione in Scozia, fornendo loro armi e finanze.- Ordì una congiura in Francia per suscitare una rivoluzione, e arrestare il duca d’Orleans (reggente del paese), e mettere sul trono di Francia FiFigura 5lippo V.- Finse di fare un accordo col nostro re Amedeo per la conquista del regno di Napoli e dello stato di Milano; un milione di scudi vennero fuori per assoldare truppe svizzere in vista dell’imminente invasione.Figura 3

Il cardinale Alberoni--

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Re Vittorio crede alle parole di questo personaggio, e scrive al suo vicerè Maffei di non

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Sicilia Savojarda aprire ostilità se si troverà un giorno l’esercito spagnolo in casa.- L’Europa tutta è sulle spine nel vedere la Spagna che si sta armando in modo spropositato, il cardinale va spargendo la voce che queste armate gli servono per la conquista di Orano.- Nel 1717 l’armata spagnola salpa dai porti e prima tappa sarà la Sardegna, che è territorio di Carlo Vl, imperatore d’Austria, il prossimo passo è la conquista della Sicilia a cominciare da Palermo, alle proteste delle varie cancellerie va dicendo che re Vittorio non ha tenuto fede al patto di Utrecht che dice di conservare alla Sicilia “sus leyes, constituciones, capitolo de regno, pragmaticas, costumbres, y immunitades

y exomciones”. -_ (le sue leggi. Le costituzioni, i capitoli del regno, le pragmatiche, le immunità e regolamenti). -

“Questo è il pretesto mendicato che fa, (dice Evangelista Di Blasi) dei quali si avvalse il cardinale Alberoni per coprire l’infamia del tradimento che fa Filippo V a suo suocero”. - (la sua prima moglie è stata Maria Luisa di Savoja terzogenita di re Amedeo). Vittorio, come abbiamo visto, se lo aspetta questo colpo, non ha molto da opporre all’armata spagnola. - si rivolge a Lord Stanop segretario degli affari esteri d’Inghilterra e al cardinale Dubois, ministro del reggente di Francia, ma non ottiene risposta; d’altronde i giochi sono già fatti. - La Sicilia va a Carlo Vl; Re Amedeo si deve contentare della Sardegna già austriaca e può continuare a portare il titolo regale. Intanto nell’isola di Sicilia, vista la impossibilità a contrastare con le armi l’avanzate spagnola, vengono inviati due parlamentari, sono Francesco Ferdinando Gravina principe di Palagonia e Geronimo Gravina principe di Montevago.- Sono accolti dal generale Giovan Francesco de Bette marchese di Lede con gran cortesia e sfarzo. Vengono sottoscritti i capitoli della resa 30 Intanto il vicerè Maffei, 31dopo avere bruciato tutte le carte della sua segreteria, si parte da Palermo, per organizzare una difesa più forte, (è ovvio che questa è tutta una farsa, deve apparire a tutto il mondo che i savojardi stanno combattendo per l’onore e la difesa del regno) Si va verso Monreale, Piana dei Greci, Caltanissetta. -

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I due primi capitoli parlano di conservare i privilegi della capitale (della nobiltà) i comuni cittadini non avevano nulla da salvaguardare. - Il terzo capitolo riguardava la salvezza della città qualora fosse necessario attaccare il castello 31 Annibale Maffei nacque nel 1666 a Mirandola dal conte Giovanni Maffei e da Margherita Baglioni. In giovane età fu inviato alla corte di Torino nel 1681 come paggio del duca Vittorio Amedeo II di Savoia, la fiducia del quale ben presto si guadagnò il favore a seguito al suo comportamento nella battaglia di Staffarda (1690). Prese parte a varie imprese quali la difesa di Avigliana, Cuneo, l'assedio di Carmagnola e la ritirata dalla Valle di Susa, che gli permisero di essere fregiato il 31 marzo 1692 dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Partecipò inoltre alla campagna di Buriasco, all'assalto del forte di Santa Brigida e alla battaglia di Orbassano. Nel 1695 fu inviato come diplomatico alla corte di Parma, ma fu più volte chiamato a partecipare a campagne militari, tra cui l’assedio di Namur, a luglio. Fu ambasciatore del duca di Savoia in Inghilterra dal 1699 al 1701. Ebbe il grado di tenente colonnello di cavalleria e nel 1703 fu nominato colonnello di uno dei reggimenti di fanteria nuovamente levati, ma ritornò in seguito come ambasciatore a Londra. Negli anni seguenti combatté a fianco del principe Eugenio e del duca di Marlborough. Nel 1709 fu nominato generale di battaglia; nel 1712 intervenne come delegato del duca di Savoia al Congresso di Utrecht. Maffei fu nominato viceré di Sicilia dal 171314 al 1719 dopo aver ricevuto la nomina di Gran Maestro di Artiglieria. Il 15 aprile 1729 gli fu assegnato il titolo di cavaliere dell'Ordine Supremo della Santissima Annunziata. Successivamente fu ambasciatore del Re di Sardegna in Francia. Si ritirò dalla diplomazia nel 1732 e morì a Torino nel 1735.

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Sicilia Savojarda Il Maffei ha fatto un accordo con le autorità di Corleone perché forniscano da mangiate al suo seguito, circa cinquemila soldati che si stanno ritirando con lui. Contemporaneamente un messaggio da parte spagnola, (Giovanni Gravina, duca di San Michele capitano della fanteria spagnola) ordina al sindaco della città di fare di tutto per fermare questa carovana di fuggiaschi. - Come fare? È opportuna fare vedere ai nuovi padroni che la voglia di collaborare c’è; ordina a tutti gli uomini validi di armarsi alla meglio. perchè deve impedire il transito di questa carovana (cinquemila soldati ) questa unità raffazzonata alla meglio viene (nominata “Milizia urbana”) sparpagliata lungo il cammino che i savojardi devono fare.- Appena i primi sono a vista, tutti cantando e spensierati perché adesso si mangia, incontrano questa resistenza, tornano indietro a riferire.- Viene mandato un ambasciatore a chiedere il perché la risposta è che questo è l’ordine del nuovo governo.- Il Maffei manda altra gente dal magistrato municipale, che tornano con la risposta: le truppe devono stare fermi acquartierati fuori città, il vicerè assieme alla moglie deve venire avanti , appuntamento nel convento dei cappuccini; ovvio che il vicerè non può accettare queste condizioni , si decide di usare le armi .- Lo scontro è cruento, morti da ambedue le parti, si decide per il convegno nel convento dei cappuccini.- L’incontro avviene tra il Maffei e una delegazione della città; viene mostrato l’ordine del S. Michele , e si arriva al punto: quello che il vicerè vuole è di transitare e di avere cibo per i suoi uomini; non c’è nessun atto di inimicizia tra loro, ma devono pur mangiare e il miglior modo per non creare disordini e di accontentarli . Quindi passano per la città, rifocillati dai cittadini e tutto finisce in bene. La destinazione del Maffei è Siracusa dove sà che è più facile difendersi e perché spera di imbarcarsi per lasciare l’isola. Adesso nell’isola ci sono tre vicerè. - Il Maffei di cui non si saprà niente dopo il suo arrivo a Siracusa, Poi c’è il vicerè spagnolo, il marchese di Lete e infine c’è il duca di Monteleone che è sceso con un esercito austriaco giusto l’ordine dell’imperatore Carlo Vl. La storia dei Savoja in Sicilia finisce qui. - L’isola rispolvera i vecchi sistemi, riprende le usanze spagnole e tutti vissero felici e contenti, si direbbe; se non ci fosse il problema che nell’isola adesso 32ci sono due eserciti stranieri. P.S = il governo della Sicilia sotto Carlo Vl ( austriaco ) imperatore cominciò con una

solenne ingiustizia.- Il vicerè Duca di Monteleone promulgò un bando , per cui era dichiarato che tutti gli uffizi regii venduti dopo la morte di re Carlo Secondo fossero reputati come invalidamente comprati.- Nello spazio di venti anni, quanti n’erano scaduti dalla morte di quel re fino allo arrivo degli imperiali, erano stati creduti legittimi sovrani, così Filippo V che Vittorio Amedeo, stante il testamento di Carlo ll, ed il trattato di Utrecht, e perciò i compratori li avevano da persone legittime acquistati, e non ne poteano senza manifesta ingiustizia venire spogliati.Bonaventura Portoghese

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Discorso d’apertura al parlamento di Palermo «I non altro di questo

nostri pensieri sono rivolti ad che a cercare avvantaggiare Regno per rimetterlo, secondo la Grazia di Dio, al progresso dei tempi, riportarlo al suo antico lustro e a quello stato cui dovrebbe Figura 12 RE Vittorio Amedeo di Savoja aspirare per la fecondità del suolo, per la felicità del clima, per la qualità degli abitanti e per l'importanza della sua situazione» (Carutti, cap. XIX [13])

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LA SITUAZIONE DELLA SUCCESSIONE SPAGNOLA.

