L'Autore di questo volume, soldato per vocazione e per tradizione famiUare, è un generale a quattro stelle, li quale ha dedicato tutta la sua vita al servizio della Patria ed alla carriera delle armi, raggiungendo la carica di Capo di S.M. dell'Esercito, che tenne per oltre quattro anni lasciando una profonda traccia. Numerosi sono i suol scritti di carattere tecnico-professionale pubblicati in riviste specializzate o raccolti in volumi, i quali ebbero diffusione negli ambienti mllitari italiani ed esteri. Comunque è la prima volta che in Italia l complessi problemi della difesa vengono proposti all'opinione pubblica con tanta chiarezza, sempUcltà, competenza ed autorevolmente. Senza mai indulgere al conformismo di comodo, senza abbandonarsi ad una critica men che serena, tenendosi rigorosa-'. mente lontano da questioni personali, :narrando semplicemente i fatti, la presente opera tratta li grande tema della difesa dell'Italia, avendo ben presente sia le nostre necessità ed interessi, sia quelle responsabllltà che cl derivano dalla nostra collocazione internazionale e dalle nostre alleanze. Si tratta di un'opera la quale c'insegna come, anche nel quadro di una strategia occidentale, possa e debba esistere una pontica mlUtaro italiana, necessaria appuntQ a preparare un'efficace difesa ed a dare vigore ~ consistenza alle FF.AA. sulle quali, in definitiva, riposano la continuità ed il destino della Nazione.
;:
GIORGIO LIUZZI
Itali a difesa ?
GIOVANNI VOLPE EDITORE ROM .A
'
'·-
1963. Tutti i diritti riservati. Giovanni Volpe editore n Roma, viale Regina Margherita 278 - Te!. 848733
INDICE DEL VOLUME
Premessa I.
9
- Il problema della difesa nazionale e quello della organizzazione delle Forze armate. - Politica generale e politica militare. - L'Italia non è mai stata militarista
r5
- Ricostruzione delle Forze armate dopo il secondo conflitto mondiale in una difficile situazione. - Interventi dannosi ed interventi favorevoli delle autorità politiche ai fini dell'efficienza delle Forze armate .
23
III.
- Permane la necessità di una difesa organizzata. - Non conviene una linea politica di neutralità o di ne1;1tralismo. - La questione del disarmo
47
IV.
- Le componenti civili della difesa nazionale. - Ciò che è stato fatto all'estero e che non è stato fatto io Italia. - Difesa nazionale, problema globale: come affrontarlo in sede organizzativa
59
V
- Definizione del compito delle Forze armate. · Ministew cle1la Difesa, complesso pletorico di tre Ministeri di Forza armata. - Possibilità di dorclinamento delle Amministrazioni delle tre Forze armate e cli unificazione interforze nell'ambito del Ministero della Difesa
77
VI.
- L'Alto Comando: lacuna al vertice delle gerarchie militari. · Prerogative del Ministro e dei Capi di Stato Maggiore attraverso ai tempi; modificazioni necessarie. . Uno sguardo all'estero. - L'Alto Comando in relazione all'organizzazione ·• atlantica
93
VII. - Possibili fonti cli economia al di fuori del riordinamento dell'Amministrazione centrale. - Riduzione del numero di stabilimenti, magazzini, depositi, enti burocratici militari. - Necessità di un più corretto e razionale impiego del personale civile e militare. · Il problema dell'ammodernamento degli immobili militari. · Esuberanza numerica delle forze di Polizia
u3
II.
VIII. - Procedimento logico per determinare dimensioni e struttura delle Forze armate ed entità del bilancio militare. - La 7
IX.
X.
~I.
questione dei missili intermedi. - Insufficienza degli stanziamenti di bilancio. - I materiali: deficienze nel loro approvvigionamento e nella loro produzione da parte dell'industria nazionale
129-
- Il personale. - Forze armate di leva o Forze armate di mestiere? - Tendenza ·odierna: di leva con forte percentuale di personale permanente ·od a lunga fei:rria. - Gli specializzati a lunga ferma. - Qualità del personale di leva. - Ufficiali e sottufficiali di complemento. - I sottufficiali e gli ufficiali di carriera: situazione di crisi
I.45-
- Un poco di scienza militare. - Qualche parola sulla strategia, sulla tattica, sulla logistica e sull'organica. - Importanza . · ·. dell'addestramento e dell'organizzazione addestrativa
175 .
-
I valori mora'ri. -. Ferite morali provocate dagli avvenimenti successivi all'8 Settembre; l'onore militare; validità del vecchio regolamento di disciplina. - Attualità dell'amore di patria e dello spirito nazionale. - Devono gli ufficiali di carriera costituire una casta? -· Governi militari in vari paesi del mondo. - Situazione politica delle gerarchie militari in Italia
Conclusione
22I
'
8
185
.
Premessa
Non mi nascondo che accingendomi a scrivere un libro. sul problema della difesa nazionale e su quello della orga: nizzazione militare in Italia mi avventuro. in un'impresa de stinata molto probabilmente alla più sconfortante impopo:. larità. Recenti statistiche rivelano che nel nostro Paese il numero dei lettori in genere va rapidamente aumentando e che va crescendo la quantità delle opere pubblicate e dei libri venduti. Questo fenomeno, mentre da un lato torna a vantaggio degli editori e degli scrittori, d'altro lato denota una apprezzabile estensione della cultura e conferma il progressivo miglioramento delle condizioni economiche generali. Ma per quanto riguarda i due problemi più sopra nominati non solo non si rileva alcun progresso quantitativo 'nel settore librario né in quello giornalistico, ma si può affermare senza tema di essere smentiti che siamo scesi al livello più basso raggiunto negli ultimi decenni. Ciò contrasta singolarmente con quanto avviene in altri Paesi del mondo libero. Negli Stati Uniti d'America, patria di un militarismo modernamente inteso (nel senso che lo Stato democratico poggia volutamente su di una solida struttura difensiva), alcuni giornalisti specializzati in guestioni militari godono di rinomanza internazionale e scrivono articoli che vengono tradotti e recensiti in molte lingue; gene-. rali che hanno ricoperto cariche importanti espongono le loro idee circa l'organizzazione della difesa, non esitando a denunciare errori e non risparmiando critiche in libri che acquistano grande diffusione anche fuori dei confini statuni~ 0
9
tensi. In Gran Bretagna fenomeno analogo : ci giornalisti e scrittori militari di chiara fama si aggiungono altissime personalità politiche nel trattare problemi strategici e militari. in genere. In Francia la letteratura militare è sempre stata particolarmente ricca e brillante, e nella stampa ha sempre trovato ampio spazio e suscitato vasta eco la trattazione di argomenti relativi alla difesa nazionale e di carattere politico-militare. Nella Germania occidentale, dove l'ossatura difensiva sta aumentando progressivamente di consistenza, la stampa si occupa attivamente di questioni che con quella hanno attinenza e non mancano in materia opere scritte da generali che hanno preso parte alla seconda guerra mondiale In Italia la letteratura militare è poverissima. Alcuni generali, dopo l'ultima guerra, hanno scritto libri con l'intento di offrire un contributo alla storia o con quello meno palese di esaltare o difendere il proprio operato; qualche volta per dimostrare che tutto quello che era stato fatto in campo militare era sbagliato. Pochissimi di questi libri hanno avuto fortuna; molti si trovano in vendita sulle bancarelle delle fiere librarie a prezzi di liquidazione; il che fa un po' pena. Gli uffici storici degli Stati Maggiori delle Forze armate, chiusi nelle loro torri eburnee, continuano gli studi metodici e, ahimé, quasi segreti e, a larghi intervalli di tempo, cacciano fuori qualche volume contenente la relazione ufficiale di àvvenimenti ormai lontani e che trova scarsissimi lettori oppure qualche pubblicazione di interesse contingente (legata di solito a ricorrenze particolarmente importanti), che ha maggiore suécesso divulgativo. Solo taluno isolato e rarissimo scrittore militare superstite, dotato di profonda cultura specifica e di penna forbìta, riesce ancora a trovare l'appoggio e lo sfogo di un editore coraggioso ma non ha il largo successo che. meriterebbe. I giornali quotidiani e settimanali pubblicano di rado ar~ ticoli su argomenti militari od attinenti alla difesa del Paese in genere : gli autori sono spesso genérali in congedo giac10
ché non esiste in Italia .la categoria del giornalista specializzato nella materia: per lo più gli articoli sono neutri o quasi e trovano debole risonanza. E' bensì vero che recentemente, in via eccezionale, uno o due giornalisti di vaglia hanno avuto la buona idea e l'abilità di porre abbastanza efficacemente in luce, dopo aver assunto notizie da fonti competenti, gravi lacune e stato di crisi, soprattutto in fatto di personale di carriera, delle nostre Forze armate: è da temere che gli effetti benefici siano meno ingenti di quanto sarebbere lecito sperare. Ma le corrispondenze relative ad avvenimenti militari come esercitazioni o manovre o mutamenti di ordinamento sono scarsissime e contengono talvolta errori grossolani. E v'ha di più: la stampa si occupa più frequentemente di quanto accade all'estero nel campo politico-militare che di quanto accade in Italia, evidentemente perché si trova a portata di mano il materiale fornitole dalle agenzie di informazioni e dai giornali quotidiani esteri. Così un aumento od una riduzione di bilancio militare, un nuovo orientamento strategico od una trasformazione organica delle Forze armate negli Stati Uniti, in Russia, in G ran B1·etagna vengono posti in evidenza mentre avvenimenti analoghi in Italia passano spesso sotto silenzio. La stampa tecnico-militare è ridotta ai minimi termini e vive di vita stentata. Assai più consistente e diffusa è nei grandi paesi del mondo occidentale. Perché una simile situazione? Inutile cercare scuse prive di fondamento : per esempio che il pubblico italiano non vuole sentire parlare di guerra e di preparazione alla guerra o che l'esigenza del segreto militare impone silenzio e discrezione. Anzitutto non è vero che il grosso pubblico voglia ignorare quantò si fa e quanto occorrerebbe fare in materia di organizzazione della difesa; anzi, ben sapendo che un certo peri cblo di conflitto armato esiste, gradirebbe essere informato sulle misure necessarie · e su quelle realizzate per fronteggiate e possibilmente scongiurare tale pericolò.· D'altra parte 11
l'opinione pubblica viene in buona parte lavorata ed orientata dalla .stampa ed entro certi limiti è buona regola agire su di essa invece di lasciarsene totalmente rimorchiare. In secondo luogo i problemi relativi alla difesa ed alle .Forze armate possono essere. discussi senza tradi1'e alcun segreto militare ed è bene che essi siano presentati all'opinione pubblica perché ia loto conoscenza rende. i cittadini consci della loro natura e della loro ·importanza e meglio preparati ad assolvere i propri doveri V[!rso la Patria. Le cause reali della situazione lamentata sono molteplici.. Anzituttò lo scarso interessamento di uno strato della popolazionè, limitatissimo sotto il punto di vista numerico ma importante perché detiene le redini della stampa ed il potere: quello strato che comprende gran parte degl'intellettuali e la quasi totalità dei politici. Non mancherà l'occasione di più a1npia dimostrazione in merito . .Inoltre, quale causa subordinata e particolare, la deficiente azione sollecitatrice e propagandistica del Ministero della Difesa, il quale indirizza l'opera del suo ufficio stampa su obiettivi eccessivamente, se non proprio esclusivamente, politici e non favorisce, anzi vede malvolentieri contatti diretti fra autorità o personalità militari e stampa. I militari finiscono col vivere e lavorare piuttosto isolati, nel chiuso -del loro ambiente. Ad essi d'altra parte è fatto obbligo dal regolamento di disciplina tuttora in vigore di ottenere il preventivo consenso ministeriale per la pubblicazione di scritti che abbiano attinenza, diretta od anche indiretta, con la difesa dello Stato. Tale norma, centèna-. ria, appare largamente superata dai tempi ed eccessivamentè limitativa in regime di democrazia, e produce questa strana ed il{ogica conseguenza: che tutti i cittadini possono trattare liberamente, sotto forma di articoli o addirittura di libri, argomenti di carattere militare o più genericamente relativi alla difesa nazionale, fuorché gli ufficiali, che dovrebbero essere i più preparati in materia. Fra parentesi sarebbe ora di lasciare agli ufficiali l'intera responsabilità Jelle loro attività, 12
compresa quella di scrittore, salvo restando naturalmente il diritto, o meglio il dovere, da parte delle competenti autorità, di intervenire in caso di infrazione delle buone regole disciplinari o di violazione del segreto militare; per esempio, qualora siano stati utilizzati documenti o dati di carattere segreto o riservato; il che deve continuare ad essere assolutamente vietato. Sarebbe anche utile rendere più stretti ed ampi i contatti fra l'ambiente militare e la stampa. Nelle condizioni descritte la fatica di esaminare e di discutere i problemi della difesa nazionale e della organizzazione delle Forze armate (distinguo a bella posta i due problemi perché il secondo non è che una parte del primo) potrà a taluno apparire inutile od intempestiva. Ma ritengo doveroso sobbarcarmi a questa fatica, utilizzando l'esperienza acquisita durante lttnghi anni di servizio militare svolto in incarichi via via più elevati, cercando di conservare la massima obiettività e mantenendo la trattazione in forma piana, non infarcita di dati tecnici ed accessibile a qualsiasi categoria di lettori. Se la mia modesta opera avrà per caso un pizzico di fortuna ed zm certo grado di diffusione, servirà a smuovere le acque attorno a questioni di importanza vitale. E con questo avrò potuto rendermi ancora uno volta utile alle Forze armate italiane ed alla mia Patria.
13
:\ ·J
I I
I
!
II I
'
I Il problema della difesa nazionale e quello della organizzazione delle Forze armate. - Politica generale e politica militare. - L'Italia non è mai stata militarista.
Come ho detto nella premessa, il pròblema della difesa nazionale e quello dell'organizzazione delle Forze armate sono diversi: il primo è comprensivo del secondo. Una volta, per esempio un secolo fa, i due problemi potevano essere considerati coincidenti: la guerra, intesa come attività diretta, era compito delle forze di terra e di mare (allora l'Aeronautica non esisteva) e le popolazioni ne sopportavano indirettamente l'onere sotto forma di sacrifici di sangue (consistenti nella morte, nelle mutilazioni e nelle ferite di una parte dei loro soldati), di denaro e di tenore di vita. Ma con l'aumento del numero dei combattenti e con l'incremento della quantità e della potenz:1 delle armi e dei mezzi di locomozione e di trasporto l'attività bellica è andata estendendosi ed interessando sempre più intensamente i territori nazionali e le popolazioni. Nel primo conflitto mondiale si manifestò per la prima volta in pieno 1a necessità della organizzazione della Nazione per la guerra, allo scopo di adeguare alle necessità belliche 1a produzione industriale ed agricoTa, ia disciplina dei consumi ed il funzionamento dei trasporti. Nacquero allora il concetto di mobilitazione industriale e civile ed anche quello di protezione civile, giacché da allora le popolazfoni cominciarono a subìre l'offesa aerea e quella delle ·artiglierie di grande gittata. Da allora si fece anche 15
strada il concetto di guerra totale. Nel secondo conflitto mondiale tutte queste esigenze di organizzazione e questi concetti trovarono conferma ed amplificazione. Oggi, in previsione di un conflitto generalizzato e totale, .con uso massiccio delle armi e dei mezzi tecnici moderni, si impone l'organizzazione totalitaria delle attività nazionali: .dell'economia, delle industrie, .dell'agricoltura, dei trasporti, delle telecomunicazioni, della protezione civile:, del lavoro; ,o ltre s'intende alla dispoùibilita di Forze armate in piena ef~ :ficienza. Tutto il territorio· nazionale, tutta la popolazione, tutti i centri di produzione, di comunicazione, di governo, di vita sarebbero esposti alle più tremende offese avversarie e solo un'organizzazione efficace e completa, predisposta e regolata dall'Autorità centrale, ma nello stesso tempo opportunamente articolata, decentrata e capillare, consentirebbe dì sopravvivere, di impiegare ed alimentare le Forze armate, di restituire i colpi al nemico. I criteri, le modalità, il grado di efficienza con cui viene organizzata la difesa nazionale e con cui, in particolare, sono ,costituite e mantenute le Forze armate rappresentano nel complesso un'attività importantissima di Governo che va sotto il nome di politica militare. E' ovvio che la politica militare debba essere sintonizzata con la politica generale ed in modo speciale con la politica estera di ogni Stato. In tutti i tempi, ed ,oggi più che mai, la politica estera è stata condizionata dal livello di potenza degli strumenti bellici; nell'arengo internazionale la parola di ogni Paese ha valore direttamente proporzionale a quel quantitativo di forza ch'esso può gettare sulla bilancia. Questa potrà a taluno sembrare affermazione inesatta o brutale, ma risponde perfettamente alla realtà: è sempre stato ed è tuttora così. Orbene in Italia si è sempre verificato un pericoloso sfasamento fra politica generale e 'politica militare: Per dimostrare questo spiacevole asserto non intendo ri~ farmi al ciclo risorgimentale, che, attraverso molti conflitti ed 16
.intense vicissitudini, si chiuse favorevolmente grazie alla spinta entusiastica (entusiastica fino al .martirio ed all'eroismo) .di una minoranza ed all'opera illuminata e coraggiosa di al..cuni grandi Capi e Maestri. Non varrebbe a convalidare la mia .tesi il rilevare che le Forze armate del Regno Sardo dapprima, del Regno d'Italia poi, pur battendosi valorosamente in molteplici circostanze, palesarono a più riprese, nelle guerre ,chndipendenza, non poche deficienze di preparazione e di con.dotta da parte di alti comandanti, le quali furono d'altra parte compensate in buona misura dalla fortuna e dall'abilità politica di pochi statisti, primo fra tutti Cavour; tali defi,cienze erano forse inevitabili in rapporto alla rapidità del!'evoluzione storica ed alla vastità dei compiti. Dopo raggiunta e consolidata l'unità nazionale, le prime ,esperienze belliche furono, non dico negative, ma costellate .di amare delusioni e di qualche insuccesso. La campagna coloniale: d'Africa e quella di Libia vennero iniziate senza una ,congrua preparazione militare: gli sviluppi politici, forse im_prevedibili a lunga distanza di tempo, condussero ad una ri.schiosa improvvisazione. Come è noto, simili deficienze si pagano in guerra col sangue. Che dire della fase iniziale per l'Italia della prima guerra mondiale? In essa si rivelò una impreparazione ancora più ·vasta e dannosa, imputabile in piccola parte alla scarsità di materiali bellici per effetto dei larghi consumi imposti dalla guerra libica, non sufficientemente compensati nella troppo ·breve vigilia, in gran parte al rapido ed imprevisto capovolgimento della situazione politica dell'Italia in campo internazionale. Durante lunghi anni di inserimento nella triplice Al" leanza la preparazione militare era stata orientàta all'invio in ·Germania di alcune nostre grandi unità in concorso con le forze degl'Imperi centrali ·che avrebbero invaso la Francia: nòn era facile adeguare in pochi mesi la preparazione alla radicale trasformazione dei piani operativi, che ad un certo ·punto passarono a prevedere azioni offensive contro l'Impe17
;(f (JL
ro austro-ungarico. L'Esercito iniziò ·le operazioni con scarsa .disponibilità ·di materiali, di munizioni in ispecie, .ed insufficientemente preparato al tipo di guerra (di trincea) che andava ad affrontare. Occorsero anni di sterili sacrifici, occorsero la sconfitta· di Caporetto e l'invasione di parte del Ve·netò perché tutto il popolo italiano · sentisse l'importanza della posta in giuoco ~, teso in uno sforzo unitario, sostenesse· l'.Esercito lanciato con rinnovato $pirito e con rinnova-ti procedimenti verso la vittoria. Nell'ultimo periodo del conflitto le. Forze armate e.l'organizzazione della Nazione per 1a guerra avevano raggiunto veramente un livello di efficienza elevato. Ora nessuno vuole attenuare il fulgore della vittoria finale od offuscare la gloria che i Combattenti d'Italia gua:dagnarono alle loro Bandiere. Ma non si può non rilevare che se la preparazione nel periodo iniziale fosse stata migliore molto probabilmente la vittoria sarebbe stata còlta con ,pari .gloria e con minori sacrifici di sangue, di denaro e di tempo. . Lo sfasamento fra politica generale e politica militare continuò a sussistere durante il periodo fascista. Nonostante la tendenza all'espansione e gli obiettivi imperiali, gli stanzii:\menti di bilancio per. le Forze armate rimasero sempre al disotto delle necessità; in conseguenza, nell'intervallo fra le due guerre mondiali, non fu possibile, mentre sarebbe stato indispensabile, sostituire i materiali di artiglieria dell'Esercito, che datavano ad epoca antecedente al primo conflitto mondiale, con altri moderni e, I'Aeronautica, sebbene potenziata e sportivamente addestrata, hon riuscì a colmare gravi lacune in f.atto di armamento e di addestramento all'impiego delle armi. ~fief-~~-<kp..a~ehher.o~gio~_peso che la sostanza delle cos.e. --: E' vero ~he la guerra · in Africa orientale, sentita ed ap-poggiata, d'altronde, dalla grande maggioranza del popolo, fu abbastanza rapidarnente condotta ad una vÌttotiosa conclusiòne, ma con un dispendio di uomini e sopratutto di ma18
teriali superiore a quello che sarebbe stato necessario con una preparazione più lunga, più. accurata e più metodica, Inoltre nella stessa campagna dell'Impero 1935-1936 si verificò, in scala ridotta, un fenomeno analogo a quello già posto in evidenza per la prima guerra mondiale : un primo periodo in cui la preparazione . fu relativamente scarsa, un secondo .periodo in cui una preventiva riorganizzazione risultò foriera del successo finale. . La partecipazione alla guerra di Spagna, assai meno sentita, venne pressoché improvvisata, non fu esente da rovesci e causò un'altra grave menomazione alle scorte di mobilitazione. Di più, contro taluni · v:antaggi politici di importanza contingente (ma che potrebbero, se lo si volesse o lo si potesse, venire ancor oggi sfruttati), provocò una prima edizione di guerra civile fra italiani, che doveva essere segulta da una seconda edizione, di proporzioni assai più vaste e tremende, nell'ultima fase dell'ultimo conflitto. La seconda guerra mondiale, ancor meno popolare di quella di Spagna, mise in cruda luce, ahimé troppo tardi, quanto grave fosse la nostra impreparazione militare al seguito di una politica di dimensioni mondiali. Cominciò con una inopinata azione offensiva alla frontiera occidentale, imposta da impellenti ragioni politiche; azione che non era mai stata presa in. considerazione nel passato per tanti motivi, compreso quello dell'aspra natura del terreno, e per la cui organizzazione Comandi e truppe non ebbero che pochi giorni di tempo. Con forze inadeguatamente attrezzate e addestrate e con una organizzazione della Nazione per la guerra gravemente deficitaria (al punto che le materie prime più rare e pregiate venivano contese fra le tre Forze armate senza che intervenisse un efficace coordinamento) ci si ingolfò in dispendiose campagne offensive nei più diversi scacchieri d'Europa e di Africa e nelle più difficili situazioni: la Marina contro le più forti marine del mondo; l'Aeronautica contro flotte aeree superiori per tipi di materiale di volo e di armamento; l'Eser19
I
li
I
:1
cito, oltre che con artiglierie vetuste e di gittata insufficiente, con pochi e deboli mezzi corazzati in regioni e contro forze unemiche che esigevano artiglierie e carri armati numerosi e rmoderni. L'Italia fu così lanciata in un'avventura che la espolise a sacrifici e distruzioni immani. In simili condizioni i soldati italiani si batterono con un coraggio, uria abnegazione ed una tenacia che soltanto in questi ultimi tempi hanno incomirn;iato a trovare pieno riconoscimento. E' da domandarsi come essi siano riusciti a lottare e le popolazioni a resistere così a lungo. Tanto eroismo e tanto spirito di sacrificio non potevano certo modificare l'esito sfavorevole del conflitto. Ecco l'esempio lampante di una politica generale che impone alle Forze armate compiti sproporzionati rispetto alla loro efficienza ovvero che, in vi~ta di obiettivi molto importanti, non organizza a sufficienza la Nazione per la prova bellica e non prepara forze adeguate. Del resto l'Italia non è mai stata Ùn Paese militarista, un . po' perché_non...ha tradizioni milita~i e guerriere così brillanti come quelle di qualche altra nazione europea;un- po'per il natura e temperamento del popolo che, senza essere antimilita~ , è ali~no dagli sforzi metodici e pianificati, quali si richiedono per l'organizzazione militare e della difèsa in genere. Il popolo_italiano, facile all'entusiasmo, affronta in genere più volontieri gli sforzi improvvisi anche ;e violenti. E' .il popolo delle formazioni volontarie: battaglioni studenteschi di Curtatone e Montanara, camicie rosse di tutti i tempi, camicie nere, bande partigiane. A dire il vero le popolazioni del Regno Sardo (piemontese e ~sarda) avevano elevato spirito militare ma, come ho già avuto occasione di rilevare, si trovarono di fronte ·a compitLsuperiori alle loro possibilità. Ed in breve volgere di anni si unirono ad esse quelle di tutto il resto d'Italia, impegnate in una fase di intensa evoluzione politica. · Nel lungo periodo compreso fra il trasferimento della Capitale a Roma e la prima guerra mondiale, periodo carat-
-----
20
terizzato · dal lavoro compiuto per fondere nell'unità dello Stato le varie regioni d'Italia e per risanare e migliorare la situazione economica generale, dalle esperienze coloniali in Africa, dallo sviluppo del socialismo e da una lunga pace non minacciata da seri pericoli, il problema della difesa nazionale passò a poco alla volta in seconda linea, le spese militari fu. coìniridò a rono contenute -- in limiti inferiori al necessar io. _e_ ,.,,,,.., . . ... veri.fiGar&i- il già ~ricordato sfasamento fra 2olitic.!,g~er~le e · politica militare. Dopo la prima guerra mondiale, nonostante la luminosa vittoria conseguita, sopravvenne un periodo di sovversione e di antimilitarismo, a cui pose termine il fascismo, che riportò in auge taluni valori morali di importanza essenziale quali l'amore di patria ed il senso del dovere verso la Nazione, pur finendo col far prevalere eccessivamente l'interesse di partito e con l'imporre al popolo una pericolosa dittatura. Ma errerebbe chi pensasse che il fascismo avesse messo a giusto fuoco e risolto bene il problema della difesa nazionale e potenziato adeguatamente le Forze armate. Il fascismo, malgrado le apparenze in contrario, fu un regime ~tutt'altro che mi!itadsta. Non solo · perché, cÒme ho detto, negò all'organizzazione ~ ilitare il supporto finanziario indispEl]abile per raggiungér_e -~.m livello c!i efli~ienza adeguat?..,2i compiti segnati dalla politica, ma anche per altri motivi. Anzitutto affiancò alle forze regolari ~gg_ fç,rza.. irregolare per n_asçita e .settaria quale . la milizia volontaria pe! la sicurezza nl'!,?ionale, dotat~L.per-cli .più ài quadri improvvisati o scartati cl.all'Esercito e ciò nonostante promossi talvolta a gradi elevatissimi, ed .impose una completa corr~ondenza disciplinare e gerarchica con le Forze -3;.rmate rtgolari;- ilc lie sì' ripercosse negativamente sul morale di queste. :poi, pe;rJ a, smania di mettere tutti in i,mifor.me, dim,inJ,.IÌ il prestigio di quelle categorie che l'uniforme avevano sino allora indossata per tradizione, per necessità e per dovere. Inoltre, volendo irreggimentare tutti i servitori dello Stato e valorizzare talune fun-
---
·~,
21
.
I
zioni, ad esempio quella dei Prefetti, stabilì, ai fini delle precedenze e del trattamento economico, un parallelismo di gerarchie statali in virtù del quale la gerarchia militare, che in passato non era mai stata agganciata alle altre, nella sostanza perse, arretrando, un<;> o due scalini, secondo i gradi. Naturalmente fra le gerarchie favorite era èompresa quella nuova del partito. L'~ olpo, in_ ordine cronologico, alla compagine morale dei quadri delle Forze armate fu inferto cont'inS'rauraz-i:one dell'oooligo.,rijle"(anche se non formale) = ~:-"."'."'":- ,--.____.-:di ìscnz1one al Q.artito fascista; ciò che equivalse ad applicare per la prima volta un'etichetta politica alle Forze armate e ad- aggiungere ar giuramento al Sovrano un impegno morale cne, certamente superfluo all'inizio, si dimostrò ad un certo punto incompatibile con quel giuramento.
22
II Ricostruzione delle Forze armate dopò il secondo confiitto mondiale in una difficile situazione. - Interventi dannosi ed interventi favorevoli delle autorità politiche ai fini dell'efficienza delle Forze armate.
Al termine del secondo conflitto mondiale le condizioni
delle Forze armate erano, come del resto 'quelle dell'Italia in genere, disastrose. L'Esercito eruraticamente ridotto a cinque Grup.pi_di combattimento (unità corrispondenti a piccole Divisioni), armati ed equipaggiati con materiali alleati~ a pochi altri reparti sfusi e ad àìèunr-;;;à~ d iv~ chie strutture; la Marina non disponeva che di poche navi di tipo sorpassato; l'Aeronautica aveva un ·ristretto numero di vetusti apparecchi e quasi tutti gli'impianti aeroportuali inutilizzati. Ma le distruzioni di caserme, di macchinari, di scuole, di poligoni, di magazzini (di infrastrutture· si direbbe oggi çon un neologismo in voga) nell'ambito delle Forze armate non costituivano che un'aliquota, sia pure particolarmente fitta, delle rovine che la guerra aveva disseminate in I talia. Tutto questo in un'atmosfera di marasma morale impressionante. Se dopo la prima guerra mondiale, che si era conclusa con una piena vittoria, una reazione di antimilitarismo e di sovversione aveva percorso il Paese, era comprensibile che dopo la seconda, apportatrice di immense rovine e finita in modo pressoché catastrofico, tutto ciò che avesse attinenza con la guerra o con l'organizzazione militare incontrasse una irriducibile ostilità in tutti gli strati della popolazione e che 2.3
i valori morali in genere vacillassero paurosamente. Le condizioni economiche erano oltremodo critiche; così pure quelle politiche, influenzate da svariati elementi: la pesante eredità della guerra civile, l'occupazione alleata, il rimpatrio massiccio dÌc entinaia di migliaia d1 prigionieri e di internati, la trasfÒrmazfone di regime ed il cambiamento istituzionale. Ovviamente la .sitvazione economica e politica aveva ripercussioni negative anche nell'ambiente delle Forze armate. Di più ai militari, ed in particolar.Jl)o.do._ ai generali ed ammiragli, veni;i"aèlcto.<;sat~J a colpa della sconfitta, ; nzi del~ fitte .. Ai politici, in ispecie a qi:iefIT fra·Ì -Ì:,olitici che ~ dovevano rifarsi una verginità (e non erano pochi) non pareva vero di trovare così dei capri espiatori, costretti od abituati al silenzio. In un periodo in cui il solo parlare di rimessa in efficienza delle Forze armate era interpretato come eccesso di militarismo o bieca mania di guerrafondai, quasi che la dispò~ nibilità di forze efficienti costituisse un pericolo di guerra anziché una garanzia di pace, la direttiva a cui le Autorità governative si attennero in materia di organizzazione militarè (ammesso che una direttiva fosse stata tracciata) parve talvolta essere quella della liquidazione dei frammenti e delle ins stallazioni superstiti piuttosto che della riè:ostn.izione . In 0gni caso ·gli avvenimenti si svolsero come se l' aziòrie delle suddette Autorità si ispirasse a due criteri fondamentali: il mas~ simo di economia e una buona dose di demagogia. Si arrivò a questo colmo: che le Autorità politiche, ammaestrate dal-" ?'esperienza del periodo armistiziale, trascorso sotto il rigoroso controllo di una missione alleata, si presentarono nel 1946 alla conferenza inttrhazionale per il trattato di pace in: Parigi, preoccupate più' dalla eventualità che all'Italia venisse prescritto ·un minimo di forze militari che da qu,ella di un massimo. Le condizioni di vita e di lavoro dei quadrì (ufficiali e sottufficiali) erano in quel periodo pressochè pietose. Usciti tutti da una guerra tremenda e sfortunata; si dividevano in 24
varie categorie, nelle quali molte volte erano stati mser1t1 più dalle circostanze che dalla volontà: coloro che dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 avevano segulto le sorti delle forze regolari rimaste agli ordini del Governo legale per essersi trovati nelle regioni meridionali ed insulari liberate dall'occupazione tedesca o per avere coraggiosamente oltr'epassato le linee di combattimento provenendo dal nord; coloro che, rimasti nell'Italia centro - settentrionale, si erano sottratti alla cattura da parte dei tedeschi ed al servizio nella repubblica sociale o che, più audacemente, si erano volontariamente gettati nella lotta come partigiani; i reduci da lunghi periodi di prigionia di guerra o di internamento in Germania; infine coloro che avevano sbagliato strada aderendo, per convinzione o per viltà, all'ideologia nazifascista e ·prestando servizio presso enti neofascisti e che si accinge-. vano a pagare il fio dell'errore commesso in modo assai più grave dei funzionari civili incorsi nello stesso errore. Questa diversità di titoli costituiva di per sé una causa di depressione morale; si aggiungano la mancanza di solidarietà e di comprensione da parte della popolazione e dell'ambiente politico, fincertezza ddl'avyenire, le difficili condizioni economiche che in moìti casi si traducevano .i n vera e propria miseria, a cui occorreva rimediare con provvedimenti di emergenza, intesi a facilitare il rifornimento di cibi e di vestiario ai quadri ed alle loro famiglie. Molti ufficiali attendevano che fossero emanate disposizioni atte ad agevolare l'esodo dal servizio per approfittarne e cercare altrove un'occupazione soddisfacente e remunerativa. Altri, allontanati d'autorità in conseguenza della loro adesione alla repubblica sociale, erano costretti ad impegnarsi in lavori anche poco dignitosi, pur di mantenere alla meno peggio le loro famiglie. · In una situazione di ·tal genere, mentre la ricostruzione dello Stato oppàriva molto ardua, quella delle Forze armate poteva sembrare un sogno irrealizzabile. Ed invece il mira-· colo avvenne, soprattutto per virtù di pochi quadri super25
stiti che, rimasti ai loro posti di lavoro. e. tetragoni alle più violente e prolungate burrasche per l'inesauribile fede che li animava, sui modesti quantitativi di reparti; di materiali e di impianti vari sopravvissuti alla catastrofe imbastirono l'organizzazione e la vita di nuove Forze armate. La parte più dura e difficile della ricostruzione, quella iniziale, fu svolta in mezJ zo al disinteresse generale ed alla incomprensione degli amJ bienti esterni a quello strettamente militare. Un lavoro da pionieri. A coloro che lo effettuarono può esser fatto carico di aver riprodotto, approfittando dei tronconi rimasti in piedi, talune strutture che potevano considerarsi superate o sproporzionate in eccesso rispetto alla prevedibile entità delle forze future. Certo l'opera di ricostruzione sarebbe riuscita più armonica e moderna se fosse stato immediatamente disponibile un programma di ricostruzione lungimirante e adeguato ai tempi ed alle esigenze e se, in conseguenza di una distruzione totale, si fosse dovuto partire dalla zero assoluto con un sufficiente supporto finanziario, come accadde dopo alcuni anni alla Germania occidentale. Ma il programma, la cùi compilazione, del resto, sarebbe stata molto difficile e avrebbe richiesto tempo non breve anche ·perché la si sarebbe dovut.~ inquadrare in una situazione politica che appariva tuttora fluida, non era stato, per ragioni di forza maggiore, approntato tempestivamente, mentre rientravano nell'ordine naturale delle cose l'utilizzazione degli elementi superstiti e, in conseguenza, il ricalcare schemi del passato. Occorreva inoltre far presto; il che davvero non riusd alla Repubblica federale germanica quando, più tardi, affrontò il problema del, riarmo. Ai pionieri, in ogni modo, va attribuito l'incommensurabile merito di aver salvato il patrimonio spirituale delle Forze armate, ricco di tradizioni secolari. Né va dimenticato che le Forze armate ricuperarono rapidamente tanta saldezza morale da superare vittoriosamente la grave prova del cambia-
mento istituzionale e ida assicurare in quell'occasione il mantenimento dell'ordine in Italia. Il ritmo della ricostruzione si fece più intenso a partire dall'ingresso dell'Italia nell'Allenza atlantica (nel 1949); che fruttò alle nostre Forze armate la concessione da parte degli Stati Uniti d'America di materiali da guerra, in virtù di un patto di mutua assistenza. Fin troppo intenso; giacché talvolta l'arrivo di copiosi materiali per l'Esercito indusse ad allargare la struttura organica oltre i limiti consentiti dalle disponibilità finanziarie, presenti e future , imponendo sforzi non sopportabili a lungo. Ad ogni modo il processo di ricostruzione fu continuato in modo abbastanza efficace sino a raggiungere il risultato di aver creato Forze armate dotate di una certa efficienza e capaci di assolvere taluni compiti in seno all'Alleanza atlantica. Naturalmente alla parola « ricostruzione » va attribuito un significato ampio: non soltanto quello di creare elementi nuovi, ma anche quello di armonizzare le strutture, riducendone le dimensioni se necessario (ridimensionandole, come si direbbe con un termine entrato in uso negli ultimi anni). addestrando nel miglior modo possibile le unità, aggiornando la dottrina di impiego. E' stato cosl realizzato l'optimum in materia di Forze armate? Pur tenendo presente che l'optimum è assai difficilmente conseguibile in qualsiasi campo e pur riconoscendo che è stato toccato un traguardo che nel 1945, alla fine della guerra, sarebbe apparso irraggiungibile, posso fin d'ora dichiarare che siamo ben lontani dall'optimum, da quel tipo cioè di organizzazione che sarebbe confacente al1'I talia, per soddisfarne efficacemente le esigenze di difesa e di prestigio, in relazione alla posizione geografica, alla situazione storica, alla potenzialità demografica ed economica ed agli impegni assunti nell'Alleanza di cui l'Italia fa parte. Mi riprometto di dimostrare più avanti, attraverso un esame il più possibile ampio, compatibilmente con l'opportunità 27
' I
di non appesantire so:verèhiamente la trattazione, la verità di quanto ho affermato. Per ora mi limito a mettete in evidenza alcuni episodi o dati di fatto che dimostrano come la ricostruzione,delle Forze armate sia stata di massima ostacolata piut; tosto che favorita dalle Autorità politiche e come queste abbiano contribuito più a deprimere che ad elevare il livello morale dei quadri1 Con questo non intendo asserire che tutti i Ministri succedutisi nei dicasteri delle singole Forze armate prima ed in quello della Difesa poi abbiano di proposito orientato la loro opera verso l'insabbiamento o la trascuratezza dei problemi militari e che abbiano a bella posta frenato, sul piano politico od economico, gli sforzi dei tecnici per la ricostruzione. No davvero. C'è anzi · stato qualche Ministro che ha dimostrato una capacità di assimilazione delle questioni militari ed un impegno realizzatOre molto notevoli. Ma si tratta di eccezione. Mi duole assai che, volendo escludere da questo scritto ogni carattere polemico; io non possa far nomi. Contro l'eccezione stanno numerose prove di una insufficiente· attitudine e talora di una congenita od imposta riluttanza da parte di Ministri ad approfondire è risolvere adeguatamente i già nominati · problemi militari ed una incomprensione o non voluta presa in considetazione di tali problemi da parte dei Governi in genere del dopoguerra. Fra i provvedimenti adottati in campo politico che hanno influito negativamente sullo spirito e sul prestigio delle Forze arinate cito per primo il fatto che la carica di Ministro e quelle di Sottosegretario di' Stato per la Difesa siano state da· parecchi anni costantemente affidate a civili secondo criterio esclusivamente politico; spesso a civili che non abbiano mai avuto nulla a che fare con l'ambiente militare ·o che, tutt'al più, abbiano avuto con questo i contatti fuggevoli e' superficiali richiesti da un più o meno lungo ed impegnativo servizìo di leva. Ricordo a questò proposito che sino al termine della seconda guerra mondiale la carica di Ministro o quanto meno quella di Sottosegretario di Forza armata era
un
28
devoluta ad un militare di carriera: lo stesso Sovrano era un militare professionista, e ciò costituiva una garanzia tutt'altro che trascurabile per la compagine morale e la continuità di tradizioni delle Forze armate. Non considero molto importante la circostanza che nel governo Badoglio (militare egli ~tesso), in situazione bellica e politica straordinariamente difficile, i Ministeri delle singole Forze armate fossero affidati a militari. Già nel primo Governo costituito dopo la libera.zione di Roma, guerra durante, tali Ministeri cominciarono a passare in mani politiche e ben presto, dopo la chiusura del conflitto, l'unica poltrona di Sottosegretario rimasta ad un militare (non più in servizio attivo e per di più deputato) passava ad un civile. Ora, si può ammettere che in determinati periodi storici ed in regime democratico risulti opportuno che la carica di Ministro della Difesa gravi sulle spalle di un politico, e quindi di un civile, per le stesse ragioni per cui di solito i dicasteri tecnici vengono assegnati, anziché ad elementi tecnici, a uomini politici. Si tratta di far valere ad ogni costo il principio politique d'abord, trascurando quello della ·competenza specifica. Ma è necessario od opportuno che anche i Sottosegretari siano uomini politici? A suo tempo la questione meriterà di essere ripresa in esame. Qui ritengo sufficiente accennare alla dannosa ripercussione morale nell'ambito militare e sostenere che non vedo incompatibilità fra regime democratico ed assunzione di militari alle cari~he di Ministro o di Sottosegretario in dicasteri militari. Né vale addurre l'esempio delle grandi democrazie esistenti: Stati Uniti d'America e Gràn Bretagna. Negli Stati Uniti d'America, prescindendo dal fatto che nel recente passato personaggi militari sono assurti al Segretariato di Stato e (per due volte consecutive) alla Presidenza degli Stati, si rileva che i' Ministri civili della difesa e delle singole Forze armate ea i numerosissimi Sottosegretari' civili negli stessi Ministeri sono affiancati ad altissime autorità militari che 29
I
.I
,
I
:; i I
1
hanno, per legge, facoltà di comando assai più ampie, sostanziali.e nette di quelle di cui godono i nostri Capi militari. Per la Gran Bretagna si possono fare ,considerazioni analoghe: di più il Re (o la Regina come attualmente, e cod lei il Principe consorte) ha veste e competenza militare. La Francia poi, finché duri il regime di De Gaulle, non può certo costituire un esempio probante per i fautori dei Ministri e Sottosegretari politici. ·Si deve tuttavia osservare che se prima dell'avvento al potere del generale De Gaulle J!organizzazione di comando e di amministrazione delle Forze armate poteva essere considerata, sotto taluni aspetti, simile a quella italiana, essa è radicalmente mutata da quando, sotto la spinta di gravi avvenimenti, le supreme cariche dello Stato sono passate nelle mani di un militare. Taluno vorrà forse citare un altro esempio a sostegno della tesi (dirò così per brevità) politica: la Germania occidentale. Ma la Repubblica federale tedesca si trova in una situazione a sè stante: riammessa da alcuni anni nel novero delle nazioni che possono disporre di propri strumenti militari, dopo che le clausole armistiziali l'avevano privata di qualsiasi forza non strettamente di polizia, ed entrata nella Alleanza atlantica, deve riarmarsi facendo dimenticare il suo passato ultramilitaristico. Ovviamente i militari, pur riacquistando gradatamente posizioni e prestigio, vengono tenuti lontani dalle poltrone ministeriali. E' d'altra parte recentissima la notizia di tentativi da parte delle alte gerarchie militari di riacquistare buona parte dell'antico potere; tentativi peraltro validamente contrastati dalle autorità politiche. La Germania occidentale costituisce pertanto un caso particolarissimo e non varrebbe la pena di ricordare che in quello Stato la poltrona ministeriale della difesa è in genere riservata a persona provvista di energia, passione, attitudin~ ed anche di una certa competenza per l'esercizio delle sue funzioni, se non forse per far rilevare che in Italia si dovrebbe almeno evitare di far cadere la scelta su uomini po50
litici che non abbiano un passato militare apprezzabile, ché non ·siano .dotati del physique du rote (comprendendo in questo termine anche le doti spirituali) e che non sappiano passare in rivista un picchetto d'onore od un reparto. Non credo che sia il caso di gettare per ora lo sguardo su altri paesi perché si correrebbe il rischio di trovare non solo Ministri della difesa in uniforme, come per esempio nell'Unione delle repubbliche sovietiche, ma addirittura governi retti da militari. L'esclusione in ItaHa dei militari dalle cariche di Ministro e di Sottosegretario per la Difesa può trovare appoggio nella consuetudine, ormai invalsa quasi senza eccezione od interruzione, di scegliere tutti i membri del Governo fra i parlamentari. Oggi, purtroppo, le vie di accesso alla Camera dei deputati ed al Senato sono praticamente precluse agli ufficiali: la causa di questa preclusione risale alla Costituzione della Repubblica italiana o, per essere più esatti, a coloro che, in tempi difficilissimi ed in limiti èronologici forse troppo ristretti, l'hanno compilata, nonché ai membri dei Governi e dei Parlamenti che, nei molti anni successivi, non hanno trovato il tempo o la buona volontà di modificarla opportunamente. Questa carenza di deputati e di senatori militari costituisce per l'appunto il secondo elemento negativo, ai fini del prestigio, del morale e dell'efficienza delle Forze armate, che è da comprendere fra quelli introdotti dopo la. seconda guerra mondiale. Fino a quando non si giunse a cambiare la struttura dello Stato, fino a quando cioè il Senato conservò la fisionomia di Camera alta non elettiva, costituita da senatori a vita di scelta regia, i militari di carriera che pervenivano ai gradi più elevati ed alle cariche più importanti erano di regola nominati senatori durante l'ultimo periodo del loro servizio attivo o al più tardi nel momento del loro collocamento in congedo per raggiunti limiti di età, come del resto gli appartenenti ad altre categorie di fedeli servitori dello Stato, e 31
11
l
Ii
I
I
formavano un folto gruppo di specialisti in questioni militari o comunque attinenti alfo difesa nazionale, idonei a fornire -un. prezioso contributo r:el settore della loro specifica com,petenza. Il laticlavio rappresentava quindi non soltanto un premio ed una distinzione ma anche un mezzo di utilizzare -esperienze e capacità che altrimenti sarebbero andate perdute per lo Stato. Prima eh.: il regime fascista rivoluzionasse la ,configurazione del Parlamento, vale a dire in periodo di regi• me pienamente democratico e con sistemi elettorali basati su ,collegi uninominali, gli ufficiali potevano altresì accedere alla Camera dei deputati, giacché era possibile presentarsi come candidato senza rivestirsi della tinta di un partito, ciò che ,sarebbe stato vietato dal regolamento di disciplina e dalle rigide consuetudini. Certo, contro il consistente gruppo dei senatori militari, i deputati militari erano di solito pochissimi, perché l'ingresso a Montecitorio richiedeva, oltre ad un vera ,e propria interruzione della carriera militare per chi fosse .ancora in servizio attivo, l'impegno e la spesa non indifferente di una campagna elettorale. Nella odierna situazione, con entrambi i rami del Par]amento costituiti su base elettorale e col vigente sistema delle liste di partito, gli aspiranti alla qualifica di onorevole devono non solo partecipare alla campagna · elettorale ma ,anche iscriversi in un partito o quanto ·menù caratterizzarsi in una lista di partito; il che è sostanzialmente proibito, come già ho accennato, dalle norme e dalla tradizione. L'iscrizione come indipendente in una lista di partito non è che una scappatoia formale, la quale non dovrebbe ingannare nessuno. D'altra parte fra le categorie dei cittadini da cui, secon,do la Costituzione, il Presidente della Repubblica può attin,gere 'per la nomina di cinque senatori a vita non figura quel, la dei militari. Durante vari anni si è lavorato per apportare cambiamenti, attraverso alle complesse procedure richie,ste per le modifiche della Costituzione, alla struttura del Se 0
32
nato. Fra i mutamenti non sostanziali, previsti nella stesura iniziale d~ un disegno di legge largamente rimaneggiato lungo la via, era compreso un piccolq aumento del numero dei senatori a vita di nomina presidenziale nonché l'inclusione dei militari fra le categorie in cui la scelta dovrebbe essere operata. Questa lieve modifica, che non avrebbe del resto apportato sensibile miglioramento alla infelice posizione dei militari rispetto all'accesso al Parlamento, non è stata approvata dalle Camere. La conseguenza di tutto questo è che, allo stato attuale, la somma dei parlamentari delle due Camere provenienti dai militari è sensibilmente inferiore al numero delle dita di una mano, mentre a decine e decine si contano, in Parlamento, i professori, gli avvocati, i magistrati, ecc. Questi pochissimi onorevoli militari sono di regola µflìciali in congedo che di propria volontà, sfiorando gli scogli proibitivi çlella qualificazione partitica, si sono sobbarcati alla fatica, ?gli adattamenti ed alle spese della iscrizione in una lista di partito e della campagna elettorale. E non sempre sono stati eletti in prima istanza. La pratica esclusione dall'uno e dall'altro ramo del Pat'lamento, se da un lato si traduce in una menomazione morale per i quadri, d'altro lato costituisce un grave danno per le Forze armate perché le priva di una loro rappresentanza pelle due Camere, ove le Commissioni per la difesa sono formate, salvo rarissime eccezioni, da incompetenti o da orecchianti, a cui viene affidato l'esame delle leggi e delle questioni militari. Con gli scarsissimi e faticosi contatti che, contrariamente a quanto avviene, per esempio, negli Stati Uniti d'America (avrò modo di toccare nuovamente questo punto), esistono in Italia fra ambiente militare ed ambiente parlamentare gli scambi di idee finiscono col risultare poco più che nulli, il ·che non giova certamente alla serietà e profondità dell'esame sopra accennato. Del resto non credo di poter essere incolpato di menda33
i ~
I
I.
Ii
I
i
i
'I/
I
!
!)' l
do se affermo che l'annuale discussione del bilancio della difesa si svolge nei due rami del Parlamento in un'atmosfera di disinteresse quasi generale: pochi i parlamentari presenti salvo che nel momento del voto; le obiezioni ed i battibecchi hanno di solito un valore ed uno scopo esclusivamente politico, anzi partitico, se non addirittura demagogico. Quanti dei parlamentari hanno a cuore l'efficienza delle Forze armate e della difesa nazionale? E quanti hanno preparazione sufficiente per discuterne utilmente? Sull'argomento converrà che io ritorni più avanti. Un terzo provvedimento moralmente negativo è stato, nel dopoguerra, quello della pratica soppressione del grado di generale o ammiraglio d'armata senza alcuno spostamento verso l'alto della scala gerarchica militare. Ho già detto che il regime fascista, istituendo un parallelismo di gerar, chie statali ed una corrispondenza di gradi, ai fini economie~ e di rappresentanza, fra le varie gerarchie dello Stato, finì col fare arretrare la gerarchia militare di uno o due gradi; In compenso inflazionò i gradi di generale (e di ammiraglio) istituendo quello di maresciallo d'Italia (e di grande ammiraglio), che venne collocato al livello del grado primo delle gerarchie statali, e quello di generale d'armata (e ammiraglio d'armata), che venne collocato al livello del grado secondo. E' da rilevare che entrambi i gradi massimi introdotti erano raggiungibili soltanto in guerra e per cause o meriti di guerra; ragion per cui, lungi dall'agganciarli a gradi raggiungibili in altre gèrarchie statali, si sarebbe dovuto considerarli al difuori e al disopra dei quadri gerarchici sta· tali. In tal modo si sarebbe potuto e dovuto innalzare il grado militare massimo raggiungibile in pace (generale di corpo d'armata o di squadra aerea, ammiraglio di squadra) almeno al grado secondo delle gerarchie statali ed elevare conk seguentemente di un gradino la scala gerarchica degli ufficiali. Si ha un bel dire che con le ultime leggi delegate sui 34
quadri delle Amministrazioni statali non esistono più, per le gerarchie dello Stato, la distinzione e la corrispondenza di gradi. Praticamente, ai fini economici, di rappresentanza e del prestigio, esse sono più che mai valide. Oggi, mentre la carriera . dei magistrati culmina col grado primo delle gerarchie statali (primo Presidente della Corte di Cassazione), mentre i diplomatici possono arrivare al grado secondo, a cui corrisponde quello di ambasciatore, il grado massimo della gerarchia militare non corrisponde che al grado terzo di quelle statali. In seguito al riordinamento del personale e delle carriere della pubblica istruzione, i professori di università, che rappresentano una categoria relativamente poco numerosa, raggiungono, a ruoli aperti, il grado terzo, talché oggi i professori di questo grado sono circa una novantina. E rimangono praticamente in servizio fino al settantacinquesimo anno di età. I generali di corpo d'armata e di squadra aerea e gli ammiragli di squadra in servizio e provvisti di regolare incarico di comando, su di un totale di oltre ventimila ufficiali di carriera, sono poco meno o poco più di quaranta e vengono collocati in congedo allorché compiono il sessantatreesimo anno di età. . Ma v'ha di più. Nella massima parte delle carriere statali di concetto il grado settimo delle gerarchie statali (o, secondo i nuovi ordinamenti, lo scalino gerarchico che corrisponde a tale grado) viene toccato in un periodo compreso fra i sei e gli otto anni a partire dall'inizio della carriera, mentre gli ufficiali delle varie Forze armate e delle varie Armi impiegano un periodo assai più lungo (da quindici a ventidue anni) per salire dal grado iniziale a quello di tenente colonello, che conisponde al settimo delle gerarchie statali. Né è possibile, per ragioni organiche e di impiego, accelerare sensibilmente il ritmo delle carriere militari. Spostando il rapido esame alla gerarchia dei sottufficiali, si può rilevare che, mentre un notevole progresso è stato 35
I !r !I
I\ I
!
