STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO UFFICIO STORICO
L'ASSEDIO DI GAETA E GLI AVVENIMENTI MILITARI DEL 1860-61 NELL'ITALIA MERIDIONALE
ROMA - 2010
PROPRIETÀ LETTERARIA Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione anche parziale senza autorizzazione. © UFFICIO STORICO SME - ROMA 2010 ISBN 978-88-96260-10-4
Prima edizione, Roma 1926 Prima ristampa anastatica, Roma 201 O
PRESENTAZIONE
L'assedio di Gaeta condotto dalle truppe dell'esercito piemontese guidate dal generale Enrico Cialdini costituì l'ultimo atto del processo risorgimentale che portò alla scomparsa del Regno delle Due Sicilie e alla successiva proclamazione, il 17 marzo 1861, del Regno d'Italia, stato unitario, nazionale ed indipendente. Le ostilità dell'Armata Sarda contro i borbonici rifugiati a Gaeta iniziarono fra il 9 e l' Il novembre 1860 e si protrassero per oltre 100 giorni. In questo periodo gli ultimi sovrani di Napoli, Francesco II e Maria Sofia, ebbero modo di guadagnare gloria e ammirazione difendendo con coraggio l'onore militare della loro dinastia. La piazzaforte fu difesa eroicamente da poco più di 12000 borbonici, mentre il corpo d'assedio, sostenuto dalla Marina, poté contare su circa 18000 uomini, dotati di moderni cannoni a canna rigata che decretarono la fine delle fortificazioni costruite fuori terra. Nel pomeriggio del 13 febbraio 1861 le artiglierie cessarono il fuoco in seguito alla firma della capitolazione e, il giorno dopo, la bandiera tricolore sventolò sul monte Orlando. Agli ufficiali, sottufficiali e soldati dell'Esercito Reale delle Due Sicilie vennero concessi gli onori delle armi e la possibilità di riprendere servizio con il proprio grado nell ' Armata Sarda. Il re Francesco II di Borbone e la regina Maria Sofia, subito prima dell'entrata dell'esercito piemontese nella piazza di Gaeta, seguiti da principi e ministri, s 'imbarcarono sulla nave da guerra francese Mouette per recarsi in esilio a Roma, ospiti di papa Pio IX. Dopo Gaeta restavano ancora ai Borbone la cittadell.udi Messina e la fortezza di Civitella del Tronto. Mentre la prima, dopo un bre-
OAETA
AI PRODI CHE NELL'ASSEDIO DI GAETA
1860-61 FRA LE OPPOSTE ARMI PUGNANDO V ALOR0SAME1'~E CADDERO
QUESTA
MEMORIA
L'ESERCITO
ITALXANO
CONSACRA
1 868
Questa lapide fu posta sulla batteria Philipstadt a Gaeta, nel 1868 dal Generale Lanzavecchia di Buri.
8 CAPITOLO
VII. -
L'armisti:do. - La situaziono delle batterio italiane contro Gaeta. - La estensione del moto reazionario. . . . . . .
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))
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VIJJ. - La pal'tenza della squadra francese. - L a ripresa delle ostilità. - Il bombardamento del 22 gennaio 1861. - Il blocco e l'azione dellu. Marina Italiana . . . . . . . . . . . . IX. -
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X. -
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XI. -
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Le condizioni della piazza. - Lo scoppio dei magazzini a polvere dell'Opera di S. Antonio. 48 ore di tregua. - Il Consiglio di guerra.
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Le trattative della resa. -
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137
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155
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169
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.185
La capitolazione .
La partenza della Corte. - · Il saluto di Re
Fr11neesco alle truppe. - La rivista e la cerimonia suJl' istmo di Montesecco. - I prigionieri di guerra. - Corrispondenza fra i generali Fanti e Cialdini. - L'ordine del giorno del generale Cialdini. - Cousiderazioni. Il materiale trovato in Gaeta. - I colpi spa· rati. - Le perdite dei belligeranti. . )}
XII. -
Pag. 107
L'assedio della cittadella di Messina.
La convenzione Medici. - L'arrivo della brigata Pistoia. - La resistenza della guarnigione borbonicl'I. - L'invio di truppe da Gaeta e i preparativi per un attacco alla cit· tadella. - ti bombardamento, - L'arrivo della flotta. - La resa. »
XIII. -
Le operazioni contro Civitella del Tronto . .
Civitellit e la sua guarnigione. - La legione Volontari del Sannio. - Le operazioni del generale Pinelli. - L'assedio. - L'arrivo del generale Mezzacapo. - La resa della fortezza. SPECCHIO
dei Corpi dell'Esercito Italiano che parteciparono a!lA. campagna del 1860-61 nell'Italia Meridionale.
Il Generale d'Armata Enrico Cialdini, Duca di Gaeta.
PREMESSA
Questo riassunto è la continuazione dell'opera sulla Campagna nelle Marche e nell'Umbrilì e, si ricollega a precedenti studi del'd'Ufficio Storico riguardanti gli assedi di Gaeta del 1806 e del 1815 (1). Non si è creduto di anteporre alla narrazione degli avvenimenti una speciale trattazione sull'esercito Borbonico nel 1860, essendo tal' argomento stato da altri largamente trattato (2). Nè si sono accentuati i particolari strettamente tecnici della difesa e dell'assedio di Gaeta perchè furono già pubblicate le relazioni dei generali Valfrè e Menabrea per l'azione dell'artiglieria e del genio e perchè sono note agli studiosi le preziose riproduzioni plastiche, le raccolte iconografiche e di ci~li, con tanta competenza riunite e ordinate nel museo del genio a Castel S. Angelo. Altrettanto dicasi nei riguardi della relazione dell'ammiraglio P ersano, già pubblicata in diverse opere, e in diverse epoche, per il concorso dato dalla flotta in questa campagna di guerra. (1) Col.
ATTILIO VIGEVA NO -
La Campagna delle Marche e dell'Umbria.
( U. S. 1923).
Gen. di Div. GrnsEPPE CARMINE F ERRARI (già col. Capo dell'U. S.) - Il Gen. Begani e la difesa di Gaeta nel 1815. (U. S. Memorie Storiche Militari. Fas-c. 23 del 1914). (2) Ten. Col. TITO BATTAGLINI - La (tne di un Esercito. (l-loma, 1915).
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Le fonti principali da cui è tratto il presente riassunto sono pertanto essenzialmente due: la numerosa bibliografia esistente sulla fine del Regno di Napoli e la documentazione ufficiale, fin qui ine-dita, conservata nell'Archivio Storico dello Stato Maggiore. Tale documentazione è co~tituita in gran parte dalle carte che il generale Cialdini lasciò al suo aiutante di campo, col. Minonzi, e dai diari e dai carteggi della campagna del 1860-61 che lo stesso archivio conserva in originali ed in una preziosa ed unica raccolta. La narrazione, avvalorata così dalle prove documentate più si· cure si è sopratutto preoccupata di seguire gli avvenirrumti riguar· danti l'esercito regolare, colmando così la lacuna che intercedeva fra le precedenti pubblicazioni dell'U. S. sulle campagne di guerra del 1859 e del 1866. Altre pubblicazioni secondarie inserte nei fascicoli delle « Me· morie Storiche » dal 1910 al 1914, potranno completare per speciali argomenti l'opera di taluni reparti e l'azione politica e mrntare di quell'interessantissimo periodo del nostro Risorgimento. Ai capitoli che trattano particolarmente di Gaeta si è perciò credul-0 necessario di far precedere la narrazione succinta dei fatti d'armi attraverso i quali il IV e V corpo d'armata poterono avan· zare da Ancona a Gaeta, e di far seguire un cenno storico, parimenti documentato con elementi d'archivio finora inediti, sugli ultimi due episodi, degli assedi di Messina e di Civitella del Tronto, che segnarono la fine della dinastia Borbonica e la definitiva annessione di tutte le provincie meridionali al Regno d'Italia.
CAPITOLO I.
L'ultima difesa e gli ultimi difensori di un Regno. L'assedio di Gaeta non è un fatto isolato, ma è invece l'episodio più saliente e decisivo della campagna di guerra che si svolse nell'Italia Meridionale dall'ottobre del 1860 al marzo del 1861. Questo periodo di! tempo comprende infatti le operazioni mmtari che dopo la resa di Ancona sì susseguirono ininterrottamente attraverso gli Abruzzi e in Terra di Lavoro, e per le quali l'esercito piemontese divenuto esercito italiano si incontrava coi volontari di Garibaldi nella loro epica marcia dalla Sicilia al Volturno. Occorre quindi riassumere anzitutto questo complesso di avve· nimenti militari, nei quali però ebbe tanta parte l'azione politica <:ia offrire alla guerra del 1860-61 una fisionomia del tutto parti· ~olare. L'episodio di Gaeta che maggiormente culminò, a cavaliere delle operazioni in aperta campagna e di quelle che per poche settimane proseguirono a Messina e a Civitella del Tronto, ebbe infatti tutte le caratteristiche di una grande azione bellica, ma più ancora un'im· portanza politica così rilevante che l'Italia e le cancellerie euro· pee, lo consideraronO' come l'ultima scena del dramma pel quale cadeva la dinastia dei Borboni di Napoli, e il mezzogiorno della Penisola entrava compatto a far par-te del Regno d'Italia. Se da queste pagine emergerà pertanto lo svolgimento veridico degli avvenimenti, non potrà tuttavia emergere molta parte di quel1a luce segreta che potrebbe ancora scaturire da carteggi riservati, tut· tora conservati presso gli archivi di quelle potenze e segnatamente del Vaticano, che ebbero relazioni coi Sovrani di Napoli.
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Nè si potranno ottenere elementi di più severa indagine da altri carteggi d'indole privata, come le notei di ministri e generali borbonici perchè un sentimento di rispetto verso la memoria dei padri ha impedito fin qui, e impedirà ancora ai figli di quegli uomini, di rendere quelle carte di pubblica ragione. Dai loro appunti indubbiamente poco laudativi verso il governo italiano non potrebbe trasparire d'altronde che un sentimento rea.· zionario e legittimista troppo discordante colle idee che sono andate trasformandosi in questi 65 anni di vita italiana. Lo storico imparziale potrebbe invero vagliare e giudicare quelle carte colla maggiore benevolenza, ma non tutti i lettori saprebbero attribuire al tempo, all'ambiente, aJJa stessa devota riconoscenza di sudditi onesti e convinti, gli apprezzamenLi che per la verità storica dovrebbero essere pubblicati integralmente, senza commenti, senza mutilazioni. Mancando tali elemanti originali e genuini, manca il colore storico e perciò la sola narrazione ufficiale fatta dopo tanto tempo da studiosi italiani non può penetrare sufficientemente l'anima e le ragioni per le quali i Piemontesi furono chiamati usurpatori, per le quali Gaeta, Capua, Messina e Ci.vitella del Tronto resistettero ostinatamente prima di cedere alla forza delle armi e non a quella convinzione che il sacrificio di piccoli interessi locali richiedeva per la grande causa dell'unità d'Italia. Il popolo forse ebbe nel suo naturale intuito questa concezione, e apri infatti le porte di Napoli a Garibaldi trionfatore, ciò che non poteva evidentemente pretendersi dalla Corte e da tutti coloro che coUa Corte avevano relazioni ed int.eressi, o che per sentimento atavico, o di dovere, erano ligi alla causa borbonica. Nessuno di essi poteva rinunciare in un attimo alle proprie con· vinzioni per abbracciare un ordine di cose che si prospettava come un portato della rivoluzione, contro lo Stato e contro la religione. Questi sentimenti eccelsero infatti nel governo e in quella parte dell'esercito che si chiuse in Gaeta, ed ebbero contraccolpo di rea· zione fra le classi delle campagne. La guarnigione assediata si difese colle armi per un principio di legittimità e di onore, le popolazioni abbandonate a sè stesse e sobillate da pochi interessati opposero al nuovo ordinamento statale quella forma di guerriglia tormentosa che prese il nome di brigantaggio. Con questi due mezzi, in due diversi teatri di lotta, ma per la medesima causa, gli ultimi resti dell'antico r eame s1 difesero contro la corrente liberale e mentre qualche gen~ale del Borbone chiuso
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nella vecchia fortezza fu impotente ad architettare e guidare un' azione di guerra, non appena liberato favorì l'insidiosa minaccia del· l'agguato per mezzo di bande pagate dalla Corte, anima.te dalla spe· ra.nza di un ipotetico ritorno all'antico regime, sostenute dalla fede religiosa in antagonismo esagerato e svisato contro le idee giacobine della rivoluzione italiana. L'esercito sbandato ed una parte del clero ignorante favorirono inoltre nelle campagne la continuazione di quella lotta che aveva avuto il suo epilogo ufficiale a Gaeta. Lo stato della Chiesa non volle in verità apparire connivente all'impresa e combattè colle sue squadriglie, dal trattato di Cassino del 24 febbraio 1867, il brigantaggio, ma prima di quell'anno per· mise che pubblicamente in Roma, in piazza Montanara e nei pressi di palazzo Fa.mese cioè sotto l'egida dei sovrani decaduti e delle autorità pontificie, si facessero arruolamenti per intralciare l'azione unificatrice dell'esercito e delle autorità politiche italiane nelle provincie meridionali. Siffatta ribellione era stata bandita a Gaeta durante l'assedio e si tradusse in atto dal giorno in cui Francesco II dal Quirinale prima,, da palazzo Farnese poi, ospite di Pio IX continuò a tenere presso di sè nelle antiche cariche i propri ministri, come un sovrano in esilio temporaneo soltanto. Forse al giovane Re non sarebbe bastato l'animo e la costanza p2rchè la lotta non affievolisse, ma accanto a lui stava la Regina Maria Sofia, che come aveva persistito virilmente a difendere l'ultimo baluardo del suo regno, persisteva ad ostacolare senza scru· poli di mezzi, il compimento della vittoria italiana, e con lei erano ministri fedeli , generali interessati alla lotta, gregari convinti della necessità di non cedere anche se battuti. La propaganda e ia guerriglia erano d'altronde assai facili in un paese per sua natura sentimentale, sul quale da oltre 120 anni aveva dominato la triste dinastia borbonica, e nel quale il governo italiano aveva d'un tratto, turbato antiche costumanze, leso non pochi interessi senza potervi sostituire subito quelle riforme che i danneggiati reclamavano. Questo insieme di cause morali e materiali non deve essere dimenticato, costituendo elemento sostanziale nella psicologia dei difensori di Gaeta e punto di partenza nel giudizio che per essi potrà formu lare un giorno la storia.
CAPITOLO 11.
Da Ancona a Gaeta Le operazioni dell' Esercito regolare (8 ottobre - 10 novembre 1860). La marcia attraverso gli Abruzzi - Gli scontri del Macerone e di S. Giuliano - Il passaggio del Garigliano - Il combattimento di Mola di Gaeta - La divisione De Sonnaz a Terracina e il concentramento dei borbonici in Gaet.a e sull'istmo di Montesecco - L'assedio e la resa di Capua.
Felicemente compiuta con la resa di Ancona la campagna nelle Marche e nell'Umbria, S. M. il Re Vittorio Emanuele II , assumeva il 3 ottobre 1860 il comando supremo dell'Esercito per iniziare l'avanzata verso le provincie meridionali {3) . Tale assunzione consigliata da ragioni di opportunità essenzial· mente politiche rispondeva infatti ai voti delle comrrmissioni invia.te al Sovrano da Napoli e dagli Abruzzi, per chiedere l'immediata occupazione da parte delle truppe italiane, e dava nello stesso tempo all'Europa la sensazione tangibile dell'intervento diretto del Re in un'impresa nella quale si sarebbe suggellato l'incontro e l'accordo dell'esercito garibaldino, trionfante dal Faro al Volturno, con l'ese.rcito regio vittorioso a Castelfidardo. (3) Per le operazioni che condussero all'occupazione delle Marche e dell'Umbria vedere (come si è detto nella 1a nota) la pubblicazione dell'U. S.: La Campagna nelle Marche e nell'Umbria. Col. A. VIGEVANO, 1923.
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Il generale Manfredo Fanti nominato generale d'armata rimaneva pertanto a fianco del Re con la carica di Capo di Stato Maggiore generale, e i due generali Enrico Cialdini ed Enrico Morozzo della Rocca, rispettivamente comandanti del IV e V Corpo, venivano parimenti nominati gern~rali d'Armata e incaricati di proseguire, sotto la direzione del Fanti, le operazioni nel regno di Napoli. Se non che, per nuove esigenze d'indole militare, in r elazione al piano d'operazioni, la composizione degli stessi corpi d 'armata veniva, per ordine del generale Fanti, in parte modificata. Venne sciolta la divisione di riserva, si costituì un comando di cavalleria affidato al generale Di Savoiroux, i due reggimenti lancieri di Nizza e di Piemonte Reale costituenti la I. brigata passarono alle dipendenze del V Corpo, e la i3a divisione fanteriéi che aveva così validamente operato nelle precedenti operazioni agli ordini del generale Raffar le Cadorna, veniva inviata a guardare la linea del P o (4). Dalla Brigata Bologna, già facen te parte della disciolta divisione di riserva, un reggimento, il 3!!", fu destinato a presidiare Ancona e l'altro, il 40°, insiem.3 al 9° e 200 battaglione bersaglieri, uno squadrone di Nizza , una batteria da montagna con una sezione rigata Stenhopa, e i Cacciatori del Tevere (5) costituì una colonna mobile agli ordini del generale P inelli, destinata negli Abruzzi per r eprimervi eventuali moti r eazionari e facilitare l'avanzata del corpo d'operazioni principale. Ai generali Brignone e De Sonnaz vennero inoltre affidate altre due colonne, la prima composta del 3° granatieri, di due squadroni di Nizza e 8 pezzi da campagna, coll'incarico di raggiungere Aquila e di unirsi poi nei pressi di P opoli al V corpo , e la seconda composta del 4° granatieri, del 14° battaglione bersaglieri e 8 pezzi col com pito di raggiungere Manfredonia per via di mare e attraversando l'I4
(4) Non era fuori di luogo la preoccupazione di guardare questa linea. L'Austria durante l'assedio di Ancona aveva tenut.o un contegno di attesa e la sua flotta era in efficienza nel canale di Fasana agli ordini diretti dell'Arciduoo Mass imiliano. Un rovescio dell'Esercito Italiano nelle Marche avrebbe determinato certamente l'intervento austriaco, e non era esclusa la possibilità di tale intervento qnatora le operazioni nell'Italia meridionale non avessero avuto il desiderato successo. (5) Per questo corpo volontario vedere: / Cacciatori del Tevere (U. S. Jlfemorie storiche - fa se. 4 del 1910).
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talia meridionale da Foggia a Benevento portarsi poi a Napoli o a Capua come avrebbero richiesto le circostanze (6). Queste due ultime colonne divenivano così fiancheggianti del grosso, costituito da due corpi d'armata che dovevano procedereriuniti fino a P escara seguendo la via litoranea dall'Adriatico, per risalire poi a Chieti, e girando attorno alla Maiella, scendere su Isernia. Ma oltre al mandato fiancheggiante le stesse colonne adempivano nella loro marcia anche ad una funzione politica, rassicurando le popolazioni timorose di rappresaglie reazionarie e allargando lateralmente il raggio d'azione dell'occupazione italiana (7) . P er tali disposizioni il IV e il V Corpo rimasero un pò assotti· gliati nei loro effettivi; il IV corpo restò costituito dalla 4"' e 7• divi· sione, dai lancieri di Novara e di Milano, da una brigata di artiglieria e dalla 6\ 7• e s• compagnia del genio; il V non ebbe che la 1• divisione fanteria, la 1• brigata di cavalleria, una brigata d'arti· glieria e la 5• e 1oa compagnia del genio. In tutto 46 battaglioni, di una forza non superiore a 400 uomini ciascuno, 14 squadroni e 10 batterie. Al V corpo fu poi assegnato anche il comando superiore del genio (Iuogotenent.e generale Menabrea) Ml parco e la 1.. e la 3a. com· pagnia del genio. Il concetto strategico in base al quale furono date le disposi· zioni per l'itinerario del corpo principale e delle colonne fiancheggianti era di riuscire al più presto alle spalle dell'esercito borbonico sulla destra del Volturno, costringere il nemico a battaglia fra il Garigliano e il Volturno e distaccarlo da Gaeta e dal confine pontificio. Scelta perciò come direttrice generale di marcia la via degli Abruzzi che i borbonici avevano lasciata sgombra, fu deciso di rag(6) Essendo slato il generale Brignone destinato al comando della 14.. Divisione in Napoli, il comando della colonna fu assunto dal colon·
nello Quadrio di Ceresole. (7) La colonna De Sonnaz salpò il giorno 8 ottobre da Ancona su quattro legni della marina italiana. Era forte di 2300 uomini ,circa. Giunta il 12 a Manfredonia iniziò subito la sua marcia attraverso le Puglie e per Foggia, Bovino, Ariano, Benevento arrivò il 23 a Maddaloni dove si congiunse alla brigata Re e al 1° battaglione bersaglieri inviati da Napoli. Passato il Volturno a S. Angelo prosegui poi per Capua per unirsi ai volontari del generale Medici coi q uali iniziò e condusse a termine l'assedio di quella piazza.
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giungere questa linea. seguendo la littorale adriatica fino al Pescara, poi risalire questa valle e scendere quindi, come si è detto, sul Volturno, battervi l'esercito borbonico e congiungere così l'armata regia ai volontari di Garibaldi. Il movimento fu pertanto iniziato la mattina del 7 ottobre dalla 4" divisione (generale Leotardi) che lasciati i suoi accampamenti sotto Ancona si diresse per Osimo, mentre la 7" (gen. Oi Villamarina) muoveva da Pedocchio verso i piani d'Aspio. Il gen. De Sonnaz col suo corpo speciale si imbarcava intanto ad Ancona e il gen. Carne· rana dopo aver assunto in Ancona il comando delle truppe della 1• divisione, lasciava il giorno 9 i campi di Monte Pelago e Monte Pulito per trasferirsi egli pure ai piani d'Aspio. Il mattino del 9 partivano le rimanenti truppe del V corpo, as· siem~ al quartiere generale, raggiungendo l 'ii ottobre Portofermo mentre il IV soggiornava a Grottammare. A mezzogiorno arrivava a Grottammare anche S. M. il Re col quartiere generale principala. L'accoglienza delle popolazioni delle Marche e del Piceno fu oltre ogni dire entusiastica, ogni paesello mandò la sua deputazione al Re, ogni borgo ebbe i suoi archi di trionfo, luminarie, feste, per signiflr.are quanto riuscisse gradito l'arrivo delle truppe italiane. Il giorno 12 il IV corpo d'armata riprese la sua marcia da Grot· tammare e giunse la s2ra stessa a Giulianova. Le truppe italiane varcarono in quel giorno il Tronto ed entrarono nel territorio del Regno di Napoli. La 4" divisione che precedeva si fermò sotto Tortoreto non l ungi dallo sbocco del Salinello nel mare, e la 7' divisione un po' più indietro nei piani di riva destra del torrente Vibrata; sul rovescio delle posizioni occupate dalla 4". La brigata Bergamo venne distaccata a protezione del fianco destro in vista della rocca di Civi · tella del Tronto occupata da una guarnigione borbonica. Xumerose richieste inoltrate al passaggio di queste truppe dalle autorità locali, perchè fossero lasciati presidi di truppe regolari, non poterono venire esaudite per non depauperare con distaccamenti il corpo di spedizione, ma il gen. Fanti che aveva intanto raggiunto il quartier generale principale non mancò di rassicurare al riguardo le popolazioni, notificando che ~ra già in marcia la colonna mobile del generale P inelli coll'incarico di proteggere appunto quei centri dove la situazione poteva farsi pericolosa per le violenze dei rea· zionari e pei frequenti atti di malandrinaggio che si verificavano. Dal 12 in avanti fu infatti necessario, non solo per questo compito di natura politica ma anche per la possibilità di un incontro con
St:s!a /: 1. 000.000
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i borbonici, circondare la marcia con numerose truppe ùi sicurezza.
Il comando di una speciale avanguardia fu affidat-0 al magg. gen. Griffini che ebbe ai suoi ordini il 6° e 7° battaglione bersaglieri, 1 due reggimenti lancieri di Novara e Milano, la oa e 8.. comp. zap· patori del genio ed una sezione di artiglieria. Questo reparto misto si portò nella sera stessa avanti al fronte del corpo d'armata e ac· campò alle foci del Tordino. A Grottammare intanto, giungeva e soggiornava tutto il giorno 13 il V corpo, mentre il IV proseguendo il suo cammino arrivava a Pescara, a Silvi e alle foci del \'omano. La fortezza di P escara abbandonata in fretta dalle truppe borboniche dopo essere stata da poco approvvigionala e munita per di· venire una base del loro corpo d'operazioni negli Abruzzi, forniva un eccellente appoggio alla marcia delle truppe italiane, era armata di una cinquantina di pezzi, aveva magazzini, caserme, e costituiva anche una buona testa di ponte sul fiume P escara allora attraversato da un ponte di barche lungo circa 80 metri. Lasciato da questo punto il litorale, il Iv. corpo iniziava la sua marcia di addentramento negli Abruzzi, e giunto a Chieti accam· pava al di là della città, da dove non appena raggiunto il giorno 16 -dal V Corpo proseguiva per Guardiagrele. Così i due corpi di armata che avevano fino allora seguito una sola direttrice di m~rcia, si dirigevano: il IV per Chieti e Castel di Sangro su Isernia e il Y pure su Isernia ma risalendo il Pescara. Le due colonne girando attorno al massiccio della Maiella veni· vano in tal modo a ricongiungersi oltre il piano di Cinque Miglia, e da Roccaraso in poi proseguivano riunite verso i maggiori centri della reazione e nel più probabile teatro delle operazioni. S c ontro d e l lllacerone (26 ottobre 1860).
Il primo reparto italiano che prese contatto con le truppe hor boniche, fu l'avanguardia del IV corpo in marcia da Rivisondoli su Isernia (8). Contro di essa venne a trovarsi la mattina del 20 ottobre (8) All'infuori di pochi botlaglioni est'eri che facevano parle dell'esercito borbonico, i combatrenti di questa campagna erano d'ambo le parti italiani. Seguendo le diciture dell'epoca dovremmo distinguerli in truppe Sarde o Piemontesi e in truppe Napoletane, ma per diYersc ragioni facili a comprendersi preferiremo di chiamare le prime come le chiamò Cavour nei suoi dispacci ufficiali, cioè italiane, e le seconde borboniche o de(lf' Due Sicilie, atlonendoci ad una designazione statale che scomparve in· latti soll<lnto dopo la campaQ'na, cioè nel 1861.
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un distaccamento borbonico, di 5700 uom~ni con 4 pezzi di artiglieria, comandato dal generale Douglas Scotti, il quale aveva ricevuto ordine di avanzare da San Germano verso il passo del Macerone per sbarrare la marcia del nemico. In verità quest'ordine era stato dato dal Re Francesco II pa· recchi giorni prima, senza alcuna direttiva nè informazione che po· tessero guidare l'azione del comandante, cosicchè questi, male rag· guagliato sulle forze avversarie che riteneva di gran lunga supe· riori, e incerto sulla possibilità di essere appoggiato da altre truppe laterali o ret.rostanti, giunto al Macerone tentò di sbarrare quel colle con intendimento puramente difensivu, se non che invece di occuparne la sommità, collocò al centro, cioè sulla rotabile a piè tiel colle i 3000 gendarmi di cui disponeva e pose sulle alture di destra e di sinistra i rimanenti soldati di linea e i terrazzani armati che completavano le sue forze. Le due divisioni del IV corpo italiano intanto, pP:r l'asperità dei luoghi e le difficoltà di quel tratto di strada che supera per l'ultima volta i monti dell'Abruzzo prima di scendere al piano, erano ri· maste un po' indietro rispetto all'avanguardia. La 4a divisione aveva infatti oltrepassato di poco Rionero e la 7" era giunta appena a Roccaraso colle sue prime truppe. Cosicchè nell'eventualità di qualche incontro, il generale Cialdini aveva mandato l'ordine al generale Griffini di non impegnarsi a fondo e di avvisarlo prontamente. Giunto pertanto il Griffini la sera del19 sotto il monte Macerone, giudicò quella posizione una delle chiavi della valle del Volturno e vi mandò una compagnia di bersaglieri e un plotone di cavalleria Novara per stabilire lassu un posto avanzato di sorveglianza. Nella notte poi, lo stesso generale salì egli pure sopra la vetta, e informato che i borbonici avanzavano da Isernia, prima dell'alba chiamò sul colle i due battaglioni, 6° e 7° bersaglieri, la compagnia del genio, e il 1° squadrone di Novara, mandandone subito avviso al Cialdini, e chiedendo d'urgenza di essere rinforzato. Quando cominciò a far giorno, nonostante la fitta nebbia, il Griffini vide un moviment-0 di truppe lungo la strada, e fra gli alberi delle montagne laterali alcuni cacciatori borbonici, i quali appena si videro alla loro volta scoperti, fecero fuoco. Il CJ' battaglione si schierò allora in catena e rinforzato dal 7° che si stese sulla sua sinistra si apprestò a ricacciare il nemico. Considerato però il pericolo di venir trascinati ad un combattimento, che per il soverchio ardire dei bersaglieri poteva iniziarsi con forze troppo esigue prima del-
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! 'arrivo dei rinforzi richiesti, il Griffini, dopo i primi colpi d fuoco ordinò ai due battaglioni di ritirarsi sotto la protezione di due pezzi prontamente portati in batteria e della compagnia del genio. Quel movimento retrogrado fu subilo notato da un reparto borbonico, il quale, preso l'ardire, avanzò di corsa, cercando di aggirare i bersaglieri. Per quasi tre ora l'avanguardia con prudenza e fer· mezza mantenne tuttavia quella posizione, trattenendo il nemico con un combattimento temporeggiante, fino a che verso le 9 arrivò finalmente il generale Cialdini, seguito dalla brigata Regina, la quale aveva fatto il possibile per giungare in tempo, e aveva con molto sforzo superate le difficoltà del terreno e la faticosa salita. Il Cialdini disapprovò sulle prime l'iniziativa pericolosa del comandante della sua avanguardia, ma giunto lassù col 1° battaglione del 9' fan· teria, e rasosi conto della situazione, ordinò immediatamente che questo battaglione si schierasse sulla linea dei bersaglieri e approfl ttando di un momento in cui il nemico pareva incerto di avanzare o di retrocedere, dispose per una energica offensiva colle poche truppe che aveva sottomano. Il battaglione del 9° condotto dal capo di stato maggiore colonnello Piola Caselli e dal suo comiandante maggiore Parocchia, fu lanciato quindi alla baionetta contro la colonna principale borbonica che trovavasi già a tiro dì fucile; il 6° battaglione bersaglieri con la compagnia del genio furono lanciati contro le alture che sorgono a destra della strada in salita e i rimanenti battaglioni della brigai.a Regina presero posizione a sostegno delle truppe impegnate nel contrattacco. Il generale Griffini messosi alla testa del 1° squadrone lancieri di Kovara, comandato dal capitano Montiglio, e seguito dal 7° battaglione bersaglieri agli ordini del maggiore, Negri, raggiunse il battaglione P arecchia e passando con questo, col predetto battaglione Negri e colla cavalleria attraverso le file nemiche le rovesciò sui lati della strada, procedendo poi fino ad Isernia, dove giunse prima che vi arrivassero i fuggiaschi. Due compagnie del 1° bersaglieri, la 26· e la 2s• gettandosi in· tanto a destra e a sinistra dE>lla strada, e inerpicandogi sulle alture laterali, riuscirono a fare una kentina di prigionieri e ad impadro· nirsi di un obice carico, della bandiera e di tutti gli strumenti musicali del 1° di linea. Il generale Scotti precedendo in carrozza le sue truppe in fuga, giunto ad Isernia si arrese al Griffini assieme a 35 ufficiali, 613 sol· da'ti e 19 terrazzani.
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« Io non so - scriveva più lardi il Cialdini nella sua relazionPquale delle due cose sia più strana e maravigliosa, se il valore di un pugno di uomini che si getta a corpo morto in mezzo a nemici trenta volte più numerosi, o la demoralizzazione di questi che non pensano alla difesa o si lasciano menare prigionieri da quelli » . Il fatto d'armi del Macerone assai modesto per se stesso si può tuttavia considerare, specialmente per i bersaglieri e la cavalleria, come uno dei falli d'armi più brillanti della campagna, nel senso che ottenne senza perdile un notevole risultato, e cioè l'occupa'.l.ione del centro reazionario di Isernia e il distacco dei borbonici della linea del Yolturno. Il generale Douglas Scotti fu accompagnalo dal te11ente Borromeo dei lancieri Aosta, aiutante di campo di Cialdini, fino a Sul· mona, e di là Yenne consegnato a Terni al generale P inelli in attesa di ordini per trasferirlo a Torino. Il suo capo di S. M. Gioachino Auriemma, con altri uftieiédi prigionieri, fu trattenuto aù Isernia.
Consegue nze d e llo scont ro d e l l\laceroue e diSJ>O@lzioni borboniche .
Comt, conseguenza dtd Macerone, i borbonici sgombrarono nelle giornat-e del 21 e 22 la linea del Yolturno, la guarnigione di Caiazzo ebbe ordini di portarsi a Calvi e una gran parte delle truppe di Capua fu levata per concentrare le forze nei pressi di Torre Francolini, con un distaccamento di copertura sul fianco sinistro a Teano. La 7a divisione italiana raggiungeva intanto la 4& ad Isernia men· tre il generale Cialdini faceva una ricognizione su \'enafro spiRgen· dosi fino a Pettoranello con due battaglioni del i6° agli ordini del maggiore Bracco, senza poter raccogliere alcun indizio di presenza del nemico. Durante queste operazioni del IV Corpo d'Armata , il V corpo giungeva a Sulmona, dove pure arrivava Sua Maestà il Re scortato dal i6° battaglione bersaglieri, e proseguendo per Castel di Sangro si univa il giorno 22 ad Isernia alle truppe del generale Cialdini. I due corpi riuniti sommavano ad un totale di i9 mila uom~ni. La popolazione di Isernia accolse il Re Vittorio Emanuele e i comandi generali con una certa fredde,zza. Da un mesa quel territorio era in preda al terrore. aveva subìto incendi e devastazioni da parte dei reazionari , requisizioni d'ogni genere dai gendarmi e mal· trattamenti da pari.e di qualche reparto di garibaldini che era ve·
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nuto per soffocare la reazione. Sotto queste impressioni di recenti e luttuosi avvenimenti la città apparve perciò tnste e silenziosa, non nascondendo nuovi timori di rappresaglia. Sua Maestà, ospitata in casa Cimarelli, ebbe in quei giorni lunghi colloqui col generale Fanti, che preoccupato di questo stato di cose, e visto l'esito dubbio delle ricognizioni sulla presenza del nemico, fatte 6seguire dal Cialdini, intuì il pericolo di una grave influenza reazionaria attorno al corpo d'operazioni e in tutto il regno di Na· poli, per cui decise di lasciare il 25° fanteria a guardare i prigionieri napoletani, il comando della brigata col 26° di presidio ad Isernia, e d1 continuare con tutte le truppe una avanzata per la valle del Vol· turno su Venafro e 'l'eano per congiunge,rsi a Garibaldi. Egli spe· rava inoltre di incontrare l'esercito borbonico e di venire ad una decisiva battaglia che permettesse di staccare il nemko dai suoi baluardi e dalla sua linea naturale di ritirata per il Liri ed il Sacco verso i confini dello Stato della Chiesa. Contro ogni eventuale velleità reazionaria, prima di lasciare Isernia, lo stesso generale Fanti, emise però quel bando che fu il primo atto ufficiale per la r epressione del brigantaggio (9). La notizia del combattirrrento del Maceron& si era intanto pro· pagata per tutti gli accampa.mentii borbonici e da quel momento parve imminente la dichiarazione da parie del Re Francesco che si dovessero cedere le armi di fronte a un nemico superiore di forze e di m3zzi . Si diceva infatti che 40.000 « piemontesi » vittoriosi nelle grandi batLaglie dell'anno prima contro l'esercito austriaco, erano stati spediti lungo il litorale Adriatico per separare da Napoli le truppe rimaste fedeli al Borbone, mentre un altro corpo italiano le avrebbe attaccate di fronte per rovesciarle nel Garigliano o contro (9) Il bando di Isernia, in data 23 ottobre 1860 dieeva ,cosl: « Gli atli nefandi che si vanno commettendo in alcuni paesi da bande armale a brigantaggio. ,·ogliono essere prontamente repressi. S. M. il Re VITTORIO EMANUELE , nell'intento di ristabilire l'ord ine, di tutelare l'onore, la vita e le sostanze degli abitant:i, e di pacificare iJ paese, ha ordinato che sieno sottoposti e giudicati dai Tribunali militari straordi· nari, convocati all'Armata a termini del Codice penale militare: 1) I pre· venuti d'at.ti di brigantaggio, di saccheggio, d 'incendi, di ferimenti e di uccisioni. 2) - Tu:Lt i coloro che, non appartenendo a ll'esercito regolare del Governo di G'Gela, <Jppongono resisfenza alle Truppe di S M., o s1 mantengono armata mano contro l'istituzione della Guardia Nazionale, approvafa dalle autorità lega lmente costitu ite ». - D'ordine di S. M. il generale d'Armata Capo di Stato Maggiore: M. Fanti.
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le fortezze di Capua e di Gaeta. Lo scoramento produsse parciò un momento di indecisione non solo nei soldati ma anche nei capi, nè questa sfiducia improvvisa parve acquetarsi se non quando si videro grandi convogli di approvigionamenti avviarsi verso Capua, un corpo del genio dirigersi a Teano per fortificare quella posizione e nu· merosi 't:lfficiali di stato maggiore sistemare a difesa il quadrivio di Caianello. In queste affrettate disposizioni non eravi però che un simulacro di difesa giacchè la pianura di Caianello fu subito giudicata dal generale Ritucci assolutamente inadatta a qualunque resistenza, e venne soltanto utilizzata per un concentramento di truppe da scaglionarsi poi durante la notte dal 22 al 23 ottobre a Teano, nelle al· ture di Taverna Nuova e a cavaliere della stretta di Triflisco. Il battaglione posto a Taverna Nuova venne inoltre, poche ore dopo l'occupazione di quella località, ritirato ancora più indietro per evitare il pericolo di un aggiramento, pericolo che fu sempre la giusta e principale preoccupazione del Ritucci. Tanto è vero che egli non mancò di premunirsi da ogni sorpresa inviando ricognizioni di cavalleria in tutte le direzioni fino a Sulmona, mandando la brigata cacciatori del generale Barbalonga a Roccamonfina, e e un'altra brigata a Venafro. Il concetto di Ritucci era in verità assai più largo di quello esposto dai generali Negri e Bertolini che insistevano per far massa nelle alture di Sessa e di Cascano; egli scorgeva un pericolo nella flotta che poteva infilare la foce del Garigliano e tagliare la riti· rata in caso di rovescio da quelle colline, e sapendo di non poter disporre che di un esercito di soli 22 mila uomini, in gran parte sfiduciati, voleva assicurarsi una base d'operazioni dalla quale af. frontare o i Garibaldini o il corpo d'Armata del generale Della Rocca o infine quello del generale Cialdini prima che questi due si con· giungessero. La sua idea era quindi di lasciare due corpi muniti essenzialmente di artiglierie a Capua e a Gaeta, e gettarsi con tutta la cavalleria, una divisione leggiera di fanteria e artiglieria da campagna e un nucleo del genio sulle montagne degli Abruzzi per minacciare il nemico e impedirgli operazioni decisive. Egli sapeva be· nissimo che il giorno 22 Cialdini non era ancora arrivat-o a Venafro, che l'esercito meridionale di Garibaldi non poteva lasciare le buone posizioni attorno a Capua, onde il gettarsi alle spalle dei « Piemon· tesi " avrebbe compromesso la loro avanzata e immobilizzali i Ga· ribaldini.
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Spedì perciò il maggiore del genio De Sangro a Cascano perchè fingesse gr~ndi lavori di fortificazione su quei monti e si accordò col colonnello La Grance per una di quelle operazioni che si chiamavano « tele di parliti » cioè una specie di invasione di piccoli nuclei largamente sparsi fra le popolazioni, e destinati a spargere voci di grandi movimenti di truppa verso S. Germano. Forse questo piano avrebbe potuto riuscire e porre almeno in imbarazzo il comando italiano, certo nella situazione in cui si tro· vava il Ritucci rappresentava un ardimanto concepito ed attuabile con speranza di successo. Invece il Re Francesco non volle appro· varlo e affidando il comando dell'esercito al generale Salzano gli ordinò di concentrare a Sessa Aurunca nelle giornate del 24 e 25 il maggior numero di forza disponibile per arginare una eventuale avanzata del IV corpo italiano. In tale progetto sembravano favorirlo le disposizioni d'animo dell'Imperatore Napoleone, il quale non osando osteggiare aperta· mente il previsto intervento del governo di Torino negli affari napoletani era venuto nella decisione di far compa.rire nelle acque di Gaeta una squadra, agli ordini del vice-ammiraglio Barbier de Tinan, il quale aveva ufficialmente fatto sapere a Re Francesco di aver ordini dal suo governo per opporsi ad ogni impresa navale che dalla flotta italiana si fosse tentata in qualsiasi punto del litorale compreso fra la foca del Garigliano, Gaeta e Sperlonga. P erciò Re FranctSco, garantito dalla parte del mare dalla pro· tezione francese, sentiva raddoppiate ffilOralmente le sue speranze. avvalorate in realtà dall 'avere ancora a sua disposizione un esercito fedele, appoggiato a buone fortezze e con le spalle al sicuro, perchè sorrette dagli aiuti che potevano venirgli dallo Stato Pontificio. Costruite perciò 3 batterie a Cascano, la divisione borbonica del generale Colonna destinata a precedere il grosso dell'esercit-0 collocò una brigata (Polizzy) nei pressi di S. Marco a protezione del grosso stesso che accampò attorno a Sessa, e del quartier gene· rale borbonico che si stabilr in un casale poco lungi dalla locanda di S. Agata (10) .
( 10) Campagna dell'Esercito Napole tano, narrala da un testimonio oculare e corredata da un autodifesa del Generale R1T ucc1 (Biblioteca di Capua · Opusc. edito a Napoli, 1861).
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Scontro di San Giuliano (26 ottobre).
Rimasta, in conseguenza di queste disposizioni, libera la via di Teano, Cialdini occupò dello paese ed oltrepassatolo, prese la ,·ia di Cascano. lina brigala borbonica che si sapeva trovarsi a Teano e che avrebbe potuto contrastare questo movimento o ritardarne l'esecuzione, era stata intanto ritirata con sorpresa di Cialdini stesso il quale ebbe a maravigliarsi di trovar sgombre posizioni di ottima dife5a e che egli temeva di dover espugnare. P recedeva l'avanguardia del Griffini o seguivano le due divi· sioni, colla 7a in lesta. \"erso mezzoggiorno del 26 il Oriffini che marciava coi due reggimenti lancieri scorse gli avamtposti nemici che coronavano la crèsta semicircolare delle alture dominanti la s1rada, e ne mando subito avviso al generale Cialdini il quale inviò il suo capo d1 S. M. colonnello Piola Caselli. Questi, vista la difficoltà di far avanzare ancora la cavalleria essendo la strada incassata e il terreno fittamente coperto e scosceso, chiamò il 7° battaglione bersaglieri, rinforzalo da due compagnie del 12", e giunto a distanza conveniente fece aprire il fuoco. I borbonici benchè occupassero le creste, si ritirarono ai primi colpi al di là di un profondo burrone dove erano piazzati due pezzi d'artiglieria. I bersaglieri inseguirono e attaccarono alla baionetta; il nemico si ritirò ancora e raggiunse le alture di Cascano, dove trovavasi artiglieria e numt>rosa cavalleria. Allora fu fatta avanzare la 7a divisione sotto la protezione dall' 11° e i2° battaglione bersaglieri e di due batterie. Questa divisione era composta della brigata Como (23" e 24°) e della Brigata Bergamo (25° e 26,,). Destinala la prima in riserva, il comandante la divisione, generale Leolardi, ordinava che due bat· taglioni del 25° attaccassero frontalmente, mentre il 26' fanteria doveva aggirare, sulla loro i:;inistra., I!, posizioni borbontche. Queste posizioni erano difese dalla brigata Polizzy composta di cacciatori napoletani e da alcuni pezzi d'artiglieria al comando diretto del generale Negri. Il comipito di queste truppe distaccate dalla divisione Von Mechel era prettamente difensivo per permettere all'esercito borbonico di concentrarsi a Sessa, onde le alture che so· vrastano i pressi di San Giuliano erano apprestale a resistenza con trincee ed abbattute. Ma non appena il P olizzy si accorse della mi· naccia di aggiramento e dell'avanzata frontale di forze che giudicò assai superiori alla realtà, ordinò la ritirata chiedendo in pari tempo
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rinforzi, che vennero assai tardivi e che si limitarono a tre battaglioni che il colonnello Montillet riuscì a portare al villaggio di Giusti, rendendo difficile l'avanzata del 26° fanteria_ Il fuoco durò fino al tramonto, e quando le prime truppe della Brigata Bergamo raggiunsero le posizioni già occupate dai borbo· nici, questi si erano già ritirati per scaglioni su Sessa. Sopraggiunta la notte il generale Cialdini ordinò che le truppe bivaccassero sul posto_ Il grosso dell'artiglieria, i parchi, i viveri, il bagaglio erano ancora molto lontani trattenuti dalle difficoltà che presentava la strada fortemente inghiaiata e con salite assai ripid'=· Sarebbe stato facile (scrisse il Cialdini stesso) discendere verso Cascano, ma il pensiero di giungervi a sera inoltrata e senza trarne grande vantaggio, consigliò di non dare tale disposizione. Nessun indizio tradì la presenza dei borbonici , nessun fuoco, nessun rumora, e all'alba le pattuglie di scoperta e la 46.. comp . (i2° battagl. bersaglieri) comandata dal capitano Gatti, ritornarono riferendo che il nemico era scomparso silenziosamente in direzione del Garigliano. I battaglioni bersaglieri avevano pernottato all'addiaccio sui contrafforti di Vologno; la 7a divisione sulle alture adiacenti, spingendo ricognizioni fino verso Roccamonfina, e la 4" attorno al villaggio di S . Giuliano. La cavalleria rimase nei campi a guardia del lato sinistro. I quartieri generali del IV corpo e delle due divi· sioni pernottarono a S. Giuliano. S. M. il Re aveva assistito al combattimento dall'alto delJa collina del Paradiso (sopra a Casina Ciocchi). Le perdile furono assai lievi d'ambo le parti. Tutto il IV corpo riprese a giorno fatto la marcia su Sessa (: vi giunse nel pomeriggio, senza trovare alcun ostacolo (ii). Mentre si svolgevano questi avvenimenti, e precisamente la sera del 25 ottobre era giunta a Teano, dove trovavasi il conte di Trani coi generali Ritucci e Salzano, una lettera del generale Cialdini con lu quale si richiedeva al Salzano stesso un abboccamento pel mattino dopo presso Caianello Vecchio. (11) Cinquant'anni dopo commemorandosi .questo fatto d 'armi veniva apposta in San Giuliano, la seguenfe epigrafe: «Il 26 ottobre 1860 - Da questi colli di S. Giuliano - Il Generale Cialdini - Con una balda Brigata - E con l'eroico ardimento dei Bersa.g lieri - Scacciava - La numerosa oste borbonica - Aprendosi il varco - Per la via di Gaeta - Alla Vittoria - Ai prodi - Che strenuamente pu1:mando - Bagnarono di sangue quesle alture - Il Comune di Teano -· XXVI ottobre MCMXI 1>.
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Prima di aderire all'invito parve necessario ai tre generali bor· bonici di consultare il Re, e partiti nella notte per Gaeta fecero I it-0rno a Teano al mattino del 26.Il Salzano si recò solo all'appunta· mento. Cialdini avrebbe desiderato che Francesco II desistesse da ogni ulteriore resistenza, m~ è doveroso riconoscerlo, il Salzano rifiutò di trattare su queste basi, per cui i due comandanti si separarono senza alcuna conclusione. In quello stesso giorno 26 presso il ponticello dl S. Cataldo, u circa 200 m. dalla chiesa di Borgonuovo, dove la strada di Caianello dopo la salita di S. Nicola fa un gomito che gira verso Teano, aveva luogo quello storico incontro fra Vittorio Emanuele e Garibaldi, che segnava l'unione di due eserciti e di due regni. Qui Re Vitt-0rio fu salutato dal Dittatore col titolo di Re d'Italia. I due Grandi, dopo un breve colloquio proseguirono insiemé per Teano, dove giunti si separarono (i2). Passaggio d e l Garlglln no.
Il comando borbonico prevedendo in parte l'incalzare degli avvenimenti aveva dato in precedenza alcune istruzioni nella eventualità di una difesa ad oltranza sulla linea del Garigliano. P er cui dopo il combattimento di San Giuliano ordinò senz'altro che il pont.e di Minturno fosse disarmato e ridotto cioè ad una lie.ve imipalcatura di tavole mobili, da ritirarsi per mezzo di funi al momento di un assalto e che una brigata d'artiglieria prendesse po· sizione a Traetto per battere il ponte stesso. Contemporaneamente ordinò che le salmerie scortate dai dragoni, agli ordini del ten. col. Viti si ritirassero sulla via di Castellone, che fosse distrutta la scafa di Suio sul Garigliano e che si attivasse subito un servizio di rico· gnizioni per conoscere le intenzioni del nemico. Un fitto cordone di cacciatori fu steso inoltre lungo la riva destra del fiume, e dietro ad esso, in ordine di battaglia, si schierò la di· visione Colonna, mentre la divisione Von Mechel prendeva posizione fra Castelforte e Suio nel timore che da Sessa. le truppe italiane in· viassero qualche distaccamento oltre il Garigliano per prendere di (12) Sulle polemiche suscilale dai cronisti per l'accertamento topografico del luogo dove avvenne il famoso incontro, e sulle conclusioni corrispondenl'i alla più esatta documentazione, vedere il libro del prof. VIl'>CENZO BoRAGINE, Lo Storico incontro di Vittorio Emanuele II e Garibaldi · S. Ma· riaria C. V., 1924. V. anche, Cap. DEL BoNO - l'Incontro di V. E. II col Gen. Garibaldi il 26 ottobre I 60 (in )fem. Sl. Milit. U. S. Voi. I ).
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rovescio le posizioni di Minturno e di Traelto. Dietro alla divisione Colonna eravi una brigata di riserva. Il quartiere generale si sta· bilì a Scauri (13) . Nella medesima giornata del 27 ottobre, quando cioè l'esercito borbonico raggiungeva le posizioni sopra indicate, Re Francesco emanava un proclama nel quale stigmatizzava l'opera delle truppe piemontesi le quali avevano calpestato ogni diritto delle genti e ogni sentimento di giustizia invadendo il regno delle Due Sicilie senza alcuna dichiarazione di guerra e costringendo il supremo comando ad abbandonare la linea del Volturno per far argine all'irrompente nemico sulla linea del Garigliano. Contemporaneamente il ministro Casella telegrafava da Gaeta al Conte Cutrofiano a Parigi i ringraziamenti di Sua Maestà all'im· peratore Napoleone III per l'opera vigilante della squadra france6e sulle coste napoletane. Queste dispos·izioni di carattere militare e diplomatico fatte d'urgenza per la stessa gravità e imminenza della situazione erano d'altronde giustificate dal fatto che il Re Vittorio Emanuele aveva posto il suo quartiere a Sessa Aurunca, che il generale Pinelli stava reprimendo con ogni rigore qualunque tentativo d'insurrezione negli Abruzzi e che il popolo di Napoli con solenne plebiscito aveva dichiarato la sua annessione al Regno d'Italia. Inoltre era giunta al comando borbonico la notizia che il gener ale Della Rocca stava in quel momento prendendo accordi col generale Garibaldi per l'inve· stimento della piazza di Capua (14). P el mattino del 29 dal comando italiano veniva intanto ordinata una ricognizione di cavalleria sostenuta da quattro battaglioni di bersaglieri e da 8 pezzi d'artiglieria. In tutto 1800 uomini e 1200 cavalli agli ordini del generale De Savoiroux (15) . (13} La 1a Divisione (Colonna) aveva due brigate (La Rosa e Barba· longa}. Il Von Mechel avev.a il comando della za divisione (già Afan de Rivera} e della quale faceva p.arte la brigafa Polizzy. Compresa la bri· gata di riserva, le forze borboniche al Garigliano sommavano o. circa 10 mila uomini, e una quarantina di cannoni. (14) A questo punto è bello ricordare che Garibaldi ced~ndo il co· mando al generale Medici, pose di suo. spontanea volontà i suoi volon· fari agli ordini del Della Rocca, affìnchè nell'azione contro Capua una sola fosse l'auitorilà del Comando. (15) Reggimenti P iemonte Reale, Novara e I\Iilano. Battaglioni Bersaglieri 6°, 7°, n° e 12...