IN ITALIA DOPO LA GUERRA

Secondo i termini del trattato di Utrecht (1713) e della successiva pace di Rastatt (1714), che posero fine alla guerra per la successione spagnola33, l’Impero spagnolo 3333333333

La guerra di successione spagnola fu uno dei più importanti conflitti europei combattuti nel XVIII secolo. Il conflitto si originò dalla morte nell'anno 1700 dell'ultimo re di Spagna, l'infermo e senza eredi Carlo II della casa d'Asburgo (in Spagna chiamati Los Austrias); la questione di chi avrebbe dovuto succedergli preoccupava i governi di tutta Europa, e i tentativi a livello europeo di risolvere il problema con una spartizione dell'impero tra i candidati eleggibili (in quanto parenti di Carlo II) proposti dalle casate di Francia (Borbone), Austria (Asburgo) e Baviera (Wittelsbach) fallirono. Sul letto di morte Carlo II decise di affidare tutto l'impero spagnolo al suo pronipote Filippo, nipote di re Luigi XIV di Francia (il Re Sole); con Filippo al governo della Spagna, Luigi XIV soverchianti Repubblica delle Sette Province Unite e l'Austria, assieme ai loro alleati nel Sacro Romano Impero, riformarono la Grande Alleanza della Lega di Augusta (1701) e sostennero le pretese dell’imperatore Leopoldo I d’Asburgo, sull'intero possedimento spagnolo per conto di suo figlio secondogenito, l'arciduca Carlo (conosciuto dai suoi sostenitori come Carlo III di Spagna); ciascun membro della coalizione cercò di ridurre per parte sua il potere della Francia, mantenendo la propria sicurezza territoriale e dinastica nonché restaurando e migliorando le opportunità di commercio. Inglesi, olandesi e austriaci dichiararono guerra alla Francia nel maggio 1702. Dal 1708 il duca di Marlborough e il principe Eugenio di Savoia ebbero assicurato la vittoria della coalizione imperiale nei Paesi Bassi spagnoli e in Italia, e sconfitto l'alleato di Luigi XIV, la Baviera. La Francia subì una serie di rovesci militari sul fronte occidentale, ma la sconfitta dei coalizzati in Spagna e l'aumento delle perdite umane e finanziarie spinsero l'Inghilterra a progettare l'uscita dal conflitto, in particolare dopo l'ascesa al potere nel 1710 del Partito Tory. Francesi e inglesi prepararono il terreno per una conferenza di pace da tenersi nel 1712; olandesi, austriaci e stati tedeschi continuarono a combattere per rafforzare le loro posizioni Nel 1713 si firmò il trattato di Utrecht, che pose di fatto fine ai combattimenti, e nel 1714 con la Pace di Rastat si fissarono le clausole definitive, che tutti i contendenti dovettero accettare; ma i due trattati non furono in grado di eliminare tutte le

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Sicilia Savojarda venne spartito tra potenze maggiori e minori: gli austriaci ricevettero gran parte dei territori spagnoli in Europa (Italia e Fiandra), ma Filippo di Borbone mantenne la Spagna peninsulare e l’America spagnola dove, dopo aver rinunciato ai propri diritti sulla corona francese, regnò col nome di Filippo V, consentendo così il bilanciamento tra le potenze europee. Nel 1714 Filippo sposa Elisabetta Farnese. Vittorio Amedeo II, duca di Savoia in premio della sua fedeltà alla causa alleata contro i FrancoSpagnoli e delle sofferenze subite dai territori e dalle popolazioni del ducato ottenne, per la particolare benemerenza della regina d’Inghilterra Anna, il regno di Sicilia (che comportava l’agognato titolo di re a lungo inseguito) e acquisizioni nelle Langhe e nei territori ducato di Milano (tutte concessioni avversate dall’Imperatore d’Austria). L’Imperatore Carlo VI d’Asburgo dovette ritirarsi dalla Spagna (e avrebbe dovuto abbandonare le sue pretese a quel trono), ricevendo però gli ex possedimenti della Spagna in Italia, e cioè la Lombardia, ed i regni di Napoli e di Sardegna (ma non quello di Sicilia, a cui non voleva rinunciare), oltre anche agli ex Paesi Bassi spagnoli (coincidenti in gran parte con l’odierno Belgio). Nel 1715 l’Imperatore aveva inviato una poderosa armata in Ungheria e sui confini orientali contro i Turchi, che alla fine del 1714 avevano proditoriamente assaliti i possedimenti veneziani in Grecia e sulla costa dalmata. Il Papa chiese a tutti gli stati cattolici una sospensione d’ogni ostilità finché l’Impero era impegnato nella guerra e l’invio di soccorsi alla repubblica veneta in difficoltà contro un nemico dotato di forze soverchianti. IL RIARMO SPAGNOLO E LA FLOTTA DI CADICE

La perdita dei domini italiani nel 1707 aveva tolto alla Spagna non solo lo status di Grande Potenza continentale e il controllo del Mediterraneo centrale, ma anche il vitale sistema di sicurezza costituito dal possesso dei porti della Sardegna e della Sicilia e dalle basi tirreniche continentali (Stato dei Presidi di Toscana, Gaeta, Napoli). In Spagna, che era rimasta devastata dalla lunga guerra per la successione spagnola divenuta una feroce guerra civile, il nuovo primo ministro, l’italiano Alberoni, si adoperava in vaste riforme civili e militari, dirette a ricostruire l’economia del Regno e le basi amministrative, finanziarie, commerciali e industriali della potenza militare e navale del regno iberico. Riorganizzò e potenziò notevolmente l’esercito e la marina. A seguito di tale attività nel 1716 la Spagna, anche su richiesta del Pontefice, era stata in grado di inviare una discreta flotta (6 vascelli e 5 galere) in Levante in soccorso dei Veneziani che erano stati attaccati dai Turchi e stavano subendo un duro assedio alla loro piazza strategica di Corfù.

LA RICONQUISTA SPAGNOLA DELLA SARDEGNA Nell’aprile 1717 una flotta spagnola salpò nuovamente da Cadice, apparentemente ancora una volta in soccorso dei Veneziani. Tuttavia, anziché dirigersi sulla rotta di Sicilia, per poi procedere verso Levante, la flotta si spostò senza evidente motivo a Barcellona, destando a Vienna il timore, mai sopito, di un colpo di mano contro il regno di Napoli. Infatti, come risulta da tutte le Gazzette dell’epoca, Vienna cause del contendere. l’Austria avesse diritto a mantenere le ex-province spagnole in Fiandra ed in Italia. Il re di Spagna acconsentiva solo ad una cessazione delle ostilità in Italia sino alla conclusione L’Imperatore non accondiscese a rinunciare alle sue pretese sulla Corona di Spagna (e alla Sicilia) e, dal conto suo, Filippo V, senza quest’atto, si rifiutava di ammettere che di una pace generale. Giancarlo Boeri La guerra di Sardegna e di Sicilia 1717-1720