.ì
II
realizzato col garantire per legge lo.stato giuridico dei sottufficiali e con lo. stabilire una corrispondenza gerarchica con gl'impiegati statali del gruppo C, una più soddisfacente e adeguata sistemazione si sarebbe ottenuta rendendo più com1 pleta ed equa la suddetta çorrispondenza per tutti i gradi) compreso di quello aiutante di battaglia. Una conseguenza particolare, che ha valore morale tutt'altro che trascurabile, dell'ingiusto sfasamento di gradi delle gerarchie militari rispetto a quelle civili dello Stato è quel la della ritardata concessione di onorificenze dell'Ordine al merito della Repubblica e della quasi sistematica inferiorità di grado delle stesse onorificenze concesse ai militari in confronto a guelle di cui vengono insigniti i civili forniti di pari anzianità di servizio e di incarichi di non maggiore responsabilità ed importanza. Prima del cambiamento istituzionale gli ufficiali ottenevano la croce di cavaliere della Corona d'Italia al più tardi all'atto della promozione a maggiore, spesso quando erano capitani anziani, e cominciavano a ricevere le onorificenze dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro nel grado di tenente colonnello; i sottufficiali raggiungevano quasi contemporaneamente il grado di maresciallo maggiore ed il cavalierato e di frequente prima questo titolo onorifico che il grado massimo conseguibile in tempo di pace. Oggi di norma gli ufficiali non vengono nominati cavalieri dell'Ordine al merito della Repubblica che dopo, e per lo più molto dopo, la promozione a tenente colonnello; per i sottufficiali la nomina c'ostituisce un'eccezione. In sostanza assai più tardi, partendo dall'inizio della carriera, che i civili, e quindi, col passare del tempo, sempre di qualche gradino al disotto dei civili. A dire il vero gl'inconvenienti e le lacune di cui sto in questo momento trattando e che hanno una ripercussione negativa sul morale dei quadri e quindi sull'efficienza delle Forze armate derivano, piuttosto che da disposizioni errate, dalla mancanza di provvedimenti che si sarebbero dovuti adottare. 0
36
Ma il discorso mi porta a citare un quarto provvedimento negativo del dopoguerra: una circolare emanata nel 1950 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e firmata dal Sottosegretario alla stessa Presidenza, con cui venne modificato l'ordine delle precedenze fra le autorità statali, fissato per legge dal regime fascista. Il prestigio della gerarchia militare, la quale, come ho già avuto occasione di rilevare, aveva perduto posizioni sotto il fascismo, ha ricevuto un colpo gravissimo da questa circolare, che ha relegato sistematicamente le autorità militari agli ultimi posti. A parte la irregolarità consistente nel voler cambiare con una circolare disposizioni sancite da una legge, il provvedimento è una palese dimostrazione della scarsa benevolenza o della scarsa considerazione di cui le Forze armate godevano presso il Governo. Troppo lungo sarebbe citare esempi: basti dire che, secondo tale circolare, qualunque Commissario o Vicecommissario governativo precede il Capo di Stato Maggiore della Difesa e qualunque deputato o senatori'.! isolato passa avanti ai generali od ammiragli del grado massimo. Il Ministro della Difesa del tempo, che prendeva molto a cuore gl'interessi delle Forze armate, prescrisse che la circolare non venisse applicata da parte delle autorità militari, quasi che queste potessero, nel corso di cerimonie ufficiali, fare a gomitate con le favorite autorità civili. Da allora sono passati molti anni: la circolare, nonostante i numerosi inconvenienti che ha provocati, non è stata né annullata né modificata. Se volessi lanciare il solito sguardo comparativo in casa d'altri potrei rilevare che nell'Unione sovietica le alte gerarchie militari godono di grande prestigio e sono investite di elevati incarichi politici e di governo; che negli Stati Uniti d'America i generali ed ammiragli che escono dal servizio dopo aver esercitato le più importanti cariche militari sono ricercati ed assunti da grosse società industriali per la carica di presidente; che in Gran Bretagna i più alti gerarchi militari diventano automaticamente membri della Camera dei 37
I
I
l t
i
I I
!I
l
: II i
i J ) I
i
Lords; che i marescialli di Francia sono ammessi all'Accademia di Francia. Paragoni non certo vantaggiosi per l'alta gerarchia militare italiana! Un quinto elemento negativo è quello dell'insufficiente trattamento economico dei quadri, che è legato alla artificiosa ~d errata corrispondenza di gradi della gerarchia militare con quelle civili dello Stato (corrispondenza, come già ho accennato, tuttora esistente nella sostanza, anche se fo~malmente soppressa) ed a cui non è stato mai posto, dopo il secondo conflitto mondiale, un rimedio radicale. Gli ufficiali ed i sottufficiali delle Forze armate italiane non hanno mai nuotato nell'abbondanza. Nemmeno prima del fascismo, quando ancora non era stato inventato il parallelismo gerarchico. Ma allora la vita in generale era più facile e le esigenze individuali e di famiglia erano mino.ti; sicché gli asst:gni, razionalmente scalati in rapporto ai gradi ed alle relative responsabilità, potevano essere consideràti sufficienti anche se raffrontati a quelli di altre categorie di funzionari. Sufficienti pure, nel complesso, erano le 'pensioni attribuite agli ufficiali usciti dal servizio attivo. D'altra parte il prestigio di cui godevano gli ufficiali nella Nazione era abbastanza elevato, talché un semplice capitano in pensione (molti ufficiali erano colpiti dai limiti di età in questo grado) era rispettato e riverito e poteva sentirsi fiero della sua posizione sociale e non insoddisfatto del trattamento materiale. Di più, allora le precedenze fra le varie autorità statali erano stabilite in modo che quelle militari si trovassero sempre al posto giusto e rispondente alla dignità del grado ·e dell'incarico: per esempio, i Comandanti di Corpo d'Armata avevano sempre la precedenza sui Prefetti; il che· era logico dato che il territorio posto sotto la giurisdizione di un Comando di Corpo d'Armata comprendeva, come comprende oggi, più Prefetture. E néssuno può davvero tacciare di mi litarismo il sistema di monarchia costituzionale che vigeva aJlora in Italia! 0
38
Poi il parallelismo gerarchico, introdotto, come ·ho avut o occasione di mettere in luce, dal governo fascista, peggiorò la situazione e ad una errata corrispondenza di gradi, con danno dei quadri delle Forze armate, si aggiunse una errata {nello stesso senso) corrispondenza di trattamento economiico. Dopo la seconda guerra mondiale i Governi che si sono succeduti in Italia hanno dovuto periodicamente affrontare il problema delle retribuzioni degli statali; molte volte sotto 1a pressione di richieste perentorie o di scioperi. Il personale dvile dipendente dello Stato può infatti valersi, per sostenere i propri diritti ed interessi dei vari sindacati e ricorrere in casi estremi all'arma dello sciopero. Di questa non hanno esitato a servirsi ripetutamente, oltre a molte altre categorie, i professori e perfino i magistrati. E' ovvio che i militari non possano né debbano utilizzare mezzi del genere. Il risultato è che essi sono i grandi dimenticati e che tutti i provvedimenti intesi ad aggiornare i loro stipendi e le ,loro indennità sono sempre riusciti tardivi ed insufficienti. La stessa indennità militare (a scopo di semplicità non ne nomino altre rimaste alle misure ·del 1938! ), che dovrebbe servire a compensare le maggiori spese di vestiario e di rappresentanza e quelle conseguenti ai numerosi trasferimenti, non è mai stata rivalutata in misura adeguata ed è stata neutralizzata da altre indennità o da premi con:cessi agl'impiegati civili dello Stato.· L'assillo di economizzare il più possibile ha fatto sì che gli assegni, anziché logicamente differenziati secondo i gradi e le responsabilità, risultano demagogicamente appiattiti fra i vari gradi ed una sola differenza esageratamente ed ingiustamente accentuata, perché non derivante da differénza di prestazioni e talvolta anzi, in rapporto inverso all'entità delle prestaziòni, è quella che ,distingue il trattamento economico degli ammogliati da quelfo dei celibi. · Potrebbe sembrare conveniente che, ai fini economici, le gerarchie militari fossero" iriteramentè ·sganciate dalle altre 39
gerarchie statali, analogamente a quanto ha ottenuto la magistratura. Questa soluzione sarebbe teoricamente la migliore, non solo perché sui quadri incombe un dovere ( quello di preparare ed assicurare la difesa della Patria) almeno altrettanto elevato quanto quello di amministrare la giu~tizia,. ma anchè perché essi sono soggetti a limitazioni e sacrifici assai diversi e più gravi di quelli addossabili a qualsiasi impiegato statale; per esempio, essere disponibili per il servizio in qualunque ora del giorno e della notte, partecipare di giorno di notte a manovre ed esercizi gravosi e pericolosi, non poter svolgere attività · renumerative all'infuori di quelle strettamente professionali. Ma per sganciarsi dal complesso statale e far categoria a sé occorrerebbe ai militari che la situazione fosse matura e le intenzioni dell'ambiente politico fossero veramente favorevoli e sicure ( del che c'è motivo di dubitare) o, quanto meno, che essi ottenessero solide e chiare gara11zie in partenza · circa miglioramenti futuri in concomitanza· con eventuali aumenti di assegni per gli altri statali. Senza di ciò i militari, anche avendo . ottenuto un congruo trattamento iniziale, correrebbero il rischio di non essere rlcordati in avvenire, tutte le volte che venissero concessi miglioramenti ad altre categorie. In passato, purtroppo, l'agganciamento è stato utile perché è servito a conseguire quel 'minimo di periodico aumento di assegni, corrispondente al'ì'aumento del costo della vita, di cui probabilmente, senza l'agganciamento, i competenti organi di Governo avrebbero fatto a·meno. · · Un aspetto particolare dell'insufficiente trattamento economico è di solito poco conosciuto. Gli ufficiali delle tre Forze armate costituiscono gerarchie che possono essere configurate come piramidi acutissime: la selezione è fortissimà, talvolta addirittura dolorosa (ma non se ne può fare a meno) lungo il corso della carriera, e sempre più numerosi man mano che salgonò .nella gerarchia sono gli ufficiali che devono laséiare i1 ·servizio, a comiriciare dàl grado di ·capitano,
e
I
I l
40
per limiti di età. Questi variano, secondo i gradi, le Armi ed i Corpi non combattenti, fra un minimo di 45 ed un massimo, per i Servizi e per talune categorie di tecnici, di 65 anni (e questi limiti non potrebbero, senza inconvenienti, essere sensibilmente aumentati). In relazione alla esiguità _degli assegni di servizio, che non sono sufficienti ad assicurare un dignitoso tenore di vita per i gradi meno elevati, il trattamento pensionistico, anche se temperato nei primi anni da provvedimenti amministrativi mitigatori, è, per i gradi bassi e medi, miserevole e costringe gli interessati (che non hanno la possibilità di transitare in carriere civili dello Sta7 to) alla ricerca affannosa di un'occupazione qualsiasi, anche se poco dignitosa, per poter sbarcare il lunario e mantenere alla meglio la famiglia. Gli impiegati civili di qualsiasi amministrazione statale rimangono invece, nella peggiore delle ipotesi, in servizio fino al sessant8cinquesimo anno di età anche se saltati all'avanzamento, · e, guadagnando ad ogni biennio uno scatto di stipendio, finiscono col godere di un trattamento di pensione che nella maggioranza dei casi risulta superiore a quello degli ufficiali dei gradi corrispondenti. Considerazioni analoghe potrebbero essere fatte a proposito del trattamento economico dei sottufficiali sia durante il servizio attivo sia dopo il collocan:iento in congedo. Un sesto elemento alla fine del secondo conflitto mondiale sopravvenne con influenza negativa sul morale delle Forze armate tradizionali; l'inclusione fra queste, in forza di leggine varate alla chetichella, della Guardia di Pubblica Sicurezza con tutte le sue varie specialità e del Corpo degli agenti di custodia, che in passato erano sempre stati considerati Corpi ormati dello Stato. La Guardia di Finanza era già formalmente entrata da molti anni nel novero delle Forze armate ed aveva onorevolmente partecipato _con alcuni reparti a combattimenti nella prima e nella seconda guerra mond{ale. 41
11
Lungi da me l'intenzione di sminuire le benemerenze dei Corpi che ho dianzi nominati; ma non v'è dubbio che il loro compito istituzionale sia sostanzialmente diverso da quello principale delle Forze armate vere e proprie, che consiste nella difesa delia Patria contro il nemico esterno. Il previsto concorso di unità della Guardia di pubblica Sicurezza (come d'altronde della Guardia di Finanza) alla difesa territoriale in caso di guerra costituisce forma d'impiego episodica ed eventuale, se non proprio eccezionale, e non in tacca la verità della mia affermazione. Le Forze armate del resto, ed in particolare l 'Eserdto, hanno per compito sussidiario ed aggiuntivo quello del mantenimento dell'ordine interno, in concorso con la Guardia di pubblica Sicurezza e con la Guardia di Finanza. L'inclusione di Corpi armati dello Stato tra le Forze armate si è risolta in una non necessaria inflazione di queste, resa più acuta dalla tendenza di essi, come avrò occasione di lumeggiare in seguito, a gonfiarsi, ed ha reso più difficile la .soluzione dei problemi cronici (cominciando da quello del trattamento economico dei quadri) che affliggono l'Esercito, la Marina e l'Aeronautica. Taluno vorrà forse obiettare che io mi occupo un po' troppo di questioni cho:! riguardano esclusivamente la situa.zione morale e materiale dei quadri di carriera. Non mi è ,difficile rispondere che l'efficienza delle Forze armate si basa in gran patte sulla saldezza ed efficacia del loro inqua.dramento. Ovviamente in questo inquadramento le strutture essenziali sono rappresentate dai quadri di carriera : que.sti, in ogni Forza armata, assolvono la funzione che, negli ,edifici di cemento armato, è riservata alle armature di ac,ciaio. Prevedendo un'altra probabile obiezione, nego di voler ,di proposito e con visione unilaterale e t istretta delle cose estrarre soltanto gli elementi negativi dalla storia dell'orga.42
nizzazione delle nostre Forze armate dopo il 1945. Se cosi facessi dovrei veramente esser tacciato cli palese parzialità. Desidero invece ricordare anche gli elementi positivi, la cui realizzazione è dovuta all'iniziativa od alla sanzione · cli uomini cli Governo. Tali elementi sono essenzialmente tre. Anzitutto l'ingresso dell'Italia nell'Alleanza atlantica, il quale ha rappresentato una svolta cli capitale importanza non solo nella politica estera del nostro Paese ma altresl nella ricostruzione delle nostre Forze armate perché, come ho già accennato, ha consentito, grazie alla cessione cli notevoli quantitativi di materiali bellici da parte degli Stati Uniti cli America, un forte acceleramento ed un incremento perfino eccessivo dell'opera di riorganizzazione. In secondo luogo una innovazione, proposta dai Capi militari ed accolta dai Ministri, circa il criterio d'impiego delle Forze armate, ed in particolare dell'Esercito, per fini di ordine pubblico. Memre in passato si usava ricorrere, per esigenze di scarso rilievo e vorrei dire ad ogni stormir di fronde, a reparti delle varie Armi dell'Esercito, che venivano adibiti a gravosi e spesso avvilenti servizi (cli pattugliamento, di piantonamento, di formazione di cordoni, cli logorante attesa in locali o cortili di edifici pubblici od in caserme), si ottenne a poco alla volta che i servizi di carattere normale o non eccezionalmente grave fossero affidati esclusivamente alle forze di polizia (compresi fra queste i Carabinieri i quali costituiscono la prima Arma dell'Esercito) e che le altre Armi dell'Esercito intervenissero solamente in casi straordinari e con forme d'impiego adeguate (per esempio, non per costituite cordoni allo scopo di arginare le folle di dimostranti). Ciò fu da un lato · molto utile perché contribui a non distogliere la maggior parte dei reparti dell'Esercito dalla sua fondamentale funzione in tempo di pace, quella dell'addensamento per la guerra, ed a tenerla il più possibile lontana da manifestazioni brutali di lotta fra partiti e fazioni o cli sovversivismo contagioso; d'altro lato con43
.I
I,
I
If .
corse ad aumentare, in misura probabilmente eccessiva come avrò modo cli illustrare in seguito, le forze di polizia. Ritengo che, in definitiva, il vantaggio per l'Esercito sia stato maggiore del clanno. Cito infine, come terzo provvedimento positivo, quello adottato quasi cli sorpresa nel febbraio 1947, che creò un Ministero della Difesa unico in luogo dei tre preesistenti Ministeri della Guerra, della ·Marina e dell'Aeronautica. A dire il vero, piuttosto che di unificazione di Ministeri bisognerebbe parlare di unificazione di Ministri. Il provvedimento infatti si limitò allora a nominare, nell'occasione della formazione di un nuovo Gabinetto in conseguenza di una delle solite crisi cli Governo, un solo Ministro invece di tre; la struttura dei tre organismi amministrativi e burocratici ed i locali in cui questi erano installati rimasero quelli di prima, anche se le denominazioni si trasformarono, non certo radicalmente, in quelle di Ministero Difesa Esercito, Ministero Difesa Marina, Ministero Difesa Aeronautica. Non credo di essere troppo maligno o lontano dal vero asserendo che il Governo del tempo tendesse, più che allo scopo sostan~ ziale di ricavare dalla unificazione dei tre Ministeri una economia di denaro ed una maggiore efficienza complessiva delle Forze armate, a quello di ridurre, per motivi demagogici ed· in un periodo di depressione patriottica, le impalcature militari. Da allora ben poco si è unificato o fuso degli organismi delle tre Forze armate e si sono anzi create nuove sovrastrutture, rese necessarie dall'unicità del Ministero e dall'evoluzione delle esigenze. Su questo argomento mi soffermerò più avanti, in &ede adatta. Qui desidero porre in evidenza che negli anni successivi al 1947 il Ministero unico ha prodotto un grande beneficio: un maggiore accostamento, una maggiore conoscenza reciproca delle tre Forze armate. Con questa approfondita conoscenza sono state altresì poste le· premesse per una effettiva fusione od unificazione, che sinora ·non è stata compiuta, degli elementi delle tre Forze
44
armate (e delle loro Amministrazioni) destinati alla stessa funzione. Questa impommte e redditizia operazione di unificazione o di fusione, pur essendo difficile e non scevra di reazioni e di contrasti, è possibile e consigliabile (non mancherò di ribadire questo concetto): certo richiede Capi illuminati e provvisti di forte volontà.
45
!
l
il
,,' ,{ I , I
III Permane la necessità di una difesa organizzata. - Non conviene una linea politica di neutralità o di neutralismo. - La questione del disarmo. Dopo aver descritto a grandi tratti le condizioni in cui la ricostruzione delle Forze armate è stata effettuata ed aver elencato alcuni dei più importanti provvedimenti legislativi e governativi o delle omissioni di provvedimenti che la favorirono o la ostacolarono, vorrei ora passare all'esame dell'attuale organizzazione della difesa nazionale e delle Forze armate per rilevarne caratteristiche, difetti e lacune, per individuare le cause delle manchevolezze e per indicare il lavoro che occorrerebbe svolgere allo scopo di eliminarle e di raggiungere un soddisfacente livello di .efficienza. Ma prima ritengo opportuno dis-::utere una questione di principio, che non è di carattere esclusivamente militare, perché tocca anche il campo dell'alta politica. La questione è la $eguente: « E' tuttora necessaria una difesa organizzata? » E' ovvio che se La risposta dovesse essere negativa, se ne dovrebbe dedurre un doloroso corollario: che le non poche centinaia di miliardi finora assorbite annualmente dai bilanci militari sono state gettate al vento e che assai più vantaggioso sarebbe stato e risulterebbe per l'avvenire il destinarle ad investimenti altrimenti produttivi. Mi ritorna qui alla mente la oltraggiosa e menzognera qualifica di « improduttive » affibbiata alle spese militari, in epoca lontana (prima della prima guerra mondiale), da rappresentanti di quei partiti 47
11
II
I
1
I
.)
I
il
I \'
r
antimilitaristi di cui non si è mai verificata l'assenza, in regime di libertà, nel Parlamento italiano. Nel caso ipotizzato (di risposta negativa) stimerei inutile la prosecuzione di questo lavoro e rimpiangerei il tempo impiegato e la fatica, d'altronde non grave, sopportata per condurlo sino a questo punto. Se invece la risposta fosse affermativa, emergerebbe in conseguenza la necessità di dedicare all'organizzazione della difesa tutti i mezzi finanziari e tutti gli sforzi indispensabili per ottenere un risultato proporzionato alle esigenze da soddisfare. Non credo che occorra spendere troppe parole per dimostrare che ogni nazione desiderosa di garantire la propria indipendenza e di assicurarsi un minimo di prestigio in campo internazionale non può fare a meno di organizzare nel miglior modo possibile la propria difesa armata. In un mondo tuttora sottoposto alla tensione della guerra fredda ed alla ricorrente minaccia di uno spaventoso conflitto totale senza esclusione di colpi, in un mondo qua e là usurato da guerre limitate e localizzate e permanentemente scosso da profondi contrasti di interessi e di ideologie, una nazione d.tsarmz;ta farebbe la 'figura e prima o poi la fine del vaso di coccio fra i vasi di forro. In questi ultimi anni persino i paesi sottosviluppati hanno dimostrato di non essere insensibili ai richiami ed agli stimoli dell'amor patrio e dell'orgoglio nazionale e di non essere alieni dal ricorso alle armi per difendere o far prevalere i propri diritti ed i propri punti di vista in questioni eh.è tocchino l'onore della bandiera. D'altra parte, se è vero che il cosiddetto deterrente nucleare ha grandemente ridotto la probabilità dello scoppio di un conflitto totale, ritengo azzardato affermare che esso ha eliminato tale probabilità. Può succedere che gli avvenimenti, per cause o per errori imprevisti· ed imprevedibili, prendano la mano agli uomini, o che questi, spinti dallà disperazione o dalla follia, scatenino il paventato conflitto totale. Questo enorme pericolo si va attenuando da un lato col
j
48 IJ
1:
miglioramento di relazioni in corso fra Stati Uniti d'America ed Unione sovietica; si accentua d'altro lato con l'irrigidimento del dogmatismo cinese contro l'ammorbidimento rus_so e con la prevista proliferazione di armi nucleari nel mondo. Inoltre nulla induce a ritenere che vada scomparendo la pos.sibilità di guerre limitate e localizzate. Anche se la tempef atura della guerra fredda pare si vada lentamente mitigando, anche se qualche accordo marginale fra le grandi Potenze .che guidano i due blocchi contrapposti è stato realizzato, .r imangono insoluti i grossi problemi di politica internazionale lasciati in eredità dal secondo conflitto mondiale ed altri .se ne sono aggiunti nel dopoguerra. Così il problema di Berlino, così quello più vasto delle due Germanie, così la situazione instabile, per non dire esplosiva, del medio Oriente, ,quella difficile ed in continua pericolosa evoluzione dell'Asia sud orientale; così la non ancora chiarita questione di Cuba -ed a tutto questo si aggiungono i fermenti nazionalistici, suscettibili di parossistiche acutizzazioni, di alcuni Stati africani _pervenuti di recente all'indipendenza. Sino ad oggi nessun elemento concreto è intervenuto a .modificare questo stato di fatto tradizionale: nell'ossatura di ogni individualità nazionale la spina dorsale è rappresentata ,dall'organizzazione della difesa e, concetto questo che ho già .avuto l'occasione di esporre, in campo internazionale ciascuno Stato ha importanza e potere condizionati dalla quantità ,di forza disponibile. Senonché il costo degli armamenti in previsione della _guerra moderna è diventato talmente elevato e gl'interessi in contrasto nel mondo tanto grandi e complessi che una na.zione di piccola o di media entità non può più illudersi di .assicurare con le sole proprie risorse la propria difesa né permettersi, in conseguenza, di condurre una politica estera autonoma. Ecco la necessità delle alleanze. Qui si ripresenta il destro di ribadire la convenienza, e potrei anche dire la ·necessità, per l'Italia di far parte dell'Alleanza atlantica e di 49
I
I
[
I
I
I
I
I,
inserire il problema della difesa nazionale in quello più vasto. della difesa del mondo ocddentalei Potrei così dare per dimostrata la necessità di una efficiente organizzazione della difesa ed iniziare l'esame di quan° to, in materia, esiste in Italia, se non mi sembrasse opportuno trattare prima in breve due argomenti che ricorrono frequentemente nella stampa quotidiana e nelle discussionì di natura politica. Uno è quello del neutralismo o della neutralità, l'altro è que11o del disarmo. Sotto forma di problemi i due argomenti potrebbero essere così presentati da fautori di determinate tendenze politiche o da pacifisti ad oltranza. Quale membro di un'alleanza l'Italia si è decisamente schierata in uno dei due gruppi di Potenze contrapposti nel gioco di interessi mondiali e si è assunta oneri militari più .gravosi di quelli che le spetterebbero in ragione dei suoi in~ teressi nazionali: non le converrebbe seguire invece una linea di neutralismo passando a far parte del gruppo dei co~ siddetti terzaforzisti o neutralisti? In un periodo in cui quasi tutti i paesi tendono alla realizzazione del disarmo, in cui il disarmo viene sbandierato da capi di Stato e di Governo e discusso in assemblee e comitati internazionali, conviene all'Italia perdurare nel mante: nimento di costose Forze armate o non piuttosto alleggerire le spese militari? Considero il primo problema. Riconosco che neutralismo non equivale esattamente ' a neutralità; tuttavia vi è molto vicino. Neutrali in senso assoluto sono la Svezia e la Svizzera; neutralisti e terzaforzisti sono, ad esempio, la R .A.U., la Jugoslavia, l'India e l'Indonesia. La storia recente ha largamente dimostrato che la neutralità non è uno schermo sufficiente a garantire l'inviolabilità territoriale e l'indipendenza; lo hanno provato a loro spese . il Belgio (in entrambe le guerre· mondiali), la Norve gia e l'Olahda · (nella seconda guerra m.bntliale;, tant o che 0
50
hanno rinunciato per l'avvenire alla vernice della neutralità ed hanno preferito prender posizione sin dal tempo di pace in uno dei due blocchi di Potenze che si fronteggiano. Per avere qualche probabilità di salvaguardare la propria neutralità occorre la disponibilità di poderosi armamenti: nel secondo conflitto mondiale la Confederazione elvetica salvò neutralità ed indipendenza perché i sacrifici necessari per la conquista furono dalla Germania hitleriana giudicati eccessivi in confronto ai vantaggi conseguibili. Non intendendo citare fastidiosi dati numerici, mi limito a rilevare che, in rapporto alla popolazione ed alla potenzialità economica dei singoli paesi, la Svezia e la Svizzera spendono per le loro Forze armate somme molto più ingenti che l'Italia. E con sacrifici finanziari così gravi non è affatto sicuro che, in caso di conflitto generale, la Svezia riuscirebbe a garantire l'immunità del proprio territorio contro attacchi dall'esterno ed a restar fuori dalla mischia perché la sua ubicazione ha valore strategico tale da poter costituire una tentazione per quello fra i contendenti che fosse più pronto, più ricco di carica aggressiva e più povero di scrupoli. L'Italia, con la sua porzione settentrionale e continentale inserita nell'Europa centrale e con la porzione peninsulare gettata attraverso al Mediterraneo, in direzione della penisola balcanica, del Medio Oriente e dell'Africa settentrionale, ha una posizione geografica altrettanto e forse ancora più importante sotto il punto di vista strategico. Lo dimostra la storia, dalla caduta dell'impero romano all'èra moderna, illustrando come il territorio italiano sia stato per secoli calpestato ed invaso da orde barbariche e da eserciti stranieri che intendevano valersene come di paese di conquista o come di campo di battaglia. Se l'Italia volesse essere neutrale ed assicurare la propria neutralità, dovrebbe pagare un premio assai ingente senza raggiungere un grado molto elevato di sicurezza: tanto per esemplificare, un bilancio della difesa almeno tre volte più grande di quello attuale. Non sembri 51
II I
esagerata l'affermazione: si tenga presente che l'Italia dovrebbe mantenere Forze armate più consistenti di quelle di cui oggi dispone, allestire ed acquistare con le sue sole risorse tutte le armi e tutti i mezzi bellici convenzionali neçessari (compresi quelli che le sono stati forniti sinora dagli Stati Uniti d'America in virtù di un patto di mutua assistenza e quelli per cui è previsto l'intervento di più dotate forze alleate in caso di guerra) e cercare altresì di procurarsi in avvenire, come finiranno probabilmente col fare la Svezia e la Svizzera, missili tattici e cariche nucleari, per cui oggi è previsto che provvedano membri più potenti dell'Alleanza. A meno di non esporre il nostro Paese, inerme od insufficientemente armato, alle previdibili burrasche derivanti da un eventuale conflitto e ad inevitabili insuccessi di politica estera in tempo di pace e di guerra fredda. Scartata la neutralità, rimane da considerare il neutralismo. Si tratterebbe di navigare fra le due coalizioni, senza impegnarsi né con l'una né con l'altra e cercando di sfruttare situazioni e circostanze contingenti a proprio vantaggio. Il discorso non è molto diverso da quello fatto per la neutralità. Ammesso che una probabilità, sia pure piccola, di conflitto generale esista e che l'Italia, nel deprecato caso in cui tale conflitto scoppiasse, correrebbe serio rischio, a causa della sua posizione geografica, di esservi coinvolta, sarebbe per essa necessario, come nel caso della neutralità dichiarata, cercare di garantire la propria indipendenza e la propria libertà di decisione e di intervento con una organizzazione della difesa cosl forte da incutere rispetto ai contendenti. Donde la necessità di un sforzo militare assai poderoso. D'altra parte la via del neutralismo o del terzaforzismo è quella scelta da paesi che non hanno od hanno scarsi interessi europei o che, usciti da un regime coloniale, hanno recentemente ottenuto l'indipendenza; essi generalmente ap52
partengono alla categoria dei sottosviluppati. Pur avendo, in seno all'organizzazione delle Nazioni Unite, un seggio in tutto e per tutto uguale a quello delle nazioni più mature e più potenti, questi paesi seguono per lo più una politica incerta e mutevole. Alcuni fra essi (superfluo far nomi) si appoggiano ora a destra ora a sinistra, cercando di guadagnare aiuti· da una parte e dell'altra e non disdegnando talvolta di ricorrere a colpi di forza, interni od esterni, per bruciare le tappe, soddisfare aspirazioni nazionalistiche o rinsaldare, indirizzando l'attenzione popolare su determinati obiettivi, la situazione politica. Ota, l'Italia non ha forse interessi europei ben definiti e radicati? E perchè l'Italia, a cui è stato universalmente riconosciuto il merito di un miracolo economico e che è senza dubbio avviata sulla via del benessere materiale e di un sempre più vasto sviluppo industriale e commerciale, dovrebbe far comunella con la categoria dei sottosviluppati? Perché dovrebbe rinunciare a seguìre, in campo internazionale, una linea politica determinata e sicura? Forse per avere la facoltà di pencolare di qua e di là, secondo la convenienza del momento? Ma questo equivarrebbe ad uscire volontariamente dal novero delle Potenze capaci di far sentire la propria parola e di tenere alta la propria bandiera pet accostarsi ad una sottospecie di colore incerto, col risultato di attirarsi, molto probabilmente, l'avversione da una parte e dall'altra e di trovarsi esposta ai colpi più tremendi il giorno i~ cui malauguratamente scoppiasse la guerra. L'esempio dell'India, che verso la :fine del 1962 si trovò esposta all'aggressione della Cina comunista in delicate zone di frontiera, è in proposito significativo. Riassumendo: nel caso in cui si volesse seguire una politica di neutralità o di neutralismo, a prescindere da altre considerazioni relative all'interesse ed alla dignità nazionale, occorrerebbero sforzi militari ingentissimi per avere qualche probabilità di evitare aggressioni, ed il risultato di tali sforzi
I
lf
sarebbe aleatorio, giacché, come ho già rilevato, nessuna na'zione di piccola o di media entità è oggi in grado di approntare con le sue risorse tutti i costosi mezzi necessari per una efficiente organizzazione della difesa. Circa gli oneri militari inerenti alla partecipazione al patto atlantico, non è inutile porre in evidenza che gl'impegni assunti dall'Italia coincidono nella massima parte con quelli relativi alla difesa del territorio nazionale e che, nel rendiconto complessivo, la somma di quanto si riceve è superiore a quella di quanto si dà. Passo alla questione del disarmo. Direi subito che il disarmo è un sogno irrealizzabile, una grande utopia se non temessi di essere tacciato di cinico pessimismo e di prevenzione gretta e magari interessata. Il fatto è che ai tentativi di accordo sul disarmo si ricorre (e finora senza successo) quando si rileva che gli sforzi per comporre le grosse vertenze ed i contrasti internazionali non giungono a buon fine. Visto che non si riesce ad eliminare sul piano politico le cause di conflitto, si cerca di evitare il conflitto stesso facendo scomparire i mezzi con cui si combatte, vale a dire le armi. Salta subito agli occhi la irrazionalità del procedimento. Sarebbe come voler togliere la rivoltella a due individui eccitati da reciproco odio e da divergenze di interessi: allorché la carica nervosa giungerà ad un livello incontenibile od uno dei due si riterrà gravemente offeso nell'amor proprio o danneggiato matel'ialmente, la rissa diventerà inevitabile e, in mancanza delle rivoltelle, i due si batteranno usando come arma qualsiasi oggetto adatto a colpire e contundere o sc~gliandosi in una lotta corpo a corpo basata sulla forza muscolare e sulla destrezza. Il fatto che da alcuni anni sono periodicamente in funzione commissioni internazionali, più o meno numerose, con l'incarico di studiare e concretare le modalità del disarmo non dimostra che l'accordo in merito sia possibile; se mai, ha dimostrato finora il contrario giacché l'accordo non è .54
stato raggiunto. Sinora i Governi degli Stati che detepg~:>no il potere nt1cleare, dopo .lunghissime trattative, sono riusciti a ~ettere all'attivo soltanto la creazione .di un collegamento diretto in telescrivente Washington-Mosca, avente lo scopo di ~yitare lo scoppio della guerra per errore, è l'accordo sull'abolizione delle esplosioni nucleari speritx1entali; abolizione che non è completa giacché le esplosioni sotterranee ne sono es.eluse e che non menoma in akun. modo gli arsenali di ordigni nucleari disponibili. Si tratta di quest.ioni assai meno gravi e più limitate di quella del disarmo. Non è · inutile d'altra parte tener presente che · in genere i membri delle nominate commissioni hanno l'interesse di conservare in vita il· più a lungo possibile l'organismo collegiale in seno al quale svolgono la loro attività anche quando si accorgano d~lla inutilità dei tentativi e siano persuasi che il loro l_avoro equivale a pestar l'acqua nel mortaio; l'interesse consiste in laute indennità corrisposte di solito in moneta pregiata. Non escludo, per non dare al mio discorso un'impronta pretta.Ql.ente arida e materialistica, che talvolta si aggiunga l'illusione di contribuire a mantenere in vita un lumicino di speranza per l'umanità. D'altronde è facilmente dimostrabile che un accordo sul disarmo è di realizzazione enormemente difficile e complicata. Anzitutto il .disarmo dovrebbe essere generale e controllato: dovrebbe cioè riguardare sia le armi nucleari e missilistiche, sia le armi convenzionali e, per essere sottoposto ~d un controllo veramente efficace, dovrebbe, in tutti i paesi ed in ciascuna delle sue fasi (ovvia la realizzazione per fasi), richiedere il funzionamento di commissioni miste che sorvegliassero non solo l'entità e la costituzione delle unità combattenti delle tre Forze armate, delle scorte· e dei magazzini e depositi, ma anche la produzione degli stabilimenti industriali idonei a costruire materiali bellici. Donde la necessità di una complessa e pesante bardatura di controllo, senza 55
r I
I
I
là quale troppo facile risulterebbe sfuggire agl'impegni sot-' toscritti. Ma tale bardatura non sarebbe prevedibilmente accettata dai vari paesi, in ispecie da quelli situati oltre la cortina di ferro, i quali amano scoprire la loro organizzazione difensiva (e non solo quella difensiva) col più geloso segreto : Frutto della diffidenza, che può essere più o meno giusticata. Ma finché sussista diffidenza non è possibile un accordo sul disarmo, e la diffidenza non può essere eliminata che mediante trattative politiche. Si ricade così nell'assiomatica affermazione che le guerre possono essere evitate solo\ sopprimendone le cause nel campo politico. In secondo luogo il disarmo dovrebbe interessare non soltanto le nazioni che fanno parte dell'organizzazione delle Nazioni Unite, anche se queste rappresentano la maggioranza, ma pure quelle che ne sono ancora escluse. O tutto il mondo o nessun paese. Al di fuori dell'ONU è tuttora la Cina comunista, la nazione più popolata del mondo, che,: nonostante periodiche carestie, sembra avviata su di un cammino di costante progresso, che costituisce per la sorte futura del mondo un elemento in buona parte misterioso ma indubbiamente di peso rilevante, che pare ci accinga a fare esplodere la sua prima bomba atomica e di cui la stessa Unione sovietica deve tenere gran conto. Il dissidio di natura ideologica e politica fra i due colossi del mondo comunista, venuto alla ribalta nell'anno 1962, ha accentuato l'importanza della parte rappresentata dalla Cina sulla scena mondiale. E' possibile stipulare un accordo sul disarmo senza includervi la Cina? Evidentemente no. In conseguenza, prima o contemporaneamente all'accordo sul disarmo, occorre ammettere nell'ONU i paesi che ancora non ne sono partecipi. Si tengano inoltre presenti le gravi difficoltà che bisognerebbe superare per estendere le regole e gl'impegni del disarmo a tutti i paesi afroasiatici di scarso sviluppo economico e civile, che hanno acquistato l'uno dopo l'altro l'in56
dipendenza e che devono. nello stesso tempo garantire il mantenimento dell'ordine più o meno costituito contro attentati interni ed influenze esterne. A quali di essi converebbe togliere e ridurre le armi ed a quali invece assegnarle? Infine è d'uopo ammettere che un completo ed efficiente sistema di controllo non sarebbe sufficiente per assicurare l'integrale applicazione di un accordo sul disarmo che si estendesse a tutti i paesi del -mondo, quali membri felici di una perfetta e totale organizzazione delle nazioni. Sarebbe riecessaria una forza internazionale per riportare all'ordine i trasgressori, allorché gli organi di controllo segnalassero, gravi infrazioni ed i colpevoli non intendessero porvi rimedio oppure quando un paese qualsiasi, utilizzando reparti di polizia (che non potrebbero evidentemente venire soppressi) od altri elementi armati comunque sfuggiti al controllo,. compisse un atto aggressivo. Questo strumento coercitivo,. nelle mani dell'ONU, dovrebbe essere costituito da contingenti delle tre Forze armate ed essere in grado di intervenire con la maggior possibile rapidità in qualsiasi punto del globo. Penso che non dovrebbe essere dotato di armi nucleari, non solo perché queste, per la buona sorte dell'umanità, dovrebbero essere integralmente soppr.esse, ma anche perché la dotazione di simili armi ad un organismo internazionale porrebbe in determinati settori nazionali questioni di sicurezza e di prestigio così ardue da dsùltare forse insolubili. Evidentemente la forza internazionale dell'ONU, anziché variabile e temporanea come quelle delle quali su scala ridottissima si è servita l'ONU in alcune circostanze del passato, dovrebbe essere stabilmente costituita ed opportunamente ripartita in varie zone del mondo, la cui ubicazione rispondesse a bene studiati criteri geografici, politici e strategici. Quindi tante armate (uso questo termine senza attribuirvi un significato dimensionale), composte di aliquote di forze terrestri, aeree e navali, opportunamente dislocate nei vari continenti. E qui si presentano· diversi problemi di una 57
difficoltà . veramente eccezionaJe. Quante ar~ate cosutwre e dove dislocarle? Con quanti e quali co.i:itingenti nazionali formarle? Come costituire i Comandi regionali?, A chi dovrebbero obbedire questi Comandi? Evidentemente ad un e:nte centr3:le e sovranazionale, incaric~to di stabilire e ordinare le sanzioni. Ma in che cosa consisterebbe questo ente? In una sola persona, . simile per esempio al Segretario generale dell'ONU? Certo no. Ad un organo collegiale si, mile all'Assemblea generale od al Consiglio di sicurezza dell'ONU? L'esperienza del passato non farebbe certo sperare bene circa l'efficienza di un organo siffatto. Ed in effetti non riesce facilmente concepibile come le Forze armate, che, soprattutto in caso .di emergenza, dovrebbero dipendere da un Comando unitario e di funzionamento snello, potrebbero attendere ordini chiari e tempestivi da un organismo nel quale si tentasse di conciliare gl'interessi di tutte le nazioni del mondo. In questa situazione quale Stato può sentirsi autorizzato a ridurre il proprio potenziale militare, con grave menomazione della propria capacità difensiva e della propria individualità politica? H:o cercato di dimostrare che la via della neutralità e del neutralismo, lungi dal condurre ad un alleggerimento dell'organizzazione di difesa e delle spese relative, finirebbe con l'imporre oneri militari assai più gravi di quelli attuali, e che il disarmo è una meta ideale, una bandiera sventolante nel cielo delle chimere e priva di un edificio solido su cui sia possibile fissarla. Può essere utile e confortante, ammettiamolo pure, che questa bandiera sia tenuta in vista delle masse anche se oggi e nel prossimo avvenire non si preveda di poterne ricavare risultati concreti. Come conclusione si può asserire che non esiste e non sta nemmeno comparendo all'orizzonte alcun elemento atto ad attenuare la necessità p~r l'Italia di una organizzazione della difesa la più efficiente possibile. 58
IV Le componenti civili della difesa nazionale. - Ciò che .è stato fatto all'estero e che non è stato fatto in Italia. - Difesa nazionale, problema globale: come affrontarlo in sede organizzativa.
Ho già accennato, nel primo capitolo, che il problema della difesa nazionale è diverso da quello dell'organizzazione delle Forze armate; che il primo comprende il secondo (e di questo è assai più vasto e complesso); che per fronteggiare la minaccia, periodicamente riacutizzantesi, di una guerra totale, occorre una preparazione che investa tutte o quasi tutte le attività, civili e militari, della Nazione. Volendo esaminare, rapidamente ma compiutamente, le varie componenti di quel complesso problema che va sotto la denominazione di « difesa nazionale », si può affermare che tali componenti siano le seguenti. Anzitutto la di.fesa militare, nella quale devono esser comprese un'adatta organizzazione delle Forze armate, la difesa aerea - contraerea - contromissili territoriale, la difesa territoriale contro nuclei di paracadutisti o, comunque, di incursori-sabotatori e contro quinte colonne. In secondo luogo la difesa civile ed economica, che una volta si chiamava « organizzazione della Nazione per la guerra » e che potrebbe anche essere denominata « organizzazione delle principali attività civili per la guerra ». Essa consiste in un complesso imponente di attività, che cercherò 59
11
I
I
i1j 'I . 11
di presentare, sia pure scheletricamente, ma in modo chiaro e per quanto possibile in forma gradevole. Nomino per prima la protezione civile, la quale ha per scopo di assicurare la sopravvivenza della Nazione contro le massicce offese nucleari, biologiche, chimiche e convenzionali dell'aggressore e che comprende l'organizzazione di un adatto sistema di allarme e di controllo del tasso di radioattività dell'atmosfera, la protezione (mediante ricoveri apportunamente allestiti e sfollamento dei centri abitati) dei singoli, di organismi importanti (a cominciare dal Governo), delle industrie e di altre attività essenziali contro gli ordigni, lanciati per mezzo di aerei o di missili e contro la radioattività conseguente alle esplosioni nucleari, nonché l'opera di soccorso e di bonifica (estinzione degl'incendi, sgombero, ricovero e cura dei feriti, sgombero dei cadaveri e delle macerie, decontaminazione di suolo e di materiali irradiati).
- Poi un'organizzazione economico-industriale, tale da fronteggiare le enormi esigenze (militari e civili) del tempo di guerra ed interessante sia la produzione sia l'accantonamento di opportune scorte di materie prime. - Poi un'organizzazione dei trasporti (ferroviari, stradali, aerei, marittimi e fluviali) che, tenuta presente la grande vulnerabilità degl'impianti fissi, consenta la disponibilità e l'impiego di mezzi di trasporto adeguati alle esigenze militari e civili, l'intercambiabilità e la reciproca integrazione dei trasporti ferroviari, per via ordinaria e, là dove possibile e necessario, per via marittima, aerea e fluviale, la pronta rimessa in efficienza dei tronchi e dei nodi ferroviari e stradali nonché dei porti, degli approdi e degli aeroporti danneggiati dall'offesa nemica.
-
Poi, avuto riguardo all'enorme estensione delle aree
investite dalle moderne operazioni di guerra, un'organizza-" zione delle telecomunicazioni che assicuri la tenuta in efficienza di reti di trasmissione opportunamente integrantisi e 60
tali da soddisfare, per quantità. e qualità, le esigenze militari e civili e da garantire efficace azione di comando e di governo. - Poi un'adatta soluzione, per il caso di guerra, del problema dell'alimentazione; soluzione che preveda e disciplini la formazione di scorte, la produzione, le importazioni ed i consumi. - Poi disposizioni che impongano e regolino razionalmente una disciplina di guerra in via generale ed il servizio dvile dei cittadini in particolare. A questo proposito è d'uopo riconoscere che la chiamata, l'addestramento e l'impiego di grossi contingenti di personale civile (eventualmente dei due sessi) per servizi essenziali di interesse pubblico sono necessari in caso di conflitto, possono esserlo e sono in ogni modo utili in caso di grave emergenza di pace. - Poi l'organizzazione della guerra psicologica o, se non si vuole usare la parola « guerra » per non spaventare i pacifisti ad oltranza ed i molti pavidi che fanno parte delle sfere dirigenti, l'organizzazione di un servizio di informazioni e propaganda atto ad influire, in senso opposto beninteso, sull'animo delle popolazioni e su quello del nemico ed eventualmente utile anche in tempo di pace per controbattere attacchi psicologici in clima di guerra fredda. Infine congrui provvedimenti finanziari e di bilancio per fronteggiare le eccezionali esigenze connesse all'emergenza bellica. Questa nuda elencazione dà un'idea approssimativa della vastità del problema della difesa nazionale. Che cosa è stato fatto in Italia? Molto ma non abbastanza nel settore della difesa militare; nulla o quasi nulla negli altri settori. Sulla ricostruzione delle Forze armate dopo il secondo conflitto mondiale ho già tracciato qualche rapido cenno; non mancherò di ritornare sull'argomento della difesa militare per 61
.t
l ~
\ l
I !
l •
l 1
I l
I J
I (
.J
I
esaminarne il reale stato di efficienza, individuandone punti di forza e punti di debolez.za. Qui non posso fare a meno di rileva:.:-e la gravità veramente impressionante (che risulta palese a chi esamini con obiettività e ponderazione lo stato di fatto in rapporto alle esigenze) della situazione negli altri settori. La protezione civile, che, affacciatasi sulla scena bellica nell'ultima fase della prima guerra mondiale, apparve necessaria durante la seconda e non trovò allora in Italia che un'applicazione imperfetta e spesso improvvisata sotto l'urgenza tragica del bisogno, a maggior ragione sarebbe indispensabile in un conflitto· futuro, e l'esigenza di preordinarla sin dal tempo di pace si manifesta come inderogabile ed impellente se si pone mente allo smisurato aumento di potenza dei mezzi di distruzione ed alla eventualità, considerata come probabile da organi interalleati di comando e di governo responsabili, che il conflitto scoppi repentinamente senza concedere il tempo a misure dell'ultima ora. L'organizzazione della protezione civile ha un'importanza pari a quella delle Forze armate, e la sua importanza non è soltanto materiale ma anche morale, giacché contribuisce potentemente a mantenere saldo il fronte interno. Se, in caso di conflitto, questo fronte crollasse, a nulla varrebbero forze militari ben dotate di armi e di equipaggiamento e bene addestrate: la partita sarebbe irrimediabilmente ·perduta. Un'efficiente organizzazione di protezione civile risulterebbe necessaria anche se l'Italia non fosse direttamente coinvolta nel conflitto e riuscisse stranamente a mantenere un atteggiamento, neutrale o neutralistico, di non belligeranza, perché, senz·a considerare la probabilissima ipotesi di esser soggetta in secondo tempo ad inopinate aggressioni, risulterebbe in ogni modo esposta alle radiazioni letali che sarebbero causate dalle numerosissime esplosioni nucleari e che si estenderebbero sulla maggior. parte del globo terracqueo. 62
Senza contare che tale organizzazione sarebbe utile altresì in tempo di pace, nell'occasione di calamità pubbliche. Quasi tutti gli Stati membri dell'Alleanza atlantica (in maggior grado i principali che dispongono di mezzi più larghi e che hanno un maggior carico di responsabilità) hanno provveduto ad organizzare la protezione civile e ne controllano il grado di efficienza con apposite esercitazioni, talune delle quali (per esempio, negli Stati Uniti d'America) hanno vasta risonanza. Particolare sviluppo l'organizzazione della protezione civile ha avuto nei Paesi scandinavi membri dell'Alleanza: Norvegia e Danimarca. Così pure In Olanda. Qualche cosa di simile accade negli Stati del blocco sovietico. Misure adatte a proteggere le popolazioni e gli uffici pubblici vengono adottate anche in paesi neutrali: in Svezia, in Svizzera e da qualche tempo perfino in Austria, dove è previsto che gli edifici di nuova costruzione abbiano un ricovero munito di determinati requisiti. Orbene, se si facesse una graduatoria delle principali nazioni del mondo prendendo come elemento di misura lo stato di sviluppo e di efficienza della protezione civile, l'Italia occuperebbe, purtroppo, uno degli ultimi posti. Alcuni studi sporadici e qualche esile tentativo iniziale di realizzazione sono stati compiuti nell'ambito del Ministero dell'Interno per opera di pochissimi volenterosi, che, vincendo incomprensione, scetticismo ed inerzia, sono riusciti a gettare un seme di scarsa vitalità in terra arida. Progetti di legge sull'argomento, nel corso degli ultimi anni (e forse sarebbe più esatto dire degli ultimi lustri), sono stati presentati al Parlamento, ritirati, modificati, ripresentati senza trovare uno sbocco, incontrando anzi ogni volta un progressivo e tenace insabbiamento, dopo che su di essi si ·e rano intrecciate lotte di partito e gelosie di categorie diverse (da una parte aspiranti funzionari civili e vigili del fuoco e dall'altra ufficiali in congedo, che sarebbero in verità preparatissimi ad impieghi nell'ambito della 'protezione civile) ed avevano giocato più interessi parti63
I I 'I
I
I
11
'i!
)!