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Questa ricognizione, fatta probabilmente a scopo dimostrativo, non fu in verità molto indicata, perchè in pianura completamente scoperta e contro un fiume sul quale esisteva un unico ponte ben guardat-0 e difeso dal fuoco di artiglierie opport.unamente appostate. Cosicchè si risolse in un superfluo spiegamento di forze, che ebbe per conclusione uno scacco, nonostante il valore dimostrato dal 7? battaglione bersaglieri, sostenuto dall'11°, che col sacrificio di 75 uomini riuscì ad occupare momentaneamente il ponte sul Garigliano, senza però poter mantenere l'occupazione stessa perchè fulminato dalle artiglierie napoletane (16) . Infatti questa operazione fu da parte borbonica definita con queste parole· cc I piemontesi tentarono di passare il fiume, ma in· contrata fierissima resistenza si videro costretti dopo un'ora di com· battimento a ritirarsi con perdite non lievi; la mal tornata impresa si \'Olle definire una ricognizione » (17). Soltanto dopo la costruzione di due ponti occasionali e un accordo prefissato coll'ammiraglio Persano perchè la flotta concorresse con i suoi tiri ad una valida protezione, fu possibile alle truppe ita· liane di passare fra il 30 e il 31 ottobre il Garigliano, nell'ultimo tratto presso la foce. La flotta italiana nonostante le intimazioni ed una crociera minacciosa dell'ammiraglio francese Barbier de Tinan, concorse assai efficacemente a facilitare questo passaggio, sia. coll'invio di barconi lungo il fiume, sia coll'ordine di far stazionare alcune navi all'im· boccatura del fiume per evitare atti ostili da parte della squadra francese (18) . (16} Sul ponte del Ga,riglinno nel maggio 1891 fu posta questa lapide: Ai Yalorosi - del 7° battaglione Bersaglieri - che - combattendo per l'unitn d'Italia - qui perirono il 29 ottobre 1860 - nuovo lustro al corpo - i commilitoni dei batfaglioni 2°, 4° e 12° (2° reggimento) nel maggio 1891 - posero. Le perdite totali, come risultano dal rapporto dell'Ispellore Capo di Sanità, furono di 87 uomini e cioè 24 morti, 34 feriti e 29 prigionieri. I borbonici ebbero soltanto qualche morto e alcuni Cerili; fra i morti merita particolare ricordo il gen. Negri che fu sepolto nel duomo di Gaeta. L'c· pigrafe dice: Matteo Negri - generale d'artiglieria napolel'ana, n. a Palermo il 20 giugno 1818, ferito a morte nella battaglia del Garigliano il 29 ottobre 1860. (17) P. Quandel. Giornale della difesa di Gaeta dal no,·. 1860 al febbraio 1861, pag. 3. (18) Diario Persano.
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E alla sera del 1° novembre, la Governolo (comandante D'Aste), la Fieramosca (comt. Martini), la Tancredi (comt. Civita) e la Veloce (comt. Franklin), schierate a distanza di tiro efficace cominciarono a cannoneggiare le linee borboniche, mentre la Carlo Alberto (comtt. Mantica) e la Vittorio Emanuele (comt.. Aldini) si portavano di fronte a Monte Scauro per mitragliare le truppe che si ritiravano su Castellone. La Maria Adelaide (comt_ Riccardi) sulla quale stava l'ammiraglio Persano andò nella acque di Mola. Sotto questa pressione il ripiegamento delle truppe borboniche divenne assai difficile, e più grave si fece ancora perchè tutte furono avviate per la sola strada litoranea, non fidandosi di fruire di quella di Traetto e S. Maria Infante che temevano occupata da pattuglie italiane. La notte dal 31 ottobre al 1° novembre, oscurissima e piovigginosa, pur favorendo in parte questo movimento, venne ad accrescere in pari tempo ìl disordine. Tuttavia pel mattino successivo il generale Colonna poteva riunire attorno a Mola le sue truppe, lasciando con la retroguardia tre batterie per evitare qualunque sorpresa. I cronisti napoletani, narrando questi avvenimenti, ebbero parole di sconforto e di rammarico per la mancata azione del comando ma sopratutto per la marina napoletana la quale avendo defezionato era passata al servizio del Piemonte e bombardava dalle foci del Garigliano l'esercito napoletano che cercava un rifugio e una sosta. La flotta francese che aveva ostacolato _per un giorno l'entrata in azione dell'ammiraglio Persa.no, era scomparsa, cosicchè a controbattere i colpi che venivano dal mare non si trovava nella torre di Mola che un solo cannone rigato da 12. Due obici da 80 richiesti in freUa a Gaeta arrivarono la mattina del 4. La difesa restava così affidata alle truppe del Colonna, in ritirata, rinforzate da quelle del Von Mechel rapidamente spostate da Castelforte a Maranola. A questo punto bisogna ricordare che dopo il passaggio del Garigliano da parte deHe truppe italiane, il generale Sa.Izano aveva proposto al Re Francesco di attuare il piano già altre volte studiato per una insurrezione negli Abruzzi per colpire << i Piemontesi ,, alle spalle ed aveva a questo proposito fatto anche presente l'opportunità di riprendere la guerriglia del 1799 come a.i tempi di fra Diavolo. Ma il Re non volle saperne, persuaso invece che fosse più pratico concentrare buon nerbo delle migliori forze a Gaeta e il resto farlo passare in territorio pontificio. Il ministro della guerra generale Ca· sella era parimenti di questa opinione per cui il 2 novembre diede
- :-isordine al Salzano di diramare le relative istruzioni agli altri generali dipendenti. $alzano obbedì, ma trornndo opposizione unanime nei suoi subordinaLi, propose di resistere almeno a Mola cti Gaeta dove se le sorti fossero state favorevoli si poteva continuare a combattere una guerra manovrata. Fu allora che Re Francesco cedendo alle insistenze del Salzano dispose che a quella suprema difesa fossero destinate truppe scel te e principalmente la divisione estera comandata da \ 'on Mechel, composta dai carabinieri leggeri del Mortillet e della brigata Polizzy, sulle quali unità. egli faceva i maggiori affidamenti. La divisione Colonna fu pertanto inviata sulla strada di Itri, a.1 generali MaruUi e La Grance fu ordinato di raccogliere gli sban· dati e oltrepassare il confine verso P ico e Pontecorvo e a tutte le ri · manenti truppe di riparare in Gaeta. Il ministro Casella, pur non convinto che la resistenza di Von Mechel a Mola potesse avere qualche vantaggio, si recò personalmente nella giornata del 3 novembre a Mola, per dare disposi · zioni afflnchè nell'applicazione di ordini incerti e spesso contrad· ditori, una parte dell'esercito entrasse in Gaeta e l'altra si salvasse negli stati Pontifici, ma la brevità del tempo non permise nep · pure l'attuazione di questo piano, perchè la mattina del 4. la divi · sione italiana comandata dal generale De Sonnaz attaccava contemporaneamente Mola di Gaeta e il villaggio di Mara.noia che per la sua posizione dominante era stato occupato con previdente e rapida i niziativa da truppe del Von :'vlechel. Combattimento di l\lola di Gaeta (4 11ovembre 1860).
La prima divisione italiana che aveva passato il Garigliano era stata quella del generale De Sonnaz. Precedeva i.I 3° granati.eri e se· gui va la brigala di Sardegna, in coda i reggim~nti di cavalieri.a e l'artiglieria. Giunta all'altezza di Monte Scauro e occupata subito la posizione dei :violi ni, questa divisione si trovò riunita in eccellenti condizioni per poter proteggere qualunque eventuale ritorno offensivo dei borbonici e per iniziare la sua marcia su Mola. Mola di Gaeta e Castellone (oggi Formia) costituivl\no allora due lunghe borgate, delle quali, una giace sul prolungamento dell 'altra, per una lunghezza totale di circa due chilometri fra le colline e il mare. Una strada le attraversa, e ad occidente di Caslellone questa si biforca, proseguendo a destra per Itri, Fondi e Terracina e a si· nistra per Gaeta. All'ingresso orientale del paese i borbonici. avevano
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innalzato alcuni parapetti armati di due cannoni di grosso calibro, portati da Gaeta. Nelle case, specialm~mte verso la spiaggia, si erano appostati molti tiratori, il rio del Fossatello costituiva un ostacolo di qualche valore, e il monte di S. Antonio rappresentava un bastione che rinforzato da opere occasionali e guarnito di truppe poteva servire benissimo a difesa. La resistenza di Mola do· veva essere affidata coma si è detto alla divisione Von Mechel comr posta di svizzeri e di bavaresi, e il grosso delle forze borboniche era stato ritirato indietro nella valle d'Itri. Un reggimento (il 3°) di questa divisione aveva però distaccato un battaglione a Maranola che serviva di guardia avanzata e nel contempo a raccolta dei dispersi da Traetto e dalle colline di Spigno Saturnio. Altre truppe erano lungo il litorale di Montesecco per guardare l'istmo di Gaeta, e con queste si poteva contare fra Mola e le adiacenze un totale di circa 20.000 uomini che se ben irnJpiegat,i sarebbero stati più che suffi· cienti per fronteggiare il corpo d'operazioni italiano che avanzava dal Garigliano. Le disposizioni date dal m~nistro Casella per il caso di ritirata tendevano a far gravitare le forze sul proprio fianco sinistro allo scopo di indirizzarle verso Terracina in territorio pontificio. La mattina del 4, appena cominciò a far giorno, le navi Carlo Alberto e Governolo aprirono il fuoco contro la torre di Mola. Poco appresso i cannoni delle colline risposero, e il combattimento prese una fronte ed una importanza maggiore, cosicchè l'ammiraglio Persano avvisato dell'entità dell'azione che stava per impegnarsi, ac· corse con la Maria Adelaide, e ordinò che lo seguissero a breve di· iìtanza la Vittorio Emanuele, la Veloce, l'Ercole, e i due legni già appartenenti alla marina napoletana, il Tancredi e il Fieramosca. Dopo due ore di cannoneggiamento, il fuoco borbonico tacque, e cessò parimenti quello della squadra italiana nella considerazione di non danneggiare in modo soverchio i fabbricati e gli abitanti di Mola. L'Ammiraglio francese che si trovava a Gaeta, mla.ndò allora ad avvisare il Persano che, contrariamente agli accordi, la flotta italiana aveva oltrepassato il limite stabilito cioè quello segnato dalla maggiore gittata delle navi francesi ancorate nelle acque di Gaeta e che non si era mancato di prevenirla con un colpo di cannone. Questo pare non fosse udito, ma ad ogni modo il Persano rispose che avendo la torre di Mola iniziato per prima il fuoco, non si poteva lasciare senza risposta tale provocazione (19). (19) Diario Persano, p. 104.
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Comunque il fuoco cessò fra le 9 e le 10 del mattino e il generale Fanti giunl-0 al molino di Scauro dove trovavasi la 1• divisione, or· dinò che quesla si mettesse subilo in marcia per Mola di Gaeta. Il capo di stato maggiore della divisione (magg. Rizzardi) era in· tanto già partito insieme al 24° balt.agl. bersaglieri (magg. Ratti) per una ricognizione, e giunto a poca distanza da Mola aveva notato che i borbonici stavano ritirandosi sotto Gaeta protetti da un buon nerbo di truppe di retroguardia, e che queste truppe occupavano Mola, doYe probabilmente intendevano di resistera all'avanzata italiana. Passato col battaglione il vallone dell'Acqua Traversa, il H.iz· zardi si era inoltre voluto assicurare dell'estensione della linea di difesa nemica ed aveva constatalo la presenza. di reparti di fanl ~ria nel villaggio di Maranola a nord di Mola. Infatti all'avvicinarsi di alcune pattuglie di bersaglieri queste furono accolte da vivo fuoco di fucileria dei carabinieri esteri colà appostati. Il Rizzardi mandò subit-0 a chiedere rinforzi, e poco dopo giun· sero due compagnie del 14° battaglione bersaglieri (miagg. Zannoni) e il 1° battaglione del 1° granatieri (magg. Leone) che assierrre a.l 24° bersaglieri presero posizione fronte a Maranola. Dal comando della divisione fu inoltre disposto che si portasse in linea tutto il 2° granatieri con la 6~ batteria da 16 (cap. Duprè). Avvenuto questo moviment-0, il generale De Sonnaz divise 1a fronte in due settori, affidando quello di destra al brigadiere Gozzani comandante i granatieri di Sardegna, coll'incarico di impossessarsi delle alture, e tenendo egli stesso il settore del piano per procedere col resto d ~lla divisione ad un attacco frontale contro Mola. Il generale Isasca colla brigata granatieri di Lombardia ri· mase in riserva. Il Gozzani spiegalo il i 0 reggimento granatieri in continuazione del 1° battaglione che si stendeva sulle colline di Maranola mosse arditamente con tutta la linea verso le alture di Mola, e mandò per m~zzo del capitano di S. M. Garbi l'ordine alle sei compagnie di bersaglieri di secondare il movimento sgombrando il villaggio di Maranola. I carabinieri esteri, traendo ostacolo dal terreno, dagli alberi, da ogni riparo moschettarono i granatieri e i bersaglieri contendendo loro l'avanzata, ma il risoluto coraggio di questi li obbligò a sloggiare il paese e ritirarsi verso Itri. Il Gozzani alla testa dei suoi granatieri accentuando allora la conversione a sinistra, piombò fra Mola e Castellone all'altezza del camposanto, spezzando ogni resistenza borbonica.
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A questo punto il generale De Sonoaz, che aveva atteso l'appa· rire sui monti della colonna Gozzani, non appena vide compiersi fe· lìcemente il moviment..o, attaccò le barricate costruite all'ingresso di ~fola e tenacemente difese da tiratori borbonici. A preparare quest'attacco avevano già concorso due azioni ugualmente importanti, l'avanzata dei granatieri che tagliò la ri· tirata ai difensori e si cacciò come si è detto a guisa di cuneo nei mezzo della borgata, e l'opera validissima della sezione d'artiglieria del tenente Gottardi, il fuoco della quale permise alle truppe it.a· liane di occupare dapprima il ciglione del rio del Fossatello che precede l'ngresso del borgo e poi di controbattere le artiglierie da campagna della divisione Von Mechel che cercavano di imtpedire l'avanzata delle truppe italiane retrostanti . Nella mischia dell'assalto si ebbero parecchi morti e feriti; fra i morti, il luogotenente Cavalli della 54a compagnia berreglieri e il capitano Grosso Campana del 14' battaglione che promosso in quel giorno maggiore aveva voluto condurre al fnoco per l'ultima volta la sua vecchia compagnia. La batteria Dupré concorse con essa. pure validamente al.l'azione e riunendosi poscia alle altre batterie si portò npidamente attrc1· verso il paese sullo sbocco occidentale di Castellone, piazzandovi al bivio 4 pezzi. Nel momento in cui si disponeva a fronteggiare al bivio stesso il nemico in ritirata, vi cadde ferito il tenente De Virj colpito da una palla di moschetto . L'irruzione violenta e simultanea dei due attacchi portò naturalmente un grave scompiglio fra i difensori, cosicchè questi ces· sando da ogni resistenza non pensarono che a salvarsi facendo ressa per uscire dall'abitato e infilare le due strade di Gaeta e di Itri. L'inseguimento da parte dei granatieri e dei bersaglieri non si protrasse però oltre le, ultime case di Castellone, giacchè al generale De Sonnaz premeva anzitutto riordinare al più presto le sue truppe e non esporsi, senza ordini superiori, ad ulteriori azioni sotto le mura di Gaeta. P er semrplice misura precauzionale, fece occupare le propag· gini di Monte Conca dai bersaglieri e da uno squadrone di Novara e dispose perchè venissero guardate tutte le vie d'accesso intorno a Mola La sera stessa del 4, inviati dal generale Cialdini giungevano a Mola i quattro battaglioni bersaglieri del IV corpo con una batteria di obici. 0
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Le perdile di quella giornata non furono gravi rispetto alle difficoltà del combattimento, al numero dei combattenti, e al risultato ottenuto (20) La divisione De Sonnaz diede prova di un valore ammirevole. La brigata granatieri di Sardegna si coprì di gloria combat· tendo con molto slancio e molta disciplina contro un nemico ben ap· postato e numericamente superiore. Per la manovra diffici le compiuta con sì brillante risultato, il 1° reggimento venne decorat-0 della medaglia d'oro e il 2° di quella d'argento al va.lor militare. Gli equipaggi delle navi compirono egregiamente il loro dovere; magnifico esempio di cooperazione della marina e dell'esercito. La Divll!lione De Sonnuz a Terracina e 11 c oncentramento dei borbonici In Gaeta e s ull' Istmo dl l'Uontel!!ecco.
Durante le giornate del 3 e 11 novembre o mentre si svolgeva il combattimento di :Mola, il generale borbonico Ruggeri aveva riu· nito nei dintorni di Fondi buon numero di sbandati e numerose artiglierie, coll'intendimento di passare il confine pontificio. Nella noLto dal 4 al 5, per l'affluenza di coloro che si ritiravano da Mola e di quelli che già ingombravano la strada che da Itri va a Fondi, il Ruggeri venne ad avere ai suoi ordini circa 11 mila uo· mini, un migliaio di cavalli e più di 4.0 pezzi d'artiglieria, cioè una forza assai ragguardevole che avrebbe potuto gettarsi in Abruzzo e portare ancora qualche molestia all'esercito italiano. Ma per far ciò sarebbe stato necessario di riorganizzare queste forze e di avere ordini ed aiuti da Gaeta, mentre invece il Ruggeri sapeva che Francesco II aveva già scritto a Napoleone III, pregandolo di ordinare al generale Goyon, comandante la divisione d'occupazione in Roma, affinchè concedesse alle truppe borboniche, una benevola ospitalità negli Stati del Papa. .t<; c10 sopratutto per alleggerire il congeshonamento di truppe intorno e dentro Gaeta, dove si rendevano già difficili gli approvvi· gionamenti. Infatti mentre il Ruggeri proseguiva per Terracina, l'altra co· lonna di fuggiaschi che aveva preso da Mola la via di Gaeta era (20) Le perdile italiane fra morti e feriti furono di circa 150 uomini, quelle borboniche sommarono ad una ,cifra doppia, particolarmente in causa dello ~compiglio durante il comballimenlo nell'abitalo di ~loia. I borbonici Ja<:ciarono nelle mani della l" Divisione italiana 4 cannoni e 200 prigionieri.
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andata ad ingrossare il numero già rilevante di truppe accampate sull'istmo di MonLesecco, in prossimità della piazza. Queste Lruppe erano comandate dal generale Sa.Izano e somma.· vano a. 350 ufficiali, oltre 10 mrila soldati, 1300 cavalli e 50 cannoni. Col Sa.Izano e,ravi tutto lo stato maggiore d'artiglieria e del genio, una riserva agli ordini del brigadiere Sanchez de Luna comrposla di un reggimK3>nto cacciatori a cavallo e due batterie, più due intere divisioni, la 1., comandata dal maresciallo Colonna e la. s~onda dal Von Mechel. In Gaeta era infine la Corte, il corpo diplomatico e la popola· zione civile. Prima di agire contro la piazza e di procedere ad un regolare assedio, conveniva dunque al comando italiano di opporsi colla maggiore celerità possibile all'esecuzione del piano progettato dal Rug· geri per evitare che quegli 11 mila uomini sfuggissero varcando il confine, o si sbandassero mrinacciando le retrovie e sollevando le popolazioni. P erciò nella giornata del 4 il generale Fanti e l'ammiraglio P er· sano presero i primi accordi perchè la flotta cooperasse ancora nei limiti che le era possibile, data la poca libertà d'azione concessa.le dalla flotta francese, ad un'azione energica contro la colonna Ruggeri. Numerosi telegrammi erano giunti al comando, di informazioni intorno a questa colonna. Si parlava di 15 mila uomini, di molta. artiglieria, di molta cavalleria, e di un distaccamento di 4000 tra volontari e gendarm~ comandati dal colonnello La Grance nelle vi· cinanze di Aree e di Isoletta. Al mattino del 5 novembre il generale De Sonnaz, per ordine del Fanti, iniziò quindi la sua marcia per la strada di Itri. Egli disponeva di una colonna composta della brigat,a granatieri di Sar· degna, del 14° e del 24·" bersaglieri e di due batterie (la 5a e la 7"'} d' artiglieria; più due squadroni di Novara e tutto il reggimento Lan· cieri di Milano agli ordini del colonnello Barra.I. Il 3° granatieri col comJando della brigata Lombardia (gen. Isasca) veniva intanto fatto imbarcare sulle navi Vittorio Emanuele, Governolo e Tancredi e scortato dalla cannoniera la Veloce, inviato per mare a Terracina. Questa piccola squadra giunse all'alba del giorno 6 davanti alla. città, e subito fu informata che ivi si trovavano raccolti 12.000 uomini Una ricognizione spinta a terra, ricondusse a bordo della Vittorio Emanuele un ten. colonn . e un capitano del·
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l'esercito napoletano unitamente al capitano Mamony dello stato maggiore francese, che era stato inviato dal generale Goyon a Terracina per trattare la resa dei borbonici colà. raccolti e che avendo varcato il confine degli stati della Chiesa divenivano di pien diritto neutralizzati e in potere del governo pontificio. Per sentimento, di deferenza (disse il capitano francese} e per ordine del general Goyon, egli si autorizzava a considerare neutrale anche il comandante delle forze italiane ancorate nelle acque di Terracina. Veramente tale deferenza era un doveré in conformità. delle leggj internazionali, essendosi le autorità francesi intromesse fra i due belligeranti senza apparente preferenza per ciascuno di essi. Il generale Isasca intimò quindi al tenent.e colonnello Maina rappresentante delle truppe borboniche di deporre le armi e di arrendersi a discre· zione. Il Maina rispose che desiderava portarsi a Gaeta per interpellare Sua Maootà il Re Francesco, e che in ogni modo occorrevano 15 giorni per cedere il materiale di guerra con regolare inventario, e con risarcimento di danni da parte del governo italiano. Durante queste trattative domandava inoltre che venissero so· spese le ostilità.. Nè l'Isasca si credeva autorizato a trattare su queste basi nè il Maina aveva le necessarie credenziali per proporle, per cui si pregò questo t.enente colonnello di scendere a terra e invitare a bordo il comandante delle truppe. In questo frattempo la cannoniera Veloce corse ad informare il generale Fanti e fece pervenire un messaggio al De Sonnaz. Il De Sonnaz aveva colla sua colonna passato rapidamente il paese di Itri ed era giunto colla sua avanguardia alla stretta di S. Andrea mentre due squadroni del reggimento Milano, il 14° e 24° bersaglieri e una sezione d'artiglieria erano arrivati a Fondi senza trovare alcuna resistenza. Un parlamentario borbonic,o presentatosi al generale De Sonnaz con un foglio a firma dell'Isasca e dal comandante di marina Albini, venne a pregarlo a volersi recare personalmente a T erracina, dove si sarebbe incontrato col Ruggeri . Il De Sonnaz partì subito per Terracina e senza pregiudizio delle discussioni precedenti, impose il seguente ed unico patto: Ammis· sione immediata dei napoletani nell'esercito italiano con ricono· scimento dei gradi, delle classi, degli obblighi di servizio e dei di · ritti acquisiti per le pensioni, e rimpatrio previa indennità per gli stranieri . Il Ruggeri ribadì le rrredesima propoote da lui for-
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mulate in antecedenza cosicchè il disaccordo si rese più evidente di prima e le traLt.a.tive vennero di conseguenza troncale. Ma i borbonici facevano, e non invano, assegnamento sul generale Goyon. Infatti questi aveva spedilo al Ruggeri il suo aiutante rti campo, capitano Mamony non tanto per dichiarare neutrali le truppe, quanto per offrir loro la via di Velletri, col patto che in Vel · lelri i borbonici depositassero le armi. Quando naufragarono quindi le trattative, il generale De Sonnaz rimase assai sorpreso di sentire che altro scampo era stato concesso per altra via alle truppe napoletane, e comprese la complicità dei Francesi allorchè venne a conoscenza che il tenente colonnello Mortillet, già ufficiale di stato maggiore di Lamoricière assieme a un fratello del cardinale An · tonelli, aveva diretta l'intiera trama per accrescere le milizie pontificie e la reazione borbonica di un sì largo contributo di uomini e di materiali da guerra quale era quello del disciolto corpo del Rug· geri (21) Infatti il corpo di Terracina comprendeva due reggimenti di Us· seri, uno di dragoni, i gendarmi a cavallo, tre battaglioni di cacciatori esteri, quattro di cacciatori napoletani , uno del 3° di linea, il genio, una balleria a cavallo e 4.0 cannoni da campagna. Non manca· vano che le battere del colonnello La Grance che srano state abban· donate a Isoletta nella precipitosa ritirata. di quel piccolo corpo verso Ceprano, all'avanzata della colonna De Sonnaz. Questi rimase pertanlo indignato e si astenne dal qualifica.re l'intromissione partigiana del generale Goyon che faceva riscontro a quella dell'amm~raglio Barbier nelle acque di ~ ola. Ordinò all'I· sasca di salpare col 3° g-ranatieri per Mola di Gaeta ed egli si ritrasse a Fondi alla testa della sua colonna, ripartendo poi da solo per la via di Itri per informare subito il generale Fanti degli a,·yenimenti di Terracina.
(21) La convenzione stipulata in Terracina il 6 novembre 1860 fra il geneNlle Ruggeri e il capitano l\laroony rappresentante il gen. Goyon comandante l'armat a francese d'occupazione in Roma e nella Coma.rea era la seguente: « Io soltoscritto, Giuseppe De Ru~geri, comandanle il corpo di :irmala napoletano riunito a Terracina, dichiaro d'impegnarmi formalmente di depositare a Velletri, lra le mani delle autorit'à fran ces i o pontiftcie, tutte le armi appartenenti alla truppa e mettermi òggi ~tesso in marcia per Velletri 1>
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Il Fanti ordinò allora che «a tappe, ordinarie queste truppe si ritirassero recandosi a Napoli per unirsi a quelle del gen. Brignone, alquanto scemate da numerosi distaccarroonti » (22). L' assedio e la resa di Capua (29 ottobre - 2 novembre 1860).
Prima di continuare la narrazione degli avvenimenti che si svolsero attorno a Gaeta, è d'uopo ricordare un altro fatto di capitale importanza, cioè l'assedio e la resa di Capua, che si collega colle ultime operazioni dell'Esercito Meridionale di Garibaldi. Nel settembre del 1860 cioè prima della battaglia del Volturno la piazza di Capua era governata dal maresciallo Pinedo, e l'esercito borbonico che si appoggiava alla piazza stessa era costituito da 3 divisioni più una di cavalleria, agli ordini del maresciallo Ritucci e del suo capo di stato maggiore colonnello Antonelli, col brigadiere De Cornè. La 1a divisione (Colonna) aveva due brigate (La Rosa e Barba· !unga); la 2" divisione (Afan de Rivera) due brigate (Polizzy e, von Mechel); la 3" divisione (Tabacchi) tre brigate (Marulli, Dorgemont e Ruiz); la divisione di cavalleria (Palmieri) tre brigate (Echanitz, Russo e Sergandi). Di fronte a questo esercito appoggiato ad una fortezza, stavano poco più di 3000 volontari , agli ordini del generale Tiirr il quale di ritorno dall'aver domato una insurrezione reazionaria ad Ariano, aveva preso il comando delle truppe del Volturno, distaccate a S. Maria, S. Leucio e Casanova (23) . Dopo il concentramento di tutte le forze garibaldine e le vittoriose giornate del 1° e 2 ottobre al Volturno, il presidio di Capua era rimasto di gran lunga assottigliato; e la guarnigione era ridotta a du e soli reggimenti di linea (1'8° e il 10°), due battaglioni caccia· tori (il 1° e 11°), due squadroni di cavalleria e qualche drappe1lo di corpi diversi e di gendarmi agli ordini del generale Salzano e del brigadiere De Cornè. Quando il giorno 24 ottobre il generale Ritucci fu chiamato a Gaeta per rimanere presso il Re, e il Salzano fu incaricato di as(22.) Il generale Fanti informava a sua voll'.a il generale Cialdini della <'lisposiziooe presa nei riguardi della divisione De Sonnaz, col seguente telegramma: « Ho ordinalo il ritiro dal ferritorio napoletano delle truppe spedite da V. E. a Terracina. La diplomazia lo esige». (23) PEcORI1'I MANZONI , La 15& divisione Tarr., pag. 178.
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sumere il comando del corpo d'operazione, la piazza di Capua rimase abbandonata a se stessa, sollo il comando del De Cornè e con una guarnigione di circa 9 mila uomini. Era munita di oltre 200 bocche da fuoco ma non tutte servibili e con pocha munizioni. Possedeva una discreta riserva di viveri e difettava invece di denari, per cui si dovettero obbligare i proprietari a versare un s3mestre di tassa fondiaria. anticipata. I difensori di Capua dovettero quindi limitarsi a fare qualche lavoro di rafforzamento e a sparare qualche colpo per t-0rmentare i garibaldini cha stavano costruendo quattro batterie a distanze variabili fra i 1400 e 1800 metri. Contro Capua il comando italiano aveva intanto disposto che si procedesse al pi"4 presi.o per togliere ai borbonici questo punto di appoggio, e difatti, come s'è visto, stavano concentrando fra il 24 e il 26 ottobre alcuni reparti inviati da Napoli dal ganerale Brignone ed altri della divisione De Sonnaz che dovevano costituire un corpo d'investimento agli ordini del generale Della nocca. Questi giunto infatti ad Alife vi trovò la Brigala Re (gen. Pernot) il 4° granatieri, due batlerie, tre squadroni di Nizza, il 2° reggimento zappatori del genio col relativo parco, in tutto 6 mila uomini e iS cannoni. Con queste forze la mattina del 27 si avviò verso Caiazzo. Da Caiazzo si poteva giungere a Capua per la Formicola o per la strada di Napoli . Scelse quest'ultima benchè più lunga per evitare qualcha atlacco borbonico, dopo che i Volontari si erano ritirati in parte a Santa Maria e sopratutto nelle vicinanze di Caserta. Il 28 il Della Rocca incontrò il generale Cosenz e poscia si recò a S. Angelo per riferire a Garibaldi gli accordi presi col Cosenz. Garibaldi accolse il comandante del V corpo significandogli subito che per avere unità di comando nell'assedio di Capua, sarebbe stato opportuno che il D3lla Rocca stesso ne avesse assunto da solo la dirozione. Soltanto lo pregò di non far parola della sua assenza ai Volontari, che rimanevano agli ordini del generale Sirtori. E la sera stessa, dopo aver date le disposizioni per concentrare attorno a Capua parte dei suoi volontari, partì per Caserta (24). (24) Considerala la seguente dislocazione dei Volontari quale risulta da una siruazione del gen. Sirtori acclusa .al diario del Gen. Della Rocca (28 ottobre 1860), oltre i 6 mila uomini dell'esercito rei:(olare, tro\aYansi allorno a Capua le divisioni Cosenz e Medici e la brigata Conte, cioè circa I I mila garibaldini (dei 27.400 che co~lifui\·ano l'Esercito meri<fronalc in quel momento):
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Ylentre avvenivano questi colloqui, il generale Menabrea assieme al Brignone e ai comandanti d'artiglieria e genio eseguiva una ricognizione e dava le necessarie disposizioni per iniziare subito la costruzione delle batterie, e il tenente colonnello De Fornari, capo di stato maggiore del V corpo recapitava al generale De Cornè, com andante le forze borboniche in Capua la seguente lettera del generale della Rocca : « Sono giunto con l'assedio qualora l'E. « M'incombe però, meco per risparmiare
le mie truppe davanti a Capua, con ordine di farne V. persista nel volerla difendere. prima di .aprire il fuoco, d'invitare V. E. a trattar una infinità di vittime e la ruina della città senza
Brigatn Spangaro » Corrao 7120 uomini) » Sacchi » Eber » Milano I I
15' Divi,ione Tiirr
1
16" Divisiono Cosenz
l
17"' Divisione Medici
j5264
,sa
Divisione Bixio
4783 uomini
uomini
--
l i
1428 uomini a S. Maria
1778 1784 1611 519
» »
» »
a a a a
S. Prisco S. Angelo Cnserta Caserta.
Brigata .A.ssanti » Milbitz Calabrese »
1638 uomini a S. Maria 2437 » » » )) 708 » »
Brigata Simonetta » Eberlrnrd » Basilicata » Dunne
1748 uomini a S. Angelo 1620 » » »
. . \ Brigata Dezza » Balzani uomim
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964
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»
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»
»
» »
2139 uomini a Caserta 647 » »
' sulla destra
Corpo Avezzana
Brigata Benevento - 1195 uomini d~l Volturno. ) Sull" stradn . . » Fal.>br1z1 - 1419 » dallo sca.lo di Battag. Bentivegna- 599 » / Formicola " , Capua..
Corpo del Genio Lancieri . Legione inglese Carabinieri Genovesi 54° Regg. Fanteria (in formazione) 2° Battaglione Calabrese 1° Rattaglione Calabrese
201 uomini a S. Angelo 50 » a Caserta 666 » a Caserta )) 270 a Caserta 269 » a Avellino . 1165 » n S. Angelo 700 » a S. Maria Totale 26,487 uomini
Nulla di più difficile (scrive il Guerzoni - pag. 186) di compilare una situazione esatta dei corpi garibaldini, pei qn~li la stessa parola divisione non può essere presa alla lettera, ma bensì semplice significato di unità.
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necessità \'eruna, giacchè le 1·inianenti lruppe <li S. \l. il He Francesco, trovandosi oltre il Garigliano la cui sinistra è occupata dall'armata del Re Vittorio Emanuele, l'E. \'. non può sperare soccorso. « li rifiuto dell'E. V. .sarà pertanto il segnale dell'incominciamento delle ostilità, e da quel punto, non io mn l'E. V. sarà responsabile del male prodotto dalle mie artiglierie sull'innocua popolazione come se l'E. V. stessa la bombardasse. Nessunissima condizione potrebbe pi1'1 tardi da me essere concessa quando avverrà l'oradella resa. , Persuaso che il sentimento di umanità le farà scorgere quale sia il dovere e il partilo al quale den~ appigliarsi nella posizione eccezionale nella quale V. E. si trova, io aspetto la risposta che sarà compiacente di rimettere al lalore della presente Sig. \1archese De Fornari, mio capo di stato maggiore».
Prima di sera il De Corne mandava due ufficiali in qualità di parlamenlari con una lettera di risposta, notificando che era deciso a disimpegnare il compito affidatogli e che avrebbe fatto il suo dovere nei modi imposti dalle leggi e dall'onore. Così al mattino del 29 si iniziarono i lavori per un assedio, che si era speralo di evitare, ma che le circostanze rendevano necessario. Venne disposto che le batterie fossero servite da artiglieri re· golari, tranne quella di mortai che fu affidala ai volontari (25) . La divisione Cosenz occupò Santa Maria assieme al 1° battaglione bersaglieri, sulla sua destra si stabilì la. brigata Corte e allo scalo della Formicola la divisione Medici. Le truppe regolari si collocarono invece sulla sinistra e cioè in parte a C. Foresta sulla strada proveniente dalla villa reale di Caserta e il grosso costituito essenzialm~nte dalla brigata Re a S. Tammaro.
(25) Le batterie furono 8 cosi composte: 1. Al Vollurno - 1200/m 5 cannoni rigali da 12. Capit. Gusberti del 3° Reggimenlo. 2. - C. Capecc - 1200/m 3 morrai e 3 cannoni rigali. ~laggiore Vergily. 3. - C. ' 31Je - 1500/m morlai. (Voi. gen. Orsini). 4. - C: S. Vitale - 1500/m 4 obici da 22. Cap. Bovio e Luogot. Mi· !ani del II Reggimento. 5. - C. Saulle - 1350/m 2 mortai da 22. Luogol. Persi III reggime~to. 6. - a Roccascorza - 2500/m 4 cannoni rigati Br. 16. ~fagg1ore Sobrero e Capitano D'Afegno del IV Reggimento. 7. - a ~. Viro - 1800/m 4 obici e cannoni rigati 40. Capitano E. Savio. III Reggimenlo. 8. - Non fu ultimata.
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Ritirati gli avamposti borbonici nella nott-e dal 30 al 31, nel giorno 31 un piccolo reparl-0 di cavalleria tentò un'uscita dalla città, ma fu subito res.pinto. La mattina del 1° novembre, mentre ancora non era spuntata l'alba si sparse la voce che S. M. il Re era arrivato a S. Angelo e si dirigeva sopra un poggio. Il generale Della Rocca fece allora innalzare una bandiera rossa, segnale convenuto, e il fuoco si iniziò contemporaneamente da 27 cannoni . Esso con· tinuò quasi senza interruzione fino a sera, fiaccamente corrisposto da qualche tiro della piazza. Al mattino del 2 il generale De Cornè chiamati i comandanti di settore e udito il loro parere inviò al campo il maggiore Negri e il maggiore Coda in qualità di parlamen· tari, con una lettera diretta al Della Rocca in cui era detto: Eccellenza, «Ad evitare la continua zione degli effetti micidiali della guerra rica· duli sulla innocente popolazione di questa città, mi permetto pregare V. E. (informata com'è dai stessi principii di umanità) a voler pregare una tregua che basti per spedire un ufficiale di questa guarnigione in Gaeta onde umiliare ai piedi del Re mio signore lia necessità di trattare onorevolmente la cessione di questa piazza. «Qualora l'E. V. lo trovi necessario, si potrà al mio ufficiale unire altro del suo esercito». « Gradisca l'E. V. gli atlesfati della mia più alta considerazione ».
Il Della Rocca rifiutò tanto la concessione della tregua che il libero passaggio dell'uffìciale, concedendo invece un'ora e un quarto di tempo ai due maggiori per far ritorno in Capua e riportargli una risposta definitiva, dichiarando che allo spirare di quesl-0 terrmne, se nulla avesse ricevuto, avrebbe ripreso il bombarda.mento. La po· polazione di Capua, la quale aveva in gran parte sopportato tanti disagi per le minaccie dei più esaltati borboniani, che non sentiva nè la volontà nè il dovere di soffrire altre conseguenze di una guerra che stimava fratricida, aveva intanto presentat-0 al maresciallo De Cornè una istanza con gran numero di firm~ rispondendo negativa· mente al seguente quesito: «. Dopo 12 ore di fuoco, colla ,città in fiamme in diversi punti, roan· cando di pezzi di porLafa simile a quella del nemico, senza munizioni, con 12 mila abitanti vittime innocenti che non banno modo di ripararsi con ospedali pieni di altre vittime causate dal bombardament:o, si può protrarre la difesa; si o no'l » (26).
(26) Doc. Borbonici del 1860. Arch. St:orico dello S. Miagg., voi. 3°.
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La mancanza di murùzioni era sopratutto la maggiore delle angustie. Il De Cornè ne aveva informalo il minislro della guerra fino dal giorno 26 e aveva scritto anche al Re facendogli presente lo stato di una piccola fortezza abbandonala e priva di notizie sul resto del!' esercito. Da un lungo rapporto che il generale R itucci aveva inoltre presentato a Francesco II 1'8 di settembre risulta che egli pure considerava la piazza di Capua impreparata a qualunque eventualità di assedio (27). P er cu i la decisione pre:;a dal De Cornè, anche per invito del Vescovo e del Sindaco di Capua, che dichiaravano doversi accettare qualunque condizione sotto la loro personale responsabilità di fronte al Sovrano, fu senza dubbio opportuna. Egli mandò al generale Della Rocca il brigadiere De Liguori per concretare i patti della resa e la convenzione fu stipulata nella medesima giornata del 2 novembre 1860. In essa fu stabìlito che la piazza dovesse essere consegnata con tutto il suo ma teriale entro 24 ore, che la guarnigione uscisse coll'onore delle armi, deponesse armi e bandiere e si av· viasse a Napoli a disposizione di S. M. il Re di Sardegna e che le famiglie dei militari rimanessero a Capua sotto la protezione delle armi italiane. La mattina del 3 novembre 1860, il 1° reggirnent-o fanteria entrava in città per ricevere i convogli dei prigionieri da scortarsi per via ordinaria fino a S. Maria, dove avrebbero preso la ferrovia per Napoli. Poco dopo entrò pure il 4° granatieri assieme ad alcuni reparti di truppe dell'esercito meridionale per prendere l'effettivo possesso della piazza. Si trova1·ono in Capua 9700 individui atti a combattere, e 700 ricoverati negli ospedali. I primi furono falli uscire in colonne scaglionate di 2000 per volta. Le perdile italiane furon o insignificanti, un ufficiale e 5 soldati feriti e un solo soldato morto. Contro la città furono sparati 821 colpi di cannone. Oltre i prigionieri, si rinvennero nella piazza 290 bocche da fuoco di vario calibro tutte di bronzo e 20000 fucili di modello vario. Si trovarono nei magazzini 180 metri di ponte, nonchè due equipaggi modello Gribeuval, 10 mila sciabole di cavalleria e molti carri. Sugli spalti rimasero in potere delle truppe italiane 160 affusti di (27)
DELLI FRANCI,
Cronaca della Campagna d'aulunno, pag. 258.
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cannone da fortezza. Vennero sequestrati quasi 500 quadrupedi con tutte le loro bardature oltre una grande quantità di foraggio, og· getti di vestiario per le truppe, buffetterie e munizioni da guerra. Appena caduta Capua il generale Della Rocca ne inviava co· municazione a S. M. il Re il quale rispondeva col seguente tele· gramma: « Mi congratulo con Lei, esprim!a i mli.ei sentimenti al Suo corpo d'armata, al generale Garibaldi ed alle sue truppe » (28). Il maggiore Giacosa comandante del genio del V corpo fu nomi· nato comandante provvisorio della piazza, missione delicatissima pei rancori male repressi dello spirito reazionario e per i continui emissari che si dovettero deferire ai tribunali di guerra. Il giorno 4 il generale Della Rocca lasciava Capua diretto a Na· poli per prepararvi l'ingresso· di Vittorio Emanuele Il, e levati i campi, affidò l'incarico di sorvegliare la città alla guardia nazionale e ad alcuni reparti della divisione Tiirr. Prima di partire per Napoli, il generale Della Rocca comunicava i nfine alle truppe il seguente ordine del giorno: Santa Maria, 3 novembre 1860.
Soldat'i del corpo d'eser.cito, Capua ha capitolato. Un nuovo trionfo si aggiunge così ai molti ,che in quest'anno g ià fregiano le nostre bandiere. Una piazza importante per la sua posizione è caduta nelle nostre man i. Sono assicurare le comunicazioni dirette fra Napoli e l'esercito no· stro. (28) Nel com,unicare al generale Garibaldi il telegramma di S. M. il Re, il Della Rocca lo accompagnava con questa lettera: « Sono lietissimo di essere prescelto a portare ,a conoscenza dell'E. V. tali Sovrani sentimenti e sono fanto più lieto in quanto che fui in questi giorni testimonio dell'eccellente sp irito militare che regna nell'esereito meridionale. « Il pronto successo o~tenuto si deve in gran parte alla coraggiosa e longanime operosità di un esercito che perseverando nel combattere gior· nalmente le forze nemiche, le proslrav.a in modo da farle cedere al primo urlo. << Debbo poi personalmente ringraziare l'E. V. per l'effi.cace ,coope· razione prestat:ami in questa circostanza dai suoi generali e dalle sue truppe. « Spero che le buone relazioni fra i due eserciti si faranno ogni giorno più intime. La concordia di lulti gli ifaliani è l'arra più piena del trionfo della causa nazionale ».
- 54Dacchè vi staccaste dal grosso dell'esercito aYete compiuto in brevissimo tempo una importante missione. Pochi di numero avete [ollerato in questi giorni, colla solit:a abnegazione, diuturne fatiche ed avete con pari intrepidezza atTrontaCo il fuoco formidabile della piazza. S. :\l. il Re m'inoorica con telegramma di manifestarvi la Sua soddisfazione. Vi siete per la prima volta trovati al fianco dell'armata sorella che dopo destato l'universale ammirazione, stava ora quale insormontabile barriera fra il doloroso passato di questo regno e il suo glorioso avvenire. Voi le avete prestato il vostro aiuto e ne avete esperimentato l'efficace concorso. Coll'unione cosi di tutta l'italiana virtù, noi faremo l'Italia.
CAPITOLO III.
Le operazioni dei volontari nel continente (29) Il passaggio dello Stretto - La ritirala borbonica - L'arrivo a Salerno ·Garibaldi a Napoli - La battaglia del Volt'urno - La partenza di Ga· ribaldi per Caprera - Lo scioglimento dei volontari.
Mentre si svolgevano da parte dell'esercito regolare le opera· zioni anzidette, l'Esercito Meridionale costituito dai volontari di Garibaldi aveva iniziato e compiuto quella marcia trionfale per la quale il regno delle due Sicilie doveva entrare a far parte del regno d'Italia. Garibaldi, ai primi di agosto del 1860 aveva deciso di passare dalla Sicilia nel continente, e, concentrate le sue truppe all'estremità settentrionale dell'isola, aveva disposto che la divisione Cosenz e la brigata Sacchi si portassero al Faro e le due divisioni di Turr e di Medici si mantenessero nelle vicinanze di Messina. Requisite circa 200 barche e costruite alcune batterie presso la torre del Faro, il mo viment-0 di passaggio dello stretto fu iniziato nella notte dall'8 al 9 agosto dal battaglione Bonnet il quale sotto gli ordini del generale Missori doveva gettarsi comie avanguardia sulla costa calabrese per organizzarvi subito un'insurrezione. (29) Si sono riassunte in questo capitolo le operazioni dei Volontari sol· tanto nel continente, cioè in relazione alle operazioni dell'Esercito re· golare; escludendo pertanto « La Spedizione dei Mille » che costituirà una pubblicazione a parte, già qu.asi complefala dall'Ufficio Storico.
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Sbarcati alla Punta del Pizzo e suddivisi in piC'cole colonne, questi volontari, aiut.ati da guide del paese polerono passare attraverso i cordoni borbonici e guadagnare le alture. Le truppe borboniche si stendevano da Bagnara fino a Reggio, al comando dei generali Gallotta, Briganti e :Melendez. Erano circa i2 mila uomini, mentre nello stretto e adiacenze incrodava la flotLa composta di una decina di navi, i comandanti delle quali, da quanto risulta da una lettera che l'ammiraglio P ersano scriveva u. CaYour il 3i luglio « parevano disposti a togliersi alla prima occasione da ogni azione contro i Garibaldini e rontro il governo piemontese. Intanto per cura del Bertani si riunivano a Genova rirca 6000 volontari che ordinati su 4 brigate (Eberhardt, Tarrena, Gandini e P uppi) venivano poste sollo il comando del colonnello Pianciani e del rapo di stato maggiore col. Ruslow, e di rette a Milazzo, mentre si formavano in Romagna e in Toscana altre due brigate con le quali il Nicolera progettava di invadere le Mal'C:he e l'Umbria. Ta.la spedizione poi, come è noto, non ebbe effelto per assoluto divieto di Cavour, ('he provvedeva altr imenti nei riguardi di quelle provincie dello Stato P ontifi cio. Verso la metà di agosto Garibaldi riunite così numeroso for:Ge fra il Faro e Messina, le spostava verso Taormina e preceduto dalla divisione Bixio, sbarcava a Malito. Uno dei legni che trasportava quesle truppe, il piroscafo Torino, si arenò a levante di Capo dell'Armi e fu cannoneggiato da due navi borboniche. I volontari fecero tuttavia in tempo a sceudere per mezzo di barche e non si ebbe per· ciò a lamentare alcuna perdita. Garibaldi eseguito lo sbarco si mise in marcia verso Reggio. Nella notte lo raggiunse Missori. che lo ragguagliò sulle forze borboniche informandolo che la città era pres idiala da due reggimenti di linea e una batteria rampale agli ordini del generale Gallotla. Contro questi mosse la divisione Dixio, e nel primo scontro cogli avamposti napoletani, i volontari ebbero i40 uomini fra morti e feriti. La città capitolò e il 23 agosto veniva conclusa a Villa S. Giovanni una convenzione con la quale il castello con Lutto il materiale bellico passava in possesso dei garibaldini. Intanto anche la divisione Cosenz passava lo stretto serrando in una morsa le truppe dei generali Briganti e Melendez che capito· larono alla prima intimazione di resa. Il Briganti ritenuto reo di tradimento fu ucciso in Mileto da alcuni cacciatori borbonici del H battaglione. 0
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La resa di questa brigata imputata al suo comandante, aveva infatti scoraggialo e indignato gli animi degli stessi suoi soldati e fu senza dubbio una delle cause principali per cui tutti i paesi delle Calabrie, del Principato Citeriore e poi della Capitanata, sotto l'impressione di essere comipletamiente abbandonati dall'esercito, innalzarono senz'altro la bandiera tricolore deponendo le autorità borboniche. A Napoli, dove fino dal i4 agosto era stato proclamato lo st.a.to d'assedio, la notizia ebbe un'eco grandissima, provocando una grave dichiarazione del m~nistro degli interni Liborio Romano a Francesco II e una lettera del conte di Siracusa che consigliava il Re a porsi francamente sulla via delle riforme liberali o cedere il regno a Vittorio Emanuele II. Da Scilla a Napoli si spianava così la via alle truppe di Garibaldi che rinforzate dai contingenti lasciati a Milazzo e sbarcati a Paola il 1 settembre, nonchè dòl favore delle popolazioni, marciavano a grandi giornate verso- Salerno. Quivi i generali borbonici dopo parecchi consigli di guerra avevano deciso di attendere i volontari. Furono infatti riuniti circa 7000 uomini affidando la città di Napoli alla guardia nazionala. La notizia però che nella notte del 5 altri garibaldini erano sbarcati a Sapri e che Avellino e Benevento erano insorte, contrariam3nte al parere di Pianell e di Bosco, Francesco II decise di non opporre più alcuna resistenza e di ripiegare con tutto l'esercito dietro il Volturno abbandonando la capitale ed appoggiandosi sulle fortezze di Capua e di Gaeta. Infatti la sera del 6 tutta la casa reale si imbarcò per Gaeta scortata da due legni spagnoli mentre la flotta napoletana (meno la nave Partenope) si rifiutava di partire e decideva di passare col nuovo regime. Il ministro Romano invitava contemporaneamente Garibaldi ad entrare in Napoli dove era atteso « con indicibile ansietà, confidandosi a lui i destini delle due Sicilie » . E Garibaldi rispondeva il giorno 7 da Salerno: « Appena m~ giungeranno il Sindaco e il Comandante la Guardia Nazionale, verrò da voi; in questo momento solenne vi raccomado la quiete e l'ordine, che si addicono alia dignità di un popolo il quale rientra nella padronanza dei suoi diritti ». Il brigadiere Gandini riceveva inlanto l'ordine di trasferirsi da Eboli a Napoli, ma data la brevità del tempo concesso, le difficoltà di trovare sufficienti mezzi di trasporto e l'affluenza di guardie nazionali che volevano unirsi alla brigata di volontari, questa non
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potè giungere che nella notte dall'8 al 9, portandosi subito a Pizzofalcone dove erano ancora accasermati alcuni reparti borbonici . Non tutti i paesi condividevano però lo stesso entusiasmo della capitale. Una forte reazione si manifestò infatti nel Principato Ul'ra e più particolarmente in Ariano, dove fu mandata la brigata Milano, e a Dentecane dove fu inviato il generale Turr. Per cui Garibaldi sentendo la necessità di avere sottomano le maggiori forze disponibili ordinò un concentramento generale di volontari nel di· stretto di Caserta., fronte al Volturno, dietro al quale si stavano schierando le truppe napoletane. Quivi raggiunse il grosso dell'esercito garibaldino la brigata Nicol.era che dopo l'ordine di non sconfinare nelle Marche era stata imbarcata per la Sardegna e di là si era tra· sferita in Sicilia e poi a Salerno. Il comando borbonico aveva intanto compreso di non poter ri· tardare più oltre la progettata azione contro l'esercito garibaldino . Premeva sopratutto a Francesco II di annullare con un'azione decisiva l'intervento dell'esercito regolare sardo e di evitare la congiun· zione delle due armate (30). E tale decisione parve maggiormente indicata dopo che nella giornata del 19 settembre il generale Ti.irr con poco più di 6000 uo· m4ni aveva tentato una dimostrazione offensiva contr-0 Capua, che si risolse invece nello scontro sanguinoso di Caiazzo, nel quale il maggiore Cattabene, il quale era riuscito ad entrare in paese, fu costretto il giorno dopo, gravemente ferito, a ritirarsi con perdite rilevanti. Informato il generale Garibaldi di queste intenzioni del nemfoo e degli ordini impartiti per un attacco da effettuarsi il 1. ottobre, dispose subito nella giornata del 30 perchè la divisione Cosenz e la brigata La Masa si schierassero fra S. Tammaro e S. Maria C. V. con un battaglione (Bronzetti) distarcato a Castel Morronc; che la (30) Le disposizioni date dal generale Rilucei perchè le posizioni di S. Angelo, S. Maria e Miaddaloni fossero atta,c cate contemporaneamente per la mattina del 1 otlobre, tendevano appunto ad uno sforzo decisivo dell'esercito borbonico contro i volontari di Garibaldi, nel l'intendimento di sgominarli e di riprendere dalle po,;izioni da essi occupate, una situazione dominante contro l'esercito regolare ifaliano. La divisione comandata dal generale Gaetano De Rivera doveva pertanto attaccare S. Angelo, la divisione ,Colonna Sanfa Maria e la brigata estera agli ord ini del generale Voo Mechel doveva piombare su Maddsloni. Una colonna intermed ia do· veva inoltre agire su Castel Morone. (Riscontro ad un opuscolo sulla campagna del 1860, delt'ato dal Rilucei e stampato a Napoli nell'agosto 1861).