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dispose man mano il trasferimento di numerosi reggimenti dal Milanese verso Napoli e dai territori austriaci o verso il Milanese o direttamente verso il regno meridionale per via di mare nell’Adriatico, anche approfittando del fatto che nel frattempo si stava chiudendo la guerra contro i Turchi (con la presa di Belgrado nel 1717 e la pace di Passarovitz siglata definitivamente nel 1719) e si rendevano quindi disponibili molte delle forze, agguerrite e veterane, che erano state impiegate sul fronte orientale. Poche settimane dopo, alla fine di maggio, il governatore austriaco del ducato di Milano principe di Loewenstein fece arrestare il nuovo Grande Inquisitore di Spagna Molines che, munito di passaporto pontificio, aveva tentato di raggiungere Finale attraverso il Milanese. Fu quella la scintilla della guerra, caldeggiata in particolare dall’ambasciatore spagnolo a Genova, marchese di Sanfilippo34, e dal Duca di Parma. Tra le altre cause principali di questa decisione, come dichiarato da Madrid agli inviati britannici, vi era anche il risentimento per lo scorretto comportamento dell’Arciduca (Carlo VI) che al momento dell’abbandono della Catalogna e di Maiorca, aveva fatto consegnare dalle sue truppe le città e le fortificazioni agli abitanti dichiaratisi contrari a Filippo V, anziché consegnarle alle truppe spagnole, per cui l’esercito borbonico era stato costretto ad una lunga e sanguinosa guerra per quasi un anno. Il 12 luglio la flotta ricevette l’ordine segreto di attaccare la Sardegna, la cui difesa era affidata al viceré, il marchese di Rubì35 con appena 2 deboli reggimenti ispano-lombardi al servizio asburgico (reggimenti Barbon di fanteria e Carreras di cavalleria). Il 22 agosto la flotta borbonica comparve di sorpresa davanti a Cagliari, e sbarcò le truppe presso S. Andrea, 15 km più ad Est, mentre i cannoni dei vascelli sgombravano la riva dai 350 cavalieri nemici. L’assedio di Cagliari durò 47 giorni, con violenti bombardamenti e reiterati contrattacchi imperiali: ma dopo l’apertura della breccia la città si arrese. Un rinforzo di soli 400 uomini spedito frettolosamente da Napoli fu costretto a capitolare a Terranova, e in novembre anche Alghero, ultima guarnigione asburgica dell’Isola, si arrese agli Spagnoli, che vi nominarono subito un Viceré. LA MEDIAZIONE INGLESE E LA QUADRUPLICE ALLEANZA La riconquista spagnola della Sardegna acuì anche la tensione tra la Spagna e la Gran Bretagna (intanto era morta la regina Anna [ultima rappresentante della Casa Stuart] e sul trono di Londra sedeva il nuovo re, Giorgio elettore di Hannover). Al momento la corte spagnola dichiarò di non volere procedere ad ulteriori atti di ostilità in Italia. Nel novembre 1717 Londra e Parigi avanzarono proposte di mediazione che potessero in qualche modo soddisfare sia le pretese spagnole, che quelle austriache, non curandosi molto delle attese sabaude (queste soluzioni prevedevano per Vittorio Amedeo la cessione della Sicilia all’Austria, in cambio del regno di Sardegna, che sarebbe stata evacuata dagli spagnoli, e la successione ai ducati di Parma e Toscana per il figlio di Filippo V ed Elisabetta Farnese, Carlo di Borbone), ma la diplomazia inglese non riuscì a convincere Alberoni ad accettare il riassetto territoriale proposto. Alberoni ritenendo che la Gran Bretagna avesse un oggettivo interesse al ridimensionamento della potenza asburgica in Italia e che non si sarebbe impegnata 34

2 Vincenzo Baccalar y Sanna, Marchese di San Filippo nacque a Cagliari il sei febbraio 1669, Dopo la Pace di Utrecht, nel 1713, il Bacallar venne nominato ambasciatore spagnolo a Genova, dove sì fermò una ventina d’anni. Egli morì l’11 giugno del 1726, all’Aja, dove si era trasferito nel 1725, nominato ambasciatore in Olanda. 35 3 Don. José Antonio de Rubì y Boxardos, dal 1717 marchese di Rubì (14 maggio 1669 Barcellona, 31 dicembre 1740 Bruxelles) già viceré di Maiorca, uno degli emigrati catalani rimasti al servizio di Carlo Vl d’Asburgo. -

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in una nuova guerra nel Mediterraneo, si irrigidì dichiarando irrinunciabili il possesso della Sardegna e l’esclusione dell’Impero dalla Sicilia. Al contrario, a seguito degli incontri diplomatici svoltisi a Vienna nel marzoaprile 1718, l’Imperatore Carlo VI aderì in linea di principio alla Triplice (anche l’Olanda, oltre la Gran Bretagna e la Francia) e poi Quadruplice – Alleanza, rinviando peraltro la firma del trattato sino alla fine dell’estate. Nel disperato tentativo di rompere l’isolamento diplomatico (i giochi escludevano il duca di Savoia, il cui grande protettore era stata la regina britannica Anna, mentre il nuovo re Giorgio non mostrava alcun interesse), tra il dicembre 1717 e il gennaio 1718 Vittorio Amedeo cercò vanamente di ostacolare il progetto franco-britannico (che, ricordiamo, prevedeva la cessione della Sicilia agli Asburgo) con missioni parallele in tutte le corti europee, prive di ogni risultato. I rapporti tra Torino e Vienna si deteriorarono sino a rasentare uno stato di guerra. Ai primi di giugno 1718, quando Carlo VI aveva già deciso di aderire alla Triplice, il sovrano sabaudo gli offrì invano la rinuncia alla Sicilia e ai diritti di successione spagnola in cambio della Sardegna e di maggiori acquisizioni territoriali in Lombardia. Vienna si apprestava ad affrontare direttamente la Spagna e non rinunciava alle pretese sulla Sicilia. Nel frattempo Londra allestì una squadra per il Mediterraneo allo scopo di dimostrare sia all’Impero che alla Spagna che la garanzia britannica sugli equilibri italiani era effettiva, e indurli entrambi ad una soluzione pacifica della loro controversia, accettando la mediazione e la proposta territoriale inglese. Londra temeva però che l’irrigidimento spagnolo e asburgico e le difficoltà militari dell’Impero, impegnato nella guerra contro la Turchia, favorissero la fazione revisionista e filospagnola della corte francese. Per scongiurare una rottura dell’accordo raggiunto con la Francia e una nuova grande guerra europea, alla fine di giugno Lord Stanhope si recò personalmente a Parigi in missione diplomatica, per convincere il Reggente (Duca d’Orleans, zio del minore Luigi XV) ad accettare il riassetto territoriale proposto dagli inglesi. Il 18 luglio si firmò l’accordo con l’Inghilterra, in base al quale le due Potenze si impegnavano ad una comune politica di pace e a persuadere l’Olanda, la Spagna e il Piemonte ad unirsi con l’Impero in una grande alleanza europea. Il trattato di Londra del 2 agosto 1718 sancì la Quadruplice Alleanza, in cui le Potenze riconoscevano la successione di Toscana e di Parma, una volta estinte le dinastie dei Farnese e dei Medici, all’Infante di Spagna Don Carlos (1716-88), figlio di secondo letto di Elisabetta Farnese, che aveva sposato nel settembre 1714 Filippo V, dopo la morte avvenuta nel 1712 della prima moglie Maria Gabriella di Savoia (figlia di Vittorio Amedeo ll). -

REGNO SABAUDO IN SICILIA Il 3 ottobre 1713 Vittorio Amedeo II, scortato da una flotta di navi britanniche dell’ammiraglio Jennings era salpato dal porto di Villafranca, presso Nizza [oggi Villefranche], con un largo seguito di cortigiani e di truppe, alla volta della Sicilia al fine di prendere ufficialmente possesso del nuovo reame. Già il 31 luglio del 1713 era stato stabilito che fossero destinate ad andare di guarnigione nell’isola le seguenti truppe : aliquote delle Guardie del Corpo (allora due compagnie; una terza compagnia venne formata agli inizi del 1714 in Sicilia con i nuovi sudditi), Archibugieri Guardie della Porta e Guardie svizzere; il reggimento Dragoni di Piemonte, 1° battaglione del reggimento Guardie, 2° Battaglione Savoia, 1° battaglione Monferrato, 2° battaglione Piemonte,

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1° battaglione Saluzzo, 2° battaglione Fucilieri, 2° battaglione svizzero-vallesano Hackbrett (cui poi venne aggiunto il 3° battaglione), aliquote del battaglione di artiglieria. Qualche altro battaglione di fanteria nel corso degli anni venne ad accrescere il presidio dell’isola36 . Arrivò in Sicilia il 10 dello stesso mese, accolto con entusiasmo dai nobili e dalla popolazione. Vittorio Amedeo fu incoronato Re di Sicilia nella Cattedrale di Palermo il 24 dicembre 1713 con il titolo di Vittorio Amedeo I re di Sicilia . Però, dopo un breve soggiorno nell’isola, nel 1714 Vittorio Amedeo II ritornò in Piemonte, lasciando a Palermo un Viceré, il conte Annibale Maffei37 con una buona guarnigione, circa 6.000 uomini, comprendente anche il 1° battaglione del reggimento di Guardia o delle Guardie, composto, secondo la riforma dell’organico del 1712, da una compagnia di granatieri e sette di fucilieri 38 La partenza del Re causò una prima grossa delusione ai Siciliani, che speravano di tornare a vedere Palermo vera capitale di uno Stato sovrano ed alienò quindi alla causa dei Savoia molte simpatie, il che avrebbe pesato non poco nelle successive vicende. Le altre delusioni vennero quando i sudditi si accorsero che molti incarichi del governo dell’isola venivano affidati a Piemontesi, mentre i Siciliani migliori finivano a Torino. La burocrazia sabauda, formatasi sotto Vittorio Amedeo e brillantemente collaudata nel periodo bellico, iniziò ad esaminare tutto, decisissima a mettere ordine ovunque ed a consolidare il potere regio senza considerare le sensibilità e le tradizioni locali (la cosa si ripeterà 150 anni dopo per tutto il regno delle Due Sicilie). Mettendo le cose in ordine vennero fuori vari aspetti che non andavano per la burocrazia piemontese, e tra l’altro, nuove imposizioni di tasse (anche sugli alberi), e infine perfino 3636