.colaristici che l'interesse nazionale. Si potrebbe aggiungere che ogni edizione di questi progetti di legge si è rivelata più schematica ed imperfetta e meno efficace della precedente perché -compilata in termini più ridotti e modesti, forse allo scopo di .non urtare la suscettibilità di alcuno e di passare possibilmente inosservata. Le questioni della disciplina di guerra e del servizio civile, .secondo quanto mi risulta, non sono state poste sul tappeto, mentre, ovviamente, le leggi o i decreti-legge, residuati del.l'epoca fascista, che ne trattavano hanno perso ogni validità. E sembra che non se ne voglia sentir parlare: neppure un provvedimento parziale, quello della militarizzazione del personale addetto ai servizi pubblici essenziali in caso di emer_genza (guerra o gravissimi perturbamenti dell'ordine pubbli·CO), è stato mai presentato, come modesto anticipo, all'esame del Parlamento. Non è stata neanche varata o compilata al.cuna disposizione legislativa che regoli ed in qualche modo .limiti il diritto di sciopero, ed in caso di scioperi dei pubblici servizi si continua a fare affidamento, per rimediarvi in qualche modo, sulle Forze armate (che, fra l'altro, avrebbero ben altre missioni da assolvere in situazioni di emergenza) senza tener presente che queste sono per la massima parte ,costituite da cittadini in servizio di leva, i quali dovrebbero esser tenuti lontani dai campi delle scottanti lotte politiche -e sindacali ed impiegati negl'istituzionali compiti militari. · Il servizio civile e la disciplina di guerra sono elementi .di notevole importanz,1 ai lini della protezione civile ed hanno attirato l'attenzione degli organi responsabili e competenti ,e trovato applicazione nella maggior parte degli Stati aderenti all'Alleanza· atlantica ed al patto di Varsavia. In quanto .a l servizio civile, l'esperienza ha consigliato ovunque di renderlo obbligatorio, eccetto che in Gran Bretagna, dove vige in materia una radicata e nobile tradizione di volontariato. Organizzazione delle industrie, dei trasporti, delle tele,comunicazioni, dell'alimentazione, del bilancio e delle fìnan-
ze, del servizio informazioni e propaganda per il caso di guerra ... Siamo in Italia a livello assai prossimo allo zero in fatto di realizzazioni, e se qualche risultato si è ottenuto, limitatamente al fine di ottenere la collaborazione di Amministrazioni civili al soddisfacimento di esigenze militari in materia di trasporti e di telecomunicazioni, lo si deve all'iniziativa ed all'attività dell'Autorità militare ed alle volonterose prestazioni di alcuni funzionari civili. Di studi sì ne sono stati fatti in quantità notevole. Non voglio qui negare l'opportunità di sottoporre problemi importanti allo studio di persone idonee o di organi collegiali ma non posso tacere il fenomeno che accade frequentemente in tema di difesa: quando manca l'organo competente a decidere e provvedere o la volontà. di realizzare, si crea un comitato, il quale raccoglie ed esamina documenti e materiali di studio e compila proposte e progetti, destinati per lo più a raccogliere polvere in qualche scaffale od a giacere nel fondo di una cassaforte come in una tomba. Senza citare altre nazioni, ricordo che nella Germania occidentale, nel paese cioè che per ultimo è entrato nell' Alleanza atlantica e che fra i membri della stessa Alleanza ha cominciato per ultimo a riarmarsi superando enormi difficoltà di carattere politico e sociale, si vanno rapidamente realizzando efficaci e multiformi provvedimenti relativi alla difesa civile. Per quanto riguarda gli argomenti che ho qui trattati, vale a dire ·gli aspetti non militari della difesa nazionale, sarebbe veramente azzardato affermare che esistono oggi in I talia gli organi capaci di decidere e realizzare e la volontà di provvedere. Il più elevato organo che in materia di difesa nazionale determina criteri e fissa direttive è il Consiglio Supremo di Difesa, creato nel 1950, presieduto dal Presidente della Repubblica e composto dal Presidente del Consiglio, da alcuni fra i Ministri più autorevoli e più interessati al problema del65 5.
la difesa e dal Capo di Stato Maggiore della Difesa. Non intendo certo avventurarmi in discussioni di carattere giuri~ dico sulla natura delle funzioni (consultive o deliberative) che, mentre la responsabilità di governo ricade sull'Esecutivo, la presenza del Capo dello Stato come Presidente, attrj~ buisce al Consiglio Supremo e ne riconosco in pieno, secondo la lettera della legge, la facoltà deliberativa. Ma questo Supremo Consesso, che del resto, per forza di-cose, si riunisce molto raramente (tre o quattro volte all'anno), pur avendo il potere di decidere ed emanare direttive su questioni di grande importanza, non è in condizioni di esercitare un'azione efficace di controllo e di coordinamento. Per di più, dall'epoca della sua costituzione, l'incarico di segretario è esercitato da un parlamentare, assorbito da tante altre occupazioni e privo di quell'ufficio di segreteria che pure è previsto dalla legge istitutiva. Il che attenua ulteriormente l'efficacia dell'opera svolta dal Consiglio Supremo. Un segretario che potesse dedicarsi interamente all'incarico, che vi fosse particolarmente preparato e che disponesse di una segreteria capace e funzionante (magari un generale con adatti collaboratori, analogamente a quanto era stato messo in pratica nella Commissione Suprema di Difesa dell'epoca fascista) potrebbe svoigere utilissima opera di raccolta ed elaborazione degli elementi da sottoporre ad esame e decisioni nonché di coordinamento delle deliberazioni e di avviamento all'attuazione, con notevole vantaggio nei riguardi della incisività di azione dèl Consiglio Supremo. Inoltre i1 Capo di Stato Maggiore della Difesa costituisce l'unico rap: presentante militare in seno ad esso, mentre sarebbe logico che ne facessero parte regolarmente, con diritto a voto, i tre Capi di Stato Maggiore di Forza Armata. Da questo massimo organo si scende direttamente al Ministero della Difesa, affiancato dallo Stato Maggiore della Difesa e dagli Stati Maggiori dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica. In realtà il Ministero della Difesa è Mini66
stero ·delle Forze armat~, come lo Stato Maggiore della Difesa è Stato Maggiore delle Forze armate, e non ha alcuna competenza a decidere o disporre circa attività estranee a quelle militari né autorità per coordinare il lavoro di altri Ministeri (dell'Interno, dell'Industria e Commercio, dell'Agricoltura e Foreste, del Bilancio, del Tesoro, delle Finanze, dei Lavori Pubblici, dell'Istruzione pubblica, dei Trasporti, delle Poste e Telecomunicazioni, del Lavoro, della Sanità), che dovrebbero concorrere, nei settori di rispettiva spettanza, all'organizzazione della difesa nazionale. In questa equivoca situazione il Ministero e lo Stato Maggiore della Difesa tentano di rimediare in qualche modo al pauroso vuoto esistente con la creazione di comitati e centri studi che, nonostante la migliore volontà ed i più vivaci sforzi, non hanno per tara costituzionale la facoltà di uscire dal campo della teoria per entrare in quello della pratica realizzazione. Per avviare a soluzione soddisfacente il problema della difesa nazionale occorre pertanto realizzare la disponibilità di organi pienamente idonei ad affrontarlo ed a provvedere in merito. Non basta rendere più efficiente e più adatto a lavoro metodico e continuativo il Consiglio Supremo di Difesa mediante la creazione di un competente ufficio di segreteria od arricchendone la composizione con l'aggiunta permanente di nuovi membri, militari o civili (molte personalità oltre ai membri normali possono, del resto, essere chiamate a parteciparvi, a tenore di legge, quando necessario od opportuno): bisogna riempire il vuoto che ho più sopra lamentato. E ciò non può essere ottenuto che investendo il Presidente del Consiglio in via generale ed i Ministri interessati per la parte di rispettiva competenza del problema della difesa nazionale. Non si può evitare di riconoscere, e in conseguenza di sancire, che questo problema costituisce rietta responsabilità di Governo, e pertanto in primo luogo del Presidente del Consiglio, poi dei singoli Ministri interessati. 67
Solo così la trafila sarebbe completa e regolare e le responsabilità ben delineate; solo cosl le numerose e complesse attività che contribuiscono a creare ed assicurare la difesa nazionale avrebbero sistematico ed efficace svolgimento. Il Consiglio Supremo di Difesa, presieduto dal Capo dello Stato, esaminerebbe le questioni di importanza essenziale ed emanerebbe le direttive di massima. Il Presidente del Consiglio, come Capo dell'Esecutivo, impartirebbe direttive più particolareggiate e ordini ai vari Ministri riservandosi di coordinarne l'opera: a quello della Difesa (che dovrebbe essere più propriamente chiamato delle Forze armate) per la parte militare, a quelli dell'Interno, dei Lavori pubblici, della Sanità e della Pubblica istruzione per la protezione civile, a quello dell'Industria e Commercio per lo « schieramento » delle industrie, la produzione industriale e l'accantonamento di materie prime, a quello dell'Agricoltura per i provvedimenti relativi all'alimentazione, a quello del Lavoro e della Previdenza Sociale per il servizio civile, a quello dei Trasporti ed a quello delle Poste e Telecomunicazioni per le misure di emergenza nei settori di rispettiva competenza, ecc. ecc. Non intendo qui indicare e discutere tutte le soluzioni organiche che potrebbero essere escogitate per colmare la lacuna rilevata. Presso la Presidenza del Consiglio potrebbe essere creato un Ufficio od una Direzione generale od un Segretariato generale per la difesa nazionale; presso ciascuno dei numerosi Ministeri interessati un ufficio per la difesa nazionale. Il che non escluderebbe l'opportunità di creare Comitati di Ministri od interministeriali (a livello di alti funzionari) per l'esame di questioni complesse eh~ toccasse;ro la competenza e la responsabilità di più Dicasteri. Sinora nulla di simile è stato previsto. Schemi di disegni di legge sulle attribuzioni e l'ordinamento della Presidenza del Consiglio e di taluni Ministeri sono stati in passato compilati ed inoltrati per la loro lunga e contorta conduttura 68
burocratica; ma il problema della difesa nazionale vi era totalmente ignorato ed alcuni richiami lanciati da elementi inseriti nell'area del Ministero della Difesa non sono valsi a farlo emergere dallo spesso strato di oblio sotto cui era tenuto a giacere in istato di letargo. Può riuscire utile, oltre che interessante, gettare uno sguardo sull'organizzazione vigente per la difesa nazionale in taluni grandi Stati dell'Alleanza atlantica. In Gran Bretagna, paese abituato, per tradizione secolare, ad un solido regime di democrazia ed in cui gli organi collegiali di governo e di comando hanno avuto la massima fortuna, il Sovrano è teoricamente Capo del potere esecutivo e Comandante delle Forze armate, ma la suprema responsabilità in materia di difesa nazionale spetta in pratica congiuntamente al Primo Ministro ed al Gabinetto. Esiste un Comitato difesa, del quale fanno parte i Ministri maggiormente interessati al problema della difesa nonché i Capi di Stato Maggiore e che tratta le questioni impegnanti la responsabilità collegiale del Governo. Ogni Ministro è, per la parte di propria competenza, chiamato a soddisfare le esigenze della difesa. Il Ministro della Difesa in ispecie svolge opera di indirizzo e di coordinamento nei riguardi delle tre Forze armate, per ciascuna delle quali esiste tuttavia un apposito Ministero, che si tende ora a porre alla dipendenza diretta del primo; si vale, come di organi consultivo, di un Ufficio di difesa, composto dai Ministri della Marina, dell'Esercito e dell'Aeronautica, dal Ministro dei rifornimenti, da quello del Lavoro e dai Capi di Stato Maggiore. Questi costituiscono il Comitato dei Capi di S.M., presieduto dal Capo di S.M. della Difesa. Il Ministro dell'interno è responsabile del coordinamento delle attività interessanti la protezione civile. Negli Stati Uniti d'America il Capo dello Stato è altresì Capo del Governo e supremo responsabile della difesa nazionale. Egli presiede il Consiglio di difesa nazionale, costi69
tuito dal Vicepresidente degli Stati Uniti e da diversi fra i principali Ministri. Tale Consiglio, che dispone di un proprio segretario ed ha alla propria dipendenza il Servizio centrale di informazioni (C.I.A.), tratta tutte le questioni impor, tanti relative alla difesa nazionale e traccia in merito direttive annuali. Ogni Ministro agisce in base a tali direttive e risponde direttamente del proprio operato al Presidente degli Stati Uniti. Il Servizio della protezione civile, che sino al 1961 aveva fatto parte di una Direzione di mobilitazione e protezione civile ,l livello ministeriale e quindi dipendente dal Presidente degli S.U.A., è stato passato al Dipartimepto della Difesa al quale è stato aggiunto un Sottosegretario per la protezione civile. Dell'ufficio Esecutivo del Presidente fa parte un ufficio piani d'urgenza, a cui compete emanare direttive generali sulla mobilitazione civile e consigliare il Presidente in materia di coordinamento dei programmi di moblitazione e protezione civile dei vari dicasteri interessati. Il Ministro della Difesa coordina l'opera dei Ministri delle tre Forze armate e presiede il Consiglio Superiore delle Forze armate, di cui fanno parte i tre suddetti Ministri, il Direttore delle ricerche e dello sviluppo tecnico della dif~sa, il Presidente del Comitato dei Capi di Stato Maggiore ·delle trè Forze armate, che costituiscono tale Comitato. Fra parentesi aggiungo che questi ultimi quattro personaggi sono i principali consiglieri militari del Presidente degli Stati Uniti, del Ministro della Difesa e del Consiglio di difesa nazionale e possono, di iniziativa, presentare proposte al Congresso. In Francia, dopo l'avvento al potere del generale De Gaulle l'organizzazione della difesa nazionale è stata rifatta su basi razionali e moderne. Il Capo dello Stato, Comandante delle Forze armate, presiede il Consiglio superiore di difesa ed i Comitati di difesa. Il Consiglio superiore, la cui composizione è fissata di anno in anno, è organo consultivo del Consiglio dei Ministri ed è normalmente costituito da vari 70
Ministri, dai Marescialli di Francia, dai Capi di Stato Maggiore, dagli alti rappresentanti della ricerca scientifica, dell'energia atomica, della produttività e del Servizio informazioni, dal Direttore dell'Istituto degli alti studi di difesa nazionale. Il Comitato di difesa, costituito da vari Ministri, decide su questioni concernenti l'alta direzione e l'organizzazione della difesa ed assiste il Primo Ministro nell'azione di ,coòrdinamento delle attività dei Ministeri interessati alla di·fesa. Il Comitato di difesa ristretto, di composizione variabile, decide ed assiste il Primo Ministro in questioni relative :alla difesa militare. Il Primo Ministro è responsabile della difesa nazionale e, per questa, si vale di un Segretario generale .della Difesa nazionale, che è composto da ufficiali delle tre Forze armate e da funzionari civili ed a capo del quale è un generale. Il Segretario generale della Difesa assicura, fra l'altro, il funzionamento della segreteria del Consiglio superiore e dei Comitati di difesa .e segue la realizzazione dei provvedimenti da questi deliberati; assiste inoltre il Primo Ministro nell'azione di coordinamento dei vari Ministeri interessati alla difesa. Da lui dipendono l'Istituto degli alti studi di difesa ed il Comitato d 'azione scientifica per la difesa. Al Ministro dell'Interno compete la protezione civile ed in questa materia controlla l'opera degli altri Ministeri. Il Ministro degli affari economici si occupa di organizzazione industriale, di produzione e raccolta di ogni genere di risorse ,ed orienta in merito l'azione di altri Ministeri. Il Ministro .Jelle Forze armate si vale della collaborazione di un Delegato ministeriale per l'armamento (in quanto riguarda stu,di, ricerche e fabbricazione di armi), del Capo di Stato Maggiore delle Forze armate, dei Capi di Stato Maggiore dell'Esercito, della Marina o dell'Aeronautica. Egli presiede il Comitato dei Capi di Stato Maggiore ed il Comitato tecnico .dei programmi delle Forze armate. La legislazione in vigore nella quinta repubblica prevede, 71
in sostanza, la difesa nazionale come un tutto cosutmto da tre branche (la difesa militare, la difesa civile e la difesa economica), che fa capo al Primo Ministro. L'unitarietà della difesa non è realizzata soltanto al centro ma si propaga in tutto il territorio nazionale, in cui il congegno di comando e direttivo è organizzato in modo da funzionare autonomamente e d'iniziativa, anche in caso di interruzione delle trasmissioni e di parziali distruzioni al centro od alla periferia. La circoscrizione territoriale civile coincide con quella militare; le alte Autorità civili nelle zone, nelle regioni e nei dipartimenti sono considerate delegate del Governo e come. tali possono in caso di emergenza agire e disporre; esse sono affiancate da alte Autorità militari in veste di consulenti e di comandanti, a cui possono, in determinate circostanze, essere devoluti poteri e responsabilità per l'ordine pubblico. Così la difesa del territorio è in condizioni di esplicarsi unitariamente nella sua complessità, in collegamento e in aderenza con eventuali operazioni militari esterne. Nella Repubblica federale tedesca, come già mi è occor., so di rilevare di sfuggita, sono in corso di elaborazione provvedimenti legislativi che prevedono misure varie da adottare in caso di emergenza e si sta attivamente studiando e pre.disponendo la protezione civile, talché non passeranno molti anni prima che la difesa civile ed economica sia, al pari di quella militare, efficacemente organizzata. Potrei estendere questo rapido esame ad altri Stati, ma ciò renderebbe troppo pesante la mia esposizione. E' poi da considerare che per quanto riguarda i paesi di oltre cortina i dati disponibili, in conseguenza del segreto con cui in tali paesi viene coperta ogni organizzazione ed attività che abbia a che fare con la difesa, risultano sempre approssimativi. Ma non può esistere dubbio sul fatto che il problema della difesa sia tenuto ben presente e risolto nella sua interezza ed il più efficacemente possibile nell'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche e nelle repubbliche satelliti.. In Russia 72
Governo e partito sono impegnati nell'organizzazione della difesa nazionale ed il Ministro della difesa, Maresciallo in attività di servizio, gode di alto prestigio e col peso delle Forze armate a cui è preposto concorre in misura notevole a determinare la politica estera dell'Unione. E' doloroso scoprire lacune nell'organizzazione statale della propria Patria e, rilevando che in Italia il problema globale della difesa nazionale non è mai stato, non dico risolto, ma nemmeno seriamente valutato e discusso da organi governativi che pure dovrebbero sentirne la responsabilità, vorrei davvero che l'Italia, in seno all'Alleanza di cui fa parte, non avesse l'esclusiva di un difetto così grave. Tanto più che gli enti interalleati di comando non ignorano gli aspetti civili del problema della difesa ed invitano periodicamente gli Stati membri dell'Alleanza a risolverli. E' veramente difficile individuare i motivi reali di siffatta trascuratezza. Non mi mancherà l'occasione di toccare nuovamente l'argomento. In un primo affrettato esame diagno~ stico sono costretto a mettere in evidenza che da parecchi anni (se non erro dal termine del secondo conflitto mondiale) il problema della difesa nazionale, nelle sue componenti militari e civili, non ha mai trovato posto né nei programmi di Governo né nei programmi dei partiti politici. Al massimo si è ripetuta, come uno slogan, un'espressione molto vaga ed ambigua: « la pace nella sicurezza » oppure « la sicurezza per la pace ». Forse si pensa che il solo fatto di essere entrati nell' Alleanza atlantica garantisca l'inviolabilità delle nostre frontiere e l'incolumità del nostro territorio e delle nostre popolazioni. Indubbiamente la partecipazione all'Alleanza rappresenta una buona assicurazione contro i rischi di guerra, ed il nostro compito militare in seno ad essa coincide quasi perfettamente con quello della difesa della nostra Patria. Indubbiamente noi abbiamo doveri ed impegni militari verso l'Alleanza, ma con l'assolvimento di essi non si esaurisce in73
teramente il debito organizzativo che occorre pagare per as. sicurare la difesa del nostro Paese: in molti settori di atti· vità civile ed in parte anche nel settore militare vi sono esi· ,genze di difesa insoddisfatte, che invocano provvedimenti e mezzi nazionali. E sarebbe doveroso provvedere! Periodicamente la situazione internazionale si intorbida ed il fantasma spaventevole della guerra compare all'orizzon· te. Allora lo sgomento fa capolino nell'ambiente politico e si pensa affannosamente e disordinatamente a qualche rimedio affrettato; magari ad uno stanziamento straordinario di bilancio per la difesa. Ma i rimedi degli ultimi momenti ser· vono a ben poco e 11 denaro non è fecondo di frutti benefici .se non attraverso un ragionevole lasso di tempo. Passato il periodo critico, il problema della difesa non preoccupa più e lo slogan della pace nella sicurezza è ritenuto sufficiente per esaurirne la trattazione. Forse gli uomini politici ~diano la parola << guerra ». E ' vero che, secondo la Costituzione, l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e .come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; ma non la ripudia come strumento di difesa e, se aggredita, deve subirla e superarla nel miglior modo possibile. Dati lo :stato di tensione più o meno latente ed i numerosi focolai di discordia esistenti in campo internazionale, non si può negare che esista una certa percentuale di probabilità, sia pure piccola (come precisare? dall' r % al 5 % forse), dello -scoppio di una guerra generale. E questa probabilità bisogna pure considerarla, esaminarla coraggiosamente, fronteggiarla. Quanto più grave è la minaccia di distruzione massiccia, tan· to più imperioso è il dovere di adottare i provvedimenti atti -ad assicurare nella maggior misura possibile la sopravvivenza ,ed il superamento della prova tremenda. E' d'altra parte az. zardato affermare che i formidabili armamenti nucleari nei ,due gruppi di Stati in contrasto si neutralizzano reciproca· mente con la loro facoltà inibitoria e rendono impossibile 74
un conflitto totale. Nessuno vuole la guerra beninteso, ma quella certa percentuale di probabilità che la guerra scoppi ugualmente non può essere esclusa: contro la volontà di tutti può accadere che il fatale bottone venga premuto per ragioni impreviste :~d imprevedibili: un errore di valutazione, un'informazione sbagliata, un equivoco, un falso motivo di prestigio in situazione molto tesa. Forse gli uomini politici temono di impressionare le popolazioni prospettando l'eventualità della guerra e predisponendo quanto necessario per .affrontare questa eventualità? Siffatta ipotesi dovrebbe essere esclusa: l'uomo della strada apprende dai giornali, dai comunicati dei servizi pubblici di televisione e di radioaudizione, dall'atmosfera che respira le crisi endemiche e quelle virulente delle relazioni internazionali ed il connesso pericolo di guerra, ed è incline ad impressionarsi più di una inerzia signifìcatrice di incoscienza che di preparativi dettati da oculata previdenza. Forse gli uomini di Governo temono di urtare, con una adeguata organizzazione della difesa nazionale, la suscettibilità di partiti che, per diversità di ideologie o di obiettivi politici, tendono ad ostacolare tale organizzazione? Ma in questo caso essi sacrificherebbero a meschini interessi particolaristici l'interesse nazionale, dimostrando di temere più una lotta interna di fazioni che la guerra esterna. O forse gli uomini politici sono pacifisti ad oltranza ed in definitiva non credono alla possibilità della guerra. In questo caso essi si comporterebbero come lo struzzo che nasconde la testa sotto l'ala per non vedere il pericolo. Tante questioni di carattere soprattutto economico e sociale e di importanza e di urgenza più o meno grande vengono presentate e discusse alla ribalta politica col fine di migliorare le condizioni di vita del nostro popolo e di fare propaganda elettorale per i vari partiti. Si pongano una buona volta in piena luce anche il concetto e l'esigenza di difesa integrale del territorio nazionale, dell'indipendenza, della li75
bertà e dell'onore della Patria. Se questa difesa non è garantita tutti gli altri beni, materiali e spirituali, costituiscono un patrimonio che nella deprecata eventualità di conflitto può risultare effimero e svanire come nebbia al sole. Durante la prima guerra mondiale si raggiunse a poco alla volta, come ho già ricordato, un grado efficace di organizzazione bellica della Nazione mediante successivi provvedimenti, adottati di mano in mano che le varie necessità si affacciavano o si esasperavano. Nel secondo conflitto mondiale, nonostante l'esistenza di apposite leggi, la suddetta organizzazione rimase nel complesso lontana dal grado di efficienza che sarebbe stato necessario; tale insufficiente risultato fu in parte dovuto alle difficilissime condizioni economiche e politiche in cui l'Italia era venuta a trovarsi. La terza guerra mondiale, se per disgrazia dovesse scoppiare, non lascerebbe tempo né. possibilità per improvvisa· zioni, d'altronde infeconde.
76
V Definizione del compito delle Forze Armate. - Ministero della Difesa, complesso pletorico di tre Ministeri di Forza armata. - Possibilità di riordinamento delle Amministrazioni delle tre Forze armate e di unificazione interforze nell'ambito del Ministero della Difesa.
Nelle pagine precedenti ho posto in luce come il problema della difesa nazionale non sia mai stato in Italia affrontato nella sua interezza dopo il secondo conflitto mondiale, talché l'organizzazione della difesa, che dovrebbe consistere in un complesso di organizzazioni parziali, corrispondenti a numerosi settori di attività, risulta nell'insieme gravemente deficitaria giacché presenta un solo settore, quello militare, caratterizzato dal segno positivo di un'opera svolta e tuttora in atto, mentre tutti gli altri settori sono contraddistinti dal vuoto quasi assoluto. Ho anche rapidamente descritto come, dopo la guerra, siano :;tate ricostruite le Forze armate. In questa ricostruzione sono senza dubbio degni di apprezzamento l'impegno e la fede che l'hanno suggerita e guidata. Ma è da esclude.re che essa sia stata informata ad un programma organico e razionale. Inizialmente, come ho già avuto occasione di accennare, non era nemmeno possibile disporre di un siffatto programma; si lavorò vivendo alla giornata, talvolta improvvisando e spesso utilizzando dementi superstiti e fissando troppo lo sguardo sull'organizzazione del passato e troppo poco sulle esigenze e sugli sviluppi probabili dell'avvenire. Ad un certo punto l'ingresso nell'Alleanì7
l I
I I I t
! I
J
J
za atlantica impose nuovi impegni e progetti offrendo in compenso nuovi mezzi e possibilità. Ma anche dopo questo importante avvenimento politico-militare si è proceduto un poco a tentoni e si è pi1ì volte modificato e ridimensionato il programma di ricostruzione, che ha sempre avuto un carattere provvisorio. La causa di ciò è da addebitare più alle circostanze (in particolare all'incessante progredire ed estendersi della tecnica nelle Forze armate) che alle persone; anche in altre nazioni alleate si è verificato un fenomeno analogo. In questi ultimi anni pare che si sia raggiunta una situazione di equilibrio per quanto riguarda esigenze ed obiettivi militari in seno all'Alleanza. Ma è veramente strano che non sia mai stato pubblicamente discusso in Italia il compito da affidare alle Forze armate. Queste costituiscono organismi così importanti nell'assetto generale della Nazione ed assorbono un'alìquota tanto cospicua (quantunque non sufficiente rispetto ai bisogni) del bilancio statale, che la definizione del loro compito dovrebbe essere, mi sembra, discussa in Parlamento e nota alla massa degli Italiani. A mio parere il compito delle Forze armate potrebbe essere così delineato: - in campo nazionale: assicurare la difesa militare delle frontiere e del territorio contro il nemico esterno nonché il regolare afflusso, in caso di guerra, dei rifornimenti essenziali da paesi oltremare; assicurare la difesa delle Istituzioni e l'ordine interno jn caso di gravi perturbamenti; - in campo internazionale: concorrere alla difesa del mondo e della civiltà occidentale assolvendo gl'impegni assunti con l'adesione al patto atlantico; essere in grado di partecipare prontamente aIIa formazione di corpi di spedizione da inviare, in seguito a deliberazione di organismi internazionali (per esempio l'ONU), in qualsiasi parte del mondo ove occorra ristabilire o mantenere l'ordine è la pace. 78
Questa definizione potrà apparire a prima vista un po' troppo lunga, ma presenta il vantaggio di essere chiara e completa Essa ricorda che la missione delle Forze armate non si esaurisce con l'inserimento di esse nel quadro di un'alleanza ed in uno schieramento internazionale, ma che ha pure un carattere nazionale e risponde anche ed anzitutto ad esigenze nazionali. Questo carattere e queste esigenze di solito vengono dimenticati dagli organi responsabili di Governo, i quali si comportano come se fossero convinti di saldare ogni debito nei confronti del problema della difesa col semplice intendimento di tener fede al patto di alleanza e di soddisfare i relativi impegni militari. La stessa definizione ricorda esplicitamente l'eventualità di partecipare a corpi di spedizione internazionali con aliquote combattenti delle Forze armate e non soltanto, come è accaduto in passato, con l'invio di ospedali della Croce Rossa (nella Corea meridionale e nel Congo) o di aeroplani da trasporto (nel Congo). E' ben lungi da me il desiderio che disordini di vasta estensione e pericolosi per la pace mondiale richiedano interventi di forza. Ma i focolai di rivolte e di scontri sanguinosi e le minacce all'equilibrio, d'altronde incerto, su cui si basa la convivenza internazionale, esistono qua e là per il mondo e provocano periodiche manifestazioni parossistiche, indipendentemente dal desiderio di chicchessia. E senza dubbio una partecipazione attiva delle Forze armate italiane a misure, repressive o preventive, concertate da un ente sovranazionale, oltre a risultare utili alle stesse Forze armate eccitandone lo spirito ed arricchendole dell'esperienza diretta, anche se parziale, di operazioni di guerra o di guerriglia (un troppo lungo periodo di inerzia finisce con l'assopire le energie reattive), gioverebbe al preistigio della Nazione in campo internazionale. La partecipazione del Piemonte alla guerra di Crimea, su iniziativa di Cavour, che fu tanto feconda di risultati, può ancora oggi insegnare qualche cosa in materia.
Alla mia definizione può essere mosso un appunto: quello di non essere completa come ho osato affermare, perché è stata omessa l'alta missione, riservata alle Forze armate, di fungere da scuola della Nazione. Che le Forze armate siano scuola per la Nazione è innegabile: non si tratta di Jrase fatta o di vuota retorica. Scuola per tutti i cittadini che intraprendono la carriera militare o che compiono il servizio di leva. Scuola prodiga di insegnamenti diversi e vantaggiosi nelle più svariate circostanze della vita: scuola di carattere; di sentimento, di costume; scuola che preparando il personale a multiformi attività militari lo abilita a nwnerose specializzazioni utilizzabili nella vita civile; scuola che fornisce la cultura elementare a quella aliquota di analfabeti tuttora compresa nella parte di contingente di leva chiamata alle armi. Nonostante tutto ciò, non ho incluso questa missione didattica e formativa nel compito delle Forze armate per due motivi. Anzitutto perché ritengo ovvio (e superfluo il menzionarlo) che nell'ambiente militare i cittadini vengano educati sotto il punto di vista disciplinare e addestrati all'assolvimento delle loro funzioni militari. In secondo luogo perché non considero compito istituzionale delle Forze armate la formazione morale e l'istruzione elementare, professionale e tecnica dei cittadini chiamati alle armi per il servizio di leva. Quest'opera di formazione e d'istruzione viene bensì svolta dalle Forze armate con un beneficio altamente valutabile sul piano 'nazionale, ma la situazione logica, verso cui bisogna tendere, è inversa rispetto a quella attuale: formazione morale e culturale in via di massima sono di competenza della pubblica istruzione, ed il Paese dovrebbe fornire alle Forze armate materiale umano spiritualmente, culturalmente e tecnicamente preparato, in modo da lasciare ad esse il solo onere dell'educazione e dell'addestramento militare (comprese in questo le specializzazioni prettamente militari). 80
Dalla definizione del compito da assolvere dovrebbero discendere le dimensioni delle singole Forze armate · e le loro caratteristiche di struttura e di armamento; infine l'onere finanziario. In effetti la disponibilità di bilancio condiziona nel complesso le Forze armate sotto il punto di vista quantitativo e sotto quello qualitativo, e mentre è chiaramente determinata l'entità delle forze da mettere a disposizione dell' Alieanza perché essa viene indicata e richiesta dagli alti Comandi alleati, l'entità delle forze n azionali costituisce un quid di peso e contorno piuttosto mutevoli e soggetto alle vicissitudini ed alle limitazioni del bilancio. Non essendo mai stato nettamente specificato il ,compito delle Forze armate, non è mai stata stabilita con p recisione l'entità delle forze necessarie per soddisfare le esigenze nazionali né, in conseguenza, la quantità totale delle forze di cui occorrerebbe assicurare la disponibilità in rap_porto al bisogno. · Ad ogni modo le Forze armate rappresentano una realtà concreta e viva, anche se non abbastanza conosciuta dalla :popolazione e, in particolare, dalla cosiddetta classe dirigente. Organismi collettivi come le Forze armate, per conservare e possibilmente accentuare la loro vitalità in un periodo di e voluzione rapidissima quale quello in cui viviamo, devono saper adeguare struttura e funzionamento alle moderne esigenze, pur conservando ed alimentando il meglio del loro patrimonio di tradizioni. << Adeguamento alle moderne esigenze » può forse apparire una espressione vaga e di incerto significato; con essa intendo dire efficacia e snellezza di ordinamenti e di funzionamento, modernità di armamento e di ,e quipaggiamento, in una parola efficienza. Per rilevare il grado di efficienza raggiunto comincio il ·mio esame critico dal più elevato organo amministrativo e direttivo delle Forze armate: dal Ministero della Difesa. · Ho già ricordato che tale Ministero è nato nel 1947 dal raggruppamento sotto l'egida e la direzione di un solo Mini81
stra dei tre preesistenti Ministeri della Guerra, della Marina e dell'Aeronautica, i quali nella sostanza sono rimasti in vita come organismi a sé stanti, continuando a risiedere negli stessi locali precedentemente occupati. Finora l'unificazione, prescindendo dal vantaggio (anch'esso già menzionato) di una maggiore conoscenza reciproca delle tre Forze armate, ha prodotto, anziché una semplificazione ed uno snellimento di servizi interforze, una complicazione burocratica e la creazione di nuove sovrastrutture. Prima soltanto la Marina aveva un Segretario generale di Forza armata. Dopo l'unificazione ·anche l'Esercito e l'Aeronautica hanno dovuto istituire la carica di Segretario generale con relativi uffici, ed il Ministero della Difesa ha dovuto, ovviamente, costituirsi un proprio Gabinetto. Risultato: mentre prima i Gabinetti militari erano tre, oggi i Gabinetti od organi ad essi equiparabili sono quattro. L'unificazione dei servizi di informazioni delle tre Forze armate si è praticamente risolta nell'aggiunta di un quarto .elemento ai tre preesistenti. La stessa osservazione potrebbe farsi a proposito dei servizi stampa, degli uffici legali, degli uffici bilancio e di qualche altro ente od attività che il Ministro od il Capo di Stato Maggiore della Difesa abbia sentito o possa in futuro sentire il bisogno di coordinare e controllare. Questo complesso organizzativo, impinguatosi, è poi notevolmente appesantito dalla esistenza dèlle segreterie politiche o private del Ministro e dei Sottosegretari di Stato; segreterie che raggiungono talvolta dimensioni impressionanti e che gravano, funzionalmente e finanziariamente, sull'Amministrazione della Difesa pur non avendo nulla a che fare coi problemi relativi all'organizzazione ed all'attività delle Forze armate. Quanto sopra, del resto, non deve suscitare eccessiva meraviglia, perché è accaduto, su scala anche più vasta, in altri paesi che sono membri particolarmente importanti ed autorevoli del!' Alleanza atlantica. Negli Stati Uniti d'America ed in Gran Bretagna il Ministero della Difesa si è sovrapposto 82
ai tre Ministeri militari esistenti senza annullarli né assorbirli. La stessa cosa è praticamente avvenuta in Francia. In questi Stati, per necessità cli coordinamento, l'impalcatura amministrativa e burocratica è cresciuta in estensione ed in statura. E le singole Forze armate, col loro peso e con gli effetti della forza centrifuga da cui vengono sollecitate, hanno tenacemente resistito a tentativi di fusione o di unificazione. L'Italia, se mai, sembra aver progredito di più nell'organizzazione interforze perché i Sottosegretari alla Difesa, diversamente da quanto mi risulta essere in atto in altri Stati, esercitano funzioni comuni alle tre Forze armate. Nella Germania occidentale invece l'organizzazione amministrativa centrale delle tre Forze armate è veramente unica e ridotta a quanto di più semplice si possa immaginare; ma lì le condizioni in cui la ricostruzione è stata effettuata erano ben diverse dalle nostre. Lì si è partiti dalla quota zero a cui le clausole di armistizio, imposte dai vincitori al termine di una guerra disastrosa, avevano ridotto e mantenuto per parecchi anni l'organizzazione militare. In Italia invece, al termine del secondo conflitto mondiale, erano sopravvissuti, grazie alla cobelligeranza, nuclei residui di Forze armate e, al centro, consistenti strutture amministrative e burocratiche, oltre a qualche travatura periferica. Di conseguenza, come ho in precedenza accennato, è risultato naturale ricostruire attorno a quanto era rimasto in piedi, riproducendo troppo spesso schemi del passato. Così si è proceduto certamente con sollecitudine, ma meno bene di quanto sarebbe stato desiderabile. E poiché tutti gli organismi burocratici in vigore hanno una loro tenacissima forza d'inerzia, risulta ora assai più difficile modificarli sostanzialmente di quanto risulterebbe crearne dei nuovi con criteri moderni nei riguardi della struttura e del funzionamento. Probabilmente se la guerra avesse causato maggiori distruzioni nell'ambito delle Forze armate, riducendo in polvere anche gli edifici ministeriali, oggi avremmo un'organiz83
zazione, centrale e periferica, dell'Amministrazione delle Forze armate più moderna e funzionale di quella esistente. Rimasti praticamente in vita i tre Ministeri di Forza armata con l'aggiunta di sovrastrutture necessarie, come ho già posto in rilievo, per consentire all'unico Ministro una opportuna azione di coordinamento, ognuno dei tre organismi tende non solo a conservare, per la già menzionata forza d'inerzia, la conformazione preesistente e tradizionale, che a causa della tarda età (l'Amministrazione più vetusta è ovviamente quella dell'Esercito) è pesante e lenta di riflessi, ma anche a gonfiarsi per mettersi in grado di trattare materie nuove, introdotte dell'incessante evoluzione tecnica nell'ambito militare. Dal vecchio tronco spuntano rami giovani ma quelli vecchi non vengono coraggiosamente potati. E nel complesso si verificano, al centro, una dilatazione ed un appesantimento anziché uno snellimento. Prova ne sia il fatto che l'attuale Ministero unico occupa locali molto più numerosi di quelli che erano necessari quando i Ministeri delle Forze armate erano tre. Questo fenomeno di ingigantimento e di proliferazione, a dire il vero, non è limitato al dicastero militare, ma è co mune a tutta l'organizzazione statale ed in particolare a quella di Governo. li numero dei Ministeri dopo la seconda guerra mondiale è andato progressivamente aumentando: non è il caso che io nomini i dicasteri di nuova o nuovissima costituzione o l'aggiunta di nuove attribuzioni (escluse, beninteso, quella relative alla difesa nazionale, tuttora ignorate o volutamente coperte dall'oblio) e perciò di nuove appendici a Ministeri già esistenti perché ciò esulerebbe dai temi che mi sono proposti. Tutto il meccanismo burocratico dello Stato va diventando più complicato e pletorico. Intanto un apposito Ministero, o per essere più preciso un Ministro senza portafoglio, puntualmente nominato nell'occasione della costituzione di ogni nuovo Governo, ha da alcuni anni l'incarico di studiare la riforma burocratica. Ma un'ombra di 0
84
dubbio assai densa grava sul quando e sul come questa riforma potrà essere attuata. Ora, l'ammodernamento e la semplificazione di struttura e di funzionamento del Ministero della Difesa sono legati alla riforma burocratica dello Stato al punto di dover atten, dere questa per farne discendere utili trasformazioni nel1'Amministrazione delle Forze armate? Oppure è possibile un processo di ringiovanimento e di fusione od unificazione di organi amministrativi e direttivi delle tre Forze armate indipendentemente da un rinnovamento di tutta l'organizzazione statale? Potrei rispondere no alla prima domanda e sì alla seconda senza alcuna esitazione e sarei nel vero. Ma poiché nelle cose di questo mondo, soprattutto quando si tratti di elementi legati da reciproci rapporti di influenza, non esiste una netta separazione od · autonomia, così la verità che ho affermata non va intesa in senso assoluto. Per esempio, le procedure amministrative e contabili che vigono in seno alle Direzioni generali del Ministero della Difesa ed agli organi amministrativi periferici delle Forze armate sono ispirate a vecchissime norme generali di legge sull'amministrazione e sulla contabilità dello Stato. E ' ovvio che finché queste disposizioni di legge non vengano sostituite da altre più moderne, non si possano, in materia, aggiornare e snellire le procedure. E' tuttavia possibile, mediante leggi particolari, trasformare profondamente l'0rganizzazione del Ministero della Difesa, allo scopo di tenderla più economica ed efficiente, fondendo od unificando elementi omologhi delle tre Forze armate, senza attendere che l'opera rinnovatrice venga estesa ad altri Ministeri. E' possibile ma è difficile. E' difficile per due motivi. Anzitutto perché un progetto razionale di riordinamento del Ministero della Difesa (ed in conseguenza di numerosi organi dipendenti e periferici) richiede da parte dei compilatori una notevole capacità organizzativa ed una 85
conoscenza. profonda della materia più arida ed irta di difficoltà dello scibile militare - l'organica - , nella quale si uniscono e si confondono nozioni giuridiche, tecniche, amministrative e logistiche. In secondo luogo perché di queste spiccate qualità non sempre sono dotate le personalità a cui spetterebbe ordinare e controllare l'applicazione del progetto e che si troverebbero inoltre davanti ad un ostacolo così grosso e consistente da sembrare quasi insormontabile e costituito da tre componenti: la più volte ricordata forza d'inerzia degli organismi esistenti, che sono per consuetudine e per pigrizia mentale contrari ad ogni radicale cambiamento, la tendenza di ogni Forza armata a contrastare provvedimenti vòlti a diminuirne, in un certo senso, l'autonomia e 1a disperata resistenza, causata da istinto di conservazione, o meglio da interessi particolaristici, di tutti gli elementi che dovrebbero essere ridotti o soppressi. E' infatti evidente che l'opera di trasformazione e di ammodernamento dell'Amministrazione della difesa dovrebbe sboccare in un'organizzazione più snella e caratterizzata da minor numero di personale civile, di personale militare addetto a compiti amministrativi, di elementi burocratici, di interferenze. Dopo la istituzione del Ministero unico numerosi sono stati i comitati, le commissioni e le autorità che hanno studiato l'unificazione deile organizzazioni amministrative delle tre Forze armate: di volta in volta si sono impegnati negli studi elementi tecnici (militari e civili) ed elementi politici; questi ultimi probabilmente, secondo l'intendimento superiore, essendo estranei agli interessi in gioco (come suol dirsi, al disopra della mischia), sarebbero giunti più facilmente a risultati concreti. Tutto ciò non è servito finora che ad accrescere la quantit~ ed il peso delle relazioni destinate all'oblio ed alla polvere degli archivi. Beninteso, la possibilità di piccoli provvedimenti di unificazione (per esempio di qualche scuola o di qualche centro di studi e di esperienze) esiste in qualsiasi momento, ma 86
si tratta di - traguardi irrilevanti, il cui raggiungimento non meriterebbe molti sforzi e non rappresenterebbe che una pallida larva del successo. Per ottenere realizzazioni di notevole significato o, meglio ancora, il massimo dell'unifica- · zione conseguibile, occorre anzitutto, a mio parere, organizzare le singole amministrazioni delle tre Forze armate in modo che esse abbiano strutture il più possibile affini; ciò che oggi non è. Come già ho accennato, la conformazione delle amministrazioni delle tre Forze armate risulta da nuclei originari che per l'Esercito e per la Marina affondano le loro origini nel secolo scorso (mentre per l'Aeronautica il nucleo è soltanto sui quarant'anni di età, ma in questi tempi di rapida evoluzione l'invecchiamento è rapido anche per gli organismi amministrativi e burocratici) e sui quali, attraverso agli anni, si sono saldati ed inseriti, a guisa di banchi coralliferi su scogli sottomarini, numerosi elementi aggiuntivi. Le varie Direzioni generali od Ispettorati generali, che delle tre grandi branche ministeriali corrispondenti ai tre preesistenti Ministeri di Forza armata costituiscono gli organi principali, si occupano del personale (militare e civile) o di amministrazione pura o dei materiali. E' ben lungi da me l'intenzione di esaminare nei particolari la struttura attuale del Ministero della Difesa nonché le possibilità e modalità di rimodernamento: se lo facessi, violerei clamorosamente la promessa di mantenere la mia esposizione su di un pi::i.no di facile e non troppo sgradevole accessibilità. Mi basta indicare i criteri a cui, secondo il mio avviso, la trasformazione dovrebbe ispirarsi. Oggi l'organizzazione e l'articolazione del Ministero della Difesa in Direzioni od Ispettorati generali sono « per materia»: ad esempio, personale militare (con suddivisione eventuale in ufficiali, sottufficiali e truppa), personale civile, vari materiali in modo che ad ogni tipo di materiale corrisponda una determinata Direzione od Ispettorato generale 87
~I j
(ed un organo omologo nei piani inferiori, scendendo lung') la scala gerarchica). Spesso la distinzione fra un tipo e l'altro di materiali non è netta e risulta artifìciosa e convenzionale; donde interferenze e doppioni. Ogni Direzione generale che tratta un determinato tipo di materiali svolge in sostanz.1 tre funzioni: una funzione di approvvigionamento in quanto acquista dall'industria o dal mercato libero o fa allestire in stabilimenti militari i materiali occorrenti; una funzione logistica in quanto provvede ad immagazzinare, mantenere in efficienza e distribuire alle unità operanti, secondo i bisogni, gli stessi materiali; una funzione tecnica, vòlta a determinare i requisiti tecnici dei materiali, a collaudare e riparare i materiali medesimi. Orbene, sè:lrebbe razionale e condurrebbe ad una situazione più funzionale e più ricca di sviluppi il passaggio dall'organizzazione per materia ad un'organizzazione « per funzione ». Per ogni Forza armata, nel campo dei materiali, si avrebbero così tre organi direttivi (Direzioni generali od enti simili) ciascuno dei quali sarebbe preposto ad una delle tre funzioni che ho nominate: di approvvigionamento, logistica e tecnica. Beninteso, questi organi sarebbero a loro volta convenientemente articolati, allo scopo di renderne spedito il funzionamento. Se immaginiamo realizzata nelle tre Forze armate una siffatta organizzazione (che si prolungherebbe evidentemente, in senso discendente, lungo la scala gerarchica), ci rendiamo subito conto di quali siano le attività ed i relativi organi direttivi delle Forze armate che potrebbero essere, se non fusi, almeno unificati. Non la funzione e gli organi logistici, giacché i rifornimenti alle unità operanti nelle tre Forze armate si svolgono in ambienti ed in condizioni sensibilmente diverse e richiedono quindi organizzazicni diverse. Ma sì la funzione di approvvigionamento e quella tecnica e gli organi ad esse preposti. Invero non esiste alcuna vera ragione, all'infuori della consuetudine o de11a tradizione, per cui ogni Forza armata 88
debba continuare ad approvv1g10nare per proprio conto e: talvolta con criteri differenziati i materiali che le sono necessari e che in buona parte sono comuni a tutte e tre, come ad esempio viveri, oggetti di vestiario e di equipaggiamento, automezzi, molte armi e munizioni, ecc. Ed ancor me-no giustificata è la circostanza che nella stessa Forza armata. (per esempio nell'Esercito) materiali di vario tipo vengano, approvvigionati a cura di enti direttivi ed amministrativi diversi, spesso con modalità diverse. Il giorno in cui in ogni Forza armata gli approvvigionamenti facessero capo ad una unica Direzione generale o ad .altro ente analogo, un processo di unifì.cazione e magari di parziale fusione delle tre: attività e dei tre enti risulterebbe non solo possibile ma anche privo di gravi difficoltà. E si vedrebbe con sufficiente chiarezza che il blocco « approvvigionamenti per le Forze· armate » potrebbe in caso di emergenza costituire il nucleo di un organo centrale degli approvvigionamenti (Ministero o Commissariato) di cui si sentì la necessità in Italia sin dalla prima guerra mondiale e che 1a Gran Bretagna mantiene· in vita ed in operosa attività anche in tempo di pace. Il raggruppamento sotto una sola direzione, in ciascuna Forza armata, dei Servizi tecnici risponderebbe non soltanto a criteri di semplificazione e di economia, ma anche ad una. inderogabile esigenza di potenziamento, giacché (non v'ha dubbio in proposito) la tecnica va acquistando importanza sempre maggiore nelle Forze armate e la raccolta delle sue numerose branche sotto una sola guida ed un solo impulso ne faciliterebbe la valorizzazione e l'incremento. Ciò non escluderebbe, penso anzi che favorirebbe, 1a presenza e l'insopprimibile funzione di elementi tecnici nelle più periferiche e lontane ramificazioni delle Forze armate. Il raggruppamento citifo renderebbe agevole e, a scadenza più o menovicina, inevitabile l'unificazione ed eventualmente la parziale fusione dei Servizi tecnici delle tre Forze armate. So bene che qualche progresso in fatto di collaborazione interforze
nei campi della· tecnica e della scienza è stato realizzato me-· diante la costituzione di centri studi, scuole, comitati o consigli compos~i di rappresentanti delle tre Forze armate, ma si tratta di sovrastrutture che svolgono una certa azione di indirizzo e coordinamento mediante aumento delle bardature e dei tramiti burocratici; non di vera e propria unificazione o fusione. E' d'altronde innegabile che ogni Forza armata, in rapporto ai materiali che impiega ed alle condizioni di ambiente in cui opera, ha esigenze tecniche peculiari e problemi particolari da risolvere. Ma di fronte a queste esigenze ed a questi problemi, che nessun fatto nuovo dovrebbe indurre a trascurare, quante esigenze, quanti materiali, quanti problemi sono comuni alle tre Forze armate e renderebbero consigliabile il processo di unificazione! Unificazione interforze quindi (eventualmente con parziali procedimenti di fusione) della funzione di approvvigionamento e degli enti addéttivi nonché della funzione tecnica e pertanto dei Servizi tecnici. Ma vi sono altri settori dell'Amministrazione della Difesa nei quali il raggruppamento interforze sarebbe possibile e consigliabile. Per esempio quello del personale civile. Se la riunione, propugnata da taluno con eccessivo semplicismo, in un solo blocco di Forza armata di almeno una parte del personale militare (gli ufficiali), oggi appartenente a tre Forze armate distinte, non appare conveniente e nemmeno logica né possibile, non si ravvisa alcuna valida ragione per cui il personale civile addetto a tre branche diverse di un solo Ministero ed omogeneo sotto i punti di vista della provenienza, della formazione ed anche delle funzioni e delle carriere, debba rimanere diviso in tre distinti canali e non possa essere raccolto sotto una sola egida direttiva ed amministrativa. Un altro settore che consentirebbe una efficace unificazione interforze è quello del demanio e dei lavori, tanto più che i complessi degl'immobili di cui fruiscono le Forze ar90
mate non costituiscono.. patrimoni particolari delle singole Forze armate, bensì un unico patrimonio statale, che fa capo al Ministero del Tesoro. Speciali esigenze di ciascuna Forza armata potrebbero trovare, nel processo di unificazione, adeguata salvaguardia. Nell'ampio settore del personale militare potrebbero essere unificate soltanto -determinate funzioni, che sono comuni alle tre Forze armate: per esempio la leva ed il reclut:~mento del personale di leva. Come si vede, con una moderna organizzazione « per. funzione » delle amministrazioni delle tre Forze armate si aprirebbe un campo assai vasto di possibilità all'unificazione interforze, con risultati certamente apprezzabili ai fini dei.l'economia e dell'efficienza. V'è chi sostiene (ho già accennato di sfuggita, localizzando il cenno sugli ufficiali) l'opportunità di fondere le varie Armi dell'Esercito in un'Arma unica, di reclutare tutti gli ufficiali delle tre Forze armate attraverso una sola scuola di reclutamento, di marciare insomma verso una Forza armata unica. Si tratta di esagerazioni, che avevano trovato terreno fertile nei pdmi anni del dopoguerra, in cui si cercava freneticamente di realizzare il massimo della semplicità e della novità nell'organizzazione militare. L'esperienza bellica aveva bensì dimostrato la necessità di una strettissima cooperazione fra le unità operanti delle tre Forze armate, e la costituzione di complessi interforze da inviare in lontani scacchieri di operazioni si presentava (e si presenta tuttora) come molto probabile in avvenire, soprattutto per le grandi Potenze mondiali, nel caso di confllitti, anche se solo limitati, o di pericolose crisi politiche in qualche parte del globo terracqueo. Ma dalla necessità di intima e profonda conoscenza reciproca e di strettissima collaborazione fra le tre Forze armate e di attitudine a costituire ed impegnare complessi operativi interforze sotto comando unico alla unificazione delle Forze armate e delle Armi ci corre parecchio! 91
La incessante diffusione (e vorrei dire invadenza) della tecnica nelle Forze armate richiede una sempre più accentuata specializzazione, il che è in contrasto con l'unificazione del personale militare sotto una unica uniforme, in una sola Forza armata, in una sola Arma. Stringere i vincoli di conoscenza e di collaborazione fra i quadri ufficiali di diverse Forze armate od Armi, questo sì è necessario e realizzabile mediante corsi, scuole superiori, esercitazioni interforze od interarmi o mediante periodi di esercizio in Forze armate od Armi diverse dalle proprie. Ma l'Arma unica nell'Esercito e la Forza armata unica sono una chimera ed un errore gravissimo, che in nessun paese è stato ancora commesso. Del resto il quadro di unificazione interforze (nel campo dell'Amministrazione della Difesa) che ho presentato a grandi tratti è abbastanza vasto da richiedere alcuni anni di lavoro. Esso, come ho altrove accennato, richiede altresl tanta capacità, tanta accanita volontà nelle Autorità tecniche e politiche che intendessero applicarlo da far sorgere i più fondati dubbi circa la possibilità di integrale realizzazione 1 .
1
Allo stato attuale delle cose è in vigore una legge che delega il Ministro della Difesa, entro un limitato periodo di tempo, ad apportare modifiche all'organizzazione dello stesso Ministero ed agli Stati Maggiori della Difesa e delle Forze armate. Secondo il testo di questa legge, i tre Segretari generali di Forza armata dovrebbero essere ridotti ad uno solo interforze (e perché non ridurre il numero dei Sottosegretari politici?). Vale a dire che si comincerebbe col ridurre la quantità di enti direttivi' militari lasciando intatto quello degli enti civili in seno al Ministero, mentre le attribuzioni dei Capi di Stato Maggiore verrebbero modificate timidamente ed insufficientemente rispetto a quanto esporrò nel capitolo seguente. Troppo poco in verità (ed apparentemente non nella direzione migliore), almeno secondo le previsioni deducibili dal testo di legge, in confronto a quel molto che sarebbe possibile e desiderabile! 92
VI L'Alto Comando: lacuna al vertice delle ,gerarchie militari. - Prerogative del Ministro e dei Capi di Stato maggiore attraverso ai tempi; modificazioni necessarie. - Uno sguardo all'estero. - L'Alto Comando in relazione all'organizzazione atlantica.