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divisione Madici con la brigata Spangaro occupasse S. Angelo in Formis, che la brigata Sacchi prendesse posizione a S. Leucio, la divisione Bixio ai Ponti della Valle e che infine il generale Turr forte di 5.200 uomini restasse colla sua divisione in riserva a Caserta. La battaglia incominciata all'alba su tuUa la fronte, sott-o la forte pressione borbonica, dopo alterne vicende divenne verso mez· zogiorno assai critica per l'esercito garibaldino e verso le ore 13 si faceva ancora più grave essendosi il nemico incuneato fra le due divisioni di Cosenz e di Medici minacciando di dilagare alle spalle di esse e di marciare direttamente su Caserta. Quest.o gra.ve pericolo era stato fortunatamente intuito da Garibaldi il quale fino dalle ore 11,45 aveva mandato l'ordine alla divi· sione di riserva di agire controffensivament.e accorrendo a S. Maria C. V. per esser pronta a cacciarsi nello spazio nel quale i borboni tentavano lo sfondamento. L'urto avvenne infatti come Garibaldi aveva previsto e fu magnificamente sostenuto dalla divisione Turr ma più specialmente dalla brigata Eber e dagli Ungheresi (31). Intanto il generale Bixio lottava a Maddaloni, ai Pon ti della Valle, a Monte Cavo, contro la divisione von Mechel; e il maggiore Bronzetti si difendeva disperatamente con soli 200 uomini, contro forze quintuple a Castel Morrone, ritardando a prezzo della sua vita e di quella dei suoi eroici compagni l'avanzata borbonica. Cacciati finalm'ente dalla posizione di Monte Cavo per l'accorrere del reggimento Dezza e del battaglione Menotli che caricarono qual· tro volte alla baionetta, i borbonici ripiegarono, e i garibaldini poterono riguadagnare verso sera le posizioni che avevano perduto al mattino. Memoranda giornata e battaglia di grande importanza quella del \-olturno, poichè in essa, sopra una linea di 20 km. si contesero .aspramente il terreno per 12 ore 40.000 combattenti. Garibaldi il 21 ottobre indiceva i plebisciti, il 26 si incontrava ·col Re, e il 29 scriveva a Vittorio Emanuele quella patriottica let· tera nella quale rifulgeva tutta la grandezza dell'animo suo. Dopo aver raccomandato a Sua Maestà i suoi volontari, il Generale così nobilmente cedeva all'Augusto Sovrano il Regno delle Due Sicilie: « Io vi rimetto il potere di 10 milioni di Italiani tormentati sino (31) Suffazione della Legione Ungherese al Volturno vedere l'opera ,del Col. A. Vigevano: La Legione Ungherese in Italia. (Ufficio Storico ,dello Sfato Maggiore 1924) pag. 79 e segg.
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a pochi mesi addietro da un dispotismo stupido e feroce e pei quali è ormai necessario un regime riparatore. E l'avranno da Voi questo regime, da Voi che Dio prescelse ad instaurare la Nazione Italiana ». Due giorni dopo, buona parte dell'Esercito Meridionale pren· deva ancora parte alle operazioni sotto Capua. e concorreva efficacemente alla resa di quella piazza.
Intanto era stato annuncialo che S. M. il Re avrebbe passato in rivista i volontari il giorno 6 di novembre a Caserta. L'avvenimento era di eccezionale importanza politica e militare, particolarmente perchè coronava l'opera di un esercito vittorioso alla vigilia del suo scioglimento. Garibaldi doveva presentarli schierati su 5 divisioni rispettiva· menta agli ordini dei generali Medici, Cosenz, Tiirr, Bixio o Avez· zana. Intervenivano alla rivista anche altri corpi coms lo squadrone inglese, la legione Sannita, le guide, gli usseri, i volontari inglesi l'arliglieria montata, i carabinieri genovesi ecc . Le truppe giunsero infatti successivamente e si disposero in linea spiegata lungo lo stradone che accede al palazzo reale. Garibaldi giunse a mezzogiorno in carrozza, coi suoi aiutanti, ma recò la notizia che S. M. il Re non sarebbe arrivato perchè da Sessa aveva dovuto trasferirsi a Napoli. Montato perciò a cavallo nel suo costume pittoresco, il Dittatore passò la rivista egli stesso. Erano battaglioni ridottissimi di effettivi e con esuberanza di quadri; più completo e corretto quello della Divisione Cosenz che si considerava come truppa regolare dell'Italia Meridionale. Alcuni reparti portavano un numero, atri prandevano nome dal loro comandante altri avevano denominazione dal luogo d'origine. Il 7 novembre, cioè il giorno dopo della rivista di Caserta, Garibaldi entrava in Napoli a fianco di Vittorio Emanuele fra un in· descrivibile entusiasmo della popolazione e 1'8 depositava alla reggia nelle mani del Re, in presenza di tutti i dignitari dello Stato, la sua dittatura e i plebisciti di Napoli e della Sicilia. Il 9 salpava per Ca· prera dopo aver ceduto il comando dei volontari al generale Sir· tori. Partito il generale, restava al nuovo governo da risolvere la questiono garibaldina. Era una question e assai delicata, poichè le declam azioni non mancavano, le suscettib ilità personali insorgevano, la diplomazia vegliava per scorgervi il passaggio fra la rivoluzione
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trionfante e l'ordine legale che si sostituiva. Un atto sovrano del i5 novembre dichiarò che l'armata dei volontari aveva ben meritato della patria e del Re, un decreto successivo stabilì una retribuzione a quelli che non volessero più continuare il servizio, e coloro che rimasero alle armi furono posti agli ordini del generale Sacchi costituendo la i5a divisione dell'esercito regolare. Ma il 19 Sacchi adducendo ragioni di salute ne cedeva il comando al colonnello Spangaro, e l'esercito meridionale si dissolveva spontaneamente con pochi passaggi nelle truppe italiane e con molte richieste di congedi. La conservazione di un nucleo per le prossirrre guerre di Venezia e di Roma, che poteva lusingare il patriottismo italiano, a· vrebbe allarmato maggiormente le potenze europee mal disposte a tollerare la legalizzazione di un elemento armato rivoluzionario, in contrapposizione alle precedenti note del Cavour che giustificavano l'intervento piemontese nelle Marche e nel Napoletano in nome del· l'ordine e del principìo monarchico. Gli ufficiali e sottufficiali rimasti, vennero quindi mandati a Mondovì, a Biella, ad Asti, Novara, e Vercelli, col loro grado e coi loro diritti, ed a cinque generali garibaldini venne l'anno seguente affidato un comando di divisione. E' noto come Garibaldi rifiutasse ogni titolo e ogni appannaggio per se e per la sua famiglia e com~ congedandosi dai suoi volontari esprimesse soltanto « la speranza di rivederli fra poco pei nuovi destini della Patria » .
CAPITOLO IV.
Assedio di Gaeta Gaeta e la sua guarnigione - Il suo armamento - Forza e ,composizione del IV Corpo d'Armala italiano - Prime disposizioni per l'investi, mento della piazza.
Gaeta, per la struttura topografica della sua penisola costituisce un punto naturale di difesa, e fu infatti durante le invasioni barbariche uno dei pochi e piu sicuri rifugi dei resti della civiltà latina, fino a che fatta libera dagli attacchi dei Saraceni, dei Normanni e dei Longobardi riprese per le vie del mare i suoi traffici e i suoi commerci. La sua importanza militare venne del pari affermandosi nei secoli, ed ai baluardi formati dalla natura aggiunse sotto gli Aragonesi e sotto Carlo V nuovi baluardi artificiali. Un primo assedio la cinse nel 1501, allorchè il Duca di Nemours se ne impadronì in nome di Luigi XII Re di Francia. Ritolta tre nni dopo a.i francesi da Consalvo di Cordova, subì nel 1707 un nuovo attacco da parte dei T edeschi che vi entravano cacciandone gli Spagnuoli e r esistette per 4 mesi con mell1X)rando valore nel 1734 allorchè ai Tedeschi, in guerra pei possessi di Sardegna e di Sicilia, volevano ritoglierla le armi di Spagna e Piemonte collegate. Nel 1799 il comandante borbonico che difendeva la piazza la consegnava al generale Championnet, e finalmente nel 1806 il Principe d'Assia Philipstadt vi dirigeva quell'eroica resistenza che si protrasse per quasi 5 mesi contro i francesi comandati da Massena. Nel secolo XIX, oltre a quello già memorando del 1806, Gaeta sosteneva infine altri due assedi, uno nel 1815 ed uno nel 1860. Quello
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del 1815, celebre per il nome del generale Begani e per la difesa del tricolore italiano innalzato per la prima volta sulla torre di Orlando fu un episodio di valore morale rilevantissimo poichè gli ultimi avanzi dell 'esercito di Murat. contssero agli Austriaci quella fortezza per ostacolare all'Austria di impadronirsi ancora una volta del regno di Napoli e delle ultime insegne della libertà (32). L'ultimo asszd io fu finalmente quello del 1860 che segnò la ca· duta della dinastia Borbonica nel Regno di Napoli e l'annessione di que·sto all'Italia.
Gli avanzi dell'esercito borbonico che dopo il 12 novembre 1860 rimasero chiusi in Gaeta, sommavano a 934 ufficiali e 12 mila uomini di truppa_ Con essi trova.vasi la Corte nonchè uno stuolo di generali e di ministri che avevano lasciato Napoli, decisi a rimanere fino all'ultimo presso la Cassa regnante (33). Col Re Francesco II stava la regina Maria Sofia di Baviera giovine sua sposa appena diciottenne, salita sul trono solo per provarne le amarezze. Della famiglia reale eranvi la regina vedova Maria Te· resa, i conti di Trani, di Caserta, di Girgenti, di Bari e di Caltagirone, nonchè le principesse Maria Annunziata, Maria Immacolata, Maria Grazia e ~aria Luigia, e le LL. AA. il conte e la contessa di Trapani. Eranvi 22 dignitari di Gorle, il tenente generale Casella, presidente del Consiglio e ministro della guerra e degli est~ri, il vice ammiraglio Del Re ministro della marina, il marchese Ulloa ministro dell'interno e di grazia e giust.izia, il barone Carbonelli ministro d'elle finanze, il brigadiere Ulloa direltore del ministero di guerra. Del corpo diplomatico accreditato presso il governo borbonico, s1 erano condotti da Napoli a Gaeta: (32) Col. G. C. FERRAR! Il generale llegani e la difesa di Gl'leta nel 1815 (U. S., Mem. St oriche Mii. Fase. III del 1911). (33) Nell'agosto 1860 l'inliero esercito delle Due Sicilie sommiani. a 62 mila uomini, e-irca 6000 cavalli e 144 cannoni. Es-;o comprendeYa: La guardia reale (2 regg. granatieri , I di cacciatori, 1 di liragliatori, 1 di Real Marina e l di usseri). Truppe di linea. (16 regg. di fanteria di linea, 4 di caval leria di linea, 2 di lancieri, l di cacciatori a cavallo, 2 di artiglieria, 1 brigala artefici pontonieri e 2 battaglioni del genio). Truppe estere (3 ballaglioni di carabinieri leggeri, l balleria).
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Il Nunzio Apostolico, l'incaricato d'affari di Toscana, l'inviato straordinario e ministro plenipotenziario di Spagna, l'inviato straordinario e mrinistro plenipotenziario d' Aust.ria, quello di Prussia , quello di Russia e il ministro residente di Sassonia. Di tanti personaggi che la sorte aveva gettato in quella fortezza, molti ne uscirono durante i tre mesi dell'assedio. La regina madre colle principesse ripartì per Napoli il 19 novell1lbre, e il corpo di · plomatico la seguì due giorni dopo, sulla nave prussiana « Loreley » . Rimasero soltanto il duca di Ripalta ambasciatore di Spagna e l'addetto mrnt.are austriaco. Qualcuno tornò il 14 gennaio per presentare al Re i soliti omaggi in occasione del suo anniversario, mta. pochissimi di essi, fra cui il Nunzio Pontificio e i Ministri di Sassonia e di Baviera rimasero fino alla fin e. Cosicchè dopo l'entrata delle truppe che erano sull'istmo la guarnigione di Gaeta, alla metà di novembre era la seguente:
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Reggimento Re Artiglieria . id. Regina id. Batteria N. 6 . . . . id. N. 15 (estera) Brigata Artefici . . . ZO Battaglione del Genio 14° id. Cacciatori 16° id id. Frazioni di Fanteria Veterani Nazionali . id. Svizzeri Frazioni di Carabinieri esteri.
Gendarmeria Reale. Frazioni di Fanteria di Riserva. . . . Cannonieri Marinai (a terrn e a bordo) . Corpo Telegrnfico . . . . . . . . .
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76 37 6 9 23 31 26 27 3 27 22 8 27
444
954: 414
187 178 141 606 495 865 101 186 513 . 204
91 124
73 63 1099
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Totali . .
934 [12.201 784 1
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Veduta. generale di Gaeta
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(Da 1ma stampa del 1860)
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La partenza della Corte di Napoli era stata deliberata all'ultimo mom~nto, sotto la pressione degli avvenimenti, ma principalmente per volontà della regina Maria Sofia. I Ministri ne furono informati la sera del 5 settembre e il giorno dopo cominciò senz'altro il carico dei bagagli sui due bastimenti « Il Messaggero e il Delfino » (34). Un proclama del Re avvisò i napoletani che per la loro incolu· mità i Sovrani compivano questo sacrificio e che in compenso dove· vano mantenersi tranquilli e lontani da qualunque manifestazione di soverchio zelo verso la dinastia, la quale al ritorno sul trono avrebbe concesso e mantenuto tutte le libertà e le garanzie costitu· zionali possibili. A tutela dell'ordine rimasero pel momento i mi· nistri e la Guardia Nazionale. Alle 4 pomeridiane dello stesso giorno 6, Franr.E-sco II tenne consiglio dei ministri, li ringraziò, raccomandò loro il governo, poi con tutto il seguito andò al porto accompagnato dalla Regina, e si imbarcò sul Messaggero. Il Delfino era partito un'ora prima. Il capitano Vincenzo Criscuolo alle 6 precise fece levare le ancore e diede alla squadra il sognale perchè le navi da querra uscis· soro dal porto per scorta.re la nave reale. Nessuna delle fregate ri· spose all'appello, tutte restarono immobili, e il Messaggero uscì al largo scortato a distanza da due soli bastimenti spagnuoli, sopra uno dei quali (il Colon) era imbarcato l'ambasciatore Bern11Udez de Castro colla sua famiglia e col personale di legazione. Il piccolo convoglio passò all'imbrunire davanti a Procida e quivi incontrò altri quattro vapori della squadra napoletana. Il Re fece avvisare col portavoce, e mandò a chiamare il comandante, per informarlo che desiderava avere con se almeno parte della flotta; m:a gli equipaggi si rifiutarono di obbedire e i legni voltate le prore verso Napoli rientrarono nel porlo abbandonando il Messaggero che proseguì tristamente per Gaeta. Naturalmente la traversata non poteva essere molto felice. Francesco II capì d'aver perduto la marina da guerra e se ne addolorò alquanto, mia più di lui parve addolo· rarsene Maria Sofia che rimase tutta la notte sveglia e agitata. La flotta riunitasi a Napoli, fu poi il giorno dopo per un de· cr eto di Garibaldi incorporata nella marina italiana agli ordini de] l'ammiraglio Persano. Le navi vennero ribattezzate con altri nomi, ufficiali e soldati giurarono a bordo della Maria Adelaide, fedeltà al Re Vittorio· Emanuele II, e di tutte le unità, una sola, la fregata a (34) DE CcSARE, La fine di un R egno.
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vela Partenope, rimase ai servizi del Borbone, uscendo indisturbata dal porto al mattino dell '8 settembre, diretta nelle acque di Gaeta (35). Oltre alla Partenope, una fregala a vela con 50 cannoni agli ordini del capitano di vascello Pasca, eravi a Gaeta il piroscafo il Delfino con 4 cannoni, la Saetta, e il Messaggero armati di due cannoni ciascuna. Queste ultime tre al comando del capitano onorario di fregata Criscuolo. Eravi inoltre il piroscafo mercantile Etna noleggiato ed armalo. La guardia del porto era affidata alla squadra francese cosidetta di evoluzione, composta di 5 vascelli ad elica, la Bretagne, il Fon· tenay, il Saint Louis, l'Imperial e l'Alexandre, più due piroscafi armai.i, il Prony e il Descarles. Stavano infine all'ancora alcune navi da guerra prussiane e spagnuole. Oltre al generale Casella che come si è detto era presidente dei ministri e ministro degli esteri eravi il tenente generale Milon governatore di Gaeta, il quale aveva ai suoi ordini il maresciallo Tabacchi e il capo di stato maggiore Antonelli. A questi si aggiungevano una trentina di generali delle varie armi e corpi e il generale Afan de Rivera direttore d'artiglieria. "Cn numero eccessivo d'ufficiali ri spetto alle truppe, ma tale eccesso era dovuto a ragioni di conYe· nienza, cioè non soltanto per un sentimento di fedeltà alla casa borbonica , ma anche per moli\·i privati facilmente spiegabili. Il mantenere tanta gente, continuando anche a pagare gli stipendi, costi· tuiva però un onere gravissimo per l'erario; manc·avano infalti i viveri, mancavano gli alloggi e sopratutto mancava il denaro (36). Il Casella aveva fatto il possibile per accaparrarsi la benevo· lenza delle P otenze e segnatamente clella Francia e colla rircolare del 12 novembre aveva fatto sapere che S. M. il Re intendeva con· servare e difendere la rnonarrhia « augusta eredità a lui affidala dai suoi antenati ". Ma per quant-0 le intenzioni fossero buone e il va· lore dei difensori di Gaeta potesse essere noto al mbnclo, nessuna Nazione voleva prendersi soverchiamente a ruore una questione de· stinala all'insuccesso, tanto più in considerazione ch e il regno di Napoli pei suoi precedenti politici, per la sua marina in gran parto (35) DE CESARE, La fine di un Regno.
(36) Il Re Francesco, il 16 novembre, mandò infat.ti a CiYilavecchia e a Marsiglia il marchese Ulloa. nominato allora mini"-lro dE>ll'inlemo, perchè si provvedesse di ciò che mancav{l alla piazzaforte, dando!!li l milione e 300 mila lire della sua cas~elta pri,ala.
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perduta ed infine per l'esistenza di rivoluzionari sparsi dovunque, non poteva meritare un intervento decisivo e tale da compromettere talune relazioni internazionali . Per queste circostanze i difensori di Gaeta dovettero fare assegnamento sulle loro forze ·soltant-0 e cominciarono dal disciplinare quella guarnigione eterogenea che sul principio non pareva ben disposta ad affrontare i disagi di un lungo assedio. Furono perciò impartite disposizioni severe, fu ordinato il servizio del rifornim~nto delle munizioni, vennero apprestati macchinari appositi, si costituì un servizio del genio a capo del quale fu messo il generale Traversa. Il fronte di terra cioè la parte che guardava l'istmo di Montesecco fu assegnato al generale de Riedmatten e quello ver&0 il mare venne posto agli ordini del generale Sigrist. Fuori della città, nel campo detto appunto di Mont.esecco fu costituita una difesa provvisoria, fatta più per tener riunite le truppe che in realtà per difenderle, e questo campo fu posto alla dipendenza del generale Salzano, il quale per evitare il malcontento e le diserzioni aveva ottenuto dal Re il permesso di far entrare in Gaeta anche le truppe che sulle prime si sperava poter conservare al di fuori . L'entrata di queste truppe venne però ad accrescere il disagio della città, senza portare adeguato contributo di difesa, e il disagio accrebbe maggiormente in seguito, per il prolungarsi dell'assedio. Gaeta contava poco più di 3 mila abitanti, ma a questi si dovevano aggiungere 11 mila abitanti del Borgo che erano inclusi nella zona assediata e che traevano il loro sostentamento dalle magre riso,r se che avevano nelle case, finite le quali dovettero provvedersi dalla sussistenza militare. Un servizio abbastanza previdente per quei teml)i era stato all'uopo impiantato per rifornire cittadini e soldati valendosi di quei due o tre piroscafi francesi noleggiati che andavano ,e venivano da Civitavecchia, per quanto non sempre potessero approdare con sicurezza, onde il loro arrivo era lento, mal regolato e per conseguenza incerto. Di più occorreva pensare ai feriti ed ai mia.lati, ricoverati negli ospedali di S. Francesco e nel Civico nonchè in una ambulanza sue· cursale, invero ricca di medici e di medicine, ma inadeguata al bisogno per quanto si riferiva ai viveri speciali degli infermi.
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* ** Gaeta si erge sopra un promontorio scosceso bagnato d'ogni intorno dalle acque del Tirreno. E' congiunta alla terraferma per mezzo di un istmo detto Montesecco, ed era allora circondata da opere di fortificazione permanente continua. Le batterie che guar· davano lo specchio d'acqua verso Terracina costituivano il cosidetto fronte a mare, mentre, come si è dello, si chiama.vano del fronte a terra quelle che difendevano l'istmo e i campi di Monlesecco. Questo fronte di terra aveva uno sviluppo leggermente convesso lungo il ripido piede di Monte Orlando per 120 m. circa di percorso, compresa una buona parto che è bagnata dal mare di Terracina. e una piccola porzione dall'altro lato che tocca il mare propriamente detto di Gaeta. Il fronte di terra era costituito dalle opere seguenti: Il bastione Transilvania all'estrema sinistra con due batterie, una arretrata detta Malpasso e l'altra più avanzata detta Transil · vania. La batteria della Trinità con un ridotto e una strada coperta. La batteria Malandrone. La batteria a Denti di Sega, dinanzi alla quale vi era una falsabraga per fucileria separata dalle opere late· rali con due tagliate assai ripide. Davanti eravi un posto per osser· vazione. La batteria a Piattaforma, con un ridotto anteriore a scaloni detto dei cinque piani dal quale si poteva comunicare mediante un ponte levatoio colla falsabraga. della batteria a Denti di Sega. Il ba.· slione Philipstadt protetto da un trinceramento, un fosso a due ponti levatoi e guardato da un rivellino antistan te al quale si acce· deva per un passaggio sotterraneo. La Cortina di S. Andrea. Il Bastione di S. Giacomo. La Bat· teria Fico. I due Bastioni Conca e delle Cappellette. La Cortina. Cittadella. La Batteria della Cittadella., all'estrema destra. La Batteria Trabocco (isolata) posta sulle rocce ad occidente del mare di Ter· racina. Quas1 tutte queste opere avevano un solo ordine d'artiglieria allo scopert-0, m~mo il ridotto di Cinque piani che era ca.samatta.to, e quello della Trinità che oltre alla batteria scoperta. batteva una. seconda batteria. bassa casamattata. Casamattate per alloggiamenti si trovava.no soltanto le batterie Regina e Cittadella e la cortina delle Cappellette.
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Le opere esterne de,l fronte di terra sorgevano sull'istmo nello spazio compreso fra la batteria Cittadella e il bastione Philipstadt essendo il resto bagnato dal mare. Erano le seguenti : La Palsabraga di S. Andrea, il Frontone a Scaloni, il Nuovo ridotto cinto tutto intorno da un fosso, e la Controguardia Cittadella, davanti alla batteria, collegata col primo scalone mediante una galleria a fuochi di rovescio. Il fronte a mare, a cominciare dalla sinistra, partiva dalla batteria Cittadella con opere contigue e congiunte fra loro da strade coperte e cammini di ronda per uno sviluppo totale di 2200 metri e constava delle seguenti opere : La Cortina e il Bastione di S. Antonio, la Cortina Addolorata con la poterna Regina, e una casamatta per magazzini . Il Bastione A.nnunziata, le Batterie riserva, S. S'f}irito, Favorita, Ferdinando e Granguardia colla porta Granatieri e una casamatta per all()ggiamenti . Le Batterie Paterna e Fico, la Cortina del Porto, la Bafrteria S. Jl;/ aria, le due Batterie Guasta/ erri. Le opere cosidette distaccate erano le 5 batterie di S. Montano, S. Domenico, Maria Teresa, Torrione Francese e Duca di Calabria. A quoole difese si potrebbero aggiungere il Vecchio e il nuovo Castello, due antiche costruzioni disa1mate perchè inadatte a ricevere artiglierie, erette a ridosso di Monte Orlando, e un Arsenale disposLo a pianterreno nelle casematte della batt.eria di S. Maria; edificio angusto e non proporzionato ai bisogni di una grande piazzaforte. Ai piedi di M. Orlando sorgevano tre polveriere, dette Carolina, Ferdinando e Trabacco, capaci di molta polvere, ma non bene con· servate. Sul rrronte nessuna opera di fortificazione, e al culmine di esso il sepolcro di L. Manunzio Planco detto la Torre di Orlando. Due strade conducevano lassù girando attorno, una a N. O. e l'altra ad Est, battute entrambe dagli attacchi di terra, e guidavano ad un posto di osservazione magnifico, con telegrafo ad asta per Terra· cina, e con telegrafo e]ettrico per la città di Gaeta.
Al di là dell'istmo, contro la spiaggia orientale, si eleva il colle Atratino sul quale sonvi i ruderi di un edificio detto il sepolcro di Lucio Atratino, a una quarantina di metri dal livello del mare, e
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dietro a questa piccola altura sorgono: il Colle dei Cappuccini e iI Monte Lombone detto anche S. Maria delle catene. I Cappuccini alti fi7 m. scendono nel golfo di Gaeta, il M. Lombone si alza fino a 109 m. e scende nel miare di Terracina. Dietro queste piccole elevazioni si ha un ordine di colline, di Colle Torlono, S. Agata ecc., varianti nelle loro altitudini sui 150 e i 180 metri. Circa le artiglierie di cui disponeva la piazza, esse erano così suddivise: Trinità Ridotto 1'rinità Transilvania Malpasso Sant' Andrea Piattaforma Dente di Sega MaJandrone Nuovo Ridotte, Scalone Cinque piani Cappellette Conca Fico S. Giacomo Philipstadt Regina Trabacco
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3 eannoni obusieri da 80 - 2 pezzi rigati da 4 - 1 pezrt.o
rigato da 12. - 2 cannoni obusieri da 60. - 5 • » da 60. )) )) -1 da 60. -5 • da 2! e 7 mortai. -4 » e 2 obusieri. -10 » e 8 mortai. -1 » obus. da 60 » da 4 - 2 obnsieri · 4 colubrine da 16 e 4 obusieri -8 )) da 12. -3 - 4 da 2, e 2 obusieri. » -4 da 24 e lS obusieri. • da 24 e 3 obusieri. -4 » -4 » obusieri da 60. » da 24. -7 - 1 da 12 - 6 da 24 - 1 colubrina da 12 - 2 obu» sieri e 3 monai. - 1 cannone da 24 - 38 obusieri da 60 - 1 peazo rigato da 12. - 8 obusieri da 60 e 2 mortai.
In comJplesso sulla t ronte di terra 153 bocche da fuoco, delle quali molte rigate. Nel fronte a mare, l'artiglieria era stata divisa in tre sezioni , il comando delle quali era stato affidato al Duca di Caserta, al gene· rale Palumbo e al colonnello Garofalo. L'armamento delle batterie era il segu ente: Batteria Duca di Calnbria Torrione francese Maria Teresa San Montano
11 cannoni obusieri da 60. » » » » e 2 cannoni da 12. » » » » 5 cannoni da 36.
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Guastaferri superiore Gun.ataferri inferiore Sant&, Maria
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Vico
Poterna Gran Guardia Ferdinando e Favorita. Spirito Santo Riserva
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8 cannoni obusieri da 80 e 18 cannoni da 36. 3 obusieri e 6 mortai. 13 cannoni obusieri da 80 - 5 cannoni da 30 2 obusieri. 6 cnnnoni obusieri da 80 - 4 cannoni da 30 5 cannoni da 24. 2 colubrine da 2! e 2 obuaieri. 5 cannoni da 86 - 1 obice - 2 mortai. 18 cannoni obusieri da 60 - 1 cannone da 30 3 obusieri da 60 - 2 cannoni da 12. l obusiere da 60- 2 cannoni da 12. 2 cannoni da 30.
Così nel fronte a mare si avevano altre 151 bocche da fuoco, alle quali si dovevano aggiungere le 25 della batteria straniera, servita esclusivamente da Svizzeri e Francesi, e suddivisa nelle opere seguenti : Controguardia Cittadella C,ippelletti Fia.néobasso
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3 cannoni da 16 - 2 pezzi rigati da 12 - I mortaio. 7 cannoni da 24 - 1 cannone da 16. 4 obusieri. 8 cannoni da 12 - 8 obusleri - 1 mortaio.
In totale quindi si avevano 329 bocche da fuoco. Da quanto rife· risce il Carandini (L'A.ssedio di Gaeta del 1860·61) il numero di queste artiglierie sarebbe stato molto maggiore, cioè di 506. Tale differenza così notevole di calcolo si spiega considerando che il primo di detti autori registrò i pezzi che erano effettivamente in batteria e potevano essere utilizzati, mentre il secondo riferì l'elenco delle bocche da fuoco che furono trovate elencate senza tener conto di quelle che erano fuori d'uso.
* ** Per l'investimento e l'assedio della piazza di Gaeta, era stato incaricato il IV Corpo d'armata italiano agli ordini del generale Enrico Cialdini, forte di 808 ufficiali, 15.255 uomini di truppa, i679 cavalli e 42 cannoni (situazione al 9 novembre 1860).
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La cos liluzione di detto corpo d'armata era la seguente : Co11~ndmite: E. ClALDIN 1, Generale d'Armata. Capo di Stato Jlaggiore : Colonnello P10LA CASELLI. U.tflciali addetti al Quartier 6e1ierale: Maggiori di Stato :\laggiore }lINoxz1 e A5tNARI 01 SAN M,rnZA~O. Capitani » » CACCIALUl'J o CAsTi,:u,1. Aiutanti <li campo: Capitano !\IosTt (dei bersaglieri) - Tenente BORROm:o A1n:s~: (dei Lancori Aosta) - Tenente 8ERR1STOR1 (dei Cavalleggeri .Monferrato). Comandante l'Artiglieria: Colonnello F1uxz1N1 (poi Generale V AT.FRt:). l'oma,idante del Genio : T enente Colonnello IlF.LLI (poi Generale ~h:NAmn:.-1..). Capo <lell' Jntende,iza : Intendenu, AJ,I.IAUD Capo Servizio sanitario: Cap. Medico CORTESE. Comandante il treno d' .Annata: Mnggiore REGGIANI. Brigata Como: IY DIHSIOXE Mnggior Generale CuG tA. Teo. Generale P&s 01 VJJ,LAMARINA. 23° Fant. Colonnello Bo1ma Capo di Stato ,lfaggiore : 24,0 » )) GHIXO!<l. Maggiore D' ONCIEC DE LA BA Tnr.. Capitano DF. VECCHI (addetto). Brigata Berg<i1no : Brigata Rl'gina : )Jngg. Gen. A VOGA nito Dt CA.SANO\' A )faggior Generale A vi,:NATJ. 25° l:<'ant. Colonnello SCAKO. 9° l~ant. Colonnello D.:RANDJ. ~26° » )) MASAI.A. 10° » » Bo::sor.o. l t o Bersaylieri: Brigata Savona: Maggiore LANZA vr.CCHIA DI Bun1. Maggior Generale Rm is. l2ù Rersaglie,-.i: 15° Fant. Ten. Col. VtLLER'10SA. Mag~iore Fl'-RRA m . 160 » Col. )!ANCA. Regg. Lane-ieri di Mi lano: Col. BARRAL 60 Battaglione Bersagliel"i: Comandante .Artiglieria : Maggiore RADICATI DI PASSERANO. )faggiore LosTrA 01 S. S01<'1A 7o Battaglione B er~agliori: IV e V Batterfo del rio Maggioro Eu:oNORO N~:cm1. Capitani D•:r.LA CmESA e ZACCO. Coma,~dan e l' .Artiglieria: lfagg. DHO .Art· iglieria di riserva: Magg. CUCIA. I Batteria del 50: Cap. GALT.I DELT.A III e V I Batteria r1el 5°: LOGGIA. Capitani DOGU OTTt e )IARIANI. II Batteria del 50 : Cap. STERPONr. I V Batteria del/' 8°: Ca r>- R.rzzF.TTT. Parco : 'fenente SEv~:1tGN1Kr. Pa,·co d' .Artiglieda : VII DIHSIUXE Cap. P .enRONE or S. )IARTri.o. 1I I Comp. Pontieri (allori\ 1° Art.) ;\fagg. Generale Lt:OTA RD1. Capitano 8tANCR1:s1. l'apo di Stato .llaggiore: lfaggiore Cu ERVET 20 Genio: Maggiore 'fAPPARONr.. Capi tano CAVAGNAlU (addett\l). Comp• I", sn, 511 , 6", 7•, 8" e 10".
La forza di questo corpo d'armata, quale risulta dalla predetta situazione del 9 novemlbre 1860 in 15755 uomrini di truppa può apparire un po' inferiore a quella di 17081 riportata dal Carandini nel suo libro sull'Assedio di Gaeta , ma è d'uopo tener conto che i 42 cannoni notati nello specchio seguente erano evidentemente in-
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sufficienti al comipito dell'assedio e che, coll'aumento delle artiglierie, anche il personale si accrebbe di 60 ufficiali e di circa 2000 uomò n i di truppa. -
Quartier Generale
Ufficiali 60 - truppa 2Hl - .;avalli 169.
Quart. Geo. dt'::ila 4 Div. · Brigata Regina Savona » 6° e 7° Rattng. Bersaglieri Art,iglieria. della 4" Div.
» » »
Quart. Gen. della 78 Div. Brigata Corno )) Bergnmo 11° e 12° Bar.t. Bersuglieri Artig. della 70. Divisione Pnrco ArtigL di riserva Lanceri di Milano Genio
»
8
Totali
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» » » » })
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37 133 ]05 33 8
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37 14:5 141 32 23 6 22
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26 -
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162.
2944 ~[28 776 358 - cavalli 282 - can. 12 217 » 168 2859 3085 795 8'2 - eavalli 603 - cnn. 30 101 )) 285 34.0 868
Dff. 808 truppa 15.755 oavalli 1669 ca.o. 42
Ai 42 cannoni sopra indicali si aggiunsero il giorno 10 quattro can·noni da 16 inviati da Capua e qualche pezzo da sbarco della R. Marina. Successivamente, giunsero sotto Gaeta le grosse artiglierie e i cannoni r igati Cavalli, cosicchè la forza dell'artiglieria operante al i gennaio 1861 era di 166 p::zzi, suddivisi in 23 batterie, le quali comprendevano complessivamente i seguenti calibri: 15 cannoni di marina 37 cannoni da muro 24 cannoni da campagna 43 obici da campagna 47 mortai Totale 166 dei quali fino a 153 fecero fuoco simultaneamente negli ultimi giorni (37) . (37) Per quanfo riguarda i d11e parchi, d'arLigliera e del genio, essi furono cosi ,costituiti : Pm·co d'Artiglieria - Comandante, Magg. ]\fottei (pitrco di riserva l\Iagg. Cugia) 1° Regg. Art. (comp. Artificieri · eomp. Maestranze - 3" comp. Pontieri). 20 » » (comp. 5'\ 6a, 71', sa., 9" e 129 ) - 3° Regg. Art. (eomp. 2a, 4'", 5"', 90. e l 0"). 4° )> » (cornp. 4?, 5", 6", 8" e 10") - 5° Art. (batt. l"', 2", 31', 4", 58 ._.. 6a. 8" » » (batterie 4i. e 6"). Parco del Gwio - Comandante, Magg. Riccardi. 1° Regg. Genio (eomp. 18 • 2", 39 , 4", 5", 6"' e lOR). 2° » » (comp. l"', 3". 5", 6\ 7'", 8a e 108 ).
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Le prime disposizioni che furono date per investire la piazn riguardavano la conquista dell'istmo dì Montesacco, che guardato da truppe borboniche e protetto dai cannoni della fortezza presentava non poche difficoltà. Il terreno roccioso e scoperto che vi si stendeva davanti rendeva quasi impossibili i necessari lavori di zappa per le trincee e per le costituzioni delle batterie, per cui allo scopo di ottenere un'azione efficace fu necessario mantenersi sulle alture che lo dominavano e che disposte ad anfiteatro rendevano possibile, specialmente dall'Atratina, il concentramento dei fuochi. L'unica strada carrozzabile era nel 1860 la litoranea e solo per questa si dovevano avviare le grosse artiglierie, ma essendo esposta ai tiri che potevano venire dal mare, dove bordeggiava la flotta fran· cese, il transito diveniva pressochè impossibile. Fu quindi necessario attenersi ad un'altra via interna, meno buona ma più cop2rta, e pro cedere quindi a lavori su di essa per darle la voluta potenzialità lo· gistica. Questa era l'anti<·a strada consolare romana che da Mola va verso Itri, Fondi e Terracina, con forti pendenze e che passando dietro M. Cefalo e M. Calvo dista circa 5 Km. dalla torre di Orlando. Su questa strada fu costituita una prima parallela d'appoggio, collocandovi le batterie in attesa di farne una seconda più avanzata che passasse per M. Atratina fino alla spiaggia di Serapo. Ciò stabilito, il comando ordinò una prima ricognizione ge· nerale per conoscere le intenzioni e le disposizioni difensive dell'avversario. (38) E ~ntre la ricognizione si eseguiva fu disposto perchè nella stessa giornata del 9 novembre venissero sparati alcuni colpi di cannone contro le truppe accampate a :vtontesecco onde farl e sma.· schcrare. Nessuno rispose. I borbonici ritirarono anzi quel giorno stesso 1'11• e la 12a balleria da montagna per utilizzarle nella difesa dei bastioni. Si fissarono allora due località protette, una presso la strada di Itri e l'altra nel rovescio di Monte Conca per stabilirvi i parchi, disponendo con una seconda ricognizione le posizioni nel vallone Longato fino alla spiaggia di S. Agostino, e i posti per le gran guardie lungo le mulattiere di Monte Cristo e Torre Yiola.
(38) Le carle topografiche usale dai no~lri ufficiali <forante J'as~cdio di Gaela furono richieste dal Generale '.\tenabrca al capo di Sl~to ~lago l{iore in Napoli il 10 novembre 1860, e furon o aleune copie della carta al· I'&> mila dei dintorni di Gaeta, la carta di Gaeta al 20 mila e il piano dt>lla fortezza che .:,i lro,a,·a nell'uffkio del ~enio napolclano.
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Il progetto generale de.U 'assedio si ordinò pertanto su queste prime basi, sostenute dal piazzamento di due batterie preliminari, una di 4 pezzi da i6 da campagna nel giardino della Cappella di S. Martino, a sinistra della strada Mola-Gaeta e l'altra di 4 obici di bronzo da 15 forniti dalla 6" batteria del 5° reggimento, in un orto sulla destra della strada medesima, coll'ordine dì aprire il fuoco· alla mezzanotte del giorno iO. Quanto alle truppe, fu ordinato che la 4• divisione, il cui quartier generale si era posto a Villa Nucci, inviasse a Mola la brigata Regina, al bivio di Itri la brigata Savona e mettesse i due battaglioni 6° e 7° bersaglieri in avamposti a Monte Conca. Contemporaneamente la 7" divisione che aveva già distaccato il 23~ fanteria con una batteria verso Itri, collocò il 24° col comando della brigata Como a sinistra di quella strada, a un chilometro circa dalla località detta la tomba di Cicerone. La brigata Bergamo fu accampata nella valle del P ont-0ne presso la cascina detta della Camera bianca. I due battaglioni bersaglieri di questa divisione ebbero ordine : l'ii di imbarcarsi alle 4 pom. del giorno iO sulla cannoniera la Veloce, girare al largo con direzione a S. Vito per scendere poi alla costa ed accamparsi colà onde costituire subito l'estrema ala destra della lina di investimento, e il 12° fu destinato ad accampa.re sulle colline poste fra il Vallone di Pontone e il borgo S. Vito. L' H 0 battaglione giunse a S. Vito nel cuore della notte fra l'H e il 12 novembre ma il mare cattivo e le notizie raccolte dalle quali risultava che sulla torre eranvi sentinelle borboniche, non consigliarono di arrischiare lo sbarco di pochi uoIIllÌ.ni sopra una lancia per fare una inutile sorpresa che avrebbe gettato l'allanm,. Si aspettò infatti l'alba, lo sbarco si effettuò a piccoli gruppi e i bersaglieri salendo subito la mulattiera che va a Monte Colonna si riunirono lassù, affermandosi subito con tutta la 41a Compagnia, alla quale poi per la stessa via seguirono gradatamente le altre. Appena tutto il battaglione fu a posto si iniziarono i post.i di collegamento e, un forte posto d'avviso al Casino Conca. Il comando del corpo d'armata si stabilì a Mola di Gaeta. La flotta, che aveva con alcune unità mantenuto a Mola le sue posizioni dopo il fatto d'arm~ del giorno 4, ricevette l'ordine di ri· tornare a Napoli, rimanendo a dispo-sizione del generale Cialdini. 0
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Mentre si davano queste disposizioni di carattero strettamente militare, e per tutte le giornate dal 6 al 9 di novembre, fra i generali Cialdini e Salzano erasi scambiala qualche conispondenza ed erano corse anche trattativa intese sopratutto da parte borbonica a pro· crastinare l'inizio delle ostilità. Il Cialdini aveva infatti scritto fino dal giorno 6 al Salzano che se prima di mezzanotte non fossero giunte da Gaeta proposizioni di resa non avrebbe più ac<.:ettato <.:ondizioni di sorta, e il Salzano aveva risposto che pur preferendo soccombere anzichè cedere a tali intimazioni, stimava ecccssivammte breve il tempo concesso per decidere cosa di tanta importanza, per cui chiedeva un arresto di 24 ore almeno, nelle operazioni attorno alla piazza, per poter prendere una risoluzione meno affrettala . A questa lettera del Salzano stesso, un'altra poi ne seguiva, ispirata dal ministro Casella in cui si domandava il libero passo per ufficiali e soldati che avevano espresso il desiderio di tornare ai loro paesi, e si chiedeva intanto di traUara il cambio dei prigionieri, in gran parte garibaldini, e pochi bersaglieri. Quest'ultima comunicazione fu trasmessa da Cialdini al generale Fanti. Al mattino seguente il Fanti inviava al Salzano il tenente colonnello De Sonnaz per invitarlo a trattare circa lo scambio dei prigionieri ed eventualmente per riprendere con lui le trattative ini'lia!e il giorno prima col Cialdini. L'appuntamento ebbe luogo alle 9 di sera ad Anzano, prèSso le falde di M. Conca, ma i due ufficiali delegati non poterono in alcun modo mettersi d'accordo perchè esclusa ogni possibilità di resa della piazza, il delegato borbonico domandò di limitare la capitolazione alle sole truppe che si trovavano sull'istmo di Montesecco, le quali sommavano a circa 10 mila uomini ed erano evidentemente ragione di debolezza e di disagio per l'angustia in cui si trovavano, onde conveniva sbarazzarsene per aver modo di assestare meglio la difesa della piazzaforte. Il Fanti rifiutò qualun· que concessione su queste basi, e il solo punto concluso fu la re· stituzione dei prigionieri. Di questi però non vennero al campo ita· liano che 29 bersaglieri, mentre un migliaio circa di garibaldini fu ancora trattenuto in Gaeta. Oltre le difficoltà del vettovagliamento impensierivano il coman do borbonico le continue manifestazioni di mal contento per parte <li quelle truppe r imaste fuori di Gaeta. Il tenente colonnello Nun · ziante che era a guardia del monte rosidetto della Catena con u n
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battaglione di 618 uomini, riferiva che l'indisciplina era tale da non poter garentire dei suoi soldati se venissero attaccati dal nemfoo; il comandante dei Cacciatori a cavallo non nascondeva che il suo rzg· gimento si era sbandato nel Borgo sfuggendogli al comando, e tali rapporti di una gravità eccezionale indussero il Re a far entrare nella piazza le due batterie e a comandare al Salzano di passare una ri· vista agli accampamenti cercando di esporre ai soldati lo stato delle cose e incoraggiandoli per una resistenza da cui dipendeva la sal· vezza loro e dello Stato.
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CAPO V. L'inizio delle ostilità - Il comballiroenlo del 12 novembre - Disposizioni dei giorni 13 e 14 - 11 colonnello Barrai a Terracina - Le operazioni dal 17 al 28 di noYembre - La tregua - Vivo soambio di corrispon· denze.
Come apparve subito manifesto, il comando della piazza cercava ogni mezzo per ritardare l'inizio dell 'assedio, sperando di ottenere attraverso prolungate trattative qualche condizione favorevole o qualche eventuale aiuto straniero. Per cui a troncare ogni illusione, il generale Cialdini ordinò che poco prima della mezzanotte del giorno 10 due batterie aprissero improvvisamente il fuoco contro l'istmK> di Montesecco. L'effetto fu naturalmente grandissimo, si sent.irono alte grida, si spensero i fuochi e soltanto quando i pochi colpi cessarono, e con essi il panico <lella sorpresa, si potè constatare che i tiri erano stati troppo lunghi, e che in realtà non si avevano avute altre perdite che un morto e un ferito. La fortezza non rispose che tre ore dopo tentando con qualche colpo di sorprendere nello stesso modo gli accampamenti italiani. Per cui la mattina dell '11 il Cialdini mandò il generale Casanova colla brigata Bergamo all'occupazione di M. Tortono e Monte Erto, e spedì ordine a S. Vito perchè 1'11° bersaglieri spin· gesse due compagnie a Monte Cristo e M. Colonna. Il 14° battaglione cacciatori borbonici non oppose una grande resistenza all'avanzata del 26° fanteria cosicchè questo potè giungere alle posizioni desi· gnate. Un solo attacco fu brillantemente sostenuto dalla 10• compa· gnia di questo reggimento che dovette conquistare alla baionetta la vetta di Monte Erto.
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La ritirata dei borbonici portò un po' di scompiglio nelle truppe retrost.anti per cui il capitano che comandava quel baltaglione cac· ciatori in assenza. del maggiore, venne destituito; nessuno dei re· parti che si trovavano a Monlesccco prese le armi, e i due mare· scialli di campo, Colonna e Barbalonga presentarono le loro dimis· sioni al Re, il quale subito le accettò. Risultato di quell"occupazione per parte della brigata Bergamo fu di premere dalle nuove posizioni le posizioni borboniche di S. Agata e dei Cappuccini in modo da renderle quasi insostenibili. La sera stessa 1'1! bersaglieri si impadroniva di Monte Cristo o tre compagnie del' 26<> agli ordini del maggiore Carbone si portavano a Villa Tucci. Durante la notte dall'ii al i2 le balterie italiane tirarono alcuni colpi per proteggere le truppe del genio che lavorarono attivamente per far passare sulla strada del rovescio di M. Conca le grosse arti· glierie d'assedio. 0
C:ombatthne nto del giorno 12 s otto Gaeta. All'alba del i2, il predetto 14° battaglione cacciatori ricevetLe
l'ordine di riprendere a viva forza le posizioni perdute di Monte To.rtono. Due ragioni di eguale valore consigliavano quest'ordine, la prima d'indole morale per r istabilire la scossa fiducia nelle truppe, risollevandola colla speranza di un parziale successo, e l'altra d'in· dole pratica per tentare un'uscita da Montesecco verso Terracina e il confine pontificio attraverso la linea, tuttora debole, d'invesLimento. Verso le 6, mentre due ufficiali borbonici chiedevano d'essere ricevuti in qualità di parlamentari dal generale Cialdini, per inta· volare trattative circa la liberazione dei prigionieri garibaldini tut· tora rinchiusi nella fortezza di Gaeta, sommanti alla cifra di 1010 (39) le tre compagnie W, 11\ i2a, capitani Boveri, Galliani e Belli) del 26° fanteria, che si trovavano col maggiore Carbone ai Colli Tucci, vennero improvvisamente accolte di fronte e di fianco da un vivo fuoco di fu cileria. Difatti mentre il 14° cacciatori si era rapidamente spinto a poca distanza dai nostri avamposti, il 3° carabinieri leggeri (esteri) agli ordini del cap. Hess occupando Torre Viola, sulla riva del mare, ne appoggiava l'attacco. (39) Come risulta da una léllera del gen. Cialdini al gen. Fanti (Doc. U. S. - Carte Minozzi).
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Il maggiore Carbone, benchè colto all'improvviso, giudicò rapidam€nte la situazione, fece occupare ottime posizioni difensive alle tre compagnie e· disponendo subito per una fierissima resistenza, mandò avviso al generale Casanova per essere al più presto soccorso, o dal battaglione del 26° che occupava M. Erto o dall'ii battaglione bersaglieri che teneva la sommità di M. Cristo. Ma il generale, Ca· sanova, che già aveva inteso le fucilate in direzione di Villa Tucci aveva predisposto perchè il maggiore Gilly col 2° battaglione del 26° salisse esso pure sulla cima di M. Erto, e che gli altri due battaglioni i O e 4°, colla 110.. compagnia, agli ordini del colonnello Masala si portassero per la via del muletto a M. Tortona. Il maggiore Gilly, giunto sull'Erto e viste le compagnie impegnate al colle, subito le rmforzò, cosicchè il nemico costretto a rimanere nell'avvallamento fra i colli stessi e il Lombone, si trovò contemporaneamente attaccato dal fuoco di tutto il 26° fanteria e dovette ripiegare verso Cascina Bianca. Questo ripiegamento suggerito dalla necessità di occupare un'altra posizione retrostante permise alle truppe che erano sull'istmo di prendere le armi. Il 15° cacciatori con un plotone di cacciatori a cavallo· si diresse verso il borgo e S. Agata, il 3° cacciatori ai Cappuccini, il 4° prese posizione all'Atratina e il 6° occupò il camposanto. A rinforzare subito questi quattro battaglioni borbonici e gli altri due. che erano già impegnati, il generale Sanchez de Luna in assenza del Salzano ammalato, riunì in fretta altre truppe e alcuni squadroni di cacciatori a cavallo e li spinse parte verso i Cappuccini e parte sulle pendici meridionali del Lombone, in modo da aggirare sulla destra il nemico e appoggiare i carabi· nieri esteri a Torre Viola (40) . La situazione si delineava in questo senso, con un combattimento assai vivo, a breve distanza, in terreno rotto, e con sproporzione di forze, essendo queste assai più numerose da parte borbonica. 0
(40) Per la sostituzione del Salzano col Sanchez de Lu111a, è importante ricordare questa corrispondenza (Delli Franci, Camp . d'Autunno. Doc. 168). Il Salzano al Casella (Gaeta 11 novembre 1860) : « Dopo quanto mi è occorso osservare nella passala notfe, che al primo colpo di cannone nemico, le truppe sonosi gettate nel cammino coperto della piazza, saltando le palizzate; dopo le proteste in massa dei generali, dei capi di corpi, degli u ffìciali, della truppa, di essere sfanchi del lungo bivacco, il mio fisico ed il mio mor.ale sono rimasti talmente tocchi che io non ho più forza di reggèrmi e di ragionare. Sono in letto delirando con forre vomito che ha scosso la fibra intera. Prego l'E. V.