Dai bilanci appare che nel corso del 1714 venne trasferito in Sicilia il reggimento della Dai Marina (costituito di un solo battaglione) mentre l’anno successivo ne furono inviati altri tre, uno di Savoia, uno di Piemonte, uno di Saluzzo. portando a dodici il totale dei battaglioni inviati in Sicilia. Nel 1716 venne poi mandato un altro battaglione del reggimento Fucilieri, in sostituzione di quello della Marina, che si pensava di destinare unicamente al servizio di truppa d’imbarco. Nelle intenzioni di Vittorio Amedeo si doveva effettuare una rotazione tra i battaglioni distaccati in Sicilia e quelli rimasti in terraferma, ordinando al Viceré il 28 novembre 1714 di rinviare in Piemonte il battaglione delle Guardia e quello di Savoia; ma l’invasione turca della Morea lo costrinse a prendere provvedimenti difensivi, prescrivendo quindi al Viceré di trattenere quei battaglioni (Stellardi Vol. III, p. 367). 37

Annibale Maffei nacque nel 1666 a Mirandola dal conte Giovanni Maffei e da Margherita Baglioni. In giovane età fu inviato alla corte di Torino nel 1681 come paggio del duca Vittorio Amedeo II di Savoia, la fiducia del quale ben presto si guadagnò il favore a seguito al suo comportamento nella battaglia di Staffarda (1690). Prese parte a varie imprese quali la difesa di Avigliana, Cuneo, l'assedio di Carmagnola e la ritirata dalla Valle di Susa, che gli permisero di essere fregiato il 31 marzo 1692 dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Partecipò inoltre alla campagna di Buriasco, all'assalto del forte di Santa Brigida e alla battaglia di Orbassano. Nel 1695 fu inviato come diplomatico alla corte di Parma, ma fu più volte chiamato a partecipare a campagne militari, tra cui l’assedio di Namur, a luglio. Fu ambasciatore del duca di Savoia in Inghilterra dal 1699 al 1701. Ebbe il grado di tenente colonnello di cavalleria e nel 1703 fu nominato colonnello di uno dei reggimenti di fanteria nuovamente levati, ma ritornò in seguito come ambasciatore a Londra. Negli anni seguenti combatté a fianco del principe Eugenio e del duca di Marlborough. Nel 1709 fu nominato generale di battaglia; nel 1712 intervenne come delegato del duca di Savoia al Congresso di Utrecht. Maffei fu nominato viceré di Sicilia dal 171314 al 1719 dopo aver ricevuto la nomina di Gran Maestro di Artiglieria. Il 15 aprile 1729 gli fu assegnato il titolo di cavaliere dell'Ordine Supremo della Santissima Annunziata. Successivamente fu ambasciatore del Re di Sardegna in Francia. Si ritirò dalla diplomazia nel 1732 e morì a Torino nel 1735. 38 Già il 31 luglio 1713 un ordine di Vittorio Amedeo aveva stabilito quali reggimenti di fanteria del suo esercito avrebbero dovuto essere destinati di guarnigione in Sicilia.

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la ristampa della raccolta degli atti dei Parlamenti di Sicilia, fu bruciata nel 1717 per ordine del Viceré quando questi lasciò Palermo. I nobili credettero di vedere andare in fumo la propria indipendenza ed i propri privilegi e dentro di sé promisero di sbarazzarsi dei Piemontesi alla prima occasione, che non avrebbe tardato a presentarsi; di lì a poco moltissimi di loro passarono infatti entusiasticamente dalla parte spagnola39 . La goccia che fece traboccare il vaso fu la politica repressiva condotta contro il clero siciliano. La partecipazione agli eventi bellici da parte della popolazione siciliana, animata e sostenuta da gran parte della nobiltà, fu molto intensa e convinta, come vedremo meglio nelle altre parti di questa serie. I fatti d’arme che seguirono all’invasione spagnola, ai quali parteciparono le truppe sabaude non furono moltissimi : i principali consisterono nella marcia del Viceré Maffei da Palermo a Siracusa, nella quale scontrandosi con le milizie paesane dopo un faticoso percorso ad ostacoli i Piemontesi riuscirono a giungere a Siracusa, il lungo e duro assedio di Messina sostenuto con fermezza e con onore dai sabaudi, in un secondo tempo con il rinforzo di truppe ausiliarie austriache provenienti da Reggio, l’assedio della piazza di Milazzo, che gli Spagnoli non riuscirono a conquistare, anche per il consistente nerbo di truppe imperiali che a più riprese vi misero piede, oltre all’assedio di alcuni castelli e forti, rapidamente conclusi. Alle due battaglie campali di Milazzo e di Francavilla parteciparono esigui contingenti sabaudi: un battaglione sabaudo partecipò alla battaglia di Milazzo e dopo quella di Francavilla due battaglioni provenienti da Siracusa si unirono all’esercito imperiale. Le piazze di Trapani e di Siracusa subirono un blocco ed una forma di assedio niente affatto stringente; rimasero in potere dei Piemontesi fino a che non furono cedute agli Austriaci. Le fonti bibliografiche sulla storia di questo periodo per quanto riguarda il regno di Vittorio Amedeo di Savoia in Sicilia e le vicende delle truppe savoiarde, sono ancora costituite essenzialmente dai lavori di Domenico Carutti e Isidoro La Lumia, oltre alla monumentale raccolta di documenti operata dall’abate Stellardi, su incarico di Vittorio Emanuele II. Successivamente Pio Bosi compose uno studio sulle truppe sabaude in Sicilia e, in tempi molto più recenti Alberico Lo Faso Serradifalco ha presentato alcuni studi, molto dettagliati e ben documentati, sulle vicende politiche e di guerra di quel periodo. Sono risultate anche significative varie relazioni di testimoni contemporanei (diari, relazioni e gazzette dell’epoca) che narrano, sia pure da un punto di vista parziale, le vicende che si stavano svolgendo sotto i loro occhi.

7 Non erano ancora passati cinque anni, che gli animi de’ Siciliani s’intiepidivano, anzi odiavano il governo savojardo; e questo per vari motivi ... Ma le principali cagioni furono due, che poi, avanzandosi l’una e l’altra, fecero che fosse stato preso in odio non che il governo, ma l’istesso nome di Savojardo. La prima fu la guerra fatta al papa ed ecclesiastici; e benché egli l’avesse trovata, la portò nondimeno a tal segno, che diede licenza libera ed indipendente dal Viceré ad una giunta di ministri, da lui eretta, a metter mano sopra gli ecclesiastici, ed avvalorata dal suo braccio. […] La seconda fu l’interesse, per la quale le gabelle regie erano esatte con estrema delicatezza [rigore] e con esorbitanza, costringendo a pagar più del solito e pagar quello, che mai si era costumato pagare. (BIBLIOTECA STORICA E LETTERARIA DI SICILIA Per cura di Gioacchino di Marzo DIARI Volume XI 1873 (Memorie Storiche del Regno di Sicilia, di Gaetano Giardina, p. 115-116) 39