Uno dei problemi più ricchi di conseguenze, che dovrebbe essere risolto in modo netto e la cui soluzione è invece tuttora avvolta dalle nebbie dell'incertezza e dell'equivoco, è quello dell'« Alto Comando». Chi comanda le Forze armate nel loro complesso? Chi comanda ciascuna Forza armata? I rapporti di comando e di dipendenza del tempo di pace rimarrebbero immutati in caso di guerra o dovrebbero essere soggetti ad intempestivi e pericolosi cambiamenti a_l1' atto del passaggio dallo stato di pace a quello di guerra? Anche i profani comprendono l'importanza e vorrei dire il peso di questi interrogativi. Le Forze armate sono destinate a svolgere, in caso di conflitto, un compito di valore determinante ai fìni della esistenza della Nazione ed in tempo di pace contribuiscono in larghissima misura a salvaguardare le Istituzioni e l'ordine interno ed a preservare, semplice·· mente con la loro presenza, la pace stessa contro aggressioni od appetiti esterni. Per garantirne l'efficienza e la speditezza di azione è necessario che ai vari livelli gerarchici ie attribuzioni e le responsabilità di comando siano definite senza ombra di equivoco o di dubbio. Ora, mentre, risalendo dai gradini più bassi lungo la catena gerarchica di ogni Forza 93
armata, funziona una razionale ed efficace rete di Comancli militari, ciascuno dei quali, al rispettivo livello, è chiaramente investito della sua dose di responsabilità e di potere, le cose si confondono e si oscurano quando si giunge al vertice, cioè alla cosiddetta Autorità centrale. In base alla Costituzione il Presidente della Repubblica comanda le Forze armate. Ma poiché la Repubblica italiana non è presidenziale come, per esempio, lo è l'organizzazione statale degli Stati Uniti d'America dove il Presidente è altresì Capo del Governo, e poiché il Capo dello Stato in Italia non ha responsabilità di Governo, così le sue facoltà di comando e l'esercizio dello stesso comando sulle Forze armate rimangono piuttosto vaghi, confinati nel campo teorico e determinati in effetti dalla sua particolare attitudine e dalla sua volontà nonché dalla discrezione e dal senso di ossequio del Ministro della Difesa. E' bensì vero che il Capo dello Stato presiede il Consiglio Supremo di Difesa, ma, prescindendo dal fatto che taluno, appellandosi alla irresponsabilità del Presidente della Repubblica in materia di Governo, tende, come ho già accennato di sfuggita, a negare la funzione deliberativa del Consiglio Supremo riconoscendo solo quella consultiva, sta di fatto che quel supremo Consesso, nelle poche riunioni di ogni anno, deve forzatamente limitare la propria attività all'esame di vasti problemi relativi alla difesa nazionale, astenendosi da veri e propri atti di comando (che del resto non rientrerebbero nei suoi compiti) sulle Forze armate. In conclusione, circa l'azione di comando del Presidente della Repubblica, mi sembra di poter affermare che in tempo di pace essa consista nell'approvazione delle nomine alle più alte ed importanti cariche militari o addirittura nella designazione di elementi da destinare a tali cariche e nell'impartire direttive su qualche importantissimo problema interessante le Forze armate. Ciò, beninteso, qualora il Capo dello Stato ·sia portato, per esperienza combattentistica e mi94
litare e per convinzione personale, a comprendere, apprè:t.r zare e studiare le questioni inerenti all'organizzazione militare della Nazione. In mancanza di tale attitudine, la sua azione di comando si ridurrebbe ad approvare platonicamer;te le soluzioni che gli venissero sottoposte. Per il tempo di guerra, in mancanza di dati concreti, si può presumere, con non grande sforzo di fantasia, che l'azione di comando del Presidente della Repubblica sarebbe ancora più evanescente. Dal Capo dello Stato si passa al Ministro per la Difesa, le cui attribuzioni non sono chiaramente specificate da alcuna legge recente ma al quale, per tradizione e secondo lo spirito di leggi che, senza contemplare la sua carica, considerano alte cariche od alti organismi militari, compete, almeno in tempo di pace, piena facoltà di comando sulle Forze armate. Dal Ministro dipendono non soltanto gli organi di direzione amministrativa del dicastero della Difesa ma anche il Capo di Stato Maggiore della Difesa, i Capi di Stato Maggiore dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica ed il Presidente del Consiglio superiore deile Forze armate, che è un organismo collegiale incaricato di esaminare, con funzione consultiva, le grosse questioni interessanti le Forze armate. Nell'esercizio del suo alto compito direttivo nelle materie amministrative il Ministro si vale della collaborazione, entro limiti da lui medesimo determinati, dei Sottosegretari di Stato alla Difesa, nonché dell'opera dei Segretari generali di Forza armata. Questi, pur senza avere chiare attribuzioni né responsabilità amministrative (non possono, tra l'altro, firmare « per il Ministro » come invece sono autorizzati a fare i Direttori generali e funzionari in sottordine da questi dipendenti), sono in pratica autorità miiitari incaricate di coordinare, nell'ambito delle rispettive Forze armate, l'azione delle Direzioni od Ispettorati generali, assicurando pure una certa continuità di indirizzo, e di funzionare quali organi demoltiplicatori fra quegli enti direttivi 95
,ed il Ministro, che, senza i Segretari generali, rischiereb.be di avere in mano un numero eccessivo di redini. In sostanza, secondo la legge (talvolta non secondo il testo, bensì secondo i vuoti ed i silenzi della legge) e secon.do la consuetudine, il Ministro ha facoltà quasi illimitate sia in campo amministrativo sia in fatto di comando vero e proprio. Viceversa ai Capi di Stato Maggiore non è riconosciuta dalla legge alcuna funzione di comando, bensì semplicemente, .entro limiti più o meno vasti in relazione all'epoca a cui risalgono le leggi istitutive delle cariche, una funzione tecni·Ca di indirizzo verso i vari enti militari e di consulenza nei riguardi del Ministro. Un poco più ampie sono le facoltà del ·Capo di Stato Maggiore della Difesa, le cui attribuzioni sono state determinate per legge dopo la seconda guerra mondiale -ed a cui viene riconosciuta una certa funzione tecnica di -coordinamento nei confronti dei Capi di Stato Maggiore di Forza armata; alquanto più ristrette, e con differenze non sostanziali fra le une e le altre, sono le facoltà lasciate ai Capi di Stato Maggiore di Forza armata da disposizioni di legge che hanno parecchi lustri di età (circa sette per l'Esercito). Strana situazione davvero è quella attuale in cui, di fronte ad un Ministro che ha poteri formalmente dittatoriali in ,ogni settore della intera organizzazione militare, stanno gerarchie militari che al vertice mancano di Capi militari dotati di piena e regolare autorità di comando. Ciò costringe gli stessi Capi a far valere' il proprio prestigio personale ed .a giocare col compromesso per esercitare con efficacia la loro funzione. In base alle leggi vigenti i Capi di Stato Maggiore delle Forze armate non potrebbero esercitare azione di comando sugli alti Comandi periferici e tanto meno sui Segretari generali; mentre al Capo di Stato Maggiore della Difesa è formalmente consentita l'azione coordinatrice giac,ché è prevista, per determinate attività, la dipendenza da lui dei Capi di Stato Maggiore delle Forze armate. 96
In ·sostanza ·chi tiene legaln1ente il bastone del comando è il Ministro, il quale è oggi un politico, solitamente privo di competenza tecnica, mentre in cima alle gerarchie militari stanno Capi provvisti della ·necessaria preparazione tecnica ma non della piena facoltà di comando. Come possono in tal modo essere chiaramente definite le responsabilità? Come può in siffatta situazione funzionare con scioltezza ed efficacia il meccanismo del comando alla sommità dell'organizzazione militare? Prescindendo dal vuoto esistente fra il Ministro e gli alti Comandi periferici, che può essere solo imperfettamente e, posso anche dire, illegalmente colmato dall'azione dei Capi di Stato Maggiore, il difetto di costruzione nell'edificio gerarchico centrale può produrre due dannose conseguenze. Da un lato il Ministro, il quale, assorbito da molteplici e pressanti impegni di partito ed elettorali, è costretto a valersi, per esercitare la sua azione ministeriale, di una più o meno nutrita schiera di consiglieri, compresi o non nel suo Gabinetto, può subire, senza accorgersene, l'influenza di elementi irresponsabili o di cosiddette eminenze grige (la cui esistenza è proprio favorita dalle situazioni confuse) ed essere indotto talvolta a sacrificare l'esigenza teènica di fronte a non insormontabili difficoltà finanziarie o giuridiche o politiche. D'altro lato può avvenire che alti Comandi periferici, giovandosi delle dirette relazioni col Ministro e magari di qualche altro appoggio politico, tendano ad uscire dai binari delle direttive e degli intendimenti dei Capi di Stato Maggiore. In definitiva compromessi e adattamenti, affidati a qualità personali come tatto, capacità e 'tenacia sono necessari ·per compensare (naturalmente con notevolé imperfezione) il diletto legislativo circa le attribuzioni dei Capi di Stato Maggiore. Tutto ciò in tempo di pace. Ed in caso di guerra che cosa succederebbe? Lungi 'da me l'intenzione di toccare ar97
gomenti che normalmente sono coperti (forse troppo per eccesso di prudenza) dal velo del segreto. Si può tuttavia ritenere probabile che allo scoppio delle ostilità le facoltà di comando dei Capi militari verrebbero maggiorate. Ma poiché fra le ipotesi ammesse negli ambienti militari e politici v'è quella dello scoppio istantaneo della guerra, ci si potrebbe trovare nell'impossibilità di apportare cambiamenti tempestivi all'organizzazione esistente; senza contare che qualsiasi modificazione nel momento dell'emergenza provoca una crisi èli durata più o meno lunga ed è quindi, finché possibile, da evitare. Ci si può domandare per quali motivi leggi di vecchia data, antecedenti al secondo conflitto mondiale, delineassero in modo così poco incisivo la figura dei Capi di Stato Maggiore di Forza armata. La situazione politica generale era una volta molto diversa e poteva spiegare (anche se non giustificare) tale fatto. Un brevissimo tuffo nella storia del recente passato varrà a fornire la risposta. Nell'epoca a cui le suddette leggi risalgono ed in epoche precedenti, la carica di Ministro di Forza armata era devoluta di norma ad un militare di carriera. Qualche fugacissima · . eccezione di Ministro civile (parzialmente compensata dalla nomina di un Sottosegretario militare) subito dopo la prima guerra mondiale non intaccò che superficialmente questa norma. Al Sovrano spettava costituzionalmente il Comando supremo delle Forze armate e, sebbene egli non esercitasse a fondo tale comando, tuttavia~ per tradizione e per formazione professionale, era indotto ad occuparsi attivamente del personale e delle questioni militari. In tempo di pace il Ministro che, ripeto, éra di norma un militare, aveva autorità -prevalente rispetto a quella di cui era investito il Capo di Stato Ma·ggiore. In· caso di guerra la posizione delle due personalità si invertiva: mentre si costituiva per mobilitazione il Comando Supremo ed il Capo di Stato Maggiore ne assumeva di fatto le redini esercitando piena azione di comando
su tutte le forze operanti e mobilitate (di nome Comandante Supremo era il Re), la figura del Ministro passava in seconda linea e la sua azione si limitava all'approntamento di uomini e materiali da destinare alle forze suddette per soddisfare le esigenze operative e le richieste del Capo di ·Stato Maggiore, nonché all'esercizio del comando nel solo ambito territoriale. Durante la prima guerra mondiale il generale Luigi Cadorna e successivamente il generale Diaz furono le personalità più in vista e più autorevoli nella condotta della guerra terrestre ed aerea (allora l'Aeronautica non costituiva ancora Forza armata indipendente), mentre diversi altri generali, il cui nome è coperto dall'oblìo, 'si succedettero nella carica di Ministro della Guerra. Discorso analogo potrebbe farsi nei riguardi del Capo di Stato Maggiore della marina Thaon di Revel e dei Ministri della Marina. · E' noto che durante quella guèrra il Sovrano risiedeva nella zona di operazioni, in un proprio Quartier generale, e, pur lasciando ai Capi di Stato Maggiore libertà d'azione e responsabilità di comando, effettuava frequentissime visite ed ispezioni ai Comandi ed alle truppe operanti. Aggiungo, acche se l'aggiunta non rientra nell'argomento qui trattato, che in un momento particolarmente critico per le nostre armi egli seppe pronunziare, di fronte a Capi di Governo e Capi militari alleati, parole ferme e fiduciose a favore delle misure adottate dal nostro Comando Supremo, evitando provvedimenti operativi non necessari, che sarebbero risultati dannosi. Nemmeno allora poteva passare per razionale il sistema di prevedere un passaggio di responsabilità e di facoltà di comando dal Ministro al Capo di Stato Maggiore nel momento dello scoppio delle ostilità o nel periodo immediatamente precedente in conseguenza della mobilitazione generale, anche se la guerra aveva un aspetto tanto diverso da quello oggi prevedibile per il futuro, giacché investiva direttamente solo una parte del territorio nazionale è lasciava il tempo e la po·ssibilità di effettuare, con la mobilitazione, complesse tra99
sformazioni organiche e logistiche. Sarebbe stato più logico che l'autorità destinata a sostenere la responsabilità del coman~o sulle, forze operanti in caso di guerra ed incaricata, in tempo di pace, della preparazione tecnica di tali forze, avesse sin dal tempo di pace facoltà di comando, pur tenendo conto del fatto che il Ministro era, al pari di lui, un militare. In conseguenza della non chiara né razionale posizione reciproca del Ministro della Guerra e del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito si verificarono in pace frequenti dissidi fra le due Autorità: in qualche momento si cercò inutilmente di evitarli od attenuarli accentuando la subordinazione al Ministro del Capo di Stato Maggiore e persino cambiando il nome dell'organismo posto a diretta disposizione del secondo per l'esercizio delle sue funzioni, con l'intenzione di declassarlo. Il dissidio era fatale perché, pur trovando un elemento acceleratore p.el caràttere degli uomini, _aveva la sua causa originaria nel sistema. Non mancarono nemmeno in guerra, nel periodo in cui l'Esercito mobilitato fu agli ordini di Cadorna, · esempi cli divergenze e di conflitti cartacei fra il Capo di Stato Maggiore ed il Ministro della Guerra o addirittura il Presidenté del Consiglio. Durante il ventennio fascista fu creata la carica di Capo di Stato Maggiore Generale, a cui vennero inizialmente.: assegnate attribuzioni vaghe e platoniche e, a due riprese, Mussolini assunse personalmente i tre Dicasteri militari. Naturalmente il Capo del governo non poteva dedicare a qHesti Dicasteri una somma di attività sufficiente per garantirne un iegofare è pieno funzionamento senza un valido aiuto da par te di collaboratori autorevoli; e quindi per ogni' Ministero di Forza armata fu nominato un Sottosegretario militare ·con facoltà così ampie da renderne la figura più simile a 'quella èli Ministro che a quella comunemente attribuita ai Sottosegretari. Questo accentramento di poteri non bastava ad eliminare le cause di attrito fra il Sottosegretario ed .il Capo di Stato· Maggiore. Si ricorse allora ad un rimedio seniplici0
100
stico: abbinare in una sola persona le due cariche cli Sottosegretario e cli Capo di Stato Maggiore di Forza armata. Il rimedio si dimostrò attuabile ed efficace per la Marina e per l'Aeronautica, ma non per l'Esercito a causa della vastità e del peso cli questa Forza armata e della molteplicità dei compiti; talché, dopo qualche tentativo di abbinamento nel periodo che precedette l'ingresso dell'Italia nella seconda guerra mondiale, si dovette per l'Esercito nominare un Capo di Stato Maggiore distinto dal Sottosegretario. Con ciò ricomparvero le cause cli attrito, .sebbene in guerra la personalità del Capo di Stato Maggiore prevalesse su quella del Sottosegretario, pur risultando schiacciata da quella del Ministro (Mussolini), il quale aveva pure assunto il Comando supremo delle Forze armate (purtroppo effettivo) al posto del Re. Ma l'organizzazione dell'Alto Comando delle Forze armate italiane nel secondo conflitto mondiale, al pari cli altre creazioni ordinative e logistiche, non è certo da prendersi a modello per l'avvenire. Se dunque la carenza di facoltà cli comando nelle figure dei Capi cli Stato Maggiore risultava nociva e ricca di inconvenienti in tempi lontani, in cui i Ministri di Forza armata erano militari professionisti e lo stesso Sovrano, Comandante Supremo, doveva essere pure considerato, come ho già avuto occasione di rilevare, un militare professionista, il difetto acquista maggiore gravità oggi, coi sistemi politici vigenti, secondo cui il Ministro della Difesa è scelto fra i parlamentari con criteri esclusivamente politici ed il Presidente della Repubblica, Comandante delle Forze armate, proviene anch'egli dalle file dei militanti nel campo politico e solo per fortunata combinazione può risultare dotato di meriti combattentistici e di pratica del servizio militare. E' assurdo che le gerarchie delle Forze armate culminino nell'incerto e nel nebuloso. Ogni Capo di Stato Maggiore di Forza armata deve risultare per legge fornito della facoltà di esercitare piena azione di comando sulla rispettiva Forza 101
armata. Il Capo di Stato Maggiore della Difesa non solo deve conservare la potestà, oltre che il dovere, di coordinare in determinati settori l'opera dei Capi di Stato Maggiore di Forza armata, ma dev'essere anch'egli provvisto di facoltà di comando vero e proprio, la quale, al suo alto livello, deve poter esplicarsi nel çomando diretto di determinati organi interforze, nella emanazione di direttive per i Capi di Stato Maggiore di Forza armata, nella presidenza del Comitato dei Capi di Stato Maggiore, che se di fatto viene talvolta riunito per iniziativa delle personalità militari direttamente interessate, in realtà non esiste legalmente. Questo Comitato, che solo in Italia fra i paesi importanti dell'Alleanza atlantica non ha ancora diritto di cittadinanza, dovrebbe discutere le questioni ·di comune interesse per Forze armate diverse, prendere · decisioni su quelle di carattere esclusivamente tecnico, esprimere parere al Ministro su quelle che abbiano ripercussioni politiche o finanziarie. La consulenza di questo Comitato potrebbe essere utilizzata anche dal Presidente del Consiglio dei Ministri, se questi si occupasse in modo continuativo, come sarebbe logico, opportuno e vorrei dire necessario, dei grossi problemi relativi alla difesa nazionale ed alle Forze armate. Oltre che, naturalmente, dal Capo dello Stato. Le .obiezioni che possono essere mosse ad un provvedimento che attribuisse facoltà di comando ai Capi di Stato Maggiore non sono di facile formulazione e ad un esame critico si dimostrano prive di consistenza. Si può osservare che il provvedimento suonerebbe come un atto si sfiducia nei riguardi del Ministro che, non essendo dotato di preparazione tecnica nel campo militare, lascia di solito ampio libertà d'azione ai Capi di Stato Maggiore. L'osservazione non regge di fronte alla considerazione che i Capi di Stato Maggiore devono godere di piena ed indiscussa autorità nei confronti dei Comandi militari per poter esercitare con efficacia le loro funzioni; d'altra parte al Ministro resterebbero in mano la leva amministrativa e quella politica 102
e non verrebbe annullata la dipendenza da lui dei Capi di Stato Maggiore. Che questi fruiscano di chiara e completa facoltà di comando e di alto prestigio dovrebbe anzi essere interesse e cura dello stesso Ministro, ammesso, come sembra naturale, ch'egli abbia a cuore l'efficienza delle Forze armate. Un'altra possibile obiezione contro il provvedimento è che questo può essere ritenuto da molte persone antidemocratico. Qui la democrazia non c'entra e sarebbe citata a sproposito. O si pensa erroneamente che l'organizzazione militare è antitetica rispetto al sistema democratico ed allora, lungi dal fornire prova di determinate convinzioni politiche, si fa mostra di cieco antimilitarismo, o si deve riconoscere l'opportunità, anzi la necessità che, con qualsiasi regime politico ed a garanzia dell'efficienza delle Forze armate, la catene gegarchiche e disciplinari siano salde e complete, dai gradini più bassi a quelli più elevati, e che le responsabilità, al pari .delle attribuzioni, siano ben definite a tutti i livelli, compreso il più alto. Infine si può contrastare un incremento delle facoltà dei Capi militari con ragioni, o meglio con pretesti, di carattere politico: si può affermare che in regime democratico conviene mantenere nella maggior misura possibile la subordinazione dell'elemento militare all'elemento politico, per evitare il pericolo che il primo, acquistando eccessivo potere, tenda ad imporsi al secondo e magari a sostituirsi ad esso ,con un colpo di Stato. Non avrei considerato una obiezione di tal fatta se non l'avessi udita con le mie orecchie nell'atto 'in cui era pronunciata da un alto personaggio politico. Non mi mancherà in seguito l'occasione di toccare l'argomento delle relazioni e delle interferenze fra l'ambiente militare e 1'ambiente politico e degli straripamenti dall'uno all'altro di essi. Qui mi limito a porre in evidenza che l'esprimere dubbi ·sul senso del dovere, sulla obiettività e sulla astensione scrupolosa da collusioni, manovre o complotti politici o di partito <la parte degli alti quadri delle Forze armate costituisce per 103
questi un'atroce ed immeritata offesa. Ad essi, se mai, può essere addebitato un eccesso di conformismo e di ossequio verso le Autorità politiche, venuto di moda a partire dal momento in cui, a causa dei sistemi fascisti, si iniziò un processo di graduale svirilimento, che fece scomparire in buona parte od attenuare le tradizionali qualità di carattere. Difetto, questo, che non è scomparso. D'altra parte non si tratta di sottrarre i Capi militari dalla dipendenza dal Ministro della Difesa, bensì di dare Capi militari efficienti alle Forze armate che sono per legge poco più che acefale. L'opporsi al raggiungimento di un simile obiettivo con pretesti inconsistenti rappresenterebbe un'altra prova di caparbio antimilitarismo. · Non intendo davvero addentrarmi nell'esame di spinose e, per i non iniziati, aride questioni ordinative per dedurne, sia pure a grandi linee, l'assetto organico più conveniente allo scopo di assicurare in ciascuna Forza .armata efficace azione di comando da parte del Capo di Stato Maggiore. Mi limito a segnalare due condizioni .che a mio parere dovrebbero essere realizzate. Anzitutto, per fronteggiare l'ipotesi, considerata oggi come probabile, di scoppio repentino delle ostilità con offese nucleari che rendano impossibile od aleatoria qualsiasi operazione di mobilitazione, e per · evitare o ridurre al · minimo le trasformazioni organiche nel momento dell'emergenza, occorre che l'organizzazione di pace sia quanto più possibile simile a quella di guerra. In secondo luogo, perché al Capo di Stato Maggiore sia consentita una spedita, decisa e feconda azione di comando, è necessario che la sua opera d'impulso e di guida, oggi preferibilmente orientata verso i settori operativo e addestrativo, si estenda legalmente a tutti i settori dell'organizzazione militare. Le sue mani devono saldamente impugnare tre redini: quella del personale, quella dei materiali (per quanto riguarda la funzione logistica dei rifornimend alle unità operanti, ossia i cosiddetti Servizi d'intendenza) e quella dei Servizi tecnici. In tal 104
modo delle tre funzioni che, secondo quanto ho detto nel capitolo precedente, vengono oggi svolte dalle Direzioni generali del Ministero della Difesa, due, quella logistica e quella. teçnica, che sono vere e proprie funzioni di comando, avrebbero il loro vertice nel Capo di Stato Maggiore e giungereb-:bero al Ministro per tramite dello stesso Capo. Ovviamente 1 entro i· limiti invalicabili del bilancio,.l'attività delle branche amministrative e di approvvigionamento dovrebbero orientarsi in modo da agevolare l'indirizzo tecnico e di comando segnato dal Capo di Stato Maggiore. Sarebbe quindi logico che. il Segretario generale, pur continuando a dipendere, come del res.to il Capo di Stato Maggiore, dal Ministro .della Difesa, fosse legalmente impegnato a ricevere e seguire le direttive del Capo di Stato Maggiore. E' giacché il discorso ha toccato quest'altro personaggio militare, è bene aggiungere che la sua figura dovrebbe essere meglio definita di quanto oggi non sia; le attribuzioni del Segretario generale dovrebbero essere fissate per legge con quella chiarezza e precisione che oggi fanno difetto, in modo eh'egli risultasse di diritto e di dovere un coordinatore delle attività amministrative del Ministero ed un collaboratore sia del Ministro sia del Capo di Stato Maggiore. A confronto della situazione di incertezza e di indeterminatezza che esiste al sommo delle nostre gerarchie militari può essere utile gettare uno sguardo su Forze armate estere. In alcuni Stati, per esempio in Turchia, nella Repubblica Argentina e nella Repubblica araba unita, ogni Forza armata ha un Comandante in capo che è un militare di carriera e dal quale dipende un Capo di Stato Maggiore. In molti paesi i Ministeri delle Forze armate sono affidati pure a militari professionisti: per esempio, non solo in Argentina ed in Turchia,. ma anche in Brasile ed in tutti gli altri Stati dell'America meridionale e centrale nonché in numerose nazioni dell'Asia e ·dell'Africa che hanno più o meno recentemente acquistato l'indipendenza. Taluno può obiettare che in alcuni di questi 105
paesi sono avvenuti in tempi vicini o continuano ad accedere con una frequenza singolare colpi di Stato per opera dei militari. Ma la causa di questi colpi di Stato non è certo da .attribuire ad un eccesso di potere lasciato della legge ai Capi militari, bensì ad . un complesso di condizioni politiche ed .ambientali che non è il caso di esaminare qui. Per convin,cersi di ciò basta pensare che in qualsivoglia paese un capo ,o d una corrente militare che intenda effettuare un colpo di Stato, ·agendo perciò fuori e contro la legge, non indugia prima a valutare la quantità di potere concessa dalla legge. In un altro gruppo di paesi i Ministri delle Forze armate sono di regola militari di carriera ed hanno preminenza sui Capi di Stato Maggiore: nell'U.R.S.S. e negli Stati satelliti. Dalle manifestazioni verbali e coreografiche con cui il maresciallo sovietico Ministro della Difesa tende frequentemente ad esaltare la potenza militare della sua patria si dovrebbe ,d edurre ch'egli goda di un'ampia sfera di potere. Ma veniamo a paesi più vicini all'Italia perché membri ,della stessa Alleanza di cui l'Italia fa parte. Negli Stati Uniti d'America, dove i Ministri delle Forze ,armate sono generalmente personalità civili (ma non sono sistematicamente scelti fra i politici, bensì spesso fra capi di industrie e di banche o di simili enti, quindi fra persone -dotate di spiccata capacità organizzativa), i Capi di Stato Maggiore, come già ho avuto modo di accennare, hanno attribuzioni assai ampie e godono di notevole prestigio, ed il Comitato dei Capi di Stato Maggiore, ufficialmente riconosciuto, assiste col suo parere e col suo consiglio lo stesso Presidente degli Stati. I contatti delle autorità militari con l'ambiente politico sono assai più :frequenti che in Italia e possono essere provocati da iniziative militari; non solo i' Capi di Stato Maggiore ed i più alti Comandanti, ma qualsiasi personalità militare di grado abbastanza elevato viene chiamata dall'uno e dell'altro ramo del parlamento per esprimere il proprio parere e discutere opinioni circa rapporti o 106
progetti che la riguardino direttamente. In Italia invece, come è noto, le relazioni delle Forze armate col Parlamento sono mantenute esclusivamente per .tramite del Ministro o dei Sottosegretari. In Gran Bretagna, paese di vecchia struttura democratica, degli organi di governo e di comando collegiali, delle decisioni e delle responsabilità collettive, i Capi di Stato Maggiore fruiscono di un'alta e salda posizione morale e sono investiti di gradi militari molto elevati e di titoli particolarmente distinti (Maresciallo dell'Impero, Maresciallo dell'aria, primo Lord del mare); costituiscono il Comitato dei Capi di Stato Maggiore; compaiono sistematicamente per dire la loro autorevole parola nei più alti consessi governativi che trattino questioni attinenti alla difesa nazionale. In Francia, nazione di grandi e brillanti tradizioni militari, dopo l'avvento del regime del generale De Gaulle l'organizzazione dell'alto Comando delle Forze armate, al pari di quella della difesa, è stata, come già ho accennato, rifatta su basi di razionalità e di efficienza: il Comitato dei Capi di Stato Maggiore funziona in pieno. Il che non ha impedito che dolorosi conflitti e defezioni si producessero nell'interno delle Forze armate in conseguenza della guerra e dell'indirizzo politico in Algeria. Prima che De Gaulle ritornasse al potere, la situazione delle Autorità militari nei confronti di quelle politiche era press'a poco simile a quella che tuttora si verifica in Italia. Con questa differenza tuttavia; che mentre in Italia l'azione degli organi di Governo e politici in genere tende con successo a mantenere sotto una coltre di silenzio o tutt'al più a toccare molto in sordina le questioni relative alla difesa nazionale ed all'organizzazione militare, in Francia si svolgeva una lotta senza respiro ( talvolta allo stato più o meno latente, talvolta con sussulti ed esplosioni di vivacità) fra le Autorità militari, che chiedevano più ampie facoltà ed indirizzi politici più energici in Africa settentrionale, e le Autorità politiche, le quali resistevano tenacemen107
te, concedendo soltanto qualche incremento di attribuzioni ai Capi di Stato Maggiore. L'opinione pubblica seguiva queste vicende con interesse vibrante. Dimissioni clamorose e dichiarazioni scandalistiche da parte di alte personalità militari si seguìrono con ritmo sempre più· frequente, finché, aggravatasi la situazione in Algeria, si giunse ai pronunciamenti ed al colpo di Stato che portò De Gaulle alla testa prima del Governo e poi della Nazione. Circa l'organizzazione dell'alto Comando in Italia vi sono altri importanti problemi che dovrebbero essere risolti, altre posizioni che dovrebbero essere nettamente definite per raggiungere una chiara determinazione di responsabilità e realizzare condizioni di efficace funzionamento. In conseguenza dell'ingresso nell'Alleanza atlantica le Forze armate italiane sono entrate a far parte non di una coalizione quali dovevano essere considerate quelle che si formarono durante le due guerre mondiali (raggruppamento cioè sotto un solo comando, di determinata nazionalità e funzionante mediante l'emanazione di larghe direttive, delle forze di più nazioni), bensì di un'organizzazione militare internazionale fondata sull'integrazione il più possibile accentuata delle forze e dei Comandi. La coalizione di vecchia maniera aveva una esistenza difficile e faticosa ed un'efficienza limitata a causa della forza centrifuga da cui erano animate, sotto la molla dell'interesse e dell'orgoglio nazionale, i singoli contingenti. Il sistema odierno, che porta allo studio ed alla preparazione di operazioni in comune in corrispondenza di vari livelli gerarchici, allo svolgimento di esercitazioni complesse in comune, alla cooperazione diretta fra unità più o meno importanti ed appartenenti a nazionalità diverse, alla standardizzazione degli armamenti, all'adozione di linguaggio e di procedimenti simili da parte di Forze armate di varie nazioni, è di gran lunga più efficace. Esso è inoltre fecondo di ·altri non trascurabili vantaggi: per esempio la reciproca conoscenza dei quadri di paesi diversi e, in conseguenza, la 108
reciproca ·fiducia ed una preparazione professionale di più ampio respiro. Tuttavia l'applicazione di tale sistema in tempo relativamente breve, sotto la spinta dell'esigenza politico-militare e del pericolo incombente, non è stata scevra di inconvenienti. In Italia una parte notevolissima delle forze esistenti risulta a disposizione di Comandi integrati dell'Alleanza atlantica per operazioni previste nell'ambito dell'Alleanza. Queste operazioni e gli obiettivi che esse si prefiggono coincidono quasi perfettamente con le operazioni che sarebbero necessarie e con gli obiettivi che occorrerebbe raggiungere per assi..curare la difesa del territorio nazionale, il che costituisce un elemento nettamenté favorevole. Ma l'organizzazione di comando in pace e soprattutto in guerra non è chiara come ~arebbe desiderabile e presenta lacune ed interferenze. In tempo di pace le forze a disposizione dell'Alleanza dipendono dagli Stati Maggiori nazionali, che provvedono a soddisfare le loro esigenze organiche, addestrative e logistiche, mentre i Comandi alleati integrati, che dovranno impiegarle in guerra, sebbene molto consistenti sotto il punto di vista numerico, hanno la figura piuttosto platonica di Comandi designati, e, nella loro azione, si limitano a pianificare e ad organizzare e svolgere esercitazioni di vario tipo. Con lo scoppio delle ostilità questi Comandi acquiste'rebbero funzione pienamente attiva e le forze destinate ad essere impiegate nell'ambito dell'Alleanza passerebbero alla loro dipendenza uscendo dalla sfera nazionale. Balzano subito . agli occhi le stonature e le dannose conseguenze di siffatta·organizzazione: un cambiamento di dipendenza nel momento·dell'emergenza ed una polverizzazione di responsabilità, giacchè l'erite incaricato di presiedere alla preparazione delle forze alla guerra non è quello destinato ad impiegare le stesse forze in caso di conflitto, e viceversa. Il primo inconveniente non è così grave come il secondo giacché le unità operanti continuerebbero a dipendere da Coman109
di di grande unità nazionali, e sarebbero questi a cambiare di dipendenza passando dall'ambito nazionale a quello dell'Alleanza. Che qualche Comando atlantko integrato sia retto da un generale od ammiraglio italiano non diminuisce per nulla il peso degl'inconvenienti, soprattutto del secondo. Gl'inconvenienti, di lieve entità per la Marina data la limitata consistenza dell'alìquota destinata a staccarsi dal ceppo nazionale, sono assai più gravi per l'Esercito e per l'Aeronautica giacché la maggior parte delle unità di queste Forze armate è a disposizione dell'Alleanza atlantica. In caso di guerra, fra l'altro, gli Stati Maggiori dell'Esercito e dell'Aeronautica (ed i relativi Capi di Stato Maggiore) rimarrebbero con una disponibilità assai scarsa di forze nazionali efficienti e con compiti vaghi e di carattere essenzialmente territoriale (compresa, sia pure, la difesa interna del territorio, che è di notevole importanza), da assolvere entro limiti geografici variabili e presumibilmente mal de.finiti. In materia di responsabilità i compromessi e le incertezze non sono ammissibili ed occorre, a mio parere, superare ad ogni costo le inevitabili difficoltà nazionali ed extranazionali, che si oppongono ad un totale chiarimento della situazione. · Non è questa la sede per prospettare e discutere le soluzioni pos~ibili e per indicare quella più idonea. E' sufficiente rilevare che i Capi di Stato Maggiore di Forza armata, muniti di prerogative di comando in tempo di pace, dovrebbero conservarle interamente in caso di guerra, il che assicurerebbe la continuità di dipendenze e di responsabilità. Per ottenere un risultato così apprezzabile essi dovrebbero essere inseriti nellà catena di comando dell'Alleanza atlantica adattandosi, se necessario, ad essere posti alla dipendenza di un alto Comandante regionale atlantico. Il Capo di Stato Maggiore della Difesa potrebbe invece rimanere al difuori e al disopra della mischia, al livello cioè delle più alte autorità atlantiche militari. Il valore della posta è, a mio avviso tale, da indurre a 110
tuffarsi ed insistere tenacemente nel giuoco, pur di guadagnarla. Con questa affermazione chiudo il capitolo, che potrebbe chiamarsi il capitolo delle responsabilità. Infatti i provvedimenti proposti, oltre che a risolvere importanti questioni di prestigio e di chiarificazione e valorizzazione di funzioni inerenti ad elevate cariche militari, tendono anche e soprattutto a definire grosse responsabilità. Responsabilità di Capi militari, dei più alti Capi militari verso le Autorità politiche, di queste e di quelli verso la Patria od il Popolo con la P maiuscola. Tendono anche ad evitare che si ripeta un doloroso fenomeno già accaduto in Italia: che la responsabilità della partecipazione a conflitti armati e di eventuali rovesci (il Cielo li tenga lontani e tenga lontana ogni grave minaccia di guerra!) venga interamente addossata ai militari mentre dovrebbe a buon diritto essere addossata, interamente o per la maggior parte, alle Autorità politiche.
111
'
VII Possibili fonti di economia al di fuori del riordinamento .dell'Amministrazione centrale. - Riduzione del numero di stabilimenti, magazzini, depositi, enti burocratici milita1·i. - Necessità di un più corretto e razionale impiego del personale civile e militare. - Il problema dell'ammodernamento degti immobili militari. - Esuberanza numerica delle forze di Polizia. Nei capitoli precedenti ho considerato l'orgaµizzazione del Ministero. della Difesa indicando a grandi linee le modifìca.zioni opportune per renderla più snella, più efficace e più economica; ho suggerito inoltre i cambiamenti necessari per attribuire all'Alto Comando una maggiore efficienza ed una più chiara definizione di responsabilità. Prima di passare ad argomenti particolari che abbiano diretta influenza od attinenza .coi requisiti di qualità e cli potenza delle Forze armate (fra questi argomenti quello della disponibilità finanziaria ovvero dell'entità degli stanziamenti di bilancio è ovviamente di notevole importanza), ritengo utile ed interessante esaminare la possibilità di realizzare economie nella complessa organizza.zione delle Forze armate, al difuori dell'Amministrazione centrale. Nessuno si meraviglierà se, anticipando la presentazione di un elemento negativo che mi ripromettevo di porre in luce .ed approfondire più avanti, affermo che le risorse finanziarie ,offerte 'dai bilanci delle Forze armate sono di gran lunga insufficienti rispetto alle esigenze della difesa militare. Questa insufficienza, che si ripercuote dannosamente su tutti o su 113
quasi tutti i settori dell'organizzazione militare, rende più che mai acuta ed impellente la necessità di economizzare ovunque possibile. In quali punti dell'organizzazione si potrebbero adunque realizzare economie che concorressero ad attenuare lo squilibrio tra il fabbisogno e la disponibilità finanziaria? Senza entrare in particolari concreti che.renderebbero prolissa e noiosa la trattazione, mi limito a rilevare che riduzioni abbastanza sensibili. potrebbero essere effettuate nel sett0re logistico ed in quello degli approvvigionamenti mediante la soppressione di taluni stabilimenti, magazzini e depositi il cui mantenimento in' vita non è strettamente necessario. Questa possibilità (e quindi questa esuberanza di enti) è più ampia e sentita nell'Esercito e tiella Marina che nell'Aeronautica, la quale, essendo molto più giovane delle Forze armate consorelle, è molto meno affetta dal male cronico delle ipertrofie ed incrostazioni. L'esistenza di stabilimenti militari di produzione e di riparazioni dovrebbe essere giustificata soltanto dalla particolare delicatezza di materiali (per esempio taluni tipi di munizioni o di esplosivi) la cui lavorazione risultasse difficile od insufficientemente sorvegliata o male accetta presso l'industria civile, oppure dallo scopo di funzionare come stabilimenti piloti per l'approntamento di prodotti difficilmente realizzabili da enti civili. In mancanza di questi motivi o di questi scopi il ricorso all'industria civile dovrebbe risultare più economico ed anche più razionale ed appropriato. Non intendo davvero toccare una questione lungamente ed aspramente dibattuta in Italia negli ultimi anni: i rapporti fra industria privata ed industria statale o parastatale, fra iniziativa privata e programmazione di Stato. A bella posta ho detto « industria civile » e non « industria privata ». Il problema qui è molto più limitato e più ·chiaro. Nelle Forze armate i Servizi tecnici debbono essere ampiamente sviluppati dato il grande e continuo incremento delle esigenze e dei
'ù4
mezzi tecnici; generalmente assai più di quanto oggi non siano; ma gli stabilimenti di produzione e di riparazioni devono essere ridotti e mantenuti entro i limiti quantitativi dell'indispensabile. E 'ovvio che per approvvigionare mezzi mc::ccanici o legumi in conserva o scarpe convenga rivolgersi rispettivamente a stabilimenti meccanici od alimentari od a ç,alzaturifici gestiti dall'inqustria civile piuttosto che tenere in piedi appositi stabilimenti militari. Per quanto riguarda magazzini, depositi, enti burocratici vari, il ragionamento è alquanto diverso. Dovrebbero essere mantenuti in vita solo quelli che rispondono a comprovate ed insopprimibili esigenze, tenendosi presente, fra l'altro, l'opportunità di un logico decentramento e di una razionale ubicazione in considerazione della vulnerabilità rispetto alle nuove armi. Ora, io non voglio disconoscere che dopo la seconda guer~ ra mondiale un buon cammino sia stato percorso in fatto di sempli:licazione e riduzione di organismi militari del tipo no- minato. Ma molto, in materia, rifnane da fare. - Soprattutto nell'ambito dell'Esercito e della Marina vivono ancora la loro vita inutile e quindi parassitaria e dannosa stabilimenti, magazzini, depositi, enti burocratici la cui esistenza non è giusti:licata da alcuna esigenza militare, bensi da ragioni che vengono definite sociali, ma che in realtà sono politiche .o, per essere più esatto, elettorali. Queste· ragioni, che impediscono una coraggiosa ed illuminata opera di potatura, consistono nel voler mantenere nelle attuali occupazioni e sedi determinate maestranze (magari in buona parte non qualificate) o determinati gruppi di impiegati od operai, nel voler evitare la soppressione di qualche ente in regioni considerate come sottosviluppate, o addirittura nel voler astenersi da atti che potrebbero dispiacere a certe personalità politiche. Spesso risulta più facile sciogliere un reggimento che un piccolo magazzino di materiali con una decina di persone addette. E talvolta bisogna riconoscere che alcuni enti superflui 115
vengono tenuti in piedi mentre qualche altro, che sarebbe necessario, non viene creato per insufficienza finanziaria. Quanto ho sin qui rappresentato, pur astenendomi dall'enumerare casi concreti per non urtare suscettibilità e non favorire polemiche oltre che per non appesantire il discorso, dimostra che con l'attuale organizzazione la ragione politica tende a prendere il sopravvento su quelle amministrative e tecniche. Il che, se può essere ammesso in rarissimi casi e per questioni di scarso rilievo tecnico od amministrativo, dev'essere ritenuto di regola non equo oltre che dannoso. Un altro esempio che dimostra la sfavorevole influenza dell'elemento politico sull'organizzazione militare è quello dell'impiego non sempre corretto del personale civile. An° che in questo campo gl'inconvenienti sono assai più frequenti nelle Forze armate anziane di età (Esercito e Marina) che in quella più giovane (Aeronautica). Gli stessi inconvenienti non rappresentano certo una caratteristica esclusiva dell'Amministrazione delle Forze armate: è probabile, anzi è sicuro che essi si verificano, e forse in più grave forma, in altre Amministrazione statali. Ma nella prima spiccano in modo più evidente per la coesistenza di personale militare soggetto a diverso trattamento e a diversa disciplina. Per un complesso di circostanze accumulatesi attraverso gli anni il personale civile nel suo insieme (considerandosi cioè le varie categorie in cui esso è ripartito) risulta numericamente esuberante ma non bene distribuito sotto l'aspetto della qualità. Nelle categorie degli operai troppi sono i generici e non qualifìcati, troppo pochi gli specialisti. E poiché, in conseguenza delle eccedenze numeriche, l'assunzione di nuovo personale operaio è per lo più bloccata, riesce assai difficile porre rimedio a questa stridente e nociva sproporzione. Qualche volta è anche avvenuto che, apertesi per brevissimi periodi le assunzioni, anziché un ristretto numero di specialisti, fosse reclutato un numero più notevole di generici, dei quali non si sentiva alcuna necessità ma che avevano 116
una particolarissima prerogativa: quella di rispondere, per. località di origine o per interessi di partito, a determinate esigenze elettorali. Non ho mai capito chiaramente perché il personale d'ordine dipendente dall'Amministrazione della Difesa non possa essere trasferito di sede in base alle necessità di servizio. Così, ad esempio, è accaduto che, sciolto un ente in cui trovavano impiego militari e civili, i militari sono stati subito trasferiti in altra localtà dove la loro opera era necessaria od utile, mentre i civili sono rimasti per anni nella sede primitiva continuando a percepire i loro assegni senza alcun corrispettivo di lavoro. Inoltre non è infrequente qualche altro caso che mi limito benevolmente a qualificare come strano e che dimostra la irregolare ed antieconomica distribuzione del personale civile. Può accadere, per esempio, che presso un determinato ente (deposito o magazzino od ufficio) il personale civile addetto sia in quantità eccedente rispetto alle necessità di funzionamento, mentre presso qualche altro ente il personale civile sia in numero insufficiente o addirittura non esista. Nell'impossibilità, non so se legale o pratica (mi risulta che presso le ditte private i trasferimenti di operai vengono effettuati in base alle esigenze di lavoro), di spostare personale civile, contro i suoi interessi o desideri, dall'uno all'altro ente, si rimedia impiegando personale militare là dove esistono deficienze di braccia o di cervelli. E così si infrangono doppiamente le buone regole dell'economia: da un lato mantenendo in talune sedi personale civile esuberante, dall'altro lato impiegando personale militare in compiti d'ufficio o di guardia o, peggio, di fatica che non sono cònsoni agli scopi che lo Stato dovrebbe ripromettersi chiamando i cittadini alle armi. · · Con ciò non intendo affermare che qualunque servizio d'ufficio o di guardia debba ·essere escluso dalle attività milhari. Il fatto è che il compito essenziale dei milit~ri è quello 117
di prepararsi, di addestrarsi alla guerra (parola questa ché bisogna pure pronunciare anche se non gradita ai politici; tanto più che la preparazione alla guerra contribuisce potentemente ad allontanare il pericolo dello scoppio di un conflitto), ciascuno nell'incarico a cui viene destinato in sede di selezione attitudinale. L'incarico può consistere nell'impiego di determinate armi o di determinati mezzi tecnici o di de~ terminati reparti od anche nell'assolvimento di determinate mansioni d'ufficio o di vigilanza e custodia. E' ovvio che tutti i militari debbano imparare ad effettuare servizi di guardia armata. Ma tutte quelle funzioni burocratiche o di guardia o di fatica che debbono essere svolte in via continuativà presso enti territoriali e che non richiedono o non coincidono con una specializzazione militare, dovrebbero essere affidate di norma a personale civile e non assorbire personale militare distogliendolo dai suoi normali impegni addestrativi. In particolare i militari non dovrebbero, tranne che in circostanze speciali (per esempio nel corso di esercitazioni o durante i campi od a bordo delle navi da guerra), essere adibiti a mansioni di fatica o di ordinanza d'ufficio o di cameriere o di cuoco o di attendente. So di toccare qui un argomento esplosivo. Ma il problema del corretto impiego del personale militare non ha soltanto carattere economico e sco~ po economico (quello del raggiungimento del massimo risul~ tato addestrativo ai fini militari) ma anche un aspetto· di sp~ ciale delicatezza sotto il punto di vista della dignità personale. L'uniforme non è comparabile ad una livrea ed i tempi sembrerebbero maturi per fare scomparire la figura tradi~ zionale dell'attendente bonaccione e quelle dei cosidetti 'pian: toni e degli addetti ai circoli 'ufficiali e sottufficiali ed alle mense in terraferma. Ma alla realizzazione integrale & questa auspicabile soppressione si oppongono due ostacoli, per o,ra in~uperabili': la indisponibilità di tutto il personale civile necessario per la sostituzione· di quello militare presso cit·coli, mense éd enti vari' (indisponibilità causata in buona par-.