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Il generale Casanova mandò quindi a chiamare in linea il 25° e avvisò il colonnello Scano di rmi.ndare il maggiore De Rossi (i° battagl.) a prolungare la destra del 26° sull 'alto del Lombone. Que· st'ultimo battaglione scese fin verso il mare e con una larga conversione e grandissimo slancio neutralizzò l'azione dei carabinieri esteri a Torre Viola, ne fece moltissimi prigionieri, si spinse sul cimitero e aprì il fuoco contro l' Atratina. Gli altri battaglioni l'avrebbero seguito, se il ganerale Casanova non avesse stimato più prudente fermarne l'ardore facendo ripetere più volte il segnale di alt, e non avesse ordinato di concentrare tutta la brigata ai Colli Tucci. Quest'ordine di arresto giunse infatt.i opportunissimo perchè i battaglioni del 26° e più particolarmente quello del maggiore Beatrice si erano lanciati contro Torre Viola con tale ardimento da portarsi sotto il fuoco delle due compagnie, la 41• e la 44• (capitani Assigni e Desperati) dell' 11° bersaglieri, le quali fulminavano da Monte Cristo la posizione nemica . La brave. sosta del fuoco, dovuta alla radunata della brigala Bergamo nelle posizioni dei Colli, lasciò tuttavia credere ai battaglioni borbonici che si trattasse di una ritirala, per cui essi fecero massa sulla C. Bianca e di là riaccesero sul 26° un fuoco vivissimo. A divergere quindi l'azione, e per fronteggiare i borbonici che puntavano verso S. Agata, fu chiamato in linea anche il 24° fanteria. Contemporaneamente la brigata Savoia prendeva le armi te· nendosi pronta ad un intervento, e il generale Leotardi assunto 11 comando di tutte le truppe, ordinava al colonnello Grixoni del 24° di spedire il 3" battaglione (maggiore Pagnamenta) coll'8& compagnia (Cap. Garbanico) a impadronirsi di Monte S. Agata. A sostenere questo battaglione furono inviati gli altri due dello ·stesso reggimento, rispettivamente comandati dai maggiori Zola e ·Morando, cosicchè protetto dal fuoco di essi, il maggiore P agnapertanto di mettermi ai piedi di S.:\1. il Re (~. S.) perchè nella sua clemenza decida della mia sorte ed accetto anche rassegnafo il supplizio anzicbè ritenere piÌI oltre il comando del quale sono rh·estito ». Risposta del Casella al Salzano: «Lo stato in cui si è ridotta questa piccola parte del corpo d'esercito fa sl che non possono esimersi da tale incarico coloro che in questi ultimi giorni banno fatto parte del corpo stec;so. Essi debbono compiere l'opera, e quando qualcuno è infermo Io sostituisca l'immediato in grado. Che Sanchez prenda il comando delle truppe>. Cosi venne manifest:ata all'esercito l'assunzione del comando del gen. Sanchez in sostituzione provvisoria, per infermità, del gen. Salzano.
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menta dopo un'energica azione contro la pos1z10ne di S. Agata,.. dove i borbonici sgombrarono lasciando una trentina di prigionieri,,_ risalì il monte Cappuccini e ricacciò dentro le mura del convento. il 3° cacciatori che poco dopo, per intimazione portata dal sottote- · nente Maccagno, si arrendava cedendo armi, munizioni e bandiera. Nonostante cne il generale Sanchez de Luna tentasse ai arre· stare i fuggiaschi, ordinando qua e là parziali contrattacchi, e a malgrado che dalle opere e segnatamente dalla batteria Regina, dove , era il Re, si facessa sulle truppe italiane un fuoco nutrito e preciso, pure i cacciatori borbonici respinti in tutti i punti si ritirarono, verso Gaeta. Fra le truppe stanche da una intera giornata di com· battimento era subentrato tale sbandamento, che fu nacessario far suonare la ritirata. Essa riuscì oltremodo confusa, i soldati frammischiati e inseguiti dalle fucilate nemfohe fecero ressa sotto i bastioni e chiesero a gran voce che venissero loro aperte le porte per trovare una salvezza fra le mura della piazza. Era già sera inoltrata quando il Re emanò l'ordine di ricevere gli sbandati, proteggendone l'entrata col fuoco di una brigata di linea collocata sui parapetti. Sulle prime, le perdite borboniche si credettero elevatissirn.e, invece si ridussero a più modeste proporzioni, perchè nella notte 143 carabinieri esteri, iO ufficiali e 73 cacciatori che erano riusciti a sfuggire alle fanterie italiane, si ritirarono in Gaeta, cosìcchè in realtà le perdite stesse furono di 3 ufficiali 1e 71 soldati morti, 7 ufficiali e 96 uomini feriti, 24 ufficiali e 765 uomini di truppa prigionieri. Le perdite del IV Corpo furono invece le seguenti: 24° fanteria: morti 1, feriti 15. 25° fanteria: morti 3 feriti 14. 26° fanteria: morti 5 feriti 37, prigionieri 12. 11° bersaglieri : fe· riti 4. Totale 9 morti, 70 feriti e 12 prigionieri (41). Se si tien conto che la forza che prese parte all'azione fu di circa 4 mila uomini di parte italiana e di poco più di 5 mila di parte borbonica, le perdite complessive fra morti, feriti e prigionieri fu· rono notevoli sommando ad un totale di oltre mille uomini. (41) Circa lo scambio dei prigionieri, avvenuLo in più riprese, il Cialdini raccomandò sempre di inviare a Gaeta « quelli che non volevano ritornare sotto il Borbone, sembrandogli più adath per fomentare disordini i. (U. S. Carte Cialdini, lettera confìdenziale al Fanti in data 29 dic 1860).
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Per cui il combattimento del 12 novembre fu tra i più violenti di quella campagna ed assunse poi un reale valore per le truppe italiane le quali riusciròno a sgombrare e distruggere il campo di Montesecco, a demoralizzarne le forze e a rinchiudere.in Gaeta l'e· sercito borbonico. Nella stessa giornata cominciarono a sbarcare a Mola nuovi materiai i d'assedio, giunsero da Capua 6 mortai da 32, iO da 22 o 16 obici da 22 B, ai quali vennero aggiunti poco dopo 2 cannoni rigali da 12 e altri 2 da '1 di modello napoletano con relativi affusti e col necessario mrunizionamento. Due brigate d'artiglieria potevansi cosi formare, la prima agli ordini del maggiore \'assalli colla 7._ com· pagnia del 2°, e la 2>-, 4"', 5\ ~ e 10A del 3° R eggimento, e la seconda comandala da.I maggiore Bernardi colle compagnie 4"', 5\ 6\ sa e 10° del 4'' artiglieria. Da Genova e da Xapoli erano partiti intanto altri pezzi, 'fra cui alcuni obici da 60, e così si po-tè iniziare subito la costituzione di tre batt.erie di grosso calibro, una a M. Lombone, una ai Cappuccini e la terza a Monte Tortono. Per il risultato del combattimento e per il procedere di tali apparecchi, si può dire quindi che l'accerchiamento di Gaeta ebbe realmente principio il giorno ii, e l'assedio si iniziò il 13 novembre 1860. Dopo il combattimento del g iorno 12, la brigata Bergamo si sistemava in avamposti fra la Cascina Bianca e i Cappuccini, il 7° battaglione bersaglieri si collocava a S. Agata e le brigate Como e Savona accampavano nelle vicinanze di Itri. Durante questi movimenti si intensificarono i lavori d~l genio per la costruzione di strade sui rovesci delle posizioni e per il piaz· zamento di batterie a distanze variabili fra i 1200 e i 1800 metri dalla piazza. Dai bastioni di Gaeta e più precisamente dalle batterie Regina e Philipstadt numerosi colpi cercavano di tormontare detti lavori e di colpire le truppe della brigata Bergamo, senza però apportare al· cuna perdita di uomini o di quadrupedi. Il maggiore Belli e i Ca· pitani Doix e Boetti, colle compagnie di zappatori del genio furono in quei giorni infaticabili, continuando l'opera loro nonostate i tiri della piazza. Contemporaneamente il generale Cialdini, preoccupandosi della reazione che si stava organizzando nelle campagne, alle spalle del corpo d'operazioni, aveva ordinalo al generale Cugia, comandante la
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brigata Como di distaccare nei dintorni di Itri e di Fondi numerose pattuglie e al colonnello Barra! comandante il reggimento lan· cieri di Milano di sorvegliare attentamente il confine pontificio nelle vicinanze di Terracina, evitando però assolutamente qualunque con· flitto con le truppe fran cesi. Nella giornala del 17 novembre un uftlc1ale di ,stato maggiore borbonico giungeva intanto a Mola in qualità di parlamentare con una lettera del generale Yial per chieder conto di alcuni ufficiali caduti prigionieri nel combattimento del giorno 12, e par domandare nello stesso tempo una tregua di qualche giorno allo scopo di permettere alla famiglia Reale di uscire da Gaeta. Quest'ultima. ri · chiesta si riferiva alla progettata partenza della regina. madre, Maria Teresa, delle principesse, del conte di Trani e dei conti di Caltagirone e di Girgenti. Essi dovevano prendere imbarco sul piroscafo spagnuolo « Generale A vala » per recarsi a Civitavecchia e proce· dere poi per Roma, ospi li del Pontefice. Il generale Cialdini si riservò di rispondere nei riguardi degli ufficiali esteri e per la tregua concesse una sospensione dalle ore 7 del mattino alle 5 della sera del giorno 19. Scaduto questo termine si sarebbero riprese le ostilità. Avendo poi lo stesso ufficiale borbonico fatto presente che taluni edifici destinati ad ospedali o dichiarati monumenti nazionali do· vevano essere risparmiati dai colpi degli assedianti, fu stahilito che su di essi dovesse, secondo l'uso d'allora, essere innalzata una ban· diera nera. E infine per quanto riguardava la popolazione civile del Borgo fu disposto che gli abitanti potessero recarsi a Sperlonga o sulla via di Itri. Porhissimi chiesero ed ottennero di rifugiarsi dentro le mura di Gaeta (42). (42) A dimostrare con quanta deferenza il comando italiano si comportasse fin da principio Yerso gli assediali, si riporta la lettera che il Cial· dini scrisse al Via!, a proposito delle suaccennate domande:
Cast elione, 18 novembre 1860. Eccellen::a, « Di buon grado se,conderò il desiderio della E. V., e darò gli ordini opporluni onde il prossimo fuoco delle mie artiglierie risparmi i tre fab· bricat'i destinati al servizio di ospedali militari. e che rnrranno poi indi· cali da una bandiera nera.
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Al mattino del 19 le batterie tacquero da ambo le parti. La Regina madre colle principesse si imbarcarono per Civitavecchia scortate dalla. nave da guerra spagnuola « Vulcano » mentre sopra un piroscafo delle messagg3rie francesi giungeva a Gaeta il generale Bosco che per aver combattuto a Milazzo e per il grande ascendente che aveva sulle truppe era particolarmente desiderato dal Re. Il generale Vial, prima che la tregua cessasse volle scriverenuovamente al Cialdini proponendogli di accettare 600 cavalli e 560 muli, esuberanti alla guarnigione. Cialdini rispose di non aver bisogno di questi quadrupedi. Alle 5 della sera alcuni colpi di cannone tirati dalla piazza contro il Borgo notificavano la ripresa delle ostilità. La notte passò senza incidenti . Al mattino dopo invece, mentre si credeva di ricominciare il fuoco, apparve in Gaeta una bandiera «Gredo debito di corlesia imilare l'E. V. ad innalzare una quarta bandiera più grande delle altre sul palazzo abitàto dalla Regina, la qualeper rango e per sesso merita da me ogni riguardo. « Non posso però concedere che avendosi ad aumentare nella piazza il numero degli ammalari o dei ferih si abbia a crescere anche quello degli ospedali protetti da nuove bandiere nere. Io desidero bensì di attenuare possibilmente i rigori della guerra, trallandosi sopratutto di guerra falla fra Haliani, ma non posso perdei-e di visla il mio scopo, che è quello di vincere e di approfittare dei miei ,.nntaggi. o: Gaeta è una piazza di poca estensione, e se il numero delle bandiere nere dovesse molliplicarsi, ne verrebbe per conseguènza o che la bandiera nera sarebbe un'illusione, o che non reslerebbe possibilità di tiro ai miei arliRlieri. Ripeto quindi non potere io acconsentire che il numero <ielle baudiere nere eC<'eda quello di quattro, tre per gli ammalati, uno per la Regina. e Qualora le sorti dell"assedio ingombrassero soverchiamente gli o,;pe· dali di V. E., io Le offro fin da questo momento di accogliere i suoi am· maiali o feriti che non ave,,se mezzo di ossistere in Gaeta. E le do parola d'onore che sarebbero trattati al pari dei miei soldati stessi, facendole fa coltà inoltre di mandare i di Lei medici a curarli, se meglio ciò le piacesse. Credo superfluo di ai.giungere che appena foc;sero ric;tabiliti, mr farò un do"ere di rimandarglieli nella piazza. Io spero così di conciliare i sentimenti di umanità e di militare cort"esia coi doveri che pesano sulla mia responsabilità, e spero pur anche che l'E. \'. caprà app~garsi di quanto le offro di fare. e La ringrazio deJl'accellata sospcn ... ione d'armi dalle 7 antimeridiane alle 5 pomeridi:me di domani, e la prego di a~gradire J'assicuranza della mia distinta considerazione». Il Generale d'Armata f. CHLDl :". I (U. S. Carte Cialdini. 1860-61).
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bianca e fu vista una lancia, con a bordo un ufficiale, uscire dal porto. Il generale Cialdini inviò subito all'approdo di Mola un altro ufficiale par riceverla. Il parlamentare borbonico portava tre lettera, due del generale Goyon comandante le truppe francesi negli stati pontifici e una del generale Vìal. Quest'ultima conteneva anzitutto la lista dei garibaldini fatti prigionieri nei precedenti combatti· menti poi la preghiera di mandare a Gaeta 4 cappellani e 5 chirurghi napoletani non appena fossero giunti a Mola, e infine la seguente comunicazione riguardante la bandiera nera che Cialdini aveva espresso ìl desiderio di far apporre sulla casamatta occupata dalla regina Maria Sofia : « Sebbene la Maestà della Regina sia stata sensibilissima alla cavai· ieresca cortesia di V. E., pure ha dimostralo il desiderio che invece di porre la qu:arta bandiera sul luogo da Lei abitato, si possa inalberare sul !empio di S. Francesco, edificio nazionale».
A questo desiderio Cialdini rispose subito che « ovunque sven· tolasse questa bandiera ,si sarebbe fatto il possibile perchè l'edificio fosse rispattato dai fuochi dell'assedio "· Infatti essendosi reso inabitabile il palazzo dove risiedeva la Corte, questa aveva deciso di trasferirsi in una casamatta della batteria Ferdinando, utilizzando alcune camere dove dormivano gli zappatori. E in questa casamatta, torna ad onore ricordare che la regina Maria Sofia rimase fino alla fine dell'assedio rifiutando come si è detto che vi sventolasse alcuna bandiera nera, poichè come Essa ebbe a dire, intendeva dividere tutti i paricoli e i disagi della .guarnigione. Le lettere del Goyon, si riferivano invece alla possibilità di far rientrare negli stati napoletani gli ufficiali e i soldati che erano stati disarmati dopo· aver oltrepassata la frontiera, allorchè pendevano le trattative fra il De Sonnaz e il Ruggeri a Terracina. Tale proposta non poteva essere definita dal Cialdini, per cui venne trasmessa a Napoli per mezzo del maggiore Minonzi, che nella giornata stessa ritornava con la risposta del generale Fanti. Essa diceva che mentre si potevano lasciare liberi gli ufficiali di accettare o no il servizio nell'armata sarda, la truppa si doveva spedire a Civitavecchia per essere imbarcata e destinata ai corpi dell'alta Italia per comrpiervi la prescritta ferma. Si lasciavano tut· tavia agli ufficiali le armi e i cavalli di loro proprietà, e si fornivano agli stranieri i mezzi per ripartire. E , a meglio chiarire il suo concetto, soggiungeva:
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« Ignoro se dal Ministero degli Esteri io Torino vi sia stata altra corrispondenza -col governo di Francia, per rapporto alle truppe borbonicherifugiatesi nel territorio della S. Sede, eccello l'offerta della Francia di consegnarci detti prigionieri, e l'accetlazione pura e semplice per parte del conte di Cavour di detta proposizione. Le cose essendo in codesti termini, come ho luogo di credere, questo Ministero della guerra è pronto a ricevere i suddetti prigionieri come nuovi sudditi dello Stato, e perciò se agli ufficiali può accordarsi il rimpatrio, è inteso però che i soldati di leva abbiano a compiere la loro ferma sotto le nostre bandiere, come si è praticalo fino ad ora cogli altri. Il lasciarli ricondursi ai rispellivi focolari, e svincolarli dal servizio sarebbe uno spargere per tutto lo stato degli elemenli che potrebbero mettere io grave imbarazzo il go\erno, sopratutto in questi momenti, e d'altronde quei soldati non possono separare la sorte loro da quella del paese ove nacquero. Riguardo agli stranieri questo Ministero non si crede legato da vin· colo alcuno verso di essi, nè riconosco in loro il diritto di rientrare nel territorio napoletano come truppe e meno ancora di reclamare dei van· taggi che hanno perduto in tforza della guerra. L'unica cosa che il Governo del Re potrebbe fare è quella di fornireloro i mezzi per rimpatriare. Prego V. E. di fare conoscere al sig. generale Goyon queste mie osservazioni, dolente come sono di non pofer accettare per intero il suo, progetto >.
Il generale Goyon aderiva alle condizioni specificate del governo italiano, colla modificazione però che gli ufficiali dovessero rientrare come cittadini e non come militari, e facendo notare con un certo risentimento « la maniera giudicala ostile verso stranieri che avevano fatto il loro dovere ». Allora il generale Fanti notificava al Cialdini l'inopportunità di impiegare fra le truppe attorno a Gaeta questi napoletani rientrati nello stato. per cui stimava conveniente di mandarli in Pierm:>nte. E per gli stranieri decideva di adottare le st~se misure che si erano adottate ad AHcona. Quanto agli ufficiali fece di nuovo presente di doverli conside· rare come mlitari di truppa, fino alla fine della guerra perchè erano prigionieri di guerra, per cui aveva inviato in que-slo senso un d1 spaccio anche al colonnello Barral che si trovava a Fondi affinchè avvisasse, per debito di lealtà, gli urficiali che oltrepassaV-:tno il con· fine, di tornare indietro, o di entrare col loro grado e le loro responsabilità. Essendo inoltre giunta notizia che molti di questi prigionieri, ufficiali e soldati si erano sbandati e tentavano di rientrare vestiti da contadini, e che anche il generale borbonico P almieri trovandosi
Casamatta dove si rifugiò la Corto Borbonica dal 7 gennaio al 15 febbraio 1861
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a Terracina contava di fare altrettanto, il Cialdini scrisse al colonnello Barral a Fondi di costringere gli ufficiali che vedesse, di pre· sentarsi a lui, a Mola di Gaeta. Questo continuo scambio di lettere e di telegrammi, in gran parte prodotto dalla Francia e dalla Santa Sede per distrarre le ope· razioni militari attorno a Gaeta e per portare la questione sul campo politico e internazionale, stancavano il generale Cialdini, il quale ad una lettera del Fanti che gli com1unicava per mezzo dell'ammi· raglio Tinan che Napoleone III e l'Imperatore di Russia consiglia· vano Francesco II a lasciare la piazza, non rispose affatto; e ad una seconda lettera del Revel, direttore generale al Ministero della guerra, in Napoli, in cui gli raccomandavano di accogliere alcuni ufficiali bulgari e romeni desiderosi di visitare le opere d'assedio, rispondeva) con questa lettera, scritta di suo pugno: « La prego caldamente di non mandarmi più forestieri quan« d'anche venissero raccomandati dal Padre Eterno. E' una tirannia· <, insopportabile che mi si vuol far subire. H0 la .casa ingombra di « forestieri indiscreti che vogliono vedere e sapere tutto senza ri· « guardo alcuno, che mi fanno perdere il tempo e la pazienza, e che « privano il mio quartier generale della libertà di cui ha biso« gno » (43). Nè meno aspro si dimostrò collo stesso m~nistro Fanti, al quale era legat-0 da buona ed antica amicizia fin dal tempo delle guerre combattute assieme in lspagna. Cialdini insisteva perchè si pensasse a mandargli i m~zzi per condurre avanti l'assedio e si facessero pressioni alla nostra flotta perchè cooperasse all'azione delle truppe di terra. Ricevuto finalmente l'avviso, il giorno 21 novembre, che una squa. dra italiana sarebbe apparsa nelle acque di Gaeta appena fosse par· tita la squadra francese, parve rassegnarsi, ma nella sera medesima avuta comunicazione che il Ministero stava per inviargli un luogotenente generale destinato ad aiutarlo nel comando, perdette ogni se· renità e telegrafò al Ministro che non voleva inciampi e che chiedeva. di essere collocato in disponibilità. Per il suo carattere impulsivo ed autoritario, il Cialdini aveva altre volte chiesto di essere dispensato dal comando prima di ren· dersi ragione di talune disposizioni superiori, considerandole soltanto come lesive al suo amor proprio di generale e di comandante. (43) U. S. Carte Cialdini, Busta 5.
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Così protestò contro il Ministro per l'invio del generale Valfrè al comando dell'artiglieria, mentre il Ministro aveva presa tale di· sposizione per non lasciare nello stesso comando un colonnello quando al corrispettivo comando del genio presiedeva una autorità di tanto valore come il generale Menabrea. Chiamato a Napoli per ricevere istruzioni rispose che il co· m'ando dell'assedio non gli consentiva di fare delle gite, e invitalo a Terracina per parlare col generale francese Goyon non aderì se non in seguilo a un lelegrammn del suo aiutante di campo, il Minonzi, che lo informava che tale invito rispondeva a un desiderio del Re. Questo abboccamento poi non ebbe luogo perchè il Goyon era in questo frattempo ritornato a Roma. Comunque è evidente che le tergiversazioni di carattere politico che influivano sulla condotta delle operazioni, che il Cialdini avreb· be voluto intensificare per giungere presto a un risultato decisivo, avevano esacerbato l'animo del comandante, per cui non ricevendo risposta in merito all'aspettativa domandata; scrisse al Ministro che, le sue condizioni di salute non gli permettevano di rimanere più a lungo a Gaeta. Soltanto l'intervento personale del Re Vittorio Emanuele riuscì a far recedere il Cialdini stesso da questo suo divi· samento. Rassegnato più che convinto, anzichè procedere a viva forza come avrebbe desiderato, si limitò a dare nuove disposizioni per i lavori di fortificazione. Un migliaio di soldati fu pertanto destinato in sussidio alle com· pagnie del genio per l'impianto delle batterie e per la costruzione delle strade d'accesso a Monte Erto, ai Cappuccini, sulla spiaggia di S. Agostino. Altrettanto facevasi d'altronde in Gaeta, blindando le batterie con sacchi di terra, costruendo ricoveri, spianando controscarpe, riattando alcune cannoniere otturate o deteriorate. I generali Antonelli e Salzano lasciavano intanto Gaeta, e sul piroscafo che li trasportava a Civitavecchia, il comando della piazza imbarcava anche numerosi ammalati e quasi tutti i quadrupedi che non si potevano mantenere nè adoperare.
CAPITOLO VI. La sortita del 29 novembre - II lavoro della diplomazia - L'ordine del giorno di Re Francesco - li proclama dell'8 dicembre - La sospensione del ifuoco - Le i111sistenze del gen. Cialdini perchè si inlensilicasse l'azione - Il contegno di Napoleone III - Il principio della reazione.
Le cose procedevano così con relativa calma, quando, il giorno 28, da informazioni confidenziali ricevute dal generale Cialdini, 8i
venne a sapere che i borbonici stavano per tentara una sortita: per per cui vennero subito date al corpo d'assedio alcune disposizioni, affine di rettificare- le posizioni delle truppe e di rafforzarne la resistenza per ogni eventuale caso d'attacco. Tutti i reparti, eccezione fatta per quelli destinati a lavori, dovevano ogni mattina, mezz'ora prima dell'alba, prendere le arm:i e rimanere nei rispettivi accampamenti in attesa di ordini fino alle ore 9. Non essendovi alcuna novità riprendevano da quell'ora le loro consuete occupazioni. Al 7° bersaglieri fu affidata la difesa della parte più avanzata del Borgo, al 12" quella dell 'Atratina, al 6° e al battaglione del 211° fanteria. quella di Monte Cappuccini nella quale erano stati piazzati due obici e due I)e'lZi da sbarco della real marina. Un battaglione della brigata Bergamo doveva difendere M. Lombone e un altro spingersi fino al cimitero. Il battaglione del 26 che era a M. Salo· ·mone doveva afforzarsi nella sua posizione, sostenuto dalle due compagnie dell'i1° bersaglieri che erano a Monte Cristo. Il rimanente della brigata Bergamo (5 battaglioni) scendendo a scaglioni dalle posizioni di M. Erto doveva occupare il Lombone. Il 16° fanteria con due battaglioni al quadrivio del Muletto e il rimanente a.i piedi di nwnte s. Angelo doveva proteggere la strada
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nuova della valle che passava fra S. Angelo e il Tortono. Il i~ era destinato in riserva sulla strada di Monte Conca. Un battaglione di questa brigata (Savona) era incaricato di portarsi ogni mattina sul monte S. Agata, lasciandovi una compagnia in osservazione, e qualora nulla si conoscesse da parte del nemico, rientrare all'accampamento alle ore 9. P ar tali disposizioni si venivano a costituire due forti linee, una avanzata e protetta dall'artiglieria campale, l'altra retrostante a guardia dei magazzini e dei parchi, e disposta per eventuale rincalzo. La fronte di schieramento risultava sufficientemente densa e tale da poter impagnare combattimento. A provvedere un rinforzo di munizioni vennero inviati al quadrivio del Muletto 8 cassoni di proiettili. Il generale Menabrea percorrendo la strada cosidetta dell' Arena rossa provvide ai lavori e alla sistemazione delle opere cam· pali assistendo anche personalmente all'imipostazione di 3 pezzi rigati da 40, nonostante che il fuoco della piazza fosse abbastanza intenso e i colpi fossero quasi t.utti a granata. Il generale Bosco, il quale aveva intanto assunto la direzione della difesa e6ter na di Gaeta, preoccupato di sloggiare di sorpresa le truppe italiane dai pressi del monte Cappuccini e desideroso di affermare con un'ardita offensiva un prinm successo che avrebbe indubbiamente rialzato il mor ale degli assediati, aveva tutto disposto per uscire nella. notte col battaglione del 2° cacciatori, (maggiore Gottscher ) e piombare sul 7° battaglione bersaglieri. Splendendo però una magnifica luna, non giudicò conveniente di uscire subito dopo la mezzanotte come aveva stabilito e dovette aspettare le prime luci dell'alba. Avviati perciò i suoi uomini dalla porta detta. « La Gran Sortita » prese in silenzio la via dell'istmo di Montesecco e si avviò in direzione dell'Atratina. L'addensamento fuori della porta fu eseguito benissimo e non fu per nulla notalo dalle nostre vedette, ma non appena la colonna cominciò a sfilare, essendosi anche fatto giorno, fu subito avvistata (44). Il primo ad avere notizia fu il generale Regis com~ndante la brigata Savoha, il quale portò subito due dei suoi battaglioni dietro al monte Atratina mentre i generali Leotardi, Villamarina e Casanova venivano avvisati telegraficamente dalla stazione impiantata (44) Il Carandini ricorda questa sortita sotto la data del 30 novembre Essa avvenne invece il 29, come risulta da tutti i documenti uHìciali.
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dal genio nei pressi del Borgo. La colonna Migy discese la valle del· l'Atratina, distaccò una compagnia in direzione del Borgo e col rimanente si mlise a salire per una stradicciuola che conduceva alla Torre Atratina. Qui ricevette i primi colpi di fucile da parte dei j:)ersaglieri del 7° battaglione comandato dal mag· giore Negri. Nondimeno i borbonici continuavano a marciare fino ai piedi della To,rre, ma quivi giunti furono improvvisa· mente attaccati da due compagnie di bersaglieri (la 26" e la 28') che 1i caricarono senz'altro alla baionetta, mentre un battaglione del 24° comandato dal maggiore Morando scendendo dai Cappuccini li urtava contro il loro fianco sinistro. Cadde a questo punto, morta!· mente ferito il tenente colonnello Migy, per cui i borbonici sorpresi e privati del loro comandante, ritornarono rapidamente indietro scen· <fendo verso Montesecco, incalzat-i dai bersaglieri e da due compa.gnie del 24° fanteria comandate dai capitani Ratti e Cortese. Il ge· nerale Bosco che si trovava appena fuori di Gaeta, provvide subito perchè la ritirata dei suoi fosse almeno protetta e ordinò al batta· glione di rincalzo di arrestare col fuoco l'avanzare del nemico. Le due linee erano distanti meno di mille metri e il fuoco riusciva quindi abbastanza effi cace. Il Bosco e qualche ufficiale a lui vicino rimasero feriti, ma egli non si mosse fino a che i borbonici in ritirata non furono rientrati nella piazza. Allora diede ordine di inco· minciare il fuoco dell'artiglieria, e questa obbligò le truppe italiane a ripiegare verso le primitive posizioni per non esporsi ad un « inu· ti le sacrificio (45). (45) Queste parole « inut:ile sacru,f kio » sono riportate nei documenti ufficiali, in riferimento all'iniziativa di un reparto di bersaglieri il quale ve· dendo le riser,,e nemiche fuggire, si diede ad inseguirle con tale ardi· mento che nella fuga raggiunse uno spallo scoperto, obbligando le nostre artiglierie a sospendere il fuoco per non oolpirlo alle spalle. Questa so· spensione bastò invece perchè il fuoco contro le nostre posizioni venisse aperto dalle b.atterie borboniche. Un tal fatto non poteva a meno di richiamare su di sè tu:tta l'attenzione del generale Cialdini, il quale nel giorno appresso, con un apposito ordine rivolto alle sue truppe, dopo aver ben precisato il contegno da tenersi a fronte delle sortite, proibiva qualunque alto di inu,tile e soverchia audacia ,con queste precise parole: « Avverto che punirò severamente ((qualunque atfo d'inconsiderata temerità, iehet potesse riescir funesto « ali.a truppa e d'inciampo al progresso dell 'assedio. Se la fortuna che ho « di comandare queslo Corpo mi toglie la possibilifa di aver mai a punire (( un atto di codardia, non vorrei peraltro trovarmi nel caso di punire l'ec« cesso contrario».
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Le perdite italiane furono di una ventina di feriti del 7' bersaglieri, compreso il Capitano Brunetta e il Tenente Arruj, di altri 4 militari del 24° e due del 12° battaglione bersaglieri . Dalla parte borbonica furono più rilevanti, si ebbero 4 morti fra cui il tenente colonnello Migy che soccombette poco dopo per le ferite riportate, 5 ufficiali feriti fra i quali il Bosco, 17 soldati più o meno gravemente colpiti e una quindicina di dispersi. Dalle 10 del mattino, allorchè cessò il fuoco di artiglieria, fino alla sera inoltrata la piazza sparò continuamente. Furono lanciali 317 colpi di cannone. 11 Re coi P rincipi, aveva assistito allo svolgimento dell'azione, dalla batteria della Trinità. Tornata la calma, il generale Cialdini impartì alcune disposi· zioni per le quali la dislocazione del IV Corpo, al mattino del 30 no-· vembre risultava la seguente : IY D1v1s10NE - Quartier Generale: Castellone. Comando della Brigata Regina: Castellone. 9° fant. 1 battaglione a S. \ 'ilo e 3 al bivio della strada Itri· Gaeta. 10" fant. 1° battaglione a Mola - 2° e 3' al bivio della strada Itri-Gaeta e 4° a S. Vito. Comando della Brigata Savona: sotto Monte Conca. 15° fant. sotto M. Conca. 16° fant. 1 battaglione a S. Martino. 6° e 7° battaglione bersaglieri - Borgo di Gaeta. Artiglieria e parco: Vi lla Nucci. 4•compagnia Treno: Mola. Intendenza: Castellonc. YII DIVISIONE -
Itri.
Comando Brigala Como : Itri . 23° fant. a Itri - 1 battaglione a Sperlonga. 24° fant. a Cappuccini e Monte Tortono. Comando Brigata Bergamo: Monte Erto. 25° fant. a Colli e Monte Erto. 26° fant. a Monte Lombone e S. Agata. ii bersaglieri a Monte Cristo e 12° bersaglieri all'Atratina. 0
Mentre avvenivano questi spostamenti, il comando della piaz· za dall'alto della torre di Orlando e da un brigantino mercantile fa-
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ceva compiere alcune osservazioni, in seguito alle quali furono notevolmante rettificati i tiri delle varie batterie, e contemporaneamente provvedeva coll'invio del generale Vial a Roma presso il Pontefice e con alcune direttive affidate al marasciallo Von Mecriel presso il gen. Goyon, per lo scioglimento dei carabinieri esteri che si erano rifugiati in territorio della Chiesa assie:me alla colonna Ruggeri. Coi due genera.li erano partiti anche 600 soldati meno atti a sopportare i disagi dell 'assedio. Le osservazioni compiute per l'aggiustamento dei tiri ave.vano intanto avuto il loro effetto. I colpi giungevano sulle posizioni ita· liane con notevole precisione, per cui si sollecitavano i lavori par il piazzamento di batterie rigate da 16 e da 40, fra le quali la più imi· portante fu quella di Monte Cristo che si elevava sopra un poggio a due speroni, a distanza di 3600 metri dalla piazza (46}. Da una parte come dall'altra le giornate della prima settimana di dicembre parvero così di comune intesa, o di comune interesse, destinate a sondaggi ed a rafforzamenti in attesa di operazioni decisive. Taluni episodi e qualche misura presa in tal senso, vennero inoltre a dimostrare con quanta cautela si procedesse anche nei più mJnuti particolari. Un ardito tentativo venne tuttavia operato nella notte dal 3 al 4 dicernibre per parte dei pionieri borbonici. Si trattava di de· molire alcune case poste all'ingresso del Borgo le quali recavano molestia alle truppe alloggiate nello spalto. D'ordine del generale Bosco, 120 uomini dei battaglioni cacciatori, agli ordini dell'aiutante maggiore Limonetti del 3° battaglione, uscirono sotto la pioggia, e nell'oscurità, verso le 3 della notte, attraversato l'istmo si poterono spingere fino in vicinanza delle sentinelle italiane. Queste si riti· rarono sulle guardie principali collocate nei giardini retrostanti, dove bersaglieri e fanteria presero le armi e fecero fuoco, senza però poter im1pedire che i borbonici riuscissero a collocare alcuni barili di polvere, innescare, le miccie, fuggire rapidamente verso la po· terna e giungere in salvo quando per l'accensione delle polveri le due case crollarono con grande fragore. Non fu possibile nè inse· guire nè colpire i minatori, tanto più che l'alba sorse piovigginosa (46) P er parechie diffìcoltà tecn iche i cannonii da 40 coi quali era armata questa balleria, non diedero i risultali che si speravano. Pochi giorni dopo fu pertanto disarmata, sostituendola con pez.zi rigati da 16 che funzionarono :issai meglio.
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e nebbiosa e tolse ogni vista colla piazza. Cn altro tentativo simile fu rinnovato la notte appresso ma questa volta non riuscì ai bar· bonici i quali senza alcun risultato lasciarono due morti sull'istmo di Mon tesecco. A protezione delle vedette avanzate vennero allora collocate dai nostri alcune torpedini terrestri consistenti in casette di legno con quattro granate che si dovevano far scoppiare in caso di sorpresa, arrestando così il nemico e gettando l'allarme agli avamposti. Mentre avvenivano questi episodi di guerra, la diplomazia borbonica metteva in opera, come si è d etto, ogni suo mezzo per catti· varsi le simpatie delle maggiori potenze d'Europa, ma riponeva la sua maggiore fiducia nella Francia e segnatamente nel suo Impe ratore. Si conoscevano del pari, ed anche si esageravano, in Gaeta, le buone intenzioni dell'Imparatrice Eugenia, propensa alla causa di Napoli e poco disposta a ved~re il trionfo di quella italiana. Per cui. si sperava che la squadra francese non sarebbe stata richiamata dalle acque di Gaeta, e che il corpo d'occupazione del Goyon nella Coma.rea, sarebbe in qualche modo intervenuto a "favore del Bor· bona. Le ambascierie alla Corte pontificia tendevano infatti a quest'ultimo scopo, e venivano a guadagnar tempo per poter effettuare di conserva una invasione negli Abruzzi colle numerose forze pas· sale nel territorio della Chiesa. Il pensiero di Napoleone III apparve però manifesto nella let· tera dell'8 dicembre al Re Francesco. Alla prima apertura delle osti· lità egli si era proposto di garantire ai borbonici la libertà del mare e in questo senso aveva dato istruzioni all'ammiraglio Barbier, pur ordinandogli di conservare una apparente neutralità; ma gli eventi. della guerra erano venuti gradatamente a rendere più aspre e di! ficili le tensioni reciproche dei belligeranti e portavano ormai alla conseguenza di doYer dichiarare al Borbone che non facesse più assegnamento favorevole sulle navi alleate, per cui si esortava il Re a cedere anzichè a soccombere di fronte ad inevitabile cat3.· &trofe (47). Il Governo italiano, dal canto suo cercava di dar corpo alle av· venute annessioni, e dal giorno dell'ingresso di Re Yittorio in Na· poli (7 novembre) fino al 30 di novembre, allorchè il Re stesso parli per Palermo, nulla aveva trascurato per reintegrare lo Stato con· 47) Qu \NOEL, Doc. ulT. p. 85 e 86.
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forme le leggi, e aboliti i poteri dittatoriali, Carlo Farini aveva assunto la luogotenenza delle provincie meridionali, sorretto nel difficile compito da un consiglio di direttori. Gli affari della guerra e della marina erano stati affidati ai rispettivi ministri in Torino, con relativi rappresentanti in Napoli; alla guerra sopraintendeva in Napoli il generale Cosenz con un segretario generale (il tenente. colonnello De Sauget), alla direzione dell'artiglieria era stato destinato il colonnello Di Revel in sostituzion del generale Valfrè di Bonzo inviato a Gaeta. A Gaeta invece, secondo il Cialdini, le cose procedevano troppo a rilento. Egli ne incolpava sopratutto il governo, sembrandogli che una eccessiva condiscendenza verso il Borbone o una certa remissione verso ia diplomazia, portassero grave incaglio alla risoluzione dell'assedio. I materiali affluivano a spizzico e in ragione assai limitata, a molte lettere e a molti telegramrnii di sollecito non si rispondeva neppure. D'altra parte tormientavano il pensiero del comandante le continue e facili evasioni dalla piazza, i suoi rifornimanti, le tergiversazioni e quindi anche la possibilità che per tali condizioni di fatto la fortezza aumentasse in modo troppo grande le sue difese. Al Fanti, che si era trasferito a Torino, il Cialdini infatti scriveYa: « Ieri sera è stato pugnalalo San Donado a Napoli, la reazione si avanza, armi e munizioni sono state sbarcate a Terracina e una colonna di napoletani armati sta per sboccare da Frosinone. Mortillel prepara le truppe pontilicie e i Francesi da Terraeina vedono tutto e Lutto permelt'ono. Prendo le mie misure. Caduta Gaet'a tutto cadrà, mandami celermente i cannoni Cavall'i e 70 mila proiettili che mi mancano. Se fra IO giorni non ho tutto il necessario per aprire il fuoco dò le mie dimissioni, e come citw<lioo e come deputalo accuserò il ministero in faccia al parlamento e al paese dell sua colpevole negligenza».
Il 2 dicembre la n. . ..,.:>rvetla Vittoria (comandante Baldisserotli) sbarcava infatti a Moia nuovi materiali d'assedio, e da Casale e da Genova giungeva notizia che fra il 5 e il 7 sarebbero partiti gli ap· precchi elettrici e le macchine per l'accensione delle mine. Ma non sembrando al Cialdini che il governo fosse ancora ab· bastanza edotto delie condizioni in cui si trovavano le sue truppe di fronte a Gaeta, inviava il giorno Et al ministro Cavour la seguente lettera:
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« E' impossibile fare un assedio in peggiori condizioni delle mie. Oli re 11 Yielato blocco la Francia permclte che entrino giornalmente riveri in Gaeta sollo bandiera france,.e, spagnuola e napoletana e che ne e,-cane> uomim, cavalli, famiglie e ciò che torna soverchio e grave alla piazza. Dopo essermi affaticato colla massima tenacità per fare entrare in Gaeta due battaglioni che si rnlevano tenere fuori, essi ora se ne ..anno alla spicciolala in vapori francesi del commercio. Ieri furono sbarcali 800 uomini a Terracina, accolti e disarmati dal generale Goyon. «Aggiungendo a ciò la lentezza imperonte con cui mi si mauda il mat:eriale richiesto, debbo riferire che lutto conginra per fare durare qne· sto :assedio sei mesi come nel 1806. "Prego V. E. di dirmi se io poc;sa sperare cambio favorevole a que,;to stato di cose o se debba abbandonare un posto in cui non saprei più servire con efficacia il governo e il paese, nè ,far onore alle armi del Re , .
A questa lettera Cavour rispondeva il giorno dopo, telegrafi· canrente da Torino: « Ho fondate speranze che le cose muteranno in meglio . .Nullameno la esorto a non perdere la pazienza. Le imprese difficili onorano chi le compie. L'espugnazione di Gaeta dovesse durare più mesi accrescerà grandementela bella fama che Ella si è acquistala in ltalia e in Europa ».
Se l'amor proprio del comandante parve soddisfatto di questo telegramma, non credette Egli stesso di dover moito sperare se non dal fuoco delle sue batterie, per cui diede ordine di intensificare i colpi e di tenere Gaeta in continua pressione. Questo aumento di intensità produsse qualche inconveniente, per cui il giorno 7 un parlamentario borbonico venne al campo per espri~re vive rimostranze circa l'azione delie artiglierie che avevano colpito l'ospedale di S. Francesco. Il generale Cialdini ordì· nava allora il disarmo della batteria da 40 a monte Cristo, i colpi della quale erano per ragioni tecniche sbagliali, e perciò erano caduti sull'edificio su cui sventolava la bandiera nera. Toiti di là i pezzi da 40 e trasportati altrove nonostante mille difficoltà di traino, fu· rono sostituiti con altrettanti cannoni da 16. Nella stessa giornata del 7 dicembre, si ordinava da Gaeta che il Conte di Trapani assieme al Conte di Trani partissero per Terracina p2r combinare col governo pontificio il libero transito di truppe napoletane, e Francesco II emanava il seguente ordine del giorno: Soldati! « SopralTatli dal numero e non dal valore dei nostri anersari, siamo chiusi, dopo molli combattimenti ~ià da un mese in questa piazva. « L'Europa ha ammirato i vostri ,;forzi nei mesi di 1-ettembre e di oll'obre passati, ora attende vederli conlinuali in questo assedio.
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« La brava guarmg10ne di Messina, rammentando quello che sostenne la cittadella nel 48 è disposta a tutto fare, soffre i disagi e le privazioni da -cinque mesi ed è altera di difendere la causa del diritto e l'onore della bandiera napoletana. Voi a.vete ad emulare una più antica guarnigione, quella che nel 1806 resisLè in questa Piazza con impareggiabile valore senza gli atfoali mezzi agli atta,cchi dei primi soldati del mondo.La storia glorifica ancora nelle sue pagine quei memorabili fatti. « Ora, perfeziona fa la fortezza dopo molti anni di continualo lavoro, parte del quale da voi stessi sostenuto, voi dovete difenderla con eguale valore e con maggiore fortuna. «Dopo tante spese e fatiche per resisrere a si lungo assedio, dopo che questo esercito ha conquistato nei campi aperti del Garigliano e del Volturno onore e rinomanza, saprà certamente acquistare altra gloria e riputazione colla valida difesa cominc i:ita contro il nemico, ehe viene a rapire la nosfra antica indipendenza caneellando tulli i principii di onestà e di religione. « La vostra disciplina sarà salda, ed emulando a gara gli ufficiali, sottufficiali e soldati saprete con ciò ottenere la gratitudine della nostra patria che vi ammioo, e la stima dell'Europa che vi osserva ».
FRANCESCO
E il giorno appresso lo stesso Francesco II lanciava da Gaeta quel fiero proclama ai popoli delle Due Sicilie, in cui diceva che « I traditori pagati dallo straniero nemico sedevano accanto ai fedeli del suo Consiglio, ma che la sincerità del suo cuore non gli aveva permesso di credere al tradimento ». Questo risveglio di attività diplomlatica, di proclami e di scambi di lettere fra la Corte borbonica e le Corti straniere, non poteva a m~no di avere un contraccolpo anche a Torino, per cui Cavour, c:edendo alle insistenze di Napoleone III mandava ì'8 dicembre il se· guente telegramma al generale Cialdini: «L'Imperatore ci prega di sospendere il fuoco per otto giorni spingendo tuttavia i lavori d'.assedio, onde dar campo di fare un ultimo Lentativo presso Re Franceseo prima di ri t'irare la sua flotta . « La invito a confermarsi a questa richiesta aspettahèlo ordini clelìnitivi dal Re cui ho telegrafato. E' necessario che quesfa mia comunicazione rimanga segreta per tutri ».
E Cialdini nella stessa Eera così rispondeva: .il. S. H. il Conte dì Crwour, « l\li atterrò a quanto V. E. mi prescrive e sospenderò il fuoco a cominciare da domani sino a che il Re mi ordini di riaprirlo. Avverto però che finora il mio fuoco era insignificatissimo e deslinat'o solo :i tt>nere in rispetto la piazza, che mi ha fatto 3 sortite, da noi facilmente respinfe.
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< Polrebbe tentare la quarta e in queslo caso m1 pare che mi sarà lecito difendere le buone posizioni, che colla nostra industria ci siamo pro· curale e dalle quah aprendo il fuoco delle balterie speriamo di ridurr~ Gaeta con 3 o 4 giorni di bombardamento. « La sospensione del fuoco do\'rebbe essere reciproca , .
Il giorno dopo, Fanti completava ie istruzioni di Cavour tele· grafando a sua volta al Cialdini: « l'\apoli, 8 dicembre « Feci sapere a Gaeta che è per ordine di S. :VI. che V. E. ba falto ces·
sarc il fuoco. Dopo ciò si ripromette l'Imperotore che Francesco doman· derà un armistizio di 15 giorni, durante i quali se non lasciasse la piazza, la squadra francese si ritirerebbe. Si crede sarà intesa colla partenza del Re, la resa. I lavori d 'assedio saranno continuati da parte nostra colla solita alacrità , .
In seguito a queste comunicazioni il generale Cialdini faceva consegnare al brigadiere Marulli vice governatore della fortezza la notificazione della sospensione del fuoco. E poichè il Marulli invece di prenderne atto si credette autorizzato a rispondere chiedendo di essere a suo tempo preavvisato della scadenza della tregua e di averne fin d'ora l'impegno sulla parola d'onore che durante la tregua stessa non s i sarebbe fatto aicun lavoro di fortificazione, il Cialdini gli mandò una lettera di poche righe in cui gli diceva che « sol· t.anto per ordine del suo Re aveva sospaso il fuoco e che nell'atto di darne partecipazione non intendeva di sollecitare dal comando di Gaeta alcun riscontro » . (48) . Con ciò il ganerale Cialdini intendeva anche di porre un termine alle continue richieste del comando della piazza, il quale mentre pretendeva ad ogni momento che si sospendesse il fuoco per lasciar passare un parlamentario, non dava alcun ordine perchè lo sue batterie cessassero di moiestare gli avamposti italiani e trovava logico e naturale che bastimenti stranieri, solo perchè protetti da bandiere neutrali, caricassero ogni giorno reparti di truppe destinale a Napoli o a Terracina o scaricassero viveri e munizioni provenienti da Marsiglia o da Tolone. E quasi ciò non bast.asse nei riguardi di una certa reciprocità di diritti e di doveri, lo stesso comando borbonico sequestrava, p roprio in quei giorni, com a preda bellica, un brigantino italiano " il Tigre » diretto a Mola carico di cereali per le truppe, che per causa d~l mal tempo aveva dovuto rifugiarsi per qualche ora nelle acque di Gaeta. (48) U. S. Carte Cialdini, Busra 5.
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Evidentemente Gaeta, più che preoccuparsi delle regole di guerra, si dibatteva in tali strettezze di rifornimenti che doveva ricorrere a tutti gli stratagemmi possibili. Le farine e le patate scarseggiavano, di foraggi non eravi più traccia, i negozi di generi aiimentari erano stati chiusi perchè esauriti, e quasi non bastassero i feriti, gli ospedali rigurgitavano di ammalati, in maggior parte di tifo. Anche la Corte risentiva di queste tristi condizioni, e ne soffriva materialmente e moralmente più di tutti. La stessa attitudine di Napoleone III che col suo ripetuto rispetto alla neutralità lasciava comprendere che considerava ormai perduta la causa borbonica, influiva grandemente sull'anirrro del Re, ma più ancora su quello della Regina. Mancando di aiuti dalla Francia, non potevano bastare le buone parole di Pio IX e i piccoli servizi resi dalla Spagna limitati alla presenza di due o tre navi mercantili. Nei riguardi di queste navi, Cialdini aveva più volte interpellato Cavour per sapere come doveva re· golarsi. E finalmente Cavour in una sua lettera del i5 dicembre rispondeva: « Una volta partiti i Francesi, non abbiate aicun ri· guardo per gli Spagnuoli, colateli a fondo se potete ». La sola preoccupazione di Cavour era per la Francia. Egli non voleva che per qualche atto ostile si oscurassero i buoni rapporti con Napoleone III, ed al m:iinistro Fanti che gli faceva leggere una lettera di Cialdini in cui si diceva essere necessario di inviare can· noni e munizioni piuttosto che continuare delle dannose di~ussioni diplomatiche, faceva rispondere di aver pazienza quanta ne aveva lui, che conosceva i pericoli e le resrxmsabilità. La lettera di Cialdini accennava .alle ~ne della diplomazia, ma oltre a questa Cialdini era a sua volta informato che agivano anche altre forze materiali e militari per ostacolare le operazioni attorno a Gaeta e per preparare una insurrezione alle spalle degli as· sedianti. Infatti egli aveva avuto notizia dal colonnello Barrai, che si trovava a Fondi, che due reggimienti borbonici usciti da Gaeta per via di mare erano sbarcati a Terracina. Il governo di Torino avrebbe desiderato che contro di essi si fossero spedite alcune unità del corpo d'armata d'assedio, per ricac· ciarli oltre confine, o per costringerli a riparare di nuovo nella piazza, ma una simile operazione oltre a distogliere le truppe dall'assedio stesso, non sembrava a Cialdini di grande risultato perchè anche in caso di successo, i napoletani si sarebbero dispersi neilo Stato Pon· tificio e sarebbero rientrati nel regno di Napoli per altre vie e alla
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spicciolata, come quelli del corpo di Ruggeri dopo il combattimPnlo di Mola. Di più lo stesso Ciaidini era a conoscenza che nella piazza ,iruno state sbarcate macchine per rigare i cannoni e che intelligenti operai francesi e spagnuoli avevano già cominciato le prove con buon risultato. P rovvide quindi di sua iniziativa contro il pericolo di un accerchiamento alle spalle, intensificando la vigilanza al confine e cat· turando in pochi giorni un miliaio di borbonici che il giorno 24 fece caricare sopra un bastimento e spedire a Napoli come prigionieri di guerra. Siffatta operazione di polizia parve sopratutto consigliabile ed utile perchè in reailà si stava accentuando una t~ndenza reazionaria in favore della Corte, e non era prudente lasciare che il numero degli sbandati andasse ad aumentare quello dei leggittimisti più o meno convinti o interessati. Si sapeva che fino dal Hl di dicembre era stato consegnato a F rancesco II un indirizzo di fedeltà e di devozione di molti ufficiaii, la maggior parte dei quali sentivano realmente il dovere di dividere col Re le asprezze di una situazione per la quale si erano essi stessi volontariamente rinchiusi in Gaeta (li.9). Ma oltre a ciò erano parve· (49) L'indirizzo era il seguente:
«Sacra Reale Maestà, In mezzo ai disgraziati anenimenli, dei quali la trislizie dei tempi ci ha ,fatti spettatori alTlilti, e indignati, noi sottoscritti Uflìziali della Guarnigione di Gaeta, uniti in una ferma volontà, veniamo a rinnovare l'omaggio della nostra fede innanzi al trono di V. ~l., reso più venerab ile e più splendido dalla svenlura. « Nel cingere la spada noi giurammo che la bandiera confidataci da V. ~1. c;arebbe stata da noi difesa anche a prezzo di tutto il nostro sangue; noi intendiamo restare fedeli a l noslro giuramento. Quali che siano per essere le priv.ozioni, le so!Terenze, i pericoli, ai quali la voce dei nostri Capi ci chiami, noi sacrificheremo le nostre fortune, la nostra vila, ed ogni altro bene pel suoce.sso, e pei bisogni della causa sovrona. Gelo<Si cust'odi di quell'onor militare, che solo distingue il soldato dal bandito, noi , ogliamo mostrare a V. M., ed all'Europa intera, che se molli dei nostr i eol tradimento e le viltà macchiarono il nome dell'Esercito Napoli· tano, grande anche fu il numero di quelli che si sforzarono di lrasmelterlo puro e senza macchia alla posterità. « S ia che il nostro destino s ia presso sa decidersi, sia che ,ma lunga serie di lolle e di sofferenze ci atfenda ancora, noi affronteremo la noc;tra sorte con rassegnazione e senza paura: noi andremo incontro alle gioie del trionfo, o alla morte dei bravi colla calma fiera e dignitosa, che ~i conviene a soldati, ripetendo il nosfro vecchio grido: \ 'iYa il Re! , .