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Per un inquadramento complessivo della situazione e una descrizione dello svolgersi dei fatti vedi. “Istoria delle guerre avvenute in Europa e particolarmente in Italia per la Successione Spagnola 1696-1725.” Francesco Maria Ottieri 1757 LO SBARCO SPAGNOLO IN SICILIA (1° LUGLIO 1718) Nella primavera del 1718, resisi intanto padroni della Sardegna, gli Spagnoli continuavano ad accrescere i loro armamenti di terra e di mare, per cui il 13 aprile 1718 Vittorio Amedeo, che intanto era stato informato dai suoi diplomatici del disegno di Francia e Gran Bretagna di cedere la Sicilia all’Imperatore (senza averlo consultato) in cambio del riconoscimento di Filippo V come Re di Spagna, sperando in tal modo di prevenire ulteriori atti di guerra, confermò al Maffei le istruzioni già impartite per la difesa della Sicilia, raccomandandogli di non volere difendere tutto, usando a tal proposito un’espressione assai vivace “chi tutto stringe nulla abbraccia”. In particolare invitava il Viceré, in caso di invasione, a concentrare la difesa delle piazze di Messina, Trapani e Milazzo, poiché Palermo non era in grado di sostenere un assedio; a spostare le truppe dalla costa occidentale a quella orientale dell’isola, dove la difesa sarebbe stata più facile, e dettava una serie di modalità comportamentali nel caso di comparsa della flotta spagnola, prescrivendo che ne fosse consentito l’attracco nei porti, solo in caso di tempesta. Su queste basi Maffei diede le disposizioni esecutive per far fronte ad un’eventuale invasione e ordinò al marchese d’Andorno, comandante delle Armi in Sicilia, di approvvigionare d’armi, munizioni e viveri la cittadella di Messina ed i forti della costa orientale. Egli all’inizio di giugno ispezionò la costa, diede disposizioni per mettere i forti in stato di combattimento, e andò a Messina per accordarsi col comandante della città, il marchese Tana d’Entraives, per le misure necessarie a portare a termine i progetti difensivi40. Quando, all’inizio di luglio, seppe che gli Spagnoli erano sbarcati a Palermo cercò di provvedere in fretta a rinforzare e rifornire la Cittadella e i forti dipendenti da Messina, immagazzinando polvere da sparo, munizioni, esplosivi, mise l’artiglieria in stato di combattimento, dotò la piazza del necessario per impiantarvi un ospedale. Non fu però possibile, per mancanza di tempo 40

Abbandonando Palermo si lasciava un B.ne (=Battaglione) od un distaccamento di 500 Huomini per custodire Castellamare ed il Forte del Molo, e prima di ritirare da detta Città le Truppe, che sono 4 B.ni di 600 Uomini cad.o con 300 H.ni della Marina e la metà del Reggimento Dragoni di Piemonte si provederà al Presidio di Trapani, et a quello di Termini, inviando in quella Piazza uno dei sudetti B.ni, et in questa un distaccamento di 350, o 400 H.ni al più. In Palermo vi erano H.ni 3000. Se ne lasciano in Castellamare H.ni 500, in Trapani H.ni 600, in Termini H.ni 400, totale 1500, che devono seguitare il Viceré H.ni 1500. Ha destinato il Marchese d’Andorno per comandare a Messina, suo Dipartimento, Coste di Levante, e mezzo giorno. Vi sono in detta Città e suoi Forti cinque B.ni con quattro Compre del Reggimento Dragoni Piemonte per agire nel modo che li movimenti de Nemici potranno permettere e dopo tutte le difficoltà, che si opporranno allo sbarco, et passaggio de’ Nemici nelle Montagne, si lasciare in quella Cittadella un Corpo di mille Uomini per la difesa della medesima. In Melazzo si lasciarà il B.ne, che presentemente vi si ritrova di Presidio, e sarà in tempo rinforzato d’un distaccamento da detto Marchese d’Andorno prima che si ritiri verso Taormina. Augusta si evacuarà di quanto vi si ritrova tanto de viveri, che d’attrezzi militari. In Siracusa si lascieranno per hora due B.ni con una Compagnia del reggimento Dragoni Piemonte e somministrerà 300 Huomini di detti due B.ni per restare in Augusta, sinche sij come sovra evacuata. In Trappani si lascia il B.ne di 600 Huomini, che vi si ritrova presentemente e s’augmenterà quel Presidio come sovra s’è detto con un Battaglione di quelli che usciranno da Palermo. Quanto alle provisioni da bocca, che da guerra, come pure de fascinassi, gabioni, pichetti, et altri boscami per l’Artiglieria scrive che aveva date tutte le disposizioni necessarie, affinchè ne venisse provvista la quantità che sarebbe di bisogno in cad.a di dette Piazze. Quanto alle riparazioni delle fortificazioni delle medesime vi si travaglia incessantemente. (A.S.To. Sicilia Inv. 1 Cat. 3 Mazzo 2 citato da Lo Faso di Serradifalco, Alberico “I Piemontesi in Sicilia. L’assedio di Messina (luglio-settembre 1718)”)

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e di fondi, effettuare la riparazione ed il rafforzamento delle mura dei forti e della Cittadella. Intanto il conte Viancino era stato spostato a Palermo a comandare le truppe in quella città, e il marchese d’Andorno al comando della piazza di Messina, quale la piazza militare più importante del regno. Come risulta da tutte le gazzette dell’epoca, Vienna, allarmata dalle mosse della flotta spagnola che temeva diretta contro il regno di Napoli9 (anzi si sospettava ancora con l’appoggio mascherato di Vittorio Amedeo), dispose man mano il trasferimento di numerosi reggimenti dal Milanese verso Napoli e dai territori austriaci o verso il Milanese o direttamente verso il regno meridionale per via di mare nell’Adriatico, anche approfittando del fatto che nel frattempo si stava chiudendo positivamente la guerra contro i Turchi (con la presa di Belgrado) e si rendevano quindi disponibili molte delle forze che erano state impiegate sul fronte orientale. Il 1° giugno era partito dall’Inghilterra (come una delle Potenze garanti dell’assetto europeo derivante dai trattati di pace) l’ammiraglio George Byng (16631733) con una flotta di 20 navi di linea, 2 brulotti, una nave ospedale e una nave oneraria con alcuni reggimenti destinati a dare il cambio alla guarnigione inglese di Port Mahon. Alla flotta iniziale si aggiunsero altri legni lungo il tragitto, in particolare alle isole Baleari. Oltrepassato il Capo S. Vincenzo, il 19 giugno Byng fece comunicare ad Alberoni, tramite l’ambasciatore a Madrid, la richiesta di cessare le ostilità contro Carlo VI e l’offerta di una mediazione britannica, con l’avvertimento che la flotta inglese si sarebbe opposta a qualunque tentativo di attaccare Napoli o la Sicilia o di sbarcare in qualsiasi altro punto della Penisola italiana. Le istruzioni per l’ammiraglio inglese erano che egli dovesse rendere edotti la corte di Madrid, il Viceré di Napoli ed il Governatore di Milano che veniva inviato nel Mediterraneo per promuovere tutte le misure che avrebbero potuto comporre al meglio le differenze tra le due corone, e per prevenire ogni ulteriore violazione della neutralità dell’Italia. Ma nel caso che gli Spagnoli dovessero attaccare ancora i territori dell’Imperatore in Italia o tentare di invadere il regno di Sicilia, con l’evidente intento di invadere poi il regno di Napoli, egli doveva con tutta la sua forza cercare di ostacolare questi disegni. Se (al suo arrivo) gli Spagnoli fossero poi sbarcati in qualche territorio, avrebbe dovuto dissuaderli e offrire la sua assistenza per il ritiro delle truppe e porre fine ad ogni altro atto di ostilità. Se infine questi tentativi amichevoli avessero dovuto risultare inefficaci, avrebbe dovuto difendere i territori attaccati, intercettando navi e convogli (degli spagnoli) e, se necessario, opponendosi apertamente ad essi. Alberoni ricevette le lettere di Byng solo il 30 giugno: ma anche se l’intervento inglese fosse stato più tempestivo, difficilmente avrebbe modificato le decisioni di Madrid. Infatti il 16 era salpata segretamente da Barcellona una poderosa squadra spagnola, con l’ordine di aprire le lettere contenenti la destinazione solo una volta giunta a Cagliari. In origine Filippo V intendeva effettivamente fare sbarcare la spedizione nel regno di Napoli, ma Alberoni l’aveva convinto ad attaccare invece la Sicilia, ritenendo in questo modo di poter evitare un intervento inglese, dato che la garanzia britannica sui domini imperiali in Italia non si estendeva formalmente a quelli sabaudi (senza considerare il fatto che l’Imperatore riteneva la Sicilia di sua appartenenza). La flotta spagnola contava 12 vascelli, 17 fregate, 2 brulotti, 4 bombarde e 7 galere, con 276 legni da trasporto e 123 tartane sui quali erano imbarcati oltre 30.000 soldati, 100 cannoni da assedio, 25 da