118
te dall'accennata impossibilità di trasferimenti) e la di~-1 coltà di compensare l'abolizione dell'attendente con una in° dennità cosl elevata da consentire agli ufficiali il mantenimento di una persona di servizio o, quanto meno, dato che le persone di servizio vanno diventando sempre più rare sul, mercato della mano d'opera, una qualche altra forma, meno stabile ma efficace, di aiuto domestico. E così continua a verificarsi lo spiacevole ed antieconomico fenomeno di personale militare sottratto alle sue speci-fìche ed istituzionali . funzioni militari, e gli sforzi in contrario si riducono, non sempre con successo, ad ottenere che. tale fenomeno abbia la minore estensione possibile. Nello stesso tempo la macchietta dell'attendente che fa gli acquisti quotidiani al mercato per la famiglia dell'ufficiale o che, se non abbastanza intelligente ed esperto per cavarsela da solo, porta la borsa « della spesa » al seguito della moglie dell'ufficiale, o che accompagna a scuola i bambini, continua a costituire materia per trafiletti o per films satirici o pretesto per critiche antimilitaristiche da parte di méntori che non sanno o fingono di non sapere quanti sacrifici e quanta dignitosa miseria si nascondano spesso dietro l'orpello dell'uniforme da ufficiale. Ho fin qui indicato alcuni elementi in corrispondenza dei quali, mediante opportune trasforma~ioni, sarebbe possibile realizzare una certa economia ed una maggiore efficacia di funzionamento: l'organizzazione del Ministero della Difesa (che si riflette sull'organizzazione degli enti amministrativi e direttivi sottoposti), la quantità · di stabilimenti, magazzini e depositi militari, il numero e l'impiego del personale civile e di quello militare. Sfioro un argomento che può apparire a chi non sia mai penetrato nei meandri tenebrosi .dell'Amministrazione statale come favorevole al conseguimento di apprezzabili economie. Le Forze armate (sopratutto l'Esercito) hanno tuttora in uso vecchi edifici che per l'ubicazione nei centri cittadini 119
hanno un valore commerciale, anche se rapportato alla sola area, elevatissimo, mentre per la vetustà e per la scarsa ra-· zionalità della struttura non rispondono più, secondo criteri moderni, alle esigenze degli enti a cui sono destinati: Comandi vari, Distretti militari, magazzini e persino panifici e laboratorii. Sembrerebbe logico venderli: il denaro ricavato non solo sarebbe sufficiente a costruire sedi assai più idonee e confortevoli in zone periferiche, ma consentirebbe di devolverne un'alìquota, che risulterebbe senza dubbio disponibile nella quasi totalità dei casi, ad altre spese tendenti al potenziamento delle Forze armate. Sembrerebbe logico ma non è possibile perché gli edifici occupati da enti militari non appartengono all'Amministrazione militare, bensì rientrano nel demanio dello Stato, che è amministrato dal dicastero del Tesoro. Questo, seguendo una linea di accanita parsimonia, che è tradizionale nei riguardi delle altre Amministrazioni, per lo meno di quella militare, tende ad incamerare gli edifici non più necessari o non più adeguati ad esigenze di funzionalità e, per quanto riguarda nuove costruzioni, a fare iniziare una cosidetta pratica ex novo, in lotta con le strettoie del bilancio. In qualche caso si riesce a realizzare una permuta: edificio nuovo (costruito o da costruire) contro edificio vecchio; ma per ogni permuta il Ministero del Tesoro s'impadronisce di una robusta percentuale del ricavato ed occorre inoltre un'apposita legge. Una legge per cambiare un edificio: ciò significa anni di sforzi e montagne di carteggio. Non vi sono che pochissime leggi di particolarissima natura che abbiano rapido corso nella nostra organizzazione statale, ma non è mia intenzione lanciare strali al di fuori della materia che mi sono proposto di trattare. Non deve quindi destar meraviglia il fatto che le permute siano in realtà molto rare e che l'Amministrazione militare si tenga cari e stretti anziani edifici non più in linea coi tempi. La trafila burocratica per cedere il vecchio ed acqui120
sire il nuovo è lunga e laboriosissima e nel cambio, lungi da! guadagnarci, si rischia una perdita finanziaria. Finché rimangono in mano ai militari gl'immobili costituiscono un patrimonio, che occorre cambiare .e rimodernare con grande oculatezza. Di frequente è accaduto che vecchi e storici edifici, non più strettamente necessari all'Amministrazione militare, siano stati ceduti senza contropartita ad Amministrazioni civili per scopi sociali o turistici o culturali. Graziosi ed utili doni. Ma perché le altre Amministrazioni non regalano mai nulla a quella militare? Nessuna economia è quindi possibile realizzare cedendo vecchie costruzioni di grande valore commerciale. Sono d'altra parte convinto che, anche se si riuscisse a tradurre in pratica i provvedimenti suggeriti negli altri settori da me precedentemente indicati, l'economia complessiva sarebbe inferiore a quella che ci si potrebbe aspettare dopo un affrettato ed approssimativo calcolo. Ma anche se fosse di un solo miliardo (e non credo che sarebbe possibile superare di molto questa somma), sarebbe doveroso porre in opera ogni sforzo per conseguirla. Senza contare che si raggiungerebbe un risultato più importante dell'economia in denaro: una maggiore efficacia e speditezza di funzionamento. Esiste però un settore, in gran parte estraneo alle tre Forze armate tradizionali (Esercito, Marina, Aeronautica), nel quale più sostanziose economie sarebbero, a mio parere, possibili: quello delle forze di polizia. Fra queste non si può fare a meno di annoverare i Carabinieri, i quali d'altronde, costituendo la prima Arma dell'Esercito, fanno parte di quelle che ho chiamate Forze armate tradizionali. Ad essi si aggiungono la Guardia di Finanza ed altri organismi chè in passato erano sempre stati considerati Corpi armati dello Stato ma che poco dopo la fìne del secondo conflitto mondiale, come ho detto in un precedente capitolo, sono stati, con disposizioni legislative di cui non esisteva alcuna necessità, inclusi tra le Forze armate: la Guardia di Pubblica Sicurezza e 121
per.fin.o il Corpo degli agenti di custodia. In conseguenza· di tale inclusione tutti gli appartenenti ai suddetti organismi hanno dovuto apporre al bavero le stellette, . al pari dei soldati, dei marinai e degli avieri. Ho già avuto occasione di rilevare che le Forze ·armate tradizionali hanno come compito essenziale quello della difesa della Patria contro il nemico esterno; le forze di polizia invece sono prevalentemente incaricate di assicurare l'ordin e interno. I Carabinieri, partecipando in realtà delle une e delle altre, hanno una doppia dipendenza (dal Ministero della Difesa e dal Ministero dell'Interno), ma poiché il loro <:empito istituzionale preminente è quello dell'ordine interno, li comprendo qui tra le forze di polizia. Quale giudizio viene fatto di esprimere considerando nel <:omplesso le forze di polizia italiane? Che l'Italia è uno degli Stati democratici che dispongono di più numerose forze di polizia in rapporto alla popolazione: non mi azzardo a dichiarare perché non ne ho la sicurezza assoluta (e forse sono troppo prudente) che in questo campo l'Italia vanta senz'altro il primato su tutti i paesi non organizzati a regime totalitario. Un conto approssimativo è presto fatto: circa 40 mila Guardie di Finanza, circa e forse un poco più di 80 mila guardie di Pubblica Sicurezza, circa 80 mila carabinieri e diverse migliaia di agenti di vario tipo. Si giunge ad un totale che non è molto lontano dalla entità della fo rza dell'Esercito. Con questa differenza: che l'Esercito è nella maggior parte costituito da personale di leva, mentre le forze di polizia comprendono esclusivamente personale di carriera od a lunghissima ferma e quindi assai più costoso. Esiste in Italia un appartenente alle forze di polizia ogni 2 30 abitanti; il che dimostra una eccessiva mancanza di fiducia da parte dei governanti verso la popolazione. Questa esuberanza si manifesta di primo acchitto agli stranieri che entrano per la prima volta in Italia. Soprattutto 122
se essi viaggiano in autovettura, non possono non rilevare che il passaggio attraverso· alla frontiera è controllato al di là da un certo numero di agenti, al di qua da un ·numero che è almeno doppio (comprendendovi carabinieri, guardie di Pubblica Sicurezza, doganieri, guardie di Finanza), ma che può salire anche a tre o quattro volte, secondo la provenienza dall'uno o dall'altro dei tre punti cardinali verso cui è orientato il confine terrestre d'Italia. Tale prima impressione di abbondanza o addirittura di spreco del personale di vigilanza si generalizza e si accentua durante· la .permanenza nelle città italiane, dove la presenza, frequente e numerosa, di appartenenti alle forze di . polizia; con l'aggiunta di vigili urbani e di altri individui in uniforme, può favorire la convinzione, senza dubbio errata dalle fondamenta, di essere capitati nel paese più militarista del mondo. Fenomeno veramente strano! Mentre tutti gli sforzi possibili vengono fatti per comprimere l'entità numerica delle Forze armate tradizionali all6' scopo di mantenerla entro i ferrei limiti di un bilancio insufficiente, gli organici della Guardia di Finanza e delle Guardie di Pubblica Sicurezza vengono periodicamente accresciuti in modo sensibile, talvolta con elevamento contemporaneo dei massimi gradi raggiungibili dai quadri ufficiali. Si tratta di un vero e proprio processo di inflazione, addebitabile ai compartimenti stagni entro cui si svolgono la vita e l'attività dei vari Corpi: Ministero delle Finanze per la Guardia di Finanza, Ministero dell'Interno per la Guardia di Pubblica Sicurezza, Ministero di Grazia e Giustizia pè gli agenti di custodia. I Carabinieri che, come ho detto, hanno un.a' doppia dipendenza (Difesa ed Interno), fanno capo, per la parte finanziaria e logistica, quasi totalmente al Mini• stero della Difesa, dove periodic'amentè si accende una' lotta fra gli organi direttivi che resistono ed il Comando generale dei Carabinieri che tende a dilatare la struttura dell'Ar123
ma assorbendo alìquote sempre più grandi del bilancio del-. le Forze armate, sia per soddisfare più o meno impellenti esigenze di servizio, sia per sostenere, e con ragione, la concorrenza della Guardia di Pubblica Sicurezza. Evidentemente nessun organo di Governo ha mai controllato e coordinato incoJ]lbenze e strutture delle varie forze di polizia né ha mai calcolato il costo totale di esse (il calcolo richiederebbe una paziente ricerca in numerosi rivoli, non sempre palesi o facilmente individuabili, di vari bilanci} per confrontarlo col bilancio delle vere e proprie Forze armate. E non si è mai chiesto se proprio tutte le forme di at~ività svolte dalle varie forze di polizia siano indispensabili o se in qualche caso i risultati non giustifichino le spese o se a scopo di economia debbano essere modificati sistemi e procedimenti. Così .avviene che, nel chiuso dei rispettivi ambienti, le singole forze di polizia tendano, in buona fede, a diventare ipertrofiche e che forse qualche Ministro, pur essendo per natura alieno da problemi di carattere militare o comunque interessanti la difesa nazionale ma avendo presenti le esigenze ed i compiti del proprio dicastero, finisca col non contrastare o con l'agevolare l'eccessivo sviluppo di quell'organismo militare che gli è assegnato con la veste legale di Forza armata. E' bensì vero che, come ho già accennato, le principali forze di polizia contribuiscono con taluni servizi (soprattutto di sorveglianza e segnalazione) alla difesa del Paese, cooperando in questa con le Forze armate, in particolar mo.: do con l'Esercito, ma la misura del contributo, salvo che per i Carabinieri, è veramente esigua in rapporto alle dimensioni degli organismi ed alla somma delle altre attività di Istituto. Del resto i casi di interferenze e sovrapposizioni tra varie forze di.polizia sono frequenti: non è raro il caso che su di . un reato di frode, ad esèmpio, si precipitino ad un tempo 124
carabinieri, guardie di finanza e guardie di pubblica sicurezza. Il che dimostra la sovrabbondanza di polizie varie ed i male definiti settori di competenza. Le principali forze di polizia sono equipaggiate in modo efficace e moderno; e questo non solo è pienamente giustificabile ma sarebbe anche approvabile se servisse ad economizzare personale. La Guardia di Finanza dispone di motovedette ed autovetture veloci nonché di elicotteri ed ha un'organizzazione centralizzata per la lotta contro il contrabbando, ma ci sarebbe da chiedersi se i profitti economici compensino sempre le spese. I Carabinieri e la Guardia di Pubblica Sicurezza hanno reparti motorizzati e blindati e reparti a cavallo. La Guardia di Finanza e la Guardia di Pubblica Sicurezza hanno non solo unità addestrate alla montagna ma anche proprie scuole di alpinismo e di sports invernali che costituiscono duplicati della Scuola militare alpina dell'Esercito. Ovviamente dispongono di moderne scuole di reclutamento per le varie categorie di personale. Esse hanno inoltre ricche bande musicali da contrappore od affiancare a quella famosa dell'Arma dei Carabinieri. Ciascuna delle tre nominate forze di polizia ha ·in funzione una propria rete di trasmissioni. Un antagonismo acuto caratterizza nella sostanza le relazioni fra Carabinieri e Guardia di pubblica sicurezza. Questa, sorta . nel secondo dopoguerra per esigenze inderogabili, si è rapidamente ed ampiamente sviluppata. La creazione di reparti celeri motorizzati ha risposto ad una necessità concreta, ma quella dei reparti mobili dotati di mezzi blindati è probabilmente dovuta, almeno in parte, a spirito di emulazione nei riguardi dei battaglioni mobili carabinieri, i quali sono motocorazzati e contribuiscono alla difesa della frontiera e del territorio. I reparti a. cavallo fanno il pendant coi gruppi squadroni Carabinieri, e sulla indispensabilità di siffatti reparti ci sarebbe molto da discutere. E poiché i Carabinieri hanno un reparto di paracadutisti (di cui è previsto 125
l'impiego in guerra ed in collaborazione con le altre unità paracadutiste dell'Esercito), la Guardia di pubblica sicurezza ha tentato di costituirsene essa pure un reparto. E forse proprio per competere con le tradizionali uniformi e bardature dei Carabinieri, la Guardia di Pubblica Sicurezza ha adottato uniformi e bardature vistose. In occasione di servizi d'onore le manifestazioni di concorrenza fra le due forze di polizia raggiungono il grottesco. E' sufficiente che all'arrivo od alla partenza di un'alta personalità sia comandato un nucleo di carabinieri in grande uniforme perché un drappello di guardie in grande uniforme, di almeno pari consistenza, sopraggiunga a prolungare od integrare lo schieramento d'onore. Evidentemente, in queste condizioni, l'economia di personale è un sogno irrealizzabile. Allquote di guardie di Pubblica Sicurezza sono impiegate in funzioni di ordinanze d'ufficio, di domestici o di cuochi presso le varie Prefetture. Con questo non escludo che un certo numero di carabinieri, in contrasto con le prescrizioni e le buone regole, assolva le mansioni di attendente o di « piantone »; aggiungo che gruppetti di carabinieri sono sparsi in Ministeri ed enti vari, i quali se li tengono gelosamente avvinti, per compiti che non hanno nulla a che fare con quelli istituzionali. I servizi di guardia sono oltremodo numerosi e non v'è strada importante di centro urbano in cui non circoli o non stazioni qualche coppia di agenti o di carabinieri. L'attività sportiva ha assunto nella Guardia di Pubblica Sicurezza uno sviluppo molto ragguardevole. E questo non sarebbe di per sé un fenomeno condannabile; tutt'altro. Ma quando si giunge ad attirare nel Corpo, assoldandoli con lauti stipendi sotto forma di istruttori o simili od offrendo ad essi non so quali altri vantaggi, campioni di varie branche sportive, con lo scopo di far trionfare le « Fiamme d'oro» 126
nelle competizioni militari e civili, allora mi sembra che si cada nell'esagerazione e si esca dalla via diritta. In conclusione la concorrenza fra Carabinieri e Guardia di Pubblica Sicurezza provoca dispendio di personale, di mez12:i e di denaro. Nella gara fra i due organismi i Carabinieri sono handicappati dal fatto di avere. gran parte del personale disperso nelle numerosissime stazioni di cui è cosparso tutto il territorio nazionale, mentre le unità di Pubblica Sicurezza sono di massima concentrate nei grandi centri abitati. Bisognerebbe non dimenticare che l'Arma dei Carabinieri vanta tradizioni secolari e fonda la sua indiscussa saldezza spirituale sul fatto di appartenere all'Esercito e di mantenersi per questo al difuori e al ·disopra delle contese politiche. Non altrettanto può dirsi della Guardia di Pubblica Sicurezza, che per costituzione naturale risulta non perfettamente svincolata dal colore politico del Governo ed in particolare del Ministro dell'Interno. La storia del recente passato è, in materia, feconda di insegnamenti. Al termine del primo conflitto mondiale c'era un Corpo di Pubblica Sicurezza che numericamente corrispondeva press'a poco ad un quarto di quello attuale; poi subentrò la regia Guardia di poco felice memoria; poi, col regime fascista, la Milizia volontaria sicurezza nazionale a cui si aggiunse, nelle colonie, la PAI (polizia Africa Italiana). Tutte queste polizie sono passate come meteore senza lasciare brillanti eredità di gloria. Nessun ·dubbio perciò che all'Arma dei Carabinieri dovrebbero andare le preferenze governative e che la Guardia di pubblica Sicurezza dovrebbe essere, soprattutto con le sue branche speciali (stradale, ferroviaria, confinaria), un semplice organismo integratore. Ricordo infine che nel periodo fascista, quando cioè il regime totalitario poggiava in buona parte su di una base poliziesca, il totale delle forze di polizia (Carabinieri, Guardia di finanza, alìquota permanente della Milizia volontaria '127
sicurezza nazionale) non superò mai la metà circa dell'attua-le consistenza complessiva e l'Arma dei Carabinieri costituiva la forza più importante. Ammetto che il progresso tecnico e l'incremento della popolazione abbiano alquanto aumentato le esigenze di ordine pubblico, ma sono profondamente convinto che queste potrebbero essere pienamente soddisfatte con forze di polizia assai meno consistenti di quelle che oggi assistono il re,gime democratico italiano. Bisognerebbe, naturalmente, rivederne a fondo organizzazione, obiettivi, sistemi e procedimenti. Sono altresì convinto che non sia giusto profondere il denaro pubblico per forze di polizia esuberanti quando il bilancio della difesa è fortemente deficitario rispetto alle ne, ·Cessità, e che notevoli economie realizzabili sulle forze di polizia (oltre che su altri enti ed attività statali o parastatali) potrebbero essere molto opportunamente dirottate verso le vere e proprie Forze armate e verso la difesa nazionale. Come pervenire ad un risultato di tal genere? La strada è una sola e l'ho già indicata: il Presidente del ·Consiglio dei Ministri dovrebbe essere direttamente investito della soluzione e della responsabilità del problema della difesa nazionale, ed allora sarebbe indotto non solo al coordinamento delle attività di tutti i Ministeri interessati a tale problema ma anche al controllo ed alla riduzione delle spese destinate al mantenimento di varie forze di polizia, nel complesso esuberanti, per, ridurle allo stretto necessario e -convogliare le economie realizzate verso obiettivi più importanti, nell'ambito della difesa.
128
VIII Procedimento logico per determinare dimensioni e struttu.ra delle Forze armate ed entità del bilancio militare. - La questione dei missili intermedi. - Insufficienza degli s.tanziamenti di bilancio. - I materiali: deficienze nel loro approvvigionamento e nella loro produzione da parte dell'industria nazionale.
In uno dei capitoli precedenti ho sommariamente indicato il procedimento che sarebbe logico adottare per giungere alla determinazione dell'entità e delle caratteristiche delle Forze armate: definire anzitutto, con chiarezza e precisione, il compito da affidare ad esse e da questo discendere a valutazioni di carattere quantitativo e qualitativo. Ho anche detto che il compito non è mai stato nettamente specificato ed ho lasciato capire che, nell'organizzazione e sviluppo delle Forze armate, si è camminato con orientamenti ed obiettivi piuttosto approssimativi, vorrei dire quasi a lume di naso, vivendo talvolta alla giornata e cercando di applicare con la massima aderenza possibile una sola parte del programma: quella fissata in sede internazionale dalle più alte autorità militari della NATO, in conseguenza degli impegni assunti dall'Italia in seno all'Alleanza atlantica, per la difesa comune. Ho rilevato pure che le limitazioni di un bilancio insufficiente incidono più o meno in tutti i settori dell'organizzazione militare: un poco meno in quelli che si riferiscono direttamente all'attività da svolgere come contributo all'Alleanza. Ora, volendo risultare meno sintetico allo scopo di porre 129 9
in luce ed approfondire alcune questioni di particolare interesse, debbo seguire criteri di maggiore esattezza ed allungarealquanto il discorso. Non è vero che dal compito si possano dedurre sic et sempliciter dimensioni e caratteristiche delle Forze armate. Dal compito generico e valevole in ogni caso possibile per le tre Forze armate si passa ai compiti da. affidare a ciascuna delle tre Forze armate in ognuna delle ipotesi politico-militari probabili. Da questi compiti derivano esigenze operative ed una prima orditura di piani ope- 1 rativi: si tratta, in sostanza, di stabilire con una certa approssimazione gli obiettivi da raggiungere o realizzare ed il modo con cui raggiungerli o realizzarli. Dev'essere ben chiaro, a questo proposito, che lo studio di tali delicati problemi non si esaurisce nell'ambiente internazionale dell' Allean-· za atlantica. E' bensì vero che scopi e missioni delle forze italiane assegnate all'Alleanza coincidono quasi perfettamente con quelli relativi alla difesa nazionale, ma esistono altrest esigenze operative prettamente nazionali, che non possono, essere trascurate ed al soddisfacimento delle quali devono· essere destinate forze, dirò così, nazionali al cento per cento. Dalle esigenze e dai piani operativi di massima possono finalmente essere dedotte le dimensioni e la struttura di ciascuna Forza armata. Nel termine «dimensioni>> devono intendersi compresi il numero degli uomini e la quantità dei materiali; nel termine « struttura » l'ordinamento ed il livello addestrativo, nel quale « livello » si riassume un insieme molto ingente di svàriatissimi tipi di addestramento .. Finalmente dalle dimensioni e dalla struttura delle Forze armate si potrebbe (e si dovrebbe se fosse possibile seguire un procedimento logico) risalire all'entità degli stanziamenti di bilancio da dedicare alle spese militari. La ripartizione di_ questi stanziamenti dovrebbe esser fatta in modo da assicurare il minimo indispensabile per un buon livello di efficienza a ciascuna Forza armata nel suo complesso ed alle attività essenziali delle singole Forze armate. In ogni caso occorre130
rebbe evitare compromessi e pericolosi cedimenti in fatto di supporto finanziario per i seguenti particolari settori: addestramento ed impianti addestrativi, trattamento economico del personale, acquisizione e manutenzione di materiali moderni e (per usare un termine di attualità) di moderne infrastrutture. A questo punto cade a proposito una considerazione che può a prima vista apparire come una digressione ma che tale non è perché si aggancia perfettamente alla sostanza del discorso. Pur riconoscendo che le forze destinate a missioni operative non possono, per ovvii motivi di insufficienza finanziaria e industriale nell'ambito nazionale, essere provviste in proprio di armi e di mezzi idonei alla grande strategia (quali bombardieri strategici, portaerei, sommergibili nucleari muniti di missili intermedi, ordigni nucleari in genere), armi e mezzi che sono tuttavia disponibili nell'ambito dell'Alleanza atlantica, non si può non rilevare che l'onore dell'Italia e le esigenze della sua difesa richiedono che tali forze siano modernamente organizzate e dotate. In conseguenza occorrono personale selezionato e addestratissimo, armi e materiali aggiornati e di prim'ordine. Fra le armi includo i missili tattici e contraerei (anche se ogive nucleari non siano impiegabili che per tramite alleato), fra i materiali ogni sorta di mezzi tecnici. Non bisogna dimenticare che nell'èra nucleare ed in previsione dell'offesa nucleare le armi ed i materiali convenzionali, lungi dallo sparire dalla scena bellica o dal perder di valore, devono essere più che mai moderni ed efficienti: lo richiedono gli stessi prevedibili procedimenti della guerra totale, con impiego di armi nucleari. Né va trascurata l'eventualità di partecipare ad una guerra limitata, ad una guerra cioè che ammetta l'impiego di sole armi impropriamente chiamate convenzionali. Ed i missili cosidetti intermedi (lanciabili cioè da basi terrestri o da mezzi navali contro obiettivi di superficie situati ad una distanza massima che può variare fra 2500 e 131
4000 chilometri) erano e sono necessari od utili? Tocco ora un argomento che ha provocato in passato discussioni, critiche e commenti a non finire e sul quale assai raramente si è udita una parola equilibrata e serena perché passioni ed interessi di partiti politici hanno fatto velo ad una lucida e meditata valutazione conducendo ad erronee interpretazioni. Trattandosi di armi strategiche agenti a grandi distanze, l'Italia non ne avrebbe, a stretto rigore, necessità per la propria difesa e potrebbe farne a meno, come fa a meno dei bombardieri pesanti e delle navi portaerei. Ma poiché l'utilizzazione del territorio italiano per collocarvi basi di lancio di tali missili poteva, almeno durante un determinato periodo del passato, risultare vantaggiosa ai fini della difesa del mondo occidentale ed in modo ·particolare degli Stati Uniti d'America, membro principale dell'Alleanza atlantica, non era da escludere per l'Italia l'opportunità di accettare l'installazione dei missili e delle relative testate nucleari in casa propria, purché venissero soddisfatte alcune condizioni. Le condizioni, a mio parere, dovevano esser poste perché coi missili intermedi l'Italia avrebbe introdotto entro i propri confini un obiettivo di alta priorità per l'offesa nucleare del presumibile avversario e si sarebbe trovata esposta, in caso di guerra, al pericolo di gravi distruzioni. Non intendo discutere le condizioni da porre né lo richiede, d'altra parte, l'argomento qui trattato: mi basta affermare che le condizioni potevano consistere in una congrua contropartita, nella quale doveva essere compresa l'organizzazione di una efficace difesa e protezione contro gli aerei ed i missili nemici. Non mi risulta che tale contropartita fosse stata richiesta allorché, qualche anno fa, venne accettata la installazione di missili intermedi Jupiter in territorio italiano. Ma v'ha di più. Questo tipo di missili non costituiva certo l'ultimo grido e tanto meno una primizia tecnica in una materia come quella missilistica in cui i progressi sono talvolta così rapidi da rendere in pochi anni inutilizzabili eppur.e
132
scarsamente efficaci ed antieconomici materiali costos1ss1m1. Era prevedibile che in limiti assai brevi di tempo i missili ]upiter sarebbero stati, per un complesso di ragioni che non è il caso di analizzare (fra l'altro erano già comparsi all'orizzonte i missili Polaris ), da considerare mezzi superati o, come si direbbe con un termine statunitense, obsolete. Ed infatti, poco dopo terminati gl'ingenti e dispendiosi lavori necessari per l'allestimento delle rampe e per l'insediamento e l'alimentazione dei missili, dopo aver laboriosamente costituito e addestrato al particolare impiego una apposita unità missilistica dell'Aeronautica, si ravvisò l'op·· portunità di sopprimere tutta l'organizzazione fissa Jupiter, durata l'espace d'un matin, e di sostituirla nel Mediterraneo con missili Polaris, che sono più efficienti e moderni e di cui si prevede normalmente il lancio da basi mobilissime e difficilmente individuabili come sommergibili od anche navi di superficie. E' utile o doveroso che l'Italia partecipi all'organizzazione atlantica dei Polaris nel caso in cui si riesca a crearla ed ospiti nelle sue basi navali sommergibili atlantici o statunitensi armati di missili Polaris?' Con questa domanda che a taluno potrà apparire scottante, si entra in un campo che è di natura prevalentemente politica ma che ha pure importanti riflessi militari e sul quale mi ritengo pertanto auto· rizzato ad esprimere la mia opinione. Se si giungerà a costituire realmente una forza nucleare atlantica, non vi sarà alcuna valida ragione per cui l'Italia non debba parteciparvi con piena dignità ed a parità di condizioni rispetto agli altri alleati europei partecipanti; come nessuna valida ragione potrà giustificare il rifiuto di ospitalità in qualcuna delle sue basi navali ai natanti altantici o statunitensi armati di missili Polaris. Beninteso occorrerà stabilire ben chiaramente le condizioni, anche economiche, delle nostre prestazioni. Ma si dovrà tener presente che il pericolo della reazione nucleare avversaria in 133
caso di conflitto sarà di gran lunga inferiore a quello connesso in passato all'esistenza delle voluminose ed immobili rampe terrestri di Jupiter e che la partecipazione ampia e leale allo sforzo militare dell'Alleanza giova al prestigio della Nazione e può essere utilmente valorizzata nella condotta della politica estera. Ritorno alla questione della disponibilità finanziaria. Purtroppo, nella realtà, la decisione circa l'entità e la ripartizione degli stanziamenti di bilancio per le Forze armate non deriva da un ragionamento simile a quello che ho descritto, ma scaturisce più o meno empiricamente, con una larga approssimazione in meno rispetto alle esigenze. Sembra quasi che gli organi responsabili di Governo, sapendo di non poter rinunciare alle spese militari, cerchino di dedicare ad esse la minor somma possibile, in modo da non suscitare, in sede di discussione parlamentare, opposizioni apprezzabili. Sembra quasi che essi sopportino il perdurare di una fetta del bilancio statale sotto l'etichetta impropria di « bilancio della difesa » (sarebbe più esatto dire « bilancio delle Forze armate ») come un male necessario, da ridurre alle minori dimensioni possibili e che vogliano far scusare presso i due rami del Parlamento e presso il Paese la sopravvivenza di un bilancio militare. Del resto, per avere la prova che l'onere finanziario per le Forze armate viene mantenuto al più basso livello possibile, allo scopo evidente di evitare obiezioni rilevanti da parte dei rappresentanti di taluni partiti e di non forzare in alcun modo le proprie convinzioni e tendenze, personali o partitiche, basterebbe spigolare nei discorsi che il Ministro per la Difesa pronuncia davanti alla Camera dei Deputati od al Senato, a chiusura dei non troppo accesi, anzi potrei dire, tranquilli e piatti dibattiti sul bilancio della Difesa. Vi si troverebbero notizie, ammissioni ed apprezzamenti sintomatici: per esempio, che la spesa per la pubblica istruzione è giunta a superare quella per le Forze armate (il che potrebbe 134
-costituire un progresso additabile ad esempio solo se la se-<:onda fosse sufficiente a soddisfare le più importanti esigen.ze della difesa militare, il che non è); che mentre il reddito .nazionale è aumentato in un anno dell' 8% o del r o%, l'incremento delle spese militari è stato limitato al 4 % od al 6 % , ad una percentuale cioè di pochissimo superiore o ad-dirittura inferiore a quella necessaria per compensare l'au_mento dei prezzi conseguente al progressivo slittamento del valore della moneta; che il bilancio della difesa rappresenta solo il r 5 % della spesa statale mentre una percentuale nor.male e razionale dovrebbe essere quella del 30%; che, rap_portando il bilancio militare sia al reddito nazionale sia al numero degli abitanti, l'Italia risulta nel mondo e nell'Euro·pa una delle nazioni che spendono meno per le Forze armate; di gran lunga meno degli Stati Uniti d'America, della Russia e dei principali Stati europei membri dell'Alleanza .atlantica, ma meno anche delle nazioni neutrali europee, della Turchia, della Cecoslovacchia, della Romania, di tutti gli ·altri Stati satelliti della Russia e perfino dell'Albanià; solo la Jugoslavia e la Spagna la seguono nella graduatoria dei •carichi individuali degli abitanti per spese militari. Questi ,dati, riferiti ad anni caratterizzati da un'alta congiuntura economica quali quelli dal r 9 5 9 in poi (dal miracolo italiano :come è stato detto in Italia ed all'estero), suonerebbero effi•caci e squillanti sulle labbra del Ministro responsabile come giustificazione di un sensibile aumento (40% o 50%) del ·bilancio militare, ma non certo per accompagnare un progetto di stanziamento, più o meno congelato entro limiti di grave insufficienza. Le conseguenze di questa cronica insufficienza, che non è ·certo nuova in Italia ma che oggi è più grave che una volta in relazione allo straordinario incremento del tecnicismo in ·tutte le branche dell'organizzazione militare, sono moltepli-ci e, naturalmente, tutte dannose . Per i soliti motivi mi .astengo dal citare cifre, che del resto sarebbero poco signi135
I
I fìcative per chi non avesse mai penetrato i misteri dei bilanci statali. La ripartizione del bilancio militare non risulta effettuata rigorosamente sulla base delle esigenze operative, come sarebbe opportuno e come si verificherebbe col procedimento logico che ho descritto. Nessuna delle tre Forze armate si trova, beninteso, a nuotare nell'abbondanza o semplicemente a disporre di tutto il necessario; ma si rilevano sperequazioni sensibili. La Marina, che, rispetto alla situazione di anteguerra, deve affrontare problemi e compiti assai meno vasti e che ha coraggiosamente e notevolmente ridotto le proprie dimensioni, finisce col fruire di un trattamento finanziario meno sfavorevole in confronto a quello delle altre due Forze armate. L'Esercito e l'Aeronautica si dibattono in ristrettezze più acute e, a causa di queste, lottano penosamente nel tentativo di conciliare esigenze di impiego e disponibilità finanziaria; l'uno e l'altra si trovano, anche sotto l'aspetto quantitativo, al disotto del livello necessario; l'Aeronautica in misura ancor più grave che l'Esercito. Senza presentare confronti numerici coi bilanci militari di altri Stati di potenzialità demografica simile alla nostra, mi limito a porre una domanda a cui non è facile dare una risposta chiara e convincente. Com'è possibile che forze di determinata entità possano essere mantenute in Italia con una spesa equivalente a meno della metà o addirittura a circa un terzo di quella che viene sostenuta in Francia e nella Germania occidentale? Naturalmente compromessi, ripieghi e lacune costituiscono il prezzo che occorre pagare quando non si può o non si vuole spendere tutta la somma necessaria per tenere in piedi un'organizzazione efficiente. Senza contare un rischio gravissimo anche sotto il punto di vista economico: quello che le somme spese diano, nel momento del bisogno, un rendimento scarsissimo o addirittura nullo, in conseguenza del136
la loro insufficienza e di una mancata e tempestiva integrazione. Il che si tradurrebbe nella incapacità dello strumento cli difesa di assolvere i suoi compiti, vale a dire in un disastro. I settori sui quali ho richiamato l'attenzione come su quelli che occorrerebbe salvaguardare da cedimenti risultano, ahimé, vulnerati dalle ferree ed irte strettoie del bilancio: il personale, pur assorbendo la maggior parte degli stanziamenti di bilancio, è mal retribuito; le varie attività addestrative trovano limitazioni nocive nell'insufficiente supporto finanziario, nell'ansia di economizzare materiali e munizioni, nella povertà degl'impianti addestrativi conseguente alle caratteristiche geografiche e demografiche dell'Italia ed alla indisponibilità di bastanti mezzi finanziari per porvi rimedio efficace; i materiali non sono né quantitativamente né qualitativamente commisurati alle esigenze di forze modernamente dotate. Sul trattamento del personale e sulle numerose e delicate questioni che vi sono connesse ritornerò più avanti per parlarne diffusamente. Sull'addestramento, che costituisce la più importante attività e vorrei anzi dire lo scopo essenziale del1'esistenza in tempo di pace delle Forze armate, varrebbe la pena di fermarsi piuttosto a lungo, ma vi rinuncio per ora, con riserva di riprendere l'argomento. Del resto il problema dell'addestramento si confonde e si identifica in parte con quello delle infrastrutture e dei materiali. Le infrastrutture comprendono, oltre alle caserme ed alle basi aeree, navali e logistiche, campi di addestramento, poligoni, centri di esperienze e di studi, scuole di specializzazione. Ho già avuto occasione di accennare che in materia la disponibilità è limitata, talché si lavora in condizioni non facili: fruendo dello strettamente indispensabile e talvolta di qualche cosa di meno. Potrei aggiungere che la ricerca scientifica ai fini militari non è abbastanza sviluppata in Italia. Mi si può obietta137
re che non disponendo dell'esplosivo nucleare e non nutrendo grandi ambizioni in fatto di missili, l'Italia non ha bisogno di una costosa organizzazione di ricerche e studi per le sue Forze armate e che l'organizzazione civile può risultare sufficiente anche per gli scopi militari purché le Forze armate si mantengano con quella opportunamente collegate. Mi sarebbe facile rispondere che, prescindendo dall'energia nudeare e dalla missilistica, numerosissimi settori della ricerca scientifica interessano l'ambiente militare: ad esempio, l'elettronica, le leghe leggère, le resine, i propellenti solidi, i motori a turbina ed a reazione. Inoltre che, anche senza tende-re per ora ad ottenere il possesso diretto di ordigni nucleari e di missili a grande gittata, le Forze armate italiane debbono giungere a disporre di un numero adeguato di tecnici specializzati nell'allestimento e nell'impiego di queste moderne armi e munizioni, che in ogni caso i missili tattici non rappresentano per esse aspirazione eccessiva e che anche nello stu,dio delle nuove armi strategiche non sarebbe da escludere ,che l'ingegno italiano fornisse un apprezzabile contributo all'Alleanza atlantica. Infine che l'organizzazione civile, pur avendo ottenuto negli ultimi anni un notevole sostegno finan~ ziario dopo aver per lungo tempo navigato nella più squallida miseria, non è certo in condizioni così floride da poter sod·disfare convenientemente le esigenze militari. Sulla questione dei materiali ritengo opportuno èsporre alcune considerazioni. Nella voce « materiali » possono es·sere compresi numerosissimi elementi: generi di normale -consumo come alimenti, oggetti di vestiario, di equipaggiamento e di cosiddetto casermaggio, armi di ogni sorta, muni·zioni ed esplosivi svariatissimi. Escludo dal discorso i generi ,di normale consumo di cui non si può fare a meno per il mantenimento del personale; escludo del pari i quadrupedi ·(i non numerosi muli rimasti, perché insostituibili, nelle unità alpine dell'Esercito) che del resto, non per pedanteria lin·guistica, non avevo menzionati fra i materiali. Di qu,esti i
rimanenti sono destinati a costituire dotazione delle unità oppure a far parte delle scorte di mobilitazione oppure ad essere consumati annualmente in attività addestrative. Ovviamente i materiali non soggetti a consumo periodico e frequente a scopo addestrativo, come possono esserlo, ad esempio, almeno in parte le munizioni, hanno una vita, più o meno lunga secondo il tipo e la qualità, che ad un certo punto viene o dovrebbe essere troncata per uno di questi motivi: o per il logorio provocato dall'uso o per il superamento dovuto al progresso tecnico che impone l 'adozione di materiali più moderni ed efficienti. Qual'è la situazione ideale in fatto di materiali? Dotazioni delle unità complete ed in piena efficienza, scorte al livello voluto e dovuto, materiali e munizioni da consumare per fini addestrativi in quantità sufficiente e del tipo rispondente alle esigenze da soddisfare, materiali in allestimento o disponibili nel numero necessario e nelle qualità adatte per il reintegro di quelli consumati e per la sostituzione di quelli logori o superati. Credo che non dovrò impiegare lungo tempo né molte parole per dimostrare che le nostre Forze armate sono ben lontane dal beneficiare di una situazione così favorevole. E' vero che poche nazioni nel mondo possono vantare Forze armate con dotazioni e scorte di materiali moderni ed efficienti al cento per cento nella prevista entità numerica e con un ritmo di sostimz10ne tale da garantire piena rispondenza dei requisiti alle più aggiornate esigenze tecniche. E' anche vero che le Forze armate italiane hanno dovuto affrontare due volte l'alea della guerra (nei due conflitti mondiali) con una pericolosa carenza iniziale di materiali, dovuta in parte ai consumi effettuati in campagne precedenti. Ma, senza pretendere di gareggiare con le grandi Potenze militari, si dovrebbe cercare di raggiungere limiti quantitativi e qualitativi che vorrei chiamare di sicurezza e si dovrebbe evitare di ricadere in errori già commessi! 139
Il I
Nella realtà il settore in cui le conseguenze della insufficienza di bilancio sono particolarmente gravi è proprio quello dei materiali. In un sano bilancio militare almeno il 30% degli stanziamenti dovrebbe essere destinato al potenziamento ed ammodernamento dei materiali. Ebbene, nel nostro bilancio questa percentuale rappresenta una meta irraggiungibile. Citare dati numerici potrebbe essere azzardato : sotto questo riguardo la situazione non è uguale nelle tre Forze Armate, e nella Marina (che è la Forza armata più piccola dopo l'energico ridimensionamento effettuato) essa è un poco meno tenebrosa che nell'Esercito e nell'Aeronautica. Ma, pur tenendo conto di qualche assegnazione straordinaria decisa in momenti di grave tensione internazionale proprio per approvvigionamento di armi e di materiali, non credo di essere lontano dal vero affermando che l'aliquota destinata al potenziamento dei materiali non ha mai raggiunto sinora il 15 % del magro bilancio e si è mantenuta per lunghi periodi a livelli assai più bassi. Troppo poco in verità! Non è un segreto per nessuno che, dopo l'ingresso dell'Italia nell'Alleanza atlantica, la ricostruzione delle nostre Forze armate fu grandemente agevolata dalla cessione da parte degli Stati Uniti d'America di buona parte dei materiali necessari. L'aiuto fu veramente formidabile oltre che tempestivo, ma assieme a conseguenze benefiche ne procurò una dannosa: fece sì che per un certo numero di anni i competenti organi di Governo si' abituassero a veder cancellate, o meglio a non vedere nei preventivi e consuntivi di bilancio, molte voci di spese relative ai materiali. Cattiva abitudine, senza dubbio. Inoltre i materiali ceduti non erano tutti nuovi né moderni, talché dopo un certo periodo di tempo risultarono in parte logorati dall'uso o tecnicamente superati. E così, venuto più tardi a cessare l'aiuto americano in materiali cosidetti convenzionali, ci si trovò a dover fronteggiare, sia per i materiali nazionali sia per quelli di origine statuni140
•
tense, non solo il problema di colmare le lacune rimaste nelle dotazioni e nelle scorte ma anche quello di rinnovare e modernizzare i materiali usurati ed invecchiati. « Rinnovare e modernizzare » equivale a « potenziamento » e per questo, come ho già dimostrato, rimangono soltanto briciole di bilancio. In sostanza l'aiuto statunitense, se da un lato ha favorito ed affrettato la ricostruzione delle Forze armate italiane in un periodo in cui le inevitabili limitazioni di bilancio avrebbero reso oltremodo difficile ed in ogni caso molto, molto più lenta l'acquisizione dei materiali necessari, ba d'altro lato indotto gli organi politico-amministrativi preposti alle Forzè armate a trascurare per lungo tempo l'esigenza di congrui stanzi~menti per i materiali. Da qui è derivato un altro inconveniente: soprattutto per quanto riguarda armi, munizioni e materiali bellici in genere (in particolare materiali tecnici e meccanici), l'Amministrazione militare è ricorsa in misura troppo scarsa all'industria nazionale, la quale, forse inizialmente non in grado di soddisfare richieste massicce, sarebbe stata stimolata da più consistenti ordinazioni a creare e mantenere in funzione più numerose ed efficienti linee di produzione e a dedicare maggiore somma di energie e di denaro allo studio ed alla realizzazione di materiali da guerra o comunque forniti delle migìiori caratteristiche militari. Con questo non intendo negare che dopo il secondo conflitto mondiale sia stata ottenuta qualche importante realizzazione in fatto di armi e di materiali tecnici o meccanici. Ma si tratta di successi sporadici, dovuti assai più all'ingegno ed alla tenacia dei pochi tecnici (in buona parte militari), animati da vecchio e radicato senso del dovere e da spirito di intraprendenza, che alla ricchezza di mezzi finanziari ed alla efficacia di adatta organizzazione tecnica ed industriale. Il fatto è che nelle Forze armate italiane, mentre ancora troppo assortite e di età troppo varia e talora eccessivamente anziana sono le armi nonche taluni dei materiali in distribu141
zione, troppo pochi sono ancora, fra le une e gli altri, gli elementi di origine nazionale. So bene che da molti anni è tramontata l'epoca dell'autarchia e che, nell'èra attuale, caratterizzata da fenomeni di accentuata collaborazione internazionale quali il patto atlantico, il mercato comune e l'Unione europea, sarebbe sciocco propugnare una specie di nazionalismo industriale. Riconosco altresì che per taluni tipi di armi e di materiali le commesse necessarie per rifornire le nostre Forze armate non sarebbero quantitativamente sufficienti per una produzione a regime economico da parte delle industrie nazionali. Ma, pur ripudiando la concezione autarchica, non si può a meno di ammettere che in numerosi settori della produzione bellica un certo grado di autosufficienza non solo non sarebbe dannoso ad alcun paese membro dell'Alleanza atlantica ma risulterebbe anzi utile e consigliabile, soprattutto per il caso di conflitto, caso che in fin dei conti bisogna pure considerare come probabile nell'approntamento delle Forze armate. E non è detto che le nostre industrie debbano limitarsi a studiare ed allestire materiali bellici per le sole forze nazionali. Quanto più si estenderà, nell'ambito dell'Alleanza atlantica, l'applicazione del sano criterio della standardizzazione degli armamenti e si ricorrerà, per materiali complessi , al sistema della produzione multinazionale integrata, tanto più consistente sarà per le industrie nazionali la prospettiva di fornire materiali da guerra a forze alleate oltre che a quelle naiionali. Prospettiva che :finora si è realizzata in misura minima. Infine una ragione di prestigio, che troppo spesso viene ignorata o respinta come passata di moda od impopolare (chi sa perché una squadra di calcio od un pugilatore dovrebbe salvaguardare il prestigio nazionale meglio dei risultati in determinati settori di produzione industriale!), consiglia di attivare l'allestimento di materiali bellici da parte delle nostre industi:iè, in modo che prodotti nazionali entrino più 142
largamente nelle dotazioni delle Forze armate italiane ed anche di quelle estere. Qualche timido passo è stato fatto in merito negli ultimi anni ma troppi sono ancora i tipi di armi e di materiali per i quali le industrie italiane, magari avendone costruiti in passato, prim~ e durante la seconda guerra mondiale, sono tuttora assenti dalla produzione. Anche sotto questo riguardo la situazione della Marina è, al solito, meno sfavorevole di quella delle altre due Forze armate. Il rimedio è uno solo: aumentare sensibilmente il bilancio delle Forze armate e far sì che buona parte dell'incremento sia destinata alla provvista di materiali e che l'approvvigionamento di questi possa essere programmato secondo logici piani pluriennali. Naturalmente la maggiorazione (di cui per le consuete ragioni mi astengo dall'indicare l'entità) dovrebbe esser tale che le Forze armate avessero la possibilità di portare al dovuto livello quantitativo le dotazioni e le scorte nonché di sostituire con materiali efficienti e moderni quelli logori e superati. La maggiore spesa sarebbe tutt'altro che dannosa od inutile: credo che oggi nessuno oserebbe attribuire alle spese militari la vecchia ed abusata taccia di improduttività. Non solo si aumenterebbe nella misura necessaria l'efficienza delle Forze armate, ma si darebbe lavoro alle industrie, ed il lavoro, come è ben noto, è fonte di benessere. Una notevole alìquota del denaro impiegato, messa così in circolazione, produrrebbe altro denaro, corrente in svariati rivoli della rete economica nazionale. Nelle principali nazioni del mondo le industrie lavorano a ritmo intenso per la produzione bellica: perché in Italia questa forma di attività industriale non deve essere sviluppata secondo le esigenze e le possibilità ? Oltre alle argomentazioni svolte occorre tener presente che quasi tutti i settori della produzione bellica hanno stretta connessione con le produzioni di pace e che i progressi tecnici realizzati in quella sono suscettibili di utilizzazione in queste. 143-
« Il problema - mi disse un giorno un'alta autorità politica che era bene addentro nelle questioni economiche e finanziarie - è molto più di natura politica che di natura economica ». Il che equivaleva a dire: « I quattrini si troverebbero con relativa facilità per impiegarli a profitto delle Forze ,armate e delle industrie, ma per ora manca la buona volontà o l'energia necessaria per vincere l 'inevitabile opposizione <la parte di determinati partiti o correnti politiche ».
144
IX Il personale. - Forze armate di leva o Forze armate di mestiere? - Tendenza odierna: di leva con forte percentuale di personale permanente od a lunga ferma. - Gli specializzati a lunga ferma. - Qualità del personale di leva. - Ufficiali e sottufficiali di complemento. - I sottufficiali e gli ufficiali di carriera: situazione di crisi.
Dopo aver esaminato, sia pure senza entrare in particolari, H problema dei materiali con lo scopo di mettere in luce la necessità di destinare ad essi mezzi finanziari adeguati alle esigenze, ritengo opportuno dedicare un intero capitolo al personale. Nonostante il continuo incremento quantitativo e di complessità tecnica dei materiali nelle Forze armate, nonostante la comparsa e lo sviluppo dell'automazione nell'organizzazione militare, gli uomini rimangono un elemento di fondamentale importanza e delle Forze armate contribuiscono potentemente a determinare caratteristiche ed efficienza. E' bensi vero che l'avvento ed il probabile uso di nuove armi, dotate di un potere distruttivo enorme, ha portato come conseguenza una rarefazione dei combattenti, vale a dire l'impiego complessivo di un minor numero di uomini nello spazio (che se una volta poteva intendersi essenzialmente come superficie, oggi bisogna considerare come volume) in cui si svolge la lotta, ma in compenso questi uomini devono esser dotati di una preparazione più vasta e profonda poiché essi devono generalmente valersi di armi e di mezzi tecnici più numerosi e complicati, ed è inoltre sensibilmente aumentato 145 10
l 'I {'I i· !1
I \
I
l )
I
I •
l
l
il numero di coloro che, nelle immediate retrovie, nelle basi e nell'interno del territorio sono addetti alla manutenzione e riparazione dei materiali. D'altra parte il coraggio e l'abnegazione sono tuttora qualità essenziali per i combattenti e lo sarebbero ancor più nel caso in cui le armi nucleari venissero impiegate sui campi di battaglia, per gli effetti terrificanti di esse; fermezza e spirito di iniziativa si richiedono in grado più elevato che una volta data la diluizione .della lotta in spazi più grandi. In sostanza uomini non forniti di materiali moderni ed efficienti sono votati all'insuccesso, ma ad un insuccesso cora più clamoroso sarebbero destinate forze provviste di ottimi materiali e costituite da personale poco valido ·moralmente o scarsamente addestrato. La necessità di disporre di combattenti ed ausiliari in gran parte dotati di conveniente preparazione tecnica ' allo scopo di garantire il corretto ed efficace impiego dei materiali in distribuzione ha fatto sì che oggi non soltanto la ·Marina e l'Aeronautica, come già si riteneva una volta, ma anche l'Esercito, vale a dire la Forza armata di gran lunga più numerosa in Italia ed associata in passato al concetto di massa~ debba essere considerato prevalentemente costituito da specializzati. All'esigenza di un addestramento di specializzazione imponente in tutte e tre le Forze armate per ampiezza e complessità (la varietà delle specializzazioni è davvero· vastissima) si aggiunge quella di fronteggiare, fra le ipotesi di conflitto, la più irta di difficoltà e di gravi conseguenze: lo scoppio istantaneo o quasi delle ostilità, con uso indiscriminato dei mezzi di offesa tenuti in potenza (in altre parole un'aggressione improvvisa, brutale e totale da parte del presumibile avversario), che renderebbe pressoché inattuabili · i· previsti procedimenti di mobilitazione. Tutto ciò ha indotto una folta schiera di tecnici e di critici militari a pensare che l'epoca del servizio di leva sia tramontata e che tutte e tre le Forze armate debbano essere
an-
146
esclusivamente formate da personale di carriera od a lunga ferma. Anche l'Esercito quindi, la più consistente sotto l'aspetto numerico delle Forze armate, non dovrebbe più essere un esercito di leva come sinora in Italia per tradizione, bensì un esercito di mestiere! Una simile trasformazione avrebbe effetti assai rilevanti e non tutti benefici, ma offrirebbe il vantaggio di assicurare un'accurata preparazione tecnica e la disponibiltà di forze prontamente impiegabili in qualsiasi momento. Una rapida occhiata a quanto, in materia, è stato realizzato nelle principali nazioni consente tuttavia di rilevare che soltanto la Gran Bretagna ha ripreso la strada delle forze costittùte, in tempo di pace, interamente da volontari (o da mercenari, che sono la stessa cosa), mentre gli Stati Uniti d'America, che prima della seconda guerra mondiale applicavano analogo sistema, hanno sinora conservato il servizio militare obbligatorio, adottato per la guerra. Come è noto, la Gran Bretagna è tenacemente attaccata alle tradizioni ed alle consuetudini e proprio a causa di questo attaccamento è ritornata all'antico, anche se oggi l'isolamento determinato dalle sue condizioni geografiche non può più essere considerato tale da consentirle, in caso di emergenza, lente, progressive e comode procedure di incremento e di trasformazione di struttura delle Forze armate. Gli Stati Uniti d'Ame-rica invece, ritenendosi per la prima volta nella loro storia esposti all'offesa subitanea e massiccia delle nuove armi nonostante l'immensa intercapedine oceanica, nonché alle periodiche minacce costituite da focolai sorgenti in varie parti del mondo, hanno preferito mantenere in vigore il servizio di" leva istituito per la guerra. E' forse inutile ricordare che in Francia, nell'Unione delle repubbliche sovietiche e negli Stati satelliti di oltrecortina è in pieno vigore l'obbligo del servizio militare. La Repubblica federale tedesca lo ha ripristinato; il che è particolarmente significativo dato che si tratta di uno Stato il quale, partendo da zero, ha ricostruito e 147
sta potenziando le proprie Forze armate con criteri di spiccata modernità, in modo da raggiungere la disponibilità di uno strumento interamente nuovo anziché rimodernato o rappezzato. Di fronte a tali e tanti esempi l'Italia commetterebbe un errore colossale sopprimendo il servizio militare obbligatorio: non solo per il maggior costo dei professionisti e dei volontari rispetto ai militari di leva (maggior costo che viene del resto in buona parte compensato da un periodo assai più lungo di utilizzazione degli elementi addestrati, da una rotazione molto pi11 attenuata del personale in servizio e quindi da un reclutamento nel complesso meno numeroso), ma anche e soprattutto per ragioni di carattere etico e sociale. Prescindendo dalla tradizione, ormai secolare, del servizio di leva che ha potentemente contribuito ad amalgamare italiani di regioni diverse dopo il compimento dell'unità nazionale, il dovere dei cittadini di concorrere (e quindi di prepararsi) alla difesa della Patria è solennemente sancito dalla Costituzione in vigore e così pure l'obbligatorietà del servizio militare. D'altra parte, se l'esperienza altrui può risultare proficua, è bene considerare le gravi difficoltà che ha dovuto superare e gl'ingenti sforzi che ha dovuto compiere la Germania occidentale (la quale, tutto il suo passato lo dimostra, è un paese fondamentalmente militarista) allorché, accingendòsi al riarmo dopo alcuni anni in cui, per imposizione di armistizio, era rimasta inerh1e, ristabilì l'obbligo del servizio militare e cominciò a chiamare, piano piano ed a piccolissime dosi, i cittadini sotto le armi. E' presumibile che, in situazione analoga, l'Italia, la quale non è mai stata militarista, si troverebbe davanti a difficoltà ed a sforzi per lo meno altrettanto pesanti. Quasi nessuno Stato dunque pensa di sopprimere l'obbligo, per i cittadini, dell'abilitazione all'impiego delle· armi per la difesa della patria: ve n'è anzi qualcuno, come Isràele, in cui l'obbligo del servizio militare (e, in àggiunta, di 148
durata notevolmente lunga), è esteso alle donne. Un particolare temperamento, quello del riconoscimento del diritto di obiezione di coscienza, può essere applicato senza apprezzabili difficoltà in paesi nordici e più precisamente anglosassoni, ma in Italia presenterebbe assai probabilmente un pericolo: quello di essere in pratica sfruttato come primo colpo di piccone contro l'obbligatorietà del servizio militare. Una soluzione intermedia, che è stata ripetutamente ventilata, è quella di creare Forze armate di due tipi : un'aliquota, di entità numerica più limitata, formata interamente da personale di carriera od a lunga ferma, dotata di armi e di materiali eccellenti e di preparazione tecnico-militare pressoché perfetta, incaricata di svolgere le più importanti operazioni di guerra; un'alìquota, più numerosa, comprendente in prevalenza personale di leva addestrato nel corso di una ferma relativamente breve e destinata alla cosiddetta difesa del territorio. Questa soluzione, che a prima vista potrebbe apparire razionale ed economica, presenta in realtà difetti gravi: non è giovevole sotto il punto di vista morale perché divide le forze in due categorie, una di élite e l'altra scadente; non è nemmeno economica perché non consente lo scambio fra unità delle due categorie 'né il rinforzo od il rinsanguamento della prima da parte della seconda. A questo proposito è ovvia la convenienza di avere forze nei limiti del possibile intercambiabili. La soluzione che si è quasi dovunque imposta come la più opportuna e rispondente alle esigenze attuali di impiego è quella di forze costituite in buona parte da personale di leva ma comprendente una larga alìquota di personale permanente od a lunga ferma. Per il personale di leva la ferma che sino a qualche tempo fa poteva essere considerata standard nelle forze di terra e dell'aria dei paesi membri dell'Alleanza atlantica era di diciotto mesi (più lunga nelle forze navali). Questo periodo era ritenuto il minimo necessario per raggiungere un 149
i
i f '1
l
II '! I
s.oddisfacente livello di addestramento ed era . nello stesso tempo il più economico perché consentiva di conciliare il meno dispendiosamente possibile varie esigenze, fra cui quella di utilizzare a fondo le dotazioni individuali di vestiario ed equipaggiamento, quella di far ruotare gli scaglioni di leva in modo da mantenere permanentemente alle armi forze addestrate e pronte all'impiego in quantità sufficiente all'assolvimento dei compiti operativi di emergenza, quella di abilitare alle specializzazioni meno difficili e complesse personale di leva riservando le altre specializzazioni a personale di carriera o comunque a lunga ferma. Rilevo incidentalmente che negli Stati del blocco sovietico la ferma di leva è generalmente assai più lunga. Qualche anno fa il Belgio e recentemente l'Italia, sia pure in grado minore ( I 5 mesi contro i I 2 del Belgio) hanno ridotto la ferma di leva. Per contro la Germania occidentale, che aveva cominciato timidamente a chiamare alle armi personale di leva per brevi durate, tende decisamente ad allungare la ferma. Non discuto le ragioni politiche che in Italia hanno suggerito il provvedimento: quelle sociali sono ovvie giacché la riduzione del tempo da trascorrere in servizio militare disturba e ritarda meno i giovani nei riguardi della sistemazione nella vita civile. Ma non posso fare a meno di rilevare, accanto a questo innegabile vantaggio, alcuni inconvenienti tutt'altro che trascurabili. La ferma più breve consente una minore raffinatezza di addestramento ed è meno eco~omica, non solo a causa di uno sfruttamento meno spinto di indumenti ed oggetti individualmente assegnati ai militari, ma anche e soprattutto perché, volendo e dovendosi conservare al livello primitivo la quantità di forze impiegabili, occorre chiamare alle armi scaglioni di leva più numerosi. Inoltre, non risultando più conveniente destinare, come in passato, personale di leva a talune specializzazioni, sarà necessario aumentare la quantità degli specializzati a lunga ferma. Per 150
i quali sta per affacciarsi l'occasione di mettere in luce le gravissime difficoltà di reclutamento. In. quanto all'alìquota .di personale di carriera (che comprende· ufficiali e sottufficiali in servizio permanente e specializzati a lunga ferma), .la Germania occidentale, alla quale amo riferirmi, come hò già detto, perché nel creare ex novo Ie ,sue Forze armate applica criteri di modernità spiccata e vorrei dire spregiudicata, ne commisura l'entità al 50%; del totale delle forze. Preciso qui, per evitare eventuali dubbi da parte dei lettori, che il discorso è ·all'ingrosso valido· per tutte e tre le Forze armate. Fra i principali paesi membri dell'Alleanza atlantica, Stati Uniti d'America e Francia tendono a raggiungere la stessa percentuale o percentuali lievemente inferiori; la Gran Bretagna, come si deduce· da quanto ho detto in precedenza, tende al roo%. lq , Italia sarebbe desiderabile, e potrebbe essere già stimata,,soddisfacente ai fini dell'efficienza se considerata come minima, una percentuale del .3o% . Rimandando a poco più tardi , un rapido esame della questione· degli ufficiali e sottufficiali di carriera, mi soffermo ora su quella degli specializzati a lunga ferma. La Matina e l'Aeronautica ne ·avevano già da parecchi anni, in relazione alle loro particolari esigenze, un quantitativo abbastanza elevato, il cui mantenimento era ormai entrato nelle tradizioni. Dopo la guerra anche l'Esercito, che fino allora aveva colmato il limitato fabbisogno inglobandolo tra i sottufficiali di carriera, sentì la necessità di un forte· numero di specializzati a lunga ferma, in conseguenza del notevole incremento di mezzi e di procedimenti tecnici. Si previde . allora il reclutamento · graduale, attraverso apposite scuole, create o adattate a dire il vero con sufficiente larghezza, per quanto riguarda impianti e materiali didattici, di un numero complessivo .di volontari specializzati che sul momento parve assai grande, ma che in realtà, sommato al quantitativo esistente di ufficiali e sottufficiali in servizio 151
!