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nute alia Corte lunghe liste di napoletani e di calabresi invocanti il ritorno dell'antico regime, e ai voti più fervidi di questi sudditi si era appoggiato come ad un'ancora di salvezza, la speranza del Re sembrandogli possibile con uno sbarco di truppe nell'Italia meri· dionale, di far insorgere le popoìazioni e rientrare coll'aiuto delle armi e del popolo nella sua reggia di Napoli. In quell'ambito ristretto di una fortezza assediata, tali notizie acquistavano un valore assai più grande di quanto avessero in realtà e si colìegavano facilmente alle altre che pervenivano dagli stati pontifici dove la reazione prometteva di intraprendere subito una energica rivincita. Inoltre era noto al comando dell'assedio che per il i. gennaio si preparava una spedizione di volontari, ìa quale doveva salpare da Gaeta e gettarsi in un punto qualunque della costa calabra per mar· ciare risolutamente su Napoli col favore di elementi reazionari, apertamente ostile « a.l governo, piemontese » (50). Avvicinandosi però la data che si diceva stabilita e appurandosi con maggiore fred· dezza il poco assegnamento da doversi fare suile bande, lo stesso governo borbonico fu poi costretto dapprima a sospandere la pro· gettata spedizione e poi definitivamente ad impedirla. Dall'insieme di queste informazioni risultano così principal· mente due cose: anzitutto che si stava organizzando quella reazione che scoppiò poi nel mese di gennaio i86i e che assunse il nome e le forme di brigantaggio, protraendosi a danno dell'Italia per quasi dieci anni (5i) e poi che in Gaeta non si era ancora perduta la spe· ranza di una soluzione appoggiata sul favore di qualche potenza e sulla sorte stessa delle armi. P er cui le insistenze di Cialdini non erano ingiustificate, particolarmante nel timore che nuove complica· zioni face.ssero sfumare la possibilità di condurre a termine un'im· presa che egli sentiva decisiva per la fin e della dinastia borbonica e per la completa annessione delle provincie m'eridionali .
(50) CARANDINI, .4ssedio di Gaeta,, pag. 194. (51) C. CESARI, Il brigantaggio e l'opera dell'Esercito Italiano dal 1860 al 1870. Roma, Casa Ed. Ausonia, 1920.
OAPITOLO VII. L'armistizio - La situazione delle batterie italiane contro Gaeta stensione del mot'o reazionario.
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Nulla accadde di importante attorno a Gaeta nella seconda quindicina di dicembre, ma mentre da una parte e dall'altra si stavano apprestando nuovi mezzi di offesa e di difesa, ben altre disposizioni si prendevano neila piazza e dai suoi em1ssari nelle campagne cir· costanti. La Corte e i ministri dopo le varie tregue ottenute (e lettere scritte particolarmente all'imperatore Napoleone III e ali'imperatrice Eugenia da parte di Maria Sofia) avevano divisato di ricorrere di nuovo alla Francia come mediatrice per un lungo armistizio; sperando nel contempo che la rete di insurrezioni organizzata alle spalle dell'esercito assediante, e la tolleranza delle autorità militari del corpo d'occupazione a Roma, sortissero l'effetto di evitare ai difensori di Gaeta la catastrofe che si temeva imminente. Per quanto riguarda questo armistizio, il generale Cialdini ne ebbe sentore 1'8 di gennaio da un telegramma di Cavour in cui gli diceva che l'incaricato d'affari di Francia gli aveva dato comunicazione della seguente proposta: « se il Cialdini avesse sospeso le ostilità. e i lavori de-Il 'assedio per 15 giorni, si ritirerebbe la flotta lasciando un solo bastimento per garentire l'esecuzione dell'arrruistizio. Francesco II sarebbe costretto a sospendere egli pure le ostilità ». A seguito di questo dispaccio giungeva al Cialdini stesso un or· dine di Re Vittorio Emanuele, perchè l'armistizio fosse concesso dal 9 al i9 di gennaio e che all'uopo si prendessero gli accordi fra il comandante del IV Corpo e ì'Ammiraglio Tinan. Nello stesso tempo
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Napoleone III si impegnava di far comunicare per mezzo di dello ammiraglio, a Re Francesco, che desistesse da qualunque ulteriore ostilità in attesa di ottenergli quei patti che più largamente ed ono· revolment.e si fossero potuti stabilire. Che tutto ciò tendesse ad evitare l'ultimo alto delia tragedia, risulta da una lettera confidenziale che Cavour scriveva in quei giorni a Cialdini mostrandosi dolente di aver dovuto accondiscendere al desiderio dell'imperatore dei Francesi perchè Gaeta cadesse più per virtù del suo intervento che per opera delle armi, onde si doveva forse rinunciare alla speranza di dichiarare nella prossima apertura del Parlamento che per merito del nostro Esercito sventolava final· mente la bandiera tricolore sulla torre d'Orlando. Quali penose impressioni destassero nell'animo di Cialdini queste notizie è facile immaginare. Per cui considerando che le ostilità dovevano cessare alle ore 5 pom. del giorno 8, egli decise di approfi ttare deila medesima giornata per aprire contro la piazza il fuoco simultaneo di tutte le sue batterie, sia per sollecitare la resa che per dimostrare alla Francia che Gaeta per quan lo forte sarebbe egual· mente caduta per virtù dei cannoni italiani. Diede quindi l'ordine che 91 pezzi, dalle 8 del mattino aHe 5 della sera sparassero senza interruzione. Fu un miracolo d · energia da parte di tutti, dagli artiglieri fermi per 9 ore ai loro cannoni, dai soldati del genio intrepidi a riparare i parapetti, dai soldati di fanteria instancabili al trasporto delle munizioni (52' . La piazza rispose con altrettanta intensità. Si ebbero due morti e una ventina di feriti al campo italiano, 8 morti e 19 feriti al campo borbonico. Cialdini la sera stessa telegrafava a Cavour che « l'Am· miraglio fran cese era rimasto impressionato, e che la dimostrazione aveva fatto il suo effetto » (53). (52) La situazione e J'eff1cienza delle ballerie italiane risulta nello specchio a pagina segu.ente. (53) Nella relazione del generale Valfrè al i\Iinic;lro della ~uerra, in dala 19 gennaio 1861 è fallo un particolare elo~io al maggiore ~lall'ci, comandante del parco, ed alla compagnia pontieri per l'opera pre5lnla nel trasporto di pezzi e di munizioni in posizioni <liflìcilissime. Nei riguardi dei tiri il Valfrè notò che molti di essi risultavano dapprima un po' corti in causa della polvere non buona cosicchè parecchie bomhe scoppiavano sull'istmo invece di andare alla piazza. T paiuoli pei mortai soffersero inoltre moltissimo perchè falli di materio.le scadente, e si dovettero riattare più ,·olte nella giornata, con esemplare abnE>gazione degli arligliE>ri e dei soldati del genio che la\'oravano noncuranti del Cuoco n emico.
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Sospeso il fuoco d'ambo le parti, l'ammìraglio Tinan redigeva la convenzione per l'armistizio e la presentava ai generali Ritucci e Cialdini parchè la firmassero. Il generale Ritu.cci che dopo la giornata del Volturno era stato per ragioni politiche sostituito dal Sal· zano, erasi tenuto fino allora in disparte, ma in tale momento es· sendo assente il Via! e occorrendo persona di capacità, era state no· minato governatore della piazza. La convenzione si componeva di 7 articoli, fissava i termini dell'armistizio dal 9 al i9 di gennaio, stabiliva i'obbligo di entrambi i belligeranti di non fare nè atti di ostilità nè nuovi lavori durante questo tempo e permetteva soltanto ii riatta~nto delle opere esi· stenti, ma conteneva in pari tempo una speciale postilla per la quale la garanzia dell'osservanza era affidata all'ammiraglio francese il quale se ne sarebbe assicurato inviando prima e durante la tregua un ufficiale a constatare lo stato delle fortificazioni e degli arma· menti italiani e borbonici. Ii generale Ritucci osservò come tale controllo suonava sfiducia, ma trincerandosi dietro l'autorità del Re che aveva preso vi· sione dell'atto, e l'aveva approvato, lo firmò. Non così il Cialdini, il quale, non ammettendo neppure la possibilità di entrare in discussione su basi così poco riguardose alia lealtà dei belligeranti, si ri·· servò di telegrafare al Ministro Cavour a Torino. « L'empereur a fait envoyer à l'Admirail de France une dépeche. Le gouvernement français ne pcut admetlre la condition preposée par Tinan qu'un officier de France soit chargé de visiter !es lignes. Cette défiance· vfa à vis du gouvernement du Roi ne peut entrer dans s,a pensée. Tinan bornera à prèter son concours pour la conclusion de l':nmislice sens y prendre une part active .ni directe ni indirecte ».
In seguito a ciò il generale Cialdini scrisse una lettera all'ammiraglio Tinan il quale comprendendo subito com~ il generaie italiano avesse perfettamente ragione, non mandò l'ufficiale, evitando così agli uni e agli altri lo spiacevole ed inopportuno controllo. Dai diari del Quandel e del Carandini, cioè dall'una e dall'aitra parte, risulta che più d'una volta i borbonici ritennero che le nostre truppe non osservassero scrupolosamente le condizioni deli'armi· stizio, perchè movimenti di carri e manovre per riparazioni di pezzi nelle batterie danneggiate furono interpretati come apparecchi per costruzioni nuove e pericolose. Altrettanto si sarebbe potuto far ri· levare dalla parte della difesa per costruzioni che si preparavano a monta Orlando, ma nessun rilievo fu fatto dal generale Cialdini,
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Invece pel tramit.e dell'ammiragliato francese vennero presen tatfl rimostranze vivissime da parte borbonica. Una commissione spe· ciale incaricata di vigilare dalla torre d'Orlando aveva creduto scor· gere infrazioni alla convenzione, e ne aveva steso un verbale per i'amrniraglio Tinan, significandogli che la mancata osservanza di quella essenziale prescrizione lasciava libera la piazza di agire contro gli assedianti. Dovette il Tinan chiederne spiegazioni al Cialdini, e avutele ne riferì al governo di Gaeta assicurandolo che « i piemontesi non iavo· ravano per nulla in contravvenzione ai patti stabiliti ». L'annristizio, ad ogni modo concluso, durò ininterrotto pel t.em· po fissato, con eguale reciproca convenienza, ma finì specialmente con vantaggio della difesa, la quale non soio approfittò della tregua per disporre con maggiore intensità il munizionamento, ma anche per sostituire le vecchie con nuove polveri, e per regolare con di· stanze rettificate il suo tiro . Questo periodo d'apparente inazione valeva inoltre grandemente a rinforzare le speranze del Re, che si accentuassero alle spalle dell'attaccante i rrrovimienti della reazione che dovevansi pronunciare al confine pontificio e negli Abruzzi. Nè parve meno utile a Francesco II per pregare Napoleone III a mandare aiuti a Gaeta, rompendo la neutralità in favore del regno di Napoli. Lo "Scambio di corrispondenza con la Corte francese e le insistenze di Maria Sofia presso l'imperat.rice Eugenia, furono in questo periodo così intense da superare quelle già espiicate nel mese di dicembre. Cialctmi ne era rruinutamente informato e ad evitare che nell'anim<:> dei soldati penetrasse il dubbio che la diplomazia venisse a strappare il leggittimo coronamento di tanti sforzi all'e· sercito itaiiano, decise di far giungere ai suoi dipendenti la sua voce, sempre ascoltata, col seguente ordine del giorno: « Castellone, 13 gennaio 1861. Soldati! «. Gravi considerazioni hanno consigliato al Governo del nostro Re di deferire ai desiderii di S. .M. l'Imperatore dei Francesi, ordinandom i di sospendere le ostilità s ino alla fine del 19 corrente. « L3 flotta francese deve part:ire, e lasciare nelle acque di Gaeta un solo vascello, che si allontanerà pur anco allo spirare dell'armistizio. « L'Imperatore vuole forse con ciò facilitare alla Piazza un onorevole mezzo di desistere da una lotta senza speranza, e di porre fine così ad un'inutile effusione di sangue. « Non so quale accog.lienza troveranno in Gaeta questi umani inten· d imenti, e questo ultimo diplomatico tenfativo. ;r
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« Ma so che in ogni caso il Re conlida e l'Italia spera nel valor l'Ostro~ ed in quello della nostra Squadra, per dare all'assedio una soluzione di· versa, e più consentanea ai ,oli di noi tutti, usi a combattere, non a trattare, e fidenti nelle armi nostre più che nei diplomatici consigli. « Soldati! «A voi è nolo <la molti ann i il cammino della villoria; ricorrel'elo di nuovo, e rispondete alla fiducia sovrana; rispondete alle $peranze della patria, penetrando per la breccia e inalberando la Bandiera Ilaliana e la Croce d I Savoia sulla torre ant'ica <l'Orlando». li Generale: E~RICO CIALDI:'\I
Come si rileva da queste parole, e come maggiormente risulta evidente da tutte le lettere che il comandante il IV Corpo scrisse in quei giorni a Napoli e a Torino, il Cialdini temeva di non poter terminare gioriosamenle i suoi sforzi con un attacco che rim.an~se affermazione storica della presa di Gaeta per sola virtù del cannone, e sentiva nell'opera della diplomazia un nemico alle sue aspirazioni. Confidenzialrrumte e ufficialmente ebbe in parecchie occasioni a si· gnificare questo rincresci~nto, e dopo ia pubblicazione dell'ordine alle truppe telegrafò al Cavour notificandogli le sue idee non ap~na spirasse l'armistizio (54). Il 14 gennaio riceveva finalmente dal Ministro questa rassicu· ranle disposizione : « Preparatevi ad attaccare vigorosamente la sera del 19, combinate col Persano, solo ,i pre~o se dale l'assalto di la<;ciare un piccolo posto ai nostri equipaggi di marina».
La notizia della imminente partenza della squadra fran· cese, per cui si sarebbe chiusa ogn i comunicazione marittima, aveva intanto fatto comprendere agli assediati non esservi tempo da perdere per sollecitare ogni sorta dì quegli approvvigionamenti di cui difet· lava la piazza, ed anche J)€r ridurre la forza numerica della guarni· gione al proporzionamento quantitativo voluto dalle cir costanze, facendone ailontanare l'esuberante. (54) Più volle Ca,·our rispose alle lettere confidenziali di Cialdini con felegrammi intesi a rassicurarlo e a calmarlo. In uno di q uesti speditogli alla fine di dicembre diceva: Abbia pazienza, l'Imperatore ripete che se Re Francesco se ne andrà, egli ritirerà subito la squadra; l'ammiraglio francese inlanto ha fallo molfe lodi delle truppe «piemontesi» che io nella mia ri<;posta di ringraziamento ho chiamato , italiane , .
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A procurarsi i nuovi approvvigionam~nti necessari che già erano pronti in Marsiglia, ma che non si volevano rilasciare che a fronte d'immediato pagamento, si inviava sollecita~nte a Roma il Conte de la Tour, aiutante generale del Re, perchè prelevasse dall'erario ivi esistente (e affidato al barone Carboneili) una somma di 500.000 franchi per pagare gli acquisti fatti e portarli sollecitamente a Gaeta. E intanto si affidava al Conte di Trapani la mi'Ssione di armare truppe nel Napoletano e di spedire da Gaeta alcuni vapori noleggiati con carico di uomini e munizioni per la Calabria. Scioiti inoltre i reggimenti granatieri e i cacciatori della guardia (4500 uomini) fu dispost-0 di inviarli a Terracina e di là licenziarli . Non tutti però dovevano partire, che cogli elementi scelti si doveva costituire un battaglioM di tiraglialori della Guardia. Mentre tutto ciò avveniva fra il 14 e ii 15 di gennaio, i diplomatici residenti in Roma e accreditati presso la Corte di Napoli, giunge.vano a Gaeta per ossequiare Franceso II in occasione della sua festa natalizia., ma. la speranza concepita dal Sovrano e più ancora dalla Regina., che g iungesse con loro una parola di ~iuto, ri· mase deiusa. Ciò nonpertanto nell'animo del Re questa fede nella possibilità di un ritorno, al passato aveva così salde radici che egli trovava la forza di scrivere in quello stesso giorno all'Imperatore una lettera molto remissivf.L e cordiale nella forma, ma altrettanto decisa nella sostanza, perchè improntata al concetto che la propria resistenza fosse la legittima difesa di un sacrosanto diritto violato, e che per esso si sentiva nel dovere di rimanere colia Regina fino agli ultimi istanti di una prossima o lontana resa, condividendo colla guarnigione le ansie e i dolori di quella inevitabile lotta. Nè a smuoverlo da tale risoluzione, che è d'uopo riconoscere virtuosa, valse la relazione che gli presentò il Rilucei, per incarico avutone, sulle condizioni della piazza. La relazione firmata dal generale Taverna e dagii altri ufficiali tecnici esprim~va non essere le fortificazioni abbastanza forti di fronte alla superiorità dei mezzi nemici e alla possibilità di venire offesi senza poter con eguale potenza distruggere le opere avversarie; di non poter sperare in lavori per accrescere tale resistenza perchè continuamente molestati daHe artiglierie dell'attacco e perchè mancanti di legname, e anche di mu· nizioni adeguate al num:f'ro dei pezzi; e di dover purtroppo di chiarare che anche il morale rtelle t ruppe com~nciava ad essere per nulia soddisfacente. La conclusi0ne alla quale la relazione addive· niva era, per tutte queste buone ragioni, che Gaeta non poteva re·
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sistere più di 15 giorni, sempre però colla clausola che « la truppa facesse il proprio dovere ». La responsabilità del Re e dei suoi consiglieri diveniva in tali condizioni ben grave, e si faceva ogni giorno maggiore nel conti· nuare la iotta senza l'appoggio della squadra francese che conser· vava soltanto, sollo forma di neutralità, una certa sicurezza del mare proteggendo il rifornimento di viveri che giungevano su piroscafi noleggiati da Marsiglia. L'attesa degli avvenimenti reazionari valeva certamente a sostenere ogni altra considerazione, e il Re non potendo dimenticare le notizie pervenutegli dalle Calabrie dove si attendeva una insurre· zione, non poteva neppure ammettere cr.e le potenze l'abbando· nassero. Giubilò infatti di gioia allorchè ebbe notizia, il giorno 17, della resistenza ostinata di Civitella del Tronto, e mandò a quelia guarnigione il suo saluto, insieme ad un ordine del giorno del ministro Casella che annunciava la promozion3 a colonnello del capHano Giovane, rivolgendo in pari tempo a quei difensori, come a quelli di Messina, il suo pensiero di speranza e di affEtto. In ciò egli era coadiuvato oltre che da pochi ma fedeli consiglieri intimi, dall'en· tusiasmo del generale Bosco che era venuto fin dal principio a of· frire il suo braccio dopo aver combattuto in Sicilia, e che avev11 sparso la notizia essere imminente l'arrivo di 3000 spagnuoli per soc· correre Gaeta. Questa notizia era avvalorata dalla permanenza continua del ministro di Spagna nella città, dalla presenza dei vapori spagnuoli nel porto, e dalla diffusione datale, diffusione che giunse fino ad es· sere raccolta dal ministro deila guerra italiano, il quale ne dava notizia per opportuna norma al Cialdini il 4 gennaio (55) . La reazione effettivamente si manifestava. Fino dal 13 dicembre si era dovuto distaccare il 2° battaglione del 26° fanteria comandato dal maggiore Giily, inviandolo a Traetto, dove occorreva sorvegliare e trattenere movimenti di bande dalla parte di Sessa, e im~ pedire che dal molino di Scanio si facessero segnalazioni con Gaeta. Il 25° aveva parimenti un battaglione ad Isernia, e dalla residenza di Napoli erano partite e partivano ogni giorno truppe in servizio di pubblica sicurezza e a prote1.ione dei corpo operante intorno a Gaeta. (55) (Doc. U. S. Cnrt e Caidini, busta 5).
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Qualche sindaco aveva scritto al Fanti e al Cialdini informan· doli degli avvenimenti che si stavano compiendo nei paesi e nella campagna e dell'opera di propaganda esercitata da emissari del Borbone e da una parte del ciero. Il 2 gennaio il generale della Rocca telegrafava al Cialdini: « Sono stati arrestati cinque generali borbonici. Mi telegrafano che J'eazionari avanzano su S. Germano. Ho chiesfo una brigata a Torino per mandare lru,ppe nelle provinci~. ;\fondo Piemonte cavalleria a Teano per sorvegliare strade Venafro·Sessa ».
Con dispaccio del giorno 14 Cavour informava di av2r disposto per l'invio della brigata richiesta e il giorno dopo il m~nistro Fanti alludendo al famoso bando di Isernia che è il primo documento per la reprassione della reazione nelle provincie meridionali, telegra fava a tale riguardo al generale Cialdini : «Si ricord i d i qu.anlo fu combinato pel caso penetrassero bande bo1boniche da!!a frontiera. Si attenga al bando che io ebbi a pubblicare per l'insurrezione ».
Il Cialdini, come si è visto, era non solo ben informato, ma si teneva del pari vigilante, tanto per 1e operazioni dell'assedio quanto pE:r reprimere i moti che si manifaslavano alle sue spalle. Egli sa· peva difatti che il duca di Caserta era giunto a Frosinone per ac· cordarsi col colonnello borbonico La Grange, il quale disponeva di circa 300 uom~ni raccolti fra ex militari borbonici rinforzati da· zuavi pontifici e che il generale Quintini col 40" Fanteria aveva dovuto in quei giorni ripiegare da Sora ad Avezzano perchè in seguito ad un attacco di forze reazionarie aveva avuto qualche perdita fra i suoi soldati. Da questi e da altri elem::mti, i generali Fanti e Cialdini erano quindi al corrente di una situazione, la quale pur non presentando ancora carattere di gravità, rapprE'sent(ava, un pu~to iniziale di maggiori preoccupazioni e giustificava molte speranze di Re Francesco. Così io stesso Cialdini << pur ritenendo molte notizie esagerate », si premuniva mantenendosi in contatto col Quint.ini che operava nella Marsica e col colonnello Barral comandante i lancieri di Mi· lano che batteva le campagne fra P ico e Pontecorvo. Nelle istruzioni date a quest'uitimo è notevole questo periodo: « Stia all'erta e sia prudente, ma se si presenta l'occasione agisca colla massima energia senza timore di responsabilità, che io sono s.:mpre quì per sostenerla ».
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A Sora giungeva pertanto il generale De Sonnaz, sbarcato il giorno i6 a Moia di Gael.a col 30 granatieri e una batteria da 16 della 1• divisione, e dopo aver battuto il 23 i reazionari, assumeva il comando di una spedizione parziale su Avezzano (56) . Il colonnello Barral riceveva il giorno 26 un telegramma di Cialdini perchè passasse colia cavalleria agli ordini del De Son· naz, che procedeva verso Ceprano, e ritornasse poi a Pico a spedizione ultimala. Altre truppe dipendenti dal comando generale di Napoli erano nello stesso tempo distaccate in vari centri del Mo· lise, della Capitanata, degii Abruzzi, dove si andavano gradatamente costituendo quei comandi militari di zona e sottozona a cui fecero poi capo le operazioni degli anni susseguenti per la rapressione del brigantaggio. Tali avvenimenti, oggetto di altro e particolare studio, (57) sono quì soltanto accennati perchè contemporanei ali'assedio di Gaeta e parchè in attinenza diretta colla resistenza borbonica della piazza e con la reazione che si slava preparando alle spalle del corpo ct·o· perazioni. Difatti mentre il movimento si accentuava nei paesi dove eransi recati il colonnello Barral e il generale De Sonnaz, si te· mevano rappresaglie lungo la linaa del Garigliano per tagliare le comunicazioni con Napoli. Tanto a Sora dove erasi stabililo il De Sonnaz, quanto ad Avezzano dove era il Quintini, come in lutto il circondario di Isernia si anda· vano formando delle bande, delle quali due principalmente avevano un esplicilo mandato. Una era guidala dal Lovera ex-ufficiale bor· bonico e doveva invadere l'Abruzzo ultra, e l'altra dal colonnello De Cristen, fra Frosinone e Veroli, per molestare le operazion i d i (56) li col. Barrai telegrafava al generale Cialdini (Pieo 23 ore 8,30 p.) e Il generale De Sonnaz mi scrh·e da Sora che dopo o,·er dato una severa lezione a Tagliacozzo mandava ieri una colonna con[ro l'orda reazionaria capitanata dal vt'sco,·o di Sora nel com-enfo di Casamari. vii armati dopo alcune fu cilale s i diedero alla fuga. Nel convento si trovarono carri e munizioni d<1 guerra, il comento fu dato in preda alle fiamme , . E il ~iorno dopo <;Oggiungern: « La J-Cl'a del 22 Quinlini allaccalo virnmenlc a Sgurgola da f0rze Lre rnllc superiori, sconfiggeva appieno orda nemica che lasciò 100 morii e 30 prigionieri, immediatamente fucilali. Luvar.a e Giorgi salvi per mi· racolo. :"loi 1 morto e IO feriti. De Sonnaz marcia "'li Avezzano ». (U. S. Carte Cialdini, cartella 5). (57) C. CESARI. Il briganlaggio e /'opera ilel/'Esercito l/aliu11 0 nelle pro1•incie meridionf'lli r/f'// 1%0 "' 1870.
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Gaeta e distogliere il maggior numero di truppa da Napoli . Contro quest'ultima agì energicamente il De Sonnaz attaccandola e sban· dandola a Casamari. Il fatto di Casamari si può dire però fu il prinro di una lunga serie di scontri fra cui i più notevoli avvennero in seguito a Bauco e a Pontecorvo. Quest' ultimo contro un rego· lare distaccamento svizzero al servizio del Borbone. Ad accrescere le file dei ribelli aveva concorso lo sbandamento dei corpi borbonici fino dalla giornata del Macerane, mia poi il loro numero si accrebbe dopo la resa di Gaeta perchè gli ex difensori di quella piazza tornando alle loro case trovarono lo scherno dei li· ber-ali e l'invito dei borbonici per darsi alla campagna e intrapren· dere una guerra, che fu dapprima di reazione, e divenne poi di malandrinaggio, poichè il disordine politico, le speranze deluse e la miseria, grandemente la favorirono. Il vecchio regime cessato d'un tratto senza che il nuovo governo potesse subito sostituirlo in armonia ai desideri ed agli usi di quelle popolazioni, ·sbrigliò antichi rancori di classe, cui l'indoie imipul· siva di una parte del popolo rurale meridionale diede forma di rivolta. Ma a favorire la manifestazione concorsero sopratutto altre cause e prima fra tutte il manifesto di Francesco II pubblicato a Gaet.a il 2 dicembre 1860 che prometteva le più grandi libertà al suo ritorno e chiamava rei di fellonia i piemontesi, poi la legge P ica, i decreti di Mancini, qualche esagerazione inevitabile nelle questioni contro l'espropriazione di beni ecclesiastici, e infine purtroppo anche la condotta di alcuni garibaldini rimasti in campagna dopo la par· tenza di Garibaldi. Nonostante gli argini temperanti del governo e degli uomini che ressero le provincie meridionali in quel periodo, rimaneva pur sempre ii' fatto sostanziale del malcontento dovuto alla si·stemazione di uno Stato nuovo che veniva a turbare interessi e competizioni locali per cui il conflitto fu inevitabile, lungo e difficile come tutte le guerre civili. Su tutto ciò non mancò quindi di far leva la Corte Borbonica che dapprima in Gaeta, sotto forma di reazione politica, poi a Roma con caratteristiche più spiccate di brigantaggio, cercò d'ostacolare fin che fu possibiie l'annessione degli anim~ dell'antico reame di Napoli al nuovo regno d'Italia. E ciò facendo Francesco II, Maria Sofia, nonchè i loro stessi più affezionati consiglieri, non facevano
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che seguire una tradizione borbonica che in altri momenti aveva ottenuto specialmente contro l'invasione francese notevoli risultati (58). L'idea dell'unità d'Italia non poteva evidtntemente, come si è detto fin da principio, entrare nelle loro mentalità, fino al punto di far tacere il più forte interesse dinastico per una causa d'indole ben superiore.
(58) L 'insurrezione Calabrese del 1806. - L'assedio di Amantea (U. S. Memorie Storiche Militari, 1910).
CAPITOLO VI II. La partenza della squadra francese - La ripresa delle ostilità - Il bombardamento del 22 gennaio 1861 - Il blocco e l'azione della marina italiana.
Durante l 'armistizio stabilito dal 9 al i9 gennaio, i governi di Torino e di Londra, preoccupati dell'atteggiamento di Napoleone III non mancar ono di far e, sull'Imperatore ie maggiori pressioni per· chè la squadra francese lasciasse le acque di Gaeta, sia per non pro· lungare soverchiamente con aiuti o speranze di aiuti la causa bor· bonica, sia perchè il concorso della Francia mal si confaceva ai r icordi del 1859 e alia politica del non intervento proclamato a Vil · lafranca. Napoleone III decise perciò di dare gli ordini per il rit.iro della flotta, dichiarando ch e la presenza di essa a Gaeta « non aveva avuto fin qui altro significato che di benevolenza verso un prin· cipe colpit0i dalla sventura e di un desiderio perchè fosse messo nella condizione di non dover sfilare colle sue truppe, indubbia· mente valorose, davanti ad un esercito vincitore, soggiacendo ai patti dei generali piemontesi ". Col suo proclama. del i6 gennaio 1861 annunciava pertanto che allo scadere dell'armistizio l'ammiraglio Barbier De Tinan si sarebbe allontanato dalle acque di Gaeta (59). (59) La flotta francese era composta delle seguenti navi: la Bretagne, vascello ad elica, a 3 ponti, nave ammiraglia : il Saint Lou.is; il Re~roable; l'Alexandre; l'Imperia!; il Magellano; il Fontenoy (vascelli a due ponti); il Descartes e il Pronv (avvisi a due ruote). Eranvi pure a Gaet~ tre navi spagnole e cioè u:na corvetta a vela (Vii· le de Bilbao) e due avvisi a ruota (il Colon e il Vulcano); una nave prussiana (l'avviso Lorely) e due navi austriache (il Danan, grossa fregala
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Il giorno prima però lo stesso Imperatore aveva voluto fare un altro tentativo verso Francesco li, per invitarlo a desistere volonta· riamente da ogni ulteriore resistenza, ma contrariam~nte allo stesso parere dei diplomatici accreditati presso la sua Corte, Re Francesco anche a nome della Regina rispose negativamente e comunicò al Nunzio apostolico perchè ne facesse oggetto di una nota alle potenze che intendeva restare fino alla fine in quell'ultimo baluardo del suo regno circondato dai ministri delle nazioni amiche (60) . L'Imperatrice Eugenia a sua volt.a, prima di questo momento, non aveva mancato di scrivere a Maria Sofia, con le più vive parole di conforto e di elogio per la causa che difendeva, ma allo stato attuaie delle cose, non essendo più possibile continuare una resi· stenza destinata ormai all'insuccesso, il tono della corrispondenza cessava di essere incoraggiante, limitandosi al consiglio di non per· sist.ere al di là di un dovere di Sovrana, compiuto con elevata di· gnità e con ammirevole coraggio. A cogn izione di tutto ciò, ii generale Cialdini nella giornata del 19 gennaio, volendo usare un ultimo riguardo al la Corte Borbonica e ali' Ammiraglio frances?, incaricaYa il generale Menabrea e il suo Capo di Stato Maggiore, colonnelio Piola Caselli, di prendere im· barro sopra un piroscafo della nostra squadra, con bandiera parla· mentare, e di recarsi alle ore i2 nel porto di Gaeta per consegnare uno schema di capitolazione, che evitando altro spargimienlo di sangue, mettesse fine alle ostilità. Questa capitolazione era stata formulai.a dal Cialdini stesso ed inviata a Torino per l'approvazione di Cavour. Quali fossero i capi· saldi di essa, si può dedurre dal seguente dispaccio che il Cavour trasmetteva il i7 gennaio al comandante il corpo d'assedio (61). ad elica e il S. Lucia, aHiso a ruote). Delle navi napoletane era rimasta la Parlenope (fregala a vela) ron lre avvisi a ruote: il Messaggero, la Saella, il DeHìno. Inoltre eravi un vapore commerciale, l'Etna, che nel bombardamento del 22 gennaio ebbe gravissime avarie; rimesso a galla e rialtnl'o nell'arsenale di Napoli fu poi battezu:ito col nome di Sesia, e armato come anh,o, fu inviato quale stazionario a CO$lantinopoli do,·c rimase parecchio tempo. (60) Come si è dello in principio, nonoc;tanlc quest-0 desiderio del Re :I Corpo diplomatico (meno il Nunzio apostolico e i Minisl1·i d'Austria, Ba· viera e Sassonia) si imbarcava sopra un piros~ro prussiano alla ,olla di Ci,·ilavecchia. l pochi plenipotenziari che rimasero vennero ospital'i nel torrione francese dove risiedeva in permanenza il miui;:Lro di Spagna. (61) l:. S. Carie Cialdini, busta 5. Doc. 71.
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«Sabalo maliina voi manderete un parlamentare a Gaeta per annunciare che l'armistizio cesserà al cader della notte, ma che prima di ricominciare il fuoco voi a·vete creduto doveroso proporre una capil'olazione onorevole alla piazza sulle seguenti basi: « Facoltà al Re di ritirarsi dove vorrà con tutte le persone che desidera che lo segua_no. Una delle nostre fregai.e sarà messa a sua d isposizione. La guarnigione uscir:\ ,con gli onori di guerra e non sarà considerafa prigioniern di guerra, .si assicureranno agli ufficiali i loro gradi ed a quelli che dovranno seguire il Re si accorderà un tempo di tre mesi per aderire ial nuovo ordine di e-0se. « I soldati stranieri saranno trasportati a nostro carico e r iceveranno tre mesi di paga a titolo di indennità. Se la piazza acceltando queste condizioni chiederà qualche compenso pecuniario voi le accoglierete per riferirne. Se rifiuta o propone condizioni che implicano una riserva dei diritti di Re Francesco voi romperete immed iatamente tulle le lraltal'ive ».
I due ufficiali predetti avvicinandosi alla nave borbonica « l'El· na » focero pertanto avvertire il generale Ritucci della loro missione. Il brigadiere Marulli li invitò a passare sull'Etna e dopo un breve colloquio il Marulli si riservò d-i parlare subito al Governatore E.d al re, impegnandosi di riferire al più presto le loro risposte. Questa volta ia risposta non si fece molto aspettare. Il Governatore « reputando vantaggioso all'onor suo e alle arm~ che coman dava, di non cedere una piazza che aveva mezzi di vigorosamenle resistere, non voleva nemmeno conoscere le offerte condizioni di resa e le rigettava perentoriamente, aggiungendo tuttavia che per gli stessi sensi di umanità, allo spirare della tregua non avrebbe riaperto ii fuoco qualora i Piemontesi avessero desistito da ogni lavoro (62) "· Il generale Menabrca insistette allora perchè le proposte venissero almeno esaminate, ma ad un nuovo rifiuto ritornò a Ca.stellone per riferirne al generale Cialdini. Alie 4 e mezza del pomeriggio, la squadra francese, levate le àn· core, fece il saluto alla bandiera reale di Gaeta ed uscì dal porto di· rigendosi verso ponente. La batteria S. Maria r'ispose al saluto. P oco dopo anche i due legni spagnoli lasciarono la rada, diretti a Moia di Gaeta mentre il terzo legno seguì la stessa rotta delle navi francesi, al mattino seguente. Alle 5 terminò l'armistizio, ma per tutta quella sera da nes· suna delle due parti belligeranti venne alcun colpo. (62)
CARANDINI,
Diario assedio p. 269.
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Unico segno del blocco che si iniziava anche dalla parte di mare fu l'arrivo da Mola, nel golfo di Gaeta, di tre delie dieci navi della flotta italiana disposte in crociera davanti alla piazza (63). L'aimniraglio Persano, saipando da Napoli era giunto infatti poco prima dello spirare della tregua in vista di Mola, quando il vascello ammiraglio francese usciva dal port-0 di Gaeta. La crociera italiana si limitò quindi per quella sera ad una sola affermazione di presenza della squadra, ma nessun atto ostile fu fatto, nè poteva farsi d'iniziativa del Persano, mancando ancora la formalità del regolare annuncio del blocco. Questo venne fatto al matino del 20 gennaio da un ufficiale della marina italiana, che recatosi alle 8 e mezzo nel porto di Gaeta, consegnava al brigadiere Marulli la se· guente lottera dGll'ammiraglio per il governatore Rilucei: « Ho l'onore <li partecipare alla S. V. I. che oggi slesso, per ordine del mio gov.erno, ho stabilito il blocco effellivo della piazza di Gaeta e del suo litorale, allo scopo di impedire qualsiasi approvvigionauent:o agl'i assediali -..
Il lenente generale Rilucei rispondeva in questi termini : « Perchè il blocco annuciato da V. E. nella comunicazione d'oggi, avesse carattere di legalità avrebbe dovuto almeno precedere alla sua. not:ificazione una dichiarazione di guerra. Ma nello stato di aggressione di che il Regno di :'1/apoli è slato vitrima, importa poco un'aggressione di più, e non essendo nel caso di discutere la legalità di un mero fallo, mi limito ad accusare a V. E. il rie.evo <.!ella sua pregevole comunicazione,.
Da quel momento ia flotta iniziò il suo validissimo concorso all'aziono dell'esercito (64). (63) li blocco di Gaera dalla parte di mare, era stato protrallo fino alla partenza della squadra francese, per riguardi diplomatici \'erso la Fran· eia (lettera del Fanti al Cialdini. Teano 27 olLobre 1860. U. S. Carte Cialdini). (64) Quale sia slala l'azione della R. ~1arina durante \'assedio, risulta della relazione che il Vice ammiragl io -conte Pellion di Perso.no, presentò a S. E. il Conte di Ca,our. Anzitutto coadiuvò le operazioni di terra sbar,can<lo a l\fola di Gaeta i primi obici che costituivano l'armamento della fregai.a «Costituzione• inslallandoli in posti avanzati o.gli ordini del tenente Duclos, ed a questi obici fece seguire poco dopo ollo cannoni rigafi da 80 tolti dalla < :Maria Adelaide» con 110 marinai comandali dal lenente di vascello Pepi e dai sollotenenli Conti e Luserna. Quest'ultima bnlteria posta sul monte Loro· bone ebbe particolare encomio da S. A. R. il Principe Eugenio. La i,quadra ~alpò da Napoli il 19 gennaio 1861, e giunse a sera a Mola di Gaeta, quo.ndo l'ullimo vascello francese lasciava quella rada. Dichio-
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* ** Per quanto il generale Cialdini intuisse che dal comando della piazza si continuava il sistema di prender tempo, pure non credette di dover rompere per il primo la tregua e ordinò che le batterie italiane aspettassero in silenzio i colpi della piazza. Alle 8 precise del mattino del 22 gennaio, un obice da 8 della batteria Regina dava finainwnte il segnale, sparando contro le opere del Lo!lllbone. Tutte le batterie borboniche tuonarono da allora di conserva contro i bersagli in precedenza fissati, e sia per la mi· gliorata polvere, sia per l'aggmsLamento dei tiri, quel fuoco improvviso e preciso, così potentemente nutrito non potè essere con eguale potenza controbattuto dai nostri. Il generale Cialdini inviò allora al Persano l'ordine di far fuoco con tutta la squadra e di bat· tere sopratutto le opere del fronte a mJare per molestare il servizio dei pezzi contro re truppe di terra. Alle ore iO e mezza la «Confienza», la « Vinzaglio» e la «Monzambano» furono le prime a lanciare delle bordate contro le batterie dell'istmo, la « Garibaldi » (comandante D'Amico) giunse poco dopo rato il blocco fu.rono poste in crociera la « Cosfituzione » (comandante Wright) e le pirocannoniere «Ardita» e «Veloce» (comandanti Ansaldi e Cappellini). Poco dopo vi si aggiunsero la «Confienza» e la «Vinzaglio> (comandanti Di Saint Bon e Burrone). L'ammiraglio Persano era sulla nave Maria Adelaide (comandante Aclon) e da esso dipendevano diret· tamente le altre due pirocorve[te « Carlo Alberto» e « Vittorio Emanuele» (comandanti .Millelire e Piovana) nonchè la Monzambano e la Garibaldi, quest'ul{jma già provata per 3 ore continue a combattere il fuoco della piazza nella giornata del 22 gennaio. Furono lancia[i da queste navi, oltre 4000 proietti e tutte, all'infuori della «Garibaldi», della «Monzambano» e della «Veloce», riportarono qualche avaria. Più danneggiala di l:uitle la «Vinzaglio». Il 24 gennaio la squadra fu rinforzata dalle pirocannoniere «Palestro» e « Curtatone » venute da Genova, e dalla Fieramosca» giunta da Napoli, cosicchè il blocco si fece più completo ed efficace. Ai primi di febbraio arrivò anche il vascello ad eli,c a « Re Galantuomo», il piroscafo avviso «Aquila» e la pirofregata «Fulminante», poi l'«Authion » (co· mandato d.a Faà di Bruno) ,che per la sua velocità rese ottimi servizi nel recapito di ordini e di avvisi. Ad assedio finito rimase a Gaeta l'« Ardito ». Le altre navi ripartirono per nuove destinazioni.
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e aprì il fuoco contro le rampe di M. Orlando dapprima, poi contro il bastione sottostante mantenendosi di fronte a quei pezzi di grosso calibro per circa 3 ore. La cc Maria Adelaide », che batteva bandiera ammiraglia seguila dalle due pirofregate cc Carlo Alberto » e « Yittorio Emanuele» e dalla « Costituzione », entrò in azione verso le ore 11, allorchè la « Confienza » e la <e Yinzaglio » avendo avuto forti avarie, si ritiravano. La « Costituzione » si portò verso il Molo, ma colpita da sei proiettiii dovette ritirarsi essa pure. Poco dopo mezzogiorno, il fuoco della piazza parve rallentare, e la flotta ne approfittò per avvicinars i a mezza portala di cannone e battere le opere nemiche con maggiore violenza. Queste però ripresero subito il fuoco con tiri incrociati e vivamente nutriti. 11 combattimnto durò più di un'ora e quando cominciò a diminuire di intensità, le navi del Persano si schierarono alla punta dello Sten· dardo e ricominciarono vigorose fian cate che durarono ininterrotte fino alla sera. Alla sera, cessando i ,·olpi della piazza, la flotta prese il largo e riparò nelie acque di Mola. P er tutta la noUe però la « Monzam · bano » e le cannoniero m1inori molestarono le ballerie borboniche della parte dell'Istmo o al mattino seguente la « Garibaldi ,, con altri legni più piccoii riprese le posizioni di c·rociera. Parecchie furono le arnrie, nessuna perdita però di navi. Fra gli equipaggi si ebbero 5 morti e 9 feriti. Tutti, ufficiali e marinai fecero come avevano fatto il 28 settembre sotto Ancona, splend ida· mente il loro dovere (65). Dalla parte di terra ii cannoneggiamlenlo durò senza inlerru· zione tutta la giornata. I cannoni Cavalli aprirono da Ponte Alto di Castellane il fuoco a 5200 m. con risultati ec<'ellenti. Essi non di · mostrarono però una resistenza uguale alle loro eccezionali qualità (65) Come r icorda il Carandini nel suo libro ;,ull'A;,sc<lio di (;acta. :i pag. 28 e seg. e C()me è confermalo da qualche accenno nelle carte Cialdini, che trovansi presso J' U. $ ., iu qnesla giornata, indubbia mente tl e~na di ri cordo per la Marina ll aliana, vi fu uno screzio fr,a il Cialdini e il P ci·sano perchè quesfi anzichè tro,ar;,1 sulla nan• ammira~lia fin dall'inizio dell'azione, era sceso a terra « per prendere ordini » e non t'ornò a bordo della Maria Adelaide se non quando il Cialdini Rii fece rispondere di non poterlo ricevere perchè si trova,~ fra le batterie cioè al suo po;:to di combattimento.
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balistiche perchè due di essi scoppiarono dopo i primi giorni di fuoco e fu necessario m()derarne l'impiego con una più lenta celerità di tiro. Sopraggiunta la notte, tutto tacque. Alle 4 del mattino dei 23, nell'oscurità e nella nebbia che in quella stagione avvolgeva la fortezza e tutto il campo itaiiano, fu visto un bagliore improvviso sul monte dei Cappuccini e subito si udì una forte detonazione. Una. grossa bomba lanciata dalla cortina di S. Andrea in direzione della batteria n. 16 era caduta davanti alla porta del magazzino a polvere sulla destra delia batteria stessa, e nel suo scoppio aveva infiam'mato le polvari facendo crollare l'edificio, rovinando parecchi pezzi uccidendo 16 uomini e ferendone 24. Fra i morti vi fu il comandante la batteria, capitano Emilio Savio che aveva perduto ii fratell o Alfredo, pure capitano d'artiglieria, sotto le mrura d'Ancona ii 28 set· tembre 1860 (66) . Per accelerare la resa di Gaeta, il generale Cialdini d'accordo con l'ammfraglio Persano, aveva intanto progettato di ridurre la cannoniera « Confienza >> a brulotto minatore, affidandone il comando al capitano Saint-Bon. E per procedere a taie trasformazione aveva fatto ricoverare quella nave nello scalo di Mola, richiedendo in pari t,empo a Torino ed a Napoli la maggior quantità di polvere possibile. Il Saint· Bon doveva al momento opportuno gutdare ia nave fino a 300 o 400 m. dalla bocca del porto, dare la velocità iniziale al brulotto e calcolare cha l'accensione della miccia duras· se fino a che il brulotto stesso urtasse contro la cortina interna del porto. La carica prevista era di 50 mila Kg. di polvere e l'effetto sarebbe stato terribile. Dalla brecc ia praticata sarebbero entrate le truppe. Queste furono infatti opportuné:l.mente preparate, dastinando allo scopo i quattro battaglioni bersaglieri, imbarcati ciascuno sopra una cannoniera e muniti di scale a corda e di torcie a vento. Dalia prima cannoniera dovevano inoltre prBndere terra 24 ar· tiglie,r i scelti per inchiodare subito i pezzi in batteria e 24 zappatori del genio rnlUniti di petardi per far saltare le porte e le serrande. (66) Alla memorin del cnpilano Emillo Savio (na lo a Torino nel 1837) veniva apposta nel 1892 una lapide s u·! fronte di Monte Conca. Essa dice: Questo fortiliz io ha nome Emilio Savio - come altro nella pia?.1,a d 'An· cona Alfredo Savio - a perenne ricordo dei due fratelli capitani d'art iglieria - eroicamente caduti negli assedi del 1860 - e 1861 - che resero alla Pat'ria, Ancona e G.aeta.
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Infine come eventuaie rinforzo fu stabililo di far seguire una grossa barca con una compagnia di marinai. La batteria da attaccare fu destinata la << Transilvania » . Lo scoppio del brulotto doveva avvenire fra le due batterie di S. Antonio e dell'Annunziata. Il capitano Saint Bon, incaricato, come si è detto, di preparare la nave, fu pure autorizzato dal generale Ciaidini di fare tutte quelle altre proposte che credesse necessario per il buon esito dell'impresa, cosicchè questa studiata in tutti i suoi particolari doveva riuscire decisiva (67). Nonostante il segreto del quale fu ci rcondata questa preparazione, la notizia fu tuttavia conosciuta. Il giornale « Il Piemont{'< » la riportava 1'8 febbraio 1861. Fu fatla un'inchiesta ma essa non diede alcun risultato. Per altre cause, indipendenti da tale propalazione, l 'impresa poi non si credette necessaria, e fu quindi, come si vedrà in seguit-0, abbandonata. Intanto, mentre le navi si mantenevano in crociera, e dalle opere di terra si continuava alacremente il fuoco, la mattina del 27 un vapore francese re<'apitava a Mola un dispaccio del ministro della. marina imperiale diretto al governatore Rilucei. Esso fu subilo mandato a Gaeta per mezzo di un parlamentario. Era dell'ammiraglio 'l inan che a nome dell'Imperal-0re informava di aver lasciato a Napoii 1
(67) Oltre che dalle disposizioni su accennale, la minuziosa cura per ottenere un ri5ullalo sicuro, risu,lta anche da queRta relazione che il capilano Sainl·Bon faceva al generale Cial dini : « Ho preso alcu'lli rile\'amenti ulili per andar cli nolle nell'inferno del porto e le ossenazioni che ho avulo luogo di fare sulla possibilil/1 di far andare diritto un basrimenlo per un cerlo Lempo, sono favore\'oli, ma la condizione necessaria è che s ia bonaccia di Yento e di mare. Di più, siccome una palla può far deYiare il brulotto sarebbe utile scegliere una nolle senzn luna. « E prima di spedire il brulollo sarebbe necessario pure as$irurarsi che il porto non fot:,t:>e chiuso da una catena. F inor.'l f(Uesto non è. Mi pei metto poi, Eccellenza, di manifestarle la mia cominzione che per ottenere il risultato che si desidera è neces,;aria una quantità di polverr. veramente sfraordinaria, allrimenli l'effetto morale e materiale sarà insufficiente. Bisogna riempire il bastimento e allora le mura dou:rnno crollare. Sbarcherò dalla cannoniera Lutti gli oggetti utili per altri legni, la riempirò di poi· \'ere proreggendola con uno strato di terra pista e disporrò per la fac ile ac· censione. Dopo di che sarò pronto a condurla 0 Gaeta tosto che mi verrà ordinalo ». ( t.:. S. Carte Cialdini, Busta 5).
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il vapore « La MoueUe » pronto ad accorrere alla prima chiamata per imbarcare la Corte e portarla dove meglio credesse. Quest'atto toglieva così ogni timore di Francesco II e della regina Sofia di cadere prigionieri di guerra e conservava, a malgrado dell'apparente abbandono, la promessa di aiuto della Francia alla persona del Re e alla sua farruiglia nella eventualità della r esa (68). Le giornate seguenti, fino al 1° di febbraio passarono senza alcuna novità ri.Jevante. Il fuoco non venne mai sospeso, soltanto si mantenne relativamente calmo da ambo ie parti . Contemporaneamente alla generosa offerta di Napoleone III per il re Francesco, Vittorio Emanuele faceva telegrafare dal rruinistro Cavour al generale Cialdini di tener pronta la nave da guerra « Vittorio Emanuele ,, a disposizione del re e della regina di Napoli, e nel contempo raccomandava « di tributar loro tutti i riguardi e gli onori dovuti alla posizione ed al rango da essi occupato . » Queste raccomandazioni e queste disposizioni, trasmiesse d'urgenza, lasciavano credere che a Torino si ritenesse imminente la presa di Gaeta e che anzi se ne soilecitasse lo stesso generale Cialdini; tanto che questi, nella ·stessa giornata del 27 gennaio telegrafava al Fanti non essere possibile entrare nella piazza prima della fine del mese, prrnentando essa serie difficoltà e non essendosi contro di lei (68) A questa lettera Fran,cesco JI rispondeva subito così: Gaeta 27 gennaio 1861 Mio Signor frale llo, « Il Lenente generale Rilucei, governa[ore di Gaeta, mi ha mo.strato una lettera del Ministro della marina <l i V. M. nella quale è fatto noto .ad es.so generale che la corvelw.. imperiale L a Jlfouette deve essere pel caso estremo di 'llna capitolazione, nella r,ada di Napoli a mia totale disposizione. « Vivamente rocco da siffatta nuova prova dell'interesse della M. V. per la mia persona, io mi faccio a ringraziarla in nome mio e della Regina per questa costante e generosa simpatia. « Deciso a difendere fino agli estremi questa piazza isolala dal resto del mondo, ed essendo il telegrafo in mano dei miei nemici, io non mancherò tuttavia quando g li avvenimenti me ne imporranno la necessità di fare il possibile per giovarmi dell'offerta che la M. V. con modo sì benevolo si è degnata di farmi . Prego infanto V. M. di aggradire !'.assicurazione dell'alta stima e della riconoscente considerazione con cui sono, mio signor fratello, di V. M. >> . Il buon fratello FRANCESCO
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aperto un fuoco det'iso dopo quello del giorno 22, per cui non era il raso di farsi illusioni e tanto peggio di lasciare che queslP illusioni se le facesse il pubblico. Ad ogni modo per il sopraggiungere di nuove circostanze per le quali pareva. che la diplomazia volesse ancora una volt.a togliere alla risoluzione dell'assedio il suo epilogo naturale, si sospese l'opera· zione dei brulotti minatori, i risultati della quale non apparivano tali da compensare l'enorme consumo di polvere e le conseguenze che ne sarebbero derivate da un eventuale o parziale insuccesso.
CAPITOLO IX. Le condizioni del la piazza - Lo scoppio dei magazzini a polvere del· l'opera di S. Antonio - 48 ore di tregua - Il Consiglio di guerra.