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campagna, 40 mortai, 100.000 palle da cannone, 30.000 bombe e 20.000 quintali di polvere.41 Il 1° luglio la squadra si presentò di sorpresa nella rada di Solanto presso Palermo42 e sbarcò circa 20.000 uomini a Bagheria, accolti molto favorevolmente dalla popolazione e dalla nobiltà. Infatti l’isola da oltre tre secoli era legata stata alla Spagna e fra i due paesi si erano stabiliti saldi legami di sangue e di fiducia. La maggioranza della nobiltà era stata infeudata da re spagnoli e le famiglie originarie siciliane si erano nel tempo mescolate ai nobili catalani ed aragonesi venuti nei secoli successivi nell’isola al servizio dei monarchi iberici. I sovrani di Spagna erano sentiti dai Siciliani come propri11. Il favore iniziale con cui era stato accolto Vittorio Amedeo, soprattutto perché poteva significare la rinascita del regno con un re residente in Palermo, come già notato, venne rapidamente declinando . Il Re Vittorio Amedeo, benché avesse rinforzato il presidio dell’isola portandolo a 10.000 uomini, e avesse lanciato un proclama ai sudditi incitandoli a sostenerlo contro gli invasori spagnoli, forse era ormai rassegnato a perdere la Sicilia (e, come rilevano le fonti inglesi, poco propenso a dissipare le forze per l’inutile difesa di un regno, che sapeva sarebbe probabilmente stato ceduto all’Impero). Così, volendosi persuadere che l’Armata spagnola fosse diretta contro il regno di Napoli, il re sabaudo ordinò al viceré Maffei di accoglierla come quella di un paese amico ed evitare atti di ostilità, a meno che di non essere attaccato.

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8 marzo 1718 Napoli (Avisi italiani di Vienna) Li continui armamenti della Spagna, per Mare, e per Terra, fanno stare vigilanti li Cesarei in questo Regno, tanto più che dicesi, che sia destinata per il Rendevous generale di tutte le forze spagnole la Sardegna [ 4242 .. la armata di Spagna ...consistente in dieci vascelli di guerra, di 60 in 74 cannoni, 16 fragate, 7 galere, 2 burlotti, 4 palandre e sopra 400 bastimenti di trasporto, noleggiati da Francesi, Genovesi ed Inglesi, fecero vela verso Palermo, dove il primo giorno di luglio dell'anno 1718, sulle ore 13, comparvero da ponente, lungi dalla città 6 in 7 miglia. Era comandata detta armata da D. Antonio Castagnetta, imbarcato sopra la nave San Filippo di 74 cannoni, e che avea sotto di lui quattro capi di squadra: D. Ferdinando Ciacchon sopra il Principe d'Asturias, di 64 cannoni; il marchese Stefano Mari sopra la Reale, di 62 cannoni; D. Girolamo Camok sopra San Ferdinando il Grande, di 62 cannoni; e D. Baldassare Guevara sopra San Luigi, di 60 cannoni. Erano altresì le sette galere sotto il comando di D. Francesco Grimau, sopra la Capitana, e di D. Pietro di Montemayor, sopra la Padrona. Il numero di tanti bastimenti era impiegato a portare, oltre le milizie, che noterò appresso, centocinquanta cannoni di bronzo di 24 libbre, con doppia cassa, e cinquanta altri di campagna di 16 libbre; quaranta mortari di bombe; quindecimila fascine; trentamila bacchette per trincere; trentamila bombe, palle, granate e barrili di polvere senza conto, picche, zappe, chiodi, carri di trasporto, sacchi di miccio, sacchi di carboni in considerabile quantità; mule per carriaggi duecento, e di più la provigione necessaria per detta armata, valevole per quattro mesi, compresa la paglia per tutta la cavalleria. BIBLIOTECA STORICA E LETTERARIA DI SICILIA Per cura di Gioacchino di Marzo DIARI Volume XI 1873 (Memorie Storiche del Regno di Sicilia, di Gaetano Giardina). NB Le varie fonti differiscono leggermente nell’indicazione della consistenza della flotta spagnola e delle truppe trasportate, ma le cifre qui riportate danno in sostanza conto della conmposizione massicia della spedizione. In ogni caso nel corso del tempo altre truppe spagnole furono sbarcate nell’isola.

11 Lo Faso di Serradifalco, Alberico “Piemontesi in Sicilia con Vittorio Amedeo II. La lunga marcia del Conte Maffei” in Studi Piemontesi Nov. 1999, vol. XXVIII, fasc. 2 12 Jean-François de Bette, Marquis de Lede, (Bruxelles, 6 dicembre 1672 – Madrid, 11 gennaio 1725) esponente della primaria nobiltà proveniente dai Paesi Bassi spagnoli da lungo tempo militante negli eserciti spagnoli nei quali ricoprì le più importanti cariche. 20

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Ma, appena completato lo sbarco, il marchese di Lede43 a capo della spedizione spagnola chiarì il suo vero obiettivo con minacciose intimazioni. In considerazione della disparità di forze (non potendo neanche contare sull’appoggio della popolazione), il viceré Maffei decise allora di lasciare due piccoli presidi a Termini Imerese (il governatore del forte e comandante la guarnigione era il conte Badat, con 2 compagnie del 2° Batt.ne Savoia a cui si aggiunsero 184 uomini del 1° Guardie e di Hackbrett) e nel Castello di Palermo (Castellamare) e il 3 luglio uscì dalla capitale con 400 funzionari e 1.400 soldati (1° battaglione Guardie, 2° Savoia, un battaglione di Hackbrett e 5 compagnie del reggimento Dragoni Piemonte tutti sotto il comando del conte Francesco Montanaro di Viancino colonnello del reggimento La Marina), marciando verso Siracusa per Piana dei Greci, Corleone, Vicari e Vallelonga con una marcia assai faticosa e contrastata, senza che un solo nobile si fosse presentato almeno a salutarlo. Accompagnavano il viceré, oltre la moglie ed i figli, il conte Francesco Antonio Nicolis di Robilant auditore generale di guerra consultore del regno di Sicilia, il conte Bolgaro direttore generale dell’Ufficio del soldo, il commissario di guerra Buttis, il conservatore Sapellani e vari altri personaggi della corte vicereale. L’8 luglio la colonna sabauda giunse a Caltanissetta, alla qual città erano intanto giunte le notizie di quanto era avvenuto a Palermo. Priva di viveri, la colonna decise di entrare a rifornirsi in città. La milizia civica, 400 uomini, appoggiati dalla popolazione che si era dichiarata in favore di Filippo V, e forte dei perentori ordini diramati dal marchese de Lede in qualità di rappresentante di Filippo V di nuovo re di Sicilia, che ingiungevano di non far passare e di non rifornire i Piemontesi, si oppose a mano armata. Il Viceré Maffei perse la pazienza; sabato 9, fallite le trattative, i dragoni (Dragoni di Piemonte) caricarono, seguiti dai granatieri dei battaglioni Savoia, Guardie ed Hackbrett, e giunsero alle porte della città, dopo alcune scaramucce con la milizia, mentre i fucilieri, aggiratala, vi penetravano dalla parte opposta conquistandola 43