Il
I
I
il
permanente, ·arriva più o meno al 20% della forza totlrle. Assai meno quindi del minimo desiderabile! Se indicassi qui le cifre assolute, anziché limitarmi a citare le percentuali, non svelerei alcun segreto di Stato; · ma non ne guadagnerebbe la chiarezza e l'efficacia del discorso. L'ampiezza della lacuna si manifesta per contro nella :sua interezza se aggiungo che del numero complessivo di specializzati in servizio, previsto come traguardo da raggiungere, non si è riusciti in parecchi anni che a reclutare stentatamente il 30% e forse meno. Il che fa discendere la percentuale di personale permanente od a lunga ferma al r 3 % della forza totale. Siamo in verità troppo al disotto dell'indispensabile per soddisfare le esigenze relative ad una moderna organizzazione militare. Ma il guaio non sta solo nel numero; sta anche · nella qualità. Oltre che poco, si recluta male: molti sono gli elementi deficienti che per via vengono eliminati e quelli mediocri che giungono faticosamente a conseguire l'abilitazione e ad entrare nelle file, per prestarvi opera di ·modesto rendimento. La Marina e l'Aeronautica incontrano difficoltà analoghe, anche se meno accentuate in rapporto al minor fabbisogno assoluto ed alla più antica consuetudine di simili reclutamenti. Se si pensa che delle · numerosissime specializzazioni a cui l'Amministrazione militare abilita gli allievi ammessi ai corsi molte, anzi la. maggior parte, sono utilizzabili nella vita civile e che in sostanza lo' Stato regala ai volontari specializzati un mestiere redditizio che potrà essere esèrcitato al ;termine della ferma contratta, appaiono non facilmente spiegabili le difficoltà e le insufficienze di rechitamento. La propaganda dei bandi di concorso è fatta generalmente in modo vistoso e .sembra strano che non riesca efficace. Ed allora dove ricercare la causa dell'insuccesso? Forse nella riluttanza a vestire l'uniforme militare e ad apporre al bavero le stellette? No perché le ammissioni di 152
volontari a lunga ferma nell'Arma dei Carabinieri e nei Corpi di polizia (Guardia di Finanza, Guardia di Pubblica Sku~ rezza), senza essere soddisfacenti in pieno, non hanno subito riduzioni sensibili e sono tuttora ben nutrite. Ciò significa che l'assisa militare non ripugna a larghi strati del nostro · popolo. La causa dev'essere quindi individuata nel trattamento, non abbastanza allettante, riservato agli specializzati a lunga ferma. Nel tratt~mento sono compresi due ordini di compenso: le condizioni di carriera ed il soldo. Circa le condizioni di carriera, bisogna riconoscere che per i volontari specializzati troppo scarse sono le possibilità ·di diventare sottufficiale in servizio permanente, di accedere cioè ad una carriera che dia afììdamento di essere seguìta, progredendo, per tLttta una vita o per lungo volgere d'anni; pochissimi sono coloro che riescono a tanto. Molti aspiranti potenziali rinunciano quindi a concorrere, pur calcolando il beneficio di conseguire la specializzazione e quello di ottenere premi di ferma e di rafferma, per evitare di dover ricominciare un noviziato nella .vi- . ta civile, dopo aver terminato un servizio di cinque o di sette anni senza essere potuti entrare in carriera. In quanto al trattamento economico, i soprassoldi di specializzazione (in ag: giunta alla modestissima retribuzione corrispondente al grado) sono molto esigui in confronto ai salari che gli operai specializzati percepiscono nelle industre civili. E ' vero che i militari fruiscono del mantenimento materiale (vitto, vestiario ed alloggio) gratuito, ma sono anche soggetti a norine disciplinari e limitazioni sconosciute ai civili. Questa esigùità contribuisce a far sì che molti giovani, soprattutto dotati di buone qualità personali, preferiscano frequentare corsi professionali o di specializzazione di azienda e correr l'alea dei mestiere civile con rimunerazioni elevate piuttosto che rispondete ai bandi di concorso dell'Amministrazion·e militare per incarichi assai parcamente retribuiti. Il che si verifica tanto piu facilmente ed ampiamente in periodi, come quello che st.ia153
i·
i
I
I
I
I
mo d~ qualche anno attraversando, di intenso sviluppo industriale, ed economico e di decrescente disoccupazione. :, In conclusione, per quanto concerne gli specializzati a lunga. ferma, esiste nelle nostre .Forze armate una grave crisi quantitativa e qualitativa. Dopo quanto ho detto i rimedi risultano ovviamente due: migliorare le condizioni di carriera ed. aumentare notevolmente i soprassoldi di specializzazione. Entrambi sono costosi . . . Naturalmente, non potendosi attribuire tutti gli incarichi di . più spiccata specializzazione a personale di carriera od a lunga ferma, come sarebbe .desiderabile e come sarebbe previsto,. occorre riempire i vuoti con personale di leva, non limitandone -l'accesso alle specializzazioni (numerose d'altronde) meno difficili e di preparazione meno lunga e complessa, ma estendendolo a talune delle specializzazioni più pregiate e complicate. Questo ripiego non .è conveniente sotto l'aspetto economico giacché l'Amministrazione militare finisce con l'impiegare .buona parte del periodo corrispondente alla ferma e non poco denaro per abilitare elementi di cui, a specializzazione, conseguita, utilizza· l'opera per pochi mesi. soltant.o. Senza contare che per alcuni incarichi particolarmente delicati ed importanti gli elementi di leva non arrivano, per ,insufficienza di .tempo, .a .raggiungere quel grado di pratica e di capacità che sarebbe. desiderabile. Inconvenienti. questi .che ·si .accentuano sensibilmente. con la riduzione della ferma di leva . . E' veto che in questo modo si aumenta · notevolmente l'entità della riserva di spècializzati, ma ciò .no.µ è· necessario per._le spedalizzazioni più rare, per cui sarebbe . preferibile personale di carriera od a lunga ferma. E' vero..altresì che in que~tQ modo si arricchisce più abbondantemente .il numero di specializzat.i che le Forze armate regalano alla Nazione per non poche. forme di attività civili, e ciò costituisce senza dubbio per le.stesse Forze armate un titolo di benemerenza di grande valore. Ma, come ho già a_vuto occasione di rilevare, mentre nessuna obiezione può esser mossa all'affermazione che le For154
ze. armate sono scuole della Nazione per quanto riguarda formazione morale e di carattere oltre che abilitazione all'uso delle armi ed al servizio militare in genere, la funzione di insegnamento nel campo delle specializzazioni tecniche utilizzabili nell,a vita civile e più ancora in quello della istruzione elefiì.entar~ dev'essere ritenuta accessoria, contingente e transitoria. Con questa funzione le Forze armate invadono un campo che dovrebbe essere riservato alla pubblica istruzione. Il loro compito essenziale è quello di assicurare la çlifesa militare della Nazione; per assolverlo esse, che della Nazione sono o, dovrebbero essere genuina espressione, dovrebbero ricevere d~lla Nazione elementi umani dotati di cultura generale e tecnica sufficiente all'assolvimento della maggior parte c;legli inq1richi milit.ari. Resterebbe sempre, beninteso, da parte dell'organizzazione militare, il dovere di .abilitare il personale nee;essario a quelle specializzazioni di carattere . prettamente miHtare, che non hanno riscontro nelle attività civili e che, giova ric,ordarlo, sono le meno .numerose. , i In attesa che il grado di efficienza dell'istruzione pubblica .consenta una così favorevole situazione (ne siamo ben lo~tani e dovranno passare pa~ecchi anni prima che ciò si ve;ri..6.chi) è logico che le .Forze armate compiano uno sforzo addestrativo maggiore di quello che ad esse .competerebbe e che così facendo si rendano doppiamente utili alla Nazione guadagnando un maggior credito di riconoscenza. Ma, ripeto, questa maggiorazione di sforzo costituisce una prestazione di carattere eccezionale, qualche cosa di simile all'opera straordinaria che le Forz.e armate svolgono in caso di calamità pubblka.per soccorrere le popolazioni colpite; alla calamità corrisponde lo stato deficitario dell'istruzione pubblica. Ciò dev'essere.risaputo negli ambienti colti della Nazione, specialmente nelle cosiddette sfere dirigenti e responsabili. . :Prima di lasciare l'argomento del personale di leva ritengo utile ed interessante rispondere a questa domanda: com'è sotto .il punto di vista della qualità tale personale: buono, 155
)
I
!,, '
mediocre, scadente, ottimo? Il. che equivale a chiedei·e un giudizio sulla qualità del soldato italiano. In materia se ne sono dette e scritte (soprattutto da scrittori militari stranieri) di tutti i colori. Appartenenti a varie nazioni hanno, di tempo in tempo, attribuito al proprio paese o ad un paese nemico il vanto di possedere i migliori soldati del mondo: francesi, inglesi, tedeschi, turchi, a cui sì 'sono aggiunti, in epoca più recente, giapponesi, statunitensi, rùssi, cinesi. Gl'italiani sono comparsi molto raramente in questa graduatoria di merito, e forse ingiustamente. Infinite volte, dalle guerre di indipendenza in poi, i soldati italiani si trovarono ad operare e combattere in condizioni oltremodo difficili per carenza di armi, di materiali o di risorse logistiche· o per difetto di preparazione in genere e per coriseguente improvvisazione di piani operativi ed organici. E' duro misurarsi con avversari superiori in mezzi, in organizzazione ed ·in addestramento! Eppure assai spesso i soldati italiani si comportarono con abnegazione e coraggio ammirevoli, sopportando serenamente disagi e sacrifici gravissimi ed affrontandò bravamente rischi mortali. Le gravi perdite sofferte nelle p1ù importanti delle guerre combattute sono la prova evidente delle difficoltà in mezzo a cui la lotta fu sostenuta e svolta dai nostri soldati. Ma qui non intendo rinvangare il passato per rinverdire titoli di onore e di gloria che vengono troppo spesso tdt.scurati (tranne che dagli stessi reduci e dai militari ·in servizio) o malamente riesumati e frettolosamente ripuliti della polvere e della muffa dell'oblio a scopo di esibizione interessata. Qui si tratta semplicemente di sapere se l'italiano medio che viene chiamato alle armi per il servizio di leva si trasforma in un bravo soldato o marinaio od aviere opptire no. Evidentemente chi, come l'autore di queste pagine/ ha passato quasi tutta la vita nelle file in qualità di ufficiale ha in materia un'esperienza decisiva. Certamente se io negassi l'esistenza di un'aliquota, ·di 156
ci~ta.dini soggetti al servizio militare che tenta in tutti i modi cli esimersene, nonché di un'aliquota di questa aliquota che riesce dolosamente nell'intento sottraendosi così al compi_.mento di un fondamentale dovere, sarei un cieco od un illuso. Sì, questa piaga esiste ma è assai meno vasta di quanto comunemente si crede. Essa è causata da un eccesso di egoistico desiderio di tutelare i propri interessi materiali e da una deficienza di spirito patriottico e militare di cui, oltre ai trasgressori, bisogna incolpare gli ambienti in cui questi sono stati educati ed istruiti: 1a famiglia, la scuola, il Paese; sì, anche il cosiddetto Paese, e di questo specialmente gli strati e gli angoli più istruiti e qualificati, come la stampa, la cultura, i circoli ricreativi e politici. Essa è consentita da difetti della legge e da lacune e colpevolezze degli organismi e delle persone che devono applicare la legge. Difetti, lacune e colpevolezze potrebbero essere eliminati senza soverchia fatica. Ma dichiaro con piena consapevolezza che, nella grandissima maggioranza, nella quasi totalità, i cittadini chiamati alle armi, qualunque sia la loro provenienza, il loro mestiere e la loro fede politica, diventano in poche settimane soldati ottimi per disciplina, volonterosità, capacità. Ciò accade senza dubbio per merito dell'ambiente militare (il più sano moralmente fra tutti quelli esistenti nella Nazione e capace ancora di far giocare vivaci molle sentimentali, fra cui efficacissima que11a dello spirito di Corpo) in cui vengono a passare la loro ferma e dei quadri (ufficiali, sottufficiali, graduati) che li prendono sotto la loro guida tecnica e spirituale. Ma anèhe per merito degli stessi cittadini, della stoffa di cui sono forgiati. Ciò dimostra che la sostanza del nostro popolo è eccellente e facilmente plasmabile e richiede soltanto buoni capi. Il che è molto confortante anche se non sia facile trovare buoni capi. Non sarà fuori luogo ricordare qui che il trattamento dei nostri soldati, per guanto riguarda alimentazione, vestia1~7
:I
1
t I
I
I I
I
!
rio ed accasermamento irt genere è grandemente migliorato dopo il secondo conflitto mondiale, rispetto all'anteguerra. Il soldo è modesto nonostante una recente maggiorazione, ' ma è sempre stato per tradizione assai limitato e non v'è akuna necessità di aumenti purché sia assicurata una forma di assistenza alle famiglie partieolarmente bisognose dei militati di leva o richiamati. D'altra parte Ja selezione attitudinale (introdotta dopo il secondo conflitto mondiale) a cui viene sottoposto il personale di leva, come del resto qualsiasi altra categoria di personale militare, all'atto del reclutamento, e che viene effettuata, con criteri moderni, attraverso un seguito di' prove pratiche e di colloqui, assicura l'assegnazione di ciasc'uno all'incarico meglio rispondente alle sue attitudini ed alla sua capacità. · Dopo aver rapidamente esaminato il personale di ttuppa costituito dagli specializzati a lunga ferma e dagli elementi di leva, passo a considerare gli ufficiali e sottufficiali. Analogamente al personale di truppa quello appartenente a queste due categorie può essere distinto in due gruppi: ufficiali' e sottufficiali di complemento, i quali conseguono il grado durante il servizio di leva, ufficiali e sottufficiali di carriera. Circa il reclutamento e la formazione degli ufficiali e sottufficiali di complemento non esiste alcuna difficoltà di carattere quantitativo né di carattere qualitativo. I sottotenenti di complemento sono tutti volontari: il numero delle domande è due o tre volte più elevato di quello dei posti disponibili, dimodoché la selezione è severa ed il gettito annuale risponde pienamente alle esigenze di quantità e di qualità. L'obbligo, che vigeva in passato, per i giovani forniti di determinato titolo di studio, di concorrere al conseguimehto del grado di ufficiale rispondeva alla necessità di assicurare per il caso di guerra una forte disponibilità di ufficiali di complemento, ma proprio in guerra (e precisamente nei due 158
I
l I
I 11 I
,I
conflitti mondiali) l'obbligatorietà non ha dato buona prova sotto l'aspetto della qualità. Ed effettivamente il costringere taluni elementi che non ne abbiano la vocazione o il d~siderio, per deficienza di doti di carattere, a diventare ufficiali per il solo fatto di essere provvisti del titolo di studio necessario, non può essere fecondo che di cattivi risultati. Dopo la seconda guerra mondiale, diminuita in seguito alla riduzione dell'entità numerica delle Forze armate l'esigenza quarititativa, è stata soppressa l'ammissione obbligatoria ai corsi per allievi ufficiali di complemento e si è adeguata Ia formazione di questi a criteri di più vasta e profonda preparazione, · di maggior tecnicismo e di più. razionale metodo. Considerazioni analoghe possono esser fatte a proposito dei sergenti di complemento, che ·sono tratti da personale volontario e che risultano in genere elementi ben preparati e di ottimo rendimento. Trasferendo l'indagine ai quadri (ufficiali e sottufficiali) di carriera, sono purtroppo costretto ad esprimere un giudizio molto diverso ed improntato a netto pessimismo: in questo settore ·è in atto una crisi che è lecito presumère di lunga durata. Il reclutamento di nuovi e giovani elementi presenta difficoltà di carattere numerico e qualitativo, talché, nell'insieme, i quadri suddetti tendono a risultare quantitativamente insufficienti e, sotto il punto di vista della capacità e del rendimento, deficienti. Questo fenomeno è molto grave giacché nelle complesse organizzazioni delle Forze armate i quadri di carriera costituiscono travature essenziali, destinate ad assicw-arne .la robustezza scheletrica. In tempo di guerra {non solo durante il secondo ma anche durante il primo conflitto mondiale) era venuto di moda il vezzo di criticare oltre misura o addirittura di calunniare i quadri permanenti e di asserire che il peso ed i sacrifici più onerosi gravavano sui quadri di complemento o comunque richiamati dal congedo e strappati alle normali 'attività professionali ed alle famiglie. La diceria era ispirata da 159
spirito demagogico di bassa lega o da vero e proprio antimi· litarismo. Senza svalutare le gesta, i sacrifici ed i meriti no· tevÒlissimi dei quadri di leva e delle categorie in congedo, bisogna tenere ben presente ~he ai quadri di carriera spettano compiti di importanza enorme, quali quelli di garantire l'ef. .ficienza addestrativa e spirituale del personale, la continuità di tradizione dei Corpi e dei reparti di truppa, il comando delle maggiori unità. Ora, se è giustificabile che dopo una guerra perduta qua· le, per gl'italiani, il secondo conflitto mondiale, una ventata di pacifismo ad oltranza e cli antimilitarismo faccia scompa· .rire l'amore delle uniformi e la passione per la carriera mili· tare (questa forma di reazione si era verificata in Italia anche dopo il primo conflitto mondiale, che era stato, sia pure a prezzo di ingenti perdite, vittorioso), non è molto facile comprendere perché, trascorsi tanti anni dal termine della guerra, questo stato d'animo sfavorevole, questa spede di pre· venzione e di ripugnanza verso gli ambienti militari debbano continuare a sussistere in quegli strati sociali in cui, di massima, dovrebbero essere reclutati i sottufficiali e gli ufficiali. A .dire il vero i sottufficiali di carriera nelle Forze armate italiane non hanno mai avuto, nel complesso, quell'impronta di capacità professionale e di autorevolezza e quella somma di responsabilità, che costituivano caratteristiche dei sottufiìciali ed elementi importantissimi di efficienza nelle Forze armate di nazioni tradizionalmente militaristiche o praticanti una saggia politica militare. Potrei cirare esempi, fortemen· te probanti, di Forze armate estere in cui ai sottufficiali eran o, con pieno successo, affidati compiti di comando e amministrativi ed attribuita la .firma per atti che in Italia venivano di solito riservati agli ufficiali; il che rendeva assai più semplice e redditizia la missione degli ufficiali o per lo meno di una. larga parte di questi, vale a dire degli ufficiali inferiòri. Sia ben chiaro che con queste affermazioni non intendo assolutamente disconoscere le benemerenze acquisite nelle Forze ·J60
armate italiane, mediante paziente, oscura, appassionata e coraggiosa opera, in guerra ed in pace, dalla categoria dei sottuffidali di carriera, e nemmeno escludere che da questa categoria alcuni elementi, dotati di altissime qualità, abbiano saputo emergere salendo meritatamente ai più alti gradi della categoria degli ufficiali. E' ovvio che, per giudicare le condizioni di efficienza di un settore o di una categoria, io debba considerare il livello della massa e l'attività complessiva e non le manifestazioni oltremodo brillanti di elementi eccezionali. Desidero inoltre chiarire che parlando di Forze armate generalizzo cercando di fare una media di quanto, per un determinato argomento, si verifica nelle singole Forze armate. So benissimo che nella Marina, per virtù di tradizioni ed anche di particolari indennità, le qualità ed il rendimento dei sottufficiali erario in passato generalmente migliori che nell'Esercito. So pure che nell'Aeronautica, la più giovarie tra le Forze armate, vennero formati ed utilmente impiegati molti eccellenti sottufficiali piloti e specialisti, spinti dalla passione per il volo od attratti da vantaggiosi compensi pecuniari. Ma ho l'impressione che ora le condizioni si stiano accostando ad una medesima linea nelle tre Forze armate, ed in questo forse ha la sua parte di merito, sia pure indiretto, l'improvvisata ed imperfetta unificazione dei dicasteri militari. Nell'Esercito la tecnica e le specializzazioni hanno avuto un incremento ~levatissimo dopo la seconda guerra mondiale e sono state sensibilmente accresciute le responsabilità e l'importanza dei compiti affidati ai sottufficiali. D'altra parte, per tutti i sottufficiali delle tre Forze armate è cambiata la situazione in cui percorrono fa loro carriera. Incredibile ma vero, soltanto dopo la seconda guerra mondiale è stata emanata una legge che ha sancito uno stato gforidico dei sottufficiali, prima inesistente. Il trattàmento economico è stato migliorato in modo notevole, anche se non sufficiente.· Bisognerebbe perfezionare le condizioni di car161 11
I
l I
l I
I j
')
! I
i! J!
il
riera, rendendole più simili nelle tre Forze armate e concedendo maggior campo alla scelta, per selezionare più efficacemente il personale e consentire ai migliori un più rapido percorso della scala gerarchica ed un più facile e pronto accesso alla categoria degli ufficiali. . Ma non è mia intenzione e11trare in particolari che . abbiano un aspetto. eccessivamente tecnico o professionale. Mi basta qui dichiarare che per la carriera di sottufficiale non si recluta oggi che marginalmente od eccezionalmente nel meglio che la Nazione può offrire tra gli elementi muniti dei titoli prescritti. I vari aspetti della crisi che ho nominata appariranno più chiaramente nel corso del rapido esame che mi accingo a fare della categoria degli ufficiali. Per ben comprendere l'odierna situazione e porre in luce i punti in via di decadenza e quelli (ne esistono anche se non risultano i più numerosi) che hanno segnato un progresso, debbo riferirmi al passato. Premetto che la storia e l'esperienza dei tempi trascorsi non sono ricche soltanto di circostanze favorevoli. Io sono abbastanza vecchio per ricordare un'epoca, precedente alla prima guerra mondiale, in cui qualche dinamico e facoltoso appartenente alla cosiddetta buona: borghesia .aveva la faccia tosta di dichiarare: « Mio figlio non riesce negli studi e non ha voglia di applicarsi: -lo consiglierò .di tentare la carriera di ufficiale » . Certamente si tra~tava. di elementi ignari della reale struttura delle Forze armate ed in particolare dell'ambiente deglì ufficiali, ed inoltre sordi ai richiami spirituali ed alle mete ideali della carriera . di .ufficiale. Tali elementi non costituivano se non un set.tare. limitato e proteso verso scopiprettamente utilitari del ceto medio italiano. · In effetti, prima e : dopo . il .primo conflitto mondiale, i giovani che partecipavano ai concorsi di ammissione .alle Accademie di reclutamento erano nella grande maggioranza sollecitati dalla vocazione o da tradizioni di famiglia: l!en162
tusiasmo e la dedizione incondizionata al dovere distinguevano il tono e l'azione di quelli che riuscivano ad entrare. Il numero dei concorrenti era in genere di parecchie volte superiore a quello dei posti disponibili e, nel complessò, il reclutamento si effettuava sulla parte migliore della gioventù provvista di idoneo titolo di studio. Oggi le cose sono sostanzialmente cambiate. L'alto ·tenore di vita, la sete di guadagno, il benessere materiale sono purtroppo le molle principali che spingono l'attività dei più in tutti i ceti sociali, i fari verso cui indirizza gli sguardi e gli sforzi la generalità dei cittadini; l'amore di patria (indispensabile movente e spirituale fermento di ogni buon militare), la vocazione per un ideale, la tradizione di famiglia sono in netto ribasso presso i giovani e non per colpa di questi. Le famiglie use a dedicare i figli migliori alla carriera militare o più specificatamente ad una determinata Forza armata o ad una determinata Arma, sono quasi integralmente scomparse. Gli stessi ufficiali in servizio o provenienti dal servizio permanente sconsigliano spesso i loro :figlioli dall'intraprendere fa carriera paterna: troppo amara è stata la loro esperienza. Tutto ciò è molto triste per gl'iniziati ed i simpatizzanti e dovrebbe esserlo pure per i profani, anche sé taluno di questi può pensare e magari obiettare che la rapida evoluzione sociale impone mutamenti di sistema e di ambienti. Se qualche obiezione di questo genere mi venisse mossa, vorrei rispondere che il nocciolo della questione non consiste nel mantenere vecchie consuetudini e nel riservare il reclutamento . a . determinate fonti che si distinguano per censo o per titoli nobiliari, bensì nel salvare o rimettere in auge valori morali senza dei quali la missione e quindi la carriera degli ufficiali risulta svuotata di significato. Sempre in passato la formazione degli ufficiali di Marina, di Aeronautica e, per l'Esercito, di quelli delle Armi di artiglieria e del genio ha avuto una base scientifica e tecnica. Dopo la seconda guerra mondiale tale base è stata estesa alla 163
I
! Il
Il
l
I
I
I I
. I
I
!
formazione degli ufficiali di fanteria e cavalleria in considerazione del fatto che, come ho ripetutamente posto in rilievo , 1a tecnica ha prepotentemente invaso ogni campo di attività delle Forze armate, senza distinzione di Armi. In tutte le Accademie di reclutamento, in cui ricevono la prima impostazione i futuri ufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica destinati ad incarichi di comando e di Stato Maggiore, gli studi sono prevalentemente di carattere scientifico e tecnico e sono in effetti e legalmente corrispondenti a quelli di livello universitario. La preparazione professionale-culturale non termina davvero coi corsi di reclutamento: non v'è forse alcun'altra carriera in cui scuole, corsi di livello universitario e superuniversitario ed esami si susseguano a ritmo intenso come in quella militare; ed in tutti i gradi, sino a quelli di generale. Inoltre le esigenze derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Alleanza atlantica (per esempio di esercitare funzioni di comando a contatto con unità alleate o addirittura funzioni di Stato Maggiore in Comandi interalleati o, come oggi si dice, integrati, termine questo che significa qualche cosa di più fuso ed unitario di quanto èsprima l'aggettivo precedente) hanno imposto la conoscenza profonda di lingue e metodi stranieri, la frequenza di corsi di carattere internazionale, visite e soggiorni all'estero. L'orizzonte intellettuale e professionale dei nostri ufficiali si è grandemente ampliato rispetto all'anteguerra. Sotto questo punto di vista, adunque, si è progredito. Un'altra innovazione: di enorme importanza, è stata introdotta dopo il secondo conflitto mondiale nel sistema di reclutamento degli ufficiali: la retta gratuita presso le Accademie militari. Anzi, qualche cosa di più della retta gratuita: i giovani che superano i conco1:si di ammissione e riescono ad entrare come allievi nelle Accademie, non solo non gravano sulle famiglie per il pagamento di una retta che è stata abolita, ma ricevono una paga che viene capitalizzata in un libretto di risparmiò, in modo che al termine dei corsi i gio164
I
!
.I
vani dispongano del denaro necessario per l'acquisto del corredo da ufficiale. Vorrei qui osservare al mio immaginario obiettore in materia sociale che le Forze armate da molti anni (se non erro dal r 948) hanno dato un esempio di evoluzione sociale e democratica che i competenti organi di Governo non sono ancora riusciti ad imitare per quanto riguarda gli studi universitari. Con le disposizioni introdotte qualunque giovane provvisto del necessario titolo di studio e, naturalmente, dei necessari requisiti morali può aspirare alla carriera di ufficiale anche se proveniente da famiglia non dotata di beni di fortuna ed in condizioni sociali modeste. Si è così allargata la base di scelta, con lo scopo di attirare gli elementi di valore, ovunque siano. Ebbene, quali i risultati? Il fatto che il numero dei concorrenti alle Accademie è alquanto superiore a quello dei posti disponibili (anche se doppio od eccezionalmente triplo) non deve indurre ad erronee valutazioni ottimistiche; per lo più, in conseguenza della cernita conseguente alla selezione attitudinale, agli esami di ammissione ed al tirocinio iniziale, non si riesce a coprire tutti i posti messi a concorso. Se gli ammessi risultassero nella totalità o nella maggior parte elementi di prim'ordine, i risultati potrebbero ancora essere ritenuti soddisfacenti. Ma così non è purtroppo: gli elementi ottimi sono una minoranza piuttosto esigua, mentre la massa rientra nell'aurea mediocrità ed una certa aliquota di allievi scadenti è destinata ad essere eliminata per la via. Ciò significa che il reclùtamento non opera sulla parte migliore dei giovani licenziati dagl'Istituti d'istruzione secondaria che in via di eccezione e per aliquote minime. Naturalmente questo inconveniente, di natura assai grave, è da più lungo tempo ed in misura più ampia risentito dall'Esercito, che abbisogna di una quantità assai più elevata di giovani ufficiali pet inquadrate le sue .più numerose schie:i.65
l
.I
I
J
I I
I
I
I
'
'
,I (
I J
'
I
J I
I
I :l ,! 1,
re, ma ora comincia ad essere lamentato anche dalla Marina. L'Aeronautica si è finora trovata in condizioni alquanto migliori grazie all'attrazione del pilotaggio dei moderni aerei a reazione, ma è presumibile che, continuando di questo passo, la crisi diventerà seria anche per questa Forza armata. E' superfluo aggiungere che difficoltà ancora maggiori si incontrano per il reclutamento degli ufficiali dei Servizi tecnici, per i quali, oltre alla generica preparazione militare, si richiedono successivamente il conseguimento di lauree pregiate ed il superamento di corsi superiori tecnici, per lo più lunghi e ardui. In definitiva l'ampliamento della base di reclutamento derivante dalle condizioni economiche eccezionalmente favorevoli offerte agli allievi delle Accademie non è valso ad aumentare notevolmente il numero dei concorrenti e nemmeno ad assicurare in misura soddisfacente il requisito della qualità. Anzi, occorre ammetttere che le conseguenze di questo ampliamento non sono tutte favorevoli. Una parte degli allievi inizia la vita militare senza quell'entusiasmo che distingueva in genere le vecchie generazioni; non sorretta· dalla fiamma di una vocazione impetuosa e spontanea né animata dalla ardente consapevolezza di dedicarsi ad un'alta missione; ma piuttosto con l'intenzione di guadagnarsi senza spese un impiego, duro da esercitare e ricco di sacrifici, ma apportatore di uno stipendio sicuro, anche se non lauto, e di qualche altro vantaggio materiale. E' ovvio che un simile spirito da impiegatuccio induca a considerare la carriera come un tran tran da affrontare col minimo indispensabile degli sforzi, sia difficilmente modificabile e produca, nella media, un abbassamento di tono. Preferibili, se mai, anche se dannosi all'ambiente ed ai colleghi, sono i << carrieristi » spinti da eccessiva ambizione. Sotto il punto di vista spirituale non è difficile trovare elementi ben dotati tra gli ufficiali provenienti (in numero molto limitato) dai sottotenenti di complemento in séguito a con166
corsi straordinari; si dà infatti il caso di giovani che, attratti dalla missione di ufficiale durante il servizio di leva, sentano sorgere in sé la vocazione in modo così prepotente da porre ogni sforzo nel tentativo di passare in servizio permanente anche se, in conseguenza dell'età generalmente più avanzata di quella dei provenienti dalle Accademie e, talvolta, della preparazione tecnica non completa, le prospettive di carriera non si presentino ad essi molto brillanti. I risultati del reclutamento normale attraverso le Accademie, nonostante le consistenti facilitazioni offerte, sono adunque da ritenere tutt'altro che favorevoli e vanno progressivamente peggiorando. Non sufficiente, come già ho accennato, la quantità degli ammessi ed a maggior ragione dei licenziati; esigua l'aliquota degli ottimi; assai ridotti i rappresentanti di tradizionaliste famiglie di élite e dei più elevati strati sociali; limitato il numero dei giovani animati da ardore e purezza di vocazione, appartenenti per lo più a famiglie di sottufficiali o di modesti impiegati e talvolta di opèrai (il che prova ancora una volta la tendenza umana ad· ·elevarsi nella compagine sociale); di gran lunga prevalente. il quantitativo degli aspiranti . meridionali rispetto ai settentrionali; alcune regioni, fra le più progredite economicamente, scarsissimamente rappresentate o addirittura non rappresentate nei concorsi. In questa situazione non hanno trascurabile risonanza gli artistici e vistosi tabelloni pubblicitari con cui si cerca di attirare candidati, e scarsa efficacia ha l'opera di propaganda svolta, mediante conversazioni in aula, fra gli studenti licenziandi degl'Istituti d'istruzione media superiore da parte di ufficiali appositamente selezionati. Un sistema efficace per attirare i giovani verso la carriera di ufficiale potrebbe sembrare a taluno quello di potenziare, accrescendone altresì il numero, le Scuole militari (una volta si chiamavano Collegi militari), dove, in ambiente militare ed· organizzato con disciplina militare, vengono svolti corsi liceali. Prima della seconda guerra mondiale esistevano in 167
I.
I
I '
I
I
I
}
I
I
j ,l ,)
.I
Italia tre Istituti del genere: oggi ce n'è uno solo a Napoli. Senza dubbio molte famiglie sono attratte a partecipare ai concorsi per l'ammissione dei loro ragazzi alla Scuola militare della Nunziatella, dove, contemporaneamente all'istruzione media superiore, essi ricevono una impronta militare ed una buona formazione di carattere: specialmente le famiglie dei cosiddetti statali che fruiscono di facilitazioni economiche; e specialmente le famiglie che hanno ragazzi di indole difficile o riottosa. Ebbene, i risultati che dall'unica Scuola militare sopravvissuta si ricavano agli effetti del reclutamento per le Accademie sono, malgrado non trascurabili facilitazioni offerte ai licenziati della suddetta Scuola, decisamente inferiori a quelli che sarebbe lecito attendersi e di gran lunga sproporzionati allo sforzo finanziario ed organico che l'Amministrazione militare sostiene per tenere in piedi la Scuola. Solo la forza della tradizione (che in questo caso non favorisce gl'interessi delle Forze armate), prepotenti ragioni politiche o, per essere più precisi, elettorali ed anche motivi sentimentali giustificano il mantenimento in vita della Scuola militare. Penso che i d~nari ed il personale ad essa destinati potrebbero essere impiegati moìto più utilmente dall'Esercito, che la gestisce, se con un gesto coraggioso essa venisse soppressa. Del resto i collegi preaccademici, ove si dovrebbe plasmare o ridestare la vocazione degli adolescenti, sono enti caratteristici, non delle moderne democrazie, bensl dell'epoca feudale, deJle monarchie assolute e dei regimi totalitari: vedi l'Unione delle repubbliche sovietiche, dove fioriscono tuttora. Al fenomeno del reclutamento insufficiente si aggiunge quello dell'esodo di ufficiali dei gradi bassi e medi, che lasciano volontariamente la carriera per il richiamo di occupazioni civili, assai più riccamente remunerate. Questo secondo inconveniente è particolarmente diffuso e dannoso nei Servizi tecnici. L'Amministrazione militare viene così ad abilitare, a proprie spese, elementi che, non appena consentito 168
dalla legge ed agevolato dalle circostanze, abbandonano il servizio per sfruttare l'abilitazione conseguita ai fini dell'interesse personale. Quali le cause di questa situazione critica che, peggiorando, può diventare cronica e non raddrizzabile? Ho già nominato la decadenza dei valori morali (e su questo argomento doloroso dovrò ritornare) che allontana dalla carriera militare, come del resto dalle carriere ispirate essenzialmente ad obiettivi ideali e consistenti in vera e propria missione, tanta parte della migliore gioventù. Posso menzionare ancora una volta l'insufficiente trattamento economico e ricordare che, se gli ufficiali, ed i militari di carriera in genere, non sono mai stati abbondantemente retribuiti in passato, la scarsità del compenso materiale è maggiormente sentita nei tempi attuali in cui, per effetto dello sviluppo industriale ed economico, di campagne sindacali, di minacce, di scioperi, di quel complesso insomma di atti e di aspirazioni che rientra nel cosiddetto progresso sociale, il benessere degli appartenenti ad ogni classe è in continuo aumento, le varie categorie di statali sono avviate per un cammino di progressivo e sensibile miglioramento, taluna di esse (come quella dei magistrati e dei diplomatici) ha ottenuto un trattamento di gran lunga superiore a quello degli ufficiali e qualche altra (come quella dei professori universitari) finirà con l'ottenerlo. Rilevo qui, incidentalmente, che nella Marina e nell'Aeronautica, grazie a maggior copia e consistenza di indennità varie, l'insufficienza è meno acuta che nell'Esercito il quale, come ho ripetutamente osservato, è .la Forza armata più numerosa. Ciò non altera tuttavia l'essenza complessiva del problema. Potrei aggiungere circostanze già citate: che i limiti di età sono assai più bassi nella carriera militare che nelle altre carriere statali e che, in conseguenza, anche il trattamento di quiescenza risulta in genere più modesto; che gli ufficiali sono soggetti a limitazioni, doveri, sacrifici e pericoli che non 169
Il
I
iI I
' I
:
'
trovano. corrispondenza in alcun'altra carriera: per esempio servizi pesanti e talora rischiosi senza limite di orario; spese imposte dal decoro dell'uniforme, trasferimenti frequentissi·. mi, divieto ed impossibilità di arrotondare lo stipendio con qualche attività aggiuntiva o marginale. A quanto ho particolareggiatamente esposto nel secondo capitolo ritengo opportuno aggiungere un elemento che,. a mio parere, contribuisce a sconsigliare j giovani dall'intraprendere la carriera militare il fatto che questa carriera è irta di difficoltà. La configurazione della gerarchia degli ufficiali secondo una piramide acutissima (configurazione che, per· .ragioni organiche e funzionali, non è modificabile) impone .una selezione terribilmente . severa per l'avanzamento da capitano· in su; donde la convenienza di adottare il criterio della scelta comp~rativa per salvaguardare l'interesse della Istituzione e degli elementi migliori. Questo criterio, che ·vigeva già in Marina, mentre .nelle altre. due Forze armate era stato ·usato solo parzialmétite ed in periodi limitati, è stato da ·alcuni anni generalizzato e totalmente applicato, in virtù di una ,legge comune, anche nell'Esercito e nell'Aeronautica. Con questo tipo .di scelta si è evitato l'inconveniente, che·si verificava ili passato, allorché la .scelta dei promovendi era effettuata su base più risti:etta, di ufficiali di notevole valore colpiti dai limiti di età (e quindi allontanati dal servizio e persi.per l'Istituzione) prima di poter essere presi in esame:per l'avanzamento; inconveniente d'altronde a cui, con la proverbiale adattabilità umana e con una certa dose di fatalistica rassegnazione, la massa degli ufficiali aveva finito col far l'abitudine. Si è per contro introdotto il trauma psichico di elementi buoni, ma posposti nel giudizio comparativo ad elementi ritenuti migliori e che pertanto non conseguono tempestivamente la promozione: a tale trauma i non prescelti stentano ad adattarsi, ed anche questa scarsità di attitudine ad accettare un giudizio non favorevole espresso ·da uomini è comprensibile ed umana. 170
·Si è cèrcato, con provvedimenti e temperamenti vari, non tutti in verità felici è privi di conseguenze difettose, di attenuare la crudezza del sistema, ma questo, nella sua principale caratteristica, vale a dire nell'ampiezza della selezione, non può essere sostanzialmente modificato. E' vero che la scelta comparativa è applicata per l'avanzamento anche in numerose gerarchie civili dello Stato; queste però hanno una struttura che può essere raffrontata a piramide di gran lunga meno acuta o addirittura a cilindro o quanto meno a tronco di cono. assai tozzo; il che significa che il numero degli elementi in organico diminuisce in modo poco sensibile nel passaggio da un grado a quello superiore. Ne deriva che .Ja selezione è molto meno severa che nelle Forze armate, senza contare che gli elementi non promossi rimangono in servizio fino ad un limite di età unico per tutti i gradi, mentre nelle Forze armate i limiti di età sono scalati in modo da diminuire col diminuire del grado e nel grado massimo sono inferiori a. quello di qualsiasi carriera civile. Per tutti i motivi che ho enumerati occorrerebbe che la carriera militare offrisse vantaggi morali e materiali molto forti per compensare la sua maggior durezza nei confronti di quelle civili: la differenza fra queste e quella appare evidente sino dalla formazione iniziale raffrontando la vita di lavoro intenso, di rigida disciplina e di sacrifici condotta dagli allievi delle Accademie a quella degli studenti universitari. Chiudo l'argomento riepilogando un complesso di circostanze, già elencate e commentate in precedenza, che influiscono negativamente sul morale degli ufficiali e che naturalmente concorrono a provocare e mantenere viva la scarsa attrazione esercitata dalla carriera delle armi. Il fatto che i militari siano sistematicamente esclusi dalle cariche di Ministro e di Sottosegretario alla Difesa; la loro esclusione di fatto dalla Camera dei Deputati e dal Senato; la perdita di posizioni morali e materiali da essi subita in confronto ad autorità e gerarchie civili per quanto riguarda ordine di prece171
<lenza ufficiale, concessione di onorificenze, soppressione di elevatissimi gradi preesistenti senza contropartita; la insufficiente autorità formale attribuita ai Capi di Stato Maggiore . della Difesa e di Forza armata da leggi in vigore emanate quando i Ministri delle Forze armate erano militari e superate dai tempi e dalla situazione (il che rende praticamente acefale le Forze armate); la scarsa funzionalità dei supremi organi addetti alla Difesa; la continua interferenza politica nel funzionamento dell'apparato militare: tutto ciò crea la convinzione che i Governanti e gli uomini politici trascurino l'organizzazione e l'ambiente militare deliberatamente od inconsciamente; tutto ciò contribuisce ad alimentare uno stato di disagio morale, più o meno acuto o latente, in tutti i gradi. In questa situazione può essere interessante fare un. confronto fra gli ufficiali di una volta (di prima del fascismo, tanto per intenderci) e quelli di oggi. La preparazione professionale e culturale non è certamente scaduta e si può anzi affermare ch'essa è sensibilmente migliorata: sotto questo punto di vista non sono quindi da rimpiangere i tempi trascorsi. Però i giovani ufficiali di allora (sono tanto vecchio da ricordarmene con assoluta esattezza) avevano di norma !?esempio di superiori con tanto di baffi, di cipiglio brusco e magari di sigaro ;irginia, ma anche con carattere diritto, limpido, fiero, energico. E rano tempi in cui gli ufficiali godevano di prestigio e della generale estimazione. Ed avevano solida spina dorsale. Dopo la prima guerra mondiale, come ho già avuto occasione di rilevare, il fascismo, pur aveqdo difeso e mantenuto in vigore i valori morali (fra cui, in prima .ìinea, lo spirito patriottico) contro gli assalti sovversivi, sminuì il prestigio degli. ufficiali àelle Forze armate creando la pericolosa -concorrenza delle gerarchie di regime, contro cui gli stessi ufficiali erano destinati, in caso di incidenti o di attriti, a soccombere inesorabilmente. Alla fine il fascismo introdusse la 172
politica nelle Forze armate richiedendo agli ufficiali, anche se in modo non esplicito, l'iscrizione al partito ed un secondo giuramento) oltre a quello istituzionale prestato al Sovrano. Sotto quel regime dittatoriale alcuni ufficiali di grado alto e medio, per non piegarsi, dovettero uscire dai ranghi o rannicchiarsi nell'ombra, molti altri si uniformarono alla corrente curvando la schiena e fecero carriera. Si verificò in tal modo uno scadimento delle qualità di carattere. Dopo la seconda guerra mondiale le Forze armate raccolsero per alcuni anni amarezze e calunnie: fra l'altro, come già ho accennato, furono ingiustamente incolpate della sconfitta. Le nuove classi dirigenti non hanno poi dimostrato suffifìciente comprensione né per i problemi della difesa nazionale né per le Forze armate: nonostante l'inserimento dell'Italia nell'Alleanza atlantica, che era in origine e rimane tuttora essenzialmente un'alleanza militare, esse continuano a svolgere attività soprattutto politica ed a trascurare l'ambiente' e le questioni militari. E le alte cariche militari rischiano di essere alla mercé cli autorità e di influenze politiche, che è molto arduo contrastare. In sostanza la riacquistata libertà e l'avvento di un regime democratico, lungi dall'innalzare, hanno abbassato le condizioni morali degli ufficiali. E così avviene che, pur essendo migliorata e aggiornata la preparazione tecnico-professionale degli ufficiali, l'ambiente ed i modi di agire politici ostaco~ lano il formarsi e l'estrinsecarsi di quella linearità, indipendenza e forza di carattere che dovrebbero essere qualità essenziali per coloro che sono destinati ad esercitare incarichi di comando ed a rappresentare, in caso di guerra, una parte decisiva per le sorti della Nazione. Ne deriva talvolta una ec; cessiva arrendevolezza nelle relazioni de.lle nostre Autorità militari con le Autorità politiche e con le Autorità militari delle maggiori nazioni alleate. Disagio morale e decadenza delle qualità di carattere negli ufficiali e crisi guantitativa e qualitativa nel reclutamento 173
di essi: questa la diagnosi della malattia che affligge la · categoria, omettendo beninteso quanto di buono è rimasto od è stato creato in questa. La malattia è curabile, ma, .,t:rascurata, potrebbe aggravarsi in modo preoccupante, con ripercussioni disastrose sul grado di efficienza delle Forze armate. Mi si può obiettare che tutte le gerarchie e le carriere statali sono più o meno in ribasso od in stato di disagio. Ma nelle Forze armate le crisi sono assai più pericolose perché minacciano direttamente la difesa e la sicurezza nella , Nazione.
I
l
I
I
:I l
I J ;
174
X ' I
;~
Un poco di scienza militare. Qualche · parola ·sulla strategia, sulla tattica, sulla logistica e sull) organ'ica. - Importanza delf addestramento e dèll' organizzazio'J~ · · addestrativa. · · · · ..
Mi sono . astenuto sinora dal trattare; non dico -diffusamente, ma con qualche parola in più di quelle che richieda un semplìcissimo cenno, questioni che rientrino 11.elle bran.. che più o meno tecniche della scienza militare, quali la sti;ategia, la tattica, quella parte dell'organica -che esa~ina l'ordinamento delle grandi unità, la. logistica intesa come orga nizzazione dei servizi di rifornimento e. sgombero a ·favore delle unità combattenti. Ho ·indicato come motivi di tale silenzio e di tanta discrezione il desiderio, oltre èhe il dovere, di non sollevare il velo della più · scrupolosa riservatezzasu materie delicate ai '. fini della sicurezza nazionale, nonché l'intendimento di evitare ai lettori il peso di considerazioni: che non ,siano di interesse vasto .è squillante. Ma prima di affrontare, ·nell'ultimo capitolo, un ~.rgomento di capitale importanza, ritengo opportuno ' ritornare sui miei passi e concedermi, . a proposito di quelle nominate branche su cui di solìto i com'petenti evitano di :esprimersi in pubblico e i dilettanti (per esempio· corrispondenti di giornali) non esitano, quando siano ·costretti a farlo, a parlare e scrivere con un'approssimazione tecnica molto disinvolta e straripante nell'inesattezza e talvolta con errori madornali, qualche poco di spazio senza violare minimamente .il segreto 0
175
I,
I
I I
J'
, I
I
I
I
l'I l' Il
militare. Il tempo che in conseguenza di questo strappo ruberò ai lettori sarà molto limitato e verrà compensato dalla esposizione di alcune opinioni personali che potranno riuscire non prive di interesse e che a taluno potranno apparire strane, a tal'altro lapalissiane. Di più si presenterà l'occasione di porre in evidenza qualche progresso, tutt'altro che trascurabile, realizzato dopo la seconda guerra mondiale, nell'organizzazione tecnica delle nostre Forze armate; il che, dopo tante critiche e denunce di lacune e difetti, potrà recare conforto e speranza a chi, fuori dell'a~biente militare, abbia a cuore l'efficienza dell'apparato militare. « Strategia » è un termine che ha in sé qualche cosa di magico e di affascinante e che viene usato il più delle volte a sproposito: si riferisce alla condotta delle operazioni belliche. Se per operazioni belliche dovessero intendersi soltanto quelle destinate a svilupparsi su scala mondiale, la strategia risulterebbe una branca della scienza (o dell'arte) militare negata agl'italiani. E' noto infatti che per architettare ed ·impostare grandi operazioni bisogna disporre di esplosivo e ordigni nucleari, navi portaerei, missili di grande e grandissima gittata, sommergibili nucleari, aeroplani pesanti e medi da bombardamento e (perché no?) satelliti di vario tipo da lanciare in orbite terrestri; tutto armamentario questo che l'Italia, come ho già rilevato in precedenza, non possiede né possiederà presumibilmente nel prossimo avvenire per una sola e valida ragione: l'altissimo costo che la produzione o l'acquisto (amm.esso che sia possibile l'acquisto) di esso richiederebbe. Ma anche senza avere i mezzi necessari per svolgere operazioni belliche su scala mondfale si può fare della strategia: strategia un po' più ridotta e casalinga, ma sempre strategia. E' questo il caso dell'Ita)ja che, inserita in un'alleanza di ampiezza mondiale, ha una doppia missione militare (o, se si vuole usare un termine più gradito ai politici, una doppia missione di sicurezza) da assolvere: quelle della difesa ·della lì6
propria integrità nazionale contro eventuali attacchi esterni e quella ché le spetta come pedina sulla scacchiera atlantica o come anello nella catena dell'alleanza. E' ovviamente nell'interesse dell'Italia che le due missioni coincidano nella maggior misura possibile: che quindi la seconda soddisfi pos.sibilmente tutte le esigenze relative alla prima (per esempio ,q uella di non cedere larghe strisce di territorio nazionak:, <lata la ristrettezza e la pericolosa conformazione di questo territorio) e che nell'assolvimento della seconda non si oltrepassino sensibilmente i limiti della prima. Ricordo qui appena di sfuggita il breve discorso fatto sulle installazioni di missili intermedi. Sarebbe superfluo richiamare l'opportunità di condliare, nell'organizzazione della difesa, il massimo di efficienza col minimo di vulnerabilità rispetto alle offese avversane. Ho già detto che i piani operativi dovrebbero discendere dai compiti assegnati alle Forze armate; non soltanto, s'in;.tende, in sede nazionale, ma anche nell'ambito dell'Alleanza. E non risulterà inutile rilevare ancora una volta che nella determinazione di tali piani (ossia degli obiettivi da raggiun;gere, del modo con cui raggiungerli e dei mezzi necessari per raggiungerli) devono intervenire e lavorare nel più stretto accordo le più alte Autorità militari e politiche. Oggi più di ieri la strategia non è materia esclusivamente militare, ma è· in buona parte materia politica ed interessa tutte o quasi tutte le attività nazionali perché riguarda e mette in gioco tutti gli elementi che concorrono alla difesa nazionale o la condizionano: industrie, agricoltura, risorse di ogni genere, trasporti, telecomunicazioni, informazioni e propaganda. Tanto, insomma, da chiamare in causa la responsabilità dell'intero Governo ed in particolare di chi ne sta a capo. Che questa opera di compilazione dei piani operativi venga · in realtà effettuata· sempre mediante l'intima collaborazione dei Capi militari e dei Capi politici non mi sento davvero di affermarlo. 177 17.