In conseguenza delle ult.ime rigorose condizioni di blocco, ie risorse della piazza stavano talmente scemando, che non pareva più lecit.o illudersi ei rc;a una resistenza ulteriore di lunga durata. La commissione nominata da Francesco II per esam~nare la situa· zione aveva già espresso chiaramente il suo parere e anche senza di questo, ie condizioni morali e materiali degli assediati erano troppo eloquenti perchè non si facesse ogni giorno più urgente una soluzione che segnando la resa salvaguardasse almeno per il valore dimostrato, l'onore della bandiera borbonica. Rifiutato perciò di prendere in esame le proposte di una onorevole capitolazione e respinto qualunque consiglio da parie francese, le ostilità continuavano con evidente danno, ognora crescente, della difesa e con vantaggio maggiore d&ll 'attacco. Così mentre il fuoco si mia.nteneva non intenso·, ma assai preciso d'ambo le parti, la piazza aggravava ogni giorno ma.ggiormiente il suo disagio e cercava ogni mezzo. per diminuire il numero delle persone in essa rinchiuse e di ott.enere qualche soccorso dal di fuori. La mattina del 2 febbraio infatti il ministro di Sassonia fece chiedere al generale Cialdini il permesso di recarsi a Roma. Cialdini rispose eh~ ormai non lasciava più uscire nessuno da Gaeta, ed egualmente rispose l'ammiraglio Persano richiesto dal Ritucci circa la possibilità di rimandare a Roma i ministri di potenze estere tuttora rimasti nella fortezza. (69) . (69) I ministri esteri ancora residenti in Gaeta erano: il ;"lunzio Apo· stolico e i ministri <li Spagna, d'Austria, di Baviera e di Sassonia.
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Per avvalorare poi coi fatti le sue intenzioni il Cialdini ordinò eh& nei giorni seguenti, 3 e 4 febbraio, il fuoco fosse ripreso vivissimo. In Gaeta intanto il tifo continuava a mietere vite, e fra le altre quella del tenente generale Fe,rrari aiutante genE>rale del re e già suo precettore, il quale m10rì nella stessa co.samatta dove crasi rifugiata la famiglia realb (70). Verso le 5 e mezza della sera una bomba venne a cadere sul fianco basso del la batteria Cappelletti e accese un magazzino dove eravi una gran quantità di poivere e molte granate cariche, le quali scoppiando fecero rovinare l'androne e screpolare tutto il muro al· l'intorno. Questo disastro per quanto parziale portò uno scoramento grandipsimo perchè quel locale era considerato a prova di bomba e la sua rovina non lasciava Lranquilli circa la sorte di altri magaz· zini che -si trovavano in eguali condizioni di resistenza. Difatti il giorno dopo, mentre il fuoco contro la fortezza si accaniva con grande vivacità tanto dalle batterie di terra che dalle navi ancorate, un'altra bomba andò a cadere sull'altro magazzino da munizioni della cortina a denti di sega S. Antonio. Lo scoppio fu terribile, si sentì una scossa violentissima, si elevò una nube di polvere e di fumo, e le macerie ricaddero da grande altezza con immenso fragore fra i colpi delle granate a dello cartucce che eransi incendiate. Queste ultime erano 40 miia, e lo scoppio di esse produsse una larga brec· eia nella cortina stessa dal lato del mare. Quasi ad accrescere lo spavento e il danno incalcolabile, contro quel punto venne diretto il fuoco dei cannoni dell'attacco. Tutta la notte, malgrado continuasse il bombardam1ento, si la· vorò attorno alla breccia per trarre di là i foriti, che sommarono a 84, numero tuttavia inferiore a quello dei morti che fu di 4 ufficiali, 212 soldati, e un centinaio di borghesi. Erano caduti il tenento generale Traversa direttore del genio, rimanendo sepolto fra le macerie, il tenente colonnello De Sangro pure del ge· nio e i due tenenti Guarnello e Troiano. Si poterono invece estrarre e salvare dalle rovine fumanti il tenente Quinci e il tenente dello (70) Il Ferrari fu sepolto nel duomo di GMla . Un'epigrafe ricorda che era fonente aenerale nell"esncito delle Due Sicilie e che morì il 3 febbraio 1861. Altre epigrafi ricordano nella stessa chiesa Paolo De S11ngro dei Principi di S. Severo, Riccardo De Sangro, e sopralulfi, con una bella iscrizione latina, Emanuele Caracciolo di S. \"ilo, spenti dal lifo durante l'assedio.
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stato maggiore Auersenperg volontario austriaco, che ebbe da una granata distaccato un piede. I danni alle opere furono così gravi da renderle inservibili e irreparabili, e oltre le perdite delie 40 mila cartuccie da carabina, si ebbe quella sommamente dannosa in quel momento di oltre 7 mila kg. di polvere. Alle 7 del mattino seguente una terza bomlba nemica sfondando la blinda del bastione di S. Giacomo faceva scoppiare altre 30 gra· nate. Pur tuttavia i difensori continuarono a rispondere al fuoco e non tralasciarono per tutta la giornata del 6 di confezionare delle botti, riempirle di terra e prepararle per coronare la breccia rimasta aperta, perchè di là temevasi un attacco dalla parte del mare. Una commis· sione del genio e.saminò e diresse questi lavori, con grande abnega· zione e con molto sangue freddo. Questi avvenimenti, e la presenza di tanti morti e feriti avevano impressionato l'animo del re; e Francesco II cui spettava la responsabilità di una decisione convocò un consiglio di guerra per studiare il da farsi. Nessuno in quel consigìio parlò di resa, ma si trovò modo di ritardare questa decisione, che ognuno presentiva, col proporre una tregua di 48 ore per togliere i morti e più specialmente i mlOribondi dalle macerie. Il capitano di fregata Besia fu incaricato di andare a Mola. come parlamentario e di recapitare al generale Cialdini la seguente lettera: Governo Militare della Real Piazza di Gaeta e Isole adiacenti.
Gaeta, 6 febbraio 1861. Eccellenza, « Il fuoco dei due ultimi giorni ha prodotto Io scoppio di due riser· vette a polvere che ha sottomesso ai rottami un numero riguardevole di individui, che rimangono tuttora sen:z.a sepoltura. Per adempiere a que· st'ultimo sacro <lovere, sono a pregare V. E. voler aderire ad una sospensione di ,fuoco fino alle 5 pom. del giorno 8 del mese corrente, ad oggetto di scavare e seppellire i morti. <i:Nelb fiducia della gentile affermativa le n e anticipo distinti ringra· ziamenti, e si degni di accettare le riprot:este della mia più estesa consi<lerazione ». Il Tenente generale Governatore: GIOSUE' RITUCCI » (71).
Il generle Cialdini, seguendo le generose istruzioni di S. M. il Re Vittorio Emanuele, (come risulta dalla comunicazione fatta al Nigra per informare dell'accaduto S. A. R. il Principe Eugenio) aderì alla richiesta fatta, rispondendo subito colla seguente lettera: (71) U. S. Carte Cialdini. Cartella 5, doc. 159.
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Castellone, 6 febbraio 1861. « Tolga 11 cielo che io mi rifiuti ad una sospensione di fuoco chie·
slami per motivi di umanità. .Ma per secondare i desideri di Lei io non posso abbandonare i vant'aggi che il caso mi presenta e non posso quindi concederle tempo e mezzo di riparare la cortina rovesciala dall'espio· sione. lo le concederò quindi un armistizio di 48 ore, qualora l'E. V. mi dia la parola d'onore di non lavorare .alla breccia aperta di S. Antonio che lo scoppio stesso della polveriera fece saltare, nel pomeriggio di ieri. « Comprendo quanlo importi il non perdere fempo per dissotterrare gli ufficiali sepolti sollo quelle ruine, se l'E V. accetta questa proposi· zione faccia partire qualche razzo da qualche punto molto visibile alle 10 di questa sera. Se vedo il razzo intenderò che V. E. mi dà la sua parola d'onore e l'E. V. saprà ehe le concedo 48 ore precise per l'armistizio. Se un quarto d'ora dopo le 10 non vedo razzo alcuno, ciò vorrà dire che l'E. V. non accetta la mia condizione ed io sarò libero di continuare il mio fuoco. « Se arrivasse giorno in cui l'E. V. abbisognasse di qualche cosa pei feriti e ammalati e che io potessi pronedere, voglia rammentare le ofTerte che Le feei fin dal principio di quest'o assedio e dalle quali non mi ri· traggo oggidì. Disponga quindi di me in quanto mi sia dalo di fare, senza oliendere i miei doveri nè fallire al mio scopo. P rego l'E. V. di gradire i sensi della mia considerazione, . Il generale d'armala CIALDINI
Il capitano Besia ritornò a Gaeta, il fuoco venne sospeso alle g e tre quarti e alle 10 comparvero sul monte Orlando i razzi che an· nunciavano l'accettazione deila domanda fatta. Da quel momento nessun colpo fu tratto da una parte e dall'altra, cosicchè si poterono iniziare subito e condurre a buon punto i lavori di estrazione dei colpiti e dei sepolti. Qualcuno venne estratto ancora vivente. Il materiale rimosso veniva però accatastato con cura formando due muri a secco che il governatore si affrettò a dichiarare non es· sere opera difensiva, H che non si poteva di certo supporre perchè facilmente distruttibile e con poca fatica superabile. Ai morti e fe· riti per le esplosioni, la fortezza dovette aggiungere altri 17 soldati colpiti nel fuoco di quelle giornate, e 22 feriti più o meno gravi; più i soliti decessi per tifo. Nella notte dal 6 al 7 gli artiglieri italiani riuscirono ad armare una nuova batteria sul Lomhone, nella località delta. della Schiappa, che poteva battere a 1800 metri il par apetto del bastione P hilipstadt, e al mattino del 7 cinque navi ripresero le loro posizioni di crociera. Appena fu giorno la solita bandiera bianca avvisava però l'invio di un altro ufficiale parlamentario borbonico diretto al comando del
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IV corpo d'armata con una lettera del generale Rilucei. Il Ritucci ringraziava della concessa tregua, tranquillizzava circa i lavori ap· parenti della broccia, dovuti a semplici movimenti di terra per .cercare i morti e feriti e poi profittando della gentile offerta del Cialdini chiedeva di trasportare a Terracina quei sofferenti che non trovavano posto n&gli ospedali di Gaeta. Nel caso di acconsenti· mento, il Ritucci pregava inoltr& il Cialdini di telegrafare a Civita· vocchia per l'invio di un vapore, e intanto lo scongiurava di inviargli della neve per gli amrmalati . La risposta del comandante le truppe italiane assicurò subito del pronto invio della neve, ma negò per ra· gioni di guerra la concessione del trasporto a Terracina. Offrì invece di ricoverare e curare i feriti a Mola di Gaeta, da dove appena ri· ~ssi in salute avrebbero fatto ritorno n&lla piazza. Lavorando fino a sera, la guarnigiona di Gaeta poteva intanto in quella giornata dell'8 riparare a moltissimi danni nelle diverse batterie, rifornire di polvere e di proiettili i magazzini e fortificare e puntellare volte, riservette, casematte e blinde nei diversi bastioni delle due fronti, di terra e di mare, ma non giunse in tempo ad ese· guire com'pletamente lo scavo delle macerie. Fosse realmente di una grande difficoltà questo lavoro, o lo si iasciasse per metà incompiuto per aver ragione di chiedere una dilazione di temrpo a finirlo, fatto sta che di tale motivo ne appro· fittò il governatore per inviare al generale Cialdini una nuova ri· chiwta di mignatte e di paglia per i feriti, comunicandogli che accettava in pari tempo l'offerta di curare a Mola quelli che maggiormente soffrivano, in numero di 400, e che intanto reputava necessarie altre 48 ore per finire gli scavi della breccia dove temeva che vi fosse an· cora qualcuno da salvare. A tale nuova domanda il Cialdini rispose: Eccellenza, «Non attendendomi ad una cifra così elevata di ammalati e di feriti, non sono in grado di ricevere così su due piedi i 400 di cui mi parla. Ciò non vuol dire che io ritorni su quanfo le offrii, ma soltanto mi è forza che l'E. V. si compiaccia di rimettermeli in due o tre volte e nel modo seguente : Oggi alle ore 4 manderò a Gaeta due piccoli vapori su uno dei quali potrà fare imbarcare un centinaio d'ammalati in isfato da so· stenere un viaggio di 6 o 7 ore, e sull'altro un centinaio dei più gravi. I p rimi partiranno subito per Napoli, i secondi saranno raccolti nell'ospedale d i Mola. Frattanto si allestirà alla meglio un altro locale e spero nella giornata di domani o al più posdoroani di mandar a prendere i 200 restanti, dei quali la metà sarà del pari mandata a Napoli. « Questa sera scade l'armistizio fra noi convenuto e vedo con rincre· scimento che l'E. V. mi chie<ie una proroga di alt'ri due giorni. Per quanto
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sia imperioso il sentimento di umanità nel cuore di un oneslo mililare,. io non posso però ascollarlo esclusivamente. Ho altri doveri da compiere che non mi permellono di recar danno al progresso dell'assedio, con prolungate e soverchie sospensioni di fooco. P erò in visi.a dello sgraziatoaooidente accaduto alla piazza io prolungherò questo armistizio di altre12 ore, cioè a dire fino alle IO. Così a quell'ora e senza necessità di nuovo avviso, !'E V. ed io siamo liberi di aprire il fuoco ».
E dopo aver deplorato i'incident.e di una barca che si era spinta verso il Borgo concludeva così: , lo sarei dolentissimo, lo confesso francamente, di dover fare la guerra in Italia nel modo feroce con cui l'ho falla per sette anni in Spagna. L'animo mio inchina alla guerra, accompagnata dai riguardi di cortesia e di umanità che siano conciliabili coi nosfri duri doveri, e l'E. V. mi ha provato di dividere meco quesn sentimenti e questi desideri. Ma poichè è necessità dolorosa che Italiani pugnino ,contro Ifaliaoi, facciasi da ambe le parti quanto si possa per togliere ali.a nostra lotl'a ogni carattere di ferocia e di scortesia. , La prego aggradire, ecc. , . CIALDINI».
E nel momento in cui gli ultimi ammalati partivano per Napoli, lo stesso Cialdini ne informava telegraficamente il coman· dante di quel presidio pregandoio di ricoverarli ma in pari tempo di sorvegliarli affinchè non comunicassero con alcuno. Tutte queste disposizioni venivano approvate dal ministro Cavour che telegrafava al Cialdini; « Avete fatto benissimo a non concedere trasporti di feriti o di ammalati se non a Napoli e a Mola ». Se non che, approfittando del piroscafo diretto a Mola, il co· mando borbonico mandava al generale Cialdini un altro parlamen· tario ancora, per chiedere almeno altre 12 ore di dilazione pei lavori di sgombro delle macerie. :.\1a questa volta veniva rinviato a Gaeta sopra una lancia di marina per riferire che il generale Cialdini era stanco di queste domande e si riflutaYa di concedere qualsiasi al· tra dilazione, e che d'ora in avant.i non intendeva ricevere più altroparlamentario all'infuori di quello che gli verrà a notificare la resa della piazza. In conseguenza di ciò, la sera dell'8 febbraio, il re Francesco convocò il consiglio di guerra. Erano presenti i comandanti di corpo, i generali, i comandanti d'artiglieria e genio, il generale Bert.olini capo di stato maggior e, il Marulli e l'o Schuma.cher . Lo scopo della riunione era espresso chiaramente dalle circostanze e veniva stabi· lito dall'ordine del ministero della guerra (Casella) per ponderare·
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coscienziosam~nte e liberamente tutte le circostanze militari « che possono influire sulla resij,tenza della piazza, nonchè il morale della fedele guarnigione » . Sotto la presidenza del Ritucci, i 31 ufficiali, dopo ampia discussione vennero aile seguenti conclusioni: 1°) Che la breccia non era pericolosa perchè dava sul mare ed era battuta dai fuochi laterali; 2°) che non si, poteva ten~re soldati ad accrescere i mezzi difensivi di quella breccia; 3°) che se il ne· mico assaltasse, le truppe presenterebbero ancora una certa resi· stenza con fuochi di fucileria e colla baionetta, ma che su questa non dovevasi molto contare specialmente se si prolungasse; 4°) che le batterie assicuravano ancora i loro fuochi; 5°) che i viveri per quanto scarsi non difettavano eccessivamente. Per cui si deliberava non essere a tal punto da capitolare, resistendo ancora, senza fissare il tempo perchè l'epidemia e le fatiche avrebbero potuto abbre· viare qualunque pronostico. Tale decisione era da attendersi da un consesso di onorati sol· dati, il Re che si era riservato il suo voto definitivo ne prese atto in senso favorevole e richiese alla guarnigione nuovi sforzi. Alla difesa della breccia furono posti 200 soldati del 1° battaglione cac· eia.tori agli ordini dei generale Bosco. Così, mentre Gaeta si apprestava ad un'ultima resistenza, pel mattino del 9 nel campo ~taiiano venivano date tutte le disposizioni affinchè allo scadere preciso della tregua, cioè alle ore 10, il fuoco venisse riaperto dalle batterie nell'ordine seguente: da.ile 10 alle 12 le batterie n. 5, 8 e 14, dalle 12 alle 3 le batterie 2, 3 e 6, dallo ore 3 di sera le batterie n. 4, 11 e 16, regolandosi in modo da sparare una volta ogni 5 minuti. P er l'intero periodo indicato, le due batte· rie 9 e 17 dovevano concorrere facendo un tiro ogni mezz'ora. Alle 10 precise partì dalla spiaggia il segnale, e gli ordini entrarono in esecuzione. La piazza rispose cona medesima precisione, ma non si può dire colla stessa regolarità di tiro, perchè l'intensità e la si· curezza manifestatasi nelle giornate dell'8 e del 22 furono questa volta assai diverse, i fuochi erano taivolta precipitati e i colpi riu· scivano disordinati ed incerti. Una granata caduta e scoppiata davanti al magazzino da mu· nizioni del bastione Annunziata, avendo attaccato fuoco alla blinda, per poco non causò un altro disastro come i precedenti, gli artiglieri borbonici fecero in tempo a spegnere le fiamme e il danno si li· mitò a qualche ferito e alla distruzione della blinda.
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Un secondo pericolo d'incendio si manifestò verso le 4 ai bastione S. Antonio, ma anche qui le cure solerti per spegnerlo evitarono lo scoppio delle munizioni che erano lì vicine. All'imbrunire vi fu un momento di rallentamento, poi cominciò da parte degli assedianti l'opera dei mortai, lenta, ma continua, e tale da mantenere costantemente in apprensione i difensori. In quella giornata vennero sparati 1694 colpi, la piazza ne sparò 1313 ed ebbe 6 morti e 16 feriti. Fra gli episodi maggiormente degni di ricordo, in questo periodo dell'assedio, merita un cenno speciale ia visita fatta al campo italiano da S. A. R. il Princi pe Eugenio di Savoia Carignano, che reggeva allora la Luogotenenza di Napoli. Il Princi pe aveva visita.lo un'altra volta i iavori, sbarcando a Mola 1'11 gennaio 18G1 e mon· tando poi a cavallo per fare il giro delle batterie, ma questa se· conda visita iniziatasi il 1 febbraio si protrasse per 8 giorni, e nonostante apparisse della maggiore soddisfazione perchè accompagnata da un encomio alle truppe e da una oblazione di 2000 lire pei poveri di Borgo, ebbe un immediato strascico di una certa gravità. Appena di ritorno a Napoli S. A. R. inviava una lettera al Re chiedendo di essere esonerato dalla Luogotenenza, e contemporaneamente a questa lettera ne giungeva un'altra egualmente diretta a Vittorio Emanuele II da parte del generale Cialdini in cui questi domandava di essere tolto dal comando dell'assedio. Molte, anzi troppe volte, il Cialdini aveva nella sua carriera (ed anche in questa stessa occasione dell'assedio) presentato pe:r ogni piccola questione in apparenza lesiva della sua autorità , le sue di· missioni, tuttavia la coincidenza delle due autorevoli richieste, fece nascere il dubbio che fossero originate dalla medesima causa e probabiimente da qualche osservazione del Principe, che il Generale non credeva di poter tollerare. Comunque, forse per int2rvento immediato di Fanti e di Ca· vour o per quel buon senso naturale che ispirò sempre ogni atto del Re, il Principe non fu sostituito e Cialdini rimase a Gaeta. Nè l'episodio ebbe più alcuna. conseguenza, neppure dopo la conquista della piazza, che anzi in quella circostanza S. A. R. si fece premura di spedire subito iO mila lire a coloro che avevano maggiormente sofferto in Gaeta e di inviare a Cialdini l'assicurazione della sua soddisfazione per l'ottenuta vittoria.
CAPITOLO X.
Le trattative della resa. - La capitolazione, Le disposizioni prese dall'ultimo consiglio di guerra ed il succedersi di tanti avvenimenti militari e diplomatici, facevano orma.i presentire la fine della resistenza. E nonostante gli aiuti che continuavano a venire da Roma, i diiensori di Gaeta comprendevano troppo chiaramente di non poter più fare assegnamento nè sulle loro forze già stremate, ne sulia sparata insurrezione delle cam· pagne, nè sul concorso delle potenze amiche (72). La stessa imperatrice Eug6nia, per mezzo del sig. De Brienne, aggiunto diplomatico francese a Roma, aveva mandato al generale Cialdini un'ultima lettera, con preghi ara di farla recapitare alla regina Maria Sofia, in cui si diceva, in termini affettuosi ed estremamente cortesi, che la. Francia non poteva più aiutare la causa bor · bonica. Questa nuova, benchè temuta notizia, influì sull'animo della regina fino allora così forte, ed accrebbe lo scoramiento del rè fino al punto di autorizzare il governatore Ritucci ad inviare a Castellone ì1 tenente colonnello Delli Franci, capo dello stato maggiore d'ar· tiglieria coll:apparente missione di informarsi dei motivi per il ri · tardato trasporto degli ultimi a.mmaiati, ma. in sostanza per sentire quali patti venissero imposti di fronte alla possibilità di una capifolazione. (72) Il Cardinale AnLonelli, alla fine di dicembre aveva mandato a Gaeta viveri e munizioni, accompagnando J'o!Terta con un sussidio in denaro di parecchie migliaia di scudi (DuRAjl;DO, Episodi diplomatici, p. 158).
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Il Delli Franeì attraversalo il golfo con mare burrascoso e 5otto ii grandinare delle palle, si rerò a bordo della Maria Adelaide, dove si trovava il Persano, ma quivi giunto venne inforrrmto rhe avendo gli assediati violato i patti dell'ultimo armistizio fortificando la breccia, il Cialdini si riteneva sciolto da ogni precedente promessa condizionale e aveva disposto perchè i rlm~nenti ammalati e fe· riti restassero a Gaeta. Ammesso a conferirE; rol comandante generaie dell'assedio, ripctè il Dclii Franci più volte essere questo un errore, e anzi avere. il generale Ritucci fatto togliero le botti che erano state confezionate prima dell'accordo perchè non sembrassero preparate dopo l'ora fissata nella tregua, ma ad ogni giustificazione non volle piegarsi il Cialdini e si dichiarò convinto di essere stato siealmente contraccambiato. Da questa discussione di ordine secondario, predisposta e ascoltata con eguaie convincimento che non fosse quello il vero motivo del colloquio, passò il parlamentario borbonico a significare in modo generale e sommario a quali condizioni si sarebbe potuto trattare della. resa. Ciò fatto il Delli Franci, ritornò a sera inollrata a Gaeta, sperando che durante. ulteriori e più decisive trattative si fosse po· tuto sospendere ogni atto di palese ostilità, ma il Cialdini sapeva che i viveri non difettavano troppo nella piazza, che munizioni ve n'erano ancora, che la guarnigione per quanto scossa rimaneva al suo posto di combatlim~nto, e non poteva quindi su tali dati sospendere per semlplici t.rlattalive la sua energica azione nel momento in cui si riprometteva raccoglierne i frutti. Udito quindi il parere dei generali Valfrè e ~enabrea ordinò il sollecito armamento delle batterie di Casa Albano e dell'Atratina, fece accelerare quelli iniziati p~r altre due batterie all'Arcento ed all'istmo e ordinò di te· nersi tutti pronti, perchè se le trattative fallissero, o nuove rirco· stanze rendessero opportuna un'azione decisiva avrebbe ordinato i} concentramento dei fuochi contro una breccia per la quale inten deva di dar l'assalto alla piazza (73). La mattina dell'J 1 venne pertanto disposto che il fuoco venisse intensificato da tutte le artiglierie e che non cessasse fino a capi· tolazione conclusa. Con evidente superiorità di tiro. il cannoneg· giamento si protrasse quindi ininterrotto fino alla sera, sparando 4397 colpi contro le opere della difesa le quali vennero letteralment~ oppresse da una grandine di proietti. Le fortificazioni maggior· (73)
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1issedio rii Gaeta, pag. 430.
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li generale Cialdini o il suo stato maggioro Serristori, Caccialupi, Piola·Caselli, Mosti, Castelli, Minonzi, San Marrnno, Trotti, Orero, Borromeo, La Foret
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m,ente colpite furono la batteria Regina, la Cittadella e i due bastioni Cappelletti e Philipstadt, i quali offrivano più facile bersaglio e apparivano colle batterie smascherate e smontate per l'atteramJento dei parapetti e per le blinde sfondate. La piazza in quei giorno si limitò a sparare 1469 colpi, ed ebbe 9 nmrti e 7 feriti . Nel campo italiano non si segnalarono che 4 soldati feriti soltanto. Col sopragiungere della notte il fuoco fu railentato. Se l'ultima risposta del generale Cialdini non lasciava più al· cun dubbio sulle sue intenzioni, l'urto della giornata ne convali· dava l'esecuzione, per cui il re in presenza d8lla regina, dei conti di Trani e di Caserta, tenne consiglio, e deliberò di affidare al Ritucci i pieni poteri per fissare una capitolazione, previa quegli accordi che il tenente colonnello Delli Franci avrebbe negoziato in precedenza col Cialdini. A tale scopo il Delli Franci ritornò a Mola con una fot· tera del governatore così concepita : Munito dei pieni poteri necC$sari, mosso -da motivi di umanità, e de· siderando dal canto mio <li mettere un ferm ine allo spargimento di sangue, ho l'onore di proporre all'E. V. una sospensione d'armi di 15 giorni per intavolare le trattative di capitol.azionc. V. E. pofrebbe indicarmi l'ora precrsa in cui avrebbero a cessare le ostilità».
Fino dalla prima venuta al quartier generale del tenente colon· nelio Delli Franci, il generale Cialdini, non aveva ·t rascurato di te· legrafare in questi termini al Cavour, a Torino (74) : « Castellone, 10 febbraio 1861 « Un parlamentario è venuto per sondarmi nel caso che la piazza volesse capitolare. Ho risposto che un militare e un italiano non potranno offrire alla guarnigione che condizioni onorevoli. Ho espresso il desi· derio di veder parfire il Re e la Regina anzitutto, riconoscendo che sa· rebbe troppo duro per quelle auguste persone di trattare con me. Se partissero sarebbe più facile intendersi fra me e la piazza. Vogliatemi dire fino a che punto posso largheggiare nelle condizioni deHa capito· !azione sotto tutti i ropporti. Se la capitolazione non ha luogo, io spero di prendere la piazza d'assalto ma in una maniera così ferribile che si vedrà più conveniente di finirla altrimenti».
A questo telegramma il m~nistro Cavour rispondeva il giorno dopo dandogli perfettamente ragione, particolarmente nei riguardi dovuti ai Sovrani di Napoli . Quanto alle condizioni soggiungeva: « voi potrete acconsentire al pagament.o di due milioni pei primri (74) U. S. Carte Cialdini, Busta 5, doc. 168.
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bisogni dei Re » . E concludeva che la capitolazione sarebbe p1u compltta se comprendesse anche Messina e Civilella del 'I'ronto (ì5) . Cosicchè in seguito a questo scambio di idee, Cialdini poteva dare al Ritucci la seguente risposta alla lettera portatagli dal Delii Franci riguardante una nuova tregua di i5 giorni. Il febbrai o 1861
, .41 Governatore di Gaeta. « Secondando il desiderio espresso nella leLtera d i V. E. io mi di· chiaro disposto a porre un termine .allo spargimento di 5angue. intavo· lando trattative per una capitolazione della piazza. Però come sempre è stato mio cost ime in simili circostanze, non posso accettare un armi· stizio poichè a mio avviso credo si possa trattare egualmente senza che sia necessario sospendere le oslililà » (76).
E contemporaneamante telegrafava al Cavour ed al Fanti la risposta data, soggiungendo che non accordava neppure un 'ora di armistizio « visto che il cannone non guasta mai gli affari » . I signori (diceva inoltre) sono astuti, ma io non sono una bestia e amo di non perdere il mio tempo » (77). Cavour a sua volta , il giorno 12, assentiva pienarroonte, con questo dispaccio che dimoslra quanto stesse a cuore del ministro non solo di terminare gloriosarrrente l'impresa, ma di farne oggetto es· senziale di comunicazione alla prossima. apertura dei Parlamento. , BraYO generale, approrn rutto quello che avete ratto e che farete. lo spero di poter celebrare la vostra gloria nel discorso della Corona».
Mentre fra Cavour e Cialdini avvenivano queste intese, il Delli Fra.nei recapitava al generale Ritucci la risposta del Cialdini. Il Rilucei ne rimase costernato ma sentendo dai Delli Franci che ormai non rimaneva altra via che di accettare le trattative, nominò nella notte stessa la commissione borbonica e consegnò ad essa, oltre a speciali istruzioni verbali par dimostrare le più sincere in· tenzioni di resa, (comrpresa la concessione di occupare da parle òelle truppe piemontesi la Porta di Terra e la Gran Sortita), anche una lettera di presentazione e di spiegazioni per il comandante delle forze italiane. (75) U. S. Carte Cialdini, Busta 5. doc. 170. (76) C. S. Carte Cialdini. Busla 5. (77) U. S. Carie Cialdini. Busta 5.
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Così al mattino del 12, appena si fu diradata la nebbia fittis· sima che copriva il golfo, vennero sparati i segnali convenienti dalla batteria Santa Maria e poco dopo si vide staccarsi da Mola un piroscafo per imbarcare a Gaeta i commissari borbonici. Cialdini nello stesso t2mpo aveva delegato ad incontrare gli stessi com missari e a trattare con essi, i generali Menabrea e Piola Caselli. Giunti a terra gli ufficiali borbonici consegnarono a1 generale Cialdini la seguente lettera del Rilucei: Al Generale d'Armata, Comandante il IV Corpo Ilaliano a Mola. Quando autorizzato da una alta generosa volontà, e per evitare uno inutile s.pargimenfo d·i sangue proposi a V. E. un armistizio di 15 giorni per in t:avolare le convenienti trattative, non potevo aspettarmi certo, nella risposta che Ella mi ha data, la condotta osservata ieri dalle sue batlerie raddoppiando più vivamente che mai il bombardamento della piazza. « V. E. mi dice che è staro sempre suo costume in simili circostanze trattare senza sospendere il fuoco, ma mi permetta che io Le faccia osservare che non è questo il costume generale, poichè una vo:ta am· messa la convenienza di mettere un termine alle ostilità, il più santo dovere di ogni generale è <li risparmiare il sangue dei generosi soldati che sostengono fedelmente le loro bandiere. «Costretto dal vivissimo fuoco delle sue batterie a rispondere nella· stessa maniera, senro la necessità dal canto mio di salvare la responsabilità che possa cadere sul mio nome e di protestare innanzi ai miei con temporanei ed alla storia che non è il generale di Gaeta che ha voluto, nè consentito, uno spargimento di sangue senza scopo. « Con quest0 esclusivo fine, mi sono permesso di fare all'E. V. le pre· cedenti osservazioni, assicurandole, che laddove le sue batterie cesse· ranno il fuoco, cesserà immediatamente quiello della piazza; poichè il mio unico fine è di difendermi. « Spedisco intanto una commissione composta dal generale Cav. D. Francesco Antonelli Capo dello S. M. dello Esercito, dal generale cav. D. Roberto P,asca comandante superiore della R. Marina, e dal tenente colonnello Comm. D. Giovanni Delli Franci capo dello S. M. di artiglieria, i quali, muniti delle istruzioni e dei poteri necessari dovranno redigere le condizioni della capitolazione con la commissione che V. E. sarà per nominare; la quale capitolazione avrebbe il suo pieno vigore, dopo la. reciproca nostra notifica. « Prego V. E. di aggradire i sensi dcl)a mi.a distinta considerazione~ Il Tenente generale GIOSUE' RITUCCI 11.
A questa lettera, Cialdini rispondeva subito con quest'altra co municazione, consegnandola agii stessi delegati borbonici, i quali non avendo potuto accordarsi su talune clausole tornavano a Gaeta.
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la. medesima sera del 12 per ottenere nuove disposizioni dal loro governo. Caslellone 12 fel.>braio 1861.
A S. E. il Sig . Ge11erale Gouer11alore di Gaeta. « Dopo quanto è passalo fra noi è assai slrano che l'E. V. si sia ri· cordato così lardi dell'inutile spargimenlo di sangue e dell'offesa umanità; mentre io il 19 dello scorso gennaio in nome della stessa umanità e onde evitare una inutile effusione di sangue le offriva un'ampia capitolazione d i cui l'E. V. non degnossi voler nemmanco conoscere le onorevol i condizioni. « Non temo il giudizio dei miei conl'emporanei nè quello della storia ed uso da molti anni a sostenerlo lo attendo tranquillamente. Generale, cessino fra noi 'le vane frasi e le pompose parole. II linguaggio della d1 Lei lettera mi autorizza non solo ma mi obbliga a parlar chiaro. « Quando all'E. V. non conveniva di cedere la piazza, quando le illusorie speranze di una reazione alle mie spalle, quando la mal fondala fiduc~ nei baluardi di (',aeta parlavano forte1nente nel di lei animo, Ella accettò senza es1tanza l'effusione del san@'Ue. , Ora che ogni lusinga di reazione è sparita, ora che la confidenza nel1 '1nespugnabilità di Gaeta è cadufa, ora insomma che le conviene di cedere e di capitolare, ora l'E. V. trova comodo di invocare molto a proposito la sofTerenle umanità e di ripugnore da un inutile spargimenfo di songue. « Ciò per quanto riguarda l'E. \". « Dal canto mio con pari franchezza le dirò che mos<-o da un senli · mento di vera non di ipocrita umanilà, io le olTrii di prendere 400 dei suoi feril1 od ammalati, io le offrii di 1M.ndarle neve, medicinali e !:>aaguisnghe benchè tutlo <:iò fosse con da nno evidente delle condizioni d'asserlio e fosse all'infuori degli obblighi miei. « Le concessi 60 ore di armistizio per dissotterrare e seppelli re i gia· cenli sollo le rovine della rovesciala cortina e di più avrei faHo sicura mente. « Ma J'E. V. violò la sola condizione che io avessi posta e m~ncò alla sua parola d'onore. Da quel momento, lo dichiaro francamente. non ho più fiducia nel di lei procedere e nella di lei parola, avendo la d1 lei con· dotta generato nell'animo mio un sentimento che gli era ignoto sinora, quello cioè della diffidenza. « Sono quindi in diritto di sospelfare che !"iniziativa da lei presa per trattare d1 une capitolazione e la domanda di un armisli1.io a lai uopo sia un nuovo stratagemma per guadagnar tempo e ritardare l'assalto. i ngannalo una volta non voglio esserlo una seconda. « Ciò le spieghi la mia condolla, ciò le dica perchè non voglio cessare il fu oco sino a che Gaeta non sia mia in un modo e nell'altro. « Se in ciò vi è qualche cosa di duro e d i odioso ricade esclusivamente sn chi mi Yi ha spinto. L'E. V. dica pure a suo senno ai contemporanei
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ed alla storia che non volle e non consentì ad uno spargimento di sangue senza scopo e che mia soll.Qnto ne fu la colpa. a: Io aggiungerò: il Governatore di Gaela aveva anzitutto mancato alla sua parola d'onore J). Il generale d'Armata CIALDL'H ».
Per tale mancato accordo e per il carattero aspro che avevano ormai assunto le sue relazioni col Cialdini, il Ritucci presentava la sera me<lesima a Francesco II le sue dimissioni dalla carica di governatore, giustificandole col dichiarare che temeva potessero tali relazioni influire in modo sfavorevole sul1e trattative della capi· tolazione. Egli non sentiva di poter assumere una responsabilità così grave ìn questioni che non E:Jrano di propria iniziativa, (78) e forse anche egli comprendeva che nella maggior parte degli avvenimenti di quegli ultimi giorni l'opinione del re era in contrasto colla sua, come erasi altra volta verificato allorchè venne sostituito dal Salzano, per cui la sua posizione diveniva massimamente penosa e dif· ficile. Fatto sta che il re accettò subito queste dimissioni e nominò il vecchio generaie Milon quale governatore della piazza. Con que6to atto probabilmente voluto dal re si sperava alla Corte di dare una palese soddisfazione a Cialdini per il risenti· mento dimostrato nella sua ultima lettera, e ottenere così quelle condizioni di tregua che erano state richieste durante le trattative. Il generale Milon si affrettò infatti a notificare l 'assunzione della sua carica al comandante delle forze italiane, significandogli che manteneva la medesima commissione nominata dal suo predeces· sore e chiedendogli, com~ risulta dalla seguente lettera, di ripren· dere le. trattative. Il re deciso ormai di capitolare, pareva pronto ad accett.are qualunque condizione, fece infatti distribuire subito gran quantità di vi.vari ailt:, truppe e stabilì che al mattino dopo un ufficiale borbonico si recasse a Mola per far trasmettere un telegramma. a Napoli al comandante La M ouette affinchè venisse a prendere la Corte ormai decisa a lasciare Gaeta. Lo scambio di lettere avvenuto fra i generali Ci11ldini e RiLucci, aveva infatti pregiudicato la situazione in senso sfavorevole agli interessi borbonici. Lo stesso Rilucei lo comprese e appena date le sue dimJissioni, sentì il bisogno di scrivere a Cialdini un'altra Jet· (78} CARANDINI,
op. c i L. nota d. p. 113.
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tera del tutto confidenziale, dalla quale emergono o si intravedono più facilmente talune considerazioni che motivarono la sua con· dotta. P arò, come osserva giustamente il Carandini (pag. 446) risultano anche in essa alcune contraddizioni che dimostrano l'irresponsabilità di quanto si fece in Gaeta e la colpevolezza del solo gover· natore. « Gaefa 13 febbrai o 1861. Eccellen:a, e Mi è oltremodo sensibile scorgere dal suo riscontro del 12 volgente la dichiarazione di surta diffidenza nel mio procedere, e che crede poter giustificare dinanzi ai contemporanei ed ai posteri il superflu o spargi· mento di sangue coll'accusarmi di aver mancato io alla mia pnrola d'o nore. Rifucci mancato alla sua parola d'onore? Sarei molto piò inquieto su questo palesalo giudizio se l'E. V. mi avesse conosciuto per lo in· nanzi, se avesse avuto sentore dell'inalterata rettitudine della mia lunga e laboriosa carriera, rellit'udine che nelle imperfezioni della terra mi ha procaccialo talvolta inattesi .dissapori, senza pure farmi vacillare. Ma portala d~ll'E. V. tate conclusione su fatti e circosfanze che h·rnno potuto presentarsi ai suoi sguardi attraverso di un prisma che le abbia alterata la posizione degli oggetti, sento l'obbligo d'inviarle delle categoriche de· lucidazioni che meglio le apprenderanno la vera posizione delle cose, senza punto elevare paragone di procedimento, ma solo per metterlo io piena cognizione della massima lealtà delle mi e cure, tendenti o rendere meno c rudeli una guerra fatale fra gli italiani, i quali comunque guidali da opposti doveri, dovrebbero avvicendarsi di stima, sempre che gli ob· blighi rispettivi non vi si oppongano. « V. E. dice che io mi sia accorto cosi tardi del l'mutile sp,argimenfo di sangue, mentre l'E. V. il 19 gennaio in nome della st~sc:a umanità ofTriva una sospensione di ofTese per una capilo!azione, della q uale io non volli neanche conoscere le onorevoli condizioni. Tale ambasciata fu verbale per or gano del suo Capo di S. M. che ebbe colloquio col Bri· gadiere incarir,.'llo del detfaglio. « Stando il Sovrano nella piazza, il governatore non poteva da se ri· solvere nulla circa una offerta di tanta importanza ,;enza !a sovrana autorizzazione, nè premurarla ad onta dell'incl111azione che forse s i avef\· se per essere la Piazza nello stato di presentare lunga ed energica resi· stenu.i. V. E. bene comprenderà da se, senza altra spiegazione q11anto è delicata e difficile la posizione di un governatore in questo caso. Non autorizzalo dunque a frollare di capitolnzione si rispon-::leva sulla so· spensione di offese, che essendo V. E. attaccante stava in lei ri!;parmiare il sangue, che la P iazza non anebbe lirato senza essere provocata pur· chè non si travaglia.r;se dagli assedianfi in formazione di batterie e di ofTese. Le scoperte del 20, 21 e 22 da Torre Orlando annunziavano gli in· cessanti I.avori innanzi al ponte di Terra, quin<:li i difensori si videro
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nella necessità ùi aprire il fuoco per dislru~~ere e ritardare le opere 11emiche. Quale è il d•i sprezzo dell.a umanità per parte del Governatore, nella circost'anza·'..' « L'E. V. dice, che quando illusorie speranze d i reazione alle spalle e mal fondai.a fiducia nei baluardi di Gaeta parlavano fortement'e all'animo mio, io posi in disp.arte le considerazioni di umanità. Indipendentemente da quanto sopra ho esposto, la presenza dei ministri e del Sovrano non mi ha tolto dall'occuparmi unicamente delle truppe e della piazza senza mai rivolgermi dal lato della politica, nè mai ho avuto conoscenza ufficiale di attese reazioni, oltre le ciarle di pi.azza, nè ho prestato fiducia a parziali dimostrazioni come ho costantemente esposto al real governo nelle svariate cariche sostenute, nè m,ai ho pensato all'inespugnabilità dei baluardi, comunque forti, di Gaefa. Io non poteva dunque dimostr-are disprezzo per l'umanità, nè per facoltà nè per condizione. « Si lagna V. E. di manoata parola d'onore in occasione delle 60 ore d 'armistizio. Ma in che <:onsiste la mancata parola che tanfo pone in diffidenza l'E. V.? Fu fissato fra noi che sarebbe rimasta intatta la breccia formatasi dall 'esplosione verso il mare. Gl i ordini più recisi furono dati da me e principiato lo scavo sorgeva l'imbarazzo dei materiali rimossi; portatasi sopr.a,luogo un:a commissione istituita da S. M. il Re per progettare il da farsi giudicò pot'ersi riporre quel materiale a guisa di muro ,. secco dietro la cresta della breccia dalla parre interna. In tale fiducia vi si fece dare adempimento senza del che avrebbesi dovuto arrestare lo scavo per difetto di spazio. Io non ebbi conoscenza di ciò che dopo buon trai.lo di tempo e quantunque fossi co.nvinto che quel lavoro non infrangeva la data parola,pure .spedii all'istante il mio aiutanfe di campo con ordine di f.arne arrestare ogni progredimento, e poscia un ufffoiale di sfato maggiore per accertarsene onde .allontanare ogni ombra che l'incsatlezza ottica avesse potuto ingenerare da lontano. Tutto il resto fu operato di notte e sotto il fuoco. A che dunque tanta diffidenza fino al punto di farla valere quando si è proposta la capitolazione, menfre da parte mia :immetteva perfino fra le istruzioni che le truppe piemontesi potevano occupare la porfa di te·rra e la gran sortita di S. Andrea? « Ma comunque voglia interpretare V. E. il mio comportamento in tali affari, benchè nella mia coscienz.a io rimanessi saldo e sicuro di avere adempiuto ai leali dover i di onorato militare, se anche io avessi del torfo, a che sacrificare assediati ed assedianti .alla vigilia di dar termine a sì dispiacevole guerra in cui le due parti si coprono di gloria? E sono due p.arti ambo italiane! Che se l'onorevole dovere le tiene a difendere causa opposta, questa è al -suo declivio con la offerta capitolazione. Una dog lianza sulla male appresa mia condotta mi avrebbe obbligato a di\ucidarla, come feci ora, e tante vittime non starebbero risentendone le ingiuste conseguenze! Se poi ogni altro motivo e l'uso di guerreggiare, a tanto lo induce, -come faceva cenno nel precedente suo foglio, non mi resta altro da aggiungere. « Solo per compimento di convinzione sulle mie rerte intenzioni, sono ad annunziare all'E . V. che appena letto il di Lei foglio di ieri sera, mi
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sono dimesso dal governo della piazza, non permetlendo la mia delica· tezza che una apprensione sul mio modo di procedere possa contrariare sacri inleressi di tanti onorevoli mii ilari di quest:a gu.1rnigione ». G. RITUCCI
A parte ogni altra considerazione, scegliendo il Milon, oltre che per un riguardo all'anzianità il re volle indubbiamente affer· mare le migliori intenzioni, sapendo che, pur essendo questi fedele alla causa borbonica e devoto alla Corte, non era p~rciò meno ammi · ratore del Cialdini, per cui gli angoli che aveva acuioo il Ritucci, potevano da questi venire smussati . Di ciò ne fa fede una lettera, scritta da Milon stesso, dopo l'as· sedio, da Napoli il 5 marzo 1861 al generale Cialdini in Messina, cioè quaudo questa cittadella non era. ancora caduta. Tale comiunicazione diceva fra. l'altro: « Eccellenza, io sento in me viva la brama di render Le infinite grazie per le tante cortesie usatemi negli ullimi giorni di mia dimora a Gaeta. Sono qui a i\apoli, e prego \". E. di regalarmi dei suoi graziosi coman· damenti, e di a<'cetlare i sentimenti della mia grande riconoscenza».
Il generale Cialdini o Milon si scambiavano fra il 12 e il 13 febbraio le loro comunicazioni stabilendo di incontrarsi alla viila di Caposele per definire la situazione. Assieme al Milon rimasero gli altri membri della commissione già destinati in precedenza, e cioè il generale Anlonelli, il generale Pasca e il tenente colonnello Delli Franci (79). (79) La villa Caposele a Mola di Gaeta era il quarlier generale di Cialdini. Sorge sul mare, <:inta da una foresta di agrumi e domina la curva che da Formia si svolge pittorescamente per l'antico borgo, oggi Elena. sino alla punta di Gaeta. Era st:ata acquistata nel 1852 dal re di Napoli al pubblico incanto, nell'espropriazione di beni della marchesa Donna Olimpia De .Mari figlia di D. Carlo de Ligny principe di Caposele. Una lapide, nel salone, ricorda che il principe vi ,avern dato ospitalità per una notte a Ferdinando IV e alla Regina Carolina reduci dalla Ger· mania nel 1791 e che Vittorio Emanuele I e :\faria Teresa d'Austria vi fecero più lunga dimora, quando, perduto lo Stato andarono in esilio e passarono due anni a Roma e a Gaeta prima di andare in Sardegna. Di quella magnifica villa Ferdinando II fece mèta delle sue passeggiate in vettura. Vi andava da Gaeta quasi ogni g iorno guidando egli stesso il phaeton e vi conduce,-a la regina e i figli. La ingrandì, l'abbelll, e nel testamento la lasciò in legalo speciale al figlio Francesco. Appartenne poi ai fratelli Rubino che racqui:;larono dal demanio nel 1860 (DE CESARE. Roma e lo Stato del Papa, p. 152).
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Il fuoco per tutta la giornata del i2 fu v1v1ss1mo dalla parta dell'attacco, vennero sparati 3588 colpi provocando gravissimi danni nel fronte a scaloni, nel bastione di S. Giacomo, neila batterla Tri· nità, con 15 morti e 41 feriti borbonici. La piazza rispose come me· glio potè, sparando 1393 colpi ma senza ottonere guasti rimarchevoli sui nascosti bersagli delle batterie italiane e senza che si avesse a deplorare alcuna perdita d~ uomini. Al mattino del i3, non ancora spuntata l'alba, la batteria dell'A· t.ratina, collocata di ree:ente dietro l'antico muro conosciuto col nome di ruderi di Simeone, iniziò i suoi tiri, in aggiunta alle altre a.cl una distanza di 850 metri dal bastione Philipstadt; e la batteria di casa Albano armata nella notte, coperta da un fitto fogliame, co· minciò a fulminare a 1100 metri la Cittadella. Questo fuoco improvviso e vicino per quanto non venisse comr pletato con tutti i pezzi disponibili per difficoltà. tecniche dovute alla fretta con cui si erano posti in batteria, ebbe subito effetti gra· vissimi, ma fatto bersaglio alle risposte delia piazza provò quanto giustamente avesse stabilito il Cialdini di attaccare a distanza, per· chè dopo poche ore di fuoco le due nuove batterie riportavano avarie tali da ridursi presto al silenzio, e contavano parecchi feriti fra i loro artiglieri. Se ia difesa avesse avuta fin dall'inizio tanta supe· riorità per le diminuite distanze, non sarebbero stati possibili i danni che la condussero alla ròSa. Fortunatamente a controbilaciare l'azione di quelle due batterie, continuò il vantaggio delle altre le quali con un fuoco rapido e preciso paralizzarono ogni efficacia di difesa al punto da rendere, malgrado l'innegabile valore della guarnigione, impossibile il servizio dei pezzi e ogni ulteriore resistenza. Mentre avveniva questo disperato e terribile duello fra le ar· tiglierie, scendeva nuovamente a Mola la commissione incaricata di riprendere le trattative, con più ampi poteri del giorno precedente ma con istruzione di non venire alle concessioni estreme se non in caso estremo. Essa ricomnnciò la discussione alle ore 10 e mezzo. Procedevano così le cose, quando verso le 3 uno dei proietti dei pezzi da 40 della batteria n. 3 sul Lombone, percotendo un punto indebolito dell'opera Transilvania, penetrò nell'attigua casamatta e di rimbalzo andò a scoppiare nel magazzino a polveri e laboratorio annesso, nel quale si trovavano 18 mila Kg. di polvere e gran numero di proietti carichi . Un terribile rombo e un forte scuotimento
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del suolo fecero subito comprendere agli assediati trattarsi di un altro irreparabile scoppio. Sulla estrema sinistra del fronte di terra si alzò una densa colonna di fumo, e le macerie della batteria Transilvania vennero lanciate a grande altezza ricadendo in mare e sull'opera vicina di Malpasso. Per quanto un simile disastro non po· tesse arrecare che nuove vittime, pure in quel momento, per inevi· tabili leggi della guerra, si elevò su tutto il campo italiano il grido di Savoia! (80) . Al dissiparsi del fumo dal luogo dell'esplosione, nessuna trac· eia della batteria apparve sulle roccie, giacchè questa era stata completamente demolita, seppellendo la famiglia del guarda bat· teria e 39 soldati.. Tutte le bocche da fuoco dell'attacco, diressero allora, conforme le istruzioni ricevute i loro tiri in quel punto, continuando con regolarità e precisione a fulminare e smant-ellare le batterie vicine, le quali vennero ridotte al silenzio per l'impossibiìità del servizio, fino a che la sera obbligò a rallentare il tiro e la piazza ridusse a scarsi e mal diretti i suoi colpi. Maigrado questo imrperversare di proietti contro le rovine fu · manti dell'opera scoppiata, alcuni ufficiali e soldati riuscirono a salvare un loro compagno lanciato dall'esplosione sopra una roccia sporgente sul mare e gli artigiieri borbonici diedero prova di tale operosità e di tanto coraggio da impressionare anche i nemici at· taccanti. Fortunatamente in quell'ora (6 e mezza di sera) le due commissioni finivano la capitolazione, e dal quartier generale italiano partiva un ordine telegrafico che faceva cessare il fuoco di tutte le batterie. La commissione borbonica si imbarcava sopra un legno con bandiera pariamentare spiegata e faceva ritorno a Gaeta. Alla vista della nave che entrava nel porto anche le batterie della piazza si tacquero. In quel giorno memorando si erano sparati dalla fortezza 1613 proietti e contro di essa ne avevano diretti le batterie nemiche 7863. Oltre ai 39 morti per l'esplosione, ia guarnigione contava 2 ufficiali e 25 soldati feriti. Il tifo completava quella triste nota con 38 am· malati e 4 decessi. Nel campo italiano erano rimasti morti 2 soldati e 14 erano stati feriti. La capitolazione era stata conciusa. (80)
CARAXOl!'(I,
p. 465.
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Essa fu comunicata dal comando della piazza alle Potenze con una circolare nella quale due cose principalmente rifulgono, cioè la maiinconica riflessione riguardante l'abbandono dell'Europa e l'accusa ve1so il Cialdini di continuare il fuoco durante le tratta· tive (81).