.. la armata di Spagna ...consistente in dieci vascelli di guerra, di 60 in 74 cannoni, 16 fragate, 7 galere, 2 burlotti, 4 palandre e sopra 400 bastimenti di trasporto, noleggiati da Francesi, Genovesi ed Inglesi, fecero vela verso Palermo, dove il primo giorno di luglio dell'anno 1718, sulle ore 13, comparvero da ponente, lungi dalla città 6 in 7 miglia. Era comandata detta armata da D. Antonio Castagnetta, imbarcato sopra la nave San Filippo di 74 cannoni, e che avea sotto di lui quattro capi di squadra: D. Ferdinando Ciacchon sopra il Principe d'Asturias, di 64 cannoni; il marchese Stefano Mari sopra la Reale, di 62 cannoni; D. Girolamo Camok sopra San Ferdinando il Grande, di 62 cannoni; e D. Baldassare Guevara sopra San Luigi, di 60 cannoni. Erano altresì le sette galere sotto il comando di D. Francesco Grimau, sopra la Capitana, e di D. Pietro di Montemayor, sopra la Padrona. Il numero di tanti bastienti era impiegato a portare, oltre le milizie, che noterò appresso, centocinquanta cannoni di bronzo di 24 libbre, con doppia cassa, e cinquanta altri di campagna di 16 libbre; quaranta mortari di bombe; quindecimila fascine; trentamila bacchette per trincere; trentamila bombe, palle, granate e barrili di polvere senza conto, picche, zappe, chiodi, carri di trasporto, sacchi di miccio, sacchi di carboni in considerabile quantità; mule per carriaggi duecento, e di più la provigione necessaria per detta armata, valevole per quattro mesi, compresa la paglia per tutta la cavalleria. BIBLIOTECA STORICA E LETTERARIA DI SICILIA Per cura di Gioacchino di Marzo DIARI Volume XI 1873 (Memorie Storiche del Regno di Sicilia, di Gaetano Giardina). NB Le varie fonti differiscono leggermente nell’indicazione della consistenza della flotta spagnola e delle truppe trasportate, ma le cifre qui riportate danno in sostanza conto della conmposizione massicia della spedizione. In ogni caso nel corso del tempo altre truppe spagnole furono sbarcate nell’isola . 11 Lo Faso di Serradifalco, Alberico “Piemontesi in Sicilia con Vittorio Amedeo II. La lunga marcia del Conte Maffei” in Studi Piemontesi Nov. 1999, vol. XXVIII, fasc. 2

Jean-François de Bette, Marquis de Lede, (Bruxelles, 6 dicembre 1672 – Madrid, 11 gennaio 1725) esponente della primaria nobiltà proveniente dai Paesi Bassi spagnoli da lungo tempo militante negli eserciti spagnoli nei quali ricoprì le più importanti cariche

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rapidamente, perdendo 18 morti e 30 feriti contro 40 paesani e un sacco parziale alla città. Negli scontri morirono da parte sabauda il barone di Faverges, 17 soldati tra fanti e dragoni, ed ebbero inoltre 31 feriti, tra cui due ufficiali. L’11 la colonna piemontese, dopo aver alla fine ottenuto qualche rifornimento, riprese la marcia, sotto il sole e circondata da una popolazione ostile, che negava a mano armata i rifornimenti e costringeva ad evitare i centri abitati. Transitando per Piazza Armerina, dopo aver incontrato ogni sorta di resistenze da parte del popolo, sobillato dai nobili lungo tutto il percorso, il 16 luglio giunsero a Siracusa, dopo aver coperto 360 km e perduto 113 uomini per fame e stenti13, e si chiusero nelle fortificazioni in attesa delle mosse degli Spagnoli. Questi, raggiunta la città, si limitarono però a bloccarla. Entrato in Siracusa il conte Maffei diede ordine che le due imbarcazioni della marina, che vi si trovavano, partissero per Messina conducendo seco quattro compagnie del reggimento siciliano di Gioeni, che giunte in Messina il giorno 21, furono poste di guarnigione nella cittadella. Nel contempo la popolazione di Agrigento si sollevò acclamando Filippo V re di Spagna e di Sicilia, ed anche l’isola di Lipari si sollevò in favore degli Spagnoli, facendo prigioniero il governatore sabaudo (che fu poi liberato). I Liparoti armarono poi diversi legni corsari e per oltre un anno condussero un’intesa attività contro i legni napoletani ed austriaci, fino a che non furono sottomessi con la forza da una apposita spedizione armata austriaca14. Frattanto gli Spagnoli erano entrati in Palermo accolti dalla cittadinanza come liberatori. L’artiglieria del castello di Palermo (Castellamare), al cui comando era il tenente colonnello cav. Carlo Marelli capitano nel reggimento di Guardia, con 5 compagnie del reggimento La Marina, tentò di molestare i lavori di approccio del nemico, ma la sera del 12 luglio gli Spagnoli aprirono il fuoco con una batteria di mortai seguita poco dopo da una di cannoni, e al mattino seguente, senza opporre ulteriore resistenza, Marelli si arrese, nonostante avesse ordine di resistere almeno fino all’apertura della breccia; più tardi, liberato dagli inglesi, raggiunse Siracusa dove fu processato e fucilato per non avere adempiuto fino in fondo al suo dovere15. In seguito gli Spagnoli misero il 17 luglio il blocco a Trapani, energicamente presidiata dal generale conte di Campiglione con 2 battaglioni (1° Saluzzo e 1° Monferrato). 44 44444444

Così la gazzetta contemporanea, Avisi Italiani di Vienna, riporta la cronaca dei fatti: 14 luglio 1718 Palermo “Doppo d’essersi fatti gli attacchi, e piantate le batterie contro il Castel à Mare di questa Città, si cominciò da’ Spagnuoli à farsi fuoco la notte scorsa con sì favorevole successo, che senza far alcuna breccia nelli ripari à capo di 4 ore gli Assediati fecero la Chiamata, essendo essi in numero di circa 460 Soldati, e 18 Uffiziali; e benche essi pretendevano 13 di sortire cogli onori militari, il Generale Lede fece loro intendere, che non li voleva altrimenti ricevere, che à discrezione, al che finalmente acconsentirono li Piemontesi, & havendo subito li Spagnuoli preso possesso del Castello, ne uscirono li Contrarii, che mostrano inclinazione di prendere partito frà le Truppe Angiuine. Il Conte Maffei proseguisce la ritirata verso Siracusa, dove si crede giunto con qualche perdita di Gente; e dietro di lui è andato il Tenente Generale D. Luca Spinola colla vanguardia della Cavalleria, mà per la di lui precipitosa ritirata, non lo puotè arrivare; e secondo si suppone esso Maffei per l’oposizione, che haverà incontrata nel camino dagli infiniti Popoli, he acclamano da per tutto l’Armi Angiuine, e si armano contra li Piemontesi, haverà perduta molta Gente del suo seguito a ogni Passo, come si è veduto nella Villa di Caltanizzetta, li di cui Paesani ne hanno uccisi fino a 40, e frà essi il Nipote del medesimo Conte Maffei, per la sola pena, che haveva ordinata a quel Popolo, che somministrasse alle sue Truppe Pane, & Biada : & il detto Ten. Generale Spinola và altresì per aggiutare tutti quei Paesi. Il resto della Cavalleria Spagnuola si è incaminata verso Messina per bloccarla finchè il Marchese di Lede vi passi per Mare con tutta la Fanteria, che è già imbarcata, per mettervi l’assedio formale. La Città di Cattania si impadronì del suo Castello, facendo priggione il poco Presidio Piemontese, che vi era. Tutti li Corrieri che spediscono li Governatori delle Piazze Nemiche sono condotti al Campo Spagnuolo da’ medesimi Paesani, che procurano attrapparli. Il Tenente Generale Montemar resta nella Valle di Mazara con un Campo

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Il 22 luglio il grosso delle forze spagnole, al comando di Lede, sbarcò tra Milazzo e Messina, quest’ultima piazza difesa dal generale Ghirone Silla S. Martino, marchese di Andorno, colonnello del reggimento di Guardia, figlio del marchese di Parella distintosi nelle guerre del Seicento. Aveva ai suoi ordini circa 6.000 uomini, con 5 battaglioni (3° Savoia, 1° Piemonte, 2° Fucilieri, 2° e 3° Hackbrett 550 uomini in tutto) e 4 compagnie siciliane (reggimento Gioeni 290 uomini), oltre ad alcune Milizie urbane con il loro Capitano ed un po’ di truppe montate (dragoni Piemonte). I maggiorenti della città lo convinsero però a chiudersi nella cittadella e nei forti esterni, e a lasciarli liberi di trattare col nemico, in modo da evitare che i combattimenti coinvolgessero gli abitanti. Il 24 luglio le prime truppe spagnole entrarono in città accolti favorevolmente e predisposero l’attacco alle posizioni sabaude, posizionando le batterie per l’assedio delle fortificazioni avversarie. Il 27 cadde il forte del Castellaccio, seguito il 31 luglio ed il 4 agosto da quelli di Matagrifone e di Gonzaga. Resistevano

tuttavia in mano sabauda la Cittadella e il forte di S. Salvatore. Contemporaneamente il duca di Montemar, distaccato dal Marchese di Lede con un corpo di truppe per dirigersi contro Trapani, attaccava prima il castello di Termini Imerese, difeso da 300 uomini (2 compagnie del 2° Savoia, 185 tra Guardie e alcuni svizzeri del reggimento Hackbrett) al comando del conte Badat governatore del Castello. Mentre la città si era sollevata contro il dominio sabaudo ed aveva acclamato per re Filippo V, il 26 luglio le batterie spagnole aprirono il fuoco e il 3 agosto la breccia. Con un’eroica sortita il presidio riuscì a devastare le trincee nemiche, ma la sera seguente, esaurite le munizioni, dovette arrendersi per evitare l’ormai imminente assalto generale. Volante di 3. mila huomini per impedire le Guarniggioni Nemiche di Trapani, e Termini.” 14 Per una descrizione dettagliata delle vicende della marcia del Viceré Maffei v. Lo Faso di Serradifalco, Alberico “Piemontesi in Sicilia con Vittorio Amedeo II. La lunga marcia del Conte Maffei” in Studi Piemontesi Nov. 1999, già citato. 15 Vittorio Amedeo II era molto rigido sul comportamento dei comandanti di piazze o fortezze. Anche nelle precedenti guerre, ogni volta che una piazza si arrendeva al nemico, il comandante o governatore veniva sottoposto a giudizio, e, se trovato colpevole, subiva una severa punizione, che poteva giungere alla pena di morte.