Una volta si diceva che, mentre tutto ciò che riguarda la condotta delle operazioni rientra nella strategia, la tattica considera la condotta e lo sviluppo della battaglia: teatro di operazioni, scacchieri, grandi movimenti e apprestamenti che influiscono sull'esito della guerra sono elementi strategici; campo di battaglia, movìmenti e apprestamenti più ridotti e contenuti nell'ambito della battaglia o di un séguito di combattimenti interessano la tattica. La definizione non è più esattissima, o meglio, non è più perfettamente di moda. Oggi, in conseguenza dell'avvento di nuovi mezzi tecnici e di nuove armi a gittata e raggio d'azione enormemente più ampi di quelli realizzati nelle passate guerre, sia la strategia (anche se casalinga) sia la tattica hanno guadagnato in estensione: la strategia non accoglie più azioni spicciole di unità relàtivamente piccole, anche se rivolte a fini connessi con la condotta delle operazioni, mentre la tattica ha spinto il suo campo di attività fino a distanze di centinaia di chilometri e si potrebbe asserire che esistono oggi una grande tattica ed una piccola tattica, secondo il livello gerarchico e la potenza delle unità che vi sono impegnate. Ad ogni modo non è il caso di definire qui (e nemmeno di intavolare in merito discussioni) i limiti divisori fra strategia e tattica, fra grande tattica e piccola tattica. Qui mi preme di mettere in luce che strategia e tattica devono essere oculatamente commisurate ai mezzi disponibili. La strategia per la maggior parte dipende dalle risorse e dalla organizzazione dei servizi di rifornimento e sgombero per le unità operanti. In altre parole i piani operativi possono e devono imporre provvedimenti di carattere logistico e adeguati approvvigionamenti, ma devono reciprocamente tener conto di quanto, in materia, è possibile realizzare, e venir concretati coi piedi per terra. Più che genialità occorre, nel concretarli, capacità positiva di valutazione e di sintesi. Per la tattica il discorso è alquanto diverso. I mezzi disponibili costituiscono, beninteso, anche qui un elemento 178
condizionatore cli fondamentale importanza e l'organizzazione logistica rappresenta anche qui una parte essenziale. Ma entrano in gioco altri elementi: i procedimenti di azione, che a loro volta sono influenzati dalle caratteristiche geografiche e topografiche nonché da quelle umane. I nuovi mezzi e le nuove armi hanno provocato, oltre che la scomparsa cli taluni tradizionali mezzi di lotta (per esempio le grosse navi da battaglia), una profonda trasformazione nei procedimenti tattici: da anni se ne discute e si esperimenta, e si può anzi affermare che questa trasformazione è in continuo divenire. Ai mutamenti nelle modalità di azione tattica si uniscono ovviamente mutamenti organici nella costituzione delle unità che devono applicare i procedimenti tattici. Hanno dato inizio alle trasformazioni ed alle sperimentazioni le Forze armate di quelle grandi Potenze che dispongono in proprio dell'energia nucleare: hanno ben presto seguìto tutte o quasi tutte le altre. La probabilità che sui campi cli battaglia e sugli scacchieri operativi di domani siano impiegati proiettili con esplosivo nucleare ha prodotto una conseguenza comune: un aumento dello spazio in cui le operazioni ed i combattimenti vengono svolti ovvero (è la stessa cosa) una rarefazione delle forze nello spazio. (D'altra parte l'incremento di velocità dei mezzi meccanici di combattimento e la maggior potenza dei mezzi di trasmissione compensano i più ampi vuoti dei campi di battaglia). Ma le possibili variazioni organiche e cli procedimenti sono infinite. Nella cerchia degli Stati Maggiori si studia, si prova senza posa e si guarda attentamente quanto avviene in casa dei maggiori alleati. Qui si pone un quesito a cui sembrerebbe logico a prima vista dare senz'altro risposta affermativa. Non converrebbe, nell'ambito dell'Alleanza, copiare sic et simpliciter quanto viene fatto dalle Forze armate della maggiore Potenza alleata, ottenendosi così una vantaggiosa uniformità cli ordinamenti e di procedure? La risposta affermativa può essere razionale per la Ma179
rina e per l'Aeronautica. Per entrambe queste Forze armate è previsto l'assolvimento di determinate missioni in diretta e stretta cooperazione con unità navali ed aeree alleate; d'altra parte, per determinate classi di navi e di aeroplani (come noto, i grossi bastimenti ed i grossi velivoli sono per or~ negati all'Italia), i mezzi sono simili e spesso identici: non v'è alcuna ragione per cui debbano differenziarsi i procedimenti e gli ordinamenti. In effetti, nel corso di periodiche esercitazioni interalleate, allquote della nostra Marina e della nostra Aeronautica operano da tempo assieme ad unità alleate applicando procedure comuni senza particolari difficoltà. Ma per le forze terrestri le condizioni differiscono in modo notevole. Prima di tutto le unità italiane sono in genere meno riccamente dotate, in fatto di armi, materiali vari e munizioni, delle corrispondenti unità statunitensi, di quelle germaniche e di quelle francesi; è ovvio quindi che non possano, ad esempio, adottare gli stessi dati di fronti, profondità, autonomia. Poi i terreni su cui le unità italiane sono destinate ad operare hanno; in buona parte (per esempio zona alpina), conformazione sensibilmente diversa da quella delle regioni (per esempio Europa centrale) di cui altre forze alleate devono assicurare la difesa. Infine il temperamento, le attitudini, il carattere degl'italiani hanno un non trascurabile valore e devono finché possibile esser tenuti presenti nella determinazione dei procedimenti tattici e della costituzione organica delle varie unità: entrambi questi elementi hanno ripercussioni, ad esempio, sull'ampiezza di iniziativa dei singoli, sul grado di accentramento o di decentramento dell'azione di comando e di controllo, su aspetti organizzativi e formali che fanno parte della tradizione. Indubbiamente la standardizzazione degli ordinamenti e dei procedimenti tattici (oltre a quella dei materiali, che sarebbe anche più importante e che è tuttora largamente incompleta) costituisce in generale un elemento favorevole in 180
un'alleanza militare, allo scopo di rendere interamente intercambiabili le unità combattenti delle varie nazionalità. Ma non rappresenta una esigenza di apprezzabile peso in uno scacchiere operativo, come quello italiano, in cui è previsto t he siano impiegate quasi esclusivamente forze italiane ed in cui qualche tradizionale coloritura nazionale può portare un proprio contributo di efficacia. Ben diversa situazione si presenta in altri scacchieri nei quali si prevede di impiegare forze di più nazionalità e nei quali, oltre alla standardizzazione tattica e ordinativa, s'imporrebbe quella della organizzazione logistica, che è ben lungi dall'essere realizzata. · Tenute presenti l'entità e la forma dei probabili apporti extranazionali in fatto di armi e ordigni nucleari e di intervento di alìquote soprattutto aeree e navali, non è adunque il caso, per le nostre forze terrestri, di spaccare il cappello in quattro e di far logorare i cervelli degli appartenenti ai competenti organi di studio, nella ricerca degli ordinamenti perfetti e della dottrina tattica più moderna e aderente a quella dei maggiori alleati. Dirò anzi qualche cosa di più chiaro ed incisivo, anche a costo di provocare scandalo presso taluni teorici scandagliatori, permanentemente occupati nella distillazione di ricette tattiche ed organiche, buone per l'insondabile futuro, e nella critica, talvolta sterile, della dottrina e degli ordinamenti in vigore. Entro limiti abbastanza ampi, segnati dal buon senso e dalla conoscenza aggiornata di tutti gli elementi tecnico-professionali che interferiscono coi problemi in discorso, sono ammissibili più soluzioni in materia di costituzione organica delle varie unità e di dottrina tattica; e tali soluzioni possono differire fra loro in modo sensibile, anche se non sostanziale. Ebbene, qualsiasi di queste soluzioni· può risultare ottima purché l'organizzazione logistica sia efficiente e l'addestramento del personale e delle unità, tutti i livelli, sia stato compiuto con scrupolosa cosciènza, con metodo rigoroso e con larghezza di ·mezzi. Nel
a
181
campo tattico non è tanto importante eseguire determinati atti quanto eseguirli bene. In quanto all'organizzazione logistica, mi limito a rilevare che essa è molto più complessa e irta di difficoltà per le forze terrestri che per quelle navali ed aeree. Per le ·prime infatti deve adeguarsi alle caratteristiche del · terreno oltre che ai movimenti, all'atteggiamento ed alle intenzioni delle grandi unità, ramificandosi e spingendosi in piccoli rivoli sino ai più piccoli reparti; · per le seconde e le terze si articola appoggiandosi alle basi navali ed aeree, che sono relativamente poco numerose e poco mutevoli. Per l'addestramento non avevamo una tradizione molto brillante: nelle passate guerre il fattore quantità aveva finito col sopraffare il fattore qualità non soltanto in fatto di materiali ma anche in tutto ciò che riguarda la preparazione del personale e dei reparti. Potrebbero essere citati numerosissimi casi, verificatisi nel primo e nel secondo conflitto mondiale, di unità gettate nella fornace del combattimento in condizioni di preparazione addestrativa, non dico solo acerbe ma pressoché negative. Unità che non avevano mai o quasi mai effettuato istruzione tattica di reparto, ufficiali di complemento fabbricati frettolosamente in serie, gregari che sapevano a malapena tenere un'arma in mano ... Ciò mentre le tragiche circostanze della lotta esigono che .uomini e reparti abbiano conseguito una capacità addestrativa così elevata da effettuare quasi meccanicamente i movimenti e gli atti più confacenti alla situazione. Ho già detto che nella prima guerra mondiale, in cui la vittoria fu conseguita con l'altissimo costo di seicentomila. morti, lo stesso smagliante risultato sarebbe stato raggiunto con perdite di gran lunga inferiori e forse in tempo più breve se la preparazione (ed in particolare l'addestramento) delle unità combattenti fosse stato migliore. Purtroppo l'improvvisazione e la superficialità, elementi contrari ad un addestramento serio e spinto in profondità 182
sono stati non raramente in passato difetti della nostra organizzazione addestrativa militare. A ciò si aggiungevano particolari e notevoli difficoltà, come la grande penuria di risorse finanziarie e (difficoltà questa che, in grado minore per 1a Marina, sussiste tuttora) la estrema scarsità di poligoni di tiro e di campi d'istruzione in conseguenza della ristrettezza, della conformazione (in gran parte montuosa); della coltivazione intensiva e della densità di popolazione del territorio italiano. Ma la dura esperienza bellica è stata fruttuosa. Dopo la seconda guerra mondiale, anche in virtù di esempi stranieri, l'organizzazione addestrativa è stata rifatta su basi ampie e solide. Si è anzitutto valorizzato il metodo instillandolo tenacemente nelle menti degli istruttori e dei quadri in genere. Si è cercato di superare le difficoltà tradizionali lottando contro egoismi ed incomprensione ed ottenendo apprezzabili successi. Si sono aggiornati o creati ex novo programmi e norme dottrinarie. Si sono costituiti o riorganizzati centri di addestramento, corsi d'istruzione e scuole di ogni ordine e grado, poligoni di tiro e campi d'istruzione. Si è dato considerevole sviluppo all'addestramento interarmi ed interforze, mentre nell'ambito dell'Alleanza atlantica venivano istituiti e svolti corsi ed esercitazioni interalleate. In sostanza, specialmente nell'Esercito, che ne aveva maggior bisogno e che, in conseguenza della maggior mole, aveva più gravi ostacoli da superare, sono stati compiuti progressi che sono tentato di qualificare come grandiosi. Ciò equivale ad avere acquisito un patrimonio. Di quando in quando però fa capolino un pericolo: quello di disperdere parzialmente questo patrimonio. Contro questo pericolo ritengo opportuno mettere in guardia chi ha buone orecchie ed autorità in materia. E' bensì vero che le unità operanti dei vari ordini gerarchici hanno esse stesse compiti addestrativi, in quanto viene in esse compiuta l'ultima fase, la più complessa e ricca di 183
risultati pratici, dell'addestramento collettivo. Ma esse devono essere permanentemente pronte all'impiego e non possono quindi essere gravate da un'infinità di incombenze ad·destrative propedeutiche che trovano posto in appositi organismi: Ogni tanto può sorgere la tentazione, a scopo di eco~ nomia, di sopprimere qualche lembo dell'organizzazione addestrativa esterna addossandone il carico alle unità operanti,. ovvero di ridurre la durata, e conseguentemente i programmi, di taluni corsi o di diminuire numero e durata di esercitazioni e manovre. Ecco il pericolo! Questo sorge a causa della tradizionale e cronica insufficienza del bilancio, che iri..: duce a racimolare qua e là il necessario per soddisfare esigenze ritenute inderogabili e che tali certamente non sono in confronto a quelle addestrative. Occorrerebbe applicare il principio di non toccare l'orga-' nizzazionè addestrativa se non a scopo di potenziamento. Migliore addestramento in pace significa maggiori risultati con-· seguiti e meno sangue versato in guerra. E se proprio ristrettezze severissime di bilancio imponessero improrogabilmente una riduzione numerica delle forze, meglio sarebbe sopprimere temporan~amente qualche unità di impiego piut~· tosto _che tagliare o comprimere, menomandone la funzionalità, l'organizzazione addestrativa. Finchè questa sia mantenuta in buone condizioni di efficienza, rimane la possibilità di costituire ~ ricostituire buone unità d'impiego in brev·e: tempo : una organizzazione addestrativa di scarsa efficienza non consentirebbe per contro la rapida creazione di buone unità d'impiego e non potrebbe essere ricondotta ad un elevato livello di rendimento che in lungo periodo di tempo ed a prezzo di grandi sforzi. ·
XI I valori morali. - Ferite morali provocate dagli avveni111enti successivi all'8 Settembre,· l'onore militare; validità del vecchio regolamento di disciplina. - Attualità dell'amore di. patria e dello spirito nazionale. - Devono gli ufficiali di carriera costituire una casta? - Governi militari in vari paesi del mondo. - Situazione politica delle gerarchie militari in Italia. Vengo ora a trattare per ultimo un argomento che è, a mio parere, il più importante fra quanti ho più o meno diffusamente rappresentati e discussi: quello dei cosiddetti fattori o valori moralì. Argomento alquanto fuori di moda: a nominarlo in pubblico (soprattutto in un certo pubblico) si rischia di provocare occhiate beffarde o quanto meno cariche di stupore e d'incontrare arida e totale incomprensione. Valori morali? In che cosa consistono oggi? Tutto si evolve e da qualche lustro a questa parte con una rapidità imprevista e vertiginosa. Progressi tecnici e scientifìci, incremento della ricchezza e del benessere materiale, sviluppo dell'organizzazione sociale. Alle distruzioni ed alla miseria lasciate in ·eredità dalla guerra sono subentrati in non lungo volgere d'anni, grazie ad una ricostruzione assai più veloce ed :.mpia del prevedibile, il boom industriale ed il miracolo economico. Tutto ciò è accaduto in Italia, nella nostra angusta e sovrapopolata terra, ricca di bellezze naturali, di capolavori artistici, di storia di antica civiltà ma povera di risorse, chiamata uria volta dà molto autorevole voce pro-
e
J.85
letaria fra le nazioni del mondo ed uscita boccheggiante, sfinita, bisognosa di aiuto immediato e generoso dal secondo conflitto mondiale. Nella raggiunta prosperità si tende a realizzare (ed è doveroso farlo) una più equa ripartizione dei mezzi economici, ma il benessere conseguito, lungi dal soddisfare gli appetiti, li acuisce e li indirizza alla ricerca di ulteriori miglioramenti materiali. In questa situazione psicologica, in questo clima (come si direbbe usando un termine passato anch'esso di moda) si è piuttosto restii a considerare seriamente i valori morali e ad analizzarli. Eppure essi hanno un valore fondamentale per l'efficienza delle Forze armate. Le Forze armate sono costituite da un complesso di personale e di materiali e la loro efficienza è condizionata dalla quantità e dalla qualità dell'uno e degli altri. A determinare la qualità del personale concorrono vari elementi: i requisiti :fisici, il livello di addestramento e di cultura specifica ed infine, o meglio prima di ogni altro elemento, un quid imponderabile ed impalpabile con l'ausilio di strumenti materiali, ma che si misura soltanto con l'intuito o con l'anima, che viene comunemente chiamato il morale, che consiste in una disposizione di spirito impegnante i sentimenti e la volontà e che dovrebbe agire, se opportunamente vivificato ed alimentato, come cemento e come stimolo. Se il morale è elevato le prestazioni del personale e l'impiego dei materiali risultano altamente redditizi; se il morale è depresso ogni altro coefficiente favorevol~ perde valore e le Forze armate sono votate all'insuccesso ed alla disgregazione. Senza dubbio gli elementi materiali influiscono sul motale: gli uomini non sono fatti di solo spirito ma anche di carne e di ossa e le condizioni materiali di vita e, di azione si ripercuotono sulle loro condizioni spirituali. Così la quantità ·ed il livello di modernità e di efficacia delle armi e dei materiali in dotazione individuale e collettiva, il trattamento economico, di vitto, di alloggio e di vestiario riservato al 186
personale, l'orario, l'intensità e la razionalità dell'addestramento e del lavoro in genere concorrono a formare il morale degli uomini ed a modificarlo, elevandolo od abbassandolo. Sembra superfluo ricordare la particolare importanza del morale dei capi o più geneq1lmente dei quadri a cui è affidata la preparazione dei gregari. Ma, indipendentemente dall'influenza degli elementi materiali, esistono, o dovrebbero esistere, dentro e fuori dell'ambiente delle Forze armate, valori morali capaci di agire, in ragione diretta del loro grado di vitalità, sulle condizioni spirituali del personale militare e, in conseguenza, sul grado di efficienza delle Forze armate. Incominciando, a questo proposito, col dare un'occhiata nell'ambiente militare, non si può fare a meno di rilevare che in tale ambiente i fattori morali vengono, come di dovere, curati e sviluppati con ampiezza e continuità, fino a toccare talvolta i limiti dell'esagerazione. Il personale di leva esercita un dovere (ed anche, bisognerebbe non dimenticarlo mai, un diritto) altissimo, quello di prepararsi a difendere in caso di bisogno la Patria; il personale di carriera non svolge una normale attività professionale, bensì una missione di valore elevatissimo, ·quella di concorrere alla difesa militare nazionale mediante comando di uomini o mediante attività organizzativa e di studio (ed anche questo non dovrebbe essere, cotne spesso avviene, trascurato od obliato). E' quindi naturale che l'amore di patria, l'onore militare, il senso ·del dovere siano incessantemente esaltati, vivificati e, se necessario, destati dal letargo; che vengano inoltre instillati ed alimentati lo spirito di Forza armata, d'Arma e di Corpo, il culto per la Bandiera, l'amore dell'uniforme e dei distintivi d'Arma e di Specialità; che vengano insegnate e celebrate le tradizioni, le ricorrenze di episodi gloriosi, le feste ·militari, di Forza armata, d'Arma e di Corpo. Un complesso di ·elementi che fanno presa sul cuore e 187
I•
I
sulla mente, che hanno lo scopo di sollecitare l'interessamento dapprima e di creare poi condizioni spirituali (dedizione, abito disciplinare, entusiasmo) necessarie od utili per affrontare con serenità e successo fatiche e sacrifici, che sono tutti legati l'uno con l'altro e rientrano tutti, accomunati, nell'atmosfera del primo nominato: l'amore di patria. Senza l'amore di patria le Forze armate non starebbero oggi in piedi né sarebbero concepibili se non pensando di ritornare (pensiero assurdo in verità) ai capitani di ventura ed alle loro milizie mercenarie. Le esagerazioni in questo campo sono spiegabili e tanto più numerose, diffuse e vorrei anche dire necessarie quanto più accentuati sono il disinteresse e l'incomprensione dell'ambiente esterno. A questi fattori negativi infatti i quadri militari devono reagire, lavorando contro corrente. Qualche esempio di siffatte esagerazioni? Anzitutto le feste d'Arma, di Corpo e di Specialità. Sopravvivono e vengono celebrate in numero oltremodo elevato, soprattutto neJl'Esercito che è la Forza armata di più alta consistenza numerica e maggiormente articolata. Come se non bastassero le feste basate su anniversari storici (fatti d'arme gloriosi o date di fondazione degli Enti), ad esse si aggiùngono le ricorrenze dei ·Santi protettori, e non sorge una nuova Specialità senza che ben presto venga ad essa attribuita l'assistenza di un Santo idoneo. E' vero che all'in~ fuori della Santa Barbara, la quale si è affermata attraverso ai secoli come la più vènerat·a dai militari e la pi11 familiarizzata nel loro ambiente, èd all'infuori, ben s'intende, della Madonna di Loreto, · protettrice degH aviatori e delle forzè aeree, le celebrazioni di altre Protezioni religiose stentano ad entrare nella tradizione ed a suscitare risona.nza. Ma è anche innegabile che il lento ma continuo incremento del1e feste militari costituisce vera e propria inflazione. Nell'Esercito, oltre alle feste nazionali, a quelle d'Arma e di 'Specialità (ed alle ric6rrenze dei rispettivi Patroni). 188
vengono celebrate le feste di reggimento; e poiché i reggi· menti, pur essendo assai meno numerosi che nell'anteguer· ra, sono tuttavia in quantità abbastanza consistente, ne deriva un calendario fitto di manifestazioni festaiole, special· mente nelle stagioni più propizie all'addestramento collet· tivo e di campagna: nella primavera inoltrata e nell'estate. La celebrazione ·comprende di solito esercizi vari ed una parata: in questi ultimi anni si è inoltre generalizzata la consuetudine di presentare e fare sfilare gruppi di militari vestiti ed equipaggiati con le uniformi e le armi di varie epoche storiche a cominciare dalla data di fondazione del Corpo fino ai giorni nostri. Tutto ciò, pur giovando sotto l'aspetto spirituale, richiede una lunga opera di preparazione ed assorbe denaro nonché tempo che viene sottratto all'addestramento tecnico o di combattimento. Come ovviare agl'inconvenienti? Basterebbe ridurre dra· sticamente il numero delle feste militari imitando l'esempio degli Stati Uniti d'America, giovane Nazione militarista (anche se democratica), in cui vengono festeggiate in una sola giornata tutte le Forze armate ed in cui a questa grande ricorrenza militare pochissime altre se ne aggiungono. Invero un provvedimento di tal genere si sarebbe potuto adottare se la ricostruzione delle Forze armate si fosse iniziata da livello zero invece di aver preso l'avvio da vari e sconnessi residui sopravvissuti alle tragiche vicende belli· che. Non escludo che potrebbe essere introdotto anche oggi, ma ciò presenterebbe un rischio grave data l'atmosfera di indifferenza, se non prbprio di avversione, di cui le classi dirigenti circondano le Forze armate: quello che, in conse· guenza della rarefazione di stimoli spirituali e dell'attenuazione di spunti tradizionalistici, il morale delle stesse Forze armate subisca un abbassamento. Un corpo fisico ammalato di esaurimento cronico o quanto meno scarsamente dotato di carica vitale ha bisogno di una lunga cura a base di medicine ricostituenti: una diminuzione notevole delle 189
I
11
:I
i
I
!
I
I
[j
dosi o della frequenza delle somm1mstrazioni può provocare un collasso. Qualche cosa di simile può accadare alle Forze armate, che non hanno ancora acquistato una sufficiente saldezza di struttura materiale e morale. D'altra parte la tendenza generale è quella di aumentare anziché di ridurre il numero delle ricorrenze e delle celebrazioni. Da pochi anni, ad esempio, è stata istituita la « giornata del decorato », come se il rispetto e l'esaltazione del valore militare e dei decorati al valore dovessero o potessero essere limitati nel tempo ad una sola giornata su 365 invece che costituire doveroso tributo dei cittadini durante tutto l'anno e manifestarsi in modo più evidente nell'occasione di qualsiasi festa nazionale. Più recente è l'istituzione della « giornata del disperso in guerra », della « giornata dell'orfano di guerra » e della « giornata del mutilato ». Non si può comprendere facilmente per quali ragioni valori morali che l'odierna concezione materialistica di vita induce a dimenticare siano stati incasellati in giornate, quasi per sbrigarne rapidamente la celebrazione e pagare di sfuggita il debito verso di essi, usando lo stesso sistema che si applica ad attività da cui si cerca di ricavare un utile materiale: così ad esempio la giornata del risparmio o le giornate della Croce Rossa od anche la giornata della massaie rurali o simili, che erano in auge durante il ventennio fascista. Altra esagerazione in cui facilmente si cade è quella del1'eccessivo numero delle parate e riviste militari. Durante il periodo fascista si oltrepassò in materia ogni limite di equa misura. La mania delle uniformi, degli orpelli, dello sfilamento di quadrate legioni copriva in realtà la insufficienza di robustezza e di preparazione delle Forze armate; insufficienza tanto più grave quando più ambiziosa ed ispirata a sogni di grandezza era la politica del regime. Le parate e le riviste costituivano la facciata maestosa di un edificio meschino. La punta massima di esagerazione fu raggiunta allorché fu introdotto il cosiddetto passo romano, che altro non 190
era se non la goffa e per gl'italiani inadatta imitazione di una usanza straniera. Prescindendo dalle singole parate che, come ho detto poc'anzi, contraddistinguono le troppo numerose feste militari, non si può in realtà affermare che oggi si esageri nella quantità di cerimonie militari pubbliche. Indubbiamente queste servono a sollecitare lo spirito delle truppe che vi partecipano e della popolazione che vi assiste ma non sono di alcun giovamento nei riguardi del prestigio delle Forze armate se non è possibile approfittarne per mostrare agli spettatori competenti (per esempio missioni militari estere) unità efficienti e mateùali moderni. Una forma di esagerazione in cui è facile cadere riguarda il culto della Bandiera di guerra. Premetto che negli ultimi venti o trent'anni l'assegnazione di Bandiere di guerra è andata progressivamente allargandosi. Una volta tale Bandiera costituiva dotazione soltanto delle navi da guerra e dei reggimenti di fanteria e di cavalleria, nella considerazione che soltanto ai reggimenti di queste due Armi poteva presentarsi l'occasione di trovarsi riuniti sul campo di battaglia, a contatto col nemico e soltanto per essi era valido il quadro napoleonico e risorgimentale della Bandiera spiegata nel folto della mischia allo scopo di rianimare ed incitare i combattenti col suo valore simbolico e ideale: le bandiere nemiche costituivano allora agognata preda di guerra. (Beninteso tale quadro è stato superato dai tempi e, salvo casi assolutamente eccezionali, non potrà ripresentarsi nella realtà, mentre rimane attuale quello della nave da guerra che combatte e, se colpita a morte, affonda con la sua Bandiera sventolante a poppa; in quanto alla preda di guerra, è prevedibile che le bandiere possano esservi incluse solo in caso di grave disfatta di una delle parti contendenti ed in ogni modo esse sono meno apprezzate, come bottino, da quando non costellano più i campi di battaglia). Allora, come del resto oggi, i reggimenti delle altre Armi (artiglieria, genio) costituivano unità disci191
plinari e addestrative e non tattiche, nel senso che venivano di solito articolati e smembrati variamente e le loro membra ,decentrate per l'impiego: una sola Bandiera era assegnata a ciascuna di queste Armi, come pure all'Arma dei Carabinieri e ad alcuni Servizi, col fine essenziale di fregiarla delle ricompense al valore guadagnate dalle singole unità. A maggior ragione non era ritenuta necessaria la Bandiera per gli stormi aerei e per l'Aeronautica si stimava sufficiente .la Bandiera di Forza armata. Durante il regime fascista si cominciò ad estendere la ,dotazione di Bandiere ed a poco alla volta .non solo tutti i reggimenti di tutte le Armi · e tutti gli stormi ma anche tutte le scuole e tutti i centri di addestramento ebbero la loro Bandiera di guerra. In effetti il termine « di guerra » .non è più esatto, salvo che nella Marina, i cui vascelli continuano ad inalberare il simbolo della Patria in qualsiasi ·.circostanza di pace e di guerra: anche per i reggimenti di fanteria e cavaller~a è prevista oggi in via normale un'accentuata articolazione tattica e, come già ho accennato, non ·è più prevedibile l'uso eroico della Bandiera sul campo di ·battaglia. Si deve allora parlare di inflazione di bandiere, tanto più che ·dopo la seconda guerra mondiale è stato notevolmente aumentato anche il numero delle bandiere da esporre nelle aree e negli edifici occupati da comunità militari ed alle esposizioni prescritte in occasione delle feste nazionali ·sono state aggiunte le quotidiane cerimonie di alzabandiera e .di ammainabandiera nelle caserme e negli accampamenti? Qui non parlerei di inflazione: è naturale che nell'ambiente militare, dove lo spirito nazionale dev'essere coltivato ed eccitato al massimo, si aumenti il numero delle bandiere quanto più l'uso di queste è, ahimé, trascurato nell'ambiente civile. In quanto alla Bandiera di guerra, anche se la sua parte·cipazione materiale al combattimento, tranne che in Marina, 192
,,I,
è praticamente cessata e se il suo drappo è ormai logorato
solo dagli agenti atmosferici e non più dalle pallottole e. dalle schegge vaganti stù campo di battaglia, essa assolve in tempo di pace un compito educativo e di coesione morale oltremodo importante. Penso quindi che sia stato utile estenderre la distribuzione a tutti gli enti di impiego e di addestramento a livello reggimentale. Ma accade talvolta che i limiti della giusta misura vengano oltrepassati fino a raggiungere l'esagerazione nell'uso della Bandiera di guerra e nelle forme di ossequio verso di Essa. Le circostanze in cui la Bandiera deve intervenire a cerimonie militari, gli onori che devono esserle resi, la scorta minima che normalmente deve accompagnarla, la sua posizione nello schieramento, le modalità dei suoi movimenti costituiscono materia definita da norme regolamentari o quasi regolamentari. La tendenza a fare intervenire la Bandiera più frequentemente del necessario od a portarla fuori dai ranghi, quando ciò non sia tassativamente prescritto, per collocarla a fianco del rassegnatore o comunque della più alta Autorità presente durante · lo sfilamento in parata o, peggio ancora, durante -lo svolgimento di esercizi ginnici o di carattere tecnico o tattico (per esempio, nel corso di manifestazioni organizzate in occasione della festa del Corpo) non rappresenta fenomeno eccezionale e dovrebbe venire evitata o repressa. Alla Bandiera di guerra è connesso un ideale così elevato da rendere ìnecessaria ed utile la Sua presenza, con tutti gli onori che le spettano, solamente nelle grandi occasioni l'esibirla più spesso nuoce a quel senso di rispetto e di venerazione di cui dev'essere oggetto. Non bisogna inoltre dimenticare che, all'infuori del Capo dello Stato, qualsiasi autorità è a livello inferiore di quello della Bandiera e che, se questa è posta fuori dei ranghi, vicino alla più alta Autorità presente, le truppe devono rendere gli onori alla Prima e non alla seconda. L'esaltazione dell'ossequio alla Bandiera si esprime tal193 H
volta in forme che rasentano il più oscuro feticismo. Fiori freschi deposti davanti al cofano in cui è rinchiusa, nell'ufficio del Comandante di Corpo, la Bandiera; un mazzo di fiori portato da un ufficiale quale omaggio alla Bandiera in arrivo alla stazione ferroviaria od in caserma in occasione di trasferimenti; l'uso invalso ormai sin quasi a generalizzarsi, di amm~ttere i militari congedandi a baciare un lembo della Bandiera; col quale uso si violano o quanto meno si estendono arbitrariamente le norme regolamentari perché, se l'intervento della Bandiera fuori dei ranghi è prescritto, ad esempio, per le cerimonie del giuramento e del passaggio di consegne -da un Comandante di Corpo al successore, esso non è previsto per i periodici congedamenti di militari. Tutte queste esibizioni contrastano, oltre che coi regolamenti, con quella austerità a cui, per gli alti motivi gi~ accennati, occorre informare ogni intervento ed ogni movimento della Bandiera, e dovrebbero essere severamente vietate, tenuto anche conto che in simili infrazioni gl'italiani sono facil" mente indotti a cadere dall'esuberanza del loro temperamento. La Bandiera non è una bella donna od una diva sensibile agli omaggi floreali; non è nemmeno una reliquia od un feticcio, su cui i militari, al pari di popolino ingenuo e superstizioso, possano essere ammessi, per mezzo del bacio, allo scambio di bacilli. E' qualche cosa di molto, molto più alto. La mania di distinguere i vari Corpi e le varie Specialità con particolari uniformi o distintivi o copricapi tocca 1n qualche caso i confini dell'esagerazione. In Italia questa ma: nia si concentra in special modo sui copricapi. Nessuno osé~ rebbe negare che il cappello col piumetto dei bersaglieri; il cheppì con criniera dell'artiglieria a cavallo (oggi artiglieria semovente) e perfino il cappello alpino siano copricapi irrazionali e superati dai tempi: nessuno creerebbe qualche cosa di simile oggi per un Corpo di nuova costituzione. Ma concorrono a costituire la tradizione e ad alimentare lo spi, rito di Corpo: dietro all'-una ed all'altro c'è una · storia, 194
talvolta secolare, di dedizione, di sacrifici, di sangue e di gloria. Nulla di male che simili copricapi siano usati nelle parate od in libera uscita, tanto più che nelle esercitazioni tattiche ed in guerra essi vengono sostituiti dall'elmetto. Ma , quando si tèntò di sostituire il copricapo di fatica dei bersaglieri (il tradizionale fez rosso col fiocco turchino) con uno più pratico e meglio rispondente alle caratteristiche ed alle esigenze di fanteria meccanizzata, quale è oggi sotto il punto di vista dell'impiego il Corpo dei bersaglieri, vale a dire con un basco, si urtò nella irriducibile opposizione di generali provenienti dal Corpo, di maggiorenti e di aficionados dell'Associazione nazionale bersaglieri e si dovette rinunciare. Questa reazione apparve 11 per lì tanto più strana ed irragionevole in quanto il basco in vari colori (kaki, grigioverde, nero) è oggi un copricapo caratteristico e molto ambito dalle varie Specialità che ne sono dotate. D'altra parte il copricapo tipo norvegese introdotto nelle truppe alpine per l'uso in escursione e molto più funzionale del cappello alpino, inconuò all'atto dell'adozione una ostilità acuta per la concorrenza ch'esso faceva al copricapo tradizionale e fu battezzato ·dalla truppa, con malevola espressione dialettale, « cappello da stupido ». Per contro l'estensfone del cappello alpino ad unità di frontiera fu per lungo tempo avversata dall'Associazione nazionale alpini, che (erroneamente) non riteneva tali unità come appartenenti alle truppe alpine e quindi · meritevoli del tradizionale copricapo. · Occorre tuttavia riconoscere che la resistenza all'adozione di indumenti moderni e razionali, se costituisce talvolta un eccesso dannoso, tende d'altra parte a salvare caratteristiche · tradizionali ed utili per mantener vivo lo spirito di Corpo e sotto questo punto di vista è benefica: in qualche caso il beneficio supera il danno. Ogni segno particolare dell'ùnifodne che distingue un'Arma, un Corpo, una Specialità, un incarico si ripercuote favorevolm~nte sul morale. Napo195
jl,
leone diceva che si sarebbe potuto fare di un battaglione di gobbi un battaglione di bravi combattenti per l'alto spirito di Corpo fondato sulla comune ed esclusiva caratteristica della gibbosità. In materia gli esempi che si potrebbero trovare nelle Forze armate estere sarebbero moltissimi e probativi, e tanto più numerosi ed originali quanto più antiche e ricche di storia le Forze armate. Scopriremmo che anche in questa materia tutto il mondo è paese. Che, oltre alle uniformi, il tipo e la composizione delle bande militari e le marce da esse suonate, il modo di portare le armi individuali o di rendere gli onori o di marciare in parata, particolari manifestazioni formali distinguono le Forze armate delle diverse nazionalità e, nell'interno di esse, le varie Armi e Specialità. Che la Francia, attaccatissima alle sue tradizioni militari, ha, fra l'altro, conservato per gli ufficiali dell'Esercito i berretti cilindrici di un secolo fa. Che la Gran Bretagna, tradizionalista all'ennesima potenza, oltre alla sottanina degli Scozzesi, ha mantenuto nelle uniformi di taluni Corpi appendici e segni stranissimi, i quali potevano anche avere un fine pratico qualche secolo fa ed ora non hanno altro scopo se non quello di conservare una tradizione. Che gli Stati Uniti d'America, forti della loro giovinezza, non esitano ad apportare mutamenti anche radicàli alle uniformi ed all'equipaggiamento delle loro Forze armate, ma conservano gelosamente le divise tradizionali nelle accademie di reclutamento ed in taluni Corpi speciali. Che la Germania occidentale, partendo da zero, come in precedenza ho accennato, per la ricostruzione delle Forze armate, 'ha sinora evitato, nelle consuetudini, nel sistema disciplinare e nelle uniformi, di riprodurre forme tradizionali (allo scopo evidente di tenersi lontana dagli eccessi militaristici del passato e di farli dimenticare); ma la tradizione, questa almeno è la mia opinione personale, finirà inevitabilmente col prendere la rivincita in avvenire. 196
Un'altra molla assai efficace da far giocare per sollecitare lo spirito di Corpo è quella consistente nel mantenere o riesumare, per i reggimenti ed altre unità di uguale o diverso livello gerarchico, le vecchie numerazioni o denominazioni, con cui era stata guadagnata, in più o meno lungo volgere d'anni o addirittura di secoli, in più o meno numerosi fatti d'arme, un rispettabile carico di gloria e di onore. Finché possibile conviene conservare quei numeri e quei nomi a cui sono legate brillanti tradizioni. A questo proposito ricordo che uno dei reggimenti di cavalleria blindata ricostituito dopo Ja seconda guerra mondiale col , vecchio numero ma con nome nuovo e privo di particolari risonanze storiche, anche se caro ai cuori italiani (« Gorizia » ), aspirò per lungo tempo a riacquistare la vecchia denominazione; e quando alfìne, dopo molti anni di vita, fu possibile restituirgliela (quando cioè le Autorità politiche si convinsero che l'antico nome « Savoia » si riferiva ad una regione e 1non ad una dinastia), la benefica ripercussione spirituale fu vivacissima. Sarebbe interessantissimo esaminare tutti gli elementi materiali o formali che possono esercitare un'influenza, anche notevole, sullo spirito di Corpo, ma questo mi porterebbe troppo lontano dall'essenza dei temi che mi sono proposti. Chiudo l'argomento degli eccessi formali rivolti ad una sollecitazione benefica delle molle spirituali ribadendo che questi eccessi sono giustificabili in tempi ed in condizioni difficili per le Forze armate, come oggi in Italia. D'altro canto non va passato sotto silenzio che sotto un esame analitico, nel settore degli elementi e delle prescrizioni formali aventi ripercussione diretta sul morale, com.parirebbe, oltre alle menzionate esagerazioni, qualche lacuna causata o lasciata dalla evoluzione degli ordinamenti e dei procedimenti. Esempi? Eccone. Nei tempi andati gli equipaggi delle navi da guerra (imitati più tardi ·dalle unità terrestri od aree) usavano onorare il Sovrano e più recentemente, durante il regime fascista, an197
che il capo del governo e duce del fascismo col saluto. alla voce. Non mi risulta che alcun saluto alla voce sia in vigore oggi per le unità terrestri ed aeree; il che si traduce in un incentivo di meno alle esplosioni, sia pure nei limiti della più rigida ortodossia disciplinare, di entusiasmo collettivo. La Marina invece non ha rinunciato al saluto alla voce e l'ha sostituito col grido di urrà lanciato coralmente dagli equipaggi in risposta a quello per l'Italia pronunciato a mo' di comando da un ufficiale. Una volta era prescritto che nell'atto dell'assalto per la fanteria, e della carica per la cavalleria, vale a dire nell'imminenza dell'urto, della mischia e dell'uso delle armi bianche, i combattenti lanciassero il grido catalizzatore di Savoia; grido che molti reduci ricordano certo, non senza commozione, di aver udito od innalzato. L'aumento enorme di potenza delle armi impiegabili in guerra e la conseguente rarefazione delle unità operative terrestri sul campo di battaglia. non hanno eliminato l'assalto ed il corpo a corpo, che rimangono atto supremo, anche se episodico, del combattimento per minimi reparti di fanteria. Ebbene, soppresso ovviamente il grido di Savoia, nessun grido incitatore è previsto per questa fase di lotta in cui l'uomo potrà trovarsi, come nei tempi antièhi ed in quelli preistorici, a tu per tu con l'uomo avversario. Né il problema di escogitare un grido adatto è di facile soluzione volendosi evitare l'adozione di parole stranire come urrà. (Se non altro per i giapponesi banzai è un motto intramontabile). Il problema è più importante di quanto possa a prima vista apparire. Forse Italia è l'unica invocazione adatta e generalizzabile. Fra le circostanze che influiscono negativamente sul morale dei quadri e di cui molte sono già state messe in evidenza, meritano un cenno le gravissime férite spirituali inferte agli organismi militari dagli avvenimenti successivi dell'8 settembre r 94 3 e non ancora interamente cicatrizzate. La situazione, caotica e disastrosa, dell'Italia dilaniata dalla 198
,guerra civile, spezzata quasi in due tronconi, percorsa e percossa da un conflitto senza quartiere combattuto da opposte forze straniere, durò troppo a lungo perché le conseguenze nefaste non si facessero acutamente sentire per molti anni. Al termine della guerra gli ufficiali ed i sottufficiali po.revano dividersi, come ho in precedenza accennato, in varie categorie, secondo che avevano militato agli ordini del Governo legale o di quello neofascista di Salò o con le bande partigiane oppure avevano atteso lo svolgersi degli avvenimenti senza compromettersi in un campo o nell'altro ovvero provenivano dalla prigionia e dall'internamento. Sembrò allora che non fosse più possibile rimettersi sulla retta via morale e ristabilire il senso dell'onore militare. Nella grande maggioranza gli ufficiali furono sottoposti al giudizio di commissioni di discriminazione o, peggio, di epurazione: non pochi fra quelli di grado più elevato addirittura a giudizio penale. · Il risultato non fu così limpido e benefico come ci si riprometteva inizialmente. Da principio taluni giudizi furono forse velati da faziosità ed eccessivamente severi; poi, col passare del tempo, in conseguenza di amnistie, di condoni e di reiterati ricorsi, si susseguirono le attenuazioni o gli .annullamenti di pene giudiziarie e di punizioni disciplinari. Da tutte queste vicende, in verità, l'onore militare non uscì illuminato da luce radiosa né collocato su piedistallo granitico. Riconosco che la situazione di partenza era terribilmente ingarbugliata ed oscura. Ma ritengo che proprio in situazioni simili occorra rifarsi a pochi principii essenziali e seguire criteri ispirati a semplicità e chiarezza. Secondo me occorreva prima di tutto sottrarre i militari al giudizio di tribunali e ,commissioni che non fossero militari: difficilmente i civili, ~nche se colti e giuridicamente ben preparati, possono compenetrarsi nella mentalità e negli usi militari e, in particolare, comprendere a pieno il senso dell'onore militare. 199
In secondo luogo bisognava attenersi strettamente al co, dice penale militare ed al regolamento cli disciplina. Gli ufficiali erano legati, prima e più che da qualsiasi altro vincolò (per esempio da impegni assunti verso il partito fascista e verso il suo capo), dal giuramento solennemente prestato al Sovrano. Mancare al giuramento significa tradire, e come· traditori dovevano essere trattati, non dico tutti e neanche molti degli ufficiali, ma soltanto pochi, pochissimi, anche solo due o tre dei più elevati in grado e quindi maggiormente responsabili, scelti fra quelli che avevano militato col nemico, vale a dire nella parte avversa a quella del Governo legale. Non si opponeva la difficoltà di costituire tribunali militari con ufficiali di grado elevatissimo: degradato l'imputato, sarebbero stati sufficienti tribunali costituiti da colon· nelli. So bene che per il reato di tradimento in guerra il codice penale militare prevede una sola pena, la massima. Ma sono convinto che due o tre condanne severissime dei mag· giormente responsabili sarebbero valse a ristabilire saldamente il senso dell'onore militare e servirebbero come esempio e monito per le generazioni militari presenti e future. E con ciò si sarebbe potuto usare (questo volevo dire come terza considerazione) maggiore indulgenza di quanto non si sia fatto coi gradi medi e bassi, i quali in fin dei conti, nell'infilare la strada sbagliata avevano seguìto l'esempio di altissimi gerarchi militari; il che costituisce un'attenuante decisiva. Credo di non avere un temperamento eccessivamente rigido e duro e tanto meno sanguinario come può erroneamente supporre qualche lettore che giudichi troppo drastiche le mie opinioni. L'onore militare non è fatto solo di obbedienza, di senso di responsabilità, di petto in fuori e scatto sull'attenti, ma anche e soprattutto di sacrificio, di sudore e di sangue. Gli ufficiali tedeschi dell'anteguerra solevano lasciare al collega che avesse violato le leggi (morali) dell'onore una ri200
voltella affinché con questa si uccidesse. I francesi non lesinarono nel somministrare fucilazioni dopo la seconda guerra mondiale. In Italia, durante la prima guerra mondiale alcuni generali, ritenendo di non aver compiuto interamente il proprio dovere di ·comandanti in difficilissime circostanze o di non esser riusciti con le truppe dipendenti ad evitare un rovescio, si suicidarono. Nella seconda guerra mondiale molti generali caddero bravamente in combattimento od affrontarono eroicamente la morte per seguire la via dell'onore; non mancarono nemmeno casi di ufficiali che, non appena accortisi di non essersi comportati con quella fredda e sicura determinazione che richiedeva la criticissima situazione seguìta all'armistizio dell'8 settembre 1943, si tolsero la vita, e purtroppo il loro nome è coperto dall'oblìo. Ma l'ultimo generale condannato alla fucilazione da un tribunale militare legale italiano è stato Ramorino nel 1849. Un po' troppo lontano nel tempo. E, purtroppo, l'ombra del compromesso, del doppio giuoco, della deficienza di carattere non è stata totalmente cancellata con un lavacro integrale. Un punto che dovrebbe essere tenuto presente è l'opportunità di non sostituire con uno nuovo il vecchio e tradizionale regolamento di disciplina tuttora in vigore. E' vero che la sua data di nascita risale al 1872 e che da allora vi sono state apportate soltanto modificazioni non sostanziali. Ma è anche vero che, se da allora i modi di vita e l'organizzazione sociale hanno subìto un'evoluzione profonda e particolarmente accelerata negli ultimi anni, i principii etici su cui si basano la saldezza e la coesione delle Forze armate sono immutati ed immutabili. Dopo ciascuna delle due guerre mondiali, forse con loscopo di adeguarsi ai progressi compiuti nel campo sociale sotto la spinta di pressioni e rivolgimenti di carattere politico o sindacale, si è tentato di compilare un regolamento di di~ sciplina meno drastico, più morbido, « più adatto ai tempi ». 201
Il tentativo del primo dopoguerra fallì: spero vivamente che quanto prima possa dirsi fallito anche quello del secon<lo. La disciplina, l'obbedienza, la subordinazione, il giuramento e così via possono e debbono essere intesi in un solo modo: quello magistralmente indicato e vorrei dire scolpito <lal vecchio regolamento di disciplina. Sui principii etici testé ricordati non è possibile transigere senza compromettere pericolosamente il fondamento spirituale e quindi l'efficienza degli organismi militari. Migliorare l'alimentazione, il vestiario, l'equipaggiamento e l'armamento, razionalizzare e modernizzare nella maggior misura possibile i sistemi di adde:stramento, ampliare e perfezionare gl'impiaoti ricreativi, tutto questo sì; ma non allentare in alcun modo i vincoli di·sciplinari e morali. · Una riprova di quanto ho affermato si può trarre dalle Forze armate russe. All'epoca della rivoluzione bolscevica gli atti di insubordinazione appositamente provocati ed i sovieti creati nelle file dei soldati servivano per disgre_gare le unità esistenti e legate al vecchio regime, ma non appena si volle rinsaldare il nuovo regime con forze efficienti si rimisero in funzione antiche consuetudini, ed Òggi nelle Forze armate dell'Unione delle repubbliche sovietiche vige un sistema disciplinare che è più duro di tutti quelli in uso nel mondo occidentale. Per associazione di idee mi viene fatto di toccare qui di sfuggita un argomento che ha una certa connessione con la base disciplinare delle Forze armate: quello della Giustizia militare. Dopo il secondo conflitto mondiale si è manifestata la tendenza, probabilmente derivata da un indirizzo unificatore tracciato dalla Costituzione, a fare assorbire, per lo meno in tempo di pace e parzialmente, organi e procedimenti della Giustizia militare da organi e procedimenti della Giustizia ordinaria. Ritengo opportuno mettere in evidenza ,che anche in tempo di pace l'organizzaziçme disciplinare caratteristica delle Forze armate deve essere integrata da una .202
particolare organizzazione giudiziaria e penale: donde la necessità di una Magistratura militare e di organi giurisdizionali speciali a tutti i livelli per riconoscere e giudicare i reati militari ed il personale delle Forze armate. Il che non esclude che il codice penale militare possa essere aggiornato. In complesso nelle Forze armate esiste, si alimenta e si rinnova senza tregua, mediante azione tenace ed appassionata, un patrimonio spirituale che dovrebbe essere in comune con tutto il resto della Nazione, tanto più che dalla Nazione proviene il personale di leva ed alla Nazione viene restituito dopo aver conseguito l'abilitazione al servizio militare. Do~rebbe infatti sembrare strano che l'amore di patria, il senso dell'onore e del dovere fossero caratteristiche esclusive delle Forze armate anziché essere diffuse in tutto il popolo. Nella realtà questa comunanza è molto relativa e le Forze armate, nella maggioranza dei casi, devono provvedere ad inculcare nei cittadini chiamati alle armi quei sentimenti che dall'educazione familiare e scolastica sono stati purtroppo dimenticati od insufficientemente curati. Non mancano per fortuna Istituzioni che s'incaricano di mantener vivo quel patrimonio fra il personale in congedo e nel Paese. Sono esse le Associazioni d'Arma, quelle che raccolgono e legano fra loro ed alle tradizioni militari gli ufficiali o sottufficiali in congedo, e quelle combattentistiche, dei reduci o dei decorati al valor militare. Per la loro opera di rimembranza e di propaganda queste Associazioni sono davvero benemerite: affinché conservino la loro efficacia morale, occorre garantirne l'apoliticità ed assicurare ad esse, oltre ad un minimo di risorse finanziarie, la guida di personalità fornite di alto spirito patriottico, di capacità organizzativa, di disinteressato fervore di azione, di prestigio. All'inizio del capitolo ho accennato di sfuggita alla sete di benessere materiale che orienta e caratterizza la vita contemporanea e dà un'impronta essenzialmente materialistica a questa nostra cosiddetta civiltà occidentale, rendendo l'am203
biente civile poco propenso e adatto a coltivare od anche soltanto apprezzare i valori morali. Poco fa ho asserito che per lo più l'animo dei giovani reclutati per il servizio militare si presenta come un campo incolto nel quale, a cura delle gerarchie militari di vario ordine, devono essere seminati e nutriti alcuni nobili sentimenti, fino allora pressoché ignorati. Il quadro può apparire troppo pessimistico,' e penso che tale sia veramente perché incompleto. Mi sembra pertanto opportuno esaminare un poco più attentamente, sotto l'aspetto dei valori morali, l'ambiente esterno alle Forze armate, quello nel quale le Forze armate sono immerse e vivono e dal quale provengono i giovani che indossano per la prima volta l'uniforme. Si dice generalmente che le Forze armate sono espressione del popolo. Ma ciò è vero fino ad un certo punto. Se usiamo il dosimetro dei valori morali per misurare il grado· di purezza dell'atmosfera ambientale, ci accorgiamo che l'ambiente militare e l'ambiente civile sono come due mondi separati e diversi: senso del dovere, amor patrio, spirito di collaborazione e di disciplina costituiscono molle essenziali nel primo mentre nel secondo i principali stimoli di attività sono di tutt'altra natura. Si dice pure che il popolo italiano è amilitare, vale a dire alieno da tùtto ciò che sa di uniforme, di caserma, di disciplina militare. Questa affermazione non è esatta ed è offensiva per il popolo italiano. E' comprensibile ed è anzi naturale che in ogni immediato dopoguerra si verifichi una diffusa reazione contro l'organizzazione bellica e, in conseguenza, contro ogni forma di preparazione militare. Tale reazione si manifestò dopo la prima guerra mondiale che era stata vittoriosa; era logico che si ripetesse dopo la seconda. Ma il nostro popolo ha superato da tempo il periodo di crisi antimilitaristica e dimostra con molteplici segni di amare le sue Forze armate. Per convincersene basta osservare la 204
.