I termini precisi della capitolazione furono i seguenti: « Capitolazione per la resa della piazza di ·Gaela, stip uilata fra il Co· mandante Generale delle truppe di S. M. Sarda e il Governatore della fortezza, rispettivamente rappresentati dai sottoscritti, e datata dalla vHJ,a di Caposele in Castellone di Gaeta li 13 febbraio 1861. « Art. l. - La piazza di Gaeta, il suo armamento completo, bandiere, armi, magazzini a polvere, vestiario, viveri, equipaggi, cavalli di truppa, navi, imbarcazioni, ed in generale tulfi gli oggetti di spettanza del Governo, siano militari che civili, saranno consegnati all'uscila della guar· nigione alle truppe di S. M. Vittorio Emanuele. «Art. 2. - Domattina alle ore 7 saranno consegnate alle truppe sud· dette le porte, e le poterne della città dalla parte di terra, nonchè le opere di fortifì<:azione attinenti a queste porte, cioè dalla Cittadella sino alla batteria Transilvania, ed inoltre Torre d'Orlando. « Art. 3. - Tutta la guarnigione della piazza, compresi gl'impiegati militari, ivi racchiusi, usciranno cogli onori di guerra. << Art. 4. Le truppe component'i la guarP.igione usciranno colle ban· diere, armi e bagagli. Queste dopo aver resi gli onori militari, deporranno le armi e le bandiere sull'istmo, ad eccezione degli ufficiali che conserveranno le loro armi, i loro cavalli bardati, e tutto ciò che loro ap· partiene; e sono facolt'izzati a ltresì a ritenere presso di loro i rispettivi trabanti. «Art. 5. - Usciranno per prime le truppe straniere, le altre in se· guito, secondo il loro ordine di battaglia, colla sinist'ra in testa. << Art. 6. L'uscila della guarnigione dalla piazza si farà per la porta di terra a cominciare dal 15 corrente alle ore 8 del matfino, in modo da essere terminata alle 4 pomeridiane. « Art. 7. - Gli ammalati e feriti sol i, ed il personale sanitario degli ospedali rimarranno nella piazza; t'utli gli altri militari ed impiegali che rimanessero nella piazza, senza legittimo motivo e senza apposita auto· rizzazione, dopo l'ora stabilita nell'articolo precedente saranno conside· rafi come disertori di guerra. « Art. 8. - Tutte le truppe componenri la guarnigione di Gaeta ri· marranno prigioniere di guerra fin<:hè non siansi rese la cittadella di Messina e la fortezza di Civitella del Tronto.
(81) DE CESARE. Roma e lo Strdo del Papa. Voi. II, p. 151.
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«Art. 9. - Dopo la resa di quelle due fortezze, le truppe componenti la guarnigione saranno rese alla libertà. Tuttavia i militari stranieri non potranno soffermarsi nel Regno, e saranno trasportati nei rispetfiv1 paesi. Assumeranno inollre l'obbligo di non servire per un anno. contro il Governo italiano a partire dalla data della presente capitolazione. « Art. 10. - A tutti gli ufficiali ed impiegati militari nazionali capitolanti sono accordati due mesi di paga, considerata in tempo di pace. e Questi stessi ufliciah avranno due mesi di tempo, a partire dalla data in cui furono messi in libertà, o prima se lo vogliono, per dichiarare se intendano prendere servizio nell'esercito nazionale o essere pensionat'i, oppure rimanere !;ciolti da ogni senizio militare. A quelli che intendono servire nell'esercito nazionale o essere pensionali, saranno, come agli allri ufficiali del già esercito napolit..ono, applicate le norme del R. Decreto dafo in Napoli il 28 novembre 1860. «Art. Il. - Gl'individui di truppa, ossia di bassa forza, dopo lermi· nata la prigionia di guerra, otterranno il loro congedo assoluto se avranno compiuta la loro ferma, ossia il loro impegno. A quelli che non l'avessero compiuto sarà concesso un congedo di due mesi, dopo il quale rermine potranno essere richiamali sotto le armi. A tutti indislintamenre, dopo la prigionia saranno dafi due mesi di paga, ossia di pane e prest per rimpa· t:riare. , Art. 12. - I solt'nflìciali e caporali nazionali che volessero continuare a servire nell'esercito nazionale saranno accettati col loro grado, purchè abbiano le idoneità richieste. e Art. 13. - E' accordalo agli ufficiali, soll'uffìciali e soldati esteri, provenienti dagli antichi cinque Corpi Svizzeri, quanto banno diritto per le antiche capitolazioni e decreti posteriori fino al 7 settembre 1860. , Agli ufficiali, soll'ufficiali e soldati esteri che hanno preso servizio dopo l'agosto 1860 nei nuovi Corpi, e che non facevano parte dei vecchi, è concesso quanto i decreti di formazione, sempre anteriori al 7 settembre 1860, loro accordano. « Art. 14. - Tutti i vecchi, gli storpi o mutilati militari, qualunque essi siano, senza tener conlo della nazionalità, s,aranno accolt'i nei depositi degli invalidi militari qualora non preferissero ritirarsi in famiglia col sussidio quotidiano, a norma dei regolamenti del già regno delle Due Sicilie. « Art. 15. - A tulfi 1Z;l'impiegali civili, si napoletani che siciliani, rac· chiusi in Gaeta, ed appartenenti ai rami amministrativo o giudiziario è confermato il diritto al ritiro, che potrebbero reclamare, corrispondente al grado che avevano al 7 settembre 1860. «Art. 16. - Saranno provvedute di mezzi di trasporlo tutt'e le famiglie dei militari esistenli in Gaeta, che volessero uscire <falla piazza. « Art'. 17. - Saranno conservate asz;li uffiziali ritirali che sono nella piazza le rispettive pensi0ni, qualora siano conformi ai regolamenti. , Art. 18. - Alle vedove ed agli orfani dei militari di Gaeta saranno conservate le pensioni, che in allo tensz;ono, e riconosciuto il diritto per domandare lai i pensioni pel tratto ,avvenire, a l'ermine della legge.
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« Art. 19. - Gli abitanti tutti di Gaeta, non saranno molestali nelle persone. e proprietà per le opinioni passate. « Art. 20. - Le famiglie dei militari di Gaeta, che t'rovansi nel.la piazza, sono poste sollo la protezione dell'Esercito del Re Vi(torio Emanuele. « Art:. 21. - Ai militari nazionali di Gaeta, che per motivi d'alta con venienza uscissero dallo Stato, saranno pure ,applicate le disposizioni contenute negli articoli precedenti. « Art. 22. - Resta ,convenuto, che dopo 1-a firma della presente capitolazione non deve restare nella piazza nessuna mina carica; ove se ne tro,,assero, la presente capitolazione sarebbe nulla, e la guarnigione come .resa a discrezione. Uguale conseguenza avrebbe luogo ove si trovassero le armi distrutte a bella posta, non che le munizioni; salvo che l'autorità della piazza consegnasse i ,colpevoli, i quali sarianno immediatamente fucilati. «Art. 23. - Sarà .nominata d'ambo le parti una Commissione composta di: I ufficiale d'Artiglieria; 1 del Genio; I della Marina; I dell'Intendenza militare, ossia Commissario di Guerra, col necessario personale per la consegna della Piazza.
Per l'Armata Sarda: Il Capo d1 S~to Maggiore Colonnello Piolia-Caselli. Il Luogotenente Generale Comandante Superiore del Genio L. F. Menabrea. Visto ed approvato: Il Generale d'Armata Comandante le Truppe d'assedio: C1ALD1N1. PPr la Piazza di Gaeta: Il Capo di Stato· Maggiore di Artiglieria Tenente Colonnello Delli Fr-anci. Il Generale Capo di Stato Maggiore Antoneli.. Il Generale della Reale Marina P asca. Visto, verificato e approl'Clfo: Il Tenente Generale Comandante la piazza di Gaeta : M1LON.
* ** La sera del 13 febbraio 1861, il Generale Cialdini annunciava a Re Vittorio Emanuele II la resa di Gaeta con questo telegramma: Mola di Gaeta, 13 febbraio 1861. A S. M. il RE - Torino.
Sire! « Gaeta è caduta ed ho atteso la rat'ifka della Capitolazione per- parleciparlo a V. M. Domani all'alba occuperò la parte più importan:~ della piazza e dopo la part'enza della Reale Famiglia, occuperò il resto. La fortuna ha sorriso nuovamente all'armi italiane f'J io mi terrò per I ienamente avventurato se la condotta dell 'asse<l10 e delle trattative potrà meritare la sovrana approvazione di V. M. e se potrò lusingarmi ·di aver .corrisposto in qualche modo alla fiducia di cui Le piacque onorarmi , . Generale CIALDINI.
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E iì Re \'itlorio Emanuele rispondeva il giorno dopo: Torino, l4 febbraio ore 1 pom.
Al Generale Cialdini - Gaela.
« La ringrazio a nome <lella Nazione Italiana. Mi congratulo di cuor~ coll'Esercito. Ella ha accresciuta la sua fama mililare ed i suoi liloli alla mia benevolenza. I suoi prodi soldati sono a ltamente benemeriti della Patria >. VITTORIO EMA~UELE
Dopo il telegramma di S. M. il Re, altri numerosi telegrammi pervennero al generale Cialdini nella giornata del 20 febbraio. Ri· portiamo soltanto quelio di· S. A. R. il Princi.pe Eugenio per una generosa elargizione di 10 mila lire a favore delle persone più bi· sognose di Gaeta, e quello del Cialdini al comitato dei giornalisti di Torino per una corona che era stata decretata al comandante le truppe italiane in ricordo della presa di Gaeta. Napoli, 20 febbraio 1861.
A. S. E. il Generale Cialdini -
Mola di Gaela.
Vogliate far d islribuire alle persone più bisognose della cillà di Gaeta, da parre mia, la somma di IO mila franchi, che io vi farò rimborsare>. EUGENIO DI SAVOIA 1t
A questo dispaccio, così rispondeva il generale Cialdini: MoJ.a, 20 febbraio 1861. ·1 . S. A. R. il Prindpe di Carignano - Napoli. « Gli ordini generosi di V. A. R. saranno eseguiti, e domani senza fallo io farò rimettere al Sindaco di Gaeta la somma di IO mila franchi, perchè siano distribu.ili secondo le gentili intenzioni di V. A. Io credo di doven i pre\enire che il borgo di Gaeta de\astato quanto la ciftà, fa parte del mede~1mo comune e che perciò le 10 mila lire saranno proporzionatamente distribuite fra fulla la popolazione di Gaeta, ~e tale è 11 piacere di V. A. R. e Attendo perciò un cenno di risposta a questo riguardo». CIALDI~I
E al Comitato dei giornalisti che faceva capo a « l,a Ga:zetta » il Ciaidini il 20 febbraio telegrafava in questi termini:
del Po'J)Olo
« Stasera so!Lanto mi è giunto il n. 46 del loro giornale, che nelle felici circostanze da noi superale dal 48 in poi, fu sempre propugnatore di idee altamente patriottiche e generose.
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«Nel ringraziarli con t:utta l'effusione dell'anima del cortese pensiero di promuoYere una sottoscrizione per darmi una corona, io li prego ca!· damente a mutarne lo scopo e di destinare il prodotto qualsiasi, alle fa· miglie dei soldati morti in questo assedio, che per avventura non furono moltissimi. « Se le S. L. vorranno esaudire questa mia preghiera, io l'~vrò come una nuova testimonianza di stima, di cui conserverò indelebile e rico· noscente memoria.» . ENRICO CIALDINI
Il direttore del giornale rispondeva da Torino il giorno 21, che la corona era già stata ultimata, per cui il Cialdini non potè ulte· rionrnente rifiutarla. Ii. sopravanzo della sottoscrizione fu tuttavia destinato secondo il gentile pensiero del generale. Al Cialdini, co~ è noto, S. M. il Re conferiva poi il titolo di Duca di Gaeta.
CAPITOLO XI. La parlenza della Corte - Il salulo di Re Fran·cesco alle truppe - La rivista e la cerimonia sull'istm:o di Montesecco - I prigionieri di guerra - Corrispondenza fra i generali Fanti e Cialdini - L'ordine del giori:o del gen. Cialdini - Considerazioni - Il materiale trovato In Gaeta I ,colpi sparati - Le perdite dei belligeranti.
Come si è visto, il governo italiano, amico di Napoleone III e grato degli aiuti dati all'Italia l'anno procedente, aveva lascialo che le manifestazioni dei sovrani di Francia in favore della Corte Borbonica si compissero liberamente, e non aveva posto qualche limitazione che per taluni atti che venivano a danno delle operazioni militari e del risultato finale che Cavour aveva, sopra tutti, in animo <li conseguire. Così aveva tollerato la lunga crociera della flotta francese, le corrispondenze fra i reali di Francia e di Borbone, i continui approvvigionamenti che si facevano a Marsiglia e a Tolone, e finalm ente aveva ospitato la « Mouetle » nel porto di Napoli senza opporre alcun ostacolo alla sua partenza per Gaeta, allorchè il console francese comunicò che la mattina del 14 febbraio 1861 questa corvetta imperiale avrebbe trasportato la Corte e i ministri a Terracina. Detto console aveva ricevuto un dispaccio da Francesco II alle ore 5 del giorno 13 e subito aveva telegrafato al generale Cial <lini notificando che la « Mouette » partiva da Napoli alla sera stessa alle ore 11 per trovarsi allo spuntare del giorno dopo, nelle acque di Gaeta. Contemporaneamente giungeva al quartier generale italiano un dispaccio del Nigra in cui si diceva che tutta Napoli era in festa per calebrare la caduta della piazza con grandi luminarie.
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Alle 7 del mattino del 14, Franc€sco 1I, accompagnato dalla rEgina Sofia, dai conti di Caserta e di Trani, dalle persone ad· dette al loro seguito e dal corpo diplomatico, uscì dalla casamatta Ferdinando (ora \'ittorio Emanuele) dove la Corte aveva soggiornato dal 7 di gennaio al riparo delle bombe ma in penosa ristret· tezza, e si avviò verso la porta di mare, in mezzo a due linee di soldati di tutti i corpi borbonici, i quali piangendo e gridando Viva il Re, resero gli onori alla famiglia reale. Il piroscafo francese li attendeva, e al momento in cui i sovrani posero piede su quel· la nave fu issata a bordo la bandiera borbonica, vicino a quella imperiale fran cese. Quando la « Mouette » usci dal porto, passando davanti alla batteria S. Maria, questa esegui la salve reale di 21 colpi e la bandiera reale si abbassò tre volte in segno di saluto, poi fu ammainata. Nello stesso mk)mento essendo entrata in Gaeta la brigata Re· gina agli ordini del generale Regis e avendo il generale borbonico Marulli consegnato al Regis la torre di Orlando e le riserve delle munizioni, sulla torre medesima veni'va innalzato il tricolore ita· liano. Verso mezzogiorno i sovrani giunsero a Terracina, dove veunero ricevuti dal conte Antonelli e dal comandante il presidio fran· cese. Le truppe erano disposte in quadrato e dietro ad esse il popolo e molti napoletani ex soldati borbonici, i quali allo sbarco delle LL. MM. gridarono Viva il Re nostro! La giornata era rigida, Francesco II indossava l'uniforme, con mantello bianco. In attesa delle vetture di posta i sovrani presero posto in carrozze dell'An· tonelli, e alla Mesa incontrando i legni che erano stati comrrrressi, si operò il trasbordo, partendo al gran trotto per Roma. Vi giun· sero alle 8 di sera alloggiando al Quirinale (82) . Prima di partire, il re aveva ordinato che si leggesse allè truppe della guarnigione il seguente ordine del giorno, col quale egli pren· deva commiato da esse: Gaeta, 14 febbraio 1861. Generali, Ufficiali, soldati dell'armata di Gaeta! La fortuna della guerra ci separa dopo 5 mesi nei quali abbiamo
combattuto insieme per rindipendenza della patria, dividendo gli sfessi pericoli soffrendo le stesse privaziom. E' giunto per me il momento di mettere un termine ni vosfri eroici sacrifici. Era dhenuta impossibile la resistenza, e se il mio desiderio di so'.dato era di difendere con voi l'ultimo baluardo della monarchia fino a cadere (82)
D E CESARE,
Roma e lo Staln del Papa, Voi. II, pag. 157.
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sollo le mura crollanti di Gaefo, il mio dovere di Re, il mio amore di padre mi com~mdano oggi di risparmiare un sangue generoso, la cui effusione nelle òr,costanze attuali non sarebbe che J'ullima manifestazione di un inutile eroismo. Per voi, miei fidi compagni d'arme, per pensare al voslro aHenireper le considerazioni che merifano la vostra lealtà, la vostra costanza, la \'Ostra bravura, per voi rinunzio all'ambizione militare di respingere gli ultimi assalti di un nemico che non avrebbe presa la piazza difesa da tali soldati, senza seminare di morli il suo cammino. Militi dell'armata di Gaeta, da IO mesi combattele con impareggiabile coraggio. Il lradimento inlerno, l'attacco delle bande rivolu.zionarie di stranieri, l'aggressione di una potenza che si dj.ceva amica, nienre ha pot'uto domare la vostra bravura, stancare la vostra costanza. In mezzo alle sofferenze d'ogni genere, traversando i campi di battaglia, affrontando il tradiment'o, più terribile che il ferro ed il p iombo, siete venuti a Capua,. a Gaeta, segnando il vostro eroismo sulle rive del Volturno, sulle sponde del Garigliano, sfidando per 3 mesi, dentro queste mura, gli sforz i di un nemico che disponeva di tutte le risorse d'Italia. Grazie a voi, è salvo l'onore dell'armata delle Due Sicilie, grazie a voi può alzare la testa con orgoglio il vostro Sovrano., e sufa l·~rra dell'esilio, in cui attenderà la giustizia del cielo, la memoria dell'eroica lealtà dei suoi soldati sarà la più dòlce consolazione delle sue sventure. Una medaglia speciale vi sarà dislribuita per ricordare l'assedio, e quando ritorneranno i miei cari soldati nel seno delle loro famiglie, tutti gli uomini d'onore chineranno la Lesta al loro passare, e le madri mostreranno come esempio ai figli, i bravi difensori d i Gaeta. Generali, ufficiali e soldati, vi ringrazio tutt'i; a tutti stringo la mano con effu,sione d'affetto e riconoscenza . Non vi dico addio, ma a r ivederci. Conservatemi intatta la vostra lealtà, come vi conserverà ererna la sua gratitudine e la sua affezione il vostro Re FRANCESCO.
Un ordine del generale Cialdini, in data i4 febbraio, dispon~va intanto che pel mattino dopo, alle ore 8, la guarnigione di Gaeta gli sfilasse dinanzi, a norma della capitolazione_ P er cui per quel· l'ora dovevano trovarsi schierati sull'istmo un battaglione di ciascun reggim~nto, una batteria da campagna, una compagnia d 'artiglieria da piazza, una del genio e un plotone dei lancieri di Mi lano, come rappresentanza dell'esercito italiano al comando dei generali Casanova e Villamarina (83) . P al mattino seguente, passate infatti in rivista queste truppe, alla presenza di S. A. R. il P rincipe Eugenio di Carignano, ordinò che si disponessero in linea, fronte a Gaeta, e che avanti ad esse sfilassero le truppe borboniche. (83) U. S. Carte Cialdini, Busta 4. Doc. 148.
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I primi furono gli ufficiali generali , poi quelli dello stato mag· giore, quelli d'artiglieria e genio, e quindi seguirono gli altri corpi nell'ordine prestabilito dalla capitolazione. Ai generali e agli sta.li maggiori S. A. R. ebbe parole di vivo encomio per la difesa della piazza. Le truppe sfilando avanti alle rappresentanze dei corpi italilni, depositarono le armi e le bandiere, avviandosi poi verso la spiaggia in punti prefissati per il loro imbarco, onde venir trasportate ndle isole vicine in qualità. di prigionieri di guerra fino a che non ve· nissero decise le sorti delle due cittadelle di Messina e di Civitella del Tronto. Il numero dei capitolanti era di 920 tra ufficiali e impiegati e i0.000 uomi.ni di truppa. Di questi però, oltre 800 gio.cevano negli ospedali di Gaeta, di Mola e di Napoli, feriti o ammalati. L'imbarco dei prigionieri durò tutta la giornata e, sospeso nelh.t notte, dovette ultimarsi il giomo dopo. La maggior parte di essi fu inviata all'isola di Capri, altri andarono ad Ischia, 11.l Piano di Bagnoli ed a Ponza. Gli ufficiali dello stato maggiore rimasero prigionieri in Gaeta. Fra essi eravi il colonnello Coco, il tenente colonnello Del Re, i maggiori Winspeare, Quandel, Luigi Delli Franci, Occhionero, P urman, Bellucci, 18 capitani, 7 primi tenenti e 11 secondi tenenti. Il tenente colonnello Giovanni Delli Franci (che pubblicò poi la Cronaca della campagna d'autunno del 1860) ottenne per concessione speciale del Cialdini, quale firmatario della capitolazione, di poter partire per Napoli. Rimasero pure in Gaeta 3 capi sezione e 17 impiegati dell'In· tendenza, parecchi ufficiali del reggimento Re artiglieria, 1 capitano, 3 ufficiali e 23 telegrafisti, gli addetti alla direzione di artiglieria nonchè il personale di tesoreria. Una commissione composta del co· lonnello Vincenzo Afan de Rivara, del maggiore Volpe e del com missario Rocchi rimase per la consegna dei materiali, e degli oggetti e carte di pertinenza del governo. I generali partirono la sera del 15 sul vapore Authion, diretti a Napoli, quali prigionieri di guarra, sulla loro parola ma liberi di ritornare alle case loro (84). (8-1) Come risulta dalle earte Cialdini \ U. S. Busta 5. Doc. 205) i 1re· nerali borbonici che si trovavano in Gaeta il 15 febbrai o erano i seguenti: Tmenti generali: Casella, Rilucei, So.Izano, Sigrist e Milon (con una
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La loro partenza venne telegraficamente comunicata dal Cialdini al ministro Fanti in Torino significando inoltre che non appena le truppe prigioniere avessero approdato alle isole, avrebbe provve· duto per l'invio degli svizzeri e degli altri strani&ri a Genova (85) . E per quanto si riferisce ai generali e per altre notizie riguardanti la resa di Gaeta, il generale Cialdini completava le prime notizie date al generale Fanti, con quest'altro dispaccio, spedit-0 da Castel· Ione il giorno i8: « Alle notizie date, aggiungo le seguenti: « Di 28 generali che si trovavano a Gaeta al momen ro dell.i capitolazione, tre partivano col Re fra i quali Bosco, e 25 rimasero in poter nostro. Le nostre ballerie tirarono 55 mila colpi circa in tutto l'assedio e bruciarono 190 mila kg. di polvere. La piazza da quanto pare tirò qualche cosa di più. :'\ oi siamo giunti ad esaurire appena il terzo delle nostre munizioni. I danni alla piazza eccedono le nostre previsioni. Alcune zone ricordano Sebastopoli. Ou() o tre giorni di fuoco intenso come era intenzione di fare avrebbe letferalmenle <listrullo G<aela. La causa dei pezzi rigati di grosso calibro è g11ada1?n:1la, (86)
A parecchi quesiti e ad alcune proposte fatte dal generale Cialdini al generale Fanti, in questi giorni, lo stesso Fanti rispondeva poi il i8 febbraio colla segu ente confidenziale di grande importanza, perchè chiarisce in molti punti le decisioni prese e riguarda in qualche modo alcuni problemi futuri. parte delle loro famiglie). .llarescialli: Schellembri, Afan de Rivera, Ta· bacchi. Brigadieri: Melendez, Marulli, Polizzy, Antonelli, Bertolini , San· chez de Luna, Micci. D'OrgemonL, Pelosi, Lovera, Muti, Albanese, Pa· Jumbo. De Dominicic;, P aterna, Tedeschi e Vecchione. In Lutto 25 perchè altri 3 erano partiti con He Francesco II. (85) Ad una richiesta d i Cavonr per ,conoscere il nu,mero dei militari stranieri che si rro,·avano a Gaeta nel momento della capitolazione, il generale Cialdini ri!ipose che erano circa 650, dei quali però la metà er.a di invalidi. Gli alrri 350, in buone condizioni, furono imbaraeali per Genova il giorno 17 sul piroscafo :Monzambano, colà giunti vennero rin· chiusi nei forti come prigionieri d1 guerra. Il ministro Fanti con sua notificazione del 25 febbraio successivo di· sponcva poi, che in considerazione della caduta di Gaeta e della cessa· zione dell 'esercito borbonico, quegli stranieri che si fossero arrestati per· chè trovati fra le bande insurrezionali, n on dovevano più essere trattati come prigionieri di guerra, ma sol toposti ai r igori della legge penale vi· gente. (Diario Della R occa, Voi. I, pag. 55). (86) Questo lele~ramma è conser.ato in originale all'U. S. fra le Carie Cialdini (bu ~la 5, doc. 232). Esso chiude con un fributo di om:iggio al gene·
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Torino, 18 febbraio 1861. 1°. Approvo che V. E. abbia mandato i prigionieri di guerra nelle h,ole. Higuardo ai ,·i,·eri da proHedersi loro, l'ufficio d 'intendenza del IV corpo si metta in relazione colla direzione generale di guerra in Na· poli o coll'intendenza del \" corpo perchè si provveda sia in ordine alla loro fornitura, sia ai mezzi di trasporlo, dirigendosi al comandante il dipartimento marillimo di Napoi1. 2° Già ho telegrafalo a V. E. risperto a Messina, vale a dire di man· dare un ufficiale del suo slafo maggiore latore dei oopilolali di (jaeta e con una intimazione di resa, onde evitare, se è possibile, il trasporlo di tutto il materiale necessario per l'attacco della cilladella. In caso dì negativa ho già autorizzato V. E. di mandare le truppe e le artiglierie necessarie per costringerla al!a resa. 3° A Civitella del Tronto ho già mandalo artiglierie e truppe del genio, prima della resa di Gaeta e spero che ciò basterà. 4• Essendo mio intenzione di lasciare come prima il generale Valfrè al <'Ornando di lullo ciò che riguarda l'artiglieria nelle provincie napole· tane, egli potrebbe fin d'ora farmi la proposta della persona più adatta d.a lasciarsi in Gaeta. 5° Siamo d'accordo col generale M.enabrea di lasciare per ora un ballagli0ne del 1° reggimento genio a Gaeta. Rispetto all'artiglieria c;'in· tenda V. E. col Valfrè e mi faccia la proposta. 6• PE'r la g uarnigione di Gaeta, designi V. E. il reggimento che crede, essendo impossibile nel momento mandar,·i a ltre truppe. 7° lo direi che V. E. facesse evacuare su Napoli quanti ammalali e feriti può, e<l anche metterne a ~fola di Gaeta. Per la disinfezione faccia venire da Napoli del cloruro di calce quanto crede e se per cac;o non si trovasse mi telegrafi che lo farò spedire d1 qu,i. 8° Pei piccoli vapori che devono fare il servizio dei viveri alle isole, m, metterò d"accordo col ministero della marina. r.ale Cavnlli, dover0sa e ,forse unicn ricompensa alle fatiche e agli studi di questo dotto ufficiale d'arli~lieria. Il Cavalli, nato a Novara nel 1808 aveva compiuto il corso della scuola d'Art'iglieria a Torino, ma più odallo agli studi tecnici che al ser· vizio nelle batterie, si E>ra appartalo in una operosità cosl modesta che il Comitato d'Artiglieria del Piemonte non credette neppure di prender visione dei suoi progetti sui cannoni rigati, cosicchè dovette farli espe· rimentare in Svezi;i e poi cedere la sua invenzione alla Russia che l'adol· tò nel 1835, ricompensando il Cavalli soltanto colla croce di cavaliere ,li S. Venceslao. Promosso maggiore nel 1848 si trovò all'assedio di P eschiera, poi fu direttore della fonderia di T orino nel 1859, e l'anno dopo, promosso ge· nerale fu incaricato di apprestare e spedire a Gaeta quei pezzi di grosso calibro, che nonostante qualche piccolo inconvenienre di funzionamento. decisero della superiorità delle artiglierie dell'attacco su quelle della difesa.
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9° Pronederò per il comando della piazza di Gaeta, per il comando <lei porto ne scriverò a:Ja marina. 10° La mia opinione rispetto a Gaeta, come piazza di terra si è che serve a nulla e che invece in mezzo alle eventualità, se ,cadesse in mano ad altri ci darebbe immenso fastidio, e se dovessi sull'arto pronunciare una sentenza, sarebbe que!l,a di mantenerla intieramente, anche perchè secondo i marinai coi quali ho parlalo, il porto è una miseria, e la rada non è sicura, nè mai una squadra si metter.ebbe in qu,el golfo. Convengo per alrro che la prudenza esige che la questione sia studiata da uomini competenti, ed a ci'ò fare inviterò il ministro della marina a far studiare la questione sotto il rapporto mariftirno, mentre come piazza terrestre accoglierò con piacere l'opinione di V. E. e quella del generale Valfrè e richiederò qui in Torino il parere del generale Menabrea. ll•' Le truppe del IV corpo penso di farle rit"ornare nelle Romagne .subitv che le circostanze lo permetteranno, dacchè lutto si lega colle vicende che stanno succedendo nelle provincie napoletane e colla nuova ,organizzazione dell'armata, di modo che i corpi, 1°, 2°, 311 e 4°manterrebbero le stanze che avevano prima della guerra; il 6° corpo che si comporrà delle nuove divisioni fatte, nel modo che V. E. sa, occuperebbe le provincie napoletane, ed il 5° corpo sarebbe in Toscana, nell'Umbria ed in Sicilia. Ciacchè stiamo sull'argomento, aVYerto che la 13"' divisione la quale fa parte del suo corpo d'armala, si comporrà della brigata Marche la qua.le sarà costituita dai quarti battaglioni del 9°, 10°, 15', 160, 23° e 24° reggimento e della brigata Parma. I quarti battaglioni del 25° e 2&> fanteria devono essere mandali a Palermo onde formare parte della brigata Umbria; quindi è che io pre· gherei V. E. di farli imbarcare e mandarli a Palermo il più presto possibile. 1:a1 E' giusro che la vera descrizione dell'assedio cogli episodi politici e mrlitari che lo hanno a,ccompagnato, i piani parziali dei lavori d'assedio ecc., siano falli con calma e con tempo; ma ciò che io domando a V. E. è una relazione di quanto operò il 4° corpo dal g iorno che si mise in marcia da Ancona fino alla caduta di Gaeta e di Messina, che spero s,a.rà presto, indicando per sommi capi i lavori di batrerie, strade etc., fatte sotto Gaeta ed il risultato oUenuto, in prigionieri, armi, viveri, munizioni, ecc., onde pot:er redigere complessivamente la relazione della campagna ed essere così morivate le ricompense che si daranno. E giacchè siamo a p-arlare di campagna, considerando i falli avvenuti ad Isernia, Teano, Capua, Garigliano, Mola di Gaeta, essendo il Garigliano la linea che divide in due il teal"ro della guerra, nè volendo per altra parte intitolarla Campagna dell'Italia meridionale per non confonderla con quella dei volontari, nè chiamarla Campagna del napoletano o di Napoli, per non personificare troppo la cosa, io sono nell'int:endirnento di ,chiamarla Campagna del Garigliano come la precedente fu chiamata Campagna d'Ancona. 13° Rispetto alle indennità sul decreto degli individui di bassa forza è cosa da pensare molto, <lacchè dal 48 in qua ciò non si è mai fatto, ed
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un precedente simile, olfre la spesa, può mettere in imbarazzo il Governo, anche per l'avvenire, vista la grande difficoltà di graduare quando, come, da cbi si debba dare. 14° Gli esteri, dei quali già sono g iunti 11 uffiziali e 350 di bass.a forz{t, saranno trattenuti nei forti esterni di Geno\'a, anche per ,·edere che cosa corrisponda a ciascuno a termini delle loro capitolazioni.
Dall'insieme di questa lettera e dal suo stile confidenziale, risulta come fra i due generali esistesse un perfetto accordo non sol· tanto nelle questioni, anche secondarie, inerenti a Gaeta, ma COlll(l nel pensiero del ministro ogni disposizione si estendesse al di là di questo importantissimo episodio per abbracciare un programma di continuità nei riguardi di Messina, di Civitella e dello stesso ordinamento dell'esercito in relazione alle vecchie e alle nuove pro· vincie. Così egualmente il Fanti· approvava altre proposte del Cialdini riflettenti il trasporto dei prigioniari e la loro custodia, nonchè la sistemazione interna, per quanto provvisoria, della piazza di Gaeta. La questione dei prigionieri implicava la necessità di distogliere truppe da Gaeta, non potendosi levare alcun reparto da l\apoli e tanto mreno richiedere battaglioni dalle provincie meridionali dove ogni giorno si accentuava maggiormente il moto reazionario. Per cui fu disposto che il 24° fanteria venisse frazionato in tanti distaccamenti nelle isole o nei presidi dove si custodivano le truppe borboniche e che per Gaeta provvedesse la brigata Regina, il comandante della quale, generale Regis, em1anò un'ordinanza con tutte le prescrizioni che soglionsi dare nelle città sottoposte allo stato di guerra. A completare la rassegna degli ordini e delle disposizioni date dal generale Cialdini in quei giorni che imlmediatam~nte succedettero alla resa di Gaeta, nulla sembrerà infine più bello che ricordare quell'ordine del giorno che egli emanò da Ca.stellone il 17 feb· braio 1861, nel quale riassumendo gli sforzi fatti trovava una parola degnamente elevata per tutti i caduti sul campo dell'onore: Soldali!
Gaeta è oadula! Il \'e!>sillo ifaliano e la vitlrice croce di Sarnia sventolano sulla torre d'Orlando. Quanto io presagiva il 13 dello scor::,o gennaio, voi compieste il 13 del corrente mese. Chi comanda soldo.li quali voi siete, può farsi sicuramente profeta di vittorie.
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Voi riduceste in 90 giorni una piazza celebre per sostenuti assedii ed accresciute difese, una piazza che sul principio del secolo seppe resistere per quasi sei mesi ai primi soldali d 'Europa. La sloria dirà le fatiche e i disagi che patiste, l'abnegazione, la cosfanza ed il valore che dimostraste; la storia narrerà i giganteschi lavori da voi eseguiti in si breve tempo. Il Re e la Patria applaudono al vostro trionfo, il Re e la Patria vi ringraziano. Soldati!
Noi combattemmo contro Italiani, e fu questo necessario, ma doloroso ufficio. Epperò non potrei invifarvi a dimostrazioni di gioia, non potrei invifarvi agli insultanti tripwdii del vincitore. Stimo più degno di voi e di me il radunarvi quest'oggi sull'istmo e sotto le mura di Gaeta, dove verrà celebrata una gran messa funebre. Là pregheremo pace ,ai prodi che durante questo memorabile assedio peri· rono combanendo tanto nelle nostre lin~e, quanto sui baluardi nemici! La morte copre di un mesto velo le discordie umane, e gli estinti sono tutti eguali agli occhi dei generosi. Le ire nostre d'altronde non sanno sopravvivere alla pugna. Il soldato di ViHorio Emanuele combatte e perdona! li generale CIALDINI
* ** Il 18 febbraio il sindaco di Gaeta, D. Raffaele Ianni, presentava al generale Cialdini, a nome della città e del borgo, un atto di adesione al governo italiano, con preghiera di trasmetterlo a Torino al oonte di Cavour e a S. M. il Re Vittorio Emanuele II. Con quest'ultimo a.tt-0 dell'a.ut-Orità civile si chiudeva. il periodo di Gaeta borbonica. e si iniziava quello di Gaeta italiana. La generosa manifestazione di pietà e di cordoglio che il generale Cialdini aveva voluto con un magnifico ordine del giorno compiere come un rito, consacrato dalla religione, sull'istmo di Montesecco, aveva inoltre posto il suggello dell'onore militare per tutti i caduti in difesa della loro bandiera (87). Gaeta era stata assediata. tre mesi, e in questo lungo periodo di sofferenze e di lotta, era rim!asta. bloccata per terra 93 giorni dei quali gli ultimi 25 anche per ma.re, aveva avuto perdite gravissime (87) Alla messa funebre, celebrata suffislmo, furono invitali anche gli ufficiali e i soldati borbonici, i quali però vi assistettero dalle mura della fortezza.
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ed era stata tormentata dal tifo che aveva mietuto numerose vite, uccidendo oltre a non pochi cittadini 9 ufficiali e 307 soldati. Le sue truppe, all'infuori di qualche elemento incorporato nei reggimenti della Guardia Reale, che non avevano dato buona prova al Volturno, dimostrarono un contegno, una disciplina, una fedeltà che destarono l'ammirazione di tutti. In modo particolare meritarono encom~o per la loro abnegazione gli artiglieri e i soldati del genio ai quali indubbiamente si deve la prolungata resistenza della piazza, e ai loro ufficiali che per sentimento del dovere e per qualità tecniche, pur comprend&ndo l'inferiorità dei mezzi della difesa di fronte all'attacco, trovarono modo di ripararvi tenendo allo il morale delle truppe e traendo il miglior partito da tutto ciò di cui potevano disporre. Il generale Rilucei era la persona più adatta e capace di dirigere quella difesa, forse fu vittima del sistema e si trO\'Ò a di· sagio in un'azione legata dalla presenza del re, dei colleghi, del ministro della guerra e della diplomazia, onde non gli fu possibile esplicare le sue doti di comandante. Dove forse la storia potrà trovare un appunto verso di lui e verso Re Francesco fu nella scelta del momento di capitolare, tardi per il sovrano, presto per il gcneralè, cosicchè Gaeta risultò caduta per assoluta iffilPOSSibilità di resistere. Ed aveva ancora dei viveri e munizioni per protrarre la resi · stenza almreno altri 15 giorni; la sua guarnigione benchè decimala era ancora fedelissima e pronta a qualunque sacrificio, per cui la resa fu anticipata per le pressioni di Napoleone III e per la fiducia di Francesco II che, uscendo da Gaeta, avrebbe, con altri mezzi e con altri aiuti, potuto risalire il suo trono di Napoli. Comunque la fortezza com1>ì il suo dovere difendendosi valo· rosamente e contribui con la sua resistenza di tre mesi a rendere più gloriosa l'azione dell'attacco (88) . Quanto all'assediante, è da notarsi che il Cialdini avrebbe potulo seguire lo stesso metodo usato dal Massena nel i806, utilizzando il terreno ondulalo attorno a Gaeta, di poco cambiato nel i860 perchè soltanto l'istmo era stato spianato. Ma il Massena vi impiegò 5 mesi, e il Cialdini ne avrebbe impiegati meno di 3 se le tregue o le tergiversazioni diplomatiche non gli avessero impedito di usare i suoi mezzi con maggior libertà e con più intensa continuità d'azione. (88) RAFFAELE Dx LA URO, L'assedio e In resa di Gaeta (Caserw 1921) in cui si riportano anche le osservazioni dei generali Traniello e Filangeri.
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I giorni che realmente furono utilizzati si ridussero nel 1860 ad una cinquantina e in essi si costrussero 23 batterie per ie quali si dovettero impiegare 150 mila sacchi di t€rra, sistemare rotabili in terreni difficili per un percorso di 22 km., stanziare due parchi d'artiglieria e genio, imJprovvisare più di 20 manufatti, e più di 2 km. di trincee a zappa cosidetta volante, scavando e riempendo 800 mila sacchi di terra, tagliando 60 mila fasci nei boschi di Fondi e confezionando gabbioni e fascinoni in nurrrero approssimativo di oltre 25 mila. Queste cifre potranno dare un'idea del lavoro com1piut-Osi dalle truppe e particolarmente dal genio in quel breve pe· riodo, senza tener conto dei combattimenti, dei rifornimenti, del servizio, della preparazione dei brulotti, delle scale, di ogni genere -di trasporto e dell'impostazione di 170 cannoni. Le critiche mO\SSe dai borbonici si riferirono principalmente al sistema dell'assedio che si distanziò dalle consuete prescrizioni di un assedio regolare, riducendosi ad un bombardamento nel quale fu fatto largo uso di proietti da scoppio con traiettorie curvilinee e di effetti disastrosi nell'abitato. Ma il generale Cialdini conosceva la diversa potenza delle due artiglierie, e la fortificazione validissima di Gaeta, la fedeltà della guarnigione e il grande approvvigionamento che sosteneva la piazza, nè poteva trascurare questi dati per valersi di una forma regolare e lunghissima di assedio intesa a costringere un esercito in quelle fortunate condizioni a capitolare. La decisa preponderanza dei cannoni rigati doveva suggerire nella mente del generale italiano il sistema migliore per ridurre 1'avversario all'impotenza. Se in Gaeta la disciplina e l'ordine nulla lasciarono a desiderare, nel campo dell'attacco regnò la maggiore armonia fra i concetti che ispirarono le operazioni, e la loro esecuzione; il m1tglior spirito militare delle truppe regnò dal primo all 'ultimio giorno del· l'assedio, tant-0 fra i soldati di terra a qualunque arm1a apparle· nessero, quanto fra quelli di mare, l'opt1ra dei quali fu in Gaeta come in Ancona di potentissimo aiuto all'esercito òperante.
* ** Le operazioni per la consegna dei materiali furono eseguite in meno di una settimana per l'encomiabile attività delle due Com· missioni. Stesi i verbali, risultò che in Gaeta si trovavano: 700 bocche da fuoco, molte delle quali inserv.ibili, 725 affusti e. vetture,
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232 mila kg. di polvere, oltre 160 mila cartucce, 14 mila proieUi carichi, e più di 70 mila scarichi, 5 mila scatole a mitraglia, 118 mila proietti pieni, quasi 60 mila armi portatili di tutti i rrrodelli (in gran parte a selce), più di 10 miila armi bianche e una ingente quantità
di strumenti da lavoro. Quanto ai viveri, il Carandini calcola che ve ne fossero per 45 giorni, ma forse questo calcolo messo in confronto con 1·elazioni di parte borbonica risulta un po' esagerato. Per ciò che r iguarda il naviglio non si trovò nel porto che la. fregata a vela « P artenope », il piroscafo « Etna » in cattive condizioni d'uso e poche lancie della marina da guerra. Nei magazzini di vestiario, buffetterie e casermaggio fu trov:llo infine notevole quantità di materi ale, ma in gran parte usato e poco utilizzabile (89) . Da accertamenti fatti, da parte degli assedianti, con un massimo impiego di 153 bocche da fuoco, vennero sparati, duranl.:! i tre mesi i seguenti colpi : 28.670 Cannoni rigati Cannoni lisci 5.985 Cannoni obici 2.108 Obici 2.773 212 Obici rigati 1.776 Obici mortai Obici a retrocarica 150 15.053 Mortai Totale 56.727 Dalla parte della piazza si sarebbe invece sparato assai meno (e non qualche colpo di più, come scrisse il generale Cialdini). Infatti dalle relazioni borboniche risulta che con un massimo impiego di 170 bocche da fuoco, i colpi furono i seguenti: a palla piena
a palla incendiaria a granata a mitraglia a bomba
8.000 8 23.846
23 3.367
Totale 35.244 (89) U. S. Carte Cialdini e doc. della campagna 1860-61, cartelle 56-63
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Le perdite subite dal IV Corpo dal i3 novembre i860 al i3 feb· braio i861 furono: Morti - artiglieria e genio 32 » fanteria 14 Feriti - artiglieria e genio 191 » fanteria 130 Totale 46 rrorti e 321 feriti (90) . Le perdite borboniche, per lo stesso periodo di Morti combattendo uff. 7; sold. Morti in seguito a ferite uff. i; sold . Morti per malattia uff. 9; sold. uff. 26; sold. Feriti combattendo
tempo furono: 359 143 307 543
Si ebbero inoltre: circa 200 dispersi o disertati e 800 amm~lati rimasti in Gaeta. Totale: 826 morti e 569 feriti (9i).
CARAND1N1, Assedio di Gaeta, p. 485. (91) QuANDEL, Giornale dell'assedio, p. 332. A titolo di confronto con gli assedi precedenti si può ricordare che quello del 1806 durò dal 13 febbraio al 18 luglio di quell'anno. La difesa aveva una guarnigione di 6200 •uomini, 178 bocchè da fuoco e 29 navi da guerra, ment:re J'alLacco disponeva di poco più di 4000 uomini con 89 cannoni. Si ebbero circa 800 fra morti e feriti per ciascuna parte. Nel 1815 invece la guarnigione e.ra forte di 2300 uomini con 134 bocche da fuoco e gli assedianti avevano 1600 uomini, 32 cannoni e 48 navi di vario armamento e tonnellaggio. L'assedio del 1815 durò dai primi di maggio all'8 agosto e le perdite furono di 600 uomini complessivamente.
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CAPITOLO XII .
L' assedio della oittadella di Messina La convenzione Medici - L'arrivo della Brigata Pistoia - La resistenza della guarnigione borbonica - L'invio di truppe da Gaet:a e i preparativi per un attacco alla cittadella - li bombardamento - L'arrivo della flotta - La resa.
Il 23 luglio 1860 il colonnello Anzani, capo dello stato mia.ggiore dell'esercito borbonico arrivava a Milazzo con istruzioni riservate per trattare la resa di quel castello e imbarcarvi le truppe dirette a Napoli, e in caso di insuccesso delle trattative, ottenere una tregua intesa a sospendere momentaneamente le ostilità. La ritirata del generale Clary e l'avanzata della colonna Fabrizi faceva fallire questa missione, perchè i garibaldini entravano in Messina, occupando i forti Gonzaga e Castellazzo sgombrati dai bor· borbonici che eransi ritirati nella cittadella, e il giorno 26 Garibaldi nomfoava Medici a comandante delle forze e governatore della provincia. Non rimaneva quindi al governo di Napoli che di affrettare la conclusione di una convenzione. Questa fu infatti stipulata il 28 fra i due generali Medici e Clary, ma non essendo risultata tale da soddisfare l'amor proprio dell'esercito borbonico, le truppe ten· tarono una rivolta, e gravi osservazioni sfavorevoli giunsero da parte del governo al Clary, per cui questi richiamato a Napoli fu co· stretto a chiedere di venir esonerato dal comando, cedendo il suo posto al maresciallo Gennaro Fergola (92). (92) Il 1° agosto il genfrale Clary parlendo da Messina, la•sciava alle truppe quest'ordine del giorno : « Soldati! S. M. il Re (nostro Signore) « vuole che io per poco mi allontani da voi. Durante la mia assenza giusta
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La convenzione, composta di sei articoli, stabiliva che rimanessero alle truppe borboniche, oltre la cittadella anche i forti di Don Blasco, della Lanterna e di San Salvatore, separati dalla città da una zona neutra di 20 metri, con r eciproca libertà di commercio marittimo e conseguente riguardo alle rispettive bandiere. Questa condizione di cose non pote\'a evidentemente che affermare uno stato provvisorio, inteso sopratutto a dare un rifugio all'Esercito delle Due Sicilie fino a quando ne fossero allrimenti decise le sorti. Intanto nel :mccessivo mese di settembre si svolgevano le operazioni dell'esercito regolare italiano nelle Marche e nell'Um'· bria e dall'ottobre in poi i corpi d'armata dei generali Cialdini e Della Rocca, invadendo gli Abruzzi e la Terra di Lavoro ricaccia· vano dentro le mura di Gaeta la Corte borbonica e ~li ultimi avanzi del' esercito napoletano. Il governo di Torino sperava invero che caduta Gaeta, i duo ultimi baluardi di Messina e di Civitella del Tronto avrebbero spon· taneamente ammainato le loro bandiere, ma invece la loro resistenza si protrasse per un mese ancora e non fu possibile ottenerne la resa se non procedendo contro di esse colla forza delle armi. Le operazioni contro la cittadella di Messina furono affidate fin da principio all'esercito regolare, e quello contro Civitella furono iniziate dai volontari della Legione Sannita ma dovettero poi essere continuate dalle truppe del generale Pinelli e intensificate dal generale Me-zzacapo che le condusse a termine soltanto il 20 marzo i861. « i superiori comandi, il sig. gen. Fergola lspet'tore d'artiglieria mi rim-
e piazzerà, quindi obbedit'e a quanto esso sarà per prescriven1 i, con cieca « abnegazione. Siate costanti alle privazioni che dovrete per poco sofG: frirP,, alle fatiche. e rammentate che è il sen·igio del Re che lo ec;ige; « io so quale attaccamento al Re vi lega. Spero di rivedervi fra giorni, ma "se il desfino mi chiam:.>sse .altro,·e, sappiate che di voi lutti serbo grata e memoria, e quando il periglio più si facesse imponente sarei fortunato 11. d i essere in mezzo a \'Oi che lante prove mi arnle dato di fid ucia. RicP,· e vele intanto i ringraziamenti dal vostro generale Clary 1>. Il Fergola che lo sostitul fu nominato maresciallo di campo 1'8 ottobre '60. Era nato a Napoli nel 1795, allie\'O dell'Annunziatella, ufficiale d'ar· t:iglieria, e aveva preso parte all'assedio di Gaeta del 1815. Re1;se il comando della cittadella di Messina dal 9 agosto al 13 marzo 1861 e dopo la r esa si ritirò a Napoli dove morl. Fu uno dei più )e(lli e valoro1,i generali dell 'Esercito napoletano.
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Mentre di queste ultime si fa cenno nel capitolo seguente, ve· diamo come si svolsero le operazioni per la resa. di Messina.
Fino dal mese di novembre del 1860 il ministro Cavour, preoc· cupato di risolvere contemporaneamente le due questioni di Gaeta e di Messina, aveva stabilito di presidiare la città di Messina con una brigata di fanteria, non tanto perchè la città stessa richiedesse la presenza di truppe, quanto invece per affermare il possesso e decidere il presidio borbonico rinchiuso nella cittadella a considerare la convenzione Medici scaduta dopo i plebisciti e quindi inutile ogni ulteriore resistenza. Come si disse preced3ntemente, dopo la resa di Ancona la 13a divisione comandata dal generale Raffaele Cadorna era stata man· data sulla linea del Po e la brigata Pistoia che faceva parte, as· sieme alla brigata.Parma, di quella divisione, era stata destinata a a Piacenza fino dal 19 ottobr e. Presi gli accordi col Re, il ministro Cavour telegrafava per· tanto 1'8 dicembre al generale Chiabrera comandante la brigata P i· stoia di partire con i suoi due reggimenti (35° e 36°) per Genova, dove si sarebbe imbarcato per Messina (93). L'imbarco avvenne il giorno 15 su quattro legni della marina sarda, e il 18 successivo la brigata scendeva a Messina acquartierandosi in quel grande fabbricato, detto della Maddalena, che venne poi trasformato in ospedale militare. L'accoglienza che fecero i messinesi alle prime truppe regolari italiane fu oltre ogni dire entusiasta, una folla immensa le attendeva alla banchina e le accompagnò fino ai quartieri colle maggiori dimostrazioni di simpatia e di esultanza. La città era stata preav· visata da un rnJanifesto del governatore, Domenico Piraino, e la no· tizia era stata diffusa dal giornale « Politica e Commiercio » . Per ragioni politiche e più ancora militari nel senso di una certa unità d'indirizzo, la brigala, forte di 109 ufficiali e 3867 uomini di truppa, fu posta agli ordini diretti del generale Cialdini, che tro· va.vasi all'assedio di Gaeta. Dal giorno dello sbarco fino ai primi di gennaio nulla avvenne di notevole, eccettuati alcuni casi di diserzione da parte delle trup(93) Protocollo della 13a divis. (U. S. Carteggio delle Diuisioni Sarde, Voi. 227).
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pe borboniche, che il Chiabrera notificava sempre regolarmente al Cialdini come buon indizio di uno stato di cose che pareva avviarsi al suo naturale scioglinwnto. Questa ipotesi e questa speranza avevano in realtà qualche fondamento, e senza dubbio la presenza di truppe italiane in Mes· sina e il patriottismo della popolazione influivano assai sulla guarnigione della cittadella, ma, come i fatti dimostrarono, alla testa della guarnigione stessa eravi un generale di forte tempra e di elevato sentimento d'onore, e la maggioranza delle truppe era sempre fedele alla causa borbonica. Per cui quelle piccole diserzioni non avevano rilevante valore intrinseco nei confronti di un presidio deciso a resistere e forte di 152 ufficiali e di 4138 fra graduati e soldati. Nella cittadella infatti era opinione generale che Gaeta avrebbe resistito lungamente e che forse l'intervento francese e spagnuolo avrebbe salvato ancora il regno di Napoli dall'occupazione piernon· tese. ~è era lontana dal vero la voce diffusa in Messina che le truppe borboniche avessero intenzione di colpire la città, per quanto nella corrispondenza sequestrata dal Chiabrera non mancassero let· tere di soldati i quali nella semplicità dei loro ragionamenti trova· vano questo mezzo assai pericoloso. La resistenza della cittadella era d'altronde stata ufficialmente annunciata fino dal 3 dicembre, quando una fregata a vapore la « Garibaldi » (già la « Borbone ») aveva sbarcato il generale Negri, il quale accompagnato da un aiutante di campo e preceduto da bandiera parlamentare aveva chiesto un colloquio al comandante della fortezza. Alla sola domanda inoHrata per sapere se questa si fosse arre· sa non appena si fosse arresa Gaeta, il Fergola aveva risposto ùi non aver nulla a che fare con quella piazza e di essere unicamente il consegnatario di una cittadella affidatagli da S. M. il Re delle Due Sicilie dal quale dipendeva ogni decisione al riguardo. Fallito così questo tentativo, lutto rimase sospeso fino al 14 febbraio, allorchè la capitolazione dì Gaeta veniva a tratteggiare con evidente chiarezza le stato reciproC'o delle due guarnigioni. Un te· legramma del generale Cialdini al Chiabrera notificava nello stesso giorno che il maggiore di stato maggiore San Marzano era in viag· gìo sul piroscafo « Authion » diretto a Messina, latore di una lel· tera riservata e di una copia della capitolazione stipulata a Castel· Ione di Mola. Il governo si dichiarava pronto a concedere uguali condizioni a Messina, ma notificava che in caso di rifiuto si sareb-
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bero imbarcate nuove truppe e buone artiglierie per procedere ad un regolare assedio, senza lasciare per l'avvenire alcuna spèranza di una resa, che sarebbe stata a discrezione (94). Il Chiabrera che aveva già di sua iniziativa comunicato al Fer· gola la notizia di Gaeta, ricevette al mattino del 17 questa comuni· cazione e si fece subito premura di recapitarla al comandante della cittadella accompagnandola con la lettera seguente: «: Pregiami spedire alfa S. V. le due unite copie di circolari per la di Lei conoscenza. Se fino ad oggi la resistenza fu tollerala, da ora innanzi sarà delitto, per cui a nome di S. ~i. Vittorio Emanuele II Re d'Italia e della Nazione, signor maresciallo, io le infimo la resa».