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Lo stesso giorno altre forze spagnole, sostenute dalle milizie isolane, bloccarono Siracusa da terra e da mare. In questi frangenti caddero gli ultimi dubbi austriaci circa una segreta intelligenza tra Spagna e Vittorio Amedeo. Il Viceré Maffei da Siracusa, sulla base delle istruzioni ricevute dal sovrano, richiese l’aiuto (offerto) degli austriaci, che presidiavano in forze Reggio di Calabria ed iniziarono ad inviare da lì e da Napoli soccorsi di viveri e munizioni e poi anche di uomini ai sabaudi in Messina. Vienna annunciava anche di avere predisposto l’invio di un consistente nerbo di truppe (dai confini orientali) verso l’Italia. Rimanevano in potere dei Piemontesi le sole Piazze di Trapani, Siracusa, Messina, e Milazzo. Il 9 di agosto un emissario di Vittorio Amedeo, il conte Solaro di Borgo, concordò col Viceré austriaco di Napoli, conte Daun, l’ammissione in Messina di truppe imperiali. In conseguenza di ciò altre truppe austriache entrarono in forza nella piazza assediata dagli Spagnoli, ed in seguito anche in quella di Milazzo, rimpiazzando in parte quelle piemontesi, che furono inviate a Reggio per un meritato periodo di riposo. LA BATTAGLIA NAVALE DI CAPO PASSERO (11 AGOSTO 1718) Benché si tratti di un combattimento navale, che non riguardò direttamente né l’esercito di terra spagnolo, né tantomeno quello sabaudo, trattiamo nel seguito l’episodio della battaglia navale di Capo Passero, tra la flotta britannica e quella spagnola, perché l’esito segnò in modo decisivo l’andamento della guerra. L’ammiraglio Byng apprese della spedizione spagnola contro la Sicilia solo il 12 luglio, quando giunse a Port Mahon. Fece allora vela su Napoli, dove giunse il 1° agosto. Qui, secondo le istruzioni ricevute e autorizzato e incoraggiato da Stanhope, prese accordi di cooperazione militare con il viceré conte Daun. L’obiettivo inglese non era solo quello di garantire la difesa del Regno di Napoli e di impedire un allargamento del conflitto. C’era anche la forte tentazione di cogliere un’occasione irripetibile per distruggere il nucleo fondamentale della flotta spagnola e accrescere così la sicurezza del traffico commerciale inglese, anche nelle Americhe. Il compito non era tuttavia facile. Byng sapeva che la squadra dell’ammiraglio Castañedo era ormeggiata nella Rada Paradiso, un miglio a nord di Messina, l’unico buon ancoraggio dello Stretto, e conosceva la difficoltà di accedervi da nord. Tuttavia, mentre 10.000 soldati imperiali si concentravano via terra a Reggio Calabria, le 21 unità inglesi imbarcarono altri 2.000 soldati (I.R. Reggimento Wetzel), e la notte del 5 agosto salparono da Napoli verso il Faro di Messina. Giuntovi tre giorni dopo, Byng inviò una lettera a Lede invitandolo a sospendere le ostilità. La risposta di Lede non lasciò dubbi sulla determinazione spagnola per la conquista dell’isola e Byng decise di sbarcare i soldati imperiali a Reggio per poi tornare ad ancorarsi a Messina. Strada facendo apprese però che l’ammiraglio Castañedo aveva lasciato lo Stretto ed era stato avvistato al largo delle coste calabre, diretto a Sud verso Siracusa, e decise di intercettarlo (senza peraltro dichiarare intenzioni ostili agli Spagnoli). Infatti il mattino del 10 agosto i trasporti spagnoli ormeggiati nella Rada Paradiso salutarono con 21 salve di cannone il passaggio della squadra inglese, che rispose nello stesso modo. Prima di sera Byng avvistò la squadra spagnola, forte di 26 vascelli (in gran parte ex-mercantili convertiti in navi da guerra), 2 brulotti, 4 bombardiere, 7 galere e parecchi trasporti. Al mattino dell’11 agosto Byng distaccò 8 unità contro le navi minori spagnole della retroguardia e alle 11 attaccò i vascelli al largo di Capo Passero, ancora una volta senza dichiarazione di guerra anche se gli Inglesi, almeno nelle loro dichiarazioni posteriori, aspettarono che gli Spagnoli, colti di sorpresa, aprissero per primi il fuoco. Lo scontro si protrasse per oltre sette ore. A sera 17 navi spagnole erano state catturate (e con esse un gran numero di

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marinai e soldati degli equipaggi) e altre 8 inseguite e bruciate nella baia di Avola. Solo 22 legni, in gran parte minori, riuscirono a salvarsi. LE OPERAZIONI TERRESTRI IN SICILIA (AGOSTO 1718 - SETTEMBRE 1719) Frattanto 2.000 soldati imperiali provenienti dal presidio di Reggio avevano rinforzato la guarnigione della Cittadella di Messina16. La composizione iniziale del presidio era la seguente: 3° batt.ne reggimento Savoia, 1° di Piemonte, 2° dei Fucilieri, 2° e 3° di Hackbrett, 4 compagnie di Gioeni. Al principio, fedele alla consegna, il generale piemontese Andorno li aveva rifiutati, asserendo di avere truppe sufficienti per la necessaria resistenza. Solo un ordine scritto del suo Re lo convinse ad accogliere i rinforzi “alleati”, senza tuttavia cedere il comando della piazza.45

Tutto il corsivo è tratto da Giancarlo Boeri.- La guerra di Sardegna e di Siclia.-

Il contenuto di quest’opera e la sua veste grafica sono rilasciate con licenza Common Reader. Il fruitore è libero di riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, rappresentare, eseguire e recitare la presente opera, alle seguenti condizioni: Deve attribuire sempre la paternità all’autore. Non può in alcun modo usare quest’opera per fini commerciali. - può alterare o trasformare l’opera, né usarla per crearne un’altra. -Per informazioni non esitate a connettervi con E. Mail carmelosantillo0@gmail.com

Per una ricostruzione precisa e ben documentata dell’assedio della piazza di Messina e della valorosa resistenza opposta dall’esercito sabaudo v. Lo Faso di Serradifalco, Alberico “I Piemontesi in Sicilia. L’assedio di Messina (luglio-settembre 1718)” in “Studi Piemontesi” Dic. 2003, vol. XXXII, fasc. 2. 17 6 settembre 1718 Napoli Mercordì con espresso venuto da Reggio, s’hebbe l’aviso che continuando l’ostilità tra’l Campo degl’Angiuini sotto Messina, e le Fortezze della Cittadella, e Salvatore della medesima Città, s’erano dal General Barone Wezel il giorno de’ 24 caduto distaccati 2 Battaglioni Alemani, con suoi rispettivi Uffiziali, per andare in rinforzo delle sudette Fortezze Cittadella e Salvatore, essendo felicissimamente entrati la notte dell’istesso giorno, conducendo ancora quantità di utensili di Guerra, con molti attrezzi & altri requisiti militari; essendo all’incontro usciti e venuti nel luogo della Catona presso Reggio medesimo, altri due Battaglioni Savojardi di quelle Guarnigioni, gente veterana, e ben all’ordine; e coll’istesso Corriere si confermò la grande costernazione che regnava, non solo nel Campo nemico, mà anche in tutti quei Popoli del Regno di Sicilia per l’intiera disfatta dell’Armata di Mare Angiuina … (Avvisi italiani di Vienna). 4545

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