folla festante che si accalca, specialmente a Roma, per assistere alla rivista del due giugno. Per contrasto mi viene alla mente l'indifferenza generale in mezzo a cui si svolse, nel I 94 7, un primo timido tentativo di rivista, a cui parteciparono smilzi reparti di truppa, modestamente equipaggiati ed armati. Si pensi alle moltitudini che accorrono, quando sia permesso, a visitare le navi da guerra nei porti o ad assistere ad esibizioni aeree negli aeroporti. Si consideri il flusso di gente di ogni condizione sociale e di ogni età nelle caserme e nelle basi navali ed aeree il giorno 4 novembre, in cui è consentito ed agevolato il contatto diretto tra le Forze -armate e la popolazione. Oggi ancora come tanti anni or sono il passaggio irruento di un reparto di bersaglieri, accompagnato dagli squilli gioiosi della tradizionale fanfara , suscita l'entusiasmo popolare, e l'incedere solenne degli alpini, regolato sulle note cadenzate della loro marcia, provoca fremiti di commozione ed applausi spontanei. D'altra parte in qualsiasi regione d'Italia le popolazioni rurali accolgono, in occasione di esercitazioni di campagna, le truppe con festosa cordialità o addirittura con calore di .affetto. No, la massa del popolo non è contraria all'organizzazione militare né al servizio di leva, anche se la propaganda di partito e sindacale ne imbottisce i crani di slogan utilitari e gli animi di rivendicazioni materialistiche. Prova ne sia che i congedati ricordano di solito con soddisfazione e qualche volta con fierezza e nostalgia il periodo trascorso sotto le armi, gli episodi di vita militare vissuti, i nomi e le caratteristiche dei superiori, e che in più occasioni i richiamati alle armi per particolari esercitazioni si sono presentati puntualmente, animati da buona volontà e spesso da commovente entusiasmo. ·· Il disinteresse e la freddezza, se non proprio l'ostilità, nei tiguardi delle Forze armate si rivelano, come ho già posto ,205
I ,!
in evidenza, in particolari strati sociali, che dovrebbero essere spiritualmente i più provveduti e che comprendono buona parte di quel ceto chiamato una volta borghesia, la maggioranza dei cosiddetti intellettuali e la quasi totalità della classe politica dirigente. E davvero non si comprendono chiaramente le ragioni di questo atteggiamento. Probabilmente ragioni politiche, nel senso che i più autorevoli membri dei partiti dell'ordine, al pari degli uomini di Governo secondo quanto ho già avuto occasione di rileva· re, non vogliono provocare la reazione e nemmeno il semplice malumore dei partiti di estrema sinistra con la presentazione di bilanci della difesa più nutriti del consueto o comunque con provvedimenti rivolti a potenziare le Forze armate. Ma dovrebbero ben sapere e tener presente che i partiti tendenti a provocare lo sgretolamento dell'ordine legalmente costituito per introdurne uno nuovo hanno tutto l'interesse a minare l'organizzazione militare esistente, salvo a far uso, dopo che per avventura avessero afferrato il pote~ re, del più feroce militarismo per difendere, in campo nazionale ed in campo internazionale, l'ordine nuovo da essi instaurato. Può essere di insegnamentp in merito quanto è avvenuto nell'Unione delle repubbliche sovietiche e negli Stati satelliti. Può darsi che molti intellettuali siano mossi da uno sviscerato e teorico amore per la pace e facciano affidamento sulla diffusione di un sincero spirito di fratellanza umana. questo caso dimostrerebbero una strana mancanza di acune cerebrale e di senso pratico e sarebbero vittime di una grande illusione. Purtroppo gli epigoni di Gandhi non hanno avuto fortuna nemmeno in India ed il mondo terrestre non è ancora maturo per l'èra messianica. Forse (è questa l'ipotesi più probabile) i moventi del più o meno larvato antimilitarismo sono più crudi ed elementari: un egoismo incrollabile, . una cieca prevalenza di interessi . materiali, l'incapacità di comprendere il valore di
In
I
Ij
206
uri ideale (interpretato magari come un mito superato dai. tempi) e la dedizione ad esso, viltà e grettezza d'animo. E così accade che parecchi scrittori e produttori cinematografici non lascino perdere l'occasione di dipingere con tinte oscure l'ambiente militare e non risparmino gli strali della pitt perfida ed insultante ironia alle consuetudini « di caserma » ed in modo particolare ai generali. E che Governanti e capi di partiti evitino di affrontare il problema della di~ fesa nazionale nella sua interezza, sopportino l'esistenza di un'organizzazione militare perché proprio non possono farne a meno ma cerchino di parlarne il meno possibile, tendano a dimenticare le gerarchie militari ed a trascurarne le condizioni materiali e morali. La pace, parola che i condottieri politici abbinano volontieri a sicurezza od a libertà, la pace, secondo le loro manifestazioni verbali, dev'essere garantita da organismi internazionali di supervisione e di controllo nonché (per taluni di essi) da sistemi di alleanze, ma col minimo sforzo finanziario a favore dell'apparato di difesa nazionale. Per essi le Forze armate non costituiscono davvero (come in realtà sono) la spina dorsale della Nazione e la miglior salvaguardia non solo della sicurezza, esterna ed interna, ma anche del prestigio nazionale e di una efficiente politica estera. Troppo sovente l'amore di patria è coperto dall'oblìo, lo spirito nazionale confuso erroneamente col nazionalismo. Sincere manifestazioni patriottiche sono considerate come vani sfoghi di retorica. Le inevitabili commemorazioni di date, di avvenimenti o di personaggi gloriosi per bocca di Autorità o di appartenenti al mondo ufficiale, sono frequentemente vuote di calore spontaneo e prive di comunicativa anche se ricche di parole roboanti, che veramente sanno di retorica! La Patria viene nominata assai di rado: pare che gli uomini politici si vergognino di pronunciare questa parola o che Ì'abbiano dimenticata: per loro la Patria è diventata « il pae~ 207
se», espressione meno impegnativa, meno sentimentale, più geografica e pili vaga. Si parla spesso di Unione europea e di spirito europeo, di Alleanza atlantica e di spirito atlantico, di Mondo occidentale e di spirito e di civiltà occidentale. Sembra quasi che in queste vaste comunità l'individualità nazionale debba venire assorbita ed annullata. Errore! Lo spirito nazionale deve restare alla base di ogni più ampia concezione comunitaria. In tutte le nazioni estere che fanno parte dell'Alleanza atlantica le Forze armate sono animate e caratterizzate da fervido amore di patria, che, senza toccare i limiti dello sciovinismo, non vieta. la più aperta collaborazione con le forze alleate ed il più efficace funzionamento dei Comandi integrati. Se fra elementi alleati di varia nazionalità si stabilisce un· pizzico di emulazione, questo non guasta. In seno all'Alleanza godono di molto maggior prestigio e rispetto coloro che, investiti di cariche e delle relative responsabilità, sanno far valere gl'intere~si nazionali con la dovuta energia che non i sempre disposti (non mancano purtroppo) a secondare i desideri ed i punti di vista dei maggiori alleati, curvando all'occorrenza la schiena. Lo spirito nazionale non è quindi un'espressione retorica vuota di concreto significato nè un articolo passato di moda e destinato a deperire in un angolo dimenticato di magazzino. Senza di esso, rinunciando ad alimentarlo od a crearlo se necessario, come si potrebbero preparare i soldati ad assolvere il loro dovere militare, ad affrontare fatiche, disagi, pericoli e, in caso estremo, il sacrificio della vita? Alle anime semplici le grosse parole ed i concetti complicati non giovano: in una prima fase basta insegnare ad esse che le Forze armate servono· a difendere; in caso di bisogno, la casa, la famiglia, la Patria: di fronte a questi elementi noti e vicini, che quasi si possono toccar con mano, Unione o Comunità europea, Alleanza atlantica, civiltà occidentale sono espressioni nebulose ed impalpabili: Solo in un .secondo tempo si potrà 208
dimostrare che, pure impegnandosi eventualmente a fianco di reparti militari alleati, sulle frontiere d'Italia o fuori, in paesi anche· lontani, si difendono gl'interessi o magari l'integrità e l'indipendenza della Nazione e, in conseguenza, la Patria, la famiglia e la casa. Ho già detto che l'amore di patria non dovrebbe costituire un sentimento esclusivo delle Forze armate, bensì un patrimonio spirituale comune a tutte le categorie sociali, a tutti i cittadini. Ed allora si ponga mano ad un'opera restauratrice nel campo morale, si risalga la corrente, soprattuttò nelle classi dirigenti ed intellettuali, prima che lo stato di marasma morale dell'ambiente esterno finisca con l'intaccare e corrompere la saldezza e l'integrità delle Forze armate. E si cominci dalle scuole. Il lavoro da compiere non è lieve: molti anni sono trascorsi in una colpevole trascuratezza dei tradizionali valori morali. Per effetto di faziosità politica, che poteva essere appena comprensibile nell'immediato dopoguerra, è stata persino alterata 1a storia patria nei libri di testo. Beninteso, le passate sventure della Patria non devono essere coperte dal silenzio né vanno taciute le cause che le determinarono. Ma, con lo scopo di onorare tutti gl'Italiani che sacrificarono la vita combattendo per la Patria, è giunto il momento di non distinguere più le guerre giuste da quelle ingiuste e di cancellare quelle discriminazioni che ancora sussistono fra Caduti e Caduti. Meno corone e meno pellegrinaggi ufficiali sulla tomba del Milite Ignoto e maggior diffusione di sincero e concorde spirito nazionale! Dopo aver cosl esaminato i valori morali nell'interno delle Forze armate e nell'ambiente esterno, nella considerazione che l'efficienza spirituale di quelle è per grandissima parte determinata dal morale dei quadri, ritengo utile, prima di chiudere il capitolo, toccare rapidamente alcuni problemi particolari che riguardano appunto i quadri. 209 14
Prima questione: devono oppure no gli ufficiali di carriera costituire una casta? Immagino che questa domanda farà accapponare la pelle a quegli uomini politici che vi porranno sopra lo sguardo oltre che a tutti i convinti fautori di una sempre più spinta evoluzione sociale. Eppure la questione è meno semplice (e la risposta meno ovvia) di quanto possa a prima vista apparire. Beninteso, in I talia gli ufficiali in servizio permanente non hanno mai costituito un clan, un circolo chiuso: sin dalla prima guerra mondiale i combattenti che ne dimostrassero la capacità sul campo di battaglia potevano accedere alla categoria degli ufficiali di carriera qualunque fosse il ceto sociale di provenienza. Mi viene qui alla mente l'episodio, occorso in quella guerra, di un capitano che un giorno si trovò accanto, come collega, un suo ex attendente. H o inoltre messo in evidenza nel capitolo precedente che oggi la retta gratuita per gli allievi dell'Accademia militare risponde proprio al fine di reclutare gli elementi adatti da qualsiasi gruppo sociale. Di più, vecchie disposizioni e consuetudini, che rispondevano ad esigenze, non già di casta, ma di carattere materiale o morale come l'obbligo della dote per le mogli degli ufficiali o l'obbligo del duello in caso di vertenza non composta onorevolmente, sono state abrogate. Non si può quindi negare che in I talia il reclutamento dei quadri permanenti, la formazione e la mentalità degli stessi quadri e, in conseguenza, l'organizzazione delle Forze armate poggino su basi ultrademocratiche. Né è possibile concepire un aumento di democraticità se non attribuendo al term.ine democratizzare un significato erroneo e pericoloso come quello di allentare i vincoli della disciplina formale o sostanziale. D'altra parte non bisogna credere che le cosiddette caste costituissero, quando esistevano, collettività caratterizzate esclusivamente da privilegi, vizi, iniquità e infingardaggine. I cavalieri mediev~li non si distinguevano soltanto per 210
il marchio aristocratico di origine ma altresì per coraggio e generosità. L'appartenenza ad una casta sviluppa le doti di carattere, che sono tanto importanti per gli ufficiali e che in determinate circostanze possono concorrere ad evitare od ostacolare lo sbocco sfavorevole o addirittura catastrofico di situazioni critiche. Una prova di ciò può ricavarsi dal confronto del contegno dell'ufficialità italiana e di quello dell'ufficialità germanica di fronte a due fenomeni politici che presentavano notevolissime analogie sostanziali anche se si differenziarono in talune manifestazioni: il fascismo ed il nazismo. Gli ufficiali italiani, che non costituivano una casta, (e quindi le Forze armate italiane) non opposero nel complesso alla penetrazione fascista che una resistenza passiva e discontinua, talchè poco alla volta gli atteggiamenti formali e lo spirito del fascismo si insinuarono e presero piede; alla fine l'appartenenza al partito era diventata normale per gli ufficiali dei gradi medi ed elevati e bisognò giungere sull'orlo della catastrofe perché gli ufficiali investiti delle più alte cariche militari consigliassero ed aiutassero il Sovrano a liberare l'Italia dal fascismo. In Germania gli ufficiali di carriera costituivano una casta non solo nell'epoca imperiale ma anche dopo la prima guerra mondiale, in pieno regime repubblicano. Ebbene l'ostacolo più grave incontrato dalla dittatura hitleriana fu rappresentato dalle Forze armate regolari e più particolarmente dagli alti quadri delle Forze armate, nonostante i ripetuti bagni di sangue a cui questi furono da tale dittatura sottoposti, in pace ed in guerra. E l'attentato più grave contro Hitler fu ordito, per la salvezza della Germania, da un'ampia rete di alti gradi delle Forze armate. Non mancarono, ben s'intende, generali ed ammiragli fedeli a Hitler, ma ciò era comprensibile e l'eccezione conferma la regola. Non è certo il caso di pensare neanche per un istante che sia oggi possibile e conveniente una trasformazione delle 211
modalità di reclutamento e formazione e delle consuetudini degli ufficiali italiani, in modo che questi costituiscano ciò che non hanno mai costituito in passato: un ambiente appartato e circoscritto, una casta. Si può tutt'al più rammaricare che un certo numero di famiglie, in buona parte aristocratiche, che in passato destinavano i loro figli od un'aliquota dei loro figli alla carriera militare, abbiano quasi totalmente perso questa ottima abitudine e troncato questa no bile tradizione: i loro rappresentanti, come in passato, avrebbero ben figurato e sarebbero serviti da elementi di richiamo nelle file delle Forze armate. Si deve in ogni caso auspicare che gli ufficiali in servizio permanente costituiscano una élite per qualità intellettuali, professionali, culturali e soprattutto per doti morali e di carattere. Una seconda questione è la seguente: devono gli ufficiali di carriera astenersi in modo assoluto dall'esercitare attività politiche? Si dice generalmente che le Forze armate devono mantenersi al difuori e al disopra delle lotte politiche in modo da risultare in qualsiasi momento interamente e obiéttivamente disponibili per la difesa della Patria contro il nemico esterno e, all'occorrenza, per il mantenimento dell'ordine interno e per la difesa delle Istituzioni. Ciò è giusto teoricamente ed è anche molto bello e nobile. Praticamente le cose non stanno dovunque così, e la questione merita di essere eaminata con attenzione. I regimi totalitari non ammettono il neutralismo politico delle Forze armate; anzi esigono che i quadri condividano l'ideologia politica del partito dominante e tendono a identificare la nazione col regime, la difesa nazionale con la difesa del regime. Si possono citare in proposito i già ricordati fenomeni del fascismo e del nazismo : entrambi questi movimenti tentarono di realizzare l'integrale politicizzazione delle Forze armate e per ovviare alle remore e resistenze che la ostacolavano o ritardavano crearono le mi0
212
lizie di partito: la milizia volontaria per la sicurezza nazionale in Italia, il Corpo delle famigerate « S.S. » in Germani~. Ancor più eloquente è l'esempio della Russia e degli Stati satelliti, dove gli altissimi gerarchi militari sono altresì gerarchi del partito comunista, dove i comandanti sono affiancati da commissari politici e dove le idee di patria e di difesa nazionale sono, più che abbinate, fuse e sommerse in quelle di regime comunista e di difesa e propaganda dello stesso regime e della relativa ideologia. Negli .Stati che beneficiano di governi democratici la situazione è diversa secondo che la forma istituzionale è monarchica o repubblicana. Nel primo caso il Sovrano risulta veramente al disopra e al difuori delle lotte politiche interne, è Capo supremo delle Forze armate e di solito riveste il grado massimo irt queste ed ha una formazione (e quindi anche una specifica preparazione) militare. In questo caso tutti gli appartenenti alle Forze armate sono legati al Sovrano da un giuramento solenne. e possono presumere che la loro rigida astensione da ogni. attività politica (per essere più esatto, di partito) risponda all'interesse della nazione. L'istituto monarchico dovrebbe infatti garantire un orientamento generale della politica indipendente dalle mire particolaristiche dei partiti e rivolto. prevalentemente al bene comune. Nel secondo caso è pur vero che i militari giurano ugual~ mente fedeltà al Capo dello Stato, ma questi non assurge al1'altissimo magistero per grazia divina o per diritto ereditario; bensì attraverso procedimenti elettorali; rimane- in carica per un periodo variabile nelle diverse nazioni ma sempre ristretto, al termine del quale viene normalmente sostituito; solo in via eccezionale può essere confermato per un turno successivo. Di più egli esce di solito dalle file dei militanti nel campo politico e, per quanto dotato di mentalità ampia e di spirito elevato, non può non restare n~ll'intimo del suo animo un uomo di parte. 213
In queste condizioni e nell'attuale situazione di partitocrazia imperante, il giuramento sembra non avere l'importanza assoluta e sistematicamente determinante che dovrebbe avere per sovrastare e dominare all'occorrenza le lotte di partito. Esso viene prestato alla carica (che è una entità astratta), non agli uomini che la esercitano e che vengono periodicamente cambiati, dev'essere rispettato con lo scopo, non più « del bene inseparabile » del Sovrano e della Patria (come si diceva nell'epoca monarchica), bensl semplicemente « del bene della Patria ». E' quindi implicito che il bene della Patria possa non coincidere col bene del Presidente della Repubblica, ed è addirittura previsto dalla Costituzione che questi possa essere messo in stato di accusa dal Parlamento e giudicato dalla Corte costituzionale. E in simili circostanze, &ia pure poco probabili, anzi straordinarie, quale valore avrebbe il giuramento prestato ? Inoltre, in un paese come l'Italia in cui possono fiorire e far proseliti partiti che meritano a buon diritto l'epiteto di sovversivi perché tendono nell'interno alla disorganiziazione dell'ordine costituito ed in politica estera ad obiettivi opposti a quelli ufficiali., sarebbe logica ed equa la conservazione di assoluta apoliticità e di passiva immobilità da parte deJle Forze armate nel caso in cui, per debolezza di Governo e per impossibilità costituzionale di intervento efficace del Capo dello Stato, il processo di sovversione minacciasse di diventare travolgente e rovinoso? A questo punto non sarà inutile gettare lo sguardo su quanto accade fuori dei nostri confini in materia di influenza delle Forze armate sulla politica del Governo. La Francia (ho già avuto occasione di acennarvi) ha attraversato periodi oltremodo critici per la rivolta di alti quadri militari contro l'atteggiamento rinunciatario degli organi governativi responsabili a proposito della questione algerina. Questa violenta reazione non è naturalmente meritevole di lode, ma è in parte giustificabile perché seguiva 214
parecchi anni di guerriglia nell'Africa settentrionale,· la lunga ed , estenuante guerra in Indocina, la perdita, còme possedimenti coloniali, della stessa Indocina, del Marocco e della Tunisia; tutti paesi (Algeria compresa) ai cui nomi era legata una tradizione secolare di lavoro, di civilizzaziòne e di sacrifici sanguinosi, E se gli ultimi episodi di pronunciamento e di sedizione si svolsero per contrastare la conces-, sione, da . parte del Governo presieduto dal generale De Gaulle, dell'indipendenza all'Algeria, non va dimenticato che lo stesso generale De Gaulle era stato portato al potere nel I 9 5 8 dai militari, ribellatisi, per il prestigio e l'interesse nazionale, ad una politica basata sulla rinuncia e sulla sterile ed accanita lotta di partiti, e · che prima di allora non pochi generali investiti di cariche molte elevate non avevano esitato a manifestare il loro dissenso da tale politica dimettendosi clamorosamente dalle loro cariche e dimostrando così fierezza e forza di carattere, Ci ·si potrebbe qui domandare fino a qual punto, nelle alte gerarchie militari, l'amore di patria debba o possa venire soffocato dallo spirito di disciplina nei riguardi delle Autorità politiche. In Spagna tutti o quasi tutti i generali che fiancheggiaro no il Caudillo durante la guerra civile ricoprono posti di comando e di responsabilità anche nel campo politico; così ad esempio i capitani generali. Ma là l'oi'ganizzazione statale non può essere considerata democratica e lo stesso Capo dello Stato è un militare, A proposito di dittature, non conviene tacere che nell'Unione delle repubbliche sovietiche le più alte gerarchie militari hanno indubbiamente un notevole peso politico. Da un lato, come ho già rilevato, la dittatura tende a politicizzare le Forze armate; d'altro lato i capi di queste te_ndono a· condizionare l'opera dei capi politici, donde la possibilità di contrasto fra autorità politica ed autorità militare; contrasto già verificatosi in Russia e finora (almeno secondo quanto è apparso) risoltosi con la vittoria della prima. 21.5
E' noto che negli Stati dell'America latina (America-meridionale e centrale) l'elemento militare è quello che, -apertamente od occultamente, detiene in pratica il potere politico. Superfluo elencare le repubbliche sud o centro-americane in cui ciò avviene: l'elenco sarebbe troppo lungo . .Mi .basta osservare che. queste repu_bbliche possono articolarsi in due gruppi: quello tipo Argentina, in cui varie fazioni militari si succedono nell'impadronirsi con la forza del potere e nell'esercitarlo direttamente o indirettamente col tramite. di personaggi politici di loro fiducia; quello tipo Brasile, in cui l'elemento militare si mantiene abbastanza discretamente nella sua cerchia di attività e di competenza, salvo ad intervenire con energia, presso i dirigenti politici, ogni qualvolta ritenu to. necessario o conveniente, per imporre un colpo. di timone ed una rettifica di rotta ovvero una battuta di arresto ed una continuità di indirizzo. In Turchia l'attuale Governo può essere consiqerato militare o paramilitare: esso è nato da un colpo di Stato militare, che. tolse di mezzo e condannò (piuttosto severamente) un precedente regime politico, giudicato corrotto ed inefficiente; il Capo dello Stato è tuttora un militare . Pure militari e sorti in modo analogo sono i governi della Corea. meridionale e del Vietnam meridionale. Se io volessi noll'!iQ.are altri Stati retti da governi militari o presieduti da m.ilitari, certamente rie dimenticherei qualcuno: Repubblica araba unita, Irak, Yemen, Siria, Tailandia, Sudan, Dahomey ... Mai come in questo periodo sono stati tanto numerosii governi militari o presieduti da militari; segno questo . che· la forza costituisce tuttora un elemento di importanza decisiva nell'arengo internazionale e che in determinate condizioni politiche polso fermo e salda disciplina sono necessari per · la salvezza dello Stato. Ma con queste elencazioni non vorrei suscitare l'imp.ressione di propugnare il passaggio del potere politico in mano dei militari. Si tratta di questione assai meno grave: se -cio~-i 216
militari debbano essere totalmente estramatl, come 'Oggi ·111 Italia, da attività politiche e persino da contatti politici, Osserviamo che cosa succede in merito nei grandi Stati organizzat,i e retti democraticamente: la Gran Bretagna e gli Stati Uniti d'America. Non è il caso di citare come .esempio-.la Germania federale perché, come ho già avuto occasione :di porre in luce, questo Stato sente la convenienza di far dimenticare il passato militarista e tende quindi a tenere i militari lontani ·dalle cariche politiche. ., · ,. Già ho rilevato che negli Stati Uniti d'America e ne1'Regno Unito le più elevate gerarchie militari godono di grànde prestigio. e, nel loro campo d'azione, di poteri molto più ampi che non i Capi militari italiani. Per il solo fatto di costituire · un peso importantissimo nel settore militare .esse esercitano, di riflesso, una notevole influenza in quello dellaipoa litica estera ed in quello della politica interna ed economica. Negli . Stati Uniti d'America, pur prescindendo ·dalle cariche più elevate, ·generali ed ammiragli di vario grado e provvisti di vari incarichi di comando sono chiamati, come i1r.un precedente capitolo ho ricordato, ad esporre direttamente e a discutere presso la Camera dei rappresentanti ed il· Sen~to questionfche interessino la loro sfera di competenza e che'richièdah~ provvedimenti &legge. Se richiamiamo alla mente l'att.ività dei grandi Capi militari dell'Alleanza atlantica, per esempìo del Comandante supremo delle forze alleate Eiiropa · (successivamente generali Eisenhower, Ridgway, · Grfuither, Norstad, Lemnitzer) o di qualche Comandante règio1tà:le, come. quello delle forze alieate del Sud Europa, ·ve.diamo che .qu~'s ti ge~erali od ammiragli hanno preso e. mani:~.n~to contatÙ non solo coi Ministri della ·Difesa ma anche :coi Ca.pi di Governo e coi Capi di Stato . di tutti i paesi eurpg~( e1 extraeuropei interessati all'Alleanza. E possiamo ricorda,t;e· come mùlti uomini politici .n.ostrani che, palesemente, o,Jl~scostamente, trascurano o sopportano contro voglia le ,Auto:
in
2:17
rità _militari nazionali, si siano inchinati davanti ad essi ed alle loro richieste. E' ben naturale che salendo verso i più elevati gradini gerarchici l'attività militare e quella politica si avvicinino :fino a venire a contatto e ad interferire: gli alti Capi militari non possono agire esclusivamente nel settore militari disinteressandosi di quello politico, nello stesso modo che i Governanti e gli eminenti uomini politici non possono svolgere azione di Governo o fare alta politica senza tener presenti le ·esigenze della difesa e l'organizzazione militare. Ritornando ora alla seconda questione posta, se cioè gli ufficiali di carriera debbano astenersi in modo assoluto dall'esercitare attività politiche, mi sembra che la risposta non possa ispirarsi a criteri di cosl drastica rigidità come quelle a cui sono informate, in genere, le disposizoni militari di carattere disciplinare. Dovrebbe essere, a mio parere, severamente vietato agli ufficiali di ogni grado di partecipare ad attività di partito fìnchè siano in servizio; quindi anche di pres~ntarsi come candidati alle elezioni per la Camera dei deputati o per il Senato perché ciò richiede, anche magari in f~rma camuffata, l'iscrizione in una lista di partito e non si può contemporaneamente ammettere l'accesso alla lista di un partito d 'ordine ed impedirlo alla lista di un partito d'opposizione o addirittura sovversivo. In realtà questo divieto formale (che dovrebbe esser valido anche per i sottufficiali) non esiste, per lo meno in forma esplicita; il che costituisce un.a lacuna che dovrebbe essere colmata . ·· Ciò non esclude che gli ufficiali si mantengano al corrente della vita politica interna e della posizione della loro Patria· in campo internazionale e che essi abbiano proprie idee, avversioni e simpatie nei riguardi dei vari partiti: anzi, è doveroso per essi farlo, dato che devono essere saldamente inseriti nella collettività nazionale ed esercitare coscienziosamente il diritto di voto. Discorso simile potrebbe esser fa tto per i sottufficiali. 218
Ma col progredire lungo la scala gerarchica questo atteggiamento, non dico certo di agnosticismo, bensì ·di tiepido distacco verso le varie forme di attività politica dovrebbe attenuarsi· per gli ufficiali: secondo quanto ho poco fa a~cennato, nei ·gradi e negli incarichi elevati di comando gli esponenti militari devono non solo cercare e mantenere il contatto con gli esponenti politici al proprio livello ma altresì influire sull'attività di questi in direzione ed in misura rispondenti all'interesse çlell'Istituzione militare ed allo stesso interesse nazionale. Alti comandanti adunque con una certa preparazione, con una certa capacità di presa e con prestigio nel campo politico sono oggi necessari. Un paragone fra la posizione dei generali ed ammiragli alleati che ho poc'anzi nominati e quella delle nostre alte gerarchie militari nei confronti delle Autorità politiche nazionali risulterebbe sconsolante. Ho ripetutamente messo in rilievo l'incomprensione e la freddezza, se non talvolta l'ostilità, dell'ambiente politico odierno nei riguardi di quello militare ed ho tentato di individuarne le cause. Sarebbe necessario e vorrei aggiungere urgente per i militari guadagnare posiziòni presso le Autorità politiche. I militari dovrebbero anche in Italia avere un loro peso politico; non per fare della piccola politica rivolta a fini utilitari, ma per concorrere più efficacemente ad assicurare non solo la difesa militare della Nazione e, di riflesso, la pace col mondo esterno, ma anche l'ordine interno, la pace interna, la produttività interna ed il mantenimento di una linea di condotta efficace e dignitosa in politica estera. Questo guadagno di posizioni, questa risalita in quota non possono certamente avvenire se dalla parte politica non si manifesta un poco di arrendevolezza, di miglior disposizione. Ma ritengo che dipenda in larga misura dal contegno delle alte gerarchie mili(ari la possibilità di provocare simile cedimento: basterebbe che esse dimostrassero non solo quella elevata capacità professionale e quelle doti di tatto che so219
no ben note, ma anche, e soprattutto, dignitosa forza .di carattere ed energia. E che pres.entassero di fronte all'ambiente politico quella unità di intenti, quella compattezza spi.l!ituale ed intellettuale che purtroppo non sempre si rivelano nel comples~o delle tre Forze armate e talvolta nemmeno nelle singole Forze armate perché le ambizioni e gl'interessi personali, con l'aiuto magari di particolari appigli politici, hanno la prevalenza. Ecco .un terreno dove la casta potrebbe . ancota riuscire utile inducendo a far blocco!
I.,,"
220
e onclusione A questo punto ritengo di aver toccato tutti gli argomenti sui quali mi ero ripromesso di attirare l'attenzione del pubblico, intendendo per pùbblico quel gruppo di persone che può ancora oggi giudicare degni di particolare interesse i problemi relativi alla difesa nazionale ed alle Forze armate. Ma riterrei inopportuno e scortese distaccarmi dai lettori che hanno avuto la pazienza di seguirmi fin qui senza aver suggellato il discorso con una conclusione, senza aver tratto, cioè, dalla lunga trattazione un succo, un insegnamento o, in altre parole, l'indicazione di uno stato di fatto e delle vie da battere per correggere defi~ienze ed errori. Dal secondo conflitto mondiale l'Italia uscì con urio spaventoso carico di distruzioni: fra gli organismi in condizioni più critiche di efficienza. residua era certamente quello militare: Per le Forze armate la ricostruzione fu pronta e rapidissima grazie ad un accorto indirizzo politico che determinò l'ingresso dell'Italia nell'Alleanza atlantica, grazie agli aiuti statunitensi nel quadro della stessa Alleanza e grazie soprattutto all'opera entusiastica ed illuminata di ufficiali e sottufficiali rimasti in servizio. Ma mentre per altre attività la ricostruzione, sebbene all'inizio più lenta, è proseguita ininterrottamente e con ritmo crescente nel corso degli anni, per le Forze armate il progresso è andato man mano, nel complesso, attenuandosi e la curva dell'efficienza dopo le impennate iniziali ha finito col trasformarsi in una linea all'incirca orizzontale e con l'acquistare in qualche momento una pericolosa tendenza alla discesa. Inoltre il problema della difesa nazionale non è mai stato affrontato nella sua inte221
quando potrà essere realizzata: l'esperienza induce ad -essere. piuttosto scettici in proposito. Se ad un razionale ridimensionamento si riuscirà a pervenire in futuro, bisognerà far sì che la riduzione non incida soltanto. sugli enti militari ma si estenda agli elementi civili dell'Amministrazione militare ed alle propaggini politiche che in questa s'insinuano. , L'Alto Comando delle Forze armate, organizzato sulla base di leggi vetuste e riferentisi a situazioni ben diverse da -quella attuale, non può funzionare con piena efficienza. Si può anzi dire che, in conseguenza della mancata attribuzione di facoltà di comando ai Capi di Stato Maggiore e della incerta definizione di responsabilità di questi personaggi posti al vertice delle gerarchie militari, le Forze armate sono praticamente acefale. Di più l'esistenza, in seno all'Alleanza at_lantica, di Comandi integrati a fianco dei Comandi nazionali senza che siano state chiaramente determinat~ le linee di d~pendenza (nazionali ed i~teralleate) delle unità operanti né le aree di competenza. e di responsabilità dei Comandi dei due tipi, provoca interferenze e pericolosa polverizzazione di responsabilità. · Uscendo dall'ambito delle tre Forze armate tradizionali si 'rileva la tendenza delle varie forze di polizia a gonfiarsi oltre il necessario. Questa tendenza all'ipertrofia è ·ca{isata da una forza centrifuga, · difficilmente controllabile, che si manifesta quando le dipendenze sono molteplici (in questo caso da diversi Ministeri). Ne derivano doppioni, sovrapposizione di compiti e di interventi, dispendio. Altri difetti organizzativi di un certo peso non saprei rav·visare nelle Forze armate, ciascuna delle quali ha saputò adeguare abbastanza bene all'_incessante e rapido progresso tecnico ·ordinamenti, dottrina ed organizzazione addestrativa, mantenendo· in vita (questa conservazione è molto importante e dev'essere ad ogni costo perpetuata) le tradizioni e l'impronta dise:ip1ihare. Una certa insufficienza di coordinamento fra le :224
tre Forze armate dipende da quel difetto di organizzazione ddl',Alto Comando che ho più sopra menzionato. I difetti di bilancio si riducono ad uno solo: la cronica insufficienza dei bilanci militari rispetto alle esigenze della di0 fesa, riferite ad una nazione, come l'Italia, situata in posizione di notevole rilevanza strategica, dotata di antica civiltà, popolata da cinquanta milioni di abitanti e, secondo quanto risulta da incontestabili dati ufficiali, in pieno e rapido sviluppo economico. Dalla insufficienza di mezzi finanziari derivano alle Forze armate gravi inconvenienti nel settore dei materiali ·e d in quello del personale. · Per quanto concerne i materiali (armi e munizioni comprese), non solo non è possibile portare in ragionevoli limiti di tempo le dotazioni e le scorte ai livelli quantitativi e qualitativi che sarebbero necessari e tanto meno potenziarle, ma non si riesce neppure a sostituire sempre con tempestività quei materiali o quelle serie di materiali che raggiungono i limiti di usura previsti per il collocamento fuori uso o che vengono superati dai tempi e dal progresso tecnico: Superfluo sarebbe aggiungere che in simili condizioni l'organizzazione degli studi e delle ricerche · è, per i fini militari, misera e poco efficiente. Per il personale militare di carriera l'insufficienza di bic lancio si traduce in insufficiente trattamento economico di servizio e di quiescenza. Questo contribuisce in · misura notevole a inaridire le fonti di reclutamento e ad ingrossare l'esodo degli ufficiali (in genere dei migliori) verso impieghi c~vili meglio rimunerati. Troppo esigui di numero e comprendenti troppo scarsi elementi di valore sono i concorrenti alle carriere di ufficiale e di sottufficiale ed all'ammissione aie le varie categorie di specializzati a lunga ferma, sicché dei posti disponibili spesso una parte rimane vacante ed un'altra· viene malamente coperta. L'inconveniente è gravissimo e tende ad accentuarsi. · Il ·sistema di avanzamento degli ufficiali' a scelta conipa225 15
rativa (che è l'unico atto a salvaguardare l'interesse dell'Istituzione ed a conciliarlo con quello dei più meritevoli), an,che se recentemente ammorbidito · da provvedimenti e temperamenti vari, non sempre razionali al 100%, rende acuto il disagio di quegli ufficiali che, non essendo stati ammessi alla promozione, sono estromessi dal servizio attivo non appena raggiunti dai ferrei limiti di età con assegni rion sufficienti ad assicurare un decoroso sostentamento a loro ed alle loro famiglie. Un'ultima perniciosa conseguenza della esiguità degli stanziamenti di bilancio può talvolta manifestarsi con là' riduzione dei programmi addestrativi e con la soppressione di esercitazioni e manovre, vale ·a dire di strumenti molto importanti ai fini di quell'addestramento che costituisce attività essenziale delle Forze armate in tempo di pace. ·· · · In che cosa consistono i difetti di carattere spirituale? Anche questi possono essere condensati in una sola espréssione: crisi spirituale dei quadri, in special mòdò ·degli ufficiali di carriera. Esiste davvero una crisi spirituale degli ·ufficiali? Sì, senza ombra di dubbio, anche se più' o meno"'sfumata secondo i luoghi, le circostanze, i Comandi e reparti di appartenenza. E su di essa mi intratterrò rapidamente, pur ripetendo cose già note, allo scopo di presentare in modo · completo quest'ultimo quadro riassuntivo. · Le cause della crisi sono molteplici. Anzitutto la ·già ricordata insufficienza delle retribuzioni materiali ed il vedersi sistematicamente posposti ad altre categorie di statali nella concessione di miglioramenti economici e di onorificenze nazionali. Poi il fatto di · essere sopravanzati di uho o·due gradi al vertice della carriera da altre gerarchie statali (diplomatici e magistrati); lo sfavorevole trattamento subìto nella determinazione dell'ordine di precedenza fra i vari 'gràdi e le varie categorie nelle cerimonie ufficiali; l'essere praticamente esclusi dall'accesso al Parlamento in qualità di deputati e di senatori; il venire buttati in un canto senza speranza 226
di essere in qualche modo dignitoso utilizzati al termine ·di lunghe ed onorate carriere; la sensazione di essere incompres,i, trascurati o addirittura dimenticati dalle Autorità politiche, dalla quasi totalità dei partiti, da molte · Associazioni ed Istituti ·culturali, dalla maggioranza degl'intellettuali nostrani. Tutto ciò concorre a provocare, alimentare ed approfondire la Grisi. Ma non basta. Occorre aggiungere il quotidiano accerta· mento che i valori morali, i quali debbono costituire (primo fra tutti l'amore di patria) solida base di appoggio della compagine militare, sono ignorati o misconosciuti da tanta parte dell'ambiente politico e degli strati più colti ed evoluti della popolazione; che l'ideale, 1nolla e faro nella dura e difficile carriera militare, ha quasi dovunque ceduto il passo nella vita civile a ben diversi stimoli materialistici. Ne deriva il pericolo che gli ufficiali più vecchi ed elevati in grado perdano il mordente per lottare · a favore del prestigio e della posizione morale della loro categoria nonché dell'efficienza delle Forze armate, e che i giovani ufficiali, anziché sentitsi pervasi dallo spirito puro, ardente ed un pochino romantico che animò le generazioni passate, siano mòssi da avido · utilitarismo e si comportino come freddi ed egoistici :mestìeranti. Ma prima che il danno diventi troppo grave, prima che la china della via imboccata si accentui irrimediabilmente verso la· rovina occorre reagire vigorosamente, rimediare con volontà decisa e con saggezza. · Quali sono i rimedi? Le risposte sono implicite nella diagnosi dei mali, ma sarà utile esporle 'in tùtte lettere, anche a costo di ripetere affermazioni già fat te nel corso della trattazione. Il problema delle difesa nazionale è unitario, pur inipegnando numerose ed importanti attività civili, oltre a quelle ·militari, ed interessando molti Ministeri. E' quindi necessario che di esso venga direttamente investito il Presidente del Consigliò, il quale, valendosi di un organo apposito (un 227
Segretariato generale come in Francia o più semplicemente una Direzione generale od un reparto od un ufficio), retto possibilmente da un generale, dovrebbe impartire ordini e direttive ai Ministeri interessati e coordinare l'azione di questi. Così potrebbe e dovrebbe essere organizzata in modo efficiente non soltanto la difesa militare, ma altresì la difesa civile ed economica, col necessario supporto finanziario. E potrebbe essere efficacemente coordinata e limitata l'organizzazione delle varie forze di polizia, evitandosi sviluppi anormali e doppioni di enti e di interventi. Una soluzione di ricambio potrebbe essere quella di affidare l'intero compito della difesa al Ministero della Difesa, il quale vedrebbe così giustificata la propria denominaziòne. Ma in questo caso il Ministro della Difesa dovrebbe avere l'autorità necessaria per indirizzare e coordinare l'opera degli altri dicasteri ed ottenere quindi una delega dal Presidente del Consiglio ovvero essere altresì Vicepresidente del Consiglio. Una organizzazione del genere (Ministro della Difesa Vicepresidente del Consiglio) vigeva in Francia prima dell'avvento al potere del generale De Gaulle; ma, oltre al Ministero della Difesa, esisteva logicamente anche un Ministero delle Forze armate. Una organizzazione non molto dissimile (difesa civile affidata al Ministero della Difes a), ma con differenze derivanti dalla fisionomia di repubblica confederale e presidenziale, esiste negli Stati Uniti d'America. Tutto considerato, ritengo preferibile la prima soluzione. Naturalmente, anche se il problema della difesa nazionale verrà collocato, sul piano governativo, a livello della Presidenza del Consiglio, dovrà rimanere in vita e dovrà anzi essere potenziato il Consiglio Supremo di Difesa. La continuità e l'efficacia di azione di tale Consiglio potrebbero essere assicurate da una Segreteria permanente di non grande mole, costituita da pochi ufficiali e funzionari competenti e presieduta da un generale. Mi si accuserà di voler affidare ai generali una quantità esagerata di incarichi, ma il fatto è che 228
i generali, per forma mentis e per specifica preparazione, sono i più adatti a studiare e trattare questioni relative alla difesa nazionale. E mentre oggi l'unico rappresentante militare in seno al Consiglio Supremo di Difesa è il Capo di Stato Maggiore della Difesa, sarebbe logico che ne facessero parte in via permanente antre i tre Capi di Stato Maggiore di Forza armata, allo scopo di assicurare la presenza e la tempestiva, anzi immediata collaborazione di una completa delegazione di tecnici e (come rileverò fra poco) di alti Comandanti, che nel loro complesso dovrebbero costituire (come ripeterò più avanti) il « Comitato dei Capi di Stato Maggiore». Tracciate le grandi direttive dal Consiglio Supremo di Difesa, toccherrebbe al Presidente del Consiglio emanare le disposizioni esecutive ai vari Ministeri interessati: non sarebbe irrazionale che :il Capo dell'organo tecnico addetto al: la. Presidenza del Consiglio fosse lo stesso Capo della Se, greteria del Consiglio Supremo . . E vengo al gradino immediatamente al disotto: il Ministero .della Difesa, che dovrebbe più correttamente chiamarsi Ministero delle Forze armate. Tenuta presente l'opportunità che questo Ministero, per accrescere la propria idoneità a realizzare miglioramenti sostanziali nell'organizzazione e nel rendimento delle Forze armate, attenui le caratteristiche politiche ed accentui quelle tecniche, non sarebbe il caso di. porre alla testa di esso un tecnico, vale a dire un militare anziché un politico? Mi pare di udire un coro di voci scandalizzate e di protesta sorgere dalla schiera dei politici a questa mia uscita. Eppure gli Stati in cui i Ministeri militari e della Difesa sono affidati a militari sono nel complesso molto più numerosi di .guelli in cui gli stessi Ministeri rimangono in mano ai politici. E non mi sembra provvedimento antidemocratico destinare un militare a reggere il dicastero delle Forze armate attribuendogli una parte della responsabilità di Governo. Ciò risponderebbe se mai allo scopo di affidare ad 229
un tecnico un Ministero tecnico, seguendo un po' meglio di quanto oggi non si faccia il criterio della competenza; ,il che non contrasta per nulla coi principii e coi metodi democratici. A mio parere si è ecceduto nel politicizzare tutte le attività di Governo, comprese quelle che dovrebbero avere un'impronta prevalentemente tecnica, ed una correzione per il Ministero della Difesa risulterebbe vantaggiosa. Tutte le obiezioni in contrario sarebbero facilmente confutabili. Se proprio non si volesse togliere il suddetto Ministero dal gruppo degli obiettivi politici o si reputasse impossibile o prematuro (ma si tratterebbe di ritorno all'antico!) sottrarlo ai politici, si potrebbe, col Ministro civile, nominare Sottosegretari militari. O, meglio, affidare, con apposita legge, ai Segretari generali militari i compiti oggi devoluti ·ai Sottosegretari politici. In tal caso, al fìne di rendere più deboli e sfumate le linee divisorie fra le singole Forze armate, i Segretari generali dovrebbero, come oggi i Sottosegretari civili, ricevere attribuzioni interforze. Si ritiene forse che membri militari del Governo non sarebbero, o non potrebbero a causa di inibizione professionale, mantenere i dovuti contatti coi due rami del Parla-· mento? E perché mai? Una siffatta opinione sarebbe per lo meno strana, al punto da non meritare un'approfondita discussione. Non dovrebbe essere dimenticata o sottovalutata la economia di personale e di denaro (ed anche di carteggio) che si ricaverebbe dall'abolizione delle cariche di due Sottosegretari politici e delle relative ed abbondanti segreterie. In ogni caso, siano politici o militari il Ministro ed i Sottosegretari, i Capi di Stato Maggiore della Difesa e delle ·singole Forze armate dovrebbero avere, in virtù di nuove disposizioni legislative, attribuzioni e responsabilità ben definite, comprese in esse quelle di comando. Le Forze armate non possono, senza presentare gravi difetti di funzionamento e di rendimento, risultare acefale o con una dipendenza di comando nebulosa ed evanescente al vertice. La chiara deter230
minazione dei compiti e delle responsabilità eviterebbe quel conflitto, più o meno aperto o latente, che si manifestò per lunghi anni, nel lontano passato, fra Ministri e Capi di Stato Maggiore, in condizioni ambientali (bisogna riconoscerlo) molto diverse dalle attuali. · Inoltre il complesso dei quattro Capi di Stato Maggiore dovrebbe legalmente costituire, come nei principali Stati dell'Alleanza atlantka, il « Comitato dei Capi di Stato Maggiore», supremo organo collegiale tecnico e di comando nonché di consulenza per il Ministro della Difesa, per il Presidente del Consiglio e per il Presidente della Repubblica .. Il Consiglio superiore delle Forze armate, organo più ampio e comprendente anche rappresentanti civili dei principali Enti amministrativi, giuridici e cli controllo dello Stato, dovrebbe rimanere in vita per confortare coi propri pareri le massime Autorità responsabili delle Forze armate, ma con qualche differenza rispetto a quanto avviene oggi: un più ristretto campo d'azione, soprattutto nelle materie amministrative, ed· un potere più vincolante dei giudizi espressi. Nella situazione odierna il Ministro ed i Capi di Stato Maggiore omettono talvolta di sottoporre questioni molto importanti all'esame del Consiglio superiore delle Forze armate, anche se la legge lo imporrebbe, oppure, dopo averne sentito il parere, in qualche caso lo trascurano o decidono addirittura in senso opposto. Il che annulla il valore della consulenza e sminuisce il prestigio dell'alto consesso. Con un'Amministrazione centrale resa tecnicamente più valida e meno sensibile alle piccole pressioni ed interferenze politiche dovrebbe essere meno difficile operare le trasformazioni necessarie perché l'organizzazione militare risultasse più efficiente ed economica. Si potrebbe così realizzare un'Amministrazione (al centro e gradatamente anche alla periferia) più snella, più rapida nei riflessi, con una razionale fusione od unificazione delle attività e funzioni omologhe (amministrative, tecniche ed ovunque possibile di comando 231
e di impiego) e dei relativi organi delle tre Forze armate; di più Alto Comando organizzato secondo una struttura il più possibile simile a quella di guerra allo scopo di fronteggiare la pericolosissima ipotesi di un repentino scoppio delle ostilità. Sarebbe inoltre meno difficile ottenere che l'organizzazione dei Comandi integrati, destinati ad impiegare grandi unità italiane nel quadro dell'Alleanza atlantica, e quella dell'Alto Comando nazionale fossero tali da impedire interferenze e sovrapposizioni, da evitare pericolosi cambiamenti di organizzazione nel momento dell'emergenza, da chiarire nettamente le rispettive responsabilità, da salvaguardare il prestigio nazionale. All'insufficienza di bilancio si può rimediare in una . sola e semplicissima maniera: aumentando gli stanziamenti in misura rispondente alle insoddisfatte esigenze della difesa civile ed economica ed a quelle solo parzialmente soddisfatte della difesa militare. L'incremento deve essere sostanziale; in materia i provvedimenti timidi e di compromesso hanno un rendimento impercettibile. Si tratta, ad esempio, di raddoppiare o, quanto meno (tanto per incominciare), di moltiplicare per uno e mezzo, ed a chi trovasse questo esempio esagerato o pazzesco potrei opporre due osservazioni: come non si esita a destinare somme ingentissime al soddisfacimento di esigenze sociali, economiche e politiche di notevole rilievo, cosl non si dovrebbe ostacolare l'erogazione di tutti i mezzi finanziari indispensabili per assicurare una difesa effidente; l'esigenza della difesa condiziona tutte le altre giacché il giorno in cui, a causa di deficiente preparazione bellica, la pace non potesse più venire salvaguardata o la guerra scoppiasse con scarse probabilità di successo, nessuna esigenza civile di alcun genere potrebbe più avere garanzia ili soddisfacimento e tutti i beneficii, tutti i segni di benessere e di progresso sociale ed economico verrebbero travolti. Con un bilancio per la difesa sufficiente potrebbero essere impostati ed avviati a soluzione i numerosi e gravi problemi 232
inerenti alla protezione civile.ed all'organizzazione di tutte le altre attività civili essenziali ai fini della difesa della Nazione e si potrebbe così incontlnciare a colmare w1a paurosa, facuna. Nell'ambito delle Forze armate si potrebbero rinnovare e potenziare le dotazioni e le scorte di armi, munizioni e materiali, garantendosi in merito il raggiungimento del necessario. e desiderabile livello quantitativo e qualitativo di efficienza, e si potrebbero portare ad elevato tasso di rendimento l'organizzazione dei Servizi tecnici e quella di ricerche e studi; .le attività addestrative · potrebbero essere mantenute ad. uh ritmo pienamente fecondo per intensità e durata; il personale di carriera delle varie ·categorie potrebbe ricevere un trattamento economico adeguato, che varrebbe ad eliminare ·buona .parte delle difficoltà di reclutamento. Il rimedio per i difetti di carattere spirituale è alquanto più complesso e difficile da realizzare. Infatti per restituire ai quac;l ti di carriera delle Forze armate (ufficiali, sottufficiali, person;ile di truppa a lunga ferpia) la fiducia e l'entusiasmo per la loro: missione, per dare ad essi, non soltanto una pallida sensazionç, ma la sicurezza che la loro opera ed j loro sacrifici sono riconosciuti, apprezzati e seguìti con calore di affetto ~ di gratitudine dalla massa della popolazione ed in special modo dalle categorie dirigenti, intellettuali, politiche e governative, non basta che siano frettolosamente adottati uno o ,due provvedimenti intesi a migliorare di qualche poco le condizioni materiali e che qualche voce isolata si levi ogni· tanto a gridare « viva l'Italia, viva le Forze armate ». Qui ~i tratta di cambiare atmosfera, di trasformare mentalità irrigidite da lunghi anni di disinteresse e 'di prevenzione nei . riguardi della difesa nazionale e delle Forze armate ed in nori pochi casi di vero e proprio antimilitarismo. Difficile è individuare le cause di siffatte sfavorevoli disposizioni d'animo: forse un misto di repulsione congenita, di aspirazioni materialistiche ed anche di un inconfessato compless0. d'inferiorità. · 233
Si riconosca una buona volta che i militari costituiscono un gruppo di categorie a sé per il quale non v'è termine di confronto con alcun'altra categoria di servitori dello Stato sotto il punto di vista delle prestazjoni, del dovere, degli oneri in genere. In conseguenza di ciò le categorie militari dovrebbero avere un trattamento materiale e morale che le ponesse almeno alla pari delle categorie civili di statali fruenti delle condizioni più favorevoli. Si trovi il modo di aprire agli ufficiali dei gradi e con gl'incarichi più elevati le porte di almeno un ramo del Parlamento, come era una volta, di ammetterli, secondo le attitudini, in alti Istituti e Comitati scientifici o culturali, di renderli partecipi dell'assegnazione di premi o di attestati onorando i migliori nello stesso modo con cui si onorano e si premiano i benemeriti delle arti, delle scienze, delle industrie o degli sports, di segnalare o presentare i più meritevoli alla riconoscenza della Nazione. Si faccia cadere quell'invisibile barriera al di là della quale gli ufficiali si sentono ignora ti o sopportati dalle classi dirigenti. Si restituisca ad essi quel prestjgio di cui godevano un tempo e quella pienezza di funzione nel corpo e nella vita della Nazione, che è utile ,ed in talune circostanze necessaria per il bene della stessa Nazione. Di pari passo con la rivalutazione delle categorie militari dovrebbe essere svolta in tutti gli ambienti della Nazione un'opera continua, tenace e capillare di rivalutazione dei fattori morali; 1-'una è legata all'altra ed il culto di determinati valori spirituali non può rimanere confinato nel1'ambito militare, ma dev'essere esteso a tutti gli strati della popolazione per evitarne la lenta estinzione. L'amore di patria ed il perseguimento di nobili ideali siano rimessi in auge; si parli, soprattutto alla gioventù, un poco meno di diritti ed un poco più di doveri. So di avere additato obiettivi non facili da raggiungere , ma bisogna ad ogni costo raggiungerli se si vuole dotare 234
l'Italia di una difesa valida, allo scopo di conferirle dignità, prestigio e forza politica in campo internazionale e di metterla in condizioni di affrontare con successo la prova suprema nel caso deprecato ma non impossibile di un conflitto. Non disconosco gli sforzi compiuti sin qui per organizzare ]a difesa militare, ma nel complesso la nostra Patria, per le ragioni ripetutamente illustrate, è, non dico indifesa, ma parzialmente ed insufficientemente difesa. E' ora di assicurarle una difesa integrale ed efficiente.
235
'
Dicembre r 963
A. BE. T.E. Azienda Beneventana Tipografica Editoriale Roma - Via Prenestina, 683