Il Pergola rispose subito, pregando di attendere una più espli· cita dichiarazione delle proprie intenzioni, e al mattino del 19 in· viava al generale Chiabrera questa dichiarazione·: Real Cittadella, 19 febbraio 1861. Signore, « Prestando fiducia a quanto espone coi suoi distinti fogli del 14 e 17 corr. circa la cessione di Gaeta, per l'infausto avvenimento della espio· sione di diverse riserve a polvere, mi onoro farle conoscere che non son tenuto a cedere questa R eal Cittridelia, non essendomi pervenuto nessun ordine da Sua Maestà il R e (!,';. S.) a cui dornssi dare esecuzione. In conseguenza di che, sono nell'obbligo di manifestarle, che da militare d'onore sfarò alla difesa della Fortezza con Lulta la guarnigione che la di· fende fino a che non ,;aranno esauriti tutti i mezzi di una valida ed ono rata difesa ,. Il maresciallo di campo comandnnle GENNARO FERGOLA (95).
Una tale risposta era una nuova conferma della decisione presa di non voler cedere la fortezza se non di fronte all'azione preponder rante delle arffili, e veniva a ribadire quanto il Fergola aveva co· municat.o fino dal 15 febbraio alle sue truppe con un ordine del giorno in cui diceva: « Com ~ ognuno vede, l'adorato nostro Mo« narca, per esplosione di varie riserve a polvere avvenute nella piazza « di Gaeta, aperte le breccie, è stato costretto a ritirarsi a Roma « capitale del mondo cattolico per disporre colà di quanto conviensi « alla riconquista del suo rearrn¼. Egli affida al nostro onore mili· « tare la sua Reale bandiera che sventola su questa fortezza » . (94) U. S. Carte Cialdini. Busta 4. Doc. 146. {95) e. S. Cnrte Cialdini. Busta 6. Doc. · 4.
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La lettera del maresciallo borbonico venne trasmessa al gene· rale Cialdini, e questi appena l'ebbe letta la comunicò al mi.nislero. Il generale Fanti, presi gli accordi con Cavour, pregò allora il Cialdini di partir subilo per Messina con quelle truppe e quelle arti· gierie che avesse reputato necessario. Nei giorni 19 e 20 febbraio, in seguito ad un attivo scambio di corrispondenza fra iì generale Cialdini, il governo, il principe di Carignano che si trovava a Napoli e il generale Cadorna che aveva. assunto, in sostituzione del generale Brignone, il comando della Sicilia, fu si.abilito d'imbarcare subito, da Mola, quattro battaglioni bersaglieri del IV corpo (6°, 7°, ii" e 12°) salvo poi a provvedere per le artiglierie e per gli altri eventuali rinforzi. I bersa,glieri partirono la sera del 21 e la sera appresso partiva pure il generale Cialdini, dopo aver ordinato al generale Avenati di raggiungerlo il giorno 25 col 9° reggimento fanteria. Intanto al 0une bocche da fuoco si dovevano can care sul piroscafo " 11 Fiera· mosca » per esser pronte a salpare da Mola insieme a 6 compagnie del genio (3 del 1° e 3 del 2f r egg.) imbarcate sopra un altro vapore il « Vittorio Emanuele » . Contemporaneamente l'amm~raglio Persano riceveva istruzioni per preparare una dimostrazione navale con la quale si sperava di decidere la resa senza dover ricorrere ad un lungo e costoso attacco per via di terra (96). La voce sparsa in quelle rnedesiID€ giornate che 40 mrila austriaci richiesti da Francesco II stessero per arrivare in Sicilia, controbilanciarono però subito t.ale speranza, risollevando gli animi della guarnigione borbonica che si dimostrò più decisa ancora al· la resistonza (97). La sera del 25 Cialdini, insieme al generale Valfrè, sbarcava a Messina. Le artiglierie e le compagnie del genio vi giungevano il 28. (96) La presenza della -fletta nelle ac4ue di Messina fu deci!\a in seguilo a consiglio del generale Brignone, il quale preoccupato delle sorti della citrà di Messina in caso di bombardamento, scrisse una lellera al )1inistro della Guerra, suggerendo di accordarsi con Persano, almeno per un·a· zione dimostrativa che intimorisse i borbonici e rassicurasse i messinesi. (97) Tale notizia fu portala dal colonnello Patrizio Will:vnal il quale poi rimase nella ciltadella e pare direnis"'e !"anima della resistenza stessa, influend o maggiormente sul Fergola, cosicchè di esso si ricordò poi in modo particolare il Cialdini dopo la resa della cittadella, negandogl-i l'onore di ricevere la sua spada e ord inandogli invece di deporla egli mdesìmo. (ORERO. Da Pesaro a Mes sina, pag . 231).
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L'arrivo di queste truppe provocò una lettera assai risentita del generale Fergola il quale minacciava di aprire il fuoco su di esse se non si fossero subito allontanate, ed una seconda comunicazione a poche ore di distanza dalla prima in cui si ricordava che la convenzione Medici non era affatto scaduta., per cui se le opere di offesa fossero continuate egli avrebbe cannoneggiato anche la oittà di Messina, divenuta centro di approvvigionamento di guerra. Cialdini, già irritato per le troppe corrispondenze consimili che aveva dovuto tollerare per ragioni politiche a Gaeta, rispose nella giornata medesima del 28, in questi termini recisi : « Signor Maresciallo di campo. In risposta alle lettere che mi ha di· retto, devo dirle che il Re Vittorio Emanuele essendo stato proclamato Re d'llalia dal P.arlamento lfaliano, la di Lei condolla sarà considerata eomc aperta ribellione. « Per le conseguenze non darò quindi nè a Lei nè alla sua guarnigione capiLolazioni di sorta, e dovranno arrendersi a d iscrezione. Se Ella farà fuoco sulla città, io farò fucilare dopo la presa della Cittadella tanti ufficiali e soldati della guarnigione quante saranno slale le vittime cagionate dal di Lei fuoco sovra Messina. E i beni di Lei e degli ufficiali sa· ranno confiscali per indennizzare i danni recati alle famigli e dei cit· tiadini. « Per ultimo consegnerò Lei e i suoi subordinali al popolo di Messina. « Ho costume di tener paro la, e senw. essere accusafu di iattanza le prometto che ella e i suoi saranno quanto prima nelle mie mani. , Dopo faccia come crede. Io non riconoscerò più nella S. V. un militare ma un vile assassino. E per tale lo terrà l'Europa intiera. « In quanto 01 piroscafo che sbarca materiai! da guerra, vi tiri pur sopra a suo bell'agio se ha cannoni che vi possano arrivare » (98).
Di questa lettera il Cialdini mandò copia a Cavour giustificandone la violenza colla necessità di rassicurare la città di Messina, verso la quale pareva che il Fergola avesse vecchi rancor i, fino dal 1820, allorchè faceva parte di un corpo napoletano mandato a reprimere i moti rivoluzionari dell' isola. Cavour a tutta risposta telegrafò: « Je donne la plus entière approbation a votre réponse au général Fergola » (99). Naturalm~nte si sparse subito la notizia di questa corrispondenza, non solo in Messina dove il governatore aveva fatto affiggere per le vie le lettere stampate, ma in tutta la Sicilia, destando il maggior entusiasmo. Il governatore di Noto, telegrafando il suo (98) G. L. Cronaca di nove mesi a Messina, pag. 127 (Napoli 1862). (99) C. S. Carte Cialdini, Busta 6, doc. 6.
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compiacimento aggiungeva che non potendo far altro metteva. a disposizione del comando italiano una compagnia di guardie nazio· nali pronte a partire immediatamente per Messina. Indubbiamente la lettera del generale Cialdini, per quanto in· tenzionala ad altri fini, eccedeva nella forma, e il Fergola non aveva tutti i torti considerando che la città deve restare estranea alle operazioni di guerra. Se diveniva base di operazioni contro di lui, egli aveva il diritto di impedirlo, anche col fuoco . Ma è probabile che egli stesso notificando il suo minaccioso intendimento pensasse che non l'avrebbe messo in ogni modo in esecuzione. Nessuna comunicazione ufficiale nè alcun riconoscimento delle P otenze lo autorizzava d'altronde a considerare decaduto il suo Re. Il solo omaggio al plebiscito italiano non poteva esser motivo suffi· ciente per ritenersi prosciolto da ogni vincolo di fedeltà. Egli aveva infine una guarnigione fidata, che si sarebbe ribellata contro di lui se avesse ceduto alle pritml inlima.zioni, o ricordava che il 4 novemr bre, quando giunse a Messina la notizia della rotta napoletana a Mola di Gaeta, i suoi soldati si erano tutti spontaneamente quotali per mandare ai commilitoni riuniti sull'istmo di Montesecco la som'mla di 14 mHa ducati (100) . L'attacco quindi del Cialdini benchè approvato dal Cavour in seguito alle motivazioni fornite, non potè sostenersi in tulta la sua alterezza di fronte alla deferente con trorisposta che ricevette qualche giorno dopo dal P ergola. Real Citladella, 10 marzo 1861. Signor Generale, « Un generole d'armata, un anziano soldato come Lei, conosce molto bene le leggi della guerra, e come tale sa troppo quali doveri s'incombono ad un .comandante in capo. e Prima di lutto Le rimetto copia di diversi arficoli della real ordi· nanza del mio Re e signore, affinchè si compiaccia vedere da essi q uali siano gli obbl igh i che m'impone, e sarà facile vedere che cesserei d 'es· sere un onorato soldato se menomamente mi regolassi in diverso modo da quello che pratico. e Ella mi dice c he S. i\l. il Re di Sardegna è stato riconosciuto per Re d'Italia dal parlamento di Torino, io non conlrasto questo, ma Ella da maestro m'insegna che tale riconoscenza è valida solamente quando le potenze estere l'avranno approvala. « Fino al momento quello che so si è che tulle le corti amiche del mio sovrano non hanno riconosciuta l'annessione, e tengono tutfavi a i loro (100)
DELL! FRAN CI.
Campagna d'au tunno, p. 185 e doc. 154.
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plenipotenziari presso S. ì\1. Francesco I r in Roma qual Re del regno delle due Sicilie. « Tanto premesso, sig. generale, si metta un poco nella mia posizione, e da distinto . generale, mi dica se l'rovandosi nel caso mio, onoralo sol· dato e generale d'armata, cederebf>e 'Una fortezza interessante ad una semplice intimazione covren<losi cosi d'obbrobrio, e meritando lo sprezzo generale. ~ o!. .. Ella farebbe mollo più di quello che ro io. « Ella da il nome di ribelli a degli onorati soldati!.. No! sig. generale. La penna l'ha scritto, ma il cuore del veterano vi si oppone ed Ella più di ogni altro è convinta, che io ed il presidio che da me dipende fac· ciamo il nostro do,·ere; nè posso ideare ch'Ella abbia un diverso pensare, perchè ìn tal caso non saprei come riconoscere il soldaro, il generale d'armata. F inalmente ripeto quanto ieri le dicevo che dovendo tirare sull'opera costruita da Lei sul :.\ioviziato, qualche colpo con molta probabilìrà potrà cadere nella città, e questo mi è d'immenso dolore, mentre mi proponeva rispettarla, e lo farò quanto mi sarà possibile > ( 101) . Il 1lfores ciallo di rampo comandanle: GENNARO FERGOLA
Che tali ragioni avessero valore è provato dal fatto che delle reciproche minacce non se ne parlò più, e che Cialdini avvisò re· golarmantc il Fergola che intendeva cessata la convenzione Medici a datare dal mezzogiorno del 2 marzo. Il Fergola ricevendo questa comunicazione volle tuttavia tenersi l'ultima parola e rispose che la convenzione stessa doveva cessare subito. nella giornata mede· sima del 1'' marzo ore 5 porrmridiane. La lotta fu cosi tacitamente impegnata soltanto fra i due corpi combattenti, escludendo ogni offesa alla città che da una parte e dall'altra si decise di rispettare. Il progetto dell'attacco si limitò pertanto a stabilire batterie a sud e a sud-ovest della cittadella, cercando anzitutto di smontare le batterie del bastione Don Blasco che si protendeva verso la città come una lunetta avanzata, co11egato colla cittadella ma a distanza da essa di circa 400 metri. Per battere quest'opera furono impostate sette bocche da fuoco. Ciò fatto si ordinò che la brigata Pistoia, la sera del 1° marzo si disponesse in avamposti. L'ordine pubblico fu affidato alla Guardia Nazionale che prestò in quei giorni eccellente servizio. Il comando delle truppe fu assunto dal generale Avenati e quello delle artiglierie dal generale Valfrè, che ebbe a sua disposizione an· ( 101 ) U. S. Car/p Cialdini. Busta 6, doc. 19.
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che il tenente colonnello Belli comandante delle 6 compagnie del genio (i02) . Altre disposizioni vennero date in seguito per l'impiego dei bersaglieri e del 9'' fanteria, cosicchè per il giorno 5 tutti erano ai loro posti, e la flotta stessa giunta in vista di Messina notificava a mezzo del suo comandante, ammiraglio Persano, il blocco della cittadella anche dal lato del mare. I primi colpi furono sparati dalla cittadella soltanto il giorno 9 contro la fiumara Contesse, per impedire che salissero di là al· cuni convogli di materiale scaricato dai trasporti ancorati al largo. Furono pochi colpi ed inefficaci per la soverchia elevazione data ai pezzi ai quali seguirono invece altri di miglior effetto contro la batteria del Noviziato, producendo qualche perdita fra i soldati di fanteria in sussidio agli artiglieri (103). Il fuoco continuò per quanto le.nto, nelle giornate del 10 e del· 1'11 e non si intensificò da ambo le parti che la mattina del 12 allorquando dalla cittadella furono messe in azione parecchie bat· terie contro tutte le opere dell'assedio {104). Sotto la protezione di questo fuoco, verso le ore 8, un reparto di truppe uscendo dal bastione Don Blasco lungo la spiaggia tentò una sortita subito arrestata dalla 41a e dalla 44.. compagnia bersa· glieri. Poco dopo, cioè verso mezzogiorno il generale Valfrè diede ordine alle batterie rigate di rispondere al fuoco nemico, con tiri che risultarono subito di sorprendente precisione e di grande effi· cacia. A coadiuvare quest'azione sarebbe invero riuscito di grande utilità l'intervento della squadra, ma il mare agitatissimo non per· (102) Le batterie costruite furono 6; ai Gemelli, al Cimitero, al bastione segreto, al Noviziato, ,a S:anta Coc.ilia, a S. Elia, armate in complesso di (3 cannoni e 12 mortai (Rapport'o del Comitato di artiglieria sugli assedi del 1860-61). Le compagnie d'artiglieria da piazza erano: la 7", 8", 9"' e 12"' del 'JJ> reggimento; la 2•, 4" e 5" del 3~ reggimento. Le ,oompiagnie del genio: la la., za., e 4a del 10 reggimento; la 3"', 5" e 6° del 2° reggimento. Particolare encomio ebbe l:a 6.. compagnia del 2° reggimento (capit. Ricchini} che ebbe occasione di dare notevoli prove di -0oraggio lavorando sott:o il fuoco nemi-00. Le forze dell'artiglieria erano in totale di 36 uffi-0iali e 1057 uomini di truppa; quelle del genio 23 wffkiali e 750 uomini di truppa. (103) Rapporto del generale Valfrè in data 10 marzo 1861 al Ministero della Guerra insert'o nella relazione del Comitato di ,artiglieria. (104) Diario dell'Assedio di Messina. del maggiore Doix, addetto al comando del genio italiano.
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mise alla « Maria Adelaide » che di fare alcune borrtate con esito negativo. Ad una rimostranza del generale Cialdini per la mancata azione della flotta l'ammiraglio P ersa.no rispose che non bastava ordinare che si incominciasse il fuoco ad una data ora, ma che occor· r eva potersi ormeggiare, per cui solamente quando fosse stato possi· bile avrebbe disposto che la « Carlo Alberto » e la « Vittorio Ema· nuele » iniziassero il tiro con certezza di colpire il bersaglio, mentre la « Maria Adelaide » si sarebbe mantenuta in riserva. Cialdini non fu soddisfatto di queste spiegazioni e sembrandogli che il Persano non condividesse il piano già formulato e comunicato alla squadra, scrisse di nuovo all'ammiraglio significandogli che la collocazione della cannoniera « Vittorio Em1anuele » doveva essere mutata perchè cosi com'era fissata avrebbe colpito gli avamposti invece di colpire la cittadella (105). Il fuoco intenso delle batterie rigate, continuato fino al tramonto produceva intanto il suo effetto. Una bandiera bianca appariva sulla cittadella alle ore 5, e poco dopo un parlamentario veniva a chiedere una tregua di 24 ore. Cialdini la negò e allora fu chiesto di trattare per una capitolazione. Altro rifiuto e intimazione di resa a discre · zione con un tempo di 3 ore per dichiarare se veniva o no accettata. Durante queste tre ore, il fuoco sarebbe stato sospeso. Erano le ore 6. Alle ore 9 pom. del giorno 12 marzo il generale Chiabrera riceveva agli avamposti l'atto di resa firmato dal gene· rale Fergola e lo rimetteva subito al generale Cialdini, il quale a sua volta ne inform,ava S. M. il Re, il monistro Cavour, il generale F anti, S. A. R. il Principe Eugenio, facendo seguire le notificazioni per lo sgombero della cittadalla, la consegna e tutti gli altri provvedimenti inerenti alla resa. Il telegramma diretto a S. M. il Re era così formulato: «Sire: dopo sei ore di fuoco mtenso e fortunato la Ciltadella di Mes· sina ha dovut'o arrendersi questa sera a discrezione. Io raccomando al1',animo generoso di S. M. la sorte della guarnigione che fu vittima di pochi tristi , (106).
Le disposizioni date per la resa furono le seguenti : l. - Domattina giorno 13 alle ore 7 rutta la guarnigione della Cit· tadella (e tutti compresi con essa) usciranno dalla piazza senz'armi meno signori ufficiali a cui lascio la spada.
(105 U. S. Carte Cialdini. Busta 6. Doc. 5. (106) U. S. Carte Cialdini (Messina 1 61, Busta 6; autografo).
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2. - Si formeranno tutti in colonna sul piano di S. Ranieri. In quel mentre dal piano di T erranova il 35° reggimento entrerà nella Cittadella e prenderà possesso della piazz.a. 3. - Perciò S. E. il maresciallo Fergola lascierà al -cancello esterno dello spalto una commissione per ,consegnare la piazza, per indicare le differenti batterie e magazzeni a polvere, il numero dei pezzi, magazzeni viveri etc., e per consegnare le armi. 4. - S. E. il ma,resciallo mi oo.rà responsabile di tutti i pezzi inchiodati che si trov0.ssero, e di tutte le mine che non fossero anticipatamente dichiarate. 5. - Si provvederà per le famiglie come e quando si possa. 6. - La guarnigione resa a discrezione sarà dal generale Cialdini ra«-omandata alla benevolenza sovrana. 7. - Le vite, gli averi, e le persone saranno rispettate e restano sotto la 1Salvaguardia della bandiera del Re Vittorio Emanuele (107). Messina, 12 marzo 1861. ENRICO CIALDINI generale d'armata.
Al mattino seguente, alle ore 7, Cialdini alla testa del 35° fanteria con musica e bandiera, fece, infatti, il suo ingresso nella cittadella di Messina. La guarnigione borbonica venne dichiarata prigioniera. P er gli ufficia.li venne,ro dati speciali disposizioni, i ge· generali furono inviati a Napoli e di là lasciati liberi per dove credessero eleggere domicilio, i soldati furono divisi fra Milazzo, Scilla e Reggio Calabria in attesa di applicar loro le rrredesim~ condizioni che si erano stabilite per i capitolati di Gaeta (108). Nei riguardi della cittadella, se si dovesse o no conservare in· tatta, fu stabilito, d'accordo col generale Fanti, di soprassedere pel momento ad ogni decisione, impedendo cioè fino allora qualunque distruzione o menomazione (109). E per quanto rifletteva ~1essina, nella stessa giornata del 13 marzo il generale Cialdini comrunicava al governatore Piraino che essendo venuti rrreno i motivi che determinarono lo stato d'assedio, questo doveva immediatamente cessare. Il giorno 17 partiva.no pertanto per Genova i battaglioni del 9° fanteria. e il giorno dopo si imlbarcavano le rimanenti truppe al (107) U. S. Ca,·te Cialdini. Busta 6, doc. 23 e Delli Franci: Cronaca della campagna d'autunno. Doc. 112. (108) La guarnigione borbonica nella citfadella di Messina, all'atto della resa era così composta : 152 ufficiali e 4138 uomini di truppa. Fra gli ufficiali eravi un genercale e 4 uflìciali superiori, gli uomini di truppa appartenevano in gran parte al 3° 5° e 7° reggimento di linea e al reggimento Regina, gli altri erano -cannonieri, veterani, compagni d'Qrme, art:elìci e soldati del genio. (109) U. S. Carteggio confidenziale del Ministro della Guerra, 1861. 11•
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comando del generale Avenati. Il 35° fu destinato a Palermx:> e il 36" rimase di guarni'gione a Messina. Il generale Cialdini parti per Mola da dove poi raggiunse Bologna per assumere il comando di quel corpo d'armiata. Prima di partire volle però scrivere all'ammiraglio P ersano una lettera di caldo encomfo per la marina, lettera alla. quale il Persano rispose subito dichiarando che « nessun vanto potrebbe essere maggiore che il sentirsi lodati dal vincitore di Castelfldardo e dall'espugnatore di Gaeta e di Messina {110) . Giunto a Mola, e letto sui giornali che il dispaccio col quale 6gli aveva notificata la resa della cittadella portava la data del i3, si affrettò inoltre a correggere questo errore telegrafando subito al mrinistro Cavour in questi termini precisi (iii) : « La cittadella di ~iessina si è arresa a discrezione alle 9 pomeridiane del 12. Alle IO della sera stessa io l'annunciavo per dispaccio a V. E. e al ministro della guerra. Il dispaccio pel grosso mare non polè passare il canale nella notte e partì da Reggio al mallino seguente. « Ho visto nei giornali che il mio telegramma porta la dala del 13 fa· cendo credere Ghe la cittadella siesi arresa il 13 e non il 12. Simili inesattezze nei dispacci teleg rafici sono un abuso frequ ente, che alle volte può assumere molta importanza ».
Il generale Chiabrera rimase qualche giorno ancora per presiedere un consiglio di guerra, convocato per giudicare gli ufficiali borbonici Willamat, Cavaliere, Gaeta, Bralh e Falduti i quali erano stati l'anima della resistenza ed avevano esercitato un reale influsso sulle decisioni del Fergola , ma non essendo risultato nulla a loro carico, vennero rilasciati in libertà la mattina del 22 marzo. Al momento in cui i due reggimenti della brigata Pistoia si separarono, il generale Chiabrera comunicò agli ufficiali riuniti al gran rapporto tutta la sua soddisfazione, e notificò che le signore Pistoiesi avevano per quella memorabile occasione fatto il dono gen· tile di una bandiera d'onore alla brigata che portava il nome della loro città. Questo simbolo di cortesia e di fratell anza venne conservato lungamente dal Generale, poi dato da lui in consegna al municipio di Acqui (112). (HO) U. S. Carte Cialdini. Busta 5, doc. 286. (lll) U. S. Carte Cialdini. Busta 6, doc. 177. (ll2) Questa bandiera trovasi attualmenre alla Reale Armeria di Torino coll'indicazione: Bandiera del 35° fanteria, a tre colori, non di modello, lettera O n. 112.
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Le perdite di quell'assedio furono assai lievi d'ambo. le parti. Nella cittadella si trovavano 455 bocche da fuoco, più di 7 mila fucili, 3000 sciabole, 80 casse di munizioni, mplti proietti per artiglierie, nessuna bandiera. Le bandiere, richieste da Torino unitamiente a quelle di Gaeta, non si poterono trovare e il maresciallo Fergola rilasciò per esse una dichiarazione in data 14 marzo 1860 in cui diceva che avrebbero dovuto essere 6, appartenenti al 2°, 5° e 7° di linea, ma che di esse non era stato possibile rinvenire che le aste, essendo stati strappati i drappi dalle truppe. Alcuni di essi ridotti infatti in piccolissimi pezzi erano stati raccolti com-e ricordo dai soldati borbonici, ed altri vennero parimenti lacerati e conservati come trofei di guerra da militari del 35° fanteria che prim~ entrarono nella cittadella.
CAPITOLO XIII.
Oivitella del Tronto Civitella e Ja sua guarnigione. - La Legione Volontari del Sannio. - Le operazioni del generale Pinelli. - L'assedio. - L'arrivo del generale Mezzacapo. - La resa della fortezza.
L'as.sedio di Civitella del Tronto è l'ultimo episodio della campagna del 1860·61. Civitella era allora un borgo llllUrato, difeso da buone fortifica· zioni, e da un castello la cui costruzione risaliva all'epoca di Filip· po II. Questa cittadella distante 5 miglia dal Tronto e 8 da Tbramo sorge sopra un colle che separa il Tronto dal Vomano, e sotto il governo borbonico era considerala piazza di second'ordine, aveva circa 2 mila abitanti ed un presidio di 500 uomftni, dei quali nell'a· gosto 1860, 200 erano gendarmi e 180 terrazzani, agli ordini del capitano Giovane, e gli altri erano in parte artiglieri . La fortezza era armata con 24 cannoni quasi tutti di ferro e di vecchia fusione, e il comando supremo della piazza era tenuto dal maggiore Luigi Ascione. Quando avvenne la sollevazione di Teramb, il governo borbonico mandò a Civite1la un capitano del genio, il Mezzingher, col· l'incarico dj apprestarvi le più convenienti difese e sopr atutto di com,. pletarvi il bastione di cinta cosidetto dei Cappuccini, ma. il Mezzingher avuta notizia dell'ingresso di Garibaldi in Napoli, lasciò Civi· tella, e si dim~se dall' esercito napoletano (113). (113) Civitella del Tronto possedeva una brillante tradizione guerriera, e in tempi passati aveva più volte dimostrato di sapere e pot'ere resistere ad atla~hi fortissimi. Nel 1557 aveva sostenuto un assedio di 52 giorni confro 13 mila francesi comandati dal Duca di Guisa; inutilmente le mi·
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Questo fatto, anzichè influire sull'animo della guarnigiom,, provocò un senso di reazione così violento, che, per evitare gravi incidenti fra la popolazione e i soldati, il comandante della piazza fu costretto a dichiarare lo stato d'assedio. E poichè il maggiore Ascione parve assai timido nell'applicare alcune misure di rigore verso quei liberali che fino dal 23 settembre avevano inviato a Teramo i voti del Consiglio Comunale per l'annes· sione all'Italia, il capitano Giovane, sostituendosi al comandante, assunse egli stesso la direzione della resistenza interna e della difesa militare. Tali mlisure erano d'altronde suggerite, non solo per soffocare ogni dissidio fra cittadini e ITl!ilitari, m:a anche per rispondere ad un tentativo fatto da un reparto di Guardie Nazionali, guidate dal capi· tano Ortis per bloccare la cittadella. Nè parvero meno giustificate allorchè si venne a conoscenza di un accordo fra il generale Pinelli che comandava la colonna cosidetta dell'Ascolano (114). e l'Intendente della provincia di Ascoli per affi· dare le operazioni contro Civitella alla Legione Sannita, corpo di vo·
lizie del generale Duhesne si erano provate nel 1798 ad assalire quelle robustissime mura eroicamente difese; e nel 1806, senza speranza di soc· corso, in mezzo a un r egno completamente invaso, parimenti da Francesi, aveva res:istito per quattro mesi a un blocco rigoroso per part:e delle truppe del generale Lechi. Essa aYeva in quella occasione ripiegalo onorevol· mente la propria bandiera soltanto dopo essere stata ridotra agli u !timi estremi. (l14) Al generale Ferdinando Pinelli, comandanre la brigata Bologna, era stafo affidato il 10 oltobre 1860 il comando di una colonna, che in origine prese il nome di colonna mobile dell'U mbria. Infatti avev~ il suo quartiere generale a Terni. Questo corpo era costituito dal 400 fanteria, dal 9" al 200 batfag lione bersaglieri, da uno squadrone di Nizza, una bat· teria da montagna e una sezione di cannoni Stenhope. In seguilo poi, Lale composizione subi qualche variante coll'aggiunta di reparti del 39" fant. e del 21° baUaglione bersaglieri. Nel febbraio 1861 la colonna passò nel· l'Ascolano e nel Teramano per reprimere il movimento reazionario ed infine passò nella Marsica dove particolarmente si segnalò il 40° fanteria agli ordini del colonnello Quintini, Sull'azione di questa colonna vedere l'op. cii. II Brigantaggio e l'opera dell'Esercito italiano dal 1860 al 1870 e per quanto rigua,·cla le operazioni della colonna stessa nell'Umbria, vedere : La Campagna delle )larche ed Umbria (U. S. p. 269 e 276).
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lontari organizzato dal tenente colonnello Curci per decreto di Garibaldi del 14 settembra 1860 (115). Il generale Fanti desiderando infatti di non immobilizzare per un'operazione, che pareva di poca imlpOrtanza, uno o più battaglioni regolari, aveva dato il suo assentim~nto alla proposta del Pinelli, consigliando però di limitarsi ad un semplice blocco che decidesse i difensori ad arrendersi. Se non che, non essendo i volontari abi· tuati ad azioni in cui si richiedeva molta pazienza e rrmlta vigilanza, il Pineili chiese un rinforzo ad Ancona, e il generale Rosselli che comandava quel presid!io, spedì la 2" compagnia del 39° fanteria, la quale giunta ai prirnli di novemibre a Santa Maria si trovò subito alle prese con un reparto di 200 borbonici, che dovette ricacciare con viva azione di fuoco. Questo episodio mi.se in evidenza una resistenza che, appoggiata ad una solida e guarnita posiziona difensiva, richiedeva maggiori sforzi di quanto si supponeva in principio per poterla vincere. Alla 2• compagnia del 39° giunse infatti in aiuto anche la 3° dello stesso reggim~nto, un reparto di 280 uomini del 23° e 24° fanteria ed un altro di 120 soldati di vari corpi, riuniti sotto il comando del tenente Mazza del 27°. Ad essi si aggiunse anche la compagnia. di Guardie Nazionali di Maltignano agli ordini del capitano Weldon. Il capitano Oberto del 27° prese il comando di tutte le forze regolari e con esse respinse una seconda sortita di borbonici presentatasi in forma minacciosa e improvvisa la mJa.ttina del 24 novembre. Il Curci, che come si è detto comandava i volontari del Sannio e che, nonostante avess,e una forza ai suoi ordini di circa 300 uomini, non si sentiva rassicurato da quella promiscuità di elementi diversi, spediti a piccoli gruppi e senza unità di comando, scriveva intanto al generale Fanti pregandolo di mandare truppe regolari in quantità (lltS) Per la storia dei Corpi volontari che si formarono dapprima nelle Marohe e nell'Umbria, poi nelle provincie meridionali e più specialmente negli Abruzzi, nella Campania e nel Molise, vedere: Corpi Volontari lta liani dal 1848 al 1870. C. CESARI, U. S. 1920. Per i Cacciatori del Tevere e i Cacciatori di Montefeltro e di S. Leo. (Memorie storiche militari, U. S., fascicolo V, del 1910 e X del 1911). Per la legione del Matese l'opera cosi intitolata, (col. roed. R. Marina G. Petella, Città. di Castello, 1910). Infine per le Legioni del Sannio e i Cacciatori del Vesuvio l'U. S. pubblicò una monografia nelle Memorie st'oriche militari, fascicolo 15° del 1'912, nella quale è largamenfe documentata l'azione di quei volontari nell'assed10 di Civitella del Tronto.
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sufficiente, con qualche cannone, e con un ufficiale superiore che as· sumesse la direzione delle operazioni, tani.o per investire la cittadella quanto per assicurare le spalle delle truppe operanti da eventuali attarchi dei reazionari delle campagne. Il Fanti aderì subilo a questo invito e ordinò al generale Pinelli di recarsi sotto Civitella, con 3 compagnie di bersaglieri, la 2a com· pagnia del 40° e una sezione d'ariglieria da campagna. Il Pinelli giunto a Ponzano la mattina del 6 dicembre affidò il comando di questa colonna al maggiore Calderari del 9° bersaglieri e spedì la seguente lei.tera al maggiore Ascione in Civitella del Tronto. • Lo scopo di questa mia è di invitarvi a desistere da una re~istenza divenuta ormai inutile. Se vi arrenderete ora, otferrele pa.lti onorali, se no farò entrare in azione le mie arfiglierie rigale a lunga portala e non vi rimarrà più altra allernaLiva che di morire di fame o di essere pa!\..<,ali a fil di spada» (1J6). Tanto l'offerta per venire a patti, quanto le minaccie contenute in questa lettera, non ebbero però nessuno effetto. L'Ascione non ri· spose, e si limitò soltanto a dire al latora della comunicazione che per trattare la resa era necessario oltenere prima una generale ga· ranzia di immunità. Su questa base, che denotava una strana diffidenza, non era possibile alcun accordo, per cui il P inelli dopo aver fatto sparare qualche colpo di cannone entro la fortezza , diede di· sposizioni per un rigoroso blocco, e scrisse a Napoli al generale Della Rocca, proponendo che le due compagnie del 39° tornassero ad An· cona e che fosse invece mandato a Civitella il quarto battaglione del Z7° fanteria, che si trovava a Perugia, agli or dini del tenente colonnello Beli i. Intant{) che tali disposizioni erano in via di esecuzione, il maggiore Calderari notò, la mattina del 20 dicembre, un insolito movi· mento di contadini armati sulle montagne circostan'li e poco dopo vide una colonna di regolari borbonici che usciva di corsa dalle mura, diretta a Santa Maria dove eravi la 34• compagnia di bersa· glieri. Questa compagnia assalita da più parti , si era asserragliata nelle case, mia nonostante cercasse di arrestare gli assalitori col fuoco, era rimasta in breve sopraffatta, aveva avuto qualche morto e parec· chi feriti, e per evitare di cadere nelle mani degli insorti, stava ri · piegando a piccoli gruppi su Borrano. ( 116) U. S. Carteggio campagna 1860-61. Cartella 62.
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Imbaldanziti da questo successo, i contadini, insieme ai soldati, cercarono di scendere essi pure a Borrano, ma qui furono arrestati dal fuoco di altre due compagnie di bersaglieri, mandate in fretta dal maggiore Calderari, che con questo tempestivo intervento riuscì a disperdere gli assalitori, a liberare la 34• compagnia a riprendere i morti e i feriti che erano rimasti a Santa Maria. Il tentativo di rorn,pere il blocco non era pertanto riuscito ma. la sortita, fatta di conserva col movimento dei terrazzani dei dintorni, provò all'evidenza che a Civitella si conoscevano benissimo le posi· zioni e le disposizioni delle truppe e che si era voluto aLtaccare di sorpresa i bersaglieri primla che arrivasse il battaglione del 27°, il quale infatti era in marcia e che g:iunse a Ponzano il giorno dopo. Il fatto d'armò di Santa Maria, esalt.ando gli animi del partito reazionario di Civitella, aveva intanto prodotto una sollevazione dei gendarmi, a capo dei quali si era posto un sergente, certo Messinelli, che, convinto di chissà quali speranze, aveva insultato il capitano Gio· vane, e imposto, per: conto proprio, le più rigorose m'isure verso la popolazione e la guarnigione. All'esterno di quella fortezza, la resistenza della quale si osti· nava soltanto per l'azione di questi esaltati e si protraeva per virtù della sua posizione topografica e delle sue robustissime mura, si schie· ravano in una solida linea di blocco le forze italiane, costituite dalla 35" e 37" compagnia del W bersaglieri, della 2a. compagnia del 40°, dal distaccamento m~sto del tenente Mazza, dalla compagnia di G. N. del Weldon, dai volontari della Legione Sannita e dal battaglione del 27°. In tutto 1i70 uomrini, con due cannoni, agli ordini del ten. col. Belli. La designazione del Belli al comando dell 'assedio, poneva però il ten. col. Curci della Legione Sannita, in uno ·s tato di subordina· ·zione, per cui, dietro proposta del gen. Pinelli , fu disposto che un altro tenente colonnello meno anziano del Belli, cioè il Pallavicini, assuI111Bsse il comando dei vari distaccamenti, che al Belli rimanesse il comando del suo ba.ttaglione, che il Curci fosse inviato a Teramo per presidiare quella citlà coi suoi volontari, e che si chiamasse· a Civitella, tutto il 27° fanteria, in modo che la direzione delle opera· zioni rimanesse affidata al colonnello Sircana comandante del reg· gimento. Mentre però si effettuavano queste disposizioni, il Belli veniva in· caricato di com1Unicare al rmi,ggiore Ascione che il governo italiano non sarebbe stato alieno di entrare in trattative per un armistizio e per una conseguente stipulazione di resa, e perciò si invitava l'Ascione
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stesso ad un convegno per la sera del 12 gennaio in quella località che avesse gradito di fissare. L'Ascione fissò un cascinale vicino a Civitella, e nel colloquio col Belli fu convenuto di addivenire ad una tregua fino al giorno 18. Se non che, a dimostrare come il comandante la piazza consideràsse poco seriamente la sua posizione, il giorno dopo di questo accordo, inviò un messaggero al ten. col. Belli per pregarlo a voler accettare un pranzo per lui e pei suoi ufficiali. Il Belli naturalmoente rispose rifiutando senz'altro un tale invito (117). Durante la tregua, giungeva intanto a Civitella un ordine del giorno da Gaeta, firmato dal ministro Casella, in cui si tessevano i maggiori elogi per gli « eroici difensori della piazza, esempio di fede e di valore, a.mlrmrati dall'Europa, e rispettati daa'attonito nelm~co ,, (i18). Questo documento produsse sulle prime una certa imlpressione nella guarnigione, in quanto essa vi scorgeva la possibilità di abbinare e di protrarre con successo le due resistenze di Gaeta e di Civitella, mia mise in imbarazzo l'Ascione, che, più convinto forse d'ogni altro sulla inutilità di continuare quella difesa, si era già dimostrato così tiepido nelle sue funzioni di comandante. P er cui nella speranza di uscire in qualche modo da siffatta situazione chiese senz'altro al colonnello Sircana una proroga dell'armistizio. Il Sircana ne riferi al gen. Pinelli che si era trasferta in quei giorni a S. Egidio, ma questi non solo rispose negativamente, ma scrisse il 22 gennaio una lettera all'Asciane, che term1inava con queste parole: « Se offrii un armistizio, fu perchè la guarnigione di Civitella avesse gli stessi vantaggi di quella di Gaeta. Ora non intendo di accet~re altre comunicazioni, che una resa a discrezione (i19).
Dopo questa lettera, il gen Pinelli, si recava ad Ascoli, da dove emanava poi il 3 febbraio quel famoso ordine del giorno, che fu giudicato eccessivo verso le popolazioni abruzzesi e disapprovato perciè> dal Consiglio dei ministri, promovendo dallo stesso Consiglio una (117) U. S. Carte Belli 1860. Doc. 43. (118) DELLI FRANCI. Campagna d'autunno. (119) U. S. Carteggio del 1861. Voi. 22.
Voi. II p. 168 e doc. 133.
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disposizione per la quale il Pinelli dovette lasciare la direzione delle operazioni sotto Civitella, e fu sost.ituito dal generale Mezzacapo (120) . *•* Tre giorni apresso, cioè la mattina del 6, una grossa banda di reazionari, guidata da gendarm~ in divisa scendeva dalle montagne di Campli e divisa in due colonne attaccava la· linea di investimento, costringendo le due compagnie di bersaglieri e, due del 27° fanteria a far fronte agli assalitori, esponandole in pari tempo ai fuochi della fortezza che le colpivano alle spalle. L'azione pronta ed energica delle truppe riuscì fortunatamente ad allontanare e disperdere quei terrazzani prima che riuscissero a sfondare la linea, a catturare ad essi buon numero di vecchi fucili, e ad infliggere ai medesimi non poche perdite (121) . Contemporaneamente avvenivano nuovi dissidi in Civitella fra i gendarmri del Messinelli e qualche reparto che cominciava a rnPstrarsi meno ligio alla causa borbonica, e tali dissidi si accentuavano, più vivi fra l'Ascione e il capitano Giovane, perchè quest'ultimo, pro· mosso colonnello con recente decreto di Francesco II, non riconosceva più nell'Ascione il diritto di interporsi nel comando della difesa. Per tale moiivo particolarmente, il Giovane, assieme ad un altro ufficiale, ad un alfiere e a tre graduati di truppa, uscì da Civitella e si costituì agli avamposti italiani come prigioniero di guerra. Il generale Mezzacapo, informato di questi avvenirnJenti e per· suaso che un assalto di viva forza avrebbe cagionato gravi perdite senza ottenere forse un risultato decisivo, scrisse al generale Della Rocca, proponendogli di intensificare il blocco e di attendere per un'ulteriore azione i riisultati dell'assedio di Gaeta. Così deciso, nulla avvenne di noteyo,le intorno a Civitella fino al 18 di febbraio, allorchè, avuta notizia della caduta di Gaeta, lo stesso Mezzacapo inviò una copia della capitolazione di quella piazza all'Ascione, offrendogli le identiche condizioni se Civitella si fosse arresa senza spargimento di sangue. La risposta non fu diversa dalle pracedenti, e risultò anzi più irriverente delle altre, perchè conteneva l'inqualificabile richiesta di (120) Quest'ordine del giorno è riportato nelle Memorie Storiche Mi· filari del 1912. U. S. Le Legioni del Sannio p. 467. (121) Dal rapporto del col. Sircana i morti e i feriti fra i reazionari furono una trentina. Nelle truppe italiane si ebbe soltanto qualche ferito (U. S. Carteggio 1861, Voi. 58).
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inviare due ufficiali a Gaeta per assicurarsi sulla verità del docu· mento. Indignato di questo modo di procedere, il generale Mezza· capo chiese allora ad Ancona una ventina di bocche da fuoco, che inviate per ma.re fino a Grotta.mimare, giungevano a Civitella il giorno 23, faticosamente trainate da coppie di buoi, e scortate da due compagnie di artiglieria e due compagnie del genio. Coll'aiuto di questi rinforzi, il campo d'assedio sommava così a 146 ufficiali e 3320 uomini di truppa, mlenlre la guarnigione di Civitella scemata per le numerose defezioni era.si ridotta a circa 400 militari, quasi tutti graduati, perchè dopo la partenza del colon nello Giovane, il Mcssinelli aveva elargit.o senza parsim'Onia numerosissime promozioni (122). Per tale situazione di cose, parve al generale Mezza.rapo, di non dover rinunciare ad un ultimo e possibile tentativo di assalto, e perciò decise di attaccare la piazza pel mattino del 25. Ordinato il fuoco a tutte le batterie, mosse su tre colonne contro Civitella, ma giunto ai piedi della rampa scos,cesa, alla sommità della quale si innalzano i bastioni, non fu possibile avanzare, parchè i di· fensori lanciando bombe e rotolando sassi impedirono l'avvirinamento ( 122) Secondo la f.ituazione .il 15 marzo IB6I. (Comando in capo, cam· pagna 1860·61, voi. 50, pa~. 324}, le truppe italiane ,;otto Ciùtella erano cosi ripartite: ufficiali 7 truppa 18 Quartiere generale. ]697 76 » 27° fanteria » >) » 17 386 9° battaglione bersaglieri . )) 247 16 » 21° » » )} » 16 » 386 27° » 11" e 12a compagnia, del 2° genio » » 808 6 1a compagnia del ZO artiglieria, e l" del 4° > 242 » reggimento 8 Reparto Guardie Na.zionali (c11p. Welton) . » » 36 1 'fotnle ufficiali
146 Truppa 8820
Il coman<.lo del genio era affidalo al maggiore Giuseppe Morando, quello d'artiglieria al maggiore A. Grossi. Le batterie impostate furono 5, una di obici da 15, una di mortai da 15, da 22 e da 24, lo. lE>rza di obici da 128, la quarta di 2 vbici da 15 e di 2 cannoni Stenhope e la qui11la di obici da 15 e 2 cannoni da 16 B, (in tutto 24 pezzi}. I colpi sparati durante l'assedio furono 7860 (come risu lta dal rapporto del mag· giore Gro~si al Comitato d'artiglieri~ degli assedi del 1860-61).
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alle mura e obbligarono le fanterie italiane a ritirarsi, dopo aver subito qualche perdita (123). La linea d'investimento venne intanto ristretta, e il generale Mezzacapo partì per Ascoli in attesa di riprendere, dopo qualche giorno, l'offensiva. Ma essendogli colà giunto un telegramma. del ministro Fanti col qua.re gli annuncia.va. che un inviato speciale di Francesco II si sarebbe recato a Civit.ella per persuadere i ribelli ad arrendersi, il iO marzo fece ritorno a Ponzano per attenderlo. Il messo borbonico si fece tuttavia aspettare fino al pomeriggio del 16 (124). Esso era il generale Gian Battista Della Rocca, accompagnato da due aiutanti e da un capitano francese dello stato miaggiore del ge· nerale Goyon, certo Vetrai. Non appena questi ufficiali giunsero a Santa Maria, fu innalzata. dal comando italiano una bandiera bianca, e il Della Rocca, col suo seguito, potè entra.re in Civitella, rim~nendovi fino alle 8 e mezza di sera. Al suo ritorno si presentò agli avamposti italiani recando ana lettera dell 'Ascione in cui si chiedeva di capitolare, ma essendo l'ora già tarda e non potendosi recapitare subito la lettera stessa al genMezzacapo, essa fu prevenuta da un'altra lettera spedita diretta· mente dall'Ascione al generale italiano, in cui si ripeteva a nome della guarnigione una domanda già esposta in altra occasione, d'in· viare cioè due o tre individui a Roma per assicurarsi della verità della m~ssione. Il generale borbonico Della Rocca venuto a conoscenza di questa ridicola pretesa, si mostrò dispiacente ed offeso del procedimento del suo subordinato, rilasciò al Mee;zacapo una dichiarazione in cui approvava completa.mente la correttezza di lui e mandò una lunga lettera (123) Le perdile totali dell'assedio non si possono precisare mancando documenti ufficiali pei primi mesi dell'investimento. Esse risultano tut· tavia di 9 morti e 13 feriti, nel periodo di dicembre e gennaio; e da una relazione del ten. col. Pallavicini appare che nella giornat'a del 25 feb· braio mori un uffi.ciale del genio e si ebbero a deplorare circa 40 uomini di truppa fuori -combattimento. Nessuna statistica .attendibile è rimasta per le perdite borboniche; da un calcolo approssimat:ivo si possono ri· tenere a un centinaio fra morti e feriti. (124) Tale ril'ardo trovava la sua giustifioaz,ione nell'attesa di notizie che i borbonici dovevano ricevere da Messina. Capitolata questa cittadella il gior· no 13, non rimaneva più alcun motivo per abbilllare le due difese e perciò la missione decise di trattare senz'altro la questione di Civitella senza far allusione ad a lfre resistenze.
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all'Ascione, esprimendo il suo disgusto per la condotta inqualifica· bile di quella guarnigione ribelle e per le fallite trattative così ono· ratamante avviate nell'interesse di entrambi i belligeranti. L' Ascione comprendendo finalmente la condotta scorretto. da lui tenuta, pare se ne lagnasse coi suoi consiglieri e rovesciasse su di essi ogni responsabilità, per cui fu tacciato di liberalismo e in· sultato dai suoi soldati. Ebbe allora un ultimo scatto di energia, chiamò a sè i più accesi liberali di Civitella, fece imprigionare i reazionari ed ordinò che si innalzasse sulla fortezza una bandiera bianca. E al mattino dopo, cioè il 20 marzo, seguito da un ser· gente, usci dalle mura e si presentò a S. Maria al ten . col. Palla· vicini chiedendo la cessazione delle ostilità e offrendo la resa a di· screzione. Alle 5 pomeridiane il generale Mezzacapo col suo stato mag giore e tutto il Z7° fanteria entrava in Civitella. La bandiera tricolore veniva nello stesso momento issata sulla fortezza e salutata da 21 colpi di cannone. Così Civitella del Tronto (secondo l'espressione del Delli Fran· ci) « storico ricordo di altre glorie napoletane, veniva in quel giorno in potere dei Sardi ». Il generale Fanti telagrafava la sera del 20 al generale Mezza· capo esprimendo tutta la sua soddisfazioRe alle brave truppe che avevano avuto la fortuna di prender parte a quell'assedio. Istituita una commissione di guGrra, si procedette subito alla fucilazione del sergente Messinelli che si era elevato a comandante 'mlinacciando la vita del maggiore Ascione, e con lui furono pure fucilati un ex capo brigante ed un monaco, rei di atti di violenza contro ì cittadini di Civitella. La guarnigione borbonica fu mandata sotto buona scorta ad Ascoli, e l'Ascione assieme ad akuni graduati fu lasciato a Ponzano dove erano stati riuniti i prigionieri di guerra. Nella for~za si rinvennero 24 cannoni di ferro di diverso ca· libro, 2 obici e 2 mortai, 8 pezzi smontati, 1700 palle, più di 500 bombe e di 4000 granate, una gran quantità di polvere, un migliaio circa di fucili. Non vi si trovò nessuna bandiera perchè la guarnì· gione non era costituita da reparti organici. Neanche la bandiera del forte fu possibile trovare. Tutto questo materiale fu trasportato ad Ancona e in confor· mità di un ordine del generale Fanti la fort-ezza fu disarmata e in parte smantellata.
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La mis.sione borbonica approfittò tuttavia dal fatto compiuto per attribuire la resa ai suoi buoni uffici e non si lasciò sfuggire l'occasione di affermarlo in un dispaccio spedito a Roma, al conte di Trapani, il quale rispose esprimendo la soddisfazione di S. M. Borbonica verso i bravi difensori « che avevano ubbidito all'ordine sovrano di arrendersi {i 25). Così Francesco II metteva, per conto proprio, un suggello d'onore all'ultimo episodio, col quale il destino segnava per sempre la fine del suo regno.
(125) Comunicazione del generale Mezzacapo al ministro Fanti, in data 10 apr ile 1861. (U. S. Carte 1860-61, voi. 63, doc. 130).
SPECCHIO dei Corpi dell' Esercito Italiano che parteciparono alla campagna del 1860-61 nell' Italia Meridionale FA TTO D'ARMI
Macerone (20 Ottobre 1860). San Giuliano (26 Ottobre 1860)
I
Regg. F ant.eria o r eparti di essi
Batt. Bersaglieri
Cavalleria
9° e 1c0
s o . 70
Novara
50
Milano e Novara
50
23° - 24° - 25° - 26° s o . 70 11o • 120
Artiglier-ia batt. del .Regg.
I
Genio comp. del regg.
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Ricognizione del Garigliano (29 Ottobre 1S60) .
-
6°. 7°. 11° . 12°
Novara - Milano P. Reale e Nizza
50
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Assedio di Capua (26 Ott. -2 Nov. 60)
1° . 2° . 4° granat.
1° - 16('
Nizza
30 . 40 . 8"
1° e 2° rogg.
140 - 240
-
go
-
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1o. 20. 30. 40 . 50. go
1° e 2° regg.
Combatt. di Mola di Gaeta (4 Nov. 60) 1° - 2° - 3° granat. Fatto d'armi sotto Gaeta (12 Nov .60). Assedio di Gaeta (12 Nov. 1360 13 Febbr. 186]).
24° . 25° . 26°
110
9° . 10°. 15°. 16° 23° . 24° . 25° . 26° 6() . 7'' . 11o . 12°
-
Assedio di Messina (12 Novem. 1860 Marzo 1861. .
9° - 35°. 36°
6° - 7°. 11° - 12°
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20 - 30
1° e 2° regg.
Assedio di Civitella del Tronto (Gennaio - Marzo 1861)
27° . 39° - 40°
9° . 21° - 27°
-
20 . 40
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